Studi sulla società e sulla religione degli Ittiti 888762142X, 9788887621426

714 96 4MB

Italian Pages 926 [924] Year 2004

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Studi sulla società e sulla religione degli Ittiti
 888762142X,  9788887621426

Citation preview

Collana di studi sulle civiltà dell’Oriente antico

1

2

Collana di studi sulle civiltà dell’Oriente antico fondata da Fiorella Imparati diretta da Giovanni Pugliese Carratelli e Stefano de Martino

Fiorella Imparati STUDI SULLA SOCIETÀ E SULLA RELIGIONE DEGLI ITTITI TOMO I

LoGisma editore

3

Volume pubblicato con il contributo di Aldo Zanardo in ricordo di Fiorella Imparati Studi sulla società e sulla religione degli ittiti Copyright © 2004 LoGisma editore www.logisma.it - [email protected]

ISBN 88-87621-42-X

4

Indice TOMO I Presentazione di Giovanni Pugliese Carratelli e Stefano de Martino I. La decifrazione della scrittura micenea (lineare B)

11

da Atene e Roma 2 (1957) 65-84

II. Su alcuni articoli del Codice Ittita relativi a categorie sociali

33

da RIDA 6 (1959) 65-75

III. Note e critiche filologiche

“Ruota” designazione del trono reale ittita?

43

da PdP 65 (1959) 117-123

IV. Note e critiche filologiche

51

Note al Codice Ittita

da PdP 66 (1959) 185-189

V. L’ Autobiografia di ÷attušili I

57

da SCO 13 (1964) 1-35

VI. É duppaš, LÚtuppanuri

95

da FsMeriggi (1969) 154-159

VII. “Signori” e “figli del re”

103

da Or 44 (1975) 80-95

VIII. Le istituzioni cultuali del NA4øékur e il potere centrale ittita

121

da SMEA 18 (1977) 19-64

IX. Une reine de ÷atti vénère la déesse Ningal

173

da FsLaroche (1979) 169-176

X. Il culto della dea Ningal presso gli Ittiti da FsMeriggi2 (1979) 293-324

5

185

XI. Aspects de l’organisation de l’état hittite

dans les documents juridiques et administratifs

213

da JESHO 25 (1983) 225-267

XII. Lehenwesen s.a. Feudalismus, ilku. Bei den Hethitern

253

da RlA 6 (1983) 543-547 s.v.

XIII. Il trasferimento di beni nell’ambito del matrimonio privato ittita 261 da Geo-archeologia 2 (1984) 109-121

XIV. Auguri e scribi nella società ittita

277

da FsBresciani (1985) 255-269

XV. La politique extérieure des Hittites: tendances et problèmes

291

da Heth 8 (1987) 187-207

XVI. Interventi di politica economica dei sovrani ittiti

e stabilità del potere

309

da Stato Economia Lavoro (1988) 225-239

XVII. Armaziti: attività di un personaggio nel tardo impero ittita

325

da FsPuglieseCarratelli (1988) 71-86

XVIII. Obligations et manquements cultuels envers la divinité Pirwa 343 da GsvonSchuler (1990) 166-187

XIX. Autorità centrale e istituzioni collegiali nel regno ittita

369

da CPUL 21 (1991) 161-181

XX. Le relazioni politiche fra ÷atti e Tarøuntašša

389

in collaborazione con F. Pecchioli Daddi, da EOTHEN 4 (1991) 23-68

XXI. Significato politico della successione dei testimoni

nel trattato di Tutøaliya IV con Kurunta da Seminari 1991 (1992) 59-86

6

443

TOMO II XXII. A propos des témoins du traité avec Kurunta de Tarøuntašša 489 da FsAlp (1992) 305-322

XXIII. La civiltà degli Ittiti: caratteri e problemi

515

da Antichi popoli europei - Dall’unità alla diversificazione, (O. Bucci ed.) Roma (1992) 365-433

XXIV. Apology of ÷attušili III or designation of his successor?

569

da FsHouwinktenCate (1992) 143-157

XXV. Miete. Bei den Hethitern

589

da RlA 8 (1994) 184-187 s.v.

XXVI. Mizramuwa. Anthroponyme attesté en écritures cunéiforme

595

et hiéroglyphique dans des documents hittites et ougaritiens. da RlA 8 (1994) 316-317 s.v.

XXVII. Mord (Meurtre/Homicide). Bei den Hethitern

597

da RlA 8 (1995) 382-385 s.v.

XXVIII. Private Life Among Hittites

603

da CANE I (1995) 571-586

XXIX. Aspects of Hittite correspondence:

631

problems of form and content

in collaborazione con S. de Martino, da StMed 9 (1995) 103-115

XXX. Observations on a letter from Ma$at-Höyük

649

da GsBilgiç (1997) 199-214

XXXI. Two mythological fragments concerning the deity Pirwa da FsKlengel (1998) 126-140

7

665

XXXII. Sifting through the edicts and proclamations

of the Hittite kings

689

in collaborazione con S. de Martino, da Acts of the IIIrd International Congress of Hittitology, Çorum, September 16-22 1996, Ankara (1998) 391-400

XXXIII. L’organizzazione dello stato ittita

697

da Geschichte des hethitischen Reiches, (H. Klengel ed.) Leiden-Boston-Köln (1999) 320-387

XXXIV. Il testo oracolare KUB XXII 51 (CTH 577)

761

da Heth 14 (1999) 153-177

XXXV. La “mano” nelle più significative espressioni idiomatiche ittite 787 in collaborazione con S. de Martino, da GsMoreschini (1999) 175-185

XXXVI. Ningal. Bei den Hethitern und Hurritern

803

da RlA 9 (2000) 356-357 s.v.

XXXVII. Palaces and local communities in some

Hittite provincial seats

807

da GsGüterbock (2002) 93-100

XXXVIII. Observations on Hittite international treaties

817

in collaborazione con S. de Martino, StBoT 45 (2001) 347-363

XXXIX. More on the so-called “Puøanu chronicle”

837

in collaborazione con S. de Martino, da FsHoffner (2003) 253-263

XL. Significato politico dell’investitura sacerdotale nel regno

di ÷atti e in alcuni paesi vicino orientali ad esso soggetti

837

da FsFronzaroli, (2003) 230-242

Indici analitici

865

Abbreviazioni e sigle

916 * * *

8

Introduzione La scelta della serie EOTHEN per una nuova edizione degli scritti di Fiorella Imparati non è casuale, poiché si tratta della collana che questa studiosa aveva fondato nel 1998 e condiretto fino alla sua morte. È questo un ulteriore atto di omaggio nei confronti di una studiosa che ha dedicato tutta la sua vita all’insegnamento e alla ricerca; esso si affianca alla raccolta di scritti in suo ricordo, Anatolia Antica. Studi in memoria di Fiorella Imparati, recentemente apparsa sempre nella serie EOTHEN. In quest’ultimo volume si trova un profilo dell’attività scientifica e didattica di Fiorella Imparati e non ci pare il caso di ripetere qui quanto si è già detto in quella sede. Basti ricordare che Fiorella Imparati (19302000) ha insegnato, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze, Storia dell’Asia anteriore antica e poi Storia del Vicino Oriente antico dal 1967 al 1999. Si era laureata in Storia greca, con Piero Treves, discutendo una tesi su Le magistrature e le assemblee politiche nelle città doriche della Sicilia sudorientale: Siracusa, Taormina, Gela, Agrigento. L’interesse di Fiorella Imparati verso il mondo greco spiega la scelta del tema affrontato da questa studiosa nel suo primo articolo dedicato alla decifrazione della scrittura micenea. Per la sua successiva formazione orientalistica è stato determinante il soggiorno di ricerca a Londra e Oxford nel 1956-57, dove ha studiato con Oliver R. Gurney e Richard D. Barnett. In seguito, ha contato molto anche l’insegnamento di grandi maestri come Piero Meriggi, Emmanuel Laroche e Hans Gustav Güterbock. Inoltre, Fiorella Imparati ha intrattenuto continui rapporti di collaborazione scientifica e di amicizia con moltissimi studiosi italiani e stranieri; ne è testimonianza il numero dei colleghi che hanno voluto dedicarle un saggio nel volume di EOTHEN in sua memoria sopra citato. Con il riproporre una parte dell’opera scientifica di Fiorella Imparati non vogliamo, però, soltanto guardare al passato, cioè a quella che è stata l’attività di questa studiosa, ma intendiamo rivolgerci verso il presente e il futuro, fornendo agli ittitologi e, più in generale agli orientalisti, delle nuove generazioni la possibilità di fruire di tutti gli articoli di Fiorella Imparati, anche di quelli apparsi in riviste o volumi miscellanei di non sempre facile reperimento. La generosità di Fiorella Imparati nel dividere con i suoi collaboratori e con i suoi studenti il suo sapere continua, in qualche modo, anche dopo la sua morte. Per volontà di suo marito, Aldo Zanardo, la ricca biblioteca specialistica di Fiorella Imparati è stata donata al Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Trieste, dove gli insegnamenti di Ittitologia e Storia del Vicino oriente non erano supportati da un congruo patrimonio librario di Orientalistica. Inoltre la preziosa raccolta di più di tremila estratti è stata donata alla Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze, sede presso la quale, come si è già detto, Fiorella Imparati ha insegnato per tutta la sua carriera. * * *

9

Non appare, tra gli articoli qui riproposti, il lungo saggio “Una concessione di terre da parte di Tudhaliya IV”, pubblicato nella rivista Revue Hittite et Asianique 32 (1974) 5-209, che è, in realtà, concepito come un’opera monografica. Si è scelto di presentare i lavori di Fiorella Imparati in ordine cronologico di apparizione, piuttosto che per temi, perché ci è sembrato che in questo modo si potesse seguire meglio il fluire del pensiero e della ricerca di questa studiosa attraverso l’intero arco della sua attività. Nella ristampa degli articoli, si è deciso di limitare gli interventi redazionali ad aspetti formali, come l’uniformità nelle citazioni bibliografiche e l’adeguamento, nei riferimenti interni a ciascun articolo, ai numeri di pagine quali appaiono nel presente volume. In pochi casi si sono apportate correzioni che la stessa Fiorella Imparati aveva fatto di sua mano sugli estratti dei suoi articoli successivamente alla loro pubblicazione; queste correzioni vengono segnalate di volta in volta. Il lungo saggio “Die Organistation des hethitischen Staates”, apparso nel volume di Horst Klengel, Geschichte des hethitischen Reiches, Leiden-BostonKöln 1999, 320-387, viene proposto qui nella sua versione italiana; tale scelta è motivata dalla volontà di mettere a disposizione degli studenti italiani più giovani un contributo tanto importante sulla struttura amministrativa dello stato ittita. Questo ci appare in linea con la dedizione mostrata da Fiorella Imparati nella sua attività di docente e con l’interesse che gli studenti hanno sempre avuto per i suoi corsi universitari e il suo insegnamento. Nei suoi articoli, Fiorella Imparati faceva, a volte riferimento, a due lavori che sono rimasti incompiuti; uno era dedicato allo studio della divinità Pirwa e all’edizione dei testi ad essa relativi, l’altro ad un’opera collettanea sulla letteratura ittita, per la quale ella aveva già scritto alcuni saggi. Questi lavori, che Fiorella Imparati stava ultimando, non appaiono nella presente raccolta, perché ci è sembrato opportuno pubblicare solo quegli scritti che fossero già stati licenziati per la stampa. * * * Siamo grati alle case editrici delle riviste e delle opere miscellanee, dove sono stati pubblicati gli articoli di Fiorella Imparati, per aver concesso il permesso di riproduzione. Un caloroso ringraziamento alla Dott.ssa Antonella Marchini, che si è assunta il compito dell’uniformazione tipografica di tutto il materiale e lo ha svolto con grande accuratezza. Alla Dott.ssa Marchini si deve anche la compilazione dell’indice analitico. Giovanni Pugliese Carratelli

Stefano de Martino

10

I.

LA DECIFRAZIONE DELLA SCRITTURA MICENEA (LINEARE B)

Gli studi riguardo all’interpretazione dei testi “minoici” e “micenei”, intensificatisi in questi ultimi anni, hanno suscitato un interesse notevole anche in coloro che non hanno avuto l’opportunità di conoscere tale materiale e di penetrare nei problemi ad esso collegati. Così, prima di illustrare come si presentano i testi divenuti ora leggibili e cosa contengono, non si può fare a meno di premettere alcune notizie di carattere generale riguardo ai ritrovamenti di tali testi, alla caratteristica della loro grafia, alla loro decifrazione ed ai problemi ad essa inerenti. Nell’ambiente egeo, durante l’età del bronzo, si trovavano tre specie principali di grafie: una grafia geroglifica e due grafie lineari, designate come A e B. 1 Considerate da un punto di vista schematico, le due scritture lineari presentano una semplificazione e un carattere corsivo rispetto ai segni figurati geroglifici.2 La lineare B deriva direttamente dalla A, e ciò risulta evidente dalla identità di numerosi segni delle due scritture, ma la B elimina alcuni segni del sillabario di A e ne contiene altri nuovi. Inoltre i segni simili delle due grafie si presentano con frequenze diverse l’uno dall’altro, ed anche gli ideogrammi che vi si trovano sono formati ed usati secondo differenti principi.

1 A queste si unisce la grafia cipro-minoica, quale precorritrice del sillabario cipriota usato per i testi greci. La grafia cipro-minoica è stata considerata in un primo tempo derivata dalla lineare B, ma poi si è ammesso che la sua origine dovesse ricercarsi nella lineare A; essa già prima del 1400 a.C. esisteva a Cipro, dove era usata per l’eteocipriota. Cfr. A. Furumark, Eranos 51 (1953) 106, e G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 117, oltre che per l’origine del sillabario cipriota, anche per i rapporti tra Cipro e gli Achei. 2 Cfr. A. Furumark, Eranos 51 (1953) 104, fig. 1.

11

Per i testi scritti in lineare A, dobbiamo ricordare le tabelle di argilla trovate nel Palazzo di Mallia,3 e, dello stesso periodo, a Cnosso, alcune tabelle e i graffiti sulle pareti della cosiddetta “House of the Frescoes”.4 Inoltre gli scavi dei due Palazzi di Festo5 e di Haghìa Triàda6 hanno dato tabelle ed oggetti con scrittura lineare A; contemporanee a queste sono le tabelle dello stesso sistema trovate a Palecastro e a Tilisso. Per i testi in lineare B ricordiamo: le tabelle dell’archivio del Palazzo di Cnosso, che risalgono alla fine del XV sec. a.C.;7 quelle dell’archivio del Palazzo di Pilo, della fine del XIII sec. a.C.;8 quelle di un archivio privato della “Casa del Mercante di olio” di Micene, pure della fine del XIII sec. a.C.9 ed infine le epigrafi dipinte su anfore “a falso collo” di Micene, Tirinto, Tebe, Orcomeno, Eleusi.10 Così possiamo constatare che la lineare A era propria di Creta e la B era comune a Cnosso e alla penisola greca. Prima della importantissima decifrazione della lineare B da parte del Ventris (di cui parleremo in seguito), si aderiva generalmente ad una tesi Cfr. F. Chapoutier, Les écritures minoennes au Palais de M., Paris 1930 (=Études Crétoises 2). 4 A.J. Evans, The Palace of Minos II, 2 1928, 440-443. 5 L. Pernier, Il palazzo min. di Festòs I, Roma 1935, 426-429. 6 Il maggiore ritrovamento è quello di Haghìa Triàda: 154 tavole, tra intere e frammentarie. Cfr. G. Pugliese Carratelli, Monum. Antichi dei Lincei 40 (1945) 423602, con un catalogo degli altri testi in lineare A, comprese le tabelle di Palecastro e di Tilisso. Un’ampia notizia degli studi sulle iscrizioni in lineare A, pubblicati tra il 1894 e il 1951, si trova nelle rassegne critiche di L. Deroy, RHA 8 (1948) 1-39, e 11 (1951) 3560, e di E. Peruzzi, Minos 2 (1953) 89-111. 7 Si tratta di alcune migliaia di tabelle di argilla, intere e frammentarie. Tale archivio fu scoperto negli anni 1899-1904 da Arthur Evans. Purtroppo il lavoro gravoso di scavi e ricerche gli ha impedito di presentare tutto il materiale. Dopo la sua morte, è comparsa una pubblicazione basata sulle sue annotazioni: A.J. Evans, Scripta Minoa II, Oxford 1952, ed. J.L. Myres, con la collaborazione di A. Kober e con supplementi di E.L. Bennet, che più tardi ha riportato nel suo Index il materiale non pubblicato di Cnosso ed alcune revisioni su quello già pubblicato. 8 E.L. Bennet jr., The Pylos Tablets, A Preliminary Transcription, Princeton 1951. Nel 1952 e 1953 furono scoperte circa 300 tabelle: cfr. C.W. Blegen, An Inscribed Tablet from Pylos, in (I $UF, Atene 1953, 59-62. Tutte sono ora raccolte nel volume The Pylos Tablets. Text of the Inscriptions Found, 1939-1954 (ed. E.L. Bennet jr.), Princeton 1955. 9 E.L. Bennet jr., The Mycenae Tablets, con un’introduzione di A.J. Wace (estr. da PAPS 97 [1954]). 10 G. Pugliese Carratelli, Monum. Antichi dei Lincei 40 (1945) 603-610, e tavv. 30-40. 3

12

dell’Evans, che vedeva nella lineare B una varietà calligrafica ed insieme un perfezionamento della A, destinata ad esprimere la stessa lingua “egea”, e riteneva che alla colonizzazione “minoica” del continente fosse dovuto il suo diffondersi nei Palazzi della penisola. Più tardi la Kober 11 ed il Bennett 12 sostennero che la lingua della lineare B era nuova e distinta da quella della A. Il Bennett, dopo i suoi studi su misure e pesi nelle grafie A e B, e dopo aver rilevato la diversità dei sistemi metrici nelle due classi di iscrizioni, ha concluso che il metodo di indicare quantità frazionarie nella lineare B doveva essere stato “adattato per accordarsi col sistema economico del continente”. Recenti ricerche archeologiche 13 hanno rivendicato l’influenza dominante di Micene durante il 1450-1400, alle spese della talassocrazia cretese, sostenuta da Evans. La Kantor si richiama all’opinione di Wace,14 seguita più tardi anche dallo Stubbings,15 che l’ultimo Palazzo di Cnosso fosse stato la sede di un principe acheo. Molti studiosi, quali Kretschmer, Bossert, Georgiev, si aspettavano tuttavia che la lingua (o le lingue) dei testi “minoici” e “micenei” si rivelasse anellenica ed affine alle lingue indoeuropee dell’Anatolia. Secondo il Sittig si trattava di un dialetto “egeo”, affine al Lemnio e all’Etrusco: tesi che sembrava essere sostenuta da paralleli di toponimi e appellativi come HOFDQ´M/VelFan-, C8WWKQgD/huT “4”, SU¼WDQLM/purTni.16

A. Kober, AJA 52 (1948). Essa mostra anche la presenza di forti indizi di flessione nominale nelle due lineari. 12 I lavori preliminari del Bennett sono stati di grande ausilio e vanno messe in rilievo le sue deduzioni su misure e pesi nelle due lineari ed i problemi a ciò collegati. Cfr. AJA 54 (1950) 204-222. È inoltre indispensabile per tali studi il suo Minoan Linear B Index, New Haven 1953. 13 V. l’esposizione di H. Kantor, AJA 51 (1947) 49-55. 14 A.J.B. Wace, Cambridge Ancient History, II 1926, 468 (così anche J.B. Bury, ibid., 473). Il Wace fu il primo a sostenere lo sviluppo autonomo della Grecia “micenea” - non però immune da influenze culturali “minoiche” - ed anche la grecità dei testi in lineare B di Cnosso e del continente. Cfr. anche A.J.B. Wace, Antiquity 27 (1953) 86. 15 Lettera, Hellenic Society, 7-11-1952. 16 Cfr. per questi autori la citata bibliografia del Deroy. 11

13

Il Ventris, nello studiare le tabelle di Cnosso e di Pilo, nel 1950 aveva cercato un sussidio nell’etrusco, ed in seguito, ancora all’inizio del 1952, aveva pensato che tali testi (in lineare B) fossero scritti in una lingua preellenica, del gruppo “mediterraneo”.17 Ma il suo esame sistematico dei vari segni che compaiono nei testi, delle loro variazioni, della loro frequenza e posizione, lo ha portato a quella conclusione che Wace e Blegen avevano proposto su basi archeologiche: che la lingua delle tavole di Cnosso, Pilo e Micene è non solo indoeuropea, ma specificatamente greca.18 In seguito il Ventris, in collaborazione col linguista J. Chadwick, ha pubblicato un’esposizione critica della decifrazione di numerosi testi in lineare B e dei risultati principali di essa.19 VC sostengono che, se i valori fonetici sperimentali che essi ci danno sono approssimativamente corretti, la loro evidenza ci permette di assegnare al “miceneo” una specifica posizione dialettale. Si tratta appunto di un dialetto arcaico di tipo “acheo”, e col termine “acheo” viene definito un ipotetico antenato comune (“Old Achaean”) dell’arcado-cipriota e dei dialetti eolici.20 Siamo così di fronte ad un vero dialetto greco e non ad una lingua indoeuropea strettamente affine al greco, come il “pelasgico” (la lingua dei GmRL3HODVJRg) del van Windekens21 e del Georgiev,22 o l’ “egeo” 17 Questa è per noi la migliore garanzia sulla completa mancanza di preconcetti nel suo metodo di ricerca. 18 Il Ventris distingue tre specie principali di segni: 1) segni che compaiono in gruppi (segni fonetici, corrispondenti a sillabe, che insieme formano i vocaboli) - 2) segni che compaiono separatamente (ideogrammi) - 3) segni numerici. Il Ventris ha pubblicato i nuovi risultati della sua ricerca il 1° giugno 1952, sotto il titolo Are the Knossos and Pylos Tablets Written in Greek?, nel Nr. 20 delle Work Notes on Minoan Language Research, 172-176 (litogr.); e il 12 luglio 1952 un Experimental Mycenaean Vocabulary and Syllabary, in cui presenta la chiave della grafia lineare B, e 553 nomi ed altri vocaboli identificati con quelli greci. Inoltre ha narrato le fasi della sua decifrazione in un articolo destinato ai non specialisti, Archaeology 7 (1954) 15-21. 19 M. Ventris-J. Chadwick, JHS 73 (1953) 84-103 (citato da ora in avanti con la sigla VC). Dato che agli autori interessa dimostrare la legittimità linguistica della loro decifrazione, l’articolo è suddiviso secondo categorie grammaticali, ed i passi dei testi studiati sono citati particolarmente quali esempi linguistici. 20 VC, 103: “an archaic dialect of the ‘Achaean’ type”, precisamente quello che, su basi storiche, ci aspetteremmo che gli abitanti di Pilo e di Micene avessero parlato. 21 A.J. van Windekens, Le pélasgique, Louvain 1952. 22 V. Georgiev, Problèmes de la langue minoenne, Sofia 1953.

14

del Meriggi,23 oppure un “greco in bocca di non Greci”, come suppone il Merlingen.24 Nella ricostruzione del sillabario della lineare B esistono ancora delle lacune, ma su 87 segni sillabici, di 77 è stato riconosciuto, con certezza o con molta probabilità, il valore fonetico.25 Troviamo casi di omofonia (es. su e sú; ta, tá e tà) 26 e casi di polifonia delle serie k- (N, J, F), p- (S, E, I), r- (O e U). Da più indizi è stata dedotta l’esistenza di una serie di labiovelari (qe, qi, qo). 27 VC ci presentano cinque suoni vocalici e dodici serie di sillabe “aperte”, formate da una delle dodici consonanti, seguita da una delle vocali.28 Non tutte le serie sono state completamente identificate (j-, w-, q-). VC ci danno alcune regole di ortografia micenea, che qui riportiamo.29 1) Il sillabario distingue cinque vocali, a, e, i, o, u, di cui non viene graficamente indicata la lunghezza. 2) Il secondo componente dei dittonghi in -u è regolarmente indicato (na-u-domo, QDXGRPR-; re-u-ko, OHXNR-; a-ro-u-ra, ‡URXUD). 3) Il secondo componente dei dittonghi in -i viene generalmente omesso (po-me, SRLPQ) tranne che davanti ad un’altra vocale (i-je-re-ja, e|UHLD). Per il dittongo iniziale ai- vi è un segno particolare. Dove -i è occasionalmente aggiunta alle finali in -a e -o, qui si deve probabilmente interpretare come -DLM, -RLM. 4) Vocali che seguano ad i o ad u generalmente presentano il legame semi-vocalico -j- (i-ja-te, fDWU) o -w- (e-u-wa-ko-ro, (¾DJURM); questo legame sarà omesso dall’ortografia greca.

P. Meriggi, Minos 3 (1954) 55-84; ma ha poi aderito alla tesi di VC in Glotta 34 (1954) 12-17 (rec.: G. Pugliese Carratelli, PdP 9 [1954] 117-120). 24 W. Merlingen, Bemerkungen zur Sprache von Linear B, Wien 1954 (litogr.). 25 65 di questi segni sono raccolti nello “experimental syllabic grid” del Ventris. Per la decifrazione di alcuni segni, si è considerata anche l’analogia con la grafia sillabica cipriota, che però è stata di lieve aiuto. 26 Le doppie si possono spiegare col fatto che nella grafia lineare A esse indicano suoni diversi uno dall’altro. Questo si riscontra ancora in alcuni scritti della lineare B: es. tá e rá che possono indicare semplicemente ta e ra quanto tia e ria (ra-wa-ra-tá, scritto anche ra-u-ra-ti-ja). 27 VC, 90. 28 VC, 88. 29 VC, 91. 23

15

5) Oltre che j- e w- (), il sillabario distingue dieci serie di consonanti: d, k, m, n, p, q (k r (O, U), s, t, z. Le consonanti doppie non sono indicate. 6) La grafia non distingue le consonanti aspirate dalle non aspirate, e non c’è distinzione neppure tra le mute e le tenui, tranne che per t e d, né tra le liquide (to-hodo-mo, WRLFRGRPR; tu-ka-te-re, TXJDW£UHM; a-pi-po-re-u, „PILIRUH¼M; tu-ri-so, 7XOLVV´M; do-e-ra, GR|OD = GRÂOD). Manca un segno che indichi lo spiritus asper, ma è incerto se ciò sia dovuto a psilosi (come nel cipriota). 7) Le consonanti OPQUV, non sono indicate quando precedono un’altra consonante, e così QUV, quando si trovano in fine di parola (pa-ka-na, I…VJDQD; kake-u, FDONH¼M; i-jo-te, f´QWHM). 8)  e V iniziali vengono omesse davanti a consonante (pe-ma, VS|UPD; ri-jo, UgRQ). 9) Il gruppo Qè espresso con nu-w (ke-se-nu-wi-ja, [|QLD). Vi è un segno per nwa. Per  seguito da vocale si trova talvolta u invece di wi (di-u-ja e di-wi-ja, 'LgD). U davanti a  è omessa (ko-wo, N´URM; we-we-e-a, HU|HD). 10) Tutte le consonanti che precedono un’altra consonante vengono scritte con un segno sillabico che contiene una vocale uguale a quella della sillaba seguente (cioè una vocale uguale a quella che segue la seconda consonante) (ki-ti-ta, NWLWD-; ku-ru-so, FUXVR-). Così avviene anche per [, I, NwM, (to-ko-so-wo-ko, WR[RRUJR-), tranne che in fine di parola, dove lasciano cadere la -s e prendono la vocale della sillaba precedente (wa-na-ka, …QD[, ai-ti-jo-qo, $fTgRI  Talvolta, per analogia, troviamo wa-na-KA-tero, DQ…NWHURM, su modello di wa-na-ka nom., *wa-na-ka-ta ecc.; ru-KI-to, /¼NWRM, su modello dell’etnico ru-ki-ti-jo. w),

Abbiamo ora visto che la grafia lineare B, come anche la grafia sillabica cipriota, mostra una serie di imperfezioni fonetiche e particolari caratteristiche ortografiche, e ciò deriva dall’adattamento della grafia lineare A, creata per il “minoico”, alle esigenze di una lingua del tutto diversa, come il greco degli Achei. Si è infatti provato ad applicare ai segni sillabici della lineare A, corrispondenti a quelli della B, gli stessi valori fonetici di quest’ultima, e la lingua della lineare A non è risultata greca. D’altra parte, per la vicinanza delle due grafie succedutesi - ed in un certo periodo anche coesistenti - nello stesso ambiente, non possiamo supporre che gli Achei, adottando i segni sillabici della scrittura “minoica”, avessero dato a questi un valore fonetico diverso dall’originario. Inoltre la coincidenza di alcuni 16

nomi propri in certe tabelle “minoiche” di Haghìa Triàda ed in altri testi “micenei” di Cnosso ci fornisce ancora una prova dell’equivalenza fonetica dei segni sillabici corrispondenti di A e B.30 Per i pochi elementi di cui disponiamo, non si può ancora concludere se la lingua “minoica” sia stata o no indoeuropea. Il Pugliese Carratelli, dopo aver ricordato alcuni popoli che nel mondo anatolico, nel II millennio a.C., parlavano lingue indoeuropee (luvio, palaico, eteo, “eteo ieroglifico”) e così anche altri nel mondo egeo preellenico (Licii ed “Eteo-cretesi” di Praisos e Dreros), inclina ad ammettere anche per la lineare A un idioma indoeuropeo su sfondo asiano. 31 Riguardo all’adozione della scrittura “minoica” da parte degli Achei, il Furumark 32 sostiene che essa doveva essere avvenuta nel continente, già prima dell’occupazione di Cnosso, e ci dà come data circa il 1600 a.C., nel periodo delle tombe a pozzo, quando si era manifestato, anche in altri campi, un forte influsso minoico. Il Pugliese Carratelli33 trova verosimile questa ipotesi, poiché la stessa forma dei segni fonetici è più vicina ai prototipi arcaici che non a quelli più evoluti delle tabelle di Haghìa Triàda, di poco anteriori, se non coeve, a quelle in lineare B di Cnosso.34 Ed ora passeremo ad osservare qualche esempio di testi scritti in lineare B, finora pubblicati. Essi sono documenti di carattere amministrativo (inventari, registrazioni di materie distribuite o ricevute, revisioni, assegnazioni di imposte ecc.) e sono compilati in uno stile Cfr. G. Pugliese Carratelli, Annuario della scuola archeologica di Atene, 30-32 (1955) 11-17, dove è riportato anche qualche esempio di testi in lineare A, con interessanti osservazioni ed utili note bibliografiche. A proposito del suddetto argomento, Pugliese Carratelli osserva che i testi “micenei” che conservano tali nomi sono soltanto quelli di Cnosso e ne deduce che si poteva trattare di nomi propri a minoici a, conservati in Creta dopo l’occupazione achea. 31 G. Pugliese Carratelli, Annuario cit., 17. 32 A. Furumark, Eranos 51 (1953) 107. 33 G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 115-116, dove troviamo interessanti rilievi riguardo alle cause e all’epoca della distruzione del Palazzo di Cnosso e dell’invasione achea. 34 Nella vicina Tilisso, la cui distruzione è contemporanea a quella di Cnosso, fu usata nello stesso periodo la grafia della lineare A, ed è probabile che questa scrittura sia stata in uso anche più tardi. 30

17

molto conciso, dove spesso non è chiaro quali relazioni sintattiche sussistano. Di solito vi troviamo scritti sillabicamente toponimi e nomi di persona e talvolta termini indicanti la professione di queste persone; a questi seguono gli ideogrammi (in qualche caso preceduti dal nome dell’oggetto) degli oggetti registrati e la loro quantità.35 Le singole parole sono separate da interpunzioni e questo è molto utile per la decifrazione. 36 La grafia è diretta verso destra. Risulta da alcuni contesti che i documenti si riferiscono all’anno in cui sono stati scritti. Per la classificazione dei testi, seguiamo quella istituita dal Bennett, in base agli ideogrammi che si trovano nelle tabelle e che hanno fornito un primo indizio circa il contenuto di esse.37 Abbiamo anche un gruppo non molto numeroso di testi senza ideogrammi, 38 ma, almeno quelli interpretabili, presentano lo stesso carattere degli altri. Si tratta o di materiale grezzo, per cui non si aveva ideogramma ed il cui termine era perciò scritto foneticamente, 39 o di elenchi di persone, per le quali era superfluo l’uso dell’ideogramma.40 Si hanno testi contenenti registrazioni di persone, come si può vedere dagli ideogrammi di UOMO o di DONNA, seguiti da numeri. Lo schema più semplice di questi testi è costituito da un toponimo (o, talvolta, da un etnico) e dall’elenco di donne e fanciulle, in prevalenza, 35 Talvolta, al posto degli ideogrammi, troviamo dei segni sillabici isolati (probabilmente le sillabe iniziali degli appellativi), come abbreviazioni di tali oggetti. Le quantità, a seconda degli oggetti, sono indicate in vari modi, con unità, col peso, col volume, con misure fluide per i liquidi. 36 Sembra però che tra termini strettamente connessi non sia segnata l’interpunzione. Per scrivere venivano adoperate, per l’uso giornaliero, tavole di argilla, quale materiale meno costoso; si ritiene però quasi certo che venisse usato anche altro materiale, con ogni probabilità papiro (Cfr. S. Marinatos, Minos 1 [1951] 39-42). 37 E.L. Bennet, Minoan Linear E index, New Haven 1953. Le tabelle di Cnosso e di Pilo vengono quindi citate con una sigla (indicante la classe), seguita dal numero d’ordine. 38 Molti dei testi attribuiti dal Bennett a questa classe sono in realtà frammenti di tavole, i cui ideogrammi sono andati perduti. 39 Come, ad esempio, i termini riguardanti avorio o legno. 40 Liste di divinità o altre liste di nomi, in testi che sembrano contenere prescrizioni particolari.

18

e di uomini e fanciulli, qualche volta con l’indicazione della professione. Probabilmente si tratta di registrazioni di operai o schiavi che le varie comunità locali dovevano fornire all’autorità centrale del Palazzo (allo Stato), o che, eccezionalmente, nei vari luoghi, lavoravano per un privato. I termini ko-wo e ko-wa che si trovano in tali testi sono stati letti da 41 VC come N´URM/N´URL e N´UD/N´UDL: così ad esempio la tabella di Pilo Aa 06 e-wi-ri-pi-ja DONNA 16 ko-wa 11 ko-wo 8 ? (ULSgD (= (»ULSgD, scil. FÊUD; o (UgSLDL?): *81$,.(6 16, N´UDL 11, N´URL 8. Incontriamo talvolta la parola we-ke-i-ja, |UJHLD?, che sembra indicare l’opera giornaliera. Alla fine di alcuni testi si trovano gli ideogrammi di ORZO e FICO, o la parola si-to, VmWRM, che possono indicare o supplementi di tributo in natura, o derrate fornite dal Palazzo per l’alimentazione delle persone registrate, o la loro paga. Abbiamo un gruppo di tavole in cui sono elencati pastori,42 ed altre che ci testimoniano come le varie comunità del regno di Pilo fossero tenute a fornire contributi umani per servizi ordinari e straordinari. Tra i nomi di località ed i nomi di persona ne esistono molti che si possono identificare con nomi greci noti.43 Tra i numerosi testi di Pilo contenenti toponimi sono notevoli: quello che enumera rematori che da varie località devono essere inviati a Pleuron (An 12: e-re-ta pe-re-u-ro-na-de i-jo-te {U|WDL3OHXUÐQ…GHf´QWHM... ri-jo UgRQ UOMO 5 / po-ra-pi? 6SRU… G ILUOMO 4 / te-ta-ra-ne? 7HWU…QK...), e altri che elencano lavoratori attivi in diversi luoghi; oppure altri ancora concernenti distribuzioni da parte del Palazzo o concessioni fatte ad abitanti di vari distretti, oppure le quantità di bronzo che certe categorie di abitanti devono fornire.44

41

wo.

VC, 91. Cfr. anche VC, 96, dove abbiamo una lista di nomi composti con ko-

In PY An 13, dopo il nome di luogo, troviamo il termine ta-ge-re, VWDW£UHM certo collegato con ta-to-mo, VWDTP´M “stalla, gregge”. 43 Ne troviamo le prove in VC, 93 sg. 44 Cfr. VC, 101; G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 90 sgg., e 225 sgg. (“Testi e documenti”); A. Furumark, Eranos 52 (1954) 20 sgg. 42

19

Attraverso questi testi constatiamo che il territorio dominato da Pilo costituiva un regno suddiviso in nove “distretti”.45 Nei testi di Cnosso, contenenti registrazioni di donne e fanciulli, i toponimi di cui è possibile l’identificazione sono sempre nomi di località cretesi oppure aggettivi formati da questi.46 In queste tavole ed in altre della stessa specie troviamo diverse abbreviazioni, tra cui particolarmente frequente è il segno DI che, secondo il Furumark,47 è un’abbreviazione del termine (che ricorre altrove) di-da-ka-re, GLGDVNDOH mRQ" . Essa si riferisce di solito o ad un gruppo minore di donne, segnate separatamente dal gruppo principale, probabilmente giovani ragazze, oppure a bambini più grandi. È da ricordare un testo di Pilo (An 42), contenente una registrazione di do-qe-ja, del distretto di Metapa, delle quali son ricordati padre e madre: 2 do-qe-ja do-e-ro pa-te ma-te-de ku-te-re-u-pi G´USHLDLG´HORMSDWUP…WKUG.XTKUHÂIL 5 do-qe-ja do-e-ro pa-te ma-te-de di-wi-ja do-e-ra G´USHLDLGR|ORMSDWUP…WKUG'LgDMGR|OD 6 DONNA 3 do-qe-ja do-e-ra ma-te pa-te-de ka-ke-u *81G´USHLDGR|ODP…WKUSDW UGFDONH¼M 7 DONNA 1 do-qe-ja do-e-ra ma-te pa-te-de ka-ke-u *81$G´USHLDLGR|ODP…WKUSDW UGFDONH¼M 8 DONNA 3. *81

Cfr. anche E.G. Turner, BICS 1, che, basandosi su un accurato esame delle tabelle di Pilo, ha compilato una Provisional List of Place Names, includendovi tutti quei termini che dal contesto risultano con certezza o probabilità toponimi o etnici. 45 Cfr. G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 94 e 228, in cui si tratta anche del confronto col “Catalogo delle navi”, B 591-4, e con Odissea, J 5-8. Anche qui troviamo il regno di Pilo, sotto Nestore, suddiviso in nove parti, ma soltanto i nomi di 3¼ORM e di $PILJ|QHLD corrispondono a quelli datici dalle tabelle. Ma, osserva Pugliese Carratelli, il “Catalogo” riflette una situazione posteriore all’età delle tabelle (come mostra già il nome 'ÊULRQ). 46 Cfr. le tavole dei “tessili”. 47 A. Furumark, Eranos 52 (1954) 24. A questo proposito l’autore ci suggerisce alcune probabili interpretazioni di altre sigle del genere.

20

Questo testo ha avuto grande importanza per la decifrazione, perché vi si ripetono varie volte le parole pa-te ma-te-de, lette da VC SDWUP…WKUG48 È stato studiato anche dal Pugliese Carratelli,49 che ha letto do-qe-ja come G´USHLDL. Dato che esse sono qui divise secondo la nascita, egli si chiede se non si possa desumerne che le G´USHLDL, dichiarate tutte GR|ODL alla r. 4, partecipino della condizione della madre, libero o servo che sia il padre. Questa è una considerazione molto interessante e di estrema importanza per la questione della posizione sociale della donna. In alcuni testi sono menzionati pá-si-re-we, EDVLO£HM, che il Furumark e il Pugliese Carratelli 50 sono d’accordo nell’interpretare “signori locali” (“come in Itaca di Omero”, dice il Furumark) e ko-re-tere, “capi di villaggio” o “rappresentanti di una comunità locale”. Troviamo anche la parola ke-ro-si-ja, preceduta da un nome maschile in genitivo: il Furumark 51 la legge JHURQVgD, un particolare termine di categoria, il cui significato proprio non è accertato. Vediamo anche citati i J|URQWHM (ke-ro-te), accanto ai ODDJ|WDLe ai EDVLO£HM Un altro gruppo di tabelle di Pilo (Jn e Ma) riguarda la metallurgia. L’ideogramma che vi ricorre designa “bronzo”. Tale segno, preso dalla lineare A, riproduce evidentemente un’ascia.52 Su queste tabelle sono elencati i nomi di bronzieri di diverse località ed accanto a ciascun nome è registrata una quantità di bronzo; incerto è il significato di tale registrazione (tributo dovuto al Palazzo? o quantità di metallo consegnate dal Palazzo per l’esecuzione di lavori?).53 VC, 89, 92. G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 95 sg.: G´USHLDL, da GU|SZ “mietitrici”? o da G´USRQ “addette alla preparazione dei pasti”? 50 A. Furumark, Eranos 52 (1954) 19, e G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 217. Il Pugliese Carratelli pensa che essi non abbiano avuto funzioni politiche di rilievo (quali il …QD[ e il ODDJ|WDM), ma che equivalessero a IXOREDVLOHmM o ne rappresentassero il prototipo, quindi con un’autorità patriarcale o sacerdotale nell’ambito della tribù o del J|QRM. 51 A. Furumark, loc. cit. 52 A. Furumark, Eranos 52 (1954) 49 nota 1. 53 In queste tabelle (es. Jn 01-08) compaiono dapprima i toponimi, poi queste parole “ka-ke-we ta-ra-si-ja e-ko-te, FDON£HMWDODVg‹Q~FRQWHM”, seguite dalla lista dei bronzieri ecc. 48 49

21

La parola chiave è ta-ra-si-ja, che il Björck e il Chadwick hanno giustamente interpretato WDODVgD = W…ODQWRQ corrispondente al latino pensum, “quel che è pesato” o “assegnato ad uno”.54 Poi viene di solito sommato il tutto: to-so-de ka-ko..., WRVV´QGH FDON´Q... Seguono quindi quei bronzieri che non hanno WDODVgDQ : ata-ra-si-jo, „WDO…VLRL, ed infatti i loro nomi non sono seguiti da ideogramma. Si trovano spesso indicati anche i do-e-ro, G´HORL, appartenenti ad alcuni bronzieri. In una di queste tabelle 55 accanto ai FDONHmM compare un’altra categoria di artigiani, i ku-re-we, in cui, secondo la convincente interpretazione del Pugliese Carratelli, si può vedere VNXO£HM, “cuoiai”, la cui opera doveva, in certi casi (per esempio nella fabbricazione di scudi), associarsi a quella dei bronzieri. In un lungo elenco di artigiani, distribuiti in varie località, sono citati anche degli orafi, ku-ru-so-we-ko, FUXVRHUJRg Il grande sviluppo dell’industria della ceramica in età micenea è attestato da un copioso materiale archeologico. Nelle tabelle di Pilo si trova spesso menzionato il ke-ra-me-u, NHUDPH¼M, e vi troviamo inoltre numerose registrazioni di vasi di varie forme, con l’ideogramma preceduto dal nome tecnico. Riportiamo qui come esempio le linee 2 e 3 di una tavola di Pilo; trovata di recente, pubblicata dal Blegen:56 2 qe-to VASO (biansato) 3 di-pa me-zo-e qe-to-ro-we VASO (con 4 anse) 1 di-pa-e me-zo-e ti-ri-jo-we-e VASO (triansato) 2 di-pa mewi-jo qe-to-ro-we VASO (con 4 anse) 1 "SgTRM$0),)25+F(6G|SDMP|]R Q WHWUÐHM'(3$6 G|SDHP|]RHWULÊHH'(3$6G|SDMP|LRQWHWUÐHM'(3$6 3 di-pa me-wi-jo ti-ri-jo-we VASO (triansato) 1 di-pa me-wi-jo a-no-we VASO (privo di anse) 1 G|SDMP|LRQWULÐHM'(3$6G|SDMP|LRQ„QÐHM'(3$6 VC, 98. G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954), 57. 56 C.W. Blegen, in (I $U[., Atene 1953, 59-62. Questa tabella è stata riesaminata dal Ventris, Archaeology 8 (1954) 18. 54 55

22

La parola di-pa, G|SDM, abbreviata con di negli ideogrammi, evidentemente non indica, come più tardi, un calice, ma altre forme di vasi più grandi. In un elenco cnossio di offerte57 la troviamo menzionata insieme alla parola a-no-wo-to ed alla raffigurazione dell’ideogramma di un vaso privo di anse, e la frase è stata letta G|SDM „QÊRWRQ (equivalente ad „QÐHM nella tabella di Pilo sopra riportata). In alcuni testi di Cnosso si trovano ideogrammi che rappresentano vasi (anfore e tazze semisferiche), quali unità di misura. In un testo molto importante di Pilo58 sono rappresentati vasi la cui materia è indicata con l’ideogramma di “oro”. Si tratta di una distribuzione di doni votivi per alcune divinità e i loro santuari. Insieme ai vasi si trovano elencati schiavi femminili e maschili, probabilmente destinati ad essere servi del tempio, e non a sacrifici umani: 1 2 3 4 5 6 7 8

pu-ro (3¼ORM) i-je-to-qe po-si-da-i-jo (un 3RVLGDmRQ, tempio di Poleidon) a-ke-qe wa-tu (…VWX) da-ra-qe (GÐU…WH) pe-re-po-re-na-qe a-ke ORO (?) VASO 1 DONNA 2 qo-wi-ja (E´LD) [...] ko-mawe-te-ja pu-ro i-je-to-qe pe-re-?-jo i-pe-me-de-ja-qe (un 'LLDmRQ, tempio della Divia) di-wi-ja-jo-qe do-ra-qe pe-re-po-re-na-qe a pe-re-? VASO+ORO (?) 1 DONNA 1 i-pe-me-de-ja ( ,ILPHGHgY) VASO+ORO (?) 1 di-u-ja ('LgY) ORO (?) VASO 1 DONNA 1 e-ma-á (C(UP…Y) a-re-ja ( $UHgY?) ORO (?) VASO 1 UOMO 1 pu-ro i-je-to di-u-jo (un 'gLRQ, tempio di Zeus) pe-re-po-re-na-qe a-ke

Kn K 875. Cfr. G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954), 99; e FsPaoli (1955) 605; e A. Furumark, Eranos 52 (1954) 50-51 58 Pilo, Kn 02. Cfr. A. Furumark, Eranos 52 (1954) 51-52; e G. Pugliese Carratelli, FsPaoli, 607-610: l’interpretazione del Furumark diverge però notevolmente da quella che ci dà il Pugliese Carratelli, op. cit., 613-614. Un’altra interpretazione è stata data dal Palmer, Eranos 53 (1955) 1 sg. 57

23

9 10

di-we ('LHg) ORO (?) VASO 1 UOMO 1 e-ra (u+UY) ORO (?) VASO 1 DONNA 1 di-ri-mi-jo di-we i-je-we ORO (?) VASO 1*

(11-16 vac.; 12-16 nuova rubrica: pu-ro) 1 po-ro-wi-to-jo (3OZLVWRmR, scil. PKQ´M) 2 puro i-je-to-qe pa-ki-ja-si do-ra-qe pe-re-po-re-na-qe 3 a-ke po-ti-ni-ja (3RWQgY) ORO (?) VASO 1 DONNA 1 4 ma-na-sa ORO (?) VASO 1 DONNA 1 po-si-da-e-ja (3RVLGDHgY) ORO (?) VASO 1 DONNA 5 ti-ri-se-ro-e (7ULVKUÊHL") ORO (?) VASO 1 do-po-ta ORO (?) VASO 1 (6-10 vac.; 7-10 nuova rubrica: pu-ro) Vo

Alcuni gruppi di testi di Cnosso si occupano di utensili ed armi. Vi troviamo due tavole con raffigurazioni di seghe ed altre con raffigurazioni di asce e lance, quali ideogrammi. Queste tabelle riportano, in qualche caso, annotazioni di quantità depositate, ma, per la maggior parte, elenchi di artigiani di varie località, che devono ancora consegnare la merce. In molte tavole di Cnosso sono inventariate armi e carri o loro parti.59 Il materiale elencato può essere suddiviso in tre classi: 1) armature per singoli combattenti su carri; 60 2) elenchi di carri di vari tipi, con descrizioni riguardanti il materiale ed i colori, e con specificazione degli accessori; 3) elenchi di ruote, con indicazioni della costruzione. Un grande gruppo di testi di Cnosso è costituito da registrazioni di tessili, il cui ideogramma rappresenta un telaio. Questi testi contengono o 59 Tali tabelle sono state analizzate ed interpretate da VC, 99-100; e A. Furumark, OpAth 1 (1953) 57 sg.; e Eranos 52 (1954) 54-59. La terminologia tecnica offre delle grandi difficoltà e per l’interpretazione si deve tener conto anzitutto della costruzione dei carri egei da combattimento. 60 Qui vediamo dapprima un nome maschile (eccezionalmente seguito da un epiteto), poi gli ideogrammi di armatura, carro, testa di cavallo, seguiti dai numeri adeguati. Alcune variazioni che vi troviamo ci permettono di dare uno sguardo interessante all’organizzazione militare.

24

elenchi di prodotti in deposito o di consegne da fare. La parola più importante è, nel primo caso, pa-we-a, I…UHD, “stoffe, vestiti”, con diversi termini qualitativi, alcuni indicanti materiale, colore, ed altri poco chiari. Nella seconda categoria si trovano nomi di località, o aggettivi femminili derivati da questi, oppure termini professionali femminili. Molti di questi termini sono identici a quelli dell’elenco delle schiave. Questi testi contengono evidentemente i tessili prodotti da diversi gruppi di schiave e consegnati da varie località. Gli ideogrammi che si trovano più frequentemente in Cnosso sono quelli che indicano animali domestici. Il significato preciso di alcuni di questi ideogrammi non è ancora del tutto stabilito ed Evans61 ci propone qualche interpretazione. Anche nell’archivio di Pilo erano conservati inventari di armenti e di greggi, esistenti in varie località del regno. Abbiamo delle tabelle in cui sono registrati i “debiti” di alcuni pastori, certamente verso il Palazzo, ed altre che sembrano riferirsi a “requisizioni”. Alcuni elenchi di animali sono caratterizzati dal fatto che i nomi di persona, al dativo, sono preceduti dalla parola pa-ro, SDU´ = SDU…, “apud - penes”, “presso”.62 Non sarà errata la supposizione che in queste liste fossero elencati animali dati in cura alla persona menzionata. Talvolta, dopo la cifra che segue gli ideogrammi, si trova il segno X, che indica probabilmente un controllo o revisione. Che esistessero greggi di proprietà del Palazzo ha dedotto il Furumark63 da un gruppo di testi di Cnosso, dove sono annotate grandi quantità di animali, registrati secondo questo schema: nomi di località, ideogrammi di animali e loro quantità (anche oltre 20.000 ovini e 700 suini). Il Furumark64 esamina oltre seicento tabelle cnossie, con ideogrammi di ovini. Tutte queste appartengono ad un unico tipo e sono così redatte: A.J. Evans, The Palace of Minos, IV, 2, 722 sgg. VC, 93 e 102. 63 A. Furumark, Eranos 52 (1954) 28. Cfr. anche G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 220-221. 64 A. Furumark, Eranos 52 (1954) 29. 61

62

25

dapprima un nome di persona (seguito talvolta da un aggettivo di luogo indicante la patria; eccezionalmente, invece di questo, possiamo trovare l’indicazione della professione), poi un toponimo “residenza”, quindi l’ideogramma di ovino e la quantità. Come aveva già osservato l’Evans, 65 il Furumark ha rilevato che doveva trattarsi di una specie di imposta, la cui unità era data dal valore di un ovino. È nota che lo stesso sistema di imposte esiste ancora oggi nell’interno dell’Anatolia. Collegandosi a ciò, interpreta le due abbreviazioni O e PE, che qui troviamo più frequentemente, come o(pe-ro), ¶IHORM, e pe-(ru-si-nu) (-wa, -wo), SHUXVLQ-, -…, -´M, -´Q. Tanto a Pilo, stato eminentemente agricolo, che a Cnosso, abbiamo numerosi testi con ideogrammi indicanti prodotti agricoli, alcuni dei quali non sono stati ancora identificati. Vi è frequentissimo un ideogramma, preso dalla lineare A, che indica “cereali” in genere e forse, più precisamente, “orzo”. Insieme a quelli raffiguranti cereali, liquidi ed alberi, vi troviamo talvolta anche ideogrammi di animali domestici e di droghe.66 Gran parte di queste tavole, in cui ricorrono vari ideogrammi indicanti “vegetali”, contengono elenchi di quei prodotti agricoli che entravano nei magazzini del Palazzo o che ne uscivano per essere distribuiti ai sudditi. Come produttori sono indicati collettivamente gli abitanti di una data località. In tali testi compaiono di frequente i termini “consegna (a-pu-do-si, „S¼GRVLM), debito (o-pe-ro, ¶IHORM)”. Le destinazioni della merce consegnata sono indicate con nomi di persona al dativo oppure con toponimi seguiti dal suffisso -de. Vi troviamo menzionato un o-pi-te-u-ke-u, ³SLWHXFH¼M, che sembra designare un funzionario addetto all’approvvigionamento. Vi sono numerose tabelle concernenti il censimento di terreni coltivati ad orzo (NULTDg), con la definizione del tributo in natura in proporzione alla loro area e produttività.

65 66

A.J. Evans, The Palace of Minos, IV, 2, 691 sgg. In questi casi si tratta probabilmente di forniture più importanti.

26

Alcune tavole si riferiscono probabilmente a transazioni di affari, come quelle contenenti la parola o-no, che il Furumark67 identifica con ÒQRM, cioè “prezzo di compera”. Un altro gruppo di testi interessanti è composto da tavole che elencano evidentemente consegne a santuari. Nei testi riguardanti censimenti di terreno, il termine che vi ricorre più di frequente è ko-to-na (ko-to-i-na in Cnosso 1031), letto da VC68 come NWRgQD ed indicante una porzione di terra; esso ha spesso come attributi due participi medio-passivi, ke-ke-me-na e ki-ti-me-na, interpretati da VC come NHNHLP|QD e NWgPHQD. Diamo qui alcuni esempi: Ep 02, 1.9: I-do-me-ne-ja te-o-jo do-e-ra o-na-to e-ke ke-ke-me-na koto-na pa-r o da-mo to-so pe-mo GRANO 9/60

,GRP|QHLDTHRmRGR|OD¶QDWRQ~FHL"NHNHLP|QDMNWRgQDMSDU· G…PZ`W´VVRQVS|UPR38526/ En 02, 1.3: wa-na-ta-jo-jo ko-to-na ki-ti-me-na to-so-de pe-mo ORZO 2

1/60

DUQDWDgRLRNWRgQDNWgPHQDWRVV´QGHVS|UPRQ.5,4$,/ Il Ventris dice che ke-ke-me-na e ki-ti-me-na “are probably synonymous, presumably in the sense of ‘established’ common to? NHmPDL and NWg]Z. Not ‘fallow/cultivated’?”. Il Furumark,69 dopo aver esaminato alcune formule di tabelle pilie, relative a terreni coltivati a cereali, esprime l’opinione che ko-to-na keke-me-na, NWRgQDNHNHLP|QD(?), significhi un terreno appartenente allo stato o alla comunità (da-mo, G‹PRM) - e tale è in sostanza anche l’opinione del Palmer 70 e del Webster 71 - mentre ko-to-na ki-ti-me-na, NWRgQDNWLP|QD, indichi un terreno appartenente a privati.

A. Furumark, Eranos 52 (1954) 33 e nota 1. VC, 98-99. 69 A. Furumark, Eranos 52 (1954) 36 sgg. 70 In un importante studio su Mycenaean Greek Texts from Pylos, in TPS (1954) 27 sg. 71 BICS 1 (1954). 67

68

27

Ma il Pugliese Carratelli72 confuta tale opinione, preferendo dare a ko-to-na ke-ke-me-na il significato di “terreno lasciato incolto, in riposo”, distinto da ki-ti-me-na “coltivato”. L’espressione (pa-ro da-mo) ko-to-no-o-ko, (SDU·G…PZ`) NWRLQR´FRM, dovrebbe significare, secondo il Furumark, “appaltatore dello stato”. Di questa categoria di persone si dice o-na-to e-ke, ³QDW·Q73 ~FHL, cioè che “ha l’usufrutto”. E gli o-na-te-re, ³QDW£UHM, sarebbero “fittuari, usufruttuari”, che coltivano il terreno di un dato possidente, con l’indicazione del loro nome, del loro stato e della quantità loro spettante. Secondo il Pugliese Carratelli 74 sembrano designati come NWRLQR´FRL “qui ctoenam habent”, quelli che hanno l’effettivo possesso di una NWRgQD Egli inoltre trova difficile che G‹PRM possa indicare lo stato; “nelle tabelle pilie designa più probabilmente l’ager publicus, o il terreno che appartiene ai G‹PRL in cui son suddivisi insieme popolazione e territorio: tra gli ³QDW£UHM S…URM G…PZL vi sono infatti rappresentanti di tutte le classi sociali, dai proprietari di NWRmQDL ai sacerdoti, ai servi templari e servi di privati (Ep 02, Ep 03)”.75 La parola e-to-ni-jo viene interpretata dal Ventris76 come indicazione di piena proprietà. Questo risulta dal testo Eb 35, che qui riportiamo: 1 i-je-re-ja e-ke-qe e-u-ke-to-qe e-to-ni-jo e-ke-o te-o 2 ko-to-no-o-ko-de ko-to-na-o ke-ke-me-na-o o-na-ta e-ke-e 1 e|UHLD~FHLWHH¾FHW´WHetonLRQ~FHHQTH´Q 2 NWRLQR´FRQMGNWRLQ…ZQNHNHLPHQ…ZQ³QDWˆ~FHHQORZO 3 9/10 4/60

G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 102 sgg., 221 sg., 224 sg. Così VC, 98, interpretano o-na-to (da ³QgQKPL), “lease”. Con lui concordano anche G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 103; e A. Furumark, Eranos 52 (1954) 37. 74 G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 106. 75 G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 108. 76 M. Ventris, Archaeology cit., 19: e-to-ni-jo, parola formata da {W…, {W´M, “vero” (Boisacq), e ¶QLRQ (da ³QgQKPL), “godimento provvisorio”. Cfr. G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 106. 72 73

28

La parola pe-mo/pe-ma, letta da VC 77 come VS|UPD, indica l’estensione di un appezzamento o la quantità di prodotto che ciascun NWRLQR´FRM o ³QDWU doveva versare come tributo al Palazzo, in base all’area di terreno coltivata o alla produzione accertata.78 Attraverso tali tabelle possiamo constatare che i NWRLQR´FRL costituivano un’aristocrazia fondiaria, che sembra aver goduto un trattamento di privilegio anche nelle assegnazioni di lotti di terreno pubblico; accanto ad essi aveva una certa influenza anche l’elemento sacerdotale. La suprema autorità dello stato è il …QD[,79 al quale è riservato un te-me-no, W|PHQRM, che, secondo VC, conserva il significato originario di “area di terreno da grano riservato per un capo”. Un W|PHQRM è consegnato pure al ODDJ|WDM, certamente un capo militare (ODRg “armati”), che dai testi rileviamo essere stato uno soltanto. Questo ci viene attestato dalla tabella Er 01: 1 wa-na-ka-te-ro te-me-no DQ…NWHURQW|PHQRM 2 to-so-jo pe-ma ORZO 30 W´VVRLRVS|UPD.5,4$, 3 ra-wa-ke-si-jo te-me-no ORZO 10 ODDJ|VLRQW|PHQRM.5,4$, (4 vac.) 5 te-re-ta-o to-so pe-ma ORZO 30 WHOHVW…ZQ(scil. W|PHQRM) W´VVRQVS|UPD.5,4$, 6 to-so-de te-re-ta UOMINI 3 WRVVRgGHWHOHVWDg$1(5(6 7 wo-ro-ki-jo-ne-jo e-re-mo RUJL´QHLRM{U£PRM 8 to-so-jo pe-ma ORZO 6 W´VVRLRVS|UKD.5,4$, VC, 98. Questi tributi in natura erano raccolti nei vasti magazzini dei Palazzi micenei, come si vede a Cnosso, dove sono stati ritrovati i pithoi per l’olio e i cereali. 79 VC, 99; A. Furumark, Eranos 52 (1954) 35; G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 110-113, che ci dà una interessante ricostruzione dei poteri che governavano lo stato miceneo. 77 78

29

Te-re-ta, WHOHVW…M, sembra indicare sempre un funzionario e viene collegato con W|ORM, “pagamento, tributo”, così può significare forse un funzionario che soprintendeva all’esazione dei tributi o un membro dell’autorità “feudale” tenuto a fornire tributi, in proporzione al frutto della sua terra. Possiamo dunque concludere, come osserva il Pugliese Carratelli, che “i testi ci suggeriscono ora, per gli stati ‘micenei’, l’idea di una monarchia, i cui poteri erano limitati da un’aristocrazia guerriera e fondiaria”. Anche lo stesso Palazzo non ci appare come il “castello” di un monarca, ma come la cittadella di una comunità politica.80 Per quel che concerne i culti, dobbiamo rilevare che nei testi così di Cnosso come di Pilo si trovano molti dei nomi di dèi del pantheon classico: ciò che conferma la tesi del Nilsson, secondo cui la maggior parte dei culti greci esistevano già in età micenea.81 Tra le divinità menzionate a Cnosso troviamo Athana (protettrice del Palazzo?), Poseidaon e Enesidaon, Zeus (il cui culto è attestato anche dal nome del mese 'gLRM), Enyalios e forse una (ULQ¼M. Come culti tipicamente “eteo-cretesi” abbiamo quello celebrato sul monte Dikte e quello di Eleuthia ad Amniso; non è ben chiaro se la 3´WQLDsia la 3´WQLDTKUÐQ “minoica”. Tra le divinità autorevoli compare, come dio autonomo, 3DL…ZQ. A Pilo vediamo una 'LgD (forse “Magna Mater”, come in Panfilia?), Zeus, Hera, Posidaon e Posidaeia. Come divinità di un certo rilievo vi compare Iphimedeia. Particolarmente degna di nota è la comparsa di 'L´QXVRM in un testo di Pilo.82 Apollo sembra assente tanto a Cnosso che a Pilo. Ad alcuni degli artigiani menzionati in tabelle di Pilo sono aggiunti gli attributi wa-na-ka-te-ro, DQ…NWHURM, ra-wa-ke-si-jo, ODDJ|VLRM, che indicano l’appartenenza di tali artigiani ai laboratori esistenti entro il Palazzo. Officine, oltre che depositi ed archivi, hanno rivelato gli scavi di Palazzi “micenei”. 81 Cfr. VC, 95; M. Nilsson, The Mycenaean Origin of Greek Mythology, Cambridge 1932, e M. Nilsson, Geschichte der griechischen Religion I, München 1941, 285 sgg. e 316 sgg.; A. Furumark, Eranos 52 (1954) 33-35, 51 sg.; G. Pugliese Carratelli, FsPaoli, 599-614, dove tratta accuratamente sull’argomento. 82 Cfr. G. Pugliese Carratelli, FsPaoli, 613. 80

30

In alcune tabelle di Cnosso, dove possiamo notare anche nomi di mesi, sono registrate offerte a tutti gli dèi (S‹QVLTHRmM).83 È da notare la prevalenza di divinità femminili sulle maschili (e conseguentemente anche di e|UHLDL e THRmR GRÂODL su eHUHmM e THRmR GRÂORL), e questa è probabilmente un’eredità minoica. Per l’esercizio del culto, i testi non ci forniscono alcuna indicazione circa eventuali funzioni sacerdotali dei principi achei.84

Dobbiamo osservare una diversità tra Cnosso e Pilo nel tipo delle offerte, infatti sembrano mancare a Pilo offerte di olio e vasi di miele, che invece troviamo registrate a Cnosso. Cfr. a questo proposito G. Pugliese Carratelli, FsPaoli, 613 e nota 3. 84 [Quest’articolo ha potuto tener conto solo dei lavori pubblicati fino a tutto il 1955. Un’accurata rassegna degli studi sui testi micenei dopo la decifrazione del Ventris è stata pubblicata da M.S. Ruipérez, Minos 3 (1955) 157 sgg. e 4 (1956) 69 sgg. Nell’ottobre 1956 è stato pubblicato a Cambridge l’importantissimo libro di M. Ventris e J. Chadwick, Documents in Mycenaean Greek, 300 Tablets from Knossos, Pylos, Mycenae; il Ventris è morto, trentaquattrenne, in un incidente automobilistico a Londra, al principio del settembre. - Il libro ora citato contiene una copiosa bibliografia; per l’indicazione di ulteriori lavori - tra i quali è notevole il libro di C. Gallavotti, Documenti e struttura del greco nell’età micenea, Roma 1956 - si veda la continuazione della rassegna bibliografica nella rivista Minos di Salamanca]. 83

31

II.

SU ALCUNI ARTICOLI DEL CODICE ITTITA RELATIVI A CATEGORIE SOCIALI

Questa comunicazione concerne alcuni articoli del Codice lttita suscettibili di nuove interpretazioni. Dapprima esamineremo quelli riguardanti prestazioni di lavoro e particolari esenzioni da queste. Troviamo nel Codice Ittita due termini distinti per indicare prestazioni di lavoro: šaøøan e luzzi. Ciò è legato all’assegnazione di terre e alla loro distinzione in due categorie, e precisamente le terre appartenenti agli uomini feudali ed assegnate a questi dal Palazzo, e le terre distribuite da comunità locali agli artigiani, ai cosiddetti “uomini dello strumento”. Gli “uomini feudali” ricevevano dei campi, di cui godevano l’usufrutto, con l’obbligo di prestare il “servizio feudale”, cioè il šaøøan. Gli artigiani ricevevano dei campi, con l’obbligo di compiere delle prestazioni di lavoro, il cosiddetto “lavoro servile”, cioè il luzzi. Al luzzi, proprio degli artigiani, partecipavano però anche altri sudditi1 ed a questi venivano affidate la costruzione e la manutenzione di strade e di impianti militari, di edifici pubblici, di templi ecc. Ne abbiamo un esempio all’articolo 52, dove leggiamo che: 52

7 Lo schiavo del mausoleo, lo schiavo del figlio del re, il signore di..., i quali allo stesso titolo degli (ištarna) artigiani 8 un campo tengono, il lavoro servile eseguano.

A. Goetze, Kleinasien 2 (1957) 108-109; O.R. Gurney, The Hittites 2 Harmondsworter 1954, 102-103. Il Goetze, op. cit., 108, dice “Dalle particolari disposizioni di legge sull’esenzione dal luzzi si riceve l’impressione che esso sia fondamentalmente un obbligo comune. L’esenzione da questo viene conferita soltanto a pochissime classi”. Abbiamo, sì, disposizioni di legge su vari casi di esenzione dal luzzi, ma ne abbiamo anche sull’obbligo, per alcune categorie di persone, di partecipare ad esso: disposizione che sarebbe stata inutile nel caso di un obbligo comune a tutti i sudditi. Cfr. a questo proposito l’articolo 52; si potrebbe obbiettare che qui si tratta di schiavi, ma viene anche menzionato “il signore di...”. 1

33

Il problema sorge a proposito della posposizione ištarna, che incontriamo al r. 7 di questo articolo. Essa ha di solito il significato registrato dal Friedrich nel suo glossario2 “mitten in, zwischen, unter”. Gli studiosi del Codice Ittita l’hanno qui così interpretata: il Hrozný3 “au profit desquels les hommes d’armes le champ perdent”; il Neufeld4 “who hold fields among soldiers”; il Goetze5 “who hold fields among craftsmen”. Mi sembra che il contesto esiga la interpretazione di ištarna come “nella categoria di” e tradurrei così il passo: “i quali nella categoria degli artigiani6 un campo tengono”, cioè “allo stesso titolo degli artigiani”, dato che qui si tratta di compiere il luzzi, la prestazione di lavoro tipica degli artigiani. Nell’articolo 56 vengono indicate prestazioni di lavoro obbligatorie per i “metallurgici” in casi e luoghi particolari. Si tratta di un articolo piuttosto oscuro e quindi variamente interpretato.7 Il Hrozný8 “(De l’obligation) d’aller dans une forteresse (note 29: C’est-à-dire probablement dans un camp fortifié) (pendant) une expédition du roi, (et) cueillir (des raisins dans) la vigne, des HOMMES ouvriers en métaux aucun n’(est) libre; les HOMMESjardiniers tout le service (du champ etc.) font”; il Neufeld9 “From manning a fortress during a campaign of the king and from pruning a vineyard none of the metal-workers shall be exempt. The gardeners shall render all the feudal 2 J. Friedrich,, HW (1952), ed il supplemento di questo (HW Erg.-Heft 1) pubblicato a Heidelberg nel 1957. 3 F. Hrozný, CH (1922) 47. Non ho potuto prender visione del contributo di A. Walther, The Hittite Code, in J.M.P. Smith, The Origin and History of Hebrew Law, Chicago 1931. 4 E. Neufeld, HL (1951) 17. 5 A. Goetze, ANET2 (1955) 191. 6 “Uomo dello strumento”, cioè “artigiano”, è l’interpretazione ormai comunemente accettata del termine (LÚ) GIŠKU(-li). 7 Data la diversità di interpretazioni di tale articolo, ritengo opportuno riportarne qui il testo completo in trascrizione: 56 24 A-NA BÀD-ni KAŠ LUGAL t[á]k-[š]ú-wa-an-z[i] GIŠSAR.GEŠTIN túø-šú-uwa-an-zi ŠÁ LÚURUDU.NAGAR 25 Ù-UL ku-iš-ki a-ra-u-wa-áš LÚ.MEŠNU.GIŠ.SAR øu-u-ma-an-t/di-ya-pé lu-u-zi [kar-b/pi-an-zi] Faccio notare che, secondo una convenzione ormai comunemente accettata, le parole scritte in minuscolo (normale o corsivo) sono ittite, quelle in maiuscolo corsivo sono accadiche, quelle in maiuscolo normale sono ideogrammi sumerici. 8 F. Hrozný, CH, 51. 9 E. Neufeld, HL, 19.

34

dues”; egli spiega nel suo commento10 che questa speciale categoria di operai (i metallurgici) non può essere esente dal compiere i lavori suddetti poiché è stata arruolata proprio per attendere a questi: in loro assenza i giardinieri devono coltivare i loro campi ed assolvere i debiti feudali11 in loro vece; il Goetze12 “no one of the metal workers shall be freed from partecipating in a royal campaign in a fortress, (and) from cutting a vineyard. The gardeners shall render the full services”. Queste interpretazioni sono tutte fondate su integrazioni o modificazioni della prima parte del difficile testo. Mi sembra che, pur restando aderenti ad esso, si possa giungere ad una traduzione meno arbitraria, e cioè “In una città fortificata dal costruire la strada reale e dal recidere (delimitare, occuparsi di) una vigna nessuno dei metallurgici (lavoratori in rame) (sia) esente; i giardinieri appunto tutto il lavoro servile eseguano”, nel senso che in una città fortificata, essendo limitato il numero dei civili generalmente addetti a tali compiti, si ricorreva anche ad artigiani di altre categorie. In tali casi il lavoro servile spettante a questi veniva compiuto dai giardinieri. Come abbiamo già detto, in alcuni articoli del Codice Ittita si parla di esenzioni dal luzzi, conferite soltanto a pochissime categorie di cittadini. Sono trattate negli articoli 50, 51, 54. Vediamo così che erano esenti i sacerdoti in ogni paese e gli appartenenti alla loro casa, ma non i loro adepti, che rimanevano obbligati alla prestazione del luzzi (art. 50). Allo stesso modo avveniva anche per i tessitori12a nelle città sacre di Arinna e Zippalanda (art. 51). Erano pure esenti dal luzzi alcuni abitanti privilegiati delle città sacre di Arinna, Nerik e Zippalanda, e non tutti gli abitanti di queste città, come è stato generalmente inteso.13 Si tratta dell’articolo 50 ed il problema sorge a proposito della voce verbale taruøzi, che viene tradotta dal Hrozný14 “demeure” e dal

E. Neufeld, HL, 168. E. Neufeld traduce luzzi come “feudal dues”, debiti feudali, ma ormai comunemente accettata la traduzione di luzzi come “lavoro servile”. 12 A. Goetze, ANET2, 192. 12a Così secondo una correzione dell’autrice successiva alla pubblicazione dell’articolo (n.d.c.). 13 A. Goetze,, Kleinasien 2, 108. 14 F. Hrozný, CH, 45. 10

11

35

Goetze15 “live”. Non riesco a spiegarmi il perché di tali interpretazioni, né a comprendere a quale verbo si possano riferire. Forse queste erano le interpretazioni che a loro sembravano lessicalmente più appropriate. Il Walther16 ed il Neufeld17 si sono resi conto, pur senza dare alcuna spiegazione o giustificazione in proposito, che non si trattava qui di tutti gli abitanti di queste città sacre; infatti modificano la frase e traducono liberamente così: “a high priest(?) who is mighty(?) dwells(?)” (Walther); “nobles(?) who live at Nerikka, Arinna and Ziplanda” (Neufeld). Il Friedrich, nel suo glossario, pone il verbo in questione, ma con un punto interrogativo, sotto la voce tarø- che significa “essere forte, essere potente”.18 Se da un punto di vista fonetico posso riuscire a spiegare la forma taruøzi come una metatesi di tarøuzi, non riesco però a trovare per tarøuzi alcuna spiegazione morfologica che giustifichi la presenza della vocale u. Troviamo però nel glossario del Friedrich altre forme derivate da tarøin cui è presente questo ampliamento in u, come tarøudu (KBo IV 2 I 54) e taruøanzi (KUB VII 1 II 9?). C’è anche un tarøuzzi (KUB XVII 10 I 33?), che però, secondo il Guterbock,19 potrebbe essere un nome: “Türverschluss(??)”. Sono anche interessanti per noi il sostantivo neutro tarøuilatar “Kraft, Zeugungskraft” (H. Ehelolf, Sitzungsberichte der Preussischen Akademie der Wissenschaften [1925] 268), e l’aggettivo tarøuili- “stark, mächitig” (A. Goetze, Madd. [1928] 138; idem, NBr. [1930] 63), di cui abbiamo le forme tarøuilin (KUB XXIV 1 III 13) e tarøuilauš (A. Goetze, Madd. II § 26*, r. 41) (tarøuiliuš KUB XXI 15 IV 5). Di fronte alla difficoltà di un così singolare esito della labiovelare indeuropea, il professor Devoto richiama a questo proposito la mia attenzione su forme analoghe nel nome luvio Tarhunti- e in quello latino-etrusco Tarquinius e simili, che possono risalire ad una base mediterranea TARKWA, assimilata poi a un ipotetico schema indeuropeo, A. Goetze, ANET2, 191. A. Walther, op. cit. da E. Neufeld, HL, 16 nota 61. 17 E. Neufeld, HL, 16, ed il commento a p. 166. 18 Ma nel suo supplemento, a p. 20, ci dà anche un verbo tarøu- non derivato da tarø- “können”, e ci rimanda a A. Goetze, JAOS 74 (1954) 190. 19 Comunicazione fatta dal Güterbock al Friedrich per lettera. 15

16

36

ora con consonante labiovelare TARKW, ora con consonante velare semplice TARK. Esaminando il problema dal punto di vista lessicale, mi sembra abbastanza logico interpretare taruøzi come “è potente” nel senso che “è nel novero dei Grandi”. Infatti traducendo che colui che vive (o dimora) in Nerik, Arinna o Zippalanda è libero, cioè esente dal compiere il lavoro servile, dovremmo intendere tutti gli abitanti di queste tre città. Per quale ragione allora nell’articolo 51 verrebbe specificato che è esente dal luzzi anche “colui che in Arinna un tessitore era divenuto...” e così pure in Zippalanda? Non c’era ragione di scrivere questo articolo, se nel precedente si voleva intendere tutti gli abitanti di queste città: il fatto era implicito. Sempre nello stesso articolo (50) un altro problema sorge a proposito dell’esenzione di quella persona davanti alla cui casa un albero eya è “visto”. Si tratta appunto di questo participio, tradotto dal Hrozný20 “enfermé” e dal Goetze21 “erected”. Il Neufeld22 ricorre a un diverso giro di frase “If he goes to Arinna for eleven months and the cap of liberty. shall appear before the gate he shall be e[xempt]”. In ittita il termine in questione è espresso con šakuwan participio neutro, che può derivare sia dal verbo šakuwai- “vedere”, che da un verbo šakuwai-, non ancora ben chiaro. Il Goetze negli “Annali di Muršili”23 ed in JAOS24 arriva a dare a quest’ultimo verbo il significato di “aufhängen, aufbewahren” (“SD¼HLQ” o “morari”) che, per alcuni casi, può risultare appropriato.25 Penso che svolgendo ed ampliando questo significato di “appendere, sospendere, posarsi”, il Goetze sia arrivato a tradurre qui “erected”. Comunque sia, io inclinerei a far derivare questo participio da šakuwai- “vedere” e tradurrei così questo brano: “Se (un uomo) in Arinna per 11 mesi sta, allora la casa di quello alla porta del quale un albero eya (è) visto, (è) esente”. Qui il participio šakuwan può avere anche il valore di aggettivo 20 F. Hrozný, loc. cit. Egli ci dà però di tutta la frase una diversa interpretazione, che non mi sembra accettabile, e cioè: “alors [la maison] d[e] celui dans le magasin de qui (son) BOISlit (note 16: ou: (sa) BOIStable?) (est) enfermé, (est) l[ibre]”. 21 A. Goetze, ANET2, 191. 22 E. Neufeld, loc. cit. 23 A. Goetze, AM (1933) 201-203. 24 A. Goetze, JAOS 69 (1949) 182. 25 Cfr. anche H. Ehelolf, OLZ 36 (1933) 36 Col. III nota 2.

37

verbale: “alla porta del quale (è) visibile (= si può vedere) un albero eya”, caso che si verifica però raramente.26 Ed ecco la definizione che si trova nel glossario del Friedrich a proposito dell’albero eya: GIŠ eya- (GIŠeyan-) n. “albero sempre vivo il quale è piantato o posto davanti alla casa in segno di esenzione da aggravio”.27 Così mi sembra logico calcare sul fatto che questo albero, segno di privilegio, era visto, o era visibile, da tutti. Cosa che in fondo non esclude le altre interpretazioni, pur restando aderente al primo, e più provato, significato del verbo šakuwai-. Ed ora credo opportuno dare la traduzione completa che propongo per questo articolo: 50 58 L’uomo tak-ki-e28 che in Nerik è tra i Grandi (taruøzi), che in Arinna, 59 che in Zippalanda (è tra i Grandi) (= è dei Grandi di Nerik, Arinna, Zippalanda), (e) i sacerdoti in ogni paese... 60 le loro case (siano) esenti, e i loro adepti il lavoro servile eseguano... 61 Quando in Arinna l’undicesimo mese subentra,28a allora la sua casa di quello KBo VI 3 Vo Col. III 2 alla sua porta del quale un albero eya (è) visto (šakuwan), (è) esente. Nell’articolo 54 sono elencati altri casi di esenzioni. Ne riporto qui la traduzione, nel modo in cui mi sembra più adeguata:

Cfr. J. Friedrich, HE I (1940) 81, § 283b, ed anche il suo glossario s.v. šakuwant-. Cfr. A. Goetze, AM, 203; F. Sommer-A. Falkenstein, HAB (1938) 196 e sgg. N. 4; H. Otten, Ueberl. (1946) 43 nota 9. 28 Non siamo ancora sicuri sulla lettura di questo termine, di cui perciò non è stata proposta alcuna interpretazione. Cfr. F. Hrozný, CH, 44 nota 3. 28a Così secondo una correzione dell’autrice successiva alla pubblicazione dell’articolo (n.d.c.). 26

27

38

54

15 Dapprima i soldati (¬ÂBÊMEŠ) Manda, i soldati Šala, i soldati della città Tamalki, i soldati della città ÷atra, 16 i soldati della città Zalpa, i soldati della città Tašøiniya, i soldati della città ÷amuwa, gli arcieri, i lavoratori in legno, 17 gli scudieri e i loro addetti il lavoro servile (luzzi) non compivano; 18 il servizio del feudo (šaøøan) non facevano.

Tra le categorie qui elencate di sudditi che godevano tali privilegi, ne appare una di cui non possiamo dare una sicura interpretazione. Si tratta di quella definita col termine accadico ¬ÂBÊMEŠ che incontriamo alle rr. 15, 16, e che è stato interpretato dal Hrozný29 come “les guerriers”. Anche il Neufeld30 traduce “warriors”, intendendo un particolare gruppo etnico che probabilmente conservava uno speciale stato sociale. Non appaga la versione generica del Goetze31 che traduce “people”, mentre quella del Neufeld appare alquanto probabile. Ho avuto modo di controllare al British Museum di Londra la tavoletta contenente questo articolo. Vi troviamo il termine in questione Prescindendo dall’indicazione così scritto in cuneiforme , MEŠ per il termine si dà la possibilità posposta del plurale ( di varie letture. Così leggiamo nel sillabario cuneiforme del Bauer:32 ERÍN: SÂBU “Mann” pl. auch “Leute” ERIN: UMMÂNU “Kriegsvolk” Nella parte III (glossario), p. 40, della stessa opera, s.v. UMMÂNU (sum.) gen. comm. leggiamo: I UMMÂNU (sum.) “Handwerksmeister” MÂR UMMÂNI dasselbe II UMMÂNU (sum.) gen. comm. a) Volk; b) Heer, Truppe (meist fem.) plur. UMMÂNÂTU Ne risulta la possibilità di varie interpretazioni. Ne propongo una che mi sembra altrettanto ammissibile che quella del Neufeld, considerato che l’articolo in questione concerne categorie con funzioni militari. Si può intendere dunque “soldati, guerrieri”, ma in senso generico, cioè F. Hrozný, CH, 49. E. Neufeld, HL, 18, ed il commento a p. 168. 31 A. Goetze, ANET2, 192. 32 T. Bauer,, Akkadische Lesestücke II, Roma 1953, 27. 29

30

39

“quelli che non appartenevano a corpi specializzati”, dato che gli altri vengono menzionati subito dopo, nello stesso articolo. Manda e probabilmente anche Šala designano popolazioni nomadi viventi ad est dell’Impero Ittita; sempre ad est sono le città di ÷atra, ÷emuwa e Zalpa e verisimilmente le altre.33 È evidente che in queste zone non dipendenti immediatamente da ÷attuša, ma comprese nella sfera dell’egemonia ittita, venivano di solito reclutate truppe, alle quali era pertanto eccezionalmente accordata l’esenzione tanto dal šaøøan quanto dal luzzi. Aggiungo un’altra nota che esamina un problema relativo alla proprietà di schiavi. Si tratta degli articoli 95 e 99, che qui riporto in traduzione: 95

42 Se uno schiavo (in) una casa ruba, l’intero (valore) dia, (quello) del furto (= il ladro) 43 sei sicli d’argento dia, e dello schiavo il suo naso (e) le sue orecchie (si) tagli 44 e quello indietro al suo padrone si dia. Se molto ruba, 45 molto a lui viene imposto; se poco ruba, poco a lui viene imposto 46 se il suo padrone dice: “Per lui io risarcisco”, allora risarcisca, 47 ma se rifiuta, allora appunto lo schiavo spinge via (šuizzi). 55 Se uno schiavo una casa incendia e il suo padrone per lui risarcisce, 56 dello schiavo il suo naso (e) le sue orecchie si tagli, 57 e al suo padrone indietro lo si dia, ma se (il padrone) non risarcisce, 58 allora appunto quello spinge via (šuizzi).

99

Il problema sorge a proposito dell’interpretazione delle rr. 47, 58 che concludono tali articoli.34

Cfr. F. Sommer,, Hethiter und Hethitisch, Stuttgart 1947, 5. “nu ARAD-an-pé (apunpé art. 99) šú-ú-iz-zi”. Per l’integrazione di šûizzi all’art. 95, cfr. F. Hrozný, CH, 75 nota 20. 33

34

40

Sono stati finora così tradotti: Hrozný35 “alors l’esclave lui-même il livre”; Neufeld36 “he shall surrender the slave”; Goetze37 “he will loose the slave”. Il verbo šuizzi, che vi troviamo, deriva da šuwai-; questo, secondo il glossario del Friedrich, significa “stossen, drängen, schieben; verstossen, verdrängen; haften(?...)”. Incontriamo questo verbo anche nella formula “parnaššea šuwaizzi”, di cui parleremo in seguito.38 Riguardo al brano sopra citato, benché il Neufeld pensi a qualcosa di corrispondente all’abbandono nossale (noxae deditio) nel diritto romano,39 non credo che si possa intendere in questo senso, e cioè “allora il padrone spinga lo schiavo (per consegnarlo alla parte ingiuriata)”; sarebbe stato specificato più chiaramente o avrebbero usato un verbo più consueto indicante “consegnare”. Questo vale anche se intendiamo “allora il padrone spinga lo schiavo (per consegnarlo alle autorità)”, dalle quali del resto doveva essere già stato giudicato e condannato. Ritengo dunque si debba tradurre “allora (il padrone) appunto lo schiavo spinge via”, nel senso che questo atto equivale alla dichiarazione del padrone che lo schiavo non fa più parte del suo patrimonio e che egli si disinteressa del fatto e non intende parteciparvi in alcun modo. Del resto la non obbligatorietà del risarcimento da parte del padrone esclude completamente la corresponsabilità di questo. In riferimento al problema della corresponsabilità da parte della famiglia del reo, ho esaminato una discussa formula che ricorre frequentemente nel Codice Ittita a conclusione di molti articoli. Si tratta della formula sopra accennata parnaššea šuwaizzi. Diverse sono state le interpretazioni di questo passo. Lo Sturtevant40 nel suo glossario s.v. šuwa(e)- ci dà “press out, fill; give as security”; il Friedrich F. Hrozný, CH, 75, 77. E. Neufeld, HL, 29, 30, ed il commento a pp. 172-173. 37 A. Goetze, ANET2, 193. 38 Inizialmente, basandomi su una delle varie interpretazioni (che ora non mi sembra più accettabile) di questa formula, intendevo “allora il padrone spinga lo schiavo stesso (come garanzia)”, pensando che, in un certo senso, anche il padrone poteva esser considerato responsabile della colpa commessa dal suo schiavo, in quanto questo faceva parte del suo patrimonio. 39 Il padrone, responsabile ex delicto per le colpe del suo schiavo, ha l’alternativa di subirne la conseguenze o di consegnare lo schiavo alla parte offesa (noxae dare) perchè la indennizzi col suo lavoro. 40 E.H. Sturtevant, HG (1936). 35

36

41

s.v. šuwai- “es stösst (die Verpflichtung?) auch zu seinem Hause” = “er haftet ihm auch mit seinem Hause(?)”;41 il Hrozný42 “ses obligations il remplit”, ed a p. 3, nota 12 aggiunge: “C’est-à-dire il est libre des obligations ultérieures”; il Neufeld “his estate shall be libale”, ed a pp. 131-133 spiega che questa traduzione intende esprimere il concetto di una responsabilità estesa al di là della persona stessa dell’offensore sul suo intero patrimonio, considerato così garanzia per il pagamento della multa, in caso di inadempienza da parte del reo; il Walther “he shall let (them) go(?) to his (his family’s) home(?)”, e commenta “Meaning here and ff., “He shall transmit the penalty to the injured party, renouncing all claim to it”? Other translations, as “And he pledges his property as security for him”, are grammatically doubtful”; il Goetze “He shall pledge his estate as security”; il Diamond43 “then (or so) he discharges his liability”, l’Alp44 suggerisce di cambiare il soggetto “[Und er (der Erbe) wird (ihn) nach seinem Hause] stossen” ed a nota 19: d.h. “er lässt ihn frei”, “er erhebt keinen Ausspruch mehr auf ihn”, cioè “egli (l’erede del morto o l’offeso) lo (l’uccisore o l’offensore) lascia andare libero a casa sua”, nel senso che “non ha più alcun diritto sull’offensore”; questa interpretazione è stata accettata anche dal Gurney45 che ci dà infatti “and he (the plaintiff) lets him go home”. Proporrei invece di tradurre, senza cambiare il soggetto, “ed egli (= il colpevole) spinge via/allontana (la colpa) dalla sua casa”, nel senso che la famiglia del colpevole non viene coinvolta nel reato. Dobbiamo notare che questa formula non appare in tutti gli articoli del Codice. Nelle tabelle che noi possediamo del duplicato del Codice Ittita non si trova. Forse si trattava di una formula conclusiva cristallizzata, che non aveva più un significato specifico e che, per questo, non fu ripetuta nel duplicato.

Cfr. anche J. Friedrich,, HE II, 69, C, 5; e R. Haase, WO 2, 290-293. Credo che qui si riferisca all’altro verbo šuwai- di cui il Friedrich, nel suo glossario, ci dà il significato di “füllen”. 43 A.S. Diamond, Primitive Law, London-New York-Toronto 1935. 44 S. Alp, JCS 6 (1952) 93-95. A p. 94, nota 6, parla di altri che si sono occupati di questo problema. 45 O.R. Gurney, The Hittites 2, 96 nota 1. 41

42

42

III.

NOTE CRITICHE E FILOLOGICHE “RUOTA” DESIGNAZIONE DEL TRONO REALE ITTITA?

Nell’Autobiografia di ÷attušili III (Col. I r. 36) si trova questa espressione A-NA GIŠDUBBIN lamniyat, che letteralmente significa “egli (= mio fratello Muwattalli) mi chiamò alla ruota”. Il Friedrich,1 seguendo il Goetze2 e l’Alp,3 la interpreta “trarre in giudizio (?)”. Il Goetze ritiene che si debba qui pensare ad un procedimento giudiziario, all’apertura di un’istruttoria penale, e traduce (p. 11, rr. 35-36): “Und mein Bruder Muwattalli leitete ein Verfahren gegen mich ein”. L’Alp, riportandosi ad una espressione del Codice,4 § 198 (dove viene menzionata la “ruota”, che egli intende come una forma di pena capitale), afferma che viene qui indicato l’inizio di un procedimento giudiziario per un delitto la cui punizione consisteva forse nel supplizio della ruota. Esaminiamo dunque il citato luogo del Codice (F. Hrozný, p. 148, r. 14). Nel § 197 si dice che se un marito sorprende la sua sposa con un altro uomo, può uccidere ambedue sul momento; il § 198 continua: “Se alla porta del Palazzo li conduce e dice: ‘La mia sposa non sia uccisa’, allora la sua sposa fa vivere ed anche l’adultero fa vivere, e la sua (= dell’adultero) testa segna. Se dice: ‘Ambedue muoiano’, allora si inginocchiano alla ruota, li uccide il re, li fa vivere il re”. L’espressione “inginocchiarsi alla ruota”, ta øu-ur-ki-in (!)5 øa-l[i]-enzi, è stata variamente interpretata. Il Hrozný6 traduce “alors punition ils

J. Friedrich, HW, 268 s.v. A. Goetze, Hatt., 68. 3 S. Alp, JCS 6 (1952) 97. 4 F. Hrozný, CH. 5 F. Hrozný, op. cit., 149 nota 4: “-in, écrit sur -il ”. Cfr. S. Alp, op. cit., 96 dove sostiene che si deve leggere sicuramente øu-ur-ki-in e che è sconosciuta in ittita una formazione in -in che alterni con una in -il. 6 F. Hrozný, op. cit., 149. Non ho potuto prender visione del contributo di A. Walther, in J.M.P. Smith, The Origin and History of Hebrew Law, Chicago 1931. 1

2

43

reçoivent”; il Neufeld7 “they shall bear their iniquity”; il Goetze8 “they may ask for mercy”, senza alcuna spiegazione o giustificazione. Altrove il Goetze9 fa derivare øalienzi da øala- “set in motion”, anziché da øaliya “niederknien”, come invece ha sostenuto l’Ehelolf,10 la cui interpretazione mi sembra la più convincente. L’Alp,11 pur conservando la traduzione letterale “dann werden sie zum Rad knieen”, vuol dimostrare, come abbiamo accennato, che qui si trattava di una forma di pena capitale da eseguirsi per mezzo del supplizio della ruota. Egli giunge a questa conclusione partendo dall’esame del termine øurkel/øurkil,12 che per la maggior parte degli interpreti è connesso con delitti gravi, per i quali è prevista la pena di morte o, pur se non è menzionata espressamente, deve - come il Neufeld ha fatto osservare13 esser supposta per analogia. Il Hrozný14 traduce øurkel “punition”, il Walther e il Goetze15 “capital crime” ed il Neufeld, conformemente al Friedrich16, “abomination, horror”. L’Alp riconosce giustamente che questo termine è formato da øurki“ruota”17 e dal suffisso di appartenenza el-/il-, tipico del mondo anatolico (e non soltanto proto-hattico, come dice l’Alp).18 E. Neufeld, HL, 57 e nota 182. A. Goetze, ANET2 (1955) 196. 9 A. Goetze, JAOS 74 (1954) 188. 10 H. Ehelolf, StOr 1, 9-13. Cfr. anche A. Goetze, Madd. (1928) 106 e sgg., dove, opponendosi all’Ehelolf, loc. cit., dà a øaliya- il significato di “fare difesa, difendere”. Questo non mi sembra accettabile, anche per il confronto che il sostantivo neutro øaliyatar “l’inginocchiarsi” (cfr. KUB III 95 6; R. Hallock, Materialen zum sumerischen Lexikon, III, 79). 11 S. Alp, op. cit., 95-98. A lui si ricollega il Friedrich, HW Nachträge, 339 s.v. øaliya-, 341 s.v. øurki- e øurkel-; ci dà però tali interpretazioni come incerte. Cfr. anche HW Erg.-Heft 3 s.v. øalai- e øaliya-. 12 Troviamo questo termine nei §§ 187, r. 20; 188, r. 23; 189, rr. 27-28; 190, r. 31; 191, r. 35; 195, rr. 50, 52, 53 del Codice. 13 E. Neufeld, HL (1951) 189. 14 F. Hrozný, CH, 43 e sgg. 15 A. Walther, apud S. Alp, op. cit., 96 nota 20; A. Goetze, ANET2 (1955) 196. 16 E. Neufeld, HL, 53 e sgg. J. Friedrich, AfO 13 (1939-41) s.v. øurkel- (qui egli non doveva ancora aver visto l’articolo dell’Alp, citato invece a p. 341). 17 Per øurki- col significato di “ruota”, cfr. H. Otten, KUB XXXIV Vorwort. 18 Su questo suffisso cfr. E. Laroche, JCS 1 (1947) 214, e S. Alp, JKF 1 (1950) 125. Goetze ha analizzato øurkel in a ZA 2 (1925) 255 nota 1, in questo stesso senso, ma facendo risalire la parola ad una base øark- “umkommen”. 7

8

44

Così øurkel significa alla lettera “das des Rades”, cioè, aggiunge l’Alp, il delitto punito con la pena di morte mediante la ruota.19 Egli si stupisce che presso gli Ittiti, pur tanto umani, si trovi una pena di morte così crudele, ma osserva che i delitti in questione sono sessuali, in violazione della moralità. E proprio in base ai §§ 197-198 del Codice Ittita, l’Alp sostiene l’esistenza del supplizio della ruota presso gli Ittiti, benché nella tradizione non si trovi alcuna notizia circa l’esecuzione di questo supplizio.20 Dopo un esame del § 196, riguardante relazioni immorali tra schiavi e schiave,21 egli giunge alla conclusione che si trattava anche lì di un’azione abominevole, pur non essendo questo chiaramente espresso, e meritevole quindi del supplizio della ruota: ma ciò resta un’ipotesi piuttosto arbitraria. Quanto poi al contrasto tra il supplizio della ruota e la presunta umanità degli Ittiti, egli osserva che nel § 166 è prevista una crudele pena di morte per mezzo di un aratro.22 Dobbiamo però far notare che tale supplizio viene descritto dettagliatamente, al contrario del supposto supplizio della ruota. Secondo l’Alp, l’interpretazione del Goetze, indicante la possibilità di un appello alla clemenza del re, sarebbe ammissibile soltanto quando si intendesse la ruota come indicazione del carro del re, ma di ciò non v’è alcun indizio. Inoltre nel Codice stesso si trova espressa una formula negativa di appello al re: LUGAL-i-ma-aš Ù-UL t/di-ya-iz-zi “ma al re

19 A p. 96, op. cit., l’Alp confuta l’ipotesi che øurkel possa essere un termine generico per indicare “pena di morte”. In tal caso, osserva giustamente, avremmo dovuto trovare una forma derivata da verbi o espressioni occasionalmente usate nel senso di “punire con la morte”, o anche di “morire, uccidere”. Riguardo alle varie ipotesi intorno a questo argomento, che l’Alp pensa originate dalla spiegazione etimologica oscura di øurkel, cfr., sempre a p. 96, le note 23, 24, 25, 26, 27. 20 Non porta alcun contributo alla soluzione di questo problema il richiamo dell’Alp all’esistenza di tale supplizio presso popoli europei dell’età moderna; cfr. op. cit., 96 nota 28. 21 Si può qui supporre che la vittima da immolare al posto dei colpevoli costituisse un risarcimento e venisse così evitata la condanna capitale, poiché di questo abbiamo altri esempi; ma nulla autorizza ad asserire che la pena annullata fosse il supplizio della ruota. 22 Qui non si tratta di un reato contro la moralità, ma ai danni dell’agricoltura. Nel § 167 tale pena viene poi annullata con la consegna di alcune vittime.

45

egli non si faccia innanzi”,23 equivalente, a suo avviso, a “al re egli non si appelli”. Per queste considerazioni l’Alp giunge, anche riguardo all’espressione sopra citata dell’Autobiografia di ÷attušili III, alla conclusione esposta all’inizio di questo studio. Le varie interpretazioni finora esaminate non sono molto convincenti. Prima di tutto è da osservare che non si possono trattare separatamente queste due espressioni, senza collegarle l’una all’altra come invece mi sembra che, magari involontariamente, finora sia stato fatto. Infatti la “possibilità di chiedere pietà”, come interpreta il Goetze, per ottenere la grazia della vita, riguardo al significato potrebbe anche andar bene per il Codice (a parte la difficoltà di poter comprendere, senza alcun commento dell’autore, quale strada egli abbia percorso per giungere a questa traduzione certo non letterale); ma non può adattarsi per ÷attušili, dato che è Muwattalli, lo stesso re, che lo chiama.24 Così pure il pensare ad una forma di appello al re non convince: infatti mi sembra piuttosto inconcepibile che Muwattalli stesso avesse chiamato ÷attušili perché si appellasse a lui. Per questa ragione escludo la possibilità di tale interpretazione, e non per la ragione portata dall’Alp: che si trovi già espressa nel Codice una formula di appello, o meglio di non appello, al re. Penso infatti che sia meglio lasciare a questa espressione, sopra citata, il significato letterale di “non farsi innanzi al re”, proprio a causa del carattere stesso del reato, per non contaminarlo. Ne parlerò ancora tra breve. Anche l’Alp quando afferma che gli Ittiti, pur così umani, si sarebbero serviti di una pena di morte tanto crudele dato che si trattava di delitti sessuali, cioè contro la moralità, mi sembra però aver dimenticato l’altro testo in cui ricorre l’espressione analoga. ÷attušili infatti, qualora avesse voluto alludere con quelle parole all’inizio di un processo contro di sé, non poteva certo intendere a causa di un reato riguardante la moralità. Possiamo pensare a ribellione, tradimento, Si trova nei §§ 188, 199, 200A. Sono delitti sessuali, ma molto più gravi di questo da noi studiato (si tratta infatti di rapporti tra uomini e animali). Anche qui il colpevole viene condotto alla porta del Palazzo (al tribunale del re), anche qui “lo uccide il re, lo fa vivere il re, ma al re egli non si faccia innanzi”. 24 Il Goetze stesso, come abbiamo già visto, nell’Autobiografia di ÷attušili III dà un’interpretazione totalmente diversa. 23

46

cospirazione contro il re o contro lo Stato, ma sempre ad un reato di carattere politico. Reato di cui si parla a fondo sia nella Costituzione di Telipinu che nel § 173 del Codice, e di cui conosciamo le punizioni nei vari casi ed a seconda della posizione delle persone incriminate.25 Non c’è alcuna menzione né possibilità di allusione ad un supplizio della ruota. Inoltre, come anche l’Alp ammette, non è stata trovata presso gli Ittiti nessuna descrizione o raffigurazione di questo supplizio. Quello “dell’aratro”, di cui si parla al § 166 del Codice, vi è, come abbiamo già detto, descritto dettagliatamente. Del resto non abbiamo alcuna notizia dell’esistenza di un supplizio della ruota neppure presso altri popoli antichi. Presso i Greci lo troviamo menzionato una sola volta contro Issione, ma non si tratta di un fatto storico e se ne parla soltanto in fonti letterarie. Le testimonianze a cui ci rimanda l’Alp sono troppo tarde per poterci essere di qualche aiuto, e così pure altre, sebbene più antiche, che ho potuto trovare. Dobbiamo inoltre ricordare che la ruota era generalmente usata come forma di tortura, più che come pena capitale. Non si può nemmeno pensare alla ruota come indicazione del carro reale nel senso in cui accenna l’Alp, che espone questa ipotesi per spiegare l’interpretazione del Goetze: interpretazione ch’egli tuttavia, come abbiamo visto sopra, esclude per mancanza di indizi. Immagino che egli si riferisca alla possibilità di chiedere pietà al re nel senso di rivolgergli una supplica, mentre usciva sul suo carro dal Palazzo. Ma la supplica ha in sé un carattere spontaneo e quindi non si può concepire prevista in un Codice. E poi, come conciliare ciò con l’altro testo? Del resto, pensando alla ruota, ci vengono alla mente molte ipotesi. Per esempio si potrebbe intendere il “chiamare alla ruota; inginocchiarsi alla ruota” come il sottoporre i colpevoli ad una prova (la prova della ruota) per invocare così il giudizio divino. Ma ci sono le parole “il re li fa vivere, il re li fa morire” che rimettono ogni decisione al giudizio del re. Mi domando se il termine che noi traduciamo “ruota” non fosse invece un termine generico per indicare ogni figura circolare: “ruota”, “disco” ed in ultima analisi anche il “disco solare”. È probabile infatti che gli Ittiti non facessero una grande distinzione tra il concetto di ruota 25 A seconda che il colpevole fosse un principe o un cittadino comune (Costituzione di Telipinu); a seconda che la ribellione fosse stata contro il giudizio del re o di un dignitario (§ 173 del Codice).

47

e quello di disco. Sappiamo che presso i Greci e presso i Germani il sole veniva raffigurato in forma di ruota. I monumenti figurati ittiti non forniscono però alcun elemento in proposito. Ma un’altra ipotesi, che mi sembra più fondata, mi è suggerita da un libro del L’Orange riguardante l’iconografia del concetto cosmico della regalità nel mondo antico.26 Vi è dapprima esaminata la concezione cosmica che presiede alla suddivisione e costruzione di edifici in alcune città-tipo del mondo orientale antico, sulla base di numeri cosmici, come il numero dei mesi o dei giorni dell’anno;27 e vi son raccolte poi notizie e leggende anche riguardo alla sala del trono cosmica di alcuni re dell’Oriente antico.28 Essa si presentava rotonda, coperta da una cupola rappresentante il cielo e rotante intorno al proprio asse. Incontriamo costantemente questo motivo nella descrizione della sala del trono di Cosroe, il volgersi della quale era connesso con la rotazione del trono del re. Ed ecco quello che a noi particolarmente interessa il movimento circolare di questo trono, che girava in relazione alle stagioni ed ai segni zodiacali e che non era altro che un rinnovamento del vecchio trono degli Achemenidi, distrutto da Alessandro. Esso appartiene ad una tradizione che ci riporta agli usi degli Achemenidi in Babilonia. Questa concezione ha infatti la sua base nella religione astrale neo-babilonese, trasmessa ai Persiani dai Caldei. Questo trono dunque girava su ruote, e così avveniva per il trono reale sassanidico, di cui il libro del L’Orange presenta alcune raffigurazioni,29 che lo mostrano sempre poggiante su ruote. Abbiamo anche dei profili del trono di Klimova,30 tracciati in disegni semplificati e posti su sigilli H.P. L’Orange, Studies on the Iconography of Cosmic Kingship in the Ancient World, Oslo 1953. Cfr. anche la recensione a questo libro fatta da D. Mustilli, Gnomon 27 (1955) 199-202. 27 Un buon numero di città di Medi, Parti, Sassanidi ed Abbassidi potrebbero essere qui citate come esempi. 28 Cfr. il capitolo “Khusrau’s Cosmic Hall”, dove si parla dettagliatamente anche del movimento rotatorio del trono di Cosroe. Abbiamo esempi della sala cosmica del trono anche per Alessandro, Demetrio Poliorcete, ecc., ed a Roma nella Domus Aurea di Nerone (Suetonius, Nero 31) ecc. Si veda, a p. 81 e sgg., come il movimento cosmico del trono fosse rappresentato nell’arte achemenide. 29 Cfr. p. 42. A p. 41, fig. 19: trono reale posto su ruote e tirato da 4 zebù, guidati da Cupidi volanti (Klimova, Hermitage). Cfr. fig. 40 a-b: rappresentazione del re sul suo carro cosmico. 30 Fig. 22, 23, 24. 26

48

(quasi come una specie di formula geroglifica), in cui, tra l’altro, vediamo il carro-trono sintetizzato in due ruote. In seguito, questo schema del “trono geroglifico” dalla Persia passò nel Nord e nell’Est, e può così dare importanti indicazioni di influenze sassanidiche nel primo Medio-Evo. Il trono astrale di Klimova è ispirato alla realtà e ci conserva, in guisa mitica, i lineamenti del trono reale degli imperi dell’antico Oriente, dove era tipico il carro-trono. Sappiamo infatti che quei re si servivano giornalmente di troni montati su ruote e tirati da schiavi. La fig. 25 del libro del L’Orange riproduce una ricostruzione di un carro-trono, basata sui rilievi di un palazzo assiro.31 Se noi leggiamo il racconto delle visioni di Ezechiele (1, 15 s.; 1, 22) e di Daniele (7, 9 s.), troviamo nella descrizione del trono di Dio alcune caratteristiche fondamentali in comune con il trono di Klimova, certo derivate dalla stessa tradizione del trono dell’antico Oriente. Al tempo di Ezechiele e di Daniele doveva essere il trono cerimoniale del “Gran Re” in Babilonia che dominava questa tradizione. Fra il trono di Dio descritto in queste visioni e il trono dei Sassanidi, riprodotto su placche d’argento, c’è uno spazio di un migliaio di anni, eppure vi incontriamo le stesse caratteristiche principali ed ambedue i troni sono montati su ruote.32 Ciò può essere soltanto spiegato con la continuità della tradizione. Abbiamo così visto come la “ruota” fosse una parte essenziale nei troni dell’Oriente antico; l’idea base di questa concezione rotatoria di sale del trono, di troni stessi ed anche di templi33 era certamente solare e connessa interessante per noi sapere che, in tempi posteriori, in queste sale astrali si svolgeva la giustizia. Purtroppo le rappresentazioni figurate ittite sono scarse e per ora non ci mostrano alcuna raffigurazione che possa esserci utile; tuttavia possiamo pensare che quello ittita fosse costruito come la maggior parte degli altri troni orientali.

Cfr. p. 48 e sgg. Cfr. a questo proposito p. 48 nota 1, dove si trova un’utile bibliografia. Cfr. anche il trono-carro di Ahuramazda, Herod. VII 40; Xenoph. VIII 3, 9 e sgg. 33 Cfr. pp. 48-49. Abbiamo anche numerose rappresentazioni di troni volanti nello spazio: p. 51 e sgg. Più tardi anche nel rituale di corte bizantino è riprodotta l’elevazione solare del trono; e l’antico trono orientale si ritrova nell’iconografia cristiana, p. 124 e sgg. 31

32

49

È verosimile, pertanto, che nei testi ittiti in questione rappresenti il trono del re. “Inginocchiarsi alla ruota” significherebbe dunque “inginocchiarsi al trono del re” ovvero al re stesso. E nel § 198 del Codice si tratterebbe quindi di un reato molto grave, per il quale però è ancora concesso di presentarsi al re, inginocchiandosi al suo trono e sottomettendosi al suo giudizio. Al contrario di quei reati, di cui abbiamo parlato prima, nei quali era sì il re che giudicava sulla vita e sulla morte dei colpevoli, ma questi non avevano il diritto di presentarsi a lui, forse per non contaminarlo. Riguardo poi all’accusativo øurkin, l’Alp, riferendosi al Friedrich,34 lo interpreta come un accusativo di direzione. Ciò è possibile in qualche caso, ma certo molto raramente, poiché di solito in ittita la direzione viene espressa col dativo-locativo. Si potrebbe anche pensare all’esistenza di una forma transitiva di øaliya- (“inginocchiarsi”) col senso di “adorare, supplicare”, di cui øurkin sarebbe il complemento oggetto. Questo non cambierebbe affatto il significato della frase, che sonerebbe: “i colpevoli supplichino (adorino) il trono del re, ovvero il re stesso, il quale deciderà se farli vivere o morire”. Per l’Autobiografia di ÷attušili III avremmo dunque questa soluzione: “allora mio fratello Muwattalli mi chiamò al suo trono, cioè a sottomettermi al suo volere e potere” (oppure al suo giudizio, se ÷attušili era sospettato di qualche colpa contro il re o contro lo stato). E øurkel sarebbe “la cosa della ruota del trono”, cioè un delitto gravissimo, per cui è necessario presentarsi allo stesso re e rimettersi al suo giudizio.

34

S. Alp, op. cit., 97 nota 30; J. Friedrich, HE I § 215 a.

50

IV.

NOTE CRITICHE E FILOLOGICHE NOTE AL CODICE ITTITA

1 Se un uomo o una donna per una disputa (šullanaz) qualcuno uccide, 2 quello/a consegni (arnuzi), e quattro persone dia, o uomini o donne, 3 ed allontana (la colpa) dalla sua casa.1 4 Se uno schiavo o una schiava per una disputa (šullanaz) qualcuno uccide, quello/a consegni (arnuzi), 5 e due persone dia, o uomini o donne, ed allontana (la colpa) dalla sua casa. 6 Se un uomo o una donna libero/a qualcuno colpisce e quello/a muore, la sua mano 7 pecca, quello/a consegni (arnuzi), e due persone dia, ed allontana (la colpa) dalla sua casa. 8 Se uno schiavo o una schiava qualcuno colpisce e quello/a muore, la sua mano pecca, 9 quello/a consegni (arnuzi), e una persona dia, ed allontana (la colpa) dalla sua casa. 10 Se un mercante (accus.) di ÷atti qualcuno uccide, 100 (1 1/2?)2 mine d’argento dia,

I.

II.

III.

IV.

V.

Cfr. per questa interpretazione della formula parnaššea šuwaizzi una mia comunicazione fatta a Trieste durante la XIII Sessione Internazionale della Société d’Histoire des Droits de l’Antiquité; essa sarà pubblicata nel prossimo numero della RIDA (1958). (Tale comunicazione è stata poi pubblicata in RIDA 6 [1959] [n.d.c.]). 2 Cfr. F. Hrozný, CH (1922) 4 nota 11; 5 nota 17; A. Walther, The Hittite Code in J.M.P. Smith, The Origin and History of Hebrew Law, Chicago 1931, 247 nota 6 cit. da E. Neufeld, HL (1951) 2 nota 6; E. Neufeld, loc. cit.; O.R. Gurney, The Hittites2 (1954) 97; A. Goetze, ANET2 (1955) 189. Non ho potuto prender visione dell’opera sopra citata del Walther. 1

51

11 ed allontana (la colpa) dalla sua casa. Se (ciò avviene) nel territorio di Luwiya o nel territorio di Pala, 12 100 (1 1/2?) mine d’argento dia e il suo bene risarcisca (šarnikzi). Se (ciò accade) nel territorio di ÷atti, 13 allora il mercante stesso (accus.) consegni (arnuzi), XIX (A). 45 Se una persona, sia uomo che donna (accus.), di ÷attuša qualche uomo (nomin.) di Luwiya 46 ruba e nel territorio di Arzawa la conduce, (e) il suo padrone 47 per sè la rintraccia, allora la sua casa (= il suo patrimonio) stessa consegni (arnuzi). (B) Se in ÷attuša stessa un uomo (nomin.) di ÷attuša 48 un uomo (accus.) di Luwiya ruba e nel territorio di Luwiya lo conduce, 49 prima dodici persone davano, ora sei persone dia, ed allontana (la colpa) dalla sua casa. LXXVI. 76 Se un bove, un cavallo, un mulo, un asino qualcuno sequestra,3 77 ed esso al suo posto (= sotto di lui) muore, (egli) quello consegni (arnuzi), e la sua paga dia. C. 59 Se un capannone qualcuno incendia, 60 il suo (= del danneggiato) vitello seguiti a nutrire ed egli fino alla primavera lo 61 faccia giungere (arnuzi), il capannone indietro dia, se foraggio 62 dentro non c’era, allora il capannone (ri)costruisca.

Per la voce verbale appat(a)rizzi, da appatariya- (appatriya-) ho preferito accettare il significato “pfänden”, che dà J. Friedrich nel suo HW (1952), piuttosto che quello di “prendere in prestito”, come intendono il Walther (op. cit.) ed il Neufeld (op. cit.), sia per il confronto con l’articolo CLXIV, r. 28, sia per la pena troppo lieve come indennizzo di un prestito o di un affitto. 3

52

CXXVII. 17 Se una porta a causa di una disputa (šullanaz) qualcuno ruba, 18 qualunque cosa vada perduta (nella casa), allora quella risarcisca (šarnikzi). 19 ed (anche) una mina d’argento dia, ed allontana (la colpa) dalla sua casa. CXCVI. 1 Se gli (lett.: i suoi) schiavi e le (lett.: le sue) schiave di qualcuno . . . . . .(= hanno relazioni immorali),4 2 allora li portano via (arnuwanzi), l’uno in questa città qui, 3 l’altro in quella città là collocano 4 al posto di questo una pecora, di quello una pecora 5 (è) tratta (= viene immolata). Negli articoli I, r. 2; II, r. 4; III, r. 7; IV, r. 9; V, r. 13; XIX, r. 47; LXXVI, r. 77; C, r. 61; CXCVI, r. 2, del Codice Ittita,5 incontriamo la voce verbale arnuzi, da arnu-, che lo Sturtevant6 interpreta nel suo glossario “move, bring, bury” (cfr. E.H. Sturtevant-G. Bechtel, Hittite Chrestomathy, Philadelphia 1936, 224, “he shall bury him”) ed il Friedrich7 “fortbewegen; fort oder herbringen; an sich nehmen; - auch: büssen, ersetzen; - (weibliche Tiere) zur Begattung führen”. Il Hrozný8 dà a questo verbo il significato di “portare, consegnare, condurre” (“il apporte, il donne, on les amène”), e così pure il Neufeld9 (“he shall give, he/they shall bring”), tranne però che per i primi 5 articoli, dove traduce arnuzi “he shall bury”. Questa è anche l’interpretazione del Gurney.10 Nel suo commento a p. 129 il Neufeld rileva che l’uso del seppellimento della vittima da parte dell’uccisore era Cfr. per questa integrazione E. Neufeld, op. cit., 56 nota 181. Ho accennato a questo paragrafo del Codice in questa rivista, 14 (1959) 119. 5 Cfr. per il testo di tutti gli articoli qui esaminati l’opera citata del Hrozný. 6 E.H. Sturtevant, HG (1936). 7 J. Friedrich, op. cit. 8 F. Hrozný, op. cit. 9 E. Neufeld, op. cit. 10 O.R. Gurney, op. cit. 4

53

sconosciuto presso i Semiti, dove l’assassino era generalmente giustiziato e sepolto insieme alla sua vittima. Egli afferma che invece presso gli Ittiti l’omicida non era punito con la morte, ma diveniva responsabile della sepoltura dell’ucciso e delle spese per i suoi funerali. Questa ipotesi può sembrare ragionevole, dobbiamo però ricordare che non abbiamo di questo alcun indizio, né presso gli Ittiti, né (come anche osserva il Neufeld) presso gli altri popoli vicini, che possa convalidarla. Senza modificare invece il consueto significato del verbo arnu- e traducendo letteralmente, arriviamo ad una plausibile conclusione che l’offensore, dopo aver pagato la pena, debba consegnare il cadavere della vittima ai familiari, perché adempiano al pietoso incarico della sepoltura. Anche l’esame dell’art. V mi sembra offrire un appoggio a questa conclusione, è infatti da notare che deve essere consegnato il corpo del mercante ittita soltanto nel caso che venga ucciso nella sua patria (“nel territorio di ÷atti”), forse per la maggiore possibilità e facilità di trasportarne il cadavere. Il Goetze,11 tranne che per l’art. XIX (“he shall forfait”) e per il CXCVI (“they move them away”), preferisce dare ad arnu- il significato di “fare ammenda, risarcire” (“he has to make amends for...”). Questa interpretazione può apparire a prima vista convincente, ma dobbiamo notare che di solito si trova nel Codice Ittita il verbo šarninkcol significato, concordemente accettato, di “restituire, riparare, compensare, risarcire, indennizzare”, ed il sostantivo šarnikkizil (šarnikzel) col significato di “riparazione, risarcimento, compenso” (cfr. a questo proposito gli articoli V, XXI, XXVIII, XXIX, XXXVIII, XLII, XLIX, LXV, XC, XCV, XCVIII, XCIX, CXXVII). E, ciò che è più importante, incontriamo i verbi šarnink- ed arnuinsieme nello stesso art. V, rr. 12, 13, che abbiamo qui sopra esaminato. Dato che gli Ittiti risultano generalmente esatti nell’uso dei termini nel loro Codice, ci sembra molto strano che nello stesso articolo, in due righe susseguentisi, si fossero serviti di due verbi diversi col medesimo significato. Come abbiamo già detto, può essere invece logico il fatto che la persona che uccide un mercante ittita in territorio straniero (Luwiya o 11

A. Goetze, op. cit.

54

Pala) debba soltanto dare del danaro “e risarcisca il suo bene”, mentre colui che uccide un mercante ittita nella sua patria, oltre che il danaro, debba consegnare anche il corpo stesso del mercante. Pure l’Alp12 dà questa interpretazione “wird er ihn/sie (dem Erben des Getöteten) liefern” e fa notare lo scambio di apûn arnuzi dell’art. LXXVI, r. 77, con nan išøišši EGIR-pa pâi dell’art. LXXXVI, rr. 20-21. Nell’art. C, r. 61 abbiamo tradotto arnuzi “fa giungere”, conservando così il primo significa to del verbo, nel senso di “far giungere” il vitello fino alla primavera, cioè di allevarlo, nutrirlo, farlo vivere fino alla primavera.13 Dobbiamo infatti ricordare che arnu- è composto da ar- “giungere” più il suffisso causativo nu-: cfr. J. Friedrich, HE 1 (1940) 33 § 153e; 34 § 154f, dove, in base a ciò, viene dato ad arnu- il significato di “bringen”. Troviamo anche l’iterativo ar-nu-šk-, col significato di “portare ripetutamente” (cfr. J. Friedrich, HE 1 [1940] 34 § 154f). Sappiamo anche che or- è la radice indeuropea del “muovere” e che la o ie. passa in ittita ad a; cfr. ar-nu- col greco ¶UQXPL. Negli articoli I, r. 1; II, r. 4; CXXVII, r. 17, si trova il termine šullannaz, da šullatar, sostantivo neutro, interpretato dallo Sturtevant e dal Friedrich nel loro glossario come “contesa, disputa, lite”.14 Viene tradotto dal Hrozný15 “d’intention”, ed in nota “Ou: d’inimitié?”, dal Neufeld16 “in anger”, dal Goetze17 “in a quarrel”. L’Alp, op. cit., 95, traduce “aus Feindseligkeit” e nella nota 14 fa rilevare l’intenzione dell’uccisore (cfr. F. Hrozný). 12

S. Alp, JCS 6 (1952) 95 e nota 15. Il Neufeld dà questa interpretazione di tale brano “he shall feed the [ox]en and shall bring (straw) until summer” e nel suo commento a p. 173 spiega che il vitello della vittima debba essere nutrito “fino all’estate”, cioè fino a quando l’offensore non abbia provveduto a ricostruire il granaio. Ciò coinciderebbe in linea di massima con la mia interpretazione, ma il Neufeld ci arriva per una strada indiretta e più complicata, sottintendendo la parola “paglia”. 14 Cfr. anche J. Friedrich HE 1 (1940) 9 § 36a e 22-23 § 87. 15 F. Hrozný, op. cit. 16 E. Neufeld, op. cit. 17 A. Goetze, op. cit. 13

55

Mi sembra opportuno tradurre “per una disputa”, piuttosto che “in, durante una disputa”, considerando che qui si tratta di ablativo causale. Infatti, perché la seconda interpretazione fosse valida dovremmo trovare il dat. locat. šullanni.18 Del resto, facendo risaltare la causalità espressa in questo ablativo, possiamo offrire un appoggio a ciò che l’Alp ha detto riguardo all’intenzionalità condannata in questo paragrafo.

18

Cfr. J. Friedrich, op. cit. (1940) 68 e 70-71 sull’uso dei casi dat.-locat., ablat. e

strum.

56

V.

L’ AUTOBIOGRAFIA DI ÷ATTUŠILI I

Questo documento è stato rinvenuto nel 1957 a Boˆazköy, nel lato sud-orientale del Büyükkale,1 durante una delle annue campagne di scavi, dirette da K. Bittel e R. Naumann, per conto della Deutsche OrientGesellschaft e del Deutsches Archäologisches Institut. Il testo in facsimile è stato pubblicato dal Güterbock e dall’Otten in KBo X (1960),2 consta di una tavoletta scritta in una colonna (Nr. 1, inventariata come 174/p + 201/p; Ro 1-48, Vo 1-25), quasi completamente conservata, contenente la redazione accadica (cit. come A), e di una tavoletta scritta in due colonne (Nr. 2, inventariata come 202/p; Ro I 154, Ro II 1-54, Vo III 1-42, Vo IV colophon), piuttosto danneggiata, contenente la corrispondente redazione ittita (cit. come H); questa versione è stata trovata anche in un altro frammento (KBo X 3, inventariato come 203/p, Ro I, in 16 righe). Il Laroche, in una sua recensione a KBo X,3 ha individuato altri duplicati della redazione ittita del documento: Tavoletta scritta in due colonne: 1. KUB XXIII 31 Ro I = KBo X 21 24-29 Vo IV(?) = KBo X 2 III 2942(?) 2. IBoT III 134 (+) KUB XXIII 41 = KBo X 2 I 35-44 3. VBoT 13 = KBo X 2 II 24/25-31 Tavoletta scritta in una colonna: 1. KUB XXIII 33 = KBo X 2 I 46-II 10 2. KUB XXIII 20 = KBo X 2 III 14-42 In un nuovo piccolo edificio (K), che ha fornito anche negli anni successivi un considerevole numero di tavolette. 2 KBo è stato recensito da B. Rosenkranz, BiOr 19 (1962) 165. 3 OLZ 57 (1962) 27. 1

57

L’Otten ha pubblicato una traduzione della redazione accadica del testo, corredandola di note storiche e topografiche.4 Dello scritto dell’Otten si è valso il Cornelius5 per dar notizia del nuovo testo con un breve commento storico-geografico. Il Friedrich ha tenuto conto di questo documento nel secondo supplemento del suo glossario,6 ed il Goetze, in una recensione a KBo X, discute qualche passo di ambedue le redazioni e vi aggiunge alcune considerazioni su problemi di storia e di topografia.7 In ultimo il Güterbock8 dall’esame degli ultimi due paragrafi di H ed in base a notizie di carattere storico e geografico, arriva a dimostrare che in H Vo III 3236, corrispondenti ad A Vo 20-22, si fa allusione a Sargon, l’importante re di Akkad; tale ipotesi, del resto, era già stata avanzata dal Goetze.9 Fin dalla prima lettura è chiaro che le due redazioni, l’accadica (A) e l’ittita (H), differiscono in alcuni punti. Secondo l’Otten il testo accadico, non unitario da un punto di vista grafico, è linguisticamente più antico di quanto risulti dalla sua scrittura. A suo avviso questo testo, anche se opera di un ittita, è stato però redatto originariamente in lingua accadica (e più precisamente in un dialetto della Siria settentrionale, simile a quello di Mari, e forse di Alalaø VII); la redazione ittita sarebbe una versione più tarda, e ciò spiegherebbe alcune omissioni, ed anche la forma più recente della lingua. Secondo il Goetze, invece, nessuna delle redazioni a noi pervenute contiene il testo originale, poiché per ambedue sono necessari emendamenti; da un punto di vista stilistico la redazione ittita è più scorrevole e varia, mentre quella accadica appare “goffa, densa di ripetizioni e quasi amorfa”. Egli non ritiene di dover aderire all’opinione dell’Otten, poiché gli errori contenuti nella versione accadica testimonierebbero, a suo parere, le normali difficoltà del traduttore. Egli ricorda inoltre che anche la bilingue di ÷attušili I (2 BoTU 8 = KUB I MDOG 91 (1958) 75-84. Or 28 (1959) 292-296. 6 HW Erg.-Heft 2 (1961). 7 JCS 16 (1962) 24-28. 8 JCS 18 (1964) 1-6. 9 Cfr. più avanti, 88 e sgg. 4 5

58

16, studiata da Sommer e Falkenstein) è risultata redatta originariamente in ittita. Nel documento da noi preso in esame si narrano le imprese di ÷attušili I, in forma annalistica (“nell’anno successivo”), e vi si trovano notizie interessanti per lo studio della storia e della geografia del mondo ittita. Si può inquadrare la zona di espansione di ÷attušili in base ai toponimi menzionati nel testo. Ci asterremo però dall’esaminarli particolareggiatamente in quanto, come abbiamo detto, se ne sono già occupati l’Otten, nelle sue note, ed ancor più dettagliatamente il Goetze. Di particolare interesse sono le imprese di ÷attušili nella Siria settentrionale, e la sua spedizione contro Arzawa, nell’Anatolia occidentale, approfittando della quale i Hurriti (“il nemico della città di ÷urri” in H, cui corrisponde in A “il nemico del paese di ÷anigalbat”) invasero tutto il paese di ÷atti, risparmiando soltanto la città di ÷attuša.10 Altro evento di grande importanza è costituito dal passaggio di ÷attusili del fiume Mâla-Purattu, in cui si deve riconoscere l’Eufrate.11 Il testo si conclude con il trionfo finale del Gran Re di ÷atti sui sovrani di ÷aøøa e di ÷aššuwa.12

10 Cfr. H. Otten, op. cit., 79 nota 16. Secondo il Goetze, op. cit., 27, questa menzione anticipa di una generazione la prima comparsa dei Hurriti nelle nostre fonti. 11 Cfr. H. Otten, op. cit., 83 nota 28. Il Goetze, op. cit., 27 e nota 4, ritiene che probabilmente non si deve riconoscere qui il gran fiume nella pianura, ma uno dei suoi rami, nella sua parte superiore. 12 Come ha osservato il Goetze (op. cit., 27), ÷attušili ha già parlato dettagliatamente delle sue spedizioni contro queste due città (cfr. H Ro II 12-19, Vo III 6-10); il Güterbock (op. cit., 2) ritiene perciò che gli ultimi due paragrafi di H (e, ovviamente, la parte corrispondente in A) costituiscano un sommario delle imprese del sovrano.

