Vangelo di Matteo. Commento ai capp. 8-17 [Vol. 2] 9788839407733, 8839407731

Il secondo volume del commento di Ulrich Luz affronta momenti nodali del vangelo di Matteo, dai racconti di miracoli (ca

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Vangelo di Matteo. Commento ai capp. 8-17 [Vol. 2]
 9788839407733, 8839407731

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VANGELO DI MATTEO Ulrich Luz Edizione italiana a cura di Claudio Gianotto Volume

2

Commento ai capp. 8-1 7

PAIDEIA EDITRICE

ISBN 978 88 394 0773 3 Titolo originale dell'opera: Ulrich Luz Das Evangelium nach Matthiius 2. Teilband Mt 8-17 4., verandene Auflage 2007 (Evangelisch-Katholischer Kommentar zum Neuen Testament) Traduzione italiana di Franco Ronchi Revisione di Claudio Gianotto Revisione redazionale di Donatella Zoroddu © Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn 42007 © Parmos Verlag & Benziger Verlag, Diisseldorf und Ziirich 42007 © Paideia Editrice, Brescia

2010

A Eduard Schweizer maestro e amico

PREMESSA ALLA PRIMA EDIZIONE

Con un gran sospiro di sollievo e gratitudine licenzio alle stampe il ma­ noscritto definitivo di questo secondo volume che, rispetto al progetto iniziale, copre un numero minore di capitoli del vangelo secondo Mat­ teo, ma al tempo stesso risulta anche un po' più voluminoso del previsto. Comunque sia, è fatta. Adesso che l'ho davanti a me, sulla scrivania, lo guardo e mi chiedo chi lo leggerà. Le lettrici e i lettori «impliciti » e «idea­ li» del genere letterario del «commento» sono molto diversi tra loro: penso che i sacerdoti cattolici e i pastori evangelici si concentreranno sul­ l'interpretazione delle singole pericopi per preparare un sermone; i col­ leghi e le colleghe useranno gli indici bibliografici e le note a mo' di les­ sico di Matteo; gli studenti, nell'emergenza degli esami, si dedicheranno alla lettura degli excursus relativi agli argomenti prescelti. Ma i miei let­ tori ideali sono ben diversi: Matteo stesso infatti voleva che la sua storia venisse letta tutta quanta, dal principio alla fine, e non che fosse usata come una cava di pietre. Esistono lettori e lettrici che faranno lo stesso col mio commento? Davanti a un librone così, questa è davvero una bel­ la pretesa. Perciò, trasformandomi, per così dire, in agente pubblicita­ rio di me stesso, vorrei fare una proposta: chi si comporta col mio volu­ me come ci si dovrebbe comportare con la storia di Matteo, cioè chi lo avrà letto attentamente dalla prima all'ultima pagina, mi scriva una let­ terina (Ulrich Luz, Marktgasse 21, CH-3 177 Laupen) e io gli invierò, a suo tempo, il terzo volume in omaggio! Questa prefazione mi offre anche l'opportunità di ringraziare sentita­ mente i molti che mi hanno scritto a proposito del primo volume (a mol­ tissimi dei quali, per ragioni di tempo, non ho potuto purtroppo rispon­ dere). Le lettere che più mi hanno fatto piacere sono state quelle di pa­ stori e predicatori che hanno utilizzato il mio lavoro per la predicazio­ ne (talora addirittura in una lectio continua). In molte lettere si sottoli­ neava come avessi utilizzato una quantità incredibile di materiale. È ve­ ro, ma non era questo il mio intento. Quello che era ed è il mio intento risulta soprattutto dalla storia degli effetti del vangelo di Matteo: essa mostra come i testi siano stati sempre capiti, di volta in volta, in manie­ ra nuova da uomini diversi, in tempi diversi, in confessioni diverse; non sono rimasti fermi nel loro significato originario, ma sono mutati: di-

IO

PREMESSA ALLA PRIMA EDIZIONE

mostrano d'essere non tanto un serbatoio di significati, quanto piutto­ sto produttori di significato in situazioni nuove. Alla produzione di que­ sto nuovo senso, che il testo ha acquistato per lettori e interpreti nella lo­ ro situazione, hanno contribuito sia la loro fede e la loro vita, e la fede e la vita della loro chiesa, sia il testo originario in quanto parte dell'inte­ ro vangelo e dell'intera Bibbia. Sono convinto che anche noi, oggi, «ca­ piamo >> , nel senso pieno della parola, i testi biblici soltanto se entriamo in essi, con tutta la nostra vita, la nostra fede e la nostra incredulità, e se nella nostra situazione scopriamo in essi un nuovo senso, il nostro per­ sonale senso, proprio come hanno fatto i padri. È allora che i testi vivo­ no e . In questo caso capire e applicare vanno di pari passo, come in Matteo capire e fare (Mt. 1 3 , 1 9-23 ) . I l commento è scritto in quest'ottica. L a storia degli effetti dovrebbe stimolare la nostra fantasia e aiutarci a scoprire sia potenzialità sepolte dei testi, sia preconcetti e stereotipi, frutti della nostra storia personale. Il senso originario delle tradizioni su Gesù, ricostruito con i metodi del­ la critica storica, e la storia degli effetti delle tradizioni su Gesù all'in­ terno del N.T. dovrebbero indicare la direzione nella quale i testi vo­ gliono agire, impedendone un'appropriazione indebita da parte nostra, che li renderebbe soltanto un megafono delle nostre convinzioni. En­ trambi gli aspetti sono fondamentali per la nostra comprensione odier­ na: il senso orientato dei testi e la libertà di accogliere il nuovo che essi ci donano. A questa comprensione odierna dei testi di Matteo è diretta anche la mia funzione di commentatore. Se capire i testi biblici significa entrarvi, interpretarli e applicarli con l'apporto della nostra fede, della nostra vita e del nostro pensiero, allora non è concesso a un commenta­ tore, come ben sappiamo dalla pratica dell'èsegesi storico-critica, celar­ si dietro il proprio commento, ma egli deve rendersi visibile ai lettori. Ho imparato che nel mio commento devo mostrare me stesso e far ca­ pire in modo chiaro in che direzione io mi muoverei oggi con i testi e loro con me. Ovviamente in ciò sono soggettivo e talora persino un po' profetico; altrettanto ovviamente sono anche sempre «marcato>> e quin­ di parziale. Posso soltanto dire: se io - soggettivamente, protestante, ma­ schio, svizzero, ecc. - cerco di estrarre il senso dei «miei» testi in dire­ zione del presente, non ho affatto la pretesa di essere prescrittivo o « lega­ lista >>; desidero soltanto essere un interlocutore, in modo che altri cer­ chino di fare lo stesso nella loro situazione e alla loro maniera e, così facendo, giungano alla loro comprensione del testo oggi. Ci sono due domande che mi vengono di frequente rivolte e alle quali desidero «rispondere>> qui brevemente. La prima è: quando uscirà il terzo volume ? Rispondo: spero tra quattro anni circa. La seconda è: i volu-

PREMESSA ALLA PRIMA EDIZIONE

II

mi a venire saranno tre o quattro? Rispondo: non lo so ancora, davvero! Per concludere mi resta la gioia dei ringraziamenti. Il primo grazie va a tutti coloro che, con fedele fatica, hanno letto, riletto e ponderato con me il manoscritto in sedute interminabili di intere giornate. Molto devo a queste riunioni di lavoro alle quali hanno attivamente partecipato, per periodi più o meno lunghi, Vicky Balabanski, Bernd Berger, Andreas Dettwiler, Mirjam Horakova, Christian Inabnit, Urs Miiller, Bernhard Neuenschwander, lsabelle Noth, Stefan Schwarz, David du Toit e, so­ prattutto, Christian Riniker, al cui occhio critico il commento deve mol­ to più di quanto facciano supporre occasionati menzioni. Andreas En­ nulat ha raccolto il materiale per la storia degli effetti di varie pericopi. Un grazie di cuore va al curatore della collana, Rudolf Schnackenburg, e ai miei colleghi cattolici, compagni di cordata in questa impresa, Joa­ chim Gnilka e, in particolare, Paul Hoffmann, per le utili osservazioni. Sybille Tobler ha scritto e riscritto finché il computer non l'ha sollevata da questa fatica. Erika, Urs e Marc-Ivan Reber mi hanno introdotto nel­ la terra nova del computer. Isabelle Noth ha letto le bozze. Il Fondo Na­ zionale Svizzero ha nuovamente messo a disposizione un contributo fi­ nanziario, consentendomi così di istituire alcuni posti temporanei di as­ sistente per studenti e studentesse. La sezione di teologia della Martin­ Luther-Universitat di Halle mi ha concesso di utilizzare i materiali del Corpus Judaeo-Hellenisticum lì conservati. Le bibliotecarie del nostro seminario hanno lavorato senza sosta per procurarmi le opere non di­ sponibili a Berna. Ancora una volta il Neukirchener Verlag e la Druk­ kerei Manfred Siegel KG hanno curato il volume in maniera esemplare. A tutti loro va il mio grazie di cuore. Devo concludere con un triplice ringraziamento particolare. Il primo va a tutti i miei studenti di Berna che non solo hanno dovuto sopporta­ re ripetutamente il «mio» Matteo ma, soprattutto, la mia assenza per un intero anno, senza la quale non sarei riuscito a consegnare in tempi ragionevoli questo volume alle stampe. Il secondo grazie, anch'esso particolare, va a mia moglie e ai nostri figli, per i quali la mia costante smania per il lavoro è un peso concreto. Quando tre figli dicono a qual­ cuno che sicuramente da grandi non studieranno mai teologia perché bi­ sogna lavorare così tanto, la cosa dà davvero da pensare. Il terzo grazie va ai miei insegnanti di Nuovo Testamento dei vecchi tempi di Zurigo che hanno segnato la mia vita e quindi anche questo libro: Hans Con­ zelmann ed Eduard Schweizer. Hans Conzelmann è stato liberato dalle sue lunghe sofferenze e non è più tra noi. Ringrazio Eduard Schweizer dedicandogli il volume. Laupen, settembre 1989. Ulrich Luz

PREMESSA ALLA SECONDA EDIZIONE

Sono lieto che anche per questo volume si sia resa necessaria una secon­ da edizione. Rispetto alla prima, la revisione si è limitata alla correzio­ ne dei refusi. Devo la loro scoperta (e in numero considerevole) perlo­ più a lettere di lettori che hanno esaminato con grande attenzione il vo­ lume da capo a fondo comunicandomi molte osservazioni utili (e non so­ lo elenchi di refusi). Fortunatamente non dovranno aspettare molto per la pubblicazione del terzo volume, prevista per il I 996. La proposta che avevo fatto nella prefazione alla prima edizione di questo volume (chi avrà letto con cura il secondo volume e mi scriverà, riceverà in do­ no il terzo) mi ha fatto giungere una valanga di posta, con molte lettere gentili e altre più critiche. Le une e le altre mi hanno aiutato notevol­ mente nella preparazione del terzo volume. Grazie mille a tutti. Per un autore è utile sapere per chi stia effettivamente scrivendo. Perciò per il momento la mia offerta continua a essere valida. Laupen, ottobre

I 995·

Ulrich Luz

PREMESSA ALLA QUARTA EDIZIONE

La quarta edizione ha offerto l'occasione per un adeguamento formale del secondo volume alla quinta edizione riveduta del primo, uscita nel 200 2. Poiché ora il primo volume contiene la bibliografia dell'intero commentario, è stato possibile eliminare le integrazioni che compariva­ no nelle edizioni precedenti. I rinvii al primo volume ora si riferiscono tutti alla quinta edizione. Si è reso necessario anche qualche altro adat­ tamento formale, ma il testo è rimasto immodificato, come pure la pa­ ginazione, che resta quella della terza edizione. Sono grato agli editori per aver apportato questi «piccoli ritocchi•, tutto considerato piuttosto numerosi e quindi dispendiosi. Così alla fine i volumi saranno tutti e quattro uniformi. Laupen, marzo

2007.

Ulrich Luz

INDICE DEL VOLUME

Premessa alla prima edizione Premessa alla seconda edizione Premessa alla quarta edizione

9 I2 I3 n.

I9 23 23 27 34 38 38 so 56 s6 63 69 74 75 83 89 9I

L•attività di Gesù in Israele: parola e azione (4,23 - 1 1,30) [seguito] B. I miracoli di Gesù in Israele (8,1-9,3 5 ) 1. Gesù guarisce in Israele (8,1-I7) I. I. Gesù guarisce un lebbroso (8,1-4) 1.2. La fede del centurione di Cafarnao (8,5-I 3 ) 1. 3. Gesù guarisce la suocera di Pietro e molti malati (8,J4- I 7) 2. Sull'altra sponda del Mar d i Galilea (8,I 8-9, 1 ) 2. 1. Sequela nella tempesta (8,1 8-27) 2. 2. I due indemoniati di Gadara (8,28-9, 1 ) 3· Il conflitto con i capi d•Israele (9,2-17) 3 · 1. Il figlio dell'uomo rimette i peccati (9,2-8) 3.2. La misericordia di Gesù verso i pubblicani (9,9- 1 3 ) 3-3- Lo sposo (9,14-I7) 4 · Miracoli conclusivi di Gesù (9, I 8-34) 4. 1. La figlia del notabile e l'emorroissa (9,I 8-26) 4. 2. I due ciechi (9,27-3 1 ) 4·3 · La guarigione del muto indemoniato (9,3 2-3 4) Sommario conclusivo della sezione (9,3 5 )

9I

Riepilogo. I miracoli del messia d•Israele (Mt. 8-9)

96

Conclusione. Il significato delle storie di miracolo matteane oggi

I03 1 10 1 10 112

C. Il discorso ai discepoli (9,3 6-1 1 , 1 ) 1. Introduzione (9,3 6-xo,sa) 1.1. Il compito: il bisogno del popolo (9,3 6-3 8 ) 1.2. Gli incaricati (xo,x-sa)

INDICE DEL VOLUME

16

1 19 1 19 141 158 158 1 62 176 194 201 201

2. Gesù manda i discepoli a Israele ( 1 o, 5 b-23 ) 2. 1 . Il mandato ( 1 o,5b- 1 5 ) 2.2. La persecuzione dei discepoli ( 1 0, 1 6-23 ) 3 · La sofferenza dei discepoli nella sequela ( 1 0,24-4 2) 3 . 1 . Tale il maestro, tali i discepoli ( 1 0,24 s.) 3 . 2. Proclamazione senza paura ( 1 0,26-3 3 ) 3-3- Spaccatura nelle famiglie e croce ( 1 0,34-3 9 ) 3 ·4· Ospitalità per i discepoli ( 10,40-42) 4· Conclusione del discorso ai discepoli ( 1 1, 1 ) Riepilogo. Le affermazioni fondamentali del discorso ai discepoli Conclusioni. Riflessioni sul significato odierno del discorso ai discepoli

204 21 1 213 213 222 23 6 247 247 253 287 289 289 289 301 308 3 19 3 19 344 361 3 68 375 378 378

D. Intermezzo. La crisi d'Israele si fa più profonda ( 1 1 ,2-3 0) I . Gesù e Giovanni Battista ( n ,2-1 9 ) I . I . La domanda del Battista ( 1 1 ,2-6) 1 .2. L'appello alla decisione dell'Elia redivivo ( 1 1 ,7-1 5 ) 1 . 3 . Questa generazione riottosa ( n , 1 6- 1 9 ) 2. L'appello a Israele: giudizio e invito ( n,20-30) 2. 1 . Invettive contro le città d'Israele ( n ,20-24 ) 2.2. L'invito del figlio a coloro che si affannano e agli oppressi ( n ,25-30) m.

Gesù si ritira da Israele ( 1 2, 1 - 1 6,20) A. Il conflitto con i farisei ( 1 2, 1 -50) I. Il sabato di Gesù ( 1 2, 1 - 2 1 ) 1 . 1 . I discepoli hanno fame di sabato ( 1 2, 1 - 8 ) 1 . 2. Guarigione d i un disabile i n giorno di sabato ( 1 2,9- 14) 1 . 3 . Il figlio di Dio che guarisce ( 1 2, 1 5-2 1 ) 2. La prima resa dei conti con i farisei ( 1 2,22-50) 2. 1 . Beelzebul e lo Spirito di Dio ( 1 2,22-3 7) 2.2. Il segno di Giona e il ritorno dei demoni ( 1 2,3 8-4 5 ) 2.3 . L a vera famiglia d i Gesù ( 1 2,46-50) B. Il discorso delle parabole ( 1 3 , 1 -5 3 ) I. Introduzione ( 1 3 ,1-3a) 2. Il discorso al popolo ( 1 3 , 3 b-3 5 ) 2. 1 . Il seme nel quadruplice terreno: la comprensione delle parabole ( 1 3 ,3 b-23 )

INDICE DEL VOLUME

2.2. La zizzania nel campo di grano ( I 3 ,24-30) 2.3 . Il granello di senape e il lievito ( I 3 ,3 1-3 3 ) 2.4. Fine del discorso pubblico ( 1 3,34 s.) 3· Il discorso ai discepoli ( 1 3 , 3 6- 5 2 ) 3 . 1 . La spiegazione della storia della zizzania ( 1 3 ,3 6-43 ) 3 .2. Il tesoro nel campo e la perla ( 1 3 ,44-46) 3 · 3 · La rete da pesca ( 1 3 ,47-50) 3-4- Conclusione: lo scriba intelligente ( 1 3 , 5 1 s.) Riepilogo. Il messaggio di fondo del discorso delle parabole Il senso del discorso delle parabole oggi

405 4I2 423 426 426 439 448 454 4 70 47 I 4 77

C. Il ritiro di Gesù da Israele e la nascita della comunità ( 1 3· 5 3 - 1 6,20) r. L'assassinio di Giovanni e il primo ritiro di Gesù (l 3 , 5 3'-14,3 3 ) r . r . Gesù insegna a Nazaret ( 1 3 , 5 3 - 5 8 ) 1 .2. La morte di Giovanni Battista ( I 4, 1-12) 1 . 3 . Il nutrimento dei cinquemila ( I 4, I 3 -2 I ) 1 .4. Gesù e Pietro camminano sul lago. La prima confessione del figlio di Dio ( 14,22-3 3 ) 2. La disputa sulla vera purità e il ritiro in Fenicia ( 14,3 4- 1 5,39) 2. 1 . Guarigioni a Gennezaret ( 1 4,34-3 6) 2.2. La disputa s u puro e impuro ( r 5,1-20) 2.3 . L'incontro con l a cananea ( 1 5,21-28) 2-4- Guarigioni e seconda distribuzione di cibo ( 1 5,29-3 9 ) 3 . La seconda richiesta di un segno e il ritiro a Cesarea di Filippo ( r 6,I-2o) 3 . 1 . La seconda richiesta d i u n segno e il ritiro di Gesù ( r 6,r-4) 3 .2. Avvertimento a guardarsi dall'insegnamento di farisei e sadducei ( I 6, 5 - 1 2) 3-3- La seconda confessione del figlio di Dio e la promessa a Pietro ( r 6, r 3 -20)

480 480 485 494 505 5 I6 5I6 517 535 54 5 55 2 552 554 5 6o 6oi 603 604

17

IV.

L'azione di Gesù nella comunità ( r 6,21 -20,34) A. Esperienze dei discepoli sulla via verso la passione ( r 6,21-17,27) r . La via della passione ( 1 6,21-28)

INDICE DEL VOLUME

18

62 5 64 3 652 654

2. La trasfigurazione del figlio di Dio e la passione del figlio dell'uomo ( 1 7, I- 1 3 ) 3 . La forza della fede che sposta le montagne ( 1 7, 1 4-20) 4· Gesù annuncia la sua passione ( 1 7,22 s.) 5· La tassa del tempio ( 1 7,24-27) Excursus

85 460 58 1 617

Figlio di David nel vangelo di Matteo L'interpretazione matteana delle parabole Pietro nel vangelo di Matteo Il figlio dell'uomo nel vangelo di Matteo

B I MIRACOLI DI GESÙ IN ISRAELE (8,1 -9,35)

C. Burger, Jesu Taten nach Matthiius 8 und 9: ZThK 70 ( 1973 ) 2.72.-2.87; K. Gatz­ weiler, Les récits de miracles dans l'É vangile selon saint Matthieu, in Didier, Évan­ gile, 2.09-2.2.0; B. Gerhardsson, The Mighty Acts of Jesus according to Matthew (SMHVL 1 978-79, 5), 1979; Held, Matthiius; J.M. Hull, Hellenistic Magie and the Synoptic Tradition (SBT 2.,2.8), 1974, n 6-q 1 ; R. Hengel - M. Hengel, Die Hei­ lungen Jesu und medizinisches Denken, in P. Christian- D. Rossler (ed.), Medicus Viator (Fs R. Siebeck), Tiibingen 1 9 59, 3 3 1-3 6 1 ; J. Kingsbury, Observations on the Miracle Chapters of Matthew 8-9 : CBQ 40 ( 1978) 5 59-573; S. Légasse, Les miracles de Jésus selon Matthieu, in X. Léon-Dufour (ed.), Les miracles de Jésus selon le N. T., Paris 1 977, 2.2.7-2.49; Luz, Wundergeschichten; Schlingensiepen, Wunder, passim; Theissen, Wundergeschichten, passim; W.G. Thompson, Reflec­ tions on the Composition of Mt 8,1-9,34= CBQ ( 1 97 1 ) 3 6 5-3 88; H. van der Loos, The Miracles ofJesus (NT.S 9), 1 9 6 5 .

1. Struttura. La nostra sezione costituisce la seconda parte all'interno della grande inclusione di 4,23-9,3 5 · La si può suddividere in quattro pericopi, più o meno di pari lunghezza, 1 che sono anche caratterizzate da parole gui­ da comuni ( 8,I-I]; 8,1 8-9,1; 1 9,2- 1 7; 9,1 8-3 5 ). È tuttavia difficile asse­ gnarle a temi precisi. Held 3 scorge in 8, 1 - 1 7 il tema cristologico del servo di Dio; in 8,1 8-9, I7 il tema > (9,18-31) è preparato da 8, 10. 1 3 ; 9,2. La disputa con Israele (9,2-17) viene ripresa in 9,3 2-3 4. Il tito­ lo xupwç che domina in 8 ,2-17 riappare, non certo per caso, nella storia dei discepoli di 8,18-27. In Mt. 8-9 ci sono anche filoni secondari che diventano primari e filoni primari che ridiventano secondari. L'immagi­ ne della «treccia » indica allo stesso tempo che l'articolazione matteana dei temi intrecciati nell'impianto narrativo si muove in una direzione precisa verso un obiettivo: alla fine del cap. 9 la storia di Gesù non si trova più allo stesso posto dov'era iniziata col cap. 8 . Per Matteo « sto­ ria di GesÙ>> non significa semplicemente una successione cronologica e geografica di fatti: questo è smentito dall'indubitabile monotonia dei «fi­ li>> che si possono osservare nella «treccia >> . Le ripetizioni sono volute: si ripetono soprattutto i miracoli di Gesù, di cui si era già parlato in 4,23; l'idea della sequela; i conflitti con i capi d'Israele che si vanno delinean­ do. Proprio come il vangelo di Marco, così anche Matteo racconta una storia «teologica » di Gesù: egli comincia presentando l'opera del mesI Held, Matthiius, 214-234, osserva che nelle storie di miracoli Maneo concentra l'at­ tenzione sui dialoghi, mentre fa passare in secondo piano gli elementi narrativi. Egli non si è però accorro che Maneo voleva soprattutto creare una sequenza continua di raccon­ ti e non usare questi semplicemente come esempi per determinati insegnamenti. 1 Tra le incongruenze si possono ricordare, ad esempio, la presenza della folla (8, 1 ) in concomitanza con l'imposizione del silenzio (8,4); la presenza di uomini che s'interroga­ no stupiti (8,27: Marco è diverso) nonostante non si parli di «altre barche» in acqua (Mc. 4,36) quando scoppia la tempesta; il racconto da pane dei pastori di «ogni cosa» , «an­ che a proposito degli indemoniati» (8,3 3 ) nonostante il loro branco fosse lontano (8,30); la menzione della «fede» di coloro che gli ponarono il paralitico, pur mancando l'episo­ dio del tetto sfondato (9,2), ecc. Maneo non è ceno un narratore realistico ed esano. 3 Per l'uso di elementi provenienti da diverse fonti Burger", 283, parla di un «collage», ma questo paragone non coglie la direttrice della narrazione di Maneo (v. sono).

21

sia in mezzo al suo popolo. Scopo di quest'opera è la nascita di un grup­ po di discepoli ( 8,I 8-2.7) che egli condurrà in terra gentile attraverso la tempesta ( 8,2.8-34). In 9,9- I 3 si espone ancora una volta come si arrivi alla creazione di un gruppo di discepoli mediante l'opera di Gesù. Allo stesso tempo tutto il cap. 9 mette in luce come attraverso l'opera di Ge­ sù si arrivi a quel conflitto in seno a Israele che raggiungerà il suo pri­ mo culmine con la spaccatura di 9,3 2.-34. È chiaro già da adesso che i capp. I I s. e i capp. I4- I 6 continueranno esattamente questa storia di Gesù, della comunità dei discepoli e d'Israele. Oltre a ciò formuliamo una supposizione: col cap. 8 comincia una sto­ ria di Gesù che presenta un «doppio livello» . La struttura superficiale del nostro testo presenta una serie di miracoli e di dispute, che sono uniti tra di loro geograficamente e cronologicamente. Essi sono parte della storia di Gesù col suo popolo, di quella storia che finirà con l'esecuzio­ ne e la risurrezione di Gesù. È la storia di un conflitto crescente e di una spaccatura in seno al popolo. Ma dietro c'è una dimensione più pro­ fonda: a questo secondo livello Matteo comincia a narrare la storia fon­ damentale della propria comunità, che cominciò con l'attività di Gesù in Israele, qui portò alla formazione della comunità dei discepoli e alla sua separazione da Israele e finirà col suo invio ai gentili. Questo dop­ pio livello era stato già osservato nel prologo: la storia dell'infanzia e degli inizi di Gesù in primo piano, ma sullo sfondo una visione proietti­ ca della via che sarebbe stata percorsa dal re d'Israele e dai suoi segua­ ci, un cammino che da Betlemme, la città di David, avrebbe portato fin nella Galilea delle genti. • 2. Fonti. Nella nostra sezione, la disposizione dei singoli testi è diversa da quella di Marco e di Q. Ciò è singolare, anzi davvero unico. Matteo ha incastrato una nell'altra due sezioni di Marco ( I ,40-2,22; 4,3 5·5,43), inte­ grandole con materiale di Q, ma senza comunque utilizzare altre fonti ol­ tre le suddette. 2. Certo Matteo ha creato qualcosa di nuovo col materiale

Cf. vol. 1, pp. 1 3 6 s. Per la disposizione e i minor agreements (convergenze minori tra Matteo e Luca) E. Schweizer, 39 s., suppone che Matteo abbia utilizzato una raccolta di parole e atti di Gesù che sarebbe seguita al discorso della pianura e servita alla disputa con Israele. Ciò è improbabile: r. Matteo non conosce altre azioni di Gesù al di fuori di quelle che si tro­ vano anche in Marco e Q; 2. la disposizione rispecchia i suoi interessi redazionali (cf. sotto); 3· rispetto al vangelo di Marco, Matteo si dimostra conservatore (v. sotto), dun­ que si basa su Marco; 4· le convergenze minori si trovano in tutto il materiale marciano e dunque non costituiscono una base per una particolare spiegazione di Mt. 8 s. Si trat­ ta, a mio giudizio, o di correzioni redazionali di Marco da parte di Matteo/Luca o di correzioni preredazionali del testo di Marco, dunque parte di un' «edizione» ( «seconda r

2.

22

I MIRACO LI DI GESÙ IN ISRAELE

tratto dalle sue fonti, manipolandole con precauzione anche nella disposi­ zione. La successione delle due sezioni marciane viene quasi sempre conser­ vata (con interruzioni). In Q Mt. 8,5-IO. I J (= Le. 7,1-10) era il testo succes­ sivo al discorso della pianura; Mt. 8,1 1 s. (= Le. 1 3,28 s.) seguiva 7,22 s. (= Le. 1 3 ,26 s.). Matteo ha omesso la pericope del Battista di Q = Le. 7, 1 8-3 5, ma Mt. 8,19-22 (= Le. 9,57-62) è il successivo testo di Q subito do­ po la storia del centurione di Cafarnao. Soltanto alla fine (in 9,27-34) Mat­ teo non si è comportato da conservatore, inserendo due testi presi da un con­ testo del tutto diverso. Taie operazione ,va tenuta in attenta considerazione. Queste osservazioni hanno un'importante conseguenza per la com­ prensione del vangelo di Matteo: non si può certo credere che l'evange­ lista fosse davvero convinto di aver trovato il corretto svolgimento cronologico della storia di Gesù mettendo in fila storie prese da diverse fonti oppure attraverso il suo audace raddoppiamento di due racconti in 9,27-34. Eppure egli presenta uno svolgimento cronologico e annoda le singole storie tra di loro sia geograficamente sia cronologicamente. Dal punto di vista « storico» lo svolgimento cronologico è dunque fitti­ zio, ma l'evangelista dev'essere stato ben consapevole di ciò.1 Anche l'analisi delle fonti conferma dunque la nostra tesi che ciò che per l'evan­ gelista conta è la storia « interna » , teologica di Gesù. ed. riveduta» ? ) leggermente modificata del vangelo di Marco, utilizzata da Matteo e Lu­ ca, oppure sono dovuti alla tradizione orale. 1 Una consapevolezza simile non dev'essere mancata neanche a Marco che, ad esempio, colloca in successione cronologica una raccolta di parabole (Mc. 4) oppure una raccolta di novelle (4 . 3 5-s.43 ).

l

GESÙ GUARISCE IN ISRAELE (8, 1 - 1 7 )

Le tre storie di questa sezione sono strettamente unite tra di loro dalle parole guida 7tpOatp'X,O(J.CXt (VV. 2 e 5 ), Àt"(WV XUptE (VV. 2.5 S.), éi1t'tO(J.CXt con 'X,Etp ( vv 3 . 1 5 ), umxye ( vv 4· 1 3 ), dal popolo che segue (cìxoÀou-B&w, vv. I e 1 0; cf. anche vv 14 s.), dalla potenza di Gesù nella sua parola (ÀO­ y�, vv 8 e 1 6) e dal riferimento di tutte le guarigioni a Israele. 1 Tutta la sezione non è che uno svolgimento di 4 ,2 3 h : Gesù «guariva ogni ma­ lattia e ogni infermità tra il popolo» . Anche la citazione al v. 17, che in­ terpreta e conclude questa prima sezione, riprende proprio quel verset­ to mediante il termine voao�. • . •

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1 . 1 . GESÙ GUARISCE UN LEBBROSO (8, 1 -4) Held, Matthaus, (sopra, p. 1 9 ) .

101-104. 143

s.

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Altra bibliografia (b) nella sezione

su

Mt. 8-9

Ma quando scese dal monte, folle numerose lo seguirono. 2 Ed ecco gli si avvicinò un lebbroso, gli si prostrò davanti e disse: «Signore, se vuoi tu puoi rendermi puro! » . 3 Ed egli stese la mano, lo toccò e disse: « Lo voglio, diventa puro! >> . E all'istante l a sua lebbra fu purificata. 4 E Gesù gli disse: «Attento! Non dirlo a nessuno, ma va', mostrati al sa­ cerdote e porta l'offerta per il sacrificio che Mosè ha comandato, perché sia loro di testimonianza! » . 1

1. Struttura. La piccola storia è costruita a regola d'arte. Il v. 3a ne costi­ tuisce il centro, inquadrato chiasticamente dalla supplica del lebbroso e dalla risposta di Gesù formulate in parallelo ai vv. 2b/3 b (2 volte -8ÉÀw, 3 volte xcx-Bcxpl�w) e dall'esposizione della malattia e dalla constatazione della guarigione ai vv. 2a/3c (Àercp/J�/ÀÉ:rcpa.). Minuziose sono l'introduzione al v. 1 e la parola conclusiva di Gesù al v. 4, che risulta quindi particolarmente importante. 1 Per 8,1-4 il riferimento a Israele risulta dall'uso di XOt&!pll;w e dal v. 4; per 8,5-13 dalla contrapposizione tematica tra il centurione e Israele; per 8,14-17 dalla citazione di compimento. Questo orientamento di fondo verrà ripreso in 9,3 3b.

GESÙ GUARISCE UN LEBBROSO

2. Fonti. Il testo proviene da Mc. 1 ,40-4 5, tranne l'introduzione redazio­ nale al v. 1 . 1 Come spesso avviene, Matteo abbrevia, dando così maggior risalto al dialogo. Singolari sono le numerose «convergenze minori» con Le. 5 , 1 2-1 6.� Esse corrispondono spesso all'uso linguistico di Matteo e di Luca 3 e all'occorrenza 4 possono essere spiegate come interventi migliora­ tivi del testo marciano, compiuti, indipendentemente uno dall'altro, dai due evangelisti. Resta tuttavia inspiegabile perché Matteo/Luca abbiano omes­ so a7tÀCI"YlVta.Se1ç (cf. Mt. 9,36).5 Ci si deve quindi chiedere se ai tempi di Matteo circolassero varie recensioni di Marco. Mc. 1 ,4 5 viene omesso per­ ché secondo Mt. 8,4 Gesù non si ritira (come in Marco) in un luogo solita­ rio o perché Matteo vuole evitare che il lebbroso guarito si mostri disubbi­ diente a Gesù. Mc. 1,44·4 5a viene utilizzato da Matteo alla fine (9,30 s.) di tutta questa parte. Un esempio della sua scrupolosa redazione rispettosa del­ la tradizione. 6

1-3. Il v. 1 traghetta il racconto dal discorso della montagna alla nuo­ va storia. Gesù scende giù dal monte come un tempo Mosè dal Sinai (cf. Es. 19, 1 4; 3 2, 1 ; 3 4,29).? Matteo chiude la cornice attorno al discorso della montagna ritornando alla situazione di 4,2 5 . Come in questo pas­ so, anche qui ci sono folle che seguono Gesù: erano con lui sul monte (7,28 ). Il verbo «seguire » segnala che esse sono la chiesa potenziale, ma l'evangelista riprenderà questo pensiero solo ai vv. 1 8-27. Ed ecco farsi avanti un lebbroso 8 che si avvicina a Gesù, gli si getta ai piedi 9 rivolCf. 4,25; 5,1, e vol. I, introduzione, 4·2· alle voci Opll(;, cixoì..ou-8iw, oxì..o t. V. 2: !6ou, ì..iywv xlipte: senza li'tt; v. J: manca a7tÀayxvta&lç, cambiamento di posto tra �4a'to e aÙ'toii, ì..iywv, -8iì..w senza aÙ'tljl, e:ù-8éw.;, manca Mc. 1,43; v. 4: manca (Ll}6Év. 3 Cf. vol. 1, introduzione, 4.2, alle voci 'Mywv, KUpto .z. È qui che si trova il baricentro della storia e il tema della storia di guarigione passa decisa­ mente in secondo piano. I lettori colgono subito quel x t)ptt che ricompare qui ( 2. volte) dalla storia precedente. Nella presente storia è particolarmen­ te importante la radice 1tta't- che inquadra (vv. IO e I 3 ) il logion decisivo di Gesù dei vv. I I s.

2.. Fonti. a) Vv. J-I O.IJ. Il v. sa ricorda Mc. 2.,I che più tardi verrà omes­ so. Per il resto la storia proviene da Q dove seguiva immediatamente al di­ scorso della pianura (Le. ?, I-IO dopo 6,2.0-49). In Q la storia apparteneva presumibilmente, insieme col complesso del Battista (Le. 7,I 8-3 5 ), a una sezione di testi critici verso Israele.J Soltanto nel dialogo dei vv. 8-Io = Le. 7,6b-9 si registrano numerose concordanze letterali.4 Tuttavia il dialogo è comprensibile solo in quanto parte di una storia, che pertanto deve essere stata trasmessa insieme sin dal principio.5 In Le. 7,2.-6a l'introduzione è tramandata in modo molto diverso: il pio centurione gentile manda a Ge­ sù, quali suoi intermediari, gli anziani dei giudei. Mentre a questo punto il 1 La frase va tradotta in senso interrogativo: a) perché solo allora l' i-yw enfatico ha un senso; b) perché anche nella storia affine di I S ,l.l-2.8 Gesù rifiuta la richiesta della donna gentile. z. Held, Ml:ltthiius, x 8 s . 3 Kloppenborg, Formation, 1 19. 1 2. 1 . Sono matteismi (cf. vol. 1 , introduzione, 4.2.): tinoxpt&l� BÉ, (J-OVov. nap' où6EVI (v. Io) è 4 matteano per la sostanza, non per il linguaggio. 5 Secondo Manson, Sayings, 63, in Q ci sarebbe stato soltanto il dialogo; ma anche la variante di Gv. 4,46-54 contraddice tale opinione.

MT. 8,5-13

29

testo lucano presenta chiari segni redazionali, Matteo trasmette presumi­ bilmente il testo di Q piuttosto alla lettera. 1 Se l'introduzione lucana della storia (Le. 7,2-6a) risalga a una recensione di Q (QLc) oppure alla redazio­ ne lucana è difficile stabilir lo in questo caso.� Come indica un confronto con 15,28, Matteo ha formulato in larga misura lui stesso il v. I 3 . b) Vv. I I s. Ma la variazione più importante dovuta a Matteo è l'inseri­ mento del logion dei vv. I I s., la cui collocazione originaria in Q è stata conservata da Le. I 3 ,28 s.3 Presumibilmente Matteo ha ripreso anche que­ sto logion da Q abbastanza letteralmente.4 A mio giudizio, la forma mat­ teana con il suo bel parallelismo è primaria rispetto a Le. I 3 ,28 s., dove il logion viene adattato al contesto. Dal punto di vista linguistico è chiara­ mente redazionale soltanto 'twv oùpavwv. La tipica formula «matteana» del 3 8-3 9: SNTU.A 6-7 ( 1 9 8 1 -8 2 ) 2 1 -76; Held, Matthaus, 1 59-1 62; P. Lamarche,

La guérison de la belle mère de Pierre et le genre littéraire des évangiles: NRTh 87 ( 1965) 5 1 5-5 26; X. Léon-Dufour, La guérison de la belle mère de Simon-Pierre, i n Id., Etudes d'Evangile, Paris 1965, 1 25-148. Altra bibliografia ( b ) nella sezione s u Mt. 8-9 (sopra, p. 19).

14 Quando Gesù entrò in casa di Pietro, vide la suocera di lui sul letto, febbricitante. x 5 E le toccò la mano e la febbre la lasciò, e lei si alzò e si mise a servirlo. x6 Fattosi tardi, gli portarono molti posseduti ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i mal ati, 17 così che si adempisse quello che era stato detto mediante il profeta Isaia: «Egli ha preso le nostre infermità e ha portato via le malattie » .

1 . Struttura. I l testo è tripartito: l a guarigione della suocera d i Pietro (vv. 1 4 s.), i l sommario (v. 1 6), la citazione d i compimento (v. 17). I l racconto del­ la guarigione ha una struttura chiastica attorno al nucleo «egli le toccò la mano» . Nel contesto i termini �É�ÀlJ(L!Xt e ì..oyqJ rimandano a 8,5 - 1 3 e a7t-.o­ (L!Xt con xelp a 8,1-4. Richiamano invece 4,24 i termini 7tpoa�veyx�Xv, Ò!Xt!Lo­ v tl:o(J-evo t, 7tcXV't!X� -.oÙ . 1 . Struttura. La pericope è un'unità caratterizzata dai termini (Ì1tÉp'X.OtJ-tXt (vv. 18 s.2 1 ), (ÌxoÀou-8éw (vv. 19.22 s.) e tJ-tX-8Yj't'ljc; (vv. 21 .23 ). Già al v. 1 8 Gesù ordina la traversata, che inizia al v. 23 e finisce al v. 28a. I vv. 1 9-22 inter­ rompono il nesso tra l'ordine di Gesù e la sua esecuzione. Il racconto della tempesta placata presenta una composizione circolare a struttura chiasti­ ca.' Al centro ci sono le parole dei discepoli (v. 25b) e di Gesù (v. 26a). Col v. 26 si ha dunque la grande svolta. Le parole dei discepoli e di Gesù, il «sonno>> e l'«alzarsi>> di Gesù, il «forte sommovimento» e la «grande bo­ naccia » si corrispondono antiteticamente. Alla sequela dei discepoli (v. 23 ) fa riscontro alla fine (v. 27) la reazione della gente. Con la menzione degli av-8pw1tot questo versetto rompe il piano della narrazione: infatti Gesù si è allontanato dalla folla e con lui ci sono solo i discepoli. La pericope contie­ ne due richiami a 6,25-34 ('t'i% 1tE't'Etvi% 't'ou oùpavou, ÒÀt"(01tta't'oc;). Mt. 14,2233 ha così tante parole in comune con i vv. 23-27 che quella seconda tem­ pesta sedata diventa un approfondimento e una continuazione della nostra storia.1 2. Fonti. La storia marciana della tempesta sedata (Mc. 4,3 5-4 1 ) funge da cornice per i due apoftegmi sulla sequela tratti da Q Le. 9,5 7-60 = Mt. 8,1 9-22. Questo modo di unire due pericopi è insolito per Matteo. Il v. 1 8 è stato riformulato d a Matteo in senso «gesucentrico».3 I vv. 1 9-22 con­ cordano sostanzialmente con Le. 9,5 7-60. Q non può essere ricostruito con certezza nei particolari. Per me elc; "fptXtJ-tJ-tX't'EUc; si trovava già in Q.4 Ai vv. 1

Si consideri la disposizione grafica della presente traduzione ed Ennulat, Agreements,

1 34. Gerhardsson b , 5 3 conta 8 3 sillabe nei vv 23-25 e altre 83 nei vv 26 s. Anche le due parti (vv. 1 8-22 e 23-27) presentano quasi la medesima lunghezza. .

.

2. ÈjL(3atVW dc; 'fÒ 1CÀOiov, dc; 'fÒ 1tÉpav, OXÀDc;, X�Gl'fGl, ,9aì..aaaa, XEMUw, XUpiE aWaOV , ÒÀI­ 'Y07tiC"'fDc;, liVEjLoc;. 3 ÈxÉÀEuaEv: in Matteo il participio preposto !8wv (cf. vol. 1, introduzione, 4.2) serve per­ lopiù a motivare un'azione. 4 Che uno seriba (giudaico! ) voglia seguire Gesù non rientra nello schema di Maneo: cf. 3,7; 5,20 e Mt. 22,34-40 differente da Mc. 1 2,28-34. Elc; come pronome indefinito po­ trebbe essere maneano (9,1 8; 21,19; :z.6,69; 1 8,24?).

SEQUELA NELLA TEMPESTA

21 s. Matteo ha certamente mantenuto la posizione originaria di cìxoÀoU.Set tLot.1 L'ordine «ma tu va' ad annunciare il regno di Dio » (Le. 9,6ob) non avrebbe avuto senso prima che tutti fossero saliti in barca, così Matteo l'ha probabilmente omesso. Sono dovuti a Matteo 7tpoaeÀ-8wv (v. 1 9 ), la precisazione -.wv tL> .1 Infatti il mondo è evidentemente «un regno dei morti >> con il quale non si vuole aver niente a che fare.3 In­ terpretando l'ossimoro di Gesù come una metafora dal senso nascosto, l'in­ terpretazione ecclesiastica ha generalizzato, e quindi anche mancato di co­ gliere, la portata del logion.

