Il vangelo di Giovanni. Testo greco, traduzione e commento ai capp. 1-4 [Vol. 1]

1,377 174 20MB

Italian Pages 770 Year 1973

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Il vangelo di Giovanni. Testo greco, traduzione e commento ai capp. 1-4 [Vol. 1]

Citation preview

COMMENTARIO TEOLOGICO DEL NUOVO TESTAMENTO Collana internazionale pubblicata in lingua italiana, francese, inglese, tedesca e spagnola A CURA DI Serafin de Ausejo, Lucien Cerfaux, Joseph Fitzmeyr, Béda Rigaux, Rudolf Schnackenburg, Anton Vogtle Segretari per tItalia: G. Scarpat e O. Soffritti EDITORI

Paideia Editrice, Brescia Les Édi tions du Cerf, Paris Herder an d Herder, New York Verlag Herder, Freiburg, Basel, Wien Editoria! Herder, Barcellona

Segretariato generale: ÉDITIONES HERDER, BASEL

COMMENTARIO TEOLOGICO DEL NUOVO T ESTAMENTO

Il vangelo di Giovanni PARTE PRIMA

Testo greco e traduzione Introduzione e commento ai capp. 1-4 di RunoLF ScHNACKENBURG Traduzione italiana di GINO CECCHI Edizione italiana a cura di 0MERO SoFFRITTI

PAIDEIA EDITRICE BRESCIA

Titolo originale dell•opera : Das ]ohannesevangelium. 1. Teil Einleitung und Kommentar zu Kap. Traduzione italiana di Gino Revisione di Omero Soffritti

1-4

von Rudolf SchnackenhurR

Cecchi

La tradtt:àone del testo biblico è di proprietà della Casa Paideia. Ogni riproduzione è vietata c sarà perseguita a norma di legge. © Ve:-lag Herd er Freiburg im Breisgau 196,. 31972 :g Paideia Editrice, Brescia 197 3 ,

PREFAZIONE

Dopo aver atteso per molti anni a lavori di preparazione, ardisco dare inizio alla pubblicazione di questo commentario del vangelo di Giovanni. Anch'esso, come ogni sforzo umano, è condizionato e col­ legato al corso della storia e non sarebbe stato possibile senza il lavoro teologico di secoli precedenti e senza la ricerca scientifica degli ultimi decenni. Vorrei che apportasse un valido contributo nella situazione presente senza ripudiare né la tradizione cattolica né il metodico rigo­ re scientifico di ogni studioso del Nuovo Testamento, a qualsiasi con­ fessione religiosa appartenga. Esso quindi non può essere che un ·ten­ tativo di 'chiarire', cioè di accostare all'intelligenza del lettore odier­ no, nei limiti delle attuali possibilità, una delle più ricche e contro­ verse opere del primo cristianesimo, che per alcuni è la più perfetta testimonianza di fede della Chiesa primitiva, per altri una elucubra­ zione di fede priva di valore storico. Forse non esiste altra opera in cui così acuta si faccia sentire, come nel vangelo di Giovanni, la ten­ sione, tanto avvertita ai nostri giorni, tra 'fede e storia', 'storia e mi­ to', 'conoscenza storica e intelligenza di fede'. Ogni commentario a questo vangelo com porta una decisione scientifica e una dichiarazione personale. Anche il mio tentativo va inteso in questo senso. Chi si accinge oggi a scrivere un 'grande commentario' (impresa che diviene di anno in anno sempre più travagliosa) deve considerare che cosa vuole offrire ai suoi lettori ed entro quali limiti intende man­ tenersi. Per molte ragioni sembra auspicabile una introduzione piut­ tosto lunga, quasi indispensabile nel caso 11ostro. In rispondenza alle finalità della collana di cui il presente commentario fa parte, il lettore deve poter attingere una soddisfacente informazione scientifica sui pro­ blemi connessi; inoltre l'introduzione deve chiarire al lettore la posi­ zione scientifica e teologica del commentatore e preparar/o all'inter­ pretazione d�l testo. Per quanto rit.uarda il matt.•rialt.• comparativo of.

8

Prefazione

/erto dalla storia delle religioni, la mia attenzione è stata rivolta parti­ colarmente ai testi di Qumran e agli scritti copto-gnostici recentemen­ te scoperti (quelli, s'intende, che sono accessibili), senza trascurare la rimanente letteratura. Gli esperti riscontreranno facilmente quanto io debba (e ne sono grato) ai Padri della Chiesa, ad esegeti antichi e a stUJliosi moderni, e non mancheranno di constatare lo sforzo di aderire a certe tendenze riscontrabili nella controversia scientifica. Sopra ogni cosa sta l'impegno, rispondente al kerygma giovanneo, di prestare ascolto alle parole dell'In viato di Dio, che parla dalla pienez­ u dello Spirito (lo. J,J4). Di molte indicazioni e consigli sono debitore e riconoscente al p,of. D. Dr. ]. Schmid e al direttore della collana, . Pro/. Dr. A. Votgle; per l'aiuto prestato nella correzione delle bozze ringrazio gli assistenti Dr.]. Blank, A. Dauer e G. Lohfink. Wiirzburg, 3 1 gennaio 1965. RUDOLFSCHNACKENBURG

Introduzione

Il quarto e ultimo vangelo che fu accolto nel canone del Nuovo Testamento e fu costantemente conosciuto sotto il nome di 'vangelo secondo Giovanni' (o •vangelo di Giovanni' ) , pone l'indagine sto­ rico-critica di fronte ai più gravi interrogativi, e non si prevede una soluzione del 'problema giovanneo', né un accordo sulle numerose questioni particolari che esso implica. A cominciare dai primi studi critici circa l'origine e l'autore, circa le caratteristiche proprie di Io. e gli aspetti che lo distinguono dai vangeli sinottici 1, si è sviluppata su questo tema, e ancora continua, una intensa ed enorme produzione letteraria, stimolata dalla scoperta di nuovi documenti ( scritti di Qum­ ran, testi di Nag-Hammadi ) e dalle sperimentazioni di nuovi metodi nell'esame di questa particolare opera letteraria 2 • Il compito di una introduzione a questo nostro 'commentario teologico' non può con­ sistere nel discutere in extenso tutti i problemi accennati , ma solo nel proporre un fondamento scientifico per l'impostazione di tutta l'ese-

1. Per uno sguardo di insieme dell'indagine critica circa il 'problema giovanneo' a partire dal tempo .dell'illuminismo, si possono consultare: A. Loisy, Le Qua­ trième Évangile, Paris 2 1921 , 18-39; O. Merlier, Le Quatrième Evangile. La que­ stion johannique, Paris 1961, 5 . 2-98; P. Feine-J. Behm-\Y/.G. Kiimmel , Einleitung in das Neue Testament, Heidelberg 1963, 132-13.5· Per il periodo più recente si pc.;sono consultare utilmente, tra le altre, le seguenti rassegne critiche : W. B1uer: ThRu, NF 1 (1929)135-16o; E. Haenchen, ibid. 23 (19.5.5)29.5-33.5; }. Behm: ThLZ 73 ( 1949) 21-30; \V.F. Howard-C.K. Barret, Tbe Fourth Gospel in Recent Criti­ cism and Interpretation, London 41955; Ph. H Menoud, L'évangile de ]ean d'a­ près les recherches récentes . Neuchatel-Paris 21 947; Id., L'évangile de ]ean d'a­ près les recherches de Bultmamz à Barre/t, in : L'Évangile de ]ean (Recherches B�bliques III, LOwen 1958), 1 1-40; D. Mollat, Rassegna di lavori cattolici su S. Giovanni dal 1950 al 1960: RivBiblt 10 ( 1962) 64-91, riprodotto in San Giova.t­ ni. Atti della xvii se:tim�ma biblica, Paideia, Brescia 1964, I 5·47· 2. Cfr. la rassegna in S. S ch u lz , Untersuchungen zur MelzsdJt:nsohn-Chrislolof(le im ]ohannt:sevangelium. Gottingen 1957, 39-81 (con ricca hihlioMrafi�t, ll·\6). -

.

Introdur.ione

12

gesi. Ogni commentario al vangelo di Giovanni propone una scelta di fondo, che non è mai indipendente dalla valutazione di questi 'problemi introduttivi', e, d'altra parte, nella misura in cui riesce ad illuminare dall'interno e a rendere comprensibile quest'opera, esso è un contributo alla loro soluzione. Alla precisazione degli obiettivi del commentario segue -la positiva esegesi teologica, la quale, a sua volta non potrà prescindere dall'esame dei problemi letterari, dallo studio dello sfondo storico-religioso ( con richiamo di ogni possibile parallelo ) e dalla valutazione delle condizioni storiche. Per un'ulterio­ re trattazione dei problemi che riguardano le condizioni in cui si for­ mò il vangelo di Giovanni, rimandiamo alle recenti introduzioni al Nuovo Testamento 3 e a studi particolari 4•

§ l. Il vangelo di Giovanni come vangelo scritto Anche se negli scritti giovannei ( all'infuori dell'Apocalisse ) non com­ pare affatto il gruppo terminologico EvayyEÀ��Eaita:L, EvayyÉÀ.t.ov, ��yyEÀLa"t'l]�. l'opera che stiamo esaminando è un vangelo, il frutto più maturo di questo genere di scritti e la perfetta incarnazione di ciò che l' 'evangelo' vuole essere nel suo contenuto profondo. Lo studio di questo concetto centrale della religione cristiana 5 ha permesso di superare alcune concezioni di vecchio stampo : il 'vangelo' non è ori3·

(Cattolici ) M. Meinertz. Einleitung in das N. T., Paderborn S1 9'o; K. Th. Scha­ fer, Grundriss der Einleitung in das N.T., Bonn 219'2; A. Wikenhauser, Ein­ leitung in das N. T., Freiburg i.Br. •1 96 1 ( trad. ital.: Introdu%ione al N. T., Paideia, Brescia 1963 ); A. Robert-A. Feuillet, Introduction à la Bible n: Nouveau Testa­ meni, Tournai-Paris 21 9'0; (protestanti ) A. Jiilicher-E. Fascher, Einleitung in dss N.T., Tubingen 7193 1 ; W. Michaelis, Einleitung in das N.T., Bern 31961 ; Feine-Behm-Kiimmel, v. sopra, nota I. 4· Oltre ai lavori critici della nota 1 , cfr . soprattutto l'elenco degli studi scienti­ fici in Wikenhauser, Einl. 200 e 429 s; Kiimmel, Einl. 1 27 ss; inoltre I. de la Pot­ terie, Getuige van het Woord. lnleiding op de geschri/ten van ]ohannes, Antwer­ pen 1961 ; C. H. Dodd, Historical Tradition in the Fourth Gospel, Cambridge 1963.

,. Cfr. Schniewind, Euangelion, Giitersloh 1927/3 1 ; G. Friedrich : ThWb II, 70'· 73' ( = GLNT III, coli. I02J-I Io6); R. Asting, D.:e Verkundigung des Wortes im Urchristentum, Stuttgart 1939, 3oo-4'7 ; }. Huby-X. Léon-Dufour, L'Svangile tt les Évangiles, Paris 219'4 ; J. Schmid : LexThK III, I 2,, ,9 ; X. Léo:t-Dufour, Les évangiles et l'histoire de ]ésus, Paris 1963. -

§ 1. Il vangelo di Giovanni come vangelo scritto

13

ginariamente un prodotto letterario, ma messaggio salvi6co, che Gesù Cristo ha portato in nome di Dio come messaggero escatologico di gioia ( cf. Is . .5 2,7) - e per questo il verbo compare subito all'inizio (cf. Mt. 1 1 ,.5 par. ; Le. 4,1 8 ; 1 6,16; ecc. ) - e che la Chiesa primitiva, in rispondenza alla situazione postpasquale, comprende ormai come l'annuncio salvifico di Gesù Cristo, crocefisso e risorto, Messia e Si­ �nore innalzato alla destra di Dio ( cfr. Act. 2,36; ''4" e passim; Ro"' 1 , 1 -4. 1 6 ; ecc. ) 6• Gesù Cristo, che ha «annunciato il vangelo di Dio» (Mc. 1 , 1 4 ), o, con riguardo al contenuto, «il vangelo del regno (di Dio)» (Mt. 4,2 3 ; 9,3.5 ; 24, 1 4 ), diventa egli stesso, conformemente alla pro· fessione di fede, il 'vangelo di Dio' ( cfr. r Thess. 2,2; Rom. 1 , 1 ). Solo rela tiv amente più tardi questo messaggio salvifico vivente trova la sua formulazione scritta nei libri dei vangeli, che quindi documen­ tano, testimoniano e propongono come oggetto di fede l 'annuncio salvifico della parola e dell'opera i Gesù, della sua morte e risurre­ zione. Si tratta quindi di scritti caratterizzati da un s ignifica to nuovo dal quale deriva anche un particolare genere letterario che, anche se affine ad altre opere letterarie «cresciute dal basso», ha un carattere proprio 7• Ta le genere letterario ci è documentato anzitutto nel van­ gelo di Marco.

Nella valutazione dello scopo che ha guid a to gli evangelisti nella ste­ sura del loro lavoro è stato un errore gravido di conseguenze, anche in riferimento al 'problema giova nneo' , quello di considerare le loro opere come esposizioni principalmente storico-cronistiche della ve­ nuta e dell'attività dl Gesù di Nazaret ; su questa linea si finl, più o meno consciamente, col valutare un ' vangelo ' in base alla sua capa­ cità di comunicare o di poter comunicare storicamente informazioni 6. Cfr. già Origene, Commentario a San Giovanni 1,, : «Il vangelo è quindi un discorso che per il fedele contiene la presenza di un bene, oppure un discorso ove si annuncia che il bene atteso è presente. Tutte queste nostre definizioni sono chiaramente pertinenti per i cosiddetti vangeli. Ogni vangelo è infatti per il cre­ dente una raccolta di messaggi con significato salvifico, che portano la salvezza a chi non li accoglie in senso sbagliato,. ( secondo la traduzione tli Gogler 101 ). 7· Cfr. P. Wendland, Die urchristlichen Literaturformen, Tiibingen 2-l 1 9 1 2, 2'8314; K.L. Schmidt, Die Stellung der Evv. in der allgemeinen Literaturgeschichte, in: Eucharisterion fiir H. Gunkel n, Gottingen 1923, ,o-1 34. Cfr. anche il me­ todo della Formgeschichte, che procede formalmente sulla base di queste pre­ messe.

14

l ntroduziotle

attendibili circa i memorabili avvenimenti della Palestina all'inizio del­ la nostra era . Non si può certo dimenticare che i vangeli ebbero anche •1no scopo del genere, come risulta soprattutto dall'opera di Luca (ctr. Le. 1 , 1-4 ), e che esso anzi era per gli evangelisti un 'intima esigenza, connessa con la storicità della rivelazione salvifica in Gesù Cristo 8; ma l'interesse storico non è l'ultimo scopo, né il più importante, dei no-­ stri vangeli canonici. Da quando si è raggiunta questa conclusione per l'opera più antica a nostra disposizione, cioè per il vangelo di Marco 9, e se ne è avuta la conferma non solo nel vangelo di Matteo, forte­ mente didattico e sistematico, ma anche nelle due opere di Luca, per­ corse da tendenze teologiche •�, si è spianata la strada per giudicare ed intendere meglio il vangelo di Giovanni come vangelo scritto.

l. Rapporio con i van_geli precedenti Tutta la trattazione del 'problema giovanneo' da parte della critica biblica, quale è andata maturando a partire dall'illuminismo 11, fu do8. Questo viene ammesso anche da studiosi critici, a differenza della « teologia del kerygma», che ritiene valido unicamente il kerygma di Gesù crocifisso e risorto ; cfr. E. Kasemann,. Das Problem des historischen ]esus: ZThK 51 ( 1954 ) 125-153; H. Conzelmann, art. ]esus Christus : RGG 3111, 619-653, soprattutto 648 ss. ; G. Bornkamm, Glaube und Geschichte in den Evangelien ,in : Der historische Jesus und der kerygmatische Christus, a cura di H. Ristow e K. Matthiae, Berlin 1960 281-288. Da parte cattolica, cfr. B. Rigaux, L'historicité de ]ésus de·vant l'exégèse récente: RB 65 ( 1958 ) 48 1 -522; F. Mussner, Der «historische ]esus», in : Der hi­ storische Jesus und der Christus unseres Glaubens, a cura di K. Schubert , Wien 1962, 103-128 ; X. Léon-Dufour, Les évangiles et l'histoire de ]ésus, Paris 1963. 9· W. Wrede, Das Messiasgeheimnis in den Evangelien, GOttingen 1901 = 31963 ; K.L. Schmidt, Der Rahmen der Geschichte ]esu, Berlin 1919; ]. Wellhausen, Einleitung in die drei ersten Evangelien, Berlin 2191 1 ; cfr. X. Léon-Dufour, o.c., 178-187. 10. H. Conzelmann, Die Mitte der Zeit. Studien z.ur Theologie des Lukas, Tiibin­ gen 3 1960; E. Haenchen, Die Apostelgeschichte, Gottingen 3 1959 (per questo libro vedi J. Dupont: RB 64 [I 9 57] 102- I 07 ); J .C. O'Neil, Tbe Theology of Acts in its Historical Setting, London 1961 . 1 1 . I primi lavori critici sono stati, in Inghilterra E. Evanson, Tbe Dissonance of the Four Generally Received Evangelists, lpswich 1972; in Germania J. C. R. Eckermann, Theologische Beitriige v, Altona 1976, e poi soprattutto C. Th. Bret­ schneider, Probabilia de evangelii et epistularum ]ohannis apostoli indole et ori­ gine, Leipzig 1820.

§

r.

Il vangelo di Giovanni come vangelo scritto

minata dalla contrapposizione tra vangeli sinottici e vangelo di Gio­ vanni . Sotto questo aspetto, dischiuso allo studio scientifico anche dalla possibilità d'un esatto confronto dei testi, il vangelo di Giovan­ ni dovette apparire come un'opera singolare, in contrasto ( anche per la presenza di varie tensioni, anzi 'contraddizioni') con i vangeli si­ nottici, molto più coordinati fra di loro e, nel complesso, concordi. Per questo il rapporto tra 'sinottici e Giovanni' è sempre alla base di tutti gli studi sul 'problema giovanneo', e neppure noi potremo eluderlo (vedi sotto, § 2 ) . Ma questo genere di studi ha sempre com­ portato e comporta ancora il pericolo di obliterare quanto di comune presenta la struttura dei quattro vangeli canonici, proprio in quanto 'vangeli'. In questo era più fortunata la cristianità antica, anche se · le mancavano naturalmente molti elementi forniti dalla critica moder­ na. Il canone dei quattro vangeli era per Ireneo un fatto denso di significato, previsto e voluto da Dio 12, e Clemente d'Alessandria poté così definire la differenza, da lui stesso notata, tra sinottici e Giovan­ ni : dopo che nei primi fu manifestato il 'vangelo somatico' nel secon­ do viene proposto il 'vangelo pneumatico' 13• Ma anche in questi termi­ ni resta aperto un divario, che non sussiste più nella visione moderna, poiché anche il vangelo di Marco non intende esporre unicamente l'a­ spetto per cosl dire esteriore dell'opera di Gesù, ma vuole anche far tra­ sparire il divino che vi è nascosto, almeno in 'epifanie segrete' (M. Di­ belius), e, d'altro canto, nella concezione del quarto evangelista la gloria divina presente in Gesù abita appunto nella sarx e si rende visibile, sia pure ai soli credenti ( 1 , 1 4 ; 2 , 1 1 ; 1 1 ,40 ). Il vangelo più an tico , non meno dell'ultimo, è un'esposizione derivata dalla fede, al servizio della fede, e propone ai suoi lettori con altri mezzi, ma con analoghi intenti, la 'storia di Gesù' Figlio di Dio 14• 12.

Iren., adv. haer. J, 1 1 (soprattutto§ II; Harvey II, 46-52); è sua l'espressione

'tÒ EvayyÉÀ.LOV ( ibid. 47 ). hist. ecci. 6,I4,7. 14. Cfr. K. Th. Schafer, Grundriss der Einleitung in das N.T., Bonn 219, 2, s,: ((Se in Giovanni scorgiamo la figura di Gesù solo in trasparenza, ciò accade anche nei sinottici ... L'illusione, che fino a poco tempo fa ancora faceva parzialmente 'U'tpcij..LOp> . A proposito del vangelo di Marco e di Luca cosi afferma Kummel, Einl., 1 38 : «L'autore ha certa men te in mente i vangeli di Marco e di Luca e se ne serve a memori:l per ciò che gli sembra opportuno» .

i

2. Il

39

rapporto con i sinottici

notizie più sicure anche per Gerusalemme , e si appoggia certamente su un determina to gruppo locale di discepoli (cfr. Nicodemo : 3 , 1 ; 7 ,5o; 1 9,39 ; i discepoli giudaici: 7 ,3 ; il discepolo che conosceva il sommo sacerdote : I 8 , 1 5 ). Nel processo e nella passione il suo rac· conto è autonomo ; se avesse conosciuto Luca, sarebbe difficile capire perché abbia escluso la pericope su Erode ( Le. 2 3 ,6- I 6 ) che gli po­ teva invece essere utile per la presentazione della regalità di Gesù. Sarà meglio risalire alla protostoria dei dtie vangeli, allorché si for­ mò questa loro tradizione piena di influssi vicendevoli, e supporre certi contatti all'interno di questo profondo strato storico che sfug­ ge ormai alla nostra investigazione. Entrambi gli evangelisti ave­ vano evidentemente molta facilità di accesso ad una tradizione con­ centrata nella Giudea e in Gerusalemme. Se si è d'accordo nell'ac­ cettare che il vangelo di Giovanni abbia avuto una forma primi· tiva 'pre-sinottica' , indipendente dai sinottici 17, si potrà facilmente pensare che Luca sia riuscito a trovare fonti prossime a questa ' tradizione giovannea' (vedi sotto). La spiegazione, secondo cui Lu­ ca avrebbe ascoltato il depositario stesso di questa tradizione e si sarebbe lasciato da lui influenzare in alcuni concetti fondamentali 18, presuppone dati su di lui (Giovanni di Zebedeo ) e sullo stesso Luca ( permanenza in Giudea ) che sarebbero ancora da dimostrare. Si può anche accettare l'ipotesi che Luca abbia potuto usare fonti e infor­ mazioni provenienti da quella zona o da quelle comunità cristiane primitive. QueBa sezione di racconti che in Luca si rivelano più precisi e più originali (come l'episodio dell 'unzione in Le. 7,36-,o; le indica­ zioni circa le donne, soprattutto Maria Maddalena, 8,1 ss . ) potrebbe spiegarsi con l'ipotesi che, in questo caso, le sue fonti fossero più abbondanti della ' tradizione giovannea' nella sua forma primitiva. Anche per Mt. 2 8 ,8 ss. si po trebbe analogamente pensare ad una dispersa tradizione 'giovannea', nota al primo evangelista. Nell'insie­ me. le varie pericopi del racconto di Giovanni non si possono co.

1 7 . Questa opm1one è so:5tenuta da E. Osty, o.c., 1'4: E. K. Lee, o.c. , 'o ; P. Benni t , o. c., 1 .5 2 ; F.-M. Br.mn, ]ean le Théologien, 396 s . ; C.H. Dodd, Historiclll 'f'raclition, 242-4 3 2 . 1 8. E. Osty, o.c., 1 j.J : «Dunque Luca deve aver ascoltato Giovanni, raccolto qual· cunu dci �uoi propositi ed essersene ispirato».

munque ridurre ad una conoscenza letteraria o a un ricordo mne­ monico dei sinottici, neppure là ove il contatto con la tradizione sinottica è evidente.

2 . Logia comuni Oltre ai parallelismi e ai punti di contatto nel contenuto narra­ tivo, nel vangelo di Giovanni si trovano anche frasi più brevi che si presentano in evidente consonanza con testi sinottici e furono quindi giustamente denominati 'logia sinottici' 19• Per un confronto preciso occorre una sinossi : qui ci accontentiamo di puntualizzare la natura dell'affinità, cioè la situazione generale e le divergenze. Possiamo cominciare con le parole del Battista in lo. I ,27 , cfr. Mc. I ,7 parr. Con Marco e Luca, Giovanni usa l'immagine « sciogliere i legacci dei calzari», mentre Mt. 3 , 1 I dice : «portare le scarpe )> ; respressione «il veniente dopo di me» (oppure Mc. : EPXE"t'at. ) è comune a Giovanni, Marco e Matteo. È interessante notare che, per dire 'degno' , Giovanni usa il vocabolo ii.�t.o� ( seguito da una frase introdotta con tva ), men· tre i sinottici hanno txav6c; (con l'infinito ). Per lo stesso logion in Act. 1 3 ,2.5 , anche Luca usa il vocabolo ii.�t.oc;; per cui .l' txav6c; del racconto sinottico sul Battista sta ad indicare un influsso letterario (cfr. anche Mt . 8 ,8 par. Le. 7 ,6 ), da cui Giovanni è indipendente. Il quarto evangelista conosce lo stesso logion, ma lo esprime in una sua forma propria. Egli lo prende certamente dalla tradizione (a meno che non si voglia intendere Io. I ,27 come una tardiva aggiunta redazio­ nale) e lo impiega a modo suo, come si può arguire anche dal fatto che il logion che egli pone in bocca al Battista ( I , I 5 . 30) è una chiarifi­ cazione di i.crxvp6"t'Epoc; (cfr. il commento ). Da Io. I ,3 3 (cfr. 26a.3 1c) traspare lo stesso logion trasmesso da Mc. I ,8 (quindi in accordo con Io. ) : «lo vi ho battezzati con acqua : egli però vi battezzerà con Spirito Santo» (M t. 3 , I 1 ; Le. 3 , 1 6 ag· giungono anche «e con fuoco»). Si ha nuovamente la conferma di una conoscenza dei logia sinottici , ma anche di una loro libera trat­ tazione. Probabilmente anche a base di Io. I ,34 stanno le parole udite durante il battesimo di Gesù, quali sono attestate nei sinottici ( cfr. il commento). 19. Cfr. B. Noack, Zur jobanneiscben Trsdition, 89-109.

§ 2. Il rapporto con i sinottici

I o. I ,42 (conferimento del nome di Cefa a Simon Pietro ) ricorda

-lo stesso avvenimento narrato da Mc. 3 , I 6 e Mt. 1 6 , I 8 , ma in un altro contesto. Non sembra che si voglia intenzionalmente introdurre una correzione, quasi ad escludere che questo conferimento del nome sia avvenuto nel corso della scelta dei Dodici (Marco ) o a Cesarea di Filippi (Matteo ). Per il logion di I o. x ,, I sono state formulate diverse ipotesi ; tra l'altro, si è pensato che esso sia una rielaborazione giovannea di Mc. 14 , 62 parr. È certamente lecito ri tenere che i logia giovannei sul 'Figlio dell'uomo' si collochino in una determinata tradizione 20, nella quale la tradizione sinottica rappresenti uno stadio intermedio ; ma è im­ probabile, stando alla torma e al contenuto intrinseco, una dipen­ denza diretta del testo di Io. I ,, I dalla risposta di Gesù davanti al sinedrio quale ci è riferita dai sinottici. Un discorso contrario va fatto per Io. 2 , I 9 , ove il 'logion del tempio' è certamente lo stesso, anche se formulato in modo diverso: della tradizione di Mc . I 4,5 8 par. Mt. 26,6 1 ; Mc. I 5 ,29 par. Mt. 27 ,40 ; cfr. Act. 6 , 1 4 . Questo discorso di una «distribuzione del tem­ pio» e di una sua «riedificazione in tre giorni» è circolato nella chiesa primitiva ; ma proprio qui il quarto evangelista dimostra la sua libertà nella trasmissione e nellg interpretazione dei fatti , per cui non si può pensare ad una dipendenza letteraria o mnemonica dai sinottici . Egli può anche aver ricevuto questo logion tramite una tradizione orale (o un'altra fonte ). Negli ultimi tempi si è sovente difeso il rapporto di lo . 3, 3 . .5 con Mt. 1 8 , 3 (cfr. Mc. I o, 1 .5 e Le. I 8 , I 7 ), rapporto che non ·può es­ sere escluso ma neppure dimostrato con sicurezza (c:fr. la relativa trattazione nel commento ). Se si ammette che il quarto evangelista abbia rielaborato questo logion sinottico, bisogna concludere che ciò è stato fatto in modo libero e con coerenza teologica. Non si hanno . elementi per decidere se ci sia stata una conoscenza dei sinottici. In lo. 4,44 (cfr. Mc. 6 ,4 ; Mt. I 3 ,5 7 ; Le. 4,24 ) ricorre un autentico 'logion sinottico'. Il versetto sta a disagio nel suo contesto ed è considerato da alcuni esegeti come una tardiva glossa redazionale 20. Cfr. S. Schulz, Untersuchungen zur Menschensohn-Christolo&ie, 96· 1 l4 (at· 1ne apocalittiche, accolte dalle comunità giudeo-cristiane).

lntroduzione

(cfr. il commento ). L'espressione non concorda con nessuna delle for­ mulazioni sinottiche ed è una libera riproduzione dello stesso pensiero, comunque una chiara ripresa di un detto tradizionale di Gesù ( 1ta."tp�LÌ..Et., perché anche Simon Piet ro è incluso in · questo amore amichevole; egli era quindi il primo discepolo che Gesù amava, mentre Giovanni era >, cfr. Gen. 2 8 , 1 2 ; I , . Cfr. soprattutto M.·É. Boismard, De son ventre couleront des fleuves d'eau : RB 65 ( 1 9.58) 522·546 ; P. Grelot, M.·É. Boismard, J.P. Audet : RB 66 ( I959 ) 369·�86; P. Grelot: ]ean Vll,JB: eau du rocher ou source du Tempie?: RB ( 1963 ) 43 · 5 1 . 16. Mc.4 ,1 2 ; Mt. 1 3 ,14 s . ; Lc.8,xo; Ac/.28,26 s. S i può credere che l a citazione di Isaia abbia anche altrove influenzato il concetto deW 'ostinazione' (nwp6w, "J;WpWO'Lç ) c fr. Mc. 3 ,6; 6,52 ; 8,57; Rom. I I ,7.2.5 ; 2 Cor. 3, 14). Su questo cfr . C. H. Dodd , According lo the Scriptures, London 19,2, 36- 39; J. Gnilka , Dit' Vers/ockung lsrae/s. Isaias 6 ,9-10 inder Theologie der Synoptiker, Miinchen 1 96 1 ; B. Lindars, o.c., 1'9·167.

Inttoduzione

1 .5 4

3 , 1 2 : 'terreno' e 'celeste', cfr. Sap. 9 , 1 6 ; 4,48 : CTT)IJ.Ei:a. xa.t "tÉpa."ta., molto frequente nell'Antico Testamen­ to ( LXX ), soprattutto per i miracoli dell'Esodo ; ' ,2 7 : «E gli diede potere di giudicare, perché egli è il Figlio dell'uomo », cfr. Dan. ],14.2 2 ; 7,34: «Mi cercherete e non mi troverete», cfr. Prov. 1 ,2 8 ; 9,24 : «Dare onore a Dio >> , un'espressione frequente nell'A.T. ; 9,3 1 : «Dio non ascolta i peccatori . . . », cfr. Prov. I 5 ,2 9 ; 9,34: ( 94 ). Cfr. inoltre H. Schlier, Der Mensch in Gnostizismus, in : Anthropologie religieuse, edito da C. ]. Bleek> ( I ,2 9.36 ). Il senso dei 0'1)1-J.E�a. è chiarito dall'evangelista fin dal primo 'se­ gno ' : essi rivelano la o6�a. di Gesù, ma devono anche condurre alla fede ( 2 , 1 1 ). Essi hanno un senso pieno solo per i credenti (cfr. 6,26. 36; I I ,4o ; 1 2 ,3 7 ). Quale esso sia, lo dice molto chiaramente un di­ scorso di rivelazione di Gesù in occasione dei due ultimi grandi mi­ racoli : la guarigione del cieco lo rivela come 'la luce del mondo' ( 9 ,.5 ; cfr. 39), la risurrezione di Lazzaro come 'la risurrezione e la vita' ( I I ,2 .5 s . ), e precisamente per coloro che lo guardano con gli occhi della fede. La risurrezione di Gesù stesso è però l'evento in cui questa vita, lo Spirito Santo, viene elargita ai credenti ( 7 , 3 9 ; cfr. 20,2 2 ). Nelle parole rivelatrici di Gesù diviene definitivamente sicuro il significato centrale della persona di Cristo, nel suo duplice momento · cristologico e soteriologico. Gli enunciati introdotti da Èyw Etp.t, pun­ ti di cristallizzazione dei discorsi di rivelazione, contegono, come strut­ tura portante, la predicazione del rivelatore su se stesso, la chia­ mata di invito o chiamata alla decisione e la promessa a coloro che lo seguono 3• La predicazione su se stesso rivela sempre qualcosa del3·

.

Cfr. K. Kundzins, Charakter und Ursprung der ;oh. Reden, 22 1-224 ; H. Bek· ker, Die Reden des ]oh-Ev., '4 ; S. Schulz, Komposition und Herkunft der }oh.

lntrodu%ione

la dignità e potenza divina di Gesù , coll come essa è probabilmente intesa (soprattutto nell'uso assoluto 8,24.28 ; 1 3 , 1 9 ; cfr. 8,,5 8 ) an­ che dalla formula di teofania dell 'Antico Testamento 4 • Gli altri due elementi , che non compaiono sempre formalmente, ma sono conte­ nuti in parte nel carattere della metafora (cfr. 6,48 ; 10,7 . 1 I . I 4 ), esprimono la portata salvifica del rivelatore per coloro che ascoltano la sua voce . Questa funzione soteriologica del Figlio di Dio, inviato nel mondo, diventa esplicita ed enfatica nel discorso kerygmatico 3 , 1 J-2 r ( soprattutto v. 1 7 ) e anche i n 1 2 ,44-.50 ( soprattutto v. 47b); ma, nello stesso tempo, non c'è alcun dubbio che l a salvezza del cre­ dente è possibile solo perché colui in cui egli crede è l' 'unigenito Figlio di Dio' ( 3 ,1 8 ), il 'Figlio dell'uomo' disceso dal cielo ( 3 , 1 3 ; cfr. 3 1 ). Questo può bastare come conferma del 'fondamento cristo­ logico (e soteriologico )' dell'evangelista , che si evince da 20,30 s. 2.