59

I - VERSIONE ITTITA KBo X 2 (202/p) Ro I 1 [UM-MA Ta-ba-ar-]na m÷a-at-tu-ši-li LUGAL.GAL 2 [LUGAL KUR URU÷a-at-]ti LÚ URUKu-uš-šar KUR URU÷a-at-ti 3 [LUGAL-u-i]t ŠA fTa-wa-an-na-an-na DUMU ŠEŠ-ŠU 4 [(I-N)A URUŠ]a-na-u-i-it-ta pa-it ša-an na-at-ta 5 [(øar-ni)-ik-t]a nu ud-ni-e-eš-še-it øar-ni-ik-ta 6 [(ÉRINM)]EŠ 2 AŠ-RA a-ša-an-du-la-an-ni daaø-øu-un 7 [(nu) ku-e k]u-e a-ša-u-wa-ar e-eš-[t]a 8 [n(a-at)-kán A]-NA ÉRINMEŠ a-ša-an-du-li pí-eø-øu-un ________________________________________________________ 9 [EGIR-an-d]a-ma I-NA URUZa-al-pa pa-a-u[n] 10 [na-a]n øar-ni-in-ku-un nu-uš-ši DINGIRMEŠ-ŠU ša-ra-a da-aø-øu-un 11 Ù 3 GIŠGIGIRMEŠMA-AD-NA-NU A-NA DUTU URUTÚL-na pí-eø-

øu-un

________________________________________________________ 12 1 GUD KÙ.BABBAR 1 GEŠPÚ KÙ.BABBAR I-NA É DIŠKUR pí-

eø-øu-un

13 a-aš-še-er-ma-kán ku-i-e-eš na-aš I-NA É DMe-iz-zu-

zu-ul-la

14 pí-eø-øu-un ________________________________________________________ 15 MU.IM.MA-an-ni-ma I-NA URUA-la-al-øa pa-a[-u]n 16 na-an øar-ni-in-ku-un EGIR-an-da[-m]a I-NA URUWa-ar-šu-wa 17 pa-a-un URUWa-ar-šu-wa-az-ma I-NA URUI-ka-ka-li 18 pa-a-un URUI-ka-ka-la-az-ma I-NA URUTa-aš-øi-ni-ya 19 pa-a-un nu ki-e KUR.KURMEŠ øar-ni-in-ku-un a-aš-šu-ma-aš-ši 20 ša-ra-a da-aø-øu-un nu É-ir-mi-it a-aš-ša-u-i-it 21 ša-ra-a šu-un-na-aø-øu-un ________________________________________________________

60

Ro I 1 [Così (parla) il Tabar]na ÷attušili, Gran Re, 2 [re del paese di ÷at]ti, uomo di Kussar: (nel) paese di ÷atti 3 [governò come r]e, del fratello della Tawannanna figlio. 4 Nell[a città di Š]anauitta andò, e non la 5 distr[uss]e, e il suo territorio distrusse, 6 (e) le truppe in due luoghi in guarnigione lasciai, 7 e [tutte quel]le greggi [c]he c’er[an]o, 8 quelle [al]le truppe di guarnigione detti. ________________________________________________________ 9 E [poi] nella città di Zalpa anda[i], 10 [e l]a distrussi, e a lei i suoi dèi presi, 11 e 3 carri MADNANU alla dea Sole di Arinna detti, _______________________________________________________ 12 1 bove d’argento, 1 GEŠPÚ d’argento nel tempio del dio Iškur detti, 13 e quegli che erano rimasti, quelli nel tempio della dea Mêzzulla 14 detti. _______________________________________________________ 15 E nell’anno successivo nella città di Alaløa anda[i], 16 e la distrussi, [e] poi nella città di Waršuwa 17 andai, e dalla città di Waršuwa nella città di Ikkali 18 andai, e dalla città di Ikkali nella città di Tašøiniya 19 andai, e quei paesi distrussi, e a loro i beni 20 presi, e la mia casa con (quei) beni 21 empii fino all’orlo. _______________________________________________________

61

22 23 24 25

MU.IM.MA-an-ni-ma I-NA URUAr-za-u-wa pa-a-un nu-uš-ma-aš-kán GUDMEŠ-un UDU÷I.A-un ar-øa da-aø-øu-un EGIR-az-ya-za-ma-mu-kán LÚKÚR ŠA URU÷ur-ri KUR-e an-da ú-it nu-mu KUR.KURMEŠ øu-u-ma-an-da me-na-aø-øa-an-da ku-ru-ri-aø-

øi-ir 26 na-aš-ta URU÷a-at-tu-ša-aš-pat URU-ri-aš 1-aš a-aš-ta 27 LUGAL.GAL Ta-ba-ar-na-aš NA-RA-AM DUTU URUA-ri-in-na 28 nu-mu-za-kán D[ 29 nu-mu [(ŠU) nu]-mu MÈ-ya pí-ra-an URU 30 øu-u-wa-a-iš nu I-NA Ni-na-aš-ša MÈ-ya pa-a-un 31 nu-mu ma-aø-øa-an LÚMEŠ URUNi-na-aš-ša me-na-aø-øa-an-da 32 a-ú-ir nu EGIR-pa øe-eš-šir ________________________________________________________

39 40 41 42

[EG]IR-an-da-ma I-NA KUR URUUl-ma za-aø-øi-ya pa-a-un nu-mu LÚMEŠ URUUl-ma MÈ-ya me-na-aø-øa-an-da 2 ŠU a-ú-ir na-aš 2 ŠU-pat øu-ul-li-ya-nu-un nu KUR [(U)]RUUl-ma-an øar-ni-in-ku-un nu-uš-ši-kán pí-di-iš-ši GI Š [ ] SAR šu-un-ni-ya-nu-un nu 7 DINGIRMEŠ I-NA É DUTU URU TÚL-na [ EGI]R da-aø-øu-un 1 GUD KÙ.BABBAR DINGIRLIM MUNUSTUM fKa-ti-ti ÷UR.SAG A-ra-an-øa-pí-la-an-ni a-aš-še-ir-ma-kán ku-i-e-eš DINGIRMEŠ na-aš I-NA É DMe-iz-zu-ul-la pí-eø-øu-un [m]a-aø-øa-an-ma KUR URUUl-ma-za EGIR-pa ú-wa-nu-un nu I-NA KUR URUŠa-la-aø-šu-wa pa-a-un nu-za KUR URUŠa-la-aø-šu-

46 47 48 49 50

[MU.IM.MA-an-ni-ma I-N]A URUŠa-na-aø-øu-it-ta MÈ-ya pa-a-un [nu URUŠa-na-aø-øu-it]-ta-an I[-NA] ITU.5.KAM za-aø-øi-eš-ki-nu-un [na-an I-NA ITU.6.KAM] øar-ni-in[(-ku)-un nu-za LUGAL.GAL [ -y]a-nu-nu-un nu-kán ŠÀ KUR.KURMEŠ [ ] ti-ya-at LÚ-na-tar-na

33 34 35 36 37 38

wa-aš 43 IZI-it a-pa-ši-la kat-ta-an tar-na-aš a-pu-u-uš-ma-mu 44 ARADMEŠ-ni [ ] wa-aø-nu-ir nu URU÷a-at-tu-ši 45 URU-ri-mi-it EGIR-pa ú-wa-nu-un ________________________________________________________

62

22 E nell’anno successivo nella città di Arzawa andai, 23 ed a loro bovi e pecore presi, 24 ma dietro a me il nemico della città di ÷urri nel (mio) paese venne, 25 e contro di me tutti i paesi fecero guerra. 26 Ormai soltanto la città di ÷attuša, unica città, rimase. 27 Il Gran Re, il Tabarna, diletto alla dea Sole di Arinna, 28 allora me (a me) per sé la dea [ 29 e a me la mano [prese(?) e] in battaglia davanti a me 30 corse; e nella città di Ninašša in battaglia andai, 31 e quando gli uomini della città di Ninašša di fronte mi 32 videro, allora dischiusero. _______________________________________________________ 33 34 35 36 37

E p[oi] nel paese della città di Ulma in battaglia andai, e me gli uomini della città di Ulma in battaglia di fronte due volte videro(?), e proprio per due volte li combattei, e il paese della città di Ulma distrussi, e al suo posto [e]rbaccia seminai; e 7 dèi nel tempio della dea Sole di Arinna

38 [di nuov]o portai, 1 bove d’argento alla dea Katiti, 39 40 41 42

alla montagna Aranøapilanni, e quegli dèi che erano rimasti, quelli nel tempio della dea Mêzzulla detti. Ma [q]uando dal paese della città di Ulma ritornai, allora nel territorio della città di Šallaøšuwa andai, e il territorio della città di Šallaøšuwa 43 col fuoco se stesso distrusse, e quelli (= gli abitanti della città) a me 44 in schiavitù [ ] si volsero; allora in ÷attuša, 45 nella mia città, ritornai. ________________________________________________________ 46 [E nell’anno successivo nell]a città di Šanaøøuitta in battaglia andai 47 [e la città di Šanaøøuit]ta p[er] cinque mesi continuai a combattere, 48 [e nel sesto mese la] distrussi, ed io, il Gran Re 49 [ ] . . . e in mezzo ai paesi] 50 [ ] giunse(?) e(?) le gesta

63

na-at] A-NA DUTU URUA-ri-in-na 51 [(ku-i)t ] 52 [pí-eø-øu-un ________________________________________________________ URU 53 [ ]Ap-pa-ya URU 54 [(øu-ul-li-ya-nu-un) Um-ma]-ya ________________________________________________________

Ro II 1 pí-ra-an ša-ra-a da-aø-øu-un 2 nu I-NA URUPar-ma-an-na an-da-an pa-a-un 3 URUPar-ma-an-na-aš-ma-kán a-pí-e-da-aš A-NA LUGAL[MEŠ] 4 SAG.DU-aš e-eš-ta KAŠ÷I.A- aš-ša-ma-aš a-pa-a-aš 5 pí-ra-an ták-ša-an-ni-iš-ki-it ________________________________________________________ 6 [(nu)]-mu-kán ma-aø-øa-an me-na-aø-øa-an-da [a-ú-ir] 7 nu KÁ.GAL÷I.A EGIR-pa øe-še-e-ir na-aš [a-pí-e-da-ni] 8 me-mi-e-ni ne-pí-[(š)a]-aš DU[TU(?) 9 an-da-ma-mu KUR URUAl-øa-aš-ma [pa-a-un] 10 nu URUAl-øa-an øar-ni-in-ku[-un] ________________________________________________________ 11 MU.KAM-an-ni-ma I-NA KUR UR[UZa-ru-na pa-a-un] 12 nu URUZa-ru-na-an øar-ni[-i]n-ku-un nu I-NA UR[U÷a-aš-šu-wa] 13 pa-a-un nu-mu LÚMEŠ [URU]÷a-aš-šu-wa za-aø-øi-ya 14 me-na-aø-øa-an[-da ú-e]-ir ÉRINMEŠ-ya-aš-ma-aš 15 ŠA KUR URU[÷al-pa šar-di]-an-ni kat-ta-an e-eš-ta 16 na-aš-mu [MÈ-ya] ú-it na-an øu-ul-li-y[a-nu-un] 17 nu kap-p[u]-wa-an-da UD.KAM÷I.A-aš ÍDPu-u-ru-n[a-an] 18 zi-iø-øu[-un] nu KUR URU÷a-aš-šu-wa UR.MA÷ GIM-an 19 GÌR÷I.A-i[t a]r-øa ša-ak-ku-ri-ya-nu-un 20 nu A[ ma-a]ø-øa-an wa-al-øu-un 21 [ an-d]a še-ir ar-nu-nu-un 22 [ øu]-ma-an ša-ra-a da-aø[-øu-un] 23 [ ša-ra-a š]u-un-na-aø-øu-un ________________________________________________________

64

51 ch[e compii(?), quelle(?)] alla dea Sole di Arinna 52 [o]ffrii(?) [ ] ________________________________________________________ 53 [ la città di] A-pa-ya 54 combattei(?) [ alla città di Um-ma]-ya _______________________________________________________ Ro II 1 davanti presi; 2 e nella città di Parmanna entrai, 3 e la città di Parmanna a quei re (= ai re di quella regione) 4 capo (= alla testa) fu, essa (infatti) le vie a loro 5 dinanzi segnava (lett.: spianava); ________________________________________________________ 6 [e] quando me davanti [videro 7 allora le porte della città dischiusero, ed egli [in quella] 8 occasione il dio [Sole(?)] del cielo [ 9 e nel paese della città di Aløa [andai] 10 e la città di Aløa distruss[i]. ________________________________________________________ 11 12 13 14 15 16

E nell’anno successivo nella cit[tà di Zaruna andai] e la città di Zaruna distr[u]ssi, e nella cit[tà di] ÷aššuwa] andai, e a me gli uomini [della città] di ÷aššuwa in battaglia cont[ro venn]ero e insieme con loro le truppe del paese della città [di ÷alpa per aiut]o erano, ed esse (= le truppe) verso di me [in battaglia] vennero e le comba[ttei] 17 e in po[c]hi giorni il fiume Parun[a] 18 attraversa[i] e il paese della città di ÷aššuwa come un leone 19 con la zamp[a v]ia sopraffeci 20 e [ qua]ndo ebbi vinto 21 [ ] misi su 22 [ tu]tto pres[i] 23 [e la mia casa(?) fino all’orlo e]mpii ________________________________________________________ 65

24 [ -u]n 25 [ ]..[ 26 [ ] D[(U EN) 27 [D(Al-l)]a-[(tum)] DA-ta-al-lu-ur D[Li-lu-ri 28 [(2)] GUD÷I.A ŠA KÙ.BABBAR 3 ALAM KÙ[.BABBAR GUŠKIN 29 [2] øa-am-ri-ta I-GA!-A-RU EGIR[ 30 [IŠ-TU KÙ.BABBAR GUŠKIN øa-li-iš-ši-y[a-nu-un] 31 [GI]ŠIG-ya IŠ-TU KÙ.BABBAR GUŠKIN ø[a-li-iš-ši-ya-nu-un] ________________________________________________________ 32 [1 GIŠBANŠU]R GUŠKIN TAM-LU-Ú 3 GI[ŠBANŠU]R KÙ.BABBAR 33 [ ] KÙ.BABBAR 1 GIŠGU-ZA NÎ-ME[-DI] TAM-LU-Ú 34 [ ]-at ŠA GUŠKIN 1 GIŠ MA-AD-NA-NU GUŠKIN IŠ]-TU GUŠKIN GAR.RA 35 2[ 36 ku-u-u[š-ma(?) URU÷]a-aš-šu-wa 37 A-NA DUT[U URUTÚL-na p]í-e-da-aø-øu-un 38 DUMU.MUNUS DAl[-la-ti D]÷é-pat 3 ALAM KÙ.BABBAR 39 2 ALAM GUŠK[IN ki-i]-ma I-NA É DMe-iz-zu-ul-la 40 pí-e-da-a[ø-øu-u]n ________________________________________________________ ]GIŠPA GUŠKIN 5 GIŠTUKUL 41 1 I-MI-IT-TUM KÙ[ KÙ.BABBAR 42 3 ÷U-U-UR-PA-A-LU-U Š[A NA4Z]A.GÌN 43 1 ÷U-U-UR-PA-A-LU-U ŠA GUŠKIN 44 ki-i-ma I-NA È DU pí-e-d[a-a]ø-øu-un ________________________________________________________ 45 nu-za KUR URU÷a-aš-šu-wa I-NA MU.1.KAM tar-aø-øu-un 46 [[A-YA-LU GUŠKIN]] nu mTa-wa-an-na-ga-aš MA-A-RI[ŠU 47 48 49 50

ar-øa pí-eš-še-ir LUGAL.GAL-ma-an-kán SAG.DU-ZU ku-e-ir-šu-un nu I-NA URUZi-ip-pa-aš-na pa-a-un nu-kán URUZi-ip-pa-aš-na-an GE6-az-pat ša-ra-a pa-a-un nu-uš-ma-aš MÈ-ya

66

24 [ ] 25 [ ] 26 [ ] dio della Tempesta signore [ 27 dèi Allatum, Atallur, [Liluri 28 2 bovi d’argento, 3 statue d’ar[gento (e) d’oro 29 in [2] (edifici) øamri la parete posteriore 30 d’argento (e) d’oro feci rives[tire] 31 e la porta d’argento e d’oro fe[ci rivestire], ________________________________________________________ 32 [1 tavol]o d’oro rivestito, 3 [tavo]li d’argento, 33 [ 34 [

] d’argento, 1 trono con spalliera rivestito ] d’oro, 1 letto d’oro,

35 2 [ ] coperti d’oro, 36 e(?) quest[i città di ÷]aššuwa 37 alla dea Sol[e di Arinna p]ortai, 38 figlia della dea Al[latum] ÷epat 3 statue d’argento, 39 2 statue d’or[o], e [queste cose] nel tempio della dea Mêzzulla 40 por[ta]i. ________________________________________________________ 41 1 IMITTU d’ [argento/oro(?)], 1 scettro d’oro, 5 utensili d’argento, 42 3 mazze [di lapislaz]zuli, 43 1 mazza d’oro, 44 e queste cose nel tempio del dio della Tempesta portai; ________________________________________________________ 45 e il paese della città di ÷aššuwa in un anno soggiogai, 46 [[AYALU d’oro]]; e (della città?) di Tawannaga [suo? (figlio(?) (= il re?) 47 spinsero via, ed io, il Gran Re, la sua testa 48 tagliai, e nella città di Zippašna andai 49 e su verso la città di Zippašna proprio di notte 50 andai e presso di loro in battaglia 67

51 an-da ti-ya-nu-un nu-uš-ma-aš SA÷AR÷I.A-iš 52 še-ir ar-nu-nu-un na-aš-ta ŠÀ KUR.KURMEŠ 53 an-da DUTU-uš ti-ya-at ________________________________________________________ 54 LUGAL-ma-aš Ta-ba-ar-na-aš I-NA URUZi-ip-pa-aš-na :[pa]-a-un Vo III 1 URU÷a-aø-øa-an-ma-za-kán UR.MA÷ ma-aø-øa-an 2 ar-øa tar-ku-wa-al-li-iš-ki-nu-un 3 nu URUZi-ip-pa-aš-ša-na-an øar-ni-in-ku-un 4 DINGIRMEŠ-ma-aš-ši ša-ra-a da-aø-øu-un 5 na-aš A-NA DUTU URUTÚL-na pí-e-da-aø-øu-un ________________________________________________________ 6 nu I-NA URU÷a-aø-øa pa-a-un nu-kán I-NA URU÷a-aø-øa 7 KÁ.GAL÷I.A-aš 3 ŠU an-da MÈ-in te-eø-øu-un 8 nu URU÷a-aø-øa-an øar-ni-in-ku-un a-aš-šu-ma-aš-ši 9 ša-ra-a da-aø-øu-un na-at URU÷a-at-tu-ši 10 URU-ri-mi-it ar-øa ú-da-aø-øu-un 11 2 TA-PAL GIŠMAR.GÍD.DAMEŠ IŠ-TU KÙ.BABBAR 12 ta-a-iš-ti-ya-an e-eš-ta ________________________________________________________ 13 1 GIŠGIGIR MA-AD-NA-NU 1 A-YA-LU KÙ.BABBAR 1 GIŠ BANŠUR GUŠKIN GIŠ 14 1 BANŠUR KÙ.BABBAR ku-u-uš DINGIRMEŠ URU÷a-aø-øa 1 GUD.MA÷ KÙ.BABBAR 15 1 GIŠMÁ SAG-ZU GUŠKIN GAR.RA LUGAL.GAL Ta-ba-ar-na-aš 16 ŠA GEMÉMEŠ-ŠU ŠUMEŠ-uš IŠ-TU NA4ARÀ da-aø-øu-un 17 ŠA ARADMEŠ-ya ŠUMEŠ-ŠU-NU IŠ-TU KIN da-aø-øu-un 18 na-aš-kán ša-aø-øa-ni-it lu-uz-zi-it 19 a-ra-wa-aø-øu-un na-aš QAB-LI-ŠU-NU ar-øa la-a-nu-un 20 na-aš A-NA DUTU URUTÚL-na GAŠAN-YA EGIR-an tar-na-aø-ø[uun] 21 nu-za ki-i ALAM-YA ŠA GUŠKIN i-ya-nu-un 22 na-at A-NA DUTU URUTÚL-na GAŠAN-YA ti-it-ta[(-nu-nu-un)] 68

51 giunsi e a loro/per loro la caligine 52 sollevai, poi nei paesi 53 il dio del Sole (Ištanu) penetrò, ________________________________________________________ 54 ed io, il Re, il Tabarna, nella città di Zippašna :[and]ai; Vo III 1 e la città di ÷aøøa come un leone 2 guardai con cipiglio, 3 e la città di Zippaššana distrussi, 4 e a lei gli dèi presi, 5 e alla dea Sole di Arinna li portai; ________________________________________________________ 6 e nella città di ÷aøøa andai e nella città di ÷aøøa 7 dentro le porte della città per tre volte battaglia posi, 8 e la città di ÷aøøa distrussi, e i beni a lei 9 presi e in ÷attuša, 10 mia città, via li portai, 11 2 forniture di carri da trasporto d’argento 12 fu(rono) caricati. ________________________________________________________ 13 1 carro MADNANU, 1 cervo d’argento, 1 tavolo d’oro, 14 1 tavolo d’argento, questi dèi della città di ÷aøøa, 1 toro d’argento, 15 16 17 18 19 20

1 nave dalla prua coperta d’oro; io , il Gran re, il Tabarna, delle sue serve le mani dalla macina tolsi, e dei servi le loro mani dal lavoro tolsi, e dal šaøøan (e) dal luzzi li resi liberi (= esentai), e dalle loro cinture li disciolsi, e alla dea Sole di Arinna, mia signora, li cedett[i];

21 e questa mia statua d’oro feci, 22 e presso la dea Sole di Arinna, mia Signora, la collocai, 69

23 ku-ut-ta-an-na kat-ta-an ša-ra É-še-ya 24 IŠ-TU KÙ.BABBAR øa-li-iš-ši-ya-nu-un ________________________________________________________ 25 1 GIŠGIGIR KÙ.BABBAR LUGAL URUTi-ma!-na A-NA LUGAL.GAL[(?) 26 [ ].-at A-NA DUTU URUTÚL-na pí-e[-da-aø-(øu-un) 27 [(2 ALA)M Š[A NA4AŠ.ŠIR.GAL 28 A-NA DUTU URUTÚL-na pí-e-da-aø-øu-u[n ________________________________________________________ 29

ÍD

Ma-a-la-an-na Ú-UL [(ku)-iš-ki pí-ra-an(?) za-a-iš

30 na-an ú-ug LUGAL.GAL T[a-ba-ar-na-aš GÌR-it 31 zi-iø-øu-un KARAŠ÷[(I).A 32 GÌRMEŠ-it za-a-iš LUGAL-g[i-na-ša-an za-a-iš 33 ÉRINMEŠ URU÷a-aø-øi-aš øu-ul[-li-ya-it(?) (URU)÷a-aø-øi-ma 34 Ú-UL ku-it-ki i-ya[-zi(?) na-an Ú-UL 35 ar-øa wa-ar-nu-uz-zi [tuø-øu-wa-in-ma 36 ne-pí-ša-aš DU-ni Ú[-UL (-in-ta) ________________________________________________________ 37 LUGAL.GAL Ta-ba-ar-na-aš URU[÷a-aš-šu-wa-an GIM-an 38 URU÷a-aø-øa-an-na øar-ni-i[n-ku-u(n) 39 na-aš IZI-az kat-ta-an [tar-na-aø-øu-un 40 tuø-øu-wa-in-ma ne-pí[-ša-aš DUTU DU-ya 41 nu URU÷a-aš-šu-wa LUGAL URU÷a-a[ø-øa-ya] 42 A-NA GIŠMAR.GÍD.DA tu-u-ri[-ya-nu-(un)] ________________________________________________________ Vo IV D[UB LÙ-na-an-na-aš ŠA m÷a-at-t[u-š]i-l[i

70

23 e la parete dal basso in alto nel suo tempio 24 d’argento incastonai, ________________________________________________________ 25 1 carro leggero d’argento il re della città di Timana al Gran Re [(?) 26 [ ] alla dea Sole di Arinna portai, 27 2 statu[e d]i alabastro 28 alla dea Sole di Arinna portai. ________________________________________________________ 29 E il fiume Mâla (= Eufrate) ne[ssuno prima (di me) aveva attraversato 30 ed io, il Gran Re, il T[abarna, a piedi 31 l’attraversai, l’esercito [ 32 a piedi l’attraversò; (anche) Šarrug[ina l’aveva attraversato, 33 le truppe della città di ÷aøøa comb[atté(?), ma alla] città [di ÷aøøa 34 niente f[a(?) e non la 35 riduce in cenere, [ma il fumo 36 al dio della Tempesta del cielo n[on fece salire ________________________________________________________ 37 38 39 40

Io, il Gran Re, il Tabarna, la città [di ÷aššuwa e la città di ÷aøøa dist[russi e col fuoco le abb[attei e il fumo (accus.) [al dio Sole] del cie[lo e(?) al dio della Tempesta feci

salire

41 e della città di ÷aššuwa e il re della città di ÷a[øøa] 42 al carro da trasporto aggio[ga]i. ________________________________________________________ Vo IV T[avoletta delle gesta di ÷att[ušili

71

KBo X 3 (203/p) = KBo X 2 Ro I 3-16 Ro I 1’ [LUGAL-u-e]-iz-z[i-ya-at 2’ [DUMU.ŠE]Š-ŠU I-N[A 3’ [ ]Ú-UL øar-ni[-ik-ta 4’ [ ]ÉRINMEŠ-an 2-e[ 5’ [d]a-la-aø-øu-un nu[ 6’ [n]a-at ÉRINMEŠ-aš[ _____________________________________________________ 7’ nu URUZa-al-pa pa-a-u[n 8’ nu DINGIRMEŠ-ŠU ša-r[a-a 9’ na-aš A-NA DUTU URUA-ri[-in-na 10’ pí-e-da-aø-øu-un 1 [ 11’ I-NA È DU pí[-e-da-aø-øu-un 12’ ap-pí-iz-zi-ya [ 13’ DINGIRMEŠ nu-uš A[-NA(?) 14’ pí-e-da-aø[-øu-un _____________________________________________________ 15’ MU-an-n[i-ma 16’ [ ] KUB XXIII 31 (Bo 6074) Ro I = KBo X 2 Ro I 23-29 Ro I 1’ nu[-uš-ma-aš-kán 2’ E[GIR-ya-z]a-m[a-mu-kán 3’ nu-mu KUR.KUR[MEŠ 4’ na-aš-ta UR[U÷a-at-tu-ša-aš-pat _____________________________________________________ 5’ LUGAL[.GAL Ta[-ba-ar-na-aš 6’ nu-mu-za-kán [D 7’ nu-mu ŠU[

72

IBoT III 134 (+) KUB XXIII 41 (Bo 331) = KBo X 2 Ro I 35-44 1’ 2’ 3’ 4’ 5’ 6’ 7’ 8’ 9’ 10’ 11’ 12’ 13’

]ú-it p[í] URUUl-ma-an [ [nu]-uš-si-kán pí-d[i-iš-ši [nu ¦7©] DINGIRMEŠ I-NA [¦É© DUTU URUTÚL-na EGIR] da-aø-ø[u-

un [1] GUD KÙ.BABBAR DINGIR MUNUS[TUM fKa-ti-ti ÷UR.SAG]Ara-øa-pí-la[-an-ni [I-]NA É DUT[U URUTÚL-n]a pí-da-aø-øu-un [a-aš]-še-ir-ma-kán [ku-i-e-eš-DINGIRM]EŠ [na]-aš I-NA [¦É© DMe-iz-zu-¦u©]l-la pí-e-da-aø-øu-un [GIM-an]-ma URUU[l-ma-za EGIR-p]a ú-wa-nu-un ] pa-a-un IZ]I-it a-pa-ši-la a-pu-u-uš]-ma-mu [ ]

KUB XXIII 33 (Bo 4294) = KBo X 2 Ro I 46(?) - Ro II 10

ut(?)] n[a-a]n 1’ 2’ ] øa[r-n]i-in-ku-un 3’ ti-y]a-at LÚ-na-tar-na ku-i[t 4’ ] da-aø-øu-un ========================================== URU 5’ Ap-pa-y]a øu-ul-li-ya-nu-un .[ 6’ ] pí-ra-an ša-ra-a da-a[ø-øu-un URU 7’ Par-ma-n]a-aš-ma-kán a-pí[-¦e©-da-aš tak-ša-an-ni-iš-ki]-it nu-mu-kán ma[-aø-øa-an 8’ n]e-pí-š[a-aš 9’ 10’ [ ] VBoT 13 = KBo X 2 Ro II 24/25(?)-31 1’ nu GÍR K[Ù.BAB]BAR .[ 2’ nu-kán KÙ.BABBAR GUŠKI[N 73

3’ 4’ 5’ 6’ 7’ 8’ 9’

nam-ma-aš-ši DINGIRMEŠ Š[A D U EN ar-ru-uz-za D[ D Al-la-tum DA-da!-al-lu[-ur 2 GUD KÙ.BABBAR 13 ALAM KÙ.BABBAR GUŠKIN ku-ut-ta-aš-ša ku-iš A-NA D[ [n]a-an IŠ-TU GUŠKIN øa-li[-iš-ši-ya-nu-un [ ]a-aš-ši-iš-t[e-ir

KUB XXIII 20 (Bo 3229) = KBo X 2 Vo III 14-42 1’ ]. SA[G(?)-Z]U(?)[ 2’ IŠ]-TU NA4A[RÀ na-aš]-kán ša-aø-ø[a-ni-it 3’ 4’ ]na-aš A-NA DU[TU 5’ ]i-ya-nu-un [ ti-it-t]a-nu-nu-un [ 6’ 7’ kat]-ta-an ša-r[a-a U RU 8’ ] Ti-ma-na [ 9’ pí-e-da-aø]-øu-un 2 ALA[M ÍD Ma-a-l]a-an Ú-UL ku[-iš-ki 10’ 11’ zi-iø-øu]-un KARAŠ÷I[.A 12’ ]ÉRINMEŠ URU÷a-øa[-øi-aš 13’ a]r-øa lu-uk-ki-it[ 14’ ]-in-ta LUGAL.GAL Ta[-ba-ar-na-aš 15’ øar-ni-in-ku-u]n na-aš IZI-az kat[-ta-an 16’ ] LUGAL URU÷a-aš-šu-wa[ 17’ tu-u-ri-ya-nu]-un ========================================== 18’ D[UB KUB XXIII 31 (Bo 6074) = KBo X 2 Vo III 29-42 Vo IV(?) 1’ DMa[-a-la-an-na(?) 2’ a(?)]-la-aš-m[a(?) 74

3’ G]ÌR-it 4’ ÷a-a-a[ø-øi-aš(?) 5’ URU[ ]-qa(?) [ 6’ i[-ya(?)D 7’ U Š]A-ME-E [ 8’ ].-ma LUGAL URU÷[aURU 9’ ]÷a-aø-øi-in-ma [ 10’ QÚ-U]T-RU A-NA [D _____________________________________________________

75

NOTE CRITICHE KBo X 2 (202/p)1 Ro I r. 2. LÚ URUKuššar, “uomo di Kuššar”: secondo l’Otten (op. cit., 78 nota 12), quest’espressione che designa il luogo d’origine, posta dopo la formula in uso al tempo del Nuovo Regno, denota (come tutta la lingua di H) che questa redazione è più tarda dell’originale, oppure indica un rimaneggiamento nel testo. r. 3. L’integrazione all’inizio di questa riga è secondo la corrispondente versione accadica (cfr. anche KBo X 3 Ro I 1’, integrato secondo il Goetze, op. cit., 24 § 1); si poteva però trovare qui anche [øaššui]t. r. 3. L’espressione “figlio del fratello della Tawananna” è interessante perché rivela l’importanza della posizione della regina ittita. Secondo l’Otten (op. cit., 78 nota 13), si dimostra qui la libera scelta del successore al trono nell’àmbito della famiglia reale, cosi come avvenne, a suo avviso, per lo stesso ÷attušili I, quando, nel suo testamento, designò come suo successore il “figlio di sua sorella”, in antitesi a quanto venne stabilito più tardi nell’Editto di Telepinu. Su questo però non sono d’accordo; infatti, come ha dimostrato il Pugliese Carratelli (Su alcuni aspetti della monarchia etea, in “Atti dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria” 23 [195859] 101-105) dopo un accurato esame del Testamento di ÷attušili: “è significativo che ogni volta l’esponente principale della ribellione (al re: Col. II 63-74) sia una persona legata al re da vincoli di sangue: prima il figlio (÷uzziya), poi la figlia (che aveva discendenti maschi). È degno di nota che dopo la deposizione di ÷uzziya i Grandi avversi a ÷attušili abbiano fatto appello alla figlia di questi, quasi rispettassero un ordine di successione legittima; un ordine che appare il presupposto del regolamento della successione qual’è definito da Telipinu nel suo editto: un figlio legittimo del re, e in assenza di quello, il marito della figlia (nel 1 Nelle integrazioni delle lacune di H i segni conservati dai duplicati sono traslitterati entro parentesi tonde.

76

qual caso il trono viene ereditato da un figlio della figlia, soluzione coincidente con quella che i sostenitori della figlia di ÷attušili avevano tentato di far valere)”. Mi sembra inoltre interessante ricordare che, per rendere legittima la successione, il sovrano doveva evidentemente presentare come suo figlio l’erede designato, ricorrendo insomma ad una forma di adozione: cfr. appunto nel Testamento di ÷attušili I, a proposito della designazione del nipote Labarna (Col. II 2-4 e 14) e poi del nipote Muršili (Col. II 37 sg.). r. 4. Il Goetze (op. cit., 24 § 1) fa notare la presenza delle forme arcaiche ša-an e natta (invece di Ú-UL, come in KBo X 3 Ro 3), che poi non compariranno più nel testo; ciò gli fa supporre che H fosse stato modernizzato durante il Nuovo Regno. r. 6. daaø-øu-un: lettura secondo KBo X 3 Ro r. 5, confermata dal corrispondente accadico I-TE-ZI-IB (I Ro 3); così anche Goetze, loc. cit. r. 7-8. Il termine ašawar (7) indica letteralmente “recinto per piccoli animali”; tutto il passo può significare che ÷attušili lasciò le sue truppe nell’abbondanza. Per la possibilità di una confusione avvenuta in A tra ašawar e aššuwa, “beni”, cfr. A. Goetze, loc. cit. r. 9. Integrazione secondo la r. 33. r. 10. Il Goetze (op. cit., 24 § 2) ritiene che dopo šara daøøun sia stata omessa una frase: , “e li diedi alla dea Sole di Arinna”; cfr. il testo accadico che si presenta, a suo avviso, come se si fosse basato su di un testo già mutilato. La frase che compare alla r. 9 di KBo X 3 si riferisce, presumibilmente, a quella analoga nella r. 11 di H. r. 11. GIŠGIGIR MÂDNANU doveva essere una specie di “carro per dormire”, cfr. J. Friedrich, HW Erg.-Heft 2, 29. r. 12. GEŠPU significa letteralmente “pugno”, ed anche “forza, violenza”, ed inoltre “ceppo, catena”. Che si tratti qui dunque di una “catena” o di un “ceppo”, in riferimento al bove menzionato prima? r. 13. : aggiunto in accordo alla r. 13 di KBo X 3. Già il Goetze (op. cit., 24 § 3) aveva suggerito questo completamento,

77

secondo la r. 39. Cfr. anche in A Ro 5: 9 DINGIRMEŠ-ŠU, e la spiegazione che dà il Goetze per giustificare la presenza del numero 9. Tanto in H che in A, qui e più avanti, vediamo che le divinità che “erano rimaste” (cioè, che non erano state portate alla dea Sole di Arinna) venivano condotte nel tempio della dea Mezzulla. Questa dea, che si presume di origine proto-hattica, era figlia della dea Sole di Arinna e del dio della Tempesta Târu, ed era venerata in quattro città. Negli Annali di Muršili II leggiamo che essa lo aveva protetto ed aiutato, insieme ad altre divinità, nelle sue guerre. La dea Mezzulla fungeva spesso da intermediaria tra gli dèi e gli uomini, dei quali portava in cielo le preghiere. r. 15. MU.IM.MA-anni significa qui “nell’anno successivo”, anziché “nell’anno precedente”, come in ÷ø II 195 (MSL 5, 65); cfr. anche Goetze, op. cit., 24 § 4, e J. Friedrich, HW Erg.-Heft 2, 30. In Ro II al posto di MU.IM.MA-anni si trova sempre MU.KAM-anni. In KBo X 3 Ro 15 si trova MU-an-n[i]. MU.IM.MA-anni = MU.KAM-anni = MU-anni dovrebbe corrispondere all’ittita witantanni (cfr. J. Friedrich, HW, 286 ed anche 256, s.v. *witantatar, “Jahresfrist”), che io però non intenderei come “nel corso dell’anno, durante l’anno (che vedrei espresso piuttosto dall’ittita witti = MU-ti e MU.KAM-ti, cfr. J. Friedrich, HW, 255, s.v. witt-), ma come “nell’altro anno”, cioè non durante l’anno in corso, ma nell’anno precedente o nell’anno successivo. Il prof. Meriggi mi ha ricordato come esempio il lat. externus dies e l’inglese yester-day, “ieri”, cui corrisponde il gotico gistradagis, “domani”, e mi ha mostrato anche l’eventualità, sebbene insolita, dell’uso, in inglese, di next year per last year, attestato in ILN 27, VI, 64, 1016, sotto la fig. (cfr. in proposito Oxford E. Dict., VI 122c § 8). r. 23. Il segno qui usato per designare GUD è anomalo. r. 24. Il Goetze, op. cit., 25 § 5, preferirebbe leggere qui EGIR-azya-za, da riferirsi ad appezziyaz piuttosto che ad appaz (cfr. NBr., 8). r. 28. Manca l’equivalente ittita alla frase in A Ro 13: “essa pose il mio Sole sul suo(!) grembo” (con il possessivo sbagliato: “suo” “di lui” anziché “di lei”, ciò che per il Goetze, loc. cit., non è in favore di un originale accadico). Ci aspetteremmo in H, secondo il Goetze, la frase genuwaš øalaššiya-, “porre sulle ginocchia”, come, per es., in Ullikummi, 78

I, III, 11 sgg.: con tale frase si vuol indicare la legittimazione della persona in questione (cfr. JAOS 69 [1949] 180). r. 29. [(ŠU)], integrazione secondo KUB XXIII 31 Ro I 7. Doveva trovarsi qui, evidentemente, una frase analoga a quella in A Ro 14. r. 32. : già il Goetze (loc. cit.) ha suggerito questo completamento, confermato, del resto, dalla stessa frase in Ro II 7. Abbiamo preferito tradurre l’espressione EGIR-pa øéššir “ dischiusero”, piuttosto che “riaprirono”, poiché ignoriamo se vi sia stata una precedente resa della città; tale espressione si ritrova anche più avanti, in Ro II 7. r. 35. Secondo il Goetze, op. cit., 25 § 6, si dovrebbe correggere a-úer con ú-e-er, e quindi tradurre così le 34-35: “e contro di me gli uomini della città di Ulma in battaglia per due volte vennero”. Anche senza questa correzione la frase presenta però un senso logico; cfr., del resto, anche le precedenti rr. 31-32. Nell’esemplare IBoT III 134 1 compare la voce verbale ú-it, “ venne”, che però non sappiamo se si riferisca alla città di Ulma o al Gran Re ittita, che parla di sé alla III pers., come si riscontra altrove. rr. 36-37. L’espressione “al suo posto sparsi/seminai erbaccia” ci è familiare sin dall’iscrizione di Anitta. rr. 38-39. Cfr. A Ro 18 sg.; secondo l’Otten, op. cit., 81 nota 21, c’è un equivoco nella versione ittita; secondo il Goetze, loc. cit., nessuna delle due versioni è corretta, ma egli cerca di spiegare come quella ittita sia più vicina all’originale. Purtroppo anche i nomi della dea Nikatiti/Katiti e della montagna Aranøapila/Aranøapilanni (col suffisso øurrico -ni?) ci sono stati finora sconosciuti e non possono perciò esserci di alcun aiuto. r. 42. In questa riga è menzionata la città di Šallaøšuwa, il cui nome viene giustamente interpretato dal Meriggi (in WZKM 8 [1962] § 7, 7778), in base anche ad altri esempi, come “città del Gran Re”. Questo è assai interessante, poiché ci mostra come si leggesse in ittita LUGAL.GAL. Il Meriggi ha poi aggiunto in calce al suo articolo, già pubblicato, la forma Šallaøšuwa, che compare in KBo XII 2 8, purtroppo in contesto distrutto.

79

r. 43. Come mi ha fatto osservare il prof. Meriggi, è probabile che il soggetto del passo all’inizio di questa riga sia la città di Šallaøšuwa, che si (-za) distrugge da se stessa (apašila), poiché nei passi vicini a questo, per non parlare di tutto quanto il testo, ÷attušili parla di sé in I pers. r. 44. Forse qui non c’è lacuna, ma soltanto una cancellatura. r. 45. URU-ri-mi-it: è strano quest’uso del possessivo -mit al Nom.Accus. Neutro, quando il sostantivo a cui si riferisce, URU-ri, è al Dat.Loc. Sing.; così anche in H Vo III 10. r. 48. L’integrazione all’inizio della riga è secondo A Ro 24. r. 50. LÚ-na-tar-na: così anche in KUB XXIII 33 3; si tratta di una forma insolita e difficile a spiegarsi, a meno che non si pensi ad un errore dello scriba, che abbia usato -na per -ra, e non si intenda qui LÚ-natar + -a; cfr. anche la nota seguente. rr. 51-52. Per le integrazioni proposte in queste righe ci siamo basati su KUB XXIII 33 rr. 3-4. Il Laroche (OLZ 57 [1962] 27) osserva che il passo LÚ-natarna kuin (egli certo legge ku-i-in laddove noi leggiamo kuit) daøøun che compare nel duplicato, corrisponde a MIMMA ŠA UBLAM in A Ro 25. Come però mi ha fatto giustamente notare il prof. Meriggi, fra kuit (3) e daøøun (4) c’è lacuna; si potrebbe quindi pensare anche ad un [pê]daøøun, cui poteva corrispondere pê]øøun nell’esemplare principale. rr. 53-54. È possibile che nella lacuna all’inizio della r. 5 di KUB XXIII 33 fosse menzionata la città di Appaya; in base a ciò abbiamo integrato l’inizio della lacuna alla r. 54 dell’esemplare principale. La città di Appaya non compare in A. r. 54. [URUUm-ma]-ya: integrazione secondo A Ro 26; cfr. la nota a H Ro II 1. In H non è menzionata la città di Takšana; cfr. in A Ro 27. Ro II r. 1. Fra la fine di Ro I 54 e l’inizio di questa riga non c’è lacuna, perciò la posposizione piran si riferisce probabilmente alla città di Ummaya. rr. 3-5. Si vuole indicare che il re della città di Parmanna fungeva da capo e da guida ai re delle città vicine. Il Goetze (op. cit., 25 § 8) traduce 80

qui: “that one (i.e. the town Parmanna) made even the ways (of behavior) before them (the other towns of the region)”, intendendo che Parmanna, per il suo compito di città capo (cioè più influente), persuadeva le altre città ad agire all’unisono; per l’idioma ittita egli rimanda a KUB XV 34 I 45. Per il verbo takšanniya-, “aggiustare, riparare, spianare”, cfr. J. Friedrich, HW Erg.-Heft 2, 23 s.v.; per la radice takš-, cfr. F. Sommer, Heth 2, 35 nota 2. rr. 7-8. Là dove in H si trova [a-pí-e-da-ni] me-mi-e-ni, “in quell’occasione, in quella faccenda”, in A Ro 29 si legge invece a-na bala-at, “nell’anno successivo”. Il Goetze (op. cit., 25 § 9), dopo aver osservato che è improbabile che si parli qui, a metà paragrafo, dell’inizio di un nuovo anno, cerca di spiegare ciò col fatto che in H, in una copia più antica, poteva trovarsi me-mi-an-ni come variante di me-mi-e-ni. Era quindi possibile equivocare con MU.KAM-an-ni, specie se la copia a cui si atteneva A aveva subito qualche danno. Questo convince una volta di più il Goetze che la versione ittita sia più corretta di quella accadica. Si può anche ammettere questa spiegazione, per quanto la presenza dell’aggettivo dimostrativo apêdani renda però difficile la possibilità del supposto equivoco, perché ne risulterebbe un’espressione affatto inconsueta (“in quell’anno successivo”). D’altro lato, l’integrazione apêdani mi pare qui l’unica plausibile, perché, ammettendo anche in una copia più antica la presenza di un termine memianni/memini, si deve logicamente pensarlo preceduto da un aggettivo dimostrativo. r. 8. nepíšaš DUTU(?)]: si potrebbe pure leggere DU, dato che nel testo rimangono soltanto le tracce di un cuneo angolare, e che anche il nome del dio della Tempesta si trova spesso preceduto dal termine nepíšaš, “del cielo, celeste” (cfr. anche più avanti, Vo III 36). Tuttavia, per il confronto con la versione accadica (Ro 30), ho preferito la prima lettura; pensò però che si tratti qui del dio Sole del cielo (Ištanu), che troveremo anche menzionato più avanti, Ro II 53. r. 11. Nella lacuna si notano probabili tracce dei segni na ed un. r. 14. [ú-e]-ir, “vennero”: integrazione secondo A Ro 32. Il seguente sumerogramma ÉRINMEŠ(ittita: tuzzi-š) è un plurale collettivo e compare quindi con i verbi al singolare; con esso si accorda il pronome -an alla r. 16. 81

r. 15. L’integrazione è secondo il Güterbock, (JCS 18 [1964] 3 nota 31); in A Ro 32 si trova la forma ÷A-LA-AB, ma il Güterbock preferisce una forma più breve (a noi, del resto, nota da altri testi ittiti) per lasciare spazio all’inizio della parola successiva; il completamento che egli dà di questa parola è libero, ma ci sembra assai probabile, sia perché i segni che si leggono dopo la lacuna, ]-an-ni, si presentano come il resto di un Dat.-Loc. sing. di un nome astratto in -tar (così anche il Goetze, op. cit., 25 § 10), sia perché tale integrazione non contrasta con il senso di A Ro 32 sg. r. 16. [MÈ-ya]: integrazione a senso. Le tracce rimaste dopo našmu non possono far pensare a zaøøiya, né a menaøøanda, la cui lettura sarebbe anche impossibile per motivi di spazio; si potrebbe forse pensare ad IGI (= menaøøanda), accompagnato dalla particella enclitica -k[án]. Non è menzionato in H il luogo della battaglia, che si trova invece in A Ro 33: “presso la montagna Adalûr”. Più avanti (A Ro 38 e H Ro 27), fra gli dèi di ÷aššuwa, compare anche Adalûr/Atâllûr. Riguardo all’ubicazione della montagna Adalûr, cfr. H. Otten, op. cit., 82 nota 23, e A. Goetze, op. cit., 28. r. 18. La similitudine “come un leone”, che si trova qui soltanto una volta, compare invece due volte in A Ro rr. 34 e 35 (ricorrerà ancora in A Vo 2, ed in H Vo III 1). Secondo l’Otten (op. cit., 82 nota 24), è possibile che tale similitudine si trovasse in A Ro 34 a causa dello scriba, influenzato dal testo della riga successiva. Secondo il Goetze (op. cit., 25 § 10), il testo originale accadico (A Ro 34) doveva avere un altro verbo, qualcosa come “I stole in upon (the river)”, che giustificasse la forma ir-ti, letter. “chest”. r. 19. Il Goetze, loc. cit., osserva che il verbo šakkuriya- corrisponde chiaramente all’accadico šapâku, “mandar (qualcuno) disteso”; il J. Friedrich (HW, 177 e HW Erg.-Heft. 2, 21) dà a questo verbo il significato di “sopraffare”. L’Otten, loc. cit., rimanda ad un altro testo storico originale in antico-ittita (si tratta di un’iscrizione trovata nel 1952 a Boˆazköy nello strato antico-ittita, studiata dall’Otten, in MDOG 86 [1953]; cfr. per il nostro caso la p. 61), dove si parla di un altro animale rapace, l’orso, insieme al quale compare una voce verbale, ora integrata dall’Otten in 82

base al nostro testo: [ša-ak-ku?-r]i-iš-ki-mi. Che si ricorra nell’autobiografia di ÷attušili ad un animale feroce differente si può spiegare, secondo l’Otten, col fatto che l’abitante della Siria settentrionale, cui ci si rivolgeva con il testo accadico, doveva sentire nel leone un’immagine familiare. Questa spiegazione però non mi convince troppo, in primo luogo perché non sappiamo se nel caso della nostra bilingue l’originale fosse stata la redazione accadica o quella ittita, poi perché l’immagine del leone non è inconsueta nei testi ittiti (cfr., per esempio, nel testamento dello stesso ÷attušili I (Col. II 39), per quanto anche questo documento fosse redatto in due versioni, accadica e ittita). Il Goodenough (Jewish Symbols in the Greco-Roman Period, VII. Pagan Symbols in Judaism, New York 1958 [= Bollingen Series 27], 37-45) ritiene che gli Ittiti considerassero il leone come simbolo del potere divino. È noto, del resto, che i leoni compaiono spesso nell’arte ittita in raffigurazioni di vario genere, come attributi di diverse divinità. r. 23. [ša-ra-a š]u-un-na-aø-øu-un: si tratta forse della solita frase: “e la mia casa (o, la mia città) col bottino empii fino all’orlo”; cfr. Ro I 2021. r. 26. L’integrazione è secondo l’esemplare VBoT 13 r. 4 (cfr. la nota relativa a p. 34), ed A Ro 37. r. 27. Per le integrazioni entro questa riga, cfr. VBoT 13 r. 5 ed A Ro 38. Anche i segni da noi indicati fuori della lacuna sono danneggiati nella parte superiore, ma si possono riconoscere. r. 28. 3 ALAM: nel passo corrispondente in A Ro 39 si trova: 13 come U 3 ALAM÷I.A. Si potrebbe intendere il gruppo di segni (ALAM÷I.A) (U è documentato talvolta, sebbene assai raramente, al posto di Ù), e pensare che le tre statue fossero offerte alle tre divinità Allatum, Atalur e Liluri, e che i due bovi fossero invece per il dio della Tempesta, per quanto non sembri esserci, in questo testo, una regola relativa al numero degli oggetti offerti agli dèi. Certo, nelle nostre due redazioni, A e H, si trova sempre la congiunzione Ù. Inoltre, anche nell’esemplare VBoT 13 r. 6 c’è scritto 13 ALAM, e questo mi lascia perplessa sulla validità della correzione proposta sopra.

83

r. 29. øamri-, santuario per divinità hurriche, cfr. J. Friedrich, HW Erg.-Heft 4. In hurrico il suffisso -ta esprime il caso direzionale, cfr. J. Friedrich, HE I, 24 § 93 c. r. 29. Nel testo I-TA-A-RU, corretto in I-GA!-A-RU, “parete”, per il confronto con A Ro 39; cfr. A. Goetze, op. cit., 26 § 11. Nell’esemplare VBoT 13 7 si trova qui kuttašša, da kutt-, “parete, muro”, cfr. J. Friedrich, HW Erg.-Heft 2, 16. Anche in H Vo III 23 si trova kuttanna, cui corrisponde in A Vo 15 IGARA. rr. 32-33. TAM-LU-Ú, “incastonatura, incastonato rivestito”; così anche il J. Friedrich (HW Erg.-Heft 2, 34) ed il Goetze (op. cit., 26 § 12), contrariamente all’Otten (op. cit., 82), che traduce in questo punto nel corrispondente testo accadico “gutes Gold” (non so però come egli legga il termine in questione). r. 33. , così il Goetze, loc. cit., secondo il corrispondente accadico, nel quale si parla però di un tavolo d’oro. r. 38. Non essendo qui ripetuta la preposizione accadica A-NA, ritengo che in ÷epat, figlia della dea Allatum, si debba riconoscere il nome della dea Sole di Arinna, in base all’identificazione di questa con la suprema dea hurrica. Tale identificazione non ci giunge nuova, anche se ne abbiamo notizia per il periodo del Nuovo Regno, quando si era manifestata una tendenza ad assimilare le principali divinità del pantheon ittita con quelle corrispondenti del pantheon hurrico (cfr. E. Laroche, JCS 6 [1952] 122 nota 56). r. 39. [ki-i]-ma: integrazione in accordo con A Ro 44 ed anche secondo la r. 44 della redazione ittita. r. 41. IMITTU: in CAD 7, 126 e sg., E, “a kind of spear or lance”, in J. Friedrich, HW, 308 (con il determinativo anteposto URUDU), “Stütze”; si tratta forse di un’impugnatura di lancia? Dopo IMITTU si trovano nel nostro testo i resti di un segno che poteva essere sia KÙ.BABBAR che GUŠKIN. rr. 42-43. ÷URPALÛ, “mazza”, secondo CAD 6, 263 s.v. ÷UPTALÛ (vi sono citati anche alcuni esempi in proposito). r. 46. Come giustamente osserva il Goetze (op. cit., 26 § 14), l’espressione AYALU GUŠKIN si trova qui certo per errore; cfr. più 84

avanti, Vo III 13. In questa stessa riga viene menzionato un personaggio a nome Tawannaga (mTa-wa-an-na-ga-aš), ciò che non si accorda con A Ro 46, dove si parla invece di una città omonima, Taúnaga (URUTA-ÚNA-GA). Questa città viene avvicinata dal Goetze (loc. cit.) a ‘URUTa-wana-ka di KBo IV 13 I 45; egli si domanda però chi sia, in tal caso, l’uomo che perde la “sua testa”, di cui si parla in H Ro II 47-48. Ho cercato di spiegare il senso del difficile passo in cui si trova questo nome, accettandone la correzione URUTawannaga, secondo il corrispondente accadico, leggendo poi MÂRI.[ŠU(?)], e considerando arøa pêššir (r. 47) come una III pers. plur. usata impersonalmente, come si trova di frequente in ittita. Si potrebbe così intendere il passo: della città di Tawannaga suo(?) figlio (= il re) spinsero via (= cacciarono); a questo re ÷attušili farebbe poi tagliare la testa. Non potrei citare, però, esempi del genere. A meno che non si tratti, invece, del figlio di un personaggio, verosimilmente di rilievo, anche se a noi ignoto, a nome Tawannaga. Il dottor Carruba ha avuto la cortesia di comunicarmi che l’Otten legge, alla fine della r. 46, ma-a-ri-¦in©, e che le foto del documento non permettono di precisare ulteriormente la lettura dei segni rimasti nella lacuna. Mi fa anche osservare che nei testi ittiti per designare il “figlio” si usa il sumerogramma DUMU piuttosto che il termine accadico MARU (cfr. in R. Labat, L’Akkadien de Boˆazköi, Bordeaux 1932, 164), e che la scriptio plena MA.A.RI compare raramente nei documenti assiri e babilonesi, dov’è testimoniata di solito la forma MÂ.RI, o altre simili (cfr. in F. Delitzsch, Assyr. Handwörterbuch, Leipzig 1896, 390 ed anche in J. J. Gelb, Inscriptions from Alishar and Vicinity, Chicago 1935 [= OIP 27], 21 e sgg., per le forme cappadociche, ed inoltre v. W. von Soden, Grammatik, § 15e). r. 48. ku-e-ir-šu-un: da kuerš-, “tagliare”; è questa una forma nuova, poiché quella che troviamo di solito nei testi ittiti è kuer-; il tentativo di spiegare la forma kuerš come un iterativo luvio viene escluso dal senso. D’altronde, l’interpretazione di kueršun come “tagliarono” viene confermata dal corrispondente accadico NAKÂSU, in A Ro 46. r. 51. SA÷AR÷I.A-iš: questa lettura mi è stata suggerita dal prof. Meriggi, poiché una lettura iš-øi-a-iš sarebbe troppo difficile a spiegarsi; infatti, traducendo “e loro legati su portai”, ci aspetteremmo il participio išøiyanteš.

85

Si potrebbe spiegare SA÷AR÷I.A-iš come un plurale collettivo, “polvere, caligine, oscurità, nebbia”, e intendere il passo “e a/per loro la polvere sollevai”, alludendo in tal modo all’intensità della battaglia, oppure “e a loro la caligine sollevai”, indicando metaforicamente che il re ittita aveva sollevato questi paesi dall’oscurità in cui erano immersi, portando loro la luce. Con il “dio del Sole” si allude qui probabilmente al re. Su SA÷AR, plurale tantum nei testi ittiti, cfr. H. Otten, Hethitische Totenrituale (1958) 127 e sg. (= Deutsche Akademie der Wissenschaften zu Berlin, Institut für Orientforschung, Veröffentlichung 37). r. 53. Ho inteso DUTU-uš come Ištanu, il dio Sole del cielo (cfr. la nota a Ro II 8), per quanto il complemento fonetico -u- potrebbe adattarsi anche a Wurušemu, la dea Sole di Arinna; questa dea, però, viene di solito menzionata insieme al nome della città a lei sacra, scritto ideograficamente o foneticamente. Cfr. anche la fine della nota precedente. r. 54.

: indicazione che la riga è incompleta.

Vo III r. 1. Per la similitudine “come un leone “, cfr. le note precedenti a Ro II 18-19. r. 2. Riguardo alla voce verbale tarkuwalliškinun, cfr. A. Goetze, op. cit., 26 § 15. r. 10. URU-ri-mi-it: cfr. la nota a Ro I 45. r. 13. Secondo il Goetze (op. cit., 26 § 17), AYALU indica qui un tipo di carro, ciò che lo induce a riflettere sul significato attribuito a questo termine in altri testi ittiti. Un’interpretazione del genere, però, è puramente ipotetica, infatti per il termine AYALU è ormai concordemente accettato il significato di “cervo”. Il Saporetti mi suggerisce la correzione .A.YA.LU(?) = MAYALTU “letto” (dunque con un significato analogo a MÂDNANU); avevo anch’io pensato a questa eventualità” ma non so se sia possibile una scrittura del genere. Si potrebbe anche accettare senza correzioni la presenza nella nostra frase di 1 AYALU GUŠKIN, “1 cervo d’oro” (che compare nella stessa 86

scrittura, inseritovi certo per errore, anche in Ro II 46) e pensare a qualcosa di analogo a quelle figurine stilizzate di cervi rinvenute frequentemente nelle tombe di Alaca Höyük; non troppo diversi dovevano essere, del resto, anche quei bovi o tori d’argento e d’oro, che si trovano tanto spesso menzionati come offerte anche nel nostro testo. Purtroppo, però, questi stendardi teriomorfi (che raffigurano sempre tori e cervi) non hanno paralleli in periodi più tardi. È noto tuttavia che il cervo era, con il toro, un animale sacro, ed il culto del dio cervo era assai diffuso in Anatolia in epoca ittita. Inoltre, oggetti di vario genere con raffigurazioni di animali, come tori, cervi e leoni, si ritrovano in tutta l’arte ittita. r. 15. Manca qui la frase corrispondente ad A Vo rr. 9-10, introdotta da: “io, il Gran Re, il Tabarna” (abbiamo in H soltanto la seconda frase introdotta allo stesso modo e corrispondente ad A Vo r. 11 sgg.). r. 17. Il sumerogramma KIN viene tradotto dal Goetze (JCS 14 [1960] 116) con “falce”; tale interpretazione è accettata anche dal J. Friedrich, HW Erg.-Heft 2, 30; l’Otten invece (op. cit., 83 nota 27) traduce “lavoro quotidiano”. Si deve infatti notare che manca qui il determinativo posposto URUDU, che segue appunto KIN, “falce”. In ogni caso, anche con la frase “togliere le mani dalle serve dalla macina e dei servi dalla falce (due oggetti simbolici per indicare un lavoro servile), si vorrebbe intendere ugualmente la loro liberazione dalla servitù. r. 18. Non ho tradotto in alcun modo i termini šaøøan e luzzi (H. Otten, loc. cit.: “Fron und Abgaben”), perché mi pare che le interpretazioni che ne sono state proposte finora, in relazione ad altri testi, non siano del tutto soddisfacenti. Cfr. in proposito A. Goetze, NBr. (1930) 54-59, e Kleinasien2 (1957) 108-109. Si tratta presumibilmente di prestazioni che si devono compiere e che sovente, ma non sempre, sono legate al possesso di terre. Nei testi dove compaiono questi due termini (anche in alcuni paragrafi della raccolta di Leggi Ittite) non si nota una distinzione evidente riguardo al loro uso, e non si può stabilire con certezza a quali categorie di persone fossero legati. rr. 18-19. Col verbo arawaøø-, “sollevare, rendere libero, esentare”, ci saremmo aspettati piuttosto l’ablativo che lo strumentale, per quanto

87

sia noto che spesso questi due casi vengono usati l’uno al posto dell’altro; cfr. J. Friedrich, HE I, 70 § 229a. r. 19. Con l’espressione “e dalle (relativamente alle) loro cinture li disciolsi (oppure “e relativamente a quelli le loro cinture disciolsi”) si vuol indicare la liberazione di questi servi dalla loro servitù. Mi sembra opportuno qui richiamare un passo assai discusso, che compare nella raccolta di Leggi Ittite, II Serie, § 175 rr. 19-20, dove si vuol stabilire che i figli di una donna libera, che ha perso la sua libertà dopo due o tre anni di convivenza ininterrotta con un uomo non-libero, devono cadere anch’essi in stato di servitù. Questo si esprime mediante una frase che mi sembra la diretta antitesi alla nostra: (19) Ù DUMUMEŠŠU iš-øu-na-a-an-zi iš-øu-uz-zi-ya-aš-ša (20) Ú-UL ku-iš-ki e-ip-zi, “(19) e i suoi (= della donna) figli si degradino (cioè, cadano in servitù) ed alle cinture (20) nessuno (li) afferri”, nel senso cioè che nessuno ha la facoltà di sciogliere, liberare dalla servitù i figli nati da un’unione del genere. Riguardo alla frase che compare alla r. 20 del nostro testo, “e alla dea Sole di Arinna, mia signora, li cedetti” l’Otten osserva che in tal modo questi schiavi vengono subito trasferiti da una servitù ad un’altra, quella templare, in virtù della quale sono esonerati dal šaøøan e dal luzzi; in questo senso, egli conclude, si deve intendere in A Vo 14 (ed anche in altre iscrizioni accadiche) la frase “porre la libertà”. Riguardo a questo genere di esenzioni per gli addetti al servizio templare, cfr. nella raccolta di Leggi Ittite, I Serie § 51 (KBo VI 3 III 3-6). r. 23. In questa riga la scrittura giunge fino all’orlo della frattura, e nell’intervallo fra questo e il margine della tabella vi sarebbe ancora spazio per qualche segno, ma il contesto fa escludere che vi sia una lacuna. Si deve inoltre notare, in questa riga, che la scrittura ša-ra è inconsueta (gener. ša-ra-a), e che il segno cuneiforme usato qui per indicare É, “casa” è anomalo. r. 25. URUTi-ma!-na: in realtà nel nostro testo si trova scritto URUTi-išna, ma abbiamo letto URUTi-ma!-na per il confronto con l’esemplare KUB XXIII 20 8, e per la corrispondenza con A Vo 16, dove si trova URUDim!ma-na-ya; il Goetze (op. cit., 26 § 18) rimanda per un confronto a KBo I 1 Ro 12-21. 88

rr. 27-28. Non comprendo perché il Goetze (loc. cit.) dica che queste due righe non figurano in A: cfr. A Vo 17-18. L’integrazione alla r. 27, [(2 ALA)M], è secondo KUB XXIII 20 r. 9, e si accorda pure con le tracce rimaste dei segni; cfr. anche A Vo 17. r. 29. L’integrazione è secondo A Vo 18; ku[-iš-ki] in KUB XXIII 20 r. 10. r. 30. L’integrazione è secondo A Vo 19. r. 31. KARAŠ÷[(I).A]: integrazione secondo KUB XXIII 20 11; il Güterbock, op. cit., 1 e nota 10, integra ancora: KARAŠ.H[(I).A-YA-anmu(?) EGIR-an(?)], in base ad A Vo 19. r. 32. L’integrazione è secondo il Güterbock, op. cit., 1 e nota 20. A proposito del periodo che ha inizio in questa riga, dopo zâiš, e che continua fino alla r. 36 compresa, il Goetze (op. cit., 26 § 19, osserva che esso non deve avere come soggetto ÷attušili, ma un’altra persona, poiché vi si usa la III pers., mentre si ricomincia a servirsi della I pers. dalla r. 37 in poi (§ 20) (anche se in H le desinenze dei verbi dalla r. 37 in poi si trovano tutte nella parte lacunosa, in KUB XXIII 20 rr. 15 e 17 rimangono le desinenze di due verbi, alla I pers. sing. del preterito); si deve però ricordare che ÷attušili parla di sé in I e in III pers. nel primo paragrafo del nostro testo (per quanto si potrebbe, in questo caso, pensare all’uso della III pers. in forma di preambolo). Il Goetze confronta la forma che compare in H alla fine della r. 32, e che egli legge LUGAL-r[i ....], con la forma che si trova in A Vo 20, LUGAL-KI-NIŠU, e si chiede se non si debba leggere (o emendare) questo nome come (m) Šarru-ki-ni/nu/na, e riconoscervi il famoso re accado Sargon. Non così aveva inteso l’Otten, op. cit., 83. Ora il Güterbock, (op. cit., 1-6), essendo partito (ma indipendentemente) dalle stesse considerazioni del Goetze, è giunto anch’egli alla conclusione che il soggetto del § 19 fosse, molto verosimilmente, Sargon, re di Akkad. Egli osserva, op. cit., 1, che il segno rimasto in H dopo LUGAL può essere letto, oltre che r[i] (così A. Goetze, loc. cit.) anche z[i] e g[i]: quest’ultima possibilità richiama la lettura ittita del nome di Sargon, LUGAL-gi-na-aš; riguardo all’omissione del determinativo di persona davanti al nome, il Güterbock (op. cit., 1 note 5 e 6; cfr. anche Goetze, loc. cit., nota 2) osserva che ciò si riscontra comunemente, per questo nome, nei testi ittiti e øurrici, e talora anche in quelli accadici. 89

Egli porta inoltre argomentazioni di carattere storico-geografico, per convalidare la tesi che si parli, in tutto questo passo, di Sargon, re di Akkad. r. 33. [(URU)÷a-aø-øi-ma]: l’integrazione è secondo A Vo 21; il determinativo URU si trova in KUB XXIII 31 5; il Güterbock, op. cit., 1, integra [(URU)÷a-aø-øa-an-ma], ma nella nota 14 si chiede se non sia preferibile integrare con il dativo anziché con l’accusativo. r. 34. i-ya[-zi(?)] oppure i-ya[-at(?)], come ha integrato il Güterbock (op. cit., 1 e 2, e nota 15), il quale aggiunge poi [Ú-UL-an IZI-it(?)]. A proposito di quest’integrazione, si deve però osservare che in A Vo 21 si usa la stessa frase, anche se in forma negativa, della successiva r. 23, IŠA-TÚ Ú-UL IT-TA-DÌ, mentre, nel caso nostro, si usa nella r. 35 un’espressione che sembra diversa da quella affermativa che compare più avanti nella r. 39 (per quanto sia incerta l’integrazione tarnaøøun; cfr. anche H.G. Güterbock, op. cit., 2 nota 23), e non ci pare inoltre necessaria l’integrazione IZI-it, “col fuoco”, poiché l’idea di distruggere col fuoco è già contenuta nell’espressione arøa warnuzzi (warnu-, “bruciare”) della r. 35, che corrisponde ad arøa lukkit, che si trova nel duplicato KUB XXIII 20 13. r. 35. Integrazione secondo la successiva r. 40 ed A Vo 22; così anche il Güterbock (op. cit., 2 nota 16), che propone però anche l’integrazione tuø-øu-wa-in-na, cioè tuøøuwain+-a. r. 36. DU-ni: D÷umu(n)ni, oppure DZašøapuni. Il sumerogramma DU con il complemento fonetico -u(n)na- è letto da F. Sommer-H. Ehelolf (BoSt 10, 49) Zašøapuna-, e dal Brandestein (ZDMG 91, 566 sg.) ÷umunna-. ÷umunni è il nome hurrico-occidentale del dio della Tempesta, ittitizzato in D÷umu(n)naš; cfr. in proposito E. Laroche, Rech., 49, e, per il dativo, 109: DIM-un-ni, in KBo III 22 Ro 2. r. 37. Alla fine di questa riga il Goetze (op. cit., 26 § 20) postula la presenza di GIM-an, in accordo con A Vo 23: KI-I; secondo il Güterbock, op. cit., 2 nota 19, tale presenza, anche se possibile, non è necessaria per il contesto di H. r. 39. L’integrazione è secondo H Ro I 43. r. 40. Integrazione secondo A Vo 24; per il Güterbock (op. cit., 2 nota 23), invece, un’integrazione del genere è dubbia. 90

r. 41. nu URU÷a-aš-šu-wa, correzione secondo KUB XXIII 20 16; già il Goetze, loc. cit., si era prospettato l’eventualità di una correzione del genere. Duplicati: non potendosi escludere nei duplicati varianti grafiche rispetto a H, ho integrato in questi frammenti soltanto le parole di cui è rimasta traccia. KBo X 3 (203/p) Ro I r. 1’. Cfr. la nota alla r. 3 di H Ro I. r. 3’. Ú-UL: in H Ro I 4 si trova qui natta, cfr. la nota in proposito. r. 4’. ÉRINMEŠ-an 2-e: in H Ro I 6 mancano i complementi fonetici ittiti. r 6’. ÉRINMEŠ-aš: il complemento di termine è qui espresso solo grammaticalmente con l’indicazione dell’uscita del dativo, senza la preposizione accadica A-NA, come nel punto corrispondente in H Ro I 8. r. 7’. URUZa-al-pa: il complemento di moto a luogo è qui espresso solo grammaticalmente, con l’indicazione dell’uscita del dativo, senza la preposizione accadica I-NA, come nel punto corrispondente in H Ro I 9. r. 7’. nu: in H Ro I 9 [EGIR-an-d]a-ma. r. 8’. nu: in H Ro I 110 nu-uš-ši. r. 9’. URUA-ri[-in-na], scritto foneticamente; in H Ro I 11 URUTÚL-na. rr. 10’-11’-14’. pí-e-da-aø-øu-un, anziché pí-eø-øu-un, come nei punti corrispondenti in H Ro I 11, 12, 14. r. 11’. DU: in H Ro I 12 DIŠKUR. r. 13’. A[-NA(?)]: integrazione libera; può darsi che seguisse ancora nella lacuna É DMe-iz-zu-ul-a, come in H Ro I 13.

91

KUB XXIII 31 (Bo 6074) Ro I rr. 4’-5’. Fra queste due righe c’è una linea di divisione di paragrafi che non compare in H Ro I, fra le corrispondenti rr. 26 e 27. IBoT III 134 (+) KUB XXIII 41 (Bo 331) r. 6’. Questo passo non compare in H Ro I 38-39. Riportiamo la traduzione delle 5 e 6: “un bove d’argento alla dea Katiti, alla montagna Araøapilanni, nel tempio della dea Sole di Arinna detti”. r. 8’. pí-e-da-aø-øu-un: in H Ro I 40 pí-eø-øu-un. r. 9’. Per le integrazioni delle lacune di questa riga, cfr. la r. 41 di H Ro I. KUB XXIII 33 (Bo 4294) Ogni riga di questa tavoletta (scritta in una colonna) contiene due righe del testo corrispondente in H Ro I 46-II 10. Vi si nota anche una diversa suddivisione di paragrafi. rr. 3’-4’. Cfr. le note a H Ro I 50-52. r. 5’. Cfr. la nota a H Ro I 53-54. VBoT 13 Questo frammento è parallelo ad A Ro 36-40, rispetto al quale presenta però delle varianti. r. 4’. DU EN ar-ru-uz-za: in A Ro 37 si trova DU EN AR-MA-RUUK. r. 5’. DA-da!-al-lu[-ur]: nel testo si legge però DA-iš-tap-al-lu[-ur]; la correzione è secondo H Ro II 27 ed A Ro 38 (cfr. anche E. Laroche, OLZ 57 [1962] 27). r. 6’. 13 ALAM: cfr. in proposito la nota a H Ro II 28.

92

r. 7’. ku-ut-ta-aš-ša: in H Ro II 29 I-TA-A-R U, corretto in I-GA!-ARU, cfr. precedentemente la nota relativa. KUB XXIII 20 (Bo 3229) Ogni riga di questa tavoletta (scritta in una colonna) contiene due righe del testo corrispondente in H Vo III 14-42. Vi si nota anche la mancanza di linee di separazione di paragrafi. r. 10’. [fDMal]an: manca poi la congiunzione enclitica -a (contenuta nella sillaba -ma), cfr. H Vo III 29. r. 13’. Cfr. la nota a H Vo III 34. KUB XXIII 31 (Bo 6074) r. 2’. Il Güterbock (op. cit., 1 nota 9) legge qui La?-ba?[-...]. r. 3’. Dopo [G]ÌR manca il determinativo del plurale MEŠ, che si trova invece in H Vo III 32. r. 4’. Prima della menzione della città di ÷aøøa (al genit., come in H Vo III r. 33?) manca il determinativo URU. r. 6’. ]-qa(?): è forse l’ultima sillaba di kuwatqa o kuelqa? r. 7’. [DU]: integrazione secondo H Vo III 36; così anche H.G. Güterbock, op. cit., 2 nota 17. r. 8’. Il Güterbock (op. cit., 2 nota 19) integra così la lacuna all’inizio della riga: [LUGAL.GA]L(?)-ma, in accordo con H Vo III 37; questo completamento però non mi convince troppo, perché non vedo corrispondenza fra le parole rimaste nelle due righe. Le tracce rimaste nella r. 8 dopo la lacuna, prima di -ma, possono anche giustificare la lettura ši, o LIM, o wa (si tratta forse dell’ultima sillaba di [URU÷aššuw]a?). r. 10’. Integrazione secondo A Vo 23; così anche H.G. Güterbock, op. cit., 2 nota 23; per una possibile integrazione del nome o dei nomi divini contenuti nella lacuna dopo A-NA, cfr. H Vo III 4 e la relativa nota *.

93

VI.

É duppaš, LÚtuppanuri *

Nella tavoletta ABoT 571 e nel paragrafo corrispondente in KBo IV 10 (Ro 40-47) si parla della concessione da parte di un sovrano ittita3 al re del paese di Tarøuntašša di particolari esenzioni da obblighi militari, per permettere ai soldati di questo paese di adempiere ad alcune prestazioni di lavoro dovute alla divinità. Dalle rr. 13-19 di ABoT 57 e dalle corrispondenti rr. 42-44 di KBo IV 10 apprendiamo che esisteva un obbligo per la “casa della tavoletta (É duppaš) del paese del fiume ÷ulaya” (in questo caso, cioè, del paese di Tarøuntašša)4 di fornire al paese di ÷atti guerrieri su carri e soldati a piedi. Riportiamo il passo in proposito tratto da KBo IV 10, poiché qui è più completo: 2

Ro 42 . . . nu-ut-ta LUGAL MUNUS.LUGAL-ya ki-i iš-øi-ú-ul i-e-ir ANŠU.KUR.RA KARAŠ-wa-aš-ši 43 ku-it I-NA URU÷at-ti ŠA KUR ÍD÷u-la-ya É du-up-pa-aš øar-zi na-atši-ya-at DUTUŠI ar-øa pí-eš-ši-ya-at nu-uš-ši zi-la-du-wa ŠA URU÷at-ti 44 la-aø-øi-ya-an-ni 2 ME i-ya-at-ta-ru ŠA É du-up-pa-aš ma-aš-ši KARAŠ÷I.A li-e nam-ma ša-an-øa-an-zi ... * Queste pagine fanno parte di un ampio lavoro sui testi ittiti relativi ad esenzioni da tributi e da prestazioni, al quale attendo da tempo. Le offro al Prof. Meriggi con una gratitudine e devozione affettuosa, di cui avrei voluto dargli un più cospicuo segno. 1 Pubblicata dal K. Balkan in ABoT 57; v. anche la descrizione del documento a p. IX sg. 2 È questo un trattato di vassallaggio stipulato fra un sovrano ittita, probabilmente ÷attušili III durante i suoi ultimi anni di regno, e il re di Tarøuntašša. Per gli studi su questo documento, v. E. Laroche, CTH, 68. 3 Come abbiamo già detto nella nota precedente, si tratta con molta probabilità di ÷attušili III; comunque, dei problemi relativi alla datazione di questi documenti tratterò diffusamente altrove. 4 Sul paese del fiume ÷ulaya, v. J. Garstang- O.R. Gurney, Geogr. (1959) 69-72.

95

42 “...allora per te (= il re di Tarøuntašša) il re e la regina (di ÷atti) questo concordato fecero: i guerrieri su carri e i soldati a piedi, 43 che nella città di ÷atti la “casa della tavoletta” del paese del fiume ÷ulaya ha (da consegnare), allora a lui ciò il Mio Sole tolse, e per l’avvenire per lui 44 in una spedizione militare della città di ÷atti 200 (uomini) vadano, ma i soldati a piedi della “casa della tavoletta” a lui non si chiedano più...”. Ancora non è chiaro il valore dell’espressione É duppaš.5 Il Güterbock,6 a proposito della corrispondente espressione sumerica É DUB.BA.A, che compare in un testo epistolare ittita da lui preso in esame (ABoT 65 Vo 8), osserva che nei documenti cassiti contemporanei provenienti da Nippur essa designa notoriamente una “Institution”,7 non conosciamo invece ancora il carattere di queste “case della tavoletta” presso gli Ittiti.8 La lettera sopra citata9 è stata scritta da un certo Tarøuntišša, non meglio noto, a Palla, forse da identificarsi con uno scriba dello stesso nome.10 Nel paragrafo che a noi interessa Tarøuntišša si lagna di essere perseguitato dal padre di un certo Atiunna: Vo 8 9 10 11

nu øa-an-da-a-an A-NA mA-ti-u-un-na I-NA ¦É© DUB.BA.A ki-iš-ša-an me-ma-aø-øu-un A-BU-KA-wa-mu-uš-¦š©a-an EGIR-an-pát ki-it-ta-ri EGIR-an a¦r-ø©a-wa-…a-a¦š©-mu Ú-UL nam-ma ne-e-a-ri Ú-UL-w¦a©-[ra]-aš [k]i-¦i©

V. ABoT 57 rr. 15, 18; KBo IV 10 rr. 43, 44. In ADTCFD 2 (1944) 402. 7 Egli rimanda alla dissertazione del Balkan, Önasyada feodalizm ara$timalar½ I: Kaslar devrinde Babil, riassunta in ADTCFD 2 (1944) 45 sgg. 8 Il Friedrich, HW, 228, definisce É duppaš come “nicht näher bekannte Institution”, ma non uguale a É DUB.BA.A “casa della tavoletta, scuola”. 9 V. H.G. Güterbock, op. cit., 399-405; E.F. Weidner, AfO 15 (1945-1951) 153 sg.; L. Rost, MIO 4 (1956) 345-350. 10 Cfr. in proposito L. Rost, op. cit., 347 nota alla r. 2 del Recto. 5

6

96

8 9 10 11

“Ed invero ad Atiunna nella “casa della tavoletta” io parlai nel modo seguente: “Tuo padre mi incalza/perseguita ancora, egli non mi lascia più in pace; egli non...”.

La Rost, riprendendo in esame questo documento,11 dopo aver rilevato, d’accordo col Güterbock, la singolarità della presenza dell’espressione É DUB.BA.A nei testi ittiti, sostiene che essa indichi qui la “scuola”. Pensa infatti che Tarøuntišša, poiché si rivolge allo scriba Palla con l’espressione “mio amato fratello” (ŠEŠ.DUG.GA-YA), debba anch’egli appartenere alla casta degli scribi; inoltre riconosce come scribi anche altri due personaggi menzionati nella stessa lettera, ÷attušili e Armaziti, e quindi l’interpretazione “scuola” si adatterebbe, a suo avviso, a tutto quanto il testo.12 Questi argomenti non mi sembrano sufficienti per giustificare tale interpretazione in questo documento. Come giustamente ha messo in rilievo il Güterbock, i corrispondenti di questa lettera appartengono con molta probabilità alla categoria dei possessori di feudo13 e vi si parla di intrighi per la sottrazione di questi beni;14 inoltre, anche se effettivamente sono testimoniati scribi coi nomi di ÷attušili e di Armaziti, non è però sicura la loro identificazione nel nostro testo;15 infine l’espressione “mio amato fratello” può essere un’allocuzione dell’uso epistolare.16 Si tratta del lavoro citato alla nota 1. V. L. Rost, op. cit., 348, continuazione della nota alla r. 2 del Recto, e 349 sg. 13 Ciò che però non escluderebbe che fossero anche scribi; v. l’esempio di Šaøurunuwa in KUB XXVI 43, ma di questo documento parlerò a lungo altrove. 14 Il Güterbock, op. cit., 402 sg., fa appunto notare che il mittente di questa lettera è certo un possessore di feudo, poiché nel Verso egli si lamenta che gli è stata portata via la “sua casa”, cioè i suoi beni; la frase alla r. 6: “tu non ti saresti indispettito?” lo induce a pensare che Palla fosse implicato in questo intrigo. Quindi, conclude il Güterbock, quando designamo questa lettera come il primo documento privato ittita a noi noto, dobbiamo però tener presente il rango dei corrispondenti, che non sono comuni persone private, ma appartenenti alla nobiltà, alla categoria dei possessori di feudo. 15 V. infatti E. Laroche, NH (1966) 66 e 41. 16 La Rost, op. cit., 349, per il valore di É DUB.BA nell’àmbito sumero-accadico, cita i lavori di A. Falkenstein, WO (1948) 172-186; N.S. Kramer, JAOS 69 (1949) 199215; B. Landsberger, JCS 9 (1955) 121-131. In questi articoli si prendono in esame anche altre espressioni come DUMU É DUB.BA “figlio della casa della tavoletta” e DUB.SAR “scrittore di tavolette”. Particolarmente interessante è l’osservazione del 11

12

97

In un frammento molto esiguo, probabilmente di un rituale, compare l’espressione duppaš parnaš, ma il testo è troppo breve per poterci offrire qualche aiuto.17 In un documento in cui si emanano istruzioni al personale del Palazzo per garantire la purezza del sovrano (KUB XIII 3 III 10) si trova una espressione che si può leggere come É LÚ dup-pa-a-aš.18 Nel contesto di cui essa fa parte si stabilisce che “i lavoratori del cuoio della casa dell’uomo taršipaliyaš, della casa dell’uomo duppâš (LÚMEŠ AŠGAB ŠA É LÚ taršipaliyaš ŠA É LÚ duppâš) ecc.” devono prendere pelli di bove e di capra soltanto dalla “casa del cuoco”. In ABoT 57 (e nel paragrafo corrispondente in KBo IV 10) mi sembra che l’espressione É duppaš designi una “sede dell’amministrazione”, la sede, cioè, delle tavolette su cui era segnata la contabilità.

Landsberger (op. cit., 125 nota 22), il quale, dopo aver ricordato la possibilità di alternanza di questi due termini (già rilevata dall’Ungnad, BA 6 [1909] 61), afferma che il titolo DUMU É DUB.BA era riservato agli scribi dell’amministrazione reale, e soprattutto a scribi militari, e non si riferiva ai comuni scribi di villaggi (v. anche F. Thureau-Dangin, RA 21 [1924] 25, Nr. 11, r. 22). Del resto lo stesso Kramer, in un’appendice al lavoro sopra citato, in base ad alcuni suggerimenti fornitigli dal Landsberger, a p. 214, r. 1, dice che il DUMU É DUB.BA non designa uno scolaro; come aveva pensato, ma “an old graduate of the É DUB.BA”. 17 FHG 16 II 4, in E. Laroche RA 46 (1952) 42 e Tav. III. FHG 16 Ro II: 1 ]-an 2 ]øa-an-ni-ya-aš 3 ]a-at-ta URU(?)Iš-wa-ri 4 ]dup-pa-aš par-na-aš i-en-zi 5 ________________________ 6 -u]š(?) KUŠkur-ša-aš 7 ]. ku-it ni-ni-i¦n©-kán 8 ]É-az p¦í©-an-zi Il Friedrich, in FsMeissner (1928) 47 e 53, legge qui LÚappâš, e a p. 49 nota 5, e a p. 53 definisce il termine come un nome di professione finora noto soltanto in questo testo; v. anche in HW, 25, s.v. LÚappâ-; diversamente invece in HW, 228; anche il Goetze, ANET (1950) 207, legge qui LÚappâš. Comunque, il segno qui riconosciuto come ap è uguale al primo segno leggibile nella r. 4 di FHG 16 Ro II (cfr. la nota precedente). 18

98

Tale interpretazione troverebbe, a mio avviso, conferma nella corrispondente espressione accadica BIT DUPPAŠŠI, presente in un testo di Ugarit19 nel quale si legge che il sovrano ittita Tutøaliya IV ha concesso al re di Ugarit (Ammistamru II) l’esenzione dal partecipare con truppe a piedi e su carri alla guerra contro l’Assiria, ma in cambio di tale esenzione “(17) il re di Ugarit 50 mine d’oro (18) provenienti (prelevate) da 10 carovane (!) del BIT DUPPAŠŠI (19) al Mio Sole ha dato”. Questo passo è formulato in maniera analoga a quello da noi preso in esame in ABoT 57 (e in KBo IV 10) e mi sembra che l’interpretazione qui proposta per É duppaš sia convalidata da quella che il Nougayrol ha dato per l’espressione BIT DUPPAŠŠI: una specie di “banca” o di “contabilità centrale”, di cui il commercio di stato di Ugarit si serviva nella capitale ittita.20 Nel caso nostro, potrebbe trattarsi di una “sede dell’amministrazione” del paese di Tarøuntašša, o, meglio ancora, di “sedi amministrative” dislocate dal regno di ÷atti nei paesi a lui soggetti. Qui tali sedi dovevano, ovviamente, assumere maggiore importanza che non nel paese di ÷atti stesso, poiché servivano per raccogliere tributi per il sovrano. Sulla base di questa interpretazione, si può riesaminare la questione del significato del titolo di un alto dignitario della corte ittita, menzionato nei documenti di Ugarit ed al quale il re di questo paese doveva consegnare un tributo. Si tratta del dignitario designato come LÚtuppanuri e LÚtuppalanuri (ugaritico tpnr)21e citato in questi documenti insieme ad PRU IV, 149-151, Nr. 17.59 r. 18; v. J. Friedrich, HW Erg.-Heft. 1, 22. PRU IV, 22. Il Nougayrol fa inoltre notare che gli Ugaritici residenti all’estero, per ovviare alcune difficoltà, venivano talvolta a formare delle associazioni (TAPPÛTU: PRU IV, 221, Nr. 17.383, ultimo paragrafo) con divinità locali. Ciò fa venire in mente la colonia di (commercianti) fenici a Pyrgi e il sincretismo evidente delle loro divinità con quelle etrusche locali. Sul valore del TAPPUTU, v. W. Eilers, Gesellshaftsformen in altbabylonischen Rech, Leipzig 1931 (= LRSt 65). Cfr. in PRU IV, 264, il termine TAPPU “socius”, su cui si forma l’astratto TAPPUTU. Diversamente il Liverani (Storia di Ugarit, Roma 1962, 111 e nota 51) interpreta, del resto con molte riserve, l’espressione BÎT DUPPAŠŠI. 21 LÚtuppanuri: PRU IV, 82 Nr. 17.382 r. 36, accordo fra Muršili II e Niqmepa di Ugarit, e pag. 47 sg., RS 11.732 A r. 7, B r. 5, inventario di tributi per la corte ittita; LÚtuppalanuri: PRU IV, 42, 44, Nr. 17.227 r. 30, e duplicato Nr. 17.347 r. 15’, accordo fra Šuppiluliuma e Niqmadu di Ugarit, e la versione ugaritica di questo accordo, pag. 46 r. 31’ (dove appunto a LÚtuppalanuri corrisponde ltpnr); v. anche pag. 264. Questo 19

20

99

altri grandi del regno, dopo il re, la regina e il principe ereditario (TARDENNU).22 Il Goetze23 considera il termine LÚtuppanuri- come hurrico: *tuppanni-(u)ri, di cui -(u)ri sarebbe il suffisso hurrico corrispondente a GAL “grande, capo”, e *tuppan-ni significherebbe “il potente”.24 A suo avviso, il titolo *tuppan-ni si accorda con le funzioni del LÚUKU.UŠ, ufficiale militare ittita di alto rango. Dal Nougayrol apprendiamo però che accanto alla forma tuppanuri esiste una forma tuppalanuri25 che esclude l’interpretazione del Goetze. Il Laroche26 spiega la forma tuppanuri come tuppan, genit. plur. in an di tuppi- “tavoletta”, + uri- “grande”:27 si tratterebbe quindi del “grande delle tavolette”, mentre spiega la forma tuppalanuri come tuppalan, genit. plur. di *tuppala- “scriba” (nome ittita di agente in -ala-) + uri: sarebbe dunque il “grande degli scribi”, il GAL.DUB.SAR. Questi - rileva il Laroche - aveva un posto eminente nella gerarchia ittita, secondo quanto dimostra l’ammontare del tributo a lui dovuto: esercitava probabilmente la funzione di cancelliere e di ministro degli interni. È però evidente l’equivalenza dei due titoli, LÚtuppanuri e LÚtuppalanuri, nei documenti ugaritici da noi esaminati.28 Ora, ci chiediamo in che rapporto potesse stare il LÚtuppaš (KUB XIII 3 III 10) col LÚtuppan-uri e col LÚtuppalan-uri. È possibile che il LÚtuppaš “uomo della tavoletta” equivalesse nel significato al nomen agentis LÚtuppala- e così pure il LÚtuppan inteso come genitivo plurale di LÚtuppaš, nel senso cioè di “uomo delle tavolette”. Si potrebbe quindi considerare il LÚtuppan-uri non come il titolo non compare finora nei testi ittiti, v. J. Friedrich, HW, 228; Erg.-Heft 1, 21 e sgg.; Erg.-Heft 2, 26. 22 Per questo significato del termine TARDENNU nei testi di Ugarit, v. J. Nougayrol, PRU IV, 264, e M. Liverani, Storia di Ugarit, 106 sg., ed in OA 1 (1962) 254sg. 23 RHA 12 (1952) 4 sg. 24 Hurrico tu-bu-e = Sumer. KALAG.GA “forte, potente”: vi si può riconoscere il primo elemento del nome Tuppi-Teššup. 25 PRU IV, 42 nota 1: tale forma non può essere un semplice lapsus, poiché si ritrova in un duplicato e le due tavolette non sono copiate l’una sull’altra. 26 RHA 14 (1956) 26-32. 27 Su uri-/ura- “grande” nel lessico luvio e ittita, v. E. Laroche, op. cit., 28 e 32 nota 1. 28 Cfr. note 21 e 25.

100

“grande delle tavolette”, ma come il “grande (degli uomini) delle tavolette” (con una sola indicazione di persona), ciò che spiegherebbe anche l’equivalenza dei due titoli LÚtuppanuri e LÚtuppalanuri. Ora, pur riconoscendo per l’ “uomo della tavoletta” e per il LÚtuppala come primo significato quello più ampio di “scriba”, se però accettiamo per É duppaš la specifica interpretazione di “sede amministrativa”, potremo allora considerare il LÚtuppanuri/LÚtuppalanuri come “un sovrintendente, un capo degli addetti all’amministrazione”. Questo dignitario aveva probabilmente il compito di tutelare gli interessi del re di ÷atti nei paesi a lui soggetti ed era incaricato della esazione dei tributi per il sovrano. La sua funzione assumeva quindi una grande importanza soprattutto all’estero: per questo egli, nei citati documenti di Ugarit, compare in posizione preminente e gli spetta un tributo assai alto.

101

VII.

“SIGNORI” E “FIGLI DEL RE”

Fra i cosiddetti “testi di istruzione”1 emanati da sovrani ittiti per dignitari o altre categorie di persone che operavano nell’àmbito militare, cultuale o del Palazzo, ve ne sono alcuni diretti ai BÊLU/ENMEŠ e ai DUMUMEŠ.LUGAL, ai “signori” e ai “figli del re”.2 È noto che nei testi ittiti il termine “signore” compare talora come appellativo generico di chi occupava una posizione elevata (anche dello stesso sovrano o di una divinità), oppure ricorre in espressioni del tipo EN SISKUR (“signore del sacrificio” = il committente del sacrificio), ešøanaš išøa- (“signore del sangue” = l’erede della vittima di un omicidio, il vindice), EN QÂTI (“signore della mano” = artigiano), ecc.,3 talora invece si trova come designazione degli appartenenti ad una categoria di rango assai alto, intesa come l’insieme di dignitari che non avevano né lo stesso titolo né le stesse funzioni, ma ai quali spettava la denominazione di BÊLU/ENMEŠ: “qualcosa, in sostanza, di più specifico di una semplice

Su questa designazione, talora impropria ma ormai comune fra gli studiosi della civiltà ittita, v. E. Laroche, CTH, 35, e un nostro lavoro in RHA 32 (1974) 149 sg. 2 V. CTH 255 e E. v. Schuler, Heth. Dienst., 22-34: di questo testo i §§ 1-21 contengono istruzioni per i BÊLU/ENMEŠ e i DUMUMEŠ.LUGAL, e i §§ 22-31 (separati dai precedenti mediante un doppio tratto) contengono istruzioni per i LÚMEŠ SAG. Esiste anche un altro testo di istruzioni specificatamente per i LÚMEŠ SAG (v. sempre CTH 255 e v. E. v. Schuler, op. cit., 8-21), dove compaiono anche i “signori” e i “figli del re” (§ 6 C r. 7, § 22 r. 33; per quest’ultimo paragrafo v. più avanti, nota 6). Troviamo insieme i “signori” e i “figli del re” anche nelle “istruzioni militari” emanate da un re Tutøaliya (CTH 259), v. S. Alp, Belleten 11 (1947) 390 r. 16 e 391 r. 26, e in altri testi: v. pp. 81 nota 6 e 87 nota 40. Può essere interessante notare la presenza in documenti ieroglifici del titolo DUMU.LUGAL insieme a quello EN KUR (su cui v. più avanti), riferito alla stessa persona, tuttavia si deve tener presente che il titolo DUMU.LUGAL si associa anche con altre cariche (v. RHA 31 [1973] 61 nota 52). 3 V. J. Friedrich, HW, 271 e 306. Cfr. in ambito accadico CAD, B, 198.e. Sulla validità dell’interpretazione di EN QÂTI come “artigiano” è incerto il Diakonoff, MIO 13 (1967) 318 sg., nota 17. 1

103

indicazione di rango o di classe, come potrebbe essere quella più generica di “nobili”.4 Ciò si può dedurre dal fatto che a questi “signori” erano dirette “istruzioni” o si richiedevano impegni sanciti mediante giuramento come ad altre categorie di dignitari,5 e che in molti testi essi compaiono elencati insieme ad altri dignitari6 o - presumibilmente - al posto di alcuni di questi7 inoltre da notare un passo in KUB XXV 23 (CTH 525) I 10 dove, Per la possibilità che in taluni casi il “signore” di un determinato paese indichi il re di quel paese, v. più avanti nota 21. 5 V. sopra nota 2. 6 Riportiamo qui soltanto alcuni esempi: KUB IX 1 II 17 (CTH 428): LÚ ] DU[B].SAR LÚ.MEŠBÊLUTIM LÚ.MEŠDUGUD-ya; Preghiera di Muršili II in occasione della peste (CTH 378), I Versione (A. Goetze, KlF 1, I/2 [1929] 166 sgg.), I 14 sg., 17,35: (14) DUMUMEŠ.LUGAL BÊLU÷I.A UGULA LÚMEŠ LÎMTUM LÚ.MEŠDUGUD (15) LÚ.MEŠSIG5 ÉRINMEŠ(-ya ANŠU.KUR)].RA÷I.A øûmanza, nelle rr. 17 e 35 non compaiono gli uomini SIG5 e le truppe a piedi e i combattenti su carri. Da questo testo apprendiamo che i personaggi su menzionati, che avevano prestato giuramento a Tutøaliya (r. 15), si erano poi uniti a Šuppiluliuma; alla r. 22 si legge: “]e i signori ruppero il giuramento”: sarebbe interessante sapere chi si trovava nella lacuna all’inizio di questa riga (forse soltanto i “figli del re”?) per comprendere il valore che poteva avere qui la menzione dei “signori”. Nelle “istruzioni per i LÚMEŠ SAG” (v. nota 2), nel § 22 r. 32 sgg. (v. E. v. Schuler, op. cit., 13), vediamo questi dignitari inviati insieme ai “figli del re” ed ai “signori” presso potenze straniere per trattare affari; si trovano ancora menzionati insieme i “signori”, i “figli del re” e i LÚMEŠ SAG: v. in E. v. Schuler, op. cit., 29 § 28 r. 43. V. inoltre la nota seguente. 7 In IBoT I 36 (CTH 262: L. Jakob-Rost, MIO 11 [1966] 165 sgg.), nella descrizione di una processione in cui l’ordine dei dignitari sembra regolato gerarchicamente, si legge: (III 6) namma GAL MEŠEDI paizzi EGIR-an-a-ši 2 LÚMEŠBÊ[LU panzi, “inoltre il capo dei MEŠEDI va e dietro a lui 2 signo[ri vanno”, e nelle righe seguenti si specifica: (7) mân GAL LÚ.MEŠIŠ našma UGULA 10 n-at ANA GAL MEŠEDI [EGIR-an?] (8) aranta “se (è) un capo degli uomini IŠ o un comandante dei 10, allora essi [dietro] al capo dei MEŠEDI si mettano”, donde si presume che i due dignitari ivi citati facessero parte della categoria dei “signori”; nelle seguenti rr. 14 e 18 compare ancora il capo dei MEŠEDI seguito dai 2 BÊLUTI (cfr. L. Jakob-Rost, op. cit., 215 sg.). In questo stesso testo I 63 sono menzionati i “signori” insieme all’UGULA LÎMTÎ “comandante dei 1.000”, che perciò non sembrerebbe compreso nella categoria dei “signori” (cfr. la nota precedente, e E. v. Schuler, Or 25 [1956] 216). Più generiche - anche se probabilmente riferite sempre a membri della categoria dei “signori” - si presentano invece le menzioni nella Col. III r. 9 (BÊLU kuiški contrapposto ad un MEŠEDI, r. 8) e nella Col. IV r. 20 (ta[m]aiš kuiški BÊLULUM sull’interpretazione di øantezzi[ ] in rapporto con BÊLU GAL di IV 22, v. L. JakobRost, op. cit., 220). Sui BÊLU GAL, v. nota 32 e poi note 35 e 39. In un passo delle “istruzioni per il ÷AZAN(N)U di ÷attuša”, KBo XIII 58 (CTH 257) II 22 sgg., leggiamo (22) ... kuiš BÊLU URU÷atti (23) naššu LÚUGULA LÎM našma 4

104

durante una cerimonia religiosa, compiono insieme delle operazioni rituali i “LÚ.MEŠ SANGA LÚ.MEŠ GUDU BÊLU÷I.A ELLÛTI-y[a”, “i sacerdoti, gli unti, i signori ¦e© i nobili (lett. “liberi”):8 ora, se con BÊLU÷I.A si fosse qui voluto alludere genericamente a persone di alto rango, in cosa queste si sarebbero distinte dagli ELLÛTI menzionati subito dopo? Non mi sembra neppure inverosimile presumere che esistesse una gerarchia fra i BÊLUMEŠ per la presenza dell’espressione BÊLU GAL (v. più avanti, note 32, 35, 39). Cerchiamo ora di vedere quali funzioni competevano ai BÊLUMEŠ e quali potevano essere gli appartenenti a questa categoria. Dalle “istruzioni” loro dirette9 essi risultano assai legati al sovrano:10 si richiede loro ripetutamente fedeltà assoluta al re e ai suoi discendenti, al punto da accettare anche le amicizie e le inimicizie da lui imposte loro; si ribadisce in continuazione il loro dovere di proteggere il re e i suoi discendenti, la proibizione di partecipare a congiure e cospirazioni di ogni genere, e il loro obbligo di denunciarle immediatamente al sovrano, non appena ne abbiano sentore.

kuiš imma (24) BÊLU ...”: uno di questi dignitari doveva sovrintendere alla rimozione del sigillo collocato sulla porta della città per vedere se esso era a posto prima di aprire la porta suddetta; si trattava di un compito di grande responsabilità, da cui dipendeva appunto la difesa della città. Sul titolo “signore di ÷atti”, v. quanto abbiamo scritto in RHA 31(1973) 57 sgg.; il seguente titolo BÊLU è invece più generico, pur designando forse ugualmente l’appartenente ad una categoria determinata. Ricordiamo inoltre un testo frammentario contenente la descrizione di una festa, KUB X 13 IV 20 sgg. (CTH 670, v. S. Alp, Beamtennamen, 3), dove si dice che il re dà da bere nella mano ai “signori”, mentre nel paragrafo seguente, rr. 23-28 (cfr. E. v. Schuler, op. cit., 219) vediamo il re ripetere a stessa azione, solo che al posto dei BÊLUMEŠ del passo precedente sono qui elencati alti dignitari della corte e dell’esercito, presumibilmente compresi nella designazione “signori” del paragrafo precedente, tranne, forse, i “dignitari DUGUD e gli uomini della lancia” (r. 26), distinti dai precedenti dignitari dalla congiunzione Ú (cfr. E. v. Schuler, op. cit., 216 ed anche 212; cfr. pure nel presente lavoro, p. 109 con nota 32 e successivamente nota 39). 8 Sul valore di ELLU nei testi ittiti, v. J. Friedrich, HW, 307, ed HW Erg.-Heft 1, 31, H.G. Güterbock, negli Atti della XVIII R.A.I., München 1970 (Bayerische Akademie der Wissenschaften, München 1972) 96 sg., e G.G. Giorgadze, nel compendio dell’Internationale Tagung der sozialistichen Länder, Budapest 1974, 29-31. 9 V. p. 103 nota 2; cfr. anche E. v. Schuler, Historia 7 (1964) 46. 10 Come i “figli del re” ed i LÚMEŠ SAG.

105

Sempre in queste “istruzioni”, nel § 2 r. 4 sgg.11 ci si rivolge ai BÊLU÷I.A KARAŠ÷I.A “signori degli eserciti” e a “quelli che non (sono signori) degli eserciti” (Ú-UL-ya kuiêš Š[A? K]ARAŠ÷I.A), e a colui che (è) un Grande,12 ma (anche?) a chi non (lo è), affinché intervengano rapidamente contro chi compie un’azione malvagia nei riguardi del re. E nel § 10 r. 12 sgg.13 ci si rivolge ai “signori” che al primo posto amministrano i posti di osservazione/di guardia14 - evidentemente quei “signori” che rivestono la carica di BÊL MADGALTI15- e si ribadisce loro il dovere di difendere le frontiere e di non tramare con i fuoriusciti (così anche nel § 11).16 Nel § 17 r. 13 sgg.17 si parla ai “signori” e ai “figli del re” che hanno incarichi inerenti all’amministrazione, o meglio che reggono distretti amministrativi,18 e si proibisce loro di ribellarsi al re, d’accordo con quei sudditi (secondo il v. Schuler residenti in province di V. E. v. Schuler, Heth. Dienst., 22. Ritengo possibile che si volesse qui indicare un BÊLU GAL, dato che in questo passo ci si rivolgeva appunto ai BÊLUMEŠ (v. anche nel paragrafo seguente), e proprio per tal motivo escluderei che si alludesse qui più genericamente a qualcuno dei “grandi” (LÚ.MEŠGAL(.GAL)/LÚ.MEŠRABUTIM). Ricordiamo inoltre che un “capo dei signori” come un “figlio del re” - poteva eccezionalmente assumere il comando dell’esercito (v. p. 110 con nota 35). 13 Cfr. E. v. Schuler, op. cit., 24. 14 šumêš kuiêš BÊLU÷I.A øantezi aúriuš maniyaøøeškatteni: si fa qui un preciso riferimento ai paesi di Azzi o ÷ayaša (da nord-est dell’altipiano anatolico fino all’Armenia), di Gašga (a nord di ÷atti, lungo la costa del Mar Nero) e di Luqqa, nella parte sud-occidentale dell’Asia Minore, probabilmente nella zona della classica Licia: cfr. E. v. Schuler, op. cit., 30. 15 Cfr. infatti, a tal proposito, anche un passo delle “istruzioni per i militari” emanate da un re Tutøaliya, KUB XIII 20 (CTH 259) I 28-37, dove, dopo una prescrizione per quel “figlio del re” o quel “signore” che offende il sovrano davanti all’esercito (I 26 sgg.: v. nota 36), ci si rivolge specificatamente a “voi, signori (BÊLUMEŠ) che amministrate (maniyaøøiškatteni) le truppe a piedi, i combattenti su carri, i posti di osservazione/di guardia (aúriuš)”. Cfr. anche più avanti (p. 108), a proposito dei “signori” che governavano distretti amministrativi. 16 Cfr. ancora il testo citato nella nota precedente, KUB XIII 20 I 1-3, dove si specifica il dovere del BÊL MADGALTI di sorvegliare gli ufficiali subalterni e di impedirne la diserzione, inoltre di inviare al Palazzo i disertori, poiché il giudizio di questi spettava al re: v. in proposito un nostro lavoro nella RHA 31 (1973) 63 sg. 17 Cfr. E. v. Schuler, op. cit., 26 e 31. 18 šumêš kuiêš BÊLU÷I.A DUMUMEŠ.LUGAL maniyaøøeškatteni. Per la possibilità di interpretare il verbo maniyaøø- anche nel senso di “amministrare” e il sostantivo maniyaøøâi- come “amministrazione, distretto amministrativo”, v. J. Friedrich, HW, 135, HW Erg.-Heft 1, 13, Erg.-Heft 3, 23, e i testi e la bibliografia ivi citati. 11

12

106

confine) intolleranti dei gravami loro imposti dalla corte ittita. Questa interpretazione del paragrafo, proposta dal v. Schuler, mi sembra assai plausibile: a noi interessa in particolar modo il passo che mostra i “signori” e i “figli del re” addetti all’amministrazione di paesi periferici, dove sono tenuti a richiedere l’adempimento del šaøøan.19 Che i “signori” potessero venir preposti all’amministrazione di paesi situati sotto il dominio ittita risulta anche da altri testi, tra cui ricordiamo KBo XVI 17 III 26 sg.,20 dove si legge: (26) n-an ENLAM iyanun nu-ši KUR URUKalâšma (27) maniyaøøuwanzi peøøun, “(26) ed io (= Muršili II) lo (= Aparru, uomo di Kalašma) feci signore e a lui il paese di Kalašma (27) ad amministrare detti”.21 Su questa base mi sembra possibile la seguente interpretazione di KUB XXIV 13 (CTH 780) III 21 sg., dove sono menzionati al genitivo i: (21) LÚ.MEŠ RABUTIM LÚ÷AZZIYANNI (22) LÙ!maniyaøøiyaš EN-aš LÚ.MEŠ DUMU.É.GAL, “dei Grandi, del ÷AZZANNU, del signore del distretto amministrativo (?), dei figli del Palazzo”.22

19 V. r. 15, sempre del § 17. Anche altri dignitari, quali l’EN KURTI, il BÊL MADGALTI e il MAŠKIM URUKI, avevano analoghi incarichi amministrativi e spettava loro il compito di provvedere a far adempiere l’ELKU ed anche il šaøøan e il luzzi v. quanto abbiamo scritto in proposito in RHA 31 (1973) 56 sg. con nota 36, ed anche nel presente articolo, p. 108. 20 CTH 61, 10; v. H. Otten, MIO 3 (1955) 172 sgg. 21 In questo testo Muršili II racconta che Aparru, venuto meno al giuramento di fedeltà nei suoi riguardi, gli fece guerra, legando a sé il paese di Kalašma, che egli “governò la maniera di un re” (r. 30 sg.: n-at LUGAL ueznaš iwa[a]r [t]aparta, v. H. Otten, op. cit., 173 sg e nota 57). Questa frase mi sembra dimostrare appunto che in questo caso l’espressione “far qualcuno signore di un paese” non equivale a farlo re di questo paese, ciò che invece sembrerebbe verosimile - ma non del tutto sicuro - per altri casi: cfr., per esempio, il valore delle espressioni EN-iznanni/EN-izni/ENanni/AŠŠUM BÊLUTTIM tittan- ed EN iya- a proposito di Mašøuiluwa e Kupanta DLAMMA negli Annali di Muršili II e nei trattati internazionali di vassallaggio: v. A. Goetze, AM, 72 rr. 37 e 45, 144 r. 11, e 252 sgg., e V. Korošec, Heth. Staatsv., 55 con nota 3, e FsWenger, 211 nota 1; v. anche E. Laroche, NH, che cita Mašøuiluwa come re di Arzawa (Nr. 779,1), Kupanta DLAMMA come re del paese di Mira e Kuwaliya (Nr. 635.1) ed Abarru come uomo di Kalašma (Nr. 102.1); cfr. anche un nostro lavoro nella RHA 31 (1973) 61 sg. note 52 e 53, e R. Stefanini, Rendiconti Lincei 20 (1965) 57 e note 73-75; v. pure nel presente articolo, nota 38. 22 Il Goetze invece traduce qui “the noblemen’s, the mayor’s, the governor’s, the lord’s, the palace official’s”: in tal caso, però, si dovrebbe traslitterare LÚ maniyaøøiyaš (v. Tunnawi, 72 sg.); sul valore di maniyaøøai-, v. sopra nota 18.

107

Appartenevano quindi verosimilmente alla categoria dei “signori” anche quei dignitari designati come EN KURTI “signore del paese”23 ed EN/BÊL MADGALTI “signore del posto di osservazione/di guardia”,24che governavano - quali rappresentanti del sovrano ittita distretti amministrativi con ampi e vari poteri.25 Facevano probabilmente parte della medesima categoria anche quei dignitari designati come “signore della città di ÷atti, di Nerik, di ÷urme ecc.”, titoli forse corrispondenti a quello di “signore di città”, presente nei documenti ieroglifici.26 Titoli analoghi si trovano anche al plurale: sono infatti spesso testimoniate espressioni come ENMEŠ KUR URU÷atti o ENMEŠ URU÷atti; è possibile che in questi casi il titolo piuttosto che riferirsi ad una delle cariche sopra citate - indicasse complessivamente gli appartenenti alla categoria dei “signori”; inoltre, quando questa designazione non conteneva il termine KUR “paese”, doveva per lo più designare i “signori” che esplicavano le loro funzioni nella capitale.27 Frequenti e di grande importanza erano pure le mansioni militari dei “signori”, sí che molti studiosi li considerano soprattutto capi militari:28 infatti essi compaiono molto spesso legati a contingenti bellici, quali truppe a piedi, combattenti su carri ecc., insieme ai quali talvolta si ripartivano la preda di guerra, e da loro dipendevano gli uomini DUGUD “capi di guarnigione”, dignitari verosimilmente appartenenti all’ambiente militare;29 vedremo inoltre più avanti come un BÊLU GAL Di questo dignitario ho trattato nella RHA 31 (1973) 57 sgg. V. in proposito il lavoro citato nella nota precedente, pp. 62 sgg. 25 V. le due note precedenti ed inoltre gli esempi riportati a p. 107 nelle relative note. Come vedremo più avanti, da alcuni passi citati alla nota 29 risulta la dipendenza degli uomini DUGUD (capi di guarnigione) dai “signori” ai quali giurano fedeltà; a tal proposito mi sembra interessante osservare la dipendenza degli uomini DUGUD anche dal BÊL MADGALTI (v. KUB XIII 2 [CTH 260] I 8-21, in E. v. Schuler, Or 25 [1956] 213-215; cfr. anche KUB XIII 20 [CTH 259] I 1-5), ciò che potrebbe confermare l’appartenenza di questo dignitario alla categoria dei “signori”. 26 V. quanto abbiamo detto in proposito in RHA 31 (1973) 59 sg. nota 48. 27 V. le pagine indicate nella nota precedente. 28 Cfr. E. v. Schuler, op. cit., 212 con nota 6, e qui sotto nota 29. 29 V. in J. Friedrich, HW, 271, dove EN è appunto tradotto con “Herr” e “General”; v. inoltre in A. Goetze, AM, 56 sg. r. 42 sgg., 76 sg. r. 34 sg., 78 sgg. r. 53 sgg., 114 sg. r. 19 (dove si trova l’espressione ENMEŠ KARAŠ “signori dell’esercito”, ed è menzionato con loro, r. 18 sg., anche Nuwanza, GAL GEŠTIN, alto capo militare; cfr. anche p. 124 sg. r. 20 sg.), 136 sg. r. 42; cfr. anche V. Korošec, Heth. Staatsv., 55 e 23 24

108

poteva, in caso di necessità, sostituire il sovrano nel comando dell’esercito.30 Del resto, come ha osservato il Goetze (Kleinasien3, 108) e con lui il v. Schuler (Or 25 [1956] 222), non c’era per i dignitari ittiti incompatibilità tra funzioni militari e incarichi civili o di altro genere. Dagli esempi fin qui riportati si può quindi dedurre che alla categoria dei “signori” dovevano appartenere dignitari con mansioni diverse prevalentemente in àmbito militare e amministrativo - sempre però di grande importanza: probabilmente molti di quei dignitari il cui titolo era composto con il termine EN/BÊLU,31 ed anche altri, forse quelli al posto dei quali i “signori” vengono menzionati in alcuni testi.32 Varie testimonianze, oltre a quelle finora citate, attestano l’alto grado dei BÊLUMEŠ, come, ad esempio, la cosiddetta “lettera di Tawagalawa”,33 75; v. pure nel presente articolo nota 6 e note 35, 38, e cfr. anche la nota espressione BÊL ÉRINMEŠ “signore delle truppe” (per esempio in IBoT I 36 [CTH 262] I 76); v. anche nel rituale KBo XV 1 I 19 sg., 30, 38 sg. (CTH 407; H.M. Kümmel, StBoT 3, 112 e 114, e Glossario, 224); nel trattato stipulato fra Šuppiluliuma I ed Aziru di Amurru (KBo X [CTH 49] 12 III 6’: v. H. Freydank, MIO 7 [1960] 363 e 370), dove si parla specificatamente dei “signori del paese di ÷atti” (BÊLUMEŠ KUR URU÷atti, v. p. 108); nel “giuramento degli uomini DUGUD” al re Arnuwanda (CTH 260), in E. v. Schuler, Or 25 (1956) 223-232: A I 25 sg. e C IV 2 sg.; v. anche A II 12-17 e 20-29, e in molti altri testi. 30 V. più avanti p. 110 con nota 35. 31 V. in J. Friedrich, HW, 271 e 306. 32 Dagli esempi riportati alla nota 7 (cfr. anche nota 39) è però difficile stabilire se tutti i dignitari ivi menzionati facessero parte della categoria dei “Signori”: secondo IBoT I 36 III 6 sg. sembra che vi appartenessero il capo degli uomini IŠ e il comandante dei 10, ma non il capo dei MEŠEDI (cfr. L. Jakob-Rost, MIO 11 [1966] 215); a proposito di un passo di questo stesso testo, IV 22 sgg. (S. Alp, Beamtennamen, 10; diversamente L. Jakob-Rost, op. cit., 200 sg.), lo Alp, (op. cit., 3) osserva: “Nicht jeder LÚMEŠEDI galt aber als ein ‘grosser Herr’”. Secondo KUB X 13 IV 20 sgg. appartenevano forse alla categoria dei “signori” il capo dei MEŠEDI, il capo dei figli del Palazzo, l’ABU BITUM, il grande del vino, il capo degli uomini IŠ, con qualche riserva invece per i dignitari DUGUD degli uomini della lancia (v. nota 7); mi sembra interessante notare nella redazione accadica di alcuni trattati internazionali stipulati da sovrani ittiti talvolta la menzione di MÂR EKALLI anziché di BÊLA RABÂ: v. più avanti pp. 108 e 109 con nota 59. In un frammento di lettera, KBo XVIII 95 Ro I (v. S. Alp, loc. cit., e H. Otten, MIO 4 [1956] 187), si legge [AN]A BÊLI GAL MEŠEDI BÊLI-YA x [: mi sembra che il primo BÊLU abbia un valore diverso dal secondo, cioè non di appellativo reverenziale, ma come riferimento specifico ad una determinata categoria. È pertanto verosimile simile che facessero parte dei “signori” i capi (GAL o UGULA) di alcune categorie di dignitari, a loro volta retti da un BÊLU GAL. 33 CTH 181.

109

dove (II 26 sg.) il sovrano ittita, richiesta la consegna di Piyamaradu, s’impegna ad inviare come garanzia ostaggi di rango elevato: “manderò un signore (1EN BÊL[U]) oppure manderò un fratello”. La loro importanza emerge chiaramente anche dalle “istruzioni” dirette a loro e ai “figli del re”, poiché - come già abbiamo detto a p. 105 - vi si mette in rilievo la loro vicinanza con il sovrano e si ripetono loro continuamente esortazioni a non tramare congiure contro di lui.34 Dalle cosiddette “istruzioni militari” e da alcuni trattati internazionali risulta che un “figlio del re” o un “capo dei signori” poteva, in casi eccezionali, sostituire il sovrano nei comando dell’esercito, dal quale doveva essere ascoltato ed obbedito come se si trattasse del sovrano stesso;35 sempre nel testo delle “istruzioni militari” vediamo che spettava proprio al sovrano la facoltà di giudicare quel “figlio del re” o “signore” che si fosse reso colpevole verso di lui36. Dal § 22 delle “istruzioni per i LÚMEŠ SAG”37 apprendiamo che questi dignitari, insieme ai “figli del re” ed ai “signori”, potevano essere inviati in paesi stranieri con incarichi di ambasceria da parte del sovrano. Ed ancora molti altri sono i testi che documentano il peso che la categoria dei “signori” aveva nella vita politica del paese.38 Anche nel “giuramento degli uomini DUGUD”, C IV 2-7 (su cui si integra A I 25, v. in E. v. Schuler, Or 25 [1956] 225 nota 2, e 228-231), si richiede ai “signori” ed a certi contingenti militari un giuramento di fedeltà al re, alla regina, al principe ereditario e ai suoi discendenti, ecc. 35 KUB XIII 20 (CTH 259) I 13 sgg. e 16 sgg.: se il re è impegnato e non può partecipare ad una campagna militare, può affidare l’esercito ad un DUMU.LUGAL o ad un BÊLU GAL; per casi analoghi contemplati nei trattati internazionali, v. note. 58-59. 36 KUB XIII 20 I 26 sgg.: se quel “figlio del re” o quel “signore” offende il re davanti all’esercito, deve essere catturato (ep-) e portato (uwate-) davanti al re “e io stesso, il Sole, verrò e indagherò il fatto (uttar punušmi)”. Sul valore di punuš-, v. quanto ho scritto in RHA 31 (1973) 98 sgg. 37 V. nota 6, e E. v. Schuler, Heth. Dienst., 13. 38 V. Annali di Muršili (CTH 61: v. i passi citt. in A. Goetze, AM, Indice 283 s.v. MEŠ EN e 306 s.v. BÊLUMEŠ/÷I.A); o KBo IV 14 (CTH 123) II 55 sg., 74, 79, dove si prospetta come una calamità l’ipotesi di una defezione dei “signori”, o l’eventualltà che essi vengano imprigionati o uccisi dal nemico (cfr. R. Stefanini, Rendiconti Lincei 20 [1965] 42 sgg., 57 e 63), probabilmente in quanto comandanti militari o capi di distretti amministrativi, dato anche che in II 54 si contempla l’eventualità di una defezione dell’esercito reale e di qualche paese posto sotto il dominio ittita; cfr. anche nel presente articolo, p. 106 sg. Per brevità, non riporto qui i molti altri esempi che esistono in proposito. 34

110

Come già abbiamo osservato a p. 105, sembra plausibile postulare l’esistenza di una gerarchia nella categoria dei BÊLUMEŠ, se è lecito considerare l’espressione BÊLU GAL39 alla stregua dei titoli GAL MEŠEDI, GAL GEŠTIN ecc. È da notare che in molti dei documenti sopra esaminati i BÊLUMEŠ compaiono associati ai DUMUMEŠ.LUGAL.40 Riguardo all’espressione “figlio del re” nei testi ittiti è necessario, a mio avviso, distinguere fra quando essa è usata nel suo significato letterale genealogico41 e quando invece, si deve intendere come designazione di dignitari di rango assai elevato e molto vicini al sovrano, probabilmente facenti parte della sua famiglia, ma non necessariamente suoi figli. A sostegno di questa eventualità mi sembra significativo il fatto che fossero emanate “istruzioni” per i “figli del re” insieme ai “signori” e ai LÚMEŠ SAG,42 e non separatamente, come ci saremmo aspettati se si fosse trattato di principi nati dal re. Inoltre, in questo testo di “istruzioni” i “signori” vengono per lo più menzionati in ordine di precedenza (v. infatti nota 2).

V. la nota precedente; v. inoltre IBoT I 36 (CTH 262, v. nota 32) IV 22, e KUB XIII 7 (CTH 258.2) I 22, dove il BÊLU GAL, si trova in contrapposizione ad un appizziš antuwaøøaš (v. in v. E. v. Schuler, Or 25 [1956] 217): qui però la designazione BÊLU GAL, sembrerebbe usata genericamente per indicare che tanto gli appartenenti ad un ceto più elevato quanto gli appartenenti ad un ceto più basso, qualora fossero stati rei di un “fatto di sangue”, dovevano ugualmente esser puniti con la morte; a meno che in tale designazione non fossero invece inclusi i dignitari menzionati sopra (I 10-13: o un MEŠEDI o un figlio del Palazzo o un comandante dei 1.000 (o) un uomo DUGUD; v. però nota 7 e nota 32) in un passo analogo; in ogni caso BÊLU GAL non sembra qui usato gerarchicamente come “capo dei signori”. 40 V. nota 2 e nota 6; a questi esempi se ne possono aggiungere altri, tra cui ricordiamo KUB XXI 37 (CTH 85.2) I 8, dove sono menzionati insieme “gli uomini di Hatti[ ], i figli del re, i signori”, o gli Annali di Muršili (CTH 61), A. Goetze, AM, 136 r. 46, o KBo XV 1 (CTH 407) I 38 sg., dove però la vicina menzione del sovrano potrebbe anche far pensare che si trattasse realmente di suoi figli; incerto è anche il valore di DUMU.L[UGAL, in KBo VI 28 Vo 29 sg. (CTH 88, v. RHA 31 [1973] 151). 41 Probabilmente nella maggior parte dei casi. 42 Anche se in questo testo i LÚMEŠ SAG sembrano ricevere istruzioni a parte, poiché le disposizioni loro rivolte sono separate dalle precedenti da un doppio tratto (v. nota 2), tuttavia questi dignitari vengono talvolta menzionati insieme al “signori” e ai “figli del re” : v., ad esempio, nota 6 e p. 110 con nota 37. 39

111

Anche i “figli del re”, come i “signori”, compaiono talvolta elencati insieme ad altri dignitari.43 Si può inoltre dubitare dell’esclusivo valore letterale dell’espressione DUMU.LUGAL anche perché in alcuni documenti - come nelle liste di testimoni di qualche atto ufficiale44 - essa viene attribuita a troppi personaggi nella stessa epoca per poter essere tutti figli del sovrano e fratelli fra sé. Si deve infine notare che, in una stessa lista, i “figli del re” ivi presenti non compaiono elencati tutti insieme, come ci aspetteremmo seguendo un ordine gerarchico, ma alcuni si trovano menzionati per primi (forse i veri principi nati dal re) ed altri, invece, dopo alcuni dignitari in mezzo ai quali sono inseriti. Già nel mio lavoro sulle Leggi ittite, a proposito del § 52,45 avevo avanzato l’ipotesi che l’espressione “figlio del re” non indicasse lì un principe reale, ricordando come confronto i documenti di Nuzi, dove questa espressione aveva il valore di un titolo ufficiale,46 analogamente al titolo MUNUS.LUGAL che, sempre nei documenti di Nuzi, veniva probabilmente usato per designare una sacerdotessa di alto rango.47 Presumevo che il DUMU.LUGAL nel § 52 delle Leggi ittite indicasse un’alta carica sacerdotale per la vicina menzione della “casa di pietra V. nota 2. Inoltre, in un testo che descrive una festa di Nerik, KUB II 15 (CTH 678.1) VI 10 sg., si parla del pane šaramma dei “figli del re”, dei “figli del Palazzo” e dei MEŠEDI; però in un altro testo, sempre relativo ad una festa di Nerik, KUB X 88 (CTH 678.4) I 6 sg., si parla di tavole “del re, della regina, dei figli del re, dei LÚ.MEŠ DUGUD”, ciò che indurrebbe a pensare che qui DUMU.LUGAL, dovesse essere inteso nel suo significato letterale, per la sua vicinanza con i sovrani, tuttavia alla r. 12 sg. dello stesso testo si parla del pane šaramma “del re, della regina e (Ù) dei figli del re (e) dei LÚMEŠ DUGUD”, quindi vediamo i “figli del re” legati asindeticamente ai dignitari seguenti e non ai sovrani precedenti, mentre la congiunzione Ù “e” sembra distinguere due gruppi diversi. V. anche più avanti p. 118-119 sg. e nota 82. 44 V. ad esempio, KBo IV 10 Vo 28 sgg., cui si possono aggiungere altre attestazioni. 45 V. Leggi (1964) 68 sg. e nota 2, e 241; v. anche 243 sg., a proposito della designazione “padre del re” o “padre del Sole”. 46 Così P. Koschaker, ZA 48 (1944) 168 e 184 nota 38, il quale rimanda per un confronto ai titoli “Freunde des Königs”, in uso alla corte di Alessandro e sotto i Diadochi, e “cugino del re”, titolo che spettava di diritto ai possessori di un’alta carica in Italia. Secondo lo Speiser, Or 25 (1956) 7 nota 3, questo titolo nei documenti di Nuzi doveva designare un ufficiale di alto rango alle dipendenze del sovrano di Mittani, considerato come “padre” dai suoi vassalli (cfr. in proposito nel presente lavoro, note 51 e 62). 47 Così E.A. Speiser, loc. cit. 43

112

(mausoleo)”, ciò che mi induceva a pensare che si parlasse in questo paragrafo di addetti al culto. Come però vedremo più avanti, p. 118 sg., non abbiamo finora attestazioni tali da permetterci di sostenere che al “figlio del re”, in quanto alto dignitario, spettassero anche cariche sacerdotali. È interessante un lavoro del Brin48 sul titolo “figlio del re” in ambiente ebraico, ma con significativi confronti relativi al Vicino Oriente antico: Egitto, Mari, Ugarit, ÷atti e la Persia.49 Ci soffermeremo soprattutto su quella documentazione che riguarda in qualche modo l’àmbito ittita. L’espressione accadica MÂR ŠARRI “figlio del re” compare spesso nei testi di Ugarit e si deve per lo più intendere nel suo valore letterale,50 in alcuni documenti, però, questa espressione si riferisce evidentemente ad un titolo e il Brin conferma ciò con diversi esempi.51 Inoltre, egli fa notare52 che in alcuni atti stipulati fra il sovrano ittita e il re di Ugarit i MÂRI ŠARRI “figli del re” sono menzionati insieme agli AMÎLI RABÛTI “uomini importanti, nobili, grandi”, col compito di riscuotere tasse per il sovrano ittita o per compiere una missione militare.53 48 In AION 19 (1969) 433-465. Egli prende lo spunto da un’ipotesi avanzata verso la fine del secolo passato, e cioè che in diversi testi biblici l’espressione “figlio del re” si riferisse ad un titolo ufficiale e non dovesse quindi esser considerata in senso genealogico. 49 Op. cit., 440 sgg. 50 Principalmente in quei documenti dove la dinastia reale viene menzionata in ordine gerarchico: il re, la regina, il figlio del re. 51 Op. cit., 442 sgg.; in questi casi - egli osserva a p. 443 - non è indicato il nome del re, padre del “figlio del re”, né si fa riferimento a qualche particolare paese; cfr. appunto P. Koschaker, op. cit., 184 nota 38. V. inoltre J. Nougayrol - PRU IV, 191 nota 1, 214 nota 1, 216 nota 1, 217 nota 1, 294 nota 1 - il quale, a proposito degli appellativi “figli” o “padre” usati dai corrispondenti nelle lettere di Ugarit, rileva che questi titoli non sono da intendersi in senso stretto e che non si deve sempre ricercare un significato preciso nei nomi di parentela che ricorrono fra principi. Cfr. anche, per Mari, J. Bottero, ARM 7 (1957) 230 sg. Cfr. inoltre C. Zaccagnini, Lo scambio dei doni nel Vicino Oriente durante i secoli XV-XIII, Roma 1973 (= OAColl 11), 117 nota 125 e 157 sgg. con note 58-59. V. infine nel presente articolo note 46 e 62. 52 Op. cit., 445 note 60 e 61, e 446 note 63 e 64. 53 RS 17.382 + 380 r. 50 sgg. = PRU IV, 82 sg.; RS 17.340 rr. 16 sgg. e 22 sgg. = PRU IV 49 sg. A tal proposito il Brin (p. 446) osserva che l’uso del plurale “figli” rivelerebbe un significato amministrativo piuttosto che genealogico; sembra che nell’àmbito del Palazzo vi fossero vari tipi di funzionari con questo titolo, ai quali competevano doveri diversi, in accordo con le diverse necessità del re.

113

Mi sembra opportuno - a tal punto - richiamare per un confronto quei testi ittiti dove i “figli del re” sono presenti insieme ai “signori”, i quali talvolta vi compaiono in ordine di precedenza (v. nota 2): tale posizione si può riscontrare anche nei documenti di Ugarit.54 Il Brin, inoltre, riporta diversi esempi, tratti sia da testi di Ugarit, contenenti accordi conclusi da sovrani ittiti con sovrani ugaritici,55 sia dalla versione accadica di alcuni trattati stipulati dagli Ittiti con paesi stranieri,56 dai quali risulta l’impegno assunto dal sovrano ittita di inviare in aiuto all’altro contraente dell’atto, in caso di necessità, un MÂR ŠARRI o un BÊLA RABÂ oppure un MÂR ŠARRI o un MÂR EKALLI.57 Mi pare significativo, a tal proposito, richiamare per un confronto quei testi ittiti citati nel presente articolo alla nota 35, dove si legge che un DUMU.LUGAL o un BÊLU GAL,58 potevano in casi eccezionali sostituire il sovrano - temporaneamente assente - nel comando dell’esercito. Purtroppo, della maggior parte dei passi presi Cfr. i documenti di Ugarit sopra citati, dove gli AMÎLI RABÛTI compaiono prima dei “figli del re”. 55 Op. cit., 446 par. g, e PRU IV, 88 sgg. (89 nota 3), 91 sg., 94 sg., 96. 56 Op. cit., 448 e note 77-82; v. anche V. Korošec, Heth. Staatsv., 54 nota 6. 57 A p. 458 note 140-142, il Brin cerca di dimostrare come i titoli “figlio del re” e “figlio del Palazzo” fossero molto vicini nel significato, sì da essere usati alternativamente: quindi, se al MÂR EKALLI competeva un incarico amministrativo, questo competeva pure al MÂR ŠARRI. Ciò non mi convince perché nei trattati citati dal Brin si trovano anche altri titoli che si alternano a quello di “figlio del re”, senza per questo essergli avvicinabili. Nei testi ittiti il titolo corrispondente a MÂR EKALLI è DUMU É.GAL, studiato dallo Alp, Beamtennamen, 25-52: v. anche la recensione del Goetze, JCS 1 (1947) 81, il quale preferisce tradurre questo titolo con “page” anziché con “courtier”, come lo Alp. In ambito ittita i titoli “figlio del re” e “figlio del Palazzo” hanno un valore diverso fra sé, infatti in alcuni testi compaiono insieme e non in sostituzione l’uno dell’altro: v., ad es., la nota 43, dove, nella descrizione di una festa di Nerik, si parla del pane šaramma dei “figli del re, dei figli del Palazzo e dei MEŠEDI”. Per questo si può presumere che fossero usati con valore diverso fra sé anche i corrispondenti titoli accadici, quando si riferivano a dignitari ittiti. 58 Corrispondenti al MÂR ŠARRI o al BÊLA RABÂ; il Brin, p. 448 nota 78, secondo il Weidner, PD, 61 nota 19, considera quest’ultimo titolo come quello di un alto ufficiale militare; cfr. anche J. Nougayrol, che nei passi qui citati alla nota 55, traduce “grand chef”. È interessante notare che nel trattato fra Šuppiluliuma e Tette di Nuøašše (CTH 53) II 20 (E.F. Weidner, op. cit., 61) si trova l’espressione MÂR RUBÎ “figlio di un grande”, al posto di MÂR ŠARRI (III 5 sg.): v. le osservazioni in proposito di E.F. Weidner, op. cit., 63 nota 14, e di G. Brin, op. cit., 449 e note 84 e 85. 54

114

in esame dal Brin esiste finora solo la versione accadica; comunque, per un passo del trattato stipulato fra Šuppiluliuma I e Aziru di Amurru - pervenutoci parzialmente anche nella versione ittita - mi è stato possibile riscontrare la validità di tale confronto,59 almeno per quanto riguarda il “figlio del re”. Interessanti sono le osservazioni del Brin quando passa a ricercare il valore semantico dell’espressione “figlio del re” sia in ambiente ebraico che nel Vicino Oriente.60 A suo avviso, l’origine di quei titoli contenenti indicazioni di legami di parentela con la famiglia reale - usati frequentemente nei documenti del Vicino Oriente, compreso l’Antico Testamento, come designazione di funzionari61 - si deve ricercare nelle formule convenzionali della corrispondenza diplomatica dell’epoca.62 Egli nota inoltre che in questi ambienti il termine “figlio”, oltre al significato più comune, indica anche “the belonging to a certain occupation or status”63 e riporta alcuni esempi in proposito tratti da testi in ebraico e in accadico, cui possiamo aggiungerne altri analoghi presi da testi ittiti.64 Quindi conclude affermando che la designazione “figli del re” 59 KBo X 12 (CTH 49) II 25’-27’ (v. H. Freydank, MIO 7 [1960] 361 e 369, e per la parte accadica E.F. Weidner, PD, 72 sg. r. 29): da qui risulta che al passo ittita na[š]ma DUMU.LUGAL [naš]ma BÊLU GAL “o un figlio del re ¦o© un gran signore (o capo dei signori)” corrisponde il passo accadico MÂR ŠARRI Ù ŠUMMA [MÂR E]KALLI “un figlio del re o un [figlio del P]alazzo”. 60 Diversamente da alcuni studiosi dell’Antico Testamento (citati dal Brin a p. 440 e note 34-35), i quali sostenevano che i possessori di questo titolo fossero - se non figli del re veri e propri - almeno membri della famiglia reale in senso più ampio, il Brin propone una spiegazione al di fuori di ogni parentela genealogica con la famiglia reale (pp. 451-459). 61 Op. cit., 459 sg.; cfr. anche nel presente articolo note 46 e 51. 62 Egli ricorda infatti (op. cit., 460-462) che nella corrispondenza diplomatica del Vicino Oriente antico il titolo “fratello” esprimeva completa uguaglianza fra due re, quello di “padre” era invece usato per uno solo dei due corrispondenti e ne indicava la superiorità sull’altro, e - allo stesso modo - quello di “figlio” denotava un certo grado di sottomissione di uno dei due: a suo avviso, quindi, venivano chiamati “figli del re” alcuni ufficiali che adempivano specifiche funzioni al servizio del sovrano. Cfr. anche nel presente articolo nota 51. 63 Quindi, secondo il Brin (p. 459), l’espressione “figlio del re” designerebbe colui che appartiene ad una certa classe (ovvero al re, al patrimonio reale, nel senso di ufficiale del re o della casa reale) e ne indicherebbe inoltre l’occupazione, quella cioè di persona attiva al servizio del re. 64 Il Brin rileva che i termini “figlio” ed “uomo”, diversi nel loro uso normale, mostrano analogie nell’àmbito di alcune espressioni; ciò è testimoniato sia in ebraico

115

in ebraico (ed anche in accadico) deve essere intesa “in the connotation of king’s men” e considerata come un titolo “for the bearers of a royal office”, ai quali non competeva però una mansione specifica;65 egli ritiene inoltre che vi fosse una gerarchia di “figli del re” indicante diversi gradi di importanza entro la categoria, in accordo con la natura dei loro diversi incarichi.66 Per quanto riguarda l’àmbito ittita, ricordiamo per concludere un passo degli Annali di Muršili II,67 dove questo re parla di “÷utupiyanza, ‘figlio del re’, figlio di Zida, capo dei MEŠEDI - Zida, che era fratello di mio padre”.68 Qualcosa del genere si ripete ancora, pur se espresso in forma diversa, sempre nello stesso testo;69 apprendiamo che ÷utupiyanza amministrava (maniyaøøeškit)70 il paese di Palâ e il paese di Tumanna - e questo è di particolare interesse per individuare una importante che in accadico, dove titoli del tipo MÂR X (figlio di X), indicanti ufficio, professione, origine, si alternano con titoli del tipo AMÊL X (uomo di X), con lo stesso valore: op. cit., 462-465; per l’accadico v. p. 463 sg., nota 163, e per Ugarit p. 464 sg., note 167-171; esiste anche il titolo “uomo della regina”, v. p. 465, note 172-173. In aggiunta all’osservazione del Brin, ricordiamo per i testi ittiti l’equivalenza dell’espressione DUMU URUX con LÚ URUX, per designare l’abitante di una città, e del titolo “figlio del Palazzo” con “uomo del Palazzo”: su DUMU É.GAL = LÚ É.GAL, v. S. Alp, Beamtennamen, 25 nota 4, e 26. 65 A suo avviso, le persone designate come “figli del re” prestavano servizio come “staff” permanente del Palazzo ed eseguivano i vari ordini del sovrano. 66 Op. cit., 465, note 175-176. Non sarebbe, a mio avviso, inverosimile postulare l’esistenza di una gerarchia fra i “figli del re” anche in ambiente ittita, pur non avendone finora alcuna testimonianza, per un confronto con i BÊLUMEŠ, forse retti da un BÊLU GAL, (v. sopra, 105 sg.) o con i “figli del Palazzo”, retti da un GAL, DUMUMEŠ É.GAL/GAL LÚMEŠ È.GAL, o dall’UGULA 70 ŠA DUMUMEŠ É.GALTIM LUGAL “sovrintendente dei 70 dei ‘figli del Palazzo’ del re” (v. S. Alp, op. cit., 25 nota 6, e 26, e K. Riemschneider, MIO 6 [1958J 355 nota 129). 67 A. Goetze, AM 152 sg. r. 18 sg.; ringrazio il prof. M. Liverani che mi ha segnalato questo passo. 68 Il Laroche, NH Nr. 1552.1, identifica questo Zida, fratello di Šuppiluliuma I, presente in diversi testi ittiti (cfr. anche S. Alp, Beamtennamen, 4), col personaggio menzionato in EA 44, 3, come “figlio del re”. Sulla controversa lettura del nome parzialmente danneggiato di questo personaggio del testo di El Amarna, v. per ultimi G. Brin, op. cit., 449 sg. e note 87 e 91, ed E.F. Campbell jr., The Chronology of the Amarna Letters, Baltimore 1964, 130 sg. 69 AM, 106 sg. r. 17 sgg., 192 sg. r. 19 sg.; v. anche Indice p. 322 sg., dove sono indicati tutti i passi in cui compare ÷utupiyanza (forse da integrare anche in KUB XIV 29 I 13). 70 Cfr. nota 18.

116

mansione spettante al DUMU.LUGAL - era nipote di Šuppiluliuma I e cugino di Muršili II: non era quindi figlio di nessun re, anche se faceva parte della famiglia reale. Inoltre, se accettiamo l’identità di Tattamaru DUMU. LUGAL citato nella lista dei testimoni in KBo IV 10 Vo 30 con Taddamaru figlio di Šaøurunuwa menzionato in KUB XXVI 43 Ro 5,71 dobbiamo allora considerare l’appellativo DUMU.LUGAL attribuito a Tattamaru come un titolo, lo stesso titolo che probabilmente aveva il padre Šaøurunuwa.72 Mi sembra quindi che sarebbe assai utile (e mi propongo di farlo al più presto) di ricercare - per quanto è possibile - la genealogia dei personaggi che nei testi ittiti sono indicati come “figli del re” per vedere se, anche quando non si trattava di figli del sovrano, essi erano però sempre legati a lui da vincoli di parentela, e inoltre se il titolo in questione si ripeteva sovente di padre in figlio.73 Riguardo poi al valore dell’espressione “figlio del re” nei documenti ieroglifici (v. E. Laroche, Hitt. Hier. Nr. 46.1) è necessario in primo luogo cercar di identificare i personaggi ivi menzionati con questo titolo con i loro omonimi presenti nei documenti cuneiformi. Tale identificazione è probabile per Šaøurunuwa (v. nota 72) e sicura per Taki-Šarruma (v. E. Laroche, NH Nr. 1209.2). Anzi, per quanto concerne quest’ultimo personaggio, se non intendiamo l’espressione “figlio del re” nel suo significato letterale genealogico, viene a cadere il problema sollevato dal Laroche,74 senza dover così considerare il termine møaštanuri come il nome hurrico di un re ittita o di un re sconosciuto (cosa, del resto, considerata poco verosimile dallo stesso Laroche), o come un titolo corrispondente allo ieroglifico “re”.75 È invece difficile proporre delle 71 V. quanto abbiamo scritto in proposito in RHA 31 (1973) 43 sg. L’identità di molti dei personaggi presenti in questi due testi è stata proposta dal Laroche, RHA 8 (1947-48) 40-48. 72 V. il nostro lavoro citato nella nota precedente, p. 12 sg., e inoltre p. 116 sgg., dove si parla di alcuni personaggi presenti in documenti ittiti ed ugaritici col titolo di “figlio del re”. 73 Ciò è probabile per Šaøurunuwa e Tattamaru, v. locc. citt. sopra note 71 e 72, e forse per Zida e ÷utupiyanza, v. locc. citt. sopra p. 91 note 67-70. 74 Ug. 3, 137 sgg. e in particolare 139. 75 V. E. Laroche, op. cit., 139 e note 6, 7, e RHA 14 (1956) 27 sg.; cfr. anche J. Nougayrol, PRU IV, 261, P. Meriggi, RHA 15 (1957) 151 sg., e J. Friedrich, HW Erg.Heft 1, 5.

117

identificazioni per gli altri personaggi menzionati nei documenti ieroglifici come “figli del re”.76 Dai documenti ittiti cuneiformi a noi pervenuti possiamo conoscere alcune mansioni spettanti ai “figli del re”, pur tenendo presente che la carica di DUMU.LUGAL poteva associarsi anche con altre.77 Spesso le competenze dei DUMUMEŠ.LUGAL corrispondono a quelle dei BÊLUMEŠ, insieme ai quali compaiono in molti testi, sia nelle “istruzioni” che altrove.78 Anche ai “figli del re” erano attribuite funzioni militari e amministrative, presumibilmente in rappresentanza del sovrano nel comando dell’esercito e nel governo delle province.79 Inoltre, dagli stessi passi da noi indicati a proposito dei BÊLUMEŠ (v. note 78 e 79) si può dedurre anche l’importanza dei DUMUMEŠ.LUGAL. È invece difficile stabilire se al DUMU.LUGAL, in quanto dignitario di altissimo rango, spettassero anche compiti religiosi. Ci sono pervenuti vari testi che descrivono cerimonie cultuali in cui officiava un DUMU.LUGAL; dalla loro lettura risulta evidente che si tratta di un vero e proprio figlio del sovrano quando il DUMU.LUGAL vi compare in ordine gerarchico dopo il re e la regina, o quando lo vediamo officiare parallelamente alla coppia reale o celebrare riti in sostituzione del re,80 ciò sembra verosimile anche quando si parla della sua provenienza dal Palazzo e del suo legame con esso81 o quando i DUMUMEŠ.LUGAL sono menzionati insieme alle DUMU.MUNUSMEŠ.LUGAL “figlie del re”, in Per esempio, sarebbe interessante sapere se il *Kuwatna-ziti “figlio del re” nei documenti ieroglifici sia identificabile col nipote di Šaøurunuwa (v. RHA 31 [1973] 48), o se Zuzzulli, figlio di Armazuøi, possa esser la stessa persona dello Zuzzulli “figlio del re” nella documentazione ieroglifica (v. E. Laroche, NH. Nr. 1590.3 e 4). 77 V. nota 2. 78 V. nota 40. 79 V. nota 78 e p. 110. 80 A questo proposito v. V. Haas, Der Kult von Nerik, Roma 1970 (= Studia Pohl 4), 42 sg., 198-213, 228-237, ed A. Archi, SMEA 14 (1971) 222 sg., nella sua recensione al libro suddetto. Il Haas, op. cit., 42 nota 3, parla anche di DUMU.LUGAL come glossa a LÚTARDENNI nel significato “Kronprinz” (su cui prossimamente G. Wilhelm, Untersuch. zum ÷urro-Akkadischen von Nuzi), ma non in ambiente ittita. Così, senza arrivare a pensare che nei casi in questione si tratti addirittura dell’erede al trono, ritengo però che vi si parli proprio di un principe nato dal re, pur ricordando che talvolta (v. nota 35) un DUMU.LUGAL, (non necessariamente vero figlio del sovrano) poteva - allo stesso modo di un BÊLU GAL - sostituire il re nel comando dell’esercito. 81 V. KBo X 20 (CTH 604) II 41 sg., 47 sg. 76

118

un rituale in cui sono presenti anche il re e la regina, tanto più che di questo testo possediamo anche una redazione in ductus antico-ittita.82 Ritengo invece che si debbano considerare diversamente quei casi (v. nota 43) - sia pur rari, ma sempre relativi a cerimonie di culto - in cui i “figli del re” sono menzionati al plurale e senza alcuna distinzione o rilievo rispetto ad altri dignitari citati insieme. Quindi, anche se dalla maggior parte di questi testi cultuali il DUMU.LUGAL sembra indicare un principe nato dal re, ciò non risulta però cosi evidente per tutti i documenti di questo tipo in cui egli si trova, neppure per quelli dove appare in posizione di primo piano rispetto ad altri sacerdoti che officiavano con lui.83 Concludendo, mi sembra assai plausibile considerare in taluni casi i BÊLUMEŠ e i DUMUMEŠ.LUGAL come appartenenti a categorie di dignitari di altissimo rango, che amministravano paesi ed avevano il comando di eserciti, e che potevano tenere anche altri importanti incarichi in settori diversi. Può darsi che il termine BÊLUMEŠ in un primo V. in E. Neu, StBoT 12, 10 sgg. I 8, 18 (l’integrazione della r. 8 è secondo KBo XX 12 I 7 e la r. 18 trova parziale rispondenza - per la lacunosità del testo - in KBo XVII 11 I 2’, ambedue facenti parte dell’esemplare antico); per la datazione dei manoscritti in cui ci è pervenuto questo rituale, v. XVII, p. IV sg. Nrr. 11 e 74, e KBo XX, p. VI Nr. 12, e E. Neu, op. cit., 6 sg. Cfr. anche nel presente articolo, p. 119 sg., a proposito della possibile evoluzione nel tempo del titolo DUMU.LUGAL. 83 V., ad esempio, IBoT I 29 (CTH 633) - contenenti la descrizione della festa øaššumaš, in cui l’attore principale sembra essere il “figlio del re” - dove in Ro 53-58 si legge: “(53) nu ANA DUMU.LUGAL LÚ.MEŠSANGA øûmanteš piran-šêt ešandari (54) andan-ma INA É LÚMU÷ALDIM halziyattari nu-šan (55) NINDAšaramna ANA GIŠBANŠUR÷I.A LÚ.MEŠSANGA tianzi 1 NINDAwagêššar (56) ANA GIŠBANŠUR DUMU.LUGAL tiyanzi 1 NINDAwagêššar-ma paršiyan[zi] (57) [n-at]-šan ANA GIŠBANŠUR LÚtazêlli 1 NINDAwa GIŠBAN[ŠUR] (58) [LÚSANG]A 1 NINDAwa GIŠBANŠUR MUNUSšiwanzanna 1 NINDAwa GIŠBANŠUR LÚøa[minâi]: qui - osserva il Goetze, JCS 1 (1947) 84 - il “figlio del re”, da lui inteso come “principe della corona”, appare trattato diversamente dagli altri sacerdoti tale distinzione non si nota invece in un passo analogo in Vo 10-16, e neppure in Vo 18 sg., dove vediamo il “figlio del re” azionare una macina allo stesso modo di altri personaggi addetti al culto: “(18)....ta NA4ARÀ DUMU.LUGAL m(probabile errore al posto di LÚ)tazêlliš LÚŠA[.TAM... (19) LÚŠU.I LÚ.MEŠminallêš mallanzi. . . . .”. Esistevano anche cerimonie cultuali celebrate da un DUMU (CTH 648), ma i testi in proposito sono troppo frammentari per poterci illuminare sui valore di tale titolo in questo àmbito. Comunque, anche se non mi sembra che vi siano finora elementi sufficienti per sostenerne una identificazione con quello di DUMU.LUGAL, si può però dedurre dai passi pervenutici l’importanza del personaggio così designato. 82

119

tempo, quando il regno era più piccolo e la sua amministrazione più limitata, designasse genericamente i nobili, poiché essi erano i più vicini al re ed a loro spettavano di diritto le più alte cariche, e che poi, con l’estendersi del regno, con il consolidarsi del potere assoluto del sovrano e con il conseguente ampliamento della burocrazia, assumesse un carattere più specifico.84 Per l’espressione DUMUMEŠ.LUGAL, ritengo che dapprima essa avesse soltanto valore letterale e che poi - sempre in conseguenza dell’espansione dei confini del dominio ittita, per cui il re si era trovato costretto ad affidare importanti incarichi di governo sia in ambito militare che amministrativo a numerose persone di sua fiducia85 - da una precisa designazione di un vincolo di parentela si ampliasse necessariamente a indicare una categoria di dignitari che comprendeva non solo i figli del sovrano, ma anche più genericamente membri della sua famiglia, e forse addirittura persone di ceto assai elevato, ma non regale.86

84 Qualcosa del genere si potrebbe sostenere anche per il titolo LÚDUGUD “uomo importante, degno di onore”, probabilmente generico in un periodo più antico (v. Testamento di ÷attušili I, CTH 6: KUB I 16 II 1, e Leggi Ittite, § 173A r. 12 sgg.) e venuto in seguito a delimitare e specificare il suo valore, come conferma il testo del “giuramento” dei dignitari così designati (CTH 260) ed altri documenti posteriori dove questo dignitario compare. 85 Incarichi che in epoca più antica dovevano essere di solito riservati ai figli del sovrano: v., per esempio, Editto di Telipinu (CTH 19) I 9-11, dove vediamo i figli di Labarna amministrare i paesi conquistati. 86 V. p. 117. Il v. E. v. Schuler RlA 3 (1966) 238, a proposito dei “signori” e dei “figli del re”, osserva che si può vedere in queste due classi di esponenti della più alta nobiltà “eine rohe Scheidung zwischen Geburts- und Amtsadel”.

