Gioele. Introduzione, traduzione e commento 9788821569395

L’opera di Gioele è uno tra i libri più brevi, meglio conservati e anche più affascinanti nel canone anticotestamentario

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Gioele. Introduzione, traduzione e commento
 9788821569395

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LAILA LUCCI, biblista, è docente di Lingua ebraica e Libri Sapienziali presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose "A Marvelli" di Rimini.

Copertina: Progetto grafico di Angelo Zenzalari

NUOVA VERSIONE DELLA BIBBIA DAI TESTI ANTICHI

Presentazione :"> sarebbe trattato progressivamente in modo più pieno, così la benedizione del Signore procederebbe in crescendo partendo dalla promessa di abbondanza per giungere al suo culmine, l'effusione dello spirito. Concordemente a ciò Prinsloo individua nel libro una struttura che avanza per gradini ognuno dei quali sarebbe costruito sul precedente33 . Molti studiosi recenti hanno sostenuto la dimensione unitaria del libro di Gioele (Myers, 1962; Keller, 1965; Rudolph, 1971; ecc.), tuttavia in tempi recentissimi autori come Barton (200 l) sono tornati a una valutazione più cauta riguardo all'unità, in base ai contenuti e alla loro disposizione nel testo. Dopo questa breve disamina, si può concludere che la tensione fra giudizio e salvezza, espressione della tradizione spirituale di Israele, resta il punto fermo nell'opera. È lo sfondo unificante sul quale deve essere letta ogni altra tematica del libro; l'inserzione di alcuni brani dovuti a mani diverse, non pregiudica la paternità unitaria del pensiero; anzi, proprio le differenze di temi e prospettive sarebbero all'origine degli inevitabili interventi redazionali, volti a coordinare e a esplicitare il messaggio dell'opera.

Data di composizione La scarsità di indizi cronologici che il libro di Gioele offre e la totale mancanza di notizie sull'autore hanno reso la sua datazio30 R. SIMKINS, Yahweh Activity in History and Nature in the Book ofJoe/, Mellen Press, Lewiston - Queenston - Lampeter 1991, p. 43 7. 31 Cfr. J. BARTON, Joel and Obadiah, cit., p. 13. 32 D.A. HuBBARD, Joel and Amos, cit., p. 33. 33 W. S. PRINSLOO, The Theology of the Book of Joel, de Gruyter, Berlin - New York 1985, p. 123.

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ne assai difficile e controversa. L'unico fatto storico descritto in dettaglio (l'invasione di cavallette) non è databile storicamente, a meno che non si tratti di una metafora per una invasione militare, nel qual caso occorrerebbe una rigorosa indagine storica che non garantirebbe, comunque, risultati certP4 • Una vasta gamma di opinioni circa la datazione della profezia ha diviso eminenti ricercatori fin dalla prima metà del XIX secolo. Fondando la loro indagine sui riferimenti di tipo storico offerti dal testo e sulle caratteristiche lessicali e stilistiche, essi hanno variamente situato la composizione in un periodo di tempo che si estende fra il IX e il II secolo a.C. Considerando come spartiacque l'esilio babilonese (587-536), gli studiosi parlano di datazione preesilica o postesilica. Già nel 1831 Credner situava la nascita dell'opera di Gioele durante il regno di Yoash (ca. 830 a.C.). Questa teoria fece presa su un buon numero di esegeti (Ewald, Pusey, Keil, Von Orelli e, più recentemente, Young, Bic, ecc.). Ricercatori successivi, pur proiettando il libro nel periodo preesilico, ritengono possibile la sua datazione ai secoli VII-VI a.C. (Kapelrud, Steinman, Konig, Stocks, Keller, Rudolph) 35 • Le argomentazioni dei sostenitori della datazione preesilica possono essere così sintetizzate: a) la posizione canonica del libro tra due profeti del secolo VIII a.C. permetterebbe di collocare l'origine del libro di Gioele nel periodo del re Yoash. L'assenza nel testo di qualunque riferimento all'istituto monarchico alluderebbe al periodo di reggenza del sacerdote Yehoyada' (835-825 a.C.; cfr. 2Re 11,1-12,4); b) fra l'elenco delle nazioni di cui si annuncia il giudizio in Gl 4, a causa del loro comportamento nei confronti di Giuda, la menzione dell'Egitto, potrebbe far riferimento all'incursione del faraone Shishaq contro Gerusalemme ai tempi di Rehab' am (l Re 14,25-28), mentre quella di Edom farebbe riferimento alla sua rivolta contro Giuda, al tempo di Y oram, per il controllo della zona meridionale del paese (2Re 8,20-22); c) Tiro e Sidone associate ai Filistei, tradizionali nemici di Israele, sono accusati di aver venduto J. BARTON, Joel and Obadìah, cit., p. 15. Cfr. L. ALONSO SCHOKEL- J.L. SICRE, l Profeti, ci t., pp. l 049-1 050; J.A.N. JosTEN- E. BoNs- E. KEssLER, Les Douze prophètes, cit., p. 24. 34

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gli abitanti di Giuda (cfr. Am 1,9-10) agli Ionii (gli «Yavaniti»: Gl 4,6), famosi mercanti greci di schiavi. Tutti questi popoli avrebbero avuto contatti con Sargon II di Assiria verso la fine del secolo VIII; d) il testo non menziona Siria, Assiria e Babilonia, perché allora non costituivano un pericolo per Israele; e) la deportazione del popolo di Israele ricordata in 4,2 non farebbe riferimento a quella babilonese del587 a.C., ma a quella di Samaria ad opera degli Assiri (720 a.C.) o, tutt'al più, a quella del 597 a.C.; f) Gioele condividerebbe con la letteratura profetica precedente, o contemporanea all'esilio, vari elementi (il tema del «giorno di YHWH» si ritrova in Isaia, Sofonia, Ezechiele, mentre l'immagine delle cavallette viene utilizzata da Naum) e ci sarebbero rapporti chiari con Geremia; g) lo stile letterario di Gioele, elegante, vario, personale, con un lessico ricco di parole rare, non può che ricordare l'ultimo periodo monarchico. La tesi di una datazione postesilica, collocata variamente tra la fine del VI e l'inizio del II secolo a.C., raccoglie il maggior numero di consensi fra gli studiosi (Vatke, Robinson, Chary, Thompson, Bourke, Neil, Weiser, Treves, Dorme, Wollf, Myers, Stephenson, Alonso Schokel, Barton, Bewer, Bernini, ecc.). Utilizzando in parte le medesime argomentazioni dei sostenitori della tesi opposta, questi giungono a conclusioni assai diverse, che possono essere sintetizzate come segue: a) se il libro di Gioele è stato scritto nel periodo monarchico, perché non menziona l'istituzione regale, come era d'uso presso i profeti preesilici? b) la comunità descritta da Gioele appare ben strutturata attorno al tempio, il cui culto e sacerdozio vengono tenuti in alta considerazione, contrariamente all'atteggiamento critico degli antichi profeti; il quadro sarebbe quello del postesilio nel quale l'autorità è esercitata dai sacerdoti; c) 4,2 sembra alludere alla deportazione degli Israeliti in Babilonia, come fatto già avvenuto da tempo, tanto più che Assiria e Babilonia, nemiche del periodo preesilico, non vengono menzionate; d) la menzione in 2,9 delle mura di Gerusalemme indicherebbe una data posteriore alla loro ricostruzione, che fu condotta a termine sotto la direzione di Neemia nel445 a.C.; questo, pertanto, diventerebbe il termine post quem per la composizione di Gioele; e) il termine ante quem sarebbe evidente in 4,4, che associa le città fenicie di

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Tiro e Sidone nel commercio con quelle filistee. La città di Sidone fu distrutta da Artaserse III nel 343 a.C., dopo di che non sarebbe più possibile attribuirle attività commerciali; f) la menzione degli Y a v aniti in 4,6 alluderebbe ai Greci dell'epoca ellenistica; g) non viene mai menzionato il regno di Israele, che ormai sarebbe assimilato a Giuda; h) in molti dei numerosi passi paralleli con altri libri dell'Antico Testamento è sicuramente Gioele ad aver citato opere precedenti; valga per tutti la citazione in Gl 3,5 di Abd 17, composto dopo la metà del V secolo a.C.; i) l'apocalittica, secondo il cui stile è costruita la seconda metà del libro, è un genere letterario successivo; l) la terminologia usata da Gioele è ricca di aramaismi in accordo con l 'ultimo periodo letterario dell'Antico Testamento. Nessuna delle motivazioni per l'una o per l'altra datazione appare inattaccabile, essendo ciascuna un indizio orientativo e non un'argomentazione apodittica. Occorre inoltre tenere presente che, in quanto opera letteraria, il libro di Gioele utilizza eventi, luoghi e immagini in maniera simbolica, il che rende piuttosto azzardato ogni tentativo di attribuire a questi una consistenza cronologica. A nostro avviso, gli elementi più solidi ai fini della datazione del libro di Gioele andrebbero ricercati sul piano linguistico-letterario: gli aramaismi in particolare e le già ben definite immagini, che diventeranno appannaggio della letteratura apocalittica, rimandano al periodo degli ultimi scritti anticotestamentari. Se a ciò si aggiunge l'eleganza della poesia di Gioele, si può pensare l'autore proiettato nel periodo in cui gli scribi studiavano testi già raccolti; è un periodo che saluta da lontano il ritorno dall'esilio.

TESTO E TRASMISSIONE DEL TESTO

Il contenuto fondamentale del messaggio del libro di Gioele risale, come si è detto, a un pensiero unitario, così come la struttura di base dei quattro capitoli; ciò non toglie che si siano potute verificare aggiunte di altra mano, di cui la più certa è il brano in prosa in Gl 4,4-8. Anche Gl4,18-21 potrebbe essere un'espansione del messaggio finale di salvezza immediatamente precedente (Gl4, 15-17).

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Il libro di Gioele si presenta come un testo ben conservato e non ha avuto grandi problemi di trasmissione. Le questioni interpretative non sono frequenti e la presenza di hapax e cruces interpretum, lungi dali' essere una difficoltà insormontabile, costituiscono proprio l'originalità di questo acculturato autore. Qualche irregolarità nella sintassi è legata, non solo allo stile dello scrittore, ma anche al fatto che il testo è scritto fondamentalmente in una poesia, cui manca la regolarità delle strofe. Le incertezze sul piano testuale vengono talora dal confronto con quelle versioni che leggono una vocalizzazione del testo ebraico diversa da quella presentataci dal Testo Masoretico e che inducono a volte a ipotizzare un testo consonantico diverso. È il caso della Settanta, la quale talora attualizza il testo ebraico adattandolo alle abitudini linguistiche dell'ambiente greco o gli conferisce inftessioni teologiche diverse elaborate sul midrash 36 • La profezia di Gioele è stata immediatamente recepita e tradotta progressivamente nelle lingue più antiche, a partire dal greco, poi in latino, siriaco e via via nelle varie lingue più recenti. Essa è presente fra i rotoli ritrovati a Qumran ed è stata commentata dai rabbini secondo le modalìtà del midrash. Si trova in tutte le edizioni moderne della Bibbia, le quali differiscono talora nella divisione dei capitoli. Alcuni autori adottano la divisione del libro in tre soli capitoli, rispetto ai quattro utilizzati dalla maggior parte delle edizioni. Nel 1205 Stephen Langdon, infatti, divise il testo latino della Vulgata in tre capitoli (1, 1-20; 2, 1-32; 3,1-21 ); due secoli più tardi la stessa divisione fu applicata alla Settanta e anche al Testo Masoretico, ma nel XVI secolo i rabbini preferirono la divisione quadripartita (1,1-20; 2,1-27; 3,1-5; 4,1-21), che compare tuttora nelle Bibbie ebraiche. Essa è adottata da molte traduzioni moderne, mentre la divisione in tre capitoli compare spesso nelle traduzioni in lingua inglese.

