Il vangelo di Giovanni. Testo greco, traduzione e commento ai capp. 5-12 [Vol. 2]

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Il vangelo di Giovanni. Testo greco, traduzione e commento ai capp. 5-12 [Vol. 2]

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COMMENTARIO TEOLOGICO DEL NUOVO TESTAMENTO Collana internazionale pubblicata in lingua italiana, francese, inglese, tedesca e spagnola A CURA DI Serafin de Ausejo, Lucien Cerfaux, Joseph Fitzmeyr, Béda Rigaux, Rudolf Schnackenburg, Anton Vogtle Segretari per l'Italia: G. Scarpat

e

O. Soffritti

EDITORI Paideia Editrice, Brescia Les Éditions du Cerf, Paris Herder and Herder, New York Verlag Herder, Freiburg, Basel, Wien Editoria} Herder, Barcellona

COMMENTARIO TEOLOGICO DEL NUOVO TESTAMENTO

Il vangelo di Giovanni PARTE

SECONDA

Testo greco e traduzione Commento ai capp. :;-• 2 di RuooLF ScHNACKENBURG Traduzione italiana di GINO CJ":c:JJJ Edizione italiana a cura di 0Mt:RO Soi1PRITTI

PAIDEIA EDITRICE BRESCIA

Titolo originale dell'opera:

Vas ]ohannesevangelium. n. Teil Kommentar zu Kap. 5·12 von Rudolf

Schnackenburg

Traduzione italiann di Gino Cecchi Revisione di Omero Soffritti

La traduzione del testo biblico è di proprietà della Casa Paideia. Ogni riproduzione è vietata e sarà perseguita a norma d1 legge. Freiburg Cl Puideia Editrice, Brescia

Cl Vcrlag Herder,

im

Breisgau

1977

1971

ALLA FACOLTÀ DI TEOLOGIA DELL'UNIVERSITÀ DI INNSBRUCK IN GRATITUDINE PER IL CONFERIMENTO DEL DOTTORATO IN TEOLOGIA H. C .

PREFAZIONE

Il secondo volume di questo commentario si è fatto attendere più del previsto; altri lavori indifleribili mi hanno spesso distolto dall' occu­ parmi del vangelo di Giovanni. Ma forse il maggior tempo trascorso è andato a vantaggio di questo lavoro, perché nel frattempo la ricerca giovannea è progredita, dando anche alcuni freschi impulsi agli studi. Oltre a validi lavori su certi aspetti, vanno rilevati alcuni nuovi spun­ ti e tendenze: una più accentuata considerazione delle componenti giu­ daiche del pensiero giovanneo, favorita anche dalle foorenti ricerche sul Targum,· l'applicazione allo studio del concreto sfondo storico del periodo in cui è sorto il vangelo di Giovanni; infone, nuove indagini critico-letterarie, che concludono per l'esistenza di diversi strati e di più di una redazione. Ho inzparato qualcosa dfl queste nuove ricerche. In questo volume ho preso in maggiore considerazione lo sfondo sto­ rico del vangelo, che può spiegarne determinati aspetti caratteristici (confronto con il giudaismo del tempo); viceversa sono ancora più scettico nei riguardi dei tentativi di critica letteraria. Nel volume con­ clusivo, che è in programma, questi problemi continueranno ad esse­ re tenuti in considerazione. La benevola accoglienza riservata al primo volume mi ha incorag­ giato a mantenere al commentario la sua struttura originaria. L'esege­ si è stata ampliata il più possibile; ma le questioni di storia della tra­ dizione, che oggi giustamente vengono trattate di preferenza, hanno richiesto in parte un vaglio critico piuttosto lungo. Ho continuato a dare giusto valore agli aspetti teologici, in ossequio alle fonalità di que­ sta serie di commentari, comprese certe problematiche sollevate dalle odierne discussioni teologiche. Tuttavia l'opera continua ad essere incentrata nella ricerca di ciò che è stato detto allora e che si inten­ deva dire originariamente, perché è mia opinione che questa base ori· ginaria non vada mai abbandonata o trascurata, se la teologia cristia-

IO

Prefazione

na vuoi conservare ciò che le è proprio e compiere il suo servizio nel rivolgimento spirituale del nostro tempo. I problemi che premono per un nuovo orientamento verso il futuro non possono soppiantare il richiamo e la ricerca di ciò che «è stato annunciato dal principio». Per questo motivo sono indispensabili esaurienti commentari; e que­ sto è il servizio più eccellente, spesso faticoso, che deve prestare l'ese­ gesi. In tal modo essa può fornire un ausilio, nell'ambito generale del­ la teologia, per continuare ad edificare in modo nuovo su solide fon­ damenta; che è poi un compito urgente se vogliamo testimoniare in modo chiaro il messaggio salvifico di Gesù Cristo e predicar/o effica­ cemente ad un'umanità inquieta sul futuro. Ringrazio vivamente quanti banno contribuito alla riuscita di que­ sto lavoro; soprattutto i molti colleghi ed amici in tutto il mondo, con i quali bo potuto avere un fruttuoso scambio d'idee; ma anche coloro che qui a Wurzburg banno alleggerito la mia fatica, e l'editore Herder. L'autore Wiirzburg, 30 settembre 1970.

PARTE PRIMA

GESù SI RIVELA AL MONDO (capp . I-I2 ) (continuazione)

INTRODUZIONE AI CAPITOLI 5-12 La sezione Io. I , I 9-4,54 si occupava degli inizi dell'attività di Gesù (cfr. I, pp. 3 75-3 7 9 ) ; in questa seconda parte è narrata'i'attività pub­ blica di Gesù in Galilea e soprattutto nella Giudea e a Gerusalemme. L'evangelista adesso trasferisce manifestamente in pubblico i discorsi e i segni operati da Gesù ; lo prova la conclusione in r 2 ,3 6 : dopo un estremo ammonimento a credere alla luce, fintanto che gli uomini hanno la luce, Gesù si allontana da essi e si nasconde ; non più per non cadere nelle loro mani (cfr. 8 ,5 9 ; 1 0 , 3 9 ; u,8.54 ), ma perché d'ora in poi il suo discorso di rivelazione tace e cessano i segni ( cfr. r 2 ,3 7 ). Il discorso libero, aperto, al cosmo (cfr . rS,zo ) è significativo della rivelazione del Gesù giovanneo; chiama alla fede e mette a nudo l'incredulità. I discorsi di rivelazione di Giovanni, che erano già cominciati nei capp. 3-4, ma soltanto in forma di dialogo ( con Nicodemo e con la Samaritana ), ora avvengono per lo più davanti 'ai Giudei' 1 e si tra­ sformano in discussioni con gli increduli ; nei credenti, invece, essi ap­ profondiscono la comprensione della fede. I quattro grandi segni di Gesù ( cinque col cammino sulle acque ) , che si incontrano negli otto capitoli di questa parte, sono spiegati nel loro significato cristologico dai successivi discorsi di rivelazione ( capp. 5 e 6 ) o più brevemente dalle parole introdotte da tyw ELI-l� ( nei capitoli 9 e I I ). Risalta così chiaramente che i segni hanno il carattere di una rivelazione di Cristo nei fatti (cfr. I, pp. 476-493). La guarigione del cieco nato e la ri­ surrezione di Lazzaro sono il punto più alto della rivelazione per mezr. Cfr. ,,10.1,; 6,4t.,z; 7,1,.,; 8,22.31.48.,7; 10,19.24.33; 11,,4. Sull'espressio­ ne 'i Giudei' cfr. commentario ad 1,19 (1, pp. 381 s.).

12

Introduzione ai capitoli 5-u

zo

di segni: Gesù è la luce e la vita: un filo conduttore del pensiero ave\•a cominciato a svolgersi fin dal prologo ( vedi

cristologico, che ad

q).

Però, oltre all'interesse teologico della rivelazione di Cristo , non è senza importanza per· l'evangelista il corso esteriore degli avveni­

menti 2• Lo sguardo retrospettivo sull'attività pubblica di Gesù, con cui si chiude questa parte ( 1 2 , 3 7-43 ), mostra come non siano sepa­

rabili

l'interesse teologico e l'interesse 'storico' dell'evangelista.

Lo

confermano le seguenti osservazioni. I. L'inquadramento nel calendario delle feste non è casuale. Per lo meno a partire dal cap. 7 le feste stanno in un ordine che non può es­ sere alterato: festa dei tae b rnacoli ( 7 ,2 ), festa della consacrazione del tempio ( r o,22 ), pasqua ( u ,.:;4). Durante la settimana della festa dei tabernacoli abbiamo una progressione : prima della festa ( 7 ,2 ), a me­ tà della settimana (v. 1 4 ) , l'ultimo, grande giorno della festa (v. 37). La pasqua della morte si avvicina passo passo all'obbiettivo dal quale la vede l'evangelista (u,,.:;; 1 2 , 1 ; 1 3 , 1 ) e riceve un accento partico­ lare nel processo di Gesù ( 1 8 , 2 8 . 3 9 ; I 9 , 1 4 ). Soltanto la festa in .5 , 1 non h a nome, mentre in 6 ,4 s i avvicina un'altra pasqua. Sotto questo aspetto non è senza importanza la questione dell'ordine originario dei capitoli .5 e 6 (v. sotto). 2. Nel corso dell'esposizione vi sono due momenti drammatici di e­

strema

tensione : quello nel quale il popolo di Galilea, dopo la molti­

plicazione dei pani, insegue Gesù per obbligarlo a compiere un'azione esteriore ( 6 , 1 .5 ), con il successivo capovolgimento della situazione al­

lorché i discepoli di Gesù si ritraggono da lui ( 6 ,66 ) ; e quello dell'ul­ timo empito del movimento di fede dopo iJ miracolo di Lazzaro pres­ so

Gerusalemme ( n ,4 .5 ; 1 2, 9 . 1 7 . I 9 ), che provoca la sentenza di mor­ te da parte del sinedrio ( n .47-.5 j ) e porta infine alla morte di Gesù.

Questi sviluppi carichi di tensione sono stati immessi intenzionalmen­ te nel racconto. Non ha forse l'evangelista voluto mostrare il fallimen2. Ciò viene talvolta sottovalutato; dr. R. H. Strachan, Tbe Fourth Gospel, Lon· don '1941, 8x: «Questo evangelista non si interessa di itinerari,.; similmente C. K. Barrett, Tbe Gospel according to St. ]ohn, London 19,, zo; E. Schick, Evan· gelium nach ]oht.innes, Wiirzburg '1965, 5 8 ; R. E. Brown, Tbe Gospel according lo ]ohn (l-XII) , New York 1966, 236; G. Richter nella sua recensione: MiiThZ IB (I967l 249·

Introduzione .; c11pitoli J·I2 to del movimento di fede in Galilea e poi, in altre condizioni, in Giu­ dea e a Gerusalemme? 3- Nei lunghi capitoli che descrivono l'attività di Gesù a Gerusalem­ me si può rilevare una crescente asprezza della disputa con i 'Giudei', anche se la loro mortale inimicizia si è già consolidata fin dal cap . 5 ; ma soltanto dopo la festa dei tabernacoli essi prendono concrete mi­ sure contro di lui : ordine di cattura ( 7 , 3 2 ) , che però fallisce ( vv. 4 � ' s . ); tentativo di lapidario ( 8 ,5 9 ) ; minaccia di esclusione dalla sinagoga a tutti coloro che lo riconoscono come il Messia ( 9 ,2 2 ) ; nella festa della consacrazione del tempio nuova intenzione di lapidario ( I 0 ,3 I ) e tentativo di impadronirsi di lui ( I 0 , 3 9 ) ; dopo la risurrezio­ ne di Lazzaro decisione ufficiale di metterlo a morte ( I I ,5 3 ) e ordine di denunciare il luogo in cui egli si trovi ( I I ,57). Ma anche l'attacco di Gesù ai suoi oppositori viene via via crescendo, dall'accusa di .non credere alla testimonianza della Scrittura ( 5 ,3 9-47 ) a quella di essere figli del diavolo ( 8 ,4 2-44 ) e a quella , nascosta tra le righe dei discorsi del buon pastore , di operare come ladri e predoni verso il gregge di Dio ( cfr. I O , I · I O con 9 ,24-34 ) . 4· Sotto questo aspetto non sono senza importanza anche l e annota­ zioni marginali che introducono (6,r; 7,1) e collegano ( I 0,40-42 ; I I , 54-5 7 ) i capitoli. I n Galilea il 'clima' è più favorevole a Gesù che non a Gerusalemme (cfr. 6,2 con 7,25 s .) e ivi Gesù si trova più al sicuro (?,I). In Perea ( I o,4o ) e nella stessa Giudea ( I I ,54l la gente pervie­ ne più facilmente alla fede e il pericolo per Gesù è minore che nella capitale . I veri e propri avversari di Gesù sono i capi del giudaismo, e fra di loro specialmente i Farisei, di cui l'evangelista mette in ri­ salto la tenace influenza ( 1 2 ,42 ). Oltre che all'aspetto teologico, concentrato sulla rivelazione del Fi­ glio di Dio e sulla risposta della fede, l'evangelista è interessato anche all'incontro storico del Rivelatore con il mondo e all'insegnamento oggettivo che i lettori ricevono dal comportamento dei Giudei di al­ lora. Tuttavia, si tratta di una visione storica tutta particolare, che di­ spone con assoluta libertà del materiale tratto dalla tradizione, uti­ lizzandolo in una prospettiva teologica. La teologia dell'evangelista è subordinata alla predica zi one diretta· mente indirizzata ai suoi lettori. La d isputa con i 'Giudei', le luru O· biezioni e le risposte di Gesù diventano comrrensihili interamente tol-

14

Introduzione ai capitoli 5-12

tanto sulla base delle tendenze storiche del tempo .dell'evangelista e sul presumibile sfondo della situazione di allora. La recente esegesi vi presta più attenzione di quel che si facesse prima 3• La forma del vangelo, cili però non si può negare il carattere di un evangelo, anzi di una 'storia di Gesù' {cfr. I, pp. 1 2- 2 9 ) , è modellata sulla situa­ zione della o delle comunità giovannee; i discorsi di Gesù e le con­ troargomentazioni dei Giudei sono resi trasparenti per i tempi del­ l'evangelista; il comportamento dei circoli influenti di allora è assimi­ lato a quello dei capi giudei dell'ambiente in cui viveva l'evangelista. Fede e incredulità di un tempo si aprono al presente dell'evangelista. Ciò appare in tutti questi capitoli, che trattano dell'apparizione in pubblico e dei discorsi di Gesù. Nel cap. 6 lo accenna già il cambia­ mento dell'uditorio ( la folla , i Giudei, i discepoli nel senso più ampio della parola); più ancora, le obiezioni {vv. 4 2 .5 2 ), lo scandalo per il 'discorso duro' {v. 6o ), la reazione di incredulità della maggioranza e la confessione di fede di Pietro in nome dei Dodici, lasciano vedere che all 'evangelista interessa un'attualizzazione della rivelazione di Cri­ sto. Nel cap. 7 troviamo ancor più obiezioni alla messianità di Cristo, ancor più discussioni e reazioni mutevoli . Nel cap. 8 la disputa con il giudaismo incredulo s'inasprisce lino a giungere a durissimi attacchi, mentre i Giudei 'diventati credenti' sono esortati a rimanere nella pa­ rola di Gesù per essere veramente suoi discepoli {v. 3 1 cfr. 5 1 ). Il cap. 9 è un esempio classico del comportamento dei circoli ufficiali giudaici ; la minaccia di esclusione dalla sinagoga {v. 2 2 ) e la sua at­ tuazione {v. 3 4 ) si riferiscono direttamente ai tempi dell'evangelista ed alla situazione della sua comunità. Nel cap. I o la polemica sul discor­ so del buon pastore è rivolta contro le false guide del popolo di Dio, di ieri e di oggi , e ciò è confermato dalla discussione che avviene du­ rante la festa della consacrazione del tempio. Ma lo sguardo si apre sempre più anche verso i credenti chiamati dal paganesimo {ro , x 6 ; u,52), i n rappresentanza dei quali alla fine si presentano a Gesù dei pellegrini greci { 1 2 ,20 ss. ) . L'esegesi deve fare molta attenzione a 3· Vedi specialmente J. L. Martyn, History and Theology in the Fourth Gospel, New York 1968 ; inoltre H .. Leroy, Riitsel und Missverstandnis. Ein Beitrag zur Formgeschichte des Johannesevangelium, Bonn 1 968 ; G. Richter, Die Fusswa­ schung im ]ohannesevangelium, Regensburg 1 967, 309-318. Cfr. R. Schnacken­ burg, Zur Herkunft des ]ohannesevangelium: BZ, N.F. 14 (1970) 1-23.

Introduzione ai capiteli 5-12

tutti questi tratti ; lo sguardo retrospettivo ( 1 2 ,37·4 3 ) diventa una prospettiva sul presente : le parole di Gesù, che una volta hanno ri­ suonato sulla terra, diventano un appello ammonitore ai lettori del vangelo. Queste tendenze e la storia complicata della formazione del van­ gelo (cfr. 1, pp. 72-92 )4 spiegano la struttura di questa grande parte che, se è chiara nelle sue grandi linee, è poco soddisfacente nei par­ ticolari . Non conducono a soluzioni convincenti né una sua articola­ zione secondo le visite di Gesù a Gerusalemme, né secondo il calen­ dario delle feste e neppure secondo i ' segni ' . Migliore sembra una sua divisione per gruppi di idee; ma essa va collegata all'esposizione ' storica' dell'evangelista. I capitoli :; e 6 sono piuttosto unità tema­ tiche , la cui successione non si può stabilire in base al loro tema. Do­ po il cap. 7, che è composto bene, nel cap. 8 abbiamo l 'ordine e il le­ game tra le varie situazioni è ridotto al minimo ; l'unica cosa sicura in tutto il capitolo è che questi discorsi e queste dispute hanno luo­ go a Gerusalemme, più precisamente nel recinto del tempio (cfr. 8 , 20 ) . L a guarigione del cieco nato (cap. 9 ) s i svolge ancora nelle vici· nanze del tempio e per la sua tematica si collega a 8 , 1 2 . Se ne deve concludere che l'evangelista ha volutamente pensato ad un'idea cen­ trata su 'Gesù luce del mondo', o addirittura cercare di ricostruire un 4- Nel frauempo sono stati sviluppati nuovi modelli per la storia della formazio­ ne del quarto vangelo. G. Richter, Die Fusswascbung im ]ohannesevangelium 309-313, ammetle l'esistenza di due strati , corrispondenti a due diverse finalità dell'autore e ad una mutata situazione della comunità, che vennero a trovarsi giu­ stapposti in varie parti del vangelo. R. T. Fortna, Tbe Gospel o/ Signs, Cambridge 1970, ricostruisce un originario 'vangelo dei •egni', che più tardi, con l'ulteriore sviluppo della situazione della comunità, fu completato e trasformato nell'auuale vangelo di Giovanni. Anche G. W. C. Reitn, nella sua dissertazione oxfordiana (inedita) Studien xum alttestamentlichen Hintergrund des ]ohannesevangeliums ( 1 968) ammette l'esistenza di un piccolo testo di miracoli utilizzato dall'evangeli­ sta. Però, a differenza del Fortna, secondo lui non esisteva ancora un vangelo con la storia della passione; l'evangelista avrebbe us�to invece un vangelo di caraue­ re sinouico ('quarto sinouico'), che spiega varie interruzioni nell'esposizione. Una discussione di queste nuove ipotesi ci porterebbe troppo lontano. Noi seguiamo quanto è stato Accettato fino ad ora, cioè che il quarto vangelo sostanzialmente si deve ad un uomo ( l'evangelista'); anche se questi rielaborò fonti e tradizioni orali, persegul intenzioni diverse e lasciò un'opera incompiuta. La redazione, che mise insieme i suoi abbozzi, vi aggiunse poco testo nuovo. Maggiori precisuio­ ni saranno date nelle sezioni o nei versetti relativi.

Introduzione ai capitoli J-I2

x6

'discorso della luce' disperso in molti capitoli? 5 • È estremamente pro­ blematico; sarà meglio lasciare il cap. 8 com'è, nel suo ordine e nella sua collocazione, certamente poco soddisfacenti. Problemi analoghi sol­ leva la sezione 1 o , x-:u, che segue alla guarigione del cieco nato senza dare nuove indicazioni sulla situazione. I discorsi del buon pastore potrebbero essere stati originariamente pensati per la festa della con­ sacrazione del tempio (v. 22); ma questo ed altri problemi di critica letteraria saranno discussi più avanti . I capp. II e I2 presentano una successione di fatti abbast11I1Za chiara, che è strettamente legata ai te­ mi teologici; soltanto alla fine l'evangelista torna a tenere in minor conto la situazione , perché è predominante il suo interesse teologico (I2,2o-36). Il problema dell'inversione dei capitoli .5 e 6 (e dello spostamento di 7,1.5-24 alla fine del cap. 6) sarà discusso nel capitolo seguente; da tale indagine si ricavano più motivi a favore che contro l'inversione dei due capitoli. Anticipando tali risultati e sulla base delle conside­ razioni fatte fin qui, presentiamo un riassunto dei capp . .5 - 1 2 , che ne mette in risalto il contenuto principale e le caratteristiche. Esso ten­ derebbe a collegare i punti di vista sistematico-teologici, che guidano l'evangelista, con il riconoscimento del fatto che questi tuttavia vuoi presentare un'esposizione evangelica segnata da un'impronta sua per­ sonale: essa conduce conseguentemente all"ora di Gesù' ( cfr. 7,3o; 8,20; 12,23; 13,1), vale a dire esteriormente alla morte sulla croce, ma più in profondità al compimento della sua opera (17,4; 19,30), alla sua glorificazione (12,23; 13,31 s . ) , alla donazione dello Spirito e della vita ai credenti (7,39; 17,2; 19,34) e al giudizio sul mondo in­ credulo (3,19; 12,31; 16,9-11). Cap. 6: culmine dell'attività in Galilea. Il miracolo della moltiplicazio­ ne dei pani e l'autorivelazione di Gesù come pane della vita. Crisi di fede tra i discepoli galilei. Cap .5 e 7,1.5-24; l'autorivelazione di Gesù durante una festa a Ge­ rusalemme. Guarigione di un malato da 38 anni e discorso di rive.

,. Cfr. R. Bultmann, Das Evangelium des ]ohannes 237.26o-272 (secondo lui il 'discorso della luce' comprende: 8,12; 12.44-50; 8 ,21-29; 12,34-36); H. Becker, Die Reden des ]obannesevangeliums (sintesi a pp. 132 s.; ancora più complicato).

La successione dei capitoli ' e

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6

lazione sulla potestà del Figlio di donare la vita e di giudicare. La testimonianza di Dio per Gesù. Capp. 7 (esclusi i vv. I5-l4) e 8 : lotta di Gesù con l'incredulità giudai­ ca durante la festa dei tabernacoli. Parole di rivelazione e dispute. Gli umori dd popolo e l'ostilità dei capi. Cap. 9 : Gesù la luce del mondo. Guarigione di un cieco nato. L'ac­ cecamento degli avversari farisei di Gesù . Cap. 10: Gesù il vero pastore in contrapposizione a ladri, predoni e cattivi pastori. Alla festa della consacrazione del tempio. Nuova acutizzazione del conflitto. Cap. n: Gesù è la risurrezione e la vita (Lazzaro risuscitato). Accen­ tuato risveglio della fede nel popolo e contrattacco dei capi giudaici. Cap. n: ultima attività a Gerusalemme. Prospettiva sulla morte di Gesù in croce, che diventerà vittoria sulle potenze del Maligno e promessa di una comunità universale di fede.

Il problema della successione dei capp . 5

e

6

In ossequio ai nostri principi metodologici (cfr. 1, pp. H-68), ope­ razioni di critica letteraria e modificazioui nella successione tes tuale debbono essere effettuate soltanto se il testo attuale lo impone e se esistono forti ragioni per variazioni del genere. Le tensioni interne che si verificano nella successione dei capp. 5 e 6 e che continuano fin nel cap. 7 sono già state rilevate da tempo; anche la proposta di invertire la successione dei due capitoli risale a molto tempo fa. Però non ci si può richiamare a Taziano, che nella sua Armonia dei Vangeli colloca di fatto Io. 5 dopo Io. 6 1• In età moderna, per primo I. Nella necessità di annonizzare il vangelo giovanneo con il materiale sinottico, il Siro ha senza visibili motivi ordinato alcuni capitoli giovannei, che non hanno paralleli sinottici. Petaltro la successione originaria delle pericopi, dopo le di­ verse versioni, non si può più stabilire con precisione. Secondo A. Voobus, Early Versions of the New Testament, Stockholm 1954, 15 s., il Diatessaron arabico, il commentario di Efrem e anche il codex Fuldensis riproducono più o meno esat­ tamente il quadro originario dell'opera. Secondo questi documenti Taziano milo­ ca la moltiplicazione dei pani (cap. 6) prima della guarigione alla piscina di Bc:­ tesda (cap. 5 ), ma vi inserisce vario altro mP.teriale, fra cui anche l'incontro di Gesù con la samaritana ( lo. 4,4-42). Da questa combinazione di ma1eriali diveni è diflicilc trarre una conclusione relativa alla sua opinione su lla surreaainne dei capp. ,.6. Or. }. Hon 1 he im , Die Abfolge der euan�elisrhen l'mlwf'li : c R u�·-

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Io. 6,1-15

cogliete i pezzi che sono avanzati, affinché nulla vada perdu­ to ! » . 13 Li raccolsero dunque e riempirono dodici ceste di pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato . 14 0ra la gente , visto il segno che aveva fatto , di­ ceva : «Costui è veramente il profeta che deve venire nel mon­ do » 15 Ma Gesù , avendo capito che stavano per venire a ra­ pido per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, solo . La versione giovannea della moltiplicazione dei pani pone molti problemi di storia della tradizione, soprattutto per il confronto con i racconti sinottici 1• È consigliabile cercare per prima cosa una spiega­ zione che segua il testo giovanneo e solo dopo affrontare le questio­ ni che sorgono dal raffronto con i sinottici . In un'esegesi positiva ri­ volgeremo la nostra attenzione principalmente ( senza perdere di vista i testi extra-giovannei) all'esposizione giovannea, di cui è fondamento e puilto di partenza il segno della moltiplicazione dei pani. Soltanto se si è venuti in chiaro sul modo in cui Giovanni intenzionalmente e­ spone i fatti si può più facilmente esprimere un giudizio sulle questio­ ni di storia della tradizione. La costruzione del racconto giovanneo è trasparente: situazione e 1.

Sulla moltiplicazione dei pani e sul cap. 6 nel suo insieme: D. Mollar, Le chap.