120

VIII.

LE ISTITUZIONI CULTUALI DEL NA4øékur E IL POTERE CENTRALE ITTITA*

Questa ricerca rientra nel quadro di uno studio generale dei rapporti fra potere religioso e potere regio presso gli Ittiti. Durante tale indagine mi è sembrato interessante soffermarmi per un esame più approfondito sulle relazioni intercorse fra quelle istituzioni cultuali che si presentano legate ad un NA4øékur e il potere centrale in ÷atti. Per il termine øékur (più rara la scrittura øégur), per lo più preceduto dal determinativo NA4 “pietra”, viene generalmente accettata l’interpretazione di “picco montano/vetta rocciosa”.1 Questo termine è documentato raramente senza alcuna specificazione, di solito invece compare accompagnato o da indicazioni geografiche, o da nomi di divinità, o da altri termini il cui significato rimane spesso oscuro; talvolta si trova preceduto dal termine É (“casa del NA4øékur”) o dall’espressione LÚMEŠ (É) (“uomini (della casa) del (NA4) øékur X”):2 in questi casi doveva verosimilmente trattarsi di una istituzione cultuale con personale e beni propri.3 Già il Sommer4 aveva indicato la maggior parte dei testi dove compare il termine NA4øékur e l’Otten5 ha poi ampliato questa documentazione.

Relazione letta al “Primo Congresso italiano sul Vicino Oriente antico”, Roma, Aprile 1976. 1 Per primo il Forrer, Forsch. I/2, 242, propose l’interpretazione di “Felsgipfel”, accettata anche dal Sommer, AU, 318 (v. anche J. Friedrich, HW, 68); il Pedersen, Hitt., § 107, 2c, ha ricollegato questo termine al greco ¹UNLM, ai. agra “Spitze”. Per il valore, in taluni casi, di “santuario rupestre”, v. nota 3. 2 V. l’indice completo delle attestazioni del termine, p. 171 sg. Talvolta, pur mancando l’indicazione di “casa” o di “uomini (della casa)”, si può ugualmente intuire dal contesto che si parla di una istituzione cultuale, v. p. 143. 3 Un “santuario rupestre”, “Felsheiligtum”, secondo l’interpretazione dell’Otten, MDOG 94 (1963) 19 sg.; v. anche J. Friedrich, HW Erg.-Heft 3, 15. 4 Op. cit., 317 sg. 5 Op. cit., 18 sgg. *

121

Non ci illumina molto il passo di un rituale, KUB XII 63 (CTH 412.3) Ro 35,6 in cui questo termine compare solo, senza alcuna specificazione, purtroppo però in contesto oscuro. Si può soltanto notare che dopo NA4øékur si parla di êššari-šit “la sua immagine”, cui segue úelkuwa, nom.-accus. Plur. Neutro da welku- “erba”.6a Talvolta il termine NA4øékur compare seguito da un toponimo, che poteva essere o la sua denominazione o l’indicazione della località nell’àmbito della quale si trovava il NA4øékur. Così, in un frammento di annali, KUB XXIII 13 (CTH 211.4) Ro 7, è possibile che si trattasse sia del “picco montano ÷arana” sia del “picco montano (della città di) ÷arana”,7 mentre in KBo II 5 (CTH 61.10) I 4, 12, 14 - Annali di Muršili II - si parlava certo del “picco montano della città di Pittalaøša” perché, anche se soltanto alla r. 14, questo toponimo compare preceduto dal determinativo URU.8 Un passo di questo testo, alla r. 15 sgg., sembra V. J. Friedrich, Or 13 (1944) 208 sgg., e H. Pedersen, JCS 1 (1947) 60 sgg. V. anche la nota addizionale a p. 172. 7 [N]A4øégur ÷ârana(!)n-kán katta daøøun “io soggiogai il picco montano (di?) ÷arana” (v. anche F. Sommer, AU, 314 sg. e 318, e J. Garstang-O.R. Gurney, Geogr., 48 e 120). Per la seconda interpretazione sopra proposta non ha importanza il fatto che il nome ÷arana non sia preceduto dal determinativo URU, poiché anche nel documento successivo la città di Pittalaøša compare una sola volta con il determinativo URU, e neppure che ÷arana sia all’accusativo, poiché questo si riscontra una volta anche per Pittalaøša: cfr. nota seguente. Tutt’al più, se postulassimo un legame semantico fra il nome ÷arana e il picco montano qui menzionato (v. alla fine di questa nota), potremmo allora ritenere ÷arana come denominazione di questo. ÷arana compare anche come nome di montagna e di città: v. H. Gonnet, Mont. As. Min., Nr. 10, e J. Garstang-O.R. Gurney, op. cit., passi indicati nell’Indice, 128, s.v. ÷arana M. e ÷arran; per l’equazione ÷arana = ÷arranašša, v. H. Gonnet, op. cit., Nrr. 10 e 75; v. inoltre H.G. Güterbock, JNES 20 (1961), 90-92; v. E. v. Schuler, Kašk., 32 nota 157; Ph.H.J. Houwink ten Cate, Records, 68, 70 con nota 86. Riguardo alla documentazione ieroglifica, per ÷arana (= ÷arran), come nome di città, e per øarnaš(a)î, come designazione di “fortezza”, v. E. Laroche, HH, passi cit. nell’Indice, 287, e Nr. 231, e P. Meriggi, HHGl, 52 sg. Il Sommer, loc. cit., ricorda anche l’esistenza del termine øara(n)- “aquila”: vien fatto di chiederci se non vi fosse un legame semantico fra il termine che designava questo animale tipicamente montano e il toponimo ÷arana legato spesso a montagne, vette rocciose, fortezze. Comunque, in KUB XXVII 13 IV 4 è menzionata anche una fonte ÷arrannašša, probabilmente divinizzata, v. nota 118. 8 Da notare che in questa riga Pittalaøša compare all’accusativo. Per i passi qui menzionati v. A. Goetze, AM, 180 sg., e H. Otten, MIO 3 (1955) 171 sgg. V. anche F. Sommer, AU, 317 sg., che propone di identificare la città in questione con la città Pittalaøši menzionata in un testo oracolare KUB XXII 25 (CTH 562.1) Ro 10, 28, Vo 6

6a

122

dimostrare che il picco montano ivi menzionato era abitato, o che era servito temporaneamente come luogo di rifugio per gli abitanti della città di Pittalaøša e per i loro beni. Che il NA4øékur designasse in molti casi un luogo impervio e difficile da conquistare (e come tale potesse servire da luogo di rifugio di fronte ad improvvisi attacchi nemici)9 è dimostrato da un passo tratto ancora da un testo annalistico probabilmente dell’epoca di Muršili II - KBo XIV 20 (CTH 61.8) II 7 sgg. - in cui si parla di un assedio da parte del re ittita al NA4 øékur NA4kurušta (rr. 9[, 11[, 12), dove presumibilmente si erano rifugiati abitanti e bestiame di città assalite da questo sovrano, e che viene presentato come molto ripido e di difficile accesso.10 Non è chiaro se NA4 kurušta fosse la designazione di qualcosa in pietra o roccia, nello stesso àmbito semantico di NA4øékur (cfr. note 7 e 63), o un nome geografico, come lo intendono Houwink ten Cate, op. cit., Indice p. 190, e E. von Schuler, che lo localizza in zona kaskea (Kask., 40) e vi riconosce la presenza del suffisso -šta, verosimilmente di origine hattica, tipico di nomi di luogo, di cui cita alcuni esempi (op. cit., 104).11 Comunque, la maggioranza della documentazione relativa al NA4 øékur ci riporta all’àmbito religioso. In un testo che è probabilmente dell’epoca di Tutøaliya IV12 - KUB XXXVIII 2 (CTH 521) - contenente descrizioni di divinità13 nella Col. III, dopo la menzione della montagna Išdaøarunuwa,14 dei suoi oggetti sacri, delle sue feste e della città incaricata di celebrarle (rr. 18-20), si 13, per la presenza nei due testi anche della città Šunupašši. Del resto, secondo E. v. Schuler, Kašk., 176 sgg., anche quest’ultimo documento potrebbe essere dell’epoca di Muršili II. Né di Pittalaøša né di Šunupašši si parla in J. Garstang-O.R. Gurney, op. cit. 9 V. F. Sommer, AU, 317 sg., e H. Otten, MDOG 94 (1963) 19 e nota 68. 10 V. H. Otten, op. cit., 19, e Ph.H.J. Houwink ten Cate, JNES 25 (1966) 173 sg., 181 sg. Per l’attribuzione di queste imprese a Muršili II, v. Ph.H.J. Houwink ten Cate, op. cit., 162 sgg. 11 Esisteva anche una città kaskea di nome Kuruštama: v. in E. v. Schuler, Kašk., locc. citt. nell’Indice, 191. 12 L. Jakob-Rost, MIO 8 (1963) 164 sgg. 13 C.-G. von Brandenstein, Heth. Gött., 8 sg., L. Jakob-Rost, op. cit., 177, e H. Otten, MDOG 94 (1963). 19 note 65-66. 14 Montagna delle regioni settentrionali: v. E. von Schuler, Kask., 105, e H. Gonnet, Mont. As. Min., Nr. 84; v. inoltre C.-G. v. Brandenstein, loc. cit. e p. 45 della stessa opera (a proposito dell’uso di KUR come determinativo per “montagna”), e L. Jakob-Rost, loc. cit.

123

parla del NA4øékur Temmûwa15 cui spettavano un recipiente øutuši per vino, all’interno rivestito di argento, e due feste in autunno e in primavera, cui doveva provvedere la città di Dala (rr. 21-24). Dato il contenuto di tutto il documento, si può presumere che si trattasse qui di un picco montano che godeva onori divini (cfr. la montagna precedente, ed anche p. 126), piuttosto che di una istituzione cultuale (v. nota 2). Analogo a questo è il passo in KUB XXXVIII 6 (CTH 510) IV 4,16 dove si elencano alcune divinità e le feste loro spettanti: tra le divinità è menzionato un NA4øékur, purtroppo seguito da lacuna, dopo la quale si trova la città di Alauna.17 Non sapendo se nella lacuna vi fosse una designazione del picco montano precedente, o qualche altro termine indipendente (un nome di divinità?), rimane anche oscuro a chi si riferisse la città qui menzionata. In due testi di epoca diversa compare un NA4øékur SAG.UŠ: all’interpretazione di SAG.UŠ come “regolare” e, quindi, “stabile, continuo, eterno” si giunge dalla documentazione relativa alle feste religiose.18 Dal contenuto di questi due testi, uno più antico (sulla cui datazione v. qui sotto) ed uno dell’epoca di Šuppiluliuma II, si comprende che si tratta in ambedue i casi di santuari legati ad un picco montano, anche se non compaiono accompagnati dai termini É o LÚMEŠ; non sembra però che si parli della stessa istituzione poiché nel testo più recente Šuppiluliuma II dichiara di aver edificato lui il NA4øékur SAG.UŠ ivi menzionato (cfr. p. 170 con nota 163). Sul contenuto e sulla datazione del primo di questi due documenti, KUB XXI 33 (CTH 387), i pareri degli studiosi sono discordi.19 Si deve V. anche v. C.-G. von Brandenstein, op. cit., 98, che pone NA4ø. Temmuwa fra i nomi geografici, insieme alla montagna Ištaøarunuwa. Questa mi sembra l’ipotesi più probabile, anziché considerare Temmuwa un nome di divinità senza determinativo divino (cfr. più avanti p. 143 sg., a proposito di p/Pírwa). È comunque attestata la presenza di una divinità Tênu/Tenu/Temu, probabilmente di origine hurrica, e di un sacerdote di Teššup dal nome di Tenu (E. Laroche, Rech. [1946-47] 61), e di Timuwa, uomo di Ura (E. Laroche, NH, 185). 16 L. Jakob-Rost, op. cit., 187. 17 Questa città non si trova in J. Garstang-O.R. Gurney, Geogr. 18 J. Friedrich, HW, 290, ed Erg.Heft 3, 42. 19 Il Meriggi (WZKM 59 [1962] 70-76) pensa che il Muršili menzionato in questo documento senza alcun titolo fosse Urøi-Teššup, mentre lo Stefanini (JAOS 84 [1964] 30) ritiene che si trattasse di Muršili II negli ultimi anni del suo regno (v. tutto l’articolo, pp. 22-30): su tutta la questione v. S. Bin-Nun, The Tawananna in the Hittite Kingdom, 15

124

notare che alla r. 19 di questo testo si parla di SISKURMEŠ mantalliya per Danuøepa: un tipo di sacrificio non ben chiaro, legato, secondo alcuni studiosi, al culto dei morti.20 Alla r. 23 sembra si dica che “dal (?)] NA4 øékur SAG.UŠ egli ha preso (dâš)”, ciò che farebbe pensare ad una istituzione amministrativa da cui fosse stato prelevato qualcosa. Lo Stefanini (op. cit., 23) legge ¦NA4©[ø]é[k]ur anche alla r. 26. Il testo KBo XII 38 (CTH 121) è stato discusso da molti studiosi,21 sulla base di problemi e impostazioni diverse. Nella prima parte di questo documento si parla della conquista di Alašiya (= Cipro) ad opera di Tutøaliya IV, e nella seconda parte di un’impresa, sempre contro Alašiya, compiuta da Šuppiluliuma II. Nella Col. II 17-20 si legge che questo sovrano, prima di intraprendere tale impresa, aveva edificato per il padre defunto (Tutøaliya IV) un NA4øékur SAG.UŠ e vi aveva posto dentro una sua immagine (cfr. p. 167 con nota 155). Questo si dice ancora nella Col. IV 3-5; si aggiunge poi (r. 8) che il sovrano aveva assegnato a questo santuario 70 villaggi, certo per il suo mantenimento. Quindi (rr. 9-11) il re esprime una minaccia contro chi tenterà di sottrarre ciò all’istituzione suddetta e contro chi cercherà di sottoporla al šaøøan, certamente dovuto al potere centrale (cfr. pp 144 sgg. e 151). Di questa istituzione parleremo ancora (p. 167 sgg.) a proposito delle proposte di ubicazione per alcuni di questi santuari. In una descrizione del 32° giorno della festa AN.TA÷.ŠUMSAR per D LAMMA di Tauriša, pervenutaci in tre copie (CTH 617),22 in un passo dove si dice che il re liba ad alcune divinità e ad alcuni luoghi sacri non situati all’interno del tempio e ad altre entità divinizzate, dopo le divinità š. della porta grande, in KUB X 81 r. 5[ e in KBo XIII 176 r. 9 è Heidelberg 1975 (= THeth 5), 281 sg., e in particolare nota 228; v. inoltre A. Archi, SMEA 14 (1971) 201 e nota 66. 20 V. E. Laroche, Dict. Louv., 68, e BiOr 18 (1961) 84, e H. Otten, HTR 136 sg., e MDOG 94 (1963) 18, 20 con nota 71; v. inoltre J. Friedrich HW 136; HW Erg.-Heft 1, 13; Erg.-Heft. 2, 18; Erg.-Heft 3, 23, e la bibliografia ivi citata; R. Stefanini, op. cit., 30 con note 56 e 58 e A. Kammenhuber, THeth 7 (1976) 28 sg. A. Ünal, ÷attušili III, I.1, Heidelberg 1974 (= THeth 4), 166 sgg., dopo aver esaminato i passi dove compare questa espressione, giunge alla conclusione (171 e nota 230) che il sacrificio così designato non fosse soltanto offerto ai “Mani”, ma anche a persone viventi. 21 G. Steiner, Kadmos 1 (1962) 130 sgg.; H. Otten, op. cit., 13 sgg. e ZA 58 (1967) 231 sgg.; H.G. Güterbock, JNES 26 (1967) 73 sgg.; O. Carruba, SCO 17 (1968) 7 sgg. 22 H.Th. Bossert, HKS, 31 sgg. e H. Otten, StBoT 7 (1968) 27 sgg. Da notare in KUB X 81 r. 8 la presenza di :annariš, su cui v. p. 160 con relative note.

125

menzionato un NA4øékur DINGIRLIM, che non compare invece nell’elenco corrispondente in KUB II 8 V 17 sgg. Dal contesto dei passi qui indicati sembra che con questa espressione vi si designasse un picco montano divinizzato (v. p. 154 e cfr. p. 123 sg., a proposito del NA4øékur Temmûwa). Talora, come abbiamo detto, il NA4øékur compare accompagnato da nomi di divinità. In un frammento, contenente la descrizione di una cerimonia di culto, KBo X 35 (CTH 670),23 in Ro(?) I 4, dopo una lacuna di circa due segni, si parla del picco montano della divinità Kammama, seguito da øa-aø-l[a- e poi da una lacuna dello spazio di un segno o due: si potrebbe pensare ad un completamento sulla base di una radice øaøla/øaøøal- (non so in quale forma), indicante “rigido, duro”,24 che semanticamente si accorderebbe bene col termine NA4øékur, oppure secondo un suggerimento del Neu - ad una voce di un verbo øaølai/øaøliya-, reduplicazione di øaliya- “inginocchiarsi”, di cui è nota la forma reduplicata øaliølai-/øaliøliya-: v. J. Friedrich, HW 47, Erg.-Heft 3, 13, e E. Neu, SBoT 5 (1968) 33 sgg. Nella r. 5 si parla dell’immolazione di una pecora e nella r. 6 dell’offerta di 2(?) pecore da parte dei Ro(?) I ]..[ ]. ________________________ 3’ ø]a-a-¦ni©-ya-aš KÁ.GAL[ 4’ ]. NA4øé-kur DKam-ma-ma øa-aø-l[a5’ ]-i [ ]. UDU øu-u-kán-zi 6’ 2(?) UDU-ma-aš-ma-aš LÚMEŠ IGI.DU8.A pí-an-zi ________________________________________ 7’ 2 LÚMEŠ SANGA a-ra-an-ta-ri ŠÀBA 1 DUMU.NITA 8’ 1 DUMU.MUNUS.GAB ___________________________________________ 9’ ]-iš .[ ]-la-i NA4-ri 10’ ]. .[ ]. ŠA UR.MA÷÷I.A a-ri ¦MEŠ© 11’ x (= numero) LÚ] ¦SANGA© a-ra-an-ta-ri 12’ ŠÀBA(?) DUMU.¦MUNUS©.GAB ============= 13’ ]. øu-u- . .[ 23

1’ 2’

Sull’espressione øaniyas KÁ.GAL, v. F. Pecchioli-Daddi, OA 14 (1975) 112 sg., e I. Singer, ZA 65 (1975) 90. Da notare il legame di questa porta ø. anche con la casa øešti, su cui v. note 157 e 158. 24 Su questa radice v. A. Goetze, Tunn., 84 sgg., e J. Friedrich, HW, 45.

126

funzionari LÚ.MEŠIGI.DU8.A; non è chiaro a chi si riferisca il pronome enclitico -šmaš “a loro”, presente nella r. 6: probabilmente alle località sacre menzionate nelle rr. 3 e 4 e forse anche nella lacuna all’inizio della r. 5. Vediamo quindi che al picco montano dedicato alla divinità Kammama25 vengono fatti sacrifici e date offerte; non si comprende dal testo se a questo NA4øékur fosse legato anche un santuario. Purtroppo, dopo una lacuna di circa due segni, all’inizio della r. 4 si vede soltanto un cuneo verticale tagliato da un segno obliquo: la fine di un cuneo o un graffio? In quest’ultimo caso potremmo allora pensare anche alla terminazione di É. A metà della r. 7 si trova il termine ŠÀBA che probabilmente è legato alle espressioni seguenti (“(7) all’interno (sono/si trovano) un fanciullo maschio (8) e una lattante femmina”) sia perché altrimenti queste rimarrebbero isolate nel contesto sia per il confronto con le rr. 11 sg., dove con arantari si conclude la r. 11. Il Verso VI(?) non è di grande utilità per l’argomento di questa ricerca: vi si parla di una cerimonia cultuale compiuta dal re mediante il GIŠkalmuš, con l’assistenza di un “figlio del Palazzo” e di una guardia del corpo, nel tempio della dea Mezzulla (r. 9. ¦I©]-NA É DMe-ez-zu-ul-la). Di particolare interesse si presenta l’esame delle attestazioni concernenti l’É NA4øékur DLAMMA, in KUB XIV 4 (CTH 70), KUB XXII 70 (CTH 566) e nel frammento KUB XVIII 54, duplicato di KUB V 6 (CTH 570). Dalla lettura dei relativi passi - riguardanti eventi verificatisi durante il regno di Muršili II,26 quando era ancora in vita la Su questa divinità v. E. Laroche RHA 31 (1973) 83 sgg., e in particolare p. 85 sg. con nota 4 - il quale ne mostra l’appartenenza al gruppo di DLAMMA “dont elle est l’une des lectures, entre autres”; egli nota anche l’esistenza di “un øékur DKammama ... en face d’un øékur DLAMMA ...”. Esiste anche una città di nome Kammama, situata in territorio kaskeo, v. C.-G. von Brandenstein, Heth. Gött., 6 r. 22 e p. 41, e E. von Schuler, Kašk., passi citati nell’Indice, 190. 26 KUB XIV 4 è un testo dell’epoca di Muršili II; di eventi relativi al regno di questo sovrano ritengo si parli anche in KUB XXII 70: A. Ünal-A. Kammenhuber, KZ 88 (1974) 160 sg. con nota 10, propongono invece di datare questo testo all’epoca di ÷attušili III e di Puduøepa; nel loro articolo, a p. 158, si inquadrano cronologicamente diversi tipi di consultazione oracolare praticati dagli Ittiti e si pone nel XIII sec. (e più precisamente all’epoca di ÷attušili III) l’introduzione della pratica oracolare eseguita mediante il MUŠEN ÷URRI, un tipo di consultazione presente, insieme ad altri, anche nel testo in questione. Inoltre la Kammenhuber, in THeth 7 (1976) 150-152, ripropone questa stessa datazione, trattando dell’inserimento dei sogni in pratiche oracolari. Questi criteri di datazione, validi in molti casi come elementi indicativi, non mi sembrano però applicabili al nostro testo. Mi pare infatti assai verosimile che la regina 25

127

sua matrigna, la regina Tawannanna, vedova di Šuppiluliuma I27- mi pare risulti evidente il vincolo che univa il santuario del picco montano di LAMMA a questa regina, anzi lo stretto rapporto che essa sembra aver avuto con questo luogo di culto deve, a mio avviso, aver tenuto una parte di grande importanza nei suoi vari intrighi che le procurarono l’esilio da parte del figliastro. Infatti, in un passo ben noto tratto dalla requisitoria di Muršili II contro la sua matrigna - KUB XIV 4 II 3 sgg. - in cui questa viene accusata di aver disposto dell’intero patrimonio paterno in maniera ritenuta non equa, questo sovrano fa rilevare accoratamente: “ora voi, dèi, non vedete continuamente come (essa = la regina vedova) abbia diretto/trasferito (neyat) tutto il patrimonio (É, lett. “casa”) di mio padre nel santuario del picco montano di LAMMA (e) nel mausoleo reale (É.NA4 DINGIRLIM)?”.28 ivi menzionata fosse appunto Tawannanna, la vedova di Šuppiluliuma I, anche se ad essa in questo documento si allude di solito col solo titolo MUNUS.LUGAL, tranne che in Ro 74 e 79, dove compare come MUNUS.LUGAL fTawa(n)nanna, con cui ritengo improbabile si volesse qui indicare il titolo regio, v. anche più avanti note 29a e 30. Che si trattasse qui di questa regina è stato detto anche da A. Ünal, THeth 4 (1974) 37 sgg. e in particolare nota 6, e da S. Bin-Nun, op. cit., 183 con nota 98, cfr. pure p. 255. Si deve purtroppo rilevare che la maggior parte dei personaggi menzionati in questo testo non si ritrova altrove. Riguardo poi alla datazione di KUB V 6 e del suo duplicato KUB XVIII 54, è stata finora generalmente accettata dagli studiosi l’opinione del Forrer, MDOG 63 (1924) 14, e del Sommer, AU, 289 sg., che proponevano l’epoca di Muršili II, mentre attualmente lo Ünal, THeth 4 (1974) 168 sgg., e la Kammenhuber, THeth 7 (1976) 27 sgg. e in particolare nota 51, propendono per l’epoca di ÷attušili III; anche accettando quest’ultima ipotesi per la datazione di questi due documenti, ritengo però che nei passi che a noi interessano si faccia riferimento ad eventi relativi alla regina Tawannanna, matrigna di Muršili II, soprattutto per quanto si dice nella Col. III r. 74 (v. p. 139 sg.). 27 Sull’identificazione di questa regina, figlia di un re di Babilonia, come terza moglie di Šuppiluliuma I, v. E. Laroche, Ug. III, 99 sgg., e NH Nr. 1316.2, e A. Ünal, loc. cit.; in A. Ünal-A. Kammenhuber (op. cit., 167 nota 25) invece si ritiene che si tratti della seconda sposa di Šuppiluliuma I, sulla base del nuovo materiale storico in lingua hurrica, per il quale si rimanda a A. Kammenhuber, op. cit., Cap. VII; v. inoltre S. BinNun, op. cit., 51, 167 sgg., 261 sgg., 269 sgg., 297 nota 273. 28 Concordo qui con l’interpretazione di H. Otten, HTR (1958) 133, MDOG 94 (1963) 18, e Fischer Weltg. 3, traduz. in St. Univ. Feltrinelli 3, 148, proprio per il confronto con KUB XXII 70. Diversamente interpreta invece il Güterbock, presso E. Laroche, Ug. III, 102 e 103 con nota 1 (“Do you, o gods, not see how she has turned the entire house of my father into a graveyard?”), alla cui traduzione si attengono anche A. Ünal, op. cit., 39, e S. Bin-Nun, op. cit., 189 con nota 122.

128

Questa interpretazione del passo, già proposta dall’Otten (v. nota 28), mi sembra convalidata proprio da quanto si legge in KUB XXII 70,29 un ampio testo in cui si descrivono consultazioni oracolari fatte allo scopo di conoscere quali colpe potevano aver provocato la collera della divinità della città di Arušna29a ed in cui si parla frequentemente della sottrazione di alcuni beni cultuali, effettuata dalla regina Tawannanna in favore proprio del santuario del picco montano di LAMMA. È del resto nota anche da altri testi l’abitudine di questa regina di prelevare materiale prezioso dovuto alle divinità: v. in proposito S. Bin-Nun, op. cit., 183-189; v. inoltre quanto osserveremo più avanti, riguardo a KUB V 6 III 67 sgg. All’inizio di KUB XXII 70 si legge che in occasione della malattia di un sovrano ittita (Ro 1) - verosimilmente Muršili II,30 anche se in questo testo non è mai menzionato con il suo nome, ma soltanto con la designazione “il Mio Sole” - si cerca di sapere se la divinità di Arušna sia

Il passo continua: “e quello fece venire da Šanøara (= Babilonia), e quello in ÷attuša a tutta la popolazione consegnò (= consegnò in ÷. a tutta la popolazione quello che aveva fatto venire da Š.)”, v. più avanti p. 142 con nota 60, e cfr. St. Univ. Feltrinelli 3, 148, v. invece Ug. III, 103 con note 2 e 3, e S. Bin-Nun, op. cit., 189. 29 Testo menzionato in F. Sommer, AU, 318, E. Laroche, op. cit., 103, H. Otten, MDOG 94 (1963) 18, A. Ünal, op. cit., 37 sgg., A. Ünal-A. Kammenhuber, op. cit., 160 sg. con nota 10, S. Bin-Nun, op. cit., passi indicati nell’Indice a p. 375, A. Kammenhuber, op. cit., 150-152. Di questa tavoletta riportiamo soltanto alcuni passi inerenti all’argomento di questa trattazione, poiché essa verrà pubblicata completamente da A. Ünal, secondo quanto è stato annunciato in A. Ünal-A. Kammenhuber, op. cit., 159 nota 5. 29a Sui passi in cui compare questa divinità kizzuwatnea, v. A. Kammenhuber, op. cit., 150; essa è attestata per la prima volta in una preghiera di Muwatalli, KBo XI 1 (CTH 382) Vo 13 sg., in un contesto purtroppo lacunoso, in cui si legge “in quella faccenda del padre del re” (verosimilmente Muršili II) e si parla della prestazione di un sacrificio per questa divinità: a proposito di questo passo concordo con l’opinione di Ph.H.J. Houwink ten Cate (RHA 25 [1967] 127, cfr. anche pp. 109, 112, 119) che vede qui un riferimento a quanto è scritto in KUB XXII 70. 30 La datazione di questo testo al regno di questo sovrano (v. sopra nota 26) risulta assai probabile sia per i frequenti riferimenti ad una situazione di tensione fra lui e la regina Tawannanna - cosa che del resto ci è nota anche da altri documenti - sia per le continue allusioni a colpe commesse da questa regina ed anche al suo bando dal Palazzo (Ro 16, v. p. 131 con nota 35); v. inoltre più avanti, nota 45, a proposito dell’eventualità che in Vo 46 si parli di un processo collegato ad una malattia di questo sovrano.

129

in collera e se lo sia con lui: i responsi risultano affermativi riguardo a tutti e due i quesiti (rr. 4-7). Nelle rr. 12 sgg. si affronta una questione che viene poi ripresa varie volte nel testo e che appare come una delle cause principali della collera divina e delle conseguenze che ne sono derivate: sembra cioè che si tenda a mettere in evidenza lo stretto legame della regina in questione con il santuario del picco montano di LAMMA, dove si dice che essa aveva trasferito diversi oggetti ripetutamente richiesti dalla divinità di Arušna (v. più avanti durante la descrizione del testo), suscitandone in tal modo la collera. Pare addirittura che tale rifiuto a soddisfare le richieste di questa divinità fosse stato uno dei motivi che aveva provocato il bando di questa regina dal Palazzo31 (v. r. 16): 12 ki-i ku-it nam-ma NU.ŠIG5-ta nu e-ni-ya ku-it f Ma-a-la-aš ki-iš-šaan!32IQ-BI MUNUS.LUGAL-wa-za KI-LI-LU GUŠKIN 13 I-NA É NA4øé-kur DLAMMA e-eš-ši-eš-ta nu-wa-ra-at A-NA [MUNUS.LU]GAL DINGIRLIM URUA-ru-uš-na Ù-az IR-ta MUNUS.LUGAL-ma-wa-ra-at 14 Ú-UL pé-eš-ta nu-wa-ra-at I-NA É LÚŠÀ.TAM kat-ta! da-a-iš-[t]a33 MUNUS.LUGAL-ma-wa A-NA DINGIRLIM URUA-ru-uš-na 2 GILIM KÙ.BABBAR 15 ta-ma-a-i pí-di-iš-ši e-eš-ši-eš-ta nu-wa-ra-at ku-it-ma-an A-NA DINGIRLIM URUA-ru-uš-na na-a-ú-i up-pé-eš-ta 16 A-NA MUNUS.LUGAL-ma-wa me-mi-aš ú-wa-a-i ti-ya-at nu-wa-raan-kán IŠ-TU É.GALLIM kat-ta u-i-e-er... “(12) Inoltre poiché riguardo a questo (il responso) fu sfavorevole e poiché anche riguardo alla cosa menzionata fMala così parlò: “La regina una corona d’oro (13) nel santuario del picco montano di LAMMA fece e ciò (= la corona, accus.) alla [regi]na la divinità di Arušna mediante un 31 Qui e altrove nel testo il sumerogramma É.GAL ha per lo più il valore di “palazzo reale, corte”, come del resto anche in altri testi dove si parla dell’esilio di questa regina (v. KUB V 6 III 74 e il suo duplicato KUB XVIII 54 r. 74, e KBo IV 8 II 14; sui possibili significati di É.GAL nei testi ittiti, v. H.G. Güterbock, in Actes XIXe R.A.I., Paris, 1971 [1974], 305-314, ed A. Archi, OA 12 [1973] 209-213). 32 Tra -an e IQ- si trova un inspiegabile cuneo verticale. 33 Il segno è danneggiato: la Kammenhuber, op. cit., 150, vi legge probabilmente ŠA poiché traduce qui “von der Königin”.

130

sogno chiese, ma la regina (14) non la dette, e nella casa del tesoriere la depose, ma la regina alla divinità di Arušna altre due corone di argento (15) al suo posto fece, e mentre/come alla divinità di Arušna non ancora le aveva inviate,34 (16) alla regina la faccenda procurò dispiaceri e dal Palazzo la mandarono fuori/bandirono...”.35 Il testo continua dicendo che (r. 16) la regina della città di Ut(?)rulia35a (r. 17) di nuovo scrisse al sovrano ittita (al Mio Sole) che la divinità di Arušna gli aveva chiesto in sogno la corona d’oro (rr. 18 sg.) deposta nella casa del tesoriere (cfr. r. 14) insieme ad altri oggetti e che mandasse via ciò alla/per la divinità;36 nelle rr. 19 sg. si dice che si trovò la corona d’oro e si menzionano poi altri oggetti che ricorrono ancora in Recto 25 e 71. Quindi (rr. 20 sg.) si legge “e ciò nel santuario del picco montano di LAMMA alla statua della regina dentro portarono” - (20) ... na-at-kán I-NA É NA4øé-kur DLAMMA (21) A-NA ALAM MUNUS.LUGAL an-da pé-e-te-er37 - e si nota che però altri oggetti che dentro furono 34 Da intendersi nel senso di “prima che alla divinità di Arušna le avesse inviate” (cfr. KBo III 4 I 3, in A. Goetze, AM, 14 sg.) oppure “poiché alla divinità di Arušna non ancora le aveva inviate”? 35 La Kammenhuber, op. cit., 151, interpreta diversamente l’ultima parte di questo passo: alla fine della r. 14, al posto di “2 GILIM KÙ.BABBAR” essa legge e traduce “Die 2 Throne (GIŠŠU-øi = hurr. kešøi) aus Silber”, mi sembra però preferibile la lettura GILIM per il confronto con le rr. 22-23 (anche se qui si parla di 2 corone d’oro anziché d’argento) e con la grafia del termine GIŠŠU.A-øi nella r. 63 sempre del Recto; all’inizio della r. 15 essa traduce “an seinem anderen Ort”, mentre io ritengo tamâi un accus. neutro plur. (v. J. Friedrich, HW, 207, secondo A. Goetze, Madd., 28 sg. Vo 37 e 171, e HE [1974] 70) accordato con “2 GILIM KÙ.BABBAR (r. 14)” e posto forse enfaticamente in questa posizione (sulle forme di dat.-loc. sing. di t/damai- v. J. Friedrich, locc. citt., e HW Erg.-Heft 2, 24); cfr. inoltre, per esempio, più avanti in Ro 28 dove tamâi compare come nom. neutro sing. accordato con kuitki: anche la Kammenhuber traduce qui “weiter nichts”. Della seconda parte della r. 16 la Kammenhuber dà questa traduzione “Dann schickte man sie (-at) aus dem Palast hinunter”: in KUB XXII 70 in questa riga si legge però nu-wa-ra-an-kán; in maniera analoga ci si esprime anche più avanti in Ro 35, v. nota 40; su katta uiyacol valore di “mandar fuori, bandire”, v. J. Friedrich, HW, 232, che rimanda a F. Sommer, HAB, 144. 35a A. Ünal, in base alla collocazione della tavoletta, mi ha fatto presente l’opportunità di leggere qui MUNUS.LUGAL URUUd/Ut/UD/UTU-ru-li-az, anziché nu LUGAL URUWuu-ru-li-az, come risulta da KUB XXII 70: la Kammenhuber, loc. cit., traduce qui: “der König von (der Stadt) Waruliya”. 36 (19) nu-wa-ra-at A-NA DINGIRLIM ar-øa up-pí: uppi, imper. 2a pers. sing. da uppa-, v. J. Friedrich, HW, 234; cfr. più avanti r. 23. 37 Cfr. r. 26, ed anche p. 139.

131

posti (rr. 22-24) non trovarono, ma delle due corone d’oro38 che la regina aveva fatto (in conseguenza) di un voto (gen. sing.)/come voti (dat. plur.) per la divinità ne trovarono una, e alla/per la divinità la mandarono via (cfr. r. 19 e nota 36), ma una corona d’oro non trovarono, allora poiché riguardo alla cosa menzionata così parlarono: “qualunque suppellettile39 per la divinità sia deposta, alla divinità appunto la si dia e ciò di nuovo non si trasferisca”. . . 22 nu-wa-ra-at Ú-UL ú-e-mi-ir 2 GILIM GUŠKIN-ma-wa ku-e ma-alde-eš-na-aš MUNUS.LUGAL A-NA DINGIRLIM e-eš-ši-eš-ta nu-wa 1EN GILIM GUŠKIN 23 ú-e-mi-ir nu-wa-ra-at A-NA DINGIRLIM ar-øa up-pí-ir 1 GILIM GUŠKIN-ma-wa Ú-UL ú-e-mi-ir nu e-ni ku-it ki-iš-ša-an me-mi-ir 24 A]-NA Ú-NU-UT DINGIRLIM-wa ku-it ku-it kat-ta-an GAR-ri nuwa-ra-at A-NA DINGIRLIM pí-ya-an-zi-pát Ú-UL-wa-ra-at EGIR-pa

wa-aø-nu-wa-an-zi Si dice poi (r. 25) che riguardo alla cosa menzionata - e qui si riparla di alcuni oggetti che ricorrono anche nelle rr. 20 e 71 - non si sapeva niente, e si ripete (r. 26) che ciò nel santuario del picco montano di LAMMA alla statua della regina dentro portarono (cfr. r. 21), ma non trovarono :takkišra.39a Alla r. 27 si chiede se la divinità sia in collera per questo, in tal caso le carni e gli altri elementi della consultazione siano sfavorevoli: il responso risulta infatti sfavorevole. Sembra si faccia poi (r. 28) un’altra consultazione per sapere se la divinità sia in collera anche per altri motivi. A questo punto (rr. 29 sgg.) cominciano ad intrecciarsi Cfr. nota 54. Cfr. le espressioni in KUB XXVI 43 Vo 7 e 12 (v. Šaøur. [1974], 34 sg. e 105 nota 167); mi sembra più improbabile intendere così il nostro passo: “qualunque cosa come suppellettile della/per la divinità sia deposta”. 39a La Kammenhuber, op. cit., 151 sg., legge qui e alla r. 21 “10 takkiššara/takkišra”, ed anche altrove, relativamente ad altri sostantivi (pi/penkita, atupalaššan), legge come “10” il segno che io ho inteso come indicazione di glossa: se però il cuneo obliquo discendente prima di pinkita alla r. 20 avesse indicato il numero 10, esso sarebbe stato probabilmente ripetuto anche alla r. 25 in contesto analogo, come infatti avviene per 8 AYARI (cfr. pure r. 71). Questo segno, in relazione ai termini su menzionati, viene inteso come indicazione di glossa anche da J. Friedrich (HW, 330, 332 sg., Erg.-Heft 2, 44), H.G. Güterbock (Or 25 [1956] 129) ed E. Laroche (Dict. Louv., 35, 82, 89). 38

39

132

diverse vicende su cui non ci fermiamo perché esulano dall’argomento di questa ricerca, ma che si riferiscono a manchevolezze e intrighi che avevano coinvolto numerose persone, per lo più donne, che gravitavano nell’àmbito del Palazzo.40 Avendo poi l’oracolo continuato a dare un responso sfavorevole, si riparla allora della regina che aveva appreso in sogno delle suppellettili portate nel santuario del picco montano di LAMMA e della richiesta di Arušna (cfr. Ro 73): 41 . . . . . . . . . . . . .nu-za-kán MUNUS.LUGAL ku-it [MA.M]Ú-an a-uš-

ta nu-wa za-aš-øi-ya

42 ku-iš-ki me-mi-iš-ki-iz-zi Ú-NU-TEMEŠ-wa-kán ku-e ¦I-NA© [ŠÀ] ¦É© NA4 ¦øé-kur© DLAMMA nu-wa . [ ]. A-NA DINGIRLIM URUA-ru-uš-na

ku-it

43 pé-eš-te-ni. . . . . . Dopo aver ricordato altre vicende di cui si era parlato precedentemente, nelle rr. 49 sg. si dichiara che il responso è ancora sfavorevole e poiché esiste un peccato all’interno del santuario del picco montano di LAMMA, si deve fare su ciò una consultazione oracolare, e quello che viene stabilito si deve dare alla divinità, la quale però non è ancora soddisfatta. Nelle rr. 51 sgg. si ripete che è stato commesso un peccato all’interno del santuario suddetto, e sembra - ma non è ben chiaro - che si decida di lasciare la cosa in questione nel santuario del picco montano di LAMMA,41 e di dare in sostituzione alla divinità la 40 Purtroppo, come già abbiamo detto, la maggior parte di queste persone è presente soltanto in questo testo. Si ricordano qui diversi episodi che dovevano aver suscitato a corte un certo clamore. Da notare la menzione di una donna di nome Pittiya, di cui si parla anche altrove nel testo e di cui si dice che fu espulsa dal Palazzo e data alla divinità: (35) nu-kán fPíttiyan IŠTU É.GALLIM katta uiêr n-an ANA DINGIRLIM píanzi. Nelle rr. 36 sgg. si discute anche la faccenda di un certo Palla, in cui risulta evidentemente coinvolta anche la regina. Nella narrazione di queste vicende compare sovente anche una DUMU.MUNUS GAL, che doveva tenere una posizione elevata ed in cui la Bin-Nun, op. cit., 255 sg., propone di riconoscere Gaššulaniya/Gaššuliyawiya, la sposa di Muršili II. La Kammenhuher (op. cit., 149, v. anche pp. 30 e 147 sg.), in accordo con la datazione da lei attribuita a KUB XXII 70, ritiene invece che nel nostro testo e in KBo XVIII i si tratti della figlia maggiore di ÷attušili III e di Puduøepa, cioè di una sorella carnale di Tutøaliya IV. 41 Si alludeva probabilmente a ciò che era stato sottratto dalla regina alla divinità di Arušna e portato in questo santuario.

133

stessa cosa in pietra (rr. 51 sg.), poi in oro (r. 53), quindi in oro e in pietra (r. 54), e inoltre vesti particolari (rr. 55 sgg.), ma ad ogni proposta l’oracolo (la tadorna) risponde sempre sfavorevolmente, finché alla r. 60 il responso è favorevole, dunque la divinità sembrerebbe contenta dell’offerta. 49 ki-i ku-it nam-ma NU.SIG5-ta nu-kán :wa-aš-ta-an-za ku-it ŠÀ É NA4 øé-kur DLAMMA a-aš-ša-an na-a[t] a-ri-ya-u-¦e©-ni . [ 50 nu ku-it SIXSÁ-ta-ri na-at A-NA DINGIRLIM pí-an-zi ma-a-an-ma-za DINGIRLIM QA-TAM-MA ma-la-a-an øar-ti nu TEMEŠ SIG5-ru TEMEŠ NU.SIG5 zi-ma šu-ri-iš SIG5 51 e-ni-kán ku-it :wa-aš-ta-an-za ŠÀ É NA4øé-kur DLAMMA a-aš-šu-waan-zi SIXSÁ-at na-at pa-a-an-zi A-NA DINGIRLIM IŠ-TU NA4 52 pí-an-zi KI.MIN nu MUŠEN÷UR-RI SIG5-ru NU.SIG5 ______________________________________________________ 53 na-at A-NA DINGIRLIM IŠ-TU GUŠKIN-ma pí-an-zi KI.MIN nu MUŠEN ÷UR-RI SIG5-ru NU.SIG5 ______________________________________________________ ............................. ................... 60 . . . . . . . . . . . . . pí-an-zi KI.MIN nu MUŠEN÷UR-RI SIG5-ru SIG5 ______________________________________________________ Si esamina quindi una serie di vicende che coinvolgono lo stesso sovrano, alcune delle quali si ripetono più volte nel testo:42 da notare che

Nelle rr. 61 sgg. si dice che riguardo alla cosa menzionata la regina mandò dal re persone da lei dipendenti (UNMEŠ-šuš, cfr. S. Bin-Nun, op. cit., 194); sembra però che egli, conosciuta la faccenda per intero, sia rimasto indifferente (r. 62: “e così (il Mio Sole) parlò: “Non ditemi niente”, e riguardo a ciò/a loro tacque”. Cfr. anche rr. 74 sgg. e Vo 44 sg., e p. 139 sg., a proposito di KUB V 6 III 71) e che questo abbia provocato la collera divina (r. 63), si richiede perciò un’ammenda al sovrano (r. 64). 42

61 e-ni-ma ku-it MUNUS.LUGAL UNMEŠ-šu-uš kat-ta GUL-an-te-eš14 A-NA DUTUŠI IŠ-TUR DUTUŠI-ma-kán me-mi-an me-na-aø-øa-an-da ka-ni-iš-ta 62 nu ki-iš-ša-an IQ-BI le-e-wa-mu ku-it-ki me-ma-at-te-ni na-kán še-er ka-ru-uš-ši-yaat nu ma-a-an A-NA DINGIRLIM 63 a-pa-a-at ku-it-ki TUKU.TUKU-az DÙ-at nu SUMEŠ NU.SIG5-du GIŠŠÚ.A-øi GÙBla-an NU.SIG5 _________________________________________________________________

134

nelle rr. 71 sgg. si riparla della corona d’oro e di altri oggetti (su cui cfr. rr. 19 sgg. e 25), e del sogno della regina riguardo agli utensili posti all’interno del santuario del picco montano di LAMMA (r. 73, cfr. sopra rr. 41 sg.). Questa istituzione cultuale viene di nuovo menzionata al Vo 17, purtroppo però in un contesto lacunoso;43 nelle rr. 20 sgg., anch’esse danneggiate, si parla ancora degli utensili situati nel medesimo santuario e di un indennizzo stabilito mediante l’oracolo, ma la divinità non sembra d’accordo. È da notare la frequente presenza di questi utensili in riferimento al santuario del picco montano di LAMMA ed alla divinità adirata, probabilmente perché ne rivendica il possesso: si deve osservare che a tal proposito si allude anche ad una maledizione all’interno del palazzo reale (rr. 24 e 26), indicato qui con É.LUGAL (v. nota 31).44 64 nu ma-a-an DINGIRLIM a-pád-da še-er A-NA DUTUŠI za-an-ki-la-tar ku-it-ki ša-anaø-ta nu SUMEŠ NU.SIG5-du ŠUTI GÙB-aš NU.SIG5 _________________________________________________________________ L’espressione UNMEŠ-šuš è accompagnata da katta GUL-anteš “abbattuti, precipitati”: cfr. più avanti Ro 74 dove, parlando verosimilmente dello stesso evento, si legge UNMEŠ-uš kuiêš katta waløanzi; in Vo 44, ancora a proposito di questo episodio, si parla di antuøšaš katta GUL-aøøandaš; cfr. inoltre le espressioni analoghe in Vo 15 (fPittiyaš-wa-kán katta GUL-anza), 30 (ŠA DUTUŠI kuit antuøšaš katta GUL-aøøandaš šêr zankilatar SIXSÁ-at), 61 (mân katta waløanta kuitki úemiyanzi), 65 sg. (nu Ú-UL katta GUL-uwar (66) kuiški KAR-nuzzi). Pare che la divinità non sia ancora soddisfatta e ricerchi qualcos’altro (r. 65 sg.); si riparla allora della faccenda della donna di nome Pittiya (v. nota 40), di cui la regina afferma di aver informato il sovrano (r. 67), lamentandosi di non essere stata ascoltata (r. 69). Nelle rr. 71 sgg. si fa un riesame delle vicende precedentemente esposte in cui sono coinvolti, insieme ad un gran numero di persone, anche la regina Tawannanna e il sovrano. Nelle prime righe del Verso si fanno di nuovo consultazioni oracolari e si riprende la questione di Pittiya che ha commesso qualcosa proprio nell’àmbito del Palazzo. Nelle rr. 13 sgg. si interroga sulla faccenda di Pittiya una certa ÷epamuwa che dice che Pittiya è maledetta (r. 14. f÷epa]muwa memai fPittiyaš-wa øurtanza); alla r. 15 si legge: f÷épamuwaš-ma memai fPittiyaš-wa-kán katta GUL-anza, cfr. qui sopra. 43 Forse nella lacuna si parlava di qualcosa spettante alla divinità e portata nel santuario suddetto poiché si legge poi nello stesso passo che si doveva dare alla divinità la medesima cosa intatta o completa; dalle righe seguenti sembra però che la divinità non fosse ancora soddisfatta: v. nota 44. 44

]. pa-a-an-zi A-NA DINGIRLIM ša-ku-wa17 I-NA É NA4øé-kur DLAMMA [ aš-šar pí-ya-an-zi KI.MIN nu SUMEŠ SIG5-ru N[U.SIG5(?)] _________________________________________________________________

135

Alla r. 44 sembra si faccia riferimento alla questione trattata nelle rr. 61 sgg. del Recto (v. p. 134 con nota 42) e si stabilisca poi (r. 43) un’ammenda mediante l’oracolo; successivamente si parla di una proclamazione di perdono, probabilmente da parte del sovrano (“ma il Mio Sole (nomin.) riguardo a ciò proclama il perdono”) - forse in rapporto alla faccenda in cui erano coinvolti gli uomini della regina piuttosto che per il sovrano (DUTUŠI, accus. di relazione?) da parte della divinità (sottintesa nel passo), adirata per la sua indifferenza: v. ancora 18 nu e-ni Ú-NU-TEMEŠ ¦e©(?)-[ -a]n-zi KI.MIN nu SUMEŠ SIG5-ru ni ši GIŠŠÚ.A-øi GÙB-la NU.SIG 5 _________________________________________________________________ ]DINGIRLIM QA-TAM-MA SIXSÁ-at 19 na-at A-NA DINGIRLIM 2 ŠU(?)[ LÚAZU IQ-BI _________________________________________________________________ 20 e-ni-kán ku-e Ú-NU-T[EMEŠ É(?)NA4øé]-kur DLAMMA e-eš-ta šar-ni-ik-ze-el ..-aš ku-it kat-ta-an SIXSÁ-a[t 21 na-at A-NA DINGIRLIM EGIR-pa[ ku]-¦it© me-mi-ir Ú-UL-wa

ki-ša-ri zi-la-aš-wa ku-it øur-ti-ya-aš

22 na-a-wí zi-in-[na-at-ta-ri 23 24 25 26 27

øur]-ti-ya-aš na-a-wí zi-in-na-at-ta-ri e-nima Ú-NU-TEMEŠ A-NA DINGIRLIM EGIR-pa [ TUKU.]TUKU-an-za Ú-UL kuit-ki ki-ša-ri nu SUMEŠ ¦SIG5©-ru ni ši A-NA ZÉ-kán ir-liš 2-an NU.SIG5 _________________________________________________________________ ki-i-kán ku-it a-ri-[ ]ti-i-ya-az-zi nu-kán ma-a-an ¦I!©-NA É.LUGAL ku-it øurti-ya-aš ut-tar nu-u-wa EGIR-an na-at na-a-wí Ú/ú-[ -i]k-ki-iš-ta-ri nu TEMEŠ NU.SIG5-du ni ši A-NA ZÉ-kán ir-liš 2-an NU.SIG5 _________________________________________________________________ ki-i-kán ku-it ŠÀ É(?).[LUGAL(?) ] ŠÀ É.LUGAL øur-ti-ya-aš-pát ut-tar e-eš-zi nam-ma-ma-kán ŠÀ É.LUGAL (eraso) ú-e-ku-wa-ar na-.[ T]E(?)MEŠ SIG5-ru ŠÀ.TIR÷I.A øi-ri-iø-øi-iš tali-im tu-u-ta-am-mi-it-ta NU.SIG5 _________________________________________________________________

Riguardo alla r. 20, per le tracce di segni rimaste dopo šarnikzel, E. Neu - senza però aver potuto collazionare la tavoletta - mi ha fatto presente la possibilità di una lettura k¦u-i©t-aš, pur osservando che -aš pone sintatticamente difficoltà, e A. Ünal mi ha suggerito una lettura šar-ni-ik-zi-el aš-š¦u©-l¦a©-aš nel senso di “Busse des Guten/des Gutmachen”, pur rilevando che si tratterebbe però di un’espressione unica in tutto il testo. Nella r. 38 si riprende la faccenda degli utensili che un certo Zarniyaziti (attestato solo in questo documento) continuò a dare nel santuario del picco montano di LAMMA (eni-kán kuit mZarniya-LÚ-iš ÚNUTEMEŠ INA ŠÀ É NA4øékur DLAMMA pešk[it ), e si parla anche del “dio nero” che cercò un’ammenda da Zarniyaziti, stabilita mediante consultazione oracolare (rr. 40-43).

136

nota 42. Alla r. 46 si dice che proprio con un giudizio (o in un processo? messo in rilievo da -pát) viene stabilita mediante l’oracolo la concessione di questo perdono, legata alla guarigione verosimilmente del sovrano, anche se egli non è esplicitamente menzionato nel passo (mân mân-aš øattulêšøi): è probabile che si alluda qui alla malattia del re, in occasione della quale era stata promossa questa consultazione oracolare.45 Dalla r. 47 sembra risultare che la divinità è contenta e che il responso oracolare è favorevole.46 44 e-ni-za ku-it DUTUŠI A-WA-AT MUNUS.LUGAL an-tu-uø-ša-aš kat-ta GUL-aø-aø-an-da-aš pa-ra-a Ú-UL ¦tar©-na-aš le-e-wa-mu ku-

it-ki me-ma-at-te-ni

45 ki-nu-un-ma-at SIXSÁ-at nu a-pád-da še-er za-an-ki-la-tar SIXSÁ-at na-at pí-an-zi DUTUŠI-ma a-pád-da-an še-er du-ud-du øal-za-a-i du-

ud-du-un-ma 46 a-ri-ya-an-zi ma-a-an du-ud-du-uš øal-zi-ya-u-wa-an-zi DI-NU-UNpát SIXSÁ-ri ¦ma©-a-¦an© ma-a-na-aš øa-at-tu-le-e-eš-zi ku-wa-pí nu du-ud-du-un QA-TAM-MA øal-za-a-i 47 DINGIRLIM-za QA-TAM-MA ma-la-a-an øar-ti nu TEMEŠ SIG5-ru nieš-kán ZAG-na pé-eš-ši-ya-at GÙB-la-za-ma-aš ar-øa-ya uk-tu-u-rima-aš-ši še-er IGI KASKAL 10 ŠÀ TIR SIG5 _____________________________________________________ Nelle rr. 51 sg. c’è un passo che si ripete nelle rr. 54 sg., e cioè vi si dice che riguardo alla cosa menzionata, poiché gli utensili (sono) portati Vien fatto di chiederci se non vi fosse qui un riferimento ad un processo contro la regina Tawannanna, sempre in rapporto alla malattia del sovrano. Per i testi in cui si parla del famoso processo nei riguardi di questa regina, v. E. Forrer, Forsch. II 1 sgg., F. Sommer, AU, 300, E. Laroche, Ug. III, 101-103; di questo processo è rimasta memoria anche in un documento di ÷attušili III (CTH 383), v. H.G. Güterbock, SBo I, 12. Come abbiamo visto (p. 129 sg. e nota 30), si fa menzione di una malattia del sovrano all’inizio di questa tavoletta, Ro 1; inoltre, secondo la Bin-Nun, op. cit., 187 nota 114, si trova in questo testo un altro riferimento a questa malattia, in Ro 69 sg., 81: ammuk-ma-wa KALAG.GA-aš (o -pát?)/KALAG.GA-aš-wa-mu GEŠPU-aš anda t/damaš-šan øarzi “una terribile forza mi ha oppresso”, anche se dal contesto in cui questi passi sono inseriti non risulta completamente chiaro che fosse il sovrano l’autore di questo discorso. 46 Da notare la r. 48: paizzi [DUT]UŠI ANA DINGIRLIM URUArušna kêdaš-pát ÷I.A UD -aš duddu øalzai ÚNUTEMEŠ-ya-kán øantizzi parâ tiškanzi. 45

137

(singolare con valore collettivo) nell’interno del santuario del picco montano di LAMMA, e poiché essi non (sono) ancora fuori d’uso, poiché appunto l’UNMEŠ-tar (il complesso delle persone dipendenti dalla regina - v. nota 42 - che gravitano nel santuario) impuro/sconsacrato (li) toccò ripetutamente/si avvicinò per recare danno,46a si deve ora compiere una cerimonia di purificazione mediante un capro gettato in mezzo al fuoco (r. 52), ma i responsi oracolari mostrano che la divinità non è contenta, allora (r. 55) si gettano nel fuoco gli utensili e si compiono altri atti rituali, ma i responsi sono sempre sfavorevoli. 51 e-ni-kán ku-it Ú-NU-TEMEŠ I-NA ŠÀ É NA4øé-kur DLAMMA pé-eda-an na-at na-a-ú-i ku-it:/u-wa-la-an-ta-la-am-ma-an UNMEŠ-tar-pát-

kán

52 ku-it ša-ak-nu-wa-an-te-eš14 an-da ša-li-ki-iš-kir ki-nu-na-at-kán MÁŠ .¦GAL© IZI-ya iš-tar-na ar-øa pé-e-da-an-zi nam-ma šu-up-pí-ya-aøøa--zi47 53 na-at A-NA DINGIRLIM QA-TAM-MA pí-an-zi DINGIRLIM-za QATAM-MA ma-la-an øar-ti nu SUMEŠ SIG5-ru UZUŠÀ ap-pa-an NU.SIG5 ____________________________________________________ 54 e-ni-kán ku-it Ú-NU-TEMEŠ I-NA ŠÀ É NA4øé-kur DLAMMA pé-eda-an na-at na-a-ú-i ku-it:/u-wa-la-an-ta-la-ma-an UNMEŠ-tar-pát-kán 55 ku-it ša-ak-nu-wa-an an-da ša-li-ki-iš-kir nu-kán e-ni Ú-NU-TEMEŠ ŠÀ IZI pé-eš-ši-ya-an-zi nam-ma-at NA4ku-un-ku-nu-uz-zi-it 56 GUL-an-zi nam-ma-at-kán MAŠ.GAL IZI-ya iš-tar-na ar-øa pé-e-da-

an-zi nam-ma-at šu-up-pi-ya-aø-øa-an-zi

57 na-at A-NA DINGIRLIM QA-TAM-MA pí-an-zi KI.MIN SUMEŠ ni ši 8 ŠÀ.TIR NU.SIG5 Si dice poi (rr. 58 sgg.) che la richiesta (oracolare) è appunto allo stesso modo e quando portano gli utensili nella città di Arušna e quando gli uomini del tempio - LÚMEŠ É.DINGIRLIM - (della divinità di Arušna?) li riconoscono come loro, e si compie una cerimonia di purificazione,

46a

citato. 47

Sul verbo šalik- v. J. Friedrich, HW 179 sg., Erg.-Heft 2, 22 e E. Laroche ivi

Per questa correzione, cfr. Vo 56 e 59.

138

anche allora i responsi oracolari sono sfavorevoli. Nelle rr. 60 sgg. si continua a ricercare il desiderio/l’intenzione della divinità di Arušna.48 Dopo l’esame di KUB XXII 70 anche il frammento molto danneggiato KUB XVIII 54 (CTH 570) III 73-81, duplicato di KUB V 6 III 73-81, presenta maggiore interesse. Del contenuto di KUB V 6 ci fornisce un sommario il Sommer,49 tenendo conto - nella parte corrispondente - di KUB XVIII 54. Anche in questo testo si fanno numerose consultazioni oracolari per cercar di conoscere il motivo della collera di qualche divinità, che poteva aver provocato la malattia di un sovrano ittita di cui non conosciamo il nome,49a e cosa si debba fare per riparare. Dall’esame di alcuni passi della Col. III50 ritengo che vi si parli di eventi riguardanti la regina Tawannanna, vedova di Šuppiluliuma I, per il confronto con alcune parti di KUB XXII 70. Alla r. 61 si apprende mediante l’oracolo che la divinità (il soggetto è nella lacuna, ma è facilmente intuibile) è in collera nel suo tempio (espressione questa abbastanza frequente nei testi di consultazione oracolare, v. ad esempio KUB XXII 70 Ro 79). Nella r. 64 compare l’espressione ALAM-ŠU “la sua statua/immagine”, purtroppo in un contesto lacunoso e oscuro;51 il Sommer (op. cit., 286) pensa ad un’immagine divina, ci viene però alla mente anche la statua della regina menzionata in KUB XXII 70 Ro 21 e 26, che era situata nel santuario del picco montano di LAMMA ed alla quale erano portate offerte, forse proprio quelle dovute ad altre divinità, provocandone così la collera (v. pp. 130 sg. e 135). Un richiamo del genere a proposito del passo esaminato in KUB V 6 III 64 non avrebbe alcuna giustificazione se non si parlasse poco dopo di inadempienze in rapporto alla Tawannanna. Infatti nelle rr. 67 sgg. sembra si stabilisca mediante una Nel paragrafo finale di questo documento, dopo aver accennato ancora alla faccenda di Pittiya, ricompare ÷epamuwa (v. nota 42), che sembra concludere la questione (r. 67: zinnâi) non si comprende bene il risultato di quest’ultima consultazione oracolare che non si presenta uniforme poiché le carni sono sfavorevoli, ma lo zi(zaøi) ha/è un šuri ed è favorevole ([67] nu QATAMMA nianzi KI.MIN nu SUMEŠ SIG5-ru SUMEŠ NU.SIG5 zi-ma [68] šuriš SIG5). 49 AU, 275 sgg., egli riporta invece in traslitterazione e traduzione la parte relativa alla questione di Aøøiyawa (II 13-64, v. E. Forrer, Kl. Forsch. 1, 260 sg.). 49a Sull’identificazione di questo sovrano (Muršili II o ÷attušili III) sono state espresse opinioni contrastanti: v. in proposito quanto abbiamo osservato a p. 128, alla fine della nota 26. 50 V. F. Sommer, op. cit., 286, 288. 51 r. 64: ] . . A-N[A](??) ALAM-ŠU-ya še-er SIXSÁ-at .... 48

139

consultazione oracolare che la divinità è adirata perché le è stata tolta la/una sua casa per darla forse alla Tawannanna (r. 68, cfr. p. 129); così dunque si lamenta la divinità parlando in prima persona: ammuk-wa ÷A.LA÷I.A tepnuir “a me diminuirono le parti” (r. 69). Ora, è ben noto che non si può togliere e neppure diminuire quanto spetta alle divinità, neppure in circostanze particolari: cfr. quanto abbiamo osservato in Šaøur. (1974) 95. La Tawannanna invece sembra anche qui accusata di aver defraudato in qualche modo la divinità: v. p. 129. Alla r. 71 non si comprende bene se si alluda a qualcuno che tralascia/trascura la parola del Mio Sole, o se sia il Mio Sole che tralascia/trascura la faccenda in questione (quest’ultima ipotesi richiama alla mente la probabile accusa di indifferenza del sovrano in KUB XXII 70 Ro 61 sgg., 74 sgg., Vo 44 sg., v. nota 42); si parla poi di un’offerta sacrificale per il fratello del re (verosimilmente defunto: Arnuwanda?, si chiede il Sommer, op. cit., 286), e, dopo una lacuna, ancora di un’offerta sacrificale, stabilita mediante l’oracolo, di un bove grasso, (un) pane e (una) pecora (r. 72); si apprende inoltre che prima si era intrapreso un rituale mukeššar52per lui (?) (r. 73): ] ¦D©UTUŠI me-mi-an! tar-na-i SISKUR-ya A-NA ŠEŠ LUGAL SUM!-ir 72 ].-zi SISKUR-ma 1 GUD ŠE NINDA UDU-ya SIXSÁ-at 73 ].-ir mu-ke-eš-šar-aš-ši ka-ru-ú ti-i-e-er . . .53

71

Successivamente (v. soprattutto KUB XVIII 54 rr. 74 sgg.) si dice che si stabilì mediante l’oracolo qualcosa riguardante probabilmente la [Tawann]anna, infatti si presume che si faccia poi riferimento alla ]. questione della cacciata di lei dal Palazzo (r. 74. ] -¦an©-na-aš [ SIXSÁ-at na-aš IŠ-TU É.GALLIM :u-i-ya-u-wa-aš me-mi-ya-ni). All’inizio della r. 75 sembra si trovi ]÷I.A! GUŠKIN, cui seguono dei segni molto danneggiati, gli ultimi dei quali sembrerebbero SIXSÁ-at.54 Alla r. 76 si fa Sul particolare valore di mukeššar, v. E. Laroche, La prière hittite, 20 sgg. Si trova qui una lunga cancellatura o abrasione con un segno finale. 54 Mi sembra meno plausibile, dato il contesto precedente, integrare all’inizio di questa riga GIL]IM 2 GUŠKIN, nel senso di “coro]ne (di cui) 2 di oro”, ricollegandoci a KUB XXII 70 Ro 14, 20 ecc. e tenendo conto della presenza del santuario del picco montano di LAMMA alla r. 76. 52

53

140

menzione del picco montano di LAMMA: (É(?)] NA4øé-kur DLAMMA me-na-[aø-øa-an-da (t)]i-i-ya-at! nu-za-kán me-mi-an ¦tar-na©-i!). Si parla quindi di nuovo di un rituale mukeššar (r. 77, cfr. r. 73); si richiede che si facciano scarpe d’oro allo stesso modo (r. 78) e sembra che l’oracolo sia favorevole (r. 79). Queste scarpe d’oro dovevano servire per compensare la divinità adirata per quanto le era stato tolto? forse a favore del santuario del picco montano di LAMMA? cfr. p. 133. Riepilogando, come già abbiamo rilevato, dalla lettura di questi documenti dove compare il santuario del picco montano di LAMMA emerge chiaramente una stretta relazione fra la regina Tawannanna e questo santuario e si intuisce come il trasferimento di beni in esso sovente effettuato da lei abbia provocato gravi difficoltà di vario genere nell’àmbito del Palazzo. Questo vien fatto notare con angoscia da Muršili II alle divinità nel passo in KUB XIV 4 II 3 sgg. (v. p. 127 sg.), questo è l’elemento predominante e ricorrente di continuo in tutto KUB XXII 70, a qualcosa del genere si fa forse riferimento - purtroppo in contesto danneggiato - in KUB XVIII 54 r. 76 (v. sopra).55 Mi sembra interessante il fatto che alcuni oggetti portati dentro il santuario in questione fossero posti davanti alla statua della regina.56 Doveva verosimilmente trattarsi dell’immagine della stessa regina 55 Abbiamo visto che nel santuario suddetto sono stati portati dalla regina molti oggetti ripetutamente richiesti dalla divinità di Arušna, sì da provocarne la collera: sembra addirittura che proprio questa azione della regina sia stata una delle cause del suo bando dal Palazzo (KUB XXII 70 Ro 12-16, v. p. 130). Al suo bando si fa probabilmente riferimento anche in KUB V 6 III 74 e nel suo duplicato KUB XVIII 54 r. 74 (v. p. 140), forse per motivi analoghi. È certo che la regina viene sovente accusata di non aver soddisfatto i desideri delle divinità, anzi di averle addirittura defraudate. (v. anche KUB V 6 III 67 sgg., e pp. 139 e 129), e di questo risulta spesso beneficiato il santuario del picco montano di LAMMA (KUB XXII 70). In quest’ultimo testo, come già abbiamo rilevato, oltre a questa colpa della regina Tawannanna verso le divinità, se ne esaminano altre in cui sono coinvolti la regina stessa, numerose persone ed anche lo stesso sovrano, che sembra non aver saputo o voluto in un primo tempo impegnarsi per ristabilire l’ordine e sedare gli intrighi nell’àmbito del Palazzo, provocando anch’egli la collera divina (v. nota 42). Riguardo ad altre accuse rivolte anche in altri testi a questa regina, sono ben note quelle di aver effettuato incantesimi contro la moglie di Muršili II, provocandone la morte, o di aver procurato una malattia (cioè l’afasia) a questo sovrano, e di aver tentato di introdurre a corte e nel paese costumi stranieri. 56 KUB XXII 70 Ro 20 sg. e 26 (v. p. 129 sgg.); v. anche quanto abbiamo osservato a p. 139, a proposito di KUB V 6 III 64.

141

Tawannanna, da lei collocata nel santuario che essa si allestiva come luogo di sepoltura per dopo la sua morte.57 È infatti prevalente fra gli studiosi l’opinione che i re e le regine ittiti si preparassero in vita il loro mausoleo.58 Nel suo mausoleo - cioè nell’ É NA4øékur DLAMMA59 - la regina Tawannanna aveva verosimilmente posto la sua statua ed altri oggetti di culto perché in futuro vi fossero conservati in sua memoria. A tale scopo essa aveva sovente utilizzato materiale prezioso sottratto ad altri santuari e ad alcune divinità, ed anche beni provenienti dal patrimonio dello sposo defunto (v. KUB XIV 4 II 3 sgg., p. 127 sg.). Tuttavia, il fine a cui essa in sostanza tendeva servendosi del patrimonio cultuale, di quello regio ed anche di quello personale,60 e valendosi di continui intrighi, doveva essere quello di acquistare una forte supremazia a corte e nel paese. È infatti evidente che sotto le accuse di vario genere mosse contro la regina Tawannanna, prevalentemente a carattere religioso, si celava in realtà il timore da parte del figliastro di una forte influenza di lei anche in àmbito politico. Per concludere, l’istituzione in questione - certo ben nota per la sua grande importanza all’epoca di questa regina, infatti se ne parla frequentemente nei testi sopra esaminati senza ulteriori specificazioni soprattutto riguardo alla sua ubicazione - doveva presumibilmente essere situata abbastanza vicino alla residenza di lei, sì che le fosse possibile raggiungerla facilmente.61 Mi sembra ovvio che dopo il clamoroso processo della regina Tawannanna (di cui era rimasto vivo il ricordo anche in epoche successive, v. nota 45), dopo la sua deposizione e il suo esilio, non si avesse più notizia neppure del santuario in questione, a lei così strettamente legato. Non mi pare invece inverosimile l’eventualità che esso potesse aver riacquistato successivamente importanza ed esser

Se si fosse infatti trattato della statua di una regina defunta, questo avrebbe - a mio avviso - dovuto esser specificato più chiaramente. 58 V. più avanti, p. 169 con nota 160. 59 V. p. 166 sg., a proposito della possibilità di un legame delle istituzioni del NA4øékur con il culto dei morti. 60 Essa è anche accusata di aver donato alla popolazione di ÷attuša i suoi beni personali (forse la sua dote) provenienti da Babilonia, v. nota 28. 61 V. più avanti, p. 168 sgg., a proposito delle diverse proposte di ubicazione di alcuni di questi santuari. 57

142

riattivato, ma per un culto e sotto un nome diversi, che allontanassero dalla memoria ogni riferimento ad eventi tanto nefasti.61a Un’altra istituzione religiosa di grande importanza era - come già abbiamo rilevato nella nota 61a - quella legata al picco montano di p/Pirwa, presente in testi in prevalenza databili all’epoca di ÷attušili III e di Tutøaliya IV. Per la vicinanza nel tempo della maggior parte di questa documentazione, si può presumere che vi si facesse ovunque riferimento alla stessa fondazione cultuale, anche se l’espressione NA4øékur (D)p/Pírwa non sempre compare preceduta dai termini É o LÚMEŠ (v. nota 2). È da notare che in questa espressione il determinativo divino accompagna una sola volta il nome di p/Pirwa: dato però che abbiamo altre attestazioni del NA4øékur legato a nomi di divinità (v. nell’Indice, p. 172, i passi dove esso compare insieme a DKammama e a DLAMMA), è possibile che anche nei documenti in questione si trattasse della divinità Pirwa,62 per quanto l’esistenza di casi in cui il NA4øékur si trova insieme a termini i quali, pur essendo di significato ancora oscuro, potrebbero però appartenere in qualche modo al suo stesso àmbito semantico (v. p. 123 a proposito di NA4kurušta, e cfr. la nota 7 a proposito di ÷arana), renderebbe giustificabile anche una presenza di (NA4)pírwa.63 Purtroppo sappiamo poco sul NA4øékur DKammama (v. p. 126 sgg. con note 23 e 25) e sui NA4øékur÷I.A presenti nel rituale per DLAMMA KUŠkuršas (v. nota addizionale), per poterli utilizzare per qualche confronto. Ricercando nei testi di epoca posteriore notizie di qualche istituzione analoga di un certo rilievo legata a picchi montani, troviamo il complesso cultuale del NA4øékur p/Pírwa, la cui documentazione risale per lo più all’epoca di ÷attušili III e di Tutøaliya IV (v. p. 143 sgg.). Anche in questo caso si trattava di una fondazione religiosa assai nota e di grande importanza, come si può dedurre dalla sua posizione nel culto e dai benefici che ÷attušili III le aveva concesso (v. p. 151 sgg.). V. però quanto diremo più avanti (p. 168 sgg., e soprattutto nota 166) a proposito dell’ubicazione di questo santuario. Mi sembra difficile poter pensare ad una continuità - nel senso detto sopra - col NA4øékur SAG.UŠ menzionato in un documento dell’epoca di Šuppiluliuma II, poiché questo sovrano proclama di aver edificato lui questo santuario, senza far riferimento ad uno preesistente (v. p. 170 con nota 163); riguardo invece all’altro santuario rupestre attestato con lo stesso nome in epoca precedente, è difficile pronunciarsi per la frammentarietà del contesto e per l’incertezza della sua datazione (v. p. 124 con nota 19). 62 Sulla divinità Pirwa, v. per ultimi P. Cornil-R. Lebrun, Heth 1 (1972) 13 sg. 63 Secondo il Goetze, Language 30 (1954) 356 nota 54, l’accostamento in taluni casi di (D)pirwa con NA4øékur “mountain, summit” indicherebbe il campo semantico in 61a

143

Dell’epoca di ÷attušili III è KBo VI 28 (CTH 88), un documento redatto appunto da questo sovrano allo scopo di concedere al santuario del picco montano di p/Pirwa alcune esenzioni da oneri verso lo stato.64 In questo testo, dopo un preambolo contenente il nome di ÷attušili III e dei suoi antenati più importanti, e dopo alcuni paragrafi in cui si espongono dettagliatamente gli antefatti storici di questo atto,65 nel § 13 (Vo 18-21) compare finalmente il destinatario del documento, il picco montano di p/Pirwa, nei riguardi del quale il sovrano stabilisce l’impegno, valido anche per i suoi discendenti, di conservare quello che è stato dato a questa istituzione cultuale e di risarcire quello che ad essa potrà essere tolto.66 Vo 18 URUKÙ.BABBAR-ši-ma É.LUGAL te-pa-u-e-eš-ta na-at[ n]u(?) ku-iš ú-iz-zi DUMU-YA DUMU.DU[MU]-¦Y©A URU 19 KÙ.BABBAR-ši LUGAL-uš ki-ša nu A-NA NA4øékur [p/Pi-ir-wa ]. -z]a(?)/]A(?) pé-e-da-i na-aš-¦ta© [ NA4 a-ši-wa]-an20 le-e ku-it-ki da-a-i ma-a-an-na ø[è-kur p/Pi-ir-wa ] te-eš-zi 67 na-a[t 21 š]ar-ni-in-ki-iš-ki-id-du ______________________________________________________ 18 ma in ÷attuša il palazzo reale era divenuto piccolo e ciò/essi [ allo]ra(?) colui che verrà, mio figlio, mio [ni]pote, 19 in ÷attuša diverrà re, allora al picco montano [di p/Pirwa ]. porti, e [ ]. cui deve cadere pírwa (rimanda anche a F. Sommer, AU, 318, e a H. Otten, JKF 2 [1951] 72 nota 18). 64 Su questi documenti in cui si concedono esenzioni, v. quanto abbiamo osservato in Šaøur. (1974) 148 sgg.; su questo in particolare v. nello stesso lavoro p. 154 sg. 65 Vi si narrano gli eventi verificatisi nel regno ittita sotto i sovrani che avevano preceduto ÷attušili e in parte anche sotto di lui. 66 Che si tratti qui di una fondazione cultuale piuttosto che di un picco montano consacrato a qualche divinità, pur non essendo in questo testo tale espressione accompagnata da termini come É o come LÚMEŠ, si può intuire dal contenuto di tutto il documento. Sul passo che qui riportiamo, v. anche H. Otten, MDOG 94 (1963) 19 sg. 67 Il completamento ašiwantešzi si basa su KUB XXVI 43 Ro 57 (v. Šaøur. [1974] 94 sg.).

144

20 niente prenda via (-ašta), e se il p[icco montano di p/Pirwa si impove]risce(?), allora ci[ò ] 21 co]ntinui a risarcire. ______________________________________________________ Nel § 14, Vo 22-27, si concede a questa istituzione cultùale l’esenzione da vari oneri dovuti allo stato. 22 23 24 25 26 27

NA4

[øé-ku]r! p/Pi-ir-wa-ma-kán a-ra-u-wa-aø-øu-un na-[at ša-aø-øani] lu-uz-zi ŠA UD.KAMMI øar-šu-wa-an-z[i te-[ri]-ip-pu-u-wa-an-zi GIŠŠÀ.LAMMA GIŠBU-BU-TI [GIŠwa-ar-ša-amma(?)] ¦ŠE© IN.NU.¦DA© SÍGøu-ut-tu-ul-li A-NA ¦É© ŠA LÚMEŠ MÁŠ.GAL UDUku-ut-ri EL-K[I EN] ¦KUR©T[I EL-KI] EN MAD-[GA]L-TI EL-KI MAŠKIM URUKI [ ANŠU.KUR.RAMEŠ ú-e-øa-an-na-aš ¦le©-e ku-iš-ki p[í]-ra-an EGIRp[a e-ep-z]i A-NA NA-RA-RI LÚKÚR-ma-at i-[ya-at-t]a-ru ma-a-an LÚMEŠ NA--RI a-ša-an-du-la-an-zi a-pu-u-uš-ma [ar]øa tar-na-an-du I-NA KARAŠ-[ma-aš-ma-a]š ú-e-du-ma-aš KIN le-e e-eš-zi da-pí-za-kán a-ra-u-w[a-a-aø]-øu-un na-at a-ra-u-e-eš a-š[a-an-d]u ______________________________________________________ 68

22 Ma io il picco montano di p/Pirwa ho liberato, ed [esso per il saøøan] (e) il luzzi quotidiani, per aprire solc[hi,69 23 per arare,69 (per la fornitura di) ŠÀ.LAMMA, BUBUTU, [legna da ardere(?)],70frumento,71 paglia, vello di lana 24 alla casa (= sede amministrativa) degli appartenenti alla famiglia reale72 pecora QUTRI, per l’obbligo ELK[U (per) il signore] del Integrazione secondo A. Goetze, NBr., 54; si potrebbe però integrare anche šaøøan e intendere šaøøan e luzzi come accusativi di relazione. 69 Per l’interpretazione di øarš- v. A. Goetze, op. cit., 62, e Tunn., 70, e J. Friedrich, HW 59, e di terip(p)- v. A. Goetze, loc. cit., e J. Friedrich, HW 221 70 Sul significato di GIŠwaršam(m)a- v. A. Goetze, op. cit., 60 sg., E. Laroche, RHA 9 (1948-49) 24 nota 16, A. Kammenhuber, ZA 56 (1964) 165 sg. con nota 36, e J . Friedrich, HW 247, ed Erg.-Heft 3, 3 6. 71 Si può anche intendere “grano” o meglio “orzo”. 72 Sul legame di questa espressione o con il termine precedente o con il successivo v. p. 147 sg. 68

145

paese, [per l’obbligo ELKU] (per) il signore del posto di osservazione/di guardia, per l’obbligo ELKU per l’ispettore di città [ 25 (per la fornitura di) cavalli weøannaš nessuno di nuovo (?)73 attragga, ma in aiuto (contro il) nemico esso venga, 26 se truppe ausiliarie sono nella guarnigione, quelle [v]ia si lascino andare, [ma per lor]o nell’accampamento 27 un lavoro di costruzione non vi sia; del tutto (li) ho li[ber]ati, ed essi si[an]o liberi. _____________________________________________________ Questo paragrafo ci fornisce alcuni dati assai utili per la conoscenza dell’organizzazione economica e amministrativa di questa istituzione, del tipo di produzione che vi si effettuava, dei suoi rapporti col potere centrale che denotano l’entità e l’importanza di tale fondazione. E opportuno fare un confronto con analoghi passi in cui si conferivano esenzioni ad enti cultuali ed a persone di alto rango, presenti in due testi sempre dell’epoca di ÷attušili III - KBo VI 29 (CTH 85) e KUB XXVI 58 (CTH 224)74 - e in un testo dell’epoca di Tutøaliya IV nei suoi primi anni di regno - KUB XXVI 43 (CTH 225);75 sarà utile anche tener conto di altri documenti di epoche diverse in cui si concedevano esenzioni.76 Evidentemente, prima dell’emanazione del decreto preso qui in esame, l’istituzione legata al picco montano di p/Pirwa doveva esser soggetta a determinati obblighi verso lo stato da cui viene ora esentata, come si può comprendere dalla voce verbale arawaøøun alle rr. 22 e 2777 e forse da EGIR-¦pa© alla r. 25.78 Nelle rr. 22 sgg. si parla del conferimento dell’esenzione dal šaøøan e dal luzzi quotidiani, presumibilmente dovuti ad organismi legati al potere centrale, anche se 73 È difficile stabilire il valore che ha qui EGIR-pa, e cioè se si debba intendere appunto in riferimento a quanto era prescritto prima della concessione dell’esenzione (cfr. sotto, nota 77), oppure come legato a piran, nel senso di “avanti e indietro”, cioè “da ogni parte, complessivamente”. Non direi nel senso di “dopo, in seguito”, perché in questi casi si usa generalmente ziladuwa. 74 V. Šaøur. (1974) 155 sgg. e 152 sg. 75 V. tutto il lavoro qui sopra citato e in particolare p. 105 sgg., e A. Goetze, NBr. 54 sgg. 76 V. op. cit. a nota 74, 158 sgg. 77 Cfr. anche G.F. Del Monte, AION 35 (1975) 326 nota 22. 78 Sui possibili significati di EGIR-pa in questo contesto, v. nota 73.

146

ciò non viene dichiarato nel passo,79 e dell’esenzione da prestazioni di lavoro, a quanto pare di carattere agricolo, cui doveva verosimilmente provvedere il personale appartenente a questa istituzione80 ed inoltre dell’esenzione dalla consegna di tributi - nel caso specifico di oggetti, fabbricati probabilmente da artigiani facenti parte dell’istituzione stessa e di prodotti agricoli e della pastorizia.81 Non sappiamo se in questi due ultimi casi si trattasse di produzione effettuata all’interno di questo complesso cultuale o invece di offerte ad esso fornite dall’esterno, parte delle quali sarebbero spettate come tassa allo stato. Si potrebbe anche pensare che tali prodotti provenissero dalle dotazioni regolarmente attribuite alle istituzioni religiose perché se ne servissero e per il loro mantenimento e per ridistribuirle a loro volta ad altri luoghi di culto, tanto più che risulta proprio da alcuni testi che la fondazione in questione doveva prendersi cura di determinate località sacre (pp. 156 e 159 sg.). Di alcuni di questi obblighi si parla anche negli altri tre testi precedentemente menzionati (p. 146); nel nostro paragrafo alla r. 24 si legge: ANA ¦É© ŠA LÚMEŠ MÁŠ.GAL, per cui sorge il problema se “alla casa degli appartenenti alla famiglia reale” spettasse ricevere i tributi (tutti o in parte) indicati prima o soltanto la pecora kutri menzionata successivamente. Come già abbiamo osservato in un lavoro precedente,82 in KBo VI 29 III 29-31 sembra si parli - purtroppo in un contesto danneggiato - del tributo di una pecora dovuto alla dea Sole di Arinna 79 È infatti il sovrano che concede l’esenzione da quanto è dovuto allo stato. Nelle altre formule analoghe si parla di šaøøan e luzzi o senza alcuna specificazione (KUB XXVI 43 Vo 10) o dovuti a rappresentanti del potere centrale (all’EN KURTI e all’EN MADGALTI KUB XXVI 58 Ro 10 e KBo VI 29 III 20 sg.; in quest’ultimo passo l’integrazione EN MADGALTI si basa sul testo precedente piuttosto che sul nostro passo r. 24 - come invece A. Goetze, NBr., 50 nota 1 - poiché in questo si parla dell’ELKU; da notare che nei due testi su menzionati non compare il MAŠKIM URUKI, v. più avanti, nota 83) o dovuti al re (ŠA LUGAL, KUB XXVI 43 Vo 13). Esenzioni dal šaøøan e dal luzzi, senza ulteriori specificazioni, sono state concesse da sovrani diversi ad altri luoghi di culto, v. nota 76. 80 Di queste prestazioni di lavoro, aprire solchi ed arare, non si parla nelle altre formule analoghe qui ricordate: o non venivano prima richieste queste prestazioni ai beneficiari di tali privilegi, o non si concedeva loro l’esenzione da esse. 81 Sui termini qui menzionati, v. A. Goetze, NBr. 59 sgg., e Šaøur. (1974) 107 sgg. Molti di questi termini ricorrono anche nelle formule analoghe da noi ricordate. 82 Šaøur. (1974) 157 e nota 34, v. anche 9 sg. nota 12 e 109.

147

dall’appartenente alla famiglia reale, ed anche in un frammento da noi riportato nello stesso lavoro (p. 9 nota 12) pare si trovino vicini (non si sa in quale relazione) il LÚ MÁŠ.GAL e una pecora (?): mi domando allora se nel nostro testo non si parlasse dell’esenzione dalla consegna di pecore particolari (kutri) dovute proprio al LÚ MÁŠ.GAL, al quale sarebbe spettato di darle a sua volta come offerte a divinità. Nel nostro documento viene poi conferita l’esenzione dall’obbligo ELKU verso due alti rappresentanti del potere centrale (EN KURTI ed EN MADGALTI) e verso una delle principali autorità locali (MAŠKIM URUKI).83 Si concede quindi l’esenzione dalla fornitura di cavalli addestrati a compiti particolari; questa esenzione è contemplata anche in due fra i testi da noi presi in esame per il confronto col nostro, e precisamente in quelli redatti da ÷attušili III.84 Non è chiara la funzione specifica di 83 Così anche in KUB XXVI 43 Vo 12 e 13 sg., dove nella r. 12 si specifica che si tratta di ELKU quotidiano (ŠA UD.KAM); nei passi analoghi di KBo VI 29 e di KUB XXVI 58 non si parla dell’obbligo ELKU, ma vi si dichiara che il šaøøan e il luzzi, oggetto dell’esenzione, erano dovuti agli stessi due rappresentanti del potere centrale (e non all’alta autorità locale), v. nota 79. Sui dignitari su menzionati v. quanto abbiamo scritto in Šaøur. (1974) 55-75 e 109 sgg. Sull’obbligo ELKU e sull’esenzione da esso nell’impero assiro, v. J.N. Postgate, Taxation and conscription in the Assyrian empire, Roma 1974 (= StPohl 3), 63-93, 221-223, 241-243. 84 In KBo VI 29 III 24 si trova ANŠE.KUR.RAMEŠ waøann[aš, in KUB XXVI 58 I 10 ANŠE.KUR.RA weøuwaš; poiché il verbo weø-/waø- significa “girarsi, voltarsi”(v. HW, 250 sg., Erg.-Heft 1, 23, Erg.-Heft 3, 36, e HW, 240 s.v. *waøatar) è difficile stabilire il valore dell’espressione “cavalli del voltarsi, del girare intorno”; il Goetze, NBr., 51 e 61, propone la traduzione “Zugpferde” e in JCS 2 (1948) 152 “horses of roaming”, chiedendosi se ciò possa significare “stud-horses”; il Güterbock, presso J. Friedrich, HW, 240, dà l’interpretazione “Kriegswagenpferde”. Come probabile designazione di “cavallo da tiro, da giogo” si trova spesso menzionato nella raccolta di Leggi, §§ 64, 66, 180, lo ANŠE.KUR.RA tûriya(u)waš, da tûriya- “bardare, attaccare, aggiogare” (v. J. Friedrich, HW, 229: “Pferd des Anspannens = Zugpferd”). Può darsi che la differenza fra le due espressioni qui indicate stesse nella diversa utilizzazione, e quindi nell’apposito addestramento, di questo animale, così che nelle Leggi si parlasse di cavalli da tiro/da giogo utilizzati a scopo agricolo e nel nostro testo di cavalli da tiro/da giogo utilizzati a scopo militare. Mi domando però se l’espressione “cavalli weøannaš” non fosse piuttosto legata alla tecnica usata per l’addestramento dei cavalli (per indicare, cioè, cavalli già addestrati?), tenendo anche conto che il sostantivo verbale waønuwar (da waønu-, causativo di weø-/waø-) corrisponde al termine ario wartanna “giro, circuito” (v. A. Kammenhuber, Hippologia Hethitica, Wiesbaden 1961, 293-297, 349 sg. e 351). Non mi pare invece ci siano elementi per postulare un riferimento ad un particolare tipo di lavoro come “girare una macina”.

148

questi cavalli: può darsi che fossero destinati a scopi bellici come lo erano le truppe ausiliarie menzionate successivamente nel nostro testo, alla cui fornitura sembra si dovesse continuare a provvedere in caso di necessità (v. p. 149 sg.); fra gli oggetti talora richiesti per l’attrezzatura militare si trovavano probabilmente anche le parti costitutive di carri di cui si parla nella stessa formula.85 Sappiamo infatti che nel mondo ittita, come in altri paesi del Vicino Oriente antico, spettava all’amministrazione centrale il compito di provvedere all’equipaggiamento militare, raccogliendo appunto mediante appositi funzionari le forniture necessarie a tale scopo e ridistribuendole poi ai vari organismi secondo le rispettive necessità.86 Come abbiamo detto sopra, dopo il conferimento dell’esenzione da diversi obblighi si stabilisce invece (rr. 25 sgg.) il dovere per il NA4øékur p/Pírwa di prestare aiuto allo stato contro il nemico,87 specificando però che se vi sono truppe ausiliarie impegnate in servizio di guarnigione, si devono lasciar andar via e per loro non deve esserci nell’accampamento un lavoro di costruzione. Si ribadisce in tal modo l’obbligo dell’istituzione cultuale in questione di fornire contingenti ausiliari, ma soltanto in caso di necessità belliche, restando però valida l’esenzione da ogni altro tipo di prestazione verso lo stato. Riguardo agli altri testi contenenti formule analoghe al nostro (v. p. 146), vediamo che nei due dell’epoca di ÷attušili III - KBo VI 29 III 25 e KUB XXVI 58 Ro 9 - si concede l’esenzione dalla consegna di truppe ausiliarie (nel primo di questi due, alla r. 24, sembra si parli anche dell’esenzione da lavori di costruzione/fortificazione),88 mentre nel testo V. in proposito le nostre indicazioni in Šaøur. (1974) 107 sg. con nota 172 e le considerazioni della Cassin, ivi riportate. 86 V. quanto osserva P. Garelli, Le Proche-Orient asiatique, Paris 1969 (= Nouvelle Clio 2), 339 sgg., che ricorda a tal proposito, oltre alla situazione ittita, anche quella di Nuzi al tempo della dominazione mittanica, quella assira e quella di Ugarit. La situazione nell’impero assiro a proposito dell’utilizzazione di cavalli e carri nell’àmbito dell’amministrazione centrale risulta anche dal lavoro di J.N. Postgate, op. cit., 7-18 e 208-211. 87 Il Goetze, NBr, 54 nota 1, traduce qui invece “Zur Hilfe fur das Land aber soll es kommen”, pur basandosi sulla stessa lettura del passo. 88 Nelle rr. 26 sgg. di questo testo si legge infine: “(26) ¦e© [a te], a [Ištar di] Šamuøa, (27) per il šaøøan [e] per il luzz[i ne]ssuno (28) si avvicini”: il šaøøan e il luzzi sembrano presentarsi qui come un compendio di quanto è stato specificato precedentemente. 85

149

redatto da Tutøaliya IV, KUB XXVI 43, non si fa menzione di tutto questo. Relativamente al passo qui sopra citato di KBo VI 28 (Vo 26 sg.), dalla formulazione del privilegio ivi concesso si può dedurre che di solito alle truppe stanziate in guarnigione si richiedevano lavori di vario genere dovuti appunto alle necessità contingenti, senza tener conto di eventuali specializzazioni e senza attenersi a mansioni puramente militari. Ricordiamo a tal proposito il § 56 delle Leggi ittite dove si dichiara che “(24) Per quanto riguarda una città fortificata dall’intraprendere una spedizione del re (e) dal recidere una vigna, dei metallurgici89 (25) nessuno (sia) libero; i giardinieri89 appunto del tutto il luzzi eseguano”. Sembra si alluda qui ad una situazione di emergenza durante la quale nessuna categoria di artigiani, anche se specializzati, poteva esimersi dal compiere prestazioni che generalmente non le competevano.90 Ricordiamo inoltre ABoT 57 (CTH 97) Ro 12-24 e il passo corrispondente in KBo IV 10 (CTH 106) Ro 42-4791 dove si parla della concessione da parte di ÷attušili92 e della sua sposa al re del paese di DU-ašša93 di particolari esenzioni da obblighi militari per permettere ai soldati di questo paese di compiere alcune prestazioni di lavoro dovute alle divinità. Più precisamente sono i soldati a piedi - evidentemente in quanto non appartenenti a truppe specializzate94 - che ricevono l’incarico di prestare il šaøøan e il luzzi per le divinità, e cioè lavori di costruzione, di

V. F. Imparati, Leggi (1964) 245 nota 3. Cfr. anche il § 54 della raccolta di Leggi, dove si legge che in un primo tempo i soldati di particolari paesi insieme ad alcune categorie di artigiani non erano soliti compiere il šaøøan e il luzzi, ciò che farebbe pensare che generalmente invece fossero tenuti ad “seguire queste prestazioni, v. F. Imparati, op. cit., 242. 91 V. F. Imparati, Athenaeum 42 (1969) 154 sg., e Šaøur. (1974) 158 sgg. 92 Per la datazione di questo documento, v. quanto abbiamo osservato in Šaøur. sopra cit., 138 sgg. 93 Sulla lettura ittita del nome di questo paese, v. Šaøur. cit., 125 nota 218. 94 Infatti in questo documento, dopo il conferimento dell’esenzione dalla consegna al paese di ÷atti di “guerrieri su carri e soldati a piedi”, si richiedono in situazioni particolari (cioè, nel caso di una spedizione militare promossa dal paese di ÷atti) 200 (uomini), e si specifica poi che i soldati a piedi sono tenuti a compiere alcune prestazioni per le divinità: non si parla invece, a tal proposito, dei guerrieri su carri (anche se facenti ugualmente parte dell’oggetto dell’esenzione) in quanto appartenevano ad un corpo altamente specializzato e di rango assai elevato. 89

90

150

agricoltura ecc., ciò che dimostra la possibilità di scambio, in taluni casi, di mansioni militari e civili. KBo VI 28 conclude (§ 15 Vo 28-42) con la dichiarazione che questa parola di ÷attušili e di Puduøepa non si deve rifiutare o infrangere e se qualcuno - sia egli un “signore” o un “figlio [del re]”95 o un “signore del trono” o qualsiasi altra persona - la combatterà e sottoporrà gli uomini del picco montano di p/Pirwa ai šaøøan e luzzi suddetti, allora la coppia divina e molti altri dèi, qui elencati dettagliatamente (rr. 31-40), distruggeranno il colpevole.96 La presenza della lista di divinità così lunga e dettagliata testimonia l’importanza di questa istituzione cultuale, importanza che del resto si può intuire dalla lettura di tutto questo documento e degli altri testi che vedremo piu avanti dove si parla di questa fondazione senza ricorrere ad ulteriori specificazioni per definirla, ciò che fa pensare che essa dovesse essere allora ben nota. Del resto, sia il tipo di oneri verso lo stato da cui essa era esentata (soprattutto la consegna di materiale necessario per l’attrezzatura militare e di cavalli addestrati probabilmente a scopi bellici) sia l’obbligo di continuare a fornire truppe ausiliarie in caso di necessità mostrano V. quanto abbiamo scritto sui “signori” e “figli del re” in Or 44 (1975) 80-95. V. Šaøur. (1974) 155 e 164 note 63 e 64. Riportiamo qui il passo ittita corrispondente, tralasciando il lungo elenco di divinità. 95

96

28 A-WA-AT Ta-ba-ar-na m÷a-at-tu-ši-DING[IRLI]M LUGAL.GAL Ù f!Pu-du-~é-pa MUN[US].LUGAL.GAL MUNUS.LUGAL URUKÙ.BABBAR-ti 29 ŠA LA-A NA-A-DI-YA-AM ŠA LA-A ŠE-[BI]-RI-IM ku-iš-ma-an øu-ul-la-i ma-ana-aš BE-LU ma-a-na-aš DUMU.L[UGAL] 30 ma-a-na-aš EN GIŠŠÚ.A ma-a-na-aš ku-iš i[m-ma] ku-iš UN-aš nu LÚMEŠ N[A4]øékur p/Pí-ir-wa [(ki-da-aš ša-aø-øa-na-aš)] 31 lu-uz-[z]i-ya-aš ti-it-ta-nu-zi na-a[š ]. DU ŠA-ME-E. . . . . . . 39 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DINGIRMEŠ LÚMEŠ 40 DINGIRMEŠ MUNUSMEŠ ŠA KUR URU÷a-at-t[i ]-za ku-iš ke-e tup-pí-ya-aš ud-da-a-ar EGIR-pa øu-ul-l[i-iz-zi] ke-e-da-aš 41 A-NA LI-IM DINGIRM[EŠ] EN DI-NI-ŠU [e]-eš-[d]u na-an-kán IN.ZI NUMUN-

an-na da-an-ku-wa-ya-za tág-na-za øar-ga-nu-wa-an-du

42 A-NA DU-ma-aš GUD.MA÷ e-eš-du na-an pár-øi-eš-ki-id-du ________________________________________________________________ Sull’interpretazione delle rr. 40-42, v. J. Friedrich, SV I (1926) 165 con nota 1, e K. Riemschneider, MIO 6 (1958) 378, il quale propone di leggere alla r. 41 ZI!-in! (?), anziché IN.ZI, come vi è realmente scritto: v. in proposito loc. cit., nota 186.

151

l’entità di tale istituzione, che doveva possedere manodopera di vario genere, nel settore agricolo e in quello artigianale. Inoltre, come vedremo dai testi che prenderemo successivamente in esame, questa fondazione era tenuta a provvedere al mantenimento di alcuni santuari insieme ai dipendenti del re di Išuwa ed a fornire particolari offerte per alcune località sacre (v. pp. 155 e 158 sg.) Anche il conferimento dell’esenzione da parte di ÷attušili III a questo organismo cultuale, qualunque ne fossero i motivi, ne attesta l’importanza. Come già abbiamo rilevato altrove (Šaøur. [1974] 169 sg.), diversi erano i motivi per cui un sovrano concedeva un’esenzione - o per favorire qualcuno o allo scopo di permettere che al posto di alcune prestazioni dovute allo stato se ne compissero altre in favore di divinità o di luoghi sacri - e fra tutti i sovrani ittiti ÷attušili III è quello di cui ci è pervenuta maggiore documentazione in proposito, probabilmente perché, essendo egli un usurpatore, cercava di consolidare in tal modo la sua posizione (v. op. cit., 152). Nel nostro caso i motivi del conferimento di questo beneficio potevano essere vari: forse per far sì che il santuario del picco montano di p/Pirwa - come avveniva per molte istituzioni cultuali - sollevato da obblighi verso lo stato, fosse più disponibile all’adempimento dei suoi doveri attinenti al culto;97 abbiamo infatti osservato sopra e vedremo inoltre più avanti che questo santuario doveva anche provvedere alla cura di altre località sacre;98 oppure perché, trattandosi di un organismo di un certo rilievo, ÷attušili avrebbe cercato di procurarsene l’amicizia e il sostegno: dobbiamo infatti tener presente che queste fondazioni cultuali erano integrate nella vita amministrativa - e quindi in certo qual modo anche politica - dello stato,99 e questo dava loro, insieme a certi limiti, anche un rilievo notevole.100 V. gli esempi citati in Šaøur. (1974) 169 nota 83. VBoT 110 rr. 8-11 (p. 155 sg.), KUB XXVII 13 IV 17 sg. nota 122; v. anche H. Otten, MDOG 94 (1963) 18, KBo XIV 142 IV 17 (nota 115); non è chiaro KBo XII 140 Vo 12’ (p. 156 sg. e nota 113). 99 Sulla funzione economica del tempio ittita v. H. Klengel, SMEA 16 (1975) 180200; v. inoltre H.G. Güterbock, Actes XXe R.A.I. (= Le temple et le culte) (1975) 128 sg. Sul conferimento di esenzioni a privati di rango elevato per favorirli (e garantirsene in tal modo il sostegno), v. Šaøur. (1974) 21, 152 sg., 169 nota 82. 100 Darebbe maggior peso a tale ipotesi la possibilità di individuare una continuità sia pure con taluni mutamenti dovuti a motivi politici e religiosi - fra alcune di queste 97

98

152

Si potrebbe pure pensare che questo santuario fosse stato dalla parte di ÷attušili III nel corso delle sue manovre per usurpare il trono, forse agevolato in qualche modo anche dalla sua posizione geografica verosimilmente impervia dato il suo legame con un picco montano,101 e che di ciò questo sovrano avesse voluto compensarlo con il conferimento di un beneficio, senza fare, ovviamente, alcun riferimento al motivo di questa benevolenza.102 Oppure, dato che negli antefatti storici si alludeva a gravi incursioni nemiche avvenute probabilmente all’epoca di ÷attušili III,103 si potrebbe presumere che ÷attušili III avesse voluto favorire una istituzione che in tali circostanze si era resa benemerita proprio sotto il sovrano di cui egli portava il nome. Questa ipotesi acquisterebbe una certa verosimiglianza alla luce di una proposta di Otten di riconoscere in questo santuario la casa øešti di cui si parla in Ro 15,104 la quale in epoca più antica aveva sostenuto da sola gli attacchi nemici e che avrebbe successivamente mutato nome.105

istituzioni cultuali legate a picchi montani, presenti in epoche diverse con differenti designazioni, v. pp. 143 e 168 sgg. 101 Ciò troverebbe un sostegno nella proposta del Güterbock di localizzare nell’area di Boˆazköy alcuni di questi santuari legati a picchi montani, v. p. 168; v. però le nostre conclusioni a p. 170 sg. 102 V. quanto abbiamo scritto a proposito del favore di ÷attušili III nei riguardi di Ulmi-Teššup di Tarøuntašša, dei motivi che potevano averlo provocato e di come era stato concesso, in Šaøur. (1974) 138-142. 103 Sull’esistenza di ÷attušili II v. per ultimi, cronologicamente, H.G. Güterbock, JNES 29 (1970) 73-77, A. Kammenhuber, Or 39 (1970) 278-301, e O. Carruba, SMEA 14 (1971) 75-94 (con le indicazioni bibliografiche a p. 75 nota 1). 104 Nel nostro testo, Ro 14 sg., dopo aver parlato di un’epoca in cui molti nemici si erano mossi contro gli Ittiti ed avevano distrutto i paesi loro soggetti, si dice che la stessa città di ÷attuša fu ridotta in cenere e che [ ] e la casa øešti rimase(ro) in piedi: U[RU÷att]ušaš URU-aš arøa (13) warnuwanza ešta nu-kán [ (14) ]-¦ta©-aš Éøéšti-ya išpárzan ešt[a]. Il Goetze, Kizzuwatna, 22 nota 86, propone di integrare l’ultima parte della lacuna centrale con [ akkan]taš (e la casa øešti [dei Mani]), e rimanda a B.F. Hrozný, BoSt 2 (1919) 139 nota 7; cfr. anche A. Goetze, ÷att., 104, e AM, 241. 105 L’Otten (ZA 58 [1967] 233) pensa di collegare il passo del nostro testo riportato sopra nella nota 104 con quello presente in Vo 17 dove ÷attušili, salito sul trono del padre, esprime la risoluzione di riparare (šarnink-, lett. “risarcire”) il NA4øékur p/Pírwa con l’aiuto di prigionieri civili/deportati. Egli avanza quindi l’ipotesi che alla casa øešti, insieme a nuove attribuzioni, fosse dato anche un nome nuovo oppure che i due edifici cultuali in questione fossero vicini, cfr. p. 60 nota 157.

153

Infine, la possibilità di un rapporto fra alcuni santuari legati al øékur e il culto dei morti (v. più avanti p. 166 sgg.) potrebbe giustificare, secondo l’Otten (MDOG 94 [1963] 19), la cura dovuta a tali istituzioni e l’esenzione da oneri spettante loro. Egli ricorda, a tal proposito, come confronto l’esenzione concessa al “mausoleo reale” (v. Otten, HTR, 106 sg.). Questa ipotesi è molto plausibile, anche se però dobbiamo tener presente l’esistenza di decreti contenenti il conferimento di esenzioni in favore di altre istituzioni cultuali che non presentano alcun legame con il culto dei morti, come, per esempio, KBo VI 29 e KUB XL 2. L’unica testimonianza finora pervenutaci del picco montano di p/Pirwa in cui quest’ultimo termine è preceduto dal determinativo divino si trova in un documento contenente rendiconti oracolari, KUB XVI 42 (CTH 574) Vo 1.106 Purtroppo il contesto è molto danneggiato e non ci è di grande utilità, il NA4øékur DPírwa vi compare subito dopo una lacuna per cui non sappiamo se fosse preceduto da termini come LÚMEŠ o É, ed anche le tracce dei segni successivi sono incomprensibili; alla r. 2 si parla di offerte di pane e di birra, e alla r. 3 si trova dopo DI]NGIR?LIM il verbo duddunuwanzi “perdonano, trattano con clemenza, benevolmente”.107 In un altro testo frammentario, contenente anch’esso rendiconti oracolari, KUB XVI 27 (CTH 582),108 dove si indaga su qualche colpa commessa nei riguardi del re e della regina,109 alla r. 3 si fa appunto una consultazione per sapere se gli uomini del santuario del picco montano di NA4

106 Questo passo è stato menzionato da F. Sommer, AU, 318; H. Otten, JKF 2 (1951) 72 nota 18 e MDOG 94 (1963) 18 nota 61; A. Goetze, Language 30 (1954) 356 nota 54. Dal Recto di questo documento sembra che le consultazioni oracolari fossero fatte mediante l’uccello ÷UR-RI, la “tadorna” (per l’identificazione di questo uccello v. bibliografia presso G.F. Del Monte, AION 33 [1973] 378 nota 26, e presso A. Archi, SMEA 16 [1975] 139 nota 40). Per una possibile datazione di questo testo v. più avanti, nota 109. 107 Sul verbo duddunu- v. Šaøur. (1974) 96 sgg. 108 V. F. Sommer, H. Otten e A. Goetze, locc. citt., ed inoltre la traslitterazione e traduzione di G.F. Del Monte, AION 35 (1975) 334 sg. 109 Dato che la maggior parte dei testi dove compare il santuario del picco montano di p/Pirwa sono dell’epoca di ÷attušili III o di Tutøaliya IV, tenendo inoltre presente che molti testi dove si trova il MUŠEN ÷URRI si possono datare da ÷attušili III in poi (v. nota 26), si può presumere che in questo passo si parlasse di questo sovrano e di Puduøepa.

154

p/Pirwa (LÚMEŠ É øékur p/Pírwa) abbiano commesso qualche fallo verso i sovrani, ciò che potrebbe indicare un certo rapporto di questa istituzione con la dinastia. Alla r. 5 si dice che sono stati interrogati gli uomini dell’É.NA4 DINGIRLIM: l’accostamento di questi due passi mostra, secondo l’Otten (MDOG 94 [1963] 18), uno stretto legame del NA4øékur p/Pírwa col culto dei morti (v. in proposito più avanti, p. 166 sgg.). Un NA4øékur p/Pírwa compare inoltre in KBo X 10 (CTH 235) II 14 - purtroppo in contesto assai lacunoso - in una lista di censimento: anche per questo tipo di documenti, di solito tardi, sarebbe plausibile una datazione all’epoca di ÷attušili III o di Tutøaliya IV Al gruppo di testi riguardanti l’amministrazione religiosa nei suoi vari aspetti, probabilmente databili all’epoca di Tutøaliya IV (CTH, 87 sgg.), appartiene il frammento VBoT 110 (CTH 530).110 Sembra vi si parli di offerte che dovevano esser fatte da appartenenti ad alcune istituzioni in favore di determinate località sacre. Nel primo paragrafo alla r. 1 si trovava probabilmente la menzione della (o delle) località cui spettava ricevere l’offerta, alla r. 2 se ne indicava l’ubicazione (QÍRÛB [¦È©), alla r. 3 l’ammontare dell’offerta, alla r. 4 chi doveva provvedere a questa offerta, cioè i LÚMEŠ ÉTIM.GAL;111 segue poi uno spazio vuoto prima della frattura della tavoletta, per cui si può pensare che il passo finisse qui. Nel secondo paragrafo alla r. 5 si legge øékur ø/÷atpínaš.[/ø/÷atpínaš ø[é(?)kur(?),111a a cui erano verosimilmente dovute le offerte elencate nella r. 7, non sappiamo da parte di chi. Non avendo incontrato altrove il termine ø/÷atpínaš[, non comprendo se si trattava di un attributo del picco montano che lo precedeva oppure se era la sua denominazione o un nome proprio (personale? divino? di luogo?) senza determinativo.

Menzionato in F. Sommer, H. Otten, A. Goetze, locc. citt. H.G. Güterbock, Actes XIXe R.A.I., Paris, 1971 (1974) 305 con nota 2, propone di vedere - in taluni casi - nell’ ÉTIM.GAL il Grande Tempio di Boˆazköy. V. anche quanto egli aveva osservato in Actes XVIIe R.A.I., Bruxelles, 1969 (1970) 180, e la diversa opinione dell’Otten, in StBoT 13 (1971) 22 sg. 111a Non è chiaro se la parte del segno rimasta dopo -aš (due cunei orizzontali sovrapposti) sia legata al termine precedente o sia l’inizio di un altro termine (forse ø[ékur? cfr. r. 8, a proposito dell’elenco di fonti; da notare che øékur in questo testo non compare mai preceduto dal determinativo NA4: cfr. rr. 5 e 11, e quanto si è qui osservato a proposito della r. 9). 110

111

155

Nella r. 6 si indicava probabilmente l’ubicazione di questo øékur: QÍRÛB É.GAL DUTU[ŠI, e nella r. 7 l’ammontare dell’offerta. Nel terzo paragrafo si dichiara ciò che ad alcune fonti, evidentemente divinizzate, spettava ricevere da parte dei [LÚ]MEŠ øékur p/Pírwa! .[, v. r. 11.112 Si può fare un confronto con KUB XXVII 13 IV 4-12 (v. nota 118) dove, a proposito del mantenimento di alcune fonti sacre, alla r. 10 si dice che alla fonte K. dovevano provvedere i LÚMEŠ NA4 øékur D[...]: sulla possibilità di integrare questa lacuna, v. ancora p. 159. Alla r. 9, sempre di VBoT 110, è menzionata la fonte Šaniya situata all’interno (ŠA) del hé[: da completare øé[kur? Si deve infatti notare che øékur in questo testo (rr. 5 e 11) non compare mai preceduto dal determinativo NA4. Nel quarto paragrafo, la cui lettura non è ben chiara, vediamo alla r. 13: QÍR]ÛB KÁ.GAL .. [; i due segni dopo KÁ.GAL si potrebbero leggere DUTU[, che però risulterebbe qui scritto con grafia diversa dalle rr. 6 e 14. Del quinto paragrafo ci sono rimasti soltanto alcuni segni della prima riga. Sempre a quei documenti relativi all’amministrazione religiosa e databili probabilmente all’epoca di Tutøaliya IV (v. p. 155) appartiene anche KBo XII 140 (CTH 521.7). In questo testo113 sono elencate alcune 112 Non sappiamo se nella lacuna alla fine della r. 11 vi fossero anche altre indicazioni di chi doveva fornire queste offerte. 113 Mi sembra utile riportare qui la traslitterazione di questo testo.

Ro 1 [UR]U÷a-¦at©-¦tu©-ši-kán i[š(?)-/u[š(?)2 ¦D©LAMMA [UR]U÷at-ti DLe-el-[wa-ni 3 ¦ŠA© URUTe-me-el-øa .[ 4 A-NA LUGAL KUR URUI-šu-wa[ ___________________________ 5 D LAMMA KUŠkur-ša-aš LUGAL KUR I-[šu(?)-wa(?) __________________________________________ 6 URUZi-ip-la-an-di-kán [ ___________________ 7 URUTa-a-lu-i-ir-ya-kán[ 8 GAL GEŠTIN pí-ra-an[ ____________________ 9 URUWa-aš-øa-ni-ya-¦kán©[ 10 [D]U URU÷a-¦te©-na.[ _________________

156

divinità e le città in cui esse erano venerate (la tavoletta inizia proprio con [UR]U÷attuši-kán) e talora, sembra, anche coloro che avevano l’obbligo di prenderne cura (Ro 4, 8(?), Vo 5’ sg. e 9’). Nel Verso si parla inoltre di montagne, evidentemente divinizzate, menzionate al plurale, e quindi senza l’indicazione del loro nome, ma con l’indicazione della località nei 11 Vo 1’

Ta]-ni-zi-l[a

URU

. ] . . [ _____________

Zi-it-øa-ri-an [ iš-tar-na ar-øa-ma-aš[ ša-an-øu-wa-an-zi[ _________________ 5’ É DUTU URUTÚL-na A-[NA(?) 6’ Ù A-NA mPí(?)-/Kaš-(?)-ka-w[a(?)-/-ut(?)-[ ____________________________________ 7’ ÷UR.SAGMEŠ URUMi-ya-ra-[ 8’ ÷UR.SAGMEŠ URUTe-qa-ra-a[m(?)-ma(?) 9’ Ù A-NA mTi-i-en-.[ _________________ 10’ ÷UR.¦SAG©MEŠ URU÷u-pí-na ÷UR.SA[G 11’ ¦÷UR.SAG©MEŠ šal-li-ya-aš lu-li-[ya(?)-aš(?) 12’ N]A4(?)øé-kur p/Pí-ir-wa mTu-u[d-øa-li-ya(?) 13’ ¦÷UR.SAG©MEŠ NA4 DINGIRLIM ¦la©-aø-r[u(?)______________________________________ 14’ NA4[ ]. A[ 15’ GIDIM[ ]. [ 16’ DINGIRMEŠ a-wa-. .[ __________________ 17’ ÍD[T]u(?)-[ ]..[ _______________ 18’ ÷UR.[SAGMEŠ 19’ É ¦D©[ ]..[ 20’ D÷a-aš-ig/-ik-gaz-/-kum-š]a-/-g[a-/-t[a2’ 3’ 4’

D

bd. sn. 1 z]i-an LUGAL KUR I-šu-wa øa-ti-ú-i-ta-iz-zi 2 ] . LÚUGULA 10 KI.MIN :KUR Har-zi-ú-na GAL LÚAŠGAB KI.MIN 3 K]UR Du-un-na GAL LÚMU÷ALDIM KI.MIN 4 øa-t]i-ú-i-da-iz-zi A proposito della lettura del nome divino in Vo 20’ ricordiamo l’esistenza di una divinità D÷ašigašnawanza, su cui v. E. Laroche, Rech., 81.

157

pressi della quale erano situate; è interessante notare che in questo gruppo si trova (r. 12’) anche il N]A4(?)113aøékur p/Pírwa mTu[tøaliya(?) (v. più avanti pp. 166 e 169 sg.); non è però chiaro con quale funzione (se per ricevere o per prestare cure). Comunque, la presenza di tale espressione in questo àmbito sembra confermare il carattere rupestre di øékur (v. p. 121 con nota 1). Nelle rr. 13’ e 14’ compare ancora il termine NA4, purtroppo in contesto lacunoso ed oscuro. Di particolare interesse è l’iscrizione sul bordo sinistro - purtroppo danneggiato nella parte iniziale - dove si legge che hanno compiuto l’inventario il re del paese di Išuwa e “similmente” alcuni dignitari di alto rango. Si deve soprattutto notare la presenza in questo testo del re del paese di Išuwa (anche in Ro 4 e forse 5), che sembra aver tenuto in quest’epoca una posizione di rilievo nell’àmbito cuituale ittita (v. più avanti p. 162 sgg.). Esaminiamo ora due documenti, KBo XIV 142 e KUB XXVII 13 (CTH 698), relativi al culto di Teššup di Aleppo, probabilmente databili alla fine del regno di ÷attušili III o agli inizi di quello di Tutøaliya IV.114 In ambedue i testi, nella Col. I si stabiliscono offerte per Teššup di Aleppo e per le divinità del suo seguito. In KBo XIV 142, nella Col. IV, dopo l’indicazione (rr. 1-4) di otto località responsabili delle offerte per il tempio di questo dio (r. 4. ANA É.GAL DU URU÷alpa), si elencano persone tenute a provvedere115 - o privatamente o in gruppo, come appartenenti a determinate categorie o 113a Questo segno parrebbe formato da due cunei angolari sovrapposti più un cuneo verticale, cioè l’ultima parte di NA4; sembra però che non ci sia spazio in questa riga per la parte iniziale di questo segno: cominciava forse nel bordo? 114 V. H. KIengel, JCS 19 (1965) 91 sg. nota 44; questa è la datazione proposta per KUB XXVII 13 anche in J. Friedrich-A. Kammenhuber, HW 1, 79, secondo la Col. IV 14 e 18; sul culto del dio della Tempesta di Aleppo v. tutto l’articolo qui citato del Klengel, 87-93. 115 øar(k)- nel senso di “aver cura”; in questo elenco compaiono Tarøupiøanu mD ( U-píøanuš-an) scriba su legno (r. 5), i tessitori (r. 6), Zuga (mZugaš-an) e i mercanti (r. 7), gli uomini del palazzo della(?) città di Šapinuwa (URUŠapínuwa-an) (r. 8), gli uomini del palazzo della città di Šupašši (URUŠu-ú-pa-aš-ši-aš) (r. 9), il capo delle guardie del corpo (r. 10), Nuwanza figlio di ÷ar/÷ur/÷AR-šanya (r. 11), Mannunza figlio di Tapaliziti (r. 12), gli uomini dai lunghi strumenti della città di Katapa (r. 13), Karria KARTAPPU (r. 14), Tarøupiøaya (mDU-píøayaš-an) figlio di Tiwata-DU (r. 15), gli uomini dai lunghi strumenti della città di Katapa (r. 16), i “LÚMEŠ øékur p/Pírwa” (r. 17), ed altri (r. 18).

158

istituzioni - al suo culto (r. 24: ŠA DU URU÷alap, e r. 27: ŠA DIM ÷alap). In questo elenco, alla r. 17, figurano anche gli “uomini del picco montano di p/Pirwa”, cioè gli appartenenti a questa fondazione cultuale. In KUB XXVII 13, nella Col. IV, sono elencate alcune località sacre,116 gli incaricati al loro sostentamento e l’entità delle offerte da consegnare. Nelle rr. 4-12 sono menzionate alcune fonti, verosimilmente divinizzate: la fonte ÷., di cui dovevano prendersi cura gli “uomini del palazzo di Kantu[zzili”,117 la fonte W., cui dovevano provvedere gli “uomini del palazzo del sacerdote”, la fonte K., di cui spettava la cura agli “uomini del picco montano della divinità [“.118 Non so se sia giusto integrare in questa lacuna Pírwa, poiché questo nome compare più avanti nella r. 18 insieme a NA4øékur senza il determinativo di divinità, ciò che del resto si può constatare nella maggior parte della documentazione in cui p/Pirwa è unito a questo picco montano (v. p. 143 sg.). È inoltre noto che il NA4øékur si trova accompagnato anche dal nome di altre divinità ed è pure attestato con DINGIRLIM soltanto (v. Indice p. 171 sg.); si deve però rilevare che gli “uomini del picco montano di p/Pirwa” erano tenuti a provvedere a delle fonti sacre anche in VBoT 110, nel paragrafo terzo (v. p. 155). Nelle rr. 13 sg. del nostro testo si parla di “due picchi montani dove per uno (è) signore (proprietario?) una donna (e) per uno il picco montano allinališ(?)[(-)/allinaš[i(?)(-)”,119 a cui dovevano provvedere “gli uomini del palazzo di Arnuwanda e i servi di Tarøuntapiya”.120 Il palazzo URU

Probabilmente anch’esse gravitanti nell’àmbito cultuale del dio della Tempesta di Aleppo, v. p. 158 con nota 114; KUB XXVII 13 Ro I 1 inizia proprio con ANA DU URU÷alap. 117 V. E. Laroche, NH Nr. 503, e Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 (1973) 255. 116

118

4 ÷ar-ra-na-aš-ša-an LÚMEŠ É.GAL mKán-tu-u[z-zi-li e-eš-ša-an-zi] TÚL 7 Wa-na-at-ti-ya-ta-an LÚMEŠ É.GAL LÚ¦SANGA© e-eš-ša-a[n-zi] 10 TÚLKa-pa-an-ti-iš-ša-na-i-ma-an LÚMEŠ NA4øé-gur D[ 11 e-eš-ša-an-zi . . . . . . . 119 V. su questo termine, presente solo in questo passo, H. Otten, MDOG 94 (1963) 19, e StBoT 7 (1968) 28, e J. Friedrich-A. Kammenhuber, HW 1, 59, dove questo termine è considerato come hurrico. TÚL

120

13 2 NA4hé-gur ŠÀBA 1EN EN-aš MUNUS-za 1EN NA4hé-gur al-li-na-liš (?)[(-)/š[i(?)(-)

159

di Arnuwanda qui menzionato era probabilmente una di quelle istituzioni religiose, con funzioni anche amministrative, legate al culto di sovrani defunti, del genere del “palazzo del padre (del Sole)” o del “palazzo del nonno (del Sole)”.121 Nelle rr. 17 sg. si dice che del NA4hégur annari e del NA4hégur muwatti dovevano prendersi cura “gli uomini del picco montano di p/Pirwa e i servi del re di Išuwa”.122 L’Otten123 considera di origine luvia i due aggettivi annari e muwatti, che designano i due santuari rupestri su menzionati, e li intende come indicanti l’uno la potenza maschile124 e l’altro un rapporto con il genere femminile. In J. Friedrich-A. Kammenhuber (HW 1, 79), a proposito dell’epiteto annari nel passo in questione, si mette in rilievo il contesto presumibilmente hurrico in cui questo termine è inserito (infatti i due santuari qui citati si trovavano anche nella sfera amministrativa del re di Išuwa, su cui v. p. 162 sgg.) e non se ne propone alcuna interpretazione. Anche da questo passo, dunque, il picco montano di p/Pirwa appare chiaramente come una istituzione cultuale dotata di personale e beni propri, ed inserita con precise funzioni nell’amministrazione religiosa dello stato.125 Si deve notare - in questo testo e in casi analoghi in altri testi126 - una prevalenza nell’uso del termine LÚMEŠ quando si parla di personale legato 14 LÚMEŠ É.GAL mAr-nu-wa-an-da ARADMEŠ mDU-ta-SUM-ya e-eš-š[a-an-zi] Su Tarøuntapiya v. E. Laroche, op. cit., Nr. 1267,5, dove si deve correggere XXVII 13 IV 4 in XXVII 13 IV 14. 121 Cfr. A. Archi, OA 12 (1973) 211 e relative note, e G.F. Del Monte, AION 35 (1975) 337 sg. Mi sembra invece piu improbabile pensare qui ad un palazzo - sempre inteso come sede amministrativa - di un personaggio vivente di alto rango di nome Arnuwanda o addirittura del figlio di Tutøaliya IV, erede al trono; cfr. E. Laroche, NH Nr. 148, 6. 122

17 NA4hé-gur an-na-ri-in [NA4hé-gur] mu-wa-at-ti-in-na 18 ¦LÚ©MEŠ NA4hé-gur p/Pí-ir-wa ARADMEŠ LUGAL URUI-šu-wa-ya e-eš-š[a-an-zi] 123 Op. cit., 19 con note 62-64, a nota 63 aggiungi E. Laroche, NH Nr. 838. 124 Su annari- v. anche H. Otten, SBoT 7 (1968) 27 sgg., e J. Friedrich, HW 330; HW Erg. Heft 1, 40; Erg. Heft 3, 10; v. inoltre J. Friedrich-A. Kammenhuber, qui sopra cit.; cfr. pure nota 22. 125 Sulla possibilità che questa istituzione fosse esentata da obblighi verso lo stato affinché potesse provedere alla cura di altre istituzioni, v. p. 152 e nota 98. 126 Cfr. in A. Archi, OA 12 (1973) 220-225, l’elenco di chi era tenuto a fornire offerte relativamente ai culti controllati dallo stato.

