Trattato sui terremoti. Introduzione, testo, traduzione e note

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Trattato sui terremoti. Introduzione, testo, traduzione e note

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L. ANNEO SENECA

RATTATO SUI TERREMOTI introduzione, testo, traduzione e note a cura di Antonio Traglia

EDIZIONI DELL’ATENEO

ROMA

SCHIPTORES LATINI collana di autori latini ad uso accademico diretta da Antonio Traglia

NUNC COGNOSCO EX PARTE

TRENT UNIVERSITY LIBRARY

SCRIPTORES LATINI collana di autori latini ad uso accademico diretta da Antonio Traglia

1.

L. ANNAEUS SENECA

DE TERRAE MOTU (nat. quaest. l.VI)

ROMAE

IN AEDIBUS ATHENAEI

L. ANNEO SENECA

TRATTATO SUI TERREMOTI introduzione, testo, traduzione e note a cura di Antonio Traglia

EDIZIONI DELL’ATENEO

ROMA

Copyright 1965 by Edizioni dell’Ateneo, a Roma via Antonio Musa, 15. Printed in Italy.

II trattato senecano de terrae motu e giunto a noi come sesto libro delle Naturales Quaestiones. nuto

di questo breve

scritto,

II conte-

che comprende

una piu

o meno ordinata e non sempre esatta rassegna delle teorie sismologiche precedenti e contemporanee, si estende per quasi due terzi del libro e ne costituisce il nucleo centrale. Questo e come racchiuso fra un’ampia introduzione (non dissimile, per il carattere e per il tono, da certi discorsi consolatorii e da certa predicazione etica de contentnenda morte svolta un po’ in tutte le opere morali di Seneca e in modo particolare nelle Epistole a Lucilio, al quale il de terrae motu, con Pintera opera in cui venne a inserirsi, e dedicato) sul terremoto di Pompei del 62 o del 63 d.C.1 e fra un non meno ampio finale appunto sul disprezzo della morte.

Proemio e chiusa, come ho

gia avuto occasione di osservare altra volta,2 risentono delPimmediata impressione prodotta sullo scrittore dal ter¬ remoto

campano e

d’animo, misto

sbocciano da

quel

particolare

stato

ora di esaltazione eroica e di desolata

tristezza, ora di viva speranza e di composta serenita, in cui Seneca trascorse gli ultimi anni della sua vita. Questa parte, che costituisce, per cosl dire, la cor¬ nice del de

terrae motu,

e stata dunque scritta sotto

1 Vedi quanto ho scritto in proposito nel mio studio

II valore

dossografico del de terrae motu di Seneca, in “Medioevo e Rinascimento”, Studi in onore di B. Nardi, Firenze 1955, p. 735, n. 1. 2 Cfr. op. cit., p. 736.

Introduzione

6

l’impressione dell’immane sciagura. Ma la parte centrale, quella in cui si cerca una spiegazione naturale del pauroso fenomeno e si passano in rassegna le diverse teorie della sismologia antica, non e frutto d’improvvisazione. Noi sappiamo che proprio sui terremoti Seneca aveva scritto in gioventu un trattato, che ando perduto.

Ed

e lecito arguire che gran parte del materiale in esso raccolto sia passato a costituire il nucleo dottrinale e cen¬ trale del VI delle Naturales Quaestiones, che serve a dare un fondamento razionale ai motivi consolatorii esposti nell’introduzione (i quali

a loro volta offrono il pretesto

alia trattazione scientifica) e ad avviare autore e lettore alle conclusioni etiche del finale.

Che anche nello stile

si

tra la parte centrale

awerte una grande

differenza

del libro da un lato e il proemio e la chiusa dall’altro. Qui una prosa condotta secondo le piu raffinate regole della retorica senecana, la uno stile piano, espositivo, raziocinante, denso di dati e di cose, che risente del carattere originario di annotazioni e di excerpta, proprio del materiale raccolto, ordinato ed esposto in questa parte. Ma anche qui Seneca non e un meccanico ripetitore delle idee degli altri.

Spesso egli le fa sue, rinnovandole con

la sua esperienza, o le commenta e le confuta con una certa indipendenza critica.

Alludendo alia sua opera giovanile

de motu terrarum egli afferma (4, 2) « quorum adeo est mihi dulcis inspectio, ut quamvis aliquando de motu ter¬ rarum volumen iuvenis ediderim, tamen temptare me voluerim et experiri, aetas aliquid nobis aut ad scientiam aut certe ad diligentiam adiecerit ».

Cio vuol dire che egli

dovette in qualche modo rielaborare quel materiale e riesamina.rlo alia luce di una maggiore esperienza acquisita nello studio di quei fenomeni di cui sempre dolce e gra-

Introduzione

7

dita fu per lui la inspectio. Anche nella semplice esposizione

delle diverse

teorie egli porta un calore tutto

proprio: egli le rivive quasi dal punto di vista dell’autore, esponendole in quella sua caratteristica forma dall’andamento spesso discorsivo e dialogico, improvvisando persino delle citazioni (o pseudocitazioni) testuali, o dando alle sue parole tale aspetto, anche a scapito dell’esattezza non solo filologica, ma anche storica, cioe a scapito proprio di quella diligetitia, di cui egli si mostrava preoccupato. Del

resto

a Seneca

non interessava

affatto l’attribu-

zione precisa di ciascuna di queste teorie nei suoi obiettivi ed esatti contorni storici. Lo conferma anche la numerosa serie di ipotesi attribuite a innominati quidam. A Seneca preme esporre idee e ipotesi, piu o meno accettabili, sulle cause del terremoto; e se tutte sembrano contenere qualche cosa di probabile, anche quelle - in fondo in fondo - che non approva, ma pur cita cum satins sit omnium copiam fieri (e il caso di Metrodoro di Chio in 19, 1), egli si ferma piu a lungo su quelle che sembrano contenere un maggior numero di probability. Si direbbe che Seneca preferisca le ipotesi piu complesse, a piu facce, quelle che ammettono un maggior numero di spiegazioni, tutte valide, fondate sulla possibility d’azione di piu cause, concomitanti ed operanti in fasi diverse. E cio anche per evitare quel certo senso di scetticismo che potrebbe ingenerare la stessa molteplicita e diversita di ipotesi formulate in opposizione assoluta fra loro. Che l’intento di Seneca e uno solo: dimostrare l’origine naturale dei fenomeni sismici. Si badi, e un atteggiamento psicologico, questo, che si

awerte tra

le pieghe delle

pagine di Seneca, non apertamente dichiarato e forse da lui stesso neppur chiaramente awertito. Sul piano scien-

Introduzione

8

tifico egli si dichiara per una delie tante teorie, egli fa sua quella stoico-aristotelica dell’aria come agente, almeno principale, se non esclusivo, del terremoto. Ma Seneca si lascia attrarre anche da altre spiegazioni, per esempio da quella dell’acqua sotterranea come concausa, almeno, dei

fenomeni

sismici. Sul piano

si schiera per la dottrina stoica del

Jtvevpa,

teorico ma psi-

cologicamente e mol to vicino al pun to di vista di Epicuro, il quale per un principio metodologico generale affermava la possibility della coesistenza di piu cause anche in ordine ai movimenti sismici e la legittima molteplicita di spiegazioni e di teorie al riguardo3. Cio trasparisce dalle parole stesse con cui egli espone la dottrina stoica che fa

sua (21, 1):

elementi:

« ... l’aria e il piu potente degli

l’aria suscita il fuoco;

1’acqua, senza l’azione

del vento rimane immobile; l’aria puo smuovere la terra, far sorgere nuovi monti e far affiorare sulle onde isole prima mai viste”. Ma la stessa superiority dell’aria rispetto agli altri elementi, cost com’e presentata, non solo non esclude, ma anzi

implica e presuppone come con-

causa del terremoto l’azione, sia pure subordinata, del fuoco, dell’acqua e della terra. Un attento riscontro delle citazioni senecane delle varie teorie

sismologice (e

della

loro

attribuzione

ai diversi

autori) coi testi in nostro possesso dimostra l’inesattezza della maggior parte delle testimonianze dossografiche del nostro scrittore. Pub essere che cio dipenda dalle fonti da lui utilizzate. Seneca non cita mai direttamente e testualmente, ma attinge le sue affermazioni a due soli trattratisti stoici, Posidonio e Asclepiodoto, autore di un’opera s Cfr. 20,5.

Introduzione

9

indicata con quaestionum naturalium causae ( cpvoixai alziai o cpvoixa antiche

aixia ).

fossero gia

Ora, pud darsi che certe teorie

deformate dall’interpretazione

stoica

attraverso la quale egli ne aveva preso conoscenza. Ma non e escluso che fosse anche Seneca a piegarle al suo modo d’interpretare la realta e di esprimere il particolare momento del suo spirito. Tale supposizione e confortata dal fatto che, almeno per quanto riguarda Posidonio, pur accettandone in genere le dottrine, egli pero le accoglie con molta indipendenza e liberta di critica, come nella distinzione dei vari tipi di terremoto, che a lui sembra insufficiente, se alia concussio e alia inclinatio di Posi¬ donio sente il bisogno di aggiungere il tremor, per cui omnia vibrantur* Pensare che Seneca trovasse questa aggiunta nell’altra sua fonte, cioe in Asclepiodoto, come supporre che nei casi di conflitto tra i due filosofi stoici egli segua le orme del secondo, e cosa per nulla provata e di per se inaccettabile, perche significherebbe press’a poco riaurre le gia limitate fonti di Seneca al solo Asclepiodoto e negare al filosofo latino ogni reazione originale del suo spi¬ rito nell’apprendimento di dottrine elaborate da altri, il che e inconcepibile in Seneca e — nel campo stesso delle dottrine sismologiche — e smentito dai fatti. £ evidente la liberta di critica e di adattamento del materiale tecnico alle esigenze della

situazione psicologica e della tratta-

zione filosofica che egli si riserva e attua, anche a costo dell’esattezza storica, nella trattazione e nella esposizione del pensiero altrui, in una forma letteraria tutta propria, che qualche volta anziche chiarire idee e fatti finisce con lo svisarli. 4 Cfr. 21, 2.

Introduzione

10

Se nei vari quidam, nonnulli, sunt qui, con cui vengono introdotte e presentate parecchie dottrine

sismologiche,

siano da vedere esclusivamente dei filosofi stoici, non e possibile dire con certezza. £ vero che quanto e esposto in 14, 1 sgg. a proposito della spiegazione dei terremoti come alterazione delle condizioni di vita dell’organismo terrestre,

alimentato dall’aria e dall’acqua che circolano

nel suo interno al pari del sangue e dell’aria nel corpo degli

animali, e

dottrina che

si fonda

sul presupposto

stoico della terra concepita come organismo vivente, e cio sia che il sunt qui existiment, con cui s’apre il capitolo, debba interpretarsi come un’allusione ad Asclepiodoto o ad altri scolari di Posidonio, sia che debba interpretarsi come un’allusione a Posidonio stesso. Ma e anche vero che in alcuni casi non si tratta affatto di Stoici, come nel cap. 15, almeno per quanto riguarda la prima parte della testimonianza sulla teoria della porosita della terra, attraverso la quale penetra l’acqua (e quindi, poi, anche l’aria), teoria che in IV 2, 28 e esplicitamente attribuita a Diogene di Apollonia. Cosl non alio Stoicismo, ma a Democrito risale la teoria esposta in 7, 1 (cfr. 20, 1). Ma perche Seneca tace il nome di molti autori di dottrine sismologiche, alcune delle quali di un certo rilievo? Perche egli non ha preoccupazioni dossografiche, perche nel tramandare il pensiero altrui egli non ha lo scrupolo dell’esattezza filologica e

storica. Non e questo il suo

problema. Quello che a lui preme e raccogliere il contenuto dottrinale delle varie teorie, esporre e vagliare le idee in se, per dimostrare che il terremoto e un fenomeno di origine naturale e non soprannaturale, il quale si attua secondo determinate leggi fisiche a cui nessuno puo sfug-

Introduzione

11

gire, e che quindi esso non deve incutere terrore agli uomini. Tutto codesto impone, pero, dei limiti all’attendibilita delle testimonianze dossografice del de terrae motu e im¬ pone delle grandi cautele, nell’adoperarle, a chi tenti di ricostruire la storia della sismologia antica. II metodo senecano e doppiamente viziato:

tan to sul

piano scientifico quanto su quello storico. Dal punto di vista della ricerca sicentifica egli parte raramente dall’osservazione diretta dei fatti:

piu che sull’esperienza egli

si fonda sopra una logica astratta che gli permette p. e. di vedere con gli occhi della mente un altro mare nell’interno della terra. Dal punto di vista storico egli non si cura della fedele ricostruzione dei sistemi e della loro precisa attribuzione ai rispettivi autori. La scienza ha ancora per Seneca, come per gran parte della filosofia antica, orientata verso i grandi nroblemi dell’attivita

pratica,

un valore

puramente

strumentale.

Anche il merito di certe intuizioni, che sembrano prdudere, nel campo stesso della sismologia, a importanti vedute moderne, come il concetto di zone asismiche5 o come la stessa dottrina accettata da Seneca, che contiene, pur espressi ti

in

ripresi

forma

scientificamente

dalla scienza

moderna,

inadeguata, non

e

di

demen¬

Seneca (o

a lui va il solo merito di averne capito l’importanza), ma delle sue fonti dirette o indirette. Tuttavia, dalle pagine della

prosa

« naturalistica»

senecana

traspira qua e

la

un vivido amore per la scienza e una sicura fede nel suo

5 Cfr. 26,; vedi anche Pun., n. h. II 80, 195. 9 Cfr. E. Chatelain, Theories d’autheurs anciens sur les tremblements

de

terre,

in «Mel. d’Arch.

et

d’Hist.»,

1909,

p. 99.

Introduzione

12

awenire, come quando ne esalta la bellezza e le pure gioie 7 8 o rende giustizia agli antichi ricercatori o infine ne proclama 1’inesauribile progresso, in qua cum multum acti erit, omnis tamen aetas quid agat inveniet \ Parole che ci richiamano altre, piii

famose.. del

libro VII (25, 5)

veniet tempus quo posteri nostri tam aperta nos nescisse mirentur e (ib. 30, 5) multa venientis aevi populus ignota nobis sciet;

multa saeculis

tunc futuris,

nostra exoleverit, reservantur,

che, a

cum memoria

tanta distanza di

tempo, sanno di profetico. E anche questo va debitamente apprezzato.

7 Cfr. 4, 2. 8 Cfr. 5, 3.

T rat tat o sui terremoti

1

1.

Pompeios, celebrem Campaniae urbem, in quam

ab altera parte Surrentinum Stabianumque litus, ab al¬ tera Herculanense conveniunt et mare ex aperto reductum amoeno sinu cingunt, consedisse terrae motu vexatis quaecumque adiacebant regionibus, Lucili virorum op time, audivimus, et quidem hibernis diebus, quos vacare a tali periculo maiores nostri solebant promittere. 2

Nonis Februariis hie fuit motus Regulo et Verginio consulibus, qui Campaniam, numquam securam huius ma11, indemnem tamen et totiens defunctam metu, magna strage vastavit: nam et Herculanensis oppidi pars ruit dubieque stant etiam quae relicta sunt, et Nucerinorum colonia ut sine clade ita non sine querela est; Neapolis quoque privatim multa, publice nihil amisit leniter ingenti malo perstricta, villae vero prorutae, passim sine

3

iniuria tremuere. Adiciuntur his ilia: sexcentarum ovium gregem exanimatum et divisas statuas, motae post haec mentis aliquos atque impotentes sui errasse.

Quorum

ut causas excutiamus, et propositi operis contextus exi-

1.

Ottimo mio Lucilio, mi e giunta la notizia che

1

Pompei, la popolosa citta della Campania, situata nel punto d’incontro delle coste di Sorrento e di Stabia da una parte e di quella di Ercolano dall’altra, che cingono con un ameno golfo quel tratto di mare che dal largo va a insinuarsi cola, e crollata in seguito a un terremoto che ha colpito anche tutta la zona adiaciente.

E cio e avvenuto proprio d’inverno, in una

stagione cioe che i nostri antenati assicuravano essere immune da tale flagello.

Questo terremoto si e ve-

2

rificato il 5 di febbraio sotto il consolato di Regolo e di Virginio ed ha devastato con ingenti rovine la Campania, non mai al sicuro da tale flagello, ma da cui finora, tuttavia, era uscita tante volte indenne e solo con un po’ di spavento.

£ crollata infatti una

parte della citta di Ercolano e gli edifici rimasti in piedi sono pericolanti; a Nocera, sebbene non vi siano gravi distruzioni, tuttavia si lamentano dei danni; an¬ che Napoli, lievemente colpita dal disastro, ha perduto molte case private, ma nessun edificio pubblico. Alcune ville, si, sono crollate; altre, qua e la, hanno awertito la scossa, ma senza subirne danni. A cio si aggiungano queste altre conseguenze: un gregge di numerosissime pecore morto asfissiato, statue rotte a meta, alcune persone,

impazzite

in seguito

alia catastrofe

e fuori di se, raminghe pei campi. Il piano dell’opera intrapresa e l’occasione che ora ci si offre c’impongono

3

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

16

4

git et ipse in hoc tempus congruens casus.

Quaerenda

sunt trepidis solacia et demendus ingens timor.

Quid

enim cuiquam satis tutum videri potest, si mundus ipse concutitur et partes eius solidissimae labant?

Si

quod unum immobile est in illo fixumque, ut cuncta in se intenta sustineat, fluctuatur, si quod proprium habet terra perdidit, stare, ubi tandem resident metus nostri?

Quod

corpora

receptaculum

invenient,

quo

sollicita confugient, si ab imo metus nascitur et fun5

ditus trahitur?

Consternatio omnium est, ubi tecta

crepuerunt et ruina signum dedit.

Tunc praeceps quis-

que se proripit et penates suos deserit ac se publico credit: quam latebram prospicimus, quod auxilium, si orbis ipse ruinas agitat, si hoc, quod nos tuetur ac sustinet, supra quod urbes sitae sunt, quod fundamentum quidam orbis esse dixerunt, discedit ac titubat? 6

Quid tibi esse non dico auxilii sed solacii potest, ubi timor fugam perdidit?

Quid est, inquam, satis mu¬

ni turn, quid ad tutelam alterius ac sui firmum?

Ho-

stem muro repellam, et praeruptae altitudinis castella vel magnos exercitus difficultate aditus morabuntur, a tempestate nos vindicat portus, nimborum vim effusam et sine fine cadentes aquas tecta propellunt, fugientes non sequitur incendium, adversus tonitruum et minas caeli subterraneae domus et defossi in altum specus remedia sunt (ignis ille caelestis non transverberat terram sed exiguo eius obiectu retunditur), in pestilentia

Seneca, Trattato sui terremoti

17

di discutere sulle cause di questi fatti. Bisogna cercare

parole

bisogna

di

conforto

per gli animi

liberarli dal terrore.

Cosa

sconvolti

infatti

potra

4

e ad

alcuno sembrare sufficientemente sicuro, se il mondo stesso si muove e le sue parti, di cui nulla ve di piii solido,

vacillano?

Se

Tunica cosa che in

esso v’e

d’immobile e fisso, si da costituire il centro d’attrazione e il punto d’appoggio di tutte le cose, si mette a ondeggiare?

Se la terra ha perdu to la sua pro¬

priety essenziale, la stabilita, in che cosa si acqueteranno i nostri timori?

Quale riparo troveranno i

nostri corpi, dove si rifugeranno nei momenti di ter¬ rore, se la paura nasce da cio che sta sotto i nostri piedi e

viene

dalle

viscere della

terra?

Quando le case

5

scricchiolano e minacciano di crollare, si diffonde il panico.

Allora ognuno fugge a precipizio, abbandona

i suoi penati e si rifugia sulla pubblica via. scampo

vediamo

davanti

a

noi,

Ma quale

quale aiuto,

se

il

il mondo stesso minaccia di crollare, se questo stesso globo che ci protegge e ci sostiene, su cui poggiano le fondamenta delle citta e che alcuni hanno definito “la base dell’uni verso'

si apre e sussulta?