Come si deve giudicare questa interpretazione alla luce del testo? In senso strettamente esegetico è sbagliata. Il logion è un ossimoro e non un indovinello metaforico. Esso non invita a scoprire un senso nascosto del termine «morto» , ma vuole scioccare e straniare. I «morti>> che sep­ pelliscono i morti non sono presumibilmente persone morte > e le comuni­ tà (ana)battiste «in cammino >> nel XVI secolo è solo un esempio di quanto detto.1 Gli interrogativi - in entrambe le direzioni - non dovrebbero resta­ re mespresst. 2.3-2.7. Gesù sale in barca, i suoi discepoli lo seguono. La barca viene sorpresa da un forte «sommovimento» . Il termine crttcrtJ.oc; viene scelto da Matteo, da un lato perché i terremoti rientrano fra le tribolazioni de­ gli ultimi tempi, nelle quali la comunità si trova; 3 dall'altro crttcrtJ.oc; perI Lutero, Annotationes, 470. :z. Cf. vol. 1, p. 450 s. 3 Cf. 24,7; 27,54; Apoc. 6,1 2; 8,5; n , 1 3 .19; 1 6, 1 8; Ass. Mos. 10,4; Apoc. Bar. 8; G. Bornkamm, aeiw x'tÀ., in ThWNT vn, 196,36 ss.

syr.

70,

MT. 8,18-27

47

mette di cogliere più facilmente della À!XtÀ!XIji marciana una dimensione interiore, psichica. 1 L'acqua simboleggia il potere della morte e delle te­ nebre che minaccia i discepoli. Matteo sviluppa dapprima la dimensio­ ne cristologica della storia. Gesù dorme, mentre le acque coprono già la piccola barca. In questa circostanza non si manifesta l'uomo superiore, padrone della situazione in ogni momento, 1 bensì il Signore degli ele­ menti, che è al di sopra del loro attacco. La chiesa antica ha sostanzial­ mente visto giusto parlando qui della divinità di Gesù.3 I discepoli si ri­ volgono a lui con l'appellativo «Signore» , il predicato di Dio nell'A.T., noto alla comunità attraverso il culto, e con la supplica «salva ! » , come nelle preghiere.• aci»�w indica anche la salvezza dalla tbtwÀEt!X escatolo­ gica, che riecheggia dietro al grido disperato à1toÀÀtJr.!.e-8!X. Il Signore ascolta la preghiera e interviene, provocando, con la sua parola, la gran­ de bonaccia. Anche il versetto conclusivo, decisivo per Matteo, sottoli­ nea la dimensione cristologica. Gli èiv-8pw7tot che chiedono chi sia «co­ stui >> non possono essere i discepoli, i quali hanno appena chiamato Ge­ sù «Signore» . Piuttosto, l'evangelista esce qui, per così dire, dal quadro della storia e dà voce agli uomini cui la sua comunità proclama l'evan­ gelo, facendoli parlare come se dovessero reagendo al miracolo di Ge­ sù. I miracoli di Gesù avvengono davanti al foro del mondo e sono una parte della proclamazione. Il v. 2 7 mostra anche che per Matteo è irri­ nunciabile l'evento eccezionale del miracolo, poiché lo stupore degli uo­ mini si riferisce a esso. Per l'evangelista la nostra storia non è, dunque, soltanto una rappresentazione di esperienze di fede sotto la copertura di una storia di miracolo, bensì il racconto di un miracolo veramente ac­ caduto, che soltanto in seguito diventa trasparente per le esperienze del­ la comunità con il medesimo Signore che lo ha operato. 5 Alla dimensione cristologica viene ad affiancarsi la dimensione sote­ riologica ed ecclesiologica. Dalla chiesa antica 6 fino a oggi 7 la barca è stata considerata figura della «navicella della chiesa» . 1

Cf. 2 1 , 10; Bauer, Wb6, s.v. aEtw, 2 (aEtO"fLÒ> al riferimento del termine «disce­ poli>> alla comunità cristiana. Più tardi, mediante l'incontro con la metafo­ ra antica della nave come stato, l'interpretazione ecdesiologica della navi­ cella si è definitivamente consolidata nel nostro testo. 24.26. La navicella dei discepoli viene sballottata nella bufera e mes­ sa in grave pericolo. ae:ta[J.oc; e xu[J.a-ra non possono essere interpretati con importante è K. Goldammer, Das Schiff der Kirche. Ein antiker Symbolbegriff aus der politischen Metaphorik in eschatologischer und ekklesiologischer Umdeutung: ThZ 6 (I950) 2.3 2.-2.37· r Alceo, frr. 46a D e 46b D (ed. M. Treu, Miinchen I952., 40 s.); fr. I 19 D (op. cit., 42. s.); Horat. Carm. 1,14; altri testimoni in Rahner (cit. sopra, p. 47 n. 6), 3 24-3 2.9; Kahl­ meyera, 39-48; Goldammer, art. cit., passim. 2 Kahlmeyera, 1 9-2.2.. 2.6-39 (2.6: «materiale molto ricco» ). Esempi per barca nel senso di vita: navigazione, tempesta nella barca: Eur. Or. 340-344 (destino del ricco); Eur. Heracl. 42.7-430 (destino del profugo). 3 Per il singolo individuo: Sir. 33,2. (il dispregiatore della legge si trova come in una tempesta); Ep. Arist. 2.51; Apoc. Bar. syr. 85,10 s. (il porto come morte, fine del mon­ do); 4 Macc. 7, 1-3 (la ragione come timoniere; mare degli istinti; tempesta del suppli­ zio); Philo Ali. 3,2.2.3 s.; 1QH 14,2.2.-2.4 ( •ero come un marinaio in una barca nel furore del mare»; 1 1,6 ( « la mia anima . . . come una nave,. ) e 1 1, 1 3 - 1 6 (nave); I 5,4 (nave); I6,J I; Sal. 42.,8. Per la comunità: Sal. 46,3 s.; 93,3 s. (senza nave). Altri testimoni in Hilgena, 2.6-39. 4 Nella chiesa antica anche questa interpretazione individuale è sempre presente accanto a quella ecclesiologica. Esempi: Orig. Hom. in Cant. 3 (GCS 3 3 , 2.2.6). L'iconografia paleocristiana presenta la navicella della vita (iconografia sepolcrale) e la navicella della chiesa: U. Weber, Schiff, in LCI IV, 63; per l'età moderna v. sotto, p. 49 n. 4· -

MT. 8,1 8-27

49

precisione: a questo punto spetta ai lettori compiere l'associazione in base alle proprie esperienze. L'evangelista potrebbe aver pensato in par­ ticolare alle persecuzioni che riguardavano la sua comunità ( 5 , 1 1 s.; 10, 1 6-39; 2 3 , 3 4-3 7 ) . Per lui il centro dell'emergenza sta nella paura dei discepoli. Perciò il Signore si rivolge anzitutto a loro. Egli chiama la lo­ ro paura poca fede e ricorda quindi ai lettori del vangelo non solo il te­ sto sulla provvidenza di Dio ( 6,23 -3 3 ), ma soprattutto la loro propria fe­ de, che in questo caso è venuta meno ai discepoli. La «poca fede» ca­ ratterizza anche la situazione della comunità ai giorni di Matteo. In che cosa consiste questa «poca fede» ? In una fede alla quale non seguono fatti? 1 Certo per Matteo 7tta'ttc; indica sempre una fede attiva; ma qui non si tratta in primo luogo di questo. La «poca fede» consiste piutto­ sto nel fatto che il discepolo perde il ricordo della potenza e della presen­ za del suo Signore e quindi non può più agire. La forza della fede consi­ ste soltanto in questo: che il discepolo si rivolge al Signore e viene so­ stenuto da lui. 1 Ecco che cosa racconta la nostra storia. Dal punto di vista ecclesiologico essa è dunque una testimonianza di come il Signore stia vicino alla sua comunità « tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (28,20). Riepilogo e storia degli effetti. Nella nostra storia possono, anzi deb­ bono essere inserite le nostre esperienze e «in» essa devono essere intese in modo nuovo. Solo chi è . Chi >.4 In una sua interpretazione magistrale e di grande effetto, apparsa nel pieno r

Léon-Dufour", 1 69 s. Lutero, Evangelien-Auslegung n, 298: «La poca fede (si afferra) al Signore e - nel sen­ so dell'interpretazione riformata del testo - «alla sua parola» . 3 Petr. Chrys. Serm. 2 0 (BKV 1/43, 1 1 2). 4 Sermone del 1701, in Werke in Auswahl, ed. E. Peschke, Witten 1969, 3 3 9· 346. 2

so

I DUE INDEMONIATI DI GADARA

della lotta tra stato e chiesa in Germania (il Kircbenkampf), Heinricb Scblier parla del mare apparentemente calmo e indifferente e dell'improv­ viso « fragore della tempesta gentile e semigentile», e scrive, in perfetto spi­ rito riformato: «Soltanto quando la chiesa non richiede più alcun miraco­ lo, perché il proprio cuore è illuminato e reso saldo nel miracolo della sua parola, ecco che il Signore si alza contro il mondo e allontana le sue forze violente con la sua grande bonaccia>> . I

La domanda è: il nostro testo si apre a ogni esperienza e consente ogni interpretazione, oppure pone limiti a questi inserimenti personali e alle interpretazioni ? Desidero far presenti tre limiti, che mi sembrano importanti proprio nell'ottica di Matteo. 1 . Per Matteo la fede rappre­ senta il centro del testo. La fede vive del fatto che il Signore risorto con la propria forza aiuta il dubbioso. Altre esperienze, come quelle in cui la fede è stata trasformata dall'incontro con il Signore vivente, non pos­ sono essere inserite nel nostro testo.1 2. Matteo parla di un'esperienza dei discepoli, dunque di un'esperienza in una comunità. Matteo non è affatto interessato a un'edificazione soltanto privata e a una «barca del cuore>> intesa in questo senso. 3 · L'aiuto di Dio e la lotta dell'uomo for­ mano un intreccio inseparabile. La sequela non è qualcosa di passivo. Prima de ll 'esperienza della tempesta placata, Matteo ha introdotto un forte richiamo a ciò che viene richiesto ai seguaci di Gesù (vv. 19-22). A differenza dell'incredulità, la «poca fede» è lo scoraggiamento di co­ loro che banno osato qualcosa con Dio. E proprio costoro sperimenta­ no la potenza del Signore. 2.2. I DUE INDEMONIATI DI GADARA (8,28-9 ,1) F. Annen, Heil {Ur die Heiden (ITS 20), I 976, 207-209; T. Baarda, Gadarenes, Gerasenes, Gergesenes and the «Diatessaron» Traditions, in E. Ellis - · M. Wilcox (ed. ), Neotestamentica et Semitica (Fs M. Black), Edinburgh I969, I 9 I - I 97; J. Fé­ liers, L'exégèse de la pericope des pores de Gérasa dans la patristique latine (TU IO?): StPatr Io ( I 970) 225-229; Held, Matthiius, I 62- I 6 5 ; R. Pesch, Der Besesse­ ne von Gerasa (SBS 56), 1 972, 50-56. Altra bibliografia (b) nella sezione su Mt. 8-9 (sopra, p. 19). 28 E quando arrivò all'altra sponda, nel paese dei gadareni, gli si fecero in­ contro due indemoniati, che provenivano dalle tombe. Essi erano molto aggressivi, tanto che nessuno più poteva passare per quella strada. 29 Ed ecco, essi si misero a urlare e dicevano: «Che abbiamo a che fare con te, figlio di Dio? Sei arrivato da queste parti per tormentarci prima del tem-

H. Schlier, Das Schiftlein der Kirche (TEH 23), 1 9 3 5 , 7· 20. 2. Questo limite riguarderebbe, ad es., Pietro Crisologo (v. sopra, p. 49 I

n.

3 ).

po? >>. 30 Ora, lontano da loro, c'era un grosso branco di maiali al pasco­ lo. 3 1 Allora i demoni lo supplicarono dicendo: «Se ci scacci, mandaci in quel branco di maiali! » . 3 2 Allora egli disse loro: «Andate ! » . Essi uscirono e si trasferirono nei maiali. Ed ecco, l'intero branco si pre­ cipitò giù per la discesa, fin dentro il mare, ed essi perirono nell'acqua. 33 Allora i guardiani se la diedero a gambe, andarono in città e racconta­ rono ogni cosa, anche il fatto degli indemoniati. 34 Ed ecco, allora tutta la città uscì per andare incontro a Gesù. E appena lo videro, l'implorarono di andarsene dal loro territorio. 9 1 Egli salì in barca e passò all'altra spon­ da. E arrivò nella sua città. I. Struttura. Diversamente da 8,1-4 o 8,14 questa storia non è narrata dal punto di vista di Gesù. Soltanto all'inizio (v. 28a), alla fine (v. 9,1 ) e soprat­ tutto al centro (v. 3 2a) egli è il soggetto che agisce. Altrimenti tutto fa rife­ rimento a Gesù in modo indiretto. Attraverso lo «specchio•• degli indemo­ niati, dei demoni, dei guardiani e degli abitanti di Gadara, i lettori si accor­ gono di come Gesù occupi il centro della scena. Ciò corrisponde alla strut­ tura del pezzo: la storia è costruita chiasticamente tutt'attorno al centro (v. 32a) mediante una serie di diverse inclusioni: rrÉpa.v/òta:rr.epa(.w ( vv . 28a/9, Ia), Urta.V'taw/imaV'tTjatç (VV. 28b/3 4a), Òa.t!J.OVt(.O!J.EVOt (VV. 28b/3 3 b), �oaxo­ !J.ÉVTJ/f30axovnç ( vv . J o/n a), àyÉÀTj (vv. 30.3 Jb/3 2c). Vengono ripresi vari termini dalle storie di miracoli in 8,1-17,' ma neanche uno da 8,1 8-27. 2. Fonte. Mc. 5,1-21a è abbreviato drasticamente, col risultato che la storia risulta, da un lato, più chiara e semplice, ma dall'altro anche meno perspicua.1 La rielaborazione è interamente opera di Matteo.3

È difficile interpretare la storia leggendola dal punto di vista di Mat­ teo. L'evangelista ha tralasciato così tanti particolari contenuti nella sua fonte (Marco), che è impossibile ricercare minutamente il perché delle omissioni. Non è neanche visibile una chiara tendenza redaziona­ le. Coglie forse nel giusto il giudizio di Wellhausen, secondo il quale l'evangelista non poteva ignorare « quella storia sconveniente», ma non l'amava nemmeno e perciò « tagliò corto » ? 4 Ciò che più colpisce è la mancanza di Mc. 5 , 1 8-20. Così l'interrogativo maggiore per l'interpreI

v.

z.8: 8atp.ovtJ:O�J-EVOt, cf. 4,24; 8,I6; v. 3 1 : Èx�ÀÀw, cf. 8,16; v. 3 2: umiyw, cf. 8,4.13· Mt. 8,29 parlano gli indemoniati, non i demoni. 3 Vocaboli preferiti da Matteo (cf. vol. 1, introduzione, 4.2): v. 28: 8cxtp.oviJ:op.cxt, ì.. icxv, 100tE, ÈXEÌYOC;; V. 2.9: !8ou, W8E, XCXI�; V. 3 2: !oou; V. 3 3 : CÌmpxop.at, 8atp.oviJ:op.cxt; V. }4: !8ou, !òwv, o1tw.;, IJ-E't"a�ivw. Le poche convergenze minori sono spiegabili tutte come inter­ venti redazionali indipendenti di Matteo e Luca. 4 Wellhausen, 39; cf. Trilling, lsrael, 1 3 4 s. 2. I n

I DUE INDEMONIATI DI GADARA

tazione è che cosa si proponesse Matteo con i suoi tagli e che cosa lo disturbasse nel racconto marciano. Concentriamoci, in primo luogo, sulle variazioni di Matteo rispetto a Marco. Per Matteo la storia si svolge nelle vicinanze di Gadara, 1 non più nel territorio di Gerasa. :z. Entrambe le località erano ben note città della Decapoli. Un siro come Matteo poteva benissimo sapere che l'im­ portante città commerciale di Gadara - nota anche per essere un centro di studi filosofici - era lontana dal lago non più di una decina di chilo­ metri e lì aveva il suo territorio/ mentre tali caratteristiche mancano a Gerasa, distante più di 5 0 km dal lago. Gadara sembra anche risponde­ re decisamente meglio di Gerasa, con la sua ubicazione periferica, alla rappresentazione del «paese biblico »,4 a questo sfondo però mal si ac­ corda la presenza di un numeroso branco di maiali e Matteo, un giu­ deocristiano, sa bene che un tale branco di maiali mal si adatta alla ter­ ra santa: secondo la Bibbia i maiali sono animali impuri (Lev. 1 1 ,7) e per i giudei erano tanto più malvisti in quanto nella maggior parte dei culti ellenistici erano vittime sacrificali importanti.5 Così Matteo di cer­ to non pensa al paese biblico nel quale si trovava la città, bensì correg­ ge il testo di Marco in base alle proprie conoscenze geografiche e così fa­ cendo trascura del tutto la q uestione di quale 7toÀtç (v. 34) ubicata nel paese dei gadareni si tratti. 6 È probabile che egli consideri gentili non so­ lo i guardiani dei maiali, ma anche la popolazione della città da loro al­ lertata. La conclusione della storia è dunque che la popolazione gentile prega il messia d'Israele di abbandonare immediatamente il suo territo­ rio. Non è ancora giunto il momento per la proclamazione ai gentili. Ma sarebbe stato auspicabile che Matteo l'avesse detto più chiaramente. 1 È possibile che il testo originario di Matteo leggesse faÒ> .4 c) Interessante è vedere come nell'esegesi del XVI e xvn secolo il nostro testo si sia allineato nelle controversie teologiche. Nella vigorosa esegesi di Lutero si fronteggiano il peccatore, che ascolta la parola dell'evangelo sul­ la remissione dei peccati, e i «legalisti e gli uomini delle opere >> , cui quella parola risulta insopportabile.5 Per tutta l'esegesi riformata la storia diven­ ne espressione della salvezza sola gratia. La remissione dei peccati avviene non sulla base di digiuni o di qualche altro esercizio verbale, ma soltanto sulla base del «ministerium praedicationis Evangelii » : 6 «dunque la remis­ sione dei peccati avviene necessariamente solo per grazia di Dio »; Cristo non ha richiesto soddisfazioni di sorta, ma solo preghiera.7 L'esegesi cat­ tolica ha scorto qui una fede meramente passiva e impostato la sua polemi­ ca di conseguenza. 8 Essa ha colto qualcosa che era importante per Matteo, anche se ha fatto torto agli > finale dei farisei a Gesù è un «risul­ tato>> di questa parte della narrazione che si dimostrerà ricco di sviluppi per la continuazione della storia (cf. 1 2,24). La nostra sezione è singolare per quel che riguarda le fonti cui l'evan­ gelista ha attinto. La prima storia doppia corrisponde a Mc. 5,21-4 3 . Da­ to che Matteo ha già riportato Mc. 4,3 5-5,20 in 8,23-34, ciò non è sorI À�ZÀÉw ( vv. 18.3 3 ); .ipxwv (vv. 1 8.23 .34); tixoÀou-BÉw (vv. 19.27); xia-rtr,/maniJw (vv. 21 .28 s.); o!xi11 (vv. 23.28); Éx�linw (vv. 25.33 s.); iiÀTJ lJ yij ÈxttVTJ (vv. 26. 3 1 sempre a fine pericope). � 1tpoaxuvÉC!I (8,2; 9,1 8); 'X.Etp (8,3 . 1 5; 9,18.25); �> . 29 Allora toccò i loro occhi e disse: «Vi sia fatto secondo la vostra fede ! » . 3 0 Allora i loro occhi vennero aperti. E Gesù li ammonì severamente e disse: « Badate, nessuno deve saperlo! >> . p Ma loro uscirono e diffusero la fama in tutta quella contrada.

1 . Struttura. Una volta di più la storia è molto concisa e incolore. Tanto più singolare risulta quindi lo scenario circostanziato: i ciechi incontrano Gesù per strada (v. 27) e lo seguono fin dentro casa (v. 28). Devono confermare ancora una volta (v. 28) la loro supplica (v. 27). Numerosi sono i riferi­ menti a storie precedenti: il più vistoso è la ripetizione dello scenario di 9,9-1 3 (mxpciywv Éxet.Sev, sequela, cambio di luogo con l'ingresso in casa). I ciechi sono due e ciò ricorda i due indemoniati, che pure gridavano (òoo, xpli'çw, ÀÉyovnc; [8,28 s. / 9,2 7)). Altri termini ricordano 8,1-4: òuvafLt:u , ��'t"O e l'ordine di tacere introdotto da opli't"E fLljÒetc; . Inoltre Matteo ripren­ de tratti che in 8,1-4 aveva omesso dalla fonte di Mc. 1 ,40-4 5 (ÉfL�pLfLao­ IL'u, É�eÀ.Swv + Òtaq>lJfLt'çw, Mc. 1 ,4 3 .4 5 ); è come se Matteo, nonostante le sue abbreviature, volesse perdere il meno possibile di Marco. Il v. 29b ri­ corda il centurione di Cafarnao (cf. 8,1 3 ). La conclusione (Év oÀlJ 't" TJ rfl txeiv11) ricorda 9,26. Così la storia si presenta come un patchwork fatto di «pezze>> prese dalle storie precedenti. ' Matteo vuole quindi raccontare la storia del cieco Bartimeo in modo che richiami le storie precedenti di Mt. 8-9. Il lettore deve accorgersi che Gesù guarisce qui «in maniera tipica>> .

2. Fonte. Il racconto proviene esclusivamente da Mc. 10,46- 5 2.:t Solo ai vv. 30b s. Matteo riprende Mc. 1,43, che in precedenza aveva omesso. Mat­ teo riproporrà più avanti (20,29-34) la storia del cieco Bartimeo, in una ver­ sione più vicina, tutto sommato, a quella di Marco. Le variazioni sono re1 Klostermann, 8 3 : «composta unicamente con ritagli ben noti» . :t Fuchsa, 1 8-37, offre una rassegna puntuale della storia degli studi.

I DUE CIECHI

dazionali. 1 Ci si può al massimo chiedere se il testo marciano utilizzato da Matteo fosse leggermente diverso dal nostro. l. Tutto sembra quindi indica­ re che anche il duplice raddoppiamento vada messo in conto a Matteo: i ciechi da uno diventano due; una storia diventa due storie. Si capisce più facilmente il raddoppio dei ciechi che ha in 8,28 il suo parallelo: esso faci­ lita la tipizzazione, rafforza la concordanza con 1 1 ,5 3 ed è conforme a una legge del racconto popolare. 4 Il raddoppiamento della storia pone invece problemi maggiori. Matteo deve raccontare una guarigione di ciechi prima di I 1 ,5; ma allora avrebbe potuto semplicemente anticipare la storia e omet­ terla nel cap. 20. Inoltre in 20,29-3 4 egli la racconta in modo così diver­ so,5 che il lettore ha l'impressione di due distinte guarigioni di ciechi. Ora: perché Matteo racconta entrambe le volte la guarigione di due ciechi? È chia­ ro che Matteo non aveva i nostri problemi per quel che riguarda la veridi­ cità storica; la sua scelta fu facilitata dalla presenza nella tradizione sinotti­ ca di altri doppioni. 6 Evidentemente per Matteo la verità di una storia evan­ gelica non dipende dal fatto di raccontarla con fedeltà storica sin nei parti­ colari. Soltanto in questo modo è possibile capire anche la libertà con cui nei capp. 8-9 egli ha potuto costruire una nuova sequenza narrativa, cro­ nologicamente coerente, ma storicamente fittizia. 1 Sono redazione matteana (cf. vol. 1, introduzione, 4.2) Éxti&v, iì...Swv (tlç 't�v olxlrLv, cf. a 9,23), 7tpoaÉp%01J-rLI, vrLi (cf. 1 3 , 5 1 ), xuptE come appellativo usato dal protetto, 'tO'tE, ÀÉywv. cìxoì..ou-8Éw (v. 27) è prolessi di Mc. 10,52. ò�.SrLÀIJ-oi con IÌvoiyw (v. 30) è lingua dei LXX (più di 1 5 volte; in Is. 3 5 ,5; 42,7 con 't"Uq)Àoi). 2. Fuchs4, 168-170, ipotizza un Deutero-Marco, ma qui le convergenze minori sono me­ no numerose del solito. Sono redazione matteana e/o lucana ì..Éywv (v. 27; 20,30; Le. 1 8,3 8 ); nrLpayw e 7trLpÉPXOIJ-rLI (v. 27; 20,3 0; Le. 1 8,37). L'omissione del nome Bartimeo e l'appellativo x,:,Ptt nelle storie di miracolo sono redazione matteana, ma difficilmente spiegabili come redazione lucana (v. 28; 2.0,33; Le. 1 8,4 1 ; cf. 8,2; Le. 5,1 2). 3 Il nostro testo non ricorda la storia omessa di Mc. 8,22-26 proprio come 8,28-34 non ricorda Mc. 1,23-28. Solo 20,34 recupera l' o!J-IJ-rL (Mc. 8,23 ) che era stato «accantona­ to». Il riferimento a Mt. u , 5 s. è solo relativamente pertinente: non vengono guariti due lebbrosi né risuscitati due morti. 4 Cf. i paralleli da Matteo e Luca citati a proposito di 8,28 (v. sopra, p. 5 3 ) e il materia­ le in Bultmann, Tradition, 343-346, a proposito del numero due nei racconti popolari. 5 In 9,27-3 1 mancano, tra l'altro: la localizzazione a Gerico, la folla che accompagna Gesù, i ciechi seduti al ciglio della strada, il rimprovero della folla e la pietà di Gesù. In 20,29-34 mancano invece il motivo della fede e l'ordine di tacere. Le particolarità della nostra versione del testo dipendono, da un lato, dal contesto diverso rispetto a Mc. 10 / Mt. 20; dall'altro dalla decisione di Matteo di riprendere nel nostro testo motivi presenti nelle storie precedenti. È impossibile che il nostro testo sia una rielaborazione redazio­ nale di Mt. 20,2.9-34 (come sostiene Held, Matthiius, 208 s.); Mt. 20,29-34, infatti, non era ancora stato scritto. 6 Cf. vol. 1, p. 46. I doppioni dovuti all'utilizzo congiunto di Marco e Q non sono una svista, ma una decisione meditata.

FIGLIO DI DAVID NEL VANGELO DI MATIEO

2.7. Due ciechi si mettono a seguire Gesù che sta passando nei loro paraggi. La scena ricorda 9,9 s.: il lettore sa che si tratta ancora una vol­ ta di sequela. I due ciechi restano anonimi (a differenza di Mc. 10,46; cf. Mt. 9, 1 8 ), il che facilita l'identificazione. La «cecità » in Matteo ha an che u n significato metaforico. Già nella tradizione essere signi­ fica anche essere incapaci di capire oppure vivere nelle tenebre del vec­ chio eone. • Probabilmente già in Marco le guarigioni di ciechi vanno lette in quest'ottica. In Matteo Gesù sottolinea ben cinque volte nel gran­ de discorso di ammonimento (23 , 1 6-26; cf. 1 5 ,14) la cecità dei capi di Israele, mentre in 1 3 , 1 3 - 1 5 constaterà la cecità e sordità d'Israele stes­ so. Naturalmente il lettore non sa ancora tutto questo, ma se lo ricor­ derà più tardi, soprattutto quando l'evangelista racconterà nuovamen­ te, per decisione redazionale, la guarigione di ciechi (e sordi) ( 1 2,22; 1 5,30 s.; 20,30 s.; 21,14). Matteo introduce qui un motivo che ripeterà poi più volte e che culminerà nel cap. 2 3 con la frattura tra i ciechi capi d'Israele e Gesù che sana i ciechi. In tale contesto rientra l'implorazione di pietà rivolta a Gesù, figlio di David. EXCURSUS

FIGLIO DI DAVID NEL VANGELO DI MATIEO Berger, Die koniglichen Messiastraditionen des N. T. : NTS 20 ( 1 973- 1974) 1-44; Burger, Davidssohn, 72- 1 06; D.C. Duling, The Therapeutic Son of David. An Ele­ ment in Matthew's Christological Apologetic: NTS 24 ( 1 977- 1 978) 3 92-4 10; Fran­ kemolle, ]ahwebund, 1 67-1 70; J.M. Gibbs, Purpose and Pattern in Matthew's Use of the Title «Son of David» : NTS x o ( 1 963 - 1 964) 446-464; Hummel, Auseinander­ setzung, 1 1 6- 1 22; J.D. Kingsbury, The Title «Son of David» in Matthew's Gospel: JBL 9 5 ( 1 976) 5 9 1 -602; W.R.G. Loader, Son of David. Blindness and Duality in Matthew: CBQ 44 ( 1 9 82) 5 70- 5 8 5; Nolan, Son, 1 4 5 -2 1 5 ; Strecker, Weg, 1 1 8- 1 20; A. Suhl, Der Davidssohn im Matthiius-Evangelium: ZNW 59 ( 1 9 68) 57-8 1 . K.

Nel vangelo di Matteo «figlio d i David » è un titolo di Cristo particolarmen­ te ben delineato. Sotto il riguardo della storia della tradizione si è richiama­ ta l'attenzione, da un lato, sull'attesa della figura messianica e regale del figlio di David, attesa scarsamente attestata nel giudaismo precristiano e più frequentemente in quello di età cristiana.1 Dall'altro si è notato che in Mc. 10,4 7 s. e poi soprattutto in Matteo «figlio di David» è un appellativo usato all'indirizzo del taumaturgo Gesù dai malati, in particolare dai ciechi (Mc. 1 0,47 s.; Mt. 9,27; 20,30 s.; cf. 1 2,23; 1 5,22; 2 1 , 1 5 ). Questo fatto ha Cf. W. Schrage, 't'UipÀé.; x't'À., in ThWNT vm, 2.76,4-2.78,6. 2.8o,26-28 1 ,34. 1 L'attesa di un messia davidico è diffusa, ma il titolo «figlio di David .. è attestato in età precristiana solo in Ps. Sal. 1 7,21 e poi più frequentemente nella letteratura rabbinica. 1

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EXCURSUS

portato gli studiosi a chiedersi se il figlio di David dei vangeli non fosse un antitipo del primo figlio di David, Salomone, il grande sapiente ed esperto di arti demoniache. 1 L'ipotesi è però difficilmente sostenibile, perché nella tradizione giudaica Salomone non è un guaritore. 1 Forse è più importante che nel giudaismo lo stesso re David sia stato messo in relazione con guari­ gioni.3 Anche i miracoli attesi per l'età messianica formano un ponte stori­ co-tradizionale verso i vangeli.4 Dal punto di vista teologico la ricerca ha identificato il figlio di David matteano con il personaggio terreno, apparte­ nente al passato,5 a differenza del xuptoc; ( 22,4 1-46), oppure con il messia d'Israele, che sarà poi rifiutato dal suo stesso popolo.6

Il titolo di figlio di David nel vangelo di Matteo dev'essere inteso, a mio parere, innanzi tutto a partire dall'andamento narrativo del vange­ lo. L'evangelista disegna il suo profilo in tre fasi: 1. Matteo introduce il titolo nel «registro genealogico» del cap. 1 in­ terpretandolo in 1,2- 1 6 nel senso di una discendenza di Gesù dalla li­ nea regale di David, quindi non come antitipo del « sapiente» figlio di David, Salomone. In 1,1 8-25 Matteo spiega come mai Gesù, nonostan­ te la sua nascita vergi n ale, corrisponda a questa attesa giudaica. Gesù è rea lme nte il messia d'Israele.7 2. Nella parte principale del suo vangelo (capp. 8-20) Matteo raffi­ gura il figlio di David come messia d'Israele che guarisce. Qui il titolo di figlio di David è collegato solo con storie di miracolo e quasi esclusi­ vamente con guarigioni di ciechi. Il messia d'Israele viene quindi in soc­ corso alla cecità d'Israele. A questo proposito è importante che il titolo di figlio di David appaia per la prima volta soltanto alla fine del ciclo di miracoli di Mt. 8-9: dapprima l'evangelista racconta come Gesù guariI

Bergera, 3-9; ulteriore bibl. in Dulinga, 392 s. n. 4· Riguardo a Berger0: le testimonianze giudaiche contemporanee - in realtà scarse (sicu­ re solo nel Testamento di Salomone) - riguardanti Salomone collegano il re con gli esor­ cismi. Ciò andrebbe bene per Mt. 1 2,23; 1 5,22; ma non certo per Mc. 10,46-52 e per gli altri passi in Matteo, che parlano ampiamente dell'azione guaritrice di Gesù (Dulinga, 393-399). 3 Ios. Ant. 6,1 66. 1 68. 4 Cf. Nolan, Son, 1 65 s. s Bomkamm, Enderwartung, 30; Burger, Davidssohn, 89; Strecker, Weg, 1 1 9 s. 6 Walker, Heilsgeschichte, 1 29. Kingsbury0, 601 s., sottolinea che in Matteo il titolo di figlio di David avrebbe un'importanza limitata e sarebbe utilizzato solo in funzione della polemica contro Israele. Hummel, Auseinandersetzung, 1 20, fa notare come il tito­ lo di figlio di David fosse particolarmente importante proprio per i farisei, gli avversari di Matteo. 7 Suhl0, 62-69. 75-81, considera Mt. 1,23 s. la chiave decisiva per la concezione mattea­ na del figlio di David: il figlio di David è l'Emmanuele; quando i malati si rivolgono a Gesù chiamandolo figlio di David essi vogliono legarlo alla promessa dell'Emmanuele. Ma a mio avviso non si può dire che in 1,1 8-25 la condizione di Gesù come figlio di David sia interpretata nei termini della promessa dell'Emmanuele. 1

FIGLIO DI DAVID NEL VANGELO DI MATIEO

87

sca «nel popolo santo» (4,23 ); soltanto dopo fa chiamare Gesù «figlio di David» dai ciechi. Nel suo disegno, dunque, i capp. 8-9 raccontano chi sia il figlio di David. Perciò il titolo appare con maggiore frequenza anche alla fine dell'attività pubblica di Gesù in Israele ( 20,30 s. e 2I,9. 1 5 ) . Rispetto alla speranza d'Israele nel messia re, speranza che Matteo accoglie (cap. I ), questo rappresenta una correzione: il messia d'Israele è in realtà colui che guarisce i malati del proprio popolo (8,1-9,3 I ), il ser­ vo di Dio che guarisce (8,1 7), il re amabile che guarisce nel tempio gli storpi e i ciechi ( 2 1 , 1 - I 5 ) . I malati sono israeliti. I due ciechi di 9,27-3 1 esprimono, per così dire, la risposta d'Israele al suo messia richiesta da Dio. In 1 2,22-24 Matteo riprende il motivo della cecità, contrapponen­ do la reazione dei veri israeliti a quella dei farisei. La supplica della ca­ nanea gentile all'israelita figlio di David perché guarisca la sua bambi­ na ( 1 5,21-28) non fa che ribadire che Gesù è il messia d'Israele. Insom­ ma: nella tradizione Matteo si riallaccia a Mc. 10,46-52.' Ma il quadro interpretativo primario per la sua comprensione della condizione di fi­ glio di David è la sua propria narrazione, non un modello preesistente nella storia della tradizione.2 3 . Nella parte finale del suo vangelo Matteo ricorda per la propria co­ munità da un lato che il figlio di David è più che il messia d'Israele: è in realtà il Signore del mondo, che accompagna la comunità e l'aiuta (22, 41-46). Egli sviluppa così ciò che i malati d'Israele avevano già prean­ nunciato chiamando il figlio di David «Signore» (9,27.28; 1 5,22; 20,3 13 3 ; cf. 2 1 ,9). D'altro lato egli contrappone seccamente la signoria di Gesù, figlio di David, che la comunità riconosce, alla cecità cronica dei farisei e degli scribi d'Israele (23 , I 6-26). Posti di fronte al figlio di Da­ vid che guarisce i ciechi, i farisei diventano ciechi.3 Questa prospettiva dell'intera narrazione matteana ricorda la guarigione del cieco di Gv. 9, quel capitolo grandioso, che si chiude parlando in perfetto tono Àetcj> di 4,2.3 e a figlio di David in 9,27. Per oÙÒÉ7ton, oil-tw,;; cf. sopra, n. 3 ·

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LA

GUARIGIONE DEL MUTO INDEMONIATO

1 5 ) è detto da «alcuni». tì,e:yov proviene da Mc. 3,22. Tutte le variazioni sono dovute a redazione matteana. 1 3 2.-34. Alla storia programmatica della guarigione dei due ciechi se­ gue una doppia reazione d'Israele, che viene introdotta mediante il bre­ ve episodio della guarigione di un muto indemoniato. 1 Cecità e mutismo sono associati nella tradizione 3 e in Matteo ( 1 2,22; 1 5 ,30 s. ). Anche con quest'opera Gesù adempie le promesse d'Israele ( r r , 5 s.) . Decisiva è la reazione. I farisei - che Matteo nomina qui come in r 2,22 perché per lui sono i più importanti tra gli avversari di Gesù apparsi in 9,2- 1 7 4 accusano Gesù di essere in combutta col diavolo.5 La pesante accusa fa intuire il solco profondo che si spalancherà tra loro e Gesù. Contrasta con la loro la reazione della gente: ,9cxu�J.a'çw non denota « fede», ma certo una reazione fondamentalmente positiva. 6 Il popolo simboleggia quelle persone che potenzialmente accettano Gesù. 7 La loro reazione se­ gna al contempo il limite della comprensibilità dei miracoli «dall'ester­ no» : per Matteo i miracoli sono avvenimenti particolari che sono in gra­ do di suscitare l'attenzione degli uomini, ma alle masse non risulterà comprensibile altro che il loro lato esteriore, restando invece loro celata la dimensione profonda dei miracoli di Gesù e la loro forza, capace di penetrare fino alle radici dell'esistenza. Questa energia si sprigiona solo nell'incontro con Gesù stesso, quell'incontro che Matteo descrive con le parole 7tta•nc; e &xoÀoU'8éw. èv 't� 'lapcx�À segnala ancora una volta una dimensione importante dei capp. 8-9: il messia d'Israele ha compiuto le guarigioni in e per Israele, il proprio popolo. Su questa nota della doppia reazione di Israele Matteo conclude il suo primo resoconto delle opere di Gesù. Più avanti seguiranno altre brevi notizie analoghe ( 1 2,22-24; 2r,q- r 6). La notizia conclusiva indica qua­ le posizione occupino i capp. 8-9 nel complesso del vangelo. Essi intro­ ducono la spaccatura che il messia provocherà nel proprio popolo e che finirà con il «no» d'Israele a Gesù. 8

1 Per !5ou, 7tpoafÉpw at'rtcjl, 5a1p.ovi�ol'a' cf. vol. I, introduzione, 4· 2. I due verbi È�Pl.Ofi.CXI (cioè dalla casa di 9,28) ed Éx{»ì..ì..w (cf. 8,3 1 ) ancorano la nostra storia nel contesto. 1 xwf&; può significare muto o sordo. Un sordo dalla nascita non può parlare. Anche qui c'è un significato traslato: «senza conoscenza •, «tonto, ottuso» (LSJ, s.v., 3c-5b). 3 Is. 29,18; 3 5 ,.5; 42, 1 8 s.; 43,8. 4 Cf. vol. I, p. 23 3 . s Cf. sotto, a 1 2,24. 6 Mt. 8,27; 1 .5,3 1 ; 27,14. 7 Per gli oxì..o 1 cf. vol. 1 , p . 280. 8 Cf. Luzb, 1 .5 2-8, per la collocazione dei capp. 8-9 nel contesto più generale di Matteo.

S OMMARIO CONCLUSIVO DELLA S EZIONE ( 9 , 3 5 ) 3 5 E Gesù girò per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinago­ ghe, proclamando l'evangelo del regno e guarendo ogni malattia e ogni in­ fermità.

Il cerchio si chiude: l'evangelista ripete le parole di 4,23 con lievi diffe­ renze.' I lettori tornano con la mente ai capp. 5-9. Adesso essi sanno che cosa sia « l'evangelo del regno» (capp. 5-7) e come il messia d'Israe­ le guarisca tutte le malattie (capp. 8-9). La sua opera abbraccia tutti i villaggi e tutte le città della regione (cf. 9,26.3 1 ): non è qualcosa che accada in un angolo sperduto della terra d'Israele. La colorazione vete­ rotestamentaria 1 acquista adesso piena evidenza: dopo i capp. 8-9 (8, 17) e 5-7 ( 5 , I 7; 7,I 2) i lettori sanno che con la sua opera Gesù adem­ pie la Scrittura. RIEPILOGO

I MIRACOLI DEL MESSIA D'ISRAELE (Mt. 8- 9 ) Bibliografia nella sezione su Mt. 8-9 (sopra, p. 19).