160

a qualche ente amministrativo o cultuale come É.GAL di qualcuno o di qualche città o É.NA4 o (É) NA4hékur ecc., e quello di ARADMEŠ quando si parla di personale legato a individui di alto rango quali, ad esempio, Tarøuntapiya o Tattamaru o il re di Išuwa.127 Si intendeva probabilmente fare in tal modo una distinzione fra i funzionari addetti all’amministrazione degli enti in questione, in nome dei quali provvedevano alla distribuzione di beni ad altri organismi secondo la prescrizione del potere centrale, e i dipendenti da personaggi che provvedevano in proprio alla fornitura di beni, anche se ciò era ugualmente stabilito dall’amministrazione centrale dello stato in rapporto al loro rango e alle loro cariche e funzioni.128 Considerando poi in particolare l’espressione LÚMEŠ É.GAL, mi sembra possibile che essa venisse usata con valore diverso a seconda che fosse menzionata da sola o fosse accompagnata da indicazioni di persone o di luoghi. Lo Alp129 ha mostrato l’identità dell’espressione DUMU É.GAL, titolo di un funzionario della corte ittita, con l’espressione LÚ É.GAL, ciò che naturalmente porterebbe ad escludere l’ammissione di un’età giovanile per chi portava questo titolo.130 Può darsi però che questa identità fosse soltanto sporadica, dato che nella maggior parte dei documenti si parla specificatamente di “uomini del palazzo di qualcuno o di qualche città”.131 Sarebbe quindi opportuna una verifica di tutti i casi in 127 V. però il § 52 delle Leggi ittite dove si parla di ARAD É.NA ARAD 4 DUMU.LUGAL. 128 Anche G.F. Del Monte, AION 35 (1975) infra, nel suo esame dei testi relativi all’É.NA4 traduce di solito LÚMEŠ É.NA4 con “funzionari della Casa di Pietra”, tranne che a p. 329 dove in KUB XVIII 21 II 4 dà la traduzione “dipendenti della Casa di Pietra”; a p. 324 traduce con “dipendente” ARAD nei due casi in cui ricorre nel § 52 delle Leggi ittite (v. nota precedente). 129 Beamtennamen, 25 nota 4 e p. 26; a proposito dell’uso indistinto dei termini “figlio” ed “uomo” all’interno di alcune espressioni in altri ambienti oltre che in quello ittita, v. Or 44 (1975) 91 nota 64. 130 Quindi la traduzione “Hofjunker” (F. Sommer-A. Falkenstein, HAB, 116, accettata anche da altri, tra cui H. Otten, SBoT 13 [1971] 3 [I 13, 17 sg.] e 7 [VI 8], nell’Indice p. 63, invece, soltanto “Palastfunktionär”) e la traduzione “Page” (proposta da A. Goetze, JCS 1 [1947] 81, e seguita, fra gli altri, da L. Jakob-Rost, MIO 11 [1965] Indice p. 223 e passi ivi citati) risulterebbero improprie. Lo Alp, op. cit., 25-52, preferisce appunto la traduzione “Höfling”. 131 Anche degli esempi indicati da S. Alp, op. cit., 25 sgg., molti si riferiscono a “uomini del palazzo di qualcuno o di qualche città”, v. per esempio KUB VI 37 Ro 11, X 39 III 3, XII 2 I 6, XII 4 I 9, XII 45 r. 10, XX 33 110, XXVII 13 IV 4, 7, 14, 22, XXVII 15 IV 12,17

161

cui i LÚMEŠ É.GAL compaiono senza altre designazioni, per vedere se a loro competevano mansioni analoghe a quelle dei DUMUMEŠ É.GAL. Per quanto riguarda questo titolo si può presumere che lo É.GAL ivi presente indicasse il palazzo reale, la corte,132 infatti da molti testi in cui sono menzionati i DUMUMEŠ É.GAL, spesso insieme ai MEŠEDI (cioè alle guardie del corpo del re), emergono chiaramente i loro compiti in stretta relazione con il sovrano.133 È quindi probabile che anche quando si parlava semplicemente di “uomini del Palazzo”(ed anche di “capo degli uomini del Palazzo”), si facesse riferimento ad una carica più specifica, a cui erano legate determinate mansioni nell’àmbito della corte. Quando invece si parlava di “uomini del palazzo di qualcuno (nome proprio di persona o indicazione di una carica, come, ad esempio, LÚMEŠ É.GAL LÚABU BITI)134 o di qualche città” si alludeva forse più genericamente al personale di questi palazzi, intesi come sedi amministrative. Riguardo infine all’espressione ARADMEŠ LUGAL URUIšuwa, presente in KUB XXVII 13 IV 18 (v. nota 122), mi sembra che essa si debba intendere come “dipendenti del re di Išuwa”, cioè della sua amministrazione privata, piuttosto che “sudditi del re di Išuwa”, comprendendo in questo caso in tale espressione tutto questo paese.135 Sappiamo che il re di Išuwa aveva tenuto nell’àmbito cultuale ittita una posizione di grande importanza, soprattutto per quanto riguardava la Anche se è attestata l’esistenza di questo titolo con una più esatta specificazione: UGULA 70 ŠA DUMUMEŠ É.GALTIM LUGAL, in KBo V 7 Vo 54. 133 La Jakob-Rost (op. cit., 212) rileva la delimitazione fra queste due categorie di cortigiani: al DUMU É.GAL spetta la cura del re nel palazzo e al MEŠEDI all’aperto, durante le gite ecc. 134 Sono attestate anche espressioni del tipo DUMU É.GAL LÚSAGI.A, o DUMU É.GAL ¦UGULA©(?) (o ¦GAL©??) LÚ.MEŠUŠ.BAR, o LÚMU÷ALDIM DUMU É.GAL (v. S. Alp, op. cit., 26 sg.): sarebbe opportuno fare un controllo completo su tutta la documentazione in proposito per vedere se queste espressioni potevano avere un valore diverso a seconda che la designazione di un funzionario precedeva o seguiva il titolo DUMU É.GAL. 135 V. però KBo IV 10 Ro 42, corrispondente al passo purtroppo danneggiato in ABoT 57 Ro II sg. (CTH 106, v. Šaøur. [1974] 159 sg. e nota 48), dove si dice che LAMMA re di Tarøuntašša (menzionato nei due testi nella riga precedente a quelle qui indicate) IŠTU KURTI-ŠÚ “insieme al suo paese” non poteva sostenere il šaøøan dovuto alle divinità, indicando in tal modo che questo obbligo spettava al sovrano e a tutto il paese di Tarøuntašša. Si tratta però in questo caso di un trattato internazionale. 132

162

venerazione di divinità hurrite.136 Si trattava evidentemente dell’epoca di ÷attušili III o di Tutøaliya IV, periodo in cui si era rivelato predominante l’apporto hurrita nel mondo religioso ittita, soprattutto per l’influenza della regina Puduøepa.137 Mi sembra interessante osservare che in KUB XXVII 13 IV 18 si trovano menzionati insieme l’istituzione cultuale del picco montano di p/Pirwa e i dipendenti del re di Išuwa con l’obbligo di provvedere a due santuari rupestri, e che in KBo XIII 40 sul bordo sinistro si legge che il re del paese di Išuwa, insieme ad alcuni dignitari di alto rango, ha redatto l’inventario cultuale-amministrativo presente nella tavoletta:138 anche in questo documento compare il picco montano di p/Pirwa (di Tu[tøaliya(?), v. p. 156 sg.). Inoltre, in un testo relativo al culto della divinità Pirwa, IBoT II 131 (CTH 518) Ro 12 è ancora presente il re di Išuwa legato in qualche modo alla voce verbale êššešta (cfr. KUB XXVI I 13 IV 18: êšša[nzi). Questi tre documenti sono verosimilmente dell’epoca di Tutøaliya IV.139 Purtroppo però non abbiamo elementi sufficienti per stabilire se la ricorrenza in questi testi contemporaneamente di p/Pirwa e del re di Išuwa fosse puramente casuale o se si potesse giustificare in qualche modo.140 All’epoca di ÷attušili III e di Tutøaliya IV erano re di Išuwa AriŠarruma (Laroche, NH Nr. 126) ed Eøli-Šarruma (NH Nr. 229), il quale era, secondo il Klengel (op. cit., 71), figlio del sovrano precedente. In

V. H. Klengel, OA 7 (1968) 74 sg., cfr. comunque tutto questo articolo, 63-76. È interessante notare la componente hurrica nei nomi dei re di Išuwa di questo periodo: Ari-Šarruma ed Eøli-Šarruma, v. più avanti p. 163. 138 Il re di Išuwa compare in questa tavoletta anche in Ro 4 e forse 5, v. nota 113. 139 Per la datazione di questi documenti v. pp. 158 nota 114, e CTH p. 87 sgg. 140 È possibile che questa ricorrenza fosse dovuta semplicemente all’importanza che in quest’epoca avevano nella vita cultuale ittita questa istituzione religiosa e i sovrani di questo paese. Potrebbe però essere di qualche utilità a questo proposito anche uno studio più approfondito sul rapporto della divinità “anatolica” Pirwa con il pantheon hurrico all’epoca di ÷attušili III e di Tutøaliya IV, e sulle località in cui essa era venerata in questo periodo di tempo: v. soprattutto H. Otten, JKF 2 (1951) 67 e 72 con nota 24 (per il legame di Pirwa con ÷aššuwa, e quindi con l’ambiente hurrico), e H.G. Güterbock, Oriens 9 (1956) 312, e RHA 19 (1961) 14 e 18, note 15-18; in quest’ultimo lavoro, pp. 2 e 5, il Güterbock mette in rilievo la presenza di Pirwa in una lista di divinità in un contesto chiaramente hurrico, v. anche quanto egli osserva a p. 7; v. inoltre P. Cornil-R. Lebrun, Heth 1 (1972) 13 sg. 136

137

163

KBo IV 10 Vo 29,141 nella lista dei testimoni, compare appunto AriŠarruma, re del paese di Išuwa. Ed era probabilmente lo Eøli-Šarruma su menzionato il personaggio indicato in KUB XL 96 III (?) 24 (CTH 242) come DUMU.LUGAL.142 In questo stesso testo compaiono anche ÷išni (NH Nr. 373), DUMU.LUGAL, presente con questo titolo anche in KBo IV 10 Vo 30, e Tuttu (NH Nr. 1390), signore della casa [abuzzi], menzionato con lo stesso titolo anche in KBo IV 10 Vo 31 e in KUB XXVI 43 Vo 32 (= KUB XXVI 50 Vo 25), un decreto emanato da Tutøaliya IV. È difficile stabilire se Eøli-Šarruma fosse designato come DUMU.LUGAL in quanto figlio del re di Išuwa - ma in tal caso ci aspetteremmo che ciò fosse indicato nel testo - oppure se tenesse questo titolo come alto dignitario della corte ittita,143 o se questa designazione implicasse una parentela con il re di ÷atti. Ci chiediamo infatti perché il re di Išuwa operasse attivamente nella vita cultuale ittita: a titolo personale, cioè per qualche legame col monarca ittita,144 oppure in quanto sovrano del paese di Išuwa?145 La prima possibilità giustificherebbe il fatto che egli sembra inserito nel culto di ÷atti analogamente ad altri dignitari di alto rango dello stato ittita (come in KBo XII 140 nel bordo sinistro)146 o alla stessa stregua di importanti istituzioni cultuali (KUB XXVII 13 IV 17 sg.), e si accorderebbe quindi con l’interpretazione che abbiamo dato dell’espressione ARADMEŠ LUGAL URUIšuwa (v. p. 162). Farebbe invece propendere per la seconda ipotesi l’eventualità che il Per la datazione di questo testo all’epoca di ÷attušili III, v. quanto abbiamo osservato in Šaøur. (1974) 137 sgg. 142 V. H. Klengel, op. cit., 71 nota 26. 143 Come, per esempio, ÷išni, menzionato nello stesso testo alla r. 11. Sul valore del titolo DUMU.LUGAL nei testi ittiti, v. quanto abbiamo scritto in Or 44 (1975) 87-95. 144 Cfr., ad esempio, la posizione di Telipinu, figlio di Šuppiluliuma I, LÚSANGA e primo re ittita di Aleppo, oppure quella di ÷attušili III, che sotto il regno del fratello Muwatalli teneva il potere in ÷akmiš ed era sacerdote del dio della Tempesta di Nerik. Ad una provenienza del re di Išuwa dall’àmbito della famiglia reale ittita non si opporrebbe il nome di formazione hurrica di questo sovrano: cfr., ad esempio, UrøiTeššup ecc. 145 Il Klengel, op. cit., 74, ritiene infatti che il re di Išuwa tenesse tale posizione “vielleicht nur als Träger dieses Titels”, v. la documentazione che egli indica a p. 74 sg. e relative note. 146 In Ro 1-4 il re di Išuwa sembra addirittura operare nell’àmbito della stessa ÷attuša. 141

164

sovrano di questo paese tenesse in ÷atti una posizione mediatrice nella trasmissione di culti e riti dal mondo religioso hurrico a quello ittita. Per concludere l’esame della Col. IV di KUB XXVII 13, notiamo che alla r. 21 si dice che alla fonte Kuwannaniya ecc. dovevano provvedere gli uomini dell’ANTA÷ŠUMSAR (gli addetti all’organizzazione e alla celebrazione di questa festa?), i lancieri (?), gli uomini del palazzo della città di ÷atti (centro amministrativo nella capitale - v. infatti il determinativo URU - o addirittura il palazzo reale?).147 Riepilogando, dai testi fin qui esaminati mi pare risulti che il valore originario di NA4øékur doveva essere quello profano di “picco montano, vetta rocciosa”, che, proprio per la sua natura, era utilizzato in caso di emergenza come luogo di rifugio di fronte ad attacchi nemici, e che talora veniva divinizzato - come, del resto, si verificava per montagne, fiumi, fonti ecc. - e che sovente era sede di qualche istituzione cultuale. In quest’ultimo caso, talvolta, i termini É o LÚMEŠ possono essere sottintesi: si usa allora lo stesso NA4øékur col valore di santuario.148 Si deve invece notare che finora non è mai attestata la presenza di É o LÚMEŠ quando il “picco montano” si trova legato a designazioni geografiche, ciò che mi sembra confermare l’originario significato profano del termine.149 r. 22: LÚMEŠ AN.TAH.ŠUMSAR LÚMEŠ [GIŠŠUK]UR LÚMEŠ É.GAL URU÷a-atti-y[a 148 L’Otten, MDOG 94 (1963) 19, a proposito delle attestazioni che mostrano il NA4øékur come luogo di rifugio di paesi assediati da nemici, scrive: “Man kann hier vielleicht ein entlegenes Felsheiligtum gleichzeitig als solchen Zufluchtsort verstehen ...”. Direi però che in questi casi più che di santuario remoto si debba parlare di luogo impervio, poiché questo picco montano può essere spesso ubicato nei pressi di qualche città. 149 È difficile individuare se vi fosse un particolare rapporto fra qualche NA4øékur e certe divinità o certi attributi che lo accompagnano: si troverebbe forse legato a LAMMA in quanto divinità della protezione, ciò che potrebbe accordarsi con la possibilità di utilizzare alcuni di questi luoghi situati in posizione impervia come rifugio in caso di aggressioni nemiche? E sarebbe unito a p/Pírwa a causa di uno dei suoi aspetti di divinità guerriera, o in quanto designazione di pietra? E comparirebbe accompagnato dal termine SAG.UŠ per il suo valore di stabilità, sicurezza, continuità? Tutte queste supposizioni sono estremamente vaghe e non mi pare che vi siano attualmente elementi tali da permetterci di sostenere una qualsiasi ipotesi, che sarebbe del resto subordinata anche all’ubicazione di alcuni di questi santuari (v. più avanti p. 166 sgg.). Dobbiamo inoltre ricordare l’esistenza in ambiente ittita di istituzioni religiose 147

165

Assai plausibile - a mio avviso - si presenta la proposta avanzata dal Güterbock e dall’Otten di vedere in queste fondazioni cultuali collegate a vette rocciose un rapporto con il culto dei morti, addirittura dei sovrani defunti. Infatti, poiché in KUB XIV 4 II 5 compaiono accanto, legate asindeticamente, le due istituzioni religiose É NA4øékur DLAMMA ed É.NA4.DINGIRLIM (v. p. 128), il Güterbock ha attribuito a queste due espressioni un significato analogo e ne ha dato l’unica traduzione di “graveyard = cimitero”.150 Anche l’Otten,151 sulla base di questo passo ed anche di KUB XVI 27 rr. 3 e 5, in cui si trovano i LÚMEŠ É NA4øékur p/Pírwa e i LÚMEŠ É.NA4 DINGIRLIM (v. p. 154 sg.), e di KUB XXI 33, dove alla r. 19 si parla di SISKUR mantalliya, da lui inteso come “offerte per i morti” (v. però nota 20), e dove alla r. 23 probabilmente si dice “dal(?)] NA4øékur SAG.UŠ egli ha preso” (v. p. 124 sg.), considera il NA4øékur come un santuario rupestre legato al culto dei morti, e precisamente dei sovrani defunti.152 Dopo una lettura completa dei testi in cui compare il NA4øékur con diverse designazioni o attributi, mi sembra che vi siano altri elementi che possano convalidare questa ipotesi. Ad esempio, l’espressione presente in KBo XII 140 Vo 12’ (v. p. 156 sg. con nota 113), NA4(?)øékur p/Pírwa m Tu[tøaliya(?), se questa integrazione è valida, richiama alla mente l’É.NA4 DINGIRLIM mTutøaliya che si incontra in KUB XVI 39 II 2, 6 v. anche r. 11 - (CTH 573),153 e in KUB XVIII 32 r. 13 (CTH 582, v. Otten, HTR, 107). È inoltre da notare in KBo XII 140 Vo 15’ (v. nota 113) la presenza di GIDIM, purtroppo in un contesto assai lacunoso. Questa tavoletta si può datare all’epoca di Tutøaliya IV (v. p. 156); è possibile che il Tutøaliya verosimilmente menzionato in Vo 12’, legato al legate a montagne dedicate al culto di divinità: v., per esempio, KUB XL 2, dove si parla di un santuario della dea Išøara, situato sulla montagna Išøara, delle sue proprietà e dei benefici a queste concessi (CTH 641; v. A. Goetze, Kizzuwatna, 60 sgg., e H. Gonnet, Mont. As. Min., Nr. 81). 150 Apud E. Laroche, Ug. III, 102 e 103 con nota 1; analogamente anche J. Friedrich, HW Erg. 1, 6: “Friedhof(?)”; v. però quanto abbiamo osservato alla nota 28. 151 HTR, 133, e MDOG 94 (1963) 18 sg.; v. anche J. Friedrich, HW Erg. 3, 15. 152 Egli ritiene che si possa così giustificare la concessione di privilegi in favore di questa istituzione; v. però quanto abbiamo osservato a p. 154. 153 Vi si parla di rendiconti oracolari ottenuti mediante il MUŠEN ÷URRI; v. H. Otten, HTR, 108 sgg. e commento 106 sg., e G.F. Del Monte, AION 35 (1975) 330 e 332; per una possibile datazione di questo tipo di testi oracolari, v. note 26 e 109.

166

NA4

øékur p/Pírwa, designasse un sovrano ittita: o un sovrano defunto, cui si prestava particolare devozione proprio sotto il regno di Tutøaliya IV che ne portava il nome, oppure - preferibilmente - il sovrano attuale il quale, ancora in vita, avrebbe preparato il suo mausoleo per dopo la sua morte; quest’ultima ipotesi è collegata al problema dell’ubicazione di alcuni di questi santuari rupestri, v. in proposito più avanti p. 169 con nota 160. Ammettendo dunque in taluni casi la possibilità di un legame fra alcune istituzioni del NA4øékur e il culto dei sovrani defunti, ricordiamo allora anche il NA4øékur DINGIRLIM (in KUB X 81 r. 5[ e KBo XIII 176 r. 9) che richiama alla mente come formulazione l’É.NA4 DINGIRLIM, per quanto nel contesto dei due passi su menzionati il NA4øékur DINGIRLIM sembri avere il valore di una vetta rocciosa divinizzata piuttosto che di una istituzione religiosa (v. p. 125). Appare quindi essenziale in queste sedi legate ai culto dei morti la componente “pietra, roccia”, come risulta evidente dal significato di NA4øékur “picco montano, vetta rocciosa” e di É.NA4 “casa di pietra”.154 Infine, al culto dei sovrani defunti sembra riferirsi anche la menzione della statua della regina posta nel santuario del picco montano di LAMMA,155 che ricorda la collocazione della statua del padre defunto da parte di Šuppiluliuma II nel NA4øékur SAG.UŠ (v. p. 125). Questo probabile legame fra certe istituzioni religiose del NA4øékur e il culto dei morti, e la posizione di rilievo che alcune di queste istituzioni sembrano aver tenuto nel regno ittita156 sono importanti per ricercarne È nota, del resto, l’inclinazione degli Ittiti a scegliere le rocce come luogo di sepoltura per i loro morti: v. K. Bittel, MDOG 86 (1953) 37-47, H.G. Güterbock, Archaeology 6 (1953) 215 sg., A. Goetze, Kleinasien2, 170 nota 12, E. Akurgal, op. cit., 87, K. Bittel, Hattusha, New York 1970, 94, a proposito del ritrovamento di un sepolcreto situato sotto una parete rocciosa sporgente sulla strada fra Boˆazköy e Yaz½l½kaya (Osmankayas½). 155 V. anche p. 139 con nota 51, a proposito della menzione di una statua nel passo purtroppo lacunoso in KUB V 6 III 64. Sull’uso già fin dall’Antico Regno di porte in santuari o templi statue di sovrani per dedicarle a particolari divinità, v. S. Bin-Nun, op. cit., 274. 156 Infatti, durante il nostro esame dei documenti relativi a queste istituzioni cultuali, si è potuto notare la posizione di rilievo tenuta da alcune di loro nella vita religiosa, e talvolta anche politica e amministrativa, del paese di ÷atti. Ricordiamo infatti l’importanza che deve aver avuto il santuario rupestre di LAMMA durante il periodo della forte influenza della regina Tawannanna presso la corte ittita, probabilmente perché predisposto accuratamente da lei come luogo di sepoltura e di culto per dopo la sua morte (cfr. p. 142 sg.): è quindi ovvio che tale importanza abbia 154

167

l’ubicazione. Alla loro localizzazione sono collegate anche molte ipotesi avanzate nel corso di questa ricerca relativamente alla possibilità di un rapporto fra alcuni di questi santuari rupestri, o all’esistenza di una continuità fra alcuni di loro, attestati in epoche differenti e con nomi diversi, o riguardo allo scopo a cui essi erano destinati. A proposito dell’ubicazione di alcune di queste istituzioni cultuali sono state formulate ipotesi diverse: l’Otten157 propende infatti per la localizzazione del NA4øékur SAG.UŠ, dedicato da Šuppiluliuma II al padre defunto Tutøaliya IV, a Yaz½l½kaya nella camera laterale, sulla cui parete rocciosa compare in grafia ieroglifica il nome di questo sovrano, mentre il Güterbock158 è dell’opinione che le strutture denominate É NA4 øékur (“summit house”) si debbano riconoscere nelle tre fortezze situate nell’area di Boˆazköy: Ni$antepe, Sar½kale e Yenicekale. Come abbiamo detto precedentemente, la probabile presenza di un NA4 øékur p/Pírwa di Tu[tøaliya in un documento presumibilmente avuto termine con la messa al bando di questa regina. Abbiamo inoltre prospettato la possibilità che questa istituzione si fosse conservata in epoche successive, con un probabile mutamento di culto e di nome. Si è pure constatata la posizione di privilegio del santuario del picco montano di p/Pirwa all’epoca di ÷attušili III, conservatasi anche sotto Tutøaliya IV. 157 MDOG 94 (1963) 22 con nota 75, e ZA 58 (1967) 231 sgg. Egli si chiede inoltre se i due NA4øékur, SAG.UŠ e p/Pírwa, ai quali erano concesse alcune esenzioni (v. pp. 125 e 144 sgg.), nonostante le diverse aggiunte non fossero in relazione l’uno con l’altro; osserva però che già un NA4øékur SAG.UŠ e un NA4øékur DLAMMA compaiono in testi dell’epoca di Muršili II in connessione col culto dei morti. Dall’esame di KBo VI 28 l’Otten avanza l’ipotesi di un legame fra la casa øešti e il NA4øékur pírwa, ciò che lo induce a supporre che alla casa øešti fosse stato dato in seguito un nome nuovo oppure che i due edifici cultuali fossero vicini. Da notare che la Kammenhuber, Or 41 (1972) 300 (v. però anche pp. 296-302), sulla base del testo antico-ittita KBo XVII 15, ha dimostrato che la “casa di pietra” sarebbe la designazione ittita del hattico casa øešta. 158 JNES 26 (1967) 73-81, e Actes XXe R.A.I., Leiden, 1972 (1975) 126. Egli ritiene inoltre che il NA4øékur SAG.UŠ fosse una costruzione edificata su un picco montano del genere del Ni$antepe, sul cui pendio - egli rileva - si trovava l’iscrizione Ni$anta$. Anche il Bittel, Hattusha, 110 sg., afferma che Ni$antepe deve essere stato un øékur: egli fa infatti notare che su questo picco roccioso doveva trovarsi una estesa sovrastruttura edificata dall’uomo “as proved by beddings and cuttings in the rock surface”. Del resto anche l’Otten, ZA 58 (1967) 230 sg. e 235, riconosce il legame fra KBo XII 38 e l’iscrizione ieroglifica ugualmente di Šuppiluliuma II denominata Ni$anta$. Ricordiamo infine che il Güterbock, in MDOG 86 (1953) 76, aveva proposto di localizzare la casa øešti in Yaz½l½kaya, sulla base di KBo VI 28 Ro 14 sg.; cfr. H. Otten, nota precedente.

168

dell’epoca di Tutøaliya IV (v. p. 156 sg.) - tenuto conto dell’importanza che l’istituzione religiosa del picco montano di p/Pirwa sembra aver avuto sotto ÷attušili III e sotto Tutøaliya IV e del legame di alcuni di questi santuari rupestri con il culto dei sovrani defunti (v. il NA4øékur D LAMMA e il NA4øékur SAG.UŠ) - rende a mio avviso giustificabile la possibilità di considerare il santuario in questione come un mausoleo che Tutøaliya IV si sarebbe preparato mentre era ancora in vita (v. p. 166). Egli avrebbe appunto scelto a questo scopo un’istituzione cultuale già esistente, quella legata al picco montano di p/Pirwa, che, di conseguenza, sarebbe stata poi indicata con la designazione più ampia di NA4øékur p/Pírwa di Tutøaliya.159 È del resto opinione assai diffusa fra gli studiosi che Tutøaliya IV come anche altri sovrani ittiti - avesse provveduto da vivo al luogo della sua sepoltura.160 A tal proposito, mi sembra interessante notare nell’espressione suddetta l’assenza del termine DINGIRLIM prima del nome di Tutøaliya, ciò che dimostrerebbe che questo sovrano non era ancora “divenuto dio”, cioè non era ancora morto (cfr. invece le espressioni É.NA4 DINGIRLIM mTutøaliya, mArnuwanda ecc., e v. p. 166 con nota 153, e H. Otten, HTR, 107). Sorge poi il problema del rapporto fra questo santuario e quello designato come É.NA4 DINGIRLIM mTutøaliya. Pur ritenendo che con questa espressione si indicasse il mausoleo di un Tutøaliya vissuto precedentemente a Tutøaliya IV,161 non mi sembra però implausibile Il fatto che in altri testi, presumibilmente sempre dell’epoca di Tutøaliya IV, si parli soltanto del picco montano di p/Pirwa senza la menzione del nome di questo sovrano si può spiegare considerando tali documenti come precedenti alla scelta suddetta. 160 Cfr. anche quanto abbiamo osservato a p. 142. V. inoltre E. Laroche (JCS 6 [1952] 123), cui si attengono molti studiosi, il quale ritiene che Tutøaliya IV avrebbe fatto costruire la sua tomba a Yaz½l½kaya; sulle controversie sorte relativamente alla datazione di questo monumento, v. E. Laroche, RHA 27 (1969) 61 nota 5, ed anche p. 107 sgg.; v. inoltre E. Akurgal, in E. Akurgal-M. Hirmer, L’Arte degli Ittiti, Firenze 1962, 88 sg., H.G. Güterbock, Neuere Hethiterforschung, Wiesbaden 1964 (= Historia 7), 72 con nota 91, I.M. Diakonoff, MIO 13 (1967) 320, S. Bin-Nun, op. cit., 180, J.V. Canby, OA 15 (1976) 35 sgg., e il capitolo conclusivo in K. Bittel et alii, Das hethitische Felsheiligtum von Yaz½l½kaya, Berlin 1975, 247-256; v. anche più avanti, nota 162. 161 Non è certa la datazione dei testi dove compare questo santuario, non mi sembrano però posteriori a Tutøaliya IV: v. sopra, p. 166 con nota 153, e A. Kammenhuber, THeth 7 (1976) 11 (a proposito di KUB XVI 39). Ponendo invece questo documento in un’epoca successiva al regno di questo sovrano, si potrebbe allora 159

169

pensare ad una diversa designazione di uno stesso santuario rupestre legato al culto di un Tutøaliya defunto e riutilizzato poi da Tutøaliya IV come suo mausoleo (v. più avanti, a proposito di Yaz½l½kaya). Riguardo all’ubicazione del sepolcro di questo sovrano, sono stati espressi dagli studiosi pareri contrastanti sulla possibilità di riconoscerlo nel cosiddetto scrigno sul Büyükkale o nella stanza laterale di Yaz½l½kaya.162 Quest’ultima eventualità ha raccolto numerosi consensi: essa rende però improbabile l’ubicazione proposta dall’Otten per il NA4 øékur SAG.UŠ proprio nella camera laterale di Yaz½l½kaya (v. p. 168 con nota 157), poiché Šuppiluliuma II dichiara di aver edificato lui (úedaøun) il santuario rupestre SAG.UŠ in memoria del padre defunto.163 Mi sembra quindi che si debbano considerare distinti il luogo di sepoltura che Tutøaliya IV si era preparato essendo ancora in vita164 e il luogo di culto che aveva edificato alla sua memoria il figlio Šuppiluliuma II. È interessante a tal punto ricordare che la Canby (op. cit., 35 sgg.) attribuisce su basi stilistiche a periodi diversi i rilievi presenti nelle due camere di Yaz½l½kaya e presume che in questo santuario fossero stati raffigurati e indicati diversi Tutøaliya (dal II al IV, essa specifica: v. soprattutto p. 37 nota 28, dove questa studiosa esprime appunto la vedere nell’ É.NA4 DINGIRLIM mTutøaliya un riferimento proprio al mausoleo di Tutøaliya IV, ciò che non escluderebbe però la possibilità di una identificazione del santuario così menzionato con il NA4øékur p/Pírwa di Tutøaliya: la presenza di DINGIRLIM prima del nome di Tutøaliya in una soltanto di queste due designazioni dello stesso mausoleo si giustificherebbe col presumere che in uno di questi due casi il sovrano in questione fosse ancora vivo: v. sopra e nota 160. 162 Sul cosiddetto scrigno sul Büyükkale, dov’è stata trovata la stele di un re Tutøaliya, v. MDOG 75 (1937) 24 sg. (K. Bittel, con la collaborazione di H. Ehelolf, H.G. Güterbock e W. Witter), e K. Bittel-R. Naumann et alii, Boˆazköy-÷attuša I, Stuttgart 1952 (= WVDOG 63), 59 sgg., cfr. anche H. Otten, HTR, 107; su Yaz½l½kaya v. sopra, nota 160, e inoltre A. Goetze, Neuere Hethiterforschung, 30, H.G. Güterbock, MDOG 86 (1953) 74 sgg., K. Bittel, Hattusha, 104 e 110, e K. Bittel et alii, Das hethitische Felsheiligtum von Yaz½l½kaya, Berlin 1975, 253 sgg. 163 Se volessimo attribuire al verbo weda- un valore più ampio e intenderlo nel senso di “riadattare, restaurare”, ci aspetteremmo però la presenza di EGIR-pa. Per questo stesso motivo abbiamo anche escluso l’ipotesi di una continuità fra il santuario in questione e quello attestato con lo stesso nome in epoca precedente (v. p. 124). 164 Il NA4øékur p/Pírwa di Tu[tøaliya, e forse anche l’É.NA DINGIRLIM di 4 Tutøaliya, se accettiamo l’ipotesi formulata sopra dell’identificazione di questi due santuari.

170

possibilità che Tutøaliya IV intendesse emulare il suo famoso predecessore Tutøaliya II). Così - in accordo a quanto abbiamo sopra ipotizzato a proposito della probabile utilizzazione di un santuario già esistente effettuata da Tutøaliya IV per il suo mausoleo - mi sembra giustificabile localizzare nella camera laterale di Yaz½l½kaya il sepolcro di questo sovrano ed ubicare invece a Ni$antepe il NA4øékur SAG.UŠ.165 Ritengo inoltre plausibile presumere che le istituzioni cultuali del NA4 øékur, quando non erano accompagnate da alcuna indicazione geografica, dovessero trovarsi nell’ambito della capitale, ciò che si accorderebbe bene con l’ammissione del legame di alcune di queste fondazioni con il culto dei sovrani defunti (v. p. 166 sg.). Per quanto riguarda poi il santuario del picco montano di LAMMA, in cui la Tawannanna recava tanto spesso offerte di vario genere, mi sembra preferibile ritenerlo situato in una località da lei agevolmente e rapidamente raggiungibile. È quindi giusto - a mio avviso - ricollegarci alla proposta di Güterbock riportata a p. 168 con nota 158, e ricercare l’ubicazione di almeno alcuni di questi più importanti santuari rupestri in una delle tre fortezze situate nell’area di Boˆazköy.166 *** Attestazioni del relativi testi. NA4

(NA4)

øékur [ ] øégur ÷arana NA4 øékur (URU)Pittalašøa NA4 øékur kurušta NA4 øékur Temmuwa NA4 øégur[ NA4 øékur SAG.UŠ N A4

øékur/øégur secondo l’ordine di trattazione dei KUB XII 63 Ro 35, p. 122 KUB XXIII 13 Ro 7, p. 122 KBo II 5 I 4, 12, 14, p. 122 sg. KBo XIV 20 II 9t, 11[, 12, p. 123 KUB XXXVIII 2 III 21, p. 123 sg. KUB XXXVIII 6 IV 4, p. 124 KUB XXI 33 rr. 23, ¦26©(?), KBo XII 38 II 17, 18, IV 3, p. 124 sg.

165 Ricordiamo che nella camera laterale di Yaz½l½kaya il Güterbock ha proposto di ubicare la casa øešti preferendo invece localizzare il NA4øékur SAG.UŠ a Ni$antepe (v. nota 159), e che l’Otten ha proposto di vedere un legame - o addirittura una continuazione con mutamento di nome - fra la casa øešti e il NA4øékur pirwa (v. nota 157). 166 Quanto abbiamo detto sopra fa però escludere l’ipotesi di una continuità fra il santuario del picco montano di LAMMA e quello del NA4øékur p/Pírwa (v. p. 142 e nota 61a).

171

øékur DINGIRLIM

NA4

NA4

øékur DKammama øaøl[a-x É(?)] NA4øékur DLAMMA É NA4øékur DLAMMA

NA4

øékur p/Pírwa

LÚMEŠ NA4øégur p/Pírwa LÚMEŠ øékur p/Pírwa [LÚ]MEŠ NA4øékur p/Pírwa! LÚMEŠ É øékur p/Pírwa N A4 ] (?)øékur p/Pírwa mTu[tøaliya(?)

øékur DPírwa LÚMEŠ NA4øékur D[/DINGIR[ NA4 øégur NA4 øégur allinališ(?)[(-)/allinaš[i(?) NA4 øégur annari ¦NA4øégur© muwatti øékur ø/÷atpinaš.[ ø[ékur(?) øé[kur(?) NA4 øékur÷I.A-aš NA4

KUB X 81 r. 5[, KBo XIII 176 r. 9, p. 125 KBo X 35 I 4, p. 126 sg. KUB XVIII 54 III 76, p. 139 KUB XIV 4 II 5, p. 127 sg., KUB XXII 70 Ro 13, 20, 26, ¦42©, 49, 51, 73, Vo 17, ]20, 38, 51, 54, p. 129 sgg. KBo VI 28 Vo 19[, 20[, ¦22©, ¦30©, Framm. A r. ]5 e Framm. B r. 6[(?) (in KBo VI, p. 65), p. 144 sgg., KBo X 10 II 14, p. 155 KUB XXVII 13 IV 18, p. 158 sgg. KBo XIV 142 IV 17, p. 158 nota 115 VBoT 110 r. 11, p. 156 KUB XVI 27 r. 3, p. 166 KBo XII 140 Vo 12, p. 158 KUB XVI 42 Vo 1, p. 154 KUB XXVII 13 IV 10, p. 164 KUB XXVII 13 IV 13, p. 164 sg. KUB XXVII 13 IV 13, p. 164 sg. KUB XXVII 13 IV 17, p. 158 KUB XXVII 13 IV 17, p. 158 VBoT 110 r. 5, p. 155 con nota 111a VBoT 110 r. 5[, p. 155 con nota 111a VBoT 110 r. 9[, p. 156 KBo XVII 105 III 9, p. 172

NOTA ADDIZIONALE

øékur -aš senz’altra specificazione si parla in KBo XVII 105 (CTH 433) Di III 9 - un testo che descrive una cerimonia di culto per DLAMMA KUŠkuršaš - a proposito di alcune azioni rituali compiute dalla MUNUSŠU.GI; sembra che i picchi montani qui menzionati ricevessero un culto e fossero in qualche modo collegati con la divinità LAMMA “dello scudo”. NA4

÷I.A

172

IX.

UNE REINE DE ÷ATTI VÉNÈRE LA DÉESSE NINGAL

La tablette KUB XLV 4711 - que je suis actuellement en train d’étudier - contient la description d’une cérémonie rituelle célébrée en honneur de la déesse Ningal par une reine, dont le nom n’est pas mentionné, et par les princes royaux, vraisemblablement ses fils, Mannin(n)i, Pariyawatra, le “prêtre” et Tulpi-Teššup. Si, en effet, on lit dans le colophon de ce document que c’est la reine qui doit exécuter la cérémonie,2 nous voyons par la lecture de tout le texte que celle-ci n’opère toute seule qu’au Ro I 51, tandis que, dans habituellement, elle est aidée par les princes ci-dessus. Dans certains passages, on parle de la MUNUS.LUGAL et des DUMUMEŠ.LUGAL, sans autre indication,3 dans d’autres au contraire, sont mentionnés avec la MUNUS.LUGAL, les noms de ces princes, chacun étant précédé par le terme DUMU.NITA/IBILA “fils-mâle, héritier”, sans aucun possessif se référant à la reine4. On doit remarquer en outre que, là où les noms des princes sont indiqués, ils sont toujours précédés par le terme DUMU.NITA/IBILA et jamais par celui de DUMU.LUGAL. La qualification royale ne semblait peut-être pas nécessaire dans un tel cas, la mention de leurs noms rendant facilement identifiables des personnes d’un rang si élevé.5

Comme duplicate de KUB XLV 47 Ro I 1-16 et Vo IV 37-39, nous avons KBo XVII 84 Ro I 1-15 et Vo IV 1’-5’. 2 KUB XLV 47 IV: (38) DUB.1.K[(AM QA-TI ma-an-z)a [MUNUS.LUGAL (39) NI[(N.GAL-un MU-ti)] mêanaš šipanti; intégré selon KBo XVII 84 Vo 3’-5’. 3 Les “fils du roi” sont liés à la reine, ou bien grâce à la conjonction accadienne Ù “et” (Ro I 36, 44, Vo IV 34) ou par l’enclitique hittite -ya “et” (Ro I 38); au Vo IV 37, il y a une lacune en fin de ligne: on ne lit que DUMUMEŠ. [; toutefois il n’y a pas suffisamment de place pour la mention des noms des princes. 4 Ro I 40 sq., II 5 sq., 9 sq. (ici n’apparaissent que les noms des princes, sauf TulpiTeššup; mais il est possible qu’on ait fait mention de la reine au début de la l. 9, dans la lacune) Vo III 24-27 (Tulpi-Teššup semble avoir ici un rôle particulier). 5 Selon S. Bin-Nun, THeth 5 (1975) 264 sq., l’expression DUMU.LUGAL mettait en évidence la paternité du roi, tandis que l’expression DUMU.NITA - littéralement 1

173

C’est évidemment la même reine qui célèbre un rituel avec ses fils Manninni, Pariy[awatra] et LÚSANGA dans KBo XX 62 (CTH 500) Ro I 10 sq. et dans le duplicate KUB XLV 48 Ro II 6. Dans ce dernier, à cause des lacunes que présente la tablette, apparaissent seulement la reine et Manninni.6 Un IBILA Manninni se trouve également dans le texte KBo XX 98 (CTH 382) Ro? I 11’, 13’, très fragmentaire, mais qui décrit vraisemblablement une cérémonie rituelle.7 La présence des noms de ces princes dans les documents examinés jusqu’à présent et leur lien avec d’autres personnages attestés ailleurs

“fils-mâle”, lu d’ordinaire IBILA “héritier”- tendait à mettre en relief le fait que la mère de celui qui était désigné ainsi était la femme légitime du roi. Mme Bin-Nun conclut que seul un prince fils d’une épouse légitime du roi pouvait devenir héritier. A la p. 221, S. Bin-Nun observe à propos de l’Édit de Telipinu que seulement dans le paragraphe où l’on établit les normes qui règlent la succession au trône (II 36-39), le prince légitime est appelè DUMU.LUGAL IBILA (l. 38); mais il me semble que dans ce passage on veuille justement mettre en évidence l’absence d’un “fils-mâle”, que ce soit de premier ou de second rang; on doit donc avoir recours à une DUMU.MUNUS “fille-femelle” en lui donnant un époux. En effet, si l’on avait voulu, comme l’estime S. Bin-Nun, mettre en évidence avec la parole IBILA la légitimité du fils héritier au trône (qui, à mon avis, est exprimée plutôt par DUMU.LUGAL), cela aurait dû être spécifié déjà au début de la clause (ll. 36 et 37). Du reste, il est fréquemment attesté, dans des contextes variés, l’opposition DUMU.NITA/IBILA “fils-mâle” et DUMU.MUNUS “fille-femelle”: v., par exemple, dans le rituel d’évocation KUB XV 34 (CTH 483) II 8[, 18, III 17, 40. 6 KBo XX 62 Ro I: (10) n-ašta MUNUS.LUGAL IBILA mManninniš IBILA Pariy[awatraš (11) LÚSANGA PANI DINGIRLIM anda panzi n-a[t(?). Au Verso de cette tablette, on remarquera la mention de Kizzuwa[tna (l. 6) et des divinités Tiyapenti (l. 1) et Ibrimuša (l. 3 sq.); au Verso de KUB XLV 48 on trouve en outre ÷epattena (plur. hourrite de ÷epat) Mu[šunni (l. 4), ÷ušuena, ÷epatten[a (l. 8), Ušun[/U-šun[ (l. 10); toujours dans cette tablette, au Ro II 8 on trouve mentionné un LÚAZ[U; cfr. à ce propos, notre tablette où apparaît également comme officiant un LÚAZU. 7 Au Ro? I 4’ de ce texte apparaît la divinité ÷ulla, au Vo? 1’ DUTU U[RU?. Selon E. Laroche (RHA 33 [1975] 65), KBo XX 62 avec le duplicate KUB XLV 48 et KBo XX 98 appartiennent eux aussi au rituel KUB XLV 47. Toutefois, malgré la présence de presque tous les mêmes personnages comme officiants dans ces textes, il me semble, sur la base de ce qui nous est parvenu de KBo XX 62 et de son duplicate, qu’on y décrive une cérémonie cultuelle différente du rituel célébré pour Ningal (v. note 41); en outre y apparaissent d’autres divinités qui appartiennent vraisemblablement au cercle de ÷epat. A cause des lacunes du texte, on ne peut dire grand chose de KBo XX 98.

174

permettent de dater cette tablette de l’époque appelée par certains Moyen Royaume hittite. Manninni8 est probablement le même que celui qui se trouve dans une “liste royale”.9 Pariyawatra10 peut vraisemblablement être identifié avec le personnage du même nom qui apparaît dans deux textes concernant des problèmes de succession dynastique, tout comme un autre groupe de documents traitant un sujet analogue:11 KUB XXXIV 58 II 2, un fragment qui mentionne Pariyaw[atra avec Tulpi[-Teššup (l. 3) et Kantuzzil[i (l. 4),12 et KUB XXXVI 118 l. 3, où l’on nomme Pa]riyawatra à coté de Kantuz[ili.13 8 E. Laroche, NH Nr. 747, Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 (1973) 255; A. Kammenhuber, THeth 7 (1976), pages mentionnées dans l’Index p. 221. 9 KUB XI 7 + XXXVI 122 (CTH 661) Vo 6, 9, v. H. Otten, MDOG 83 (1951) 55 note 7, et p. 66, et Quellen, 106, 123 sq. S. Bin-Nun, op. cit., 270 sqq., considère plutôt Manninni le fils de Arnuwanda et de Daduøepa, peut-être identifiable avec Tutøaliya III, qui fut roi avant Šuppiluliuma I (v. notes 188 et 189); v. toutefois les observations de O. Carruba, SMEA 14 (1971) 79. Quant à l’identification de Manninni dans d’autres textes hittites, on ne peut guère tirer de conclusion de KUB XII 1 (CTH 504), un inventaire d’objets cultuels, où l’on lit dans le colophon (IV 45) “deuxième tablette ... de Manninni, inachevée”, v. également KUB XLII 78 (CTH 504) Ro? II 3 et KBo XVIII 166 (CTH 522) colophon l. 2. En ce qui concerne le Manninni mentionné dans KUB V 1 (CTH 561) I 43, Ph.H.J. Houwink ten Cate, loc. cit., pense qu’il s’agit d’un personnage homonyme vivant au XIIIe siècle; cfr. aussi A. Ünal, THeth 4 (1974) I 1, 130 sqq., I 2, 32 sqq., et A. Kammenhuber, op. cit., 20, 44, 134, 172 note 232, qui datent ce texte de l’époque de ÷attušili III. Il est difficile de se prononcer sur le mManninna mentionné par KBo XXII 209 Ro 3; sur l’existence d’un nom Manina, v. E. Laroche, Ug. III, 155. 10 E. Laroche, NH Nr. 941 2, Ph.H.J. Houwink ten Cate, loc. cit., H. Otten, MDOG 83 (1951) 55 sq. note 7, A. Kammenhuber, op. cit., pages mentionnées dans l’Index p. 222. 11 V. plus loin note 19. 12 CTH 275; selon Ph.H.J. Houwink ten Cate, Records, 69 nota 83, ce document devrait en réalité se référer à CTH 271. P. Meriggi, WZKM 58 (1962) 97 sq., reconnaît dans ce Pariyawatra le GAL.GEŠTIN mentionné dans ce texte, époux, à son avis, de Lalantiwašøa (sur celle-ci, v. E. Laroche, NH Nr. 681, et Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 [1973] 255); A. Kammenhuber, op. cit., 174 et 177, estime au contraire, sur la base du nouveau matériel qu’elle présente, que ce GAL.GEŠTIN est ÷alpaziti. 13 CTH 271; v. H. Otten, Introduction à KUB XXXVI, p. IV, O. Carruba, SMEA 14 (1971) 88 sqq., A. Kammenhuber, op. cit., 174. Un Pariyawa[tra apparaît aussi dans un fragment de lettre, KBo XVIII 61 (CTH 209) Vo 4; dans ce même fragment on lit à la l. 2 mPalli[: il s’agit peut-être de Palliya/Pilliya, roi de Kizzuwatna (v. E. Laroche NH Nr. 915)? On connaît en outre un

175

Ce Tulpi-Teššup14 est probablement le même que celui que nous avons vu dans KUB XXX IV 58 II 3 avec Pariyawatra et Kantuzzili;15 selon P. Meriggi, loc. cit., c’était le fils aîné de Pariyawatra: ceci, toutefois, ne s’accorde pas avec notre texte, dans lequel ces deux personnages semblent être frères, puisque tous deux sont IBILA de la même mère. Un Tulpi-Teššup apparaît aussi dans le texte oraculaire KBo XVI 97 (CTH 571) bd. gauche 3a, et on peut l’identifier, selon la datation proposée par H. Otten pour ce document,16 avec les homonymes indiqués ci-dessus. L’identification du Tulpi-Teššup mentionné dans le texte toujours du Moyen Royaume KUB XXXVI 119 11.2, 9, qui a un contenu analogue, est encore douteuse.17 En ce qui concerne le LÚSANGA, mentionné sans l’indication de son nom dans notre texte et dans KBo XX 62 Ro I 11 (v. note 6) avec la reine et les autres princes indiqués ci-dessus, H. Otten (MDOG 83 [1951] 56) a pensé qu’il s’agissait de Telipinu, le fils de Šuppiluliuma; mais cela ne me semble être justifiable ni par la chronologie ni par l’étroit rapport de parenté existant entre le “prêtre” de nos textes et les autres personnages énumérés avec lui, rapport que l’on peut déduire du personnage nommé Pariyawatri, mentionné dans l’inscription du sceau de Tarse comme père de Išputaøšu, Grand Roi de Kizzuwatna, v. E. Laroche, NH Nr. 941.1, A. Goetze, Kizzuwatna, 73, A. Kammenhuber, op. cit., 222, qui le situe à l’époque de l’Ancien Royaume hittite. 14 E. Laroche, NH, Nr. 1369, Ph.H.J. Houwink ten Cate, op. cit., 256, A. Kammenhuber, op. cit., pages mentionnées dans l’Index p. 223, selon laquelle notre Tulpi-Teššup serait le frère de Arnuwanda I et de Šuppiluliuma I. 15 V. supra avec note 12. 16 StBoT 11 (1969) 35 note 2, v. aussi MDOG 83 (1951) 55 note 7; selon Otten ce texte ne peut pas être beaucoup plus récent que celui de Madduwatta. On peut donc le dater de l’époque du Moyen Royaume hittite. Avec lui est également d’accord Ph.H.J. Houwink ten Cate, op. cit., 256 Nr. 1369, et 255 Nr. 725.4. Au contraire, A. Kammenhuber (loc. cit., cfr. aussi Or 39 [1970] 564), propose de dater KBo XVI 97 du XIIIe siècle a.C. Un Tulpi-Teššup se trouve aussi dans KUB XXVII 43 (CTH 791) Ro 12, un texte fragmentaire en langue hourrite. Un personnage homonyme est mentionné à l’époque de Tutøaliya IV (KUB XXVI 43 [CTH 225] Ro 8, 53). 17 CTH 275, texte qui a un contenu proche de CTH 271; v. les auteurs cités à la note 14, et en outre H.M. Kümmel, StBoT 3 (1967) 43, H. Otten, MDOG 83 (1951) 56 note 7 et A. Kammenhuber, op. cit., 174, qui, toutefois, considère pour des motifs d’ordre chronologique le Tulpi-Teššup mentionné ici comme un personnage différent; dans Arier, 109, elle le situe à l’époque de Tutøaliya IV/III.

176

contexte. Au contraire, selon A. Kammenhuber (THeth 7, 178), ce serait Arnuwanda I. Cette hypothèse ne trouve d’obstacles ni au point de vue de la chronologie, ni en ce qui concerne la parenté, si nous identifions avec Nikalmati la reine dont on parle dans le texte ci-dessus (v. p. 179). Tout au plus, puisqu’il s’agit de l’héritier au trône, nous pourrions nous attendre à le voir à une place plus significative dans l’exécution du rituel. En accord avec l’opinion de A. Kammenhuber, qui reconnaît en Tašmišarri le nom hourrite de Arnuwanda I,18 S. Bin-Nun (THeth 5, 263), remarque que Tašmišarri est nommé prêtre au ÷atti, peut-être par Ašmunikal, dans un texte fragmentaire (KBo IX 137 [CTH 470] Vo III 19 sqq., cfr. aussi A. Kammenhuber, op. cit., 167 et 176), qui semble représenter l’intronisation d’un roi. A ce propos, dans la note 168, elle rapporte l’opinion de H.M. Kümmel (SBoT 3 [1967] 43 avec note 3), selon lequel nommer quelqu’un prêtre de la divinité principale n’était qu’une autre façon de signifier qu’il était appelé à devenir roi. Cette opinion est certainement valable dans plusieurs cas, mais rappelons aussi certains exemples comme celui de Telipinu, le fils de Šuppiluliuma I, ou celui de Hattušili III, frère de Muwatalli, tous deux nommés prêtres par les rois au pouvoir, sans être pour autant désignés comme successeurs au trône. Je pense plutôt qu’il s’agit de Kantuzzili, que nous avons déjà trouvé nommé avec Pariyawatra et avec Pariyawatra et Tulpi-Teššup dans deux documents relatifs à des problèmes de successions dynastiques (v. p. 175 sq.) et encore, seul ou avec différents personnages, dans d’autres documents contemporains et traitant un sujet analogue.19 V. THeth 7, 162 sqq.; H.G. Güterbock (JCS 10 [1956] 122) voit au contraire dans Tašmišarri le nom hourrite de Šuppiluliuma I; v. aussi H. Otten, Quellen (1968) 114 sq. 19 KUB XXXIV 40 9, XXXVI 112 3, 113 9, 114 II 10, 12 (tous dans CTH 271), v. H. Otten, KUB XXXVI, p. IV Nrr. 113-117 et p. V. note 7, H.G. Güterbock, JCS 10 (1956) 49 sq., Ph.H.J. Houwink ten Cate, Records, 5 note 15, 69 note 83, O. Carruba, SMEA 14 (1971) 91 sq., S. Bin-Nun, op. cit., 266 sqq., A. Kammenhuber, op. cit., 177; sur Kantuzzili v. E. Laroche, NH Nr. 503, Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 (1973) 255, H. G. Güterbock, op. cit., 123, et JAOS 78 (1958) 238, S. BinNun, op. cit., pages mentionnées dans l’Index, 355, A. Kammenhuber, op. cit., pages mentionnées dans l’Index, 220. On doit ajouter aussi les citations contenues dans deux fragments, que H. Otten, KBo XXII p. IV place parmi les textes à contenu principalement historique; toutefois, ceux-ci ont une utilité relative à cause de leurs dimensions: KBo XXII 23 Ro 2[, 24 2[. 18

177

C’est probablement ce Kantuzzili que nous connaissons surtout par la prière qu’il adresse au dieu Soleil20 et aussi l’auteur homonyme d’un rituel kizzouvatnien, peut-être nommé prêtre de Teššup et de ÷epat en Kizzuwatna:21 cet élément est, à mon avis, particulièrement important pour confirmer mon hypothèse; on peut supposer que c’est aussi le même qui est cité dans un catalogue de tablettes comme auteur d’un rituel et justement avec les titres GAL LÚ.M]EŠ SANGA DUMU.LUGAL.22 Généralement, on s’accorde pour identifier ce Kantuzzili avec le général homonyme qui servit sous un roi Tutøaliya, antérieur à Šuppiluliuma I23, avec celui qui est mentionné dans le récit des “gestes” de Šuppiluliuma I24 et peut-être aussi avec le Kantuzzili indiqué dans les “listes royales”.25 On pourra remarquer que, dans la documentation présentée jusqu’ici, Kantuzzili apparaît quelquefois avec d’autres personnages, 20 KUB XXX 10 (CTH 373) Ro 3, 5 (mKán-li), Vo 10, 11 (mKán-iš) (sur l’utilisation des abréviations graphiques, en hittite, v. E. Laroche, RHA 12 [1952] 40); v. A. Goetze, ANET3, 400 sq., et en outre H.G. Güterbock, JAOS 78 (1958) 237 sqq., Ph.H.J. Houwink ten Cate, Records, 69 note 83, A. Kammenhuber, op. cit., 16 sq., et ZA 56 (1964) 154 sqq. (selon D.H. Engelhard, Hittite Magical Practices, Dissertation Brandeis University [1970] 240 note 140, avec des transpositions erronées à p. 155). 21 KUB XVII 22 (CTH 500) IV 1-3, colophon (1) (DUB.x.KAM QA]TI INIM mKantuzzili (2) [GIM-an. . . . . . .Š]A DU DHepat (3) [INA URUKizzuwa]tni LÚSANGA ienzi; v. A. Goetze, Kizzuwatna, 12 note 52. 22 KUB XXX 56 (CTH 279 et p. 181 sq.) III 7; ici aussi on retrouve l’expression: INIM mKantuzzili...man...., cfr. la note précédente. 23 KUB XXIII 16 (CTH 211.6) III 5, 7: remarquons que dans ce texte d’annales on nomme plusieurs fois les Hourrites, v. Ph.H.J. Houwink ten Cate, Records, 69 note 83 et p. 78. 24 Deeds, frr. 2 l. 20’, 3 ll. 5’, 11’: v. H.G. Güterbock, JCS 10 (1956) 60 et 123, qui propose de considérer Kantuzzili fils d’un Tutøaliya, v. en effet son intégration de la lacune du fr. 2 l. 20’; sur les intégrations possibles de la lacune du fr. 2 l. 3’, v. H.G. Güterbock, op. cit., 59. 25 KUB XI 7 (BoTU 25) + XXXVI 121 + 122 I 17, XI 10 (BoTU 29) I 4, XI 8 (+) 9 (BoTU 24) V 11, v. bibliographie dans CTH 661. Au contraire, le Kantuzzili mentionné par KUB XIV 17 (CTH 61.4) II 20, 22, KBo XVI 12 + KBo VIII 34 (CTH 61.8) l. 8 appartient probablement à l’époque de Muršili II, et peut-être aussi le père de Ura-DU, nommé par KUB XXVI 58 (CTH 224) Ro 6, 4a, Vo 2, un décret émis par Hattušili III. E. Laroche, NH Nr. 502, se demande si le nom Kantuzzi n’est pas une abréviation ou une erreur pour Kantuzzili; sur l’utilisation des abréviations graphiques dans les textes hittites, v. supra note 20.

178

parmi lesquels certains que mentionne notre texte, mais on ne le trouve jamais quand il y a le LÚSANGA; cela peut être dû, bien sûr, à des raisons tout à fait fortuites.26 Quant à l’identification de la reine, dont le nom n’apparaît ni en KUB XLV 47 ni en KBo XX 62 ni dans leur duplicata, S. Bin-Nun (op. cit., 264 sq.) pense qu’il s’agit de Daduøepa. En effet elle date le texte KUB XLV 47 de la période entre Arnuwanda I et Šuppiluliuma I, sur la base des noms des princes mentionnés dans cette tablette; et, puisque l’on ne connaît à cette époque-là que deux seules reines, Ašmunikal et Daduøepa, seule cette dernière, étant l’épouse du souverain, pouvait être la mère de ces princes indiqués comme fils du roi.27 Toutefois, il est possible que ces princes aient été déjà en vie sous Tutøaliya II et encore pendant la période allant de celui-ci à Šuppiluliuma I.28 Je pense donc que la reine indiquée dans notre texte comme leur

Rappelons enfin que dans KUB XXVII 13 (CTH 698.1), un texte relatif au culte de Teššup et de ÷epat d’Alep - probablement datable de la fin du règne de ÷attušili III ou de début du règne de Tutøaliya IV - on énumère dans la Col. IV quelques localités sacrées, tous ceux qui sont chargés de leur entretien et les offrandes qu’ils sont tenus à donner. Parmi ces personnages sont mentionnés les hommes du palais (É.GAL) de Kantuzzili (l. 4), du palais du LÚSANGA (l. 7) et du palais d’Arnuwanda (l. 14). Ces palais étaient probablement des institutions religieuses, ayant aussi des fonctions administratives, souvent liées au culte de souverains ou de princes défunts (v. à ce propos mon article dans SMEA 18 [1977] 51 sqq.): si dans ces passages on se référait à des personnages du Moyen Royaume ayant vécu contemporainement, notre hypothèse d’identifier Kantuzzili avec le LÚSANGA ne serait plus valable (mais cela vaut aussi pour l’identification de LÚSANGA avec Arnuwanda I, proposée par A. Kammenhuber); toutefois, il est possible que le LÚSANGA du texte ci-dessus ne soit pas celai que mentionnent nos documents da Moyen Royaume, mais un personnage peut-être plus connu à l’époque de la rédaction de KUB XXVII, assez célèbre certainement en ce temps-là pour être cité sans autre spécification. On parle d’ “hommes du palais de Kantuzzili”, tenus de fournir des offrandes, également dans KUB XXXVIII 12 (CTH 517.A) IV 5 sqq. (l. 8. LÚMEŠ É.GAL mKantuzzi-DINGIRLIM peškanzi), texte lui aussi d’administration religieuse, datant probablement de l’époque de Tutøaliya IV (v. CTH, 87). 27 Cfr. aussi ce que S. Bin-Nun fait remarquer à la p. 269. Voir également p. 261 sqq. 28 C’est du reste ce qu’affirme S. Bin-Nun, op. cit., 269, à propos de ÷imuili et de Kantuzzili, qui ont vécu, nous le savons, contemporainement aux princes mentionnés dans notre texte. 26

179

mère est Nikalmati,29 car il me semble significatif que cette reine, qui porte un nom composé avec celui de la déesse Ningal/Nikkal et qui l’a répété, certainement pas par hasard, dans le nom de sa fille Ašmunikal, dédie aussi une dévotion particulière à cette divinité, la quelle, à ma connaissance, n’a jamais reçu, en dehors de cette période, un culte de quelque importance dans le monde religieux hittite.30 Il faut remarquer en outre que la plus ancienne attestation de Ningal dans les documents hittites qui nous sont parvenus jusqu’à présent remonte justement au Moyen Royaume. Cette divinité est en effet mentionnée dans la “prière de Kantuzzili”,31 KUB XXX 10 (CTH 373) Vo 8, où ce prince invoque le dieu Soleil comme fils du dieu lunaire Sin et de la déesse Ningal: une parenté qui s’accorde bien avec la mythologie mésopotamienne.32 Dans l’ “hymne au dieu Soleil” aussi33qui date de la même époque, ce dieu est appelé comme “fils de Ningal” (KUB XXXI 127 [CTH 372] I 10 sq., 15 sq.; XXXI 130 [CTH 374] Ro 1’).34 H.G. Güterbock35 a justement fait remarquer que dans cet hymne et dans la “prière de Kantuzzili” on retrouve de nombreux éléments d’inspiration babylonienne mélangés à des motifs hittites. L’influence babylonienne grandira par la suite, à une époque d’ailleurs assez proche de celle des textes indiqués ci-dessus, et par le mariage de Šuppiluliuma I avec la

A. Kammenhuber situe, elle aussi, Manninni, Pariyawatra, Tulpi-Teššup et Kantuzzili parmi les fils de Tutøaliya II et de Nikalmati: v. THeth 7, 183 et Index p. 218 sqq. 30 E. Laroche, RHR 148 (1955) 13, remarque que dans la documentation hittite les indications relatives au culte de cette déesse sont très rares (la tablette KUB XLV 47 n’était pas encore publiée); il affirme plus loin que Ningal n’était sans doute pour les Hittites plus rien qu’un nom propre. 31 A ce propos, v. note 20. 32 En effet, le dieu Lune n’a pas encore pris la caractéristique de divinité du jurement, comme cela aura lieu dans le milieu hourrite où il forme, dans cette fonction spécifique, un couple avec Išøara: v. E. Laroche, op. cit., 11 avec note 3, et 13. 33 Cet hymne est suivi d’une prière parallèle à celle de Kantuzzili, v. H.G. Güterbock, JAOS 78 (1958) 238. 34 Il faut remarquer que KUB XXXI 127 I 22 mentionne Enlil comme père du dieu Soleil, selon une filiation inhabituelle au milieu mésopotamien, mais qui - comme l’observe H.G. Güterbock, op. cit., 241 avec note 24 - est attestée aussi, quoique rarement, en Babylonie. 35 Op. cit., 241 sqq., et Historia 7 (1964) 57. 29

180

princesse babylonienne Tawannanna,36 et par l’amplification des rapports entre le royaume du ÷atti et la région nord-syrienne. Il est intéressant de remarquer que Ningal est mentionnée parmi les divinités de Kummanni, la ville sacrée, située dans le pays de Kizzuwatna, dans la “prière de Muwatalli” (KUB VI 45 [CTH 381] I 62-65 = 46 II 27-30),37 et que, dans un texte où l’on parle des rêves d’une reine, probablement Puduøepa (KUB XV 3, CTH 584), celle-ci s’adresse au dieu lunaire Sin (I 5 sqq.) et à son épouse Ningal (I 17 sqq.) comme dieux de Kummanni (I 4).38 La plupart des attestations de Ningal se trouvent dans des textes qui décrivent des cérémonies cultuelles d’inspiration hourrite, liées an milieu kizzouvatnien: elle y apparaît très souvent dans des listes de divinités, sans être, toutefois, dans une position de premier plan.39 Tout cela, à mon avis, acquiert une importance particulière si nous acceptons l’identification de Kantuzzili, l’auteur de la “prière”, avec le personnage nommé prêtre justement de Kizzuwatna40 et avec le LÚ SANGA de notre tablette, où l’on exécute une cérémonie rituelle pour Ningal et où sont mentionnés de nombreux termes hourrites (dont une série d’entités divines). Rappelons en outre que, dans un rituel où opère vraisemblablement la même reine avec ses fils, parmi lesquels le 36 En effet l’une des accusations portées contre cette reine par son beau-fils Muršili II est celle d’avoir tenté d’introduire à la cour et dans le pays de ÷atti des usages étrangers. 37 V. A. Goetze, ANET3, 397-399, J. Garstang-O.R. Gurney, Geogr., 117, Ph.H.J. Houwink ten Cate-F. Josephson, RHA 25 (1967) 120. 38 Dans I 1, il semble qu’on lise DN]IN?.GAL URU[ si la lecture DNIN.GAL est exacte, la mention de DSIN pouvait peut-être se trouver dans la lacune précédente. 39 V. E. Laroche, Rech., 124 sq., JCS 11 (1948) 121 sqq., RHR 148 (1955) 12 note 5. Ailleurs, nous traiterons sur la base aussi de la documentation la plus récente, de la diffusion du culte de cette divinité en Asie Mineure, du point de vue géographique et chronologique, ainsi que de sa pénétration dans le milieu hittite, en tenant également compte des éléments que l’onomastique nous fournit. 40 Il faut remarquer que Šuppiluliuma nomma lui aussi son fils Telipinu prêtre de Kizzuwatna. Il s’agissait probablement là d’une charge particulièrement importante qui n’impliquait pas exclusivement des fonctions religieuses. Cfr. à ce propos les bénéfices accordés à une prêtresse ENTU et à un LÚSANGA, qui possèdent, naturellement au nom de la divinité, et cela dès les temps les plus anciens, plusieurs localités liées au milieu kizzouvatnien (KUB XL 2 infra, CTH 641, un texte vraisemblablement datable de Šuppiluliuma I): v. A. Goetze, Kizzuwatna, 61 sqq., A. Kammenhuber, Arier, 99, et ce que j’ai écrit dans Šaøur. (1974) 162.

181



SANGA, au Vo 6, on mentionne la ville de Kizzuwatna (v. 174 avec notes 6 et 7). Il s’agit, semble-t-il, d’un rituel d’évocation,41 un type de rituel souvent exécuté par le LÚAZU dans le duplicate de ce texte, KUB XLV 48 Ro II 8, on mentionne justement un LÚAZ[U (v. note 6 et cidessous). A ce point, il me semble opportun de remarquer que, dans la cérémonie décrite dans notre tablette, officie également, avec la reine et les princes royaux, un LÚAZU. Ce participant an culte est généralement considéré comme exorciste, opérateur de pratiques magiques42 toutefois, cette interprétation ne définit pas exactement sa sphère d’activité puisque nous le voyons agir dans des rituels de différent type.43 Il est intéressant de remarquer qu’il opère souvent dans des rituels kizzouvatniens dès l’époque d’Arnuwanda I, où il récite quelquefois en hourrite.44 Nous rappellerons, en outre, que dans la “prière de Kantuzzili”, ce personnage de haut rang, vraisemblablement lié au milieu kizzouvatnien, charge le LÚAZU du dieu Soleil45 d’exécuter une consultation mantique grâce à l’examen du foie d’une victime pour savoir quelle a été la faute qu’il a commise pour déterminer la colère divine (KUB XXX 10 [CTH 373] Ro 27). Les éléments sur lesquels nous nous sommes arrêtés jusqu’ici dans la présentation de KUB XLV 47 (surtout la possibilité d’identifier avec Kantuzzili le LÚSANGA de notre tablette et de voir sous Nikalmati et peut-être encore sous Ašmunikal un culte particulier de la divinité mésopotamienne Ningal, qui, dans la documentation hittite plus tardive, 41 V. Ro I: (5’) nu-wa kê apê KASKALMEŠ-TIM .[ (6’) KASKALMEŠ-TIM øuittiyazi piran [(arøa . . . ŠA NINDA)] (7’) ¦7© KASKALMEŠ-TIM dai . . . . (9’) nu-wa kê apê K[(ASKAL)MEŠ, cfr. le duplicat KUB XLV 48 Ro II 2 sq. et 5, qui a fourni les intégrations. 42 Sur la documentation relative au LÚAZU et sur ses fonctions dans les pratiques cultuelles, v. H. Otten, StBoT 13 (1971) 25 sq.; D.H. Engelhard, Hittite Magical Practices (1970) 33-45; A. Archi, SMEA 14 (1971) 221 sq.; V. Haas-G. Wilhelm, Hurritische und luwische Riten aus Kizzuwatna, Hurr. St. 1 (1974), pages mentionnées dans l’Index p. 331; A. Kammenhuber, op. cit., pages mentionnées dans l’Index p. 199, et en particulier p. 131 sqq. 43 V. D.H. Engelhard, op. cit., 44 sq.; ce terme se trouve souvent an pluriel. 44 V. A. Kammenhuber, op. cit., 199. 45 Il semble que certaines divinités aient leur propre LÚAZU: v. par exemple le LÚAZU du dieu de la Tempête (D.H. Engelhard, op. cit., 33 sq. et 240 note 142, et V. Haas-G. Wilhelm, op. cit., 52).

182

apparaît liée à Kummanni et au panthéon kizzouvatnien) s’accordent bien avec l’opinion de ceux qui datent la phase initiale de l’influence culturelle hourrite en ÷atti par l’intermédiaire de Kizzuwatna au début de la période impériale.46 Récemment, lors d’une communication tenue à Paris en juillet 1977 à la XXIVe R.A.I., Ph.H.J. Houwink ten Cate, traitant des relations politiques entre Hittites et Hourrites avant Šuppiluliuma I, a justement mis en relief (en accord avec les opinions précédentes d’autres spécialistes comme E. Laroche, H.G. Güterbock et A. Kammenhuber) le lien étroit qui existait entre la nouvelle dynastie hittite qui régna au ÷atti au début de l’Empire et le pays de Kizzuwatna.47 Déjà en cette période, il est probable que Kizzuwatna avait également une fonction médiatrice dans la transmission d’éléments culturels babyloniens au monde hittite.48 Naturellement tout ce que nous avons observé ci-dessus n’a pas le but de faire voir en Kizzuwatna la seule source d’influence hourrite en ÷atti, ni à limiter à ce seul pays la fonction médiatrice dont nous avons parlé, oubliant ainsi l’importance que revêtirent pour cela la Syrie septentrionale et Mittani.

ADDENDUM. Un personnage nommé Mannini se trouve aussi dans un petit fragment, KBo XXVI 180 I 6’, après quelques divinités. Malheureusement, ce n’est que pendant la correction des épreuves que j’ai eu connaissance du travail de O. Carruba sur l’histoire du Moyen Royaume hittite, dans SMEA 18 (1977) 137-195, et je n’ai pas pu en tenir compte ici.

V. dernièrement A. Kammenhuber, op. cit., cap. VII et p. 198 Nr. 3. Il a fait observer que l’influence hourrite en milieu hittite a eu lieu selon un processus continu et non pas seulement en une ou deux phases de la période impériale, et cela bien que la source d’origine ait changé au cours des années. V. en outre A. Kammenhuber, op. cit., 162 et 198 Nr. 3. 48 Cfr. A. Kammenhuber, op. cit., 17, ainsi que la note précédente. 46

47

183

X.

IL CULTO DELLA DEA NINGAL PRESSO GLI ITTITI

Il culto della dea di origine sumerica NIN.GAL “grande signora” (talora attestata anche come Nikkal), sposa del dio Luna Nannar (EN.ZU, accad. Sin), associata al quale fu oggetto di particolare venerazione ad Ur e poi a ÷arran, si propagò di qui in Siria-Palestina e in Anatolia. Essa si trova inoltre, insieme a Išøara e ad altre divinità e demoni di provenienza diversa, in un papiro magico egiziano del tardo Nuovo Regno.1 Per quanto riguarda la documentazione ittita questa dea - la cui testimonianza più antica in questo àmbito risale all’epoca del cosiddetto Medio Regno - è presente di solito in testi di carattere religioso, in prevalenza all’interno di elenchi di divinità. Compare invece raramente nelle liste di dèi invocati a protezione dei trattati internazionali fin qui pervenutici: ciò si può spiegare con il fatto che al dio Luna, quando gli è attribuita la specifica funzione di divinità protettrice del giuramento, viene di solito associata la dea Išøara.2 È interessante osservare che Ningal si trova in coppia con il dio Luna, in accordo appunto con la mitologia mesopotamica,3 soprattutto in 1 Per alcune notizie di carattere generale su questa dea v. A. Deimel, Pantheon Babylonicum, Roma 1914, 199 sg. Nr. 2447; E. Dhorme-R. Dussaud, Les relig. de Babyl. et d’Assyr. Les relig. des Hitt. et des Hourr., des Phénic. et des Syr., Paris 1949 (= MANA 1, II), 58 sg., 83 sgg., 367, 380, 388; v. inoltre K. Tallqvist, Akkad. Götterep., Hildesheim-New York 1974, 403 sg. Sui luoghi di culto di questa dea e sull’espansione di esso v. E. Dhorme, RB 37 (1928) 367-385; G.A. Cooke, North-Semit. Inscript., 186 sgg.; A. Goetze, JBL 60 (1941) 358 note 33 e 34; J. Renger, HSAO (1967) 137-171. Sulle divinità lunari in Anatolia v. E. Laroche, RHR 148 (1955) 1-24. Per la presenza di questa dea nel papiro magico egiziano su ricordato, v. A.H. Gardiner, ZSA 43 (1906) 97; R. Stadelmann, Syrisch-palästinensische Gottheiten in Ägypten, Leiden 1967, 124 sg.; W. Herrmann, Yarih und Nikkal und der Preis der Kutarât-Göttinen, Berlin 1968, 46 con nota 93. 2 V. E. Laroche, op. cit., con nota 3 e 13; v. però più avanti KUB XLIX 50 r. 17’ sg. 3 Nella mitologia mesopotamica sono considerati figli di Sin e di Ningal Šamaš e Ištar, e in taluni casi anche il dio del fuoco Nušku: v. E. Dhorme, in E. Dhorme-R. Dussaud, op. cit., 58 sg., ed anche G.A. Cooke, loc. cit.

185

testi che in qualche modo denotano un’influenza babilonese, ma anche in documenti che si presentano legati all’ambiente kizzuwatneo. Nella “preghiera di Kantuzzili” vediamo che questo principe invoca il dio Sole come figlio di Sin e di Ningal (KUB XXX 10 [CTH 373] Vo 8), e nel contemporaneo “inno al Sole” - inno che è seguito da una preghiera parallela a quella di Kantuzzili, e nel quale, come in questa preghiera, il Güterbock ha riconosciuto la presenza di elementi di ispirazione babilonese mescolati a motivi ittiti - il dio Sole è appellato come “figlio di Ningal” (KUB XXXI 127 [CTH 372] I 10 sg., 15 sg.; XXXI 130 [CTH 374] Ro ¦1’©).4 Ningal si trova menzionata ancora vicino a Sin in un elenco di divinità di cui il sovrano invoca il favore in KUB XVII 14 (CTH 421) “Ro” 11,5 uno degli esemplari relativi al gruppo dei rituali di sostituzione regia databili, secondo il Kümmel (op. cit., 188), al periodo di tempo compreso fra Muršili II e ÷attušili III. È da notare che questo tipo di rituale si basa su prototipi babilonesi (v. ancora H.M. Kümmel, op. cit., 188 sgg.), anche se rielaborati con motivi rituali cananei e microasiatici.6 Si osserva nel documento qui esaminato la mescolanza di divinità maschili e femminili e non la loro disposizione in due liste separate, come per lo più avviene nei testi religiosi ittiti d’influenza kizzuwatnea.7 Rileva il Kümmel (op. cit., 189 sg.) che il movente del rituale di sostituzione regia (in un caso un omen lunare, in un altro una composizione di tutti gli omina possibili) non proviene da una tradizione microasiatica; Su questo inno v. H.G. Güterbock, JAOS 78 (1958) 237 sgg., ed inoltre 241 con nota 24 per la menzione di Enlil come padre del dio Sole in KUB XXXI 127 I 22. 5 Si tratta in realtà del Verso: v. in proposito H.M. Kümmel, StBoT 3 (1967) 50; v. inoltre 60 sg., 84 sgg.; per la presenza in questo elenco della dea Sole di Arinna vicino a ÷epat, v. più avanti nota 50; in questa lista non compare Išøara. 6 È da notare, per esempio, fra gli officianti la parte di rilievo tenuta dall’esorcista ŠIPU/apiši- (v. H.M. Kümmel, op. cit., 95 sgg., ed anche M. Vieyra, RHR 119 (1939) 143 sgg. e 123 sg.), e inoltre fra le divinità la menzione di Marduk e della coppia EnlilNinlil (v. H.M. Kümmel, op. cit., 87 e 191, e cfr. E. Laroche, Rech., 125); v. ancora H.M. Kümmel, op. cit., 191 sgg., a proposito della presenza del motivo cananeomicroasiatico del capro espiatorio; a suo avviso doveva essere avvenuta nella Siria settentrionale una combinazione fra elementi culturali mesopotamici ed elementi della cultura nordsiriana-cananea; gli Ittiti si appropriarono di questi elementi culturali, fondendoli con motivi microasiatici. Il Kümmel, op. cit., 191, rileva inoltre che la menzione delle due divinità solari (il dio Sole del cielo e la ctonia dea Sole di Arinna) poteva invece non derivare dalla redazione mesopotamica. 7 Cfr. E. Laroche, JCS 6 (1952) 115 e 118; v. anche in questo articolo note 17 e 46. 4

186

egli nota inoltre che la luna come divinità e i suoi omina non erano troppo familiari presso gli Ittiti.8 A proposito dei presagi tratti dall’osservazione di determinati segni lunari, ricordiamo in special modo quelli derivati dall’esame di particolari movimenti di Ningal, appunto in quanto divinità lunare: v. il catalogo di tavolette KUB XXX 55 (CTH 277) Vo III? 6’9 e KUB VIII 28 (CTH 535), dove il nome Ningal è presente in forma più o meno completa in Ro 4’, 10’, 14’, 17’, ]20’.10 Si deve notare che in quest’ultimo testo il movimento di Ningal è esaminato in relazione a diversi mesi dell’anno, evidentemente in rapporto alle fasi lunari.11 Questo movimento espresso dal verbo nini(n)k- sembra presagire eventi funesti, quali carestie (r. 5) o invasioni nemiche. La Kammenhuber (THeth 7 [1976] 45, 55 sg., 75 sgg., 109), in base alle attestazioni del termine armuwalašøa- “luce lunare, chiaro di luna” nella documentazione ittita, considera Muwattalli come terminus post quem per l’introduzione di determinati omina lunari kizzuwatnei. Ancora insieme a Sin Ningal compare in un testo in cui si parla di voti fatti da una regina, verosimilmente Puduøepa, per la salute del marito, KUB XV 3 (CTH 584): è da notare che essa invoca Sin (15-16) e Ningal (I ]1, 17 sgg.) come dèi di Kummanni (I 4),12 la città sacra situata nel paese di Kizzuwatna, il luogo di origine di questa regina. Del resto, anche nella “preghiera di Muwattalli”, KUB VI 45 I 62-65 = 46 II 27-30 (CTH 381),13 Ningal si trova (VI 45 I 63 = 46 II 28) fra le A tal proposito egli nota che l’elaboratore ittita di KBo XV 6 e 7 (frammenti sempre del rituale di sostituzione regia) - a cui era noto soltanto il dio lunare Kušuø nella sua funzione di divinità del giuramento - ha personificato il termine MÂMÎTU “giuramento”, a cui però ci si rivolge come ad una divinità da cui partono i segni (v. anche op. cit., 38 sg.). 9 V. anche CTH, 174 sg.: 1 TUPPU DNingaš nininku[waš. 10 Questa tavoletta contiene in realtà due tipi di omina, come risulta dal colophon Vo 12-15: v. A. Goetze, Kl. Forsch. (1930) 405. 11 Probabilmente l’ultimo paragrafo del Recto (r. 20 sgg.) rimasto prima della frattura della tavoletta doveva riferirsi all’11° mese, ma si può presumere che seguisse un omen anche per il 12° mese: cfr. infatti Vo 10, in contesto formulato in maniera analoga, anche se verosimilmente riferito all’altro tipo di omen contemplato nella tavoletta. 12 In I 1 si deve probabilmente leggere DN]IN?.GAL URU.[: in tal caso è possibile che Sin fosse menzionato nella lacuna prima del nome della dea. 13 Oltre agli studi citt. in CTH 381, v. Ph.H.J. Houwink ten Cate-F. Josephson, RHA 25 (1967) 120, e V. Haas-G. Wilhelm, AOATS 3 (1974) 38 nota 2. 8

187

divinità di Kummanni, in una posizione evidentemente di rilievo in quanto essa è menzionata subito dopo le principali divinità del paese: [ il dio della Tempesta] e ÷epat di Kummanni, il dio della Tempesta e ÷epat del šinapši, il dio della Tempesta della montagna Manuziya; il dio Luna invece non compare affatto in questo passo. Ningal è presente anche in due testi che descrivono il rituale hurrico del “lavaggio o purificazione della bocca”,14 pervenutoci in varie redazioni - alcune in stato frammentario - di epoche diverse: le redazioni più antiche risalgono al tempo di Arnuwanda I.15 Nella decima tavoletta di questo rituale, KUB XXIX 8, di epoca più recente,16 in I 11-27 si compie un’azione che s’incontra spesso nella ritualistica kizzuwatnea (kuptin walø-), in onore di una serie di divinità maschili e femminili qui elencate alternativamente, l’una “di fronte” all’altra (menaøøanda);17 si deve notare che Sin (r. 20) ha come corrispondente femminile Umbu Niggal (r. 22): sull’epiteto Umbu, sovente legato al nome di questa divinità, v. E. Laroche, JCS 2 (1948) 127 sg., e NPN, 271 sg. È da rilevare in questa lista la presenza della divinità solare di Arinna nella sua duplice manifestazione maschile e femminile: essa infatti verosimilmente compare nella r. 14 come “apposizione” di ÷epat (v. nota 50) e nella r. 23 nel ruolo di divinità maschile, cui si contrappone come corrispondente femminile Aiu Ikalti. Išøara non figura invece in questa lista divina. In un’altra tavoletta sempre relativa allo stesso rituale, KBo XX 129, in I 3-13 si compie un’azione mediante della stoffa, e poi si prepara un tavolo di canniccio e un pane naøøiti, su cui si buttano frutti per alcune CTH 777 e 778, v. anche V. Haas, SMEA 16 (1975) 221 sgg., e inoltre V. HaasG. Wilhelm, op. cit., pagg. indicate nell’Indice, 322, e in particolare 40 sg. e 126 sgg., e A. Kammenhuber, THeth 7, pp. citt. nell’Indice, 230 e 253. 15 In alcune redazioni sono infatti menzionati come committenti del sacrificio (talora insieme, talora separatamente) Tašmišarri - verosimilmente identificabile con Arnuwanda I - e Taduøepa: v. in proposito V. Haas, SMEA 16 (1975) 224 sgg. (il quale propone di datare le redazioni più recenti all’epoca di ÷attušili III) e A. Kammenhuber, locc. citt. 16 V. in proposito gli studi citati nella nota precedente. 17 E non in liste separate, del tipo di quelle kizzuwatnee: v. note 7 e 46, e inoltre E. Laroche, JCS 2 (1948) 114 e 123; v. anche la traslitterazione e traduzione di questo passo, e alcune ipotesi formulate in base all’esame di esso in V. Haas-M. Wäfler, OA 13 (1974) 218 sgg., e la critica a tali ipotesi in H.G. Güterbock, JNES 34 (1975) 273 sgg. 14

188

divinità femminili: ÷epat, Aiu UTU-ki,18 Naparpi Šapušga,19 Umbu Ningal (r. 12). Secondo la r. 1 questo rituale itkalzi sembra celebrato per Ištar (evidentemente Šaušga) e Naparpi:20 si nota inoltre che in II 6 sg. sono menzionati in due righe successive GAŠAN-ga (= Šaušga) e Naparpi, che si trovano accanto anche in III 23 sg. e 29. Nella Col. II, in un passo in lingua hurrica dove sono presenti - anche se in ordine diverso - quasi tutte le divinità su menzionate (non sembra vi fosse ÷epat a meno che non si trovasse in una lacuna), alla r. 2 compare soltanto DUm[bu] (non vi è infatti spazio per il nome di Ningal, in una grafia qualsiasi, in fondo alla riga) e alla r. 8 DUmbu DNikall[u]-e. Nella Col. III, sempre fra le stesse divinità menzionate in ordine differente, nella r. 24 si legge ] DNigalûpa e nella r. 29 ] DNikkalaš. Secondo il Laroche,21 FHG 20 - dove alla r. 5 in un passo in lingua hurrica si legge D Umbu DNiggalul[ - sarebbe da collegare con la fine di ABoT 39; l’Otten invece non tiene conto di FHG 20 in KBo XX 129.22 Si rileva infine che in questo testo - pur considerandone la lacunosità - compaiono per lo più divinità femminili;23 fra quelle si nota l’assenza di Išøara (a meno che non si fosse trovata in una lacuna).

V. E. Laroche, op. cit., 132 sg., e cfr. anche KUB X 27 III 5(?). V. E. Laroche, Rech., 58 sg. s.v. Šaušga. 20 KBo XX 129 I: (1) n-at mân ŠA DIŠTAR DNaparpiyaš-a itkalziyaš (2) úidâ… nu kiššan ienzi IŠTU GAD anda (3), waønuanz[i] nu 1 GIŠBANŠUR AD.KID ANA D÷epat tianzi (4) nu-šan [NIND]Anaøøitin tianzi šer-šan GIŠ]INBI÷I.A (5) išøuwa[n]zi nu namma 1 GIŠBANŠUR AD.KID ANA DAiú DUTU-ki (6) tianzi nu-šan ninda naøøitin tianzi šer-šan (7) GIŠINBI÷I.A išøuwanzi 18 19

________________________________________________________

(8) nu-kan GAD ištarna øuittiyanzi nu-kan tapuša-ya (9) 1 GIŠBANŠUR AD.KID ANA DNaparpi DåŠa¥pušga tianzi (10) nu-šan NINDAnaøøitin tianzi nu-šan šêr (11) GIŠINBI÷I.A išøuwanzi awan katta-ma (12) namma 1 GIŠBANŠUR AD.KID ANA DUmbu DNIN.GAL tianzi (13) nu-šan apêdaniya ANA GIŠBANŠUR tianzi 21 RA 46 (1952) 42, e CTH 777; in RHA 27 (1969) 95 Nr. 54 egli cita la presenza del nome di Nikkal con il vocalismo hurrita in KUB XXXII 29+ III 39, corrispondente appunto a FHG 20 r. 5; egli ritiene anche che FHG 23 faccia parte della stessa tavoletta; v. invece H. Otten in KBo XX 129, e V. Haas, SMEA 16 (1975) 226. 22 Egli infatti nella Col. III lascia uno spazio vuoto di circa 4 righe tra la fine di ABoT 39 e KUB XXXII 29 (cioè dalle tracce della r. 35 fino alla r. 40’, con cui riprende KUB XXXII 29); v. anche V. Haas, loc. cit. 23 Soltanto in III 11 si trova Kumarbi e in II 45 DZi-i[m- (forse Zimeki per Šimegi? v. E. Laroche, Rech., 59).

189

Nei due documenti qui esaminati, relativi al “rituale del lavaggio/ purificazione della bocca”, compare come officiante un AZU, un addetto al culto spesso presente in rituali kizzuwatnei sin dall’epoca di Arnuwanda I, nei quali talora recita in lingua hurrica.24 Egli s’incontra di solito anche in altre redazioni del rituale in questione, fin da quelle più antiche, e sovente parla in hurrico. Mi sembra di un certo interesse il fatto che le redazioni più antiche di questo rituale risalgano all’epoca di Arnuwanda I, epoca appunto in cui Ningal compare come paredra di Sin in alcuni testi ittiti d’influenza babilonese. Un legame con l’àmbito cultuale kizzuwtneo presenta la cerimonia religiosa descritta in un documento dell’epoca del Medio Regno KUB XLV 47 col suo duplicato25 - celebrata specificatamente per questa divinità da una regina di cui non viene menzionato il nome, ma in cui ritengo probabile si debba riconoscere la regina Nikalmati, e dai suoi figli Mannin(n)i, Pariyawatra, il “sacerdote” (a mio avviso identificabile col Kantuzzili noto personaggio del Medio Regno, menzionato anche altrove come “figlio del re” e “[capo de]i sacerdoti”, e probabilmente nominato sacerdote di Teššup e di ÷epat in Kizzuwatna) e TulpiTeššup.26 Opera con loro anche un LÚAZU (v. a proposito del rituale precedente, e nota 24). È questa l’unica descrizione finora nota in àmbito ittita di una cerimonia da eseguirsi appositamente in onore di Ningal. Tale cerimonia doveva esser celebrata “nel corso dell’anno” o “durante l’anno in corso”: MU-ti (= witti) mêanaš.27 Sul significato di questa espressione nei vari testi dove compare le opinioni degli studiosi divergono.28 Per quanto riguarda il testo qui esaminato, è Sul LÚAZU nei testi ittiti v. le note 42-45 di un mio articolo attualmente in corso di pubblicazione in una raccolta di scritti in occasione del 65° compleanno di E. Laroche (Florilegium Anatolicum) (= FsLaroche [1979] 169-176 [n.d.c.]). 25 Duplicato di KUB XLV 47 I 1-16 e IV 37-39 è KBo XVII 84 I 1-15 e IV 1’-5’. Di questo documento mi sono già occupata nel lavoro cit. nella nota precedente, del quale v. la nota 7. 26 Sui motivi che mi hanno indotto all’identificazione di questa regina con Nikalmati e del “sacerdote” con Kantuzzili, v. ancora il mio studio cit. alla nota 24. 27 V. infatti il colophon di KUB XLV 47 IV: (38) DUB.1.K[(AM QATI man-z)a] MUNUS.LUGAL (39) NI[(N.GAL-un MU-ti)] mêanaš šipanti, integrato secondo KBo XVII 84 Vo 3’-5’; v. anche KUB XLV 47 I 1 e KBo XVII 84 I 1. 28 V. A. Goetze, JCS 4 (1950) 223-225, che vede in questa espressione un riferimento alla festa del nuovo anno, e H. Otten, MDOG 83 (1951) 55; v. però J. Danmanville, RHA 20 (1962) 58 sg.; v. inoltre J. Friedrich, HW Erg. Heft 3, 24 24

190

difficile stabilire se con tale espressione si intendesse alludere alla celebrazione di una festa per Ningal da effettuarsi durante quel preciso anno, anche se non in una data definita all’interno di esso, oppure regolarmente nel corso di ogni anno, secondo un ordine previsto da un calendario di feste per varie divinità del paese. Anche in quest’ultimo caso, però, ci si riferiva sempre ad un periodo determinato, poiché la menzione dei nomi personali dei principi e l’indicazione specifica dei loro compiti durante l’esecuzione del rito (v. II 9 sg. dove non compare con gli altri principi Tulpi-Teššup, che invece è menzionato a parte in III 24-27)29 limita e definisce cronologicamente il significato dell’espressione MU-ti mêanaš nel nostro testo. Presumibilmente, nella fase introduttiva del rito il LÚ AZU operava da solo (infatti, anche se egli viene menzionato per la prima volta in I 17, si può ragionevolmente supporre che comparisse anche nella parte iniziale del testo, purtroppo molto lacunosa), mentre nella parte essenziale della cerimonia intervengono attivamente la regina e i suoi figli.30 Talora la regina agisce senza la collaborazione (“Jahresende(?)”), e soprattutto H.G. Güterbock, RHA 25 (1967) 142-145, il quale ritiene che tale espressione non si riferisca ad una data particolare o ad una stagione specifica nel corso dell’anno (a p. 143 sg. egli rileva che la formulazione dell’espressione wetti me(ya)n (iy)aš, rispetto alla più tarda wettaš meyanaš, ricorre in testi dell’epoca di Arnuwanda-Ašmunikal e Kantuzzili fino a Muršili II); v. ancora E. Neu, StBoT 5 (1968) 14, e StBoT 12 (1970) 45 con nota 6, e R. Lebrun, Šamuøa, 97 sg. 29 III (24) n-ašta LÚAZU ANA MUNUS.L[UGAL IBILA] mMannini (25) IBILA mPariyawatra IBILA SANGA GIŠERIN (26) kiššaraz arøa dâi (27) IBILA mTulpitešu[p]aš-ma-at øarzi “(24) e poi lo AZU alla reg[ina, al figlio] Mannini, (25) al figlio Pariyawatra, al figlio sacerdote il cedro (26) dalla mano toglie (v. I 42 sg.), (27) ma il figlio Tulpi-Teššup lo tiene”. 30 I (35) nu LÚAZU MUŠEN dâi n-an-kan ANA DINGIRLIM šêr arøa (36) waøånu¥zi ANA MUNUS.LUGAL-åy¥a-an-kan Ù ANA DUMUMEŠ.LUGAL šêr arøa (37) waønuzi ____________________________________________________________________ (38) n-ašta MUNUS.LUGAL DUMU.LUGAL-ya ANA PANI DINGIRLIM anda (39) úwanzi n-at ANA DINGIRLIM UŠGÊNNU ____________________________________________________________________ (40) nu MUNUS.LUGAL IBILA mManninni IBILA mPariyawatra (41) IBILA SANGA IBILA mTulpi-DIŠKUR[ ]. SISKUR.SISKUR tiyanzi (42) nu-šmaš-kan LÚ!AZU INA QATI-¦ŠUNU© anda GIŠERIN (43) dâi n-ašta ANA DINGIRLIM wâtar šarâ papparašz[i] (44) ANA MUNUS.LUGAL-ya-kan Ù ANA DUMUMEŠ.LUGAL kiššaraš (45) wâtar

šarâ papparašzi

191

figli, coadiuvata soltanto dal LÚAZU,31 in conformità, del resto, a quanto è scritto nel colophon (v. nota 27). Come abbiamo già osservato, si riscontrano nella descrizione di questa cerimonia elementi che ci riportano all’àmbito rituale hurrico, e in particolare kizzuwatneo, quali, in primo luogo, la presenza del LÚAZU, e inoltre la menzione di certi termini cultuali come i recipienti aørušøi32 o øubrušøi,33 o il pane naøøiti,34 o l’anaøi,35 ecc., e di entità divine legate al lessico hurrico.36 A conclusione di questo documento si prescrive di distruggere del tutto col fuoco presumibilmente i resti del sacrificio e si proibisce a chiunque di mangiarli, quindi si parla di nuovo di libagioni.37

____________________________________________________________________ “(35) e lo AZU un uccello prende e al di sopra della divinità lo (36) agita e al di sopra della regina e dei figli del re lo (37) agita ____________________________________________________________________ (38) e poi la regina e i figli del re davanti alla divinità (39) entrano ed essi alla divinità si inchinano, ____________________________________________________________________ (40) e la regina, il figlio Mannini, il figlio Pariyawatra, (41) il figlio sacerdote, il figlio Tulpi-Teššup [ ] il rituale intraprendono (42) e a loro lo AZU nella loro mano un cedro (43) pone e poi sulla divinità acqua asperge (44) e alla regina e ai figli del re sulle mani (45) acqua asperge”. ____________________________________________________________________ 31 V. I 51, e IV 10 sgg. 32 V. E. Laroche, Ug. V, 506 sg., 513, 526; V. Haas-G.Wilhelm, AOATS 3, 105; J. Friedrich-A. Kammenhuber, HW 1, 46 sg. s.v. aøri-; R. Lebrun, Šamuøa, 103 e 232. 33 V. E. Laroche, Ug. V, 506 sg.; V. Haas-G. Wilhelm, loc. cit.; A. Kammenhuber, THeth 7, 68 sg. nota 148; R. Lebrun, op. cit., 98, 103 e 233. 34 HW, 146; H.A. Hoffner jr., Alim. Heth., 173 sg. 35 J. Friedrich-A. Kammenhuber, HW 1, 72 sgg.; E. Laroche, RHA 28 (1970) 6870; R. Lebrun, op. cit., 98 e 229. 36 V. E. Laroche, RHA 33 (1975) 64, ed ora, su alcuni di questi termini, RHA 34 (1976) s.v. 37

IV (32) kuita-kan âšzi-ma UZåU¥[ (33) n-at arøa war[nuzi

________________________________________________________ (34) MUNUS.LUGAL DUMUMEŠ.LUGAL-ya da-ma-[ (35) Ú-UL kuiški êzzazi[

________________________________________________________ (36) kî-ma ŠA DNIN.GAL SISKUR.SISKUR[ (37) LÚ.MEŠBE šipanzakanzi DUMUMEŠ.L[UGAL] . . . . . . .

========================================== 192

Comunque, come abbiamo detto all’inizio, Ningal compare per lo più in elenchi di divinità, spesso presenti in testi di culto quali rituali e feste, che denotano un’origine hurrica e fanno sovente parte dell’ àmbito kizzuwatneo: qui Ningal/Nikkal (talora preceduta dall’epiteto (D)Umbu) è menzionata generalmente dopo Išøara, Allani, e prima di Ištar,38 In questa posizione essa si trova in KUB XX 93 (CTH 704.4) I 6’[,39 XXVII 8 (CTH 704.2) Ro 8’,40 XLV 66 Ro II? 9’,41 e presumibilmente in HT 54 (CTH 705) r. 3.42 In KUB XXV 50 (CTH 705, v. E. Laroche, JCS 2, 122) II [18] si postula la presenza di questa dea in base all’ordine consueto di successione di divinità in liste analoghe poiché nel testo prima della lacuna compare soltanto il determinativo divino. Vi sono inoltre elenchi di divinità nei quali Ningal si trova ancora in questa posizione, ma in cui si riscontrano varianti rispetto all’ordine e alla presenza delle altre divinità.43 Ciò si può constatare nel rituale di Ammiøatna, sacerdote di Išøara, uomo di Kizzuwatna, KBo V 2, CTH 471,44 dove in II 58-III 16 il “signore del sacrificio” compie alcune azioni rituali45 per una serie di divinità, quelle maschili elencate prima, quelle femminili elencate successivamente, così come di solito si presentano le liste divine kizzuwatnee.46 Fra le divinità femminili Ningal (III 10, nella Alla r. 37 mi è sembrata preferibile la lettura LÚ.MEŠBE (forma abbreviata di BÊLU, attestata anche altrove), intendendovi un riferimento ai “signori (del sacrificio)” piuttosto che LÚMEŠ-pat. 38 V. E. Laroche, JCS 2 (1948) 121 sgg. e 127 sg., e RHR 149 (1955) 12 con nota 5. 39 Umwu D¦Ni©[kkal; v. E. Laroche, JCS 2 (1948) 122, e Thes. 5, 181 Nr. 14. u 40 Umbu DNIN.GAL; v. E. Laroche, loc. cit., e Thes. 5, 183 Nr. 20. Questa dea vi compare dopo Išøara e prima di Ištar - qui menzionata come DGAŠAN - Ninatta e Kulitta di Ninive ecc. 41 In Ro II? 4’-13’ si dice probabilmente che viene spezzata (il verbo è in una delle parti lacunose: cfr. però casi analoghi, come per es. KUB XXVII 1 I 47 sgg.) una galletta per alcune divinità femminili: ÷epat (cui seguiva presumibilmente Šarruma), Dara Takidu, ÷utena ÷utellurra, Išøara Allani, Umbu (senza il determinativo divino) Ningal, Ištar-ka (= Šauška) Nin[atta] Kulitta, [Ištar] di Ninive [Ninatt]a Kul[itta]. 42 DN[IN.GAL: manca l’appellativo Umbu prima del nome della dea; v. la traslitterazione di questo frammento presso E. Laroche, op. cit., 127. 43 Ciò probabilmente è dovuto, come osserva il Laroche, op. cit., 122 sg., alla provenienza diversa dei rituali in cui tali elenchi sono inseriti, sempre però influenzati da un canone hurrico primitivo e invariabile. 44 V. la traslitterazione di gran parte del testo in J. Friedrich, HE, 34 sgg., e cfr. inoltre RHA 5 (1939) 93 sg. 45 V. H.G. Güterbock, JNES 34 (1975) 276 con nota 17. 46 V. note 7 e 17, e inoltre le liste divine in E. Laroche, op. cit., 14 sg. e 123.

193

grafia hurritizzante DNiggalu) conserva la stessa collocazione dei testi precedenti poiché compare (senza l’epiteto Umbu) dopo ÷epat, Išøara,47 Allani, e prima di Ištar ecc. Fra le divinità maschili, nella posizione più consueta nell’àmbito dei kaluti di Teššup, dopo Kumarbi, Ea, e prima del dio Sole, si trova il dio Luna (DEN.ZU, in III 1), che è anche menzionato altrove nel testo. È da notare che in questo rituale opera come officiante un LÚAZU. In KUB XXVII 1 (CTH 712),48 contenente la descrizione di una festa in onore di Ištar di Šamuøa, verosimilmente databile all’epoca di ÷attušili III,49 si legge che nel corso della cerimonia il celebrante LÚ÷AL compie delle operazioni rituali, tra cui lo spezzare alcuni pani SIG (gallette) per numerose divinità maschili e femminili, provenienti da vari panthea, e per entità divinizzate. Anche qui, come nel testo precedente, le divinità maschili sono elencate separatamente, prima di quelle femminili. Si rileva in tutta la cerimonia una forte influenza kizzuwatnea (v. note 49-51). Fra le divinità maschili si trova anche il dio Luna (DEN.ZU, in I 61), dopo Kumarbi e prima di DUTU (cfr. il testo precedente). Apre la lista delle divinità femminili, menzionate in II 36-III 5, la dea Sole di Arinna seguita dalla figlia Mezzulla, poi ÷epat muš-ni ed altre ipostasi di ÷epat,50 quindi Darru Dakidu, ÷utena ÷utellurra, Išøara, 47 Sulla posizione di questa dea in un buon punto nella lista, v. E. Laroche, op. cit., 123 con nota 47. 48 V. la traslitterazione, traduzione e commento dei testi relativi a questa festa in R. Lebrun, Šamuøa, 73-116; cfr. anche sopra nota 41. 49 Il Lebrun, op. cit., 73 sg. e 113 sgg., attribuisce la redazione di questo testo a ÷attušili III, che si sarebbe però servito di un rituale composto sotto Muršili II per celebrare Ištar uwaliwalli. All’epoca di ÷attušili III pensa anche la Kammenhuber, Thes. 4, 64 Nr. 33 e 182 sg. Nr. 18. Il Laroche, loc. cit., dopo aver messo in rilievo - in quest’ampia lista di divinità - la combinazione del canone ittita indigeno e del kaluti hurrita di ÷epat, ritiene questo testo, contenente la restaurazione di un culto abbandonato, contemporaneo all’azione religiosa di Tutøaliya IV. 50 È interessante osservare la presenza delle due divinità hattiche, la dea Sole di Arinna e sua figlia Mezzulla, vicino alle varie ÷epat: è infatti nota l’assimilazione della dea Sole di Arinna a ÷epat nel pantheon ittita del periodo imperiale, in conseguenza della fusione di questo pantheon con quello hurrico; ciò è chiaramente dimostrato nella preghiera della regina Puduøepa alla dea Sole di Arinna, KUB XXI 27 I 3 sgg., CTH 384. Così in KUB XXIX 8 I 14 la dea Sole di Arinna è da intendersi come apposizione di ÷epat, anche se in realtà è legata a questa dalla congiunzione -ya (di cui infatti non si tiene conto nella traduzione di V. Haas-M. Wäfler, OA 13 (1974) 219; v. inoltre E. Laroche, op. cit., 123 e 122 nota 56), e ciò vale anche per KUB XVII 14 “Ro” 10, dove

194

Allani, Umbu Ningal (II 44), Šapušga con Ninatta e Kulitta, alcune ipostasi locali di Ištar/Šaušga, ecc.51 Verosimilmente nella stessa posizione doveva trovarsi Umbu Ningal in KUB XLV 41 II 7’, all’interno di una lista di divinità femminili a cui viene offerta una galletta: si presume infatti che Allani fosse menzionata dopo Išøara nella lacuna alla fine della r. 6’, e che Ištar e Ninatta si trovassero nella lacuna alla fine della r. 7’,52 dato che all’inizio della r. 8 compare Kulitta. È difficile, per la lacunosità del testo, pronunciarsi sulla presenza e sull’ordine delle altre divinità, anche se è da notare la menzione di DAya[ in buona posizione alla r. 3’, e la sua probabile ripetizione alla r. 10’ (DAya Enikald[u), per quanto non sappiamo cosa seguisse Aya nella lacuna alla fine della r. 3’. Si deve inoltre osservare dalla r. 14’ in poi la presenza di numerose ipostasi, per lo più locali, di Ištar,53 che si riscontra anche nella Col. III. la menzione di ÷epat segue quella della dea Sole di Arinna. Si deve tuttavia notare che in KBo IV 10 (CTH 106) Ro 55 compare ÷epat regina del cielo molto dopo la dea Sole di Arinna, che è menzionata più di una volta fra gli dèi principali all’inizio della lista divina. Ricordiamo inoltre che in alcuni testi di Ugarit riguardanti accordi internazionali troviamo fra le divinità ittite - dopo il dio della Tempesta di ÷atti - la divinità solare di Arinna e ÷epat di Kizzuwatna: v., ad esempio, RS 17.340 Vo 19’ (epoca di Šuppiluliuma I) e 17.237 Vo 12’ sg. (epoca di Muršili II), di cui parleremo più avanti. L’assimilazione di queste due divinità in àmbito ittita sembrerebbe attestata già all’epoca di ÷attušili I (a meno che non si trattasse di un inserimento più tardo) in KBo X 2 (CTH 4) II 37 sg., laddove questo sovrano dice di aver portato doni “alla dea Sol[e di Arinna] figlia della dea Al[latum] ÷epat”, tanto più che subito dopo (r. 39 sg.) egli continua affermando di aver recato [queste cose] nel tempio della dea Mezzulla, che sappiamo figlia della dea Sole di Arinna (v. SCO 14 [1965] 50 sg., 66 sg.). Sul termine muš(u)-ni, frequentemente attestato come epiteto di ÷epat, v. bibliografia in R. Lebrun, Šamuøa, 102. 51 V. la lista delle divinità femminili presente in II 36 sgg. presso E. Laroche, op. cit., 123, e R. Lebrun, locc. citt. in nota 48 (infra) e soprattutto 109 sgg. La posizione di Umbu Ningal (DUmbu DNIN.GAL) in questa lista divina - dopo Išøara, Allani e prima di alcune Ištar (su DISTAR-pušga v. nota 19) - è in accordo con l’ordine dei kaluti kizzuwatnei. Il Laroche (v. nota 49) e il Lebrun (op. cit., 113 sgg.) riconoscono evidente in questo rituale l’impronta di un forte sincretismo hurrico-ittita ed una intensa influenza culturale kizzuwatnea. 52 In tal caso però questa lacuna avrebbe dovuto essere assai ampia per contenere anche la menzione del pane SIG prima dei nomi di queste due dee, e forse pure della voce verbale dâi dopo Umbu DNIN.G[AL, secondo la dizione delle rr. 8’, 9’. 53 Nelle rr. 15’ sg. si legge: (15’) 1 NINDA.SIG KI.MIN Ammana-øi DI[ŠTAR (16’) 1 NINDA.SIG KI.MIN DDunta-øi DIŠTAR: cfr. il frammento di carattere cultuale KBo XXII 162 Vo 4’ dove Amana-hi e Dun[ta-øi, sempre in connessione con Ištar,

195

In KBo XXIV 47 Vo? III 1’-14’ si compie un’azione rituale (1 kuptin GUL-aøzi = waløazi) per alcune divinità maschili (rr. 1’-7’: purtroppo la lacunosità del testo permette di individuare soltanto Kumarb[i], E[a], Ašta[bi], [Nu]patik, e gli dèi maschili) e femminili (rr. 8’-13’: ÷e, Allani, Išøara, Ningal (r. 11’, senza l’appellativo Umbu), I[štar?], Šuwala e le divinità femminili), elencate separatamente, secondo un ordine che si accorda con i kaluti kizzuwatnei.54 In KUB X 27 (CTH 714),55 un testo hurricizzante - databile, secondo la Kammenhuber,56 al XIII sec. a.C. - in cui si descrive la festa del mese per Ištar di Ninive, celebrata dalla regina ma dove compaiono come officianti anche un LÚ÷AL (I 17) e un LÚAZU (IV 11 e 17),57 nella Col. III 1-13 vediamo che viene offerta una galletta ad alcune divinità: Ta[rru]/Tar[u] Takidu, Ea Da[mkina],58 Aya UTU-k[i (oppure K[I.MIN]), dèi del padre di Ištar, gli ašøušikkunni, Išøara, Allani, Umbu N[ingal (r. 12), Uršui [Iškalli,59 cui seguono tracce di segni nella riga risultano come toponimi (U]RUAmana-øi DIŠTAR URUDun[ta-øi); qui C. Rüster nell’Indice dei nomi divini (KBo XXII p. XII) legge ÷UR.SA]GAmanaøi (si vedono però due cunei verticali subito dopo la lacuna prima di A) e URUDunn[a (le tracce del segno rimaste prima della lacuna sono però talmente piccole che possono giustificare sia una lettura -n[a che -t[a). Sulla montagna Ammana v. H. Gonnet, Mont. As. Min., 116 sg. Nr. 53; sulla montagna Dunna v. H. Gonnet, op. cit., 142 Nr. 142; sulla città Dunna v. J. Garstang-O.R. Gurney, Geogr., 67, 72, e sul paese Dunta/Dunda v. ancora questa opera, 106, 121, dove si rileva anche il legame di esso con la dea Ištar. 54 Su questa base si può presumere che alla r. 1’ si trovasse Teššup e alla r. 4’ il dio Luna, e per questo motivo sembra probabile una integrazione Ištar alla r. 12’, mentre a causa dello spazio è difficile suggerire un nome divino da porre nella lacuna alla fine di questa riga. A conclusione di questo passo si legge: (14’) . . . . . . . EGIR-ŠU-ma ANA DU teššuøiya šipa[nti] (15’) EGIR-ŠU-ma ANA DINGIRMEŠ teššuøiya šipanti 55 V. la traslitterazione, traduzione e commento di questo testo in M. Vieyra, RA 51 (1957) 84-87, 92 sg., 96-99. 56 Thes. 6, 280; v. anche 255 Nr. 10, 258 Nr. 5, 263 Nr. 1, dove si riportano alcuni passi di questo testo. 57 V. A. Kammennuber, THeth 7, 135 e 132, dove in IV 11 essa legge giustamente LÚAZU anziché LÚSANGA, come invece M. Vieyra, op. cit., 87 e 93; questa lettura vale anche per IV 17. 58 Non si giustifica la lettura di M. Vieyra, op. cit., 86 e 93: DÉ.A DNIN.[GAL. 59 M. Vieyra, op. cit., 93 e 98, considera separati, evidentemente come una coppia divina, Umbu e Ningal, e anche altre divinità, senza tener conto dell’entità del pane SIG offerto. Sull’interpretazione di ašøušikkunni v. per ultimo I.M. Diakonoff, Hurrisch und Urartäisch, München 1971, 71 e 117 nota 129. Il Laroche, op. cit., 123, rileva la

196

successiva. In questa lista non compare Ištar, probabilmente perché si trovava in posizione privilegiata, essendole dedicata la festa. In altre liste Ningal/Nikkal si trova invece fra Išøara e Allani,60 a sua volta seguita dalle varie Ištar con Ninatta e Kulitta: così in KUB XXXII 91 Ro II? 14’, e presumibilmente anche in Vo 3’[,61 in KUB XLV 74 Col. sn. 9’,62 in KBo XX 113 I 16’;63 in quest’ultimo testo, in base alla lista di divinità di I 13’ sgg., si potrebbe postulare la presenza di questa dea, con Išøara e Allani, anche nella lacuna finale di II 13’: non c’è qui però spazio sufficiente per tutto questo. Dopo Išøara e prima di alcune Ištar con Ninatta e Kulitta compare Umwuu Nikkal in KBo XXIV 42 III 5’, in contesto purtroppo frammentario.64 Ancora in testi relativi a cerimonie cultuali in cui si rileva un’influenza hurrica è presente Ningal/Nikkal in liste di divinità ordinate differentemente. In KBo XIV 139 (CTH 705), in un elenco di offerte a divinità femminili alquanto lacunoso, in II 11 si trova Umbu Ningal65 dopo ÷epat Šarruma, Daru Dakitum, ÷u[tena ÷utellurra; nella r. 14 è presente Ea, in un passo però molto danneggiato. In IBoT II 26 (CTH 705), un frammento di un rituale celebrato dal re, insieme al quale opera

diversità di questa lista divina da quelle degli altri kaluti ed una certa affinità con le liste di Manuz(z)i(ya). 60 Ciò sarebbe un’ulteriore conferma che Allani è una divinità a sé e non un appellativo di Išøara; cfr. E. Laroche, op. cit., 126 sg. 61 DUmwu DNikkal, CTH 705; v. E. Laroche, op. cit., 122, e Thes. 5, 184 sg., dove u in Ro II? 8’ si deve correggere DDa[ki] DDakidu in ¦D©Da[rru] DDakidu secondo la dizione consueta. In Vo 2’ sgg. compaiono: (2’) D.[ (3’) DÚ-u[m-wuu (4’) DAl-l[a-ni (5’) DIŠTAR DNi[na-at-ta ecc.; si presume che prima di DU[mwuu si trovasse Išøara (cfr. Ro II 13’). 62 Nel passo purtroppo frammentario (rr. 5’-12’) sono rimasti i nomi di Š]arruma (presumibilmente preceduto da ÷epat), D]arru Dakidu, ÷ut]ena ÷utellurra, Išø]ara, Nikkal, All]ani, Nina]tta Kulitta (certo precedute da Ištar), Iš]tar Ninatta (certo seguita da Kulitta). 63 DUmbu DNikkal, CTH 706; in Thes. 5, 180 Nr. 9 si riportano alcuni passi di questo testo. 64 Nelle rr. 3’-9’, assai frammentarie, l’officiante (purtroppo nella parte lacunosa; nelle rr. 11’ e 14’ compare un LÚMU÷ALDIM, ma forse per i precisi compiti ivi indicati) beve stando seduto (per) le divinità su menzionate e spezza per loro un pane SIG. 65 II (10) EGIR-ŠÚ-ma 1 UDU 1 NINDA.KUR .RA ŠA UP[NI (11) [nu] ANA 4 DUmbu DNIN.GAL D[.

197

anche un cantante di ÷urri, in Vo 5’, compare U]mbu Ningal66 dopo E]¦a© Damkina e prima di Išøara ¦A©l[lani], Naparpi ¦Šu©[wala], Ilawa Ašt[api], ZA.BA4.BA4; purtroppo per la lacunosità del testo non conosciamo né le divinità precedenti né le successive. Ningal compare talora anche fra le divinità di Manuz(z)i(ya), importante centro religioso kizzuwatneo.67 Nell’ultima tavoletta della festa (ø)išuwa - festa hurrico-ittita databile secondo la Kammenhuber68 al XIII a.C. - KBo XV 37 (CTH 628), celebrata per il dio della Tempesta di Manuzi e per altre divinità (Ro I 1: UMMA DIŠKUR Manuzi DINGIRMEŠ-ya), in I 63-65 e ancora nella Col. II si dice che il re stando seduto beve (per) una serie di divinità, mentre un cantante canta, e inoltre si specifica che “non c’è (probabilmente nel senso che non si deve usare in questo rito, non nel senso che manca) pane grosso da spezzare”: v. I 65 NINDA.KUR4.RA paršiyauwanzi NU.GÁL (cfr. IBoT II 26 - v. nota 66 - dove però vediamo che questo tipo di pane viene spezzato). In II 9 compare Umbu Ningal69 in posizione abbastanza buona dopo ÷epat mušu-ni (v. nota 50), ÷epat Šarruma, Darru Dakidu, ÷utena ÷utellurra, e prima di L[ilur]i Abati Tiyari di Manuzi, ÷epat, gli dèi padri ecc.; notiamo inoltre Ištar alla r. 21, Išøara alla r. 23, Allani alla r. 25 ecc.; Ningal non compare invece nella lista divina nella Col. IV, a meno che non si trovasse nella lacuna nella r. 24 sg., ma non abbiamo elementi per formulare tale ipotesi. In una tavoletta frammentaria senza numero, scritta su sei colonne, sempre relativa alla festa (h)išuwa, KBo XVII 98 (CTH 628), nella Col. V,70 nella lista di offerte a divinità, dopo il dio della Tempesta di Manuzi che riceve un uccello e tre gallette (r. 5’), troviamo DKušuø (DXXX-uø) D Ma[ti cui si offrono un agnello e cinque gallette (r. 6’), e nella r. 21’ dopo un elenco di divinità maschili e femminili, e prima delle montagne, (5’) [LUGAL-uš KU-aš D(?)U]mbu DNIN.GAL 1 ŠÚ eku¦z©[i] (6’) [LÚNA]R SÌRRU 1 NINDA.KUR4-RA pa[ršiya]: “(5’) [il re stando seduto] bev[e] una volta (per) la dea [U]mbu Ningal, (6’) [il can]tante di ÷urri canta, un pane grosso sp[ezza]”; si compiono queste stesse azioni rituali anche per le altre divinità ivi menzionate; cfr. Thes. 5, 187 Nr. 39; cfr. anche più avanti a proposito di KBo XV 37. 67 Sulle divinità venerate a Manuz(z)i(ya) v. E. Laroche, JCS 2 (1948) 131 sgg. 68 Thes. 5, 173; v. inoltre A. Kammenhuber, Or 40 (1972) 442-445. 69 Questa è la frase che si ripete per ogni divinità: II (9) EGIR-ŠU-ma DUmbu DNIN.GAL KU-aš ekuzi (10) LÚNAR SÌ[RR]U NINDA.KUR .RA NU.GÁL. 4 70 V. v. Haas-G. Wilhelm, op. cit., 265 sg. 66

¦U©RU÷urri

198

dei fiumi, degli dèi di Manuzi ecc. - leggiamo che si offre un uccello e tre gallette a DUmbu DŠarruma. È difficile stabilire se qui Umbu fosse un epiteto di Šarruma o rappresentasse una divinità lunare a sé stante (magari proprio Ningal): non offrono alcun aiuto in un senso o nell’altro né la composizione della lista divina né l’entità o la qualità delle offerte. In KBo XI 5 (CTH 703), uno degli esemplari del rituale di Muwalanni “servo del dio della Tempesta di Manuzziya e di Ištar”,71 nella lista di offerte a divinità maschili (Col. I) e femminili (Col. II) elencate separatamente, in II 12’ si trova DUmbu DNIN.GAL, dopo alcune ÷epat, ¦D©aru Takitum, [÷]utena ÷utelur[a, e prima degli dèi padri, degli dèi delle città, di Aba[t]i Le[lluri della città di Manuzi; quasi alla fine della lista (rr. 20’-22’) compaiono Ištar, Išøar[a, Alla[nni. Nella Col. I dopo alcuni dèi della Tempesta, Ib, Kumarpi, Ea, nella r. 14’ è presente il dio Luna (DXXX) prima di Šigi-na, Aštapi, Nupatik, ecc.72 Una certa analogia con le liste di Manuz(z)i(ya) si riscontra in KUB XXV 46 (CTH 705) dove nella Col. III, in una lista divina purtroppo lacunosa, Umbu Ningal (r. 15’) è menzionata dopo Tarr]u Takidu e prima di L]iluri Abati Tiyar[i, Aya Šimeki, Allani.73 Vi sono inoltre casi un cui Ningal sembra inserita fra divinità maschili, forse come ipostasi del dio della Luna piuttosto che come sua paredra. In KBo XXIII 67,74 - rituale che si riferisce all’àmbito di Teššup (presente più volte nella Col. II) e che contiene parti in lingua hurrica, in III 13 sgg. si compiono azioni rituali (si beve vino e si spezza una galletta) in onore di alcune divinità maschili, in testa alle quali sta Iškur (evidentemente Teššup): dobbiamo però tener presente che la frammentarietà del documento non permette di conoscere le divinità che si trovavano nelle rr. 22 sgg. Fra gli dèi presenti nel testo compare Umwuu Nikkal (r. 16), preceduta e seguita da Iškur (rr. 13, 18: la r. 15 però è lacunosa), dopo il quale è menzionato Šuwaliya[tti (r. 20).75 Come abbiamo detto, è possibile che in questo passo la dea comparisse come V. prefazione a KBo XI Nrr. 2-5. V. le due liste di divinità in Thes. 5, 178 sg. Nr. 3. 73 DUmbu DNIN.GAL; v. Thes. 5, 182 Nr. 17. 74 CTH 704; la Col. II 11’ sgg. è parallela a KBo XIV 138 e a KUB XLV 50 Ro II 3’ sgg. D¦Nik©-kal (17) GEŠTIN ekuzi 1 75 III (16) EGIR-anda-ma U¦m©wu ú NINDA.SIG paršiya KI.MIN; si ripete questa azione rituale per varie divinità. 71

72

199

ipostasi del dio Luna (o come sua replica, se egli si trovava nelle parti lacunose): si deve comunque notare che in II 22’ questo dio (DEN.ZU) è presente. In KUB XXXII 52 (CTH 705),76 un testo frammentario in cui si parla di offerte di uccelli a divinità dell’àmbito hurrico, in Vo? III 5, si legge DUmbu ¦D©[, prima di Kumarbi, Aa, Ašt[abi, Nupatik (r. 6’ sg.); nelle rr. 8’, 10’ compare Teššup. Non sappiamo se il nome divino che stava nella lacuna dopo DUmbu fosse proprio quello di Ningal, come saremmo portati a presumere in base all’accostamento più consueto (v. però KBo XVII 98 V 6’): in tal caso anche qui questa dea, come nel documento precedente, verrebbe a trovarsi fra le divinità maschili, in posizione sembra - di rilievo. Si nota inoltre che in questa colonna - però lacunosa non compare il dio Luna. A proposito della menzione di questa dea in elenchi di divinità maschili, ricordiamo anche due testi di Ugarit, RS 24.254 r. 8 e 24.255 r. 6, di cui parleremo più avanti. Ningal si trova anche in altri testi di carattere religioso legati all’àmbito hurrico, dei quali però possiamo dir poco per la loro frammentarietà. In KUB XXXV 127 (CTH 670) II 7 vediamo che l’officiante “beve” (per) la dea Ningal.77 In KBo XXIV 60 si parla di sacrifici o offerte a divinità di animali, in prevalenza uccelli, accompagnati da termini hurrici; nel Recto?, in un contesto molto lacunoso, si legge alla r. 5 ]DUm¦bu© ¦D©[ (nella lacuna presumibilmente Nikkal: cfr. infatti r. 12’) e alla r. 12’ DUmbu DNik[kal.78 Ningal compare due volte in KUB XLV 27 I 7’ (qui il nome della dea è preceduto da ANA), 8’, un documento estremamente frammentario relativo all’ambiente hurrico (r. 4’: nu øurlili ki-i[š?-ša?-an?), in cui si parla di sacrifici o offerte di animali a divinità (r. 3’: EGI]R-ŠÚ-ma-kan 1 UDU AN[A). In KUB XLV 84 Ro 18’, in un contesto lacunoso e oscuro, si trova ancora Ningal: da notare la presenza di Aleppo alla r. 13’ e di Ebla alla r. 15’ (in Vo rr. 16 e 18 compare ÷atti).

V. V. Haas-G. Wilhelm, op. cit., 252. ] DNIN.GAL ekuzi; Thes. 5, 71. II (6) . . . nu øantez[z]i (7) [palši 78 Inoltre nella r. 13’ sembra si parlasse di qualcosa proveniente “dalla casa del dio della Tempesta a?-]”, forse (r. 14’) “1 pecora (da offrirsi) agli dèi ki-.[ (kel-diya? cfr. r. 11’ e Vo 5’, 6’)”, nella r. 15’ di qualcosa proveniente “dalla casa di ÷epa[t”, presa per gli dèi X (r. 16’ sgg.), menzionati nelle lacune. Per i termini che nel testo accompagnano i nomi degli animali, v. V. Haas-G. Wilhelm, op. cit., 69 sgg. 76

77

200

Di difficile comprensione è anche il testo frammentario KUB XLVII 19, dove è menzionata Ningal alla r. 8’. In KUB X 92 (CTH 706; databile, secondo Thes. 6, 281, al XIII sec.) nella Col. II, purtroppo lacunosa in una lista di offerte a divinità, dopo un particolare dio della Tempesta (DU É SAG.DU), ÷epat, Išøara, alla r. 27’ si legge DXXX DNi-.[ (DNi[kkal?: v. C.-G. von Brandenstein, ZDMG 91 (1937) 566; in Thes. 5, 193: DNi[natta); il dio Luna compare ancora in questo documento, seguito da tracce non chiare di un segno e da lacuna, in V 6, sempre in contesto frammentario, dopo Ea e prima del dio Sole, Ištar ecc. (sul carattere particolare di questa lista v. E. Laroche, JCS 2 [1948] 121). Di particolare interesse mi sembra il frammento KUB XLIX 50, in cui si descrive una consultazione oracolare fatta dall’augure Alantalli.79 Infatti in questo documento, presumibilmente posteriore all’epoca di Muršili II,80 nelle rr. 9’ sgg. si dice che è stato stabilito un giuramento e che esso deve compiersi (r. 9’: ].-ma MAMEDU SIXSÀ-at nu-za MAMEDU KIN-zi[) e si fanno in proposito consultazioni oracolari di vario tipo: è da rilevare che mentre nella r. 12’ si parla di MAMEDU ŠA DINGIRLIM[, successivamente si parla proprio di ŠA DXXX MAMEDU (r. 14’) e nelle rr. 17’ sg. del giuramento di Ningal e del giuramento del dio Luna,81 quindi nella r. 21’ si legge purtroppo soltanto ]kuit MAMEDU Š[A. È questa l’unica attestazione finora pervenutaci di Ningal vicino al dio Luna in rapporto specifico con un giuramento. Come abbiamo osservato all’inizio di questo lavoro, Ningal compare assai raramente nelle liste di divinità di solito invocate a garanzia dei trattati stipulati dagli Ittiti con paesi stranieri, anche se purtroppo non ci Questo augure compare anche in un altro testo oracolare, KUB XXII 65 (CTH 580) II 12, III 28, 33, v. E. Laroche, NH Nr. 25,2, e A. Archi, SMEA 16 (1975) 132. Nelle rr. 3’-7’ del nostro frammento questo augure fa una consultazione - l’oggetto della quale è stato verosimilmente indicato prima (QA[TAMMA-pat) - in base al volo degli uccelli pattarpaløi e maršanašši; non è chiaro l’esito del responso (“(lo) respinsero”) in quanto non sappiamo se si trattasse qui di una “controprova” (cfr. in proposito A. Archi, op. cit., 144 sgg.). 80 V. A. Archi, op. cit., 121. 81 (17’) ]kuit MAMEDU ŠA DNIN.GAL SUMEŠ (18’) -m]a-kan eni MAMEDU ŠA DXX[X (19’) [IGI-z]i SUMEŠ SIG -ru EGIR-[m]a NU.S[IG -du (20’) [ ŠÀ]DIR SIG 5 5 5 EGIR SUMEŠ [ ____________________________________________________________________ 79

201

sono pervenute tutte queste liste, e in maniera completa. Esse sono sempre di grande utilità, sia per la conoscenza della situazione in periodi diversi del pantheon ittita e di quelli dei vari stati contraenti, sia per quanto riguarda l’introduzione di culti esterni in àmbito ittita, l’epoca e l’occasione della loro penetrazione, e l’elemento che ha esercitato una funzione mediatrice a questo scopo.82 I più antichi trattati internazionali utilizzabili in tal senso sono quelli redatti da Šuppiluliuma I. Già nella maggior parte di essi è menzionato il dio Luna come divinità protettrice del giuramento, e con tale funzione è a lui associata Išøara.83 Tuttavia si deve osservare che nel trattato fra Šuppiluliuma I e ÷uqqana e la gente di ÷ayaša (CTH 42) non sono presenti né queste due divinità né la dea Ningal, che invece compare in un frammento forse appartenente a questo stesso trattato, KUB XXVI 39 (CTH 43) IV 17. Nei trattati posteriori a Šuppiluliuma I troviamo ancora menzionati il dio Luna e Išøara, ambedue accompagnati da titoli che indicano una loro relazione con il giuramento, tuttavia questi due dèi non compaiono l’uno accanto all’altro, ma fra loro sono inserite alcune divinità.84 Nel trattato 82 Per esempio, sarebbe stato di particolare interesse per questo studio conoscere le liste di divinità presenti nei trattati stipulati in epoche diverse da sovrani ittiti con Kizzuwatna (CTH 21, 25, 26, 41, 131, 132), soprattutto per quanto riguarda quelli più antichi, per sapere quale fosse in quel tempo la composizione del pantheon ittita e di quello kizzuwatneo. 83 V. nota 2, ed E. Laroche, PRU III, 316; per quanto riguarda il trattato stipulato da Šuppiluliuma I con Šattiwaza di Mittani (CTH 51, 52), si deve rilevare che mentre fra le divinità di parte ittita il dio Luna e Išøara compaiono accanto con la qualifica di signore e regina del giuramento (v. E. Weidner, PD, 30 sg. Vo 46’, e 50 sg. Vo 18’, ed E. Laroche, loc. cit.), fra le divinità di parte mittanica il dio Luna in coppia con il dio Sole, cui segue Sin di ÷arran (v. E. Laroche, RHR 148 [1955] 8 nota 5), si trova subito dopo Teššup, signore del cielo e della terra, mentre Išøara compare senza alcun titolo dopo tutte le divinità, e prima dei monti e fiumi divinizzati, e degli dèi del cielo e della terra in generale (v. in E. Weidner, op. cit., 32 sg. Vo 54’, 58’, e 52-55 Vo 40’, 43’: in quest’ultima riga tra Išøara e i monti e i fiumi divinizzati c’è la divinità Pardaøi del paese di Šu-da). 84 V. i passi riportati in E. Laroche, op. cit., 317. Del trattato fra Muršili II e Niqmepa di Ugarit (CTH 66) ci sono pervenuti alcuni frammenti da Ugarit: tra questi si rileva che in RS 17.351 A Vo 7’ (PRU IV, 95) in un contesto assai lacunoso si trova forse [i]l Sin(?) b[êl(?) mamiti(?), in RS 17.342 Vo 8’ (PRU IV, 94) si legge ]šarr[at(?)] mamit[i(?), in RS 17.04 Vo 1’ (PRU IV, 100) compare l’espressione ilânuMEŠ bêluMEŠ [mamiti, ma non si può stabilire, per la lacunosità del contesto, a chi si riferisse tale espressione. Nella redazione egiziana del trattato fra ÷attušili III e Ramses II, nella r. 29 è presente anche la “signora del giuramento Išøara”; nella stessa riga sono inoltre

202

stipulato fra un sovrano ittita, verosimilmente ÷attušili III, e UlmiTeššup del paese di Tarøuntašša,85 KBo IV 10 (CTH 106), in Ro 56 si trova la dea Ningal, preceduta da alcune Ištar con Ninatta e Kulitta (r. 55) e seguita da un nome divino posto in lacuna e quindi da Sin “signore del giuramento”. Appare strano che in questa lista, dove Sin è presente proprio con le caratteristiche di divinità del giuramento, non compaia anche Išøara con questa particolare funzione, tuttavia nella lacuna dopo Sin e prima di Zababa - in un posto dove si potrebbe ragionevolmente ipotizzare la presenza di questa dea in base alla sua più frequente collocazione nelle liste di altri trattati - sembra invece probabile che si trovasse la divinità di Arušna,86 mentre la lacuna prima di Sin potrebbe contenere soltanto il nome di Išøara (che verrebbe però a trovarsi in una posizione inconsueta rispetto all’ordine di divinità elencate negli altri trattati), ma non qualche sua qualifica indicante una relazione con il giuramento, ciò che invece nei trattati ittiti caratterizza il legame di questa dea con il dio Luna. Purtroppo, non abbiamo elementi sufficienti per attribuire qualche significato alla presenza di Ningal nei trattati su menzionati. Mi sembra interessante osservare che in alcuni testi di Ugarit relativi ad accordi internazionali Ningal, legata a determinati paesi, è invocata fra le divinità garanti dell’atto, probabilmente però non per sue prerogative relative al giuramento, ma in quanto dea protettrice di paesi che avevano forse un particolare rapporto con i contraenti dell’atto o un interesse per il contenuto di questo. In RS 17.340 (PRU IV, 48 sgg.), un accordo fra Šuppiluliuma I di ÷atti e Niqmadu di menzionati, senza ulteriori riferimenti, “gli dèi, signori del giuramento”; non vi compare invece il dio Luna (v. J.A. Wilson, ANET3, 201). Išøara si trova come “signora del giuramento” anche in un trattato stipulato da un sovrano ittita con i Kaskei (CTH 139): v. E. v. Schuler, Kašk., 110 § 7” r. 10 e commento p. 115; non vi si trova invece il dio Luna. Per le ipotesi di datazione di questo testo v. Ph.H.J. Houwink ten Cate, Records, 81, ed E. v. Schuler, op. cit., 113. Anche in KUB XXVI 43 Vo 19 sg. (cfr. XXVI 50 Vo 10 sg.) - una concessione di terre da parte di Tutøaliya IV - si invocano il dio Luna e Išøara come signore e regina del giuramento: v. F. Imparati, RHA 32 (1974) 36 sg. e commento p. 113. 85 Per la datazione di questo testo v. il lavoro cit. nella nota precedente, 137 sgg.; per la lettura ittita del nome del paese di DU-ašša, v. op. cit., 125 nota 218. 86 V. V. Korošec, Akademie znanosti in umetnosti v Ljubljani (1943) 96 nota 5, il quale però preferisce leggere qui D[? ?] URUA-r[i-i]n-na(?); sulla divinità di Arušna v. F. Imparati, SMEA 18 (1977) 26 nota 29a, e A. Ünal, THeth 6 (1978) 45 sg.

203

Ugarit, sono menzionati come garanti dell’atto (Vo 16’-21’) i mille dèi, Adad del cielo, il Sole del cielo, Adad di ÷atti, il Sole di Arinna, ÷epat di Kizzuwatna,87 Ištar di Alalaø, Ningal di Nubanni (r. 20’), Adad del monte ÷azi. Le stesse divinità compaiono anche in RS 17.1 237 Vo 9’-15’ (PRU IV, 63 sgg.),88 un editto emanato da Muršili II per riconfermare a vantaggio di Niqmepa di Ugarit l’accordo precedente. In RS 17.146 (PRU IV, 154 sgg.), un testo probabilmente dell’epoca di Ammistamru II di Ugarit (v. PRU IV, 152), quindi corrispondente a ÷attušili III-Tutøaliya IV, contenente un accordo stipulato da IniTeššup, re di Karkemiš, compaiono a garanzia dell’atto con la designazione di “signori del giuramento” (Vo 48-53) Adad del cielo, il Sole del cielo, Kubaba la signora, signora di Karkemiš, Ningal, signora di Nubanni (r. 51), Ningal, signora di Gur’ati (r. 52). In questi accordi internazionali vediamo quindi menzionate specificatamente - oltre alla totalità degli dèi (i mille dèi) cui si fa riferimento nei primi due testi le divinità principali dei paesi contraenti o di paesi ad essi legati in qualche modo; è da notare che Ningal di Gur’ati è presente soltanto nel terzo documento di epoca più tarda, nel quale è manifesta la posizione di rilievo assunta da Karkemiš.89 È possibile che Adad del cielo e il Sole del cielo si riferissero propriamente ad Ugarit (cfr. anche Ug. V, 48 sg.) e venissero citati per primi perché i documenti in questione erano diretti all’ambiente ugaritico. Appaiono invece menzionati secondo una concezione diversa, basata più sull’affinità fra certi dèi che sui loro rapporti con determinati paesi, il Sole del cielo, Adad(!) di Arinna, Adad del cielo, Adad di ÷atti, in RS 17.227 Vo 49 sgg. e nei suoi duplicati (PRU IV, 40 sgg.: accordo fra Šuppiluliuma I e Niqmadu). Come dunque abbiamo detto, Ningal si trova nei testi sopra indicati non in quanto divinità legata in modo particolare ai giuramenti, ma come dea protettrice di determinati paesi (v. nota 89), infatti in RS 17.146 r. 53 87 Per la presenza qui e nel documento seguente della dea solare di Arinna accanto a ÷epat di Kizzuwatna, v. nota 50. 88 Nella r. 14’ si trova Ningal di Nubanni(?)]. 89 Nubanna/i e Gur’ata/i (presenti anche nei testi di Alalaø IV) facevano allora parte dello stato di Karkemiš: v. M. Liverani, Storia di Ugarit nell’età degli archivi politici, Roma 1962 (= StSem 6), 115 con nota 68, e H. Klengel, Gesch. Syr. I, 253, e III, 82, 88, 106 nota 41, 107 nota 58.

204

l’espressione “signori del giuramento” si riferisce a tutte le divinità menzionate precedentemente. Invece proprio con la funzione specifica di garanti del giuramento compaiono Sin e Išøara in un verdetto di Tutøaliya IV, RS 18.06 + 17.365 Ro 9’ - cfr. anche il frammento parallelo RS 17.459 Vo 4’ - PRU IV, l37-139.90 Ningal è presente anche altrove nella documentazione ugaritica: in una lista di offerte a divinità essa è menzionata vicino a Yariø, dio della Luna dei Semiti occidentali.91 Interessante a tal proposito è la tavoletta RS 5.194,92 dove si narra la celebrazione delle nozze di Nikkal con Yariø, dalla unione dei quali sta per essere generato un figlio, il cui nome rimane sconosciuto e per la cui nascita, probabilmente, si invocano le divinità Ktrt, verosimilmente protettrici delle nascite.93 Questo testo ha dato origine a numerose discussioni, tra le quali ricordiamo la controversia a proposito dell’interpretazione della forma nklwib(d) (nk!(-)w-’ib) nelle rr. 1 e 37, sorta perché nelle rr. 17 sg. ‘ib sembra trovarsi al posto di nkl in un Si potrebbe pure presumere che l’espressione “signori del giuramento” che segue qui i nomi di questi due dèi comprendesse anche le divinità menzionate precedentemente, come abbiamo sopra affermato per RS 17.146 (che inoltre presenta una formulazione diversa), tuttavia, per quanto riguarda RS 18.06 + 17.365, la presenza l’uno accanto all’altra di Sin e Išøara - che in àmbito hurrita o in panthea di paesi che hanno ricevuto un’influenza hurrita compaiono insieme proprio in conseguenza di tale funzione (cfr. nota 2 ed anche note 83 e 84) - e l’assenza di qualsiasi riferimento a qualche paese che ne giustifichi in altro modo la menzione in questo testo, inducono a ritenere che proprio a questi due dèi si legasse l’espressione suddetta. Sembra anche plausibile pensare che Išøara si trovasse accompagnata da una qualifica che la legava al giuramento in RS 19.101 Vo 6’ (v. PRU, 287 sg., dove J. Nougayrol propone di legare questo testo a RS 17.04, su cui v. sopra nota 84), nonostante la lacunosità del contesto in cui essa compare. 91 UT 3 r. 26, da completarsi con il parallelo 173 r. 28; v. A. Herdner, Syria 33 (1956) 104-112, e CTA 35, 118 sgg., e 136 sgg. 92 CTA 24, 101 sgg., UT 77: per i numerosi studi relativi a questo documento, proveniente dagli scavi del 1933, scritto in lingua ugaritica e in grafia cuneiforme alfabetica, v. la bibliografia in CTA, loc. cit.; apud W. Herrmann, Yariø und Nikkal und der Preis der Kutarât-Göttinen, Berlin 1968, IX sg.; in Textes Ougaritiques I - Mythes et Légendes, a cura di A. Caquot, M. Sznycer e A. Herdner, Paris 1974, 389. 93 I. Engnell, Studies in Divine Kingship in the Ancient Near East, Uppsala 1943, 132-134, considera questo testo come una introduzione alla ierogamia: v. su ciò W. Herrmann, op. cit., 45 nota 87; in questa pagina si discute anche l’ipotesi un tempo avanzata da E. Meyer (ivi cit. a nota 89) che Ningal fosse penetrata in Siria sulla strada della magia. 90

205

parallelismo poetico, e inoltre per il confronto con il nome divino ‘ibnkl (‘ib(-)nkl) che compare in un testo religioso in lingua hurrica sempre proveniente da Ras Shamra.94 Si è così postulata anche un’origine hurrica del termine ‘ib ed una trasmissione del mito suddetto da parte dei Hurriti.95 È stata ricordata come confronto anche l’espressione (D)Umbu D Nikkal spesso presente nei testi di Boˆazköy,96 ed è stata inoltre proposta una comparazione col nome di persona bn nkl, di cui parleremo più avanti. In alcune liste di nomi divini - rinvenute in periodi e luoghi diversi durante gli scavi di Schaeffer - più o meno frammentarie tranne una, RS 20.121, riconosciute tutte di uno stesso tipo97 e raccolte dal Nougayrol (loc. cit.) nella lista An, la dea Ningal è menzionata (An r. 13) subito dopo il dio Luna designato come Nanna, Suen, En.sin (An rr. 10-12), su cui v. J. Nougayrol, op. cit., 224, e cfr. anche p. 50. Dopo una lunga serie di divinità in An r. 167 compare la dea Išøara. È interessante rilevare che questa lista appare ispirata ad una tradizione mesopotamica e si presenta disposta secondo un ordine tipicamente babilonese (v. J. Nougayrol, op. cit., 42 e 210 sgg.). Appare invece composta diversamente la lista in RS 20.24, designata dal Nougayrol, op. cit., 42 sgg., col sottotitolo di “Pantheon di Ugarit”, in cui appunto le divinità mesopotamiche sono elencate secondo una gerarchia conforme alla religione ugaritica.98 Vi si nota l’assenza della dea UT 4 rr. 47, 48; CTA 166, 255 sgg.; v. la bibliografia qui cit.; v. inoltre in particolare lo studio di C.-G. von Brandenstein, ZDMG 91 (1937) 555 sgg. La proposta di dividere il nome divino ‘ibnkl in ‘ib-nkl e di riconoscervi il nome della dea Nikkal fu avanzata da H.L. Ginsberg (Or 8 [1939] 317-327, e 9 [1940] 228 sg.) e contestata da A. Goetze (Or 9 [1940] 223-228, e JBL 60 [1941] 353-374); comunque oggi è per lo più accettata l’ipotesi di suddividere questo nome divino ed anche la forma nklwib(d), e di riconoscervi la presenza del nome di Nikkal: per tutta questa controversia v. W. Herrmann, op. cit., 2 sg.; v. anche E. Laroche, Ug. V, 518 nota 2, e 534 e 537. 95 V. in W. Herrmann, loc. cit. 96 V. la discussione presso C.-G. von Brandenstein, op. cit., 565 sg., e H.L. Ginsberg, Or 8 (1939) 322 sg. con nota 4, e 9 (1940) 228 sg. 97 V. per ultimo J. Nougayrol, Ug. V, 211-230, e la bibliografia precedente a p. 211 sg. 98 Osserva il Nougayrol (op. cit., 43 e 44 con nota 1) che questo testo costituisce piuttosto un documento della religione pratica che un testo “teologico”; le divinità vi compaiono disposte in due file guidate l’una dal dio supremo del luogo e l’altra dalla sua paredra, mentre vi si trovano alla fine oggetti cultuali divinizzati o divinità minori; il Nougayrol avanza l’ipotesi che si trattasse di un “ordine di sfilata” - reale o figurato - di immagini e simboli divini. 94

206

Ningal, mentre vi è menzionato il dio Sin (r. 13), tuttavia il Nougayrol (op. cit., 61) - considerando questo testo come un “ordine di sfilata” (v. nota 98) - non esclude che nel corteo di statue e di simboli il dio Luna fosse accompagnato da Ningal.99 Questa dea non si trova neppure in altri testi mitologici o liturgici (Ug. V, Cap. III), dove sono elencate divinità di Ugarit, fra le quali il dio Luna. Essa è invece menzionata spesso nei documenti hurrici di Ugarit, e soprattutto in quelli in cuneiforme alfabetico. Nella tavoletta in cuneiforme sillabico RS 15.30 + 49 + 17.387 Ro-Vo 3b, 4a si legge nika-la, in cui il Laroche riconosce il nome della dea Nikkal.100 Fra i testi in cuneiforme alfabetico sempre in lingua hurrica, pubblicati dal Laroche in Ug. V, 497 sgg., Nikkal (nkl) compare in RS 24.261 r. 22 (op. cit., 499 sgg.) dopo Išøara, Allani e prima di Ninatta e Kulitta (quindi nella posizione che questa dea ha di solito nei kaluti kizzuwatnei), e in RS 24.295 r. 12 (op. cit., 508 sg.) dopo Ninatta, Kulitta e Daqit (e prima di una lacuna, cui segue la menzione di oggetti divini), in una lista di divinità femminili introdotta da ÷epat, posta dopo una lista di divinità maschili, dove tra Kumarbi ed Ea compare il dio lunare Kušuø. Nikkal si trova inoltre in un elenco di divinità maschili in RS 24.254 r. 8 (op. cit., 507 sg.) - dove però è presente anche la dea ‘Anat (r. 7) - e compare ancora dopo divinità maschili e prima di una lacuna in RS 24.255 r. 6 (op. cit., 509), dove nella r. 5, ma non accanto a Nikkal, è presente Kušuø, il quale si trova di nuovo nella r. 10 fra Kumarbi ed Ea, in una lista di divinità maschili, che ne precede una di divinità femminili, dove non sappiamo, per la presenza di lacune nel testo, se comparisse ancora Nikkal (cfr. quanto abbiamo osservato precedentemente a proposito della menzione di questa dea fra divinità maschili in KBo XXIII 67 III 16, e forse in KUB XXXII 52 Vo? III 5’). In CTA 166 - un testo dove si trovano numerose divinità maschili e femminili di varia origine, per le quali sfugge il criterio che ne ha regolato la disposizione, sostanzialmente diversa da quella dei kaluti anatolici -

99

Sulla dea Išøara, presente nella r. 23, v. J. Nougayrol, op. cit., 56. PRU III, 334, e Ug. V, 463 sg. e 487.