VI de Saint fean : LumVi 3I ( I957l 107- r r 9 ; S. Mendner, Zum Problem «]ohan­

'"" und die Synoptiker-,.: NTSt 4 ( I 957/58) 282-307 ( per M. «la storia della mol­ tiplicazione dei pani. .. nella struttura complessiva disturba come un corpo estra­ neo•, 296 ) ; X. Léon-Dufour, Le mystère du pain de vie (fean VI) : RechScR 46 ( I 958) 48I-523; F. ] . Leen hardt, La structure du chap. 6 dell'Évangile de ]ean: RHPhiiRel 39 ( 1 959) I-I 3 ; B. Giirtner, o.c. ; E. Haenchen, Johanneische Probleme : ZThK 56 ( 1 9 59) 1 9-54, particolarmente 3 I-34 ; W. Wilkens, Evangelist und Tra­ dition im ]ohannesevangelium: ThZ r6 ( 1 96o ) 8 1 -90 (contro Haenchen); E. ]. Kilmartin, Liturgica/ Inf/uence on fohn 6: CBQ 22 h96o) 1 83-1 9 1 ; E. D. Johns­ ton, The Tnh. Version of the Feeding of the Five Thousand - an Independent Tradition?: NTSt 8 ( 1 96 I /62) 1 5 I - I 54 ; S. Tempie, A Key to the Composition oi the Fourth Gospel: JBL So ( 1 96 1 ) 220-232 ( in 6,24-7I distingue tre strati ) ; G. H. C. Macgregor, Tbe Eucharist m the Fourth Gospel: NTSt 9 ( 1962/63 ) I I I- I I 9 , specialmente r r4-r r 6 ; A . Feuillet, Les thèmes bib/iques ma;eures d u discour. sur le pain de vie, in: .l>tudes Johanniques, Paris 1 962, 47-I29; V. Ruland, Sign and Sacrament: fohn's Bread of Li/e Discourse : lnterpr r8 ( 1 964) 45o-462 ; P. Bor­ gen, o.c. ; H. Schlier, foh 6 und das iohanneische Verstiindnis der Eucharistie, in: Bibel und zeitgemiisser Glauhe 1 1 , a cura di J. Sint, Klosterneuburg 1 967, 69-9 5 ; R. T. Fortna, o.c. 55-64 ; M.-F. Berrouard, La multiplication des pains e le discours du pain de vie (Jean, 6) : LumVi 18 ( 1 969) 63-7 5 . Altra bibliografia sarà indi­ cata più avanti a proposito del discorso di rivelazione.

Io. 6,r

circostanze (vv. I -4 ) ; preparazione ( vv. 5 - z o ) ; il pasto sovrabbondan­ te (vv. I I - I } ) ; l'impressione del segno sulla folla e il comportamento di Gesù (vv. I 4- I 5 ). l.

Con una indicazione generica di tempo ( IJ.E�CÌ �«;h« ) 2 1'evangelista racconta un trasferimento di Gesù all'altra riva del lago di Galilea, cioè dalla riva occidentale a quella orientale. La localizzazione della moltiplicazione dei pani sulla riva orientale meno popolata ( cfr. anche Mc. 6,3 I : etc; EPT)IJ.OV �611:ov ) sembra ben fondata e non è posta in di­ scussione neppure dalle difficili indicazioni sinottiche successive all'av­ venimento 3• Quanto a Io. , ha potuto affermarsi l'opinione che l'evan­ gelista abbia pensato alla riva occidentale ( non lontano da Tiberiade) come luogo della moltiplicazione dei pani 4 , soltanto perché in 6 , I esi­ ste una notevole variante testuale ( EÌ.c; �cì !J.ÉPTI �i'jc; �L�EpLiilìoc;) che , a quanto pare, si appoggia all'espressione poco chiara di 6 , 2 3 . La designazione del lago con due genitivi , accolta in tutte le edizio­ ni, è inconsueta, ma è attestata dalla maggior parte dei manoscritti. Le varianti cercano evidentemente di eludere questa difficoltà: inseri­ scono un x«!. tra �i'jc; r«À.LÀ.a.l.«c; e �i'jc; TL�Epui.lìoc; V f goth, un quod est c Vg; omettono �i'jc; r«À.LÀ.«I.«c; 02 1 0 I 24 2 * 1 344 2 1 74 z z 84 ; omette �i'jc; TL�epui.lìoc; I 546 . A questo punto ci si domanda se la notevole variante el.c; �cì !J.ÉPTI �i'jc; TLaepL!i.lìoc; (D 8 892 I 009 I 2 3 0 12 5 3 h d e r1 georg Chrys ) corrisponda ad una tradizione pecu­ liare, probabilmente originaria 5• La localizzazione in prossimità di Ti2. L'espressione �-rà "C'a.V"fa. si trova in 3 ,22 ; , , r .r4; 6,r ; 7,1 ; 1 3 ,7 ; 19,28; 2 r , r ; invece !lE"tiÌ -coii-co i n 2 , 1 2 ; I I ,7.n ; 19,28. Può darsi che col singolare s i vo­ lesse indicare uno spazio di tempo più ridotto, dr. Bernard CVIII ; Lagrange 63 (a 2,12). In 6,r essa è indeterminata come in ,,r ; 7,1 ; 2 I , t , e apre un nuovo capitolo. 3 · Secondo Mc. 6.4' i discepoli devono recarsi sull'altra sponda a Betsaida, indi· cazione che Matteo omette; però, dopo il cammino di Gesù sulle acque, prendo­ no terra, secondo Mc. 6,H par. Mt. 14,3 4 , a Genezaret (pianura di Gennezar), secondo il secondo racconto ndle vicinanze di Dalmanuta (Mc. 8,r o) o Magadan (Mt. r , ,39 ) .Luca localizza la (prima) moltiplicazione dei pani a Betsaida (9,10) . Su questa problematica confronta i commentari ai sinottici. 4 · M.·E. Boismard: RB 6o ( I 9H) H9·37I .36I ss . ; R. E. Brown, Gospel 232·2, 9 . ,. Cosl Boismard, o.c. (v. nota precedente) 362 s . ; egli pensa che la contraddi· zione formale con Le. 9,10 (Betsaida) abbia indotto un revisore a i n t rodu r re qud testo più breve, che è presente negli altri gruppi di manoscritti ad «.-c:czion e di quelli 'occidentali ' . Ma è possibile anche che la precisazione dd testo 'occi den· tale' si debb a alla non chiara situazione in 6,22-2.0 . Soprat t u t to si disc:ute aru.-c�ra

J2

Io. 6,2

beriade sarebbe presupposta anche in 6,2 3, se si dovesse intendere il testo nel seguente modo: «altre navi vennero da Tiberiade da vicino al luogo dove avevano mangiato il pane�; questo è detto chiaramente in alcuni codici, in cui questo luogo è collegato con Tiberiade : tyyùç; oilCTI)ç; (cod. S * ) ; quae in proximo erant (codd. b r1 ) ( + loco illi : cod . b); forse quei copisti che in 6, 1 scrivono «nei dintorni di Tiberiade», hanno capito il testo di 6,2 3 proprio cosl. Secondo gli altri manoscrit­ ti si intende dire «si mossero da Tiberiade e vennero vicino al luogo». Si apre un'importante prospettiva se i passi dove si parla di Tibe­ riade si considerano come aggiunte della redazione a cui si deve pure l'aggiunta del cap. 2 1 : infatti in 2 1, 1 , e soltanto qui, si trova l'espres­ sione «al mare di Tiberiade». Allora il -cTjç; T��Epl.li.lioç; in 6, x e il pas­ so di 6,2 3 ( sulla sua ampiezza vedi ad l. ) sarebbero glosse redazionali � ; in tal caso l'evangelista avrebbe parlato soltanto del « mare di Gali­ lea » e localizzato la moltiplicazione dei pani sull'altra riva, vale a dire su quella orientale (cfr. anche il commento al v. 2 2 ). 2. Donde venga la grande folla, che compare qui improvvisamente,

non è detto. Di un ' seguito' di tanta gente non si fa mai parola nel vangelo di Giovanni; questo è uno dei passi che presuppongono la conoscenza del materiale narrativo sinottico. Anche il quarto evange­ lista qui lascia vedere di essere a conoscenza di una più vasta (e più lunga) attività di Gesù in Galilea. A motivo di questo implicito pre­ supposto, non ci si può neppure domandare quali segni concreti (CTIJ­ IJ.E�«), più precisamente guarigioni di malati, egli abbia in mente. La notazione generica ( cfr. 2,2 3 ; 4,4,) è destinata a richiamare l'atten­ zione sulla folla, che lo seguiva soltanto per questi benefici esteriori e non per una fede più profonda ( cfr. 2,24), anzi per egoismo e ricer­ ca di sensazioni (cfr. 4,48 ). In tal modo l 'annotazione prepara già il lettore alla reazione del popolo dopo la moltiplicazione dei pani (v. x , ) , alla sua imperfetta comprensione del 'segno' {v. 26 ) e alla in­ credulità che vi è implicita (vv. JO.J6 ). dove ci si debba immaginare «la folla che era sull'altra riva» (v. 22), come do­ cumenta lo stesso tentativo di ricostruzione del Boismard ( ibid . 3 46•371). ar. M. Mees, Sinn und Bedeutung westlicher Textuarianten in ]oh 6: BZ, N.F. 13 ( 1 9 69 ) 244-2 5 1 , specialmente 247· 6. Per 6,23 il Bernard 1, 189 ha raccolto tutta una serie di motivi per i quali l'intero versetto sarebbe una glossa redazionale. Altri esegeti determinano in al­ tri modi l'intervento della redazione (o dello stesso evangelista) sul suo modello (c-fr. Bultmann, 16o); dr. ad l.

Io. 6,J

33

). Il monte, su cui sale Gesù per sedere con i suoi discepoli, non i: un monte noto o indicato per nome. Un monte o 'il monte' 7 non ha nel vangelo di Giovanni alcun significato teologico, ad eccezione del

G arizim (4,2os . ) . Sotto l'aspetto della storia della tradizione questo motivo potrebbe derivare dalla tradizione sinottica, secondo la quale Gesù, dopo il miracolo dei pani e il congedo del popolo, si ritira sul monte a pregare (Mc. 6 ,46 = Mt. 14,2 3 ) 1• Il quarto evangelista lascia vedere di esserne a conoscenza con l 'osservazione in 6 , 1 5 , che non si concilia col v. 3 : infa tti non è detto che nel frattempo Gesù sia di­ sceso dal monte per dare da mangiare al popolo. Ma perché dunque ha ripreso questo motivo dalla tradizione di cui era a conoscenza, e lo ha posto int enzion alment e al principio del capitolo? Forse per de­ scrivere la maestà di Gesù, che alza gli occhi e vede la folla numerosa che accorre a lui (v. 5 ); ma forse anche per richiamarsi a Mosè, la cui ascesa sul Sinai è un tratto costante della tradizione sinaitica : essa è riservata a lui, l 'detto di Dio e il mediatore del popolo; al massimo anche ad Aronne e ai rappresentanti del popolo 9• Cosi Gesù appare co­

me la guida del popolo, che opera in nome di Dio e s i mo5tra come l 'inviato di Dio ( dr. vv. 1 4 .29 ) e non come legislatore e maestro (dr. Mt. 5 , 1 s . ; Mc. 6 , 3 4) o come guaritore di malati o benefattore (cfr. Mt. 1 5 ,2 9 ss. ), perché qui non è detto nulla di un'attività del ge­ nere. Ma nel contempo egli supera Mosè con la sua azion e sovrana, il nutrimen to che dà alla folla. 7. Avviene diversamente nei sinottici, dove 'il monte' è in vario modo teologica­ per tutti i tre i sinottici: Mc. 9,29 parr . (monte della trasfi­ gurazione); per Matro e Luca: Mc. 3,13; Le. 6,12 s. (scelta dei Dodici); per Mat­ teo: , , x ; 8,1 (monte del discorso delle beatitudini); 1 , ,29 (mo:�te delle guari­ gioni) ; 28,16 (monte dell'invio in missione) ; per Luca: 19,29 .37 ; 21 ,37 ; 22,39; Act. 1 , 1 2 (Monte degli Ulivi). Vedi al riguardo W. Foerster : ThWb v , 484 s. ( = GLNT vm, coli. I3H ss.). Si potrebbe anche tradurre «in montagna», nel qual caso però sta meglio il plurale, dr. Bauex, Wb. I I '4 s. La situll2ione con­ creta in v. I' richiede piuttosto 'monte'. Il carattere di 'solitudine' (Bauer, ibid. ) non è messo in rilievo nel v. 3, ma ha parte nel v. I' (��6.; p_6.,o�). 8. g dillicile che ù motivo del monte nel v. 3 derivi da Mt. 15,29 (prima del 2" rac­ conto). Qui Matteo, in confronto a Mc. 7,31-37, ha dato forma ad una sua scena redazionale, inserendovi il 'monte'. I punti di contatto del secondo racconto della moltiplica2ione dei pani con Io. in complesso sono poehi. W. Wilkena: ThZ x6 (x 96o) 8' pensa che l'evanaelista utilizzi un motivo tradi2ionale e inlel' plfti il 'monte' come monte dell"esalt112ione', della replitl di Cristo. 9· Cir. Ex. 1 9,20.23 1.; 24,1 1.9. 1 2 s.r,.1 8 ; 32,30; 34,2 ss. mente rilevante ; dr.

34 4. Anche l'annotazione sulla prossimità della pasqua ( sulla festa «dei Giudei• vedi commento a 2 , 1 3) ha un significato non cronologico ma teologico. Però qui traspare una tradizione degna ' di fede, perché si parla della «molta erba. (v. r o ) (che sulle coste montane della Galilea si ha soltanto in primavera verso pasqua; dr. Mc. 6,3 9 par . : «erba ver­ de• ), quantunque di per sé se ne potesse fare a meno (Le. non ne parla) dato l" ambiente desertico'. Tuttavia soltanto Giovanni nomina esplici­ tamente la vicina pasqua; questa non è una glossa posteriore 10 né una pura annotazione compositiva dell'evangelista 11 • Essa è per lui impor­ tante per il discorso del pane perché in esso ricorre il tema della manna, che aveva un certo ruolo anche nelle letture giudaiche del tempo pasquale 11• S. Fra i dati relativi alla situazione , . va rilevata l'assenza dell'ora, che

è indicata da tutti i sinottici per la prima moltiplicazione dei pani : che si era già fatto tardi (Mc. 6,35 parr . ; però dr. Io. 6,1 6 ), oppure un accenn48-47-44 · 4'".37 ; 7,28". 29.3.J 1.).

66

Io. 6,22-25

cuzione Èyw E t�L - L'interpretazione della parola della Scrittura ha co­ me sfondo tutti gli avvenimenti nel deserto, che concorrono a deter­ minare lo svolgimento della disputa con i Giudei. Con la riserva che l'articolazione del midrash, che incomincia con v. 3 1 b, è incerta e non ha molta importanza, per motivi di chiarezza seguiamo questa suddivisione : a) trapasso al discorso in Cafarnao (vv . 22-2 .5 ) ; h) esigenza avanzata d a Gesù d i una comprensione più profonda, e rkhiesta di un segno da parte dei Giudei (vv. 26-3 0 ) ; c) discorso d i rivelazione sul vero pane dal cielo; citazione della Scrittura e interpretazione di Gesù (vv . 3 1 -3 .5 ) ; d) intermezzo del discorso d i rivelazione: l a necessità della fede (vv. 3 6-4o ) ; e) i l mormorare dei Giudei e nuovo discorso sull'incredulità e l a fe­ de (vv. 4 1 -47 ); f) nuova autorivelazione di Gesù come il pane della vita disceso dal cielo (vv. 48-.5 I ) ; g) diverbio con i Giudei, parole di Gesù sul mangiare la sua carne e bere il suo sangue, conclusione del discorso (vv . .5 2- .5 9 ) .

a) Trapasso al discorso in Cafarnao ( 6 ,22-2 5 ) 22

T'ii É�avpLov o ISxì..o ç o t� xwç �Épav -.;ijç itaMCTaTJ..i)lwv ) e il v. 52 (1tpÒ� à.lli)>..ou� ) viene a cadere se si confronta x 6 , 1 7 con r 6 , 1 9 , vedi anche 4 , 3 3 . Il Rich ter interpreta 6,52 con riferimento alla disputa doce­ tica ( nella comunità giovannea). Ciò può essere giusto quanto alla sua arrlka­ zione contemporanea; ma per mezzo di o! 'Ioulia�o• la sezione è inserit a come i vv. 42 s. nello sresso contesto midrashico.

Io. 6,5J

1 28

ti del discorso stesso. Inoltre è confermata l'osservazione riguardante il v. 3.5 h: la manna, interpretata nel midrash cristiano, è collegata con l'acqua sgorgata dalla roccia. Infine, in tal modo si può affermare più facilmente il trapasso alla parte eucaristica: anche in Paolo manna e acqua dalla roccia sono segni veterotestamentari precursori del doppio dono eucaristico (z C or. ro,3 s.), segno che questa visuale tipologica era molto diffusa nella chiesa primitiva. Lo scandalo dei Giudei ( introdotto con 11:� come nel v . 42 b) è dovuto all'affermazione di Gesù, che è incomprensibile per loro. Gesù non aveva parlato direttamente di mangiare la sua carne; ma i Giudei intendono questa parola di rivelazione in un senso esteriore e mate­ riale, come accade sempre negli 'equivoci' giovannei. Da molti 'l'equi­ voco di Cafarnao' è interpretato nel senso che ai Giudei era fatta proi­ bizione di bere il sangue di 'carne' ( viva), anzi che faceva loro ripu­ gnanza (cfr. Gen. 9,4; Lev. 3 , 1 7 ; Deut. 1 2 ,2 3 ) ; ma di ciò qui non si fa parola e neppure vi è detto che i Giudei inorridivano al solo pen­ siero di mangiare carne umana. La loro obiezione intende soltanto ri­ levare l'insensatezza, per loro , delle parole di Gesù (cfr. 3 ,4 ; 4 , u ; 8, .5 2 . .5 7 ), manifestando cosl, ancora una volta, la loro incredulità 49• 5 3 . L'insegnamento sui doni eucaristici, che Gesù riprende con una

solenne assicurazione, è costruito su due piani : la sua carne e il suo sangue , un vero cibo e una vera bevanda, comunicano la vita ( vv . .5 3 .5.5 ) e operano un'unione durevole con lui, che è il divino portatore e comunicatore della vita (vv .56-.5 7 ). A conclusione si afferma che que­ sto è il vero pane disceso del cielo, che dà una vita indistruttibile (v .5 8 ) ; in tal modo è ripreso il mangiare è bere sacramentale del di­ scorso del pane personale di Dio, che dona la vita ai credenti (cfr. il v . .58 coi vv. 49 s . ) . Già nel v . .57 la doppia espressione 'la carne e il sangue', 'mangiare e bere' (che appare nei vv .53-.5 6 ) aveva ceduto il passo all'affermazione personale «colui che mangia me vivrà mediante .

.

.

49- L'incredulità che qui si manifesta è sottolineata già dal Crisostomo, da Ci­ rillo d'Alessandria e da Agostino, quest'ultimo nella sua visuale del sacramen­

tum unitatis: Litigabant utique ad invicem, quoniam panem concordiae non in­ tellegebant, nec sumere volebant; nam qui manducant talem panem, non litigant ad invicem ( 26 , r 4 ; CC 267). Giustamente W. Bauer, ad 1. : «un'obie2ione dettata

dall'incomprensione, che si attiene all'esteriorità»; Hoskyn s-Davey: «un'intensi­ ficazione del mormorio del v. 4I».

lo.

6,JJ

me» . Pertanto i versetti eucaristici sono legati con il discorso figurato del pane personale di vita più strettamente di quel che non sembri a prima vista. La formulazione della prima frase è volutamente dura, di fronte al­ l'obiezione dei giudei. Come anche altrove, Gesù non ritira un solo iota delle sue parole di fronte ai suoi obiettori, ma piuttosto ne aggra­ va lo scandalo: chi vuole avere in sé la vita deve mangiare la carne del Figlio dell'uomo e bere il suo sangue. Il bere· il sangue non va inteso come una iterazione in crescendo, perché anche in seguito è aggiunto, rome integrazione, al mangiare la carne. Ai lettori cristiani queste espressioni richiamavano senza dubbio la cena eucaristica. Ma perché la dura formulazione con una proposizione condizionale negativa che fa del ricevimento dell'eucaristia una condizione necessaria del pos­ sesso della vita? Probabilmente l'evangelista intende opporsi ad un gruppo gnostico-docetico all'interno della sua comunità, che si rifiuta­ va di ricevere l'eucaristia 50• Dunque i destinatari di queste parole non sono più i Giudei increduli ( del discorso figurato ) ma un gruppo ereti­ co infraecclesiale. Il significato teologico della frase si deduce dall'ana­ loga formulazione in I Io. 3 , 1 5 : chi odia non ha stabilmente in sé la vita eterna divina. La vita è donata e ottenuta fondamentalmente con la « nascita da acqua e Spirito» ( 3 ,5 ; cfr. 1 , 1 2 s.), ma deve mantenere una costante unione col divino portatore della vita ( cfr. 6,5 6 s.), che conserva e fortifica nei credenti la vita divina con il pasto sacramen­ tale . Chi ( come gli Gnostici docetici) si rifiuta di ricevere la carne e il sangue di Gesù, nega la sua incarnazione ( O'ap; ) e la sua morte cruenta sulla croce (at!J4). L'eucaristia attesta la morte di Gesù sulla croce come fonte eterna e irrevocabile di salvezza (cfr. 1 9 ,34; I Io. 5 ,6-8 ) e il Redentore storico che è venuto nella carne ( Io. 1 ,1 4 ; 6 ,5 1 c; I Io. 4 ,2 s . ). L'espressione «Figlio dell'uomo» non può essere stata messa a ca­ so o essere stata ripresa istintivamente per designare Gesù 51• Soltanto ,o. Or. Ignazio d'Antiochia sui Doceti da bi combattuti: «Essi si astengono dall 'eucaristia e dalla preghiera, perché non riconoscono che l'eucaristia è la carne del nostro Salvatore Gesù Cristo, che ha patito per i nostri peccati ,. (Sm. 7,1. Questo posso, a quanto mi è dato sapere, non è stato rilevato. , l , Lo s cambio con il pronome personale (vv. '4 ss.) non è indizio di un uso irriflesso, cfr. 6,62 con 63• ; 8 ,28' con 28•·•; 1 2,23 con 3 2 ; 1 3 ,3 1 s. con 3 3 · Molti 1111 mettono che il titolo in 6,27 e 6,,3 derivi dalla liturgia eucaristica della co-

1 30

Io. 6,54

in quanto celeste Figlio dell'uomo il Gesù terreno diventa il comuni­ catore del!a vita divina (cfr. v. 6 2 ) . All'autore importa certo sottoli­ neare la realtà della carne e del sangue di Gesù ; egli però vuoi richia­ mare l'attenzione sul fatto che nell'eucaristia i credenti non ricevono la carne e il sangue fisici del Gesù terreno , ma la carne e il sangue, col­ mi di Spirito, del celeste Figlio dell'uomo. Ma coloro che li ricevono affermano l'identità dell'uno con l'altro. S4.

Ora il discorso passa allo stile di rivelazione, caratterizzato dalla terza persona e dal participio sostantivato. In una formula2ione positi­ va Gesù proclama che la sua carne e il suo sangue comunicano a chi li riceve una vita imperitura, che trova il suo compimento definitivo nella risurrezione alla fine dei tempi . La visuale aperta alla risurrezio­ ne escatologica distingue Giovanni da Ignazio di Antiochia , che una volta chiama l'eucaristia «cibo dell'immortalità, antidoto alla morte» (Eph. 20,2 ) . Giovanni non usa mai la parola liìta.va.CTLa., che per lo più va unita all'idea dell'immortalità dell'anima. Egli appare cosl in maggior misura debitore al pensiero semitico, la cui caratteristica è la visione dell 'uomo nella sua integralità, per cui soltanto con la risurre­ zione del corpo la vita diventa completa. Nello stesso tempo abbiamo un'altra frecciata contro gli Gnostici, che negavano la risurrezione fu­ tura. Perciò qui è opportuna la considerazione dell'ultimo giorno (cfr. invece vv . 3 9 ·40 .44 ). È questo un indizio a sfavore della paternità gio­ vannea del versetto, dato che l'evangelista pone tutto l'accento sul­ l"escatologia nel presente' ? 52• Ma in una posizione frontale contro gli Gnostici anch'egli avrebbe potuto guardare a quell'evento finale, a meno che non gli si voglia assolutamente rifiutare quella credenza co­ mune al cristianesimo primitivo (dr. ad .5 ,2.5 s. ed excursus 1 4 ). La concezione realistica del pasto sacramentale ( mangiare la carne, bere il sangue) non è una comprensione magica ( che si avverte spesso nelle espressioni usate da Ignazio di Antiochia) . Per mezzo del pasto lo stes�o Gesù si unisce a coloro che lo ricevono (v . .5 6 ), li fa vivere (v . .57 ) e a suo tempo li risusciterà (v . .54 ). Il mangiare e bere sacramunità giovannea, cfr. Bultmann 175; S. Schulz, Untersuchungen n6 s . ; anche C. Colpe: ThWb vm, 469,2o-23 . Però lo si può provare? Da lgn ., Eph. -20,2 è difficile dedurlo. , 2 . ar. Bultmann r62 ; G. Richter, o.c. 41 s. Contrario H. Leroy, o.c. uo, n. ,4.

Io. 6,55

131

mentale è soltanto un meZ2io per ottenere la comunione personale con lui. Il vocabolo greco usato per 'mangiare' (-tpwyEw ) non va inteso come un realismo estremo ( 'masticare' ). Non ha tale accento neppure in 1 3 , 1 8 , una citazione di Ps. 4 1 ( 4o )x o , dove i LXX traducono o Éailtwv ; cfr. anche Mt. 24,38 ( accanto a 1tLVW ). Il verbo, abbondantemente at­ testato nella letteratura profana, è « sostitutivo volgare di wDLEW» (Bl.-Debr. § 1 0 1 , p. 6 3 ) ; al massimo potrebbe essere stato messo in Io. 6,,4-' 8 per evitare ogni tentativo di rendere evanescente l'idea ( Bauer, Wb. 1 64 1 s.v. ). Forse l'evangelista è mosso anche dall'inten­ zione di distinguere il mangiare figurato del pane dal cielo ( q>a:yEi:v b: v. ' I b) dal vero mangiare sacramentale 51 ; il q>ttyEi:v nel v. '3 si spiega come ripresa del v . , 2 . 5.5 . Con una particella giustificativa (yap) - l'unica volta in queste frasi - Gesù sottolinea che la sua carne è un vero cibo e il suo sangue una vera bevanda. Ma che si vuole affermare? che si tratta di un rea­ le mangiare e bere , oppure che la carne e il sangue di Gesù hanno vita eterna per coloro che li gustano ? Tutto dipende da come s'intende l'attributo fiÀTJDitç, in luogo del quale non pochi manoscritti hanno l'avverbio aÀT)ltGiç.

Due volte aÀTJDGiç: S t:. 9 o 2 ' o pc K VL ( eccetto q ) Vg sy Tat Orig''' Greg Nyss Padri latini. aÀT)DGiç 1° e omette XttL - 1tOO"Lç D; aÀT)DWç . . . aÀT)l)it. L'altra lezione ( due volte fiÀTJDitç) è da preferire già perché è meglio attestata ( dal testo egiziano e dalla maggior parte dei Padri greci ), a prescindere dal fatto che è la lezione più difficile. Dobbiamo dunque accettare la lezione aÀT)l)it.. ,�EW) in due modi : vuo­

le aiutare i credenti a vincerlo ( cfr. I 6 , I , l'unico altro passo in cui ap­ pare questo vocabolo nel vangelo di Giovanni), e mettere gli incre­ duli in un imbarazzo ancora maggiore , porli di fronte a domande a

cui è ancora più diflicile rispondere (cfr. 7,3,

s.; 8,22.2,., 3 ; 9,40 ;

1 2 ,34).