La dottrina della salvezza Anche la teologia giovannea pone il problema salvifico per l'uomo

e per tutto il mondo, con un particolare rilievo (come in Paolo) per

il mondo . Gesù è il 'salvatore del mondo' (4,42 ) e questa prospetti­ va universalistica è profondamente radicata nella struttura fonda­ mentale della visione giovannea del 'mondo' . A differenza di Paolo, Giovanni non si pone più il problema della salvezza dei Giudei e dei pagani, ma confronta subito tutta rumanità con Dio, la vede nelia sua lontananza da Dio, nelle tenebre e nel suo destino di morte, separata dal regno divino della luce e della vita, fino al giorno in cui il rivelatore e salvatore inviato da Dio le apre una via verso il mondo celeste ( cfr. 1 ,4; J , I J . I 6 . I 9 -3 I s.; .5 ,24 ; 6,3 3 ; 8,23 s.; 1 2 , 3 1 s . 4 6 ) . Questa immagine dualistica del mondo, dominata dalle cor· renti spirituali del tempo, questa separazione netta tra il mondo in� feriore, soggetto alle tenebre, a cui è condannata l'umanità nella sua situazione storica, e il mondo superiore divino, a cui appartengono in­ discutibilmente gli uomini per vocazione originaria (cfr. r ,4. I 1 ) , vie­ ne superata mediante Cristo e in Cristo. Egli riunisce i due mondi Reden, 86 ss.

4· Cfr. H. Zimmermann, Das absolute iyw E4.a.L llls die neutestamenlliche 0/len­ barungsformel, BZ, N.F. 4 ( 1 960) '4-69.266-276.

S 8. Dimensioni teologiche e storiche

1 97

nella sua via di redenzione, perché 'scende' dal cielo, anzi diventa uomo nella nullità della 'carne', ma poi risale nuovamente nel mon� do celeste ( 6,62 ) e rende possibile a tutti gli uomini che credono in lui e lo seguono, la stessa via, diventando egli stesso 'via' (cfr. 14,2-6 ). Nella cristologia viene infranto lo schema dualistico, e nel­ la soteriologia, che le è connessa, viene superata la costrizione fatale (del peccato ), che condanna gli uomini alla schiavitÒ ( cfr. 8 ,3 2-36 ). Me­ . diante l 'amorosa iniziativa salvifica di Dio, l'invio del Figlio suo ( 3 , 1 6 ), irrompe la luce come forza invincibile dell'amore (cfr. I lo. 2 ,8), il bene domina sul male, nonostante l'aggravarsi delle tenebre della incredulità (cfr. Io. 3 , I 9 s.; 9,39), e sulla croce è vinta la potenza delle forze contrarie a Dio (cfr. I 2 ,3 1 s . ). Il 'mondo' è vinto nella sua ribellione ed agitazione contro Dio ( dr. I 6 ,3 3 ; I Io. 5 ,4 ) e que­ sta vittoria è definitiva, nonostante la resistenza del 'mondo' che rifiu­ ta Cristo e perseguita i suoi discepoli (cfr. I ,5 , 1 8 ss. ). Dio è superiore alla potenza del male (cfr. 1 lo. 4,4 ), Cristo resta il salvatore del mon­ do ( .r Io. 4,I 4). Ma la croce di Cristo, in questa redenzione cosmica ed universa­ le, non acquista un significato diverso da quello che ha nella preceden­ te teologia del primo cristianesimo ? È ancora il luogo della morte vi­ caria espiatrice? Potrebbe sembrare che la comune interpretazione cristiana della morte di Gesù come espiazione per i peccati non de­ termini più la concezione giovannea 5 • Certo, gli accenti sono �po­ sta ti, ma il vecchio concetto viene conservato e fuso nell'insieme. La formula tradizionale con Ù1tip viene allargata 1cosmicamente' e con� nessa al concetto di 'vita', che in Giovanni è dominante: Ù1tÈp "rii� "tou x6cr1-1ou �wii� ( 6, 5 I c, cfr. 3 3 ) , ed è uni ta, nello stesso testo, a i) crcipç 1-10u, per cui la crcip� dell'Incarnato ( I ,1 4 ) resta inserita nella riflessione soteriologica. L'incarnazione non significa soltanto lo sposalizio del mondo celeste-incorruttibile con quello terreno� corruttibile, ma anche la possibilità del sacrificio della croce ; non solo l'ingresso del Logos nell'umanità e nella sua sfera di 'carne' ( 3 , 6a), m a anche l'assunzione di u n corpo d i carne, che viene offerto sulla croce 1 per la vita del mondo'. Se si può qui ancora pensare ad una formula eucaristica assunta dalla tradizione, ad un'altra versione ,. Cfr. R . Bultmann, Theologie des

NT, 400 ss.

Introduzione

(presente ancora in Ignazio di Antiochia) delle parole dell'istituzione 6 - che Giovanni avrebbe accettata e adattata alla sua teologia -,. allora lo. 1 ,29 ( l'agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo ) indica la genuina assunzione del concetto di sacrificio espiatorio nella teologia giovannea ; non è infatti possibile un'altra comprensione di quella caratteristica immagine, che richiama però direttamente la real� tà 7• Ma questa idea accenna forse anche all'agnello pasquale, e si tende qui un arco fino alla scena della croce ( 1 9 , 3 3 s . ), che l'evange� lista collega simbolicamente al sacrificio pasquale ( 1 9 ,36 ). Si ha cosl un'equa distribuzione di peso lungo tutta la via della redenzione, dalla incarnazione fino alla 'esaltazione' come evento redentore, come tra� sferimento degli uomini nel mondo divino ; ma la redenzione per mez� zo della croce come sacrificio espiatorio è inserita nel pensiero giovan� neo. La prima lettera di Giovanni non soltanto ha ripreso questo pensiero nel senso tradizionale, ma gli ha dato anche un'accentuazione più forte ( tÀ.aO"fJ.6� 2 ,2 ; 4 , 1 0 ; 'tÒ aLIJ.a '11)o-ov : 1 ,7 ; cfr. 5 ,6 ). Questa constatazione è importante per comprendere il significato della persona di Gesù , e non solo della sua rivelazione e della sua via di redenzione (da intendersi in senso prototipico ), per il raggiun� gimento della salvezza. Se consideriamo poi la via 'soggettiva' della salvezza, cioè la chiamata rivolta agli uomini, come essi debbano partecipare alla salvezza, diventa urgente domandarsi in che s�nso Giovanni abbia compreso Gesù come rivelatore. C'è infatti un invito continuo a credere in lui, e l'offerta soteriologica è riassunta nella for­ mula (con leggere variazioni ) : «Chi crede nel Figlio, ha la vita eter­ na » ( 3 , 1 6 .36 ; 5 , 24; 6,40 .47 ; 1 1 ,2 5 ; 20,3 1 ). Questo pensiero si ri­ presenta in molti altri passi (cfr. 3 , 1 5 . 1 8 ; 6,3 5 ; 7 ,3 8 ; 8 , 1 2 .5 1 ; 1 2 , . 36 .46 ; I lo. 5 , 1 2 . 1 3 ). Che cosa significa qui 'credere' e 'credere nel Figlio' ? Il 'credere' giovanneo (cfr. exc. 7 ), data la sua vicinanza al 'cono­ scere' ( "(L'JWO"XEt.'J ) e al 'confessare•· ( OIJ.OÀ.oyE�'J ) , ha il suo punto focale 6. Cosl soprattutto J. Jeremias, Die Abendmahlsworte ]esu, GOttingen 3tg6o, !or s. 1 9 1-194, cfr. anche ].H. Bernard, Gospel according to St. ]ohn I, CLXX s.; E. Lohmeyer: ThRu 9 ( 1 937) 308 ; H. Schiirmann : BZ . N .F. 2 ( 1958) 245-248 , che si dichiara però contrario all'assunzione di un'altra formula di istituzione (247, nota 14). 7· Per gli altri tentativi di interpretazione, cfr. il commentario.

§ 8. Dimensioni teologiche e storiche

1 99

nel riconoscimento di ciò che dice il Rivelatore e si può anche enun­ ciare in formulazioni ( atte ad esprimere una professione ) 8• Ma questi enunciati , nel loro contenuto, riguardano sempre la persona di Cristo , per cui si potrebbe parlare brevemente di una 'professione di fede cristologica', certo non in un senso teoretico, dottrinale, ma per espri­ mere l'appartenenza alla persona dell'inviato da Dio, come lascia in­ tendere la frequente espressione 1tt.O"'tEVEL'V Et45 ( sec. III , raccolta Ches ter Bea tty) parti di Io .. I o-I I P52 ( I 30 circa ; J. Rylands Library, Manchester) il più antico fram­ mento neotestamentario di papiro che esista: Io. I 8 ,J I·3 3 ·3 7·38 .. Aland : NTSt 9 ( 1 962/63 ) 3 04 s. Ulteriore bibliografia in seguito, a proposito di p66 e p1s. 3 · Sulle indicazioni, cfr. K. Aland, Kurzgefasste Liste der griechischen Hand­ schriften des Neuen Testaments 1 , Berlin 1 963. Per i papiri, vedi altre indicazioni in G. Maldfeld : ZNW 42 ( 1 949) 228-25 3 ; K. Aland : NTSt 9 ( 1962/63) 3o6 ss . ; B.M. Metzger, The Text of the N.T., 247-255 . 4· Prima edizione d a parte dello scopritore C.H. Roberts, A n unpublished Frag­ ment of the Fourth Gospel in the ]ohn Ryland's Library, Manchester 193,. Qui va anche ricordato il P. Egerton 2, scritto poco dopo (prima del 1 '0) con fram-

l ntroduzio1zc

218

( sec. VI-VII, da Faijum ) lo. 1 ,3 1 -3 3 ·35-38 P59 (sec. vn, dalla Palestina meridionale ) parti di Io. 1 ; 2 ; I I ; I 2 ; 17; r8; 2 1 J>60 ( sec. vn, dalla Palestina meridionale) Io. I 6,29-I 9 ,26 con note­ voli lacune p63 ( 5 00 circa) Io. 3 ,I 4- 1 8 ; 4 ,9- 1 0 5 J>66 (inizio del sec. III ; P. Bodmer n ) Io. I-I4 quasi completo ; parti di Io. 1 5 ; 1 6 ; 1 9 ; 20,25-2 1 ,9 P75 ( 2oo circa ; P. Bodmer xv ), Io. 1 - 1 2 quasi completo; frammenti di Io. 1 3 ; inoltre 1 4,9-3 0 ; 1 5 , 7 s.

P55

b ) Manoscritti greci pergamenacei : Secondo la classificazione usuale si attribuiscono al tipo egtztano­ alessandrino i maiuscoli B S (dal cap. 8 ) C L T W à 'l'. Un tipo particolare è rappresentato da D, affine alla Vetus Latina e alla Vetus Syra, prima compreso sotto il segno W C testo occidenta­ le' ), ma ora abbandonato (in Nestle-Aland ) per la problematica che presenta questa forma del testo. Anche i manoscritti éon il ' testo di Cesarea' debbono essere considerati come un gruppo proprio. Ne fan­ no parte 9 (Codice di Corideto) e i due gruppi di minuscoli cp (gruppo Ferrar, fam . 1 3 ) e À. (gruppo Lake, fam. r ) ; tuttavia questo 'testo di Cesarea' è studiato e provato soltanto per il vangelo di Marco 6• La forma koiné si trova in A (per i vangeli ) E F G H S V Y n. Tra i minuscoli hanno una particolare importanza quelli che ripor­ tano il testo di tipo egiziano : 3 3 5 79 892 1 24 1 , inoltre il gruppo Fer­ rar cp già ricordato (fam. 1 3 ) : 1 3 69 1 24 346 ecc., e il gruppo Lake À. ( fam. r ) : 1 1 1 8 1 3 1 209. menti di un 'vangelo sconosciuto', che cita nel primo frammento Io. 5,39 e 45 e contiene anche altrove alcune allusioni a testi giovannei . Sulla discussione cfr. G. Mayeda, Das Leben-Jesu-Fragment Papyrus Egerton 2, Bern 1 946 ; J. Jeremias i:: : Hennecke-Schneemelcher, Ntl. Apokryphen 1, 58-6o (con bibl. ) ; F.-M. Braun, Jean le Théologien I, 87-94. 5· Cfr. K . Aland : ThLZ 78 ( 1953) 468 . 6. Sulla storia della critica e sulla problematica di questa forma del testo, cfr. ]. Geerlings, Family 13 The Ferrar Group : The Text ace. to ]ohn, Salt Lake City 1 962 ; B.M. Metzger, Chapters in the History o/ New Testament Textual Criticism, Leiden 1963, 4 2 72 , soprattutto 67. -

-

j 9· Tradiz.ione e critica del testo

219

c ) Versioni : Per la Vetus Latina si può ora disporre dell'edizione di Jiilicher­ Matzkow-Aland 7, che si basa sulla collazione di I 8 manoscritti. Certo sarebbero anche qui importanti le citazioni dei primi Padri latini, ma questo desiderio potrà solo essere esaudito dalla grande edizione di Beuron. I principali manoscritti sono: a = Vercellensis ( sec. IV-v ) b = Veronensis ( sec. v ) c = Colbertinus (sec. xn ) d = Bezae Cantabrigiensis ( sec. VI) ' e = Palatinus ( sec. v - testo della versione 'Afra' ) f = Brixianus ( sec . VI ) ff2 = Corbeiensis ( sec. v-vi ) La Vulgata viene usata secondo l'edizione di J. Wordsworth-H. J. White 8• Le versioni siriache sono quelle normalmente citate nelle edizioni del testo: sy5 Syrus Synaiticus ( sec. IV-V) syc Syrus Curetonianus ( sec. v ) syP Peshi tta syh Harclensis ; syhmg = le sue importanti lezioni marginali sypal traduzione siro-palestinese ( sec. VI ) syPh Philoxeniana Per la ricostruzione del Diatessaron in lingua siriaca si dispone ora anche del testo siriaco tratto dal commentario di Efrem, contenuto in un manoscritto della raccolta Chester Beatty 9• Le traduzioni copte, tra cui sono importanti la sahidica (sa ) e la boairica (bo) per la forma e lo sviluppo del testo egiziano, sono state arricchite da una scoperta nella raccolta Bodmer : P. Bodmer III, un codice papiraceo in dialetto boairico del sec. IV, comprendente il van7·

A. Jiilicher-W. Matzkow-K. Aland, Itala IV, Berlin 1963 . 8. ]. Wordsworth-H.J . Whi te Novum Testamentum Latine I (Evangelia), Oxford ,

! 889/98 .

9· Saint Ephrem, Commentaire de l''Evangile concordant, texte syriaque, éd. et traduit par Dom L. Leloir, O.S.B. (Chester Beatty Monographs No. 8 ), Dublin 196,3.

2 20

Introduzione

gelo di Giovanni e Gen. 1 -4,2 10• L'opinione di E. Massaux, che vede nella traduzione infiltrazioni gnostiche 11 , ha ancora bisogno di esser provata. Inoltre è stato pubblicato un codice papiraceo del vangelo di Giovanni, del IV secolo e con testo faijumico, appartenente alla rac­ colta Michigan, e che è ugualmente significativo per la storia del testo egiziano 1 2 • Le altre antiche versioni, soprattutto l'armena e la georgiana hanno per la tradizione del testo un 'importanza che è solo secondaria, anche se non del tutto trascurabile 13• d ) Sul significato dei Padri per la trasmissione e per la critica del testo, vedi sotto (punto 3 ). Il testo giovanneo di Origene si rivela no­ tevolmente vicino al codice Vaticano e Sinaitico, ma dimostra anche che in Egitto doveva esistere già una forma testuale simile a quella di 'Cesarea' 14• Questo però non è più una sorpresa dopo la scoperta di J>66 e P75• Uno studio sul testo di Giovanni in 25 lezionari ha rivelato una . notevole affinità con il 'tipo di Cesarea' 1 5• 2.

Il significato di p66

e P75 per la trasmissione e la storia del testo

I due codici papiracei dell'inizio del sec. 111, recentemente scoperti, dei quali P75 è forse ancora più antico di J>66 , per la loro età e per il te­ sto fornito, hanno una importanza che non va sottovalutata. Alla pub10. Papyrus Bodmer III : Bvangile de Jean et Genèse I-IV, 2, éd. et traduit par R. Kasser ( CSCO 177 e 178 ), LOwen 1 958. 1 1 . J;:. Massaux, Quelques variantes importantes de P. Bodmer III et leur accoin­ tance avec la gnose: NTSt 5 ( 19,8/ 59) 2 1o-2 1 2 . 1 2 . E.M. Husselman, The Gospel of ]ohn in Fayumic Coptic, Ann Arbor 1962; cfr. la recensione di K. H. Kuhn : JThSt N.S. 14 ( 1 963 ) 470 ss. 13. Cfr. A. Voobus, Early Versions of the New Testament, Stockholm 19.54, 133209; ]. Molitor: LThK 2n, 397 s. 14. Cfr. R.V.G. Tasker, The Text o/ the Fourth Gospel used by Origen in bis Commentary on ]ohn, in : JTSt 37 ( 1 936) 146-1,5; Id., Tbe Chester Beatty Pa­ pyrus and the Caesarean Text o/ ]ohn : HarvThR 30 ( 1 937) 1 57- 164. I,. H.M. Buck, Jr, Tbe ]ohanniite Lessons in the Greek Gospel Lectionary, Chi­ cago 1 9.58 ( «uno stadio intermedio tra il tipo di Cesarea e la recensione bizanti­ na », 76).

f 9· Tradizione e critica del testo

221

blicazione d i J>66 sono seguite diverse collazioni ed analisi 16, che han. no però condotto a differenti conclusioni sulla storia del testo. Il P75, pubblicato cinque anni dopo ( 1 96 1 ), ha ristabilito frattanto una nuo­ va situazione, che (detto semplicemente) è caratterizzata da una mag­ giore affinità di questo papiro con la forma testuale 'egiziana', rap­ presentata soprattutto da B 17• Questo impone prudenza di fronte ad alcune conclusioni tratte da J>66. Sull'edizione di J>66 va notato : in un primo tempo si pubblicò la parte principale del codice ( lo. 1 - 1 4 ) in caratteri greci e senza foto­ copia del manoscritto ( 1 95 6 ), e in seguito anche un volume supple­ mentare, nella stessa maniera, con il testo frammentario di I o. 1 4,292 1 ,9 ( 1 95 8 ) . Nel 1 96 2 seguì una seconda edizione di questo 'supple­ mento', riveduta ed arricchita, con la riproduzione fotografica di tutto il manoscritto. M .-É . Boismard e G. Roux verificarono sulle fotocopie la prima edizione e riscontrarono una lunga serie di correzioni, che sa­ rebbero da preferire al testo stampato 18• Ci si dovrà perciò sempre rifare alle fotocopie (e alla lista di correzioni del Boismard ), anche se a quella prima edizione, rapida e in complesso attendibile, va tributata giusta riconoscenza. Queste necessarie correzioni vanno anche tenute presenti per le prime collazioni del testo stampato. r·

Ciò che sorprese nella pubblicazione del p66 fu che esso presentava varianti 'occidentali' e 'cesareensi' in numero minore del J>45 di Chester Beatty, che è pur più recente di mezzo secolo 19• Se prima si pensava generalmente, anche a motivo di osservazioni su più piccoli frammenti di papiri, che si fosse verificato un mutamento graduale da una forma testuale più 'occidentale' al tipo testuale 'egiziano' (B S ), col p66 si dovette prendere atto che esso possedeva già da lun16. Lavori princi pali : K. Aland : ThLZ 82 ( 19.57) 1 6I-184; l. de la Potterie: Bijdragen I8 { I9.57) r r 9- r 28 {in olandese); A. F. ]. Klijn: NTSt 3 { I9.56/.5 7) 327· 3 34; M.-:E: . Boismard : RB 64 ( I 9.5.5 ) 363-397 ; H. Zimmermann : BZ, N.F. 2 ( I9.5&) 2 14-24 3 ; B.M. Metzger: JBL 78 { I 9.5 9) 1 3-20; J.N. Birdsall, The Bodmer Papyrus of the Gospel of ]ohn, London 1960 ( 18 pagine); K.W. Clark, The Text of the Gospel of ]ohn in Third-Century-Egypt: NT ' ( 1962) 17-24 ( su p66 e P'5); K. Aland : NTSt 10 ( 1963/64) 62-79. 17. Cfr. ora la collazione rigorosa di K. Aland : NTSt I I ( 1964/65 ) I4·2 r . 18. M.-2. Boismard, recensione del vol. Papyrus Bodmer 11, Supplément 2I962 : RB 70 ( I963 ) 12o-133 ; dr. anche J .W.B. Bams: Muséon 7' ( I962 ) 327-329. 19. A.F. Klijn: NTSt 3 ( 19,6/,7) 329 s.

222

Introduzione

go tempo in Egitto «gli stessi diritti del testo occidentale» 20• Da col­ lazioni più precise 21 si ottenne press 'a poco il quadro seguente : p66 concorda circa .5 0 volte con B e S contro altre testimonianze, circa 6o volte con B contro S e altri, oltre 90 volte con S contro B e altri, e invece solo .50 volte in tutto con D contro B e S. Basta questo super­ ficiale sguardo statistico per notare la forte affinità con il testo egizia­ no, soprattutto con B. In verità, il quadro cambia un poco, se con Boismard si stabilisce un confronto più minuzioso con Taziano, con le antiche versioni e con le citazioni dei Padri ; egli riesce a indicare 49 vari à nti - e tra queste alcune di non secondaria importanza -, che . erano sconosciute nei manoscritti greci e sono invece ora comuni a p66 e ai testimoni testuali citati 22• A conclusione di questa analisi si affermava generalmente che il copista del p66 aveva seguito un procedimento eclettico ; egli avreb­ be avuto a disposizione sia la forma testuale egiziana che quella 'oc­ cidentale', e avrebbe costruito a suo piadmento, scegliendo e combi­ nando, un suo testo proprio. Le successive correzioni del testo che si possono notare si sarebbero poi orientate in direzione del testo egiziano. Solo l'origine e la forma più precisa del testo 'occidentale' furono giudicate in modo disparato. H. Zimmermann ritiene «che esista un profondo rapporto tra il papiro e la tradizione latina» e che nell'Africa settentrionale una traduzione latina dei vangeli abbia co­ minciato ad esercitare un influsso non indifferente sul testo greco 23• Il Boismard vede le cose in un modo sostanzialmente diverso; secondo lui ci fu un doppio testo 'occidentale', uno di S D e uno di Taziano, che esercitò un influsso maggiore sulle antiche versioni; il p66 si sareb­ be servito in parte di B e in parte di S D, accogliendo però anche va­ rianti dell'altro gruppo 'occidentale' (vedi sopra) 24 • E. Massaux, do­ po un'attenta analisi dei tentativi di spiegazione finora intrapresi, illu­ mina un nuovo aspetto della discussione : non sarehbe meglio, invece di giudicare la storia dei quattro tipi di testo (cinque secondo il Boismard ) nel sec. ( II e) III con lo schema solito, legato ai manoscrit20. lbid. 334· 2 1 . Per le indicazioni seguenti, cfr. gli elenchi in H. Zimmermann : BZ 2 ( 1958 ) 226-243· 22. RB 64 ( 19,7) 391 ss. 23. O.c., 225. 24. RB 64 ( 1957) 389 ss.

S 9· Tradizione e critica del testo

223

ti posteriori, partire proprio da quei primi testimoni del testo, recen­

temente scoperti, e porre in discussione su questa base l'idea comples­ siva finora accettata ? 25 Ma prima di approfondire questo problema, che è stato sollevato anche da altri critici, ci dobbiamo ancora soffer­ mare sul P75• La paren tela del P75, da ta to dagli ed i tori tra il 1 7 5 e il 2 2 5 , con il codice B ( metà del sec. IV ) è già stata esaminata in una dissertazione americana, il cui risultato più rilevante è stato reso pubblico dall' au­ tore, C.L. Portf:r, in un articolo 26• Egli presenta un elenco di 20.5 va­ rianti dei codice papiraceo rispetto al Vaticano, ma osserva che il nu­ mero è ristretto in confronto alle varian ti da lui registrate rispetto al Sinaitico ( 702 varianti ), al freeriano ( W ) ( 506 varianti ) e al p66 66 è stata tratta da J.N. Birdsall, che, dopo una acuta critica al metodo usuale di giudicare p66 secondo tipi di te­ sto posteriori, esige piuttosto che si proceda ad un esame secondo cri­ teri grammaticali ed esegetici del primitivo testo fluttuante di p66 con l'apporto di esempi dimostrativi 30 • Anche B.M. Metzger osserva a pro­ posito dei due codici papiracei Bodmer XVI (Luca ) e xv ( Giovanni), riuniti sotto la sigla P75, che essi dimostrano come il testo proposto dal cod. Vaticano e dal Sinaitico sia stato non creato dagli amanuensi o editori di questi due grandi codici pergamenacei, ma solo trasmesso 31 • Con qu(:sto si n1ette in dubbio l'opinione, già da lungo impugnata, che i grandi manoscritti del sec. Iv-v con testo 'alessandrino' vadano ricondotti ad una recensione dell'inizio del sec. IV, per la quale Giro­ lamo fa il nome di un certo Esichio 32• Dopo altri 33, anche C.L. Por­ ter ha ora posto molto seriamente il problema, se il testo presentato dal codice Vaticano sia una revisione elaborata (recensione) o rappre­ senti invece una crescita naturale : in altre parole, se il precedente testo egiziano sia un 'testo misto', poi purificato · da una recensione, o un originale testo egiziano soggetto a continua evoluzione; la sua risposta è decisamente nel secondo senso 34• In modo analogo si espri30. O.c., ( p.22 1 , n. x6), soprattutto 1 1 ; egli parla poi di «Criteri intrinseci di stile e lingua» ( 17 ). 3 1 . O.c. , 203 (cfr. p. 223, n. 28 ). 32. Cfr. S. Jellicoe, The Hesychian Recension reconsidered: JBL 82 ( 1963 ) 409418. Egli cerca di fondare storicamente la testimonianza di Girolamo; questo tuttavia non cambia niente nelle conclusioni della critica storica del testo. Esichio potrebbe aver avuto una parte molto più modesta nella correzione del testo egiziano. 33· Cfr. ]. Schmid : Bibel und Kirche 1 2 ( 19,7 ) 70; A.F.]. Klijn, o.c., (p. 22 1 , n . x6) 328; H . Zimmermann, o.c., 22' ; � . Massaux, o.c., 201 . 34· O.c., 364; 366; 376; dr. anche J.N . BirdsaU, o.c., r o : «Dobbiamo tuttavia sottolineare che in realtà i testi papiracei non sono varietà contaminate di testi posteriori che già conosciamo o testi misti presentati come se fossero testi po­ steriori...•. .

S 9· Tradizione e critica del testo

me K.W. Clark 35, il quale illustra l'importanza di p66 e P75 con una serie di significative varianti. La notevole importanza dei due nuovi codici papiracei non è perciò unicamente legata all'età, ma anche alla loro posizione nella storia del testo, anche se naturalmente le loro va­ rianti non vanno accettate ad occhi chiusi. 4·

I lavori di M.-É. Boismard

Se il testo 'egiziano' ha potuto ottenere in questo modo un cre­ dito maggiore, M.-É . Boismard ne diminuisce tuttavia il valore, alme­ no per certe varianti, con nuove tesi sulla storia e la critica del te­ sto, che egli vuole verificare proprio sul vangelo di Giovanni. Egli ha esposto le sue idee in molti articoli nella Revue Biblique 36: si do­ vrebbe dare una maggiore importanza alle citazioni dei Padri, poiché esse rappresentano una antica tradizione del testo, che si spinge fin nel sec. II e 111 e contiene spesso lezioni migliori (più brevi ) del testo 'alessandrino', che le avrebbe invece eliminate 37• Questo testo pri­ mitivo sarebbe anche testimoniato ( spesso in concordanza con i Pa­ dri ) dal testo che abbiamo finora detto 'occidentale', nel quale si dovrebbe in realtà distinguere con più precisione una forma che è rappresentata soprattutto da S D, e un'altra che è contenuta nell'ope­ ra di Taziano e - influenzata da questa - nelle antiche versioni. Il Boismard analizza così non pochi passi del vangelo di Giovanni con un ricco materiale testuale e dà spesso la preferenza ad una lezione! che è solo, o quasi solo, fondata su testimoni testuali 'occidentali' e su citazioni patristiche ( vedi sotto, 2 ) . Le lezioni preferite sono da 3 5 · O.c., 18 s.; cfr. anche K. Aland : NTSt 9 ( 1962/63 ) 304 s. 36. A propos de ]ean, V, 39 : RB 55 ( 1948 ) 5-34; Clitique textuelle et cita­ tions patristiques: RB 57 ( 1950) 388-408 ; Lectio brevior, potior: RB 58 ( 1�5 1 ) r61-r68; Dans le sein du Père (]o. r,r8 ) : RB 5 9 ( 1952) 23-39 ; Problèmes de critique textuelle concernant le Quatrième Evangile : RB 6o ( 19 5 3 ) 347-371 . 37· Cfr. anche M.]. Suggs, The Use of Patristic Evidence in the Search /or a Primitive New Testament Text : NTSt 4 ( 1957/58 ) 1 39-147 ( con ampie indica­ zioni bibliografiche, un po' più riservato nel giudizio); in maniera più critica si esprimono A.F.J. Klijn, A Survey of the Researches into the Western Text of the Gospels and Acts: NT 3 ( 19,9) 161-1 73 , soprattutto 16' ; W. G. Kiimmel, Einleitung, 397· Buoni principi metodologici in B .M. Metzger , The Text of the N.T., 86-92 . ·

Introduzione

verificare caso per caso ; ma ci si domanda se il modo di in tendere la storia del testo, che vi sta alla base, sia sufficientemente motivata. La pubblicazione di J.:>66 con il suo testo di 1 5 0 anni circa più anti­ co di B, e pur molto vicino a questo rappresentante principale del testo egiziano, non sembrò molto favorevole a queste tesi; ma il . Boismard dimos trò in uno studio più vasto, che J>66 presenta anche non poche letture 'occidentali' in concomitanza con S ( soprattutto fino alla metà di I o. 8 ) e D, ed egli pensava di poter dimostrare che lo scrivente abbia avuto a sua disposizione sia la tradizione testuale 'egiziana' (B) sia quella 'occidentale' ( S D oppure Taziano e al. ), poten­ do così continuamente fare una scelta. Ciò che sopra abbiamo detto mette però in dubbio la legittimità di questo principio esplicativo. Sulla nuova situazione creata da P75, il Boismard non si è ancora pro­ nunciato ; restano comunque degne di grande interesse le sue ricerche ulteriori, che procedono sempre da singoli passi concreti.

2 . Sulla critica testuale nel vangelo _di Giovanni Per quanto importgnti siano i problemi fondamentali della storia del testo, la ·critica testuale è interessata ai singoli passi , che conten­ gono diverse lezioni, e su di essi deve lavorare. Gli odierni critici del testo sono d'accordo sul fatto che l'indagine critica non suppone nessuna teoria generale, e che non si può dare la preferenza a nessun gruppo di manoscritti, ma ogni passo va analizzato in se stesso ( anche se possono influire sulla decisione eventuali modi di intendere la storia del testo e principi di critica testuale ) 38 • Qui dobbiamo soltanto indi­ care quanto lavoro di critica testuale sia ancora necessario per il van­ gelo di Giovanni, quali siano le varianti importanti che richiedono una decisione ; rimandiamo al commentario per una discussione più precisa dei singoli passi. 38. Cfr., tra gli altri , H.J. Vogels, Handbuch der Té:xtkritik des Neuen Testa· ments, Bonn 2195.5 ; �. Massaux, Etat actuel de la critique te:xtuelle du Nou­ veau Testament: NRTh 75 ( 1 9.5 1 ) 703·726; K. Aland, Tbe Present Position o/ New Testament Te:xtual Criticism, in : Studia Evangelica, Berlin 1 9.59, 7 1 7-731 ; K . Th . Schafer, Der Ertrag der te:xtkritischen Arbeit seit der ]ahrhundertwende: BZ, N.F. 4 ( 196o ), 1-18; F.G. Kenyon, Der Te:xt der griechischen Bibel, Gottin­ gen 21961, edito da A.W. Adams; soprattutto B.M. Metzger, The Te:xt of the N. T., 175-1 79 e 181.

§ 9· Tradizione e critica del testo I.