100

207

nelle rr. 47, 48 compare il nome divino ‘ibnkl, in cui molto verosimilmente è contenuto il nome di Nikkal (v. nota 94).101 La dea Ningal/Nikkal è presente anche nell’onomastica ittita in epoche diverse.102 Infatti, oltre che nei nomi più famosi delle due regine del Medio Regno, Nikalmati (E. Laroche, NH Nr. 875) e Ašmunikal (NH Nr. 174), si ritrova nel nome di un’altra regina, Malnigal (NH Nr. 730), sulla cui identificazione sono state formulate diverse ipotesi.103 Esiste anche il nome di una principessa ittita, Eøli-nikkal (NH Nr. 227), noto dalla documentazione di Ugarit, di cui parleremo più avanti. Questa dea è menzionata inoltre nel nome di un’autrice di un rituale contenente uno scongiuro contro i nemici del re (KUB VII 61 [CTH 417] I 1),104 NIN.GAL-uzzi (NH Nr. 876), sposa di Kaššu, personaggio dell’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV, e nel nome di genere maschile Ašnunigalli (NH Nr. 175), un autore di un rituale per ÷epat riguardante la restaurazione di un tempio, KUB IX 2 (CTH 702) I 1. Per quanto riguarda l’àmbito nord-siriano, nei testi di Ugarit sono presenti antroponimi composti col nome di questa dea.105 Sono

Il Laroche, op. cit., 518 sgg., oltre ai documenti su menzionati e ad altri da lui esaminati insieme, si basa anche su CTA 166 per tracciare un quadro del pantheon hurrico di Ugarit, e a tale scopo ricorre pure ad un confronto continuo col pantheon semitico di questa città (come risulta da RS 20.24) e col pantheon hurrico dell’Anatolia. Egli, op. cit., 526 sg., illustra il processo di ampliamento e di sistemazione del pantheon originario dei Hurriti nelle varie zone della loro diffusione dallo Zagros al Mediterraneo, in conseguenza del loro incontro con grandi centri di culto organizzati. Per quanto riguarda le zone della loro espansione nord-occidentale, egli vi riconosce un pantheon hurrico composito, ma con molti elementi comuni, per la formazione del quale egli individua uno sviluppo abbozzato in Siria e culminante in Kizzuwatna, sotto l’influenza di un sostrato religioso ittita. 102 V. E. Laroche, NH, 349, e inoltre, per gli elementi che si presentano legati a Ningal/Nikkal nell’onomastica ittita, v. le liste di suffissi e di radicali propri della antroponimia ittita a pp. 333 e 351 sg. 103 Su queste regine v. per ultima S.R. Bin-Nun, Tawannanna, pagg. citt. nell’ Indice, 351, 356, 357; a p. 170 la Bin-Nun propone di riconoscere in Malnigal la sposa di Urøi-Teššup, divenuta regina dopo la deposizione di Danuøepa. 104 V. anche P. Meriggi, WZKM 58 (1962) 102. L’autrice di questo rituale vi è designata col titolo di urriya[nni, attestato finora soltanto al maschile. 105 V. D.F. Kinlaw, A study of the personal names in the akkadian texts from Ugarit, Michigan 1967, 109 e 309 sg., e F. Gröndahl, Die Personennamen der Texte aus Ugarit, Roma 1967, 79, 166, 213 e 242. 101

208

attestati il nome maschile Abdinikal (‘bdnkl),106 in documenti di epoche diverse (Šuppiluliuma I, ÷attušili III-Tutøaliya IV, Arnuwanda III-Šuppiluliuma II) e riferito a persone presumibilmente appartenenti a ceti sociali diversi (un muškenu di un istruttore, o testimoni in atti giuridici anche internazionali);107 il nome femminile Eøli-nikkalu,108 portato dalla figlia di un re ittita, sposa di Tanøuwatašša re di ÷abišše, figlio di ‘Ammurapi(?) re di Ugarit (epoca, quindi, di Šuppiluliuma II);109 il nome femminile Anani-NIN.GAL110 (RS 19.80 r. 3, PRU VI, 2 sgg.), portato dall’autrice di una lettera indirizzata ad un’altra donna: pur non conoscendo l’identità di nessuna delle due corrispondenti, si presume che fossero di rango elevato (v. PRU VI, 1). Incerta perché in contesto danneggiato è la lettura del nome maschile Abinikal, menzionato in RS 17.358 r. 10’[ (PRU VI, 40) fra alcuni testimoni in un atto giuridico (epoca di Ammistamru II, PRU VI, 40 nota 2), e in RS 17.242 r. ¦9© (PRU VI, 80) in una lista di persone senza alcuna specificazione. La dea Nikkal è presente anche nel nome bn nkl, per il quale sono state proposte diverse interpretazioni;111 v. inoltre il nome di bn nklb.112 Su questo nome e sull’elemento ‘abdu, ‘bd (nei nomi cuneiformi scritto di solito ideograficamente ARAD) “schiavo, servo”, v. D.F. Kinlaw, op. cit., 11 e 240, 253, e F. Gröndhal, op. cit., 317, 375 e 67, 104. 107 RS 16.140 rr. 5, 12, 14 (PRU III, 45 sg.), epoca di Niqmadu II/Šuppiluliuma I; 16.257 + 16.258 + 16.126 III ]36 (PRU III, 202, v. anche 199), epoca di Ammištamru II/÷attušili III-Tutøaliya IV; 17.149 r. 31 (Ug. V, 9 sg., v. anche 1), epoca di Ammistamru II/÷attušili III-Tutøaliya IV; 18.02 Ro 9 (PRU IV, 201), epoca di Niqmadu III/Arnuwanda III-Šuppiluliuma II; 16.354 r. 12 (PRU III, 38); ‘bdnkl: C.H. Gordon, UM 11 321 II 43. 108 Sull’elemento ritenuto hurrico a/eøl (ideogr. KAR) “salvatore, liberatore”, v. D.F. Kinlaw, op. cit., 142, 146, 152 sg., 166; F. Gröndahl, op. cit., 210, 214; E. Laroche, Ug. V, 456 sg. 109 RS 17.226 Ro ]3, 6 (PRU IV, 208), 17.355 Ro 2[, 13, 15[, 19 (PRU IV, 209 sg.). V. inoltre D.F. Kinlaw, op. cit., 50, e F. Gröndahl, op. cit., 324. 110 V. F. Gröndahl, op. cit., 321. Sull’elemento anan(i) - forse di origine hurrica per la sua frequente composizione con elementi hurrici - attestato varie volte ad Ugarit e ad Alalaø (AT, 127 sg.), presente anche a Boˆazköy (NH Nr. 64 e p. 294) e non documentato a Nuzi, v. F. Gröndahl, op. cit., 217 sg., e F. Kinlaw, op. cit., 156. 111 V. F. Thureau-Dangin, RA 37 (1940) 110 con nota 9; C.H. Gordon, UM II 321 I 40, ed anche UM III Nr. 1242; v. inoltre F. Gröndahl, op. cit., 402 e 166. 112 V. UM II 301 Vo IV 20, RS 13.12 Vo 16 (PRU II, 95), e cfr. UM III Nr. 1243; v. inoltre F. Gröndahl, op. cit., pp. indicate a p. 402. 106

209

Esiste pure un nome maschile Niqala, attestato in RS 16.257 III 42 (PRU III, 202), considerato però come “un nome di calendario” che allude all’epoca della nascita;113 allo stesso modo viene inteso il nome bn nqly114 (cfr. più avanti per Alalaø). Il nome della dea Nikkal compare anche nell’onomastica di Alalaø già nei secoli XVIII-XVII a.C., poiché è presente nel nome femminile Nikkul-mati, menzionato in una lista di donne nella tavoletta del VII livello AT 178 r. 23.115 Nella tavoletta del IV livello AT 298, 90, contenente una lista di cento donne, in I 15 si trova il nome femminile Niqalu, in cui alcuni studiosi hanno riconosciuto il nome della dea Nikkal,116 e nella tavoletta sempre del IV livello AT 174, 70, in una lista di censo, alla r. 10 compare il nome personale Niqala - senza il determinativo del sesso - ritenuto però da altri studiosi come un “nome di calendario” (cfr. sopra per Ugarit, e nota 112). Si deve invece notare che la dea Ningal/Nikkal non compare fra le divinità venerate ad Alalalaø: v. AT, 16 sg. Concludendo, l’esistenza di un culto di questa dea ad Ugarit (dove era presente anche il ricordo della tradizione mesopotamica che legava il dio Luna a Ningal)117 e in Kizzuwatna (secondo quanto si può dedurre dalla documentazione ittita), l’attestazione del suo nome nell’onomastica di Alalaø già fin dal VII livello,118 e inoltre la sua assenza nella

V. D.F. Kinlaw, op. cit., 87, e F. Gröndahl, op. cit., 30 con nota 83, 168, e 345. V. UM II 400 VI 25, RS 19.174 r. 8[ (PRU V, 34); v. F. Gröndahl, op. cit., 403, e UM III Nrr. 1281 e 1282. 115 V. AT, 71, 121, 143; v. anche 9, dove si rileva la forte presenza di una componente hurrica nella popolazione di Alalaø già nel XVIII sec. a.C. 116 V. A. Goetze, JCS 13 (1959) 100, ed anche E. Laroche, RHA 27 (1969) 95. Questa tavoletta è stata pubblicata in traslitterazione da D.J. Wiseman, JCS 13 (1959) 53 sg. 117 V. la lista di offerte a divinità cit. in nota 91; la lista An di nomi divini cit. in nota 97; l’inno in cui si celebrano le nozze di Ningal con Yariø cit. in nota 92. Sul fatto che questa dea non compaia nel pantheon ufficiale di Ugarit, v. l’opinione di J. Nougayrol, sopra ricordata a proposito di RS 20.24. Può essere inoltre di qualche interesse osservare che in RS 17.376 + 377 r. 19 sg. (PRU VI, 25 sg. Nr. 23) si parla di un tempio di DN[in (r. 20): per questa ipotesi di lettura cfr. op. cit., 26 nota 1. 118 Nell’onomastica ugaritica, come abbiamo visto, questa dea è attestata dall’epoca di Šuppiluliuma I in poi. Essa non sembra invece presente nella documentazione di Ebla. 113

114

210

documentazione cappadocica,119 convalida l’ipotesi che gli Ittiti ne avessero ricevuto il culto tramite i Hurriti, i quali lo avevano diffuso nel corso della loro espansione occidentale.120 Secondo la documentazione ittita fin qui presa in esame, la presenza di Ningal in coppia con Sin già all’epoca del Medio Regno, per lo più nell’ àmbito di elementi culturali di matrice babilonese, risulta anteriore a quel contatto più intenso degli Ittiti col mondo mesopotamico verificatosi all’epoca di Šuppiluliuma I, mediante rapporti diretti per l’influenza della regina di origine babilonese Tawannanna, e indiretti per l’intensificarsi delle relazioni ittite con l’area nord-siriana. Inoltre, la testimonianza nel culto di Ningal di influenze hurriche propriamente legate all’àmbito kizzuwatneo già nel Medio Regno (v. infatti il rituale celebrato per lei: KUB XLV 47 e duplicato), e che permangono nei periodi successivi, giustifica, a mio avviso, la possibilità che fossero stati i Hurriti di Kizzuwatna a introdurre il culto di questa dea presso gli Ittiti.121 Tale ipotesi mi sembra trovare un sostegno anche nell’identificazione, a cui già abbiamo accennato, del Kantuzzili principe del Medio Regno, autore della famosa preghiera nella quale si riscontrano influenze babilonesi e sacerdote proprio in Kizzuwatna, col LÚSANGA figlio del re che opera nella cerimonia cultuale suddetta (v. a proposito di KUB XLV 47, e nota 26). E come attestazione in epoca più tarda del culto di Ningal in coppia con Sin in àmbito kizzuwatneo - probabile mantenimento di una tradizione più antica - ricordiamo, insieme all’invocazione a questi V. H. Hirsch, Untersuch. zur altassyr. Religion, Berlin-Graz-Horn 1972 (= AfO Beih. 13/14), dove si tiene conto anche del lavoro di F.J. Stephens, PNC. Non parleremo - poiché ciò esula dall’argomento di questa trattazione - delle attestazioni del nome di questa dea nell’onomastica antico-babilonese (v. H. Ranke, EBPN, 76, 183, 196, 204), in quella del periodo cassita (v. A.T. Clay, PNCP, 113), e nell’onomastica assira (v. K.L. Tallqvist, APN, 173 e 258 sg.). 120 Il nome di questa dea non sembra attestato a Nuzi: v. E.A. Speiser, AASOR 16 (1936) 97-101; I.J. Gelb, P.M. Purves, A.A. Mac Rae, NPN; E. Cassin-J.J. Glasmer, AAN. Sulla possibilità di considerare la seconda parte del nome femminile ÷ašipDningal come “a defective ideographic writing” di bêlt-êkalli; v. NPN, 239, ed anche 57 sg. e 244; cfr. inoltre AAN, 54. Sulla presenza dell’elemento ump nell’onomastica di Nuzi, v. NPN, 271 sg.; cfr. anche AAN, 156. La presenza di questa dea non si riscontra neppure a Mari: v. G. Dossin, Studia Mariana 1 (1950) (= DMOA 4), 41 sgg.; C.F. Jean, Studia Mariana 1, 63 sgg.; ARM XV, 140 sgg. 121 V. in proposito le conclusioni del mio articolo cit. in nota 24, con note 46-48. 119

211

due dèi nel cosiddetto “voto di Puduøepa”, anche la presenza di Ningal (D[N]ikalu, con il vocalismo hurrico) nel corteo di divinità femminili di Yaz½l½kaya, verosimilmente come paredra del dio Luna che si trova nel corteo di divinità maschili.122 Mi pare quindi probabile che i Hurriti di Kizzuwatna avessero fatto da tramite fra la zona nord-siriana e il paese di ÷atti nell’introdurre qui il culto di questa divinità. È del resto nota l’esistenza di rapporti fra Kizzuwatna e la Siria settentrionale già agli inizi del XV sec. a.C. (v. il trattato fra Idrimi di Alalaø e Pilliya di Kizzuwatna),123 e ad un’epoca ancora più antica risalgono le testimonianze di relazioni fra Kizzuwatna e ÷atti.124

122 V. E. Laroche, RHA 27 (1969) 95 Nr. 54, e 73 Nr. 35, e 106; V. Haas-M. Wäfler, OA 13 (1974) 220 sg. 123 Da notare in questo trattato l’invocazione finale agli dèi Iškur, Utu, Išøara e a tutti gli dèi di distruggere chiunque trasgredirà le parole di questo documento. 124 V. in primo luogo i trattati stipulati fra gli Ittiti e Kizzuwatna: CTH 21, 25, 26; cfr. anche la comunicazione tenuta da Ph.H.J. Houwink ten Cate a Parigi nel Luglio 1977, in occasione della XXIV R.A.I.

212

XI.

ASPECTS DE L’ORGANISATION DE L’ÉTAT HITTITE DANS LES DOCUMENTS JURIDIQUES ET ADMINISTRATIFS*

Dans le cadre du débat qui est toujours en cours sur la définition des structures, pas seulement politiques, mais aussi sociales et économiques, des états du Proche-Orient ancien, les spécialistes qui désirent fournir un tableau de l’organisation du royaume hittite se sont principalement basés sur un groupe d’articles du recueil de Lois. Ces articles règlent le régime de certains types de terres ou parlent d’obligations de quelques catégories d’individus par rapport à l’État et de plusieurs cas d’exemption. D’autres documents ont également été pris en considération: ce sont surtout textes à caractère, comme des actes de donation de terres, des concessions d’immunité, des instructions à de précises catégories d’individus et des passages tirés de textes différents, par exemple des édits promulgués par des souverains dans des circonstances particulières. Tous ces documents peuvent compléter et permettre quelquefois de mieux comprendre le contenu des articles des Lois. Comme on le sait, le recueil des Lois hittites - conformément, du reste, aux différents textes de Lois de l’antiquité - fournit des normes relatives à des faits et à des controverses particulières et rassemble des jugements prononcés par la cour de justice du roi.1 En outre, les quelques paragraphes pouvant offrir une indication quelconque sur la structure économique et sociale du royaume hittite touchent au domaine du droit public. En effet, la documentation hittite relative à des problèmes relevant de la sphère du droit privé est extrêmement rare. Cela est dû probablement à ce que, dans ce domaine, on suivait des règles coutumières, même s’il est permis de supposer qu’une monarchie Texte d’une conférence tenue le 29 février 1980 auprès de l’Institut d’Histoire des Droits Privés de l’Antiquité de l’Université de Droit, d’Économie et de Sciences Sociales de Paris, sur l’invitation du Prof. G. Cardascia, auquel je désire exprimer mes plus vifs remerciements. 1 V. F. Imparati, Leggi, 3 sq. et notes correspondantes. *

213

centralisée comme celle des Hittites ait exercé une forme d’ingérence ou de contrôle sur ce secteur aussi. On a surtout examiné les types d’articles suivants: 1) ceux qui traitent de cas d’attribution de terres par le Palais ou par des communautés locales à des catégories d’individus en échange de l’accomplissement de certaines obligations; 2) ceux où l’on parle de terres ou attribuées à quelqu’un en dotation, ou reçues en don du roi, ou acquises. En ce qui concerne les terres attribuées par le Palais, on prévoit le cas où l’assignataire est un homme de l’ILKU, tenu à fournir en échange la prestation du šaøøan (§§ 40-41). Sur la base de l’interprétation la plus fréquente du terme ILKU comme “fief”, surtout d’après la documentation akkadienne, l’homme de l’ILKU hittite, lui aussi, a été interprété généralement comme l’ “homme du fief”. Dans la documentation hittite, l’homme de l’ILKU n’apparaît que très rarement: 1) dans les Lois, §§ 40-41 et leurs parallèles §§ XXXXXXI, et § 55; 2) dans un décret promulgué par Tutøaliya IV, relatif à l’attribution d’une partie du patrimoine d’un personnage de haut rang, nommé Šaøurunuwa - ainsi que des charges et des privilèges liés à ce patrimoine - à ses petits-enfants, fils d’une fille (KUB XXVI 43 Vo 14).2 De tous ces documents on peut voir que l’homme de l’ILKU dépend directement du Palais. Comme nous l’avons déjà dit, les §§ 40 et 41 des Lois nous apprennent qu’on lui attribuait des terres du Palais en échange de la prestation du šaøøan. Ces terres ne pouvaient être vendues; en cas de refus de la part des assignataires de préter le šaøøan, elles retournaient au Palais (v. § 41 l. 46 sq.). Cela semble également confirmé par le § 39 l. 36, où l’on parle de champs sujets au šaøøan, sans que, toutefois, l’homme de l’ILKU soit nommé. On peut présumer que la détention de ces champs n’était pas transmissible héréditairement, même si les documents qui nous sont parvenus ne nous renseignent pas directement à ce sujet. En effet, il semble plausible que, dans tous ces cas, les terres constituaient pour ces employés du Palais une forme de rétribution dont nous ne connaissons pas l’entité exacte, puisque nous ne savons pas la superficie des terres attribuées. 2

CTH 225: v. Šaøur. (1974) 34 sq., III sq.

214

Dans le § 55, on lit que ces hommes de l’ILKU3 se plaignent parce qu’on n’a pas établi de salaire pour eux et qu’ils ne sont pas appréciés, précisément parce qu’ils sont “hommes de l’ILKU”, ce qui montre qu’ils n’appartenaient pas à un rang élevé.4 On établit alors qu’ils seront traités de la même façon que leurs compagnons, c’est-à-dire probablement comme ceux qui avaient des attributions analogues et appartenaient au même rang. Dans le passage ci-dessus du texte relatif à l’attribution des biens de Šaøurunuwa à ses héritiers, on conclut, après avoir spécifié les différentes exemptions qui leur sont concédées, que l’homme de l’ELKU ne doit pas s’approcher du patrimoine en question (v. p. 225), probablement pour demander l’exécution de taches dont on a concédé l’exemption. En effet, avant, on a parlé aussi de l’exemption des obligations ELKU. Il s’agirait donc ici, semble-t-il, d’une personne chargée par le pouvoir central, parmi d’autres choses, de faire respecter certaines obligations.5 Comme nous l’avons déjà dit, les documents hittites publiés jusqu’à présent ne fournissent pas d’autres témoignages de l’homme de l’ILKU/ELKU. Au contraire, on parle de l’ELKU comme désignation d’une obligation, non pas dans le recueil de Lois, mais dans deux documents où le souverain hittite exempte de différentes charges une institution cultuelle et le patrimoine d’un haut dignitaire. Il s’agit en l’occurrence d’un acte stipulé par ÷attušili III en faveur du pic rocheux de Pirwa6 et du document déjà cité dont bénéficient les héritiers de Šaøurunuwa.7 Dans ces deux textes, outre la dispense des obligations 3 Ici, ils sont appelés aussi “fils de ÷atti”; toutefois, on ne peut pas, naturellement, penser qu’ainsi on ait voulu indiquer tous les habitants de ÷atti: il s’agissait, peut-être, de ceux qui exerçaient des fonctions en milieu palatin, dans la capitale; cfr. les “fils du Palais”. 4 Contrairement à ce que moi aussi, comme d’autres, j’avais pensé. 5 Sur la proposition de V. Korošec d’interpréter ici “der Lehesmann vom Tore”, v. Šaøur., III sq. et en outre 55 sq. V. aussi l’interprétation de G. Kestemont, OA 17 (1978) 19 avec note 15 (sur ma lecture et intégration de KUB XXVI 43 Vo 13 sq., v. Šaøur., 34 sq. et 109 sq.; pour une interprétation probable de KUB XXVI 58 Ro 8, v. A. Goetze, NBr., 55 note 1, et pour l’obligation éventuelle de fournir des troupes auxiliaires, cfr. KBo VI 29 III 25, NBr., 50 sq.). 6 KBo VI 28 (CTH 88) Vo 24: v. SMEA 18 (1977) 39 sqq. 7 KUB XXVI 43 Vo 12, et peut-être aussi [13] et Ro [19]: v. Šaøur., 54 sq. et 110. On pourrait présumer, par analogie, que l’ELKU était sous-entendu aussi dans KUB XXVI 58 (CTH 224: v. A. Goetze, NBr., 54 sq., et Šaøur., 106 sqq. et 152 sq.) Ro 9, un

215

désignées comme šaøøan, luzzi et d’autres, on parle de l’exemption de l’ELKU, dû à deux hauts dignitaires représentant le pouvoir central et à la plus importante autorité locale (v. p. 227 sqq.). Le contexte de ces documents ne permet pas de voir clairement en quoi consistait cette dernière obligation et - en postulant la présence du terme ELKU également dans la lacune en KUB XXVI 43 Vo 13,8 à la fin du paragraphe - s’il pouvait s’agir d’une désignation assez large comprenant les différentes charges énumérées avant. Cela semble probable pour le passage précédemment cité, KBo VI 28 Vo 22-27, où l’obligation ELKU due à ces mêmes dignitaires représentant le pouvoir central et les communautés locales pourrait résumer les obligations précédentes, tandis qu’ensuite on parlerait des obligations militaires qui ne concernent que le pouvoir central.9 Si nous examinons de nouveau le texte des Lois, nous voyons que dans les paragraphes déjà indiqués 40 et 41, on considère la possibilité qu’un homme de l’ILKU et un homme de l’instrument,10 LÚ GIŠTUKUL, soient associés pour cultiver les terres attribuées par le Palais ou par les communautés locales en échange de l’exécution de certaines obligations. Dans le cas de la disparition de l’un des deux associés - disparition due, à mon avis, comme je l’ai expliqué ailleurs, à la mort de celui-ci11 acte rédigé par ÷attušili III en faveur d’un personnage nommé GAL-DIM. Dans ces trois documents, ainsi que dans KBo VI 29 (CTH 85: v. A. Goetze, loc. cit., et Šaøur., 106 sqq. et 155 sqq.), un autre décret, toujours de ÷attušili III, en faveur du patrimoine d’Ištar de Šamuøa, on remarque une forte analogie dans le formulaire de l’exemption (v. Šaøur., 21 sq. et 169 avec note 81), même si, comme je l’ai expliqué ailleurs (Šaøur., 148-170), je ne pense pas que ces actes, et d’autres aussi où l’on concède des exemptions, doivent être considérés comme un genre spécifique de documents. À ce point, il me semble utile d’observer que KUB XXVI 43 a été rédigé par Tutøaliya IV, mais en accord avec ce qui avait été décrété précédemment par Muwatalli et confirmé ensuite par ÷attušili III, auquel est dû l’actuel formulaire de l’exemption: v. également plus loin p. 227. 8 V. à ce sujet Šaøur., 110. 9 V. SMEA 18 (1977) 40 sqq. 10 Sur la base des motivations de F. Sommer, HAB, 120-134, cette interprétation de l’expression LÚ GIŠKU/TUKUL me semble plus convaincante que celle de “homme d’armes/soldat”. 11 Le verbe interprété dans ce contexte comme “disparaître” est øark-, qui signifie littéralement “être perdu, détruit, périr, abandonner”. Les spécialistes ont exprimé des avis différents sur le motif de la disparition de l’un des deux associés. Selon moi, il est plausible d’interpréter ici le verbe øark- comme “mourir”, en comparaison avec le §

216

l’autre associé peut obtenir la part de terre de l’associé disparu, en s’engageant toutefois à assumer aussi les charges qu’une telle assignation comporte. L’engagement pris et la successive attribution de la terre doivent naturellement avoir un caractère légal, c’est pourquoi le nouvel assignataire des champs de l’associé disparu doit déclarer (littéralement: “dire”) qu’il reconnaît les deux types d’obligations qu’il assume, en récitant une formule préétablie, la même dans les deux cas, quoique l’associé qui est resté appartienne à une catégorie sociale différente de celle de l’associé disparu. En effet, la formule contient les deux obligations. C’est justement cette déclaration qui à un caractère légal, en accord avec l’usage des Hittites de légaliser tout acte en le rendant public. Après quoi, “il (= le nouvel assignataire) se procure sous le sceau” c’est-à-dire qu’on lui attribue légalement - les champs de l’associé disparu. Celui qui est resté a la faculté de refuser l’obligation que l’associé disparu devait (ou qui était liée à la terre attribuée à celui-ci), mais, en conséquence, il perd aussi l’assignation de la terre. Alors, en ce qui concerne les champs tenus par l’homme de l’instrument disparu, ils sont déclarés12 “vacants” ou “incultes”.13 Ils sont alors travaillés par les “hommes de la ville ou du village”, c’est-à-dire probablement par la communauté locale, ou bien ils peuvent être attribués à un “prisonnier civil/déporté” (NAM.RA) donné par le roi, et celui-ci, par conséquent, devient “homme de l’instrument”. En ce qui concerne, au contraire, les terres tenues en usufruit par l’homme de l’ILKU disparu, elles retournent au Palais et le šaøøan cesse. La situation considérée dans le § 40 présente des analogies avec un passage des “instructions pour le seigneur du poste de garde” (KUB XXXVII du texte parallèle, où à la l. 16 se trouve la forme verbale øarakzi, à laquelle s’oppose à la l. 18 le participe TI-anza “(est) vivant” (opposition qui est ici mise en relief par l’enclitique -ma: v. Leggi, 57 § 40 note 2 et 113 § XXXVII note 1). Dans le § 40 l. 40 on utilise le participe du même verbe pour désigner ces champs de l’homme de l’instrument qui sont déclarés “vacants” ou “incultes”: øarkantan, accus. sing. ayant une valeur de collectif; cfr. aussi le § XXXIII l. 54, qu’on considère généralement comme le parallèle du § 39, même s’il ne me semble pas qu’il y ait les éléments pour confirmer cela; v. en outre la note 14. 12 Littéralement “disent” (taranzi), mais, comme nous l’avons dit avant, on entendait ainsi rendre publique cette déclaration; v. E. Neufeld, HL, 161. 13 V. la fin de la note 11 et la note 14.

217

XXXI 8 III 60-71) où l’on recommande à ce dignitaire, qui représente le pouvoir central dans les régions frontalières, de s’occuper de l’emploi des déportés dans les travaux agricoles. Quand il s’agit des champs d’un homme de l’instrument disparu,14 on prescrit à ce dignitaire de donner dans ce cas des déportés et de faire attention à ce qu’ils travaillent bien. C’est donc toujours l’économie palatine qui fournit (ici comme dans le § 40 l. 41 sq. on utilise le verbe pâi- “donner”) les déportés à installer dans les champs de l’homme de l’instrument qui, vraisemblablement, appartenait à la communauté locale. Dans un autre paragraphe des Lois, le 112, malheureusement mutilé, on parle probablement de déportés,15 auxquels ont été donnés le champ et le grain d’un homme de l’instrument: ils ont été exonérés du šaøøan pendant trois ans, mais la quatrième année ils doivent commencer à exécuter le šaøøan avec les hommes de l’instrument.16 En réalité, il peut paraître étrange que l’on demande à ces déportés d’exécuter le šaøøan, vu qu’il s’agit de champs de hommes de l’instrument;17 toutefois, il peut être utile de rappeler que les déportés étaient généralement attribués par le pouvoir central: cfr. le § 40 et le passage ci-dessus des “instructions pour le seigneur du poste de garde”. On ne peut pas parler de l’obligation šaøøan sans tenir compte aussi d’une autre obligation qui lui est très souvent unie, même par asyndète le luzzi. Ces deux obligations ne sont pas nommées seulement dans les Lois, mais dans d’autres textes aussi. Pour l’interprétation du terme šaøøan les spécialistes se sont basés surtout sur les §§ 39-41 des Lois, où cette obligation apparaît liée à l’homme de l’ILKU et à la part de propriété terrière du roi qui lui est attribuée. C’est pour ce motif que généralement on a postulé l’équation 14 Ou de champs tombés en friche parce que non cultivés, sur lesquels était installé un homme de l’instrument. Cette interprétation de la forme participiale øarkantaš dans ce passage a été proposée par M. Marazzi dans VO 2 (1979) 82 sqq.; toutefois, dans le but d’éliminer l’hypothèse de tours syntactiques franchement exceptionnels, il se voit contraint à poser des solutions qui ne le sont pas moins. 15 V. Leggi, 124, note au § 112 l. 21. 16 Peut-être, au même titre qu’eux: v. Leggi, 276 sq. et I.M. Diakonoff, MIO 13 (1967) 333 note 60: toutefois, cfr. le § 52 et plus bas la note 19, et la p. 262. 17 Quoi qu’il en soit, le terme šaøøan, en ce qui concerne cet article, n’apparaît que dans un exemplaire, et de plus de façon incomplète, même si, toutefois, la partie qui est restée au début de ce terme rend très probable le complètement ša-a[ø-øa-an].

218

ILKU = šaøøan, et donc “homme de l’ILKU = homme du šaøøan”. Avant d’examiner les opinions des spécialistes sur le sens des termes šaøøan et luzzi, et les conclusions qui en dérivent en ce qui concerne la structure sociale et économique de l’état hittite, il me semble utile de donner un coup d’œil aux autres articles des Lois et aux passages des autres documents où ces termes apparaissent. Dans le recueil de Lois on considère certains cas où la prestation de ces charges était demandée et d’autres cas où l’on en concédait l’exemption. Dans les §§ 52 et 56 on parle de certaines catégories de personnes qui étaient tenues à exécuter le luzzi (luzzi karpianzi: il s’agirait donc ici de l’exécution de travaux et non pas du versement de tributs). Dans le § 52 on établit que doivent exécuter le luzzi certaines personnes qui détiennent un champ18 parmi (ištarna) les hommes de l’instrument:19 un serviteur de la Maison de Pierre (= le mausolée, une institution religieuse), un serviteur20 d’un fils du roi21 et un fonctionnaire dont la désignation est obscure et dont nous ne connaissons ni le rang ni les attributions. Il est possible qu’il s’agisse ici d’employés liés au culte de quelque façon, puisque dans les paragraphes précédents 50 et 51 on établit que les “co-participants” et les “membres de la domus” des sacerdotes et d’une catégorie particulière de travailleurs étaient tenus à exécuter le luzzi (et le šaøøan aussi dans le § 51), quand ils travaillaient dans le domaine du culte. 18 Dans D I’ 11’ - exemplaire plus proche, selon A. Kammenhuber, de B que le plus ancien A (v. Leggi, 18) - on trouve ici É[ “maison[”, probablement dans le sens d’ensemble de biens, même fonciers (en admettant que, dans la lacune après É, il n’y ait pas quelque spécification particulière). 19 Dans Leggi, 69 et 241 j’avais interprété la postposition ištarna comme “dans la catégorie de, au même titre que”: cfr. aussi le § 112, où, toutefois, on traite une situation différente: v. p. 218 sq. Mais, étant donné que dans la documentation hittite on parle souvent de différentes catégories de personnes assignées par le pouvoir central au travail de la tette avec les hommes de l’instrument, comme dans le cas des hommes de l’ILKU et des déportés, je pense qu’il vaut mieux traduire ištarna avec “parmi”. 20 Sur l’utilisation fréquente de ARAD/ARADMEŠ pour désigner le personnel lié à des individus de haut rang, par rapport à LÚ/LÚMEŠ pour indiquer le personnel lié à quelque organisme administratif ou religieux, v. ce que j’ai observé dans SMEA 18 (1977) 53 sq. Cette distinction, toutefois, ne se vérifie pas dans ce paragraphe des Lois. 21 On ne désigne pas toujours ainsi un fils direct du souverain: v. Or 44 (1975) 87-95.

219

Dans le § 56 on lit que “en ce qui concerne une ville fortifiée (de l’action) de participer à une expédition du roi (et) de couper une vigne aucun des ouvriers métallurgistes (littéralement: travailleurs du cuivre) ne (soit) libre; que les jardiniers justement entièrement le luzzi exécutent”. Il semble qu’on fasse allusion ici à une situation pressante pour laquelle aucune catégorie d’artisans, même spécialisés, ne pouvait se dispenser d’exécuter des prestations auxquelles ils n’étaient généralement pas tenus. En effet, devaient appartenir à des catégories spécialisées et les jardiniers et les métallurgistes (on peut penser à la position socialement plus élevée, dans le monde mycénien, des chalkêwes par rapport aux autres artisans).22 Dans le § 46 et son parallèle § XXXVIII, on parle de champs sujets au šaøøan tenus par quelqu’un en dotation (iwaru).23 Si l’homme a reçu tout le champ, il est obligé de prêter le luzzi; si, au contraire, il n’en a reçu qu’une petite partie, le luzzi doit être exécuté par la maison de son père. Cela porterait à penser que ces champs étaient donnés en dotation, probablement héréditaire, par le père à son fils. Il peut être surprenant que pour des champs sujets au šaøøan on demandait la prestation du luzzi; toutefois, on doit observer que dans l’exemplaire le plus ancien, A II 38, on parle simplement de champs, sans la spécification šaøøan. Cela pourrait faire présumer que, à une époque successive, il y ait eu une confusion, la différence de sens entre les deux termes s’étant atténuée. Mais nous reparlerons encore de ce problème (v. p. 231 sq.). Après, on considère le cas, où le TUKUL-lê - peut-être l’ensemble des hommes de l’instrument, une sorte de corporation - répartit les champs du seigneur de l’iwaru (vraisemblablement celui qui détient la dotation) ou le cas où ces champs sont assignés par la communauté locale. Alors, on doit toujours exécuter le luzzi sans que subsistent les limitations prévues cidessus. On doit observer que, alors que le § 46 dit “si du seigneur de V. Leggi, 72 sq. et 245, et SMEA 18 (1977) 44; pour l’interprétation de eki dans KBo XXII 62 Vo III 24, v. O. Carruba, FsSzemerényi (1979) 197 sq.; différente, au contraire, l’interprétation de ce terme dans CHD L-N, 90, où, évidemment, on considère eki comme dat. loc. sing. de egaš “glace”; pour ce sens de egaš v. H.A. Hoffner jr., JCS 24 (1971) 32 sqq. 23 C’est le même terme qui désigne la dot qu’un père fait à sa fille lors de ses noces: cfr. § 27 et son parallèle (?) § XIX. Il serait trop long de s’arrêter ici sur la valeur que ce terme peut avoir dans le paragraphe examiné; v. ce sujet Leggi, 234 sq., et I.M. Diakonoff, op. cit., 326 sq. 22

220

l’iwaru les champs le TUKUL-lê répartit”, le parallèle § XXXVIII l. 25 donne “si du seigneur de l’iwaru l’ensemble des champs (est) vacant/non cultivé (øarkanza: v. note 13)”. Il s’agissait probablement de terres sujettes à de particulières obligations, qui pouvaient être données en héritage. Toutefois, quand cela n’avait pas lieu, ces terres ne pouvaient rester en friche et, alors, la corporation des hommes de l’instrument ou la communauté toute entière pourvoyait à une nouvelle assignation.24 On peut constater la même chose dans le § 47B par rapport au paragraphe parallèle XXXIXB. Dans le § 47A et ses parallèles §§ XXXVI et XXXIXA, on parle de champs concédés en don par le roi: selon le § 47A l. 64, ce don ne comporte pas l’exécution du luzzi et même, selon l’exemplaire le plus ancien de ce paragraphe, A II 43, du šaøøan luzzi (v. à ce sujet p. 231 sq.). Dans les deux textes parallèles il est écrit que celui qui reçoit le don du roi n’est pas tenu a prêter le luzzi s’il en a été exonéré par le toi ou par le Palais.25 Du reste, les actes de donation de terres par le roi qui nous sont parvenus ne contiennent pas la requête de prestation et l’on n’y parle pas non plus d’exonération de charges, à moins que l’on ne veuille y voir une référence dans la mention, dans certains de ces actes, de la pierre øuwaši.26 Dans le § 47B on établit que, si quelqu’un achète les champs d’un 24 M. Marazzi, op. cit., 83 note 16, à propos de ce passage et de son analogue dans le § 47B, pense que le kulê servait comme institution pour l’assignation de parcelles qui n’étaient pas travaillées et donc tombées en friche, en accord avec I.M. Diakonoff, op. cit., 322 sq.; ce dernier souligne, toutefois, que la terre en question était “herrenlos”. Je suis d’accord avec cette observation de Diakonoff car, dans les deux paragraphes, on distingue graduellement les cas où quelqu’un a reçu ou acheté tout le champ, ou une partie de celui-ci, ou quand cette terre est sans propriétaire aucun. 25 A cela correspond, dans le § 47A, une action symbolique de la part du roi, qui prend un pain de la table et le donne au bénéficiaire du don, certainement pour lui signifier l’exemption du luzzi (cfr. Leggi, 235 note 1). 26 V. Šaøur, 167 sq. La pierre huwaši/ZI.KIN était un type particulier de stèle, qui tenait une place importante dans le culte, où elle jouait des rôles différents; elle avait aussi la fonction, dans certains cas, d’indiquer et de protéger les limites, et, parfois, elle signifiait l’attribution de privilèges, comme l’exemption de toute obligation (v. Šaøur., 119 sqq. et en particulier 126 sq). Un lien entre exemption et donation semble indiqué dans certains documents rédigés par le souverain hittite pour accorder un bénéfice à quelque personnage ou quelque institution économique, même si, à mon avis, ces documents ne doivent pas être considéré exclusivement comme actes de donation d’immeubles: v. Šaøur., 164 sqq.

221

homme de l’instrument, il est tenu de prêter le luzzi quand l’achat n’est pas partiel. Enfin, en accord avec le paragraphe précédent 46, on conclut que, si les champs sont répartis par le TUKUL-lê ou sont assignés par la communauté locale, on doit toujours exécuter le luzzi. En ce qui concerne les deux paragraphes parallèles, dans le § XXXVII on établit que, si quelqu’un achète tout le champ d’un homme de l’instrument, si le seigneur du champ (probablement celui qui a vendu le champ), disparaît, c’est-à-dire meurt,27 alors la prestation du šaøøan que le roi avait établi pour lui, est due par celui qui a acheté le champ, tandis que si le seigneur du champ est vivant, ou si sa famille existe dans un pays quelconque, c’est à eux, et non pas à l’acheteur du champ, d’exécuter le šaøøan. Dans le § XXXIXB on dit que, si quelqu’un achète tout le champ d’un homme de l’instrument, on doit alors interroger le roi et exécuter le luzzi qu’il a établi. Si l’acquéreur achète d’autres champs, outre ceux d’un homme de l’instrument, il doit alors exécuter le luzzi. Ce paragraphe conclut, de la même façon que le § XXXVIII par rapport au § 46, que, si le champ reste vacant ou inculte, ou qu’il est assigné par la communauté locale, on doit exécuter le luzzi. De ces articles nous apprenons donc que les champs de l’homme de l’instrument pouvaient être vendus. On peut trouver étonnant qu’on parle ici d’une obligation šaøøan établie exprès pour un homme de l’instrument, même s’il faut remarquer que c’est le roi qui l’a établie; en outre, on doit observer que, dans un des deux paragraphes parallèles, le souverain intervient aussi pour établir le luzzi. On pourrait justifier ces faits en admettant, comme nous l’avons déjà observé à propos du § 46 à la p. 220, qu’à une époque plus récente on ait peu senti la différence entre šaøøan et luzzi; on doit noter, toutefois, que même dans le texte le plus ancien on trouve ces deux termes liés par asyndète. Nous donnerons d’autres exemples à ce propos (v. p. 231 sq. avec note 74). Dans le § 48 et son parallèle § XL, on demande l’exécution du luzzi à un LÚøippara et l’on interdit à quiconque d’entreprendre avec lui quelque affaire commerciale. Par le terme LÚøippara on désigne une personne appartenant à une particulière catégorie d’individus, probablement de øarakzi, en antithèse avec le participe TI-anza “(est) vivant”, qui apparaît deux lignes plus bas: v. note 11. 27

222

rang social inférieur, qui ne peuvent disposer ni de leur famille ni des biens qu’ils détiennent.28 Dans le § 50 on concède l’exemption - probablement de tout genre d’obligation, vu qu’aucune spécification n’est indiquée à l’homme UKKI-E,29 qui détenait le pouvoir dans les villes sacrées d’Arinna, Nerik et Zippalanda, sièges du couple divin à la tête du panthéon hittite, ainsi qu’aux sacerdotes de n’importe quelle localité et à leurs biens.30 Leurs “co-participants” - “hommes de la partie”, selon la traduction littérale du terme - étaient tenus, eux, à exécuter le luzzi. Ils apparaissent aussi dans les §§ 51 et 53, et dans ce dernier ils sont associés à des hommes de l’instrument. Au cas où ils se séparent, à l’homme de la partie est due une part de champs, animaux et personnes, moins grande que celle de l’homme de l’instrument. Il s’en suit donc que l’homme de la partie n’était pas un serviteur, mais une sorte d’associé, pour une petite part seulement, qui ne jouissait même pas du privilège d’être exempté de prestations. Pour ces motifs nous avons adopté pour ce terme la traduction “co-participant”.31 Il est utile, maintenant, de faire un rapprochement avec le § 51, où l’on dit qu’à une époque antérieure celui qui devenait32 tisserand dans les villes d’Arinna et de Zippalanda,33 et ses biens, ses co-participants, et tous 28 A propos de l’interprétation du terme LÚøippara comme “reclus”, ici et dans le paragraphe suivant 49, sur la base de sa variante akkadienne LÚASÎRUM dans les §§ XL et XLI du texte parallèle, ou on ce qui concerne l’hypothèse plausible d’interpréter le terme LÚøippara- comme “Käufling” par rapport a øappar “affaire commerciale, prix d’achat” et à øapparai-, (øappirâi-, øappariya-) “acheter”, v. la bibliographie dans Leggi, 236 note 1 et dans J. Tischler, HEG, 251 sq. V. en outre l’interprétation de G. Kestemont, OLAn 5 (1979) 499 sqq., qui s’appuie, toutefois, sur une lecture LÚASÎRUM du terme akkadien équivalent a LÚøippara-, ce qui ne résulte pas de la documentation ci-dessus. 29 Le sens de ce terme est encore obscur et il est difficile de formuler quelque hypothèse a ce sujet. Comme nous l’avons observé dans Leggi, 238, on peut supposer sur la base du contexte - en accord avec J. Friedrich, HG, 99 - que l’on désignait ainsi une haute charge sacerdotale d’un rang plus élevé que celui des sacerdotes mentionnés plus génériquement ensuite. 30 V. Leggi, 238 sq. 31 V. Leggi, 240 sq.; v. aussi I.M. Diakonoff, op. cit., 336; A. Archi, FsOtten, 20. 32 Il faut observer l’utilisation du verbe kiš- “devenir” au lieu de eš- “être” cfr. KUB XXVI 43 Ro 54 dans Šaøur., 30 sq. 33 Le fait que la ville de Nerik ne soit pas mentionnée ici, elle aussi, est surprenant. Cette ville n’apparaît pas non plus dans d’autres exemplaires plus récents de ce

223

les membres de sa domus étaient exemptés, probablement de toute obligation. Maintenant, au contraire, ses “co-participants” et les membres de sa domus doivent exécuter le šaøøan et le luzzi. On remarque donc dans ce paragraphe des analogies de contenu avec le § 50, même si, dans ce dernier, les co-participants des sacerdotes n’étaient tenus à exécuter que le luzzi. Du reste, pour le § 51, on doit remarquer que, dans une exemplaire moins ancien, D I’ 8’, on ne trouve que le luzzi. Les tisserands mentionnés dans ce paragraphe appartenaient probablement à une catégorie particulière d’artisans destinés aux ateliers des temples et jouissaient de privilèges particuliers, vu l’importance de leur fonction dans le culte. Ces privilèges, selon ce qui résulte de la lecture de cet article, furent réduits à une époque plus récente. Cela pouvait dériver ou d’une importance moins grande attribuée à l’action du tissage dans le culte (y compris son sens symbolique), ou bien de motifs économiques contingents. Cette dernière hypothèse me semble préférable, comme le suggère aussi une comparaison avec le § 50. À la fin de ce paragraphe on établit que, dans la ville d’Arinna, quand on entre dans le 11ème mois, soit exempt de prestations celui à la porte duquel “est visible (= on peut voir) un arbre eya”.34 Dans ce passage on établit donc, à la différence du précédent, la concession d’un privilège, exclusivement en relation avec Arinna: s’agissait-il de la survivance d’un privilège plus ancien, ou voulait-on accentuer ainsi l’importance de cette ville, siège de la déesse Soleil, la principale divinité du panthéon hittite, par rapport à Nerik et à Zippalanda? Dans d’autres milieux du Proche-Orient ancien, outre le monde hittite, sont attestés des symboles du type de l’arbre eya,35 érigés pour paragraphe. Au contraire, dans le § 50, Nerik apparaît même dans l’exemplaire le plus ancien A. 34 V. a ce sujet Leggi, 239 sq. et Šaøur., 132 sq. Cet arbre, attesté surtout dans les textes religieux, en particulier avec le dieu Telipinu, était utilisé, dans ce paragraphe et dans un autre texte dont nous reparlerons, comme signe d’exemption de charges. Peutêtre, cela peut-il s’expliquer comme le développement logique du fait que cet arbre apparaissait parfois dans les cérémonies religieuses comme symbole du bien-être et de la prospérité du pays, et probablement aussi en relation avec des rites saisonniers. Le lien existant entre cet arbre et des rites saisonniers pourrait-il justifier la mention du 11ème mois dans le § 50 des Lois? Sur d’autres hypothèse proposées pour expliquer l’indication de cette limite de temps, v. Leggi, 239 sq. note 7. 35 V. le KIDINNU babylonien, auquel on a comparé l’arbre eya, et cfr. la pierre øuwaši/ZI.KIN, dont nous avons parlé avant, de laquelle a été rapproché le

224

manifester la faveur particulière de la divinité. Nous savons en effet que les Hittites, comme la plupart des peuples anciens, avaient l’habitude de notifier publiquement, avec l’exposition d’objets symbolique ou avec des déclarations selon des formules conventionnelles, les concessions de privilèges, l’assignation de dons et de biens, et l’acceptation correspondante de charges. L’érection de l’arbre eya à la porte de la personne exemptée36 s’accorde avec l’expression fréquemment utilisée a propos de la concession de dispense de charges: on interdit à la personne qui dévait faire exécuter certaines obligations de s’approcher des portes, ou mieux d’entrer par les portes, certainement en se réferant au patrimoine exempté.37 Peut-être cette action touchait-elle aussi au domaine sacral, ce qui justifierait dans ces cas-là la mention de l’arbre eya et de la pierre øuwaši/ZI.KIN.38 À ce propos, rappelons qu’en Babylonie, a l’époque de la domination cassite, les officiers du roi, quels qu’ils fussent, n’avaient pas le droit d’entrer dans des terres “libres”, c’est-à-dire exemptées d’impôts ou de corvées par rapport au pouvoir central.39 Dans quelques textes d’Ugarit aussi, on interdit à certains fonctionnaires du Palais de pénétrer sur n’importe quel domaine, objet d’immunité, probablement pour ne pas faire de réquisitions ou d’exactions.40 Dans le § 54 des Lois on dit que, dans un premier temps, c’est-à-dire a un période plus ancienne, les soldats de différentes pays, avec certaines catégories d’artisans spécialisés, n’exécutaient pas le šaøøan et le luzzi, ce qui pourrait faire présumer qu’à l’époque actuelle ils étaient tenus à fournir ces prestations.41 KUDURRU du monde babylonien: v. Šaøur., 132 sqq. 36 Cfr. le KIDINNU, une sorte d’enseigne que l’on érigeait à la porte de certaines villes mésopotamiennes qui jouissaient de privilèges et exemptions particulières par rapport au pouvoir royal. 37 V. Šaøur., 111 sq., et cfr. supra note 5. 38 Cfr. note 26. Peut-être, pourrait-on faire une comparaison avec la position de la plupart des peuples antiques par rapport a celui qui violait les limites des terres, délit non seulement contre la propriété, mais qui touchait également à la sphère sacrée; cfr. Leggi, 299 sq., à propos des §§ 168-169 des Lois, où, justement, on prévoit ce délit. 39 V. E. Cassin, dans Fischer Weltgesh., trad. dans Storia Universale Feltrinelli 3, 46. 40 V. G. Boyer, PRU III, 295. 41 V. Leggi, 242, et G.F. Del Monte-J. Tischler, RGTC 6, 491.

225

En dehors du texte de Lois, les termes šaøøan et luzzi apparaissent dans des documents de différentes époques. Des Annales de ÷attušili I nous apprenons que ce souverain, après avoir achevé victorieusement son entreprise contre la ville de ÷aøøa, libéra les serviteurs et les servantes d’une ville conquise, mais cela pour les transférer dans la servitude du temple: “à la déesse Soleil d’Arinna, ma dame, je les cédai”, en vertu de quoi il les exonéra du šaøøan et du luzzi.42 Du Moyen Empire rappelons un décret émané par la reine Ašmunikal, dans lequel on concède l’exemption du šaøøan et du luzzi à tout ce qui a été donné à la maison de pierre, c’est-a-dire les localités et le personnel destiné aux travaux de différents genres (artisans, agriculteurs, bouviers, bergers, hommes šarikuwa).43 Pour symboliser l’attribution de ce privilège, on élève devant ces biens un arbre eya.44 De la même époque nous avons une prière d’Arnuwanda et Ašmunikal, écrite à l’occasion de l’invasion gasga sur une partie du territoire hittite. Dans cette prière on accuse les Gasgas d’avoir opprimé continuellement la population et les localités appartenant aux dieux avec le šaøøan et le luzzi.45 Il est intéressant de considérer la possible existence d’une “maison du šaøøan” mentionnée dans un acte de donation de terres de la même période et probablement aussi dans un autre texte contemporain contenant des “instructions pour le commandant du poste de garde”.46 Sur les fonctions de ce probable siège économique, que l’on trouve peutKBo X 2 (CTH 4) III 18 sq.: (18) n-aš-kán šaøøanit luzzit (19) arawaøøun: il faut remarquer l’usage de l’instrumental dans cette expression, alors que généralement on y utilise l’ablatif. V. en outre tout le passage, ll. 15-20, et nos observations dans SCO 14 (1965) 29 sq. Les deux expressions employées pour indiquer la libération de ces esclaves de la servitude présentent quelque intérêt: “ôter les mains des servantes de la meule et celle des serviteurs de la faucille (deux objets symboliques qui indiquent un travail servile)”, et “les délier de/relativement à leurs ceintures”, ou bien “délier relativement à ceux-ci leurs ceintures”. On peut comparer ces expressions à celle que présente le § 175 l. 19 sq. des Lois: “saisir quelqu’un aux ceintures”, qu’on peut interpréter comme “ne pas délier/ne pas libérer quelqu’un de la servitude”. 43 KUB XIII 8 (CTH 252) Ro 6: n-at-kán šaøøanaza luziyaza arauêš ašandu; sur l’É.NA4 v. H. Otten, HTR, 104 sqq. 44 l. 9: nu-šmaš-kán pían GIŠeyan artaru; v. Šaøur., 132 sq. note 250-253. 45 KUB XVII 21 (CTH 375) I 24 sq.: (24) šaøøanit (25) luzzit dammišøiškir. 46 KBo V 7 (CTH 223) Ro ]12, ]15, Vo ]14, 29, 42, v. K. Riemschneider, MIO 6 (1958) 339 et 344 sqq.; KUB XIII 2 (CTH 261) IV 28, XIII 1 (CTH 261) IV 16, v. E. v. Schuler, Dienst., 51 et 59. 42

226

être aussi dans deux textes postérieurs (XIIIe s.) à caractère cultuel - siège auquel appartenaient certains animaux - la documentation qui nous est parvenue nous donne très peu de renseignements.47 Dans un document que l’on peut présumer de l’époque de Šuppiluliuma I - où l’on parle du renouvellement d’une donation faite par deux rois, vraisemblablement de Kizzuwatna, en faveur de la déesse Išøara - on exempte toutes les divinités, les sacerdotes et les serviteurs de ces divinités, mais on n’indique pas de quelles charges.48 Particulièrement intéressants sont les passages de trois documents de l’époque de ÷attušili III, dans lesquels ce souverain affranchit de charges un haut personnage nommé GAL-DIM49 et deux institutions cultuelles, c’est-à-dire le sanctuaire du pic rocheux de Pirwa et le patrimoine de Ištar de Šamuøa;50 dans ce dernier cas, il exempte également son propre fils, nommé sacerdote de cette déesse. Outre ces documents, il est utile d’examiner le décret, déjà cité, en faveur des héritiers de Šaøurunuwa, stipulé par Tutøaliya IV pendant les premières années de son règne. En effet, dans ce texte, la concession de terres est formulée de façon analogue à celle des trois documents précédents, puisqu’elle se réfère à une disposition de ÷attušili III, que reconfirma ensuite Tutøaliya IV.51 J’ai déjà parlé longuement du formulaire de ces documents dans d’autres travaux;52c’est pourquoi je ne ferai ici que quelques considérations. Dans ces formules on parle, avec quelques variantes selon les différents documents, de l’exonération du šaøøan et du luzzi. Ceux-ci sont parfois spécifiés: šaøøan luzzi quotidiens (ŠA UD. KÀMMI), šaøøan luzzi dûs au roi (ŠA LUGAL) ou à des représentants du pouvoir central, comme le “seigneur du pays” et le “seigneur du poste de garde”.53 Dans certains de KUB XX 52 (CTH 628) I 24[; KUB XXV 32+ (CTH 681) III 49(?), v. A.M. Dinçol-M. Darga, Anatolica 3 (1969-1970) 110 sq. et 115; v. aussi J. Friedrich, HW Erg.-Heft 2, 21, Erg.-Heft 3, 16; E. Laroche, RHA 15 (1957) 128, A. Kammenhuber, KZ 77 (1961) 245. 48 KUB XL 2 (CTH 641) Vo 52 sqq. 49 Sur les possibles lectures phonétiques de ce nom, v. Šaøur., 152 note 11. 50 V. note 6 et 7. Pour l’attestation des termes šaøøan et luzzi v. aussi KUB XXI 15 (CTH 85, duplicat de KBo VI 29) IV 10 sq. (v. NBr., 52 sq.). 51 V. la fin de la note 7 52 V. en dernier SMEA 18 (1977) 41 sqq. 53 V. SMEA cit., 41 note 79. En cette occasion, on ne parle pas de l’ “inspecteur de ville”, alors que, dans deux de ces textes, celui-ci, qui était peut-être le plus haut représentant des communautés locales, se trouve nommé après les deux autres 47

227

ces textes, on parle de dispense de prestation de travaux, comme des travaux agricoles,54 ou le plâtrage de murs,55 ou des travaux de construction, peut-être de fortification.56 Dans tous ces textes, on parle aussi, avec quelques variantes, de l’exonération du versement de tributs: des particuliers objets en bois, probablement fabriqués par le personnel qui faisait partie du patrimoine exempté (v. note 78), ainsi que des produits agricoles et de l’élevage. Dans ces deux derniers cas - en ce qui concerne les institutions cultuelles - nous ne savons pas s’il s’agissait de denrées produites à l’intérieur de celles-ci ou, au contraire, d’offrandes apportées de l’extérieur et dont une partie était due à l’État comme impôt.57 Les trois actes émanés par ÷attušili III dispensent également de la fourniture de chevaux dressés pour des taches particulières. Leur fonction spécifique n’est pas claire: peut-être étaient-ils destinés à des fins militaires, comme l’étaient les troupes auxiliaires et probablement aussi les parties constitutives de chars que l’on mentionne dans ces trois textes.58 Dans le texte rédigé en faveur de l’institution cultuelle d’Ištar de Šamuøa, à la fin de la formule qui confère l’exemption, on lit: “(26) ¦et© [à toi], à [Ištar de] Šamuøa, (27) pour le šaøøan (et) pour le luzz[i que pe]rsonne ne (28) s’approche”. Ici, le šaøøan et le luzzi représentent donc une sorte de synthèse de tout ce qui a été spécifié avant.59 Et dans le document stipulé pour le sanctuaire du pic rocheux de Pirwa, après la formule d’exemption, on insiste sur l’obligation de respecter la parole du roi et l’on maudit quiconque soumettra le pic rocheux de Pirwa “à ces

dignitaires - donc à la dernière place dans l’ordre de succession - quand on parle de l’exemption de l’ELKU qu’on leur devait. Dans ces cas, est-ce parce que l’ELKU comprenait les différentes obligations énumérées précédemment? V. p. 216. 54 V. encore SMEA cit., 41 sq. avec note 80. 55 V. Šaøur., 107. 56 V. SMEA cit., 44. 57 Comme nous l’avons observé dans SMEA cit., 42, on pourrait aussi penser que ces produits venaient de dotations régulièrement attribuées aux institutions religieuses pour qu’elles les utilisent soit pour leur subsistance, soit pour les redistribuer à leur tour à d’autres localités cultuelles. Rappelons, en effet, que le sanctuaire du pic rocheux de Pirwa devait s’occuper de certaines localités sacrées, comme le montrent quelques textes relatifs à l’administration religieuse. 58 V. à ce propos SMEA cit., 43 note 84. 59 KBo VI 29 III 26 sqq.; v. ce passage dans NBr., 50.

228

šaøøan (et) luzzi”.60 Il est donc permis de présumer que, parmi d’autres choses, ces deux obligations comprenaient aussi les tributs et les prestations énumérés avant. Cela est probablement vrai aussi, comme nous l’avons dit (p. 216), pour l’obligation ELKU. Quand, dans le décret émané en faveur des héritiers de Šaøurunuwa, on parle des šaøøan dûs à la déesse Soleil d’Arinna, on spécifie en quoi ils (“ces šaøøan”) consistaient: des produits de l’élevage, très modestes, et on rappelle que personne, à l’avenir, ne doit leur ajouter un autre šaøøan.61 Dans un traité aussi, qui fut stipulé par un souverain hittite, peut-être ÷attušili III, avec Ulmi-Teššup de Tarøuntašša, on accorde au roi de ce pays de particulières exemptions d’obligations militaires, afin que les troupes à pied puissent prêter le šaøøan et le luzzi pour les divinités, c’est-à-dire des travaux de construction, d’agriculture, etc. .... .62 D’exemption du šaøøan et du luzzi sans autres spécifications, on parle dans l’Autobiographie de ÷attušili III, toujours à propos des biens confisqués par ce souverain à Arma-Tarøunta et donnés par lui à Ištar de Šamuøa.63 À ce sujet, il me semble intéressant d’observer qu’un peu avant le passage où l’on confère cette exemption on dit que dans toute la propriété d’Arma-Tarøunta donnée à Ištar on doit placer la pierre ZI.KIN, donc vraisemblablement comme symbole d’exemption de charges (v. Šaøur., 129 sq., et la note 26 du présent article). Dans un document datant de l’époque de Tutøaliya IV, les “instructions pour les seigneurs et les fils du roi”, § 17 l. 13 sqq., on s’adresse à ces hauts dignitaires, qui ont également la fonction de diriger des districts administratifs, et on leur interdit de se rebeller contre le souverain, d’accord avec ces sujets, que E. v. Schuler pense être des KBo VI 28 Vo 30 sqq.; v. ce passage dans SMEA cit., 46 note 96. KUB XXVI 43 Ro 54 sqq.: v. Šaøur., 30 sq. et 93 sq.; pour le passage de ce texte, où l’on concède des exemptions, v. Šaøur., 34 sq. § 11, et le commentaire, 105 sqq. 62 V. toute la tablette ABoT 57 (CTH 97) et le passage correspondant KBo IV 10 (CTH 106) Ro 40-47; en outre, v. Šaøur., 158 sqq. et SMEA cit., 44 sq.; sur la lecture hittite du nom du pays de Tarøuntašša, v. encore Šaøur., 125 note 218, et pour la datation de KBo IV 10, v. op. cit., 137 sqq. 63 KUB I 1 IV 85 et le duplicat KUB I 3 (CTH 81) IV 6: šaøøan-ya-aš (o šaøøaniaš) luzzi lê kuiški êpz[i] “et(?) que pour le šaøøan (et) pour le luzzi personne ne les (= les biens?) saisisse/prétende”; différemment A. Goetze, ÷att., 40 sq. et 105, et J. Friedrich, HW, 175, qui entendent šaøøaniyaš comme gen. sing. de šaøøan. 60

61

229

habitants des zones frontalières, qui ne supportent pas les charges - le terme hittite est šaøøan - que leur a imposé la cour hittite.64 Rappelons, enfin, deux textes rédigés par Šuppiluliuma II, dans l’un desquels on exonère du luzzi le personnel des “maisons (des esprits) des morts (c’est-à-dire des Manes)”;65 dans l’autre on donne au sanctuaire érigé par ce même souverain en mémoire de son père 70 villages pour lesquels on établit l’exemption du šaøøan, probablement afin qu’ils puissent s’acquitter de leurs obligations envers les divinités.66 Nous connaissons aussi l’existence d’une fête du šaøøan (CTH 693), qui faisait partie du groupe de cérémonies cultuelles en l’honneur de ÷uwaššanna, la déesse de ÷upišna (CTH 690-694). Toutefois, il n’existe aucun élément significatif qui permette de différencier la fête du šaøøan des autres fêtes en l’honneur de cette déesse et qui puisse conférer à cette cérémonie un caractère d’intérêt particulier pour notre recherche. De peu d’utilité le fragment de fête KBo XX 13 (CTH 670), en ductus vieux-hittite, où au Vo 13’ apparaît le terme luzzi. D’après les documents examinés ci-dessus, il se révèle donc difficile de définir la valeur des termes šaøøan et luzzi et surtout en quoi ils se distinguaient. En effet, ils ne semblent pas s’être différenciés sur la base du type des obligations qui leur étaient liées.67 Pour rechercher leur différence, il faut donc concentrer l’intérêt sur celui qui était tenu à les accomplir et sur ceux auxquels ils étaient dûs. Un autre problème se pose, à savoir si, avec le temps, ces termes avaient toujours conservé la même valeur ou si la différence entre les deux ne s’était pas atténuée peu à peu. Ces difficultés d’interprétation sont accrues par le fait que, souvent, ces termes apparaissent ensemble dans les textes, en asyndète. Comme nous l’avons déjà dit, certains spécialistes, à commencer par A. Goetze,68 ont postulé, sur la base des §§ 40 et 41 des Lois, l’équation ILKU = šaøøan. Pour la plupart de ces savants, le šaøøan indiquerait une 64 V. E. v. Schuler, Dienst., 26 et 31, ainsi que mon article dans Or 44 (1975) 83, avec note 17-19. 65 ABoT 56 (CTH 256) III 5, 10, 12; v. Šaøur., 161 sq. 66 KBo XII 38 (CTH 121) IV 3’-11’; v. Šaøur., 162 avec note 58. 67 Cela semble être valable aussi pour l’obligation ELKU, v. p. 216. 68 A. Goetze, NBr., 57, et Kleinasien2, 104; J. Friedrich, HW, 175, 307 sq.; rappelons, parmi d’autres, I.M. Diakonoff, MIO 13 (1967) 314 sq., et en dernier, chronologiquement, A. Archi, FsOtten, 18, et SMEA 18 (1977) 7 sq. et 14 sqq.

230

obligation liée à la détention d’une partie de la propriété terrière du roi; l’obligation šaøøan serait donc une obligation de servi ce envers le roi, tandis que l’obligation luzzi serait une obligation de service envers la communauté ou envers l’État en général.69 Selon G. Kestemont,70 il est opportun de distinguer nettement entre le terme šaøøan utilisé seul et l’expression šaøøan luzzi, qui peut alterner avec le terme luzzi employé seul. À son avis, šaøøan seul “se ré£ère toujours à une activité purement individuelle”,71 tandis que l’expression šaøøan luzzi, ou le terme luzzi seul, se réfèrent “toujours à la participation personnelle à un travail collectif public”.72 En outre, selon A. Archi, l’association de šaøøan et luzzi se vérifie à l’époque impériale.73 À mon avis, la documentation que nous avons examinée précédemment, permet de préciser ou de modifier quelques-unes de ces affirmations qui se basent surtout sur le texte de Lois. Rappelons tout d’abord que ces documents attestent l’association par asyndète de šaøøan et luzzi dès l’Ancien et le Moyen Royaume.74 Cela porterait à penser que dès cette époque déjà on ne devait pas sentir fortement une distinction très nette entre les deux termes. En outre, à propos de l’opinion de G. Kestemont, on peut observer que dans le traité entre ÷attušili III et Ulmi-Teššup de Tarøuntašša, où l’on se réfère à un accord précédent stipulé entre Muwatalli et le roi de ce pays, on parle, à quelques lignes de distances, du šaøøan pour les divinités (littéralement: de la divinité), établi par ce souverain, et puis du šaøøan/luzzi toujours pour les divinités, confirmé par ÷attušili III.75 On peut donc se demander s’il s’agissait ici d’une variante sans aucun sens particulier, ou bien si l’on voulait réellement faire allusion à une 69

516.

V., entre autres, A. Goetze, NBr., 59 avec note 1, et I.M. Diakonoff, op. cit.,

OA 17 (1978) 18. Il cite, à ce propos, Leggi §§ 39-41 et KUB XXVI 43 Ro 54-59. 72 Cfr. A. Goetze, loc. cit.; on peut ajouter aussi le § 51 aux exemples donnés par G. Kestemont. 73 FsOtten, 18 note 6. 74 V. dans les Lois, pour le § 47A, l’exemplaire le plus ancien A II 43 šaøøan luzzi par rapport à B II 64 (luzzi seul); v. en outre le passage cité (note 42) des Annales de ÷attušili I - a moins qu’il ne s’agisse d’un remaniement plus tardif - et les deux passages indiqués avant (notes 43 et 45) des deux textes de l’époque d’Arnuwanda et d’Ašmunikal. 75 V. A. Goetze, op. cit., 55 sq., et Šaøur., 158-160, et en particulier note 48. 70 71

231

différenciation due au nouvel accord. Si l’on accepte la première hypothèse, sur la base du contexte général, on démontre alors l’absence d’une distinction substantielle, au moins à cette époque là, entre les deux termes considérés. Ce passage, où l’on parle du šaøøan et du šaøøan luzzi pour les divinités de Tarøuntašša, ainsi que celui du document en faveur des héritiers de Šaøurunuwa (KUB XXVI 43 Ro 54-59) où l’on parle du šaøøan pour la déesse Soleil d’Arinna, montre que le šaøøan n’est pas seulement une obligation envers le roi, même si l’on sait que dans le monde hittite la religion officielle est toujours contrôlée par le pouvoir central et les organisations religieuses sont intégrées dans la sphère de ce pouvoir.76 Du reste, quelques-uns des documents d’exemption rédigés par ÷attušili III et Tutøaliya IV, que nous avons précédemment examinés montrent que le šaøøan et le luzzi étaient dûs non seulement aux représentants du pouvoir central, comme le “seigneur du pays” et le “seigneur du poste de garde”, mais aussi au représentant des communautés locales, c’est-à-dire à l’ “inspecteur de ville ou de village”, s’il est permis de considérer ainsi le fonctionnaire désigné par MAŠKIM URUKI, dont nous nous occuperons ensuite (p. 234 sqq.). Dans ces documents, on parle de šaøøan, mais aussi de luzzi du roi, c’est-à-dire dûs au roi, sans qu’il y ait aucune distinction entre les deux termes. En outre, l’affirmation de G. Kestemont, selon laquelle šaøøan employé seul se réfère à une activité purement individuelle”, et šaøøan en alternance avec luzzi seul, “à la participation personnelle à un travail collectif public”, ne semble pas concorder avec ce qu’on peut lire dans le traité avec Ulmi-Teššup de Tarøuntašša, c’est-à-dire que le šaøøan pour les divinités était dû par ce pays avec son souverain.77 Et dans les Annales de ÷attušili I nous voyons ce roi concéder l’exemption du šaøøan et du luzzi aux serviteurs et aux servantes d’un pays conquis (v. note 42). Du reste, également dans le § 54 des Lois on fait allusion au šaøøan et luzzi par rapport à des soldats de différents pays et à des catégories d’artisans spécialisés (v. p. 225 sq.). En outre, le šaøøan n’apparaît pas seulement lié à l’assignation de 76 V. a ce propos l’étude de H. Klengel sur la fonction économique du temple hittite dans SMEA 14 (1975) 181 sq. 77 KBo IV 10 Ro 42.

232

parts foncières, comme le montrent les passages indiqués ci-dessus des Annales de ÷attušili I et du traité avec Ulmi-Teššup. De même, le ne se réfère pas exclusivement à l’homme de l’ILKU: donc, l’équation ILKU = šaøøan et “homme de l’ILKU” = “homme du šaøøan” me semble trop restrictive. Comme nous avons pu le voir, tous les documents examinés ne montrent pas clairement en quoi consistaient ces deux obligations, puisque dans la plupart des cas elles sont mentionnées sans autres spécifications. Toutefois, les textes de l’époque de ÷attušili III et de Tutøaliya IV que nous avons traités et où l’on concède des exemptions, exprimées par une formule assez large, permettent de déduire que le šaøøan et le luzzi indiquaient des prestations à effectuer et des tributs à verser. En ce qui concerne l’obligation contenue dans ces formules de fournir des objets en bois, probablement des éléments constitutifs de chars,78 on peut présumer qu’il s’agissait justement de chars de guerre. Cela pourrait également être suggéré par une comparaison avec des situations présentes dans d’autres états du Proche-Orient ancien.79 On sait, en effet, que dans le monde hittite, comme dans d’autres pays de l’Asie antérieure antique, c’était le rôle de l’administration centrale de pouvoir a l’équipement militaire, en rassemblant, grâce à des fonctionnaires spéciaux, les fournitures nécessaires à cela et en les redistribuant ensuite aux différents organismes, selon leurs nécessités. Comme je l’ai déjà relevé,80 la documentation hittite ne me semble pas fournir des éléments aptes à faire supposer l’existence d’une obligation de la part de gros organismes économiques privés ou religieux a pourvoir personnellement aux armements militaires. Dans les textes d’exemption rédigés par ÷attušili III et Tutøaliya IV, nous avons remarqué que les personnes charges de faire observer ces obligations étaient trois dignitaires: le seigneur du pays, le seigneur du poste de garde et l’inspecteur de ville ou de village. Des possibles V. Šaøur., 107 sq. avec note 172. Šaøur., loc. cit., et SMEA 18 (1977) 43 avec note 85, 86. 80 V. SMEA cit., 44 sq.: toutefois, il semble que ces organismes devaient fournir à l’État des contingents auxiliaires en cas de guerre. Aux troupes en garnison on pouvait demander aussi d’exécuter des travaux de différents genres, selon les nécessités du moment. La documentation à ce propos montre donc l’existence d’une possibilité d’échange, dans certains cas, entre attributions militaires et civiles. 78

79

233

fonctions de ces trois dignitaires, j’ai parlé longuement dans une autre étude (Šaøur., 56-75): je n’indiquerai donc ici que quelques conclusions. En ce qui concerne les deux premiers dignitaires, on peut penser qu’ils exerçaient leur activité comme représentants du pouvoir central dans des régions souvent éloignées de la capitale et, quant au seigneur du poste de garde, situées dans des points cruciaux de surveillance et de défense, probablement aux confins du pays ou dans des localités considérées comme moins sûres et plus promptes a faire défection. Le pouvoir qu’ils exerçaient était donc nécessairement très vaste et varié. Selon l’opinion de E. v. Schuler, avec laquelle je suis pleinement d’accord, l’inspecteur de ville ou de village devait représenter une autorité locale, peut-être même la plus haute; certains spécialistes, au contraire, ont pensé que c’était, lui aussi, un fonctionnaire royal.81 Comme j’ai observé ailleurs, dans les textes hittites le MAŠKIM “inspecteur, surintendant” apparaît presque toujours dans la locution MAŠKIM URUKI inspecteur de ville ou de village”.82 Le terme MAŠKIM est aussi attesté en Mésopotamie, dans les colonies commerciales assyriennes en Cappadoce, à Tell el Amarna, à Ugarit, le plus souvent inséré dans différentes locutions qui en définissent les différentes charges.83 On peut donc soutenir, me semble-t-il, que la fonction du dignitaire indiqué avec le titre MAŠKIM devait varier selon que ce terme se trouvait seul ou accompagné par un autre terme qui en spécifiait les attributions. Toute tentative de comparer le MAŠKIM URUKI des textes hittites avec le MAŠKIM mentionné ailleurs dans des locutions différentes perdrait donc sa valeur. Ainsi, par exemple, alors qu’il est plausible de considérer le MAŠKIM LUGAL des textes de El Amarna comme un représentant du roi, le MAŠKIM URUKI, c’est-à-dire l’inspecteur de ville ou de village, dans le monde hittite semble indiquer avec plus de probabilité une autorité locale, bien que dépendant en quelque sorte des représentants du pouvoir central. J’ai déjà parlé ailleurs des charges de l’inspecteur de ville ou de village et de l’importance de l’association, dans un texte, de celui-ci et des 81 V. Šaøur., 66 note 70A, et, en dernier, A. Archi, FsOtten, 22 note 24, qui exprime son incertitude sur ce problème. 82 V. Šaøur., 68 note 76a. 83 V. Šaøur., 68 sq. et notes 77-80.

234

Anciens (représentants, eux aussi, des communautés) au seigneur du poste de garde (qui représentait l’État), dans le domaine de l’administration religieuse et de celle de la justice, sauf pour des délits d’un type particulier, auquel cas on recourait directement au jugement du roi.84 Cela pourrait avoir constitué pour le pouvoir central un moyen de résoudre le problème de la tutelle de ses intérêts politiques et militaires sans produire toutefois de dangereuses altérations ou suppressions d’institutions traditionnelles des communautés locales.85 Dans le décret en faveur du sanctuaire du pic rocheux de Pirwa, en conclusion à la formule où l’on concède l’exemption (KBo VI 28 Vo 28 sq.), on invoque la punition divine sur le seigneur ou fils du roi ou seigneur du trône ou toute autre personne qui s’opposera à la décision royale et soumettra les hommes de ce sanctuaire aux šaøøan et luzzi mentionnés avant. Le titre “seigneur du trône” n’apparaît pas, à ma connaissance, dans d’autres textes. De la position des “seigneurs” et des “fils du roi” dans la structure politique et administrative de l’état hittite, j’ai déjà parlé longuement autre part.86 À mon avis, dans le passage en question, on veut empêcher à des hauts dignitaires qui faisaient partie de la burocratie de l’État et étaient chargées de l’administration de certaines V. Šaøur., 66 sq. avec notes correspondantes. Le texte en question est celui qui contient les “instructions pour le seigneur du poste de garde”, de l’époque d’Arnuwanda I: KUB XIII 2 III 9 sq., cfr. son duplicat KUB XXXI 88 (CTH 261) II 12. Dans un passage malheureusement très mutilé des “instructions pour le ÷azan(n)u de ÷attuša” (KBo XIII 58 [CTH 257] II 29), qui datent, elles aussi, de l’époque d’Arnuwanda I, l’inspecteur de ville semble recevoir des instructions de la part du ÷azannu à propos de troupes et de déportés: peut-être les déportés attribués aux communautés locales? Ce passage n’est pas très clair; toutefois, il me semble plausible que l’inspecteur de ville, autorité locale, recevait des instructions du ÷azannu, en tant que représentant du pouvoir central. Sur le ÷azannu dans les textes hittites, v. le travail de F. Pecchioli Daddi dans OA 14 (1975) 93 sqq. 85 En effet, la prescription, dans le passage mentionné ci-dessus des “instructions pour le seigneur du poste de garde”, de s’en tenir aux usages locaux dans les jugements, me semble particulièrement significative. Il est intéressant de rappeler que à Mari le ÷azannu exerçait la justice en union avec les Anciens de la ville, et à Alalaø - dans des passages dont, toutefois, la lecture, et, par conséquent, l’interprétation aussi, est controversée - il semblerait que le ÷azannu prêtât serment avec cinq de ses Anciens, comme témoins. De toute façon, la position du ÷azannu par rapport au pouvoir central ne semble pas correspondre dans les différentes régions et époques du Proche-Orient ancien; v. Šaøur., 70 et les notes correspondantes. 86 Or 44 (1975) 80-95. 84

235

zones, de commettre une exaction arbitraire, évidemment à leur avantage personnel (cfr. p. 251). À la conclusion de l’examen, nécessairement rapide, de ces documents, il me semble intéressant de rappeler les propositions les plus connues de classification typologique de la société hittite, vue dans l’ensemble des autres sociétés du Proche-Orient ancien, propositions qui ont été avancées par des savants de disciplines différentes et de tendances historiographiques les plus variées. Depuis avant-guerre déjà, la désignation de société de type féodal a connu une grande fortune. C’est surtout à partir de la fin des années cinquante qu’un intense débat s’est élevé entre les spécialistes à propos de la reprise du concept de Marx de “mode de production asiatique” et son application aux sociétés du Proche-Orient ancien. Beaucoup d’orientalistes de l’Europe de l’Est, surtout ceux qui appartiennent à l’école de Leningrad, se présentent avec une position de refus de ces deux concepts appliqués aux sociétés de l’Asie antérieure pré-classique. Ces spécialistes reconnaissent dans ces sociétés une structure de type esclavagiste et y voient la présence de deux classes antagonistes: celle des propriétaires des moyens de production (c’est-àdire la terre) et celle des travailleurs assujettis, privés de cette propriété et soumis à exploitation extra-économique. En ce qui concerne la société hittite, les documents relatifs permettent de constater dans celle-ci la présence de quelques éléments qui peuvent appuyer partiellement chacune de ces hypothèses. Je ne réexaminerai pas ici la position des savants qui reconnaissent dans la société hittite certaines situations typiques des sociétés féodales.87 En ce qui concerne cette question, je signale que je me suis volontairement limitée à ne considérer que les documents hittites relatifs à l’administration intérieure de l’État, car il aurait été bien trop long d’affronter le problème de la réglementation des rapports qui unissaient au Grand Roi hittite les souverains des pays qui lui étaient assujettis, même si, selon de nombreux spécialistes, ces rapports présentait des analogies avec les rapports de vassalité typiques du monde féodal. Pour une revue des études orientées dans ce sens et sur la problématique correspondante, v. A. Archi, SMEA 18 (1977) 7 sqq. 87

236

Pour ce qui est de l’organisation interne de l’État, la documentation montre des divergences dans la situation de l’Ancien Royaume par rapport à celle de la période impériale. Les textes utilisés pour la reconstruction de la structure sociale de l’Ancien Royaume sont, d’habitude, le Testament de ÷attušili I et l’Édit de Telipinu.88 En effet, malgré le caractère tendancieux que l’on peut constater dans de tels édits, promulgués par ces souverains pour atteindre des buts bien précis, on ne peut pas se dispenser toutefois d’examiner les renseignements qui y sont contenus, tout en les utilisant avec précaution, naturellement. Dans de tels documents, on mentionne plusieurs fois les “grands” du royaume qui semblent avoir été très puissants à cette époque, à tel point qu’ils limitaient et même contrastaient le pouvoir royal, mais il est difficile d’établir si cette puissance des Grands dérivait de la structure spécifique de l’État à cette époque ou de situations contingentes à l’intérieur de la monarchie (comme, par exemple, les fréquentes luttes dynastiques pour prendre possession du pouvoir), même si, inévitablement, les deux choses s’entremêlent et se conditionnent. ÷attušili I, dans son Testament,89 rappelle que, au temps de son grand père, les “serfs” de ce souverain et les Grands ne tinrent pas compte de sa décision en ce qui concernait le choix du successeur au trône. En regardant la façon dont est présenté cet épisode, on peut déduire que ce fait ne rentrait pas dans la légalité. En outre, dans les documents que nous possédons, il n’y a pas d’éléments qui puissent nous faire retenir que la monarchie hittite, à cette époque, ait été élective. Tandis que, dans le Testament de ÷attušili I, on parle génériquement de Grands, dans l’Édit de Telipinu, où ils sont mentionnés à plusieurs reprises, on spécifie aussi, peut-être de façon incomplète, ceux qui pouvaient être considérés comme tels: les pères de la maison, le grand (c’est-à-dire le chef) des fils du Palais, le grand des gardes du corps, le grand du vin, le grand des écuyers, etc.90 C’étaient donc, vraisemblablement, tous les chefs des différentes catégories de Et, en outre, pour certains aspects, les paragraphes de la rédaction la plus ancienne du recueil de Lois, les Chroniques de Palais, et les plus anciens textes relatifs aux “donations de terres” et “instructions”. 89 Où les Grands sont mentionnés dans II 41, [73], III 45, 45, 59, selon HAB, 6 sq., 10 sq., 14 sq.; v. en particulier III 41 sqq. (HAB, 12 sqq.). 90 §§ 32-34, selon W. Eisele, Der Telipinu-Erlass, München 1970, 37 sqq. 88

237

dignitaires, ainsi que certains hauts fonctionnaires. Comme on le sait, généralement les titres qui désignent de telles charges n’expliquent pas la fonction correspondant à celles-ci; la plupart de ces titres montrent seulement leur origine probable au sein du Palais, à laquelle, toutefois, a d’ordinaire succédé un changement, souvent radical, dans leur attributions. Il faut observer que presque tout les dignitaires mentionnés ici comme Grands apparaissent ailleurs désignés aussi comme “seigneurs” (v. Or 44 [1975] 81 sq. note 7): de ceux-ci nous parlerons ensuite. Nous savons que, toujours pendant le règne de Telipinu, les Grands tramaient des conjurations contre la famille royale: rappelons, par exemple, la position des “sept hommes grands”, qui apparaissent comme mandants dans l’assassinat de ÷uzziya.91 Naturellement le chiffre sept a ici une valeur symbolique, comme cela a lieu ailleurs.92 Déjà avant, du reste, un autre mandant de crimes contre la famille royale avait été Zuru, “grand des gardes du corps”, un titre tenu par quelqu’un qui semble avoir eu le droit d’être considéré “grand”, selon la liste indiquée cidessus. Dans cette période, le pouvoir des Grands est aussi démontré par le passage où l’on leur interdit de prendre possession des “maisons”, c’est-à-dire des biens, d’un “fils du roi”, qui aurait commis quelque délit et qui ait été puni de mort pour cette raison, et de tenter de prendre possession de quelque “ville”, en faisant du mal au “seigneur de la ville” qui, selon le contexte, semblerait être le “fils du roi”.93 Toutefois, même si quelques passages de ce document permettent de présumer une certaine crainte de la part du pouvoir royal pour l’ingérence des Grands dans le gouvernement de l’État (ainsi que, bien sûr, pour l’accroissement de leur patrimoine et, par conséquent, de leur puissance), il semble que l’administration du royaume ait été tenue, en substance, pas des membres de la famille royale. Il est intéressant de noter, à ce propos, ce qu’ on lit au début de l’Édit de Telipinu, c’est-à91 V. KBo XII 8 II 24-26: ce texte, avec KBo XII 9, est considéré par E. Laroche (CTH 20) comme parallèle a l’Édit de Telipinu; selon W. Eisele, op. cit., 13, ces deux documents n’appartiennent pas à l’Édit. Quoi qu’il en soit, on y traite d’affaires relatives au règne de ce souverain, v. aussi H. Otten, KBo XII, Inhaltsübersicht 8 et 9. 92 Par exemple, dans ce même texte (KBo XII 8 IV 14 sqq.) on parle des sept “conjoints” ou “frères” de ÷uzziya, tandis que dans l’Édit Tel. II 13 ils résultent être cinq: v. V. Eisele, op. cit., 30 sq. 93 Ed. Tel. II 62-65: v. W. Eisele, op. cit., 39 sq.

238

dire que les premiers rois hittites envoyaient leurs fils administrer (maniyaøø-) les pays conquis.94 Et, comme je l’ai observé ailleurs, l’appellation de “fil du roi”, même si elle ne doit pas toujours être interprétée à la lettre, désignait toutefois - et surtout dans la période la plus ancienne - quelqu’un qui faisait partie en quelque sorte de la famille royale.95 L’importance des Grands durant cette période-là résulte aussi de ce que dans les §§ 35-40 encore de l’Édit de Telipinu on semble dire que ce souverain ait cherché à les intégrer dans le cadre d’un programme de réorganisation économique de nombreuse localités qui s’y trouvent énumérées.96 De toute façon, malgré cette position importante des Grands, toujours dans ce document on établit que, si ceux-ci s’étaient rendus responsables de quelque faute, ils devaient être jugés par l’assemblée du panku, tandis que la compétence de juger les membres de la famille royale ou le roi luimême était du ressort du tuliya, un organisme plus élevé et plus restreint, peut-être formé par des membres de la famille royale elle-même,97 et donc plus facile à contrôler et à conditionner. Quoi qu’il en soit, tout en reconnaissant aux Grands pour la période de l’Ancien Royaume un pouvoir assez fort, il ne me semble pas, sur la base de la documentation qui nous est parvenus, qu’il y ait des éléments aptes à démontrer la présence de structures que nous pourrions définir de type “féodal”. Rappelons que certains spécialistes orientés dans ce sens ont attribué une valeur particulière aux textes des “instructions” destinées à différentes catégories de dignitaires et à des personnes qui exerçaient leurs fonctions dans l’administration, l’armée, le culte ou le Palais. De ces 94 Ed. Tel. I 9-11, 18 sq.: v. W. Eisele, op. cit., 16-19. Même si l’on peut objecter que ce qui est dit au début de cet Édit ne reflétait pas fidèlement la situation des périodes auxquelles le texte se référait, toutefois, dans ce cas-ci, il est permis de présumer qu’elle correspondait à la réalité. 95 V. Or 44 (1975) 87-95, et surtout 94 sq. avec note 85. 96 Dans ces localités se trouvaient les “maisons du sceau”, c’est-à-dire des dépôts qui étaient le plus souvent, mais pas toujours, liés à l’administration de l’État: pour la bibliographie relative à ces “maisons du sceau”, v. en dernier A. Archi, OA 12 (1973) 214 sqq. 97 V. G. Pugliese Carratelli, dans Atti e Memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria” (1959) 111 note 1.

239

“instructions” il nous est parvenu une documentation plutôt vaste pour les différentes périodes de l’histoire hittite, à partir de l’Ancien Royaume. Dans certaines “instructions”, à la fin des différentes clauses relatives aux tâches à exécuter et aux interdictions à respecter, on trouve une formule de serment, et, dans certains cas, on demande à leurs destinataires de jurer fidélité au souverain.98 C’est pour la présence d’un tel serment qu’on a fait une comparaison avec les rapports de vassalité qui unissaient au Moyen Âge les sujets au souverain. Toutefois, on doit observer que ces documents d’ “instructions” avaient d’ordinaire un caractère plus public que privé, puisqu’ils étaient généralement destinés à des catégories de personnes plutôt qu’à des particuliers. Leur but était, le plus souvent, de fournir des dispositions techniques et d’établir les taches auxquelles étaient tenues les différentes catégories de dignitaires et de fonctionnaires.99 Parmi les “instructions” qui datent de l’époque de Tutøaliya IV, nous avons celles qui s’adressent aux “seigneurs et fils du roi”,100 auxquels on demande des engagements qui sont sanctionnés par un serment. Comme j’ai essayé de le démontrer ailleurs,101 je considère que, dans ce cas, comme dans certains autres, la désignation de “seigneurs” représentait quelque chose de plus spécifique qu’une simple indication de rang ou de classe, comme pourrait l’être la désignation plus générique de “nobles”. Des passages où ces “seigneurs” sont mentionnés, on peut déduite que, à leur groupe, devaient appartenir des dignitaires ayant des attributions différentes - en particulier dans le domaine militaire et administratif - mais toujours de grande importance: parmi ceux-ci, probablement, beaucoup de ces dignitaires dont le titre était composé avec le terme EN/BÊLU “seigneur”. Avec l’expression “fils du roi”, comme nous l’avons déjà dit, on désignait parfois des dignitaires de rang très élevé, très proches du souverain, et qui, probablement, faisaient partie de sa famille, mais pas nécessairement ses enfants. Aux “seigneurs” et aux “fils du roi”, dans les “instructions” qui leur étaient destinées, on demandait continuellement une fidélité absolue au souverain. L’exercice d’importantes attributions administratives et V. Šaøur., 150 note 7. Sur le caractère de ces documents et sur la bibliographie essentielle à ce sujet, v. Šaøur., 149 sqq. et note 6-8. 100 V. E. v. Schuler, Dienst., 22 sqq. 101 Or 44 (1975) 80 sqq. 98

99

240

militaires était de leur ressort; ils pouvaient gouverner des pays ou des districts et, en cas de nécessité, remplacer le souverain dans le commandement de l’armée. Parmi les “seigneurs”, on trouve aussi ces dignitaires appelés “seigneur du pays” et “seigneur du poste de garde”, qui, comme nous l’avons vu, gouvernaient des pays avec des pouvoirs plutôt vastes, en tant que représentants de l’autorité centrale. Selon les documents, les “seigneurs” ne semblent pas avoir eu des prérogatives très différentes pendant le Moyen Royaume aussi. En outre, dans les “instructions” de l’époque de Arnuwanda I pour les hommes DUGUD - c’est-à-dire des chefs de districts avec des fonctions principalement militaires - on parle de la requête à tous(?) les seigneurs de ÷atti et à certains contingents de l’armée de jurer fidélité à la famille royale.102 De toute façons, ces “seigneurs” ne présentent pas de caractéristiques typiques des seigneurs féodaux. Il semble qu’ils administraient les pays et tenaient de hautes charges militaires, non pas comme seigneurs de type “féodal”, mais en tant que membres de la bureaucratie de l’État. En effet, avec l’évolution continuelle de la monarchie dans un sens absolu, l’État tendait de plus en plus à se “bureaucratiser”. Intéressant à ce propos est le passage indiqué à la p. 230, où les “seigneurs” et les “fils du roi” chargés de l’administration des régions périphériques semblent tenus à faire exécuter le šaøøan.103 Comme nous l’avons vu dans d’autres documents, cette attribution était du ressort du seigneur du pays et du seigneur du poste de garde pour le compte du pouvoir central, et de l’inspecteur de ville ou de village pour le compte de la communauté. Tout au plus, nous pourrions alors nous demander si le roi, dans ces cas-là, avait cherché à intégrer les ainsi-dits “nobles” (les Grands et les “seigneurs”) dans l’administration de l’État pour mieux les contrôler - ce qui aurait été un gros élément de force pour un souverain - ou s’ils étaient devenus “nobles” justement parce qu’ils faisaient partie de la bureaucratie de l’État. Il me semble intéressant ici de relever la possibilité qu’un haut 102 V. Or cit., 86 note 34 (KUB XXVI 24 IV 2-7). Nous savons, du reste, que même les hommes DUGUD se rendaient à la cour en cas de mort d’un souverain pour confirmer leur fidélité au nouveau roi: v. F. Pecchioli Daddi, OA 14 (1975) 96 note 10. 103 V. note 64.

241

fonctionnaire de l’administration de l’État avait de se constituer un gros patrimoine foncier grâce a des conquêtes militaires. C’est ce que l’on peut présumer pour Šaøurunuwa, chef des scribes sur bois, chef des troupes UKU.UŠ, chef des pasteurs, et peut-être aussi, selon certains documents, “fils du roi”. On dit de lui, semble-t-il, qu’il avait acquis certains de ses biens au moyens des armes (GIŠKU-it) et qu’ils les avait donnés ensuite, probablement en héritage, à ses enfants.104 Les documents où le souverain demande un serment à des particuliers sont rares. L’un d’eux est le “serment d’Ašøapala”, vraisemblablement un commandant de garnison qui a vécu sous le Moyen Royaume, peut-être à l’époque d’Arnuwanda I.105 Nous avons, en outre, deux documents de la dernière période de l’Empire, c’est-à-dire le serment d’un chef des scribes à Suppiluliuma II (duquel on peut rapprocher un autre document),106 et la requête, encore, d’un serment de fidélité à un haut personnage de la cour hittite, qui, à l’époque de Šuppiluliuma II (ou d’Arnuwanda III), gouvernait pour le compte du souverain certaines régions probablement éloignées de la capitale et où il était donc plus facile de déserter.107 En effet, un motif que l’on retrouve souvent dans ces deux documents est la crainte d’attaques ennemies ou de défections possibles, surtout de la part de ces “seigneurs” qui semblent avoir exercé leurs fonctions dans les régions frontalières. Du reste, également dans la partie qui nous est conservée du document d’Ašøapala, on insiste sur la possibilité d’incursions ennemies, que l’on doit immédiatement communiquer au seigneur du poste de garde, qui, nous le savons, avait la charge de pourvoir à la sécurité des frontières. En ce qui concerne les deux documents de la dernière période de l’Empire, vu qu’on y demande de la part du souverain un serment de fidélité à des particuliers, certains spécialistes postulent une évolution dans un sens féodal de l’État hittite pour la période du Nouveau KUB XXVI 43 Ro 6 sq., et Šaøur., 24 sq. et 46 sq. Cfr. ce qu’observe P. Garelli, Semitica 17 (1967) 20 sq., en ce qui concerne le milieu assyrien. 105 KBo XVI 50 (CTH 270): v. H. Otten, RHA 18 (1960) 121 sqq. 106 KUB XXVI 32+ (CTH 124); cfr. aussi KUB XXVI 33 (CTH 125); v. E. Laroche, RA 47 (1953) 71 sqq.; P. Meriggi, WZKM 58 (1962) 93 sqq.; H. Otten, MDOG 94 (1963) 3 sqq.; O. Carruba, SMEA 18 (1977) 151 sqq. 107 KBo IV 14 (+) KUB XL 38 (CTH 123); v. P. Meriggi, op. cit., 84 sqq.; R. Stefanini, ANLM, Ser. 8, 20 (1965) 39 sqq., et Atti e Memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria” 31 (1966) 107 sqq. 104

242

Royaume, sans tenir compte, d’ailleurs, du document mentionné cidessus du Moyen Royaume.108 Je ne suis pas d’accord avec cette position car, à mon avis, ces requêtes de serment de fidélité de la part de souverains hittites dans des moments particuliers de crise intérieure et extérieure étaient dues non pas à une structure précise de l’État, mais à de graves situations contingentes, où le souverain sentait la nécessité de s’assurer la fidélité de ces sujets, en particulier de ceux qui gouvernaient des garnisons ou des régions distantes de la capitale. À ce point, il me semble opportun de rappeler que le règne d’Arnuwanda I fut tourmenté par les incursions des Gasgas, et que, sous les derniers souverains de l’Empire hittite, se fit fortement sentir la menace assyrienne, à laquelle suivit le danger provenant de Sud-ouest.109 Dans ce sens, à mon avis, prend une valeur particulière le fait que ce soit justement du règne d’Arnuwanda I qu’on date certains textes d’instructions à des dignitaires qui gouvernaient des localités situées dans des positions fondamentales pour la sécurité du pays ou auxquels était confiée la défense de la capitale.110 Du reste, la concession de bénéfices de la part du souverain est, elle aussi, liée souvent à des circonstances particulières à l’intérieur de la monarchie ou du pays. On peut remarquer, par exemple, que nombre de documents où l’on concède des exemptions de charges remontent au règne de ÷attušili III, le souverain usurpateur, qui avait besoin, pour cela même, de se gagner bienveillance et appui. Et, comme nous l’avons déjà vu (pp. 226, 230), des exemptions sont également concédées dans des documents de l’époque d’Arnuwanda I (sous lequel, d’ailleurs, ont été rédigés aussi de nombreux actes de donation de terres) et dans des documents datant de Šuppiluliuma II. En outre, il me semble important de considérer que, dans les textes où le souverain concède des bénéfices à quelqu’un, on tend surtout à V. en dernier A. Archi, SMEA 18 (1977) 18. Particulièrement significatif, par exemple, me semble le passage dans KBo IV 14 II 66 sqq. (cfr. aussi II 22) où l’on fait allusion à la menace assyrienne, ainsi que la vive recommandation au destinataire de ce document d’inspecter les villages et les régions frontalières afin qu’ils ne se détachent pas du roi. Sur la situation de la dernière période de l’empire hittite, v. au contraire l’opinion de O. Carruba dans SMEA 18 (1977) 152 sqq. 110 Cfr. en dernier F. Pecchioli Daddi, op. cit., 94 sqq. 108

109

243

mettre en relief le privilège accordé par le Grand Roi à son favori, tandis qu’on ne parle pas, ou l’on y fait qu’une simple allusion, de l’engagement de fidélité de la part du sujet.111 Rappelons toutefois que, en ce qui concerne les terres accordées en donation par le roi, elles pouvaient ensuite être transmises en héritage, comme le montre la clause de revendication des actes de donation où l’on dit que “à l’avenir, personne ne peut revendiquer (les biens donnés) aux enfants et aux petits enfants de X (= le destinataire de la donation)”.112 De même, comme nous l’avons vu, les biens acquis avec les armes étaient, eux aussi, héréditaires. Au contraire, les terres attribuées à des employés du Palais en rétribution de services déterminés retournaient ensuite au Palais (v. § 41 l. 46 sq.). Pour ce qui est de l’administration de la justice, les documents montrent que le roi était le juge suprême et qu’il intervenait dans les délits d’une certaine gravité. C’était à lui de faire un acte de clémence quand le délit prévoyait la peine de mort. Pour certains délits, c’était le roi lui-même qui dirigeait la procédure judiciaire, comme dans le cas de fautes commises contre lui ou de désertion.113 D’habitude, au contraire, l’exercice de la justice était du ressort de fonctionnaires royaux qui gouvernaient certains pays, comme nous l’avons vu, par exemple, pour le seigneur du poste de garde. Ces fonctionnaires royaux étaient parfois aidés par des représentants de communautés locales, comme les Anciens et l’inspecteur de ville ou de village; ces derniers, toutefois, n’auraient exercé la justice que localement.114 Au contraire, nous n’avons aucune indication que des seigneurs aient exercé la justice sur leur propriété comme cela avait lieu à l’époque féodale. Nous avons déjà observé que l’équipement et toute l’organisation militaire était du ressort du pouvoir central. Aux remarques que nous V. Šaøur., 165 note 66; dans les traités de vassalité prévaut, au contraire, l’imposition des obligations du vassal envers le souverain; cfr. aussi Šaøur., 170 note 86. 112 V. Šaøur., 149 note 4. 113 V. Šaøur., 96 sqq., à propos de l’interprétation du verbe duddunu-, et en particulier 99-101; cfr. aussi Leggi, 315 sq. et 314. 114 Un endroit où l’on exerçait la justice était la “porte du roi” ou la “porte du Palais”: dans ce dernier cas, on ne fait pas toujours allusion au Palais royal, mais aussi à un de ces Palais compris comme sièges administratifs, disséminés dans les différents régions du royaume et dépendant du pouvoir central. Cfr. pour le milieu assyrien P. Garelli, loc. cit. 111

244

avons faites sur la base de renseignements fournis par les formules où l’on concède des exemptions, ajoutons aussi que, dans le traité avec Ulmi-Teššup de Tarøuntašša, on parle de la “maison de la tablette” du pays du fleuve ÷ulaya, qui avait la charge de rassembler et de fournir des contingents militaires à la cour hittite. Comme je l’ai écrit ailleurs,115 je pense que la maison de la tablette était un des sièges de l’administration centrale, placé dans les pays assujettis. À mon avis, les données examinées jusqu’à présent montrent donc que les divergences entre la structure de la société hittite et celle des sociétés féodales prévalent sur certaines analogies qu’on peut parfois trouver.116 Comme nous l’avons observé avant, la documentation qui nous est parvenue permet de reconnaître aussi dans la société hittite la présence d’éléments qui caractérisent, selon K. Marx, le “mode de production asiatique”, comme, en premier lieu, l’existence d’un secteur palatin, qui comprenait aussi le temps - l’ “unité suprême”, selon la définition de Marx - et d’un secteur communautaire, qui lui était subordonné et qui, toujours selon Marx, aurait été économiquement auto-suffisant selfsustaining). Toutefois, l’existence, dans la société hittite, de la propriété privée ne s’accorde pas avec la conception de Marx.117 Dans la documentation hittite, les attestations relatives au secteur communautaire sont, comme on le sait, extrêmement limitées, et souvent on ne perçoit l’existence de ce secteur que par quelques observations indirectes; naturellement cela est dû aux conditionnements liés au milieu d’où proviennent ces documents, c’est-à-dire le secteur du Palais et du Temple, secteurs qui détiennent la gestion du pouvoir.118 Outre les articles des Lois, que nous avons déjà examinés, où les 115 V. dans FsMeriggi (1969) 154 sqq. Cette interprétation a été acceptée par A. Archi, OA 12 (1973) 113 sq. 116 Cfr. à ce propos les observations de E. Laroche, BiOr 23 (1966) 60, et de G. Cardascia, Iura 17 (1966) 326 sq., et les remarques de P. Garelli, Le Proche-Orient Asiatique , Bruxelles 1969 (= Nouvelle Clio 2), 339 sqq. 117 V. K. Marx, Grundrisse der Kritik der politischen Oekonomie, 1957-58, Berlin 1953, 376 sq. 118 Sur la présence du secteur communautaire en milieu hittite, v. I.M. Diakonoff, op. cit., 351 sqq., et A. Archi, FsOtten, 10 sqq. Sur la problématique relative a l’existence d’un secteur communautaire dans le Proche-Orient ancien et sur la bibliographie correspondante, v. M. Liverani, OA 17 (1978) 63 sqq.

245

communautés de village semblent conserver une certaine autonomie dans la subdivision des terres qui leur appartenaient et dans l’organisation interne du travail, l’existence d’un secteur communautaire est aussi témoignée par le § IV de la rédaction la plus récente des Lois. On y prévoit que, en cas d’homicide dont on ignore l’auteur, la responsabilité retombe sur tout village se trouvant dans un rayon de trois milles à partir du lieu du crime. Des cas analogues de responsabilité collective pour un délit se retrouvent aussi dans d’autres textes de Lois de l’Asie antérieure antique, où existe aussi la possibilité de se disculper grâce à des cérémonies rituelles ou des serments.119 L’existence d’un secteur communautaire, tenu à fournir des biens en nature et des prestations de travail pour le Palais, ainsi que pour les centres religieux intégrés dans l’administration centrale, est également attestée dans d’autres documents hittites à caractère administratif et religieux. Certes, on peut présumer à bon droit que le souverain exerçait en réalité son contrôle sur ce secteur aussi, même s’il faut considérer que nous connaissons seulement quelques aspects de celui-ci, vu que, en général, il apparaît dans les textes justement en relation à ses rapports avec le pouvoir central. Ce contrôle devait nécessairement se renforcer à mesure que ce pouvoir augmentait et que, par conséquent, la bureaucratisation s’accentuait. Il est donc difficile de penser que l’autonomie économique de ces communautés de village se soit maintenue inaltérée dans une telle société. Du teste, cette autonomie pouvait se réaliser surtout dans l’organisation du travail à l’intérieur de la communauté elle-même, mais elle était toujours conditionnée par l’intervention du Palais: en effet, la communauté était tenue à fournir à celui-ci des tributs et des corvées; en outre, le Palais semble avoir eu la faculté de concéder des dispenses même pour les obligations que l’on devait aux représentants des communautés, comme nous l’avons vu dans le cas de l’inspecteur de ville ou de village. V. a ce propos Leggi, 199 sq., avec les notes correspondantes. Ici, il me semble intéressant de rappeler la loi salique, où l’on attribue la responsabilité d’un homicide commis par des inconnus au village le plus proche du lieu du meurtre. Ce village doit, pour ce motif, payer le Wehrgeld: toutefois, on accorde aux Anciens de ce village la faculté de se disculper par un serment (il faut noter, à cette occasion, la présence des Anciens comme représentants du village). 119

246

De plus, la spécialisation et la subdivision du travail à l’intérieur de l’organisation palatine et l’augmentation correspondante de la production artisanale, ainsi que le développement et l’expansion des échanges commerciaux à l’intérieur et à l’extérieur, amoindrissaient de plus en plus l’autosuffisance des communautés dans le domaine économique. Tout cela créait inévitablement, bien qu’avec une extrême lenteur par rapport au milieu palatin, une diversification dans le secteur productif et la formation de hiérarchies même à l’intérieur des communautés. À la désagrégation naturelle des communautés, correspondant changement et à la décomposition de certaines structures familiales, au détriment, donc, de l’unité de la propriété foncière, contribues aussi l’infiltration dans le secteur communautaire d’éléments extérieurs provenant du milieu palatin ou fournis par ce dernier. Les §§ 40 et 41 des Lois, que nous avons examinés avant, montrent justement la possibilité que, dans la cultivation de terres tenues par les hommes de l’instrument, soient associés des hommes de l’ILKU, dépendant du Palais. À ce point, on peut observer qu’on prévoit aussi le cas inverse, mais il est clair que le secteur palatin était à même d’exploiter cet apport de main d’ouvre, sans naturellement que son autonomie en soit conditionnée. Les §§ 40 et 112 des Lois, et le passage examiné avant des “instructions pour le seigneur du poste de garde”, nous apprennent encore que le Palais pouvait concéder un déporté qui, dans des cas particuliers, remplaçait l’homme de l’instrument et en prenait ainsi le status. Il me semble donc qu’on puisse conclure en remarquant que, avec le temps, le secteur communautaire tendait de plus en plus à être subordonné au pouvoir central. Et même si certaines compétences continuaient à être attribuées à ce secteur et à ses représentants, les Anciens et l’inspecteur de ville ou de village, cela semble avoir eu lieu surtout pour les institutions liées à certaines traditions, comme les institutions juridiques et religieuses. Mais tout ce qui concernait le secteur politique et économique était contrôlé par la vaste organisation bureaucratique du Palais. Enfin, en ce qui concerne la position de ces savants de l’Europe orientale qui définissent comme esclavagistes les sociétés de l’Asie antérieure antique, sur la base de la propriété ou non des moyens de

247

production, rappelons ce que soutient I.M. Diakonoff:120 parmi les travailleurs assujettis, c’est-à-dire privés justement de cette propriété, on ne doit pas compter seulement les esclaves proprement dits, mais aussi ceux qui prêtaient leur oeuvre dans le secteur de l’État et du temple en échange de l’usufruit d’un champ. Parmi les spécialistes qui s’opposent à cette thèse, nous trouvons I.J. Gelb, qui, sous une optique principalement juridique du problème, distingue les travailleurs assujettis en esclaves (personnes qui ne sont qu’objets de droit) et en serfs (sujets de droit, annexés aux grandes propriétés foncières de l’État et du temple), comparables aux serfs de la glèbe du Moyen Âge.121 À ce point, il me semble opportun d’observer que l’ensemble de la population économiquement dépendante ne s’épuisait pas dans ces deux catégories: notons, par exemple, l’existence dans le monde hittite de salariés saisonniers. Il est possible de faire une considération de ce gente également pour d’autres sociétés du Proche-Orient antique. En outre, rappelons ce que certains spécialistes mettent en relief quand ils refusent une définition “esclavagiste” des sociétés orientales anciennes: c’est-à-dire, la faible incidence numérique des esclaves dans l’organisation économique de ces sociétés. Enfin, je ne pense pas qu’on puisse proposer une classification typologique des sociétés antiques seulement sur la base de leurs structures économiques et des rapports fondamentaux de classe, parce qu’il me semble opportun de tenir compte en particulier des ainsi-dites “superstructures” (religieuses, juridiques, idéologiques, linguistiques, etc.), qui exerçaient une fonction très considérable dans les sociétés à économie pré-capitaliste. Il est suffisant, à ce propos, de rappeler l’importance des conditionnements idéologiques, et donc des éléments de propagande, et le cas extrêmement fréquent des paysans libres, mais appauvris, qui, pour ne pas devenir esclaves pour dettes (c’est-à-dire pour ne pas perdre leur status d’homme libres) fuyaient en pays étranger, où ils travaillaient comme salariés et où ils étaient probablement V. pour le monde hittite op. cit., 346 sqq., et pour l’Asie antérieure antique en général les Actes de la XVIIIe R.A.I., München 1970 (1972) 41 sqq. et la bibliographie a la note 1, et AcAn 22 (1974) 45 sqq. 121 V. surtout JAOS 87 (1967) 1 sqq., et en particulier 6 sq., et les Actes de la XVIIIe R.A.I., 81 sqq. 120

248

embauchés à bas prix, vu leur position, se trouvant ainsi dans des conditions certainement peu meilleures économiquement que celles qu’ils avaient abandonnées.122 Il me semble donc qu’on puisse conclure en remarquant que, même si l’on réussit à reconnaître un système socio-économique qui prévale au cours des différents siècles de vie de l’État hittite, aucune des trois désignations que nous avons examinées jusqu’à présent pourrait en épuiser la réalité. En effet, nous avons vu que, dans certains cas, se présentaient, l’un à côté de l’autre, des éléments qui pouvaient caractériser les différentes structures sociales et les différents modes de production.123 Donc, si d’une part je reconnais l’importance de certaines élaborations typologiques, dont la grande utilité est indéniable soit comme direction de recherches soit comme instrument général d’interprétation, il me semble toutefois essentiel, pour reconnaître et reconstruire des systèmes économiques et sociaux particuliers, de tenir compte, en premier lieu, des situations spécifiques de chaque société. Sur cette base, il sera possible de formuler des hypothèses typologiques plus appropriées.

ADDENDUM Au cours de la XXVIIe R.A.I. (Paris, 30 Juin-5 Juillet 1980), E. Laroche m’a très aimablement montré sa translittération et sa traduction de la tablette de Meskéné Msk. 73.1097 et il m’a permis d’en utiliser ici le contenu, en ce qui concerne les problèmes liés au šaøøan et au luzzi. Qu’il reçoive ici mes plus vifs remerciements pour son amicale courtoisie. D’après ce que E. Laroche m’a communiqué, on peut très probablement dater cette tablette de l’époque de Ini-Teššup de Karkemiš, et, partant, de ÷attušili III/Tutøaliya IV. Comme ce savant l’a

À propos d’une situation de ce genre en milieu syrien, cfr. M. Liverani, RSI 77 (1963) 317 sqq. 123 V. la proposition de P. Garelli, op. cit., 343, de définir comme “palatial” le régime de dépendance dans l’Empire hittite et dans les autres états contemporains du Proche-Orient antique. 122

249

déjà exposé ailleurs,124 il s’agit d’une lettre envoyée par un souverain hittite à un certain Alziyamuwa, pour lui reprocher d’avoir confisqué les biens d’un parent d’un devin125 dans le but de les donner à une autre personne,126 et en outre d’avoir imposé - certes arbitrairement - le šaøøan et le luzzi (l. 12 sqq.) à ce même devin, alors que, dès les temps les plus anciens,127 il était exempté de la prestation du šaøøan. Le souverain hittite ordonne au destinataire de la lettre de restituer les biens confisqués et de libérer le devin des charges auxquelles on l’avait soumis. Rappelons à ce point que la concession de privilèges à des personnes exerçant quelque activité en milieu cultuel est attestée ailleurs aussi: cfr. par exemple les §§ 50 et 51 des Lois; dans ce dernier paragraphe on confirme également le maintien d’un vieux bénéfice accordé au patrimoine d’un tisserand (v. p. 224 sq.). Il me paraît intéressant d’observer que dans la tablette de Meskéné on répète deux fois que dès les temps anciens le devin n’était pas tenu à prêter (ešša-, iter. de iya-) le šaøøan (ll. 10 sq. et 23 sq.), tandis que Actes du Colloque de Strasbourg, 1977 (= Université des Sciences Humaines de Strasbourg, Travaux du Centre de Recherches sur le Proche-Orient et la Grèce Antiques 5) 241. V. aussi CHD L-N, 91. 125 Il est difficile d’établir s’il s’agissait de la confiscation de biens (la “maison” et la vigne) qui appartenaient au parent du devin en question, ou de biens qui avaient appartenu avant à ce parent, mais qui actuellement faisaient partie du patrimoine du devin lui-même (cfr., par exemple, le document relatif a la répartition du patrimoine de Šaøurunuwa, ou les actes de donation de terres, où l’on indique la provenance des biens en question: v. Šaøur, 14 sq. § 3 et p. 167). À ce propos, il serait utile de savoir si l’enclitique -mu- “a moi”, insérée dans l’expression au début de la l. 6, se référait au terme LÚišøanittaraš (l. 6) ou a l’expression arøa daškizzi (l. 8), et, de même, si dans les ll. 17-31 il s’agissait d’une même personne a laquelle on avait confisqué les biens et a laquelle on avait imposé des charges, ou de deux personnes différentes (dans le cas spécifique, le parent du devin et le devin lui-même). 126 L’action de confisquer les biens de quelqu’un pour les donner a une autre personne est exprimée avec la formule arøa dâ- . . . pâi- (ici, les verbes sont a l’itératif), que, dans ce sens, nous connaissons aussi par d’autres textes hittites (également sous la forme IŠTU dâ-.... pâi-), correspondant a la formule NAŠÛ NADÂNU de certains textes d’Ugarit et des actes hittites de donation de terres; v. a ce propos J.C. Greenfield, GsFinkelstein, 87 sqq., et en particulier p. 89 avec note 22; sur une comparaison entre les “Freibriefe” et les actes de donation de terres, v. Šaøur., 148 sqq. (en particulier 149 note 4 et 167) et 19 avec note 62. 127 annaz “avant, dès les temps les plus anciens, autrefois” se trouve ici, comme ailleurs, en opposition avec kinun-ma “mais maintenant”; sur annaz, synonime de l’adverbe plus ancien karu; v. J. Friedrich-A. Kammenhuber, HW 2, 81. 124

250

maintenant on lui a imposé le šaøøan (et) le luzzi (ll. 13 sq., 15 sq., 25 sq.).128 À ce propos, il est difficile d’établir si une telle alternance entre ces impositions était fortuite, ou si l’on avait voulu ici faire réellement une distinction entre ces deux types de charges, comme le ferait supposer leur place inchangée dans le contexte,129 et peut-être aussi le fait que ces deux termes ne semblent pas ici être toujours unis par asyndète. À mon avis, cette tablette confirme quelques observations que nous avons faites au cours de cet exposé. Elle démontre que les hauts fonctionnaires qui gouvernaient des régions périphériques comme représentants de l’autorité centrale avaient la possibilité d’exercer des abus - évidemment à leur avantage - et d’accroître ainsi leur pouvoir. Du teste, dans certains des documents examinés ci-dessus, surtout ceux où l’ on concède des exemptions, on sent la préoccupation du souverain de prévenir des faits de ce genre et non seulement de défendre les intérêts du destinataire d’un bénéfice.130 La situation que nous présente la tablette de Meskéné, selon moi, s’adapte mieux à un type de monarchie centralisée qu’à celui d’une monarchie féodal, cela surtout polir l’intervention directe du souverain dans le but d’empêcher un abus de pouvoir de la part d’un de ses dignitaires. Il me semble qu’on peut sentir une préoccupation de ce genre également dans quelques passages des “instructions aux seigneurs et aux fils du roi” - de l’époque justement de Tutøaliya IV - qui pouvaient avoir, entre autres, la charge de gouverner des régions et auxquels on demandait fréquemment fidélité absolue au souverain (v. p. 240 sqq.).

kattan dâi- (ll. 14, 26) “soumettre” au šaøøan et au luzzi ces deux termes sembleraient être une fois à l’accusatif (ou au cas absolu?), coordonnés par la conjonction -ya (l. 13 sq.: šaøøan luzzi-ya kattan tîir) et une fois au datif-locatif, liés par asyndète (l. 25 sq.: šaøøani luzzi . . . kattan daišten). A la l. 15, selon une intégration plausible de E. Laroche, les deux termes seraient unis par la conjonction -a (ša-aø-øa-an lu-uz-zi-in-n[a?]); on remarque ici une forme d’accusatif luzzin au lieu de la forme neutre plus habituelle luzzi. 129 Cfr. ce que nous avons observé à la p. 231 à propos d’un passage du traité avec Ulmi-Teššup de Tarøuntašša, texte chronologiquement proche de la tablette de Meskéné. 130 Cfr. pp. 235, 241 sq. A noter l’expression de la l. 31 sq. de la tablette de Meskéné n-an lê kuiški dammiškaizzi “et que personne ne l’opprime”, et cfr. l’expression dans KUB XVII 21 I 24 sq. à la note 45 de cet article. 128

251

XII.

LEHENWESEN s.a. Feudalismus, ilku. Bei den Hethitern

§ 1. Proposal for an interpretation of the Hittite social structure in a “feudal” sense. Of the various proposals for a typological classification of Hittite society - also in comparison with the other societies of the Ancient Near East - one which found favour with scholars even before the second World War was its definition as a society of a “feudal” description. For an exposition and discussion of the opinions expressed on this subject and for the bibliography concerning the problems dealt with in the present article, see P. Garelli, Le Proche-Orient Asiatique, Bruxelles 1969 (= Nouvelle Clio 2) 339-345; A. Archi, SMEA 18 (1977) 7-18; F. Imparati, JESHO 25 (1982) 249-267.

§ 2. Arguments in favour of this interpretation. a. The supporters of this “feudal” interpretation rely, in the first place, on the international treaties which regulated the relations between the Hittite Great King and the sovereigns who were dependent in some way on the kingdom of ÷atti: the clauses concerning personal, military, political, economical, fiscal and judicial matters, as well as mutual assistance, were placed under the protection of the deity and ratified by an oath sworn by the dependent monarchs. These sovereigns, moreover, were obliged to pay a tribute and to present an act of homage to the Great King each year. b. These treaties have been compared with other documents which regulated relations of dependency within the Hittite state structure, the so-called “instructions” addressed to various categories of dignitaries and to those occupying, at different levels, administrative, military and cultual positions within the state itself or within the palace organisation. We possess a reasonably ample documentation of these “instructions” covering different periods of Hittite history from the Old Kingdom 253

onwards. In several of these documents at the end of the various clauses specifying duties to be carried out and prohibitions to be observed, we find a formula for an oath, and, in some cases, a request for a vow of loyalty to the sovereign. This manner of regulating relations of dependency both within and without the Hittite state has been compared to the ties of vassalage which bound, in medieval times, subject and sovereign. c. Scholars favouring this “feudal” hypothesis have focussed their attention on the documents with which Hittite sovereigns granted privileges (donations of land, for example, or exemptions from taxes or services due to the state) to certain individuals or religious institutions. d. Moreover, scholars have concentrated their interest on the organisation of real estate. Even though the extant documents contain hardly any examples of private dealings, it is reasonable to presume the existence of private property of land. These lands belonged to “free” members of the village communities and to high-ranking dignitaries, holding a position in the state bureaucratic organisation, who had received the land as a royal gift or otherwise acquired it (see last paragraph, infra). These lands could either be exploited directly in different ways, sometimes with the participation of minor associates, or leased. These lands were subject to taxes levied by the central administration and could be both inherited and sold. Other lands belonged to the palace and the temple (regarding the economic dependency of the temple on the state, see § 3.b) and could either be exploited directly by means of a labour force dependent on one or the other of these administrations, or granted in usufruct in exchange for tributes or services, or else leased out. These lands could be neither inherited nor sold. Scholars have shown particular interest in lands assigned by the palace to its dependents and subject to certain obligations. e. The increasing use of the war-chariot in military undertakings, according to new improved techniques and equipment, is considered to be one of the principal causes of land grants by the palace, with the aim of giving the beneficiaries of these grants the possibility of procuring for themselves the necessary war equipment, which had become extremely 254

costly. This situation has led to establish parallels with the feudal societies. f. Finally, reference has been made to certain titles of Hittite dignitaries and functionaries clearly originating within the court environment, even though they do not always correspond to the actual functions of their bearer (see e.g. the GAL (LÚMEŠ) GEŠTIN, the “great/chief (of the men) of the wine”, who was an important military chief): a comparison has been drawn with a similar situation existing in the feudal societies. § 3. Arguments contrary to this interpretation. The above considerations have aroused considerable discussion among certain scholars. a. As far as the regulation of the international relations is concerned, the oath of loyalty, the annual act of homage and tribute to the Hittite Great King by the sovereigns subservient to him do not seem sufficient to suggest a fundamental similarity between these monarchs and feudal vassals. b. As regards the “instructions” mentioned above, it should be pointed out that these documents were of a more public than private nature in that they were generally addressed to collective bodies rather than to individuals, and that their aim was that of providing technical directions and of conferring specific duties on the bodies concerned. On the other hand, documents in which the sovereign requested an oath of loyalty from individuals are rare and limited to periods of internal or external crisis of the state, when the sovereign needed to be sure of the loyalty of his subjects, and especially of those who governed, as members of the bureaucratic organisation of the state, garrisons or regions away from the capital and for this reason more easily subject to defection. One of these documents is the so-called “oath of Ašøapala” (CTH 270), who was probably a garrison commander during the Middle Kingdom, perhaps in the reign of Arnuwanda I; there are two further texts dating from the last period of the Empire concerning respectively an oath

255

made by a chief of the scribes to Šuppiluliuma II (CTH 124, cf. also CTH 125) and the request for an oath of loyalty from a high member of the Hittite court who, during the reign of Šuppiluliuma II (or Arnuwanda III), governed in the name of the Hittite king certain regions presumably distant from the capital (CTH 123). It appears significant in this context the fact that several documents, too, containing “instructions” to dignitaries administrating in the name of the king circumscriptions of greater or lesser size, but presumably situated at crucial points for the security of the kingdom, or who were responsible for the defence of the capital, date from the reign of Arnuwanda I: see the “instructions” for the commander of the border guards (CTH 261), for the heads of garrison (CTH 260) and for the Mayor of ÷attuša (CTH 257).

c. The granting of privileges or immunities seems to be often tied to particular circumstances for the monarchy or the country: it is significant that the majority of those documents referring to exemptions from various obligations date from the reign of ÷attušili III, who was an usurper. It is important, besides, that in documents of this kind the emphasis is placed on the privilege granted by the king to his favourite, while the vow of loyalty or any other sort of promise on behalf of the subject is not dealt with: at most, it is briefly mentioned. d. As regards land grants by the palace to its dependents in exchange for the performance of certain obligations, we must above all bear in mind that, should it become impossible to honour these obligations (as happened, for example, on the disappearance of the person to whom the grant is made), such lands could not be inherited or sold, but must return automatically to the palace, which disposed of them as it saw fit. Moreover, the documents seem to show an increasing intervention of the king in private property, too, without this being necessarily interpreted in the sense of a denial of private property. It is far from easy to establish the actual value of the terms in which certain obligations were expressed (service to perform or tribute to pay) and to distinguish between them; it is moreover difficult to define exactly who was held to the obligations in question, and to whom they were due. For a comprehensive examination of the various interpretations proposed for such terms and expressions as šaøøan, luzzi, ILKU and man of ILKU, GIŠTUKUL and man of GIŠTUKUL, in the different contexts and in the various periods in which they appear (not only in relation to the grants of real estate), and for the relative bibliography, see JESHO 25, 326 f.

256

e. With respect to the military organisation and the problem of the high cost of weaponry, surviving texts nowhere refer to private persons procuring the latter for themselves; in fact, with the Hittites, as with other peoples of Ancient Western Asia, the central administration was in charge of the provision of equipment for its army, collecting through special functionaries the supplies necessary for this purpose, and redistributing them according to need. Regarding the information contained in several documents in which ÷attušili III granted exemptions from certain obligations due to the state, see our remarks in SMEA 18 (1977) 43 with notes 85, 86; for the function of É duppaš “house of tablet” as administrative institution dependent on the central authority and detached in zones subject to the latter, and responsible, among other things, for the collection of tributes for the king, which also included troops of various kinds, see Athenaeum 47 (1969) 154 ff.

i. The reference to certain titles given to Hittite dignitaries (see § 2.f) does not provide a sufficient basis for surmising analogies with the feudal societies, as it is possible to find examples of the same kind in different periods and societies, too. g. It is also important to note that the Hittite king acted as supreme judge, while we have no evidence of justice being administered by lords within their own domains, as in feudal times. The Hittite monarch dealt personally with crimes of a certain importance, and where death penalty was involved, had the power to pardon the offender; in some cases he led personally the proceedings; usually, however, the judicial function was in the hands of royal officials, sometimes with the assistance of representatives of the local community, such as the Elders and the inspector of the town or village, but whose authority was limited, presumably, to the local sphere. Justice was administered at the “king’s door” or the “palace door”, palace here referring not only to the royal palace but also to those palaces which, in various parts of the kingdom, housed administrative centres and were directly answerable to the central government.

h. There was, in Hittite society, a high degree of integration between political and religious power; as supreme priest the king held a position of prime importance in the cult and carried out various forms of control 257

over the temples and other religious institutions, which represented economic centres of considerable significance and depended on the state. As far as the commercial activities are concerned, from what little evidence we have, it can be presumed that merchants were attached to the palace administration. Even so, there is no reason to rule out some margin for private commercial enterprises; these, however, must have played quite a minor role: in any event, as in other cases, the almost total lack of documents of a private description makes any hypothesis problematic.

§ 4. Conclusion. The facts here examined give evidence of a highly centralised Hittite monarchy, that made its influence felt in all sectors of life, political, social, economic and religious. It is true that, from the existing evidence, it seems possible to ascertain that, during the Hittite Old Kingdom, the Great Ones (that is, the heads of certain categories of dignitaries besides high court functionaries, and perhaps also the heads of the principal families) possessed considerable power, which enabled them to limit, and in some case to obstruct, the king’s authority. However, even though one may suppose a certain concern on the part of the king regarding their considerable interference in the affairs of the state administration, it seems that this administration did, in fact, remain in the hands of members of the royal family. During the Empire, the Great Ones and the Lords (which title seems to include also almost all those dignitaries elsewhere referred to as Great Ones) all appear to hold positions in the vast bureaucratic organisation of the state, which enabled them to become great landowners either by means of military conquest (see the case of Šaøurunuwa, noted in JESHO 25, 256 with note 104) or by the practice of certain abuses. Particularly noteworthy in this last context is a tablet found at Meskene (the ancient Emar) containing a letter sent by the Hittite king ÷attušili III or Tutøaliya IV to one of his dignitaries - who seems to have governed that region in the name of the central authority - for the purpose of preventing him from making illegal use of his power, presumably in his own interest (Msk. 73.1097 see E. Laroche, Actes du Colloque de Strasbourg [1977] 241, and also JESHO 25, 264 ff.). Such direct intervention on the part of the sovereign seems more in keeping with a centralised monarchy than with a feudal one. Finally, let it be noticed that, with the increase in royal power and the consequent growth of bureaucracy, the palace came to have a much stronger

258

control also over the village communities, who were allowed to maintain only those functions linked with traditional institutions, such as the judicial and the religious, while all that concerned politics and economy was under the direct control of the central power.

We can conclude, therefore, that the divergences in the structure of Hittite society and that of feudal societies seem to prevail over certain similarities which can be observed. It ensues that the adoption of a typically feudal terminology to designate certain institutions of the Hittite state may misrepresent the features proper to this society.

BIBLIOGRAPHY A. GOETZE, State and Society of the Hittites, Historia 7 (1964), 23-33. E. V. SCHULER, Staatsverträge und Dokumente heth. Rechts, Historia cit., 34-53. K.K. RIEMSCHNEIDER, Zum Lehenswesen bei den Hethitern, ArOr 33 (1965), 333-340. I.M. DIAKONOFF, Die heth. Gesellschaft, MIO 13 (1967) 313-366. F. CORNELIUS, Das Hethiterreich als Feudalstaat, RAI 18 (1972) 31-34. A. ARCHI, Bureaucratie et communautés d’hommes libres dans le système économique hittite, FsOtten (1973) 17-23. H. KLENGEL, Zur ökonomischen Funktion der hethitischen Tempel, SMEA 16 (1975) 181-200.

259

XIII.

IL TRASFERIMENTO DI BENI NELL’AMBITO DEL MATRIMONIO PRIVATO ITTITA

Premetto che questa comunicazione ha solo carattere espositivo: per una trattazione più dettagliata di questo argomento, v. il mio studio Le Leggi Ittite, Edizioni dell’Ateneo (Roma 1964) e quello di E. Volterra, in Corso di Lezioni. Diritti dell’Oriente Mediterraneo, Edizioni Ricerche (Roma 1970) 285-305, con relativa bibliografia. Non sono molte le notizie pervenuteci sulla procedura matrimoniale presso gli Ittiti,1 per la quasi totale assenza nei loro archivi di documenti a carattere privato. Le notizie in proposito si ricavano principalmente da alcuni articoli della raccolta di Leggi riguardanti, com’è noto, casi particolari che infrangono la consueta procedura matrimoniale, fornendoci così alcuni elementi per ricostruirla. Qualche informazione si può inoltre trarre da altri documenti, come da alcune clausole di trattati internazionali e da alcuni editti emanati da sovrani ittiti. Da questi documenti, ma soprattutto dalle Leggi, si può riconoscere presso gli Ittiti - per quanto riguarda la procedura matrimoniale - la presenza di istituzioni analoghe a quelle di altri popoli del Vicino Oriente antico. Non conosciamo il termine astratto con cui gli Ittiti definivano il concetto di matrimonio. Si servivano a tale scopo di queste espressioni riferite all’uomo “prendere in moglie/come sua propria moglie/nello stato di moglie”; vi sono inoltre frasi come; “(egli) ha una donna libera in moglie” e “non farla tua moglie”.2 Non parlerò delle procedure che regolavano i matrimoni regi, all’interno e all’esterno del regno ittita, di cui abbiamo notizia principalmente da documenti epistolari e da trattati internazionali, poiché ciò esula dal nostro argomento. Tali procedure matrimoniali presentano una tipologia particolare e la documentazione in proposito appare fortemente soggetta a condizionamenti ideologici e di natura politica, e non è quindi molto illuminante per una rappresentazione dell’istituto matrimoniale presso gli Ittiti. 2 In ittita il verbo dâ- “prendere” indica anche “prendere sessualmente”, e così pure il verbo ep- “afferrare, prendere con violenza”. Sui modi diversi in cui un uomo 1

261

E. Volterra (op. cit., 296) osserva che anche presso gli Ittiti, come presso altri popoli dell’Asia anteriore antica, “il matrimonio si compie con la sola dichiarazione di volontà dell’uomo: quella della donna non è richiesta come elemento del matrimonio”. Sono presenti nei testi ittiti anche le espressioni “prendere (come ) genero - § 36 delle Leggi - (questa traduzione genero non è, come vedremo più avanti, molto appropriata) e “nessuno deve dare/cedere un giovane o una giovane nella posizione di nuora e genero” - Editto della regina Ašmunikal, r. 14 sg. - (anche questo è un modo un po’ improprio di rendere un termine astratto ittita), ma si tratta di situazioni particolari che vedremo meglio in seguito. Da alcuni paragrafi delle Leggi risulta che l’uomo pagava ai genitori della promessa sposa il kušata, termine generalmente tradotto con “prezzo della sposa/delle nozze” e corrispondente al sumerico NÍG.MÍ/MUNUS.ÚS(.SÁ) (e probabilmente a KÙ.DAM.TUKU “denaro per il prendere una moglie”), all’accadico terøatu(m) all’ebraico e all’aramaico môhar. Termini corrispondenti a terøatum e a môhar sembrano presenti ad Ugarit (trø e mhr), ed anche nel Corano e nel diritto islamico compare un termine non dissimile da quello ebraico e aramaico (mahr).3 Dalle Leggi ittite si può dedurre l’importanza legale del pagamento del kušata, essenziale per rendere legittimo un impegno matrimoniale: infatti, una volta che è avvenuto tale pagamento, ed anzi proprio in conseguenza di esso, viene sottoposta a sanzioni la parte che si rifiuta di tener fede all’impegno preso. Significativi, a tal proposito, sono i §§ 29 e 30, nei quali si contemplano casi in cui non si tiene fede all’impegno matrimoniale dopo che è già avvenuto il pagamento del kušata; allora, nel caso (§ 29) in cui siano i genitori della ragazza ad opporsi al legame e a separare i due promessi sposi, quelli devono risarcire per ben due volte il kušata; nel caso invece (§ 30) che sia il promesso sposo a rifiutare la ragazza, egli deve rinunciare al kušata. In sostanza la pena comminata nel § 30 non contrasta con quella stabilita nel paragrafo precedente per i genitori della poteva prendere una donna in Israele - in confronto con i dati relativi agli altri popoli del Vicino Oriente antico - v. A. Tosato, Il Matrimonio Israelitico, Analecta Biblica 100 (1982). 3 V. per ultimo A. Tosato, op. cit., 101.