1 . L'aggettivo CTXÀ.1)p6c; è usato non d i rado per qualificare u n discorso, nei LXX cfr. Gen. u ,u s.; 42,7.10 ecc . ; per la traduzione aramaica nei Targumin vedi Billerbcck n , 48' ad l. Per la letteratura profana cfr. Bauer, Wb. 1 498 s. v. 1, b.

Io. 6,62

62.

Perciò la risposta di Gesù è volutamente implicita in una doman­ da . Vuole indurre gli ascoltatori a riflettere ancora sulla sua persona. L'ascesa corrisponde alla discesa, di cui si era parlato di continuo nel discorso del pane (vv. 3 3 - 3 8 - 4 1 .42 -50-5 1 .5 8 ) . Dato che la discesa era caratterizzata dall'aggiunta delle parole «dal cielo» , gli uditori non possono avere alcun dubbio su ciò che vuoi dire l'espressione «dove era prima» ; essa ( invece di «in cielo » ) vuoi richiamare alla memoria la loro incomprensione ed il loro scandalo sull 'origine di Gesù. Per chi crede nel Figlio dell'uomo esaltato, lo scandalo sarà superato per­ ché nonostante l'umile patria terrena di Gesù (cfr. r ,46 ), egli ne co­ nosce la vera origine ( cfr. 7,27 s . ) . Donde anche il titolo 'Figlio del­ l'uomo', che indica la patria celeste di Gesù e la necessità della sua 'esaltazione' ( 3 , 1 4 ; 1 2 ,3 4 ) , Soltanto se il Figlio dell'uomo è esaltato e glorificato si può riconoscere chi egli sia propriamente ( cfr . 8,28 ) ; soltanto allora il Figlio dell'uomo darà il cibo per l a vita eterna ( v . 27 c ) e offrirà anche la sua carne e il suo sangue , che devono essere gustati per avere la vita eterna (v. 5 3 ). Chi crede nel Figlio dell'uomo ha ragione della cecità del cuore; chi non crede diventa ancora più cieco (cfr. 9 , 3 5 -3 9 ). Cosl la domanda di Gesù colpisce gli ascoltatori con una funzione critica. La recente esegesi discute se la domanda sia destinata ad ac­ crescere o a mitigare Io scandalo : un'alternativa mal posta . Se Gesù vuoi risvegliare gli uomini (e lo vuole perfino nella sua risposta ai Giu­ dei che mormorano, vv. 44-47 ), la domanda , con la frase che segue ( v . 6 3 a), vuoi aiutare a capire , e d è questo i l suo scopo 2 ; m a s e urta con­ tro l'incredulità, essa effettivamente può dare origine ad uno scanda­ lo ancora maggiore. Infatti si può 'vedere' l'ascesa del Figlio dell'uo­ mo soltanto nella fede; al mondo essa resta nascosta ( cfr. 1 4 , 1 9 , dove ricorre ugualmente itEWPELV ) . Se nell'ascesa è compreso tutto l'evento della 'esaltazione' e della 'glorificazione' di Gesù, del suo ritorno al Padre (cfr. 20, 1 7 ), allora il mondo incredulo la può vedere soltanto esteriormente nell'elevazione sulla croce , e questa incredulità diventa per esso giudizio (cfr . 3 , r 8 ; 1 2 ,3 r ; r 6 , u ). Ma la frase non può esse2. Sono di parer contrario Bultmann 34 1 ; S. Schulz , Menschen-Sohn-Christologie 1 1 7 ; E. Schweizer, Neotestamentica 388 s . ; G. Bornkamm : ZW 47 ( 1 95 6 ) 166; W. Michaelis: ThWb v , 362 = GLNT V I I I , coli. I O I 7-SS . , e altri, che pensano ad un crescendo dello scandalo.

Io. 6,6)

14 7

re intesa come una minaccia ; vuole "esortare i discepoli (come in 8 , 3 I ) alla fede, nella quale 'vedono' realmente l'ascesa del Figlio dell'uo­ mo, la vivono spiritualmente 3 • 63. Circa la frase sullo ' Spirito' e la 'carne', pronunciata evidentemen­ te a giustificazione di quanto precede ( non c'è una congiunzione) e formulata apoditticamente, sono state spesso espresse opinioni diver­ �e . secondo che si sia riferita alla persona di Gesù, alle sue parole o alla capacità di comprensione dell'uomo. La cosa più ovvia sembra ( dopo che nel v. 62 è stato nominato il Figlio dell'uomo ) di applicarla allo stesso Gesù : il Figlio dell'uomo asceso in cielo avrà il potere di dare lo Spirito vivificante ( cfr . 7 , 3 9 ; I 7 , 2 ) , il promesso dono della vita, e anche i doni eucaristici . Nel suo modo d'essere terreno ( della aap� ) egli non può compiere ciò di cui ha parlato prima . A

questa spiegazione, che si inserisce bene nel contesto, si può obiet­ tare soltanto che Gesù non potrebbe dire della sua carne che non gio­ va a nulla . Al contrario, dall'incarnazione ( I , I 4 ) fino alla sua auto­ immolazione ( 6 ,5 1 c), essa acquista grande importanza «per la vita dt:l mondo», e perciò, in linea di principio, non può essere cosi sva­ lutata. Ma a tale proposito va detto : a) già nella formulazione tutto l'accento è posto sul "!tVEV� ; l'affermazione sulla aap� è aggiunta per mettere in rilievo quella sul pneuma; b) perciò le parole sulla O"ap� vanno comprese in relazione a quelle sul "!tVEVIJ.a ; dunque il senso po­ trebbe essere più o meno il seguente : «la carne, presa a sé, non giova a nulla» ; c) va rilevata anche la formulazione oòx wcpEÌ.. Ei:; a che cosa la carne non può giovare? Secondo la frase precedente, a vivificare . Qui è predominante l'aspetto del modo in cui il Figlio dell'uomo è in grado di trasmettere la vita ; e ciò avviene per mezzo dello Spirito che egli , in quanto è Glorificato, possiede e amministra ( cfr. 7,39); d) se si prendono a paragone altri passi del vangelo di Giovanni , va rileva­ to soprattutto 3 ,6 per l'antitesi in esso contenuta . Là essa serve a con­ trapporre la sfera terrena e umana a quella celeste-divina, avendo però di mira l'uomo legato alla terra, che in sé non ha alcuna forza divina ( cfr. anche I , I J ) ; ma l'antitesi formale può essere utilizzata diversa­ mente 4 ed ha un significato anche se riferita a Gesù nella sua condi­ zione terrena e celeste. l · W. M ichaelis : ThWb v , 362 = GLNT vm, col. 1 0 1 7 definisce questo 'vedere' in 6 ,62 «una perce2ione spirituale dello scandalo che costringe a un conflitto e ad una decisione (di fede)». Ma altrove il 'vedere' significa positivamente la fede, dr. W. Thusing, Erhiihung und Verherrlichung 2 6 1 - 26 3 . 4 · S u questa antitesi che può avere diverse applicazioni c f r . P. Borgen, Brc·aJ

Io. 6,6J

Dunque, considerato più attentamente il tenore del passo, sembra si possa sostenere la sua interpretazione cristologica, che è suggerita anche dal contesto. Ciò è tanto più valido se non si considerano i vv. 6 2-63 a come una risposta diretta allo scandalo dei Giudei del v. 5 2 (magari per l a crapf; ) m a a quello del v. 4 2 5 • Con i l 'discorso duro' (v. 6o) si intende tutto quanto Gesù ha detto finora, e il 'mormorare' del v. 6 I si richiama al v. 4 I . Se la spiegazione di Gesù si riferisse sol­ tanto a 6,.52 ss., diventerebbe più acuta la tensione con le dichiarazioni sulla crtipf; eucaristica. Però il detto di Gesù può tener conto anche del secondo scandalo , e contrapporre paradossalmente l'inutilità della car­ ne all'esortazione a gustare la carne e il sangue del Figlio dell'uomo : si tratta infatti non della carne e del sangue del Gesù terreno, ma di quelli del celeste Figlio dell'uomo che, colmo dello Spirito, ha un mo­ do nuovo di esistenza. L'altro tentativo di soluzione, sostenuto con varie modificazioni fin dall'epoca dei Padri 6, riferisce l'antitesi del v. 63 a all 'uomo che è chia­ mato alla fede ( interpretazione antropologica) : soltanto se si lascia gui­ dare dallo Spirito divino egli supererà lo scandalo delle parole di Ge­ sù; nella sua condizione umana e terrena (crtipf;) ne è incapace. G. Bornkamm, che presenta questa spiegazione nel modo più conseguen­ te, si richiama alla sezione 3 ,6-I 3 , che mostrerebbe ancora maggiori contatti col nostro passo 7, cioè non solo l'antitesi altrettanto forte tra carne e Spirito, ma anche la discesa e l'ascesa del Figlio dell'uomo, e una domanda che accenna a misteri ancora più grandi ( 3 , u ). Tuttavia 6,63 a non parla della capacità di capire, che è data dallo Spirito (dr. 14,2 6 ; I 6 , I 3 ), ma del dono della vita, per il quale appunto la carne non giova a nulla 8• L'interpretazione antropologica si ispira troppo alla teologia paolina ( cfr; z Cor. 2 , 1 4·3 ,3 ). /rom I-leaven 1 79-1 8 3 ; anch'egli però riferisce 6,63' all'uomo. 5 Ciò è comprovato soprattutto dal fatto che la domanda nel v. 42 si riferisce

in modo evidente alla 'discesa', e cjui con l'accenno all"ascesa' riceve una rispo­ sta. Cfr. G. Bornkamm: ZNW 47 ( 1 956} 1 66 (ma egli tras::ura il v. 58, dove pure si trov� xa-ta:r,6.;) ; H. Schurmann : BZ 2 ( 1 9 5 8 ) 257 ss. Lo aveva già visto anche L. T011delli, Caro ;zon prodest quidquam (lo. 6,64) : Bib 4 ( 1 923 ) 32-327.326.

6 . Cosi soprattutto Chrys. , botn. 47,2 ( PG 59,265 ). In età moderna cfr . J . Pascher, Der Glaube als Mitteilzmg des Pneumas nacb ]oh. 6,61-65 : -ThQ I I 7 ( 1936) 301321 (si consider2 a.1che 3 , 1 I -r 3 ; 317 s . ) .

7· o.c. 1 67 s . ; concorda interamente con lui R. E. Brown 299 s . 8 . Cfr. E. Schweizer, o.c. 390, che interpreta secondo I o . 8,1 5 : l'errore sarebbe di g!udicdre Gesù soltanto xa-tit cnipxa. R. E. Brown 300 confronta Rom. 8>4; Mt.

��



Contribuisce a confondere le idee la frase che segue (v. 63 b), che dice che le parole di Gesù sono Spirito e vita . Se si legge questa frase come diretta continuazione del v. 63 , si ha apparentemente, per la spie­ gazione cristologica, la contraddizione che non soltanto il Figlio del­ l'uomo che ascende in cielo libera lo Spirito vivificante , ma che già il Gesù terreno con le sue parole dà Spirito e vita. Ma se le parole di Ge sù insieme con lo Spirito dovessero dare la capacità di comprender come si dovrebbe interpretare secondo la spiegazione sopra accennata, l'idea decisiva verrebbe pres en t ata soltanto qui. L'ipotesi più proba­ bile è che Gesù si interrompa brevemente dopo il v. 63 a 9: egli ti­ considera l'intero discorso ().i).,li.À.1}xa.; dr . la conclusione di 8 ,2 0 ), che i discepoli avevano chiamato 'duro' (v. 6 o ) e dice loro che al con­ trario esso significa Spirito e vi ta - per coloro che credono (dr. il con­ trasto nel v. 64). Questa interpretazione è confermata da 6,68 , dove Simon Pietro, ch.e ha la fede, riprende l'espressione solo leggermente modificata («parole di vita eterna» ). La frase è collegata per associa­ zione di idee a ciò che precede (v. 63 a ) : la promessa di Gesù presup­ pone l'attuale accoglienza delle sue parole nella fede ( dr. ; ,24; 8 ,; 1 ; 14,2 3 ; z ; , 7 ) , perciò Gesù ritorna sull 'es igenz a di credere (dr. 8 ,47). Le parole ( �i}Jka.'t"a.) non sono altro che il discorso di rivelazione (M­ yo;) di Gesù, visto nei suoi singoli enunciati; i due vocaboli sono in­ tercambiabili (cfr . 1 2 ,48 a con 1 2 ,48 b; 1 7 ,6 con 1 7,8 ). La parola di Gesù, che viene dal Padre ( 1 2 ,49; 14,10 b.24; dr. 7 , 1 7 s . ), è piena di Spirito divino ( 3 ,34, vedi ad l. ) e perciò può donare vita divina ( 8 , 5 1 ), comunicarla nel presente a chi ascolta con fede ( ; ,24); ma a con­ dizione che il credente rimanga nella parola di Gesù ( 8 ,3 1 ), la custo­ disca ( 14,2 3 ) e si lasci immettere sempre più profondamente nella sua verità ( cfr. 14,26; 1 6 ,1 3 ). Non si può far valere la frase contro i ver­ setti eucaristici, come se la sola cosa importante fosse di accogliere le parole del R ivela tore ; ma ancora meno si può ( servendosi dei vv . 6263 per spiegare gli enunciati eucaristici) riferirla in modo speciale al­ le parole dell'istituzione dell'eucaristia 10• L'accoglienza delle parole di

r 6 . 1 7 sarebbe il parallelo sinottico. Ma in Io. 6,63 l'accento poggia interamente Mrllo 'Sririto vivificante'. Contro l'interpretazione antropologica cfr. anche J. Bctz, o.c. 187 s. 9· Cfr. H. Schii rmann, o.c. 2,9, not a 4'· 1 o . Cfr. W . Baucr 1oz, che forse ritiene lecita la conclusione che gli elementi, uti-

I

50

lo. 6,64

Gesù non dà per sé la vita ( sarebbe una concezione magica della pa­ rola di Dio ), ma esige che essa sia adempiuta ( 1 4 ,2 1 ; 1 ,5 , 1 0 ; cfr. I lo. 2 , 3 ss . ; .:; ,2 s . ) nell'obbedienza (cfr . 3 ,3 6 b ) e nell'amore ( 1 4,1 5 . 23) 11• 64. È chiarissimo i l rinnovato invito · ai discepoli ad essere pronti a credere; se però essi persistono nel loro rifiuto, lo si deve alla loro mancanza di fede. Potrebbero sembrare parole di rassegnazione , ma esse devono spiegare l'insuccesso del Rivelatore presso i suoi ascol­ tatori, come appare nel v. 64 b. Gesù non ne ha colpa (cfr. a vv. 37 s . ) ; è l'atteggiamento dei discepoli che gli frappone una barriera. Gesù ne fa spesso la constatazione ( ,5 , 3 8 ; 8,2,5 .46 s . ; 1 0,2, s . ). Tuttavia, men­ tre ai Giudei obietta senza riserve che non hanno fede ( cfr. v. 3 6 ), ai discepoli si limita a dire che ' alcuni' tra essi non credono. Egli non in­ tende respingere coloro che hanno la volontà di credere, ma deve an­ che far vedere che sa della divisione che sta per aver luogo tra di lo­ ro (v. 6 6 ) . Queste parole trovano un'eco nella comunitl, nella quale già si rilevano casi di scandalo per motivi di fede e forse anche di apo­ stasia e di divisione degli animi (cfr. I Io. 2 , 1 9 ). Che l'evangelista ab­ bia in mente la sua comunità è dimostrato dal successivo commento, che fa ricorso alla scienza di Gesù (cfr . 2 ,24; , ,42 ) e nomina, qui del tutto senza motivo, il traditore. Il problema di come «uno dei Dodi­ ci » ( 6 , 7 1 ) avesse potuto tradire ha dato molto da fare alla comunità. L'evangelista mette in rilievo la prescienza di Gesù non solo per moti­ vi apologetici (cfr. 1 3 , 1 1 . 1 8 e la scena successiva dello smascheramen­ to del traditore) ; egli è cosciente del fatto che in questo modo viene a porre un nuovo problema : come Gesù abbia potuto scegliere que­ st'uomo ( 6 ,7o ) ; ma Dio ha già rivelato prima nella Scrittura l'infedel­ tà di uno dei più stretti compagni di Gesù ( 1 3 , 1 8 ; 1 7 , 1 2 ). Il fatto oscuro fa parte del mysterium iniquitatis : nel 'figlio della perdizione' è entrato Satana ( I J ,2 7 ), �llora, nell'ora delle tenebre (cfr. I J ,J O ). lizzando «misteriose parole di Gesù», furono consacrati a carne e aangue del Figlio dell'uomo. I r . Secondo A. Schlatter, ad l. le parole di Gesù diventano spirito e vita perché «il suo amore obbediente dà la sua carne e il suo sangue al mondo, affinché viva. Un pensiero ed un insegnamento che facessero astrazione dall 'azione, soltanto uno gnostico poteva chiamarli spirito e vita».

Io.

6, 6 5 - 7 1

151

65.

Ricollegandosi nuovamente al v . 64 a ( xa.L EÀ.EyEv ), l'evangelista fa ricordare da Gesù una parola che aveva già detto nel discorso di rive­ lazione (ElpT}xa., cfr. v. 63 b), nel quale anche se non ricorre letteral­ mente la frase 12, si trova però il concetto (v. 44) . Invece dell'immagine di ' attrarre' egli ora ricorre ad una tipica locuzione giovannea (cfr. 3 , 2 7 ; I 9 , I I ) che significa l a concessione per grazia da parte d i Dio 1 3 : Dio ( Èx di provenienza ) deve dare agli uomini la capacità di venire a Gesù, di credere in lui (cfr. a v. 3 7 ). Del sovrano potere di Dio di disporre di ogni cosa era profondamente convinto anche il giudaismo e lo e­ sprimeva spesso ( specie nell 'apocalittica ) con il passivo impersonale ; a1�che Gesù si mantiene in questa tradizione ( cfr. Mc. 4 , I I parr . ; r o , 4 0 ; M t . r o , r 9 ; 1 9 , 1 1 ; 2 5 , 3 4 · 4 1 ecc.). L'evangelista ricorre a questo pensiero 'predestinazionistico' (cfr . a vv. 44 e 4 7 ) per far luce sul­ l'oscurità della mancanza dj fede. Dopo tutti i tentativi di Gesù di risvegliare la fede nei suoi ascoltatori , questo ricorso alla grazia di Dio, che sembra negata ai non credenti, rimane l'unica risposta. h) La defezione di molti discepoli e la confesisone di Simon Pietro ( 6 ,6 6 - 7 1 ) &l

'Ex -.ov-.ou [ ovv ] 1toÀÀol tx -.wv IJ.a.ih)-.wv a.ircov ci1tijÀitov Etc; -.ci òn(aw xa.L ovxÉ-.� IJ.E"' a.ò-.ou 1tEP�1t1i-.ouv. 61 Et1tEV ovv o 'IT}aouc; -.o� ow6Exa, Mi} xa.L VIJ.E�c; itÉÀEn V1tayEw ; 61 CÌ1tExp(ih) a.v-.4) l:(IJ.WV llÉ­ -.po c;, Kvp�E. 1tpòc; -.(va. CÌ1tEÀEuU61J.Eita.; PTIIJ.!l"a �wijc; a.twv(ou EXE�c;. 69 xal iJILE� 1tE1t�anvXa.IJ.EV xa.l EyVWXa.IJ.EV èh� OÙ Et O ii.y�oc; -.oii itEov. 70 CÌ1tExp(i)TJ a ò -. o�c; o 'IT}aouc;, Oòx tyw viJ.iic; -.oùc; 6w6Exa tl;e­ >.. el;aiJ.TJV, xa.l t!; VIJ.wv Etc; SLii�oMc; ta-.w; 71 fÀEyEv Sr -.òv 'Iov6a.v l:(IJ.(J.)voc; 'Jaxa.p�w-.ou ou-.oc; y!Ìp iiJ.EÀÀEV 1ta.pa.6�66va.� a.ò-.6v, Etc; [ wv l tx -.wv 6w6exa..

� Da allora molti dei suoi discepoli si trassero indietro e non andavano più con lui . 67 Allora Gesù disse ai Dodici : «Forse 1 2 . Sulle autocitazioni dr. sopra al

v. 36 con nota I (p. IO}).

1 3 . Spesso si trova 6�66v«� con l'infinito per esprimere l'iniziativa riservata a Dio, ma in quanto egli è soggetto personale ( a t t i vo Le. 1 ,74 · 7 7 ; stile dei LXX ) . Cfr. Bauer, \Vb. 383 sotto f! . Per l'lx v a richiamato Mc. u ,3o s . parr . ; Giovanni pre­ ferisce l'lx di provenienza.

Io. 6,66-67

anche voi volete anàarvene? » . 68 Gli rispose Simon Pietro : «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna. 69 E noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio » . 70 Ri spose loro Gesù : «Non h o forse scelto i o voi , i Dodici ? Eppure uno di voi è un diavolo» . 71 Egli intendeva parlare di Giuda, figlio di Simone Iscariota ; questi infatti lo avrebbe tradito, uno dei Dodici . 66. La divisione nel gruppo dei discepoli , già accennata in v. 64, ades­

so è un fatto compiuto. Dato che l'intenzione è di mettere in eviden­ za il contrasto tra i discepoli intimamente delusi e che si traggono in­ dietro, increduli, e i Dodici che restano fedeli a Gesù nella loro fede, non si dovrebbe considerare la precisazione come conclusione della di­ sputa precedente ( vv. 6o-6 5 ) 14, ma come punto di partenza per la do­ manda rivolta da Gesù ai Dodici, come è confermato anche dall'inizio del v. 67 (ovv ). Pesa sui più stretti compagni di Gesù, che pure han­ no capito ben poco del discorso di rivelazione, l'esperienza dell'incre­ dulità degli altri (cfr. l'eresia in I Io. 4,5 ) . La defezione dei molti di­ scepoli galilei è pensata come un distacco per sempre da Gesù; di que­ sti galilei non si parlerà più ( neppure in 7 , I ) . Perciò non ha importan­ za se tx �ou�ou si intenda in senso causale o temporale ( il primo si­ gnificato è più probabile) 15• La defezione e la rinuncia alla comunio­ ne pellegrinante con Gesù è la manifestazione esteriore dell'interiore apostasia, una ricaduta nelle tenebre , lontani da Gesù ( cfr. 8 , 1 2 ; 1 2 , 3 5 ).

6 7. Senza alcuna notizia sulla situazione specifica, nel corso ( ovv ) del·

la grande defezione, anche i Dodici, nominati qui improvvisamente (cfr. però il v. 1 3 ), sono posti da Gesù di fronte ad una decisione. Il racconto sinottico, che sta sullo sfondo di questi versetti, pçme la con­ fessione di Pietro ad una certa distanza dalla grande moltiplicazione dei pani (Mc. 8,27-30 par.); soltanto Luca la colloca subito dopo, conI4. Mettono un o�v davanti a -:tollo( P" S D e VL ; un Èv dopo 11:ollol è ag­ Greek giunto da P"·"•" B G '6' al. VL. Queste lezioni, preferite dall'International · New Testament, probabilmente sono influenzate dal v. 6o. 1 ;1 . L'unico passo del vangelo di Giovanni in cui appare ancora lx '\'OU'\'OU (19, u ) ha piuttosto un significato causale; di questa opinione è anche Bauer, Wb. 466 sotto f. Però in lo. non è raro anche l'lx temporale (6,64•; 9,1 .32; 16,4 ecc.).

Io. 6,68

centrando il racconto grazie alla 'grande omissione' , Insieme con lui, Giovanni rinuncia anche a indicare la località (vicino a Cesarea di Fi­ lippi ) . Nei sinottici Gesù domanda ai discepoli chi la gente pensa che egli sia, e , dopo avere udito le insoddisfacenti opinioni del popolo, chiede quale sia la loro. Nel vangelo di Giovanni l'incredulità degli altri seguaci di Gesù è già stata constatata e messa in evidenza sotto una luce cruda; perciò la domanda di Gesù acquista un'importanza ancora maggiore e diventa per essi una seria messa alla prova della loro fede. La formulazione (con p:i)) che attende una risposta negati­ va 16, può però incoraggiarli a una ferma perseveranza. Anche se la cri­ si mette in questione tutto l'uomo, non deve scuotere la sua fede (dr. 1 4 , 1 .27) e portarlo alla defezione ( r 6 , r ) . Nel vangelo di Giovanni, domande di Gesù che costringono a prendere una decisione, aiutano anche altri uomini a fare una chiara e solenne professione di fede ( 9 , 35-3 8 ; n ,26 s . ) . Assieme ai Dodici anche i lettori vengono interroga­ ti ed esortati a riflettere sulla loro fede. 68. Simon Pietro ( sul duplice nome cfr. a r ,42 ) appare qui, sponta­

neamente come nei sinottici, quale portavoce dei Dodici. Quantunque sia superato per fedeltà e fede dal «discepolo che Gesù amava,., du­ l"ante la passione ( 1 9,26 ) e al sepolcro vuoto ( 20,8 ), a Pietro non è ne­ gata la paternità della confessione a Gesù in quest'ora storica; indizio della ferma tradizione alla quale si sente obbligato anche il quarto evan­ gelista e importante testimonianza della sua immagine di Pietro 17• Si­ mon Pietro, nel quale si può vedere anche altrove nel vangelo il rap­ presentante del gruppo più ristretto di discepoli (dr. 6,8; 1 3 ,6- ro; 20,2 ), dà la risposta decisiva. Andarsene via da Gesù vorrebbe dire se­ pararsi dal solo che può indicare loro la retta via . La forma interroga­ tiva non vuole esprimere l'incertezza dei discepoli sulla possibilità di trovare una guida migliore, ma preparare la frase successiva e la con­ fessione « tu sei il Santo di Dio,.. Gesù, e lui soltanto, ha «parole di vita eterna.. Abbiamo qui un cosciente accoglimento e riconoscimen­ to delle sue parole (v. 63 b). I Dodici si distanziano da coloro che han­ no chiamato 'duro' il suo discorso (v. 6o ) e s ono decisi ad ascoltare e z6. Cfr. Bl.-Debr. S -427,2. 1 7 . ar. R. Schnackenburs: BZ, N.F. 1 4 ( 1 970) 14-20.