Quando la

paura ha perduto ogni possibility di farti fuggire, cosa v’e che possa riuscirti, non dico di aiuto, ma di con¬ forto?

Quale rifugio v’e — dico io — abbastanza

solido, quale rifugio stabile, per ripararvi gli altri e se stesso?

Il nemico lo potto tener lontano con le

mura, e delle fortezze costruite su posizioni alte e scoscese tratterranno, per le difficolta d’accesso, eserciti anche grandi. Dalla tempesta ci ripara il porto. I tetti ci proteggono dalla violenza dei rovesci temporaleschi e dalla pioggia che viene giu senza fine.

2

6

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

18

7

mutare secies licet: nullum malum sine effugio est. Numquam fulmina populos perusserunt;

pestilens caelum

exhausit urbes, non abstulit: hoc malum latissime patet inevitabile, avidum, publice noxium.

Non enim domos

solum aut familias aut urbes singulas haurit: totas

regionesque

submergit

et

gentes

modo minis operit,

modo in altam voraginem condit ac ne id quidem relinquit, ex quo appareat, quod non est saltern fuisse, sed supra nobilissimas urbes sine ullo vestigio prioris ha8

bitus solum extenditur.

Nec desunt, qui hoc genus

mortis magis timeant, quo in abruptum cum sedibus suis eunt et e vivorum numero vivi auferuntur, tamquam non omne fatum ad eundem terminum veniat. Hoc habet inter cetera iustitiae suae natura praecipuum, quod cum ad exitum ventum est, omnes in aequo su9

mus.

Nihil itaque interest, utrum me lapis unus elidat,

an monte to to premar; utrum supra me domus unius onus veniat et sub exiguo eius tumulo ac pulvere exspirem, an totus caput meum terrarum orbis abscondat; in luce hunc et in aperto spiritum reddam an in vasto terrarum dehiscentium sinu, solus in illud profundum

Seneca, Trat tat o sui terremoti

19

L’incendio, se tu fuggi, non puo inseguirti; contro le minacce dei tuoni e del cielo ci possono preservare dimore

sotterranee

e

grotte

scavate

in

profondita,

perche il fulmine del cielo non penetra nella terra e basta il piu piccolo ostacolo a respingerlo. di pestilenza puoi cambiare sede. riparo.

In periodo

Nessun male e senza

Giammai i fulmini hanno carbonizzato delle

/

intere popolazioni, e l’atmosfera ammorbata ha vuotato, si, delle citta, ma non le ha mai distrutte.

Questa

di cui ci occupiamo e invece una sciagura di vastissima portata, e un male di

pubblica

inevitabile,

calamita.

Non

implacabile, e causa

distrugge,

infatti,

delle

case soltanto, o delle famiglie o delle citta isolate: travolge intere nazioni e regioni e ora le seppellisce tra le macerie, ora le ingoia in profonde voragini, e non lascia neppure delle tracce che attestino l’antica esistenza di cio che non e piu, ma al di sopra di citta famosissime si distende la nuda terra, senza lasciar traccia del loro antico aspetto.

Ne mancano di quelli

8

che temono maggiormente questo genere di morte per cui sprofondano insieme con le loro abitazioni e vengono rapiti ancor in vita al mondo dei vivi, quasi che il risultato ultimo di ogni genere di morte non sia sempre il medesimo.

Tra le altre prove che la na-

tura ci da della sua giustizia, questa ci offre come decisiva, che quando e venuto il momento di morire siamo tutti uguali.

Nulla importa percio se mi uc-

cida una sola pietra o se sia schiacciato da un’intera montagna; se sopra di me cada la mole di una sola casa e io spiri sotto il suo non considerevole ammasso polveroso o mi seppellisca l’intero globo terrestre; se io esali 1’ultimo respiro alia luce del giorno o nel-

9

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.Vl

20

an cum magno comitatu populorum concadentium ferar; nihil interest mea, quantus circa mortem meam tumul10 tus sit: ipsa ubique tantundem est. sumamus

animum

adversus

Proinde magnum

istam cladem,

quae nec

evitari nec provideri potest, desinamusque audire istos, qui Campaniae renuntiaverunt quique post hunc casum emigraverunt negantque ipsos umquam in illam regionem accessuros.

Quis enim illis promittit melioribus

11 fundamentis hoc aut illud solum stare?

Omnia eius-

dem sortis sunt et, si nondum mota, tamen mobilia: hunc fortasse, in quo securius consistitis, locum haec nox aut hie ante noctem dies scindet.

Unde scis, an

melior eorum locorum condicio sit, in quibus iam vires suas fortuna consumpsit et quae in futurum 12 ruina sua fulta sunt?

Erramus enim, si ullam terrarum

partem exceptam immimemque ab hoc periculo credimus: omnes sub eadem iacent lege, nihil ita, ut im¬ mobile esset, natura concepit;

alia

temporibus

aliis

cadunt, et quemadmodum in urbibus magnis nunc haec domus nunc ilia suspenditur, ita in hoc orbe terrarum 13 nunc haec pars facit vitium nunc ilia.

Tyros aliquando

inf amis minis fuit, Asia XII urbes simul perdidit; anno priore [in] Achaia et Macedonia quaecumque est ista vis mali, quae incurrit, nunc Campaniam

Seneca, Trattato sui terremoti

21

l’immensa voragine della terra spalancata; se io venga trascinato d’interi

da

solo

popoli

in

ingoiati

quell’abisso con

me.

o

in

compagnia

Poco

m’importa

quanto grande sia il rumore fatto intorno alia mia morte: da per tutto essa e sempre la stessa.

Faccia- 10

moci percio grande coraggio di fronte a una simile catastrofe che non puo essere ne evitata ne prevista, e cessiamo di dare ascolto a costoro che han dato addio alia Campania e che dopo questo disastro sono da essa fuggiti dichiarando che mai piu vi avrebbero rimesso piede.

Chi infatti puo garantir loro che que¬

sto o quel suolo poggi su fondamenta piu sicure? Tutte le parti del mondo sono soggette alia medesima

sorte,

e

se

ancora non

hanno

sismiche, sono suscettibili di subirne.

subito

scosse

Forse proprio 11

quella zona in cui con piu sicurezza vi siete fermati, questa notte o questo giorno, prima del calar della notte, mettera a soqquadro.

Come fai a sapere se

non sia maggiore la sicurezza in quelle localita in cui la fortuna ha gia consumato le sue forze e che nelle loro stesse rovine trovano un appoggio per l’ayvenire? Noi infatti c’inganniamo, se crediamo che vi sia qual- 12 che parte del mondo esente e immune da questo pericolo.

Tutte sono soggette alia medesima legge; niente

la natura ha creato che possa rimanere immobile. Tutte le cose cadono, alcune in un tempo, altre in un altro, e come nelle grandi citta or questa or quella casa viene puntellata, cosi in questo mondo or questa or quella parte fa crepe.

Tiro fu un tempo tristemente celebre 13

per le sue rovine; l’Asia Minore ha perduto d’un sol colpo dodici citta; l’anno passato questo flagello, qualunque esso sia, che ora s’abbatte sulla Campania, deva-

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.VI

22

laesit: circumit fatum et, si quid diu praeterit, repetit. Quaedam rarius sollicitat, saepius quaedam: 14 mune esse et innoxium sinit.

nihil im-

Non homines tantum,

qui brevis et caduca res nascimur: urbes oraeque terrarum et litora et ipsum mare in servitutem fati venit. Nos tamen nobis permansura promittimus bona fortunae, et felicitatem, cuius ex omnibus rebus humanis velocissima est levitas,

habituram in

aliquo pondus

15 ac moram credimus; et perpetua sibi omnia promittentibus in mentem non venit, id ipsum, supra quod stamus, stabile non esse.

Neque enim Campaniae istud

aut Achaiae, sed omnis soli vitium est, male cohaerere et ex causis pluribus solvi et summa manere, partibus ruere. 1

2.

Quid ago?

miseram:

Solacium adversus pericula rara pro-

ecce undique timenda denuntio, nego quic-

quam esse quietis aeternae, quod perire possit et perdere.

Ego vero hoc ipsum solacii loco pono et quidem

valentissimi, quando quidem sine remedio timor stultis est: 2

ratio terrorem prudentibus excutit, imperitis ma-

gna fit ex desperatione securitas.

Hoc itaque generi

humano dictum puta, quod illis subita captivitate inter ignes et hostem stupentibus dictum est:

Seneca, Trattato sui terremoti

23

sto l’Acaia e la Macedonia: il destino fa il giro e ritorna da quelli che ha per lungo tempo risparmiato.

Alcune

parti colpisce piu raramente, altre piu di frequente, ma non ne lascia nessuna immune ed indenne.

Non sol- 14

tan to noi uomini, che siamo cosa di breve durata e caduca, ma le citta e le plaghe della terra e le spiagge e il mare stesso sono soggetti alia schiavitu del fato. Noi invece facciamo assegnamento sulla durata dei beni della fortuna e crediamo che la felicita, che e la piu incostante e la piu passeggera delle cose umane, abbia solidita in qualche cosa e durata.

E a coloro che si 15

ripromettono l’eternita di tutti i beni non viene in mente che non e stabile neppure il suolo su cui noi poggiamo. Ne infatti e un carattere difettoso della Campania o dell’Acaia, ma e proprio di ogni terreno, questo di mancare di coesione, di dissolversi per piu di una causa, di rimanere in piedi nell’insieme, pur crollando nelle sue parti. 2.

Ma che faccio io?

T’avevo promesso conforto

1

contro alcuni pericoli, che sono rari, ed ecco invece che io ti annunzio motivi di timore da ogni parte. Io affermo che non esiste riposo eterno per nessuna di quelle cose che muoiono e danno la morte.

Ma proprio in

questo io vedo un motivo di conforto, e invero efficacissimo, perche temere cose per cui non c’e rimedio e proprio degli stolti.

La ragione dissipa il terrore dalla

mente dei saggi: per i non saggi una grande tranquillita deriva dall’impossibilita di sperare. Pensa pertanto che possano applicarsi al genere umano quelle parole rivolte ad alcuni combattenti rimasti improvvisamente prigionieri con loro sorpresa fra 1’incendio e il nemico:

2

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

24

una salus victis nullam sperare salutem. 3

Si vultis nihil timere, cogitate omnia esse metuenda; circumspicite, quam levibus causis discutiamur: non cibus nobis non umor, non vigilia non sommus sine mensura quadam salubria sunt.

Iam intellegetis nugatoria

esse nos et imbecilla corpuscula, fluida, non magna molitione perdenda.

Sine dubio id summum periculi

nobis est, quod tremunt terrae, quod subito dissipan4

tur ac superposita deducunt.

Magni se aestimat, qui

fulmina et motus terrarum hiatusque formidat:

vult

ille imbecillitatis sibi suae conscius timere pituitam? Ita videlicet nati sumus, tam felicia sortiti membra, in hanc magnitudinem crevimus.

Et ob hoc nisi mundi

partibus mods, nisi caelum intonuerit, nisi terra sub5

sederit, perire non possumus?

Unguiculi nos et ne

totius quidem dolor sed aliqua ab latere eius scissura conficit!

Et ego timeam terras trementes, quern cras-

sior saliva suffocat?

Ego extimescam emotum sedibus

suis mare, et ne aestus maiore quam solet cursu plus aquarum trahens superveniat, cum quosdam strangulaverit potio male lapsa per fauces?

Quam stultum

est mare horrere, cum scias stillicidio perire te posse! 6

Nullum maius solacium est mortis quam ipsa mortalitas, nullum autem omnium istorum, quae extrinsecus

Seneca, Traltato sui terremoti

25

"L’unica salvezza pei vinti e nel disperare della salvezza”.

Se voi non volete aver paura di niente, pensate

che di tutto bisogna avere paura.

3

Guardate intorno a

voi per quali banali motivi si muore: mangiare, bere, vegliare, dormire, se si passano certi limiti, non ci fanno piii bene.

Voi allora comprenderete che noi siamo dei

balocchi in mano della fortuna, dei poveri piccoli esseri inconsistenti, passeggeri, soggetti ad andar distrutti senza grande sforzo.

Senza dubbio il piii grande pericolo

per noi e il terremoto, che la terra d’improvviso si apra e faccia crollare tutto cio che e posto su di essa.

Ha

4

un gran concetto di se chi ha paura dei fulmini, del terremoto, delle voragini della terra: non vorra egli acquistar

consapevolezza

della

sua fragilita ed aver

paura di un semplice raffreddore?

Naturalmente noi

siamo nati cosl, noi abbiamo avuto in sorte membra cosl vigorose, siamo cresciuti sino a raggiungere questa corporatura.

E per questo, se non ci fosse il terre¬

moto, se il cielo non lanciasse la folgore, se la terra non si profondasse, noi non potremmo perire?

Ma se basta

5

un male a un’unghia, e neppure a un’unghia intera, ma una feritina su un lato di un unghia, per farci morire! E io dovrei aver paura del terremoto, se un po’ di catarro e sufficiente a soffocarmi?

E io dovrei aver

paura di vedere il mare uscire dal suo letto e dovrei temere che la marea con un flusso piu forte del solito si rovesci sulla terra trascinando una maggiore massa d’acqua, quando alcuni sono rimasti soffocati da un po’ di bevanda andata per traverso?

Quanto e stolto

aver paura del .mare, quando sai che tu puoi morire per una sola goccia d’acqua.

Nessun maggior conforto

per la morte v’e che la nostra stessa mortalita, nessun

6

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.yi

26

terrent, quam quod innumerabilia pericula in ipso sinu sunt.

Quid enim dementius quam ad tonitrua suc-

cidere et sub terram correpere fulminum mem?

Quid

stultius quam timere nutationem terrae aut subitos montium lapsus et irruptiones maris extra litus eiecti, cum mors ubique praesto sit et undique occurrat nihilque sit tam exiguum, quod non in perniciem generis humani sa¬ tis valeat?

Adeo non debent nos ista confundere, tam-

quam plus in se mali habeant quam vulgaris mors, ut contra, cum sit necessarium e vita exire et aliquando emittere animam, maiore perire ratione iuvet.

Necesse

est mori ubicumque, quandoque: stet licet ista humus et se teneat suis finibus nec ulla iactetur iniuria, supra me quandoque erit. 8

interest, ego illam mihi

an ipsa se mihi imponat?

Diducitur et ingenti po-

tentia nescio cuius mali rumpitur et me in immensam altitudinem

abducit:

quid

porro?

Mors

levior in

piano est?

Quid habeo quod querar, si rerum natura

me non vult iacere ignobili leto, si mihi inicit sui par9

tern?

Egregie Vagellius meus in illo inclito carmine:

"si cadendum est [mihi] ', inquit, “e caelo cecidisse velim .

Idem licet dicere:

si cadendum est,

cadam, orbe concusso; non quia fas est optare publicam

27

Seneca, Trattato sui terremoti

maggior conforto a questi timori provenienti dall’esterno che il pensiero della presenza di innumerevoli pericoli proprio in seno a noi.

Cosa v’e di piu stolto che

al rumore dei tuoni gettarsi al suolo e andare a rimpiattarsi sotto terra per paura dei fulmini? Che cosa v’e di piu stolto che temere una scossa sismica e il crollo improvviso delle montagne e l’invasione del mare lanciato fuori dalla riva, quando la morte e da per tutto a portata di mano e da ogni parte ti viene incontro e nulla v’e di tanto piccolo che non abbia la forza di determinate la morte del genere umano? Non dobbiamo

7

rimanere costernati di fronte a codesti sconvolgimenti, come se implicassero un male maggiore di quello apportato dalla morte comune, al punto, anzi, che, essendo la morte una necessita e dovendosi una volta esalare l’ultimo respiro, puo riuscire grato morire per una causa piu grande. Dovunque noi siamo, un giorno o l’altro, noi dobbiamo morire.

Stia pur salda questa terra su cui

noi poggiamo e si mantenga pure nei suoi limiti senza essere colpita da nessuna scossa, un giorno o l’altro io andro sotto di lei.

Che importa se saro io a farla

cadere sopra di me o se mi verra addosso da se?

La

8

terra si apre e per l’immane violenza di non so quale scolvolgimento si spalanca e mi ingoia in un’immensa voragine:

e che con questo?

£ forse piii dolce la

morte se si rimane sulla superficie della terra?

Che

motivo ho di lamentarmi se la natura non permette che io perisca di una morte banale, se getta su di me una parte di se stessa?

Bene canta il mio Vagellio

in quel suo famoso carme: “Se si deve cadere” — egli dice —, “io preferirei cadere dal cielo”. Lo stesso potrei dire io: se si deve cadere, che io cada nel crollo del

9

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

28

cladem, sed quia ingens mortis solacium est terram quoque videre mortalem. 1

3.

Illud quoque proderit praesumere animo, nihil

horum deos facere, nec ira numinum aut caelum converti aut terram: suas ista causas habent nec ex imperio saeviunt, sed quibusdam vitiis ut corpora nostra turbantur et tunc, cum facere videntur iniuriam, acci2

piunt.

Nobis autem ignorantibus verum omnia terribi-

liora sunt, utique quorum metum raritas auget: levius accidunt familiaria, [et] ex insolito formido maior est. Quare autem quicquam nobis insolitum est?

Quia na-

turam oculis, non ratione comprehendimus nec cogitamus, quid ilia facere possit, sed tantum quid fecerit. Damus itaque huius neglegentiae poenas tamquam novis territi, cum ilia non sint nova sed insolita. 3

Quid ergo?

Non religionem incutit mentibus et quidem publice, sive deficere sol visus est, sive luna, cuius obscuratio frequentior, aut parte sui aut tota delituit?

Longeque

magis ilia, actae in trasversum faces et caeli magna pars ardens et crinita sidera et plures solis orbes et stellae per diem visae subitique trascursus ignium mul-

Seneca, Trattato sui terremoti

29

mondo, non perche sia lecito desiderare una generale catastrofe, ma perche un grandissimo motivo di rassegnazione alia morte e vedere che anche la terra e mortale.

3.

Potra anche giovare 1’imprimersi bene in mente

1

che con questi fatti gli dei non han nulla che vedere e che gli sconvolgimenti della terra e del cielo non sono effetto dell’ira dei numi.

Codesti fenomeni hanno delle

loro cause determinate, ne si scatenano in obbedienza a ordini ricevuti, ma tali turbamenti sono prodotti, come avviene per il nostro organismo, da certi guasti, e mentre essi sembrano essere causa di male, ne sono vittima essi stessi.

A noi poi che ignoriamo la verita

2

tutti questi fenomeni sembrano piu terribili, appunto perche la loro rarita aumenta il nostro terrore.

Quel

che ci e abituale ci fa minore impressione, quel che ci e insolito ci fa piu paura. e insolit-a?

Ma perche poi una cosa ci

Perche noi osserviamo la natura con gli

occhi, non con la ragione e non pensiamo a quello che essa pub fare, ma soltanto a quello che ha fatto. Pertanto noi paghiamo il ho di questa negligenza, lasciandoci

atterrire

da

tali

fenomeni

come

fossero

fatti nuovi, mentre essi non sono ne nuovi ne insoliti. Che dunque? La vista di un’eclissi di sole o anche Pecclissi parziale o totale della luna, il cui oscuramento e piu frequente, non incute negli spiriti, anche di una popolazione intera, un terrore superstizioso?

E ben

piu ancora quegli altri fenomeni, come quando si vedono dei baglior-i attraverso il cielo e una grande parte di questo fiammeggiare e si vedono stelle comete e piu dischi del sole e stelle in pieno gtorno e corpi ignei

3

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.VI

30

4

tam post se lucem trahentium.

Nihil horum sine ti-

more miramur: et cum timendi sit causa nescire, non est tanti scire, ne timeas?

Quanto satius est causas

inquirere et quidem to to in hoc intentum animo; neque enim illo quicquam inveniri dignius potest, cui se non tantum commodet sed impendat. 1

4.