262

ragazza, i quali erano tenuti a risarcire il kušata per due volte, e cioè una volta come restituzione del kušata stesso e una volta come ammenda o come indennizzo per il promesso sposo; nel § 30 invece il fidanzato lascia come ammenda o indennizzo il kušata che aveva dato. Tali pene dimostrano che il pagamento del kušata aveva un valore reale e non puramente simbolico, come alcuni studiosi hanno opinato. Anche un confronto di questi due paragrafi (29 e 30) con il precedente § 28 mostra che il pagamento del kušata da parte del futuro sposo dava origine ad un vincolo legale con la fidanzata e la famiglia di lei, vincolo designato col participio øamenkanza (da øamenk- “legare”): v. § 29 r. 11. “se una ragazza ad un uomo (è) legata”. In tal modo si esprimeva un legame ben più forte di un semplice impegno non accompagnato dal versamento del kušata; questo tipo di impegno era invece espresso mediante il participio taranza,4 v. § 28A r. 5: “se una ragazza ad un uomo (è) promessa”. Probabilmente, infatti, nel § 28 si parlava di un impegno basato su uno scambio di promesse ed anche di doni, almeno da parte dell’uomo (r. 6 sg. “allora qualunque cosa il primo uomo ha dato, allora egli (= l’altro, il secondo uomo) a lui risarcisca”), ma non dell’effettivo pagamento del kušata. Infatti in questo articolo (§ 26B), in caso di interruzione del fidanzamento provocata dai genitori della ragazza, non si parla espressamente della restituzione del kušata come nei § 29 e 30, ma soltanto più genericamente di risarcimento. Come già abbiamo osservato, nel § 29 doveva trattarsi di un legame, diciamo, contrattuale, anche se la promessa sposa abitava ancora in casa dei genitori. Nel § 30 la rottura del fidanzamento, come abbiamo visto, è provocata dal promesso sposo il quale, pur avendo pagato il kušata per la ragazza, non l’ha però ancora presa, cioè non ha ancora avuto rapporti sessuali con lei, e può quindi rifiutarla, tuttavia egli deve rinunciare al kušata. Ciò mi sembra dimostrare che, dopo il pagamento del kušata, il giovane poteva avere rapporti sessuali con la ragazza, anche se essa, presumibilmente, non era ancora andata ad abitare nella casa di lui: Da tar- (verbo suppletivo di te- “dire”) che significa, oltre che “dire”, anche “indicare” e “promettere”. 4

263

parrebbe però dalla r. 14 (“E se l’uomo la ragazza non ancora ha preso, allora per se può rifiutarla”) che il giovane, dopo tali rapporti, non potesse respingerla, cioè abbandonarla. Il Volterra (op. cit., 299) invece intende questo articolo nel senso che il giovane, in caso di rapporti sessuali con la propria fidanzata, non sarebbe stato costretto a compiere il matrimonio, ma le conseguenze della rottura del fidanzamento sarebbero state più gravi della semplice perdita del kušata. Questo però non mi sembra risultare dalla lettura dell’articolo. Per contrarre un matrimonio, mentre l’uomo doveva pagare il kušata, la donna era tenuta a portare l’iwaru, termine che significa letteralmente “dono” e che in questo caso viene concordemente inteso come “dote”; esso corrisponde al termine sumerico SAG.RIG e all’accadico šeriktu(m) (Leggi di ÷ammurabi) - assiro širku (Leggi medioassire) - e all’ebraico šîllûhîm; sembra che ad Ugarit esistesse un termine (Ólø) ricollegabile a quello ebraico. Dal § 27 delle Leggi, dove si contempla il caso di una donna che muoia prima del suo sposo, si prospettano due possibilità circa l’utilizzazione dell’iwaru (cioè della dote di lei): se la donna dopo il matrimonio è andata ad abitare in casa del marito (ovviamente recando con sé la sua dote), alla sua morte questa dote spetta al marito, anche se forse soltanto temporaneamente a vantaggio dei figli (potremmo dire che egli la tiene come tutore in nome dei figli); se invece la donna muore in casa di suo padre - dove si intuisce che essa sia rimasta anche dopo il matrimonio - la sua dote allora non va al marito, neppure se ci sono dei figli. Si può presumere in questo caso che la dote passi ai figli, che rimarranno probabilmente nella casa del nonno. Non si parla né in questo articolo né in altri del caso in cui non vi fossero figli, ma sembra logico supporre che la dote della donna tornasse allora nel patrimonio paterno. Sempre nel § 27 Col. II r. 1 sg. compare una frase sulla cui interpretazione i pareri degli studiosi sono discordi “[allora] dell’uomo il suo bene si brucia”. Tralasceremo un esame completo delle varie proposte interpretative di questo passo per ricordare soltanto un’ipotesi del Korošec del 1932, e cioè che l’azione di bruciare i beni avesse riferimento a qualche uso rituale, e la proposta del Friedrich di intendere 264

la frase nel senso che accanto al cadavere della donna venissero bruciati degli oggetti domestici, considerati di proprietà dell’uomo, perché accompagnassero la moglie nell’al di là.5 Il Neufeld vede nel termine aššu-, lett. “bene”, una probabile analogia con il nudunnì(m) menzionato esplicitamente nei §§ 171, 172 delle Leggi di ÷ammurabi e nei §§ 27, 32 delle Leggi medio-assire - e implicitamente anche in altri articoli di queste due raccolte di Leggi - per designare una donazione fatta dal marito alla moglie durante il matrimonio e non prima. Questa analogia non mi sembra però troppo convincente, non solo perché il nudunnì(m) non era obbligatorio in un matrimonio (LH 172), ma anche, e soprattutto, perché esso spettava ai figli alla morte della madre (almeno si intuisce da LH 171) o nel caso che essa, anche durante la vita, si separasse (LH 172).6 Quindi, a me pare che nel nostro articolo si debba vedere in aššu un semplice riferimento a “beni” appartenenti al patrimonio del marito, e ritengo che si voglia qui specificare soltanto che, se la donna muore in casa del suo sposo, è a lui che spetta di fornire gli oggetti necessari per il rito funebre. Il § 27 fin qui esaminato e il § 36 che vedremo ora mostrano la duplice possibilità che aveva una donna di sistemare la sua famiglia. Nel § 36 si parla di un servo che paga il kušata per un giovane libero e lo prende come LÚantiyantan (accus.): allora nessuno può farlo uscire da questo matrimonio. Si è molto discusso sull’interpretazione di questo paragrafo:7 alcuni studiosi vi hanno addirittura visto un riferimento ad una relazione omosessuale, di cui appunto si parlerebbe qui perché nelle Leggi ittite vengono esaminati soltanto casi particolari, che non sono regolati dalle consuetudini. La spiegazione del paragrafo, oggi comunemente accettata, è stata proposta dal Balkan, che ha appunto chiarito il significato espresso dal termine LÚantiyantan, accusativo di antiyant-, da anda iyant-, participio di anda iya- “andare dentro, entrare”, con cui si designava “lo

V. Leggi, 209 sg., con relativa bibliografia. Secondo il Cuq il NUDUNNÛ(M) designava anche donazioni fatte dai genitori della donna in occasione del suo matrimonio, indipendentemente dalla dote. 7 V. la bibliografia relativa in Leggi ittite, 218 sg. 5

6

265

sposo che entra (nella casa del suocero)”, cioè il genero sposato dentro questa casa. Il Balkan ha confrontato questo tipo di matrimonio, che in fondo contiene in sé l’idea dell’adozione, con il matrimonio errêbu (l’accadico erêbu significa appunto “entrare, far entrare, andare in”), attestato presso altri popoli dell’Asia anteriore antica. Tale istituzione, osserva il Balkan, continua ancora presso i Turchi; infatti in turco moderno compare il termine içgüvey, che significa letteralmente “il genero (che abita) dentro”, composto da iç “dentro” e güvey “genero”. Nonostante la scarsità di documenti ittiti di tipo privato (e, quindi, relativi anche a casi di adozione), si può presumere che il genero che entrava nella famiglia della sposa venisse adottato dal suocero. È significativo in tal senso un atto regio, forse dell’epoca di ÷attušili I (seconda metà del XVII sec. a.C., secondo la cronologia media qui seguita), in cui l’ “amministratore” di una città adotta un certo Ziti, concedendogli la figlia in matrimonio ed assegnandogli anche beni in eredità, da cui invece viene escluso il figlio legittimo.8 Si ricorda inoltre la tesi proposta dal van Praag, in contrapposizione al David, a proposito del matrimonio errêbu assiro, e cioè che l’uomo, pur abbandonando la sua famiglia, con l’adozione ne acquista un’altra, quindi i figli fanno, sì, parte della famiglia della donna, ma solo in quanto questa è la famiglia (acquisita) dell’uomo: si tratta dunque sempre di un matrimonio patriarcale. Tornando all’ambito ittita, è interessante ricordare che il termine LÚ antiyant si trova anche nell’Editto del sovrano ittita Telipinu (seconda metà XVI sec. a.C.) laddove si stabiliscono le norme per la successione al trono: tale termine è lì usato per designare lo sposo della figlia di un primo rango del re, destinato a succedergli al trono qualora non esista un erede maschio, figlio della moglie di primo o di secondo rango. (“...Ma se un principe maschio non c’è, allora per lei che (è) figlia di primo rango si prenda un LÚantiyant- ed egli divenga re”). Ciò si accorda bene con il significato sopra esposto del termine LÚa.: esso designa anche qui un 8 V. K. Balkan, Eine Schenkungsurkunde aus der althethitischen Zeit, gefunden in Ønandik 1966, Ankara 1973, e la relativa recensione di G.F. Del Monte, OA 15 (1976) 345 sgg.

266

genero che diviene parte integrante della famiglia del suocero (= il re), al punto da poterne ereditare il trono. Anche in un frammento delle Istruzioni per i LÚMEŠ SAG (alti dignitari della corte ittita), nel § 7 r. 10 si trova il termine in questione al plurale, antiyanteš, subito dopo una lacuna che ha dato origine a diverse proposte di integrazione e quindi di interpretazione. Comunque, per il parallelismo di questo termine con l’espressione LÚMEŠ÷ADAN LUGAL “generi del re” nella riga seguente, e per il contesto, si può ragionevolmente presumere che gli “antiyanteš che (sono) [del? r]e” ivi menzionati non fossero altro che i “generi del re”. Probabilmente si contemplava qui l’ipotesi che essi potessero cospirare contro il re, dato che nel paragrafo precedente si esaminava l’eventualità di una cospirazione dei “signori” e dei “figli del re”, quindi di persone molto vicine al sovrano. A noi comunque interessa la corrispondenza dell’espressione “antiyanteš che (sono) del re” con l’espressione “generi del re”. Doveva inoltre esistere la forma astratta *LÚandaiyandatar, come si può presumere dal dat.-loc. LÚandaiyandanni, presente nel passo di un decreto emanato dalla regina Ašmunikal (seconda metà XV sec. a.C.) in occasione della costituzione di un complesso cultuale detto “Casa di Pietra”, legato al culto dei morti, verosimilmente appartenenti alla famiglia reale, quindi un mausoleo. Il decreto di Ašmunikal ne regola l’organizzazione. Questo complesso cultuale mostra una struttura economica di un certa entità: villaggi, personale dipendente di vario genere (pastori, agricoltori, artigiani), bestiame. Tale struttura si presenta come economicamente autosufficiente e chiusa alla redistribuzione di eccedenze verso l’esterno. È inoltre proibita anche la vendita di beni mobili e immobili appartenenti alla Casa di Pietra. Tali beni si potevano invece acquistare. Si dice inoltre che “se un dipendente della Casa di Pietra commette una colpa (degna) di morte, allora egli muoia, ma la sua casa (patrimonio) (rimarrà) della Casa di Pietra”, e poi “agli uomini (= al personale) della Casa di Pietra si possono offrire (donne) in sposa (cioè, essi possono sposare donne provenienti dall’esterno), ma nessuno deve dare/cedere un giovane (o) una giovane nella condizione di *andaiyatar (dat. andaiyanni)”, cioè di nuora o di genero. Si afferma quindi che

267

nessuno deve lasciar uscire dalla Casa di Pietra un giovane o una giovane per matrimonio. Insomma, i dipendenti di questa sede erano tenuti a procurarle il maggior reddito possibile. Ciò spiega anche le disposizioni matrimoniali relative a questi dipendenti. Essi avevano cioè il diritto di sposarsi con individui estranei all’economia del Mausoleo, acquisendoli in tal modo ad esso, mentre non avevano il diritto di far uscire nessuno dal Mausoleo mediante il matrimonio. In sostanza, il matrimonio poteva portare nuovo personale al Mausoleo, ma non diminuirlo.9 Tornando al § 36 delle Leggi, rimane ancora incerto il perché fosse stato il padre della sposa (un servo) a pagare il kušata, e non il promesso sposo, com’era d’uso. Ciò si potrebbe spiegare accettando l’ipotesi sopra esposta dell’adozione del genero, e quindi sempre di un matrimonio di tipo patriarcale. Oppure, come ho ipotizzato nel mio lavoro sulle Leggi (ipotesi accettata anche dal Volterra, op. cit., 300 sg.), poteva trattarsi di una specie di compera-adozione, ovvero del caso in cui da un lato si fosse trovato un uomo libero, ma privo di mezzi, e forse anche di una famiglia e di una casa, e dall’altro un servo ricco (è infatti noto che i servi potevano possedere beni propri) - e forse privo di figli maschi - il quale versava il kušata al posto del genero allo scopo di dare all’unione il valore di matrimonio legittimo con le conseguenze giuridiche ad esso connesse nei confronti della donna, la quale probabilmente poteva in tal modo uscire dallo stato di servitù; è anche possibile che i figli nati da questa unione potessero essere liberi. Inoltre il suocero, accogliendo il genero nella sua casa/famiglia poteva forse dare ai futuri nipoti la possibilità di ereditare da lui. Comunque, non si fa qui alcun cenno alla posizione e allo stato sociale dei figli nati da questa unione. In ogni modo, anche questo articolo come altri mostra che il pagamento del kušata dava validità ad un matrimonio, che nessuno aveva la facoltà di interrompere (v. r. 28: “allora lui nessuno fa uscire”). A proposito della possibilità dei figli di una figlia di ereditare dal nonno, si può fare un confronto con un documento contenente un decreto regio promulgato dal sovrano ittita Tutøaliya IV insieme alla 9

V. G.F. Del Monte, AION 35 (1975) 323 sgg.

268

madre Puduøepa (seconda metà XIII sec. a.C.) concernente l’assegnazione di una parte del patrimonio di un personaggio di alto rango di nome Šaøurunuwa ai suoi nipoti, figli di una figlia. A questi beni erano legati particolari oneri e privilegi che in questo atto vengono trasferiti ai legittimi eredi del patrimonio.10 All’inizio di questo documento, dopo un preambolo contenente il nome e la titolatura del re e della regina che hanno emanato il decreto e il nome e i titoli di Šaøurunuwa, a cui il decreto è diretto, si enuncia che Šaøurunuwa aveva così ripartito il patrimonio fra tutti i suoi figli, quindi si accenna brevemente a quello che era stato dato ai suoi due figli maschi. È probabile che essi avessero ricevuto la parte maggiore del patrimonio di Šaøurunuwa, ma che se ne parlasse qui sommariamente perché, trattandosi di eredi maschi e discendenti diretti, la loro successione non avrebbe verosimilmente dato luogo a controversie. O forse perché poteva esistere un altro atto in proposito, emanato appositamente per questi due figli. Infatti il documento in questione riguardava specificamente l’assegnazione dei beni di Šaøurunuwa ai figli della figlia ed era stato stipulato appositamente per loro: è quindi logico che vi si specificasse ogni particolare dettagliatamente, per evitare errori e possibili contestazioni. Nel § 3 del decreto si parla appunto dell’assegnazione dei beni in questione ai figli della figlia di Šaøurunuwa la quale, essendo femmina, non poteva ereditare direttamente dal padre, sicché i beni di questa passavano ai figli di lei. Si trattava presumibilmente di una figlia sposata, rimasta ad abitare presso il padre anche dopo il matrimonio: come abbiamo visto, una simile eventualità può trovare conferma nei §§ 27 e 36 delle Leggi. Tuttavia, lo sposo non aveva alcun potere sui beni trasmessi ai figli direttamente dal patrimonio del nonno: dal nostro documento, comunque, sembrerebbe che Šaøurunuwa avesse lasciato qualcosa anche al genero, ma a parte, separatamente dai beni prima menzionati. Come del resto abbiamo già rilevato, anche nella successione ereditaria al trono, in mancanza di una discendenza in linea maschile, la successione passava o allo sposo della figlia (Editto di Telipinu), o alla discendenza maschile della figlia (come risulta da un passo di un trattato 10

V. il mio studio in RHA 32 (1974) 5-209.

269

stipulato dal sovrano ittita ÷attušili III (prima metà XIII sec. a.C.) con Ulmi-Teššup di Tarøuntašša. A questi esempi si può aggiungere anche il passo di un altro documento in cui ÷attušili III e la sua sposa Puduøepa concedevano dei benefici alla dea Ištar di Šamuøa, e ne conferivano il sacerdozio al figlio del sovrano e ai suoi discendenti maschi. È per noi interessante la clausola relativa al caso in cui questo figlio di ÷attušili non avesse avuto una discendenza diretta in linea maschile: allora il sacerdozio sarebbe spettato alla discendenza della figlia del re e dello sposo di lei. (Questo sacerdozio non doveva però passare alla discendenza di un altro. Si tendeva cioè a conservare un certo diritto, oltre che il patrimonio, nell’ambito di una stessa famiglia). Nel testo di Šaøurunuwa si citano i nomi di due figli della figlia e si allude poi genericamente ai loro fratelli, intendendo riferirsi in tal modo a tutti i figli della donna, anche a quelli che sarebbero nati in seguito. In questo documento si parla di solito globalmente dei figli della figlia di Šaøurunuwa, e in quei rari casi in cui la figlia viene nominata da sola, la si deve sempre considerare come rappresentante dei figli. È nota l’esistenza presso gli Ittiti, come presso altri popoli antichi, oltre che di una proprietà fondiaria individuale (come quella di Šaøurunuwa), anche di una proprietà collettiva, che del resto si addiceva bene ad un sistema economico in cui il bestiame e i pascoli tenevano un ruolo considerevole. Riprendendo l’esame dei paragrafi delle Leggi, è interessante ricordare che due di questi paragrafi, il 28A, già parzialmente esaminato, e il 35 hanno fatto ipotizzare al Korošec l’esistenza presso gli Ittiti del matrimonio per ratto. Nel § 28A leggiamo che se un uomo pittenuzi (r. 5) una ragazza già promessa ad un altro, è a colui che ha commesso l’azione espressa dalla voce verbale pittenuzi - e non ai genitori della ragazza - che spetta l’obbligo di indennizzare il primo fidanzato di qualsiasi cosa egli abbia dato. Il problema sorge dall’interpretazione del verbo pittenu-, che si ritrova anche nel § 35 r. 25, in cui si contempla il caso di un pastore o di un amministratore che pittenuzi una donna libera: su questo articolo torneremo ancora.

270

Il verbo pittenu- è formato da piddâi- “correre, fuggire” (da non confondere con piddâi- “pagare”) + il suffisso causativo -nu, per cui il nostro verbo nei paragrafi in questione significa “induce (la ragazza) a correre, a fuggire” ed anche “(la) rapisce”. Il Friedrich, e con lui altri studiosi, pur traducendo pittenu- con “entführen”, l’intende però nel senso di “zum Laufen (Fliehen) veranlossen”: egli spiega che l’uomo persuade la ragazza a fuggire via con lui dalla casa dei suoi genitori, mettendo così in rilievo che i due giovani sono d’accordo fra sé. Il Korošec invece interpreta l’atto espresso dal verbo pittenu- come una conservazione dell’uso del matrimonio per ratto, considerato però come una forma valida di matrimonio: tuttavia, per il § 28A, egli vede nel rapimento della ragazza un’azione di violenza contro il volere dei genitori di lei e della ragazza stessa.11 La voce verbale pittenuzi si ritrova anche in un paragrafo di contenuto diverso dai precedenti, il 37, in cui si parla del rapimento di una donna, ma di un rapimento vero e proprio, seguito da una lotta fra i soccorritori della donna e il drappello del rapitore: in conseguenza di questa lotta due o tre uomini rimangono uccisi. Non c’è risarcimento per le vittime, verosimilmente quindi appartenenti ai compagni del rapitore, i quali, avendo commesso un’azione contraria alla legalità e che ha provocato disordine pubblico, hanno di conseguenza perso ogni diritto. Invece nei due paragrafi in discussione, il 28A e il 35, vediamo che il “rapitore” non viene affatto punito per il suo atto (soltanto nel § 28A il “rapitore” deve restituire al primo fidanzato della ragazza tutto quanto egli aveva dato per lei), il che prova che tale azione era sostenuta dal consenso della donna, ma potrebbe anche dimostrare che il ratto stesso, in questi casi specifici, non contrastava col senso della legittimità, in quanto si ricollegava ad antiche consuetudini. Tuttavia, non abbiamo elementi che permettano di sostenere l’esistenza di un matrimonio per ratto presso gli Ittiti. Dal § 35 si evince che non era l’azione del ratto a rendere effettivo il matrimonio, ma il versamento del kušata. Si può, certo, obiettare che non abbiamo neppure elementi tali da farci escludere un riferimento al presunto uso indeuropeo del matrimonio 11

V. bibliografia in Leggi Ittite, 210 sg.

271

preceduto dal ratto e dal successivo acquisto della sposa da parte dell’uomo. È però anche da tener presente che i costumi ittiti presentavano di solito maggiori analogie con quelli dei popoli vicini che non con quelli riconosciuti come indoeuropei. Quindi, o intendiamo in questi due paragrafi il verbo pittenu- “far correre” nel senso di fuggire con la donna che sarebbe stata consenziente, o lo traduciamo ancora con “rapire”, come nel § 37, vedendo però in questo verbo, per quanto riguarda i §§ 28 e 35, soltanto un riferimento ad una consuetudine remota, divenuta ormai puramente simbolica, il cui ricordo persisteva nella terminologia relativa al matrimonio. Ancora nel § 28B e C si legge che, nel caso in cui siano i genitori della ragazza a concedere la figlia all’altro uomo (cioè al secondo pretendente), devono essi provvedere a indennizzare il primo fidanzato Se essi si rifiutano di pagare il risarcimento, allora la fanciulla deve essere separata dal secondo pretendente: “allora lei da lui si separi, in un duplicato infatti a questo punto si legge esplicitamente “ma se per il padre e per la madre ciò non è buono (cioè, pagare il risarcimento), allora si separi lei da quello che per sé l’ha rap[ita]”. Di particolare interesse sono i §§ 31, 32, 33, che trattano della rottura di matrimonio tra un uomo libero e una serva (31), un servo e una donna libera (32) e due servi (33). In tutti e tre i casi il procedimento avviene allo stesso modo, vi si parla cioè dell’assegnazione dei figli che spettano al padre, tranne uno che viene dato alla madre. Tutto questo è stabilito nel § 31, su cui si regolano i due paragrafi successivi. Non si specifica a quale stato sociale venissero ad appartenere i figli nati da queste unioni miste: il Neufeld ritiene a quello di servi, basandosi sul confronto col paragrafo 175. Si deve però osservare che in questo paragrafo - di cui parleremo ancora - viene contemplato il caso in cui è libera la donna e non l’uomo: i figli quindi seguono lo stato sociale del padre. A mio avviso, si presenta più probabile l’ipotesi che anche per i nostri tre articoli lo stato sociale dei figli dipenda da quello del padre, come avveniva presso altri popoli, tra cui quello romano (nel § 31, quindi, i figli sarebbero liberi), che non l’ipotesi che i figli siano liberi solo quando lo siano ambedue i genitori. Non abbiamo però elementi sufficienti a sostegno dell’una piuttosto che dell’altra ipotesi. 272

Non si trova invece in questi tre articoli niente che regoli la divisione dei beni: il termine É-ir “casa”, presente nella r. 19, sembra qui indicare “famiglia, nucleo familiare”, piuttosto che “patrimonio familiare” in senso economico, come talora avviene, sia perché non si fa qui alcun riferimento al modo in cui questo patrimonio si sarebbe dovuto ripartire, sia per il confronto con la r. 17, in cui il termine É-ir sembra aver proprio il significato di famiglia. Archi invece intende qui questo termine come “patrimonio familiare” che, in caso di separazione, verrebbe diviso a metà.12 Questo però suscita qualche perplessità, trattandosi di persone di ceto sociale diverso. Può darsi che in questi tre articoli si parlasse di matrimoni basati soltanto su un reciproco accordo di vivere insieme, senza essere però convalidati dalla procedura e dal contratto nuziale allora in uso. La causa di ciò non mi sembra da ricercare nel fatto che questi erano matrimoni misti, che si dovevano perciò regolare diversamente da quelli stipulati fra persone libere, perché anche nel § 34 si parla di un matrimonio misto, in cui il servo ha però pagato regolarmente il kušata per la sua sposa. Si può tutt’al più ipotizzare che nei matrimoni misti o in quelli fra due servi si seguissero più raramente delle procedure contrattuali, che però conferivano - anche nel loro caso - sempre maggiore validità al matrimonio. La raccolta di Leggi non dà invece alcuna notizia sulla rottura di matrimonio fra persone libere. Si è pensato che il § 26, purtroppo molto frammentario, nonostante ci sia pervenuto in cinque copie, trattasse dell’attribuzione dei figli nel caso di rottura di un matrimonio forse fra liberi: “e i figli l’uomo p[rende”. Alcuni studiosi hanno ipotizzato anche che vi si parlasse della sorte della donna e che essa fosse venduta, per la presenza della voce verbale šuwa[izzi “sping[e via, ripud[ia” e dell’espressione “chi la compra”; si è pensato anche di vedervi una cifra “12 sicli”, che mi sembra incredibile potesse riferirsi alla donna, ammessa anche la plausibilità che essa potesse esser venduta. A mio avviso, questo paragrafo è troppo danneggiato perché si possa intenderne il contenuto. Secondo alcuni studiosi si può presumere che il caso di rottura di matrimonio fra liberi fosse contemplato nelle Leggi perché la 12

In SMEA 6 (1968) 88.

273

dissoluzione di un matrimonio per compera, basato su atti formali, avrebbe dato origine a controversie maggiori che non un reciproco accordo di unirsi in matrimonio e poi di dividersi. Secondo Archi il fatto che una forma di matrimonio, poggiato semplicemente su base consensuale, sia testimoniata solo nel caso di matrimoni misti o fra servi non esclude che essa fosse usata anche fra i liberi: il legislatore potrebbe aver regolato solo i casi che più si prestavano a controversie (soprattutto per quanto riguarda i rapporti patrimoniali), e cioè laddove i coniugi fossero di stato sociale differente o ambedue non liberi. Si può forse più semplicemente pensare che un matrimonio avvenuto mediante il pagamento del kušata - probabilmente quello più in uso fra liberi - dovesse esser stipulato mediante un contratto, in cui probabilmente veniva regolata anche l’eventualità di una rottura del vincolo coniugale. Anche nel § 34 si parla di un matrimonio misto, ma nel quale un servo ha pagato il kušata per una donna, ovviamente libera: in tal caso il matrimonio acquista piena stabilità, ciò che conferma l’importanza legale del pagamento del kušata. Sono discordi i pareri su quale potrà essere lo stato sociale di una donna libera che si unisce in matrimonio legittimo con un servo. A tal proposito si discute sull’interpretazione conclusiva del paragrafo, r. 24 (che si ritrova anche nel § 36 r. 28) “allora lei nessuno fa uscire”. Mentre una parte degli studiosi è propensa a intendere questa frase nel senso che “nessuno deve consegnare/cedere lei (come schiava/in schiavitù)” e a ritenere quindi che in questo matrimonio misto, contratto in base al pagamento del kušata, la donna (o l’uomo per il § 36) non deve perdere la sua libertà, un’altra parte invece interpreta l’espressione come “allora nessuno la fa uscire (dal suo nuovo ambito/stato sociale)” ed è concorde nel concludere che, in seguito a tale matrimonio, la donna (o l’uomo, nel § 36) venga a perdere il proprio stato sociale per acquistare quello della persona che ha pagato per lei (o per lui, nel § 36) il kušata. In accordo con le interpretazioni del Bechtel “nessuno sciolga/ liberi lei dal matrimonio” e del Friedrich “nessuno può toglierla”, cioè nessuno ha la facoltà di confutare questo matrimonio, mi sembra che si cerchi qui

274

di mettere in rilievo soprattutto il fatto che il pagamento del kušata conferisce validità legale e stabilità anche ad un matrimonio misto.13 Non appare invece ben chiaro se la persona libera per cui è stato pagato il kušata da un servo venga a perdere di conseguenza il proprio stato di libertà. Riguardo al § 34 si può presumere di sì, per il principio comune presso la maggior parte dei popoli dell’antichità, per cui la donna - come già abbiamo detto - deve seguire lo stato sociale del marito. Ciò trova conferma anche nel confronto con i §§ 35 e 175, dove vediamo appunto che, nel momento in cui l’unione fra una donna libera e un uomo di rango inferiore diviene legalmente valida dopo un determinato periodo di convivenza, la donna cade in stato di servitù. Con maggior ragione questo si doveva verificare quando il matrimonio era riconosciuto valido fin dall’inizio in base ad un legame contrattuale. Particolare è invece la situazione presente nel § 36, di cui già abbiamo trattato (a proposito del termine antiyant- ecc.). Si deve inoltre notare che non si contempla nelle Leggi il caso di un uomo libero che paghi il kušata per una serva. Nei §§ 35 e 175 si parla di una particolare unione di tipo coniugale tra un pastore o un LÚAGRIG (generalmente inteso come amministratore), dal contesto appartenenti ad un ceto sociale basso e non liberi, e una donna libera. Tale unione trae la sua validità non dal pagamento del kušata, ma dal fatto che i due interessati hanno convissuto come coniugi ininterrottamente per un certo periodo di tempo. Allo scadere di questo tempo legalmente prescritto (tre anni secondo il § 35 e due o quattro secondo il § 175), tale unione acquista validità legale e, di conseguenza, la donna viene ad assumere lo stato sociale del marito e perde quindi la sua libertà. Qualcosa di analogo si ritrova anche presso gli Assiri (Leggi medioassire § 34), per i quali si richiedeva un periodo di coabitazione di due anni, e presso gli Egiziani. È stato fatto anche un confronto con il matrimonio per usus nell’antico Diritto Romano. In base alle rr. 19-20 del § 175 (“e i suoi figli išøunanzi e le/alle cinture nessuno afferri”) si presume che anche i figli nati da questa unione vengano contrassegnati come servi. Si tende ad accettare per la 13

V. bibliografia in Leggi Ittite, 215 sg.

275

voce verbale išøunanzi l’intepretazione “degradano, si degradi”‘ (così anche Tischler nel suo dizionario etimologico). Per quanto riguarda poi l’espressione “le/alle cinture/catene (išøuzzi da išøiya- “legare”) nessuno afferri” (forse nel senso che nessuno deve togliere loro un simbolo di servitù?), mi sembra interessante un confronto con un’espressione presente nell’autobiografia del sovrano ittita ÷attušili (seconda metà XVII sec. a.C.) “e dalle loro cinture li disciolsi”, usata per indicare la liberazione dalla servitù di servi e serve provenienti da una città conquistata.14 In base a ciò, per il nostro articolo si potrebbe intendere l’espressione “le/ alle cinture nessuno (li) afferri” nel senso che nessuno può sciogliere, liberare dalla servitù i figli nati da questo matrimonio. Questo è tutto quello che offre la documentazione ittita relativamente al trasferimento di beni nell’ambito del matrimonio privato. Vi sono altri articoli della raccolta di Leggi e altri documenti che toccano più o meno direttamente il campo del diritto matrimoniale, al cui contenuto accennerò solo rapidamente perché esulano dal tema specifico di questo incontro, e cioè un articolo (193) dove si regola la posizione di una donna rimasta vedova secondo una procedura in cui si può riconoscere l’applicazione dell’istituto del levirato, alcuni articoli che riguardano rapporti sessuali fra congiunti (quelli permessi e quelli considerati incestuosi e, quindi, esecrandi), due articoli (197 e 198) riguardanti il reato di adulterio, due relativi alla provocazione di aborto (17 e 18), e un articolo (171) dove si parla dell’espulsione e della successiva riaccettazione di un figlio da parte di sua madre, in cui si può forse vedere il riconoscimento della possibilità concessa anche alla madre di ripudiare il proprio figlio qualora avesse potuto offenderla con qualche colpa.15

Si tratta di un documento bilingue; nel corrispondente passo in accadico sta scritto: “il Gran Re... la loro cintura ha sciolto”: V. F. Imparati-C. Saporetti, SCO 14 (1965) 49 sg. 15 Cfr. a tal proposito quei documenti di Nuzi classificati come ana ab(b)ûti, cui corrisponde l’espressione ab(b)ûtu epêšu “esercitare l’abbûtu”. 14

276

XIV.

AUGURI E SCRIBI NELLA SOCIETÀ ITTITA*

Il problema della compatibilità o meno, nella società ittita, di una mansione molto tecnica e, quindi, assai specializzata come quella di augure con una mansione, essa pure specialistica, come quella di scriba è emerso nel corso di una ricerca sull’antroponimo Armaziti nella documentazione ittita e siriana dell’epoca dei sovrani ittiti ÷attušili III e Tutøaliya IV.1 In quel contesto è apparsa molto verosimile l’identificazione della maggior parte dei personaggi presenti col nome di Armaziti nei documenti ittiti di quel periodo, e cioè dell’Armaziti che esercitava la funzione di scriba2 e di quello menzionato in testi relativi all’amministrazione Anche se questa breve ricerca non contiene alcun riferimento al mondo egiziano, la dedico ugualmente a Edda Bresciani in segno di grande stima e affettuosa amicizia. 1 Si tratta di uno studio di prossima pubblicazione dal titolo “Armaziti: attività di un personaggio nel tardo impero ittita” (v. FsPuglieseCarratelli, 71-86 [n.d.c.]). Per le attestazioni di questo antroponimo v. E. Laroche, NH e Suppl. in Heth 4 (1981) 141; vi si devono aggiungere s. 1 l’impronta di sigillo in ieroglifico in RS 17.449 Vo (PRU IV, 190) non cit. in Ug. III, 134 e sg.; s. 2 KUB XXX 44+ Col. ds. 6’; s. 3 KUB V 13 IV 9’; s. 5 si devono completare le attestazioni di KUB XXIII 91: v. nota 4; questo antroponimo si trovava forse anche in KBo XVIII 155, 8[: mDMI-[. V. inoltre G. Beckman, JAOS 103 (1983) 624. Per il rapporto fra le diverse grafie di questo nome e la sua datazione v. A. Kammenhuber, Thes. 4, 38 e HW2, 313 e sg. 2 Ho discusso ampiamente tutte le attestazioni di Armaziti nel saggio indicato nella nota precedente. Comunque, per quelle relative all’àmbito ittita nelle quali egli compare con la mansione di scriba, v. NH e Suppl. 141.2. Di queste, KBo XVI 27 (CTH 137) si può datare verosimilmente all’epoca di Arnuwanda I; E. Laroche (ArOr XVII [1949] 10) ha notato l’esistenza in ÷atti di dinastie di scribi: si può allora ragionevolmente presumere che da questo Armaziti discendesse lo scriba omonimo vissuto all’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV. A questo periodo si possono far risalire gli altri documenti cuneiformi e ieroglifici citati in NH e Suppl. 141.2. A quelli cuneiformi si deve qui aggiungere KUB XXX 44+ (CTH 277.4.B) Col. ds. 6’, dove si può vero similmente postulare la presenza del titolo di scriba nella lacuna alla fine della riga. È da notare che in KUB IV 1 (CTH 422.A e 552) IV 42’ - testo omen in accadico-ittita e rituale di evocatio da compiersi nelle vicinanze di una frontiera nemica - si fa riferimento alle aggressioni dei Kaskei e se ne invocano le divinità. Si può identificare con l’Armaziti scriba anche il personaggio omonimo presente senza alcun titolo nella lettera pubblicata in ABoT 65 (CTH 199) Ro 6, 9 per il contesto e per l’ambiente di scribi a cui si fa *

277

del culto3 e in due tavolette di tipo analogo, sul carattere di una delle quali (lettera o documento di procedura) i pareri degli studiosi non sono concordi.4 Si è rivelata pure plausibile l’identificazione di questo Armaziti con la persona che compare con lo stesso nome, talvolta col titolo di “figlio del re”,5 nella documentazione di Ugarit dell’epoca di Ibiranu, re di questo paese, contemporaneo di Tutøaliya IV.6 Con questo personaggio si può identificare anche l’Armaziti attestato in grafia ieroglifica in sigilli e impronte di sigilli nella documentazione ittita e ugaritica, talora col titolo di scriba, talora con quello di “figlio del re”, talora senza alcuna qualifica.7

riferimento in questa tavoletta. Era probabilmente uno scriba anche l’Armaziti di una lettera trovata ad Alalaø, la cui cronologia è però incerta: AT 124 (CTH 209.10) 1, 62. Il nome di Armaziti compare in grafia ieroglifica, col titolo di scriba o senza alcun titolo, in alcuni sigilli o impronte di sigilli (NH e Suppl. 141.2 e 5) databili alla seconda metà dell’epoca imperiale, secondo quanto mi ha suggerito cortesemente C. Mora, che io desidero qui ringraziare per le informazioni che mi ha fornito per la datazione dei sigilli menzionati in questa ricerca, in base a criteri quali la forma, il tipo di ornamento sul bordo, la provenienza ecc. 3 V. IBoT II 131 (CTH 518) Ro 7’: questo terzo viene trattato integralmente in un mio lavoro di prossima pubblicazione sul culto di Pirwa durante i regni di ÷attušili III e Tutøaliya IV; v. inoltre KBo XII 56 I 8’ (CTH 521.6), dove Armaziti sembra tenuto a costruire un tempio, ciò che ne dimostra l’importanza. 4 KUB XXIII 91 (CTH 297.3) 7, 10, 28[, 32 (mDMI-LÚ), 24[, 36 (mDSIN-LÚ), e 25[ mD ( [SIN/MI-LÚ) (completare le citazioni in NH 141.5): sul genere di questo documento v. A. Goetze, KUB XXIII, Vorwort; H. Otten, MIO 4 (1956) 184; E. von Schuler, Kašk., 11 con nota 106, i quali lo ritengono una lettera, mentre P. Meriggi, WZKM 58 (1962) 101 e O. Carruba, OA 9 (1970) 84, lo ritengono un documento di procedura; v. in tal senso anche CTH 297. È da notare che in questa tavoletta si fa riferimento ad operazioni militari avvenute in località situate in vicinanza dei Kaskei e soggette quindi alle loro incursioni, KUB XXIII 54 (CTH 297.1) Ro 3’[(?), 4’. 5 Sull’espressione “figlio del re” nei testi ittiti, da non intendersi sempre in senso letterale-genealogico, ma anche come un titolo portato da personaggi di rango assai elevato, v. quanto ho scritto in Or 44 (1975) 80 e sgg. 6 Per le attestazioni di Armaziti nella documentazione ugaritica v. NH 141.1, cui si deve aggiungere l’impronta di sigillo citato sopra in nota 1. Sulla proposta di considerare Armaziti e altri personaggi, presenti col titolo di “figlio del re” nei testi di Ugarit, come alti dignitari ittiti, v. quanto ho osservato in Šaøur. (1974) 116 e sg., dove si discute anche la bibliografia precedente; tale argomento è stato approfondito nel saggio su Armaziti cit. in nota 1. 7 V. NH e Suppl. 141.1.2.5; v. inoltre sopra fine nota 2 e inizio nota 6.

278

L’identificazione, invece, di questo Armaziti con la persona omonima menzionata in testi ittiti verosimilmente contemporanei, senza alcun titolo,8 ma con il compito evidente di partecipare attivamente a consultazioni oracolari - per lo più, ma non esclusivamente (v. nota 16), di tipo ornitomantico - si è presentata più problematica proprio per la specificità di tale mansione. Vediamo infatti questo Armaziti formulare responsi in due tavolette che mostrano analogie fra sé, nelle quali si eseguono consultazioni in base al movimento degli uccelli: KUB XLIX 11 II 3’, 15’, 19’, 31’, III 17; XLIX 33 I 9’[.9 Dai toponimi presenti nel primo di questi due documenti si può presumere che vi si alludesse ad una campagna militare in territorio nord-orientale;10 la menzione in esso di Daddamaru11 (II ]20’, III 23) ne rende plausibile la datazione all’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV. Anche in KBo II 6+ (CTH 569), un testo databile all’epoca di Tutøaliya IV, in cui si interpellano gli oracoli per conoscere i motivi della collera degli spiriti dei defunti Arma-Datta e Šaušgatti,12 vediamo verosimilmente lo stesso Armaziti compiere osservazioni sugli uccelli (IV 17) e fornire responsi (IV 23). Sempre come incaricato di operazioni ornitomantiche compare Armaziti in una tavoletta in cui si fanno consultazioni mediante il KIN e gli uccelli, KUB V 13 (CTH 580) IV 9’.13 Sono menzionati in questo testo il re e la regina (I 1, 7 e sgg., 11) - con probabilità ÷attušili III e

Si osserva che, pur comparendo egli in questi documenti oracolari spesso in contesti lacunosi, l’analogia delle relative formulazioni convalida questa affermazione: v. in proposito nota 17 infra. 9 Qui soltanto UMMA mDM[I-LÚ, però in contesto analogo a quello dei passi citati precedentemente. 10 V. KUB XLIX, V Nr. 11, cfr. anche G.F. Del Monte-J. Tischler, RGTC 6 ss. vv. 11 V. NH e Suppl. 1303, e Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 (1973) 256; v. inoltre E. Laroche, RHA 8 (1947-48) 43 e F. Imparati, op. cit., 43 e sgg.: in questi due ultimi saggi si devono aggiungere le attestazioni successive. 12 V. NH e Suppl. 138 (e Ph.H.J. Houwink ten Cate, op. cit., 254) e 1142; per la datazione di questo testo v. A. Kammenhuber, THeth 7 (1976) 134, 180 nota 239; v. inoltre THeth 9 (1979) 69, 126, 178, 258; per il suo contenuto v. G.F. Del Monte, AION 33 (1973) 377 e sgg., e A. Archi, AoF 6 (1979) 82 e sgg. 13 Da aggiungere a NH 141.3. 8

279

Puduøepa14 - e un personaggio di nome LAMMA (I 1), presente anche in altri documenti dello stesso genere.15 Ancora in tre testi in cui si svolgono consultazioni oracolari - in due mediante l’oracolo KIN e in uno mediante gli oracoli KIN e SU - in un contesto purtroppo lacunoso si trova Armaziti, presumibilmente la stessa persona dei documenti precedenti.16 Per una possibile identificazione dell’Armaziti dei documenti oracolari con quello indicato precedentemente (note 2-7), può essere significativo il fatto che in una delle due tavolette di cui egli è lo scriba KUB IV 1 (v. nota 2) - si faccia riferimento alle aggressioni dei Kaskei e se ne invochino le divinità, e che in uno dei testi oracolari su menzionati - KUB XLIX 11 - egli fornisca responsi presumibilmente, come abbiamo rilevato, in occasione di una campagna militare in territorio nordorientale (v. nota 10); si ricorda inoltre che anche in un altro documento dove egli compare - KUB XXIII 91 (v. nota 4) - si allude ad operazioni militari in località situate in vicinanza dei Kaskei. Esaminando poi il problema da un punto di vista più generale - oltre alla considerazione che, analogamente a quanto si riscontra in altri àmbiti del Vicino Oriente antico, abbiamo notizia di scribi ittiti che svolgevano anche altre mansioni oltre la loro,17 di maggiore o minore importanza, ed 14 Cfr. in proposito A. Kammenhuber, op. cit., 134, secondo la quale questo testo, insieme ad altri, non si può datare prima di ÷attušili III per la presenza del LÚ÷AL. 15 V. Suppl. NH 1747.3; per le attestazioni di questo nome in documenti ittiti di epoche diverse v. NH e Suppl. 1747; Ph.H.J. Houwink ten Cate, op. cit., 257; G. Beckman, op. cit., 626. 16 KUB L 57 rr. 5’[, 10’; L 58 rr. 13’, 15’[; L 59b r. 8’; correggi Suppl. NH 141.3: KUB L 57-59 in KUB L 57-59b. 17 Sulle varie mansioni esercitate dagli scribi e sul fatto che essi non costituivano una categoria a sé, v. per ultimo A. Archi, OA 12 (1973) 210 e sgg. nota 7; v. inoltre F. Pecchioli Daddi, MPD (1982) 166, 528 e sgg. Non appare invece significativo il fatto che si abbia notizia di scribi e di loro capi che partecipavano attivamente a cerimonie di culto (v. MPD, 162 e sgg., 167, 528), poiché ciò si riscontra anche per altri funzionari. E neppure è rilevante il fatto che Armaziti compaia senza alcuna qualifica professionale nei testi oracolari su menzionati (v. nota 8), infatti, nonostante la lacunosità dei contesti dove egli è presente, risultano però chiaramente le mansioni di augure da lui svolte. Del resto, nella maggior parte dei casi gli addetti a consultazioni ornitomantiche sono indicati solo con il nome e senza alcuna menzione della loro professione. Si ricorda, senza peraltro attribuirvi un particolare significato, che Armaziti era scriba di testi per lo più a carattere cultuale (descrizioni di feste e rituali) - come, del

280

anche specialistiche, come, per esempio, quella di LÚA.ZU “medico”18 appare logico presumere che agli addetti all’esecuzione di pratiche oracolari si richiedesse la conoscenza della scrittura, sia come base culturale, sia per la necessità di annotare sul momento e con esattezza i risultati delle varie operazioni per fornire responsi precisi.19 Purtroppo, come rileva A. Ünal, non ci sono finora pervenute notizie sul tipo e sui luoghi di istruzione degli auguri in àmbito ittita.20 Sappiamo che i re di ÷atti solevano raccomandare agli auguri di comunicare loro per lettera informazioni sullo svolgimento delle loro attività e sui loro risultati; sono infatti note molte lettere in proposito, spesso assai frammentarie.21 Interessante appare un passo di una lettera22 in cui un sovrano, rimproverando certi auguri di aver trascurato l’adempimento di alcune regole nell’osservazione degli uccelli, fa riferimento a quanto essi gli hanno scritto in proposito: (Ro 9’) kiššan øat[t]ratten... “così scriveste...”.23 Si ricorda inoltre una lettera molto frammentaria,24 verosimilmente databile, per la presenza di alcuni personaggi, all’epoca di ÷attušili IIITutøaliya IV, nell’intestazione della quale (Ro 1-3) si legge: “(1) Alla regina, nostra signora, parla! (2) Così Awauwa, NU.GIŠ.SAR, DU.SIG5, e gli auguri, tuoi servi”. Seguono poi informazioni oracolari di tipo ornitomantico.

resto, gran parte degli scribi (v. E. Laroche, ArOr cit., 10) - e che sono noti auguri autori di rituali (v. A. Archi, SMEA 16 [1975] 130 e sgg.). Sulle mansioni e sullo status degli auguri ittiti v. A. Ünal, RHA 31 (1973) 27 e sgg. e A. Archi, op. cit., 129-134. 18 V. MPD, 166. 19 Ci chiediamo, a tal proposito, se la grafia affrettata che caratterizza di solito i testi oracolari non fosse dovuta anche alla necessità di registrare rapidamente i risultati delle consultazioni, indipendentemente da chi aveva l’incarico di scriverli. 20 Op. cit., 47. Questo, del resto, si riscontra anche per altri funzionari ittiti. 21 V. A. Ünal, op. cit., 53 e sgg., e A. Archi, op. cit., 135 e sgg. 22 KUB XXXI 101 (CTH 573) Ro 6’ sgg.: v. la traslitterazione e traduzione di questo testo presso A. Ünal, op. cit., 49 e sgg., e A. Archi, op. cit., 136 e sgg. 23 In Vo 36’ sgg., nel postscriptum (v. nota 29), il sovrano si rivolge ad uno scriba, ma, purtroppo, il contesto è assai lacunoso. 24 KBo XV 28 (CTH 195); v. H. Otten, MDOG 87 (1955) 17, e MIO cit., 186; A. Ünal, op. cit., 53; A. Archi, op. cit., 135 e sg.

281

Non rimane chiaro il rapporto fra i personaggi qui indicati con il nome personale e gli auguri menzionati successivamente. E. Laroche,25 A. Archi,26 F. Pecchioli Daddi27 li considerano tutti come auguri, anche se probabilmente di rango diverso; questi tre nomi non figurano invece nell’elenco degli auguri nei testi ittiti fornito da A. Ünal.28 È interessante notare che, a conclusione della lettera diretta alla regina, segue un postscriptum, separato dalla lettera da una linea doppia, inviato da NU.GIŠ.SAR a tre personaggi, a cui egli si rivolge con l’espressione “miei cari figli”.29 Il nome NU.GIŠ.SAR è noto come appartenente a scribi di generazioni diverse, di cui uno vissuto all’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV. 30 Dei nomi dei tre personaggi da lui appellati due non compaiono altrove, mentre uno si ritrova con la funzione di scriba in un testo in cui si trattano questioni oracolari, databile all’epoca di Tutøaliya IV per la presenza di Anuwanza SAG. 31 Questo tipo di postscriptum, di cui sono noti esemplari analoghi, e l’appellativo “miei cari figli” fanno ragionevolmente presumere che si trattasse del messaggio di uno scriba ad altri scribi della cancelleria di ÷atti (cfr. nota 29). Per quanto riguarda i nomi degli altri personaggi menzionati nell’intestazione della lettera in questione, si ricorda che quello di Awauwa,32 con la probabile mansione di scriba, si trovava forse nel postscriptum di una lettera molto lacunosa scritta da un Tutøaliya al re33 e in un testo oracolare, esso pure molto frammentario, dove si parla di

CTH 195: (lettre) de trois augures à la reine. Op. cit., 132 e sgg., sotto i rispettivi nomi. 27 MPD, 324, dove si ipotizza che i tre personaggi in questione fossero responsabili della corporazione dei LÚ.MEŠMUŠEN.DU. 28 Op. cit., 47 nota 29. 29 V. in proposito la trattazione di H. Otten, MIO cit., 185 e sgg. 30 NH e Suppl. 1753; v. anche E. Laroche, ArOr cit., 10 e sgg. 31 Tumna-LÚ (= Tumnaziti): NH e Suppl. 1372 (hapax); Tuttuwa-DINGIRLIM (= Tuttuwaili): NH e Suppl. 1394 (hapax); Tum(ma)ni: NH e Suppl. 1373. Quest’ultimo è presente nella forma Tummani in KUB XLIII 77 (CTH *828) Vo 3’, un testo (secondo K. Riemschneider, KUB XLIII p. VII, un protocollo) in cui si trattano questioni oracolari. Sull’epoca di Anuwanza SAG v. H. Otten, StBoT 13 (1971) 49. 32 NH e Suppl. 215. 33 KBo IX 83 (CTH 198 e 209.13) Vo 9’[: v. H. Otten, op. cit., 186 e sgg. 25

26

282

osservazioni fatte mediante gli uccelli e in cui un certo Awa sembra aver fornito responsi.34 L’antroponimo DU.SIG5 (*Tarøuwaššu, o anche *Tarøuntaššu)35 compare riferito ad un personaggio dell’epoca di Arnuwanda I,36 quindi anteriore alla persona della lettera citata in nota 24. Incerta, ma non improbabile, è invece l’identificazione del personaggio di questa lettera con lo DIM.SIG5 menzionato in un’altra lettera in un contesto molto lacunoso.37 Riepilogando, in base ai documenti esaminati, appare plausibile ritenere che Awauwa, NU.GIŠ.SAR e DU.SIG5, presenti nella lettera indicata in nota 24, avessero la mansione di scribi; per Awauwa sembra si possa postulare anche quella di augure. Non sembra quindi troppo arrischiato presumere che tutti e tre avessero espletato ambedue le attività e che per questo motivo nell’intestazione di questa lettera essi venissero menzionati per nome, distinti dagli altri auguri, rispetto ai quali tenevano una posizione preminente. Si rileva inoltre che in diversi documenti ittiti sono attestati antroponimi riferiti sia a scribi che a personaggi che tenevano mansioni divinatorie. Pur se la loro identificazione non si presenta di solito evidente, non appare tuttavia probabile che si trattasse sempre di casi di omonimia, soprattutto quando coloro che recavano tali nomi si ritrovano in testi contemporanei, di genere diverso, insieme ai medesimi personaggi. Per non appesantire troppo la trattazione, si riportano qui soltanto alcuni esempi in proposito, relativamente all’epoca di ÷attušili IIITutøaliya IV.

KUB XLIX 51 II 4’: UMMA mAwa[; cfr. A. Archi, KUB XLIX, p. V. NH e Suppl. 1278. 36 KBo V 7 (CTH 223) Vo 4. 37 KBo XVIII 101 (CTH *190) Ro 2: v. H.G. Güterbock, KBo XVIII p. VI. A mDIM.SIG e ad altri funzionari menzionati insieme - mTat[, ¦mD©[, Akalkazzi (Suppl. NH 5 12a: hapax) - è diretta questa lettera, probabilmente da altri funzionari della stessa categoria o dello stesso rango, come sembra si possa dedurre dall’espressione ŠEŠMEŠ DUGUD (Ro 7) “onorevoli fratelli”. Il nome W-wa-šu-wa-š in grafia ieroglifica si trova in CEKKE Vo 8. 34

35

283

Si ricorda Tarøuntapiya,38 che vediamo svolgere attività divinatorie mediante l’ornitomanzia e l’extispicio in alcuni testi oracolari di tipo diverso.39 Conosciamo inoltre un personaggio omonimo che esercitava la funzione di scriba, come è attestato da alcuni sigilli e impronte di sigilli, e che, analogamente a quanto si rileva per molti scribi, certo all’apice della loro carriera, portava anche il titolo di “figlio del re”: in tal modo infatti egli è menzionato nella lista dei testimoni del trattato con Ulmi-Teššup di Tarøuntašša e in alcuni sigilli e impronte di sigilli.40 Col Tarøuntapiya scriba e “figlio del re” si può verosimilmente identificare la persona omonima presente senza alcuna qualifica in due documenti contenenti inventari, dove sembra esercitare funzioni di controllo amministrativo,41 ciò che, del resto, si riscontra anche per altre persone che portavano questi titoli.42 Potrebbe presumibilmente essere lo stesso Tarøuntapiya il personaggio che compare in un testo, sempre contemporaneo, con incarichi relativi all’amministrazione del culto,43 e quello che, con la qualifica di sacerdote (LÚSANGA), appare tenuto a fornire offerte a divinità e alle loro stele in occasione della festa teši.44

38 NH e Suppl. 1267: per alcune aggiunte e correzioni alle attestazioni in ieroglifico v. L. Mascheroni, StMed 1 (1979) 365 con nota 46, e G. Beckman, op. cit., 626; s. 5 si deve inoltre correggere XXVII 13 IV 4 in IV 14’. Secondo C. Mora, la datazione di questi sigilli e impronte di sigilli all’epoca imperiale si può postulare in base al tipo di ornamento di alcuni di essi ed è confermata dalla provenienza di certuni dal cosiddetto “Siegeldepot” di Boˆazköy. 39 KUB XXII 41 (CTH 582) Vo 12’, in un paragrafo frammentario in cui si parla di operazioni ornitomantiche; KUB XVI 31+ (CTH 577) IV 17’, 23’, dove si dice che “Tarøuntapiya effettuò la consultazione” mediante l’extispicio: per la datazione di questo documento v. A. Kammenhuber, cit. in nota 14; KUB L 35 Vo? 2’, 5’, dove ugualmente si fa la consultazione per mezzo dell’extispicio. 40 V. NH 1267.1.4, e sopra nota 38. 41 KUB XL 95 (CTH 242.4) II 10; KBo XVI 83 (CTH 242.8) III 6: v. A. Kempinski-S. Košak, Tel Aviv 4 (1977) 88 e sgg., dove si discute anche del significato della forma verbale accadica IDI nei testi ittiti e p. 91 per la datazione di questo tipo di testi; L. Mascheroni, op. cit., 353 e sgg.; S. Košak, THeth 10 (1982) 79 e sgg. e 87 e sgg. 42 V. in ultimo L. Mascheroni, op. cit., 364 e sgg. 43 KUB XXVII 13 (CTH 698) IV 13’ e sgg., dove si legge che i dipendenti di Tarøuntapiya, insieme agli uomini del palazzo di Arnuwanda (probabilmente una di quelle istituzioni religiose, con funzioni anche amministrative, legate al culto dei sovrani defunti) devono prendersi cura di due picchi montani: v. quanto abbiamo osservato su questo passo in SMEA 18 (1977) 52 e sgg. 44 KUB XII 2 (CTH 511) IV 8, 14, 18.

284

Si deve rilevare che in molti di questi testi ricorrono gli stessi personaggi, ciò che porta un sostegno ad una ipotesi di identificazione del Tarøuntapiya in essi menzionato.45 Ugualmente col titolo di scriba e “figlio del re” è presente *Armanani46 nella documentazione ieroglifica, dove è attestato anche senza alcuna qualifica.47 Un personaggio con questo nome compare inoltre in un testo contenente rendiconti oracolari di tipo ornitomantico relativamente al culto del dio di Aleppo,48 nel corso dei quali egli fornisce responsi insieme a Piøatarøunta.49 L’antroponimo *Armanani si trova anche, senza alcun titolo, nella documentazione contemporanea di Meskene (Msk. 73.266) in grafia cuneiforme e ieroglifica.50 L’identificazione dei personaggi recanti il nome di Armapiya51 - in taluni casi con la funzione di scriba o con l’incarico di svolgere mansioni divinatorie - nei documenti cuneiformi e ieroglifici presenta dei problemi conseguenti alla datazione di questi. Tale nome compare, infatti, riferito

45 V. la lista dei testimoni del trattato con Ulmi-Teššup, i due documenti di inventari, la lista di offerte a divinità e alle loro stele. Cfr. per ultima L. Mascheroni, op. cit., 366 con nota 48. Diversa è invece l’opinione di E. Laroche, RHA 8 (1947-48) alla fine della p. 43, che io posso accettare soltanto per KBo V 7 per motivi cronologici. 46 NH e Suppl. 134, cui si deve aggiungere s. 1 Boˆ. V 9; v. G. Beckman, op . cit., 623. 47 Tale documentazione, secondo C. Mora, si può datare al XIII sec., e forse addirittura alla seconda metà di esso in base a certi indizi dedotti dall’impronta di sigillo pubblicata in Boˆ. V 9. 48 KUB XVIII 12+ (CTH 564) I 14, 22, 44, 50, II 4’. 49 NH e Suppl. 971; su questa lettura ittita del nome Piøa-DU/DIM v. R. Lebrun, Heth 4 (1981) 104 e 100 Ro I 10’, il quale però a p. 102 Ro II 17’ legge Piøa-Teššup, come già in Florilegium Anatolicum (= FsLaroche), 202, cui si attiene S. Košak, THeth 10 (1982) 90; v. anche L. Mascheroni, op. cit., 360: Piøa-Datta. Su questo personaggio, presente nella documentazione ittita, ugaritica ed emariota con titoli diversi, tra cui anche quello di “figlio del re”, si è parlato diffusamente nel saggio su Armaziti, cit. in nota 1. 50 Per la lista provvisoria dei nomi emarioti in grafia ieroglifica, con l’indicazione dei titoli che talvolta li qualificano, v. E. Laroche, Akk. 22 (1981) 10 e sgg. 51 NH e Suppl. 135, dove si deve aggiungere s. 3 KBo XVI 99 V? 11’ e forse KBo XI 68 I 22’[, s. 6 il sigillo Borowski n° 1 (v. M. Poetto, StMed 3 [1981] 13 con nota 10), e il sigillo in A.M. Dinçol, AnAr 9 (1983) 227 e sgg. Nr. 13 (dove questo personaggio compare col titolo di sacerdote); vi si deve inoltre cancellare s. 1 la citazione SBo II 23, riferita a Tarøuntapiya (v. nota 38): v. M. Poetto, loc. cit., e G. Beckman, op. cit., 623.

285

ad uno scriba in un testo dell’epoca di Muršili II,52 e si trova inoltre in grafia ieroglifica su alcuni sigilli e impronte di sigilli, in un caso anche col titolo di scriba:53 questi si possono datare, secondo C. Mora, all’epoca imperiale. Essa rileva che la tipologia del sigillo nel quale Armapiya è presente col titolo di scriba appare diversa da quella degli altri sigilli a lui relativi, per cui si potrebbe ipotizzare che differisse anche la loro datazione e che si trattasse quindi di personaggi diversi. È dunque difficile stabilire se lo scriba Armapiya del sigillo su ricordato fosse da identificare con lo scriba omonimo dell’epoca di Muršili II o se potesse trattarsi di un suo discendente (cfr. nota infra a proposito delle dinastie di scribi). Presumibilmente all’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV risalgono le frequenti attestazioni di un Armapiya in testi oracolari, per lo più di tipo misto, dove egli compie operazioni ornitomantiche e fornisce responsi.54 Troviamo ancora un personaggio con questo nome, probabilmente col titolo di sacerdote (LÚ[SANGA, per analogia con gli altri nomi presenti nello stesso contesto), nella tavoletta già menzionata in nota 44 (I 8’). Con questo Armapiya è verosimilmente da identificare la persona omonima attestata in alcuni “protocolli giudiziari”,55 e inoltre quella che compare in un elenco di acquisti,56 in un documento di inventari di

KUB XIX 44 (CTH 63.D) IV 15’. NH 135.4.6: v. inoltre sopra nota 51. 54 KUB V 23 (CTH 582), 12’; XVI 52 (CTH 577), 8’; 71 (CTH 582), 7’; KBo XVI 99 (CTH 577) V 11’ (per la datazione di questo testo all’epoca di ÷attušili III, v. A. Kammenhuber, THeth 7 [1976] 139 e sgg. e 143, e inoltre THeth 9 [1979] 181; v. invece H.M. Kümmel, StBoT 3 [1967] 98; KUB XLIX 14 (CTH 582), 16’ ( nelle rr. 5’[, 9’[ compare Tatamaru, su cui v. nota 11); probabilmente anche KBo XI 68 (CTH 582) I 22’[. 55 Nel cosiddetto “affare di Ukkura” - KUB XIII 35+ (CTH 293) III 42 - e in KUB XXVI 69 (CTH 295.3) V 14. 56 KUB XXXI 65b (CTH 240) r. ]1’: l’antroponimo in questione è qui seguito da una indicazione di città, purtroppo lacunosa (URUZi-ku-/-ma-[); ricorre sovente nel testo la forma verbale waši(y)at. 52

53

286

tessuti e vesti57 e in un testo votivo.58 In alcuni di questi documenti infatti ricorrono degli antroponimi esaminati nel corso di questa trattazione.59 Si ricorda inoltre Alalimi,60 scriba di un testo contenente la descrizione di una festa religiosa,61 e il personaggio omonimo che svolgeva attività oracolari mediante gli uccelli.62 Non abbiamo, purtroppo, elementi per proporre una identificazione dell’Alalimi qui menzionato con quello ben noto da alcuni documenti col titolo di coppiere, sovrintendente e capo dei coppieri, e presente senza alcuna qualifica in due documenti di procedura,63 o anche con l’Alalimi attestato altrove.64 Con Alalimi si incontrano in alcuni testi altre persone ben note agli ittitologi, tra i quali ricordiamo in particolare ÷alpaziti.65 Questo 57 HT 50(+) (CTH 243.1) II 5: v. B. Rosenkranz, ZA 57 (1965) 244, e S. Košak, op. cit., 106; vi si trovano altri personaggi, quali Šadduwaziti (NH 1138) in II 7 e Maraššanda (NH 758) in II 9, che compare anche in KUB XII 2 I 10’, 12’[ (v. nota 44 per Tarøuntapiya e p. 259 per Armapiya). 58 KUB XLVIII 117 Ro 5, 8. 59 V. note 44, 57, 70, e i saggi citati in nota 63. 60 NH e Suppl. 22, dove si deve correggere KBo XIII 83 in XVI 83; v. inoltre Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 (1973) 253, con bibliografia precedente; G. Beckman, op. cit., 623. 61 KUB XI 21a = KBo XXII 214 (CTH 598.1) VI 3’. 62 KUB XXII 68 (CTH 582) r. 13’. 63 Sulla carriera di Alalimi coppiere e su alcune proposte di identificazione di questo personaggio, v. R. Stefanini, Athenaeum 40 (1962) 35 e sgg.; A. Archi, SMEA 14 (1971) 214 e sgg. nota 84; S. de Martino, SCO 32 (1982) 309-311, e cfr. L. Mascheroni, op. cit., 368. 64 È plausibile l’identificazione dell’Alalimi menzionato nella nota precedente con quello presente nell’inventario KBo XVI 83+ (CTH 242.8) III 12[ (v. L. Mascheroni, loc. cit. e S. Košak, op. cit., 88 e 90) e forse, nonostante l’estrema frammentarietà del documento, con quello menzionato in un altro inventario: KBo IX 94 (CTH 250.5) 7’[ (v. S. Košak, op. cit., 162); in KBo XVI 83+ III 1 compare anche Piøa-Tarøunta, su cui v. nota 49. Non abbiamo invece elementi per postularne l’identità col personaggio omonimo attestato come ŠAKNU di Kaniš in Pud. II 17, anche se non c’è niente che vi si opponga: v. S. de Martino, op. cit., 310 nota 24. Oscuro, perché troppo frammentario, KBo XXII 33 (CTH 832), dove Alalimi compare nella r. 4’[ in un contesto contenente un discorso diretto per la presenza nelle rr. 4’ e 6’ dell’enclitica -wa e nelle rr. 5, e 10’ dell’enclitica -mu; nella r. 9’ si parla di una malattia. Diverso dall’Alalimi cit. in nota 63 è quello indicato come “uomo di Ura” in NH 22.3. 65 NH e Suppl. 259, cui si deve aggiungere KUB XVI 66, ]27’ (v. nota 71); incerta l’attestazione nel frammento di lettera KBo XVIII 89 r. ]4’ (]-pa-LÚ-i) cit. in Suppl. NH, 58; v. inoltre E. Laroche, RHA 8 (1947-48) 43; H. Klengel, Or 32 (1963) 283;

287

personaggio compare frequentemente nella documentazione ittita, ma si terrà qui conto soltanto di alcune delle sue attestazioni relative all’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV, e soprattutto di quelle in cui è presente con la evidente funzione di capo degli scribi66 e risulta anche padre di due scribi.67 ÷alpaziti si trova inoltre più volte in documenti di procedura:68 in uno di questi egli è menzionato nel corso della deposizione di Alalimi coppiere,69 e nel cosiddetto “affare di Ukkura”,70 dove compaiono Ph.H.J. Houwink ten Cate, op. cit., 254; H. Otten, RlA 4 (1972-75) 62 e sgg.; per le altre probabili forme del nome v. note 66 e 70. 66 Così sembra risultare dal colophon di KUB XIII 7 (CTH 258) IV 5, dove il suo nome compare nella forma m÷alwa-LÚ (NH 262): v. E. Laroche, ArOr cit., 8 e sgg. e 11, e H. Otten, op. cit., 63. Questa grafia del nome ne fa postulare l’identificazione con l’omonimo personaggio presente col titolo di capo degli uomini UKU.UŠ (su questo titolo v. MPD [1982] 546 e S. Rosi, SMEA 24 [1984] 109 e sgg., con bibliografia precedente) in un testo assai frammentario, in cui si riportano le parole di Tattamaru, KUB XXXI 32 (CTH 214.9, dove si deve correggere XXXI 52 in 32) Vo 6’, 8’: in quest’ultima riga si trova il nome nella forma m÷alwa-LÚ, senza alcuna qualifica; si ricorda che Tattamaru compare anche altrove con ÷alpaziti, v. nota 71; su Tattamaru v. nota 11. In KBo IV 10 Vo 29 ÷alpaziti è presente col titolo di capo degli uomini UKU.UŠ di destra; per la proposta di identificazione dello ÷alpaziti capo degli uomini UKU.UŠ (di destra) con gli omonimi personaggi menzionati nella cosiddetta “congiura di ÷ešni” (KUB XXXI 68 [CTH 297.8] Vo 40) e in un frammento forse di una lettera (KBo XVIII 80 [CTH 209] Ro 6’), v. Ph.H.J. Houwink ten Cate, loc. cit.; ciò comporterebbe, di conseguenza, anche una identificazione con lo ÷alpaziti scriba. 67 In KUB XII 15 (CTH 720) bd. sn. 1: ŠU mGUR-LUGAL-ma DUMU m÷alpaLÚ (su GUR-Šarruma v. NH 1743 e G. Beckman, op. cit., 626); in KUB X 96 (CTH 825): (2’) DUMU m÷alpa-LÚ (3’) DUMU.DUMU-ŠÚ ŠA mZuwanni; il nome del figlio di ÷alpaziti era nella parte mancante di questo frammento; su Zuwanni v. NH e Suppl. 1581. Sulla datazione di questi due testi all’epoca di Anuwanza, v. E. Laroche, ArOr cit., 11. 68 Nella “congiura di ÷ešni”: v. nota 66; in KUB XIII 33+ (CTH 295) IV 1, dove viene chiamato a deporre un ÷alpaziti indovino(LÚ÷AL); v. anche note 69 e 70. 69 KUB XIII 34+ (CTH 295) IV 6, 22; da notare l’espressione alla r. 6 “÷alpaziti sigillò” (v. R. Werner, StBoT 4 [1967] 40 e sgg.): come infatti ha rilevato E. Laroche, RHA 14 (1956) 27, i nomi di alcuni scribi ittiti noti dalle fonti cuneiformi si ritrovano anche su sigilli. Il nome ÷alpaziti, in grafia ieroglifica e senza alcun titolo, compare in sigilli e impronte di sigilli databili, secondo C. Mora, all’età imperiale per alcuni segni ed elementi ornamentali che vi compaiono. 70 KUB XIII 35+ (CTH 293) III 39, dove è attestato nella forma ÷apaziti (NH 285): v. in proposito S. de Martino, op. cit., 309. In questo paragrafo si fa riferimento alle deposizioni di una serie di personaggi ben noti, fra i quali ricordiamo in III 42 Alalimi e Armapiya.

288

anche Armapiya e Alalimi (v. note 55 e 63), si riporta verosimilmente la sua deposizione. Abbiamo esposto nella nota 66 la proposta assai plausibile di identificare lo ÷alpaziti della “congiura di ÷ešni” con l’omonimo personaggio capo degli uomini UKU.UŠ (di destra) e capo degli scribi; se ne può accettare l’identificazione anche con le altre persone presenti con questo nome e senza alcun titolo nei documenti di procedura (v. note 69, 70). Più problematica, ma non improbabile, appare invece l’identificazione con lo ÷alpaziti attestato in uno di questi documenti col titolo di LÚ÷AL “indovino” (v. nota 68): con l’indicazione di questa qualifica si poteva voler distinguere nei testi procedurali due personaggi recanti lo stesso nome, ma era anche possibile che vi si facesse riferimento a momenti diversi della carriera di una stessa persona: cfr. la situazione di altri personaggi esaminati precedentemente. Certo quest’ultima ipotesi convaliderebbe anche una identificazione con lo ÷alpaziti menzionato altrove con l’incarico di svolgere attività oracolari., di solito di tipo ornitomantico;71 abbiamo visto, infatti, che una stessa persona poteva esercitare mansioni divinatorie anche di genere diverso: cfr. sopra il caso di Tarøuntapiya. Del resto, la possibilità di una identificazione dello ÷alpaziti indovino (LÚ÷AL: v. nota 68) e del personaggio omonimo menzionato senza alcun titolo in un altro documento di procedura (cit. in nota 69) con quello presente in due documenti oracolari, dove compie operazioni ornitomantiche, sembra contemplata anche da E. Laroche.72

KUB L 12 IV 10’, dove ÷alpaziti fornisce responsi nell’ambito di una operazione ornitomantica (UMMA m÷alpa-LÚ SIxSÁ-at-wa): nella r. 12’ si nomina fNikalma[ti in un contesto molto lacunoso: si alludeva forse alla nota regina defunta? KBo XXIV 126 Ro 23’, dove egli opera ancora all’interno di una consultazione effettuata mediante gli uccelli (UMMA m÷alpa-LÚ arøa-wa peššir); in Vo ]1’, 13’, 17’ è menzionato Tattamaru (cfr. nota 66); KUB XVI 66 (CTH 577) ]27’, dove questo personaggio è presente di nuovo nel corso di un’azione ornitomantica; da notare nelle rr. 14’ e 28’ la menzione di Aranøapilizzi (NH e Suppl. 114), comandante militare dell’epoca di Muršili II e verosimilmente di Muwatalli, al quale, secondo G.F. Del Monte, RSO 49 (1975) 4, successe ÷alpaziti nella carica di capo degli uomini UKU.UŠ di destra, v., anche, in proposito, S. Rosi, loc. cit.; KUB XVI 58 (CTH 582) Vo 6’, un documento oracolare molto frammentario in cui compare questo personaggio, purtroppo in un contesto non chiaro. 72 Suppl. NH 259.5. 71

289

÷alpaziti, quindi, poteva aver svolto in un primo tempo mansioni scribali e divinatorie (augure e indovino), divenendo poi capo degli scribi e capo degli uomini UKU.UŠ di destra,73 per terminare la sua carriera con la partecipazione alla “congiura di ÷ešni”.74 Tralasceremo altri esempi analoghi a quelli sin qui esposti: mi pare infatti si possa ragionevolmente concludere che, pur non risultando sempre possibile postulare l’identità dei vari personaggi che recavano lo stesso nome e che in documenti contemporanei appaiono aver esercitato attività scribali e divinatorie di vario genere, tale identità sia però sostenibile almeno in diversi casi.75

73 Cfr. il caso di Šaøurunuwa che portava, fra gli altri, anche i titoli di capo degli scribi e capo degli uomini UKU.UŠ: v. Šaøur., 11 e sgg. 74 R. Stefanini, op. cit., 35, presume che ÷alpaziti in questa congiura fosse stato fedele al re, senza però fornire elementi sufficienti a sostegno di tale ipotesi; più convincenti, invece, mi sembrano le considerazioni di S. de Martino, op. cit., 311. 75 Si ricorda, a semplice titolo di confronto, che nell’amministrazione provinciale babilonese all’epoca della seconda dinastia di Isin gli scribi dei villaggi sostituivano spesso l’indovino (BÂRÛ) locale: v. J.A. Brinkman, JESHO 6 (1963) 238 con nota 5. Mi ha fatto inoltre gentilmente notare Padre G. Castellino che anche l’esorcista (ŠIPU) in ambito mesopotamico risulta da qualche colophon essere stato scriba di tavolette: CAD 1, II (1968) 434, e.

290

XV.

LA POLITIQUE EXTÉRIEURE DES HITTITES: TENDANCES ET PROBLÈMES

Différents aspects importants de la politique extérieure des souverains hittites ont été amplement traités depuis déjà de nombreuses années. On a publié, en effet, plusieurs intéressantes recherches sur les causes et le déroulement de certaines guerres, sur les opérations diplomatiques et sur les accords internationaux conclus entre le royaume du ÷atti et les autres États du Proche-Orient antique. Ailleurs,1 j’ai déjà parlé de la façon dont les souverains hittites utilisaient leurs guerres pour affirmer leur pouvoir et de certaines formes d’intervention, économiques et administratives, dont ils se servaient en temps de paix pour maintenir la stabilité de ce pouvoir. Je voudrais m’arrêter ici sur quelques points qui, au cours de ces recherches, m’ont semblé d’un certain intérêt. On sait quelle était pour la monarchie hittite, tout comme pour les autres monarchies de type absolu du Proche-Orient antique, l’importance de l’aspect militaire dans l’idéologie royale. En effet, une entreprise militaire qui se terminait de façon positive apportait au souverain des avantages certains au point de vue politique et au point de vue économique. En premier lieu, son prestige augmentait remarquablement à l’intérieur comme à l’extérieur du pays. En outre, le souverain avait ainsi la possibilité de montrer la solidité de ses liens avec l’élément divin, liens qui en légitimaient et en renforçaient le pouvoir. 1

Voir ma communication sur “Interventi di politica economica dei sovrani ittiti e stabilità del potere”, dans Stato, Economia, Lavoro nel Vicino Oriente Antico (Istituto A. Gramsci Toscano, Firenze 29-31 Ottobre 1984) Milano (1988) 225-239. J’ai également abordé ce problème lors d’une conférence sur “Guerre et paix: instruments de domination des souverains hittites”, Bruxelles, Groupe de Contact C.N.R.S., Les Droits de l’Orient ancien, 1er décembre 1984, et d’une relation sur “Aspects of Political and Economic Power in the Hittite Kingdom”, Symposium on Social and Economic Structure of the Eastern Mediterranean in the Second Half of the IId Millennium B.C., Haifa 28th April-2nd May 1985.

291

A mon avis, un autre motif important pour le souverain de promouvoir des expéditions militaires pouvait être aussi le fait que cellesci servaient à maintenir engagés et occupés dans ces opérations (et par conséquent davantage soumis au pouvoir royal) certains sujets de haut rang, qui, de cette façon, avaient moins de temps et d’occasions pour des initiatives contre le souverain et, en outre, plus de possibilités de satisfaire leurs ambitions et comme prestige et comme richesses. Cela pouvait également servir à éviter des rébellions internes pour la conquête du pouvoir. Cet expédient pouvait toutefois obtenir aussi l’effet opposé, en permettant à certains personnages d’acquérir trop de prestige et, en même temps, des alliés pour la conquête du pouvoir. Naturellement, la conclusion positive d’une guerre apportait aussi des avantages économiques, surtout pour le roi et pour ceux qui appartenaient à son entourage. Outre les tributs qui devaient être versés annuellement par les pays assujettis sur la base d’accords précis, les souverains hittites se procuraient aussi des biens meubles et immeubles, ainsi qu’une très grande quantité de main d’oeuvre2 qui, de cette façon, suppléait à la pénurie de forces ouvrières que l’on retrouve dans tous les états de l’Asie antérieure antique. On peut donc raisonnablement affirmer que la guerre se traduisait en un soutien du pouvoir royal. Au contraire, il ne semble pas qu’on rencontre dans la documentation hittite de traces d’une idéologie particulière de la paix. Les passages correspondants semblent présenter la paix comme une absence de guerres civiles, de conjurations dans le milieu palatin, plutôt que comme une absence de guerres extérieures.3 Il s’agit de NAM.RAMEŠ “prisonniers civils/déportes”. Il me semble intéressant d’observer que le souverain hittite attribuait ces déportés non seulement aux dignitaires et aux fonctionnaires de l’État ou à des institutions cultuelles, mais aussi, dans certains cas particuliers, au secteur communautaire, comme le montrent les §§ 40 et 112 du recueil de Lois, ainsi qu’ un passage des “Instructions pour le seigneur du poste de garde”. Pour le souverain, c’était là un des moyens d’intervention dans l’économie du secteur communautaire, secteur qui agissait en dehors de l’appareil étatique: cfr. à ce propos JESHO 25 (1983) 230 sq. et 262. 3 Voyons, par exemple, l’Edit promulgué par le souverain Telipinu où, dans le préambule historique qui décrit la situation des règnes antérieurs - bien que de façon plutôt tendancieuse et qui ne correspond pas toujours à la réalité - à propos des règnes de Labarna et de ÷attušili I, on y théorise l’accord alors existant entre la famille royale, la cour et l’armée, ce qui permettait au souverain de mener victorieusement ses 2

292

La paix apparaît presque comme un moyen pour utiliser les avantages politiques et économiques acquis avec la guerre, naturellement en cas de victoire, et comme une nécessité pour reconstituer les moyens indispensables pour de nouvelles entreprises militaires et d’autres conquêtes. Bien sûr, la paix servait aussi à développer une action politique, économique et religieuse dans le but de consolider dans une position subalterne les domaines acquis, même si une action de ce genre ne donnait pas toujours des résultats durables. Les renseignements que nous possédons sur la façon dont les Hittites administraient les pays assujettis proviennent non seulement des archives de ÷attuša, mais aussi de celles de ces pays eux-mêmes, en premier lieu Ugarit. Nous attendons la publication complète des documents d’Emar et de ceux de Ma$at, vraisemblablement intéressants à ce point de vue. Il faut observer que les données que nous possédons sont pour la plupart indirectes, c’est-à-dire qu’elles proviennent de textes dont la compilation tendait à un tout autre but que celui de fournir un tableau précis de la structure administrative hittite à l’intérieur et à l’extérieur du royaume.4 Comme j’ai déjà eu l’occasion de le remarque,5 l’étude des différentes charges de dignitaires et fonctionnaires hittites qui exerçaient leur activité au ÷atti et dans les pays soumis à la domination hittite, s’est démontrée d’un grand intérêt précisément pour le rôle que la structure administrative entreprises guerrières, conquérant des pays ennemis et augmentant remarquablement les frontières du royaume. 4 Nous pourrions nous attendre à ce que la correspondance échangée entre le souverain hittite et les souverains des pays qui se trouvaient sous le contrôle du ÷atti, ou les lettres adressées aux dignitaires chargés de l’administration de ces mêmes pays nous offre, comme cela a lieu pour d’autres États, de nombreux renseignements d’un certain intérêt pour notre étude, également en tant que documentation plus directe. Malheureusement, toutefois, la correspondance qui provient des archives de ÷attuša n’apporte guère de lumières en ce sens, tandis que celle qui provient d’Ugarit présente un intérêt majeur. Nous espérons que des renseignements sur le sujet qui nous occupe pourront être fournis par les nombreuses lettres trouvées à Ma$at: d’une lettre d’Emar, intéressante à ce propos, je me suis déjà servie dans une autre recherche: voir note 54. 5 Lors de deux conférences, l’une sur “Noms, titres et fonctions de quelques dignitaires de l’État hittite”, l’autre sur “Variété des attributions des scribes hittites”, Collège de France, 25 et 27 mars 1985.

293

avait dans une organisation étatique centralisée et bureaucratisée comme celle du ÷atti. En outre, une recherche à caractère prosopographique s’est révélée particulièrement utile pour établir le contenu de certaines charges, la transformation que le contenu de ces charges a pu connaître au cours des années et lors du passage d’une structure étatique à une autre, la possibilité de cumuler certaines de ces charges, leur éventuelle transmission héréditaire et les mécanismes de leur attribution. De cette façon, il est parfois possible de proposer des modèles de cursus honorum. L’étude des noms des personnages qui détenaient des charges administratives peut, elle aussi, fournir une contribution à la connaissance des différents éléments ethniques présents dans la bureaucratie hittite et dans celle des pays soumis au ÷atti, même si l’on doit tenir compte du fait que le choix d’un non est subordonné à de nombreux facteurs, comme, par exemple, la mode, et que, par conséquent, les anthroponymes ne sont pas toujours révélateurs d’une provenance ethnique. Ainsi, l’analyse prosopographique et onomastique permet de jeter une lumière nouvelle sur la distribution des charges administratives dans le royaume hittite et dans les états qui lui étaient soumis: les résultats de cette analyse sont particulièrement significatifs pour la reconstruction des formes de gouvernement et de contrôle exercées par les souverains hittites. Il est notoire que le roi du ÷atti confiait l’administration des pays conquis de préférence à ses fils. Nous en avons la confirmation déjà pour l’Ancien Royaume, par exemple par le préambule historique de l’Edit de Telipinu, en ce qui concerne Labarna, ou par la chronique d’Ammuna.6 Souvent le roi attribuait à un de ses fils le sacerdoce de quelque importante divinité des pays placés sous l’influence du ÷atti, pour les lier davantage à lui-même et pour exercer plus fortement son pouvoir. Rappelons, par exemple, le cas de Kantuzzili,, personnage du Moyen Royaume, DUMU.LUGAL (à entendre ici dans le sens littéral et généalogique), peut-être fils de Tutøaliya II et de Nikalmati, probablement 6 V. Edit de Telipinu (CTH 19) §§ 3-4, ll. 9-11: voir en dernier I. Hoffmann, THeth 11 (1984) 12-15; pour la Chronique de Ammuna (CTH 18), cfr. CHD L-N, 168 s.v. maniyaøøai-.

294

prêtre de Teššup et de ÷epat au Kizzuwatna et mentionné dans un texte comme “chef] des prêtre[s], fils du roi” (GAL LÚ.ME]Š SANGA DUMU.LUGAL),7 ou encore le cas de Telipinu, fils de Šuppiluliuma I, nommé lui aussi prêtre de Teššup, ÷epat et Šarruma au Kizzuwatna, avant d’être nommé roi d’Alep. Il est vraisemblable que ce sacerdoce constituait une charge particulièrement importante, qui n’impliquait pas exclusivement des fonctions religieuses. Quoi qu’il en soit, avec l’élargissement de l’empire et avec la croissance correspondante de la bureaucratie, le roi hittite s’était trouvé obligé de confier d’importantes charges gouvernementales non seulement à ses propres enfants ou à des membres de sa famille, mais aussi à d’autres personnes de confiance qui faisaient partie de son entourage. De là l’extension du sens initial du titre DUMU.LUGAL pour désigner dans certains cas également ceux qui étaient proches du roi (les hommes du roi).8 Mais de tout cela, j’ai parlé de façon détaillée ailleurs, à propos de certains personnages mentionnés dans la documentation hittite et ugaritique avec le titre de “fils du roi”, contrairement à ceux qui les considéraient tous indistinctement comme fils du roi du ÷atti ou comme fils du roi de Karkemiš.9 Aujourd’hui la plupart des spécialistes, tout en étant d’accord sur le fait que l’expression “fils du roi” n’a pas seulement un sens littéralgénéalogique, considèrent toutefois que les personnages qui portent ce titre dans le milieu ugaritique et émariote sont pour la plupart des fonctionnaires de Karkemiš ou anatoliens, mais toujours soumis à l’autorité de Karkemiš10 cela pour l’importante fonction de supervision exercée par le roi de Karkemiš sur les états de la Syrie septentrionale pour le compte des souverains hittites, surtout à partir de l’époque de

V. FsLaroche, 172 sq. avec notes 21, 22. Pour l’équivalence dans certains cas des termes DUMU et LÚ, on comparera les expressions DUMUMEŠ E.GAL / LÚMEŠ É.GAL “les fils/les hommes - c’est-à-dire les employés - du Palais”, ou les DUMUMEŠ/LÚMEŠ KUR URU÷atti” les fils/les hommes c’est-à-dire les habitants - du ÷atti”, etc. 9 V. Or 44 (1975) 80-98, et Šaøur., 116 sq. 10 V. D. Arnaud, Actes du Colloque de Strasbourg, 10-12 mars 1977, 252 ; M. Liverani, RHA 36 (1978), 153 sqq. ; D. Hawkins, RlA s.v. Karkamiš, 433. 7

8

295

Ini-Teššup, contemporain de Tutøaliya IV et probablement aussi de ÷attušili III, et de Ammistamru II et de Ibiranu d’Ugarit.11 Sur la base d’un examen des données onomastiques, nombre de noms de hauts fonctionnaires présents à Ugarit ou à Emar, pour ce qui a été publié jusqu’à présent, ont été reconnus d’origine anatolienne, souvent louvite, et aussi beaucoup de leurs sceaux sont de type hittite.12 Une étude prosopographique de certains de ces personnages qui portent le titre de “fils du roi” à Ugarit et à Emar à l’époque de IniTeššup et de ÷attušili III-Tutøaliya IV en permet, à mon avis, l’identification avec certains personnages homonymes mentionnés dans la documentation hittite contemporaine, soit avec le même titre, soit avec des qualifications différentes. En effet, je ne retiens pas comme très fréquents les cas d’homonymie quand il s’agit d’anthroponymes se rapportant à des personnages de haut rang, ayant vécu à la même époque, surtout s’ils portent le même titre et apparaissent dans des textes de genre différent avec les mêmes personnes. Nous examinerons maintenant quelques exemples typiques, relatifs à l’époque de Tutøaliya IV, et peut-être aussi de ÷attušili III. Nous verrons, d’abord, trois personnages de la documentation d’Ugarit, à savoir Mizramuwa, son frère Upparmuwa, et le fils de celui-ci Piøa-DIM (à lire Piøa-Tarøunta ou Piøa-Teššup)13 et nous les comparerons avec les personnages homonymes mentionnés à la même époque dans d’autres milieux. Dans une lettre envoyée par un souverain, probablement Ini-Teššup de Karkemiš, à Ibiranu d’Ugarit, on annonce qu’ un personnage dénommé Mizramuwa ira habiter à Ugarit et l’on demande au souverain de ce pays de le traiter convenablement, en spécifiant qu’il est le frère d’Upparmuwa et le “fils du roi”.14

11 Cette fonction de Karkemiš a été mise en relief par M. Liverani dans RSO 35 (1960) 135 sqq. 12 Cfr. M. Liverani, RHA, cit. 154 s. avec note 27; D. Beyer, Actes du Colloque de Strasbourg, 10-12 mars 1977, 275 sqq. ; cfr. en outre plus loin p. 193 sq. et note 27. 13 Pour Mizramuwa v. NH et Suppl. dans Heth 4 (1981), Nr. 811; pour Upparmuwa v. NH et Suppl. Nr. 1428; pour Piøa-DU/DIM v. NH et Suppl. Nr. 971; pour les possibles lectures hittites de ce nom, v. FsBresciani (1985) 266 note 49. 14 RS 17.423, 6 sqq. , 19 sqq. = PRU IV, 193.

296

On remarquera ici que, si Mizramuwa avait été le fils du roi de Karkemiš, celui-ci aurait probablement dit “mon file” ou, si Mizramuwa avait été fils du précédent roi de Karkemiš, “mon frère”.15 Si, au contraire, Mizramuwa avait été le fils du roi du ÷atti, on aurait probablement utilisé la formule “fils de Mon Soleil”. Upparmuwa est encore cité sans aucun titre dans une lettre double, toujours d’Ugarit, comme père de l’expéditeur de la deuxième partie de celle-ci, Piøa-DIM.16 On doit observer que dans cette lettre Piøa-Tarøunta s’adresse au préfet (šakinu) d’Ugarit en l’appelant “frère”, c’est-à-dire en le mettant sur un plan de parité. Dans la documentation hittite Mizramuwa, avec le titre de “Chef des bergers de gauche”, se trouve parmi les témoins du texte de Šaøurunuwa,17 qui date du début du règne de Tutøaliya IV (et à ce propos E. Laroche, dans NH, s’était déjà demandé s’il ne fallait pas l’identifier avec le Mizramuwa du texte ugaritique). Un dénommé Mizramuwa est mentionné aussi dans un document de l’administration religieuse,18 malheureusement très fragmentaire. Il est intéressant de remarquer parmi les témoins du texte de Šaøurunuwa la présence de Upparmuwa, accompagné des titres de “fils du roi” et “surintendant des écuyers d’or”;19 avec ces mêmes titres, il se trouve aussi dans la liste des témoins du traité stipulé probablement par ÷attušili III à la fin de son règne avec Ulmi-Teššup de Tarøuntašša.20 En ce qui concerne Piøa-Tarøunta (fils de Upparmuwa dans la lettre d’Ugarit citée précédemment, v. note 16), la mention dans un document

Cfr. G. Brin, AION 19 (1969) 443 sq. RS 17.148 B, 1 = PRU VI, 10 sq. 17 KUB XXVI 43 (CTH 225) Vo 31: mMizra-A.A-aš GAL NA.GAD GÙB-laš. 18 KBo XIII 235 (CTH 509) Ro I 4. 19 KUB XXVI 43 Vo 30 mUppara-A.A DUMU.LUGAL UGULA LÚ.MEŠ IŠ GUŠKIN. 20 KBo IV 10 (CTH 106) Vo 30: mUppara-A.A DUMU.LUGAL GAL LÚ.MEŠ IŠ GUŠKIN; ce personnage est ici indiqué comme “Grand” et non comme “Surintendant” des écuyers d’or. Je pense toutefois que dans ce cas, comme du reste dans d’autres, on peut considérer ces deux titres comme équivalents car le texte où Upparmuwa est mentionné comme “Grand” - qui devrait être le titre le plus élevé - est antérieur au texte où il est cité comme “Surintendant” (v. note 19): sur la datation de ces textes v. en dernier Šaøur., 137 sq. 15 16

297

d’Emar21 de “Piøa-DU (à savoir Piøa-Tarøunta) fils de Uppa ‘fils du roi’ du pays du ÷atti” présente un intérêt particulier. Sur la base aussi d’éléments que je vais exposer, je considère que l’expression ŠA KUR ÷at[ti] “du pays du ÷at[ti]” indique la provenance ou la patrie de PiøaTarøunta et/ou de Uppa et que cette expression ne doit pas être liée au terme “roi”, c’est-à-dire qu’elle ne sert pas à spécifier que l’on parle ici d’un fils du souverain hittite. Je pense en effet que, comme je l’ai déjà dit à propos de Mizramuwa, nous aurions plutôt trouvé alors l’expression “fils de Mon Soleil”. A propos de ce passage du document d’Emar, E. Laroche, dans son supplément à NH Nr. 971, avait pensé à la possibilité d’identifier ce même Piøa-Tarøunta avec le personnage homonyme mentionné comme fils d’Upparmuwa dans le document ugaritique dont nous parlions avant. Pour soutenir la plausibilité de l’équation Uppa = Upparmuwa, il me semble intéressant de relier cette hypothèse à une idée analogue, toujours de E. Laroche, qui propose d’identifier les anthroponymes UR.MA÷ et UR.MA÷-ziti, désignant tous deux un chef de scribes.22 Du reste, on connaît l’utilisation des abréviations graphiques en hittite.23 En réalité, il n’est pas très aisé d’établir auquel des deux personnages cités dans le document d’Emar se rapporte le titre “fils du roi”: en effet, nous avons vu que Upparmuwa portait dans les textes hittites la qualification de “fils du roi”. Toutefois, le contexte de la phrase de la tablette d’Emar porte à penser que ce titre était attribué là à PiøaTarøunta.24 Un Piøa-Tarøunta (Piøa-DIM) apparaît encore dans une autre tablette d’Emar (Msk. 73.1019), sur l’empreinte d’un sceau-cylindre, et, bien qu’il y soit mentionné sans titre ni patronyme, il est raisonnable de penser qu’il s’agit de la même personne.25 Selon ce que D. Beyer m’a aimablement communiqué par lettre après ce colloque anatolien, il

Msk. 73.1012 r. 24: mPiøa-DU DUMU Uppa DUMU.LUGAL ŠA KUR ÷at[ti]: ce personnage est mentionné ici en qualité de témoin. 22 V. ArOr 27 (1949) 11. 23 A ce propos, v. encore E. Laroche, RHA 12 (1952) 40. 24 Cfr. E. Laroche, Suppl. NH Nr. 971, 2. 25 V. E. Laroche, Suppl. NH cité à la note précédente. 21

298

semble que ce sceau soit celui d’un personnage très important.26 A son avis, “du point de vue stylistique et typologique, ce sceau-cylindre apparaît, dans le cadre du Corpus des sceaux d’Emar, comme l’un des plus spécifiquement hittites”,27 et encore “il y a là un faisceau d’indices invitant à considérer le sceau de P. comme étranger à Emar, plus ‘hittite’ que ‘syro-hittite’ ”. Il me semble donc qu’on peut postuler avec de bonnes raisons que le Piøa-Tarøunta des documents d’Ugarit et de ceux d’Emar avait recouvert la charge de DUMU.LUGAL tout comme son père Upparmuwa et que tous deux aient été des dignitaires hittites de rang élevé envoyés dans des pays soumis à la domination du ÷atti. Du reste, on connaît dans les textes hittites des cas analogues où père et fils portaient également le titre de “fils du roi”, comme, par exemple, Šaøurunuwa et Tattamaru, père et fils, et tous deux “fils du roi”.28 Dans la documentation hittite de la même époque Piøa-Tarøunta est mentionné plusieurs fois ou sans qualification ou accompagné de titres divers. Il serait trop long d’analyser ici tous ces documents, qui, par ailleurs, posent plusieurs problèmes intéressants, et de discuter les autres possibles identifications de cet anthroponyme. On remarquera seulement qu’un personnage de ce nom, portant le titre de LÚ SAG, se trouve dans un document de procédure généralement connu comme “affaire d’Ukkura”, où sont impliqués de nombreux autres personnages importants de l’état hittite.29 En effet, l’empreinte de son cylindre couvre toute la largeur de la tablette, au centre du revers, ce qui est rare à Emar pour les sceaux des simples témoins. Je remercie vivement D. Beyer pour les renseignements qu’il m’a fournis. 27 Selon ce que remarque encore D. Beyer, la présence dans ce sceau du non de la dame Wašti, certainement son épouse (qui possède par ailleurs un sceau personnel, circulaire, à inscription hiéroglyphique), n’est pas dans les habitudes des sémites d’Emar. Une telle pratique se rencontre plutôt en milieu hittite. Sur Wašti v. Suppl. NH Nr. 1511a; elle est mentionnée également dans un texte hittite contenant probablement un récépissé de matériel (KUB XLII 84 [CTH *247.1] r. 10: v. S. Košak, THeth 10 [1982] 154 sq.) où, entre autres, on énumère aussi les biens appartenant à Wašti. On remarquera que dans un de ces inventaires (KBo XVI 83+ [CTH 242.8] III 1) on trouve également un dénommé Piøa-Tarøunta “seigneur de l’outil” (EN UNUTI); toutefois nous ne possédons pas assez d’éléments pour en proposer l’identification avec le personnage examiné ici. 28 V. Šaøur., 12 sq. et 43 sqq. , où il faut ajouter les attestations publiées ensuite, et Or cit. à la note 9, 92. 29 KUB XIII 35+ (CTH 293) III 13; v. StBoT 4 (1967) 10 sq. 26

299

A ce point, il me semble utile de rappeler que la charge de LÚ SAG était compatible avec d’autres, comme celle de scribe, de seigneur de quelque pays et de KARTAPPU, comme le montre le cas de Palla, LÚ SAG, scribe, seigneur de ÷urma, ou du fameux Anuwanza, LÚ SAG scribe et seigneur de Nerik, ou encore celui de Zuzu, LÚ SAG, scribe et KARTAPPU, et d’autres analogues. Il est bon également de relever la connexion dans quelques textes des hommes SAG avec les seigneurs et les “fils du roi” (comme, par exemple, dans le texte des “instructions” qui leur sont adressées) et avec les KARTAPPU, que nous savons dans quelques cas être chargés de fonctions diplomatiques à l’étranger. En outre, comme l’ont fait observer F. Pecchioli Daddi,30 ainsi que I. Singer31 les hommes SAG exerçaient non seulement des fonctions de confiance auprès de la cour hittite, mais ils étaient aussi envoyés en mission spéciale auprès de cours étrangères, ce qui pourrait expliquer leur connexion avec les dignitaires dont nous parlions avant et, en particulier, leur liaison avec les KARTAPPU, attestée aussi à Ugarit. Tout cela pourrait offrir un appui pour l’identification de PiøaTarøunta “fils du roi” dans les documents d’Ugarit et d’Emar avec le personnage homonyme qui porte le titre de LÚ SAG dans le document de procédure hittite de la même époque, que nous avons rappelé précédemment. Comme je l’ai dit, je laisserai de côté l’examen des autres documents hittites cunéiformes et hiéroglyphiques qui mentionnent Piøa-Tarøunta:32 je voudrais rappeler seulement que, dans certains de ceux-ci, nous voyons un personnage de ce nom fournir des réponses oraculaires et que dans un de ces comptes-rendus à caractère ornithomantique, il opère avec un certain *Armanani (MI.ŠEŠ).33 On trouve un *Armanani dans la documentation hiéroglyphique hittite (dans la graphie LUNA.FRATER), probablement du XIIIe siècle, avec le titre de scribe et de “fils du roi”, ainsi que sans aucune qualification.

SCO 27 (1977) 108 sq. et note 54. Tel Aviv 10 (1983) 10 sq. 32 V. FsBresciani, 266 note 49. 33 KUB XVIII 12+ (CTH 254) I 14, ]22, 44, 50, II 4’[; sur Armanani v. FsBresciani, 258 sq. et 265 notes 46-48. 30

31

300

J’ai, du reste, essayé de démontrer ailleurs que les scribes hittites avaient la possibilité d’exercer également des activités divinatoires.34 Rappelons aussi que l’anthroponyme *Armanani se trouve également, sans aucun titre, dans la documentation d’Emar de la même époque (Msk. 73.266) en cunéiforme (graphie SIN-ŠEŠ) et hiéroglyphique (LUNA.FRATER), comme on peut le voir dans la liste provisoire des noms émariotes en écriture hiéroglyphique fournie par E. Laroche.35 Tous ces éléments me semblent soutenir fortement l’identification des fonctionnaires hittites Piøa-Tarøunta et *Armanani avec les personnages homonymes mentionnés dans la documentation nordsyrienne contemporaine. Nous examinerons maintenant le cas d’Aliøešni, ainsi que celui d’autres personnages cités avec lui dans quelques textes ugaritiques ou hittites, comme Ebina’e, Kurkalli, Taparami et, en particulier, Armaziti.36 Nous rencontrons Aliøešni dans la documentation ugaritique avec le titre de “fils de roi” comme expéditeur d’une lettre au roi d’Ugarit, peut-être Ibiranu sur la base d’une autre lettre d’un contenu analogue, dont nous parlerons ensuite, envoyée justement à Ibiranu par le roi de Karkemiš. Dans la lettre expédiée par Aliøešni,37on donne au roi d’Ugarit la réponse du palais - vraisemblablement le Palais hittite - en ce qui concerne la délimitation des frontières d’Ugarit. C’est-à-dire que l’on y affirme que doivent entrer en vigueur les frontières fixées, ou mieux établies, par Armaziti, et que Ebina’e et Kurkalli iront les fixer définitivement.38 Il est intéressant de faire une comparaison avec l’autre lettre que nous rappelions avant, envoyée par le roi de Karkemiš à Ibiranu, lettre dont le contenu est analogue, mais où l’on spécifie que c’est le roi de Karkemiš qui enverra Ebina’e et Kurkalli.39

V. globalement FsBresciani, 255-269. V. Akk. 22 (1981) 10 sq. 36 Sur Aliøešni v. NH et Suppl. Nr. 32 ; sur Kurkalli/Gurgali v. NH et Suppl. Nr. 645; sur Taparami/Tabrammi v. Nr. 1250; sur Armaziti v. NH et Suppl. Nr. 141, et, en dernier, FsBresciani, 255 sq. et 261 sqq. notes 1-17. 37 RS 15.77 = PRU III, 6 sq. 38 Ou matériellement “sur le terrain”, comme l’entend J. Nougayrol, PRU IV, 188. 39 RS 17.292 = PRU IV, 188. 34

35

301

Ebina’e est mentionné dans un autre document ugaritique40 comme expéditeur d’une lettre de créance adressée au préfet (šakinu) d’Ugarit, qui est appelé “mon cher fils”, ce qui fait présumer que Ebina’e était ou d’un rang supérieur ou d’un age plus avancé que le préfet ugaritique. Jusqu’a présent, ce non n’est pas attesté dans la documentation hittite. L’anthroponyme Kurkalli/Gurgali se retrouve, au contraire, dans un texte hittite très fragmentaire41 contenant une liste d’offrandes cultuelles, de l’époque de Tutøaliya IV; on doit y remarquer la présence dans le même paragraphe, dans un contexte peu clair, de l’expression ŠA LUGAL É.GAL Karkamiš “du roi du palais de Karkemiš”. Dans les documents hittites de la même époque on trouve plusieurs fois le nom Aliøešni et, à mon avis, il se rapporte toujours à la même personne. Dans le texte de Šaøurunuwa Aliøešni est dit probablement gendre de celui-ci.42 Comme dignitaire (LÚøalipi) il est mentionné par ÷attušili III avec d’autres personnages qui jouissaient de la faveur de ce souverain.43 Aliøešni est en outre nommé sans aucun titre dans un protocole judiciaire, appelé “procès de Kuniyapiya”, où il est impliqué avec d’autres personnages dans une question de métaux précieux.44 Il est cité également dans un inventaire, précisément de métaux et pierres précieuses, où, parmi d’autres anthroponymes, on trouve aussi celui de Taparami.45 C’est lé le nom d’un personnage de haut rang qui a vécu à l’époque de Tutøaliya IV, nommé dans la documentation hiéroglyphique de Boˆazköy (dans laquelle on doit relever l’expression “Tabrani du Palais (??)...”) ainsi que dans la documentation ugaritique cunéiforme et hiéroglyphique (observons qu’on y parle de Tabrani ša rêši du Palais et RS 17.78, 1 = PRU IV, 196. KUB XLVIII 113 (CTH 525) I 4’ sq.: (4’) DKataøøan mGurgališ NIN.DINGIR[ (5’) ŠA LUGAL É.GAL Kargamiš ešša[i]; v. H. Klengel, Gesch. Syr. I, 96, note 76; ajouter cette attestation du titre NIN.DINGIR à F. Pecchioli Daddi, MPD (1982) 419 sqq. 42 KUB XXVI 43 Vo 22 = 50 Vo 14: v. Šaøur., 115. 43 KBo IV 12 (CTH 87) Vo 6: v. A. Goetze, ÷att., 44. 44 KUB XXXI 76+ (CTH 294) VI 17, 20; v. R. Werner, StBoT 4 (1976) 26 sq.; il semble qu’on y dise (mais le texte est malheureusement abîmé) que Kuniyapiya (NH et Suppl. Nr. 630) a donné à Aliøešni des objets d’argent et d’or, mais qu’il ne les a pas avec lui (à la lettre “ici”). 45 KBo XVIII 161 (CTH 242.13) Vo 11’; v. S. Košak, THeth 10 (1982) 104 sq. 40

41

302

rappelons que le titre ša rêši correspond à celui de LÚ SAG, dont nous avons parlé avant).46 Par conséquent, la position de prestige de Aliøešni dans le milieu hittite et, en outre, la mention de son nom dans des documents hittites et ugaritiques avec le même anthroponyme Taparami/Tabrami rendent vraisemblable son identification avec le Aliøešni “fils du roi” de la lettre d’Ugarit examinée précédemment. Le contexte de cette lettre et la comparaison avec l’autre d’un contenu analogue, ainsi que les renseignements exposés à l’instant et d’autres que nous présenterons maintenant, montrent, à mon avis, que l’autre personnage qui y est nommé, à savoir Armaziti, était, lui aussi, un haut dignitaire hittite, envoyé par le Palais pour délimiter les frontières d’Ugarit tandis que Ebina’e et Kurkalli, chargés de les fixer définitivement, ou matériellement, étaient deux fonctionnaires de haut rang dépendant du roi de Karkemiš. Du personnage dénommé Armaziti, relativement à l’époque de ÷attušili III et de Tutøaliya IV, je m’en occupe depuis quelque temps et j’ai essayé d’en suivre la carrière à l’intérieur de la structure bureaucratique de l’État hittite.47 Pour toute une série de motifs qu’il serait trop long d’énumérer ici, je pense qu’il est possible d’affirmer l’identité de la plupart des personnages qui portaient ce nom dans les documents hittites de cette époque: c’est-à-dire l’Armaziti qui exerçait la fonction de scribe et celui qui est mentionné dans des textes relatifs à l’administration du culte ainsi que dans d’autres documents de différents genres. Je considére également comme plausible l’identification de ce même Armaziti avec la personne homonyme qui exerçait, pendant la même période, des activités divinatoires, principalement de type ornithomantique. On comparera les cas que nous avons rappelés précédemment de PiøaTarøunta et de *Armanani, ainsi que d’autres que nous n’avons pas le temps de rappeler ici.48 Un personnage nommé Armaziti se trouve aussi dans la documentation ugaritique de la même époque. Nous avons déjà examiné

V. en dernier loc. cit. à la note 30. V. mon travail sur “Armaziti: attività di un personaggio nel tardo impero ittita” qui sera publié dans EOTHEN, Studi di Storia e di filologia anatolica dedicati a G. Pugliese Carratelli. 48 V. l’étude citée à la note 34. 46

47

303

les deux lettres (v. notes 37 et 39) où ce personnage est chargé de fixer les frontières du royaume d’Ugarit. Dans un acte de procédure nous voyons Armaziti exercer la fonction de juge et de témoin, avec le titre de “fils du roi”;49 sur le Verso de ce document il y a un sceau où il porte ce même titre. Un sceau lui appartenant se trouve aussi sur le Verso d’un petit fragment qui semble un duplicate du texte précédent.50 Dans un autre document,51 toujours d’Ugarit, Armaziti - cité ici sans aucun titre - est condamné à payer 300 sicles d’argent au roi d’Ugarit et à certaines personnes; au sommet du Recto on voit la double empreinte de son sceau. On remarquera que la typologie de ces sceaux est hittite.52 Comme je l’ai expliqué dans mon étude sur Armaziti (v. note 47), il me semble plausible qu’on puisse postuler une identification entre le Armaziti “fils du roi” que nous trouvons à Ugarit et celui qui est mentionné dans les documents hittites cunéiformes et hiéroglyphiques de la même époque, parfois avec le titre de scribe. Du reste, on sait que beaucoup de scribes hittites, certes au sommet de leur carrière, portaient également le titre de “fils du roi” et recouvraient de hautes charges dans l’administration de l’État. A ce propos, on pourra comparer, par exemple, les cas de Tarøuntapiya, de *Armanani, de Šaøurunuwa, etc. Il pouvait s’agir ici d’un haut dignitaire de l’État hittite, chargé d’exercer d’importantes fonctions administratives à Ugarit, comme le montre aussi la charge de délimiter les frontières de ce pays. A ce propos, dans le même article, j’ai rappelé, simplement à titre d’exemple, que dans l’administration provinciale babylonienne de l’époque de la deuxième dynastie d’Isin, les scribes détenaient l’importante charge de mesurer la terre.53 En outre, que Armaziti ait été ensuite condamné à payer 300 sicles d’argent au roi d’Ugarit et à certaines personnes, fait présumer qu’il s’agit là d’une sanction ou d’un dédommagement pour quelque abus de type administratif commis par ce personnage dans l’exercice de ses fonctions, RS 17.314 Ro 1, Vo 21, 25 = PRU IV, 189. RS 17.449 = PRU IV, 190. 51 RS 17.316 = PRU IV, 190. 52 V. Ug. III, figs 48-51 et pp. 33 sqq. et 134 sq.; cfr. en outre supra note 12. 53 V. J. Brinkman, JESHO 6 (1963) 238. 49

50

304

abus certes considérable s’il concerne de quelque façon le souverain d’Ugarit lui-même. Du reste, j’ai déjà relevé ailleurs que les hauts dignitaires hittites placés à la tête de districts administratifs avaient la possibilité de commettre, certes à leur avantage, des abus, ou en imposant arbitrairement des taxes, ou en confisquant des terres ou d’autres biens.54 Pour conclure, je ne crois pas que les personnages hittites pris ici comme exemple, qui portent le titre de “fils du roi” dans la documentation ugaritique et aussi - pour le peu que j’ai pu trouver - émariote, aient dépendu directement du roi de Karkemiš, même quand ils sont mentionnés dans des lettres dont celui-ci est l’expéditeur ou quand c’est lui qui en annonce l’arrivée ou qui parle de leurs activités dans des pays placés sous la domination hittite, comme, par exemple, dans le cas d’Ugarit. Comme j’ai déjà eu l’occasion de le remarquer plusieurs fois, il s’agissait de hauts dignitaires de l’état hittite, envoyés à Ugarit ou à Emar ou dans d’autres pays, avec la charge d’exercer des fonctions administratives ou représentatives, au nom du pouvoir central hittite. Leur vaste possibilité d’action, qui dérivait aussi de l’expansion de l’empire, leur permettait d’exercer des abus à leur avantage. Qu’on se rappelle ce que nous avons observé plus haut à propos de l’imposition d’une amende à Armaziti, surtout en comparaison avec la lettre d’Emar dont nous avons parlé à la note 54. Du reste, dans les documents hittites on trouve de nombreux exemples de dignitaires qui détenaient des charges importantes dans différents secteurs de l’administration interne et externe de l’État, impliqués justement dans des procédures judiciaires. Nombre de ces personnages se retrouvent dans d’autres documents, quelquefois avec le titre de “fils du roi”; nous les voyons servir de témoins dans des actes 54 JESHO 25 (1983) 264 sqq. et Stato, Economia Lavoro, cit. supra note 1. A ce sujet, un document de Meskéné, que nous y avons traité, présente un intérêt tout particulier. Il s’agit d’une lettre dans laquelle un souverain hittite, ÷attušili III ou Tutøaliya IV, reproche à un de ses dignitaires d’avoir confisqué les biens d’un individu pour les donner à un autre et, en outre, d’avoir imposé arbitrairement à un devin des charges dont il était exempté “depuis des temps reculés”. A ce point, le roi lui-même intervient et ordonne à ce dignitaire de restituer les biens confisqués et de lever les charges arbitrairement imposées.

305

importants, même au niveau international; nous en connaissons parfois les sceaux avec leurs titres. Et dans différents documents où le souverain hittite accorde des bénéfices ou des immunités à des personnages de haut rang ou à des organismes cultuels, on défie le “seigneur du pays” (EN KURTI), le “seigneur du poste de garde” (BÊL MADGALTI) et parfois aussi les “fils du roi”, d’imposer arbitrairement des charges et de confisquer des biens fonciers. La fréquence de cet avertissement, adressé aux chefs de districts territoriaux - et surtout aux seigneurs avec des qualifications déterminées et aux “fils du roi” - fait présumer que de tels abus de leur part devaient se vérifier souvent. En réalité, le souverain hittite craignait que ses hauts dignitaires chargés de l’administration de zones éloignées de la capitale ou situées à l’étranger, acquièrent trop de pouvoir et deviennent dangereux pour luimême, justement parce que plus difficiles à contrôler. Il cherchait donc différentes façons de les tenir sous surveillance, ne pouvant le faire directement. Dans un article actuellement sous presse, j’ai tenté de démontrer comment le souverain tendait à entraîner dans le contrôle de ces fonctionnaires qui détenaient des charges administratives dans des pays décentralisés, également l’élément communautaire qui agissait en dehors du système bureaucratique de l’État.55 De même, je pense que le souverain de Karkemiš, lui aussi, avait pour le compte du souverain hittite une fonction de contrôle sur les dignitaires de ce dernier - évidemment sur ceux d’un rang plus élevé, parmi lesquels aussi les “fils du roi” - qui remplissaient leurs fonctions dans les royaumes de la Syrie septentrionale soumis à ÷attuša. Toutefois, ces dignitaires dépendaient toujours du roi du ÷atti. Avant de terminer, il me semble intéressant de rappeler que, parfois, dans les textes ugaritiques on spécifie s’il s’agit de dignitaires du roi de Karkemiš ou de dignitaires du souverain hittite, comme, par exemple, En effet, nous connaissons certains documents adressés à des chefs des districts administratifs auxquels on dit que, chaque fois qu’ils vont dans un pays ou en reviennent, ils doivent convoquer les membres libres des communautés locales, et même dans certains cas les Anciens, pour que ceux-ci les renseignent sur d’éventuelles malversations effectuées par le personnel des palais périphériques: v. Stato, Economia Lavoro, cit. précédemment. 55

306

dans un acte vraisemblablement de l’époque de Niqmadu III, fils et successeur de Ibiranu, où l’on mentionne Zuzzullu, qardabbu du roi de Karkemiš, qui préside une controverse judiciaire.56 Au contraire, dans une lettre, nous voyons que le roi de Karkemiš écrit à Ibiranu pour l’informer de l’arrivée de Talmi-Teššup, qardabbu de “Mon Soleil”.57 On doit remarquer que, ici aussi, c’est le roi de Karkemiš qui annonce l’arrivée d’un dignitaire hittite, ce qui permet une comparaison avec le cas de Mizramuwa dont nous avons parlé avant, lequel, à mon avis, était lui aussi un haut dignitaire du ÷atti. En outre, il faut remarquer que ce Talmi-Teššup (à ne pas confondre avec le fils de Ini-Teššup) doit aller à Ugarit pour contrôler à combien s’élèvent les contingents de soldats et de chars que le roi d’Ugarit est obligé de fournir pour le Palais, c’est-àdire pour le pouvoir central hittite. Le roi de Karkemiš conseille à Ibiranu d’envoyer ces contingents à “Mon Soleil” avant cette inspection, afin que le roi hittite ne soit pas contrarié. Le roi de Karkemiš me semble donc n’avoir ici que la fonction d’intermédiaire; c’est aussi la fonction qu’il me semble avoir également dans la lettre où l’on parle de la définition des frontières d’Ugarit de la part de Armaziti. Il faut toutefois constater l’intervention directe du pouvoir central hittite dans des situations d’une particulière importance politique ou militaire ou économique : ce qui, par ailleurs, correspond au modèle d’une monarchie qui, tout en déléguant certaines fonctions de contrôle ou d’administration, demeure toutefois une institution aux traits fortement centralisés.58

RS 18.20 + 17.371 Ro 2 sq., Vo 6, et dans le sceau imprimé au sommet du Recto = PRU IV, 202 sq. 57 RS 17.289 Ro 6 sqq. = PRU IV, 192. 58 V. JESHO cit. supra note 54, 249 sqq. et 266 sq., au cours d’un examen des propositions les plus connues de classification typologique de la société hittite. 56

307

XVI.

INTERVENTI DI POLITICA ECONOMICA E STABILITÀ DEL POTERE

Come la maggior parte degli stati del Vicino Oriente antico, anche quello ittita era retto da una monarchia centralizzata, in cui il sovrano stava al vertice di una struttura amministrativa che tendeva a configurarsi sempre più burocraticamente. Si può affermare questo, pur rilevando che lo stato ittita - forse anche per la morfologia del suo territorio - non arrivava ad una centralizzazione e burocratizzazione così rigida come si riscontra in certi periodi della storia mesopotamica, soprattutto per l’epoca di Ur III. Essenziale per ogni forma di autorità è la produzione del consenso: per un monarca un elemento importante per procurarselo è l’immagine che egli riesce a fornire di sé. Si è quindi spesso parlato dell’elemento propagandistico inteso a garantire al sovrano una stabilità di potere (politica dell’informazione, legame con l’elemento divino, successo militare, immagine di giustizia e di clemenza, edilizia di prestigio ecc.). È nota l’importanza della propaganda nelle monarchie ellenistiche. Ma nelle più antiche società vicino-orientali è difficile stabilire l’entità del ruolo che la propaganda aveva. Essa vi era sicuramente praticata: vi si riscontrano infatti interventi regi in tal senso, specialmente in circostanze particolari. Si deve tuttavia tener presente la relativa limitatezza dei canali di diffusione dei messaggi; inoltre la parte elitaria del paese, a cui era soprattutto destinata certa propaganda,1 ne era probabilmente la meno influenzabile. È comunque chiaro che anche in queste società governare non significa soltanto diffondere un’immagine che acquisisca o rafforzi il consenso, ma anche produrre atti politici di altro genere, tesi a consolidare o a ripristinare situazioni di equilibrio nei rapporti economici e sociali.

1

Cfr. M. Liverani, L’alba della Civiltà I, Torino 1976, 298 e 301 sg.

309

Funzionali alla stabilità del potere appaiono appunto certi interventi di politica economica (se è lecito usare tale espressione) dei sovrani ittiti: si presenta particolarmente efficace per il mantenimento di questa stabilità un’equilibrata ripartizione dei beni fondiari. Il sovrano ittita tende infatti in vari modi a evitare la concentrazione di terre in mano a privati (persone a lui legate da vincoli di parentela, alti dignitari incaricati dell’amministrazione del regno. e forse, in un periodo più antico, anche i capi delle grandi famiglie non inseriti nella struttura burocratica dello stato: v. più avanti p. 316) affinché questi non divengano troppo forti e, quindi, pericolosi. Così, anche se egli conferisce loro cariche, beni fondiari, privilegi, contemporaneamente cerca di limitarne l’espansione. È interessante vedere quali forme di controllo il sovrano eserciti sulla proprietà privata e come intervenga per impedire la formazione di estesi patrimoni fondiari in mano di pochi e per mantenere invece la numerosità delle situazioni fondiarie esistenti. Purtroppo la documentazione in proposito non è molta e soprattutto, non appare sempre esplicita in tal senso: si tratta di atti giuridici in cui il sovrano dona ad alcune persone terre prelevate ad altre, o in cui conferisce privilegi, quali esenzioni da tributi o prestazioni di lavoro nei riguardi del potere centrale, o testi in cui si danno istruzioni a dignitari o a determinate categorie di persone, o in cui il sovrano interviene nell’assegnazione ereditaria di beni, o passi di editti e proclami regi, o alcune norme giuridiche, o certe lettere intercorse fra il sovrano e i suoi dignitari o funzionari, soprattutto quelli rappresentanti il potere centrale in zone periferiche. Come abbiamo detto, tali documenti spesso, ad un primo esame, non risultano molto evidenti nel senso sopra indicato, tuttavia, se letti con particolare attenzione, possono mostrare elementi significativi in proposito. Già altrove2 ho avuto modo di rilevare la possibilità che avevano alti dignitari e funzionari che operavano nell’apparato statale di costituirsi grandi patrimoni fondiari e considerevoli ricchezze sia mediante conquiste armate sia esercitando soprusi (imposizioni di tasse o confische di beni) a loro vantaggio personale. 2

JESHO 25 (1983) 256 e 264 sgg.; RlA 6 (1983) s.v. Lehenswesen, 546 § 4.

310

Ho ricordato come esempio per il primo caso un atto emanato dal sovrano Tutøaliya IV insieme alla madre Puduøepa, relativamente all’assegnazione ereditaria di una parte dei beni mobili e immobili di un alto dignitario di nome Šaøurunuwa in favore dei suoi nipoti, figli di una figlia.3 In un passo di questo testo (KUB XXVI 43 Ro 4-7) si dice che Šaøurunuwa - capo degli scribi su tavolette di legno, capo degli uomini UKU.UŠ,4 capo dei pastori e, probabilmente, anche principe (letteralmente “figlio del re”, da non intendersi qui in senso letterale genealogico, ma come un titolo)5 - aveva acquisito certi beni fondiari ed anche dei deportati (da utilizzare come mano d’opera lavorativa, sempre carente negli stati dell’Asia anteriore antica) per mezzo delle armi (GIŠKU-it) e li aveva poi dati in eredità ai suoi figli maschi.6 Avevano inoltre occasione e possibilità di compiere abusi, mediante imposizione di tasse o confische di terre o di altri beni, soprattutto i funzionari preposti all’amministrazione di zone distanti dalla capitale talora situate vicino ai confini del regno e quindi più pericolose perché più difficili a controllare - tra i quali si ricordano in particolare i “signori del posto di guardia”, i “signori del paese o della città, i signori del distretto amministrativo”,7 gli uomini DUGUD (lett. “degni di onore”,

CTH 225; v. F. Imparati. Šaøur., 5 sgg. Su questo titolo. che designa un’alta carica militare, v. F. Pecchioli Daddi, MPD (1982) 546, e S. Rosi, SMEA 24 (1984) 118 sgg. 5 V. F. Imparati, Or 44 (1975) 80-95 infra. 6 V. JESHO cit., 256 nota 104. 7 Sul “signore del posto di guardia” (EN/BÊL MADGALTI) e sul “signore del paese o della città” (EN KURTI, EN URULIM) v. Šaøur., 57 sgg., dove si riporta anche la bibliografia precedente; per le attestazioni nei documenti ittiti v. MPD, 455 sgg., 451 sg. e 453; per l’interpretazione dell’espressione LÚmaniyaøøiyaš išøa-/EN-a- come “signore del distretto amministrativo”, v. quanto abbiamo rilevato in Or cit. 84 con nota 22; analogamente si intende anche in V. Haas-H.J. Thiel, AOAT 31 (1978) 108 sg., 215 e indice 350, 375. e in MPD, 436 (v. inoltre 490 in nota, infra, e 501, dove però si legge LÚmaniyaøøiyaš EN-aš) e in CHD L-N, 168; 3.a; diversamente invece, secondo A. Goetze, Tunn., 72 sg., interpreta G. Beckman, nella sua recensione a AOAT 31, in BiOr 40 (1983) 114. Sul verbo maniyaøø-, da intendersi anche col valore di “amministrare, governare”, e sui termini da esso derivati v. CHD cit., 163 sgg. infra, e E. Laroche negli atti del Colloque organisé par l’Institut des Hautes Etudes de Belgique, 28-29 janvier 1980 su Les Pouvoirs locaux . . . 142 sg. 3

4

311

cioè i notabili, i potenti che erano capi di piccoli distretti soprattutto a carattere militare, i sindaci,8 i principi. Sarebbe quindi plausibile aspettarci, come avviene per altri stati, di ricavare numerose e interessanti notizie in tal senso - anche più dirette - dalla corrispondenza intercorsa fra i sovrani e i loro dignitari incaricati dell’amministrazione di paesi posti in zone periferiche dell’impero ittita ed anche di quei paesi stranieri che si trovavano sotto il controllo degli Ittiti. Purtroppo però la corrispondenza epistolare proveniente dagli archivi di ÷attuša, la capitale del regno ittita, non è molto illuminante a questo scopo.9 Interessante invece, a tal proposito, si è rivelata una tavoletta venuta alla luce a Meskene, l’antica Emar sull’Eufrate, paese posto fra la fine del XIV e la fine del XIII sec. a.C. sotto il dominio degli Ittiti.10 Si tratta di una lettera inviata da un sovrano ittita, di cui non si specifica il nome, ma che è verosimilmente ÷attušili III o Tutøaliya IV, ad un suo funzionario, capo di un distretto territoriale, allo scopo di impedirgli di compiere un abuso di potere, evidentemente a suo vantaggio. Questo sovrano infatti rimprovera al dignitario in questione di aver confiscato i beni (la “casa” e la vigna) di una persona per darli ad un’altra, e inoltre di aver imposto arbitrariamente delle tasse (šaøøan e luzzi) a qualcuno che ne era esente “fin da tempi remoti”. Il re perciò interviene ed ordina al suo dignitario di restituire i beni confiscati e di togliere gli oneri imposti. Si auspica che altre notizie sull’argomento in questione possano venire da alcune delle numerose lettere ritrovate a Ma$at, nella regione dell’alto Ye$il-Irmak, di cui S. Alp ha annunciato la prossima pubblicazione. Infatti, secondo quanto riferisce questo studioso nella presentazione di

In un frammento delle “istruzioni per il øazan(n)u (= il sindaco)”, KUB XXXI 112 (CTH 257.3), che nel caso specifico potrebbero anche essere rivolte al sindaco di una città diversa da ÷attuša (v. F. Pecchioli Daddi, OA 14 [1975] 94) sembra (r. 19) che il sovrano diffidi questo dignitario dal servirsi della sua posizione nel suo proprio interesse: v. OA cit., 108, 125, 132. Purtroppo però questo documento è molto frammentario per poter dire qualcosa di più in proposito. 9 V., invece, ad esempio, il sussidio fornito in tal senso dalle lettere venute alla luce negli archivi di Mari. 10 Msk. 73.1097: v. E. Laroche, in Meskéné-Emar, Dix ans de travaux 1972-1982, , Paris 1982, 54, e inoltre le nostre osservazioni in proposito in JESHO cit., 264 sgg. 8

312

tale materiale11 e in base a quanto egli ha esposto in un conferenza tenuta nel 1984 a Firenze presso il seminario di Storia Orientale antica, sembra che in una di queste lettere si indaghi sull’applicazione del šaøøan e del luzzi. Ritengo - ma semplicemente a titolo di proposta interpretativa che anche in un documento dell’epoca di Tutøaliya IV, proveniente dagli archivi di Ugarit - nella Siria settentrionale - che in quel momento si trovava sotto il dominio degli Ittiti, si faccia riferimento ad un abuso compiuto da un alto dignitario ittita incaricato di svolgere mansioni amministrative in questa città.12 Si tratta di un certo Armaziti, presente anche in altri testi di Ugarit contemporanei talora col titolo di principe (“figlio del re”), con l’incarico di fissare i confini del regno di Ugarit, o con la funzione di giudice, o come testimone in un atto. A mio avviso, questo Armaziti è da identificare col personaggio omonimo che compare più volte nella documentazione ittita cuneiforme e ieroglifica dell’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV, con mansioni diverse e talora col titolo di scriba.13 È del resto noto che sovente gli scribi ittiti, certo all’apice della loro carriera, portavano anche il titolo di principe e tenevano alti incarichi amministrativi all’interno o all’esterno dello stato. Si ricorda, come esempio, il caso su menzionato di Šaøurunuwa. Nel documento ugaritico in questione si legge che Armaziti è condannato a pagare 300 sicli di argento al re di Ugarit e a certe persone: l’entità dell’ammenda e l’evidente posizione di rilievo di Armaziti fa presumere che nel caso esaminato si trattasse di una multa o di un indennizzo per qualche abuso di tipo amministrativo da lui compiuto In Belleten 44 (1980) 25-59 e in particolare 38. RS 17.316 (= PRU IV, 190). 13 Per le attestazioni di Armaziti nella documentazione ittita e in quella siriana v. E. Laroche, NH (1966) e Suppl. in Heth 4 (1981) Nr. 141, e in ultimo un mio lavoro su “Armaziti: attività di un personaggio nel tardo impero ittita” in FsPuglieseCarratelli (1988) 71-86; cfr. anche FsBresciani (1985) 255 sg. I documenti ugaritici in cui compare questo personaggio sono dell’epoca di Ibiranu, re di Ugarit, contemporaneo di Tutøaliya IV e di Ini-Teššup, re di Karkemiš. Sulla identificazione dell’Armaziti presente nei testi di Ugarit col personaggio omonimo attestato nella documentazione ittita contemporanea, v. Šaøur., 116 sg. con bibliografia precedente; tale ipotesi è stata ripresa più particolareggiatamente nel mio saggio su Armaziti sopra citato; v. anche gli Atti del Colloquio Anatolico, Parigi 1-4 Luglio 1985 (= Heth 8). 11

12

313

nell’esercizio delle sue mansioni, certo considerevole se riguarda in qualche modo anche lo stesso sovrano di Ugarit. Ulteriori notizie sulla possibilità che avevano alti dignitari posti a capo di distretti amministrativi di imporre arbitrariamente oneri - anche, come appare verosimile, di una certa entità - provengono da alcuni passi che ricorrono in certi atti in cui il sovrano concede esenzioni da tributi o da prestazioni di lavoro a personaggi o ad enti cultuali. Si ricorda infatti il passo di un decreto emanato da ÷attušili III a favore di una istituzione cultuale dedicata alla divinità Pirwa,14 dove, a conclusione della formula mediante la quale il re concede esenzioni da oneri a questo santuario, si invoca la maledizione divina su quel “signore” o principe (“figlio del re”) o “signore del trono” (quest’ultimo titolo è un hapax) o su qualsiasi altra persona che non si atterrà a questa decisione del re e sottoporrà i dipendenti di questo santuario alle imposte da cui esso è stato esentato. Da notare che fra i dignitari a cui viene rivolto questo ammonimento ci sono i “signori” e i “figli del re” (v. nota 5). Analogo al precedente si presenta un passo del testo più volte ricordato relativo all’assegnazione ereditaria di parte dei beni di Šaøurunuwa (v. nota 3), dove (Vo 13 sg.), dopo la concessione agli assegnatari di questi beni dell’esenzione da tributi e da prestazioni di lavoro, si decreta che i governatori territoriali cioè il “signore del paese” e il “signore del posto di guardia” (v. nota 7) - certo facenti parte della “categoria” dei “signori più volte qui ricordata - e l’ispettore di città o di villaggio”15 - probabilmente il più alto rappresentante delle comunità locali - non devono imporre arbitrariamente oneri. E inoltre sempre nello stesso testo (Ro 59), dopo che si è specificato che tutte le località ivi menzionate dettagliatamente, insieme a lavoratori e a beni mobili, appartengono ai nipoti di Šaøurunuwa, e dopo aver indicato a quali tributi esse sono soggette, si dice che in avvenire nessuno deve aggiungere altre tasse a quelle stabilite.

KBo VI 28 (CTH 88) Vo 28-42; v. F. Imparati, SMEA 18 (1977) 45 sg., nota 46; v. inoltre JESHO cit., 249; per il contenuto di tutto il testo v. Šaøur., 154 sg. e SMEA cit., 39 sgg. 15 MAŠKIM URUKI; sul significato di questa espressione nei testi ittiti v. in ultimo JESHO cit., 247 sgg., con bibliografia precedente; sulle sue attestazioni v. MPD, 447 sgg. 14

314

La frequente ricorrenza di tale ammonimento rivolto ai capi di distretti territoriali - e soprattutto ai “signori” con determinate qualifiche e ai principi (“figli del re”) - fa presumere che soprusi del genere dovessero verificarsi spesso da parte loro. Verosimilmente volta a tutelare un equilibrio nella distribuzione dei beni fondiari - oltre che ispirata a motivi di clemenza e di giustizia appare la proibizione di confiscare il patrimonio di persone (che dai documenti risultano sempre di alto rango, e quindi proprietarie di beni di entità considerevole) che si erano rese colpevoli di qualche reato: il loro patrimonio doveva passare agli eredi. Tale proibizione da parte del sovrano risulta, ovviamente, diretta a chi teneva posizioni di rilievo nel governo dello stato e poteva perciò costituire un maggior pericolo per il potere regio. Questo principio di non estendere la responsabilità di un reato alla famiglia del colpevole si riscontra in vari documenti fin dall’Antico Regno ittita, tranne che in due casi che esamineremo più avanti. Si ricorda, in primo luogo, un passo dell’Editto di Telipinu,16 sovrano usurpatore, in cui questi proibisce ai Grandi del regno di confiscare i beni immobili e mobili di un principe condannato a morte per qualche colpa. Vi si dice, cioè, che se un principe commette un crimine, deve espiare con la sua testa, ma non ci si deve rivalere sulla sua casa, su sua moglie, sui suoi figli e sui suoi beni (case, campi, vigne, servi, animali). Si ribadisce inoltre che i Grandi, per il desiderio di prendere la proprietà del principe, non devono impadronirsi del villaggio e far del male al signore del villaggio, che sembrerebbe nel caso specifico da identificare col principe. In altri passi del suo Editto Telipinu ricorda di aver risparmiato i colpevoli di congiure a corte e deplora che essi siano stati fatti massacrare da alcuni funzionari del Palazzo. Egli cerca in tal modo di offrire di sé un’immagine di clemenza, lasciando poi che siano altri ad esercitare la vendetta. Ma nel caso esaminato sopra questo sovrano, oltre a voler mostrare di tutelare i beni del condannato a morte a beneficio della famiglia di questo, intende concretamente anche, e soprattutto, impedire la concentrazione di estesi patrimoni fondiari nelle mani dei Grandi. 16

§§ 31-32: v. in ultimo I. Hoffmann, THeth 11 (1984) 34-37.

315

In questo testo si specifica chi erano allora i Grandi,17 e cioè i capi di certe categorie di dignitari, gli alti funzionari della corte e forse anche i capi delle grandi famiglie non inseriti nell’organizzazione burocratica dello stato se è lecito intendere in tal modo la locuzione “padri della casa”, naturalmente per quanto riguarda quel periodo. Infatti, a mia conoscenza, la più antica attestazione di questa espressione nei documenti ittiti proviene proprio dall’Editto di Telipinu, nel quale i “padri della casa” sono, sì, menzionati fra i Grandi del regno, ma in posizione, sembra, differenziata da quella degli altri dignitari ivi presenti.18 Ammettendo tale distinzione e considerando quindi i “padri della casa” nel senso suggerito sopra, si può presumere che essi fossero meno controllabili dal potere regio e, dunque, per esso più pericolosi. Telipinu soprattutto, sovrano usurpatore, aveva interesse a tenerli sotto controllo. Nella documentazione più tarda (probabilmente dall’epoca di Muršili II - festa nuntarriašøaš - in poi), invece, l’espressione “padre della casa” appare sempre al singolare, usata per designare dei funzionari ormai inseriti nella struttura burocratica dello stato, con una posizione di rilievo V. in proposito JESHO cit., 251 sgg.; v. inoltre MPD, 496 sgg. Dell’ABU BITI “padre della casa” nei documenti ittiti ha parlato la dr.ssa P. Pirani nell’àmbito della sua tesi di laurea, che ha preparato sotto la mia guida. Per le attestazioni di questo titolo v. MPD, 517 sgg., con relativa bibliografia, e HW2, 568 sg. In due passi dell’Editto di Telipinu questo titolo compare al plurale mentre gli altri dignitari menzionati insieme sono tutti presenti al singolare: “II (61) ...ma coloro che compiono questa azione malvagia, (62) (cioè) i [Grandi]: i padri della casa, il Grande (= il capo) dei figli del palazzo, il Grande dei MEŠEDI e il Grande del v]ino”; “III (1) ma in ÷attuša i Grandi: i padri della casa, il Grande dei figli del palazzo, il Grande del vino, (2) [il Grande dei ME[ŠEDI], il Grande degli scudieri, il sovrintendente degli araldi delle truppe”. Questa differenziazione viene ad assumere un particolare significato se confrontata con un altro passo sempre dello stesso testo, in cui si legge: “II (70) [s]e inoltre del male qualcuno compie, o (naššu) un padre della casa (71) o (našma) un Grande dei figli del [pa]lazzo, [un Grande del vino, un Grande dei MEŠEDI, un Grande dei sovrintendenti dei mille del campo” (v. I. Hoffmann, op. cit., 36-39, e 116 sgg. per la sua lettura MEŠEDI e per la relativa interpretazione). Si deve qui notare che alla prima disgiuntiva naššu segue soltanto la menzione del “padre della casa” mentre alla seconda disgiuntiva našma segue la menzione complessiva degli altri dignitari. I passi qui citati sembrano rivelare una dicotomia: da una parte si trovano infatti i “padri della casa”, dall’altra i capi (ciascuno sempre al singolare) dei dipendenti del palazzo. Si potrebbe osservare che in questo editto si citano anche altri titoli di funzionari al plurale (II 66-69: v. I. Hoffmann, op. cit., 36 sg.): si tratta però di personale di rango meno elevato e in alcuni casi dipendente da uno dei Grandi menzionati sopra. 17 18

316

in ambito amministrativo-religioso.19 Si può quindi postulare una evoluzione, forse addirittura un mutamento, della posizione e delle competenze di chi deteneva questo titolo da un’epoca più antica ad una più recente, cosa che del resto si riscontra anche in altri casi.20 Si rileva che molti dei dignitari indicati in questo testo come Grandi si ritrovano menzionati in epoche successive fra i “signori”.21 Analogamente a quanto abbiamo osservato per l’Editto di Telipinu, nel testo ricordato altrove relativo alla ripartizione ereditaria dei beni di Šaøurunuwa si dice (Ro 60-67) che nessuno in futuro deve portar via la “casa” (cioè il patrimonio di cui si tratta nel documento) alla figlia di Šaøurunuwa e ai figli, nipoti, pronipoti e discendenti di lei, e se uno di questi offende il re in qualche modo, lo si giudichi, ma non gli si tolga il patrimonio per darlo ad un’altra persona (poiché esso deve rimanere agli eredi). A conclusione di questo documento, si invocano le divinità a garanzia di quanto è stato stabilito e la loro maledizione su chiunque prenderà il patrimonio ai nipoti di Šaøurunuwa per darlo ad un altro e imporrà tasse su questi beni, e inoltre su chi falsificherà questa tavoletta (Vo 15-21). Quindi, si elenca una lista di personaggi di alto rango a testimoni dell’atto (Vo 28-34). Il diretto intervento regio nella ripartizione ereditaria di questi beni è evidentemente dovuto alla notevole entità del patrimonio in questione; inoltre, la menzione delle

19 Particolarmente significativi sono due passi in cui si descrivono cerimonie cultuali, nei quali il “padre della casa” compare in un contesto analogo a quello dell’Editto, ma in posizione del tutto differente: KUB X 13 (CTH 670) IV “(20’) il re ai signori (21’) in mano da bere (22’) dà, (23’) ma quando al Grande delle guardie del corpo, (24’) al Grande dei figli del palazzo, al padre della casa, (25’) al Grande del vino, al Grande degli scudieri (26’) e ai dignitari DUGUD degli uomini della lancia”; KBo XXV 176 bd. sn. “(1) al Grande delle guardie del corp]o, al Grande dei figli del palazzo, al padre della casa, al Grande del v[ino (2) in mano da bere dà ...”. Sull’ABU BITI nella documentazione accadica v. CAD 1, A/I (1964) 76b; per le diverse ipotesi sul significato di questa espressione nei testi di Mari v. in ultimo A. Marzal, Or 41 (1972) 359 sgg. con bibliografia precedente. 20 V. ad esempio quanto è stato osservato per il titolo LÚDUGUD da F. Imparati, Or cit. in nota 5, 94, nota 84 e F. Pecchioli Daddi, OA 14 (1975) 95 sg., nota 10; v. inoltre MPD, 442 sgg. con bibliografia. 21 V. Or qui sopra cit. infra e JESHO cit., 251 sg.; sulle attestazioni dei “signori” v. MPD, 477 sgg.