1 54

Io. 6,69

accogliere le sue parole . Anch'essi hanno capito ben poco delle sue parole, ma riconoscono che sono parole piene di forza vitale, perché sono state pronunciate da lui ( dr . l'lyw nel v. 63 b). Per il tipo di fe­ de autentica questa risposta di Pietro ha un'importanza di permanen­ te validità. 69. Nella crisi si sostiene una fede che ha già solide basi. La confes­

sione di Pietro esprime ciò che i Dodici hanno trovato in Gesù in una prolungata comunione di vita ed è nel contempo «novità, che è pro­ pria di ogni autentica confessione di fede» ( Bultmann). In lui parla la convinzione, che sta già all 'inizio della sua vita di discepolo, che egli è il Messia ( 1 ,4 1 .45 ) ; ma in modo nuovo, perché nel frattempo la sua attesa giudaica è stata superata, senza che egli se ne sia reso conto. La doppia locuzione 1tE1t!.O''tEVX«!.LEV xat ÈyvwX«!.LEV va vista come unitaria e ribadita espressione di questo fermo atteggiamento di fede . Dato che il ywwO'XEW giovanneo è più e altro che un conosce­ re teorico, ma è soprattutto unione personale ( I O,I4 s . ), comunione con Cristo e Dio (cfr. 1 7,3 ), è errato vedere nella successione dei ver­ bi il cammino a fide ad intellectum 1 8 • Nel vangelo di Giovanni tro­ viamo anche la successione inversa ( 1 7 ,8 ; cfr. I Io. 4 , 1 6 ). I due verbi hanno sì un loro uso specifico, ma sono in relazione stretta tra di lo­ ro (cfr. I, pp. 706 ss. ). Perciò il secondo verbo qui è soltanto un rin­ forzativo che esprime l'intima certezza della fede. Stupisce il titolo d'onore usato nella confessione : «il Santo di Dio». Si trova una volta anche in Mc. 1 ,24 par . Le. 4,34 in bocca a un de­ monio e, a motivo del rapporto con la storia della tradizione che ri­ porta la confessione .sinottica di Pietro, dev'essere riferito alla mes­ sianità di Gesù. Probabilmente Giovanni usa il titolo alla luce di una approfondita concezione eristica , allo stesso modo che Matteo ha ag­ giunto, a guisa di interpretazione, «il Figlio del Dio vivente». Ma qual è il preciso contenuto che esso ha per l'evangelista? Si può ricordare che nelle parole dette dai demoni a loro difesa ( nel­ le quali la comunità cristiana vedeva delle valide professioni di fede ) oltre a 'il Santo di Dio' troviamo anche 'il Figlio di Dio' (Mc. 3 , 1 I 1 8 . Cosl Cirillo di Alessandria, in Io. lib. 4, cap. 4 (PG 73,62 8 ) ; Aug., in Io. Ev. tract. 27,9 (CC 36,274); Thom. Aqu. lectio X super lo. 6 ( Cai 189 ) ; P. Schanz, 1\. F. Westcott, aJ l.

I .5 .5

Io. 6,69

par. Lc. 4 ,4 I ; Mc. .5 ,7 parr . ) ; m a non se ne può dedurre che Giovanni abbia usato l'attributo 'il Santo di Dio' soltanto come una variante de 'il Figlio di Dio' . Questo titolo è per lui tanto importante (cfr. a 1 ,49), che lo avrebbe messo anche qui se non avesse avuto in mente qualche altra cosa. La maggior parte degli esegeti cerca di far luce sull'espressione esa· minando il concetto di ' santo'. Il parallelo più affine si trova in Io. I O , 3 6 : il Padre ha 'santificato' Gesù e l'ha mandato nel mondo , perciò Gesù non bestemmia quando si proclama 'il Figlio di Dio' . La ' santifi­ cazione' di Gesù ad opera del Padre è importante per la sua missione ; ma è problematico se è per questo motivo che egli è chiamato 'il San­ to di Dio' . Il secondo passo con lo stesso verbo riferito a Gesù ( I 7 , 1 9 ) dice che Gesù s i 'santifica' pe r i discepoli, s'intende nella consa· crazione sacrificale della sua morte. Da qui si potrebbe dedurre una cristologia 'sommo-sacerdotale' 19• Di fatto l'espressione 'il Santo di Dio' ricorda espressioni usate per i sacerdoti : essi debbono essere «santi per il loro Dio» (Le v. 2 r ,6 s.), perché sono santificati da Dio ( Lev. 2 1 , 1 .5 ; 2 2 ,9 ) e perciò sono considerati ' santi' (2 Chron. 2 3 ,6 ; 3 .5 ,3 ). I n Ps. 1 0.5 ( I o6 ) , 1 6 Aronne è chiamato ò éiyLoc; xupLou ( cfr. EccluS 4 .5 ,6 ) . Ma per quanta importanza possa avere questo sfondo per le voci dei demoni, perché è compito del Messia-Sommo Sacerdote eliminare tutto quanto è impuro e demoniaco, altrettanto poco illu­ minante è per la confessione di Pietro una dogmatica messianica 'som­ mo-sacerdotale'. Di una relazione con la tradizione particolare di Mt. 1 6 , I 8 s. ( sull'edificazione della comunità ), che forse potrebbe inserirsi in tale messianologia 20, non si hanno tracce in Io. Il contesto del cap . 6 e la teologia giovannea portano su una traccia alla quale finora si era prestata poca attenzione. Nel cap. 6 sono ecce­ zionalmente frequenti i detti con Èyw d!lL (vv. 2 0 . 3 .5 ·48 .5 I ); ad essi potrebbe corrispondere il aÌJ El della confessione di Pietro. Nel so­ vrano 'io sono', colmo di promesse salvifiche, Gesù esprime la sua vi­ cinanza a Dio, riprendendo un'autodefinizione veterotestamentaria di Dio (cfr. excursus 8 ) ; ma anche 'santo' indica la vicinanza a Dio , co­ me è confermato da altri importanti passi giovannei. Secondo Io. I o , 36 il Padre ha ' santificato' il Figlio quando lo ha mandato nel mondo, e secondo il contesto questo fatto dà a Gesù il diritto di parlare del­ l'unità con il Padre ( I o,3o) e del suo essere Figlio di Dio ( I o,36 c ) . .

1 9 . Cfr. G. Friedrich, Beobachtungen zur messianischen Hohepriestererwartung in dm Synoptiltern : ZThK H ( 1 956) 265-3 1 1 , qui 275 ss. zo. Cfr. G. Friedrich, o.c. 292 s .

Io.

6,70

In Io. 1 7 , 1 1 Gesù si rivolge a Dio chiamandolo 'Padre santo', che gli ha dato il suo nome, la sua essenza divina 21 • Con il ' Santo' in I Io. 2 , 20 verosimilmente s i intende Cristo, che anche in Apoc. 3,7 è chia­ mato 'il Santo, il Verace' ( IÌÀ.l]itw6ç, cfr. I Io. 5 ,20). Con 'santo' si esprime la massima vicinanza a Dio, la partecipazione all'essenza più intima di Dio 22• Perciò la confessione di Pietro è il responsorio ade­ guato (ero Et) alla formula di rivelazione Èyw ELIJ.�, che in Giovanni è trasferita dal Padre al Cristo che rivda sé e il Padre. Il precedente tyvwxa!J.EV ricorda quei passi dell'A.T. in cui la formula di rivelazio­ ne esprime il contenuto della conoscenza 23, ad es. Is. 4 3 , 1 0· 1 2 : «affin­ ché sappiate, crediate e riconosciate ( yvG'nE xal TCI.CT'fEvcrrr;E xal cru­ vi'j't'E) che sono Io . . . Sl, Io sono il Signore e all'infuori di me non c'è nessuno che salvi» (dr. 49,2 3 . 2 6 ; 52,6) . Forse per l'evangelista ndla confessione è sottintesa anche l'esperienza della sovrana e ausiliatrice apparizione di Gesù sul lago , che ha fugato ogni paura ; ·ma certamen­ te essa esprime la confidenza e la fiducia in colui che si è definito co­ me il pane di vita disceso dal ciclo ed ba assicurato ai credenti il dono della vita divina. Cosl la confessione di Pietro in Io. , come in Mt. , è interpretata, arricchita e completata teologicamente. 70. Gesù accetta senza riserve la confessione di Pietro; non v'è segno

di � proibizione di dirlo ad altri, come nei sinottici (Mc. 8,30 parr.). Ma poiché Pietro aveva parlato a nome dei Dodici, Gesù esprime una idea che si può spiegare soltanto a posteriori; anche tra i Dodici scelti da Gesù c'è un «diavolo». Nella comunità giovannea forse era stata avanzata l'obiezione che era stato lo stesso Gesù a chiamare il tradi­ tore a far parte di questo ristrettissimo gruppo di discepoli; o forse

2 1 . Anche la 'santificazione' di Gesù per i discepoli, affinché siano santificati 'nel­ la verità' ( 1 7, 1 9 ) rientra in questa visuale. Dato che i discepoli non possiedono la santità originariamente ed essenzialmente come Gesù, egli la comunica loro con la sua morte sacrificale, perché anch'essi partecipino dell'essenza santa, divina di Gesù. 22. Cfr. R. Asting, Die Heiligkeit im Urchristentum, Gnive il v . 18, a differenza del v . 16, alla 'fonte' e vuole così ricostruire la con­ clu>ione della storia della gu ar ig ione ( 1 77 e r82, nota 7); ma il il versetto mostra chiaramente uno stile giovanneo; per I;TJ'tEL'II con l'infinito cfr. 7,I .4 . I 9 .>0 .2, . 3o; 8,37-40 ; 10,39; 1 1 ,8 ; 1 9 , 1 2 . n . Billerbeck 11, 4 6 ' giudica che « chiamare 'Dio' un uomo non e ra proprio nul· l1 di inaudit'l per la sensibilità giudaica . . . , a condizione che non fosse l'intcrrs·

x So

Io. J,I9

prendono che Gesù non si pone arbitrariamente al fianco di Dio, ma sa di essere spinto e obbligato dall 'azione di Dio ad agire egli stesso. In tal modo il colloquio è portato su un piano più alto; ora viene discussa la pretesa di Gesù di essere 'il Figlio'. 1 9 . Gesù oppone all'equivoco e all'accusa pericolosa dei Giudei una spiegazione del rapporto in cui sta con Dio, padre suo . Egli la può da­ re soltanto in forma di rivelazione autotestimoniante, alla quale ri­ chiama l'iniziale ci.J.L"IÌV ci.J.L"IÌV x"t"À.. ( vedi a x ,, x ), perché la sua relazio­ ne figliale si sottrae ad ogni osservazione o giudizio esteriore; perciò è anche improbabile che egli riprenda qui una originaria parabola o immagine 12• Il rapporto di Gesù col Padre è espresso direttamente e oggettivamente, certo mediante analoghi concetti umani . Lo indica già l'espressione assoluta 'il Figlio' 13, con la quale Gesù conferma anche il giudizio obiettivamente esatto dei Giudei : con piena consapevolezza egli chiama Dio padre suo . 'Il Figlio' , nel senso esclusivo dato dall'ar­ ticolo, si sottrae ad ogni inserimento in una pluralità di 'figli' , ad una comparabilità con figli umani. Nel vangelo di Giovanni è diventato il titolo cristologico preferito, l'autodefinizione di Gesù 14• Ma ciò che la parola di rivelazione ne vuole dedurre è che a questo modo Gesù non diventa l'usurpatore del potere e dell'autorità di Dio ma rimane in totale subordinazione a Dio , deve agire e parlare cosl se vuole ri­ manere obbediente a Dio e fedele a se stesso . Il Figlio non può fare sato ad attribuirsi questo nome,.. Odebe rg 203 ri porta testi da cui risulta che un fiB!io che respinge l'autorità paterna viene qualificato come uno «Che equipara se ltesso al padre».

12 . Cosl C. H. �d, Une parabole cachée dans le quatrième Jjvangile: RHPhR 42 ( 1 962) 107- I I 5 ; Id., Historical Tradition 386, nota a; cosl anche P. G iichter , Zur Form von ]oh 5·I9·JO, in Neutestamentliche Aufsatu (Festschr.·f. J. Schmid), Regensburg 1 963, 65-68, in particolare 67. 13. Cod. D e il gruppo Ferraro aggiungono "I"Oii civllp6mou; ma 'il F"Jglio dell'uo­ mo' non corrisponde mai al ' Pad re '. Nel v. 25 anche altti manosaitti scambiano la voce del 'Figlio di Dio' con quella del 'Figlio dell'uomo'; ma questo è più oomprensibile a motivo dei vv. 27 s. , 14. L'uso linguistico assoluto si trova 18 volte nel vangelo di Giovanni (di cui 8 volte in 5 , 1 9-26), in I Io. 5 volte, in 2 Io. una volta. Il numero aumenta consi­ derevolmente se si tiene conto anche dei passi in cui è aggiunto un otthoii rife­ rito al Padre o nei quali si ha 'il Figlio' solo con il pronome personale. Del resto cfr. excursus 9·

lo. 5,19

I8I

nulla 'da sé', di proprio impulso : questo 'non da sé' o 'non d a me ' ha un ruolo importante nei discorsi di rivelazione di Gesù e nelle sue ri­ sposte ai Giudei 15• Il Figlio non solo rinuncia ad agire di sua inizia­ tiva, ma non può fare assolutamente nulla di sua iniziativa, né parlare come gli piace ( 7 , 1 8 ; 8 , 2 8 ; I 4, r o ) né giudicare diversamente dal Pa­ dre ( .5 , 3 0 ). L'unica cosa che fa da sé, per dec-'sione propria, è la do­ nazione della sua vita, ma anche questo dopo averne avuto il manda­ to dal Padre ( r o , r 8 ). Egli guarda sempre al Padre , e riceve da lui l'impulso ad operare. L'aveva già detto ai discepoli in 4,34; l 'afferma­ zione contenuta in quel versetto ( «affinché io compia la sua opera») mostra inoltre che egli di fatto collabora col Padre (vedi a 4,34 e 3 6 ) . Applicato a l contesto del cap . .5 , ciò significa che Dio aveva guidato il malato della piscina di Betesda a Gesù e gli aveva fatto capire che do­ veva essere guarito da lui ; il Padre aveva condonato a quell'uomo pu­ nito con la malattia il debito dei suoi peccati ( 'lavoro' di rimunerazio­ ne per grazia ) e desiderava che il Figlio compisse l'opera della guari­ gione. La seconda parte di questo versetto di rivelazione è ancora più es­ senziale. L'unità della collaborazione tra il Padre e il Figlio è tale che ciò che il Padre fa , 'anche' il Figlio lo fa 16 : non si tratta di un operare accanto o dopo l'operare del Padre, ma di un'azione contemporanea e strettamente legata a quella del Padre 17• La frase spiega ( ylip ) il 'guar­ dare' del Figlio al Padre nel suo operare ( prima parte ), e con ciò an­ che perché Gesù lavori ( di sabato) allo stesso modo che 'lavora' il Pa­ dre suo ( v : 1 7 ). Questi enunciati sono poi sviluppati nei vv. 21 s. ed applicati ai concetti di ' risuscitare' e di 'giudicare' . In tal modo è chia­ ro che il Padre mediante il Figlio opera, vivifica e giudica, e il Figlio esegue soltanto l'opera del Padre . Qui siamo ben oltre qualsiasi ana­ logia della sfera umana. Per questa peculiare comunione nell'azione c'è soltanto una spiegazione ; la relazione tra il Logos divino e lo stes­ so Dio ( r , r ) . Ma come in precedenza, cosl anche nel cap. .5 si presup1 , . ,,19 .30; 7,17.18.28; 8,2842 ; 14,10; dr. anche 1 ' .4 ; 16,13 . Sul sianificato teo­ logico di questa locuzione dr. J. Blanck, Krisis I I 2 S. r6. Questo significato si ha anche in Io. 6,n ; 2 1 , 1 3 , quantunque questi passi non costituiscano una prova di stile giovanneo; la .decisione è suggerita dal contesto. 17. Aug., in Io. Ev. tract. 20,9 (CC 208 ): Non facit Pater alia et alia Filius si­ milia, sed eadem similiter. Cfr. anche Thom. Aq., lectio Ill,I in lo. ' (Cai Nr. 7,0).

182

Io.

:;,20

pone l'invio del Figlio nel mondo (dr. 3 , 1 6 s.34; 4,34 ; 6,29.38 ecc.). Cosi Dio invisibile, trascendente, opera per mezzo del Logos incarna­ to, il Figlio suo, nel quale è presente con la sua volontà, la sua parola e la sua opera . Il Figlio manifesta la volontà del Padre , realizzando ciò che il Padre desidera fare ; anzi , porta soltanto ad effetto ciò che di fatto fa il Padre. In questo duplice detto di rivelazione sull'azione comune del Figlio e del Padre, i Padri della chiesa e successivamente i teologi trovarono la conferma della loro cristologia antologica : il Lo­ gos incarnato è ad un tempo Dio e uomo e perciò può compiere l'ope­ ra redentrice di Dio per gli uomini 18• Nei termini dell'impostazione .er­ meneutica dei nostri giorni si può dire che in Gesù Dio si è comuni­ cato agli uomini nel modo più alto, come colui che opera per la loro salvezza. 20. La piena unità d'essere nell'azione è motivata nella frase successi­ va col dire che il Padre ama il Figlio e nella pienezza del suo amore gli 'mostra' tutto ciò che fa. Abbiamo un numero rilevante di altri pas­ si in cui si parla dell'amore del Padre per il Figlio ( 3 ,3.5 ; 1 0 , 1 7 ; 1 .5 ,9 ; 1 7 ,24.26) m a sempre con liya1tav. Dal fatto che qui sia usato cp�À.Ei:v forse si può dedurre che l'evangelista intendeva accentuare il caratte­ re personale dell'amore . In Io. i due verbi greci si alternano anche al­ trove, ma non senza motivo 19• Il mostrare 'del Padre' corrisponde al 'guardare' del Figlio al Padre; come il Figlio non può assolutamente fare null'altro che ciò che vede fare al Padre, cosi il Padre si apre in18. Cfr. particolarmente il lungo trattato 20 di Agostino su questo solo versetto (CC 202-2 1 1 ) ; fra l'altro egli si richiama per la spiegazione a Io. 14,10 ( «il Pa­ dre, che rimane in me, compie le sue opere.. ) ( 2o,6 ; CC 206). Stranamente Tom­ maso d'Aquino dissente da Agostino su questo punto (Cai Nr. 746), perché irri­ tato dal fecerit della Vg. Egli interpreta il viderit con la generazione infratrinitaria del Figlio dal Padre, secondo un'altra riflessione di Agostino sull'origine del Fi­ glio ( 20,8), in cui egli dice: quia videre Filii, hoc est natum esse de Patre. Ap­ paiono qui i limiti di un'esegesi speculativa, che per di più non si basa sul testo greco. Cfr. anche M .·J. Lagrange, ad l. 1 9 . Cfr. come la designazione del 'discepolo che Gesù amava' sia diversa in 13,23; 19,26; 2 1 ,7.20 rispetto a 20, 2 ; quella dell'amore dimostrato dal Padre ai discepoli in 14,21.23 r ispetto a 1 6,27, e dell'amore in 1 , , 1 3 (d.ytbtT) ) rispetto a I I ,3.30.

Apparentemente non è dato scorgere alcuna differenza di significato (Bultmann, Barrett ecc.). Ma l'evangelista voleva che in cp!.À.EL11 si sentisse l'eco di un amore più accentuatamente affettivo, dr. I I ,3 -30i 1 :1 ,2, ; x ,. , 1 9 ; 2 1 , I ,-I7. Su questa questione vedi specialmente G. Spicq, Agapè m , 2 1 9-24, .

Io. 5,20

teramente al Figlio nell'amore (cfr. 1 .5 , 1 .5 ) , dandogli in tal modo im­ pulso e forza ad operare. Infatti, il 'mostrare' opere ancora più gran­ di significa più che un semplice additare; include un trasferimento di poteri ( cfr . vv. 22.26.27 a ), è «indicazione e attribuzione al Figlio del­ l'opera del Padre. Perciò, in luogo di !ìE,XW!J.� -.lk ipytx si può dire an­ che !ì'!ìw!J.� -.à ipytx ( .5 ,3 6 ; 1 7,4)» :1D. Il linguaggio è figurato e si ser­ ve per analogia del comportamento umano . Non è necessario richia­ marsi al linguaggio del mito gnostico dell'inviato celeste 21• Enunciati analoghi si trovano nel Libro di Enoc su Metatron 22• La frase che accenna a 'opere più grandi' presenta delle difficoltà. Certi esegeti se ne sbrigano ponendola tra parentesi, come aggiunta al­ la 'fonte' ( estremamente problematica) di discorsi di rivelazione 23• Se le frasi precedenti sono genuinamente giovannee, non si può negare all'evangelista il v. 20 c. In 7 ,2 1 Gesù parla di un'opera che ha ·com­ piuto ( la guarigione del malato alla piscina di Betesda) e aggiunge : «e tutti vi stupite»; ma secondo .5 ,20 in seguito debbono avvenire «opere più grandi cosicché vi stupirete». Dato lo sviluppo dell'espo­ sizione nel vangelo, il pensiero corre subito alla guarigione del cieco nato e alla risurrezione di Lazzaro. Ma se si vogliono interpretare in partenza le 'opere più grandi' come risveglio spirituale alla vita ( at­ n·averso la fede) o come avvenimenti escatologici , non si tiene nel de­ bito conto lo 'stupore' ( incredulo) 24, che presuppone un avvenimento 20. H. Schlier: ThWb II, 28,3o-33 = GLNT 11, col. 8 n . 2 1 . Come fa i l Bul_tmann 188 ss. Però egli dice che Giovanni s i allontana da que­ sta mitologia, pur conservandone i concetti. L'idea dell'opera di Dio nel suo rive­ latore sarebbe storicizzata ( 188 ). Ma anche una semplice mutuazione terminolo­ aica appare dubbia. W. Bauer (a ,,19) rinvia tra l'altro ad enuncieti filoniani sul Losos (con/. ling. 6 3 ) . 2 2 . Citato d a H. Odeberg, Fourth Gospel 204 s. Cfr. la sua edizione: 3 Enoch (Cambridge 1928) cap. Xl (pp. 30 s . ) e XLVIII ( C ) (p. 169); ibid. IO (p. 1 7 1 ). Ma ciò che qui nei termini mistici di 'vedere', 'fare la volontà' di Dio, è detto del­ l'autorità e dell'ufficio di giudice di Metatron nella sfera celeste, in Giovanni è detto dell'attività del Figlio sulla terra. 1 3 . Di parer contrario Bultmann 1 89 ; efr. anche la critica in ]. Blank, Krisis n 8 , nota 2 7 . 2 4 . Questo 'stupore' scettico-incredulo si h a anche in 7,1,.21 (brano conclusivo del dibattito con i Giudei). Alla fine i Giudei non hanno mutato il loro atteg· aiamento. Lo tv11 qui non può essere inteso in senso strettamente finale ; per il IK'noo consecutivo efr. Bl.-Debr. S 391 ,,, dove, tra l'altro, si rimanda a lo. 9,2 ; 1 lo. 1 ,9.

lo. J,2o

visibile esteriormente, nel campo dell'esperienza attuale. Effettivamen­ te nei due grandi miracoli dei capp.9 e I I non manca una stizzosa me­ raviglia da parte dégli increduli (cfr. 9 , I 6 . 2 9 s . ; n ,47); inoltre la gua­ rigione del cieco nato illustra la più ampia tesi di 5 ,2 2 s . : per tutti co­ loro che non accolgono Gesù nella fede, egli è venuto per il xp(!J.tX ( 9 ,39). Però non si può comprendere la frase delle 'opere più grandi' sol­ tanto in questo senso preminente, perché le frasi che seguono sul ri­ suscitare c il giudicare vogliono evidentemente precisare le 'opere più grandi' ; ma in esse il 'vivificare' e il 'giudicare' sono riferiti alla comu­ nicazione dell'eterna vita divina ai credenti (vv. 24-2 6 ) e, rispettiva­ mente, al giudizio ( attuale) dei non credenti ( cfr. 27 a con 24 e con 3 , I 8 ). Ne consegue dunque per l'interpretazione delle 'opere più gran­ di' : esteriormente si intendono altre opere , che provocano uno stupo­ re ancora maggiore, ma che hanno il loro proprio significato interiore nel fatto che manifestano la vera forza vivificante di Gesù, oppure ( nel caso dell'incredulità ) che mostrano in Gesù colui per mezzo del quale si compie il giudizio di Dio. Ci siamo decisi in questo senso contro altre interpretazioni che sono state prospettate fin dai tempi antichi: I . le 'opere più grandi' non sa­ rebbero che i miracoli esteriori compiuti successivamente, forse addi­ rittura inclusa la stessa risurrezione di Gesù (un 'idea assolutamente deviante per il vangelo di Giovanni) ; 2 . si tratterebbe soltanto della risurrezione spirituale (o perfino 'etica' ) e della non-risurrezione equi­ valente al giudizio; 3· si intenderebbe parlare delle opere escatologi­ che di Gesù annunziate nei vv. 28 s. W. Thiising zs sostiene un'idea particolare, con riferimento a quelle 'opere più grandi' promesse da Gesù ai discepoli, di cui si parla in I 4 , 1 2 : esse sarebbero esclusiva­ mente le opere del Glorificato. La sua interpretazione di I 4 , I 2 non può essere contestata ; ma che !J.E(!;ovtX lpytX di I4,I 2 riprenda l'espres­ sione di 5 ,2 0 non è evidente. Nonostante il linguaggio stilizzato del­ l'evangelista, non è necessario supporre che un'espressione abbia sem­ pre lo stesso significato in tutti i testi in cui la si ritrova, ma occorre 2 5 . W. Thiising, Erhiihung und Verherrlichung 59-61 e I I 5 . Secondo ]. Blanck, Krisi.s I I 9, il v. 20• segna il passaggio dalla cristologia all'escatologia. L'espres­ sione precedente «gli mostra rutto,. sarebbe un enunciato personale-antologico, l'altra «gli mostra opere più grandi,. sarebbe detto del modo d'essere concreto­ -storico del Rivelatore; a ciò si aggiungerebbe la relazione tra segni di rivelazione (dr. J,1·18) e realtà di rivelazione (5,21 ss. ) .

lo. j,2J s.

tener conto del contesto nei singoli casi. Si confrontino le parole ana­ loghe rivolte da Gesù a Natanaele : !lEt�w "tOV"tWV oljin ( 1 ,, 0 ; vedi ad l. ). 21 s. Le 'opere più grandi', la cui esecuzione il Padre affiderà al Figlio, sono quelle, caratteristiche di Dio e a lui riservate, della risurrezione dei morti e del giudizio. L'atto del vivificare è messo per primo ( di­ versamente nell'apocalittica, dove ha la precedenza l'idea del giudi­ zio ) 76 , perché nel kerygma giovanneo la volontà salvinca di Dio ha la prevalenza sul suo giudizio. Nell'invio del Figlio suo, che deve rido­ nare la vita al mondo caduto nella morte, la volontà salvifìca di Dio predomina a tal punto, che il giudizio appare come un destino ( voluto da essi stessi ) di coloro che si rifiutano di credere nel Figlio unigenito di Dio ( 3 , 1 6 ss.). In tutta questa parte non predomina l 'idea del giu­ dizio 27 ma ( sempre riferendosi all'uomo risanato [ 5 ,1-9 ] e anticipan­ do il grande segno del cap. I I ) I 'idea del richiamo alla vita ad opera del Figlio. I vv. 2 1 s. assegnano sostanzialmente ( presente) al Figlio quelle funzioni riservate a Dio , nello stesso senso in cui, secondo il v. 1 9 , Dio opera e realizza la sua volontà attraverso il Figlio. Con un nuovo CÌ.!l"ÌJV Ò:!l"ÌJV X"tÌ.. . queste attività compiute mediante il Figlio vengono chiarite e precisate nel vivificare (vv. 24-26 ) e nel giudicare ( vv. 2 7-30 ) . I tempi presenti in vv. 2 1 s., strani dopo il futuro 8EU;E� (v. 20), servono già a richiamare l'attenzione sul fatto che il dono del­ la vita e il giudizio avvengono nell'ora presente (vuv É• e ricorda (ibid. nota I ) Is. 66,24 (citato in Mc. 9,48 ) e altri passi . Ma mentre i passi veterotestari ( anche Ecclus hebr. 7117) e le riBessioni

Io. 5,25

determinati uomini secondo il loro habitus particolare (i morti ' spiri­ tuali', cfr. il logion di Le. 9 6 o par. Mt. 8 ,2 2 ). In prospettiva si scorge la risurrezione escatologica dei morti (cfr. Mc. 1 2 ,26 parr . ) che però qui è anticipata all'ora presente (cfr. excursus 1 4 ) ; 3 . l"udire' è meglio chiarito nella sua funzione : anche se tutti i morti odono la voce del Figlio di Dio, cioè la percepiscono esteriormente (cfr. 1 1 .4 3 ) , soltanto ol. 54 àxouCTct\1-tEc;, cioè coloro che ascoltano nella fede la voce del rive­ latore ( 1 8 , 3 7 ; cfr. 1 0,3 . 1 6 .2 7 ), hanno la vita. ,

L''udire' qui è usato in un duplice senso, e deliberatamente, come 've­ dere' in 9,39 o 'vivere' in n ,25 s. È difficile invece richiamarsi all'uso linguistico e stabilire tra aXOUEW "tTJ\1 CjlW\Ii)\1 ( 3 ,8 ; 5 ,3 7 ) e "tijc; CjlW\Iijc; la stessa differenza che esiste tra percepire e dare ascolto (cfr . Bl.-Debr. § 1 73 .2 ).