1. I miracoli come parte della storia di Gesù. L'interpretazione domi­ nante delle storie di miracolo matteane, rappresentata, ad esempio, dal

lavoro di Held,3 era interessata ai «temi» in esse sviluppati, come la cristologia, la fede, la sequela, ecc. In questo modo le storie di miracolo assunsero un tratto fondamentalmente didascalico tendendo a diventa­ re paradigmi per determinati temi della dottrina cristiana. Tale tenden­ za interpretativa è profondamente radicata nell'interpretazione moder­ na, soprattutto protestante, dei miracoli, la quale tende a ricercare il si­ gnificato delle storie di miracolo, separandone il problema del fatto che vi è narrato e poi lasciandolo cadere. 4 La nostra interpretazione ha mo1

b

'lljaoiiç è necessario dopo 9,3 3 s. Per -rt%.; 1tOÀEL> o « indiretta» a seconda che la comunità riconosca in esse la propria storia fondamentale (storia inclusiva come « nostra» storia) op­ pure esse provochino o illuminino direttamente esperienze di singoli cristiani (storia inclusiva come « mia » storia). 4· Le storie di miracoli come storia fondamentale della comunità (tra­ sparenza indiretta). Alcune storie di miracolo furono importanti, prima di tutto, in quanto parte dell'intera storia di Gesù. La comunità ricono­ sce di dovere la propria esistenza all'azione misericordiosa del messia in Israele (8,I-4. I4-17). Essa sperimenta come dall'azione di Dio possa na­ scere la comunità dei discepoli (8,1 8-22 dopo 8,1-17; 9,9- 1 3 dopo 9,28; 9,27-3 1 ). Nella pericolosa traversata dei discepoli verso la sponda gentile essa vede prefìgurata la propria storia in cammino da Israele ver­ so i gentili ( 8,23-34). Già nella storia di Gesù essa riconosce in maniera I

Held, Matthiius, 286. Il concetto ricorre già in K. Barth quando parla (KD IV/2, 234) di ciò che è «traspa­ rente• , richiamandosi a Heitmiiller. La sua formulazione (242) è magistrale: le storie di miracolo, «poiché nelle azioni in esse raccontate Gesù fa storia, [sono] di fatto allo stes­ so tempo le loro parabole». In quest'ottica Barth può valutare positivamente l'esegesi al­ legorica delle storie di miracolo praticata dai Padri della chiesa. 3 Naturalmente questa tesi vale in linea di principio e non in ogni singolo caso. Ad esempio le storie della tempesta placata o della moltiplicazione dei pani sono nate come codificazioni simboliche di esperienze personali con l'aiuto di motivi e storie preesistenti nella tradizione (A.T.). Per altre storie di miracolo, ad esempio quelle dei sommari o i doppi miracoli di guarigione in Matteo, è evidente che esse non hanno alcun appiglio nella realtà storica. Ma proprio a questo punto appare chiaro che la storia di Gesù è il presupposto per la creazione secondaria di storie di miracolo. Lo si può vedere anche nella storia della moltiplicazione di pani e pesci (i pasti di Gesù, la cena). 4 U. Luz, Geschichte. Geschichtsschreibung. Geschichtsphilosophie IV, in TRE xn, 596. 1

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I MIRACOLI DEL MESSIA D'ISRAELE

esemplare come l'azione salvifica di Dio spinga ad andare oltre Israele (8,5-13 .28-3 4). Essa vede come nella storia di Gesù si prepari quella spaccatura in Israele che più tardi condizionerà la sua propria storia (9, 3 2-34). Essa sente e vive, dunque, la storia di Gesù quale fondamento della propria storia. Essa sperimenta anche la continuità dell'azione di Dio prima e dopo la pasqua, riconoscendo così che la storia di Gesù pre­ figura la sua propria storia. Così essa diventa trasparente in modo indi­ retto, cioè attraverso la mediazione storica. 5 . Le storie di miracolo come fondamento della propria esperienza personale (trasparenza diretta). Ma le storie matteane di miracolo era­ no anche, in senso diretto, una pre-figurazione esemplare delle proprie esperienze personali. Ciò vale, in primo luogo, per i miracoli stessi. An­ che i membri della comunità sperimentano e compiono miracoli come quelli narrati a proposito di Gesù. Mt. ro, 1 . 8 mostrerà che le guarigio­ ni sono fondamentali per la missione dei discepoli, cioè esse vengono viste da Matteo come caratteristiche essenziali della chiesa. 1 In Mt. 17, 19 s. i miracoli sono considerati un'espressione della fede. Allo stesso tempo questo passo indica che evidentemente nella comunità matteana c'erano problemi, perché le guarigioni potevano anche non verificarsi. Matteo non minimizza il problema, ma esorta alla fede. Ci sono però anche altre esperienze diverse dai miracoli: così, ad esempio, la guari­ gione fisica di un cieco (9,27-3 1 ) è solo, per così dire, il nocciolo di ciò che accade quando, in senso pieno, i ciechi vengono resi da Gesù veden­ ti e lo seguono. In altre storie si tratta di essere guidati e protetti da Ge­ sù (8,23-27), si tratta della fede (8,5-13 ecc.), del perdono dei peccati (9, 2-8) o del balenare della futura risurrezione dai morti (9,1 8-26). In que­ sti casi non si tratta d'interpretazione simbolica o allegorica, nel senso che le storie vorrebbero dire cose diverse da quelle che dicono concreta­ mente. Si tratta invece del fatto che la reale esperienza che esse narrano apre un ambito di esperienza che è più esteso di ciò che viene narrato. 6. Le storia matteane di miracolo come testimonianza resa aWEm­ manuele. Non solo la storia avvenuta allora, ma anche l'esperienza pre­ sente provocata da essa direttamente o indirettamente costituisce la re­ altà dei miracoli di Gesù. Nell'esperienza della loro forza operante nel­ la storia della comunità e nella propria vita, essi raggiungono la loro pie­ na realtà. Per dirla in termini cristologici: Gesù, che ha compiuto «allo­ ra » miracoli, è per Matteo sempre l' ( 1 ,23 s.), che è vici­ no alla sua comunità tutti i giorni, fino alla fine del mondo (28,20) . Co­ sì l'esperienza che i miracoli dimostrano la loro forza nelle esperienze 1

Cf. sotto, a 1 0,7.8ad.

MT.

8- 9

95

personali dei membri della comunità corrisponde alla struttura fonda­ mentale della cristologia di Matteo. Forse è possibile raffigurare così, per mezzo di un grafico, quanto è stato detto: storia della comunità -

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., ... sarebbe quindi il vero Israele, cioè la chiesa. Questa scappatoia non è praticabile ed è del resto discutibile già a panire dai presupposti del­ l'esegesi allegorica ecclesiastica, considerato che essa vuole perlopiù appro­ fondire, non sostituire, il senso delle parole. b) Una spiegazione basata sulla storia della chiesa: nella comunità mat­ teana è presente un'ala panicolaristica giudeocristiana; un altro gruppo della comunità vuole invece dedicarsi anche alla missione tra i gentili (cf. v. 18 ). Mediante il contesto e il mandato missionario, l'evangelista cerca di appoggiare la posizione di quanti sostengono anche per la comunità di Matteo la possibilità legittima di una missione ai gentili.3 Questa soluzio­ ne è però insoddisfacente: si dovrebbe forse supporre che Mt. 10,5b-6 val­ ga solo per la comunità matteana, ma non per il resto della chiesa, e per di più soltanto «fino a nuovo ordine» ? c) Mt. 10,5 s. varrebbe solo per i dodici, l'ordine di ponare l'evangelo al­ le nazioni invece per tutta la chiesa. 4 Neanche questa è una soluzione sod­ disfacente: l'ordine di Mt. 2.8,1 6-2.0 ha per destinatari, tranne Giuda, i me­ desimi discepoli di Mt. 10,5 s.

d) Tutte le altre interpretazioni presuppongono che i vv.

5

s. valgano

solo per il tempo di Gesù. Allora Matteo avrebbe considerato apparte­ nente al passato la missione dei discepoli limitata a Israele.s Questa po­ sizione è sicuramente nel giusto quando afferma che i vv. 5 s. collocano il d iscorso missionario nel filo della narrazione del vangelo di Matteo. In maniera paragonabile, in altri discorsi, gli incisi narrativi come 1 3 , 3 6a e 2.4,1-3a servono a collocare i l discorso i n questione nel macrote­ sto della narrazione matteana. Il contenuto dei nostri versetti riguarda i discepoli , che devono assumersi il compito di Gesù. E, finora (prescinHarnackb , 45 n. 2. 1 Ad es. Didasc. 1 3 (72 Achelis-Fiemming); Hil. Pict. In Mt. 1 0,3 (SC 254, 218). 3 Soprattutto Brown", 30-3 2; cf. Id., The Matthean Community and the Gentile Mission: NT 22 ( 1 980) 2 1 5-22 1 . 4 Goulder, Midrash, 343· 5 L'interpretazione non è nuova. Già Tertullian. Fug. 6,1 (CChr.SL 2, 1 142) limita il te­ sto agli apostoli; Hier. In Mt. 65 fa una distinzione fra il tempo prima della risurrezione e quello successivo alla risurrezione. I sostenitori moderni di questa interpretazione sono una fitta schiera; ad es. Strecker, Weg, 196; Bomkamm, Auferstandene, 1 8 1 s.; A. VOgt­ le, Das christologische und ekklesiologische Anliegen von Mt z8,I8-zo, in Id., Evange­ lium, :z.66. Cf. anche sopra, p. 1 2 3 n. 3 e sotto, p. 1 3 4 n. 7· r

1 26

IL MANDATO

dendo da 8,28-34), neanche Gesù è mai andato oltre i confini d'Israele. In 1 5,24 Gesù ricorderà ancora una volta di essere stato mandato esclu­ sivamente a Israele e lo farà in un momento in cui la crisi in Israele si è fatta ormai tanto acuta, da costringerlo a «ritirarsi» in territorio genti­ le. Ma solo in 28,19 s. s'incontra un orientamento del tutto diverso. Ora i discepoli devono rendere discepoli 7tCXV'rl% -ri:Ì e-8vYj. I due termini 7tOpEU­ O(LIXt ed WvYJ mostrano che 28,19 si ricollega studiatamente a 1 0,5 s. Si pongono due interrogativi. Il primo è: qual è il senso dell'invio di Gesù e dei suoi discepoli a Israele? Qui potrebbe trattarsi dell'adempi­ mento di promesse bibliche. 1 Depone a favore di questa risposta il lin­ guaggio biblico del versetto.1 Il secondo è più difficile: qual è il rappor­ to tra 10,5 s. e il mandato missionario di 28,19 s.? Questa domanda la discussione porta a interrogarsi al tempo stesso, sul senso della narra­ zione di Matteo nel suo complesso. Le interpretazioni possibili sono due. La prima: si può intendere la missione dei discepoli a tutti gli e-8VYj COme estensione della loro missio­ ne al solo Israele. Il modello concettuale di Matteo sarebbe allora quel­ lo di due cerchi concentrici, con Israele nel mezzo e i popoli raggruppa­ ti attorno a esso.3 In 28,19 si dovrebbe quindi tradurre e-BvYJ con «po­ poli», affinché Israele possa rimanere al centro del cerchio e continuare a essere destinatario del messaggio di Gesù. I vv . 5 s. sarebbero allora, per così dire, «compresi » nel mandato missionario e metterebbero in ri­ salto la continuità della comunità postpasquale con Gesù e con Israe­ le.4 La seconda: si può anche interpretare la missione dei discepoli a tutti gli e-BvYJ come una sostituzione della loro missione al solo Israele. Matteo proporrebbe quindi la tesi della sostituzione: la chiesa dei gen­ tili prenderebbe il posto d'Israele (cf. 2 1 ,43 ). In questo caso, si dovreb­ be tradurre e-8vYJ con «gentili » . Secondo 28,19 s. non esisterebbe più, al­ meno in linea di principio, una missione a Israele. I vv. 5 s. non sarebbero dunque compresi nel mandato missionario, bensì sarebbero «abrogati» da questo. In tal caso i vv. 5 s. avrebbero la funzione di preparare l'idea della colpa d'Israele: sebbene Gesù e i suoi discepoli si fossero rivolti esclusivamente a Israele, esso ha respinto Gesù.s Per il momento l'al1

Kasting (citato sopra, p. 12.I n. I ), 1 1 3 . Cf. sopra, p . 12.4 n. 4 , e Frankemolle, ]ahwebund, 12. 8 n. u 7. 3 Ad es. Kilpatrick, Origins, 12.2. s.; Hahnb, I I I; Frankemolle, ]ahwebund, I l. I (!-8vlJ «genti » in 28,I9 non è antitetico a Israele, ma alla comunità dei discepoli subito dopo pa· squa); Id.a, 12.4; Bartnickia, I S 5 s.; Gnilka, 1, 362 s.; Levine, Dimensions, 46. 4 Frankemolle, jahwebund, I42. s Anche questa interpretazione ha radici nella chiesa antica. Essa compare ovunque ci si riferisca, per l'illustrazione del nostro passo, al modello missionario degli Atti, che inizia 2.

MT. 1 0, 5 b-I 5

1 27

ternativa è ancora incerta; ci sono comunque due indizi che fanno pen­ dere il piatto della bilancia dalla parte della seconda: in primo luogo è evidente che i vv. 5 s. sono formulati in senso particolaristico per esclu­ sione (non . . . non . . . ma solo); di conseguenza il mandato missionario sembra qualcosa di nuovo, cui Gesù non aveva mai accennato prima, una vera svolta. Inoltre in 28,I9 il richiamo studiato a I o,s s. suggeri­ sce di tradurre E-BvlJ in entrambi i passi nella medesima maniera. In Io, 5 s. è però chiaro che E-BVlJ significa i «gentili» in antitesi con Israele, non già «i popoli », Israele incluso. I Segue ora l'incarico di predicare e guarire. Già a partire da questo punto non si coglie più alcuna traccia di una limitazione tempo­ rale. Il compito di predicare affidato ai discepoli è formulato nei mede­ simi termini di quello di Giovanni Battista ( 3 ,2) e di Gesù (4,I7, cf. 9, 3 5 ) . Anche dopo pasqua i discepoli proclamano non il kerygma del Cristo che ha patito ed è risorto, bensì il medesimo messaggio procla­ mato da Gesù ( 28,20). Che nel nostro testo esso sia descritto con l'im­ magine della vicinanza del regno di Dio non indica che Matteo si aspet­ tasse una parusia molto lontana. Il regno di Dio è prima di tutto l'oriz­ zonte della proclamazione etica di Gesù. 1 L'incarico di proclamare il messaggio è seguito da quello di operare guarigioni, ed entrambi sono posti sullo stesso piano. I tre esempi di guarigioni di malati riprendono storie da Mt. 8-9 e corrispondono, in parte, alle formulazioni di n,5. Guarigioni e proclamazione sono strettamente collegate. Davanti alle guarigioni le folle si accorgono che in Israele sta accadendo qualcosa di inaudito (9,3 3 ) . Dalle guarigioni Giovanni Battista vede che Gesù è 7-Sa-d.

nella sinagoga, e alla colpa dei giudei, ad es. in Orig. In Mt. fr. 197 (GCS 1 2, 95); Cyr. Al. In Mt. fr. 1 1 3 (Reuss, 1 90); Greg. Magn. In Evang. 4,1 (1, 3 5 ) (tr.). Tra i commenta­ tori moderni la sostengono, per es., Trilling, Israel, 103; Walker, Heilsgeschichte, 63 ( •l'ostilità . . . del popolo divampa per la salvezza rivolta esclusivamente a esso»); Annob, 3 25·3 37 (la colpa d'Israele diventa ancora maggiore dopo che Gesù ha inviato i propri discepoli soltanto a esso). I Se la seconda interpretazione è nel giusto, resta comunque ancora aperto l'interrogati­ vo di quando si sia verificata tale inversione di marcia dalla missione a Israele alla mis­ sione ai gentili. Al livello superficiale della storia matteana la grande cesura è la pasqua. Molti logia ripresi da Matteo (ad es. 5,1 1 s.; 10, 1 7 s.23 o 23,34-39) indicano però che dopo pasqua la comunità matteana si dedicò dapprima alla missione a Israele. A livello della storia specifica della comunità di Matteo, quella che abbiamo definito «trasparen­ za indiretta» (d. sopra, pp. 93-9 5 ), la svolta si è dunque verificata più tardi. Ma questa svolta è già avvenuta quando Matteo compone il proprio vangelo? o Matteo lo scrive proprio per provocarla? In proposito d. vol. I, pp. 105-109. 2. Cf. vol. I, pp. 229 s., commento a 4, 17, ed excursus •Annuncio, insegnamento e van­ gelo in Matteo» .

128

IL MANDATO

colui che deve venire ( 1 1 ,2-6). Nei miracoli di Gesù la comunità rico­ nosce anche esperienze proprie e prova così, in prima persona, nel pro­ prio tempo, il potente aiuto del suo Signore. Il mandato di guarire è quindi un tutt'uno con quello di proclamare, così che la proclamazione non diventa pura esigenza etica, ma include un'esperienza concreta di salvezza, anzi di risanamento. Non a caso Matteo ha parlato dell' i�ou­ aia. dei discepoli ( 1 0, 1 ) prima del discorso missionario e messo all'ini­ zio, con funzione programmatica, l'ordine di guarire, che in Q era men­ zionato quasi di sfuggita (Le. 10,9 ) .

Storia degli effetti. Il passo ha creato problemi ai cristiani dei periodi successivi, perché spesso veniva a mancare l'esperienza del miracolo (cf. già 17, 1 9 s.). Forse questi problemi sono già visibili nella tradizione testuale, che tende a ridurre il numero dei quattro miracoli comandati. Un testimo­ ne interessante delle suddette difficoltà è Giovanni Crisostomo, che ai suoi giorni può utilizzare solo con una certa fatica il modello degli apostoli per i sacerdoti e i maestri del suo tempo. Per lui più importanti dei miracoli so­ no le virtù ( 1 0,9 s.) ed è per queste che i predicatori dovrebbero segnalarsi. I miracoli sarebbero spesso dubbi, «inganno della fantasia o generalmente molto sospetti», come indicherebbe già l'esempio dei corinzi! Il miracolo più grande sarebbe la libertà dal peccato. Giovanni Crisostomo documenta un processo di rimozione che perlopiù è avvenuto in maniera non esplicita. Per quel che riguarda il nostro passo, il punto di vero interesse divenne quale insegnamento gli apostoli dovessero predicare; tutto il v. 8 passa in secondo piano o cade totalmente nel silenzio... Fino a oggi, nella maggior parte delle chiese occidentali la situazione non è cambiata di molto. 3 Ma per Matteo le esperienze dei miracoli sono costitutive della fede, proprio come l'operazione di miracoli lo è dell'attività di Gesù. I miracoli concre­ tizzano la grazia, dunque ciò che i discepoli hanno ricevuto «gratuitamen­ te >> . Essi rappresentano casi di emergenza di una fede che sicuramente li trascende (cf. 9,22.29 s.; 1 7,19 s.) e l'esperienza dell'esaudimento di una preghiera (cf. 8,25; 9,27). Nell'ottica di Matteo la scomparsa di questo ti­ po di esperienze non può essere semplicemente irrilevante. A mio parere, il v. 8 pone una domanda importante anche alla chiesa di 1

Chrys. In Mt. 3 2,6-8 (PG 57, 3 84-3 88), citazione in 3 2,7 (3 87). Lutero, Annotationes, 495· Altri esempi della lenta svalutazione del v. 8: per Tomma· so d'Aquino, Lectura, nr. 8 1 8, una volta che la fede è accettata, i miracoli non sono più necessari. Per Hier. In Mt. 65 i miracoli sono importanti, perché gli apostoli non erano né colti né eloquenti e avevano bisogno .di un «supporto». Cristiano di Stavelot, 2.6 ( 1 346c), e Faber Stapulensis, 44B s., s'interessano soprattutto ai «malati» e ai «morti• in senso religioso e spirituale. 3 È forse un puro caso che nei colloqui con i contadini di Solentiname il discorso su Le. 9,1 s. si sia concentrato sulla guarigione? Cf. E. Cardenal, Das Evangelium der Bauern von Solentiname u, Wuppertal 1978, 1 30. 2.

MT. 1 0, 5 h- I 5

1 29

oggi, un interrogativo che non ha ancora ricevuto una risposta né quando si afferma che oggi si può sperimentare l'amore come un miracolo, 1 né con un puro appello all'ubbidienza di fronte al comandamento matteano della guarigione. Gesù compì guarigioni ed esorcismi perché questi erano per lui segni del regno di Dio che stava per arrivare. Matteo li racconta e li trasmette alla sua chiesa come un incarico perché ha imparato da Gesù che «la malattia . . . (è contraria) alla volontà di salvezza del Dio creatore, che vuole la vita e non la morte » e che, per questa ragione, non c'è, in ultima analisi, alcuna possibilità di compromesso con essa."' Ma questa visione radicale costituisce tutta la verità dell'evangelo? Essa può essere anche pri­ va di amore e di grazia per coloro che devono sopportare il peso di malat­ tie e invalidità. Il recupero della salute è l'unica forma di liberazione dalla malattia o può essere una forma di guarigione anche il riconoscere nella malattia un senso, anzi addirittura un'opportunità? Si dovranno sollevare domande di questo tipo non soltanto a partire da Matteo e da Gesù, ma anche a loro stessi, quando cercheremo di concretizzare l'ordine di guarire i malati come incarico di pregare, forse di imporre le mani, ma anche di esercitare la cura pastorale e la diaconia. 8e-1ob. I vv. Se e 1oh segnano un nuovo punto saliente. Matteo ha inquadrato la regola antica sull'equipaggiamento tra due piccole sen­ tenze prover b iali . La breve massima «gratuitamente avete ricevuto, gra­ tuitamente date » che ricollega i doni dei discepoli ai doni di Gesù,3 sem­ bra certo, a un primo sguardo, in contraddizione col detto proverbiale del v. 1oh,4 secondo il quale l'operaio deve ricevere il suo nutrimento. La contraddizione si risolve, però, non appena si osserva che Matteo ha sostituito il termine tradizionale (Lun96> la «diplomazia >> dell' «astuzia del serpen­ te>>.3 La comprensione del mondo dell'interprete di turno trova qui tutto lo spazio per sbizzarrirsi come vuole! 1 7a. Il logion dei vv. 17b-2o introduce l'interprete nella complessa struttura temporale del nostro testo. Con una formulazione generica (v. 17a: «guardatevi dagli uomini! » ) Matteo suggerisce una lettura sempli­ ce del logion: il pericolo è sempre in agguato quando si ha a che fare con persone che non credono. 1 7h- 1 8 . Ma il logion originale parla unicamente del pericolo che proviene dai giudei che non credono. Qui il termine auvÉÒpwv non ha ancora il significato tecnico di •• sinedrio>> , il supremo consesso giudaico formato da 71 o 23 membri,4 ma significa «tribunale >> in senso corren­ te.5 La «fustigazione>> nelle sinagoghe si riferisce alla punizione delle 39 vergate, che secondo la Mishna veniva decretata da una corte di 3 giu­ dici in caso di gravi trasgressioni della legge ed eseguita dagli inservien­ ti della sinagoga.6 Nella letteratura neotestamentaria il termine i}')'E(J-WV significa quasi esclusivamente «governatore » . Quanto ai �acrtÀEi'c;, i let­ tori del vangelo penseranno automaticamente ai re clienti di Roma, ad esempio Agrippa 1. Esemplare, a questo proposito, è il processo di Pao­ lo narrato negli Atti, che mostra come non si debba necessariamente spiegare il logion con situazioni tipiche della Palestina, ma anche, d'al• Ad es. Greg. Magn. Reg. Pastor. 3,1 1 (BKV nf.h 1 5 6) (l'avvedutezza del serpente rende sagace la semplicità della colomba e la semplicità della colomba mitiga l'astuzia del ser­ pente; in eccesso, entrambe le qualità sono riprovevoli); Opus Imperfectum 2.4 (PL 56, 757). Lutero, Annotationes, 499 (prudenza verso i subdoli, schiettezza verso i buoni). :z. j. Weiss, 309. B. Haring, Das Gesetz Christi n, Mtinchen-Freiburg 1967, 464: l'astu­ zia del serpente e il candore della colomba corrispondono alla tensione tra l' «essere nel mondo» eppure •non essere del mondo». 3 Barth, KD 1v/3 , 72.3. 4 Cf. Sanh. 1,6. 5 Come in Filone e Giuseppe, cf. E. Lohse, auv!òptov, in ThWNT vn, 85 9,30-47. Anche in greco auvÉÒptov (uso non tecnico) può indicare un tribunale o una sede giudiziaria (Loh­ se, art. cit., 859, I 2.-1 5). 6 Cf. 2. Cor. 1 1 ,2.4; jMakk. 3 , 1 2.; Bill., 111, 52.7-530. Non si è in grado di sapere con cer­ tezza fino a che punto queste regole mishniche tarde valessero nelle sinagoghe del 1 sec. d.C. e fossero applicate nei riguardi dei cristiani. Dall'applicazione della pena sinagoga­ le della fustigazione non si può quindi arguire con certezza che i cristiani venissero puni­ ti per aver trasgredito la legge. Cf. Hare, Theme, 44-46.

MT. r o, r 6-23

1 49

tra parte, come non ci siano assolutamente chiari indizi che quelle si­ tuazioni fossero superate.1 Come in 23,34, dove Matteo si richiamerà a ro,r7.23, si tratta certamente di esperienze che la comunità ha fatto in passato, al tempo ormai lontano della missione a Israele. Le espres­ sioni &vtxtv ÈtJ.ou e tic; (J.> dedito a scorpacciate e bevute.3 Il duplice av�pw1toç non è una ridondanza,4 bensì un gioco di parole ric­ co di significato: «questa generazione» scambia Gesù, il figlio dell'uomo che verrà, per un uomo qualunque! r9e. Nella breve frase conclusiva del v. r 9e Matteo ha introdotto una significativa variazione. La Sapienza è stata giustificata non dai 5 suoi qualitariva (attributo: rcovljpci) in primo piano (ad es. Mt. 1 1,39·45), senza che la nota secondaria sia comunque mai esclusa. 1 Per �yoç cf. cpayovÉw «essere grasso, pigro» . L'altro termine, oivorco'tl)l;, può sì essere anche neutro, ma cf. Prov. 23,2.0. Per contro, non penso che nel nostro testo, come sug­ gerito spesso, il riscontro con Deut. 21,20 abbia una qualche funzione. La formulazione è troppo diversa. Per i paralleli ellenistici cf. Cotter", 7 5 s. 1 Cf. sopra, a Mt. 8,20; 9, 6 ; per Q cf. Hoffmann, Studien, 149. Quando si tratta di Matteo ci si deve liberare assolutamente dall'idea che il significato semanrico del titolo vari nei tre «gruppi» di detti del figlio dell'uomo. 3 Cf. sotto, excursus «il figlio dell'uomo nel vangelo di Matteo,., S 4· 4 Così M'Neile, I 58. s lirco equivale a ùrco quando c'è un passivo: Bauer, Wb6, s.v. àrco, v.6.

244

QUESTA GENERAZIONE RIOTTOSA

figli, come in Q, bensì per 1 le proprie opere. Nel giudaismo la Sapienza ipostatizzata è un'espressione del dominio giovevole di Dio, che ha pla­ smato il mondo (Prov. 8,22-3 1 ), guida la storia (Sap. ro- 1 2 ) e appaga gli uomini. Essa può passare negli uomini (Sap. 7,27) e avere uomini come figli (Prov. 8,3 2 s.; Sir. 4, n ) . In Q la comunità del figlio dell'uo­ mo si contrapponeva a tutti coloro che avevano respinto Giovanni e Gesù: la Sapienza divina, i cui inviati sono Giovanni e Gesù (cf. Le. I I , 49 ), ha ottenuto giustizia dalla comunità. Ora, quando Matteo sostitui­ sce i «figli» della Sapienza con le sue ((opere» , il nostro versetto viene ad assumere indirettamente un senso cristologico. Certo si può anche considerare la Sapienza come la potenza di Dio che sta dietro a Gesù e Giovanni e agisce per mezzo di loro in quanto «amici di Dio e profeti» (Sap. 7,2.7 ). Ma probabilmente Matteo si riallaccia a 1 1 ,2.: le opere della Sapienza sono i miracoli di guarigione e l'annuncio del Cristo - e non di Giovanni - in seno a Israele. In Matteo il v. 1 9e è un detto di com­ mento al solo v. 19a-d e non, come in Q, ai vv . r 8 s. Probabilmente quin­ di ci troviamo di fronte a una identificazione indiretta 1 di Gesù con la Sapienza.3 A mio parere non si deve considerare questa identificazione come una consapevole innovazione teologica. Matteo non identifica mai direttamente Gesù con la Sapienza divina, ma si limita a presupporre proprio la loro identità.4 L'evangelista non si sofferma a riflettere su quali conseguenze cristologiche potrebbe avere questa identificazione, largamente corrente nel cristianesimo delle origini, conseguenze che so­ no illustrate ad esempio da Gv. r , I - r 8 ; Fil. 2.,6- n ; Col. I , 1 5-2.0 ecc., vale a dire la preesistenza e l'idea dell'incarnazione. Tuttavia, col v. 19e Matteo compie un ulteriore passo 5 in direzione di un accrescimento della maestà di Gesù. Mentre in Q la Sapienza divina pone sul medesi­ mo piano Giovanni e Gesù, entrambi suoi inviati, Matteo fa riferimen­ to alla particolare grandiosità del secondo: le opere di Gesù sono le ope­ re della Sapienza di Dio. Contro ogni rifiuto e ogni rimprovero da parte d'Israele, la storia delle opere del Cristo narrata da Matteo parla il lin­ guaggio più chiaro. 1 Bauer, Wb6, s.v. à.no, v. I . >. Similmente a quanto s i h a i n n,2.8-3o, dove si potrebbe parlare d i identità funzionale di Gesù con la Sapienza (v. sotto, ad Loc. ), e in 2.3,34 dove a01pia viene sostituita da èyw. 3 Così, ad es., Suggs, Wisdom, spec. 57; Burnett, Testament, 88-92.. Continua a essere scettico Versepurb, n6 s. 4 L'incarnazione della Sapienza divina in Gesù ( «la Sapienza 'si è fatta carne e ha abita­ to tra di noi'», Suggs, Wisdom, 57) non è dunque il centro della cristologia matteana. Mt. n,192. resta un commento aggiuntivo, con il quale Matteo vuole attirare l'attenzio­ ne sul carattere fondamentale delle opere del Cristo narrate nel suo libro. s Già il titolo di figlio dell'uomo al v. 1 9a costituiva un passo analogo.

MT.

I I , I 6- I 9

24 5

Riepilogo e storia degli effetti. Il nostro testo acquista il proprio sen­ so anzitutto dentro il macrotesto della storia matteana: esso rappresen­ ta la prima reazione di Gesù al rifiuto da parte dei suoi contemporanei

che si va delineando all'orizzonte. Mentre in Q l'episodio conteneva an­ che alcuni accenni alla posizione della comunità nei confronti del rifiu­ to d'Israele (Le. 7,3 5 ) , nella versione matteana non ci sono tracce di que­ sta dimensione. E questo spiega come mai la storia della sua interpreta­ zione si sia concentrata principalmente sul problema del significato del testo, senza lasciar trasparire molte possibilità di attualizzazione. • Se mai gli interpreti si sono identificati con i personaggi del nostro testo, lo hanno fatto significativamente solo con Gesù e, purtroppo, mai con «questa generazione» ! Alcuni commentatori ricordano proprie espe­ rienze simili a quella di Gesù. Lutero, ad esempio, nota: quando l'evan­ gelo viene annunciato, il mondo dice in tutti i modi possibili «no», an­ che se il «no» è solo un pretesto.2 Molto raramente il nostro testo ha avuto un ruolo quando si sono affrontate le questioni del digiuno e del­ l'ascesi.' Dato che l'evangelista ha utilizzato il testo all'interno della propria storia di Gesù come accusa alla generazione di allora, senza neanche applicarla alla situazione della propria comunità, si pone qui, in maniera particolarmente chiara, la questione delle potenzialità di senso del testo non sfruttate da Matteo. Cito, a questo proposito, un esempio odierno particolarmente im­ portante. Poiché Matteo considera insieme il Battista e Gesù, non si è ne­ anche posto il problema di che cosa significasse il fatto che Gesù mangiava e beveva, e Giovanni invece no. E anche nella storia dell'interpretazione la condotta dei due è stata solo occasionalmente valutata in modo positivo nel­ l'ottica della pedagogia divina.4 La gioia del regno di Dio, e quindi il con­ trasto tra Giovanni e Gesù, non arrivò mai ad avere un proprio peso. In questa direzione il nostro testo contiene ancora potenzialità di significato poco esplorate. A tale proposito, citiamo due esempi del tutto diversi pre1 Russa, 71 n. 1 : il testo (cioè Le. 7.32 s.) non compare affatto nelle pericopi domenica­ li; Mt. 1 1, 1 6 s. «è stato cancellato anche dalla lectio continua dei giorni feriali» . 1 Lutero, Annotationes, 522, si riferisce alle sue esperienze con « i papisti» : prima siamo stati criticati come «ipocriti del diavolo,., quando vivevamo nel celibato, e poi, quando ci siamo sposati, ci hanno rimproverato di essere «carnali» . Lutero ritiene che ciò sia avvenuto soltanto perché i suoi avversari rifiutavano l'annuncio dell'evangelo. Brenz, 462, fa notare come sempre, laddove si predica davvero l'evangelo, tot dissidia oriuntur. 3 Cf. Orbea, 5 24- 5 3 3 (Valentino, Ireneo). 4 Efficace è l'immagine del cacciatore scelta da Chrys. In Mt. 37,3 (PG 57, 423): come i cacciatori circondano da due lari un animale selvatico per esser certi di prenderlo, così Dio offrì a Israele, per conquistarlo, da un lato la via dell'ascesi, dall'altra quella della socievolezza.

QUESTA GENERAZIONE RIOTTOSA si dalla storia dell'interpretazione. È sintomatico che in entrambi i casi tratti di inni. Il primo: La grazia danza. Suonerò il flauto, ballate tutti! Amen. Intonerò un lamento, fate tutti cordoglio! Amen.

si

Il dodicesimo numero danza lassù. Amen. Chi balla appartiene al Tutto. Amen. Chi non balla non capisce che cosa succede. I Il secondo: sulla posizione geografica di Corazin ecc. Si tratta forse di segni di un certo imbarazzo provocato dal testo? Ancora Gaechter parla apertamente di una «colpa morale collettiva >> , richiamandosi alle tradizio­ ni dell'A.T., mentre Beare non riesce a immaginarsi un > . Concludiamo con due altre interpretazioni dalle accentuazioni diverse, che oggi potrebbero fungere da «correttivi >> . La prima è l'interpretazione mi­ stica, che non è mai mancata in tutta la storia della chiesa. Cito due esem­ pi. Dionigi il Certosino, dopo aver concluso dall'esame di Mt. 1 1 ,27d che la trinità non potrebbe esser conosciuta ex lumine naturali, aggiunge una sorta di poscritto (postremo). Egli si chiede come potrebbe attuarsi nella vita quella conoscenza di Dio che avviene mediante la rivelazione del Fi­ glio e dice: ciò avviene quando noi abbandoniamo noi stessi « per unirei (uniamur) con Dio, un essere per così dire inafferrabile e in larga misura sconosciuto, per quel che riguarda la sua natura >> . ' In questo postremo, viene conservata nella unio sia la priorità di Dio sia il suo perdurante mi­ stero. 1 Nella predica Haec est vita aeterna, basata sul nostro testo, Meister Eckart dice: «E pertanto, se l'uomo vuole conoscere Dio, nel quale risiede la sua beatitudine eterna, allora egli deve essere un figlio che si fa uno con il Cristo del Padre. E pertanto, se volete essere beati, allora dovete essere un figlio, non tanti figli; anzi, un unico figlio . . . E pertanto, se volete essere un unico figlio con Cristo, allora dovete formare un unico flusso con la pa­ rola eterna».3 Anche in questo esempio si è colto ciò che nel nostro testo è essenziale: la beatitudine consiste nella conoscenza di Dio; 4 Cristo viene prima della nostra conoscenza; questo non è un processo naturale, ma è legato alla parola. In entrambe le interpretazioni il v. 27d, la rivelazione attraverso il Figlio, è approfondita e concretizzata mediante l'esperienza mistica, senza per questo intaccare l'irreversibile senso discendente da Dio all'uomo fissato dal nostro testo. Nei vv. 28-30 Matteo stesso non accen­ tuerà in senso mistico l'applicazione della conoscenza del Padre e del Fi­ glio. Ma i due esempi succitati potrebbero aiutare a ridurre la paura del po­ tenziale senso mistico del nostro testo. La seconda interpretazione è quella parenetica, che si può osservare par­ ticolarmente bene ad esempio nel pietismo. In questa corrente religiosa l'at­ tenzione dell'interprete torna a cadere sul v. 25 e l'interesse si concentra 1

Dionigi il Cenosino, 145. Nella unio, dunque, non viene affatto abolita proprio la distinzione tra Dio e uomo. 3 Meister Eckhan, Deutsche Werke n, Stuttgan 1971, 378 s. 4 Cf. Orig. Comm. in Io. 1,16 (GCS 10, 2.0): nell'apocatastasi definitiva tutti «contem­ pleranno Dio per diventare tutti, in maniera perfetta, suoi figli, acquistando forma nella conoscenza del Padre, come adesso soltanto il Figlio ha conosciuto il Padre» . 2

277 sui v�7ttot, intesi non più, come in Gesù, come quegli «stolti» che gli uomi­ ni sono, bensì come quei semplici che dovrebbero diventare. Un cristiano, dice Zinzendorf, «dovrebbe recuperare qualcosa di quell'indole infantile che ha un bambino di due anni» . Qui non si pensa alla stoltezza, bensì a «una natura allegra, infantile, semplice», a tralasciare definitivamente «le riflessioni superflue, le elucubrazioni circa le verità del cuore» e alla «beata semplicità» , nella quale «si sa ciò che si vuole perché non si sa altro che quello che si ascolta da Lui » . Se non si diventa bambini in questa maniera, tra i cristiani «rispunta quell'antico modo di vita patriarcale», che è anco­ ra peggiore di prima. ' L' «umiltà » di 1 1 ,29 spiega tutto questo. Non c'è nes­ sun altro testo biblico del quale Zinzendorf si sia occupato con la stessa in­ tensità. Nel saggio ermeneutico Christus der Kern Heiliger Schrift, A.H. Francke affronta, con riferimento al nostro testo, l'applicazione della cri­ stologia, che non è stata ancora compresa come «scienza esteriore» : «Ma tu devi umiliarti davanti a Dio come un bambino e iniziare ogni tua lettura della Bibbia con l'umile conoscenza della tua inadeguatezza, rivolgendoti a Dio con una preghiera e con sospiri del tutto seri e sinceri» . Si deve ricono­ scere che i propri peccati e la propria miseria sono un peso immenso e così diventare un v� 7ttoc;. Ai «sapienti » teologi Francke grida: «Multi sunt Theo­ logi gloriae, pauci crucis» .1 Qui il nostro testo viene applicato parenetica­ mente.

28-30. Lo sviluppo di Mt. n,25-30 nella storia della tradizione si svolse in maniera simile a quello delle beatitudini.3 In Q le beatitudini, in origine « aperte » , vennero interpretate cristologicamente e il loro an­ nuncio di grazia riferito alla comunità perseguitata. Sia prima di Mat­ teo sia con l'evangelista iniziò, poi, il processo di eticizzazione: la grazia non è semplicemente una grazia a basso costo, ovvia, bensì una grazia legata a un comportamento e a una prassi dell'uomo. Nel nostro testo questa fase dell'incipiente «eticizzazione» è segnalata dall'aggiunta dei vv. 28-30 fatta da Matteo: qui si tratta - anche - di questo: i v �7ttot de­ vono dimostrarsi tali col proprio comportamento ( n ,29 s.). Nella sto­ ria dell'interpretazione a questo spostamento di accento corrispose lo sviluppo dall'interpretazione della Riforma e dell'ortodossia protestan­ te fino al pietismo, che significò, quanto al testo, uno spostamento del­ l'accento sui vv. 29 s. e, quanto al contenuto, uno spostamento analo­ go verso l'applicazione e la parenesi. Come nel caso del discorso della montagna, si riproporrà anche adesso l'interrogativo se in questo modo non venga distrutta la grazia della quale parlano i vv. 25-27. Questo in­ terrogativo fondamentale andrà verificato con l'esegesi dei vv. 28-30. 1 Zinzendorf, n, 799· 804. 8oo. 2. A.H. Francke, Christus der Kem Heiliger Schrift ( 1 702.), in Werke in Auswahl, ed. E. 3 Cf. vol. 1, pp. 308. 3 2.8-3 30. Peschke, Berlin 1 869, 2.3 5. 2.4 5. 2.47.

L'INVITO DEL FIGLIO Un logion sapienziale. Nell'ottica della storia della tradizione, alla base dei vv. 28 e 3 0 c'è un invito della Sapienza. Perciò la prima mossa sarà quella di interpretare i nostri versetti sul loro sfondo sapienziale. Le analo­ gie più vicine sono Sir. 5 1,23-29; 24,19-22, cf. Sir. 6,1 8-3 7; Sap. 6,1 1 - 1 6.' Esempi più antichi sono Prov. 8,1-2 1 . 3 2-3 6; 9,4-6 e più recenti sono Gli insegnamenti di Silvano (NHC vn,89,5-1 3 ) e Od. Sal. 3 3 ,6- 1 3 . Questi testi spesso presentano, formalmente, un vero e proprio invito, un'esortazione e una promessa, ma la loro struttura non corrisponde a uno schema formale fisso. Così, ad esempio, il nostro testo non si conclude con una promessa, bensì con una motivazione. Nei testi suddetti e in altri testi sapienziali af­ fini compaiono numerosi motivi presenti nel nostro testo: la Sapienza, o il suo maestro, si rivolgono agli incolti (Sir. p,23 ), ai privi d'intendimento (Silv. 89,7) a coloro che ambiscono a essa (Sir. 24, 1 9 ) o che si affaticano 1 per attenerla. Dato che la Sapienza è tesa sempre alla prassi, «affaticarsi» per essa significa una vita di ubbidienza e giustizia. L'immagine del «giogo» è diffusa nella Bibbia e nel giudaismo, in primo luogo nel suo significato pro­ fano: si parla così di giogo del dominio straniero, della schiavitù, del desti­ no o del «giogo umano», ecc. Accanto a quest'uso profano se n'è sviluppa­ to uno religioso: nel Siracide si parla del «giogo della Sapienza» (Sir. 6,24; 5 1 ,26). Poiché in Sir. 24 la Sapienza è stata identificata con la torà, l'espres­ sione altro non significa che il «giogo dei comandamenti» o della torà, una locuzione giudaica diffusa.3 Sono affini anche le espressioni «giogo di Dio» (Ger. 2,2o; 5,5; Hen. slav. 34,1 s.) o «giogo del regno di Dio>> . Appare frequentemente l'idea che gli uomini troveranno riposo presso la Sapienza (Sir. 6,28; 5 1 ,27; cf. 24,7). Questa immagine, legata in origine alla promessa della conquista del paese, venne più tardi trasformata dai profeti nella quiete escatologica, divenendo, infine, in Filone e nella gnosi, il simbolo del bene salvifico assolutamente trascendente.4 Con un'immagi­ ne talmente indefinita, è difficile stabilire ogni volta quanta parte ci sia di storia della salvezza, di escatologia e di trascendenza. Nella sapienza può avere un ruolo anche la semplice esperienza di Qohelet il quale constata co­ me la sapienza si accompagni sempre alla quiete e alla superiorità, la stol­ tezza al rumore e alle grida (Ecc/. 9, 17). È utile segnalare altre immagini legate al raggiungimento della sapienza: nei Proverbi e nel Siracide s'inconx Qui, come nel resto del libro della Sapienza, non parla direttamente la Sapienza, bensì il maestro in suo nome. Anche in Sir. 5 1 ,23 non parla, a differenza di Prov. 8 s.; Sir. 14,19 ss. e degli Insegnamenti di Silvano, la Sapienza, bensì il suo maestro. 2 xomciw significa «Stancarsi» o «sforzarsi» . Nei paralleli sapienziali predomina la secon­ da accezione «sforzarsi» (per raggiungere la sapienza): cf. Sap. 6,14; Sir. 24.34; 33, 1 8; Sap. 9,10; 10, 1 7. In Sir. 5 1 ,27 LXX si parla della Sapienza che si affanna per i suoi figli. 3 Cf. Apoc. Bar. syr. 4 1 ,3; testimonianze rabbiniche in Bill., 1, 6oS b.c. 4 Cf. Es. 3 3 ,14; Deut. 1 2.,9 s.; ls. 14,3; 3 2, 1 8; Ger. 6, 1 6 ( Mt. 1 1 , 29b); 2 Tess. 1,7; Apoc. 14, 1 3 ; Ebr. 3 , 1 1-4, 1 1 ; Ev. Thom. log. 90; Corp. Herm. r 3,2o; Dupont, Béatitu­ des m, 5 27 s. =

27 9 tra l'immagine della sete e della fame placate (Prov. 9,4 s.; Sir. 24,20-22; p,24; cf. 1 5 ,3), della gioia (Sir. 6,28; 1 5,6), del mantello regale e della co­ rona (Sir. 6,3 1 , cf. 7,1 6-1 8). Queste immagini suggeriscono che i doni del­ la Sapienza non vanno confinati soltanto nell'eschaton; il messaggio che es­ se lanciano è che vivere con la Sapienza e la legge comporta hic et nunc gioia, soddisfazione, libertà, quiete, chiarezza e potere. Perciò il giogo della Sapienza è un giogo soave. Anche per questa immagine i nostri testi sa­ pienziali offrono paralleli: Sir. 5 1 ,26 sottolinea che la Sapienza è vicina e si fa trovare. Può essere vista facilmente da coloro che l'amano, poiché essa è alla ricerca di coloro che sono degni di lei e appare loro in mezzo alla stra­ da (Sap. 6, 1 2 . 1 6). Chi si mette in cammino presto non farà alcuna fatica (Sap. 6, 14). La si può acquistare gratuitamente (Sir. 5 1,25). Per lo stolto essa è un percorso accidentato, ma il sapiente che la serve deve affaticarsi solo un po' e ne mangerà i frutti già l'indomani (Sir. 6, 19 s.). Il problema dell'interpretazione è dato - per noi! - proprio da queste affermazioni: perché la via della sapienza e della legge, la «fatica » alla quale esse esortano, è una via facile? Si deve parlare qui di un parados­ so? 1 Probabilmente lo si deve fare solo se si parte da un punto di vista cristiano. Per un giudeo che si avvia alle nozze con la Sapienza, vivendo nella legge e ubbidendo a essa, questa ubbidienza è gioia e soddisfazione.