36 Cfr. S.P. CARBONE- G. Rizzr, Aggeo, Gioele, Giona, Malachia: secondo il testo ebraico masoretico, secondo la versione greca della LXX, secondo la parafrasi aramaica targumica,

Dehoniane, Bologna 2001, p. 134.

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GIOELE

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GIOELE 1,1

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1,1 Parola di YHWH (il~il~-,;l''l) - Il sintagma ricorre nella Bibbia 242 volte e serve a indicare ciò che Dio dice, spesso per bocca di un profeta. Nella maggior parte dei casi 1~1 è l'espressione del pensiero e della volontà di Dio, è la forma volitiva con cui Dio si manifesta; per cui nel titolo del libro è espressa

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anche la coscienza che il profeta ha della sua autorevolezza, in quanto depositario del pensiero di YHWH su quella particolare situazione. Petuel (,~,n~)- La lezione è sostenuta dalla Vulgata (Fatuhel). La Settanta rende con Ba!lolJilÀ, che identificherebbe il nome con quello diBetuel,padrediRebecca(Gen22,22-23;24,15).

TITOLO (1,1) Il libro esordisce con una formula comune ai libri profetici: «Parola di YHWH che fu rivolta a ... ». L'esordio si trova in forma identica in Os 1,1; Mi 1,1; Sof 1,1 e in forma simile in Gio l, l; Ag l, l; Zc l, l; MI l, l. Tuttavia l' incipit di Osea, Michea e Sofonia (oltre a quello di Amos) forniscono, in aggiunta, informazioni non solo di tipo personale, ma anche di carattere storico, riguardanti i re di Giuda e di Israele durante il periodo della loro attività. Questo permette di inquadrare la loro opera in un periodo storico ben definito. Gli, l non presenta alcuna annotazione cronologica, ma solo l'indicazione della paternità del profeta, personaggio peraltro non conosciuto. Questo elemento crea ovvie difficoltà nel determinare la datazione del libro. Secondo la prassi biblica, le prime parole di questo libro, d'bar-YHWH («parola di YHWH»), non solo ne costituiscono il titolo, ma ne qualificano anche il messaggio come profezia: non si tratta di una parola qualunque, ma di un messaggio inviato da Dio e da lui affidato a un uomo appositamente scelto. Anche se non viene specificato il modo di ricezione del messaggio divino (di Amos e Abdia si dice che ebbero visioni: Am l, l; Abd l; di Abacuc che riceve un oracolo: Ab l, l), il suo contenuto viene dali' alto e Gioele viene designato come un ambasciatore al servizio di Dio. Il suo nome,y6 'el («YHWH è Dio»), potrebbe essere una finzione letteraria, una proclamazione di fede nella sovranità di YHWH, che contribuisce a dare autorevolezza al suo messaggio e a sintetizzame il contenuto.

FLAGELLI E INVITI ALLA PENITENZA (1,2-2,17) L'unità di 1,2-2,17 è resa evidente dai temi, dai campi semantici e dai modi verbali che la percorrono trasversalmente, come l'impressionante sequenza di imperativi («raccontate»: l ,3; «destatevi»: l ,5; «fai lamento»: l ,8; «siate confusi»: 1,11; «cingetevi»: 1,13; ecc.). Il lessico legato al mondo agricolo (campagna, locuste, bruco, viti, fichi, grano, buoi, pecore, animali selvatici), quello liturgico-penitenziale (lamento, digiuno, sacco, convocazione sacra, conversione) e il linguaggio bellico (allarme, cavalli, carri, guerrieri) si intrecciano in un gioco di ripetizioni (1,9.13; 2,1.11.15) e parallelismi (2,16.17) che, insieme alle vivide immagini, compongono un linguaggio raffinato ed evocativo. Con l ,2 inizia la prima parte del libro (l ,2-2, 17) che descrive calamità per

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GIOELE 1,2

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Parola di YHWH, che fu rivolta a Gioele, figlio di Petuel.

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Ascoltate questo, anziani, e tendete l'orecchio abitanti tutti del paese.

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•:• 1,1 Testi affini: Ger l,l-2; Ez 1,3; Os 1,1; Aro l, l; Gio l, l; Mi 1,1; Sofl,l; Zc 1,1 1,2 Ascoltate questo (nttn;~T?!Li)- La gravità del messaggio è introdotta da un invito particolarmente solenne, reso dal verbo all'imperativo. Il dimostrativo nN t serve a preparare enfaticamente la condizione di speciale

serietà del messaggio che segue. Per alcuni autori la formula rispecchia lo stile usato nei circoli sapienziali per suscitare attenzione (Gb 13,17; Pr 4,10; Sir 6,23; ecc.). Questo invito all'ascolto di tipo sapienziale ha permeato di sé anche altri libri (Dt4,l; 5,1; 6,4; ISam 15,1; IRe 22,19; ecc.) e i salmi di sup-

nulla infrequenti nel Vicino Oriente antico e verosimilmente accadute in Giudea: l'invasione di insetti roditori (1,3-18) e il sopravvenire di una perdurante siccità (l, 19-20), con le loro terribili conseguenze sul territorio. Il profeta si rivolge agli abitanti dell'intera regione appellandone le varie categorie, affinché prendano coscienza della gravità delle sciagure accadute: i bevitori di vino (l ,5-7) e i contadini (l, 11-12) sono chiamati alla consapevolezza dei gravi danni ai raccolti; tutto il popolo (l ,8-10) è convocato a fare cordoglio; i sacerdoti sono esortati a indire assemblee penitenziali (l ,13-14). In particolare gli anziani del paese, depositari e tradenti della memoria del popolo, sono apostrofati secondo la forma tradizionale della spiritualità ebraica («ascoltate questa»: 1,2). Il richiamo all'ascolto non è primariamente finalizzato ad attirare l'attenzione sul quadro del disastro naturale; è piuttosto un espediente letterario, che proietta l'interesse, al di là delle sciagure, sugli ammonimenti profeti ci che ne derivano. È un imperioso invito che il profeta pronuncia a nome di Y HWH, la cui maestosa presenza è annunciata nel suo «giorno» prossimo a venire e, tuttavia, già presente nella devastazione della natura che egli domina (2,1-2; 2,10-11). Tutti dovranno imparare a riconoscere il piano divino nel giorno in cui il Signore visita il suo popolo (l, 15; 2, 1.11 ); soprattutto ognuno dovrà recuperare un nuovo rapporto di sincera comunione con il suo Dio (2,13). L'unità letteraria svolge il suo tema in un pathos crescente: dopo il richiamo all'ascolto (1,2-4), si passa alla descrizione dei flagelli (1,5-14) e del «giorno di YHWH» (2,1-11), per giungere alla supplica e alla penitenza davanti a lui (1,15-20; 2, 12-17), che arriva ad assumere una forma liturgica. Il pentimento del popolo provocherà la risposta benevola del Dio misericordioso, che in 2,18 annuncerà il cambiamento della situazione nel paese. Qui, appunto, inizia la seconda parte dell'opera.

1,2-4 Invito all'ascolto Definita la natura divina della sua parola (l, l), il profeta ha l'autorità del messaggero che lancia il suo proclama con una serie di imperativi, i quali determinano la strofa iniziale (l ,2-4 ). Un richiamo all'ascolto. Il primo solenne comando è definito dal verbo sim 'u («ascoltate»), la cui radice è assai presente nella tradizione spirituale di Israele.

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GIOELE 1,3

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to dubbio, per il parallelismo con i vocaboli precedenti, vengono sempre considerati un tipo di locusta. Molti traduttori preferiscono, invece, rendere p~~- con «bruco» e L;,•o~;t con «grillo» seguendo la Settanta (ppouxoç; Épua(PTJ) e la Vulgata (bruchus; rubigo). Infine è stata proposta la possibilità che i quattro termini indichino le varie fasi di metamorfosi dell'insetto. •:• 1,2-4 Testi affini: Ger 6, 18-19; Am 5,1-3 1,5 Piangete ... fate lamento ot,L;,•m 1::1:;1)- È una formula di convocazione per una liturgia penitenziale pubblica, che in Israele poteva essere indetta dal sovrano (l Re 21 ,8-9) e proclamata dagli anziani o, comunque, da

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messaggeri. Le formule di indizione si ripetono trasversalmente in modo simile nei libri biblici e contemplano la proclamazione di un digiuno (IRe 21,9.12; Ger 36,9; Gio 3,5; Esd 8,21; 2Cr 20,3 ), l 'uso deli' abito dimesso (Is 22,12; Ger 4,8; 6,26), il lamento (Ger 49,3; Gl 1,11.13), il pianto (2Sam 1,24; Gl2,17), il gridare (Is 14,31; Ez 21, 17), il lacerare le vesti (2Sam 3,31; Gl1,8; 2,13). Voi tutti che bevete vino •n.w-t,:r) L'espressione non rende esplicitamente l'idea de li 'ubriachezza, anche se può esservi sottintesa. In questo senso va la glossa esplicativa Eiç j.1É9TJV («fino all'ubriachezza»), introdotta dalla Settanta.

, con la quale tanto spesso si identifica il popolo di Israele che geme sulla sciaguradelpaese(Is 1,8;Ger6,26,Mi 1,16; Lam 1,9.11). Cinta di sacco (p~rnJ~O)- Il segno di lutto e penitenza più comune era il cilicio (o «cintura di sacco»), intessuto di peli di capra (cfr.

delle locuste, che procede per metafore che si sommano e si sovrappongono. Le locuste sono progressivamente assimilate a un popolo, con caratteri di predatori. L'immagine del popolo potente e innumerevole è utilizzata per ben quattro volte nella prima parte libro (cfr. 2,2.5.11) e contribuisce alla sua unità letteraria. I denti de1leone e le fauci della leonessa rendono assai bene l'idea della voracità e della forza, che non lasciano scampo alla vittima designata. Dalla figura impressionante degli insetti, mediante uno splendido gioco di allitterazioni e assonanze, al v. 7 l'attenzione si focalizza sulle piante che vengono divorate. Non a caso sono menzionate per prime la vite e il fico, che nell' ATappaiono associate come simbolo di prosperità (2Re 18,31) e di pace (Mi 4,4; Zc 3,10), frutto della benedizione divina. L'immagine della loro spogliazione, fino alla distruzione completa, è segno che il favore di YHWH si è allontanato dal suo popolo. Benedizione e maledizione agricola si ritrovano in Dt 28 e sono collegate ali' osservanza o meno dei precetti divini, cosicché, anche se non è apertamente menzionato un peccato da parte del popolo, ne sono descritti gli effetti. La presentazione della desolazione crea anche l'attesa della convocazione alla liturgia penitenziale successiva (1,13-14). Viene in questo modo già aperto un remoto spiraglio sulla speranza del futuro perdono divino. La convocazione alla penitenza (vv. 8-10). Con l'invito al lamento del v. 8