La 'voce' che i morti udranno è quella del Figlio di Dio che 'grida' nel mondo le parole di Dio ( cfr. 7,2 8 . 3 7 ; 1 2 ,44). Sembra ovvio pen­ sare al 'grido' dell'inviato gnostico, che ha un grande ruolo nel lin­ guaggio simbolico della gnosis : deve svegliare le anime in preda al sonno o all'ebbrezza e chiamarle fuori dalla sfera dei morti 55 • Nell'am­ bito giudaico non ci sono testi comparabili cosl icastici ; si può ricor­ dare la parola di Dio che 'chiama' all'esistenza le opere della creazione ( ls. 4 8 , 1 3 ; apoc. Bar. syr. 2 1 ,4 ; Philo, op. mund. 64) e Dio che chia­ ma «all'essere ciò che non è» ( Rom. 4,1 7 ; Philo, spec. leg. 4 , 1 8 7 ) . In­ flussi del linguaggio liturgico si hanno in apoc. Bar. syr. 48,8 : «Tu chiami alla vita con la tua parola ciò che non è». Ma nell'escatologia un simile 'grido' o una simile 'voce' non hanno un ruolo fisso ( le im­ magini della voce dell'arcangelo in I Thess. 4 , 1 6 , della «voce che pro­ viene dal trono di Dio» in Apoc. 1 9,5 ; 2 1 ,3 ecc. non si possono por­ tare a paragone ). Una voce, che si deve udire per vivere, al massimo si trova in alcuni passi samaritani 56• Dunque il linguaggio di Io. qui efrabbiniche su di essi (vedi Billerbeck n, 19 s . ) pensano alla futura ;orte mortale ( nella Geenna ), i testi di Qumran si riferiscono agli uomini viventi, che nella !ero caducità sono considerati 'mucchio di vermi' e 'morti'. T. Maicr. Die Texte uom Toten Meer 11, 95 : «Predicato di bassezza nel senso della 'religiosità dei poveri'»; dr. anche J. Carmignac: RQum 1 ( 1 958/59) 237 s. '4· L'articolo manda in P" S* sy', forse perché già il primo 'udire' era stato inteso come udire nella fede e nell'obbedienza. L'articolo distingue dalla gene­ ral i tà dei 'morti' il gruppo degli uditori nella fede. Però con un participio condi­ zionale l'articolo può anche mancare (specialmente in ebraico), cfr. K. Beyer, Se­ mitische Syntax 1 / 1 , 1 99 s . , . Cfr. H . Jonas, Gnorir u n d spiitantiker Geist I , 1 20 s s . 1 26- 1 3 3 ; Bultmann 194 s. nota ' (specialmente testi di letteratura mandaica e Od. Sal. ). ,6. S. Odeberg, Fourth Gospel 207 s. Egli richiama l'attenzione sul fatto che i nu-

fettivamente si avvicina ai testi gnostici e pare innegabile la possibili· · tà di un'influenza di questi ultimi . Nel contenuto, però, la differenza rimane grande : in lo. non si tratta di un risveglio dal sonno , del­ l'ebbrezza o dell'oblio di se stessi, ma della chiamata a liberarsi dalla �oggezione alla morte, al peccato e al giudizio, che è un topos della liturgia battesimale del cristianesimo delle origini (dr. Eph. , , 1 4 ). 26.

La voce del Figlio di Dio ha il potere di risuscitare i morti perché

ha in sé e può trasmettere la vita esattamente come il Padre. Anche

questo era stato detto in linea di principio già nel v. 2 1 ( cfr. la stessa formulazione con WCMtEp oihwc;), ma ora è spiegato con maggiore pre­ ci�ione. Che Dio vive nell'eternità, che è il vivente, il creatore di vita (cfr. 6 �w" 'lta.-ti)p: 6,.57 ) non abbisogna di altre parole; ma da lui an­ che il Figlio possiede la vita nella stessa pienezza e potenza ( la formu­ la lirlì6"a.� con l'infinito è giovannea ) 57• Dio non trasmette al Figlio la sua vita esteriormente, come un dono, ma lo fa partecipe del suo pos­ sesso interiore, senza perdere nulla della ricchezza della sua vita. En­ trambi hanno nello stesso modo �ione giudaica, dr. apoc. Mos. 4 1 : «nell'ultimo 11ior· no•; Libro di Elia 8,1 : «il novissimo giorno•. Per la critica dr. anche E . Hirsch : ZNW 43 ( 1 9,oh 1 l 1 36 s .

zoz Si possono forse individuare due 'strati ' giustapposti, dei quali l'uno attesta l'escatologia presente e l'altro quella futura ? M .-É. Boismard sviluppa l'idea che si tratti di ' riletture ' ; ma la sua opinione non ci è parsa accettabile ( I , pp. 87 s . ) . Analogamente R. E. Brown considera i vv. 26-30 come un" altra versione' o un 'duplicato' dei vv. 1 9- 2 5 , ma con l'uso di espressioni proprie dell'escatologia della fine dei tempi 70• Ma questa proposta urta contro il fatto che v. 26 va unito certamente a v. 2 5 , cioè fa parte dell'escatologia attualizzata ( vedi commentario ), e anche il v . 2 7 a potrebbe appartenere, in conformità al v . 22, a que­ sto contesto 7 1 • Inoltre il v. 30 si può inserire solo a fatica nella pro­ spettiva futura dei vv. z8 s . ; esso rinvia al v. 1 9 e indica la forza giu­ dicatrice della parola attuale di Gesù. Perciò la migliore soluzione sembra l'attribuzione dei vv. 27 b-z9 ad una redazione che volesse far valere anche il giudizio finale 72• 3 · Valutazione teologica Ciò significa che la redazione ha introdotto qui un'idea rifiutata dal­ l'evangelista? Egli negava forse la fede comune della chiesa delle ori­ gini negli avvenimenti alla fine dei tempi ? Questa opinione, sostenu­ ta ripetute volte, non è cogente, come hanno riconosciuto anche i so­ stenitori delle ' riletture' . M.-É . Boismard lascia la scelta fra due spie­ gezioni del dato di fatto da lui ipotizzato : i due strati risalgono ad autori diversi, dei quali l'uno, che revisionò anche le lettere di Gio­ vanni, sarebbe un discepolo dell'altro ; oppure essi sono di uno stesso autore che però , nel corso di alcuni decenni, avrebbe mutato il suo stile e le sue concezioni teologiche 73• Egli e R. E. Brown non conside­ rano la divergenza tra l'escatologia nel presente e quella nel futuro tanto grande da rendere queste concezioni teologiche inconciliabili; 70. Gospel

according to fohn I, 219 s. 195 s. qui non si decide chiaramente. Per lui il .v . 27 ' difficilmente appartiene anco.ra alla fonte, probabilmente è un'aggiunta dell'evangelista, se non addirittura del redattore. Secondo l'analisi condotta qui sopra la formulazione dei vv. 21 s. potrebbe richiedere una frase come v. 27' quale trapasso al v. 30. 72. L'opera della redazione dunque potrebbe essere stata alquanto maggiore di quanto ha supposto in I, pp. 9 1 s. 73· L'évolution du thème escathologique dans les traditions iohanniques: RB 68 . ( 1 961 ) '07-,524, qui 524. 7 1 . Bultmann

lo. 5,28 s.

2 0 .3

possono essere attribuite alla stessa scuola giovannea. Effettivamente il problema della differenza teologica si pone anche tra Io. e I I o. ; nel­ la grande lettera compare in alcuni passi l'idea della parusia ( 2 ,2 8 ; cfr. 3 ,2 ) e del giorno del giudizio ( 4 , 1 7 ) ; s e 'ancora' secondo l'idea più antica o 'nuovamente' dopo l'escatologia attualizzata dell'evange­ lista, dipende da come si considera la relazione tra i due scritti 74• For­ se dobbiamo I Io. ad un componente della redazione del vangelo; al­ lora i discepoli avrebbero capito cosl male il loro maestro da non ve­ dere che egli voleva respipgere, e sostituire con la sua nuova, la tra­ dizionale escatologia futura e 'drammatica' ? In tutti i casi sappiamo da Io. 2 I ,24 di una redazione di discepoli ; viceversa l'ipotesi di una redazione 'ecclesiastica', che con quelle aggiunte avrebbe reso accet­ tabile nell'ambito ecclesiale l'opera teologicamente rivoluzionaria del­ l'evangelista ( inficiato di gnosticismo ? ), rimane un puro postulato che poggia soltanto su un determinato giudizio della teologia giovannea. Solamente in un quadro più vasto si può indagare ( vedi excursus 1 4 ) sui motivi che condussero l'evangelista a mettere interamente l'ac­ cento sulla salvezza (o giudizio) attuale e a reinterpretare per il pre­ sente non pochi termini escatologici del cristianesimo primitivo rife­ riti al futuro. s- L'invito a non meravigliarsi Gesù l'aveva rivolto . anche a Nico­ demo per la sua dottrina della 'nascita dall'alto' ( 3 ,7 ). Qui esso è ri­ ferito al fatto che Gesù, in quanto 'Figlio dell'uomo' , terrà il giudizio ( �ou�o probabilmente è retrospettivo) 75• Ma la spiegazione ( o��) ripor­ ta la dottrina giudaica , a quei tempi accettata da tutti ad eccezione dei Sadducei, della risurrezione alla fine del mondo ( cfr . I I ,2 4 ) ; ma al problema se sarebbero risorti soltanto i giusti oppure tutti gli uomini

28

74· Cfr. R. Schnackenburg, Die ]ohannesbriefe' 14 s. e 34-38 ; secondo R. Bult· n•ann, Die drei ]ohannesbrie/e, Gottingen 1 967, 9, I lo. è d'età posteriore a quel­ la del Vangelo. Egli attribuisce alla redazione i passi d'escatologia futura in I I o. (cfr. particolarmente a 2,28, p. 49 ). n· Nello stile giovanneo compare spesso un pronome dimostrr.tivo, a cui segue una frase con tvet ( 5 ,34; 6,29.40.jo; I j ,8.I 2 . 1 3 . 1 7 ; 1 7 , 3 ; 18,37; 1 Io. 3,8.u.23; 4 ,2 1 ; 5 , 3 ; 2 Io. 6), ma solo di rado un tale pronome (sempre etU"tYJ ) è seguito da una frase con 5...-L ( 3 , 1 9 ; I Io. 5 ,9 .I I ). Perciò si dovrebbe intendere �"tL come congiunzione giustificativa. Chrys ., Theod. Mops. e la Peshitta modificano la pun· teggiatura: «Poiché egli è il Figlio dell'uomo, non meravigliatevi».

Io. 5.�8 s.

204

non si dava risposta concorde 76• Dan. 1 2 ,2 («Molti di coloro che dor­ mono nella regione della polvere si sveglieranno, gli uni alla vita eter­ na, gli altri a loro scorno ed eterna esecrabilità» ) pur non riferendosi ancora ad una risurrezione generale dei morti, potrebbe portare ad un'idea del genere (dr. Hen. aeth. , x ; 4 Esdr. 7 , 3 2 ; apoc. Bar. syr. 42, 7 ; apoc. Mos. x o 4 x ecc.) 77• Il fondamento diretto della concezione qui enunciata e wiluppata non è certamente costituito dall'apocalitti· ca giudaica , bensl dalla dottrina comune al cristianesimo primitivo del­ la risurrezione dei morti e più precisamente del giudizio retributivo se­ condo le opere (dr. Rom. 2 ,6- x o ; 2 Cor. , ,x o ; Act. I 7 ,3 1 ; I Petr. 4, ' ; 2 Tim. 4,1 ecc.). In questi testi troviamo la separazione tra coloro che hanno fatto il bene e coloro che hanno fatto il male 71• Secondo Hebr. 6,2 la dottrina della risurrezione dei morti e del giudizio eterno fa parte del 'fondamento' della fede cristiana primitiva, del catechismo primitivo cristiano. E la chiesa delle origini era altrettanto convinta che l'esecuzione di questo giudizio finale è stata affidata a Gesù (cfr. 2 Cor. , , x o ; 2 Thess. x , 8 ; 2 Tim. 4,8 ), il Figlio dell'uomo o il Kyrios, che «giudicherà i vivi e i morth, (cfr. Act. 1 0,42 ; 2 Tim. 4,1 ; I Petr. ,

4 ,, ).

Questa convinzione comune della chiesa primitiva è accolta in Io. ,,28 s., ma espressa in linguaggio giovanneo. Se il brano è stato in­ serito dalla redazione dei discepoli, le espressioni usate nel v. 28 si spiegano molto facilmente come ripresa ed imitazione delle locuzioni usate precedentemente dall'evangelista : adesso si dice : «viene un'ora» a differenza dell'ora già giunta del v. 2 ' ; 'i morti' adesso sono, con­ forme al contesto , ' tutti coloro che sono nei sepolcri' 79 ; è conservata 76. Cfr. Bousset-Gressmann, Religion des ]udentums z69-z74; Volz, Eschatologie 229- 2 5 6 ; Billerbeck IV, u66-n98; a suo giudizio «nella letteratura veterogiudai­ ca ci sono anche detti che, come Io. ,,z8, professano la risurrezione di tutti i morti ; ma non hanno mai trovato l'approvazione generale dell'antica sinagoga» ( u66). 77· B . J. Alfrink, L'idée de rlsurrection d'après Dan. XII,r.2 : Bib 4o ( 1 9.59) 355· 3 i i ; K. Schubert, Die Entwicklung der Auferstebutzgslehre von der nachexiliscben bis zur friibrabbinischen Zeit: BZ, N.F. 6 ( 1 962) 1 77-2 14. 7 8 . 2 Cor. .5,ro: li:ya&6v - q111uÀ.ov, Rom. z ,9 s . : TÒ xttx6v - TÒ liya&6v. L'idea della rimunerazione 'secondo le opere', secondo il 'fare' è contenuta in Rom. 2 , 6 ; M t . 16,27; 2 Tim. 4 , 1 4 ; Apoc. 2,2 3 ; 20, 1 2 s . ; 22,12. 79· I J.LVT)IJ.Ei:tt sono le camere sepolcrali in cui erano conservate le sabne (cfr. Bauer, Wb. 1037 s.) e rendono meglio che Tliqloc; l'idea che le tombe sono le

lo. 5,:t8 s.

letteralmente l'espressione cudranno la sua voce» 80, solo che adesso, conforme al v. 27 b, si intende dire la voce del 'Figlio dell'uomo'. Il v. 29 costituisce veramente una formulazione nuova. Se avviene una separazione tra i buoni e i cattivi, anche la risurrezione degli uni e degli altri dev'essere distintamente caratterizzata. Secondo il v. 21 a si attende soltanto una risurrezione intesa a vivificare, a risvegliare alla vita di Dio; invece una «risurrezione per il giudizio» è una dizio­ ne nuova. I due genitivi , che debbono o qualificare la risurrezione o mostrarne il risultato ( qualcosa come 'la luce della vita' : 8 , 1 2 , oppure 'lo spirito della verità' : 14,1 7 ecc. ) 81, sono assolutamente giovannei : la 'vita', che il credente già possiede, ora giunge alla sua meta , ha il suo compimento (cfr. 6,39·40.54); il 'giudizio' è la condanna, che ora diventa manifesta e irrevocabile. La risurrezione del corpo non è de­ scritta, ma è sottintesa ( cfr. «i sepolcri» ) ; l'atto di giudicare rimane oscuro . In questo riserbo si può ancora riscontrare il criterio seguito da Gesù e dal cristianesimo primitivo di non indugiare sui particolari della situazione alla fine dei tempi ; ma più ancora si fa sentire il ri­ spetto verso la teologia giovannea, che vuol superare queste idee apo­ calittiche. La 'risurrezione della vita' non è in contraddizione col con­ cetto· giovanneo di vita , che abbraccia tutto l'uomo ; altrimenti la ri­ surrezione di Lazzaro non potrebbe diventare un simbolo, e lo stesso Gesù risorto non si sarebbe dato a conoscere ai discepoli nella sua cor­ poreità. Ma ciò che sta a cuore all'evangelista non è l'evento futuro, dimore dei morti. lo. usa esclusivamente quel vocabolo (nel racconto di Lazzaro 1 1 ,1 7 · 3 ' · 3 8 ; 12,17; per il sepolcro di Gesù 1 9 .4 1 s . ; 20,r -n ) . Secondo un'antica ccncezione semitica (e in generale orientale) in questo modo viene espresso il soggiorno dei morti nel regno dei morti, cfr. G . Quell, Die israelitische Anschauung 110m Tod, Leipzig 1925; R. de Vaux, Das Alte Testament und seine Lebensord­ nungen I, Freiburg i. Br. 1 96o, 99-1 03 ; P. Hoffmann, Die Toten in Christus, Miinster i. W. 1 966, 63-66. Corrispondentemente si pensava a caverne o camere nella sbeol; Hen. aeth. 22 attesta che qui i morti sono conservati fino al grande giorno del giudizio. Però in questo passo ( 22,1 3 ) i peccatori non vengono anche. risvegliati. So I..a lezione cixovaovcn11 di P" B, più adatta nel v. 25, è da preferire in con­ fronto a cixoVawaL\1 di P" e degli alui mss. del testo egiziano. K D 9 pm leggono in entrambi i passi d:xovaO\I'�atL. Invece di atÙ"L'oU leggono "L'oU &lov i codd. 213 1 5 7 9 sy'; "L'OU vl.oii "L'oU &l oii N 33 aur Vg Or Tert. 8r . Il genitivo di quolità (BI.-Debr. S 165 ) è sostenuto da W. Bauer, ad l. , il ge­ nitivo di direzione e di scopo, invece, da BI.-Debr. S r 66, corrispondentemente a

:1

Mach.

7,14:

civM"L'fiiT!olo (v. 3 2 ), sospettano e insultano tutti coloro che si lasciano ' sedurre' da Gesù ( v . 47) e più avanti non esitano a mi­ nacciarne l'esclusione dalla sinagoga ( 9 , 2 2 ). La 'paura dei Giudei' per l'evangelista rimane il principale motivo per cui la fede in Gesù non osa esprimersi e svilupparsi (cfr. 9,2 2 ; 1 2 ,42; 1 9 ,38). Anche Pilato si piega alle loro minacce (cfr. 1 9 , 1 2 s . ) e i discepoli di Gesù dopo la sua crocifissione chiudono le porte «per paura dei Giudei» ( 20,1 9 ). 24· Cfr. H. Braun: ThWb VI, 239-242 = GLNT x , coli. 5 1 3-,23. A ragione egli non comprende lo. 7 , 1 2 fra i passi con uso 'dualistico'. Egli ritiene che esso ri­ specchi, come Mt. 27,63 s . , il topos tardogiudaico dello pseudo-messia (zp, 1-4 = GLNT x, col. '46). a, . Si uatta del noto passo Sanh. 43 a Bar., e di Sanh. 107a; Sota 47a; vedi Billerbeck I, 1023 s.

Anche sotto questo aspetto l'evangelista ha probabilmente presente la situazione delle sue comunità di fronte ad un giudaismo molto in­ fluente (per l'Asia Minore cfr. Apoc. 2 , 9 ; 3 ,9). Forse i suoi lettori so­ no oggetto di atti terroristici e di rappresaglie da parte dei Giudei, con i quali vivono a gomito a gomito 26• 2.

GESÙ A METÀ DELLA SETTIMANA FES TIVA A GERU SALEMME ( 7 , 1 4 · 2 5 -3 6 )

14 "H&11 & t 't"ijc; top't"ijc; !J.EO"OuO"TJc; tivÉ�1} '11)aovc; E '.; 't" Ò lEpòv xal t&t­ &aaxEv. 25 "Eì..Eyov ovv 't"LvEc; ÈX 't"WV 'IEpoaoÀ.vJlL't"Wv, Oux où't"oc; ÈO"'t"LV 8v �1}'t"OVO"LV a1tOX't"ELVG:L; 26 xal t&E 1ttlpp1)0"L� À.aÀ.EL xal ou&Èv 11U't"iii À.EyOVO"LV. !l1J1tO't"E fi)..1}l}G)c; É"\'VW0"11V ol apxovnc; l!'t"L OU't"Ot;; ÈO"'t"LV ò XpLO"'t"oc;; n àì..ì.. à. 't"OV't"OV ot&aJlEV 1t6lttv ÈO"'t"tv· ò &È XpLO"'t"Òc; l!'t"av �PX1}'t"aL oò&dc; "YLVWcrXEL 1tolttv ÈO"'t"tV. a l!xpa�EV OVV Èv 't"iii lEPiii liL&tiaxwv ò '11)0"ovc; xal À.Éywv, KIÌJlÈ ot&a't"E xal ot&a't"E 1tÒltEv Et!lt· xal à1t' È!li1V't"OU oòx ÈÀ.i)À.vlta, àÀ.À.' i!O"'t"LV aÀ.1}ltwò c; Ò 1tEJl\jlat;; !J.E, 8v vp.Ei:c; oòx ot&a't"E" 29 Èyw o!&a aò't"ov, o't"L 1tap' aò't"oii Et!lL xà­ XEi:v6c; !J.E a1tEO"'t"ELÀ.Ev. 30 'E�i)'t"OVV oùv aÒ't"ÒV 1tLMG:L, xal oò&Elc; È1tÉ· �aÀ.Ev È1t . 11V't"ÒV 't"i)V XELpa, O't"L OU1tW ÈÀ.1}MltEL i) wpa G:U't"OU. 31 'Ex 't"OV ISxÀ.ou &È 1toÀ.À.ol É1tW't"Evaav d.c; aò't"ov, xal �À.Eyov, 'O XpLO"'t"òc; o't"av t:Mn Ili� 1tÀ.Etova O"TJ!J.ELa 1toL1)0"EL i:iv où't"oc; È1tOL1JO"Ev ; 32 "Hxovaav ot Cll apLO"ai:oL 't"ov ISxÀ.ov yoyyu�ov't"oc; 1tEpl aÒ't"ou 't"I1U't"a, xal a1tÉO"'t"ELÀ.av ol IÌPXLEPELc; xal ol Cll apLO"aLOL V1t1}PE't"ac; tva 1tLIÌ­ O"WO"LV aÒ't"OV. 33 El1tEV oùv o 'I'F)O"OVc;, "E't"L xpòvov llLXpÒv llEl}' UJlWV EL!lL xal vmiyw 1tpòc; 't"ÒV 1tÉJl\jlav't"a p.E. 34 �1}'t"i)O"E't"É IlE xal oux EU· pi)O"E't" É [ !lE L xaL IS1tov Et!ll Èyw u!lfi:c; oò &uvaaltE f.ì..ltEi:v. 35 El1tov CVV ol 'lov&ai:OL 1tpÒc; ÉI1V't"OUt;; , fiov OÙ't"oc; !lÉÀ.À.EL 1tOpEuEO"ltaL O't"L TJ!lELc; oux EVPTJO"O!J.EV aò't"év; Ili� Etc; 't"TJV &LM1topà.v 't"WV 'E)..)..1)vwv !lÉÀ.À.EL 1tCpEuEO"ltaL xal liL&ti.O"XELV 't"OUt;; "EÀ.À.1}Vat;; ; 36 't"Lt;; ÈO"'t"LV 6 À.éyoc; OÙ't"oc; Sv El1tEV, Z1}'t"i)O"E't"É IlE xal oòx Evpi)O"E'-t t [ !lE ] , xal o1tov Ei!ll Èyw ò!lEi:c; oò &uvaaltE ÈÀ.hi:v;

14 Ma quando metà della settimana di festa era già trascorsa, Gesù sali al tempio e insegnava. 25 Allora alcuni abitanti di 26. ar. ]. L. Martyn, History tmd Theology 45-68 .15I-I 54·

Io. 7,14

Gerusalemme dicevano: «No'l è costui quello che cercano di uccidere? 26 Ed ecco che parla pubblicamente e nop. gli dico­ no nulla. Forse che i sinedriti hanno davvero riconosciuto che egli è il Messia? TI Ma di costui sappiamo di dov'è, quando invece verrà il Messia, nessuno sa di dov 'è». 23 Allora Gesù gridò mentre insegnava nel tempio e disse : «Certo conoscete me e sapete di dove sono; eppure non sono venuto da me, ma c 'è un Veritiero, che mi ha mandato, che voi non conoscete. 29 Io lo conosco perché provengo da lui ed egli mi ha manda­ to » . 30 Allora cercavano di catturarlo; ma nessuno gli mise le mani addosso, perché non era ancora giunta la sua ora . 31 Ma molti della folla credettero in lui, e dicevano : « Mt. 9,18.23 usa il singolare per indicare il capo della sinagoga Giairo. Probabilmente in Io. e Le. abbiamo un influsso ellenistico; gli altri evan· gelisti definiscono i membri del sinedrio con i nomi dei gruppi esistenti in esso, oppure dicono crwi!Sp�v . ar. E. Schiirer, Geschichte des iiidischen Volkes I I , 237-267; J. Schmid: LThK JX, 1 227 ss.; E. Lohse: ThWb VII, 8'9-869. J. L. Martyn, o.c. 74·77 pensa che gli iipxov"':E.&tiv: B. 2 3 . Cfr. H. Leroy, Riitsel und Missverstiindnis 51-67. 24. Di diversa opinione J . A. T. Robinson, Tbe Destination and Purpose of St. ]ohn's Gospel: NTSt 6 ( 1 959/6o) I I 7·1 3 1 , più particolarmente 1 2 1 con nota 1 . I n questo senso l'espressione ot "ElÀ.T}VEc; non è m ai attestata, dr. H . Windisch : ThWb I I , 504·514 = GLNT III, coli. 478·503- Robinson pensa che il vanaclo di Giovanni sia stato scritto allo scopo di convincere i Giudei ellenistici dello diaspora della messianità di Gesù; similmente W . C. van Unnik, Tbe Purpt>se of SI. ]ohn's Gospel: StEv (TU 73) Berlin 1959, 382-4 1 1 , che però non intcr· prela cosi l'espressione di Io. 7.35.