227

Pericopi che la critica testuale ha dimostrato non originarie

Nel primo stadio del vangelo di Giovanni non rientrava la peri­ cope dell'adultera, che nelle attuali edizioni, in alcune solo nell'appa­ rato critico, sta tra 7 ,5 2 e 8 , 1 2 e comprende i versetti 7,5 3-8 , 1 1 . Do­ po la dettagliata trattazione di H .v.Soden sui testimoni del testo 39, abbiamo ora anche la monografia di U . Becker, che analizza profon­ damente la storia del testo e della tradizione 40• Si tenga presente quanto segue: i più antichi testimoni greci non contengono la peri­ cope : P66 P75 B S A C W T N Z, come molti altri manoscritti vicini al tipo di testo egiziano (e cesareense ) : L a 8 'l' 33 5 65 892 1 24 1 al. . La pericope si trova invece in D, nell'intero gruppo della koiné, an­ che se alcuni ricordano l'incertezza della tradizione. Alcuni manoscrit­ ti riportano la pericope in un altro posto, ad es. il - minuscolo 1 dopo lo. 2 1 ,24, e rappresentanti del gruppo Ferrar ( q> ) dopo Le. 2 1 ,3 8 41• Tra le versioni, essa è assente in sy ( eccetto che in forme più recenti delle traduzioni posteriori ) sa bo in P. ·Bodmer III (diversamente nei manoscritti più recenti della versione boairica) arm georg. La Vetus Latina è divisa : non la riportano i codici a f l q; si legge invece nei co­ dici h c d e rell . ; Gerolamo ne ha difeso l'assunzione nella Vulgata e anche Agostino si è espresso in questo senso. Sembra che i · Padri greci non abbiano in un primo tempo conosciuto la pericope come parte co­ stitutiva del vangelo di Giovanni . È interessante quanto risulta da Taziano : mentre la tradizione orientale del Diatessaron ( ad eccezione della tarda traduzione persiana ) non conosce la pericope, questa è pre­ sente invece nella tradizione occidentale. U. Becker è convinto che intorno al 400 la pericape fu accettata dal­ la chiesa greca come canonica, e che il suo ingresso nelle traduzioni 39· H. v. Soden, Die Schri/ten des Neuen Testaments in ihrer iiltesten erreich­ baren Textgestalt hergestellt auf Grund ihrer Textgeschichte I, 1 Gottingen 2191 1 , 486-.524 Cfr. inoltre l a critica d i H . Lietzmann : ZNW 8 ( 1907) 34-47 e (dopo la risposta di v. Soden, ibid. 1 10-124 ) di nuovo 234-237. 40. U. Becker, ]esus und die Ehebrecherin. Untersuchungen zur Text- und ()ber­ lieferungsgeschichte von ]oh. 7,5)-8,I r (BZNW 28, Berlin 1963 ) ; dr. anche B.M. Metzger, The Text of the N.T., 223 s. 41 . Probabile influsso del lezionario bizantino, perché esso riporta al 7 ottobre Le. 2 I ,I 2· I9, e all'8 ottobre la pericope dell 'adultera; cfr. E.C. Colwell e D.W. Riddle, Prolegomena to the Study of the Lectionary Text o/ the Gospels, Chi­ cago 1 93 3 , 19 ( indicazione del Prof. J. Schmid ).

Introduzione

228

latine dell'Occidente avvenne prima di Gerolr,mo 42• Sulla base di alcuni indizi nell'ambito della storia della tradizione, egli ritiene che essa derivi da circoli giudeo66 e P75 ; per una più precisa documentazione delle varianti rimandiamo alle edizioni critiche, e, per un 'ulteriore discussione, al commentario. Tratteremo a parte ( sotto il punto 3 ) alcune proposte di singoli studiosi, fondate su considerazioni di storia del testo. 1 ,3 ouòt Ev ] ovòtv p66 S * D pc. Sorprende che p66 (diversamente da P75 ) scriva qui ovÒÉv, nonostante eh� in altri passi preferisca la forma più forte oÙÒÈ E'V ( 3 ,2 7 ; ) , 1 9 .3 0 ; 8 ,28 ) . 1 ,3 s. L a divisione della frase è discussa: a yÉyOVEV s i collega ancora a oÙÒÈ [v, o ha inizio con esso una nuova frase ? La scarsa punteggia. tura dei manoscritti più antichi rende difficile la soluzione, anche se sarebbe importante per l'esegesi . In J>66 non c'è alcuna punteg­ giatura ; la mancanza di Èv nel v. 4 suggerisce la connessione di a yÉyovEv con CLV't� �wl) 1iv 46• In P75 la cesura è chiaramente dopo où­ ÒÈ [v. Si tratta di un dato originario o è sintomo di una prima tendenza antignostica ? 1 ,4 T}v ] ÈO"'tt.V S D it syc; Tischendorf. 1 , 1 3 La lezione al singolare ( qui) non . . . natus est h Ir1at Tert ha con­ seguenze cristologiche (vedi p. 2 3 5 al punto 3 ). P75 legge ÈyEvi]DT}­ aav . I , 1 8 IJ.O'VOYEVTJ� DE6� pll6 H syP Ir Or ed altri Padri ] o IJ.OVOYEVYJ� DE6� P75 S3 33 Cl : ò IJ.OVO"'(E'VT)� \JL6� R 9 pl latt syc. I l problema fino ad 4, . � utile l'edizione di J.M. Bover, Novi Testamenti Biblia graeca et latina, Madrid 31953, che correda di un ricco apparato quelle varianti che in altre edi­ zioni sono state in parte inserite nel testo. Ma ci sono anche varianti non indif­ ferenti, che tutti gli editori relegano nell'apparato critico e che perciò in Bover non appaiono -affatto. Inoltre, questa edizione non ha ancora potuto tener conto di p66 e p1s. 46. Cfr. I. de la Potterie, Ben nieuwe papyrus van het vierde Evangelie, Pap Bodmer n, in : Bijdragen 18 ( 1 955 ) 1 19-1 28, soprattutto 122; dr. anche Id., De punctuatie en de exegese van ]oh. I,J-4 in de traditie: ibid. 16 ( 19'' ) 1 17-1 3' ' e in VD 33 ( 19'' ) 1 93-208. Nel commentario, ulteriore trattazione e bibliografia .

230

Introduzione

·oggi discusso, se si debba leggere i}E6c; o ut6c;, ha importanza cristo­ logica ; la prima lezione viene rafforzata da P66 75• I ,34 o ut6c;] o ÈXÀEX'toc; P5 S* pc e sysc : electus filius a (h fP). La le­ zione più singolare o ÈxÀEX'toc;, nonostante le poche testimonianze, è degna di considerazione ed è eventualmente importante per la voce che risonò al battesimo. I ,41 1tp W't O'V ] 1tpW'toc; S * R al : mane ( 7tpwt) b e sy5• La lezione 7tpW­ 'tO'V viene confermata anche da p66 75• 3 , I 3 Aggiunte a o u tòc; 't. civD p w7tO U + o W'V È'V 't (i) oùpa'V� !P e pl la t sy P: o W'V EX 't . oupCL'VOU Bo 88 sy5• I due nuovi papiri non hanno queste aggiunte. . 3 , 1 5 È'V au't� ] Etc; au'to'V S R 8 pm : È7t'au't(ll p66 L : l1t'aù't6'V A. P75 sostiene ora È'V au't� (contro p66 ). 3 ,I 8 o �i) ] o oÈ 1-1il J>66 75 C R W pl . J ,3 Ic È1tcl'VW 7ta'V'tW'V Èa'd.'V 2 ° om. P75 s�'r D À it syc. 3 ,34 'tÒ 7t'VEUI-lt.l] - B* sy5: + p66 75 pl. 4 ,6 È7tt 'tTI 7t'r}yf) ] È7tt 'tTI yfi P�* ( lezione peraltro singolare, modifi· cata da un correttore ). 4,25 otoa] otoal-lE'V J>66c ·75 G L cp 33 al syhmg. 4,35 E't'L om. P75 D L q> pm syc. È importante per decidere se si tratti di una indicazione temporale attuale o di un proverbio. 4,35 s. i')o1") ] Il segno d'interpunzione va posto prima o dopo ? P75 mette il punto dopo, come molti manoscritti meno antichi ed Ori­ gene, includendo cosi i')o1") nella frase precedente. 4,37 In P75 manca tutto il versetto; ma si dovrebbe qui trattare di una dimenticanza dell'amanuense (i vv. 36 e 37 terminano ambedue con o DEp!�wv). 4,54 Anche p66 75 attestano il oÉ, che il testo del Nestle pone tra paren­ tesi quadre. 5, I top't'i)] i) top't'i) S C � À. pm . La lezione senza articolo viene con­ fermata dai nuovi papiri; questo è importante per la determina­ zione della festa. 5 ,2 La tradizione del testo circa il luogo della guarigione con i suoi cinque portici è molto complicata. Il testo scelto da Nestle-Aland oltre che dal nome ebraico viene ora confermato anche da p66 75• I due papiri indicano il nome, in concordanza con B W ('l') 0 1 2 5 sa bo c vg shh Tert nella forma 'Bethsaida'; si tratta però certamente di una ·

§ 9· Tradizione e critica del testo

lezione secondaria, in riferimento alla nota località. Contro Ne­ stle-Aland (Bethzatha) sarebbe da preferire 'Bethesda'. Nessuna difficoltà dovrebbe per sé costituire la ricostruzione del testo pro­ posta da J. Jeremias 47 : 66 75 H R 9 pm f g q. Nonostante l'appoggio dei te­ stimoni egiziani, ov1tw dovrebbe essere rifiutato come lectio faci­ lior; gli editori sono divisi. 7 ,3 8 L'appartenenza di ò 1tLCT"tEUWV E� EJ.LÉ alla frase precedente o a quella seguente è molto discussa. Per quanto. si può vedere nel materiale dei manoscritti a disposizione, sono a favore della prima possibilità c d e Cypr; per la seconda p66 Orig. La critica del testo non è in grado di dirimere la questione. 7,39 1tVEv�a J?66c ·75 S R 8 'l' pc] + OEoo�Évov lat sy Eus: + iiyt.ov J>66 * L R W pm : + iiyLov OEOOIJ.ÉVov B e q 49• •.•

-

]. J�remias, Die Wiederentdeckung von Bethesda, Gottingen 1 949, ,.s . 48. Per la critica del testo, dr. M.-1!. Boismard : RB 55 ( 1948 ) 5-34 con abbon· dantissima raccolta e critica dei testimoni del testo; per il sottofondo aramaico. cfr. B. Black, An Aramaic Approach, 54 s.; vedi sopra § 6 (pp. 1 17 s . ). 49 · Un'indicazione precisa della testimonianza del t�sto in Mctzgcr, Tht Tt�tl o/ 47·

232

Introdu:r.iont

7 ,,2 1tpoqni-tn�] 6 1tpoqni-tn ; J>€'6; il vuoto in P75 sembra deporre a

favore dell'articolo. Se l'originale è 'il profeta', si vuole certa­ mente intendere una determinata figura messianica (cfr. 1 ,2 1 .2.5 ; favore d eli ' articolo . Se l'originale è 'il profeta', si vuole certa6 , 1 4 ; 7,40 ). Il P. Bodmer 111 legge : «il Cristo o il profeta». 8,25 'tl)v apxl)v o -tt. ] Le versioni mostrano qui che i copisti non hanno compreso il testo greco e hanno tentato di dare una loro interpretazione teologica : o-tr. = quia h d vgcodd : qui vgcJ : «Poi­ ché ho incominciato (a parlarvi, ho ancora molte cose da dire e da giudicare davanti a voi )» P . Bodmer 111. 8 ,5 7 Èwpaxaç ] lwpaxtv a-E (P75) S* 0 1 24 sy' sa P. Bodmer 111. Nono­ stante l'età ( P75 : EopaxEv CTE ), questa variante ha certamente il va­ lore secondario di riflessione (cf. v. 5 6 ). 9,4 1}1-J.a�] ÈIJ.É C R 8 pl lat sy. Con altri testimoni egiziani, J?66 e P75 presentano il plurale e lo riportano ovviamente anche dopo 1tiiJ.�av­ "t'oç (similmente S* L W bo 85o). Il problema è importante anche per il plurale in 3 , I I . 9,2 7 oùx om. J>66 2 2 lat. sy5• La negazione s i trova però nuovamente in p75. 9,3.5 -r . vlòv -t . àvDpw1tov ] -tòv vlòv -tov DEov R 8 pl latt. Il titolo '6glio dell'uomo' viene sostituito da 'figlio di Dio' nelle versioni latine (cfr. ,5 ,28 ), ma mantenuto nel testo egiziano (anche in J?66 75). 9 ,38-39 6 oÈ . . . 6 'Incrov� om. P75 S* W b (1). 1 0,7 i) �vpa] 6 1tOt.1J.'liv P75 sa. La lettura sahidica che finora appariva singolare viene ora confermata da quest'antico papiro; essa è signi­ ficativa dal punto di vista esegetico, ma è dubbio che sia originale. 10,8 1tpÒ EIJ.OV p66 H D 8 cp pm ] om. J>45 75 S* al lat sy. 10,29 a OÉOWXÉV IJ.Ot. 1tciV'tWV IJ.EL�OV ] : a questa lezione accolta da Ne­ stle-Aland fa riscontro una serie di altre lezioni; il testo, evidente­ mente in disordine assai presto, fu corretto in diversi modi. La te­ stimonianza di p66 75 rafforza adesso il testo con o�; conseguente­ mente non si sa se si debba leggere J.l.EL�wv o 1-J.Ei:�ov. J>66 legge JJ.t.­ �wv (come R sy ); P75 ha un vuoto, in cui sembra potersi adattare solo JJ.Et. [ �o ]v( ? ). L'intero problema va ulteriormente approfon­ dito 50• the N.T. , 2 2 , . Barrett ad l., che si pronuncia in favore di 8� . . IJ.E�ov ; diversamente.

, o . Cfr.

.

i 9· Tradizione e critica del lesto

1 2 ,7 tva EÌ� -tT} p'i)un ] EÌ� "tE"tTJP1)XEV � pm, -lectio evidentemen­ te facilior; i nuovi papiri leggono come gli altri testimoni egiziani. 1 2 ,3 1 Èx�À'T)it'i)O'E"ttlt. E�w ] �À.1)iti)O'E"tal. xci"tw 9 1 0 9 3 it sy5 Chrys; anche questa lezione non trova nuove conferme, p66 ha �À.T}it'i)crE"tt.tt. l�w come D, P75 come sopra. 1 2 ,32 1tav"ta�] 1tav"ta J?66 S* (D) latt. 1 2 ,4 1 O'tt. p66 75 H 8 al e ] o'tE 5t D pm lat sy. 1 2 ,47 IJ.1i om. � D 9 1 24 1 . Dietro questa omissione (in pc6 è una correzione ! ) potrebbero stare considerazioni teologiche. 1 3 , 1 0 EL IJ.'Ìl "tOÙ� 1t6oa�] tra le diverse lezioni del versetto interessa . soprattu tto se questa espressione è originale o meno ; è difficile risolvere questo problema su un piano di critica testuale. p66 ha il testo più lungo ( + IJ.OVO V ); in P75 c'è purtroppo una lacuna ( a pro­ posito di questo testo, cfr. però anche sotto, al punto 3 ). 1 3 ,32 EL ò DEò� Èooçacrit'l'} Èv a.Ò"t� om. p66 H D al it sy5• Qui (cme pure altrove) il testo egiziano, e in parte anche il testo 'occiden� tale', è caduto molto presto vittima di un omoteleuto. 14 ,2 O'tL om. P66* R 9 al it, forse con l'indicazione che il testo non è in ordine ( cfr. il commentario, ad l. ). 14 ,7 Et ÈyvwxEt."tÉ IJ.E B C* 565 al ] EÌ [yvwxa't'E EIJ.É (lJ.E) (p66 S D* pc it, e llv iloEL"tE B C* ( L ) al 33 5 65 al ] yvwcrEcrDE p66 S W D* pc. La seconda lezione ( con Tischendorf, Lagrange, Bover) va forse preferita , perché in questo caso yvwcrEcrltE corrisponde meglio a (xat) ci1t' ap"tl. j'LVWO'XE"tE. 14,1 7 Ecr"ta.L] Év-r:i.v B W D* al it sycP. 1 6, 1 3 Et� 'tlÌV ciÀ.T}DELav 1tacrav ] iv -tii cil'l'}DE'q. 1tacrn S L W 9 D 3 3 565 it arm . 1 8 ,1 3-24 Il testo siro sinaitico ha qui un'altra sequenza di versetti : . I J .24.14. 1 .5 . 1 9 -2 J . 1 6- 1 8 ; un'altra ancora è quella del minuscolo 225 : I J a . 2 4 . 1 3h . I 4-2 3 . Questi spostamenti si fondano certamente su difficoltà e riflessioni affini a quelle degli esegeti d'oggigiorno. r 8 , 1 .5 aÀÀo� p66 B S* pc ] ò liÀÀo� C 5P 8 pl , una variante impor•••

•••

J.N. Birdsall, ]ohn X. 29 : JThSt N.S. I I ( 1960) 342-344 , che difende con interes­ santi argomenti 8 . .. J..l.d�wv ( « il Padre è, in rapporto a tutto ciò che egli mi ha dato, più grande di tutti )) ). Tra JJ.E��ov e (.J.EL�wv (per un errore di ascolto) poté benissimo avvenire una confusione, come è dimostrato anche da molte altre varian ti.

234

Introduzione

tante per l'identificazione di quel misterioso 'altro discepolo'; l'ar­ ticolo presuppone probabilmente l'identificazione con il 'discepolo che Gesù amava' (cfr. 20,2 ). 20,3 1 1tl.CT'tEV11'tE B S* 9] 1tl.CT"t'EVCTT)'tE rell. Dal congiuntivo aoristo non si possono trarre conclusioni esegetiche ( intento missionario ); nei manoscritti lo scambio tra congiuntivo presente ed aoristo è fre­ quente anche in altri passi. 3·

Alcune proposte più recenti per la correzione del testo

Poiché non soltanto l'esegesi presuppone un lavoro di crtttca te­ stuale, ma anche la critica testuale non può fare a meno di considera­ zioni esegetiche (critica interna ), e poiché spesso occorre ricercare quali fattori e tendenze nella storia del testo abbiano dato origine a modificazioni 5 1 , e quale sia stata la probabile genesi del testo, il la­ voro della critica testuale passa spesso da una raccolta e da una cer­ nita del materiale, da collazioni e da teorie sulla storia del testo, a problemi di ordine teologico e di storia della teologia e ridiventa perciò, sotto un altro aspetto, importante per l'esegesi . Anche per il vangelo di Giovanni, di cui nel sec. n così presto si appropriarono gli Gnostici e che ebbe nella chiesa, per un altro verso, un influsso non indifferente sullo sviluppo della dottrina dogmatica, si presentano qui diversi problemi. Ipotesi di critica testuale e nuove proposte relative a singoli passi sono perciò di grande interesse anche per una esegesi teologica. A questo proposito, riportiamo alcuni esempi tratti dalla critica più recente, che sono evidentemente solo una selezione e pos­ sono soltanto accennare ai problemi. La critica basata sulle congetture non viene qui presa in considerazione. 1 ,3 s. Questo passo, che abbiamo già menzionato sopra, suscita inte­ resse perché la divisione (dopo OUOÈ iv O OUOÉV oppure dopo 8 yÉ­ YOVE'V ) potrebbe dipendere da particolari motivi dottrinali (dogma­ tici od apologetici ). Inoltre, esso non è di poco conto per il proble­ ma deli' 'inno del Logos' (cfr. commento). 'I.

Cfr. E. Fascher, Textgeschichte als hermeneutisches Problem, Halle 1 95 3 ; L.E. Wright, Alterations to the words of ]esus as quoted in the literature of the second century, Cambridge, Mass. 195 2 .

§



235

Tradizione e critica del testo

s. A. v. Harnack partl dalle espressioni ridondanti dei due ver� setti e da altre sorprendenti lezioni del v. 1 3 ( lezione al singolare, assenza del pronome relativo), per concludere che la parte della frase oùx • ÈyE'V ['V] i)t}11 fu originariamente una glossa marginale al v. 1 4 , introdotta solo successivamente nel testo 52• M .-É . Bois­ mard prende un'altra strada : da un confronto di quelle lezioni con citazioni dei Padri egli trae l'ipotesi di un testo originario più breve, che in un primo tempo si sarebbe diffuso in una forma semitizzante (con alJ,J.a e o-cip; ) e successivamente sarebbe stato ellenizzato («dal desiderio dell'uomo» ). Egli opera perciò una selezione tra le diverse lezioni e ricompone un testo che, cosi completo, non si trova in nes­ suna fonte . Poiché è anche convinto che la lettura al singolare sia quella originaria, il testo ricostruito si presenta come segue : ouot. È1tLO"-tEvua'V Etç. cx.ù'to'V, EowxE'V a.u"toi:ç. i;ovuLa.'V 'tÉX'Va. t}Eou xÀT}t}i)­ va.t.. oç. ovx È� CX.LIJ.(X,"tOç. OUOÈ Èx acx.pxoç., à.À.À1 EX itEOU Èj'E'V'Vi)it1} 53• È però discutibile la legittimità di un procedimento del genere, so­ prattutto perché non è certo che i Padri abbiano sempre citato ret­ tamente e interamente il testo scritturistico 54 • Ci si deve poi ancora domandare se sia più probabile un passaggio dalla lezione al singo­ lare a quella al plurale, o viceversa 55• 1 , 1 8 Anche qui il Boismard vuole ottenere, con una selezione delle lezioni e con citazioni patristiche, un nuovo testo, che, anche con l'aiuto di un'altra punteggiatura e di un'altra interpretazione di iç1}yi)cra."to, dà un significato nuovo : itEÒ'V oùoEi.c; Ewpa.xE'V 1tW1tO'tE , EL l-L'lÌ o IJ.OVoyE'Vi)c;· El.c; "tÒ'V x6À1tO'V 'tOV 1ta.'tp6c;, ÈxEivoc; È�11Y1iO"cx."to, cioè «nessuno ha mai veduto Dio all'infuori dell'unigenito (fils Unique ); egli solo ha condotto nel seno del Paqre» 56• Questa rico1 ,12

.•

,2. A. v. Harnack Studien zur Geschichte des Neuen Testaments und der alten Kirche, I Zur neutestamentlichen Textkritik, Berlin Leipzig I 9J I , I I,5�127. 'jJ. Boismard : RB 57 ( 1950) 401-408 (ricostruzione 407); per la discussione sulla lezione al singolare, dr. il commentario. '4· Cfr. P. Lamarche: RechScR 52 ( 1964) 498-'jo6. ,, . Questo problema è stato studiato da A. Houssiau, Le milieu théologique ·de la leçon E'YE'V'V1]DT} (lo. I,IJ), in : Sacra Pagina 11, Gembloux I9'j9, I 70-188. Egli giunge alla conclusione che la lezione al singolare deriva da un ambiente anti­ ebionitico; non si potrebbe sostenere una tendenza gnostica per il passaggio dal singolare al plurale. 'j6. Boismard : RB 59 ( 19,2) 23-39 (ricostruzione 31). ,

-

l ntroduzione

struzione appare estremamente audace. 1 ,4 1 Nella sua opera Du Bapteme à Cana ( 1 9.5 6 ) il Boismard stu­ diò le diverse lezioni e indicò allora in 1tpwt la lezione originaria 57• In un recente studio di critica letteraria egli vorrebbe escludere lo. 1 ,43 come aggiunta redazionale e identificare in Filippo il se­ condo discepolo non nominato ( cfr . 1 ,3 7 .40 ) , finendo cosl per ri­ tenere 7tpW"tO'V o 7tpw"toc; come lezione originaria 58• Si può vedere, come conclusioni di critica testuale possano essere influenzate an­ che da considerazioni di altro genere. 2 ,4 Non pochi studiosi, come già alcuni Padri, vorrebbero ora ricollo­ care un punto interrogativo dopo i} wpa J.lOU 59• Ne derivano ampie conseguenze per l'esegesi (cfr. comm . ). Si deve esaminare caso per caso se queste conclusioni di critica testuale, che modificano il testo e sono in sé facilmente possibili, rappresentino soltanto un artifizio od eliminino veramente la difficoltà. 4,.5 1 o 1tai:c; ] o ut6c; J?66C D L N U Y .3 3 al . Secondo un'indicazione di G .D. Kilpatrick 60, ò ut6c; dovrebbe essere considerato come lezione originaria, anche per il fatto che o 1tai:c; ricorre una volta sola nel v:1ngelo di Giovanni ; o 1tai:c; sarebbe un'assimilazione a Mt. 8, 6 . 8 . 1 3 ; Le. 8 ,7 . Questo problema è interessante, perché la pericope di Giovanni sarebbe allora stata collegata molto presto ( P75! ) con il racconto sinottico riguardante il centurione di Cafarnao. , ,3 9 La diversa tradizione del testo in P. Egerton 2, nella Vetus La­ tina ecc. e nelle citazioni patristiche ha avuto conseguenze per la storia della tradizione delle parole del Signore : avremo qui una for­ mulazione del logion indipendente da Giovanni e risalente forse ad una stesura aramaica 61 • Ma questa conclusione è poco convincen-,7. MA�. Boismard, Du bapteme à Cana, Paris 1 9.56, 82 ss. ,s. Id., Les traditions ;ohanniques concernant le Baptiste: RB 70 ( 1963 ) .5-42, qui ·39-42 (soprattutto 41 ). '9· Cfr. soprattutto }. Michl, Bemerkungen zu ]o. 24: Bib 36 ( 19.5.5) 492-,09 (anche sull 'esegesi patristica); la stessa opinione è condivisa, tra gli altri, da H. Seemann: Benedikt . Monatschr. 28 ( 1 9,2) 23 1 ; A. Kurfess : ZNW 44 ( 1 9,2/, 3 ) 2'7 ; M.-�. Boismard : RB 6 1 ( 19,4) 29' e D u bapteme à Cana, 1 '6 s. 6o. G.D. Kilpatrick, ]ohn IV, 51 1tcxLia ) e dalla proclamazione dell'incar­ nazione (come interpretazione antignostica ). La preferenza della teo­ logia della 'parola' ·rispetto a quella della 'sapienza' potrebbe dipen­ dere anche dalla concezione della rivelazione ; la scelta di crcip� per esprimere l'idea di farsi uomo, non deve in un primo momento sor­ prendere, se si tiene conto di I Tim. 3 , 1 6a ; cfr. Rom. 1 ,3 ; Hebr. 5,7 ; 1 0,20; I Petr. 3 , 1 8 ; tuttavia, nell'inno al Logos ha u n suo accento par­ ticolare : in essa, infatti, non sono messi in contrapposizione due modi di essere, quello terreno e quello successivo, 'pneumatico', come nel­ l'antica cristologia imperniata sull'antitesi crcip�-1t'VEVI-ltX, ma l'accento è posto con enfasi sull'ingresso del Logos nella sfera terreno-materiale, analogamente alle formule di confessione antignostiche di 1 lo. 4,2 (cfr. 5 ,6b ; 2 lo. 7) o alle affermazioni antidocetiche delle lettere di 18 alla penna dell'evangelista (p. 97 ); ma riferisce i vv. ,. , 3 alla 'epifania storica del Rivelatore' ( quindi del Logos incarnato) e sostiene che non sono mai stati ri­ feriti ad altro ( p. 86 ). 27. Cfr. R. Schnackenburg, Das vierte Evangelium und die ]ohannesiunger: Hist. Tahrbuch 77 ( 19,8 ) 21-38.

Introduzione al prologo

Ignazio ( Sm. 3 , I ; .5 ,2 ; 7 , I ecc. ). Si può pensare che, oltre all'evange­ lista ed all'autore di I Io., già anche quella comunità cristiana dalld quale provenne l'inno al Logos abbia dovuto affrontare l'errore gno­ stico ; ma al riguardo non si può dire nulla di preciso. Però lo sfondo teologico dell'inno è decisamente definito dalla spe­ culazione giudeo-ellenistica sulla sapienza, peraltro non nel senso che il poeta si adegui direttamente al modello e alla struttura dell'Ecclesia­ stico 28 , pur restando sempre sotto l 'influenza di quei testi. Ciò appare chiaro anche solo dando uno sguardo all'elenco dei paralleli di S. Schulz 29, e sarà messo opportunamente in luce nel commentario. Con ciò si conferma anche l'ipotesi d'un inno cultuale genuinamente cri­ stiano, giacché anche negli altri inni cristologici primitivi (particolar­ mente Col. I , 1 ,5-2 0 ; Hebr. I ,2 s. ) è rilevabile la stessa influenza. Ma anche della rivelazione sul Sinai e della tenda-santuario, di cui dob­ biamo tener conto per quanto è detto "in Io. I , I 4 (cfr. I 7 ), si è occu­ pata in vari modi la teologia protoecclesiastica, considerandole quale sfondo alla rivelazione escatologica in Gesù Cristo (cfr. 2 Cor. 3 ) ed alla nuova alleanza (çfr. Hebr. 8,.5 ; 9, I 9 ss. ), oltre che all' 'abitare' di Dio fra il suo popolo (cfr. Apoc. 21 ,3 ); per cui concetti del genere, usati cristologicamente, possono anche risuonare in un inno cultuale. Accogliendo un inno cantato dalla comunità il quarto evangelista si dimostra obbligato alla tradizione protocristiana, per compiere poi, nel suo vangelo un progresso. e un approfondimento della conoscenza cristologica.

28 . Questa è l'opinione di C. Spicq, Le Siracide et la structure littéraire du Pro­ logue de S. ]ean, in : Mémorial Lagrange, Paris 1940, I 8J-I9-'· 29. Komposition und Herkunft, 32-34.

IL PROLOGO

( I ,I-1 8 )

1

'Ev à:pxfi Tjv o À.6yo�, xa.t o À.oyo� Tiv 1tpò� 'tÒv DE6v, xa.t DEò� Tiv o À.oyo�. 2 OV'tO� Tjv E'V à:pxfi 7tpÒ� 'tÒ'V DE6v. l 1ta'V'ta. 01.1 (lV"tOU ÉyÉ'VE"tO, xa.ì. xwpì.� (lV'tOV ÉyÉ'VE'tO OVOÈ E'V o yÉyovE'V . 4 E'V ClV't� �w1) ijv, xtd, i) �wl) Tjv "tò cpWW"tO�. 9 "'Hv 'tÒ cpW> 2; ma il Logos non è stato creato, esso 'era', vale a dire che già allora esisteva, assoluto, fuori del tempo in eterno. È una preesis tenza reale, personale (cfr. I I o. I , I ; 2 , I 3 a ) : un concetto, questo, che si trova espresso con tanta chiarezza soltanto nella pro­ fessione di fede in Cristo della comunità cristiana (cfr. excursus 2 ) , na­ turalmente non solo nel prologo giovanneo, ma già in altri inni e for­ mule cristologiche ( Phil. 2,6 ; Col. I , I ) ; Hebr. 1 ,3 ). Lo Tjv, detto da coloro che credono in Cristo, esprime la medesima cosa che Cristo di­ ce di sè in 8 ,5 8 con un presente fuori del tempo : «Prima che Abramo fosse, io sono » 3• «'In principio' significa nient'altro che l'essere eter­ no e senza fine» 4: Il prologo ( o l'inno al Logos ) si volge fin dall'ini-

1 . Philo, op. mund. 26, spiega il rapporto tra la creazione ed il tempo: 66 , dove non si ha il punto, ma di prima mano era stato omesso f.v da­ vanti ad av'ti;l, cfr. H.M. Teeple e F.A . Walker : JBL 78 ( 1959) 148 s.; l. de l a Potterie : Bijdr. 18 ( 1 957) 122 (l 'aplografia - l' f.v è caduto forse a motivo di yÉyo­ VEV che lo precedeva - proverebbe che non si faceva una pausa dopo yÉyovEv ). p1s mette un punto dopo ovoÈ [v. 32. Adamantius 4 , 1 5 (GCS, p. 1 72 ), scoperto da }. Mehlmann : ExpT 6 7 ( 1956) 340 s. Invece bisogna escludere Alex. Al . ( in Theodoret., hist. eccl. 1,4 [GCS 219, 1 2 ] ), perché in lui non si trova la lezione originaria. 33· Chrys., hom. 5,2 (PG 59,5 5 ) ; Theod. Mops ., a 1 ,3 (fr.gr. 4; Devreesse 3 1 2 s.). 34· In questo senso si esprime anche E. Haenchen : ZThK 6o ( 1963 ) 3 1 9 s. 3.5· Cfr. P. Gachter, Strophen im ]oh-Ev. : ZKTh 6o ( 1 936 ) 99 ss., in particolare 1 02 . 36. Cfr. ad esempio Ambr., de fide 3,6 ( PL 16,598 ) ; expl. Ps. 36 ,3 5-3 7 (CSEL 64,98ss. ). Queste difficoltà potrebbero avere indotto anche ad una correzione

lo.

I,J

'vita'; ma di che �wl) si tratta ? Dato che la frase successiva riprende questa �wl) con l'articolo anaforico (cfr. Blass-Debr. § 25 2 ) e la de­ signa come luce per gli uomini, si può trattare soltanto della vita divino-spirituale, che empie di sé il Logos e attraverso di lui è comu­ nicata agli uomini : gli scritti giovannei parlano spesso di questa eter­ na, divina �w1)37• Ora, se si unisce 8 yÉyovE'V al v. 4, il Logos divie­ ne principio di vita per «ciò che era statò creato», cioè chiara­ mente per tutte le sfere della creazione 38; ma allora bisognerebbe ac­ cettare un concetto. di vita piuttosto fluttuante. In questo caso poco importa se la virgola è messa prima o dopo Èv a.u't� 39• «Ciò che in lui avvenne» potrebbe anche voler dire soltanto : >; «ma in mano all'angelo delle tenebre è il dominio su tutti i figli dell'iniquità, ed essi camminano sulla via delle tenebre» ( I QS J, 20 s. ). Però, qui non abbiamo, come nello gnosticismo, la contrappo­ sizione di due principi originari, perché Dio sta al di sopra degli spi­ riti buoni e cattivi : «Egli ha creato gli spiriti della luce e delle tenebre, e su di essi ha fondato ogni opera » ( I Q S 3 ,2 5 ) . Il confli t­ to degli spiriti, e degli uomini che essi guidano, avviene sul terreno morale ( 1 QS 4,2-I 4). In quanto gli eletti peccano, anche i loro mi­ sfatti appartengono alle tenebre (cfr. I QS I I ,9 s . ) ; ma da Dio viene loro aiuto e luce. Inoltre, si trovano affermazioni che riéordano l'atti­ vità illuminatrice del Logos. «Dalla sorgente della sua conoscenza ha aperto la sua luce, e così i miei occhi hanno visto i suoi prodigi e la luce del mio cuore (penetra ) nel mistero di ciò che si è compiuto e dell'essere eterno » ( 1 QS I I ,3 s. ). «Dai suoi meravigliosi segreti pro­ viene la luce nel mio cuore. Il mio occhio ha visto quello che è eterno, visione profonda che è nascosta agli uomini. .. » (ibid. 5 s . ) . « lo ti lodo, o Signore, perché tu hai illuminato il mio volto per la tu'l alleanza » (I QH 4,5 ). 66 · 75 B C* D L 33 sa bo al. 177. Cfr. invece O. Sal. ],I I : «Perché egli è imperituro, pienezza dei mondi (eoni) e loro padre». Si veda inoltre : ].B. Lightfoot, St. Paul's Epistle to the Colossillns and to Philemon, London 141904, 2''-271 ; J. Dupont, Gnosis, Leuven 1949, 4'3-476; G. Delling : ThWb VI, 279-304 (con bibliografia) (su lo. 1 ,1 6 giustamente: n é gnostico né cosmologico, p . 301 , nota 37); H . Schlier, Der Brie/ an die Epheser, Diis seldorf 1 9,7, 96-99 ( = La lettera agli E/esini, Paideia, Brescia 21973, 144-149). 178. L'oggetto più vicino di H �fJOJJ.EV è 'tOU 1tÀ.. (Blass-Debr. S 169,2 ), e il xa.t: ha perciò valore esplicativo (Blass-Debr. S 442,9). ..