28-30. In Matteo invece della Sapienza è Gesù che chiama. Soltanto il Figlio è la via che porta a Dio. Almeno funzionalmente Matteo iden­ tifica Gesù con la Sapienza.'" Come in Mt. 1 1 ,19 e 2 3 ,34, però, questa non è, a mio parere, l'affermazione decisiva di Matteo, bensì soltanto il suo presupposto. L'affermazione centrale è un'altra: che Gesù è «mite e umile di cuore» (v. 29a). Eppure, la vicinanza di Gesù alla Sapienza con­ ferisce al nostro logion un'importante sfumatura di fondo. Nella mi­ sura in cui Gesù viene inserito, senza fratture, nella casa della sapienza, si postula anche una continuità con la legge, con la quale il giudaismo identificava la Sapienza. Quando Matteo chiama i v�mot (v. 29 ) a im­ boccare la via dell'apprendimento, la continuità ne viene ancor più raf­ forzata.3 Come nel giudaismo, !J-�Xv-8avw significa qualcosa di pratico, l'appre ndime nto di un comportamento. 1

Deutsch", 1 17. 1 37· Come sottolineano, ad es., Chrisr', I I 6 s. (l'appello del salvatore è dovuto forse già a Gesù); Suggs, Wisdom, 96; Deutsch", 1 3 0 s. (Gesù è maestro di sapienza e Sapienza). 3 Luck" interpreta l'intero testo entro l'orizzonte della sapienza, insistendo sul fatto che, mediante la conoscenza del Figlio, questo orizzonte subisce un cambiamento di valore decisivo (49). A mio parere quanto egli dice è giusto per i vv. 2.5-2.7, mentre, attraverso i vv. 2.8-30, l'intero testo torna a ricevere accenti sapienziali più forti. 1

280

L'INVITO DEL FIGLIO

28. Gesù chiama: «Venite tutti a me! » . Dopo il delinearsi della crisi in Israele ( n,7-19) e dopo le invettive contro le città galilee ( I I ,20-24) questo è un accento importante. L'accesso a Dio è ancora aperto a tut­ to Israele. Il seguito del vangelo mostrerà come Israele risponda a tale ap­ pello. xo1ttaw significa «affaticarsi (lavorando con la testa o le braccia )>>, Né il contesto del vangelo di Matteo né lo sfondo sapienziale del ver­ bo 1 né gli imperativi che seguono (v. 29) consigliano la traduzione « pas­ siva >> divenuta corrente sin da Lutero, muhselig, «affaticati» .2 Infatti il participio passivo 1ttqJop-rta(J.Évot non va inteso come interpretazione, bensì come continuazione di xo1ttwvnc;. Ma di quale «peso» si tratta? Nel contesto del vangelo non si può evitare l'interpretazione suggerita da 23 ,4. Sono gli scribi e i farisei coloro che impongono agli uomini cari­ chi difficilmente sopportabili che però essi stessi non portano. La tradi­ zione preesistente viene quindi accentuata dall'evangelista in senso an­ tifarisaico.3 Se questa interpretazione è corretta, allora i destinatari del logion sono, come prima, tutto il popolo d'Israele e non solo i disce­ poli. 4 Ma perché l'interpretazione farisaica della legge è un carico pe­ sante? Una domanda analoga andrebbe posta ad Atti 1 5 ,10. Lì si può trovare una risposta, perché è un autore etnicocristiano che mette in bocca a Pietro il riferimento al «giogo che né i nostri padri né noi sia­ mo stati in grado di portare>> . Nel caso di Matteo, però, che è un giudeo­ cristiano, la risposta non è facile, tanto più che il suo Gesù ha ordinato di osservare tutta la legge, iota e accenti compresi ( 5 , 1 8 s.). Perché dun­ que la legge interpretata e imposta dai farisei è pesante, mentre, quan­ do Gesù la ordina, allora è e «un carico leggero>> ?

Storia degli effetti. L'interpretazione ecclesiastica ha tentato di risponde­ re in molte maniere. Il pregiudizio convenzionale cristiano della torà come fascio di tanti singoli precetti, disordinati e in fondo insensati, ha reso più difficile una reale comprensione del testo (e anche del giudaismo).5 Questa 1

Cf. sopra, p. 2.78 n. 2.. L'unico parallelo in Matteo è 6,2.8 dove si tratta di fatica fisica. Per contro cf. Vulgata (laboratis); «Zwingli » (Froschauerbibel, 1 5 3 1 : > .5

30. Per Matteo la risposta sarebbe facile se, come più tardi fecero la lettera di Giacomo e la chiesa antica, anche lui avesse abrogato la legge cerimoniale e identificato la volontà di Dio con la legge « razionale» del­ la natura. Questa possibilità è stata respinta nel commento a Mt. 5,1720.6 Gesù non ha proclamato un'altra torà né una torà meno severa di quella dell'A.T. Anche nel caso di Gesù il suo invito è fatto di imperati­ vi. Il « suo» giogo non può essere affatto interpretato in opposizione al­ la torà, per compiere la quale egli è venuto. 29. Che il giogo sia soave e il carico leggero dipende, secondo Mat­ teo, da Gesù che li impone. L'evangelista ha forse pensato alle qualità didattiche del maestro Gesù, che diversamente dai rabbi è paziente con i discepoli e non li castiga rapidamente e duramente? 7 Ma « umile di cuo1

Paulus, II, 704. Kant, Die Religion innerhalb der Grenzen der blossen Vernunft (PhB 45), ed. K. Vorlander, Hamburg 81978, z.ox in nota. 3 Tommaso d'Aquino, Summa x/n qu. 1 07 art. 4· 4 Maldonado, 14 1 s. 5 Aug. Serm. 96,1 (PL 3 8, s 84); simile il giudizio di Dionigi bar Salibi, II, l.3 I. 6 Cf. vol. I , pp. 3 6o-3 6z.; Luz: ZThK 75 ( 1 978) 424-416. 7 Tale interpretazione non è certo una novità recente: cf. Theodor. Mops. In Mt. fr. 67 (Reuss, 1 1 8 ): longanimità e pazienza caratterizzano Gesù; Cyr. Al. In Mt. fr. x so (Reuss, 101 ) : Èv cbtì.oi> .4 Essi hanno un precursore nella storia della chiesa, Lutero, che proprio a partire dalla sua traduzione «passiva» ( « voi affaticati» ) suggerì un allargamento del senso, fino a comprendere ogni preoccupazione, « fame, povertà, disonore o altre afflizioni ».5 Il testo venne quindi ampliato. Se si parte dall'illimita­ to amore di Cristo, è chiaro che non è possibile escludere da questo «appel­ lo del salvatore » alcun tipo di fatica e alcun tipo di peso. Il compito del­ l'interpretazione odierna sarà quindi quello di scoprire e prendere sul se­ rio, in situazioni sempre nuove e alla luce di questo amore, quali siano di volta in volta la fatica e il peso. Il testo è stato quindi considerato un mes­ saggio di grazia. 2. Ciò vale soprattutto per l'esegesi di stampo riformato. « O ingens et opulenta misericordia tam dulciter vocantis ad sese peccatores miseros!», esclama Lutero. 6 Quel «tutti» (v. 28) viene sottolineato continuamente. Nella sua impressionante interpretazione Brenz ripete I O volte in sole 7 ri­ ghe la parola > : si dimostra di appartenere a Cristo quando si racco­ glie: «quei vescovi che oggi non raccolgono per il regno di Dio non appar­ tengono a Cristo ») La chiesa non è a priori identica al Cristo; piuttosto deve provare di esserlo. 3 1 s. Con questo versetto inizia la seconda parte del discorso di giu­ dizio. Come in altri casi,4 ÒttÌ 'tOu'to introduce una conseguenza conclu­ siva di carattere minaccioso. Àé:yw ÙIJ-LV rafforza il carattere solenne. Se­ gue poi il famoso logion della bestemmia contro lo Spirito che in Mat­ teo ha una formulazione particolarmente insistente con quel ripetuto, secco oùx cXqlE:��ae:'ta.t. Che significa il logion? Agostino confessa che que­ sta è forse la domanda più difficile e più importante di tutta la Bibbia.5 Si pongono interrogativi su due livelli. 1. L'interrogativo esegetico suo­ na: in che cosa consiste la bestemmia contro lo Spirito ? I testi non lo spie­ gano, ma presuppongono che lo si sappia. L'interrogativo è reso ancora più difficile dalla contrapposizione con le parole dette contro il figlio del­ l'uomo, che invece possono essere perdonate. 2. L'interrogativo teologi­ co sostanziale suona: c'è un limite posto alla grazia ? Questa affermazio­ ne non contraddice l'illimitato amore di Dio, cioè il centro della procla­ mazione di Gesù e, quindi, anche la convinzione del potere illimitato del­ lo Spirito santo?

Storia degli effetti. Il problema esegetico apparve importante, perché in esso erano contenute molte questioni dogmatiche, tra le quali figurano la classificazione dei peccati, l'eternità delle pene all'inferno, il purgatorio, la possibilità del pentimento. Queste questioni sono state affrontate in innu­ merevoli trattati specifici sin dai tempi della chiesa antica 6 e nella dogma­ tica classica trovano riscontro nel locus de blasphemia Spiritus Sancti. Ci troviamo dunque di fronte a un caso piuttosto raro in cui un passo biblico difficile ha «prodotto >> un locus dogmatico. Ma la solerzia teologica non Aug. Cons. Evang. 4,5 (400). :t V. sopra, pp. 3 3 2. s. n. 5 · 4 Mt. 1 3 , 1 3 ; 2 1 ,43; 23,34. 5 Aug. Serm.Q 7 1 ,8 (449). 3 Musculus, 345 · 6 Per il protestantesimo di lingua tedesca Schafa, 1 s., elenca ben 26 monografìe apparse tra il 1619 e il 1 8 24. Mangeno� offre una panoramica delle interpretazioni classiche della chiesa antica e della chiesa cattolica. 1

MT. 1 2,2 2- 3 7

33 5

aveva solo motivazioni teoretiche. Come ci è noto da molte biografie, nel corso della storia della chiesa molti uomini pii e sensibili sono stati tormen­ tati dal timore di aver commesso il peccato imperdonabile contro lo Spirito santo. I Oggi il peccato contro lo Spirito santo è in larga misura scomparso dalle dogmatiche, ma compare ancora nelle anamnesi di persone pie in cu­ ra presso le cliniche psichiatriche. Per quel che riguarda la storia dell'interpretazione si possono distingue­ re tre tipi classici, che in seguito in parte si sovrapporranno: r . Legata particolarmente al nome di Atanasioa è un'interpretazione che si potrebbe definire trinitaria. Lo Spirito è l'essenza del logos divino (4 = 474). La bestemmia contro il figlio dell'uomo è soltanto una bestemmia con­ tro l'uomo Gesù, più o meno come avevano fatto i nazareni (Mt. 1 3 , 54) (20 = 493 ) oppure «questa generazione» (Mt. 1 1, 19).1 Ma gli esorcismi sono opere divine di Gesù; i farisei «hanno negato la sua divinità . . . e han­ no cercato rifugio nel diavolo» (22 = 496). La bestemmia contro lo Spirito è dunque la negazione della divinità di Cristo da parte di non cristiani,3 di giudei 4 o di eretici, nonostante le palesi opere di Dio. 5 2. Il secondo tipo fondamentale d'interpretazione risale, per quanto mi consta, a Origene, per il quale la bestemmia contro lo Spirito è il peccato proprio dei cristiani. Origene parte dal presupposto che lo Spirito non di­ mori in tutti, ma soltanto nei cristiani e che, di conseguenza, possa esser bestemmiato solo da loro. 6 Questa interpretazione del nostro passo andò a unirsi a quelle di Ebr. 6,4-6 e I Gv. 5 , 1 6 s. Si impose nella chiesa. Se non si voleva identificare senz'altro il peccato contro lo Spirito santo col pecca­ to mortale/ era necessario delimitarlo e definirlo: il peccato contro lo Spi­ rito santo è apostasia dalla fede nella misura in cui si attua nella chiesa per malvagità, nella piena conoscenza della verità e per disprezzo della gra­ zia. 8 I riformatori/ l'ortodossia protestante Io e la teologia cattolica della r Esempi notevoli: la biografia di Francesco Spiera (XVI secolo) che aveva abiurato la fe­ de evangelica, in Schaf', 173-210; le lettere del pietista bemese Samuel Schumacher (169 5 ) a A.H. Francke e al padre in R. Dellsperger, Die Anfiinge des Pietismus in Bern (AGP 22), 1984, 1 8 5-1 88. 2. Fanno riferimento a Mt. 1 1,19 ad es. Teofilatto, 269, e Valdés, 227. 3 Athanas. Epist. Serap.a n (483) contesta giustamente a Origene (cf. sotto) di non ri­ uscire a spiegare perché i farisei, appunto dei non cristiani, commettano un peccato con­ tro lo Spirito santo. 4 Così, ad es., de Wettea, 23 s., con toni antisemiti: per punire i capi giudei, Gerusa­ lemme, « questa sede dell'incredulità e dell'indurimento», e la terra d'Israele, diventata un deserto sterile, sono stati maledetti «e i loro figli, miseri e ripudiati, languiscono op­ pressi e umiliati» . 5 Sulla linea d i Atanasio s i muovono, a d es., Theodor. Her. In Mt. fr. 86 (Reuss, 8 1 ); Cyr. Al. In Mt. frr. 1 5 6 s. (Reuss, 203 ); Bas. Reg. Brev. interr. 273 (PG 3 1 , 1076); Zwingli, 190 s. 6 Orig. Princ. 1 ,3,7· 7 Così avviene di fatto in Maldonado, 2 5 5 . 8 Dionigi i l Certosino, 1 5 4 (ex certa malitia, ex impugnatione agnitae veritatis, ex invi-

BEELZEBUL E LO SPIRITO DI DIO

controriforma I hanno ripreso questa definizione con lievi spostamenti di accento. La delimitazione ed esatta definizione del peccato contro lo Spiri­ to santo ebbe così un duplice effetto: da un lato servì ad alleggerire le co­ scienze, in quanto rendeva specifico questo peccato; dall'altro rese chiara­ mente identificabile i peccati contro lo Spirito santo, così che ora tutti po­ tevano chiedersi se l'avessero eventualmente commesso e fossero condan­ nati per tutta l'eternità. 3 · La terza interpretazione, quella di Agostinoa, è in realtà una variazio­ ne della precedente. Anche per Agostino il peccato consiste nell'apostasia dalla fede, nell'escludere se stessi dalla fonte del perdono (Serm.a 71,34 [464]). Ma qui si possono cogliere due nuovi accenti: da un lato per Ago­ stino è importante la dimensione ecclesiologica del peccato contro lo Spiri­ to santo: lo commette chi (v. 27) agli apostoli, che erano certamente giudei, ma in primo luogo, appunto, disce­ poli di Gesù. 4 In epoca moderna, viceversa, il testo, interpretato ora cor­ rettamente, è stato rifiutato perché «esso non riconosce l'ambiguità di tutti i semplici fatti » e rimane «nell'orizzonte delle comparazioni storico-religio­ se>>.5 A mio giudizio, però, è necessario riformulare, a partire da Gesù, il concetto di miracolo proprio della chiesa antica non solo in termini di 1

Cf. sopra, pp. 9 6-98. Malina-Neyrey b , 42, parlano, nell'ottica dell'antropologia culturale, di una «accusa mediterranea normale in simili circostanze» e - storicamente in senso davvero generico - di una «etichetta di stregoneria» . R. Bultmann, Zur Frage des Wunders, in Id., Glau­ ben und Verstehen I, Tiibingen 61 9 66, 227: i miracoli in quanto avvenimenti visibili «non sono al riparo dall'essere spiegati come opere diaboliche». 3 Nella storia di Matteo gli ox.Àot favorevoli e meravigliati diventano infatti, nella loro maggioranza, il Àcx� ostile che rifiuta Gesù (27,25; cf. già in 1 3,10-17). 4 Cominciando da Chrys. In Mt. 4 1 ,2 (PG 57, 446 s.); Hier. In Mt. 93 (come possibili­ tà); Hil. Pict. In Mt. 1 2, 1 5 (SC 254, 28o), fino a Beza, 56, e Maldonado, 2 5 1 . 5 E. Kasemann, Lukas II,I4-28, i n Id., Versuche I , 244. 1

3 44

IL SEGNO DI GIONA E I L RITORNO DEI DEMONI

concezione del mondo, ma anche in termini di contenuto cristologico: «il Dio vero e reale» non esercita «nelle sue opere alcun potere maggiore» di quello che esercitano anche gli esorcisti giudaici. I Anche la storia di Gesù è una storia ambigua, ambivalente e non già una chiara rivelazione della divinità di Dio. Il nostro testo lo fa capire, per così dire, tra le righe, non intenzionalmente. I segni, come la guarigione di una persona cieca e muta, sono realmente segni, ma nel quadro della visione del mondo restano am­ bivalenti. La vittoria di Gesù su Satana non si rivela nel fatto che i suoi mi­ racoli manifestano un particolare potere, bensì nel fatto che in essi si com­ pie l'amore nei confronti di quelli che soffrono.z. Tra l'ambivalenza di que­ sti segni dal punto di vista della visione del mondo (cf. vv . 22-27) e la ve­ nuta del regno di Dio (cf. v. 28) continua a esserci un salto di qualità. Matteo non ha visto questo salto né poteva vederlo. Perciò egli non poteva non accusare i farisei di peccare contro lo Spirito santo a causa della loro malvagia testardaggine nei confronti dell'opera di Dio. Ciò facendo, l 'eva ngeli sta ha stravolto nel suo contrario l'amore di Dio che balena nei miracoli di Gesù. Oggi noi siamo in grado di vedere questo salto di qualità: perciò non ci è permesso - nonostante Matteo - di bol­ lare come non credenti persone, giudei o non giudei, che in miracoli con­ statabili negano l'evidenza, solo apparente, dell'opera di Dio.

2.2. IL SEGNO DI GIONA E IL RITORNO DEI DEMONI ( ! 2, 3 8-4 5 ) H.F. Bayer, ]esus' Predictions of Vindication and Resurrection (WUNT n/2o), 1986, 1 1 0- 145; W. Bittner, ]esu Zeichen im ]ohannesevangelium (WUNT n/26), 19 87, 28-74; D. Correns, ]ona und Salomo, in W. Haubeck - M. Bachmann (edd.), Wort in der Zeit (Fs K.H. Rengstorf), Leiden 1 9 80, 86-94; R.A. Edwards, The Sign of ]onah in the Theology of the Evangelists and Q (SBT n/1 8), 1 9 7 1 ; Geist, Men­ schensohn, 275-290; A.J.B. Higgins, The Son of Man in the Teaching of ]esus (MSSNTS 39), 1 9 80, 90- 1 1 3 ; J. Jeremias, 'lwvliç, in ThWNT m , 41o-4 1 3 ; Klop­ penborg, Formation, 1 26- 1 34; Laufen, Doppeluberlieferungen, 1 3 9- 1 47; Liihr­ mann, Redaktion, 34-43; P.W. Meyer, The Gentile Mission in Q: JBL 89 ( 1 970) 405-4 17; V. Mora, Le signe de ]onas, Paris 1983; H.S. Nyberh, Zum grammati­ schen Verstiindnis von Matth. IZ,44-45 : AMNSU 4 ( 1 9 3 6) 22-3 5 ; Sato, Q, 1 50 s. 281-284; G. Schmitt, Das Zeichen des ]ona: ZNW 69 ( 1 978) 1 23 - 1 29; Schulz, Q, 2 5o-257. 476-4 80; P. Seidelin, Das ]onaszeichen: StTh 5 ( 1 9 5 2 ) 1 1 9-1 3 1; TOdt, Menschensohn, 48- 50. 1 94-1 97; A. Vogtle, Der Spruch vom ]onaszeichen, in Id., Evangelium, IOJ -IJ 6; Wanke, Kommentarworte, 5 6-60. Altra bibliografia (") nella sezione su Mt. 1 2,22-50 (sopra, p. 3 1 9 ) . 3 8 Allora alcuni degli scribi e dei farisei gli risposero e dissero: «Maestro, vogliamo vedere da te un segno ! » . 39 Ma egli rispose e disse loro: «Una generazione malvagia e adultera richiede un segno, e le sarà dato soltanto il segno del profeta Giona. I

Cf. Athanas. Epist. Serap.a 1 5 (486 s.).

z.

Cf. sopra, pp. I OO-I02.

MT.

1 2, 3 8-4 5

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40 Come infatti Giona fu nel ventre del mostro marino

per tre giorni e tre notti, così il figlio dell'uomo sarà nel cuore della terra per tre giorni e tre notti. 41 La gente di Ninive risorgerà nel giudizio con questa generazione e la condannerà, perché essa si convertì alla predicazione di Giona, ed ecco: qui c'è più di Giona! 41 La regina del sud sarà risuscitata nel giudizio con questa generazione e la condannerà perché lei venne dalle estremità della terra per ascoltare la sapienza di Salomone, ed ecco: qui c'è più di Salomone! 43 Ma quando uno spirito immondo esce da una persona, vaga per luoghi aridi cercando riposo senza trovarlo. 44 Allora dice: 'Voglio ritornare a casa mia, da dove sono venuto'. E quando vi arriva, la trova vuota, pulita e adorna. 4 5 Allora va e prende con sé altri sette spiriti, più cattivi di lui, e vi si trasferiscono e vi abitano. E alla fine la condizione di quella persona è peggiore che all'inizio. Sarà così anche per questa generazione malvagia» . 1 . Struttura. Dopo u n breve intervento degli avversari giudaici (v. 3 8) Ge­ sù si accinge a pronunciare un'altra serie di parole di giudizio, formata da tre parti. Nella prima, i vv. 3 9 s. contengono l'enigma del segno di Giona, che viene spiegato al v. 4oab.cd con un paragone biblico formulato attra­ verso parallelismi. In 16,1-4 questa sezione verrà ripresa a tratti alla lette­ ra: il nostro testo rientra pertanto tra i doppioni creati consapevolmente nel vangelo di Matteo! La seconda parte (vv. 4 1 s.) è formata da due logia, formulati ancora una volta in parallelo e legati al v. 39 dal nome Giona e dal termine ytvea. Viene messo in risalto il termine xptat.;, che si riallaccia al v. 36. La terza parte ( vv . 43-4 5 ) getta il lettore nello sconcerto. In un con­ testo nel quale si è parlato di esorcismi, il lettore capirà il testo, di primo acchito, come una storia di spiriti un po' enigmatica e solo alla fine del v. 45 si accorgerà, con sorpresa, che Gesù ha raccontato una parabola. L'espres­ sione à.vcbt(Xuatv . . . oùx tuptaxtt corrisponde in negativo a 1 1,29c. Alla fine del v. 45 ytvtèt 7tOvl)pti rimanda all'inizio (v. 39) e inquadra così l'intero testo.

2. Fonte. Il nostro brano proviene da Q (= Le. 1 1 ,29-3 2.24-26). La pri­ ma parte della richiesta di un segno ha anche un parallelo in Mc. 8, 1 1 s. (= Mt. 1 6, 1 -4). In entrambi gli evangelisti l'introduzione è formulata con pe­ santi interventi redazionali.1 In Le. 1 1,29a manca la richiesta di un segno r

Nella lettura sincronica del vangelo non si devono separare tra di loro i doppioni, che,

dal punto di vista della critica letteraria, rappresentano nuove creazioni matteane (ad es.

9,31-34/u .,u-14), da quelli che Matteo ha ripreso utilizzando una doppia tradizione in Marco e Q, a volte con particolari accentuazioni. 1 Secondo il vol. 1, introduzione, 4.1, al v. 3 8 sono redazionali: -.6-t-e:, à:71:oxptVO!J4L, ypap.-

346

IL SEGNO DI GIONA E IL RITORNO DEI DEMONI

da parte dei farisei e degli seribi. La nota posta redazionalmente in Le. I I, I 6 fa supporre che la richiesta di un segno fosse presente in Q, ma gli seri­ bi e i farisei sono opera di Matteo. La particolarità dell'introduzione in Mar­ co e Luca consiste nel fatto che i farisei, nemici di Gesù, lo tentano richie­ dendo un segno dal cielo. Anche il v. 39a ha una forte impronta redaziona­ le: 1 Matteo ha elaborato in modo analogo al v. 3 9 la sua fonte Q e in I 6,2a.4 il suo testo marciano di pari tenore. Il v. 39b corrisponde al testo di Q, salvo l'aggiunta di "rou 7tpotp�"rou. Al v. 40 Matteo ha un testo tutto suo, che corrisponde solo nella struttura base a Le. I I ,3o. Sebbene non sia possibile dimostrare con argomenti linguistici l'intervento redazionale di Matteo, 2 sembra comunque chiaro che Le. I I,30 riproduce il testo di Q. Infatti, Luca avrebbe sicuramente ripreso il testo cristologico di Mt. 1 2, 40 se l'avesse conosciuto. Le. I I , J O era presumibilmente seguito, in Q, dal lo­ gioo della regina del sud (Le. 1 1 ,3 1 / Mt. 1 2,42). Probabilmente Matteo ha anteposto il detto su Giona di Q ( = Le. 1 1,3 2) per ottenere un migliore collegamento con i vv 3 9 s.3 Nei vv 4 I s. ha mantenuto alla lettera il te­ sto di Q e anche l'altro testo di Q, il «logion della ricaduta » (Le. u,24-26 // Mt. 1 2,43-4 5 ), è conservato molto bene.4 In Q questo logion era collocato nella controversia su Beelzebul subito dopo Le. 1 1 ,23. Lo spostamento in Matteo è dovuto alla nuova interpretazione. La breve conclusione (fine del v. 4 5 ) che trasforma il detto in una parabola per «questa generazione» è opera di Matteo.5 .

.

3· Storia della tradizione e origine. Partiamo qui dal presupposto che in origine esistessero tre brani indipendenti: vv . 3 8-40; vv 4 I s.; vv 43-45.6 .

.

IJ.Cm:ic; xaì cl>aptaaiot (due gruppi di avversari: cf. vol. I, pp. 2.3 3 s.), Àtywv, òtòtiaxaÀa> , predicazione che fa così da riscontro al xijpuy[Joa. di Gio­ na ai niniviti. Le. I I,3 I (Salomone) è ridondante, il che indica che in origi­ ne il duplice logion di Le. I I,3 I s. era indipendente. Contro l'attribuzione dei due logia semitizzanti 7 a Gesù si possono addurre al massimo ragioni di contenuto: il giudizio su Israele sembra ormai definitivo, mentre Gesù I Cf. ad es. Num . I4,30; 3 2., 1 1 ; Deut. I , 3 5 ; I Regn. 3 ,I4; 14,45; :z.8,1o ecc., per un to­ tale nei LXX di circa 3 8x. Il sicuro ebraismo (BDR, S 454,5) proviene dunque dai LXX e ricorre come biblicismo aramaico solo nei targumim (MHf, n, 469). Viceversa, però, anche la formulazione alla fine di Le. 1 1 ,2.9 (e:! JL-ij. . . ) è semitizzante; cf. C. Colpe, b u!Òç 't"Ou liv.Spfimov, in ThWNT vm, 4 5 2. n. 349· Se si tratta di un «settantesimo» non è plau· sibile neanche l'argomento di Sato, Q, :z.S:z., secondo il quale la presunta negazione ori­ ginaria con el non avrebbe potuto avere vicino un ampliamento con cl JL-ij. :z. Edwardsa, 76. 3 Oggi nel campo esegetico sembra essersi imposto una sona di «dogma» , in base al qua­ le non sarebbe possibile che in un'occasione Gesù respingesse recisamente la richiesta di un segno, mentre in un'altra formulasse questo rifiuto col riferimento al •segno di Gio­ na» (che ha sostanzialmente lo stesso significato). Ma perché mai sarebbe impossibile? 4 Cf. anche r Cor. I ,:z.:z.. s Wanke, Kommentarworte, 58 s. 6 Contro Li.ihrmann, Redaktion , 4I, che, panendo dalla tesi della storia della tradizione (3Gt), considera Le. 1 1,30 un «raccordo redazionale» recente tra Le. I 1 ,2.9 e 3 I s. 7 �atÀtaaGt va't"ov senza articolo per «la regina del sud» è semitizzante (cf. lo stato co­ strutto). Non è invece un semirismo il costrutto CÌW�a't"Tjvat JLt't"li «disputare» (contro Black, Mutterspraehe, I 3 4); cf. sotto, p. 3 5 5 n. 3 ·

34 9

ha chiamato Israele al ravvedimento fino alla fine della sua attività. Ma co­ me in Le. 1 3 ,28 s. e forse anche in Le. 10, 1 3 s. i logia possono essere anche interpretati come un ultimo, urgente appello a Israele. c) Il «detto della ricaduta» (vv. 43-45c) è unitario. Circa la sua prove­ nienza si può dire soltanto che esso deve risalire a una tradizione linguisti­ ca semitica. 1 38. Ai farisei, i principali avversari di Gesù nel cap. 12, si associano ora gli scribi. Non ci si deve chiedere da dove spuntino così, all'improv­ viso: dal punto di vista della sua epoca, per l'evangelista è chiaro che essi fanno tutt'uno coi farisei e addirittura si identificano con loro (cf. 23, 2-29 ). Dopo il lungo discorso di giudizio di Gesù essi formulano la pro­ pria risposta: la richiesta di un segno. O"l)(.l-ti'ov è un termine aperto, usa­ to nella tradizione in senso piuttosto formale. Un «segno» è perlopiù qualcosa di visibile, mediante il quale si può identificare chiaramente una cosa, 1 ad esempio un sigillo, un gesto simbolico, un miracolo, un segno celeste, una caratteristica fisica. Nella tradizione biblica e giudaica sono «segni» soprattutto il miracolo dell'esodo e le azioni simboliche dei pro­ feti. I segni perciò non si identificano semplicemente con i miracoli (8U­ vrx(.l-tç, 't'Épcxç): essi possono essere miracoli, ma non lo sono necessaria­ mente. Che cosa intende Matteo per « segno» ? Se si escludono le due pe­ ricopi con la richiesta di un segno, il termine si ritrova ancora quasi esclu­ sivamente nel contesto della parusia del figlio dell'uomo nel discorso escatologico del cap. 24 . 3 Non è mai usato, come del resto in tutta la tra­ dizione sinottica, per indicare un «miracolo» . Inoltre, fino a questo mo­ mento Gesù aveva già compiuto numerosi miracoli, anche in presenza di farisei e scribi:� Dopo àver dichiarato satanico l'esorcismo del cieco e sordo, essi richiedono qualcosa di diverso da un altro miracolo. Nel testo parallelo di x 6,x, formulato in modo analogo, Matteo parla di un «segno dal cielo» 5 richiesto da farisei e sadducei per « tentare>> Gesù. Il 1 Nyberga, 2.9-3 5, e Beyer, Syntax, 2.85 s., considerano probabile uno sfondo semitico a motivo della costruzione paratattica con senso condizionale, ad es. al v. 44: «quando torna e trova la casa . . . .. . 1 Cf. Lintona; K.H. Rengstorf, CTlJ!Ui"ov x't'À., i n ThWNT vn, spec. 2.02.-2.04. 2. 1 1-2.14. 118. 2.2.0-2.2. 3. 3 Cf. spec. 2.4,3 (segni della tua parusia) e 3 0 (alj�Ìov 't'oÙ uioù 't'oÙ liv-lìpfil'ltou Év oùpetvcjl). 4 Nell'interpretazione ecclesiastica viene talora considerata espressione dell'incredulità di farisei e scribi che, dopo tanti miracoli di Gesù già avvenuti, essi richiedano ancora •segni» . Così, ad es., Opus Imperfectum 30 (PL 5 6, 787); Tommaso d'Aquino, Lectura, nr. 1047; Calvino, 1, 3 80. s L'espressione non è tecnica. Certamente i segni cosmici che gli apocalittici si aspetta­ vano per la fine dei tempi ne costituiscono lo sfondo immediato: Sib. 3,796-8o6; 4 Esd.

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lettore si ricorderà, a quel punto, della storia della tentazione con i mi­ racoli del pane e del volo. Pur non modificando le formulazioni della fon­ te, Matteo pensa certamente anche nel nostro passo a un segno molto particolare, che renda inequivocabile l'identità di Gesù. Probabilmente si tratta, quindi, non dei segni profetici di autenticazione, come li tro­ viamo nell'A.T., la richiesta dei quali era legittima,' e al tempo stesso di qualcosa di più dei miracoli di legittimazione dei profeti escatologi­ ci. 2 Dopo tutto ciò che i lettori del vangelo hanno già sentito di negati­ vo sui farisei, essi giudicheranno la loro richiesta illegittima, un giudizio confortato anche dall'imperioso « vogliamo vedere da te un segno>> .' 39 s. La risposta di Gesù è altrettanto brusca: solo una «generazio­ ne » 4 malvagia e adultera richiede un segno. Definendo i farisei e gli seri­ bi «generazione >> l'evangelista generalizza il loro comportamento, sen­ za arrivare a identificarli esplicitamente con tutto il popolo d'Israele.S In Matteo 1tOVYJpoc; porta in sé tutto il peso di ciò che Dio condannerà nel giudizio finale (7, 1 7 s.; 1 2,34 s.; 1 3 ,3 8·49 ) . Il termine (J.OtX,aÀtc; 6 ricor­ da ai lettori l'immagine biblica dell'adulterio,? che simboleggia la rot­ tura del patto con Dio ( Os. 3 , 1 ; Ez. 1 6,3 8; 23,4 5 ; cf. ls. 57,3-9; Ger. 1 3 ,26 s.; Os. 1 - 3 ) . Dio 8 darà veramente a questa generazione il segno di Giona.9 Che cosa si vuoi dire con ciò?

4,5 1; 6,1 1.10; 7,26 s.; 8,63; 9,1.6, cf. 5,1-13; 6,1 3 -17; 7,39-41; Apoc. 1 1, 1 . 3 ; 1 5, 1 . Let­ teratura rabbinica: B.M. 59b (Bill., I, 1 17) (una bat qol); Sifre Deut. 1 3 ,1 S 83 s. (Bill., I, 716 s.) (gli astri). Hier. In Mt. 96 s. richiama gli esempi di Samuele (1 Sam. 1 1,18: tuono) e di Elia (I Re 1 8,38: fuoco dal cielo). 1 Cf. ad es. Deut. 13,1 s.; 1 Sam. xo,x-7; I Re 1 3 ,3; 2 Re 19,29; 10,8-1 1; ls. 7,1o-x6. Nella letteratura rabbinica: Sanh. 98a (Bill., I, 640 s.). Per la redazione matteana, che in 24,3·30 esplicita nella maniera più chiara che cosa intenda per «segno», si tratta quindi di qualcosa di più della legittimazione di un profeta (escatologico), Bittnera, 5 1-53, pen­ sa fosse l'originaria richiesta di un segno. l. Cf. Ios. Beli. 1,159.169 (l'egiziano); Ant. x 8,8 5-87 (il samaritano); 20,97-99 (Teuda; attraversamento del Giordano); Gv. 6,30 s. (manna). 3 A differenza della richiesta dei discepoli in 24,3, qui si pretende che Gesù compia lui stesso un segno cosmico. 4 Il passo non dice niente della portata semanrica di yevet%: se sia dominante l'aspetto cro­ nologico (i contemporanei di Gesù) oppure quello etnico (stirpe come popolo d'Israele). La soluzione migliore sarà interpretare sulla falsariga di I 1 , 1 6. Cf. sopra, ad loc. s Non si deve pertanto limitare il termine agli scribi e ai farisei, come fa invece Baumbach, Verstiindnis, 87. 6 Usato da Matteo solo qui e in 1 6,4. 7 Con questo non si vuoi dire che i farisei e i giudei fossero stati adulteri in senso lettera­ le. Ciò che si può leggere a questo proposito in Schlatter, 4 1 5, è tanto esplicitamente antisemita che non lo si può «punire» tacendo. 8 Passivo divino. 9 La negazione eccettuativa è funzionalmente un'enunciazione enfatica, cf. A. Kuschke, Das Idiom der «relativen Negation» im N. T.: ZNW 43 ( 1 9 50-1 9 5 1 ) 263.

351 40. La spiegazione di Matteo segue al v. 40. Essa si riallaccia a quel­ la che per ogni giudeo era la parte più importante della storia di Giona: il suo salvataggio dal ventre del pesce dopo tre giorni e tre notti. 1 Gion. 2,1 viene citato alla lettera.:z. Il parallelo tra Giona e il destino di Gesù è tanto più chiaro in quanto già il salmo di Gion. 2 interpretava il ventre del pesce ricorrendo a immagini mitiche della morte: 3 il salva­ taggio di Giona dal pesce è un salvataggio dalla morte. Nel giudaismo tre giorni sono un numero simbolico: «Dio non lascia il giusto in una si­ tuazione critica più di tre giorni» .4 Al figlio dell'uomo accadrà lo stesso che è accaduto a Giona. Il nostro logion è un logion del figlio dell'uomo tipicamente matteano: il figlio dell'uomo Gesù è per Matteo colui del quale egli racconta nel proprio vangelo la storia della vita, la passione e la morte, la risurrezione, l'esaltazione e la parusia.5 Il figlio dell'uomo Gesù «nel cuore della terra » significa certamente «nella tomba » . La di­ scesa di Gesù agli inferi, tanto importante per l'interpretazione ecclesia­ stica, sarebbe un'idea unica e isolata nella tradizione sinottica ed è per­ ciò abbastanza improbabile, anche se non la si può escludere del tut­ to. 6 Matteo non parla esplicitamente di risurrezione, ma l'idea è sen­ z'altro presupposta: non si può né ricordare la storia di Giona senza pensare contemporaneamente al suo salvataggio né parlare, da giudeo, dei «tre giorni » senza pensare che dopo tale intervallo Dio interviene a favore dei suoi giusti. Mt. 27,62 s. riprenderà il nostro passo e lì Mat-

r Jeremias", 4 1 2,27 s.: dal punto di vista della tradizione giudaica il salvataggio di Gio­ na dal ventre del mostro marino dev'essere considerato il miracolo capitato a Giona. Solo in questo contesto il termine «segno» appare una volta nella tradizione giudaica (Pe­ siq. r. El. I O [Bill., 1, 644-646: 646]). Cf. il materiale (perlopiù tardo) raccolto in Bill., 1, 643 -647. 2. Qui i LXX corrispondono al TM. 3 Gion. 2,3 s.: Èx xmÀiac; �òou; dc; f3ti-8lJ xapò[ac; -8aÀaaalJc;; 2,6: ��uaaoc; . . . taxti"lJ· Tra le testimonianze della tradizione giudaica su Giona cf. Pesiq. r. El. IO (Bill., 1, 646): «Tu sarai chiamato colui che uccide e vivifica: ecco, la mia anima è vicina alla morte». Cf. spec. Seidelin", 1 23 . I25. 4 ]alqut a Gios. 2, I 6 § I 2 (Bill., 1, 647). Nell'A.T.: Gen. 4 2, 1 7 s.; Es. I9,I I . I 6; Os. 6,2. Altri riferimenti nell'A.T. e nella letteratura giudaica in K. Lehmann, Auferweckt am dritten Tag nach der Schrift (QD 3 8 ), I968, I So s. 262-272. 5 Cf. sotto, excursus «Il figlio dell'uomo nel vangelo di Matteo», S 4· 6 In ogni caso dall'espressione Èv Tij xapòiq. rijc; yijc; non si può arguire, come hanno fat­ to molti interpreti antichi, la discesa di Gesù agli inferi solo perché la tomba si trova in realtà sulla superficie della terra. In questo modo si fraintenderebbe la natura simbolica dell'espressione. Pensano al descensus ad inferos, ma non in senso cristologico specifico, Klostermann, I I I ; TOdt, Menschensohn, I96. Su questo punto l'interpretazione eccle­ siastica si divide: mentre la maggior parte degli interpreti, a cominciare da Ireneo (Haer. s,p,I ), pensa al descensus ad inferos nel senso del Credo, non è stata mai accantonata l'interpretazione della permanenza di Gesù nella tomba che ha continuato a coesistere con quella maggioritaria grazie all'influenza di Chrys. In Mt. 43,2 (PG 57, 458).