2 8 2.

lo.

7, J5 s.

no qui i Giudei 25• La prima parte della frase indica la supposta meta geografica di Gesù ; ma la continuazione «e insegnare ai Greci» fa ve­ dere l'attività a cui pensano i Giudei che discutono intorno alle paro­ le di Gesù : ad un'attività missionaria in mezzo ai pagani. In un'epoca in cui era considerato un merito per i Giudei guadagnare proseliti (cfr. Mt. 2 3 ,1 .5 ) questa idea potrebbe essere l'espressione di un'alta stima ( Rom. 2 , 1 9 ss . ) ; ma è difficile che l'evangelista voglia che la loro do­ manda sia intesa in questo senso. È una domanda sprovveduta, da cui traspare l'imbarazzo in cui le parole di Gesù hanno messo questi Giu­ dei . In 8 , 2 1 s. le stesse parole urtano contro un fronte più rigido di incredulità e inducono nell'infame sospetto che Gesù voglia togliersi la vita. Ma per l'evangelista quella domanda buttata Il a casaccio ha un'im­ portanza profetica: essa si è verificata per lui e per i suoi lettori elle­ ni&tici, e non per mezzo dello stesso Gesù, bensl per mezzo dei mis­ sionari cristiani ( cfr. 1 7 ,2:>). Del pari, senza averne la minima idea, il sommo sacerdote Caifa 'profetizza' la morte di Gesù salutifera per 'il popolo', che porta alla raccolta di tutti i figli dispersi di Dio ( 1 1 , .5 1 ) . Quella che in 7 ,3.5 può sembrare un'ironia dell'evangelista , in considerazione dei fatti avvenuti più tardi, in 1 2 ,2 0 ss . appare come un fatto importantissimo per lui : vengono alcuni greci e vogliono ve­ dere Gesù ; un segno pieno di promessa per la missione cristiana. Ma gli ascoltatori giudei non sanno come prendere le parole di Ge­ sù e se le ripetono perplessi (v. 3 6 ). Si possono ricordare le parole del profeta : «Con le loro pecore e i loro buoi vanno a cercare il Signore; ma non lo trovano, perché si è ritratto da loro» ( Os. 5 ,6 ; cfr. anche Am. 8 , 1 2 ; Is. 5.5 ,6 ). Ma le parole di Gesù, che egli ripete anche per 2 5 . � significativo che l'�spressione sia usata 12 volte per diverse espressioni ebraiche, chiaramente nel senso oramai fisso : dispersione dei Giudei tra i popoli pagani, o concretamente: i dispersi, cfr. K. L. Schmidt: ThWb I I ,99 = GLNT 11, coli. rooo ss. Circa il nostro passo lo Schmidt lascia aperta la possibilità che si voglia parlare o di giudei di lingua greca o di greci, in me2zo ai quali vivano dei giudei (ibid. 102). Ma cfr. Schlatter, ad 1., il quale cita per il genitivo il pa­ rallelo convincente Sanh. i r 8d : in una lettera Gamaliele si rivolge ai Giudei «della dispersione di Babilonia, della Media, dei Greci», cioè designa con il ge­ nitivo i luoghi in eu; vivono i Giudei nella dispersione. Sulle varianti in Act. 9,29; I I ,20, a cui si richiama lo Schmidt, cfr. H. Windisch: ThWb n,,o8 s. = GLNT III, coli. 489 ss. ; su Io. 7,35 vedi anche Billerbeck 11.490; Zahn, ad l. ; H. Win­ disch, ib1d. 506.

lo.

],J7·J2

i discepoli ( I J ,3 3 ) , non significano ancora il « troppo tardi» del giu­ dizio, ma l'invitante «ancora è tempo» . Egli leva ancora ad alta voce l'appello a venire a lui (v. 3 7 ) 26 •

3 . NELL 'ULTIMO, GRANDE GIORNO DELLA FESTA ( 7 , 3 7-5 2 ) 37 'Ev lì È "t"fi Èaxa"t"lJ ti!J.Ép� "t"fi IJ.Eyliln "t"ijc; Èop"t"ijc; Eta"t"i)xEL ò '11!­ aouc; xat bptrl;Ev À.Éywv, 'Eiiv "t"Lc; lìL\jléi èpxtai)w 7tpéc; fJ.E xaL 7tLVÉ­ "t"W. 38 Ò 7tLa"t"EVWV Etc; É(J.É, xa�wc; d7tEV ti ypaqn'J, 7t0"t"IX(J.OL ÉX "t"ijc; XOLÀ.Lac; IXÙ"t"OU pEvaouaw vlìa"t"oc; �wnoc;. 39 "t"OU"t"O lìÈ EL7tEV 7tEpL "t"OU 7tVEVfJ.�X"t"oc; 8 EfJ.EÀ.À.ov À.aiJ.�IivEw ot ma"t"Evaav"t"Ec; ELc; aù"t"év· oil7tw yàp Tjv 7tVEU(J.�X, 6"t"L 'IT]aouc; oùlìÉ7tW ilìo�lia� . 40 'Ex "t"OU oxlou OW O:xovaav"t"Ec; "t"wv léywv "t"OV"t"WV i:'À.Eyov, Oihéc; ÈcMw liÀ.TJ�wc; ò 7tpo­ ctriJ"t"TJc;· 4 1 /iÀ.À.oL i:'À.Eyov, 0ù"t"6c; Èa"t"w ò XpLa"t"éc;· ot lìÈ i:'À.Eyov, MiJ ·(àp Èx "t"ijc; raÀ.LÀ.a (ac; ò XpLa"t"Òc; EPXE"t"�XL; 42 oùx ti ypacpi] d7tEV O"t"L lx "t"ou a7tÉpfJ.a"t"oc; .1au(lì, xaL li1tò B1J�À.ÉEIJ. "t"ijc; XW(J.TJc; o1tou t'iv .h.au(lì, ò XpLa"t"òc; EPXE"t"aL; 43 axlafJ.a oùv ÈyÉvE"t"o Èv "t"!{) oxl(() lìL' aù­ "t"ov. 44 "t"LVÈc; lìÈ ij�À.ov È� �XÙ"t"WV maaaL �XÙ"t"ÒV, Q:),.),.' oÙlìELc; É7tÉ­ �aÀ.EV È7t' aÙ"t"ÒV "t"CÌc; XEi:pac;. 45 .. HÀ.�ov oùv ot Ù7t1JpÉ"t"�XL 7tpòc; "t"ovc; àç.xLEpEi:c; xaL lll a pLaa(ouc;, xaL EL7tOV aÙ"t"oi:c; ÈxEi:voL, .1Là. "t"L oùx i)yli­ YE"t"E aÙ"t"ÒV ; 46 li7tExp(�aav o t Ù7t1JpÉ"t"aL, OùlìÉ7to"t"E ÈÀ.aÀ.lJaEv ov"t"wc; iiv�pw7toc;. 47 li7tExp(�aav oùv aù"t"oi:c; ot lll a pwai:oL, MiJ xaL Ù(J.Ei:c; 7tE7tÀ.av1ja�E; -18 1J.TJ "t"Lc; Ex "t"WV CÌPXOV"t"WV hW"t"EUaEV Etc; aÙ"t"ÒV ij lx "t"WV lll apLaaLwv; 49 !iÀ.À.à. Ò oxÀ.oc; OÙ"t"oc; Ò (J.lJ ywwaxwv "t"ÒV vé­ (J.OV È7tCipa"t"o( Elaw. so À.ÉyEL NLxélìTJIJ.Oc; 11:pòc; aù"t"ovc;, ò tUwv 7tpòc; aÙ"t"ÒV "t"Ò 7tp6npov, Etc; &lv È� aÙ"t"WV, 51 Mi) ò VÒIJ.oc; TJfJ.WV xpLvEL "t"ÒV iiv�pW7tOV ÈCÌV (J.TJ cixovan 7tPW"t"OV 7tap' aÙ"t"OU xat yvijl "t"L 7tOLEi:; 52 li11:EXp(�aav xaL EL7tav a\rr!{) , MiJ xaL aù Èx "t"ijc; raÀ.LÀ.aLac; E!; Èpav­ VlJaov xaL tlìE O"t"L 7tpocpi)"t"1Jc; Èx "t"ijc; raÀ.LÀ.a'ac; oùx èyEi.pE"t"aL. 37

Nell'ultimo giorno, il più solenne, della festa, Gesù si levò

26. Bultmann 232, nota r e 233, nota 3 vorrebbe far discendere le parole d i ri­ velazione di Gesù dal mito gnostico, e cita al riguardo passi della letteratura mandaica ed anche Prov. r ,23-3 I , perché per lui la speculazione sapienziale 11iu· daica è già influenzata dal mito. Ma l'idea che «i sette• vengano per la Tihil (terra) e c:en:ano il Mana e non lo trovano (Gi11za 347,1 5 ss., il passo più chiaro) � però qualcosa ili diverso.

284

Io. 7,37·5�

in piedi e gridò : « Se qualcuno ha sete, venga a me e beva !

Chi crede in me, (per lui vale) 38 ciò che ha detto la Scrittu­ ra : ' Fiumi d 'acqua viva sgorgheranno dall 'intimo di lui ' » . 39 M a ciò egli diceva dello Spirito che avrebbero ricevuto co­ loro che credono in lui ; infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato. 40 Ma tra il po­ polo dicevano (alcuni ) che avevano udito queste parole : «Co­ stui è veramente il Profeta » ; 41 altri dicevano : «Costui è il Messia» . Ma altri ancora dicevano : « Forse che il Messia vie­ ne dalla Galilea ? . 42 Non ha detto la Scrittura : dal seme di David e da Betlemme, il villaggio dov 'era David , viene il Mes­ sia ? » . 43 Così sorse un disaccordo tra la folla a motivo di lui . 44 Ma alcuni di loro volevano catturarlo, ma nessuno gli mi se le mani addosso . 45 Vennero dunque gli inservienti dai sacerdoti capi e dai Farisei, e questi dissero loro : «Perché non l'avete portato qui ? » . 46 Gli inservienti risposero : «Nes­ sun uomo ha mai parlato come parla quest'uomo» . 47 Allora i Farisei replicarono loro : «Anche voi vi siete lasciati sedur­ re ? 48 Forse che qualcuno dei sinedriti o dei Farisei ha credu­ to in lui ? 49 Ma questa gente, che non conosce la legge, è ma­ ledetta » . 50 Nicodemo, quello che prima era venuto da lui , tmo dei loro, disse loro : «Forse che la nostra legge condanna un uomo, se prima non l'ha ascoltato e non ha accertato ciò che fa ? » . 52 Essi gli risposero : « Sei forse anche tu un gali­ leo ? Indaga e vedrai che il Profeta non sorge dalla Galilea» . Il capitolo giunge ora a l suo punto culminante , già esteriormente contrassegnato d!il grande giorno che chiude la settimana festiva, gior­ no in cui era particolarmente solenne la cerimonia di attingere acqua. Ma anche interiormente le parole di rivelazione di Gesù, che prendo­ no lo spunto da questa usanza, costituiscono il punto eulminante : parole di grande forza espressiva, tra le più belle immagini poste in bocca al Gesù giovanneo. Questo invito a venire a lui, la fonte della vita, continua ad echeggiare alle orecchie dei credenti dei tempi suc­ cessivi. Seguono, separate da un commento dell'evangelista (v. 3 9 ) , altre due scene che riportano i l lettore alla situazione d i allora , d i lot­ t� fta la fede e l'incredulità. Anch'esse costituiscono un crescendo ri-

lo. ],J;

spetto alle precedenti discussioni tra la folla ed alla reazione dei capi increduli. Le voci in mezzo al popolo sono disparate; due gruppi si esprimono positivamente nei confronti di Gesù, un terzo solleva un'im­ portante obiezione. Ma la scena nel sinedrio costituisce un'antitesi net­ ta all'appello dd Rivdatore : tanto più violenta è l ' opposizione al­ l'opinione spontanea della gente semplice, rappresentata dagli inser­ vienti del sinedrio , e alla voce ammonitrice di Nicodemo;- che è uno di loro. L'evangelista chiude con maestria di drammaturgo questo ca­ pitolo sugli avvenimenti svoltisi durante la festa dei tabernacoli. Che non sia sua intenzione riferire le vicende con precisione storica risulta già dal fatto che gli inservienti, mandati qualche giorno prima per ar­ restare Gesù (v. 3 2 ), ricompaiono soltanto ora a render conto al si­ nedrio. Ma anche nella descrizione dei gruppi che discutono fra di loro, nello scoppio di rabbia dei Farisei contro il «popolo che non co­ nosce la legge» e nella discussione in seno al sinedrio si trovano indi­ zi del trapasso dalla situazione storica dei tempi di Gesù a quella dei tempi ddl'evangelista. a) L'invito di Gesù ad attingere da lui,

fonte di acqua viva ( 7,37-3 9 ) 3 7 . L'' ultimo' giorno della festa dei tabernacoli potrebbe essere i l set­

timo o l'ottavo ( la cosidd etta festa di chiusura ). Quantunque nel lin­ guaggio rabbinico con questa espressione si intenda sempre l'ottavo giorno, qui non può trattarsi se non dell'ultimo giorno ddla settima­ na di festa, cioè del settimo . Nella 'festa di chiusura' non si procedeva né al rito di attingere acqua né all'illuminazione a festa ; invece , nel settimo giorno i sacerdoti giravano sette volte intorno all'altare con l'acqua attinta alla sorgente di Siloe (un buono spunto per l'appello di Gesù ) 1• L 'evangelista chiama ' grande ' quel giorno probabilmente a motivo della sua grande solennità, quantunque questa espressione non si trovi nelle fonti rabbiniche 2• 1.

Cfr. Billerbeck 11.490 s . Il rito di attingere acqua er a simbolo della gioia, dr. , , 1 : eSi diceva: - Chi non ha veduto la gioia dei ' l uogh i a cui attingere', nella sua vita non ha veduto alcuna gioia». Sulla libagione dell'acqua cfr. anthe llillerbeck n, 799-So, . 2. Secondo Billerbeck 1 1 .49 1 la denominazione 'il grande' presupponeva che il

Sukka

z86

lo. 7,37

Gesù è là ( al momento in cui si attinge l'acqua e si svolge la proces­ sione intorno all'altare ) e 'grida' con la voce del rivelatore, che dev'es­ sere udita da lontano e senza perdere intensità (cfr. al v. 2 8 ). Il con­ tenuto del suo 'grido' è un invito a venire a lui e a bere, ed una pro­ messa a colui che viene a lui e crede. In questa promessa soteriologica manca soltanto una frase con iyw Et!J.L per affiancarla anche formal­ mente alle altre grandi parole cristologiche di autorivelazione , quali 6 , 3 ,5 .,5 I ; 8 , 1 2 ; 1 1 ,2 .5 s . ; ma l'autorivelazione di Gesù come fonte di acqua viva è inserita nella citazione della Scrittura. Nei particolari que­ sto testo pone di fronte a vari problemi, che sono stati risolti discor­ demente fin dall'esegesi patristica : r . ò 'ltl4'tEUW\I Etc; E!J.E è la fine del v . 3 7b o il principio del v. 3 8 ? ; 2 . quale passo (o quali passi ) della Scrittura ha in mente l'evangelista nel v. 3 8 ? ; 3 · che significato ha l'immagine? Nella sorgente d'acqua viva vuole indicare Gesù, oppure il credente, e come vanno giudicate queste parole nel quadro della teologia giovannea? Per prima cosa si deve decidere come vanno divise le frasi. Questa questione, per lo meno nella storia dell'esegesi , è collegata ad un altro problema : chi è la fonte dell'acqua viva? Essa perciò acquista un'im­ portanza teologica. Se si accetta l'attuale divisione dei versetti ( sicché ò mO"'tEUW\1 vada congiunto a ciò che segue ), sembra che si debba in­ terpretare: dall'infimo del credente sgorgheranno fiumi d'acqua viva. Soltanto se si mette il punto prima di x11ltwc;, pare che sia libera la via per considerare Gesù stesso la fonte d'acqua viva. Questa alterna­ tiva non dovrebbe sussistere ; tuttavia, per il momento seguiamo que­ st'ordine di questioni per dare uno sguardo alla storia dell'esegesi , per la quale abbiamo opere di grande valore 3• Nell'esegesi patristica predomina, diffusa in molti luoghi, l'interpreta­ zione riferita al credente : giorno avesse in sé qualcosa che lo distinguesse da tutti i rimanenti giorni, e questa caratteristica mancava all'ottavo giorno. t;: interessante notare che in P" prima manu era scritto: «nell'ultimo giorno della grande festa», dr. K. Aland: NTSt IO ( 1 963/64) 63. Dato che questa lezione fu ben presto corretta, senza lasciare alcuna traccia , si trattava sicuramente di una pura svista. 3· H. Rahner, Flumina de ventre Christi. Die patristische Auslegung von ]oh 7.J7·J8: Bibl 22 ( 1 941 ) 269-302.367-403; J. E. Ménard, L'interprétation patristi­ que de ]o 7,}8 : Revue de l'Université d'Ottawa 2' ( 19") ,•.2,*; M.-lt Bois­ mard, De son ventre couleront des fleuves d'eau: RB 6' ( 19,8) '23·,46· Altri lavori su Io. 7.37 s. vengono citati nelle note seguenti.

lo. 7.37

Alessandria; Palestina ; Siria : Cappadocia ; Scuola antiochena ; Occidente ;

287 Origcne, Atanasio, Didimo , Cirillo, d'Alessan­ dria. Ammonio d'Alessandria 4; Eusebio di Cesarea, Cirillo di Gerusalemme; Eusebio di Emesa, discepolo di Eusebio di Ce­ sarea; Basilio, Gregorio Nisseno, Gregorio Nazianzeno; Teodoro da Mopsuestia, Giovanni Crisostomo ; Ambrogio, Ilario, Gerolamo, Agostino .

Una grande influenza fu esercitata da Origene, che attribuiva al cristiano che fosse esperto della Scrittura e vero 'gnostico' la capaci­ tà di diventare anche per gli altri cristiani una fonte d'illuminazione e santifìcazione 5 • Accanto a questa interpretazione, anche in età patristica è presente l'altra, che fa riferimento a Cristo quale roccia che emana acqua. Il primo a sostenere tale interpretazione potrebbe essere stato Giustino, ammesso che avesse in mente il nostro passo nelle sue considerazioni su Cristo come roccia (dia!. 1 1 4.4 : l;wv uowp ) e in un confronto con Giacobbe (dia!. 1 3 5 , 3 : Èx "Tijo; XOLÀ,ao; 't"OU XPLO""t"ou ) 6• Invece Ireneo dev'essere certamente escluso 7• Altri Padri riferiscono a Cristo la cita­ zione ; Ippolito nel commento a Dan. r , r 7 ; Cipriano, ep. 6 3 , 8 ; 7 3 , 1 0 s . ; carmen adversus Marcionem ( erroneamente attribuito a Tertullia­ no, del rv/v secolo ) ; de montibus Sina et Sion ( verso il 2 r 0-240 ); de rebaptismate ( dopo il 2 5 6 ) ; Afraate, hom. 1 2 ,8 ; Efrem ; Teodoro di Eraclea 8• Da questo elenco si può dedurre per l'Africa settentrionale e la Siria l'esistenza di una tradizione esegetica che preferiva l'inter­ pretazione cristologica. Tra gli esegeti moderni il riferimento al credente è in regresso ; esso è sostenuto nei commentari inglesi di R. H. Lightfoot, Barrett e da Du­ barle, Cortés Quirant , K. H. Rengstorf 9. Ma la maggior parte preferi­ sce, per motivi esegetici, il riferimento a Cristo. 4· Vedi

la documentazione in H. Rahner; Ammonio d'Alessandria, fr. 262 (in Reuss' p. 262). 5 · Orig., bom. in Gen. 1 3 .4 a Gen. (GCS VI,I I 9 ) ; dr. Boismard, a.c. 525 s. Su Origene ampia traduzione in H . Rahner, o.c. 273-282. 6. Boismard, o.c. 533 ss., che prende in esame i passi, ritiene molto probabile un rif�rirnento di Giustino ft lo. 7,38. i· Or. Boismard, a.c. 53o-533 contro H. Rahner, o.c. 371·375 · 8. Cfr. già Lagrange, ad l.; inoltre H. Rahner, o.c. 382-390 per la tradizione afri­ cana; Boismard, a.c. 529 s. per i siri; Teodoro da Eraclea, /r. H (in Reuss p. 79). 9· A. M . Dubarle, Des fleuves d'eau vive: Vivre et penser m ( 1 944) 238·241 ; J.

.288

lo. l·Jl

Dal punto di vista della critica testuale, dalla maggior parte dei maiu­

scoli non si può ricavare nulla circa la collocazione dei segni d'inter­ punzione. Va tuttavia notato che f>66 , con il più antico esemplare del testo alessandrino, mette punto dopo 1tWÉ'tW, mentre il codice e, rap­ presentante del1 testo Afra, e il codice d cominciano il nuovo perio­ do con xa.DW..'l')»•vi! P'• B D L T W X al . ; à.>..'I'J� P" S K a 8 'l' 0250 >.. cp pm (nelle versioni per Io più la differenza non appare). Però gli editori giustamente preferiscono la prima le-

lo. 8,q-r8

33 1 dietro all'autotestimonianza di Gesù e all'affermazione che questa te­ stimonianza è sufficiente, qui è espresso apertamente: il suo Man­ dante è unito a lui e dà alla sua parola e al suo giudizio validità e forza. Ancora una volta si affaccia la pretesa di Gesù di parlare con divina autorità 19• L'ultima frase , in cui Dio è nominato accanto a Gesù, offre l'oc­ casione di passare all'altro aspetto della testimonianza, che hanno in mente i Farisei e che anche Gesù aveva preso in considerazione in :; , 3 2 : secondo il pensiero giudaico, per la validità di una testimonianza sono necessari due o tre testimoni ( Deut. 1 7,6 ; 9, 1 :; ). Gesù riconosce le concezioni giuridiche dei Giudei, in quanto si richiama alla 'vo­ stra legge' 20, ma poi le annulla con il contenuto della sua affermazione (cfr. la dimostrazione in 7,2 3 ; 1 0,34 ss.). 17.

18.

Egli indica in se stesso e nel Padre i 'due testimoni' richiesti per la validità giuridica di un"a testimonianza. Naturalmente i Giudei si aspettano testimoni di cui possano udire le deposizioni, confrontarle l'una con l'altra e controllarle zt. Formalmente la loro richiesta è sod: zione come più difficile. Molti manoscritti alla fine aggiungono -ruJ.'cTIP ( cosl an­ che v. Soden, Vogels, Lagrange, Merk, Bover, Intern. Greek N.T. ) ; lo omettono S* D sy' ' ( Tischendorf, Weiss, Nestle-Aiand ). 19. C. H. Dodd, I nterpretation 96, suppone dietro a lyw xr&L o 1Cl!l-.i)iha giovannea come 'real­ tà divina' presenta , per molti testi, qualcosa di affascinante ed ha eser­ citato in seguito una grande influenza. Soltanto grazie ad una chiarifi­ cazione dello sfondo storico-religioso (che , per Bultmann, è in parte il mito gnostico, anche se per lo. esso è ridotto a 'puro e semplice' modo di esprimersi) si è potuti giungere ad un'altra interpretazione. Sotto questo aspetto·, i testi di Qumran recentemente scoperti han­ no reso un grande servizio, portando alla luce formulazioni e conce­ :l!ioni simili al linguaggio giovanneo, radicate però in terreno giudaico. Ancora C. H. Dodd, quantunque avesse riconosciuto l'influsso semi­ tico su varie formulazioni giovannee, era giunto alla conclusione che la tiÀ.i)Dna giovannea significa l'attività divina, quasi in senso plato­ nico, bene illustrato dalla letteratura ermetica 4• Soltanto dai testi di

2. Jobannes und der bellenistische Synkretismus, Giitersloh 1 928, 83-97. 3· L'articolo in ZNW 27 ( 1 928) u3-163 non tratta i testi giovannei ma soltanto il problema nel quadro della storia delle religioni, peraltro con maggiore ampiez­

za che nell'articolo del ThWb.

4· Interpretation 1 7o-178; cfr. anche l'opera precedente del Dodd, Tbe Bible 11nd

tbe Greeks, London 193,, la letteratura ermetica.

42-n- 183 ss .,

dove egli studia l'influenza giudaica sul­

Storia dell'indagine

3.5 9

Qumran appare evidente la maggiore affinità col pensiero veterotesta­ mcntario-giudaico, però nell'elaborazione dualistica della comunità di Qumran 5• Naturalmente il vangelo di Giovanni , per il suo legame con la rivelazione di Cristo, mantiene intatto il suo carattere peculiare 6; ma i testi di Qumran hanno aperto una prospettiva nuova, che allon­ tana dall'ellenismo e dallo gnosticismo per accostare di più al giudai­ smo giudaico, anche se questo aveva subìto una certa influenza del­ l'ellenismo. La monografia di J. Lozano (una tesi di laurea sostenuta a Monaco) ha dimostrato quali progressi si potevano fare grazie a que­ ste nuove conoscenze nel campo della storia delle religioni 7 , e J. Becker ha messo ancora più acutamente in evidenza le affinità con Qumran 8• I . de la Potterie ha tentato di scoprire ancor più lo sfondo giudaico della nozione giovannea di verità, per precisare la stessa con­ cezione giovannea. Egli ha sviluppato la sua interpretazione del con­ cetto giovanneo di verità in una serie di scritti, particolarmente in an­ titesi a R. Bultmann. c Supponendo come sfondo la nozione dualistica di verità, si arriva facilmente a una concezione della rivelazione di ti­ po misterico o gnostico, difficilmente conciliabile con la incarnazione del Verbo; al contrario, situando Giovanni nel prolungamento della tradizione apocalittica e sapienziale, si dà il giusto posto alla attività essenziale dd Verbo fatto carne e dello Spirito nella trasmissione della verità» 9• Dall'indagine storico-religiosa si hanno, come si vede, tali risultati che non possiamo (qui come ovunque in Io. ) prescinder­ ne ( vedi sotto, punto 2 ), se vogliamo giungere a consistenti risultati ; . ar. F. NOtscher, «Wahrheit» als theologischer Terminus in den Qumran-Tex­ ten, in Festschr. fiir V. Christian, Wien 1956, 83-92; R. E. Murphy, The Dead Sea Scrolls and the Bible, Westminster 1956, 7 1-76 ; J. Lozano, o.c. 56-67; O. Bet?., Offmbarung und Schri/t/orschung in der Qumransekte, Tiibingen 1 96o, n-6 1 ; J. Becker, o.c. ; J . Murphy O'Connor, L a «Vérité» chez S . Pau/ et à Qumran ; RB 72 ( 196;) 29-7 6 . 6. Cfr. J, Blank, o.c. , che in opposizione al concetto greco di verità e appoggian­ dosi a quello veterotestamentario, definisce il particolare carattere cristologico della ti>.:ftltEta giovannea. 7. La prima parte della sua dissertazione (che per essere stata pubblicata in Spa­ gna passò quasi inosservata) è dedicata al confronto storico-religioso ( n·n).