Jo. I,I]

34 9

i momenti della grazia che si susseguono senza interrompersi mai 179

Forse con questa preposizione si vuole accennare anche alla corrispon­ denza tra il possesso di grazia del Logos e coloro che lo accolgono: ciò che essi possiedono lo ricevono da lui, e corrisponde a ciò che egli ha in sé nella massima pienezza 180• Invece la frase non intende affermare la maggiore abbondanza di grazia della nuova alleanza in confronto all'antica 181 • «Noi tutti abbiamo ricevuto » : questa affer­ mazione esce giubilante dalla bocca di tutti coloro che hanno accolto Cristo nella fede ( cfr. v. 1 2 ), anche di quanti sono venuti dopo e non l'hanno più potuto vedere nella carne durante la sua vita sulla terra. L'originario inno al Logos potrebbe essersi concluso con questo rin­ graziamento. ...

Una lode analoga si trova nella preghiera finale del cosiddetto A6yoc; "'tÉÀ.Et.oc; ( nel lat. Asclepius e, rispettivamente, in greco nel Papi­ ro Mimaut ) 1 82 , che deriva dalla mistica ermetica. Risulta però chiara anche la differenza tra la fede cristiana e la via alla redenzione degli Gnostici. Questi cosl ringraziano il loro Dio : «soltanto con la tua grazia abbiamo ricevuto la luce della conoscenza . . . Tu ci hai donato mente (vouc; ), ragione (À.oyoc;) e conoscenza ( yvwat.c; ) : mente, affin­ ché ti comprendiamo; ragione, affinché ti rintracciamo ; conoscenza, affinché, conoscendoti, ci rallegriamo ». I cristiani, invece , non ringra­ ziano per una conoscenza che in fondo consiste in una conoscenza dell'essere divino con il quale hanno affinità, in un'immanente espe­ rienza di Dio nella loro propria natura, ma per aver ricevuto sovrab­ bondanti doni di salvezza, elargiti loro dal Logos inc�trnato o dal loro 1 79. Si rimanda in particolare a Philo, poster. C. 145 , dove si dice che Dio irr luogo di grazie precedenti ne dona sempre di nuove; cfr. anche leg. all. 3 ,82. 1 80. Questa è l'opinione di J.M. Bover, Xapw d.v ( lo. 1 3 ,34; I lo. 2 ,7 s . ), non in un senso antipaolino ma tuttavia in modo da lasciar vedere che non è sua intenzione combattere il giudaismo no­ mistico. Egli usa il termine o vOp.o� per lo più per indicare la Scrit­ tura come fonte di rivelazione ( 1 ,45 ; 8 , 1 7 ; 1 0,34 ; 1 2 ,34; 1,,25 ). Mosé è da lui citato non soltanto come legislatore ( 7 , 1 9 .22 s. ) ma anche come autorità scritturistica ( I ,4, ; , ,45-47; cfr. 9,29 ) ; come ta­ le, Mosè è, come Giovanni Battista, un testimone di Gesù ( , ,4, ss. ); inoltre, come guida nella peregrinazione del deserto, egli esercita una certa funzione tipologica (cfr. 3 , 1 4 ; 6,3 2 ). Perciò per Giovanni non esiste un'opposizione assoluta tra Mosè che (per incarico di Dio! ) ha dato la legge e Gesù Cristo che ha portato grazia e verità. L'evange-

183 . Effettivamente leggono 6É p66 W VL. 1 84. L'asindeto epico è una particolarità stilistica giovannea (Ruckstuhl, nr. 6). Sull'assenza del 6É cfr. I lo. 3,2 (gradazione); 3 ,8 a (contrapposizione). xs,. r!vEcrDrzt. nel senso di 'venire' : 1 ,6 ( 1.5 .30? ) ; 6,19.21 .2,; 10,3,; 12,30 ; I lo. 2,18; 2 Io. 12. Certamente questo significato non si trova soltanto in Giovanni, dr. Bauer, Wb, 3 1 7, s. v . 4,c . x86. Cfr. Io. 14,1, .21 ; 1,, 1o . z 2 ; I Io. 2,3 s.; 3A.22.24; 4,2 1 ; ,,2 s.; 2 Io. 6.

3.5 1 lista si distacca soltanto dalla legge nello stesso modo in cui considera superati e senza importanza il culto giudaico ( 4,2 1 -24), le consue­ tudini di purificazione ( 2 ,6; 3 ,2.5 ; cfr. l l ,j j ; 1 9,40.42 ), le feste dei 'Giudei' ( 2 , 1 3 ; j , I ; 6,4 ; 7,2 ; 1 1 ,5 j ). Se si considera 9,28 s. si può certamente intravvedere anche una polemica contro il giudaismo con­ temporaneo; in questo caso la 'torà' sarebbe «l'indice dell'errata po­ sizione dei Giudei verso Cristo, il Messia della fede cristiana » 187 ; ma questa punta polemica non è cosi evidente. Il versetto intende piuttosto mettere in chiaro che rordinamento nomistico fino allora vigente è stato superato dalla realtà di grazia di Gesù Cristo. La leg­ ge è stata soltanto 'data' da Mosè ( l'antica formula ebraica nàtan to­ ra ), mentre la grazia e la verità sono 'venute' mediante Gesù Cristo : si pone in tal modo in evidenza l'avvenimento salvifico escatologico. Ma dietro ambedue i fatti sta la volontà di Dio. 1 88• 18. Anche questo versetto va considerato un'aggiunta dell'evangeli­ sta. La negazione del v. 1 8 a è anche altrove importante per lui ( j , 3 7 ; 6,46 ; cfr. 1 lo. 4,1 2 .20 ); inoltre, appartengono al suo linguaggio IJ.o­ voyEvi)� ed il seguente ÈxEi:vo� di 1 8 h 189 • La rivelazione del N.T. non solo è superiore a quella dell'A.T., ma è assolutamente unica, perché è stata portata dall'unigenito Figlio di Dio in base alla sua diretta co­ noscenza del Padre. Egli solo, che è disceso dal cielo sulla terra, po.. teva rivelare per esperienza propria le cose celesti (cfr. 3 ,3 I s.). L' as· solutezza della rivelazione cristiana non poteva essere affermata più nettamente.

Contro chi è rivolto l'enunciato del v. 1 8 a, che nessun uomo ha mai visto Dio ? È una reminiscenza del desiderio espresso da Mosè sul Sinai di vedere €'6·75• Però non pochi esegeti postulano quale testo originario vl6c; come corrispondente di 1ttl'tp6c;. Ma per lo stesso motivo vt6� po­ trebbe aver eliminato un originario ilE6c;. È possibile anche un assoluto ( ò ) IJ.O'VOj'E'V-i)c; (cfr. v. 14 ) , a cui presto sarebbe stato aggiun­ to un DE6c; o vt6c; con fine interpretativo. La questione non può essere risolta con assoluta certezza 196• Se si accoglie come testo originario ( o ) IJ.OVOyEv'Ì)c; DE6c;, a causa della preponderante testimonianza esterna, DE6c; potrebbe essere apposizione di ( o ) J.lO'VOYEV1)�: l'Unigenito, che è di natura divina. Però potrebbe essere preferibile ò IJ.O'VOYE'Vi}c; vl6c;. Il Rivelatore può annunciare con piena ·autorità perché è l'Unigenito e sta col Padre in uno strettissimo rapporto, che perdura anche durante la sua vita in terra, è della sua stessa natura ed è unito a lui nell'agire. Il rapporto di figliolanza che unisce Gesù a Dio Padre, unico nel suo genere, è spiegato da Giovanni nei discorsi di rivela­ zione del suo vangelo ; per lui colui che parla sulla terra si identifica con il Logos cantato dall'inno; .così che le affermazioni relative alla 195. Sui Padri siriaci e sull'antica traduzione armena dedotta da una citazione più tarda cfr. Boismard : RB 59 ( 1952) 25 . 196. Sulla testimonianza testuale cfr. Zahn, excursus pp. 714-719; Lagrange, 26 s.; Surjansky, o.c., 1 19 e r 2 r s.; Boismar:d: RB 59 ( 1 952) 23-29. A fgvore di h6� sono Westcott-Hort, B. Weiss, Vogels, Merk; a favore di vi.6c; Tischendorf, v. Soden, Bover. Fra gli esegeti recenti si pronunciano per DE6c; Zahn, Ber­ nard, Bauer, Tillmann, Lagrange; per ut6c; Hoskyns-Davey, Schlatter, Bultmann ( 55,4), cfr. anche Wikenhauser, Barrett. C.F. Burney, Aramaic Origin1 39 s., con­ gettura con scarsa attendibilità un J.10VOyEvi)c; DEou. La lezione particolare de! vetero-latino q: unigenitus filius Dei1 è chiaramente un ampliamento secondario.

Io. 1 , 1 8

355

preesistenza, alla vicinanza a Dio ed alla divinità del Logos ( 1 , I ) han­ no la loro continuazione nella testimonianza che Gesù dà di se stesso. L'Incarnato conserva la conoscenza divina diretta della sua preesi­ stenza ; egli, che è disceso dal cielo, resta pienamente cosciente della sua esperienza celeste (cfr. 3 ,3 2. ). Se si accetta questa fusione del linguaggio dell'inno con la testimonianza che dà di se stesso il Gesù giovanneo, appare maggiormente probabile la lezione « ( l ' ) Unigenito, Dio, che è nel seno del Padre». Alla fine del suo prologo l'evangeli­ sta vuoi esprimere ancora una volta la piena dignità divina , ma anche la capacità rivelatrice del Figlio di Dio apparso sulla terra . A questo modo egli prepara fin d'ora il terreno ai discorsi di rivelazione di Gesù, che riferirà nel corso del vangelo. Cosl questo versetto è come un ponte gettato tra l 'inno al Logos ed il racconto evangelico. «Nel seno del Padre » è una espressione figurata dell'evangelista (cfr. 1 3 ,2 3 ), che ripete in altra forma l'«essere presso Dio » del v. 1 . L'immagine è usata nell'A.T. per l'unione matrimoniale ( Gen. I 6 ,5 ; Deut. 1 3 ,7 ; 2 8 ,5 4 . 5 6 ; ecc. ), per il bimbo al seno della madre ( 3 Reg . 3 ,2 0 ) o in grembo ad essa ( ibid. I 7 , 1 9 ), ed anche per la cura che Dio ha di Israele (Num. I I , I 2 ) . Nel N.T. troviamo il significato figurato in Le. I 6 ,2.2 s . . (seno d'Abramo ); cfr. al riguardo Clem.Al. , paed. 2 , 1 0 , 1 05 , I (GCS I ,2 20,5 ) : EV x6À.7tot.c; "tOU 7ta"t'p6c;. L'immagine .viene ap­ plicata alla comunione con Gesù in 2 Clem. 4,5 (Funk, I 88 ) : 'Ecìv il"tE IJ.E"t'' È(.lov crvv1)y(J.Évot. EV "t� x6À.1tw JJ.OV xal. JJ.1Ì 7tOt.i]"tE "tCÌc; Èv­ 'toÀ.ac; JJ.OV, a1to�aÀ.w V(.lfic; (probabilmente agraphon non autentico ). L'immagine è frequente anche nella letteratura rabbinica 197• Etc; con l'accusativo qui, come spesso nella koiné, sta certamente per E'V con il dativo 198 • Ha un'importanza secondaria accertare esattamente quale forma d'esistenza di Cristo venga considerata dall'evangelista mediante o wv ( tralasciato da alcuni testimoni testuali, v. sopra), cioè se si tratti della sua preesistenza o della sua vita sulla terra o del tempo dopo l'ascensione. Se l'evangelista pensa al precedente essere di Cristo con il Padre, o wv X"tÀ.. fonda la successiva rivelazione attuatasi nella sto­ _ria ; se guarda a colui che è tornato al Padre, allora, dal suo punto 197. Cfr. Schlatter, ad l.; per l'uso dell'espressione nell'ellenismo cfr. Bauer, ad 1.,­ sull'intera questione R. Meyer: ThWb 1 1 1, 824-826 ( = GLNT v, coli. 761-768 ). 1 98. Cfr. Blass-Debr. § 205 ; 218; secondo Mayser, Gramm. II, 2, 373, rara­ mente nei papiri. Secondo Schlatter v'è una leggera differenza tra l'uso di E� e di tv per quanto riguarda questa immagine.

lo. I,18

d'osservazione posto nella storia, rivolge lo sguardo alla rivelazione che è già avvenuta 199• È poco verosimile, invece, che l'evangelista in­ tenda dire : mentre l'Unigenito dimorava nel senso del Padre, nello stesso tempo come Incarnato ci ha portato l'annuncio del Padre ; ciò; infatti , non corrisponde a quanto viene esposto in seguito, cioè che la discesa del Figlio dell'uomo ed il suo ritorno in cielo sono due atti distinti e successivi l'uno all'altro ( cfr. J , I J . J I ; 6,62 ; 1 3 , 1 ; 1 6 ,2 8 ) 200 . Alla base dei versetti 14- 1 8 potrebbe esservi una concezione teo­ logica unitaria valorizzante tipologicamente motivi fondati sull'Eso­ do e su Mosè. Alla tenda sacra ed alla «dimora di Dio» in Israele, al­ la gloria di Dio ed alla sua contemplazione, all'emanazione della legge per mezzo di Mosè ed alla guida del popolo nella terra promessa, cor­ risponderebbero le espressioni e le idee contenute in Io. 1 , 1 4-1 8, tipo­ logicamente adempiute e superate nell'incarnazione e nell'attività sal­ vifica del Logos 201 • Ma questa concezione va troppo lontano. Senza trascurare le evidenti reminiscenze (v. commento al v . 1 4 ), si deve parlare, piuttosto che di singoli motivi, di un contesto tipologico generale. Un 'interpretazione tipologica unitaria non è possibile, se si tien conto della struttura, dei diversi scopi delle aggiunte (cfr. v. 1 .5 in confronto a v. 1 8 ) ed anche degli accenti teologici dell'evangelista ( vv. I 7. I 8 ). Si può dire, piuttosto, che egli, in connessione con l'inno al Logos, ha espresso, in formule pregnanti, concetti per lui impor­ tanti ed ha preparato il passaggio alla sua successiva esposizione.

199. Cosi pensano Bernard, Lagrange, Surjansky, o.c., 12'; di parere opposto Zahn, Tillmann . 200. Cfr. H. Windisch : ZNW 30 ( 193 1 ) 22 1-223 (in opposizione a H. Odeberg). L'opinione respinta qui sopra è espressa anche da Dodd, Interpretation, 2'8 s . ; dr. inoltre il commento a 1 ,,1 e a 3,1 3 . 201 . È questa l'opinione d i Boismard, Prologue, x6,-17' ; dr. H. Sahlin, Zur Typologie des ]ohannesevangeliums, Uppsala-Leipzig 1 9,0, 6o s. (contrapposi­ zione della missione di Mosè a quella di Gesù ).

EXCUR S U S PRIMO

ORIGINE E PECULIARITÀ DEL CONCETTO GIOVANNEO DI LOGOS Non possiamo in questa sede approfondire l'esame della tanto discussa questione riguardante l'origine del concetto giovanneo di Lo­ gos 1; ci limiteremo, pers anto, ad effettuare alcuni sondaggi, più che altro a scopo informativo. Già l'analisi del prologo (e dell'inno al Lo­ gos ) dovrebbe aver provato che i paralleli più chiari e concreti si incon­ trano nella speculazione sapienziale giudaica , ma anche che la dottrina giovannea del Logos la supera con il carattere personale del Logos, la sua preesistenza personale e reale e, soprattutto, la sua incarnazione. Ma ci si deve domandare altresì perché l'inno cristiano non rimanga anch'esso nell'ambito della 'sapienza', che nei vangeli sinottici è no­ minata due volte con riferimento a Gesù (Le. 7,35 = Mt. r r , r 9 ; Le. 1 1 ,49 ; cfr. Mt. 2 3 ,3 4 ), e, ancora più spesso, potrebbe formare lo sfon­ do delle sue parole, soprattutto nella tradizione dei logia comuni a Mt e Le. 2, ma che ha influenzato anche diversi logia e parti narrative 1 . Da1l 'abbondante bibliografia citiamo: A. Aall , Der Logos. I Geschichte der Logosidee in der griechischen Philosophie, Leipzig 1896; II ... in der christli­ chen Literatur, Leipzig 1899 ; E. Krebs, Der Logos als Heiland im ersten ]ahr­ hundert, Freiburg i.Br. 1910 (con bibliografia meno recente ed un'appendice a Reitzenstein ); H. Leisegang, art. Logos : Pauly-Wissowa XIII, 1035- 1 08 I ; j.M. Vosté, De Prologo ]ohanneo et Logo, Roma 1 928 ; :e. Tobac, La notion de Christ­ Logos dans la littérature joh. : RHE 25 ( 1 929 ) 2 1 3-238 ; O. Grether, Name und Wort Gottes im Alten Testament, Giessen 1934; L. Diirr, Die W ertung des gott­ lichen Wortes im Alten Testament und im antiken Orient, Leipzig 1938; V. Hamp, Der Begri/J 'Wort' in den aramiiischen Bibelubersetzungen, Miinchen

1 938 ; H. Kleinknecht, O. Procksch e G. Kittel : Th Wb IV, 76-140 (bibliog. pp. 69 ss. ); R.D. Middleton, Logos and Shekina in the Fourth Gospel : JQR 29 ( 1 938/ 39) , 101-1 33 ; R. Asting, Die Verkiindigung des Wortes im Urchristentum, Stutt­ ·gart 1939, 267-274 ; R.G. Bury, The Fourth Gospel and the Logos-Doctrine, Cambridge 1940 ; ]. Dupont, Essais sur la Christologie de s. Jean, Bruges 1 95 1 , 1 3-58 ; K. Schubert, Einige Beobachtungen zum Verstiindnis des Logos­ begrilfs im friihrabbinischen Schrifttum : Judaica 9 ( 1953 ) 65-80; C. H. Dodd, lt�terpretation, 263-28.5 ; A. Robert , C. Mondésert e J. Starcky : Dict. Bibl. Suppl. v, 442-497 ; S. Schulz, Komposition und Herkunft, 7-69 ; F.M. Braun, Messie, Lo-­ gos et Fils de l'Homme, in : «La venue du Messie» (Rech. Bibl. VI, Leuven 1962 , 1 3 3 - 147). 2. A. Feuillet , ]ésus e t la Sagesse divine d'après les évangiles synoptiques : RB 62 ( 1 9' ' ) 16I-196; Id., Études ]oh., 88-99. Eg1i discute anche Ja questione se i

Excursus primo: il Logos giovanneo

del vangelo di Giovanni 3• Una cristologia, che si ispirava alla specula­ zione �ulla sophia (cfr. I Cor. I ,24; I 0 ,4 ; Col. I , I 5 ss . ) ed utilizzava i testi di quella letteratura (cfr. Hebr. I , 2s. ), era familiare alla chiesa primitiva ; ma l'inno ripreso in lo. I usa il titolo di Logos , e lo usa, si noti , in senso assoluto (non, dunque, o Àoyoc; "t'OU DEou come in Apoc. 1 9 , 1 3 ) . Questo fatto esige una spiegazione, tanto più che, fin dalla prima filosofia greca , il Logos ha occupato un posto notevole nella storia del pensiero. Ci si deve perciò domandare a che cosa sia direttamente collegata la scelta di questo termine così impegnativo . A tal fine, non ci si deve limitare ad assumere per esso, come per altre espressioni molto diffuse che entrarono a far parte del linguaggio reli­ gioso del cristianesimo primitivo ( ad es. : O'W"C''i)p, XUpt.oc;, È1tt.q>a'VELa.), una radice unica dell'uso linguistico, poiché è importante anche sta­ bilire il motivo essenziale della scelta, l'intenzione principale dell'au­ tore dell'inno, per poterne scoprire lo sfondo storico-religioso e l'am­ biente spirituale.

l . Il concetto di Logos nella filosofia greca Il concetto filosofico di Logos procede dal contenuto logico di quan­ . to viene enunciato e dalla significazione unitaria dell'essere (cfr. He­ racl., /r. I e 2 ), e fu poi usato particolarmente nella filosofia stoica per esprimere tanto la ragione universale quanto l'umano comportamen­ to morale secondo ragione ( opDòc; Àoyoc; ). È facile vedere quanto poco abbia a che fare col Logos giovanneo questa dottrina, preoc­ cupata di scoprire l'unità del mondo e dell'esistenza e di dare un posto all'uomo nella struttura generale della realtà 4• La differenza tra le due dottrine appare anch� nel concetto di 'mondo' e della sua discepoli di Cristo siano vis�i sul modello dei discepoli della sapienza (ibid., 99·1 17). 3· Cfr. lo. 3 . 12.3 1 ; 4,14; 6,3 3 ss. ; 7,34.37 s.; 8,12.2.5 ; 10,14; 1.5,1 ss. Alcune cose però potrebbero essere più problematiche di quanto suppone il Feuillet, Études ]oh., 72-88. Sui miracoli cfr. anche G. Ziener, Weisheitsbuch und Johannes­ evangelium : Bibl 38 ( 19.57 ) 396-41 8 ; 39 ( 1 9.58 ) 37-60.

4· A. Dyroff, Zum Prolog des ]ohannesevangeliums, in : Pisciculi (Festschr. fiir F.]. DOlger), Miinster i.W. 1939, 86-93, cercò ancora, ma senza raccogliere con­ sensi, di dimostrare una connessione con Eraclito; dr. Ph.-H. Menoud, L'Ev. de ]ean, .52.

Excursus primo: il Logos giovanneo

posizione; il Logos filosofico permea di sé e sostiene il cosmo, che per i Greci è un tutto ordinato ed armonico, mentre in Io. I , I o il �mon­ do ' diventa una entità negativa, che si oppone al Logos. È inte­ ressante notare come i primi apologeti cristiani, formati alle scuole filosofiche ( Giustino, Taziano, Atenagora , Teofìlo d'Antiochia ), nella loro dottrina sul Logos vadano ben al di là delle idee giovannee sullo stesso Logos 5• Già Giustino accoglie la dottrina del À.oyoc; Ci1tEpp.a­ 'tt.x6c; 6; Teofilo d'Antiochia distingue il À.oyoc; Èvot.cittE"toc; dal À.oyoc; 1tpoq>opt.x6c; 7• Per essi, come per la filosofia greca ma in senso cristia­ no, il Logos diventa il punto di partenza per una comprensione totale della realtà, come pure dell'uomo e della sua natura . Di ciò non si ha traccia nella visione giovannea, che è interessata soltanto alla cri­ stologia.

2 . La (teologia della parola di Dio ' nella Bibbia Dato che al pensiero greco non può essere attribuita la paternità del concetto giovanneo di Logos, viene spontaneo cercare pet esso una derivazione biblica. Effettivamente, già nell'A.T. si è sviluppata una teologia de1la 1parola di Dio' 8, che prende le mosse dal rac­ conto della creazione e dall'avvenimento della rivelazione e; attraver­ so passi poetici, giunge fino alla letteratura sapienziale del tardo giu­ daismo. La parola di Dio non solo è una potenza creatrice e sosteni­ trice del mondo (cfr. Ps. 3 3 ,6.9; 1 47, I .5-r 8 ; Is. 40,26 ; 48 , 1 3 ; Sap. 9 , 1 ), ma è anche una forza vivificatrice e salvifica (cfr. Ps. 1 07,20; Ez. 37 ,4 s. ; Is. 40,8 ; 5 5 , 1 0 s. ; Sap. 1 6 , 1 2 ). La parola di Dio nella creazione, in bocca ai profeti ( cfr. Ier. 1 ,4 . 1 r ; 2,1 ecc. ) e nella legge (cfr. Ps. I I 9,38.4 1 . I 0.5 ecc. ) ha funzioni molteplici, che son.o para_,. Cfr. J. Barbel, Christos Ange!os, Bonn I94 I , 18 ss . ; S. Emery, Il Logos nel pensiero dei Padri Apostolici: Studia Patav. I ( 19.54 ) 400-424 ; R. Holte, Logos Spermatikos : StTh I2 ( I9.58) 109-I68, specialmente I 24 ss. 6. l ust . , apol. 5,2 ss .; 46,I-.5 ; app. 8,I·3; IO,I-8 ; 1 3,1-6. Cfr. la trad. in R. Holte, O.C. , I JQ-135· 7 · Theophil., ad Auto/. �2, IO e 22 (PG 6, 1 064 e 1088 ). 8. Cfr. le opere di O. Grether, L. Durr {v. p. 3.57 nota I ); O. Procksch : ThWb IV, 92-100 ( = GLNT VI, coli. 266-284 ); H. Ringgren, Word and Wisdom, Lund 1 947 ; W. Eichrodt, Theologie des A . T., Stuttgart-Gottingen 4I96 I , 4o-48 ; A. Ro­ bert : Dict. Bibl . Supp l. v, 442-46' .

Excursus primo: il Logos giovanneo

gonabili alle espressioni usate per il Logos giovanneo, ma che non autorizzano a far derivare unicamente da esse la dottrina giovannea del Logos 9, quantunque indirettamente (attraverso la speculazione sul­ la sapienza e sulla legge ) possano esservi sottintese. La ' teologia della parola di Dio', in un modo nuovo, è entrata anche nel N.T. , nel quale alla parola ed al messaggio di Gesù è stata attribuita la stessa dignità , anzi , un significato ed una forza escatolo­ gica. Chi ascolta la sua parola e la accoglie con fede, ascolta la parola di Dio (cfr. Le . .5 , I ; 8 ,2 1 ; I I ,2 8 ) :· un concetto che trova completo sviluppo proprio nel vangelo di Giovanni ( cfr. 5 ,24; 8 ,) I ; I 2 ,48 ; 1 4 ,24 ; I 5 ,3 ; I 7 , 1 4. I 7 ). Ma le parole del Rivelatore ( spesso abbia­ mo anche "r(Ì p1u.ta'ta : 3 , 34 ; 6 ,6 3 .68 ; 8 ,47 ; 1 2 ,47 s . ; I 4, 1 o ; 1 .5 ,7 ; I 7,8 ) non sono ancora la stessa cosa che è il Rivelatore in quanto 'Pa­ rola'. Egli non è indicato come il Logos in senso assoluto per il fatto che proferisce la parola o le parole di Dio, ma , viceversa, le sue pa­ role ricevono quella validità e quella forza perché egli è il Logos, cioè il divino Rivelatore e Salvatore. Non ci si può neppure richia­ mare al fatto che nella spiegazione della parabola del seminatore (Afe. 4,14-20 parr ). si usa la parola o À.oyoc; senza complemento, perché si tratta d'un linguaggio caratteristico della predicazione mis­ sionaria della chiesa primitiva (cfr. I Thess. I ,6 ; 2 , 1 3 ; I Cor. I , I 8 ; 1 .5 ,2 ; 2 Cor. I , I 8 ; .5 , I 9 ecc. ). Certamente nel vangelo di Gesù Cristo questi in ultima analisi diventa l'escatologica 'parola di Dio' agli uo� mini (cfr. 2 Cor. I , I 9 s.; Hebr. I ,2 ); ma, all'infuori del prologo gio­ vanneo, non ne deriva un titolo di Cristo (Apoe. I 9 , I 3 appartiene ad un'altra tradizione ). Neppure la teologia neotestamentaria della 'parola di Dio' può, dunque, essere all'origine di questa singolare di­ segnazione 10•

9· Come fa invece B. Weiss, Lehrbuch der biblischen Theologie des Neuen Te­ staments, Stuttgart-Berlin 71903, 6o6 ss. IO. Diversa ancora è l'opinione di Th. Zahn, Einleitung in das N.T. n, Leipzig l 1 907, 545 ss. ( '47 : «l presupposti generali e le analogie si trovano qui nella parola dello stesso Gesù»); dr. R. Asting, _o.c., 274-278.293-296.

Excursus primo: il Logos giovanneo

3 . (Parola di Dio', sapienza, torà e memrà di ]ahvé nel giudaismo In confronto all 'A .T. la più tarda teologia giudaica preferì altri concetti per esprimere la 'parola di Dio', quantunque non abbia ces­ sato di parlare ancora di 'parola di Dio'. Ad esempio, in Sap. 9,1 s. troviamo l'accostamento di 'parola' e 'sapienza' di Dio : «Dio dei padri e Signore di misericordia , che hai fatto l'universo con la tua parola e con la tua sapienza hai formato l'uomo affinché questi do­ mini sulle creature da te formate . . . » Ma precisamente qui appare evidente come nella speculazione sapienziale, specialmente in riguar­ do agli uomini, si passi dalla 'parola di Dio' alla 'sapienza' ; ad esem­ pio, Hen. slav. 30,8 : ' «Quando ebbi terminato tutto, comandai alla mia sapienza di creare l'uomo», mentre in 3 3 ,4 Dio, riferendosi a tutto il creato, dice : «Il mio pensiero è il mio consigliere, la mia parola è azione ed i miei occhi guardano tutto» . Perciò, se l'inno al Logos descrive la potenza del Logos alla maniera della 'sapienza', spe­ cialmente anche nei rapporti con l'uomo, si tratta di un progresso, di uno stadio successivo, e non si comprende perché il poeta non ritorni alla 'parola', cioè alla 'parola di Dio', ma usi l'espressione assoluta 'il Logos'. Pertanto, se la speculazione sapienziale offre .i paralleli materiali più precisi , non spiega però il termine usato nell'inno cri· stiano . Lo stesso si dica per la 'toralogia'. Anche qui si ha un processo di sviluppo secondo il quale l'originaria 'parola di Dio' più tardi si riferisce sempre più alla torà. In Ps. 1 1 9 'parola di Dio' e 'legge' appaiono ancora come sinonimi l'una accanto all'altra (oltre ai passi sopra citati cfr. vv. 1 7 s. 35 ss. 43 s. 1 48 ss., ecc. ); ma in complesso si tratta ormai di un inno di lode alla torà, che è vista qui come parola di Dio che indirizza sulla giusta via ed è sorgente di benedi­ zioni . Nel libro di Baruch la 'sapienza', che «si è intrattenuta con gli uomini » ( 3 ,37 s . ), viene riferita alla 'legge' : «Essa è il libro dei comandamenti di Dio, la legge, che sussiste in eterno. Tutti coloro che si attengono ad essa trovano la vita . . . » ( 4 , 1 s.); cfr. Prov. 8,3 3 ss. ; Sap. 6 , 1 8 ; Ecclus 24,2 3 ss. Se nel rabbinismo si applicano alla torà enunciati simili a quelli riguardanti il Logos nel prologo 11, se essa asJ 1.

Cfr. Billerbeck

n,

353·35 8 ;

111,

1 29 ss.

Excursus primo: il Logos giovanneo

sume gli stessi predicati e le stesse funzioni salvifìche, si tratta di uno $Viluppo interno al giudaismo, mediante il quale dalla 'parola di Dio', o dalla 'sapienza', si è passati alla 'torà' ; perciò non può non stupire un ritorno alla 'parola'. Secondo alcuni studiosi 12 ciò sarebbe stato fatto intenzio� almente, come un'antitesi cristiana alla 'legge' giudaica, e a sostegno di q�est'opinione essi si richiamano a Io. I , I 7 . Tutti gli enunciati d� preesistenza e di maestà che il giudaismo riser­ vava alla torà verrebbero applicati al Logos, diventando altrettanti attributi del Cristo : « In lui l'eterna 'parola di Dio', la parola della creazione, la parola della legge, non soltanto è ridata ( ÈooDt} ), ma è avvenuta ( ÈyÉvE't'O ) Egli non è soltanto annunciatore e portatore d'una torà, ma è egli stesso torà} nuova torà» 1 3 • Tuttavia è discutibile se questa antitesi ( che è frutto d'un'elaborazione dell'evangelista ) sia sufficiente a spiegare la scelta del concetto assoluto di Logos. Nel v. r 7 il titolo di Logos non è ripetuto, m a è sostituito dal nome Gesù Cristo ( in antitesi a Mosè ); al VOIJ.O� si contrappone non il À.oyo�, ma la xcipf.� e la àÀ.'i}DEf.CL. Anche qui si tratta di paralleli oggettivi, e l'an­ titesi con la toralogia potrebbe esservi implicita ; ma in tal modo non si spiega il termine o Àoyo� . È del tutto da escludere, come oramai è stato chiarito a suffi­ cienza 1\ il richiamo al memrà d'Adonai (la 'parola del Signore' ) nel­ le traduzioni aramaiche della Bibbia. Non si tratta affatto in questo caso d'una speculazione ipostatica, ma soltanto d'una cir:onlocuzione per esprimere il nome di Dio senza offendere il rispetto verso di lui. Del resto non bisogna dimenticare che anche la personifìcazione della 'sapienza' di Dio (come anche dello 'spirito' o della 'parola di Dio') non è una vera e propria ipostatizzazione 15 ; perciò anche la lettera­ tura sapienziale è ben lungi dall'attribuire una personalità al Logos. .