317

divinità e il ceto elevato dei testimoni a tutela dell’atto ne mostra l’importanza.22 Si ricorda infine un documento (KUB XXVI 58)23 in cui ÷attušili III, anch’egli un sovrano usurpatore, concede dei benefici ad un personaggio di nome Uratarøunta, e cioè l’esenzione da tributi e da prestazioni di lavoro (Ro 8-13), presumibilmente come premio per la sua devozione e per il suo aiuto nell’ascesa al trono. Si contempla inoltre (Ro 14-20) la possibilità che uno dei figli o nipoti del beneficiato compia un reato contro il sovrano e si stabilisce (Ro 21-26) che in tal caso il patrimonio del colpevole rimanga ai suoi discendenti, figli o nipoti, e, qualora non ve ne siano, ma vi sia un fratello di lui, sembra - ma qui il testo è assai lacunoso - che i beni debbano passare a quello. Si tende quindi, in tal modo, a far sì che il patrimonio resti sempre nell’ambito della stessa famiglia. È tuttavia interessante rilevare che proprio lo stesso ÷attušili III, che abbiamo visto proibire la confisca dei beni di qualcuno condannato per qualche reato, non si perita poi a farlo lui stesso a vantaggio di un membro della sua famiglia. Questo sovrano infatti, com’è noto, dona alla sua divinità protettrice Ištar (al cui volere ed aiuto egli attribuisce la sua ascesa al trono) il patrimonio confiscato al suo potente nemico Arma-Datta (o ArmaTarøunta?) e, più tardi, al figlio di questo, Šippaziti.24 A tal punto, appare importante rilevare che ÷attušili conferisce al suo proprio figlio il sacerdozio di questa divinità e, quindi anche il godimento dei beni a lei dati in dono e dei benefici connessi a questi beni, come si vede anche da un altro atto sempre emanato da questo sovrano (KBo VI 29).25 Si invoca poi anche qui la maledizione divina su chiunque cercherà di togliere il sacerdozio (e, ovviamente, i benefici ad esso connessi) alla discendenza di ÷attušili per passarlo alla discendenza di un altro e la benedizione divina per chiunque rispetterà le parole del documento e non deporrà da questo sacerdozio il figlio del sovrano e non sottoporrà a imposte il patrimonio della dea (cfr. Šaøur., 157 sg. §§ 11-13). Cfr. Šaøur., 164 con nota 63 e 22 con note 78-80. CTH 224: v. Šaøur., 152 sg. con bibliografia. 24 V. A. Archi, SMEA 14 (1971) 199, v. anche 198. 25 CTH 85: v. A. Goetze, ÷att. (1925) 44 sgg., NBr (1930) 46 sgg. e inoltre Šaøur., 155 sgg. 22

23

318

Mi sembra interessante rilevare che non si contempla qui l’eventualità - come invece avviene nei documenti in cui si concedono analoghi privilegi - che il beneficiario dell’atto commetta qualche reato: ciò non era forse neppure ipotizzabile, trattandosi della divinità e dello stesso figlio del sovrano, che, nella sostanza, si voleva evitare di esporre alle conseguenze legate a tale eventualità.26 La lettura complessiva dei documenti sin qui esaminati mostra quindi una diversa posizione - addirittura da parte di uno stesso sovrano - nella valutazione della corresponsabilità e del conseguente coinvolgimento penale della famiglia di un condannato a morte o all’esilio per qualche reato. Ciò mi sembra conseguire dalla diversa destinazione dei beni confiscati. Infatti, mentre negli atti su ricordati, emessi da Telipinu, ÷attušili III e Tutøaliya IV, il sovrano diffida i Grandi complessivamente o alcuni alti dignitari dall’impadronirsi dei beni del colpevole, certo perché ne avrebbero tratto un vantaggio personale ed avrebbero costituito per lui un pericolo, nell’ultimo caso preso in esame lo stesso ÷attušili trova invece legittimo confiscare i beni del suo nemico perché di questi avrebbe goduto un membro della sua famiglia e i suoi eredi, sia pure in nome della divinità. È stato rilevato che anche nelle cosiddette “istruzioni per gli addetti al tempio” si ammette più volte la possibilità di considerare corresponsabili di qualche reato i familiari del colpevole e di coinvolgerli nella punizione.27 Mi sembra però importante notare che in tutti i casi ivi contemplati non si fa alcuna menzione della confisca dei beni dei condannati forse perché non ne possedevano o si trattava di beni di entità irrilevante. Questo - oltre al fatto che tali reati investivano l’ambito sacrale - potrebbe essere un elemento per spiegare il coinvolgimento nel reato anche della famiglia del colpevole. Ciò non avrebbe infatti comportato nessuna alterazione di equilibri economici. Analogamente si possono intendere anche alcuni passi delle “istruzioni per i servi del palazzo per garantire la purezza del re”.28 Sono inoltre da ricordare i cosiddetti “atti di donazione di terre” da parte del sovrano, dove egli interviene nel trasferimento di beni immobili 26 V. Šaøur., 164 nota 63 infra, dove si fa a tal proposito, un confronto con altri tipi di documenti, come, ad esempio, i trattati internazionali. 27 V. A. Archi, SMEA cit., 199 con nota 56. 28 KUB XIII 3 (CTH 265) II 14-19, III 3-8, 18-20.

319

e mobili tolti ad alcune persone per darli ad altre per i più svariati motivi, fra i quali verosimilmente quello di acquisire e mantenere il consenso dei beneficiati, ma anche quello di conservare rapporti equi nella ripartizione dei patrimoni terrieri.29 È infine da notare l’esistenza di documenti di vario genere che attestano la possibilità che gli addetti all’amministrazione del regno, a livelli diversi, avevano di compiere malversazioni a proprio vantaggio. Si può però constatare che il re cercava di esercitare un controllo sia sul personale che operava a corte sia su quello che operava in sedi amministrative fuori dalla capitale. A tal proposito, mi sembrano interessanti alcuni documenti che mostrano come, in quest’ultimo caso, il sovrano tendesse a coinvolgere nel controllo sui suoi dipendenti anche l’elemento comunitario che stava al di fuori dell’apparato burocratico dello Stato. Si ricorda come esempio un passo delle “istruzioni per il personale dipendente del palazzo”,30 di cui manca la parte iniziale contenente l’intestazione, ma che dal contesto appare diretta ad un responsabile di un distretto amministrativo.31 In questo testo si dice che ogni qual volta questo dignitario torna in una città o in un villaggio, che evidentemente si trova sotto la sua giurisdizione, deve convocare gli “uomini dello strumento” - da intendersi qui come membri liberi facenti parte delle comunità locali - e gli Anziani,32 cioè i rappresentanti dell’elemento comunitario, per informarsi da loro su eventuali malversazioni commesse dal personale dei palazzi periferici. Di un analogo obbligo di convocazione dei membri delle comunità, qui menzionati complessivamente con l’espressione “uomini della città o del villaggio”, da parte di un capo di un distretto amministrativo si parla

È da notare la clausola presente in questi atti, nella quale si dice che in avvenire nessuno può rivendicare i beni in questione ai figli e nipoti del beneficiato; v. in ultimo Šaøur., 149 nota 4, con bibliografia precedente. 30 ABoT 53 + KBo XVI 54 (CTH 266) Vo? 16’ sg.: v. K.K. Riemschneider, ArOr 33 (1965) 337 sgg. 31 Ci si rivolge infatti a qualcuno che sembra incaricato di occuparsi dell’organizzazione del lavoro (nel caso specifico di far eseguire corvées) per il palazzo, che è qui forse da intendere come sede amministrativa dislocata al di fuori della capitale. 32 16’ man!-šan kuwapí URU-ri-ya EGIR-pa [ârti?] 17’ nu LÚMEŠ GIŠKU LÚ.MEŠŠU.GI anda øalza[i] 29

320

in un passo, sia pure in contesto diverso, delle “istruzioni per il signore del posto di guardia”.33 Un altro esempio significativo nel senso sopra indicato viene offerto da un paragrafo di un proclama34 di un re Tutøaliya, dove si stabilisce a chi spetti o no il compito di aprire un granaio del re e ci si rivolge poi agli “uomini della città o del villaggio”affinché si impadroniscano di chi ha aperto tale granaio contro il volere regio e portino il colpevole alla porta del re (da intendersi qui come tribunale reale) se non fanno questo, essi stessi, gli “uomini della città o del villaggio”, dovranno risarcire il granaio. Si intuisce interessante, anche se purtroppo di difficile comprensione, un testo incompleto del periodo antico-ittita,35 contenente un editto rivolto da un sovrano (secondo A. Archi Muršili I) probabilmente agli uomini DUGUD.36 In tale documento si accusano questi dignitari di aver oppresso gli “uomini dello strumento” (anche qui da considerare come membri liberi delle comunità locali): “(3’) Voi continuate ad opprimere gli uomini dello strumento e quelli, di conseguenza, (4’) hanno cominciato ad opprimere”.37 Si riferisce, in tale contesto, un aneddoto CTH 261, v. E. v. Schuler, Dienst. (1957) 48 III 29 sgg. 29 kuedani-ma-šan URU-ri EGIR-pa ârti nu LÚMEŠ URULIM 30 øûmanduš parâ øalzâi. . . 34 KUB XL 62 + XIII 9 (CTH 258) III 3’-11’; v. E. v. Schuler, FsFriedrich (1959) 447, 450, 456 sg. 35 KBo XXII 1 (*CTH 272); v. il testo completo di questa tavoletta presso A. Archi, FsLaroche (1979) 44 sgg.; v. inoltre, per alcuni passi qui citati, F. Starke, StBoT 23 (1977) 33 sg. § 29 e 75 § 109; R. Lebrun, Heth 4 (1981) 111; G. Beckman, JAOS 102 (1982) 240 sg.; HW2 (1982) 406a. 36 Con l’espressione “uomini DUGUD” si voleva qui alludere a dignitari in senso generale (era questo infatti il valore che tale espressione sembra aver avuto nell’Antico Regno: v. bibliografia in proposito in nota 20) o essa aveva già assunto un valore più specifico per designare gli addetti all’amministrazione di piccoli distretti, come si riscontra già nel Medio Regno? 37 3’ šumeš LÚMEŠ GIŠTUKUL tameškatteni ¦a©pê-ma [k]atta[n] 4’ dameškiwan dâir. . . .; cfr. l’espressione alla r. 31 sg. della tavoletta di Meskene cit. in nota 10: n-an lê kuiški dammišøaizzi “e che nessuno lo opprima”, a proposito dell’ordine rivolto dal sovrano ad un suo dignitario di togliere il šaøøan e il luzzi da quest’ultimo ingiustamente imposti: v. p. 312; cfr. anche l’espressione presente nella preghiera di Arnuwanda e Ašmunikal, laddove si accusano i Kaskei di aver ripetutamente oppresso con imposte la popolazione e le località appartenenti agli dèi: KUB XVII 21 (CTH 375) I 24 sg. . . .šaøøanit luzzit dammišøiškir .... v. E. v. Schuler, Kašk. (1965) 154 sg. 33

321

esemplificatorio in cui si parla di una persona che ha sfruttato alcuni portatori di derrate, ivi descritte; pare anche che questa persona abbia preso (per impossessarsene?) una grande estensione38 di campo. Si dice poi ai dignitari in questione: “(19’) Voi opprimete continuamente (dameškatteni) i vostri portatori di derrate”, causando così la collera del re. Interessante, inoltre, l’avvertimento alla r. 24’ sg.: “ecco, voi andrete nel paese (utniya paitteni) e non cercherete il sangue del povero!”; la prima proposizione richiama alla memoria le formulazioni che abbiamo visto in alcuni testi citati sopra, in cui il re si rivolge a certi capi di distretto dicendo loro come si devono comportare ogni qual volta tornino in una città o villaggio (v. note 32 e 33). La lettura complessiva di questo testo, soprattutto alla luce dei documenti esaminati precedentemente, sembra mostrare che il sovrano, oltre che rimproverare ai suoi dignitari di non aver esercitato con equità il loro governo,39 intenda anche impedire che essi compiano soprusi a loro vantaggio. E il mettere in evidenza la sua volontà di tutelare i lavoratori liberi (gli “uomini dello strumento”) da questi soprusi può essere anche un modo per cercar di coinvolgerli nel controllo degli amministratori da lui dipendenti. Non è possibile citare in questa sede tutti gli altri esempi che mi sembrano indicativi a tal proposito. Comunque, per riassumere quanto abbiamo detto sinora, ritengo che molti dei documenti esaminati sopra evidenzino una politica regia intesa a mantenere una equilibrata suddivisione dei beni fondiari.40 1 kapunu, la massima misura di superficie. È vero, come osserva A. Archi, op. cit., 44 che questo testo è rivolto alla protezione dei poveri in una precisa situazione storica (e ciò forse anche a scopo propagandistico), ma in esso si ammoniscono anche i dignitari in questione affinché non opprimano, certo soprattutto con tasse (cfr. nota 37), i lavoratori non dipendenti dall’amministrazione statale. 40 Cosa che, del resto, si riscontra anche in certi atti politici dei sovrani di altri paesi del Vicino Oriente antico: v., ad esempio, la remissione dei debiti da parte dei re mesopotamici. Diversa, invece, a proposito dei §§ 31-32 dell’Editto di Telipinu, l’interpretazione di T.R. Bryce, The Major Historical Texts of Early Hittite History, 1984, 154 (= Asian Studies Monograph 1), University of Queensland 1984, 154 sg., che io ho potuto consultare soltanto durante la correzione delle bozze. Egli però tratta il principio del non coinvolgimento della famiglia del colpevole nella responsabilità di un reato 38

39

322

In tal senso si può intendere il diretto intervento regio sia nella ripartizione di terre mediante confische o donazioni, sia, addirittura, nei lasciti ereditari di grandi patrimoni fondiari (v., ad esempio, il caso di Šaøurunuwa). Sempre in questa linea politica il sovrano controlla che i capi di distretti amministrativi a vari livelli non divengano troppo potenti con l’esigere arbitrariamente imposte e con la confisca di terre. Il fatto che ciò venga ribadito sovente e con enfasi fa presumere che una cosa del genere dovesse verificarsi frequentemente. A tale scopo il sovrano proibisce agli alti dignitari la confisca dei beni dei condannati a morte (sempre di alto rango e proprietari di patrimoni considerevoli), e non solo a tutela degli eredi di questi. Tuttavia, il sovrano non esita a coinvolgere i familiari del reo nella punizione di un crimine mediante la confisca dei beni, quando di questi beni vengano a godere dei membri della famiglia reale, come abbiamo visto per il patrimonio confiscato da ÷attušili III al suo nemico e donato alla dea Ištar, il cui sacerdozio col relativo godimento del patrimonio in questione viene conferito al figlio stesso del sovrano e ai suoi discendenti. Gli altri esempi di coinvolgimento in qualche reato e nella relativa punizione anche dei familiari del colpevole investono ambiti particolari e, soprattutto, non sembrano riguardare la confisca dei loro beni (v. le “istruzioni per gli addetti al tempio” e le “istruzioni per i servi del palazzo per garantire la purezza del re”). Nel controllo sui suoi dignitari a vari livelli il sovrano cerca presumibilmente di coinvolgere anche gli appartenenti alle comunità locali, che operavano al di fuori della sfera statale. Quindi il monarca ittita non soltanto vuole offrire di sé un’immagine di clemenza nei riguardi delle famiglie dei colpevoli, di protezione verso i deboli, i poveri e gli oppressi, di equità nell’esercizio della giustizia, di devozione alle divinità, di generosità nel concedere benefici - immagine che, per altro, non può che giovargli nell’esercizio del potere - ma anche intende tutelare concretamente la stabilità di questo col mantenimento di

solamente nell’àmbito dell’Editto di Telipinu e in rapporto a membri della famiglia reale, e non tiene conto degli altri testi in cui si enuncia questo principio.

323

equilibri economici volti a contenere le grandi fortune e a difendere la pluralità delle fortune esistenti. Anche in questo senso quindi, e non solo allo scopo di propagare un’immagine, ritengo si debbano intendere certi passi di editti e di lettere regi sopra esaminati ed altri documenti che non abbiamo qui avuto modo di ricordare.

324

XVII. ARMAZITI: ATTIVITÁ DI UN PERSONAGGIO NEL TARDO IMPERO ITTITA

Questo antroponimo, scritto in grafie differenti, è presente con qualifiche diverse o senza alcun titolo in documenti provenienti sia dall’àmbito ittita che da quello siriano.1 Le sue attestazioni nella documentazione ittita cuneiforme e ieroglifica, pervenuteci prevalentemente - ma non soltanto - da ÷attuša, si riferiscono in gran parte ai regni di ÷attušili III e di Tutøaliya IV; all’epoca di Tutøaliya IV risalgono pure i relativi documenti rinvenuti ad Ugarit. È apparso quindi interessante riprendere globalmente in esame le testimonianze di questo nome relativamente a tale periodo, per vedere se fosse possibile proporre - almeno nel maggior numero dei casi un’identificazione dei personaggi che lo portavano. Un’analisi del genere si è rivelata soprattutto utile per la conoscenza della specificità o meno di determinate cariche e funzioni, e quindi per tentare di definirne meglio il contenuto, per dimostrare la possibile cumulabilità di alcune di esse da parte di una stessa persona e, inoltre, la eventuale trasmissione ereditaria di certune.2

V. E. Laroche, NH e Suppl. Nr. 141; vi si devono aggiungere s. 1 l’impronta di sigillo in ieroglifico in RS 17.449 Vo; s. 2 KUB XXX 44+ II 6’; s. 3 KUB V 13 IV 9’; s. 5 si devono completare le attestazioni di KUB XXIII 91 (v. § II); questo antroponimo si trovava forse anche in KBo XVIII 155 r. 8’[ (v. § V e nota 42); incerta invece la sua presenza in KUB XLIX 25 bd. sn. 8[ (v. § V). V. inoltre G. Beckman, JAOS 103 (1983) 624. Per il rapporto fra le diverse grafie di questo nome e la sua datazione v. A. Kammenhuber, Thes. 4, 38 e HW2 4, 313 sg., s.v. arma-, dove si rileva che le scritture sumeriche MI, SIN per arma nella prima parte di questo nome sono attestate dall’epoca di ÷attušili III in avanti; v. però § VII, relativamente alle proposte di datazione di ABoT 65. 2 V. in proposito gli Atti del Colloquio Anatolico di Parigi, 1-4 Luglio 1985, in Heth 8 (1987) 189 sgg. 1

325

I. ARMAZITI SCRIBA È testimoniata l’esistenza in questa epoca di un Armaziti scriba. Egli compare in tre documenti che contengono descrizioni di feste e di rituali, databili appunto al periodo preso in esame:3 ŠU mDMI-LÚ (LÚDUB.SAR) “mano di Armaziti (scriba)”. Doveva essere la stessa persona, nonostante la diversa grafia del nome, anche l’Armaziti scriba (mDSIN-LÚ LÚDUB.SAR) presente in due cataloghi di tavolette.4 In uno di questi, KUB XXX 54, nella Col. II si parla di feste in onore del dio Telipinu e lo scriba Armaziti sembra comparirvi come partecipante al rito. Concordo con la proposta di E. Laroche (CTH, 180) di datare la redazione di questo documento all’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV per la presenza simultanea in esso di Šaøurunuwa (r. 7) e di Armaziti.5 Contemporaneo a questo documento è presumibilmente anche l’altro catalogo, KUB XXX 44+, dove del paragrafo in cui si trova Armaziti è rimasto molto poco; tuttavia, il contesto di tutto questo catalogo6 induce a ritenere che anche nel paragrafo in questione si

KBo XIX 128 (CTH 625) VI 36’: descrizione di un rituale di festa; KUB VII 1+ (CTH 390) IV 15’: rituale di scongiuro contenente luvismi; questi due documenti vengono generalmente datati all’epoca di Tutøaliya IV, anche per la presenza del noto dignitario Anuwanza (il quale però è vissuto pure sotto ÷attušili III): v. H. Otten, StBoT 13, IX e 49 sg., e, in ultimo, THeth 9, 287, 289 e 277 e le pagg. ivi citt.; KUB IV 1 (CTH 422.A e 552) IVb 41’: tavoletta contenente un rituale di evocatio da compiersi nelle vicinanze di una frontiera nemica, un testo di divinazione in accadico-ittita, ed anche un prontuario di danza, come ha dimostrato S. de Martino nella sua monografia su La danza nella cultura ittita (= EOTHEN 2 [1989] 36-39 [n.d.c.]); nel rituale di evocazione si fa riferimento alle aggressioni dei Kaskei e, fra l’altro, se ne appellano le divinità; questo testo viene datato all’epoca di ÷attušili III (E. v. Schuler, Kask., 31, che considera questo rituale come la copia di uno più antico) o di Tutøaliya IV (Thes. 4, 38), comunque non anteriormente a ÷attušili III (THeth 9, 289 e le pagg. ivi citt.); cfr. inoltre H. Otten, op. cit., 50. 4 KUB XXX 54 (CTH 277.3 e p. 178 sgg.) II 8’, dove Armaziti compare con questo titolo; KUB XXX 44+ (CTH 277.4.B) II 6’ (da aggiungere a NH Nr. 141.2), dove questo titolo si trovava probabilmente nella lacuna: v. nota 7. 5 V. anche H. Otten, op. cit., 50 nota 109; v. invece Ph.H.J. Houwink ten Cate, Records (1970) 75 nota 120, dove si deve correggere la citazione KUB XXX 40 in KUB XXX 44. 6 V. CTH, 157 sgg.; per il contenuto di questo catalogo e del testo analogo CTH 277.4.A, v. E. Laroche, ArOr 17 (1949) 17. 3

326

parlasse di una tavoletta di contenuto rituale e che Armaziti ne fosse l’autore.7 Accompagnato dal titolo di scriba l’antroponimo Armaziti compare in grafia ieroglifica su alcuni sigilli8 tipologicamente simili e verosimilmente databili - secondo quanto mi ha suggerito cortesemente C. Mora, in base appunto a criteri tipologici - alla seconda metà dell’epoca imperiale (probabilmente ai regni di ÷attušili III-Tutøaliya IV). Niente si oppone quindi all’ipotesi che si tratti di sigilli di una stessa persona. Il nome Armaziti, senza alcun titolo, è presente anche su una faccia di un sigillo biconvesso,9 verosimilmente contemporaneo e di tipologia diversa dai sigilli precedenti, il proprietario del quale sembrerebbe, sempre secondo C. Mora, di categoria inferiore all’Armaziti di questi sigilli. II. ARMAZITI IN DOCUMENTI DI PROCEDURA GIUDIZIARIA Il nome Armaziti, senza alcun titolo e in due grafie diverse, compare varie volte in un documento presumibilmente contemporaneo, purtroppo lacunoso, ma probabilmente da considerare un “protocollo giudiziario” piuttosto che una lettera, come invece è stato ritenuto da alcuni studiosi:10 KUB XXIII 91 (CTH 297.3) rr. 7, 10, 28[, 32 (mDMI-LÚ iš/in), 24[, 36 (mDSIN-LÚ(-)), 23[ (mD[SIN/MI-LÚ(-)).

7 II 6’: 1 TUPPU INIM mDSIN-LÚ LÚD[UB.SAR; v. più avanti § VIII con nota 75, a proposito di auguri autori di rituali. 8 V. D.A. Kennedy, RHA 17 (1959) 158 Nr. 32; SBo II 44-46. 9 V. E. Masson, Syria 52 (1975) 217 Nr. 3. Questo nome compare anche su un sigillo biconvesso pubblicato da W.G. Lambert, Iraq 41 (1979) 32 Nr. 105 e da lui datato al periodo neo-ittita, ca. 1000-800 a.C.; con tale datazione non concorda C. Mora, che propone (per lettera) di alzare questa data almeno all’inizio del XII sec., in base alle osservazioni di B. Buchanan (JCS 21 [1967] 21 sgg.) sulla datazione dei sigilli biconvessi e alle indicazioni fornite dagli ultimi ritrovamenti di sigilli di tal genere (v. ad esempio Korucutepe). Per i sigilli di Ugarit, su cui compare il nome Armaziti, v. più avanti § VI con note 48-52. 10 Lo hanno considerato un documento di procedura P. Meriggi, WZKM 58 (1962) 101; O. Carruba, OA 9 (1970) 84; v. inoltre CTH 297. Lo hanno invece ritenuto una lettera A. Goetze, KUB XXIII, Vorwort; H. Otten, MIO 4 (1956) 184; E. v. Schuler, op. cit., 11 con nota 106.

327

Infatti - oltre a considerazioni meno probanti, come quelle che lo spazio della lacuna alla r. 1 dopo il nome di Tuttu non sembra sufficiente a contenere l’intestazione e la formula di saluto poste per lo più all’inizio di questo genere di documenti e che manca qui la linea di divisione di paragrafo, spesso presente nelle lettere per separarne la parte introduttiva dal resto della tavoletta - si rileva la menzione di Tuttu all’accusativo nella r. 28 (e forse dei “fratelli (di) Tutt[u” nella r. 23) e, soprattutto, la ripetizione alla r. 30 di UMMA mTuttu, inconsueta in una lettera,11 ma in accordo con le repliche dei documenti procedurali. Per tali motivi, ritengo preferibile l’ipotesi che si tratti di un testo di quest’ultimo tipo. In esso si riportano le parole di un certo Tuttu - probabilmente la sua deposizione ed una sua replica (rr. 1, 30) - e presumibilmente anche le deposizioni di altre persone: v. quanto osservato sopra in rapporto alle rr. 28 e 23. In questo testo si fa riferimento ad operazioni militari avvenute in località situate in vicinanza dei Kaskei e soggette quindi alle loro incursioni.12 Vi si parla, fra l’altro, di suppellettili, della cui assegnazione (“ha dato di nuovo”) o restituzione (“ha dato indietro”) sembra occuparsi Armaziti (r. 10 sg.):13 non si comprende se egli sia qui coinvolto in qualche reato o vi compaia soltanto come testimone. Non appare chiaro - pur essendo plausibile - neppure se egli abbia avuto qualche rapporto con il Palazzo, menzionato nella r. 9 (v. nota 13). Dei nomi di persona presenti in questa tavoletta alcuni compaiono solo qui o in testi la cui datazione è ancora controversa.14 È invece da rilevare che il nome Šaliqqa (rr. 2, 8)15 si ritrova insieme ai nomi di altri personaggi incaricati di esercitare controlli amministrativi (IDI) Tranne che nei postscripta, posti però a conclusione del documento e preceduti da una doppia linea di divisione di paragrafo. 12 La zona del fiume Šariya e il territorio di Kašula: v. E. v. Schuler, op. cit., 11 nota 106 e 39 con note 228 e 229; M. Forlanini, SMEA 18 (1977) 219; G.F. Del MonteJ. Tischler, RGTC 6 (1978) 547 e 196. 13 (9) tuk-ma IŠT[U] ¦É©.GALLIM SIG -in iyanz[i (10) mDMI-LÚ-iš ¦Ú©[NU]TEMEŠ 5 ANA mWattanta[ (11) EGIR-pa p¦eš©ta [k]ue-wa-mu ÚNU¦TE©MEŠ PAP-aøš[i. Nella r. 14 sembra che colui che parla voglia scagionarsi: IGI÷I.A-x-z-.ma-wa [ÚL] kuitki uø¦ø©un “[con?] gli occhi niente vidi”. 14 Wattanta, rr. 4[, 10, NH Nr. 1515; Kazzanna, rr. 7, 17, NH Nr. 559; Kuwaggulli (= Kukkulli), rr. 4, 15, NH Nr. 605: quest’ultimo è presente anche negli annali di un Tutøaliya (CTH 142). 15 Suppl. NH Nr. 1087b, cui si deve aggiungere il nostro testo. 11

328

evidentemente per conto del potere centrale, in un documento sempre dell’epoca di questi due sovrani, contenente inventari di metalli ed altri oggetti.16 Il Tuttu17 menzionato nel nostro testo potrebbe identificarsi col personaggio omonimo che si trova col titolo di “signore dell’edificio apuzzi (= responsabile del deposito)”18 in documenti dell’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV: in un inventario di suppellettili, metalli ed armi, certamente con mansioni di controllo,19 e nelle liste di testimoni del trattato stipulato probabilmente da ÷attušili III con Ulmi-Teššup di Tarøuntašša20 e del documento relativo all’eredità dei beni di Šaøurunuwa.21 Inoltre, una identificazione di questo personaggio con il Tutu presente in un elenco di tesorieri (LÚ.MEŠŠÀ.TAM)22 si accorderebbe con la funzione qui sopra ricordata di responsabile del deposito.23 Poco,

16 KUB XL 95 II 2 (CTH 242.4): v. A. Kempinski-S. Košak, Tel Aviv 4 (1977) 88 sgg., dove si discute anche del significato della forma verbale accadica IDI nei testi ittiti, e p. 91 per la datazione di questo tipo di testi; v. ancora S. Košak, THeth 10, 79 sgg., J. Siegelová, Heth. Verw. I (1986) 268 sgg., e inoltre L. Mascheroni, FsMeriggi2 (1979) 363 con nota 39. 17 Numerose e di epoche diverse sono le attestazioni di questo nome: v. NH e Suppl. Nr. 1390, cui si devono aggiungere KBo XVI 97 Ro 30, KUB XXXI 62 I 7’, KUB XLVIII 115, 2’[; M$t 75/84(?); e inoltre RS 17.135 + x + 17.360 Ro 3, Vo 3’, 8’ (PRU IV 235) e il sigillo in grafia ieroglifica alla sommità del Recto (v. Ug. III 55). Incerta, a mio avviso, la presenza di questo antroponimo in KBo XVI 27 III 6’ (]x(?)tu-ut-tu) per l’assenza del determinativo di nome personale maschile e per la stretta vicinanza del termine in questione con le tracce di segno rimaste dopo la lacuna: v. invece la lista dei nomi di persona in KBo XVI, p. XII. V. inoltre, su questo nome, Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 (1973) 256 e G. Beckman, op. cit., 626. 18 Su questo titolo nella documentazione ittita, v. in ultimo HW2 3, 192 sgg., s.v. (EN) éapuz(z)i/É a-pu/bu-(uz-)zi, e F. Pecchioli Daddi, MPD (1982) 512, con bibliografia precedente. 19 KUB XL 96+ (CTH 242.5) III? 18’ e forse anche nella lacuna in IV? 3’: v. per ultimi S. Košak, THeth 10, 81 sgg. e J. Siegelová, op. cit., 278 sgg. 20 KUB IV 10 (CTH 106) Vo 31; sui problemi connessi alla datazione di questo testo, v. F. Imparati, Šaøur. (1974) 137-144, e O.R. Gurney, AnSt 33 (1983) 98 sgg. 21 KUB XXVI 43 Vo 32 = 50 Vo 25’ (CTH 225): v. F. Imparati, op. cit., 38 sgg. 22 KUB XXXI 62 (CTH 232) I 7’. 23 Da notare, inoltre, la presenza di un Tuttu LÚI[Š (“scudiero”, v. MPD, 123 sgg.) in un piccolo frammento della stessa epoca - KBo XXXI 50 III 7’ (v. S. Košak, op. cit., 191 e J. Siegelová, op. cit., 274 sgg.) - in cui si parla di certe quantità di barre di rame in rapporto a determinate persone.

329

invece, si può dire del Tuttu menzionato senza alcun titolo ancora in due documenti di procedura contemporanei.24 Con l’Armaziti di KUB XXIII 91 si deve probabilmente identificare il personaggio omonimo, mMI-LÚ-(iš), che compare in un documento purtroppo assai frammentario, KUB XXIII 54 (CTH 297.1) Ro ]3’, 4’, ma forse esso pure un testo di procedura, verosimilmente contemporaneo anche per la presenza di Nananza, attestato, fra l’altro, ancora in due “protocolli giudiziari”.25 III. ARMAZITI IN DOCUMENTI RIGUARDANTI L’ORGANIZZAZIONE DEL CULTO In un documento dell’epoca di Tutøaliya IV relativo all’organizzazione del culto di Pirwa26 - IBoT II 131 (CTH 318) Ro 7’ - un Armaziti (mArma-LÚ), insieme a Pallanna e a Šaliyanu(-)[, appare aver avuto l’incarico di compiere cerimonie cultuali presumibilmente in onore di

24 Nel cosiddetto “affare di Ukkura”, KUB XIII 35+ (CTH 293) III 21 è menzionato “Yarziti (NH Nr. 434, e G. Beckman, op. cit., 624) figlio di Tuttu” (v. R. Werner, StBoT 4, 10 sgg.): da notare in RS 17.244, 2 sgg. - un atto giuridico internazionale di datazione incerta - la presenza di un “Muw[a]ziti, figlio di Yaraziti, signore dell’edificio ABUTI” (PRU IV, 231 sgg.). In KUB XXVI 69 (CTH 295.3) V 22 si legge: “Tutu ha un fanciullo”, v. StBoT 4, 44 sgg. Non si discutono qui le altre attestazioni di Tuttu perché si trovano in documenti o troppo frammentari, o di epoca diversa da quella qui presa in considerazione, o la cui datazione è ancora controversa. Si tralascia anche l’esame di questo antroponimo quando si riferisce all’àmbito kaskeo. 25 Nananza (NH e Suppl. Nr. 857, cui si deve aggiungere appunto KUB XXIII 54 Ro 5’), compare qui col titolo di tesoriere. Questo antroponimo è attestato all’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV in altri due documenti di procedura (KBo III 15 r. 3’ - CTH 295.12, StBoT 4, 69 e KUB XL 91 III 9’ - CTH 294.2, StBoT 4, 30), nella grafia ŠEŠanza, e in due lettere, in una col titolo di capo degli uomini UKU.UŠ (VAT 13047 Ro 3: v. H. Otten, MIO 4 [1956] 182 sgg.; v. inoltre, in ultimo, S. Rosi, SMEA 24 [1984] 124 sg.) e in una come scriba (KBo XXIII 44 IV 10’: v. H. Otten, op. cit., 183 nota 10). Propendo a ritenere che tutte queste attestazioni si riferiscano alla stessa persona. In KUB XXIII 54 sono menzionati anche Lullu (Ro 13’, NH Nr. 706), Ašøapala (Ro 8’, 11’, 12’, NH e Suppl. Nr. 162), Telipinu (Ro 15’, NH Nr. 1325.3). 26 Questo documento verrà trattato integralmente in un mio lavoro sul culto di questa divinità, di prossima pubblicazione in EOTHEN (vedi invece Or 59 [1990] 166187 [n.d.c.]).

330

questa divinità, anche se essa non è menzionata in questo paragrafo27. Mentre l’ultimo di questi tre antroponimi (NH Nr. 1641) è finora attestato solo qui, e forse neppure integralmente, Pallanna (NH Nr. 908) è presumibilmente da identificare con la persona omonima che compare in un elenco di offerte a divinità e/o alle loro stele,28dove ricorrono anche nomi di altri personaggi della stessa epoca.29 Incontriamo forse lo stesso Armaziti (mDSIN-LÚ) in un altro testo verosimilmente contemporaneo, sempre relativo all’amministrazione religiosa,30 KBo XII 56 (CTH 521.6) I 8’.31 IV. ARMAZITI IN TESTI ORACOLARI Un personaggio omonimo è spesso presente in documenti oracolari presumibilmente del medesimo periodo, senza alcuna qualifica, ma con il compito evidente di partecipare attivamente alle operazioni, per lo più di tipo ornitomantico, nel corso delle quali egli compie osservazioni e fornisce responsi.32 Lo vediamo infatti formulare responsi in due testi che mostrano analogie fra sé, nei quali si eseguono consultazioni in base al movimento degli uccelli: UMMA mDMI-LÚ SIxSÁ-at “così Armaziti stabilì (mediante l’oracolo)”.33 Dai toponimi presenti in uno di questi due documenti, 27 (7’) [k]inun-šmaš mPal¦la©annaš mArma-LÚ mŠaliyanu[(-) (8’) ŠA GIŠ D¦INANNA© GAL eššer nu ¦ÚL© ¦pe©škanz[i] (9’) ku¦it©-¦wa© ABI DUTU [LU]GAL-izziyatta nu ÚL SUM-¦an©[zi]. 28 KUB XII 2 (CTH 511) IV 1 (mPallannaš LÚSANGA). Il nome Pallanna compare anche in grafia ieroglifica in un sigillo (NH Nr. 908.3) e si ritrova pure nei documenti di Ma$at (v. G. Beckman, op. cit., 625). 29 Tarøuntapiya, Armapiya, Maraššanda - sui quali ho trattato in FsBresciani (1985) 265 nota 44 e 258, 259, 266 nota 57 - e ÷utarla/i (NH Nr. 411) ecc.; quest’ultimo personaggio si ritrova ancora in un documento di procedura contemporaneo, sempre col titolo di sacerdote (KUB XXXVIII 37 [CTH 295.7] III? 8’); sono invece cronologicamente distanti le altre sue attestazioni in NH. 30 V. CTH 87, per la datazione di questo gruppo di documenti. 31 (8’) 1 É DINGIRLIM mDSIN.LÚ úedai ANA KÙ.BA[BBAR (9’) mMiøamaruš píran ešzi[ ]; l’antroponimo Miøamaru (NH Nr. 799) è un hapax. 32 Anche se questo personaggio è spesso menzionato in contesti lacunosi, l’analogia delle relative formulazioni convalida questa affermazione. Si rileva, inoltre, che i nomi degli operatori oracolari sono spesso citati senza alcuna qualifica. 33 KUB XLIX 11 II 15’ (dopo il nome c’è una piccola frattura, in cui si presume non si trovasse alcun segno per il confronto con le attestazioni analoghe in questo

331

KUB XLIX 11, si può presumere che vi si alludesse ad una campagna militare in territorio nord-orientale:34 la menzione in esso di Daddamaru35(II ]20’, III 23) ne rende plausibile la datazione all’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV. Anche in KBo II 6+ (CTH 569), un documento del periodo di Tutøaliya IV36 in cui si eseguono consultazioni oracolari per conoscere i motivi della collera degli spiriti dei defunti Arma-Datta e Šaušgatti,37 vediamo verosimilmente lo stesso Armaziti compiere osservazioni sugli uccelli (IV 17: IGI-anda UMMA mDMI-LÚ aušta nu MUŠEN÷I.A SIxSÁ-andu) e fornire responsi (IV 23: UMMA mDMI-LÚ SIxSÁ-at-wa). Sempre come incaricato di operazioni ornitomantiche compare Armaziti in una tavoletta in cui si fanno consultazioni mediante il KIN e gli uccelli, KUB V 13 (CTH 580) IV 9’: UMMA mDMI-LÚ arøa-wa[.38 Sono menzionati in questo testo il re e la regina (I 1, 7 sg., 11) - con probabilità ÷attušili III e Puduøepa39 - e un personaggio di nome LAMMA (I 1), presente anche in altri documenti dello stesso genere.40 Ancora in tre testi in cui si svolgono consultazioni oracolari - in due mediante l’oracolo KIN e in uno mediante gli oracoli KIN e SU - si trova in un contesto purtroppo lacunoso Armaziti (mDMI-LÚ), presumibilmente la stessa persona dei documenti precedenti.41

documento), 31’, III 17 (qui, dopo il nome, c’è soltanto S[IxSÁ-at]); v. inoltre II 3’ (dopo il nome c’è lacuna) e 19’ (dopo il nome forse S[IG5]?); KUB XLIX 33 I 9’[; soltanto UMMA mDM[I-LÚ in contesto analogo ai precedenti. 34 V. KUB XLIX, p. V Nr. 11; cfr. anche RGTC 6 ss.vv. 35 V. NH e Suppl. Nr. 1303, e FsBresciani (1985) 263 nota 11; v. ora G. Mauer, in CAL (1986) 191 sgg. 36 Per la datazione e per il contenuto di questa tavoletta, v. bibliografia in FsBresciani, 263 nota 12. 37 V. NH e Suppl. Nrr. 138 e 1142. 38 Da aggiungere a NH Nr. 141.3. 39 Secondo A. Kammenhuber, THeth 7 (1976) 134, questo testo, come altri, non si può datare prima di ÷attušili III per la presenza del LÚ÷AL. 40 V. Suppl. NH Nr. 1747.3; per le attestazioni di questo nome in documenti ittiti di epoche diverse v. bibliografia in FsBresciani, 263 nota 15. 41 KUB L 57 rr. 5’[, 10’, in quest’ultima riga si legge: ] ANA mDMI-LÚ waštul GAR-r[i “[a/per Armaziti la colpa è post]a”; KUB L 58 rr. 13’, 15’[ e KUB L 59b r. 8’ (in tutti questi passi il nome è preceduto da ANA).

332

V. ARMAZITI IN ALTRI DOCUMENTI CONTEMPORANEI Doveva probabilmente riferirsi ad un Armaziti l’antroponimo parzialmente presente (mDMI-[) in un inventario di tributi (MANDATTU), e cioè di barre d’argento di cui si indica il peso, provenienti da varie città.42 L’antroponimo in questione appare in rapporto alla località di ÷adduna (da aggiungere a RGTC). Nel testo, molto frammentario, si trovano anche i nomi di due personaggi, Pallanza (r. 4’: NH e Suppl. Nr. 910) e ÷ilašdu (r. 6’: Suppl. NH Nr. 355a), ambedue col titolo di LÚ DUGUD, cioè di capo di un piccolo distretto amministrativo, prevalentemente a carattere militare. Nel cosiddetto “voto di Puduøepa” (CTH 585) compare il nome Armayaziti (mDMI-ya-LÚ);43 da notare, inoltre, la presenza dell’antroponimo Tuttu:44 i due personaggi così denominati (due ragazzi) appaiono in posizione subalterna. La prima parte di un antroponimo, mAr-ma-[ è presente nel testo oracolare KUB XLIX 25 bd. sn. 8[; A. Archi, nell’indice dei nomi di KUB XLIX p. VIII, completa questo nome in Arma[tanša, forse per la presenza di questo antroponimo in tale grafia in un altro testo oracolare (NH 137), mentre il nome Armaziti compare in documenti di questo tipo in forma ideografica (v. § IV). È però da rilevare la grafia mArma-LÚ in IBoT II 131 Ro 7’, testo anch’ esso dell’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV (v. § III). VI. ARMAZITI “FIGLIO DEL RE” AD UGARIT Un personaggio con questo nome è presente anche nella documentazione ugaritica dell’epoca di Ibiranu re di Ugarit, contemporaneo di Tutøaliya IV e di Ini-Teššup re di Karkemiš.45 KBo XVIII 155 r. 8’[ (CTH* 244.5): v. in ultimo THeth 10 (1982) 144 sgg. II 19: v. StBoT 1 (1965) 24 sgg. 44 V. l’indice dei nomi in StBoT 1, 54. 45 NH Nr. 141.1: su questo e su altri personaggi presenti col titolo di “figlio del re” nei testi di Ugarit, v. in ultimo F. Imparati, Šaøur., 116 sgg. e Heth 8 (1987) 190 sgg.; in questi due lavori si riporta anche la relativa bibliografia, si dà perciò qui soltanto l’indicazione dei testi. 42

43

333

In due lettere di contenuto analogo Armaziti, senza alcuna qualifica, risulta incaricato - evidentemente dal potere centrale ittita - di fissare le frontiere del regno di Ugarit.46 In un documento di procedura egli, col titolo di “figlio del re”, esercita le mansioni di giudice e funge da testimone47 insieme ad altri personaggi: nel Verso vi è un suo sigillo, dove egli compare in grafia ieroglifica con la stessa qualifica.48 Un suo sigillo, sempre in questa grafia, si trova anche nel Verso di un piccolo frammento,49 che sembra essere un duplicato del testo precedente. In un altro documento,50 invece, si condanna Armaziti - qui menzionato senza alcun titolo - a pagare 300 sicli di argento al re di Ugarit e ai figli (e, quindi, ai discendenti) di un certo Mušrana; all’inizio del Recto compare il sigillo di Armaziti in grafia ieroglifica, in duplice impronta.51 È interessante notare che la tipologia di questi sigilli è ittita.52 VII. ARMAZITI IN TESTI DI EPOCA DIFFERENTE O ANCORA CONTROVERSA Questo antroponimo si trova anche in altri documenti o cronologicamente distanti dal periodo preso in esame o sulla datazione dei quali i pareri degli studiosi divergono. Un Armaziti (mA]rma-LÚ-iš) “scriba in ÷attuša” è noto da un trattato stipulato da un Arnuwanda - verosimilmente il I - con i Kaskei.53 RS 15.77, 13 (Armaziti, v. PRU III 6 sgg.): lettera inviata da Aliøešni “figlio del re” al re di Ugarit; RS 17.292, 9 (mDSIN-ma-LÚ, v. PRU IV 188): lettera scritta dal re di Karkemiš (di cui non si riporta il nome) a Ibiranu re di Ugarit. Sui personaggi menzionati in queste due lettere e sull’ipotesi di considerare Aliøešni e Armaziti come importanti dignitari ittiti ed Ebina’e e Kurkalli come funzionari di alto rango dipendenti dal re di Karkemiš, v. ancora Heth 8, 195 sgg. 47 RS 17.314 Ro 1, Vo 21, 25 (mDSIN-LÚ, v. PRU IV, 189). 48 Ug. III 134 sgg. 49 RS 17.449 (PRU IV 190): manca in Ug. III, loc. cit., ed è da aggiungere a NH Nr. 141.1. 50 RS 17.316 Vo 4’ (mDSIN-LÚ, v. PRU IV, 190). 51 V. Ug. III, loc. cit. 52 V. Ug. III figg. 48-51, e pp. 33 sgg. e 134 sg.; cfr. inoltre M. Liverani, RHA 36 (1978) 154 sg. con nota 27, e le mie osservazioni in Heth 8, 203 nota 12. 46

334

Un personaggio con questo nome (mDSIN-LÚ), con la qualifica di “capo degli addetti al seggio”, è presente in un frammento dell’epoca di Šuppiluliuma II.54 Tale antroponimo si trova anche in due lettere rinvenute al di fuori di ÷attuša. Una di queste, in cui esso compare nella grafia mDSIN-LÚ - ABoT 65 (CTH 199) Ro 6, 9 - è stata trovata a Ma$at molti anni prima degli scavi iniziati da T. Özgüç nel 1973 ed è stata diversamente datata dagli studiosi. In questa lettera, inviata da Tarøuntišša55 a Palla,56 insieme ad Armaziti è menzionato anche un ÷attušili (mGIŠPA-DINGIRLIM)57 e vi si parla pure di un certo Atiunna.58 Per la presenza di alcuni di questi personaggi - oltre che per la scrittura ideografica del nome Armaziti (cfr. nota 1) - alcuni studiosi hanno proposto di datare questo testo all’epoca di ÷attušili III.59 Sulla base, invece, di motivi grafici e linguistici altri studiosi hanno preferito porre questo documento nel periodo del Medio Regno ittita.60 Infine, dopo il ritrovamento delle altre tavolette di Ma$at,

53 KBo XVI 27 (CTH 137) III 12’; sulla datazione di questo testo all’epoca di questo sovrano v. A. Kammenhuber, MSS 28 (1970) 56, Thes. 4 e HW2 citt. in nota 1, H. Otten, StBoT 13 (1971) 50 nota 109, ed anche StBoT 11 (1969) 11 con nota 2, Ph.H.J. Houwink ten Cate, Records (1970) 82; v. invece THeth 9 (1979) 284 e le pagg. ivi citt., e soprattutto p. 245; E. v. Schuler, op. cit., 31 nota 143; cfr. pure CTH, 19 nota 1. V. inoltre più avanti nota 83, a proposito dell’esistenza in ÷atti di dinastie di scribi. 54 KUB XXI 7 (CTH 126) III ]3’, 5’: v. R. Stefanini, Athenaeum 40 (1962) 19 sgg.; THeth 9 (1979) 295 e le pagg. ivi citt.; sul titolo GAL (LÚ.MEŠ)tapri che qui accompagna questo nome, v. MPD, 522 sg. 55 NH e Suppl. Nr. 1272. 56 NH e Suppl. Nt. 906, e G. Beckman, op. cit., 625. 57 NH e Suppl. Nr. 349.10, dove si deve correggere ABoT 67 in ABoT 65, e aggiungere KBo XXVII 20 Vo 12’ e le attestazioni di Ma$at: v. G. Beckman, op. cit., 624; cfr. inoltre NH Nr. 349.7 e 8. 58 NH Nr. 205, cui si devono aggiungere le attestazioni di Ma$at: v. G. Beckman, op. cit. 59 Cfr., però in lavori non recenti, H.G. Güterbock, ADTCFD 2 (1944) 405 (da notare, tuttavia, che a p. 399 egli rileva la grafia molto piccola in cui è scritta la tavoletta); H. Otten, MIO 4 (1956) 184; L. Rost, MIO 4, 347; v. inoltre, più tardi, A. Ünal, THeth 3 (1974) 25; HW2 5, 344 s.v. aršana-/(::)aršanya-; THeth 9 (1979) 311 e le pagg. ivi citt. 60 Cfr. Ph.H.J. Houwink ten Cate, Records, 75 con nota 120; H.A. Hoffner jr., JNES 31 (1972) 33; E. Neu, IF 81 (1976) 324 sg.; v. inoltre CHD L-N, 139 e 141 s.v. man, -man.

335

S. Alp61 ha ritenuto di poter datare all’epoca di queste - e cioè al regno di Šuppiluliuma I - anche la lettera in questione, per la menzione in essa di ÷attušili, frequentemente attestato, nella stessa grafia, in altri testi di Ma$at, e di Atiunna, anch’esso ivi presente. Allo stato attuale - non avendo però collazionato questi documenti l’ipotesi di S. Alp mi sembra assai plausibile, tuttavia il fatto che molti degli antroponimi lì citati si ritrovino più o meno frequentemente, e talora insieme, anche in testi dell’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV62 rende opportuno, per una datazione definitiva delle tavolette di Ma$at, anche uno studio prosopografico dei personaggi che vi compaiono. Mi pare inoltre interessante rilevare che ponendo la lettera sopra ricordata (CTH 199) nel periodo di regno di Šuppiluliuma I si viene ad offrire un sostegno all’identificazione del Palla ivi menzionato con il personaggio omonimo presente nel testo oracolare KUB XXII 70 (CTH 566) Ro 36, 37, 72 e, soprattutto, alla datazione di questo documento.63 Sempre a proposito della lettera in questione, concordo con l’ipotesi di alcuni studiosi che i personaggi in essa ricordati appartenessero ad un ambiente di scribi; mi sembra inoltre si possa presumere, nonostante il contesto non ben chiaro, che essi avessero tenuto anche incarichi di tipo amministrativo fuori dalla capitale.64 Belleten 44 (1980) 53 sgg. e, in particolare, 57 sg. V. ad esempio, oltre ad Armaziti e Palla, Kaššu (NH e Suppl. Nr. 538), Tuttu (cfr. sopra note 17-24), ÷attušili (NH e Suppl. Nr. 349, e G. Beckman, op. cit., 624), Šaøurunuwa (NH e Suppl. Nr. 1076, e G. Beckman, op. cit., 625), Pallanna (v. sopra nota 28); v. inoltre gli indici dei nomi in KBo e KUB pubblicati successivamente a NH e Suppl. e alle recensioni di questi. 63 Sulla datazione di questo testo all’epoca di Muršili II e sull’ipotesi di riconoscere nella regina Tawannanna ivi menzionata la vedova di Šuppiluliuma I, v. le mie osservazioni in SMEA 18 (1977) 26 sgg., e in particolare pp. 35-38, con bibliografia precedente; queste considerazioni sono state riprese da A. Archi in SMEA 22 (1980) 7 sgg., il quale accetta questa datazione anche in base all’esame di un altro testo oracolare, KUB L 6+. Invece A. Kammenhuber, THeth 7 (1976) 150 sgg., e A. Ünal, THeth 6 (1978) 36 sgg., datano questo testo all’epoca di ÷attušili III. 64 Dal secondo paragrafo della lettera (Ro 6-10) risulta infatti che essa non proviene da ÷attuša e che Tarøuntišša, ÷attušili e Armaziti esplicavano, in quel momento, la loro attività in una sede diversa dalla capitale; inoltre, il luogo di ritrovamento di questa lettera mostra che essa non era stata inviata a ÷attuša: cfr. le osservazioni di H.G. Güterbock, op. cit., 402 sgg. e di L. Rost, op. cit., 349. Il contenuto della tavoletta sembra riguardare adiramenti per motivi oscuri (Ro 8 sgg.) ed anche contrasti per la sottrazione di certi beni (Vo 4’ sgg.). Sull’ipotesi che i personaggi 61

62

336

Un Armaziti (mMI-LÚ[-i(?))65 che forse aveva in qualche modo rapporti con l’estero, è il mittente di un frammento di lettera ritrovata ad Alalaø.66 Sembra che a lui fossero fuggiti dei carpentieri (?) e che egli avesse saputo che qualcuno se ne era impadronito (r. 4 sgg.): sfortunatamente il testo è troppo frammentario per permettere di conoscere se egli fosse incaricato di controllare questi carpentieri in quanto appartenente alla struttura amministrativa dello stato o se essi facessero parte del suo patrimonio. In base al livello di scavo in cui questa tavoletta è stata ritrovata, è difficile precisarne la datazione67 e identificare quindi lo Armaziti ivi presente o con lo scriba omonimo che all’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV aveva operato anche fuori di ÷attuša (v. §§ VI e VIII), o con quello vissuto precedentemente. Al regno di Šuppiluliuma I vengono datati anche i cosiddetti “Feldertexte”, documenti catastali contenenti elenchi di campi, la loro ubicazione, le loro misure ecc. e i nomi di persone che li detenevano:68 Armaziti (mDMI-LÚ) vi compare due volte, accompagnato dal titolo pitta.69 È da rilevare la menzione in questa tavoletta anche dei campi di un certo Tuttu, ivi presente col titolo pittauriya.70 VIII. CONCLUSIONI Una ipotesi di identificazione dei personaggi sopra esaminati recanti il nome Armaziti e vissuti durante i regni di ÷attušili III e Tutøaliya IV ivi presenti facessero parte di un ambiente scribale, v. H. Otten, op. cit., 183; L. Rost, op. cit., 348. 65 Per il destinatario della lettera, mŠar-r[u-, v. NH Nr. 1643, fra i nomi frammentari; v. anche L. Rost, op. cit., 343. 66 AT 124,1 (CTH 209.10): v. L. Rost, op. cit., 342 sgg. con bibliografia precedente. 67 V. ancora L. Rost, loc. cit., infra; v. inoltre THeth 9 (1979) 232, dove si parla di XIII sec. 68 V. Vl. Sou£ek, ArOr 27 (1959) 5-43, 379-395. 69 KUB VIII 75+ (CTH 239) III 6, IV 40’: ŠA mDMI-LÚ pittaš; v. Vl. Sou£ek, op. cit., 14 sg., 22 sg., 391. 70 KUB VIII 75 I 50’, 54’ ecc., IV 61’: ŠA mTuttu pittauriyaš; v. F. Imparati, Šaøur., 73 con note 104 e 105, e MPD, 436. Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 (1973) 236, identifica il Tuttu presente in questo testo con il generale dell’epoca di Šuppiluliuma I: v. H.G. Güterbock, Or 25 (1956) 136.

337

appare verosimile per quanto concerne quello presente come scriba in testi di contenuto religioso - di cui in un caso sembra esser stato l’autore (v. nota 7) - e in sigilli, e quello che pare aver espletato anche mansioni amministrative (cfr. nota 13). Tali mansioni risultano ancor più evidenti se accettiamo l’identificazione di questo Armaziti con il personaggio omonimo menzionato nella documentazione ugaritica contemporanea (v. più avanti).71 È del resto noto che gli scribi avevano talora incarichi di questo tipo, per cui non sorprende che essi potessero venire qualche volta a trovarsi coinvolti in controversie giudiziarie. È probabilmente la stessa persona anche lo Armaziti che compare nei due documenti relativi all’organizzazione del culto. Può apparire invece, in un primo momento, meno evidente l’identificazione di questo Armaziti con la persona omonima incaricata di fornire responsi oracolari, essendo questa un’attività molto tecnica e, quindi, assai specializzata. Tuttavia, come ho già avuto modo di esporre più estesamente in altro luogo72 - oltre alla considerazione che gli scribi ittiti, analogamente a quanto avveniva altrove nel Vicino Oriente antico, potevano svolgere altre mansioni specialistiche oltre la loro73 - appare logico presumere che agli addetti all’esecuzione di pratiche divinatorie si richiedesse la conoscenza della scrittura, proprio per la necessità di annotare sul momento e con esattezza i risultati delle varie operazioni per fornire responsi. Questa necessità di registrare immediatamente i risultati delle consultazioni (anche prescindendo da chi aveva l’incarico di scriverli) sembra emergere pure dalla grafia affrettata che caratterizza di solito i testi oracolari e dalle numerose abbreviazioni dei termini tecnici delle consultazioni che si trovano in questi testi. Nel lavoro citato in nota 72 ho cercato di suffragare tali considerazioni con esempi tratti da alcune lettere intercorse tra sovrani ittiti e certi Del resto, anche dal contenuto della lettera di Ma$at, e forse pure da quella di Alalaø, qualunque sia la loro data, mi sembra plausibile ipotizzare che lo Armaziti ivi menzionato fosse uno scriba che esplicava compiti amministrativi, anche fuori dalla capitale (v. § VI). 72 V. FsBresciani 255-269. 73 Come, per esempio, quella di LÚA.ZU “medico”: v. MPD, 166. 71

338

auguri, taluni dei quali espletavano, a mio avviso, anche la mansione di scribi.74 Vi ho riportato inoltre i casi di alcuni antroponimi riferiti sia a scribi che a personaggi che svolgevano mansioni divinatorie, spesso presenti in testi contemporanei di genere diverso insieme ai medesimi personaggi: v., ad esempio, Tarøuntapiya, *Armanani, Armapiya, Alalimi, ÷alpaziti.75 Ritengo improbabile che in tutti questi casi si trattasse di omonimia. Per quanto riguarda Armaziti, può assumere forse qualche significato anche il fatto che in uno dei due testi di cui egli è lo scriba (KUB IV 1: v. nota 3) si faccia riferimento alle aggressioni dei Kaskei e se ne appellino le divinità, e che in un testo oracolare (KUB XLIX 11: v. § IV) egli fornisca responsi in occasione di una campagna militare presumibilmente proprio in territorio nord-orientale; si rileva pure che anche in uno dei due documenti di procedura in cui egli compare (KUB XXIII 91: v. § II) si allude ad operazioni militari in località situate in vicinanza dei Kaskei (v. nota 12). Si nota inoltre che Armaziti sembra essere stato anche autore di un rituale (v. nota 7) e si ricorda che talvolta gli auguri erano pure autori di rituali.76 Niente mi pare quindi opporsi ad una identificazione dello Armaziti scriba e incaricato di compiti amministrativi con il personaggio omonimo che nella stessa epoca esercitava funzioni divinatorie di vario genere. Per quanto riguarda poi l’identificazione del nostro Armaziti con la persona omonima presente nella documentazione ugaritica, talora col titolo di “figlio del re” (v. § VI), mi sembra opportuno in primo luogo ricordare quanto ho già rilevato più volte altrove,77 e cioè che tale espressione nella documentazione ittita e nord - siriana (analogamente ad altri àmbiti vicino-orientali) non ha sempre un valore letteraleV. FsBresciani, 256 sgg. V. ancora FsBresciani, 258 sgg. È da notare la presenza di alcuni di questi personaggi in documenti di procedura giudiziaria. 76 V. A. Archi, SMEA 16 (1975) 130 sgg. Inoltre, semplicemente a titolo di confronto, si ricorda che nell’amministrazione provinciale babilonese all’epoca della seconda dinastia di Isin gli scribi dei villaggi sostituivano spesso l’indovino (BÂRÛ) locale (v. J.A. Brinckman, JESHO 6 [1963] 238 con nota 5) e che l’esorcista (ŠIPU) in àmbito mesopotamico risulta da qualche colophon essere stato scriba di tavolette (CAD 1, II [1968] 434,e). 77 Or 44 (1974) 116 sg., v. inoltre qui sopra nota 45. 74 75

339

genealogico, ma è anche un titolo, riferito a persone che operavano nell’entourage del re e che erano spesso da lui incaricate di svolgere mansioni amministrative o di rappresentanza o di controllo in paesi soggetti al dominio ittita. Ne conosciamo diversi esempi dalla documentazione ugaritica ed ora da quella di Emar.78 È inoltre noto che alcuni scribi ittiti, verosimilmente all’apice della loro carriera, portavano anche il titolo di “figlio del re” e ricoprivano importanti incarichi nella struttura burocratica dello stato: v., ad esempio, Tarhuntapiya, *Armanani, Šaøurunuwa ecc.; sappiamo inoltre che a questo titolo potevano associarsene anche altri79. Così, mi pare plausibile ritenere che lo Armaziti “figlio del re” ad Ugarit e lo Armaziti scriba nei documenti ittiti - e, quindi, anche gli altri personaggi omonimi con questo identificati - fossero la stessa persona. A proposito, poi, del fatto che in uno dei testi di Ugarit Armaziti appaia incaricato di fissare le frontiere di questo paese, si ricorda, a titolo di esempio, che nell’amministrazione provinciale babilonese all’epoca della seconda dinastia di Isin gli scribi avevano l’importante compito di misurare la terra.80 Del resto, con l’incarico di stabilire limiti territoriali si accorda bene, oltre che la mansione scribale di Armaziti, anche quella di addetto a pratiche divinatorie, per lo stretto legame che tali pratiche notoriamente avevano, nelle società antiche, con la definizione dei confini, dato il carattere sacro di questi. Inoltre, il fatto che egli fosse stato condannato a pagare 300 sicli d’argento al re di Ugarit e a certe persone fa presumere che si trattasse di un’ammenda per qualche irregolarità di tipo amministrativo da lui commessa nell’esercizio delle sue funzioni. Ho avuto infatti occasione di mettere più volte in rilievo la possibilità che avevano alti dignitari o funzionari dello stato ittita di compiere abusi a loro vantaggio,

V. ancora in Heth 8, 191 sgg. alcune proposte di identificazione di certi personaggi presenti con questo titolo a Ugarit o a Emar con persone omonime attestate nella documentazione ittita contemporanea con o senza questo titolo, e talora con altri titoli che ne mostrano l’importanza. 79 V. gli esempi in proposito nell’articolo qui sopra cit., infra. 80 V. J.A. Brinckman, op. cit., 238. 78

340

soprattutto quando si trovavano ad operare in zone del regno lontane dalla capitale o in paesi posti sotto il dominio ittita.81 Potrebbe sorprendere il fatto che in testa al documento ugaritico in questione, in cui egli viene condannato a questa ammenda, si trovi il suo sigillo: forse per suggellare il suo impegno.82 Alla luce di queste considerazioni, si può quindi tentare di ricostruire la carriera di questo personaggio, che risulta aver svolto molteplici funzioni, sostanzialmente non contraddittorie fra sé. Appare plausibile ritenere che egli, verosimilmente discendente da una famiglia di scribi,83 durante la fine del regno di ÷attušili III e gli inizi di quello di Tutøaliya,84 avesse cominciato la sua attività come semplice scriba, per lo più di testi religiosi, e come addetto a mansioni divinatorie. Egli tocca il gradino più alto del suo cursus honorum quando, sotto il regno di Tutøaliya IV, con la qualifica di “figlio del re”, viene inviato ad Ugarit con compiti evidentemente di rilievo (v. § VI). Non rimane chiaro in che modo e per qual motivo egli sia presente in documenti ittiti di tipo procedurale, a mio avviso anteriori a quest’ultima più importante fase della sua carriera; non sembra però come responsabile di qualche reato (o, per lo meno, non di reati di grande rilievo), ma forse solo in qualità di testimone, altrimenti difficilmente avrebbe potuto tenere i successivi incarichi ad Ugarit, con la qualifica di “figlio del re”. Ed anche se poi, nel corso del suo soggiorno in questo paese, gli viene imposto di pagare una forte ammenda, si può però supporre che la sua “colpa” - che probabilmente rientrava in un certo tipo di reati non infrequenti fra dignitari e funzionari dello stato (v. nota 81) - non dovesse essere considerata tale da farlo destituire dai suoi incarichi. Si può quindi concludere che il quadro delle attività svolte da questo Armaziti costituisce un’ulteriore conferma della possibilità che in àmbito V. JESHO 25 (1983) 264 sgg. e gli Atti del convegno su Stato, economia e lavoro nel Vicino Oriente antico, Istituto A. Gramsci Toscano, Firenze 29-31 Ottobre 1984, infra (in corso di stampa) (= Stato, economia, lavoro, 225-239 [1988] [n.d.c.]). 82 È da notare che, a conclusione dell’atto, si specifica che Armaziti, una volta pagata l’ammenda, non deve avanzare reclami nei confronti del re di Ugarit e della persona menzionata nel documento e dei suoi discendenti. 83 V. sopra § VII e inoltre E. Laroche, ArOr 17 (1949) 10, che mette in rilievo l’esistenza in ÷atti di dinastie di scribi. 84 V. § I e nota 3. 81

341

ittita (analogamente ad altri stati del Vicino Oriente antico) aveva una stessa persona - in vari settori della società - di esplicare, anche simultaneamente, compiti di genere diverso. È del resto noto che coloro i quali detenevano alti incarichi di governo riunivano sovente in sé una molteplicità e varietà di titoli, e spesso di mansioni. Non stupisce, per altro, una compresenza anche di queste ultime in un àmbito come quello delle attività di direzione politica. Si può inoltre osservare, per definire meglio i contorni di questa problematica, che nelle antiche società vicino-orientali è attestata pure la compresenza di certe mansioni “manuali”, però di tipo non specialistico, mentre le più qualificate attività artigianali erano diversificate. Ora, se corrisponde al vero quanto abbiamo sopra osservato per Armaziti, si registra una compresenza anche nel campo di mansioni che noi potremmo essere indotti, per la loro tecnicità, a presumere svolte separatamente, come quelle di scriba e di addetto a pratiche divinatorie.85 Ho accennato, d’altronde, anche al caso di uno scriba che era pure medico (v. nota 79).86 Mi sembra quindi plausibile avanzare l’ipotesi che si potessero cumulare differenti funzioni non soltanto in sede politica o in sede di lavoro non qualificato, ma anche nel campo di quelle attività che oggi definiremmo “intellettuali”.

Si conoscono anche casi in cui una stessa persona esplicava pratiche oracolari di tipo diverso: v., oltre all’esempio di Armaziti (§ IV con nota 41), anche quelli di Tarøuntapiya e di ÷alpaziti, in FsBresciani, 238 con nota 39 e 260 con note 68 e 71. 86 I casi, invece, dei “capi scribi” che tenevano altri incarichi di alto livello nella gerarchia dello stato (come, ad esempio, Šaøurunuwa: v. Šaøur. 11 sgg.), rientrano nell’àmbito delle attività di direzione politica. 85

342

XVIII. OBLIGATIONS ET MANQUEMENTS CULTUELS ENVERS LA DIVINITÉ PIRWA

Lors d’une étude sur la divinité anatolienne Pirwa dans le monde religieux hittite,1 j’ai été particulièrement intéressée par l’un des différents et nombreux documents que j’ai examinés: IBoT II 131 (CTH 518), avec son duplicat Bo 32452.2 Ce texte à caractère administratif présente malheureusement de nombreux problèmes d’interprétation, mais sa J’ai terminé une monographie sur Pirwa nel culto ittita qui sera publiée dans la collection EOTHEN, Studi sulle civiltà dell’Oriente antico (Firenze). 2 La tablette IBoT II 131 Ro est probablement acéphale (v. aussi l’édition du texte), malgré la présence de deux traits horizontaux au début de la partie qui nous est parvenue, tout comme à la fin du Ro et au début du Vo. J’ai pu voir le fragment Bo 3245, il y a quelques années, au “Vorderasiatisches Museum “ de Berlin DDR et je remercie vivement le Prof. Dr. Horst Klengel qui me permit aimablement de le publier dans mon volume. Un parallèle probable du document que nous examinons est KBo XIX 131 (CTH 518.2), qui, toutefois, n’a pas une grande utilité dans ce contexte. Je présente ici la transcription de Bo 3245, correspondant à IBoT II 131 Vo 22-31 (cfr. p. 347 sq.): 1

Vo 1’

]x åpe-eš-ki-iz-zi¥[ _________________________________________________________________ 2’ ]x-mi-iq-qa-aš 25 MAŠ.GAL LÚM[(EŠla-pa-na-al-li) 3’ (URUP)]u-la-an-ta-ri-iš-ša-az pe-eš[(kir) _________________________________________________________________ 4’ U]DU? 2 PA ZÍD.DA 2 DUG KA.DÙ m¦D©[(AMAR.UD-LÚ)] 5’ [(L)]Ú URU÷i-mu-wa pe-eš-kir ŠA ITU.2.[(KAM) 6’ ki-nu-na ŠA A-BI DU[TUŠI Ú-UL SUM-an-zi] _________________________________________________________________ GIŠS]AR.GEŠTIN-za m¦D©AMAR.UD-LÚ LÚ URU[(÷i-mu-wa) 7’ 8’ ] DPí-ir-wa IGI-an-da MU.KAM-ti-l[i 9’ [k(i-nu)]-un-åma¥-an kán ARAD÷I.A mKÙ.BABBAR ¦D©[(KAL) 10’ [(LÚM)]EŠ URUKa--li-u-wa-an-ta :øa-[(aš-pí-ir) 11’ [(nu-uš)]-ma-la-an A.ŠÀ A.GÀR i-e-e[(r)] 12’ [(na-a)] åan¥-ni-eš-kán-zi x _________________________________________________________________ 13’ ]DUG KA.DÙ ¦2©? [

343

lecture m’a suggéré des perspectives de recherche et des éléments de comparaison avec d’autres tablettes concernant le culte de cette divinité. IBoT II 131 fait partie de ces documents relatifs à l’administration religieuse hittite qui nous sont parvenus en grande quantité et dont la plupart remontent à l’époque de Tutøaliya IV. On y énumère des offrandes cultuelles dues à une époque antérieure, principalement par des villes et des villages, mais aussi par des particuliers et des catégories de personnes, soit à titre de tribut annuel,3 soit à l’occasion de fêtes;4 offrandes qui, dans certains cas que nous examinerons ensuite, tombent en désuétude. Pirwa est mentionnée fréquemment dans cette tablette,5 alors que d’autres divinités y sont rarement citées;6 en outre, l’une d’elles - dans laquelle, à mon avis, on doit reconnaître MUNUS.LUGAL7- pourrait être nommée ici pour ses liens avec Pirwa. Par conséquent, on peut penser avec quelques raisons que ce texte concernait l’organisation du culte de Pirwa.8 Comme je l’ai déjà fait observer, ce document, dont la translittération et la traduction seront données intégralement, accompagnées d’un commentaire, dans la monographie citée à la note 1, contient de nombreuses difficultés d’interprétation et les problèmes les plus variés. Le texte est souvent abîmé et l’on y trouve des inexactitudes de la part du scribe, comme l’omission de signes dans certains mots.9 Ro 5’, 6’ (?), 43’, Vo 19, 27; cfr. aussi Vo 23, 33. Ro 6’, 11’. 5 Ro 15’, 16’[, 17’, 21’, 25’, Vo 1[, 4, 7, 9, 14, 27. 6 DNIR.NIR.BI, Ro 6’: [AN]A åEZEN¥ MU.KAM-ti ŠA DNIR.NIR.BI DU?-x[;DU KARAŠ÷I.A, Ro 39’: v. p. 357; DZuliya, Vo 32[: v. p. 350; sur la divinité mentionnée avec Pirwa au Vo 4, 9, v. la note suivante. 7 Le nom de la divinité cité au Vo 4 et 9 avec Pirwa est très abîmé: dans la deuxième partie du nom on peut reconnaître le sumérogramme LUGAL; dans la première partie, après le déterminatif divin, les traces des signes dans l’édition du texte feraient penser à UTU (en effet dans le CHD 47 s.v. :larella on lit pour la l. 9. DUT[U LU]GAL), toutefois, la présence rapprochée de Pirwa me semble favoriser une restaurašion DMUNUS.LUGAL: (Vo 4) ¦n©-an-kán ANA DPírwa Ù ANA DMU[NUS!].LUGAL åBAL¥-anåti¥; (Vo 9) nu DPírwan :larella ANA DMU[NUS!.LU]GAL kattan (10) åGIŠ¥ZAG.GAR.RA-ni daninuwanzi. 8 V. CTH 518. 9 V. Ro 10’: 6 åUDU¥ 3 ME 48 NINDA.KUR .RA÷I.A ŠA 1/2! UPNI å12?¥ 4 NINDA. KUR4.RA aš-øu--aš; 27’: ...ŠA DPí-ir-...; 29’ ...3 åPA?¥ 3 4

344

I. PERSONNAGES ATTESTÉS DANS CE DOCUMENT Il est possible de dater ce texte de l’époque de Tutøaliya IV,10 non seulement sur la base de critères graphiques et linguistiques,11 mais aussi grâce à la mention de certains personnages ayant vraisemblablement vécu à cette époque-là. En effet, même si l’on ne peut identifier tous les anthroponymes qui s’y retrouvent,12 un examen prosopographique approfondi et la comparaison avec d’autres textes s’accordent avec la datation proposée ci-dessus. Dans la deuxième paragraphe du document en question, à la ligne 7’, on nomme ensemble Pallanna, Armaziti et Šaliyanu[(-); ceux-ci étaient tenus à célébrer des actes cultuels, mais, à partir d’un certain moment (v. plus loin p. 174) ils ne fournissent plus d’offrandes pour le culte: (7’) [k]inun-šmaš mPallannaš mArma-LÚ mŠaliyanu[(-) (8’) ŠA GIŠ D åINANNA¥ GAL eššer nu åÚL peš¥kanz[i] (9’) kuåit-wa?¥ ABI DUTUŠI åLUGAL¥-izziyatta nu ÚL åSUM-an¥[zi].13 Sur le dernier de ces personnages nous ne pouvons rien dire, son nom (NH 1641) n’étant, jusqu’à présent, attesté qu’ici et peut-être pas intégralement. Pallanna (NH 908), lui, peut probablement être identifié avec le prêtre homonyme (mPallannaš LÚSANGA) mentionné dans une liste d’offrandes à des divinités et/ou à leurs stèles.14 Ce document nous BA.BA...; 32’...åLÚ¥MEŠ -PI-IŠ GUŠKIN; v. en outre p. 353 sq. avec note 49 à propos de la possibilité d’un complètement ¦A©- LUGAL au Ro 31’. 10 V. HW2, 557b, 559a. 11 Avec la datation de ce texte à l’époque de Tutøaliya IV s’accorde également la présence dans celui-ci de termes et de formes louvites, quelquefois précédés aussi du signe de glose, comme :larella (Vo 8), terme jusqu’à présent attesté seulement ici et de sens obscur (v. à ce propos E. Laroche, Dict. Louv., 63 - où ce mot est indiqué comme un accusatif pluriel neutre - et CHD 47a) et (:)lapanalli (v. plus loin note 68); v. en outre dans le duplicat le verbe :øa[(špír). 12 De plus, quelques-uns de ces noms se retrouvent aussi dans des documents du Moyen-Royaume ou de l’époque de Šuppiluliuma I: cfr. S. Alp, Belleten 44 (1980) 53 sqq. et en particulier 57 sq., à propos des documents provenant de Ma$at. 13 J’aj compris le pronom personnel -šmaš à la l. 7’ comme équivalant à la particule de forme réfléchie -za (HE 1, §§ 103 et 251); sur -za iya- (dont ešša- est l’itératif) “célébrer, fêter (une divinité)”, v. HW, Erg. 1, 7. Sur l’interprétation de l’instrument musical GIŠ DINANNA comme “cithare”, v. S. de Martino, OA 26 (1987) 171 sqq. 14 KUB XII 2 (CTH 511) IV 1. Ce nom (Pa-la-na) est présent aussi en écriture hiéroglyphique sur un sceau et se retrouve également dans les documents de Ma$at: v. G. Beckman, JAOS 103 (1983) 625.

345

livre aussi d’autres noms de personnages15 ayant vécu à l’époque de notre tablette. Quant aux attestations du nom Armaziti,16 elles sont très fréquentes, que ce soit dans des documents provenant du monde hittite ou dans des textes d’origine syrienne. Il en est de différentes époques, mais la plupart remontent à ÷attušili III-Tutøaliya IV. J’ai déjà eu l’occasion de présenter ailleurs une hypothèse d’identification des individus portant le nom d’Armaziti sous ces deux souverains et d’exposer en détail l’activité et la carrière de ce personnage.17 Le nom de l’individu mentionné à la ligne 17’, mGI?-DåG¥ÌR?,18 chargé de s’occuper du culte de Pirwa (nu mGI?-DåGÌR¥? kuåwapi¥ D Píåårw¥an¥ EGIR-pa åta¥ninut [) est abîmé et par conséquent obscur. Un autre personnage dénommé Zu19 (Ro 27’) semble lui aussi chargé du culte de Pirwa. Il devait probablement présenter des offrandes annuelles, peut-être en relation avec un temple de la ville de Šippa, une localité liée à Pirwa (v. p. 351): (27’) [ ]x x GIŠKU x ŠA DPír mZûš MU.KAM-tili (28’) [ ]x peåškiz¥zi É.DINGIRLIM URUŠippa. Certes, nous ne possédons pas assez d’éléments pour soutenir l’identification de cet individu avec son homonyme, qui porte le titre de GAL LÚ GIŠGIDRU20 dans KBo X 10 (CTH 235.1) IV 10, un texte datant probablement lui aussi de l’époque de Tutøaliya IV et contenant une liste de femmes zintuøi21 fournies par des particuliers ou par des sièges administratifs en rapport avec la localité de Ulušna. Toutefois, cette identification n’a rien d’improbable, vu que ces documents remontent à la même époque et qu’on y pane des obligations cultuelles de ce personnage. D’autres documents aussi nous apprennent que la ville 15 Tarøuntapiya, Armapiya, Maraššanda, ÷utarla/i etc.: v. mon article dans FsPuglieseCarratelli, 84 note 29. 16 NH et Heth 4 (1981) Nr. 141; v. en outre FsPuglieseCarratelli, 79 note 1. 17 V. précisément FsPuglieseCarratelli, 79-94, et en particulier p. 90 sq. pour l’identification de ce personnage. La présence de Armaziti scribe dans KBo XIX 128 VI 36’ (CTH 625), un document où Pirwa est mentionnée plusieurs fois, ne semble pas avoir de signification particulière, vu que d’autres divinités y sont également nommées. 18 Il ne se trouve pas parmi les noms fragmentaires dans NH et Heth 4; une lecture 1 GILIM DGÍR ne s’accorde pas avec le contexte. 19 Il n’est cité ni dans NH ni dans Heth 4. 20 V. F. Pecchioli Daddi, MPD, 542: “capo degli araldi”. 21 V. dans RGTC 6, 185 la traduction de ce passage, et sa translittération dans MPD, 403.

346

de Ulušna devait livrer des offrandes et fournir du personnel pour le culte.22 Au Ro 38’ de notre texte on nomme aussi un certain Pittazzi,23 peutêtre chargé de présenter des offrandes pour le culte, mais son nom ne comparaît qu’ici. Trois autres personnages sont également mentionnés dans les trois derniers paragraphes de notre texte, Vo 24-33,24 malheureusement dans un contexte peu clair: _____________________________________________________ 24 [x U(DU? 2 DU)]G åKA¥.DÙ xa PA ZÍD.åDA¥.A mDAMAR.UD-LÚ 25 [L(Ú URU÷i-m)]u?-wab pe-[(eš)]-åki?-it? ŠA ITU¥.2.KAM ¦Ú©?-[UL? SUM-an-zi(?)c] _____________________________________________________ ] 26 [GIŠS(AR.GEŠTIN-za)] mDAMAR.DU-LÚ LÚ URU÷i-åmu¥-wa [ ¦D© 27 [ ] Pí-ir-wa IGI-an-da åMU¥.KAM-ti-li šar-re-e[š-ki?-it?] 28 [k]i-nu-un-ma-an-kán AR[(AD)ME]Š m÷a-ad-du-ša-DLAM[MA [ ] 29 åLÚ¥MEŠ URUGa-pí-li-wa-an-ta øa-aš-pí-ir 30 ånu¥-uš-ma-an A.ŠÀ A.åGÀR i-e-er¥ na-an an-ni-e[(š-kán-zi x?] _____________________________________________________ 31 2 MÀŠ 1? DUG KA.DÙ 2 [PA ZÍ]D.DA åARAD¥MEŠ m÷u-ra-[ 32 LÚ URUå÷a¥-zu-uš-ra åA.ŠÀ A.GÀR¥ ŠA DZu-li-[ya 33 ki-nu-na ka-a-aš åMU.6?.KAM-ti ku¥-it kar-åša¥-a[n _____________________________________________________ a) Il ne reste du chiffre qui devait se trouver devant PA qu’un clou vertical, mais l’espace et la comparaison avec le duplicat l. 4’ permettent de postuler une lecture 2. b) Une lecture (URU÷i-mu)]-u-wa, justifiable pour les traces de signes conservés, ne s’accorde ni avec la graphie de ce toponyme à la l. 26 ni avec celle que l’on trouve dans le duplicat l. 5’.

V. RGTC 6, 543 sq.: dans le district d’Ulušna était située aussi Gaparša, une localité dont nous parlerons encore, p. 353 avec note 43. 23 V. le passage rapporté plus loin, p. 357 avec note 57. 24 Et dans le duplicat Bo 3245 Vo 7’-13’, correspondant au Vo 24-31 de notre texte; de nombreuses restaurations de ce dernier ont été effectuées précisément sur la base du duplicat: cfr. note 2. 22

347

c) L’integration proposée pour la fin de la l. 25 s’accorde avec le contexte du duplicat l. 6’, même si ce dernier est formulé de manière différente. On doit alors supposer que la l. 25 continuait sur le bord, comme cela se retrouve plusieurs fois, même dans les lignes précédentes: v., par exemple, ll. 18, 22 etc.

On ne peut rien dire sur Šantaziti25 (mDAMAR.UD-LÚ, ll. 24, 26 et dupl. l. 7’, ainsi que dans la lacune à la fin de la l. 4’), homme de ÷imuwa, tenu de fournir des offrandes et de s’occuper du culte de Pirwa avec une certaine périodicité. Le toponyme ÷im(m)uwa26 se retrouve dans la documentation hittite dès l’Ancien-Royaume. Cette localité, dont Šantaziti est originaire, semble avoir eu une importance remarquable et, ailleurs aussi, elle présente des liens avec le milieu religieux. Par contre, la présence dans notre texte (Vo 28[ et dupl. l. 9’) de l’anthroponyme ÷attuša-LAMMA (÷attuša-Inara, lecture plus probable dans ce milieu que ÷attuša-Kurunta),27 dans un contexte assez obscur, est d’un intérêt tout particulier. On y parle des subordonnés (ARADMEŠ/÷I.A)28 de ce personnage. Ceux-ci, sur la base du kinun-ma “mais maintenant” de la l. ]28 (dupl. l. ]9’), semblent avoir remplacé Šantaziti dans ses obligations envers Pirwa. NH 1103. Un Šantaziti est mentionné également dans le texte relatif à Mida de Paøøuwa, KUB XXIII 72+ (CTH 146) Vo 32a, et peut-être aussi Ro ]94’(?), dans une liste de personnes considérées comme responsables du comportement de Paøøuwa; le passage où sont nommés Šantaziti et Muwatalli a été ajouté après que le texte eut été écrit. La datation de ce document est cependant très discutée: si l’on accepte l’hypothèse la plus suivie selon laquelle il remonte au Moyen-Royaume hittite, l’identification du Šantaziti ici présent avec celui de notre texte s’avère naturellement impossible. 26 Sur ce toponyme v. en dernier H. Otten, RlA 4 (1975) 323 s.v. ÷emuwa, et RGTC 6, 108 sq., avec bibliographie précédente. Cette localité jouit, avec d’autres, de privilèges particuliers (v. Lois Hittites § 54); on en craint des possibles influences sur Muršili I (v. Testament de ÷attušili I: HAB 8 sq., l. 61). A l’époque de Arnuwanda I elle est mentionnée parmi les lieux d’où les Gasgas ont emporté des offrandes et des objets cultuels (V. E. v. Schuler, Kašk., 156 sq., II 21). 27 Dans le duplicat: mKÙ.BABBAR D[(LAMMA). V. NH 348, et en outre Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 (1973) 254; on doit y ajouter maintenant l’attestation m÷aat-tu-ša-DLAMMA GAL GEŠTIN présente dans le nouveau traité sur tablette de bronze stipulé entre Tutøaliya IV et Kurunta de Tarøuntašša: Bo 86/299 IV 37; H. Otten, Bronzetaf., 26 sq. 28 Sur l’emploi de ARADMEŠ pour désigner le personnel subordonné à des personnages de haut rang, par rapport à LÚMEŠ, avec lequel on indiquait le personnel lié à un siège administratif on cultuel, v. mes observations dans SMEA 18 (1977) 53 sqq. 25

348

Le rapprochement avec certains passages du texte oraculaire KBo XIV 21 Ro II 57’, 66’, Vo III ]60’, 61’ (v. plus loin p. 363) frappe l’attention: un personnage homonyme, à mon avis le même que celui de notre texte, y semble tenu de célébrer la fête de l’année et de présenter des offrandes a Pirwa. Apparemment, il n’a pas tenu ses engagements, suscitant ainsi la colère divine. On remarquera qu’ici aussi (Vo III 61’), malheureusement dans un contexte très lacunaire, on parle de subordonnés (ARADMEŠ) de ce personnage. Je retiens également comme très probable l’identification du ÷attuša-LAMMA mentionné dans les deux textes cités précédemment avec son homonyme qui porte le titre de GAL GEŠTIN “grand du vin” - une importante charge militaire29 - dans la liste des témoins de deux traités internationaux, toujours de l’époque de Tutøaliya IV.30 Du reste, il est notoire que les dignitaires d’un rang élevé étaient tenus de pourvoir à l’administration religieuse par des offrandes ou par de la fourniture de main d’ouvre. Les manquements cultuels dont on parle dans le texte oraculaire indiqué ci-dessus étaient probablement dus à des oublis, ou encore à des abus exercés par ce dignitaire à son avantage personnel, fait assez fréquent dans les sociétés du Proche-Orient antique.31 Pour en revenir à notre texte administratif, on ne sait pas clairement si le ÷attuša-LAMMA qui y est nommé était de quelque façon lié aux habitants de Gapilawanta (une localité jusqu’à présent non attestée par ailleurs: v. note 36), qui, semble-t-il, s’étaient emparés de champs et les cultivaient, peut-être en faveur de Pirwa (Vo 29-30). Une autre difficulté est représentée par le sens de la forme verbale øašpir “ils détruisirent” dans ce contexte: peut-être s’agissait-il de terres acquises par les armes? Rappelons à ce propos que les hauts dignitaires et les fonctionnaires du royaume avaient la possibilité de se former ainsi de vastes patrimoines fonciers.32

29 Sur ce titre et sur sa signification dans la documentation hittite, v. en dernier lieu S. Rosi, Studi e Ricerche 2 (1983) 48 sqq., avec la bibliographie précédente. 30 C’est-à-dire dans les traités stipulés par ce souverain avec Kurunta (v. plus haut note 27) et avec Ulmi-Teššup (KBo IV 10 [CTH 106] Vo 31) de Tarøuntašša. 31 V. mes observations à ce sujet dans Šaøur. (1974) 46 sq.; JESHO 25 (1983) 256; et dans Stato, Economia, Lavoro (1988) 226 sqq. 32 V. note précédente.

349

Dans le dernier paragraphe de notre texte (Vo 31-33) nous voyons que les subordonnés (ARADMEŠ: v. note 28) de ÷ura[, homme de ÷azušra, devaient, eux aussi, fournir des offrandes destinées au culte. Nous ne savons rien sur ce ÷ura[, et cela parce que son nom, probablement fragmentaire,33 n’apparaît qu’ici. Sur la localité ÷a(n)zušra aussi34 nous savons bien peu, même en ayant recours à d’autres textes. Dans le paragraphe en question on parle aussi de terres de la divinité Zuliya,35 malheureusement dans un contexte lacuneux et obscur. On affirme, en conclusion de ce paragraphe, que maintenant (kinun), depuis un certain nombre d’années, cette obligation cultuelle a cessé d’être observée. II. TOPONYMES MENTIONNÉS DANS CE TEXTE Dans le document que nous étudions on mentionne de nombreuses localités, principalement à propos de la célébration de fêtes ou de la fourniture d’offrandes pour le culte; beaucoup d’entres elles, malheureusement, ne sont nommées que dans ce texte.36 Les toponymes qui se retrouvent aussi ailleurs sont: Tiwaliya (Ro 12’), Išuwa (Ro 12’), Ankušna (Ro 24’), Šippa (Ro 28’), Gaparša (Ro 33’), Ala (Ro 41’), Ikšuna (Ro 44’, 45’), ÷imuwa (Vo 26), ÷azušra (Vo 32). Quelques-unes de ces localités ont pour nous un intérêt tout particulier, surtout parce qu’elles se retrouvent dans d’autres textes en rapport avec le culte de Pirwa. Ankušna (RGTC 6, 19) est nommée aussi dans KBo XIV 21 I 3’, 15’, 31’ (v. p. 187) à propos de fautes cultuelles commises par Palla, homme de Ankušna, précisément envers Pirwa et en

NH 1608. V. H. Otten, RlA 4 (1973) 111 s.v. ÷anzušra, et RGTC 6, 79: nous savons seulement que quelques biens donnés par Arnuwanda et Ašmunikal à Kuwatalla en faisaient partie et que de là provenaient des étoffes et des vêtements. 35 E. Laroche, Rech. (1946-1947) 41. 36 On ne trouve que dans ce texte la mention des localités Parzaliuwa[(-), Ro 5’, RGTC 6, 305; Ariwašuøi(-), Ro 13’, RGTC 6, 37; Šaššuna, Ro 30’, RGTC 6, 356; Aøla, Ro 32’, RGTC 6, 2; ÷aniyara, Ro 35’, RGTC 6, 75; Ištuna, Ro 36’, RGTC 6, 154; ÷apušna, Ro 39’, RGTC 6, 82; Gakkalna (?), Ro 43’, RGTC 6, 161; ÷ayanziya, Ro 46’, RGTC 6, 63; Palantarišša, Vo 22, RGTC 6, 322; Gapiliwanta, Vo 29, RGTC 6, 174. La montagne Liøša (v. note 62) n’est, elle aussi, attestée qu’ici. 33 34

350

relation avec une amende imposée aux gens de Ankušna, peut-être parce que toute la ville était impliquée dans la faute de Palla. Ikšuna (RGTC 6, 137) est mentionnée dans notre texte dans un passage malheureusement lacuneux; on y parle de la réglementation d’offrandes et, peut-être aussi, d’un temple de Ikšuna, vraisemblablement consacre à Pirwa, divinité vénérée dans cette ville: Pirwa de Ikšuna est en effet citée aussi dans la prière de Muwatalli, KUB VI 45 II 63 = 46 III 30 (CTH 381). Ikšuna se trouve également dans KBo XIV 21 II 11’, où l’on parle de Zababa de Ikšuna dans un passage abîmé de la tablette: toutefois, il s’agit toujours d’un document qui semble axé surtout sur Pirwa (v. plus loin p. 362). La ville de Šippa est elle aussi liée au culte de Pirwa: dans notre texte on parle d’un temple de cette localité, dans un paragraphe précisément relatif à l’organisation cultuelle de cette divinité (v. p. 346). De plus, au cours d’une des cérémonies qui se déroulaient durant une fête du mois, KUB II 13 (CTH 591.5) VI 8, nous voyons le roi accomplir des actes rituels pour Pirwa de Šippa, tandis que chante le chanteur de Kaniš, et l’image de Pirwa de Šippa nous est décrite dans KUB XXXVIII 4 (CTH 514) Ro I 1. Šippa est aussi mentionnée dans le texte oraculaire KBo XVI 97 (CTH 571) Vo 38. Tiwaliya (RGTC 6, 431) est citée dans notre document à propos d’offrandes cultuelles (plusieurs sortes de pains et de la bière) qui devaient être fournies, probablement durant la célébration de la fête de la récolte, par cette ville du (= de la part du/au nom du/appartenant au/sous la juridiction du) roi de Išuwa: Ro (10’) 6 åUDU¥ 3 ME 48 NINDA.KUR4.RA÷I.A ... (11’) ... å19?¥ DUG KAŠ EZEN øarpaš (12’) URU Tiyawaliyaš ŠA åLUGAL¥ URUIšuwa eššešta. Cette ville se retrouve aussi dans d’autres textes contemporains du notre, principalement des documents concernant l’administration religieuse. En effet elle est mentionnée dans un inventaire cultuel relatif à diverses localités (KUB XXXVIII 10 IV 25[),37 qui date de l’époque de Tutøaliya IV. De plus, elle est citée dans une liste de chanteuses appartenant à différents palais et fournies par des villes et des villages ou des particuliers, dans un texte probablement de la

37

CTH 510; v. L. Rost, MIO 8 (1963) 196.

351

même époque (HT 2 III 13 = KBo II 31 Ro 18’).38 Cette localité est attestée encore, avec d’autres, dans un décret promulgué par Tutøaliya IV et sa mère Puduøepa à propos de certains biens assignés par Šaøurunuwa aux enfants de sa fille (KUB XXVI 43 Ro 33, 34, 35 et dupl. XXVI 50 Ro 27’).39 Dans KUB XXVI 43 Ro 33 Tiwaliya est indiquée à proximité de Pala(p)palašša, que E. Laroche situe dans la région septentrionale du ÷atti.40 Quoi qu’il en soit, d’autres documents ne nous apprennent ni pour Tiwaliya ni pour les autres localités que nous examinerons ci-dessous, si elles avaient quelques liens particuliers avec Pirwa. Remarquons que dans notre texte, comme dans d’autres datant toujours de la même période, le roi de Išuwa semble de quelque manière en rapport avec le culte de cette divinité: en effet, dans KUB XXVII 13 (CTH 698.1.B) IV 17 sq., on mentionne ensemble les hommes du sanctuaire rupestre de Pirwa et les subordonnés du roi de Išuwa, qui ont la charge de s’occuper du culte de deux autres sanctuaires rupestres.41 Rappelons également que dans KBo XII 140 (CTH 521.7) sur le bord gauche ll. 1-4 on lit que le roi du pays de Išuwa, avec certains dignitaires de haut rang, a rédigé l’inventaire cultuel-administratif contenu dans la tablette (ce souverain y est également mentionné au Ro 4 et peut-être 5[); dans ce document aussi est nommé le sanctuaire rupestre de Pirwa de Tu[døaliya(?)].42 En ce qui concerne la ville de Gaparša (RGTC 6, 173 sqq.), elle est mentionnée, tout comme Tiwaliya, dans la liste de chanteuses HT 2 IV 19, d’où il ressort qu’elle fait partie du district d’Ulušna. Nous avons déjà

CTH 235; v. aussi MPD, 429. CTH 225; v. Šaøur. 28 sq. et 84 sq. 40 GsKretschmer Nr. 41; v. également RGTC 6, 431 et 298. 41 (17) NA4øegur annarin NA4øegur muwattin-a (18) LÚMEŠ NA4øegur Pírwa ARADMEŠ LUGAL URUIšuwa-ya ešša[nzi]; cfr. SMEA 18 (1977) 52 sqq. et en particulier 55 sqq. 42 V. SMEA 18, 50 sq. avec note 113. Pour la position de relief du roi de lšuwa dans le milieu cultuel hittite à l’époque de ÷attušili III et de Tutøaliya IV, v. H. Klengel, OA 7 (1968) 63-76; v. aussi SMEA 18, 56 sq. Sur Išuwa v. J. Garstang-O.R. Gurney, Geography, 43 sqq.; H. Klengel, RlA 5 (1977) 214 sqq.; RGTC 6, 154 sqq. Pour l’hypothèse de l’interprétation du sanctuaire rupestre mentionné ci-dessus comme le mausolée de Tutøaliya IV, v. SMEA 18, 59 sqq. 38 39

352

fait allusion à ce pays en parlant de Zu (v. notes 21, 22); on en propose la position au sud de Yozgat.43 Ala (RGTC 6, 5) est nommée aussi dans KUB XXVI 43 Ro 2344 où, avec d’autres localités, elle est située dans le pays de ÷arziuna (RGTC 6, 93), dont l’emplacement est encore discuté. Quant à ÷i(m)muwa et à ÷a(n)zušra, v. notes 26 et 34. III. PASSAGES SIGNIFICATIFS OU PROBLÉMATIQUES J’ai déjà mis en relief la présence dans ce texte de passages qu’on devine intéressants, mais sur lesquels on ne peut pas toujours proposer d’hypothèses clarifiantes. Je me limiterai ici à discuter ceux qui me semblent les plus stimulants ou simplement les plus problématiques. Dans le deuxième paragraphe de ce document (Ro 7’-9’), cité à la p. 345, on lit cette expression: (9’) kuåit-wa?¥ ABI DUTUŠI åLUGAL¥izziyatta x nu ÚL åSUM¥-a[nzi],45 laquelle prèsente des difficultés d’interprétation. En effet, on peut comprendre cette phrase de deux manières: ou “depuis que le père du Soleil gouverna comme roi, on ne fourn[it] (plus)”,46 et ainsi on fait allusion à une décision prise par le père du souverain régnant à l’occasion de son intronisation (v. plus loin), ou “ce qui (concerne ce qui fut établi quand) le père du Soleil gouverna comme roi, on ne fourn[it] (plus)”,47 faisant ainsi allusion à une décision du souverain actuel. ASVOA 4.3 (1986), dans la liste de toponymes s.v. V. Šaøur., 26 sq. et 78. 45 La lecture -wa du signe après kuit (de même aussi E. Neu, StBoT 5, 109) ne semble pas très convaincante, également pour la comparaison avec des expressions analogues dans ce document, mais une lecture -ši ne s’accorde pas avec le contexte. Après LUGAL-izziyatta on trouve un signe très abîme; j’ai pu collationner la tablette en question au Musée Archéologique de Istanbul, grâce à la courtoisie de son Directeur, et il ne me semble pas que les traces de ce signe visibles dans le texte et l’espace avant nu justifient l’hypothèse d’une lecture -at (v. E. Neu, StBoT 5, 109 note 5); du reste le temps au passé s’accorde aussi avec le passage analogue au Ro 31’: peut-être ce signe pouvait-il avoir été écrit par erreur et puis effacé. 46 Pour la possibilité de comprendre kuit dans le sens de “depuis que, après que” v. HW 114b; cfr. aussi RGTC 6, 431 et 174. 47 E. Neu, StBoT 5, 109, traduit ainsi: “was (das nun anbetrifft, daß) der Vater meiner Sonne als König herrschte”; cfr. en outre la même formule abrégée au Ro 14’, 34’ et au Vo 20; v. aussi HW 557b et 559a. 43

44

353

Vu que, pour divers motifs, on peut dater IBoT II 131 de l’époque de Tutøaliya IV, le père du Soleil qui y est mentionné doit être ÷attušili III (v. aussi HW2, 557b e 559a). Par conséquent, si pour le passage en question on accepte la première hypothèse, on se référerait à des exemptions de charges cultuelles accordées par ÷attušili III à certaines localités ou à des individus au moment de sa montée sur le trône, ou parce que ces charges étaient devenues trop lourdes pour eux,48 ou parce qu’il voulait, de cette façon, s’assurer un consensus le plus vaste possible (naturellement, ces deux motifs ne s’excluent pas l’un l’autre). Du reste, nous possédons de nombreux textes rédigés par ce souverain où il accorde des exemptions ou des privilèges à des particuliers ou à des organisations. Dans la deuxième hypothèse on voudrait, au contraire, souligner le fait que Tutøaliya IV, le souverain d’alors, avait concédé à certaines organisations ou à des particuliers des exemptions de charges établies par son père au moment de son intronisation. Une expression analogue à celle que nous avons examinée ci-dessus se trouve aussi au Ro 31’ où, après avoir énuméré les offrandes que la ville de Šaššuna devait fournir, on dit: ] ¦A©? DUTUŠI LUGALiznani ešat nu ÚL SUM-anzi49 “] le p du Soleil s’installa dans la fonction royale, on ne fournit (plus) “; pour la restauration “p du Soleil, v. note 49; en effet, une référence explicite au souverain régnant, même si elle est possible, constituerait un cas unique dans ce texte. Au Ro 14’ et 34’ on trouve une formule à mon avis semblable à la précédente, même si elle est énoncée de manière plus concise: ŠA UD.KAM ABI DUTUŠI ÚL SUM-anzi; et encore au Vo 20 où, toutefois,

48 Cfr., par exemple, la situation exposée dans ABoT 57 (CTH 97: v. Šaøur. 158160), où l’on dit précisément que LAMMA (= Kurunta), roi de Tarøuntašša, et son pays n’étaient plus en mesure de soutenir la charge du šaøøan établie par Muwatalli en faveur des divinités de Tarøuntašša, en conséquence de quoi ÷attušili III leur accorde l’exemption de certaines obligations militaires. 49 Immédiatement après la lacune au début de la ligne on voit sur la tablette et aussi dans l’édition de celle-ci un clou vertical, ce qui ne justifie pas une restauration AB]I, comme au contraire nous nous attendrions en accord avec les passages analogues cités a la note 47; ainsi en effet également dans HW2 557b. Je me demande alors si l’on ne doit pas postuler ici aussi l’omission d’un signe de la part du scribe, comme dans d’autres parties du texte (v. note 9) et supposer une lecture du genre: ¦A©-.

354

cette expression est précédée de kinun-a “mais/et maintenant”.50 Tout comme précédemment, on peut interpréter ce passage de deux façons: ou “à partir du jour du père du Soleil on ne fournit (plus)”,51 ou “mais maintenant ce qui (est) du jour du père du Soleil (= ce qui a été établi le jour du père du Soleil) on ne fournit (plus)”; la présence de kinun-a au Vo 20 joue en faveur de cette dernière interprétation. On peut rapprocher de cette formule celle que l’on trouve au Ro 40’, 41’, 44’, 47’, Vo 5: kinun-a ÚL SUM-anzi “mais/et maintenant on ne fournit (plus)” où, toutefois, on ne fait aucune allusion au père du Soleil. Pour les cas considérés dans ces passages, ou il n’y avait aucun rapport avec un événement relatif au père du Soleil, ou cet événement était sousentendu. Le fait que au Vo 20 on mentionne encore cet événement et que l’on y trouve aussi l’expression kinun-a52 pourrait rendre plausible cette deuxième hypothèse, cependant la présence de kinun dans quelques-unes de ces phrases dénonce, à mon avis, l’intention de souligner une situation nouvelle. Quelle que soit l’interprétation choisie, on ne peut pas considérer les passages examinés, vu le caractère administratif du document en question, comme de simples topoi littéraires dans un but de propagande: il doit plutôt s’agir de véritables décisions ou de comptes rendus de situations réelles, quand bien même, dans certains cas, elles seraient causées par des motifs de propagande politique. Quelques-uns des problèmes exposés ici pourraient trouver des éclaircissements grâce à une meilleure connaissance de la situation, précédente et actuelle, des localités mentionnées dans ces passages, mais malheureusement les recherches dans ce sens n’ont, jusqu’à présent, donné aucun résultat (v. p. 350 sq.). 50 Sur le sens des paragraphes qui se terminent aux lignes 14’ et 34’ nous reviendrons encore: v. p. 177 sq. 51 V. aussi RGTC 6, 431 s.v. Tiwaliya et 174 s.v. Kaparša. 52 Toutefois, au cas où l’on ferait allusion dans ces passages à des situations étrangères à des interventions royales, on pourrait alors penser que ces localités ou ces personnes n’accomplissaient plus leurs devoirs ou pour des motifs économiques ou pour des raisons politiques, peut-être aussi en conséquence d’incursions ou de dominations ennemies: rappelons, à titre d’exemple, le passage de la célèbre prière de Arnuwanda et de Ašmunikal (CTH 375, III 12 sq.: v. Kašk., 158 sq.) où l’on dit que certaines localités occupées par les Gasgas ne sont plus à même de respecter leurs obligations pour le culte.

355

Nous trouvons dans notre texte deux passages intéressants, mais eux aussi problématiques: Ro 10’-14’, 32’-34’; après avoir énuméré ce que certaines localités ou catégories de personnes devaient offrir ou faire pour le culte, on y parle du départ d’une localité pour s’installer dans une autre, une fois à propos de personnes pas très bien définies,53 une autre fois à propos de membres d’une catégorie artisanale spécialisée, comme celle des orfèvres. Suit la formule que nous avons discutée ci-dessus: Ro (10’) 6 åUDU¥ 3 ME 48 NINDA.KUR4.RA÷I.A ŠA 1/2! UPNI å12?¥ NINDA.KUR4.åRA¥ ašøuaš54 (11’) ŠUŠI NINDA.KUR4.RA øazi¦l©aš å19?¥ DUG KAŠ EZEN øarpaš (12’) URUTiwaliyaš ŠA åLUGAL¥ URUåIšu¥wa eššesta (13’) kinun-ma-at-kán arøa paåir¥ INA Ariåwaš¥šuåøi¥(-)[ (14’) EGIR-an ašanzi ŠA UD.åKAM¥ ABI DUTUŠI ÚL SUM-anz[i] “(10’) 6 moutons, 348 pains gros/levés (du poids) de 1/2? upnu, 12? pains gros/levés de ašøuma, (11’) une soixantaine de pains gros/levés (du poids) de un øazil, 19? récipients de bière, la fête de la récolte (12’) la ville de Tiwaliya du (= de la part du/au nom du i appartenant au/sous la juridiction du) roi de Išuwa célébrait d’ordinaire, mais maintenant ils sont partis, dans la ville de Ariwašuøi(-)[ (14’) après cela ils sont (= habitent), à partir/ce qui (est) du jour (de l’intronisation) du pere du Soleil on ne fourn[it] (plus)”; (32’) 1? UDU 15 NINDA.KUR4.RA 2 DUG KAŠ åURU¥Aølaš åLÚ¥MEŠ PIŠ GUŠKIN (33’) arøa-at-kán ¦p©anteš ANA URUGaparša-åat¥-kán EGIR-an (34’) ŠA UD.KAM ABI åDUTU¥ŠI ÚL SUM-anzi “(32’) 1? mouton, 15 pains gros/levés, 2 récipients de bière les travailleurs de l’or de la ville de Aøla (fournissaient d’ordinaire), (33’) ils (sont) partis, à la (= dans la) ville de Gaparša après cela ils (sont/habitent), (34’) à partir/ce qui (est) du jour (de l’intronisation) du père du Soleil on ne fournit (plus)”. J’ai interprété l’expression EGIR-an ašanzi de la l. 14’ dans le sens de “après cela ils habitent”; de même aussi dans RGTC 6, 431 s.v. Tiwaliya: “wohnen”. Au Ro 33’, dans un contexte analogue, on trouve seulement EGIR-an; en outre le toponyme (Gaparša) y est précédé de ANA au lieu de INA (Ro 13’). C’est peut-être à cause de la présence de ANA que On ne comprend pas s’il s’agissait ici des habitants de Tiwaliya ou seulement de personnes chargées dans cette localité de fournir des offrandes de la part du roi de Išuwa. 54 La restauration aš-øu--š m’a été aimablement suggérée par lettre par H. Otten; sur ce terme v. HW2, 399b. 53

356

dans RGTC 6, 174 s.v. Kaparša on interprète cette ligne et la successive de la façon suivante: “ Sie sind weggegangen; seit den Tagen des Vaters Seiner Majestät liefern sie es der Stadt K. nicht (mehr)”; toutefois, il me semble qu’on doit tenir compte de la présence de EGIR-an et de l’analogie de ce passage avec Ro 13’ sq. (v. à ce propos RGTC 6, 431); de plus, le fait qu’on ne fournit plus quelque chose à une ville représente une anomalie dans ce document.55 Selon moi, il faut pour Ro 33’ aussi, sur la base de la comparaison avec le contexte de Ro 13’ sq., sous-entendre ašanzi après EGIR-an et interpréter de manière analogue les deux passages examinés.56 L’expression EGIR-an ašanzi se retrouve aussi au Ro 39’, dans un contexte différent: (38’) 1 GUD 6 UDU ŠUŠI NlNDA. KUR4.RA 5 DUG KAŠ ¦Ù©? ŠA mPittazzi (39’) DU KÀRAŠ÷I.A INA URU÷apušna EGIR-an ašanzi (40’) kinun-a ÚL SUM-anzi. A mon avis, on doit sous-entendre la préposition ANA devant la mention du dieu de la Tempête des armées et la forme verbale peškir après le nom de cette divinité, selon une formulation qui se répète plusieurs fois dans ce texte, et comprendre ce passage de la façon suivante: “(38’) 1 bœuf, 2 moutons, une soixantaine de pains gros/levés et (?) 5 récipients de bière (de la part) de Pittazzi (39’) (au) dieu de la Tempête des armées (ou bien: (au) dieu de la Tempête des armées de Pittazzi)57 (on fournissait d’ordinaire) dans la ville de ÷apušna après cela ils habitent et maintenant on ne fournit (plus)”.58 La cause du changement de localité dont on parle au Ro 13’ et 33’ reste difficile à comprendre. En ce qui concerne la ville de Tiwaliya nous avons vu (p. 351) qu’elle est mentionnée dans différents documents Dans HW2, 559a on entend précisément EGIR-an au Ro 14’ et 33’ dans le sens de “danach (seitdem)”. 56 Tout au plus on pourrait traduire le passage de la l. 33’ “à la ville de Gaparša après cela ils (sont = appartiennent)”, en comprenant toujours que les personnes en question habitent dans cette ville. 57 Cfr. Ro 12’: Tiwaliya (de la part) du roi de Išuwa; cependant on pourrait aussi comprendre “au dieu de la tempête des armées de Pittazzi” et au Ro 12’ “Tiwaliya du (= sujette au/sous la juridiction du ) roi de Išuwa”: cfr. RGTC 6, 82 (v. la note suivante) et 431. 58 Dans RGTC 6, 82 s.v. ÷apušna, on traduit ce passage de la façon suivante “ . . . weigert man sich (dem) Wettergott des Heeres des Pittazzi in ÷. (zu geben) (?); nun liefert man (es) nicht”; cependant, je pense qu’on doit, ici aussi, faire un rapprochement avec le Ro 14’. 55

357

relatifs à l’administration religieuse de l’époque de Tutøaliya IV; toutefois nous ne possédons aucun renseignement ni sur une évacuation d’individus de cette localité ni sur des motifs d’ordre politique, économique ou militaire (comme une invasion ennemie) qui pourraient l’avoir provoquée. En ce qui concerne les orfèvres, un déplacement de leur part en tant que travailleurs indépendants et itinérants semble improbable, dans la mesure où les artisans qui travaillaient dans un secteur de ce genre - chez les Hittites comme, en général, chez les autres peuples du Proche-Orient antique - faisaient partie, vu le haut niveau de leur spécialisation, de l’administration du palais et du temple. En outre, quant aux déplacements d’artisans qui travaillaient pour leur propre compte, nous sommes peu informés en raison de la sphère de provenance de notre documentation; toutefois il devait alors s’agir d’artisanat mineur. Dans le passage examiné ci-dessus la crédibilité la plus grande va à l’hypothèse d’un transfert de main d’ouvre spécialisée de la part du pouvoir central, pour des raisons administratives ou autres. En effet, si la tendance générale était de concentrer les activités artisanales à l’intérieur des agglomérations urbaines, différents motifs pouvaient toutefois contribuer à la décentralisation de quelques-unes de ces activités. Prenons comme exemple le cas de Kizzuwatna, un centre très important pour la production hittite du fer;59 dans cette région devaient vraisemblablement être déplacés des artisans dépendant du palais, spécialisés dans ce travail. Il est également difficile d’expliquer pour quelles raisons ces personnes, après avoir changé de lieu de résidence, ne fournissaient plus d’offrandes pour le culte. Peut-être s’agissait-il d’un privilège accordé par le père du Soleil aux habitants de Tiwaliya - ainsi qu’au roi de Išuwa - et à des artisans spécialisés, même si, d’ordinaire, les exemptions étaient accordées en ce qui concernait l’État et non pas pour ce qui était dû au culte.60

Comme le montre une lettre probablement écrite par ÷attušili III, il s’y trouvait aussi un entrepôt royal “maison du sceau”, où l’on conservait les objets réalisés dans ce métal: v. KBo I 14 (CTH 173) Ro 20-24; cfr. A. Goetze, Kizz., 28 sq., ainsi que C. Zaccagnini, dans L’Alba della Civiltà II, Roma 1976, 305. 60 Cfr. Šaøur., 169 avec note 83. 59

358

Il faut toutefois considérer que, à l’époque de Tutøaliya IV, Tiwaliya devait, dans d’autres situations aussi, s’acquitter d’obligations cultuelles (cfr. p. 351) et c’est peut-être précisément pour ce motif qu’elle pouvait avoir été déchargée de certains devoirs. Cependant, dans les paragraphes en question le fait de ne plus accomplir des obligations semble plutôt, à mon avis, lié au changement de lieu de résidence. Il serait plus plausible de penser que ces personnes, qui avaient dû changer de localité pour quelque motif particulier, n’étaient plus tenues de remplir certaines charges peut-être liées de quelque manière à leur résidence précédente (ou encore, ne pouvaient plus, à la suite de ce changement, être en mesure de remplir leurs obligations antérieures). Le paragraphe Ro 15’-28’ présente lui aussi de nombreuses difficultés d’interprétation, dues en partie a ce qu’il est abîmé en plusieurs endroits. On y parle spécifiquement, semble-t-il, de la réorganisation administrative du culte de Pirwa,61 dont était chargé un personnage au nom peu clair (l. 17’); v. p. 346 sq. Les lignes 21’ et suivantes sont particulièrement intéressantes: on y fait allusion, apparemment, à un dépôt administratif relatif au culte de Pirwa. On y déclare en effet que “la montagne Liøša62 a/tient les tablettes en bois scellées de Pirwa”, c’est-à-dire des documents de comptabilité concernant le culte de cette divinité, où vraisemblablement on recensait les biens qui lui appartenaient et ce qui lui était dû. Le dépôt devait aussi servir de lieu d’entrepôt pour ces biens, par exemple du bois de différentes sortes à étaler devant l’autel: (21’) ÷UR.SAGLiøšaš GIŠ.÷UR šiyanteš ŠA DPí…wa øarzi (22’) IZZU GIŠwaršaman GIŠúep!pí-åya¥ [ ]x ANA GIŠZAG.GAR.R[A] (23’) išpárrummanzi pê øarkir... On mentionne

Au Ro 15’ on trouve la première attestation de Pirwa dans ce document; on remarquera toutefois que le paragraphe initial de la tablette est très lacuneux. Au début du passage en question (l. 15’) il semble qu’on fasse allusion à des personnes qui (sont) allées (pânteš) s’occuper d’une ou de plusieurs (?) vignes pour/de Pirwa (ANA DPírwama GIŠåSAR¥.GEŠTI[N ] x x x panteš); dans RGTC 6, 19 s.v. Ankušna on interprète ce passage différemment. Le texte parle ensuite de 2 pithoi, l’un pour Pirwa, l’autre pour une divinité dont le nom se trouve dans une lacune (peut-être la déesse Reine? Cfr. note 7 à propos de Vo 4 et 9). 62 Il s’agit de la seule attestation de cette montagne: v. H. Gonnet, Mont. As. Min. (1968) 130, et RGTC 6, 246. 61

359

ensuite, dans un contexte obscur, la ville de Ankušna63 (l. 24’), puis on déclare (l. 25’ sq.) que ce matériau, le bois - le même que celui qui est cité aux lignes 22’ et sq. - on ne le fournit plus. En outre - mais le texte est lacuneux et le contexte obscur - on énonce, semble-t-il, ce que Zu continue à fournir annuellement pour Pirwa et on mentionne également le temple de la ville de Šippa (v. p. 346). On remarquera que l’on nomme dans ce paragraphe, qui parle explicitement de l’administration du culte de Pirwa, Ankušna et Šippa, deux localités qui sont liées à cette divinité dans d’autres documents aussi (v. p. 350 sq.). Enfin, l’existence d’un siège administratif pour le culte de Pirwa situé dans la montagne Liøša est significative, non seulement parce qu’elle atteste l’importance de cette divinité à cette époque, mais aussi - et surtout - pour le fait que le siège se trouvait dans une montagne et qu’on y conservait du bois et des objets en bois, matériau lié principalement à des régions montagneuses.64 À ce sujet, rappelons que plusieurs spécialistes ont proposé de rechercher l’étymologie du nom de la divinité Pirwa dans le champ sémantique de “pierre, rocher”.65 Du reste, d’autres documents contemporains du notre nous parlent d’un sanctuaire rupestre de Pirwa - NA4øékur (D)Pírwa66 - une institution cultuelle qui, nous le savons, a eu une certaine importance à cette époque. Il est difficile d’expliquer la désinence d’accusatif de ce toponyme devant kišat; v. aussi la traduction dans RGTC 6, 19. Tout ce passage sera amplement discuté dans la monographie citée à la note 1. 64 A première vue, il pourrait paraître significatif que, également dans un document où ÷attušili III accorde au sanctuaire rupestre de Pirwa (v. note 3) l’exemption de diverses charges, on parle aussi de l’exemption de la fourniture d’objets en bois (GIŠŠÀ.LAMMA GIŠBU-BUTI [GIŠwaršamma]: KBo VI 28 Vo 23, v. SMEA 18 [1977] 40), peut-être des pièces de char et du bois à brûler (le terme GIŠwaršamma est aussi dans notre texte); cependant l’exemption de la fourniture d’objets en bois se trouve également dans d’autres textes ayant des destinataires différents: v. A. Goetze, NBr., 54 sq. et notes, et Šaøur., 107 sqq. 65 V. en dernier lieu E. v. Schuler, Wörterbuch der Mythologie I, Stuttgart 1965; 2 1983 , 190 sq.; F. Imparati, SMEA 18 (1977) 38 sq. avec note 63; R. Lebrun, Studia P. Naster II, Louvain 1982 (= OLAn 13) 126 sq. avec note 14. 66 V. à ce sujet F. Imparati, SMEA 18, 19 sqq., et en particulier 39 sqq.; D. Silvestri, AION 5 (1983-84) 291-305, interprète différemment le terme øékur; en dernier lieu H. Otten, dans Bronzetaf. (1988) 42, traduit NA4øékur par “Felsanlage”. 63

360

En outre il est significatif, selon moi, que dans KBo XIV 21 Ro I 15’, document datant lui aussi de Tutøaliya IV, à propos de l’imposition, précisément aux “gens de Ankušna”, d’une amende de pain et de bière, on spécifie, semble-t-il, “en plus du bois”67 (LÚMEŠ URUAnkušna-ya ANA IZZIN IŠTU NINDA KAŠ zankilanzi), ce qui fait présumer qu’on offrait d’ordinaire ce matériau à cette divinité (v. plus loin p. 368). Un autre passage de notre texte (Vo 6-21) est difficile à comprendre: on y parle, apparemment, de la célébration de cérémonies rituelles dans lesquelles Pirwa est impliquée. En effet on accomplit plusieurs actions comme, entre autres, le déplacement de l’image de cette divinité. En plus du prêtre, les bergers lapanalli participent à ces actions; ceux-ci étaient également tenus de fournir des offrandes annuelles à cette divinité, mais maintenant “à partir du/ce qui (est) du jour du père du Soleil (v. p. 354) on ne fournit (plus)”. L’interprétation du terme lapanalli comme berger lié au milieu montagneux (berger d’alpage) s’accorde avec ce que nous avons remarqué ci-dessus.68 IV. RAPPROCHEMENT AVEC LE TEXTE ORACULAIRE KBo XIV 21 Divers éléments de notre texte et certains problèmes apparus lors de sa lecture trouvent une correspondance dans une autre tablette à laquelle j’ai déjà fait allusion plusieurs fois. Je reviens à présent sur ce document pour en tirer, là où ce sera possible, un appui pour quelques-unes des hypothèses formulées durant cette étude ou pour éclaircir les doutes qui se sont manifestés au cours de celle-ci. Il s’agit de KBo XIV 21 (CTH 565), un texte contenant des consultations oraculaires effectuées au moyen du système divinatoire KIN, dans le but Ainsi également dans RGTC 6, 19: “außer dem Holz”. Sur les bergers (:)lapanalli, mentionnés dans notre texte au Ro 42’ et au Vo 10, 11, 17, 22, V. MPD, 18: “pastori (di montagna)”; cfr. aussi 20 sq., s.v. LÚ MÁŠ.GAL. V. aussi CHD 40 sq. (cfr. en outre, toujours dans CHD loc. cit. s.v. lapana-, et 88a s.v. luššanu-, où l’on translittère Vo 10’-12’; à la l. 11’ on doit corriger LÚ.M[EŠap]analli÷I.A-ša en LÚ.M[EŠap]analli÷I.A-uš): “herdsman (on summer pasture)”. V. également RGTC 6, 322 s.v. Pulantariša, où l’on traduit le terme en question par “die Senner”. V. aussi en dernier H. Otten, Bronzetaf., 66, avec bibliographie, qui traduit (::)lapana- avec “Alm”; v. encore 16 sq. et 46 sq. 67

68

361

de connaître le manquement à certaines obligations cultuelles principalement envers une divinité en qui, sur la base du contexte, nous pouvons reconnaître Pirwa, même quand celle-ci n’est pas nommée de façon explicite.69

Dans ce document Pirwa se trouve pour la première fois au Ro I 21’ et elle y est mentionnée encore fréquemment (Ro I 29’, 30’, 42’, 50’, 61’, II 20’, 55’) à propos d’offrandes à donner et de fêtes à célébrer en son honneur, de manquements à des obligations envers elle, de la recherche oraculaire de la cause de la colère divine et de ce qu’on devait faire pour l’apaiser. Au Ro I 21’ et 50’ Pirwa est probablement accompagnée par la déesse Reine, une divinité qui lui est proche très souvent dans d’autres documents et qui, ici, est mentionnée sans le déterminatif divin, ce qui n’est pas inhabituel dans la documentation hittite. On remarquera en outre, au Ro I 21’, l’emploi d’une unique préposition ANA (à intégrer aussi, vraisemblablement, dans la lacune du Ro I 50’) pour ces deux divinités, chose qui se retrouve aussi dans d’autres textes et qui témoigne des liens étroits existant entre ces deux divinités. La présence au Ro I 50’ de l’enclitique -ya “et” après MUNUS.LUGAL (à intégrer, à mon avis, également au Ro I 21’) confirme l’hypothèse qu’on y parle précisément de la déesse Reine. Au Ro I 50’ les Heptades/Pléiades - divinités qui font elles aussi partie du cercle de Pirwa - sont reliées à cette divinité et à la déesse Reine par l’enclitique -ya, mais elles s’en distinguent par la mention, à nouveau, de la préposition ANA. Dans ce texte les Heptades/Pléiades se retrouvent encore au Ro I ]22’, II 21’ (rappelons, à ce propos, que la présence des Heptades/Pléiades, selon A. Kammenhuber - Orakelpraxis 237 et 56 note 129 - qui se réfère précisément à ce texte, n’est attestée dans les documents hittites qu’à partir de Muwatalli). Je crois que la fréquente mention dans notre texte d’une divinité non mieux spécifiée (ANA DINGIRLIM) à propos d’offrandes et de fêtes qui lui sont dues (Ro I ]4’, 8’, 25’, 37’, 51’, 63’, 67’, 76’, II 13’, 23’, 40’, 59’, Vo III 52, 57, 70) se réfère, elle aussi, à Pirwa. De même pour la divinité indiquée par les expressions DINGIRLIM-za KI.MIN/KI.MIN KURTI (Ro I 10’, 16’, 35’, 38’, 57’, 70’, ]83’, II 8’, 16’, 34’, 57’, 71’, Vo III 46). D’autres divinités citées dans cette tablette, comme le dieu Trône, les Parques, le dieu Soleil du ciel, la déesse ÷annaøanna et plusieurs divinités mentionnées sans leur nom au singulier ou au pluriel font partie du processus divinatoire. Toujours liée à ce même processus semble être la divinité du Ro I 45’, dont le nom n’est pas clair. Par contre, le nom et la fonction de la divinité qui devait se trouver au début du Ro II 28’ sont incompréhensibles en raison du contexte lacuneux. Au Ro I 42’, après Pirwa et avant l’indication de la fête du mois, il y a une lacune où pouvait se trouver la mention d’une autre divinité; de plus, les traces du signe précédant la lacune - c’est-à-dire le début d’un clou horizontal - pourraient faire penser à la partie initiale du déterminatif DINGIR. Incompréhensible est la présence, au Ro II 11’, de Zababa de Ikšuna, dans une ligne très lacuneuse qui constitue un paragraphe à part, en position assez singulière par rapport au contexte. Rappelons que deux autres documents - dont l’un est IBoT II 131 - nous apprennent que Pirwa était vénérée dans cette ville (v. plus haut p. 350 sq.). 69

362

Ce document70 remonte à la même époque que celui que nous avons examiné jusqu’à présent, comme le confirme aussi la mention de plusieurs personnages ayant vécu précisément à cette époque-là, qui semblent ne pas avoir respecté leurs obligations envers cette divinité. L’un de ceux-ci, ÷attuša-LAMMA, se trouve, comme nous l’avons vu, dans le texte administratif examiné précédemment. Dans le document oraculaire en question, il paraît être tenu de célébrer la fête du mois et de présenter, en rapport avec la ville de ÷[AR]?-migga,71 des offrandes à Pirwa. Toutefois, comme je l’ai fait remarquer, il semble - mais le texte est lacuneux - qu’il n’ait pas respecté ses engagements: on parle de l’imposition d’une amende et la réponse oraculaire est favorable. Je présente ci-dessous les passages correspondants du texte, malheureusement difficile à comprendre à certains endroits à cause des lacunes:72 Ro II _____________________________________________________ 55’ A-NA DPí-ir-wa URU÷[AR?]-mi-ig-ga A-NA åEZEN¥ ITU.KAM 1 UDU 1 GUD [ ] 56’ 1 PA ZÍD.DA LÚåSANGA IŠ¥-TU É-åŠU¥ pe-eš-ki-iz-zi 57’ m÷a-at-tu-ša-DLAMMA-aš-åša¥ EZEN ITU.KAM ŠA/ša-x x x x? [ ] 58’ åe-eš¥-ša-i nu-wa 3 UDU 3 DUG KA.DÙ 3 PA ZÍD.åDA¥[ ] 59’ pe-eš-åki¥-i-zi nu ma-a-an A-NA DINGIRLIM ku-u-un EZ[EN] 60’ ša-ra-a ti-ya-an-ta-an e-eš-ša-an-zi 61’ GAM-kán Ú-UL åku¥-it-ki da-a-l[i]-¦i©š-kán-zi x x[ ] LÚ 62’ SANGA-za-kán ŠÀ-za IZI ME-aš n[a-a]t pa-an-z[i ] _____________________________________________________ 63’ ki-i ku-it da-a-li-ya-u-wa-ar SIXSÁ-at [n]u LÚSANGA p[u-n]u-[uš-šuen] 70 La translittération, la traduction et un commentaire de toute cette tablette seront donnés dans ma monographie citée à la note 1. 71 Il s’agit malheureusement d’un hapax: v. RGTC 6, 89. 72 Ce document sera entièrement présenté en translittération et en traduction, avec un commentaire, dans la monographie citée à la note 1. Près de quelques signes on en voit parfois d’autres qui ont été effacés (cfr., par exemple, Ro I 29’, 30’, 33’, 35’, 39’, 66’, 71’, Ro II 70’ etc.); nous n’en avons pas parlé ici pour ne pas alourdir cet article, mais nous en discuterons dans la monographie sus-mentionnée.

363

64’ 65’ 66’ 67’ 68’ 69’ 70’ 71’ 72’ 73’ 74’ 75’

UM-MA ŠU-Ú-MA A-NA MU.KAM-ti-pát-wa-åkán¥ ku-it x[ ] URU-az ar-øa pa-a-an e-eš-ta nu-wa [ ] x x x [ ] m ÷a-at-tu-ša-DLAMMA-aš-ša Ú-UL i-[ am-mu-uq-qa-wa Ú-UL e-eš-ša-aø-øu-un [ ITU.KAM-wa kap-pu-u-wa-an-zi nu ma-ši-ya-[ åkar¥-ša-an-te-eš nu SISKUR a-pe-el ŠA ITU.[x.KAM] åŠUM¥-an-zi GAM-an-na za-an-ki-la-tar I¦Š©-T[U DINGIRLIM-za åKI¥.MIN nu KIN SIG5-ru GIG-ma-za x[ na-at A-NA DUTU AN pa-a-iš INA UD.2.åKAM¥ x x [ IZI ME-aš nu-kán an-da ša-an-na-åpí¥-l[i(-) INA UD.3.KAM LÚSANGA-za EGIR-an ar-øa! GÙB-[tar na-at-za ZAG-za da-a-iš SIG5 [ _____________________________________________________

Vo III 60 [ m÷a-at-tu-š]a-DåLAMMA¥ x[-š]a?-ru-iš-kán-zi [ 61 [ ] ARADMEŠ m÷a-at-åtu-ša¥-DLAMMA uš-ki-i[šUn autre personnage nommé dans ce document (Ro I 61’) est AliŠarruma,73 dont la “maison” (= patrimoine) devait fournir des offrandes à Pirwa à l’occasion de la fête de l’année: si à la divinité on a continué de faire ce sacrifice “ouvert” (= commencé?) et on ne néglige rien, qu’alors le résultat de la consultation KIN soit favorable; mais le résultat est défavorable (Ro I 61’-65’). On interroge donc alors (Ro I 66’-72’) le prêtre au sujet de la négligence que la consultation oraculaire a fait apparaître; on n’a pas, semble-t-il, donné à Pirwa l’offrande de la deuxième année, qui doit lui être livrée avec une amende de pain, de bière et deux moutons, après quoi le résultat de la consultation est favorable. Ro I _____________________________________________________ 61’ [A-NA DP]åí-ir-wa¥ A-NA åEZEN¥ MU.KAM IŠ-TU É mA-liLUGAL-ma 1 GUD 8 UDU

73

NH et Heth 4, 33.

364

62’ [ A-N]A PA-NI 1 PA ZÍD.DA.A 2 PA ZÍD.DA UD.DU.A 3 ŠÚ BA.BA.ZA pe-eš-ki-ir 63’ [nu m]a-¦a©-an A-NA DINGIRLIM åki¥-i SISKUR ša-ra-a ti-ya-an pe-

eš-kir

64’ [kat-t]a-kán Ú-UL ku-it-ki da-a-li-iš-kán-zi nu KIN SIG5-ru 65’ [DINGIRLI]M-åza¥ da-pí-an ZI-an PAP!-nu-mar-ra ME-aš na-at D MA÷ pa-a-iš NU.SIG5 _____________________________________________________ 66’ [ki-i ku-i]t da-¦a©-li-ya-u-wa-åar¥ SIXSÁ-at nu LÚSANGA pu-nu-uššu-en UM-MA ŠU-MA! 67’ [D?Pí?-i]r?-åwa¥-aš ku-it A-NA DINGIRLIM SISKUR A-NA EZEN MU.KAM pe-eš-ki-it 68 [ ]ånu-za¥-a-aš MU.2.KAM ku-it-wa-ra-at Ú-UL pa-a-i nu pa-a-an-zi SISKUR ŠA MU.2.KAM 69 [ša?-ku?-w]a?-aš-šar pa-a-i GAM-an-na za-an-ki-la-tar IŠ-TU NINDA KAŠ 2 UDU-ya pa-a-i 70 [DINGIRLIM-za åKI¥.MIN KURTI nu KIN SIG5-ru DINGIRLIM-za da-pí-an-ZI-an ME-aš 71’ [na-at] pa-an-ga-u-i pa-a-iš INA UD.2.KAM a-aš-šu ME-an na-at D MA÷ åSUM¥-an 72’ [INA UD].3.åKAM¥ DINGIRLIM-za EGIR-an ar-øa kar-pí-in ME-an nu-kán an-da a-aš-ša-u-i SIG5 L’anthroponyme Ali-šarruma se trouve aussi dans certains fragments de protocoles judiciaires généralement datés à l’époque de ÷attušili III.74 Toutefois, nous ne possédons pas assez d’éléments pour proposer son identification avec notre personnage. Les deux paragraphes du Ro I 28’-41’ présentent de l’intérêt: on y parle du manquement de la part de Palla, homme de Ankušna, à une obligation cultuelle, toujours envers Pirwa. Palla a confisqué, selon toute vraisemblance pour s’en approprier, deux béliers destinés à cette divinité, à laquelle on devait probablement les sacrifier (on dit, en effet, qu’ils étaient oints) à l’occasion de la fête de l’année.

74

V. R. Werner, StBoT 4, 79.

365

La restitution de deux autres béliers et la livraison d’une amende de pain et de bière de la part du prêtre provoque toutefois une réponse oraculaire défavorable (Ro I 28’-35’); c’est alors Palla lui-même qui doit restituer les béliers et livrer l’amende, mais malheureusement la réponse oraculaire est dans la lacune à la fin de la l. 41’. Ro I _____________________________________________________ 28’ [k]i-¦i© ku-åit¥ da-a-li-ya-u-wa-ar SIXSÀ-at nu -LÚSANGA pu-nu-uš29’ 30’ 31’ 32’ 33’ 34’ 35’ 36’ 37’ 38’ 39’ 40’ 41’

šu-u-en åUM-MA ŠU-MA!¥ A-NA DPí-ir-wa-wa-kán 2 UDU.NITA iš-åki¥-yaan-te-eš åe-eš-šir¥ GIM-an-ma-wa EZEN åMU¥.KAM ki-ša-ri nu-wa-ra-aš ANA DPi-ir-wa! åiš-kán¥-zi MU.IM.MA-ma-wa-[r]a! mPal-la-aš LÚ URUAn-ku-uš-na åap¥-pa-at-ri-ya-at nu-wa-[r]a-aš-kán ku-en-ta-pát [k]i-nu-na pa-a-an-zi u-ni-uš 2 UDU.[NIT]A LÚSANGA ta-ma-¦a©-uš EGIR-pa pa-a-¦i© [ka]t-ta-an-na za-an-ki-la-tar I[Š]-åTU¥ NINDA KAŠ pi-an-zi DINGIRLIM-za KI.MIN KURTI nu KIN SI[G5]-ru ÷UL-lu ME-an nu-kán åEGIR¥-pa DDAG-ti NU.åSIG5¥ _____________________________________________________ ki-i ku-it ku-it NU.SIG5-ta nu åma!¥-a-an mPal-la-aš-ša 2 UDU.NITA A-NA åDINGIR¥LIM EGIR-pa šar-ni-ik-åzi¥ kat-ta-an-na za-an-åki¥la-tar [I]Š-TU NINDA KAŠ pa-a-i du-ud-du-[nu-w]a-an-zi-an DINGIRLIM-za åKI.MIN¥ KURTI nu KIN SIG5-ru DINGIRMEŠ GUB-ir TI-tar da-a-i[r n]a-at åpa-an¥-ga-u-¦i© pí-i-¦e©-er INA UD.2.KAM ¦a©-aš-šu ME-an nu-k[án EGI]R-pa DåDAG-ti¥ INA UD.å3.KAM¥ ÷UL-lu ME-an [n]u-kán an-da SUD.åLIŠ¥ [SIG5?/NU.SIG5?] _____________________________________________________

L’anthroponyme Palla75 est attesté en Anatolie déjà à l’époque cappadocienne; en outre il apparaît fréquemment dans des documents V. NH et Heth. 4, 906, et G. Beckman, JAOS 103 (1983) 625; cfr. aussi L. Rost, MIO 4 (1956) 347 et F. Imparati, FsPuglieseCarratelli 88 sq. 75

366

hittites de périodes différentes. En ce qui concerne les personnages portant ce nom dans des textes contemporains, seulement quelques-uns d’entre eux peu-vent être identifiés, avec quelque probabilité, avec le personnage de notre document. Rappelons ici simplement les attestations pour lesquelles il est possible de proposer cette identification, et en premier lieu Palla seigneur de ÷urma, cité dans la liste de témoins du traité avec Ulmi-Teššup de Tarhuntašša.76 Peut-être était-il aussi nommé, avec le même titre et, en plus, celui de scribe et d’homme SAG, dans un passage lacuneux de la liste de témoins du texte de Šaøurunuwa.77 A ce propos, remarquons que le ÷attuša-LAMMA lui aussi, dont nous avons parlé plusieurs fois, probablement coupable à son tour d’omissions d’ordre cultuel envers Pirwa, est mentionné dans les listes de témoins de ces deux textes ainsi que dans celle du traité avec Kurunta. C’était peut-être le même Palla que l’on trouve encore dans une liste de localités ou de personnes tenues de fournir des chanteuses à différents palais78 et dans une liste d’offrandes à divinités et/ou à leurs stèles.79 Du reste, que beaucoup de personnages importants de la société hittite aient été tenus de pourvoir aux exigences du culte et soient mentionnés fréquemment dans des listes de ce genre est assez logique. Les autres attestations de Palla, et surtout celles du scribe homonyme, seront discutées en détail dans ma monographie sur Pirwa (v. note 1), par rapport aussi à des problèmes de datation des textes relatifs.80 Significative est la mention, dans le texte oraculaire examiné, de la ville de Ankušna, que d’autres documents aussi nous montrent en relation avec le culte de Pirwa (v. p. 350). Dans notre tablette ce toponyme se trouve au Ro I 3’, dans un contexte malheureusement très corrompu, et au Ro 115’, dans le passage déjà cité (p. 360), où l’on parle de la requête faite aux gens de Ankušna de livrer une amende de pain et 76 KBo IV 10 (CTH 106) Vo 32; par contre, il n’est pas cité parmi les témoins du traité avec Kurunta de Tarøuntašša (v. note 27). 77 KUB XXVI 50 (CTH 225) Vo 26, duplicat de KUB XXVI 43 Vo 32; sur cette conjecture v. E. Laroche, RHA 8 (1948) 44 et note 10, et F. Imparati, Šaøur., 38 sq., 146, ainsi que 57 sqq. infra sur le titre “seigneur de ÷urma”. 78 HT 2 (CTH 235.2) Vo V 26. 79 KUB XXXVIII 16 (CTH 511.3) Ro 9. 80 J’y ai fait brièvement allusion dans FsPuglieseCarratelli, 89 avec note 63.