Quaeramus ergo, quid sit, quod terram ab in-

fimo moveat, quod tanti molem ponderis pellat, quid sit ilia valentius, quod tantum onus vi sua labefactet, cur modo tremat, modo laxata subsidat, nunc in partes divisa discedat et alias intervallum ruinae suae diu servet, alias cito comprimat, nunc amnes magnitudinis notae convertat introrsum, nunc novos exprimat, aperiat aliquando aquarum calentium venas, aliquando refrigeret, ignesque nonnumquam per aliquod ignotum antea montis aut rupis foramen emittat, aliquando notos et per saecula nobiles comprimat.

Mille miracula mo-

vet faciemque mutat locis et defert montes, subrigit plana, valles extuberat, novas in profundo insulas erigit: haec ex quibus causis accidant, digna res excuti. 2

'‘Quod ’, inquis, “erit pretium operae?" maius est, nosse naturam.

Quo nullum

Neque enim quicquam ha-

Seneca, Trattato sui terremoti

31

che rapidamente volano nel cielo lasciando dietro di se una grande scia luminosa.

Nessuno di questi fatti noi

4

guardiamo senza stupore e paura, e dato che la causa del nostro timore e l’ignoranza, non mette conto di sapere, affinche tu cessi di essere in preda al timore? Quanto meglio ricercarne le cause e, invero, con tutta la mente applicata a questo intento.

Ne invero si puo

trovare opera piu degna che questa di essere non solo prestata dal nostro spirito, ma che ad essa si dedichi totalmente. 4.

Cerchiamo dunque quale sia la causa che smuo-

1

va la terra sin dalle sue viscere, che ne scuota la cosl pesante mole; quale sia la causa piu forte della terra stessa, che con la sua violenza ne sconvolge la cosi grande massa; perche mai essa ora tremi, ora dissolvendosi si sprofondi, ora si spacchi dividendosi in tante parti e alcune volte mantenga per lungo tempo le fenditure del suo crollo, altre volte le richiuda rapidamen¬ te; perche ora inghiotta fiumi di famosa grandezza, ora ne faccia scaturire dei nuovi; perche a volte faccia sgorgare delle fonti di acqua calda, ora raffreddi quelle calde gia esistenti e talora emetta fiamme per qualche cratere di monte o di rape dianzi ignorato, talaltra ne spenga di famose da secoli.

Innumerevoli prodigiosi

effetti produce il terremoto e cambia aspetto ai luoghi: spiana monti, trasforma delle pianure in colline, colma valli, fa sorgere nuove isole dal profondo del mare. Per quali cause tali fenomeni si verifichino e cosa degna di essere studi^ta. Quale sara — mi domandi tu — il vantaggio dell’impresa? Quello di cui non ce n’e piu grande: la conoscenza della natura.

Niente di piu bello

2

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.VI

32

bet in se huius materiae tractatio pulchrius, cum multa habeat futura usui, quam quod hominem magnificentia sui detinet nec mercede sed miraculo colitur.

Inspicia-

mus ergo, quid sit, propter quod haec accidant: quo¬ rum adeo est mihi dulcis inspectio, ut quamvis aliquando de motu terrarum volumen iuvenis ediderim, tamen temptare me voluerim et experiri, an aetas aiiquid nobis aut ad scientiam aut certe ad diligentiam adiecerit. 1

5.

Causam, qua terra concutitur, alii in aqua esse,

alii in ignibus, alii in ipsa terra, alii in spiritu putaverunt, alii in pluribus, alii in omnibus his; quidam liquere ipsis aliquam ex istis causam esse dixerunt, sed 2

non liquere, quae esset. Nunc singula persequar. Illud ante omnia mihi dicendum est, opiniones veteres parum exactas esse et rudes; circa verum adhuc errabatur, nova omnia erant primo temptantibus; postea eadem ilia limata sunt et, si quid inventum est, illis nihilominus referri debet acceptum:

magni animi [res]

fuit

rerum naturae latebras dimovere nec contentum exteriore eius aspectu introspicere et in deorum secreta descendere. 3

Plurimum ad inveniendum contulit, qui spe-

ravit posse reperiri.

Cum excusatione itaque veteres

audiendi sunt: nulla res consummata est, dum incipit;

Seneca, Trattato sui terremoti

33

presenta la trattazione di siffatta materia, senza contare i numerosi vantaggi futuri, del fascino che essa esercita sull’uomo con la sua meravigliosa bellezza, ne tali studi sono coltivati per un interesse pratico, ma per le sue meraviglie. nomeni.

Esaminiamo dunque le cause di siffatti fe-

Questo studio e per me cosl attraente, che

sebbene una volta io abbia pubblicato da giovane un libro sui terremoti, tuttavia io ho voluto mettermi alia prova e vedere se l’eta abbia aggiunto qualche cosa alle mie conoscenze o per lo meno alia mia esattezza di studioso. 5.

Alcuni credono che la causa del terremoto debba

1

ricercarsi nell’acqua, altri nel fuoco, altri nella stessa terra, altri nelTaria, altri in piu d’uno di questi elementi, altri in tutti.

Certi autori affermano che e per

loro evidente che la causa del terremoto debba essere una di queste, ma che non e evidente quale essa sia. Ora io passero in rassegna ad una ad una le varie teorie.

2

Prima di ogni cosa debbo dire che le antiche opi-

nioni in materia sono poco esatte e soltanto abbozzate. Si girava ancora intorno alia verita, tutto era nuovo per uomini che effetuavano i primi tentativi.

In seguito,

quelle medesime teorie furono perfezionate, ma tuttavia di tutto quello che e stato scoperto dopo dobbiamo es¬ sere grati a quelli.

Fu impresa di un animo eroico quel-

la di tentar di diradare le tenebre che awolgono la natura e, non pago del suo aspetto esteriore, di guardare addentro e di penetrare nei misteri degli dei. Molto contribul alle ricerche chi ebbe fede nella possibility di scoprire il vero.

Percid bisognera ascoltare gli antichi con

indulgenza: nessuna cosa e perfetta quando e ai suoi

3

3

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

34

nec in hac tantum re omnium maxima atque involutissima (in qua, etiam cum multum acti erit, omnis tamen aetas quod agat inveniet), sed in omni alio negotio longe semper a perfecto fuere principia. 1

6.

In aqua causam esse nec ab uno dictum est nec

uno modo.

Thales Milesius totam terram subiecto iudi-

cat umore portari et innare, sive illud Oceanum vocas, sive magnum mare, sive

alterius

naturae

adhuc aquam et umidum elementum.

simplicem

‘'Hac'’, inquit,

“unda substinetur orbis velut aliquod grande navigium 2

et grave his aquis, quas premit”. Supervacuum est reddere causas, propter quas existimat gravissimam par¬ tem mundi non posse spiritu tarn tenui fugacique gestari; non enim nunc de situ terrarum, sed de motu agitur. Illud argument! loco ponit, aquas esse in causa, quibus hie orbis agitetur, quod in omni maiore motu erumpunt fere novi fontes (sicut in navigiis quoque evenit, ut si inclinata sunt et abierunt in latus, aquam sorbeant quae vi omni eorum onerum, quae vehit, si immodice depressa sunt, aut superfunditur

3

dextra sinistraque solito magis surgit). falsam esse non est diu colligendum.

aut

certe

Hanc opinionem Nam si terra aqua

sustineretur et ea aliquando concuteretur, semper mo-

Seneca, Trattato sui terremoti

35

inizi; ne in questo campo soltanto, che e il piu importante e il piu difficile di tutti (nel quale anche quando si sara gia progredito molto, tutte le generazioni future troveranno tuttavia qualche cosa da scoprire), ma anche in ogni altra attivita l’inizio e sempre lontano dalla perfezione. 6.

Che la causa del terremoto sia da ricercare nel-

1

l’acqua e stato detto da piu di uno e in diversa maniera. Talete di Mileto suppone che tutta la terra sia sostenuta dalla massa dell’acqua e che su di essa galleggi: questa massa d’acqua tu puoi chiamarla Oceano o gran mare o anche acqua primordiale, di una speciale natura, ed elemento umido.

“Da quest’acqua — egli dice —

e sostenuta la terra, come se fosse una grossa nave che pesa sull’acqua su cui gravita ".

E inutile esporre

2

le ragioni per cui egli crede che la parte piu pesante dell’universo non possa poggiare sull’aria, cosi sottile e cosi mobile: infatti noi non ci occupiamo ora della posizione della terra nel mondo, ma del terremoto. Questo egli porta come argomento per dimostrare che e in causa l’acqua nei movimenti tellurici, che cioe in ogni

terremoto

di

una

certa

violenza

abitualmente

erompono nuove sorgenti d’acqua (come avviene anche con le navi, che se s’inclinano e si sbandano, imbarcano acqua,

la

quale,

per

l’eccessivo

carico

trasportato,

quando esso supera smisuratamente il limite d’immersione, o passa intieramente al di sopra o per lo meno s’innalza a destra e a sinistra in misura maggiore del normale).

Per dimostrare la falsita di questa teoria

non c’e bisogno di un lungo discorso.

Se infatti la

terra fosse sorretta dall’acqua e da questa ne ricevesse

3

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.Vl

36

veretur, nec agitari illam miraremur, sed manere; deinde tota concuteretur, non ex parte (numquam enim navis dimidia iactatur), nunc vero terrarum non universarum, sed ex parte motus est: quomodo ergo fieri potest, ut quod totum vehitur, totum non agitetur, si 4

eo, quo vehitur, agitatum est? punt?”.

"At quare aquae erum-

Primum omnium saepe tremuit terra, et nihil

umoris novi fluxit; deinde, si ex hac causa unda prorumperet, a lateribus terrae circumfunderetur (sicut in fluminibus ac mari videmus incidere, ut incrementum aquarum, quotiens navigia desidunt, in lateribus maxime appareat);

ad ultimum non tarn exigua fieret,

quam tu dicis, eruptio, nec velut per rimam sentina subreperet, sed fieret ingens inundatio ut ex infinito liquore et ferente universa. 1

7.

Quidam mo turn terrarum aquae imputaverunt,

sed non ex eadem causa: "per omnem”, inquit, "ter¬ rain multa aquarum genera decurrunt; aliubi perpetui amnes, quorum navigabilis etiam sine adiutorio imbrium magnitudo est: hinc Nilus per aestatem ingen- ■ tes aquas invehit; hinc, qui medius inter pacata et hostilia fluit, Danuvius ac Rhenus, alter Sarmaticos im¬ petus cohibens et Europam Asiamque disterminans,

Seneca, Trat tat o sui terremoli

37

ogni tanto delle scosse, la terra sarebbe sempre in movimento, ne ci dovremmo meravigliare del suo muoversi, ma della sua immobilita.

E poi sarebbe in movimento

tutta, non in parte soltanto: una nave non e mai sballottata a meta. Ora, per altro, il terremoto non e ge¬ nerate ma locate.

Come mai puo avvenire, allora, che

un corpo il quale sia per intero sorretto da un elemento non sia scosso nella sua interezza allorche e agitato l’elemento su cui poggia? Ma per quale ragione sgorgano delle nuove sorgenti d’acqua?

4

Prima di tutto

ci sono stati tanti terremoti senza che siano apparse nuove sorgenti; in secondo luogo, se questa fosse la causa dello sgorgar dell’acqua, essa si diffonderebbe ai margini della terra (come nei mari e nei fiumi vediamo accadere che la crescita dell’acqua, tutte le volte che le navi affondano, si verifica soprattutto lateralmente); infine l’acqua non verrebbe fuori in cosi piccola quan¬ tity come tu dici, ne essa scorrerebbe come un filo d’acqua che passa attraverso una fessura, ma si verificherebbe una grande inondazione, come e naturale, trattandosi di una massa infinita d’acqua che sorregge tutto il mondo. 7.

Alcuni autori attribuiscono il terremoto all’azione

dell’acqua, ma non danno la medesima spiegazione di Talete.

“Per tutta la terra — si dice — scorrono molte

specie d’acqua:

qui fiumi perenni, la cui portata e

tale che sono navigabili anche senza l’aiuto delle piogge;

di qua il Nilo d’estate trasporta ingenti masse

d’acqua; da quest’altra parte il Reno e il Danubio, che separano col loro corso le regioni pacificate, da quelle nemiche, l’uno arrestando le incursioni dei Sarmati e

1

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.Vl

38

2

alter Germanos, avidam belli gentem, repellens.

Adice

nunc patentissimos lacus et stagna populis inter se ignotis

circumdata

et

ineluctabiles

navigio

paludes,

ne ipsis quidem inter se pervias, quibus incoluntur; deinde tot fontes, tot capita fluminum subitos et ex occulto amnes vomentia, tot deinde ad tempus collectos torrentium 3

impetus, quorum

tam breves.

vires

quam

repen tin;/

Omnis aquarum et intra terram natura

faciesque est: illic quoque aliae vasto cursu deferuntur et in praeceps volutae cadunt, aliae languidiores in vadis refunduntur et leniter ac quiete fluunt; quis autem neget vastis illas receptaculis concipi et cessare multis inertes locis?

Non est diu probandum ibi multas aquas

esse, ubi omnes sunt; neque enim sufficeret tellus ad tot flumina edenda, nisi ex reposito multoque funde4

ret.

Si hoc verum est, necesse est aliquando illic am-

nis excrescat et relictis ripis violentus in obstantia incurrat; sic fiet motus alicuius partis, in quam flumen impetum dedit et quam, donee decrescat, verberabit. Potest fieri ut aliquam regionem rivus affluens exedat ac sic trahat aliquam molem, qua lapsa superposita 5

quatiantur.

Iam vero nimis oculis permittit nec

illos scit producere ultra animus, qui non credit esse in abdito terrae sinus maris vasti.

Nec enim video.

Seneca, Trat tat o sui terremoti

39

dividendo l’Europa dall’Asia, l’altro trattenendo i Germani, gente avida di guerra.

Aggiungici poi immensi

2

laghi e stagni attorno a cui vivono popolazioni sconosciute tra loro e paludi non navigabili e che neppure a quelli che abitano ai loro margini sono accessibili per reciproci scambi. Poi,

tante fonti, tante sorgenti di

fiumi che da segrete profondita emettono d’un tratto corsi d’acqua perenne; poi tanti torrenti impetuosi di formazione temporanea, la cui violenza e tanto breve quanto repentina.

Ogni genere e tipo di acqua e anche

3

nell’interno della terra: anche la certi immensi corsi di acqua scendono giu e precipitano formando delle cascate, altri placidi corsi d’acqua si volgono in letti poco profondi e fluiscono dolcemente e tranquillamente. Chi potrebbe dunque negare che queste acque si ammassino in serbatoi immensi e in molti punti rimangano immobili e stagnanti? Non c’e bisogno di un lungo discorso per dimostrare che le acque sono in abbondanza la dove sono tutte; ne infatti la terra basterebbe a dare vita a tanti fiumi, se non li effondesse dai suoi vasti serbatoi. Se cio

4

e vero, e necessario che qualche volta neU’interno della terra qualche fiume cresca e superando le sue rive precipiti violento contro tutto cio che gli si para davanti.

Cosl si produrra un movimento nella parte della

terra contro la quale si rovescia il fiume, che continuera a percuotere fino al momento in cui decrescera.

Puo

darsi che un fiume corroda qualche zona dove scorre e trascini cosl una massa di terra, per effetto del cui cedimento vengano smossi gli strati ad essa sovrapposti.

Si affida troppo alia testimonianza degli occhi ed

e incapace di spingere la propria mente al di la dei loro dati colui che non crede che nelle viscere della

5

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

40

quid prohibeat aut obstet, quo minus habeat abquod etiam in abdito litus et per occultos aditus receptum mare, quod illic quoque tantundem loci teneat aut fortassis boc amplius, quo superiora cum tot animalibus erant dividenda: 6

abstrusa enim et sine pos-

sessore deserta liberius undis vacant.

Quas quid vetat

illic fluctuare et ventis, quos omne intervallum terrarum et omnis aer creat, impelli? Potest ergo maior solito exorta tempestas abquam partem terrarum impulsam vehementius commovere.

Nam apud nos quo¬

que multa, quae procul a mari fuerant, subito eius accessu vapulaverunt et villas in prospectu collocatas fluctus, qui longe audiebatur, invasit: illic quoque potest recedere ac resurgere pelagus infemum:

quorum neu-

trum fit sine motu superstantium”. 1

8.

Non quidem existimo diu te haesitaturum, an

credas esse subterraneos amnes et mare absconditum: unde enim ista prorepunt, unde ad nos veniunt, nisi 2

quod origo umoris inclusa est?

Age, cum vides inter-

ruptum Tigrin in medio itinere siccari et non universum averti, sed paulatim non apparentibus damnis minui primum, deinde consumi, quo ilium putas abirvi nisi in obscura terrarum, utique cum videas emergere iterum non minorem eo, qui prior fluxerat?

Quid,

Seneca, Trattato sui terremoti

41

terra vi siano dei vasti e sinuosi mari.

Ne io vedo che

cosa vieti o impedisca che la terra abbia anche nelle sue nascoste profondita qualche lido e un mare penetratovi per canali invisibili e che questo occupi anche la una estensione pari o forse piu grande, in quanto la superfice della terra doveva essere divisa tra tanti animali. Infatti le parti interne e deserte perche senza abitanti sono aperte piu liberamente alle acque.

E cosa vieta

6

poi che queste la ondeggino e siano mosse dai venti che ogni vuoto di terra e ogni movimento di aria determina?

Pub dunque qualche tempesta scatenarsi piu

forte del solito scuotendo qualche parte della terra su cui piu violentemente batta.

Infatti anche da noi lo-

calita situate lontane dal mare sono state investite da una sua invasione improwisa e delle ville situate in maniera da vedere il mare a distanza sono state colpite dai flutti, il cui rumore si udiva in lontananza; anche la il mare sotterraneo pub ritrarsi e riavanzare: ma nessuna di queste due cose pub awenire senza scuotimento del suolo sovrastante”. 8.

Io penso che tu non esiterai a lungo a credere

1

all’esistenza di fiumi sotterranei e di un mare nelle viscere della terrra. Donde infatti emanano codeste acque che scorrono sulla terra, come provengono sino a noi se non perche l’origine dell’acqua e sottoterra? Su via, quando tu vedi che il Tigri s’interrompe e rimane in secco a mezzo il corso e non sparisce gii tutto in una volta, ma diminuisce dapprima a pcco a poco con perdite insensibili e poi scompare, dove tu pensi che esso vada a finire se non nelle viscere della terra, specialmente quando lo vedi riapparire di nuovo

2

42

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

cum vides Alpheon, celebratum poetis, in Achaia mergi et in Sicilia rursus traiecto mari effundere amoenissi3

mum fontem Arethusam?

Nescis autem inter opinio-

nes, quibus enarratur Nili aestiva inundatio, et hanc esse, a terra ilium erumpere et augeri non supernis aquis, sed ex intimo redditis?

Ego quidem centurio-

nes duos, quos Nero Caesar, ut aliarum virtutum ita veritatis in primis amantissimus, ad investigandum ca¬ put Nili miserat, audivi narrantes longum illos iter peregisse, cum a rege Aethiopiae instructi auxilio commendatique proximis regibus penetrassent ad ulteriora: 4

“qui dem“, aiebant, “pervenimus ad immensas paludes, quarum exitum nec incolae noverant nec sperare quisquam potest: ita implicatae aquis herbae sunt et aquae nec pediti eluctabiles nec navigio, quod nisi parvum et unius capax limosa et obsita palus non fert. "Ibi”, inquit, “vidimus duas petras, ex quibus ingens

5

vis fluminis excidebat ’.

Sed sive caput ilia, sive ac-

cessio est Nili, sive tunc nascitur, sive in terras ex priore recepta cursu redit, nonne tu credis illam, quicquid est, ex magno terrarum lacu ascendere?

H?

beant enim oportet pluribus locis sparsum umorem et in imo coactum, ut eructare tanto impetu possint.

Seneca, Trattato sui terremoti

43

con una corrente non minore di quella di prima? E che, quando vedi l’Alfeo, il fiume celebrato dai poeti, gettarsi in mare in Acaia e, dopo averne effettuato la traversata, far sgorgare in Sicilia la bellissima fonte di Aretusa? Non sai poi che tra le teorie con cui si

3

cerca di spiegare l’inondazione estiva del Nilo vi e anche questa, che cioe esso esce dalla terra e non aumenta il suo livello per effetto delle acque che cadono dal cielo, ma per effetto di quelle che provengono dal sottosuolo?