8. Egli concepisce la ti>.:i)ltEI.ct nel quadro del dualismo giovanneo, apparentato a quello qumranico. Ciò va a scapito del carattere di rivelazione della tili)ltEI.ct giovannea. 9. 1 . de la Potterie, in San Giovanni, 1 964, 144.

J60

Excur.1us decimo: il concei/o giovanneo di veritd

circa il modo in cui Io. parla della 'verità' e la concepisce ( punto 3 ). Nella nostra ricerca dobbiamo includere anche i due aggettivi CÌÀ.1}· ih;o; e CÌÀ.1}Dwoc;, dei quali è discusso se siano usati , sempre o talvolta, come sinonimi , o se non siano invece usati ciascuno in un ambito pro­ prio e caratteristico . Possiamo includere tranquillamente anche i passi di I Io. ; viceversa per le altre due lettere di Giovanni si è sostenuta la presenza di un diverso concetto di verità (perfino come criterio del­ la loro autenticità ) 10, per cui preferiamo !asciarle da parte. I.

L'uso linguistico e la sfera di applicazione del concetto in Giovanni

a) Sono degni di nota i seguenti costrutti verbali con ciì..i)DELa : yLVWcTXEW o dlìtvaL 'T:TJV ciì.. . : Io. 8 , 3 2 ; I Io. 2,2 1 ( un'altra conoscenza , diacritica, in I Io. 4,6 ; cfr . ) , 1 9 ) ; À.aÀ.E�v o À.ÉyEw 'tTJV ci L Io. 8 ,40.45 ·46 ( senza l'articolo); r 6 , 7 ; J.li1P'tVPE�v 't ij ciì.. . : Io. 5 ,3 3 ; r 8 , 3 7 ; 1tOLE�\I 't'Ì]V ciì.. . : I o . J ,z r ; I I o . r ,6 ; ElvaL t x 't'ij c; CÌÀ.. : Io. r 8 , 3 7 ; I Io. 3 , 1 9 ; cfr . z,nc.

Il nesso relativamente frequente con verbi significanti 'parlare' vie­ ne nel contesto rafforzato dal verbo 'udire' in 8 ,43 ( la parola di Ge­ sù). 47 (le parole di Gesù) ; r 8 ,37 (la sua voce). Perciò il 'dire' o 'parlare' la verità non indica la giustezza delle parole di Gesù (per esprimere questo concetto è usato in 4 , 1 7 ; 1 8 ,23 xaì..wc; À.ÉyEw o À.a­ À.E�v. e in 4 , r 8 ; 1 9, 3 5 c CÌÀ.1}DÈc; o CÌÀ.1}Dij ÀÉynv ), ma il suo annuncio. Anche il 'conoscere' o 'sapere' la verità presuppone l'annuncio (cfr. 8 , 3 2 con 3 1 ; I Io. 2 , 2 1 con 2 4 ) . Già per questo fatto i l concetto giovan­ neo di verità è subordinato al discorso di rivelazione di Gesù e all'an­ nuncio della chiesa, che Io custodisce. La locuzione 'fare la verità' è de! tutto estranea all'uso greco, ma è conforme al pensiero semitico, e era è attestata anche nei testi di Qumran (vedi a J ,z l ). «Essere dal­ la verità. è una locuzione tipicamente giovannea, che si può capire solo sulla base della sua teologia. 10. Cfr. R. Bergmeier, Zum Verfasserproblem des II. und III. ]ohannesbriefes: ZNW 57 ( 1 966) 93·100; critico al riguardo R. Schnackenburg, Zum Begriff der ..eyov 8't'L Ou-r6c; fcr-rLv· iilloL !lEyov, Oùxt, à.>..là CSJ..LoLOc; aù-riii fcr-rw fxE�voc; i!lEyEv 8-rL 'Eyw etJ..LL . 10 i!lEyov ouv «�, ITwc; [ ouv ] i}vEtjlxìh)crav CTOV ol ocpit«ÀJ..Lo t; Il à.'ltEXptìh) txE�voc;, ·o iivitpW'Itoc; ò ÀE 'YOJ..LEVOc; 'IT)CTOuc; 'ltT)ÀÒV t'ltOLT)CTEV xaL t'ltÉXPLCTÉV J..LOV -roùc; ocpita>..­ J..LO Ùc; x«L El'ltÉV J..LOL 5-rL "Y'It«yE Etc; 't'Òv l:Llwà.J..L xaL vt�«L' à.'ltElitwv ouv xaL V L�aj.lEV oc; avÉ�ÀE�- 12 xaL El'lt«V aù-riii ITou tCT't'LV ExE�voc;; ÀÉYEL, Oùx oUìa. 13 "Ayovcrw aù-ròv 1tpòc; -roùc; «..l oL [ f)È ] i!ÀEyov, ITWc; f)uva-r«L iivitpw'ltoc; CÌj.l«p-rwÀÒc; -roi.au-r« CTTJ !lE�« 'ltOLE�V ; X«l CTX(CTJ..L « i'jv tv aù-roi:c;. 17 ÀÉyovcrw oùv -riii -rvcpliji 1talw, Tt crù ÀÉYELc; 'ltEpL aù-rou, 6-rL 'Ì}VÉ!jl;Év CTOV -roùc; o cpit«ÀJ..LOVc; ; Ò f)È El'ltEV !S-rL ITpocp'Ì}-rT)c; tcr-rtV.

8 Ò ra i vicini e coloro che lo avevano visto prima dicevano: «Non è quello che stava seduto a mendicare ? » .· 9 Alcuni di­ cevano : «È lui » , altri dicevano : «No, ma gli assomiglia» . Ma egli disse : « Sono io» . 10 Ailora gli domandarono : « Come ti si sono aperti gli occhi ? » . 11 Egli rispose : «l'uomo che è chia­ mato Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha ordinato : - Va a Siloe e lavati -. Io sono andato, mi sono lavato e ora ci vedo» . 12 Essi gli dissero : «Dov'è co­ lui ? » . Egli rispose : «Non lo so » . 13 Condussero dai Farisei colui che prima era cieco. 14 Orbene, era sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occ h i . 15 Dunque anche i Farisei gli domandarono di nuovo come

Io. 9,8 s.

416

eveva acquistato la vista . Ed egli disse loro : «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ora ci vedo » . 16 Dice­ vano allora alcuni dei Farisei : « Quest'uomo non è da Dio, perché non osserva il sabatO » Ma altri dicevano : « Come può un uomo peccatore operare sim i li segni ? » . E c 'era di ssenso tra di loro. 17 Allora dissero di nuovo al cieco : «Tu, che dici di lui, dato che ti ha aperto gli ocehi ? » . Ed egli rispose : « È u n profeta» . .

Un tratto frequente della topica dei racconti sinottici è una reazione della gente che assiste al miracolo. Questo tratto qui non compare; le scene seguenti non hanno lo scopo di narrare lo stupore degli uomi­ ni o la loro lode di Dio, ma servono soltanto ad accertare il fatto del­ la guarigione e la sua testimonianza per Gesù. Le domande che qui si pongono sono : il risanato è lo stesso uomo che prima era cieco? (identità); come è avvenuta la guarigione? ( modo); è questa una testi­ monianza che Gesù proviene da Dio? ( conseguenza teologica ). L'iden­ tità è confermata da alcuni conoscenti, dallo stesso risanato e dai suoi genitori. Il modo è accertato dal ripetuto racconto ddl'uomo, che di­ ce sempre le stesse cose senza mai cadere in contraddizione (cfr. a v. 2 6 ). Il dibattito teologico avviene perché , secondo la casistica rabbini­ ca, Gesù ha trasgredito le prescrizioni dd sabato e perché per il pen­ siero nomistico egli è in una situazione ambigua: peccatore perché tra­ sgressore del sabato, o uomo di Dio perché grande operatore di miracoli? Il racconto mostra in trasparenza i dibattiti tra Giudei e cristiani ai tempi dell'evangelista, come risulta in particolare dal modo di trat­ teggiare i Farisei (v. 28! ), dall'ordine di esclusione dalla sinagoga (v. 2 2 ), che allusivamente viene applicato al risanato (vv. 34 s . ) e dagli ar­ gomenti addotti dall'uomo ai Farisei (vv. 3 1 ss.). ·

8 s. I vicini e altre persone che conoscevano l'uomo come un cieco mendicante appaiono giustamente per primi come testimoni. Dato che era un mendicante 1, molti l'hanno già visto prima; è una figura coI . ll:pocnzt"n)WVTJO'ctv ""ov� yovti:� ctò""oii ""oii ckvct�À.Éijictv­ ""o� 19 xctL 'IÌPW""'TIO'ctv ctÒ'tov� À.Éyov""E�, Ou""6� Èa""w o ulò� ùp.Wv, &v ò�-tEi:� ì..ÉyE""E 8""L ""uq>À.Ò� tyEWi)�; �w� ouv �À.É�EL iip""L; 20 à.�E­ xpt�aav ow ol yovEi:� otU'tOU xctL Et�ctv, otlict!-LEV IS""L ou""6� È�W o utò� i)p.Wv xctl lhL ""uq>À.Ò� ÉyEvvi)�· 21 � w� liÈ viiv �À.É�EL oux otlict­ !-LEV, ij 't� �VOL�EV ctU'tOV ""oÙ� Ò�ctÀ.!lOV� 'IÌ!-LEÌ:� oux otlict!-LE'\1' ctÒ""ov ÈPW""''Ì O'ct""E, 'IÌÀ.Lxlctv gXEL, ctÒ""� �Ept ÈctU""OU À.ctÀ.TJO'EL. zz ""ctii""ct El­ 'r.ct'\1 ot yovEi:� ctù'toii o""L Ècpo�oiiv""o ""ov� 'Iouliatou�. �liTI yà.p auvE'tÉ­ DELV'ta ot 'Ioulicti:OL tvct t6.v 'tL� ctÒ'tòv O!J.oÀ.oyT)crn XpLO"'t6v, à.�oauv6.­ ywyo� yÉVTJ'tctL. 23 1iLà. 'tOii'to ot yovEi:� ctÒ'toii El�ctv IS'tL 'HÀ.Lxlctv iXEL, ctÒ'tOV É�EPW""TJO'C1""E. li ' cp E WVTjO'ct'\1 ow ""Òv iivi)pw�ov Éx liEU""Épou ��� i'jv ""ucpÀ.Ò� XctL El�ct'\1 ctò""iii • àò� li6�ctv ""iii DE«ii 'IÌ!lEi:� otlicq.J.Ev lhL ou'to� o iivDpw� o� à.!-Lctp­ �}.6� È�LV. 25 à.�Exp t� OU'\1 ÈXEi:vo�. El à.llctP'tWÀ.Ò� mLV oux ollict • iv otlict, IS'tL 'tUcpÀ.Ò� �v iip""L �À.É�w. 36 El�ov ouv ctU'tiii , Tt É�O,TICTÉV Vg. Si è concluso �r una traduzione errata dall 'aramaico, dove d' può essere anche pronome relativo; cfr. C. F. Bumey, Aramaic Origin 76 ; M . Black, Aramaic Approach' 74· Casi simili si trovano in ,,39; 8>4,. Nel nostro passo anche ·�r­ ché' dà un buon •ignificato. Invece di mpt otÒ'\'OU P'' legge mpt CTEotU'\'OU, certo erroneamente, cfr. la risposta dell'uomo. 6. Di p:ttere opposto F. Hahn, Christologische Hoheitstitel 397, d'accordo con G. Friedrich: ThWb vi ( 19,9) 843 s.

Io. 9,18-34

42 1

a-c�; TCwc; -i)vo�ÉV a-ov 'toÌic; 6cpDaÀ.(J.ouc;; rt à.TCExpLD-1) aù'toi:c;, Et1tov Ù(J.i:v 111ìTJ x aL oùx Tjxoua-a'tE" 't L miì.. w DÉÀ.E'tE à.xouE�v ; !J."ÌJ xaL Ù(J.Ei:c;

DÉÀ.E'tE ail'toii (J.IXDTJ'tal yEVÉCTDa�; 21 x a t tì..o�ll6pTJCifXV aÙ'tÒv x a t Et­ TCCV, l:ÌI (J.IXDTJ't"IÌ..n�i)c; ( t 8 ,4o), e probabilmente evita apposta di chiamare >..ncr�at! i due uomini crocifissi con Gesù (dr. 1 9 , 1 8 con Mc. 1 5 ,27 par.). Ma ciò prova soltanto la sua intenzione apologetica. In Io. 10 l'abbinamento 'ladro e prcdoni', nel quale addirittura è messo più in vista il ladro (v. toa); depone contro la teoria che si parli degli Zeloti (con Hengel 30 contro Simonis 141 s.). 13. Pongono l'articolo D W Chrys, forse � i copisti pensavano all 'UDico pastore, Cristo.

472

Io.

IO,J·4

). Il pastore che bussa alla porta è fatto subito entrare dal guardiano (una figura accessoria, della quale però si è impadronita l'esegesi alle­ gorica) 14• Chi pensa alla combinazione di due parabole vede in que­ sta breve frase il loro punto di congiunzione; ma questa è un'ipotesi inutile , perché già i vv. r-2 indicano che il pastore è la figura princi­ pale. Appena è entrato, le pecore nell'ovile odono la sua voce e le dànno ascolto (genitivo 'tiic; cpw'llii c;) 15; ma il suo richiamo è rivolto soltanto alle 'sue' pecore. t&�a potrebbe anche essere semplicemente pronome possessivo (cfr. 1 ,4 2 ; 4 ,44 ; , , r 8 ; Bl.-Debr . § 2 8 6 ) ; ma ve­ tosimilmente deve mettere in evidenza che le pecore chiamate dal pa­ store gli appartengono, e gli appartengono in quanto ne è il proprie­ tario (chiaramente nel v. 1 2 ; cfr. r , u ; r 3 , r ). Se significasse soltanto la qualità, se cioè esprimesse soltanto lo stretto rapporto tra il pastore e le sue pecore, potrebbe riferirsi a tutte le pecore che si trovano nel­ l'ovile; ma sembra più ovvio pensare che più proprietari di piccoli greggi abbiano portato le loro peco�e in questo ovile, affidandole ad un unico guardiano 16• Il pastore chiama 'per nome' le sue pecore; l'u­ sanza dei pastori palestinesi di dare un nome agli animali ( «orecchie lunghe», «muso bianco» ecc.) si è conservata fino ai nostri tempi 17• Questa amorosa confidenza del pastore con le sue pecore in seguito verrà messa ancor più in evidenza. 4. Condur fuori le pecore dall'ovile, nel quale sono stipati molti ani­ mali, non è cosa semplice; questo e solo questo deve aver suggerito 14. Il Crisostomo lo intende come allegoria di Mosè (PG 59,234), Agostino ( lracl. 46,4 ; CC 399 s.) e Teodoro d'Eraclea (/r. 99, Reuss pp. 91 s.) come allegoria dello Spirito Santo ( parimenti Teofilatto, Rupert v . Deutz e altri). Altri an cora pen­ Sll n o a Giovanni Bat:ista ( ad es. Zahn), a Dio stesso ( C�lvino, Maldonarlo ) o an· cora a Cristo (Agostino, Cirillo Alessandrino). A. J. Simonis, teso alla ricerca di un fondamento storico, riferisce il guardiano a persone che hanno una fun­ zione nel tempio (rn), forse Caifa ( 1 57) o tutti i gran sacerdoti insieme coi Farisei ( r ; 8 ) . Ess i dovevano aprire a Gesù la porta ad Israele, ma non ( ! ) l'han· no fatto ( 1 59).

1 5 . L'evangelista u s a 6.xouEw 'fi!v cpwvf}v per esprimere la pura e semplice per­ cezione esterna ( 3 ,8 ; ; ,37), 'tiic; cpwvijc; per indicare un attento ascolto ( � .2 8 ; 10,3) fino a d u n ascolto obbediente d i fede ( ;,2; ; r o ,r6 . 2 7 ; r8,37), cfr. Bl.-Debr. S 1 73,2. Nel discorso del pastore questo ascolto esprime la confidenza e l'unio­ ne delle pecore al pastore, cfr. 10,4 s . 26 s. 16. Cfr. sopra p. 468, no t a 6.

17.

Cfr. G. Dalman, Arbeil und Sitte

vr,

250 s.

Io. ro,J

47 3

l'altra espressione 'far uscire' 18• Solo quando il pastore ha portato al­ l'aperto tutte le sue pecore, «cammina davanti ad esse» per condurle al pascolo, che spesso è molto lontano e richiede una buona cono­ scenza dei luoghi . Cosl si spiega il camminare alla testa dd gregge 19; ma per il narratore esso acquista, come il fatto che le pecore Io segua­ no, un significato più profondo riferito a Gesù e ai credenti (dr. 8 , 1 2 ). I l condur fuori a l pascolo ( qui non nominato esplicitamente) è messo in rilievo nel v. 9 ed echeggia anche nd v. xo ( «affinché abbiano !a vita»). Nd discorso figurato ciò che importa all'autore è che le pe­ core seguono obbedienti il loro pastore e non un altro. Esse conoscono �a voce del loro pastore (dr. Ps. 95,7); la confidenza è reciproca (dr. v. 1 4 ) , e al richiamo del pastore corrisponde l'ascolto delle pecore (dr. v. 2 7 ) . Le espressioni ' seguire' ( = sequela nella fede ) e 'conoscere la sua voce' ( = conoscere il Rivelatore e comprendere la sua rivda2ione) esprimono senza difficoltà il loro significato profondo ai credenti let­ tori del vangelo. Particolarmente il 'conoscere' (e il 'non conoscere' ) h a u n posto considerevole nei tre capitoli precedenti (dr . 7 ,2 7 s . ; 8 , 1 4 . 1 9 ; 9,24 s.29 ss.). Il cieco nato era i l prototipo dell'uomo che ascol­ ta la parola di Gesù perché conosce Dio ( 9 ,33 ss .) e lo segue con fede ( 9,35·3 8 ). '· Se si pensa alla situazione di uomini decisi nella fede, che seguivano Gesù allora e ai tempi dell'evangelista, si comprende come nel racconr 8 . ]. A. Simonis pensa che la a.u).i) alluda all'atrio del tL'Il1pio ( 1 2 ' ) e sia !'«im­ magine della teocrazia giudaica circondata dallo steccato della legge ( 1 2 4 ) ; b:· �ti).}..ELV per cons.eguenza vorrebbe dir� la liberazione dal giudais mo del tempio ( r n). Ma qui né il 'portar fuori' né il 'far uscire' hanno questo enfatico tono negativo. Con l'b�aÀÀELV dr 9,34 non si può tracciare una linea di collegamcn­ tc, perché là l'azione parte dai Giudei (contro Simonis 122 s.). 1 9 . Cfr. G . Dalman, Arbeit und Sitte V1 ,249 ( i l pastore per lo più cammina alla testa del gregge). Nell'A.T. l'immagine è applicata ad Israele, condotto fuori dal­ l'Egitto da Dio ( Ps. 78 [ n l sa ) o da Mosè ed Aronne (Ps. n [ 7 6 ] , 2 r ) , cfr. Is. 63 , I I . r 4 . Il motivo viene poi trasferito alla liberazione escatologica; Mich. 2 , 1 2 s . : «Voglio raccogliere Giacobbe tutto intero, riunire il resto d'Israele. Li rag­ grupperò come pecore nel chiuso, come il gregge al pascolo . . . . Balza su lo sfonda­ tcre, irrompe aiiJ loro testa ; essi attraversano la porta ed escono. Il loro re ince­ de davanti ad es si , Jahvé al la loro testa» (secondo la traduzione d i F. Notscher ) . t:: possibile che questa immagine escatologica abbia influito su I o. In luogo di J ahvé è Gesù il J>2Store e la guida del gregge. Però esistono anche delle diffe­ renze. Decisamente favorevole alla tipologia dell'esodo l. dc la Potteric, o.c. 94 1 s .

Io.

-4 74

10,6

to riaffiori un tono polemico. Ma, rimanendo nel linguaggio figurato, n narratore ora �on parla di 'ladri e predoni', bensl di 'estranei ' ; an­

cora in generale, come prova il passaggio dal singolare al plurale (con articolo generico, cfr. 2,2.:; ; I Io. 3 , r o ) . Egli assicura ( ov J.LiJ ) che le pecore non seguiranno un estraneo, perché non conoscono la voce di estranei. Con una forte espressicne è detto addirittura che fuggireb­ bero. Qui si pensa a falsi capi o a corruttori che le pecore appartenen­ ti al pastore , cioè gli uomini che il Padre ha dato a Gesù ( 6 ,39 s . ; I ? , 6 ss.), s i rifiutano d i seguire. Di fatto i n queste persone non s i posso­ no vedere se non quei 'ladri e predoni' di cui si era parlato prima (v. I ), in un'altra situazione, come antitipi del pastore delle pecore. Nel­ le successive parole cristologiche non si fa più menzione degli estra­ nei; in loro vece, al 'buon past ore' viene contrapposto il 'mercena­ rio', che 'fugge' a sua volta (v. 1 2 ). Come il vero pastore è unito in­ separabilmente alle pecore , cosl altri uomini, estranei o lontani dalle pecore, sono separati da esse; e questo distacco è reciproco. 6. Il discorso figurato è chiamato dall'evangelista 1tctpoLJ.LLI1, di cui 'quelli' (può trattarsi soltanto dei Giudei) non comprendono il signi­

ficato. Il vocabolo ( etimologicamente da otJ.LTJ via, genere di canto ) che nel greco comune significa 'proverbio' ( cosl anche in 2 Petr. 2 , 2 2 , uni­ co passo neotestamentario al di fuori di Io. ), nei LXX appare soltan­ to in Prov. I , I ; 2 5 , I e cinque volte in Ecclus, ma è senza dubbio la traduzione del polivalente ebraico mashal lll . Per questo vocabolo i si­ nottici usano regolarmente 'lti1PI1�oÀi), che manca in Io. Per prima rosa abbiamo dunque da fare con una variante di traduzione oppure con una peculiarità linguistica giovannea ( un criterio stilistico ) 21 • Cfr. Ecclus. 39,3 : cEgli ( il vero studioso della Scrittura) cerca il senso na­ scosto dei discorsi figurati ( à'ltoxpucpa 'lti1POLJ.LLWV ) e s'interessa dei si­ gnificati riposti delle parabole ( tv «tvvy!J401.v 'ltl1p«�oÀ.Giv ) � . =

Il significato di 'discorso enigmatico , discorso velato' in Io. è ga­ r�.ntito da I 6,2 5 .29, dove Gesù dice anche ai discepoli che finora ha 20. Cfr. F. Hauck: ThWb V, 8,2-8, = GLNT IX, coli. 829-838 . I. de la Potterie, o.c. 932, richiamandosi al lessico di Suida, vorrebbe scorgervi un significato di­ verso da 'ltlltplltj30À1}. Ma la particolare sfumatura della 'ltlltPO"!J.Lilt non dipende dal vocabolo in sé bensl dalla concezione giovannea. 2 t. Cfr. E. Ruckstuhl , Literarische Einheit 1 99 s.

Io. ro,I-6

parlato loro lv r.apo�J,L(a�c;, ma presto ( dopo la pasqua) parlerà loro 'apertamente' del Padre. Lo stesso significato ha 1tapa[ioÀ.i) in Mc. 4 , n; 7,17 ecc., ma richiede ogni volta una precisa interpretazione delle idee degli evangelisti 22• Un simile discorso enigmatico rimane sempre impenetrabile per gli increduli, ai credenti invece è illustrato sia ( co­ me nei sinottici ) da una spiegazione di Gesù data subito dopo, sia ( come in Giovanni ) da Gesù risorto e dallo Spirito santo (cfr. r 6 , r 2 s . ) . Nel nostro passo i l 'discorso enigmatico' h a potenzialmente quella funzione che in generale ha la parola del rivelatore Gesù a causa del­ l'estraneità e dell'incomprensione dei non credenti (cfr. 8 ,43 ·47). Poiché gli interlocutori di Gesù sono accecati ( 9 , 3 9 ), non possono ca­ pire il discorso figurato e dimostrano di non essere tra coloro che fan­ no parte delle pecore di Gesù e che conoscono la sua voce. È chiaris­ sima l'affinità con Mc. 4,1 r s. parr.

Genere letterario ed origine della paroimia, suo significato e suo sfondo x.

Genere letterario

Se la paroimia è un'unità narrativa, che però perde il carattere di un semplice racconto per la presenza di frasi polemiche, potrebbe in pri­ ma approssimazione essere considerata una parabola, al cui centro si trova una determinata idea . Ma né v'è una formula introduttiva che renda riconoscibile una parabola come tale né si riesce a trovare un vero tertium comparationis. Affermazioni polemiche e positive si in­ trecciano in modo tale che non si può ridurre ad un comune denomi­ natore !"insegnamento' della presunta parabola, e non è riassumibile in un'unica frase. Non è sostenibile neppure l'altro estremo , quello di un'allegoria, nella quale i singoli elementi narrativi hanno ciascuno un proprio senso traslato . Un'estesa allegorizzazione, in cui tratti an­ che marginali (come l'ovile, la porta, il guardiano) siano applicati a de­ terminate cose e persone, è artificiosa e forzata. Le parole cristologiche figurate non offrono il quadro di un'allegoria unitaria, neppure per i dati centrali; e�si cambiano nell'interpretazione di elementi singoli 22. Cfr. ]. Gnilka, Die Verstocleung Israels, Miinchen 1961, 64-86 (Mc. ); 10}· 1 1 ' (Mt. ); 1 26-129 (Le.).

G.enere letterario

(Gesù la porta, il pastore) e vanno al di là dell'immagine iniziale (pa­ store e mercenario, pecore e lupo), a meno che non si voglia ipotizza­ re per I O , I I - I 3 una nuova parabola (vedi ad l. ). Nella migliore delle ipotesi si potrebbe perciò pensare ad una forma mista, ad una parabo­ la con tratti simbolici 23• Ciò è possibile senz'altro nell'ambito giudai­ co, perché qui determinati simboli si sono affermati e consolidati (ad es. Dio come re, gli uomini come servi) 24• Gli stessi simboli non com­ paiono in I o. ; però nella teologia giovannea si è venuto formando un linguaggio figurato cristologico, che trasferisce a Gesù determinati sim­ boli. Tuttavia da essi non vengono sviluppate delle parabole, ma il simbolo è applicato direttamente a Gesù ( luce, pane, pastore, vite, agnello ecc.). Questo linguaggio, che si condensa nelle parole intro­ dotte da eyw ELJLL, si può intendere come un 'discorso vero e proprio' , che «dev'esser preso strettamente alla lettera& 25, quantunque non si debba mai dimenticare il suo carattere simbolico. Ma un'interpretazione del genere non si adatta interamente alla pa­ roimia di I O , I -6, che vuole chiarire in una immagine contenuti che sono dati con l'autorivelazione cristologica di Gesù, ma solo rimanen­ do sullo sfondo. È un vero 'discorso enigmatico', e di fatto soltanto cosi questo discorso figurato riceve la sua caratterizzazione. Non è una parabola come 1 2 ,2 4 ; 1 6 ,2 1 ( forse anche 3 , 2 9 ; 8 ,3 5 ; I I ,9 s. ) 26, ma neppure un discorso cristologico ·aperto o diretto, come le parole sul pane dal cielo, della luce del mondo, della vite . Deve preparare e in­ dirizzare velatamente all'autorivelazione cristologica di I 0 ,7- I 8 . Il suo scopo è quell'accecamento degli increduli e - in rapporto con le paro­ le che seguono - quell'apertura degli occhi dei credenti, di cui si parla in 9,39. Perciò la paroimia occupa un posto a sé tra le parole e i di­ scorsi figurati di I o. ; essa costituisce una forma di discorso sui ge­ neris. 2 3. Come fs C. K. Barrett 304 e 307 (a I o,6 ). 24· Cfr. M. Hermaniuk, La parabole évangélique, Louvain 1 947, passim ; A. Geor­ gc, Parabole: DictBibleSuppl VI ( 1 96o) 1 149- 1 1 77, specialmente 1 1 54 s. e 1 17 1 (a Io. xo,x-5 ) ; M. Black, Tbc Parables a s Al/egory: B]RL 42 ( 1 960) 273-287. 25. E. Schweizer, Ego eimi 1 17- · 26. ar. C. H. Dodd, Historical Trad. 366-386. Per Io. IO,I-5 ( 382-385) egli SUP· pone con J. A. T. Robinson l'intreccio di due parabole. Sarebbe anche da citare il discorso figurato sul raccolto missionario (4.35-38 ), che però è già fortemente allegorizzato.

lo.