1 2 . K. Bornhauser, Das ]ohannesevangelium eine Missionsschrift fiir Israel, Gii­ tersloh 1928, .5-1 3 ; G. Kittel : ThWb IV, 1 3 8 s. ( =GLNT VI, coli. 375 ss.). 13. G. Kittel, o.c., 1 39 ,2- 10 { =GLNT VI, coli. 377 s . ) . 14. Cfr. Billerbeck 1 1 , 302-333 (excursus: Memra di Jahvé); V. Hamp, l.c. Di­ versamente pensa R.D. Middleton, l.c. , che in molti passi vede, invece, una per­ sonificazione della parola divina e pensa ad un nesso con il Logos giovanneo (p. 129 ). In una posizione intermedia si pone J. Starcky, o.c . , 472. 15. Cfr. G.F. Moore, ]udaism 1 , 415 : «lt is an error to see in such personifica­ tion an approach to personalization . Nowhere either in the Bible or in the extra-c1nonical literature of the Jews is the word of God a personal agent or

Excursus primo: il Logos giovanneo



Il Logos in Filone

Ciò che finora non eravamo riusciti a trovare nei testi provenienti dall'ambiente giudaico, e precisamente l'espressione pregnante o À.6yoç, lo troviamo abbondantemente nel filosofo della religione Filone d'Alessandria, giudeo-ellenistico 16• In lui confluiscono molteplici cor­ renti di pensiero, filosofiche e religiose. Quanto alla filosofia , egli su­ bisce soprattutto l'influenza di Platone (il platonismo di mezzo ) e del­ la Stoa ; quanto alla religione, su di lui agisce la fede dei suoi padri . Egli si sforza di conciliare l'una con l'altra. Addurre singolarmente le testimonianze della sua dottrina sul Logos che possono richiamare l 'inno giovanneo al Logos ci sembra superfluo, perché nell'esegesi sono stati citati diversi passi, ed il materiale è stato raccolto già al­ trove in sufficiente quantità 1 7• Con la sua dottrina del Logos Filone vuole superare la distanza che separa il Dio puro spirito dal mondo materiale, ma vuole anche spiegare l'azione e la dimora di Dio nel­ l 'anima 18• Perciò il Logos riceve attributi divini, egli è il 'primoge­ nito di Dio', l' 'immagine di Dio', ' secondo Dio' ; a lui sono riferite le funzioni cosmiche di Dio, la creazione, la conservazione ed il go­ verno del mondo, ma egli partecipa anche all'azione salvica riguar­ dante gli uomini. È comprensibile che vari studiosi siano stati e siano inclini a porre il concetto giovanneo di Logos in un rappor­ to di grande affinità e dipendenza da questa concezione giudeo-elle­ nistica, tanto più che si può rilevare un certo influsso filoniano an­ che sui primi scritti rabbinici 19• Filone ha compiuto quel passo che on

the way to become such» (È un errore vedere in tale personificazione un passo verso la personalizzazione. In nessun luogo, né della Bibbia né della let­ teratura extra-canonica dei Giudei, la parola di Dio è un agente personale o sulla via di diventarlo ). r6. Cfr. H. Leisegang, o.c., I072-ro78 ; E. Bréhier, Les idées philosophiques et !religieuses de Philon d'Alexandrie, Paris 319.50, 83·1 1 1 ; H.A. Wolfson, Philo I, Cambridge, Mass. 2r948, 226-294 ; cfr. anche F.-M.-M . Sagnard, La gnose valen­ ,tinienne, .598-602 ; H. Jonas, Gnosis und spi:itantiker Geist n/ r , GOttingen 1954, 74 ss.; ] . Jervell, Imago Dei, GOttingen r96o, 5 3-60; H. Hegermann, Die Vor­ stellung vom Schopfungsmittler im hellenistischen ]udentum und Urchristentum,

Berlin 196 1 , 67-87. 17. Cfr. P. Feine, Theologie des N.T., Berlin 8r95 r , 327 ss .; C.H. Dodd, lnterpre­ tation, 276 s . 1 8 . Cfr. op. mund. 146 ; poster. C. 122 ; Deus imm. 134; som. 2,249 ; ecc. 1 9. Cfr. K. Schubert, l.c. (p. 3.57 nota 1 ).

Excursus primo: il Logos giovanneo

dobbiamo ammettere sia stato fatto anche dal poeta dell'inno al Lo· gos : ha identificato con il Logos la sapienza divina, quale viene de­ scritta nella tarda letteratura veterotestamentaria 20, stabilendo in tal modo il collegamento tra il termine biblico-giudaico e quello elleni­ stico-filosofico. Il motivo è chiaro : realizzare un' 'apertura' verso il mondo ellenistico ; bisogna ammettere altrettanto per l'inno al Logos e per il prologo giovanneo. Ma un'altra questione è se l'autore dell'inno, o l'evangelista, abbia scelto il titolo di Logos (usato in assoluto ), che ha «una risonanza elle­ nistica» 21 , in dipençlenza da Filone. Contro questa supposizione si pos­ sono sollevare notevoli obiezioni, soprattutto quelht delle sensibili dif­ ferenze tra il concetto giovanneo di Logos e quello fìloniano. I . In Filone il Logos rimane una potenza intermediaria tra Dio ed il creato, sulla cui posizione esatta non è possibile farsi un'idea asso­ lutamente chigra . Non è un 'essere intermedio' nel senso delle emana­ zioni gnostiche n; ma effettivamente Filone pone il Logos tra Dio e il creato, preoccupato ad un tempo di manten�re la distanza e di supe­ rarla, ricorrendo all'idea della causa esemplare, che è estranea a Gio­ vanni . Per esempio, secondo l'esegesi filoniana di Gen. I ,2 7 , Dio non ha ·creato l'uomo come sua immagine ma secondo la sua immagine , ed egli interpreta che il Logos era l 'immagine di Dio secondo la quale fu poi creato l'uomo 23• Per Giovanni, invece, il Logos è realmente co­ lui che tutto crea (insieme con Dio ) (cfr. il commento a I ,3 ) 2 . La divinità del Logos per Filone è soltanto una divinità impro­ pria, come dice egli stesso nel commento a Gen. 3 I , I 3 : « Il vero Dio .

.1.0. Cfr leg. ali. 1 ,65 ; 2,86; rer. div. ber. 1 27 con 234 ecc. Vedi Wolfons, Pbilo I, 253-261 ; }. }ervell, o.c., 69 ; H. Hegermann, o.c. 75 s. 78 s. 86 s. 2 1 . J. Starcky, o.c., 492 . 22. Cfr. Wolfson, Philo 1, 26 1-289 . Egli scrive in modo un po' unilaterale: clf his Logos and powers and ideas are in some respects employed by God as inter­ mediaries they are selected by Him for that task not because of the need to bridge some imaginary gulf between Him and the world, but rather, as Philo himself suggests, for the purpose of setting various examples of right conduct to men» (p.289). ( Se il suo Logos, le sue forze, le sue idee sotto certi aspetti sono utilizzati da Dio quali intermediari, essi sono scelti da lui a tale compito non per la necessità di superare un immaginario abisso esistente fra lui ed il mondo, ma piuttosto, come suggerisce lo stesso Filone, allo scopo di proporre agli uomini alcuni esempi di retta condotta). 23. rer. div. ber. 23 1 ; cfr. op. mund. 1 39 . .

Excursus primo: il Logos giovanneo

è soltanto uno ; invece gli dei, di cui si parla in modo improprio, sono più di uno. Perciò anche la sacra Scrittura in questo passo ha indi­ cato con l'articolo il Dio che esiste realmente, ed ha scritto 'io sono il Dio' ; mentre, invece, ha designato quello che è chiamato impro­ priamente così senza usare l'articolo con le parole 'che è stato visto da te nel luogo' non del Dio, ma semplicemente di Dio . Ma in que­ 24 sto passo essa chiama Dio il suo Logos più anziano>> • Nelle espres­ sioni, in parte figurate, attinenti al Logos ·( cfr . conf. ling. 1 46 ) il rap­ porto di questo con Dio non è chiaro. Soltanto il carattere personale del Logos , che Giovanni colse considerando l'incarnazione, poteva far luce su questo punto . Per l'evangelista il Logos è il vero Figlio di Dio, per Filone è il figlio 'maggiore' o 'primogenito' di Dio, men­ tre il mondo è il 'figiio minore' (Deus imm. 3 r ) . 3 · Le funzioni salvifiche che Filone attribuisce al Logos sono so­ stanzialmente diverse da quelle del Logos giovanneo. Secondo Filone il Logos di vino domina il mondo, ed in modo particolare l'anima del sapiente, in cui abita e cammina come in una città, e che egli ristora e rende beata come coppiere di Dio 25; è il mediatore o mae­ 2 stro dell'unione ( mistica ) con Dio 6• Il Logos giovanneo, al contrario, è il Rivelatore ed il Salvatore, venuto storicamente, a cui bisogna aderire nella fede ; la sua 'gloria' era nascosta nella carne, ma i credenti rice­ vettero dalla sua pienezza grazia su grazia. Anche nei confronti di Filone e della sua religione spiritualizzata l'incarnazione è un criterio sicuro ed un limite insuperabile. Si può dire, dunque, che Filone ha dischiuso l'ambiente intellet­ tuale d 'un ellenismo giudaico in cui la speculazione sapienziale era unita all'idea di Logos, ma che egli non dovrebbe aver influenzato :direttamente l'inno cristiano al Logos. Questo può essere sorto in un ambiente spirituale affine, ma sin da principio deve aver ricevuto 'dalla fede cristiana un'impronta sua propria.

24. som. 1, 229 s. (trad. I. Heinemann-M. Adler). Il ftEoc; senza articolo in Io. 1 ,1 c ha un altro significato, dr. commento ad l. 2,. Cfr. poster. C. 122; som. 2,247 ss. 26. Cfr. :e.. Bréhier, o.c., IOI-107.23o-237; E.R. Goodenough, By Light, Li!!.hl, New Haven 1935, 235-264 ; W. Volker, Fortschritt und VoUendung bei Philo von Al�xandrien, Leipzig 1 938, x ,S- 198 .

Excursus primo: il Logos giovanneo

3 66 5.

Logos

e

mito gnostico

Gli studi più recenti sulla gnosi, nei confusi sistemi gnostici, nelle loro serie di eoni e di emanazioni, nei loro molti nomi e descrizioni fantastiche, hanno riconosciuto e ricavato con chiarezza la fenomeno­ logia d'un atteggiamento esistenziale unitario, orientato antropologica­ mente, di tinta dualistica, dal quale emergono un desiderio ardente di redenzione ed una via di redenzione ( appunto attraverso alla gnosi), che sostanzialmente era insegnata sempre allo stesso modo 27, un' 'ideo­ ]ogia' o 'religione' 28, che nel periodo ellenistico avrebbe pervaso, in­ tluenzato, o rimodellato le varie correnti intellettuali e religiose, non esclusi il giudaismo ed il cristianesimo. Per quanto riguarda la questio­ ne che ci interessa, ciò significa che la speculazione sapienziale guidaica, con il suo mito della sapienza preesistente, che scende sulla. terra e ri­ cerca un «luogo in cui riposare», non sarebbe altro che una variante d'un antico mito pagano, e che la stessa dottrina cristiana del Redento­ re avrebbe accolto questo mito in una forma ad essa appropriata , cioè a\i· endo di mira il Messia Gesù di Nazaret apparso storicamente, e in questo modo avrebbe costruito la sua visione cristologica dell' 'essere divino' preesistente, disceso dal cielo, divenuto uomo in Gesù Cristo e tornato vittorioso in cielo. Questo problema, che proprio per il van­ gelo di Giovanni è quanto mai importante, sarà trattato ampiamente più avanti (excursus 6). Per il momento ci interessa soltanto l'idea che anche l'inno al Logos si rifaccia a quel mito antico, dal quale avrebbe tratto il nome e la figura · del 'Logos'. Secondo R. Bultmann, principale rappresentante di questa corrente, che è molto influente in Germania29, questa figura resta « sempre la medesima, pur sotto molteplici differen­ ziazioni e sotto diversi nomi. . . Ma quasi senza eccezioni essa porta il titolo o il nome di A6yoc;, che però spesso, specialmente presso i filo­ sofi, è sostituito dal titolo di Nouc;, che per i Greci aveva lo stesso si27.

Cfr. specialmente H. Jonas, Gnosis und spiitantiker Geist

94-2 1 0.

I,

GOttingen 1 934,

28. Cfr. G. Quispel, Gnosis afs Weltreligion, Ziirich 1 9.5 1 ; R.McL Wilson, The Gnostic Problem, London 19.58; R.M. Grant, Gnosticism and Early Christianity, New York 1 959. 29. Cfr. sopra, l ' introduzione al prologo, punto 3 ; inoltre, W. Bauer, ]oh-Ev. , excursus a pp. 6-10; A. Wikenhauser, Ev. nach ]oh., '' s. .

Excursus primo: il Logos giovanneo

gnifìcato». Nella gnosi vera e propria questa figura sarebbe spesso de­ formata o suddivisa; ma anche là dove il Àoyoc; (o Nouc; o ,,Avopw1toc;), inserito nel sistema degli eoni, sarebbe divenuto un'apparente figura secondaria, esso mostrerebbe ancora chiaramente il suo significato ori­ ginario JJ. Bultmann attribuisce così a que.:.ita prospettiva ricostruita su fonti più recenti , un'età più antica (precristiana ) e fa dipendere da essa l'inno al Logos, che «descrive la figura di Gesù e la sua opera con i concetti della mitologia gnostica» 31 • È difficile dare un giudizio sulla bgse delle fonti disponibili, perché concezioni più antiche possono es­ sere trasmesse anche da fonti più recenti e non si può affermare con sicurezza fino a che punto la letteratura venuta dopo di Cristo abbia ripreso il titolo di Logos proprio dal vangelo di Giovanni. Ci limite­ remo a dare un rapido sguardo al n1ateriale esistente ed a trarre alcune deduzioni. 1.

Il titolo di Logos nella letteratura gnostica

Nella gnosi ermetica fuori dell'ambiente cristiano incontriamo il Lo­ gos nella cosmogonia del Poimandres (Corp. Herm. I, 5 s . ) e nel mi­ stero delh rinascita ( Corp. Herm. X I I I, 2 1 ). I passi che abbiamo già brevemente esaminato nell'introduzione (p. 1 72 ) non presentano una grande affinità con il Logos giovanneo; nella cosmogonia sviluppata del Poimandres (Giovanni non ne ha una simile ) si spiega forsè con l'influenza giudaica ( Gen. I ) l'uso di A6yoc; accanto a Nouc;, che del resto è predominante nella letteratura gnostica . Abbondante materiale d'ambiente non cristiano è fornito dalla let­ teratura mandea, che, quantunque sia stata composta più tardi, ha conservato antiche idee gnostiche. Fra i tanti inviati e i tanti nomi incontriamo Jokabar, la «prima parola . . . , che attraversò i mondi, ven­ -pe, divise il firmamento e si rivelò» 32• Questa figura mitologica nel Libro di Giovanni è descritta anche come un essere luminoso (Joka­ bar-Ziwa ), rivestito di splendore, che si reca nel mondo «per piantare la piantagione della vita» e per essere «una guida » agli uomini, «dal 30.

R. Bultmann, E v. des ]oh., 9-14, specialmente

31.

ibid. ,

32 .

M. Lidzbarski , ]ohannesbuch der Mandaer, xxv ; cfr. Mand. Lit., 1.6,1 1 .

1 2.

11.

Excursus primo: il Logos giovanneo

luogo delle tenebre al luogo della luce» 33• Che qui si tratti di un antico strato della tradizione risulta dal frequente ritorno della stes­ sa figura nelle liturgie mandee (v. Lidzbarski, indice ). Nella liturgia battesimale ( Lidzbarski , 1 6 , 1 I ) il battezzando loda Jokabar-Ziwa co­ me «il messaggero della vita e la parola dei primi uomini di provata giustizia ». Egli è detto anche «la parola della vita, che dalla casa della vitg è venuto agli uomini giusti, credenti » (ibid., 3 5 ,6 s. ) e «la grande, prima parola» ( 5 9 ,2 ). Anche nel Canonica! Prayerbook si accenna speso a questo messaggero > . I due discepoli udirono le sue parole e seguirono Gesù. 38 Ma Gesù si volse e, vedendo che lo seguivano, disse loro : «Che cosa · cercate? » . E quelli gli dissero: «Rabbi (che tradotto significa maestro), dove abi­ ti ? ». 39 Ed egli rispose loro: «Venite e vedrete ». Andarono dunque e videro dove abitava, e quel giorno rimasero con lui . Era circa l'ora decima. 40 Andrea, fratello di Simon Pietro, era uno dei due che ave­ vano udito (le parole) di Giovanni e l'avevano seguito. 41 Egli incontrò dapprima suo fratello Simone e gli disse : «Abbia­ mo trovato il Messia (che tradotto significa Cristo)». E lo condusse da Gesù. 42 Gesù, fissatolo, disse : «Tu sei Simo­ ne, figlio di Giovanni; tu ti chiamerai Cefa (che tradotto si­ gnifica Pietro)». 43 Il giorno dopo volle partire per la Galilea, e trova Filippo. E Gesù gli dice : « Seguimi ! >> . 44 Ora, Filippo era di Betsaida, la città di Andrea e di Pietro. 45 Filippo incontra Nataneale e gli dice : «Colui, del quale hanno scritto Mosè nella legge ed i profeti, l'abbiamo trovato: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazaret». 46 E Natanaele gli disse : «Da Nazart:K può ve­ nire qualcosa di buono ? » . Gli dice Filippo: «Vieni e vedi ! ». � Gesù vide Natanaele venirgli incontro e disse di lui : «Ec­ co un vero israelita, in cui non c'è inganno ! ». 41 Natanaele gli dice «Da dove mi conosci ? » . Rispose Gesù e gli disse: «Prima che Filippo ti chiamasse, t'ho visto che stavi sotto il fico » . 49 Gli replicò Natanaele : «Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei re d'Israele! » 50 Gesù gli rispose e disse : «Per­ ché t'ho detto che t'ho visto sotto il fico credi? Vedrai cose maggiori di queste». 51 E gli dice : «In verità, in verità vi di­ co : vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo» . ·

Per mezzo di Giovanni Gesù chiama i primi discepoli, che rappre­ sentano il vero Israele che ha ascoltato l'appello dell'inviato di Dio ed ha seguito il Messia (cfr. I ,3 i ·47·49), e costituiscono gli inizi di quella comunità che Dio stesso ha dato al Messia (cfr. 3,27.29 ). Sotto tale aspetto, questa parte del quarto vangelo si differenzia dai rac-

lo. I,JJ·JI

conti sinottici della vocazione dei discepoli (Mc. 1 , 16-2o; 2,14 parr . ), secondo i quali quegli uomini abbandonano la casa ed il lavoro per seguire Gesù. Storicamente le due descrizioni non sono incompatibili fra di loro, perché il racconto sinottico presuppone una precedente co­ noscenza tra i discepoli e Gesù, e quello giovanneo non esclude che si siano presentate altre situazioni, come quella dell'abbandono delle reti per diventare 'pescatori di uomini'. Soltanto dal quarto vangelo apprendiamo che i primi discepoli venivano dalla scuola del Batti­ sta. Secondo Mc. 2 , 1 8 parr. ; cfr. Mt. 1 1 ,2 ss. = Lc. 7,1 8 ss. ; Le. 1 1 ,1 , i discepoli di Giovanni formavano un gruppo che anche in seguito si distingueva dai discepoli di Gesù, con pratiche religiose proprie; ma neppure il quarto vangelo afferma che tutti i discepoli di Giovanni ab­ biano seguito l'invito del loro maestro (cfr. 3,25 ss. ). Effettivamente, dai vangeli non risulta con chiarezza quale sia stato il comportamento verso Gesù ed i suoi discepoli da parte degli uomini che erano rima­ sti con Giovanni; ma non si hanno prove d,una seria concorrenza tra i due gruppi finché visse il Battista ( diversamente andarono le cose più tardi, cfr. comm. a I , 15 .2o; 3 ,26 ss.). Ipotesi insostenibile è che al racconto giovanneo dei due discepoli che aderiscono a Gesù si sia giunti mediante una tendenziosa trasformazione delr ambasceria nar­ rata in Mt. 1 1 ,2 ss. par. Le. Cosi pure non è nulla più che un'ipotesi l'idea che Giovanni Battista, ed eventualmente anche i discepoli man­ dati da lui a Gesù, precedentemente fossero stati vicini alla comu­ nità di Qumran, costituendo cosl un collegamento tra Gesù e quegli uomini del deserto 73; dalle riconoscibili affinità, non si può ancora de­ durre un rapporto di di�ndenza od un'influenza diretta 74• 73 · Cfr. 224; W.

G. Molin, Die Sohne des Lich t es, Wien-Miinchen 1 954, 1 8 r-185. 222H. Brownlee, fohn the Baptist in the New Light of Ancient Scrolls, in: «K. Stendahl, The Scrolls and the New Testament», London 1958, 3 3-53 ; A . S . Geyser, The Youth o/ fohn �be Baptist: NT I ( 1956), 70-75 ; ] . Stein­ mann, St. fean-Baptis t e et- la spiritualité du désert, Paris 1955, 58-61 . 74· Cfr. F.-M. Braun: R B 6 2 ( 1955 ) 4 1 s . ; M. Burrows, Mehr Klarheit uber die Schri/trollen, Miinchen 1958, 47-5 3 ; K. Schubert, Die Gemeinde vom Toten Meer, Miinchen-Basel 1958, 109-1 14; F. �1. Cross, The A11cient Library o/ Qumran, London 1958, 1 .5 1 s., nota 9; H. H. Rowley, The Baptisr,z o/ fohn and the Qumran Sect : NT Essays, Manchester 1 959, 2 1 8-229 ; ]. Gnilka, Die essenischen Tauchbiider und die fohannestau/e : RQum 3 ( 1 961 ) 185-207 ; J. Pryke, fohn the Baptist and the Qumran Community : RQum 4 ( 1963-64) 483-496.

Io. I1JJ·J8

Questa pericope si articola in più scene, strettamente legate fra di loro: i due discepoli presso Gesù ( vv. 3.5-3 9 ) ; l'incontro con Simon Pietro (vv. 40-42 ); la vocazione di Filippo e di Natanaele ( vv. 43-.50). Il punto culminante del racconto è raggiunto in quest'ultimo passo, che dalla confessione di Natanaele (v. 49) si eleva fino ad una parola di rivelazione da parte di Gesù, conclusiva ed anticipatrice nello stes­ so tempo (v. 5 I ), e che nel suo significato apre la via alla rivelazione della gloria di Gesù nei 'segni'. Non c'è motivo di dubitare dell'unità letteraria di questo passo 75; soltanto il v. 43 potrebbe essere un'ag­ giunta redazionale (v. commento al passo). l

due discepoli di Giovantzi presso Gesù ( I ,3.5-39 ).

L'indicazione cronologica (cfr. v. 29) vuoi collegare strettamen­ te la scena che segue alla precedente testimonianza del Battista. Con il breve accenno all' 'agnello di Dio' (cfr. comm. al v. 29) Giovanni esorta i due discepoli che stanno con lui ad unirsi a Gesù. Essi com­ prendono l'intenzione del loro maestro e seguono Gesù. axoÀov­ itEt:v, che qui è usato prima di tutto nel suo significato letterale, in senso traslato nel vangelo di Giovanni significa l'adesione di fede (cfr. 8 , 1 2 con 1 2 ,36 ; inoltre I 0,4 s . 2 7 ) 76• L'atto di 'seguire' compiuto dai due discepoli è il primo passo verso la fede in Gesù, al quale se­ gue il fatto di 'restare', non solamente quel giorno (v. 39), ma in co­ stante comunione con lui.

JS-37.

38. Gesù facilita a questi due uomini la decisione di unirsi a lui do­ mandando: «Che cosa cercate» ? , parole che forse per i lettori del vangelo dovevano avere un tono missionario (cfr. I 2,2 I ). Nella rispo­ sta dei discepoli di Giovanni è implicita la richiesta di poter discor­ rere in pace con Gesù. 'Rabbi' � l'allocutivo usato normalmente da-

75· Cfr. l'acuta analisi del B u l tma nn , ]oh., 68 , che però avanza pretese forse troppo moderne suilo stile narrativo dell'evangelista .

76. L'idea, che appare nei vangeli sinottici , che il ·seguace' entra in comunio­ vita c d i destino con il suo maes tro, è con ser v a t a nei logia giovannei 1 2 ,26; 1 3 ,36 s.; 2 1 ,19 s. 22 ( a nche se modificata secondo Io spirito giovanneo nel significato •Jà dove è Gesù'). Più accentuatamen te che nei sinottici il concet to giovanneo ùi seguace è posto al serv i z i o dei c red e n t i futuri .

ne di

Io.

I,J8·J9

gli scolari (con Giovanni 3,26; con Gesù 4,3 1 ; 9,2 ; 1 1 ,8 ). Probabil­ mente i discepoli desiderano avere da Gesù· una spiegazione della Scrittura, e più precisamente sulla questione decisiva del .Messia (cfr. v. 4' ). Il Battista forse nella cerchia dei suoi discepoli avrà fatto let­ ture della Scrittura, 'applicate' al problema messianico, assai più di quanto dicano i nostri testi (però cfr. 1 ,23 ); e, se ha visto il fatto del­ la sua comparsa e della sua azione alla luce della Scrittura ed ha pre­ sentato al suo uditorio Gesù come r 'agnello di Dio ' , non è difficile credere che coloro che avevano seguito il suo consiglio volessero avere da Gesù stesso notizie più precise sulla sua interpretazione messianica della Scrittura. Oggi, grazie agli scritti della comunità di Qumran (specialmente i pesarim ) possiamo farci un'idea di che genere fosse tale interpretazione della Scrittura n, benché appaiano differenze no­ tevoli nella stessa dottrina sul Messia 78• I membri dell' 'alleanza di Dio' erano obbligati ad un intenso studio della Scrittura (cfr. I QS 6,6 s.; 8,12-1 5 ); ma l'indirizzo di questo studio era stato dato loro chiaramente dallo 'studioso della legge' (Dam. 6,7 ; 7,1 8 ), certamente il fondatore od il primo capo della comunità {il 'maestro di giustizia', cfr. Dam. 1 , 1 1 ; 20,3 2 ; I QpHab. 1 , 1 3 ecc.). I due ex discepoli di Giovanni trovano in Gesù più che un semplice maestro di esegesi ; essi giungono a convincersi che Gesù è il Messia promesso dalla Scrit­ tura (cfr. v. 41 ) ·

.

Il breve racconto vuoi dare l'impressione che i due interpellanti siano stati conquistati da Gesù stesso, e che Giovanni abbia fatto sol-

39.

77· Cfr. W. H. Brownlee� Bibl. lnterpretation among tbc Sectaries o/ the Dead Sea Scrolls: BA 14 ( 1 95 1 ) 54-76; K. Elliger, Studien :zum Habakuk-Kommen­ tar vom Toten !Yfeer1 Ti.ibingen 1 953, specialm. 1 18-164; G. Vermès, A propos des Commentair�s bibl. découverts à Qumran : RHPhilRel 35 ( 1955) 95-103; O. Betz, Offenbarung und Schriftforschung in der Qumransekte, Tiibingen 1960; L.H. Silbermann� Unriddling the Riddle: RQum 3 ( 1961-62 ) 323-364; ]. Carmi­ gnac, Notes sur les Pesharim: ibid., 505-532. 78. Cfr. fra gli altri K. Schubert, Die Messiaslehre in den Texten von Chirbet Qumran : BZ, N.F. I ( 1 957 ) 177-197; A.S. van der Woude, Die messianische11 Vorstellungen der Gemeinde von Qumran, Asscn 19'7; Id., Le Maitre de ]ustice et les deux Messies de la Communauté de Qumrdn : Rech. Bibl. IV (Bruges-Paris 1959) 1 2 1-134; di diversa opinione (un messia soltanto) R. B. Laurin, The Problem of two Messiahs in the Qumran Scrolls : RQum 4 ( 19631 964) 39·52.

Io.

I,J9-42

tanto da intermediario. Gesù li invita ad andare con lui ; dove egli risieda, non viene detto, e non ha del resto grande importanza. Per quanto il suo invito sia rivolto in una forma abituale 79, probabil­ mente r O�Ecri)E contiene qualcosa d'altro; ha quasi il tono d'una pro­ messa, come le parole u Natanaele ( I ,jO) e quelle che seguono, indi­ rizzate a tutti i discepoli ( 1 ,j r ) . L'evangelista tace sul colloquio che ne è seguito : in tutti questi incontri Gesù opera, più che con le parole, con la forza del suo essere e della sua maestà. Non sembra che si possa attribuire un significato simbolico all'indicazione dell'ora (ora decima = le quattro del pomeriggio) 80; essa serve. soltanto ad indicare la durata (fino alla sera; oppure 'quel giorno' significa anche il giorno dopo? ) e la fruttuosità del colloquio, e ad esprimere l'im­ portanza dell'ora per i discepoli : a quell'ora essi entrano in comu­ nione con Gesù. L'incontro con Simon Pietro

( 1 ,40-42 )

Nelle tre scene successive altri discepoli trovano la via verso Gesù. Di questi. incontri ciò che al narratore importa è il comportamento di Gesù, ciò che egli dice, come giudica e conquista questi uomini. L'evangelista presuppone che i suoi let tori conoscano già Andrea e Simon Pietro; altrimenti non potrebbe incominciare : «Andrea, il fra­ tello di Simon Pietro, era uno dei due . . . » 81 • Gesù abbraccia con lo sguardo e scruta l'uomo che è stato condotto da lui, e subito lo chia· ma con il nome che porterà in futuro, un nome carico di significato ('roccia'); lo conosce c lo elegge. Che cosa abbia fatto Simone non sappiamo. Sono ricordate ]e parole di Andrea, pa role di gioiosa con­ fessione ( che gettano luce sull'efficacia dello stare assieme a Gesù ) e piene di attrazione ; ma esse passano in seconda linea davanti alla 79·

Cfr. Billerbeck 11, 371 relativamente a 1 ,46 ; Schlatter, ad l. 8o. Sul significato del numero dieci nel giudaismo e nell 'apocalittica cfr. F. Hauck : ThWb IIJ 35 s. ( = GLNT 1 1 , coli. 829 ss. ). Vari esegeti pensano che si voglia indicare a questo modo l'ora dell' 'adempimento', il prindpio deW 'era cristiana'. 8 1 . Allo stesso modo Maria di Betania viene presentata come colei che ha unto i piedi di Gesù ( 1 1 ,2 ) prima ancortl che venga dcscritt:t l'unziouc ( 1 2 , 1 n . ). Ciò sta ad indicare un frequente racconto orale all'uditorio cristiano.

Io.

430

IA0-4I

maestà delle parole di Gesù. Nelle parole di Andrea ciò che veramen· te importa è che egli chiama Gesù 'il Messia'; in Gesù i primi disce· poli trovano il 're d'Israele' (v. 49) p�ofetizzato dalla Scrittura (cfr. v. 45 ). Ma, al di là di questa funzione, Gesù si presenta dotato di scienza divina, in intima vicinanza a Dio, come un Messia inatteso, che supera ogni aspettativa giudaica (cfr. 6,69 : 'il santo di Dio') 12• 40-4 1 . Lo stile del racconto pone ancora qualche problema partico.. lare. D'uno solo dei due discepoli è fatto il nome : Andrea ; per l'al.. tro, da molto tempo si pensa a Giovanni , il figlio di Zebedeo, il quale si celerebbe anche dietro l'espressione «il discepolo che Gesù amava» ( 13 ,2 3 ; I9,26; 20,2 ; 2 I ,7 .20 ; cfr. 'l'altro discepolo' 1 8,1 .5 ; 20,2ss.8 ). L'ipotesi è ammissibile, ma non dimostrabile ; in­ fatti, da 1tpw,;ov non si può dedurre che egli poi (dopo Andrea) avreb­ be portato da Gesù suo fratello Giacomo {Zahn, Barrett ed altri). Se, per ragioni di cri tica letteraria, non si tiene conto del v. 4 3 , potrebbe trattarsi soltanto di Filippo che, al pari di Andrea, 'trova' un altro (Natanaele) e lo porta da Gesù (v. 45 ; v. ivi).

Sul 1tpW'tO'V de l v . 4 1 , che è incerto anche dal punto di vista testua­ le 83, si avanzano varie ipote si llpw-tov si trova in J>66 ·75 B S3 8 Y 083 33 cp À. a c 11 I bo sa arm. p m ; è dunque ottimamente attestato e perciò prefer i t o da tutti i modern i editori, ad eccezione del Ti schendor f . Questi si decise a fa­ vore di 1tpw't'oc; che si trova in S W L R . Olt re a que s te due lezioni si trova in e b r (j ) sy3 1tpwt . ( mane), che si adatta bene al testo ma ai piit appare sospetto perché troppo facile. La lectio difficilior 1tpW­ "tov {o anch e 1tpW'toc;) fa sorgere qualche difficoltà per l 'esegesi, per­ ché il testo non fa parola d'un'azione ulteriore di Andrea. La cad u ta di questa parola problematica in Ta t syc Aug. Chrys. si spiegherebbe con ques ta difficoltà. La lezione 7tpwt certamente antica, at testata dai ms s VL e VS , potrebbe aver soppiantato 7tpW't'OV (o 1tpw,;oc;), se ci si ri colleg a alla tradizione aramaica, poiché qedam può s igni ficare tanto ' essere presto' quanto 'essere prima' (M. Jastrow , Dictionary n, p. I 3 I 6); oppure ci si potrehbe richiamare ad una dittografìa di ,;ov (cfr. Bernard, Boismard, Molla t ) . Ma la cosa non è sicura Togliendo il v. 43 .

.

.

.

.