Io ho udito la relazione dei due centu-

rioni che Nerone Cesare, amantissimo come delle altre virtu cosl, soprattutto, della verita, aveva mandato a esplorare le sorgenti del Nilo. Essi avevano fatto un lungo viaggio e, forniti di aiuti dal re di Etiopia e da lui raccomandati ai re vicini, erano penetrati assai profondamente nelTinterno.

"Alla fine" - essi diceva-

4

no - ■‘arrivammo presso immense paludi, di cui neppure gli indigeni conoscevano la fine ne si pub sperare di conoscerla, talmente le acque sono ostruite da erbe e impraticabili ai pedoni e alle imbarcazioni: la fangosa e ingombra palude non consente il passaggio se non di una barchetta con un solo uomo. ‘‘Qui" - disse uno “vedemmo due macigni, da cui cadeva un’ampia corren¬ te d’acqua". Ma sia quella la sorgente, sia invece quello un affluente del Nilo, sia che quest’acqua nasca realmente 11, sia che immersasi a un certo punto nella terra ritomi alia superficie dopo un corso anteriore, non credi tu che essa, in qualunque modo, provenga da un ampio serbatoio sotterraneo? £ necessario infatti che la terra abbia 'dentro di s6 dell’acqua sparsa in parecchi pund e ammassata nelle sue profondita, si da poterla fare scaturire con tanta forza.

5

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.VI

44

1

9.

Ignem causam motus quidam [et quidam non]

iudicant,

imprimis

Anaxagoras,

qui

existimat

paene ex causa et aera concuti et terram:

simili

cum

inferiore parte spiritus crassum aera et in nubes coactum eadem vi[a] qua apud nos quoque nubila frangi solent, rupit et ignis ex hoc collisu nubium cursuque elisi aeris emicuit, hie ipse in obvia incurrit exitum quaerens ac divellit repugnantia, donee per angustum aut nactus est viam exeundi ad caelum aut vi et iniu2

ria fecit.

Alii in igne causam quidem esse, sed non

ob hoc iudicant, sed quia pluribus obrutus locis ardeat et proxima quaeque consumat:

quae si quando exesa

ceciderint, tunc sequi motum earum partium, quae subiectis adminiculis destitutae labant, donee corruerunt nullo occurrente, quod onus exciperet; tunc chasmata, tunc hiatus vasti aperiuntur, aut, cum diu dubitaverunt, super ea se, quae supersunt stantque, compo3

nunt.

Hoc apud nos quoque videmus accidere, quo-

tiens incendio laborat pars civitatis: cum exustae trabes sunt aut corrupta quae superioribus firmamentum dabant, tunc diu agitata fastigia concidunt et tam diu deferuntur atque incerta sunt, donee in solido rese derunt.

Seneca, Trattato sui terremoti

9.

45

Alcuni pensano che

causa

del

terremoto sia

1

il fuoco. Primo fra questi, Anassagora. Egli pensa che per una causa press’a poco simile avvengano e i turbamenti atmosferici e anche quelli tellurici.

Quando

nel mondo sotterraneo il vento scatena masse di vapori condensati in nubi, con la stessa violenza con cui anche da noi sogliono scontrarsi le nuvole, e da questo urto di vapori e da questo sconvolgimento di masse d’aria sprizza il fuoco, questo da se si getta contro tutto cio che gli si para davanti cercando una via d’uscita e distrugge ogni ostacolo finche o trova per stretti passaggi l’uscita verso il cielo o se la fa con la violenza e la distruzione.

Altri pensano che la causa del ter-

2

remoto sia, si, nel fuoco, non pero per codeste ragioni, ma

perch£ esso

arde

covando in

piu

punti

delle viscere della terra e brucia tutto cio che gli e

vicino.

E

quando

queste parti, consumate, ce-

dono, allora avviene il crollo

di

quegli

strati

del

sottosuolo che, privati dei sostegni sottostanti, vacillano, finche non trovando nulla che possa sorreggere il loro peso, precipitano.

Allora si producono vora-

gini, vaste fenditure del suolo, a meno che [le parti superiorz], dopo aver a lungo oscillato, non si sistemino sopra un fondo rimasto intatto e stabile. Questo anche presso di noi vediamo accadere, tutte le volte che una parte della citta e in preda all’incendio: quando sono bruciate le travi o sono distrutte quelle parti che assicurano la stabilita dei piani superiori, allora, dopo lungo ondeggiare crollano le parti di sopra e precipi¬ tano giu e rimangono instabili fino a che si posano sul solido.

3

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.VI

46

1

10.

Anaximenes ait terram ipsam sibi causam esse

motus, nec extrinsecus incurrere quod illam impellat, sed intra ipsam et ex ipsa: auasdam enim partes eius decidere, quas aut umor resolverit aut ignis exederit aut spiritus violentia excusserit.

Sed his quoque ces-

santibus non deesse, propter quod aiiquid abscedat aut reveliatur;

nam | primum omnia vetustate labuntur

nec quicquam tutum a senectute est, haec solida quo2

que et magni roboris carpit: itaque quemadmodum in aedificiis veteribus quaedam non percussa tainen decidunt, cum plus ponderis habuere quam virium, ita in hoc universo terrae corpore evenit, ut partes eius vetustate solvantur, solutae cadant et tremorem superioribus afferant, primum, dum abscedunt (riihil enim utique magnum sine motu eius, cui haesit, absciditur), deinde, cum deciderunt, solido exceptae resiliunt pilae more (quae cum cecidit, exultat ac saepius pellitur, totiens a solo in novum impetum missa); si vero in stagnantibus aquis delata sunt, hie ipse casus vicina concutit fluctu, quem subitum vastumque illisum ex alto pondus eiecit.

1

11.

Quidam

ignibus

morem, sed aliter.

quidem

assignant hunc

tre¬

Nam cum pluribus locis ferveant,

necesse est ingentem vaporem sine exitu volvant, qui

Seneca, Trattato sui terremoti

10.

47

Anassimene afferma che nella terra stessa va

1

ricercata la causa del suo scuotimento, ne dall’esterno viene a lei la causa che la fa tremare, ma questa e dentro di essa e dal suo interno proviene.

Infatti

alcune sue parti possono franare o per la corrosione dell’acqua o per la distruzione del fuoco o per il violento scuotimento delTaria.

Ma, anche senza l’azio-

ne di questi elementi, non mancano altre cause per cui qualche sua parte si distacchi o sia strappata.

Pri-

ma di tutto, infatti, ogni cosa col tempo rovina ne v’e nulla immune dal logorio della vecchiaia: prende anche i corpi massicci e pesanti.

questa

Percio come

2

nei vecchi edifici alcune parti anche senza essere state colpite, tuttavia cadono quando il loro peso e superiore alle forze che le sostengono, cosl in questo immenso organismo della terra avviene che alcune sue parti per effetto della vecchiaia si sfascino, e col loro chsintegrarsi cedano e facciano tremare gli strati superiori, prima di tutto nello staccarsi (nessuna cosa, in¬ fatti, e tanto piu quando e grande, si distacca dal tutto a cui

era unita,

senza imprimergli un movimento),

poi nel cadere e nel rimbalzare, percuotendo sul duro a guisa di palla (questa, quando cade, rimbalza ed e rilanciata piu volte, con un nuovo impulso risospinta dal suolo); se poi cadono in acque stagnanti, questa stessa caduta scuote le zone vicine per l’ondeggiamento dell’acqua improwiso e violento, prodotto dall’enorme massa che piomba da tanta altezza. 11.

Alcuni attribuiscono, si, al fuoco il terremoto,

ma per un’altra ragione. parecchi punti

Infatti poiche esso arde in

sottoterra, e

necessario che produca

1

48

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.VI

vi sua spiritum intendit et, si acrius institit, opposita diffindit, si vero remissior fuit, nihil amplius quam movet. Videmus aquam spumare igne subiecto: quod in hac aqua facit inclusa et angusta, multo magis ilium facere credamus, cum violentus ac vastus ingentes aquas exicitat: tunc ille vaporatione fluctuantium undarum quicquid pulsaverit, agitatur. 1

2

12. Spiritum esse, qui moveat, et plurimis et maximis auctoribus placet. Archelaus antiquitatis diligens ait ita: “vend in concava terrarum deferuntur; deinde, ubi iam omnia spatia plena sunt et in quantum aer potuit densatus est, is qui supervenit spiritus priorem premit et elidit ac frequendbus plagis primo cogit, deinde proturbat; tunc ille quaerens locum omnes angusdas dimovet et claustra sua conatur effringere: sic evenit, ut terrae spiritu luctante et fugam quaerente moveantur. Itaque cum terrae motus futurus est, praecedit aeris tranquillitas et quies, videlicet quia vis spi¬ ritus, quae concitare ventos solet, in inferna sede retinetur’’. Nunc quoque cum hie motus in Campania fuit, quamvis hiberno tempore et inquieto, per superiores

Seneca, Trattato sui terremoti

49

enormi vapori senza uscita, che con la loro forza dilatano l’aria, e, quando la loro pressione e maggiore, abbattono tutti gli ostacoli che incontrano; se invece quella e piu moderata, non fanno altro che scuoterli. Noi vediamo che I’acqua evapora quando viene messa sul fuoco. L’effetto che il fuoco produce sopra una piccola quantita di acqua dentro un recipiente, dovremmo pensare che sia molto maggiore, quando esso, violento e immenso, £a ribollire enormi quantita d’acqua: in questo caso tutto cio che il fuoco investe col vapore delle acque i nebollizione e messo in movimento. 12.

A moltissimi e a grandissimi autori sembra che

la causa del terremoto sia l’aria.

1

Arch.elao, coscienzioso

ricercatore del mondo antico, cost si esprime:

"Dei

venti s’introducono nelle cavita della terra, poi quan¬ do l’aria ha riempito tutti gli spazi e ha raggiunto il maggior grado possibile di condensazione, l’aria che sopraggiunge comprime la precedente e la urta e dapprima con frequenti colpi la fa restringere, poi la sconvolge.

Allora questa, cercando posto, smuove tutti

gli ostacoli e fa sforzi per abbattere le barriere che la rinserrano.

Cost avviene che la terra per effetto

di questa lotta dell’aria che cerca una via d’uscita si metta a tremare.

Percio il sopraggiungere del terre¬

moto e preceduto [sulla superficie della terra] da un periodo di calma e di tranquillita atmosferica, evidentemente perche la forza delTaria che suscita i venti e tutta concentrata nelle zone sotterranee".

Anche

adesso, durante.-questo terremoto in Campania, sebbene si fosse d’inverno e in una brutta stagione, nei giorni precedenti l’aria nel cielo fu calma.

4

Che dun-

2

,

L. Annaeus Seneca Nat. Quaest. l.Vl

50

3

dies caelo aer stetit.

Quid ergo?

vento terra concussa est?

numquam flante

“Admodum raro,

duo simul flavere venti: fieri tamen et potest et solet ". Quod si recipimus et constat duos ventos rem simul gerere, quidni acddere possit, ut alter superiorem aera agitet, alter inferum? 1-

13.

In hac sententia licet ponas Aristotelem et di-

scipulum eius Theophrastum (non, ut Graecis visum est, divini, tamen et dulcis eloquii virum et nitidi sine labore).

Quid utrique placeat exponam:

“semper ali-

qua evaporatio est e terra, quae modo arida est, modo umido mixta; haec ab infimo edita et in quantum potuit elata, cum ulteriorem locum, in quem exeat, non habet, retro fertur atque in se revolvitur; deinde rixa spiritus reciprocantis iactat obstantia et, sive interclusus sive per angusta enisus est, mo turn ac tumultum 2

ciet”.

Straton ex eadem schola est, qui hanc partem

philosophiae maxime coluit et rerum naturae inquisitor fuit; huius tale decretum est:

“frigidum et calidum

semper in contraria abeunt, una esse non possunt: eo frigidum confluit, unde. vis calidi discessit, et invicem ibi calidum est, unde frigus expulsum est.

Hoc, quod

dico, verum esse et utrumque in contrarium agi ex 3

hoc tibi appareat: hiberno tempore, cum supra terram

Seneca, Trat tat o sui terremoti

que?

51

Non c’e mai stato terremoto tra 11 soffiar del ven-

to?

3

Assai di rado, nel caso che due vend spirassero

contemporaneamente: verificarsi ’.

tuttavia cio e possibile e suole

Che se noi ammettiamo e constatiamo che

[durante il terremoto talvolta] due venti agirono con¬ temporaneamente [sulla superficie della terra], perche non potrebbe accadere che un vento soffi al di sopra e un altro al di sotto della terra? 13. locare

Tra i sostenitori di questa teoria si puo colanche

Aristotele

e

il

suo

scolaro

1

Teofrasto

(uomo dalla parola se non divina, come parve ai Greci, tuttavia naturalmente dolce e brillante). la dottrina di ambedue:

Io esporro

"C’e sempre un’evaporazione

dalla terra, che a volte e secca, a volte e mista a umidita.

Questa evaporazione che emana dalle intime pro-

fondita della terra e tende quanto piu puo verso l’alto, allorche non trova piu spazio per espandersi, indietro e ripiega su se stessa.

torna

La lotta quindi del-

l’aria che va e viene scuote gli ostacoli e sia che le sia

preclusa

ogni

via

di uscita,

sia che

si

sforzi

di uscire per stretti passaggi, provoca movimento e fragore”.

Appartiene alia medesima scuola Stratone,

2

il quale ha coldvato soprattutto questa parte della filosofia e fu uno studioso di problemi naturali. la sua teoria:

Ecco

“11 freddo e il caldo agiscono sempre

in direzione contraria, non possono mai essere insieme: il freddo affluisce la donde il caldo si e allontanato, e viceversa il caldo e la donde e stato cacciato il freddo. Che cio che io dico sia vero e che i due stati dell’atmosfera agiscano in senso contrario, ti potrebbe apparire evidence da questo.

D’inverno, quando sulla terra fa

3

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

52

frigus est, calent putei nec minus specus atque omnes sub terra recessus, quia illo se calor contulit superiora possidenti frigori cedens;

qui, cum in inferiora per-

venit et eo se quantum poterat ingessit, quo densior, hoc validior est.

huic frigus supervenit, cui ne-

cessario congregatus ille iam et in angustum pressus 4

loco cedit, idem contrario evenit:

cum vis maior fri-

gidi illata in cavernis est, quicquid illic calidi latet, frigori cedens abit in angustum et magno impetu agitur, quia non patitur utriusque natura concordiam nec in uno moram. 5

Fugiens ergo et omni modo cupiens

excedere proxima quaeque remolitur ac iactat".

Ideo-

que antequam

audiri

terra moveatur,

ventis in abdito tumultuantibus.

solet mugitus

Nec enim aliter pos¬

set, ut ait noster Vergilius, sub pedibus mugire solum et iuga celsa moveri, 6

nisi hoc esset ventorum opus. pugnae sunt eaedem:

"Vices deinde huius

fit calidi congregatio ac rursus

eruptio, tunc frigida compescuntur et succedunt mox futura potentiora”.

Dum ergo alterna vis cursat et

ultro citroque spiritus commeat, terra concutitur. 1

14.

Sunt qui existiment spiritu quidem et nulla

alia ratione tremere terrain, sed ex alia causa, quam

Seneca, Trattato sui terremoti

53

freddo, i pozzi e non meno le grotte e tutti gli antri della terra sono caldi, perche il caldo, cedendo al freddo, che domina nelle regioni superiori, si e ritirato cola. Quando il calore e giunto nelle zone sotterranee e si e accumulato nella maggiore misura possibile, quanto piu alto e il suo grado di condensazione, tanto piu gran¬ de e la sua forza.

Allorche su di esso sopraggiunge il

4

freddo, a cui il calore, raccoltosi ormai e concentratosi in un piccolo spazio, necessariamente cede il posto, avviene il medesimo processo in senso contrario:

in-

trodottasi una grande massa di freddo nelle cavita del¬ la terra, tutto il caldo che sta 11 nascosto, cedendo al freddo si rinserra e si agita con grande violenza, poiche la natura dell’una e dell’altra forza non permette concordia e coesistenza tra i due.

Fuggendo,

dunque, e cercando in tutte le maniere di uscire, scuote e smuove tutte le parti immediatamente vicine".

Per-

5

cio prima che venga il terremoto si sogliono sentire dei boati prodotti dalla bufera di venti nelle viscere della terra.

Ne infatti altrimenti potrebbe avvenire,

come dice il nostro Virgilio, che “sotto i piedi mugghi il suolo e siano scosse le alte cime dei monti ”, se questo non fosse opera dei venti. “Le fasi poi di questa

6

lotta sono sempre le medesime: concentramento e poi di nuovo fuoriuscita del calore; quindi e cacciato il freddo e si ritira, per diventare, di 11 a poco, piu potente'L L’alterno operare, dunque di queste due forze e la circolazione d’aria nei due sensi producono il terre¬ moto. 14.

Vi sono di quelli che pensano che l’aria e nes-

sun’altra causa provochi il terremoto, ma per un mo-

1

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

54

Aristoteli placuit.

Quid sit quod ab his dicatur, audi:

corpus nostrum et sanguine irrigatur et spiritu, qui per sua itinera decurrit.

Habemus autem quaedam

angustiora receptacula animae, per quae nihil amplius quam meat, quaedam patentiora, in quibus colligitur et unde dividitur in partes.

Sic hoc totum terrarum

omnium corpus et aquis, quae vicem sanguinis tenent, et ventis, quos nihil aliud quis quam animam vocaverit, pervium est: hec duo aliubi currunt, aliubi consistunt. 2

Sed quemadmodum in corpore nostro dum bona valetudo est, venarum quoque imperturbata mobilitas modum servat; ubi aliquid adversi est, micat crebrius et suspiria atque anhelitus laborantis ac fessi signa sunt: ita terrae quoque, dum illis positio naturalis est, inconcussae manent; aegri corporis

cum aliquid peccatur, tunc velut

motus est spiritu illo, qui modestius

perfluebat, icto vehementius et quassante venas suas, nec (ut illi paulo ante dicebant, quibus animal placet esse terram) .

Nisi hoc est, quemadmodum

animal totum vexationem sentiet; neque enim in nobis febris alias partes moderatius impellit, sed per omnes 3

pari aequalitate discurrit.

Vide ergo, ne quid intret

in illam spiritus ex circumfuso aere, qui quamdiu habet exitum, sine iniuria labitur; si offendit aliquid et

Seneca, Trattato sui terremoti

55

tivo diverso da quello che credeva Aristotele.

x^scolta

quello che essi dicono: il nostro organismo e irrigato dal sangue e dall’aria, che vi circola per canali suoi propri.

Noi abbiamo poi per la respirazione alcuni

vasi piu stretti per i quali l’aria passa soltanto, e altri piu ampi, nei quali essa si raccoglie e donde viene distribuita alle varie parti del corpo. grande

Cosi tutto questo

ganismo della terra e percorso e dalle acque,

che corrispondono al sangue, e dai venti che nessuno potrebbe chiamare altrimenti che respirazione della terra. Questi due elementi a volte circolano, a volte stanno fermi. Ma come nel nostro corpo, finche esso e in buona

2

salute, anche il movimento delle vene conserva il suo ritmo senza alterazione, ma quando sopraggiunge qualche accidente il polso e accelerato e difficolta di respiro ed affanno sono i sintomi di un organismo ammalato e affaticato; cosi anche la terra, finche il suo stato e normale, rimane immobile, ma quando si manifesta qualche alterazione allora si produce lo stesso turbamento che in un corpo malato, per la spinta piu. violenta di quell’aria che prima circolava piu disciplinatamente e che scuote le vie respiratorie, senza poter essere espirata, secondo quanto dicono coloro, che, come abbiamo visto pocanzi, ritengono che la terra sia un essere animato.