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GIOELE 1,9

Ha ridotto la mia vigna una desolazione e miei fichi in ceppi; li ha completamente scortecciati e gettati, i loro rami appaiono bianchi. 8Fa' lamento come una vergine, cinta di sacco per lo sposo della sua g10vmezza. 9 Sono scomparse offerta e libagione dal tempio di YHwH; fanno lutto i sacerdoti, ministri di YHWH. 7

ls 3,24; Am 8, l 0), che veniva indossato sulla nuda pelle in situazioni di disgrazia personale, ma anche nelle occasioni di lamento comunitario. L'immagine della donna vestita di sacco ricorda Giuditta nella sua vedovanza(Gdt8,5;9,1). Per lo sposo (',l] :;l-';,lJ) - Molti traducono «fidanzato» ritenendolo termine che meglio si relaziona con «come una vergine». L'espressione çt'l.1ll~ ';,lJ:;l («sposo della sua giovinezza») è un hapax, anche se presenta un parallelo con «sposa della tua giovinezza» (-:p1ll~ n~~) (Pr 5,18; MI 2,14-15; cfr. Is 54,6). Il Testo Masoretico potrebbe fare riferimento al grado del fidanzamento in cui i giovani,

pur non coabitando, risultano legalmente sposati (cfr. Dt 22,23-24). La traduzione CEI: «lamentati come una vergine che si è cinta di sacco per il lutto e piange per lo sposo della sua giovinezza» contiene evidenti aggiunte esplicative. 1,9 Offerta e libagione- Nei testi postesilici (Es 29,38-42; Lv 23, 13.18; N m 15,24) i1~m~ («offerta») e l9J («libagione») sono le offerte quotidiane di farina e olio miste a sale, che accompagnavano l'olocausto del mattino e della sera e che la comunità postesilica portava al tempio dopo la sua dedicazione nel 515 d.C. Questo potrebbe costituire una conferma della datazione del libro al periodo del secondo tempio.

inizia esplicitamente la convocazione a penitenza (l ,8.13-14 ), che si articola secondo un genere letterario attestante l'uso di cerimonie per il lamento comunitario in Israele, nei momenti di emergenza per la nazione o in presenza di fatti particolarmente gravi (2Sam 3,31; Ger 4,8; 6,26; 25,34). Non viene specificato il destinatario dell'invito. Esso è rappresentato dall'immagine di una giovane che piange il fidanzato perduto («Fa' lamento come una vergine ... per lo sposo della sua giovinezza»). La metafora di una condizione particolarmente dolorosa nella cultura di Israele, una giovane che non giungerà alla consumazione delle nozze, esprime bene la grande sofferenza nella quale il popolo si troverà di lì in avanti. Fra i motivi del lamento (v. 9) non compaiono in primo piano le privazioni alle quali sono sottoposti i cittadini, ma quelle sofferte dal tempio di YHWH. Sono scomparsi dal tempio i cereali e il vino da presentare come offerte secondo le prescrizioni di Lv 2 e Nm 28,3-8. La scomparsa delle offerte è gravida di conseguenze. Il culto, fonte di vita e di comunione con Dio, viene compromesso e i sacerdoti non solo vengono esautorati dalla loro funzione (cfr. Ez 44,15-31 ), ma sono anche privati di quel sostentamento che viene loro dalle offerte medesime. Essi sono dunque indicati come vittime particolari della situazione in quanto non è più permesso loro di gioire davanti a Dio (cfr. Dt 16, Il; 26, 11 ); devono piuttosto

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Fanno lutto 0,:::1~) - La Settanta rende con l'imperativo TIEV8ELTE (fate lamento), leggendo,,~~- Vari commentatori seguono questa lezione, ritenendo cosa insolita il qatal ebraico in un contesto esortativo e considerando l'imperativo «fate lutto» più adatto al contesto generale di invito al pianto (cfr. ,,,,,;:;, «fate lamento» in l ,5.11.13 ). Altri autori conservano la lettura del Testo Masoretico, ma ritengono che essa segnali un problema negli antichi stadi della trasmissione. Una soluzione potrebbe essere quella di una diversa costruzione dei versetti, secondo questa sequenza: 9b, 8, 9a, IO. 1,10 La campagna è devastata (i1"!~ i"}tp)L'allitterazione, impossibile da rendere nella traduzione italiana, continua nell'intero ver-

1io/~ w~~M-~f.

setto, che presenta anche un'inversione dei medesimi suoni (t!lii'M tD'::lii1, «il mosto si è asciugato»). Piange (i17~~)- Rendendo con l'imperativo TIEV8E (T w («pianga»), la Settanta dimostra di continuare il contesto esortativo, mentre la Vulgata si mantiene vicina al Testo Masoretico traducendo luxit («pianse»). Alcuni autori preferiscono tradurre sulla base di una seconda radice ':!N, che significherebbe «essere arido», ritenendo inadatto attribuire a una realtà inanimata lo stesso lamento attribuito ai sacerdoti. In realtà non è estranea al pensiero biblico l'idea di oggetti inanimati che fanno il lutto: in ls 3,26 sono le porte della città; in Ger 12, l O-Il è il campo prediletto di YHwH; in Lam 1,4 sono le strade di Gerusalemme.

fare il lamento. Un versetto ricco di allitterazioni, assonanze e parallelismi (v. l O) presenta la terra stessa in lutto: «la terra piange». Come presso tutte le culture primitive la terra è considerata un personaggio femminile, che genera vita. Privare la terra dei suoi frutti significa toglierle la maternità, come una donna cui vengono uccisi i figli. Grano, vino e olio, materia delle offerte al tempio ma anche fonte di sostentamento per il popolo, vengono ora menzionati esplicitamente. Gioele sembra qui voler porre a confronto la situazione economica legata allo stato di grazia e quella conseguente la situazione di peccato. Gli agricoltori e i vignaioli (vv. 11-12). Con il v. Il l'attenzione si focalizza sugli agricoltori e i vignaioli (cfr. Is 61 ,5; 2Cr 26, l 0), una nuova categoria di per-

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GIOELE 1,12

La campagna è devastata, la terra piange, perché il grano è devastato, il mosto si è asciugato, l'olio manca. 11 Siate confusi, agricoltori, fate lamento, vignaioli, per il grano e per l'orzo, perché è svanito il raccolto dei campi. 12La vite è secca e il fico languisce; il melograno, la palma e il melo: tutti gli alberi della campagna sono inariditi. È svanita la gioia tra gli uomini. 10

1,11 Siate confusi - Interpretiamo il!i'::Jh come derivante dalla radice l!i,::l («vergognarsi», «essere confuso») e non da l!i::J' («seccarsi»). La Settanta attinge a quest'ultima traducendo, però, con l'aoristo ÈI;T)pav9rjaav («furono seccati»), secondo il tempo verbale nel versetto che precede. La Vulgata preferisce la derivazione dalla prima radice, interpretando la forma ebraica come qatal e non come imperativo: confusi sunt(«sono confusi»). Naturalmente il senso in questo versetto è limitato ali' idea di confusione e smarrimento degli agricoltori davanti alla perdita del raccolto. Fate lamento (i','~'i1)- Come il precedente il!i'::Jh, potrebbe essere inteso sia come qatal, sia come imperativo. Il contesto esortativo spinge verso la seconda opzione (cfr. nota a 1,9).

1,12 La vite è secca (il'ii'::JÌil 1~~.i1) -Contrariamente a quanto avviene al v. Il, la forma il'ii'::JÌil deriva chiaramente dal verbo l!i::J' («seccarsi»). La Vulgata traduce, come nel verso precedente, con il verbo confondo (vinea confo.sa est, che si potrebbe rendere con «la vigna è sconvolta»). È svanita la gioia (1iiD~ lU':;lh-':!l)- L'emistichio, che contiene un altro gioco allitterativo, è introdotto da un ':l con funzione enfatica. Esso non serve a spiegare la causa del disastro, ma ne presenta i risultati e non è necessaria la sua traduzione in italiano. È come se si dicesse: «davvero è svanita la gioia». Qui il verbo l!i,::l (da cui deriva la forma lU':;lh) esprime la delusione per una realtà vanificata, rappresentata dalla gioia de l raccolto.

sone direttamente legata ai prodotti della terra. Come compenso alla loro fatica, a questi lavoratori spetta, in tempi favorevoli, di gioire per primi di quel raccolto che servirà da sostentamento per il resto del popolo. Tra i prodotti della terra vengono nuovamente menzionati il grano, la vite e il fico cui sono aggiunti altri frutti caratteristici della Palestina: il melograno (Nm 13,23; Dt 8,8), la palma e il melo (Ct 2,3). Il raccolto è la realizzazione della promessa di Dt 8,7-10 e ad esso in Israele erano legate alcune feste gioiose: la festa delle primizie (Dt 26, 1-11 ), la Pentecoste (Dt 16,9-12), la festa delle Capanne (Dt 16,13-15). Ora la fonte della gioia si è inaridita, per questo gli agricoltori soffrono, come i genitori per la mancanza di figli.

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GIOELE 1,13

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1,13 Cingetevi (,"1~11)- È una costruzione ellittica, che sottintende il «cilicio» espresso, per il parallelismo degli elementi, in 13b («vestiti di sacco», C'PW~ ,J'':l). Piangete (,i >;lO) - L'azione del lamento espressa mediante il verbo iElO comprendeva anche il battersi (cfr. la traduzione della Settanta TIEpl(woao9E Kaì. KOTITE09E, «cingetevi e battetevi il pettO>)) o graffiare il petto nudo. Fate lamento- L'ebraico ,',,':l'i} viene tradotto anche «urlate» (così, p. es., la versione CEI) in quanto esprime il pianto rituale fatto ad alta voce (cfr. Ger 4,8). Vegliate (,J'':l) - Con indosso il «sacco»,

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sottolinea la continuità dell'atteggiamento penitenziale anche di notte. Il mio Dio (':·6~)- Sembra in contrasto con «il vostro Dio);" (C=?'ii':l~) del versetto successivo. In realtà la diversità potrebbe esprimere nella prima occorrenza la funzione autoritativa del profeta, che convoca; nella seconda la volontà di coinvolgere sacerdoti e popolo nella liturgia penitenziale. I pronomi enfatizzano la solidarietà fra il profeta e i sacerdoti, poiché una minaccia li ha coinvolti nello stesso pericolo. 1,14 Proclamate un digiuno (ci::n~"'lp)- Il significato letterale ::> h" T

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2,2 Tenebra e oscurità ... nubi e fitta nebbia

(':l=:i'WJ H~ · .. :17=:1~J lWh)- Secondo alcuni commentatori la scena è debitrice verso le teofanie della tradizione del Sinai (Dt 4, Il; Es 19,16), ma l'associazione dei medesimi elementi appare già nella predicazione profetica (Sof 1,15; ls 8,22). Il parallelo più stretto pare essere con Sof l, 14-16, che può essere servito da modello a Gioele e con il quale condivide termini chiave: «È vicino (::li,R) il gran giorno del Signore ... Giorno

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di collera quel giorno, giorno di angustia e di tribolazione, giorno di turbine e di tempesta, giorno di tenebra e di oscurità (:-T'?>:~~J lWn), e giorno di nubi e di fitta nebbia (':l~l~J 1~~), giorno (di suono) di como e di grida di battaglia (:1~~,t;1~ ,~;w l:li')». Anche in Am 5,18 la menzione delle tenebre gioca un ruolo importante nel preludere a minacce di rovina e devastazione, ma in Gioele i quattro termini sono collocati uno dopo l'altro in modo da avere un effetto cumulativo di grande forza.

di messaggio attinente alla sfera del sacro (come una convocazione religiosa). Qui si tratta dell'annuncio di un pericolo (un'invasione nemica) e della convocazione a battaglia imminente, come sottolineato dal grido di guerra che deve levarsi. Tuttavia il nostro contesto mantiene in qualche modo anche un'aurea di sacralità, confermata dal passaggio alla prima persona in 2, l: «sul mio santo monte», un'espressione che la Bibbia pone esclusivamente sulla bocca di YHWH. Il concetto di «monte santo» come sede regale di un dio ha radici molto antiche nel Vicino Oriente antico e a maggior ragione appartiene a Zion, il luogo sul quale YHWH ha scelto di costruirsi la dimora nella quale abitare in mezzo al suo popolo. L'intimazione «tremino» funge da avvertimento da parte del profeta circa la gravità della situazione che si sta verificando; la motivazione è: «perché sta arrivando il giorno di YHWH». Si tratta di un pericolo militare, che tuttavia sfuma verso implicazioni cosmiche, più chiare ai vv. l 0-11. Se nella descrizione di fenomeni teofanici che accompagnano quel giorno Gioele si mostra figlio della tradizione, il suo genio poetico non ne acquisisce pedissequamente gli elementi; ne sceglie alcuni che nelle sue mani si trasformano. «Le cavallette volano in nubi dense c nere eclissando il sole e causando una paurosa oscurità. Nelle mani di (ìioclc quel volo diventa la nuvola della teofania, l'oscurità diventa le tenebre

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GIOELE2,2

giomo di tenebra e oscurità, giorno di nubi e fitta nebbia. Un popolo numeroso e forte è come aurora stesa sui monti: come lui non ce n'è stato dai tempi antichi e dopo di lui non ce ne sarà (un altro) negli anni delle generazioni future.