82. Cfr. R. Schnackenburg, Die hlessiasfrage im ]ohannesez.:angelium, in : «Neu­ testamentliche Aufsatze» (Festschr. fiir ]. Schmid), Regensburg 1 963 , 24o-264. 83 . Su quanto segue cfr. M.-É. Boismard, Du baptéme à Cana, 82-84.

4 .3 1

1tpCYtov (meglio ancora 1tpW"ro�) andrebbe riferito a Filippo. È questa un•ipotesi che va presa in seria considerazione 84•

Da tot.o'V, che spesso nella koiné sostituisce il pronome possessivo a.s, non si può dedurre che il testo intenda parlare d'un• altra coppia di fratelli (i figli di Zebedeo ). Pertanto resta tuttora in sospeso un giu­ dizio definitivo (cfr. però comm. al v. 43 ). 42.

Quel che soprattutto interessa ali'evangelista è che Gesù co­ munica a questo Simone il nome di KT}cpa� (con � finale, alla greca, per l'aramaico kefa' = roccia) con llÉ"rpoc; non vuole soltanto ricordare ai lettori greci il nome che essi conoscono, ma anche spiegarlo ( analogamente : MECTO'Lac; - Xpt.cr"r6c;, v. 4 I ) 87 • Perciò anche qui (come in Mt. I 6-I 8 ) è implicito che Gesù 84. Bul t mann , ]oh., 70, nota 8 , che ammette nel v. 43 una successiva variante, deduce da 1tpW'tO'J che in origine Andrea era il soggetto di EvpCtrxE.t. nel v. 43 ; oppure da 1;pw'toetv!�et.v ). Manca loro anche la 'materialità', che hanno tutti i 'segni' precedenti. Per lo stes­ so motivo è preferibile non comprendere fra i 'segni' il cammino di Gesù sulle acque, quantunque il fatto avvenga nel periodo dell'atti­ vità pubblica di Gesù e venga immediatamente dopo un altro grande 'segno'. L'evangelista nulla dice al riguardo; potrebbe darsi che egli vedesse nel cammino sulle acque un 'segno' particolare per i disce­ poli, ma si tratterebbe allora d'un'eccezione rispetto alla serie degli altri 'segni' 7• Sulla base eli queste considerazioni ora dovrebbe essere possibile tentare una valutazione dell'importanza dei 'segni' per la teologia gio­ varuiea, e più precisamente per la sua cristologia. 3 . L1importanza teologica dei ' segni1

Cominciamo dal primo 'segno', quello operato da Gesù alle nozze di Cana. È vero che ad esso manca una adeguata parola di rivelazione che potrebbe spiegare il significato profondo del racconto (v. sopra); ma ci sembra che le tre brevi frasi di 2,1 1 costituiscano un intimo contesto: il 'segno' si dimostra tale nel fatto che Gesù 'manifestò la sua gloria' e che questa diventò 'visibile', percepibile per i disce­ poli grazie alla fede. Quest'interpretazione è confermata dal racconto della risurrezione di Lazzaro; qui, infatti, Gesù, davanti al sepolcro aperto ed immediatamente prima di pronunciare la parola che richia­ ma alla vita, dice a Marta : «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?» ( I I ,40). Se qui si parla della gloria di Dio, e in 2, I I , 7· Non sembra giustificata un'estensione del concetto di 'segno' alla croce di Gesù; in questo senso vedi D. Mollat, o.c., 209 («La notion de semeion do­ mine aussi le récit de la Passion») e specialmente J.P. Charlier, o.c., 444-447. Al riguardo non ci si può richiamare nè a Io. 3,14, perché il serpente di bronzo in Giovanni non è indicato come O"T)I..LELOV, nè a I2,JJ, perché rosservazione del­ l'evangelista che con le parole che precedono ( v. 32) Gesù ha indicato (O"T)J..LClL­ vwv) di quale morte deve morire, non indica ancora la croce come CTTJJ..LELOV. E poi anche il martirio di Simon Pietro secondo 2 1 ,19 dovrebbe essere un CTT)J..LELO'V, a meno che non si neghi al redattore dell'epilogo l'intelligenza del linguaggio teologico dell'evangelista (cfr. Charlier, o.c. 446, nota 41 ) . Certa· mente per noi la morte di Gesù ha in Giovanni un senso signi ficati vo ; ma il linguaggio giovanneo è diverso. '

'

Excursus quarto: i .'segni' giovannei

invece, della gloria di Gesù, non si vuoi dire altro che la potenza di Dio è presente ed operante in Gesù, e che Dio è l'origine e lo scopo di tutta la gloria propria di Gesù. Anche la risurrezione di Lazzaro manifesta la gloria di Gesù, come insegnano le parole all'inizio del racconto : «Quest'infermità non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché ne venga glorificato il Figlio di Dio» ( I I ,4 ) 8 • Neli' azione di Gesù appare la gloria di Dio e la sua stessa gloria, se la si guarda con gli occhi della fede. Questa capacità 'rivelatrice' è rilevabile in tutti i 'segni', anche se non sempre con la stessa evidenza, e soprat­ tutto là dove dal genere del miracolo ne appare il carattere simbolico, il quale viene pure sottolineato da una parola di Gesù, cioè nella moltiplicazione dei pani, nella guarigione del cieco nato e nella risurrezione dei morti. Bisogna guardarsi, però, dall'interpretare questo fatto metaforicamen­ te (alla maniera platonica). I 'segni' non sono 'figure ' o avvenimenti figurati, che con il loro valore simbolico illuminino un'immagine più profonda; non sono «fatti ed avvenimenti di questo mondo» che «traggono la realtà che posseggono dalle idee eterne che incarnano» 9 • La manifestazione della 'gloria' di Dio richiama ad un altro ordine di idee. Specialmente il miracolo della moltiplicazione dei pani, con le parole di rivelazione che lo seguono, ed anche tutti gli altri mira­ coli mostrano come il pensiero dell'evangelista affondi le sue radici in quello biblico, messianico. Giustamente è stata rilevata l'affinità dei 'segni' giovannei con i miracoli dell'Esodo, come li presenta il libro della Sapienza (anche se è difficile ammettere che questo sia stato il modello diretto dei miracoli del vangelo giovanneo) 10• Si può ricor­ dare anche la credenza dei Giudei, che il miracolo della manna si sa­ rebbe ripetuto nell'èra messianica (cfr. commento a 6,31 ) 11 ed è altresl da rilevare la promessa profetica che la gloria di Dio si manifesterà nel tempo finale su Gerusalemme e sui popoli (particolarmente se­ condo Is. 6o ss. ). L'inviato escatologico di Dio non è ancora - è vero •

8. Su questo passo cfr. W. Thiising, o.c.) 229 ss.; sull'uso dei vocaboli 'glorifi­ care' e 'gloria' vedi anche 240-244. 9· C.l!. Dodd, Tbe Interpretation, 143. 10. Cfr. G. Ziener, Weisheitsbuch und ]ohannesevangelium : Bibl. 38 ( 19,7) 396· 418. 1 1 . Cfr. Billerbeck 11, 48 1 ; P. Volz, Eschatologie, 388.

Excursus quarto: i 'segni' gio vannei

- portatore della gloria cosmica, ma la fa trasparire luminosa nei suoi CTT)�J,Ei:a., come appare evidente nel miracolo di Cana, ed anche nell a guarigione del cieco nato, che mostra Gesù come la 'luce del mon­ do' ( 9,.5 ), e nella risurrezione dalla morte, un avvenimento in sé fu­ turo-escatologico ma che già ora Gesù realizza nel 1 segno ' . Non si deve dunque trascurare il significato messianico-escatologico dei CT1'}­ J.Uta. giova nnei , che non si discosta dall 'interpretazione sinottica dei miracoli 12• Però il concetto giovanneo di ' segno ' supera di gran lunga il signi­ ficato (messianico) dei m iracoli sinottici e, nella visione cristologica dell 'evangelista, diventa qualcosa di assolutamente nuovo. Quando Io. 1 2,4 I dice ch e Isaia contemplò la gloria di Gesù, allorché vide Jahvé nel suo alto trono nel cielo (I s. 6,1 ), abbiamo un'idea dell a concentra­ zione cristologica del quarto evangelista. I o. 2, I r diventa ancora più comprensibi le se è visto alla luce del logion I , 5 r sul Figlio dell'uomo: il Figlio dell'uomo che sta sulla terra manifesta la presenza e l 'azione di Dio; in lui si compie l'opera escatologica di Dio. Questo principio interpretativo cristologico appare perfino nella 'richiesta di segni' ripresa dalla tradizione sinottica -, anche se, come s'è visto, contiene un altro concetto di 1segno' . Le parole enigmatiche pronunciate da Gesù in occasione della cacciata dal tempio e della pretesa dei Giudei (il tempio che sarà abbattuto e ricostruito), con le quali Gesù all a ri­ chiesta d'un segno convalidante contrappone un ' segno' del tutto di­ verso, s 'adempiono, secondo il commento dell 'evangelista ( 2,2 1 ), nella sua persona, cioè nella risurrezione del suo corpo. Ancor più chiara è la risposta di Gesù nel cap. 6 : egli stesso nella sua persona, quale si manifesta in parole e 'segni ', è i l vero segno celeste dato da Dio, il 'pane di vita' disceso dal cielo, che supera sotto ogni aspetto la manna data da Mosè ( 6,3 2-3.5 ) . È questo il vero carattere di 'segno' racchiuso nel miracolo della moltiplicazione dei pani, che i Giudei 12. Cfr. A. Richardson, The Miracle-Stories of the Gospel, London 1 94 1 , ecc.; ]. Kallas , Tbe . Significan ce o/ tbe Synoptic Afiracles, London 1 961 ; A. Vogtle, ]esu Wunder einst und beute: Bibel und Leben 2 ( 1961 ) 234-254; G. Delling, Botschaft und Wunder im Wirken ]esu in «Der historische Jesus und der keryg­ matische Christus», Berlin 1960, 389-402 . Già Matteo interpreta sotto un parti­ colare aspetto teologico i miracoli riportati da Marco, cfr. H.J. Held, Matthaus als Interpret der Wundergeschichten, in « Ueberlieferung und Auslegung im Mat­ thausevangelium», Neukirchen 1960, 155-287.

Excursus quarto: i 'segni' giovannei

hanno 'visto' (cfr. 6,36), ma non hanno 'visto' veracemente (con oc­ chi di fede) (cfr. 6,26 ): il pane da lui distribuito agli uomini 'mostra' in lui il pane di vita disceso dal cielo. Tutti i grandi miracoli indicati come crru'i:u tt attirano con forza l'attenzione su colui che li opera e rendono trasparente la sua maestà ed il suo potere salvifico. Anche l'escatologia in atto del quarto evangelista si esprime in questa visione cristologica. Quantunque non ci sia alcun rapporto di· retto, è interessante al riguardo un confronto con il 'segno di Giona' ricordato in Mt. 1 2 ,39 s. par. Le. 1 1 ,29 s. Nella stesura primaria, quella lucana, con esso s'intende parlare del Cristo della parusia, che sarà per i Giudei un 'segno', anche se un segno di giudizio per glj impenitenti 13 ; n1a, conformemente al pensiero escatologico del quar· to evangelista, già il Cristo presente diventa 'giudizio', che opera se· condo le intenzioni di Dio la separazione dei credenti dai non cre­ denti (cfr. 9,3 9 ). È vero che neppure nel linguaggio giovanneo Gesù è indicato come CTr)lJ.ELO'V, ma il crr) lJ.ELO'V da lui operato con la guari­ gione del cieco nato rivela questo significato della sua persona. Sotto un aspetto positivo, tutti quei 'segni' che mostrano Gesù come dispen­ satore di vita (la guarigione del figlio dell'ufficiale regio di Cafarnao, l 'uomo infermo da molti anni della piscina di Bethesda e la risurre­ zione di Lazzaro ) rendono certa la presenza de11a salvezza escatolo­ gica nella sua persona. La 'vita', che Gesù dona a queseuomo che fa quasi già parte del regno dei morti, è figura e pegno della 'vita eterna', che era attesa per l'eone futuro e che anche i sinottici intendevano astrattamente come vita futura in Dio; per Giovanni, invece, essa è già presente in Gesù e già ora viene da lui trasmessa ai credenti. Men­ tre da un lato i 'segni' rivelano Gesù come la 'risurrezione e la vita', dall'altro essi aprono lo sguardo anche sul dono attuale della vita; mentre questi miracoli mostrano i risanati come fisicamente tornati alla vita, essi rappresentano anche il richiamo dei morti spirituali alla vita divina che Gesù porta in sé e comunica ai credenti (cfr. 5 ,2 5 s. ). Ma queste considerazioni sollevano un altro probl�ma: i CT'J)(J.Ei:tt 1 3 . Cfr. J. Jcrcmias : ThWb 111, pp. 4 1 1 ss. ( = GLNT IV, coli. 1 240 ss.); A. Vogt­ le, Der Spruch vom ]onaszeichen, in «Synoptische Studien» (Festschr. fii r A. Wi­ lc:enhauser), Miinchen I 9j-} , 2 .�0-277 ; K.H . Rengstorf : ThWb vn, 23 1 s . Un'altra i nterpretaz:one, ma .,on coavincente, è quella di O. Glombitza, Das Zeichen des ]ona : NTSt 8 ( 1 96 1 /62) 359-366.

Excursus quarto : i 'segni' giovannei

giovannei, che si realizzano durante l'attività terrena di Gesù, sono . nel loro significato principale una prefigurazione dell'opera salvifica del Cristo asceso in cielo 14, oppure vogliono rendere trasparenti in quanto segni attuali il potere salvifico e la gloria dell,Incarnato? Il legame dei O"T}JJ.E!cx. con la person.a di Cristo, la cui attività terrena di rivelatore conduce necessariamente alla sua 'ascesa in cielo' e 'glorifi­ cazione' e raggiunge la sua meta nell'azione salvifica del Cristo iri gloria, questo rapporto indissolu-bile, che diventa unità nella persona di Cristo, mostra come la domanda sia superflua o sia posta in modo errato; tuttavia essa è fino ad un certo punto giustificata per chiarire l' 'ora di Gesù' nel miracolo di Cana ( 2 ,4): questo primo 'segno' vuoi già additare l'ora dell'ascensione e glorificazione di Gesù al termine del suo cammino terreno, quando la pienezza messianica delle bene­ dizioni (il vino prelibato di Gesù) avrà il suo vero adempimento; oppure deve richiamare l'attenzione sull' 'ora ' , che sta per comin­ ciare, per mandato del Padre, l'ora dell'attività rivelatrice terrena del­ l'Incarnato, che proprio in quest'opera manifesta ai credenti la gloria sua e del Padre? Certamente le parole di Gesù si possono interpretare come se egli dicesse : «Quello che farò ·adesso non è la mia opera definitiva, ne è solo un O"T}JJ.E!O'V » 15, e questa spiegazione potrebbe trovare conferma nell'uso che altrove (ma non sempre) è fatto del­ l'espressione i) wpa., IJ.OU. Ma gli altri passi non autorizzano a dare al D'1)�tEtO'V un significato di prefigurazione. I C11')JJ.E!« sono intimamente legati all'opera del Gesù terreno (v. sopra), hanno soprattutto il si­ gnificato di mettere in rilievo la rivelazione già attuale della gloria di Gesù: la gloria dell'unigenito del Padre nel tempo della sua incarna.. zione ( I ,1 4). Con ciò non si vuoi negare che il suo potere salvifico di donare la vita ai credenti (cfr. 1 7,2 ) si esplichi effettivamente soltanto dopo quell'ora della ' glorificazione' (cfr. 1 2,23 . 3 2 ; 1 3 ,3 1 s.; 1 7,1 ); ma si tratta d'una cosa che è evidente per Giovanni, che scrive dopo la glorificazione di Gesù, in un'epoca in cui lo Spirito divino già si ri­ versa copioso sui credenti (cfr. 7,39). I 'segni' non sono fatti per illu­ minare il cammino storico-salvifico di Gesù, ma semplicemente per 14. Essi sarebbero allora più strettamente affini ai segni operati dai profeti (v. nel testo S 4), ma non ai segni precursori apocalittici, che sono sempre segni funesti (cfr. Mc. I 3 A parr.).

1,. W. Thiising, o.c., 94·

Excursus qU4rto: ; 'segni' giofJannei

risvegliare la fede, per indurre a credere che «Gesù è il Cristo, il Fi­ glio di Dio» (20,30 s.); per sottolineare, cioè, il significato salvifico della persona di Gesù. La loro limitazione al tempo dell'attività ter­ rena di Gesù vuole far rivolgere l'attenzione alla irripetibile rivela­ zione salvifica da parte del Figlio di Dio incarnato e metterne in pie­ na luce il significato escatologico, cosl che anche i futuri predicatori della fede possano limitarsi a riferire, attestare, ricordare e rendere in tal modo 'attuale' questa sua rivelazione in 'segni' (e parole ). Cer­ tamente è implicito il presupposto che colui che un tempo operò questo 'segno' sulla terra, nel frattempo è glorificato, continua a vi­ vere e compie la salvezza dei credenti; ma la sua rivelazione, in quan­ to avvenimento storico-escatologico, è conclusa, e può essere soltanto chiarita ulteriormente, dischiusa nella sua pienezza, spiegata in tutta la sua verità (cfr. le affermazioni sul Paraclito, specialmente 1 4,26; 16,1 3 S . ) . Queste considerazioni ci portano a riconoscere l'esistenza d'un in­ timo rapporto tra l'incarnazione e la rivelazione in 'segni' di Gesi.t Cristo, in quanto la prima ha reso possibile e ha dato l'avvio alla seconda. Ma ciò trova conferma anche nel tipo e nella struttura dei 0"1]J.,LEtcx stessi. Già da molto tempo è stato rilevato come essi, nono­ stante il loro contenuto simbolico, nel racconto giovanneo abbiano anche una intensa 'materialità' ; essi avvengono 'realmente' nella materia di questo mondo e sono storican1ente localizzati con netti con­ torni. L'evangelista dà tanto decisivo valore al loro carattere fat­ tuale, alla loro attestabilità ed induhitabilità, quanto ne dà an� loro espressiva forza simbolica; essi ( jn quanto 'opere' ) vogliono es­ sere anche 'testimonianze' per la fcd:.! c contro l'incredulità; ricevono cosl quasi una validità giuridica, come risulta partico1armente dai ripetuti interrogatori del deco nato (cap. 9 ). Qu�sta chiarissima ca­ ratteristica dei O"TUJ.ELCX giovannei (che perciò non è necessario dimo­ strare minu tamente) ha un'innegabile analogia con J a persona dello stesso Logos incarnato : alte sono le !odi che l 'inno al Logos eleva alla spiritualità ed alla divinità del Logos, ma con altrettanta forza esso insiste sul fatto del suo farsi 'carne'. Analogan1ente, i aT)tJ.E�a hanno una 'configurazione fenomenica' materiale, sotto la quale nascondono un profondo significato spirituale, e più precisamente cristologico. Non si dovrebbe trattare d'una 'casuale' somiglianza strutturale, rro·

Excursus quarto: i 'segni' giovannei 4 90 prio perché i crruJ.ELfX sono operati da questo Figlio di Dio, che s'è fatto uomo, e soltanto da lui, e pe�ché lo manifestano nella sua gloria e potenza salvifica divina; sono, cioè, segni di rivelazione per lui, e nient'altro. È evidente che il significato cristologico dei v T)l.lEPWV in Mc. 14, .5 8 ; Mt. 26,6 r . Questi elementi provano il legame dell'evangelista con la sua tradizione ; però egli ha subito interpretato l'affermazione di Gesù secondo l'indirizzo cristologico scoperto da lui stesso. L'incomprensione tra Gesù ed i 'Giudei' è assoluta. Gesù intende parlare del suo corpo che egli, quando i Giudei lo 'distruggeranno' con la violenza, 'riedi.fìcherà' in tre giorni 27 ( sull'importanza di quest'in· terpretazione cristologica parleremo ancora trattando dei vv. 2 1 s . ). Ma i 'Giudei' riferiscono l'affermazione di Gesù {e, data la sua formu· lazione, non c'era altro da attendersi ) esteriormente e materialmente (come sempre negli 'equivoci' giovannei 28 ) al visibile tempio di pie­ tra che s'erge davanti ai loro occhi. Ci si può ancora domandare ( come anche per Nicodemo in 3 ,4 ) se

i Giudei non sarebbero stati in grado di capire le parole di Gesù anche

in un altro senso figurato. Per il tempo messianico s'attendeva un maggiore splendore, oltre che per Gerusalemme, anche per il tempio; dopo la distruzione del tempio erodiano nell'anno 70 d.C. si manife sta la speranza di un nuovo maestoso santuario, che secondo alcuni testi avrebbe dovuto essere costruito dal Messia 29 • Finora non s�erano avute testi lnonianze nel giudaismo palestinese d'un significato traslato di 'ten1pio', in particolare come figura della comunità ; soltanto nel giudaismo ellenistico si pensava di poter parlare d'una 'spiritualizza..

nota 2. Diversamente ( riferito in primo luogo a Gesù stesso ) M. Simon, Retour du Christ et reconstruction du Temple dans la pensée chrétienne primitive, in : «Aux sources de la tradition chrétienne» (Mél. M. Goguel), Neuchatel-Paris 1950, 247-2 .5 7 · 26. Cfr. B. Noack, Zur ;ohanneischen Tradition, 1 03 s . 27. L'imperativo nella premessa ha carattere condizionale ( paratassi semitica ); l'affermazione principale è contenuta nella frase seguente. Cfr. K. Beyer, Semi­ lische Syntax im Neuen Testament 1/ 1 , Gottingen 1 962, 252. 28. Cfr. 3 , 3 s. ; 4,1 5 .3 3 ; 6 ,34; 7, 3 5 ; 8, 52 s .57; 14,8 .22 ; 16,7 s. 2 9 . Sull'attesa del tempio escatologico cfr. Ez. 40-44; Ag. 2,7ss.; Zach 2,.5-9; Tob. 13,16 s . ; 14,.5; Ecclus 3 6,18 s.; suJl'attcsa rabbinica ed apocalittica Billcrbeck I, IOOJ- I00.5 ; IV, 884 s . ; Volz, Eschatologie, 2 17. .

Io.

2,19-20

zione' dei concetti cultuali 30• Ma ora, grazie ai testi di Qumran, è provata chiaramente l'esistenza dell'immagine d'un edificio o tempio per raffigurare la comunità , cfr. I QS 5 ,5 s . ; 8 ,7-ro ( partendo da Is. 2 8 , r 6 ) ; I QH 6 ,25-28 (città fortificata ): cfr. 7,7-9 ; 4 QpPs 3 7 : 2,16 («A lui costruire una comunità» ). Anche in Hen. aeth. ricor­ re già, in un contesto escatologico, l'espressione 'casa della comuni­ tà' ( 5 3,5 ) e l'immagine d'una 'casa nuova' in cui si trovano le pe­ core (90,28 s.) (in primo luogo Gerusalemme), oppure d'una casa che «è costruita per il grande re» ( 9 I , I J ) ; i concetti di comunità, città, tempio sono strettamente associati fra di loro 31 • Pertanto non sarebbe da escludere che i Giudei abbiano potuto interpretare in sen­ so figurato le parole di Gesù ; ma una tale interpretazione sarebbe estranea al tenore di esse e soprattutto al loro significato. 20 . L'obiezione dei Giudei deriva anche dall'accenno fatto da Gesù

a 'questo tempio', vale a dire a quello che esisteva allora. Era il 'se­ condo' tempio, costruito dopo l'esilio, ma Erode il Grande l'aveva tanto ampliato ed abbellito che si poteva parlare d'una 'nuova co­ struzione'. L"indicazione dei ' 46 anni' sembra si riferisca all'inizio di questi lavori, che poi furono terminati soltanto poco prima della _guerra giudaica 32• Per quanto non si possa fissare una data del tut­ to sicura 33, quella più probabile sembra l'anno 20/ 1 9 a. C. ( = 1 8° anno del regno d'Erode il Grande secondo Flav. los., ant. 1 5 ,38o). Perciò il nostro colloquio verrebbe a collocarsi nell'anno 27/28 d. C. 30. Cfr. H. Wenschkewitz, Die Spiritualisierung der Kultusbegri#e Tempel, Prie­ ster und Opfer im N.T. : Angelos 4 ( 1932) 7o-230. 3 1 . Cfr. ]. Hempel, Der Symbolismus von Reicb1 Haus und Stadt in der bibli­ schen Sprache : Wiss. Zei t schr. der E.M. Arndt-Univ. Greifswald, ges.-und sprach­ wiss. Reihe IV ( 1954/5' ) 123-1 30; sui testi di Qumran cfr. J. Maier, Die Texte vom Toten Meer 11, Miinchen-Basel 1960, 93 s . 3 2 . I lavori continuarono fino al tempo del procuratore Albino (circa 6 3 d.C.), dr. Flav. los . , ant. 20,2 19. 33· A differenza di ant. 1 5,380, Flav. Ios. in bell. 1 ,401 indica il quindicesimo an­ no del regno di Erode il Grande come anno d'inizio della costruzione; è possi· bile che sia stato ritardato l'inizio dei lavori. La data di a11t. potrebbe essere quella esatta perché si tratta d ell ' � nno in cui Augusto ven ne in Sir i a, cioè se­ ·condo Dio C. 54,7, nella primavem o nell'e state dell'anno 20 a.C. Cfr. Sch iirer: Geschichte des iudischen Volkes I, Lcipzig S 1 9 20, 369 e nota 1 2 ; U. Hol zmci stc r, Chronologia vitae Christi, Roma 193 3 , 85-9 1 ; G. Hol scher, Die Hohenpriesterli­ sten bei ]osepht�s und die evangeliscbe Chronolgie: SAHeid. (phil.-hist. Kl.) ( 1939/4o), 3· Abh., p. 26. ·

lo. 2,20-21

( = I 5° anno dell'hnpero di Tiberio, cfr. Le. 3 , I ), una data che si in­ serirebbe bene nella cronologia della vita di Gesù ; la festa della Pa­ squa di lo . 2 , I 3 cadrebbe cosl nell'anno 28 ( la Pasqua della morte nell'anno 30). Però già anticamente s'è voluto vedere un simbolismo dietro il numero 46, in particolare un accenno ad Adamo, perché la gematria della parola greca ( ! ) 'AaAM dà questo numero; ed anche - secondo le iniziali greche di 'AaAM l'accenno alle quattro dire­ zioni celesti, cioè al cosmo 34• Ma è difficile ammettere che sia stata questa l'intenzione dell'evangelista ; al massimo egli può aver voluto accennare all'età di Cristo ( 8 ,5 7 : non aveva ancora 50 anni ) 3 5 • Ad ogni modo l'intenzione principale dell'evangelista è quella d'indicare la data della costruzione del tempio, un dato preciso sul quale si ba­ serebbe anche la collocazione giovannea della purificazione del tetnpio all'inizio dell'attività pubblica di Gesù. -

2 1 . AI grossolano equivoco dei Giudei l'evangelista aggiunge il suo

commento : con il 'tempio' Gesù ha voluto intendere il suo corpo ("t" OV crw(J.t:x."toc; è genitivo epesegetico ). Queste spiegazioni dell' evan­ gelista non sonc rare 36 ed attestano la sua meditazione sulle parole di Gesù, e soprattutto il suo interesse cristologico (. Questi 'discendenti' del 'Figlio dell'uomo', cioè gli Gnostici, sono poi nominati anche nel logion 1 20 : «C'è il Figlio dell'uomo e c'è il figlio del Figlio dell'uomo. Il Signore .è il Figlio dell'uomo ed il figlio del Figlio dell'uomo è colui che è creato dal Figlio dell'uomo». Il 'Figlio dell'uomo' viene identificato con il 'Signore', cioè con Gesù Cristo, e da lui sono 'creati' o 'gene­ rati' altri 'figli'. Pertanto il titolo di 'Figlio dell'uomo', noto dalla tra­ dizione evangelica, è attribuito a Gesù, ma interpretato gnosticamen­ te ed utilizzato per indicare gli Gnostici. In testi gnostici, nei quali non appare alcuna influenza cristiana, non si trova - a quanto sappiamo - l'espressione 'il Figlio d�ll'uomo'; è inevitabi le la conclusione che lo gnosticismo ha avuto, sì, conoscen­ za d'una antichissima idea del dio 'Uomo', ma ha recepito soltanto dal cristianesimo il termine •Figlio dell'uomo', che ha interpretato partendo da quella concezione. Non si può non concordare con il giudizio di H.M. Schenke: «Attraverso il cristianesimo giunse -alla gnosi il titolo del salvatore 'Figlio dell 'uomo', e qui acquistò un signi­ ficato speculativo-teologico di cui era privo nella Chiesa» 27• Ma quanto a Giovanni ne deriva che egli non può aver tratto dallo gnosticismo il titolo di 'Figl lo dell'uomo'. Di fatto il suo 'Figlio del­ l'uomo' non ha nulla a che fare con il 'primo uomo' prototipico e con la divinità universale 'Uomo', ma proviene dalla tradizione cristiana. Sarebbe sempre, sì, possibile che per l'idea della discesa e dell'ascesa del suo Cristo egli si sia richiamato ad immagini gnostiche; ma non si può affermare che egli vi sia arrivato attraverso il titolo di 'Figlio dell'uomo' . Ciò costituisce anche una premessa nega�iva nei • • •

Excursus sesto: mito gnostico e cristologia in Io.

riguardi dell'ipotesi che egli abbia mutuato dalla gnosi il mito del sal­ vatore che discende dal cielo e ritorna in cielo. In tal caso egli avreb­ be dovuto compiere una 'gnosticizzazione' del titolo di 'Figlio del­ l'uomo' proveniente da un'altra tradizione, analoga a quella che pos­ siamo riscontrare nei testi cristiano-gnostici. Ma dato che in lui non è riscontrabile la minima traccia di vere e proprie idee gnostiche, questa resta una supposizione senza fondamento. È più semplice am­ mettere un collegamento del 'Figlio dell'uomo' giovanneo con la spe­ culazione sapienziale 28• Come nei testi sapienziali, il 'Figlio dell'uomo' nel quarto vangelo appare 'sulla terra (cfr. Bar. 3,37 s.) e rivela cose celesti (cfr. Sap. 9 , 1 6 s.); egli si muove tra cielo e terra, tra la sfera 'superiore' e quella 'inferiore' (cfr. Bar. 3 ,29 ) e porta agli uomini una rivelazione celeste che per loro è salvezza. Ma donde provengano i tratti particolari del 'Figlio dell'uomo' giovanneo è questione di cui ci dovremo occupare in una trattazione di maggior respiro ( excursus 6 ) .

EXCUR S U S S E S TO

IL MITO GNOSTICO DEL REDENTORE E LA CRISTOLOGIA GIOVANNEA

Già ripetute volte - esaminando la questione dell'origine del titolo giovanneo di Logos, l'idea di preesistenza e il complesso di idee sul 'Figlio dell'uomo' - abbiamo incontrato il problema se e in che misura la cristologia giovannea sia stata influenzata dal mito gnostico del sal­ vatore. Abbiamo accertato (sia pure in via provvisoria ) che la deriva­ zione del titolo di Logos dallo gnosticismo è improbabile, l'idea della preesistenza ha presupposti diversi dalle rafligurazioni gnostiche, il Figlio dell'uomo giovanneo rientra anzitutto nella tradizione cristiana primitiva. Ma abbiamo visto anche che in tal modo il problema non è ancora risolto ; infatti sarebbe possibile che Giovanni, in linea seconda­ ria, fosse rimasto sotto l'impressione del mito gnostico del salvatore, 28. Cfr. F.-M. Braun, Logos et Fils de l'Homme, in : La venue du Messie ( Rech. VI) Louvain 1 962, 1 33-147, specialmente 144 ss. ; Id., ]ean le Théologien 11 . 2 27.

Bibl.