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IL SEGNO DI GIONA E IL RITORNO DEI DEMONI

teo parla ancora una volta della risurrezione di Gesù « dopo tre giorni» : sono proprio i farisei che davanti a Pilato fanno presente come Gesù l'avesse predetta. Fra i «tre giorni e tre notti» e «il terzo giorno» non c'è per Matteo alcuna contraddizione giacché in 27,64 egli riprende le parole «dopo tre giorni» mediante «fino al terzo giorno» , l'espressione matteana consueta per indicare il momento della risurrezione. I L'evan­ gelista è poco interessato all'esatto intervallo temporale, 1 mentre è im­ portante per lui che Giona, «il profeta » , prefìguri tipologicamente col suo destino l'evento della morte e risurrezione di Gesù. È questo dun­ que il «segno» che Dio darà a questa generazione. Ma la morte e la ri­ surrezione di Gesù saranno per Israele un segno in senso paradossale: Israele sarà colpevole della morte di Gesù e così provocherà il segno promesso. Con la risurrezione di Gesù Dio capovolgerà il male che Israele ha commesso. E proprio questo capovolgimento diventerà il «se­ gno», ma non il segno per Israele, bensì un segno che Israele rifiuterà e che si trasformerà così in segno contro Israele.3 In 27,64 i capi sacer­ doti e i farisei parlano dell' « inganno» della risurrezione e la rifiutano. 28, 1 1-1 5 mostrerà poi che è proprio il salvataggio di Gesù dalla morte che trattiene «i giudei » nell'incredulità «fino al giorno d'oggi» . La ri­ surrezione di Gesù sigillerà dunque l'incredulità d'Israele. Perciò, dal punto di vista di Matteo, si deve parlare di uno axav6aÀov della risurre­ zione." La risposta del Signore alla mancanza di fede d'Israele sarà la chiamata rivolta ai gentili (28, 1 6-20). Facendo seguire al segno di Gio­ na la testimonianza di due gentili contro Israele ( 1 2,4 1 s.), il nostro te­ sto segnala in anticipo anche questa svolta epocale del cammino di Dio da Israele ai gentili. Il nostro testo è dunque il primo preludio della sto­ ria matteana della passione e di pasqua e, quindi, anche una prima ri­ sposta di Gesù alla decisione dei farisei di eliminarlo ( 1 2, 1 4 ) . I Per un giudeo il giorno comincia a l tramonto, così che calcolando il venerdì già inizia­ to, il sabato e la notte tra sabato e domenica, si arriva ai tre «giorni » . Naturalmente re­ sta inesatta l'indicazione «tre . . . notti», ma «giorno e notte» è una descrizione frequente in ebraico per indicare il «giorno» (di calendario), poiché ;om indicava, in primo luogo, il periodo di luce in opposizione a «notte»; cf_ ad es_ Gen_ 7,4; I Sam_ 30,12. s. 1 Gli esegeti della chiesa antica hanno dedicato a tale questione molta fatica e non poca fantasia, ad es. Didasc. 21 (Achelis-Fiemming 106) (le tenebre del venerdì santo vengo­ no contate come una notte); Afraate, Hom. 1 2,5 (tr. G. Ben, 1 888, 1 89} (Afraate conta a partire dalla «morte» di Gesù nell'ultima cena)3 Verseputb, 276: «L'unico segno . . . sarà il capovolgimento del rifiuto omicida d'Israele nei confronti di Gesù con la risurrezione. Questo non è un segno per far sbocciare la fe­ de, ma una conferma dell'ira di Dio» su Israele. 4 Quod est signum lonae? Scandalum crucis! ( Opus Imperfectum 30 [PL 56, 788)). No! Si banalizza Matteo se lo si legge alla luce di I Cor. 1 , 1 8-25.

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Il problema del significato originario del segno di Giona non è semplice. Nel testo più antico di Le. I I , J o non si tratta di Giona nel ventre del mo­ stro marino, bensì di Giona a Ninive. La tradizione giudaica su Giona si è occupata molto poco di questa parte della storia di Giona. Né da Le. 1 1 , 30 né dall'immagine di Giona nel giudaismo si capisce bene in che senso Giona sia stato un segno per i niniviti. Le risposte principali che vengono date sono le seguenti: r . Col segno di Giona si vuole indicare la predicazione del ravvedimento fatta da Giona e dal figlio dell'uomo terreno Gesù. 1 Non c'è quindi altro segno che la predicazione. Che si tratti della predicazione del figlio dell'uo­ mo, cioè del venturo giudice universale Gesù, rafforza il carattere minac­ cioso di questo «segno» . È l'interpretazione proposta dal tardo logion di commento di Le. I I ,J l.. n punto a favore di questa interpretazione è che la proclamazione di Gesù e la predicazione del ravvedimento fatta da Giona si corrispondono realmente. Il punto a sfavore non è la considerazione che una predicazione non può essere un «segno» in senso proprio: se il segno di Giona vuole essere precisamente un « non segno», il termine «segno» è straniato. Il punto veramente a sfavore è il futuro !a-rcxt di Le. I I ,Jo. Ma tale argomento è decisivo soltanto nel testo greco, non in aramaico. :z. :z.. Con il segno di Giona si vuole indicare, come più tardi in Matteo il miracoloso salvataggio di Giona dal ventre del pesce.3 A favore di questa interpretazione depongono soprattutto i paralleli giudaici.4 Un altro, e più forte, punto a favore è che questa interpretazione è l'unica che usi in senso proprio il termine «segno» . A sfavore depone il fatto che, nella tradizione giudaica su Giona, il salvataggio del profeta non fu un segno per i niniviti che, effettivamente, non erano presenti al fatto.s Come possa poi il figlio dell'uomo risorto essere un segno per «questa generazione» resta alquanto oscuro. Si pensa forse alla parusia? Allora il figlio dell'uomo salvato dalla morte da Dio sarà manifesto a tutti i popoli. 6 Ma tutto ciò non può essere 1

Così, ad es., Manson, Sayings, 90 s.; Schulz, Q, 2 5 5 s.; Kloppenborg, Formation, 1 3 1 Geist, Menschensohn, 18 1 . Tale interpretazione risale a l razionalismo: cf. ad es. Paulus, n, n 6; de Wette, 79 s. 2 Si legge spesso che in greco dopo il futuro plurivalente 8o-lì�cn:'tal il futuro !a-.al sareb­ be gnomico. Ma dopo l'aoristo iyf.vno e in contrasto con 't'fl ya:ve e «spirituale » .? Parenti «spirituali » di Gesù sono coloro che fanno la volontà di Dio. Il rapporto tra parentela spirituale e carnale non è antitetico, ma comparativo: la prima ha la priorità. 8 Come si è sottoli­ neato da Agostino in poi, tra i parenti spirituali di Gesù figura proprio Ma­ ria, modello di ubbidienza,9 o anche i fratelli di Gesù, che con la loro pre­ tesa dettata da buone intenzioni volevano in realtà liberare Gesù dalle ma­ ni dei suoi avversari, i farisei. I o In questo modo si allontana qualsiasi om­ bra dalla sacra famiglia. I

Lutero, Evangelien-Auslegung n, 459 (predica del 1 5 28). Ne riferisce Tertullian. Carn 7 (CSEL 70, 206-2 1 1 ); Mare. 4,19,6- 1 3 (CSEL 47, 482 s.); Aug. Faust. 7 (CSEL 25, 302-305); Ephr. Comm. Diat. 1 1 ,9 ( 201). Ci sono anche ri­ echeggiamenti ecclesiastici di questa interpretazione soprattutto là dove si sottolinea in modo particolare la divinità di Gesù, ad es. Opus Imperfeetum 3 0 (PL 5 6, 79 1 ): neseio parentes in mundo. 3 Tertullian. Cam. 7 (CSEL 70, 21 1 ); Mare. 4,19, 1 3 (CSEL 47, 4 8 1 ). Indirettamente ancora Ambr. In Le. 6,37 (BKV 1/21 , 5 8 1 ): non avrebbero dovuto fermarsi fuori. 4 Chrys. In Mt. 44,1 (PG 57, 464 s.); Eutimio Zigabeno, 392 s.; Teofilatto, 276 (qaÀoBo!;oç xa.Ì tiv,9pw7ttV1J -yvwl-'-lJ); Pietro di Laodicea, 144. 5 Aug. Serm. 25,3 (su Mt. 1 2,4 1-50) (PL 46, 934) con l'esortazione spesso utile: audiant matres, ne impediant carnali affectu bona opera filiorum. 6 Bas. Reg. Brev. 1 8 8 (PG 3 1. 1 208); Ambr. In Le. 6,3 6 (BKV I/21 , 5 8 1 ); Hier. Epist. ad Heliodorum 14,3 (BKV 11/1 6, 28 1 ). 7 Ad es. Tommaso d'Aquino, Leetura, nr. 1075 (generatio caelestis); Dionigi il Certosi­ no, 1 59 (eoneeptio spiritualis); Lapide, 272. s Ad es. Orig. In Mt. fr. 282 (GCS 1 2, 1 26); Ambr. In Le. 6,3 8 (BKV 1/2 1, 5 82); An­ selmo di Laon, 1 3 68; Bengel, 86. 9 Aug. Io. Ev. Traet. 10,3 (BKV I/8, 1 70); Set. Virg. 3·5 (CSEL 44, 237. 239); Opus Imperfeetum 30 (PL s 6, 79 1 ). Io Lapide, 272. 2.

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A questo punto la Riforma ha segnato una svolta liberatrice, che ha con­ sentito di cogliere nuovamente il messaggio positivo del testo. Zwingli fa notare la maggiore libertà che avevano gli antichi nel parlare anche delle debolezze dei santi rispetto a quanto accadeva ai giorni suoi, «quando oggi consideriamo i santi come divinità » . 1 Particolarmente incisiva è l'interpre­ tazione di Lutero, al quale certo non si può negare una certa venerazione per Maria: secondo lui, nel nostro testo si tratta di porre l'ubbidienza ver­ so Dio al di sopra di >, al primo posto davanti alle vedove e agli sposati.5 La graduato­ ria stilata in base agli ideali monastici aveva invece in testa gli anacoreti davanti ai monaci cenobiti e ai cristiani sposati. 6 Queste gerarchie erano diffuse ancora al tempo dei riformatori 7 e vennero da loro subito combat­ tute. 8 Essi parlavano dei diversi «stati>> ai quali appartengono i padroni, i servi, gli uomini, le donne, i celibi, le nubili, gli sposati, ecc. In tutti gli «Stati» sono richieste buone opere; nessuno «stato>> è già di per sé una buona ope­ ra.9 Perciò nella comunità non si deve disprezzare la «gente comune»; Dio la ama quanto gli altri. 10 Al contrario, l'esegesi della controriforma conti­ nuò a sostenere che, in ogni caso, ci sarebbe stata una ricompensa diversa per i vari gradi di perfezione. Ma quali siano i gradi di perfezione non è una questione di verità, bensì di utilità, sulla quale deve decidere il predica­ tore nella sua parenesi. 1 1 In questo modo questa esegesi sembrerebbe aver t lren. Haer. 5,3 6,2. Orig. In Mt. 296 (GCS 1 2, 1 3 2). Per tutta la questione cf., oltre a QuacquarelliQ, le due opere di HeubergerQ. 3 Dionigi il Certosino, 1 62: a carnalibus ad spiritualia, continentia virginalis; cf. Kna­ benbauer, I, 5 8 1 . 4 Orig. Hom. in Ios. 2,1 ( se 7 1 , 1 1 8); cf. già Exhort. Mart. 49 (BKV I/48, 209-212). Cf. inoltre Cypr. Hab. Virg. 2 1 (BKV I/34, 79); Aug. Quaest. Evang. 1 ,9 ( 1 3 ); Tomma­ so d'Aquino, Lectura, nr. 1 09 3 . 5 Per la prima volta in Athanas. Epist. Ammun ( H . Koch, Quellen zur Geschichte der Askese und des Monchtums in der alten Kirche [SQS n.s. 6), 1933, 5 1 ); cf. Heuberger, SiimannQ, 3 14 s.; inoltre in Hier. In Mt. 1 06; più diffusamente in Hier. Adv. Iovin. 1,3 (PL 23, 222 s.). 6 Teofilatto, 280 e il Matteo ebraico, ad loc. 7 LuteroQ, 1 2 1 , le sostiene ancora in una predica del 1 5 17, tuttavia con una limitazione: la persona ha la precedenza su ogni opera e merito. 8 Per Lutero cf. Loewenich, Luther, 3 6 s.; inoltre Calvino, I, 396. 9 LuteroQ, 1 26 s. (predica del 1 5 28). In questa predica Lutero dice molto sobriamente che la castità è essenzialmente una questione di vitalità biologica e non di virtù. 10 Calvino, I, 396; Musculus, 3 64 ( « non minus charus est, qui trigecuplum, eo qui cen­ tuplum habet» ). n Lapide, 280 s.; Maldonado, 274: « Parabolam ad mores nostros alii (sottinteso: alcuni Padri) aliter, omnes utiliter accomodarunt» . z.

IL SEME NEL QUADRUPLICE TERRENO

capito ciò che stava a cuore ai Padri della chiesa antica, che non avevano mai disputato sulle varie classificazioni, ma le avevano tramandate una ac­ canto all'altra in maniera pacifica e senza polemiche. Nella storia dell'interpretazione non sono mancati, oltre all'interpre­ tazione parenetica, i tentativi di leggere la parabola con altre accentua­ zioni, in modo da mettere maggiormente in rilievo la grazia divina. a) L'allegoresi cristologica del seminatore - di per sé molto diffusa - poté essere messa ripetutamente al servizio di questo interesse. Già le Odi di Salomone fanno dire al redentore: . 1 Con molti altri autori Tom­ maso d'Aquino interpreta l' «uscita » del seminatore in senso trinitario co­ me il procedere del Figlio dal Padre. 1 In questo modo la grazia di Dio che precede qualsiasi applicazione umana viene garantita da Cristo. b) L'interpretazione caratteristica della Riforma pone in modi diversi l'accento sulla grazia divina. Per Lutero la parabola non è tanto una para­ bola del terreno o del cuore dell'uomo, bensì del seme e «della fortuna e sfortuna verbi>> .3 Egli attacca soprattutto fanatici e donatisti per il loro di­ sprezzo della parola esteriore: la verità della parola di Dio non dipende dalla sua efficacia; la parola resta vera anche dove non produce frutti, cioè anche nelle chiese della Riforma.4 Così la parabola diventa un conforto per i predicatori che potrebbero dubitare del successo della loro semina. s Nel­ l'interpretazione della Riforma il seminatore viene perciò identificato più frequentemente che altrove non solo con Cristo, ma anche con ogni predi­ catore. 6 Nella tradizione della Riforma sono possibili anche altre accen­ tuazioni della grazia: per Melantone la parola seminata è il > è parte della loro esistenza. Non si vuole dire che, solo se capiscono, i di­ scepoli possono trasmettere la tradizione alla chiesa,3 bensì « capire>> si­ gnifica afferrare con la testa che cosa le parabole del regno abbiano a che fare con la vita. Così capire fa parte del fruttificare.4 Gesù stesso ha insegnato loro l'intelligenza e ora chiude il discorso con un'ultima simi­ litudine. Qui, come ad es. in 6,25; 1 8,23 , Òt� 'tOÙ'to non ha valore cau­ sale, ma rafforzativo 5 oppure, ancora meglio, continuativo: E così (sot­ tinteso: capendo) avviene che ogni scriba . . . In Matteo !J.tx-8l)nuw è atte­ stato come transitivo ( «rendere, fare discepolo >> , come in 28,I9) e forse anche come deponente intransitivo ( «diventare discepolo>>, cf. 27,57). Non è possibile decidere con sicurezza. 6 Il dativo 'ti) �cxatÀEL Cf 'twv oùpa­ vwv può indicare un complemento di rapporto 7 o di vantaggio ( «diven­ tare discepolo per il regno dei cieli>> ) . 8 Anche in questo caso è impos­ sibile prendere una decisione certa. È invece chiaro, grazie ai due passi paralleli, che anche qui il verbo ha il solito significato di «rendere di­ scepolo» (o « diventare discepolo>> ) e non l'accezione più limitata, ma comunque possibile, di «ammaestrare>> .9 Ma chi è « ogni scriba reso diI In 'Er. 21b (Bill., I, 677) rab J:Iisda interpreta i frutti vecchi e nuovi di Cant. 7,14 co­ me la torà e le parole degli scribi. Cf. anche ]ad. 4,3 (Bill., I, 677): le «cose nuove» nella casa dell'istruzione corrispondono alla halaka di Mosè dal Sinai. :z. Le parabole dell' o!xoòea1to� sono le sue favorite: cf. 13,27; 2.0, 1 ; 2.1,3 3 (redazionale); 24,43. 3 Contro Trilling, Amt, 3 3 · 4 Cf. sopra, a 1 3 , 1 6 s.23 . 5 Eutimio Zigabeno, 429: oùx .. �htoÀoytxov, àÀÀiX fjt[3atw·nx6v, àvd -rou «àÀlJ&il> corrisponde quindi al discepolato per il regno dei cieli, il > alla funzione tradizionale più importante dello > . Que­ sta lettura si adatta molto bene all'interesse teologico fondamentale di Matteo: dato che Gesù adempie la legge e i profeti ( 5, I 7 ), Matteo è in­ teressato a evidenziare la continuità tra il « vecchio » e il «nuovo>> .2 Se­ condo la concezione dell'evangelista, la frattura tra « vecchio>> e «nuo­ vo>> non si verifica a livello del messaggio, bensì della ricezione, nei de­ stinatari del messaggio, il popolo di Dio. Nel contesto questa interpre­ tazione si adatta bene alla citazione di compimento di I 3 ,3 5 , dove i mi­ steri del regno di Dio, che il popolo si limita ad ascoltare, mentre i di­ scepoli li capiscono, sono definiti > in senso etimologico. La formulazione generica «vecchio» e non significa, dunque, la tradizione di Gesù traman­ data e la sua attualizzazione per la comunità. 4 A mio parere tale lettura è impossibile: la proclamazione (e quindi anche l'attualizzazione) della tra­ dizione di Gesù è compito, secondo Mt. 28,19 s., di ogni discepolo, non solo degli scribi cristiani. Ritengo anche che, alla luce di 28,20, si possa escludere che Matteo abbia anteposto il >, inteso nel senso di ap­ plicazione e adeguamento della tradizione di Gesù, al , inteso come la tradizione di Gesù stessa. Nel caso della tradizione di Gesù, Mat­ teo non fa affatto una distinzione tra «vecchio>> e «nuovo» , bensì per lui è importante proprio che la proclamazione attuale del Signore glorificato al­ tro non sia che quella dei «vecchi>> comandamenti del Gesù terreno. La difficoltà maggiore del nostro breve testo consiste nella sua collo­ cazione nel contesto: perché alla fine del discorso delle parabole si parla dello scriba ? Dopo che i discepoli hanno capito le parabole di Gesù, ci si sarebbe aspettati un detto conclusivo di Gesù che parlasse del loro compito. Invece Gesù parla del yptz[.L[.Ltz-re:uç cristiano, quindi del «teolo­ go>> e del suo specifico compito. Non si può eliminare questa difficoltà. Il v. 52 non è certamente l'obiettivo dell'intero discorso, ma resta, al­ meno per Matteo, un pensiero aggiuntivo molto importante. Ma per­ ché è per lui tanto importante? Forse perché l'unità e continuità tra l'A. T. e la storia e proclamazione di Gesù proprio nella sua situazione, dopo la rottura con Israele, costituiscono una preoccupazione centrale.5 Pror Nella storia dell'interpretazione l'anticipazione matteana del «nuovo» fornì ai pre­ giudizi cristiani sugli scribi giudaici una ghiotta opportunità per manifestarsi. Cf. ad es. Jiilicher, Gleichnisreden n, 1 3 2: «l ypa(L(Ltz'tEi> in parenesi. Così la maggior parte delle parabole storico-salvifiche sono bidimensionali. Viceversa non ci sono parabole che non prendano le mosse, in una maniera o nell'altra, dalla nuova realtà che è sorta me­ diante la storia di Gesù. Sia la semina sia la grande remissione del debi­ to, sia la ricerca della pecora smarrita sia l'essere incaricati della ge­ stione domestica ( 24,4 5 ) - in una maniera o nell'altra quasi tutte le pa­ rabole matteane accolgono la nuova realtà di Gesù, anche quando non mostrano alcuna tappa o prospettiva di storia della salvezza. La maggior parte delle parabole non va quindi interpretata secondo una sola di­ rettrice, bensì ha una potenzialità di senso a un doppio livello ... In questo si può notare una sorprendente vicinanza di Matteo all'ese­ gesi biblica della chiesa antica. Anche lì le interpretazioni allegoriche erano soprattutto al servizio di due diversi orientamenti del messaggio, cioè dell'applicazione alla vita dell'ascoltatore nell'interpretazione mo­ rale, e del riconoscimento, attraverso la fede, della storia della salvezza nell'interpretazione allegorica e anagogica. A questo proposito, anche nell'interpretazione biblica della chiesa antica i diversi sensi della Scrit­ tura stanno uno accanto all'altro e non uno contro l'altro. Essi sono espressione delle potenzialità presenti in un unico e medesimo testo. Ana­ logamente anche la comprensione è a più livelli: le parabole vogliono allo stesso tempo fondare una conoscenza e provocare un'azione; capi­ re è a un tempo comprendere e agire (cf. Mt. I 3 , I 9-23 ). Dato che con la sua interpretazione delle parabole Matteo fa propri interessi decisivi di Gesù, cioè il rapporto delle parabole con la propria opera da un lato e la loro traduzione nella vita dall'altro, ne consegue che si forma una lix P. Ricoeur, Stellung und Funktion der Metapher in der biblischen Sprache: EvTh 3 4 ( 1 974) (Metapher) 70: «All'intraduòbilità (della parabola) nel linguaggio comune ri· sponde solo la applicatio . . mediante la prassi della vita » . :t Perciò l'aspetto storico-salvifico corrisponde, i n una certa maniera, a ciò che abbiamo definito, riguardo a tutta la storia matteana, «trasparenza indiretta » , l'aspetto pareneti­ co della «trasparenza diretta», cf. sopra, pp. 92-96. .

L'INTERPRETAZIONE MATTEANA DELLE PARABOLE

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nea continua, che nell'interpretazione delle parabole va da Gesù alla chiesa antica passando per Matteo. A mio parere l'interpretazione delle parabole nella chiesa antica è, tutto sommato, più vicina a Gesù di quan­ to lo sia la razionalizzazione e generalizzazione delle parabole condotta da jiilicher. L'interpretazione matteana delle parabole è un ponte tra Ge­ sù e la chiesa antica, che può far capire la vicinanza tra i due. 5 . Le parabole matteane come parabole di giudizio. Nelle parabole di Matteo il giudizio assume indiscutibilmente una posizione preminen­ te. Già la parabola della zizzania, presumibilmente secondaria, nella quale dalla mietitura di Mc. 4,2.9 si ricava la separazione di Mt. 1 3 ,4043, lo ha dimostrato. La formula del pianto e dello stridor di denti è di­ ventata la conclusione stereotipata di ben cinque parabole. 1 Le parabo­ le di giudizio contenute in Matteo pongono quasi sempre l'accento sul­ l'esito negativo... Esse vogliono mettere la comunità in guardia. A dire il vero, dal punto di vista della storia della tradizione è spesso difficile di­ stinguere esattamente tra una forma originaria ed eventuali riformula­ zioni matteane. Facendo un confronto con le parabole del materiale proprio di Luca risulta però evidente che nel complesso Matteo preferi­ sce parabole con l'esito tragico oppure che spesso lo accentua.3 Le parabole trattano quindi continuamente del giudizio. I primi due blocchi di parabole finiscono con immagini di giudizio ( 1 3 ,40-43 .49 s.; 22., I I-q). Nel terzo blocco di parabole ( 2.4,42.-25,30) il giudizio stesso è addirittura il tema centrale. Viceversa, per l'annuncio matteano del giudizio la forma espressiva dominante è quella della parabola. Prescin­ dendo da alcuni brevi logia (ad es. 7,21 -23; 1 0,3 2 s.), in Matteo si par­ la di giudizio esclusivamente in parabole. Lo si nota particolarmente con una lettura sincronica dei capp. 24 s. Qui Matteo racconta sotto forma di annuncio diretto da parte di Gesù, gli eventi dell'età finale fino alla raccolta degli eletti e al lamento delle nazioni ( 24,2.9-3 1 ) . Poi la forma del discorso cambia bruscamente e iniziano contemporaneamente il di­ scorso diretto rivolto alla comunità e le parabole. Persino la descrizione di ciò che alla fine il figlio dell'uomo farà delle nazioni radunate avvie­ ne nel famoso testo della divisione tra pecore e caproni ( 2 5,3 1 -46) in maniera talmente immaginosa, che non è mai mancato chi fosse conI

1 3 ,42.. 50; 2.2., 1 3 ; 2.4, 5 1 ; 2.5,30. Cf. 1 3 ,40-43 .49 s. (al v. 43 si parla dei giusti soltanto di sfuggita); 1 8,3 2.-3 5; 2.2., 1 1-13; 24,43 (immagine negativa dello scassinatore); 24,50 s.; 25,1 1 s. (l'accento cade sulle ra­ gazze stolte); 25,24-30. Per usare le categorie di D.O. Via, Die Gleichnisse ]esu, Miin­ chen 1970, 97: le parabole «tragiche» prevalgono nettamente sulle «comiche». 3 Mancano in Matteo, ad es., Le. 1 5,8-1o. n - 3 2; 1 6, 1 -8; 1 8,1-8. 2

47 0

RIEPILOGO

vinto - a torto, ma non certo a caso - di leggervi una parabola. Forma e contenuto formano quindi un tutt'uno: nelle sue parabole Matteo par­ la ripetutamente di giudizio e del giudizio Matteo vuole evidentemente parlare soprattutto in parabole. I dati testuali ci pongono davanti a domande di un certo peso: che co­ sa significa teologicamente questo spostamento dell'accento sul giudizio? Il messaggio di Gesù è stato forse spostato qui sull'etica, sull'imperati­ vo, forse sul « legale» ? E che cosa significa che le parabole divengano la forma di espressione linguistica preminente dell'annuncio del giudizio? Ci troviamo forse davanti a un uso scorretto da parte di Matteo di una forma linguistica di Gesù ? A questo punto non possiamo ancora dare una risposta a tali domande e per il momento le teniamo in sospeso. I RIEPILOGO

IL MESSAGGIO DI F ONDO DEL DISCORSO DELLE PARABOLE Bibliografia (a) nella sezione su Mt. I J , I - 5 3 (so pra, p. 3 68 ) .

A. Il discorso delle parabole come parte della storia di Gesù. Le inter­ ruzioni narrative in questo discorso (vv. 1 0- I I a.34- 3 7a) mostrano che il cap. 1 3 , analogamente ai successivi capp. 23-25, è in primo luogo un pezzo di storia. Questa storia espone come i discepoli, grazie all'insegna­ mento di Gesù, imparino a capire l'incomprensione del popolo e il fine pratico delle parabole. Dal punto di vista dei discepoli si tratta dunque della storia di un cammino verso la comprensione. Sull'altro fronte c'è lo sfondo negativo del popolo, il cui cammino finisce in un vicolo cieco. Eppure, nonostante tutto, il discorso delle parabole non è una semplice tappa nella storia matteana. Lo si capisce in quanto nella sezione succes­ siva ( 1 3 , 5 3 - I 6,2o) la storia prosegue innanzitutto come se il discorso delle parabole non esistesse affatto: Gesù si rivolge ancora al popolo, che non è ostinato, ma ha un atteggiamento aperto e amichevole nei confronti di Gesù. Il fossato si fa sempre più profondo tra Gesù e i capi d'Israele, ma non tra Gesù e il popolo. Soltanto in I 6, 1 3 -20 si manife­ sta un certo distacco, un allontanamento - ma non un'aperta ostilità ­ tra Gesù e il popolo. 1 E soltanto nella storia della passione ci si rende conto che il popolo nel suo complesso ha respinto la chiamata di Gesù al regno di Dio. Ma qual è allora il senso dell'interruzione narrativa ope­ rata dal discorso delle parabole? La nostra tesi è questa: essa condensa I :1.

Cf. nel vol. m l'excursus sulla concezione del giudizio nel vangelo di Matteo, S S 3 Cf. sotto, a 1 6, 1 3 s.2o.

e 5·

IL SENSO DEL DISCORSO DELLE PARABOLE OGGI

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e anticipa la storia dell'intero vangelo di Matteo in forma concentrata. Qui si anticipa e si insegna ai discepoli ciò che accadrà nella storia di Gesù nel suo complesso. Per questo - e non per ragioni formali 1 - il di­ scorso delle parabole costituisce il centro dell'intero vangelo di Matteo. B. Il discorso delle parabole come appello alla comunità. Questa con­ densazione della storia matteana nel cap. 1 3 è al tempo stesso un discor­ so rivolto alla comunità, in due sensi. 1 . L'incomprensione d'Israele, an­ zitutto, per la comunità non può essere in alcun modo motivo di con­ ferma né di rassicurazione. Tale incomprensione ha piuttosto una forza performativa e vuole essa stessa produrre comprensione. Matteo vuo­ le condurre all'intelligenza, e quindi alla vita, la comunità dei discepoli proprio mediante la comprensione di questa incomprensione. Inoltre fa parte dell'intelligenza applicare a se stessi la parola di Gesù sul regno dei cieli e produrre i suoi frutti (cf. vv. 19-2 3 ) . Proprio perché non ha fatto queste due cose, il popolo diventa un modello negativo e un am­ monimento. 2. Inoltre il nostro capitolo è una parola diretta d'incorag­ giamento e una richiesta alla comunità: si parla dei frutti, del futuro del regno dei cieli che è il futuro di una comunità in movimento e, ancora una volta, del dare via ciò che si possiede. Ma soprattutto, la prospetti­ va temporale del nostro capitolo si estende fino al giudizio finale. 2 La visione del giudizio finale del figlio dell'uomo è una chiave, poiché esso è il motore determinante dell'azione della comunità. Esso impedisce che la chiesa separata da Israele trionfi in quanto nuovo popolo escatologi­ co di Dio e, soddisfatta di sé, si rallegri per la propria grandezza e per i gentili che affluiscono a essa. Esso fa sì che nel nostro capitolo la chiesa appaia unicamente come chiesa che opera e agisce, che è chiamata a pro­ durre frutti e dovrà ancora essere sottoposta alla prova del giudizio. La comunità impara: tutto ciò che Gesù insegna in parabole sul regno dei cieli dovrà essere da lei tradotto nella sua propria vita e nella sua pro­ pria prassi. È qui che essa dimostra di aver capito. IL SENSO DEL DISCORSO DELLE PARABOLE OGGI

Alla luce di Matteo sono due gli aspetti centrali per la comprensione odierna del regno di Dio: 1 . Da un lato il regno dei cieli è chiaramente una realtà trascendente che diventerà palese solo nel futuro. Dio stesso la creerà. Ciò che la chie1

Cf. vol. r, pp. 40 s. 2 Cf. il modello di struttura «storica» di Denis b (v. sopra, p. 370 n. 1 ).

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RIEPILOGO

sa deve fare è ascoltare l'evangelo di Gesù, pregare (Mt. 6, 10) e sperare (Mt. 26,29 ). 2. La seconda idea di fondo è quella della comunità dei discepoli che opera attivamente ed è ubbidiente: il regno futuro del Padre, che inizia con il giudizio del figlio dell'uomo Gesù, libera e incoraggia adesso la comunità perché possa operare attivamente. Le parabole matteane del regno di Dio hanno un poterèperformativo: esse non insegnano soltan­ to, bensì fondano l'ubbidienza 1 che già ora a esso è dovuta. A fronte di ciò, proprio queste due dimensioni del regno di Dio, il suo carattere futuro e la sua trascendenza da un lato, e l'attività umana in vista di esso dall'altro, sembrano per molte persone dissaldarsi. Si può operare nella storia in vista di obiettivi, speranze o utopie secolari, im­ manenti, sui quali gli uomini possono intendersi e che essi possono por­ tare a compimento. Ma il regno di Dio futuro, creato da Dio e non dal­ l'uomo, sembra proprio segnare la fine della storia umana e quindi, an­ che dell'attività umana. La nostra comprensione della realtà, caratteriz­ zata dal fondamentale concetto moderno dell'autonomia e della capaci­ tà di agire del soggetto umano si scontra qui con una comprensione del­ la realtà radicalmente diversa, che ci risulta molto estranea. Possono chiarire questo punto due riferimenti alla storia degli effetti dell'idea del regno di Dio in epoca moderna. a) l. Kant è molto vicino a Matteo in quanto non riesce a immaginarsi un uomo morale che non sia un uomo attivo, praticamente fattivo. Per lui il regno di Dio comincia «quando . . . il principio del passaggio graduale del­ la fede ecclesiastica alla religione generale della ragione, e così a uno sta­ to etico (divino) generale sulla terra ha messo radici in generale . . : e anche pubblicamente». 2 U regno di Dio non è dunque niente di trascendente ed è futuro soltanto nel senso che adesso la sua costituzione è ancora lontana da noi. Ma proprio questo aspetto, che per Kant il regno di Dio sia in defi­ nitiva l'autorealizzazione collettiva degli uomini morali e non un'attesa di qualcosa di totalmente altro, significa in Kant la liberazione in vista del­ l'agire. L'uomo stesso diventa qui l'esecutore del piano universale divino) Insieme col carattere trascendente e futuro del regno di Dio viene di conse­ guenza a cadere, per Kant, anche l'idea della grazia incondizionata in quanx Per questo è giusto che du Plessis4 e soprattutto Phillips4 cerchino di cogliere il senso pragrnatico del capitolo. Phillips4, 42.5: «Il lettore di Mt. 1 3 è guidato dal narratore ad acquisire la capacità, cognitiva e pragrnatica, di ascoltare e di dire le parabole di Gesù e a impegnarsi in una prassi che produce sia parole sia fatti» . 2 I . Kant, Die Religion innerhalb der Grenzen der blossen Vernunft (PhB 4 5 ), ed. K . Vor· lander, 3 1 903, 1 4 1 . 3 Cf. M. Bussmann, Reich Gottes, i n P . Eicher (ed.), Neues Handbuch theologischer Grundbegriffe IV, Miinchen 1985, 5 5 ·

I L SENSO DEL DISCORSO DELLE PARABOLE OGGI

473

to, in ultima analisi, immorale. 1 A mio parere Kant è l'esempio di come un regno di Dio trascendente, che non coincida con una realizzazione umana, sia impensabile dal punto di vista dell'idea del soggetto umano che opera au­ tonomamente. b) Viceversa per la scuola di storia delle religioni il regno di Dio è qual­ cosa di totalmente trascendente, il nuovo eone che non si sviluppa stori­ camente, ma irrompe improvvisamente in questo mondo come crisi, visibi­ le a tutti. A esso appartiene l'intero arsenale delle speranze e delle idee apo­ calittiche dell'epoca. Ma nell'Europa moderna a questo regno di Dio toccò la medesima sorte del Gesù storico di Albert Schweitzer: fu scoperto, «ma andò oltre il nostro tempo e se ne tornò nel suo», perché «è un'entità al di là della morale>> 1 e non riuscì a motivare alcun agire mondano. Nel miglio­ re dei casi, è possibile capire storicamente che cosa il regno di Dio abbia portato a Gesù e agli altri uomini capaci di credere in esso: l' «entusiasmo profetico>> e l' «estasi pneumatica» 3 legata alla speranza in esso hanno tra­ smesso a questi uomini fiducia e coraggio. La scuola di storia delle religio­ ni mostra come un regno di Dio trascendente e futuro non sia proprio in grado per gli uomini moderni di motivare e sostenere l'azione. Entrambi, Kant e la scuola di storia delle religioni, indicano quale sia il dilemma odierno riguardo al regno di Dio: oggi, come per il passato, un re­ gno di Dio futuro e trascendente non è più, per la maggior parte degli uo­ mini, un'espressione valida delle loro speranze, bensì una cifra religiosa di­ venuta estranea, un grande sogno espresso in maniera alquanto singolare. All'opposto, il regno di Dio nel senso di regno della moralità umana è nau­ fragato miseramente nelle esperienze storiche del xx secolo: due guerre mon­ diali, l'olocausto, l'ingiustizia economica globale, il pericolo incombente della distruzione delle basi naturali della vita e la tecnologia avviata a un'espansione esplosiva, che, invece di portare libertà, domina sempre più l'umanità, ci hanno talmente allontanati dalla fede di Kant nell'uomo, che veramente si può concordare con lui soltanto su un punto: «La reale co­ struzione» del regno di Dio si situa «ancora a una distanza infìnita » .4 A questo punto la chiesa è in grado di prestare aiuto, la chiesa nella qua­ le, proprio nel corso della storia dell'interpretazione delle parabole del no­ stro capitolo, il regno dei cieli è stato sempre visto efficacemente all'opera? Penso che, proprio per quegli uomini che anche oggi lottano seriamente per il grande sogno del regno di Dio, il legame, anzi l'identificazione tra re­ gno di Dio e chiesa, che per secoli ha caratterizzato, in maniera diversa, l'inI «Nessun uomo che rifletta può riuscire a conseguire questa fede (se. in una soddisfa­ zione compiuta per lui gratuitamente), per quanto anche l'amore di sé abbastanza spes­ so ttasformi in speranza il puro desiderio di un bene, per il quale non si fa o non si può far nulla . . . » (Kant, op. cit., 1 34). 1 A. Schweitzer, Geschichte der Leben-]esu-Forschung, Tiibingen 619 5 1 , 632. 640. 3 ]. Weiss, Die Predigt ]esu vom Reiche Gottes, Gottingen 3 1 964, 90. 4 Kant, op. cit., 1 4 1 .

474

RIEPILOGO

terpretazione dei nostri testi, sia diventata radicalmente problematica. Che avrebbe il regno di Dio da spartire con una chiesa che sul versante cattoli­ co viene costantemente sentita come una gerarchia dominante e scoraggian­ te e su quello protestante come un «questo sì e quello pure>> non vincolan­ te? Proprio nella chiesa si nota quanto sia gigantesco l'abisso che separa la pretesa dalla realtà. Se si volesse inserire la chiesa di oggi nelle parabole di Mt. 1 3 , per molte persone l'immagine più naturale non sarebbe quella del grano o del tesoro o del granello di senape, bensì, nel migliore dei casi, l'im­ magine di un campo pieno di sassi e diventato sterile, bisognoso di essere arato urgentemente in profondità. 1 Il senso orientativo oggi. Va da sé che in questa situazione il discorso delle parabole non può esercitare oggi il medesimo fascino, ad esempio, del discorso della montagna anche se, o proprio perché, parla in modo più esplicito di quella prospettiva futura che sta alla base dell'azione co­ mandata nel discorso della montagna. Mi sia consentito di dare, alla lu­ ce dei testi di Matteo, tre suggerimenti per la loro comprensione oggi.� 1. La speranza controfattuale dei sofferenti. Il regno dei cieli è una parola del lessico della speranza. Le parole di speranza danno forza a co­ loro che vivono di speranza. Esse parlano a persone che si trovano in una difficoltà concreta, ad esempio i malati in una clinica, le donne e gli uo­ mini nelle baraccopoli del Sudamerica o le piccole comunità matteane indifese tra il martello del giudaismo ostile e l'incudine dello strapotere dei gentili, in maniera diversa che agli uomini di società dei consumi sa­ ture, i quali non riconoscono più neanche i loro propri bisogni e non si lasciano commuovere dai bisogni altrui. Le persone che soffrono rie­ scono a sviluppare immagini forti della salute, della giustizia, dell'abbon­ danza, della vita e del regno di Dio. La domanda primaria, a questo pro­ posito, n on è mai se simili immagini e abbozzi debbano essere adattati all'immagine del mondo di un'epoca, bensì se e come hanno potuto e possono consolare, incoraggiare e attivare. Esse non hanno mai trovato corrispondenza nelle prognosi mondane, sono state sempre controfat­ tuali. Una società nella quale tali immagini sono diventate fossili reli­ giosi deve lasciarsi porre la domanda se essa sia davvero già così vicina al traguardo da non aver più bisogno di queste immagini di speranza opI 2

Immagine suggerita da

L. Ragaz, Die Gleichnisse fesu, Hamburg 1 9 7 1 , 1 1 8.

Questi suggerimenti sono ovviamente molto soggettivi; alcuni possono trovarli troppo profetici, altri troppo patetici. Ma come potrò rendere giustizia all'interpretazione rnat­ teana delle parabole, che consisteva nel riferire e applicare alla vita le parabole di Gesù, ad esempio con l'ausilio dell'allegoria, se mi sforzo, in quanto interprete, di escludere la mia propria vita dalla faccenda dell'interpretazione? È bene che altri diano suggerimenti diversi. La cosa principale è che capiscano - anche come esperti del N.T. - che non si può rendere giustizia ai testi di Matteo restando fermi accanto a loro.

IL SENSO DEL DISCORSO DELLE PARABOLE OGGI

475

pure se essa tenga a distanza e reprima le necessità, proprie e altrui, con tale abilità da essere diventata incapace di dar voce alle immagini di speranza controfattuali. Nel salotto buono non si può capire la speran­ za nel regno di Dio. Con la speranza nel regno di Dio le cose stanno for­ se come con la richiesta del pane nel Padrenostro: 1 per molti europei occidentali è solo l'attiva com-passione con persone in reali situazioni difficili che ci rende nuovamente accessibile la forza per tali immagini. Oppure basta forse aprire la finestra del salotto buono e far entrare fi­ no a noi le nostre concrete emergenze, cioè rendersi conto con orrore di che cosa significhino realmente le parole apocalittiche dei nostri giorni, ad esempio minaccia atomica, «effetto serra », mancanza di una patria, irreversibilità e accelerazione dello sviluppo tecnologico. :z. 2. L'intelligenza impegnata nel circolo virtuoso di ascolto e azione. La comprensione delle parabole matteane del regno dei cieli avviene in un circolo formato da storie che creano speranza, ammaestramento di Gesù, intelligenza, applicazione alla vita e giudizio del figlio dell'uomo del quale si parla a sua volta nelle storie. Nessun elemento di questo cir­ colo può essere staccato dal resto. Nella sua totalità questo circolo ca­ ratterizza il movimento che viene innescato dal regno dei cieli e che por­ ta a esso. La comprensione del regno dei cieli è quindi per Matteo un pro­ cesso integrato, che fa un tutt'uno con la fede e la vita. Per Matteo non può esistere una comprensione che si tenga fuori di questo circolo. Ca­ pire significa quindi sempre inserire la propria vita in questo circolo e metterla in gioco. Non è possibile capire le parabole del regno dei cieli seduti sul divano. Allora il regno di Dio diventerebbe davvero un fossi­ le religioso, che si può discutere, ma sulla base del quale non è possibile intraprendere alcuna azione, perché un fossile non commuove nessuno. Allora l'azione diventa un'attività autonoma dell'uomo, che non ha più alcun fondamento divino e neanche più alcuna promessa divina. In vi­ sta delle apocalissi odierne questo è, a mio parere, un tentativo decisa­ mente senza speranza. E allora anche la chiesa diventa un'entità osser­ vabile che, identificata col regno di Dio, diventa falsa e, staccata da es­ so, irrilevante. In questa maniera, direbbe certamente Matteo, non si può arrivare affatto alla comprensione delle parabole del regno dei cieli. 3 . Nuove immagini della vita. Il linguaggio delle immagini fa parte del 1 Cf. vol. 1, pp. p o s. e 5 1 1 n. 1 . Cf. anche la medesima constatazione per quel che ri­ guarda i miracoli, sopra, pp. 100 s. I miracoli non sono «meravigliosi » rispetto alle leg­ gi delle scienze naturali, bensì rispetto alle situazioni di reale profonda sofferenza. 1 E. Bloch ha riassunto lapidariamente questo stato di cose nella soprascritta a un capi­ rolo: «fame, 'sogno di una cosa', 'Dio della speranza', cosa per noi» (Atheismus im Chris­ tentum, Frankfurt a.M. 1 968, 344 [cap. p .)).