IO,I-6

2 . Origine del discorso

477

C. H. Dodd ritiene, come già J. A. T. Robinson, che «esistono buo­ ni motivi per supporre che il materiale sia tratto dallo stesso deposito di tradizione delle parabole sinottiche» 27• Qui si deve distinguere: non si può assolutamente vedere un riferimento all'immagine delle pecore separate dai capri (Mt. 2 5 ,3 2 s . ) , e difficilmente si può trovare una reminiscenza dei portinai (Mc. 1 3 ,3 4 ; cfr . Le. 1 2,3 6 ). Viceversa vi è affin ità con l'immagine della pecora perduta o abbandonata ( della casa d'Israele) della quale si prende cura il pastore ( messianico) (Mc. 6,34; cfr. Mt. ro,6; 1 5 ,24) , e che egli raccoglie ( cfr. anche Mc. 1 4 ,27 par . ). L'unione tra il pastore e le sue pecore pone anche la parabola della pecora smarrita ( Le. 1 5 ,4-6 ; Mt. r 8 , 1 2- 1 4 ) piuttosto vicina al­ l "immagine giovannea del pastore. Ma le differenze nel modo di consi­ derare la situazione ( là Dio come pastore, qui Gesù ) come pure nel­ l'intenzione del discorso ( salvezza dello smarrito ) sono tanto notevo­ li, che un'influenza è difficilmente ammissibile . Il fondamento comu­ ne potrebbe essere l'immagine veterotestamentaria del gregge di Dio, che Dio dà al Messia quale nuovo, vero e buon pastore ( specialmente Ez. 34). Al massimo questa idea , accolta anche dal Gesù sinottico, po­ trebbe aver ispirato il quarto evangelista per il suo discorso allegorico; ma la forma di essa dovrebbe essere opera dell'evangelista stesso . Il rapporto con la tradizione sinottica si ha non tanto nel materiale figurato e nella sua utilizzazione, quanto nella stessa idea di 'discorso enigmatico' . Il tJarlare di Gesù per parabole - che originariamente ser­ vono a chiarire il suo pensiero, a sostenere efficacemente il suo mes­ saggio, ma che poi nella situazione storica hanno l 'effetto di chiudere il passaggio stesso agli increduli «che sono fuori» (cfr. Mc. 4 , 1 0 ss. parr. ) - trova qui un'eco giovannea. La rivelazione di Gesù, che nei sinottici vela la sua esigenza e divide gli spiriti, è vista in modo si­ mile da Io. , che però la espone a suo modo nel quadro della sua teo­ logia 21• Così egli qui ricorre al 'discorso enigmatico', di cui 'essi', cioè gli increduli Giudei, non afferrano il senso ( 1 0,6 ); per i credenti, e tali sono i lettori del vangelo , il discorso è comprensibile. Il suo 27. o.c. (nota precedente) 384 s., citazione 38,. 28. Cfr. R. Schnackenburg, Offenbarung und Glaube im Jobannesevangelium : BuL 7 ( 1 966) 1 6_,-18o.

Significato e sfondo

significato diventa sempre più intelligibile grazie alle successive paro­ le cristologiche di rivelazione, e infine è reso manifesto dallo Spirito santo (cfr. I 6 , I J . 2 5 ). Se l'evangelista ha dato egli stesso forma ai discorsi figurati, è op­ portuno chied.:: rsi se per le immagini e il modo di esprimersi non ab­ bia tenuto conto anche di idee dell'ambiente ellenistico in mezzo a cui viveva . Gli studiosi hanno per qualche tempo ipotizzato un rapporto con testi mandei, nei quali si può trovare un linguaggio traslato ana· logo per parlare del redentore gnostico 29; ma i presunti paralleli ri­ guardano soprattutto gli enunciati cristologici di I 0 ,7- 1 5 , e devono es­ sere discussi in quella sede. Per la paroimia è del tutto sufficiente il materiale figurato palestinese, e la chiara descrizione, alla quale non si trova nulla di comparabile nella letteratura mandea , rimanda sol­ tanto all'ambito biblico 30• Se il discorso enigmanco è stato concepito personalmente dall'evangelista e gli offre lo spunto per il successivo sviluppo cristologico, si può al massimo supporre un'influenza secon­ daria dell'ambiente sulle raffigurazioni e formulazioni dei successivi enunciati cristologici ; ma anche questo va esaminato caso per caso .

3 . Significato e sfondo Con quanto abbiamo detto è stato già precisato il significato del 'discorso enigmatico', che si può definire cosl : l'evangelista vuole met­ tere in evidenza , ma in modo velato, la raccolta della comunità di fe­ de di Gesù, la sua stretta relazione con Gesù, il pastore, e la sua se­ parazione da falsi capi ; e ciò sia nella situazione in cui era attivo Gesù sia ai tempi dell'evangelista . Egli mette questo discorso enigmatico all'inizio per richiamare l'attenzione sui non credenti, che non sono e non devono essere in condizione di comprendere, per poi chiarirne alla comunità dei credenti il oontenuto essenziale per mezzo di nuo­ ve parole cristologiche. Sotto questo aspetto si può precisare meglio il rapporto del discorso enigmatico oon le successive parole di rivela29. Cfr. W. Bauer, Joh.-Ev. 143 s . ; J. Schweirer Ego eimi 64 ss. ; R. Bultmann, Evange/ium des Joh. 279 ss. ; S. Schulz, Komposition und Herkunft 104 ss. ( pen· sa che si intreccino motivi veterotestamentari e gnostici). 30. Cfr . C. H. Dodd, Interpretation ,a ss.; J. Jeremias: ThWb VI ( 1 9,9) 49,, 29 ss. = GLNT x, coli. 12n s. Sui testi mandei vedi sotto a 10,7 ss.

Io. Io,I-6

47 9

zione in prima persona: il discorso non è una parabola trovata bell'e pronta dall'evangelista, al cui materiale figurato egli avrebbe attinto le sue immagini cristologiche 3 1 , ma fin da principio esso sta in voluta relazione con queste. Ciò che è messo insieme nel discorso e che prende forma in una scena pastorale con un significato nascosto , vie­ ne poi sviluppato secondo ciò che esso sottintendeva. Per tale opera­ zione non sono ripresi tutti i tratti caratteristici della scena, ma ne vengono sviluppati ed utilizzati solo alcuni (con l'aggiunta di nuovi, vv. u - 1 3 ), e precisamente quelli che rispondono allo scopo cristo­ logico. Ma in entrambi i casi è visibile, a guidare la loro costruzione e la loro struttura, il duplice aspetto della difesa polemica dai falsi ca­ pi e dell'esposizione positiva dell'unione tra il pastore e le pecore. Ciò conferma la complessa compiutezza della paroimia; le parole figu­ rate che seguono la sceverano nei suoi singoli elementi, senza però distruggere, nei singoli . gruppi di detti (vv. 7-1 0 . I I -1 5 ) la loro con­ creta unità. � difficile stabilire es.�ttamente chi siano le persone oggetto della polemica. L'alternarsi di espressioni ( ladri e predoni - estraneo - mer­ cenario ) potrebbe essere condizionato dal contesto in cui ciascuna di �sse si trova e non fa necessariamente pensare a gruppi diversi di persone. Nel v. 8 è ripreso il motivo dei ' ladri e predoni', di cui è det­ to che sono venuti a far danno 'prima' di Gesù ; gli 'estranei', che in futuro le pecore non seguiranno, non sono più nominati . Il 'mercena­ rio' è introdotto come controfigura del 'buon pastore', per caratterizza­ re tipicamente uomini ai quali «non importa nulla& delle pecore (v. 1 3 ) . Perciò bisognerà estendere notevolmente il gruppo d i persone dalle quali qui si mette in guardia in antitesi al pastore. L'evangelista può aver pensato tanto a precedenti figure e gruppi presentatisi nella storia , quanto a uomini del suo tempo che avanzavano una falsa pre­ tesa di comando. Un riferimento ai gruppi dominanti nel giudaismo al tempo di Gesù, ma anche ai tempi dell'evangelista, è suggerito già dal­ lo stretto aggancio col cap. 9· Si potrebbe aver pensato anche a falsi pretendenti messianici. Non si potrebbe neanche escludere un rifiuto di movimenti zeloti ; però un'interpretazione riferita unilateralmente 3 1 . O. Kiefer, o.c. 40 ritiene giustamente «che Giovanni fin dal principio abbia preso dall'immagine veterotestamentaria - a tutti cara e nota - del pastore e del gregge gli clementi dell'intero discorso, dunque anche dd 'discorso enigmatico'.

Significato e sfondo

agli Zeloti ci è già sembrata senza fondamento per il discorso figurato. Per il v. 8 non si può escludere neppure un riferimento a personaggi soteriologici dell'ellenismo. Un rifiuto di idee gnostiche del redentore si può trovare nei discor­ si giovannei soltanto se �i accosta il loro linguaggio a testi gnostici (mandei) e se vi si riscontrano anche contatti di pensiero. Ma è dif­ ficile accogliere l'idea di una loro influenza sull'immagine del pastore; sarebbe invece possibile che l'immagine della porta, che è usata in molti modi nello gnosticismo (vedi a I0,7), abbia influito sulla for­ mulazione giovannea. In tal caso Gesù verrebbe contrapposto - quale unica vera porta alla salvezza - alla stessa dottrina gnostica della sal­ vezza. Ma già nel loro senso figurato anche " le parole sulla porta si riallacciano al discorso enigmatico, e tanto la polemica (v. 8 ) quanto la promessa di salvezza (vv. 9b- 1 o ) si mantengono piuttosto entro l'oriz­ zonte giudaico . Perciò al massimo si potrà ammettere che siano state prese in considerazione, e soltanto in via secondaria, immagini e idee gnostiche. t escluso un riferimento a mitologiche figure di redentori, perché in Io. r o si pensa manifestamente a figure storiche. Ora è vero che lo gnosticismo è ricorso anche a persone del passato come incarna­ zioni del rivelatore (per esempio il «vero profeta» in Pseud.-Clem. ) ; m a è poco probabile che queste idee s i trovino dietro 1 0 , 8 (vedi iull. ) 32• Un'altra linea di collegamento potrebbe essere stabilita dal­ l'idea della comunità composta di predestinati e unita nel modo più stretto al suo rivelatore s3 ; ma ciò riguarda piuttosto l'auto-compren­ sione positiva della comunità giovannea, che appare ancora più chia­ ramente nei discorsi di commiato e nella preghiera del Redentore (cap . 1 7 ); qui tuttavia è assente la polemica dei discorsi sul pastore. Ed anche per l'immagine dei 'ladri e predoni' è difficile trovare uno spun­ to nello gnosticismo. 32. Le testimonianze provengono soltanto dallo gnosticismo cristiano. Sull'idea (che si affaccia nella gnosi giudeo-cristiana) del 'vero profeta' che si incarna in figure come Enoc, Noè, Abramo ecc ., particolarmente Mosè, cfr . W. Staerk, Die Erlosererwartung zn den ostlichen Religionen, Stuttgart-Berlin 1938, 99-n2; 0. Cullmann, Christologie 37-42; G. Fr iedri ch : ThWb VI ,86o s. I testi presuppon­ gono la concezione cristiana che vedeva in Gesù il Profeta. Suppone un'influsso dello gnosticismo giudaico H. A. Fischel, ]ewish Gnosticism in the Fourth Go­ spel: JBL 65 ( 1 946) I']·I74- Cfr. inoltre a ro,8. 33· Cosl penss Bultmann 284 s. Cfr. a v. 14 e v. r6.

Io. I0,7-IO 2 . LE PAROLE DELLA PORTA

( 1 0,7- 1 0)

7 Et1tEV oìiv mH.w 6 '11)0'0�, • Ap.'l')v ci;p.'l')v À.Éyw up.tv lhL lyw Elp.L 1') ìtUpa. "':'WV 1tpo{3thwv. 1 mi:vn� !SuoL 1'jì..Dov [ 1tpb tp.ov ] xÀ.É1t"':'C%.L E(crtv xa.t ì..niT"':'a.t· aì..ì.' oòx i]xovua.v a.U"':'WV "1:'� 1tp6�a."':'a.. 9 tyw ELP,L 1') DUpa.· SL' tp.ov tliv "1:'� ELITÉÀ.DtJ uwDi)ITE"':'«L xa.l EtiTEÀ.EVITE"':'a.L xa.l ti;EÀ.EVITE"':'«L xa.l vop.'l')v Eupi)ITEL. 10 6 xÀ.É1t"1:'1)� oux EPXE"':'a.L Et p.'ÌJ Eva. xì..tljln xa.l DVun xa.l à.1toì..tun· tyw 1'jì..Dov tva. �iJv l!xwuw xa.l 1tE­ PLITITbv l!xwuw.

Allora Gesù disse di nuovo : «.ull'Tjva� Ti ypaqni, 36 1lv 6 -rta�T! P i)yLilCTEV xa.l. à:mcr�E�À.Ev EL; �òv XOCTJlOV Ù!lE�c; À.ÉyE�E ���� B>.acrqYI)­ IlE�c;. a�� El-rtov, Ytòc; [ �ov ] 3EOV EL!l�; 37 EL ov "ltOLW �« i!pya �o ii "ltll­ �poc; jlou, !lTJ -rtLCT�EUE�É !lo�· 38 d lit -rto �w xciv É!loL !lTJ -rt��EUTJ�E, �o�c; i!pyo� mcr�EUE�E, tva yvw�E xaL yLVWCTXTJ�E ���� Év ÉJ.lOL 6 "ltll· �T)p xà:yw Év �i;l -rta-rpt 39 'E�T)-rouv [ ouv ] -rtli.>.w av�òv -rtLiicra�· xaL É�ij).3Ev ÉX �ijc; XE�pòc; av�wv. ,

Allora i Giudei di nuovo diedero di piglio à delle pietre per lapidario. 32 Gesù ribatté loro : «Vi ho mostrato molte buone opere del Padre ; per quale di queste opere mi volete lapida­ re ? » . 33 I Giudei gli risposero : «Non ti lapidiamo per un'ope­ ra buona, ma per bestemmia, perché tu, un uomo, ti fai Dio » . 34 Rispose loro Gesù : «Non è scritto nella vostra legge : ' Io ho detto : - Siete dèi -'? 35 Se ha chiamato dèi coloro ai qua­ li era rivolta la parola di Dio, e la Scrittura non può essere abrogata, 36 potete dire di colui che il Padre ha santificato e mandato nel mondo : - Tu bestemmi -, perché io ho detto : - Sono Figlio di Dio -? 37 Se non faccio le opere del Padre . mio non credetemi ! 38 Ma se le faccio, e non volete credere a me , credete alle opere, affinché sappiate e riconosciate che il Padre è in me e io nel Padre ! » . 39 Allora cercavano di nuo­ vo di catturarlo, ma egli si sottrasse alle loro mani . 31

3 1 . L'incredulità dei Giudei, accertata da Gesù, è confermata dalla lo­

ro reazione al suo discorso. Come in 8,.59, essi hanno intenzione di lapidario ( segno che considerano il suo discorso una bestemmia ). Già levano in alto le pietre; la situazione è simile a quella di 8,.59 (vedi ad l. ). L'evangelista vi si riallaccia con -rtli.À.w . Il discorso di Gesù sul­ la sua natura divina, che allora ·era stato interrotto, viene continuato qui ; ma al tempo stesso la pretesa messianica di Gesù, avanzata nella precedente sezione, è precisata ed ampliata nei suoi termini. 32. Gesù, che prima aveva rimandato alla testimonianza delle opere (v. 2.5b), con la sua domanda non vuole semplicemente impedire il

tentativo di lapidario 1 , ma indurre ancora una volta i Giudei a riflet'· ÀLMI;E"rE è praesens de conatu, cfr. BI-Debr. S 319.

lo.

IO,JJ

tere: le 'molte opere', che vengono accentuatamente 2 qualificate come 'buone' e che 'provengono dal Padre' ( lx di provenienza ), attestano in quanto tali la comunione col Padre. Dietro questo concetto c'è (come -in 7 , 2 1 ; 9 , 1 6b.30-3 3 ) l 'argomento che se Gesù fosse uno spregiatore della torà ( cfr. 5 , 1 7- 1 9 ; 7 ,:1.2 s . ) e un bestemmiatore di Dio, che attaccasse empiamente l'onore di Dio, non avrebbe potuto compiere queste opere. In quanto egli aveva ' fatto vedere' loro le opere, vale a dire, le aveva addotte a dimostrazione della sua missione divina ( cfr. 2 , 1 8 ), egli ha fornito la prova veridica di 'essere una cosa sola col Pa­ dre'. Già qui viene posto un aggancio per la successiva discussione rabbinico-teologica sulla paternità divina di Gesù, come prova il ri­ chiamo alle opere nei vv. 37 s. L'argomento scritturale (vv. 34-3 6 ) resta incompleto s e mancano l e opere, che legittimano Gesù . .3 3 . Ora i Giudei dicono esplicitamente ciò che le circostanze hanno già chiarito , cioè che essi accusano Gesù di bestemmiare. Il ragiona­ mento fatto da Gesù non li ha impressionati minimamente, perché essi non credono (cfr. v. 2 5 ). Lo disdegnano, come i Farisei dopo ave­ re interrogato il cieco nato ( cfr. 9,34), e si irrigidiscono nell'accusa di bestemmia. L'espressione formale ( (3).acrqnu.�or:a) compare solo qui nel vangelo di Giovanni, mentre l'accusa che Gesù si facesse pari a Dio, è espressa più volte ( 5 , 1 1,! ; 1 9,7). Tutti i passi dimostrano che il fatto della bestemmia è visto nell'usurpazione ( 1to�ei:v tav-t6v ) di una posizione e di una dignità divina (cfr. a 5 , 1 8 ) .

C i s i può chiedere anche qui ( come per i l v. 2 5 ) se, dal punto d i vista della storia della tradizione, sullo sfondo non stia la scena che si svol­ ge davanti al sinedrio. Secondo Mc. 1 4 ,64 par. Mt. 2 6 ,6.5 , dopo l'auto­ confessione di Gesù il sommo sacerdote dice : «Avete udito la bestem­ mia». Nel racconto lucano, in cui le questioni della messianità e della paternità divina di Gesù sono tenute separate come nel nostro passo, questa frase non c'è. Potrebbe essere l'indizio indiretto di una tradi2. La collocazione delle parole nei mss. è assai varia. "KOÀ.À.& fpyot XotÀ.ci nella DIIRf!ior parte dei mss. del testo egiziano è normale per la sensibilità linguistica ICmi t a , dr. Schlatter, ttd l. Il maggior distacco di xotM in B ne sottolinea la posiztone di predicato e mette maggiormente in rilievo questa qualitl delle opere. P" D K al. presentano una successione di parole che è normale in s=o: TCOÀ.Àdt uM lpyot. A lx t�V >tlmov �ou i'jv

'JwaW1)c;

"'� �pcA:n-ov �a.�(�wv, xa.L �IJ.EWEV btei:. 41 xa.L �oÀ.Àol i'jÀ.­ Oov �P� a.ù>tbv xa.l �À.Eyov !h� 'Iwavvr)ç l-'iv O"'') IJ.ELov t�OL1'JCTEV où­ Siv, 1tav>ta. Si !Sera. e!1tev 'Iwavvr)c; 'ltEpL >tou>tou à:l11Dfi i'jv. À.oL t'ltLcr>tEUO'IltV E� a.Ù>t� btei:.

42

XGL 'ltoÀ­

lo. zo,4o

E andò di nuovo al di là del Giordano, nel luogo dove dap­ prima battezzava Giovanni . E là si trattenne, 41 e molti ven­ nero a lui . E dicevano : «È vero che Giovanni non ha fatto nessun segno ; ma tutto ciò che Giovanni ha detto di costui rispondeva a verità» . 42 E in quel luogo molti credettero in lui . 40

40. La situazione a Gerusalemme si è fatta cosl pericolosa per Gesù che egli s'allontana dal territorio più soggetto alla diretta influenza del­ le autorità giudaiche. Non ritorna in G alilea; per l'evangelista la sua attività in quella regione si è già conclusa col cap. 7. Gesù si reca al di là del Giordano (questa indicazione è messa volutamente all'inizio ), nel luogo dove un tempo aveva battezzato Giovanni, cioè presso Be­ tania ( r ,z8 ). I dati geografici hanno anche un significato teologico. I sinottici non dicono nulla di un 'ritiro in Perea' 1 ; ma il quarto evange­ lista riporta questa notizia per vari motivi : I . Gerusalemme e i suoi dintorni sono pericolosi per Gesti ( cfr. 1 0, 3 9 ; n ,B ) ; z . là dove 'i Giudei' non possono esercitare alcuna pressione, molte persone tro­ vano la via della fede in Gesù; 3 · il richiamo alla prima località in cui Giovanni aveva battezzato congiunge l'ultima attività di Gesù in Gerusalemme all'inizio del racconto evangelico, in cui era stata tratta­ ta anche la questione del Messia; 4 . la contrapposizione a Giovanni Battista richiama nuovamente alla memoria la testimonianza che egli aveva reso a Gesù. Nel frattempo essa era stata confermata dai ' se­ gni' dello stesso Gesù ( cfr. 5 ,33-36 ) e ora riceve forza dalla voce del popolo; 5 · incidentalmente è messa di nuovo in rilievo la superiorità di Gesù sul Battista; 6. il breve brano costituisce il trapasso alla risur­ rezione di Lazzaro ( cfr. n ,3-6 ), che per l'evangelista ha un'impor­ tanza eccezionale. L'ultimo e massimo segno di Gesù, al quale il let­ tore è già preparato dal ricordo dei CTTJ JJ.Ei:a. (v. 4 1 ) , è efficacemente inquadrato nella fede dei ' 'molti' ( 1 0 ,42 ; I I ,45 ) ; con essa contrasta l'incredulità dei membri del sinedrio, sui quali i segni di Gesù non I. Il rinvio

cii

Bernard, ad l. (11,37Ù ( dr. R. E. Brown, 414, a Mc. ro, x ; Mt. I9,r )

� fuori luogo. L'annotazione geografica ( «territorio della Giudea al di là del Gior­

dllllo •) si spiega nel quadro dell'itinerario (fittizio?) verso Gerusalemme (dr. 9, 3D-9,J3· I o , r - r o , I 7· I 0,32·I0,46-u , r ) . C. H. Dodd, Historical Tradition 24r s . ; cfr. '-77 s., è giustamente riservato: «forse un frammento del materiale di un racconto di viaggio della tradizione, elaborato dall'evangelista» (242).

lo.

IOAI

hanno altro effetto che di aumentare la loro ostilità ( I I ,48 ) e che do­ po la risurrezione di Lazzaro decidono ufficialmente di mettere a mor­ te Gesù ( I I ,49-.5 � ). L'intenzione di questo ritiro è confermata anche dalla decisione di Gesù, subito dopo la risurrezione di Lazzaro, di 1·ecarsi ad Ephraim nel territorio della Giudea ( I I ,.54). L'evangelista non fa il nome della località in cui si è ritirato Gesù (Betania ) e che ci è noto fin da 1 ,2 8 , perché non ha importanza in questo brano. Sulla durata del soggiorno di Gesù non è detto nulla; ma, stando a n ,8, l'evangelista evidentemente pensa ad un periodo di tempo relativa­ mente breve. 4L Subito molte persone accorrono a Gesù, quantunque, il luogo do­ ve Giovanni battezzava ( nel Wadi El-Harrar) si trovi molto lontano da Gerusalemme e per di più alquanto distante dai guadi dd Giordano (cfr. a 1 ,2 8 ) . In un luogo simile è inevitabile il confronto con Gio­ vanni Battista. La gente dice ( non a Gesù ma fra di loro ) 2 che Gio­ vanni non ha fatto nessun segno. Storicamente non si può mettere in dubbio questa notizia l, ma essa tradisce una tendenza antibattista: soltanto Gesù può pretendere per sé la testimonianza di opere straor­ dinarie 4• Ma per l'evangelista ancor più importante è che la gente confermi la testimonianza resa a Gesù dat Battista. Lo stesso collega· mento delle due affermazioni con J.lÉV-IìÉ non significa che il Battista abbia detto qualcosa sui segni di Gesù; egli lo ha soltanto additato come il Messia che deve venire dopo di lui ( cfr. 1 ,1 9-34 ; 3 , 2 8 ); ma questa gente del popolo a differenza dei 'Giudei' (cfr. vv � 2 .5 . 3 7 s . )

2 . Cfr . Bultmann 3 00 , nota 3 · Perciò egli propone anche un'interpunzione diver· u da quelhl di solito adottata; la nostra traduzione segue questa sua proposta. 3· L'osservazione di Erode Antipa i n Mc. 6 , 14 par. Mt. 14,2 che Giovanni Batti· sta è risuscitato dai morti e perciò le forze miracolose sono all'opera i n Gesù, non testimonia un'attività miracolosa del Battista; contro W. Baldensperger , Der Prolog des vierten Ev. 89, nota 5; R. Bultmann, Geschichte der synoptischen Tradition 329, nota 3 ; R. Meyer, Der Prophet aus Ga/i/iia , Leipzig 1 940, 40 e I I 5 . La questione è minutamente studiata da E. Bammel, «]ohn did no miracle» , in: C. F. D. Moule (ed.), Miracles, London 1 965 , r 8 1 -202, specialmente 1 86 s. Egli giudica che «le fonti non giustificano, tanto differiscono tra di loro, l ' i mma&in� di un Battista operante mi racoli , o l 'idea che i suoi discepoli avrebbero sollevato pretese del genere» ( 1 86). 4 · Cfr. Pseud.-Clem., recogn. 1 ,57 ( PG 1 ,1 2 3 9 ) : Giovanni (apostolo) cercò di con· vi n cere i Samaritani «che Gesù era l'atteso Profeta, perché aveva fatto segni r miracoli come Mosè».

Io. 10,42

considera le opere di Gesù una conferma della testimonianza del Bat­ tista. È evidente la formulazione retorica nel C