367

de bière ainsi qu’une quantité de bois, matériau qui, nous l’avons vu, faisait partie des offrandes dues à cette divinité. En outre, comme nous l’avons déjà observé (p. 365), on fait allusion au Ro I 31’ à une faute commise envers Pirwa par Palla, homme de Ankušna. La comparaison entre ces passages conduit à compléter la lacune au début du Ro I 3’ ou: LÚMEŠ UR]UAnkušna ÚL øaålzianzi¥, selon le Ro I 5’81 (restauration peut-être la plus probable) ou: mPallan LÚ UR]UAnkušna ÚL øaålzianzi¥, selon le Ro I 31’. Dans l’un ou l’autre des cas, tous les passages examinés montreraient, à mon avis, l’implication de toute la ville de Ankušna dans la faute commise par Palla. Ces observations, et bien d’autres problèmes et hypothèses qu’il serait trop long de rapporter ici, naissent de l’étude des deux textes discutés jusqu’ici. À la fin de cet excursus, nécessairement incomplet, la constatation qui résulte de la lecture du texte oraculaire examiné ci-dessus, de même que de celle d’autres documents analogues, est que les fidèles hittites, dans une société qui était apparemment si imprégnée de religion, n’étaient en réalité pas toujours scrupuleux dans le respect de leurs engagements envers les divinités, ce qui contraste avec l’impression de méticulosité et de pieuse attention qui émerge de la lecture de IBoT II 131 et d’autres textes relatifs à l’administration du culte.

Ici les hommes de Ankušna pouvaient être ou le complément d’objet de øalzianzi (“ils convoquent/on convoque”) ou bien le sujet de ce verbe. 81

368

XIX.

AUTORITÀ CENTRALE E ISTITUZIONI COLLEGIALI NEL REGNO ITTITA1

Nella società ittita, governata da una monarchia di tipo assolutistico, il potere politico, religioso, militare, giuridico era incentrato - sia pure in fasi di maggiore o minore intensità - nella persona del re.2 È chiaro che in una società di tal genere veniva a perdere di valore ogni altra istanza autonoma organizzata. Così, ogni iniziativa di consultazione da parte del sovrano appare soprattutto come un mezzo per acquisire consenso, specialmente in situazioni difficili per il potere regio. Alcuni documenti ittiti fanno menzione di due organismi a carattere collegiale, il panku e il tuliya. Essi sono stati già da molto tempo oggetto di discussione da parte di vari studiosi, ma le opinioni in proposito ancora divergono sia sul preciso valore di questi due organi, sia sulla loro composizione, sulle loro competenze e sulla loro possibilità di influenza nella struttura politico-amministrativa dello stato ittita, sia sul loro rapporto reciproco e nei riguardi del potere centrale. Essi sono presenti, di solito non contemporaneamente, in testi di tipo politico-istituzionale e in testi a carattere religioso: allo stato attuale delle nostre conoscenze, soltanto in un documento del primo tipo nell’Editto di Telipinu - sono attestati ambedue questi termini. Il termine panku può essere usato anche come aggettivo (tutto/ogni) e come sostantivo (totalità, assemblea); nei testi religiosi, a carattere Per le abbreviazioni bibliografiche, si sono qui seguite quelle presenti in J. Friedrich-A. Kammenhuber, Hethitisches Wörterbuch2 (= HW2) e in The Hittite Dictionary of the Oriental Institute of the University of Chicago (= CHD). (In questa riedizione le abbreviazioni sono state uniformate in tutto il volume [n.d.c.]). 2 Ho avuto più volte modo di proporre alcune interpretazioni in tal senso di iniziative dell’autorità regia in àmbiti e situazioni diverse, spesso in relazione ai rapporti intercorsi fra sovrano e dignitari del regno che operavano a vari livelli nella struttura burocratica dello stato - e ai rapporti fra sovrano e comunità di villaggio e loro rappresentanti, che si muovevano al di fuori dell’apparato statale. 1

369

rituale, sembra avere un valore più generico per designare l’insieme di ciò che è indicato nel passo,3 mentre nell’altro tipo di testi mi pare per lo più rivestire un valore più specifico. Il termine tuliya nei testi religiosi può avere il significato di “assemblea, totalità”, in senso generale, ma talora anche in questo tipo di documenti presenta una fisionomia di organismo a carattere giudiziario, che è quella che appare anche dai testi di tipo politico-istituzionale. Delle numerose e varie ipotesi interpretative finora formulate su questi due termini, accennerò soltanto ad alcune, rimandando per le altre a due tra gli ultimi studi sull’argomento, quelli di G. Beckman4 e di C. Mora5 che offrono ampie informazioni documentarie e bibliografiche. I testi soprattutto presi in esame sono i cosiddetti “Testamento di ÷attušili I”6 (seconda metà del XVII sec. a.C. secondo la cronologia media/prima metà del XVI sec. a.C. secondo la cronologia corta) ed “Editto di Telipinu”7 (ultimo quarto del XVI sec. a.C. secondo la cronologia media/fine del XVI sec.-primo quarto del XV sec. a.C. secondo la cronologia corta), ambedue risalenti all’Antico Regno ittita, anche se pervenutici in copie più tarde. Il primo di questi due documenti è in realtà un proclama in cui il sovrano ittita ÷attušili I, caduto ammalato a Kuššara, la sua città di origine, annuncia al panku, alle truppe (!)8/alle truppe(!) del panku e ai

3 “All present, congregation”: v. in proposito O.R. Gurney, AAA 27 (1940) 34 sg. e G. Beckman, JAOS 102 (1982) 436 sg. 4 Op. cit., 435-442. 5 StMed 4 (1983) 159-184. V. inoltre I. Hoffmann, THeth 11 (1984) 76 sgg. e M. Marazzi, WO 15 (1984) 9-102. 6 V. F. Sommer-A. Falkenstein, HAB (1938); v. inoltre per la traduzione e il commento di questo testo T.R. Bryce, The Major Historical Texts of Early Hittite History, Queensland 1984, 99-131. 7 V. W. Eisele, Der Telipinu-Erlass, München 1970; I. Hoffmann, op. cit. in nota 5; v. anche T.R. Bryce, op. cit., 132-161. 8 Si è preferito tradurre qui ÉRINMEŠ con “truppe” piuttosto che con “armati” come per lo più avviene - per non conferire, sia pur sempre impropriamente, a questo sumerogramma una connotazione troppo spiccatamente militare: ad esso infatti, secondo CAD s.v. SABU, 46, si può attribuire il significato più generico di “genti, gruppi di persone”: cfr. anche M. Liverani, Antico Oriente, Storia Società Economia, Bari 1988, 435.

370

notabili/dignitari (o ai Grandi)9 del regno di aver nominato come suo figlio adottivo e successore il nipote Muršili, dopo aver ripudiato il precedente erede al trono, il figlio di una sorella, resosi colpevole di non esser stato dalla parte del re in occasione di intrighi a corte. Nel testo si descrivono anche numerosi atti precedenti di insubordinazione verificatisi all’interno della famiglia reale.10 Passiamo ora ad esaminare le attestazioni del panku in questo documento (dove non compare mai il tuliya) e i relativi contesti. Nella versione ittita la parte iniziale di questo atto, in cui ÷attušili si rivolge appunto alle categorie sopra indicate, è lacunosa ed è stata integrata secondo la versione accadica, ma in modi e, quindi, con risultati interpretativi diversi. Ciò riguarda soprattutto la parte rimasta di un termine, pa-a[n-, in cui è stata riconosciuta la menzione del panku sulla base del termine corrispondente nakbá ti, presente nella parte accadica. I pareri degli specialisti non sono però concordi nell’attribuire qui al termine panku un valore di aggettivo o di sostantivo e nel considerarlo riferito ai due sostantivi seguenti (“a tutte le truppe e i notabili/dignitari”, oppure “alle truppe e ai notabili/dignitari del panku”), o soltanto al primo di essi (“alle truppe tutte e ai notabili/dignitari”, oppure “alle truppe del panku e ai notabili/dignitari”). Ovviamente, l’interpretazione di questo passo risulta di grande importanza per definire la composizione di tale organo, con le relative implicazioni di ordine politico e sociale che essa comporta. Ma di questi problemi discuteremo più avanti. Nel testo in esame il termine panku compare ancora nel § 22 III 61, 62, in un contesto in cui il vecchio re dà al suo erede al trono consigli per il suo comportamento futuro: “III (56) ... Io ti ho dato la mia parola (cioè, le mie istruzioni),11 e questa (57) [tavolett]a si deve declamare/leggere 9 LÚ.MEŠDUGUD, secondo l’integrazione di F. Sommer, per lo più seguita dagli studiosi; V. Ivanov invece integra qui LÚ.MEŠGAL.GAL: v. presso C. Mora, op. cit., 159 e 164 con nota 11. 10 Tralasciamo di esporre qui i numerosi problemi e i diversi pareri degli specialisti riguardo alle norme che regolavano la successione al trono nella fase iniziale del regno ittita e di discutere se questa adozione di Muršili da parte del vecchio re non celasse in realtà l’avallo da parte di questo sovrano di un riuscito colpo di stato compiuto da Muršili stesso (v. M. Liverani, Antico Oriente cit., 431), ipotesi che ben si adatta al quadro politico relativo a quel periodo emergente da questo e da altri testi. 11 V. T.R. Bryce, op. cit., 106; si riscontrano in documenti di questo tipo passi che ricordano i cosiddetti “documenti di istruzione”: cfr., ad esempio, I. Hoffmann, op. cit., 76.

371

ad alta voce davanti a te regolarmente mese dopo mese. Così te la (58) imprimerai, la mia [paro]la e la mia saggezza, nel cuore. (59) Tu tratterai sempre con clemenza i miei [dipendent]i (ARAD]MEŠ-YA)12 e i Grandi. (Se) una colpa di qualcuno (60) tu [ve]di o qualcuno compie un peccato verso una divinità oppure [qu]alche pa[rola] (empia) [q]ualcuno (61) dice, allora interroga ancora il panku e (ogni) lingua (= ogni controversia?) (62) ancora appunto al panku sia v[o]lta (= deferita?).13 E tu, figlio mio, (63) ciò che (è) nel [tuo] (lett.: di te) cuore, allora quello sii (= comportati in accordo a ciò che è nel tuo cuore)”. Sembra si affermi qui che è al re che spetta sempre l’ultima decisione in un giudizio: v. in proposito p. 385. La seconda parte di questo paragrafo (r. 61 sg.) viene generalmente intesa come un conferimento da parte del re al panku del compito di svolgere un’indagine su chi abbia commesso le colpe ivi indicate e di formulare un giudizio. M. Marazzi,14 invece, ritiene che si affermi in questo passo che tale indagine (punuš- si deve svolgere proprio all’interno del panku - da intendersi qui come “collettività/massa/ insieme di persone” - dove si troverebbe il reo, e che “soll sich die ‘Zunge’ nur dem panku- zurückwenden”. Questa interpretazione potrebbe trovare un sostegno anche nella presenza della voce verbale punuš-, usata spesso nel senso di condurre un’indagine giudiziaria nei riguardi di qualcuno,15 e nel confronto con l’espressione “lingue del panku”, frequentemente menzionata in testi rituali fra i mali da

12 Un’interpretazione di questo termine come “servi” non mi sembra giustificabile in tale contesto, né in altri punti di questo documento, che ricorderemo più avanti. Si potrebbe allora forse presumere che il vecchio sovrano volesse in questo passo raccomandare a Muršili di usare clemenza verso tutti i “sudditi” del regno e non soltanto verso i Grandi; in accordo, però, a quanto cercherò di dimostrare più avanti, ritengo preferibile pensare che ÷attušili si preoccupasse qui in particolare dei funzionari del Palazzo, suoi diretti “dipendenti”, a lui più legati e più fedeli, oltre che dei Grandi, suoi - del resto - possibili oppositori. Su questo valore di ARADMEŠ, quando si parla di personale legato a individui di alto rango, cfr. le mie osservazioni in SMEA 18 (1977) 53 sgg., e in particolare p. 55, a proposito dell’interpretazione di ARAD]MEŠ LUGAL URUIšuwa come “dipendenti del re di Išuwa” piuttosto che “sudditi del re di Išuwa”. 13 Tale traduzione è conseguente all’interpretazione della frase precedente, su cui v. qui sopra. 14 Op. cit., 97 sg. 15 Cfr. le mie osservazioni in Šaøur., 99 sgg.

372

esorcizzare per indicare la maldicenza collettiva:16 non si comprende, però, perché si sarebbe inserito ex abrupto in tale contesto un discorso su un reato di empietà commesso dalla collettività/da una massa di gente,17 entro cui il re dovrebbe effettuare l’indagine. Del panku si parla ancora nell’Editto di Telipinu, un documento in cui questo sovrano, presumibilmente un usurpatore che si era impadronito del potere dopo una serie di fatti di sangue verificatisi all’interno della famiglia reale, stabilisce delle norme di successione al trono. In questo testo si fa menzione anche dell’altro organo collegiale sopra ricordato, il tuliya. Telipinu, dopo un preambolo in cui espone gli eventi che avevano preceduto la sua ascesa al trono, racconta che, una volta raggiunto il potere, mentre si trovava in guerra si verificarono delle cospirazioni contro di lui, alle quali parteciparono alcuni tra i più importanti dignitari (molte delle loro cariche le troviamo proprio in questo testo attribuite ai Grandi del regno: v. più avanti p. 380 sg.). Egli riferisce nel § 26 II 26 sgg.: “(26) Io, il [r]e, non s[apev]o (ciò) (27) [Q]uando io, il re, udii (questo), essi portarono Tanuwa, Taøurwaili [e] Taruøš[u] (28) qui. E il panku li condannò a morte. Ma io, il re, parlai (come segue): (29) ‘[Per]ché dovrebbero morire : . . . Io, il re, li . . . feci (30) agricoltor[i]: presi le loro armi dalle loro spalle e detti loro le manett[e](?)”.18 Telipinu si vanta qui di aver declassato i colpevoli dalla loro posizione sociale, senza però ucciderli: analoghi atteggiamenti di clemenza da parte di

Per le attestazioni di questa espressione e per la sua interpretazione v. presso G. Beckman, op. cit., 437 con note 31-32. 17 A. Goetze (Kleinasien 2 , 86), in accordo alla sua opinione sulla formazione e sulle competenze del panku che esporremo più avanti, intende questo passo nel senso che si sottraeva in tal modo l’alta nobiltà alla giurisdizione del re. Secondo G. Pugliese Carratelli (Atti dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria”, Firenze 1959, 106 sg.) questa “esortazione a consultare il panku e a demandare a questo la decisione di una controversia - evidentemente una che sia sorta tra i ‘servi del re’ e tra i Grandi - è il corollario dell’iniziale consiglio di trattare i Grandi con mitezza, ed è dettata dal proposito di assicurare, in una difficile situazione politica, quell’unità di monarca e Grandi sulla quale ÷attušili ha già tanto insistito. È un consiglio di prudenza politica, non il richiamo ad una norma precostituita”. 18 Sulla lettura dei segni qui rimasti (maš-du-[uš?]) e sulla relativa interpretazione, diverse da quelle consuete (GIŠŠU[DUN] “giogo”), v. I. Hoffmann, op. cit., 31 nota 3. 16

373

sovrani ittiti, evidentemente a scopo propagandistico, si riscontrano anche in altri documenti.19 Nel § 27 II 31 sgg. Telipinu, dopo la drammatica constatazione che “(31) il sangue appunto della famiglia reale (lett.: grande famiglia, šalli øaššatar) si era propagato in ÷attuša” e dopo aver ricordato che la regina Ištapariya, sua sposa, e il principe Ammuna erano morti, evidentemente uccisi, continua: “(34) Ed io, Telipinu, convocai il tuliya in ÷attuša (tuliyan øalziøøun). Da ora in avanti in ÷attuša (35) nessuno faccia del male a un figlio della famiglia (reale) e sguaini un pugnale contro di lui”. Si legge nel § 30 II 46 sgg.: “(46) Inoltre, chiunque divenga re e progetti danno verso un fratello (o) una sorella (47) - voi però (siete) il suo panku - allora parlategli francamente: ‘Leggi questo fatto di sangue (48) dalla tavoletta. Prima il sangue20 era divenuto frequente in ÷attuša (49) e gli dèi lo (= il sangue) hanno preso alla famiglia reale (lett.: grande famiglia)’ (cioè, gli dèi hanno preso come risarcimento il sangue della famiglia reale)”.21 E ancora nel § 31 II 50 sgg.: “(50) Chiunque tra i (suoi = del re) fratelli e sorelle provochi del male (51) e/allora guardi alla persona (lett.: testa) del re,22 convocate allora il tuliya (tuliyan øalzištin: sembra dunque Cfr., ad esempio, il comportamento di ÷attušili I nei riguardi della figlia che aveva tramato contro di lui, secondo quanto egli racconta nel suo Testamento §§ 17-18; casi di declassamento sociale nei riguardi di rei di alto rango sono presenti nelle “cronache di Palazzo” e in altri testi. 20 Sulle attestazioni del termine “sangue” nell’Editto di Telipinu v. M. Marazzi, in Atti della V Settimana di Studi su “Sangue e antropologia. Riti e culto”, Roma 1984, 32 sgg. 21 I. Hoffmann, op. cit., 35 traduce invece qui: “und die Götter haben sie (die Bluttat) auf die Königssippe gelegt”. 22 Questo passo è stato oggetto di differenti interpretazioni: ne discuteremo soltanto alcune tra le più recenti. Ritengo da escludere l’ipotesi che si contempli qui il caso generico di qualcuno che abbia fatto del male in mezzo ai (= contro i) (suoi) fratelli e sorelle, sia per il contesto in cui si trova questo paragrafo sia per il riferimento alla persona del re (r. 50 sg.). Mi sembra anche improbabile che fosse il re il soggetto sottinteso della prima frase (v. H.A. Hoffner jr., JAOS 102 [1982] 507 sg.), sia perché si avrebbe qui una ripetizione del caso contemplato nel precedente § 30, sia perché tale ipotesi non si adatterebbe né alla raccomandazione di non uccidere il colpevole segretamente né agli esempi riportati in proposito (cioè i casi di Zuru, Danuwa, Taøurwaili e Taruøšu): cfr., invece, in ultimo M. Marazzi, FsNeumann (1982) 152 con nota 9, il quale ritiene, a mio avviso giustamente, che si parli in questo passo della possibilità di un crimine compiuto da un parente prossimo del re. 19

374

qui che spetti al panku di convocare il tuliya). Appena il s[u]o piano (lett.: la s[u]a parola) andrà (= si attuerà), (52) egli (= il reo) risarcirà con la sua testa. Ma non lo si uccida in segreto, al modo di Zuru, (53) Danuwa, Taøurwaili e Taruøšu; alla sua casa, (54) alla sua moglie (e) ai suoi figli non si faccia del male...”.23 Dei §§ 32 e 33, importanti per definire la composizione del panku, parleremo più avanti. Come ho già detto sopra, sul significato, sulla composizione, sulle competenze dei due organi collegiali in esame si è molto discusso e i pareri degli studiosi ancora divergono. Ne ricorderemo qui solo alcuni tra i più significativi. Punto di partenza per le varie ipotesi interpretative è stato il passo iniziale del Testamento di ÷attušili I su ricordato, in cui questo sovrano presenta il suo successore al trono secondo il Sommer “agli uomini della comunità dei nobili(?) e ai dignitari”, mentre secondo il parere di altri specialisti “a tutti gli armati e ai dignitari”.24 Per quanto concerne la composizione e, quindi, anche le competenze del panku all’epoca dell’Antico Regno ittita, si ricorda in particolare l’opinione del Goetze25 - che per lungo tempo ha costituito un punto di riferimento per molti studiosi - il quale ha inteso il panku come un organismo comprendente la totalità dei nobili che avevano il Un altro problema sorge dall’interpretazione dell’espressione alla r. 50 sg.: nu LUGAL-waš øaraššana šuwaiezzi “e/allora guardi alla persona (lett.: testa) del re”, intesa da H.A. Hoffner jr., loc. cit., “he (the one who claims redress) shall ‘look to’ (= have recourse to the person (lit. ‘head’) of the king (i.e., the offender in this case)”. M. Marazzi, op. cit., 152, ritiene invece che si dica qui che il reo “apparterrà (in senso giuridico) alla persona del re (lett.: guarderà al capo del re)”. A mio avviso, ciò che non appare plausibile è ritenere che si affermi qui che la giudicabilità, nel caso in questione, spetta al re, poiché si dice successivamente che essa compete al tuliya. È invece possibile che il re intenda far rilevare (anche se ciò può non trovar riscontro nella realtà) che non sarà lui a giudicare un suo stretto congiunto colpevole nei suoi riguardi, ma che si richiederà per tale azione un giudizio pubblico (non lo si uccida in segreto) del tuliya. Si potrebbe, tuttavia, anche interpretare così questo passo: “e (il reo) guarda alla persona del re”, nel senso che agisce contro la persona del re: così I. Hoffmann, op. cit., 35: “und (= oder) gegen des Königs Kopf ins Werk setzt”. 23 Sul principio di non coinvolgere nella responsabilità di un reato anche la famiglia del colpevole, espresso pure nel successivo § 32, v. più avanti a p. 381. 24 V. le diverse integrazioni e le conseguenti interpretazioni del passo in questione presso C. Mora, op. cit., 157 sg. 25 V. ancora presso C. Mora, op. cit., 161.

375

privilegio di portare le armi (un’aristocrazia guerriera). Per altri studiosi, però, questo organismo avrebbe compreso anche gli alti dignitari del regno. Sempre secondo il Goetze, il panku avrebbe avuto, per quanto riguarda il primo periodo dell’Antico Regno, una funzione deliberante nell’elezione del sovrano (il quale sarebbe stato soltanto un primus inter pares) ed avrebbe anche esercitato un controllo decisivo sul potere regio. In tal modo l’Editto di Telipinu, che stabilisce le norme di una successione ereditaria al trono, avrebbe costituito un’innovazione. In opposizione a questa tesi il Sommer, seguito anche da altri studiosi,26 ha negato il carattere elettivo della monarchia ittita ed ha riconosciuto al panku soltanto una funzione consultiva: l’attribuzione di competenze giudiziarie a questo organismo sarebbe stata un’innovazione di Telipinu in una fase difficile del Regno. Secondo V. Ivanov, in un suo ampio studio su “Origine e storia del termine ittita panku-’assemblea’ ” del 1957, questo organo era costituito da un insieme di uomini liberi, in grado di portare armi,27 ed avrebbe svolto importanti funzioni politiche, giudiziarie, religiose. Nel 1959 è uscito un bel saggio di G. Pugliese Carratelli (cit. in nota 17), il quale ha qui rivisto criticamente le precedenti opinioni e la documentazione ittita in proposito ed ha evidenziato il carattere ereditario della monarchia ittita già all’epoca di ÷attušili I, per cui le norme di successione al trono esposte nell’Editto di Telipinu non avrebbero costituito un’innovazione, bensì una codificazione di quanto già esisteva nell’uso. Invece le competenze giudiziarie attribuite al panku e all’altro organo, a suo parere - come anche per altri studiosi - più ristretto e più autorevole, il tuliya, sarebbero state un’innovazione di questo sovrano: l’influenza di questo saggio si può riconoscere in vari studi successivi, anche in quelli in cui le conclusioni non collimano. Fra i lavori posteriori ricordiamo in particolare l’interessante articolo di G. Beckman (cit. in nota 3), il quale, da un attento esame della documentazione ittita, giunge alla conclusione che panku e tuliya sono sinonimi usati per designare l’assemblea ittita, la quale costituiva “not a gathering of a class, but rather primarily a judicial body, subject in this V. in Atti Colombaria cit., 100 con nota 1. V. presso C. Mora, op. cit., 163 sg.: ÷attušili si rivolgerebbe quindi ai sudditi (= uomini liberi/panku) e ai dignitari (= nobili, LÚ.MEŠGAL.GAL/KABTÛTI). 26

27

376

area to the will of the monarch” e che era composta dai “members of the higher state bureaucracy, and not of the nobility per se, although the actual relationship between the two groups remains to be elucidated”.28 C. Mora (cit. in nota 5) invece, dopo aver rivisto criticamente gran parte dei documenti in cui i due termini sono presenti, conclude che “pankuš e tuliyaš verrebbero così ridimensionati a termini generici di cui solo il primo corrisponderebbe ad una effettiva entità di grande forza numerica ma di scarso valore politico che ... viene chiamata in causa in momenti molto particolari di crisi delle istituzioni (o comunque del rapporto monarchia/nobiltà) con la modestissima funzione di avallare decisioni già prese”.29 Dello stesso periodo di questi due saggi sono alcune riflessioni di M. Marazzi30 sul significato del termine panku nel testamento di ÷attušili I, a cui abbiamo già fatto riferimento e su cui avremo modo di tornare ancora. Si ricorda infine che M. Liverani,31 accennando rapidamente al significato di questi due organi nella società ittita, intende il panku come un’ “assemblea” generale, un organo che in qualche modo funge da garante sulle scelte del re” e il tuliya come un “tribunale”, che agisce “come un organo di intervento giudiziario”, del quale è dubbio si possa estendere la giurisdizione sui membri della famiglia reale. Anch’egli ritiene il panku un organo più vasto che non la sola aristocrazia, ma lo considera contrapposto ai “dignitari” per lo più imparentati con la famiglia reale. Mi limiterò qui a presentare soltanto alcune rapide osservazioni sull’argomento. A mio avviso, suscita perplessità l’ipotesi su ricordata (del resto già avanzata da V. Korošec32 ed accolta anche da altri studiosi) di considerare panku e tuliya come sinonimi, o, più precisamente, come specifica il Beckman,33 “the panku is assembled in the tuliya”.34 28 V. nell’art. cit. il sommario iniziale. A questo saggio si ricollega spesso I. Hoffmann, loc. cit. in nota 5, infra. 29 V. op. cit., 180. 30 V. op. cit. in nota 5. 31 Op. cit., 444 sg. 32 In Actes XIX R.A.I., 316; v. anche T.R. Bryce, op. cit., 154, il quale riporta anche un’opinione del Gurney, inviatagli per lettera, sulla quale v. più avanti. 33 Op. cit., 438.

377

Infatti, anche se la scarsità di attestazioni non evidenzia chiaramente la differenza fra questi due organi, mi sembra però molto strano che il sovrano in uno stesso discorso convochi e poi si rivolga al medesimo organismo, designandolo in due modi diversi, soprattutto in un testo di grande rilievo politico quale l’Editto di Telipinu, in cui si richiedeva necessariamente grande precisione nel definire certi istituti ai quali il re voleva mostrare di attribuire - anche se poi nella realtà era solo formalmente - considerazione e importanza. Inoltre, come si concilia tale identificazione col fatto che nel § 31 II 51 il panku, appellato dal sovrano nel paragrafo precedente, venga esortato a convocare il tuliya? L’ipotesi del Gurney, riportata dal Bryce (v. nota 32), che il termine tuliya enfatizzasse l’aspetto assembleare di questo organismo e il termine panku la composizione, appare allettante e si accorderebbe bene anche con le espressioni “chiamare/convocare il tuliya”, e, soprattutto, “chiamare/convocare al tuliya” cioè all’assemblea. Tuttavia, per una serie di motivi che esporrò più avanti, ritengo più convincente la proposta di considerare il panku come l’organo più ampio, al quale, in certe situazioni sarebbe fra l’altro spettato anche di convocare l’organo più competente a svolgere determinate mansioni giudiziarie, cioè il tuliya. Eventualmente, sarebbe più plausibile, a mio avviso, pensare che fosse il tuliya a far parte del panku. Purtroppo, è ancora difficile dire una parola definitiva sulla composizione del panku. Non sembra, peraltro, illogico presumere, sulla base dei due proclami regi sin qui esaminati, che esso fosse formato nelle diverse epoche e situazioni da quelle categorie di persone a cui il re si rivolgeva in quel particolare momento; si ricorda, del resto, che fra i due proclami esiste uno spazio di tempo di circa un centinaio di anni.35 Certo, la composizione di questo organismo appare più difficilmente determinabile nel Testamento di ÷attušili I. Nella prima riga della redazione accadica di questo documento, secondo cui è stata integrata la parte ittita corrispondente (...ana ÉRINMEŠ nakbá ti ù ana kabtûti), il Tale affermazione si basa sull’ipotesi che il panku, a cui nel § 30 II 47 dell’Editto di Telipinu si rivolge questo sovrano, sia lo stesso organo da lui convocato come tuliya nel § 27 II 34. 35 Mi sembra, invece, improbabile che il termine panku potesse rivestire valori diversi entro uno stesso testo, come ritiene M. Marazzi per l’Editto di Telipinu: v. in proposito nota 50. 34

378

termine nakbatu (= ittita pankuš), se considerato, come generalmente avviene, connesso in funzione genitivale col termine precedente, si presenterebbe qui - come ha messo in evidenza M. Marazzi36 - in maniera anomala rispetto agli altri testi accadici di Boˆazköy. Mi chiedo allora se non si debba invece considerare nel passo in esame nakbá ti come termine a se stante, legato per asindeto al sostantivo precedente e retto dalla stessa preposizione ANA, per cui nella redazione ittita poteva trovarsi come suo corrispondente il termine pa[ngaui.37 Ne conseguirebbe allora questa interpretazione: “.... al pa[nku, alle truppe(!) (v. nota 8) e ai notabili/dignitari]”. Appare interessante in tale contesto un confronto con il § 4 II 22 sg. di questo stesso documento; si tratta di un passo, integrato secondo la versione accadica (§ 4 I 22 sg.), dove si dice che il successore al trono di ÷attuša menzionato precedentemente (cioè, il nipote del re, figlio di una sorella) nel corso delle sue trame verso il sovrano, si era rivolto a “(22) [ i notabili/ dignitari e i dipendenti (ARADMEŠ)], (23) che (sono) pos[ti] (presso il/alle dipendenze del) re”. Ho preferito intendere ARADMEŠ nel senso di “dipendenti” per la specificazione successiva “che (sono) pos[ti] (presso il/alle dipendenze del) re”: v. inoltre quanto si è osservato nella nota 12. Il nipote del re avrebbe, cioè, cercato di coinvolgere nelle sue trame proprio quelle categorie di persone che gravitavano in qualche modo intorno al sovrano. Il termine precedente alla menzione dei “notabili/dignitari” è in lacuna anche nella redazione accadica: il Sommer (HAB, 4 sg.) lo integra con ÉRINMEŠ, ciò che si accorderebbe con la riga iniziale del testo. Se tale integrazione fosse valida, si potrebbe ipotizzare una corrispondenza fra il termine panku, parzialmente presente in questa riga, e il termine ARADMEŠ del § 4 r. 22. Una equivalenza di pankuš con ARADMEŠ era stata postulata anche da V. Ivanov (v. presso C. Mora, op. cit., 164) sulla base del § 7 II 41, dove il re menziona insieme ARADMEŠ-YA Ù LÚ.MEŠ GAL.GAL “i miei dipendenti e i Grandi”. Si è già fatto presente (nota 9) che V. Ivanov anche nella riga iniziale della redazione ittita del Testamento proponeva di integrare LÚ.MEŠ GAL.GAL “Grandi”, anziché LÚ.MEŠ DUGUD 36 V. WO cit., 96 sgg.; egli così traduce questo passo in BRLF 18 (1986) 2: “zu den Truppen der Bevölkerung (von ÷.) “; v. anche M. Liverani, Antico Oriente cit., 435: “alle truppe della popolazione (di ÷atti)”. 37 Cfr. anche V. Ivanov, presso C. Mora, op. cit., 159 e 163 sg.

379

“notabili, dignitari”, come corrispondente dell’accadico kabtûti. Ciò, nella sostanza, non cambia molto: sappiamo infatti dall’Editto di Telipinu che facevano parte dei Grandi del regno gli alti dignitari, proprio quelli che il re indica in quel testo come capi di quei funzionari della corte da lui appellati come panku (v. più avanti, p. 383). Da notare il § 20 III 33 sg. ancora del Testamento di ÷attušili I, dove il re si rivolge ai suoi interlocutori così: “ (33) [Ora] voi (siete) i miei dipendenti (ARADMEŠ-YA) [princ]ipali. E la mia parola, (la parola) del re, (34) voi la dovete [custodir]e.”. Ritengo possibile che egli alludesse anche qui ai funzionari da lui dipendenti, che gli erano particolarmente legati: probabilmente i componenti del panku (v. più avanti le mie conclusioni). Dall’Editto di Telipinu, infatti, come si evince dal § 33 II 66 sgg., appaiono far parte del panku i funzionari della corte (i figli, cioè gli impiegati, del palazzo, le guardie del corpo,38 gli uomini dalla lancia d’oro, i coppieri, gli uomini del tavolo, cuochi, gli scudieri, i sovrintendenti dei mille del campo), ai quali il re, dopo aver raccomandato di tener in mente quanto è accaduto a dei cospiratori (episodio da lui ripetuto più volte nel testo, a titolo ammonitorio), fa presente che se qualcuno dei capi di questi funzionari (da notare il parallelismo della maggior parte dei titoli di questi alti dignitari39 con i titoli di alcuni dei funzionari sopra ricordati) o dei capi delle grandi famiglie non inserite nell’organizzazione burocratica dello Stato40 o qualche alto dignitario - sia di rango secondario che primario - commette del male (evidentemente nei riguardi del re e dei suoi familiari), “(72) ... voi, il panku, afferratelo/impadronitevene (73) e divoratelo/sbranatelo coi denti”. Mi sembra interessante ricordare, come si è già rilevato sopra, che dai §§ 32 II 62 sgg. e 34 III 1 sgg. apprendiamo che molti di questi alti dignitari, insieme ad altri, fanno parte dei Grandi del regno: v. quanto abbiamo osservato in proposito in altra sede.41 Queste due categorie di funzionari si ritrovano come appartenenti al panku anche nel rituale CTH 760, di cui parleremo più avanti. 39 Il capo dei figli/impiegati del palazzo, il grande del vino, il capo delle guardie del corpo, il capo dei sovrintendenti dei mille del campo; cfr. anche i vicini §§ 32 e 34. 40 Su questa interpretazione da me proposta per la locuzione “padri della casa”, v. Stato, Economia, Lavoro, 229 sg. e 236, note 18, 19. 41 JESHO 25 (1983) 251 sg.; v. inoltre F. Pecchioli Daddi, MPD, 496 sgg. Si rileva inoltre che molti dei dignitari indicati in questo testo come Grandi si ritrovano in documenti di epoche successive menzionati come “signori” (v. Stato, Economia, 38

380

Quanto si legge nel § 33 induce a ritenere che i Grandi, per quanto riguarda l’epoca di Telipinu, ma verosimilmente anche per quella di ÷attušili I, non appartenessero al panku e che tale organo potesse servire al re come strumento di controllo sugli alti dignitari del regno, proprio quelli che in realtà potevano costituire un pericolo per il suo potere.42 In tale prospettiva rientra bene anche quanto si legge nei §§ 31 e 32 di questo stesso testo, laddove Telipinu proibisce proprio ai Grandi del regno di confiscare i beni immobili e mobili di un principe condannato a morte per qualche colpa,43 e cioè dove si dice che se un principe commette un crimine, deve espiare con la sua testa, ma non ci si deve rivalere sulla sua casa, su sua moglie, sui suoi figli e sui suoi beni (case, campi, vigne, servi, animali). Tale principio di non estendere la responsabilità di un reato alla famiglia del colpevole si riscontra in vari documenti di epoche diverse fin dall’Antico Regno ittita. Questa proibizione, come ho cercato di dimostrare in altra sede,44 era verosimilmente volta a tutelare un equilibrio nella distribuzione dei beni fondiari - oltre che ispirata a motivi di clemenza e di giustizia - ed era, ovviamente, diretta a chi teneva posizioni di rilievo nel governo dello stato e poteva, perciò, costituire un maggior pericolo per il potere regio. Ciò evidenzia una politica regia intesa a mantenere nel regno una equilibrata suddivisione dei beni fondiari. Questa politica da parte del re di coinvolgimento dei funzionari dello stato nel controllo sui Grandi, affinché non divenissero troppo potenti, si accorda bene con l’atteggiamento tenuto da vari sovrani ittiti di epoche Lavoro [1988] 237 nota 21), di cui dovevano far parte, oltre a membri della famiglia reale, anche persone di alto rango, non necessariamente legate al re da vincoli di parentela, e inserite nella struttura burocratica dello Stato. 42 Secondo G. Beckman, op. cit., 435 (sommario) e 442 con nota 91 (in cui si ricollega a V. Korošec) e I.. Hoffmann, op. cit., 78, anche i capi dei funzionari della corte o dello stato facevano parte del panku, ma ciò non mi sembra risultare dalla lettura di questo paragrafo, a meno che non si intendesse qui affermare che tale organo doveva esercitare un controllo su tutti i membri che lo componevano, anche se si trattava dei Grandi del regno. Ritengo però che tale ipotesi non si accordi con il tipo di politica portata avanti da questo sovrano. 43 Si ribadisce inoltre che i Grandi, per il desiderio di prendere le proprietà del principe, non devono impadronirsi del villaggio e far del male al signore del villaggio, nel caso specifico da identificare col principe. 44 In Stato, Economia, Lavoro, infra.

381

diverse - anche dell’Antico Regno - i quali, a mio parere, si servivano pure dei membri appartenenti alle comunità locali, che, abbiamo visto, operavano al di fuori della sfera statale, per controllare e limitare gli abusi compiuti nei loro villaggi dai funzionari regi, specialmente quelli responsabili dell’amministrazione di zone periferiche.45 Si ricorda, a tal proposito, un noto proclama, KBo XXII 1,46 purtroppo incompleto, del periodo antico-ittita, rivolto da un sovrano, in cui si può riconoscere Muršili I, a certi suoi dignitari per accusarli di non aver esercitato con equità il loro governo nei villaggi da loro amministrati. Questo intervento regio allo scopo di tutelare i membri liberi delle comunità locali appare appunto come un modo per cercar di coinvolgere questi ultimi nel controllo sugli amministratori dipendenti dal re. In questo documento si narra anche un episodio a carattere esemplificatorio (rr. 16’-20’) riferito al “padre del re”, ÷attušili I, il quale aveva convocato il tuliya per indagare sul comportamento di alcuni amministratori regi che avevano angariato dei loro contribuenti. Tale episodio è interessante anche perché attesta la presenza del tuliya all’epoca di ÷attušili I (ciò che non si riscontra invece nel Testamento) e le competenze giudiziarie di questo organismo. Si ricorda, a tal proposito, che anche nel § 55 della raccolta di Leggi si parla di una convocazione del tuliya probabilmente da parte di questo stesso sovrano, qui pure designato come “padre del re”, per dirimere una questione di tipo giuridico-amministrativo (o, meglio, per presentare a questa assemblea una sua delibera) riguardante una categoria di persone tenute a prestare determinati servigi.47 Un altro testo più volte esaminato dagli studiosi per cercar di definire la composizione del panku è un rituale, CTH 760 (KUB IX 34 IV 8’ sgg. e duplicati),48 in cui si enumerano diverse categorie sociali divise in due gruppi: nel primo si trovano funzionari della corte, ufficiali, sacerdoti; nel secondo gli appartenenti a ceti inferiori. In testa al primo gruppo si trova il panku, ma, verosimilmente, non come membro, iniziale e, quindi, più importante di quella lista (il ceto nobiliare, secondo V. Stato, Economia, Lavoro, 232 sg. V. bibliografia in Stato, Economia, Lavoro, 238 nota 35, cui si deve aggiungere M. Marazzi, in FsPuglieseCarratelli, 119-129. 47 Cfr., fra gli altri, F. Starke, ZA 69 (1979) 83 nota 71. 48 V. anche G. Beckman, op. cit., 437 e C. Mora, op. cit., 166 sg. 45

46

382

l’interpretazione di alcuni), ma come un organo che compendiava le categorie elencate successivamente, tra cui - ciò che appare rilevante - i figli (= impiegati) del palazzo e le guardie del corpo, che abbiamo visto presenti anche fra i funzionari elencati nel già ricordato § 33 dell’Editto di Telipinu come facenti parte del panku. Quanto abbiamo detto sinora mostra che il panku non può essere inteso come assemblea dei nobili. Chiaramente non ne facevano parte neppure i membri della famiglia reale, che abbiamo visto designata nel suo complesso con l’espressione šalli øaššatar “grande famiglia”. Certo, pur considerando che la composizione del panku non risulta ben definibile dai documenti, non mi sembra però convincente l’ipotesi di ritenere questo termine, ed anche il termine tuliya, come designazioni generiche di cui solo la prima (panku) “corrisponderebbe ad un’effettiva entità di grande forza numerica, ma di scarso valore politico” (v. C. Mora cit., a p. 377): il fatto che il sovrano avesse convocato questi organi, sia pure a scopo semplicemente informativo, significa che attribuiva loro un certo valore o, per lo meno, che intendeva mostrare di mantenere intatte, anche se solo in apparenza, certe loro competenze. A mio avviso, l’esistenza stessa di questi termini per designare organismi collegiali implica già una selezione, specialmente in strutture sociali come quella ittita. Non mi sembra offrire un sostegno all’opinione ricordata qui sopra neppure il confronto, presentato sempre da C. Mora,49 con due protocolli di successione dinastica del Medio Regno ittita, in cui si parla insieme di “panku di ÷atti (e?/cioè?) uomini di ÷atti” e viceversa, ma dove non si comprende bene se queste due espressioni fossero distinte e legate fra sé asindeticamente oppure se l’una fosse apposizione dell’altra: questa seconda possibilità, preferita da C. Mora, mostrerebbe, a suo avviso, il panku come designazione dell’intera popolazione. A parte il fatto che non mi sembrano esserci motivi sufficienti per scegliere quest’ultima interpretazione, non ritengo che nella designazione “uomini di ÷atti” si intendesse includere tutta la popolazione del regno, ma soltanto quella parte che godeva di particolari diritti. Inoltre, se il panku avesse compreso tutta la

49

Op. cit., 174 sgg.

383

popolazione ittita,50 come avrebbe potuto avere il potere di convocare il tuliya (v. Editto di Telipinu § 31 II 51)? Appare, fra l’altro, interessante notare che anche nei due protocolli di successione su ricordati si richiede al panku di “riconoscere” (anche se, certo, solo formalmente) un erede al trono appena designato. Infine, la menzione in alcuni testi religiosi di un’altra assemblea, la šalli ašeššar, “grande riunione” in senso assai ampio, che si convocava durante la celebrazione di alcune feste di culto, oltre che attestare l’esistenza di designazioni diverse per indicare organismi assembleari, mi sembra confermare anche la differenza di contenuto e di valore di queste assemblee. Ai due organismi qui presi in esame, il panku e il tuliya, sono state per lo più attribuite competenze giudiziarie, sia che essi fossero intesi come istituti differenziati, sia come un unico organo collegiale (sinonimi). È del resto noto anche da altri àmbiti del Vicino Oriente antico che le assemblee avevano sovente funzioni giudiziarie. Vi sono però alcuni studiosi che considerano il panku come un organo più ampio e meno definibile sia nella composizione che nelle competenze e ritengono che soltanto al tuliya spettassero compiti giudiziari. Mi sembra tuttavia difficile negare che nel Testamento di ÷attušili I, laddove presumibilmente si dice che se qualcuno commette qualche colpa ... allora si deve interrogare il panku e (ogni) lingua (controversia?) deve essere volta (= deferita?) appunto al panku (cfr. p. 164), si alluda ad una competenza giudiziaria spettante a questo organo. Anche se successivamente abbiamo visto - si ribadisce, come del resto in vari documenti ittiti, che l’ultima decisione spetta sempre al re: “Ma tu, figlio mio” - dice ÷attušili a Muršili - “comportati sempre in accordo a ciò che è nel tuo cuore”, v. in proposito più avanti.51

Secondo M. Marazzi, WO cit., 101, il panku, il cui significato fondamentale è “massa di uomini, massa di popolo”, assume nell’Editto di Telipinu valori diversi a seconda del contesto: 1) massa di popolo come maggioranza indeterminata, 2) massa di popolo come rappresentanza della città o dello stato, quindi funzionari della corte e soldati, 3) massa (di popolo) appartenente ad un àmbito specifico dell’amministrazione dello stato. Come già abbiamo detto, tale opinione, plausibile se riferita a testi diversi, mi sembra meno sostenibile all’interno di uno stesso testo, soprattutto trattandosi di un proclama regio emesso in una non facile situazione politica. 51 Cfr. p. 386. 50

384

Ed anche nel § 26, già ricordato più volte e su cui torneremo di nuovo, si legge che il panku condannò a morte alcune persone per reati politici. Invece nei §§ 27 e 31, come abbiamo visto e come vedremo ancora, sembra si demandi al tuliya la giudicabilità di alcuni reati compiuti nei riguardi della famiglia reale e, forse, dello stesso re. Non rimane chiaro, inoltre, se con l’espressione: “voi, il panku, divoratelo/sbranatelo coi denti” (v. p. 380), si alluda ad una richiesta di condanna o ad una esecuzione. Del panku (pan[kuš?]) sembra si parli anche in un frammento dell’Antico Regno, KBo XII 852 IV 19’ (in un passo - r. 16’ sgg. - che ha il suo parallelo nell’Editto di Telipinu, II 20 sgg.), dove questo organo è probabilmente incaricato di giudicare un certo Laøøa, un ribelle contro l’autorità regia, che pare venga condannato a morte: purtroppo, però, il contesto è molto frammentario. Tuttavia, dai documenti esaminati finora i compiti giudiziari sembrano risultare con maggiore chiarezza per il tuliya. Anche da un esame dei documenti a carattere religioso è emerso, come si è già rilevato sopra, un valore più generico del termine panku, legato al contesto in cui compare, mentre per quanto riguarda il tuliya appaiono particolarmente interessanti quei rituali o preghiere, ben evidenziati dal Beckman,53 in cui si parla della riunione di divinità nel tuliya, o nel posto del tuliya (tuliyaš pidi), dove esse svolgevano funzioni giudiziarie: ciò appare particolarmente significativo, poiché è nota la trasposizione di consuetudini umane nel mondo divino. C. Mora,54 a sostegno della sua tesi volta a vanificare il valore di queste assemblee, si rifà ad un articolo di M. Liverani “sulla monarchia di Telipinu e sul suo modo spregiudicato di gestire il potere, non limitati né dall’una né dall’altra assemblea” (la citazione è di C. Mora). È tuttavia evidente che un sovrano ha sempre bisogno di consenso per gestire il potere, e più ancora se egli è un usurpatore, e a tale scopo tende a salvare certe forme di legalità e di istituzionalità, anche se solo in CTH 20: da correggere la citazione in G. Bekman, op. cit., 440 nota 64; su questo testo v. O. Carruba, FsGüterbock, 77-79. 53 Op. cit., 438 sg.; cfr. anche 440 nota 57, per l’indicazione di un frammento di testo mitologico, CTH 351.1 (dove si fa riferimento alla scelta di un capo [t]uliyaš pidi), la cui utilizzazione nel nostro contesto è però incerta per l’origine hurrica del mito. 54 Op. cit., 168 nota 17. 52

385

apparenza, mentre non ha certo interesse ad apparire spregiudicato: è infatti ben noto che quanto più un potere è illegittimo, tanto più chi lo gestisce cerca di mostrarsi in regola, e non c’è atto di governo assoluto che non fornisca motivazioni per il suo operato. Altrimenti, perché Telipinu stesso avrebbe imbastito con tanta cura e abilità il suo proclama e perché avrebbe ritenuto utile convocare un’assemblea (qualunque ne fosse la composizione) per presentare il suo editto, se non allo scopo di ottenerne un assenso che conferisse legittimità alla sua conquista del potere? È ovvio che si trattava solo di un atto formale, poiché egli aveva, di fatto, già compiuto e ottenuto ciò che voleva. È interessante osservare come egli in questo proclama non cerchi neppure di nascondere il suo comportamento nei riguardi del precedente re ÷uzziya, da lui deposto dal trono e allontanato55 - comportamento che, del resto, era ben noto a coloro ai quali era diretto questo proclama ma attribuisca la responsabilità del suo operato al cattivo funzionamento del precedente sistema monarchico.56 Il re tende, in tal modo, ad enfatizzare la limpidezza del suo atteggiamento, anche con l’esortare gli organi da lui appellati alla franchezza e alla pubblicizzazione di ogni atto o delibera. Si legge infatti nel § 30: “Inoltre, chiunque divenga re e progetti ingiurie contro un fratello o una sorella - voi però (siete) il suo panku - allora parlategli francamente...” (v. p. 374); e nel § 31: “Chiunque tra i (suoi = del re) fratelli e sorelle provochi del male ... convocate allora il tuliya. Appena il suo piano si attuerà, egli (= il reo) risarcirà con la sua testa. Ma non lo si uccida in segreto... “ (v. p. 374 sg.). A tale comportamento si era ispirato anche ÷attušili I nei suoi consigli a Muršili, v. § 10 II 53 sg.: “[Ness]uno dica: ‘E il re [farà] in segreto (la cosa) del suo cuore (= ciò che è nel suo cuore)...’ ”. M. Marazzi57 negando che il panku fosse un’assemblea istituzionalizzata e che avesse una specifica funzione giuridica poiché la sentenza legale e la giurisdizione appartenevano al potere regio, riesamina in tal senso il § 26 dell’Editto di Telipinu (v. p 373), laddove si intende che il panku ha condannato a morte tre personaggi rei di omicidio, che il re, invece, ha 55 Pur facendo presente che non è sua la responsabilità dell’uccisione di ÷uzziya e dei suoi fratelli. 56 V. in questo senso M. Liverani, OA 16 (1977) 120. 57 WO cit., 100 sg.: da correggere (a p. 100) § 36 in § 26.

386

lasciato in vita, pur declassandoli dalla loro posizione sociale. A suo avviso, si vuole qui alludere soltanto ad una sentenza morale da parte del panku, per permettere in tal modo al re un atto di clemenza, senza però offrire l’immagine di un sovrano che contraddice la sentenza di un tribunale o di un’assemblea istituzionalizzata. Si deve però ricordare che nelle strutture monarchiche di tipo, di epoca, di àmbiti diversi spetta sempre al sovrano il potere di grazia, ciò che gli permette di evidenziare ancor più la sua generosità. Significativi a tal proposito sono alcuni articoli delle Leggi ittite,58 in cui si contemplano reati per i quali è prevista la pena di morte, espressa mediante la locuzione aki-aš “egli (= il colpevole) deve morire”, nel senso cioè che “deve essere ucciso (= punito con la morte)”,59 cui segue la frase “il re lo (= il reo) uccide (= fa morire), il re lo fa vivere”, che esprime la manifestazione della sua volontà, indipendentemente da ogni sentenza o consuetudine giudiziaria. Vi sono anche altri esempi in tale direzione in atti emanati da sovrani ittiti, su cui sarebbe troppo lungo soffermarci qui.60 Per concludere, riepilogando quanto ho rilevato sopra, non ritengo che panku e tuliya fossero sinonimi e neppure designazioni generiche. La documentazione finora pervenutaci riguardo alla convocazione di questi organismi assembleari da parte del sovrano concerne soprattutto il periodo antico-ittita, ma ne abbiamo sporadiche notizie anche per il cosiddetto Medio Regno ed un esempio per il Nuovo Regno, in un testo di istruzioni emanato dal sovrano Tutøaliya IV e rivolto ad alti dignitari del regno, in cui si parla di una convocazione all’assemblea (qui si usa pero l’espressione accadica ANA PU÷RI).61 Purtroppo però il passo è molto frammentario e può soltanto attestare la continuità di tali istituzioni collegiali del cui intervento attivo, però, non abbiamo alcuna notizia, neppure in situazioni difficili o di dubbia legalità riguardo all’esercizio del potere regio. 58 §§ 187, 188, cfr. anche § 198. Al giudizio del re si ricorre, con la stessa frase, anche nel § 199, senza che, però, sia stata comminata prima una sentenza di morte. 59 Su questo significato del verbo ak-, inteso come passivo di kuen-/kun“uccidere”, v. HW2 51. 60 Šaøur., 101 con note 160 e 161; v. anche p. 30 sg. § 9 rr. 61-64 e p. 98, nota 153, per altri esempi in proposito. 61 G. Beckman, op. cit., 441 con note 78-79.

387

Abbiamo visto questi organismi collegiali convocati dal sovrano in circostanze straordinarie, quando la successione al trono non si presentava conforme alla consuetudine o era addirittura illegale. Non avevano però alcuna funzione decisionale nell’elezione del re. A loro, tuttavia, egli presentava le motivazioni del suo comportamento. Infatti, una dichiarazione di volontà da parte di un monarca fatta in deroga ad una norma esige anche la presentazione di una giustificazione per provocare l’assenso di coloro a cui essa è diretta. Così, in situazioni difficili per la monarchia e per il paese, al panku (cioè, al complesso dei suoi dipendenti), alle truppe (!) e ai notabili/dignitari ÷attušili I e all’assemblea dei funzionari del regno Telipinu chiedono un assenso formale che conferisca validità al loro operato. Ciò viene a costituire anche un punto di forza per il sovrano per legare questi organi istituzionali al rispetto del patto che con il loro consenso sono venuti a stringere con lui. Mi sembra inoltre plausibile pensare che Telipinu cercasse anche di coinvolgerli nel controllo sugli alti dignitari, che, soprattutto nel periodo più antico, dovevano essere per la maggior parte membri della famiglia reale, per limitarne l’influenza e diminuire il pericolo che potevano costituire per il potere regio. A tale scopo, egli presenta a questi organi collegiali le sue giustificazioni e la sua rielaborazione della realtà: i suoi funzionari appaiono infatti come i più adatti ad accoglierle. In effetti, il ceto elitario del paese era certo il meno influenzabile da tali argomentazioni e il ceto più basso e più lontano dal potere il meno interessato ad esse.

388

XX.

LE RELAZIONI POLITICHE FRA ÷ATTI E TAR÷UNTAŠŠA

I. I problemi sollevati dalla scoperta della tavoletta di bronzo, contenente il trattato fra Tutøaliya IV e Kurunta re di Tarøuntašša,1 rendono necessario anche un riesame dei testi a carattere storico-politico di ÷attušili III e Tutøaliya IV, e in primo luogo di quei documenti che con la tavoletta di bronzo hanno in comune sia elementi strutturali, formali e contenutistici, sia personaggi che ne sono a vario titolo e in misura diversa protagonisti, sia entità territoriali in qualche modo in relazione con eventi ivi considerati. Per molti di questi problemi si prospettano più soluzioni, ciascuna delle quali però presenta aspetti che lasciano spazio a critiche. II. In questa sede si analizzeranno i rapporti intercorsi fra ÷atti e Tarøuntašša e la loro influenza sulla situazione politica interna del regno di ÷attušili III e del primo periodo di quello di Tutøaliya IV. A tale scopo sono di importanza basilare gli accordi stipulati fra questi due stati, di cui si ha notizia principalmente dalla tavoletta di bronzo e da KBo IV 10+ (CTH 106),2 “trattato” emanato da un sovrano ittita, il cui nome è andato perduto,3 in favore di Ulmi-Teššup re di Tarøuntašša. Nei due documenti si notano infatti strette analogie per il contenuto di alcune importanti clausole e per la presenza nelle liste di testimoni di molti degli stessi personaggi.4 Pubblicata da H. Otten, Bronzetaf. (1988). Ora KBo IV 10 + 1548/u + KUB XL 69: v. Th.P.J. van den Hout, JCS 41 (1989) 100 nota 1. 3 Sulle proposte di identificazione di questo sovrano, v. la bibliografia presso Th.P.J. van den Hout, RA 78 (1984) 89 note 5 (÷attušili III), 6 (÷attušili III/Tutøaliya IV), 7 (Tutøaliya IV). 4 V. in ultimo J. Lorenz, Der Vertrag mit Ulmi-Tešub von dU-ašša (CTH 106). 1

2

Sprachliche und historische Würdigung und Einordnung innerhalb der hethitischen Staats vertragstradition. Hausarbeit vorgelegt am Fachbereich 11 - Aussereuropäische

389

Per quanto riguarda la collocazione cronologica dei due documenti in esame, poiché l’intronizzazione di Kurunta in Tarøuntašša viene presentata come uno dei primi atti politici di ÷attušili III - subito dopo la sua ascesa al trono conseguente la deposizione di Urøi-Teššup - la tavoletta di bronzo appare anteriore a KBo IV 10+. La notizia di tale atto di intronizzazione proviene sia dalla stessa tavoletta di bronzo (Ro I 14-15), sia da altri documenti quali il frammento 544/f (CTH 96), Hatt. IV 62-64 (CTH 81), ABoT 57 (Ro) 2’-3’, 10’-11’ (CTH 97), KBo IV 10+ Ro 41’ (CTH 106); cfr. anche KUB VI 47 r. 1’ (CTH 214). Come vedremo in particolare più avanti, non c’è infatti spazio per un insediamento di Ulmi-Teššup sul trono di Tarøuntašša durante il regno di ÷attušili III e quella parte del regno di Tutøaliya IV che precede la stesura della tavoletta di bronzo. Ne consegue che KBo IV 10+ - il trattato diretto appunto ad Ulmi-Teššup - poteva essere stato soltanto stipulato da Tutøaliya IV o da un suo immediato successore;5 quest’ultima ipotesi sembra però da escludere per la presenza nella lista dei testimoni di personaggi già attivi all’epoca di ÷attušili III.6 Tuttavia un’accurata analisi storico-filologica dei due documenti in parallelo mostra come questa datazione, che risulta la più plausibile, sollevi alcuni problemi di cui è necessario tener conto. III. TAVOLETTA DI BRONZO § 1 Ro 11-5 Intestazione: nome del sovrano che ha emanato l’atto (Tutøaliya IV, nel caso specifico) e sua genealogia. § 2 Ro I 6-13 Antefatto storico: notizie sui rapporti intercorsi fra ÷attušili III, padre dell’attuale sovrano ittita, e Kurunta, il re di Tarøuntašša a cui è destinato il documento (deposizione di Urøi-Teššup da parte di ÷attušili Sprachen und Kulturen-der Phillipps-Universität Marburg, (1986) 71 sgg. (a proposito soltanto di KBo IV 10+); Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+ (1989) 7 sgg.; F. Imparati, FsAlp (1992) 307-322. 5 V. H. Otten, op. cit., 6. 6 V. F. Imparati, op. cit.

390

III; enfatizzazione dell’assenza di colpe da parte di Kurunta in questa circostanza; richiamo al fatto che proprio Muwattalli aveva affidato Kurunta a ÷attušili III). Da notare: il sovrano ittita che parla di solito7 in prima persona, si riferisce a Kurunta in terza persona. Diversamente da quanto si dice nell’Autobiografia di ÷attušili III e in altri testi di questo sovrano, Tutøaliya IV mostra di attribuire al padre l’iniziativa delle ostilità nei confronti di Urøi-Teššup (v. la specificazione DUMU mMuwattalli, apposta al nome di Urøi-Teššup, che ne sottolinea la legittimità del potere,8 e l’impiego del verbo kururiyaøø-: I 7). Tale atteggiamento prelude quello più esplicito di Tutøaliya nel trattato con Šaušgamuwa = CTH 105 II 15-30 (episodio di Mašduri). § 3 Ro I 14-21 Prosecuzione dell’antefatto storico: deposizione di Urøi-Teššup; insediamento di Kurunta sul trono di Tarøuntašša da parte di ÷attušili III, il quale stipula con lui un accordo (išøiul) per definire i confini (ZAGMEŠ) del suo regno, accordo confluito in TUPPA÷I.A RIKILTI (I 17) che sono in mano di Kurunta. Inizio della definizione dei confini. Da notare: il riferimento alla delibera dei confini in 544/f (CTH 96) Ro 12’, ]nu-mu TUPPAHI.A [ŠA] ZAG[÷I.A, e l’uso del termine “tavoletta” al plurale anche in KBo IV 10+ § 6 Ro 38’, 39’ (qui accordato con l’aggettivo dimostrativo al singolare: apedani ANA TUPPA÷I.A). § 4 Ro I 22-28 Continua la descrizione dei confini: riferimento ad una riduzione di essi da parte di ÷attušili III e loro ristabilimento da parte di Tutøaliya IV. Da notare: il riferimento alla riduzione dei confini, operata da ÷attušili III (ANA [TU]PPI RIKILTI ŠA ABU-YA: I 23-24) rispetto alla precedente definizione stabilita, ovviamente, dallo stesso sovrano al momento dell’insediamento di Kurunta sul trono di Tarøuntašša, è indizio dell’esistenza di due diversi documenti redatti a questo scopo da ÷attušili III. 7 8

Fanno eccezione § 17 rr. 68-68 e § 22 r. 40. Anche se però Tutøaliya evita l’uso del nome dinastico di Muršili (III).

391

§ 5 Ro I 29-42 Continua la descrizione dei confini. Da notare: lo spostamento del confine da Šuttašna a Šantimma (I 3537), operato da ÷attušili III (“mio padre”), conferma l’esistenza di tavolette dell’accordo (TUPPA÷I.A RIKILTI) da lui redatte per Kurunta in due tempi diversi, le più antiche, indicate come øantezzi-, non pervenuteci, le seconde confluite in KBo IV 10+ Ro 22’-23’. Poiché Tutøaliya non interviene a modificare la seconda decisione del padre, è presumibile che questa avesse comportato un ampliamento dei confini favorevole a Kurunta: cfr. le nostre osservazioni in proposito più avanti. Si rileva anche la menzione della montagna ÷u(wa)tnuwanta, presente pure nel testo di Šaøurunuwa,9 e il riferimento alla regolamentazione delle acque del bacino del monte Arlanta, il cui sfruttamento spetta per metà al paese del fiume ÷ulaya e per metà al paese di ÷atti. § 6 Ro I 43-47 Continua la descrizione dei confini. Da notare: la modifica (I 46) apportata da Tutøaliya IV non si riscontra in KBo IV 10+. Si rileva inoltre che a URU÷armina di I 46 corrisponde in KBo IV 10+ Ro 27’ :øarmina- (due volte): la normalizzazione nella tavoletta di bronzo può essere indizio di recenziorità. § 7 Ro I 48-52 Continua la descrizione dei confini. V. le annotazioni al § 8. § 8 Ro I 53-67 Continua la descrizione dei confini. Da notare: in I 62-64 la promessa di cedere al re di Tarøuntašša il territorio di Parøa una volta conquistato; tale impegno manca in KBo IV 10+ nel passo corrispondente.

9

Su cui v. in ultimo F. Imparati, Šahur. (1974) 82, e RGTC 6, 132.

392

Si rilevano inoltre in questo e nel paragrafo precedente divergenze nelle indicazioni territoriali che appaiono qui più ampie e dettagliate rispetto ai passi corrispondenti in KBo IV 10+. Sui riferimenti geografici presenti nel § 8 della tavoletta di bronzo e sulle relative implicazioni, v. H. Otten, IBS-VKS 42 (1989) 18. § 9 Ro I 68-90 Assegnazione a Kurunta di località situate all’interno di Tarøuntašša, già appartenenti al re di ÷atti, e di gruppi di lavoratori. Da notare: la presumibile distinzione fra lavoratori stanziati periodicamente nel paese (I 76: ANA ZAG KURTI aš-kán ešzi) e lavoratori stabili (I 81: EGIR-an. . . EGIR-an ašanzi); questi ultimi sono assegnati (EGIR-an piyanteš) al servizio delle divinità di Tarøuntašša (I 81-82). EGIR-an, impiegato qui come preverbio temporale, nei passi indicati sembra conferire al verbo un valore durativo piuttosto che indicare, come di consueto, il ripetersi dell’azione. Sulla problematicità delle rr. 79 sgg., v. H. Otten, Bronzetaf., 41. Sull’impiego e la dislocazione di gruppi di lavoratori e di persone legate a determinate località, v. F. Imparati, Or 59 (1990) 176 sgg. Da notare inoltre il rilievo dato da Tutøaliya al suo positivo intervento presso il padre, perché concedesse a Kurunta non soltanto i “nudi muri” (I 87: purut- su cui v. H. Otten, op. cit., 42) ma anche gli abitanti. Appare significativa la notazione di Tutøaliya che tale concessione non è registrata sulla tavoletta del trattato del padre (I 90: ANA TUPPI RIKILTI ŠA ABI-YA-ma-at-kán ÚL GAR-tari). Questo paragrafo manca in KBo IV 10+. § 10 Ro I 91-II 3 Faccenda (AWAT) del NA4øekur SAG.UŠ “costruzione rocciosa stabile”. Riferimento alla proibizione da parte di ÷attušili III per Kurunta di accedere a tale costruzione, proibizione resa nota tramite (“per bocca di”) Maraššanta, al quale il sovrano affida una tavoletta (TUPPU) appositamente stilata, che egli conserva ancora all’epoca della tavoletta di bronzo. ÷attušili annulla questa decisione, quando viene a sapere che il NA4 øekur SAG.UŠ era stato riservato con delibera scritta come kuntarra 393

“residenza”10 del dio della Tempesta, poiché in tali condizioni non sarebbe stato possibile (ÚL kisari I 97 e II 2: cfr. E. Neu, StBoT 5 [1968] 97) per Kurunta utilizzarlo in futuro a proprio vantaggio. Ciò viene confermato da una persona inviata appositamente da Tutøaliya IV per verificare la situazione (v. però §§ 16 e 22). Da notare: “per bocca di Maraššanta “, v. H. Otten, op. cit., 44. Da questo paragrafo si evince l’esistenza di altri due documenti scritti: la tavoletta, che ÷attušili III “fece per Maraššanta “ (I 93), e l’iscrizione, probabilmente in luvio geroglifico (v. H. Otten, IBS cit., 30), che attribuiva il NA4øekur SAG.UŠ al dio della Tempesta come kuntarra (I 95 e 101). Difficile comprendere le motivazioni e i contenuti di questi documenti. Appare infatti strano che Tutøaliya non abbia ripreso il documento, redatto per conferire a Maraššanta11 l’incarico di occuparsi della “faccenda del NA4øekur SAG.UŠ” e diventato ormai superfluo dopo che la decisione di ÷attušili, rivelatasi inutile, era stata annullata. Inoltre, accettando l’interpretazione di lê dattari (II 3) proposta da H. Otten (p. 15), non è chiaro il motivo per cui Tutøaliya proibisca di togliere tale documento a Maraššanta qualora questi lo renda noto (secondo una possibile interpretazione di udai, II 3, nel contesto in esame). Tanto più che Tutøaliya nei §§ 16 (II 64-66) e 23 (III 51-52), in un contesto in cui tende ad evidenziare quello che egli ha dato a Kurunta in più del padre, conferisce a questo re e alla sua discendenza l’utilizzazione del NA4øekur SAG.UŠ e delle località ad esso legate. La decisione di Tutøaliya di mantenere questa tavoletta potrebbe essere motivata dall’intento di utilizzarla o come strumento di pressione nei confronti di Kurunta nel caso di un pericolo proveniente da lui per la stabilità del potere regio in ÷atti o come garanzia per Maraššanta, nell’eventualità di contestazione del suo operato, per convalidare cioè con un atto scritto la missione affidatagli dal re.

V. H. Otten, op. cit., 45; cfr. anche J. Tischler, HEG, 635 sg. Certo un alto personaggio che sappiamo avere operato in una zona vicina al confine orientale di Tarøuntašša: v. H. Otten, Bronzetaf. cit., 44; F. Imparati, FsAlp. Alle attestazioni presentate da H. Otten relative a questo personaggio si aggiunga ora KUB LX 97 Ro 10’. 10

11

394

Tuttavia questi problemi interpretativi si possono risolvere intendendo il passo in questione (II 2-3) nel senso che “la tavoletta ... non deve essere presa (in considerazione)”: cfr. KUB XXVI 92, 14-15, apud E. Neu, op. cit., 160. Il secondo documento, in un primo tempo ignoto a ÷attušili, era stato ovviamente redatto da un sovrano a lui precedente - probabilmente Muwattalli, di cui è nota la devozione al dio della Tempesta (in particolare DU piøašašši), piuttosto che Urøi-Teššup, per poco tempo attivo nel sud anatolico. Nonostante si conoscano nella documentazione ittita alcuni esempi di “costruzioni rocciose” dedicate a divinità e utilizzate anche come monumenti funebri di sovrani,12 tuttavia il contesto in esame non sembra accordarsi con l’ipotesi di H. Otten (Bronzetaf. cit., 42 sgg.; IBS cit., 27 sgg.) secondo la quale il NA4øekur SAG.UŠ avrebbe costituito il mausoleo di Muwattalli, per cui la sua utilizzazione da parte di un discendente di questo sovrano avrebbe potuto conferire legittimità a sue eventuali pretese al trono di ÷atti. Infatti la prima delibera di ÷attušili (I 92) sembra nascere da un fraintendimento, nel senso cioè, a nostro avviso, che la costruzione ritenuta mausoleo di Muwattalli era in realtà luogo di culto del dio della Tempesta (I 94). Una volta chiarita la situazione (I 97-98), ne consegue necessariamente l’annullamento della delibera stessa (I 98); a ciò si attiene anche Tutøaliya, dopo aver ulteriormente verificato che la situazione era rimasta immutata (I 99-II 2). L’interpretazione da noi proposta ci sembra giustificare anche la successiva delibera di Tutøaliya formulata nei §§ 16 e 23 (v. sopra), in quanto la concessione del NA4øekur SAG.UŠ a Kurunta non poteva costituire un pericolo per la stabilità del potere del sovrano ittita, che, invece, da molti altri suoi documenti appare particolarmente preoccupato per una tale eventualità. Per quanto riguarda l’ubicazione di questa istituzione cultuale, riteniamo verosimile che essa si trovasse, all’interno del paese di Tarøuntašša, in una di quelle località rimaste al re di ÷atti e concesse

Cfr. per es. il NA4øekur DLAMMA destinato da Tawananna a suo monumento funebre e forse anche il NA4øekur Pirwa, su cui v. F. Imparati, SMEA 18 (1977) 19 sgg. 12

395

poi da Tutøaliya a Kurunta insieme all’istituzione stessa e ad altri benefici (v. § 16). § 11 Ro II 4-20 Riconferma da parte di Tutøaliya IV dei diritti attribuiti da ÷attušili a Kurunta relativi al pascolo alpestre e all’accesso alla salina13 e inoltre a ogni kuwappala, vuoi quello dato al dio della Tempesta piøašašši, vuoi qualsiasi altro il cui conferimento sia stato convalidato da ÷attušili.14 Da notare: la presenza di vari termini glossati, alcuni dei quali di significato sconosciuto e talora hapax. Sulla località di Šarmana, presumibilmente importante per l’estrazione del sale e la sola menzionata in KBo IV 10+ Ro 34’, 35’, v. RGTC 6, 353. Questa località è citata anche negli annali di un Tutøaliya, KUB XXIII 27 I 8, vicino a Arzawa, Šaliwanta e Walinanta: v. RGTC 6, 472. § 12 Ro II 21-30 Regolamentazione delle imposte e forniture cultuali per gli dèi di Tarøuntašša. Nell’introduzione al paragrafo (II 21) Tutøaliya ricorda che in passato la cura degli dèi di Tarøuntašša spettava a ÷attuša (evidentemente all’epoca di Muwattalli, secondo le notizie provenienti da ABoT 57 Ro 7 sg. e KBo IV 10+ Ro 40’-41’). Il sovrano ittita, riconfermando quanto suo padre aveva dato a Kurunta, esclude che si possano prelevare da ciò le imposte per le divinità (II 22-24). Tutøaliya, dopo aver fissato l’ammontare dell’imposta annuale per gli dèi di Tarøuntašša in 200 buoi e 1000 pecore, stabilisce che alla consegna di tali forniture dovranno provvedere o località da lui appositamente indicate o la stessa ÷attuša (II 25-30). Da notare: questo paragrafo risale probabilmente a quel ŠA DINGIRLIM šaøøan išøiul, cui fa cenno, senza però riportarlo, KBo IV 10+ Ro 40’. Sul ruolo del sale in una econorma di tipo pastorale e sull’utilizzazione dei pastori per la sua estrazione nella Mesopotamia antica, v. D. Potts, OA 22 (1983) 205215, e in particolare 209 sgg.; v. inoltre G. Beckman, FsOtten2, 37 sg. 14 Per l’uso in tal senso del termine âra, v. A. Kammenhuber, HW2, 219 sgg.; J. Puhvel, HED, 118. 13

396

§ 13 Ro II 31-42 Enfatizzazione da parte di Tutøaliya del suo legame personale con Kurunta, legame promosso dalla divinità già prima che Tutøaliya fosse designato come erede al trono e convalidato da un giuramento di protezione reciproca (II 31-34). Si apprende l’esistenza di un fratello maggiore di Tutøaliya, insediato da ÷attušili nella carica di LÚtuøukanti (II 35). Si riportano le parole del giuramento di Kurunta, che assicura la sua fedeltà a Tutøaliya, indipendentemente dal ruolo che il padre potrà assegnare a quest’ultimo (II 37-41), e le parole del giuramento di Tutøaliya, che si impegna a sua volta alla fedeltà (II 41-42). Da notare: ha inizio con questo paragrafo una nuova “introduzione storica” (§§ 13-16), in cui si presenta il tema della fedeltà come motivo delle maggiori concessioni di Tutøaliya a Kurunta rispetto al padre. Questo paragrafo sembra ormai confermare che la carica di LÚ tuøukanti veniva attribuita all’erede al trono di ÷atti.15 Da rilevare inoltre che le parole pronunciate da Kurunta sottolineano il suo stretto legame, anche personale, con Tutøaliya (v. pát, II 40) e fanno presumere l’esistenza di una forma di complicità fra i due, precedente l’ascesa al trono di questo sovrano e verosimilmente motivo di essa. La non automaticità della successione al trono di Tutøaliya è del resto confermata anche da quanto si legge alla r. 35: su questo problema v. più avanti. L’espressione tuel ARAD-iš (II 41) attribuita a Kurunta sembra utilizzata da Tutøaliya per sottolineare la differenza gerarchica già da tempo esistente fra i due personaggi in questione, nonostante la dichiarazione di amicizia reciproca. § 14 Ro II 43-52 ÷attušili, dopo aver sostituito con Tutøaliya il figlio precedentemente designato come LÚtuøukanti, esorta il nuovo erede al trono e Kurunta a mantenere, mediante giuramento, il loro impegno di reciproca fedeltà (II 43-48).

15

V. in ultimo O.R. Gurney, AnSt 32 (1983) 97 sgg.

397

Tutøaliya evidenzia la fedeltà di Kurunta ai giuramenti fatti (II 49-50) e, in conseguenza di ciò, si impegna a ricompensarlo una volta salito al trono (II 50-52). Da notare: non conosciamo i motivi che hanno spinto ÷attušili a sostituire l’erede al trono da lui prima designato: tale sostituzione può essere avvenuta o per influenza di Puduøepa o in conseguenza di una congiura ordita da Tutøaliya con l’appoggio di Kurunta, a cui ÷attušili dovette adeguarsi (v. più avanti). Si ricorda che Tutøaliya era stato dedicato dal padre al sacerdozio del dio della Tempesta di Nerik (KUB XXXVI 90 Ro 15-18 e KUB XXV 21 III 13-16) e di IŠTAR di Šamuøa (÷att. IV 76 sgg. e KBo VI 29 III 1 sgg.), il che fa pensare ad una sua esclusione dalla successione al trono: si confrontino per questo le analoghe situazioni di Kantuzzili nel Medio Regno e di Telipinu, figlio di Šuppiluliuma I. Tale intenzionale esclusione da parte di ÷attušili può trovare conferma nel fatto che a Tutøaliya era stata attribuita dal padre la carica di GAL MEŠEDI,16 conferita di solito a un fratello dell’erede designato, come dimostra il caso di Zida, fratello di Šuppiluliuma I, di ÷attušili stesso (÷att. I 25 e IV 41-42) e ora la lista dei testimoni nella tavoletta di bronzo, dove ÷uzziya GAL MEŠEDI segue Neriqqaili, che è LÚ tuøukanti nelle liste di KBo IV 10+ e Šaøur.17 È inoltre da rilevare che ÷attušili nella sua Autobiografia fa riferimento sia a Kurunta (÷att. IV 62) sia a Tutøaliya (÷att. IV 77 e 78) in passi abbastanza vicini. La locuzione LUGAL-iznani tittanu- “porre nella carica di re” nel passo in esame della tavoletta di bronzo appare usata per indicare soltanto la designazione al trono e non sembra portare elementi per una eventuale coreggenza fra ÷attušili e Tutøaliya, proposta invece da C. Mora18 sulla base della ricostruzione dell’iscrizione cuneiforme presente sul registro esterno dell’impronta di un sigillo di Tutøaliya IV (AO 21091), rinvenuta ad Ugarit (RLS 2). V. K. Riemschneider, JCS 16 (1962) 110 sgg. Si noti che Tutøaliya è menzionato con questo nome già in testi precedenti la sua ascesa al trono; sull’ipotesi che il suo nome di nascita fosse mBU-LUGAL-ma, v. bibliografia presso Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+ cit., 138 sgg., e F. Imparati, FsAlp. 17 Diversamente S.R. Bin Nun, RHA 31 (1973) 5 sgg. 18 RILSL 121 (1987 [1988]) 97 sgg. 16

398

Alla r. 48 l’espressione anzaš-naš øanti tradotta da H. Otten, op. cit., 19 “und wir waren einander jeweils Schwurgenossen”, ci sembra piuttosto da intendere “e noi anche separatamente/per conto nostro eravamo uomini del giuramento”, per sottolineare che il rapporto di amicizia fra i due era anteriore all’esortazione loro rivolta da ÷attušili. Alla r. 51 si nota la presenza del verbo kaneš- usato anche in altri testi (v. in particolare l’Autobiografia di ÷attušili III)19 come termine tecnico per indicare la legittimità del riconoscimento divino. Si vedano inoltre altri esempi in contesti diversi non riferiti a divinità.20 Si evidenzia qui, come in altri passi della tavoletta (v. § 16 II 57), il riferimento all’intervento divino nell’ascesa al trono di Tutøaliya, teso a conferire all’evento una legittimità sulla quale, proprio nel caso specifico, ci sembra di poter dubitare.21 Il richiamo da parte di Tutøaliya all’impegno di fedeltà reciproca, precedente la sua ascesa al trono, viene probabilmente enfatizzato in un momento in cui il sovrano ittita non è sicuro di poter contare sulla fedeltà del suo partner. Comunque, nonostante i dubbi e i sospetti forse esistenti fra le due parti,22 rimane sempre probabile l’ipotesi che in epoca non lontana Kurunta avesse aiutato Tutøaliya nella presa del potere al posto del fratello (v. sopra). § 15 Ro II 53-56 Si evidenzia la fedeltà di Kurunta nei confronti di Tutøaliya anche nel difficile momento conseguente la morte di ÷attušili. Da notare: l’inconsueta distanza che separa il riferimento alla morte di ÷attušili (§ 15 II 53) da quello relativo all’insediamento di Tutøaliya sul trono (§ 16 II 57). È possibile che ciò sia dovuto al fatto che tale insediamento non era stato del tutto pacifico - cosa che potrebbe trovare conferma nella frase KUR.KUR÷I.A. . . ârša tiyat (II 53-54) - fatto utilizzato qui per mettere in rilievo la fedeltà di Kurunta. Cfr. ad esempio la situazione esistente al momento dell’ascesa al trono di Muršili II. Per le ricorrenze del termine in tale testo v. H. Otten, StBoT 24, 90, Glossar. V. E. Laroche, RHA 19 (1961) 27-29. 21 Cfr. l’analogo atteggiamento di ÷attušili in molti dei suoi testi. 22 V. infatti quanto si osserverà nelle conclusioni a proposito dell’intronizzazione di Ulmi-Teššup. 19

20

399

§ 16 Ro II 57-66 Ascesa al trono di Tutøaliya IV (sull’intervento divino in tale occasione v. sopra § 14) e stipula di un išøiul con Kurunta, col quale atto vengono concesse a questo le località non comprese nel TUPPI RIKILTI di ÷attušili e le persone presenti all’interno del paese del fiume ÷ulaya; mediante lo stesso documento vengono inoltre risistemati i confini e “restituito”, anche per l’avvenire, il NA4øekur SAG.UŠ a Kurunta e ai suoi discendenti. Da notare: il paragrafo sembra riassumere quanto fino ad ora esposto in questa tavoletta. È possibile che si faccia qui riferimento ad un išøiul precedente, sempre di Tutøaliya; a due accordi distinti fa pensare anche l’inizio del § 17 II 67. Esso poteva contenere nuove disposizioni più favorevoli a Kurunta - emanate da Tutøaliya al momento della sua ascesa al trono relativamente ai confini e al NA4øekur SAG.UŠ, cosa che potrebbe giustificare la presenza del preverbio EGIR-pa (II 64: EGIR-pa ... teøøun; II 65: EGIR-pa piøøun), altrimenti difficilmente spiegabile rispetto a quanto deliberato nel § 10, dove Tutøaliya afferma di essersi attenuto alla decisione del padre. È significativo che si parli di benefici concessi a Kurunta subito dopo i §§ 13-15, in cui è evidenziata la fedeltà di Kurunta, precedente anche l’ascesa al trono di Tutøaliya: il sovrano ittita vuol mostrare la sua benevolenza nei riguardi di Kurunta come un compenso alla fedeltà di questo, probabilmente proprio perché allo stato attuale essa vacillava ed appariva utile sollecitarla. § 17 Ro II 67-78 Definizione del nuovo išøiul per Kurunta (II 67). Impegno da parte di Tutøaliya e della sua discendenza a difendere Kurunta e la sua discendenza nel potere regio (II 68-70) e a non permettere alcuna distruzione o depauperamento dei loro beni (II 71). Promessa da parte ittita di indennizzare Kurunta e i suoi discendenti ogni volta che si verificheranno perdite economiche o gli oneri saranno troppo gravosi (II 74-78: il mantenimento di tale impegno è sottolineato dall’uso dell’iterativo šarninkišk-).

400

Da notare: sulla possibile esistenza di un nuovo išøiul, v. le nostre osservazioni al paragrafo precedente. Si rileva l’uso di due diversi verbi all’infinito (II 71: :zantalanuna, termine luvio su cui v. H. Otten, op. cit., 50; II 77: tepnummanzi) con lo stesso significato di “diminuire”: sulle attestazioni del verbo tepnu- in contesti analoghi nella tavoletta di bronzo, v. H. Otten, op. cit., 73. § 18 Ro II 79-83 Definizione della posizione cerimoniale del re di Tarøuntašša rispetto “al grande trono” ittita: per essa deve valere l’accordo (išøiul) già valido per il re di Karkemiš, secondo per importanza soltanto al LÚ tuøukanti. Da notare: l’impiego alla r. 81 del termine šaklai- “uso, cerimoniale” conferma che l’išøiul riguarda proprio il cerimoniale allora in uso presso la corte ittita. L’išøiul relativo al re di Karkemiš è conservato in KBo 128 (CTH 57).23 Sono, del resto, noti altri documenti in cui si prevedono precise norme cerimoniali nel caso di presenza alla corte ittita di alcuni sovrani “vassalli”: v. la tavoletta di Anitta, relativa all’uomo di Purušøanda che doveva sedere alla destra del re (CTH 1 Vo 76-79), e il trattato con Šunaššura di Kizzuwatna, dove si stabilisce che all’arrivo a corte di questo sovrano i Grandi del regno dovranno alzarsi per rendergli omaggio (CTH 411 38-44). Tale posizione, stabilita per il re di Tarøuntašša nella tavoletta di bronzo e per il re di Karkemiš in KBo I 28, sembra riferirsi soltanto allo stretto cerimoniale di corte, poiché questa gerarchia non è rispettata nell’ordine di successione dei testimoni nelle liste della stessa tavoletta di bronzo (dove il re di Karkemiš è menzionato dopo due DUMU.LUGAL e il GAL MEŠEDI) e in KBo IV 10+ (dove il re di Karkemiš è preceduto dal LÚtuøukanti e da tre DUMU.LUGAL); per quanto riguarda la lista nel testo per Šaøurunuwa, la lacuna dopo la menzione del In base a tav. br. Ro II 80 si può integrare KBo I 28 Ro 17-19 nel modo seguente: 17 [nu-kán A-N]A LUGAL KUR Kar-ga-miš 18 [LÚtu-uø-kán-t]i-iš-pát 1-aš 19 [šal-li-iš] e-eš-du 23

401



tuøu[kanti e prima della menzione del re di Tarøuntašša non permette di verificare la sequenza.24 Per il riferimento a questo išøiul, in contesto diverso e in forma abbreviata, in KBo IV 10+ § 5 Ro 37’, v. il commento a questo paragrafo. § 19 Ro II 84-94 Modifica alla tavoletta del trattato (TUPPI RIKILTI) di ÷attušili, dove si stabiliva di insediare nel potere regio in Tarøuntašša il “figlio di quella” donna che la regina - certo Puduøepa - avrebbe dato in sposa a Kurunta, e delibera di Tutøaliya di lasciarlo libero nelle sue scelte relativamente alla sposa e all’erede: cfr. § 2 di KBo IV 10+. Da notare: il fatto che Kurunta, al momento della redazione del TUPPU RIKILTI di ÷attušili, non avesse ancora preso in moglie la donna destinatagli dalla regina (II 86-87) e che la cosa fosse rimasta in sospeso all’epoca della tavoletta di bronzo (II 88-89) fa supporre che fra i due atti non dovesse essere intercorso molto tempo. Con tale decisione Tutøaliya IV mostra ancora una volta il suo scopo di acquisire meriti nei confronti di Kurunta: v. §§ 14 e 16. È del resto nota la politica condotta da Puduøepa (e ÷attušili) nell’intessere relazioni matrimoniali come strumento di controllo o di alleanze internazionali. Per l’interpretazione della forma verbale dâi in II 86 ci sembra preferibile seguire quella proposta da H. Otten25 - presente III pers. sing. di dâ- “prendere” con valore di futuro26 - anziché quella di Th.P.J. van den Hout27 - imperativo II pers. sing. di dâi- “porre” - per il confronto con il passo corrispondente in KBo IV 10+ § 2 Ro 4’. § 20 Ro II 95 - Vo III 20 išøiul di Tutøaliya per garantire a Kurunta e ai suoi discendenti la regalità in Tarøuntašša. In caso di reati commessi da discendenti di Kurunta sarà lo stesso re di ÷atti a condurre personalmente l’inchiesta e a emettere un giudizio: V. F. Imparati, FsAlp. Op. cit., 21; v. anche commento p. 50. 26 E non preterito, come indicato da Th.P.J. van den Hout, JCS cit., 110. 27 Loc. cit. 24

25

402

l’eventuale pena non dovrà coinvolgere la famiglia e il patrimonio del colpevole. Sono invocate le principali divinità del pantheon ittita - il dio della Tempesta di ÷atti e la dea Sole di Arinna - a tutela della discendenza proprio di Kurunta e non di un qualsiasi altro discendente di Muwattalli. La regalità di Tarøuntašša spetta in primo luogo ai successori di Kurunta in linea maschile, anche dopo l’eventuale rinuncia di uno di loro; in mancanza di discendenti in linea maschile, si deve cercare un discendente della figlia di Kurunta, anche se si trova in un paese straniero, e lo si deve insediare nel potere regio. Da notare: la riga iniziale di questo e del § 17 sono formulate in modo analogo (išøiul sembra riferirsi alla disposizione che segue immediatamente). La menzione specifica di un fratello di Kurunta (II 96), come possibile pretendente al trono di Tarøuntašša, può essere un’allusione ad un rischio effettivamente esistente: cfr. KBo IV 10+ § 2 Ro 7’. La clausola giuridica contenuta in II 99-III 2 presenta forti analogie con le clausole presenti in KUB XXVI 58 Ro 14-17, KBo IV 10+ Ro 9’-11’, KUB XXVI 43+ Ro 61-64: su questi passi e sul diretto intervento regio nell’inchiesta giudiziaria, v. F. Imparati, Šaøur., 96 sgg., e in particolare 98 sg. con nota 153. Rispetto ai passi citati manca qui la formula “e se egli è da andare in rovina, allora vada in rovina”, che avrebbe dovuto trovarsi fra II 102 e III 1: mancanza probabilmente intenzionale, in accordo con quel trattamento privilegiato che il sovrano ittita tende sempre a riservare a Kurunta: v. sopra. Nel quadro delle disposizioni tese a garantire la successione in Tarøuntašša alla discendenza di Kurunta, sembra si contempli (III 13-14) anche che un sovrano di questo paese (LUGAL-iznani artari) rinunci al potere regio in conseguenza di un responso divino sfavorevole nei suoi confronti; tuttavia anche in questo caso la regalità dovrà rimanere sempre nell’ambito della discendenza diretta di Kurunta.

403

§ 21 Vo III 21-31 Richiesta di garanzia di fedeltà da parte di Kurunta e dei suoi discendenti nei confronti di Tutøaliya e dei suoi discendenti e impegno di tutela reciproca (III 21-27). Da notare: la singolarità del fatto che si possa anche soltanto contemplare nella r. 29 l’ipotesi di deposizione di un sovrano ittita discendente di Tutøaliya, eventualità per la quale si richiede ai discendenti di Kurunta di opporsi al (nuovo) re di ÷atti. Ciò rivela ancora una volta la coscienza di Tutøaliya di un reale pericolo per la stabilità del potere suo e dei suoi diretti successori; tale preoccupazione è latente in molti testi di questo sovrano (v. ad es. le istruzioni per i LÚMEŠ SAG e BÊLUMEŠ: KUB XXVI 1+ 110-16; KUB XXVI 18 Ro 9’-12’; Šaušgamuwa: KUB XXIII 1+ II 8-14; ecc.). La struttura e certe locuzioni di questo paragrafo richiamano, ovviamente, quelle del § 17: i due paragrafi, relativi alle reciproche garanzie di protezione, mancano in KBo IV 10+, probabilmente perché questo documento si colloca in un contesto politico diverso. § 22 Vo III 32-42 Tutøaliya conferma la decisione del padre di esonerare Kurunta dall’obbligo, stabilito dall’amministrazione di ÷atti, di fornire (tiri di) cavalli e truppe (a piedi) appartenenti al paese del fiume ÷ulaya (III 3234). Tuttavia Kurunta per le campagne militari del re di ÷atti deve consegnare un contingente di 100 soldati a piedi, elevato a 200 nel caso di guerre intraprese contro il re di ÷atti da parte di sovrani suoi pari o nel caso di una spedizione del sovrano ittita che prenda l’avvio dal Paese Inferiore. Tali truppe, però, non devono servire come guarnigione. Da notare: questo paragrafo costituisce probabilmente quel “trattato dell’esercito” (ŠA KARAŠ išøiul) a cui si fa riferimento in KBo IV 10+ § 6 Ro 39’ e che viene esposto nel § 7, e già prima in ABoT 57, in connessione però con l’išøiul della divinità: v. più avanti. Il fatto che si dica che ÷attušili ha annullato l’obbligo di cui alle rr. 32-33 fa presumere l’esistenza di due atti, uno sicuramente emanato da questo sovrano ed uno precedente, forse attribuibile ugualmente a lui. Infatti, un’attribuzione di quest’ultimo atto a Muwattalli appare meno giustificabile, dal momento che Tarøuntašša era la sede da lui prescelta e

404

godeva quindi di una posizione privilegiata visto che proprio ÷attuša doveva prendersi cura delle divinità della nuova residenza. Si rileva inoltre che l’obbligo in questione riguardava il paese del fiume ÷ulaya. Anche in questo paragrafo Tutøaliya si rivolge a Kurunta usando prima la seconda (III 32) e poi la terza persona singolare (III 33 e 34), allo stesso modo che in ABoT 57 e KBo IV 10+ (v. più avanti). Ciò si può spiegare col fatto che la prima formulazione è rivolta direttamente al partner del trattato e la seconda riporta un atto ufficiale.28 Sulle divergenze nel passo relativo alla fornitura militare in caso di emergenza bellica in ABoT 57 e in KBo IV 10+ § 7, v. più avanti. Nella tavoletta di bronzo la richiesta a Kurunta di un contingente militare di entità maggiore si giustifica per la particolare gravità delle situazioni previste, in quanto, nel caso di attacco (III 39 arai) da parte di sovrani di pari rango, il re ittita necessita di un esercito numericamente più consistente; nel caso poi di operazioni militari svolte nell’àmbito del Paese Inferiore, il re di Tarøuntašša è ovviamente coinvolto, trattandosi della sua zona di influenza. Il fatto che si assicuri a Kurunta che il contingente da lui fornito non sarà utilizzato nel servizio di guarnigione (III 42) - cioè in modo stabile costituisce un ulteriore privilegio concesso a questo sovrano. § 23 Vo III 43-56 Per quanto riguarda la faccenda della fornitura di aiuto al sovrano ittita (III 44 AWAT NARARI) - del resto prevedibile in un accordo internazionale - si stabilisce che questa non venga richiesta al paese del fiume ÷ulaya, data la posizione strategica del territorio governato da Kurunta (III 43-46). Si conferisce l’esenzione da oneri (šaøøan e luzzi, III 53) e dalla fornitura di aiuto (AWAT NARARI, III 53) a tutte le località che nei vari paesi (di cui i più significativi sono elencati alle rr. 47-49) appartengono a particolari divinità e al NA4øekur SAG.UŠ del re di Tarøuntašša; Tutøaliya concede tale esenzione a vantaggio degli dèi di questo paese.

V. invece Th.P.J. van den Hout, op. cit., 110-112, alle cui attestazioni si aggiunga anche tav. br. § 25 IV 5-15. 28

405

Da notare: la definizione dell’intero territorio governato da Kurunta come øantezziuš aunuš (III 44), cioè come “appostamenti di confine avanzati” (cfr. BEL MADGALTI, infra), sembra indicare Tarøuntašša come estremo limite del dominio ittita. Interessante è il fatto che le divinità menzionate nelle rr. 50-51, secondo la documentazione finora pervenutaci, appaiono legate a Muwattalli: per il dio della Tempesta piøaššašši, v. sopra; per quanto riguarda DINGIRLIM URUParša, si rileva la sua presenza nella preghiera di Muwattalli, oltre che in un altro testo frammentario a carattere cultuale;29 per quanto riguarda DIŠTAR URUInuita, se ne conosce solo un’altra attestazione, anch’essa nella preghiera di Muwattalli.30 Le rr. 51-52 mostrano che al momento della redazione di queste clausole il NA4øekur SAG.UŠ appartiene alla “casa” del re di Tarøuntašša: cfr. sopra. § 24 Vo III 57-77 Proibizione di mutare l’išøiul concluso da ÷attušili e da Tutøaliya con Kurunta. Tutøaliya, avendo verificato che gli oneri dovuti dal re di Tarøuntašša agli dèi del suo paese erano troppo gravosi e non sopportabili, stabilisce per questo re una regolamentazione nei riguardi delle sue divinità (AWAT/memian DINGIRLIM, III 62 e 64) analoga a quella vigente in ÷attuša, Arinna e Zippalanda. Riconferma delle esenzioni già concesse da ÷attušili e da Tutøaliya a Kurunta in favore del dio della Tempesta piøaššašši, di Šarruma e di tutti gli dèi di Tarøuntašša. Al sovrano ittita che non rispetterà gli impegni presi da ÷attušili e da Tutøaliya nei confronti di Kurunta e dei suoi discendenti la dea Sole di Arinna e il dio della Tempesta di ÷atti toglieranno la regalità. Da notare: il riferimento, anche in questo paragrafo, ad un trattato stipulato da ÷attušili e ripreso da Tutøaliya. Si rileva l’affinità del passo alle rr. 59-61 con KBo IV 10+ § 7 Ro 40’, se pure in contesto strutturato diversamente. V. RGTC 6, 307. V. RGTC 6, 141. La menzione di questa divinità nella tavoletta di bronzo r. 51 rende superflua l’ipotesi avanzata da F. Cornelius, Or 27 (1958) 385. 29 30

406

L’AWAT DINGIRLIM stabilito da Tutøaliya per Kurunta sembra conferire alla città di Tarøuntašša la condizione di città sacra, condizione che già sapevamo esistente per Arinna e Zippalanda (v. ad es. le Leggi ittite § 50) e che la tavoletta di bronzo mostra estesa, almeno all’epoca di Tutøaliya, anche a ÷attuša.31 Si nota la previsione nelle rr. 76-77 di una punizione divina nei riguardi dei sovrani ittiti, verosimilmente successivi, che non terranno fede agli accordi, previsione piuttosto insolita nei trattati internazionali. Certo, considerando KBo IV 10+ posteriore alla tavoletta di bronzo, ne consegue che tale disposizione non venne rispettata: v. questo osserveremo in proposito nel paragrafo conclusivo. § 25 Vo III 78-IV 15 Invocazione ai mille dèi perché si riuniscano in assemblea (tuliya) per tutelare la tavoletta del trattato (išøiulaš TUPPU) ed esserne testimoni (III 78-81). Elenco delle divinità (III 81-IV 4). Maledizione per Kurunta se non rispetterà le parole della tavoletta (tuppiaš uttar) e se, invece di proteggere Tutøaliya e i suoi discendenti, aspirerà alla regalità di ÷atti (IV 5-11). Benedizione per Kurunta se rispetterà le parole di questa tavoletta e se proteggerà Tutøaliya e la sua discendenza (IV 12-15). Da notare: la menzione dei “mille dèi” (senza la consueta specificazione “di ÷atti”) per indicarne la totalità (III 79). Si rileva che anche qui il tuliya è convocato con specifica funzione di garante legale.32 In questo passo, come già nel § 21, appare singolare l’ipotesi che Kurunta possa aspirare alla regalità del paese di ÷atti (IV 7), sulla quale, del resto, poteva vantare diritti in quanto discendente di Muwattalli. Si osserva che la maledizione e benedizione riguarda qui sempre Kurunta, analogamente ai trattati di vassallaggio.

Cfr. la struttura urbana di ÷attuša in questo periodo. Sulle competenze giuridiche di questo organo collegiale, v. in ultimo F. Imparati negli Atti dell’VIII Colloquio Lateranense su Esercizio del potere e prassi della consultazione, Roma, 10-12 maggio 1990 (= “Utrumque Ius” Collectio Pontificiae Universitatis Lateranensis 21, Roma 1991, 161-181), infra, con bibliografia precedente. 31

32

407

L’espressione alla r. 15 “e nella mano del mio Sole diventi vecchio”33 è probabilmente un topos letterario: se consideriamo KBo IV 10+ posteriore alla tavoletta di bronzo, tale augurio non sembra essersi realizzato. § 26 Vo IV 16-29 Maledizione per chi procura difficoltà a Kurunta e alla sua discendenza e altera le disposizioni della tavoletta. Tutela dei confini concessi da Tutøaliya a Kurunta, che neppure il sovrano ittita potrà modificare in favore di suo figlio e dei suoi familiari. Si assicura di nuovo il potere regio in Tarøuntašša alla discendenza di Kurunta e si maledice chi le recherà danno. Da notare: le disposizioni delle rr. 23-25 riguardanti il sovrano ittita e i suoi discendenti, presenti anche in KBo IV 10+ § 15, sono insolite rispetto agli altri trattati di vassallaggio. § 27 IV 30-43 Indicazione che il luogo di stesura della tavoletta è la città di Tawa e lista del testimoni. Da notare: non conosciamo l’ubicazione della località Tawa, perché è un hapax. Si può pensare a una sua localizzazione nel Paese Inferiore, se il kêz(za) di § 22 III 40 si riferisce al luogo di redazione del testo. Si rileva alla r. 42 la menzione dell’intera famiglia reale, che viene coinvolta a testimonianza dell’atto, menzione che non si ritrova in Šaøur. e KBo IV 10+: ciò costituiva forse un trattamento privilegiato per Kurunta, dovuto allo stretto legame di parentela fra i due contraenti, o non piuttosto una garanzia più forte, nel caso di sue eventuali pretese al trono di ÷atti? § 28 Vo IV 44-51 Indicazione del numero delle copie del trattato e dei luoghi dove esse erano deposte. Da notare: per l’uso del plurale in riferimento alle tavolette (IV 44) contenenti il testo del trattato, cfr. H. Otten, op. cit., 54.

33

Cfr. CHD L-N, 227 sg.

408

È insolita l’indicazione della presenza sul documento dei sigilli delle due principali divinità del pantheon ittita, la dea Sole di Arinna e il dio della Tempesta di ÷atti (IV 44-45), che non trova finora corrispondenza nella documentazione pervenutaci. Le tavolette sono deposte, oltre che davanti a queste due divinità, che rappresentano il pantheon ufficiale, anche davanti a Lelwani e a ÷epat di Kizzuwatna, alle quali era particolarmente devota la regina madre Puduøepa (ciò costituisce un ulteriore indizio a favore di una redazione di questo testo agli inizi del regno di Tutøaliya); al dio della Tempesta piøaššašši, oggetto della massima venerazione da parte di Muwattalli e quindi inserito in questo elenco probabilmente in rapporto a Kurunta; a Zitøariya, presente qui come divinità protettrice della casa reale. La settima copia è tenuta da Kurunta nella sua casa. Dall’analisi fin qui condotta risulta che la tavoletta di bronzo è costituita da due parti: una prima parte (§§ 1-12), in cui Tutøaliya conferma per Kurunta quanto già stabilito dal padre, con alcune modifiche, che riportano al primo trattato di ÷attušili III, e innovazioni, tese a favorire il re di Tarøuntašša; una seconda parte (§§ 13-28), che, dopo una nuova “introduzione storica” (§§ 13-16), in cui si esalta strumentalmente il rapporto di amicizia fra Tutøaliya e Kurunta, costituisce il “nuovo” trattato, decisamente più favorevole a Kurunta di quelli stabiliti per lui precedentemente da ÷attušili III. IV. KBo IV 10+ § 1 Ro 1’-3’ La prima parte della tavoletta è molto danneggiata; secondo Th.P.J. van den Hout,34 sono andate perdute ca. 30 righe, nelle quali doveva trovarsi, dopo l’intestazione, almeno l’introduzione storica e forse qualche clausola, data l’ampiezza delle singole righe e l’assenza di divisione in colonne della tavoletta. § 2 Ro 4’-14’ Disposizioni relative alla successione al trono di Tarøuntašša. 34

JCS cit., 105.

409

Clausola giuridica relativa ad un eventuale reato commesso da un discendente di Ulmi-Teššup: v. le nostre osservazioni in proposito nel commento a tav. br. § 20 (le rr. 9’-1 1’ corrispondono a tav. br. § 20 II 99-III 2). Da notare: nelle rr. 4’-7’ del paragrafo, che contengono le disposizioni relative alla designazione del successore al trono di UlmiTeššup, sono state riconosciute da H. Otten35 e da Th.P.J. van den Hout36 analogie con le rr. 85-86 del § 19 della tavoletta di bronzo, dove si riportano le parole di un decreto di ÷attušili. Ciò si accorda anche con la precedente ipotesi, avanzata in forma dubitativa da J. Lorenz,37 secondo cui il pronome apêl alla r. 4’ si riferirebbe ad una sposa di Ulmi-Teššup, forse figlia di ÷attušili III. Accettando il confronto in questi termini, dobbiamo ammettere che anche in questa parte di KBo IV 10+ sia riportato un decreto di ÷attušili III, il quale però si esprimerebbe qui a titolo personale (v. la desinenza ]øi di prima persona singolare alla r. 4’, forse da integrare piø]øi e da considerare in riferimento ad un’azione futura), anziché delegare la scelta alla regina, come nella tavoletta di bronzo. In tal modo Ulmi-Teššup non avrebbe nella designazione del suo successore quella libertà che Tutøaliya IV nella tavoletta di bronzo ha concesso a Kurunta, superando le limitazioni imposte dal padre. Tuttavia, pur restando ferma la validità del confronto delle locuzioni apêl DUMU-an da (KBo IV 10+ Ro 4’) e apêl DUMU-ŠU dâi (tav. br. II 86), si rileva che l’ampiezza della lacuna nella parte centrale di KBo IV 10+ Ro 4’ rende possibile una ricostruzione della frase più complessa, con varie soluzioni: sullo stesso tema si confronti ad esempio il § 6 A 65’ sg. (= SV II, 54 sgg.) del trattato di Alakšandu di Wiluša, dove si lascia a questo sovrano libertà nella scelta dell’erede.38 Accettando l’analogia del passo in questione di KBo IV 10+ con quello corrispondente nella tavoletta di bronzo e ritenendo il trattato con Ulmi-Teššup posteriore a quello con Kurunta, ne consegue che

Op. cit., 50. JCS cit., 103. 37 Op. cit., 35 con nota 2. 38 Tale testo presenta altre analogie con KBo IV 10+, come già ha rilevato J. Lorenz, op. cit., 35 sg. 35

36

410

Tutøaliya, nel riprodurre esattamente il decreto del padre, ha tolto a Ulmi-Teššup quella libertà di scelta che aveva concesso a Kurunta. Per la garanzia del rispetto della successione diretta del re di Tarøuntašša (Ro 7’-8’), cfr. tav. br. § 20 II 96-99. Le rr. 12’-14’, in cui si prevede la successione per linea maschile e in mancanza di un erede maschio il ricorso a un figlio della figlia, corrispondono con qualche variante a tav. br. § 20 III 10-11, 17-20. Si rileva la presenza in KBo IV 10+ Ro 12’ dell’espressione EGIRan-at-kán tarnattari che è stata variamente interpretata.39 G. Beckman40 riferisce questa espressione a NUMUN, che egli intende sempre come sostantivo neutro; KBo IV 10+ Ro 13’ ne attesta però anche un uso al genere comune (mân-aš...n-an...).41 L’accettazione, invece, del riferimento di tale espressione alla casa e al “paese” (Ro 10’, 11’) implica uno svolgimento in tre fasi di questa situazione: l’accertamento dell’impossibilità di una successione in linea maschile; il ritorno al sovrano ittita della gestione della regalità di Tarøuntašša; il conferimento di questa regalità a un discendente maschio per linea femminile. La mancanza nella tavoletta di bronzo della seconda fase, cioè di un nuovo intervento del re ittita nel regolare la successione in Tarøuntašša, può rispondere al più volte rilevato intento di Tutøaliya di favorire Kurunta. Si può tuttavia ipotizzare anche una spiegazione più semplice per la presenza in KBo IV 10+ dell’espressione EGIR-an ... tarna-, e cioè che essa vada messa in connessione con la formula NAŠU ... NADANU ... tipica degli atti di donazione di terre,42 dal momento che essi, a nostro avviso, sembrano avere in parte influenzato la struttura di KBo IV 10+ (v. le nostre osservazioni in proposito nelle conclusioni). Si rileva infine l’assenza in questo paragrafo - rispetto a quello corrispondente, del resto più ampio, nella tavoletta di bronzo - del 39 V. in proposito J. Lorenz, op. cit., 39 sgg., con discussione della bibliografia precedente, cui si deve aggiungere G. Beckman, FsGüterbock2 (1986) 19-20 nota 33. 40 Loc. cit. 41 A cui corrisponde in tav. br. III 18, 19 la forma neutra -at. 42 Così H. Otten, StBoT 24 (1981) 29. Si ricorda che in altri testi ittiti questa formula ha il suo corrispondente in arøa/IŠTU dâ- ... pâi-: v. F. Imparati, JESHO 25 (1983) 265 nota 126.

411

riferimento alla discendenza di Muwattalli (tav. br. § 20 III 4, 6) e alle divinità ufficiali di ÷atti (tav. br. § 20 III 8; cfr. anche § 24 III 76, sempre in rapporto all’eventuale punizione di un sovrano ittita che non rispetterà i patti). Ciò è probabilmente dovuto al fatto che Ulmi-Teššup non apparteneva alla famiglia di Muwattalli43 e inoltre che Tutøaliya non aveva tenuto fede all’impegno precedentemente preso nella tavoletta di bronzo. § 3 Ro 15’-18’ Definizione dei confini.44 Da notare: le rr. 16’-18’ corrispondono con qualche variante a tav. br. § 3 rr. 18-21; manca invece in quest’ultimo testo il corrispondente alla r. 15’ di KBo IV 10+ perché, mentre qui il sovrano si rivolge direttamente a Ulmi-Teššup ed usa perciò la seconda persona singolare, nelle rr. 16-17 del § 3 di tav. br. si riporta la definizione dei confini stabilita da ÷attušili III per Kurunta e si fa quindi riferimento a questo sovrano usando la terza persona singolare.45 Sul fatto che ciò possa costituire un ulteriore elemento per riportare KBo IV 10+ a ÷attušili III, v. più avanti sub 6. § 4 Ro 19’-32’ Continua la definizione dei confini. Da notare: nella r. 19’ si stabilisce come confine “il bacino della sorgente di Arimatta”, che in tav. br. § 4 r. 24 è indicato come il confine stabilito “sulla tavoletta del trattato di mio padre”. In KBo IV 10+, rispetto alla tavoletta di bronzo, non c’è alcun accenno al confine precedente (URUNaøøanta), ridotto da ÷attušili III nel suo secondo accordo con Kurunta e ristabilito per quest’ultimo da Tutøaliya IV: tav. br. § 4 rr. 22-25. Le rr. 20’-22’ corrispondono a tav. br. § 5 rr. 29-34. 43 Diversamente G. Beckman, WO 20-21 (1989-90) 290, il quale propende a considerare Ulmi-Teššup non solo un discendente di Muwattalli in base a tav. br. § 20 III 6 (a nostro avviso non indicativo in tal senso), ma addirittura un (half?-)brother di Kurunta e Urøi-Teššup. 44 Sulle divergenze nella definizione dei confini fra KBo IV 10+ e tavoletta di bronzo e sulle loro implicazioni cronologiche qui e nei paragrafi successivi, v. Th.P.J. van den Hout, JCS cit., 108 sg. 45 Per i cambiamenti di persona qui e nella tavoletta di bronzo, v. nota 28.

412

Per le rr. 22’-24’ si confronti tav. br. § 5 rr. 35-38: il mutamento dei confini previsto in KBo IV 10+ è attribuito nella tavoletta di bronzo da Tutøaliya al padre, quindi questa parte del trattato con Ulmi-Teššup risale in realtà al secondo trattato di ÷attušili III con Kurunta. Le rr. 24’-26’ corrispondono a tav. br. § 5 rr. 39-42; le rr. 26’-27’ corrispondono in parte a tav. br. § 6 rr. 43-45, dove sono menzionate anche le montagne ÷UR.SAGMEŠ damnaššaruš (r. 43). Per le rr. 27’-28’ si confronti tav. br. § 6 rr. 45-47: il fatto che la modifica di confine, operata nella tavoletta di bronzo da Tutøaliya IV, non compaia in KBo IV 10+ costituisce un ulteriore elemento della priorità anche di questa parte del trattato con Ulmi-Teššup rispetto alla tavoletta di bronzo. Su altri elementi in tal senso, v. qui sopra e anche il commento a tav. br. § 6. Le rr. 28’-29’ corrispondono a tav. br. § 7 rr. 48-50. Le rr. 29’-32’ presentano un testo molto abbreviato rispetto a tav. br. § 7 r. 50 - § 8: v. il commento in proposito. § 5 Ro 33’-37’ Regolamentazione dell’accesso al pascolo alpestre e alla salina nel territorio di Tarøuntašša; concessione al re di Tarøuntašša del :kuwappala del dio della Tempesta piøaššašši e di eventuali altri. Si estende al re di Tarøuntašša l’accordo stabilito per il re di Karkemiš. Da notare: questo paragrafo corrisponde, con alcune varianti, al § 11 della tavoletta di bronzo: all’inizio di Ro 33’ di KBo IV 10+ manca la menzione del “paese del fiume ÷ulaya”, che in tav. br. II 4 costituisce un’endiadi con il “paese di Tarøuntašša”;46 se ne parla però subito dopo nei due documenti nello stesso contesto. A :kuwappala di Ro 36’ e 37’ corrisponde in tav. br. II 15 e 18 lo stesso termine, scritto però senza il segno di glossa: sul significato che la presenza di termini glossati può avere per la datazione dei due testi, v. la notazione a tav. br. § 6. La concessione di cui si parla in KBo IV 10+ Ro 35’ è fatta dal “Gran Re al re di Tarøuntašša”, evidentemente Ulmi-Teššup, senza l’indicazione dei nomi di questi due sovrani, mentre nel passo 46

V. H. Otten, Bronzetaf. cit., 46.

413

corrispondente in tav. br. II 12-13 la concessione analoga - più ampia viene riconfermata da “il Mio Sole Tutøaliya Gran Re” per Kurunta “re di Tarøuntašša”, sulla base di quella fatta da ÷attušili per lo stesso sovrano. Si deve inoltre rilevare che rispetto a tav. br. II 18-19, dove si fa ancora riferimento ad una delibera di ÷attušili ripresa da Tutøaliya, in KBo IV 10+ Ro 37’ manca qualsiasi riferimento ad un sovrano ittita. Evidentemente il primo autore delle due concessioni era stato ÷attušili e il beneficiario Kurunta; a tale atto si riferisce esplicitamente Tutøaliya ancora a favore di Kurunta; lo stesso documento è stato riprodotto per Ulmi-Teššup in KBo IV 10+, senza però la menzione dei nomi dei due contraenti. Ciò dimostra l’esistenza di almeno tre atti su questo preciso argomento, di cui quello di ÷attušili per Kurunta costituisce l’archetipo dal quale derivano, direttamente, il testo per Ulmi-Teššup e, in modo rielaborato, quello di Tutøaliya per Kurunta. Dal punto di vista dell’analisi testuale il fatto che il testo per UlmiTeššup, stando a quanto dice Tutøaliya nella tavoletta di bronzo, riproduca pedissequamente quello di ÷attušili per Kurunta può anche essere indizio di anteriorità. La clausola della seconda parte di Ro 37’, espressa in forma più ampia in tav. br. § 18, è stata probabilmente inserita in questo paragrafo per un’ “associazione di idee”47 nata dalla presenza nei due testi del termine ara, usato a proposito della faccenda del kuwappala, in KBo IV 10+ nel passo in esame e in tav. br. § 11 rr. 19 e 20, e ancora a proposito del re di Karkemiš in tav. br. § 18 rr. 82 e 83. La presenza di ara in passi diversi della tavoletta di bronzo li ha fatti unificare in KBo IV 10+. § 6 Ro 38’-39’ Paragrafo di collegamento, da cui risulta che le disposizioni fin qui esposte erano oggetto di un accordo precedente: le relative tavolette erano depositate davanti alla dea Sole di Arinna, mentre quelle successive costituiscono “l’accordo dell’esercito”. 47 Per esempi analoghi, cfr. G. Cardascia, in R. Monier-G. Cardascia-J. Imbert, Histoire des institutions et des faits sociaux des origines à l’aube de Moyen-Age, I, Paris 1956, 56 e 44 nota 94.

414

Da notare: questo paragrafo, come del resto è già stato rilevato,48 mostra chiaramente la stratificazione del testo. L’uso del plurale “queste tavolette dell’accordo” alla r. 38’ (ripetuto all’inizio della r. 39’, ma concordato con un aggettivo dimostrativo al singolare), rispetto al singolare “tavoletta dell’accordo dell’esercito” alla r. 39’, è stato ritenuto da Th.P.J. van den Hout49 significativo per la ripartizione dell’accordo relativo ai confini su più tavolette e per la collocazione dell’accordo relativo all’esercito su una sola tavoletta, che egli identifica con ABoT 57 e data quindi all’epoca di Tutøaliya IV. Anche a noi sembra che l’uso differenziato di TUPPU al singolare e al plurale in tale contesto non sia casuale;50 si può però anche postulare che l’impiego del plurale nel primo caso alluda all’esistenza di più accordi relativi ai confini stilati in tempi diversi, come ci sembra deducibile dalle indicazioni contenute in KBo IV 10+ Ro 23’ e in tav. br. §§ 4 e 5 (v. in proposito la notazione sub 5). L’uso dell’imperativo GAR-ru alla r. 38’ può far supporre che le tavolette non fossero state ancora deposte in Arinna al momento della stesura di questa “nota redazionale”, che non rientra nella clausola di deposizione del trattato stesso; nella clausola di deposizione della tavoletta di bronzo viene infatti impiegata la forma presente del verbo (§ 28 r. 50: GAR-ri). Il fatto che il re ittita, a cui risale il trattato in esame, usi il verbo al preterito alla fine della r. 39’ (EGIR-anda ... iyat) potrebbe convalidare l’ipotesi che la tavoletta ABoT 57 sia stata redatta in precedenza dallo stesso sovrano. § 7 Ro 40’-47’ “Accordo dell’esercito”. Il sovrano, dopo una personale verifica in Tarøuntašša dell’accordo (išøiul) relativo al šaøøan della divinità e della difficoltà per questo paese a sostenerlo a causa della mutata situazione politica, stabilisce per V. in ultimo J. Lorenz, op. cit., 117 sg., e Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+ cit., 51 sg. A nostro avviso, però, anche questo paragrafo faceva parte del trattato stilato da ÷attušili III per Kurunta: v. sub 5. 49 Loc. cit.; cfr. anche p. 24 note al testo. 50 Non rilevante, invece, appare l’incongruenza sopra indicata nell’accordo fra sostantivo e aggettivo all’inizio della r. 39’: v. a questo proposito H. Otten, op. cit., 54. 48

415

Ulmi-Teššup un nuovo accordo (išøiul), che riduce l’entità delle forniture militari, affinché i soldati siano in grado di adempiere alle prestazioni di lavoro dovute alle divinità; anche in caso di attacco da parte di una potenza straniera pari a quella ittita, deve intervenire in aiuto soltanto il re di Tarøuntašša, ma non deve fornire contingenti militari di vario genere. Da notare: l’ “accordo dell’esercito” ci è pervenuto come documento autonomo pubblicato in ABoT 57 ed è confluito, con qualche variante, nel paragrafo in esame. Per questo motivo esso presenta un “antefatto storico”, a cui segue l’išøiul espresso in forma di discorso diretto: v. la presenza dell’enclitica -wa- alla fine della r. 42’.51 Il contenuto di questo paragrafo si presenta nella tavoletta di bronzo diviso in vari paragrafi, dai quali risulta l’esistenza di più atti ad esso relativi emanati da ÷attušili III e ripresi da Tutøaliya IV. Per Ro 40’-42’ cfr. tav. br. § 12 rr. 21-24 e § 24 rr. 59-61. Le rr. 42’-43’ sono simili a tav. br. § 22 rr. 32-34, dove la concessione della prima esenzione è attribuita a ÷attušili III ed è poi riconfermata da Tutøaliya IV. Le rr. 43’-44’ corrispondono con varianti a tav. br. § 22 rr. 35-36. Nel paragrafo in esame si stabilisce che in caso di guerra deve essere fornito un contingente militare di 200 uomini e che il contingente di truppe fissato dalla É tuppaš deve essere riconsegnato, perché possa essere utilizzato per prestazioni di lavoro in favore delle divinità: rr. 44’45’, per le quali cfr. tav. br. § 24 ed anche § 23, sia pure in contesto diverso. Nelle rr. 46’-47’ si sancisce formalmente la disposizione fin qui espressa (cfr. tav. br. § 24 rr. 57-59) e inoltre si stabilisce l’obbligo di intervento personale del re di Tarøuntašša (cfr. tav. br. § 22 r. 39, con diversa soluzione per la stessa eventualità). Il verbo uøøun alla r. 40’ può indicare o che il sovrano vide questo atto per la prima volta - e quindi non ne sarebbe l’autore - o che verificò quanto da lui precedentemente stabilito.

Per situazioni analoghe v. le osservazioni di Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+ cit., 30 nota al testo; cfr. inoltre J. Lorenz, op. cit., 58 sg. 51

416

§ 8 Ro 48’-49’ Breve lista di divinità invocate come testimoni a conclusione del trattato dell’esercito. Da notare: la presenza, oltre che della coppia divina posta a capo del pantheon ufficiale di ÷atti, del dio della Tempesta piøaššašši, divinità personale di Muwattalli (probabilmente invocato per il suo stretto rapporto con Tarøuntašša), delle tre divinità a cui erano particolarmente devoti ÷attušili III e Puduøepa (tanto da dedicare al sacerdozio delle prime due il figlio Tutøaliya) e del pantheon di ÷atti nel suo complesso. Si rileva l’assenza del dio Šarruma, certo singolare in un testo che si vuole attribuire a Tutøaliya IV. Ciò potrebbe confermare, invece, l’attribuzione del precedente trattato dell’esercito a ÷attušili III,52 anche se non si può fare a meno di osservare che nel suo archetipo ABoT 57 manca una lista di divinità. § 9 Ro 50’-Vo 4 Invocazione ai mille dèi perché si riuniscano in assemblea a tutela della tavoletta del trattato (TUPPU išøiulaš). Segue l’elenco delle divinità. Da notare: le rr. 50’-51’ corrispondono a tav. br. § 25 rr. 78-81, mentre Ro 51’-Vo 4 presenta alcune divergenze rispetto all’elenco analogo in tav. br. § 25 III 81-IV 4, come ad esempio DU URUKummanni Ro 53’ rispetto a DU URUKizzuwatni tav. br. III 83;53 o il maggior numero di nomi divini nell’elenco della tavoletta di bronzo. Si rileva inoltre la duplice menzione in KBo IV 10+ Ro 53’ del dio protettore di Muwattalli con i due appellativi piøaimmiš (forma participiale luvia) e ÷I.÷I-aššiš (= piøaššaššiš, forma aggettivale luvia). § 10 Vo 5-7 Maledizione per Ulmi-Teššup, per la sua famiglia, per il suo paese e per tutti i suoi beni, se non proteggerà le parole della tavoletta (tuppiaš uddar) e la famiglia reale ittita per quanto riguarda la stabilità del potere. Da notare: le divergenze di questa formula rispetto a quella corrispondente in tav. br. § 25 rr. 5-11. 52 53

Cfr. anche J. Lorenz, op. cit., 120. Per la loro identità v. RGTC 6, 213, con bibliografia.

417

In KBo IV 10+ Vo 5 sono specificamente ricordati il re, la regina, il figlio del re, laddove in tav. br. IV 6 si parla solo del sovrano e della sua discendenza: la frequente menzione della regina a fianco del re in KBo IV 10+, rispetto alla sua assenza nella tavoletta di bronzo54 e un elemento di cui, a nostro avviso, è opportuno tenere conto nella datazione del testo. Inoltre la “protezione” richiesta al sovrano vassallo nei riguardi della famiglia reale appare espressa in KBo IV 10+ senza quella forte preoccupazione, presente nella tavoletta di bronzo; per la pretesa al trono ittita da parte del vassallo stesso (§ 25 IV 7: “... oppure tu [= Kurunta] aspiri alla regalità del paese di ÷atti”) o per eventuali pericoli in tal senso, pericoli del resto frequentemente evidenziati nei testi di Tutøaliya IV. § 11 Vo 8-11 Benedizione per Ulmi-Teššup, per la sua famiglia, per il suo paese e per tutti i suoi beni, se proteggerà le parole della tavoletta (tuppiaš uddar) e la famiglia reale ittita per quanto riguarda la stabilità del potere. Da notare: la formula è presente in forma abbreviata in tav. br. § 25 rr. 12-15. Per la menzione della regina in KBo IV 10+ Vo 8 e 9, cfr. le nostre osservazioni nel paragrafo precedente. § 12 Vo 12-14 Maledizione per chi procura difficoltà a Ulmi-Teššup e alla sua discendenza e altera le disposizioni della tavoletta. Da notare: la corrispondenza di questo paragrafo con tav. br. § 26 rr. 16-20, con qualche differenza. Per l’alternanza in KBo IV 10+ Vo 12-13 dèi pronomi di seconda e di terza persona singolare in riferimento a Ulmi-Teššup, v. J. Lorenz, op. cit., 118 sg., e Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+ cit., sub 6.3 e 6.6, e JCS cit., 106 nota 20; tale alternanza, in relazione a Kurunta, non si riscontra nel passo corrispondente della tavoletta di bronzo.

Dove compare soltanto in II 83, in riferimento però a disposizioni prese nel trattato del padre di Tutøaliya IV. 54

418

Il riferimento letterario alla “nera terra” e la menzione della discendenza di Ulmi-Teššup presenti in KBo IV 10+ Vo 14 mancano in tav. br. § 26 IV 20. § 13 Vo 15-17 Possibilità di deroga al giuramento per quanto riguarda modifiche di confine, qualora ci sia accordo reciproco. Da notare: questa disposizione non è prevista nella tavoletta di bronzo; può essere però significativo il fatto che in quest’ultimo documento si dica più volte che Tutøaliya ha apportato modifiche rispetto ai confini stabiliti dal padre. § 14 Vo 18-20 Maledizione per Ulmi-Teššup e per la sua discendenza nel caso in cui egli prenda con la forza località che il re non vuole concedergli. Da notare: non si prevede reciprocità per questa clausola, come è ovvio in un trattato di vassallaggio. Tale clausola manca nella tavoletta di bronzo: è questo un indizio di minore forza del sovrano ittita nei confronti di Kurunta che non nei confronti di Ulmi-Teššup? § 15 Vo 21-27 Tutela dei confini concessi a Ulmi-Teššup (Vo 21-23); assicurazione del potere regio in Tarøuntašša alla discendenza di Ulmi-Teššup e maledizione a chi le recherà danno, con coinvolgimento di specifiche divinità (Vo 24-27). Da notare: le rr. 21-23 corrispondono a tav. br. § 26 rr. 21-24, dove manca il riferimento a concessioni probabilmente ulteriori (EGIR-anda[y]a-šši kuit piøøun) e alla redazione definitiva del trattato su una tavoletta di ferro. Le rr. 24-27 corrispondono a tav. br. § 26 rr. 24-29, dove si trova soltanto la menzione complessiva degli dèi del giuramento, mentre in KBo IV 10+ Vo 26-27 sono citate le due principali divinità del pantheon ittita (il dio della Tempesta del cielo e la dea Sole di Arinna); Šarruma, dio personale di Tutøaliya IV; IŠTAR, la dea a cui, come già abbiamo detto, erano particolarmente legati ÷attušili III e Puduøepa; e i “mille dèi di

419

questa tavoletta” (espressione questa piuttosto inconsueta rispetto alla più frequente “mille dèi di ÷atti/del giuramento”). Può essere significativa per la stratificazione cronologica del documento la presenza, per la prima volta in questo testo, anche di Šarruma fra le divinità menzionate a parte rispetto all’intero pantheon.55 § 16 Vo 28-32 Indicazione che il luogo di stesura della tavoletta è la città di Urukina e lista dei testimoni. Da notare: questo paragrafo corrisponde al § 27 della tavoletta di bronzo, con differenze relative al luogo di stesura della tavoletta e alla presenza, assenza, collocazione e titolatura di alcuni testimoni. Per quanto riguarda la città di Urikina,56 si ricorda che in KUB XXI 17 (CTH 86. A) II 7 sg. ÷attušili III dichiara di aver costruito templi per IŠTAR di Šamuøa in questa città, che ricorre ancora nello stesso testo in II 27[ e 36[: in quest’ultimo passo, sembra, in rapporto al patrimonio di Arma-Datta/Arma-Tarøunta, donato a IŠTAR di Šamuøa. A tal proposito si ricorda che Tutøaliya IV era stato fatto dal padre sacerdote proprio di questa divinità e curatore del suo patrimonio.57 Inoltre, la menzione di questa città nei così detti “sogni della regina” riporta a Puduøepa. Il carattere composito di KBo IV 10+, riconosciuto già da tempo, è stato recentemente riesaminato da J. Lorenz e da Th.P.J. van den Hout, con i quali possiamo concordare sul fatto che il testo a noi pervenuto è costituito da quattro parti distinte; la datazione, però, delle singole sezioni e le motivazioni di una tale composizione non sono ancora del tutto chiare. Il confronto con la tavoletta di bronzo, inoltre, induce a ritenere che anche la prima parte di KBo IV 10+ (§§ 1-2 = Ro 1’-14’) risalga al secondo trattato di ÷attušili per Kurunta e non sia specifica per UlmiTeššup, come sembrano essere invece la sezione finale del testo (§§ 12Infatti la presenza di questa divinità nella lista divina del § 9 appare meno rilevante, essendo riportato lì il pantheon ittita al completo. 56 Per le attestazioni v. RGTC 6, 460 5., dove a KUB XXI 17 si aggiunga II 27[. 57 V. per es. KBo VI 29 (CTH 85); cfr. F. Imparati in Stato, Economia, Lavoro (1988) 231. 55

420

16) e probabilmente l’ultima parte di Ro 37’, inserita qui per “associazione di idee”. V. ACCORDI INTERCORSI FRA ÷ATTI E TAR÷UNTAŠŠA L’analisi comparativa della tavoletta di bronzo e di KBo IV 10+ mostra che fra i sovrani ittiti ÷attusili III e Tutøaliya IV, da una parte, e i sovrani di Tarøuntašša Kurunta e Ulmi-Teššup, dall’altra, sono stati stipulati anche vari accordi parziali, relativi a questioni particolari. V.1. Accordi relativi ai confini I. non pervenuto; stipulato da ÷attušili III al momento dell’insediamento di Kurunta sul trono di Tarøuntašša e da questi conservato. Ne abbiamo notizia da tav. br. §§ 3 rr. 16-17, (4 r. 22), 5 r. 36; da KBo IV 10+ § 4 r. 23’ e da 544/f Ro 12’, documento redatto da Kurunta come impegno da lui assunto mediante giuramento (Vo 4’) al momento della sua ascesa al trono. II. non pervenuto come documento autonomo, ma confluito in KBo IV 10+ § 3-4, 5, ricostruibile in base al confronto delle indicazioni di confine; stipulato da ÷attušili III, sempre per Kurunta, per operare spostamenti di confine, in alcuni casi riduttivi: v. tav. br. § 4 rr. 23-24, 5 r. 37. Da KBo IV 10+ § 6 si deduce che esso comprendeva anche le disposizioni relative all’accesso al pascolo alpestre e alla salina, e alla concessione del kuwappala; e che la sua redazione era precedente al “trattato dell’esercito” e al trattato con Ulmi-Teššup. Al momento della redazione di quest’ultimo, il documento II era depositato in Arinna. La tavoletta di bronzo § 11 (e in particolare la r. 12) mostra che le delibere confluite in KBo IV 10+ § 5 erano state prese da ÷attušili III per Kurunta. III. stipulato da Tutøaliya IV, sempre in favore di Kurunta, e inserito nella tavoletta di bronzo § 3-9, 11.

421

Vi si riconfermano i confini fissati da ÷attušili III, con qualche modifica - in cui si ristabiliscono determinazioni prese da questo sovrano nel I trattato (§ 4 r. 25) - e qualche innovazione, tese ad evidenziare quanto Tutøaliya abbia concesso a Kurunta in più del padre. IV. stipulato dal sovrano ittita in favore di Ulmi-Teššup e conservato in KBo IV 10+ § 3-4, 5. Esso deriva dal II trattato di ÷attušili III (v. in proposito le nostre osservazioni a KBo IV 10+ § 4); sulle possibili conseguenze di ciò per la datazione di questo testo v. più avanti sub 6. V.2. Accordi relativi ad oneri da sostenere e ad esenzioni da essi V.2.1. Accordo relativo al šaøøan della divinità (ŠA DINGIRLIM šaøøan išøiul)58 Quando Muwattalli si trasferì a Tarøuntašša, spettava ovviamente all’amministrazione centrale (= ÷attuša) provvedere alle divinità della nuova capitale, essendo essa parte integrante dello stato ittita. A. accordo non pervenuto; stipulato al momento in cui Tarøuntašša divenne sede autonoma, quindi o da Urøi-Teššup, che sappiamo aver riportato la capitale a ÷attuša - non è però attestata l’autonomia di Tarøuntašša sotto questo sovrano59 - o da ÷attušili III al momento dell’insediamento di Kurunta sul trono di questo paese. L’esistenza di questo atto, che doveva trovarsi a Tarøuntašša, dato che è là che si reca il sovrano autore di KBo IV 10+, risulta dal § 7 Ro 40’ di questo testo (v. nota al paragrafo). B. stipulato da ÷attušili III, dopo che si era reso conto che il primo atto era troppo gravoso per Kurunta e per il suo paese: v. tav. br. § 12 r. 22, dove Tutøaliya riconferma di aver concesso a Kurunta ciò che già gli aveva dato suo padre.

KBo IV 10+ Ro 40’; cfr. anche ABoT 57 Ro 4, 5, 11, purtroppo in contesto lacunoso. 59 544/f fa escludere, a nostro avviso, la possibilità di ipotizzare (v. in ultimo G. Beckman, WO cit., 290) che fosse stato Urøi-Teššup a conferire a Kurunta la regalità di Tarøuntašša; così anche Th.P.J. van den Hout, RA cit., 92 nota 37. 58

422

Per il riferimento di Tutøaliya a delibere del padre cfr. anche § 22 rr. 32-34 (che concerne le forniture militari) e § 24 rr. 57, 64, 73 (che riguarda il šaøøan e il luzzi per gli dèi di Tarøuntašša). Poiché l’accordo relativo al šaøøan della divinità in ABoT 57 e in KBo IV 10+ si presenta collegato al cosiddetto “trattato dell’esercito” (mentre nella tavoletta di bronzo le disposizioni in proposito sono trattate in paragrafi diversi), si ritiene opportuno esaminare ora le delibere relative alle forniture militari. V.2.2. Accordo relativo alle forniture militari L’esistenza di questo accordo e la sua posteriorità rispetto al trattato riguardante i confini sono attestate da KBo IV 10+ § 6. Il testo è riprodotto nel § 7 di questo documento. La sua struttura, che presenta carattere di atto autonomo, e la sua stretta somiglianza con ABoT 57 rendono verosimile l’ipotesi che quest’ultimo ne sia il prototipo. Dai paragrafi della tavoletta di bronzo menzionati in 5.2.1.B., e in particolare dal § 22 rr. 32-33, risulta che la determinazione di Tutøaliya di modificare quanto era dovuto da Tarøuntašša all’amministrazione centrale (É tuppaš) risale a una delibera di ÷attušili III. Queste considerazioni e, inoltre, l’analogia delle parti corrispondenti nei due trattati con ABoT 57 (v. in proposito le osservazioni ai relativi paragrafi) fanno presumere che ÷attušili III ne fosse l’autore. V.3. Accordi di vario genere V.3.1. - Regolamentazione dell’accesso di Kurunta al SAG.UŠ: tav. br. § 10

NA4

øekur

Manca in KBo IV 10+. A. Regolamentazione verbale tramite Maraššanta, al quale ÷attušili III aveva affidato una tavoletta in proposito (tav. br. § 10 rr. 91-93), motivata dal fraintendimento di un’iscrizione dedicatoria di Muwattalli (rr. 95 e 101).

423

B. Regolamentazione di Tutøaliya, analoga a quella del padre (tav. br. § 10 rr. 99 sgg.). C. Successiva delibera di Tutøaliya a modifica della decisione precedente: tav. br. § 16 rr. 64-65 e 23 r. 51. V.3.2. Situazione matrimoniale di Kurunta e scelta dell’erede al trono: tav. br. § 19 A. Delibera inserita nella tavoletta del secondo trattato di ÷attušili e riportata nella tavoletta di bronzo § 19 rr. 85-86 e forse in KBo IV 10+ § 2 rr. 4’-5’ (molto frammentarie). B. Abrogazione da parte di Tutøaliya IV: tav. br. § 19 rr. 88-94. V.3.3. Concessione verbale di manodopera a Kurunta da parte di ÷attušili III, per intercessione di Tutøaliya, non registrata nella tavoletta del trattato: tav. br. § 9 rr. 88-91. V.4. Designazione degli accordi V.4.1 Tavoletta di bronzo

išøiul

TUPPU/TUPPU÷I.A RIKILTI

§ 3 r. 16

§ 3 r. 17 (pl.) I trattato di ÷attušili III con Kurunta (v. 544/f Ro 12’: TUPPA÷I.A [ŠA] ZAG[÷I.A) ________________________________________________________ § 4 rr. 23-24 (sing.) II trattato di ÷attušili III con Kurunta ________________________________________________________ § 5 r. 35 (pl.) (øantezzi-) I trattato di ÷attušili III con Kurunta ________________________________________________________ § 9 r. 90 (sing.) I