RIEPILOGO

modo in cui Gesù parla del regno di Dio. Le immagini afferrano le per­ sone, sconcertano, liberano dagli stereotipi della visione del mondo; con­ tengono vita, eppure non esauriscono questa vita. Matteo lo sa bene. Sa bene perché parla del regno dei cieli e del giudizio quasi esclusiva­ mente per immagini. È una caratteristica fatale della storia degli effetti delle parabole di Gesù che esse siano riuscite a dar vita a innumerevoli commenti astratti, in misura minore anche a varianti e a nuove accen­ tuazioni delle vecchie immagini, ma mai a storie del tutto nuove. In una prima fase le immagini sorprendenti sono diventate immagini note, poi immagini canoniche e spiegate esegeticamente, infine dottrine senza più immagini. È forse questo un motivo per cui la vita è in larga misura sparita da queste immagini? Non è possibile capire le parabole del re­ gno dei cieli soltanto attraverso l'esegesi. Andare a scuola dall'unico maestro Gesù non significa soltanto imparare a ripetere a memoria, in maniera esatta, le sue storie (anche questo! ), ma qualcosa di più: inven­ tare noi stessi storie, storie come quelle che Gesù raccontava, ma no­ stre, piene di speranza e di vita, collegate con la nostra propria vita. L'in­ capacità di fare ciò è a mio parere la dimostrazione principe dello stra­ potere della tradizione nella storia cristiana. I I Voglio, se non altro, far presente un felice esempio di ciò che voglio dire. Intendo par­ lare di un libretto del teologo cinese Choan-Seng Song, Die Triinen der Lady Mveng, Ba­ sei 1982. Narra la leggenda di una madre cinese sofferente, che si oppone al potere del­ l'imperatore perché lei ha una speranza diversa. La storia è concepita, scritta e narrata nella prospettiva della croce e risulta molto più possente di un intero trattato di dogma­ tica o di un commento del N. T. in più volumi.

c

IL RITIRO DI GESÙ DA ISRAELE E LA NASCITA DELLA COMUNITÀ ( l 3 , 5 3 - 1 6,20) D.W.

Gooding, Structure littéraire de Matthieu LJ,J3 à r 8,JJ: RB 8 5 ( 1 978) 2.2.7Léon-Dufour, Vers l'annonce de I'Eglise. Mt q, r - r 6 z o, in Id., Etudes d'Evangile, Paris 1965, 23 1 -254; J. Murphy-O'Connor, The Structure of Matthew 14-17: R8 8 2 ( 1 9 7 5 ) 3 6o-3 84; A.G. van Aarde, Matthew's Portrayal of the Disci­ ples and the Structure of Mt IJ,J3 -17,z7: Neot 1 6 ( 1 9 82) 2 1 -34. 252.;

X.

,

n racconto di Mt. I 3 , 5 3 - I 6,:z.o che segue immediatamente il discorso del­ le parabole contiene non solo molte reminiscenze dei capp. I I e I :z., I ma anche ripetizioni. Rientrano tra queste le due moltiplicazioni dei pani in I 4, I 3 -2 I e I 5,3 2.-39 (cf. I 6,8- Io), le due confessioni del figlio di Dio in 1 4,3 3 e I 6, I 6; le due «ritirate>> di Gesù per sfuggire all'ostili­ tà dei capi del popolo in q,I 3 e I S,:Z.I (cf. I 6,4 ) e i due sommari di gua­ rigioni in I4,34- 3 6 e I 5,29-3 I (cf. I4,I4). Proprio a causa delle molte ripetizioni non è facile articolare il blocco di Mt. I 3 , 5 3 - I 6,:z.o. 1 Perso­ nalmente proponiamo un'articolazione in tre sezioni: I 3 , 5 3 - 14,3 3 ; 3 14,34- I 5,39; I 6, I- :z.o. Fondamentale per questa proposta è il triplice ri­ tiro di Gesù per sottrarsi ai capi d'Israele. 4 Due volte il ritiro è segnala­ to, come già in I :Z., I 5, con l'espressione tXvE'X,WplJatv . . . tlc; ( q, I 3 ; I 5,2I). La terza volta il testo recita xa:taÀmwv aù-toùc; &:7ti}À-Btv ( I 6,4c). Prima I

Cf. sopra, pp. 287 s. Molti degli schemi proposti partono dall'unità narrativa di 1 3 , 5 3 - 1 7,27. Le proposte non mancano: ad es. Murphy-O'Connor distingue due parti (1 3,54-16,4 con 1 5,10-20 come •centro» e 1 6,5-17,:z.7 con 1 7,1-8 come •centro» ); Goodinga vede in ogni parte due linee parallele ( 1 3,5 3-14,3 6 // 1 5,1-16,12 e 16,1 3-17,21 1/ 17,:z.:z.-1 8,3 5 ) - Si deve am· mettere che, date le molte ripetizioni e la tendenza maneana a non separare, bensì a uni­ re, diverse pericopi del vangelo, qualsiasi tentativo di organizzare schematicamente la materia ha qualcosa di artificiale. Tuttavia queste proposte di articolazione sembrano ignorare la linea principale della storia matteana, che va dalla separazione da Israele (capp. 1 2.-1 6,20) alla comunità con la sua vita (capp. 1 6,21-20). 3 Pane, 206 s., vede in 1 3 , 54-14,3 6 una sezione principale dedicata al tema «miracolo» inquadrata da 1 3 , 54-5 8 e 14,34-3 6 (pochi miracoli a Nazaret, molti a Gennezaret). Ma in questo modo trascura i diversi •destinatari• di questi miracoli ( 1 3,5 3-58; 14,34-3 6: il popolo; 14, 1 5 .22-3 3 ; i discepoli). Il suo pre-giudizio (mai veramente motivato) consiste nel voler sempre trovare nelle sue sezioni un «tema• , dissolvendo così la na"azione in una sequenza di discorsi tematici. Nella sua analisi segue poi una sezione dal tema «Ge­ sù e i farisei » ( 1 5 , 1 - 1 6,1 2). 4 È lo stesso principio seguito anche da Léon-DufourD per la sua articolazione (cf. 249), con la quale concordo in larga parte. :r.

I L RITIRO DI GES Ù DA I S RAELE

di questi ritiri ci sono sempre pericopi nelle quali sono all'opera gli av­ versari di Gesù ( 14, 1 - 1 2; 1 5 , 1 -20; 1 6, 1 -4b). Dopo i ritiri di Gesù se­ guono, due volte, storie di distribuzione di cibo ( 1 4 , 1 3 - 2 1 ; 1 5 ,3 2-39; cf. 1 6,8-10) e due volte scene che culminano in una confessione da par­ te dei discepoli che Gesù è il figlio di Dio ( 14,3 3 ; 1 6, 1 6) . Una risposta eccessivamente ridondante di Gesù, la quale ricorda la rivelazione del Figlio alla fine della prima parte del vangelo ( I I ,25 -27), costituisce la conclusione della seconda confessione del figlio di Dio. Quanto è chiaro il nucleo delle varie pericopi, tanto ne sono invece incerti ogni volta principio e fine. Non c'è una cesura né tra 14,3 3 e 14,34 né tra 1 5 ,39 e 16,1. Il narratore Matteo non ha voluto, appunto, comporre «pe­ ricopi » , bensì una narrazione dal filo ininterrotto.' Matteo non segue ne­ anche un determinato schema nella successione delle scene di guarigione ( 14,14·34-46; 1 5 ,29-3 1, cf. 1 3 , 5 8 ).1 Mt. 1 3 , 5 3 - 5 8 e 1 5,21 -28 non hanno pericopi parallele nel complesso della sezione maggiore. Qui si può vedere come Matteo segua semplicemente, in un primo momento, la narrazione di Marco, inserendovi senz'altro i propri paletti per segnalare l'articolazione voluta, ma senza apportare modifiche di rilievo all'impianto marciano. In 1 3 , 5 3 - 1 6,2o Matteo non modifica mai il costrutto sintattico incoerente di Mc. 6,1-8,3o, si limita a omettere tre pericopi ( 6,7- 1 3 ;3 7,3 1-3 7;4 8 ,22-26) .

Le singole pericopi sono disposte in sequenza, fanno proseguire l'azio­ ne e approfondiscono la comprensione dei lettori. Se essi guardano agli attanti, notano il progredire dell'azione. I discepoli si avvicinano più profondamente a Gesù attraverso il riconoscimento e la confessione: la seconda confessione del figlio di Dio ( 1 6, 1 6) comporta un approfondi­ mento rispetto alla prima ( 14,3 3 ), poiché Gesù la riprende e risponde con una promessa. Viceversa, gli avversari di Gesù appaiono sulla sce­ na: la loro richiesta di un segno in 1 6, 1 mostra non solo che, da 1 2,3 8 in poi, non hanno imparato niente, ma che la loro malignità è diventa­ ta ancora più palese: Matteo dice ora chiaramente che essi vogliono sol­ tanto tentare Gesù. Infine il popolo ha modo, nel nostro passo, di speri­ mentare ancora una volta la misericordiosa attenzione di Gesù, ma non viene incluso nel processo del riconoscimento e della confessione: viene esortato a capire ( 1 5,10), ma non reagisce. La pericope conclusiva ( 1 6, 1 3 -20) allude a una nuova opposizione, che ora si manifesta anche tra il popolo e i discepoli: mentre a questi il Padre celeste rivela la figliolan­ za divina, «gli uomini » ritengono che Gesù sia Giovanni Battista, Elia o uno dei profeti. Così essi sono esclusi, per così dire, dal conflitto a pro­ r

Cf. sopra, pp. 1 9 s.

1

Comunque, due volte una scena di guarigione è legata a una distribuzione di cibo. Già utilizzata in Mt. 10. 4 Sostituita dal sommario redazionale di I 5 ,29·3 1 .

3

MT. I J , 5 3 - 1 6,20

479

posito di Gesù, che vede contrapposti i discepoli e gli oppositori: a dif­ ferenza di Marco, in Matteo l'invito alla sequela nella sofferenza ( I 6,24} è rivolto unicamente ai discepoli. Alla fine, dunque, la narrazione rende evidente quella distinzione tra popolo e discepoli che il cap. I 3 aveva già anticipato. Il progresso dell'azione risulta evidente anche altrove: J 4 , I 1 2 (la morte d i Giovanni} è , per così dire, il seguito della storia di 1 1 ,26 dove Giovanni era in prigione. La seconda tempesta placata ( 14,223 3 } si riallaccia chiaramente alla prima ( 8,23-27}, ma approfondisce le esperienze dei discepoli nella sequela mediante l'episodio di Pietro che cammina sull'acqua e termina in una confessione. I 5 , I - 20 ricorda per molti aspetti q ,J-23, ma va oltre quel passo con un logion di giudizio rivolto ai farisei ( I 5 , I 3 s.}. 1 5,24 si richiama a 1 0, 5 s., ma quando la cananea riesce a superare la resistenza di Gesù si preannuncia già quel­ la via della salvezza verso i gentili che nel cap. IO il discorso ai disce­ poli aveva ancora vietato d'imboccare. Così, già da questa panoramica, risulta chiaro come la narrazione prosegua in modo continuo: essa non è semplicemente una raccolta di materiale narrativo messo insieme in qualche modo, ma è una storia che sì muove verso un preciso obiettivo. La narrazione è certamente piena dì riprese dì motivi, temi e situazioni precedenti, ma allo stesso tempo li approfondisce e li porta avanti. Nella loro collocazione nel macrotesto le diverse storie non sono sem­ plicemente intercambiabili.

L'articolazione da noi proposta non considera quindi la sezione narrativa di I J , 5 J - I 7,27 come un'unica, coesa sezione dedicata a Pietro con tre sot­ tosezioni che culminerebbero ogni volta in una pericope dedicata a Pietro ( 1 4,28-3 2; I 6, I 6-2o; I 7,24-27}.1 Certo in I 3 , 5 3 - I 7,27 Pietro svolge un ruolo eccezionalmente importante. Egli appare in ruoli chiave molto più spesso che in Marco. Ciò trova corrispondenza nel fatto che nel successivo discorso alla comunità egli introduce ( I 8,2 1 } l'unica interruzione narrati­ va. Fino alla storia della passione, non svolgerà più, un ruolo altrettanto importante. D'altra parte proprio riguardo alla figura di Pietro non si nota alcuno sviluppo narrativo in I J , 5 J -I7,27: egli appare come uomo di poca fede ( I4,28-3 I }, come credente ( I 6, I 6-I 8), come tentatore ( I 6,22 s.), co­ me semplice persona che pone domande ( I 5 , 1 5; I 7,24), da solo o insieme con altri ( I 7,I-4 ) . A mio parere, in I J ,5 J - I 8,J 5, dove si tratta della nasci­ ta { I J , 5 J - I 6,2o) e della vita ( I 6,2I-I7,27; I 8, I -3 5 ) della chiesa, Pietro svolge più la funzione letteraria di elemento di unione tra le varie pericopi. 1

Ellis, Matthew, 66 s. ( «culminano con Pietro» ); Van Aarde0• Le tre sottosezioni sono IJ,54-14,3 3; 14,J4-I6,2.o; x 6,2.1-17,2.7. La suddivisione in sottosezioni è però dubbia: soprattutto in x 6,2.I-17,2.7 non è affatto perspicuo in che misura la parte precedente prepari la scena di Pietro. E perché mai, ad es., la scena di Pietro in 1 7,2.4-2.7 dovrebbe essere più importante delle scene di Pietro in 1 6,2.2. s. e 1 7,1-4?

1

L'ASSASSINIO DI GIOVANNI E IL PRIMO RITIRO DI GESÙ ( l J , 5 3 -14,3 3 ) L I . GES Ù INSEGNA A NAZARET ( x 3 , 5 3 - 5 8 ) J. Blinzler, Die Bmder und Schwestern ]esu (SBS 2 1 ), 1967; L. Oberlinner, Ristori·

sche Oberlieferung und christologische Aussage. Zur Frage der «Bmder ]esu» in der Synopse (FzB 19), 1975, 3 50-3 5 5 e passim; F. van Segbroeck, ]ésus rejété par sa patrie (Mt. IJ,J4-J8): Bib 48 ( 1968) 1 67-198; Th. Zahn, Forschungen zur Ge· schichte des neutestamentlichen Kanons und der altkirchlichen Literatur, VI/2. Bt'U­ der und Vettern ]esu, Leipzig 1900, 22.7-372.

Ed ecco, appena Gesù ebbe finito queste parabole, se ne andò via di là. 54 E arrivò nella sua patria e insegnava loro nella loro sinagoga così che essi si spaventavano e dicevano: «Ma da dove mai ha questa sapienza e i prodigi? 55 Non è il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Mariam e i suoi fratelli Giacomo e Giuseppe 1 e Simone e Giuda? 56 E le sue sorelle non sono tutte tra di noi? Da dove gli viene dunque tutto ciò ? » . 5 7 Ed erano pieni di rabbia per lui. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è mai disprezzato se non nella propria patria e nella propria famiglia! » . 5 8 E a causa della loro incredulità non vi compì molti prodigi. 53

Il v. 53 è la conclusione redazionale del discorso delle parabole. La formula­ zione è simile soprattutto a 19,1a, mentre il timore dei nazareni per l'inse­ gnamento di Gesù ricorda 7,28. La piccola storia che segue ha una struttu­ ra chiastica concentrica. Al centro ci sono le domande dei nazareni, con ogni volta una domanda introdotta da 'lto-8tv all'inizio e alla fine (vv. 54c e 56b) e, in mezzo, tre domande negative. I vv. 54ab e 5 7ab inquadrano la storia! In questa struttura concentrica il v. 5 8 è superfluo e svolge la funzione di una sorta di appendice.' Nelle domande dei nazareni colpisce il minuzioso elenco di madre, fratelli e sorelle di Gesù. In questo modo Matteo si rial­ laccia alla pericope dei veri parenti di Gesù ( 1 2,46-so), un richiamo che for­ se anche quell'inciso «e nella propria famiglia» (v. 57), che forza il senso 1 Alcuni mss. leggono secondo Marco 'Iwcrl).; o 'Iwalj, che corrisponde alla forma gali­ laica del nome Giuseppe. 'Iwcivvllc; (�• ?) dovrebbe essere l'errore di un amanuense (Metzger, Commentary, 34). 2. Cf. la disposizione grafica della traduzione e Segbroeck", 1 84. 3 Segbroeck", 1 90.

MT. I 3 , 5 3 - 5 8

nel contesto, vuole sollecitare. Rispetto a Mc. 6,1-6 la storia è un po' ridot­ e lievemente «ritoccata» ' nella rappresentazione di Cristo, ma non modi­ ficata sostanzialmente. I cambiamenti sono tutti redazionali. 2. Qui non ci so­ no minor agreements che presuppongano una base testuale diversa da quel­ la del testo marciano a noi noto. 3 La storia della formazione del testo pri­ ma di Marco esula dai nostri obiettivi qui. Insieme con Gnilka 4 suppongo che il ricordo di un fatto storico sia stato integrato secondariamente con una massima corrente sul profeta misconosciuto (Mc. 6,4). ta

53-5 7. L'evangelista conclude il discorso delle parabole con la sua consueta formula finale. Gesù va via dal lago e torna nel suo vecchio luo­ go d'origine,5 Nazaret. Egli comincia a insegnare nella sinagoga locale. Quel «loro» crea una distanza e allude alla consapevolezza in Matteo e nei suoi lettori di non appartenere più alla comunità sinagogale. Gli ascoltatori di Gesù si spaventano per il suo insegnamento, come alla fine del discorso della montagna (7,28; cf. 22,3 3 ). La reazione scettica dei presenti fa capire che lo spavento non contiene alcuna nota positi­ va. Nel contesto « sapienza » indica la predicazione di Gesù, mentre nel­ l'uso linguistico di Matteo i « prodigi» sono sempre i miracoli di guari­ gione di Gesù, molti dei quali sono stati già compiuti nelle varie locali­ tà della Galilea (cf. n,2 1 . 3 3 ) . Né la sapienza né i prodigi sono confa­ centi al figlio di un artigiano, per di più uno che tutti conoscono. Il ter­ mine -.éx-.wv può indicare qualsiasi artigiano che lavori il legno o la pie­ tra, ad esempio che costruisca case o fabbrichi attrezzi. 6 Nel vangelo di 1

Cf. il commento a u!àç -.oii -.Éx-.ovoc; e al v. 5 8 . Cf. vol. l , intr., 4-2, pe r v. 54. n .Swv, wan; v. 5 5 : passivo di M"'(W con i nomi; v. 56: rclita. Cf. vol. 1 , pp. I IO s., per l'espressione «nella loro sinagoga» . 3 Ennulat, Agreements, I 5 7·I 62, rimanda i n particolare a Mt. I 3 , 5 5 /1 Le. 4,22 ( o -.oii 'ttX"t"OVDtÉx>twv e oixoool'o,4 ma perché la nascita verginale di Gesù non è centrale per la comprensione matteana di Cristo.5 > e , e non ha nien­ te a che fare con l'aiuto sociale, dice oggi Schmithals.3 In passato avevano detto qualcosa di simile non soltanto Lutero,4 ma ancor prima Tommaso d'Aquino. 5 e) A metà strada tra l'interpretazione « sociale » e quella puramente «spi­ rituale >> si colloca l'interpretazione eucaristica. Nella sua forma moderna questa interpretazione prende le mosse soprattutto dalla somiglianza della preghiera di ringraziamento e della fractio panis di Gesù (v. 1 9 parr.) con le parole dell'istituzione della cena. 6 Nella chiesa antica l'interpretazione eu­ caristica è marginale. 7 Nell'esegesi cattolica della controriforma l'eulogia o eucarestia di Gesù venne interpretata quale efficace benedizione del pane, in analogia con le parole dell'istituzione nella liturgia della messa e la mol­ tiplicazione stessa in analogia con la transustanziazione, 8 il che suscitò le più vibrate proteste degli esegeti evangelici.9 f) Le prospettive ermeneutiche che possiamo chiamare, in senso lato, ecclesiologiche sono affini all'interpretazione storico-salvifica e a quella eu­ caristica. Nella maggior parte dei casi i discepoli costituiscono il punto di aggancio: nella loro funzione di apostoli essi distribuiranno in futuro i be­ ni di Cristo. Io L'interpretazione ecclesiologica vede prefigurato nella loro r G. Dehn, Der Gottessohn, Berlin J 1 9 3 2, 1 26; simile è, ad esempio, anche la lettura di Schniewind, 178. z. Esempi: Colombano moltiplica pane e birra (HWDA VIII, 222); i l vescovo Riccardo sfama tremila poveri con un pezzo di pane che gli cresce in mano (in Abramo da Santa Chiara [HWDA viii, 223 n. 65 5)).

3 5

4 Luteroa, 230 (predica del 1 5 26 s u Gv. 6). Schmithals, Mc. 1, 3 26, cf. 323. Tommaso d'A., Lectura, or. 1 242: Spirituales escae praeponendae sunt carnalibus.

6 Così, pregnante, la lettura di Van Iersela, 1 69-173; Heisinga, 61-65; Patscha, 2 1 2-216 (Mt. 1 5,36 è vicino al racconto paolino dell'istituzione della cena); Gundry, 294 (non solo i discepoli, ma anche il popolo; dunque la chiesa tutta mangia la cena del Signore). 7

Ambr. In Le. 6,94 (BKV I/ u , 6o6 s.) parla di una « indicazione» della cena a venire.

8

Non ho trovato testimonianze di un'interpretazione diretta del pane come pane del­ l'eucarestia. Maldonado, 294 s., interpreta la «benedictio» quale benedizione efficace del pane in analogia con Gen. 1,22.28. Lapide, 29 5, ritiene che la trasmutazione del pa­ ne in Mt. 26,26 sia la stessa di qui. Luteroa, 23 1 (predica del 1 5 24); Musculus, 382 s. Episcopio, 88, fa notare che tale in­ terpretazione di tÙÀoylJatv sarebbe possibile solo in Le. 9, 1 6, dove i pani sono esplicitaro Musculus, 3 8 3 . mente l'oggetto. 9

5 00

IL NUTRIMENTO DEI CINQUEMILA

funzione di mediatori per il popolo (fine del v. 1 9 ) il ruolo del prete o del pastore nella celebrazione della cena. I Soprattutto l'interpretazione stori­ co-redazionale moderna di Matteo considera il comportamento ambiguo dei discepoli verso Gesù segno di quella «poca fede» caratteristica della co­ munità di Matteo. 1 Molte di queste interpretazioni svolsero già un ruolo nei testi del N.T. e nelle fasi anteriori della storia della tradizione. Se un narratore come Matteo ha raccontato una seconda volta la nostra storia, ciò significa che egli ha accentuato determinati aspetti del potenziale di senso della storia, !asciandone altri nell'ombra senza sfruttarli.3 Questa afferma­ zione non significa che egli abbia voluto criticare o censurare la storia. La storia dell'interpretazione ha dimostrato di conto di questo anche per­ ché non si è limitata quasi mai a utilizzare una sola versione del testo biblico, ma ha sempre abbracciato con lo sguardo tutti i testi evangelici insieme per mettere poi in risalto, tra le copiose interpretazioni possibi­ li, quelle che meglio rispondevano alla propria situazione e alla propria tradizione ecclesiastica. Perciò in questo caso è molto difficile porre domande critiche alla storia dell'interpretazione partendo dall'interpre­ tazione di un'unica versione del testo. Adesso si cercherà di delineare co­ me Matteo abbia accentuato la nostra storia nell'ottica della sua imma­ gine del (( Dio con noi » Gesù. 13 s. L'introduzione collega la storia col macrotesto: per la seconda volta (dopo 1 2, 1 5 ) Gesù si ritira a causa della minaccia costituita dai capi d'Israele. Il popolo segue Gesù: è quindi ancora potenzialmente chiesa 4 e quindi non ancora incapace di capire e separato dai discepoli, come aveva accennato, proletticamente, il cap. 1 3 . L'evangelista si cura ben poco dei particolari del racconto: non dice né dove avvenne la di­ stribuzione del cibo né fa capire bene da dove « esca » Gesù al v. 14· Come in 9,3 6, la misericordia di Gesù è il motivo di tutto quanto ora farà. Per misericordia egli guarisce, innanzi tutto, i malati del popolo. Non si tratta di una frase vuota: per Matteo la misericordia del messia d'Israele per il suo popolo è importante; essa si manifesta quasi sempre nelle sue guarigioni.5 Altrettanto fondamentale è il compito di guarire I 1

Held, Matthiius, 174 s.; Van IerseJa, 1 9 2. s.; Schenkea, 1 6 3 ( «discepoli come mediatori•). Cf. sotto, p. 501 n. 7·

3 Che in Matteo compaiano accenti del tutto nuovi è improbabile, considerato il modo in cui ha abbreviato tutta la storia. 4 Cf. vol. 1, a 4,2. 5 . s Con ÈÀtÉw (9,2.7; 1 5,2.2.; 1 7, 1 5 ; 2.0,30 s. ) o con crnÀay-x,vl?:o!l- !11 (9,3 6 [dopo 9,3 5]; 1 5, 32. [dopo 1 5 ,2.9-3 1); 2.0,34).

5 01 affidato ai discepoli mandati in missione. • Alle guarigioni segue im­ mediatamente la distribuzione del cibo. Dopo le guarigioni «concrete» è difficile supporre che la distribuzione del cibo abbia un carattere solo simbolico o sacramentale. Gesù sfama la folla con un miracolo altret­ tanto «concreto» . 15-18. La distribuzione del cibo è introdotta da un'esortazione dei discepoli: essendosi fatto tardi, Gesù dovrebbe mandare la gente nei villaggi a comprarsi da mangiare. La formulazione indica forse che la folla non era, in primo luogo, il popolo povero, « tormentato dalla pre­ occupazione del pane quotidiano» . " Matteo dà per scontato che la gen­ te fosse in grado di comprarsi qualcosa. Forse la formulazione abba­ stanza precisa 3 «essendosi fatto tardi •• tradisce l'estrazione urbana del­ l'evangelista: sembra che nelle città si usasse maggiormente consumare il pasto principale la sera.4 La risposta al v. 1 6 allude già a che cosa fa­ rà Gesù: dice a priori che la gente non deve andar via. Matteo lo dipin­ ge quindi come Signore potente e sovrano, che ordina ai discepoli ciò che è apparentemente impossibile, ma sa esattamente che cosa fa. Mat­ teo sostituisce la risposta dei discepoli in Marco perché suona quasi «in­ solente» : essi non si portano mai dietro duecento denari, l'equivalente della paga di duecento giornate lavorative di un operaio giornaliero (Mc. 6,3 7). In Marco quella risposta aveva la funzione di mettere in eviden­ za la grossolana incomprensione dei discepoli; in Matteo resta solo la perplessità: abbiamo solo cinque pani 5 e due pesci 6 (v. 1 7). L'evange­ lista quindi pensa sicuramente alla presente anche nella sua comunità, in bilico tra fiducia e disperazione,? anche se l'espressio­ ne riapparirà esplicitamente solo nella storia che segue. Ma ciò non si­ gnifica semplicemente una spiritualizzazione: per Matteo rientrano nel­ la fede anche questioni concrete, come gli alimenti (cf. 6,25-34). Il dia­ logo con Gesù, nel quale si rivela la fede o la poca fede, avviene ancora una volta prima del miracolo vero e proprio: 8 la fede non si basa sul x

Cf. sopra, a 10,7.8a-d (commento e storia degli effetti). :t Schlatter, 467. Mc. 6,3 5 l'indicazione relativa dell'ora (wpe� 1toÀÀ�) è molto più vaga. 4 Krauss, Archiiologie m, 30 s. 5 I cinque pani sono intesi qui in senso simbolico? Repo0, 1 09, fa notare che per i rabbi il pane può essere un simbolo della torà (cf. Bill . , n, 483 s., sub c), così che si avrebbe un riferimento ai cinque libri di Mosè. Ma i due pesci non si adattano a questa lettura. Neanche 1 6, 5 - 1 2 presenta indicazioni in questo senso. 6 Pane e pesce sotto sale o in salamoia come companatico sono il pasto usuale della gen­ te comune. 7 Held, Matthiius, 1 73; Van Cangh0, 146-148. Cf. anche sopra, a 8,24.26. 8 Cf. 8,26; 9,22.28 s. e il commento relativo. 3 In

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miracolo, ma lo spera e invoca. Gesù sorvola sullo scetticismo dei disce­ poli e si fa portare i pani e i pesci. 19. Con un ordine, nuova allusione alla sovranità di Gesù, il narra­ tore introduce il miracolo vero e proprio. Manca il riferimento marcia­ no ( 6,40) ai bivacchi di cento e di cinquanta persone. Se Matteo è re­

sponsabile di questa omissione, l'idea della restituzione del popolo di Dio dell'epoca del deserto, richiamata dall'immagine dei bivacchi del­ l'accampamento, 1 per lui non è evidentemente importante. Gesù pren­ de il pane e i pesci, alza lo sguardo al cielo, 1 pronuncia la formula abi­ tuale di lode a Dio,3 spezza i pani, li dà ai discepoli e questi li danno alla gente. Nel leggere queste espressioni i lettori giudeocristiani si ri­ cordavano contemporaneamente dei propri pasti consumati in famiglia e nella comunità e anche della cena del Signore. Essi intendevano la no­ stra storia in primo luogo quale storia di un miracolo, che però ricordava loro qualcosa che essi stessi continuamente sperimentavano insieme con il loro Signore: la comunione dei pasti e della cena del Signore.

A dire il vero si discute se il nostro testo intenda richiamare la cena del Si­ gnore. Gli argomenti a favore dell'allusione eucaristica sono: rispetto a Marco, Matteo avrebbe eliminato il riferimento alla distribuzione dei pesci (Mc. 6 ,4 1 s., cf. v. 43 ), non adatto alla celebrazione della cena. Inoltre la lo­ cuzione o�tiXç tè: yevo!J-ÉVY)ç (M t. 1 4 ,1 5 ) corrisponderebbe all'introduzione alla cena del Signore in Mc. 14, 1 7 / Mt. 26,20.4 Gli argomenti contrari so­ no: Matteo non ha comunque omesso del tutto il riferimento ai pesci e l'ar­ monizzazione del testo della storia con il racconto dell'istituzione della ce­ na è solo parziale. 5 A mio parere è sbagliato impostare la questione come alternativa: cena del Signore o pasti giudaici. È certamente vero che non si può dimostrare che Matteo abbia rafforzato di proposito, rispetto a Mar­ co, i riferimenti alla cena,6 ma questi erano già presenti naturalmente nel r

Cf. Gnilka, Mc. I, 2.60 s. Un gesto di preghiera possibile, ma non usuale nel giudaismo, cf. Bill., n, 2.46 s. 3 Cf. Bill., IV, 6 1 3 s. 62.1. 62.3. Naturalmente Gesù non « benedice» i pani (così in Mc. 8,7 [Matteo è diverso] e Le. 9, 1 6): in ambito religioso giudaico si loda Dio, non si bene· dice il cibo. 4 Cf. spec. Van IerseJa, r72. s. 5 In un punto (eòwxtv) i contatti del testo di Matteo con quello di Marco sono persino più numerosi che con il testo del suo stesso racconto dell'istituzione. Ma è naturale! Egli co· nosceva Mc. 14,2.2. s. ma non aveva ancora scritto il proprio racconto. Qualcosa di simi· le è accaduto per Mt. 1 3 ,44-46 // Mc. 10,2. 1 . Matteo ha anche letto Marco in previsione di quanto avrebbe lui stesso scritto. Cf. anche sopra, « fonte» di Mt. 9,2.7-3 r . Ad es. Roloff, Kerygma, 2.53 s., contesta un riferimento alla cena perché, secondo lui, Matteo vorrebbe rigiudaizzare la storia ellenistica della distribuzione del cibo di Mc. 8,1-9. Ma qui la sua fonte è proprio Mc. 6,4 1 , che non ha alcun bisogno di essere rigiudaizzata. 6 Forse la fine di Mc. 6,4 1 mancava già nella fonte di Matteo, che in generale mostra la :z.

5 03 vangelo di Marco, i cui lettori non giudeocristiani dovevano per forza sen­ tirsi rammentare la cena del Signore,' e Matteo non li ha ) è al con­ tempo una misura di capacità pari a circa 10 l - è chiaro che tutti de­ vono aver mangiato fino a essere sazi perché è avvenuto un miracolo. Nel testo non c'è alcun appiglio per sostenere che il numero 1 2 potreb­ be riferirsi in qualche modo ai dodici discepoli. Vista l'omissione di Mc. 6,40 è anche improbabile che Matteo abbia pensato alle dodici trib ù di Israele.1 21. Matteo chiude la storia con un'appendice di commento per i suoi lettori, che indica il numero dei partecipanti, precisando così, senza cor­ reggerla, l'indicazione di Marco. Anche da questo particolare si evince che egli prende sul serio il miracolo realmente avvenuto: al numero di cinquemila uomini che hanno mangiato si devono poi aggiungere le don­ ne e i bambini. Nell'ottica della storia degli effetti questa informazione finale è interessan­ te. Mentre nella tradizione esegetica greca è chiaro che anche donne e bam­ bini sono presenti,3 nell'interpretazione occidentale della chiesa antica e di quella medievale essi sono esclusi: in quanto sexus fragilis et aetas minor essi sono indegni. 4 Per Anselmo di Laon le donne sono «rammollite e de­ dite ai vizi » . 5 Per Pascasio Radberto i giochi infantili sono simili all'idola­ tria.6 Origene è il padre spirituale dell'interpretazione orientale e occiden­ tale/ senza che si trovino già in lui i punti più bassi dei Padri occidentali. A partire dal XVI secolo 8 le donne e i bambini riappaiono a ingrossare il nu­ mero dei partecipanti e quindi per rendere il miracolo più grande. tendenza a rendere la sua fonte più stringata. La locuzione olj.1rxç ÒÈ può anche alludere all'ora abituale (cf. sopra, p . 5 0 1 n . 4) della cena.

YEVO(I-ÉVlJc;

(v. 1 5 )

1 Contro Gnilka, Mc. I, 2.61 s.; Pesch, Mc. I, 3 5 2. s. Per loro la cena del Signore era di fatto l'unico pasto «giudaico» che conoscessero. 1 Heisinga, 5 1 ; Repoa, 103 .

3 4

Eutimio Zigabeno, 436, sottolinea addirittura l'aspetto familiare del pasto miracoloso. Hier. In Mt. 1 2. 3 .

5 Anselmo di Laon, 1 3 8 3 . Cristiano d i Stavelot, 1 3 83, parla d i instabilis sexus et muta­ bilis. Dopo il medioevo questa interpretazione scompare. 6 Pascasio Radbetto, 5 2. 1 . 7 Orig. In Mt. 1 1 ,3 (GCS 10, 37 s.). 8 Musculus, 3 84.

IL NUTRIMENTO DEI CINQUEMILA

Per Matteo, che con la sua rielaborazione ha messo in risalto la sto­ ria della distribuzione del cibo trasmessa dalla tradizione, era impor­ tante la sovranità assoluta di Gesù, che manifesta in maniera molto con­ creta il proprio potere nei riguardi della malattia e della fame. Per lui era importante che il popolo sperimentasse una volta di più il potere e l'attenzione amorevole del suo messia. Per lui erano importanti anche i discepoli, per i quali questo miracolo aveva un significato particolare. Essi sono certo pusillanimi, ma hanno sperimentato il potere misericor­ dioso del loro Signore. Lo sperimenteranno di nuovo ( 1 5,3 2-39) e gra­ zie a queste esperienze arriveranno all'intelligenza ( I 6, 5 - I 2). Dietro ai discepoli c'è la comunità che, nella sua vita vissuta alla presenza del Si­ gnore risorto, nei suoi pasti comunitari e nella celebrazione della cena del Signore, può vivere di riflesso qualcosa del miracolo verificatosi al· lora sulle rive del lago. 1 Per l'evangelista non erano invece importanti qui le dimensioni storico-salvifiche, la memoria del miracolo di Eliseo e della manna, che egli ha fatto scomparire dalla scena del suo racconto. In che rapporto sta il testo matteano con la ricca gamma delle inter· pretazioni «simboliche>> incontrate nella storia dell'interpretazione ? Gli sono relativamente vicine l'interpretazione ((ecclesiologica >> (f), ma an· che quella (( sociale >> concreta (c) e quella (( eucaristica >> (e). Altri livelli d'interpretazione sono importanti dal punto di vista della tradizione si­ nottica complessiva. Tra questi rientra l'interpretazione storico-salvifi­ ca (a), che sviluppa, a modo suo, i collegamenti biblici della tradiziona­ le storia della distribuzione del cibo con Eliseo e la peregrinazione di Israele nel deserto. Ha anche le sue ragioni l'interpretazione morale del nostro testo (b), in quanto con i loro pasti comunitari le comunità han­ no continuato, dopo pasqua, la prassi delle comunioni conviviali di Ge­ sù. In tutti i casi avviene che le esperienze proprie delle comunità con il Risorto influenzano e, per così dire, sviluppano questa storia che parla del Gesù terreno. Quasi tutte le interpretazioni sembrano perciò avere, in un modo o nell'altro, la propria ragione. L'unica domanda impossi­ bile è evidentemente quella sull'interpretazione ((giusta >> del nostro te­ sto. Al contrario: proprio la molteplicità dei diversi approcci ermeneu­ tici potrebbe essere un'espressione della vitalità del Gesù risorto, che nel­ le comunità continua la propria storia di allora. Nel caso di questa sto­ ria, interpretare significa quindi anzitutto scoprire nei testi la ricchezza delle esperienze e non limitarla. Soltanto nel caso dell'interpretazione x La stretta connessione del racconto dell'eccezionale miracolo antico dei pani e dei pe­ sci con l'esperienza della cena del Signore, che rende quel miracolo « trasparente», ha dunque la funzione di ancorare le esperienze presenti della comunità nella passata storia di Gesù, cf. Luz, funger, 1 5 3 .

«spiritualistica » (d) penso si possa dire che non colga in pieno il senso del testo, almeno nella misura in cui svia dalla concretezza e dalla per­ sonificazione dell'amorevole sollecitudine di Dio, della quale testimo­ niano sia il nostro testo sia le esperienze delle prime comunità cristiane.

1 . 4 . GESÙ E PIETRO CAMMINANO SUL LAGO. LA PRIMA CONFESSIONE DEL FIGLIO DI DIO ( 1 4 ,22- 3 3 ) W.

Berg, Die Rezeption alttestamentlicher Motive im N. T. - dargestellt an den See­ wandelerziihlungen (Hochschui-Sammlung Theologie. Exegese 1 ) , Freiburg 1979; G. Braumann, Der sinkende Petrus: ThZ 22 ( 1 966) 403 -4 14; W.N. Brown, The Indian and Christian Miracles of Walking on the Water, London 19 28; A.M. De­ nis, La marche de ]ésus sur /es eaux, in J. de la Potterie (ed.), De ]ésus aux Évangi­ les (BEThL 3 5 ), 1 967, 23 3-247; J.D.M. Derrett, Why and how Jesus walked on the Sea: NT 23 ( 1 98 1 ) 3 3 0-348; E. Drewermann, Tiefenpsychologie und Exegese n, Olten-Freiburg 1 9 8 5 , 27-3 5 ; j.P. Heil, ]esus Walking on the Sea (AnBibl 87), 1981; R . Kratz, Der Seewandel des Petrus: BiLe 1 5 ( 1 974) 86-101; J. Smit-Sibinga, Matthew q,22-33. Text and Composition, in J.E. Epp - G.D. Fee (edd.), N. T. Tex­ tua/ Criticism (Fs B. Metzger), Oxford 1 9 8 1 , 1 5 -33; R. Stehly, Boudhisme et N. T. A propos de la marche de Pierre sur l'eau (Matthieu q,28 s.): RHPhR 57 ( 1 977) 433-437· . 22 E immediatamente egli intimò ai discepoli di salire in barca e di prece­ derlo sull'altra riva, finché non avesse congedato la folla. 23 E congedò la folla e salì da solo sul monte per pregare. Ma essendosi fatto tardi, egli sta­ va là, tutto solo. 24 La barca si trovava però già molti stadi lontana da terra. Era minac­ ciata dalle onde poiché aveva il vento contro. 25 E alla quarta vigilia egli venne a loro, camminando sul lago. 26 Ma quando i discepoli lo videro camminare sull'acqua, rimasero sconcertati e dicevano: « È un fantasma! » . E si misero a gridare per la paura. 27 Ma su­ bito Gesù I parlò loro e disse: «Coraggio, sono io! Non temete » . 2 8 Ma Pietro gli rispose e disse: « Signore, se sei tu, ordinami di raggiun­ gerti camminando sull'acqua! » . 29 Ed egli disse: «Vieni! » . E Pietro scese giù dalla barca e si allontanò sull'acqua e raggiunse 2 Gesù. 30 Ma quando si accorse del vento,3 fu preso dalla paura, cominciò ad affogare, gridò e dis­ se: «Signore, salvami ! » . 3 1 E Gesù stese immediatamente la mano, lo af­ ferrò e gli disse: > e « la peg­ gior specie di sciovinismo » s e per molti è diventato impensabile che Gesù potesse aver richiesto una sottomissione di questo genere. Ma, per fortuna, l'esegesi storico-critica ha nel frattempo liberato da tale sospetto il logion incriminato dichiarandolo spesso non autentico. 6 Nella tradizione della Riforma il centro della storia non è più l'umiltà, ma la fede. Soprattutto Lutero, in due prediche notevoli/ ha interpretato il nostro testo in riferimento alla fede contro ogni apparenza esteriore: «Cri­ sto si pone qui così come sente il cuore. Il cuore pensa che lì ci sia un sono­ ro no, eppure non è vero. Perciò il cuore deve abbandonare il proprio sen­ tire e afferrare e tenere stretto con la salda fede nella parola di Dio quel pro­ fondo sì nascosto sotto e oltre quel no, proprio come fa questa povera don­ na » . 8 Per la maggior parte degli interpreti influenzati dalla Riforma la no­ stra storia diventa una storia di fede9 pur nella diversità degli accenti: al posto della fiducia salda e irremovibile che si manifesta nella preghiera del­ la donna, vengono messi spesso in evidenza gli ostacoli che la fede, intesa come atto, doveva superare.10 L'interpretazione proposta da H.J. Held, diI Cf. Lapide, 307; Hier. In Mt. 1 3 3 (fides, patientia, humilitas); Chrys. In Mt. 5 2,2 (PG 5 8, 5 20 s.) (costanza, saggezza, umiltà). :z. Aug. Serm. n, u , cf. 77,1 . 1 3 (PL 3 8,487, cf. 483. 488 s.); Petr. Chrys. Serm. 100.4 (CChr.SL 2.4A, 6 1 9). 3 Alberto Magno, 618: masculinum sibi ingerens animum . 4 Olshausen, 506: «La fede e l'umiltà sono tanto intimamente una cosa sola . . . ; esse atti· rano giù, nella realtà terrena, persino l'essere celeste stesso. Qui la fede appare . . . una condizione interiore dell'anima . . . , la perfetta femminilità dell'anima » . 5 Beare, 342 s . 6 Per la questione dell'autenticità del logion cf. Pesch, Mc. 1, 390 s. 7 Predica del 21 febbr. 1 5 24 (WA 1 5, 4 5 3 -457); Fastenpostille, 1 5 25 (WA 17/11), 200-4. 8 Lutero, Evangelien-Auslegung n, 5 1 0 (Fastenpostille del 1 5 25 ) . 9 Cf. a d es. Bucero, 1 3 6; Bullinger, 1 5 1 . È d i grande effetto l a lettura di Zinzendorf, n, 1030: « 'Sì, Signore! eppure'. Non lo si può dire con meno parole: è veramente tutta la teoria della fede condensata in tre, quattro parole» . I o Cf. ad es. Dickson, 2. 1 4 s.: la storia tratta delle «quattro prove della fede» .