Excursus sesto: mito gnostico e cristologia in Io.

cioè che egli, con l'idea della 'discesa del Figlio dell'uomo' e della sua ' ascesa' nel mondo celeste, avesse ripreso uno schema rafligurativo gnostico. Perciò la trattazione di questa questione ha il suo posto qui, dopo il 'kerygma giovanneo', anche indipendentemente dall'ipotesi cri­ tico-letteraria che i due 'discorsi non legati ad alcuna situazione' di lo. 3 , 1 3-2 1 e 3 ,3 1-36 vadano messi insieme (in successione inversa) in modo da costituire, per significato, una pericope unitaria. La portata teologica di tale indagine è grande. Come è noto, R. Bultmann vuole spiegare il linguaggio 'mitologico' dell'evangelista con l'assunzione da parte di Giovanni del ' mito gnostico della redenzione' e facendo risalire ad una fonte gnostica i 'discorsi di rivelazione' del­ l'evangelista, ma intendendo diversamente la vera intenzione di que­ st'ultimo, cioè come presentazione del 'rivelatore escatologico' Ge­ sù Cristo, per cui il vangelo di Giovanni dovrebbe essere interpretato ' esistenzialmente' (cfr. Introduzione, par. I O alla fine). Per questa te­ si, dunque, non è senza importanza la precedente esistenza di quel 'mito del redentore', anche se l'interpretazione esistenziale si basa pure su altri presupposti teologici ed in fin dei conti potrebbe anche fare a meno di tale tesi. Però se essa resistesse alla prova, lo stesso quarto evangelista diventerebbe un antico testimone di una ' de-escatologiciz­ zazione' (nel senso dell'escatologia apocalittica) e di una 'demitologiz­ zazione', che potrebbero infine portare all'interpretazione esistenziale. Tratteremo più avanti l' 'escatologia' giovannea; ma la cristologia do­ vrebbe st�re con essa in stretto ed intimo rapporto ; e per essa è im­ portante accertare se l'evangelist�, con le forme espressive da lui usate, vuole trattare la questione direttamente, oppure soltanto 'impropria­ mente', sotto certe immagini , sotto un mito da lui assunto, sotto schemi raffigurativi preesistenti , ma in realtà perseguendo un'inten­ zione più profonda, che interessa anche l'uomo d'oggi con la sua mutata idea del mondo e la diversa comprensione dell'esistenza. Dobbiamo fare una distinzione ancora più chiara : non c'è bisogno di molte parole per riconoscere che l'espressione 'discesa e ascesa' del Figlio dell'uomo appartiene ad un'immagine del mondo oramai supe­ rata e che, come altre espressioni della Bibbia, va staccata da quel­ l'immagine e adeguata alla nostra attuale immagine del mondo; quella categoria spaziale appartiene ad un parlare per immagini e simboli , al quale il linguaggio religioso non può interamente rinun­ ciare neppure per la nostra moderna immagine scientifica del mondo. Ma l'intenzione dei teolo�?i esistenziali va ben oltre : essi vogliono in­ cludere anche la persona del Redentore stesso (Gesù di Nazaret venu­ to storicamente sulla terra) nel processo di reinterpretazione e non vo-

Excursus sesto: mito gnostico e cristologia in Io.

gliono riconoscere la sua importanza personale ( mediatrice di salvezzg) per la 'redenzione' dell'uomo, ma concepiscono la sua apparizione ed il suo destino soltanto come un avvenimento rivelativo, come l'' evento escatologico', che è importante anche per l'uomo d'oggi, per ogni uo­ mo. È vero che si discute ancora molto su una più precisa interpreta­ zione e che le risposte non sono univoche, ma tutti questi tentativi hanno in comune la tendenza a forzare il significato teologico di ciò che l'evangelista intende esprimere, andando molto al di là di ciò che è esposto in primo piano. Tale tentativo diventa più facile se si può dimostrare che il quarto evangelista ha ripreso il 'mito gnostico del salvatore' e viceversa diventa più difficile se si deve vedere anche la cristologia ( la teologia addirittura) giovannea nella linea della tra­ dizione della Chiesa primitiva. Infatti un' 'interpretazione esisten­ ziale' troppo spinta si trova dinanzi il difficile compito di attribuire a tutto il cristianesimo primitivo (compreso Giovanni ) un'intenzione diversa da quella che si può dedurre dglle sue formule cristologiche e dalle formule di professione di fede secondo il loro significato lette­ rale. Le variazioni del linguaggio cristologico della Chiesa primitiva non sono poi così grandi da permettere facilmente di richiamarsi ad una 'costante' sottintesa, alla cosa che si intendeva dire 'propriamente' (la nuova 'comprensione esistenziale') 1 • Certamente la questione di cui ci occupiamo non elimina il problema ermeneutico, ma per lo meno viene chiarito il fondamento storico in base al quale il cristia­ nesimo primitivo ha compreso la sua fede in Cristo. Prima di tutto esamineremo l'esistenza e l'antichità dell'asserito 'mito gnostico del salvatore', poi lo confronteremo con la cristologia del vangelo di Giovanni, ed infine cercheremo di far luce positiva­ mente sui precedenti storici delle espressioni cristologiche usate dal. l' evangelista. 1 . Il mito gnostico del redentore

Per molto tempo, specialmente sotto l'influsso delle ricerche di R. Reitzenstein e della sua teoria 'del mistero iranico della redenzione' ( I 92 I ), si è trattato 'il mito del redentore' gnostico come una realtà I. Cfr. R. Bultmann, Christologie des Neuen Testaments, in «Giauben und Ver­ stehen» I, Tiibingen 1 933 , 245-267 ; H. Braun, Der Sinn der neutestamentlichen Christologie: ZThK 54 ( 1957) 341-377 (su Giovanni specialmente 370); Id. in: Beiheft 2 a ZThK (Tiibingen 196 1 ) 12 s.; cfr. anche L. Hejdanek e P. Pokorny, ]esus, Glaube, Christologie : ThZ 18 ( 1 962) 268-282.

Excursus sesto: mito gnostico e cristologia in l o.

.599

antica ed unitaria che apparirebbe nello gnosticismo come dottrina del ' redentore redento', naturalmente nei modi più diversi. Data la diffi­ coltà dei testi iranici antichi e del confronto tra le diverse testimo­ nianze letterarie dello gnosticismo, è comprensibile che . gli esegeti neotestamentari interessati alle relazioni con la storia delle religioni abbiano dovuto in larghissima misura fidarsi del giudizio degli storici delle religioni . Nacq·ue in tal modo la ferma convinzione dell'esistenza d'un antico 'mito della redenzione o del redentore', secondo il quale il 'primo uomo' diventò anche 'redentore', in quanto, dopo la sua ca­ duta nella materia (o la sua disintegrazione nei vari elementi del mon­ do ), si redense da sé (o raccolse le sue membra disperse), ritornò nel mondo divino o nell'unità originaria redimendo anche ( con sé ed in sé) gli uomini a ciò predisposti. La storia di questa ricerca è stata ora descritta da C. Colpe 2 , e lo stesso studioso si è assunto il com­ pito di verificare la tesi dal puro punto di vista della storia delle reli­ gioni. È questo effettivamente un compito urgente, se si pensa che su quel fondamento storico-religioso sarebbero fondate importan­ ti concezioni del N.T. e della stessa teologia paolina ( corpo di Cri­ sto, parallelo tra Adamo e Cristo ) 3 • Per i testi iranici, che hanno una grande importanza per le origini del 'mito del redentore', lo· studioso del N.T. deve ricorrere alle ricerche degli storici delle religioni ; si trat­ ta soprattutto della questione se i miti delPantichità iranica contenes­ sero già un'idea della redenzione simile a quella dei testi gnostici po­ ·steriori; cioè manichei. Il materiale da cui è partito R. Reitzenstein, gli inni partici nume2. C. Colpe, Die religionsgeschichtliche Schule. Darstellung . und Kritik ihres Bil­ des vom gnostischen Erlosermythus, Gottingen 196 1 , 9-68.

3· È noto che E. Kasemann, H. Schlier ed altri fanno risalire al mito gnostico la concezione del 'corpo di Cristo'; dal punto di vista delle storia delle religioni questa tesi è stata ora sottoposta ad esame da H.-M. Schenke, Der Gott 'Mensch'

in der Gnosis. Ein religionsgeschichtlicher Beitrag zur Diskussion iiber die pauli­ nische Anschauung von der Kirche als Leib Christi, GOttingen 1 962 (con risul­

tato negativo, cfr. 1 55 s.). Sul parallelo Adamo-Cristo (sul 'Figlio dell'uomo') v�di O. Cullmann, Christologie, 175 ss.; (secondo speculazioni gnostiche Adamo­ anthropos) E. Brandenburger, Adam und Christus, Neukirchen 1 962 ; per la cri­ tica cfr. A. Vogtle, Der 'Menschensohn' und die paulinische Christologie, in «Congr. Intero. Cath. Studiorum Paulinorum», vol. 1, Roma 1963, 1 99-218; E. Schweizer: EvTh 23 ( 1 963 ) 108 (su Brandenburger); O. Miche! : ThLZ 89 ( 1964) 271 ss.

6oo

Excursus sesto: mito gnostico e cristologia in Io.

· rati (i cosidetti 'Glied'-Hymnen ), il racconto arabo di 'Fihrist ' e l'ave­ stico Hadoxt-Nask, è stato nuovamente presentato ed analizzato da C. Colpe 4• Risulta che in questi testi è esposta una dottrina della re­ denzione, che è gnostica, ma appare anche che si tratta di idee poste­ riori del parsismo o del manicheismo. La questione decisiva per lo studio della gnosi, se cioè la credenza nella redenzione si trovi già an­ che nell'antico Iran, viene verificata da C. Colpe sulla figura del Gayomart, che s'è voluta mettere all'inizio della genesi dell'idea gnosti­ ca del primo uomo, ed egli giunge alla seguente conclusione : «E per quel che riguarda il paragone tra il primo uomo vetero-avestico e quello gnostico, lo si potrebbe sostenere soltanto in base, da una par­ te, a ricostruzioni di concezioni contenute nei testi pehlevi, e, dall'al­ tra, di alcune altre tradizioni gnostiche ( ... ), e solo cosi si potrebbe accertare l'esistenza d'un 'primo passo' verso le idee gnostiche, che forse in realtà non esiste nel più antico Avesta»5• In questo contesto egli si domanda se esista una parentela tra il 'figlio dell'uomo' del tardo giudaismo e Gayomart e stabilisce che solo nei testi pehlevi si accenna ad un compito escatologico di Gayomart ; ma anche con ciò si vuoi dire soltanto che egli è la primizia della risurrezione, mentre non si parla d'una attività giudicatrice come per il 'figlio dell'uomo ' ( Hen. aeth. 46-48 ; 62 s . ; 69 ) 6• Anche altri specialisti rifiutano l'ipo­ tesi basata su Gayomart per l'origine del mito del redentore 7• Non molto diversamente stanno le cose, come dimostra Colpe, con la fi­ gura dello Yima, né il 'figlio dell'uomo' né l'anthropos gnostico po­ trebbero «essere concepiti come punti finali d'una storia che avreb­ be avuto inizio dal mito indo.-iranico; mancano gli anelli intermedi» 8 • A risultati del tutto simili giuge H.-M. Schenke : tra il mito del pri­ mo gigante, secondo il quale il mondo nasce da un gigante ucciso o morto, e la dottrina di Mani sul primo uomo bisognerebbe ammettere ... o.c., 69-1 39· , . O.C., 143 ; cfr. rintero capitolo, pp. 6. O.C., l'O S.

14o-170.

1· Cfr. J. Duchesne-Guillemin, Ohrmazd et Ahriman, Paris 19,3, 77 s. (citato in Colpe, o.c., 1,0, nota 2 ); H.-M. Schenke, o.c., 17 ss. (contro W. Bousset). Schenke ammette d'altro canto un influsso del mito del primo gigante su speculazioni za­ latustriane relative allo stesso Ohrmazd (ibid. 19).

8.

O.C., l ' I S.

Excursus sesto: mito gnostico e cristologia in lo.

601

diversi stadi di sviluppo, di cui però non si hanno prove ·9• Da un altro punto di partenza ( diverso da quello relativo al 'primo uomo') G. Widengren ha cercato di far risalire le idee manichee fino alla religione di Zaratustra: partendo cioè dal concetto di Manvahmed (che i tedeschi per lo più scrivono Manuhmed) 10• Per usare le parole di Widengren ( tradotte dall'inglese ): «Manvahmed uscì dalla prima luce, dali'essere e dalla dimora del padre della grandezza. Essa è inol· tre la protezione ed il sigillo dell'anima, una garanzia della redenzione dell'anima, di cui forma l' 'io' più alto. Il redentore, l'entità Manvahmed, appare chiaramente come il più alto principio dell'uomo e nello stesso tempo come suo soccorritore, che porta redenzione. Manvahmed è l' 'elemento di luce' nell'umanità e come tale è qual· cosa tanto esteriore quanto interiore all'anima umana» 1 1 • In tal modo giungiamo certamente al nocciolo della dottrina gnostica sulla reden· zione. Come rileva C. Colpe, «Manuhmed ha potuto ... essere identi­ ficata inequivocabilmente con il nous dei testi greci, con il nous della luce di quelli copti » 12 • Widengren ritrova queste idee maniche� già nel 'Grande Vohu Manah' avestico e si richiama particolarmente a Yasna 49, 1 0 «Questo tu custodisci, o Mazda, nella tua casa. Manah Vohu e le anime dei giusti>>, ed interpreta con H.S. Nyberg questo pas­ so nel senso che Vohu Manah, quale manah celeste, cosmica, è mes­ sa sullo stesso piano delle anime, che hanno una manah individuale 13; d'altra parte Vohu Manah è una persona mitica, strettamente unita ad Ahura Mazda, suo padre. Egli confronta poi i testi pehlevi ( mentalità ), in cui spesso si parla della venuta di Vohu Manah nell'anima, e d e­ duce analogicamente che il concetto manicheo ha un'antica e pura origine iranica 14• Cosl si spiegano poi anche le immagini della 'discesl ed ascesa' del redentore e della sua 'missione' (passim). Il risultato a cui giunge G. Widengren è riassunto da lui stesso nei seguenti termini : «Abbiamo potuto accertare nell'Avesta l'esistenza 9· o.c., 19 s.; dr. anche 21 ss. 10. G. Widengren, Tbe Great Wohu Manah and tbe Apostle of God, Uppsala­ Leipzig 194,. I I . O.C. ,

18.

1 2 . o.c., 96. Colpe definisce il carattere tlus (p. 9, ). 1 3 . o.c., 44·

di

Manuhmed coi termini salvator salvan­ 14.

o.c., 46-49 ·

Excursus sesto: mito gnostico e cristologia in lo.

602

d'una antica dottrina, secondo la quale l'uomo ha in sé una parte d'un senso (mind ) cosmico, Vohu Manah, per cui la sua manah indivi­ duale è essenzialmente identica al principio universale, che è un cor­ po collettivo costituito da tutte le manah esistenti di tutti gli esseri umani morti e vivi. Questa manah cosmica è un essere mitico, ma è anche il centro d'una teoria speculativa sull'uomo e sul suo rapporto con il mondo divino che. circonda Ahura Mazda. Vohu Manah come persona, astraendo dal suo corpo collettivo, opera come un reden­ tore verso le membra del suo corpo, verso, cioè, le singole manah. Per quel che riguarda la loro struttura fenomenologica quest� concezioni sono in complesso le stesse di quelle della religione di Mc�ni . >> 15• ..

Per notevole che sia la presenza di Vohu Manah nell'Avesta, biso­ gnerà domandarsi se l'idea (gnostica) di redenzione, quale il Widen­ gren presume in base a testi posteriori , vi sia per sé connessa o se in­ vece non sia stata assorbita da quella concezione nel corso dello sviluppo successivo. Considerando la cosa in base agli inni manichei numerati (detti 'Glied'-Hymmen), è da notare che Manuhmed appare solo sporadicamente accanto ad un grande numero di altre denomina­ zioni più generiche, il che suggerisce la supposizione «che anche qui essa rappresenti una fra le tante divinità redentrici>> 16• Ciò giustifica nuovamente l'ipotesi che il manicheismo abbia sl utilizzato antico ma­ teriale iranico, ma l'abbia interpretato per conto suo gnosticamente, come si può accertare per l'idea del 'primo uomo'. In tutta questa difficile questione occorre fare delle distinzioni as­ sai più precise di quanto non sia stato fatto finora. Così C. Colpe di­ stingue tre tipi di dottrine gnostiche della redenzione, che tutte espri­ mono l'idea fondamentale gnostica di 'redenzione' ma si differenziano per quanto riguarda un 'mito del redentore' : I . per rivelare la scienza redentrice è necessario soltanto un profeta che in yari modi può essere chiamato o ' mandato' ad annunciarlo; 2 . il redentore gnostico nel vero senso della parola discende sì, ma soltanto, attraverso i firma­ menti nella sfera delle 'potenze', senza giungere fin sulla terra (di questo tipo è anche Manuhmed); 3 . in mezzo a questi due tipi sta il redentore che vive sulla terra con un corpo doceticamente appa­ rente ( specialmente nei sistemi cristiano-gnostici ) 17• Effettivamente I,. O.C., 72.

16. C. Colpe, 17. o.c., 198.

o.c., 97.

Excursus sesto: mito gnostico e cristologia in lo.

603

gli scritti ermetici ed alcuni gruppi cristiano-gnostici fanno a meno d'un redentore mitologico; anche nell'Apocrifo di Giovanni Cristo appare solo come rivelatore d'una dottrina arcana, apportatore della vera conoscenza, che in quanto tale ha forza redentrice. Si vede così più chiaramente che a tutto il movimento definito come 'gnosi' impor­ ta in primo luogo e soprattutto l'idea della redenzione attraverso la 'co­ noscenza dell'essere', e che essa - non necessariamente ma di prefe­ renza - ha sviluppato anche un 'mito del redentore'. Stando alle re­ centi ricerche non si potrebbe affermare che vi sia stata indotta sol­ tanto dal messaggio cristiano del redentore storicamente venuto, Ge­ sù Cristo, anche se il cristianesimo può aver contribuito a stimolare e a modificare il 'mito gnostico del redentore'. Ma è altrettanto diffi­ cile sostenere che la gnosi abbia presentato al cristianesimo un mito del redentore definito ed unitario . È certamente prematuro doman­ darsi quando e come sia sorto il mito gnostico del redentore nei suoi vari tipi 18; ma qui s'è voluto far luce in qualche modo sulla difficoltà di parlare d'una realtà denominata 'mito gnostico del redentore', chia­ ra e ben delineata, che starebbe alla base della fede in Cristo.

2. Confronto con la cristologia giovannea . In un confronto tra la cristolog ia giovannea ed il mito gnostico della redenzione, ciò che colpisce per prima cosa è l'assenza nella prima di determinati aspetti che sono essenziali per il secondo. Cri­ sto non è un prototipo dell'uomo bisognoso di salvezza, non è il 'pri­ mo uomo', né salvator salvatus né salvandus. Un significato tipico, che egli avrebbe come 'uomo' , l'abbiamo dovuto rifiutare parlando del 'Figlio dell'uomo' (excursus .5 ). Nel vangelo di Giovanni non v'è il minimo accenno ad un ruolo di uomo del paradiso', ed in generale non vi è riflessa la sua posizione protologica ; infatti la sua attività di intermediario della creazione, che viene alla ribalta soltanto nell'in•

18. C. Colpe promette altri lavori sull'argomento; importante è la sua osserva­ zione: «Questo problema dell' 'uomo' che nella gnosi diventa redentore potrebbe corrispondere meglio alla situazione reale che non quello opposto del 'reden­ tore che diventa uomo' ... Se si prendono in esame queste due cose, il fatto dell'uomo che diventa redentore e quello della sua discesa, allora forse potrà non essere cosl facile affermare la priorità gnostica» ( p. 206, nota 2).

Excursus sesto: mito gnostico e cristologia in lo.

no al Logos (Io. 1,3.IO h), è qualcosa di assolutamente diverso da una spiegazione cosmogonica dell'essere umano, è cioè una affermazione di sovranità connessa alla sua dignità e potenza divina, che continuano ad un altro livello nella sfera della redenzione, a cui offrono un fonda­ mento. Corrispondentemente manca qualsiasi considerazione antropo­ logica sull' 'io', il nucleo essenziale dell'uomo, qualcosa di simile alla speculazione sulla Manuhmed . Tutta la tesi, anch'essa congiunta al 'Figlio dell 'uomo', che questi contenga in sé o rappresenti colletti­ vamente gli uomini da redimere, è una costruzione erronea (cfr. comm. a 1 ,5 I ). Certamente non si deve negare che anche per Gio­ vanni si tratta della redenzione dell'uomo, del suo ritorno nel mon­ do celeste; al contrario, la sua cristologia è determinata e impostata in maniera del tutto soteriologica. Ma il problema soteriologico si pone diverslmente per l'evangelista : salvezza dall'ira di Dio, passaggio dal regno della morte, che come tale deriva proprio dall' 'ira' di Dio, dalla lontananza da Dio (cfr. 3 ,3 6 con 5 ,24), nel regno della vita divina, che si schiude agli uomini con la partecipazione alla vitg di Dio, con la comunione con Dio (cfr. 17,3 .24 ; 1 4,2 s. ). La risposta al problema del destino dell'uomo non si ottiene con una riflessione sul­ l'essenza dell'uomo, la sua origine ed il suo fine, il suo essere più profondo e più intimo, la sua parentela con Dio, e non si chiarisce con il mito ; Jg si trova invece nel ritorno dell'uomo a Dio, nella co­ munione di vita con Dio, nell'unione personale con Dio, e a tg} fine è richiesta l'unione di fede con Gesù Cristo, il Figlio di Dio (cfr. 1 4, 6 .9 s. ; 20,3 I). Nel mito gnostico della redenzione e nella cristologia giovannea abbiamo così due mondi, l 'uno di fronte ali' altro : filoso­ fia religiosa (in linguaggio miti co) e religione biblica (nel senso del­ l 'unione dell'uomo ad un Dio personale ), mito e storia, gnos ( e fède. Il messaggio di Cristo non è una semplice variante dell'idea gnostica, non è una storicizzazione del mito, nel senso che il redentore mitico, che peraltro ' appare' (in linguaggio figurato) sulla terra, ora diven­ terebbe 1Carne' soltanto in relazione alla persona storica di Gesù Cri­ sto; esso è qualcosa di veramente nuovo e d'un altro genere. Questo Cristo giovanneo è sempre il 'Messia', il salvatore escatologico giu­ daico ; ma in un modo che supera assolutamente le speranze umane d'Israele. Il modo d'esprimersi del vangelo di Giovanni, che in parte ricorda la gnosi, non deve indurre nell'errore di misconoscere la dif-

Excursus sesto: mito gnostico e cristologia in I o.

ferenza radicale fra i due concetti di redenzione la base del tutto di­ verso su cui poggia la figura del redentore. Questa separazione radicale della fede biblica dalla dottrina gno­ stica della redenzione va vista con chiarezza se, nell'interpretazione del messaggio neotestamentario, non si vuole cadere in un nuovo equi­ voco gnostico. Se l' 'interpretazione esistenziale' è portata fino al pun­ to da eliminare anche il rapporto personale con Dio a favore di sem­ plici relazioni infraumane, non è facile vedere come tale compren­ sione della rivelazione biblica possa ancora distinguersi da un'autoco­ noscenza interna all'uomo, che in ultima analisi si chiama 'gnosi'. Di fronte alla deformazione gnostica della professione di fede in Cristo l'autore di I Io. ha ripreso o coniato la formula 'l'l)uouv Xpt.O''tÒV i':v uapxt ÈÀ.1]À.u1)6"ra (4 ,2 ). In tal modo egli non ha voluto soltanto mettere in evidenza la storicità del redentore o colpire la svaluta­ zione gnostica della natura corporeo-materiale; a suo avviso, con lo axcivoaÀ.ov dell'incarnazione, come appare da tutta la lettera, viene additato un processo di redenzione assolutamente diverso da quello della gnosi (cfr. Schnackenburg, Die ]ohannesbriefe, excur­ sus 3 ). Ci si potrebbe ora limitare ad affermare che Giovanni si accosta al mito gnostico del redentore soltanto quanto al modo di vedere e di esprimersi, senza però assumere la dottrina gnostica della redenzione. Ma come stanno le cose riguardo all'affinità terminologica e catego­ riale ? Per quanto riguarda in primo luogo i titoli di Cristo, soltanto il 'Logos' ed il 'Figlio dell'uomo' potrebbero avere in qualche modo un'origine gnostica; ma abbiamo visto che ciò non si può provare per nessuno dei due, che per il 'Logos' si possono suggerire altri rap­ porti e che per il 'Figlio dell'uomo' si esclude del tutto una radice gnostica. Non altrimenti stanno le cose per il 'Figlio' o 'Figlio di Dio' ed anche per il MovoyEvl)ç; anche se naturalmente nello gnosti­ cismo si parla non poco di 'figlio' e di 'figli' di determinati esseri divini e di figure mitiche, tutto però lascia supporre che il quarto evangelista, come per il 'Figlio dell'uomo', cosi anche qui sia in linea con la tradizione e lo sviluppo della cristologia cristiana primitiva, e se si esamina la cosa un po' più a fondo queste supposizioni diventano certezza 19• Restano dunque, per una possibile derivazione gnostica, 19. Il titolo 'il Figlio di Dio' e l'espressione assoluta 'il Figlio' verranno tratta­ ti solo più avanti; cfr. per il momento C.H. Dodd, Interpretation, 2.50-262; O.

6o6

Excursus sesto: mito gnostico e cristologia in Io.

soltanto i detti caratterizzati da Éyw EtJJ.t. e dalle immagini usate da Cristo ; ma le ricerche recenti non sono favorevoli neppure a que­ sta supposizione 20• Partendo dai titoli di Cristo non è possibile soste­ nere la tesi gnostica. Volgiamoci allora alle funzioni che sono attribuite al Cristo giovan­ neo, o meglio ancora alla sua 'via', come è descritta nel vangelo di Giovanni . In questo caso sono caratteristiche due espressioni : la 'di­ scesa ed ascesa' del 'Figlio dell'uomo' e 'la missione' del 'Figlio' o la sua 'venuta' sulla terra. Questo linguaggio è usato molto spesso nei testi gnostici per parlare del redentore, o inviato, gnostico ; la lettera­ tura mandea e manichea, le Odi di Salomone, gli Atti degli Apostoli gnostici ed anche gli scritti copto-gnostici offrono al riguardo un ricco materiale, che non è necessario citare qui 21• Questi modi di dire non possono (o non possono principalmente ) essere fatti risalire al cri­ stianesimo, ma sono strettamente connessi all'immagine gnostica del mondo, che separa nettamente il mondo celeste in alto dal mondo terreno in basso. Ad esempio la 'caduta' è descritta come un calare delle parti di luce divina nella materia e la 'redenzione' come ritorno nel pleroma; il redentore scende ( attraverso le sfere dei pianeti ) e ri­ sale vittorioso, e in questo modo addita la strada e la meta dell' 'ani­ ma' (dell'elemento divino che è nell'uomo ) da redimere. Il modo d'esprimersi giovanneo si può spiegare soltanto partendo da quest'immagine gnostico-dualistica del mondo? Prima di tutto si Cullmann, Cristologie} 305-3 1 1 ; }.E. Davey The ]esus of St. ]ohn� London 1958 ( tesi principale : la cristologia giovannea costruisce sulla tradizione sinottica); E. M. Sidebottom , The Christ of the Fourth Gospel} 149-165 ; F. Hahn, Christolo­ gische Hoheitstitel� 3 1 9-333 (p. 330 : « Il vangelo di Giovanni è sotto questo aspetto un esempio interessante di sopravvivenza di tradizioni che sono percepi­ bili nei sinottici in uno stadio anteriore»); R. Schnackenburg: LexThKl IX 85 1 854· 20. Cfr. H. Zimmermann, Das absolute lyw ELJ.LL als die neutestamentliche Offen­ barungsformel: BZ, N.F. 4 ( 1960) 54-69.266-276 ; S. Schulz, Komposition und Herkun/t der ]oh. Reden1 70-1 31 . Tra i motivi figurati egli vuole concedere un'impronta gnostica più marcata soltanto a quelli della vite e del pastore; ma anche questo è dubbio, cfr. R. Borig, Der wahre Weinstock ( tesi non stampata, Wiirzburg 1964). 21. Cfr. R. Bultmann : ZNW 24 ( 1925 ) 105 ss. ; G. Bornkamm, Mythos und Le­ gende in den apokryphen Thomas-Akten} Gottingen 1933,9 ss.; G. Widengren, The Great Vohu Manah (passim); W. Schmithals, Das kirchliche Apostelamt, GOttingen 1961 , 103-18o.

Excursus sesto: mito gnostico e cristologia in Io.

deve rilevare che un simile schema raffigurativo spaziale si trova già anche nella Bibbia, e precisamente nella contrapp> 23 • Ciò si rial­ laccia all'elaborazione nel rabbinismo d'un'antropologia ellenistica {spi­ rito-corpo ) 24• Da notare anche un passo del Tg. pal., citato da J. Ra22. Secondo A. Schlatter, Der Evangelist ]ohannes, 92, «la raffigurazione fari­ saica del mondo riempl 'il cielo' di numerose creazioni della fantasia: il tempio celeste e la Gerusalemme celeste ed i principi celesti, che formano il consiglio di Dio, e il luogo celeste delle anime». A questo riguardo occorrerebbe accen­ tuare di più le differenze ; dr. H. Bietenhard, Die himmlische Welt im Urchri­ stentum und Spiitjudentum, Tiibingen 1951; H. Traub : ThWb v, 511 s. 23. Vedi i passi in Billerbeck II, 430 s. 24. Cfr. E. Sjoberg: ThWb VI, 376 s.; R. Meyer, ibid. VII, 117.

6o8

Excursus sesto: mito gnostico e cristologia in Io.

m6n Diaz, dove si biasima Giuseppe d'Egitto : «He left the grace (or the mercy -lpsd ) from above for the grace from beneath, and the grace which accompanied him from his father's house, and his confidence in the chief butler : he trusted in the flesh, the flesh which passes away and tastes the cup of death » 25 (egli lasciò la grazia [o la miseri­ cordia] dall'alto per la grazia dal basso, e la grazia che l'aveva accom­ pagnato dalla casa di suo padre, e la sua fiducia nel coppiere : egli confidò nella carne, la carne che passa e gusta la coppa della morte ). Però con l'accertamento di questo modo di pensare non s'è fatto gran passo avanti; bisogna condurre un esame più preciso. Nell'apocalittica i rapimenti o le 'ascensioni al cielo' di grandi uo­ mini della preistoria e della storia biblica (Enoc, Mosè, Isaia, Ba· ruc ) 26 portano ad un largo sviluppo dell'idea di 'ascesa' (ascensio); un passo come Io. J,.'I 3 potrebbe essere rivolto contro tali specula­ zioni. Ma manca l'idea corrispondente di 'discesa' ; ciò vale anche per la mistica giudaica: «Difficilmente si trova il significato mistico della X«'t'a�aa� in connessione con la preesistenza» n. Nella speculazione sapienziale, al contrario, si trova l'idea che la sapienza scende sulla terra. Secondo Sap. 7,7 Salomone dice: «Perciò io pregai e mi fu data l'intelligenza; supplicai e venne a me (i)À.DEv IJ.Or.) lo spirito della sapienza». Più avanti è detto : «Di generazione in generazione essa si effonde (J.LE't'«f3atvovaa.) in anime pure e ne fa ami­ ci di Dio e profeti» (v. 27). Che la sapienza scenda dall'alto si deduce dal fatto che essa vive con Dio e divide con lui il trono ( 9,4 ). «Man­ dala dal cielo santo ed inviala dal trono della tua gloria . . . » (9,ro ). Ancora più chiaramente, in linguaggio mitologico, la stessa sapienza descrive il suo cammino dal cielo alla terra e la sua dimora nel popolo d'Israele in Ecclus 24,3-r 2: «Abitavo nell'alto dei cieli, su una co­ lonna di nubi era il mio trono. Sola ho fatto il giro della volta dei cieli, ho percorso la profondità degli abissi» (vv. 4 s.); finalmente troun

2,. NT 6 ( 1963 ) 78 s. 26. Cfr. specialmente i testi di Enoc : Hen. aeth. 14,8 ss.; 39,3 ss. ; ,2,1 ss.; 71; Hen. slav. 1 ,8 s. (svolto nei capp. 3-21 ); inoltre Iub. 4,2 1; apoc. Bar. gr. 2,17; asc. Is. 3,9. 27. H. Odeberg, The Fourth Gospel, 73· � interessante però che più tardi non si parlasse di 'ascesa' alla merkaba, ma, in modo mistico-paradossale, di 'discesa' su di essa, cfr. G. Scholem, Die ;udische Mystik in ihren Hauptstromungen, Frankfurt a. M. 1 957 ,,o; inoltre l'intero capitolo, pp. 47-58.

Excursus sesto: mito gnostico e cristologia in lo.

va riposo in Israele (vv. 7 s.). La stessa idea è espressa in Bar. 3 ,29·38, dove la terminologia s'avvicina a quella del vangelo di Giovanni. Per prima cosa è detto al v. 2 9: «Chi salì al cielo ('t le; a\IÉ�l} Etc; 'tÒ\1 oU­ pa v6v), la prelevò e la portò giù (xa:tE�L(JCLCTE\1) dalle nubi ? », un passo che si cita, volentieri ma erroneamente, come parallelo a Io. 3, 13 (cfr. comm. al passo ). Alla fine è detto a lode d'Israele: «Dopo dò, è apparsa sulla terra ( È1tt 'ti}c; riic; wq>i)l) ) ed ha abitato fra gli uomini>>. Non c'è l'idea che la sapienza stessa è salita in cielo; il passo, dove se ne parla, cioè Hen. aeth. 42,1 s., ha un altro significato: la sapienza non trovò alcuna dimora sulla terra e ritornò al suo luogo d'origine. Non si tratta qui d'una 'ascesa' che porta la redenzione, ma di un deluso ritorno. La letteratura sapienziale, dunque, ha chiara l'idea della discesa della sapienza ma non la collega ·con quella dell'ascesa che dà la salvezza. Nella letteratura rabbinica ci sono dei passi che pongono la 'discesa' e l' 'ascesa' in stretta correlazione fra di loro ; essi trattano della she­ kina, naturalmente in una differente dialettica. Ad esempio, si dice in Sukka .5a che la shekina non è mai discesa e che Mosè ed Elia non sono mai saliti in alto ( = cielo ) 23• Ma questa al massimo è una testi­ monianza di pensiero 'verticale' . H. Odeberg riporta dell'altro mate­ riale: secondo Ab.R.Nat. 34 la shekina discende dieci volte nel mon­ do ed è risalita in dieci gradini, per ritirarsi dal tempio: anche qui, dunque, una ritirata punitiva. Analoghi sono i concetti in altri passi . 29• Neppure questa speculazione, dunque, si può addurre come parallelo effettivo alla discesa ed all'ascesa salvifica del redentore. In conclusione, possiamo affermare che nel giudaismo sono pre­ senti il modo di pensare spaziale-verticale ed anche alcune idee di Jescensus e di ascensus, ma non la discesa ed ascesa del redentore, come appare nel vangelo di Giovanni . Sotto questo aspetto (termino­ logko ) il mito gnostico del redentore ( quale che sia la sua precisa espressione) può valere come considerevole parallelo ; ma non abbia­ mo ancora confrontato le idee del cristianesimo primitivo, di cui Gio­ vanni poteva disporre, che a loro modo possono avere stimolato l'evangelista alla formazione del suo linguaggio (v. par. 3 ) Che nei 'paralleli' gnostici non appaia la radice della concezione giovannea è .

28. Vedi in Billerbeck n, 425. z9. H. Odeberg, The Fourth Gospel, 9o-93; anche in Billerbeck

III,

I7Z s.