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È come aurora stesa sui monti (1:1'1çtry-?~ ~!.~ 1D~:P)- Alcuni commentatori hanno proposto di emendare 10~~ («come aurora») in 1h~;, («come tenebra»), in armonia con la menzione di tenebre e oscurità in 2a. In realtà la variazione non appare necessaria, sia perché è proprio del linguaggio biblico parlare di luce dell'alba (e non di tenebra) che si spande, sia perché l'immagine offerta da 2b è quella di un esercito nemico che si accampa sui

monti a est della città, dai quali è possibile controllarne l'assedio: per gli abitanti di Gerusalemme il sole che sorge diffonde, appunto, la sua luce a oriente della città. La versione CEI traduce liberamente il verbo~")~ (participio qal passivo) all'attivo («si spande») concordandolo con «popolo». Generazioni future - L'espressione ebraica 1i11 1i"l (alla lettera: «generazione e generazione») va intesa come l'indicazione di un'estensione futura indeterminata.

numinose e caotiche del giorno di YHWH» (Bourke, 24). Anche la funzione dei termini mutuati dalla tradizione cambia: se l'aggregato di «tenebra e oscurità, giorno di nubi e fitta nebbia>> avrebbe avuto, nella tradizione del Sinai (Es 19, 16; Dt 4,11) e nella predicazione profeti ca (Sof l, 15; Is 8,22), lo scopo di sottolineare la presenza di Dio in mezzo al suo popolo, in Gl2,2 la sua funzione è piuttosto quella di oscurare qualunque altra luce, perché l'attenzione venga focalizzata solo su di Lui. Dall'immagine del buio 2,2b passa a quella della luce: l'immagine dell'«aurora stesa sui monti» può essere letta in riferimento a Gdc 9,34-41 che, in forma narrativa simile, descrive l'invasione di un esercito; qui, però, il senso potrebbe essere che perfino l'alba, normalmente tempo di rinnovata speranza, si mostrerà una "falsa alba", perché rivelerà la presenza di un grande e potente esercito. L'ultima parte del versetto non deve essere presa alla lettera. «Come lui non ce n'è stato dai tempi antichi e dopo di lui non ce ne sarà (un altro) negli anni delle generazioni future» non significa che si tratta di un fenomeno assolutamente inedito nella storia dell'umanità, impossibile nel futuro, né tanto meno che si tratti di un giorno escatologico, ma semplicemente che è unico nella sua gravità. Che la distruzione totale non sia il convincimento del profeta si evince dal successivo invito alla penitenza ai vv. 12-17.

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GIOELE 2,3

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2,3 Davanti a lui... dietro a lui (1'10~1 ... 1·~~',)- «Davanti a lui», che ricorre anche ai vv. 6.1 O, e «dietro a lui» sono in posizione enfatica. Un fuoco divora... arde una fiamma (:1?:;-t? t!l;:t~I;l .. -~iK. :17=?~)- La menzione di «fuoco» e «fiamma» è un diretto richiamo a l, 19, ma in 2,3 il verbo t!l:-1? («arde»), usato allo yiqtol piel, attribuisce intensità all'azione. Rispetto al c. l l'effetto è un crescendo di vigore nell'immagine della desolazione già presentata in l, 17. Scampo - L'ebraico :1~'~5l ricorre 29 volte nell'AT (Gdc 21,17; 2Sam 15,14; Gl3,5;Abd 17; Esd 9,8.13; 2Cr20,24; ecc.), nel significato concreto di «superstite» a situazioni difficili o pericolose e in quello astratto di «scampo». Il termine è «spesso usato per coloro che sono scampati al grande

ii1~lQ

giudizio di Dio sul popolo (cfr. ls 4,2; ecc), come mostra il Targum nel commento a Gl 2,3, che lo connette direttamente al giorno di YHWH» (Carbone-Rizzi, 167). Nel nostro testo l'annunciata distruzione da parte del nemico ha la funzione di preparare il nuovo invito alla penitenza, che sarà prospettato ai vv. 12-17. 2,4 Cavalli (C'O"O) - l cavalli evocavano in Israele il terrore degli eserciti nemici ed erano simbolo della ferocia e delle sofferenze legate alle invasioni militari e alle guerre (cfr. ls 30, 15-16; Ger 4,13; Ab 1,8). Paragonare il numero sterminato delle locuste ad altrettanti cavalli (alla lettera la frase ebraica suona: «come aspetto di cavalli è il loro aspetto») aumenta in Gioele la drammaticità della scena. Il paragone tra locuste e cavalli si ritrova anche in Gb 39,20, mentre tutti i

Immagini e suoni dell'invasione (vv. 3-5). Con il v. 3 inizia la descrizione degli effetti dell'invasione. Il linguaggio e le immagini sono quelle utilizzate nelle teofanie tradizionali, a partire dal fuoco divorante e dalla fiamma ardente. Anche se «davanti a lui» dice riferimento al popolo invasore, tuttavia è parte della tradizione di Israele attribuire a Dio la forza distruttiva, purificatrice o bruciante d'amore nei confronti del suo popolo. Ciò che stupisce un po' in questo brano è la menzione del giardino di Eden in un forte contrasto con la desolazione lasciata dal fuoco. Se è vero che il giardino delle delizie ricorda Geo 2,8.1 0.15, tuttavia non pare che il nostro versetto faccia diretto riferimento ai racconti della creazione. Gioele sembra piuttosto richiamare l'uso che ne fanno Ez 36,35 («Diranno: "Questo paese devastato è diventato come il giardino dell'Eden"») e Is 51,3 («Sì, il Signore conforta Zion ... rende il suo deserto come l'Eden»), ma in una sorta

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GIOELE2,6

Davanti a lui un fuoco divora e dietro a lui arde una fiamma. Come il giardino di Eden è la terra davanti a lui e (quella) dietro di lui un deserto arido, davanti a lui non c'è scampo. 4Ha l'aspetto simile ai cavalli e corrono come cavalieri. 5Come rumore di carri, balzano sulle cime dei monti, come crepitio di una fiamma infuocata, che divora la stoppia, come un popolo forte, schierato per la battaglia. 6 Davanti a lui si agitano i popoli, tutti i volti arrossiscono.

3

commentatori notano la dipendenza di Ap 9,7.9 da Gl2,4-5. Corrono (plo!~i~) - Il 1 finale è una costante nei verbi alla terza persona plurale presenti nel brano: si tratta di forma antica, che contribuisce ad aumentare la sensazione della gravità del momento. La Settanta rende questo e gli altri yiqtol del brano con il futuro dando a tutto il passo un forte senso escatologico. 2,6 Si agitano (~'-,'n:) - Il verbo "'n, «agitarsi», può descrivere la donna in travaglio (cfr. Is 13,8: «si contorcono [p'-,'8~] come una partoriente>> ), efficace immagine della sofferenza che lacera gli animi, sottolineata anche dal trascoloramento dei volti. Tutti i volti arrossiscono - La traduzione è congetturale, in quanto alla lettera i~i~~ ~ll::lp C'l~-'-,:r significa: «tutti i voi-

ti accumulano incandescenza». La Settanta rende con «come un calderone bruciato» (wç iTpOOKlWj.la X,U1paç), che potrebbe dare l'idea del colore rosso per l'incandescenza, o nero per la fuliggine. Sia la Settanta che la Vulgata omnes vultus redigentur in ollam («ogni volto sarà reso come un calderone»), leggono i~i~~. come se fosse i~i~, «pentola per cucinare». Il senso de!l'emistichio sembra essere che le persone mettono insieme calore o per l'eccitazione della battaglia o per il timore. Altri preferiscono tradurre i~i~~ ~lo!~p come un'espressione idiomatica, con il valore di: «riunisce l mette insieme afflizione». La frase ricorre ancora solo in N a 2, Il ed è variamente tradotta, come in Gl2,6, con «arrossiscono» o «impallidiscono». La versione CEI, scegliendo per il nostro passo questa seconda possibilità, preferisce sottolineare il senso di paura.

di parallelo rovesciato: il passaggio non è dalla desolazione alla bellezza e prosperità del paese, ma dal rigoglio alla devastazione. Non c'è qui un messaggio di salvezza e consolazione, ma una sentenza avversa da parte di Dio. Dal punto di vista letterario, va notato che nei vv. 4-5 al processo per immagini si aggiunge quello per suoni. Alla mostruosità delle cavallette, la cui testa è assai somigliante a quella di destrieri, si unisce il fragore delle innumerevoli ali e del rodere incessante, che vengono assimilati al frastuono delle ruote dei carri da guerra o al crepitio di un incendio in atto. Locuste come un esercito (vv. 6-9). I popoli che «si agitano» davanti a questo esercito (v. 6) non sono da intendere alla lettera, quasi che nell'escatologico «giorno di YHWH», tutte le nazioni della terra siano atterrite. Siamo piuttosto davanti al linguaggio delle tradizioni teofaniche che serve a mostrare la gloria

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GIOELE 2,7

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2, 7 E non devia dal suo sentiero (OI;Jin'l~ p~::ll}~ ~Ò,) - La traduzione

«devia» è congetturale in quanto la forma verbale p~~ll~ è un hapax (ricorre solo qui in tutto l' AT). La Settanta rende con oò f.L~ ÈKKHvwaw («non deviano assolutamente») che sembrerebbe presupporre la forma ebraica 11ml}\ dal verbo n,l.l «essere storto l curvo»; alcuni però ritengono che si possa ipotizzare l'esistenza in ebraico di un verbo ~::ll.l (da cui deriverebbe la forma p~~-l'~ qui usata) con significato analogo: a sostegno di tale ipotesi si cita l'accadico

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>. Un'altra lettura possibile è P::l"H:'~.• da ::l1l.l («fare uno scambio»). Il senso congetturale di deviazione dalla propria direzione è comunque confermato abbastanza chiaramente dai primi due successivi emistichi del v. 8: «nessuno urta l'altro, ciascuno va per la sua strada». L'azione è un probabile riferimento a direzioni di marcia prefissate per la battaglia. 2,8 Si slanciano dietro le frecce

di Dio. Nel nostro versetto l'accento è posto sull'angoscia che attanaglia le persone (cfr. la nota a proposito del verbo «agitarsi»). Ciò che colpisce è la scena nel suo insieme. L'ineluttabilità e l'orrore sono le note dominanti. La mostruosità delle locuste viene dalla loro capacità di procedere ordinatamente e sistematicamente nella loro opera distruttiva (v. 7), secondo un piano prestabilito senza che alcuno le comandi; l 'ineluttabilità viene dalla constatazione che non c'è ostacolo che possa fermare gli insetti, né le mura (che esse scalano senza difficoltà: vv. 7 .9), né le case (v. 9), né strumenti per colpire attraverso i quali esse passano agilmente (v. 8). L'immagine degli insetti che, dopo aver spogliato i campi, entrano nelle case per divorare il cibo che vi trovano, fa emergere il medesimo senso di impotenza che si ha davanti a un'orda di feroci invasori o all'abilità di ladri. La serie di emistichi staccati che compongono il v. 9, con i sostantivi in posizione enfatica, evidenzia l'incapacità delle difese umane (mura, case, finestre) di tenere lontano il nemico, tanto più che il muro qui menzionato è quello di Zion, la città santa, per gli Israeliti simbolo e garanzia di protezione