5 39 venuta «classica >> nell'esegesi contemporanea, che intende la nostra storia come dialogo didascalico sul ••tema della fede» / rientra in questa tradi­ zione esegetica protestante. 2 I . Cercheremo di seguire e precisare nel testo stesso questi due orien­ tamenti dell'interpretazione. Già nel primo versetto l'obiettivo storico­ salvifico appare chiaro. Dopo gli attacchi dei farisei e degli scribi, Gesù si ritira ancora una volta. Si reca nei territori di Tiro e Sidone 1 dove in­ contra una donna gentile che esce e va verso di lui. Xcxvcxvcx'to� non è sol­ tanto un termine biblico che equivale a «gentile •• ,3 ma probabilmente anche il modo in cui i fenici 4 designavano se stessi al tempo di Mat­ teo.s Matteo il Siro, che forse conosceva l'aramaico, avrebbe dunque sostituito la denominazione tipicamente « occidentale» l::upocpotvtxtaacx 6 (Mc. 7,26) con una propria, «locale » .?

Ma secondo Matteo Gesù si è davvero recato in terra gentile? Lo si conte­ sta 8 e precisamente per due ragioni, che si contraddicono a vicenda. a) Dal punto di vista geografico il territorio urbano di Tiro era al tempo estrema­ mente esteso, arrivando fino a Qadesh (meno di 10 km a nord-ovest del La­ go di Merom). Esso comprendeva ampi territori, che nella visione biblica appartenevano alla terra santa, precisamente alle tribù di Asher, Dan e Nef­ tali, e sicuramente erano abitati a quel tempo da una popolazione ebraica.9 Gesù potrebbe quindi essersi fermato nel territorio di Tiro, ma in villaggi 1

Held, Matthiius, x 8 6-1 89, citazione 1 82.. 2 La coppia di città gentili più citata nell'A.T. Cf. sopra, a n,21 e p. 2.50 n. 7· 3 Cf. Klauck, Allegorie, 2.74. 4 «Fenici» è la traduzione greca di «Cananei » : �otvt� è il termine greco derivato dal­ l'agg. qlOi� «rosso» (G. Wallis, in BHH m, 1465). Canaan indica «fino all'età ellenisti­ ca la costa della Siria, la zona dove si estrae il kinachchu, la porpora rossa, e il territorio interno» (J. Hempel, in BHH n, 92.6). Is. 23, I I s. mostra che la Fenicia apparteneva a Canaan. 5 Secondo Aug. Expos. Rom. 1 3 (CSEL 84, 1 62.) i rustici di lppona si chiamavano Cha­ nani. In medioebraico il termine kena•ani significa «cananeo», «fenicio» e «mercante» (Jastrow, 1, 650). «Canaan» come nome geografico di paese è documentato su monete del n sec. a.C. e secondo O. Eissfeldt (Phoiniker [Phoinikia], in PW xx/x, 3 54) in Filone di Biblo. 6 Theissen", 2.2.2.. I cartaginesi erano libofenici. Soprattutto dal punto di vista occidenta­ le (romano?) i fenici dovevano essere distinti dai loro vicini cartaginesi. 7 Non per questo è da supporre che Matteo fosse fenicio (così Kilpatrick, Origins, 1 3 2. s.). 8 Da parte, ad es., di Manson, Sayings, 2.00; Kasting", 1 1 3 ; Légasse", 2.4-2.6; Donaldson, fesus, 1 3 2.; Schweizer, 2. 1 5 . 9 A. Alt, Die Stiitten des Wirkens ]esu in Galiliia , in Id., Kleine Schriften zur Geschichte des Volkes Israel u, Miinchen 1 9 5 3 , 4 5 3 s.; A.H.M. Jones, The Cities of the Eastern Roman Provinces, Oxford 11971, 2.70; Theissen", 2.17-2.19.

540

L'INCONTRO CON LA CANANEA

giudei. Dal punto di vista biblico egli continuava a stare «in terra santa». Che Matteo usi l'espressione «gentile » « la regione di Tiro e Sidone» indica però che l'evangelista non è interessato all'idea della terra santa «biblica». b) Dal punto di vista filologico il v. 22 potrebbe significare che la donna «uscì da quel territorio>>, così che essa avrebbe incontrato Gesù in Galilea e non in territorio fenicio. In questo caso però si dovrebbe tradurre la locu· zione e:lc; 't!Ì [J-ÉplJ TUpou xt�l. :EuSwvoc; «in direzione della» regione di Tiro e Sidone. Ma questa traduzione è improbabile: cbtò 'twv òplwv è.xdvwv va rife­ rito quasi sicuramente a yuv� e non a È�eÀ-8ooot�. I Per e:lc; è senz'altro più na­ turale supporne il significato normale di «in» (moto a luogo).z. Gesù si recò quindi temporaneamente nel territorio delle città gentili Tiro e Sidone, proprio come in 8,28-34 si era recato nel paese dei gada­ reni, nonostante 10,5 s. Già nella prossima pericope egli sarà di nuovo in Israele. Al problema storico-salvifìco e geografico e della terra santa Matteo sembra poco interessato; quello che gli sta più a cuore sono le persone: per lui è importante l'incontro di Gesù con una gentile. Que­ sto incontro è un'eccezione, come quello col centurione di Cafamao, e Matteo lo mette in risalto proprio come tale. Ma è un'eccezione che avrà un futuro. 22. Come altri che cercano da Gesù una guarigione, la donna, oppres­ sa dal suo grave problema, grida 3 e continua a gridare senza posa.4 Non è dimostrabile né che si trattasse di una ragazza madre o di una vedova perché è lei che «esce>> per andare da Gesù a causa della bambi­ na e non il padre,5 come in 8,5 s.; 9,18; 1 7, 1 4 s., né che la donna po­ tesse essere una cittadina di lingua greca di condizione agiata. 6 Ma Matteo non è interessato a nessuna di queste due cose. Le sue informa­ zioni sulla donna sono ridotte al minimo: solo le sue grida incessanti fanno capire la gravità del suo problema. Il bisogno insegna a pregare: la donna si rivolge a Gesù parlando la lingua dei salmi biblici/ dunque con il linguaggio della preghiera familiare nella comunità. Ciò permette ai lettori di identificarsi COn la donna. XUptE è l'appellatiVO COn CUi i di­ scepoli e coloro che cercano aiuto si rivolgono a Gesù. 8 Con l'epiteto I Come risulta dalla costruzione della frase, cf. 4,25; 27,57. Altrimenti in Matteo il ver­ bo sarebbe stato anteposto: cf. 1 4, 1 3 ; 19,1; 20,29; 24, 1 . In Matteo il verbo È�xe:a.S11t può essere usato in modo assoluto: cf. 9.3 1; 14,14 [indicazione di C. Riniker]. z. Come Mc. 7,24. In Matteo non c'è alcun segno di una correzione. 3 Cf. 8,29; 9,27; 20,30 s., cf. 21,1 5. 4 Verbo all'imperfetto. 5 Ringea, 70. 6 Come suppone Theissena, 2 1 1-21 3, sulla base dei termini 'EÀÀlJvi.; (Mc. 7,26) e xÀivr, (Mc. 7,30). 7 ÉÀÉlJaov (U XUpl!: Sal. 6,3; 9,14; 26,7; 30,10; 40,5; 8 5,3; u 2,3 ecc. 8 Cf. sopra, a 8,1-3.

MT. 1 5 ,21 -28

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«figlio di David» la gentile riconosce di stare rivolgendosi al messia di Israele, il quale ha già guarito molti del suo popolo sofferente.' La don­ na sa dunque che Gesù è stato mandato a Israele, e ciononostante gli rivolge il suo grido: proprio in questo si manifesta la sua fede. 23 s. I discepoli cercano di scacciare la donna. Il loro è un ruolo ne­ gativo, come in 14, 1 5 ; 19,1 3 . La loro interpretazione delle grida della donna non è molto cortese: essi non colgono la morte che questa ha nel cuore, sentono solo le sue urla, che li inseguono e li infastidiscono.

È comprensibile che questo atteggiamento scostante mal si adattasse al­ l'immagine ecclesiastica tradizionale dei discepoli e che quindi si sia cerca­ to di scusare i discepoli. La chiesa antica interpretò in larga parte l'espres­ sio ne cbtoÀuaov a.Ù't�v nel senso di «)asciala andare », cioè «esaudisci la sua richiesta» .2. Questa interpretazione ebbe poi, a sua volta, conseguenze nel­ la storia della teologia: i discepoli che intercedono divennero evidentemen­ te nel tardo medioevo i modelli per l'intercessione dei santi. L'esegesi della Riforma si ribellò a questa interpretazione, riscoprendo il senso genuino del v. 2.3 b. Per Lutero il testo dimostra così che l'intercessione dei santi è inutile. l La parola di Gesù al v. 24 non è scollegata dal contesto,• ma svolge nei confronti della donna una precisa funzione retorica: Gesù ribadisce la contrarietà manifestata dai discepoli e dà alla loro scortesia una «di­ gnità», per così dire, storico-salvifìca. Le pecore perdute della casa di Israele 5 non sono soltanto le « pecore nere» d'Israele, ma tutto il popo­ lo di Dio cui è diretta la missione di Gesù. Il v. 24 è formulato solenne­ mente come detto missionario, con linguaggio biblico 6 e in maniera così radicale ed esclusiva 7 da non lasciare più alcuno spazio all'esaudi­ mento della richiesta della donna. Il rifiuto dei gentili, che Gesù aveva già espresso in un caso concreto in 8,7, diventa qui un principio che 1 Cf. sopra, a 9,2.7, ed excursus «figlio di David nel vangelo di Matteo» . Naturalmente non ci si deve domandare come facesse la dona gentile a sapere che Gesù è il figlio di Da­ vid (è per questo che nella storia dell'interpretazione la donna è diventata una proselita, v. sopra, p. 5 3 7 n. z.), ma soltanto che cosa intendesse dire Maneo con questo epiteto. l Ad es. Hil. Pict. In Mt. 1 5,z. (SC z.s8, 34). Cf. ancora la Einheitsiibersetzung tedesca: •liberala (dalla sua pena ) » . Il v. 2.4 respinge poi la richiesta dei discepoli. La motivazio­ ne della richiesta dei discepoli con una proposizione introdotta con o·n diventa allora comunque molto singolare. 3 Lutero, Evangelien-Auslegung n, 504 (predica del z.1 febbraio 1 5 2.4) . 4 Come pensano Trilling, lsrael, 101; Lachs, z.48. 7 oux . EÌ 11-lJ· 5 Genitivo epesegetico, cf. sopra, a Io,sb-6. 6 Cf. sopra, p. n4 n. 4· ..

54 2

L'INCONTRO CON LA CANANEA

consegue dalla sua missione voluta da Dio. I Alla luce di questo passo, è chiaro che il mandato missionario verso i gentili (28,1 8-20) signifi­ cherà una svolta fondamentale nel piano divino. 1 Nella retrospettiva della comunità matteana che ha ricevuto dal Signore il mandato della missione alle genti, il v. 24 è « storico»,3 ma non per questo superato e privo di significato: la comunità si sente dire da questo versetto che Dio è rimasto fedele alle promesse particolari fatte a Israele mandando Ge­ sù, il figlio di David. Essa si sente anche dire che, con il suo rifiuto di Gesù, Israele si è caricato di una colpa nei confronti di Dio:• La sua at­ tenzione per i gentili dopo pasqua è un nuovo, inaudito atto di grazia del Risorto. Ciò che Gesù fa verso la donna gentile nella nostra storia è un «segnale » che preannuncia questa futura, inaudita grazia di Dio. 25 s. La donna si rivolge ancora una volta a Gesù prostrandosi ai suoi piedi in segno di omaggio (cf. 8,2; 9 , 1 8 ) . Ancora una volta si ri­ volge a lui chiamandolo « signore» e di nuovo lo implora con parole pre­ se dal lessico di preghiera dei Salmi.5 Ancora una volta (v. 26) Gesù ri­ sponde negativamente. L'interpretazione della metafora dei cani e dei figli ondeggia tra una scusa minimizzante, che sdrammatizza l'aspetto offensivo del paragone con i cani,6 la spiegazione storica che ricorda le tensioni sociali della regione 7 e l'indignazione per la mentalità ristretta di Gesù. 8

Per l'interpretazione del contenuto della metafora è importante ricordare che xuvcipwv non significa «cucciolo, cagnolino», bensì denota il cane di casa.9 Nell'antichità i cani di casa erano diffusi e apprezzati in tutti gli stra­ ti sociali esattamente come in qualsiasi altra epoca Io se si prescinde dal xx secolo e dalla cinofilia talora esagerata del primo mondo. Anche nel giu­ daismo non c'era una particolare ostilità verso i cani; per contro c'era un diffuso timore per i numerosi cani randagi. 11 Mentre occasionalmente si -

I

.Xm:a't"aÀlJV: passivo divino. Marco vede le cose diversamente, cf. Z. Kato, Die Volkermission im Markusevangelium (EHS.T 25 2), 1986. 3 Strecker, Weg, 109. 4 Trilling, lsrael, 105. s Sal. 43 ,27; 69,6; 78,9; 108,28 LXX (sempre imperativo aoristo). 6 Ad es. M'Neile, 23 1 : «una tenerezza che ha del divertente» . Spesso si fa notare che X!Jo vciptov è un diminutivo e significa «cagnolino», che nella lingua di una società moderna, cinofila, suona molto carino! 7 Theissen4, 214-221, ricorda le tensioni sociali tra la popolazione rurale giudaica di· pendente e la più ricca popolazione urbana ellenizzata del territorio di Tiro. 8 Cf. Beare, 342 s. 9 Bauer, Wb6, s.v. Il diminutivo in uso era x.uvt8tov. I o F. Orth, Hund, in PW VIII, 2 5 5 7 s. «Cane,. è sia un'ingiuria sia un oggetto d'arte, animale degli dei e simbolo di fedeltà, cf. W. Richter, Hund, in KP n, 1 245-1249. 11 Per questo nella Mishna i cani vengono classificati tra le fiere (Kil. 8,6 [Bill., 1, 722]). 1

MT. I 5 , 2 1 -28

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gettava qualcosa da mangiare ai cani randagi e poi li si scacciava di nuovo, i cani domestici venivano naturalmente nutriti con gli avanzi di casa. Que­ sto è un luogo comune della letteratura antica. 1

L'immagine proviene dall'ambito domestico e non tratta dei cani sel­ vatici, che erano disprezzati. Solo per i cani domestici ha senso la con­ trapposizione tra figli e cani. Il paragone è sprezzante, quindi, non per­ ché i cani sarebbero stati animali particolarmente miserabili, bensì solo perché la donna gentile non viene paragonata a un figlio. Marco aveva trattato la questione diversamente, ponendo delle priorità: si dà da man­ giare prima ai figli, mentre i cani ricevono gli avanzi solo dopo. Ciò corrisponde alla prassi normale. La risposta della donna in Mc. 7,28 spo­ sta l'accento della metafora: anche i cani sotto la tavola ricevono comun­ que qualcosa ! Matteo omette Mc. 7,27a e quindi il 1tpro-rov relativizzan­ te. Ciò è in linea con il suo fondamentale v. 24. L'immagine viene così ad assumere una diversa accentuazione: non si tratta più degli avanzi del pasto dei figli che i cani ricevono dopo; ora si dice che figli e cani non ricevono lo stesso cibo. Anche in questo caso l'immagine rimane nel qua­ dro della vita quotidiana. :z. In Matteo l'immagine è ovviamente intesa in senso allegorico: dopo il v. 24 redazionale, si identificheranno i figli con gli israeliti 3 e i cani con i gentili, sebbene «cani» non fosse una metafo­ ra convenzionale per «gentili» .4 Soltanto questa identificazione rende comprensibile anche la diversa accentuazione dell'immagine rispetto a Marco. Per Matteo, giudeocristiano, la differenza tra giudei e gentili è dunque una differenza di principio; non si tratta solo della questione cronologica del momento in cui è iniziata la missione ai gentili. 27. La donna è d'accordo con Gesù. Che in questo modo lei stessa si sarebbe definita « una cagna » è una forzatura del testo, dovuta a una r Aristot. Gen. An. :z.,6 (744b) (nella olxovop.itz il cibo migliore è riservato ai liberi, il peg­ giore agli animali domestici); Eur. Cret. 469 [6:z.6] (gli avanzi per i cani); Phaedr. Fab. 3, 7 (ed. A. Benoit, Paris 3 1 969) (ossa dalla tavola del padrone); Apul. Met. 7,14 (gli avan­ zi per i cani); Quint. Inst. Orat. 8,3,2.2. (è lodevole dar da mangiare ai cani); Philostr. Vit. Ap. 1 , 1 8 (come i cani mangiano i rifiuti della tavola, così Damide raccoglie i prezio­ si rifiuti dalla «tavola» del divino Apollonio). Cf. la parabola rabbinica dei cani al ban­ chetto del re, Midr. Sal. 4 S n(:z.4a) (Bill., I, 724 s.) e la storia di Jonatan ben Amram in B.B. Sa (Bill., I, 726), un parallelo molto vicino al nostro testo anche per il tema. :z. Cf. Arist. loc. cit. 3 Una metafora convenzionale. Cf. Es. 4,22; Os. n,I; Ab. 3,14 ( 1 5 ); altri riferimenti in E. Lohse, u!o� x"tÀ., in ThWNT vm, 3 6o,n ss. 4 Bill., I, 724 s., fornisce certo esempi in questo senso, ma allo stesso tempo (722.-72.6) esempi di altri usi figurati e altre valutazioni dei cani. Abrahams, Studies 11, 195, prote­ sta giustamente contro questa deformazione invalsa « nei commenti a Matteo ...

5 44

L'INCONTRO CON LA CANANEA

concezione dell'umiltà a esso estranea. I Invece la donna utilizza l'im­ magine per contraddire Gesù: anche per i cani di casa avanza un po' del cibo dei figli, quando le briciole cadono dalla tavola del padrone.1 La donna, dunque, pur essendo stata respinta più volte, non si lascia scoraggiare e resta ferma nella sua richiesta presso il Signore. 28. Adesso, finalmente, Gesù accoglie la sua richiesta. L'incondizio­ nata fiducia della donna, che si manifesta in richieste ripetute incessan­ temente, Gesù la chiama « fede » .3 Come nella maggior parte dei casi, è Gesù che parla della fede dell'implorante e non questa che parla della propria fede. Ciò è importante, poiché la fede consiste proprio in que­ sto, nel non avere nulla all'infuori della fiducia in Gesù. La fine della storia è simile a quella del centurione di Cafarnao. La donna, che ha supplicato incessantemente, ottiene ciò che voleva. Sua figlia può guari­ re. La fiducia incondizionata nel Signore e figlio di David include anche l'esperienza concreta della guarigione.

Riepilogo e significato attuale. La comunità di Matteo ascolta il mes­ saggio della storia anche per sé: nelle sue proprie esperienze di malattia e scoraggiamento essa ascolta ciò che Gesù dice sulla forza della pre­ ghiera e della fede. Oltre a ciò, dopo S,s - 1 3 , nel macrotesto del vange­ lo questa storia significa per essa, che vive in mezzo ai gentili e deve pro­ clamare loro il messaggio di Gesù, un altro « segnale» sul cammino del­ la storia della salvezza: Gesù non ha rinchiuso Dio nei confini d'Israele, ma si è lasciato mettere in moto dalla fede della donna gentile. Per la comunità matteana, separata da Israele, ciò rafforza, grazie a Gesù, la possibilità di cercarsi tra i gentili un nuovo spazio di vita e un nuovo campo di lavoro. Il senso originario della nostra storia si trova dunque effettivamente nella direzione dei due orientamenti interpretativi principali dell'interpretazione ecclesiastica, quello «storico-salvifico» e quello «parenetico» . Dato che que­ sti sono restati più o meno costanti attraverso tutta la storia della chiesa, si potrebbe esser portati a credere che in questo caso il senso del testo sia sta­ to conservato fedelmente nella storia dell'interpretazione una volta per tut­ te. Ma le cose non stanno così. A mio parere la storia dell'interpretazione mostra in maniera esemplare come il senso di un testo possa anche essere mancato se in una nuova situazione viene soltanto ripetuto e non cambiato. I

Cf. sopra, p. 5 3 8 n. 2.. Anche l'espressione ,;wv xuplwv 11Ù'tfilv può essere spiegata a panire dall'immagine e non presuppone necessariamente un'approvazione dell'attesa dei giudei di diventare dominatori dei gentili nell'età messianica. 3 Cf. 8,10.1 3; 9,2.2..2.9. 2.

54 5 a) In una situazione nella quale la chiesa dei gentili era saldamente sta­ bilita e il giudeocristianesimo praticamente scomparso, l'interpretazione storico-salvifìca del nostro testo non attestava più la forza dell'amore di Dio che infrange i confini d'Israele, ma quasi soltanto la legittimità dello status quo della storia della chiesa. Ora essa non apriva più nuove porte, ma continuava a danneggiare soltanto i giudei, che non erano presenti nella chiesa. Che aspetto potrebbe avere oggi una nuova interpretazione «storico­ salvifica » , che conservasse qualcosa dell'antica forza esplosiva del testo? ll testo potrebbe ricevere nuova forza, ad esempio una forza esplosiva ecu­ menica, se una comunità ecclesiale che interpreta il nostro testo fosse pron­ ta a identificassi per una volta, a titolo di prova, con i farisei e scribi, dal cui territorio Gesù si è allontanato, e non, come si è fatto di solito, con la cananea o con sua figlia. Infatti, secondo il nostro testo, c'è chiesa dove Dio risponde alla fede dell'uomo, non dove un'istituzione si ritiene tale. b) Con l'interpretazione parenetica ed esistenziale la Riforma riscoprì la forza profonda della fede, di cui narra questa storia. Ma quando questa sco­ perta esegetica venne tramandata alle generazioni successive, essa corse il pericolo di perdersi nuovamente: la scoperta si trasformò in una dottrina tramandabile. Così, nel corso della storia dell'interpretazione, nel prote­ stantesimo la storia che Matteo ha narrato si è trasformata in una dottrina abbellita da una narrazione, 1 diventando, ad esempio, una «presa di posi­ zione (di Gesù) su una questione controversa, quella della missione ai gen­ tili » 2. oppure « espressione di una riflessione storico-teologica sul significa­ to della fede » .3 Quale enorme perdita di realtà e di esperienza si nasconde dietro a una siffatta riduzione di questa storia a una dottrina! Se il testo ci dà qui - rispetto al tratto dominante della sua storia dell'interpretazione e, in un certo senso, anche rispetto alla redazione matteana - un impulso ver­ so un nuovo significato, questo è allora un impulso a prendere sul serio la sua forma come storia. Poiché una storia trasmette esperienze e le esperien­ ze si possono capire, proprio come le storie, solo se si entra in esse, solo se diventano nostre.

2. 4 . GUARIGIONI E SECONDA DISTRIBUZIONE DI CIBO ( 1 5 ,2 9 -3 9 ) Donaldson, ]esus, 1 2.2.- 1 3 5; Lange, Erscheinen, 407-4 1 5 ; T. Ryan, Matthew IJ,29J I. An Overlooked Summary: Horizons 1 5 ( 1978) 3 1 -42.; Schottroff, Volk, 1 5 1 1 5 7; Trilling, lsrael, 1 3 2.- 1 34. Altra bibliografia (h) nella sezione su Mt. 1 4, 1 3-2.1 (sopra, p. 494). 19 E quando Gesù andò via di là, giunse al Mar di Galilea. Ed essendo sa­

lito sul monte, si sedette là. 1 Cf. Held, Matthaus, 2.88 (al v. 2. 8 ) : per Marco è importante il fatto della guarigione; in Matteo •si parla soltanto del fatto della fede e del potere di questa • . t Held, Matthiius, 1 8 8 . 3 Frankemolle, jahwebund, 1 3 5 .

546

GUARIGIONI E SECONDA DISTRIBUZIONE DI CIBO

30 E grandi folle andarono verso di lui, portando con sé paralitici, cie­ chi, storpi, muti 1 e molti altri (malati), e li deposero ai suoi piedi. Ed egli li guarì, 3 I così che il popolo si stupiva nel vedere che i muti parlavano, gli storpi venivano risanati, i paralitici camminavano, i ciechi vedevano. E lodavano il Dio d'Israele. 32. Ma Gesù chiamò i discepoli a sé e disse: « Ho pietà del popolo, per­ ché da tre giorni stanno qui con me e non hanno niente da mangiare. E non voglio congedarli affamati, perché per strada non vengano loro meno le forze » . 3 3 E i discepoli gli dicono: > e «tu sei Pietro . . . » (vv. I 6 e I 8 ) il discorso è legato strettamen­ te alla parte precedente e rappresenta la risposta di Gesù alla confessione di Pietro. I tre logia ( vv I 7 . I 8 . I 9 ) hanno una certa somiglianza formale. Do­ po una frase introduttiva, segue in tutti un parallelismo antitetico o progres­ sivo. Tutti e tre sono alla 24 persona singolare e nei vv I 8 s. predominano i futuri. Ma nei particolari essi sono formalmente molto diversi, così che è più opportuno non parlare di un'unica composizione poetica in tre strofe. 1 Inoltre le immagini cambiano. :r. c) Il versetto conclusivo (v. 20) riprende, scavalcando la promessa a Pietro, la confessione dell'apostolo (v. I6). Esso appare sorprendente perché Gesù, rivolgendosi di nuovo a tutti i discepoli, parla soltanto della confessione della sua messianicità ( «tu sei il Cristo » ), non di quella della sua figliolanza divina ( «il figlio del Dio vivente » ) . Evidentemente l a pericope h a una funzione importante nel quadro d i tut­ to il vangelo. Essa risveglia non solo reminiscenze di 14,2.5 (v. I4), di 14,3 3 (v. I 6) e di I 3 , I 6 s. (v. I ?), ma soprattutto il ricordo del testo fondamen­ tale della rivelazione del Figlio ( 1 1 ,25-27).3 Inoltre la pericope prelude non soltanto a I 8, I 8 4 (v. I 9bc) e al detto ( 23 , I 3 ) sui farisei, che chiudono a chia­ ve la porta del regno dei cieli (v. I 9a), ma soprattutto alla scena fondamen­ tale della rivelazione davanti al sinedrio ( 26,6 I -64 ).5 A questa scena Pietro assiste solo da lontano (v. 5 8 ) e il sommo sacerdote, con un singolare rove­ sciamento di ruoli, assume il suo. Il nostro testo è strettamente congiunto alla pericope seguente ( I 6,2 128). 6 Le due pericopi formano un chiasmo: un dialogo con i discepoli e una lezione ai discepoli che contengono il titolo figlio dell'uomo formano la cor­ nice (vv. I 3 - I 5 .24-28). Segue immediatamente un dialogo con Pietro, che contiene l'antitesi fra uomini e Dio (vv. I 6-I9.22 s.), il cui centro è costi­ tuito da un nuovo breve discorso diretto ai discepoli (v. 2o.2I s.). Soprat­ tutto nella parte con Pietro è chiara una corrispondenza antitetica: Gesù si rivolge di nuovo direttamente a Pietro (El), ma questa volta non lo chiama «roccia », bensì « Satana» e axaVÒGtÀOV. La nostra pericope è inoltre congiun­ ta in modo particolarmente stretto alla sezione cristologica centrale di 1 7, I-I 3 mediante le espressioni uiò� 't'ou à.v-8pw7tou e u!àç (.Seou), le figure di Elia e Giovanni Battista, Pietro e la rivelazione della figliolanza divina di Gesù da parte di Dio stesso. .

.

.

1

Così, ad es., Jeremiasa, 68 s.; Oepkea, 1 5 s.; Gnilka, II, 4 7. Cf. sotto, p. 5 66. 3 Terminologia comune: circoxClÀurc"rro, uì�, rcCl..Tjp, oÙ@Q.vix:./yij. 4 Pure in 18,17 s. ricompare il detto sul legare e sciogliere subito dopo il termine ixxÀl)O'tCl. 5 Terminologia comune: oixo8o�J-Éro, "rou &:ou "rou l;wV"ro . Lì l'immagine delle ostili «porte dell'ade>> del v. 18 viene usata in tutt'altra maniera: nell'ottica delle tradizioni di Sion, proprio la pietra d'ostruzione della volta celeste che trattiene le acque dell'oceano pri­ mordiale, dovrebbe essere la porta dell'ade. Nelle tradizioni di Sion non si fa parola della circostanza che il tempio sarebbe stato costruito sulla «pie­ tra di fondazione >> nel santo dei santi. Sebbene idee di questo genere, come quella della pietra sul Monte Sion, non abbiano certamente bisogno di es­ sere né logiche né coerenti, le differenze restano comunque notevoli. Non 1

Knabenbauer,

11,

5 6.

:z.

Ps.-Philo Ant. Bibl. 23,4 s.

3 ]alqut 1 S 766 (Bill., 1, 73 3 ). È singolare che per dire «roccia » si ricorra al raro presti­ to P#rii'. Lampe", 243 , suppone, con buone ragioni, che qui si sia in presenza di un'an­ titesi giudaica contro le espressioni cristiane con .St(.loÉÀL� e li-tpcx. 4 ]oma 5,2 ('eben . . . setijja). 6 Testimonianze 7 Cf.

s Perciò Muhammad è volato in cielo da questo punto. in Jeremias", 54- 5 8 .

H. Wildberger, ]esaja

m

( B K x/3 ), 1982, I 0?5-1077.

5 76

SECONDA CONFES S IONE DEL FIGLIO DI DIO

penso dunque che il nostro versetto si sia sviluppato, in origine, da questo sfondo mitologico e simbolico. 1 A mio parere il versetto presuppone uni­ camente il nome Kefa-Pietro, l'idea della chiesa come tempio ed edificio e, infine, la tendenza dell'epoca postapostolica a ritenere gli apostoli le figure di fondazione della chiesa (E(. 2,20; Apoc. 21,14). L'evangelista, che nel quadro della sua grande «ripresa >> del nostro testo nell'interrogatorio da­ vanti al sinedrio, riprende anche il verbo olxoÒo�J.Éw (26,6 1 ), ha allora forse visto nella chiesa il nuovo tempio che Gesù costruisce in tre giorni. Natu­ ralmente non si può escludere che nella mente dell'evangelista ci fossero associazioni secondarie con la pietra cosmica nel tempio, che trattiene le acque primordiali, ma non è neppure necessario presupporle, ed esse non sono affatto suggerite dall'immagine delle ostili « porte dell'ade>> .1 Tali as­ sociazioni secondarie sono documentabili solo nella storia dell'interpreta­ zione, nella quale sono confluite tradizioni diverse.3

2. Che cosa significa che «le porte dell'ade non la sopraffaranno >> ? Cominciamo con alcune precisazioni terminologiche. xa-rtax.uw viene sì tradotto generalmente con « sopraffare, vincere, avere il sopravvento>>, suggerendo quindi l'immagine di una battaglia. 4 Ma xa-rtax.uw normal­ mente ha il significato più attenuato di «essere superiore a, più forte di>>.s «Porte » può indicare anche, prescindendo dal significato letterale, lo spazio che esse racchiudono, quindi, ad esempio, una città, 6 ma non le potenze che dominano quel territorio. il peccato o le eresie. Si tratta di un'interpretazione molto diffusa nella chiesa antica e nel medioevo.4 Essa è un'applicazione pratica del testo, come accade spes­ so nel quadro dell'interpretazione «morale » ed è, in quanto applicazione, pienamente giustificata. Ma dal punto di vista filologico è impossibile per­ ché la locuzione «porte dell'ade» significa «morte » . c ) L'interpretazione in riferimento alle potenze amplia l a portata della locuzione , «avere la meglio su» . Allora la promessa del v. 1 8c riguarda un confronto, non una battaglia: 1 le porte dell'ade, concreta rappresentazione del regno dei morti, invincibile per gli uomi­ ni, non saranno più forti della chiesa costruita sulla roccia. Il che signi­ fica: alla chiesa «viene promessa�na durata non effimera, finché sussi­ ste questa età del mondo»,3 poiché il suo Signore le sarà vicino tutti i giorni fino alla fine del mondo ( 28,20). 19a. Matteo prosegue cambiando immagine. Ciò che il v. 1 8a ha det­ to in termini «architettonici» , il v. 19 lo dice in termini di funzione. Ora si dice in che consiste la funzione di roccia dell'apostolo Pietro. Non si tratta più della «costruzione » della chiesa, bensì delle chiavi del regno dei cieli. Colui che possiede le chiavi è o il portiere o - caso più proba­ bile se si tratta di molte chiavi - l'amministratore,4 che ha autorità sul­ le stanze e gli edifici del suo padrone. Certo l'idea di un «portinaio » di­ vino è molto diffusa nell'antichità,5 ma nel nostro passo non si pensa al Pietro portinaio celeste della più tarda credenza popolare, ma all'au­ torità delegata al Pietro terreno. Il regno dei cieli a venire, nel quale si «entrerà », in Matteo è distinto dalla chiesa con altrettanta chiarezza di quanta al v. 19bc il cielo lo è dalla terra, dove si trova Pietro. 1 9bc. In che consiste il «potere delle chiavi » di Pietro? Il v. 19bc de­ ve rispondere a questa domanda. In realtà ci si aspetterebbe un logion 1

Schlatter, 509 s.; cf. Cullmanna, 2.2.6-2.2.8.

1

Le « porte dell'ade» nella parte di uno dei belligeranti è comunque un'idea balzana. Maldonado, 3 2.7: •neque . . . solent portae vincere, sed resistere » . 3 Schmid, 2. 50; cf. Barth, KD IV/2., 760-762.. 4 Cf. Is. 2.2.,2.2.; Hen. hebr. 46C (appendice), 3 s. (potere sui palazzi celesti) e j. Jeremias,

xÀdç, in ThWNT m, 749,2.3 ss. 5 Della, 3 5-38, ricorda Elio, le Ore, Dike, Giano, Shamash. Nel giudaismo sono gli an· geli che hanno questa funzione ( Test Lev. 5,1; Apoc. Bar. gr. 6,1 3 ), in particolare Mi· chele (Apoc. Bar gr. 1 1 ,2.), Tuttavia il momento dell'autorità vi è comunque incluso nel· la maggior parte dei casi. .

MT. 1 6, 1 3 -20

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sull'aprire e chiudere come in ls. 22,22 o Apoc. 3,7. Invece si parla di legare e sciogliere. Che si vuoi dire? Qualcuno ha rimandato agli incan­ tesimi per legare e sciogliere • e da lì si è passati a pensare al « legamen­ to» dei demoni (cf. Mc. 3,27) e allo > della chiesa ( 1 6, 1 8 ) parla del com­ pito affidato a Pietro di legare e sciogliere, cioè di insegnare in maniera vincolante ciò che Gesù ha comandato (cf. 28,20). Secondo Matteo Pietro è fondamentale per la chiesa perché Gesù è fondamentale. 7. Pietro in Siria. A mo' di appendice si getterà ora un rapido sguardo al­ la particolare situazione della Siria, dalla quale proviene Matteo. Mt. 1 6, 1 8 e Cv. 2 1 , 1 5 - 1 7 sono le testimonianze più antiche e importanti di un particolare ruolo di Pietro in Siria. Mt. 1 6, 1 8 venne recepito presto in Si­ ria, diversamente da quanto avvenne in altre regioni della chiesa. Nelle Pseu­ doclementine giudeocristiane (Hom. 1 7, 1 8 s.) «Pietro>> , la roccia, si rivolge con l'aiuto di Mt. 1 6, 1 8 contro la pretesa di Paolo basata solo su una vi­ sione: «roccia» indica qui Pietro come garante e veicolo della tradizione. Se­ condo le Pseudoclementine la cathedra Petri sta in Antiochia.1 Mt. r 6, 1 719 è recepito anche nei testi gnostici relativi a Pietro, anche se non è possi­ bile collegare con sicurezza questi testi con la Siria. In questi scritti Pietro è il tipo dell'uomo spirituale e veicolo di rivelazione.3 Nella tradizione eccle­ siastica più tarda Pietro divenne il primo vescovo di Antiochia.4 Nell'area r Se le cose stanno così non si potrà certo affermare che « alla fine dell'epoca del N.T. . . . Paolo sarebbe risultato, con ampio margine, i l vincitore 'teologico' » e non Pietro (con­ tro Mussnera, 1 3 3 ). 2 Cf. le sezioni conclusive di Ps.-Ciem. Hom. :z.o, :z.3 e Recogn. 10,68-7 1 . 3 Cf. spec. Atti di Pietro e dei dodici apostoli (NHC VI,8,J 5-9,2.1: Pietro e gli undici di­ scepoli ricevono la rivelazione); Apocalisse di Pietro (NHC VII,7 1,14-7:Z.,4: Pietro cipx.� e tipo del veicolo di rivelazione). Altro materiale in Bergera, 2.78 s. 4 Prospetti in G. Downey, A History of Antioch in Syria (rom Seleucus to the Arab Con-

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SECONDA CONFESSIONE DEL FIGLIO D I D I O

siriaca gli scritti di Pietro ricoprono un ruolo importante; l'esempio più fa­ moso della loro diffusione è la tradizione secondo la quale il vescovo Sera­ piene di Antiochia (verso la fine del n secolo) avrebbe vietato in una co­ munità della sua regione la lettura del Vangelo di Pietro perché si era ac­ corto che era eretico (Eus. Hist. Ecci. 6,1 2,3 -6) .' La storia della passione del Vangelo di Pietro ha nella materia e nella struttura rapporti particolar­ mente stretti con Matteo.1 Gv. 2 1 , 1 5 - 1 7 e la storia della ricezione di Mt. 1 6, 1 8 mostrano che il vangelo di Matteo si adatta al paesaggio ecclesiasti­ co siriaco d'impronta petrina. Matteo inserì per due ragioni il proprio episodio di Pietro nella scena marciana di Cesarea di Filippo. Da un lato l'evangeliS(._a giunge ora, nel­ la sua storia > del papato} Poiché questa crisi nel complesso viene descritta nella let­ teratura in termini molto prudenti, si dev'essere riconoscenti quando un dogmatico cattolico, radicato nella propria chiesa, la chiama per no­ me. Resta aperta qualche altra alternativa rispetto alla rinuncia incon­ dizionata a cercare di legittimare il papato sulla base della Bibbia e del­ la tradizione? Il cardinale Newman lo fece dicendo che non è la storia, > ,6 Le chiavi indicano la «auctoritas gubernandi », e così il regno dei cieli veniva 1 Così interpretava il v. 19 già Callisto ( ? ) secondo Tertullian. Pud. 2 1 (BKV 1/24, 8 1 0 s.). Altri esempi: Theodor. Mops. In Mt. fr. 92 (Reuss, 1 29); Tommaso d'Aquino, Sum­ ma suppl. qu. 1 8 art. 3; Lutero, Evangelien-Auslegung II, 5 3 3 ; Apologia Confessionis Augustanae 1 3 , in BSLK, 41 959, 291; Catechismus Romanus 2, 5, 1 1 . Per l'interpretazio­ ne cattolica postridentina cf. Vorgrimmlera, 462-469. Cf. anche sopra, a 16,19. :z. Ad es. Tommaso d'Aquino, Lectura, nrr. 1 3 88- 1 3 92. Tommaso sottolinea come un'ec­ cezione nella storia dell'interpretazione la trasmissione della « potestas» sacerdotale at­ traverso il papa (Lectura, nr. 1 3 9 3 ) .

3 5

Aug. Serm. 149,7 (PL 3 8 , 8o2). Calvino, II, 6 3 ; cf. Id., lnst. 4,6,4.

4

Lutero, Annotationes, 630. 6 Lapide, 3 1 9.

MT. 1 6,1 3 -20

5 97

identificato con la chiesa. 1 Gli esegeti evangelici protestarono contro que­ sta interpretazione perché essa significava una confusione dei due regni. 2. Quali conclusioni è possibile trarre dalla storia degli effetti? Quali pro­ spettive risultano dal testo biblico per il suo effetto maggiore, il papato? 3

Significato attuale. 1. La storia dell'interpretazione ha illustrato la molteplicità delle > sono un'unica cosa. Pietro ha certamente ((capito» , nel sen­ so di Matteo, chi è Gesù, ma non è pronto a vivere questa comprensio­ ne. Perciò ora Gesù dice - solo ai discepoli e non, come in Marco, anl

Calvino, n, 69. :t Calvino, Inst. 3 ,7, 1 . 3 Cf. vol. 1, pp. 452.. 62.2.-62.5 . 4 S . Kierkegaard, Einubung im Christentum, i n Ges. Werke, Diisseldorf-Koln 1 9 5 1 , sez. z.6, 1 1 5 .