Se il processo respiratorio non av-

viene regolarmente, come ogni essere animale sentira il turbamento in tutto Torganismo; ne infatti la febbre in noi attacca alcune parti meno violentemente, ma da Guarda

per

tutto

dunque

si

diffonde

con uguale

se

correnti

d’aria

non entrino nella terra:

intensita.

dell’atmosfera

queste, finche trovano una

via d’uscita, circolano in essa senza alcun danno, ma

3

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

56

incidit, quod viam clauderet, tunc oneratur primo infundente se a tergo aere, deinde per aliquam rimam 4

maligne fugit et hoc acrius fertur, quo angustius.

Id

sine pugna non potest fieri, nec pugna sine motu.

At

si ne rimam quidem, per quam efflueret, invenit, conglobatus illic furit et hoc atque illo circumagitur aliaque deicit, alia intercidit, cum

tenuissimus

idemque

fortissimus et irrepat quamvis in obstructa et quicquid intravit vi sua diducat ac dissipet.

Tunc terra iactatur;

aut enim datura vento locum discedit, aut cum dedit, in ipsam, qua ilium emisit, cavernam fundamento spoliata considit. 1

15.

Quidam ita existimant:

terra multis locis per¬

forata est nec tantum primos illos aditus habet, quos velut spiramenta ab initio sui recepit, sed multos illi casus imposuit: aliubi deduxit quicquid superne terreni erat aqua, alia torrentes cecidere, alia aestibus magnis disrupta patuerunt.

Per haec intervalla intrat spiritus:

quern si inclusit mare et altius adegit nec fluctus retro abire permisit, tunc ille exitu simul redituque praecluso volutatur et, quia in incertum non potest tendere, quod illi naturale est, in sublime se intendit et terram pre¬ men tern diverberat.

Seneca, Traitato sui terremoti

57

se s’incontrano in qualche ostacolo che l’arrestano e sbarran loro la via, allora la terra si carica dell’aria che dapprima continua a riversarsi dentro di essa dall’esterno e poi fugge a stento per qualche fessura e con tanto maggior forza esercita la sua pressione quan¬ to piii stretto e il passaggio.

Cio non puo avvenire

senza lotta, ne la lotta senza scuotimenti.

Ma se

4

l’aria non trova neppure una fessura per cui passare, si ammassa li rabbiosamente e or qua or la si riversa e alcuni ostacoli abbatte, altri ne rompe, mentre sottilissima e violentissima s’infiltra nei luoghi piu impenetrabili, e con la sua forza spezza e rompe tutto cio in cui penetra.

Allora avviene il terremoto:

o in-

fatti la terra si apre per dare il passaggio all’aria, o una volta uscita questa, si sprofonda, privata del sostegno su cui prima poggiava, in quella stessa voragine per la quale l’ha fatta uscire. 15.

Alcuni pensano cosl: la terra e munita di mold

pori, ne ha soltanto quei primordiali canali che ha avuto come spiragli fin dalla sua origine, ma mold altri gliene ha aggiunti il caso:

qui l’acqua ha por-

tato via il terreno che la ricopriva all’esterno, alcune parti sono state corrose dai torrenti, altre si aprirono squarciate

dall’azione

di grandi

maree.

Per questi

interstizi penetra l’aria, e se il mare la rinserra e molto profondamente la comprime, non permettendole i flutti di ritornare alia superficie, allora, essendole preclusi l’uscita e

il ritorno,

si addensa e poiche non puo

tendere in diverse direzioni, tende verso l’alto, che e la

sua

direzione

l’opprime.

naturale,

e

squassa

la

terra

che

1

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.VI

58

1

16.

Etiamnunc dicendum est, quod plerisque auc-

toribus placet et in quod fortasse fiet discessio. esse terram sine spiritu palam est:

Non

non tantum illo

dico, quo se tenet ac partes sui iungit, qui inest etiam saxis mortuisque corporibus, sed illo dico vitali et vegeto et alente omnia.

Hunc nisi haberet, quomodo tot

arbustis spiritum infunderet non aliunde viventibus et tot satis?

Quemadmodum tam diversas radices aliter

atque aliter in se mersas foveret, quasdam summa receptas parte, quasdam altius tractas, nisi multum ha¬ beret animae tam multa tam varia generantis et haustu 2

atque alimento sui educantis? ments ago:

Levibus adhuc argu¬

totum hoc caelum, quod igneus aether,

mundi summa pars, claudit, omnes hae stellae, quarum iniri non potest numerus, omnis hie caelestium coetus et, ut alia praeteream, hie tam procul a nobis agens cursum sol, omni terrarum ambitu non semel maior, alimentum ex terreno trahunt et inter se partiuntur nec ullo alio scilicet quam halitu terrarum sustinentur: 3

hoc illis alimentum, hie pastus est.

Non posset autem

tam multa tan toque se ipsa maiora nutrire, nisi plena esset animae, quam per diem ac noctem ab omnibus partibus sui fundit;

fieri enim non potest, ut non

multum illi supersit, ex qua tantum petitur ac sumitur.

Et ad tempus quidem, quod exeat, nascitur (nec

Seneca, Trat tat o sui terremoti

16.

59

Dobbiamo parlare ancora di una teoria che trova

1

il consenso di molti autori e su cui potra trovarsi il punto d’accordo fra le varie opinioni.

Che la terra

non sia priva d’aria e cosa evidente. E non parlo tanto di quell’aria che mantiene la coesione delle sue parti e che si trova anche nei sassi e nei corpi inanimati, ma io parlo di quel soffio vitale e attivo, che da vita a tutte le cose.

Se non avesse questo

spirito vitale, come potrebbe infonderlo a tanti alberi, che non vivono d’altro, e a tante messi? In che modo potrebbe sviluppare in mille differenti maniere tanto diverse radici, alcune attaccate alia sommita della sua superficie, altre infossate piu profondamente, se non avesse tanto di quello spirito vitale che fa nascere tanti e cosl diversi esseri e li fa crescere col far loro assorbire il suo alimento?

Ma io tratto l’argomento

adducendo prove non ancora decivise.

2

Tutto questo

cielo che l’etere, fatto di fuoco, parte suprema del mondo, abbraccia, tutte queste stelle di cui e impos¬ sible fare il conto, tutto questo insieme di corpi celesti, e, per non parlare d’altro, questo sole che effettua il suo corso a una cosl grande distanza da noi, e che e piu grande, e non di una volta soltanto, di tutto il globo della terra, traggono alimento dalla terra e se lo spartiscono tra loro e non hanno altro mezzo di sostentamento che le emanazioni terrestri.

Questo e

il loro alimento, questo e il loro nutrimento.

Essa non

potrebbe nutrire tanti corpi e di tanto piu grandi di lei, se non fosse piena di un soffio vitale che esala di notte e di giorno da tutte le sue parti.

Non e

possibile che di quello che le viene richiesto e preso in grande quantita, non rimanga a lei in abbon-

3

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

60

enim esset perennis illi copia suffecturi in tot caelestia spiritus, nisi invicem ista excurrerent et in aliud alia solverentur), sed tamen necesse est abundet ac plena 4

sit et ex condito proferat; non est ergo dubium, quin multum spiritus intus lateat et caeca sub terra spatia aer latus obtineat.

Quod si verum est, necesse est

id saepe moveatur, quod re mobilissima plenum est. Numquid enim dubium esse cuiquam potest, quin nihil sit tarn inquietum quam aer, tarn versabile et agitatione gaudens? 1

17.

Sequitur ergo, ut naturam suam exerceat et

quod semper moveri vult, aliquando et alia moveat. Id quando fit?

Quando illi cursus interdictus est.

Nam quamdiu non impeditur, it placide; cum offenditur et retinetur, insanit et moras suas abripit, non 2

aliter quam ille “pontem indignatus Araxes'’; quam¬ diu illi facilis et liber est alveus, primas quasque aquas explicat; ubi saxa manu vel casu illata repressere venientem, tunc impetum mora quaerit et, quo plura opposita sunt, plus invenit virium.

Omnis enim ilia

unda, quae a tergo supervenit et in se crescit, cum onus suum sustinere non potuit, vim ruina parat et prona cum ipsis, quae obiacebant, fugit.

Idem spiritu

fit, qui quo valentior agiliorque est, citius eripitur et

Seneca, Trattato sut terremoti

danza.

61

£ vero che il fluido che emana dalla terra si

forma di volta in volta (e infatti non potrebbe essa avere una

provvista inesauribile

di

aria da bastare

a tanti corpi celesti, se questi a loro volta non emettessero radiazioni e non si trasformassero da uno in altro corpo), ma tuttavia e necessario che essa ne abbia in abbondanza e ne sia piena e che la tragga dalle sue riserve.

Non c’e dubbio che molto gas sia nascosto

4

dentro di essa e una vasta massa d’aria occupi gli spazi sotterranei.

Ora, se questo e vero, e necessario che

si muova spesso il recipiente pieno del piu mobile degli elementi.

Puo mai apparir dubbio ad alcuno

che nulla v’e cosl instabile come l’aria, cosl mutevole e turbolento? 17.

Ne segue, dunque, che l’aria mette in atto la

1

sua natura e quello che e porta to a muoversi sempre, finisce col muovere qualche volta anche altri corpi. Quando avviene cio?

Quando il suo corso e ostruito.

Infatti, finche essa non e ostacolata, si muove tranquillamente;

quando

incontra degli ostacoli e viene

compressa, infuria e abbatte cio che le impedisce il passaggio, non

altrimenti

ribelle ai ponti '.

che

quel

famoso

"Arasse

Finche scorre senza intralci e libero

nel suo letto, esso volge via via regolarmente le sue acque.

Ma quando dei macigni gettati dalla mano

dell’uomo o trasportati dal caso ne ostacolano il corso, allora esso cerca di prendere slancio nell’indugio, e quanto maggiori sono gli ostacoli, tan to maggiori forze egli acquista.

Tutta la massa d’acqua, infatti, che so-

prawiene a monte e s’ammassa crescendo di livello, non potendo sostenere il suo peso, acquista forza pre-

2

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

62

vehementius saeptum omne disturbat; ex quo motus 3

fit, scilicet eius partis, sub qua pugnatum est.

Quod

dicitur verum esse et illo probatur: saepe cum terrae motus fuit, si modo pars eius aliqua disrupta est, inde ventus per multos dies fluxit, ut traditur factum eo motu, quo Chalcis laboravit.

Quod apud Asclepiodo-

tum invenies, auditorem Posidonii, in his ipsis quaestionum

naturalium

causis;

invenies

et

apud

alios

auctores hiasse uno loco terram et inde non exiguo tempore spirasse ventum, qui scilicet illud iter ipse sibi fecerat, per quod ferebatur. 1

18.

Maxima ergo causa est, propter quam terra

moveatur, spiritus natura citus et locum e loco mutans. 2

Hie quamdiu non impellitur et in vacanti spatio

latet, iacet innoxius nec circumiectis molestus est; ubi ilium extrinsecus superveniens causa sollicitat compellitque et in artum agit, si licet adhuc, cedit tantum et vagatur; ubi erepta discedendi facultas est et undique obsistitur, tunc “magno cum murmure montis circum claustra fremit”.

Quae diu pulsata convellit

ac iactat, eo acrior, quo cum mora valentiore luctatus

Seneca, Trattato sui terremoti

63

cipitando e lanciata violentemente fugge travolgendo tutto cio che le si para dinanzi.

Lo stesso awiene

per l’aria, che, in quanto e piu potente e mobile [dell’acqua'], piu rapidamente corre e con piu violenza spezza tutto cio che la rinserra.

Da cio e cau-

sato il terremoto, s’intende bene in quella parte nel cui sottosuolo e avvenuta la lotta.

La verita di questa

3

asserzione e provata anche da cio: spesso, quando viene il terremoto, se per caso una parte della terra si sia aperta, di la per mold giorni soffia il vento, come si racconta avvenisse in quel terremoto che colpl Calcide. Ci6 tu potrai leggere in Asclepiodoto, scolaro di Posidonio, per l’appunto nell’opera, analoga alia presente, sui fenomeni naturali e le loro cause.

Troverai anche presso altri

scrittori che la terra si e aperta in un punto e che di la spirb per un non breve periodo di tempo il vento, che evidentemente si era aperto da se la via nella direzione in cui soffiava. 18.

La causa principale del terremoto e dunque

1

l’aria, mobile per natura e che cambia continuamente luogo.

Questa, finche non e soggetta ad alcun impulso

e rimane nascosta in uno spazio vuoto, se ne sta ferma, senza recar danno o molesda a cio che le sta vidno. Ma quando una causa che sopraggiunge dalTesterno la mette in movimento, la caccia e la rinserra, se le e ancora possibile essa si limita a cedere e a vagare.

Ma

quando le e tolta la possibility di muoversi ed £ stretta da ogni parte, allora “con grande boa to della montagna freme intomo alle barriere”, che dopo aver lungamente scosse abbatte e rovescia, tan to piu violente¬ mente quanto maggiore ^ l’ostacolo con cui ha dovuto

2

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.VI

64

3

est.

Deinde cum circa perlustravit omne, quo tene-

batur, nec potuit evadere, inde, quo maxime impactus est, resilit

et aut

per occulta dividitur ipso terrae

motu raritate facta, aut per novum vulnus emicuit: ita eius non potest vis tanta cohiberi nec ventum tenet ulla compages.

Solvit enim quodcumque vinculum et

onus omne fert secum infususque per minima laxamentum sibi parat et indomita naturae potentia liberat , 4

utique cum concitatus sibi ius suum vindicat.

Spiritus

vero invicta res est: nihil erit quod luctantes ventos tempestatesque sonoras imperio premat ac vinclis et carcere frenet. 5

Sine dubio poetae hunc voluerunt videri carcerem, in quo sub terra clausi laterent, sed hoc non intellexerunt nec id, quod clausum est, esse adhuc ventum nec id, quod ventus est, posse iam claudi.

Nam quod in clau-

so est, quiescit et aeris statio est: omnis in fuga ven6

tus est.

Etiamnunc et illud accedit his argumentis, per

quod appareat motum effici spiritu, quod corpora quoque nostra non aliter tremunt, quam si spiritum aliqua causa perturbat, cum timore contractus est, cum senectute languescit et venis torpentibus marcet, cum frigore inhibetur aut sub accessionem cursu suo deicitur. 7

Nam quamdiu sine iniuria perfluit et ex more procedit, nullus est tremor corpori: cum aliquid occurrit, quod inhibeac eius officium, tunc parum potens in perfe-

Seneca, Trattato sui terremoti

65

lottare. Quindi, dopo essersi aggirata per tutta la zona

3

dove era rimasta chiusa, se non puo uscire, torna indietro e o s’infiltra per segreti passaggi attraverso le aperture

formatesi in conseguenza dello

stesso

mo-

vimento tellurico, o balza fucri con un nuovo urto. Cosl la sua forza non puo essere contenuta, nessuna compagine puo trattenere l’aria in movimento.

Essa

infatti spezza qualsiasi vincolo e trascina con se qualsiasi peso e infiltrandosi per i piu stretti passaggi si fa largo e si libera con la potenza della sua sfrenata natura, soprattutto quando, violentemente agitata, rivendica i suoi diritti naturali.

L’aria, invero, e una forza

4

incoercibile: nessuna potenza vi sara mai che "arresti con la sua autorita e tenga a freno e chiuda in carcere i venti in lotta e le tempeste fragorose".

Certa-

5

mente i poeti hanno voluto intendere per carcere quello nel quale [z venti] stanno nascosti, chiusi sotto terra, ma non hanno capito questo, che ne cio che e chiuso e ancora vento, ne cio che e vento puo piu imprigionarsi.

Infatti cio che e in chiuso e calmo, e aria

immobile: il vento presuppone sempre una fuga d’aria. A queste prove da cui risulta che il terremoto e de-

6

terminato dall’aria, si aggiunge anche questo, che il no¬ stro corpo non trema altrimenti che se qualche causa perturbi lo spirito vitale, quando questo si contrae per la paura, quando illanguidisce per la vecchiaia e ristagna per la perduta elasticita delle arterie, quan¬ do si arresta nei suoi movimenti per il freddo o all’awicinarsi di un accesso febbrile larita del suo corso.

Infatti

sin

perde quando

la esso

regocir-

cola senza ostacoli e segue normalmente la sua via, il corpo non e scosso da tremore; ma quando invece in-

5

7

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

66

rendis his, quae suo vigore tendebat, deficiens concutit quicquid integer tulerat. 1

19.

Metrodorum Chium, quia necesse est, audia-

mus, quod vult sententiae loco dicentem.

Non enim

permitto mihi ne eas quidem opiniones praeterire, quas improbo, cum satius sit omnium copiam fieri et quae 2

improbamus damnare potius quam praeterire. ergo dicit?

Quid

“Quomodo, cum in dolio cantantis vox

ilia per totum cum quadam discussione percurrit ac resonat et tam leviter mota tamen circumit non sine tactu eius tumultuque, quo inclusa est, sic speluncarum sub terra pendentium vastitas habet aera suum, quern, simul alius superne incidens percussit, agitat", non aliter quam ilia, de quibus paulo ante rettuli, inania indito clamore sonuerunt. 1

20.

Veniamus nunc ad eos, qui omnia ista, quae

rettuli, in causa esse dixerunt aut ex his plura. critus plura putat.

Demo¬

Ait enim motum aliquando spiritu

fieri, aliquando aqua, aliquando utroque, et id hoc modo prosequitur:

'‘aliqua pars terrae concava est, in

hanc aquae magna vis confluit. tenue et ceteris liquidius.

Ex hac est aliquid

Hoc, cum superveniente

gravitate reiectum est, illiditur terris et illas movet, nec

Seneca, Trattato sui terremoti

67

contra qualche ostacolo che impedisce le sue funzioni, allora, incapace di sostenere do che con la sua energia regolava, indebolendosi scuote tutto quello che quando era sano teneva insieme. 19.

Ascoltiamo, poiche e necessario, Metrodoro di

1

Chio, il quale esprime il suo pensiero a guisa di un verdetto.

Io non mi permetto infatti di trascurare nep-

pure le opinioni che non accetto, essendo preferibile metterle tutte in evidenza e rigettare quelle che non approviamo piuttosto che trascurarle. que egli dice?

Che cosa dun-

2

“Come quando vibra in una botte la

voce di un can tan te, questa si diffonde e risuona per tutto il recipiente con una specie di tremore, e per quanto leggero sia l’impulso che esso riceve, tuttavia quella circola per la botte in cui e racchiusa, non senza toccare e scuotere le sue pareti; cost le immense cavita che s’aprono nel sottosuolo sono piene d’aria, la quale, non appena percosse da qualche cosa che cade dall’alto e messa in movimento, alia stessa maniera di quei recipienti vuoti di cui ho detto sopra, i quali vibrano per la voce che vi si e diffusa’’. 20.

Veniamo ora a parlare di coloro i quali riten-

gono che tutti questi elementi o parecchi di essi rientrino fra le cause del terremoto.

Democrito pensa

che se ne debbano ammettere piu di uno.

Egli dice

che il terremoto a volte e determinato dall’aria, a volte dall’acqua, a volte da tutt’e due, e in tal modo svolge il suo ragionamento: ‘‘una notevole parte della terra e vuota e l’acqua vi affluisce in grande quantita. Una parte di quest’acqua e leggera e piu fluida di tutto

1

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.VI

68

enim fluctuari potest sine motu eius, in quod impin2

gitur".

Etiamnunc quomodo de spiritu dicebamus, de

aqua quoque dicendum est:

“ubi in unum locum con-

gesta est et capere se desiit, aliquo incumbit et primo viam pondere aperit, deinde impetu; nec enim exire nisi per devexum potest diu inclusa nec in directum cadere moderate aut sine concussione eorum, per quae 3

vel in quae cadit.

Si vero, cum iam rapi coepit, aliquo

loco substitit et ilia vis fluminis in se revoluta est, in continentem terram repellitur et illam, qua parte maxime pendet, exagitat.

Praeterea aliquando madefacta

tellus liquore penitus accepto altius sedit et fundus ipse vitiatur; tunc ea pars premitur, in quam maxime 4

aquarum vergentium pondus inclinat.