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GIOELE2,11

Come prodi corrono, come soldati scalano il muro, ciascuno marcia diritto e non devia dal suo sentiero. 8Nessuno urta l'altro, ciascuno va per la sua strada, si slanciano dietro le frecce, non si fermano. 9Balzano sulla città, corrono sulle mura, salgono sulle case, entrano come un ladro attraverso le finestre. 10 Davanti a lui la terra trema, i cieli si scuotono, il sole e la luna si oscurano e le stelle ritraggono il loro splendore. 11 YHWH emette la sua voce davanti alla sua schiera, è molto numeroso il suo esercito, è potente colui che esegue la sua parola! Grande è il giorno di YHWH e assai tremendo: chi può sostenerlo? 7

(1Sb• n~rp;:t

,.p:;n)- La traduzione è controversa. In base a Is 8,6, che presenta l'invasione della città da parte dei nemici attraverso le acque sotterranee, si è proposto di tradurre: «essi cadono giù per l'acquedotto». Tuttavia in Ne 4,11.17 e in 2Cr 32,5 n~rp significa «arma»: mantenendo tale significato di «arma» o «dardo» e tenendo conto del contesto che identifica il nemico con un esercito di cavallette, che non possono essere uccise da armi, sembrerebbe logico attribuire al verbo St~J (da cui deriva la forma 1Sb•) il significato di «slanciarsi, irrompere, attaccare».

2,10 Davanti a lui (1·~~7)- Il suffisso pronominale di terza persona singolare potrebbe fare riferimento all'esercito di cavallette inteso come un'unità (quindi si dovrebbe tradurre: «davanti a loro»), ma anche a YHwH, che dal v. Il risulta essere a capo della sua schiera. In questa seconda ipotesi, da noi preferita, la sottolineatura si sposterebbe dalla devastazione del paese prodotta dagli insetti ai fenomeni che accompagnano «il giorno di YHWH». •:• 2,1-11 Testi affini: Is 13,6-22; 21,1-10; Ez 7,10-19; Na 1,5-8; Sof 1,14-18

e inespugnabilità, in quanto dimora che Dio si è scelto. Ger 9,20 («La morte è già salita alle nostre finestre, è entrata nei nostri palazzi») presenta un buon parallelo ali' immagine degli insetti che si introducono nelle case attraverso le finestre, con la lugubre figura della morte, che si insinua nelle abitazioni furtiva e inaspettata, come una realtà contro la quale non esistono armi. Scenario cosmico (vv. 10-11). Anche se lo scenario cosmico offerto dal v. 10 ha con ls 13,10 punti di contatto tali da far pensare che anche Gioele parli del «giorno di YHWH» in termini escatologici, tuttavia la visione descritta in termini apocalittici non implica necessariamente un passaggio dalla storia alla metastoria. È invece più opportuno considerare come nel mondo antico fosse presente la convinzione che i corpi celesti agissero in sintonia con i grandi eventi sulla terra. Questo scenario cosmico ha la funzione di preparare l'entrata in scena di Colui la cui volontà ordinatrice muove l'esercito distruttore. Come un sovrano al comando del suo esercito, egli impartisce ordini levando la voce («emette la sua voce davanti alla sua schiera»).

GIOELE 2,12

2,12 Ma perfino ora (ilJ;l~rcm- L'espressione, che funge da legame con il flagello già descritto e le sue conseguenze narrate finora, presenta un , avversativo iniziale e ha un parallelo in Gb 16,19 («perfino ora ii mio testimone è nei cieli))). Il paragone con la situazione di Giobbe aiuta a comprendere l'espressione con il sottinteso: «nonostante la situazione sia giunta a questo punto ... >>. L'accento si sposta sulla misericordia di Dio che aspetta per fare grazia. La traduzione

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CEI («or dunque))) non sembra pienamente aderente al contesto. Tornate a me ('1~ ,:l~)- L'espressione ha numerosi paralleli nei profeti preesilici (cfr. Os 14,2: «Ritorna, Israele, a YHWH)); Am 4,6-11, ripete come un ritornello: «Non siete ritornati a me))), che mettono in relazione il ritorno al Signore con castighi ricevuti o minacciati. Anche in quei profeti la sottolineatura non è sui castighi, ma sul desiderio di Dio di riaccogliere il suo popolo traviato

2,12-17 Nuovo invito alla penitenza All'invito a conversione, rivolto dal profeta in 1,5-14 davanti allo spettacolo di desolazione del paese, si aggiunge ora un nuovo appello alla penitenza dopo la visione del «giorno di YHWH». Anche se qualche studioso (Crenshaw,143) ha caratterizzato questo brano come «ammonizione profetica», che comprenderebbe un richiamo al pentimento (vv. 12-14) e un invito al lamento comunitario (vv. 1517), è innegabile la presenza in esso di caratteristiche liturgiche. Potrebbe trattarsi di una supplica utilizzata in caso di siccità, al fine di riottenere la fecondità della terra, come si può dedurre dal v. 14 («chi sa che non cambi idea, si penta e lasci dietro a sé una benedizione: offerta e libagione per YHWH vostro Dio»). Non si tratterebbe di una liturgia ufficiale, in quanto il lessico suggerirebbe piuttosto l'atteggiamento penitenziale privato. Il centro di interesse di Gioele in questo brano non appare, comunque, essere un rito, o il pentimento, né la richiesta del ritorno alla normalità; piuttosto esso prepara ciò che nei vv. 18-20 costituirà la risposta benevola e zelante del Signore, mettendo a nudo le condizioni indispensabili. Occorre rivolgersi a Dio con tutto il cuore e soprattutto guardando alla sua misericordia, perché egli desidera cambiare atteggiamento verso il suo popolo (cfr. Ml3,7: «Tornate a me e io tornerò a voi»). Nuovo invito al pentimento (v. 12). L'espressione «ma perfino ora» (cfr. nota), seguita dalla formula «oracolo di YHWH», ha la capacità di giustificare la speranza che il profeta sta per offrire al popolo. Egli, benché perfettamente consapevole della gravità della situazione e dei possibili risvolti negativi futuri, dimostra di credere nella misericordia e compassione di Dio ed esercita il compito profetico

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GIOELE 2,13

12Ma

perfino ora- oracolo di YHWHtornate a me con tutto il vostro cuore, con digiuno, con pianto e lamento; 13 lacerate il vostro cuore e non le vostre vesti; tornate a YHwH vostro Dio, perché lui è misericordioso e compassionevole, e, in definitiva, sul suo carattere misericordioso (cfr. anche Dt 30,2-3). 2,13 Lacerate il vostro cuore e non le vostre vesti (c:;)'jJ::l-t,~, C~:;:t:;~.7 ~ll,p)- Si può ravvisare in questa espressione, forse idiomatica, un riferimento alla tradizione profetica, in particolare ai richiami per la genuinità dei rituali sacrificali (cfr. Is 58,6-14) e del cordoglio interiore; allo stesso modo l' AT parla della circoncisione del cuore (Dt 10, 16; Ger 4,4 ).

Misericordioso e compassionevole, lento al! 'ira e ricco di amore; si pente del male (:'1V"J:;rt,p c~W:J11 c~ l~ ...C,n'J') pJQ)La serie di attributi divini è usata come lode alla grandezza di Dio, piuttosto che come riconoscimento di qualche particolare opera salvifica nei confronti del popolo. In particolare, l"JQ («misericordioso») indica la condiscendenza di un superiore verso un inferiore, mentre cm"} («compassionevole») la cura tenera e ansiosa dei genitori verso i piccoli.

dell'esortazione, mediante una serie di imperativi («tornate ... lacerate»: v. 13; «suonate ... proclamate ... convocate»: v. 15; «radunate ... indite ... chiamate ... riunite»: v. 16), per indurre gli abitanti del paese a rinnovare la loro fede, tanto più che è Dio stesso a offrire il suo perdono. L'invito al ritorno a Dio è relativamente frequente nella predicazione profetica dove si trova spesso legato all'offerta di salvezza (cfr. Os 3,5; 6,1; 14,2). Israele conosceva la prassi della supplica comunitaria in caso di sciagura nazionale, che comprendeva in genere il riconoscimento dei propri peccati, ritenuti causa di castigo. Qui, tuttavia, secondo Barton (77), non si tratterebbe di pentimento riguardo a un particolare peccato, ma di un volgersi a Dio per supplicarlo. La modalità richiesta è «con tutto il vostro cuore». L'espressione potrebbe far pensare alla condanna di un peccato commesso dal popolo, verosimilmente un allontanamento da Lui per seguire altre divinità venerate in un culto contaminato. In realtà il richiamo a gesti liturgici comunitari (digiuno, pianto e lamento) mostra come Gioele apprezzi queste forme di preghiera, che tuttavia richiedono di essere praticate con una tensione totale verso Dio. Il cuore, sede dei pensieri e della volontà, rimanda a una decisione personale, che è incoraggiata dalla promessa di salvezza. Traspare qui il tentativo del profeta di coinvolgere sia la sfera cognitiva sia quella affettiva. Il culto vuoto è ritenuto pericoloso, in quanto crea nel fedele un falso senso di sicurezza, che poi conduce alla rovina. Un Dio misericordioso (vv. 13-14). Con il secondo invito a volgersi al Signore («tornate al YHWH vostro Dio»), la parola passa al profeta, la cui preoccupazione è quella di creare un alone di lode attorno a YHWH, che può liberare, «perché lui è

58

GIOELE2,14

;,:Ji:~. Ì"ìnN ì"NWi11 ) esplicativi (2,21 a; 2,22a; 2,23b ). I versetti contengono elementi innici e un duplice invito alla gioia (2,2la; 2,23a) per la promessa. La rassicurazione è rivolta in successione alle tre realtà che hanno contemporaneamente sofferto della calamità: la terra, gli animali (ancora una personificazione) e gli uomini. Le nuove gesta di YHWH opereranno l'inversione radicale della loro situazione di aridità, fame e sete descritta al c. l. La natura sarà dotata di nuove potenzialità, che supereranno la forza distruttiva del nemico, mediante l'abbon-

65

GIOELE 2,25

Non temere, terra, esulta e goisci, perché YHWH ha fatto grandi cose. Non temete, animali selvatici, perché sono germogliati i pascoli del deserto, perché l'albero porta il suo frutto, la vite e il fico danno le loro ricchezze. 23 Abitanti di Zion, esultate e gioite in YHWH vostro Dio, perché vi dà la pioggia secondo giustizia e fa scendere per voi scrosci d'acqua, la prima e l 'ultima pioggia come in passato. 24Le aie saranno piene di grano e i tini traboccheranno di vino nuovo e di olio. 25 Vi ripagherò le annate che hanno divorato la locusta,

21

22

doctorem iustitiae («poiché vi ha dato un maestro di giustizia>>). Tuttavia tale resa non sembra aderire al contesto, incentrato sulla soluzione della calamità naturale, mediante la restaurazione della fecondità della natura (cfr. anche Os 10,12) e non su una figura messianica. Tanto più che gli scritti di Qumran non mettono mai in relazione il titolo «Maestro di giustizia» con 012,23. In compenso la tradizione rabbinica interpreta la prima pioggia come «un maestro», che insegna a portare a casa frutti e a costruire un tetto impermeabile. Come in passato - L'ebraico lilli~,f si potrebbe tradurre anche «in principio». La resa con «come in passato» (o «come prima») è in linea con l'idea di restaurazione dello stato di prosperità antecedente all'invasione delle locuste. La Biblia Hebraica Stuttgartensia, basandosi sulla Settanta, la Vulgata e anche la versione siriaca propongono di

sostituire il -f iniziale con -~. La traduzione in questo caso risulterebbe essere: «come in principio», che potrebbe anche evocare «il primo mese», il mese di Nisan, come suggerito dal Targum (Carbone-Rizzi, 180). 2,25 Vì ripagherò le annate- L'emistichio (C'J!fi;:t-n~ c~7 'l'II?~W1) ha creato qualche difficoltà interpretativa, in quanto è difficile pensare a un'invasione di cavallette della durata di più anni o a diverse invasioni ripetute nel tempo. Per questo c'è chi propone di emendare C'J~;:y-n~ («le annate») in C'~~ («due volte»). In realtà la correzione si rivela non necessaria se «ripagare gli anni» è una metonimia che richiama la distruzione dei raccolti per parecchi anni (cfr. Sal 90,15). Il verbo c':l !li al pie/ fa parte del linguaggio giuridico per indicare la restituzione di un oggetto mediante un pagamento sostitutivo (cfr., p. es., Es 21,34; 36-37; 22,1-5.6.8).

danza della preziosa pioggia d'autunno, e si realizzerà la vitalità di una nuova creazione. La gioia, destinata in particolare agli «abitanti di Zion», sottintende anche la ripresa del culto (cfr. l, 16), nelle sue espressioni di esultanza. 2,25-27 Giunge il compenso Con la prima persona singolare inizia la terza strofa, che vede un nuovo intervento di Dio. Mediante un linguaggio di tipo giuridico («vi ripagherò») egli ribadisce l'assicurazione dell'allontanamento del flagello: ci sarà un compenso per i danni inflitti dal grande esercito di YHWH. In chiara antitesi con 1,4, vengono ripresi i quattro termini che designano gli insetti invasori (v. 25), con lo scopo di

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GIOELE 2,26

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concordano nel negare a «ogni uomo» il senso di «intero genere umano», che renderebbe questa profezia di Gioele una delle più universalistiche dell' AT. Si tratta piuttosto di tutti gli lsraeliti, come chiarificato dal contesto immediato, che parla de «i vostri figli, le vostre figlie, i vostri anziani». L'universalità del dono dello Spirito, offerto senza distinzione di razze, popoli e nazioni si realizzerà nella Pentecoste cristiana e avrà come interprete Pietro (cfr. At 2,17-21). La preoccupazione

rinnovamento spirituale e prova che il vero pentimento ha avuto luogo. La promessa dello spirito è l'offerta unilaterale da parte di YHWH che porterà il suo popolo a un nuovo e più profondo rapporto con lui. Non è una semplice risposta alla preghiera, per la quale sarebbe sufficiente la restaurazione dell'abbondanza materiale, ma è la manifestazione della liberalità divina, che supera ogni aspettativa.

3,1-5 Dio effonderà lo spirito Il brano si apre con un'anacrusi (un gruppo di sillabe in eccedenza rispetto al metro o ritmo poetico del verso) costituita dalla frase «dopo queste cose»; essa unisce la straordinaria promessa dello spirito a quanto precede, presupponendo come antefatto la penitenza del popolo (2, 12-17), che muove la compassione divina, e la promessa di restaurazione da parte di Dio (2,24-27). Le caratteristiche del dono sono ben espresse dal lessico. La sua qualità è definita dal pronome di prima persona che lo accompagna (ritbf, «il mio spirito»). È lo stesso spirito di YHwH che l'AT mostra attivamente presente nelle sue grandi opere. Da una parte, dunque, Gioele affonda le sue radici nella tradizione biblica della quale richiama il tema dei doni profeti ci (N m 11 ,29), la promessa del cuore nuovo (Ger 31,33-34) e dello spirito nuovo (Ez 36,26-27); dall'altra va oltre, dissociando il dono dello spirito dall'obbedienza ai precetti e rendendolo frutto dell'amore gratuito di Dio. «Effonderò» ( 'e§p6k) dà la misura della quantità del dono. Nei libri biblici il verbo ebraico sapak è normalmente associato al versamento di liquidi e suggerisce l'immagine della pioggia abbondante o di una fonte che riversa acqua sul suolo riarso. Si presta, pertanto, ad assumere una varietà di significati simbolici che ultimamente rimandano al dono dello spirito. L'abbondanza di acqua è spesso segno della benedizione di Dio (Lv 26,3-5), della conversione del popolo (Is 41, 18), della purificazione interiore (Sal 51 ,3-4), della vita che sgorga dal tempio (Ez 47,1-12; perciò si è suggerito di leggere Gl3, 1-2 in relazione a 4,18: «Una fonte sgorgherà dal tempio di Y HWH e irrigherà la valle di Shittim» ). Corrispondenze lessicali

69

GIOELE3,3

Anche sopra i servi e le serve effonderò il mio spirito in quei giorni.

2

3Farò

portenti in cielo e sulla terra: sangue, fuoco e colonne di fumo;

di Gioele non è quella di far intravedere la realizzazione di una Pentecoste al di fuori dei confini di Israele, ma quella di estendere a ogni Israelita l'azione dello spirito di Dio. 3,3 Portenti (c·n~io)- Nell' AT si utilizzano tre termini per definire gli interventi prodigiosi di Dio: nil(, «segno>>, che non fa necessariamente riferimento a qualcosa di straordinario (cfr., p. es., Gen 4,15; Es 31,13; Dt 13,2; Gdc 6,17; ls 7,11; Ez 4,3; Sal86,17); !(?~. «meraviglia», che può mancare di un

contenuto peculiare (cfr., p. es., Es 15,11; Is 25, l; Sal 77, 15) e n::~io, «portento» (cfr., p. es., Es 7,3.9; 11,9-10; Sal 78,43; 105,5; Ne 9, l 0). Gioele sceglie quest'ultimo, che meglio esprime la straordinarietà del segno. Secondo qualche commentatore la menzione dei prodigi non precederebbe né seguirebbe cronologicamente l'effusione dello spirito, ma ci troveremmo semplicemente di fronte a un'altra profezia frammentaria riguardante la fine dei tempi.

con il nostro brano non sono frequenti nell' AT: l'abbinamento del verbo siipak («effondere») con il sostantivo rual:z («spirito») nell' AT si incontra solo in Ez 39,29 e Zc 12,10, in contesti di restaurazione del rapporto Dio-popolo. Analogie di situazione si riscontrano, invece, in N m Il, dove la risposta di Dio al gemito di Mosè, in un momento di particolare difficoltà, è la sovrabbondante effusione di spirito profetico: in Gl3, 1-5 al lamento del popolo segue la promessa del dono. «Su ogni uomo»: dà la misura dell'estensione del dono. Lo spirito non è prerogativa di alcune classi privilegiate, ma sarà per tutti. Le varie categorie di persone citate a coppie («Figli l figlie ... anziani l giovani ... servi l serve») costituiscono una serie di espressioni che potremmo dire polari, comprensive cioè di ogni realtà racchiusa tra il primo e il secondo termine. È evidente il riferimento a tutte le fasce di età e a ogni ceto sociale. I vv. 1-2 sembrano marciare in parallelo con 2,16: come il popolo del paese nella sua interezza è stato chiamato a penitenza, così nella sua totalità beneficerà della benedizione divina. Gli effetti dell'effusione dello spirito sono molto concreti e descritti positivamente come carismi profetici mediante tre verbi abituali per descrivere la profezia anticotestamentaria (niiba ', «profetare», /:ziilam, «fare sogni», /:liizéì, «avere visioni»). Nel nostro contesto, tuttavia, i tre verbi non sembrano sottolineare la varietà dei mezzi rivelativi; il fine per cui essi vengono largiti è l'acquisizione di un contatto più diretto con Dio e una conoscenza più profonda di lui, già preannunciata in 2,27. Se c'è stata una profonda crisi per gli abitanti del paese, altrettanto profonda si è mostrata la misericordia divina nell'intervenire; per questo il popolo può andare con tranquillità incontro al «giorno di YHWH». Esso viene nuovamente prospettato come «grande e tremendo» (3,4), cioè pieno della presenza di Dio, ma non temibile per la gente del paese, che troverà la sua salvezza nell'invocare il suo nome (3,5). I segni cosmici. Con la seconda strofa (3,3-4) le manifestazioni prodigiose si trasferiscono dal piano umano a quello cosmico. Vengono menzionati i

GIOELE 3,4

70

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3,4 In tenebra ... in sangue (t:q~ .. ·ltph',)Gli studiosi discutono se l'ispirazione di tali immagini venga dal ricordo di eclissi, che, come è noto, nell'antichità erano presagi di catastrofi, o di tempeste di sabbia, o da altri passi profeti ci come Sof l, l 7, che menziona il sangue «sparso come la polvere». Qui semplicemente l'immaginario apocalittico serve a Gioele come introduzione al «giorno di YHWH». 3,5 Chiunque invocherà il nome di Yhwh (il);,; c1f>f NJi?:-,lp,~ ;~ i1:;;1) - L' espressione è ben illustrata da Alonso Schokel

(1074): «Come una tribù si distingue dall'altra per un tipo di pronuncia o di accento, così i Giudei e i chiamati si distingueranno in base al nome che invocano: Is 12,4 (invocazione e salvezza); Zc 13,9; Sal 105,1». Anche tra i superstiti (0','!~~1) - Non è ben chiaro chi siano i superstiti di cui si parla. Alcuni commentatori pensano agli Ebrei della diaspora, che saranno chiamati a tornare in Zion nel cui tempio risiede la salvezza. Tuttavia sia il contesto prossimo («i vostri figli ... »: 3,1) sia quello dell'iute-

portenti (3,3), segni straordinari già sperimentati da Israele nella sua storia di salvezza. Sangue, fuoco e colonne di fumo hanno accompagnato l'esodo dall'Egitto (Es 7,17; 9,24; 19,18) e le guerre intraprese da YHwH contro i nemici di Israele (ls 34,5-l 0). Anche la mutazione degli astri in tenebra appartiene alla tradizione biblica come presagio di disastri naturali o guerre (ls 13, l O; Ger 4,23; Ez 32,7 -8; Am 8,9), ma qui Gioele ne fa lo sfondo apocalittico per il «giorno», ormai prossimo alla manifestazione completa, che vedrà il giudizio di Dio sui nemici di Israele (c. 4 ). Un giorno di salvezza. Sorprendentemente rispetto alle premesse contenute nella prima parte del libro e contrariamente alla spaventosità delle immagini appena evocate, il «giorno di YHWH» sarà per il suo popolo un giorno di salvezza (3,5). Dio, che ha promesso «il mio popolo non si vergognerà mai più» (2,27), ora fornisce il mezzo per mantenere la promessa: invocare il suo nome («Chiunque invocherà il nome di YHWH sarà salvato»). Nella tradizione biblica

71

GIOELE3,5

4il

sole si muterà in tenebra e la luna in sangue, prima che venga il giorno di YHWH grande e tremendo. 5Chiunque invocherà il nome di YHWH sarà salvato, perché sul monte Zion e in Gerusalemme ci sarà scampo, come ha detto YHWH, anche tra i superstiti che Y HWH chiama.

ra profezia rivolta agli «abitanti del paese» (l ,2; 2, l) fa pensare agli lsraeliti abitanti nella regione di Giuda. In questo versetto i «superstiti» (C'i'i~) sono accostati alla possibilità di «scampo» (ii~,~~; cfr nota a 2,3) in Gerusalemme e sul monte Sion. Un combinazione simile si ritrova in Abd 14 (con la variante dell'aggettivo ~'~5;1. «scampato», al posto del sostantivo ii~,~~ («scampo»); cfr. anche Gs 8,22, Ger 42, 17; 44,14 ), che prospetta il giudizio sugli stranieri. Analogo è anche Is 4,2-6, il quale riporta il medesimo scenario di sangue e

fuoco e combina il termine ii~,~~ (che lì in genere viene tradotto: «scampati»), con i~ w («chi è rimasto») e i~im ( «supersitite;> ). È difficile dire se Gl3,5 faccia riferimento diretto a qualcuno di questi testi, o se tutti, Gioele compreso, facciano riferimento a oracoli più antichi. Se così fosse, verrebbe confermato a Gioele il carattere di profeta «erudito», che preferisce seguire le tracce di oracoli antichi piuttosto che esprimersi liberamente. •!• 3,1-5 Testi affini: N m Il ,24-30; Ez 36,24-28; 37,1-14

m

«invocare il nome di Dio» equivale a prestare culto (cfr. Gen 4,26); questo implica da una parte il privilegio di un nuovo rapporto con YHWH, dall'altra la responsabilità di fronte alle nuove esigenze di fedeltà. Il luogo della salvezza sarà proprio quel monte già invaso dall'esercito di morte (2,2), davanti al quale era detto non esserci scampo (2,3), pur essendo il luogo del tempio, nel quale il nome del Signore viene invocato. Ora la salvezza si potrà trovare perché c'è una nuova consapevolezza del rapporto con Dio; essa sarà sperimentata da coloro che avranno risposto alla sua nuova chiamata professando la fedeltà al suo nome. Il «giorno di YHWH» prospettato in Gl 3, l-5 ci porta oltre i segni oscuri che lo caratterizzano in Amos (5,18-20) e Sofonia (1,14-18). «ConAbdia (15-21) egli [Gioele] vede un Giorno al di là del Giorno, un Giorno nel quale le trasgressioni di Israele sono state giudicate (come la piaga delle locuste) e Y HWH è pronto a preservare e ristabilire il suo popolo, mentre persegue il compito di giudicare i popoli» (Hubbard, 73).

72

GIOELE4,1

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oo/ o~l? ~t:n;>!?o/~1 t>f.Jo/iry; prnt'~ o~f:t11iiJ1 O'ii~:J ~i·T!l iWN ';NiW~ ~n;nJ1 ~tbv-;l' (solo qui usato al plurale) appare neli' AT esclusivamente in testi esilici e postesilici (cfr., p. es., Gen l 0,2; Is 66, 19; Zc 9,13; Dn 8,21; lCr 1,5.7). Qui indicherebbe i Greci abitanti le isole e le terre costiere su entrambi i lati del mare Egeo, un mondo, dunque, lontano da Gerusalemme. · 4,8 Agli Shebaiti (t:l'N~flh)- Si identificano probabilmente con gli abitanti di Saba, nel sud de li' Arabia, corrispondente ali 'attuale

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Yemen. Di mercanti provenienti da Saba parlano IRe 10,1-2; Ez 27,22-23; Gb 6,19. •!• 4,4-8 Testi affini: ls 66,19-20; Am 1,610; Zc 9,11-17 4,9 Preparate una guerra santa- L'ebraico ;,9çtS~ 1fli"]j? si potrebbe tradurre «santificate una guerra» (cfr. l'espressione Ci:.! 1fli"]j? in 1,14; 2,15). In qualche modo, c'è un richiamo allo stato di purità legale che rende i guerrieri dei «consacrati» ad Y HWH (cfr. ls 13,3) nonché alle promesse di Dt 1,30;

di Giuda con prostitute e cose di poco conto), essenziale e molto concreta in 4,6 (vengono nominati la terra e il popolo di destinazione degli schiavi). Le colpe di Fenici e Filistei (vv. 4-6). La dialettica fra la prima persona singolare e la seconda plurale («voi ... io») caratterizza l'accusa e la minaccia da parte di YHWH contro Fenici e Filistei. Il brano è introdotto da due domande retoriche il cui tono sarcastico ha la funzione di rendere plasticamente il contrasto fra la grandezza e maestosità di Dio da una parte, e la nullità di popoli dali' altra, seppure agguerriti come i tradizionali nemici di Israele. Le due interrogazioni: «che cosa volete farmi Tiro, Sidone e tutti i distretti della Filistea? Volete vendicarvi di me?» potrebbero essere rese con «che cosa ti ho fatto perché tu osi trattarmi in questo modo?» (Hubbard, 76) e contribuiscono a mostrare fin dali 'inizio l 'enorme divario tra gli interlocutori: da una parte i nemici di Israele e dall'altra Dio, che si impone in tutta la sua maestà e potenza nella dura minaccia che segue («prontamente e rapidamente farò ricadere sul vostro capo le vostre malefatte»: 4,4). Anch'egli sembra applicare qui la legge del taglione in veste di go'el («garante») del suo popolo, nel compito di vendicatore che in Israele spetta al parente più prossimo (cfr. Lv 25,26; Nm 5,8; Dt 19,6; Is 41,14; Rt 2,20; ecc.). Due sono i capi di imputazione che l'accusatore e giudice divino porta. Il primo riguarda il furto delle suppellettili preziose, probabilmente dal tempio di Gerusalemme («il mio argento e il mio oro ... i miei beni preziosi»: 4,5). La rapina è aggravata

77

GIOELE4,9

avete introdotto nei vostri templi i miei beni preziosi: 6avete venduto gli abitanti di Giuda e di Gerusalemme agli Yavaniti, per cacciarli lontano dai loro territori. 7Ecco, li faccio tornare dalle città e dal luogo nei quali li avete venduti, farò ricadere le vostre opere sul vostro capo. 8Metterò i vostri figli e le vostre figlie in potere degli abitanti di Giuda: li venderanno agli Shebaiti, una nazione lontana, perché YHWH ha parlato. 9 Proclamate questo fra le nazioni, preparate una guerra santa! Incitate i guerrieri, si avvicinino e salgano tutti i soldati. 20,4, secondo le quali Dio avrebbe combattuto in favore del suo popolo e in mezzo ad esso. Un riferimento all'inaugurazione della guerra santa sarebbe riscontrabile anche nel grido «è vicino il giorno di YHWH» (4,14) che in 2,1-2 aveva accompagnato l'allarme in Zion. Ger 6,4 utilizza l'espressione ebraica :i1?r;t7~ ~W"!j? per la guerra che i pastori, accampati intorno a Gerusalemme, dovranno combattere contro di essa. Si avvicinino e salgano (~':l~~ ~W~~) -Nella

versione greca della Settanta anche questi due verbi sono all'imperativo di seconda persona plurale (rrpooay&yHE Kat &vapa(vHE: «avvicinatevi e salite») e qualcuno propone di correggere in tal senso il testo ebraico, leggendo ~',~1 ~W:I. Si otterrebbe così un'armonizzazione con le altri frasi del v. 9; in realtà l'emendazione non sembra necessaria in quanto l'alternanza di imperativo e iussivo si trova anche nei versetti seguenti. Non è specificato a che cosa debbano avvicinarsi i

dal fatto che quanto era consacrato a lui per il culto è ora utilizzato nei templi pagani («avete introdotto nei vostri templi»). La denuncia, pertanto, non riguarda solo il furto della proprietà, ma è anche, e soprattutto, accusa di profanazione prima e di idolatria poi (cfr. Os 2,10). La seconda imputazione considera la riduzione in schiavitù e vendita degli Israeliti (4,3 .6). Questo spiega il motivo per cui fra tutti i nemici di Israele vengano menzionati in particolare Tiro e Sidone: essendo due famosi porti sul mar Mediterraneo, ospitavano un fiorente mercato di schiavi. La rivincita di YHWH (vv. 7-8). La rivincita che YHWH sta per prendersi è resa imminente da hinni («ecco»), che introduce il v. 7. Essa verrà realizzata in modo insolito: saranno gli stessi «abitanti di Giuda», che Dio riporterà alla loro terra (4,7), a vendere (cfr. 4,3.6) a loro volta i figli dei loro nemici e, come gli abitanti della Giudea sono stati spinti lontano dalla loro patria ali' estremo nord (la Grecia), così Filistei e Fenici saranno deportati all'estremo sud, nella terra degli Shebaiti (4,8). Con la formula oracolare che chiude il brano, «perché YHWH ha parlatO», Gioele dà una forza particolare al discorso: è l'autocertificazione che Dio dà alla sua minaccia. Esecuzione del giudizio. Dopo la digressione in prosa riguardante la minaccia di YHWH contro alcuni dei tradizionali nemici di Israele (4,4-8), la sezione poetica, interrotta in 4,3, riprende e continuerà fino alla fine del capitolo, epilogo compreso. Il tema è, come in 4,2-3, il giudizio sulle nazioni, di cui vengono ripetute la convo-

GIOELE 4,10

78

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guerrieri né dove debbano salire. Sulla base di Ger 46,3, si potrebbe pensare che il verbo ~Jl, «avvicinarsi», indichi qui lo spostamento dei soldati verso il campo di battaglia; altri ritengono che il comando di avvicinarsi e salire indichi tradizionalmente l'ascesa alle montagne di Giuda (cfr. Ez 38,9.11.16.18; ecc.) in direzione di Gerusalemme. 4,11 Su - Il termine 1~1ll è un hapax legomenon dal significato incerto. La traduzio-

:'Tf'')i::l~ j'J~,; no~iJ O~Ìlj'J Òl1'1 ~iilÌ'.. 12 -:-! •

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ne della Vulgata (erumpite: ), già usata in 4,17, viene ripetuta in 4,21. Si può affermare che la presenza di Dio in mezzo al suo popolo sia il punto culminante del piano teologico di Gioele e sia anche la chiave di lettura dell'intera profezia. Alla sua luce acquistano un significato preciso i castighi subiti dagli «abitanti di Zion», che occupano la prima parte del libro, il rapporto di Giuda con le nazioni straniere (presenti soprattutto nell'ultimo capitolo, ma in qualche modo già in 1,6) e, in particolare, il minacciato e temuto «giorno di YHWH» la cui menzione percorre trasversalmente l'opera (1,15; 2,1.11; 3,4; 4,14.18). C'è uno svolgimento nel piano teologico di Gioele, che fondamentalmente si impernia sul rapporto fra Israele e il suo Dio. Nel complesso emergono i tratti di una divinità per nulla differente da quella dell'Esodo o di altri profeti (cfr. ls 27; Ger30; Os 2; ecc.), che educa il suo popolo attraverso varie prove, per riabilitarlo e per riamarlo di un amore di predilezione. Di questo sono segno la sua presenza definitiva in Zion, fonte dell'abbondanza perenne per il popolo (4,18), finalmente santificato in lui (4, 17) e la difesa da ogni nemico. Ci sarà un «giorno di YHWH», ma sarà per la disfatta totale non del popolo di Dio (4,20), ma dei suoi avversari (4,19.21 a).

85

GIOELE4,21

l'Egitto diventerà tma desolazione ed Edom diventerà tm deserto arido, a causa della violenza fatta agli abitanti di Giuda, nella cui terra hanno sparso sangue innocente; 20 Giuda, invece, sarà abitata per sempre, Gerusalemme di generazione m generaziOne. 21 Io vendicherò, il loro sangue, non lo lascerò impunito e YHWH abiterà in Sion. 19

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l'emistichio sarebbe una glossa, collegata al v. 19b, che introdurrebbe un concetto teologico: se Giuda era stata ritenuta meritevole di un «giorno di YHWH» (cfr. 1,15; 2,11) come giorno di giudizio, ciò significa che in qualche modo era colpevole e degna di punizione. Ora però la situazione è mutata e gli abitanti di Giuda sono dichiarati esenti da castigo. La traduzione da lui proposta, senza modificare il testo ebraico, è: «e io dichiarerò esente da punizione il loro sangue che non avevo voluto dichiarare esente». Un'altra possibilità è intendere la frase come interrogativa: «Lascerò impunito il loro sangue? No di certo» (Crenshaw; cfr.

La Bible de Jérusalem 1998). Un'interpretazione ancora più complessa (cfr. Barton) è quella secondo la quale la benedizione di Dio scenderebbe su Giuda, che tuttavia non resterebbe del tutto impunito nel processo. Il contesto di rovesciamento della situazione in favore di Giuda fa, tuttavia, pensare a una assoluzione completa dei suoi abitanti. Nel presente lavoro si preferisce seguire l'ordine dei versetti del TM, anche se apparirebbe logica la posizione di 4,2la di seguito a 4,19. Con «il loro sangue» si intende, comunque, quello degli «abitanti di Giuda» (4, 19b). •:• 4,18-21 Testi affini: Is 40,2; 60,1-22; Ez 47,1-12; Sof3,14-17; Zc 2,14-17

La formula «in quel giorno», da alcuni definita «escatologica», ha la duplice funzione di introdurre un nuovo oracolo e allo stesso tempo di porlo in continuità con il brano precedente (4,9-17). Si tratta di un giorno non definito, un espediente caratteristico del linguaggio profetico, che lascia sempre un margine al disvelamento della realtà annunciata. La profezia non presenta contenuti nuovi, semplicemente riafferma due realtà già dichiarate: il mutamento della difficile situazione di Giuda (2, 19-27) in prosperità economica, e la liberazione dai suoi nemici (4, 1-3). La novità sta nei modi straordinari della loro realizzazione. Per gli abitanti del paese non si tratta della semplice restaurazione di uno stato di normale abbondanza, ma di un evento dai contorni prodigiosi: il popolo ha cercato rifugio nel suo Dio (4,16b) ed egli ha risposto dal suo santuario con la pienezza delle benedizioni. Restaurazione d 'Israele. Le immagini usate da Gioele sono prese a prestito dalla tradizione profetica e inserite liberamente nel suo disegno, in particolare il linguaggio della sovrabbondanza di frutti è una caratteristica della profezia postesilica (ls 65,17 -25; Ger 31 ,5). I monti che stillano mosto (4, 18a) compaiono in Am 9,13, in un contesto escatologico di restaurazione del benessere di Giuda; in Gioele l'immagine è come la risposta finale al lamento per la mancanza di vino in l ,5.9.12. È una visione di fecondità paradisiaca, arricchita dalla menzione dei ruscelli gonfi di latte, che fluiscono per le colline e che ricordano da vicino la

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descrizione ideale della Terra Promessa, nella quale scorrono latte e miele (Es 3,8; Lv 20,24; Nm 13,27; ecc.). Anche l'acqua che saltuariamente riempie i canali della Giudea non dipenderà più dalla generosità delle piogge periodiche, ma scorrerà perennemente perché la sua fonte avrà origine nel santuario. Quella offerta da Gioele è un'edizione nuova del tempio: esso non è più considerato un luogo nel quale compiere sacrifici e innalzare preghiere (l ,9 .13 .14.16; 2, 17), ma come il tabernacolo nel quale si incontra Dio stesso, come fonte di vita nuova. È significativa, in proposito, l'aggiunta di alcuni manoscritti ebraici a 4,18: «in tutti i canali di Giuda scorrerà acqua di vita». Tale lettura eleva al piano spirituale, come conseguenza, anche il dono dell'abbondanza materiale. È possibile che l'idea sia suggerita da Ez 47,1-2 (cfr. anche Zc 14,8), al quale Gl 4,18 fa riferimento. Le acque di cui parla Ezechiele scaturiscono dal tempio, si dirigono verso l'' Araba e sfociano nel mar Morto riportando in esso la vita. Nel nostro contesto non è indispensabile dare un nome e una collocazione precisi alla valle che viene irrigata, perché la valle di Shittim o delle Acacie è forse una designazione simbolica, come quella della valle di Yoshafat o della Decisione. Gioele vuole semplicemente sottolineare il fiorire di una vita nuova in ogni luogo arido di Giuda, per mezzo del dono di Dio che scaturisce dal tempio. Contrappasso per i popoli. Ritrovata l'abbondanza, la tranquillità di Giuda non sarà completa se non dopo la distruzione definitiva dei suoi avversari. Per questo l'esplosione di vita dipinta al v. 18 è in stridente contrasto con la desolazione che accompagna la disfatta totale dei più tradizionali nemici di Israele (v. 19), simbolicamente rappresentati dall'Egitto e da Edom. Anche in questo caso non importa chiedersi per quali avvenimenti i due popoli vengano puniti; ciò che pare interessare il profeta è un ulteriore rovesciamento di situazione: la «desolazione» subita dal paese di Giuda, per l 'invasione delle locuste (l, 7) e per la siccità (l ,19), in una sorta di contrappasso si trasferisce sugli avversari. Anche in questo Gioele è debitore verso la tradizione profetica che lo ha preceduto. «Desolazione}} (ebraico, s•mamiì) è una parola chiave in Sofonia (1,13; 2,4.9.13) e in Ezechiele con particolare riferimento all'Egitto (29,10.12; 32,15) e a Edom (35,3.4.7.9.14.15), entrambi menzionati in contesti riguardanti il «giorno di YHWH}}. Gioele sta forse suggerendo che ogni parola profetica circa quel giorno si realizzerà con certezza: le nazioni pagheranno con il loro sangue quello innocente degli abitanti di Giuda da esse sparso. Presenza di YHWH in Gerusalemme (vv. 20-21 ). La terra degli «abitanti di Ziom} che le nazioni hanno devastata sarà, invece, da questi abitata «di generazione in generazione}}, cioè perennemente (4,20). Il rovesciamento di situazione è definitivo. Le generazioni successive che in l ,3 erano invitate a tramandare il ricordo dei castighi subiti, ora sono per sempre fatte segno del dono della terra, promessa dai tempi antichi. Il cerchio è giunto a quadrare perfettamente. Gli effetti della presenza di Dio nel suo santuario si possono così riassumere: garanzia di benessere per il paese; beneficio della presenza santa e santificante di Y HWH in Zion; certezza di protezione perenne contro i nemici del suo popolo.

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Una supplica accorata per la Quaresima «Ritornate a me con tutto il cuore. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso» (Gl2,12a-13a): ecco le parole che segnano l'inizio del cammino quaresimale, il grande "sacramento" che conduce alla Pasqua attraverso il deserto della preghiera, del digiuno e della carità, offrendo un tempo di conversione e riconciliazione. Una supplica accorata e un lamento intenso salgono verso il cielo: «Perdona, Signore, al tuo popolo e non esporre la tua eredità al ludibrio e alla derisione delle genti» (Gl2,17b). Attraverso le parole del profeta Gioele la Chiesa rientra in se stessa, condotta dallo Spirito, per scoprire nuovamente il volto di Dio che «si mostra geloso per la sua terra e si muove a compassione del suo popolo» (Gl 2,18). Incipit più intenso il mercoledì delle Ceneri non potrebbe offrirei, sferzando e consolando allo stesso tempo, mettendo in evidenza il male che affligge ma indicando pure il bene che guarisce, ossia la presenza fedele nel popolo da parte di Dio, che nella lettura del Vangelo (M t 6, 1-6.16-18) -per ben quattro volte - viene indicato da Gesù come «Padre vostro» e «Padre tuo». Questa è la presenza certamente più importante del profeta Gioele all'interno del Lezionario, perché il brano è posto dalla liturgia come porta di ingresso e come passaggio obbligato verso la vera "terra promessa", il giardino della risurrezione. I primi due versetti della pericope, che viene letta il mercoledì nel brano di Gl 2,12-18, verranno ripresi più volte nell'arco dei

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quaranta giorni, come antifona prima del Vangelo, fino alla V domenica di Quaresima, anno C, che alle soglie della Settimana Santa farà risuonare ancora quel penetrante: «Ritornate a me con tutto il cuore, dice il Signore, perché io sono misericordioso e pietoso».

L'invocazione del dono dello Spirito Altra importante presenza, ora nel Lezionario Festivo, è data dalla possibilità di scegliere Gl 3,1-5 come prima lettura nella Messa della Vigilia di Pentecoste (la celebrazione prevede la possibilità di una Liturgia della Parola analoga alla Veglia di Pasqua, con più letture abbinate a un Salmo e concluse da un'orazione propria): «lo effonderò il mio Spirito sopra ogni uomo. Anche sopra gli schiavi e sulle schiave in quei giorni effonderò lo Spirito» e ancora: «chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato». Il testo di Gioele offre uno sguardo grato e liberante, amplia gli orizzonti ecclesiali secondo la misura del dono universale di Dio e, nell' orazione immediatamente successiva al canto del Salmo, si trasforma in fervida preghiera: «Ascolta, o Dio, la tua Chiesa unita in concorde preghiera in questa santa veglia a compimento della Pasqua perenne; scenda sempre su di essa il tuo Spirito, perché illumini la mente dei fedeli e tutti i rinati nel Battesimo siano nel mondo testimoni e profeti». Nel Rito della Confermazione non poteva certo mancare questo brano biblico, che il Lezionario propone però a partire da 2,23a.26-3,1-3a, premettendo al tema dell'effusione spirituale l'invito alla gioia e alla festa, la promessa di una convivialità fraterna, gustosa, abbondante, segno del realizzarsi della promessa di Dio e dell'efficacia del suo perdono: «Allora voi riconoscerete che sono in mezzo a Israele, e che io sono il Signore, vostro Dio, non ce ne sono altri: mai più vergogna per il mio popolo» (Gl2,27). Dio si fa riconoscere come benedizione, nella dignità restituita ai suoi figli; la gloria sua è l 'uomo vivente.

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Un testimone efficace della passione di Dio

Se infine volessimo cercare una lettura continuativa del libro ci accorgeremmo che solamente la XXVII settimana del Tempo Ordinario, anno I, propone due pericopi, Gl l, 13-15 con 2, 1-12 il venerdì e Gl4,12-21 il sabato. Nel primo caso la durezza dell'annunciata sventura si coniuga con il versetto responsoriale del Sal 9: «Il Signore governerà il mondo con giustizia», interpretando il «giorno del Signore» come giorno nel quale Dio sterminerà la malvagità e farà esultare di gioia i suoi fedeli. Il sabato risuona la profezia dell'età messianica, la certezza della Gerusalemme restaurata, della terra che stilla vino e latte, e, nel contempo, la consapevolezza che il malvagio non rimarrà impunito. Notiamo anche un largo uso di Gioele nelle Messe per varie necessità: per la raccolta dei frutti («Le aie si riempiranno di grano e i tini traboccheranno di vino nuovo e di olio»), per i laici («effonderò il mio spirito sopra ogni uomo»), per la remissione dei peccati («ritornate a me con tutto il cuore»). Il profeta Gioele, in altre parole, continua a far sentire la sua voce: oggi, come ieri, egli è uno dei testimoni più efficaci di quel Dio accesso di passione e tenerezza, bruciante e tenerissimo. Un Dio senza misure e senza tiepidezze.

INDICE

PRESENTAZIONE ANNOTAZIONI DI CARATTERE TECNICO INTRODUZIONE Titolo e posizione nel canone Aspetti letterari Linee teologiche fondamentali Destinatari, autore e datazione Testo e trasmissione del testo Bibliografia GIOELE Titolo (l, l) Flagelli e inviti alla penitenza (l ,2-2, 17) Il riscatto di Giuda (2, 18--4, 17) Epilogo. Il trionfo finale di Giuda (4,18-21) IL LIBRO DI GIOELE NELL'ODIERNA LITURGIA

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