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LA VIA DELLA PAS SIONE

che al popolo - quali siano le conseguenze della sua via dolorosa. Mat­ teo ripete qui, in primo luogo, i logia della sequela della croce e del per­ dere la vita, che egli aveva già introdotto alla fine del discorso ai disce­ poli ( 10,3 8 s. ) . E non lo fa a caso, solo perché essi si trovavano nelle sue due fonti principali, • bensì perché hanno un'importanza fondamen­ tale. Dopo il v. 2 1 è ancora più chiaro di quanto non fosse in 10,3 8 � che egli pensa nell'ottica di Cristo: per lui non si tratta, quindi, di sosti­ tuire un ideale di vita che vede la felicità dell'uomo nella libertà dalla sofferenza con un desiderio di sofferenza o di ascesi, bensì unicamente della conformità a Cristo dei discepoli, la quale ha un prezzo. È anche chiaro che la sofferenza non è un subire passivamente, ma una forma di vita attiva: Et 't'te; �tÀEL . . . Come in 1 0,39, il logion della perdita della vi­ ta indica che il martirio è la punta ultima della sequela della croce, sen­ za esserne la condizione: attraverso la morte a colui che lo segue sarà donata la vita. La prospettiva di portare la croce, che precede il detto del v. 2 5, non è ristretta al martirio, ma è intesa in senso lato e include ogni sofferenza patita per amore della causa di Cristo. In positivo, «portare la croce» significa, secondo Matteo, orientarsi sul modello di vita di Gesù e sentirsi sostenuti in ciò dal Signore glorificato. All'inizio della sequela c'è l'esortazione a rinnegare se stessi, che Matteo, diversa­ mente da quanto ha fatto in 1 0,3 8, riprende dal vangelo di Marco. Con quest'espressione si intende una decisione consapevole, « la contrad­ dizione a danno dei propri interessi vitali» ,3 nella dedizione a Cristo. In Mc. 8,34 il verbo CÌ7tcxpvEia-8cxt unito con il pronome riflessivo Écxu-r6v è un neologismo. Il significato di base del verbo cìpvÉO!J-IXL è e anche in quanto esaltato è con loro « tutti i gior­ ni fino alla fine del mondo » ( 2 8,20). Il giudizio perde il suo aspetto ter­ rificante perché il figlio dell'uomo che si attende altri non è che Gesù che la comunità conosce e che ha percorso attraverso la storia lo stesso cammino che la comunità stessa percorrerà.4 L'altro indizio si cela nel­ la piccola parola « Padre>> : il Dio del quale il figlio dell'uomo rivelerà la (completata), 7tp> compaia soltanto in detti di Ge­ sù e mai in testi narrativi, e perché, a differenza di «figlio di Dio>>, « Signo­ re >> o >, non venga mai usata come appellativo né ricorra mai nelle confessioni. Dal punto di vista grammaticale, dunque, «figlio delx

Perciò «figlio dell'uomo» non è a differenza del titolo omologico «figlio di Dio» «di natura 'pubblica',. (public in character: Kingsbury, TitJea, :z.ox ) . È certamente vero che Gesù descrive «il proprio rapporto col mondo» (loc. cit. ) mediante tale espressione, ma si deve precisare: lo fa davanti ai discepoli e solo in minima parte direttamente da­ vanti al mondo. Definire l'epiteto public è, come minimo, molto equivoco. 1 Dal punto di vista della storia della tradizione questa suddivisione tradizionale grosso­ lana è (relativamente) corretta, ma non coglie più la specifica comprensione matteana. Cf. sotto, pp. 6:z.3 s. 3 Eccezione: :z.o,:z.8. Così anche in Marco. -

IL FIGLIO DELL'UOMO NEL VANGELO DI MATIEO

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l'uomo » non è mai un predicato, 1 ma molto spesso soggetto. Moltissimi lo­ gia del figlio dell'uomo contengono dunque affermazioni su che cosa Gesù (ossia il figlio dell'uomo) faccia o patisca, ma neanche uno dice chi Gesù sia. 2 Matteo non omette nessun logion del figlio dell'uomo contenuto nelle sue fonti, ma in pochi singoli casi sostituisce ò u!òç -.ou à:v-8pw1tou con «io» (s,n; 1 0,3 2; cf. 1 6,21 ).3 Al contrario, egli formula e aggiunge redazional­ mente altri detti del figlio dell'uomo in tutti e tre i gruppi della suddivisione tradizionale, con frequenza maggiore, però, nell'ultimo, che parla dell'ope­ ra futura del figlio dell'uomo ( 1 3 ,4 1 ; 1 6,28; 24,30a; 25,3 1 ) .4 3 · Significato tradizionale. a) Per l'abitante medio della Siria dei tempi di Matteo l'espressione ò u!Òç -.ou cìv-8pw7tou è sconcertante e oscura. Nel lin­ guaggio corrente greco essa non è attestata. Per coloro che conoscevano l'aramaico - una possibilità non certo impensabile in Siria né per i lettori né per l'evangelista - esisteva nel linguaggio corrente l'espressione bar 'enos - perlopiù senza articolo determinativo 5 - nel senso di «un uomo, qual­ cuno », che poteva essere usata anche, sia por raramente, unita alla 1• per­ sona singolare nel senso di «io, in quanto uomo », « un uomo [dunque an­ che io] » . 6 Ma l'espressione cristiana che ha costantemente il doppio arti­ colo determinativo, ò u!òc:; -.ou cìv-8pw7tou, non è affatto una traduzione lette­ rale della locuzione aramaica e doveva risultare senz'altro sconcertante an­ che per chi capisse e parlasse l'aramaico. A livello di linguaggio corrente non c'è dubbio che la locuzione ò u!Òç -.ou cìv-8pw1tou suonasse molto strana, scon­ certante e parimenti misteriosa. b) Nella tradizione religiosa biblica e giudaica Dan. 7, 1 3 è «il testo ba­ se » ( « uno come un figlio d'uomo » ) . Si può dimostrare che Matteo abbia usato volutamente Dan. 7 per alcuni logia del figlio dell'uomo: in 24,30 e 26,64 egli ha adeguato il suo testo marciano di base a Dan. 7,1 3 s.,7 raffor­ zando in questo modo la reminiscenza biblica. È probabile che anche in 28, 18 s. ci sia una reminiscenza di Dan. 7, 1 3 s. Tutti gli altri detti sul figlio dell'uomo che verrà non si ricollegano verbalmente a Dan. 7· A mio parere non è neppure dimostrabile un'influenza letteraria diretta delle parabole del libro di Enoc sul vangelo di Matteo. 8 Comunque questi dati si possano 1

Eccezione: 1 3,37 nel quadro dell'interpretazione allegorica. Kingsbury, Figurea, 22-27. 3 Cambiamento rispetto a 1 6, 1 3 . 4 In 1 9,2.8 è molto incerto se siamo d i fronte a u n logion tradizionale oppure no (perso­ nalmente ritengo più probabile di no). Per quel che riguarda le altre creazioni, 1 3 , 37 e 16, 1 3 non possono essere assegnati a un •tempo» determinato, mentre 26,2 si appoggia per contenuto ad altri logia che parlano del «consegnare» il figlio dell'uomo. 5 Nell'elenco curato da G. Vermes in Black, Muttersprache, 3 10-3 28, ci sono solo esem­ pi isolati di bar nasa' con l'articolo determinativo e naturalmente nessuno con la doppia determinazione. 6 Co)pea, 405 s.; più prudente Fitzmyer, Aramean, 1 5 2 s. 7 i11:i 'twv vetpe:Àwv 'toù oùp11wù (Marco: iv e I'E'ta). 8 Così Theisohna, 1 5 8-182. 198-2.00, per Mt. 1 3,40-43; 19,2.8; 23,5 1. A mio parere l'au2

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spiegare dal punto di vista della storia della tradizione, per Matteo e i suoi lettori essi significano che la loro conoscenza del figlio dell'uomo poté esse­ re approfondita grazie al libro di Daniele, ma non proviene principalmente da quella fonte. I c) È più probabile che Matteo e i suoi lettori conoscano chi sia il «figlio dell'uomo » dalla tradizione cristiana, nella quale l'espressione presenta co­ stantemente la doppia determinazione, che le conferisce il carattere di un titolo riferito una persona precisa. :z. Proviene dalla tradizione cristiana an­ che l'ambito lessicale e tematico, relativamente consolidato, che caratteriz­ za sia i logia della passione e risurrezione del figlio dell'uomo 3 sia anche quelli della sua venuta.4 Un tale ambito lessicale e tematico deve risalire, alla pari della costante doppia determinazione dell'espressione, alla tradi­ zione orale cristiana. Da ciò si può concludere che i lettori cristiani del van­ gelo di Matteo conoscessero già dalla tradizione della comunità molti dei detti del figlio dell'uomo che ritrovavano nel vangelo. Se poi essi conosce­ vano anche Q o il vangelo di Marco, cosa senz'altro possibile, anche se cer­ tamente non poteva valere per tutti, quanto si è detto risulta ancora più ve­ ro. Matteo può quindi presupporre che i suoi lettori avessero già una co­ noscenza di base. Tale conoscenza elementare non proveniva in primo luo­ go dal libro di Daniele o dalla tradizione giudaica, bensì dai logia di Gesù tore riesce solo a rendere verisimile una congruenza di motivi, non una dipendenza let­ teraria, cf. Hare0• I La mia opinione che l'influenza diretta di Dan. 7 su Matteo (e Marco) sia solo molto limitata coincide con quella di Mtiller, Menschensohn", 89-1 54. Dal punto di vista della storia della tradizione, da ciò si possono trarre varie conseguenze: si può, ad esempio, supporre (come fa Mtiller) che Gesù si rifacesse all'espressione aramaica non titolare col senso di «qualcuno, una persona / un uomo» e che la comunità abbia interpretato in al­ cuni passi quest'uso alla luce di Dan. 7 LXX. Ma si può anche supporre, come la mag­ gior parte degli studiosi di lingua tedesca, che la comunità (o, a mio avviso, Gesù) si ri­ facesse all'attesa di un figlio dell'uomo escatologico, che si era staccata già da molto tempo da Dan. 7· In questo caso l'autodesignazione di Gesù come «il figlio dell'uomo• costituirebbe internamente al giudaismo un parallelo di Hen. aeth. 70 s. e - in certo qual modo - delle parabole di Enoc. Questo problema non è rilevante per l'interpreta­ zione dell'uso linguistico matteano. :z. L'espressione è determinata di regola anche nelle_ parabole di Enoc etiopico, cf. M. Black, The Book of Enoch or I Enoch (SVfP 7), 1985, 206 s. La determinazione do­ vrebbe dipendere linguisticamente dalla natura di titolo e dall'applicazione di Dan. 7 in senso «messianico» ( «questo [se. quello nominato in D an. 7] figlio dell'uomo»). La da­ tazione delle parabole continua a essere controversa. A mio parere esse testimoniano un'interpretazione •messianica » non cristiana di Dan. 7 parallela all'attesa del figlio dell'uomo presupposta dagli ambienti vicini a Gesù (e a Giovanni Battista?). 3 mxpa616wf1-t ( 5 ), iydpw (4), xr:lp (4): in parentesi il numero di occorrenze dei termini nei corrispondenti logia di Matteo. 4 Ep"X.Ofi-Gll (7), ao�Gl (4), �'Y'YEÀOt (4), XiX�I'�w/xa�lJ!I-Gll ( J ). �'Y'YEÀOt non proviene da Dan. 7,9- 1 3 . In particolare il logion redazionale di 25,3 1 contiene quasi tutti questi termini ed è quindi una sorta di sommario dell'idea matteana della venuta del figlio dell'uomo.

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sul figlio dell'uomo che erano stati tramandati. Per loro, quindi, «figlio del­ l'uomo» non era un'espressione in sé insignificante con la quale Gesù ama­ va definirsi,' ma non era neanche semplicemente un frammento ereditato dell'attesa apocalittica del messia e del giudizio/ bensì un pezzo del «lin­ guaggio di Cristo •• , che era pieno di ricordi.3 Tra le memorie richiamate dall'espressione «figlio dell'uomo >> rientrava per loro tutto ciò che Gesù ave­ va detto su se stesso nei suoi logia del figlio dell'uomo che erano stati tra­ mandati. Il che significa che già al primo logion matteano del figlio dell'uo­ mo i lettori sapevano che questo figlio dell'uomo sarebbe morto, risorto, asceso alla destra di Dio e venuto un giorno a giudicare il mondo. E Mat­ teo, l'autore del vangelo, sapeva che i suoi lettori lo sapevano.4

4· «Figlio dell'uomo» nella na"azione matteana. In 9,6; I I,19; 1 2,8. 3 2.40 l'evangelista usa l'espressione in polemiche di Gesù con i suoi av­ versari giudaici. Costoro hanno capito quali connotazioni Gesù (e la co­ munità) associava a questa espressione? La risposta a questa domanda può venire solo dal macrotesto del vangelo e suona necessariamente «no•• . Nel caso del «segno di Giona >> ciò è documentato direttamente: il «figlio dell'uomo» è per loro «quel ciarlatano» ( 27,64).5 Una risposta è possibile anche nel caso di 1 2,8, poiché i farisei decidono di eliminare il figlio dell'uomo ( 1 2,14). Nel caso di I I ,I9 e 1 2,3 2 ciò è senz'altro chiaro, poiché «questa generazione» pronuncia in entrambi i casi «una parola contro il figlio dell'uomo>> . In 8,19 s. «figlio dell'uomo» è unito a un riferimento alla sua esistenza vagabonda, che i suoi discepoli de­ vono condividere per poterlo capire. Qualunque cosa i nemici di Gesù possano aver capito, certo è che essi non hanno mai voluto sapeme del­ le sue pretese legate all'espressione «figlio dell'uomo » . A questa situa­ zione fa riscontro il fatto che Matteo fa deliberatamente parlare Gesù r Questa la tesi di Hare0, che è a sua volta influenzato, tra gli altri, da R. Leivestad (Der apokalyptische Menschensohn ein theologisches Phantom: ASTI 6 [1968) .ot9·105). 1 In questo senso è orientata l'interpretazione di Todt, Menschensohn, 85-88, e Margue­ rat, ]ugement, 7 1 , che mettono in risalto •il collegamento ancor più forte con la tradi­ zione apocalittica " (Todt, 86). 3 lnvece per Hare0, 1 23 s. 1 8 1 , «figlio dell'uomo» è un modo di denominarsi di Gesù, che per i lettori del vangelo di Matteo non ha alcuna connotazione nascosta che derivi dalla tradizione apocalittica o dal semitico. Il suo significato non è certamente «banale,., ma si tratta piuttosto di «un termine elevato, che lascia prevedere il mistero del destino di Gesù» (Hare0, 1 8 1 s.). Ma Hare non vuoi dire niente più di questo: per lui «figlio dell'uomo» continua a essere una specie di soprannome di Gesù, il cui significato origi­ nario è stato dimenticato. 4 Abbiamo qui un classico esempio di quanto possa essere importante per la compren­ sione di un testo la riflessione sui «lettori impliciti,. . s Mentre s i rivolgono a Pilato chiamandolo xuptoç.

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solo con i suoi discepoli del destino futuro del figlio dell'uomo, della sua risurrezione, glorificazione e parusia per il giudizio. I Soltanto in 26,64 egli pronuncia l'ultimo logion del figlio dell'uomo pubblicamente, rivol­ gendosi al sommo sacerdote e ai propri giudici. Ma qui è troppo tardi: il figlio dell'uomo annuncia il giudizio sui propri giudici e questi non se ne accorgono. Certo, il sommo sacerdote si straccia le vesti, un gesto che secondo l'evangelista e i suoi lettori egli avrebbe dovuto effettivamente fare, ma certo non perché Gesù aveva bestemmiato ( 2 6,65 s.). Una scena «giovannea », tetramente ambigua e misteriosa. Nel complesso l'espres­ sione «figlio dell'uomo» serve a costituire e manifestare la rottura tra gli avversari di Gesù e i discepoli. I discepoli e i lettori del vangelo san­ no qui più dei nemici di Gesù. Essi sanno verso quale abisso stanno cor­ rendo quelli che non hanno voluto dar retta alla pretesa del figlio del­ l'uomo.1 Nel vangelo di Matteo esiste un segreto del figlio dell'uomo Gesù, che nasce dalla trama narrativa e che solo in casi eccezionali ha bisogno di essere sottolineato esplicitamente dall'evangelista mediante la consegna del silenzio ( r 6,2o; 1 7,9 ). Il segreto non è che Gesù è il fi­ glio dell'uomo, bensì che solo i suoi discepoli conoscono la figliolanza di­ vina, la trasfigurazione, la futura risurrezione e glorificazione del figlio dell'uomo e il suo ritorno come giudice. Volgiamoci ora al punto di vista dei discepoli e dei lettori: essi hanno una conoscenza di base sul figlio dell'uomo Gesù. Essi sanno bene che cosa significhi che proprio il figlio dell'uomo, destinato più tardi a esse­ re innalzato al cielo e a venire come giudice, non abbia sulla terra un tetto ( 8,20) e da «questa generazione» venga rimproverato come epu­ lone e ubriacone ( I I,I9). Nella figura dei discepoli i lettori apprendono come siano arrivati a conoscere ciò che sanno: Gesù prendeva conti­ nuamente da parte i discepoli, coloro che lo seguivano, e li ammaestra­ va sulla sua imminente passione, sulla sua morte e risurrezione. Essi im­ paravano così che era lui, ovvero Dio, ad avere il controllo della storia della sua sofferenza, e non i suoi avversari. Egli li confortava ( 1 0,23 ; r6,28; 19,28 ) e li avvertiva ( 1 3 ,4 1 ; r 6,27; 24,3 7-44; 25,3 1-46), menzio­ nando la sua venuta come figlio dell'uomo per il giudizio. È vero che in Matteo sulla venuta futura del figlio dell'uomo Gesù per il giudizio vie­ ne posto un accento particolare. Egli ha infatti sviluppato soprattutto l'avvertimento alla comunità: la ripresa di 24,30 s. in 25,3 1 s. rende tutI Potrebbe aver a che fare con questa decisione editoriale anche il fatto che nel discorso della montagna, un discorso «pubblico», Matteo ha sostituito in s , r r il titolo di figlio dell'uomo con «io» e lo ha del tutto omesso in 7,2 1-23. 1 Un'ulteriore dimostrazione di come 1 2,3 2 mal si adatti alla teologia di Matteo, cf. so­ pra, pp. 3 3 7-339.

IL FIGLIO DELL'UOMO NEL VANGELO DI MATIEO

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ta la sezione che sta in mezzo ( 24,3 2-25,30) un'applicazione parenetica della venuta del figlio dell'uomo annunciata in 24,29-3 1 · Con 1 3 ,40-43 e 2 5,3 1 -46 va inoltre formalmente al di là dei puri logia del figlio del­ l'uomo, offrendo descrizioni allusive e plastiche del giudizio del figlio dell'uomo.1 Allo stesso tempo, però, il complesso dell'insegnamento di Gesù fa ca­ pire chiaramente che > . ' L'esegesi moderna del nostro testo ci porta i n u n mondo diverso. Essa non chiede in che modo gli ascoltatori e i lettori partecipino a questa sto­ ria, ma ricerca soprattutto, storicamente, quale sia l'origine della storia. Es­ sa la fa derivare o da circostanze esterne, ad esempio dall'incontro di Gesù con due dei suoi seguaci al sorger del sole, la mattina presto, con un po' di foschia, così che i discepoli assonnati non avrebbero capito bene che cosa succedeva, :z. oppure la si fa derivare psicologicamente da una visione che i discepoli avrebbero avuto prima o dopo pasqua,3 oppure le si attribuisce un'origine nella storia del pensiero e, a seconda dell'autore di turno, si fan­ no indossare al Gesù trasfigurato le vesti di Mosè o quelle di un re. 4 D co­ mun denominatore di tutte queste spiegazioni, la cui legittimità relativa non intendo minimamente contestare, è che esse sentono la storia estranea e cercano di razionalizzare tale estraneità. D'altra parte è sorprendente quanto la nostra storia sia viva nell'ese­ gesi ecclesiastica e quanto essa faccia presa nella vita. Da che cosa di­ pende questo? Gli interpreti della chiesa antica hanno sempre interpre­ tato una storia come la nostra con senso di partecipazione. Essi identifi­ cavano se stessi e i loro lettori con i discepoli, salivano insieme con loro sul monte e insieme con loro ne discendevano, vivevano in loro compa­ gnia l'evento verificatosi in cima al monte e lasciavano che esso li com­ muovesse. Nel commento abbiamo appurato che la nostra storia con­ tiene una prospettiva cristologica e una prospettiva dei discepoli e che le due sono intessute insieme e correlate tra di loro. Gli interpreti della chiesa antica sapevano questo già da prima, perché essi stessi erano presenti nella storia di Gesù e l'ascoltavano pensando alla loro propria prospettiva di vita. La dottrina dei quattro sensi della Scrittura li aiuta­ va a legare insieme metodologicamente queste varie prospettive, e allo:z. Paulus, n, 5 3 9-543. Aug. Serm. 78,6 (PL 3 8, 492.). Così a partire da J.G. Herder, Vom Erloser der Menschen, in Werke XIX, ed. B. Su­ phan, Berlin x 8 8o, 1 80. In epoca a noi più vicina sono strenui sostenitori dell'ipotesi della visione ad es. Hamacka, 73-80 (visione di Pietro durante la vita di Gesù); E. Meyer, Ursprung und Anfange des Christentums I, Darrnstadt 6 1962., 1 5 2.-1 57; Baltens­ weilera, 87-90 (visione durante la celebrazione di una festa delle capanne, quando Gesù vinse in sé la tentazione dell'ideale messianico politico). 4 Cf. sopra, pp. 62.9 s. 1

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LA TRASFIGURAZIONE DEL FIGLIO DI DIO

ra la prospettiva cristologica o della fede di regola entrava in gioco nel­ l'interpretazione allegorica, la prospettiva dei discepoli e la loro vita in quella morale. La nostra storia mostra in maniera esemplare la fecondi­ tà del quadruplice senso della Scrittura.' Se si è capito questo, si capisce anche che nella storia della trasfìgura­ zione si tratta, in ultima analisi, del rapporto tra una particolare espe­ rienza religiosa e la vita e la sofferenza quotidiana. Anche Matteo è sa­ lito sul monte, anch'egli ha partecipato del desiderio di un volto radio­ so e di una veste bianca che ha ispirato più tardi l'esegesi greca. L'evan­ gelista non ha ritenuto l'acme raggiunta sul monte né un'illusione né una proiezione; ma ha anche saputo, e qui sta la sua distintiva peculia­ rità rispetto a gran parte dell'esegesi greca, che si può arrivare a un in­ contro con Dio che aiuta l'uomo solo se chi gli rivolge la parola è «Ge­ sù tutto solo» , senza gloria né compagnia celeste. Diversamente da Le. 9,34, Matteo non ha fatto entrare i discepoli nella nuvola. Per Matteo ciò che è decisivo per i discepoli non accade sul monte, ma dopo. Per dirlo ancora una volta con le parole di un greco: « Se non fosse diventa­ to come noi, chi di noi potrebbe reggere il Dio che irrompe dall'alto e la sua gloria indescrivibile e risplendente, che probabilmente nessuno de­ gli esseri creati può sopportare? » . 1 1 Visto che parla anche della vita nella gloria futura, la storia apre anche la possibilità di un'interpretazione anagogica. :z. Cyr. Al. In Mt. 59 (PG 72., 42.5).

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LA F ORZA DELLA F EDE CHE SPOSTA LE MONTAGNE ( 1 ?, 1 4 -20) H. Aichinger, Zur Traditionsgeschichte der Epileptiker-Perikope Mk 9,14-29 par Mt L7, q-2L par Lk 9,3 7-43 a: SNTIJ A 3 ( 1 978) 1 1 4- 143; G. Barth, Glaube und Zweifel in den synoptischen Evangelien: ZThK 72 ( 1 975) 269-292; G. Bornkamm, 1tV!Upoll aÀ11Àov, in Id., Geschichte und Glaube (BEvTh 5 3 ) n, 1971, 21-36; J. Du­ placy, La foi qui déplace /es montagnes (Mt 17,20; 2 1,21 et par), in A. Barucq (ed. ) A la rencontre de Dieu (Mém. A. Gelin) (BFfCL 8), 1961, 272-287; Frankemolle, jahwebund, 21-27; F. Hahn, ]esu Wort vom bergenversetzenden Glauben: ZNW 76 ( 1 9 8 5 ) 149- 1 69; Held, Matthiius, 1 77- 1 8 :z.; H. Klein, Das Glaubensverstiindnis im Matthiiusevangelium, in F. Hahn - H. Klein (e dd . ) , Glaube im N. T. (Fs H. Bio­ der) (BThSt 7), 1 9 8 2, 29-42; E. Lesky - J.H. Wa skink , Epilepsie, in RAC v, 1962, 8 1 9-8 3 1 ; L. Vaganay, Les accords négatifs de Matthieu-Luc contre Mare. L'épiso­ de de l'enfant épileptique (Mt L7, q-u; Mc 9, q-29; Le 9,J 7-43 a), in Id., Le pro­ blème synoptique. Une hypothèse de travail (BT.B 1 ), 1 9 54, 405-425; J. Zmijew­ ski, Der Glaube und seine Macht, in J. Zmijewski - E. Nellessen (edd.), Begegnung mit dem Wort (Fs H. Zimmermann) (BBB 5 3 ), 1 9 80, 8 1 -103; Zum stei n , Condition, 43 5-44 3 ·

14 E quando arrivarono 1 dalla folla, gli si avvicinò un uomo, si gettò in ginocchio davanti a lui 1 5 e disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio perché egli è lunatico e malato,� poiché cade spesso nel fuoco e spesso nell'ac­ qua. 1 6 E io l'ho portato dai tuoi discepoli, ma non sono stati in grado di guarirlo » . 1 7 M a Gesù rispose e disse: «O generazione incredula e perversa ! Fino a quando starò con voi ? Fino a quando vi sopporterò? Portatemelo qui ! » . 1 8 E Gesù l o apostrofò bruscamente e il demone uscì da lui e d a quell'ora il bambino fu guarito. 19 Allora i discepoli si avvicinarono da soli a Gesù e dissero: «Perché noi non siamo stati capaci di espellerlo? » . 20 Ed egli disse loro: «A causa della vostra poca fede! Amen, vi dico infatti: se avete fede quanto un gra­ nello di senape, direte a questa montagna: 'Via da qui, va' laggiù!'. Ed essa si sposterà e niente vi sarà impossibile! » } 1

Genitivo assoluto senza genitivo: BDR, S 42.3 n . 3 · Nestle16 legge naaxf:l invece di tXf:l. Sebbene la locuzione idiomatica xaxril .3 Mc. 9,14-19 parr. condividono la diagnosi demonologica. Nel­ la storia dell'interpretazione Origene segna una svolta importante.4 Per pri­ mo egli si confronta, a partire dal testo biblico, con la spiegazione natura­ le, medica della malattia e la rifiuta esplicitamente richiamandosi alla Scrit­ tura. L'influenza di Origene fu notevole 5 e la spiegazione medica dell'epi­ lessia fece molti passi indietro rispetto alla tarda antichità. I santi subentra­ rono ai medici. 6 D'altra parte nella storia biblica si celava anche un poten­ ziale di senso positivo: malattie come l'epilessia non sono conformi all'im­ magine dell'uomo voluta da Dio e la lotta a esse avviene con il volere di Cristo e con la sua forza/

1 7. In questa storia concisa solo il v. 1 7 rappresenta una « battuta d'arresto» che quasi disturba. Il v. 17 disturba perché non contiene una risposta alla supplica del padre, bensì un duplice lamento di Gesù, in perfetto stile biblico, 8 nei riguardi di «questa generazione incredula e perversa » . A chi si riferiscono queste parole? Il contesto suggerisce che si tratti dei discepoli, perché si era appena parlato della loro incapacità 1 A differenza di Le. 9,39 Matteo non introduce nel racconto alcuna descrizione della malattia che sia frutto di un'opinione personale e vada oltre la tradizione; cf. Bovon, Le. 1, S IO. 2. Testimonianze in Klostermann, ad loc., e in Lesky-Waszink", 820 s. 3 Hippocr. Morb. Sacr. I (estratti dell'importante trattato sono riprodotti in Liihrmann, Mc., 274-279 ). 4 Orig. In Mt. I J,6 (GCS I O, 1 9 3 ). s Cf. F.J. Dolger, Der Einfluss des Origenes auf die Beurteilung der Epilepsie und Mond­ sucht im christlichen Altertum: AuC 4 ( I934) IOI- I07. 6 H.J. Schneble, Krankheit der ungeziihlten Namen, Bem I 987, 60-67. In Germania il pro­ tettore degli epilettici divenne san Valentino da Temi e in Francia san Giovanni (perlo­ più il Battista). 7 Cf. O. Temkin, The Falling Sickness, Baltimore-London 1I971, 1 70-I72, per Arnaldo da Villanova e Paracelso. 8 Deut. 3 2,5: ytwà axoÀtà xaì Òtta-rpot(J.p.é""l• cf. 3 2,2o-42. Per il lamento con • fino a quando» cf. Num. I4,27; altri passi sono indicati in Pesch, Mc. 11, 90.

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LA FORZA DELLA FEDE CHE SPO STA LE MONTAGNE

esorcistica. 1 Ma in tutto il suo vangelo Matteo non chiama mai i di­ scepoli «questa generazione» . Al v. 20 egli parla infatti, con studiata di­ stinzione, non della loro « incredulità» / bensì della loro « poca fede» .3 Ma soprattutto, il termine generalizzante di ye:ve:cl: non sarebbe stato as­ solutamente appropriato se Gesù avesse voluto parlare soltanto di po­ che persone. Poiché al v. 1 4 la folla è pur sempre menzionata, si dovrà riferire l'espressione, come negli altri passi,4 ai contemporanei giudaici di Gesù, cioè al popolo. Il vangelo di Matteo mostrerà, nel suo com­ plesso, che il comportamento di « questa generazione» è tipico: Israele ha già dimostrato, nei riguardi dei profeti, di essere ripetutamente «in­ credulo» e «perverso» (cf. 23,3 4-3 6). I due interrogativi «fino a quan­ do» acquistano significato nel contesto dell'intero vangelo: in 23,37-39 Gesù annuncerà che abbandonerà Gerusalemme e il tempio. In 24, 1 s. lo farà e sul Monte degli Ulivi parlerà ai discepoli, tra l'altro, della ca­ tastrofe che incombe su Israele. A questi interrogativi si aggiunge un'os­ servazione storico-redazionale: la prima delle due domande recita: «Fi­ no a quando sarò con voi? » . Qui Matteo ha cambiato l'espressione mar­ ciana 7tpÒc; �ac; in �e:,9' Ù(J.wv, creando in questo modo un riferimento alla sua cristologia dell'Emmanuele che inquadra tutto il vangelo ( 1 ,23; 28,20).5 « Gesù, l'Emmanuele, �e:,9' �wv o ,9e:6c;. . . minaccia di ritirarsi, il che equivale al ritiro di Dio>> ,6 Il v. 1 7 è dunque un « segnale>> , che indica il giudizio che sta per colpire Israele. In termini letterari, questa «battuta d'arresto» della nostra storia, che disturba in maniera tanto sin­ golare, svolge la sua funzione non tanto al livello superficiale del rac­ conto, ma piuttosto al suo oscuro livello profondo, dove si tratta della separazione della comunità di Gesù da Israele e del giudizio di Dio su questo popolo. Ciò si manifesta nel modo più chiaro in quanto nel no­ stro episodio « questa generazione» non ha fatto proprio niente per me­ citarsi il rimprovero di Gesù. Come in 1 3 , 1 0- 1 5 , Matteo non pensa a una colpa concreta al livello superficiale della sua storia, bensì all'incre­ dulità d'Israele. 19 s. La narrazione arriva al punto saliente solo con i vv. 19 s. Qui è in discussione l'incapacità dei discepoli di esorcizzare i demoni. La do­ manda dei discepoli si riferisce solo alla storia di Gesù di quella volta? In questo caso sarebbe difficile capire perché Matteo abbia modificato x

Così Held, Matthiius, 1 8 1 ; Zumstein, Condition, 439· Come nel caso dei nazareni in 1 3 ,58. 3 La variante del textus receptus, IÌ7tta'tiGt, è un adeguamento al v. 1 7. 4 Cf. n,16 (e commento ad loc. ); u,39·4 5; 1 6,4; 2.3,36; 2.4,34· Anche Deut. 3 2.,5 si riferisce al popolo. s Cf. vol. 1, pp. 1 7 1 s. 6 Frankemolle, ]ahwebund, :z.6. 2.

la risposta di Marco, sostituendola con un riferimento alla poca fede dei discepoli, che nel suo vangelo mira sempre alla situazione concreta della comunità. All'inizio del discorso ai discepoli Gesù aveva conferito ai dodici discepoli il potere e il compito di guarire i malati e cacciare i demoni ( 1 0, 1 . 8 ) . Noi abbiamo inteso questo mandato come un compi­ to attuale, che valeva in linea di massima per la comunità. I Da 7,22 sap­ piamo che nella comunità si operavano, come prima, anche in maniera dubbia, miracoli. Interpretiamo quindi la domanda dei discepoli avan­ zando l'ipotesi che nella comunità carismatica di Matteo talora le espe­ rienze di guarigione non si verificavano. 2. Anche le comunità che stan­ no dietro al vangelo di Marco avevano certamente problemi simili, co­ me indica Mc. 9,28 s. In questo passo, come in Giac. 5,1 3 - 1 6, per il suc­ cesso di una guarigione risulta decisiva la preghiera fervente. La risposta data da Matteo è più fondamentale di quella marciana: essa è formata da una risposta personale dell'evangelista e dal logion tra­ dizionale di Gesù sulla fede grande come un granello di senape. La rispo­ sta di Matteo suona: il mancato successo delle guarigioni è un'espres­ sione della poca fede. La poca fede è, come in altri passi ( 6,30; 8,26; 14,3 1 ; 1 6,8 ),3 una fede che si è scoraggiata e una fiducia insufficiente nell'aiuto miracoloso di Dio. Matteo non pensa quindi che le guarigio­ ni dei malati e gli esorcismi siano esperienze particolari, che qualche vol­ ta si verificano e qualche volta no. Egli è molto «più entusiasta » e con­ sidera guarigioni ed esorcismi come esperienze che appartengono costi­ tutivamente alla fede. Dove esse non si verificano, la fede non è all'al­ tezza del suo nome. La «poca fede» deve essere superata ricorrendo dav­ vero al potere di Gesù. Alla sua risposta Matteo aggiunge il logion di Ge­ sù sulla fede che sposta le montagne: un detto talmente importante per lui che lo riporta due volte (cf. 2 1 , 2 1 ) . Egli contrappone alla «poca fe­ de» la «fede come un granello di senape», cioè, evidentemente, un'altra fede « minuscola » . La distinzione è, a prima vista, sconcertante:• Che cosa si vuoi dire? Gli interpreti sono stati spesso inclini a esporre, sotto il segno della così poco chiara « fede come un granello di senape », la propria comprensione della fede: il granello di senape non è allora piccolo, ma di sapore forte e bruciante.5 Oppure si tratta della « fede che conosce la propria empietà» I

Cf. sopra, a 7,8a-d. 2. Così anche Zumstein, Condition, 439· Cf. vol. 1, pp. 542 s., e sopra, a 8,24-26; 14,3 1; 1 6,8-ro. 4 Molti esegeti ecclesiastici, seguendo l'esempio di Hier. In Mt. 1 5 3, hanno fatto della fede come un granello di senape una fede •grande», sulla base di 1 Cor. 1 3,2 (TCaaGtv 'r"Ì)v TCta'ttv). Allora tutti i problemi filologici e di contenuto diventano «risolvibili » . 5 Così Aug. lo. Ev. Tract. 40,8 (BKV 1/1 1 , 599). 3

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LA FORZA DELLA FEDE CHE SPO STA LE MONTAGNE

(Rom. 4,5 ) . 1 Oppure si tratta della fede «che si comprende completamente a partire da Dio, che partecipa della sua forza ».2 Non si deve forzare l'in­ terpretazione: nel detto tradizionale di Gesù in Le. I 7 ,6 il paragone della fede con un granello di senape serve a contrapporre ciò che è incredibil­ mente piccolo, cioè la fede, a ciò che è incredibilmente grande, cioè quello che essa è in grado di provocare, quindi lo sradicamento di un sicomoro con le sue gigantesche radici. Non si tratta, dunque, di una speciale >, bensì della fede in assoluto. Neanche in Matteo es­ sa è contrapposta alla , bensì allo spostamento di una monta­ gna. Anche qui ci si deve guardare da interpretazioni forzate ed esagerate: ci sono certamente passi biblici che parlano di Dio che nel futuro escato­ logico spianerà (non sposterà) le montagne (Is. 40,3-5; Zacc. J4,Io), ma «sradicare>> o « strappare via montagne » è un'iperbole giudaica comune, che significa «fare qualcosa d'impossibile», un modo di dire dai mille usi.3 Contrariamente a un'interpretazione molto popolare, dunque, a mio pare­ re nel logion non si tratta della fede che parteciperà > sono gli avversari giudei di Gesù e i romani. 7tcxpcxÒtÒw(Lt è un verbo dalle connotazioni cristologiche familiare ai lettori del vangelo: I0,4 ( « Giuda Iscariota, colui che pure lo consegnò» ) indica che Matteo pensa a lettori che conoscono la storia della passione. Diversamente da Marco, Matteo non dice che i discepoli non avevano capito il detto di Gesù. Dato che per Matteo «capire>> ha una connotazione piuttosto «in­ tellettuale>> / la sua precisazione rispetto a Marco è necessaria: i disce­ poli «capiscono» sicuramente ciò che Gesù diceva, ma non possono ac­ cettare ciò che capiscono. Perciò essi sono profondamente turbati. 2. Il loro rifiutQ ricorda la reazione di Pietro in 1 6,22 s. e si contrappone al­ la chiarezza e determinatezza con la quale Gesù stesso guarda in avanti alla propria morte. Marco ha interpretato « esistentivamente» il suo secondo annuncio della passione con la pericope della «disputa gerarchica » dei discepoli (Mc. 9,3 3-37). Matteo da un lato ha sviluppato questa pericope nel suo discorso alla comunità, sottolineandone così la rilevanza ecclesiologica; ma, d'altra parte, ha separato questo discorso dall'annuncio della pas­ sione mediante la breve pericope sulla tassa per il tempio (vv. 24-27). In questo modo l'annuncio della passione viene a trovarsi isolato e, di con­ seguenza, di difficile interpretazione. Nel macrotesto del vangelo esso anticipa l'enigma della passione: allora il figlio dell'uomo sarà consegna­ to agli uomini ostili, abbandonato dai discepoli «turbati>> e percorrerà tutto solo il cammino verso la fine. Ma il terzo giorno Dio risusciterà il figlio dell'uomo e gli darà ogni potere in cielo e sulla terra. Già i com­ mentatori antichi hanno notato come i discepoli non sembrino affatto reagire all'annuncio della risurrezione di Gesù: è come se esso risuonas­ se nel vuoto} Evidentemente qui sono posti dei limiti alla capacità uma­ na di comprensione: il miracolo della risurrezione lo si può solo vivere, non capire in anticipo. 1

Cf. a 1 3,23. 2. Bene Gnilka, n, 1 1 3 : «uno stupore di rifiuto,. . Cf. 19,22; 26,22. Anche in x6,21 e nei paralleli a 20,19 esso verrà ugualmente frainteso. Cf. Orig. In Mt. 1 3 ,9 (GCS xo, 206); Hier. In Mt. 1 54.

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LA TASSA DEL TEMPIO ( 1 7 , 24 -2 7 )

R.J. Cassidy, Matthew 17,24-27 - A Word on Civil Taxes: CBQ 4 1 ( 1 979) 5 7 1 5 8o; D . Daube, Appeasement o r Resistance?, Berkeley ecc. 1 987, 39-58; J.D. Der­ rett, Law in the N. T. 1, London 1970, 2.47-2.65; D. Garland, Matthew's Under­ standing of the Tempie Tax, in E. Bammel - C.F.D. Moule (edd. ), ]esus and the Politics of His Day, Cambridge 1 9 84, 2.65-2.96; S. Légasse, ]ésus et l'impot du Tempie (Mt 17,24-27): ScEs 2.4 ( 1 972.) 3 6 1 - 3 77; J. Liver, The Half-Shekel Offering in Biblica/ and Postbiblical Literature: HThR 5 6 ( 1963 ) 1 7 3 - 198; S. Mandell, Who Paid the Tempie Tax, when the ]ews Were under Roman Rule?: HThR 77 ( 1984) 2.2.3 -2.42.; R. Meyer, Der Ring des Polykrates, Mt 17,27 und die rabbinische Ober­ lieferung: OLZ 40 ( 1 937) 665-670; H. Montefiore, ]esus and the Tempie Tax: NTS I O ( 1 963-1 964) 60-7 1 ; Thompson, Advice (v. bibl. a Mt. 1 7,2.2. s.), so-68; s. Vol­ lenweider, Freiheit als neue SchOpfung (FRLANT 147), 1 9 89, 1 7 1 - 1 77; E. Wil­ helms, Die Tempelsteuerperikope Mt 1 7,24-2 7 in der Exegese der griechischen Viiter der alten Kirchen (Suomen eksegeettisen seuran julkaisuja 34), 1 9 80. 2.4 Ma quando arrivarono a Cafarnao si presentarono a Pietro quelli che riscuotevano le monete da due dracme e dissero: «Il vostro maestro non paga le monete da due dracme ? » . 2.5 Egli disse: « Certo che sì! » . E appena entrati in casa, Gesù lo precedette e disse: « Che pensi, Simo­ ne? I re della terra da chi riscuotono le imposte o il tributo? Dai loro figli o dagli stranieri? » . 2.6 Ma quando lui rispose: « Dagli stranieri » , Gesù gli disse: «Dunque i figli sono esentati! 2.7 Ma per non dare loro motivo di scandalo, va' al lago, getta la lenza e prendi il primo pesce che viene su. E quando gli avrai aperto la bocca, ci troverai uno statere. Prendilo e dallo loro, per me e per te >> .

1 . Struttura. La pericope è formata da due scene: il dialogo degli esattori con Pietro (vv. 24-2 5aa) e il dialogo in casa tra Gesù e Pietro (vv. 2 5a�-27). In questo secondo dialogo parla quasi sempre Gesù: prende lui l'iniziativa e suggerisce le risposte; Pietro - subordinato mediante un genitivo assolu­ to 1 - è soltanto una comparsa inserita frammezzo. Col v. 26, che sembra suggerire un atteggiamento negativo per principio alla tassa del tempio, la pericope potrebbe anche finire, se Pietro non avesse dato prima agli esatto­ ri una risposta positiva (v. 25aa). Così, affinché la pericope divenga un'uni­ tà, è necessario il miracolo del pesce annunciato al pescatore Pietro, che ren­ de possibile il pagamento della tassa. Il verificarsi del miracolo non viene ri1 Questo certamente il testo primitivo, che al v. 2.6 è stato più volte modificato e più tar­ di ampliato anche mediante dittografìa.

ferito. La pericope è molto concisa e piena di participi; una formulazione alquanto singolare, priva anche di agganci col contesto. 2. Fonte. I dati relativi alla situazione del v. 24 e la casa del v. 25 corri­ spondono a Mc. 9,3 3 e sono certamente ripresi di lì. Anche l'ubicazione dell'episodio a Cafarnao tuttavia si adatta bene alla pericope, poiché la tassa del tempio veniva riscossa nel luogo di residenza (di Pietro e Gesù). 1 Fu un'ubicazione tradizionale della storia a Cafarnao l'occasione che spin­ se Matteo a inserirla vicino a Mc. 9,3 3 , benché creasse un'interruzione fa­ stidiosa tra l'annuncio della passione di Gesù e la sua applicazione ecdesio­ logica alla comunità nel cap. 1 8 ? In ogni caso, la storia sarebbe stata an­ cora più fuori posto nel cap. 4 o nel cap. 8 s., che pure raccontano eventi ambientati a Cafarnao. La storia stessa contiene numerosi matteismi, 2. ma ha anche numerose particolarità e hapax,3 che solo in parte sono richiesti dal contenuto. Di regola la storia viene considerata una tradizione orale, alla quale Matteo poté attingere. Non lo si può dimostrare, ma neppure escludere.

3 . Storia della tradizione. Dal punto di vista formale la storia è molto par­ ticolare. L'inizio fa pensare subito a una disputa; nella seconda scena si ha un dialogo tra maestro e discepolo; alla fine c'è l'annuncio di un miracolo. Ciononostante, nella sua forma attuale la storia è coerente: la risposta po­ sitiva di Pietro al v. 2 5 acx richiede una presa di posizione di Gesù in qual­ che modo positiva nei riguardi della tassa del tempio. Non si può quindi considerare senz'altro tutto il v. 27 come un'aggiunta secondaria ai vv. 2426.4 Ci si deve però domandare se la risposta di Gesù, che suona negativa (vv. 2 5 b s.), non sia più antica del resto della scena.5 Un argomento a fal

Cf. vol. I, p. 265. Cf. vol. I, introduzione, 4.1 e 4.2 per Eì.. -Bwv (come genitivo assoluto 4x redazionale), ÒÉ, 7tpoaipxop.at, ÀI1(L[Xlvw, e:l1tov, ÒtÒaCTX11ÀO