Spiritus vero

nonnumquam impellit undas et, si vehementius institit, earn

scilicet partem

terrae movet, in quam coactas

aquas intulit; nonnumquam in terrena itinera coniectus et exitum quaerens movet omnia.

Terra autem pene-

trabilis vends [est] et spiritus subtilior est, quam ut possit excludi, vehementior, quam ut sustineri conci5

tatus ac rapidusOmnes istas esse posse causas Epi-

Seneca, Trattato sui terremoti

quanto il resto.

69

Quest’acqua, quando e ricacciata dal

sopraggiungere di un corpo pesante, e gettata violentemente contro la terra e la mette in movimento, ne puo infatti essere fortemente agitata senza imprimere un movimento alia parete contro cui e lanciata'1. Come

2

or ora dicevamo dell’aria, bisogna dire anche dell’acqua: "quando essa si e ammassata in un luogo e non puo piu essere in questo contenuta, fa pressione in qualche punto e si apre la via dapprima col peso della sua massa, poi con la forza del suo impeto.

Ne, infatti,

essa pud uscire, dopo essere stata lungo tempo contenu¬ ta, se non per una via in pendio, ne, cadendo verticalmente, pud cadere dolcemente o senza scuotimento di quelle parti attraverso le quali o sulle quali precipita.

Se poi nel momento in cui il suo corso co-

3

mincia a divenire rapido, questo e arrestato in qualche punto e la violenza della corrente ritorna su se stessa, 1’acqua e lanciata contro la terra e la smuove in quella parte in cui questa sporge di piu.

Inoltre, qualche

volta la terra, ammollita dall’acqua penetratavi, frana e il suo fondo stesso si altera: forte

pressione

sul

l’acqua che cade

punto

pesa

allora si esercita una

sul quale

maggiormente.

la

massa

L’aria

del-

poi

a

4

volte solleva 1’acqua, e se la sua forza e di una certa intensita, scuote naturalmente quella parte della terra contro cui lancia la massa dell’acqua.

Qualche volta,

spinta pei canali sotterranei e cercando una via d’uscita, fa tremare tutto.

La terra, d’altra parte, e per-

meabile ai vend e l’aria e troppo sottile, rispetto ad essa, per poter essere trattenuta; troppo violenta, nel suo movimento concitato e rapido, perche si possa ad essa resistere”.

Epicuro afferma che tutte codeste cause

5

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.VI

70

curus ait pluresque alias temptat et illos, qui aliquid unum ex istis esse affirmaverunt, corripit, cum sit arduum de his, quae coniectura assequenda sunt, aliquid 6

certi promittere.

“Ergo”, ut ait, “potest terram mo-

vere aqua, si partes aliquas eluit et adrosit, quibus desiit posse extenuatis sustineri, quod integris ferebatur.

Potest terram movere impressio spiritus: fortasse

enim aer extrinsecus alio intrante aere agitatur, for¬ tasse aliqua parte subito decidente percutitur et inde motum capit.

Fortasse aliqua pars terrae velut colum-

nis quibusdam ac pilis sustinetur, quibus vitiatis ac 7

recedentibus tremit pondus impositum.

Fortasse calida

vis spiritus in ignem versa et fulmini similis cum magna strage obstantium fertur.

Fortasse palustres et

iacentes aquas aliquis flatus impellit et inde aut ictus terram quatit aut spiritus agitatio ipso motu crescens et se incitans ab imo in summa usque perfertur”.

Nul-

lam tamen illi placet causam motus esse maiorem quam spiritum. 1

21.

Nobis quoque placet hunc spiritum esse, qui

possit tanta conari, quo nihil est in rerum natura potentius, nihil acrius, sine quo ne ilia quidem, quae vehementissima sunt, valent.

Ignem spiritus concitat;

Seneca, Trattato sui terremoti

71

sono possibili e parecchie altre ne ricerca e critica coloro

che

ritengono esser

la

causa del

terremoto

una sola di queste, essendo difficile poter garantire la certezza per quei fatti che si possono spiegare solo per ipotesi.

“Adunque" — come egli dice — "‘pud l’ac-

qua far tremare la terra, se ha impregnato di se e corroso alcune sue parti, per l’assottigliamento delle quali non puo piii essere sostenuto il peso che da esse era sorretto quando erano intatte.

Puo la terra essere

scossa dall’urto delTaria; pud essere, infatti, che l’aria sotterranea per il sopraggiungere di altre masse d’aria dall’esterno venga messa in movimento;

pud essere

che essa riceva l’urto prodotto dal cadere improwiso di masse di terra e per conseguenza si metta in mo¬ vimento.

Forse qualche punto della terra e sorretto

come da specie di colonne e di pilastri per corrosione e cedimento dei quali trema tutto il peso sovrastante. Pud darsi che correnti d’aria calda divenute di fuoco

7

e simili al fulmine si sprigionino distruggendo tutto do che incontrano.

Forse qualche vento solleva le

acque palustri e stagnanti [del sottosuolo], e quindi o questo stesso urto scuote la terra, o il turbamento dell’aria, crescendo ed aumentando d’intensita per effetto del suo stesso movimento, si propaga dalle profondita della terra sino alia sua superficie. “Tuttavia a lui non sembra che sussista pel terremoto una causa piu potente dell’aria. 21.

Anche io credo che l’aria, di cui nulla di piu

possente, nulla di piu attivo esiste in natura, e senza di cui neppure gli elementi piii violenti hanno forza, sia capace di cosl gravi effetti.

L’aria alimenta il

1

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

72

aquae, si ventum detrahas, inertes sunt: impetum sumunt, cum illas agit flatus.

tunc demum

Et potest dissi-

pare magna terrarum spatia et novos montes subiectus extollere et insulas non ante visas in medio mari ponere: Theren et Therasiam [et] hanc nostrae aetatis insulam, spectantibus nobis in Aegaeo mari na2

tam, quis dubitat quin in lucem spiritus vexerit?

Duo

genera sunt, ut Posidonio placet, quibus movetur terra. Utrique nomen est proprium: altera succussio est, cum terra quatitur et sursum ac deorsum movetur, altera i n c 1 i n a t i o , qua in latera nutat alternis navigii more.

Ego et tertium illud existimo, quod nostro

vocabulo signatum est. Non enim sine causa “tremorem terrae dixere maiores, qui utrique dissimilis est: nam nec succutiuntur tunc omnia nec inclinantur, sed vibrantur, res minime in eiusmodi casu noxia.

Sicut longe

perniciosior est inclinatio concussione; nam nisi celeriter ex altera parte properabit motus, qui inclinata restituat, ruina necessario sequitur. 1

22.

Cum dissimiles hi motus inter se sint, causae

quorum diversae sunt. quatiente dicamus.

Prius ergo de motu

Si quando magna onera per vices

vehiculorum plurium tracta eunt et rotae maiore nisu

Seneca, Trattato sui terremoti

se

fuoco.

L’acqua,

niente:

allora solo essa diviene impetuosa, quando la

sconvolga il vento.

togli

73

l’azione

dell’aria,

non

fa

E l’aria puo far sparire grandi

distese di terra e far crescere dal di sotto nuove montagne e far sorgere in mezzo al mare delle isole prima sconosciute. alia

luce

Chi dubita che sia stata l’aria a portare

fra

Tere

e

Terasia

quest’isola

moderna,

affiorata nel mare Egeo sotto i nostri occhi? sono, secondo Posidonio,

due

specie

di

un

tipo

Ciascuna ha un nome proprio: moto e quello

sussultorio,

Vi

terremoto. di

2

terre¬

quando la terra

e scossa e si muove in senso verticale; l’altro e quel¬ lo

ondulatorio,

piegando una nave.

alternativamente

per

cui

sui

la

terra ondeggia

fianchi

a

guisa

di

lo credo che ce ne sia anche un terzo,

quello che e designate con un termine latino.

Non

senza ragione, infatti, i nostri antenati parlavano di "tremito della terra , ed esso e differente dalle altre due forme di terremoto, che in questo caso ne in senso verticale ne in senso orizzontale sono scosse tutte le cose, ma vibrano, cosa che e, in siffatta evenienza, minimamente pericolosa.

Alla stessa maniera

di gran lunga piu dannosa e la scossa ondulatoria di quella sussultoria, che se non si riproduce subito un movimento in senso contrario, che raddrizzi gli edifici piegati, necessariamente avviene il crollo. 22.

Essendo tra loro diverse queste forme di ter-

remoto, differenti ne sono anche le loro cause.

Par-

liamo prima, dunque, del terremoto sussultorio. Se a volte dei pesanti carichi sono

trascinati da file di

carri e le ruote, girando con uno sforzo considerevole

1

74

2

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.VI

in salebras inciderunt, terram concuti senties. piodotus tradit:

Ascle-

cum petra e latere montis abrupta

cecidisset, aedificia vicina tremore collapsa sunt.

Idem

sub terris fieri potest, ut ex his, quae impendent rupibus, aliqua resoluta magno pondere ac sono in subiacentem cavemam cadat eo vehementius, quo aut plus ponderis venit aut altius: 3

tectum cavatae vallis.

et sic commovetur omne

Nec tamen pondere suo abscindi

saxa credibile est, sed cum flumina supra ferantur, assiduus umor commissuras lapidis extenuat et cottidie his, ad quae religatus est, aufert et illam, ut ita dicam, cutem, qua continetur, abradit.

Deinde longa per ae-

vum diminutio usque eo infirmat ilia, quae cottidie 4

attrivit, ut desinant esse oneri ferendo: tunc saxa vasti ponderis decidunt, tunc ilia praecipitata rupes quicquid stabile aegre percussit non passura consistere “ sonitu venit, et mere omnia visa repente”, ut ait Vergilius noster.

1

23.

Huius motus succutientis terras haec erit causa:

ad alteram transeo.

Rara terrae natura est multumque

habens vacui: per has raritates spiritus fertur, qui ubi

Seneca, Trattato sui terremoti

75

s’imbattono in un terreno accidentato, tu sentirai che il suolo ne e scosso.

Riferisce Asclepiodoto che per ef-

2

fetto della caduta di un macigno dal fianco di una montagna le case vicine, per la scossa prodotta, crollarono.

Lo stesso pub awenire sotto terra, che ciob

uno di quei massi sospesi sulle rupi staccandosi cada col suo immenso peso e con grande fragore in una sottostante cavita, tanto piu violentemente, quanto piu pesantemente vien giu o quanto maggiore e Paltezza da cui cade: da cio lo scuotimento di tutta la volta della caverna sotterranea.

Ne e credibile che questi ma-

3

cigni si stacchino soltanto per effetto del loro peso, ma passando al di sopra di essi dei cor si d’acqua, la sua continua

infiltrazione corrode le giunture della

pietra ed ogni giorno porta via qualche cosa a quelle parti a cui il masso e saldato, e — per cost dire — porta via la pelle che lo tiene attaccato.

Quindi que-

sto lungo assottigliamento nel volger del tempo continuamente indebolisce quelle parti che ogni giorno corrode e che alia fine non sono piu in grado di sopportare il carico.

Allora macigni di peso enorme

4

piombano giu; allora quel masso precipitato, non permettendo che rimanga fermo tutto cio che, reggendosi di gia a mala pena, ha ricevuto il suo urto, '‘con gran fragore vien giu, e ogni cosa d’improwiso sembra crollare”, come dice il nostro VLrgilio. 23.

Questa sara la causa del terremoto sussultorio.

Ora passo alPaltra specie di terremoto.

La terra e

per natura porqsa e racchiude dentro di se molte parti vuote.

Per queste porosita passa l’aria, che, quando vi

penetra in grande quantita senza poterne uscire, scuote

1

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.VI

76

2

maior influxit nec emittitur, concutit terram.

Haec

placet et aliis, ut paulo ante rettuli, causa, si quid apud te profectura testium turba est: hanc etiam Callisthenes probat, non contemptus vir, (fuit enim illi nobile ingenium et furibundi regis impatiens — hie est Alexandri crimen aeternum, quod nulla virtus, nulla bel3

lorum felicitas redimet; nam quotiens quis dixerit "occidit Persarum multa milia", opponetur ei "et Callisthenen"; quotiens dictum erit “occidit Darium, penes quem turn maximum regnum erat”, opponetur ei "et Callisthenen";

quotiens

dictum erit

'‘omnia Oceano

tenus vicit, ipsum quoque temptavit novis classibus et imperium ex angulo Thraciae usque ad Orientis terminos protulit", dicetur "sed Callisthenem occidit’:

omnia

licet antiqua ducum regumque exempla transient, ex his, quae fecit, nihil tam magnum erit quam scelus). 4

Hie Callisthenes in libris, quibus describit, quemadmodum Helice Burisque mersae sint, quis illas casus in mare vel in illas mare immiserit, dicit id quod in priore parte dictum est:

'‘spiritus intrat terram pr-

occulta foramina, quemadmodum ubique, ita et sub mari; deinde, cum obstructus ille est trames, per quei” descenderat, reditum autem illi a tergo resistens aqua abstulit, hue et illuc refertur et sibi ipse occurrens terram labefactat.

Ideo frequentissime mari apposita

vexantur et inde Neptuno haec assignata est maris

Seneca, T rat tat o sui terremoti

la

terra.

77

Questa spiegazione e approvata anche da

2

altri, come dicevo sopra, se il numero dei testimoni potra avere qualche valore presso di te:

anche Calli-

stene 1’accetta, uomo di grandi pregi (ebbe un carattere nobile e insofferente di un re folle; egli e per Ales¬ sandro motivo di eterna accusa, che nessun valore, nessuna fortuna in guerra potra cancellare. volte, infatti, che uno dira:

Tutte le

3

"Alessandro uccise molte

migliaia di Persiani'", gli si opporra: "Ma anche Callistene ;

tutte le volte che si dira:

"Uccise Dario,

nelle mani del quale era allora il piu grande impero'’, si obiettera: "Ma anche Callistene"; tutte le volte che si dira:

"Sottomise tutto il mondo sino all’Oceano, af-

fronto anche l’Oceano stesso con navi da questo mai viste ed estese il suo impero da un piccolo angolo della Tracia sino ai confini delTOriente”, si rispondera: "Ma uccise Callistene".

Abbia pure superato tutti

gli esempi dei duci e dei re antichi, fra tutte le imprese da lui compiute non ce ne sara nessuna tanto grande quanto il suo delitto).

Questo Callistene nella

sua opera in cui descrive come Elice e Buris siano state inghiottite e quali vicende le abbiano fatte sprofondare in mare o abbiano rovesciato il mare su di esse, espone la teoria che io ho esposto nella prima parte di questo capitolo:

"come da per tutto, cosi anche

sotto il mare, l’aria entra nella terra per occulti passaggi; poi, quando e ostruita la via per cui essa e discesa, e alle sue spalle la resistenza dell’acqua le chiude il ritorno, essa e sospinta di qua e di la e con le sue correnti-e controcorrenti scuote la terra.

Per-

cio frequentissimamente le zone vicine al mare sono colpite

dal

terremoto

e

percio

a Nettuno

e

stato

4

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

78

movendi potentia.

Quisquis primas litteras didicit,

scit ilium apud Homerum e Evooiy&ova 1

24.

vocari”.

Spiritum esse huius mali causam et ipse con-

sentio: de illo disputabo, quomodo intret hie spiritus, utrum per tenuia foramina nec oculis comprehensibilia an per maiora ac patentiora, et utrum ab imo an etiam 2

per summa terrarum.

Hoc incredibile est.

Nam in

nostris quoque corporibus cutis spiritum respuit nec est illi introitus, nisi per quae trahitur, nec consistere quidem a nobis receptus potest nisi in laxiori corporis parte: non enim inter nervos pulpasve, sed in visceribus 3

et

patulo

interioris

partis

recessu commoratur.

Idem de terra suspicari licet vel ex hoc, quod motus non in summa terra circave summa est, sed subter ct ab imo.

Huius indicium est, quod altitudinis profun-

dae maria iactantur, motis scilicet his, supra quae fusa sunt: ergo verisimile est terram ex alto moveri et illic 4

spiritum in cavernis ingentibus concipi.

“Immo'’, in¬

quit, "ceu cum frigore inhorruimus, tremor sequitur, sic terras quoque spiritus extrinsecus accidens quassat \ Quod nullo modo potest fieri.

Algere enim debet, ut

idem illi accidat quod nobis, quos externa causa in

Seneca, Trattato sui terremoti

79

attribuito questo potere, proprio del mare, di scuotere la terra.

Chiunque abbia appena imparato a leggere e

a scrivere sa che in Omero questo dio e chiamato "scuotitor della terra”. 24.

Che l’aria sia la causa di questo flagello, an-

ch’io sono d’accordo.

1

Di questo ora discuterd, cioe

come penetri nella terra quest’aria, se attraverso fori sottili e impercettibili o per passaggi piu grandi e piu larghi, e se essa viene dalle profondita della terra o vi s’introduce dalla superficie terrestre. ipotesi

non

e

accettabile.

Quest’ultima

2

Infatti anche nel nostro

corpo la pelle trattiene 1’aria ne essa puo entrare se non attraverso gli organi per mezzo dei quali e respirata, ne quest’aria da noi introdotta puo trattenersi se non in una parte del nostro organismo di una certa ampiezza.

Essa infatti non rimane fra i nervi ed i mu-

scoli, ma nei visceri e nelle ampie cavita interne.

Si

3

puo supporre che lo stesso avvenga nei riguardi della terra soprattutto da questo, che il movimento tellurico non avviene alia superficie della terra o nelle parti vicine alia superficie, ma si verifica negli strati interni e proviene dalle profondita della terra.

Prova di questo

fatto e che nel terremoto mari di grande profondita sono sconvolti, naturalmente per effetto del movimento del suolo sul quale essi si distendono.

Percio e verisi-

mile che la terra sia scossa dalle sue profondita dove in immense cavita sia ammassata l’aria.

“Ma'1, obietta

qualcuno, “come quando rabbrividiamo pel freddo, ne consegue un tremito [del nostro corpo'], cosl anche la terra e scossa da una corrente d’aria che viene dal di fuori”. Non puo in nessun modo essere cosl.

Bisogne-

4

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

80

horrorem agit.

Accidere autem terrae simile quiddam

nostrae affectioni, sed non ex simili causa concesserim. 5

Illam interior et altior iniuria debet impellere:

cuius

rei argumentum vel maximum hoc potest esse, quod cum vehementi motu adapertum ingenti ruina solum est, totas nonnumquam urbes et recipit hiatus ille et 6

abscondit.

Thucydides ait circa Peloponnesiaci belli

tempus Atalanten insulam aut totam aut certe maxima ex parte suppressam. crede.

Idem Sidone accidisse Posidonio

Nec ad hoc testibus opus est: meminimus enim

terris interno motu divulsis loca disiecta et campos interisse.

Quod iam dicam quamadmodum existimem

fieri. 1

25.

Cum spiritus magna vi vacuum terrarum locum

penitus opplevit coepitque rixari et de exitu cogitare, latera ipsa, inter quae latet, saepius percutit, supra quae urbes interdum sitae sunt.

Haec nonnumquam

adeo concutiuntur, ut aedificia superposita procumbant, nonnumquam

in tantum,

ut

parietes,

quibus

fertur

omne tegimen cavi, decidant in ilium subtervacan tern locum totaeque urbes in immensam altitudinem vergant. 2

Si velis credere, aiunt aliquando Ossam Olympo cohaesisse, deinde terrarum motu recessisse et fissam unius

Seneca, Trattato sui terremoti

81

rebbe infatti cbe la terra fosse sensibile al freddo, perche a lei accadesse quel che accade a noi quando una causa esterna ci fa rabbrividire.

Io potrei ammettere

che alia terra accada qualche cosa di simile agli effetti prodotti in noi dalla sensazione del freddo, ma per una causa del tutto diversa.

Essa e necessaria-

5

mente mossa da una forza contraria piu interna e profonda.

La prova piu grande di cio puo essere

questa, che quando per effetto di un violento terremoto il suolo si spalanca e tutto crolla, intere citta — a volte — cadono dentro quella voragine e sono da

essa

ingoiate.

Racconta Tucidide

che

ai

tempi

6

della guerra del Peloponneso l’isola di Atalante disparve

interamente

o

per

lo

meno

parte.

Che la stessa catastrofe sia accaduta a Sidone

puoi crederlo sulla parola di Posidonio.

in grandissima Ne del resto

abbiamo bisogno di testimonianze per credere a una cosa del genere.

Ci ricordiamo, infatti, che per effetto d’in-

terne convulsioni della terra alcune localita furono interrotte fra loro e dei campi furono distrutti.

Io ora

ti dirb come credo che il fatto possa verificarsi. 25.

Quando l’aria con grande impeto ha riempito

1

le cavita sotterranee e comincia a lottare e a cercare una via d’uscita, assai di frequente percuote le pareti fra cui e prigioniera e sopra le quali a volte sono situate delle citta.

Queste pareti talora sono soggette a

scosse tali che gli edifici sovrastanti crollano, talaltra sino al punto che i fianchi che sorreggono tutta la volta della cavita precipitano nello spazio sottostante e citta intere

vengono

ingoiate

nell’immensa

voragine.

Se

tu vuoi crederci, dicono che una volta l’Ossa e l’Olim-

6

2

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.VI

82

magnitudinem montis in duas partes.

Tunc effluxisse

Peneon, qui paludes, quibus laborabat Thessalia, siccavit abductis in se, quae sine exitu stagnaverant, aquis. Ladon flumen inter Elin et Megalenpolin medius est, 3

quem terrarum motus effudit.

Per hoc quid probo?

In laxos specus (quid enim aliud appellem loca vacua?) sub terras spiritum convenire, quod nisi esset, magna terrarum spada commoverentur et una multa titubarent:

nunc exiguae partes laborant nec umquam per

ducenta milia motus extenditur. 4

Ecce hie, qui implevit

fabulis orbem, non transcendit Campaniam.

Quid di¬

cam, cum Chalcis tremuit, Thebas stetisse?

Cum la-

boravit Aegium, tam propinquas illi Patras de motu audisse?

Illi vasta concussio, quae duas suppressit ur-

bes, Helicen et Burin, circa Aegium constitit.

Apparet

ergo in tantum spatium motum pertendere, quantum ilia sub terris vacantis loci inanitas pateat. 1

26.

Poteram ad hoc probandum abud auctoritate

magnorum virorum, qui Aegyptum numquam tremuisse tradunt, rationem autem huius rei hanc reddunt, quod ex limo tota concreverit.

Tantum enim, si Homero

fides est, aberat a continend Pharos, quantum navis diumo cursu metiri plenis lata velis potest, sed contt-

Seneca, Trattato sui terremoti

83

po costituivano un unico blocco, poi in seguito ad un terremoto si separarono e quell’unica enorme raontagna si divise in due.

Allora si formo il Peneo, che,

convogliando nel suo corso tutte le acque senza scolo stagnanti in quella zona, prosciugo le paludi da cui era afflitta la Tessaglia.

A1 fiume Ladone, che scorre

tra Elide e Magalopoli, apri il passaggio un terre¬ moto.

Cosa voglio

io provare

con

questi

esempi?

3

Che l’aria si ammassa sotto la terra in caverne im¬ mense (come altro potrei chiamare questi spazi vuoti?). Se cosl non fosse, enormi distese di terra sarebbero colpite da sconvolgimenti sismici e parecchie regioni tremerebbero nello stesso tempo.

Ora, invece, limi-

tate zone della terra sono colpite, ne mai il fenomeno si awerte per un’estensione superiore alle duecento miglia.

Ecco, l’attuale terremoto, che ha fatto par-

lare di se il mondo intero, non e andato oltre la Campania.

Che dire del fatto che Tebe rimase im-

4

mobile allorche tremo Calcide e che quando fu colpita Egio,

Patrasso,

cost

solo per senitto dire?

vicina,

seppe

del

terremoto

Quella violenta scossa che di-

strusse due citta, Elice e Buris, si arresto nei pressi di Egio.

Risulta chiaro, dunque, che il terremoto non

si propaga per un’estensione maggiore di quella del vuoto sottostante. 26.

Per dimostrare cio, io mi sarei potuto rivestire

dell’autorita d’illustri scrittori, i quali insegnano che l’Egitto non e stato mai colpito da terremoto.

Ad-

ducono poi questa spiegazione del fatto, che tutto il suolo dell’Egitto e formato da limo. dere

a

Omero,

Faro

era

lontana

Se si deve cre¬ dalla

terraferma

1

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.VI

84

nenti ammota est; turbidus enim defluens Nilus multumque secum caeni trahens et id subinde apponens prioribus terris Aegyptum ultra tulit.

annuo

incremento semper

Inde pinguis et limosi soli est nec ulla

intervalla in se habet, sed crevit in solidum arescente limo; cuius pressa erat et sedens structura, cum partes glutinarentur, nec quicquam inane intervenire poterat, 2

cum solido liquidum ac molle semper accederet.

Sed

movetur et Aegyptus et Delos, quam Vergilius stare iussit: immotamque coli dedit et contemnere ventos; hanc philologi quoque, credula natio, dixerunt non moveri auctore Pindaro.

Thucydides ait antea quidem im-

motam fuisse, sed circa Peloponnesiacum bellum tre3

muisse: Callisthenes et alio tempore ait hoc accidisse: “inter multa”, inquit, “prodigia, quibus denuntiata est aliarum urbium, Helices et Buris, eversio, fuere maxime notabilia columna ignis immensi et Delos agitata ’, quam ideo stabilem videri vult, quia mari imposita sit habeatque concavas rupes et saxa pervia, quae dent deprehenso aeri reditum: ob hoc et insulas esse certioris soli urbesque eo tutiores, quo propius ad mare

4

accesserint.

Falsa haec esse Pompei et Herculaneum

Seneca, Trattato sui terremoti

85

quanto spazio di mare una nave puo percorrere in navigazione diurna a vele spiegate. terraferma.

Ma poi si uni alia

Infatti il Nilo scorrendo limaccioso e tra-

scinando seco mold detriti e aggiungendoli a poco a poco alia terra preesistente porta sempre piu in avanti con questo suo accrescimento annuale l’Egitto.

Percio

il suo suolo e grasso e ricoperto di limo, ne ha interstizi, ma per effetto del disseccamento del limo e cresciuto in una massa consistente. di

agglutinazione

delle sue

parti,

Per un processo la

sua

struttura

risulto compatta e sedimentaria, ne alcun vuoto vi si poteva formare, perche una materia liquida e molle veniva a sovrapporsi a una materia solida.

Ma anche

2

l’Egitto e soggetto a terremoti, e cosl Delo, che Virgilio essere

vuole che sia immobile: coltivata,

zare i vend".

rimanendo

“Il dio le diede di

immobile,

e

di disprez-

Anche i filologi, genia di creduloni,

dissero, sulTautorita di Pindaro, che questa isola non era soggetta a movimenti tellurici.

Tucidide afferma

che prima essa fu immune, si, da terremoti, ma che al tempo della guerra del Peloponneso ne fu colpita. Callistene dice che cio si verified anche altre volte.

3

“Fra i numerosi prodigi" — egli dice — “con cui fu annunziata la distruzione delle due citta di Elice e Buris, i piu notevoli furono l’eruzione di una immensa colonna di fuoco e il terremoto di Delo ’.

Questo auto-

re vuole che l’isola appaia refrattaria ai

movimenti

sismici per il fatto che essa poggia sul mare ed ha delle rupi vuote e delle rocce perforate che offrono una via d’uscita all’aria imprigionata.

Per questo e il

suolo delle isole e piu sicuro e le citta sono tanto piu sicure quanto piu vicine al mare.

La falsita di

4

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.VI

86

sensere.

Aciice nunc, quod omnis ora maris obnoxia

est motibus: sic Paphos non semel corruit, sic nobilis et huic iam familiaris malo Nicopolis; Cyprum ambit altum mare et agitat, Tyros et ipsa tam movetur quam diluitur.

Hae fere causae redduntur, propter quas

tremat terra. 1

27.

Quaedam tamen propria in hoc Campano motu

accidisse narrantur, quorum ratio reddenda est.

Dixi-

mus sexcentarum ovium gregem exanimatum in Pompeiana regione. 2

timore accidisse.

Non est, quare hoc putes ovibus illis Aiunt enim solere post magnos ter-

rarum motus pestilentiam fieri, nec id mirum est. ta enim mortifera in alto latent:

Mul-

aer ipse, qui vel

terrarum culpa vel pigritia et aeterna nocte torpescit, gravis haurientibus est, vel corruptus internorum ignium vitio, cum e longo situ emissus est, purum hunc liquidumque maculat ac polluit insuetumque ducentibus 3

spiritum affert nova genera morborum.

Quid, quod

aquae quoque inutiles pestilentesque in abdito latent, ut quas numquam usus exerceat, numquam aura liberior everberet?

Crassae itaque et gravi caligine sempi-

Seneca, Trattato sui terremoti

87

questa teoria fu sperimentata da Pompei e da Ercolano.

Aggiungi poi che tutte le coste marittime sono

esposte ai terremoti.

Cosl Pafo crollo non una volta

sola, cosl la famosa Nicopoli, che ha ormai familiarita con questo flagello; Cipro e circondata da un mare profondo che la scuote; anche la stessa Tiro e altrettanto mare.

colpita

dal

terremoto

quanto

e

battuta dal

Queste sono, press’a poco, le cause che si adducono del terremoto. 27.

Tuttavia, si racconta che alcuni caratteri par-

1

ticolari, di cui bisogna rendersi ragione, si siano verificati in questo

terremoto campano.

Abbiamo gia

detto che nella regione di Pompei un gregge di numerosissime pecore e morto asfissiato. Non e ammissibile credere che cio sia accaduto a quelle pecore per lo spavento.

Dicono, infatti, che dopo grandi terremoti

2

si sogliono sviluppare delle epidemie, ne cio ha nulla di

strano.

Molti

germi

di morte

scosti nelle profondita della terra.

sono

infatti

na-

L’aria stessa che o

per i miasmi del sottosuolo o per la sua immobilita e per l’eterno buio in cui ristagna e funesta a chi la respira, o anche, viziata dal fuoco sotterraneo, quando viene alia superficie dopo un lungo periodo di stasi in quelle zone di squallore, infetta e ammorba questa nostra pura e limpida atmosfera e apporta malattie di nuovo genere a coloro che respirano questa insolita aria.

E che dire poi del fatto che anche delle acque

nocive e pestilenziali stanno nelle viscere della terra, come quelle che giammai sono state messe in movimento dall’utilizzazione fattane dall’uomo, e mai sono

3

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

88

ternaque tectae nihil nisi pestiferum in se et corporibus nostris contrarium habent.

Aer quoque, qui mix-

tus est illis quique inter illas paluaes iacet, cum emer4

sit, late vitium suum spargit et haurientes necat.

Fa-

cilius autem pecora sentiunt, in quae pestilentior incurrere solet, quo avidiora sunt:

aperto caelo plurimum

utuntur et aquis, quarum maxima in pestilentia culpa est.

Oves vero mollioris naturae, quo propiora terris

ferunt capita, correptas esse non miror, cum afflatus aeris diri circa ipsam humum exceperint.

Nocuisset

idle et hominibus, si maior exisset; sed ilium sinceri aeris copia extinxit, antequam, ut ab homine posset trahi, surgeret. 1

28.

Multa autem terras habere mortifera vel ex

hoc intellege, quod tot venena nascuntur non manu sparsa sed sponte, solo scilicet habente ut boni ita mali semina.

Quid, quod pluribus Italiae locis per

quaedam foramina pestilens exhalatur vapor, quern non homini ducere, non ferae tutum est?

Aves quoque si

in ilium inciderunt, antequam caelo meliore leniatur,

Seneca, Trattato sui terremoti

89

statte mosse dall’aria aperta?

Luride e coperte da

una fitta ed eterna oscurita, esse pertanto non contengono se non germi pestilenziali e principii dannosi al nostro organismo.

Anche l’aria che viene a contatto

con queste e che grava su quelle paludi, quando sale alia superficie diffonde per ampio raggio la sua infezione e uccide

quelli

che

la

respirano.

Piu facil-

4

mente poi ne risentono le bestie, su cui essa suole abbattersi piu pestilenziale, in quanto meno sanno trattenere i loro impulsi.

Esse vivono moltissimo all’aria

aperta e bevono continuamente acqua, in cui sta, in periodo di epidemia, la principale causa del male.

Non

mi meraviglio poi che le pecore, piu esposte per natura, in quanto hanno il capo piu vicino a terra, siano state colpite, avendo aspirato vicino al suolo stesso le esalazioni di gas venefico.

Questo sarebbe stato no-

civo anche agli uomini, se fosse uscito in maggiore quantita; ma la prevalenza di aria pura lo neutralizzo prima che si levasse ad un’altezza tale da essere respirato dalTuomo. 28.

Che la terra poi contenga mold principii esi-

ziali, specialmente da questo tu devi comprendere, che tante erbe velenose spuntano da essa, non seminate dalla mano delTuomo, ma spontaneamente, trovandosi dovunque sul suolo delle semenze tanto buone quanto catdve.

Che dire poi del fatto che in parecchie parti

d’ltalia attraverso certe aperture esalano dei gas mefitici che e pericoloso sia per gli uomini sia per le bestie respirare? queste

esalazioni,

Anche gli uccelli se si imbattono in prima

ancora

che

la loro

azione

possa essere neutralizzata da un’aria migliore, cadono in

1

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

90

in ipso volatu cadunt liventque corpora et non aliter 2

quam per vim elisae fauces tument.

Hie spiritus, quem

diu terra continet, tenui foramine fluens non plus potentiae habet, quam ut despectantia et ultro sibi illata conficiat; ubi per saecula conditus tenebris ac tristitia loci crevit in vitium, ipsa ingravescit mora, peior quo segnior:

cum exitum nactus est, aeternum illud um-

brosi frigoris

malum

et infernam noctem volvit ac

regionis nostrae aera infuscat; vincuntur enim meliora 3

peioribus. noxium:

Tunc etiam ille spiritus purior transit in inde subitae continuaeque mortes et mon-

struosa genera morborum ut ex novis orta causis. Brevis autem aut longa clades est, prout vitia valuere, nec prius pestilentia desinit, quam spiritum ilium gravem exercuit laxitas caeli ventotumque iactatio. 1

29.

Nam quod aliquot insanis attonitisque similes

discurrere, fecit metus, qui excutit mentes, ubi privatus ac modicus est.

Quid, ubi publice terret, ubi ca¬

dunt

opprimuntur,

urbes,

populi

terra

concutitur?

Quid mi rum est animos inter dolor em et metum de2

stitutos aberrasse?

Non est facile inter magna mala

Seneca, Trattato sui terremoti

91

pieno volo e i loro corpi diventano lividi e la loro gola diviene tumefatta non altrimenti che se fossero stati strozzati.

Quest’aria

venefica,

sinche

si

man-

2

tiene sottoterra, esalando per sottili porosita, ha forza di uccidere soltanto gli animali che camminano con la testa all’ingiu e che spontaneamente si avvicinano ad essa.

Quando imprigionata per lungo volgere di secoli,

a causa delle tenebre e delle condizioni malsane del luogo si e corrotta sempre piu, per il tempo stesso [ivi trascorso] s’aggrava il suo potere venefico, tanto piu dannosa diviene, quanto piu a lungo e rimasta im¬ mobile.

Allorche poi trova una via d’uscita, essa porta

con se quei miasmi delle fredde tenebre e della notte infernale, di cui si e impregnata nel lungo volger del tempo e inquina l’atmosfera della regione superna: megho infatti e guastato dal peggio.

il

Allora anche

3

l’aria pura diviene nociva; di qui le morti improvvise, senza interruzione, e paurose specie di epidemie, perche determinate da cause sconosciute.

Lungo o breve

e il male a seconda della durata della violenza del virus,

ne Pepidemia cessa prima che l’ampiezza del

cielo e la azione dei venti abbiano disperso quelTaria venefica. 29.

Che quanto al fatto che alcuni andarono cor-

1

rendo qua e la simili a pazzi e a persone istupidite, fu causa la paura, che sconvolge la mente quando e individuale e limitata: t’immagini quando atterrisce la folia, quando crollano citta, periscono intere popolazioni. trema la terra?

Ghe meraviglia c’e che ad alcuni, presi

dalla disperazione, fra il panico ed il dolore, abbia dato di volta il cervello?

Non e cosa facile nelle grandi

2

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

92

constpere.

Itaque levissima fere ingenia in tantum

venere formidinis, ut sibi exciderent.

Nemo quidem

sine aliqua iactura sanitatis expavit, similisque est furentis quisquis timet, sed alios cito timor sibi reddit, alios vehementius perturbat et in dementiam transfert. 3

Inde inter bella erravere lymphatici, nec usquam plura exempla

vaticinantium

invenies,

quam

ubi

formido

mentes religione mixta percussit. 1

30.

Statuam divisam non miror, cum dixerim mon-

tes a montibus recessisse et ipsum disruptum esse ab imo solum: Haec loca vi quondam et vasta convulsa ruina (tantum aevi longinqua valet mutare vetustas) dissiluisse ferunt, cum protinus utraque tellus una foret.

Venit ingenti vi pontus et ingens

Hesperium Siculo latus abscidit arvaque et urbes aequore diductas angusto interluit aestu. 2

Vides

totas regiones a suis sedibus revelli et trans

mare iacere quod in confinio fuerat, vides et urbium fieri gentiumque discidium: cum pars naturae concita est deesse, ea aliquo mare, ignem, spiritum im-

Seneca, Trattato sui terremoti

93

sciagure rimanere in senno.

Pertanto gli spiriti di so¬

li to piu deboli arrivano a tale grado di paura da perdere il controllo di se stessi.

Nessuno infatti che sia preso

dallo spavento mantiene interamente la normalita delle sue condizioni

mentali,

e

chiunque

terrore e simile a un pazzo.

e

in preda

al

Ma alcuni la paura fa

rientrare presto in se stessi, altri piu violentemente sconvolge e rende folli.

Percio durante le guerre si

3

vedono delle persone che vanno errando impazzite, ne mai troverai un maggior numero di profeti di quando la paura, mescolata alia superstizione, colpisce la mente degli uomini30.

Io non mi meraviglio che possa spezzarsi una

1

statua, quando io ho detto che dei monti si sono staccati dai monti e lo stesso suolo si e squarciato sin dalle sue profondita:

“Dicono che una volta questi

luoghi sconvolti dalla violenza devastatrice del terremoto (tanto

grandi

trasformazioni

puo

produrre

il

lungo volger del tempo) si spaccassero, mentre prima l’una e l’altra parte costituivano una terra sola.

Vi si

insinuo il mare a viva forza e con la sua distesa separo la costa dell’Esperia da quella della Sicilia, e i campi e le citta disgiunte dalle onde bagno frapponendovisi con un angusto stretto”.

Tu vedi che zone

intere vengono sradicate dalle loro fondamenta e che al di la del mare si stendono dei territori che furono cosl attigui al nostro, tu vedi divise a meta dtt^ e popolazioni; quando una parte della natura, soggetta a sconvolgimenti, ha osato ritirarsi, essa in qualche parte vi getta con violenza il mare, il fuoco, l’aria, di cui straordinaria e la forza, in quanto deriva da tutta la

2

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

94

pegit, quorum mira ut ex toto vis est. 3

Quamvis enim

parte saeviat, mundi tamen viribus saevit.

Sic et Hi-

spanias a contextu Africae mare eripuit, sic per hanc inundationem, quam poetarum maximi celebrant, Italia Sicilia resecta est.

Aliquanto autem plus impe¬

tus habent, quae ex infimo veniunt. 4

ab

quibus nisus est per angusta.

Acriora enim sunt,

Quantas res hi terrarum

tremores quamque mira spectacula ediderint, satis dic¬ tum est.

Cur ergo aliquis ad hoc stupet, quod aes

unius statuae, ne solidum quidem, sed concavum ac tenue, disruptum est, cum fortasse in illud se spiritus quaerens fugam incluserit?

Illud vero quis nescit? Di-

ductis aedificia angulis vidimus moveri iterumque componi. Quaedam vero parum aptata positu suo et a fabris neglegentius solutiusque composita terrae motus sae5

pius agitata compegit.

Quod si totos parietes et totas

findit domos et latera magnarum turrium, quamvis solida sint, scindit et pilas operibus subditas dissipat, quid est quare quisquam dignum adnotari putet, sectam esse aequaliter ab imo ad caput in partes duas statuam? 1

31.

Quare tamen per plures dies motus fuit?

Non

desiit enim assidue tremere Campania, clementius qui¬ dem sed cum ingenti damno, quia quassa quatiebat, quibus ad cadendum male stantibus non erat

Seneca, Trattato sui terremoti

natura.

95

Difatti anche se infierisce solo con una parte

di se, tuttavia infierisce con la forza attinta da tutto il mondo.

Cosi il mare ha staccato la Spagna dal

3

continente africano, cosl per questo cataclisma celebrato dai piu grandi poeti la Sicilia fu staccata dall’ltalia.

Alquanto piu impetuose poi sono le correnti

che vengono dal profondo del mare; piu violente infatti sono quelle il cui sforzo si esercita in uno stretto passaggio.

Della grandezza degli effetti causati da

4

questi terremoti e degli spettacoli sbalorditivi che essi ci offrono si e gia parlato abbastanza.

Perche dunque

uno dovrebbe stupirsi di fronte al fatto che il bronzo di una statua, neppur massiccio, ma concavo e sottile, si e spaccato, quando vi poteva essere rimasta prigioniera dell’aria che cercava una via d’uscita? ignora un fatto del genere?

Chi

Noi abbiamo visto degli

edifici aprirsi agli angoli e poi riprendere la loro posizione di prima a seguito di un terremoto.

Delle case

mal poggianti sulle loro fondamenta e costruite dai muratori senza troppa cur a e solidita il terremoto, dopo averle scosse a piu riprese, le consolido.

Ora,

5

se il terremoto fende intere pared e case intere e spacca i muri di grosse torri, per quanto solide siano, e rompe i pilastri posti a sostegno di una costruzione, che modvo c’e che uno consideri cosa degna di attenzione che una statua sia stata divisa dalla testa ai piedi in due parti uguali? 31.

Per quale motivo, tuttavia, il terremoto [cam-

pano] duro pafecchi giomi?

La Campania non cesso

infatti di tremare senza interruzione, piu leggermente si, ma con gravi danni, perche il terremoto faceva tre-

1

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.VI

96

impelli, sed agitari:

nondum videlicet spiritus omnis

exierat, sed adhuc emissa sui parte maiore oberrabat. Inter argumenta, quibus probatur spiritu ista fieri, non 2

est quod dubites et hoc ponere: cum maximus editus tremor est, quo in urbes terrasque saevitum est, non potest par illi subsequi alius, sed post maximum lenes motus sunt, quia rixa vehementius exitum ventis luctantibus

fecit;

reliquiae

deinde

residui

spiritus non

idem possunt, nec illis pugna opus est, cum iam viam invenerint sequanturque ea, qua prima vis ac maxima 3

evasit.

Hoc quoque dignum memoria iudico ab eru-

ditissimo et gravissimo viro cognitum (forte enim, cum hoc evenit, lavabatur):

vidisse se affirmat in balneo

tessellas, quibus solum erat stratum, alteram ab altera separari itemque committi et aquam modo recipi in commissuras pavimento recedente, modo compresso bullire et elidi.

Eundem audivi narrantem vidisse se ma-

cerias mollius crebriusque tremere quam natura duri sink, 1

32. causas:

Haec, Lucili virorum optime, quantum ad ipsas ilia nunc, quae ad confirmationem animorum

Seneca, Trattato sui terremoti

97

mare edifici gia colpiti, per far cadere i quali, gia mal reggentisi in piedi, non c’era bisogno di una forte scossa, ma bastava un leggero movimento: vuol dire che 1’aria non era ancora uscita tutta [dal sottosuolo], ma ce n’era rimasta ancora dell’altra in movimento \_in seno alia terra] dopo la fuoriuscita della maggior parte di essa.

Fra gli argomenti con cui si dimostra che

codesti fenomeni sono causati dalTaria, non c’e ragione di esitare a porre anche questo: a una violen-

2

tissima scossa con cui vengono flagellate citta e territori, non puo seguire una seconda scossa della medesima intensita, ma dopo la massima scossa ne seguono altre

piu

lievi, perche la

lotta

ha gia

grande violenza un passaggio ai venti

aperto con

[sotterranei];

l’aria residua poi non ha piu la stessa potenza, ne ha piu bisogno di lottare, avendo gia trovato la strada aperta e incanalandosi per dove la prima massa d’aria e uscita.

Anche questo fatto, osservato da un uomo

3

dottissimo e autorevolissimo (credo che quando cio avvenne egli stesse facendo il bagno), io ritengo degno di essere ricordato.

Egli assicura di aver vis to nel

bagno le pietruzze da cui era costituito il pavimento staccarsi l’una dalTaltra e poi di nuovo ricomporsi e l’acqua ora entrare nelle giunture, quando il pavimento si apriva, ora al ricomporsi di questo esserne ricacciata gorgogliando.

Ho udito raccontare dalla medesima

persona di aver visto dei muri di pietra a secco col¬ piti da scosse piu frequenti e piu lievi di quanto non permetta una materia naturalmente dura. 32.

Questo, o mio ottimo Lucilio, per quanto con-

cerne le cause;

ora queilo che riguarda il conforto

1

98

2

3

4

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.VI

pertinent! Quos magis refert nostra fortiores fieri quam doctiores, sed alterum sine altero non fit: non enim aliunde animo venit robur quam a bonis artibus, quam a contemplatione naturae. Quern enim non hie ipse casus adversus omnes firmaverit, erexerit? Quid est enim, cur ego hominem aut feram, quid est, cur sagittam aut lanceam tremam? Maiora me pericula exspectant: fulminibus et terris et irriguis naturae partibus petimur. Ingenti itaque animo mors provocanda est, sive nos saevo vastoque impetu aggreditur, sive cottidiano et vulgari exitu. Nihil refert, quam minax veniat quantumque sit quod in nos trahat; quod a nobis petit, minimum est: hoc senectus a nobis ablatura est, auriculae dolor, hoc umoris in nobis corrupti abundantia, hoc cibus parum obsequens stomacho, hoc pes leviter offensus. Pusilla res est hominis anima, sed ingens res contemptus animae. Hanc qui contempsit, securus videbit maria turbari, etiamsi ilia omnes excitaverunt venti, etiamsi aestus aliqua perturbatione mundi totum in terras vertet oceanum; securus aspiciet fulminantis caeli trucem atque horridam faciem, frangantur licet caelum et ignes suos in exitium omnium, in primis suum, misceat; securus aspiciet ruptis compagibus dehiscens solum, ilia licet inferorum regna re-

Seneca, Trattato sui terremoti

99

dello spirito, che a noi maggiormente importa divenga piu forte che piu dotto. avvenire senza l’altra:

Senonche una cosa non puo da nessun’altra parte, infatti,

viene all’animo la forza se non dalla scienza, se non dallo studio della natura.

Quale uomo v’e che non

2

sia stato rafforzato, reso coraggioso contro tutte le awersita proprio dall’attuale disastro?

Che motivo ho

io di temere un uomo o una fiera, che motivo ho io di tremare di fronte a una saetta o a una lancia? Pericoli ben piu grandi mi aspettano.

Noi siamo mi-

nacciati dalla violenza dei fulmini, della terra e dal movimento degli elementi della natura.

Bisogna per-

3

cio sfidare la morte con animo eroico, sia che ci colpisca con impeto feroce e devastatore, sia con l’usuale e comune trapasso da questa vita. minaccioso con

cui

si

Non importa l’aspetto

presenta e la grandezza dei

mezzi che impiega contro di noi; quello che essa ci chiede

e piccola

cosa:

ce

lo

potra portar via

la

vecchiaia, un male di orecchie, un eccesso di umore in suppurazione,

una

germente scorticato.

cattiva

digestione,

un

piede leg-

Cosa di poco conto e la vita

delTuomo, ma grande cosa e il disprezzo della vita. Chi avra saputo disprezzarla, assistera impavido alle tempeste del mare, anche se questo sara sconvolto da tutti i vend, anche se la marea per effetto di qualche cataclisma rovescera sulla terra l’Oceano intero; imperturbabile sosterra la vista truce ed orribile del cielo che scaglia i suoi fulmini, anche se crolli il cielo stesso e unisca insieme i suoi fuochi a rovina di tutte le cose e innanzi tutto sua; imperturbabile vedra spezzarsi la compagine della terra e spalancarsi il suolo, quand’anche dovesserro scoprirsi dinanzi ai suoi occhi

4

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

100

tegantur. 5

Stabit super illam voraginem intrepidus et

fortasse quo debebit cadere, desiliet. quam magna sint, quibus pereo? magnum est.

Quid ad me,

Ipsum perire non

Proinde si volumus esse felices, si nec

hominum nec deorum nec

rerum timore versari, si

despicere fortunam supervacua promittentem, levia minitantem, si volumus tranquille degere et ipsis diis de felicitate controversiam agere, anima in expedito est habenda:

sive illam insidiae, sive morbi petent, sive

hostium gladii, sive insularum cadentium fragor, sive ipsarum ruina terrarum, sive vasta vis ignium urbes agrosque pari clade complexa, qui volet illam accipiat. 6

Quid aliud debeo quam exeuntem hortari et cum bonis ominibus emittere?

“Vade fortiter, vade feliciter*’!

Nihil dubitaveris reddere: non de re, sed de tem¬ pore est quaestio; fads, quod quandoque faciendum est.

Nec rogaveris nec timueris nec te velut in aliquod

malum exiturum tuleris retro, rerum natura te, quae 7

genuit, exspectat et locus melior ac tutior.

Illic non

tremunt terrae nec inter se venti cum magno nubium fragore vastant,

concurrunt, non

non incendia

naufragiorum

totas

regiones urbesque classes

sorbentium

metus est, non arma contrariis disposita vexillis et in mutuam perniciem multorum milium par furor, non pestilentia et cadentibus

ardentes promiscue communes

rogi.

“Istud leve est.

populis

Quid timemus

Seneca, Trattato sui terremoti

101

quei famosi regni infernali.

Egli stara intrepido su

quella voragine e forse balzera giu da se nell’abisso in cui dovra precipitare.

Che m’importa della gran-

dezza delle cause per cui io muoio?

5

II morire stesso

per me non e cosa di grande importanza.

Percio se

noi vogliamo essere felici, se non vogliamo essere in preda alia paura ne degli uomini, ne degli dei, ne dei fenomeni naturali, se vogliamo disprezzare la fortuna che promette vantaggi inutili e minaccia mali di nessuna importanza, se vogliamo vivere tranquillamente e gareggiare in felici ta con gli dei stessi, bisogna tener sempre l’anima pronta alia partenza.

Sia che 1’atten-

dano insidie, sia malattie, sia spade nemiche, sia fragorosi crolli d’isolati, sia il precipitare della terra stessa, sia la devastatrice violenza del fuoco, che avvolge in una medesima catastrofe citta e campagne, chiunque la vorra

se la prenda.

confortarla

altro debbo

io fare che

6

mentre se ne va e lasciarla partire con

parole di buon augurio? licemente'".

Che

"Va’ coraggiosamente, va’ fe-

Non esitare a restituirla:

non si tratta

della cosa in se, si tratta di tempo; tu fai quello che una volta o l’altra bisogna fare.

Non supplicare, non

temere, non tirarti indietro come dovessi andare incontro a un male:

ti attende la natura, quella che ti

ha generato, e un luogo migliore e piu sicuro.

La non

c’e il terremoto, ne i venti si scontrano fra loro con grandi nubifragi, ne gli incendi devastano regioni e citta, non c’e pericolo di naufragi che ingoiano intere flotte, non ci sono armate schierate sotto vessilii nemici e furore di molte migliaia di uomini che si gettano con pari slancio per sterminarsi reciprocamente, non v’e peste ne vi sono roghi che ardono per bruciare

7

102

8

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. 1. VI

grave?

Ut potius semel incidat quam semper impen-

deat”.

Ego autem perire timeam, cum terra ante me

pereat, cum ista quatiantur, quae quatiunt, et in iniuriam nostram non sine sua veniant?

Helicen Burinque

totas mare accepit: ego de uno corpusculo timeam? Supra oppida duo navigatur (duo autem [quae] novimus, quae in nostram notitiam memoria litteris servata perduxit: quam multa alia aliis locis mersa sunt, quot populos aut terra aut infra se mare inclusit!):

ego

recusern mei finem, cum sciam me sine fine non esse? Immo, cum sciam omnia esse finita, ego ultimum su9

spirium timeam?

Quantum potes itaque, ipse te cohor-

tare, Lucili, contra metum mortis: humiles facit;

hie est, qui nos

hie est, qui vitam ipsam, cui parcit,

inquietat ac perdit; hie omnia ista dilatat, terrarum motus et fulmina. cogitaveris 10 longum.

nihil

Quae omnia feres constanter, si

interesse

inter

exiguum

tempus

et

Horae sunt, quas perdimus; puta dies esse,

puta menses, puta annos: perdimus illos nempe perituri.

Quid, oro te, refert, num perveniam ad illos?

Fluit tempus et avidissimos sui deserit; nec quod futurum est meum est, nec quod fuit: in puncto fugientis 11 temporis pendeo, et magni est modicum fuisse.

E’le-

Seneca, Trat tat o sui terremoti

103

alia rinfusa, senza discriminazione, intere popolazioni perite.

"£ cosa di poco conto la morte:

mere come fosse un male grave? nacciarci

continuamente,

venga

perche te-

Piuttosto che miuna

buona

volta!”

Dovrei poi aver paura di morire, quando prima di

8

me perisce la terra, quando questo suolo che ci scuote e scosso esso stesso e non pud farci del male senza fame prima a se stesso?

II mare ha inghiottito per intero

Elice e Buris: io dovro temere per un solo corpicciattolo?

Si naviga sopra due citta (due per quel che

conosciamo, il cui ricordo tramandatoci dalla storia e arrivato a nostra conoscenza; ma quante altre cittii in altre parti

sono

state sommerse,

quanti popoli rac-

chiude dentro di se la terra o il mare!), e io dovrei rifiutarmi di morire, quando so di non essere immortale?

Anzi, sapendo che tutte le cose hanno una fine,

dovro

io

temere il mio ultimo respiro?

Percio, o

9

Lucilio, fortlficati quanto piu puoi contro il timore della morte: e questo timore che ci rende vili, e questo che turba e rovina la stessa vita che essa risparmia; que¬ sto ingrandisce codesti fenomeni, terremoto e fulmini. Tutto cio tu affronterai con coraggio, se tu rifletterai che nessuna differenza c’e fra una breve e una lunga durata della vita.

Sono ore quelle che perdiamo; 10

metti pure che siano dei giorni, dei mesi, degli anni: noi li perdiamo, ma — naturalmente — essendo noi destinati un giorno a perire.

Cosa importa, ti prego,

se io arrivo o no a vedere quei giorni?

Il tempo vola

e abbandona coloro che non se ne saziano mai.

Ne

il futuro e in mano mia ne il passato: io sto sospeso all’attimo fuggente ed e gran cosa non esserne avido. Spiritosamente quel sapiente di Lelio a un tale che 11

L. Annaeus Seneca, Nat. Quaest. l.VI

104

ganter ille Laelius sapiens dicenti cuidam “sexaginta annos habeo”:

« hos », inquit, « dicis sexaginta, quos

non habes ».

Nonne ex hoc quidem inteUegimus in-

comprehensibilis vitae condicionem et sortem temporis 12 semper alieni, quod annos numeramus amissos?

Hoc

affigamus animo, hoc nobis subinde dicamus: “moriendum est”. mors

Quando, quid tua?

tributum

officiumque

omnium remedium est:

Mors naturae lex est, mortalium

malorumque

optavit illam quisquis timet.

Omnibus omissis hoc unum, Lucili, meditare, ne mortis nomen reformides; effice illam tibi cogitatione multa familiarem, ut, si ita tulerit, possis illi et obviam exire.

Seneca, Trattato sui terremoti

diceva:

105

“Io ho sessant’annf’, “tu vuoi alludere” — ri-

spose — “a quei sessant’anni che non hai pm”.

Da

questo fatto che contiamo gli anni perduti, non comprendiamo che la condizione della vita e quella di essere inafferrabile e che la sorte del tempo e quella di

non

appartenerci

mai?

Imprimiamoci bene

nel- 12

l’animo questa verita, e ripetiamola a noi stessi senza posa: bisogna morire.

Quando?

Che te ne importa?

La morte e legge di natura, la morte e il doveroso tributo dei mortali ed e il rimedio di tutti gli affanni.

Chiunque la teme, pur talvolta l’ha desiderata.

Lascia da parte ogni altra cosa e bada, o Lucilio, unicamente a questo, a non aver paura dinanzi a questa parola,

la morte.

meditazione

in

Renditela

maniera che

familiare se

con

1’assidua

le circostanze cosi

vcrranno, tu possa andarle perfino incontro.

NOTE CRITICHE ED ESEGETICHE (II primo numero si riferisce al capitolo, il secondo al paragrafo, il terzo alia riga).

1.2.1.

C. Memmio Regolo e L. Virginio Rufo sono i consoli

del 63 d. C. Tuttavia che il terremoto sia awenuto nel 62 anziche nel 63

ci e

testimoniato da Tacito (attn.

XV

22). Del resto la

data del 62 ci e confermata da Seneca stesso, se bisogna collocare nel 61 un altro terremoto, che egli afferma essere awenuto anno priore (1, 13, 3) in Acaia e in Macedonia. E che questo terremoto vada collocato nel 61 si desume pure dallo stesso Seneca (nat. quaest. VII 28, 2-3), il quale afferma che l’apparire di una cometa annum totum suspectum facit e che il suo nefasto influsso pub esercitarsi sino all’anno successivo, come si e verificato con la cometa apparsa sotto il consolato di Patercolo e Vopisco (60 d. C.), che fu il segno infausto del terremoto dell’Acaia e della Macedonia, awenuto dunque nel 61 d. C. La spiegazione ancora migliore e che i nomi dei consoli Regolo e Virginio siano qui un’aggiunta posteriore, di

Seneca (e

sara stata in tal caso una svista) o di altri. 1,13,2.

Nel 17 d. C. Tacito (ann. II 47) elenca i nomi delle

dodici citta. 2,2,4.

Verg.

2,4,2-3. Hor.

sat

II

Aen.

II 354.

vult...

pituitam?-.

6,

vis tu

92

per siffatto valore del verbo volo, homines

urbemque

feris

praeponere

olivis? 2.9.1. nome.

R

Vagellius: non conosciamo altrimenti un poeta di questo probabile che esso ci sia stato malamente

3.1.2. significare

converti: lo

tramandato.

alcuni edd., trovando strano che Seneca, per

sconvolgimento del cielo adoperi

che di solito ne indica il

il verbo converti,

normale movimento di rotazione,

pre-

feriscono la lezione concuti al converti dei poziori. 6.1.2. p. 486, 35.

Thales Mliesius: cfr. 11 A 15 D. - K. (I, p. 78) e I,

Note critiche ed esegetiche

108

6,2,9.

vi omni\

(in) omni. 7,1,8.

h emendamento del

Europam...

disterminans-.

Gercke,

i

codd.

hanno

il fiume, pero, che separava

l’Europa dall’Asia, non era il Danubio, sibbene il Tanai (Don). Si veda anche Troad. 9. 7.5.1.

add. Leo et Gercke.

7,6,7-8. 8,3,6.

fluctus reliquit Gercke. ad investigandum... miserat: di questa spedizione, effet-

tuata piii a scopo commerciale che scientifico, parla anche Pun. nat. hist. VI 181. 8.4.1.

qui tandem Madvig, quidem codd.

9.1. 1.

[et quidam non] e quasi certamente un’interpolazione: et

quidam non