610

Excursus sesto: mito gnostico e cristologia in lo.

già risultato dalle notevoli . difierenze obiettive, ed anche dai ti­ toli di Cristo usati da Giovanni . Ciò appare ancora più evidente se consideriamo come viene raffigurato il 'Figlio' mandato dal Padre nel mondo. Anche l' 'invio' del redentore o la sua 'venuta' nel mondo trovano abbondanti paralleli nella letteratura gnostica, ma in questo caso non c'è bisogno di rifarsi ad essa per quanto riguarda il modo di esprimersi. 'Mandare' e ' venire' sono locuzioni bibliche cor­ renti, e l'idea particolare della missione del Figlio di Dio preesistente si trova già in Paolo (Gal. 4,4; Rom. 8 ,3 ), in una visuale storico-sal­ vifica radicata nel pensiero giudaico. Inoltre vi sono dei tratti nella figura giovannea del 'Figlio' che non trovano corrispondenza nell' 'in­ viato' gnostico. Soprattutto, Gesù nel vangelo di Giovanni appare come il 'Figlio' obbediente, che altro non vuole se non adempiere l'incarico ricevuto dal Padre suo (cfr. 4,34; .5 ,3oc; 6,38 ; 7,1 8 ; 8,29; 9,3 1 ss. ; 1 2 ,49 s . ; 1 _5, 1 0 ) e che offre volontariamente l a sua vita (10,1 7 s. ; cfr. 1 2 ,27 s.; 1 8 , 1 I ). Anche la funzione di giudice, che egli si attribuisce ( _5,22 s. 27 .30b ) non rientra nella figura dell'inviato gnostico 30• Co­ me si vede, tutt'al più esistono esteriormente certi richiami termino­ logici, ma l'idea in sé è totalmente diversa.

3. I presupposti della cristologia giovannea}·

un tentativo positivo Se partiamo, come per i titoli di Cristo, dalla tesi che Giovanni ab­ bia ripreso la cristologia cristiana primitiva che era a sua disposizione, e l'abbia elaborata a suo modo, lo schema 'discesa-ascesa' non costi­ tuisce qualcosa di -assolutamente nuovo. L'inno a Cristo di Phil. 2 ,6I x, che nella sostanza è di certo pre-paolino, descrive tre successivi modi di essere di Cristo o stadi cristologici : il suo trovarsi nella 'for­ ma di Dio' (preesistenza v. 6), il modo di essere umano prodotto dal­ l' 'annientamento' e dall'assunzione della 'forma di servo' ( v . 7 ), fino -all' 'umiliazione' della morte e della croce (v. 8 ) , ed infine la gloriosa esaltazione cosmica, che presuppone nuovamente la sua presenza in 30. Ciò che R. Bultmann : ZNW 24 ( 1925 ) 136 ss. , adduce al riguardo non sono che deboli paralleli, che in realtà apportano confusione; cfr. invece la funzione di giudice del 'Figlio dell 'uomo' apocalittiro , a cui si rJallaccia Io. ,,27.

Excursus sesto: mito gnostico e cristologia in lo.

611

cielo (vv. 9-1 1 ). I tre stadi sono già espressi chiaramente come in lo., ma il mezzo espressivo è diverso. Si ritrovano ancora più accentuati i due stadi di 'umiliazione e di elevazione', che si richiamano a conce­ zioni giudaiche 3 1 • Di fronte ad essi si aggiunge, come qualcosa di nuovo e di speciale, il primo stadio della preesistenza reale (uguale a Dio), sulla cui più precisa descrizione non abbiamo qui bisogno di soffermarci . Ciò ha portato ad una non irrilevante modificazione del­ l' 'elevazione': essa adesso è una 'esaltazione' (\ntEpv�crEv: v. 9), cioè l'insediamento in una posizione cosmica di dominatore, che il Preesi­ stente, secondo il pensiero dell 'inno, non possedeva prima . Questa considerazione storico-salvifica, collegata anche ad immagini teocra­ tiche {intronizzazione come dominatore, dominio divino universale) non si potrebbe facilmente far derivare da concezioni gnostiche, ma palesa invece un pensiero biblico-giudaico. Il posto particolare dato all'idea della preesistenza non è, come abbiamo visto, qualcosa d'im­ possibile o di remoto per tale concezione, per quanto non sia ancora applicato in questo modo al Messia . Ma c'è un importante anello di congiunzione tra quella prospettiva più antica, che appare nell'inno a Cristo di Phil. 2, e la cristologia giovannea ; si tratta dell'idea di 'elevazione' . In Io. 3 , 1 4 essa viene così immediatamente dopo quella dell' 'ascesa' del Figlio dell'uomo, da far concludere che per Gio­ vanni l' 'ascesa' si attua come 'elevazione', e questa è una genuina eredità cristiana primitiva raccolta dall'evangelista. Certamente egli ha reinterpretato, dandogli nuova forma, questo concetto (come an­ che quello del 'Figlio dell'uomo'), in quanto egli vede realizzata l' 'ele­ vazione' di Gesù già sulle croce (cfr. comm. a 3 , 1 4 ), però collegandosi chiaramente ad un nucleo originario e sviluppandolo ulteriormente. Se dunque per lui !'' ascesa' del Figlio dell 'uomo non è altro che !''ele­ vazione' (e 'glorificazione' ), è evidente come quest'espressione possa averlo indotto (in una prospettiva spaziale-verticale ) anche a parlare di un 1 salire in alto'. Si deve aggiungere un altro spunto, che traspare in Io. 20, 1 7 . Qui il Risorto parla soltanto di 'ascendere'; manca il corrispondente 1 di3 1 . Cfr. E. Schweizer, Erniedrigung und Erhohung2, 53-86; e prima di lui A.E.J. Rawlinson, The New Testament Doctrine of Christ, London 1949, 3 1 -39; inoltre F. Hahn, Christologische Hoheitstitel, 1 1 2-125.189-1 93 ( egli parla spesso di una 'cristologia a due gradi', specialmente alle pp. 26,-268).

612

Excursus sesto: mito gnostico e cristologia in lo.

scendere', certamente non a caso o per via della situazione, ma piut­ tosto in connessione con il kerygma della risurrezione e dell' 'ascen­ sione' . È vero che nel più antico kerygma della risurrezione in gene­ rale non si parla esplicitamente dell' • assunzione' di Gesù nel cielo ( cfr. tuttavia Act. 3 ,2 I ) ; ma l'idea doveva sorgere spontanea se Gesù era stato risvegliato dalla morte alla vita (cfr. Mc. r6,6 ), se doveva se­ dere alla destra di Dio (cfr. Mc. 14,6 2 ) e assumere il dominio universale (cfr. Mt. 28,r8 ; Act. 2 ,34 ss. ). Luca ha sviluppato su questa base il concetto della 'ascensione corporale' di Gesù, espri­ mendolo soprattutto con il termine ava.À.a.(l�aVECTf'a.t. (Act. 1 ,2 . I 1 .2 2 ; cfr. Le. 9,.5 1 ; ) m a una volta usando anche il verbo ava.�a.!vEt.v (Act. 2 ,34a): così spontanea veniva questa espressione (cfr. anche Rom I O 6 secondo Deut. 30,1 2 ). Giovanni non riprende i l modo realistico-og· gettivo di esporre i fatti, caratteristico di Luca, e neppure la concezio­ ne lineare-temporale, che scompone l'avvenimento postpasquale in fasi temporali, ma condivide l'idea teologica concreta dell' 'andare al Padre' (cfr. Io. 1 3 ,1 ; 14,2 8 ; 16,.5 .28 ; I 7 , 1 1 . I 3 ), che in 20, I 7 esprime con la parola • ascesa' 32• In un altro inno cristologico della Chiesa primitiva il concetto è espresso con avEÀ:i)(lcpi}'r) f.v 86�n (I Tim. 3 , 1 6 ), in Luca una volta con ELO'EÀ.i}Ei:v d.c; -;-1}v 86�a.v a.v-rou (Le. 24,26 ); ma in Gio­ vanni per la stessa idea esiste semplicemente la 'glorificazione' di Ge­ sù ( 7,3 9; 1 2 ,23 ; 1 3 ,3 1 s.; 1 7, 1 ..5 ). Se ne può trarre la conclusione che il complesso di idee relative all'avvenimento pasquale e postpa­ squale dell 'intronizzazione di Cristo nel cielo ha contribuito alla for· mazione dell'espressione giovannea • ascendere'; e cosi si viene a sco­ prire un'altro punto d'appoggio del cristianesimo primitivo. Giovanni non parla di una 'superelevazione' di Cristo ; piuttosto egli concepisce la • glorificazione' di Gesù come il ritorno in quella signoria che egli possedeva presso il Padre prima dell'esistenza e della fondazione del mondo (lo. 1 7,.5 ·24). Tuttavia non viene taciuto il fatto che il glorificato dal Padre eserci t� ora un potere, il quale nella pree­ sistenza non gli era ancora attribuito in questa maniera; soltanto che esso riceve una nuova colorazione cristologica : dopo la glorificazione da parte del Padre, a sua volta il Figlio deve glorificare il Padre co­ municando ai credenti la vita eterna. Soltanto cosl egli usa con piena .

32. Cfr. al riguardo W. Thiising, Die Erhohung und Verherrlichung ]esu, 263-27,.

Excursus sesto: mito gnostico e cristologia in Io.

efficacia la sua l�oua'tX 'sopra ogni carne' ed esercita di fatto una so­ vranità salvifica (cfr. lo. 1 7 , 1 s . ) 33• Giovanni, dunque, traccia un più marcato parallelo tra la preesistenza di Cristo ed il suo stato di gloria dopo l'elevazione. Teoricamente lo si potrebbe spiegare con l'ipotesi che egli vi sia stato indotto dallo schema concettuale 1 discesa - ascesa'; ma si può anche pensare al processo inverso, per il quale quella vi­ suale cristologica in cui a Gesù viene restituita la gloria precedente (ed ora con una forza irradiante per tutti i redenti ) abbia portato alla corrispondenza tra 1 discesa ed ascesa' . Questa seconda possibilità ac­ quista maggiore verosimiglianza se si pensa che il vero e proprio pun­ to di vista da cui parte l'evangelista è la comunicazione della vita divi­ na al 'mondo' (degli uomini ) caduto sotto il potere della morte. Infat­ ti la visuale cristologica è accolta per ultima nella riflessione teologica : Dio ha tanto amato il mondo, da sacrificare il suo unico Figlio, per donare ad esso per mezzo di lui la vita eterna (cfr. 3 , 1 6 s.); a tale fine il Figlio deve percorrere la sua strada attraverso l' • elevazione' fino al­ la gloria, ed a questo modo rende possibile a coloro che credono in lui di arrivare appunto là dove egli sta (cfr. 14,3 s.; 1 7,24 ). Questo scopo del piano salvifico di Dio pone l'accento, per quanto riguarda la via di Cristo, sul punto finale; ed è di qui che l'evangelista muove la sua riflessione, come appare dalla espressione di 6,62 : «Se dunque vedrete il Figlio dell'uomo salire là dove era prima?». La preesisten­ za viene tenuta in considerazione, perché soltanto partendo da essa si spiega interamente la dignità e la maestà, la capacità ed il potere di questo unico escatologico Rivelatore e Salvatore. Questo ci è sembrato anche il motivo principale per cui Giovanni fa precedere il suo van­ gelo dal prologo, o inno al Logos ( cfr. introduzione al prologo ). La ba­ se della cristologia giovannea non è un'immutabile speculazione mito­ logica su un redentore che discende dal cielo e vi ritorna ; piuttosto è stato il desiderio di motivare il potere salvifico del Redentore cristia­ no a dare più rilievo alla sua preesistenza, per cui ora la sua via co­ mincia più chiaramente 'in alto' e si dirige nuovamente lassù. lJna conferma di questa opinione si trova nel discorso in rui è maggiormente sviluppato il tema della 'discesa dal cielo' e dell' 'asce­ sa' nel mondo celeste: il discorso sul pane del cap. 6 . Perché qui è 3.3· Cfr. Thiising, ibid., 190 s.

Excursus sesto: mito gnostico e cristologia in Io.

detto con tanta enfasi : «Il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (v. 3 3 ; cfr. 4 1 .42 .jO.j i .j 8 ) ? Perché si tratta della questione della salvezza e occorre far vedere che prima d'allora non è mai stata donata agli uomini la vera, stabile ed indistruttibile vita; neppure con la manna che Israele nel periodo di grazh� del suo soggiorno nel deserto ricevette per mezzo di Mosè come dono 'cele­ ste'. A tal fine doveva giungere colui che era veramente nel cielo, che è 'sceso giù', e che proprio in quanto tale, posto al disopra di ogni cosa terrena (cfr. 3,3I ), dotato del potere illimitato di Dio ( 3 ,3 5 ) e di pienezza di Spirito (3,34), solo può comunicare lo spirito e la vita di Dio, naturalmente con piena efficacia soltanto quando è di nuovo 'asceso' ( 6 ,62 ). Qui dunque è lo spunto per meditare sull'origine e sull'essere di Gesù e sviluppare l 'idea deli' 'ascesa' ; come si vede, si tratta di un fatto propriamente cristiano espresso in un modo che non nasconde il legame con premesse giudaiche. Ma l'idea della 'discesa', come abbiamo visto, è stata preparata dal­ la speculazione sgpienziale, che è pure la ba�e principale dell'idea di preesistenza applicata a Cristo, come ha dimostrato specialmente E. Schweizer a proposito di Paolo 34• Lo stesso complesso di idee ha pro­ babilmente influenzato anche il discorso sul pane in Io. 6, perché an­ che la 'Sapienza' invita a mangiare del suo pane ed a bere il suo vino (Pro v. 9, I -6 ), a saziarsi con i suoi frutti ( Ecclus 24, I 9, cfr. 2 1 ; inoltre 5 I ,24 ) 35• Così le varie linee vengono a convergere : nel prologo il Lo­ gos possiede reale preesistenza, come la Sapienza è attiva durante }g creazione e poi abita fra gli uomini , senza che si parli d'un suo 'di­ scendere' ; secondo il discorso sul pane, il vero pane di vita discende dal cielo e Gesù, similmente alla Sapienza, invita a venire a lui, .per non avere più fame, a credere in lui, per non avere più sete ( 6,35 ) . Perché Giovanni non avrebbe dovuto essersi ispirato anche a questi concetti per esprimere il 'discendere' ? È vero che egli poi collega 'la discesa e l'ascesa' con il 'Figlio dell'uomo' ( 3 , 1 3 ; cfr. 6,62 ) ; ma nella sua cristologia gli spunti e gli aspetti più diversi si fondono in una concezione unitaria: accanto all'idea del 'Figlio dell'uomo' trovia· mo quella del 'Figlio', che è mandato dal Padre e ritorna a Lui, e 34· E. Schweizer, Die Herkunft der Praexistenzvorstellung bei Paulus: EvTh

19 ( 1 959) 65-70 ; Id ., Erniedrigung und Erhohung, 99 s. 35· Cfr. A. Feuillet, Etudes ]ohanniques, Paris 1 962, 72-76.

lo.

J,22-JO

quella della Sapienzg-Logos, che era presso Dio ed innalzò la sua tenda fra gli uomini . La definitiva composizione dei vari elementi si può e si deve attribuire all'evangelista. Il fatto d'una somiglianza terminologica e categoriale con il mito gnostico del redentore sussiste; ma è bene ricordare che analoghe idee ed espressioni sulla discesa ed ascesa dell'anima si ritrovano già anche n eli' ellenismo prima ancora che la gnosi prendesse forma 36, quantunque il vero e proprio mito del redentore appaia soltanto nella gnosi. Si può perciò ammettere che il quarto evangelista, che voleva introdurre il messaggio di Cristo anche nell'ambiente ellenistico in mezzo al quale viveva, abbia tenuto in considerazione tali idee per qua n to riguarda il suo modo di esprimersi ; ma non le ha riprese da tale ambiente, bensl le ha sviluppate partendo dal giudaismo e dal cristianesimo primitivo . Anche se in questo modo si è avuta un'assimilazione al mito gnostico del redentore, né la radice né la fonte del kerygma giovanneo vanno ricercate in esso. Se l'evangeli­ sta ha mostrato una certa apertura alla problematica gnostica, la ri­ sposta che egli ha dato è stata tutt'altra, una risposta genuinamente cristiana. 4· ATTIVITÀ BATTE S IMALE IN GIUDEA. ULTIMA TE S TIMONIANZA DI GIOVANNI BATTI S TA

( 3 ,22-30)

22 ME'tà. -rau -ra. i'jÀ.DEv o 'I'J}crov� xaf. ot JJ.tx.DT)'tClL a.u'tov Et� 't1ÌV 'Iov­ oat:a.v yijv, xat ÉXEL Ot.É"tpt.�EV JJ.E"t1 ClV"tWV xa.t È acbt-rt.�EV . 23 iiv ÒÈ xat o 'Iwcivv'J}� �a1t-rt�wv Év Atvwv Éyyv� -rou l:a.À.E,IJ., O"tL ijòa.-ra. 7toÀ.À.à. Tjv ÉxEi:, xat 1tClPEYLVOV'to xrxt É(3a1t"tL�OV'to· 24 ov1tw yà.p T)v �Ef3À.'J}IJ.ÉVO� Et� -rT)v cpvÀ.axT)v O 'lwciVV'J}� . 25 'EyÉVE"tO OUV �1)-rT}O"t.� Éx -rwv JJ.tx.DT}'tW'V 'Iwcivvov IJ.E'tà. 'lovòat:ou 1tEpt xa.Da.pt.CTIJ.OU. 26 xaf. ijÀ.Dov 1tpò� 'tòv 'Iwtivv1)v xat Elita.v a.v"t(i), tPa.af3!, 8c; T)v lJ.E'tà. crov 1tÉpa.v 'tov 'Iopocivov,

. Secondo I QS 9,3-6 la co­ munità monastica si considera una 'casa santa per Aronne' ed una 'casa della comunità per Israele' ( cfr. anche. 8,5 s . ) e parla di 'sacrifi­ cio delle labbra come profumo sacrificale di giustizia' e di 'completa trasformazione come libero sacrificio gradito ' . Con queste espressio­ ni cultuali essa vuole descrivere la sua pura adorazione di Dio, che consiste tanto nella lode di Dio quanto in una vita secondo i coman­ damenti di Dio . Perciò i suoi membri vogliono diventare 'un fonda­ mento di Spirito santo per l'eterna verità, per espiare la colpa dei peccati e la caduta peccaminosa' e ottenere 'la compiacenza di Dio verso il mondo' . Ciò è confermato anche dagli inni (hodajoth ), nei quali l'arante (in primo luogo il 'maestro di giustizia' ) esprime le stesse idee per sè personalmente, come ad esempio in I QH I 6,I I s.: « lo so che nessuno è giusto senza di te, ed io ho placato il tuo volto con lo spirito che tu mi hai dato per colmare le tue grazie verso il ( tuo) servo, purificandomi con il tuo Santo spirito e facendomi pro­ gredire con la tua compiacenza, secondo la grandezza delle tue gra­ zie»; oppure in 1 7 ,26 : «lo ti lodo, o Signore, perchè hai versato (il tuo ) santo Spirito sul tuo servo e hai purificato il mio cuore» ; cfr. anche 7,6 s. ; I 2 , I I s.; I 3 , I 8 s.; 14,25 ; /r. 2 ,9. I 3 . L'orante chiede ancora spirito e verità : «Poiché io so tutto questo, (posso dare ) una risposta della lingua, per pregare e ( supplicare ) . .. per aspirare al ( tuo santo ) Spirito e tenermi stretto alla verità della tua alleanza » ( I 6 ,6 s . ). Lode a Dio e completa trasformazione sono dunque rese possibili dal­ lo Spirito santo, che l'arante crede di aver ricevuto, ma sono anche una risposta alla grazia di Dio. La rivelazione di Gesù sulla vera adorazione di Dio è illuminata bene dai testi di Qumran, ma li supera perché Gesù annuncia il com­ pimento escatologico : a) per adorare Dio in 'spirito e verità' è neces­ sario innanzitutto che l'uomo sia colmato e compenetrato dallo Spirito di Dio. Per i credenti in Cristo ciò avviene in modo reale e piena­ mente valido nel momento in cui vengono generati da Dio nel batte-

Io. 4,23

simo. Con esso i cristiani ricevono il potere di diventare figli di Dio (Io. I ,I 2 s.; I lo. 3 ,I s . ), sono generati 'dall'alto', attraverso lo Spirito di Dio (Io. 3 ,3 . .5 s. ), e sono messi in condizione di condurre, in quan­ to generati da Dio, una vita santa, senza peccati, che si rivela nell'amore (I lo. 2,2 9 ; 3 ,9 ; 4,7; .5 , I . 1 8 ). b) Questo conferimento escatologico dello Spirito è avvenuto per mezzo di Gesù Cristo ( I o. 1 , I 7 ). La vera adorazione nello Spirito, perciò, è possibile soltanto nella comunione con Cristo. Lo stesso suo corpo trasfigurato è il tempio santo di Dio ( 2 ,2 1 ) ; in esso avviene il vero culto . Sotto que­ sto aspetto lo E.v 1tVEVIJ.a"t't. giovanneo è affine allo E.v Xpt.a't'(il pao· lino 55• In ogni caso la vera adorazione gradita a Dio diventa possibile soltanto attraverso Gesù, il rivelatore e datore di vita ( cfr. 4,26 ; 6, 63 s. ). c) L'adorazione di Dio neotestamentaria è rivolta al Padre. Da lui i figli di Dio sono amati ed eletti, lui lodano riconoscenti con confidenza filiale e lui servono secondo il suo volere. d ) Il culto in spirito e verità è tributato dalla comunità dei credenti in Cristo. I veri adoratori non sono degli individualisti, ma sono il gregge di Dio, raccolto dal Figlio di Dio (cfr. 6,37 ss. ; I O, I · I 8 .26-29), e che continua a raccogliere in sé i figli di Dio dispersi (cfr. 1 o, I 6 ; I 1 , .5 2 ). Come co­ munità di Dio neotestamentaria, essa sostituisce il culto antico nel tempio di Gerusalemme (v. 2 2 ), limitato e condizionato dalla storia della salvezza, con la nuova adorazione di Dio in spirito e verità, fon­ data su Cristo, senza fare distinzione tra Giudei, Samaritani e pagani. Ad essa, quale comunità di Cristo, è dato lo Spirito di Dio, ad essa è affidato anche il nuovo culto. e) Il nuovo culto non è né un servizio reso solo con le labbra né un'adorazione di Dio puramente interiore. Il sacrificio cruento è abolito, tuttavia il culto esteriore non è svalutato del tutto 56, ma è mantenuto in un modo sacramentale spiritualizza­ to ad un livello più alto. La nuova vittima ora è la carne ed il sangue trasfigurato del Signore glorioso ( cfr. 6,.5 I c.62 s . ) 57• Ma soprattutto ,,. Cfr. ]. Horst, llpouxvvti:v, Giitersloh 1932, p. 306; E. Schwei.zer: ThWb VI,

43 8 ,7.

56. Diversamente nello gnosticismo, dove vale soltanto il culto mistico, dr. Od. Sal. 20,2 ss. : « Ed a lui sacrifico il sacrificio del suo pensiero; perché il suo pen· siero non è come il mondo, neppure come la carne. Neppure è come coloro che servono carnalmente. Il sacrificio del Signore è giustizia e purezza del cuore e delle labbra». '7· Cfr. Hoskyns, 24': « Il vero culto è indirizzato alla carne ed al sangue di

questa adorazione deve portar frutto nell'adempimento dei comanda­ menti , nella pratica del comandamento della carità, dato da Gesù ( 1 3 , · 3 .5 ) . L a vera adorazione esige anche che s i 'faccia l a verità' ( cfr. 3 ,2 1 ; I Io. 1 ,6 ). Il Padre desidera e cerca (�T}'tEL 58 ) tali adoratori (v. 23 b). In que­ sta affermazione c'è anche un ammonimento alla donna di lasciarsi trovare da Dio attraverso colui che le sta parlando. Dopo aver messo allo scoperto la vita peccaminosa, Gesù la vuole portare ad accettare da lui il perdono di Dio ed a servire il Padre con cuore puro, in spi­ rito e verità. Per questo è necessaria la fede in lui, Rivelatore e Sal­ vatore. Così il colloquio culmina nell'autorivelazione di Gesù come Messia (v. 26). Tale adorazione, resa possibile dalla grazia e dallo Spirito di Dio, a cui si deve corrispondere con cuore puro, è motivata ancor più profondamente da Gesù in base alla natura di Dio. 'Dio è Spirito': ciò ricorda che Dio è separato da ogni essere terreno ed umano. La fra­ se non è una definizione, ma esprime la sublimità e la santità di Dio. 1tVEVIJ.C1 indica in Giovanni ciò che attiene a Dio ed al mondo cele­ ste in contrapposizione a ciò che è terreno ed umano. Chi è generato soltanto dalla 'carne' rimane incatenato al cosmo soggetto- alla morte, carnale e caduco ( 3 ,6 ), non ottiene l'accesso al mondo divino, celeste e spirituale. È necessaria una elevazione dell'uomo, una nuova creazione, operata da Dio stesso con le sue forze, che consenta di incontrarlo e di appartenere a lui. L'uomo per conto suo deve ( OEL) soltanto diventare un altro uomo, un uomo pneumatico, per poter rendere a Dio un culto adeguato. Cosl ciò che è decisivo non è il luogo dell'adorazione este­ riore di Dio, ma l'uomo nel modo in cui egli adora. 24.

La spiritualità di Dio, di cui si parla qui, si ricollega all'idea vetero­ testamentaria di Dio. Nell'A .T. Dio non è chiamato 'Spirito' formaiGesù». 58. Certamente �1]'t'ELV qlli significa in primo luogo 'desiderare, richiedere'; ma il Padre 'cerca' anche tali adoratori, per mezzo del Figlio. Nella situazione di questo passo Gesù cerca la donna (cfr. v. 27 ); il verbo in 1 ,3 8 ; 5,44 sta per una ricerca religiosa; negativamente in 6,24.26; cfr. anche 8 ,2 1 ; 1 3 ,3 3 ; 20, 1 5 . Ode­ berg, 173 dice: «The a:v> ( 26,6 ss. ). Soltanto Cristo, «che lo spirito invisibile ha po­ sto come Dio sopra l'universo » ( 3 2 , 1 2 ss. ), rivela e rende possibile l'ascesa nel regno delle luci , ma soltanto a coloro «che sono di quella generazione che non esita. Coloro sopra i quali discende lo Spirito della vita , dopo che si sono uniti con la forza, sono salvati ( e ) diven­ tano perfetti ; e diventeranno degni di salire fino a quelle grandi lu­ ci . . . » ( 65 , 1 ss . ) . Nel 'Vangelo della Verità' è detto : «Ma coloro che devono ricevere la dottrina, i vivi, che sono iscritti nel libro dei vi­ venti, essi accolgono la dottrina, essi soli. Essi ricevono se stessi dal­ la mano del Padre, essi si volgono nuovamente a lui. Poiché il compi­ mento dell'universo è nel Padre, è necessario che l'universo salga ver­ so di lui» ( 2 1 ). Tutto è qui sviluppato nel senso della dottrina gnosti­ ca segreta ed esclusiva ; all'eletto lo 'Spirito' dà la gnosi che salva : «Per quel che riguarda la conoscenza del Padre e la rivelazione del Fi­ glio suo, egli ( lo Spirito) ha dato ad essi (gli Gnostici ) la capacità di apprenderla» ( 30) 60 La diversità della dottrina gnostica da quella •

'9· Cfr. Crisippo, /r. 3 10 ( von Arnim II, 1 12 ,3 1 s.): DEÒç CTWI-LCl, 1tVEVI-La. wv \fOEpòv xcxt t:Hòt.ov; Cleante, fr. 1009 ( von Arnim II, 299,1 1 ss.): 1tVEVlJ.a voEpÒv xat 1tvpwòEç, ovx �xov 1-LÈV J.LOpcpT)v, lJ.E"ta�ciÀÀ.ov ò' ELc; 8 �ouÀ.E"ta.t. ya.L crvvE­ �o�ot.OUIJ.Evov 1tcicnv ( citati da H. Kleinknecht: ThWb VI, 353, 3 1-3, ). 6o. Traduzione del Vangelo della Verità secondo H.·M. Schenke, delrApocrifo • • •

cristiana, per quanto riguarda la redenzione, è evidente proprio nel­ l'incontro di Gesù con la samaritana : qui parla un vero rivelatore e mediatore di salvezza.

e) Gesù rivela se stesso come Messia ( 4,2.5-2 6 ). 2.5. La donna non ha compreso le parole di Gesù, e spera nel Messia,

che 'manifesterà loro ogni cosa' . Essa non ha afferrato che Gesù le annuncia l'ora presente del compimento, la vicinanza di ciò che guida e dispone alla vera adorazione di Dio. In questo sens.o ci troviamo di fronte ad un 'equivoco giovanneo' ; essa guarda al futuro mentre Ge­ sù parla del presente. Ma la profonda ansia religiosa della donna, for­ se anche l'intuizione del mistero di Gesù, sono per quest'ultimo la via attraverso cui si rivela a lei come il Messia atteso ( v . 26 ). In lui essa può trovare l'esaudimento della sua speranza, e cosl pure i Samaritani. L'attesa del Messia da parte della donna si può conciliare con quan­ to sappiamo da fonti samaritane. In esse il Messia si chiama Ta'eb , cioè colui che ritorna 61 ; egli in base a Deut. 1 8 , 1 8 è visto come il Profeta che deve apparire alla fine, dopo il primo profeta Mosè. L'im­ portanza di quel passo della Bibbia per l'attesa della salvezza da parte dei Sam��uitani appare dal fatto che esso nel loro Pentateuco è stato aggiunto al decimo comandamento del decalogo 62• Il Ta'eb era consi­ derato soprattutto un capo politico, restauratore del regno d'Israele, allo stesso modo del Messia davidico dei Giudei, ma appartenente alla tribù di Levi per via del suo legame con Mosè. Così , essendo egli stes­ so sacerdote, doveva ristabilire il vero culto 63 • Il suo compito, a vol­ te contestato, di rivelatore profetico ( o di maestro). fu dedotto an­ ch'esso da Deut. 1 8 ,8 : cosl in Memar Markah (una fonte samaritana del III/IV sec. d .C . ) 4 , 1 2 , è detto che egli rivelerà la verità 64• L'atdi Giovanni secondo W .C. Till, in: W.C. van Unnik, Evangelien aus dem Nil­ sand, Frankfurt a. M. 1959. 6 1 . Improbabile è la traduzione 'colui che riconduce ' , cfr. A. Merx, Der Messias oder Ta'eb der Samaritaner, Giessen 1 909, 42 s . 6 2 . Cfr. M . Gaster, che Samaritans, their History, Doctrines and Literature, Lon­ don 1 925, 185- 1 90, più precisamente 187. 63. Sull'attesa del Ta'eb da parte dei Sa maritani cfr. ].A. Montgomery, The Sa­ maritans, the Earliest ]ewish Sect, Their History, Theology and Literature, Phi­ ladelphia 1907, 242-250; A. Merx, l.c.; M. Gaster, o.c., 90 ss. ; H. Odeberg, The Fourth Gospel, 181 ss. ; J. Macdonald, Tbe Theology o/ the Samaritans, London 1964 , 362-37 1 . s... J . Macdonald, o.c., 364 s . ( su Memar Markah cfr. 42 s.).

tesa del Messia samaritano è confermata anche da Flav. los., ant. 1 8 , 85-87 : sotto Ponzio Pilato comparve u n uomo il quale prometteva di mostrare ai Samaritani gli oggetti sacri che sarebbero stati sotterrati da Mosè sul monte Garizim ; Pilato stroncò la sommossa con la forza. È degno di nota il termine MEcrcriaç senza articolo , dietro .al quale Odeberg (p. 1 87 ) suppone un originario Ta'eb ( anche Bult­ ·mann ) ; o À.EYOIJ..E Voç Xpt.O"'t'oç in bocca alla donna, allora, dovrebbe voler dire : «che (da voi Giudei) è chiamato Messia »; ma probabilmen­ ·te è un chiarimento dell'evaneglista come in 1 ,4 1 65• 26. Gesù si fa conoscere dalla donna come il Messia atteso con la for­ mula Eyw EtiJ.. t. . Secondo il contesto si può aggiungere facilmente 'il Messia'. Ma secondo l'evangelista potrebbe già trattarsi deli'espres­ sione assoluta con cui Gesù svela la sua natura divina (cfr. 6,20 ; 8 , 24 .28 .5 8 ; r3 , 1 9 ) (,(). Gesù non è obbligato dalla situazione a dare que­ sta risposta ( cfr. 9,37 ), ma rivela se stesso alla donna coscientemente e spontaneamente. Cosl si giunge al culmine del colloquio, nel quale Gesù vuoi portare a credere in lui quella donna, quale membro e rap­ presentante nello stesso tempo del popolo samaritano. Anche i temi dell'acqua viva e dell 'adorazione in spirito e verità non restano isolati dalla sua rivelazione: egli è colui che dà l'acqua viva ed è anche il 'luogo' della nuova adorazione di Dio, attraverso cui essa diventa possibile e d'ora innanzi sarà realizzata. Per il momento l'esito del $UO lavoro missionario resta in sospeso, perché nel frattempo giun­ gono i discepoli ed il colloquio è interrotto ; ma la donna chiama i suoi compaesani , che la seguono subito. Gesù sa che il campo è maturo per la mietitura ( vv. 35 s . ) ; ed infine i Samaritani giungono alla fede piena in lui, quale 'salvatore del mondo' (v. 42 ).

_I.L COLLOQUIO DI GE S Ù CON I S UOI DÌ S CEPOLI

( 4,27-3 8 )

.n Kat

E1tt "tOV"t4l Yj).. ilov ot �th]'tat av"t'ou, xat ÈilavJ,J.asov o·n IJ..E"t'rt yuvat.xòç ÈÀ.aÀ.Et.· oùoEtç �v'tot. Et1tEv, T' �11"t'Ei:ç; il, T' À. aÀ. Ei: