Il Vangelo di Giovanni. Analisi linguistica e commento esegetico 8830803995

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Il Vangelo di Giovanni. Analisi linguistica e commento esegetico
 8830803995

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]. MATEOS-]. BARRETO

IL VANGELO DI GIOVANNI analisi linguistica e commentc) esegetico

CITIADELLA EDITRICE

J. MATEOS J. BARRETO in collaborazione con

ENRIQUE HURTADO- ANGEL URBAN JOSEP RIUS-CAMPS

IL VANGELO DI GIOVANNI analisi linguistica e commento esegetico quarta edizione

CITTADELLA EDITRICE

Assisi 8-S.1982 Imprimatur Sergio Goretti Vescovo

t i tolo originale •

El Evangelio de

Juan



traduzione Teodora Tosattl revisione redazlonale Antonio Dal Bianco bozzetto coperta Roberto Plzzlgonl

© Edicion es Cristiandad - Madrid 1979 © per la lingua italiana Cittadella Editrice - Assisi 1• edizione oltobre 1982 4" edizione gennaio 2000

ISBN 88-308-0399-5

NOTA INTRODUTTIVA ALL'EDIZIONE ITALIANA

Juan Mateos e Juan Barreto offrono in quest'optra i frutti di lunghi anni di lavoro e di ricerche sul testo di Giovanni. Il loro Dizionario Teologico del Vangelo di Giovanni, edito sempre da Cittadella Editrice nel maggio 1982, lasciava intuire la profondità, la ricchezza e l'originali· tà della loro traduzione e commento al Vangelo di Giovanni. Gli ambiti nei quali più spiccatamente si evidenzia la novità sono quello linguisti· co-filologico e quello biblico-teologico. Nell'introduzione al presente volume gli autori stessi sottolineano di essersi impegnati in maniera particolare in questi settori. Nonostante la voluminosità dell'opera, la pregnanza di idee e concetti che vi si trovano, dà l'impressione di trovarsi di fronte a una sintesi, soprattutto per il settore linguistico-ti· lologico. Infatti; come la parte biblico-teologica è corredata dal citato Dizionario teologico, così quella linguistico-filologica è affiancata da due opere non ancora tradotte in italiano: la prima di J. Mateos, El Aspecto Verbal en el Nuevo Testamento; la secortda di l. Mateos, A. Urbdn e M. Alepuz, Cuestiones de Gramatica y Léxico. Anche se le Note Filologiche di ogni paragrafo sono destinate soprattut­ to agli • addetti ai lavori», esse sono indispensabili per una valutazione critica della nuova linea linguistica, per capire tante novità nel modo di tradurre il testo greco del Vangelo e perché aprono la strada a numerose imwvazioni biblico-teologiche. La traduzione italiana dell'opera originale spagnola ha il merito di essere stata fatta da u n'allieva degli autori, che ha portato avanti il lavoro in u n dialogo continuo con loro. La traduzione del testo biblico è stata fatta sempre tenendo presente l'originale greco ed ebraico. Il lettore troverà delle differenze - a volte anche notevoli - tra la prima edizione spagnola e questa edizione italiana. Infatti la presente edizio­ ne ha potuto giovarsi degli approfondimenti apportati dagli autori alla seconda edizione spagnola, in preparazione, e a volte presenta addirit· tura delle innovazioni rispetto a tutte e due. Ci auguriamo che l'opera trovi anche in Italia l'accoglienza che sta ricevendo in Spagna, rugli altri paesi europei e in quelli latino-ame­ ricani.

ANTONIO DAL BIANCO

INTRODUZIONE

Il titolo di questa collana, « Lettura del Nuovo Testamento •, che presenta come primo volume Il Vangelo di Giovanni, enuncia con chiarezza non soltanto il suo proposito, ma anche il metodo seguito per realizzarlo: leggere il vangelo. Ciascun genere letterario esige il suo particolare modo di lettura. Quella di un romanzo o di un'opera drammatica, organizzati secondo un piano d'insieme, non è quella di una miscel lanea di articoli o raccolta di aneddoti, senza altra unità che di autore, tema o personaggi comuni. Il vangelo di Giovanni si presenta come opera unitaria; di conseguenza si è partiti, per leggerlo, dal presupposto che possa essere letto come tale, vale a dire, come uno scritto in cui le singole parti sono in funzione di un piano o struttura d'insieme intenzionale dell'autore, struttura che a sua volta illumina il senso di ciascuna delle parti che la compongono. In altre parole: l'autore ha disposto il suo materiale in maniera organica, atta a esprimere il contenuto che desidera trasmette­ re. In questo modo, oggetto di lettura diviene l'opera nel suo complesso, non soltanto le unità che la compongono prese isolatamente. La validità di questo pre s u pposto , adottato all'inizio come ipotesi, si è andata confermando man mano che il commento procedeva.

Strutturaz.ione storica o teologica? Adottata l'ipotesi secondo cui questo vangelo costituisce un'opera uni­ taria, è necessario determinare se la sua struttura risponda a un intento prevalentemente storico-narrativo o non piuttosto a una conce­ zione teologica. II te:-ttativo di considerare il vangelo come una narrazione di carattere puramente storico, incontra immediatamente difficoltà insormontabili: analizzando il testo come se fosse opera di un cronista, si presentano, da un lato, « salti • nella topografia e incoerenze nella successione degli eventi e, dall'altro, omissione di dati, mancanza di logica narrativa e dettagli inverosimili.

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Introduzione Fra i salti topografici spicca la successione dei capitoli 5 e 6. Gesù, che si trovava a Gerusalemme, nel pieno della controversia con i suoi avversari, appare d'un tratto, senza transizione alcuna, in Galilea, sulla sponda orientale del lago, accompagnato dai suoi discepoli (6,1). Più tardi, la barca che trasporta i discepoli si trova repentinamente • a terra •. mentre Gesù cammina • sul mare» (6, 19-21). La mancanza di logica nella successione degli eventi risalta nell'invito a uscire rivolto da Gesù a metà del discorso della Cena (14, 31), mentre egli stesso continua il discorso, senza che si indichi un cambiamento di luogo o di tempo. L'omissione di dati risulta evidente, per esempio, nella solenne dichia­ razione di Giovanni Battista (l, 29-34), dove manca qualunque menzione di uditorio; parallelamente, il grido finale di Gesù, quando sintetizza la sua attività (12, 44-50). risuona nel vuoto, senza che venga indicato né il luogo né il pubblico. Altre volte viene meno la logica narrativa: cosi, a Cana, la madre di Gesù, dinanzi alla mancanza di vino, si rivolge a lui - un invitato anziché al maestro di tavola Il presente, incaricato dell'andamento del banchetto (2, l-Il). In questo stesso episodio, Gesù «manifesta la sua gloria •. espressione solenne, unica nel vangelo, per aver trasformato acqua in vino; non altrettanto più tardi, quando dà vita a un moribon­ do (4, 46b), fa camminare un invalido (5, lss) o dona la vista a un cieco nato (9, l ss). opere che si direbbero di maggiore importanza. D'altra parte, le cifre che compaiono in alcuni episodi risultano invero­ simili se considerate dal punto di vista esclusivamente storico: cosi, in 1,ma casa privata, si trovano sei giare da 80 a 120 litri ciascuna. destinate semplicemente alla purifica;done (2, 6); Nicodemo compra per imbalsamare Gesù 100 libbre di aromi (19, 39), circa 40 chili. Per questi e per molti altri dettagli, il testo, letto in una prospettiva iluramente storica, risulta spesso trascurato o incoerente.

Strutturazione teologica: le sue linee portanti Di fatto, il piano che struttura i l vangelo di Giovanni è teologico. Non si tratta di una biografia di Gesù (20, 30). e neppure di un riassunto della sua vita, ma di una interpretazione della sua parola e opera, data da una comunità attraverso la sua esperienza di fede. Ne consegue che il lettore deve interpretare i fatti che incontra nel testo. la storicità dei quali non viene pregiudicata, attenendosi alla finalità del vangelo, vale a dire, come linguaggio teologico. Ebbene, una volta ammesso che questo vangelo pone in primo piano l 'interpretazione teologica e che a essa vengono subordinati i dati storici, sarebbe illogico continuare a farsi un problema delle difficoltà che il testo presenta nella prospettiva storica. Nella lettura di Giovanni risulta ozioso discutere, per es. se, collocando l'espulsione dei mercanti dal tempio al principio della vita pubblica di Gesù anziché alla fine, egli sia più preciso dei sinottici. In questo o in altri fatti, interessa soprattutto considerare il significato che essi assumono all'interno della struttura teologica del vangelo, e scoprire se, messi a fuoco in tale prospettiva, sia giustificata la loro collocazione nel contesto.

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Strutturazione teologica

La coerenza di Giovanni, dunque, non deve essere ricercata nella precisione storica, quanto piuttosto nell'unità !ematica, in relazione al suo piano teologico. Molti « problemi » che creano difficoltà in questo vangelo derivano soltanto da un difetto di impostazione ini ziale. Le linee portanti della teologia di Giovanni sono due: il tema della creazione e quello della Pasqua-alleanza. Il tema della creazione, che comincia nel prologo (1, lss), domina la cronologia e fornisce una chiave interpretativa dell'opera di Gesù. In primo luogo spiega la successione cronologica che appare al principio del vangelo ( l , 19: testimonianza di Giovanni Battista; l, 29: il giorno seguente; l, 35: il giorno seguente; l, 43: il giorno seguente; 2,1: il terzo giorno), il cui obiettivo è far coincidere l'annuncio e il principio dell'opera di Gesù con il sesto giorno, quello della creazione dell'uomo; sottolinea in tal modo il senso e il risultato della sua opera: portare a compimento questa creazione. Essa culminerà nella sua morte in croce (19, 30: è ormai completato), che avrà luogo anch'essa nel sesto giorno, come ricorda l'evangelista con un'altra serie di indicazioni (12, l: sei giorni prima della Pasqua; 12, 12 il giorno seguente; 13, 1: prima della Pasqua; 19, 14.31.42: preparazione della Pasqua). Ne consegue che tutta l'attività di Gesù fino alla sua morte sta sollo i l segno del • giorno sesto » , mostrando il disegno che l a presiede: con­ durre a termine l'opera creatrice, completando l'uomo con lo Spirito di Dio (cfr. 19, 30; 20, 22). Il giorno sesto include due periodi: quello dell'attività di Gesù, • il Giorno del Messia • (2, 1-11, 54; cfr. 8,56), e l'Ora finale "• che lo conclude e coincide con il periodo dell'ultima Pasqua (Il, 55-19, 42; cfr. 12, 23; 13,l; 17,1; 19,14.27), intrecciando così i due temi principali. La parte finale del vangelo completa il tema della creazione situandosi nel « primo giorno • (20,1), che indica l'inizio e la novità della creazione portata a compimento, e che allo stesso tempo, è l'« ottavo giorno» (20, 26), indicandone la pienezza e il carattere definitivo. Anche la men· zione dell'orto-giardino (19, 41; cfr. 20,15) allude al giardino della prima coppia. I temi della vita e della luce, centrali nel vangelo (1, 4ss e pa.ssim). come anche quello della nascita (1,13; 3,3ss), si collocano nella linea della creazione. "

Il tema della Pasqua-alleanza include quello dell'esodo e, in questo, tutti i temi subordinati: la presenza della gloria nella Tenda del­ l'Incontro o santuario (cfr. l, 14; 2, 19-21), l'agnello (1, 29; 19, 36), la Legge (3, lss), la traversata del mare (6, 1), il monte (6,3), la manna (6,31), il cammino o la sequela di Gesù (8, 12), il passaggio dalla morte alla vita (5,24), il passaggio del Giordano (10,40). È intimamente collegato con il tema del Messia (1, 17), che, come un secondo Mosè, doveva realizzare l'esodo definitivo (dr. Excursus, p. 871) e, pertanto, con quello della regalilà di Gesù (1, 49; 6,15; 12,13s; 18, 5.7; 18,33-19, 22). «Il mondo» nemico di Gesù e dei suoi (15, 18ss), dal quale egli o il Padre conducono fuori (15,19; 17, 6), è un elemento del tema dell'esodo (la terra della schiavitù). 9

Introduzione II tema pasquale domina lo schema de lle sei feste che inquadrano l'attività di Gesù. Di queste, la prima (2, 13ss), la terza o centrale (6, 4) e l'ultima ( ll, 55; 12, l) sono la stessa festa di Pasqua. Si noterà l'insistenza di Giovanni sul numero sei: giorno sesto, ora sesta, sei giorni prima della Pasqua, sei feste, sei giare. Questo numero indica l'incompleto, il preparatorio, il periodo di attività che tende a un risultato. II numero sette compare soltanto in un'occasione, designando l'ora settima (4, 52) che segue la sesta e indica il frutto dell'opera compiuta: la vita che Gesù concede. I temi della creazione e dell'alleanza (Pasqua) si intrecciano fin dall'ini­ zio dell'attività di Gesù (2,1-1_1), particolarmente nella figura dello Sposo, che è allo stesso tempo il Messia che deve inaugurare le nuove nozze-alleanza (3,28-29) e il primo uomo della nuova creazione, che incontra la sposa (la comunità) nell'orto-giardino (20,1ss). La designazione di Gesù come l'Uomo (il Figlio dell'uomo) appartiene al tema della creazione, perché lo qualifica come il modello di uomo, l'uomo compiuto. Così anche il titolo «il Figlio di Dio» (l, 34, ecc.), che indica la realizzazione del progetto divino. La designazione c il Figlio • le comprende e riunisce entrambe (cfr. Excursus, p. 874). Delle due guarigioni pubbliche che Gesù compie, quella del paralitico (5, 1ss), che mette in condizione di camminare, si colloca nella linea del cammino e dell'esodo; mentre quella del cieco, (9, 1ss), cui manifesta la luce, è nella linea della creazione dell'uomo. Entrambe sono tuttavia unite dalla menzione dei • ciechi » in 5, 3. Numerose sono le diramazio­ ni di questi temi nel vangelo.

L'unione del t ema · della creazione con quello del Messia (la nuova Pasqua-alleanza) mostra che Giovanni ha sintetizzato alcuni aspetti della teologia giudaica precedente. II Messia, oggetto dell'aspettativa, si identifica con la Sapienza-progetto creatore (Prv 8, 22ss) e con la Parola creatrice di Dio (Gn l,lss), che è inoltre messaggio e richiesta di Dio (Sapienza che invita). Così Gesù è il Messia in quanto è, da un lato, il progetto di Dio realizzato, l'Uomo (cfr. l , 14, realtà del Messia) e, dall'altro, la Parola di Dio creatrice ed efficace (1, 17, missione del Messia). Così si spiega la corrispondenza tra gli episodi della samarita­ na e del cieco. Al riconoscimento di Gesù come profeta, comune a entrambi (4, 19; 9,17), fa seguito la sua rivelazione in un caso come Messia (4, 25-26), nell'altro come l'Uomo (9, 35-37), mostrando l'affinità tra le due espressioni. Giovanni demitizza l'idea del Messia (cfr. 7,27) e concentra l'aspettativa, che vede realizzata in Gesù, nella figura del­ l'Uomo compiuto. II modello di uomo (tema della creazione) è il modello dell'umanità e il suo liberatore (Messia/Figlio di Dio, tema della Pasqua). La relazione tra le due linee teologiche la si può concepire in questo modo: il disegno di Dio consiste nel portare a compimento la creazione dell'uomo comunicandogli il principio vitale che supera la morte (lo Spirito), e nel fare dell'« uomo carne .. l'• uomo spirito» (3, 6): passag­ gio che esige la libera scelta dell'uomo (3, 19). Alla realizzazione di tale disegno si oppone, tuttavia, il fatto che l'uomo, ingannato e assoggetta­ to da forze malefiche (1, 5: la tenebra; 8,23: questo mondo/ordinamen­ to), ha rinunciato alla pienezza cui lo destina il progetto creatore. Ne

lO

Il punto d1 partenza

consegue la necessità di un salvatore (4, 42), il Messia (1, 17), che Io tragga fuori dalla schiavitù in cui si trova (1, 29: il peccato del mondo; tema dell'esodo), dandogli capacità di scelta, e completi in lui l 'opera creatrice (1, 17; cfr. l, 33: battezzare con Spirito Santo) . La linea primaria, perciò, è la realizzazione del disegno creatore. Al presupposto di un piano teologico che struttura il vangelo, corri­ sponde un atteggiamento di diffidenza sistematica verso ogni apriori­ smo che avrehhe potuto influire sulla lettura. Si è fatto uno sforzo per non proiettare sul testo concezioni estranee. Per questo nell'int erpreta­ zione di Giovanni si è evitata deliberatamente ogni comparazione con altri scritti del NT, la visione teologica dei quali, elaborata seguendo un piano diverso, o rispondendo a situazioni differenti, avrebbe potuto introdurre elementi estranei a quella dell'evangelista. Questa precauzio­ ne si è estesa anche agli scritti giovannei (lettere di Giovanni, Apocalis­ se) , dato che non è accertata né l'identità di autore né di epoca tra questi e il vangelo. D'altra parte, nella prima lettera di Giovann i, malgrado le sue innegabili affinità con il vangelo, compaiono anche discrepanze; basti citare la differente concezione del peccato e la preponderante attenzione della lettera per i problemi della comunità, che nel vangelo non trovano posto. La comparazione fra i diversi scritti del NT, sarebbe certamente molto utile, ma rappresenta uno stadio successivo all'analisi separata di ciascuna opera. Di fatto, lo studio parallelo di pericopi isolate in scritti differenti corre il rischio di deformare il loro significato. Esse infatti, pur avendo una tematica comune, si trovano integrate, a seconda · dell'opera di cui fanno parte, in un contesto o struttura teologica diversa, che può imprimere loro un significato o sfumatura particolare.

Il punto di partenza La teologia di Giovanni parte dalla realtà umana di Gesù, resa evidente nella sua morte. Questo è il fatto centrale del v11ngelo: Gesù fu

condannato a morte e giustiziato da un'istituzione che non Io accolse, considerandolo pericoloso per i propri interessi politici, economici e religiosi, difesi da un'interpretazione della Legge sulla quale si appog­ giarono per dargli la morte. L'evangelista parte da questa realtà di Gesù, e utilizza per esprimerla e spiegarla il linguaggio della cultura, familiare a lui e ai destinatari della sua opera, messo al servizio della sua teologia. Essendo tale linguaggio soltanto uno strumento, egli cita liberamente i testi antichi (13, 18) e, all'occorrenza, Ii cambia, omettendo frasi o combinando citazioni di provenienza diversa. I n 12, 15, per esempio, riunisce passi di Sof 3 e Zc 9 per elaborare un testo composto che alluda allo stesso tempo all'uni­ versalità (Sof 3, 9) e alla non violenza (Zc 9, 9) del re che giunge, . interpretato dalla folla, secondo Sof 3, 15, come il re d'Israeie. Sebbene le citazioni esplicite dell'AT non siano più di 13 nel vangelo, sono invece molto numerqse le allusioni, sia a passi concreti, sia, soprattutto, a temi teologici. L'allusione può anche non essere univoca; nell'ep isodio di 11

Introduzione

Natanaele, per citare un caso, entrano in gioco il testo di Sof 3, 12.15 riguardante il resto d'Israele e il suo re, e quello di Os 9, I O (come fichi primaticci), per significare che in Natanaele si rinnova l'elezione del­ l'antico popolo. In altre occasioni Giovanni opera una rilettura di passi dell'AT (4, 3ss: Osea; 6, lss: Esodo; 20, lss: Cantico) o usa la simbologia delle feste per illustrare la persona e l'opera di Gesù (festa delle Capanne: 7,37-39, motivo dell'acqua; 8, 12, motivo della luce). Allo scopo di sintetizzare in un solo passo il significato messianico di varie feste, introduce, per esempio, nella terza Pasqua il motivo dei rami di palme (il lulab, 12, 12), proprio della festa delle Capanne (7, lss) e della Dedicazione o Capanne d'Inverno (IO, 22). L'utilizzazione deli'AT in Giovanni è, come si vede, estremamente libera. Il motivo è che l'evangelista non intende operare una sintesi eclettica delle diverse correnti teologiche veterotestamentarie, per presentare la figura di Gesù fabbricando un mosaico composto da una moltitudine di tasselli. Per Giovanni, la novità di Gesù è radicale; egli si serve, per esprimerla, di un linguaggio elaborato nell'arco di secoli e disponibile al suo tempo. Per questo non serve seguire la linea teologica isolata di un testo che cita o cui allude, come se fosse un filone con un proprio significato, separato dalla visione globale dell'evangelista. Questa ten­ denza a basarsi su un termine isolato è stata appunto la causa di tanta difficoltà per l'interpretazione del prologo. AI contrario, è necessario cercare la coerenza di Giovanni nel dato fondamentale, la vita e morte di Gesù, perché essa sola permette di calibrare il senso esatto del suo linguaggio. Considerando, per esempio, le allusioni al libro apocalittico di Daniele che appaiono in 5, 28s, è necessario chiedersi cosa significano nel linguaggio di Giovanni. Se si tiene presente che egli, in tutta la sua opera, si rifà costantemente alla realtà umana di Gesù, e, in particolare, alla sua morte (2, 4: la sua ora), come manifestazione definitiva della gloria-amore di Dio per l'umanità, si vede che, per Giovanni, tutta l'aspettativa dell'AT trova il suo compimento in tale realtà umana e in tale evento; le attese apocalittiche si realizzano in Gesù, ma in Gesù uomo crocifisso. Così l'evangelista demitizza l'escatologia integrandola nella storia. Vale a dire, per interpretare questo testo di Giovanni non si può partire dalla teologia di Daniele, ma da quella dell'evangelista, e biso­ gna vedere nelle allusioni al profeta una forma espressiva della quale egli si serve, trasferendola in chiave s torica, per esprimere come Gesù sia la norma non solo del presente, ma anche del passato. Allorché tutta la tensione dell'AT si concentra nella morte di Gesù, o meglio, in Gesù crocifisso, l'aspettativa accumulata nella Scrittura ac­ quista dimensione storica e concretezza umana. La croce di Gesù è il punto di arrivo cui Giovanni fa convergere le diverse linee teologiche dell'AT. Ripetendo quanto sopra, possiamo dire che egli non ricompone la figura di Gesù a partire dalle svariate concezioni teologiche vetero­ testamentarie, ma al contrario: guarda all'AT dalla realtà concreta e tangibile del Crocifisso, e a partire da essa interpreta la realtà antica, o se ne serve semplicemente come di un linguaggio per esprimere la propria esperienza di Gesù.

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Grammatica e lessico

La

preistoria del testo

Dato l'obiettivo del presente commento: • leggere • il vangelo come opera unitaria, la preistoria del testo non offriva un interesse diretto. Senza dare un giudi:tio sulle diverse teorie che cercano di spiegarla si è preferito, comunque, partire dall'ipotesi che non fossero imprescindibili per la comprensione del testo stesso. Di fatto, l'opzione iniziale era sostenuta dallo stile uniforme dell'evangelista; i tentativi di distinguere varie fonti basandosi su divergenze stilistichc non sono risultati convin­ centi. Dal punto di vista letterario, il vangelo risulta un'opera uni­ taria, quali che siano state le fonti utilizzate nella sua elaborazione. Cosi come lo studio diacronico del linguaggio non è indispensabile per il suo studio sincronico, neppure la preistoria del testo - d'altronde , poco sicura, come dimostra la diversità di teorie è condizione per interpretare il testo stesso. Le teorie sulle fonti o sulla composizione del testo intendono fonda­ mentalmente spiegare le divergenze teologiche o le incoerenze storiche che questo, apparentemente, presenta. Gli au tori del commento hanno preferito investigare senza pregiudizi se lo sforzo di comprensione del testo basti a risolvere le difficoltà cui tali teorie cercano di trovare soluzione_ L'analisi del testo e la sintesi risultante hanno mutato ciò che era un'ipotesi di lavoro in ferma persuasione: una volta scoperto il piano teologico unitario dell'evangelista, le apparenti contraddizioni e divergenze cessano di essere tali, e i dati trovano collocazione e signifi­ cato. Alcuni esempi si vedranno più avanti. -

Connessa con la formazione del testo è la questione del suo autore, luogo e data di composizione. Non avendo per il momento nulla di decisivo da apportare alla discussione, i commen tatori hanno preferito astenersi dall'esporre le varie opinioni a questo proposito_ Il lettore potrà trovare facilmente la necessaria informazione nei diversi com­ menti e studi già esistenti su Giovanni.

Grammatica e lessico Il vangelo è redatto in una lingua antica, a noi estranea. Ciò ha creato un desiderio di precisione e uno sforzo di studio a livello linguistico, grammaticale e lessicale. Si è diffidato di una lettura rapida che desse per scontata la piena trasparenza del testo greco. Su questo punto, si è adottato il presupposto che l'autore fosse capace di esprimersi nella lingua che utilizzava e che il difetto di comprensione o chiarezza debba essere imputato al lettore non sufficientemente familiarizza to con essa. La mancanza di rigore grammaticale o lessicale conduce inevitabilmen­ te a inesattezze che falsano il significato, o alla permanenza di ambigui­ tà che lo offuscano, ostacoli non disprezzabili per l'interpretazione del testo e per scoprirne la coerenza. Di qui l'interesse per l'indagine grammaticale e lessicale nel presente commento, che si fonda su di un rinnovato sforzo di comprensione del testo, facendo in modo di non lasciare problemi irrisolti a questo livello. Si giustifica cosi lo spazio

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Introduzione

riservato alle note, grammaticali e filologiche che accompagnano la traduzione e l'importanza data alla nostra versione come risultato finale dello studio. La stessa disposizione del commento, che comincia con la traduzione e con le relative note che la giustificano, prima di presentare l'esegesi, testimonia questa preoccupazione. Per citare alcuni risultati a livello grammaticale, si potrà apprezzare l'importanza che acquista la considerazione degli aspetti verbali per stabilire la struttura del prologo (cfr. p. 44), per interpretare e tradurre con esattezza la frase di Giovanni in l , 15, per illuminare l'apparente contraddizione che il pf. anabebeken in 3, 13 presentava in relazione a 20, 17. Decisivo per l'interpretazione della teologia di Gio­ vanni è l'uso manifestativo del verbo doxaz6 (manifestare la gloria, cfr. 7, 39 nota). La determinazione dell'aspetto iterativo di erkhornai in 21. 22 evita la contraddizione con gli episodi precedenti e l'annuncio di una venuta escatologica inesistente in Giovanni e contraria ai suoi presupposti. Dal punto di vista lessicale, la distinzione fra i significati di hoti causale elimina incongruenze nella traduzione ( 1 , 16 nota), comprese interpretazioni poco soddisfacenti (8, 29) . Si noti la traduzione di sabba­ ton con • riposo di precetto "• in luogo di • sabato » (5, 9b nota). Si è precisato il significato della particella pali1t, distinguendo i generi di iterazione che denota (4, 54 nota). La frase idiomatica: t i ernoi kai soi (2, 4), che causava difficoltà, è stata oggetto di studio particolare per chiarificare le sue diverse accezioni. Precisando il significato di basi/eia (regalità) in 18, 33, si è scartato un dualismo contrario al pensiero di Giovanni. L'espressione « il Figlio dell'Uomo » (l'Uomo) ha trovato il suo posto all'interno del tema della creazione (cfr. l'Excursus dedicato a questo tema, p. 874). Si è studiato anche il significato di onorna, particolarmente nella difficile fra se e n t6 onomati mou (14, 13 nota).

Delimitazione delle unità e piano del vangelo Sulla base della comprensione del testo si è proceduto a del i mitare l e differenti unità. Scoprendo l e relazioni che s i stabiliscono a diversi livelli, si è giunti alla struttura globale dell opera, struttura che sarà esposta alla fine di questa introduzione. L'analisi successiva venne a confermare e illuminare la divisione ottenuta; la struttura globale proiettava la sua luce sulla funzione delle differenti unità all'inte rno del piano d'insieme. Si vedano, ad esempio, a livello di pericopi, l 'inclusione fra 3, 22 e 4, 1-3; la scissione di 4, 46, della pericope del funzionario (4, 46b-54) separando l'inclusione con 2, 1 (4, 46a) ; le inclusioni che delimitano 7, 1-10. 1 1-13.32.52; la pericope che comincia in 9, 40 e termina in 10, 7. 1 ; in modo simile, 1 1 . 1-17: 1 1 , 33-38a.38b45; 2, 12-36; l'importante divisione fra 13, 2 1-32 e 13, 33-35; le inclusioni e la struttura concentrica in 1 5 , 26-16, 15; la divisione e struttura della • sequenza del re •, 1 8, 28-19, 22, avente come episodio centrale la present azione di Gesù come l'Uomo-Figlio di Dio. '

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DeUmllarlone delle unltll

di cicli c'è da notare l'identificazione di due episodi program­ matici, quello di Cana (2, 1-1 1 ) , che regge il ciclo delle istituzioni, (tema: la sostituzione dell'alleanza), e la guarigione del figlio del funzionario reale (4, 46b-54), che apre il ciclo dell'uomo (tema: la vita ). A livello di parti, si può segnalare la distinzione fra le grandi divisioni del giorno sesto (2, 1-19, 42) : «il Giorno del Messia • (2, l-Il, 54) c « l'Ora finale », che comprende l'ultimo periodo pasquale (Il, 55-19, 42).

A livello

Infine, la determinazione del ruolo de ll'epilogo (21, 1-23) in relazione al corpo del vangelo, simile, sebbene in forma ridotta, a quello degli Alli degli Apostoli in relazione a l vangelo di Luca. In esso si verifica ancora una volta la struttura a dittico che si ripete a partire dall'inizio dell'• Ora finale • (Il, 55): una pala del dittico espone la relazione di Gesù con la sua comunità, l'altra la relazione con i l • mondo », La prima volta si contrappongono le due opzioni di Israele: l'adesione a Gesù nella scena di Betania (12, l ss), c l'opzione contraria del popolo accecato dalla Legge (12, 1 2ss) . Questa struttura si incontra per la seconda volta nella Cena, dove la prima parte (capp. 13-14) d escriv e la vita della comunità e la seconda (capp. 1 5-16) la sua identità nel mondo e la sua missione. Il dittico si ripete a partire dal primo giorno della settimana (20, 1 ) : Gesù con i suoi (20, ll-29) e la sua presenza nella missione (21 , l ss). Considerando la struttura globale, hanno create dal presupposto della strutturazione

trovato soluzione difficoltà storica dell'opera. t!. appar­ so che la collocazione del cap. 6 dopo il 5 era perfettamente logica dal punto di vista tematico: la menzione di Mosè, la cui impresa centrale è l'esodo (5, 46), conduce naturalmente al cap. 6, dove, sotto l'immagine del passaggio del mare di Galilea viene anticipatamente figurato l'esodo del Messia. La situazione del oopolo e la guarigione dell'invalido (5, l ss), che può di nuovo camminare, appaiono come presupposti per intraprendere con Gesù il cammino dell'esodo (cfr. 6, 2). La mancanza di precisione sul punto di partenza di Gesù per attraversare il mare (6, l) non deve essere interpretata con un criterio geografico, ma · tematico. La terra di schiavitù, che Gesù abbandona quando compie il suo esodo, è l'intera nazione e in particolare la Giudea, centro dell'isti­ . tuzione oppressiva, dove la sua attività in favore dell'uomo è stata rifiutata dai dirigenti (5, 1 8 ; cfr. 4, 1-3.44). Un'altra difficoltà che svanisce, come si vedrà, quando la si consideri dal punto di vista tematico, è quella creata dall'invito a uscire a metà del discorso della Cena (14, 31). In effetti, i capitoli 13 e 14 ne formano la prima parte dove si tratta della costituzione e della vita della comunità; è centrata sul comandamento di Gesù, sua carta di fondazio­ ne (13, 34-35). I capp. 15-16, che formano la seconda parte, costituiscono invece un'istruzione sull'identità e la funzione della comunità in mezzo a l mondo. Risulta comprensibile, pertanto, l'invito di Gesù a uscire; con esso annuncia il cambiamento di tematica: terminata l'istruzione sulla vita della comunità «dentro casa » (cfr. 20, 19.26), passa immediatamen­ te a parlare della vita • fuori » (cf: . 2 1 , 3: uscirono), che sarà un 15

Introduzione

passaggio attraverso il mondo ostile seguendo - condizione perché sia fruttuoso - lo stesso itinerario di lui.

Ambiente e linguaggio Era di primaria importanza determinare l'ambiente culturale in cui si muoveva l'evangelista. Bisognava decidere se nell'opera predominasse l'ambiente ellenistico o la tradizione ebraica. Rifiutando nuovamente ogni idea preconcetta, si è fermata l'attenzione sul linguaggio; questo, che oltre alle citazioni esplicite, è denso di allusioni all'AT e a tradizio­ ni giudaiche, ha mostrato senza dar luogo a dubbi che l'evangelista si muove nel mondo di idee della cultura giudaica. Le tradizioni giudaiche cui il testo allude sono a volte attestate da documenti del tempo; altre si trovano soltanto in raccolte di epoca posteriore; tuttavia, la coinci­ denza esatta con certi dati del vangelo, mostra che queste compilazio­ ni hanno conservato materiale di epoche più antiche, che aiutano a mettere in luce alcuni passi di Giovanni. Perfino un termine così discusso come logos, che apparteneva al patri­ monio comune della cultura ellenistica, riceve in questo vangelo un peso semantico (già presente nel /ogos dei LXX) proveniente dalla teologia dell'AT e dell'epoca intertestamentaria. Studi sul rnernrd di Yahvè nei Targumin hanno confermato la radice ebrea dell'uso di logos in Giovanni 1• Bisogna tener conto anche del cambiamento di prospettiva prodotto dalle recenti scoperte sulla cultura giudaico-palestinese nel periodo precedente la distruzione di Gerusalemme. Non si può ormai dubitare della diversità di ideologie religiose e di linguaggio teologico che regna­ va nei tempi antecedenti la riorganizzazione del giudaismo fariseo; molte di quelle ideologie �.ono andate perdute a causa della visione unilaterale imposta da quest'ultimo. Bi sogna affrontare qui la questione del linguaggio teologico dell'evange­ lista. Non è da pensare che esso sia tutto creazione originale; al contrario, nella maggioranza dei casi utilizza un modo di esprimersi già esistente e disponibile. Nella letteratura ebraica dell'AT, i concetti teolo­ gici non si esprimevano come oggi con un linguaggio astratto, ma con immagini di uso corrente nella cultura, che rimandavano a categorie già conosciute. In Giovanni, un tema o fatto determinato si esprime o si interpreta usando categorie simboliche, la cui origine va cercata in gran parte nei libri dell'AT o nei suoi commenti. Si trova così il tema nuziale per significare l'alleanza o il rapporto di Dio con il suo popolo; il deserto, l'acqua, il pozzo, l'unzione, la pasqua, il pastore, le pecore, la gloria, il tempio, ecc., sono luoghi teologici. Contemporaneamente si utilizza la tipologia di personaggi o eventi della storia del popolo ebreo: Mosè, Giosuè, Elia, Eliseo, l'esodo, la traversata del mare o del Giordano, la manna, ecc. l Cfr. D. Muiioz Le6n, Dios-Palabra, Memrd en los Granada 1974.

16

Targumin del

Pentateuco.

Ambiente e linguaggio

Così, fra molti altri casi, si possono citare: le notze, figura dell'antica alleanza (2, l); le giare • di pietra » per la purificazione (cfr. le tavole di pietra) rappresentano la Legge (2, 6), come il pozzo di Giacobbe (4, 1 2 ) ; l a consegna del figlio unico allude ad Abramo (3, 1 6) ; l a traversata del GiordaQo, all'ingresso di Giosuè nella terra promessa (10, 40) ; i pani di orzo, alla storia di Eliseo (6, 9) ; il mantello lasciato come eredità, a Elia (19, 23); il profumo di nardo, al tema nuziale del Cantico ( 1 2, 3) ; l'or­ to-giardino, alla coppia primordiale (1 9, 4 1 ; cfr. 20, 1 5). Non solo; a volte, per interpretare un fatto si sovrappongono due o più categorie simboliche che in quel tempo er:mo immediatamente intelligi­ bili in quanto patrimonio comune della cultura. Il metodo analitico, che procede per separazione, non basta a captare il modo in cui l'evangeli­ sta propone una determinata scena. Si pensi, per es., alla morte di Gesù ( 1 9, 28-30), dove coincidono il tema della Legge che dà morte a Gesù (il vaso, l'aceto-odio, cfr. 19, 7) con il tema pasquale dell'agnello il cui sangue libera dalla morte (issopo) e quello della creazione (19, 30: è ormai completato).

Altre volte si adattano i simbolismi trasmessi. Così, il tema del mantel­ lo-eredità che si identifica con lo Spirito (storia di Elia ed Eliseo, 2 Re 2, 1 3-15) resta sdoppiato, nell 'eredità di Gesù, in mantello e tunica, per significare al tempo stesso l'universalità del dono dello Spirito e la sua unità ( 1 9, 23-24) . Talune parole, provviste di un peso semantico ben noto, costituiscono un leitrnotiv nel corso dell'opera; mentre, quando si associano ad altre, lo stesso tema continua con queste ultime, anche se sparisce il termine primario. Così, per es ., il tema delle « pecore., (come figura del popolo) espulse profeticamente da Gesù dal tempio, centro e simbolo dell'istitu­ zione giudea (2. 1 3ss), prosegue con gli infermi giacenti nei portici della piscina presso • la Pecoraia » (5, l ss) e riappare nell'allegoria del pastore ( 1 0, 1 ss); qui si associa con il termine • atrio », che rimanda alla scena del tempio (2, 13ss), e con i termini «porta, portinaio »; abbandonato il simbolo delle « pecore •, riappare l'• atrio • per desi­ gnare il palazzo di Anna, il sommo sacerdote, assieme a « porta, portinaia» (1 8, 15ss). Continua così il tema delle pecore-pastore, indi­ cando il risul tato della consegna di Gesù (trarre il popolo fuori dall'isti­ tuzione che lo opprime) e il rifiuto di Pietro di associarsi a Gesù in questa missione. Alla fine del vangelo, Gesù inviterà Pietro a dimo­ strargli il suo amore e a seguirlo, prendendo nuovamente il tema • pecore-pastore » come simbolo della missione di Pietro, che, per paura, aveva rifiutato (2 1 , 1 5-19). Un espediente abituale in Giovanni è quello di introdurre in un passo successivo un tema già noto, basandosi su una parola uguale, equivalen­ te o simile a quella del testo precedente. In pratica Giovanni, compo­ nendo la sua opera, tiene presenti i metodi esegetici usati dalle scuole rabbiniche. Così, la terza regola esegetica di Hillel. vissuto al tempo di Erode il Grande, quindi, prima di Giovanni, insegnava che quando in due luoghi della Legge si trovano parole di suono o significato uguale, entrambe le norme determinano la stessa cosa, e si possono applicare in modo identico. La quarta regola affermava che quando in un certo numero di passi biblici in relazione tra loro per il contenuto, uno di 17

Introduzione

essi offre una precisazione particolare, questa si può applicare a tutti. La sesta regola permette di spiegare un passo con un altro simile o parallelo 2. Queste regole si usavano anche per interpretare testi biblici non legali. II principio si può riassumere così: « La somiglianza di una parola in passi differenti permette di trasferire a uno di essi l'intera situazione che si trova nell'altro" 3• Questi metodi esegetici permettono di comprendere, o, almeno, sospet­ tare l'intenzione di Giovanni in non pochi passi. Cosi, il termine • le braci "• in 2 1 , 9, ricorda i rinnegamenti di Pietro ( 1 8, 18), che questi sta per cancellare rispon dendo alla triplice domanda di Gesù (2 1 , 15ss). • La moltitudine " di pesci in 2 1 , 6 indica probabi lmente a che categoria d i persone deve essere diretta in primo luogo la missione (5, 3 ) . II verbo • allacciarsi la cintura, cingersi in 2 1 . 7 mette questo passo in relazio­ ne con la lavanda dei piedi ( 1 3, 4), unico luogo dove il verbo è stato in precedenza incontrato. La sosti tuzione di un termine con un altro di significato equivalente, per evitare un'i ncongruenza nel contesto, si trova, per es., nell'uso di ependutes (gli indumenti esterni), in 2 1 , 7, che allude all'himation diviso sulla croce ( 1 9, 23). Probabilmente Io stesso procedimento appare nel­ l'equivalenza fra «gli uomini adulti • d i 6, !Ob, «essere adulto D (9, 2 1 .23) e i pesci • grandi • (21,11), che indicano la realizzazione dell'uomo a opera dello Spirito. L'enigmatica frase lo sono quello sulla bocca di Gesù (8, 24.28, ecc.) è in opposizione a quella di Giovanni Battista: lo non sono il Messia (l, 19; cfr. 3, 28) e allude alla dichiarazione di Gesù alla samaritana (4, 26: Sono io, che ti sto parlando) . Con essa, perciò, Gesù si riferisce alla sua qualità di Messia. La strana costruzione di 1 1 , 1 : C'era un infermo, ecc., nell'originale risulta essere in perfetto parallelismo sintattieo con l, 44: era Filippo di Betsaida. Con questo Giovanni attribuisce alla comunità dei tre fratelli la mentalità profondamente giudaica di Filippo e Nata­ naele, il che spiega molti tratti dell'episodio di Lazzaro. Appartengono a questa tecnica anche i giochi di parole. Così pléres (1, 14), plèr6ma ( 1 , 16), pleura (19, 34), identificano l'amore leale con l'acqua e il sangue che scaturiscono dal costato di Gesù. Vi è un probabile gioco di opposizione fra nomè (lO, 9) e nomos e fni spelaiur1 (simile a palaion (Il, 38b) e kainon ( 1 9, 4 1 ) , che opera cosi la distinzio­ ne fra i due sepolcri. D

Un altro espediente comune in questo vangelo è offerto dai personaggi rappresentativi. Molti di quelli che appaiono non agiscono semplice­ mente come figure storiche, ma investiti di una precisa rappresentanza. Per rendere differenti aspetti di quanto descritto, a volte personaggi diversi impersonano uno stesso ruolo sotto aspetti distinti o ruoli complementari. Così, per es., il caso di Natanaele, figura dell'Israele fedele alle promesse in quanto oggetto di rinnovata elezione da parte di Gesù ( 1 , 48.50), e della madre di Gesù, che rappresenta lo stesso Israele 2

Cfr. H. L. Strack, Einleirung in Talmud und Midrasch, Mtinchen 5!930. pp. 96-99. 3 Cosi H. L. Strack·P. Billerbeck, Kommen tar zum Neuen Testamenr aus Talmud und Midrasch, voli. I-IV, Miinchen 1922-1928.

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SIUe di Giovanni in quanto ongme di Gesù (2, 1 .3), che sarà integrato nella nuova comunità ai piedi della croce (19, 26-27). Natanaele, il primo rappresen­ tante, apparirà di fatto incluso nel gruppo dei discepoli, impegnati nella missione (2 1 , 2); egli viene collegato a Cana, località associata all'episo­ dio della madre (2, lss).

Un caso di particolare interesse è quello del discepolo che Gesù amava, figura anonima che rappresenta il di scepo lo o la comunità, in quanto amici di Gesù; è il di scepolo c he sperimenta il suo amore e gli corrisponde ( 1 8, 15 Lett.), quello che giunge per primo alla fede nella risurrezione (20, 8) e percepisce la presenza di Gesù nel frutto del lavoro (2 1 , 7). Questo discepolo servirà, inoltre, da termine positivo in ripetuta opposizione con Simon Pietro (13, 23ss; 18, 1 5; 20, 3ss; 2 1 , 7. 20-23). La f igura femminile che rappresenta la comunità , in quanto sposa di Gesù, è Ma ria la Maddalena, che appare per la prima volta ai piedi della croce, in parallelo con il discepolo ( 1 9 , 25-27) e costituirà con Gesù la nuova coppia primordiale che dà origine all'umanità nuova (20, l l ss). L'uso del linguaggio simbolico non deve stupire il lettore. Per l'evange­ lista, l'apparenza esterna dei fatti non rende il loro intero significato; l a mcra cronaca della v i t a d i Gesù sarebbe apparsa in mol te occasioni anodina per lui che percepiva la realtà profonda che vi si celava. La crocifissione, per es., che sign i fica per lui la grande mani festazione dell'amore di Dio per il mondo, po teva apparire a molti spettatori indifferenti come l 'esecuzione legale di un personaggio sovversivo; agli occhi dei dirigenti giudei fu il loro trionfo su Gesù, mentre per il credente significava la condanna da parte di Dio dell'istituzione che gli dav a la morte.

Stile di Giovanni Il pensiero di Giovanni non avanza in senso lineare: ogni part e contie­ ne la totali Là e, al tempo stesso, espone un aspetto della concezione centrale da cui parte tutta la sua teologia e cui gira costantemente intorno. Chi volesse scoprire la coerenza del testo in uno sviluppo lineare o narrativo incontrerebbe ingiustificabili retrocessioni a temi già trattati . Giovanni, al contrario, h a l a chiara visione del grande avvenimento: la morte di Gesù in croce. Su di essa torna continuamente e in mille modi, spiegandola da differenti punti di vista. Il suo scritto procede come una spirale che si muove dall'esterno verso il centro. Ogni segmento, preso in se s te sso, si può prolungare e, per la sua stessa curvatura, conduce al fatto centrale. Così si spiega che Giovanni ripeta lo stesso tema a diversi livelli, approssimandosi ogni volta di più al nucleo. Tale forma di composizione, che riflette il pensiero dell'evange­ lista, è criterio ermeneutico dell'interpretazione di G iova nni. Questo procedimento espositivo si organizza all'interno dello schema teologico-cronologico • giorno-ora "· I l giorno anticipa e spiega l'ora, l'ora compie il giorno e ne manifesta il contenuto. Man mano che si avvicina l'evento centrale, la morte di Gesù, l'evange19

lntroduzloDe

lista va concentrando i dati esposti nella spiegazione precedente; il simbolismo del suo linguaggio, disseminato nel corso dello scritto, si accumula e si concentra nelle scene della croce. Per il let tore moderno, poco abituato a questo genere di l inguaggio, esse potranno sembrare sovraccariche. Tuttavia, ripetendo la lettura e familiarizzandosi con il testo, ne gusterà la ricchezza espressiva. La meraviglia iniziale dinanzi all'inconsueto si trasformerà più tardi in apprezzamento estetico dello stile. La molteplice meditazione del tema centrale, la morte di Gesù in croce come espressione suprema dell'amore di Dio per l'uomo, è resa possibi­ le dall'utilizzazione di vari termini, che descrivono la stessa realtà da differenti punti di vista. Così, l'amore leale, che il Padre comunica in pienezza a Gesù, è chiamato, in quanto la sua mani festazione lo rende visibile, la • gloria • (l, 14). che rivela la presenza di Dio e costituisce Gesù suo santuario (2, 1 7. 1 9). La morte di Gesù in croce sarà, dunque, la manifestazione splendente della • gloria », l 'amore leale di Dio per l 'uomo ( 1 7 , l); Gesù sulla croce appare così come il nuovo tempio di Dio, che sostituisce tutti i templi. L'amore leale (cfr. l , 14 Lett.) o la gloria si identifica, a sua volta , con • Io Spirito • che scende dal cielo su Gesù e rimane su di lui (1, 32s); essendo Dio Spirito (4, 24). la presenza dello Spirito su Gesù fa di lui la presenza di Dio fra gli uomini. e della sua allivilà in favore dell'uomo, l 'attività stessa del Padre (5, 17.36). espressione creatrice del suo amore leale. Lo Spirito, che è forza, denota l'amore come principio vitale che, per mezzo di Gesù, Dio comunica all'uomo, e che porta a termine in lui l'opera creatrice ( 19 30; 20, 22). Così, l 'opera del Messia si può descrive­ re come far sì che esista • l'amore leale • (1, 17) o come « battezzare con Spirito Santo • ( l , 33). « La vita • che Io Spirito produce nell'uomo è • definitiva •. vale a dire, la sua qualità è tale da superare la morte (4, 14; cfr. 8, 5 1 ; 1 1 , 25s). I n altre parole: è l'amore leale a vitalizzare e sviluppare tutte l e capacità dell'uomo, conducendolo alla sua pienezza, secondo il progetto di Dio ( 1 9, 30: è ormai completato). • La vita » è al tempo stesso la luce dell'uomo (1, 4), vale à dire, la verità che guida i suoi passi. Con questa afrermazione, fatta al principio della sua opera, Giovanni pone come norma di verità la pienezza di vita contenuta nel progetto creatore, che si manifesterà in Gesù, il progetto realizzato. Pertanto, in Giovanni, il concetto di verità non è quello greco, che si riferisce a una conoscenza intellettuale; l'esperienza di vita, in quanto realtà cosciente e in qualche Jlllodo formulabile, costi­ tuisce per l'uomo la verità. • La vita » di cui parla Giovanni è sempre la vita definitiva, che ha inizio con il dono dello Spirito; questi fa nascere di nuovo (3, 3.5). rendendo l'uomo « spirito » (3, 6), vale a dire, dandogli una capacità di amare simile a quella di Dio (4, 24). La pratica dell'amore, assecondando l'impulso dello Spirito, dà all'uomo la somiglianza con il Padre, e in tal modo chi è nato da Dio ( l, 13) «diventa » figlio di Dio ( 1 , 12). « Spirito • e • amore leale » sono sinonimi a un punto tale che Giovanni può affermare che prima della morte-esaltazione di Gesù non esisteva « spi,

20

Domande al tulo

rito • (7, 39), poiché l'opera di Gesù Messia consiste appunto nel fare nascere l'amore leale nell'uomo (l, 1 7). • Il comandamento " di Gesù (13, 34) non fa altro che formulare, come carta di fondazione della sua comunità, la pratica dell'amore, che, come il suo, giunge fino alla donazione totale (amore leale); reso possibile dal dinamismo dello Spirito, esso rende l'uomo • figlio di Dio », come Gesù (cfr. 20, 17: miei fratelli) . • Il messaggio » di Gesù, che è quello del Padre (14, 24), è la proclama­ zione dell 'amore leale per l'uomo, l'annuncio della sua realtà in Gesù e della sua possibilità tramite lo Spirito. Come si può notare, la connessione fra i diversi termini è cosl stretta che si devono sempre tenere presenti le equivalenze o complementari­ tà per non perdere il filo del pensiero di Giovanni e poter trovare l'unità profonda del suo vangelo, che espone con diverse parole e sotto simboli differenti l'unica • verità »: l'amore incondizionato di Dio per l'uomo, realizzato e manifestato al massimo nella consegna volontaria di Gesù per l'umanità, per liberarla dalla morte comunicamlole la pienezza di vita che Dio le destinava nel suo progetto creatore. La preoccupazione teologica di Giovanni, che predomina sull'intenzione narrativa, dà luogo al passaggio dal dialogo a una esposizione che sviluppa il tema teologico impostato nel dialogo. Cosi avviene, per es., nel colloquio con Nicodemo, in cui l'ultima risposta di Gesù (3, 1 0- 1 2) continua con un'esposizione del piano di Dio che presenta il Messia come fonte di vita, espressione dell'amore di Dio e luce che rende decisiva l 'opzione dell'.uomo (3, 1 3-2 1 ). In maniera simile, nell'episodio successivo, il dialogo di Giovanni Battista con i suoi discepoli si prolunga in un'esposizione teologica del ruolo del Figlio inviato da Dio (3, 31-36).

Le domande poste al testo II fatto di leggere un testo indica un qualche interesse . nei suoi confronti, una qualche aspettativa da parte del lettore. La sua relazione con il testo è quella di un dialogo più o meno intenso, a seconda della qualità dello scritto; questo afferma o propone, il lettore domanda o apprende. Le domande che gli si rivolgono dipendono dall 'interesse che guida la lettura; può essere puramente linguistico, per studiare la grammatica, il lessico o Io stile. Si possono indagare anche i dati storici che fornisce, l'ambiente culturale che riflette, le sue relazioni con altre opere e la sua originalità letteraria. Altri indagheranno sulla preistoria del testo trasmesso o sulla storia della sua trasmissione (critica te­ stuale). Questi modi di avvicinarsi al testo mirano più che altro a una sua lettura !ematica. In essa, il lettore prende l'iniziativa, tenendo pronte le domande cui cerca risposta. Per es., si può studiare il concetto di • gloria • in Giovanni, o il rapporto fra il Padre e il Figlio o il ruolo che ha la madre di Gesù. L'interesse si può centrare, tuttavia, sul messaggio che il testo intende comunicare al lettore, e al quale sono ordinate tutte le sue componenti;

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Introduzione

i l contenuto centrale che integra e organizza tutti i rimanenti aspetti, dalla costruzione grammaticale e lo stile fino agli elementi ambientali assunti. Se tale contenuto, come nel caso del vangelo, è un messaggio che intende incidere sulla vita dei suoi destinatari (20, 3 1 : rimangono scritti perché giungiate a credere che Gesù è il Messia, il Figlio di Dio e, credendo, abbiate vita uniti a lui), chi affronta questo testo non si può sottrarre al suo confronto, a meno di rinunciare a comprenderlo. L'intenzione di interpellare è una componente oggettiva dell'opera, e sarebbe antiscientifico affrontarla da un'angolatura che prescindesse da questa realtà. Per captare questo messaggio, come è intendimento di un commento a ll in t era opera, l'at teggiamento del let t ore deve essere diverso. De­ ve anzitutto porsi una domanda generica: che dice questo testo?, !asciandogli l'iniziativa. Il testo stesso andrà suscitando problemi e interrogativi che stimoleranno la curiosità del lettore. La capacità di comprensione del messaggio dipenderà allora dalla condizione di chi legge: da una parte, dalla sua familiarità con l'ambiente dell'evangelista che scrive, in particolare con la !ematica dcli'AT e della tradizione giudaica (è evidente che se uno si avvicina a Giovanni senza tener presente la tradizione anteriore non comprenderà molte al lu s i o n i e significati presenti nel testo) ; d'altra parte, dipenderà dalla sensib ilità del lettore alla problematica dello scritto; quanto maggiore è la sinto­ nia fra il lettore e il testo, tanto maggiore sarà la comprensione dello stesso c la percezione dei suoi diversi aspetti. Così, lasciandosi solleci­ tare da esso e rispondendo ai suoi stimoli, il lettore potrà arri v are a captare il messaggio centrale che lo scritto intende trasmettere. Questo atteggiamento fondamentale incide sulla problematica personale del commentatore e impedisce che le sue domande, esplicite o imp!ici· te, deformino il messaggio del testo. Dovrà accet tare che quest'ultimo non risponda ad alcune di esse o che modifichi le sue impostazioni. '

La condizione fondamentale per una sana esegesi è ascoltare il testo, es­ sergli docili, senza forzarlo né imporgli risposte. Esso è l 'unica autorità che va presa in considerazione incondizionatamente; tutte le altre avran­ no validità in quanto possano accordarsi con i dati offerti. Questa prece· dcnza data al testo spiega perché in questo commento non si citano opere di altri autori. Non pretende con ciò un'originalità assoluta, ma per il suo carattere di lettura, ha preferito non sovraccaricare il testo con citazioni, il che, d'altra parte, avrebbe necessariamente condotto alla discussione delle diverse opinioni. Si incontreranno numerose op­ zioni esegetiche già presenti in opere anteriori, che sono state accetta­ te essendo stata dimostrata la loro coerenza con i risultati dell'analisi. Si citano soltanto opere contenenti documenti o dati che illustrano l'ambiente cul turale o i presupposti dell'evangelista. Commento scientifico è quello che con uno studio di prima mano sul testo cerca di condurre su di esso una riflessione che apporti soluzioni nuove. Si può presentare in due maniere: in modo tecnico, accessibile solo agli specialisti familiarizzati con la l ingua dell'originale, o in modo meno tecnico, diretto a un pubblico più vasto. Questo nostro corwncnto ha scelto di riservare la presentazione tecnica alle note che accampa22

n commento

gnan o la traduzione, esponendo invece l'esegesi in forma accessibile al lettore colto, anche se non specialista. D'altra parte, vi è il proposito di continuare a pubblicare studi complementari a livello tecnico, che possano giustificare più ampiamente alcune conclusioni proposte nel commento. Speciale attenzione si è prestata alle difficoltà che presenta il testo. Ogni volta che in un passo appare una costruzione strana, un dettaglio sorprendente, una situazione o un fatto inaspettato, poco in accordo con la logica della narrazione, Wl parallelo evidente con un altro passo, c'è da sospettare un significato particolare da parte dell'evangelista. Già Origcnc, uomo di lingua e cultura greca, notava gli • intoppi, ostacoli e cose impossibili " (skandala, proskommata, adunata) 4 che si incontrano nel vangelo: non bisogna dissimularli né eluderli, ma analizzarli: sono indizi che invilano alla riflessione e permettono di scoprire il signifi­ cato. Servano da esempio, fra i molti, la strana frase del prologo: diventare figli di Dio ( 1 , 12); il nome di Betania, comune al luogo dove battezzava Giovanni ( 1 , 28) e al villaggio di Lazzaro, Maria e Marta ( I l , I ; cfr. 10, 40); il fatto che nelle due scene in cui Gesù dialoga con sua madre egli la chiami « donna •, non madre, né essa chiami lui • figlio • (2. lss; 19, 26-27); l'oscillazione « fonte/pozzo • per designare il poao di Gia­ cobbe (4, 6.1 1 ) ; l'indiscreto invito di Gesù alla samaritana perché chiami suo marito (4, 16) ; l'espressione « il suo fango », riferito a Gesù, nella guarigione del cieco (9, 6) ; l'affermazione di 1 1 , 1 , che Lazzaro era compaesano delle sorelle Maria e Marta, mentre immediatamente dopo si dirà che era loro fratello; il sorprendente pianto di Gesù poco prima di risuscitare Lazzaro ( 1 1 , 35). o l'ordine che dà ai presenti: Sciogliete/o e lasciate che se ne vada ( 1 1 , 44), quando la cosa più ovvia sarebbe stata restituirlo alla famiglia; l'ambiguità di s�ggetto d i 1 1 . 4.5: quelli che erano andati da Maria ed erano stati presenti a ciò che aveva fatto

(chi aveva fatto ciò, Maria o Gesù?; casi analoghi in 13, 6; 19, 5.13) ; la strana collocazione del sudario in 20, 7: non messo con i te/i, ma a parte, che co p riva/avvolgeva un luogo determinato; la nudità di Pietro durante la pesca (2 1 . 7). Il

commento

Nei paragrafi precedenti sono già stati spiegati l'indole e il proposito del presente commento. Questo, basato su di un approfondimento dello studio grammaticale e lessicale, presenta una traduzione linguistica­ mente giustificata del testo greco, che intende essere fedele a tre principi: aderenza all'originale, chiarezza di significato e correttezza di lingua. Data la finalità dell'opera, si è procurato di conservare in essa, quanto possibile, i parallelismi stabiliti dal testo greco, facilitando così al lettore la comprensione delle allusioni di alcuni passi ad altri. Le note che seguono la traduzione, oltre alle questioni grammaticali o lessicali che il testo presenta, offrono dati che mettono in connessione � Cfr. P. A. IV (16), a cura di P. Koetschau, GCS Origenes V, Leipzig 1913, 321.

23

Introduzione

passaggi diversi del vangelo o paralleli che illustrano il passo trattato. L'organizzazione del commento è semplice e intende soltanto facilitare la lettura di un'opera di contenuto profondo, espresso con un linguag­ gio denso e insinuante, pieno di allusioni ad altri passi dello stesso vangelo e a temi deli'AT. Per questo, terminata l'esposizione tecnica contenuta nelle note, si orienta il lettore verso il tema centrale della pericope e la sua struttura interna (contenuto e divisione). Segue la lettura, che fa l'analisi di ogni versetto o parte di esso. Le numerose citazioni intercalate rimandano il lettore ad altri passi del vangelo che provano o illustrano ogni affermazione, permettendo di scoprire la coerenza interna dell'opera. Infine, al termine di ogni lettura si offre una sintesi, dove si riassume il contenuto della pericope o dove si sviluppa un punto di particolare interesse teologico, usando un linguag­ gio più vicino a quello dei giorni nostri. Era conveniente non perdere mai di vista la mentalità sintetica di Giovanni; per questo ogni parte, ciclo o sezione è preceduta dall'intro­ duzione corrispondente, che informa il lettore sullo sviluppo dell'opera. Il commento è provvisto di due indici. Il primo contiene le citazioni e le allusioni bibliche. Quelle del NT appartengono soprattutto alla parte filologica. Il secondo registra i fenomeni grammaticali e i dati lessicali particolarmente studiati '.

Piano del vangelo

L'esposizione dettagliata del piano del vangelo di Giovanni richiede uno studio a parte. Qui si intende unicamente offrire le grandi linee strutturali che risultano dall'analisi effettuata, adducendo le prove p i i t tangibili che la con fermano. Al principio di ogni parte o sezione si troveranno giustificazioni parziali della divisione adottata. Oltre al Prologo ( 1 , 1-18) e a una sezione introdutt iva (1, 1 9-5 1 ) , il vangelo di Giovanni si divide in due parti (2, 1-19, 42; 20, 1-31 ) e termina con un epilogo (21, 1-25). I. Il vangelo comincia con un prologo (l, 1-18), che costituisce un'unità distinta dal resto dell'opera, ed espone sinteticamente il contenuto e la realizzazione del disegno creatore. La sua struttura viene studiata in un paragrafo particolare (cfr. struttura del prologo, pp. 44ss) .

II. Dopo il prologo si trova una sezione introduttiva (1, 19-5 1 ) , che si pub intitolare: • Da Giovanni a Gesù », connessa con il prologo tramite le menzioni di Giovanni Battista ( 1 , 6. 1 5) e di Gesù ( 1 , 17). L'unità di questa sezione e, al tempo stesso, il suo carattere introduttivo, sono 5 È stato pubblicato, da Cittadella Editrice il Dizionario teologico del Vangelo di Giovanni, (maggio 1982) degli stessi autori del Commento. nel quale sono or�aniz­ zati il contenuto dci cancelli c il significato delle figure del vangelo, costituendo così un abbozzo della tL-ologia di Giovanni. La visione sintetica chiarifica e ar­ ricchisce i dati dispersi del Commento. La coerenza presentata dalle sintesi ivi espo­ ste è la miglior conferma della validità della linea esegetica adottata. Nel corso del presente Commento, si farà spesso riferimento alle voci di tale dizionario, che verrà citato con la sigla " Diz. Teol. • (N.d.T.).

24

Plano del vangelo

indicati, da un lato, dalla successione cronologica degli episodi, che sfocerà nella scena di Cana ( l , 19.29.35.42; 2, 1 } e, dall'altra, dalla tema­ tica, il trasferimento dell'aspettativa messianica da Giovanni a Gesù, fondata su dichiarazioni di Giovanni stesso (cfr. « Sezione introdutti­ va • . p. 79). III. Comincia poi la prima parte del vangelo, che si estende da 2, l a 19, 42. t:. inclusa fra la scena di Cana all'inizio, dove si annuncia per la prima volta « l'ora di Gesù », e questi, come anticipazione della sua ora ,; , offre l'assaggio del suo vino, simbolo dello Spirito (2, 1-1 1 ) , e la morte di Gesù alla fine, momento supremo della « sua ora » ( 1 2 , 23.27; 13, 1 ; 17, 1 ; 1 9, 1 4 ) in cui egli dà lo Spirito (19, 30: consegnò lo Spirito; 19, 34: l'acqua-Spirito, cfr. 3, 3; 4, 1 4 ; 7, 37-39). Questa prima parte corrisponde allo schema delle sei feste (2, 13: prima Pasqua; 5, l : festa; 6, 4: seconda Pasqua; 7, 1 : le Capanne; IO, 23: la Dedicazione; 1 1 , 55: terza Pasqua) e comprende l'opera di Gesù Messia. Tenendo conto che Giovanni apre il suo vangelo con una allusione alla Genesi e presentando la Parola creatrice (1, lss) , il giorno in cui avviene l'episodio di Cana (principio dei segni di Gesù), il sesto giorno a partire da l, 1 9, acquista un carattere simbolico: l'attività di Gesù si sviluppa nel giorno della creazione dell'uomo, perché la sua opera deve consiste­ re appunto nel portarla a termine con il dono dello Spirito. II • Giorno Sesto • culmina nell'• Ora •, quella finale di tale giorno. Tutta l'attività di Gesù sarà un'anticipazione di ciò che deve essere frutto della sua morte, Sof A� Zr.: MI

Proverbi Qoélet Cantico dei Cantici Sapienza Siracide Isaia Geremia Lamentazioni Baruch Ezechiele Daniele Osea Gioele Amos

Abdia Giona Michea Naum Abacuc Sofonia Aggeo Zaccaria Malachia

�..:.

Nuovo Testamento

Gv

Matteo Marco Luca Giovanni

At Rm

Atti Romani

Mt Mc Lc.

l Cor

2 Cor

Gal Ef Fil Col l Ts 2 Ts

l • Corinzi 2• Corinzi Galati Efesini Filippesi Colossesi l• Tcssalonicesi 2• Tessalonicesi

l

Tim

2 Tim Tt Fm Eb Gc l Pt 2 Pt

l Gv 2 Gv 3 Gv Gd Ap

Lettere di Ignazio di Antiochia Eph. Smirn. Tra/l.

= = =

Lettera ai c ris tiani di Efeso Lettera ai cristiani di Smirne Lettera ai cristiani di Tralle

l• Timoteo

2• Timoteo

Tito

Filemone Ebrei

Giacomo

l• Pietro

2• l• 2• 3•

Pietro Giovanni Giovanni

Giovanni Giuda

Apocalisse

Abbreviazioni e stele

Al TRE ABBREVIAZIONI accusativo

ace. agg. aor. il ram. art. a•,;v. avversa t. ca. cap. ca pp. complem.

aramaico art icolo avverbio avversativo circa capitolo capitoli complemento

cod. cfr.

confronta

compless. con g. connot.

con t.

correi. corrisp.

cast r.

aggettivo aoristo

codice

complessivo congiuntivo

connotazione

co nt i nuo correlativo, correlazione

corrispondente

cast ruzione

dat.

da ti vo

eb. ed.

ebraico edizio ne

di. dura t. es .

esplicat. fu t.

geni t.

gr. ibid. id. i mper. impf. incoat. in d. indica t. infiu.

ingress. i t.

diretto dura livo

esempio esplicativo futuro genitivo greco nello stesso luogo idem imperativo imperfetto incoativo indice indicativo infinito ingressiva italiano

Lett. letter. lett. var. loc. m dr. m s. m ss . negaz. ogg. oppos. parai. part. partic. pas. pers. p f. pl. ppf. pos sess . p re s. pron. prop. pros.

ps.

pun t. re lat.

sec.

sg.

sign. sin. si r. st. success. �.v. tra d. va r. V g. vol. vv.

Lettura l et t eralmen t e lettura variante locuzione m idrash manoscritto manoscritti negazione oggetto opposizione parallelo participio particella passat o personale perfetto plurale piuccheperfetto possessivo presente pronome proposizione prossimo pseudo puntuale rel at ivo secolo singolare significato sinaitico siriaco

storico

successivo si veda (vedi voce relativa) tra du zione vari ant e Vulgata volume

versetti

N.B. Ne l la traslitterazione del greco si è seguito un metodo molto semplifica­ to, che prevede solo l ' indicazione delle due vocali lunghe T) c w rese con è ed 6.

31

PROLOGO: IL DISEGNO CREATORE l, 1-18

Il vangelo di Giovanni si apre con una composizione di carattere esposi­ tivo che si è convenuto di chiamare prologo ( l , 1 - 1 8). Si caratterizza per il suo stile ricco di elementi ritmici (ripetizione di termini, parallelismi, ecc.) che Io distingue dalla prosa comune nel resto del vangelo. Nella sua seconda parte esprime, in prima persona, l'esperienza di salvezza della comunità ( 1 . 1 4 , 1 6: noz). In realtà, il tutto costituisce la professio­ ne di fede della comunità, o, secondo la terminologia di Giovanni, l a sua testimonian·z a. Questa testimonianza condensa in pochi tratti la realizzazione del pro­ getto creativo di Dio, che apre una nuova epoca nella storia dell'umani­ tà, così come è stato compreso e sperimentato dalla comunità stessa. Contiene in sintesi tutto il resto del vangelo che può essere considerato come un'amplificazione del prologo. Così, da una parte, offre chiavi d'in­ terpretazione per il resto del vangelo e annota i suoi temi principali; dall'altra, il suo spessore fa sì che non possa essere compreso appieno fino a che non sia stato esplicitato dalla narrazione stessa. La professione di fede che apre il vangelo è formulata a part ire da uno stereotipo che può essere riconosciuto nei diversi testi della riflessione sapienziale e che contiene i seguenti elementi: - la sapienza primordiale e il suo rapporto con Dir - la sua presenza nell 'opera creatrice - la sua partecipazione attraverso l'uomo - la sua identificazione con la norma etica - la sapienza, bene supremo dell'uomo. Questo schema parte dalla contemplazione della sapienza che sta presso Dio e nella creazione, procede alla sua manifestazione nella storia di Israele fino a identificarsi più tardi con la Legge ed è percepibile in mol­ ti testi dell'Antico Testamento (Gb 28; Pr 8, 22-36; Sir 24; Bar 3, 9-4, 4; Sal 1 9 , ecc.). Giovanni sostituisce il concetto di sapienza con quello di Parola e polemizza con la riflessione sapienziale segnalando che l'ultima e più completa manifestazione della Parola/sapienza non è la Legge, ma Gesù Messia, espressione della gloria di Dio ( 1 , 1 7); indica così l'articolo centrale del credo giovanneo, avallato dalla stessa esperienza della co­ munità. Tutto il vangelo può essere considerato come lo sviluppo di que­ sto articolo. Le corrispondenze del prologo con i l resto del vangelo sono numerose, come si potrà notare nel commento. ·

35

l, l-18. Prologo



1

Al principio la Parola già esisteva e la Parola si rivolgeva a Dio e la Parola era Dio. 2 Essa al principio si rivolgeva a Dio. 3

4 5

6 7

6

Mediante essa tutto cominciò a esistere, senza di essa non cominciò a esistere cosa alcuna di quanto esiste. Essa conteneva vita e la vita era la luce dell'uomo: questa luce splende nella tenebra e la tenebra non l'ha soffocata. Comparve un uomo inviato da Dio, il suo nome era Giovanni; egli venne per rendere testimonianza, per testimoniare la luce, cosicché, per suo mezzo, tutti giungessero a credere. Non era lui la luce, venne soltanto per testimoniare la luce.

Era essa la luce vera, quella che illumina ogni uomo, giungendo nel mondo. IO Era nel mondo e, sebbene il mondo avesse cominciato a esistere mediante essa, il mondo non la riconobbe. 9

u 12

13

Venne a casa sua, ma i suoi non l'accolsero. Invece a quanti la accettarono diede capacità di diventare figli di Dio: la diede, cioè, a coloro che mantengono l'adesione alla sua persona, quei che non nacquero da un mero sangue versato né per mero disegno di una carne né per mero disegno di un uomo, ma nacquero invece da Dio.

" E così la Parola divenne uomo, si accampò fra noi e abbiamo contemplato la sua gloria - la gloria che un figlio unico riceve da suo padre -. pienezza di amore e di Iealtà. 15

·16

36

Giovanni testimonia di lui e continua a gridare: � di costui che dissi: • Quello che viene dietro di me era già presente prima di me, perché esisteva prima di me•. Ne è prova che dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto un amore che risponde al suo amore.

Note Hlologlehe

17

Perc hé la Legge fu data per mezzo di Mosè,

l'amore e la lealtà hanno cominciato a esistere per mezzo di Gesù Messia. ti La divinità, nessuno mai l'ha vista; un Figlio unico, Dio, colu i che s i rivolge a l l i n ti mo del Padre, ne è stato la spiegazione. '

N OTE FILOLOGICHE l , l Il termine /ogos significa allo stesso tempo parola e progetto (cfr. Lett.); è una parola che ha un contenuto: il progetto divino. e lo esegue. La

parola, pertanto, è il progetto creatore in quanto formulato e, conseguen­ temente, eseguito. La frase en arkM bJ può significare che il /ogos coesisteva con il principio narrato nel Genesi (l , l ) oppure che Gv corregge la concezione del Genesi, indicando quale fu il vero principio. In ogni caso, la Parola/progetto pre­ cede l'opera creatrice. La forma durativa en indica, comunque, una durata in cui incide un momento puntuale ( en arkhe). L'esistenza della parola precede, pertanto, quella del principio, e di conseguenza la traduzione ap­ propriata è: al principio (riferito a quello del Genesi) la parola già esi­ steva. Ques ta, in quanto progetto formulato, è precedente al • principio •: in quanto parola creatrice, gli dà origine ( l , 3: mediante essa tutto cominciò a esistere). Questa unica parola contrasta con le molteplici parole della Legge: Es 4, 28; 20, 1.3.8 e, in particolare, con le dieci parole • (il Decalogo) : Es 34, 28; Dt 10, 14; 3 1 , 1 2 ; 32, 46, e con le parole dell'alleanza Dt 29, 1 ; 32, 44. - si rivolgeva a Dio, gr. en pros ton Theon. La prepos. pros ha significato di­ rezionale: verso. La parola era verso Dio la parola si rivolgeva a Dio, in parall. con il modo usato dall'AT per esprimere il rivolgersi di Dio ad un profeta: logos Theou egeneto pros, la parola di Dio fu verso Dio si rivolse a, cfr. l Re 13, 20; Mie 1 , 1 ; Ag 2, 10; Zc 1 , 1 .7; 4, 8; 7, 1 .8; Is 2, 1 ; 38. 4 : Ger 1 , 2.4.1 1 . 1 3 : 14. 1 : 21, 1 : 24, 4: 34 (41 ) , 1 : E2. 6, 1 ; 7, 1 : 12, 1 : 14, 12; 15, l: 16, l , ecc. La prepos. pros è usata da Gv stesso con il verbo legò (cor­ risp. logos). cfr. Gv 2, 3 : 3, 4; 4, 15.49, ecc. Non si oppone a questa interpretazione il testo di l Gv l , 2: tén �oen ten aiònion hétis en pros ton parera kai ephaneròthe hémin. Questa vita definitiva è una Parola/progetto ( 1 , 1 : peri tou logou tés zòes, genit. epe­ segetico: la Parola/progetto che è la vita). In quanto Parola/progetto in­ terpellava Dio, e, realizzata in Gesù, si è manifestata aflli uomini. . - [un] Dio, gr. theos. Senza artic., a differenza di l , lb1� ton theon, con articolo. Non sempre nel testo si riscontra una opposizione di questo genere. Preceduto da preposizione, theos omette spesso l'articolo ( 1 , 6.13). figlio di Dio • (1, 12), che indicano la qualità par­ Anche in frasi come tecipata che si riceve e si acquista (cfr. I l , 52: i figli d i Dio, con articolo). •

=

=



Si noti l'inclusione chiastica fra ! ,l a : en arkhé én ho /ogos e 1 , 2: houcos en en arkhé, alla quale viene aggiunta una • coda •: pros ton theon, che rimanda al tema centrale, il rivolgersi a Dio (l, lb). in quanto modo di esistere del logos.

2

37

1, 1-18. Prologo

3 cosa alcuna, gr. oude hm. Più forte di ouden (nulla). - di quanto esiste, gr. ho gegonen. Si adotta questa punteggiatura (con Vg,

Peshitta, Nestle n, Bover 5) per motivi contenutistici e stilistici. Rispetto al contenuto. se ho gegonen venisse unito a ciò che segue: l l il logos, � stituito dal creato, cesserebbe improvvisamente di ess ere il soggetto logico dell'intera sezione; 2) si parlerebbe non della vita contenuta nel progetto divino, ma di quella che è presente nel creato, identificando (én) il creato (in esso) con • vita •. concetto estraneo alla teologia di Gv, per il quale il creato, l 'uomo, non ha vita a meno di riceverla da Gesù (6, 53) ; lui solo è la vita ( I l , 25; 14, 6); inoltre, il significato di en auto rimarrebbe senza spiegazione, dato che non potrebbe essere interpretato come stru­ mentale ( 1 , 3.10: dia), e nemmeno come locale, data la alterità fra la pa­ rola e il suo effetto: 3) esisterebbe una contraddizione nel testo: mentre il creato sarebbe vita ( = la luce) e pertanto, luce ( 1 ,4), Giovanni Battista, colui che proclamava la luce, non sarebbe la luce ( l , 8); 4) la venuta di Giovanni ebbe come scopo che tutti giungessero a credere, il che suppone un termine (la luce-vita) personale e distinto da quelli che credono; 5) in­ fine, la luce-vi ta , in questa prima parte del prologo, è, da un lato extra· mondana, in quanto giunge fino al mondo ( 1 , 9), e dall'altro lato, mon­ dana, in quanto, identificandosi con la Parola/progetto (il progetto che interpella), era nel mondo; entrambi i tratti impediscono di identificare la luce-vita con il creato. Stil isticamente, in 1 , 3 vi è una costruzione sim ile a quella segnalata in 1 , 2, v al e a dire, l'aggiunta di una • coda • che riconduce al tema centrale (eb­ be esistenza): egeneto ... egeneto oude hen ... ho gegonen.

4 Essa conteneva vita, gr. en aut6 zoè èn. • Esse re in » e • contenere " sono espressioni correlat ive. - dell'uomo, gr. t6n antropon. In it . , l'universalità si esprime meglio con il sg. generico. 5 questa, gr. t o. Artic. anaforico. L'anafora che si riferisce a un termine già apparso con l'a rt icolo (1, 4: la luce) si traduce in i t. con il dimostra­ tivo anaforico, in particolare con questo, questa. - non l'ha soffocata, gr. ou katelaben. Katalambano nella voce attiva sign i­ fica • prendere, catturare, afferrare, trattenere, impadronirsi di • (cfr. Mc 9, 18: Rm 9, 30; l Cor 9, 24; Fil 3, 12). Applicato alla luce, " soffocare, estinguere ». Il significato « comprendere • è metaforico (it. • afferrare • ) e più frequente nella voce media (cfr. At 4, 1 3 : 10, 34: 25, 25). Le meta fore • tenebra/luce • mo s trano due realtà inconciliabil i : l'esistenza dell'una sup­ pone la non esistenza dell'altra. Per lo stesso significato ostile di questo verbo, cfr. i luoghi paralleli 6, 17 nota e 12, 35.

7 per testimoniare ... cosicché, gr. hina ... hina. Il primo indica il conte­ nuto della missione di Giovanni; il secondo, la sua finalità o l'effetto /con­ seguenza che si vuoi realizzare. - giungessero a credere, gr. pist eu s6s in, aor. incoativo, denotante inizio di stato. Cfr. El Aspecto V erbai, nn. 138s_ 8 venne soltanto, gr. alla. Nella trad. è necess ari o supplire alla forma verbale implicita secondo la f ra se parallela di l , 7: venne/giunse. L'oppo­ sizione che alla istituisce con la negazione p recedente è res t ri tt iva (sai­

tanto). 9 38

Era essa la luce vera, gr. én to phos to al€thinon. Dato che l'unico nomina-

Note filologiche tivo che precede è il pronome ekeinos ( 1 , 8), bisogna evitare che questo possa essere interpretato come soggetto di en. L'esplicitazione del soggetto nella traduzione attraverso il pronome essa (la Parola) toglie l'ambiguità. - giungendo, gr. erkhomenon. Part. durativo in corrispondenza con l'impf. durativo én. L'interpretazione di én ... erkhomenon come. forma perifra· stica va incontro a molte difficoltà. In primo luogo, la distanza nel· testo delle sue due componenti. In secondo luogo, all'annuncio della venuta imminente dovrebbe far seguito un verbo puntuale, ind icante il momento della venuta, mentre si incontra un'altra forma durativa (1, IO: én) in pa· rallelo con quella di l , 9. Esiste, quindi, nel mondo ( = l'umanità in tera) una presenza continua della luce vera, che si identifica con il lugos (1, 10), presenza dovuta alla venuta continua di questa luce nel mondo. - nel mondo, gr. eis ton kosmon. Questo termine può avere in Gv diversi significati: a) Il mondo fisico, l'universo ( 1 7. 5.24), la terra, luogo dove abita l'uma­ nità (Il, 9; 2 1 , 25). b) L'umanità che abita il mondo (1,9.10.29; 3, 16.17.19; 4, 42; 6, 14.33.5 1 ; 8, 12; 9, 5; I O , 36; 1 1 , 27; 12, 46.47; 16, 2 1 .28; 17, 18.21.23; 18, 20J7), connotandone spesso la necessità di salvezza ( 1 , 29; 3, 17 ecc. ). c) Gruppo umano numeroso: • il mondo intero » (1 2, 19; 14, 27). d) L'umanità in quanto strutturata in un ordinamento socio-religioso ne­ mico di Dio: • questo mondo/ordinamento • (7, 4.7; 8, 23.26; 9, 39; 12, 25 .3 1 ; 13, 1 (duplice accezione, locale e sociale); 14, 17.19.22.30.3 1 ; 15, 18.19: 16, 8. 1 1 .20.33; 17, 6.9. 1 1 (duplite accez.); 17, 13 (duplice accez.); 14, 15.16.25; 18, 36) (cfr. Diz.. Teol. • Cielo • II).

10 sebbene, gr. kai. Concessivo. - non la riconobbe, gr. ouk egn6. Aor. complessivo (cfr. El Aspecto Verbal, nn. 138.141) che nega globalmente l'inizio dello sta.to in . tutta la durata dell'impf. én. • Riconoscere • denota la responsabilità del • mondo •; non si tratta di semplice ignoranza, ma di un rifiuto dell'umanità (mondo) al­ l'attività della luce-vita (illumina ogni uomo), che prepara l , I l : non l'ac­

colsero.

1 1 a casa sua, gr. eis ta idia. Ciò che è suo proprio, detto del luogo dove si abita; cfr. Esd 5, 10; 6, 12 (LXX ) , trad. eb. bét6; Gv 16, 32; 19, 27; At 21, 6. Corrisp. a 4, 44: en té idid patridi. 12

la accettarono, gr. elabon. Con significato medio, a differenza di l . 1 6

(signif. passivo).

- diede capacittl, gr. ed6ken autois e;(Ousian. Facoltà, capacità. La frase in Gv significa • mettere nelle mani di qualcuno/a disposizione di qualcuno • (5, 27; cfr. 17, 2); il correlativo e;cousian ekhein essere nelle mani di qual­ cuno, aver libertà per (10, 18; 19, 10.1 1 ) . • Essere figli di Dio • non è, per­ =

tanto, una condizione statica, ma dinamica, legata all'attività (cfr. Lett.). La capacità è data con il • nascere da Dio » ( 1 , 13); le due espressioni: diede capacità, nacquero da Dio, sono equivalenti e indicano entrambe il momen­ to iniziale di un processo: diventare figli di Dio. - diventare, gr. genesthai. Infin. aor. che indica il termine del processo. Alla durata del processo corrisponde il part. pres. durativo pisteuousin, che espri­ me la condizione per raggiungere tale obiettivo (cfr. 6, 29). - la diede. cioè, a coloro, gr. tois (pisteuousin). Poiché l'art. anaforico si riferisce a coloro che sono stati menzionati sopra (cfr. N:d.A. successiva), si prefe­ risce tradurre con due proposizioni diverse, esplicitando tale riferimento (cioè) e ripetendo il verbo e l'oggetto, per esigenze della costr. it. (N.d.T.). - a coloro che mantengono l'adesione, gr. tois pisteuousin. Part. pres. durat. L'art. gr. anaforico li identifica con quelli che sono designati da autois e

39

l, 1-18. Prolop con l1osoi (casu$ pendens), anche se l'espressione participiale è restrittiva e potrebbe tradursi con una condizionale: se essi manrengono l'adesione. La costruzione pisteu6 eis, propria di Gv, indica non soltanto un assenso intellettuale, ma un'adesione personale (2, I l Lett./nota). Questo significato si conserva ancora nel Credo nicenocostantinopolitano, dove pisteuò eis ha come termine Dio Padre, il Signore Gesù Messia, lo Spirito e la Chiesa. La traduzione latina, in cui il verbo credere in non corrisponde esattamente al greco pisteu6 eis, soppresse la preposizione nell'ultimo termine: Credo

in unum Deum ... et in unum Dominum ... et in Spiritum ... et unam sanctam ... Ecclesiam. - alla sua persona, gr. eis to onoma autou. Onoma è un sostitutivo che identifica

designando (nome proprio. cfr. l, 6; 3, 1 ; 10, 3; 18, IO) o determinando con la funzione corrispondente alla persona (titolo, cfr. M t 24. 5; Mc 13, 6; Ef I, 2; Fil 2, 9) o con la qualità su cui si basa la funzione (M t I O , 41s). Nella costru­ zione pisteuein eis to onoma ( 1 , 12; 2, 23; 3, 18) si riferisce sempre a una fun­ zione o qualità menzionata in precedenza o implicita nel testo. Nel nostro caso designa colui che è venuto. in quanto personificazione della Parola-progetto. Per la costruzione en 16 anomali, si veda 14, 13 nota; per la manifestazione dell 'onoma e la costruzione en t6 onomati sou, cfr. 17, 6 nota.

13 Essi, gr. hoi. Non esiste una sola te�timonianza nella tradizione dei mss. greci. cominciando dai papiri 66 (circa 200) e 75 (principio del s. III), che offra come variante i l re la t. sg. hos. A tale unanimità della tradizione dei mss. greci si aggiunge quella della tradizione latina, che presenta due sole eccezioni: un ms. tardivo della Vetus Lat. (s. IV /V) e il Li ber Comicus, le­ zionario della Chiesa Ispanica, attribuito a s. Isidoro e, pertanto, del s. VII. Si noti. inoltre, che in latino il relat. qui è usato per il sg. c per il pl.; l'unica differenza si riscontra nel verbo (natus est/nati sunt). Alcuni mss. della ver­ sione siriaca presentano il verbo al sg. (etiled. omettendo la waw finale muta), ma conservano il relat. al plurale (aylen). Non vi è un solo Padre greco i cui scritti . originali contengano con certezza il singolare. Appare soltanto in traduzioni latine di lreneo, Origene (uso di pL e sg.) e forse dello Pscudo-Atanasio, che, in greco. presenta la letLura plurale. Nemmeno i Padri greci del secolo IV /V, come Cirillo di Alessandria. nel mezzo delle controversie cristologiche del loro tempo, adottarono la lett. hos. D"altra parte, negli scritti patristici non si incontrano necessariamente citazioni te­ stmili. ma applicazioni, dovute spesso alla polemica (come nel caso di Ter­ tulliano. De carne Christi, 19, 1·2); e non bisogna perdere di vista che tutti i codici contemporanei conservati. in greco e in latino. contenevano la for· ma plurale. Davanti a questa schiacciante evidenza te s t ua le l'opzione per il plurale hoi è l'unica scientificamente giustificata. Fare 01ppello 01 una pre­ sunta incoerenza interna del Lesto, presupponendo l'esistenza di una con­ traddizione tra 1 , 12: a quanti la accettarono diede capacità di diventare fi­ gli di Dio, e 1 , 1 3 : nacquero da Dio, è un'argomentazione inconsistente; fra le affermazioni di Gv non esiste contraddizione alcuna (sopra, 1. 12 nota) . ,

Non ... da un mero sangue versato né per mero disegno di una carne, né per mero disegno di un uomo. gr. ouk ex haimatòn, oude ek the/ematos sarkos, oude ek the/ema tos andros. Sorprende l'apparente asimmetria della frase. Se si considerano come un binomio i due primi elementi ex haimat6n ... ek ... sarkos, non si capisce perché il primo debba essere a l plurale né perché solo il secondo sia preceduto da thelematos né, soprattutto, che cosa aggiun­ gerebbe il terzo elemento enumerato (ek thelematos andros). L"espressione plurale ex haimat6n è strana i n greco. Per indicare l'origine o la nascita, la forma normale sarebbe il singolare. Nell'ebraico il singolare non è usato per indicare la discendenza o la parentela, per questo s i usa •carne• (basar). In ebraico il plurale damim normalmente ha i l significato di •sangue versa­ to•, fatto di sangue o omicidio.

40

·

Note lllolol!lcfu!

Si capirebbe meglio lo strano plurale del testo (senza riferimento a una deci­ sione - «disegno• -. che accompagna gli altri membri dell'enumerazione), se si tenesse presente il ruolo c he secondo Giovanni compie il san�:ue nell'o­ pera di Gesù; il sangue, c specialmente il sangue versato, è mediatore nella concessione della vita definitiva dell'uomo (6,53.54.55.56). Di fatto, Giovanni è l'unico evangelista che, a proposito della morte di Gesù, attira ]'attenzione sul sangue versato (19, 34). Allo stesso modo, secondo Giovann i, la carne di G esù è anche mediatrice indispensabile nella comunicazione della vita che egli promette (6. 5 1 . 53.54.55). Infine, in Giovanni. Gesù è designato solennemente da Giovanni Battista co­ me un uomo (anér) che al tempo s tes so è Figlio di Dio ( 1 , 30-40). L'asimmetrica ed enigmatica frase rivela il suo significato se la si considera come risposta a questa domanda: se è vero che i l sangue versato, la carne, l'uomo Gesù sono mediatori indispensabili della comunicazione della vita. è possibile che un semplice assassinio, una mera creatùra umana, un mero uomo siano l'origine della pretesa vita definitiva? Questa domanda coincide con quella dei discepoli dopo il discorso di Cafarnao, e l a risposta data Il da Gesù [• E. lo Spirito che dà la vita, la carne non serve a nulla» (6, 63)], è quella che in questo testo Giovanni amplia. La mancanza dell 'articolo sottolinea l'aspetto concettuale-categorico, ci> deriva in italiano da « campo/accampamento • e connota la tenda da campo, gr. skene, sostantivo da cui deriva i l verbo usato qui (cfr. nota). Appare così in questa frase un'allusione all'antica Tenda dell'Incontro, dimora di Dio fra gli israeliti durante la loro peregrinazione per il deserto, nella prima epoca di Israele (Es 33, 7-10), e rimpiazzata più tardi dal santuario di Gerusalemme (2 Sam 7, 1-13 ; l Re 5 , 1 5 - 1 9; 6, l ss). Quella presenza di Dio è ormai sostituita da questa: la tenda di Dio, il luogo dove egli abita in mezzo agli uomini, è un uomo, una « carne ». Affiora qui il tema dell'esodo, che sarà sviluppato nel corpo del vangelo a partire da 4, 46b (si veda i l ciclo dell'uomo, pp. 236ss) tipico della festa di Pasqua. Gesù, di fatto, riunirà nella sua persona e attività tutta la tematica dell'antico esodo. E. l'Agnello di Dio, quello della nuova Pasqua (l, 29.36). il suo sangue libererà l'umanità dalla morte (cfr. Es 12, 1-14), la sua carne sarà il cibo della nuova Pasqua (6, 55) e la nuova manna, che farà arrivare quanti lo seguono nella terra promessa (6, 58); egli sarà consegnato nell'ora in cui si immolava l'agnello, per sostituire definiti­ vamente l'antica pasqua (19, 14.16). Sta quindi per verificarsi un nuovo esodo, il passaggio dalle tenebre alla luce (8, 12) , dalla morte alla vita (5, 24; cfr. 6, 1 ; 10, 40) ; in esso la presenza di Dio fra i suoi si realizzerà in Gesù. • La tenebra •, punto di partenza dell'esodo verso la luce-vita, copre l'ambito del « mondo >> che odia Gesù (7, 7), personificato nel corso della narrazione dai dirigenti giudei, rappresentanti delle istituzioni che vo­ gliono ucciderlo (5, 1 8 ; 7. 1 ; I l , 53; si veda. l , 5 Lett.). La caratteristica della comunità di Gesù sarà la non appartenenza a questo mondo (8, :!3; 17, 14.16), terra di schiavitù dalla quale egli condurrà fuori i suoi (4, 46bss Lett.). a essere Dio; nella sua morte, vera vita • . . n parallelo fra le due frasi mostra che. almeno logicamente, • la carne • e la morte precedono l' • essere Dio • e • vera

\'ita ».

63

l, 1-18. Prologo

L'allusione alla nuova tenda già annuncia la sostituzione del tempio. Il corpo di Gesù, la sua umanità, sarà il nuovo santuario (2, 19.2 1 ) . Come l'antica, l a nuova tenda suppone un'umanità in cammino. Gesù non crea un nuovo tempio, massa statica e fissa; i suoi sono in cammino verso il Padre (14. 6). Camminano nella storia, non però con gli obiettivi della carne. ma con quelli dello Spirito e sono i soli a sapere dove vanno (3, 7; 8, 14). 14c

e abbiamo contemplato la sua gloria.

Nell'A T si chiamava « la gloria di Yahvè » Io splendore della presenza divina. Appariva in particolare sul santuario o tenda; durante la sua inaugurazione, essa si riempì della gloria di Dio (Es 40, 34-38; cfr. 29, 42s: l Re 8, ! Os). La sua presenza si rendeva visibile durante il giorno come nube, durante la notte come splendore. ma era l'idea d i luce ad essere associata a " gloria " (cfr. I s 60, 1-3). Nell'AT, l a gloria d i Yahvè s i manifestava spesso nella collera (N m 14, 10-12; 16, 20-2 1 ; 17, 7-10) 1 2 • Per la nuova umanità in cammino, la giona, vale a dire, la presenza attiva di Dio, non è legata a un luogo materiale, né la sua dimora è un recinto sacro; essa risplende nell 'Uomo, in Gesù. La gloria che la comunità contempla è quella di Gesù stesso, che si identifica con quella di Dio ( l , 1 4d Lett.) e che ha il suo momento privilegiato di manifestazio­ ne nell' •ora» della sua consegna alla morte ( 1 7 . 1 -5). In lui. Dio si rende presente per sempre in mezzo a un gruppo umano (fra noi). t;: scomparsa la distanza fra Dio e l'uomo e, pertanto, la ricerca angosciosa di Dio. Per conoscerlo non occorre uscire dal mondo, ma avvicinarsi a lui, che è venuto a dimorare nel mondo. Questo non è più un luogo profano, separato da Dio (5, 13 Lett.; cfr. 6, 10). Poiché si è accampato in una comunità di uomini, l'incontro con lui esclude ogni indi\'idualismo ed esclusività (20, 24ss). Stabilisce una relazione inter­ personale e sociale. Non vi è mediazione fra Gesù e i suoi, la sua presenza è immediata per tutti. Nel contesto dell'esodo, questa gloria sarà la luce che li guida nella notte della tenebra (cfr. Es 13. 2 1 ; 40, 38) . Il tratto di luminosità proprio del concetto di • gloria » indica soltanto certe qualità relative alla sua visibilità: grandezza, splendore, bellezza, ecc. • Gloria » è un termine che denota l'impatto con l'uomo di una realtà dotata di qualità tali o simili; come • verità », « gloria • è conce!-

u

N m 14, 10.12: • Allora tutta la comunità parlò di lapidar !i; ma la gloria del Signore apparve sulla Tenda dell'Incontro a tulli gli israeli ti. TI Signore disse a Mosè: - Fino a quan do m i disprezzerà questo popolo? E fino a quando non avranno fede in me, dopo tutti i miracoli che ha fatto in mezzo a loro? Io lo colpirò con la peste e lo distruggerò, ma farò di te una nazione più grande e più patente d i essa • ; 16.20.21: • la gloria del Signore apparve a tutta la comunità. Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: - Allontanatevi da questa comunità e io li consumerò in un istante •: 1 7 , 7- 1 0 : « mentre la com uni tà si radunava contro Mosè e contro Aronne, essi si diressero verso la Tenda dell'Incontro; ed ecco la nube la ricoprì e apparve la gloria del Signore. Mosè e Aronne vennero davan ti alla Tenda dell'Incontro. Il Si11nore disse a Mosè: Allontanatevi da questa comunità e io li consumerò in un is tan te •.

64

La Parola divenuta uomo e la comunità

to aggettivale, che suppone l'esistenza di un'altra realtà definibile pler se stessa. I n Gv. la gloria • è in relazione con • la luce » ( l , 4) o fulgore della vita che splende ( l . 5) e illumina ( l , 9) gli uomini. L'identità fra la parola creatrice e la luce della vita ( l , 9-10) mostra che la gloria con templata dalla comunità di Gv è anch'essa il risplendere della >i ta che s ta per essere definita come • amore e lealtà • ( l , 14e). •

14d

la gloria che un figlio unico riceve da suo padre.

La gloria che la comunità contempla non è, come nei tempi antichi, un fenomeno materiale, fuoco e nube che lontanamente simboleggiasse la presenza di Dio. ma la pienezza personale di Dio, presente in Gesù. Così è indicato dalla comparazione con il figlio unico, che possiede tutti i beni del Padre, senza eccezione. Il corrispondente ebraico del termine " gloria , (dr. nota) significa allo stesso tempo • gloria , e « ricchezza •. Il fi�lio unico è l'erede universale di suo padre, e tutto quanto questi possiede aprartiene a lui (cfr. 3, 35; 17, 10) . La gloria/ricchezza che splende in Gesù è, per estensione e intensità, esattamente la stessa che possiede il Padre. Per questo la sua presenza equivale a quella del Padre ( 12, 45; 14, 9), egli è Dio fra gli uomini, manifestato in una " carne , umana. � la rivelazione completa dell'essere di Dio, che realizzando il suo progetto di uomo uguale a sé (5, 1 8; 1 0, 33) proferisce se stesso nella sua Parola. Splende ora, in mezzo all'umanità nuova, tutTo il suo fulgore. Gesù è il Figlio unico, nato direttamente da Dio. e solo lui possiede la pienezza umana e divina. Quanti lo ricevono potranno diventare figli per la loro fedeltà a lui (1, 12). Possedendo la vita del Padre, egli può comunicarla. Gli altri daranno la loro adesione alla Parola-vita; egli è la Parola stessa, e la vita stessa, il progetto realizzato. Si scopre già in questo passo il contenuto che sta per acquistare nel vangelo il termine • padre •: è colui che comunica il suo essere, rendendo il figlio uguale a sé. Nella maggioranza dei casi si applicherà a Dio, definendolo come colui che, per amore, comunica all'uomo la sua propria vita divina; sarà così il prototipo dell'amore generoso, creatore di uguglianza. L'attività del figlio corrisponde a quella del padre, come spiega Gesù in 5 , 1 9 : un figlio non può far nulla di propria iniziativa : deve veder/o fare dal padre. Così, qualunque cosa questi faccia, anche il figlio la fa uguale (si veda Diz. Teol., • Padre , Ula). 14e

pienezza di amore e di lealtà.

La frase è tratta da Es 34, 6 (cfr. nota). Mosè prima di ricevere il secondo decalogo, rivolse varie richieste a Dio, che le esaudì (Es 33, 12-17). Tuttavia, quando gli espresse l'ultima: • Mostrami la tua glo­ ria • (Es 33, 1 8) , Dio gli rispose: • Io farò passare davanti a te tutta la mia ricchezza (gloria) e pronuncerò dinanzi a te il nome "Signore " (Yahvè) ... ma il mio volto non Io puoi vedere, perché nessuno può vederlo e restare in vita ... quando passerà la mia gloria ti porrò in una fenditura della roccia e ti coprirò col palmo della mia mano finché io non sia passato, e quando ritirerò la mano potrai vedere le mie spalle, ma il

65

l, l-18. Prologo

" mio volto non lo vedrai • (33, 19-23) . n Signore passò dinanzi a lui proclamando: « il Signore, il Signore, il Dio compassionevole e clemen­ te, paziente, grande in misericordia e fedeltà ( = pieno di amore e di lealtà), ecc. » (34, 6s). • Vedere la gloria • equivale nel testo a « vedere il volto di Dio. vale a dire, alla conoscenza personale (cfr. Gv l, 1 8) , all 'esperienza immediata d i Dio. La frase « pieno d i amore e di lealtà definisce, pertanto, l'essere di Dio, in ciò che costituisce la sua ricchez­ za e la sua gloria. Il termine greco (kharis) scelto da Gv significa amore gratuito e generoso, che si traduce in dono; non amore accentratore, ma, all'op­ posto. espansivo. Al di fuori del prologo, non tornerà a utilizzare questo termine, che sarà sostituito con " Spirito • (vita attiva nell'amore, 4, 24) , con " amore • (agape) e con i verbi • amare » (agapa6) essere amico • (phile6) (si veda Diz. Teol., « Amore • 1). L'amore, qualificato dalla lealtà o fedeltà, è quello che non si smentisce mai, non cessa, non arretra né cede dinanzi alle difficol tà. La lealtà (si veda la nota) è la verità dell 'amore. La frase: pienezza di amore e di lealtà, si collega con l , 1 4c : abbiamo contemplato la sua gloria (si veda la nota) . La frase intermedia: la gloria che un figlio unico, ecc. è un inciso che identifica la gloria manifestata in Gesù con quella del Padre, senza limitazione alcuna. La ricchezza di Dio che risplende in Gesù è il suo amore indefettibile. Dio ama l'uomo mosso dalla sua generosità, per un movimento spontaneo (Padre) , e il suo amore è tutto in Gesù. Il suo splendore è la sua evidenza. Come la luce si identifica con la vita ( 1 , 4), così la gloria si identifica con l'amore leale. Questo parallelo si trasforma in identità. Il Figlio unico, che possiede la pienezza della gloria-amore, è al tempo stesso realizzazione del progetto creatore che conteneva la vita-luce {1, 4. 9-10). Sono due aspetti della stessa realtà: luce corrisponde a gloria, vita ad amore. Di fatto, la vita non è una qualità statica, ma un dinamismo che si traduce necessariamente in attività. La sua attività propria è l'amore: vivere è amare, e amare è comunicare vita. Per questo l'amore gratuito e generoso che qui viene significato è il prin­ cipio e l'attività della vita, che si diffonde donandosi ad altri ( = lo Spirito). La lealtà è la costanza dell'amore, indica ciò che è fermo, stabile, certo, veritiero, autentico, fedele. Ne consegue che Gesù, presente fra i suoi. è l'offerta costante di vita-amore; egli rende possibile la crescita che conduce ad essere figlio di Dio ( 1 , 12: coloro che mantengono l'adesione •



"

alla sua persona). La manifestazione della gloria è un tema che percorre tutto il vangelo;

per di più, risulta il suo tema principale una volta che se ne afferri il contenuto: la manifestazione della gloria è quella dell'amore che comu­ nica vita. Sarà menzionato per la prima volta nella scena di Cana (2, I l ), dove Gesù offre anticipatamente lo Spirito di vita, come assag­ gio di ciò che sarà realtà nella « sua ora » (2, 4), quella della sua morte. La manifestazione della gloria coinciderà con il dono dell'acqua-Spirito (7, 39). La gloria-amore di Gesù, che è quella di Dio, si manifesterà facendo uscire Lazzaro dal sepolcro ( I l , 4.40.43), risurrezione che anti­ cipa quella dell'• ultimo giorno », che coinciderà anche con la croce 66

La Parola divenuta uomo e la comunità

39 Lett.; cfr. 7, 37) . Così la grande manifestazione della gloria avverrà nella croce, quando Gesù mostrerà il suo amore fino all'estremo (13, l ) , donando la sua vita per dare agli uomini l a vita definitiva con il dono dello Spirito (19, 30.34). Sarà la croce la visione della gloria, e il costato di Gesù, che continuerà a rimanere simbolicamente aperto dopo la risurrezione (20, 25-27), dimostrerà la lealtà del suo amore, la comuni­ cazione incessante della vita. Col dire: abbiamo contemplato la sua gloria, espressione che si riferi· sce a un evento concreto, la comunità affenna la sua esperienza di Gesù morto in croce, dal cui costato esce sangue, espressione del suo amore fino alla fine ( 13, l ) , e acqua, simbolo dello Spirito (7, 37-39) . l'amore-vita che si comunica. t!. la stessa esperienza contenuta nella testimonianza solenne dell'evangelista, che sottolinea la scena con la dichiarazione più enfatica di tutto il vangelo, indicando esser quello il momento culminante di tutta la narrazione: colui che lo ha visto (6,

personalmente ne lascia · testimonianza - e questa testimonianza sua è vera ed egli sa di dire la verità - affinclté anche voi giungiate a credere (19, 35) . Si compie nella comunità la profezia di Zaccaria (12, IO) citata da Gv: guarderanno colui che trafissero (19, 37) . E tale

esperienza iniziata non cessa: l'amore di Gesù continua ad essere il centro della comunità: Padre, voglio che anche loro - ciò che mi hai affidato - siano con me dove sono io, perché contemplino la gloria mia ( 1 7,24). Gesù si presenta nella comunità come il crocifisso/trafitto (20, 20.27) ; essa lo percepisce come il segno innalzato in mezzo al mondo (3, 14-16; 8, 28; 12, 34), dal quale sgorga continuamente la vita (7. 37-39).

Il fatto che la comunità cristiana possa contemplare la gloria personale di Dio, presente in Gesù, marca la differenza fra antica e nuova alleanza ( 1 ,14e Lett.). Vedere la gloria non solo non produce la morte (Es 33, 20), ma è condizione per la vita. Chi non contempla la gloria non può giungere a credere (2, I l Lett.). Altra figura di questa contemplazione della gloria è quella che Gesù propone a Natanaele: davvero vi assicuro: Vedrete il cielo ormai aperto e gli angeli di Dio che salgono e scendono su l'Uomo ( 1 . 5 1 Lett.)r.

b) La testimonianza di Giovanni: identificazione della Parola fatta uomo 1 5 Giova nni testimonia di lui e continua a gridare: È di costui che dissi: • Quello che viene dietro di me era già presente prima di me, perché esi­ steva prima di me».

La comunità narra la testimonianza di Giovanni, che vede confermata dalla sua propria esperienza. La Parola/progetto fatta uomo, la cui gloria è contemplata da coloro che parlano, fu riconosciuta e descritta da Giovanni. La sua testimonianza conserva, per lo stesso motivo, validità perenne. La quasi identità fra il testo citato e quello che egli pronuncia in l, 30 indica che la comunità ha presente l'intera dichia'ra· 61

l, 1-18.

Prologo

zione dl Giovanni ( 1 , 29-34) . La frase Giovanni testimonia di lui si riferisce a 1. 32-34, dove testimonia la discesa e permanenza dello Spirito su Gesù (1, 32: e Giovanni rese questa testimoniant.a; 1, 34 :

ebbene, io di persona ho visto ciò e lascio questa testimonianza: Lui è il Figlio di Dio) . La dichiarazione di Giovanni in l, 29-34 è, pertanto, una esplicazione in altri termini di ciò che la comunità sperimenta ed espone: la gloria-amore leale che il Padre comunica al Figlio unico e· lo Spirito di cui questi è ricolmo ( 1 , 32-33). Le affermazioni sull'identità della Parola contenute nella testimonianza di Giovanni concordano con altre simili fatte precedentemente nel Pro­ logo, ma con la peculiarità di confrontare, in un contesto polemico (cfr. note alla struttura), l'esistenza perenne della Parola con l'esistenza stori· camente limitata di Giovanni. L'affermazione centrale della testimonian­ za: • e ra già presente prima di me• si contrappone alla forma puntuale con la quale viene presentata la figura di Giovanni in 1 . 6: Comparve un uomo. L'apparizione, precedente nel tempo rispetto a quella di Gesù, u t il izzata dai d iscepoli di Giovanni come argomento a favore del loro maestro (3, 26), viene spiegata nella sua testimonianza. Giovanni si riferì· sce sintet icamente alle tre tappe temporali in cui ha distribuito l'esi­ stenza della Parola nel prologo, sebbene lo faccia iniziare in senso inve r­ so: mentre la visione del p rologo avanza dalle origini verso il presente, la testimonianza di Giovanni retrocede dal presente alle origini:

l, 1 1 . 1 4 1, 10 1 , 1 ·2

presenza • storica• (Quello che viene dietro di me) presenza •cosmica» (Era già presente prima di me) presenza primordiale (Già esisteva prima di me).

Spogliate dagli elementi comparativi, dovuti, come si è detto, al contesto polemico, le affermazioni di Giovanni contengono, come ci si potrebbe attendere, l'identificazione dell'uomo Gesù come la Parola fatta uomo, la stessa Parola permanentemente presente nel mondo e originariamen­ te presso Dio.

c) LA nuova comunità umana: partecipazione della gloria 1 6 Ne � prova che dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto un amore che risponde al suo amore.

Nella testimonianza di Giovanni il gruppo cristiano ha riconosciuto la realtà di Gesù Messia come fondatore della comunità della nuova alleanza, della quale fa parte. La locuzione: ne è prova, colleg a quanto segue con i fatti esposti in precede nza . In primo luogo, stabilisce la relazione fra contemplare ( 1 , 14) e ricevere ( l , 16), azioni corrispondenti alle due attività della luce: quella i nt ransi t iva , splendere ( 1 , 4, correlati­ vo di l , 14: contemplare la gloria), e quella transitiva, illuminare ( 1 , 9, correlativo di l , 16: abbiamo ricevuto). La vita-amore che splende come luce-gloria illumina comunicandosi. Per l'amore che vi regna, la comunità cristiana è la prova che fa fede della salvezza-vita comunicata da Gesù, il Messia portatore dello Spiri­ to, e dell'esistenza della nuova alleanza. L'amore e la lealtà che splen­ devano come gloria del Figlio unico sono stati comunicati ai suoi. Tutti 68

La Parola divenuta uomo e la comunltll

noi designa il gruppo di coloro che non appartengono a,I mondo dominato dalla tenebra (8, 23; 17, 14.16). perché il Messia Gesù li ha tratti fuori da esso ( 15, 19) liberandoli dal peccato del mondo ( 1 , 29). Sono coloro che vivono nella zona della luce-vita e contemplano la gloria ( 1 , 14), per aver realizzato l'esodo di Gesù. Tutti hanno ricevuto dalla sua pienezza di amore e lealtà ( 1 , 14), tutti partecipano così della gloria/ricchezza del Padre (17, 22), interamente comunicata a Gesù. Il Figlio wùco ed erede universale rende coeredi i suoi, partecipi della stessa eredità, vale a dire conferisce loro la condizione di figli. Questo tema si ripeterà nel corso del vangelo, in particolare con l'uso della formula • essere dove è lui �. posta sulla bocca di Gesù (7, 34; 12, 26; 14, 3; 17, 24) . Se non si adopera semplice­ mente il termine • figli » è perché, per Gv, tale qualità non viene conferita istantaneamen te, ma implica un processo di crescita ( 1 , 12 Lett.). La ricezione della gloria/amore leale corrisponde, pertanto, a • nascere da Dio » ( 1 , 13). momento iniziale di coloro che devono diven­ tare figli di Dio. L'umanità di Gesù è adesso il ricettacolo della vita, che soltanto da lui può essere ricevuta; per questo, egli è il centro della nuova comunità, la sua origine e la garanzia della sua esistenza e del suo frutto ( 15, Ss) . L'esperienza e la partecipazione dell'amore-vita è lo specifico cristiano (tutti noi).

II dono che si riceve è la risposta di Gesù a quanti ricevono lui (1, 12). vale a dire, a coloro che gli danno la loro adesione, in quanto egli è la realizzazione del progetto di Dio, e il modello che deve essere realizzato in ogni uomo a partire dalla nuova nascita. Essendo partecipazione alla pienezza di Gesù, l'amore ricevuto è somi­ gliante al suo e il suo esercizio condurrà l'uomo a realizzare in sé il progetto divino (1, 12). Comunicando il suo amore, comunica la sua gloria, che risplende nella comunità (17, 10: lascio manifesta in loro la mia gloria; 17, 22 : io ho dato loro la gloria che tu mi hai data). La prova della realtà e dell'azione di Gesù è l'amore che esiste nella comunità (17, 22s: perché siano uno come noi siamo uno ... affinché raggiungendo l'unittl si realizzino pienamente, e così il .mondo conosca che tu mi inviasti). L'amore ricevuto, che ha una relazione radicale con la sua persona, unisce a lui (17, 23: io in loro e tu in me) e si mostrerà in un'attività simile alla sua (13, 34: come io vi ho amati).

II suo amore arriverà fino al dono della vita, e in questo momento comunicherà la sua vita-amore a coloro che credono in lui. Questo duplice amore, dimostrato e comunicato, sarà rappresentato sulla croce dal sangue e dall'acqua che escono dal suo costato ( 1 , 14e Lett.). I passaggi l , 14.16 descrivono, pertanto, dal punto di vista della comunità, quanto è avvenuto nell'esaltazione di Gesù (morte e risurrezione). I l corpo d i Gesù, santuario d i Dio (2, 19.2 1 ) . i n quanto dimora dello Spirito ( l . 32s), rimane aperto sulla croce, e la sua pienezza può essere comunicata (19, 34) completando l'opera della creazione con il dono dello Spirito (7, 37-j9), alito vitale (20, 22) . Nella frase: un amore che risponde al suo amore, non appare il termine • lealtà • ( 1 , 1 4), che sarà ripetuto nel versetto seguente (1, 17). Posto che l'amore ricevuto è partecipazione del suo, la lealtà è inclusa in 69

l, 1-18. Prologo

esso. Questo mostra che la « lealtà termine principale ( = amore leale).



è aggettivale rispetto all'amore,

RIASSUNTO CONCLUSIVO

La nuova economia supera l'antica: manifestazione piena della gloria di Dio in Gesù Messia 1 7 Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, l 'amore e la lealtà hanno cominciato a esistere per mezzo di Gesù Messia. La congiunzione esplicativa •perché» non si riferisce esclusivamente al versetto precedente, ma introduce un riassunto esplicativo di tutta la sezione precedente (vedere le note alla struttura). Giovanni espone in sintesi, mediante un parallelismo antitetico, il superamento dell'antica economia con la nuova e il contrasto tra le due: la Legge l l'amore e la lealtà. Nel verso successivo è sottintesa implicitamente la stessa con­ trapposizione delle due alleanze e quella dei rispettivi mediatori: Mosè (servo di Dio) l Gesù (figlio unico del Padre). La prima parte di questo versetto è chiara: la legge fu data per mezzo di Mosè. La seconda invece ha bisogno di una spiegazione: l'amore e la lealtà hanno cominciato a esistere per mezzo di Gesù Messia. La costruzione della frase stabilisce un parallelo con l, 3 : mediante essa tutto cominciò a esistere; e con l, I O : sebbene il mondo avesse comin­ ciato a esistere mediante essa. Come in questi due casi si tratta quindi di un'attività creatrice: la creazione dell'uomo condotta alla sua com­ pletezza per mezzo di Gesù Messia, la Parola divenuta uomo. Grazie all'attività di Gesù Messia hanno cominciato a esistere negli uomini l'amore e la lealtà. Si era fatta menzione, in primo luogo, della pienezza esistente nella Parola divenuta uomo: pienezza di amore e di lealtà. Di seguito è stato presentato il dono che egli fa ai suoi, comunicando loro, dalla sua pienezza, un amore che risponde al suo amore ( 1 , 1 6 ) . Ora si spiega che questo amore ricevuto è l'opera propria del Messia. Rappresenta, allo stesso tempo, il culmine dell'opera crea­ trice di Dio, realizzata fin dal principio per mezzo della sua Parola, e la caratteristica della nuova alleanza, a differenza di quella di Mosè. Si possono ora analizzare le tre opposizioni che vengono stabilite fra i due elementi del versetto: Legge - amore e lealtà; fu data - hanno comin­

ciato a esistere; Mosè - Gesù Messia. a) La prima opposizione viene stabilita fra la Legge, esteriore all'uomo, e l'amore leale, realtà interiore all'uomo, che lo trasforma, divenendo un costitutivo del suo essere. Si apprezza immediatamente la risonanza del noto testo di Ger 31 (LXX 38), 3 1-34, dove la nuova alleanza viene annunciata in questi termini: « ecco che vengono giorni - oracolo del Signore - in cui stringerò un'alleanza nuova con Israele e con Giuda: non sarà come l'alleanza che strinsi con i loro padri, quando li presi per mano per trarli fuori dall'Egitto; l'alleanza che essi infransero e che io mantenni - oracolo del Signore -; così sarà l 'alleanza che stringerò con Israele in quel tempo futuro - oracolo del Signore -: porrò la mia Legge nel loro petto, la scriverò nel loro cuore, io sarò il 70

Riassunto conclusivo

loro Dio ed essi saranno il mio popolo; non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, reciprocamente, dicendo: devi conoscere il Signore, perché tutti, grandi e piccoli, mi conosceranno - oracolo del Signore -, io perdono infatti le loro colpe e dimentico i loro peccati •. La sostituzione dell'alleanza decaduta, annunciata nel testo di Geremia, è quella che Gv in questo versetto constata come già verificatasi: è stato Gesù Messia l'instauratore della nuova alleanza. Nel passo prole· tico, la differenza fonda mentale fra le due è quella che passa fra una Legge esterna, come quella data da Mosè, c una Legge interna, impressa nel cuore. Questa Legge nuova è appunto l'amore leale, opera di Gesù Messia. L'amore, impresso nel cuore, viene a essere componente del­ l 'uomo; per questo la sua comunicazione rientra nell'ambito dell'opera creatrice, effettuata fin dal principio per mezzo della Parola, incarnata ora in Gesù. L'amore c la lealtà, qui attribuiti all'opera creatrice del Messia, sono quello stesso amore che la comunità ha ricevuto dalla sua pienezza ( 1 , 16) . L'opera di Gesù Messia consiste nel comunicare la realtà divina presente in lui stesso; è ciò che prima è stato chiamato « nascere da Dio • ( 1 , 1 3 ) . Comincia allora secondo la profezia (lutti ... mi conosce­ ranno), una conoscenza nuova, immediata e sperimentale, i n ciascuno di coloro che ricevono questo amore: l'intimità con Dio, propria dei figli ( 1 7, 3; cfr. 10, 1 5 ) . Un altro aspetto dell'alleanza nuova, annunciato dal profeta e che sarà presente nel vangelo, è quello della purificazione. Il peccato, ostacolo all'intimità con Dio, sarà definitivamente perdonato e dimenticato, ren· dendo inutili le purificazioni dell'antica alleanza (2, 6; 13, I O ; 15, 3). La legge mosaica si contrappone all'amore e alla lealtà, come ciò che è esterno e caduco a ciò che è costitutivo e permanente. Dinanzi alla nuova realtà dell'uomo, il codice esterno perde la sua validità e la sua ragion d'essere. La Legge nuova sarà un'inclinazione interiore dell'uomo stesso, frutto dello Spirito che riceve. B noto il passo di Ezechiele 36, 25-28, ispirato a quello di Geremia 31 citato sopra: « vi aspergerò con un'acqua pura che vi purificherà; da tutte le vostre impurità e idolatrie devo purificarvi. Vi darò un cuore nuovo e vi infonderò uno spirito nuovo; strapperò dalla vostra carne i l cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Vi infonderò il mio spirito, e farò sì che camminiate secondo i miei precetti e mettiate in pratica i miei comandamenti. Abi terete nella terra che diedi ai vostri padri ; voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio •. La trasfonnazione che Dio effettua nell'uomo è simboleggiata dal cam· biamento del cuore (di pietra/di carne). La Legge interiore di cui parlava Geremia si identifica in Ezechiele con il dono dello Spirito. Così, Gv l , 17 è in parallelo con 7, 39: ancora non vi era spirito, perché la gloria di Gesù 11on si era ancora manifestata. « Spirito • in questo passo significa il frutto della nuova nascita (cfr. 3, 6: dalla carne nasce carne, dallo Spirito nasce spirito). L'uomo che ha ricevuto lo Spirito è stato pienamente creato ed è capace di amare diventando figlio di Dio ( 1 , 12). • Non c'era spirito • perché l'amore e la lealtà, cioè l'uomo nato dall'alto (3, 3), venne all'esistenza per la prima volta quando Gesù manifestò la sua gloria, nell'ora della sua morte ( 17, 1 s ; 1 9 , 30.34). 71

l, 1-18. Prologo

Si noterà in questi passi profetici i l simbolismo dell'acqua pura e purificatrice, che corrisponde alla simbologia dello Spirito in Gv (3, 5; 4, 14; 7, 37-39; 1 9, 34). b ) La seconda opposizione viene stabilita fra • fu data • e • harmo cominciato a esistere •· La forma impersonale (fu data) riduce al minimo l'attività di Mosè, mero trasmettitore (D t 9, I l ; IO, 4). La Legge era separabile dal legislatore, un suo lascito al popolo (7, 1 9 : non fu Mosè a /asciarvi la Legge ?) . L'amore leale, invece, procede dall'azione di Gesù; questi non è mero trasmettilore ma agente nell'esistenza di questa nuova realtà. E questa azione non si interrompe; la comunica­ zione dello Spirito è incessante ( 1 5 , 5) . creando una comunione di vita come quella esistente fra lui e il Padre ( 1 7 , l Lett.) . c) II titolo di Messia applicato a Gesù (cfr. Mc l, l) lo mette in relazione con il compimento delle promesse e il termine dell 'epoca della Legge. Il Messia doveva realizzare l 'esodo definitivo, inaugurando la nuova era che sarebbe sfociata nel regno di Dio. Dinanzi al Messia, l'antica alleanza, promulgata per mezzo di Mosè, viene defini tivamente chiusa. � cominciata la nuova alleanza, non fondata sulla Legge esterna, ma sul cuore nuovo. Non è contrattuale, basata su un codice che delimiti gli obblighi dei contraent i e si ponga fra di loro; il suo statuto è la relazione personale dell'amore, dimostrato da Dio in Gesù Messia e comunicato da lui ai suoi, che rispondono con lo stesso amore ( 1 , 16). Per questo nel designare tale alleanza s i adopera unicamente l'immagi­ ne nuziale ( l , 15 Lett.). Gv va delineando l'immagine del Messia, che verrà completata nel verso seguente: l'un ico Dio generato. Il liberatore che Dio invia all'umanità, il Messia, è la realizzazione del suo progetto creatore ( 1 , 1 4). vale a dire. possiede la pienezza della vita ( 1 , 4) per la comunicazione dell 'essere di Dio ( 1 , 14: l'amore leale; l, 32: Io Spirito), e pertanto è Dio egli stesso ( 1 , l c. l 8 ; 20, 28) . La sua opera liberatrice consisterà nel dare vita ( 1 . 1 6- 1 7 : amore leale; 1 , 1 3 : nascere da Dio), affinché l'uomo, attraver­ so il libero esercizio dell'amore, giunga a essere figlio di Dio ( 1 , 1 2 ) . realizzando i n s e stesso i l progetto divino ( 1 , le). Gesù creerà l'alterna­ tiva al • mondo • (sistemi oppressori) che impedisce la vita dell'uomo, dando inizio a un'umanità nuova e definitiva (nuova alleanza). Sebbene Gv uti lizzi per Gesù l'antico titolo • Messia •, si scopre la distanza che corre fra questa concezione e quella che aveva trasmesso la tradizione giudaica. Il Messia non segue la linea della Legge: viene a sosti tuirla con l'amore e la lealtà; non sarà un dominatore temporale, ma, donando la sua vita, completerà la creazione dell 'uomo perché questo sia libero e autonomo nell'amore; l 'opera messianica si dirige a tutti gli uomini. non a un popolo particolare. L'azione di Gesù con i suoi consis terà nel comunicare loro vita dalla sua pienezza, affinché essi percorrano con lui il cammino che egli traccia. La concezione del Messia che Gv presenta spiega l'incomprensione da parte di coloro che si appigliano alla concezione tradizionale ( 1 , 45; 2, 1 7 ; 3, 2; 6, 15; 7, 27; 8, 1 9.25 ; 9, 1 6 ; IO, 24; 12, 34; 13, 8.37; 18, 10). ·

72

Rlauunto conclusivo

18 La divin ità, nessuno mai l'ha vista; un Figlio unico, Dio, colui che si rivolge all'intimo del Padre, ne è stato la spiega zione. Mosè e con lui tutti gli intermediari dell'antiCa alleanza avevano avuto una conoscenza mediata di Dio. Mosè fu soltanto un med iatore che non parlava di Dio per esperienza diretta, ma per incarico. Non vide il volto di Dio (Es 33, 20.23), udl soltanto una descrizione fatta da Dio stesso (Es 3 4 , 6; l , 1 4b Lett.) . Cercò di trascrivere in una Legge la conoscen7.a intel lettuale che aveva acquisito, ma non riuscì a riflettere l 'essere di Dio. Questa Legge avrebbe dovuto essere una tappa prepar::�toria alla rivelazione piena. Ma quando fu assolutizzata, considerata come un fine in se medes ima, divenne un diaframma che velava il vero essere di Dio e un ostacolo alla sua _manifestazione; di qui il suo fal li mento. Tutte le spiegazioni di Dio date prima di Gesù erano parziali o false (11essuno mai 1'1w vista ) . e le espressioni nelle quali si afferma eh;: alcuni personaggi videro il Dio di Israele (Es 24, 1 0· 1 1 . ebr., addolcito dai LXX; cfr. Es 33, I l ; N m 12. 6-8; Dt 34, IO) devono essere relativizzate. L'evangelista limi ta la validità deii'AT: era annuncio, preparazione o figura del tempo del Messia e non può in nessun modo essere assolutiz­ zato. La missione della Scrittura era uguale a quella di Giovanni Battista: rendere testimonianza a Gesù (5, 39). Mosè stesso scrisse di lui (5, 46). La Scrittura conteneva una speranza e una promessa; con Gesù Messia è giunta la realtà che la compie. Ostinarsi sulla perpe tuità della Legge è opporsi al piano di Dio, come si vedrà più avanti commentando 3, 22-4, 3. Contrariamente a Es 33, 20, dove Dio dice a Mosè: il mio volto nmt lo puoi vedere, perché nessuno può veder/o e restare in vita, Dio non solo ammette l'uomo alla sua presenza senza che muoia, ma gli comunica la ricchezza del suo essere, il suo amore leale ( 1 , 14) e, infondendogli così la sua propria vita. si tramuta in Padre (prima volta che nel vangelo si applica questo termine direttamente a Dio; cfr. l, 14). Gv propone qui il superamento dell'antica teologia dell 'uomo-immagine di Dio. Dio non conclude il suo disegno creatore dando esistenza all'uomo modellato con argilla e animato da un alito vitale (Gn 2, 7) ; Io porta a termine col generare il Figlio, comunicandogli la sua propria di\·inità. L'azione creatrice raggiunge il suo culmine nella paternità d i Dio. La comunicazione della sua gloria è una effusione di amore che fa partecipare al suo stesso essere, realizzando l'intima comunione fra il Figlio e il Padre ( I O, 30.38; 14, 10 .1 1 ; 17, 2 1 .22). Il Figlio si rivolge all'intimo del Padre, accolto nella sua intimità (cfr. nota) ; e questa relazione non è momentanea o accidentale, definisce invece la posizione connaturale del Figlio alla presenza del Padre. Soltanto Gesù, il Dio generato, per la sua esperienza personale intima, può esprimere ciò che Dio è (cfr. 6, 46). La vera esperienza di Dio riconosce in lui colui che è come il Padre totalmente e incondizionata­ mente a favore dell'uomo ( l , le). t:: necessario disimparare quel che si sapeva di Dio per farsi ammaestrare da Gesù, che è la spiegazione del Padre; la sua persona e la sua attività ne sono la spiegazione; il suo insegnamento non è teorico ma esistenziale. G v ha sempre davanti agli occhi la morte di Gesù, manifestazione suprema della gloria-amore di Dio e spiegazione piena del suo essere ( 1 7, 1 ) . 73

l, 1-18. Prologo

La frase: ne

è

. stato la spiegazione, con cui termina il prologo, apre ii

racconto evangelico che segue. Gv invita il lettore a prestare attenzione alla persona di Gesù, poiché in lui l'umanità potrà conoscere, per la prima volta, il vero essere della misteriosa divinità. Senza dubbio, non bisogna partire da un'idea preconcetta di Dio per concludere che Gesù è esattamente uguale a lui, come se si potesse avere un concetto autentico di Dio indipendentemente da Gesù; Gv afferma che il punto di partenza è Gesù Messia. Dio il Padre è come Gesù, l 'unico dato dell'esperienza alla portata dell'uomo. Ogni idea di Dio che non possa essere verificata in Gesù, è un a priori umano, destituito di qualunque valore. Gesù, l'Uomo-Dio, il Dio generato, rende presente il Padre ed è l'unica fonte per conoscerlo come è 13• Al ti tolo: u n Figlio u nico, Dio, corrisponderà alla fine del vangelo l'esclamazione di Tommaso: Signore mio e Dio mio! (20, 28), la fede che è finalmente giunta a conoscere Gesù (cfr. 14, 9). Gesù è così inseparabilmente la verità dell'uomo e la verità di Dio, non come dottrina ma come presenza di essere e attività. Rivela cos'è l'uomo perché è la realizzazione piena del progetto creatore: l'Uomo completato, il modello di Uomo (l'Uomo/il Figlio dell'uomo). Rivela cosa è Dio dando la sua vita per dare vita all'uomo, rendendo cosi presente e visibile l'amore incondizionato del Padre (i/ Figlio di Dio) .

S I NTESI La ricchezza del prologo di Gv è talmente grande che è necessario limitarsi a segnalare alcune linee fondamentali, che serviranno da chiavi interpretative per il corpo del vangelo. a) In primo luogo, Gv comincia il suo vangelo con la menzione del • principio • in riferimento alla creazione. Colloca cosi tutta l'opera di Gesù in questa prospettiva. Il Dio che crea il mondo, realizzando il suo progetto di vita, è quello che si manifesta in Gesù. Questo è il suo ultimo e definitivo in tervento. La sua opera corona l'attività creatrice e manifesta Dio come amore fedele, che si realizza nella comunicazione di vita. Gv in tal modo risale oltre la Legge, che forma già parte della storia. Se si pone in primo piano il Dio della Legge, si corre il · rischio di dimenticare che Dio prima che legislatore fu creatore, e di opporre la Legge al disegno della creazione. Tale opposizione, reale nei dirigenti giudei, motiva l'opposizione a Gesù, che manifesta il Dio della crea­ zione e della vita (cfr. 5, 1 6 ; 9, 29). Il disegno di Dio creatore è comunicare la sua vita, che si identifica

Il Dì nuo,·o Ignazio in una frase lapidaria, corrobora quanto affermato da Gio­ vanni: hoti heis theos estin, ho phanerosas heautan dia Jesou Christou 1011 huiou autou. l1os est in autou logos apo sigés proelthon (Mg 8, 2). Gesù Messia è il primo c unico che ha rotto il silenzio di Dio e ha manifestato il su o progetto sull'uomo.

74

Sintesi

con il suo amore. Se, invece, lo si concepisce principalmente come datore della Legge, il suo disegno sarà d'imporla e custodire l'ordine che essa stabilizza. Varia cosi, a seconda della concezione di Dio, il criterio per diljtinguere fra il bene c il male. Nella linea di Dio creatore il criterio è la vita stessa: è buono ciò che favorisce la vita, lo sviluppo della creazione. L'uomo ha come punto di riferimento l'espe­ rienza di vita in se stesso e nel mondo. Nella linea del Dio l egi s lat o re il criterio è la Legge e la sua interpretazione accettata. Il punto di riferimento obbligato ed esteriore all'uomo è il codice, mediato d;1 coloro che lo interpretano. Imponendo la sua volontà dal di fuori (il codice), il Dio della Legge svuota l'uomo, facendolo rinunciare alla sua propria volontà e iniziati­ va. Il Dio Creatore, al contrario, potenzia la vita dell'uomo incremen­ tando la sua libertà e la sua capacità di azione. L'incompatibilità fra i dirigenti giudei e Gesù si radica nell'opposizione fra due tipi di Dio. Gesù e il suo messaggio mettono in contatto con Dio comunicando vita. Per • i giudei », la fedeltà alla Legge, sebbene uccidesse l 'uomo, era il valore supremo; così fecero della Legge uno strumento di morte. ,

b) Un'altra chiave interpretativa del vangelo è il progetto creatore di Dio sull'uomo, realizzato in Gesù, i l Dio generato dalla comunicazione della glo1·ia-amore del Padre. Egli è il modello d'Uomo, il Figlio di Dio. Con una nuova nascita, che porta a termine nell'uomo l'opera creatrice, chi risponde a Gesù riceve la qualità di vita e la capacità di amare (lo Spirito) che gli permette di percorrere il suo cammino, seguendo Gesù fino al dono totale di se stesso, e realizzare così la totale somiglianza con il Padre. Dio vuole che l'uomo raggiunga la sua pienezza umana, e in tal modo giunga ad essere suo figlio. La persona di Gesù è la richiesta e il messaggio di Dio all'umanità, l'offerta della pienezza di vita. Sempre è esistito nell'uomo questo anelito, conformemente al progetto divino, ma rimane conti nuamente frustrato dal dominio che esercitano sul mondo determinati gruppi umani (la tenebra), che non solo spengono la vita, ma cercano di sopprimere perfino la speranza. Tutta l'opera di Gesù nel vangelo consisterà nell'abilitare l'uomo, con il dono della vita-amore, a realizzare in se stesso il progetto di Dio, la somiglianza con il Padre. Ne consegue c he la scena principale del racconto evangelico è quella di Gesù in croce, dal cui costato sgorgano il sangue del suo amore e l'acqua dello Spirito, la vita-amore che egli comunica all'uomo. La narrazione evangelica sarà la spiegazione antici­ pata degli effetti e delle conseguenze di questo dono di Gesù: il dono della sua vita che vuole comunicare. c) Una terza chiave di lettura si trova nell'identificazione della luce con la vita ( l , 4). La luce, in quanto realtà percettibile e riconoscibile, è una metafora per designare la verità che guida e illumina l'uomo. Il pmlogo dichiara, pertanto, che la vita precede logicamente la verità e non viceversa. Non si afferma che la luce (verità) è la vita dell'uomo, ma che la vita è la sua luce (verità) . Non è la verità a condurre alla vita : lo splendore della vita è la verità. Di conseguenza, la Parola creatrice 75

l, 1-18.

ProiDID

non rivela una presunta verità la cui conoscenza produrrebbe la vita; essa dà una vita che, sperimentata e riconosciuta, si rivela come verità. Si previene così l'interpretazione intellettualistica, che originerebbe una lettura a rovescio » di tutto il vangelo. Tale lettura trasforma Gesù ·nel Rivelatore • di verità occulte, nelle quali risiederebbe il segreto della vita. Al contrario, egli si manifesta come il datore di vita, la cui forza e attività eliminano la morte. Per questo, la prova della sua missione non è la sublimità della sua dottrina, ma l'efficacia delle sue opere (5, 36; IO, 38). Riconoscére la vita che egli comunica è riconoscere la verità. •



76

SEZIONE INTRODUTilVA DA GIOVANNI A GESU l ' 1 9-5 1

Questa sezione del vangelo è introduttiva: la sua unità si basa sul fatto che ciascuno degli episodi che la compongono sviluppa una dichiarazio­ ne precedente riguardante Giovanni Battista, o attribuita a lui. Il primo episodio ( l , 19-28) contiene la dichiarazione di Giovanni davan­ ti agli inviati dell'autorità giudaica: Giovanni nega di essere il Messia, ma rende testimonianza che questi viene; corrisponde alle frasi del prologo: non era lui la luce, venne soltanto per testimoniare la luce (1, 8). Il secondo ( 1 , 29-34), che comincia presentando Gesù che va verso Giovanni ( 1 , 29), già sistemato a Betania ( l , 28), spiega la frase di quest'ultimo: Quello che viene dietro di me ... esisteva p rima di me( l, 1 5) e descrive l'investitura e la missione del Messia. Il terzo ( l , 35-42), in cui si descrive Gesù che cammina, e due discepoli che abbandonano Giovanni per andare con Gesù, corrisponde alle parole di Giovanni: era presente prima di me ( l , 1 5). Nel quarto e ultimo (1, 43-5 1 ) , chiamando direttamente Filippo - e con la chiamata rivolta da quest'ultimo a Natanaele - Gesù si prepara a realizzare l'obiettivo della missione di Giovanni: perché egli si manife­ sti a Israele (I, 31), parzialmente conseguito nella pericope precedente, promettendo a questi israeliti, estranei al circolo di Giovanni, la mani­ festazione { 1 , 5 1 ) che si andrà realizzando nel corso dei · giorno del Messia (2, 1-1 1 , 54). Appare così l'unità di questa sezione, costruita su elementi che l'autore stesso ha opportunamente inserito nel suo testo. Inoltre, ha inizio in essa una successione cronologica di quattro giorni { 1 , 19: primo giomo; l , 29: il giorno seguente; l , 35: il giorno seguente; l, 43 : il gionw seguente). che culminerà nel sesto giorno, in cui avrà luogo la scena d i Cana (2, l ; cfr. Il Giorno Sesto, p. 1 29) . La sezione comprende, pertanto, le seguenti pericopi: I , 19-28: « Non era lui la luce, venne soltanto per testimoniare la luce •.

Dichiarazione di Giovanni davanti alla commissione investiga­ trice. l, 29-34: • Quello che viene dietro di me •. Identità e missione del Messia. l, 35-42: « Si pone davanti a me •. Alcuni discepoli di Giovanni seguono Gesù. l, 43-51 : « Perché egli si manifesti a Israele •. Seguaci chiamati da Gesù. 79

Sezione lntrodulllva

DICHIARAZIONE DI GIOVANNI Gv 1 , 19-28: • Non era lui la luce, venne soltanto per testimoniare la luce

•.

l , 19 E questa fu la testimonianza di Giovanni, quando le autorità giudaiche mandarono da Gerusalemme sacerdoti e !eviti a domandargli: - Tu, chi sei? ' 0 Egli Io riconobbe, non ricusò di rispondere, e riconobbe questo: - Io non sono il Messia. 2 1 Gli domandarono: E cosa, allora? Sei tu Elia? Rispose: - Non lo so no. - Sei il P ro feta , tu? Rispose: - No. 22 Allora gli dissero: - Chi sei? Dobbiamo portare una risposta a quelli che ci hanno inviati. Tu, come ti definisci? �

23 Dichiarò:

- Io, una voce che grida dal deserto: (come disse il profeta Is a ia )

c

Raddrizzate la via del Signore •

.

Vi erano anche inviati del gruppo fariseo, � e gli fecero questa domanda: - Allora, perché battezzi, se tu non sei il Messia, né Elia, né il 24

Profeta ?

26

In risposta, Giovanni disse loro: - Io battezzo con acqua; tra di voi si è reso presente, anche se voi non sapete chi è, 2 7 colui che viene dietro di me; e non mi spetta di sciogliergli la fibbia dei sandali. 21

Questo avvenne a Betania, dall'altra parte del Giordano, dove Gio­

vanni stava battezzando.

NOTE FILOLOGICHE l, 19 le autorità giudaiche, gr. hoi ioudaioi. Il termine • giudeo/giudei • , sal· vo in alcuni casi che saranno indicati, non ha in Gv un significato etnico, ma ideologico. Essi sono distinti dal popolo, che li teme (7. 13; 9, 22; cfr. 19, 38; 20, 19). Il termine designa genericamente coloro che aderisco­ no attivamente al regime politico-religioso esistente, includendo quanti esercitano in esso un 'autorità di qualunque genere. Quando il testo altri· buisce loro il potere di adottare misure repressive, significa • i dirigenti • (2, 18; 5, 10.16.18; 9, 22 ecc.), oppure le autorità », che si identificano con gli alti dirigenti { 1 , 19; 19, 7.12); neg li altri casi designa i fedeli al sistema politico-religioso ed equivale a i giudei fedeli al regime (8, 3 1 ; 1 1 , 19; 12, I l : in opposizione ai sommi sacerdoti » , ecc.) . •





80



l, 19-%8. Dichiarazione di Giovanni

Gv stabilisce vari paralleli che mostrano con precisione il contenuto del termine. Così. i sommi sacerdoti e i farisei ( 1 8, 3) che inviano guardie a catturare Gesù (senza lasciar luogo a dubbi: i membri del consiglio, cfr. 1 1 . 47), sono chiamati i giudei • in 18, 1 2 (le autorità giudaiche). I rarisei di 9, 13-17 si identificano con i giudei di 9, 1 8-23, e continuano a non avere alcuna qualifica nel resto della scena (9, 24-34; cfr. 9, 27: ve l'ho detto, e 9, 15), per riapparire come i farisei (9, 40) ed essere nuova· mente designati come i giudei • alla fine del discorso ( 10, 19: la nuova divisione che sonze li identifica chiaramente con i farisei di 9. 16). Sono « i giudei (9, 22) o i farisei (12, 42) quelli che possono espellere dalla si· nagoga. Un'altra identificazione viene s tabilita nelle scene che si svolgono davanti a Pilato. I farisei sono assen ti. mentre « i giudei • ( 1 8, 31 .36.38b; 19, 7.12. 14) si identificano con i sommi sacerdoti ( 18, 24.35; 19, 6 più i subalterni) e Gesù chiama i giudei • i sommi sacerdoti che lo hanno consegnato a Pilato (18 , 36). Questo permette di identificare con i sommi sacerdoti i giudei » che si oppongono a Gesù nel tempio (2, 18) e di includerli nel novero di coloro che discutono con lui, in altre occasioni, nello stesso luogo (8, 22-59; IO, 22-39). Di fallo, sommi sacerdoti e farisei operano di comune accordo, ma il gruppo più attivo, capace di mettere in movimen· t o l'azione repressi va dei sommi sacerdoti, è quello dei farisei (7, 32; I l , 46s). Sono loro a dominare con la paura perfino i • capi • ( 12, 42). Que· sto t ermine designa i membri del Consiglio (sinedrio), supremo organo di governo, presieduto dal sommo sacerdote. Nicodemo, fariseo, è uno di loro (3, ! ) ; essi impongono un'ideologia al popolo (7, 26.48). Le eccezioni a questo significato tecnico del termine giudeo/giudei • si trovano, in primo luogo, in 4, 9 (bis)12; qui esso è usato in opposizione a un altro termine di carattere etnico-religioso. samaritano/a •. e si col· !oca, pertanto, nel suo campo semantico. In secondo luogo, sulla bocca di non giudei (Pilato, soldati), il termine si colloca in un'opposizione si­ mile a quella precedente e conserva con ciò stesso la connotazione etnico­ religiosa ( 18, 33.35.39; 19, 3.19.21c). - /eviri, gr. leuirai, da cui proviene il grecismo !evita Questo termine designa quei membri della tribù di Levi (tribù clericale) che, non apparle· nendo alla famiglia di Aronne, non potevano ottenere il grado sacerdotale. •















•.

20 Egli lo riconobbe, non ricusò di rispondere, e riconobbe questo, gr. kai homologésen kai ouk érnésato, kai homologésen. Delle tre proposi­

zioni coordinate. la principale è la terza. che introduce la dichiarazione. Le prime due fungono da preparazione enfatica, appoggiando la frase ùel prologo: non era lui la luce ( l . 8). Il verbo greco homologeo, confessare, riconoscere, in italiano esige l'uso del pronome che si riferisce al conte­ nuto della risposta e suppone il testo di l, 8. Ouk ernésato ha come com­ plemento implicito l'infinito h6mologein, che in it. è preferibile esplicitare, anche sostituendolo con un altro verbo che eviti la monotonia. L'hoti com­ pletiva che introduce la dichiarazione equivale al pronome cataforico questo •. •

22 Tu, come ti definisci?, gr. ti /egeis peri seautou. Si chiede a Giovanni che egli stesso (Il> (19, 3 1 ) ed albeggia il primo giorno, la settimana definitiva (20, 1), che dà il via alla nuova creazione. In consonanza con questa cronologia simbolica, Gesù parla nel vangelo del « suo giorno » (8, 56). indicando il tempo della sua attività, oppure descrive questa attività, come un periodo di dodici ore ( I l , 9). Da un altro punto di vista i l fatto che Gesù passi dal giorno quarto al sesto con la formula il terzo giorno » mostra la sua intenzione di associare al tema della creazione quello dell'alleanza, dato che la stessa formula è usata in Es 1 9, 1 0 . 1 1 . 1 5 . 1 6 (dopodomani, il terzo giorno), per annunciare la teofania che sul Sinai inaugurò il dono della Legge (Es 20, 1 ·2 1 ) . L'indicazione il terzo giorno allude anche a Os 6, 2 (eb.) : dopo due giorni ci ridarà la vita, e il terzò ci farà rialzare ( risusciterà) e noi vivremo alla sua presenza ». La promessa di Osea per il terzo giorno, che corrisponde al giorno sesto di Gv, è quella della risurrezione, dono che sarà comunicato all'uomo quando Gesù donerà lo Spirito (6, 39 Lett.) � . II giorno sesto sarà, pertanto, al tempo stesso il giorno dell'alleanza nuova, della creazione ultimata e della risurrezione. L'alleanza nuova, in cui lo Spirito sostituirà la Legge ( 1 , 17). consisterà precisamente nella costituzione della nuova comunità umana, quella degli uomini completati con Io Spirito e che per questo godranno della vita definiti­ va ( risurrezione) . •

«

=

=

Divisione del grorno sesto Le due cronologie precedentemente esposte, quella del giorno che comincia a Cana, ultimo del primo arco di sei giorni (1, 19-21 ) , e quella che termina sulla croce, sesto giorno del secondo arco (12, 1-19, 42) , dividono il giorno sesto in due parti, che possono essere intitolate « il giorno del Messia • e • l'ora finale ».

sei giorni con il primo, si veda 12. l Lett. L'idea di "' le'\'arc • contenuta nell'allusione a Osea, si incontra a partire da S, 8: le�•ari (egeire, equivalente di anasra, cfr. 5, 2 1 ) fino a Il, 25, dove Gesù dichiara di e ssere lui la risurrezione.

' Per la relazione del secondo arco di

2

130

A . IL GIORNO DEL MESSIA 2, 1 - 1 1 , 54

II giorno del Messia (2, 1-1 1 , 54) abbraccia tutta l'attività di Gesù, anticipazione dell'opera che deve realizzare con la sua morte, e presenta la sua manifestazione a Israele, annunciata da Giovanni (l, 3 1 ) e pro­ messa da Gesù stesso ( 1 , 5 1 ) . La manifestazione a Israele è quella della sua gloria-amore (2. I l ) ; sarà progressiva, fino a culminare nell'episodio di Lazzaro, ultimo del giorno del Messia, in cui si menzionano per la seconda volta la manifestazione e ,la visione della gloria (2, 1 1 ; 1 1 .4.40). L'attività del Messia, che comincia a Cana, provocherà la sua condanna a morte da parte delle massime autorità giudaiche, il sommo sacerdote e il Consiglio (2, 1 1 : Questo Gesù compì ... come principio dei segni; I l , 47.53: quest'uomo compie molti segni ... così quel giorno concordarono di ucciderlo) . Alla manifestazione dell'amore risponde quella dell'odio, mentre si esaspera il contrasto fra luce e tenebra. Israele dovrà fare la sua scelta tra l'una e l'altra. Per • l'ora finale " · si veda l'introduzione corrispondente pp. 496ss.

I due cicli del giorno del Messia II giorno dell'attività del Messia si suddivide a sua volta in due dcii, chiaramente indicati dall'evangelista: il primo, o ciclo delle istituzioni, fa immediatamente seguito al segno compiuto a Cana (2, 11) e annuncia la sostituzione delle istituzioni di Israele con la persona del Messia. A Cana si anticipa la sostituzione dell'antica alleanza, simboleggiata dalle nozze in cui manca il vino, con la nuova, in cui esisterà il vino dello Spirito (2, 1-1 1 ) . Gli episodi che seguono indicheranno la sostitu­ zione delle istituzioni appartenenti all'alleanza decaduta. Dopo un ver­ setto in cui si fissano i tipi di atteggiamenti che Gesù incontra nella sua attività (2, 12). tale attività ha inizio a Gerusalemme, durante la festa di Pasqua (2, 13), allorché presentandosi nel tempio, egli annuncia la sostituzione di quel tempio corrotto con la propria persona. Dinanzi a quest'azione messianica di Gesù, i n Gerusalemme si produce una reazione favorevole, ma errata. Questa viene dapprima espressa in maniera generica (2, 23-25), in seguito specificata in quella dei capi farisei, rappresentati da Nicodemo, che vedendo nel Messia il maestro e 131

D giorno del Messia. Ciclo delle Istituzioni

i l custode della Legge, essi attendono da lui l'instaurazione del rigoro­ so regime legale, strumento della venuta del regno di Dio (3, 1 - 2 1 ) . La controversia di Gesù con Nicodemo rende patente la sostituzione della Legge, consi derata fonte di vita e luce-norma di condotta. Più avanti, queste due funzioni le assume Gesù. Levato in croce come segno di salvez· za (3, 14-16), egli sarà il luogo dalla cui altezza sgorgheranno vita, che fa nascere di nuovo (3, 3-7) e luce che svela la bontà o malvagi tà delle azioni dell'uomo (3, 19-21), l'unica norma valida di condotta. L'episodio successivo (3, 22-4, 3), denuncia l'assolutiuazione delle figure e del messaggio deii'AT; arriva al colmo nell'atteggiamento dei discepoli di Giovanni Battista, che si aggrappano a lu i senza accettare il Messia che egl i annunciava. La dichiarazione di Giovanni mostra la relatività della sua figura e, con essa, quella della Legge e della profezia deii'AT, che erano annuncio e preparazione. La Legge, pe rta nt o, in quanto base dell'istituzione i sraeli ti ca, e la profezia in quanto sua interprete nel solco dell'antica alleanza, hanno esaurito la loro missione, sostituite dalla persona del Messia, lo Sposo che inizierà la nuova alleanza e il Figlio le cui esigen ze comunicano lo Spirito (cfr. 3, 34). La sostituzione proposta da Gesù mentre si trovava nella regione della Giudea, dove avevano le loro radici le is tit uz ion i, è rifiutata. Questi episodi ampliano così la fase del prologo • i suoi non l'accolsero " ( l , I l ). Dinanzi al sospetto dei farisei, Gesù torna in Galilea. Durante il cammino t rova in Samaria, la regione emarginata, l'accoglienza che i suoi non gli hanno offerto (4, 4-44 ) . Il ciclo termina con l'arrivo in Galilea e a Cana (4, 45-46a), concludendo così l'itinerario cominciato in 2, l . Per il secondo ciclo, i l ciclo dell'uomo, si veda l'in traduzione corrispon­ dente, p. 236.

• l SUOI NON L'ACCOLSERO " (2, 1-4, 46a)

1 . CICLO DELLE ISTITUZIONI.

SOSTITUZIONE DELL ' ALLEANZA

2, 1-1 1 : Cana: Il principio dei segni 1

Il terzo giorno ci furono delle nozze a Cana di Galilea, ed era lì la madre di Gesù; 2 anche Gesù fu invitato alle nozze, come pure i suoi discepoli. Essendo mancato il vino, la madre di Gesù si rivolse a lui: Non hanno vino. • Gesù le rispose: - Che cosa importa a me e a te, donna? Non è ancora giunta la mia ora. 5 Sua madre disse ai servitori: - Qualunque cosa vi dica, fatela. 3

-

132

2, 1-11. Sootltuzlone dell'alleanza: Cana

Erano collocate lì sei giare di pietra destinate alla purificazione dei giudei, capienti un centinaio di litri ciascuna. •

' Gesù disse loro: - Riempite d 'acqu a le giare. E le riempirono fino all'orlo. ' Al lora ordinò loro: - Adesso attingete e portatela al ma e s t ro

di tavola.

Quelli gliela po rtarono. 9 Assaggiala l'acqua tramutata in vino, senza sapere da dove venisse (ma ben lo sapevano i servitori, avendo attinto l'acqua), il maestro di tavola chiamò Io sposo 1 0 e gli disse: - Tutti servono prima il vino di qualità, e quando la gente è al t i cc ia , il peggiore; tu, il vino di qualità lo hai t en u t o in serbo fino a ora . 11

Questo Gesù compì a Cana di Galilea, come principio dei se gn i ; sua gloria, e i s u oi discepoli gli diedero la loro ad es io ne .

manifestò la

NOTE FILOLO G I C H E 2, l 11 terzo giorno. L'intervallo fra due avvenimenti s i esprimeva inclu­ dendo nel computo i giorni in cui l'uno e l'altro avvenivano. Cosl, sulla bocca di un personaggio, • il terzo giorno • significa • dopodomani •, co­ me appare in Le 13, 32: oggi, domani e il terzo giorno. Lo stesso uso si constata nelle predizioni e nei racconti della risurrezione • il terzo gior­ no • o • dopo tre giorni • (Mt 16, 2 1 ; 17, 23; 20, 19; 27, 64; Mc 8 , 3 1 ; 9, 3 1 ; I O, 34; Le 9 , 22; 18, 33; 24, 7.46; At IO, 40). Gesù morì la sera del venerdì e risuscitò la domenica; secondo il nostro modo di parlare, dopo due giorni. L'intervallo temporale denotato dalla frase greca • il terzo giorno / dopo t re giorni • è pertanto senza dar luogo a dubbi di due giorni, comincian­ do nel caso nostro dalla decisione di partire per la Galilea ( l , 43). In i t. l 'espres s ione • il terzo giorno • è ambigua; può significare tre o due giorni dopo. Da una parte, è importante interpretare bene l'intervallo (due gior­ ni); per questo sarebbe preferibile la traduzione " dopo due giorni • , per­ ché rimanga chiaro che si tratta del giorno sesto, a partire da l , 1 9 (cfr. l , 29.35.43), in parallelo con il giorno della morte di Gesù (cfr. 19, 31), messo i n relazione con l'episodio di Cana dalla menzione della « sua ora " (2, 4). Tuttavia, l 'allusione a Os 6, 2: il terzo giorno ci ristabilirà/farà levare, con­ si glia d i conservare nella traduzione la formula " i l terzo giorno • . Lo stesso computo è fatto d a Origene nel suo commentario a Giovanni (49 [30, 259)): • il terzo giorno a partire dal quarto, cioè: nel sesto giorno da no i enumerato fin dal principio hanno luogo le nozze a Cana di Ga­ lilea ... • . - era lì. Si noti il parallelismo fra_ questa espressione locale, applicata alla 'lladre di Gesù, e quella che si applica alle giare: erano lì (2, 6), per in­ dicare la comune appartenenza all'alleanza antica (nozze), da una parte, del popolo. rappresentato dalla madre, e, dall'altra, della Legge, simbo­ leggiata dalle giare (cfr. Lett.).

2 anche ... [fu invita to ] , gr. de. Ebbene, e, anche. - come pure, gr. kai ... kai. Le due particelle copulative stabiliscono una corrispondenza: tanto Gesù come i suoi discepoli. Per conservare il verbo al singolare, si adotta una traduzione equivalen te (cfr. 17, 10.1 1 .26).

1 33

li pomo del MHsla. Cleto delle Istituzioni

si rivolse a lui, gr. legei pros auton. Pres. st. La costruzione leg6 pros (cfr. l , 1 : ho logos en pros ton Tlwon) è più forte di lego + dat., e ac­ quista diverse sfumature a seconda dei contesti: Non sempre si trova un verbo it. che rifletta l'insistenza o urgenza espresse da questa costruzio­ ne. Oltre che in questo passo, si trova al presente in 3, 4 (obiellò); 4, 1 5 (disse); 4, 49 (insistette) ; 6, 5 (si rivolse) ; 7, 50 (interpellò). Con l'aor. in 4, 48 (rispose); 6, 28 (domandarono) ; 6, 34 (dissero); 8, 57 (replicarono); I l , 21 (disse). 3

4

le rispose. Gr. pres. st.

- Che cosa importa a me e a te?, letter. Che cosa a me

e a te? Idiotismo se· mitico ben conosciuto che esprime non esistenza o rottura di relazione. Suppone sempre due persone (A c B) e un fatto accaduto. Il suo significato dipende dal contesto in cui viene adoperato. Si possono distin�uerc quat­ tro casi: a) Se il fatto è un'azione presente d i B, che A considera inopportuna o pe· ricolosa nei suoi confronti, A può respingere l'intervento di B facendo uso di questo idiotismo che, in tal caso, si traduce con: Perché ti impicci dei fatti miei? o più semplicemente: Lasciami in pace. Così, in Mc l, 24, dove l'indemoniato considera una m inaccia l'insegnamento di Ges(t (cfr. Le 4, 34; Mc 5, 7-8; M t 8, 29; 2 Cr 35, 21). b) Se il fatto (azione d i B o attribuita a lui) s i colloca nel passato rispetto al dialogo, e A lo considera nocivo per sé, con questo idiotismo dichiara rot· ta la propria relazione con B. Così in l Re 17, 18, in cui la vedova di Sa­ repta respinge Elia, pensando che suo figlio sia morto per colpa del pro­ feta: « cosa ho a che fare con te? •. oppure: « non voglio aver niente a che fare con te •. c) Se A ignora quale fatto abbia provocato un atteggiamento ostile di B, può domandarlo facendo uso di questo idiotismo. Cosi, in Gdc I l , 12, dove Jefte manda a chiedere al re degli Ammoniti, che lo assale: cosa [è suc· cesso] fra te e me? •, oppure: c che t i ho fatto perché tu venga ad as· salirmi? •. d) Finalmente, se il fatto non dipende dalla volontà di A né di B, la for· mula serve per raccomandare a B l'indifferenza davanti al fatto. Cosi in 2 Sam 1 6, IO, quando Abisai chiede a Davide il permesso di uccidere Simei, che insultava il re chiamandolo assassino, la risposta di Davide: cosa a me e a te? si può tradurre perfettamente con: • che importa/compete a me e a te? Lasciato maledire, ché se il Signore gli ha ordinato di male­ dire Davide, chi gliene chiederà conto ? •- Qualcosa di simile in 2 Sam 19, 23. Nel caso nostro, in cui la mancanza di vino è indipendente dalla volontà della madre e di Gesù, quest'ultima non ha mosso una petizione formale, ma ha soltanto esposto la situazione, il significato proprio è quello di d). Gesù la esorta a disinteressarsi del fatto: che [ce ne importa] a me e a te? •



•.

6 destinate. La prepos. kata con accusativo indica una relazione di corri· spondenza fra due termini. Dal punto di vista del primo (le giare) denota finalità; dal punto di vista del secondo (la purificazione). necessità o esi­ genza. A seconda di quella che si adotta, si può tradurre: richieste dalla! necessarie per la purificazione oppure destinate alla purificazione, che, in entrambi i casi, risulta termine dominante. - un centinaio di litri. Letter. 2 o 3 « metrete •, misura di capacità equi­ valente a 40 litri. Si potrebbe tradurre: da ottanta a centoventi litri ciascuna, ma siccome Gv, con l'indeterminatezza vuole evitare ogni significato sim­ bolico delle cifre che non sia quello dell'enorme quantità, è sufficiente tradurre più brevemente: un centinaio di litri, indicando ugualmente la gran­ de capacità delle giare.

1 34

2, 1-11. Sootlluzlone dell'alleanza: Cana

7 Riempite, gr. gemisate. n verbo gemit6 significa riempire un recipiente che è vuoto (6, 13: i cesti; Mc 15, 36: impregnare d'aceto una spugna; Le 14, 23: la casa in cui non si erano recati i primi invitati ; 15, 16 [ lett var. ] : riempirsi Io stomaco, detto d i uno che h a fame; Ap 8 , 5 : l'incensario, di ti7.zoni; 15, 8: il santuario, di fumo). O che non è destinato a contenere ac­ qua (Mc 4, 37: la barca). Le giare erano, pertanto, vuote. .

8 ordinò loro, gr. /egei autois. Il verbo lego, come l'it. dire, ha in determinati contesti significato di • ordinare/comandare • (cfr. 2, 5.7) e ammette questa traduzione. - attingete. Il verbo gr. antle6 si usa ordinariamente per attingere acqua da un pozzo (cfr. 4, 7: Gn 24, 20; Es 2, 19; Is 12, 3). Le giare hanno, quindi, una qualche relazione con un pozzo. Come si vedrà in 4, 7 Lett., « il pozzo " era un simbolo della Legge di Mosè. Nuovo modo per indicare il significato sim· bolico delle giare. 9a

ben lo sapevano. Il ben enfatico traduce la particella avversativa gr. de.

9b-IO chiamò ... disse. I n gr. pres. st. Tutti, gr. pas anthr6pos. - di qualità, gr. ka/os. Indica sempre eccellenza; cfr. IO, 11.14: il modello di pastore; IO, 32.33: opere eccellenti, allusione a quelle di Dio nella creazione (Gn l, 31). La traduzione vino buono • è insufficiente. - lo hai tenuto in serbo. Forza del pf. gr. teterekas. -



Il Questo Gesù compì ... come principio dei segni, gr. taut�n epoiesen arkhén t6n semei6n ho Iésous. Da un lato, arkhén è il complem. dir. di epo­ iesen; dall'altra, il dimost r ativo tauten si accorda con esso. La trad. • que­ sto principio fece Gesù • non è it., si direbbe • dare inizio ma questo porterebbe a sopprimere il vero poie6, fare/realizzare, caratteristico dei segni in Gv (cfr. 2, 23; 3, 2; 4, 54, ecc.). Non soddisfa neppure la trad.: « que­ sto fu i l p ri ncip io dei segni che fece Gesù perché separa il verbo dal suo complemento. La t rad . proposta ha il vantaggi o di conservare come com· plemento del verbo l'azione realizzata a Cana, indicando il suo carattere di principio •: questo termine è più indicativo dell'espressione " primo dei segni perché include l'idea di prototipo e, in certo modo, quella di origine. - manifestò la sua gloria, gr. ephaner6sen ten doxan autou. La gloria è visi­ bile, può essere contemplata ( 1 , 14), e a questa visibilità corrisponde la ma­ nifestazione. Essendo questo segno il prototipo di tutti quelli che seguono e l'annuncio dell'ora di Gesù (2, 4) , che sarà quella della sua morte in croce, tale perifrasi serve a interpretare ciò che Gv indicherà in seguito con le forme del verbo doxaz6, con valore manifestativo. Confronta la corrispon­ denza fra I l , 4: huper t es doxes tou Theou, hina doxasthe ho lwios tou Theou di' awés e I l , 40; o pse tén doxan tou Theou. Alla visione corrisponde una manifestazione. La menzione dell'ora, unita alla manifestazione della gloria, si trova in 12, 23 (hina doxasthé); 17, 1 : manifesta la gloria (doxason) del tuo Figlio perché il Figlio manifesti la tua (doxasé). Confronta El Aspecto V erba/, nn. 172-189 e 7, 39 nota. - gli diedero la loro adesione, gr. episteusan eis auton. Il verbo pisteu6 è caratteristico di Gv non solo per la sua frequenza (96 volte; M t, I l ; Mc, 14; Le, 9) , ma anche per la peculiare costruzione con la prepos. eis (33 vol­ te; Mt 18, 6; forse Mc 9, 42; l Gv, 3 volte; altre 6 nel resto del NT). Pisteuò indica sempre un'adesione, a diversi livelli: a) + dativo, prestar fede a un enunciato (2, 22: té graphe; 4, 50: t6 log6; 5, 47: emois remasin; 12, 38: te akoe) o dar credito a una persona (4, 2 1 ; 5, 24.38.46; •.

•,



•,

1 35

Il pomo del Messia. Ciclo delle Istituzioni

6, 30; 8 , 3 1 .45.46; 10.37.38: tois ergois come manifestazione di Gesù; 14, 1 1 ) . b ) + accus. e dativo d i persona, fidarsi di/affidarsi a qualcuno (2, 24). c) La costruzione con eis aggiunge un sema direzionale, che conferisce un dinamismo all'azione del soggetto. Gv concepisce in modo dinam ico la relazione soggettggetto e la esprime con questa preposizione. Cosi si spiega che, essendo lui quello che più usa - e di gran lunga - il verbo pisteuo. non adoperi mai il sostantivo pistis (sinottici e At, 40 volte: Paolo 143), più indicato per esprimere possesso/stato nel soggetto che non dina­ mismo soggettggetto. L'espressione i t. • credere in • non traduce ade­ guatamente, essendo la prep. in, contrariamente a quella greca eis, tanto statica quanto dinamica. Inoltre, credere in • si usa con complemento di persona ( • in qualcuno •) e di cosa ( • in qualcosa •). Non cosi pisteuo eis, il cui termine è sempre personale, in Gv sempre Gesù, eccetto in 1 2 , 44; 14, 1: Dio e Gesù (in Rm 10, 10, eis indica finalità, non termine); come attività del soggetto nella sua relazione con un termine personale: dare/ mantenere l'adesione. In 1 , 12; 2, 23; 3, 18c, il termine è ro onoma, che espri­ me la persona sotto un determinato aspetto ( 1 , 12c nota; 2, 23 nota). d) Per la costruzione con en e dativo confronta 3, 15 nota. · e) + hoti e proposizione completiva che enuncia il contenuto della fede •

(8, 24; 9, 18; 1 1 , 27.42; 13, 19; 14, 10.1 1 ; 16, 27.30:

17, 8).

f) Quando si usa senza alcun complemento, il contesto determina a qU.ale delle forme precedenti corrisponde.

CONTENUTO E DIVISIONE Il segno compiuto da Gesù a Cana, inizio dei segni (2, 1 1 ) , annuncia la sostituzione dell'antica alleanza, fondata sulla Legge mosaica, con la nuova, fondata sull'amore leale ( 1 , 14-17). il cui simbolo è il vino che Gesù dona. L'episodio è programmatico. Prendendo le mosse da un fatto, le nozze in un paese, Gv costruisce la sua narrazione. Le nozze, come è risaputo, erano simbolo dell'alleanza, in cui Dio appariva come lo Sposo del po­ polo '· Queste nozze anonime, in cui né lo sposo né la sposa hanno volto o voce, sono figura dell'antica alleanza, cui Gesù sta per presentarsi. L'idea dell a nuova alleanza, messianica, nacque dinanzi al fallimento di quella an­ tica z. La figura dello Sposo, accennata in l , 27 (cfr. l, 15.30), appare qui in primo piano: Gesù, il nuovo sposo, è presente nelle antiche nozze. In esse annuncia il cambiamento dell'alleanza, che avrà luogo nella • sua ora •

(2, 4).

I l v. 6, che interrompe il racconto con la descrizione statica delle giare, di­ vide l'episodio in due parti. La prima (2, 1-5) comprende l'introduzione (2, 1-2) e l'intervento della madre di Gesù, nominata tre volte (2, 1.3.5). Nella seconda (2, 7-10). la figura centrale è quella del maestro di tavola, menzio­ nato anch'egli tre volte (2, 8.9.9.). Il legame fra le due parti è costituito dalla figura di Gesù (2, 1 .2.3.4.7) e da quella dei servitori, nominati uria vol ta nella prima parte e un'altra nella seconda (2. 5.9). L'episodio termina con una conclusione dell'evangelista, che interpreta teologicamente l'accaduto (2, l i ). Riassumendo: 2, 1-2: 2, 3-5:

Introduzione: tempo, luogo, circostanze. Mancanza di vino. Intervento della madre.

l Os 2, 16-25; Is l , 2 1 -23; 2 Ger 31, 33-34; 33, 1+22;

136

49, 14-26; 54; 62; G�r 2; Ez 16. Ez 36, 22-32.

2, 1-11. Sostlluzlone dell'alleanza: Can:> le giare wote. 2, 6: 2, 7-10: I l vino nuovo. Il maestro di tavola.

2, 1 1 :

Interpretazione del fatto.

LETT U RA

Introduzione: tempo, luogo, circostanze 2, la

Il terzo giorno ci furono delle rwzze a Cana di Galilea.

Essendo stato annunciato Gesù come nuovo sposo per bocca di Giovan­ ni Battista ( 1 , 15.27.30), le nozze acquistano immediatamente un signifi­ cato simbolico, come si è già esposto in precedenza. L'evangelista ambienta l'episodio in un paese di montagna, a una quindicina di chilometri da Nazaret. La detenninazione di Galilea dis tingue questa Cana da altri paesi dello stesso nome 3• La nuova menzione della Galilea, regione in cui si reca Gesù appena fonnato il primo gruppo di discepoli (cfr. l, 43). ricorda la libertà di azione che poteva godervi in opposizione alla Giudea, dove Gesù si vedrà perseguitato (4, 1-3; 7, 1 ) . Cana inoltre era situata nella parte montuosa della Galilea, luogo classico dei ribelli al regime imperante a Gerusalemme. In questo ciclo, nel quale Gesù propone la sostituzione delle istituzioni giudaiche, egli annuncia il suo programma a Cana e, una volta compiuta la denuncia nel tempio (2, 13ss) e cominciato il suo lavoro in Giudea (3, 22ss), per non incorrere nella fiscalizzazione che vi esercitavano i farisei (4, 1-3), tornerà a Cana (4, 46a) . da dove inizierà il suo lavoro direttamente con il popolo (4, 46b). � probabile che il nome • Can a •, avente relazione con il verbo ebraico qanah (acquistare, creare), sia stato scelto da Gv per fare allusione al popolo acquistato, creato da Dio • ( E s 15, 16; Dt 32, 6; Sal 72, 4), soggetto della sua alleanza. •

lb

ed era lì la madre di Gestì.

madre di Gesù è presentata senza nome proprio, soltanto attraverso la sua relazione con lui. Non avrà nome neppure nelle menzioni succes­ sive (2, 1 2 ; 6, 42; riguardo all'ultima, ai piedi della croce, si veda 19, 25 Lett.). La madre appartiene alle nozze, cioè all'antica alleanza. Si noti il parallelismo delle espressioni: era lì la madre di Gesù (2, l) ed erano collocate lì sei giare di pietra (2, 6). Tanto la madre quanto le giare rientrano nel solco dell'alleanza. Al principio, la madre è l'unico personaggio delle nozze ad avere rilievo, tutti gli altri costituiscono uno sfondo anonimo. Nei versetti successivi si vedrà cosa rappresenti la sua figura. La

' Cfr. Gs 19, 20, altra Cana situata a sud-est di Tiro; S. - B. Il, 400.

137

Il giorno del Messia. Ciclo delle lslltuzlonl

2

anche Gesù fu invitato alle nozze, come pure i suoi discepoli

.

Entra in scena Gesù, per la prima volta alla testa di un gruppo di discepoli. Nelle narrazioni precedenti non era stato in primo piano lui: i personaggi centrali erano stati Giovanni e gli uomini che, in un modo o nell'altro, prendevano contatto con Gesù ( 1 , 35-5 1 ) . Tutto era stato preparazione e presentazione. Ora ha inizio il giorno dell'attività; il Messia entra nelle antiche nozze, nel popolo che vive sotto l'antica alleanza, ma come invitato. Non appartiene ad essa, è soltanto ospite, e così pure i suoi discepoli, che fanno gruppo con lui. La madre vive all'interno dell'alleanza antica; Gesù e i suoi no. La presenza di Gesù sta per mel tere in moto la scena.

Mancanza di vzno. Intervento della madre 3 Essendo mancato il vino, la madre di Gesù si rivolse a lui: hanno vino •.



Non

Elemento indispensabile nelle nozze, come segno di gioia, il vino è simbolo dell'amore fra lo sposo e la sposa, come appare chiaramente nel Cantico 4• I n queste nozze, che rappresentano l'antica alleanza, non esiste relazione di amore fra Dio e il popolo. Nella triste situazione della mancanza di vinojamore interviene la madre di Gesù, che si limita ad informarlo, senza formulare una richiesta esplicita. Bisogna precisare, quindi, chi rappresenti la madre, che da un lato è membro delle nozze, e dall'altro ha uno stretto vincolo con Gesù, l'invitato. Si ricordi, in primo luogo, che la madre non figura con un nome proprio. Di seguito si noti che rivolgendosi a Gesù non lo chiama figlio; neppure Gesù, da parte sua, la chiama madre. Tra Gesù e lei esiste pertanto una relazione di origine, ma non di dipendenza, e nemmeno di familiarità. Né lei pretende di avere alcun diritto su Gesù (assenza di richieste, cfr. 1 1 , 3), né Gesù si riconosce dipendente da lei (2, 4: donna, non madre). Nella narrazione, costruita sul simbolo delle nozzejalleanza, la madre che appartiene all'alleanza antica, ma che riconosce il Messia e spera i n lui, personifica gli israeliti che hanno mantenuto l a fedeltà a Dio e la speranza nelle sue promesse. La madre di Gesli è, di conseguenza, la figura femminile che corrisponde a quella maschile di Natanaele, colui che è un vero israelita ( l , 47). Questi rappresentava l'Israele fedele, in quanto oggetto di rinnovata elezione da parte del Messià; l a madre, come figura femminile, serve a denotare l'origine del Messia, il virgulto che nasce dal vero Israele e nel quale stanno per adempiersi le promesse. Ha riconosciuto il Messia e la sua speranza si ravviva. Il suo primo passo consiste nel mostrargli la carenza: non hanno vino. Con questa frase, pur appartenendo alle nozze, si distanzia da esse (non hanno, 4 Nel Cantico il vino è simbolo dell'amore: l, 2: • i tuoi amori sono migliori del vino • (in parallelo con i profumi); 7, IO: • la tua bocca è vino generoso • ; 8, 2: • ti darei da bere vino aromatico •, ecc.

138

2, 1-11. Sostituzione dell'alleanza: Cana

anziché non abbiamo). Sa bene che il Dio dell'alleanza è amore e lealtà (Es 34, 6 ; cfr. Dt 4, 37; 7, 7s; 10, 15; Gv l, 14e Lett.) e che tale amore non è finito (cfr. Ger 3 1 , 3 [38, 3 LXX ] ) : " con amore eterno ti ho amato, per questo ho protratto la mia lealtà n; attende il giorno promesso dal profeta (Ger 3 1 , 1 : • in quel tempo, oracolo del Signore, io sarò Dio per tutte le tribù di Israele ed esse saranno il mio popolo •l- Espone a Gesù l'insostenibilità della situazionl', confidando che egli vi ponga riparo. Non può sapere ciò che Gesù farà, ma sa mollo bene cosa manca a Israele. L'antico Israele pone la sua fiducia nel Messia, che ha ricono­ sciuto (1, 45.49). Non si rivolge al capo del banchetto, incaricato di procurare le provviste e responsabile della mancanza di vino: egli fa parte della situazione, e da lui non c'è da aspettarsi nulla. Soltanto il Messia può offrire la soluzione. 4a Gesù le rispose: « Che cosa importa a me e a te, donna?

•-

parole di Gesù intendono far coraggio alla madre j israele e indicarle la necessità di rompere con il passato. Essa, che giudicava intollerabile la situazione, si attendeva che il Messia vi ponesse riparo prendendo come base la realtà esistente ( 1 , 45b Lett.) . Gesù le fa comprendere che quell'alleanza è decaduta e non deve essere rivitalizzata; la sua oper::1 non poggerà sulle antiche istituzioni: rappresenta una novità radicale; l'alleanza fondata sulla Legge non sarà integrata nell'alleanza nuova. Gesù si distanzierà costantemente dalla Legge mosaica, che, sulla sua bocca, sarà la « loro » Legge, non la sua (7, 1 9 ; 8, 1 7 ; I O, 34; 1 5 , 25). La madrejisraele, che spera nel Messia, guarda ancora all'indietro, pen­ sando che l'opera di Gesù sia vincolata al passato; Gesù le spiega che tale dipendenza non sussiste. Né a lui né a lei spetta intervenire nell'alleanza senza vita. L'appellativo • donna •. che non è mai usato da un figlio per rivolgersi alla madre 5, poteva invece designare una donna sposata o • promessa sposa • (M t l, 20.24; 5, 3 1 .32; Mc IO, 2; Ap 1 9, 7; 2 I. 9). Gesù lo userà per rivolgersi a sua madre (2, 4a; I 9, 26), alla samaritana (4, 21) e a Maria la Maddalena (20, 15). Le tre donne rivestono il ruolo di sposa, in quanto figura di una comunità dell'alleanza: la madre, la comunità-sposa dell'antica alleanza. che si è conservata fedele a Dio; la samaritana, la sposa-adultera (adulterio = idolatria) che torna allo sposo; Maria la Maddalena, la comunità-sposa della nuova alleanza, che formerà con Gesù la nuova coppia primordiale nell'ortofgiardino. Le

4b



Non



ancora giw1ta la m ia ora

•-

D'altra parte, la novità radicale che Gesù porta è legata a un momento futuro, • la sua ora • (7, 30; 8, 20; 12, 23.27; 17, 1), che sarà quella della sua morte ( 1 3 , l : la sua ora, quella di passare da questo mondo al Padre). Gesù stimola la speranza, ma avverte che la realizzazione non è immediata. Questa frase di Gesù pone il vino che gli viene implicitamente richiesto in connessione con la « sua ora •- Con ciò, il vino acquista immediata�

Non si riscontrano casi né neli'AT, né nella letteratura rabbinica.

139

Il elomo del Messia. Ciclo delle lstltw::lonl

mente un significato simbolico. Un vino reale, presente, urgente, non può dipendere da un avvenimento futuro. II vero Israele vede l'insufficienza e la tristezza della situazione in cui si trova, e la espone al Messia. Sa che questi deve inaugurare un'epoca nuova, quella dell'amore e della gioia, ma non conosce il momento né il modo in cui darà compimento alla sua missione. Gesù afferma la propria indipendenza rispetto al passato e dichiara che la nuova allean­ za non può avere inizio anzitempo. Però l'annuncio dell'ora di Gesù ha mostrato alla madrej lsraele che la salvezza non è lontana. Di qui il suo ordine ai servitori: quando venga il momento si deve essere pronti. 5

Sua madre disse ai servitori:



Qualunque cosa vi dica, fatela



Appaiono nuovi personaggi, i servitori, e la madre del Messia dice loro di mettersi a completa disposizione di lui (qualunque cosa vi dica). Essa non conosce i piani di Gesù, ma afferma che bisogna accettare senza condizioni il suo programma ed essere preparati a seguire qua­ lunque sua indicazione. Nel contesto di alleanza in cui si sviluppa la scena, l'ordine della madre ai servitori acquista tutto il suo significato. La sua frase fa allusione a quella che i l popolo pronunciò sul Sinai, impegnandosi a compiere tutto ciò che Dio gli comandasse (Es 19, 8: Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo! ; cfr. 24, 3.7) . La madre j lsraele, che è stata fedele a quell'impegno, comprende tuttavia dalle parole di Gesù che l'antica alleanza è decaduta e che il Messia sta per inaugurare l'alleanza nuova; chiede quindi ai servitori, cioè a coloro che collaborano con il Messia (cfr. 12, 26) , di dare la loro fedeltà all'alleanza che egli sta per promul­ gare. Le

giare vuote

6 Erano collocate ll sei giare di pietra destinate alla purificazione dei giudei, capienti un centinaio di litri ciascuna.

narrazione s'interrompe per segnalare la presenza delle giare desti­ nate alla purificazione. La descrizione è minuziosa; si precisa il loro numero (sei) , il materiale di cui erano fatte (di pietra) e la loro capienza, un centinaio di litri (letteralmente, da 80 a 120 litri ciascuna) ; con ciò, risultavano praticamente inamovibili. L'espressione era110 col­ locate lì accentua la loro staticità e inamovibilità; la loro finalità (destinate alla purificazione dei giudei) viene collocata al centro della frase, per darle tutto il suo rilievo. Le giare, enormi e piazzat e narrati­ vamente nel centro dell'episodio, lo dominano; esse presiedono le noz­ ze jalleanza. La determinazione di pietra evoca immediatamente le tavole o lastre di pietra sulle quali fu scolpita la Legge; essere di pietra è appunto l'epiteto che si applica costantemente loro (Es 3 1 , 1 8 ; 32, 1 5 ; 34, 1 .4; Dt 4, 13; 5, 22; 9, 9.10. 1 1 ; 10, 1 .3 ; l Re 8, 9) . In queste giare, Gv rappresenta la Legge di Mosè, codice dell'antica alleanza. In relazione con il cambio di alleanza, la pietra ricorda anche il testo di Ezechiele: • vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il La

140

2, 1-11. Soolltuzlone dell'alleanza: Cana cuore di pietra e vi darò un cuore

di

(36, 26).

·

Alla Legge di pietra, l'antica alleanza, corrisponde i l cuore di pietra, senza amore • .

Lo scopo delle giare era

carne •

la purificazione,

Legge antica. Questa Legge creava una

un concetto che dominava la relazione con Dio difficile e

fragile, mediata da riti. La necessità continua di purificazione procede­ va dalla coscienza di impurità, cioè di indegnità, creata dalla Legge stessa. Tale ossessione della indegnità dell'uomo davanti a Dio spiega la posizione centrale di questo versetto nell'episodio delle nozze e l'insi­ stenza sulla capacità e immobilità delle giare. Esse

sono

il personaggio

centrale, che invade lo spazio.

La

continua necessità di purificazione rivela un Dio suscettibile, che

respinge l 'uomo per qualunque motivo 7• La Legge non riflette il suo vero essere ( 1 , ii suo amore;

17

Lett .), in quanto attraverso essa non si può percepire la Legge propone l'immagine di un Dio impositore,

custode geloso della sua dis tanza rispetto al popolo e all'individuo, e non perde occasione per sottolinearla. In queste condizioni, in cui, secondo la Legge, Dio va continuamente allontanando l 'uomo da sé, e in cui di conseguenza l'uomo si sente sempre indegno, sottomesso a uno sforzo costante di riconciliazione con lui, non può esistere amore. Non si manifesta l'amore di Dio per l'uomo, né questi si sente unito a Dio da un vincolo d'amore, ma di timore e dipendenza. La Legge non è mediazione, ma ostacolo. t! questa pertanto a far mancare il vino in queste nozze, o l 'amore in questa alleanza. Le purificazioni sono qualificate come o i suoi fedeli

( 1 , 19

Era il sacerdozio

dei giudei,

i dirigenti del regime

nota).

il

mediatore

della purificazione legale (Lv

12-16);

questa, poggiando sulla coscienza del peccato creata dalla Legge, e ra quindi uno strumento di potere nelle mani dei dirigenti, che s e ne servivano per tenere assoggettato i l popolo

(5, 10

Lett .).

Non s i dice, tuttavia, che l e giare contenessero acqua. Di fatto, dovran­ no essere riempite in seguito all'ordine di Gesù. I l pomposo rituale delle purificazioni

è

vacuo

(2, 7

nota) . Le purificazioni, prescritte dalla

Legge, erano soltanto apparenti, e pertanto inutili

e inefficaci, non

erano un vero mezzo per ristab ilire la relazione con Dio. Il sistema religioso propugnato dai giudei è a un tempo oppressivo (costante coscienza di peccato, giare di pietra) e inefficace (assenza di acqua ) . Esiste solo l'esterno, senza contenuto reale.

II

numero

sei è

la cifra dell'incompletezza, in opposizione al sette, che

indica la totalità.

II

numero delle feste giudaiche registrate nel vangelo

sarà il sei (tre Pasque:

2, 13; 6, 4; 1 1 , 55;

una festa anonima:

5, 1 ;

la

festa delle Capanne: 2, 7; quella della Dedicazione del tempio: 10, 22) . i l che indica anche i l loro carattere di provvisorietà, i n quanto stanno per essere sostituite dalla pasqua di Gesù, preparata con la sua morte • Sarebbe ingiusto dire che la Sinagoga ha abbandonato l'aspetto gratuito e mise­ ricordioso dell'elezione di Israele, ma è certo che le scuole farisaiche misero l'ac­ cento sull'aspetto contrattuale a un punto tale che non era più l'alleanza a in­ globare la Legge. ma la Legge a essere il motivo dell'alleanza •. Cfr. A. Jaubert, La Notion d'Alliance dans le Judaisme, Paris 1%3, p. 291. 7 Cfr. l'ampia casistica sull'impurità rituale e sull'espiazione in Lv 11-16. 141

D pomo del Meula. Ciclo delle lstltuzloal ( 1 9, 42 Lett.). L'attività di Gesù si svolge nel sesto giorno, appunto perché la creazione non è completata. Il numero di sei giare indica nuovamente l'inefficacia della purificazione e l'imperfezione della Legge, che non raggiunge il suo obiettivo di unire l'uomo a Dio 8 • !;. la Legge pertanto a produrre la tristezza dell'antica alleanza , in cui manca il vino dell'amore. I l primo segno che compirà Gesù, il nuovo Sposo, annuncerà il cambiamento di alleanza e la soppressione dell'an­ tico codice legale; lo compie offrendo un assaggio del suo vino.

Il vmo nuovo. Il maestro di tavola 7 Gesù disse loro: « Riempite d'acqua le giare ». E le riempirono fino all'orlo.

Si rivolge ai servitori, che per indicazione della madre sono disposti a eseguire quanto egli dica. I I Messia, la cui ora non è ancora giunta, sta per mostrare all'Israele in attesa quale sarà l'effetto del compimento della sua missione e il risultato della sua opera. Gesù sa che le giare .sono vuote, e ne fa prendere coscienza ai servitori. L'ordine che dà richiede la loro collaborazione a quanto sta per fare. Essi lo eseguono scrupolosamente: e le riempirono fino all'orlo. Facendo riempire d'acqua le giare, Gesù indica che lui sta per offrire la vera purificazione. Questa però non dipenderà da nessuna Legge, per­ ché le giare non conterranno mai il vino che egli offre. L'acqua si muterà in vino al di fuori di esse (2, 9: ma ben lo sapevano i servito ri, avendo attinto acqua). Gesù fa riempire le giare soltanto per far comprendere che quanto nell'antica alleanza era un'immagine ora sta per diventare realtà, ma indipendentemente dalla Legge antica. La Legge non poteva purificare, Gesù sì; non lo farà però con un'acqua esterna, ma con un vino che penetra dentro l'uomo. Tale purificazione sarà talmente efficace da non aver bisogno di ripetizione ( 1 3 , 10: colui cha ha -già fallo il bagno non ha bisogno che gli lavino altro che i piedi. t; interamente pulito; 1 5 , 3: puliti voi già siete, per il messaggio che vi ho comunicato). La Legge si poneva fra l'uomo e Dio. D'ora in

poi non ci saranno intermediari; il vino, che è l'amore, stabilirà una relazione personale e immediata. In essa esisterà la gioia (15, 1 1 : vi lascio detto questo perché vi portiate dentro la gioia mia e così la vostra gioia giunga al colmo).

8 Allora ordinò loro: « Adesso attingete e tavola •· Quelli gliela portarono.

portatela

al maestro di

Gesù dà un secondo ordine. Il maestro di tavola era l'incaricato e il responsabile dell'organizzazione e dello svolgimento del banchetto •, ma 8 Vi era anche una leggenda giudaica secondo la quale Mosè aveva dato agli israeliti sei vasi che contenevano acqua che sapeva di vino (Bonsirven, 121). Il Messia ap­ pare così come il nuovo Mosè; cgJi non darà acqua che sa di vino, ma il vero vino� La prima era la Legge, che Gesu sostituirà con il vino dello Spirito. 9 S . . B. II, 407409.

142

2, 1-11. Sostituzione dell'alleanza: Cana

non era al corrente · della mancanza di vino. n capo del banchetto to rappresenta la classe dirigente, « i giudei • (2, 6). I capi si disinteressa­ no della situazione del popolo. Per di più, sembra loro normale che Dio venga ad essere allontanato a causa della mediazione della Legge e che non si sperimenti il suo amore. Essi dirigono il sistema religioso: soltanto il popolo fedele avverte che la situazione è insostenibile. 9a Assaggiata l'acqua tramutata in vino, senza sapere da clove venisse (ma ben lo sapevano i servitori, avendo attinto l'acqua) . · L'acqua si è mutata in vino dopo essere stata tolta dalle giare, non in esse. Il maestro di tavola, che assaggia il vino, non riconosce il dono messianico. I servitori sì, perché sanno che il vino offerto proviene dall'azione di Gesù. II vino simboleggia l'amore (2, 3 Lett.). Quello che Gesù dà significa, perciò, la relazione di amore fra Dio e l'uomo che si instaura nella nuova alleanza, relazione diretta e personale, senza intermediari. L'amo­ re come dono è lo Spirito ( 1 , 16.17) ed è lui a purificare. La scena di Cana annuncia la croce, « la sua ora • (2, 4) . È lì che si manifesterà fino all'estremo ( 13, l ) l 'amore di Dio per l'uomo (17, l ) e si offrirà a tutti lo Spirito (19, 34 Lett.). Simboleggiato qui dal vino, significa la gioia prodotta dall'esperienza dell 'amore, tipica della nuova alleanza ( 1 5 , 1 1 ; 16, 22.24; 17, 13). Si riscontra così in questo episodio programmatico l'opposizione in­ staurata in 1 , 17: la Legge fu data per mezzo di Mosè, l'amore e la lealtà hanno cominciato a esistere per mezzo di Gesù Messia. Il vino dello Spirito crea nell'uomo « l'amore leale • che costituisce la saa nuova condizione. Questa è la Legge della nuova alleanza, non un codice esterno, come l'antica, ma un vino che penetra nell'interno dell'uomo e lo trasforma, la Legge scritta nel cuore (Ger 3 1 . 33; Gv l , 17 Lett.). Essendo lo Spirito a completare la creazione dell'uomo (3, 6 Lett.), si uniscono fin dall'inizio dell'attività di Gesù le due linee maestre della tematica di Gv: l'alleanza e l'opera creatrice, che saranno definitiYa­ mente realizzate nella croce, « l'ora • di Gesù (19, 30 Lett.). Questo vino viene offerto ai dirigenti giudei (il maestro di tavola), ma costoro non lo riconoscono. Gesù non si opporrà con la violenza, al contrario darà loro la possibilità di rettificare (cfr. 2, 16), riconoscendo che il passato (e con esso la loro propria posizione) è decaduto, e accettando il dono messianico; soltanto davanti all'ostinazione e al rifiuto (1, 1 1 : i suoi non l'accolsero) prescinderà da loro per rivolgersi direttamente al popolo (4, 46bss) . 9b-10 il maestro di tavola chiamò lo sposo e gli disse: « Tutti servono prima il vino di qualità, e quando la gente è alticcia, il peggiore; tu, il vino di qualità lo hai tenuto in serbo fino a ora •· L'incaricato del banchetto si rivolge allo sposo. Il suo rimprovero sottolinea due cose: la superiorità del vino nuovo e la sorpresa perché il nuovo è migliore dell'antico. to Il termine greco arkhitriklinos è in relazione etimologica con 11rkh6n, arkhiereus, che designano le autorità di Israele (18, 13 Lett. e l , 19 nota).

143

Il giorno del MessiL Ciclo delle lstlluzloni

II plano di Dfò seguiva una linea ascendente; n Messia doveva inaugu­ rare un'epoca incomparabilmente superiore a quella antica. Le nozze vere, con pienezza di gioia, stanno per avere inizio con Gesù, lo sposo vero (3, 29). Il maestro di tavola, da parte sua, riconosce un tempo presente (fino a ora) in cui la situazione è diversa, ma non lo riferisce alla presenza di Gesù né sospetta il cambiamento di al leanza che questo vino prcfigura. Protesta contro l'ordine, che gli appare irrazionale, in cui i vini vengono offerti: quello di prima dev'essere migliore. Non si capacita della progressione del piano di Dio né comprende che il meglio possa venire dopo; per lui, la situazione passata era già quella definitiva; i dirigenti non vogliono né sperano che qualcosa cambi. Essi, i detentori del sistema di potere, credono che il loro regime non necessiti di migliora­ mento. Constata che il vino che gli offrono è di qualità migliore, e non se lo spiega. Non comprende neanche per un attimo che il passato è stato ormai superato. Per lui, quello che succede non è decisivo; ogni novità deve essere integrata nella continuità con il passato; per questo è convinto di conoscere la provenienza del vino, la cantina dello sposo (lo l!ai tenuto in serbo) . come se questo vino fosse stato destinato fin dal principio alle nozze che egli dirige. Non comprende che il vino è di un -altro ordine, che annuncia una situazione nuova e la fine delle nozze presenti. Non ha riconosciuto la presenza del Messia. La frase lo hai tenuto in serbo fùzo a ora contiene un'altra allusione alla morte di Gesù. Egli donerà lo Spirito, che risiede in lui (1, 32s) soltanto • nella sua ora •, come il frutto della sua morte (19, 30: consegnò lo Spirito) . Quello che il maestro di tavola riceve, ma non comprende né accetta, è soltanto un assaggio di ciò che sarà realtà sulla croce, nel momento in cui, terminata l'opera creatrice (19 , 30: è ormai completato) , si inaugurerà l'al leanza nuova. I l vino che Gesù offre allude indirettamente all'eucarestia. Questa, descritta da Gv con l'espressione mangiare la sua carne e bere il suo sangue sarà il veicolo dello Spirito che produce nell'uomo la vita defi­ nitiva (6, 54).

I personaggi delle nozze I dati dispersi nel commento a proposito dei personaggi si possono riassumere così: la madre di Gesù si contrappone a l maestro di tavola. Essa rappresenta l'I sraele che ha riconosciuto il Messia; il maestro di tavola è simbolo de • i giudei • che non lo attendono né hanno bisogno di lui, e non sanno apprezzare la novità del dono messianico. Isra ele (la madre) sperimenta la carenza e desidera il cambiamento; i dirigenti giudei (il maestro di tavola) si stupiscono che qualcosa possa cambia­ re: ritengono definitivo il regime che essi dominano. Mantengono ufficialmente l'alleanza, ma vuota di contenuto. Sono responsabili di quell'alterazione ( l . 23 Lett.), per cui ha cessato di essere espressione dell'amore di Dio per il suo popolo. Le giare (la Legge), collocate al centro dell'episodio, separano le due categorie di persone e i due atteggiamenti. La madre, definita attraver­ so la sua relazione con Gesù, di cui è l'origine, è aperta al futuro, alle r

144

2, 1-11. Sostituzione dell'alleanza: Cana

promesse di Dio. Il maestro di tavola, al éontrario, si definisce attra­ verso la sua relazione con le nozze esistenti, con un presente chiuso i n una tradizione senza orizzonte d i futuro. Questi due personaggi descrivono l'ambiente in cui Gesù si muoverà; da un. lato, gli israeliti che attendono; dall'altro, quelli aggrappati al loro sistema, che dominano il popolo. I primi riconosceranno il Messia, i secondi saranno i suoi nemici. Compaiono inoltre i servitori, che si mettono a disposizione di Gesù ed eseguono il suo incarico. Il termine lo userà Gesù per invitare a seguirlo ( 1 2, 26: colui c/1e voglia collaborare con me) . Includendo quindi i suoi discepoli, i servitori designano tutti coloro che si prestano a collaborare all'opera del Messia. La madre e il maestro di tavola, figure-tipo, saranno rappresentati nel vangelo dalle folle che assumono davanti a Gesù atteggiamenti contrari (cfr. 7, 25-3 1 ) . Tra i personaggi che nel racconto continuano la figura del maestro d i tavola, vale a dire, fra coloro che non s i aspettano nulla da Gesù, si trovano i • suoi parenti • . i suoi fratelli di sangue (7, 3-9). Per questo, quando Gesù, dopo Cana, scenderà a Cafamao, appariranno tre gruppi: sua madre ( l'Israele che attende), i suoi parenti ( i fedeli al regime) e i discepoli ( = coloro che desid erano collaborare con Gesù). =

=

Interpretazione del fatto Questo Gesù compì a Cana di Galilea, come princtpw dei segni; manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli gli diedero la loro adesione.

Il

Questa annotazione conclusiva dell'evangelista annuncia una serie di segni che Gesù compirà. Quello di Cana è il principio, il primo della serie, prototipo e nonna interpretativa di tutti quelli che seguiranno. II tema dell'alleanza che attraversa tutta la pericope termina con la manifestazione della gloria, come sul Sinai (Es 24, 1 5 . 1 7 : • la gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai ... la gloria del Signore appariva agli occhi degli israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna • ) . La gloria del Padre è presente in Gesù con la pienezza del suo amore leale ( 1 , 14) e si manifesta fin dal principio della sua attività, anticipando la manifestazione piena che avrà luogo nella • sua ora » (17, 1 ) . Ogni segno realizzato d a Gesù sarà pertanto una manifestazione della sua gloria, e di fatto nell'ultimo segno di questo giorno, la · risurrezione di Lazzaro, si tornerà a menzionare tale manifestazione ( I l , 4.40). La gloria/amore manifestata e sperimentata è quella che fonda la fede: fino a ora i discepoli si erano rivolti a Gesù come maestro (1, 38.49), cioè, come colui che possiede e trasmette una dottrina; ora danno la loro adesione alla sua stessa persona, come presenza della gloria/amore fedele, di Dio. La sua gloria si è manifestata annunciando la nuova relazione che Dio instaura gratuitamente con l'uomo, unendolo intimamente a sé e ren­ dendolo capace di amare come lui, per mezzo dello Spirito che purifica 145

Il giorno del Messia. Ciclo delle istituzioni

l'uomo e lo rende figlio di Dio. La fede consiste nel riconoscere l'amore indefettibile di Dio, manifestato in Gesù, e nel rispondere con l'adesione personale.

L'episodio di Cana è messo in relazione con la morte di Gesù dall'allu­ sione alla « sua ora • (2, 4; cfr. 12, 23.27s; 17, 1). :B pertanto una promes­ sa di quanto avverrà con la morte di Gesù. Sarà dalla croce che egli si rivolgerà per la seconda volta a sua madre (19, 26), e che essa, figura dell'Israele fedele, sarà definitivamente integrata nella nuova comunità (19, 27 Lett.) . Nella croce avrà luogo la manifestazione piena e definitiva della glo­ riajamore, di cui darà solenne testimonianza l'evangelista (19, 35). In forma simbolica, la gloria/amore si manifesta nello squarcio del costato di Gesù aperto dal colpo di lancia e nello spargimento di sangue (il suo amore che giunge a dare la vita per l'uomo) e acqua (lo Spirito o amore che egli comunica all'uomo). Entrambi sono inclusi nel simbo­ lismo del vino, in corrispondenza con la frase del prologo: dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto un amore che risponde al suo amore (1, 16).

Anche la nuova alleanza si verifica sulla croce, in quanto è lì che si promulga il nuovo codice, la nuova Scrittura dell'alleanza, il cui titolo è l'iscrizione sulla croce; il suo contenuto sarà Io stesso Gesù crocifisso, espressione suprema dell'amore di Dio per l'uomo (19, 19-22 Lett.) . Le nuove nozze appariranno il giorno della nuova creazione, con la nuova coppia nell'orto/giardino: Gesù risuscitato e Maria la Maddalena, figura della comunità nel suo ruolo di sposa del Messia (20, 1-18). Dall'annuncio di Giovanni Battista (1, 15.27.30) fino alla scena della risurrezione, l'alleanza è raffigurata sotto il simbolo nuziale (cfr. 12, 1ss), perché più adatto a esprimere la relazione personale che essa inaugura. Prefigurando la sparizione dell'antica alleanza, Cana prepara gli episodi del primo ciclo (2, 13-4, 46a) , che annunciano la sostituzione delle istitu­ zioni che la concretiu.avano (cfr. i due cicli del giorno del Messia, pp. 1 3 1 s ) . D'altra parte, quando dice che la nuova alleanza consisterà nella relazione di amore fra Dio e l'uomo, annuncia il secondo ciclo, in cui l'amore di Dio manifestato nelle opere di Gesù, sta per tradursi nella liberazione e nuova vita per l'uomo (4, 54 Lett.), come risultato del contatto diretto con Gesù, la vita. Così l'evangelista può affermare che Cana non è soltanto il primo dei segni operati da Gesù, ma anche il loro principio, il loro prototipo e la loro origine. Tutti saranno manife­ stazioni di questo amore che culminerà nella • sua ora �.

146

2, 1-11. Sostituzione dell'alleanza: Cana

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SINTESI

L'episodio di Cana è programmatico, e percib in stretto parallelo con la scena della croce, in cui Gesù dà compimento alla sua opera. Seguendo la linea iniziata nel prologo, che metteva a fuoco l'intero vangelo nella prospettiva della creazione ( 1 , 3) dell'uomo, in vista della sua pienezza ( l , 12: figli di Dio), questo episodio si colloca nel sesto giorno, quello della creazione delruomo; inaugura un giorno simbolico che conterrà tutta l'attività di Gesù e la cui ora finale sarà quella della sua morte. La pienezza dell'uomo (essere figlio di Dio) si realizza nella sua relazio­ ne intima e senza frattura con Dio: quella dell'amore e della gioia simbolizzati dal vino che Gesù offre. La figura delle nozzejalleanza annuncia pertanto la formazione di una nuova comunità, in cui l'espe­ rienza dell'amore di Dio produrrà la pienezza di vita, causerà la gioia e si eserciterà nella pratica di un amore che corrisponde a quello che Dio le manifesta. L'ostacolo alla realizzazione dell'uomo era la Legge. Essa, frapponendosi tra Dio e l'uomo e creando in quest'ultimo una coscienza di indegnità, deformava l'immagine di Dio e impediva l'esperienza del suo amore. In luogo di questo Dio che parla attraverso la Legge per poi chiedere conto (colpevolizzare) , Gesù rende presente il Dio che offre e comunica il suo amore gratuitamente. La fede è la risposta all'amore di Dio manifestato in Gesù, che si traduce nell'adesione personale a lui. Nel corso del vangelo si andrà esponendo il contenuto di tale adesione.

147

Gv 2, 12: Transizione. Campo dell'attività di Gesù u

Dopo ciò egli scese a Cafarnao, con sua madre, i suoi parenti e i suoi discepoli, e si fermarono lì, per non molti giorni.

NOTE FILOLOG I C H E 2, 12 Dopo ciò, gr. meta touto ( I l , 7.1 1 ; 19, 28). Ordinariamente denota un intervallo di tempo più breve che non meta tauta (cfr. 3, 22). - suoi paren ti, gr. hoi adelphoi autou. Com'è risaputo, fra i giudei il termine adelphos des ig nava anche i p arent i prossimi in linea coll aterale (cugini di primo e secondo grado) . Per designare un fratello carnale viene utilizzata l'espressione: ton adelphon ton idion (1, 41 nota). Criticamente, il posses · sivo (suoi) è attestato meglio della sua omissione. D'altra parte, nel resto del vangelo la madre e i « fratelli • di Gesù non tornano a essere menzionati insieme. La madre, figura dell'Israele fedele, apparirà nuovamente ai piedi della croce e sarà integrata nel gruppo dei discepoli (19, 25ss), mentre i fra­ telli si mostreranno ostili a Gesù (7, 3-9) e non saranno integrati nella comu­ nità. Sono figura degli israeliti che, essendo d'accordo con il sistema giu­ daico (7, 5.7). non accettano il Messia. l • fratel li • di Gesù sono, pertanto. fratelli di razza.

LETIU RA Cafarnao

è

un'importante città, situata presso il lago di Galilea, cro­

è conosciuto (cfr. 4, 46b) e lì insegnerà in una riunione (6, 59). Dopo aver tracciato il suo programma a Cana, Gesù sta per iniziare la

cevia di carovane; li Gesù

sua attività pubblica. Per questo scende a Cafamao, da dove andrà a Gerusalemme. Intorno a lui appaiono tre gruppi, raffiguranti la realtà umana che si presenta dinanzi ai suoi occhi:

costituiscono una pano­

ramica della società, classificata a seconda dell'atteggiamento nei con­ fronti della situazione religiosa. È l'unica volta che i tre gruppi appaio­ no i n sie m e;

si

vede così il loro carattere sintetico. Quello rappresentato

dalla madre, l'Israele fedele, da cui proviene umanamente Gesù, sarà aperto al suo messaggio e verrà alla fine incorporato al popolo messia­ nico ( 1 9 , 25 ss) . I fratelli (la sua gente) non apprezzeranno la sua opera e gli saranno ostili (7, ma

•.

3-9),

perché attaccati ai valori del



mondo/siste­

cui si attengono; come figura del popolo fedele al regime, sono, in

un certo modo, correlativi a quella del maestro di tavola di Cana. I discepoli

sono

coloro

che

hanno già

aderito

a

Gesù, e

disposti

a

seguirlo; anch'essi, in un certo modo corrispondono ai servitori delle nozze . Saranno

i soli a d accompagnare

Gesù

nella

sua

a t t ivi tà .

La

madre e i fratelli appartengono a un passato che, davanti alla persona di Gesù, assumerà atteggiamenti contrari ; i discepoli, fanno parte del futuro. Risalta l'opposizione fra antico e nuovo.

La convivenza (si fermarono lì) è molto effimera: per non molti giorni. Per molto poco tempo Gesù coesiste pacificamente con la società. Si lancerà immediatamente all'azione (2, 13). e si delineeranno le sfere d'influsso.

148

S O STITUZIONE

DEL

TEMPIO

Gv 2, 13-22: Gesù, nuovo aantuarlo. Il

Era prossima la Pasqua dei giudei e Gesù salì a Gerusalemme.

1 4 Trovò nel tempio i venditori di buoi, pecore e colombe e i cambiava­ lute che vi si erano installati, 1 5 e avendo formato una specie di flagello di corde, li cacciò tutti dal tempio, tanto le pecore quanto i buoi; ai cambiavalute sparpagliò le monete e rovesciò i banchi, 1 ' e a quelli che vendevano colombe disse: - Levate tutto questo da qui: non trasformate la casa di mio Padre in una casa di commercio.

17 I suoi discepoli si ricordarono che stava scritto: tua casa mi consumerà •.



La passione per la

1 8 R isposero allora i dirige n ti giudei, dicendogli: - Che segno ci mostri per poter compiere queste cose? 1 • Replicò loro Gesù: - Sopprimete questo santuario e in tre giorni lo eleverò. 2o Dissero allora i dirigenti: - Quarantasei anni ci sono voluti per costruire questo santuario, e tu lo eleverai in tre giorni? 21 Ma lui si riferiva al santuario del suo corpo.

2 2 Così, quando si levò da morte, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo e prestarono fede a quel passo e al detto che aveva pronunciato Gesù.

NOTE F I LOLOG I C H E 2, 13 polo

lJJ Pasqua dei giudei. Nell'AT non s i parla m ai della • pasqua del po­ ma del l a • pasqua del/per il Signore • (paskha to Kurio, Es 12. 1 1 .48; Lv 23,5; N m 9, 10.14; Dt 16, 1 ; 2 Re 23, 2123; in tempi posteriori, sempli­ cemente della • pasqua •. Esd 1, 1.6; Ne 6, 19). La precisazione di Gv, • dei giudei • , non può rispondere al desiderio di spie­ gare la festa a lettori pagani; la Pasqua era tipicamente giudaica e la pre­ cisazione non aggiungeva alcun dato nuovo; tanto più tenendo conto che la narrazione si colloca fin dal principio nell 'ambiente della Palestina· e che, date le numerose allusioni veterotestamentarie disseminate nel testo evan­ gelico, si vede che l'autore lo indirizza a un pubblico familiarizzato con I'AT e, pertanto, con le antiche istituzioni. Per offrire una precisazione, inoltre, sarebbe stato sufficiente farlo la prima volta, mentre il dato viene ripetuto in tre menzioni della Pasqua (2, 13; 6, 4; I l , 55). La precisazione non si spie­ ga neppure con il desiderio di distinguere questa pasqua da quella cristiana, poiché in tal caso sarebbe superfluo applicarla a feste che non avevano un parallelo fra i cris tiani (7, 2: le Capanne, la grande festa dei giudei), o a una festa anonima (5, 1 ) . • La Pasqua dei giudei • è dunque in opposizione alla • Pasqua del/per il Signore •· Gv non ritiene che la Pasqua di 2, 13 sia l'erede di quella istituita •.

149

Il giorno del Measla. Ciclo delle Istituzioni

nell'Esodo, ma una festa propria del regime giudaico della sua epoca e mani­ polata dai dirigenti. Accostando alla menzione della festa lo spettacolo del commercio nel tempio, mostra chiaramente la sua intenzione. Lo stesso av­ verrà in 5, 1-3, dove la festa dei giudei sarà in contrasto con la folla di invalidi. In 7, 1-2 sarà la festa di quelli che vogliono uccidere Gesù. Si po­ t rebbe tradurre, molto propriamente, • la pasqua del regime ». Gesù è stato annunciato come l'Agnello, che istituirà la Pasqua di Dio ( 1 , 29.36). Per questo, a partire dal cap. 12 si omette la determinazione « dei giudei » in relazione alla Pasqua (12, l ; 13, l; 18, 28.39; 1 9, 1 4 ) . E un aspetto del principio di sostituzione che domina nel vangelo, principio già insinuato nel prologo facendo il confronto fra Mosè e Gesù Messia (1, 17). La persona del Messia sta per sostituire tutte le isti tuzioni dell'antico Israele. 14 i venditori sono presentati come una collettività inseparabile (assenza d'articolo davanti ai nomi di animali), come se gli stessi individui vendes­ sero ogni genere di animali. Comincia così il linguaggio simbolico della pcricope. In seguito appariranno soltanto i venditori di colombe, gli unici cui Gesù attribuisce la responsabilità della corruzione del tempio, identifi­ candoli così con l'intero gruppo iniziale di commercianti: dietro l'intero commercio ci sono dunque i dirigenti del tempio. - cambiavalute. Il testo utilizza nei vv. 14 e 15 due diverse parole: kermatistés, kollubistés; mentre il termine kerma indica semplicemente la moneta, kollubos può indicare la moneta o il cambio della divisa, ed è quindi in relazione con l'interesse che se ne ricava. 15 una specie di flagello, gr. hds phragellion. La lettura con hos è attestata dai papiri 66 e 75, alquanto più antichi dei codd. onciali. Considerato anche il significato simbolico del flagello (cfr. la nota successiva), è normale che l'autore lo indichi con la particella. Con il perdersi dell'interpretazione sim­ bolica e l'attribuzione all'episodio di un senso meramente storico, la parti­ cella poté essere soppressa. - flagello di corde. Secondo Strack-Billerbeck (Il, 410), Wiinsche, alludendo a San 98b, sosteneva che si era soliti rappresentare il Messia munito di un fla­ gello (eb. /:lebel), col quale avrebbe messo fine a ogni costume malvagio. Per questo non pochi rabbini attendevano la sua venuta con timore e tre­ pidazione. I discepoli di Rabbi Eliezer una volta gli domandarono come debba comportarsi l'uomo per sfuggire al flagello del Messia, cioè ai suoi castighi e rimproveri. Per S.-B., tuttavia, /:leblu sei mali/:1 non significa flagello o frusta, ma le af­ flizioni del Messia (dolori di parto) che precederanno la sua venuta. In l , 950, a proposito d i Mt 24, 8 , traduce i l gr. 6dines ( dolori [ d i parto]) con /:leblu fel mali/:1, che interpreta come i dolori o afflizioni dai quali dovevano nascere i tempi messianici (secondo Is 26, 17; 66, 8; Ger 22, 23; Os 13, 13; Mie 4, 9s), non quelli che soffrirà il Messia stesso. Secondo S.-B., il termine viene usato già da Rabbi Eliezer (90 d.C.) e può essere stato conosciuto al tempo di Gesù. Tuttavia, secondo i documenti rabbinici citati da S.-B. (ibid.) questi dolori non sono preparatori alla venuta del Messia, ma coincidono con essa. Cosi, per esempio, in una interpretazione rabbinica di MI 3, 23: • io invierò il pro­ feta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore •, il Giorno significa la persona del Messia ed è terribile appunto a causa dello /:lebel del Messia. Si afferma anche che nei giorni del Messia, cioè all a sua venuta, Babilonia non sperimenterà 1'/:lebel del Messia. Il flagello, pertan­ to, non prepara la sua venuta, ma l'accompagna. Fatta eccezione per un testo dubbio, /:lebel s i utilizza sempre al singolare. In ebraico, lo stesso termine /:lebel significa corda e dolori (di parto) ; in si­ dolori (di parto). L'ambiguità del termine riaco, /:labla = corda, /:lebld =

=

150

2, 13-22. Sostituzione del tempio permette quindi alla metafora di funzionare nei due sensi: dal punto di vista del Messia, che infligge i dolori, il flagello; dal punto di vista ùi chi lo soffre, le afflizioni. L'opinione di Wiinsche era, quindi, giustificata. l:. possibile che Gv duplichi l'immagine: phragellion ek skhoinion, hebel min /:labalim, per ricalcare maggiormente la figura. Si noti che in italiano i ter­ mini • sferza, flagello •. hanno lo stesso duplice significato. - tutti, gr. pantas, mascohile. Questo genere anomalo (si riferisce a probata [neutro] e a boas [masch.]), si spiega pen::hé le pecore (probata) sono figura del popolo; appunto in questo contesto, per insinuare il significato figurato, Gv cambia l'ordine del v. 14 (buoi, pecore) e lo fa precedere ùa un pronome maschile. In IO, 4, al contrario, in cui il significato figurato si com­ prende fin dal principio, può utilizzare senza rischi il neutro (ta idia panca

ekbalel) . La prima enumerazione di animali riflette un'impressione visiva, in ordine di grandezza. Tuttavia, una volta intervenuto l'elemento simbolico, « il flagello », l'inatteso maschile tutti (pantas) e l'inversione dell'ordine degli animali (le pecore, figura del popolo, messe al primo posto), insieme al pa­ rallelismo stabilito con IO, 4 (ha spinto fuori tutte), mostrano chiaramente che l'autore ha introdotto un significato simbolico. Il pronome tutti (pantas) non si può riferire ai venditori, collocati collettivamente al principio, in­ cludendo quelli delle colombe, ma all'inciso epesegetico che segu e (tanto le

pecnre quanto i buor). - tutti ..., tanto ... quanto. La costruzione con te kai è epesegetica di pantas, cfr. M t 22, IO: sunégagon pantas ... , ponérous te kai agathous, riunirono tutti ..., tanto i cattivi quanto i buoni; Le 22, 66: sunékhthé to presbuterion ... , arkhiereis te kai grammaceis, si riunl il presbiterio/senato ... , tanto i sommi sacerdoti quanto i letterati. - ai cambiavalute, gr. t6n kollubist6n. Si cambia la costruzione con il geniti­ vo per poter conservare l'ordine enfatico della frase greca.

16 non trasformate, quem.

ecc .,

gr. m� poieite. l:. seguito dai termini a quo e ad

17 passione, gr. zelos. Zelo, passione, interesse, da cui deriva telotes, ze/ota, il fanatico, appassionato, nome applicato ai nazionalisti che propugnavano la violenza contro il dominio romano e quanti collaboravano con esso. Non è sicuro che il termine designasse un gruppo politico ai tempi di Gesù, ma lo designava certamente all'epoca in cui fu scritto il vangelo. 1 8 Risposero allora ... , dicendogli, gr. apekrithèsan orm ... k. eipan auto. Tanto i verbi quanto la particella oun identificano i dirigenti giudei (hoi loudaioi) con i venditori di colombe interpellati in precedenza da Gesù (2, 16).

- ci mostri, gr. deiknueis. Chiedono a Gesù di avallare la propria missione con qualche prodigio, cfr. Mt 12, 38; 1 6, 1; Le 1 1 , 16; Gv 6, 30; IO, 32. - per poter compiere queste cose, gr. hoti tauta poieis. I l segno dovrebbe di­ mostrare il diritto di Gesù ad agire in tale modo; si preferiste esplicitare in it. il verbo implicito. (N.d.T.).

19 Sopprimete, gr. /usate. Sciogliete, verbo insolito per indicare la distru­ zione di un edificio, ma che Gesù applica all a sua uccisione a opera delle autorità. Per indicare la demolizione di un edificio si usa il composto katalu6 (Mt 24, 2; 26, 61; 27, 40; Mc 13, 2; 14,58; 15, 29; Le 2 1 , 6; At 6, 14); in senso metaforico, Gal 2, 1 8 ; 2 Cor 5, L Il verbo lu6 viene usato in Gv nel senso di • sciogliere • (l, 27; I l , 44); c abolire/sopprimere/invalidare/annul­ Iare » (5, 18: il sabato; 7, 23: la Legge; 10,35: un passo della Legge). - santuario, gr. naos. La cappella centrale del tempio, dove si trovava il lo-

151

D pOI'DO del Meala. Ciclo delle Istituzioni

cale chiamato il Santissimo (il Santo del Santi), ·luogo

Il giorno del 1\lessla. Ciclo delle Istituzioni

vita si è manifestata hel mondo, non è stata soffocata dalla tenebra. La dialettica morte-vita è precedente alla manifestazione piena della vita in Gesù. Gli uomini per i quali la vita è la luce (1. 4), cioè, coloro che rispondono alla chiamata del progetto creatore e sono a favore della creazione e della vita, sono quelli che si avvicinano a Gesù, la luce. Lo stesso principio sarà enunciato in 7, 1 7 : chi vuole realizzare il disegno di Dio valu terà se questa dottrina è da Dio o se io parlo per conto mio. Vi sono una disposizione e una prassi che precedono l 'ade­ sione a Gesù: la lealtà verso la vita e l'uomo; così anche in 8, 47: c/1i procede da Dio ascolta le esigenze di Dio; per questo voi non ascoltate, perché non procedete da Dio. Procedere da Dio significa imi tarne il modo di agi re (cfr. 5, 19) e precede l'adesione a Gesù. In modo simile in 6, 45: chiunque ascolta il Padre e impara si avvicina a me. Vi è pertanto una docilità a Dio precedente alla fede in Gesù e che permette di giungere ad essa. Il Padre è il Dio creatore, fonte di vita e amore. Colui che con la sua condotta ha assecondato l'opera crea trice di Dio, l'attività del suo amore per l'uomo, riconoscerà la luce e le si avvicine­ rà senza t im o re ; allora apparirà che le sue opere rispondevano al disegno di Dio, pienamente rivelato in Gesù, e che non erano soltanto dell'uomo, ma di Dio assieme a lui (cfr. nota).

I paralleli fra il prologo e questa pericope sono numerosi. In primo luogo, l'uso del verbo nascere ( 1 , 13: nacquero da Dio; 3, 3 : nascere di nuovo/dall'alto; 3, 5: nascere da acqua e Spirito; 3, 6: nascere dallo Spirito). Per identi ficare altri paralleli bisogna tener conto delle equivalenze: S p i ri t o /a m or e fv i ta definitiva » e « accettare/dare la propria adesio­ n e /a vv i c i na rs i ». Così, coloro che ricevono la Parola-luce sono quelli che nascono da Dio ( 1 , 12s); parallelamente, coloro che danno la loro ade­ sione all'Uomo levato in alto ottengono vita definitiva (3, 14s) o nascono «

dall'alto (3, 3.7) , dall'acqua-Spirito (3, 5.6.8).

S I NTESI Dopo la manifestazione messianica di Gesù nel tempio, in cui ha de nun cia t o l'oppressione e annunciato la sostituzione del santuario con la sua propria persona, Gv espone la reazione al fatto: dapprima in modo generico, quindi quella degli uomini di governo e di legge. Essi sono rappresentati da un personaggio appartenente alle alie sfere del potere, giudeo osservante e maestro della Legge. Egli non attende il Messia della forza, ma il Messia dell'ordine, il maestro capace di spiegare la Legge e inculcarne la pratica, per giungere così a costruire l'uomo e la società. II problema si incentra sulla validità della Legge religiosa come norma di condotta e fonte di vita, come mezzo per impiantare la società umana che Dio desidera e promette. Gesù abbatte il presupposto di Nicodemo: l'uomo non può giungere a ottenere pienezza e vita tramite l'osservanza della Legge, ma attraverso la capacità di amare. Tale capacità, che lo Spirito dà, gli viene da Dio e completa l'essere umano. I due aspetti della Legge si concentrano in 190

2, Z3 · l, 21. Soetltuzlone deUa Leue: Nlcodemo

Gesù stesso levato in alto: egli è fonte della vita definitiva, Io Spirito, e mostrando il suo amore nel dono della propria vita - la norma che l'uomo deve seguire per raggiungere la pienezza. Solo con uomtm disposti ad amare fino alla morte si può costruire la vera società umana: sono gli uomini liberi, che rompono con un passato per cominciare di nuovo, non più rinchiusi in una tradizione, nazionalità né cultura. La loro vita sarà la pratica dell'amore, il dono di se stessi, con l'universalità con cui Dio ama l'umanità intera. Dio, in Gesù, offre così a tutti la vita piena. L'uomo deve scegliere tra la vita e la morte. Chi è i n qualche modo nemico dell'uomo e della vita, la rifiuta e si condanna da se stesso a morire. Chi è per l'uomo e per la vita, aderisce a Gesù. Ogni impresa che si basi sull'uomo incompiuto, l'uomo senza amore, è condannata al fallimento.

-

191

SOS TITUZIONE DEI MEDIATORI Gv 3, 22 - 4, 3: lo

Sposo/Figlio

zz

Dopo un certo tempo, Gesù andò con i suoi discepoli nel territorio della Giudea, si trattenne lì con loro e bat tezzava. 23 Anche Giovanni stava battezzando a Enon, presso Salim, essendovi lì acqua abbondante; s i presentava gente e veniva battezzata; 24 (non avevano ancora messo Giovanni in carcere). 25 I discepoli di Giovanni intavolarono una discussione con un giudeo su certi riti di purificazione. 26 In seguito andarono dove stava Giovanni e gli dissero: - Maestro, quello che stava con te all'altro lato del Giordano, e del quale tu desti testimonianza, ecco che sta battezzando e tutti accorrono da lui. z 1 Replicò Giovanni: - Nessuno può appropriarsi cosa alcuna se non gli viene concessa dal cielo. 26 Voi stessi mi siete testimoni che ho detto di non essere io il Messia, ma di essere stato inviato davanti a lui. z o Quello che prende con sé la sposa è lo sposo, e l 'amico dello sposo, che rimane accanto a lui e lo sente, prova grande gioia per la voce dello sposo. Perciò questa mia gioia è giunta al colmo. 30 A lui spetta c rescere, a me diminuire. Colui che proviene dall'alto è al di soora di tutti. Colui che è dalla terr:1 . dalla terra è, e dalla terra parla. Colui che proviene dal cielo, n d i ciò che ha visto personalmente e ha udito, di questo dà testimonian· za, ma la sua testimoni�.nza nessuno la accetta. D Chi accetta la sua testimonianza imprime il suo sigillo dichiarando: " Dio è !cale »; " l'inviato di Dio oropone infatti le esigenze di Dio; ne è prova che esse comunicano lo Spirito senza misura. 35 I l Padre ama il Figlio e ha posto tutto nelle sue mani; 36 chi dà la propria adesione al Figlio possiede vita definitiva, chi non dà retta al Figlio non saprà cosa sia !a vita: no, la riprovazione di Dio rimane su di lui. 31

4 1 I farisei vennero a sapere che Gesù faceva più discepoli e bat tezzava più di GiO\·:mni 2 (sebbene in realtà non battezzasse lui personalmente, ma i suoi discepoli). 3 Quando Gesù lo seppe abbandonò la Giudea e tornò in Gal ilea.

NOTE FI LOLO G I C H E 3 , 2 2 Dopo 21 l). ' 24

un

certo tempo, gr. meta tauta (5, 1 ; 5 , 14; 6, l ; 7 , l ; 1 3 , 7 ; 19, 38;

(non avevano ancora), gr. gar. Parentetico, cfr. 4, 7-8 note; 6, 64.

25 intavolarono, gr. egeneto. Avvenne; ma la preposizione ek indica che i discepoli di Giovanni prendono l'iniziativa.

192

3, ZZ - 4, 3.

Sostituzione del mediatori

- con un giudeo. Secondo altri mss., co11 alcu11i giudei. Dal punto di vi sta cri­ tico, il sg. è lecrio di{ficilior (unico caso in Gv) e, pertanto, rreferibile. Dal punto di vista del contesto, situandosi l'azione fuori della Giudea, risu l ta più probabile il sg. In ogni caso, il giudeo • rappresenta la sua c las s e ( 1 , 19 nota). - su certi riti di purificazione, gr. peri katharismou. Katharismos, con arti­ colo, deno ta la puri fi caz ione legale (cfr. 2, 6). Qui, senza articolo, è riferito contestualmente ai battesimi di . Giovanni e di Gesù, interpretati come riti eq uiv al ent i a purificazioni legali. •

26 In seguito andarono, gr. kai [�lthon ]. Successivo: poi, dopo, allora. - ecco che, gr. ide [guarda]. Usato come particella per richiamare l 'a t t enzio ne su un avven imento.

27 Nessuno può, gr. ou duruztai anthropos. Ha valore universale data l'in­ dete rmi na tezza (un/qualunque uomo). - appropriarsi, gr. lambanein. Prendere [e fare suo ] . Forma dinamica che prepara quella statica ho ekh6n ten numphen (3, 29). - cosa alcuna, gr. ouden. Neanche una cosa, cfr. 1 , 3. - dal cielo. Cfr. l , 32 (senza articolo); 3, 13. 28 -

di non essere io il Messia. Cfr. l, 20. davanti a lui. Cfr. l, 15.27.30.

29 Quello che prende con sé, gr. ho ekh6n. Forma statica in luogo della dinamica: quello che ha preso con sé; in it. presente atemporale. - rimane accanto a lui. Cfr. l , 26 nota. - prova grande gioia, gr. khara khairei. Complemento interno intensivo. - è giunta al colmo, gr. perpler6tai. Pf. di termine definitivo. 30 A lui spetta, gr. ekeinon dei. Denota una necessità di fatto (lui deve crescere), conseguenza della sua funzione messianica. 31 Colui che proviene dall'alto (cfr. 7, 28.29). Vi sono codici che ripetono qui la frase è al di sopra di tutti. Il testo è dubbio. Per criterio interno (è apparentemente superfluo), si adotta la lettura breve. 33 imprime il suo sigillo, gr. esphragisen. Aor. gnomico. In it. presente atemporale. - dichiarando. La partic. hoti, recitativa, introduce un discorso diretto che suppone un verbo di dire. Si tratta della dichiarazione che accompagna l'atto di porre il sigillo e che es prime il con vin ci m ento che ci sarà tale ratifica.

. - Dio è leale, gr. aléthés. In relazione con la lealtà di l , 4.17; 3 , 2 1 , l 'espressione indica le opere (il dono dello Spirito e la vita nuova) dell'amore di Dio. J4

l'inviato di Dio propone infatti ... ne è prova che, gr. gar ... gar. Il pri­ mo gar introduce la prova/spiegazione della lealtà di Dio e comprende il verso intero; il secondo, in cambio, introduce il motivo della frase prece­ dente: la prova che l'inviato di Dio propone le esigenze di Dio è che que­ ste, a differenza di quelle di Mosè, non sono soltanto parole: con esse co­ munica lo Spirito (l, 33; 3, 3.5.6.7.8; 6, 63.68). - le esigenze. gr. ta remata. Uno dei termini impiegati nell'AT greco (LXX) per designare i comandamenti, gli ordini di Dio della Legge mosaica (Es 34, 1 .2728; D t 4, 13: i dieci comandamen ti; 5, 22; IO, 2). Si t raduce es igen•

193

Il Jlloruo del Messia. Ciclo delle lotltuziOIII

ze • per differenziare questo termine da entole che si traduce con • coman­ damento/incarico • (cfr. 13, 34). Il termine • parole •, che si trova spesso nelle traduzioni di questo versetto, è inadatto perché non contiene il sema di • ordine •. essenziale componente del vocabolo originale. - ne è prova che esse comunicano, gr. gar ... didosin. Questo verbo non ha soggetto esplicito. La frase spiega il motivo (gar) che permette di afferma· re che le esigenze proposte dall'inviato sono quelle di Dio; la prova si basa su un'esperienza dello Spirito comunicato. La comunicazione, pertanto, non è indipendente dalle esigenze stesse, dato che in caso contrario non si po­ trebbe sapere che queste sono di Dio se non per testimonianza esterna, an­ che indipendentemente dall'inviato stesso. Essendo il principio valido per ogni generazione cristiana (parla la comunità di Gv), è attraverso le esi­ genze stesse che deve essere possibile percepire la sua origine divina, con l'esperienza dello Spirito che esse stesse comunicano. Questa interpreta­ zione coincide con quanto espresso in 6, 63: le esigenze che vi ho esposto finora sono spirito e sono vita; e in 6, 68: le tue esigenze comunicano vita definitiva ( Spirito). Grammaticalmente, è un caso di soggetto neutro plurale con verbo al singolare, cfr. 5, 36; 6, 63; IO, 25. =

36 non saprà cosa sia la vita, gr. ouk opsetai zoen. Non vedrà la .-ita (metaf.), senza artic. Il futuro è in opposizione a quello di l , 5 1 : vedrete il cielo ormai aperto, ecc.; cfr. 1 , 50; 1 1 , 40; 3, 3: non si può scorgere il regno di Dio. - la riprovazione di Dio rimane su di lui, gr. hé orgé tou Theou menei ep'auton. In opposizione a l , 33: menon ep'auton, detto dello Spirito che rimane sopra Gesù. Se lo Spirito è l'amore di Dio, la orgé è il suo con­ trario: odio, ira, riprovazione (cfr. Lett.). 4, 1-3 l farisei vennero a sapere. In gr., 4, 1 , comincia: quando Gesù seppe che erano venuti a sapere, mentre il verbo il cui soggetto è Gesù, si trova in 4, 3: ab bandonò la Giudea ecc. Per evitare il lungo inciso, che complica eccessivamente il periodo, si unisce il soggetto con il verbo.

CONTEN UTO E DIVISIONE L'unità d i questa pericope è marcata dalla menzione iniziale e finale della Giudea e dei battesimi di Gesù e di Giovanni (3, 22s; 4, ls). Tutto il suo contenuto si riferisce pertanto alla permanenza di Gesù nella provincia, fuori della capitale; tuttavia, come nell'episodio di Nicodemo (3, 1]-21). an­ che qui la pane narrativa viene prolungata con una esposizione che, comin­ ciando sulla bocca di un personaggio (Giovanni Battista). si stacca poco a poco dalla sua figura, fondendosi sempre più con la voce del narratore. Nel­ l'una e nell'altra forma, costui sviluppa il tema teologico, suo principale obiettivo. Questo episodio è separato temporalmente (dopo un certo tempo) e local­ mente (andò) da quello anteriore. Tornano d'altra parte a comparire i di­ scepoli di Gesù. e ambientato nella regione della Giudea. La pericope mostra l'ostacolo che si oppone alla sostituzione dell'alleanza e delle sue istituzioni che Gesù ha proposto: l'assolutizzazione degli inviati di Dio dell'antica alleanza; loro e il loro messaggio non vengono conside­ rati come annuncio e preparazione del Messia, ma fine a se stessi. Un caso estremo è quello di Giovanni Battista: malgrado egli abbia affermato ripetutamente di essere soltanto un precursore, i suoi discepoli vogliono

194

3, ZZ • 4, 3. Sostituzione del Jlledlatorl

far di lui un protagonista, opponendolo a Gesù. Giovanni afferma di nuovo la sua missione preparatoria ed esprime la sua gioia per il successo del Messia. Senza nominarlo, si passa allora alla considerazione della figura di Mosè, il primo della catena di inviati, la cui Legge, ritenuta uno stadio definitivo, diviene ostacolo per l'accettazione del Mess ia . La pericope inizia descrivendo la si tuazio ne (3, 22-24). L'incidente dei disce­ poli di Giovanni con il giudeo e il loro ricorso al maestro provoca la ri· sposta di G iovanni (3, 25-30). Il discorso si svi lup pa su Mosè, il primo anello della catena che terminerà con Giovann i (3, 31-36; 3, 31 Lett.). La pericope si chiude con la menzione di Gesù che abbandona la Giudea (4, 1-3). Riassumendo:

3, 22-24: Andata di Gesù nel territorio della Giudea e battesimi paralleli. 3, 25-30: Allarme dei discepoli di Giovanni . Giovanni e il Messia-Sposo, che inaugura la nuova alleanza. 3, 31-36: Superiorità del Messia-Figlio su Mosè, il primo e il prototipo degli intermediari dell'antica alleanza. Diffidenza dei farisei. Gesù abbandona la Giudea. 4, 1-3:

LETIURA Andata di Gesù nel te"itorio della Giudea e battesimi paralleli 3, 22 · Dopo un certo tempo, Gesù andò con i suoi discepoli nel territo­ rio della Giudea, si trattenne li con loro e battezzava.

Tenendo in conto l'episodio precedente, si indica uno spostamento da Gerusalemme, la capitale, alla provincia; il dato cronologico è vago e Gv non traccia un itinerario preciso. Il territorio della Giudea si trovava sotto la diretta ispezione e giurisdizione di Gerusalemme (4, 1). � la prima volta dal prologo ( l , 1 1 : venne a casa sua, ma i suoi no n l'accolsero), che Gesù è soggetto del verbo andare/venire/giungere (in greco un unico verbo). Le frasi sono pertanto parallele: venne a casa sua/venne/andò nel territorio della Giudea. Gesù si presenta per la prima volta in Giudea per esercitare un'attività con il popolo. I n Gerusalemme aveva fatto una proclamazione e una denuncia, rifiutate o male interpretate; ora si allontana dalla capitale e va nella provincia per reclutare adepti. L'identificazione del territorio della Giudea con la casa sua/i suoi (l, 1 1 ) spiega perché Gesù, parlando con la samaritana, s i presenti come appartenente alla Giu d ea (4, 22) e che più tardi, in occasione della sua andata in Galilea a causa del sospetto dei farisei (4, 1-3, 43), possa citare, applicandolo a se stesso, il proverbio: nessun profeta lo si onora nella sua propria terra (4, 44). I farisei di Gerusalemme non riconosceranno che « la casa » di Gesù sia la Giudea, lo considerano un galileo (7, 52: vedrai che un profeta 195

Il gloi"'IO del Messia. Ciclo delle bdtuzlolli

dalla Galilea non spunta). Giudicano con criteri geografici, mentre il luogo di origine di Gesù è la sfera divina (3, 3 1 : dall'alto, dal cielo) ed egli,

come Messia, appartiene al popolo come tale. Secondo il testo Gesù battezzava, anche se per m ezzo dei suoi discepoli, come si preciserà in 4, 2. Tuttavia, non si indica che restasse fisso in un luogo. Come il battesimo di Giovanni (cfr. ! , 25s.3 1 .33), anche quello di Gesù simboleggia la rottura con il passato e l'adesione alla novità che egli rappresenta; esprime un cambiamento di fedeltà: per questo deste· rà i sospetti dei fa ri sei (4, 1 ) . In questa circostanza, dopo l'episodio del tempio (2, 13-22), c'è la rottura con le istituzioni di Israele. Gesù desta l'inquietudine e. ra ccogl ie adepti in piena Giudea, non lontano dalla capitale; chiaramente, è una sfida alle autorità centrali, che lo hanno rifiutato. 23-24 Anche Giovanni stava battellando a Enon, presso

Salim, essen­ dovi lì acqua abbondante; si presentava gente e veniva battezzata; (non avevano ancora messo Giovanni in carcere).

In secondo luogo, in contrapposizione a Gesù, viene introdotto Giovan­ ni, che secondo l'incarico ricevuto da Dio continua a battezzare con acqu a , affinché Gesù si manifesti a Israele {1, 3 1 .33). Giovanni si trova adesso in una località diversa da quella dov'era stato al principio (1, 28; 3, 26; 10,40). In questo momento si trova a Enon ( le Fonti), nel territorio della Scitopoli, nella Decapoli (localizzazione più probabile di Salim). Gv segnala l'abbondanza di acqua in questo luogo; tale dettaglio introduce un'opposizione con le giare di Cana , che non contenevano acqua. Si ricordi la grande capacità di quei recipienti (2, 6s). Le giare vuote mostravano che all'interno del sistema legale, la purificazione era impossibile. Facendole riempire, Gesù indicava essere lui quello che stava per dare la vera purificazione, ma che questa avrebbe implicato la rottura con il sistema legale, in conseguenza del cambiamento di alleanza. La sua purificazione si opera con lo Spirito (2, 9). Il passo iniziale, la rottura con le istituzioni giudaiche, è compiuto dal battesi­ mo di Giovanni. L'evangelista lo segnala indicando che questi sta per essere messo in carcere: egli, come più tardi lo sarà Gesù, è un perseguitato dalle autorità. Il suo itinerario e la sua sorte assomigliano a quelli di Gesù. La rottura con la situazione esistente è a portata di mano di tutti: c'è acqua abbondante. All 'interno del sistema « dei giudei » non poteva esserci purificazione, perché l'impurità consisteva appunto nell'appartenere ad esso (8, 23). In questa pericope Giovanni utilizzerà l'immagine del Messia-Sposo, e definirà se stesso come l'amico dello Sposo. A lui spetta di preparare la sposa (bagno pre-nuziale) per le nozze; preparare il popolo, traendolo fuori dalla sfera istituzionale in cui vive, affinché incontri il Messia, che si situa fuori di essa. Giovanni ha mutato località. Sembra pertanto che sia andato incontro a difficoltà nel continuare la sua opera a Betania ( 1 , 28) e che fosse già perseguitato; così insinua l'evangelista (non avevano ancora messo Giovanni in carcere). Ha cambiato localizzazione, trasferendosi in una regione non sottoposta alla giurisdizione giudaica e romana della Giu=

196

!, ZZ - 4, 3.

Sostituzione del DMdlatorl

dea e, al tempo stesso, di quella di Erode in Galilea. C'è gente che si presenta a Enon e si fa battezzare da Giovanni, anche se non se ne precisa il numero. Né manca chi continua a mostrare il suo scontento davanti alla situazione esistente. Paragonando i versetti 22 e 23, si vede che il campo di attività di Gesù si estende all'in tera regione (il territorio della Giudea ... Il), mentre Giovanni si ferma in un luogo determinato (in Enon ... lì). Non si menziona l 'acqua in relazione a Gesù, mentre si sottolinea l'abbon­ danza di cui dispone Giovanni. Questi appare come una figura statica (stava); quella di Gesù è una figura dinamica (andò). Non si menziona il concorso di gente attorno a Gesù; inoltre egli è soggetto agente (battezzava) ; da Giovanni andava la gente e veniva battezzata. I due personaggi, Gesù e Giovanni, appaiono separati e in contrasto, non comunicano né collaborano. Non c'è trapasso dall'antico al nuovo. Esistono due battesimi paralleli, e questa situazione crea un dilemma: recarsi d a Gesù o da Giovanni. Sarà risolta da quest'ultimo.

Allarme dei discepoli di Giovanni. Giovanni e il Messia-Sposo che inaugura la nuova alleanza 25 I discepoli di Giovanni intavolarono una discussione con un giudeo su certi riti di purificazione. In questa situazione stabile, si produce un fatto che suscita il proble­ ma: la discussione dei discepoli di Giovanni con un giudeo. t:: strano che appaia un gruppo di adepti di Giovanni dopo che Gesù ha inaugurato in maniera clamorosa la sua attività (2, 13ss). Come aveva affermato lo stesso Giovanni, la sua missione consisteva nel dare testimonianza affinché il Messia si manifestasse a Israele ( l , 31); vale a dire, il suo battesimo con acqua non aveva altra finalità che quella di preparare il terreno a colui che giungeva dietro di lui. Questi discepoli che continuano a stringersi a Giovanni mostrano di non aver compreso il suo messaggio, non essendo andati con Gesù, come altri avevano fatto ( 1 , 35: due discepoli, Lett.). D'altra parte, mentre questi si presen­ ta in Giudea accompagnato dai suoi discepoli, Giovanni appare a Enon da solo. Al contrario dei primi giorni ( 1 , 35), questi discepoli non formano un circolo intorno a lui. Possono stare da un'altra parte. La dichiarazione di Giovanni (3, 27-30) sarà un nuovo invito a mettersi al seguito di Gesù. Nella discussione prendono l'iniziativa i discepoli di Giovanni; ciò indica un contrasto di opinioni. Questi discepoli, fedeli a Giovanni che considerano come maestro, si mettono a d iscutere con un giudeo. Questi, uomo della Giudea, regione dove sta Gesù, comunica loro la notizia della sua attività che essi precedentemente ignoravano. t:: quanto fa capire la loro reazione e il loro i ndignato ricorso a Giovanni (3, 26). Nasce la discussione. I discepoli d i Giovanni e il giudeo non interpretano i battesimi di Giovanni e di Gesù come simboli di adesione alla speranza del Messia e alla sua persona. Non comprendendo questo significato i discepoli di Giovanni lo considerano un rito purificatorio ,

197

n

liomo del

Masla. Ciclo delle Jatltuzlonl

in più; da parte sua il giudeo, figura che allude a 2, 6 (alla purifica­ zione dei giudei) , essendo un seguace della Legge li vede anch'egli così. L'uno e gli altri rimangono nella mentalità dell'antica alleanza. Se si priva Giovanni della sua relazione con Gesù, quella di precursore, lo si riduce a un mero personaggio in più dell'alleanza antica, integrato nel regime della Legge.

26a In seguito andarono dove stava Giovanni e gli dissero: stro ...



Mae­

Come risultato della discussione, e informati dell'attività di Gesù, i discepoli, della cui localizzazione non si fa alcun cenno, vanno a vedere Giovanni per informarlo. Si mostrano allarmati, considerando Gesù come un rivale del loro maestro; espongono la loro amarezza o la loro irritazione. Usano nei confronti di Giovanni il trattamento rispettoso che si usava verso i letterati (Rabbì, maestro, cfr. 3, 2), usato fino adesso soltanto per rivolgersi a Gesù: l , 38: due discepoli; l , 49: Natanaele; 3, 2 : Nicodemo. Questi, invece, considerano Giovanni, non Gesù, come i l loro proprio maestro. Formano ormai un gruppo che vuole farne un lea­ der. 26b • quello che stava con te all'altro lato del Giorda110, e del quale tu desti testimonianza ... Gli parlano di Gesù ma senza nominarlo; al contrario, usano un tono dispregiativo: quello che ... del quale ... ecco .. . La prima frase collo­ ca Gesù nella stessa categoria di Giovanni, o piuttosto lo subordina a lui, dato che Giovanni rimane come centro (quello che stava con te). Inoltre, dato che Giovanni rese testimonianza in suo favore e lo fece conoscere (l , 34 ) , giudicano che Gesù sia debitore a Giovanni della propria fama. Si indignano che egli. che deve tutto a Giovanni, si sia messo a battezzare per conto proprio e si porti dietro la gente. Considerano questo fatto una concorrenza sleale, quella del favorito che tradisce il suo benefattore. Questi individui non avevano accettato o compreso la testimonianza di Giovanni; hanno aderito a lui, che era la figura popolare. Non hanno preso sul serio le sue dichiarazioni ( 1 , 26s: io battezzo con acqua; tra voi si è reso presen te ... colui che viene dietro di me), non si sono resi conto che il popolo non appartiene a Giovanni ( l , 27 : e non mi spetta di sciogliergli la fibbia dei sandali) . Come i farisei ( 1 , 25) , nemmeno loro sanno perché Giovanni battezza.

Ora si mostrano allarmati. 26c



ecco che sta battezzando e tutti accorrono da lui •.

Vengono descritte in maniere diverse l'attività di Giovanni e quella di Gesù. Riguardo alla prima veniva detto che la gente si presentava e veniva battezzata (3, 23) , senza indicare l'intenzione del battesimo né il risultato cui portava. Quella di Gesù viene descritta dai discepoli di Giovanni in ordine inverso: menzionano prima di tutto il fatto che Gesù sta battezzando e aggiungono poi che tutti si avvicinano/accorro­ no a lui (cfr. 4, 1 ) . Questo accorrere personalmente a lui indica che il 1 98

3, ZZ - 4, 3.

SoatltuziODe del mediatori

battesimo sfociava in un'adesione alla sua persona, che in qualche maniera credevano in lui (cfr. 6, 35). Mentre Giovanni annunziava sol­ tanto una speranza, la gente trova in Gesù non solo la rottura (battesi­ mo), ma anche la persona da seguire dopo. Il movimento di adesione a Gesù è generale (tutti). I discepoli di Giovanni rimangono perplessi e seccati davanti a questa realtà. 1:: questo significato di adesione personale a Gesù, rivestito dal suo battesimo, a far sì che l'autore segnali in principio che Gesù battezzava (3, 22.26; 4, 1 ) . Voleva stabilire solamente il parallelo e l'opposizione fra due battesimi, quello di Gesù e quello di Giovanni (3, 22-23). Per questo le prime volte attribuisce il battesimo a Gesù, tennine dell'adesione (3, 22.26); in seguito può onnai, senza rischio di equivoci, precisare che non Io amministrava personalmente (4, 2). 27 Replicb Giovanni: • Nessuno può appropriarsi cosa alcuna se non gli viene concessa dal cielo • .

Reazione di Giovanni: quello che avviene con Gesù è disegno divino. II principio che cita si applica anche a lui stesso: egli non ha diritto a prendersi nulla, perché non gli è stato concesso dal cielo. L'espressione • dal cielo • pone questo detto in relazione con la discesa dello Spirito sopra Gesù ( 1 , 32: ho contemplato lo Spirito che scendeva come colom­ ba dal cielo, e rimase su di lui). Giovanni attribuisce la missione sponsale di Gesù alla discesa dello Spirito; essa rappresenta la sua investitura messianica, attraverso cui egli l'aveva riconosciuto come il Figlio di Dio ( l , 34). Solo colui che possiede Io Spirito può attribuirsi tale titolo. Si ricordi che mai si menziona l'acqua in relazione al battesimo di Gesù, mentre si insiste su di essa a proposito del battesi­ mo di Giovanni (1, 26.31.33; 3, 23) . Il battesimo del Messia sarà quello con lo Spirito ( 1 , 33), e Giovanni prevede che quelli che aderiranno a Gesù dovranno riceverlo. Egli, che non ha ricevuto il dono dal cielo, non può pretendere di comunicare lo Spirito (cfr. 3, 34) . Giovanni riaffenna, quindi, la sua missione di precursore (1, 22s); egli è venuto per rendere testimonianza della luce ( 1 , 7). L'autore mette in contrasto la fedeltà di Giovanni all'incarico ricevuto con l'ostinazione dei suoi discepoli, che insistono nel considerarlo il personaggio definiti­ vo. L'evangelista riflette probabilmente in tutto questo passo una situa­ zione posteriore. Esistono al suo tempo gruppi che si appigliano alla figura di Giovanni e vedono in Gesù un rivale che ha soppiantato l'avente diritto. t! un conflitto di attribuzioni messianiche: i seguaci di Giovanni vedono in lui il Messia. Di qui l'insistenza sulla purezza della testimonianza di Giovanni. • Voi stessi mi siete testimoni clze ho detto di non essere io il Messia, ma di essere stato inviato davanti a lui •.

28

Giovanni non ha mai mutato la sua testimonianza; dal primo giorno fino a ora sempre ha rifiutato di essere considerato il Messia ( 1 , 20.25); al contrario, è stato esplicito nel ricalcare la sua missione di precurso­ re, di preparatore ( l , 23) . Non è lui, pertanto, il salvatore; questo ruolo spetta a colui che egli ha annunciato. 199

D Rtomo del Menta. Ciclo aette latltuzfonl

29a

« Quello che prende con sé la sposa è lo sposo

•·

La sposa è figura del popolo, secondo le immagini usate dai profeti 1 (2, l Lett.). Conseguenza del principio enunciato in precedenza (3, 27: nessuno può appropriarsi cosa alcuna se non gli viene concessa dal cielo) , se Gesù prende con sé la sposa, è perché è consacrato Messia ( 1 , 33: lo Spirito rimane sopra Gesù a mo' di unzione messianica) :

bisogna riconoscere in lui lo Sposo. Si sta verificando ciò che Giovanni aveva annunciato in varie occasioni ( 1 , 1 5 .27.30). Nuova allusione a Cana, nozze dell'antica alleanza, che stava per essere sostituita. Quello che veniva lì anticipato dal segno di Gesù è ciò che oggi Giovanni percepisce. Lo Sposo è presente. le vere nozze stanno per cominciare; poi lo sposo verrà chiamato il « Figlio • (3, 35s) . Il re � è appellativo dello sposo nel Cantico (1, 4.12; 3, 9.1 1 ) ; corrisponde a « il Messia "· che in quanto tale è il Figlio di Dio (Sal 2, 7). Questi titoli evocano numerosi passi dell'AT, che permettono il successivo sviluppo. a

29b c e l'amico dello sposo, clze rimane accanto a lui e lo sertte, prova grande gioia per la voce dello sposo » .

Giovanni definisce se stesso l'amico dello sposo, vale a dire colui che è incaricato che tutto sia pronto per le nozze, di preoccuparsi dell'anda· mento dei festeggiamenti e di preparare la sposa 2• � chiara in questo versetto l'allusione ai testi di Ger 7, 34; 16, 9; 25. IO; 33, IOs. Nei primi tre si esprime la minaccia di Dio: c farò cessare nei paesi di Giuda e nelle strade di Gerusalemme la voce gioiosa e la voce allegra, la voce dello sposo e la voce della sposa, perché il paese sarà un deserto •. Dopo tale desolazione, il profeta annuncia l'epoca futura della restaurazione: • Nelle città d i Giuda e nelle strade di Gerusalem· me, ora desolate, senza uomini né greggi, si ascolterà ancora la voce gioiosa e la voce allegra, la voce dello sposo e la voce della sposa • (33, !Os). A Cana, nell'antica alleanza, non si udì la voce dello sposo né quella della sposa. Invece adesso Giovanni ascolta la voce dello sposo annunciato da lui { 1 , 27). che è, pertanto, il segno della restaurazione definitiva, dell'alleanza nuova; di qui la sua gioia. Non si ode ancora la voce della sposa; quelli che aderiscono a Gesù non hanno ancora ricevuto lo Spirito, che sgorgherà dal suo costato aperto (7, 39; 19,34) . Solo quando avrà inizio il nuovo giorno, quello della nuova creazione, alla voce di Gesù risponderà quella della sposa. Maria la Maddalena (20, 16 Lett.), figura della comunità cristiana. l

Cfr. Is 62, 4s: • nessuno ti chiamerà più Abbandonata. né l a tua terra sarà più detta Devastata. ma tu sarai chiamata Mio Compiacimento e la tua terra, Sposata. perche il Signore si compiacerà di te e la tua terra avrà uno sposo. Sl. come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo creatore; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te •: Ger 2, 2: • così dice il Signore: mi ricordo di te. > ), alla dottrina ufficiale della Legge (la tenebra). e non riconosce il progetto divino sull'uomo ( l , 10). Re­ primendo l'aspirazione alla vita, si vede ridotto a uno stato di morte (5, 24) . che lo condurrà alla morte definitiva (Diz. Teo/., Morte >> III). L'episodio appare così come una rappresentazione di quanto annunciato da Giovanni Battista a proposito di Gesù: colui che toglierà il peccato del mondo ( ! , 29) . •





6 Gesù, vedendo/o prostrato e comprendendo che lo era già da tempo, dice: • Vuoi otte11ere la salute? •. Non si diae che Gesù vada alla piscina né che entri nel suo recinto. Si è detto soltanto che sta lì a Gerusalemme, e che all'interno della città vi era una piscina. Senza altra spiegazione, Gesù si trova fra la moltitudi­ ne degli infermi. La piscina è la città stessa. La sua folla, la massa emarginata che esiste a Gerusalemme 5• I segni della lunga infermità sono visibili; Gesù si rende con to dello stato avanzato della malattia. A quest 'uomo/popolo egli vuole dare la salute: all 'uomo senza forze, incapace di movimento e azione, vittima della sua infermità, uomo in condizioni disumane, senza creatività né iniziativa, Gesù offre implicitamente una speranza di salute. Compie il suo programma, agendo senza forzare la libertà. Non è un leader che proponga una ideologia. La sua proposta tocca l'essenziale dell 'uomo. la vita in quanto capacità e libertà di azione.

' Cfr. Jeremias, Jerusalén, pp. 136-138: • in verità, Gerusalemme era. già all'epoca di · Gesù, un centro di mendicità •, concentrata per di più " intorno al tempio •· l mendicanti non erano che un aspetto di tale quadro: • dobbiamo ricordare non soltanto i mendicanti per giustificare l'impressione che Gerusalemme. già all'epoca di Gesù, fosse la città dei vagabondi e, che un numeroso proletariato, che viveva dell'imponanza religiosa della città santa, facesse parte delle sue caratteristiche più singolari >. Non è facile, malgrado la qualificazione di Jeremias, ridurre tutto il fenomeno a • vagabondaggio •, tanto più che egli riconosce le enonni proporzioni assunte da questa situazione: • si constata con sorpresa quanta gente di questo genere esistesse durante gli ultimi anni prima della distruzione; si formarono al­ lora delle bande che terrorizzarono tutta Gerusalemme e che. più tardi. portarono la guerra civile nella città. Certamente. fra questi rivoluzionari, vi furono non po­ chi patrioti ferventi e uomini pieni di entusiasmo religioso; ma ci fu anche molta gente che Giuseppe Flavio qualifica a ragione come schiavi e persone senza scru­ poli •. Malgrado questa valutazione negativa di alcuni fennenti popolari, Jeremias conclude: • l'importanza che ebbero i fattori sociali nel movimento zelota si deduce. in modo particolannente chiaro, dall'entusiasmo con cui questi liberatori del popolo. nell'anno 66 d.C., bruciarono gli archivi di Gerusalemme per distruggere i documenti dei debiti che vi si custodivano •.

252

5, l-9a. L'Invalido cbe cammina

L'infermo gli rispo�e: • Signore, non ho un· uomo che, quando si agita l'acqua, mi ger t i nella piscina; me111re arrivo io Wl altro scende prima di me •. 7

In quanto infermo, non aveva speranza. Risponde rispettosamente (Si­ gno r e) ; continua a pensare che la sua salvezza sia nella piscina ed

espone a Gesù la propria situazione di dipendenza. Non può andare da solo e nessuno si presta ad aiutarlo. L'acqua della piscina si agitava di quando in quando, e questo veniva considerato come un segno prodi­ gioso che essa avrebbe guarito qualunque infermità. Di fatto, si attri­ buivano all'agitazione dell 'acqua della piscina proprietà curative 6• Però quest'acqua non serve a Gesù, come non gli serviva quella del pozzo di Giacobbe (4, 1 3 ) . Quella non calmava la sete, questa non guarisce. Non si afferma che coloro che scendevano venissero guariti. Il verbo che Gv usa, « agitarsi • , si riferisce sempre (nel NT 1 7 volte) a persone, non a elementi. Indica, in particolare, l'agitazione prodotta i n un gruppo o folla (At 15, 24; 1 7, 8.13; Gal l , 7; 5, IO). L'agitazione dell'ac­ qua rappresenta, pertanto, l'illusione del popolo oppresso di trovare rimedio in agitazioni popolari. È la lusinga di una liberazione che non arriva mai a concretizzarsi, fatta di aneliti sporadici, va.ne rivolte messianiche che sorgevano nella folla abbandonata. senza alcun risulta­ to. Ponevano la loro speranza nell'uso della forza e nella pressione sul potere. La menzione dell'acqua congiunge il passo con i riferimenti precedenti e annuncia quelle che seguiranno. L'acqua è fattore di vita, ma vi sono acque, come quella del pozzo di Giacobbe (4, 13) e questa, che per quanto la promettano, non possono darla. L'acqua di vita è quella del Messia (4, 1 4 ) . Io Spirito che sgorgherà da lui come da un nuovo tempio (7, 37-39). le acque placide di Siloe, la piscina dell'Inviato (9, 7 Lett.) situata fuori dalla città 7, in opposizione a questa. La guarigione diven­ tava impossibile (Zc IO, 2: • perché non vi era guarigione • ) . L'infermo la desiderava, ma era al di fuori della sua portata. Ora, pensando ancora alla piscina, vale a dire a ottenere una soluzione senza uscire dai limiti della istituzione nei cui principi crede (cfr. 5, 14) . l'invalido si attende aiuto da Gesù, ma questi gli darà la salvezza in un altro modo.

8

Gli dice Gesù:



Levati, prendi il tuo giaciglio e cammina

•-

Gesù risponde al desiderio. Alla situazione senza uscita può rimediare lui. Immediatamente gli dà la salute e con essa la capacità di agire da solo, senza dipendere da altri. La salute giunge all'infermo da dove non l'attendeva, senza chiasso. L'uomo può disporre del giaciglio che lo teneva immobile e può andare dove vuole. Il giaciglio, menzionato quattro volte (5, 8.9. 1 0. 1 1 ) , acquista un rilievo particolare. Esso gravava sull'uomo invalido; ora, guarito, l'uomo se lo carica sulle spalle. La parola di Gesù è quella che guarisce (4, 50 Lett.). dando forza e libertà. Cfr. Jeremias, Jerusa/én, p. 138: • questa piscina dovette essere un luogo molto frequentato da chi andava a chiedere grazie (anche dopo il 70 si considerava curati­ va, come indicano gli ex voto trovati negli scavi) •. ' Cfr. S. - B. I I , 530s. •

253

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

Gesù non solleva l'uomo: lo mette in condizioni di sollevarsi da solo e di camminare. II suo ordine è triplice: levati, prendi il tuo giaciglio e cammina. Basterebbe il primo, ed eventualmente l'ultimo, per indicare la guarigione e la libertà. I l ripetuto intercalare della frase: prendi il tuo giaciglio (5, 8.9.10 . 1 1 l mostra la sua importanza nella narrazione. Gesù rende l'uomo signore di ciò che lo dominava, gli fa possedere ciò da cui era posseduto. L'uomo era sottomesso e privato di iniziativa propria; ora può disporre di se stesso, con piena libertà di azione (cammina) . Di un uomo ridotto all'inutilità Gesù ne fa un uomo libero. 9a si

E immediatamente l'uomo ottenne la salute, prese il suo giaciglio e a cam111inare.

mise

L'ordine di Gesù si compie immediatamente e alla lettera. L'uomo esegue ciò che gli ha detto e si mette a camminare, caricandosi il suo giaciglio. lo come un morto risuscitato (5, 2 1 .25). Gesù appare come colui che è capace di dare vita a un popolo morto, sollevare gli assoggettati, reaJiz. zare la speranza. Non ha posto altra condizione che il desiderio della salute. Ora lascia all'uomo piena libertà. Non lo chiama a essere discepolo. lo ha reso sempl icemente uomo. Ormai liberato, deve trovare la sua propria strada. Non gli si è nemmeno dato a conoscere. La guarigione si deve, più che alla presenza fisica di Gesù, alla sua parola che porta speranza (5, 6) ed è efficace (5, 8) , vale a dire, al suo messaggio, non circoscritto a un luogo (4, 50 Lett.). L'uomo vi trova la capacità di azione (levati, ottenne la salute), la liberazione da un passato (prese il suo giaciglio) e la libertà per il futuro (si mise a cammina re).

S I NTESI Quest'episodio prelude all'esodo del Messia, l'uscita dalla terra della schiavitù. Per questo bisogna essere in grado di camminare; perciò la prima opera di Gesù è far camminare l'infermo, figura del popolo oppresso. Lo libera dalla soggezione che lo teneva prostrato e sull'orlo della morte. Dà all'uomo la libertà perché decida i l suo cammino. Gesù offre vera salute e libertà a tutto il popolo, che prima poneva la sua speranza in vane agitazioni popolari. Ciò gli scatenerà contro la persecuzione dei dirigenti.

254

· · -· ·

Gv 5, 9b-15: la Legge, ostacolo alla libertà

"' Quel giorno era riposo di precetto. 11 Dissero quindi l dirigenti giudei a co lu i che era ormai gua rit o: - Oggi è ripo so e n on t i è permesso prendere il tuo giac ig l io . 11 Egli replicò: - Colui che mi rese la salute, è stato lui a di rmi: • Prendi il tuo gi ac i gli o e ca m mi na • . 12

G li domandarono:

- Chi è l'uomo che ti ha detto: • Prendilo e cammina •? 1 1 Il guarito non sapeva chi fosse, perché, essendoci nel luogo molta gente, Gesù si era ritirato . 14 Dopo un certo tempo, Gesù andò a cercarlo nel tempio e gli disse: - Ecco hai ottenuto la salute. Non peccare più, non avesse a succeder­

ti qualcosa di peggio. 1 s L'uomo notificò ai dirigenti giudei: - Chi m i ha reso la salute è Gesù.

NOTE FILOLOGICHE 5, 9b Riposo di precetto, gr. sabbaton. Questa forma traslittera l'eb. sabbaton, che significa riposo obbligatorio. sia in giorno di sabato (Es 16, 23) che in altro giorno festivo (Lv 23, 2439). Il giorno di sabato, che non appare nel vangelo di Gv, viene indicato nei sinottici con la semplice fonna plurale (cfr. Mt 12, 5 : tois sabbasin hoi hiereis en t6 hier6 to sabbaton bebélousin, nei giorni di sabato, i sacerdoti nel tempio violano il riposo di precetto), oppure con l'espressione hé hémera ton sabbatéin (Le 4, 16). Come • riposo di precetto • deve essere interpretato in 5, 9 (riposo corrispondente alla festa menzionata in 5, 1 ) 10.16.18; 7, 2213; 9, 1 4 .16, e anche in 19. 3 1 (bis), dove .si tratta del riposo solenne proprio nel giorno di Pasqua, cfr. 19, 3 1 nota. Questa interpretazione è l'unica che spieghi la costruzione apparente­ mente strana: én de sabbaton en ekeiné té ltémerd e, parallelamente, quella di 9, 14. IO Dissero, gr. elegon. Cfr. El Aspecto Verbal, nn. 345ss. - a colui che era ormai guarito, gr. téi tetherapeumen6. Pf. di risultato sta­ bile, cfr. El Aspecto Verbal, nn. 383387.404. I l Colui che mi rese la salute, gr. ho poiésas me hugie (cfr. 5, 1 5). So­ stan ti vo astratto in luogo di aggettivo; frase equivalente, ma più idio­ matica di rendere/far diventare sano.

12 Prendilo, gr. aron. La costr. it . richiede che sia esplici tato l'oggetto. (N.d.T.).

14 Dopo un certo tempo. Cfr. 5, l nota. gr. euriskei auton. Pres. st.; cfr. l , 41, nota.

- andò a cercarlo,

255

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

- hai ottenuto la salute, con S. 1 1 .15.

15

gr. gegohas. Pf. di risultato definitivo, in parallelo

notificò. gr. an�ggeilen. Cfr. 4, 25 nota.

CONTENUTO E DIVISIONE La pericope sottolinea, da un lato, la somma indifferenza di Gesù per la istituzione giudaica. Egli agisce con piena indipendenza da ogni Legge e norma ufficiale. Determina, dall'altro, qual è stata la liberazione effet­ tuata da Gesù. La paralisi e l'inutilità dell'uomo dipendevano dalla sua sottomissione al sistema religioso oppressore. La pericope contiene due scene. La prima (5, 9b-13) descrive l'incontro dell'uomo con i dirigenti, che gli danno un ordine contrario a quello di Gesù. La seconda (5, 14-15) narra il suo incontro con Gesù nel tempio e l'informazione che dà ai dirigenti giudei. Si può dividere così:

5, 9b-13: II precetto del riposo, ostacolo alla libertà. 5, 14-15: Il peccato, causa dell'invalidità.

LETTURA

Il precetto del riposo, ostacolo alla libertà 5, 9b

Quel giorno era riposo di prece ito .

Non si era detto, fino a questo momento, che quel giorno fosse riposo obbligatorio. Gesù si è comportato come se non esistesse, senza tenere in alcun conto le disposizioni della Legge né l'interpretazione che di essa veniva data. Mostra la propria assoluta indipendenza rispetto alle istituzioni di Israele, la cui sparizione, insieme a quella dell'alleanza, aveva annunciato a Cana (2, 1 - 1 1 ) . La sua proposta era stata rifiutata in pieno

dai

dirigenti.

Ora

egli

ignora

ist ituzioni che essi controllano. S i

è

assolutamente

l'esistenza

delle

collocato al margine del sistema

religioso. La sua attività a favore dell'uomo non

è

limitata da nessuna

Legge.

La

violazione del riposo sarà la pietra dello scandalo per

i

dirigenti

giudei. Gesù non suscita la questione del giorno festivo né pretende di far polemica contro di esso; fa uso della sua libertà e continua il suo compito. Per lui conta soltanto i l bene dell 'uomo in qualunque circ(}­ stanza.

IO Dissero, quindi, i dirigenti giudei a colui che era ormai guarito: Oggi è riposo e non ti è permesso prendere il tuo giaciglio •.

«

l 56

5, 9b-15. T.a

Leae o•bcolo alla

Ubenlll

Appaiono sulla scena i dirigenti giudei, coloro che controllano la festa e il sabato. Loro sono invece ben coscienti del giorno di festa, e immedia­ tamente si rivolgono all'uomo guarito. Non interessa loro la sua persona né i motivi che possa avere per camminare portando un carico; si preoccupano soltanto dell'osservanza della Legge e, in suo nome, gli ricordano che è proibito portare il giaciglio. La loro proibizione si oppone parola per parola all'ordine di Gesù (5, 8 : prendi il tuo giaciglio). L'importanza del tema che si affronta qui è analoga a quella che assumeva fra i giudei l'osservanza del sabato, prototipo del riposo obbligatorio 1 • Secondo Es 20, 8- 1 1 , il precetto si fondava sul riposo di Dio al termine della creazione '· Nel libro apocrifo dei Giubilei, ante­ riore al NT (Secolo II a.C.), il precetto del sabato si presenta come la prima legge ricevuta dagli uomini e, di conseguenza, come il punto centrale di tutta la Legge. Per questo la sua violazione con il lavoro era passibile di pena di morte 1. Secondo la dottrina rabbinica, questo precetto obbligava tanto quanto tutti gli altri precetti della Legge messi insieme e ancora di più •. L'osservanza del sabato equivaleva pertanto a quella di tutta la Legge; la sua violazione o il suo disprezzo era violazione o disprezzo della Legge intera. Portare a spalla il giaciglio, sapendo che era giorno di precetto, significava non riconoscere la Legge, considerarsi libero dalle sue obbligazioni e dall'autorità dei suoi custodi e interpreti, i dirigen­ ti. Controllata da loro, la Legge non tollera la libertà dell'uomo; questi non è signore delle proprie azioni, deve attenersi a quanto è comanda­ to . . Invocando il giorno sacro, massimo precetto della Legge, vogliono togliergli la libertà che Gesù gli ha dato. Anzi, se Gesù avesse osservato la Legge, l 'uomo avrebbe continuato a essere invalido. Includendo nelle parole/messaggio di Gesù, che guariscono l'invalido, una violazione del precetto (prendi il tuo giaciglio) . Gv indica la relazione esistente fra la Legge e · l'invalidità, relazione già insinuata in precedenza collocando la moltitudine di infermi nei portici che rappre­ sentavano la Legge (5, 2-3 Lett.). Questa, utilizzata come strumento di oppressione, causava l'infermità e proibiva la guarigione. Per suo mezzo si manteneva il popolo in uno stato d'impotenza. La Legge era al servizio del potere e, come si poteva dedurre nel caso del funzionario regio, era il potere a tenere il figlio/popolo sull'orlo della morte (4, 49.53 Lett.). Il giaciglio, luogo dell'inattività, si identifica con il sabato, precetto ' Poiché il sabato era il giorno di riposo obbligatorio più frequente e il prototipo del precetto, d'ora innanzi si parlerà indistintamente di • sabato • o di • riposo di precetto •. 2 Cfr . Es 20, S. l l : • ricordati del giorno di sabato per santi ficarlo: sei giorni fati­ cherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Si�nore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro • ; cfr. Dt 5, 12·15. l Cfr. Leipoldt-Grundmann, El Mundo del Nuevo Testamento, I, p. 225. 4 Cfr. S. - B. I. 905.

257

h pomo del Mesola. Ciclo

deH'aumo

e con esso la Legge intera - la dell'inattività. l; questo precetto causa e l'alleato dell'invalidità. La sottomissione al regime incarnato dalla Legge è che trasformava il giaciglio nel • tuo giaciglio • (5, 8.9.10 . 1 1 ) . Gesù ha dato all'uomo la facoltà di sbarazzarsi della sua soggezione, di disporre di ciò che lo teneva soggiogato. Si alleano, da un lato, la festa dei giudei (5, 1 ) , in cui il popolo costituisce uno spettacolo di dolore e miseria (5, 3); dall'altro, il precetto del riposo, che vuole impedirgli la libertà, e con esso la Legge, manipolata dalle autorità, che causa la prostrazione del popolo. Non si indica che l'uomo fosse uscito dal recinto della piscina né dove si incontrò con i dirigenti. Questo conferma che la piscina rappresenta­ va la città (5, 2·3 Lett.). -

I l Egli replicò: • Colui che mi rese la salute, è stato lui a dirmi: " Prendi il tuo giaciglio e cammina" • .

L'uomo dà la sua spiegazione. Egli fa ciò che gli hanno detto. Si è sentito libero dalla Legge, perché colui che fu capace di dargli la salute pote\'a a maggior ragione dargli la libertà. 12 Gli domandarono: cam1nina " ? » .



Chi è l'uomo che ti ha detto:

"Prendi/o

e

La replica dell'uomo allarma i dirigenti; non si tratta onnai di una violazione particolare commessa da un individuo poco religioso: esiste qualcuno che si arroga il diritto di esimere dali 'osservanza della Legge_ Non reagiscono davanti alla notizia della guarigione: il bene dell'uomo non importa loro; invece, gli domandano immediatamente chi può essere costui che osa dispensare gli altri dalle loro obbligazioni religio· se. Appaiono qui due mondi: quello dei dirigenti, interessati soltanto all'im· posizione dell'osservanza, e quello della moltitudine, che brama sfrutta­ re la benché minima speranza di uscire dal suo stato (5, 7) . Sono due sfere senza comunicazione, sebbene non indipendenti, perché i dirigenti si arrogano il dominio sulla massa del popolo. Essi non cercano soluzioni alla situazione disperata; aggiungono ad essa un'altra schiavi­ tù: quella dei precetti. La sorte di quei disgraziati è per loro indiffe­ rente; ma appena avvertono un'erosione della loro autorità, intervengo­ no senza indugio. La sfera legale è l'ambito del loro potere; la Legge, Io strumento del loro dominio. Non importa per loro che l'uomo sia sano o infenno; pretendono unicamente di conservare la propria egemonia. In 2 , 13ss la pasqua del regime appariva come uno sfruttamento econo­ mico del popolo; in 5, l ss, la festa del regime risulta una farsa. Vi è una festa ufficiale, mentre esistono moltitudini abbandonate alla loro miseria. Un caso come quello presente, quello di un invalido guarito. sarebbe un vero motivo di gioia in consonanza con la festa; ma i dirigenti lo amareggiano invocando l'obbligo. La libertà di un uomo li irrita, e il fatto che vi sia chi libera li allarma. Questo tale è per loro evidentemente « l'uomo • nemico del Dio datore della Legge, dato che osa opporsi a essa. Domandando chi gli abbia dato quest'ordine, i dirigenti non menziona-

258

5, 911-15. La Lene ostacolo alla libertà.

no più il giaciglio (prendilo). Fanno risaltare, sul piano simbolico, l'opera liberatrice di Gesù. Aver posto l'uomo al di sopra dell'obbligo del riposo (il giaciglio) equivale a parlo al di sopra di ogni norma che si opponga alla sua libertà d'azione. Vedono chiaro che, soppressa la soggezione al precetto, l'uomo si libera interamente dal loro dominio. La festa è contingente, occasionale, mentre la miseria è permanente. I l passo sottolinea i l totale disinteresse dei dirigenti rispetto a l popolo. I l tempio celebra le sue feste senza assolutamente occuparsi della situa­ zione reale; inoltre, quando sorge un barlume di libertà, i fedeli del regime lo reprimono. Vogliono spegnere la vita, che è la luce ( 1 , 5; cfr. 10, 8). 1 3 11 guarito non sapeva chi fosse, perché, essendoci nel luogo molta gente, Gesù si era ritirato. Si insiste sul fatto della guarigione (il guarito). L'infermo si era fidato di un uomo (5, 12: chi è l'uomo) e ha trovato la sua liberazione. Colui che aveva perso la speranza di trovare un uomo che lo aiutasse (5, 7) lo ha trovato in Gesù e, fidandosi di lui, ha recuperato la sua propria umanità. Prima non trovava solidarietà, vale a dire amore: la Legge non l'aveva dato. Al contrario, utilizzata dai dirigenti, lo impediva (cfr. 2, 4 : non hanno vino). Ora, in Gesù, comincia a splendere l'amore leale di Dio. « Il luogo • è espressione consacrata per designare il tempio (4, 20; I l , 48), dove avrebbe dovuto essersi manifestata la gloria di Dio. Ma Dio non è più presente in quel tempio, trasformato in un mercato (2, 16). Questo • luogo • comprende la piscina (la città), simbolicamente ab­ bracciata dai portici del tempio che la domina (5, 2); e l'atrio (10,1) dove stanno le pecore (2, 14s; 5, 2: la Pecoraia) destinate alla morte. � lì che vi è « molta gente •, la moltitudine descritta all'inizio (5, 3). Gesù si era ritirato. Non cerca popolarità, intende soltanto dare vita. Ha restituito all'uomo la sua forza, senza richiedergli nulla. L'amore è dono gratuito.

Il peccato, causa dell'invalidità 14

Dopo un certo tempo, Gesù andò a cercarlo nel tempio e gli disse: Ecco, hai ottenuto la salute. Non peccare più, non avesse a succeder­ ti qualcosa di peggio •·

«

Passato un certo tempo, Gesù si trova con l'uomo che aveva liberato dall a sua infermità. La localizzazione, nel tempio, raccoglie quella del versetto anteriore, nel luogo. Il tempio ha cessato di essere il luogo dove sta Dio, e Gesù si propone di trarne fuori il popolo (2, 1 5b Lett.). Mantenersi nel suo recinto significa accettare di essere sfruttato e rinunciare alla libertà. Questo tempio e il suo culto devono sparire (4, 2 1 ) ; sono incompatibili con Gesù, la cui persona li sostituirà (2, 19). Il tempio inoltre impone la Legge al popolo intero, riducendolo alla miseria e all'impotenza (5, 2 Lett.). Incontrandolo lì, Gesù gli dà un avvertimento: non peccare più, non avesse a succederei qualcosa di peggio

•.

259

n elomo del Ma1la. Ciclo dell'uomo

Queste J)arole indicano in Jlrimo luogo che la sua infennità - e anche quella degli altri infermi (il popolo) - era causata dal loro peccato . D'altra parte il suo contrario, la salute, viene dalla parola di Gesù e significa forza che libera, permettendo di uscire dalla prostrazione causata dal dominio di coloro che controllano la Legge. Il peccato consiste, pertanto, nell'accet tare volontariamente il dominio dell'istitu­ zione, avallando con la sottomissione il regime di ingiustizia. Il peccato di quest'uomo è il peccato del mondo ( l , 29), vale a dire la rinuncia volontaria alla vita, la sottomissione alle tenebre non ricono­ scendo la luce ( 1 , 10). Gesù lo ha liberato dalle tenebre/morte. dal sistema oppressore. Per i dirigenti il peccato era andare contro la loro Legge; per Gesù è andare contro la vita, che va realizzando il proge tto creatore di Dio. Se, dopo aver scoperto la libertà, l'uomo continua a dare la sua adesione al regime ingiusto, può succedergli qualcosa di peggio: non più l'infermità, ma la morte stessa. Gesù tuttavia non forza la sua decisione; come lasciò alla sua iniziativa il levarsi, prendere il suo giaciglio e mettersi a camminare, così ora non gli impedisce di fare un passo indietro, che sarebbe definitivo. Di fronte al dominio e all'impo­ sizione dei dirigenti, Gesù si presenta come colui che ristabilisce la libertà rispettandola. Egli non si impone all'uomo né lo domina. Lo stesso avverrà alla fine con Giuda; Gesù gli porrà nelle mani la sua propria vita, !asciandogli l'opzione tra aderire a lui o consegnarlo alla morte (13, 26s Lett.).

15 L'uomo notificò ai dirigen ti giudei: Gesù • .



Chi mi ha reso la salute è

Una volta conosciuto Gesù e ricevuto il suo avviso, l'uomo va a trovare i dirigenti, che gli avevano proibito di essere libero invocando il precetto. La sua frase si contrappone a quella che essi avevano pronun­ ciato: è riposo e non ti è permesso; l'uomo risponde: chi mi ha reso la salute è Gesù alludendo alla frase precedente: colui che mi rese la salute, è stato lui a dirmi: • Prendi il tuo giaciglio •. Gesù è la norma, in luogo del sabato. Egli, che dà la vita, sostituisce la Legge della morte. Per bocca di quest'uomo, il popolo liberato attribuisce la sua salvezza a Gesù ( = Dio salva, libera), e dà testimonianza di essa davanti ai suoi antichi oppressori. L'insistenza sul nome di Gesù in questi episodi (5, 1 .6.8. 14.15) si trasforma in una confessione della sua missione liberatrice. Nella prima salita a Gerusalemme Gesù denunciò l'istituzione del tem­ pio, provocando una vasta ma errata adesione (2, 23s). Avviene ora la seconda salita, anonima, in cui Gesù libera il popolo senza strepito né segni portentosi (4, 48), senza apparire come leader. Ha visitato ora il tempio senza farsi conoscere; comunica vita al popolo, sottraendo fedeli all'istituzione giudaica e portando alla rottura con essa, che è causa della prostrazione del popolo: solo suo malgrado giunge la salute. I n ogni caso, vi è ormai chi può camminare. 1:. diventato possibile co­ minciare l'esodo.

260

�. 9b-l�. La Legge oatacolo alla libertà l

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SINTESI

In questa tappa della sua attività, Gesù prescinde completamente dai dirigenti e dalla istituzione manipolata da loro; essi avevano rifiutato la sua de n u n c i a e la sua proposta. Per lui importa unicamente l'uomo, per questo va dove questo si trova ridotto alla miseria e all'impotenza. Procede così passando sopra alle prescrizioni religiose; è del tutto indifferente all'opinione dell'autorità. Abilita l'uomo all'attività facendolo camminare per conto proprio. L'esperienza della sua integrità riacquistata gli conferisce libertà dinan­ zi alle istituzioni. Gesù non provoca la ribellione, la sua missione non si definisce in opposizione a quel sistema politico-religioso, ma per il suo aspetto positivo: comunicare salute e forza. Si propone di formare una comunità umana alternativa, creando l'ambiente della libertà e della vita, dove l'uomo possa entrare abbandonando il regime di oppressione e di morte. II peccato è restare volontariamente nella tenebra, o tornare ad essa, rinunciando a realizzare il progetto di Dio. Si profila l'esodo del Messia.

261

Gv 5, 16-30: L'opera di Gesù, opera del Padre 1 6 Appunto per questo i dirigenti giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché compiva tali cose in giorno di riposo. 17 Gesù replicò loro: - Mio Padre fino ad ora continua a lavorare, e anch'io lavoro. 1 8 A motivo di ciò, i dirigenti giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non solo sopprimeva il riposo di precetto, ma inoltre chiamava Dio suo Padre, facendo se stesso uguale a Dio. 1 9 Gesù reagì dicendo loro: - Davvero vi assicuro: Un figlio non può far nulla di propria iniziati­ va: deve vederlo fare dal padre. Così, qualunque cosa questi faccia anche il figlio la fa uguale. "" Il Padre infatti vuoi bene al Figlio e gli mostra tutto ciò che fa, e gli mostrerà opere m aggiori di queste, a vostra meraviglia. 11 Come il Padre suscita i morti dando loro vita, così il Figlio dà vita a coloro che ama; 22 infatti il Padre non emette sentenza contro nessuno, ma la sentenza l'ha delegata tutta al Figlio, 23 perché tutti onorino il Figlio come onorano lui: rifiutarsi di onora re il Figlio significa rifiutar­ si di onorare il Padre che lo mandò. 14 Davvero vi assicuro che chi ascolta il mio messaggio, e presta cos\ fede a colui che mi mandò possiede vita definitiva e non è soggetto a giudizio: è ormai passato dalla morte alla vita.

1 5 Davvero vi assicuro che si avvicina, o per meglio dire è giunta, l'ora in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e coloro che lo ascoltano avranno vita. 26 Perché come il Padre dispone della vita, così ha concesso anche al Figlio di disporre della vita 27 e, inoltre, gli ha dato l'autorità. di istituire un giudizio: perché è uomo. 28 Non vi stupisca questo, perché si avvicina l'ora in cui coloro chP. stanno nel sepolcro udranno la sua voce 19 e ne usciranno: quelli che praticarono il bene per comparire in giudizio e avere vita; quelli che agirono in modo perverso, per comparire e ricevere la sentenza: 30 Io non posso fare nulla di mia iniziativa; emetto sentenza a seconda di ciò che apprendo, e questa mia sentenza è giusta, perché non perseguo un disegno mio, ma il disegno di colui che mi mandò.

NOTE F I LOLO G I C H E 5 , 1 6 Appunto per questo, gr. kai dia touto. Enfatico. - cominciarono, gr. edi6kon. lmpf.; connot. incoativa perché dipendente dalla ragione addot ta in seguito (hoti). La persecuzione, occasionata dalla prima violazione del precetto, non ces serà (seconda e ultima menzione in 15, 20. retrospettiva) . 1 7 L'importanza della replica di Gesù è indicata dall'uso dell'aor. l • medio apekrinato (cfr. 5, 19; M t 27, 12; Mc 14, 6 1 ; Le 23, 9) in luogo de l l'o rdina rio medio-passivo apekrithé (5, 7.1 1). ·

262

!, 16-30. L'opera di

- continua a lavorare, fino al presente.

gi-.

i!rgazetai. Attività continua

Gesù, opera del Padre

che

dal passato giunge

18 ancor più, gr. mallon. Indica il passaggio a un'attività più · intensa: persecuzione a morte. 19 reagl ... dicendo loro, gr. apekrinato ... k. elegen autois. Apokrinomai denota reazione verbale a un'istanza rivolta con parole o fatti. Essendo in questo caso esplicitato il verbo lego (elegen; al contrario che in 5, 18) e rispondendo ad un'accusa non proferita (5, 16, frase del narratore), con­ serva il suo significato di • reagire •. Cfr. M t 12, 25; 26, 25. Per apokrinomai pros, si veda 8, 33 nota. - Un figlio, gr. ho huios. Artic. generico (ogni figlio, in stile proverbiale equi· vale all'indeterminato italiano. Cfr. 7, 28 nota. - di propria iniziativa, gr. aph'heautou. Cfr. 5, 42 nota. - deve, gr. an mé. La necessità (dovere) equivale alla condizione indispensabile (a meno di). - Così, gr. gar. Esplicativo. .

mostra/mostrerà, gr. verbo deiknumi. In contesto di apprendimento, correi. di blepé (5, 19): far vedere perché il figlio impari. - a vostra meraviglia, gr. hina humeis thaumazéte. In luogo della forma ver· baie, si adotta quella nominale, più idiomatica e fluida in it.

20

21 suscita, gr. egeirei. In parall. con 5, 8: levati: mostra il significato figu· rata di questi • morti • . - dando loro vita, gr. kai t6opoiei. Frase coordinata modale; cfr. 4, 36; 8, 59; 14, 1 .2 1 .23.26; 20, 19.26.

22 non, gr. oude. - emette sentenza. gr. krinei. Cfr 3, 17 nota. - l'ha delegata, gr. ded6ken. Trasmissione di una facoltà. .

23 rifiutarsi di onorare, gr. ho mé timon. Forma infinita it. per enunciare un principio generale. Rifiutarsi esplicita il sema di volontarietà, cfr. 3, 1 8: ho mé pisteuon.

24 è ormai passato, gr., metabebéken. Pf. di lessema risultativo, stato per­ manente. Metabain6 denota il trasferimento che opera l'esodo proposto da Gesù. Cfr. 13, l, l'esodo al Padre; 7, 3, il falso esodo proposto dai suoi fra· telli. L'affinità fra sentenza e morte appare chiaramente nella struttura simme· trica di 5, 24b: vita definitiva/giudizio morte/vita. ·

25

o per meglio dire è giunta. Cfr. 4, 23 nota.

26 dispone della vita, gr. ekhei zoén en heauto. Questo verso spiega il pre· cedente (gar), ed esprime pertanto la condizione per comunicare vita, che non è soltanto possederla, ma anche disporne, cfr. 5, 2 1 : hous thelei z6opoiei. L'espressione. usata in altri casi in forma negativa, che, negando il posses­ so, nega la possibilità di comunicazione (5, 42; 6, 53), afferma qui i due fatti: possesso e comunicazione libera, accentuando contestualmente que· st'ultimo aspetto. Cfr. 6, 68: rémata zoés ai6niou ekheis, hai parole/esigenze che comunicano vita definitiva le tue esigenze comunicano vita definitiva; e in senso più generale, 3, 35: panta dedoken en té kheiri autou, ha posto tutto nelle sue mani, come erede universale, detto del Figlio, come in questo passo. =

263

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

T1 uomo, gi'. huios anthr6pou. Forma senza articolo, cfr. Excursus, p. 874 (eb. ben 'adam; aram. bar nas ), molto frequente in Ez (2, 1.3.6.8; 3, 1.3.4.10. 17.25, ecc.). Cfr. Dn 7, 13: hòs huios anthròpou, una figura umana. 29 per comparire in giudizio, gr. eis anastasin. Forma verbale in luogo della nominale. Si fa uso di espressioni di Dn 12, 2. Per anastasisjanistamai, le· varsi/comparire in giudizio, cfr. Mt 12, 41 (sinonimo di egeiromai, Mt 12, 42). e avere vita, gr. zòés. I genitivi zòés kriseòs indicano i risultati del giudizio, ed è necessario supplire con un verbo appropriato che lo esprima, avere (cfr. 5, 24), ricevere. La sentenza (krisis) equivale a non passare dalla morte alla vita (sentenza di morte, cfr. 5, 24). -

30 a seconda di ciò che apprendo, gr. kathòs akouò. Questo significato di akouo (apprendere) è frequente, sebbene non vada sempre tradotto con tale verbo, cfr. 8, 26.40.47; 12, 34. Il v. 30 è in parallelo con i vv. 19, 20 (non può, non posso) . Ciò che li veniva espresso in termini di visione (blepè. deiknusin). si esprime qui in termini di ascolto. Si tratta in entrambi i casi dell ' insegnamento che il Padre comunica al Figlio, mostrandogli qual è il suo disegno. - un disegno, gr. to theléma. Cfr. l , 13; 4, 34; 6, 38ss. La determinazione (lo) indica un disegno possibile, ma in realtà inesistente, che in it. si esprime con l'indeterminatezza; cfr. 7, 28 nota.

CONTEN UTO E DIVISIONE Davanti all'opposizione dei dirigenti giudei, che invocano la Legge come espressione della volontà divina, Gesù espone il fondamento della sua atti­ vità liberatrice. La sua opera si identifica con quella di Dio creatore. che continua a lavorare in favore dell'uomo per condurlo alla pienezza di vita. La volontà di Dio sull'uomo, che si trasforma in norma per quest'ultimo, si manifesta unicamente in Gesù e nella sua attività, e sostituisce tutti gli antichi codici di moralità o di condotta, in particolare la Legge mosaica. La sua sarà l'opera dell'amore leale, il fondamento della nuova alleanza, in opposizione all'alleanza di Mosè ( 1 , 1 7 ; 2, 6). Essere con Gesù è essere con Dio, essere contro di lui è essere contro Dio. La sua persona e attività di· scriminano fra bene e male. Questo viene indicato con l'espressione • emet­ tere sentenza che non implica un atto giudiziale (cfr. 3, 19), ma la separa· zione che la sua presenza provoca fra coloro che sono a favore e quelli che sono contro l'uomo. La pericope comincia notando l'opposizione dei dirigenti, che perseguono Gesù per il suo operato e che, davanti alla sua Tisposta, si prop

nuova condizione, che riceve anch'essa il nome di • spirito • (3, 6 Lett.), e si identifica con la capacità di amare, partecipando del dinamismo divino dell'amore (4, 24). II rimprovero di Gesù è che hanno limitato il loro orizzonte: l'alimento che finisce dà soltanto una vita che muore; porre tutta la speranza in questo alimento è negare nell'uomo la dimensione dello spirito e ridurlo alla • carne •, accettando la propria dist ruzione. Li invita, quindi, a superare tale dimensione che mutila il disegno creatore di Dio. Il pane era un segno che esprimeva l'amore e Io conteneva. Non vi è amore senza dono di se stessi; non c'è dono di sé senza una reale comunicazione di beni. Perché il dono del pane acquisti il suo significato, deve essere espressione dell'amore; e questo non si può esprimere che nel dono del pane. Era però necessario leggere nel segno il suo contenuto, e questo la folla non lo ha fatto. Quel pane distribuito era l'espressione di Gesù stesso. I n lui la carne contiene lo Spirito, con cui è stato segnato ( l , 32s) : il segno conteneva l'amore come la carne lo Spirito. Essi vedono il pane senza comprendere l'amore e in Gesù vedono la carne, senza scoprire lo Spirito. Il sigillo di Dio sull'umanità di Gesù è lo Spirito che ha fatto di lui l'Uomo (cfr. Excursus, pag. 874). Gesù, il modello di uomo, essendo il portatore dello Spirito, è capace di dare l'alimento che dura. Attraverso i suoi segni, Gesù esprime il suo essere; essi rendono visibile lo Spirito che, in lui, dà completezza alla • carne • e all 'opera che realizz a ( 1 , 14.32). I suoi segni sono così manifestazione dell'amore-Spirito che lo riempie; questo acquista la sua visibilità attraverso di loro ed essi acquistano a loro volta pienezza attraverso lo Spirito che contengono e comunicano. Gesù promette questo alimento per il futuro. Di fatto, tutte le opere di Gesù anticipano la sua opera defnitiva, il dono totale di se stesso sulla croce, manifestazione suprema dell'amore che comunica la vita (19, 34 Lett.). Lo Spirito che sìgilla Gesù è quello di Dio, Padre, vale a dire datore di vita, culmine dell'opera creatrice. I n tal modo Gesù, pieno di tale Spirito, con questo alimento la completa nell'uomo. Per comprendere il segno non basta assistervi passivamente, è necessa­ rio entrare nel significato che contiene. Ma l'amore non può essere riconosciuto se non esiste la volontà di amare. l> questa che Gesù designa come lavorare per guadagnarsi l'alimento •. La sintonia del­ l'amore fa comprendere il segno e porta all'adesione a Gesù. •

28 Gli domandarono: Dio vuole? •·



Cosa dobbiamo fare per compiere le opere che

Comprendono la necessità di lavorare, ma non sanno né come né a che cosa. Comprendono che il pane che non perisce è un pane di Dio, e vogliono sapere le condizioni che egli pone per concederlo. Abituati dalla Legge al fatto che Dio detti comandamenti e osservanze, doman­ dano a Gesù quali sono quelli che prescrive adesso. Non conoscono l'amore gratuito, credono che Dio ponga un prezzo ai suoi doni.

307

Il pomo del Messia. Ciclo dell'uomo

29 Rispose Gesù:

• Questo è il lavoro che Dio vuote, che diate la vostra adesione a colui che egli ha inviato •.

Gesù corregge il presupposto della domanda. Dio non imporrà nuovi precetti od osservanze. Il lavoro che Dio vuole è unico: dare la propria adesione permanente a Gesù, come suo inviato. Tale è il lavoro che procura il pane che rimane e dà vita definitiva. L'adesione costituisce nei confronti di Gesù quello che il lavoro costituisce nei confronti del pane. Nell'uno e nell'altro caso viene descritta una appropriazione, rendere proprio l'alimento, o rendere proprio Gesù, assimilandolo. Una tale esigenza è nuova e non se la aspettavano. Erano disposti a manifestare la loro adesione a Dio, nel modo che egli avesse domanda­ to. Hanno considerato Gesù un profeta, nella linea di Eliseo, per quanto superiore a lui; in quanto tale, avrebbero rispettato ciò che Dio avesse loro comunicato per mezzo suo. Ma continuano ad attribuirgli il ruolo di mediatore, non di termine di un'adesione. Un profeta è stru­ mento di Dio, ma davanti a Dio rimane in secondo termine. Gesù invece non li esorta né ad aderire né a imitare Dio, ma da parte di Dio domanda adesione alla sua propria persona.

Richiesta di un segno Gli dissero: • E che segno realizzi tu, perché, vedendo/o, ti credia­ mo? Che opera compi? •.

30

La gente comprende che Gesù si dichiara Messia, esecutore del disegno divino, rappresentante di Dio sulla terra. Non avendo compreso il segno, non basta loro come credenziale il pane mangiato il giorno precedente e gli domandano un segno particolare che dia garanzia alla sua domanda e all'adesione che richiede. Il Messia doveva rinno­ vare i prodigi dell'esodo: questo si attendono ora da Gesù.

31

•l nostri padri mangiarono la manna nel deserto; cosi sta scritto: "Diede loro da mangiare pane del cielo" •.

Nell'AT venne chiamata • pane del cielo • la manna (Ne 9, 15; Es 16 ,15; Nm 1 1 , 7-9; Sal 78, 24); essi si attendono da Gesù un .prodigio simile. Parlano dei • loro padri •. mentre Gesù ha parlato del Padre (6, 27). Sono sempre attaccati alla loro stirpe e si rifugiano nel passato (cfr. 4, 12.20) Gesù, invece, ha una prospettiva universale. Ai • nostri padri • corrisponde Israele; al • Padre •. il mondo.

Si nota qui la controversia fra i giudei e la comunità cristiana. Essi oppongono i prodigi di Mosè alla mancanza di carattere spettacolare dell'opera di Gesù. Si esige ciò che è portentoso (4, 48 Lett.), ciò che abbaglia senza impegnarsi con l'uomo, anziché chiedere quanto è uma­ no, quotidiano, profondo e di efficacia permanente. Gesù ha dato la sua vita per l'uomo e gli ha comunicato la capacità di amare come lui {13, 34): ecco il suo prodigio messianico, di gran lunga superiore a quelli di Mosè.

308

6, 22-40. La nuova manna

32-33 Alliira C esù rispose loro:

c Davvero vi assicuro: Mos� non vi ha dato mai il pane del cielo; no, è mio Padre a darvi il vero pane del cielo. Perché il pane di Dio è quello che scende dal cielo e sta dando vita al mondo •·

La risposta di Gesù è tagliente: la loro fede è illusoria. Soltanto suo Padre dà il vero pane del cielo. La manna è cosa del passato; il pane di Dio è presente, una comunicazione permanente di vita che egli dona al mondo. Questo pane scende dal cielo, come la manna pioveva dall'alto, ma senza cessare; e non si limita a dar vita a un popolo, ma all'umani­ tà intera. Dato che è Gesù a dare questo pane (6, 27). si afferma qui la comunicazione continua della vita di Dio all'uomo attraverso Gesù ( 1 , 51 Lett.). Come si è visto nell'episodio precedente, il pane esprime l'amore di Dio creatore; il pane del cielo è una manifestazione di questo amore, superiore a quella del pane materiale. II pane è la vita, dono continuo di Dio e che non termina (6, 27: l'alimento che dura, e dà vita definitiva) . Sazia anche la fame materiale dell'uomo, perché è amore che abbraccia l'uomo intero; è definitiva, piena, l'unica degna dell'uomo secondo il progetto creatore. Il pane del giorno prima non era soltanto un segno che raffigurava un altro pane; quel pane conteneva colui che annunciava. Nel pane condi­ viso è necessario scoprire il pane dell'amore, poiché questo viene dato soltanto con quello. Nell'amore umano, espresso con doni umani, sono contenuti l'amore di Dio e il dono di Dio, come nell'Uomo è contenuta la presenza divina. Gesù parla qui non più del Padre, ma di mio Padre, in corrispondenza con l'espressione che segue: il pane di Dio. Sta preparando l'identifica­ zione del pane con se stesso (6, 35). Egli procede da Dio, è il suo Figlio e il. suo pane, unico dono (3, 16).

34

Gli dissero allora:

c

Signore, dacci sempre questo pane"·

Dinanzi alla dichiarazione di Gesù, la gente reagisce chiedendogli quel pane che egli stesso doveva dare (6, 27: quello che vi darà l'Uomo). Lo chiamano • Signore •. credono nelle sue parole. indovinano che Gesù può soddisfare tutti i loro aneliti. Con rispetto e desiderio glielo domandano, ma non si impegnano al lavoro, non giungono fino a dargli la loro adesione. Rimangono nel loro atteggiamento passivo, dipendente, cercando il proprio beneficio. Vogliono ricevere il pane senza lavoro, trovare la soluzione fatta, senza collaborazione personale.

35 Rispose loro Gesù: « Io sono il pane della vita. Chi si avvicina a me non soffrirà mai la fame, e chi mi dà la sua adesione non soffrirà mai la sete •. Gesù si era presentato come datore d i pane, ora si identifica con il pa­ ne, egli stesso si dà come pane. Mangiarlo significa pertanto dare la propria adesione, assimilare Gesù (6, 29); si tratta della stessa attività formulata precedentemente in termini di lavoro (6, 27.29). Si ottiene così la qualità di vita che porta l'uomo alla sua pienezza. II pane che dura è l'amore, concretato ora in Gesù stesso come dono di amore.

309

Il pomo del Mesola. Ciclo dell'uomo

L'unione con lui comunica la vita di Dio al mondo. Egli è il pane che Dio offre agli uomini. Come si è già visto nell 'episodio della samaritana (4, 13a-14 Lett.), la frase si oppone esattamente a quella della Sapienza nell'AT: chi mi mangia avrà ancora fame, chi mi beve avrà ancura sete (Sir 24. 21); il contrasto vuoi dimostrare che la fedeltà alla Legge lasciava una conti­ nua insoddisfazione, come l'acqua del pozzo di Giacobbe. Non colma le esigenze umane, perché non risponde loro interamente. Invece, in ciò che Gesù promette, l'uomo trova piena soddisfazione. Non incentra l'uomo nella ricerca della propria perfezione, ma nel dono di se stesso. Mentre la perfezione è astratta e ha una meta tanto illusoria e tanto lontana quanto quella indicata dalla propria ambizione, il dono di se stessi è concreto, e può essere totale come quello di Gesù. Con la prima, l'uomo va edificando il suo proprio piedistallo; con il secondo si pone al servizio degli altri e crea l'uguaglianza nell'amore ( 1 3, 5 Lett.). 36 • Ma vi ho detto che mi avete visto di persona e che non crede­ te •· L'introduzione di Gesù vi ho detto allude alla frase precedente, che deve essere necessariamente quella di 6, 26: non mi cercate per aver visto segni. I segni si identificano ora con la persona di Gesù, espressa attraverso la sua attività. Le sue opere manifestano che egli è stato segnato con lo Spirito (6, 27) e per questo in esse si può riconoscere la testimonianza del Padre (5, 36; cfr. 12, 45; 14, 9). Essi le hanno viste, ma senza scoprire la sua persona: nell'uomo non scoprono il Figlio. Desi· derano il pane che Gesù offre, ma non compiono il passaggio, non si avvicinano a lui. Desiderano un suo dono, ma non quello della sua persona; si mantengono a distanza. Pretendono di separare il dono dall'amore che contiene, facendogli perdere il suo significato. Per questo vogliono ricevere, ma rifiutano di amare. *

Sono numerosi i paralleli tra questa spiegazione di Gesù e l'episodio della samaritana. In entrambi i casi c'è uno sguardo al passato, con la menzione dei padri e delle loro gesta, e un paragone che sfida Gesù (4, 12; 6, 3 1 ) . Accettando la sfida, e superando l'opera del passato, Gesù Io annulla, dando inizio a una nuova realtà. . Nell'uno e nell'altro caso si nega l'efficacia dei dono dei padri (4, 13: tornerà ad aver sete; 6, 49: morirono) e si afferma l'efficacia di quello di Gesù (4, 14: non avrà mai più sete; 6, 35: non soffrirà mai la fame, non soffrirà mai la sete). Gli interlocutori manifestano il desiderio di ricevere il dono di Gesù (4, 1 5 : dammi quest'acqua; 6, 34: dacci ... que· sto parte) . Gesù si definisce (4, 26: sono io (il Messia) ; 6, 35a: io sono il pane della vita). Questi paralleli, che hanno come motivo comune, il mangiare-bere/ac­ qua sviluppano il tema della vita (4, 14; 6, 27: e dà vita definitiva). Ciò che Gesù vuoi trasmettere è la vita definitiva, che si identifica con lo Spirito (acqua-alimento contenuto in lui); la condizione per riceverla non è l'accettazione di una dottrina proposta da Gesù, ma l'adesione 310

6, zz..tO. La nuova manna

alla· persona sua.

di lui (4, 39; 6, 29), manifestata in un'attività uguale alla

Gesù, il datore di vita • Tutto ciò che il Padre mi consegna giunge fino a me, e chi si avvicina a me io no n lo caccio fuori •·

37

Gesù spiega (6, 37-40) quanto detto in precedenza sotto il simbolo della del cielo, usando un linguaggio diverso. Il tema di questo passo è quello centrale del vangelo: Gesù è datore di vita (l, 4; 3, 14s; 4, 14.50; 5, 21 .25s.40; 10, 10; 1 1 , 25; 17, 2; 19, 34 Lett.). Il passo comincia con una espressione della coscienza che la comunità cristiana ha della propria appartenenza a Gesù per volontà del Padre (ciò che il Padre mi consegrw), che ha posto tutto nelle mani di suo Figlio (3, 35). e sperimenta l'accoglienza di questi come permanente e sicura (non lo caccio fuori). Il significato di questo versetto si intende più facilmente mettendolo in relazione con espressioni parallele che appaiono nel capitolo. Saranno trattate insieme in 6, 65 Lett. Il neutro tutto ciò (cfr. 6, 39), in luogo del plurale tutti coloro che, sottolinea l'unità, il blocco formato da coloro che aderiscono a lui; non sono individui isolati, ma un corpo. !! una comunità umana, un insieme indivisibile (10, 29; 17, 2.1 1 ) da cui nulla può essere separato, di cui nulla si può perdere (3, 16; 17, 1 2 ) , e in cui la realizzazione della vita deve verificarsi fino alla fine. manna/pane

38

• perché non sto qui, disceso dal cielo, per realir.r.are un disegno mio, ma il disegno di colui che mi mandò •.

Come si è già spiegato (3, 1 3 Lett.), l'espressione c scendere dal cielo • non deve essere intesa in senso spaziale: significa che l'origine di Gesù non è meramente umano, ma deve essere cercata nella sfera divina. Denota in concreto la discesa dello Spirito su Gesù ( 1 , 32), che fa di lui la presenza del Padre fra gli uomini (cfr. l, 14). Dalla identificazione con il Padre nasce la sua assoluta fedeltà al disegno di lui (cfr. 5, 30). L'obiettivo di entrambi è lo stesso: comunicare vita all'uomo.

39

• E questo è il disegno di colui che mi mandò: che di tutto ciò che mi ha affidato io non perda nulla, ma lo risusciti l'ultimo giorno •.

!l la prima volta che appare l'espressione l'ultimo giorno (6, 39.40.44.54; 1 1 , 24; 12, 48), che in questo discorso si ripete con insistenza. Strana·

mente, oltre che nei testi citati, l'espressione • l'ultimo giorno » si trova come introduzione a un episodio nel tempio: l'ultimo giorno, il più solenne delle feste (7, 37-39), dove Gesù invita colui che crede a bere l'acqua che sgorgherà dal suo intimo. Tale invito, tuttavia, per quanto situato nel presente, non può realizza rsi in quel momento, si renderà possibile alla sua morte, quand'egli manifesterà la sua gloria e verrà dato lo Spirito (19, 30.34). Giocando sul doppio riferimento, al presente (nel tempio) e al futuro

311

D pomo del Messia. Ciclo dell'uomo

(nella sua morte), l'evangelista mostra che la morte di Gesù, Agnello pasquale, sarà il vero ultimo giorno, il più grande della festa, quando sarà possibile a tutti avvicinarsi e bere l'acqua dello Spirito. Essendo quello l'ultimo giorno, sarà allora quello in cui egli concederà la risurrezione a tutti coloro che il Padre gli ha affidato; vale a dire, il dono dello Spirito porta con sé quello della risurrezione. Per questo in 8, 51 afferma: chi compie il mio messaggio non saprà mai cos'è la morte. Di conseguenza, Gesù non accetterà i l significato che Marta dà ali'ultimo giorno (Il, 24), interpretandolo come fine dei tempi, secondo la concezione dell'epoca. L'ultimo giorno è quello in cui termina la creazione dell'uomo, il giorno sesto della morte di Gesù, quando, completata la sua opera, egli donerà lo Spirito (19, 20) e la vita defi­ nitiva comincerà a essere realtà (7, 37 Lett_)_ Concedendo la risurrezione con il dono dello Spirito, Gesù mostra che la realizzazione dell'uomo non è un mero prodotto del processo storico. Appare qui una delle implicazioni della frase di Gesù: vi ho scelti e tratti fuori dal mondo (15, 1 9 ) Gesù li sottrae all'influsso distruttivo .

(17, Il: essi saranno nel mondo; 17, 1 5 : non ti prego di toglier/i dal mondo), partecipando a della società ingiusta; senza uscire da essa

essa, la sua comunità rappresenta una forza di vita, tramite cui la creazione va acquistando la sua condizione definitiva.

40 • Perché questo è il disegno di mio Padre, che chiunque riconosce il Figlio e gli dà la sua adesione abbia vita definitiva, e io lo risusciti, l'ultimo giorno ». •

Colui che mi mandò • del versetto precedente si identifica ora con • mio Padre •, precisando la relazione che esiste fra Dio e Gesù. La sua missione non è quella di un subordinato, né si esegue per obbe­ dienza a un ordine, ma è espressione di una comunità di essere e di un vincolo di amore. Espone nuovamente la condizione già presentata (6, 29: clze diate la vostra adesione a colui che egli ha inviato) per comunicare vita. Attraverso i segni che realizza, bisogna riconoscere in Gesù il Figlio. Questa denominazione, senza determinazione alcuna, comprende in sé le due grandi denominazioni di Gesù: il Figlio dell'uomo (l'Uomo) e il Figlio di Dio (Dio); l'uomo completato, culmine dell'umanità, che è al tempo stesso i l Figlio di Dio, la presenza di Dio nel mondo. Vedere nell'uomo Gesù, il Figlio di Dio, significa riconoscere all'uomo la capaci­ tà di essere figlio di Dio ( 1 , 12), realizzando in se stesso .il progetto creatore. L'uomo accetta allora tutta la potenzialità che Dio ha posto in lui, il vero orizzonte del suo essere. Al riconoscimento fa seguito l'adesione personale a Gesù, che comunica la vita piena e definitiva, culminante nella risurrezione stessa. Il contenuto della adesione a Gesù sarà spiegato nella sezione successiva.

312

6, 2240. La

nuova manna

SINTESI La pericope, prima parte della spiegazione dell'episodio del pani, pre­

senta la mancanza di penetrazione, da parte della folla, dei segni compiuti da Gesù. Questi sono i l linguaggio con cui Dio si è rivolto all'uomo, composti, come Gesù, di « carne • e • spirito •. Sono il mezzo di comunicazione personale fra un soggetto divino e uno umano. Consi­ derarle come un mero fatto oggettivo, senza scoprire il significato, vale a dire, il soggetto che si comunica in essi, equivale a percepire un rumore di parole, il rumore del vento, in luogo della voce dello Spirito (3, 8).

Si pone qui la questione di come conoscere Dio. Tale conoscenza non è possibile se lo si oggettiva considerandolo oggetto di speculazione. Non ci si può domandare se Dio • esiste • come un oggetto qualunque, ma se Dio • è presente •, come persona. Per conoscerlo è necessario scoprir· ne la presenza. Non essendo Dio un essere materiale, questa non si può percepire che attraverso la relazione interpersonale, attraverso un in­ terpellare compreso e accettato. Dio interpella attraverso Gesù stesso, la Parola fatta «carne • ( 1 , 14). e la Parola il cui significato è lo Spirito che in essa si comunica; si rivolge non soltanto all'intelligenza, ma all'uomo intero, come soggetto personale. Accettata, produce la presenza di Dio (lo Spirito) nell'uo­ mo. I segni di Gesù spiegano ciò che egli stesso è, sono parole che spiegano la Parola. Il pane che egli dà è una parola che, significando l'amore, lo comunica: pertanto, un gesto di comunione. Ricevere il pane senza accettare il suo significato è chiudersi alla comunicazione divina.

313

Gv 6, 4t-59: Assimilare Gesù, vita e nonna di vita l giudei fedeli al regim e lo criticavano perché aveva detto: « lo sono il pane disceso dal cielo •, '2 e dicevano: - Ma costui non è Gesù, il figlio di Giuseppe, di cui conosciamo il padre e la madre? Come fa adesso a dire: • Sono qui disceso dal cielo •? ••

'3 Replicò Gesù: - Smettetela di criticare fra di voi. " Nessuno può giungere fino a me se il Padre che mi mandò non lo attrae a sé, e io lo risusciterò l'ultimo giorno. " Sta scritto nei profeti: • Saranno tutti discepoli di Dio •; chiunque ascolta il Padre e impara si avvicina a me. •• Non che qualcuno abbia visto personalmente il Padre, eccetto colui che procede da Dio; questi ha visto personalmente il Padre. Davvero vi assicuro: chi crede possiede vita definitiva. '8 Io sono il pane della vita: '9 i vostri pad ri mangiarono la manna nel deserto, ma morirono; 50 questo è il pane che scende dal cielo affinché mangiando­ ne non si muoia. 51 Io sono il pane vivo disceso dal cielo; chi mangia questo pane vivrà per sempre. Ma inoltre il pane ch·e io darò è la mia carne, perché il mondo viva.

'7

52 Quei giudei litigavano tra loro di cendo: - Come può costui darci da mangiare la sua carne? 53 Disse loro Gesù: - Davvero vi assicuro: se non mangiate la carne dell'Uomo e non bevete il suo sangue non avete in voi vita. 54 Chi mangia la mia carne e be,·e il mio sangue ha vita definitiva, e io lo risusciterò l'ultimo giorno, 55 perché la mia carne è cibo vero, e il mio sangue è bevanda vera. 56 Chi mangia la carne mia e beve il sangue mio rimane con me, e io con lui; ;�come il Padre, che vive, inviò me, e quindi io vivo per il Padre, così anche chi mangia me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i vostri padri, che morirono; chi mangia questo pane vivrà per sempre. 59

Questo lo disse insegnando in una riunione, a Cafarnao.

NOTE FILOLOGICHE i giudei fedeli al regime, gr. hoi Ioudaioi. (Cfr. l, 19 nota) . In questo passo non c'è moti vo di supporre che fossero dirigenti, ma comunque fe­ deli al sistema. - lo criticavano, gr. egogguzon ... peri. Il contesto aggiunge il signif icato av­ versativo: cfr. 6, 61; in senso favorevole 7, 32; ambivalente goggusmos, 6, 41

1,12. 42

314

Ma ... non ..., gr. ouklz. Interrogativo che attende risposta affermativa.

6, 41-59. Aalmllare Gesù, vita e norma di vita

Oue5ta sfumatura sr esprime in it. con ma rrort interro gativo o altra locu­

zione equivalente. - sono qui disceso dal cielo, gr. ek tou ouranou katabebèka. Pf. dinamico statico, di azione passata e stato presente; cfr. El Aspecto Verbal, n. 387.

43 Smettete/a di criticare, gr. mé gogguzete. Imper. con funzione di in­ terrompere, cfr. El Aspecto Verbal, n. 223. 45 il Padre, gr. para tou Patros. Punto di origine di quanto ascoltato. abbia/ha visto, gr. heòraken. Conoscenza immediata. (Cfr. 1, 18.34; 4, 45; 5, 37; 8,57; 19,35; 20, 29). Cfr. El Aspecto Verbal, nn . 327ss.

46

49

ma morirono, gr. kai. Avversativo.

51

Ma inol tre gr. kai ,



de.

Chi mangia, gr. ho tr6gòn. Per il tema del pres. Gv wa tréJg6 (6, 56. 57.58; 13, 18). in luogo di esthi6. Cfr. l'equivalenza del presente tr6gò con esthiò in M t 24, 38.49. 54

56 rimane con me, gr. en emoi menei. Pres. durat. dipendente dal parti­ cipio condizionale ho t rògòn, pres. durat.; merrei denota, quindi, la per­ manenza assicurata dal fatto di mangiare sempre. Con me, unito a: nel· l'immagine della vite: in me (15, 2); riferito alla persona, con me (cfr. 15, 4.7). 57 e quindi, gr. kai (ka gò) . Consec. - per il Padre ... per me, gr. dia. Con ace., indicando la motivazione e l'orien­ tamento della vita. 58 non CX�me quello che mangiarono. In gr. l'on. della comparazione (il pane/manna) è omesso (ellissi); - che morirono, gr. kai. Avversativo; cfr. v. 49. La costr. it. richiede una prop. relativa (N.d.T.).

59 in una riunione, gr.

err sunagogi. Senza articolo.

CONTENUTO E DIVISIONE Nel contesto pasquale e dell'alleanza, la prima. parte del discorso aveva come tema centrale Gesù datore di vita (simbolo della manna). Nella se­ conda, gli avversari di Gesù non ammettono che un uomo possa avere origine divina e, cosi, possedere e dare vita definitiva. Gesù insiste: egli è il datore di vita definitiva, in opposizione a quella conferita dalla manna. e tale vita si trova appunto nella sua condizione umana (carne), della quale essi si scandalizzano. Specifica quindi in che modo egli sia datore di vita: donando la sua vita (carne e sangue). Bisogna accettare pertanto non solo la sua condizione umana, ma anche l'evento della sua morte come veicolo della vita, interiorizzando questa realtà per trasformarla in norma personale. Tale è la nuova legge scritta nel cuore. La pericope inizia introducendo nuovi personaggi, i giudei, fedeli all'isti­ tuzione. Questi, davanti alla precedente dichiarazione di Gesù, presentano

315

D l!lomo del MealL Ciclo dell'uomo come obiezione la sua origine umana,

per

loro incompatibile con la qua­

lità divina che la sua pretesa comporta (6, 41-42). Gesù rivela, in primo lu ogo, qu al è il motivo della loro opposizione a lui, la ma nca n za di inte­ resse per l uomo, dovuta alla non conoscenza di Dio come Padre (6, 43-46). Di seguito si dichiara pane di vita in luogo della manna che non fu in grado di condurre alla terra promessa il popolo uscito dall'Egitto (6, 47-51). Egli comunica la vita dando se stesso, nell a sua realtà u mana . fino alla morte. L'accettazione di questo suo dono e l assimil azione vitale di lui (mangiare la sua carne e bere il suo sangue) sono per l'uomo fonte di vita (nuova manna) e no nn a di vita (nuova Legge). Cosi, a differenza di quan­ to avve.nuto con l'antico popolo, la nuova comunità potrà raggiungere la sua terra promessa. quella della vita defini tiva (6, 52-58). La peri cope ter­ mina indicando l'occasione e il luogo (6, 59). '

'

Riassumendo: 6, 41-42: Obiezione: ongme umana contro o n gm e divina. 6, 4346: Il presu ppos to della fede: essere dalla parte dell'uomo. 6, 47-51: La manna del suo esodo: la sua realtà um ana. 6, 52-58: La legge della sua comunità: assimilare il dono della sua vita. 6, 59: Occasione e luogo.

LETIURA

Obiezione: origine umana contro origine divina 41 l giudei fedeli al regime lo criticavano perché aveva detto: sono il pane disceso dal cielo •1 fedeli all'istituzione attribuiscono a Gesù

religiosa lo criticavano.

è

Di

fatto, la



Io

frase che

leggermente diversa da quella che egli aveva

pronunciato in precedenza:

il pane ... che scende dal cielo, ripetutamen­

te o in modo continuo, come la pioggia della manna (6, 33); si riferiva al dono dello

Spirito,

la

comunicazione

mettono la frase al passato,

di

vita di Dio

all'uomo.

il pane disceso dal cielo, riferendosi

momento storico particolare. Gesù parlava della sua missione di dare vita, che

è

Essi a

un

continua; essi invece

si riferiscono all'origine divina che si deduce da questa missione, e non l'accettano.

42 e dicevano: • Ma costui non è Gesù, il figlio di Giuseppe; di cui conosciamo il padre e la madre? Come fa adesso a dire: "Solto qui disceso dal cielo?• •· Gli avversari di Gesù protestano contro la sua pretesa. La loro arg� mentazione si basa sulla sua origine umana, ben nota, che secondo loro esclude di per se stessa ogni origine divina.

La

pretesa di Gesù, uomo

di carne e ossa, è inammissibile. Essendo un uomo, sta usurpando il posto di Dio

È

(c fr. 5, 18; IO, 33).

la stessa mentalità di Nicodemo; questi non comprendeva che l'uomo

potesse avere una nuova origine in Dio, equivalente a una nuova nascita

(3, 3-6). 316

6, 41-59. Aalml1ere Gesfl, vita e nGmlll di vita

La pietra di scandalo è, pertanto, l'umanità di Gesù. Tuttavia la pienez· dello Splucu \l, �2s) che fa di lui la presenza ùi Dio in terra, si trova proprio in questa carne e sangue, espressione dalla sua origine uma­ na. Essi separano Dio dall'uomo; non credono nel suo amore, generoso e gratuito, che Io porta a comunicarsi. I giudei fedeli alla Legge non conoscono un Dio vicino.

za

Il presupposto della fede: essere dalla parte dell'uomo 43-44 Replicò Gesù: • Smettete/a di criticare fra rfi ''f';. Nessuno può giungere fino a me se il Padre che mi mandò non lo altrae a sé, e io lo risusciterò l'ultimo giorno •. Gesù non entra in discussione riguardo alla sua origine divina o umana; interrompe il commento, denunciando l'atteggiamento che le loro critiche denotano. Per avvicinarsi a lui è necessario lasciarsi attrarre dal Padre, ma essi non riconoscono che Dio è Padre e che è a favore dell'uomo (5, 37s). Questo è il motivo della loro resistenza. I l Padre spinge verso Gesù, perché questi è i l suo dono, l'espressione del suo amore per l'umanità (3, 16; 4, IO). Essi, che non si interessano all'uomo, né aspettano tale dono né lo desiderano (2, 9b-IO Lett.). L'at· tività di Gesù a favore degli oppressi non li fa riflettere mentre è l'unico criterio per comprendere chi è Gesù, la sua missione divina e la presenza del Padre in lui (5, 36; IO, 38). Trincerati nella loro teologia, che impedisce loro di essere docili a Dio, non accettano Gesù. La risurrezione era ammessa e difesa dalla scuola farisaica, come premio per l'osservanza della Legge. Gesù afferma che essa non di­ pende da tale osservanza, ma dall'adesione a lui. Non vi è altra risurrezione che quella data da lui e inclusa nella vita che egli comuni· ca (6, 39 Lett.). Egli è l'unico che dispone della vita (5, 26). 45 • Sta scritto nei profeti: "Saranno tutti discepoli di Dio"; chiunque ascolta il Padre e impara si awicina a me •. Gesù prende un testo profetico (ls 54, 1 3) , che veniva posto in relazione con Ger 3 1 , 33s: • porrò la mia legge nel loro petto, la scriverò sul loro cuore •. deducendo che Dio avrebbe inculcato al popolo la fedeltà alla legge mosaica 1• Gesù, tuttavia, dà un'interpretazione differente: Dio non insegna a osservare la Legge, ma ad aderire a lui. Di quf la frase seguente: Chiunque ascolta il Padre e impara si avvicina a me. II testo di Isaia non è citato alla lettera; nell'originale Dio parla a Gerusalemme e dice così: • tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore •. Sopprimendo • i tuoi figli •. il detto viene universalizzato: • il Signore • della profezia, non è più il Dio di Israele, ma il Padre universale (4, 21 Lett.) . Secondo questo passo, Dio non sceglie alcuni privilegiati affinché cre­ dano in Gesù; il suo insegnamento viene offerto a tutti e a tutti è ' Cfr. S.· B. III, 704.

317

D

lfomo del Menta. Ciclo deR'uomo

possibile l'adesione. � necessario però apprendere dal Padre e lasciarsi muovere da lui. Interpretando il termine • Dio • della profezia con l'appellativo • Padre •, che designa Dio come creatore della vita e pieno di amore per l'uomo, Gesù addita la maniera in cui il Padre fa udire la sua voce e istruisce l'uomo. Chiunque vede in Dio un alleato dell'uomo si sentirà attratto verso Gesù. :E. lo stesso argomento usato in preceden­ za (5, 36s) per mostrare che le sue opere erano una testimonianza data dal Padre. L'universalismo dell'espressione di Gesù annuncia che la nuova comuni· tà non sarà una prosecuzione né una restaurazione di Israele come popolo (cfr. 4, 21), e che sarà aperta a chiunque apprenda dal Padre, a tutti i figli di Dio dispersi (cfr. 11, 52). 46 « Non che qualcuno abbia visto personalmente il Padre, eccetto colui che procede da Dio; questi ha visto personalmente il Padre •.

Per questo motivo non occorre un'esperienza di Dio al di fuori dell'or­ dinario. Di fatto, per quel popolo bastava prestare attenzione alla sua antica storia per comprendere che Dio è dalla parte dell'uomo (cfr. 5, 45-46).

Il padre non è immediatamente accessibile, soltanto Gesù, che procede da lui, ne ha un'esperienza immediata. Nessuno, né Mosè né i profeti, lo avevano visto; tuttavia cercavano di trasmettere la sua volontà. Quanto più Gesù, che conosce il Padre faccia a faccia (l, 18), potrà essere interprete di Dio. Per di più, egli è l'unico che possa manifestare il suo disegno sull'uomo e stabilire le condizioni per realizzarlo (6, 39-40). In questo primo paragrafo Gesù ha risposto a quelli che lo criticavano, mettendo a nudo il vero motivo della loro incredulità: non ascoltano Dio, perché non sono a favore dell'uomo; per questo si oppongono a Gesù. La manna del suo esodo: la sua realtà umana 47

«

Davvero vi assicuro: chi crede possiede vita definitiva •.

Dopo la precedente denuncia, Gesù pronuncia una dichiarazione solen­ ne. L'effetto della adesione personale a lui è per l'uomo una nuova qualità di vita, che, per la sua pienezza, è definitiva. L'uomo si realizza tramite l'adesione a Gesù. 48



Io sono il pane della vita

•.

Come apparirà dalla contrapposizione immediata stabilita con la man­ na, Gesù come pane di vita assicura il successo della liberazione dell'uomo che per suo mezzo sfugge alla morte. Ma, al tempo stesso, la vita definitiva non indica soltanto - né in primo luogo - una durata indefinita, ma una qualità nuova. La sua durata senza fine ne è conseguenza, trattandosi della vita che appartiene al mondo definitivo, alla creazione terminata. Per questo Gesù, come pane di vita, se da un lato si contrappone alla manna, dall'altro si contrappone anche alla 318

6, 41-59. Assimilare Geoù, vita e norma di vita

Legge che, come fonte di vita, era chiamata • pane • z, e la cui osser­ vanza, secondo la dottrina rabbinica, assicurava la vita per il mondo futuro ( 1 , 4 Lett.). Era il pane offerto dalla Sapienza (Prv 9, 5). La manna dava vita in questo mondo, la Legge la conferiva per il mondo futuro. Gesù, come pane, comunica all'uomo fin d'ora la vita propria del mondo definitivo. • l vostri padri mangiarono la manna nel deserto, ma morirono; questo � il pane che sce11de dal cielo affinché mangiandone non si muoia».

49-50

Gesù torna al tema della manna, per mostrare loro che quel pane, per quanto prodigioso lo considerassero, non comunicava vita autentica. t;: da notare in primo luogo che Gesù non si identifica con la tradizione giudaica: • i vostri padri • non sono i padri di Gesù; la salvezza che egli porta è destinata all'umanità intera (3, 16s; 4, 22). non a un unico popolo. Gesù si rende indipendente dalle proprie origini. Essi hanno menzionato suo padre e sua madre (6, 42); egli parla unicamente di mio • Padre». Ma avere Dio per Padre (=essere disceso dal cielo, 6, 4 1 .42) non è incompatibile con la sua origine umana, al contrario: l'universa­ lità del • Padre • fa della sua realtà umana un mezzo di comunione con l'umanità intera. • I nostri padri »: così la gente aveva chiamato gli israeliti che, nell'e­ sodo, attraversavano il deserto (6, 3 1 ) . Gesù ricorda loro che essi, malgrado avessero mangiato la manna, morirono. La loro morte non fu soltanto una morte fisica, ma "!a privazione della terra promessa, del riposo che speravano; era pertanto il fallimento definitivo (Nm 14, 2 1 -23; Gs 5, 6; Sal 95, 7ss) l . Con l'antica manna, la generazione uscita dalla schiavitù non fu in grado di giungere alla meta. Per loro, l'esodo fu la rovina; il popolo costituito sul Sinai non raggiunse il suo obiettivo. La comunità umana che Gesù fonda ha invece piena possibilità di riuscita. Per l'assimila­ zione di lui, i suoi membri godranno di una vita che non si può distruggere, quella che assicura i l successo dell'impresa. La sua terra promessa diverrà realtà per chiunque lo segua. Nei tre passi citati (Nm 1 4, 21-23; Gs 5, 6; Sal 95, 7ss), il motivo d i quella morte che l i privò per sempre della terra che produceva latte e miele (Gs 5, 6) fu il non aver ascoltato la voce di Dio. Qui è contenuto un avviso di Gesù ai suoi interlocutori. Sono loro adesso che non ascoltano il Padre e per questo non si avvicinano a lui. II Padre offre il nuovo pane, che è Gesù. Soltanto chi lo mangia raggiungerà la sua meta. Assimilare Gesù (mangiare) evita il fallimento dell'uomo (affinché

mangiandone non si muoia). Questo pane scende senza sosta dal cielo. L'immagine continua quella della manna (Es 16, 4: io farò piovere pane del cielo), alludendo all'incessante comunicazione di vita da parte dello Spirito (cfr. 6, 23), che fluisce attraverso Gesù (6, 35) ed è comunicato da lui. La continuità segnalata per il presente (scende dal cielo) corrisponde alla disponibili2 Cfr. S.- B. II. 482s. Trattato Sa,edr. IO. 3 dtàndo Nm 14,35: parte nel mondo futuro • .

l



La goenerazione del deserto non avrà

319

D Kiomo del Messia. Ciclo dell'uomo

tà permanente del dono, che l'uomo deve fare sllo in un determinato momento (aoristo: phage). S ia • Io sono il pane vivo disceso dal cielo; chi mangia questo pane vivrà per sempre •. Si noti la differenza con la frase precedente (6, SO). Il pane che scende continuamente, come dono sempre offerto, viene ora descritto come il pane disceso, indicando il momento iniziale della sua presen­ za nel mondo; apre così un periodo di tempo che terminerà con il dono di se stesso, come pane e come carne (6, S lb), nella sua morte. Con questa frase Gesù riassume tutto il suo pensiero precedente, prima di precisare in che modo egli sarà alimento. S l b • Ma inoltre il pane che io darò viva •·

è

la mia carne, perché il mondo

Passa dalla figura della manna a quella dell'agnello, senza uscire dalla simbologia dell'Esodo (Pasqua) (cfr. l , 29.36). Entrambi i termini appar­ tengono al campo semantico dell'alimento. Gesù raccoglie l'obiezione iniziale dei giudei. Il suo dono è • la sua carne •: vale a dire che lo Spirito non si dà al di fuori della sua realtà umana: • la sua carne • lo manifesta e lo comunica. Non vi è dono dello Spirito dove non c'è dono della • carne •. Attraverso di essa, il dono di Dio si rende concreto, storico, diventa realtà per l'uomo. Pertanto la carne • di Gesù non è solo il luogo in cui Dio si rende presente (1,14), ma si trasforma nel dono di Gesù al mondo, dono dell'amore del Padre (3, 16). È così una presenza che cerca un incontro, che è volontà di comunicazione da parte di Dio. Dio instaura questa comunione con l'uomo sul piano umano, in Gesù e per mezzo suo. L'obiezione dci giudei (6,42) rifletteva lo scandalo provocato dall'Uo­ mo-Dio. Mentre Dio pone ogni suo interesse nell'avvicinarsi all'uomo e stabilire comunione con lui, costui tende continuamente ad allontanarlo dal suo mondo, situandolo in una sfera chiusa e trascendente; Dio, al contrario, apre in Gesù questa sfera (l, 5 1 : vedrete il cielo ormai aperto) , per comunicarsi e vivere con l'uomo (14, 23) . La parola creatrice di Dio enuncia la sua volontà di dialogo con l'umanità. È parola efficace che si esprime nell'opera creata ( 1 , 3). e contiene per l'uomo un messaggio di vita (1, 4). Come volontà di comunione, si fa realtà umana ( 1 , 14) che manifesta e comunica Dio stesso, amore leale ( 1 , 14-17). L'uomo Gesù, la Parola divenuta carne. contiene come significato la gloria del Padre (lo Spirito-amore) . In lui Dio si esprime nella storia; è nell'uomo e nel tempo che si trova Dio. che lo si vede e lo si accetta o rifiuta. Dio non è nell'• aldilà •: si è reso presente in Gesù. Non esistono doni divini che non abbiano espressione nella • carne ''· Dio dà il suo Spirito, ma è la sua • carne • che lo esprime e contiene. I giudei, che pensano al Dio • dell'aldilà •. sono scandalizzati dalla carne. Non credono che Dio possa essere visto e toccato. Dio, tuttavia, vuole entrare nel campo dell'esperienza umana. Gesù dona la sua carne perché il mondo viva; l'espressione suppone che l'umanità sia carent e di vita. L'universalità dell'espressione è in paralle•

320

6, 4l-S9. Assimilare Gesù, vita e norma di vita

Io con l, 29: colui che toglierà il peccato del mondo; la vita si oppone anche con 3, 16: Dio manifestò il suo amore per il mondo in modo tale

da giungere a dare il suo Figlio unico, affinché tutti coloro che gli danno la loro adesione abbiano vita definitiva e nessuno perisca. Il dono della vita si offre a tutti, e si comunica nel dono della carne, la realtà umana di Gesù.

La legge della sua comunità: assimilare il dono della sua vita Quei giudei litigavano tra loro dicendo: mangiare la sua carne? •·

52



Come può costui darci da

Le parole di Gesù non provocano adesso una critica (cfr. 6, 41), ma una lite fra gli stessi giudei. Non comprendono il suo linguaggio; la men­ zione della sua carne li ha disorientanti, ma al tempo stesso ha tolto loro sicurezza. Finché Gesù si mantenne nella metafora del pane, credevano di comprendere; potevano ancora interpretare che egli si presentava come un maestro di sapienza inviato da Dio. Ma Gesù ha precisato che questo pane è la sua stessa realtà umana, non una dottrina. Essi non comprendono più che cosa possa significare • man­ giare la sua carne •. Cercano una spiegazione, ma non la trovano. Per i lettori di Gv, invece, il significato è chiaro. L'autore parla nella prospettiva della sua comunità, tenendo presente la celebrazione e il significato dell'eucaristia. Disse loro Gesù: c Davvero vi assicuro: se non mangiate la carne dell'Uomo e non bevete il suo sangue non avete in voi vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue lza vita definitiva, ed io lo risusciterò l'ultimo giorno »,

53-54

Gesù lancia la sua seconda dichiarazione, che spiega la prima. Aggiun­ gendo a « carne • l'elemento • sangue •. risponde alla domanda: come può costui darci da ma11giare la sua carne? La separazione di carne e sangue esprime la morte; Gesù darà la sua carne morendo. Quando l a sua carne e il suo sangue saranno separati dalla violenza dell'odio, si vedrà la vita che è in lui, lo Spirito, amore e gloria, che come acqua di vita sgorgherà dal suo corpo donato (cfr. 19, 34). t=. nella sua carne e nel suo sangue che si manifesta e si comunica. L'antica simbologia dell'agnello pasquale ( 1 , 29: l'Agnello di Dio) rimane integrata, ma cambiando molti aspetti. La carne dell'agnello fu alimen­ to per l'uscita dalla schiavitù, il suo sangue liberò dalla morte. Nel nuovo esodo, la figura viene realizzata e superata al tempo stesso: l a carne dell'Agnello è alimento, m a permanente; i l suo sangue non solo libera momentaneamente dalla morte, ma, come la sua carne, dà vita definitiva, che la supera. Gesù torna a utilizzare la sua autodesignazione: l'Uomo/quest'Uomo, perché è in quanto tale che egli può dare la sua carne e il suo sangue. Torna così a insistere sulla sua realtà umana, espressa in precedenza ·

321

n pomo del Meosla. Ciclo dell'uomo

con il tennine • carne • (6, 5 1 ) , in risposta alla protesta dei giudei (6, 4ls) . • L'Uomo •, tuttavia, è • la carne • piena dello Spirito ( l , 32) con cui è stato segnato (6, 27) . Questo, essendo la pienezza dell'amore leale (l, l4e Lett.), Io porta a donare la sua carne e il suo sangue, in cui si comunica questo stesso Spirito, che è forza vitale nell'uomo. La frase di Gesù: non avete in voi vita è decisiva: non c'è realizzazione per l'uomo se non attraverso l'assimilazione di Gesù, compiuta dallo Spirito che da lui si riceve. Accettare Gesù, aderire a lui, equivale a « mangiare •, e significa assimi­ lare la sua realtà umana, che viene data all'uomo nella sua vita e nella sua morte; è così che si possiede la vita definitiva che non conosce fine né dipende dalle vicissitudini umane (io lo risusciterò) . Dallo Spirito-vi­ ta che riceve, l'uomo è portato alla stessa donazione cui fu portato Gesù. II discepolo di Gesù, con lui e come lui, dà se stesso fino alla morte per il bene dell'uomo. Come Gesù stesso, non si trattiene neppu­ re davanti alla morte, perché la vita che possiede la supera (per • l'ultimo giorno », cfi:-. 6, 39 Lett.). 55



vera

Perché la mia carne è cibo vero, e il mio sangue è bevanda

•-

Il contesto eucaristico in cui Gv si muove sta per essere formulato con maggior chiarezza. L'eucarestia apparirà sotto un duplice aspetto: come nuova manna, alimento che dà forza e vita, veicolo dello Spirito (6, 55), e come nuova legge, che è realtà, non per mezzo di un codice esterno, ma per l'identificazione con Gesù ( 6, 56) che porta a una dedizione si­ mile alla sua (6, 57). In altre parole: da parte di Gesù, l'eucarestia, memoriale della sua vita e morte, è dono che comunica il suo amore e la sua vita (lo Spirito) ; da parte del discepolo è l'accettazione del dono; da questo nasce un'espe­ rienza di vita-amore che si trasforma in nonna della sua condotta; accettandolo, rinnova il suo impegno con Gesù e, in lui, con l'uomo. Gesù, alimento della sua comunità, produce in essa l'amore, la dedizi� ne e la gioia festosa (agnello pasquale). Il dono ricevuto porta al dono di sé: è l'amore che risponde al suo amore ( 1 , 1 6). 56 • Chi mangia la came mia e beve il sangue mio rimane con me, e io con lui •-

L'adesione a Gesù non si ferma all'esterno. Egli non è un modello esteriore da imitare, ma una realtà interiorizzata. Questa comunione intima cambia la realtà interiore del discepolo. Produce la sintonia con Gesù, e fa vivere identificati con lui. Appare per la prima volta l'espressione • rimanere con me/in me », che costituirà uno dei motivi principali dell'immagine della vite come nuova comunità umana (15, 4.5.7). Restare nella vite equivale a restare nell'a­ more (15, 9: rimanete in questo mio amore). Quest'unione attiva del discepolo con Gesù si esprime ora con la metafora del mangiare e bere. Questo mostra che l'adesione a Gesù è sempre un'adesione di amore, che stabilisce una comunione di vita.

322

6, 41-59. Assimilare Gesù, vita

e

norma di vita

57 " Come il Padre, che vive, inVI �tne, e quindi io vivo per il Padre, cosl anche chi mangia me vivrà per me ».

La vita che Gesù possiede procede dal Padre (1, 32: lo Spirito che scendeva come colomba dal cielo e rimase su di lui), ed egli vive per il Padre, vale a dire in totale dedizione al disegno di Dio (4, 34), che è dare vita al mondo (6, 39-40 .5 1). Disponendo egli stesso della vita ( 1 , 33: è lui che battezzerà con Spirito Santo; cfr. 5, 26: ha concesso anche al Fi­ glio di disporre della vita), la comunica ai suoi; l'atteggiamento di questi ultimi deve essere la dedizione allo stesso disegno. Lo stesso vincolo di vita che esiste fra Gesù e il Padre (vita ricevuta-vita dedicata) esiste fra i discepoli e Gesù. 58 «Questo � il pane disceso dal cielo, non come quello che mangia­ rono i vostri padri, che morirono; chi mangia questo pane vivrà per sempre».

Si chiude il tema della manna, cominciato nella pericope precedente (6, 3 1 ) e ripreso nella prima parte di questa sezione (6, 4 1 .49.5 1 ) . Esistono due palÙ del cielo: uno, falso, la manna, e l'altro vero, la sua persona. Il primo non poté completare l'esodo, non condusse quelli che lo mangiarono fino alla terra promessa (cfr. 6,49) ; l'esodo di Gesù, invece, giunge al suo fine: chi mangia questo pane vivrà per sempre. Questo pane, nuova manna, è disceso dal cielo (cfr. 6, 57: come il Pad re ... inviò me). Gesù si riferisce ora a se stesso come datore dello Spirito (cfr. 6, 33.34), a disposizione dell'uomo. In questa pericope si parla della nuova comunità umana, che deve giungere alla terra promessa, a differenza di quella che si costitul nel Sinai e che morì nel deserto. Tuttavia, ogni volta che fa allusione alla sua sequela (mangiare/bere). Gesù si riferisce all'individuo, non alla comunità. Per lui, la comunità non è «gente» né «folla» (6, 5), ma uomini, adulti (6, IO), in cui ciascuno fa la sua opzione personale e libera e ha la propria responsabilità nella sequela e nell'assimilazione. Gesù ha esposto la condizione per creare la società che Dio vuole per l'uomo, l 'unica che gli permetterà una vita pienamente umana, e per compiere il progetto di Dio sulla creazione: l'amore di tutti e d i ciascuno per tutti, senza negare nulla. Egli dà all'uomo l a possibilità di tale amore e di tale vita. Alla fine della scena non si registra alcuna reazione da parte dei giudei che avevano criticato Gesù (6, 4 1 ) . All'evangelista interessa soltanto sottolineare la loro incomprensione. Tutto l'episodio è diretto, in realtà, alla cerchia dei credenti, per porre in chiaro il significato dell'adesione al Messia, spiegare il programma di Gesù e quello della comunità e interpretare l'eucarestia.

Occasione e luogo 59

Questo lo disse insegnando in una riunione, a Cafamao.

Il dato locale, relegato alla fine dell'episodio, appare come secondario (cfr. l, 28) . Chiude le due scene, formando un legame con la prima 323

D giorno del MeulL Ciclo dell'uomo

menzione di Cafamao (6, 24). Il dialogo con la gente (6, 22-40) e la polemica con i giudei fedeli al regime (6, 41·59) sono intimamente collegati, formano due pale di uno stesso dittico.

S INTESI In questa pericope Gesù dà l'ul tima spiegazione della spartizione dei pani. II punto centrale si trova nella sua affermazione, ripetuta in diverse maniere, del dono di se stesso. Gesù non è venuto a dare • cose », ma a dare se stesso all'umanità. Per questo il pane che dava conteneva la sua propria donazione, era il segno che l'esprimeva. Questo è pure quello che egli chiede al discepolo: deve considerare se stesso come • pane • che va distribuito, e deve distribuire il suo pane come se distribuisse se stesso. Deve riunciare a possedersi. Solo chi non abbia paura di perdersi troverà la sua vita. Questa si riceve soltanto nella misura in cui si dà, si possiede nella misura in cui si dona. Fare che la propria vita sia • alimento disponibile • per gli altri, come quella di Gesù, ripetendo il suo gesto con la forza del suo Spirito, che è quella del suo amore, è la legge della nuova comunità umana. Si esprime nell'eucarestia, che rinnova il gesto di Gesù. In essa si sperimenta il suo amore nell'amore dei fratelli e si manifesta l'im­ pegno di donarsi agli altri come egli si donò. La nuova società non sarà creata da un intervento miracoloso di Dio. L'amore di Dio si è manifestato in Gesù-Uomo e deve continuare a manifestarsi per mezzo degli uomini, con il loro sforzo e la loro dedizione.

324

Gv 6, 60-71: Crisi nella emnunltà dei discepoli e StM soluzione 60

Molti suoi discepoli udendolo dissero: - Questo m es sagg i o è troppo gravoso; chi può dargli retta? 61 Gesù, cosciente che i suoi discepoli lo criticavano per questo, disse loro: - Questo vi scandalizza? 61 E se vedeste l'Uomo salire dove stava in p rincipio ? u t! lo Spirito che dà la vita, la carne non serve a nulla; le esigenze che vi ho esposto finora sono spirito e sono vita. 6' Ma tra di voi vi sono alcuni che non credono (Gesù infatti sapeva già fin dal principio chi erano quelli che non credevano e chi era quello che lo avrebbe consegnato). •• E aggiunse: - Per questo vi ho lasciato detto che nessuno può giungere fino a me se non glielo concede il Padre. 66 Da allora, molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andava­ no più con lui. 67 Gesù domandò allora ai Dodici: - Forse volete andarvene anche voi? 61 Gli rispose Simon Pietro: - Signore, con chi ce ne andremo? Le tue esigenze comunicano vita definitiva, 69 e noi crediamo fermamente e sappiamo benissimo che tu sei il Consacrato da Dio. R ispose loro Gesù:

1o

- Non sono stato io a scegliere voi, i Dodici? Tuttavia tra di voi uno che è nemico.

c'è

7' Si riferiva a Giuda di Simone Iscariota, che infatti, pur essendo uno

dei Dodici, lo stava per tradire. 1





'

,_

NOTE FILOLOGICHE 6, 60 Questo messaggio, gr. ho /ogos houtos. Riferendosi al le esigenze (6, 63: rèmata) esposte da Gesù nel d iscorso . - troppo gravoso, gr. sk/ èros. Duro, difficile, più di quanto si . possa am me t tere, sopportare. - dargli retta, gr. akouein. Ascoltare e . accettare, prestare orecchio, cfr. 9, 27; M t 18, 15; At 28, 28. ·

·

61 cosciente, gr. eid6s .. . en heaut6. L'aggiunta indica soltanto che la in­ formazione non è stata ricevuta da altri. - lo criticavano, gr. gogguzousin. Pres. in tenue consecuzione temporale con l'aor. eipen. Questa può essere voluta, alludendo a fatti contemporanei al­ l'autore (pres.) cui Gesù rispose una volta per tutte (aor.). 62 E se vedeste . .. ?, gr. ean oun the6rète. In senso molto ampio: vedere , ricon osce re (cfr. 6, 40 nota ), comprendere. Oun i nt rod uce la risposta e la spiegazione.

325

Il glomo del Mesola. Ciclo dell'uomo

- salire, gr. anabainonta. Si oppone a 1ultabain6n (6, 33.50), katabas (6, 4151.58), katabebeka (6, 38.42). la carne, gr. he sarx. Si riferisce a quella menzionata in precedenza (6. 51s s). ma qui contrapposta a t o pneuma, secondo l'erronea interpreta­

63

zione di quelli che si scandalizzano.

- non serve a nulla, gr. ouk 6phelei ouden. (Cfr. 12, 1 9) . - esigenze. gr. rèmata. Cfr. 3, 34 nota. - ho esposto finora, gr. lelaleka. Pf. retrospettivo estensivo; cfr. El Aspecto Verbal, n. 246. 64

(... infatti .. ), gr. gar. Marca un'inciso esplicativo. .

65 aggiunse, gr. elegen. Impf. continuativo (kai). - vi ho lasciato detto, gr. eirèka humin. Allude a 6, 37.44; per!. oracolare che

esprime un detto di Gesù che rimane nella comunità, con possibile allu­ sione a messaggi profetici relativi allo stesso tema, all'interno della comunità.

Da allora, gr. ek toutou. Soltanto in Gv (cfr. 1 9, 12; l Gv 4, 6); sinon. di apo tote (M t 4, 17; 1 6 2 1 ; 26, 16; Le 16, 16), mai in Gv. - si tirarono indietro, gr. apèltlwn eis ta opis6 (cfr. 18, 6).

66

,

domandò, gr. eipen. Specificato dal contesto. Forse ... ?, gr. mè. Attende risposta negativa (forse).

67 -

68 con chi ...?, gr. pros tina. Indica il movimento e la permanenza. - Le tue esigenze comunicano vita, gr. rèmata z6ès ... eklzeis. Remata ha un sema di comunicazione; la relazione indicata dal genitivo include la vita (zoes) nel contenuto della comunicazione. Comunicano denota al tempo stesso che la vita è in Gesù (hai) e che passa a colui che compie le sue esigenze (cfr. 6, 63; 3, 34). 69 crediamo fermamente, gr. pepisteukamen. Pf. intensivo (cfr. Il, 27; 16, 27). - sappiamo benissimo, gr. egn6kamen. Pf. intensivo (cfr. 5, 42; 8, 52); cfr. El Aspecto Verbal, n. 152. - il Consacrato da Dio, gr. ho hagios tou Theou. Hagios agg. risultato di un atto (cfr. I O . 36: han ho Patèr hegiasen), equiv. al pan. pf. hègiasmenos (cfr. l Cor l , 2: hègiasrnenois, lzagiois), praticamente sinonimo di Khristos, Unto, cfr., in un contesto parallelo, M t 16, 16; Mc 14, 6 1 ; e specialmente Le 9, 2 0 : ton Khriston tou Theou, l'Unto da Dio.

70 Tuttavia, gr. kai. Avversa!. - nemico, gr. diabolos. Cfr. 13, 2 Lett. (Cfr. LXX Sal 108, 6; l Mac l, 36; di uomini). 71 Si riferiva, gr. elegen. Con ace. - Giuda di Simone lscariota. Questa denominazione appare tre volte (6, 7 1 ; 1 3 , 2.26). sempre i n prossimità d i una menzione d i Simon Pietro (6, 68 ; 1 3, 6.24). Giuda Iscariota i n 12, 4 (14, 22); Giuda in 13, 29; 18, 2.3.5.

326

6, 60-71. Crlal nella comunllk del dbcepoll

CONTENUTO E DIVISIONE Le esigenze presentate da Gesù nella precedente pericopc, provocano forte resistenza tra i discepoli, che le considerano eccessive. Hanno interpre­ tato male la morte che Gesù annunciava, considerandola una debolezza e un fallimento, e di conseguenza ricusano di seguirlo nell 'amore fino alla morte. Conservano la concezione del Messia re, manifestata in occasione della spartizione dei pani (6, 15) e che aveva provocato la prima crisi, parallela a questa (6, 16ss). Gesù spiega loro che la sua morte è condizione della vita e che la sua realtà umana contiene la forza dello Spirito. Mal· grado la sua spiegazione, la maggior parte lo abbandona. I Dodici, invece, davanti alla domanda di Gesù, lo riconoscono come Messia e gli danno la loro adesione, accettando le sue richieste, anche se all'interno del gruppo si nasconde un nemico, disposto a consegnare Gesù. Dal punto di vista della comunità cristiana, la carne e lo Spirito ricordano l'eucarestia di cui si è prima parlato (6. 53-58)_ Si può essere discepoli di Gesù esterior­ mente, accettando la sua carne (eucarestia) senza lo Spirito, vale a dire, senza assimilare Gesù. La pericope si divide in due parti: - la prima descrive la protesta di un numeroso gruppo di discepoli contro le esigenze avanzate da Gesù e la risposta di quest'ultimo. Termina con l'allontanamento di molti di loro (6, �). Nella seconda parte Gesù pone la questione ai Dodici, che lo riconoscono come Messia (il Consacrato da Dio). per bocca di Simon Pietro. Il gruppo, tuttavia, non è compatto, e Gesù lo sa (6, 67-71) . La pre­ senza di Gesù e i discepoli al principio e alla fine del capitolo (6, 3-21 .6(}.7 1). la duplice menzione di Simon Pietro (6, 8.68), e la cifra dodici (6, 13.67.70.7 1 ) dimostrano l'unità dell'intero episodio.

Si può dividere così:

6, 6(}.66 : Crisi e defezione. 6, 67-71 : L'adesione dei Dodici.

LffiURA Crisi e defezione 6,60 Molti suoi discepoli udendolo dissero: • Questo messaggio è trop­ po gravoso; chi può dargli retta ? "· Si è chiusa la scena di Cafarnao e i discepoli appaiono di nuovo con Gesù, collegando così la pericope con la scena della barca e l'arrivo a terra (6, 21). Nella prima parte si è già avuto u n malinteso: i discepoli, dava n ti al rifiuto di Gesù di essere proclamato re (6, 15). hanno diserta­ to in blocco (6, 16-2 1 ) . G esù , invece, non Ii ha abbandonati; è andato loro incontro mentre si allontanavano da l ui (6, 19-20). Il gruppo venne ricostituito (6, 2 1 ) . I l discorso di Cafarnao, nelle sue due parti (6, 22-40.41-59), ha trattato appunto delle condizioni per appartenere alla com un i tà messianica: l'adesione a Gesù e la sua assimilazione attraverso la dedizione agli altri.

327

Il Jlomo del Messia. Ciclo dell'uomo

Il Messia e i suoi formano quindi una comunità dedita senza riserve al bene dell'uomo. Gesù non propone, pertanto, un messianismo trionfali­ stico né nazionalista, come se Io attendevano i suoi contemporanei. II Messia non sarà un dominatore né limiterà il suo orizzonte a Israele. I discepoli, che avevano interpretato male la scena del tempio (2, 17) e che il giorno precedente avevano preteso di farlo re, hanno compreso il significato delle parole di Gesù. Questi non cerca gloria umana (5, 4 1 ) n é l a promette a i suoi. Seguirlo significa rinunciare a ogni ambizione. Molti discepoli considerano troppo esigente questo messaggio di Gesù (cfr. M t 16, 22; Mc 8, 32). Tutto questo riflette, senza dubbio, problemi esistenti nella comunità cristiana; non tutti vogliono accettare il pro­ gramma di donazione totale di sé espresso nella donazione dei beni, che la generosità moltiplica. AI principio del capitolo si notava chiaramente che i discepoli non comprendevano l'atteggiamento di Gesù, che si era messo a servire la gente con un gesto che doveva essere normativa per i suoi (6, l i Lett.). Pretendevano, invece, di conferirgli un potere che dispensasse dallo sforzo; volevano un pane « istituzionale • (re) . Quando Gesù espone il suo programma in modo radicale e inequivocabile, nasce la ribellione di molti discepoli, che rifiutano di seguire questa linea. 61-62 Gesù, cosciente che i suoi discepoli lo criticavano per questo, disse loro: • Questo vi scandalizza? E se vedeste l'Uomo salire dove stava in principio? •. Gesù si rende perfettamente conto di quanto accade e affronta la situazione. Il suo insegnamento ha creato un'ostacolo perché essi consi­ derano la morte come una fine e un fallimento. Non si sono resi conto della qualità di vita che Gesù possiede e promette. Attendono tutto da un trionfo terreno. Gesù, invece, vuoi far loro comprendere che la morte non significa una fine, che non interrompe la vita. La discesa nella morte include il risalire alla vita; egli sta per donare la vita, ma per riprenderla nuovamente (cfr. IO, 17ss) ; questo è il suo ritorno là dove era al principio. La morte è la sua gloria, perché è l'espressione massima dell'amore. Così come « scendere • indicava il movimento di colui che ha una vita proveniente da Dio, per entrare in un mondo · il cui distintivo ed espressione massima è la morte, « salire • è il suo movimento dalla morte, causata da tale mondo, fino alla vita definitiva. Essi si scanda­ lizzano della sua « discesa • e considerano troppo duro doverlo assimi­ lare, perché non ne comprendono il frutto né l'orizzonte. 63 • 1:. lo Spirito che dà la vita, la carne non serve a nulla; le esigenze che vi ho esposto finora sono spirito e sono vita •. Gesù contrappone la sua idea messianica a quella dei discepoli, che non accettano le sue esigenze. Lo Spirito è la forza dell'amore, che procede dal Padre (15, 26) ed è Dio stesso (4, 24). Egli è vita e la comunica. La « carne » sola, senza forza né amore, l'uomo incompiuto (3, 6 Lett.), è debole, e quanto intraprende non giunge a termine e non è durevole. II fondamento della nuova comunità umana è la donazione di sé agli altri 328

6, 60-71. Crisi nella comunlt•

del

discepoli

e la pienezza dell'uomo (carne + spirito), non il potere che i discepoli pretendevano di conferirgli (6, 15) . In concreto, il programma che Gesù propone e l a legge che fonda la nuova comunità sono l'identificazione con la sua morte. Non si tratta della morte per se stessa, né della non violenza come debolezza (carne), ma, al contrario, della morte come espressione di amore, unica forza agente di vita (Spirito). Sono coloro che • credono • a modo proprio, come quelli di Gerusalemme (2, 23), a voler imporre a Gesù la loro idea di Messia e, quando lui espone la sua, sono incapaci di accettarla. Il dono di sé fino alla morte non può entrare nei loro piani. Comprendo­ no i segni del potere (4, 48 Lett.), non quelli dell'amore (cfr. 13, 6ss). Gesù, invece, rifiuta assolutamente una simile concezione; la salvezza che egli porta si basa sulla vita nuova che egli comunica con lo Spirito. Da quest'uomo nuovo « sgorgherà • la società nuova, che sarà espres­ sione di vita, non ristagno di morte. La nuova società o comunità messianica non si costituisce senza la collaborazione dell'uomo. Sono quelli che scelgono Gesù e adottano il suo atteggiamento di dedizione a costruire il mondo nuovo. Il Messia potente, al contrario, che organizza e impone l'ordine, dispensa l'indivi­ duo dall'amare, Io scarica della responsabilità che è sua. È nell'eucarestia che si riceve Io Spirito e si esprime la dedizione della comunità e dei suoi membri, che si identificano con Gesù. La • carne » senza Spirito indica anche, pertanto, un'appartenenza alla comunità e una partecipazione all'eucarestia puramente esteriore, che non includo­ no l'impegno dell'amore per l'uomo. Quando Gesù ricorda il suo mes­ saggio si produce la crisi, come in questa occasione. 64 • Ma tra di voi vi sono alcuni che non credono •. (Gesù infatti sapeva già fin dal principio chi erano quelli che non credevano e chi era quello che lo avrebbe consegnato).

Gesù non si fa illusioni circa il suo gruppo; non tutti accettano la sua linea per il semplice fatto di stare con lui. Vi sono resistenze, e sequela puramente esteriori. Al sopraggiungere di questa crisi, si rivelerà chi siano i veri seguaci. Egli sapeva anche che uno di loro lo avrebbe consegnato. Vedeva già in Giuda l'uomo che, professando i valori del mondo •, non assimilava il suo messaggio. Gesù sa fin dal principio, vale a dire fa già i conti con il tradimento, perché fa i conti con la libertà dell'individuo. La sua elezione non la elimina né pretende di evitare i rischi. È un'offerta la cui. accettazione dipende da ciascuno, come il boccone offerto a Giuda nella Cena attendeva la sua opzione senza forzare una risposta (13, 26ss Lett.; per il significato della elezione, cfr. 15, 16 Lett.). «

65 E aggiunse: « Per questo vi ho lasciato detto che nessuno può giungere fino a me se non glielo concede il Padre •. Gesù annuncia questo principio in quattro modi differenti: tutto ciò che il Padre mi consegna giunge fino a me (6, 37); nessuno può giungere fino a me se il Padre ... non lo attrae (6, 44) ; chiunque ascolta il Padre e impara si avvicina a me (6, 45) ; nessuno può giungere fino a me se non glielo concede il Padre (6, 65). 329

Il &�orno del

Messia. Ciclo dell'uomo

Si può avere ora una visione d'insieme di questi quattro detti di Gesù. In essi ha grande rilievo l'attività del Padre, descritta come consegnare (6, 37), attrarre (6, 44), parlare/insegnare (impliciti in 6, 45), concedere (6, 65). Queste azioni, (attrarre, che si concluderà in consegnare), hanno come termine Gesù (attrarre a lui, consegnargli) e come oggetto l'uomo (che è attratto, consegnato). Le altre due azioni hanno come termine l'uomo (cui si parla/insegna o concede). La successione logica è la seguente: la prima si dirige all'uomo: parlare/insegnare. Si descrive così l'offerta universale che fa il Padre (6, 45 : saranno tutti discepoli di Dio), invitando alla pienezza di vita, obiettivo del progetto creatore, che si trova in Gesù. A questo invito, l'uomo deve rispondere (6, 45: ascolta­ re/imparare) facendo uso della sua libertà. Questa attività del Padre si rivolge, pertanto, all'uomo, e ha Gesù come oggetto. Alla risposta positiva dell'uomo fa seguito l'attività del Padre, descritta come attrar­ re, che indica in termini di attrazione l'impulso interiore verso Gesù che egli suscita nell'uomo. Il termine di questo movimento è l'incontro con Gesù (6, 65: giungere fino a me), che è concesso dal Padre a colui che si è lasciato attrarre. L'incontro con Gesù in questa docilità al Padre si identifica con la ricezione dello Spirito, che realizza la conse· gna dell'uomo a Gesù da parte del Padre. Chi si chiude allo Spirito, rimanendo nella sfera della • carne », rifiuta il dono del Padre e non giunge mai fino a Gesù. 1! il caso dei discepoli che disertano. Hanno accettato Gesù nella sfera della • carne », secondo la concezione trionfalistica del Messia-re, e rifiutano lo Spirito, vale a dire. il dinamismo dell'amore leale che porta Gesù a dare la sua vita per comunicarla all'uomo. I discepoli, che nella loro visione si erano fermati all'orizzonte della • carne », vale a dire all'uomo senza Spirito, non accettavano la propo­ sta di Gesù considerandola troppo gravosa (6, 60), eccessiva per le forze umane. Gesù li aveva invitati a superare tale visione, avvertendoli che solo lo Spirito dà la vita (6, 63); ora lo conferma: nessuno può giungere fino a lui se non mediante lo Spirito. Questo detto di Gesù esprime l'impossibilità di seguirlo prima della sua morte, perché soltanto allora lo Spirito sarà comunicato (7, 39). Un passo parallelo si trova in 13, 33ss, in un contesto dove appaiono ugualmente le figure di Giuda e Simon Pietro (13, 21-32.36-38). Per i paralleli fra i capp. 6 e 13 cfr. p. 584 ss. 66

Da

allora,

molti dei suoi discepoli si

tirarono

indietro. e non

andavano più con lui.

Si origina una forte crisi nel gruppo. Molti si ritirano definitivamente. Il programma esposto, che esige da un lato di rinunciare a ogni ambizione personale, e dall'altro di assumere la responsabilità propria dell'uomo libero, provoca in molti di loro un chiaro rifiuto.

330

6, 60-71. Crisi nella comunllà del dlacepoll

L'adesione dei Dodici 67 Gesù domandò allora ai Dodici: voi? ».

«

Forse volete andarvene anche

I n questa situazione dolorosa, Gesù s i rivolge ai Dodici, e domanda quale sia la loro scelta; non accetta compromessi. Il tenore della domanda mostra che è disposto a restare senza discepoli piuttosto che a rinunciare alla sua linea. Per lui non esiste salvezza per l'umanità al di fuori del programma che ha esposto, quello della dedizione per amore. Tutti gli altri, per brillanti che appaiano, lasciano l'uomo nella sua mediocrità e, con ciò stesso, si concludono nel fallimento. Appare per la seconda volta in Gv la cifra • 12 » che sarà ripetuta nei vv . seguenti (6, 70.71; cfr. 20, 24). La prima volta, in questo stesso capitolo (6, 13). precisava il numero delle ceste di pane e pesce avanzato che erano state raccolte. In entrambi i casi l'allusione a Israele è chiara (6, 13 Lett.; per il significato in questi vv., cfr. 6, 70 Lett.). 68

Gli rispose Simon Pietro: • Signore, con chi ce ne ar1dremo? Le tue esigenze comunicano vita definitiva •.

L'impegnativa domanda di Gesù suscita una reazione nel gruppo dei Dodici. In rappresentanza di tutti (uso del plurale) , risponde Simon Pietro. I Dodici comprendono che al di fuori di Gesù non c'è speranza. Senza di lui si avviano al fallimento. Le esigenze di Gesù non costituiscono un semplice messaggio orale : sono inseparabili dalla sua persona, che esprime in esse i l suo atteggia­ mento. Non sono una dottrina che, separata da lui, produca vita; non possono costituire un sistema teorico; dipendono dalla realtà di Gesù. È lui il progetto di Dio realizzato (1, 14a Lett.) e, proponendo le sue esigenze, egli sta spiegando se stesso; esse rimandano alla vita che egli possiede, la vita definitiva, che i suoi possono avere assimilandolo (6, 54). Per bocca di Pietro si formula l'esperienza della comunità di Gv (plurale) . Di qui l'uso del termine • esigenza/mandato • (cfr. 3, 34, in opposizione ai comandamen ti di Mosè) . Le • esigenze • sono qualcosa che la comunità pratica e che le fornisce la sua identità, come i Comandamenti promulgati da Mosè la fornivano all'antico Israele. Si riducono al comandamento di Gesù: come io vi ho amati, così amatevi anche voi, il suo distintivo di fronte al mondo (13, 34s). Si esprimono nell'eucarestia; in essa, il dono materiale del pane e del vino con-tiene il dono personale di Gesù ai suoi, e diviene norma per la vita dei discepoli, come dono di sé all'umanità. 69a

• e noi crediamo fermamente e sappiamo benissimo •·

Pietro continua parlando come portavoce del gruppo. Tutta la scena è Ietta nella prospettiva della comunità; non è una cronaca, ma una storia interpretata attraverso un'esperienza. II contenuto di questa, che è riconoscimento e adesione, viene sdoppiato nella coppia di verbi: crediamo fermamente e sappiamo. Di fatto, l'adesione fa seguito al 331

Il pomo del Messia. Ciclo dell'uomo

riconoscimento e lo manlfesta; qui però si inverte l'ordine per dar enfasi alla fede, tema del capitolo. Questa si esprime indistintamente con " avvicinarsi a Gesù » (6, 37.45), • giungere fino a lui • (6, 37.44) o c dargli adesione • (6, 29.35.40.47). È inclusa anche nell'immagine di c mangiare e bere • (6, 50-51 .53-58). 69b



che tu sei il Consacrato da Dio

•·

La consacrazione si identifica con la pienezza dello Spirito ( l , 32) con cui il Padre ha segnato Gesù (6, 27; cfr. IO, 36). L'espressione (cfr. nota) è titolo messianico che risponde alla rivelazione messianica dei pani (6, 13 Lett.). Poiché l'unzione di Gesù come Messia è lo stesso Spirito di Dio, Gesù è il Figlio di Dio, come Giovanni aveva dichiarato rendendo testimonianza della sua visione ( l , 34). la presenza di Dio nel mondo. Entrambi i titoli (Messia e Figlio di Dio), che si applicavano al re di Israele (Sal 2, 2.7), si verificano in Gesù in modo unico. Cosi affermerà Gesù di se stesso dinanzi alla commissione che lo interroga sul suo carattere messianico (IO, 24.36). Il titolo « il Consacrato da Dio • riuni­ sce ora tutto ciò che Gesù è, ed esclude il Messia politico che i discepoli si immaginavano (2, 17; 6, 15). Gesù, il Consacrato con Io Spirito, vive per il Padre (6, 57) e realizza liberamente il suo disegno (4, 34; 5, 30; 6, 38; 13, 3; 17, 18s) ; la nuova comunità, c il suo regno •, sarà costituita a sua volta da coloro che liberamente accetteranno il suo messaggio (18, 37b). Non sarà un re fatto da loro (6, 15), a immagine della « carne •, ma da Dio, con il sigillo dello Spirito (6, 27).

70 Rispose loro Gesù: • Non sono stato io a scegliere voi, i Dodici? Tuttavia tra di voi c'� uno che è nemico •· La risposta di Gesù alla dichiarazione di Simon Pietro, fatta a nome di tutti e inappuntabile sul piano della formulazione, non è entusiasta; al contrario, marca la sua riserva. Davanti a tale professione di fede, Gesù ricorda con ironia il tradimento di uno di loro. Per Gesù, le parole non danno la misura della fedeltà effettiva. Pietro, al momento di seguirlo, sarà incapace di farlo (13, 36ss). Lo farà soltanto quando accetterà la morte di Gesù, perché allora sarà disposto ad accettare la sua propria morte per le pecore (2 1 , 19); questa non sarà più soltanto una frase, ma un fatto che darà significato alla sua vita. Per essere vero discepolo non basta l'adesione di principio, è necessario attenersi in pratica al messaggio di Gesù (8, 31). Il gruppo dei Dodici non è compatto. La frase di Gesù riveste un carattere di avvertenza alla comunità cristiana: possono esserci membri che non solo non accettano il messaggio, ma che sono alleati, manifesti od occulti, del « mondo • nemico di Gesù (7, 7) . Fa notare che il fatto di essere stati scelti da lui non garantisce la permanenza nella fedeltà. La sua elezione non forza assolutamente la libertà del gruppo, come ha mostrato con la sua domanda: forse volete andarvene anche voi? (6, 67). Ma perfino l'adesione del gruppo (6, 69: no1) non garantisce l'adesione personale di ogni membro. Ciascuno è responsabile di se stesso. Non compare in questo vangelo l'elezione dei Dodici cui Gesù si

332

6, 60-71. CrW aella comunità del dlseepoU

rife ris ce. Né si dà mai la listà di coloro che lo compongono. Menzionati con i loro nomi, appaiono in questo vangelo sette discepoli: Andrea e Simon Pietro ( 1 , 40), Filippo ( 1 , 43), Natanaele ( 1 , 45), Tomrnaso ( 1 1 , 16) Giuda Iscariota (6, 7 1 ) e l'altro Giuda ( 1 4, 22); inoltre, senza nome proprio i figli di Zebedeo (2 1 , 2). Giuseppe D'Arimatea fu discepolo clandestino ( 19, 38). Solo Giuda Iscariota (6, 71) e Tommaso (20, 24) sono esplicitamente inclusi nel gruppo dei Dodici. Bisogna aggiungere, naturalmente, Simon Pietro, che se ne rende portavoce (6, 68). Queste imprecisioni, e l'assenza di una lista, fanno di questo numero in Gv un simbolo della comunità cristiana nel suo insieme, il numero della nuova comunità in opposizione a quello dell'antico popolo, I sraele, cui si faceva allusione con la menzione dei dodici cesti di avanzi nella distribuzione dei pani (6, 13). Mostra il vincolo della sua comunità all'antico Israele, in quanto erede delle promesse (4, 37-38 Lett.) . 71

dei

Si riferiva a Giuda di Simone Iscariota, che infatti, pur essendo uno lo stava per tradire.

Dodici,

t! sorprendente l'identi ficazione di Giuda, personaggio che appare per la prima volta (cfr. 12, 4; 13, 2.26.29; 18, 2.3.5). Soltanto in Gv lo si chiama di Simone Iscariota, e questo patronimico appare tutte e tre le volte in contesti dove si trova vicino a Simon Pietro (cfr. nota). I I nome di Simone che, anche se in modo diverso, li designa entrambi, potrebbe insinuare un certo parallelo fra il discepolo che tradisce Gesù e quello che lo rinnega per tre volte ( 1 3 , 38; 18, 15-18.25-27) . Questa predizione su Giuda prepara le scene di 12, �. dove lo si qualifica ladro; 1 3 , 21-30, dove si accinge a consegnare Gesù, e 18, 1-5, dove si porrà alla testa di quelli che lo consegnano. Gesù lo qualifica nemico, avversario (cfr. nota); tale è il significato del greco diabolos (8, 44a Lett.). Come si rivelerà in 12, 4ss è nemico perché trattiene per sé il denaro di tutti, esattamente al contrario di quanto Gesù ha insegnato nella spartizione dei pani. Giuda non accetta il dono di se stesso agli altri; al contrario, toglie agli altri e trattiene per sé ( 1 3 , 2 Lett.). Con questa nota pessimista tennina l'episodio dei pani. La crisi si è prodotta e si è risolta, ma la mancanza di unanimità continua nel gruppo di Gesù. Il suo insegnamento dell'amore fino al dono totale ha provocato la diserzione di molti, e anche fra coloro che rimangono c'è chi sta per tradirlo.

SI NTESI Il punto centrale di questa pericope si trova nell'opposizione tra c car­ ne » e « Spirito •, vale a dire fra due concezioni dell'uomo e, di conse­ guenza, di Gesù e della sua missione. La condizione indispensabile per essere vero discepolo e potersi identificare con Gesù è la visione dell'uomo come « spirito • vale a dire, come realizzato dall'azione crea333

Il porno del Messia. Ciclo dell'uomo

trice del Padre, non meramente come • carne •, l'uomo senza capacità di amore disinteressato fino alla fine. A queste due concezioni dell'uomo corrispondono due diverse concezio­ ni di Gesù. Il Messia secondo la « carne » è il re che essi hanno voluto insediare, il dominatore che impone il suo governo a un regno di sudditi. I l Messia secondo lo Spirito è quello che si rende servitore dell'uomo fino a dare la sua vita per lui, per comunicargli vita piena, vale a dire libertà e capacità di amare come lui. L'accettazione di un tale Messia implica l'assimilazione della sua persona e messaggio, che porta, attraverso lo Spirito, allo stesso atteggiamento vitale. Comporta una rinuncia, come la sua, a ogni ambizione di dominio o di potere e un rifiuto della gloria umana.

334

TERZA

SEZIONE

LA FESTA DELLE CAPANNE (7, 1 -52 - 8, 1 1 -59)

Nel dominio della 1f10rte, Gesù chiama alla vita terza sezione del secondo ciclo si sviluppa durante la festa delle Capanne, la più popolare dell'anno, che aveva un marcato carattere messianico. t;: composta da una introduzione e da due sequenze; la seconda termina con una annotazione conclusiva '· Nell'introduzione (7, 1-10), Gesù si reca clandestinamente dalla Galilea a Gerusalemme, dove non è diminuita l'ostilità contro di lui. La prima sequenza (7, 1 1 -8, 20) comprende l'insegnamento di Gesù al popolo. A metà della festa, sale al tempio ad insegnare, incarnando la Sapienza, che invita tutti ad accorrere a lei, per evitare la rovina che li minaccia. Fa due dichiarazioni messianiche, ispirate ai riti della festa, l'acqua viva e la luce. Con ambedue dichiara di sostituire il tempio, e invita tutti ad avvicinarsi a lui e a seguirlo, abbandonando l'antica istituzione, il cui dio è il tesoro, che tra l'altro ha trasformato la terra promessa in uno spazio di morte. La seconda (8, 2 1 ·58) contiene la denuncia dei dirigenti. Gesù li avverte della prossima rovina e denuncia il loro peccato, la complicità col sistema di menzogna e di morte (8, 2 1-30). Ne nasce una violenta discussione in cui Gesù prosegue la sua denuncia, e viene insultato da loro. L'annotazione conclusiva (8, 59) chiude la scena ricordando il tentativo di lapidario e l'uscita di Gesù dal tempio. Gesù, il nuovo santuario in cui risiede la gloria del Padre, non trova accoglienza nel tempio antico; per di più, deve uscime, perché la sua presenza risulta intollerabile: è il tempio del denaro, il luogo della tenebra, incompatibile con la luce. La

' La pericope 7, 53 - 8, I l , che contiene l'episodio dell'adultera, anche se conserva certamente un racconto molto primitivo, non appartiene al ,·angelo di G'·· In primo lu"'!o, non si trova nelle migliori testimonianze del testo, a partire dai papiri 66 e 75 e nei codici più accreditati (cfr. le edizioni critiche). Inoltre, nei codici e nelle versioni che la contengono, .non occupa sempre Io stesso posto; la . maggior parte delle volte compare dopo 7, 36; 7, 44 e, perfino, alla fine del vangelo. Non manca un documento che l 'attribuisce al vangelo di Luca (dopo 1 1 , 38). Oltretutto. molti di questi mss . la racchiudono fra asterischi o altri segni per indicare la mancanza di documentazione. Il vocabolario della pericope non conisponde a quello di Gv; l'esempio più evidente è l'apparizione della categoria grammateis, letterati, del tutto assente nel vangelo. D'altrn parte nessun Padre greco la commenta; fra gli scrittori ecclesiastici greci la prima menzione è quella fatta da Eutimio Zigabeno, nel sec. XII, che inoltre avverte come essa manchi nei migliori esemplari del vangelo. Per di più il suo inserimento a questo punto del vangelo interrompe chiaramente l'unità !ematica della sezione. Per questi motivi, che dimostrano la sua non appartenenza al testo di Gv., la si relega alla fine del commento (p . 869).

335

INTRODUZIONE Gv 7, 1-10: Gesù rifiuta la proposta del suoi 1 Dopo ciò Gesù continuava il suo cammino per la Galilea; non voleva continuarlo in Giudea perché i dirigenti giudei cercavano di ucciderlo. 2 Si avvicinava la grande festa dei giudei, quella delle Capanne. l I suoi pare n ti gli dissero: - Trasferisciti di qui e vai in Giudea, cos\ i tuoi discepoli vedranno le opere che compi; • in fatt i nessuno fa le cose clandestinamente se cerca pubblica fama. Se fai tali cose, manifestati al mondo. suoi parenti gli davano la loro adesione. 5 Di fatto, nemmeno i

6 Gesù rispose loro: - Per me, ancora non è il momento; per voi, invece, qualunque momento è buono. 7 II mondo non ha motivo di odiare voi; odia invece me, perché di lui io denuncio il suo modo perverso di operare. Salite voi alla festa, io non salgo a questa festa, perché per me il momento non è giun to ancora .

1

' Detto ciò egli si trattenne in Galilea; 10 tuttavia, dopo che i suoi parenti furono saliti alla festa, allora salì anche lui, non in modo manifesto ma clandestinamente.

NOTE FI LOLOGICHE 7, 1 Dopo ciò, gr. kai meta tauta. La particella kai aggiunge alla locuzione temporale un significato di immediatezza; cfr. 3, 22 nota; S, l ; 6, 1. - continuava il suo cammino, gr. periepatei. Peripate6 è termine tecnico in Gv per indicare la strada o il cammino di Gesù e di quanti lo seguono (cfr. l, 35; 5, 9); l'aspetto durativo delle forme (impf. e infin. pres.) suppone la continuità del cammino. - i dirigenti giudei. Nel contesto Giudea-Gerusalemme, il termine • i gtu. dei • designa in particolare i dirigenti, cfr. 1, 19 nota. la grande feÙa dei giudei, quella delle Capanne, gr. he hhJrJe ..• hl skénopègia. Anteponendo la menzione della festa · alla sua designazione, si

2

indica che era la festa principale dell'ann o. 3 I suoi parenti. Cfr. 2, 12 nota. - Trasferisciti ... vai, gr. metabethi ... hupage. Entrambi i verbi vengono uti­ lizzati per indicare esodo. Metabain6 appare in 13, 1 (infin. aor.), per indicare l'esodo di Gesù (passare da questo mondo al Padre), e in S, 24 (pf.) indi­ cando il passaggio già avvenuto dalla morte alla vita, che è l'esodo rea­ lizzato da Gesù. Hupag6 si usa costantemente a proposito dell'andata di Gesù, attraverso la morte, al Padre (cfr. 7, 33; 8, 1411; 13, 3; 16, 10 ecc.),

punto d'arrivo del suo esodo personale. I di invertire la direzione del suo esodo. 336



fratelli • di Gesù gli propongono

7, l-lO. Gesù rifiuta la proposta del suoi

4 fa le cose, gr. ti poiei. Modo greco e i t. per esprimere indeterminatezza . - clandestinamente, gr. en krupt6. Loc. avv. (7, IO in opposizione a phaneros) ; cfr. 19, 38: discepolo clandestino. - se cerca pubblica fama, gr. kai zetei autos en parr�ia einai. Rispetto alla preceden te, questa frase espone un modo di procedere incompatibile con quantò vi era enunciato: non si possono seguire al tempo stesso (kai) due tattiche contraddittorie. La relazione di simultaneità si può esprimere in it. con una condizionale. Avere pub blica fama essere lui in pubblidtà. ( I l pron. autos e il verbo avere sarebbero superflui nella traduzione it. N.d.T.). ___

=

6 rispose, gr. !egei, pres. st., verbo generico specificato dall'uso della par­ ticella oun, che collega con la proposta precedente. - Per me, ecc., gr. ho kairos ho emos oup6 parestin. Per voi, ecc. gr. ho kairos ho humeteros pantote es/in hetoimos. Le frasi greche considerano il mo­ mento in sé; la frase idiomatica it. lo considera dal punto di vista del sog­ getto personale. 7 non ha motivo, gr. ou dunatai. Impossibilità che nasce dalla mancanza di motivo per odiare, confronta 15, 19: se apparteneste al mondo il mondo vi amerebbe come cosa sua. Nei riguardi di Gesù, al contrario, l'odio ha come motivo la denuncia che egli ha fatto. - denuncio, gr. martiro peri autou. Testimonianza sfavorevole, non giudi­ ziaria. - il suo modo ... di operare, gr. t a erga autou. Confronta 3, 1 9 nota.

8 non è giunto ancora, gr. oup6 �plir6tai. Un lasso di tempo non com­ piuto; confronta Mc I . 15.

CONTENUTO E DIVISIONE I dirigenti della Giudea continuano a considerare Gesù un pericolo per la loro società e si propongono di ucciderlo, idea che avevano concepita in seguito alla guarigione dell'invalido (5, 16-18 Lett.). All'avvicinarsi della festa più solenne dell'anno, i congiunti di Gesù lo sfidano ironicamente a uscire dalla clandestinità, salire con il pellegrinaggio a Gerusalemme e ivi manifestare pubblicamente ciò che è capace di fare, atteggiandosi cosi a personaggio di pubblica fama. Gesù non accetta una tale proposta. La pericope comincia con un'introduzione che espone il luogo, l'ambiente di persecuzione contro Gesù e l'epoca dell'anno (7, 1-2). Prosegue con la pro­ posta dei parenti, rifiutata da Gesù (7, 3-8); termina segnalando la divi­ sione fra Gesù e loro, e il suo modo di procedere, diametralmente opposto a quello che essi volevano {7, 9-10).

Riassumendo: 7, 1-2: Circostanze ed epoca dell'anno. 7, 3-8: Proposta dei suoi parenti e rifiuto di Gesù. 7, 9-10: Salita a Gerusalemme.

337

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

LETTURA Circostanze ed epoca dell'anno 7, 1 Dopo ciò Gesù continuava il suo cammino per la Galilea: non voleva continuarlo in Giudea perché i dirigenti giudei cercavano di ucciderlo.

Dopo gli avvenimenti precedenti Gesù deve restare in Galilea, perché i dirigenti di Gerusalemme non gli perdonano il suo operato, e sono sempre decisi a ucciderlo (cfr. S, 16-18). Gesù, da parte sua, non si espone senza necessità, rimane lontano, al di fuori della loro giurisdi­ zione politica, che si esercitava soltanto sulla Giudea, e si trattiene nella regione del nord. Tutta la provincia del sud è territorio per lui pericoloso 2• « I suoi, che non l'accolsero ,. (1, I l ; 4, 44) continuano nel loro rifiuto. 2

Si avvicinava la grande festa dei giudei, quella delle Capanne.

La festa delle Capanne 3 era la più popolare dell'anno liturgico, e l'occasione in cui il maggior numero di pellegrini accorreva alla capita­ le •La profezia di Zaccaria (Zc 4 1 , 16.19) l'aveva associata al • giorno del Signore », vale a dire, al giorno del suo trionfo, e accumulava promesse per tale giorno: il re messianico sarebbe giunto a Gerusalemme caval­ cando un asinello (9. 9) . Dio avrebbe riversato sulla dinastia davi dica e sulla gente di Gerusalemme uno spirito di pentimento (12, 1 0), e per loro sarebbe stata scoperta una sorgente contro i peccati (13, 1). L'ac­ qua di Gerusalemme doveva fluire fino ai due mari e il Signore sarebbe stato il re del mondo intero (14, 8). La festa delle Capanne sarebbe stato il punto di incontro delle nazioni pagane ogni anno (14, 16 e 17) . Quella che non vi si fosse recata non avrebbe ricevuto la pioggia (14, 17).

Questa festa aveva pertanto un carattere messianico; suscitava la spe­ ranza del futuro regno di Dio e della liberazione del popolo. Le festività duravano sette giorni, il primo dei quali era festivo quanto un sabato l ; cadevano al principio dell'autunno. Come nelle occasioni precedenti (2, 13; S, 1 ; 6, 4). si tratta di una festa dei dirigenti ( • i giudei ») , vale a dire manipolata da loro.

2 Di fatto, la vigilanza poliziesca della Giudea ricadeva in parte sulle autorità di Gerusalemme e sulla guardia del tempio, che era a loro disposizione (J. Jeremias, Jerusalén, p. 89) . 3 Cfr. Lv. 23, 33-36.39-43; Dt 16, 13-15. Cfr. Es 23, 16; Dt 31, 10; Ne 8, 15s. • Cfr. s. - B. n. n4. l Cfr. S. - B. Il, n4.

338

7, 1-10. Gesù rifiuta la proposta del suoi

Proposta dei suoi parenti e rifiuto di Gesù 3a

I suoi parenti gli dissero.

I parenti di Gesù sono apparsi già in 2, 12, quando egli era sceso a Cafarnao accompagnato da tre gruppi: sua madre, i suoi parenti c i suoi discepoli. Gv 7, 3-10 offre la chiave interpretativa del significato di tale gruppo: sono gente della Galilea (4, 45) , giudei di razza, che non credono in Gesù (7, 5), in contrasto con la figura della madre, rappre­ sentante dell'Israele che attendeva la realizzazione delle promesse. 3b

«

Trasferisciti di qui e vai in Giudea

•·

Vogliono allontanarlo dalla sua linea di condotta. Gli consigliano di installarsi nella provincia del sud, dove chiaramente Gesù corre perico­ lo. Non comprendono la gravità della situazione. I verbi che Gv impiega in questa frase sono gli stessi che userà per l'andata di Gesù, attraverso la morte, al Padre (cfr. nota). Ciò che in realtà propongono a Gesù è il contrario di ciò che egli vuoi fare. Se il suo esodo significa uscire dalla società dominata dall'istituzione giudai­ ca (6, l Lett.), essi gli propongono il movimento contrario: partire dalla Galilea per entrare nell'istituzione giudaica (Giudea). Ma il suo esodo non avrà la Galilea come punto di partenza, né la Giudea, la circoscri­ zione del potere giudaico e il luogo della morte, come punto di arrivo. Partirà da Gerusalemme e si concluderà nella vita (18, l Lett.). 3c



così i tuoi discepoli vedranno le opere che compi a.

I parenti distanziano se stessi dai discepoli di Gesù; non appartengono né hanno intenzione di appartenere a questo gruppo. Essi non si aspettano nulla da Gesù. La manifestazione pubblica che gli propongo­ no servirebbe per i suoi discepoli; questo rivela il carattere ironico della loro proposta. Hanno visto quello che considerano il fallimento di Gesù, abbandonato da molti (6, 66) e lo sfidano a compiere nella capitale una dimostrazione pubblica che li recuperi. • infatti nessuno fa le cose clandestinamente se cerca pubblica fama. Se fai tali cose manifestati al mondo •.

4

Essi presuppongono che Gesù pretenda di acquistare una posizione di influenza e considerano incongruente la sua condotta. Le loro parole lo invitano ad adottare il programma messianico già rifiutato da lui (6, 15). Usano appunto il verbo « manifestarsi », con cui Giovann i Bat­ tista descrisse l'obiettivo della sua missione ( l , 3 1 : perché egli si manife­ sti a Israele). La manifestazione di Gesù, cominciata a Cana, fu quella del­ la sua gloria-amore per l'uomo (2, I l ) . Essi gli propongono invece una manifestazione personale, per la sua propria gloria che è stata - e sarà - anch'essa rifiutata da Gesù (5, 4 1 ; cfr. 7, 18). 5

Di fatto nemmeno i suoi parenti gli davano la loro adesione.

La ragione proposta dall'evangelista per spiegare questo atteggiamento

339

Il 1lomo

del

Messia. Ciclo deU·uomo

è che essi non prendevano posizione a favore di Gesù. Egli è giunto al minimo della sua popolarità: da un lato, i dirigenti lo perseguitano; dall'altro, il suo gruppo ha sofferto una crisi; infine, i suoi compaesani non stanno dalla sua parte, si mostrano scettici e ironici. Gesù rispose loro: • Per me, ancora non è il momento: per voi, invece, qualunque momento è buono "·

6

L'espressione • il momento • di Gesù è ambivalente. Se da un lato non è per lui il momento di salire a questa festa, dall'altro non è ancora giunta « la sua ora • (cfr. 2, 4; 7, 30; 8, 20), ora nella quale egli si presenterà pubblicamente a Gerusalemme, e che Io condurrà alla morte (12, 12.23). � allora che egli realizzerà la sua opera, la manifestazione della gloria, che deve suscitare la fede dei discepoli (19, 35). Essi, al contrario, che non si trovano in situazione di conflitto con l'istituzione di Gerusalemme, possono andare e venire liberamente. In seguito Gesù spiegherà il perché della differenza. 7a



Il mondo non ha motivo di odiare voi ».

Non c'è conflitto tra loro e • il mondo •, perché non dissentono né protestano contro di esso, sono suoi fedeli. Questo è il motivo per cui non aderiscono a Gesù. Identificati con l'istituzione (7, 1 : i dirigenti giudei), non vedono la necessità di un cambiamento né alimentano speranze di miglioramento. Sono gente sottomessa, docile, per questo partecipano alla festa degli oppressori. Essi non si sentono esclusi (5, 3 Lett.); non deside­ rano, pertanto, di essere guariti (5, 6) né anelano alla libertà (5, 14 Lett.). « Il mondo • è qui un'entità capace di odiare e di operare (7, 7b: odia me; il suo modo perverso di operare) ; è in parallelo con 7, l : i dirigenti giudei, che cercavano di ucciderlo. • Il mondo » , pertanto, si identifica con c i giudei • ( 1 , 9 nota), in particolare con i dirigenti. Il collettivo • il mondo » li descrive come un tutto chiuso, una corporazione o sistema di potere. Al tempo stesso, per la denotazione universale de • il mondo •. questo sistema si trasforma in tipo di ogni sistema oppressore ( l , 5 Lett.). 7b

• odia invece me, perché di lui io denuncio il suo modo perverso di operare •.

Gesù è oggetto di odio a motivo della sua attività che, in parole e in opere (2, 1 3ss.; 3, 19-2 1 ; 5, 4 1-47), denuncia il comportamento. dei diri· genti. Ma essi non rett.ificano: la loro azione è l'odio e la persecuzione (5, 16-18). Gesù denuncia in loro l'indifferenza per il popolo, che hanno abbandonato e che, inoltre, opprimono con la Legge. Vi è in particolare un riferimento all'ultimo episodio a Gerusalemme (5, 1-47). Verbalmente, tuttavia, la frase ripete il testo 3, 19, dove tale condotta spiega l'opzione in favore delle tenebre. Il chiarimento che segue (3, 20: chiunque agisce in modo perverso, odia la luce e non si avvicina alla luce, perché non gli venga rinfacciato il suo modo di operare) si applica pertan­ to al « mondo •, ai dirigenti giudei. In realtà odiano Gesù, perché temono che egli metta a nudo dinanzi al popolo la loro vera condotta. 340

7, 1-10. Gesù rlfiula la proposta del ouol

Il modo di agire del « mondo » (1, 7) è in contrasto con le opere di Gesù (7, 3), quelle che i suoi parenti lo incitano a compiere in pubblico. Sono tali opere quelle che " il mondo • non può sopportare (2, 18). Esse provocano Io scontro con i dirigenti (5, 16-18). • Salite voi alla festa, io non salgo a questa festa, perch� per me il momento non è giunto ancora ».

8

Dopo aver loro spiegato i motivi che il mondo ha per odiarlo, Gesù, dicendo loro di salire alla festa, pone davanti ai loro occhi la complicità con l'ingiustizia. Egli, invece, non si ·reca a una festa " dei giudei • ; giungerà il suo momento e celebrerà la sua festa, che riunirà l e compo­ nenti della Pasqua e delle Capanne (12, 1 3 Lett.). Il grande giorno della sua festa sarà allorché sulla croce lascerà scorrere il torrente dello Spi­ rito (7, 37-39; 1 9,34). In questa occasione non salirà al tempio finché le feste non siano già a metà, e non andrà per partecipare alle celebrazioni, ma per insegnare. La sua presenza e le sue dichiarazioni provocheranno un grave conflitto che giungerà fino al tentativo di lapidario (8, 59).

Salita a Gerusalemme Detto ciò egli si tratteni'Ul in Galilea; tuttavia, dopo che i suoi parenti furono saliti alla festa, allora sali anche lui, non in modo mani­ festo ma clandestinamente.

9-10

Gesù di per sé non cerca il conflitto. Questo sarà causato dalla sua fedeltà alla missione ricevuta. Sale alla capitale, ma in modo contrario a quello che la sua gente gli aveva proposto: non « per manifestarsi •, ma clande­ stinamente (cfr. 7, 4).

SI NTESI Appare qui apertamente l'opposizione fra l'istituzione giudaica e Gesù. Questi è già un perseguitato a morte. Appena iniziata la sua attività con il popolo, i dirigenti lo considerano già un pericolo. Per il momento, Gesù si mantiene nella clandestinità. La situazione intorno a lui è di crisi, scetti· cismo e persecuzione. Tuttavia il suo atteggiamento non è cambiato; non ascolta gli inviti alla gloria mondana; denuncia, invece, il perverso modo di agire della società. La sua stessa presenza e attività a favore dei deboli costituiscono il rimprovero più efficace dell'oppressione che il sistema esercita sul popolo.

341

l.

IN S EGNAMENTO

.

AL

POPOLO

Gv 7, 1 1 ·3 1 : L'or!gine del Messia r''"d i"rigenti giudei lo cercavano durante le feste e dicevano: - Dove sarà quello? 1 2 La gente parlava molto di lui, mormorando. Alcuni dicevano: - !l una brava persona. Altri invece: - No, travia la gente. u Ma nessuno parlava di lui in pubblico, per paura dei dirigenti. Il

Tuttavia, già a metà delle feste, Gesù salì al tempio e si mise a insegnare. 15 I dirigenti giudei si domandavano sconcertati: - Come fa costui a conoscere la Scrittura se. non ha studiato? 1 6 Replicò loro Gesù: - La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi mandò. 1 7 Chi vuole realizzare il disegno di Dio valuterà se questa dottrina è da Dio o se io parlo per conto mio. 18 Chi parla per conto proprio cerca la sua gloria; invece, chi cerca la gloria di colui che lo ha mandato, questi merita fi· ducia e in lui non c'è ingiustizia. 14

1 9 Non fu Mosè a !asciarvi la Legge? Tuttavia nessuno di voi adempie questa Legge. Perché cercate di uccidermi ? 2 0 La gente reagì: - Tu sei pazzo, chi cerca di ucciderti? 21 Replicò loro Gesù: - Un'opera ho realizzato e tutti siete sconcertati. 21 Per questo, Mosè vi prescrisse la circoncisione (non che venga da Mosè, ma dai patriarchi), e in giorno di riposo circoncidete un uomo. 23 Se si circoncide l'uomo iD giorno di riposo per non disattendere la Legge di Mosè, vi indignate con me perché in giorno di riposo ho reso sano un uomo intero? 24 Non· giudicate superficialmente, date la sentenza giusta. 25 Alcuni da Gerusalemme commentavano: - Non è lui che cercano di uccidere? 26 Guardate, ecco che parla pubblicamente e non gli dicono nulla. Che i capi si siano convinti che que­ sti è il Messia? 'D Però costui sappiamo da dove proviene, mentre, quando giunge il Messia, nessuno sa da dove proviene. 2 1 Gridò allora Gesù, mentre insegnava nel tempio: . - Sapete dunque chi sono e sapete da dove provengo? Tuttavia, non sono venuto per decisione mia personale, ma vi è realmente uno che mi ha mandato, anche se voi non sapete chi è. 29 Io so bene chi è, perché provengo da lui e lui mi ha inviato.

Cercarono allora di catturarlo, ma nessuno gli mise le mani addosso, perché ancora non era giunta la sua ora. 3 1 Fra la gente, comunque, molti gli diedero la loro adesione e diceva­ no: - Quando verrà il Messia, realizzerà forse più segni di quelli che ha realizzato lui? 3°

342

Origine del Messia

7, 11-31.

NOTE FILOLOGICHE 7, 1 1 Dove sarà quello?, gr. pou estin ekeinos. u domanda non chiede in­ fonnazione, è dubitativa, e in it. si costruisce con il futuro, confronta Mc 4, 41. Un caso simile in Gv 7, 3S. 12 lA gente parlava molto di lui, mormorando, gr. goggusmos ... polus. Molto mormorio: è il soggetto della frase. - 8 una brava persona, gr. agathos estin. L'il. richiede un soggetto di cui si possa predicare la qualità. Si preferisce • persona • a • uomo •, che in Gv può avere valore teologico (cfr. 19, 15). - No, travia. L'opposizione marcata dal gr. alla viene espressa in it. con l'uso della virgola. 13

dei dirigenti.



I giudei

•,

cfr. 7, l nota.

IS si domandavano sconcertati, gr. ethaumucm ... legcmtes. In it., al contra· rio che in greco, si è soliti usare il part. per indicare il modo dell'azione e il verbo personale per l'azione stessa. - la Scrittura, gr. grommata. Cfr. 5, 47, riferito agli scritti di Mosè.

17 il disegno di Dio, gr. to theléma autou. Si esplicita • Dio • per la ambi­ guità del possessivo it. • sua •. cfr. 4, 34; S, 30; 6, 39s. - valuterà, gr. gndsetai. Fut. incoat. di stato (aspetto aoristico). - per conto mio, gr. ap' emautou. Cfr. S, 19.30 (di mia iniziativa). 18

merita fiducia, gr. aUthis. Cfr. S, 31 nota; cfr. 3, 33: leale.

19 a /asciarvi, gr. deddken humin. Pf. con aspetto di El Aspecto Verbal n. 300.

pennanenza. Cfr.

20 reagì, gr. apekrithé. Il verbo apokrinomai denota sempre reazione ver­ bale, sia come rispOsta, se preceduto da domanda, sia come intervento, come in questo caso, dove Gesù parlava ai dirigenti. - sei pazzo. gr. daimonion ekheis. Modo di indicare la follia, qui chiaramente riconoscibile; la gente pensa semplicemente che Gesù non sappia quello che dice, confronta 8, 48.52; IO, 20. Daimonion e diabolos (6, 70) in Gv non sono sinonimi. 21 siete sconcertati, gr. thaumazete. Pres. continuativo, la cui durata par­ te dal fatto passato (cfr. S, 3ss). Cfr. El Aspecto Verbai, n. 81. - prescrisse, gr. deddken. Come precetto che rimane. Cfr. 17, 22, dove Gesù dà/lascia (ded6ka), ai suoi la gloria/amore (cfr. l, 17).

22

in giorno di riposo. Cfr. 5, 9b nota.

24 superficialmente, gr. kat'opsin. Secondo l'apparenza/la prima sione. - date la sentenza giusta. Cfr. S, 30. 2!5 commentavano, gr. elegon oun. Verbo specificato daDa con la frase precedente (oun); cfr. 7, 26.

!Wl

impres­

connessione

343

D pomo del Meosla. Ciclo dell'uomo

26 Che ... ?, gr. mlpote. Dubitativo. - si siano convinti, gr. aléth6s egn6san. Aor. incoat., giungere a conoscere con certezza; l'il. include il significato dell'avv. nel lessema verbale. 27 da dove proviene, gr. pothen estin. Non si tratta del luogo di nascita (cfr. 7, 42), ma dell'improvvisa apparizione del Messia. 28 per decisione mia personale, gr. ap'emautotl. Cfr. 7, 17: per conto mio. - vi è realmente uno che mi ha mandato, gr. estin aléthinos ho pempsas me. Giustifica l'affermazione precedente: non sono venuto per decisione mia personale. Aléthinos, vero, si oppone a falso; in tennini di esistenza (estin), equivale a reale in opposizione a irreale: è reale esiste realmente. L'artic. ho denota qui semplice singolarità, come l'a uno • i t., dato che il gr. non possiede artic. indet. uno, una, a volte, per denotare singolarità non de­ tenninata (per la quale non basta l'indefinito tis), si usa l'artic. ho, he, lo (cfr. 5, 19.30; 6, 38). - anche se, frase relativa con sfumatura concessiva, cfr. l, 26. =

29 lo, so bene chi è, gr. ego oida auton. L'opposizione dell'• io • iniziale alla negazione precedente domanda in it. di essere rafforzata dall'avv. bene ». e:

CONTEN UTO E DIVISIONE lA pericope si collega agli avvenimenti del cap. 5. Gesù, il perseguitato per il suo operato verso il popolo (5, 16-18), insegna per la prima volta a Gerusalemme in un ambiente ostile. Si dibatteranno due questioni: la prima. il criterio per conoscere se la sua dottrina è o meno da Dio. Gesù affenna che è necessaria una disposizione della volontà per poter conoscere la ve­ rità della sua dottrina; in corrispondenza con la sua affennazione prece­ dente: il vostro accusatore è Mosè (5, 45), rinfaccia ai dirigenti la superfi· ciale interpretazione della Legge cui si appoggiano per condannarlo. Poi viene proposta la seconda questione, quella dell'origine del Messia. Gesù si scontra con i pregiudizi creati nel popolo dall'insegnamento delle scuole, e li avverte che il loro modo di giudicare è falso. Tutto l'episodio è appe­ santito dalla minaccia di morte a Gesù. Comincia con una introduzione che descrive l'aspettativa esistente intorno alla persona di Gesù e la diversità di opinioni su di lui (7, 1 1-13). Gesù in­ segna per la prima volta nel tempio e viene messa in discussione l'origine della sua dottrina, non appresa nelle scuole ufficiali (7, 14-18). Gesù passa a un'invettiva contro quelli che vogliono screditarlo, difendendo il suo pre· cedente operato con l'infenno, figura del popolo oppresso (7, 19-24). Dinanzi al vacillare della gente, che, per la sua dipendenza dai capi e ie dottrine che ha appreso, non si azzarda a pronunciarsi in suo favore, Gesù fa una dichiarazione sulla sua vera origine (7, 25-29) . Si produce allora una doppia reazione, contro e a favore di lui. Sono però molti quelli che credono, guar­ dando ai fatti e superando così i propri pregiudizi (7, 30.31).

Riassumendo: 7, 1 1-13: A Gerusalemme: atteggiamenti rispetto a Gesù. 1, 14-18: Insegnamento: origine della dottrina di Gesù. 7, 19-24: Invettiva contro i dirigenti: Mosè. 7, 25-29: Insegnamento: origine di Gesù come Messia. 7, 30.3 1 : Atteggiamenti di fronte a Gesù.

344

7, 11-31. Origine del Messia i .

.. _ - , . .

LETIURA

A Gerusalemme: atteggiamenti rispetto a Gesù 1 1 l dirigenti giudei lo cercavano durante le feste e dicevano: • Dove sarà quello? » .

7,

Le festività hanno avuto inizio e Gesù non si lascia vedere in pubblico. I dirigenti non sono tranquilli, i loro precedenti scontri con Gesù avevano avuto luogo in occasioni di feste (2, 13ss; 5, Ll6ss). Ora fanno indagini per impadronirsi di lui se si presenta alla capitale (cfr. 7, 1 ) . 12 ww

gente parlava molto di lui, mormorando. Alcuni dicevano: • brava perso11a •. Altri, invece : • No, travia la gente • .

La

l!.

L'aspettativa esiste anche nel popolo. Gesù gode già pubblica fama, i commenti riguardo a lui sono incessanti tra la moltitudine di pellegrini. ma a voce bassa. Fin dalla sua apparizione, tutti si pronunciano nei suoi confronti. l dirigenti lo hanno già fatto, vogliono ucciderlo (7, 1). La moltitudine, da parte sua, è divisa; alcuni mostrano la loro ap p rovazione; per altri invece, che sono dalla parte dei dirigenti, Gesù è un impostore. I primi definiscono Gesù come buono, dote che qualifica la persona e si apprezza nelle opere (cfr. 5, 29). Questi osservano la sua attività, senza idee preconcette. L'opinione degli altri su Gesù non si basa sulla sua bontà o malvagità, vale a dire non si fonda sulle sue opere: affermano che travia la ge n t e , giudicandolo dal punto di vista dell 'ortodossia. Vi è per loro una verità da cui Gesù svia. I due criteri di giudizio mostrano la loro diversi t11: il primo si appoggia sulla prassi, il secondo sull'ideologia. 13

Ma nessuno parlava di lui in pubblico, per paura dei dirigenti.

Vi sono simpatizzanti e nemici di Gesù, ma domina il timore delle autorità (cfr. 9, 22) . La gente conosce la loro posizione rispetto a Gesù e non osa esprimere opinioni ad alta voce. Appare qui la pressione che i dirigenti esercitavano sull'opinione pubblica. Chi si pronuncia contro di loro può essere soggetto a sanzioni. II popolo non ha libertà di esprimersi.

Insegnamento : origine della dottrina di Gesù 1 4 Tuttavia, già a metà delle feste, Gesù salì a l tempio e s i mise a in­ segnare.

Gesù ha già trascorso alcuni giorni a Gerusalemme e non è andato al tempio; ora sale, non per partecipare al culto, ma per insegnare. Egli non si sente solidale con questa festa (7, 8), che è quella dei giudei (7, 2), che vogliono ucciderlo (7, l ) . Non aveva mai insegnato prima a Gerusalemme (soltanto in una riunione 345

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

a Cafarnao, 6, 59). Fino ad ora·, nella capita Ìe aveva esercitato la sua at­ tività e sostenuto polemiche (2, 1 3ss; 5, 1 ss) ; ora, invece, espone la sua dottrina. Gv non ne esplicita il contenuto, passa immediatamente alla controversia che suscita. 15 I dirigenti giudei si domandavano sconcertati: « Come fa costui a conoscere la Scrittura, se non ha studiato? ». Sorpresa dei dirigenti, che non si aspettavano questo. Conoscevano Gesù dai segni che aveva compiuto (2, 1 3ss; 5, 1ss). Che ora insegni al popolo risulta loro inesplicabile, lui un uomo senza studi 1• Constatano tuttavia il suo sapere, e questo li lascia perplessi. Parlano di lui in tono sprezzante (costui). Gesù, da parte sua, non insegna in un circolo esoterico, ma nel tempio nei cui portici essi avevano le loro scuole 2• Il suo insegnamento è una minaccia all'istituzione; Gesù, che conosce le loro intenzioni di ucci­ derlo, non arretra. 16 Replicò loro Gesù: mandò •.



La

mia dottrina non è mia, ma di colui che mi

Gesù replica, passando all'offensiva. Li informa circa la provenienza del suo sapere. La dottrina che espone non è opinione personale né è stata appresa nelle scuole ufficiali, è da Dio stesso. Parla ai dirigenti, che già lo conoscono e sanno che si dichiara Figlio di Dio (5, 17-18), ma ora si rivolge a loro davanti alla moltitudine. � il Padre che ha insegnato a Gesù (8, 28); è lui che gli ha comandato ciò che deve dire e proporre, e questo suo comandamento significa vita definitiva (12, 49s) . La dottrina che Gesù propone non è altro che l'espressione del comandamento che egli stesso ha ricevuto dal Padre: consegnare la sua vita e così attenerla di nuovo ( 1 0, 17s) ; insegna che l'amore senza misura è la strada per realizzare il disegno divino. Questa è la verità, appresa da Dio, che egli propone (8, 40.46). � il ten:o scontro di Gesù con la cerchia di potere di Gerusalemme (2, 13ss; 5, 16ss). Il Figlio di Dio ha appreso dal Padre anche ciò che insegna (5, 1 9 ) . Di fatto, questo capitolo prolunga la controversia iniziata in 5, 17 a proposito della guarigione dell'invalido. 1 7 • Chi vuole realizzare il disegno di Dio valuterà se questa dottrina è da Dip o se io parlo per conto mio •. Gesù non prova la sua affermazione con argomentazioni né cHando testi deli'AT. Il criterio per discernere la verità della sua dottrina è nell'uomo stesso, e a questo Gesù si rimette. Egli non si impone, ciascuno deve trovare la certezza. Il criterio che Gesù propone, indipendente dalla sua persona, è la fedeltà a Dio creatore, il desiderio di realizzare il suo disegno cooperando all'opera creatrice, lavorando per il bene dell'uomo. Per chi l Era opinione accettata che lo studio non comportasse soltanto la frequenza alle lezioni di un maestro riconosciuto, ma anche l 'apprendimento del suo compor· lamento stando al suo servizio. Non era totalmente sconosciuto l'autodidatta, ma il suo sapere non godeva della stessa stima di quello appreso nelle scuole (cfr. S. · B. II, 466) . 2 Cfr. Leipol�t-Grundmann, El Mundo del Nuevo Testamento, I , p . 209.

346

7, 11-31. Origine del Meoola

con sideri il bene den'uomo come valore supremo, relativizzando ogni al­ tra norma, e sia disposto a dedicarvisi. sarà evidente che la dottrina di Gesù viene da Dio. Vale a dire, in chi cerca la pienezza di vita, la dottrina di Gesù produce un'esperienza che gliene fa percepire la verità. II con­ vincimento è pertanto personale, non per testimonianza altrui e, tan­ tomeno, per imposizione esterna. e il criterio già proposto da Gesù i n altre occasioni ( 5 , 36-38; 6 , 44-45).

18 • Chi parla per conto proprio cerca la sua gloria; invece chi cerca la gloria di colui che lo ha mandato, questi merita fiducia e in lui non c'è ingiustizia • • La propria gloria • è esteriore, e pertanto constatabile; per questo la sua ricerca o la sua rinuncia può servire da criterio per giudicare la provenienza di una dottrina. La ricerca del proprio prestigio denota che la dottrina che si propone non procede da Dio ma dall'uomo; è un mezzo per favorire i propri interessi. Questo criterio completa il primo - esposto nel versetto precedente che si rivolgeva a chi ascolta la dottrina di Gesù, e consisteva nell'espe­ rienza inte riore fatta da chi sta dalla parte dell'uomo. Ma, per il pubblico cui Gesù parlava, esisteva un'altra dottrina ufficiale, che pretendeva anch'essa autorità divina: la Legge, interpretata e manipola­ ta dai circoli di potere. Per questo egli aggiunge un criterio esterno: gli interessi difesi da colui che propone una dottrina; questi permetteran­ no di giudicare della sua validità. La dottrina riflette l'atteggiamento di colui che la insegna; è espressione della persona, inseparabile da essa. Questo criterio risponde alla concezione di Gv; Gesù non propone una dottrina astratta: egli stesso è la verità, con le sue opere e, soprattutto, con la sua morte, in quanto, nella sua vita e nella sua morte, rende presente Dio stesso, manifestando l'efficacia del suo amore leale. Le parole o esigenze di Gesù sono sempre un'esplicazione di ciò che egli è e fa: le sue opere danno significato alle sue parole; queste si compren­ dono in relazione alle sue opere (5, 36; IO, 37s; 14, IOs). Dio non si rivela in lui attraverso formulazioni, ma manifestando la sua presenza nell'at­ tività di Gesù (5, 36s; IO, 30.37s). Quando la dottrina su Dio viene proposta da uno che non cerca d i manifestare la gloria d i Dio, m a d i favorire l a propria, manipola Dio. I I criterio ultimo della verità è l'attività a favore dell'uomo, perché l a verità d i Dio è d i essere Padre, amore per l'uomo come presenza attiva ed effettiva. La parola deve comunicare la presenza e l'azione di Dio. Per q·uesto le parole/esigenze di Gesù sono Spirito e sono vita (6, 63) . Se uno con la sua parola non intende comunicare vita, ma promuovere il suo proprio prestigio, questi non conosce Dio né ha esperienza di lui; non solo non rifletterà ciò che Dio è, ma, ponendolo al servizio dei suoi interessi, necessariamente Io falsificherà. Non si può parlare di Dio distanziandosi da lui, perché Dio non è una formula ma una presenza. e formulabile soltanto quando l'espressione si mantiene nell'ambito della sua presenza e attività; la parola si trasforma allora in segno che la esprime e la trasmette. Quando spezza questo contatto, si trasforma in ideologia e necessariamente defonna

Il glomo del Messia. Ciclo dell'uomo

Dio: offre come dio quello che è un suono inerte o un'invenzione umana al servizio del proprio interesse. Chi non cerca la propria gloria, ma vuole manifestare quella di Dio, il suo amore leale per l'uomo, merita fiducia; in lui non c'è ingiustizia, cioè peccato (8, 46: chi di voi mi può rinfacciare alcun peccato?). Chi è guidato da questo valore supremo non sfrutta l'uomo né manipo­ la la Legge. Le sue parole sono degne di fede (5, 3 1 ) e la sua condotta è leale (cfr. 3, 33) . Fra i due elementi della frase c'è una relazione di conseguenza; questa, al tempo stesso, rimanda alla causa e la confer­ ma. Al contrario, chi, cercando il suo prestigio, cerca di porsi al di sopra degli altri, commette ingiustizia; questo è il caso dei dirigenti, che si valgono della Legge per conservare la loro posizione di privilegio. Questo è stato descritto nell'episodio del paralitico guarito: invocando la loro Legge (5, 10), condannarono l'uomo, e così pure Gesù, giungendo a decretarne la morte (5, 18). Gesù, invece, guarendo l'invalido, aveva manifestato il suo criterio per interpretare la Legge e giudicare gli atteggiamenti: la fedeltà al disegno di Dio; a causa di tale fedeltà, la sua sentenza è giusta (5, 30 Lett.) 3• Questi criteri accusano pertanto i dirigenti. Essi non accettano la dottrina di Gesù perché non vogliono compiere il disegno di Dio; anzi lo impediscono con l'oppressione che esercitano (5, IO Lett.), senza fermarsi davanti all'omicidio (5, 1 8 ; 7, 1 ) . Inoltre, la loro dottrina non è da Dio: nessuna dottrina che ridondi a proprio beneficio merita credi­ to.

Invettiva contro i dirigenti: Mosè 1 9 • Non fu Mosè a /asciarvi la Legge? Tuttavia nessuno di voi adem­ pie questa Legge. Perché cercate di uccidermi? •. Gesù sottolinea la sua distanza rispetto all'intera tradizione giudaica; non include se stesso fra i destinatari della Legge. Di fatto, l'epoca della Legge è passata. In contrapposizione a Mosè, che lasciò ai giudei la Legge, Gesù lascerà ai suoi la gloria (17, 22). e l'amore leale ( 1 , 17). Mosè annunciò la realtà che Gesù rappresenta (5, 46), e questi basando­ si su di lui, dimostrerà ai dirigenti l'incoerenza della loro condotta con la stessa Legge che professano e si vantano di osservare. Afferma prima di tutto, che loro, custodi della Legge nei confronti del popolo, non la compiono, perché la usano come mezzo di repressione; così appare dal proposito di ucciderlo, strumentalizzandola. I dirigenti volevano uccidere Gesù perché violava il precetto del riposo e perché si faceva uguale a Dio (5, 1 8). In questa occasione, Gesù dimostrerà loro, con la Legge stessa, che non possono accusarlo di violarla, dato che i criteri che ha appena esposto (7, l7s) sono al di sopra di essa e devono guidarne l'interpretazione. In un altro momento ribatterà la loro accusa di farsi Figlio di Dio ( I O, 33ss). La sua l�t6 ... to thélema tou pempsantos me (5, 30), ho de zét6n tèn do:mn tou pempsantos auron (7, 18) . I l disegno del Padre è la vita dell'uomo (6, 39s) e questa è la manifestazione della sua gloria/amore 3 Si noti il parallelismo delle espressiooi:

(17 , 1-2).

348

7, 11·31. Origine del Masla

argomentazione continua, ma c'è un'interruzione da parte della gente che ascoltava. 20

La

gente reagl :



Tu sei pazzo. chi cerca di ucciderti? •·

Dinanzi alla grave accusa mossa da Gesù ai dirigenti la moltitudine reagisce, non possono credere che le loro autorità abbiano intenzione di ucciderlo. Quelli di Gerusalemme lo sapevano bene (7, 25), i pellegrini no. Ciò che dice Gesù sembra loro insostenibile (sei pazzo). Essi, che conoscono l'attività passata di Gesù (7, 12), non vedono alcun motivo per condannarlo e tanto meno per cercare di ucciderlo. 21 Replicò loro Gesù: ti •.



Un'opera ho realizzato e tutti siete sconcerta·

dei suoi avversari si deve alla guarigione dell'invalido (5, 16-18). Con essa, tuttavia, Gesù ha realizzato in un uomo l'opera che il Padre lo aveva incaricato di compiere (4, 34), lavorando come il Padre stesso lavora (5, 17). Ma con la sua azione e con la successiva contro­ versia (5, 19ss) Gesù ha abbattuto l'autorità dei dirigenti, ed essi hanno giurato di fargliela pagare. L'audacia di Gesù nel sottoporre a giudizio il dogma indiscutibile, la validità perenne della Legge, ha sconcertato tutti. L'ostilità

22a



Per questo, Mosè vi prescrisse la circoncisione

•·

Gesù dimostrerà loro che non penetrano il vero significato della Legge di Mosè, che conteneva già un annuncio della futura liberazione. Conti­ nua così la sua precedente argomentazione (7, 1 9). L'opera che egli ha realizzato e di cui lo accusano è un'opera creatrice, appartiene al lavoro che egli compie sulla linea del Padre (5, 17); significava porre il bene dell'uomo come valore assoluto, al di sopra della Legge. Però già Mosè insinuava questo principio prescrivendo nella sua Legge la circoncisione nell'ottavo giorno, che prevale sul riposo del sabato. Mosè aveva serino di lui (5, 46) e ora si trasforma in loro accusatore (5, 45) : questa eccezione al precetto dava loro una lezione che essi non volevano apprendere. 22b-23 • (non che venga da Mosè, ma dai patriarchi), e in giorno di riposo circoncidete un uomo. Se si circoncide l'uomo in giorno di riposo per non disattendere la Legge di Mosè, vi indignate con me perclté in giorno di riposo ho reso sano un uomo intero? • . Su questo punto Mosè non fu originale. Non è lui pertanto, in questo caso, l'autorità ultima. II precetto di circoncidere l'ottavo giorno era stato dato da Dio ad Abramo: quando avrà otto giorni, sarà circonciso tra di voi ogni maschio di generazione in generazior1e (Gn 17, 12). Mosè non fece che ripetere quella prescrizione divina (Lv 12, 3), e la Legge, anche quella del riposo, dovette rispettarla. Esisteva pertanto un'istanza antecedente alla Legge. Gesù ne ha espressa un'altra riferendosi al lavoro creatore del Padre (5, 1 7) . Il suo disegno è al di sopra di ogni precetto.

349

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

La circoncisione si considerava un bene fatto all'uomo in un membro

particolare 4• Gesù invece, gli conferisce un bene totale, facendolo pas· sare dalla morte alla vita (5, 21 .26). Coloro che realizzavano la circonci· sione ponevano, di fatto, ciò che consideravano benefico per l'uomo al di sopra del precetto del riposo, e questo per la prescrizione della stessa Legge. Così Gesù mostra loro la mancanza di fondamento delle loro accuse.

24



Non giudicate superficialmente, date la sentenza

giusta "·

L'esortazione di Gesù non contiene soltanto un'avvertenza, ma, al tem­ po stesso, un'accusa. In precedenza aveva affermato che soltanto lui, che cercava la gloria del Padre, manifestata nella sua attività liberatri­ ce, meritava fiducia ed era libero da ingiustizia (7, 1 8 Lett.). Ora li esorta a praticare la giustizia, adottando come unico criterio di azione il bene dell'uomo, sola norma di mora l i tà che permette di distinguere fra il bene e il male. e la norma esposta in 5, 30: il disegno del Padre. Insegnamento:

Origine di Gesù come Messia

25-26 Alcuni da Gerusalemme commentavano: • Nor1 è lui, che cercano di uccidere? Guardate, ecco che parla pubblicamente e non gli dicono nulla. Che i capi si siano convinti che questi è il Messia? •. I gerosolimitani sono al corrente dell'intenzione dei capi. Esprimono il

loro stupore, perché non vedono come possano conciliarsi due fatti: da un lato, vogliono uccidere Gesù; dall'altro, lo lasciano parlare in pub­ blico nello stesso tempio, senza prendere misure. Nasce in loro il dubbio: che i capi si siano convinti che questi è il Messia? Nella capitale, in occasione della sua prima visita al tempio, il gesto messia­ nico di Gesù aveva provocato una reazione sfavorevole da parte delle autorità (2, 13ss); notando ora la passività dei dirigenti, gli abitanti di Gerusalemme si domandano se abbiano cambiato parere. Appare qui un gruppo di gente dipendente dall'opinione dei capi.

27 • Però costui sappiamo da dove proviene, mentre, quando giunge Messia, nessur10 sa da dove proviene "·

t1

Essi stessi, tuttavia, escludono tale possibilità, basandosi sulle con­ cezioni del tempo riguardo alla venuta del Messia. Si pensava che sarebbe venuto dalla casa d i Davide, che sarebbe nato a Betlemme (7, 42), ma prima della sua manifestazione trionfale, nessuno, nemmeno egli stesso, avrebbe potuto sapere di essere designato Messia; inoltre. avrebbe dovuto apparire in pubblico improvvisamente, senza che si sapesse da dove veniva. Gesù, invece, va e viene dalla Galilea, è una persona conosciuta. Queste sue venute non possono avere relazione con • Vi era un argomento corrente nelle scuole, formulato a volte in questo modo:

se la circoncisione, che interessa una delle 248 parti del corpo dell'uomo, pre­ vale sul sabato, quanto più prevarrà il suo intero corpo, se è in pericolo di morte Era permesso, anche il sabato, salvare uno che fosse in pericolo di morte (cfr. S. · B. II, 488) .



•.

350

7, 11-31. Origine del Maola

quella del Messia, che doveva essere una sorpresa e occasionare un cambiamento immediato e definitivo 5• 28a Gridò allora Gesù, mentre i11segnava nel tempio: « Sapete dunque chi sono e s�pete da dove provengo? Tuttavia, non so110 venuto per decisione mia personale, ma vi è realmente uno che mi ha mandato ».

Gesù sta insegnando. Davanti a quelle credenze fantastiche che impe­ discono alla gente di riconoscerlo come Messia, reagisce energicamente per confutarle. Opinioni che al principio furono tentativi di comprende­ re e spiegare il piano di Dio, si sono trasformate in verità indiscutibili. In nome di un'interpretazione, di una tradizione, dettano a Dio la maniera di agire, gli piani ficano il futuro. La sua azione dovrà adattarsi alle credenze o non sarà riconosciuta come sua. Si elimina la spontanei­ tà dello Spirito e non se ne riconosce la voce (3, 8). L'uomo perderà la vera opportunità di possederlo, quando si presenterà come dono libero di vita al di fuori della logica tessuta dall'uomo stesso. Tale sarà la situazione del popolo destinatario delle promesse ( 1 2 , 40). Il grido di Gesù ricorda quello della Sapienza (Prv l, 21 s ) : (La Sapien­ za) • grida per le strade, nelle piazze fa udire la voce; dall'alto delle mura essa chiama, pronunzia i suoi detti alla porta della città: fino a quando, o inesperti, amerete l'inesperienza e i beffardi si compiaceran­ no delle loro beffe e gli sciocchi avranno in odio la sci enza ? •. Questo avviso avrà un seguito in 7, 34: mi cercherete, ma non mi troverete (Prv l. 28) . Gv presenta l'attività di Gesù che insegna (confronta 7, 1 4 ss .28 ; 8, 20) come quella della Sapienza che ammaestra (Prv l, 23ss.29 ). Essi pensano di conoscere Gesù e di sapere l'origine, mentre, come si è visto, secondo le credenze, il Messia non sarebbe stato riconosciuto fino al momento della sua manifestazione, e la sua provenienza non avrebbe potuto essere prevista. Gesù cambia l'impostazione della questione: il vero Messia non deve essere conosciuto dal suo luogo di provenienza, come · essi pensano; la sua autenticità dipende unicamente dall'essere inviato.da Dio (non sono venuto per decisione mia personale), portatore dello Spirito (confronta l, 32: nemmeno io sapevo chi fosse, ecc .) . la cui attività si riconosce dalle opere. Il Messia liberatore deve essere rico­ nosciuto perché dà libertà all'oppresso (5, 36s; 7, 1 8) . Questa è l'unica condizione che si può richiedere; se essi non la riconoscono in Gesù è perché hanno subordinato la realtà di Dio e del suo piano ai loro propri pregiudizi. 2 8b



anclze se voi no11 sapete chi è •·

• Voi • include tutti coloro che partecipano di queste idee, tanto il popolo che i dirigenti. L'ideologia religiosa, che occulta l'amore di Dio per l'uomo (2, 6; 5, 38 Lett.), impedisce loro di conoscerlo, e, di conse­ guenza, di riconoscere il suo inviato.

29



lo so bene chi è, perché provengo da lui e lui mi ha inviato •·

Gesù invece conosce Dio, perché procede da lui ( 1 , 1 8.32; 3, 3 1 ) , e quesoo s

Cfr. S. - B.

II,

438s.

�t

Il pomo del Messia. Ciclo dell'uomo

� il fondamento della

!tla missione e attività. Esprime q'ui la sua esperienza di unione con il Padre, l'esperienza d i vita (cfr. 6, 57) propria del Figlio (3, 34). Non si può sapere chi è Dio senza esserne Figlio ( 1 7, 3 Lett.). Qui si radica la differenza fra il sapere di Gesù e quello che si attribuiscono le scuole della Legge ( 1 , 1 8 ; 5, 1 9 Lett.). Egli ha appreso dal Padre (5, 19s) ed è l'unico che può parlare del suo disegno sull 'uo­ mo (6, 39s; cfr. 3, 1 1 .32).

Atteggiamenti di fronte a Gesù 30 Cercarono allora di catturarlo, ma nessuno gli mise le mani addos­ so, percl1é ancora non era giunta la sua ora.

La dichiarazione di Gesù, che invalida il modo corrente di concepire il Messia, e accusa coloro che lo professano di non conoscere Dio, provoca due reazioni diverse. Una parte degli ascoltatori cerca di catturarlo. Le sue parole hanno suscitato in loro un forte antagonismo; non sono disposti a rinunciare alle proprie convinzioni e non tollerano che siano sottoposte a giudizio. Di fatto non conoscono Dio (7, 28), e per questo non accettano Gesù. La pretesa messianica di quest'ultimo risulta loro intollerabile; vogliono come Messia il trionfatore della misteriosa apparizione e della vittoria immediata. Non riescono a mettergli le mani addosso, perché l'ora di Gesù non è ancora giunta. Gesù darà la vita da sé, quando giungerà il momento; nessuno gliela prenderà con la forza ( 10 , 18). 31 Fra la gerrte, comunque, molti gli diedero la loro adesione e dicevano: • Quando verrà il Messia, realizzerà forse piìt segni di quelli che ha realizzato lui? ». Tuttavia, una gran parte della moltitudine che ascolta rimane convinta dalle sue parole e si mette dalla sua parte. Lo riconoscono come Messia e gli danno la loro adesione. Gesù ha aperto loro gli occhi: lasciano le teorie per badare ai fatti. La gente conosce le azioni passate di Gesù; le hanno comprese (segni) e accettate come prova della sua messianicità (5, 36) . Il Messia non si riconosce da riferimenti al passato né al futuro, ma al presente. Se da lui ci si attendeva una liberazione, Gesù ha mostrato di essere liberatore del popolo oppresso (5, 1 ss) . In modo analogo alla situazione iniziale (7, 12), la moltitudjne .è divisa rispetto a Gesù. Le sue dichiarazioni hanno portato quegli atteggiamen­ ti alle loro ultime conseguenze. C'era chi stava contro di lui, conside­ randolo eterodosso (7, 1 2b: travia la gente); ora un gruppo ha cercato di catturarlo. C'era chi lo giudicava favorevolmente, in base alla sua attività (7, 12a: è una brava persona); ora molti gli danno la loro adesione, riconoscendolo come Messia. I l numero di questi è elevato, il che susciterà l'allarme delle autorità.

352

7, 11-31. OrlKfne del Messia

SI NTESI Sp i cca sempre la situazione di paura in cui il popolo vive rispetto ai dirigenti, temendo di esprimere opinioni su Gesù. Si vede la pressione esercitata dall'i deologia ufficiale. Il suo scudo è )a legge di Mosè, che i dirigenti interpretano e mantengono come ultimo criterio di bene e di male. I n mezzo a questa mancanza di libertà, si alza la voce di Gesù che insegna nel tempio, sfidando l'istituzione. Dinanzi al contrasto della sua dottrina con quella dei circoli religiosi ufficiali, che lo vogliono uccide­ re, Gesù enuncia davanti al popolo due criteri per distinguere chi parla a nome di Dio e chi approfitta del nome di Dio per opprimere il popolo. I l primo è questo: solo chi è in sintonia con Dio, perché desidera collaborare nel suo lavoro a favore dell'uomo, può distinguere se una dottrina viene da Dio o no. Nessuna dottrina che in qualche modo impedisca la realizzazione dell'uomo può essere autorizzata in nome di Dio. II secondo criterio completa il primo: chi in qualche modo cerca con la sua dottrina di guadagnare prestigio o gloria, questi non parla a nome di Dio, perché di fatto non è a favore dell'uomo; giunto il momento, sacrificherà l'uomo ai suoi propri interessi. Merita fiducia soltanto chi, dimenticando il proprio interesse, pone il bene dell 'uomo come valore supremo e agisce di conseguenza. ·

353

Gv 7, 32·52: Il tempo della salvezza: invito e urgenza J2 I farisei udirono tali mormorii della gente; allora i sommi sacerdoti e i farisei mandarono guardie a catturarlo. Jl Disse quindi Gesù: - Ancora per breve tempo rimango con voi, poi vado

da chi

mi

mandò. 3' Mi cercherete, ma non mi troverete; perché dove sto io, voi non siete in grado di venire. l ! Commentarono fra loro i dirigenti giudei: - Dove pensa di andare, perché noi non possiamo trovarlo? Che voglia andare con gli emigrati in paesi greci per insegnare ai greci? 36 Che significa ciò che ha detto: • Mi cercherete, ma non mi troverete » e • dove sto io, voi non siete in grado di venire • ? n L'ultimo giorno, i l più solenne delle feste, Gesù, levatosi i n piedi, gridò: - Se qualcuno ha sete, che si avvicini a me, e beva l a chi mi dà la sua adesione. Come dice quel passo: • Dentro di lui sgorgheranno fiumi di

acqua viva •· 39 Questo lo disse riferendosi allo Spirito che stavano per ncevere coloro che gli avrebbero dato la loro adesione (ancora non vi era spirito, perché la gloria di Gesù non si era ancora manifestata). •o Udendo tali parole, alcuni tra la gente dicevano: - Certamente questi è il Profeta. 4 1 Dicevano altri: - Questi è il Messia. Ma i primi dicevano: - Forse che il Messia viene dalla Galilea? '2 Non dice quel passo che il Messia viene dalla stirpe di Davide, e da Betlemme, il paese di Davi­ de ? 0 Si produsse divisione fra la gente a proposito di lui. " Alcuni di loro volevano catturarlo, ma nessuno gli mise le mani addosso.

45 Le guardie tornarono allora dai sommi ·sacerdoti e dai farisei, questi domandarono loro: - Si può sapere perché non lo avete portato? •• Replicarono le guardie: - Nessun uomo ha mai parlato cosi. -schiavo di Abramo fu espulso da quella casa perché non potesse ereditare con il figlio libero. Il figlio libero è quello che nasce dalla promessa di Dio, dalla sua parola fedele. Per questo essere figlio libero di Abramo è essere figlio di Dio, nascere da lui. La libertà nasce dall'origine divina. In tale senso, soltanto Gesù è libero, perché soltanto lui è il Figlio di Dio. Il versetto presenta due piani di significato: il primo si riferisce ad Abramo e ai suoi due figli: !sacco, il libero, e Ismaele, lo schiavo; il secondo si riferisce in primo luogo a Dio tracciando un parallelo con Abramo; in secondo luogo, in parallelo con !sacco, a Gesù, colui che procede da Dio, e infine, in parallelo con Ismaele, a coloro che sono schiavi perché non sono nati da Dio, vale a dire a quanti appartengono al • mondo • . Il punto di contatto fra i due piani si trova nell'origine e missione di !sacco e di Gesù: !sacco nasce per opera della parola/pro­ messa di Dio, che attraverso di lui mirava alla creazione di un popolo (Gn 12, 3; 17, 4.19) . Gesù è la formulazione nella • carne • della parola creatrice che compie finalmente la promessa fatta ( l , 14). ·Riferita a Gesù e ai suoi avversari, l'opposizione libero/schiavo è la stessa che esiste tra Spirito e carne (3, 6; 6, 63). Si può essere discendente di Abramo ed, essendo schiavo, non avere diritto all'eredità né a rimanere nella sua casa. Essere figlio ed erede significava aver parte alla prt>­ messa che si doveva compiere nel Messia, godere dei beni messianici. Ebbene, chi pratica il peccato declassa se stesso alla condizione di schiavo e cessa di essere figlio ed erede. 36



Pertanto, se il Figlio vi dà la libertà, sarete realmente liberi •·

Il figlio vive in casa per diritto proprio e può disporre di quanto vi si

391

n pomo del Meula. Ciclo dell'uomo

trova (3, 35). Soltanto luì. the è signore, può dare la libertà a uno schiavo, farlo passare alla condizione di figlio, partecipe dell'eredità. Solo Gesù, il Figlio libero, l'unico erede, può dare la libertà, dando lo Spirito. Gesù, come Figlio di Dio, si muove nella libertà che tale condizione gli conferisce. Alla luce della sua immediata relazione con il Padre, tutto resta relativizzato: la Legge (5, 16.23 Lett.), Mosè (5, 46; 7, 19), Abramo (8, 56.58), le istituzioni (7, 37b-39 Lett.). � la sua coscienza di Figlio a renderlo libero di fronte a quell'autorità che egli smaschera davanti al popolo (7, 19) e a renderlo libero davanti alla morte (l0, 1 7s). In base a questa esperienza vitale, Gesù invita a lasciarsi liberare , a ricevere la condizione di figli, per vivere con il Padre un rapporto simile al suo. Dio non sarà più il Sovrano che fa sentire all'uomo la sua inferiorità e che lo sottomette, ma il Padre che gli comunica la sua vita e lo rende libero.

Due padri? 37

• So bene che siete stirpe di Abramo, tuttavia cercate di uccidere me, perché il mio messaggio non vi entra in testa •-

Riconosce che essi sono discendenti di Abramo, sebbene la frase risulti ironica dopo che li ha chiamati schiavi. Sottolinea la contraddizione che la loro condotta implica. Gloriarsi di essere stirpe di Abramo e, al tempo stesso, perseguitare mortalmente Gesù, sono atteggiamenti che non collimano. Essi, che pretendono di discendere da Abramo, non gli assomigliano. Sono assolutamente refrattari al messaggio di Gesù, ma­ nifestato nella sua attività; non Io possono tollerare perché, ponendo il bene dell'uomo come valore assoluto, distrugge la loro idea di Dio e denuncia la corruzione della loro istituzione. 38

.• lo propongo quel che ho visto personalmente presso il Padre, e così voi pure fate quello che avete appreso da vostro padre •·

Tuttavia, Gesù non parla a nome proprio: il suo messaggio è quello di Dio stesso. Essi, pertanto, che si oppongono alla liberazione che egli realizza, non stanno dalla parte di Dio. Gesù insinua che hanno un altro padre, che non è Abramo e nemmeno Dio.

. Gli risposero: • Nostro padre � Abra mo •- Rispose loro Gesù: • Se foste figli di Abramo, realizzereste le opere di Abramo; invece cercate di uccidere me - uomo che vi ha proposto la verità appresa da Dio . Questo Abramo non lo fece •· 39-40

-

Davanti all'insinuazione di Gesù si origina una nuova reazione, in cui essi affermano ancora una volta la propria ascendenza: Gesù li mette nuovamente di fronte al loro modo di agire. Essere figlio non è un fatto statico, ma dinamico; la comunità di sangue deve tradursi in una somiglianza di condotta. Se non si comportano come si comportava Abramo, non sono figli suoi; un figlio impara dal padre (5, 19). Nella tradizione giudaica, • le opere di Abramo • designavano la benevo392

8, 31-59. Il mito della •tlrpe

lenza, la modestia e l'umiltà l_ Ma fra i rabbini si affennava anche che chi non realizzava tali opere realizzava, invece, quelle dei suoi antenati, che erano idolatri 4• Se essi fanno il contrario di Abramo, dato che vogliono uccidere chi comunica loro la verità di Dio, devono essere figli di un altro padre. Si prepara l'accusa contenuta nel paragrafo seguen­ te.

Procedono dal Nemico non da Dio 41a

� Voi realizzate le opere di vostro padre

•-

Con questa frase comincia lo sviluppo del tema già accennato (8, 38). Secondo la concezione del tempo, se essi non imitano Abramo è perché non hanno il Dio di Abramo; sono idolatri. 4 1 b Gli replicarono allora: � Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre, Dio •1 dirigenti comprendono perfettamente l'allusione di Gesù, poiché nei profeti l'idolatria si paragonava alla prostituzione 5• Essi negano total­ mente di essere un popolo idolatra. Sono infine giunti a comprendere che c'è un Padre al di sopra di Abramo. Professano il loro monoteismo, la loro lealtà a Dio - e implicitamente alla sua alleanza e alla sua Legge (Dt 5, 7: • non avere altri dei miei rivali • ) - che conforma la loro condotta a ciò che Dio vuole.

42 Replicò loro Gesù: � Se Dio fosse vostro padre, vorreste bene a me, perché sono qui procedendo da Dio; e neppure sono venuto per deci­ sione mia personale, fu lui a inviarmi •. Gesù ribatte sempre con lo stesso argomento: essere figlio di qualcuno significa somigliargli, comportarsi come lui. L'unica prova di essere figli è la somiglianza con il proprio padre. Se avessero appreso da Dio il loro modo di comportarsi, necessariamente vorrebbero bene a Gesù, che viene da parte di Dio; invece lo vogliono uccidere come espressione del loro odio (7. 7; 8,37.40). Non hanno gli stessi sentimenti né lo stesso modo di agire di Dio, dunque non sono figli di Dio. Resta pertanto in piedi l'accusa d'idolatria. Per questo non riconoscono l'inviato di Dio né accettano la verità che propone loro a nome di Dio (8, 40). Si comprende Gesù soltanto se si è disposti a realizzare il l Cfr.

S. -

B. II, 524.

Cfr. S . . B. I I . 524. s Cfr. Ez 16, 15s: • tu però, infatuata della tua bellezza e approfittando della tua fa­ ma, ti sei prostituita concedendo i tuoi favori a ogni passante. Prendesti poi abiti ... su cui ti prostituivi •; 23, 19s.30: • ma essa continuò a moltiplicare prostitu­ zioni, ricordando il tempo della sua gioventù, quando si prostituiva in Egitto, arse di libidine per quegli amanti ... sarà sve4ata la turpitudine delle tue scelleratezze, la tua libidine e la tua disonestà. Così sa.ra> trattata perché tu mi hai tradito con le genti, perché ti sei contaminata con i loro idoli •: Os l , 2: • quando il Signore co­ minciò a parlare a Osea, gli disse: va', prenditi in moglie una prostituta e abbi figli di prostituzione, perché il paese non fa che prostituirsi allontanandosi dal Signore •: 2, 4: • accusate vostra madre, accusatela, perché essa non è più mia moglie e io non sono più suo marito! S i tolga dalla faa: ia i segni delle sue pr­ stituzioni e i segni del suo adulterio dal suo pello •.



393

Il pomo del Messia. Cleto deU'uomo

dis egno di Dio (7, 17), ma essi non vogliono bene a Gesù e detestano la sua attività, che è la vera espressione di tale disegno. Chi ispira l'attività dei dirigenti non è, pertanto, il Padre che dà la vita, ma un altro dio.

43 c Per quale motivo non capite il mio linguaggio? Perché capaci di ascoltare il messaggio mio » .

non siete

Già in varie occasioni gli avversari di Gesù hanno mostrato di non comprendere ciò che egli diceva loro (7, 35s; 8, 19.27.37). Tale impossibi· Iità di comunicazione nasce dalla percezione di una minaccia nel mes· saggio che Gesù propone. L'amore per l'uomo, l'aiuto ai deboli, il dono di se stesso agli altri, sono concetti che essi rigettano, perché esigono la rottura con Io stato di cose ingiusto che sostengono e in cui occupano una posizione dominante. Essi sono gli uomini della situazione; Gesù è l'uomo del popolo (6, 42; 7, 52) che si mette dalla parte dei deboli, degli ignoranti, considerati maledetti dai farisei (7, 49). Gesù è la negazione stessa di tutto il loro sistema. Essi, per difenderlo, avevano creato un'ideologia che Gesù rifiuta (5, 1 7) . Ha messo allo scoperto la loro ambiziosa sete di onori e prestigio (5, 43 s ), ha rinfacciato loro l'infedeltà a Mosè (5, 45-47) e alle Scritture (5, 39s) ; Ii ha accusati di non compiere la Legge che Mosè aveva dato loro (7, 19) e di giudicare senza giustizia (7, 24) ; ha predetto loro la rovina (7, 34), rendendoli responsabili del disastro che sovrasta il popolo (8, 2 1 ) . Ha rinfacciato loro l'appartenen­ za a uno stato di cose oppressivo, contrario al piano di Dio (8, 23); li ha chiamati schiavi, negando che siano figli di Dio (8, 42). Essi, attaccati al sistema che spalleggia i loro interessi, si chiudono al suo messaggio. Non possono sopportare il modo di parlare di Gesù. Pongono la loro condizione di privilegiati al di sopra dell'uomo, e ogni volta che Gesù lo ricorda loro, si esasperano e si difendono attaccandolo. 44a • Voi procedete da quel padre., che è il Nemico, e volete realizzare i desideri di vostro padre » . Gesù continua ad applicare il suo criterio e a incalzarli : il loro modo di agire mostra di chi sono figli. Assecondano i desideri del 1oro padre. perché è proprio del figlio fare ciò che piace al padre (8, 29). I figli rassomigliano al padre. Essi vogliono uccidere Gesù: devono aver appreso ciò da un padre che sia omicida: il NemiCo. In questo vangelo si utilizza il termine « nemico » (diavolo) tre volte: la prima volta (6, 70) Gesù lo applica a Giuda; la seconda, in questo passo, lo riferisce ai dirigenti giudei, dei quali afferma che hanno come padre il « Nemico •: la terza (13, 2), l'evangelista non identifica il « nemico • con Giuda, ma lo presenta come ispiratore del tradimento di quest'ul­ timo (il Nemico aveva già indotto Giuda ... a consegnarlo) •. Il termine diabolos, come è risaputo, è la traduzione greca dell'ebraico Satan (Satana), che appare in 13, 27: significa l'avversario/nemico, partico­ larmente in contesto giudiziario, ma generalizzato più tardi come • il Nemico » dell'uomo, che procura la sua rovina 7• ·

• Per il significato in 13, 2 cfr. · ibid. Lett. 7 Per la distinzione fra diavolo e demonio, cfr.

394

7, 20 nota.

8, 31-59. Il mito della

atlrpe

In questo contesto, la menzione del Nemico come padre dei dirigenti giudei è in relazione con l'insinuazione di idolatria fatta da Gesù, cui essi hanno violentemente reagito. Il loro padre, da èui apprendono il modo di agire, è il dio cui servono, in opposizione al Dio vero, il Padre di Gesù, che gli insegna a portare a termine il suo disegno (5, 19ss). L'opposizione stabilita fra i due padri-dio in questo secondo e solenne operato di Gesù nel tempio corrisponde alla denuncia fatta la prima volta, in occasione della Pasqua che inaugurava la sua attività in Giudea. Lì Gesù li accusava di aver trasformato la casa di suo Padre in una casa di commercio (2, 16). Essi avevano eliminato dal tempio la presenza di Dio, sostituendola con l'interesse economico. Questo è il dio del tempio che Ii rende idolatri. � per questo che, ponendo al centro stesso di questa sezione la menzione del Tesoro (8, 20), l'evangelista sta contrapponendo Gesù, il nuovo santuario (2, 17; 7, 37-39), e il Tesoro, santuario del tempio idolatrico, dove è alloggiato il dio e padre dei dirigenti. In quel recinto cultuale convivono momentaneamente la presenza del Padre in Gesù, e quella del Nemico nel Tesoro. I giudei devono decidersi per l'uno o per l'altro. Con l'intento di uccidere Gesù (8, 59) hanno fatto la loro opzione definitiva. Si comprende adesso perché Gesù, proponendo il suo esodo, vale a dire la sua comunità alternativa, metta a prova l'atteggiamento dei suoi, rappresentati da Filippo, sul tema del denaro. La sua comunità non deve trovare nel sistema economico sfruttatore la soluzione al proble­ ma della sussistenza (6, 5ss). Nella stessa sezione dei pani Gesù qualificò Giuda come c nemico • (diavolo) . Quanto esposto in precedenza chiarisce il significato di que­ st'appellativo, che si esplicita in 12, 6: era ladro. 44b • Egli è stato omicida fin dal principio e non è mai stato nella verità, perché in lui non c'è verità; quando parla, la menzogna gli sgorga dal dì dentro, perché è menzognero: il padre della menzo­ gna • Gesù allude al racconto delle origini, secondo cui il serpente (Gn 3, lss), identificato più tardi con il c diavolo/nemico • (Sap 2, 24), causò la morte dell'uomo (omicida) con l'inganno. I dirigenti, che hanno come padre il Nemico (diavolo), rappresentano la stirpe del serpente (Gn 3, 1 5). Ma Gesù, a sua volta, indentifica il Nemico dell'uomo con il denaro, anima occulta ma onnipotente dell'istituzione corrotta. All'ordi­ namento basato sul potere del denaro egli attribuisce la malvagità e l'ostilità contro l'uomo, proprie del serpente primordiale. Essi sono omicidi (8, 40: cercate di uccidere me - uomo), come lo è il Nemico, che incarnato in sistemi oppressori ha sacrificato sempre (dal principio) l 'uomo all'interesse economico. Essi sono menzogneri (8, 55), perché il Nemico che li ispira lo è e lo è sempre stato. Questo ordina, e i dirigenti che lo rappresentano propongono la menzogna, contraria alla verità esposta da Gesù su incarico del Padre (8, 40). La verità si riferisce a un modo di agire che favorisce la vita (8, 31 Lett.); la menzogna, pertanto, è quella che favorisce la morte. Presentare come un valore ciò che mutila e diminuisce l'uomo: questa è la menzogna. La verità di Gesù è pienezza di vita e libertà; la loro 395

Il pomo del Mesala. Cielo deli 'uomo

menzogna è schiavitù e soppressione della vita. Insegnandola come volontà di Dio, amputano la tendenza fondamentale dell'uomo, svuotan· dolo del desiderio di pienezza umana obiettivo del disegno creatore. Gli fanno accettare come verità un dinamismo suicida. Questo risponde . all'attività del serpente in Gn 3, 1-5; egli inganna e causa la morte appunto proponendo l'idea falsa di un Dio tiranno e rivale dell'uomo. Gesù assicurava che quanti avessero messo in atto il suo messaggio avrebbero scoperto la verità (8, 32). Denuncia il sistema giudaico come menzogna e crimine istituzionalizzati. Ma l'accusa di Gesù implica inoltre che chiunque si identifichi con un ordinamento ingiusto si rende complice di tale menzogna e omicidio. Il Nemico non dirà mai la verità. Incarnato nel Tesoro, l'accumulazione sfruttatrice, si oppone alla condivisione, segno e veicolo dell 'amore (6, 1 1 Lett.). E, per essenza, la negazione dell'amore creatore. In 7, 1 8 Gesù aveva proposto il criterio per giudicare della validità di una dottrina: chi parla per conto proprio cerca la sua gloria; invece, chi cerca la gl()ria di colui che lo ha mandato, questi merita fiducia e in lui non c'è ingiustizia. È falsa la dottrina di colui che cerca di promuovere i suoi propri interessi. Ne consegue che l'istituzione basa­ ta sull'interesse economico non possa proporre che menzogna. Tale ordinamento è radicalmente ingiusto: solo chi è libero dall'ingiustizia può dire la verità (7, 1 8b). 45



A me invece, giacché dico la verità, non credete

•·

Essi, che insegnano la menzogna, rifiutano di accettare la verità (8, 40). perché essa dimostra la falsità in cui vivono e che praticano, e denun· eia le loro vere motivazioni. Questa frase è implicitamente parallela con S, 43: io sono venuto a nome di mio Padre e non mi accettate; se un altro venisse a nome proprio, lo accettereste. Egli dice la verità appunto perché non viene a nome proprio né cerca la sua gloria (5, 41). Gesù condanna implicitamente l'atteggiamento dei suoi avversari. Se egli giungesse cercando di soddisfare la propria ambizione affermando se stesso, lo accetterebbero; allora direbbe una menzogna, come loro (8, 53). 46à

c

Chi di voi mi può rinfacciare alcun peccato?

La sfida di Gesù mostra la sua sicurezza.

•·

c Peccato • significa per lui opposizione al disegno di Dio, ingiustizia contro l'uomo (7, 1 8 ; 8, 23 Lett.). Secondo questa norma di moralità, Gesù muta radicalmente il concetto di peccato. Essi, invece, propongono la Legge come norma assoluta al di sopra del bene dell'uomo, interpretata inoltre secondo i loro propri interessi (cfr. 7, 1 8.24). Gesù afferma che in lui non c"è ingiustizia, appunto perché non cerca la sua gloria né il proprio interesse; egli è sempre stato a favore dell'uomo e li sfida a provare il contrario. Sottolinea la coerenza inappuntabile fra il suo messaggio e la sua condotta; non c'è discrepanza fra il suo dire e il suo operare. Per questo la loro incredulità non ha scusanti (cfr. 15, 22.24}, né ha fon­ damento la persecuzione di cui lo fanno oggetto (5, 18; 7, l .l9ss).

396

8, 31-�9. Il mito della stirpe

4 6b



· Se dico la ve rità, per quali motivo vo i non mi credete?

•·

Malgrado tutto, essi non credono alla verità che Gesù propone loro. Hanno la loro propria • verità •. con cui mantengono una coerenza che li porterà ad ucciderlo. Ammettere un principio assoluto al di sopra del bene dell'uomo porta inevitabilmente a sacrificarlo sugli altari di tale principio (cfr. 19, 7). Quando la sua ammissione viene vista come naturale, l'oppressione diventa connaturale e logica. Se inoltre il princi­ pio si identifica con la volontà di Dio, questa � verità • rende complice dell'oppressione Dio stesso. 1:. la perversione dell'idea di Dio, che Gesù denuncia come • menzogna •. Dio, il Padre, è il principio di vita; cerca incessantemente il bene dell'uomo (5, 17) fino a dare suo Figlio perché l'uomo abbia vita (3, 1 6) ; lo dimostrerà Gesù con la propria morte. 47 c Chi procede da Dio ascolta le esigenze di Dio; per questo t•oi non ascoltate, perché non procedete da Dio •. Gesù conclude dando la ragione ultima dell'incredulità dei dirigenti: malgrado le loro pretese di avere Dio per padre (8, 41b). non procedono da Dio; ne è prova che non ascoltano le sue esigenze. • Le parole/ esigenze di Dio • era espressione consacrata per designare i comanda­ menti dati per mezzo di Mosè 8• Già in 3, 34 si era detto di Gesù: l'inviato di Dio propone ... le esigenze di Dio; ne è prova elle esse comunicano lo Spirito senza misura. Perciò le esigenze si identificano con il messaggio (8, 31 .37.43) e con la verità che emerge nell'esperienza che dà lo Spirito (8, 31-32 Lett.), e rendono caduche quelle della Legge antica. Comunicando lo Spirito, collocano l'uomo sulla l inea dell'amore che fruttifica nell'attività. Le esigenze non fanno altro che formulare il dinamismo dello Spirit()-amore che ha fatto nascere da Dio ( l , 13; 3, 5s) . Essi, il cui movente è il Nemico, l'anti-amore, continuano a non ascolta­ re Dio (5, 37). Non riconoscono la voce dello Spirito (3, 8 Lett.) perché non procedono da Dio.

II.

CONTRATTACCO

GIUDAICO E

R I S POSTA

DI

GES Ù

( 8 , 48-58)

Gesù datore di vita definitiva 4 8 Risposero i dirigenti: « Non abbiamo motivo di dire che sei un sarnaritano e che sei pazzo? •.

I dirigenti non hanno argomenti da opporre a quelli di Gesù, replicano con insulti. Gesù li ha appena • scomunicati come idolatri, che hanno come dio il proprio interesse, principio di menzogna e omicidio. Essi si prendono la rivincita, credendo di • scomunicare • Gesù chiamandolo samaritano. Per i giudei, i samaritani erano una razza bastarda e idolatra (figli di prostituzione, cfr. 8, 4 1 ) . Non potendo coglierlo in fallo •

l Cfr. Dt 4, IO: • ascoltino le mie parole •: 4, 13: • qli vi annunciò la sua alleanza, che vi comandò di osservare, cioè le dieci parole/comandamenti •: IO, 2: • io scriverò su quelle tavole i comandamenti/parole •.

397

n glomo del Me..la.

Ciclo deU'uomo

(8, 46), risulta loro impossibile attaccarlo frontalmente e rispondere alla sua denuncia. Loro unica scappatoia è accusarlo di eterodossia e di insensatezza 9. 49 Replicò Gesù: c /o non sono pazzo, ma onoro mio Padre; invece voi volete disonorare me ». Dal primo insulto (samaritano) Gesù non si difende, perché non lo considera tale. Gli eterodossi di Samaria accettarono il suo messaggio (4, 4ss), mentre gli ortodossi di Giudea cercano di ucciderlo. Risponde, invece, al secondo (pa;z;zo). Ciò che sta facendo è appunto difendere l'onore di suo Padre, rivendi­ came il buon nome, distruggendo la falsa immagine di Dio che essi hanno creato. Difende l'onore di Dio, mostrando il suo vero volto. Essi non lo conoscono né conservano il suo messaggio (5, 37s); invece di accettare con gioia la manifestazione dell 'amore del Padre, presente in Gesù, si oppongono a quest'ultimo cercando di screditarlo. Il loro dio è il riflesso di ciò che essi sono, non un Dio-amore, ma un dio-tiranno. Il vero Dio è per loro un'eresia e un'insensatezza (samaritano, pa;z;zo).

50 • io però non rivendico la mia gloria; c'� chi se ne incarica ed � giudice del fatto ». A Gesù non importa il concetto che hanno di lui, perché non cerca il

suo prestigio personale. Con questo indica che non si intimorisce per la loro offensiva; continuerà ad agire come ha fatto finora. Non sono loro il tribunale supremo. 51 c Davvero vi assicuro: chi compie il mio messaggio, non saprà mai cos'è la morte "· Gesù, tuttavia, non è venuto per sentenziare; offre a tutti la vita. Con questa dichiarazione presenta ai dirigenti il frutto dell'amore per l'uo­ mo, il frutto delle ésigenze di Dio che costituiscono il suo messaggio. A quelli che lo vogliono uccidere non risponde con odio né li esclude dalla sua azione salvifica. Ha denunciato con forza la loro ingiustizia e la loro idolatria, ma adesso dà loro nuovamente l'occasione di rettifica­ re (2, 16 Lett.) . Il loro peccato li porta alla morte (8, 21 .24a). Gesù segnala loro nuovamente (8, 24b) il modo di sfuggirla: rinunciare al loro peccato dedicandosi al bene dell'uomo. Questo li renderà liberi e figli di Dio, e di conseguenza li libererà dalla morte. L'attività a favore dell'uomo, cui porta lo Spirito, è fonte di vita" fino al punto da escludere ogni esperienza di morte. Questa non esiste per il discepolo; la morte fisica non interrompe la vita né è un'esperienza di distruzione. La vita che Gesù comunica non conosce fine (3,16; 4, 34; 5, 21). Tale è il disegno di Dio (6, 39s).

' Per l'atteggiamento dei giudei nei confronti dei samaritani, cfr. S. - B. I, 538s.

398

8, 31-59. Il mito della atlrpe

Abramo e il giorno del Messia 52 Replicarono allora i dirigenti: « Ora siamo sicuri che sei pazzo. Abramo è morto e così pure i profeti, e tu te ne esci con la frase che chi compie il tuo messaggio non sperimenterà mai la morte? ». Come la prima volta nel tempio (2, 18) , i dirigenti non rispondono all'invito di Gesù; al contrario, continuano nella loro opposizione, affermando di aver trovato la prova definitiva della sua follia. Sono morti perfino gli uomini più vicini a Dio, come Abramo e i profeti (cfr. Zc l, 5: « dove sono i vostri padri? I profeti forse vivranno sempre? •) , e Gesù afferma che il suo messaggio esime dalla morte. Interpretano il suo detto come riferito alla morte fisica, cui Gesù aveva negato la qualifica di morte (cfr. 8, 51 nota). Essi la vedono come un'esperienza amara (sperimentare/gustare) da cui nessuno può liberarsi. 53 • Forse tu sei più grande di nostro padre Abramo, che morì? Anche i profeti sono morti. Chi pretendi di essere? • · Insistono sull'idea della morte inevitabile. Coloro che causano la morte (8, 40.44) sono incapaci di comprendere una promessa di vita. Sospetta­ no che Gesù si ponga al di sopra di Abramo, che chiamano nuovamente « nostro padre • (cfr. 8, 39a). anche quando Gesù ha loro negato la condizione di figli (8, 39b). La risposta è costruita come quella della samaritana: forse tu sei più grande di nostro padre Giacobbe? (4, 12). Ogni popolo fa appello all'antenato illustre, che gli dà la sua identità. Ma se la donna ricordava Giacobbe come datore di un pozzo, i giudei non si ricordano che Abramo aveva ricevuto una promessa; menzionano soltanto la sua morte. Per loro è ormai soltanto una cosa passata, non una speranza. Abramo non li conduce al Messia, compimento della promessa. Anche i profeti sono morti, coloro che annunciavano la restaurazione, sui cui scritti si era edificata la speranza messianica. Né da parte di Abramo né da parte dei profeti essi attendono nulla dal futuro: tutti sono morti. Per loro continua a vivere soltanto Mosè, di cui si profes­ sano discepoli (9, 28) ; mentre hanno deformato i suoi scritti, eliminando­ ne la speranza che annunciavano (5, 46s), e utilizzando la Legge per opprimere l'uomo, contro la volontà di Mosè (7, 19-24). Per questo egli stesso Ii accusa (5, 45). I dirigenti non si domandano se Gesù sia il Messia, che, almeno nel giudaismo più recente, veniva considerato superiore ad Abramo 10• Gli domandano di nuovo la sua identità (8, 25), ma ora in tono scettico: chi pretendi di essere? Non arrivano mai a una conclusione adeguata (8, 19.25), perché rifiutano di esaminare i fatti (cfr. 7, 31). 54a Rispose Gesù: • Se io stesso mi procurassi gloria, la mia gloria non varrebbe nulla; è mio Padre che me la procura » . Contro ciò che insinuano, Gesù non intende arrogarsi titoli; egli non viene a cercare la sua gloria (5, 41.43; 7, 18; 8, 50) né necessita di una IO

Cfr.

S . B. Il, 525. .

399

Il pomo del Meula. Ciclo dell'uomo

gloria sua esclusiva. Chi agisce in simile modo dimostra la falsità della propria dottrina e denuncia la propria ingiustizia (7, 18), mentre in Gesù non vi è peccato, oppressione né sfruttamento dell'uomo (8, 46). � il Padre a onorario, facendo splendere in lui il suo amore e la sua leal· tà ( 1 , 14). 54b-55a



conosciuto

quello che voi dite essere vostro Dio, pur non avendolo mai •·

Il Padre che onora Gesù è quello che essi chiamano loro Dio; op­ ponendosi a Gesù si oppongono a lui. Tornano a dimostrare di non avere Dio come Padre (8, 42). Gesù mostra la contraddizione fra la religione che esternamente profes­ sano e la loro condotta, li accusa di non conoscere quello che chiamano loro Dio. Non si tratta di una conoscenza intellettuale, la frase ha uno sfondo profetico. Ger 22,15b-17 (LXX ) : • sarebbe meglio per te praticare la giustizia e il diritto. Non sono giunti a conoscere, non hanno reso giustizia al povero né all'indigente. Questo non significa infatti non conoscermi ? - dice il Signore -. Ecco, né i tuoi occhi né il tuo cuore sono retti: li usi per il tuo proprio lucro, per spargere sangue innocen­ te, per l'abuso e l'assassinio •. Os 4, 1-2: • il Signore ha un processo con gli abitanti del paese. Non c'è infatti sincerità né amore del prossimo, né conoscenza di Dio nel paese. Si giura, si mentisce, si uccide, si ruba • . Con le sue parole: pur non avendolo mai conosciuto, Gesù ripete la denuncia mossa in precedenza nei confronti del padre omicida e menzognero (8, 44). Quanti vivono per il loro proprio interesse non conoscono il vero Dio né possono conoscerlo (5, 37; 8, 19) e, imponendo la loro dottrina in nome di Dio (5, I O), ne deformano l'immagine. 5Sb • lo, invece, so chi è, e se negassi di saperlo sarei un menwgnero simile a voi. Ma so chi è e compio il suo messaggio •. Gesù sa chi è Dio: il Padre il cui disegno è comunicare vita all'uomo. Se egli desistesse dalla sua attività, negando tale realtà di Dio, si renderebbe complice della menzogna di quanti presentano un Dio che appoggia l'oppressione che essi esercitano. Gesù, identificato con il Padre dalla comunione dello stesso Spirito-amore ( 1 , 32s), spiega con la propria persona e attività chi sia Dio. Questo amore rende impossibile a Gesù cedere alla loro pressione o approvare il loro sistema. Se fosse un impostore, potrebbe ritrattare dando loro ragione, e sarebbe un bugiardo come quelli la cui condotta e dottrina non nascono dall'esperienza di Dio, perché non hanno espe­ rienza del suo amore (5, 42) : parlano di lui senza conoscerlo e, in nome suo, impongono i propri precetti e sottomettono il popolo. Gesù menziona il messaggio del Padre, quello che essi non conservano (5, 38); sebbene testimoniato dalla Scrittura, non danno retta alla sua testimonianza (5, 39s). Era il messaggio del Dio liberatore, quello che per amore trasse il popolo fuori dall'oppressione dell'Egitto e, nel corso della storia, si mise sempre dalla parte del povero e dell'oppresso (5, 37b-38 Lett.) . Gesù attua questo messaggio: tutta la sua attività si sviluppa a favore dell'uomo, per dargli libertà e vita, ma essi non 400

8, 31-59. Il milo della stirpe

suoi discepoli lo attuano (14, 23-24; v ogliono ' riconoscerlo. Anche 17, 6.14) e questo messaggio li consacra (17, 17). 56a



Abramo, vostro padre

•·

.

Gesù si distanzia nuovamente dagli isracliti; egli non 5i considera figlio di Abramo, come prima non aveva riconosciuto la paternità di Giacob­ be (4, 21 Lett.). Non riconosce altro padre che Dio (4, 21 .23s). La novità che egli porta è al di sopra di ogni particolarismo e privilegio di razza. Per ribattere la loro argomentazione e rammentare loro la promessa chiama Abramo • vostro padre •. come l'hanno chiamato loro (8, 39a.S3). sebbene la loro condotta neghi tale discendenza (8, 39b). 56b • fu pieno di esultanza sapendo che avrebbe visto questo mio giorno, lo vide e fu ripieno di gioia •. Era tradizione ammessa che, quando Dio fece alleanza con Abramo (Gn 5, 9-21), gli avesse rivelato il lontano futuro, che poteva includere i giorni del Messia 1 1 • Si noti che Gesù parla del • suo giomo •, non dei • suoi giorni •. che era l'espressione rabbinica ordinaria (i giorni del Messia), perché in Gv l'attività del Messia si sviluppa in un giorno, quello della creazione dell'uomo, il sesto, cominciato a Cana (cfr. I l Giorno Sesto, p. 129). Gesù è superiore ad Abramo, essendo il compi­ mento della promessa che Dio gli aveva fatto. Abramo guardava con gioia al giorno in cui la benedizione promessa si sarebbe fatta realtà; essi no: al contrario, li irrita (8, 59) . Mostrano nuovamente di non essere figli di Abramo.

Il Messia precede Abramo

57 l dirigenti gli replicarono: sto personalmente Abramo? •·



Non hai ancora cinquant'anni e hai vi­

Non comprendono l'allusione messianica di Gesù. Interpretano sarcasti­ camente la sua affermazione, come riguardante una conoscenza perso­ nale e immediata di Abramo, e vogliono mostrare la sua assurdità. A cinquant'anni terminava la vita attiva (N m 4, 3.39; 8, 24s): essendo ancora un uomo giovane, egli pretende di essere stato· contemporaneo di Abramo. Gesù aveva loro detto che Abramo aveva visto il suo giorno; loro, in cambio, gli domandano se egli ha visto Abramo. Con il cam­ biamento di prospettiva vogliono sottolineare la superiorità di Abramo su Gesù. 58 Rispose loro Gesù: • Davvero vi assicuro: Abramo, io sono quello • ·

Prima che esistesse

Gesù risponde con una dichiarazione solenne. Non si sofferma sulla questione posta dai suoi avversari; la sua affermazione è più generica, ma parte, come prima, dalle opinioni contemporanee sul Messia. Nella " Cfr. S. · B. II, 525s.

401

D giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

letteratura rabbinica si afferma frequentemente che, prima ancora della creazione del mondo, Dio aveva concepito il progetto di varie realtà successive, fra cui la Legge, Israele e il Messia. Riguardo al Messia tale opinione veniva basata sul Sal 72, 17: � il suo nome duri in eterno, davanti al sole persista il suo nome •; interpretato dai commentatori: « prima che esistesse il sole apparve il suo nome • 12• Gesù, il Messia, fu da sempre una determinante della storia, perché in lui doveva splende· re la gloria di Dio (17, l ) , realizzarsi il suo progetto e risuonare la Parola divina primordiale ( 1 . 14).

ANNOTAZIONE CONCLU S IVA : TENTATIVO DI LAPIDARE GESÙ

(8, 59)

Raccolsero pietre per tirargliele, ma Gesù si nascose uscendo dal tempio.

59

Non possono sopportare quell'affermazione di Gesù, che si rende supe­ riore ad Abramo. Quanti cercavano la sua morte si accingono a metter­ la in atto. Mostrano di essere figli legittimi dell'assassino (8, 44). e uri parossismo di rabbia che li porta a cercare di lapidario, ma Gesù si nasconde ed esce dal tempio. Non permette che scarichino la loro rabbia su di lui. Gesù si nasconde. Questa frase costituisce un aggancio con 7, 10.14: la salita a Gerusalemme, non manifesta ma clandestina, per presentarsi nel tempio. Gesù torna ora alla clandestinità lasciando il tempio. LI la gloria di Dio ·si è manifestata in lui, non con gesti di potere per conseguire pubblicità, come gli proponevano i suoi parenti (7, 4), ma con un'offerta di salvezza, espressione dell'amore di Dio. Con l'uscita di Gesù dal tempio la stessa gloria di Dio se ne allontana, !asciandolo vuoto (cfr. Ez 10, 18). La denuncia del tempio fatta da Gesù all'inizio della sua attività (2, 13ss) non aveva avuto risonanza. Allora, con un gesto clamoroso e simbolico, aveva cacciato tutti dal tempio. Ora Gesù, il Figlio, ne esce davanti al pericolo di morte che lo minaccia. Decisamente non è più la casa del padre; l'assassino e il bugiardo ne ha occupato il posto. Questa scena potrebbe alludere a quanto avvenuto con Mosè nel deser· to (Es 1 7, 1-7). Gli israeliti, per la mancanza d'acqua nel deserto, • avevano protestato contro il Signore e l'avevano messo alla prova domandando: il Signore è in mezzo a noi o no? ». E cercarono di lapidare Mosè. I dirigenti giudei cercano di lapidare Gesù, che ha offerto l'acqua viva (7, 37-39), e nel tempio, in piedi (cfr. Es 17, 6), egli è la manifestazione della presenza di Dio in mezzo a loro (cfr. l, 27).

12 Cfr. S. - B. II, 335; cfr. ibid. Targum Sal 72, 17: • il suo nome sarà nominato per sempre, e prima che esistesse il sole fu stabilito il suo nome e per suo merito furono benedetti tutti i popoli •.

402

l, 31-59. n mito deUa ltlrpe

SINTESI Con la capacità di darsi agli altrl, lo Spinto fa fare l'esperlenza di Dio come Padre e forma il vero discepolo. Di fatto, l'adesione a Gesù, con la quale si riceve lo Spirito, mette il bene dell'uomo al di sopra di ogni istituzione umana e spinge a dedicarglisi senza riserve, rompendo con i sistemi oppressivi. L'esperlenza del Padre dà all'uomo la libertà di figlio, che lo rende capace di realizzare in se stesso il progetto creato­ re. Chi non fa tale esperienza d'amore è schiavo, prima di tutto perché, non conoscendo Dio come Padre, lo concepisce come un Dio di potere che sottomette l'uomo, legittimando con questo ogni tirannia. Ciascuno si definisce per la sua opzione: o si pone incondizionatamente in favore dell'uomo, come Gesù, ed è così figlio di Dio, oppure si pone contro l'uomo, rendendosi complice dell'oppressione. Tale opzione radi­ cale ispira la condotta, che costruisce o distrugge l'uomo: quale sia l'opzione di ciascuno, si rlvela nel modo di operare, al di là di ciò che le parole o i credi affermano.

403

QUARTA SEZIONE

A GERUSALEMME LA LUCE CHE LIBERA DALLA TENEBRA (9, 1 -1 0 , 2 1 )

La quarta sezione del secondo ciclo non è in relazione con una delle

feste annuali né si sviluppa in un luogo determinato. Tuttavia, come per la prima (5, l ss), con cui presenta numerosi punti di contatto, anche per questa rileviamo che ha avuto luogo in un giorno di precetto dopo una guarigione (5, 9b; 9, 14). La relazione con la guarigione dell'invalido appare anche dalla cecità della massa di infermi che giacevano nei portici della piscina (5, 3), dall'opposizione fra la piscina • Il Fosso • (5, 2) e quella di Siloe (9, 7.1 1 ) , dall'allusione alle pecore (5, 2: la Pecoraia), qui sviluppata ( IO, lss) e, infine, per la reazione che provoca la guarigione in giorno festivo 5, 16; 9, 1 6) . Come l'invalido, anche il cieco è figura del popolo ridotto all'impotenza e privato della sua condizione umana per l'oppressione esercitata dai dirigenti. • Aprire gli occhi al cieco • è frase che mette in relazione l'attività di Gesù con la missione liberatrice del Servo di Dio (ls 42, 6; 49, 6) nel contesto del secondo esodo (ls 35, 5.10) con cui Dio si proponeva di liberare il popolo dalla schiavitù di Babilonia (40, l ss). D'altra parte nell'episodio del cieco si incontra con grande frequenza il verbo • nascere • (9, 2.1 9.20.32.34; 9, 1 : dalla nascita); questo lo mette in relazione con quello di Nicodemo, in cui pure è frequente l'uso di questo verbo (3, 3.4 [bis].5.6 [bis ].7.8). Di fatto, la guarigione del cieco è la spiegazione della nascita attraverso lo Spirito (3, 6) . Il cieco dalla nascita è • carne •, che part,ecipa della condizione di debolezza dei suoi genitori (3, 6: dJJlla carne nasce carne; cfr. 9, 22: la paura dei dirigenti). e appunto la condizione di • carne • che per la sua debolezza rende possibile l'oppressione. L'• uomo-carne • è • carne di schiavitù •. Vissu­ to da sempre nell'ambito della tenebra (9, 1 : cieco dalla nascita) , che gli ha impedito di vedere la luce della vita (1, 5), quest'uomo non ha mai saputo ciò che può e deve essere l'uomo secondo il progetto creatore ( 1 , 4 Lett.: [ il progetto] conteneva vita); non avendo mai avuto esperien­ za della luce-vita, non aspira nemmeno a uscire dalla sua cecità: Gesù deve prendere l'iniziativa mostrandogli il disegno di Dio (9, 6: il suo fango). Destato cosi il suo anelito di vita, Gesù lo invita a lavarsi nella piscina dell'Inviato, dove l'acqua è lo Spirito ( 1 , 33: battezzare con Spirito Santo; 3, 5: nascere da acqua e Spirito) . Le scene successive descrivono la nuova condizione dell'• uomo spirito • (3, 6: dallo Spirito nasce spirito): identità personale (9, 9: sono io), libertà d'opinione (9, 1 7 : è un profeta), indipendenza rispetto al giudizio dei dirigenti (9, 24s), audacia per segnalare loro la contraddizione in cui incorrono (9, 30-33). La sua resistenza alla pressione che esercitano su di lui gli frutta l'espulsione (9, 34). Come negli episodi dell'invalido (5, l ss) e dei pani (6, lss), anche il 404

9, 1-12. segn o che Gesù reali zza. con L'unità di questa sezione

il

cieco

Guarigione del cieco

è ·s eguito da.Ùn discorso polemico.

marcata dalla menzione finale dell'opera che Gesù ha compiuto con i l cieco ( I O, 21). La prima sequenza

è

(9, 1-38)

narra l a guarigione del cieco, i l suo interro­

gatorio da parte dei farisei, l'interrogatorio dei genitori e l'intento di

dividere il cieco guarito da Gesù. Termina con l'i ncontro dell'uomo con Gesù e con la sua adesione a lui. La pienezza di vita che Gesù comunica

è incompa tibile con il regime di oppressione. L'ist ituzione giudaica non sopporta la libertà ed espelle colui che l'ottiene. Gesù accoglie l 'espul­

so.

La seconda sequenza (9, 39-10, 2 1 ) comincia con una dichiarazione pole­

mica di Gesù e con la domanda dei farisei che avevano interrogato il cieco guarito. Gesù accusa i dirigenti e annuncia loro il suo proposito di continuare la sua opera liberatrice, invitando a uscire dall'istituzione

religiosa, per formare una comunità umana dove l'uomo goda della pienezza di vita. In

opposizione

ai

dirigenti che sacrificano

il

popolo, Gesù

pastore modello, che darà la sua vita per liberarlo. La

sarà

comunità

il

di

Gesù non sarà unicamente di origine giudaica, ma incorporerà uomini di ogni stirpe.

Gv 9, 1-12: Guarigione del cieco · 1

Passando,

i suoi

Gesù vide un

uomo cieco dalla

- Maestro, chi aveva peccato,

2

lui o i suoi genitori,

cieco? 3 Rispose Gesù: - Né lui

in

nascita.

discepoli:

aveva peccato, né i suoi genitori; lui le opere di Dio. 4 Noi, finché è

Gli

domandarono

perché

nascesse

così però si manifesteranno giorno, dobbiamo lavorare

realizzando le opere di colui che mi mandò. Si avvicina la notte, quando

nessuno può lavorare. ' mondo.

6

Finché

Detto questo sputò in terra,

occhi con il suo

- Vai

a

lavarti

fango alla

7

fece del

e gli dis se :

piscina

erano soliti incontrarlo,

mondo, sono luce del

fango con la saliva,

gli

unse gli

Siloe (che significa: • I nvia to •). • I vicini e quelli che in precedenza

di

Andò, si lavò e tornò vedendo. - Non

io sono nel

perché era un mendicante, domandavano:

è lui quello che stava seduto e mendicava?

9 Alcuni dicevano:

- !!.

proprio lui. Altri invece: - No, ma gli assomiglia. Egli affermava: - Sono io. 1o

Allora

- Come 11

gli chiesero: ti si sono aperti

Egli rispose:

- Quell'uomo che

gli occhi?

si chiama

Gesù

fece

del fango,

me ne unse

gli oc�hi

405

Il glomo del Meuta. Ciclo dell 'uomo

mi di ss e : a vedere.

e



Val a Siloe e lavati

•·

A11ora

andai, e lava n domi

cominciai

1 2 Gli domandarono: - Lui dov'è? Rispose: - Non so.

NOTE FI LOLOG I C H E 9,2

perché nascesse cieco. Gr. hina consec.

3 così però si manifesteranno. Gr. hina consec., non finale. La cecità ·non era voluta da Dio, era l'occasione in cui si sarebbero manifestate nel cieco le opere di lui.

4 Noi. Variante critica attestata meglio che non • io •· - realizzando. Implicito in ergazesthai, infin. pres. iterativo. - [di colui che] mi [mandò]. Var. meglio appoggiata che non c ci •. Il tema dell'invio di Gesù da parte del Padre è costante in Gv: cfr. 3, 17; 4, 34; 5, 24.30.37, ecc. I discepoli, a loro volta, saranno inviati da Gesù, cfr. 17, 18; 20. 2 1 .

6 gli unse gli occhi con il suo fango, gr. epekhrisen autou ton �lon epl tous ophthalmous. Il possessivo autou non può determinare che ton pelon. Fra il possessivo e il sostantivo che esso determina potrebbe essere inter· calato un verbo (cfr. la differenza fra I l , 2 1 : ouk an apethanen ho adelphos mou; 1 1 , 32: ouk an mou apethanen ho adelphos), ma non un sostantivo, come in questo caso. D'altra parte, il verbo epikhrio non si costruisce con genit. di persona, ma con accus. di persona e dat. di mezzo (auton to pé/6) o accus. di mezzo e termine in frase con valore di preposizione (ton pélon epi tous ophthalmous). II possessivo, che attribuisce il fango a Gesù, e la ripetizione non necessa­ ria di fango • (5 volte: 9, 6bis . I 1 .1 4. 1 5) marcano il suo significato simbolico. D'altra parte il possessivo autou, per essere riferito agli occhi del cieco, non aveva bisogno di alcuna enfasi, dato che non ha termine cui opporsi; in caso di enfasi, la costruzione sarebbe stata: ton pélon epi tous autou ophthal­ mous. Infine, autou rimanda alla frase precedente: il fango è di Gesù, per­ ché lo ha fatto lui con la sua saliva. ·­



erano soliti irteontrarlo, gr. the6rountes. Part. pres. abituale. The6reò denota visione e riconoscimento (cfr. 2, 23 nota). - domandavano, gr. elegon. Specificato dal contesto. Casi simili in vv: 9, 10.12.

8

9

E proprio lui, gr. houtos estin. In corrispondenza alla domanda.

11

Quell'uomo, gr. ho (anaforico) anthr6pos. Seguito da una determinazione (che si chiama) , l'it. preferisce la forma aggettivale anaforica. - cominciai a vedere, gr. aneblepsa. Aor. Anche se il verbo anablep6 signi.fich� rebbe normalmente c recuperare la vista •. nel contesto del cieco di nascita è necessario tradurre con una forma incoativa, cfr. El Aspecto Verbal, n. 41.

12

406

Rispose, gr. !egei. Pres. st.

9, 1-12. Guarlpone del deco

CONTENUTO E DIVISIONE

· '

Gesù ha abbandonato il tem pio ed è tornato alla c land est inità (8, 59), ma non rinunci a al suo lavoro a favore dell'uomo. La pericope è in relazi one con la sua d ic hi arazione precedent e : io sono la luce del mondo (8. 12); la e!òplicherà dando la vista a un cieco nato. Il cieco, che non conosce la luce, è figura di quanti non hanno mai potuto sapere ciò che deve e può essere l'uomo. La sua figura si collega con quella degli infermi sdraiati nella piscina dai cinque portici (5, 3 : ciechi) : è un al tro rappresentante del po­ polo oppresso. Gesù gli mostra il progetto di Dio sull'uomo, la pienezza di vita, e così gli si aprono gli occhi. Questo produce in lui un cambia­ mento tale, al punto che i vicini dubitano del la sua identità . La pericope ha due parti. La p ri ma (9, 1·5), dopo aver segnalato l'occasione (9, 1 ) , contiene un dialogo di Gesù con i suoi discepoli, in cui si spiega la condizione del cieco e il lavoro che Gesù ed essi devono realizzare, alluden· do al tema della luce (9, 2-5). Nella seconda (9, 6-12) si descrive l'azione di Gesù nei confron ti del cieco (9, 6-7a), il cambiamento effettuato nella su a perso na , che dis orien ta quant i lo conoscevano, e l'interesse che suscita nella

gente (9, Th-12). La pericope può esse re divisa cosl:

9, 1-5: La cecità e le opere di Dio. 9, 6-12: Guarigione e cambiamento del cieco.

LETTU RA La cecità e le opere di Dio

9, 1-i Passando, Gesù vide un uomo cieco dalla nascita. Gli domanda­ rono i suoi discepoli: • Maestro, chi aveva peccato, lui o i suoi genitori perché nascesse cieco? •.

La

sc ena avviene fuori dal tempio, ma non ·se ne indicano il luogo né il tempo; • passando • suppone soltanto che Gesù cammini. Interessa unicamente la tematica, l'intima connessione con le sezioni precedenti. Gesù vede un uomo cieco dalla nascita. I discepoli che l'accompagnano

gli pongono una questione che risponde alla mentalità dell'epoca. Se­ condo la concezione corrente del giudaismo, la disgrazia· era effetto del peccato, che Dio castigava esattamente in proporzione alla gravità della colpa 1 • Si ammetteva anche che Dio potesse castigare per amore, per provare l'uomo, e tali castighi, accettati, producevano una benedizione: lunga vita, maggiore conoscenza della Legge, perdono dei peccati. Ma nessun castigo che venisse da Dio poteva impedire all'uomo lo studio della Legge 2• La cecità, pertanto, non poteva essere un castigo per amore, ma una maledizione. Non mancavano opinioni rabbiniche set

2

Cfr. S. - B. n. 193s. Cfr. S. · B. n. 194a; cfr. Sal 94, 12.

407

Il giorno del Meula. Ciclo dell'uomo

condo cui il bambino poteva peccare nel seno. di sua madre l, ma era più frequente pensare che i difetti corporali congeniti fossero dovuti alle mancanze dei genitori 4• 3

Rispose Gesù: • Né lui aveva peccato, né i suoi genitori; così però si manifesteranno in lui le opere di Dio • .

Questo cieco dalla nascita non ha esperienza né speranza della luce, e questo senza colpa personale né ereditaria. Ma la cecità dell'uomo ha anche un significato simbolico, come appare dal significato di • luce • in 9, 5 e dall'applicazione che si farà del termine • cecità • in 9, 40s. La mancanza di luce è dovuta all'azione della tenebra ( 1 , 5). Quest'uomo rappresenta, pertanto, quelli che da sempre (né lui ... né i suoi genitori) sono vissuti sottomessi all'oppressione, senza nozione della possibilità di uscirne, perché non conoscevano alternativa. Non sapevano neppure cosa fosse la luce. Né lui né i suoi genitori avevano peccato. Sono altri i colpevoli della loro cecità (9, 41). I suoi genitori gli hanno trasmesso la loro propria condizione di • carne • (3, 6: dalla carne nasce carne) , la cui debolezza ha reso possibile l'oppressione in cui vivono. Gesù vede nella cecità l'occasione di manifestare l'attività di Dio in quest'uomo. Afferma che non si tratta di un castigo, e che Dio non è indifferente al male; egli vuole che l'uomo esca dalla sua miseria e lo aiuta a uscirne. II cieco è un morto in vita, come l'invalido di 5, Sss; un altro caso particolare del popolo abbandonato dai dirigenti (la Pecoraia, 5, 2). L'invalido era infermo da quasi tutta la sua vita (5, 5: 38 anni); il cieco, invece, non ha mai conosciuto la luce/vita (cfr. l, 4; 9, l : cieco dalla nascita). Il primo aveva ancora speranza, sia pur quella dell'acqua ingannevole (5, 7), questi non si attende guarigione. Si rivelerà in lui ciò che Dio fa con quanti sono nati, e continuano a essere, privi della condizione umana. Poiché quell'uomo desiderava la salute, Gesù gliela offri (5, 6). A questo non può offrirla, perché non sa cosa sia; deve prima mostrargliela per renderlo capace di desiderarla. 4

• Noi, finché è giorno, dobbiamo lavorare realizzando le opere di coltli che m i mandò. Si avvicina la notte, quando nessuno può lavora­ re • .

Gesù avverte i suoi discepoli che devono associarsi alla sua attività. Nel 3

Cfr. S. · B. Il, 528s. Cfr. S. - B. Il, 193s: Es 20, 5: • Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io. il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e aDa quarta generazione, per ooloro che mi odiano •: 34, Th: • Ma non lascia senza punizione, ... castiga la colpa dei padri nei figli, e nei figli dei figli, fino alla terza e alla quarta generazione •- Nm 14, !8b; Dt 5, 9; Ger 3 1 , 29s: • In quei giorni non si dirà più: il padre ha mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati; ma ognuno morirà per la sua propria iniquità; a ogni persona che mangi l'uva acerba si allegheranno i denti •: Ez 18, 2: • Perché an­ date ripetendo questo proverbio nel paese di Israele: I padri han mangiato l'uva acerba e i denti dei figli si sono allegati? •; Tb 3, 3s: • Ora. Signore, ricordati di roe e guardami. Non punirmi per i miei peccat i e per gli errori miei e dei miei pa­ dri. Violando i tuoi comandi, abbiamo peccato davanti a te •. 4

408

9, l-12. Guarigione del deco

cieco si manifesteranno le opere di Dio per mano d i Gesù (cfr. 5. 17-36;

3, 2 1 ; 4, 34) , ma anche i suoi devono realizzarle (cfr. 14, 12). Tale sarà

l'attività del gruppo cristiano (20, 2 1 : co m e il Padre mi ha inviato, cosl anch'io mando voi). Come appare da questo episodio e da quello dell'invalido (5, 3ss). le opere ahe Dio realizza consistono nel liberare l'uomo dalla sua impotenza e nel dargli capacità d'azione. Il plurale • noi " si riferisce originariamente a Gesù, ma include la futura attività dei suoi, che dovrà seguire la stessa linea di liberazione. Si oppone al • noi » di 9, 40, contrapponendo la comunità illuminatrice alla comunità che acceca. La visione di situazioni di oppressione e di ingiustizia è una chiamata a collaborare all'azione di Dio. Gesù sottolinea la necessità, dobbiamo lavorare, e l'urgenza della mis­ sione, finché è giorno, vale a dire, finché c'è possibilità di lavoro, perché si avvicina una notte che impedirà ogni attività. La notte è il periodo della tenebra. Questa si può considerare in due modi: in se stessa, come principio attivo di morte ( 1 , 5), o per opposizione alla luce, come spazio o periodo in cui manca la luce-vita (8. 12). Qui predomina il secondo aspetto. Vi è un tempo di luce (8, 12), in cui Dio si manifesta offrendo la salvezza (7, 33), e ve ne è un altro, quello dell'assenza della luce in cui ciò non è più possibile. Gesù ha il suo giorno (8. 56), durante il quale manifesta la luce, che è la gloria del Padre ( 12, 35; cfr. 1 1 . 9); poi se ne andrà (7, 33). La notte giungerà quando si verificherà il rifiuto definitivo di Gesù. Notte è il mondo senza Gesù, che ne è la luce. Una volta che i dirigenti del popolo abbiano fatto l'opzione definitiva, condannando Gesù e rifiutandolo come re (19, 14s) , non si potrà far nulla, la rovina sarà inevitabile (cfr. 7, 34; 8, 21). Mentre rimane tempo, bisogna offrire la salvezza. In 6, 28 la gente aveva domandato a Gesù quali erano le opere di cui Dio voleva la realizzazione. Egli li avverti che Dio esige un'opera soltanto: l'adesione al suo inviato (6, 29). Ora i discepoli che gli danno la loro adesione hanno davanti a sé la prospettiva del lavoro, portare a compimento le opere di colui che lo ha inviato (5, 36; IO, 37). L'opera originaria, l'adesione a Gesù, si traduce in opere a favore dell'uomo. 5



Finché io sono nel mondo, sono luce del mondo

•.

Questo detto di Gesù continua quello di 8, 12: io sono la luce del mondo 5• Come in quel passo, questa metafora definisce la sua missione di Messia, in riferimento alla missione liberatrice del Servo di Dio secondo i due passi di Isaia (42, 6ss; 49, 6ss), che da una parte defini­ scono il servo come luce delle nazioni, e dall'altra la sùa missione nell'aprire gli occhi ai ciechi, azione che raffigura, come indicato dai parallelismi stabiliti dai testi stessi, la liberazione dall'oppressione (cfr. 9, 7b Lett.). La dichiarazione di Gesù supera tuttavia la questione dell'opzione di Israele; sarà norma per l'attività posteriore dei suoi discepoli. Le opere di colui che lo inviò non possono essere realizzate senza la sua presen­ za, quando manca la luce (21 , 3: quella no li e 110n presero nulla). 5

In 8 , 12 l a frase con articolo (la luce) . definiva Gesù e fondava l'invito a seguirlo. In questo passo, la frase senza articolo (luce) , descrive la sua atli\ilà illuminatrice. 409

Il giorno del Messia. Ciclo deU'uomo

Guarigione e cambiamento del cieco 6

Detto questo sputò in terra, fece del fango con la saliva, gli unse gli occhi con il suo fango.

Gesù passa all'azione. Non consulta l'uomo, perché questi, essendo cieco di nascita, non sa cosa sia la luce e non può nemmeno desiderar­ la. Non vuole, tuttavia, privarlo della sua libertà: gli porrà davanti agli occhi il progetto di Dio sull'uomo. La decisione di ottenere la vista rimarrà nelle sue mani; egli dovrà andare di propria iniziativa a lavarsi alla piscina. Il fango allude alla creazione dell'uomo. Anche se in Gn 2, 7 si dice che Dio lo • modellò » dalla « polvere » della terra (argilla del suolo). in altri passi deii'AT si usa la parola • fango •; così in Gb lO, 9: • ricorda che mi hai plasmato d'argilla •; Is 64, 7: • Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla/fango e tu colui che ci dà forma: tutti noi siamo opera delle tue mani •. Con l'uso del fango, Gesù riproduce simbolicamente la creazione dell'uomo. Si ricordi che • il giorno del Messia " è il giorno sesto (2, l Lett.), in cui l'uomo fu creato. Gesù fa del fango con la sua saliva. Vi è un elemento preesistente, la terra (sputò in terra) e uno suo personale. Si pensava che la saliva trasmettesse forza o energia vitale della persona •. In questo contesto prende il posto dell'acqua necessaria per fare il fango, risultato del miscuglio dei due elementi. Per questo, in seguito Gv parla del « fango di Gesù •. Si percepisce chiaramente l'intenzione dell'evangelista: far del fango con la saliva significa la creazione dell'uomo nuovo (simbo­ lismo del giorno sesto), composto con la terra/carne e con la saliva/ Spirito di Gesù. Di qui la frase successiva: gli unse gli occhi con il suo fango. Il fango modellato con lo Spirito è il progetto di Dio realizzato, il cui modello è Gesù stesso, la sua umanità piena della gloria/amore di Dio. t! questo ciò che egli pone davanti agli occhi di colui che non ha mai visto e non sa che cosa sia essere uomo. Gv usa due verbi per indicare l'applicazione del fango sugli occhi del cieco: in questa pericope, il verbo ungere/spalmare (9, 6.11); più avanti semplicemente porre/applicare (9, 15). La differenza deve essere notata. I l primo verbo è in relazione con l'appellativo di Gesù « il Messia/l'Unto • ( 1 , 4 1 ; 4, 25). Riassumendo tutti gli aspetti contenuti nell'azione, Gesù pone davanti agli occhi del cieco l'uomo unto dallo spirito. Al tempo stesso, egli, come Unto per eccellenza, realizza la sua opera ungendo l'uomo. Ungendogli gli occhi, lo invita a essere uomo comp Ìeto, unto e figlio di Dio per la comunicazione dello Spirito (17, 17-19 Lett.). 7a e gli disse:



Vai a lavarti alla piscina di Siloe (che signifiC4

" Inviato ") •·

Il progetto di Dio manifesta il suo amore per l'uomo. Gesù glielo ha mostrato, ma la guarigione non avviene automaticamente; il cieco deve •

Per questo l'uso della saliva era comune per guarire alcune infermità. Era dot· trina tradizionale che la saliva del primogenito di un padre guarisse le infennita degli occhi (non la saliva del primogenito della madre); cfr. S . . B. II, 15.

410

9, 1-12. Guarlelooe del cieco

accettare la lucé e optare llbéramente 'per essa (l, 19-21; cfr. l. 12: a quanti la accettarono diede capacità di diventare figli di Dio: la diede, cioè, a coloro che mantengono l'adesione alla sua persona).

La libera opzione dell'uomo si manifesterà andando alla piscina secon­ do l'ordine di Gesù; se segue il cammino che egli gli traccia e va al luogo che egli dice, troverà la luce; colui che era " carne » nascerà dallo Spirito (3, 6). La piscina di Siloe, che non deve essere confusa con l'omonima fonte 7, si trovava fuori delle mura della città. Si effettuavano lì i bagni/batte­ simi dei proseliti pagani '· Rispetto alla salvezza che egli porta, Gesù mette il giudeo sullo stesso piano del pagano. I l nome della piscina è interpretato da Gv. I I nome originario (aram. siloal:zfsilol:za) signifi­ cherebbe emissione/invio [ di acqua] oppure [acqua] emessa/inviata. L'evangelista adatta il nome per applicarlo a Gesù • l'Inviato • (cfr. 3, 17; 4, 34; 5, 24.30.37, ecc., e, poco prima, 9, 4). Non si menziona l 'acqua della piscina, che è pertanto l'acqua dell'I nviato, lo Spirito che sgorgherà dal suo intimo (7, 37-39; 19, 34). e la seconda piscina che si menziona in questo vangelo. La prima era situata all'interno della città (5, 2 : in Gerusalemme, presso la Pecoraia) e aveva cinque portici, figura della Legge (5, 2 Lett.). La seconda è al di fuori della città, ed è la piscina dell'Inviato. Nella prima, l'acqua si agitava periodicamente; come si è visto, questo fatto è figura, nel vangelo, delle agitazioni messianiche in cui il popolo poneva la sua speranza (5, 7). Quella di Siloe ricorda il testo di Is 8, 6-7: • Questo popolo ha rigettato le acque di Siloe, che scorrono piano ... per questo, ecco, il Signore li farà sommergere dalle acque del fiume, impetuose e abbondanti •. La duplice menzione di ungere/spalmare (9, 6. 1 1 ) e quella della piscina (9, 7), termine che sarà utilizzato per designare il fonte battesimale cristiano, mostrano che l'attività di Gesù viene letta attraverso riti di iniziazione di una comunità. 7b · Andò, si lavò e tornò vedendo. L'uomo segul le istruzioni e ottenne la vista. II cieco ha ora raggiunto la sua integrità umana. La sua fede consistette nel fidarsi di Gesù, e si espresse andando alla piscina. Le opere di Dio (9, 3s) realizzano l'uomo. Ha visto la luce, non attraverso un insegnamento, ma attraverso I'azi()­ ne. L'uomo si è lavato, come gli aveva detto Gesù. Quest'atto non ha qui valore di purificazione, dato che né lui -né i suoi genitori avevano peccato (9, 3). • Lavarsi • indica pertanto l'accettazione dell'acqua del­ l'Inviato, lo Spirito, l'amore che si manifesta. Il risultato dell'azione di Gesù e dell'accettazione da parte del cieco ha come effetto la vista (tornò vedendo). I I cambiamento espresso in questi termini consiste nella capacità di vedere/conoscere cosa sono l'uomo e il mondo. e stata prodotta dal contatto con il fango di Gesù, accettato dal cieco, vale a dire, dall'accettazione del progetto di Dio sull'uomo e dall'adesione a esso. Equivale a un dono di sapienza che gli 1 •

Cfr. S. · B. II. 530-533. Cfr. Jeremias, lerusalén, p. 332.

,.,_

411

Il pomo del Meu:la. Ciclo dell'uomo

permetterà di distinguere i veri valori da quelli falsi (cfr. 9, 1 3ss). Non gli è stata comunicata una dottrina, ma una percezione vitale di ciò che è l'uomo. Egli sa adesso, personalmente, cosa significa esserlo. Questa esperienza orienterà in futuro la sua azione. Come è già stato accenn·ato (9, 5 Lett.), dare la vista ai ciechi era uno dei segni propri della salvezza definitiva, annunciata dai profeti come simbolo della liberazione dalla tirannia. Cosi, Is 29, 1 8ss: Udranno in quel giorno i sordi le parole di un libro; liberati dall'oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno. Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo di Israele. Perché il tiranno non sarà più .. . •: 35, 5.10: • Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi ... ritorneranno i riscatta· ti dal Signore •: 42, 6-7 (del Servo di Dio) : • Io, il Signore, ti ho chiamato ... ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre • : 49, 6.9a: • t! troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Ma io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra ... per dire ai prigionieri: uscite, e a quanti sono nelle tenebre: venite fuo­ ri J>. Le tenebre svaniscono davanti alla rivelazione di Dio, Is 60, l ss: • Alzati, rivestiti di luce (Gerusalemme), perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Perché, ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno i popoli alla tua luce " · •

8 l 1•icini e quelli che in precedenza erano soliti incontrar/o, perch� era un mendicante, domandavano: • Non è lui quello che stava seduto e mendicava? •. La guarigione del cieco provoca perplessità fra la gente che lo conosce­ va. Alcuni pensano che non possa trattarsi della stessa persona 9; altri, invece, affermano che è lui. Per la prima volta viene detto che il cieco era un mendicante. Chiedeva l'elemosina seduto; stava immobile, impo­ tente, dipendente dagli altri. Gesù, dandogli la vista, gli ha dato il moto e l'indipendenza. Il caso del cieco presenta uno stretto parallelismo con quello dell'invalido. Uno era sdraiato al suolo, l'altro seduto, entrambi senza poter far nulla; sono morti che ricevono vita (5, 21), oppressi che ricevono libertà. 9a Alcuni dicevano:

miglia



t; proprio lui

•·

Altri invece:



No, ma gli asso­

•.

La gente, per identificarlo, non Io ha chiamato • il cieco •, ma it mendicante seduto; lo ha descritto con la sua inattività e dipendenza. conseguenza della sua cecità. Il dubbio sull'identità del cieco riflette la novità prodotta dallo Spirito; pur essendo egli stesso, è un altro. (; la di fferenza fra l'uomo senza iniziativa né libertà e l'uomo libero. 9

Neii'AT non si dà alcun caso di guarigione di un cieco dalla nascita.

412

9, 1-12.

9b

Egli affermava:



Sono io

Guarll!one

del cieco

•·

Gv pone sulla bocca del cieco le stesse parole che Gesù usa per identificare se stesso (4, 25-26 Lett.; 6, 20; 8, 24.28.58). Sono collocate fra le due menzioni dell'unzione (9, 6.1 1 ) e riflettono la nuova identità dell'uomo completato dallo Spirito; come Gesù, ora egli è un unto, ha trovato se stesso. IO



Allora gli chiesero:

Come ti si sono aperti gli occhi? •.

Adesso Io interrogano i vicini e quelli che lo avevano conosciuto come mendicante. La frase che usano allude ai testi profclici già citati in precedenza (9, 7b Lett.). Il fatto insolito suscita il loro interesse, e vogliono sapere come sia avvenuto. I l Egli rispo se: • Quell'uomo che si chiama Gesù fece del fango, me ne unse gli occhi e mi disse: • Vai a Siloe e lavati • · Allora andai, e /avandomi cominciai a vedere •·

La risposta di colui che era stato cieco, e torna a enumerare le azioni di Gesù (cfr. 9, 6), mostra l'importanza del racconto della guà rigione. I l guarito considera Gesù u n uomo come lui (9, 1 : un uomo; 9, 1 1 : quell'uomo). Sa che si chiama Gesù, che nel contesto potrebbe alludere al suo significato etimologico, • Dio salva • , ma non Io conosce. Certo è che, seguendo le sue istruzioni, ha ottenuto la vista. 12

Gli dorrumdarono:



Lui dov'è? •. Rispose: • Non so •.

La guarigione constatata suscita l'interesse per la persona di Gesù. La gente vuoi sapere dov'è. Prima vedevano il cieco seduto, dipendente dagli altri (mendicante), ora lo vedono integro e indipendente grazie all'azione di Gesù. Il segno suscita una speranza, e vogliono trovare colui che lo ha realizzato (cfr. 6, 2). L'uomo, tuttavia, non sa dove sia. Gesù non fa proselitismo, semplicemente agisce a favore dell'uomo e gli lascia la sua libertà.

SINTESI Sottomessi da sempre all'oppressione, molti uomini non sanno neppure che cosa significa la vera condizione umana, l'obiettivo per cui Dio li ha creati. Gesù è il modello di Uomo, in cui splende al massimo grado questa qualità di vita, capace di comunicarla. Missione di Gesù e dei suoi è mostrare tale possibilità, più che a parole, con la realtà che vivono e con gesti che realizzino la salvezza. t! un'offerta gratuita che dev'essere liberamente accettata.

413

Gv 9, 1 3-34: Verifica del fatto e Interpretazione del dirigenti Condussero dai farisei quello che era stato cieco. 14 Il giorno in cui Gesù fece il fango e gli aprì gli occhi era riposo di precetto. B Anche i farisei, a loro volta, gli domandarono come avesse potuto vedere. Egli rispose loro: - Mi ha posto del fango sugli occhi, mi sono lavato e ora vedo. 1 6 Alcuni dei farisei commentavano: - Quest'uomo non viene da parte di Dio, perché non osserva il giorno del riposo. Altri invece dicevano: - Come può un uomo, se è peccatore, realizzare simili segni? Ed erano divisi. 17 Domandarono un'altra volta al cieco: - A te ha aperto gli occhi; tu, di lui, cosa pensi? Egli rispose: - È un profeta. n

18 I

dirigenti giudei non credettero che egli fosse stato cieco e avesse ottenuto la vista fino a quando non chiamarono i genitori di colui che aveva acquistato la vista, 19 e domandarono loro: - È questo vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede? 2o Risposero i suoi genitori: - Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco. 21 Come mai però ora ci veda, non sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui, è adulto, egli stesso renderà conto da sé. 22 I suoi genitori risposero così per paura dei dirigenti giudei: i dirigenti avevano infatti già convenuto che chi riconoscesse Gesù come Messia venisse escluso dalla sinagoga. 23 Per questo i suoi genitori dissero: " È adulto, interrogate lui ». Chiamarono allora per la seconda volta l'uomo che era stato cieco, e gli dissero: - Riconoscilo davanti a Dio. Sappiamo bene che quest'uomo è un peccatore. 2s Allora egli replicò: - Se è peccatore o meno, non lo so; una cosa so, che ero cieco e ora vedo. 26 Insistettero: - Cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi? 27 Replicò loro: - Già ve l'ho detto e non mi avete dato retta. Perché volete sentirlo un'altra volta? Forse anche voi volete diventare suoi discepoli ? 28 Essi lo colmarono di improperi e gli dissero: - Discepolo di quello sarai tu, noi siamo discepoli di Mosè. 29 Sappia­ mo bene che con Mosè ha parlato Dio; quello, invece, non sappiamo da dove proviene. J o Replicò loro l'uomo: - Questa appunto è la stranezza, che mentre a me ha aperto gli occhi, 24

414

9, ll-34.

Interrogatorio

al clec:o

guarito

voi non sappiate da dove proviene. 31 Sappiamo che Dio . non ascolta i peccatori, ma chi Io ri s p e t t a e realizza il suo disegno, questo Io ascolta. 32 Mai si è sentito dire che qualcuno abbia aperto gli occhi a uno che nacque ci ec o; 3' se questi non venisse da parte di Dio, non avrebbe po tu to far nulla. H Gli replicarono: - Sei nato lercio di peccati, e vuoi dar lezione a noi? E lo cacciarono fuo ri .

NOTE FilOlOGICHE 9, 13 14.16

queUo che era stato cieco, gr. ton pote tuphlon. riposo di precetto. Cfr. 5, 9b nota.

15 a loro volta, gr. palin. In parallelo con la· domanda della gente (9, 10: p6s; 9, 15: p6s); cfr. Mc IO, 2.10. 16 un uomo, se � peccatore, gr. anthr6pos hamart61os. - Ed erano divisi, gr. kai skhisma en en autois. Situazione durevole; cfr. 10, 19.

17

Domandarono, gr. legousin. Pres. st. specificato dal contesto. La prop. causale gr. (hoti, giacché, dato che) si colloca

- A te ha aperto, ecc.

dinanzi alla principale.

- pensi, gr. legeis. Trad. idiomat. it. 18 La particella oun (in luogo di de) identifica i farisei precedenti (9, 13.15.16).



giudei • (9, 1812bis) con i

- avesse ottenuto la vista, aveva acquistato la vista. Espressioni equivalenti per evita re la monotonia, evitata in greco dalla differenziazione di forme verbali (aor., part.). 21 non lo, gr. ouk. La seconda negazione allude alla prima, - è adulto, gr. helikilln ekhei. Aram. che designa un individuo maggiore di tredici anni, considerato maggiorenne (S.·B. II, 534s). - egli stesso renderà conto da sé, gr. autos peri heautou /alései. Riferito al fatto. 22 risposero così, gr. tauta eipan. Verbo specificato dal contesto. - Gesù, gr. auton. Si sostituisce il nome proprio al pronome personale per

evitare ambiguità (N.d.T.).

24 Riconosci/o davanti a Dio, gr. dos do:can t6 The6. Frase idiomatica abi­

tuale per invitare a essere sincero, senza tener conto degli inconvenienti che ne possano derivare; chiede all'interpellato una condotta che non pro­ fani, ma glorifichi il nome di Dio (S.-B. II, 535). Secondo i casi bisognerà tradurre in un modo o in un altro. Cfr. Gs 7, 19: • dà gloria al Signore ... rendigli omaggio e raccontami ciò che hai fatto •: Es d 10, 1 1 : • confessatelo al Signore •: Ap 1 1 , 13: • diedero ragione al Dio .del cielo •; 14, 7; 16, 9. Sa­ rebbe sufficiente tradurre: • riconoscilo •; ma è opportuno conservare la

415

Il pomo del Messia. Ciclo dell 'uomo menzione di Dio, la cui autoritfl si arrogano i dirigenti per opporsi a Gesù. Sappiamo bene, gr. hemeis oidamen. Perfettivo.

-

25 Se è peccatore o meno. Secondo l'uso it. si aggiunge la di sgiunt iva meno "· implicita nel " se • du b i ta tivo.



o

28 Discepolo di quello, ecc. , gr. su math�tls. l'enfasi della frase greca viene tradotta con un idiotismo it. (Sarai: si tratta di una ritorsione, che l'il. esprime con il futuro). (N.d.T.). 29 ha parlato, gr. lelaleken. Pf. estensivo, cfr. El Aspecto Verbal, n. 246. 30 la stranez�a. gr. lo thaumaston. In senso negativo: sconcertante; costruz. idiom. i t.

curioso, strano.

31 lo ris petta, gr. theosebes i. Il verbo gr. sebomai denota il timo re reve­ renziale di Dio; l es pressione equivale a phobeitai ton Theon, già lessicaliz­ zata neli'AT pe r indicare il rispetto nei confronti di Dio; cfr., per es. Is I l . 2: spirito di conoscenza e di timore del Signore. "

Sei nato lercio di peccati, gr. en hamartiais su egenéthes holos. Il gr. un term ine indicante totalità (holos) che enfatizza il disprezzo dal con tes to Trad. idiom. it. (N.d.T). - vuoi dar le�ione, gr. su didaskei.5. L'espressione it. esplicita i l rifiuto con­ tenuto nel greco. 34

p resenta i n d icato

.

CONTENUTO E DIVISIONE La pericope. inclusa fra i l rigetto di alcun i farisei: quest'uomo non viene da parte di Dio (9, 16) e l'affermazione del cieco guarito: se questi non venisse da parte di Dio (9, 33), mostra lo sconcerto degli avversari di

Gesù, i cui principi teologici vacillano dinanzi all'accaduto. La loro prima

reazione è ne gare il fatto, e interrogano i genitori dell 'uomo guarito pen­ sando di scoprire un inganno. Dinanzi all'innegabile evidenza, cercano di imporre la loro autorità dottrinale all'individuo , ma la sua sapienza, nata dal l'esperienza di una nuo va vita, si rivela più forte del loro prestigio, e l'uomo rifiuta di sottomettersi. Dinanzi a ciò ricorrono a una misura violenta, espellendo l'uomo dalla comunità. Come Gesù era incompatibile con il tempio, dove stava per essere lapidato, cosi chi riceve da lui la v ita non trova posto nell'istituzione giudaica. La pericope contie e tre scene. La prima (9, 13-17), dopo aver precisato che il giorno della guarigione era riposo di precetto (9, 14), descrive l'interro­ gatorio da parte dei farisei del cieco guarito, che provoca una divisione fra di essi e una d i ch iarazione dell'interrogato. La seconda (9, 18-23) pre­ senta quei dirigenti che dinanzi alla difficoltà che il fatto crea loro, cer­ cano d i indagare se la guarigione sia falsa. Per questo chiamano i genitori del cieco, che, tuttavia, convalidano la verità dell'accaduto. La terza (9, 2�34) narra il tent ati vo dei dirigenti di recuper.�re l'uomo guarito, facen do gli rin­ negare Gesù. Davanti alla resistenza dell'uomo, lo espellono.

n

Riassumendo : 9, 13-17: I nte rrogatori o del guarito e di vi sion e tra i farisei. 9, 18-23: Tentativo di negare il fatto. Interrogatorio dei genitori. 9, 2�34: Tentat ivo di separare il cieco guarito. da Gesù.

416

9, ll-34. Intenoptorlo al cieco IIWirllo

LETTU RA I nlerrogalorio dell'uomo guarilo

e

divisione Ira i fari.rei

9, 1 3 Condussero dai farisei quello che era stato cieco. Fra i dirigenti gi � dei, dei quali fanno parte (9, 1 8 nota), i farisei sono l più attivi (cfr. 4, 1-3; 7, 32.47; 8, 13); sono quelli che detengono di falto il controllo sul popolo. L'ambiente della scena non riflette tanto un conflitto con il potere centrale giudaico (cfr. S, l : festa; S. 1 4 : tem­ pio; S, 16.18, ecc.: dirigenti giudei) , quanto quello della comunità cristiana con la sinagoga. 14 Il giorno in cui Gesù fece il fango e gli apri gli occhi era riposo di precetto. Come nell'episodio dell'invalido (5. 9b), la menzione del precetto è differita alla metà della narrazione. Per Gesù non conta il giorno festivo, non riconosce la sua esistenza. La Legge è in vigore per i farisei, non per lui, che continua a lavorare a favore dell 'uomo, come lavora il Padre (S, 17; 9, 4). Accanto al riposo di precetto, Gv menziona l'azione di Gesù (impastare il fango). che era esplicitamente proibita dall'interpretazione farisaica della Legge 1 , e vi abbina la frase • gli aprì gli occhi •, di chiaro significato messianico (9, 7b Lett.) . Il suo • im­ pastare il fango • prolunga il giorno sesto della prima creazione; Gesù continua a creare l'uomo. 1S Anche i fa risei, a loro volta, gli domandarono come avesse potuto vedere. Egli rispose loro: • Mi ha posto del fango sugli occhi, mi sono lavato e ora vedo •I farisei cominciano l'interrogatorio. A loro non interessa il fatto della guarigione, ma il come, perché è da 'questo che possono valutare se c'è stata infrazione della Legge. Non si rallegrano con l'uomo; l'umano viene visto attraverso il fattore giuridico. La risposta dell'uomo è schietta: mi ha posto del fango sugli occhi, mi sono lavato e ora vedo. Il fatto è incontestabile per la sua stessa semplicità. Non si nomina Gesù, che è sullo sfondo e inquieta i farisei. 16a Alcuni dei farisei commentavano: • Quest'uomo no·n "iene da parte di Dio, perché non osserva il giorno del l'iposo •La risposta del cieco produce divisione fra i farisei. Il primo gruppo adotta come unico criterio di giudizio l'osservanza della Legge. Chi l'osserva è con Dio, chi la viola non può venire da Dio. Essa è la norma indiscutibile che regola la relazione con Dio e traccia la linea discrimi­ natoria fra quanti gli sono graditi e quanti egli respinge. Il Dio di co­ storo non si interessa all'uomo sofferente o reso inutile; per questo Dio, 1

Impastare fango e applicarlo sugli Il, 330; l, 61Ss.

S. - B.

occhi ..rano lamri

proibiti

di sabato. cfr.

417

Il

giorno del Measla. Ciclo dell'uomo

il dato inviolabile, il valore supremo, è la Legge (cfr. 5, 10.22-23 Lett.). La Legge impersonale, come una muraglia, occulta l'amore di Dio e gli impedisce di manifestarsi (2, 6). 16b Altri invece dicevano: • Come può un uomo, se è peccatore, realizzare simili segni? ». Ed erano divisi.

Un secondo gruppo di farisei dubita. Essere peccatore - praticamente equivalente di empio, miscredente - sembra incompatibile con il segno così clamoroso che Gesù ha appena realizzato. Essi, inoltre, parlano di • segni • al plurale, conoscono la sua attività. Scoprono che il fatto • segnala » una realtà superiore, che non può essere che di Dio. Ma ciò che li impressiona è la qualità dell'azione; scoprono in essa il potere di Dio, non l'amore del Padre. Il gruppo è diviso, Gesù fa vacillare la loro sicurezza. 17 Domandarono un'altra volta al cieco: • A te ha aperto gli occhi; tu, di lui, cosa pensi? •. Egli rispose: • E 1111 profeta •.

In questa divisiÒne, ricorrono all'uomo e gli domandano il suo parere, come testimone eccezionale. Egli lo esprime in tutta semplicità: Gesù è un profeta. Non ha scoperto tutta la realtà di Gesù, ma è per lui indiscutibile che non è separato, né contro Dio; è un suo inviato e agisce a nome suo. � lo stesso processo di riconoscimento di Gesù seguito dalla samaritana (4, 19).

Tentativo di negare il fatto. Interrogatorio dei genitori 18-19 I dirigenti giudei non credettero che egli fosse stato cieco e avesse otrenuto la vista, fino a quando non chiamarono i genitori di colui che aveva acquistato la vista, e domandarono loro: « È questo vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede? •·

I farisei vengono ora chiamati con una denominazione più generica: i dirigenti giudei (• i giudei • ) . Gv segnala così la complicità dei farisei con l'ordinamento ingiusto; sono gente fedele al regime, e in esso hanno influenza. La loro connivenza con i sommi sacerdoti contro Gesù era già apparsa (7, 32.45). Davanti al dilemma insolubile si rifugiano nell'incredulità. Non vogliono vedere il fatto, perché contrasta con le loro convinzioni e demolisce il loro sistema teologico. L'ideologia li acceca. Questa, basata sul pregiu­ dizio e sul privilegio, è per loro indiscutibile; trincerati in essa, defor­ mano o negano la realtà stessa. Chiamano i genitori di quello che era stato cieco per scoprire se vi sia frode. Queste persone non avevano avuto colpa della cecità del figlio (9, 3 ) ; sono gente sottomessa che non ha nemmeno conosciuto la libertà. Di fatto hanno paura dei dirigenti (cfr. 7, 13). vivono nelle tenebre. La domanda che viene loro rivolta è duplice: in primo luogo, se sia vero che i l figlio nacque cieco e, in caso affermativo, come abbia ottenuto la vista. Il fatto è talmente evidente da condannare l'atteggiamento dei dirigenti nei confronti di Gesù, e 418

9, 1J.34. lnterroptorlo al cieco ,...rito

questo causa loro una profonda angustia. Ricorrono ai genitori con l'occulta speranza che il fatto non sia reale, ma costoro non faranno a ltro che confermarlo. Dovranno allora ricorrere, per difendersi dalla loro propria incoerenza, a un a priori teologico che giustifichi la posizione assunta. Risposero i suoi genitori: • Sappiamo che questo è nostro figlio e che è na to cieco. Come mai però ura ci veda, �ron sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. C l1 ie de te/o a lui, è Cldulto; egli stesso renderà conto da sé ».

20.21

I genitori affermano il fatto che conoscono di prima mano: il loro figlio

nacque cieco; insistono però nella loro ignoranza circa il modo o l 'agente della guarigione. Rifiutano ogni complicità con il fallo che i l figlio veda; dichiarano di non avere nozione d i chi l o abbia guarito. Si difendono come se • vedere • fosse un crimine; così è, di fatto, per i farisei. Gv ripete il dato dell'età adulta del cieco guarito (9, 2 1 .23), mostrando di attribuirle un'importanza particolare. In entrambe le occasioni è messo sulla bocca dei geni tori, in relazione con i l timore che provano di essere espulsi dall 'istituzione giudaica. Anche se vi si trovano oppressi (timore), è il loro unico orizzonte, non potrebbero viverne al di fuori. La loro sottomissione è ancestrale, come lo era quella del figlio. Per tale paura, declinano ogni responsab ilità nella guarigione e negano di conoscere Gesù. Tuttavia pensano che il figlio possa parlare: chiedetelo a lui, è adulto, egli stesso renderà conto da sé. La combinazione fra l'età adulta e il rendere conto personalmente alle autorità, mostra una chiara differenza con i genitori, che hanno paura di esprimersi. L'età adulta significa pertanto la capacità di parlare con libertà, basata sulla propria esperienza (render conto da sé), indicando la sicurezza dell'uo­ mo fatto, che non teme di esprimersi per la nuova sapienza e libertà che lo Spirito gli ha comunicato. Appare, quindi, un parallelo con l 'espressione incontrata in 6, lOb (uomini adulti, cfr. ibid. Lett.). 22

l suoi genitori risposero così per paura dei dirigenti giudei!. i dirigenti avevano infatti giD. convenuto che chi riconoscesse Gesù come Messia venisse escluso dalla sinagoga.

La naturale gioia per la guarigione del figlio non può essere manifesta­ ta. La paura impera. Tale è la situazione del popolo davanti alle autorità (cfr. 7, 13). I sudditi non devono avere opinione pro pria, ma dipendere da quella dichiarata dai dirigenti (7, 26). Questi la possono imporre perché dispongono di mezzi di coercizione: avevano infatti già convenuto che ... venisse escluso dalla s inagoga . Non offrono ragioni, è un atto di pura autorità. Si vede ora perché Gv abbia cambiato la denomi­ nazione • i farisei • con quella • i dirigenti »; la decisione non è solo dei farisei, ma della cerchia di potere nel suo complesso. t! strana la menzione del Messia in questo luogo. La moltitudine di Gerusalemme, almeno in gran parte, lo aveva riconosciuto come tale, e questo aveva allarmato i farisei che, d'accordo con i sommi sacerdoti, avevano ordinato di catturare Gesù (7, 3ls.4 1 ) . L'incredulità totale era tipica dei

419

Il giorno del Meula. Cielo deU'uomo

dirigenti (7, 48; 8, 19.25.53.59), sebbene vi fossero partigiani del sistema che gli davano credito (8, 31). I rappresentanti ufficiali di Dio e della sua Legge scomunicano chi riconosce l'inviato di Dio, il Messia, in Gesù, che libera coloro che essi opprimono. 23

Per questo i suoi genitori dissero:



E adulto, interrogate lui •·

Queste persone vivono intimorite, non osano sfidare i loro oppressori. Secondo i dirigenti, è male che il cieco abbia avuto la vista, perché il fatto si oppone alla loro Legge. Essi si oppongono così all'esperienza umana, invertono i valori elementari. I genitori non possono manifesta­ re gioia né mostrarsi riconoscenti a Gesù. Potrebbero essere considerati dei rinnegati e degli apostati.

Tentativo di separare il cieco guarito da Gesù 24 Cll iamarorto allora per la seconda volta l'uomo che era stato cieco, e gli dissero: • Riconoscilo davanti a Dio. Sappiamo bene che que­ st'uomo è un peccatore •·

Non hanno potuto dimostrare una frode nel fatto della guarigione. I genitori di colui che era stato cieco hanno confermato che nacque così. Vogliono adesso evitare la testimonianza dell'uomo a favore di Gesù, che tornerebbe a discredito della loro istituzione. Cercheranno di fargli rinnovare la sua lealtà nei loro confronti, contro colui che gli ha dato la vita. Un anello in più nella catena di contraddizioni cui li porta l'inquietudine di fronte al fatto. Adesso condannano Gesù in nome della morale ufficiale (peccatore) perché lo anatematizzi proprio colui che è stato guarito. t> l'ultimo modo per fargli negare, o più che altro rinnegare, il beneficio ricevuto; lo vogliono condurre a rigettarlo come un male. Quelli .che prima erano divisi (9, 16) hanno raggiunto l'unanimità. Non hanno potuto negare la guarigione, ma pensano di poter ridurre al silenzio l'interrogativo che pone loro. Per questo sentenziano che Gesù è un peccatore, cioè un miscredente. Nel conflitto fra la verità del fatto e il pregiudizio teologico, vince quest'ultimo. Dio non può agire contro il precetto a beneficio dell'uomo: il bene dell'uomo è un male, un'offesa a Dio. Ora domandano al cieco guarito di riconoscerlo egli stesso. Vogliono imporgli la propria idea di Dio, il giudizio che formulano loro, come più valido della sua esperienza. L'uomo dovrebbe ammettere che sarebbe stato meglio restare cieco, perché la vista di cui gode adesso è contraria alla volontà di Dio. Difendono la loro posizione negando l'evidenza. Sono i nemici della luce; con • la menzogna • (cfr. 8, 44) cercano di estinguerla ( l , 5). 25 Allora egli replicò: • Se è peccatore o meno, non lo so; una cosa so, che ero cieco e ora vedo •·

L'uomo oppone il fatto alla teoria; non entra in questioni ideologid Ciò che sa è che il suo stato attuale è indiscutibilmente migliore precedente; questo non può negarlo. 420

t, ll-34. loterroptorlo al deco guarito

Il cieco speriménta In se stesso come un bene la libertà e l'integrità umana; la sua esperienza è stata quella dell'amore gratuito, di una relazione personale comunicatrice di vita. l; questo ad aprirgli realmen­ te gli occhi e a renderlo più saggio dei maestri farisei. Egli sa ora (al di là di quella teologia e morale legalista) ciò che è l'uomo e ciò che è Dio. Egli vede, i maestri sono ciechi. È curioso che, mentre quelli gli parlano di Dio, lui, davanti alla sua evidenza personale, si disinteressi di quanto gli predicano. Si direbbe che non gli importi tale Dio, ma • l'uomo » in cui ha • visto • l'amore gratuito. In Gesù è presente il Padre.

26

Insistettero:



Cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?

•·

Nonostante la sicurezza che prima hanno dimostrato, non sono tran­ quilli. Gv continua a usare la frase (aprire gli occhi) che allude alla liberazione annunciata da Isaia: il fatto descritto in termini profetici preoccupa questi conosc1tori della Scrittura. Con l'insistere, denunciano la loro cattiva coscienza. 21 Replicò loro: • Già ve l'ho detto e non mi avete dato retta.. Perché volete sentirlo un'altra volta? Forse anche voi volete diventare suoi discepoli? •·

Vorrebbero trovare una scappatoia. La replica dell'uomo li associa ai sordi di Is 42, 1 8 : • sordi, ascoltate, ciechi, volgete lo sguardo per vedere •. Il popolo è cieco, perché non lo lasciano vedere; i dirigenti, sordi, perché non vogliono udire. Dinanzi a quell'accecamento, l'uomo si permette l'ironia: forse anche voi volete diventare suoi discepoli?

28

Essi lo colmarono di improperi e gli dissero: • Discepolo di quello sarai tu, noi siano discepoli di Mosè •.

Ùl risposta indica che l'intervento del cieco ha toccato il punto nevral­ gico del loro dilemma, mettendoli allo scoperto. Stanno cercando di rifiutare l'evidenza. Gv descrive come le tenebre non abbiano accolto la luce e come i dirigenti si sforzino di spegnerla in se stessi. Si rifugiano nella loro tradizione per non accettare la novità; si appoggiano al passato, sul quale hanno costruito il loro sistema teologico che Gesù abbatte. Gv sottolinea l'opzione fra Mosè e Gesù, fra la Legge senza amore e l'amore fedele ( 1 , 17). Aveva già proposto la questione in 3, 31-36, concludendo: chi non dà retta al Figlio non saprà cosa sia la vita:

no, la riprovazione di Dio rimane su di lui.

Fanno di Mosè un assoluto. Invece di comprendere che i suoi scritti annunciavano la realtà che Gesù porta (5, 47), vedono in essi una Legge definitiva e immutabile, e attraverso tale codice leggono la realtà: ciò che non collima con quella non ha validità. Legge alla mano, essi sanno ciò che Dio può o non può fare. II Dio creatore non si manifesta nel­ la Legge, ma nella vita dell'uomo, liberandolo e salvandolo: non è codificabile. Perciò, per credere, bisogna leggere i segni, le opere di Gesù, che sono quelle del Padre (5, 36; 9, 4). Dio chiede adesione alla vita che sorge per mezzo di Gesil (invalido che si leva, cieco che vede). Si prospetta cosi un'opzione per l'uomo: o 421

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

leggere direttamente nella vita, dove si manifesta l'azione di Dio, disposti ad accettare il nuovo e l'imprevedibile, o al contrario impe­ gnarsi a leggere la vita attraverso un'ideologia rigida che la soppianti; ci si trova così nel frangente di negare la realtà o di non riconoscervi l'azione di Dio. ·

29 • Sappiamo bene che con Mosè ha parlato Dio; quello, invece, non sappiamo da dove proviene "· Espongono la loro argomentazione per rifiutare Gesù. Di Mosè siamo certi; di quello no. Non potendo negare il fatto, vogliono denigrare la persona. Come di solito, designano Gesù con un pronome sprezzante. I I suo nome evoca l a loro storia. Gesù (Giosuè) , successore d i Mosè, introdusse il popolo nella terra promessa. Il suo nome significa " Dio salva •. ed essi non possono ammettere che Gesù sia un salvatore inviato da Dio. Che a Mosè abbia parlato Dio, risulta loro da alcuni libri che consen•a­ no un'epopea del passato, quando Dio, per mezzo di lui, aveva liberato il popolo. Non vogliono riconoscere la necessità di una nuova liberazione né che il popolo si trovi oppresso, perché ora gli oppressori sono loro. Coloro che cantano l'antica liberazione si oppongono a quella presente. Al Dio che in altri tempi li trasse dalla schiavitù proibiscono ora di trarre altri dalla schiavitù che essi procurano. Se l'esodo dall'Egitto era stato opera dell'amore di Dio per il suo popolo (mio figlio, Es 4, 22s; Os I l , l ) , essi interpongono ora la Legge di Mosè per evitare ogni nuova manifestazione del suo amore. Non sono disposti a riconoscerlo quando si mostra in Gesù. 30-33

Replicò loro l'uomo: • Questa appunto è la stranezza, che men­ tre a me ha aperto gli occhi, voi non sappiate da dove proviene. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma chi lo rispetta e realizza il suo disegno, questo lo ascolta. Mai si è sentito dire che qualcuno abbia aperto gli occhi a uno che nacque cieco; se questi non venisse da parte di Dio, non avrebbe potuto far nulla •.

L'uomo ridicolizza l'argomento dei dirigenti. Propone loro un criterio molto semplice per uscire dalla loro difficoltà. Usando una teologia ammessa da tutti (sappiamo) , conclude che Dio non può concedere a un miscredente di realizzare un'opera tanto straordinaria. La conclusio­ ne è ovvia: se questi non venisse da parte di Dio, non avrebbe potuto far nulla. Gv, per bocca del cieco, sta descrivendo alla lettera l'attività di Gesù: realizzare il disegno di colui che Io ha inviato (4, 34; 6, 38). I dirigenti, invece, gli si oppongono; per questo non possono percepire la verità del messaggio di Gesù (7, 17).

34a Gli replicarono: .,



Sei nato lercio di peccati e vuoi dar lezio11e a

1101 • • •

I dirigenti, incalzati, perdono le staffe. Tornano ad affermare la propria superiorità (cfr. 9, 24: sappiamo bene). Non discutono l'argomento del cieco, che è irrefutabile; passano all'insulto, come fecero con Nicodemo (7, 52) e con Gesù (8, 48). Questi aveva detto che il cieco non aveva 422

9, 13-34. Interrogatorio al cieco cuartto

peccato; loro, invece, ricorrono al loro falso principio e imputano al suo peccato congenito l'essere stato cieco. In realtà, erano loro gli oppressori, i colpevoli della cecità (9, 4 1 ) ; sono loro la tenebra che la produce, ma scaricano la colpa su di lui. Con la loro affermazione, tornano a deformare la realtà, questa volta quella dell'uomo stesso. Se non si sottomette al loro parere, negando l'evidenza, non è a posto con Dio. Dovrebbe tornare ad accecarsi per dar loro ragione. I dirigenti non hanno nulla da imparare (vuoi dar lezione a noi), sanno tutto e trovano risposte teologiche per tutto, perfino per negare l'evi­ denza. 34b

E lo cacciarono fuori.

Ora, fallita la costrizione morale, prendono misure violente. Lo espellono dalla comunità, perché non nega la sua stessa esperienza né rinuncia al bene che ha ricevuto. La sinagoga, retta dai di rigen ti, è il luogo della tenebra. Con la loro menzogna ufficiale hanno voluto spegnere la luce, che è la vita. Non avendo conseguito ciò, l'uomo non può restare all'interno. Per i responsabili, il bene dell'uomo non soltanto è indiffe­ rente ma risulta un impaccio, un ostacolo per il loro dominio. Rifiutano Gesù e quanti aderiscono a lui. Non c'è compromesso possibile; come Gesù dovette uscire dal tempio, cosi i suoi sono incompa tibili con la sinagoga.

S I NTESI I rappresentanti del potere religioso-politico giudaico sono sconcertati davanti all'opera di Gesù, che demolisce i presupposti teologici del loro sistema. La reazione è tipica: dopo l'impatto iniziale, che li fa vacillare, si accordano per neutralizzare il fatto. In primo luogo cercano di negarne l'esistenza, considerandolo una frode. Dinanzi all'inutilità del tenta tivo, ricorrono all'autorità dottrinale che si arrogano, per definire che quanto l'uomo sperimenta come bene e come vita è contrario a ciò che Dio vuole, e che pertanto non deve essere considerato un beneficio né, il suo autore, un inviato di Dio. Aggrappa ti alla loro ideologia negano l'evidenza e invertono i valori, chiamando il bene male e il male bene, la tenebra luce e la luce tenebra. Dietro tale ideologia vi è la loro posizione di privilegio e di dominio, che di fendono a ogni costo, anche · opponendosi · ai - fatti. La loro teologia, fondata sul concetto di un Dio che, tra il bene dell'uomo e l 'osservanza della sua Legge, opta per quest'ultima, ha argomenti per tutto. Dinanzi al fallimento della costrizione morale, ricorrono alla violenza, ultimo argomento, che mostra al tempo stesso la loro irrazionalità e la loro ca ttiva volontà. Pretendendo di possedere la luce, accecano se stessi e cercano di accecare gli altri.

423

Gv 9, 35-38: Incontro di Gesù con l'uomo !l

Gesù venne a sapere che lo avevano cacci à to fuori, andò a cercarlo e gli disse: - Dai la tua adesione a l'Uomo? 36 Egl i rispose: - E chi è, Signore, affinché possa dargliela? 'SI Gli rispose Gesù: - Se l o stai vedendo: t; proprio colui che ti parla! 38 Egli d ichia rò : - Ti do l a mia adesione, Signore. E si prostrò davanti a lui.

NOTE FILOLOGICHE 9, 35 andò a cercarlo. Cfr. 1 , 4 1 nota. - a l'Uomo, gr. eis ton huion tou anthropou. Cfr. Excursus, p. 874. Se lo stai vedendo . . l gr. heoraluls. Pf. in tens ivo incluso nella correla­ zione valutativa kai ... kai. Il se i t. valutativo traduce tanto l'aspetto intensivo del verbo quanto quello valutativo di kai.

37

.

,

"' .. .

Questo versetto e l'introduzione del v. 39 sono omessi dal Sin, dal papiro 75 e da varie versioni italiche. La loro autenticità tuttavia non è dub­ bia (cfr. Lett.) . La domanda di Gesù (9, 35: pisteueis) e l'intenzione dell'uomo (9, 36: hina pisteuso), annuncimo la confessione finale (pisteu6). Nel v. 39, inoltre, ha inizio un nuovo sviluppo, che deve essere separato dal prece· dente con un'introduzione propria. - Ti do la mia adesione, gr. pisteu6. Risposta a 9, 35. Cfr. 2, 11 nota. 38

CONTENUTO Il cieco guarito, che si

è mantenuto fedele alla verità della sua esperienza.

è stato espulso dall'istituzione sinagogale, dove i maestri impongono la loro

ideologia a a conoscere per la vita. zione passa

spese del bene dell'uomo. Gesù lo va a trovare e gli si dl come il modello di uomo, che lo aveva portato alla sua opzione L'espulso dà piena adesione a Gesù. L'emarginato dall'istitu· alla nuova comunità e comincia il suo nuovo culto.

LETIURA

9, 35a

Gesù venne a sapere che lo avevano cacciato fuori, andò a cercarlo.

L'iniziativa è di Gesù, come era successo con l'invalido (5, 14). A differenza di quest'ultimo, Gesù non previene l'uomo perché non pec424

9, 35. Incontro di Gesù con l'uomo

chi, dato che ha gi� l'esistito alla prova, confrontandosi con i dirigenti fino a trovarsi espulso. Egli ha visto la luce e non cede più alla tenebra. Gesù non abbandona colui che è stato fedele alla nuova visione di se stesso e del mondo. Con la sua domanda, completerà l 'opera di illumi­ nazione cui aveva dato inizio.

35b

e gli disse: • Dai la tua adesion e a t'Uomo? •·

La domanda è collegata a quanto accaduto in precedenza al cieco guarito. • L'Uomo • si identifica con il modello di uomo che Gesù gli aveva messo davanti agli occhi con il suo fango (9, 6 Lett.): l'immagine della sua stessa persona. Egli è la luce che splende nel mondo, perché la sua persona mostra all'uomo il progetto di Dio. La sua azione aveva fatto scoprire a l cieco in se stesso una nuova condizione umana, che prima non conosceva. Questo gli ha dato un nuovo sapere, una nuova coscienza di sé, che l'ha reso giudice della stessa Legge c libero dinanzi alla costrizione dei capi. Ma ancora non ha verificato che quanto sperimentato da lui deriva dall'azione di Gesù, e che ha in questi il suo ideale compimento, coincidendo con il disegno di Dio sull'uomo, realiz­ zato pienamente in Gesù. Identi ficandolo con il • fango • di Gesù, Gv spiega in questo passo il significato che dà all 'espressione • l'Uomo » (letter. il Figlio dell'uomo) : è la realtà umana portata al suo culmine con la comunicazione dello Spirito ( 1 , 32; 9, 6 Lett.). Come la samaritana, il cieco aveva visto in Gesù un profeta (9, 17; 4 , 19). Dopo tale riconoscimento iniziale, Gesù le si rivelò come il Messia (4, 25s) e ora, a colui che prima era cieco, come • l'Uomo •. Si vede il parallelo fra quel titolo e questa designazione di Gesù (4, 26: sono io, che ti sto parlando; 9, 37: colui che ti sta parlando). Nella chiave an tropologica propria di questo ciclo, e preci­ samente fuori delle istituzioni religiose, che hanno espulso tanto Gesù (8, 59) quanto il cieco (9, 34) , l'inviato di Dio si autodefinisce come • l'Uomo •, di significato universale. Gesù è il Messia per l'umanità intera in quanto è il modello di uomo. Gesù domanda al guarito se mantiene la sua adesione all'ideale che ha visto. Sottolinea l'aggettivo tua in opposizione ai dirigenti, che non credono (cfr. 9, 28) . La fede consiste nell 'aderire a Gesù, l'Uomo, in cui traspare la gloria o amore indefettibile del Padre.

36

Egli rispose:



E chi è, Signore, affinché possa dargliela? •·

L'uomo ha già dato la sua adesione interiore all'ideale di uomo che Gesù gli aveva fatto scoprire, ma non sapeva che si realizzasse piena­ mente in lui. Dinanzi alla domanda di Gesù, desidera identificarlo per esprimergli la sua fede. Dall'esperienza del dono ricevuto si giunge all 'adesione al datore dalla cui pienezza si riceve.

37 Gli rispose Gesù: parla! •.



Se lo stai vedendo:

È proprio colui che ti

Gesù si rivela all'uomo come aveva fatto con la samaritana (4, 26). Come luce del mondo, gli mostra la meta che Dio gli propone; come

425

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

liberatore e salvatore, gli dà la possibilità di raggiungerla, comunican­ dogli il suo Spirito, l 'acqua dell'Inviato (4, 14; 7, 37-39; 9, 7).

38 Egli dichiarò: davanti a lui.

«

Ti do la mia adesione, Signore

•·

E si prostrò

II verbo • prostrarsi », in greco, è lo stesso che in 4, 20s è stato tradotto con « rendere culto/adorare ». Gesù aveva annunciato alla samaritana che il culto in Samaria e a Gerusalemme sarebbe stato abolito dal culto reso al Padre con spirito e lealtà. Gesù, l'Uomo, è il nuovo santuario i n cui s i verifica l a presenza del Padre (2, 1 9-2 1 ; cfr. 1 2 , 4 5 ; 14, 9 ) . Colui che prima era cieco, espulso dalla sinagoga come peccatore, nemico di Dio, è rimasto escluso dalle istituzioni religiose (sinagoga, tempio), che monopolizzano il culto a Dio. In cambio, trova il nuovo santuario, Gesù, in cui si rende il culto annunciato alla samaritana. Questo non si localizza in un edificio, ma nell'Uomo, perché consiste nella pratica dell'amore leale (4, 23a Lett.), nel lavorare con Gesù realizzando le opere di colui che lo ha inviato (9, 4). L'adesione a Gesù è sfociata nell'adesione all'uomo (9, 4 Le tt.) . II guarito è uno di quegli adoratori che il Padre cerca (4, 23).

SINTESI Nell 'episodio del cieco si espone l'aspetto centrale della liberazione che Gesù conduce a compimento nell'uomo e che fonda il suo esodo. Consiste nel rendergli la coscienza del proprio valore e, di conseguenza . del valore di ogni uomo. Gesù non fa questo attraverso un insegnamen­ to dottrinale, ma attraverso la sua azione, manifestando all'uomo l'a­ more di Dio, espresso nel suo disegno su di lui. Sono le opere di Dio il veicolo del suo amore; esse fanno scoprire la propria dignità e libertà, e mostrano in Gesù la mèta della pienezza umana. In questo consiste il vero sapere, la luce. L'incontro con Gesù è un incontro con Dio nell'uomo, o con l'uomo che rende presente Dio nell'attività di amore. Questa esperienza sposta il culto dal tempio all'Uomo, che ora è il luogo della manifestazione di Dio. Con questi concetti ne possono essere messi in relazione altri, _incontra­ ti in precedenza nel vangelo. Dio, il Padre, si manifesta all'interno dell'uomo come un dinamismo di amore che conduce a una risposta di amore ( 1 , 16: un amore che risponde al suo amore), vale a dire, si sperimenta dal di dentro come forza che spinge verso gli altri. Gv chiama Spirito questa presenza dinamica, e chi l'accetta in sé nasce da Dio, ha una nuova vita. Quando viene sperimentata, rivela all'uomo la sua profondità umana, che in lui acquista realtà e dimensione grazie a questo Dio che in lui agisce, rendendolo cosciente della sua propria dignità e libertà; in altre parole, della sua condizione di figlio. t:. un'esperienza vitale diretta, della sua intera realtà (carne e Spirito), che lo colloca al di sopra di ogni definizione e soggezione schiavizzante.

426

9, 35. Incontro di Ge.ù con l'uomo . .

I capitoli S e 9 descrivono due azioni di Gesù nei confronti dell'uomo, che presentano molti tratti comuni e, al tempo stesso, una differenza fond:>mentale: l 'invalido (affetto anche da cecità, cfr. 5, 3), aveva pecca­ to (5, 14) ; il cieco dalla nascita, no (9, 3). Sono tipi di due situazioni umane: quella di coloro che sono privi di vita c attività (5, 3: storpi, disseccati) per aver dato la loro adesione a un'ideologia oppressiva (5, 3: ciechi)· e quella di quanti vivono sotto l'oppressione senza aver m ai conosciuto un'altra possibilita di esisten7.a ( 9 , l: ciecn dalla nascita). Nel caso dell'invalido e i n quello del cieco l'iniziativa appartiene a Gesù, l'uomo sperimenta l'effetto della sua azione come un bene fisico: salute e libertà di movimenti nel caso dell'invalido, vista e indipendenza nel caso del cieco. In entrambi i casi Gesù sparisce dalla scena e l'individuo guarito non sa chi sia e dove stia; tale espediente letterario comune sottolinea il disinteresse, la gratuità del beneficio; mette in primo piano il favore concesso, spogliandolo di ogni intenzione proseli­ tista. Infine, per iniziativa di Gesù, si produce un incontro con lui e il riconoscimento della sua persona. Oltre ad accentuare la gratuità, la distanza temporale fra l'esperienza del bene ricevuto e il riconoscimento di Gesù segnala anche, in forma paradigmatica, il processo psicologico del soggetto. In primo luogo ha avuto l'esperienza di un beneficio umano (salute, vista) indipendente­ mente da ogni professione di fede; ha ricevuto questo bene gratuita­ mente, perché Gesù ha preso l'iniziativa e non ha posto condizioni per ottenerlo; la prima conclusione cui si giunge è la bontà del dono e l'amore del donatore. Soltanto più tardi, come secondo passo, si scopre in Gesù, realizzatore di questo bene, una presenza più che umana, rico­ noscendolo come l'uomo in cui vive Dio e in cui si rende culto a lui. t;. a questo punto che il cieco acquista la vista completa. Non scopre, tuttavia, qualcosa di nuovo; è soltanto capace di dare un nome all'amo­ re che aveva già sperimentato. In entrambi i casi. pertanto, il contatto con Gesù non avviene a livello di idee o di dottrina, ma attraverso l'esperienza di un bene ricevuto, che si percepisce semplicemente come un bene umano. Questa espe­ rienza è innegabile, si impone di per se stessa, al di là di ogni ideologia. II primo contatto si verifica quindi con Gesù-uomo (9, 1 1 ) che opera a favore dell'uomo. II secondo passo scopre, attraverso l'esperienza del bene ricevuto, la pienezza dell'amore di Dio, il dinamismo di Dio creatore che colma Gesù e che agisce in lui; si riconosce allora Gesù come santuario di Dio (9, 38). La manifestazione dell'amore di Dio in Gesù, o manifestazione della gloria, che fonda la fede, avviene gratuitamente, senza esigere risposta. L'amore non si vende né la fede si compra. La manifestazione di amore su scala umana, accettata dall'uomo, gli farà scoprire interiormente una nuova dimensione del suo essere e di quello degli altri, che prima non si sospettava. Finirà con Io scoprire la qualità dell'amore, che di fatto procede da Dio stesso. Questa conclusione sarà formulata o meno; solo l'incontro con Gesù la porterà alla sua piena chiarezza. La differenza stabilita dal fatto di avere peccato' (invalido) o no (cieco) mostra che Gv sviluppa in questi episodi due aspetti dell'opera di Gesù. 427

Il (lomo del Messia. Ciclo

deU'uomo

Nel caso dell'invalido, il più comune (5, 3: una moltitudine), espone come Gesù toglie il peccato del mondo ( 1 , 29) dando all'uomo la forza (lo Spirito, cfr. l, 33) per uscire dall'oppressione in cui vive (5, 14: il tempio) Nel caso eccezionale del cieco (9, 1 : un uomo cieco dalla nascita) non si tratta di tog l iere il peccato, che non esiste, ma di completare la .

creazione: dell'uomo-carne, debole e vittima di ogni oppressione, Gesù

fa l'uomo-spirito (3, 6: dalla carne nasce carne, dallo Spirito nasce spirito). Questo, per la libertà che gl i dà la sua nuova visione di Dio e dell'uomo, si emancipa dal dominio dei dirigenti (9, 30.33) e risulta incompatibile con il loro sistema (9, 34: e lo cacciarono fuori).

428

Gv 9, '39-fO, 21 : lo sfruttamento del popolo e l'alternativa di Gesù 39 A!,!giunse Gesù: - Io sono venuto ad aprire un processo contro questo ordinamento; così coloro che non vedono, vedranno, e coloro che vedono, resteranno ciechi. 40 Vennero a saperlo quei farisei che erano stati da lui e gli domanda­ rono: - Siamo forse ciechi anche noi? • • Rispose loro Gesù: - Se foste ciechi non avreste peccato alcuno; ma proprio ora che dichiarate di vedere, il vostro peccato rimane.

10, 1 Davvero vi assicuro: Chi non entra nell'atrio delle pecore dalla porta, ma arrampicandosi da un'altra parte, quello è un ladro e un bandito. 2 Chi entra dalla porta è pastore delle pecore; 3 a questi il portinaio apre, e le pecore sentono la sua voce. Le sue pecore le chiama con il loro nome e le va conducendo fuori; • quando ha spinto fuori tutte le sue, cammina davanti a loro, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5 Un estraneo invece non lo seguiranno, fuggi­ ranno da lui perché non riconoscono la voce degli estranei. � Gesù propose loro questa similitudine, ma essi non compresero a cosa si riferisse.

Allora Gesù aggiunse: - Davvero vi assicuro che io sono la porta delle pecore. 1 Tutti coloro che sono venuti prima di me sono ladri e banditi, ma le pecore non hanno dato loro retta. 9 Io sono la porta, colui che entra attraverso di me si troverà in salvo, potrà entrare e uscire e troverà pascoli. 10 Il ladro non viene che per rubare, sacrificare e distruggere. Io sono venuto perché abbiano vita, e sovrabbondi in essi. 7

1 1 Io sono il modello di pastore. Il pastore modello dà se stesso per le pecore; 12 il salariato, che non è pastore, e cui le pecore non apparten­ gono in proprio, vede venire il lupo, lascia le pecore e scappa, e il lupo le arraffa e le disperde; 13 perché quello è un salariato, e non gli importa delle pecore. 1 4 Io sono il modello di pastore; conosco le mie e le mie conoscono me, 15 come il Padre conosce me e io conosco il Padre; cosicché do me stesso per le pecore. 16 Ho inoltre altre pecore, che non appartengono a quest'atrio; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e si farà un solo gregge, un solo pastore. 1 7 Per questo il Padre mi manifesta il suo amore, perché io consegno la mia vita e così la recupero. 11 Nessuno me la toglie, io la consegno per decisione mia personale. Sta a me consegnarla e sta a me recuperarla. Questo è il comandamento che ricevetti da mio Padre.

" Queste parole causarono nuovamente scissione fra Molti di loro dicevano: - t! pazzo da legare, perché lo ascoltate?

2•

i

dirigenti giudei.

429

n l!fomo del Meuta. Ciclo deD'uomo

21 Altri invece: - Queste non sono parole da pazzo; forse che la pazzia può aprire g l i occhi dei ciechi ?

NOTE FILOLO G I C H E 9 , 39 ad aprire un processo, gr. eis krima. Tennine che può denotare qua­ lunque momento del processo giudiziario, la sua apertura, corso e fine (sentenza). Per indicare la sentenza, tuttavia, Gv adopera krisis (3, 19; 5, 22.24.27.29.30; 7, 24; 8, 16; 12, 31; 16, 8.11), che denota l'opzione negativa del­ l'uomo stesso (3, 19 Lett.), che, con Gesù, acquista carattere definitivo. Il krima appartiene quindi alla missione di Gesù (sono venuto), ma non si identifica con la sentenza; denota pertanto il processo scatenato dalla sua presenza, la radicalizzazione dell'atteggiamento dell'uomo e dei gruppi davanti alla sua persona e attività. - [sono venuto ... ] contro questo ordinamento, gr. eis ton kosmon touton elthon. Il verbo venire (ilthon) non ha mai in Gv, come tennine locale, ton kosmon touton, ma semplicemente ton kosmon ( 1 , 9; 3, 19; 6, 14; 1 1 , 27; 12, 46; 16, 28; 18, 37), e cosi pure è il suo correlativo, essere inviato (3, 17; IO, 36; 17, 18). L'espressione • questo mondo/ordinamento • è appar.;a già una volta (8, 23) i n senso peggiorativo, designando l'ordinamento politico-religioso giudaico. Lo stesso significato avrà in 12, 25 (in mezzo a questo ordinamento); 16, 1 1 (come in 12, 3 1 : il capo di questo ordinamento) e 18, 36 (la regalità mia non appartiene a questo ordinamento). Per I l , 9 e 13, l si vedano le Lett. cor­ rispondenti. La preposizione eis denota ostilità, come in 8, 26: Ialo eis ton kosmon (cfr. ibid. nota) e 15, 21; cfr. Mc 3, 29; Le 12, 10; 15, 18.21; 22, 65; At 6, 1 1 ; 23, 30; Rm 8, 7; 2 Cor IO, l; Col 3, 9. Gesù non appartiene a questo ordinamento (8, 23); nei suoi confronti aprirà un processo che culminerà nella sen­ tenza (12, 31).

40 quei :.. che erano stati da lui, gr. hai met'autou ontes. Il part. (come l'impf.) di eimi può indicare passato rispetto al presente del testo (ppf.). Così, in stile diretto, Gv 9, 25: tuphlos 6n arti blep6, essendo stato cieco (ero/sono stato); cfr. in stile indiretto 9, 18 (impf.): hoti en tuphlos kai aneblepsen (fosse stato cieco). II pron. autou è un sostituto ambiguo, po­ trebbe riferirsi a Gesù, ma, nel contesto, rimanda al cieco guarito, nella scena con i farisei. 41

ma proprio ora che dichiarate di vedere, gr. nun de leget-e hoti ble­ pomen. Per il valore di nun de, cfr. 15, 22b.24b; 16, 5; 17, 13. La frase acqui­

sta enfasi per opposizione alla precedente, indicando la causa del peccato; per questo si usa un'espressione enfatica it. (ma proprio ora che dichiara­ te). Per evitare l'interruzione che causerebbe lo stile diretto, evitato in greco dall'hoti recitativo (hoti blepomen), si usa in it. quello indiretto.

IO, l nell'atrio, gr. eis ten aulen. Tennine che nell'AT (LXX) designa il recinto dove si trovava la tenda nell'Incontro (eb. J:r�ar) e, in epoca po­ steriore, gli altri del tempio: Es 27, 9.12.16; 37, 7.13; Lv 6, 16.26; 8.3 1 : tés aules tes skenes tou marturiou; Nm 3, 26.37; 4, 26.32; 2 Sam 17, 18; l Re 3, l; 6, 36_; 7, 8.9. 12; 2 Re 20, 4; 21, 5; 23 12; l Cr 9, 22.25; 16, 29; 2 Cr 4, 9; Ne 13, 7: il tesoro situato nella aule; Sal 99 (100), 4. In Est l , 1 .5; 2, 1 9 des igna il palaz430

9, 39 · IO, 21. L'alternativa di Gesù

zo

reale, cfr. Gv 18, 15. Non si usa per indicare un recinto destinato ad ani· mali; soltanto in Is 34, 13, come immagine di rovina, si vaticina che la regione sarà aule strouth6n, recinto di struzzi. Si menziona la porta (pulè) del recinto in Es TT, 16; 37, 13. In 2 Cr 4, 9 si menzionano due at ri con porte

(thurai).

- arrampicandosi, gr. anabain6n. 7 aggiunse, gr. eipen oun palin. La partic. oun coll eg a con il v. precedent e ; palin non denota una mera ripetizione, ma un'aggiunta in paral lelo alla vol ta precedente (4, 54 nota) . Il verbo it. integra la partic. e l'avverbio.

9 si troverà in salvo, gr. s6thèsetai. sivo. Come l'aor., denota il pass aggio

Fut. puntuale incoat. di stato succes­ da uno stato di pe ricolo a uno di si­ curezza. L'es p ressione equivale a " passare dalla tenebra alla luce » (cfr. 8, 12), • dalla morte alla vita • (5, 24; cfr. 3, 17).

11 il modello di pastore, gr. ho poimén ho kalos (cn fa t.) . Questo aggett. denota eccellenza (cfr . 2, 10, detto del vino ; 10, 32s, delle opere di Gesù ) . I l pastore p e r eccellenza, il modello di pastore. - dà se stesso, gr. tèn psukhèn autou. La vita che si identifica con la per· sona, equivalente, pe rtanto , al riflessivo; id. in 10, 15. In IO, 17.18 il con· testo esige che si traduca • la vita • a causa dell 'op pos izione a • togliere la vita • ( IO, 1 8 ). La traduzione del termine psukhé con • vita • si evita quanto possibile, mentre il termine vita si riserva alla traduzione di zoé, termine caratteristico di Gv, riferito alla vita che Gesù dà; si evitano cosi ambiguità. 15 cosicché, gr. kai. Consecutivo. Introduce l'atteggiamento cui la conoscenza-amore (cfr. Lett.).

Io

porta

16

Si adotta la variante genèsetai, ben attestata. Genésontai, significhe­ rebbe che l'unico gregge sarebbe stato composto soltanto dalle pecore che non appartenevano all'atrio/recinto di l"sraele (in corrispondenza con ekeina,

akousousin). 1 7 mi manifesta il suo amore, gr. me ... agapd. Uso manifestativo del pre­ sente di agapa6, in stile diretto, corrispondente a quello dell'aoristo in stile narrativo (cfr. 3 , 16). - e così, gr. hina. Consecu tivo; cfr. Lett. - la recupero, gr. palin labo. L'avverbio viene tradotto dal prefisso re-. 18 per decisione mia personale. Cfr. 7, 28 nota; 8, 42. - comandamento, gr. entolé. Secondo il contesto, ammette una vasta gamma

di significati. In questo passo, dove si è afferm ato l'amore del Padre per Gesù ( 10, 17). non si tratta propriamente di un comandamento; di ·un ordine,

ma d ell ' incarico incluso nella sua stessa miss ione . Si conserva, tuttavia, il termine • comandamento • perché lo stesso incarico, affidato ai suoi di­ scepoli, sarà espresso con questo termine, in opposizione ai comandamenti della Legge di Mosè (13, 34s; 14, 1 5 ; ecc.).

19 Queste parole causarono, gr. dia tous logous toutous. Si rende in voce attiva quella passiva del greco.

20 pazzo da legare. Per • pazzo •. cfr. 7, 20 nota; 8 , 48; • da legare ... gr. mainetai, è furioso. Si può tradurre « pazzo furioso o meglio « pazzo da •,

431

D clllnlo del Meat•. Ciclo deD'uomo

)�gatl! •. perché il verbo non denota gesti di Gesù o espressioni di ostilità da parte sua, ma l'opinione dei suoi avversari circa il contenuto del suo discorso.

21 la pazzia, gr. daimonion. monio •.

L'astratto di



essere pazzo/avere

un

de­

CONTEN UTO E DIVISIONE La pericope contiene una forte accusa contro i dirigenti giudei - sfrutta·

tori del popolo - che continua quelle mosse in precedenza, nei due episodi del tempio (2, 13ss; 8, 31ss). Esercitano oppressione con piena colpevolezza, perché, avendo davanti la luce, la respingono. Sono ciechi volontari che cercano di giustificare il falso e di presentarlo come volontà di Dio. Si sono arrogati una missione che non hanno, unicamente per il loro van­ taggio personale. Gesù afferma per questo che la sua missione come in­ viato di Dio è trarre il popolo sfruttato fuori della istituzione oppressiva, per formare una comunità alternativa, dove l'uomo trovi la sua pienezza. Mentre i dirigenti cercano soltanto il proprio interesse, distruggendo il popolo, Gesù annuncia che darà liberamente la sua propria vita per sal­ vario. La comunità umana che egli formerà non sarà una continuazione di Israele, ma riunirà uomini di origine diversa. Questa missione l'ha ri­ cevuta dal Padre. Le sue parole suscitano tra i dirigenti la stessa divisione e lo stesso sconcerto che essi avevano pensato di risolvere con l'espulsione del cieco (9, 16b.34b). Gesù, senza dichiarnrsi apertamente Messia, titolo che evita di pronunciare, descrive la sua missione messianica e come con­ durla a termine. Sebbene il discorso sia conseguenza di quanto avvenuto al cieco, cui si al­ lude al principio (9, 40: da lui) e alla fine ( IO, 21: aprire gli occhi dei ciechi), costituisce una scena distinta, in cui i personaggi sono Gesù e i farisei che avevano partecipato al giudizio dell'uomo guarito (9, 40), chia­ mati alla fine dirigenti ( i giudei •), in parallelo con 9, 13.18. La pericope comincia con un dialogo fra Gesù e il gruppo di farisei (9, 3941), e continua con una lunga esposizione di Gesù (10, 1-18). Questa contiene varie unità. In primo luogo Gesù dichiara la legittimità del suo proposito di condurre i suoi seguaci fuori dell'istituzione giudaica (10, 1-6) e si presenta come unica alternativa di vita (10, 7-10); poi si definisce mo­ dello di pastore, perché, a differenza di quanti cercano l'interesse proprio, egli darà tutto, perfino la vita, per i suoi, che non appartengono soltanto a Israele (10, 11-16); espone infine la relazione che l'unisce al Padre, che gli ha affidato tale missione (10, 17-18). La pericope si conclude descrivendo la divisione che il discorso provoca fra i dirigenti (10, 19-21). •

Riassumendo: 9, 394 1 : 10, 1-6: IO, 7-10: 10, 1 1 -16: 10, 17-18: 10, 19-21:

432

La cecità volontaria, peccato dei dirigenti.

Esodo dall'istituzione giudaica. Gesù, unica alternativa. Il modello di pastore. Amore del Padre e dedizione di Gesù. Divisione fra i dirigenti.

t, !t - IO, %1. L'altenu�tlva di Gelfl -, . ..,..

LETIURA

La cecità volontaria, peccato dei dirigenti .

9, 39a Aggiunse Gesù: questo ordinamelllo •-

«

lo sono yenuto ad aprire un processo contro

La frase di Gesù annuncia l'effetto della sua venuta. Sua missioDe non è giudicare l'umanità (3, 17; 12, 47), ma la sua presenza e la sua attività

denunciano il modo di agire del mondo • (7, 7) e aprono un processo contro l'ordinamento oppressivo. Il processo è già iniziato, e quindi obbliga a una precisa presa di posizione: chi è dalla parte dell'uomo starà dalla parte di Gesù, i suoi oppressori gli si mettono contro. I farisei e i dirigenti giudei hanno espulso il cieco . guarito perché non aveva rinnegato Gesù (9, 34b). Questi, che aveva sfidato i dirigenti a rinfacciargli un qualsiasi peccato (8, 46), o azione contro il bene dell'uo­ mo, rinfaccerà adesso il loro peccato, lo sfruttamento e l'oppressione del popolo. La menzione di " questo ordinamento • riprende la frase di 8, 23b: voi appartenete a questo ordinamento, io non appartengo a questo ordinamento. Questo ordinamento è incompatibile con Gesù (17, 14), lo odia (7, 7) e vuole ucciderlo (7, 1 .1 9.25; 8, 37.40). L'atteggia­ mento dei dirigenti è già il risultato del processo che Gesù ha aperto. La sua soluzione sarà la sentenza che essi stessi si daranno ( 12, 48; cfr. 3, 19). •

39b " così coloro che non vedono, vedranno, e coloro che vedono, resteranno ciechi •. Il processo che Gesù istituisce rovescerà le situazioni stabilite: quelli che non hanno mai potuto conoscere, come il cieco dalla nascita, conosceranno, perché sperimenteranno l'azione di Dio e con essa il suo amore. Invece, quelli che potevano conoscere, ma ingannavano o sfrut­ tavano il popolo con una falsa dottrina, rimarranno ciechi, per la persistenza del loro rifiuto di Gesù (3, 19s Lett.). Vennero a saper/o quei farisei che erano stati da lui, e gli doman­ darono: • Siamo forse ciechi anche noi? • ·

40

Questi farisei si sono resi giudici del cieco e lo hanno espulso. Hanno agito così in nome della loro Legge, utilizzata ingiustamente (7, 24) contro l'uomo. La loro domanda denuncia incredulità e autosufficienza. Gesù aveva predetto, come conseguenza del processo da lui aperto, che sarebbero rimasti ciechi; essi domandano ironicamente se già lo siano, rifiutandosi di credere che quanti possiedono la conoscenza basata sulla Legge possano essere ciechi o possano mai perdere la luce. 41 Rispose loro Gesù: « Se foste ciechi, non avreste peccato alcuno; ma proprio ora che dichiarate di vedere, il vostro peccato rimane •. Gesù li inchioda con la loro stessa affermazione. Il peccato non è essere cieco (cfr. 9, 3), ma esserlo volontariamente, vale a dire rifiutare la luce 433

D �forno del Messia. Ciclo dell'uomo

quando questa splende davanti agli dtchi. Con tali parole descrive quel che è accaduto ai farisei in occasione del processo all 'uomo guarito. La divisione nel gruppo fariseo (9, 16s), che rifletteva la lotta interna davanti all'interpellanza posta dalla guarigione del cieco, ha mostrato che non erano incapaci di vedere. Essi, davanti al fatto che li interpella· va (9, 16), avrebbero potuto aprire gli occhi alla luce, mentre li hanno chiusi, rifiutando l'evidenza (9, 24). Si vantano, tuttavia, di una visione che è falsa (9, 24b: sappiamo bene). Non solo non vogliono vedere, impongono anche la loro menzogna come verità; così si esprimeva Is 5, 20: • Guai a coloro che chiamano bene il male e male i l bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro •. I l loro peccato poggia, pertanto, su una duplice malafede: da un lato distinguono la luce e la rifiutano; dall'al· tro propongono come luce ciò che sanno essere contrario alla luce che conoscono. Fanno una scelta cosciente e distorta (3, 19: la luce è giunta nel mondo, e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché il loro modo di operare era perverso) . Sono ciechi volontari che cercano di accecare gli altri. Sono la tenebra che, proponendo la menzogna, spegne la verità e con essa la vita. Non operano incoscientemente, sanno benissimo cosa vogliono. Sono loro che stanno per restare definitivamente ciechi, escludendosi per sempre dalla luce-vita; quando giungerà la notte (9, 4), che provoche· ranno essi stessi con il loro definitivo rifiuto di Gesù, la loro sentenza sarà irrevocabile. II loro peccato è lo stesso che Gesù aveva denunciato in 8, 2 1 : il vostro peccato vi porterà alla morte (8, 23 Lett.). Essi si ostinano nella loro menzogna, e il loro peccato rimane. Avevano dichiarato peccatore Gesù (9, 24). mentre sono loro a praticare coscientemente il peccato (8, 34). Coloro che espellono in nome di Dio, sono i riprovati da Dio. Il cieco dalla nascita non aveva peccato (9, 3) . I farisei, che hanno la possibilità di rispondere alla luce, hanno peccato. Appare la differenza fra oppressi e oppressori. L'oppresso è cieco perché l'hanno privato della possibilità di vedere. L'oppressore, invece, propone la menzogna (8, 44), e con essa acceca il popolo. Vedendo gli effetti della loro azione (5, 3: una moltitudine di infermi: ciechi, storpi, disseccati), avrebbero dovuto rettificare, ma non hanno amore (5, 42) ; a loro non impona l 'uomo, ma le proprie posizioni e il proprio dominio (5, 44): il loro peccato rimane.

Esodo dall'istituzione giudaica IO, l • Dawero vi assicuro: Chi non entra nell'atrio delle pecore dalla porta, ma arrampicandosi da un'altra parte, quello è un ladro e un bandito ». Riappare il tema delle pecore, già insinuato in 2, 15 (li cacciò tutti dJJl tempio, tanto le pecore quanto i buoi) e in 5, 2 (la Pecoraia), dove esse si identificavano con la moltitudine di infermi sdraiati nei ponici della piscina (5, 3). Sono, pertanto, il popolo dominato dai dirigenti. La dichiarazione di Gesù si dirige agli stessi farisei che lo hanno 434

9, 39 - IO, 21. L'alternativa di Ceoù

appena interpellato. Di fatto, la !certa tenninerà corr una divisione (10, 19), parallela a quella avvenuta in precedenza (9, 16) e con un'allu­ sione alla guarigione del cielo ( 10, 2 1 ; cfr. 9, 10.14). Gesù comincia con un paragone allegorico il cui significato, nel contesto, è chiaro. L'atrio rappresenta il tempio (cfr. nota) o, più ampiamente,' l'istituzione giu­ daica, in cui si sono arrogati i posti di potere degli individui eh� mancano di ogni diritto e che sono in realtà sfruttatori del popolo (ladri e banditi). Apre la sua esposizione con un principio generale: c'è un solo modo legittimo per avvicinarsi alle pecore: entrando dalla porta del recinto in cui si trovano. Chi penetra da un altro lato non lo fa per amore verso di loro, ma per sfruttarlc a beneficio proprio. Questo è il peccato dei dirigenti. • Ladro • , termine applicato a i dirigenti e a Giuda, è chi si appropria di ciò che appartiene a tutti ( 1 2 , 6 Lett.) ; si oppone a ciò che Gesù è, e a ciò che fa praticare ai suoi: far diventare di tutti ciò che appartiene a ciascuno (6, 1 1 Lett.). Essi tolgono al popolo ciò che è suo. Fu questa la denuncia fatta da Gesù nella sua prima visita al tempio (2, 1 3ss). • Bandito • , che si applica ai dirigenti e a Barabba ( 1 8, 40). è colui che usa la violenza. I dirigenti sono omicidi (8, 44) come dimostreranno con la morte di Gesù (cfr. 1 1 , 53; 12, IO); essi sottomettono il popolo con la violenza del loro sistema (7. 13; 9, 22: il timore), riducendolo a uno stato di morte (5, 3.2 1 .25) ; l'hanno usata per espellere il cieco guarito (9, 34b). L'accusa di Gesù significa, pertanto, che quanti si arrogano la direzione del popolo sono sfruttatori (ladri) che usano la violenza (banditi) per sottomettere il popolo mantenendolo in uno stato di miseria 1• Si ricordi che il Nemico, • il diavolo », padre dei dirigenti, che ispira la loro condotta, incarnato nel tesoro del tempio, è la bramosia di lucro e il potere del denaro (8, 20; 8, 44a Lett.). 2-3 c Chi entra dalla porta è pastore delle pecore; a questi il portinaio apre, e le pecore sentono la sua voce. Le sue pecore le chiama con il loro nome e le va conducendo fuori •Ai ladri e banditi che saltano il muro, si oppone il pastore. Egli si distingue perché entra dalla porta e il custode (il portinaio) gli riconosce il diritto a entrare. Sotto i tratti del pastore, Gesù descrive se stesso l

L'invettiva contro i cattivi pastori era corrente Dei profeti. Cfr. Ez 34.2-5.10: Profetizza contro i pastori di Israele, predici e riferisci ai pastori: ·dice· il Signore Dio: Guai ai pastori di Israele, che pascolano se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregie? Vi nut rite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le infenne, non avete fasciato quelle ferite. non avete riportato le disperse. non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con cru­ del t à e violenza. Per colpa del pastore si sono disperse e sono preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate ... dice il Signore Dio: Eccomi contro i pastori: chiederò loro conto del mio gTcgge e non li lascerò più pascolare il mio gTegge, così i pastori non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le n1ie pecore e non saranno più il loro pasto •; cfr. inoltre: Ger 2, 8; IO, 21: 12, IO: 23, 1-2; 25, 34-38; Zc Il. 3-9.15-17. Gesù, tuttavia, non riconosce ai dirigenti il rango di pastore. che avrebbe implicato ona missione legi ltima, anche se wrrolta; egli li chiama ladri e banditi. •

435

Il giorno del Meula. Ciclo dell'uomo

come l'unico che ha diritto a entrare nel tempio-istituzione e l'unico che venga riconosciuto 2• Jl suo diritto si identifica con la sua missione divina. In Ezechiele, il ruolo di pastore spettava in primo luogo a Dio (34, l l s.15) e quindi al futuro Davide o re messianico (34, 23). Gesù, implicitamente, si dichiara di nuovo Messia l. Contrapponendosi ai dirigenti afferma che l'autorità che si arrogano è illegittima. II pastore entra per aver cura delle pecore, non per sfruttarle. Per questo le pecore ascoltano la sua voce (5, 25) e gli danno retta, come ha fatto il cieco. La voce di Gesù è un messaggio che significa liberazione, quella del Messia, che trae fuori dalla tenebra-morte (8, 12) . La sua voce non si rivolge a una moltitudine anonima, è una chiamata personale: le chiama per nome. Per Gesù non esiste la massa ( 6, lOa Lett.), ciascuno ha volto e nome. L'attività del pastore inviato da Dio consiste nel condurre fuori dall'istituzione giudaica coloro che rispondono alla sua chiamata. Gesù esprime di nuovo la qualità del suo esodo, indicato anteriormente dalla traversata del mare (6, l Lett.). L'istituzione giudai· ca si è trasformata nel luogo delle tenebre, dominato dall'interesse economico; il denaro ha preso il posto del Padre (2, 16: una casa di commercio). Egli conduce il popolo fuori, per liberarlo dalla morte (cfr. 5, 14). Non fa questo surreniziamente, ma apertamente, perché tale è la missione che il Padre gli ha affidato. Entra e chiama: quelli che rispondono al suo invito alla libertà sono i suoi, ed egli li conduce fuori. Gesù non vuole installarsi nell'antica istituzione né continuarla. Non è venuto a rinnovare le istituzioni di Israele, ma a creare una nuova comunità umana. 4 • quando ha spinto fuori tutte le sue, cammina davanti a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce •·

Gesù caccia, spinge fuori tutti i suoi. La frase è in parallelo con quella del tempio, quando ne cacciò tutte le pecore e i buoi (2, 15b Lett.), gesto simbolico che annunciava il suo programma; è in parallelo anche con l'avviso che diede al paralitico guarito (5, 14) . I l tempio, luogo dello sfruttamento, era il luogo della morte per il popolo, rappresentato dal bestiame che vi si vendeva. Gesù, che spinge i suoi fuori dal recinto dell'istituzione, si oppone ai dirigenti che ne cacciano fuori colui che era stato cieco (9, 34). Con la sua frase li avverte che, in realtà, non sono stati loro quelli che Io hanno espulso, ma è stato lui a trarlo fuori. Ottenendo la vista, il cieco era già fuori del loro dominio. Egli stesso mostra il loro cammino ed essi lo seguono. • Seguire • descrive l'atteggiamento del discepolo rispetto a Gesù. Egli stesso è il una probabile allusione a Ezechiele. La porta � quella da do� era entrata la gloria di Dio per colmare il nuovo tempio (Ez 43, 4-5), porta che da allora rimase chiusa (Ez 44, 2) . Gv inverte l'ordine degli avvenimenti descritti da Ezechiele. Se nel profeta la gloria dapprima esce dal tempio profanato (Ez IO, 4.18: I l , 23), per tornare nel tempio futuro ideale che egli descrive (43, 4-5) . in Gv la gloria del Padre entra nel tempio (7, 14) solo per abbandonarlo definitivamente (10, 4.40) . Gesù, l'inviato da Dio, l'unico che ha diritto a entrnre da questa porta, condurrà il popolo definitivamente fuori dal tempio profanato. 3 Dio, pastore di Israele, cfr. Sal 23; Ez 34, 1 1-16. Israele, gregge di Dio, cfr. Sal 23, 14; 74, l; 78, 52.7().72; 79, 13; 80, 2; 95,7: Is 40, I l .

2 C'è

436

9, 39. 10, 21. L'alternativa di Gesù

cammino (14, 6) che i suoi devono percorn!'re." La sua voce è la loro sicurezza, perché comunica vita (6, 63: le esigenz.e che vi ho esposto ... sono spirito e sono vi ta) ; l'esperienza di vita conduce alla sequela •. Ma Gesù non introduce le sue pecore in un altro recinto. Non intende creare un'istituzione parallela a quella antica, ma dare libertà. I suoi vivranno con lui ( 1 , 39), uniti a lui (15, lss). Le pecore non potevano uscire da sole, perché non c'era alternativa. Gesù le trae fuori offrendo loro la vita. Coloro che ascoltano la sua voce sono quelli che il Padre gli affida (6, 37), per questo sono suoi. A questi egli comunica vita definitiva, in essi compie il disegno del Padre (6, 39s). • Un estraneo invece non lo seguiranno, fuggiranno da lui perché non riconoscono la voce degli est ranei ».

5

Come il timbro di voce del pastore invita alla libertà, la voce dell'estra· neo annuncia furto e violenza (10, 1), e le pecore fuggono da lui. Gesù oppone il suo messaggio di vita alla menzogna di morte che i dirigenti propongono (8. 44) . Gli dà un avviso: sono loro gli estranei, e non potranno recuperare coloro che egli ha fatto uscire dal loro dominio. 6 Gesù propose loro questa similitudine, ma essi non compresero a cosa si riferisse.

I dirigenti non comprendono la comparazione; non vedono perché sono ciechi; non conoscono la sua voce, perché non sono pecore sue (10, 26) . e non capiscono il suo linguaggio perché non sono capaci di ascoltare il messaggio di vita, che li priverebbe della loro situazione e sicurezza (8, 43). Installati nella loro istituzione, con la coscienza di essere i capi legitti­ mi del popolo, non sono capaci di capire la denuncia che Gesù fa di loro né la necessità o possibilità dell'esodo che egli sta per realizzare.

Gesù, unica alternativa 7-8

Allora Gesù aggiunse: • Davver.o vi assicuro che io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me sono ladri e banditi, ma le pecore 1wn hanno dato loro retta ».

In questa unità Gesù utilizza nuovamente il simbolo della porta, ma applicato ora a se stesso. Ha parlato della porta antica, quella del recinto di Israele che serve soltanto per lasciar entrare Gesù e condur­ re fuori le pecore. t:. una porta i l cui ruolo sarà finito una volta effettuato l'esodo del Messia. Dichiara adesso di essere lui la nuova porta, in primo luogo in relazio­ ne ai dirigenti, in secondo luogo in relazione a coloro che lo seguono. 4 Cfr. Nm 27. 16-17: • Il Signore ... nomini un capo (LXX: un uomo) per la comunità (U(X: la si nagoga) . uno che li preceda nell'uscire e nel tornare, li faccia uscire e li faccia tornare. perché la comunità del Signore non sia un gregge senza pastore • .

437

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

In relàzione ai dirigenti, dichiara di essere lui l'unico luogo di acces so legittimo alle pecore. Questa affermazione ha due significati: primo, non c'è né vi è stata legittimità se non in funzione del Messia, come preparazione alla sua venuta, che era il ruolo della Legge stessa. Questo conduce al secondo significato: solo assumendo l'atteggiamento del Messia, la disposizione a dare la vita, si può avere accesso alle pecore. I capi avevano concepito la loro relazione con il popolo in termini di potere e dominio (cfr. 4, 46bss) che conducevano allo sfruttamento e causavano la morte (ladri e banditi). Bisogna cambiare concezione e prassi. Entrare attraverso Gesù significa porre il bene dell'uomo come valore supremo (8, 3 1 -32 Lett.) e, pertanto, dedicarsi senza limite a procurarlo. Chi non adotta questo principio è inevitabilmente un op­ pressore (8, 46b Lett.). La dichiarazione di Gesù è molto dura. Coloro che si sono costituiti leaders del popolo hanno usato il dominio e la violenza per sfruttarlo (cfr. 2, 16). Il presente « sono », in luogo di un passato, riferisce il detto di Gesù soprattutto alla sua epoca contemporanea. Ma le pecore non hanno dato loro retta. I I popolo è sottomesso per paura (7, 1 3 ; 9, 22), non per convinzione.

9 • lo sono la porta, colui che entra attraverso di me si troverà in salvo, potrà entrare e uscire e troverà pascoli ». Usando la stessa immagine, Gesù descrive in secondo luogo la sua relazione con l'uomo. Per l'individuo, entrare dalla porta che è Gesù è lo stesso che « avvicinarsi a lui », « dargli la sua adesione » {6 , 35), seguirlo o attenersi al suo messaggio (8, 3 1 .5 1 ) , il che include, come nel caso precedente, diventare con lui una cosa sola nella dedizione al bene dell 'uomo. Rispetto a coloro che entrano attraverso di lui, Gesù è l'alternativa che permette di sfuggire alla morte: si troverà in salvo, perché egli dà vita definitiva (3, 15ss; 5, 2 1 .24.40; 6, 27.40.5 1 .54; 7, 37ss). Questa porta si apre sulla terra della vita, quella dell'amore leale. L'uomo sarà ormai libero dallo sfruttamen�o cui era sottomesso. Gesù propone se stesso come alternativa all'ordinamento ingiusto; egli crea l'ambito dove l'uomo può essere libero e godere della vita-amore che egli comunica: la terra promessa, la nuova comunità umana di amore vicendevole (6, 21 Lett.), punto d'arrivo del suo esodo. L'uomo eserciterà la sua attività attraverso questa porta, come esprime la frase: potrà entrare e uscire; avrà libertà di movimenti, perché Gesù fa camminare gli invalidi (5, 8.9. 1 1.12; cfr. 8, 32.36) 5• L'espressione troverà pascoli equivale a non soffrirà mai la fame, ... non soffrirà mai la sete (6, 35) . Il « pascolo » di cui parla Gesù si identifica con il pane della vita che è lui stesso. Vi è un giuoco di parole fra • pascolo • (gr. nomè) e Legge (gr. nomos) • . L'antica Legge è sostituita da questo « pascolo » che il discepolo trova e che, contenendo lo Spirito, si trasforma nella nuova Legge, quella dell'amore leale ( 1 , 17: 13, 34s). s L'espressione entrare e uscire, entrate e uscite, è un ebraismo che significa la vita e l'attività dell'uomo. Cfr. Nm 27, 17; 2 Cr l , IO; At l, 21. • Un altro simile in 19, 34.

438

9, 39 · IO, 21. L'alternativa di Gesù

L'alrematlva'4i Gesù è quindi la sua comunità, il luogo della vita (si troverà in salvo), dell'attività e libertà (potrà entrare e uscire), e dell'amore c solidarietà vicendevoli (pascoli). !Oa

c

11

Ladro non viene che per rubare, sacrificare e distruggere

•.

Gesù rinfaccia nuovamente ai dirigenti la loro condotta omicida; de­ scrive l 'attività perversa del ladro (cfr. IO, 8), in termini che rimandano alla scena del tempio (2, 15s) . Il ladro non soltanto ruba, cioè spoglia il popolo di ciò che è suo, ma è inoltre assassino (bandito), sacrifica le pecore. Allude chiaramente al bestiame preparato nel tempio per il sacrificio e da lui simbolicamente espulso. Le vere vittime del culto non sono gli animali ma il popolo stesso; mentre il tempio si è trasformato in una casa di commercio (2, 16) e accumula i suoi beni nel tesoro (8, 20), il popolo è ridotto alla miseria e sull 'orlo della morte (5, 3). Con questa immagine Gesù denuncia la violenza c la durezza dei dirigenti, che sfruttano il popolo senza misurare le stragi che causano e senza alcun rispetto per la vita. IOb

c

/o sono venuto perché abbiano vita, e sovrabbondi in essi

•·

Gesù oppone la sua figura a quella dei dirigenti del popolo. Se essi cercano morte, egli, al contrario, ha come missione e disegno che gli uomini godano di vita piena (6, 40) ; questa è la sua testimonianza a favore della verità (cfr. 1 8 , 37). Tanto all'invalido (5, 6) che al cieco (9, 6) , egli ha dato speranza e ha comunicato vita, senza porre altra condizione che il desiderio di essa.

Il modello di pastore 1 l c /o sono il modello di pasfore. le pecore ».

11

pastore modello dà se stesso per

Gesù si è presentato come porta perché egli stesso è l'accesso alla vita, l'alternativa alla morte; pastore, invece, è termine che descrive la sua attività con coloro che il Padre gli ha dato (6, 39). Gesù non è un pastore in più, ma il modello, quello vero, e la caratteristica del pastore è dare la vita per i suoi (cfr. 15, 13). Chi non ama fino a dare la vita non è pastore (cfr. 2 1 , 16). Esiste uno stretto parallelismo fra la frase del versetto precedente e questa: Gesù viene a dare vita traboccante, e dà se stesso per questo. Darsi è comunicare vita. Lo stesso principio sarà enunciato in 12, 24 con l'immagine del chicco di frumento. Per comunicare la pienezza di vita, Gesù si donerà fino alla morte. La vita viene comunicata soltanto dall'amore, che è dono di �é agli altri (15, 1 3) . Il massimo dono di sé è la piena comunicazione dell'amore. 12-13 « 11 salariato, che non è pastore, e cui le pecore non appartengo­ no in proprio, vede venire il lupo, lascia le pecore e scappa, e il lupo le 439

D pomo del Meula. Ciclo dell'uomo

a"affa e le disperde; perché quello � un salariato, e ntm gli importa delle pecore ». Come prima l'immagine della porta (cfr.

IO, 2}

quella

(10, 8-9}, anche la figura del pastore

appare anzitutto in opposizione a una figura negativa (qui

del salariato e

relazione con gli amici

mercenario,

(10, 1 4-15).

10, 1 1-13},

e

in

seguito

nella

sua

L'opposizione tra il pastore e il salaria­

to si fonda sulle reciproche motivazioni: il pastore presta il suo servizio per amore, rinunciando al proprio interesse, disposto a dare la vita per le pecore; il salariato lo fa per denaro e, in caso di pericolo, lascia che le pecore muoiano. I l lupo è un'altra figura negativa, in parallelo a quella dei ladri e

le arraffa e le disperde. Compie nel gregge la è contraria a quella di in rmo i figli di Dio dispersi ( 1 1 , 52).

banditi:

stessa strage che

essi compiono. La sua opera

Gesù,

raccogliere

14-15 • Io sono il modello di pastore; conosco le mie e le mie cono­ scono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; cosicché do me stesso per le pecore • . Gesù descrive la sua relazione con i suoi. Prima affermava una cono­ scenza personale di ciascuno di loro, che egli chiamava per nome per condurli fuori dal recinto

(lO, 4}. Ora

dichiara che fra lui e la comunità

come somma di individui esiste una relazione personale di conoscenza profonda e intima. Far parte della comunità significa conoscere Gesù, che. ha dato la vita per i suoi amici e ha comunicato loro lo Spirito, vale a dire conoscere il suo amore. Per questo l'espressione

mie e le mie conoscono me

conosco le

indica la relazione di amore fra Gesù e i

suoi· creata dalla partecipazione allo Spirito

( 1 , 16).

Questa relazione di conoscenza-amore è tanto profonda che Gesù la paragona a quella che esiste fra lui e il Padre, basata anch'essa sulla comunione di Spirito

( 1 , 32; 4, 24}. La

stessa realtà sarà descritta più

avanti in tennini di identificazione fra i discepoli, Gesù e il

(14, 20)

o di unità con Gesù e con il Padre

(17, 2 1 } .

Padre

L'appartenenza alla

comunità di Gesù non è una affiliazione esterna: si basa su questa esperienza. Appunto in ciò consiste l a vita definitiva: nel conoscere

persona lmente il Padre e il suo inviato Gesù Messia (17, 3 Lett.). La sua conoscenza-amore per i suoi e per il Padre conduce Gesù a dar la vita per le pecore.

16 « Ho inoltre altre pecore, che non appartengono a quest'atrio; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce, e si farà un solo gregge, un solo pastore •· Gesù scopre l'orizzonte della sua futura comunità. La sua missione non si limita al popolo giudeo, si estende ad altri (li, 52-54 Lett.). Questo universalismo

è

in consonanza con la concezione di Gv, che fin dal

prologo colloca il suo vangelo nel contesto della creazione. L'amore di Dio, che la realizza, ha come termine l'umanità intera ( 1 , 9: la luce che illumina ogni uomo; 3, 16: Dio manifestò il suo amore per il mondo/u­ manità in modo tale; 4, 42: il Salvatore del mondo; 8, 12: la luce del mondo). I discepoli provenienti da altri popoli formeranno una sola 440

9, 39 - IO, 21. L'alternativa di Gesù

comunità con quelli che verranno da Israele; � finito il privile�o del popolo eletto ( 1 9 , 25 Lett.). L'unità di tutti si verificherà attraverso la convergenza nell'unico pastore, Gesù. L'assenza di coordinazione (e) o di una preposizione indicante relazione (con) fra i due membri della frase: un solo gregge, un solo pastore, riduce al minimo la dualità di entrambi. La relazione del gregge con Gesù non è quella di giustapposizione né quella di compagnia; l'esisten­ za del gregge porta in sé la presenza di Gesù pastore, perché egli, con la sua morte, sarà ormai costituito fonte di vita unica e perenne per i suoi, secondo la relazione intima di conoscenza-amore descrilla già prima. Gesù forma un gregge, ma non crea un'istituzione/tempio (atrio) paral­ lela e opposta a quella giudaica, da cui conduce fuori quanti ascolta­ no la sua voce 7• La sua comunità, che è universale. non è racchiusa in alcuna istituzione nazionale o culturale. La sua base è la natura del­ l'uomo completato dallo Spirito. Da essa nasceranno le sue differenti espressioni.

Amore del Padre e dedizione di Gesù 1 7-18a • Per questo il Padre mi manifesta il suo amore, perché io consegno la mia vita e così la recupero. Nessuno me la toglie, io la consegno per decisione mia personale. Sta a me consegnarla e sta a me recu perarla ».

Il disegno di Dio è dare vita all'umanità (6, 39s). Gesù lo fa suo (4, 34; S. 30; 6, 38) e così è un cosa sola con il Padre (lO, 30). A partire dal momento in cui il Padre, con lo Spirito, gli conferisce la missione ( l , 32s), tutta la sua esistenza è interamente dedicata a con­ durla a termine, identificando la sua attività con quella del Padre (5, 17). Gesù si esprime e si realizza con tale assimilazione al disegno, e da essa acquista significato la sua vita (4, 34). Nella sua attività, non pone limiti alla sua dedizione (10, 1 1 ); il movente del suo operato non è il suo interesse personale o la sua gloria (5, 4 1 ; 7. l ; 8. 50). ma solo e totalmente il bene dell'uomo. Gesù consegna se stesso e cosi si recupera, perché dare se stesso significa acquistare la pienezza del proprio essere. In luogo di perdersi , si recupera con la sua piena identità, quella d i figlio d i Dio: dando se stessi si partecipa del dinamismo del Padre, e si realizza così la condizione di figlio { 1 , 12b Lett.). La sua identità di Figlio rende Gesù partecipe e destinatario dell'amore del Padre. Questa dimostrazione continua di amore si realizza nell'atti­ vità incessante dello Spirito in lui, e si manifesta nel suo agire. Gesù è così il Figlio di Dio, uguale al Padre e, al tempo stesso, il modello di uomo (il Figlio dell'uomo). Come Gesù, chi dà se stesso fino alla morte per amore, non lo fa con la ·

7 La trad. della Vulgata è qui difettosa: la prima parte del versetto: non suni ex: hoc ovili ha contaminato la seconda e, anziché tradurre il termine J!T". poimné (grex, gregge), ripete quello precedente [unuml ovile, dando una falsa idea del di­ selJI10 di Gesù.

44 1

li giorno del Messia. Ciclo dell'uomo speranza di recupe rare la vita come prem io a tale sacrificio (merito) , ma con la certezza di poterla riprendere di nuovo, per la forza dell'a· more stesso. Dove c'è amore fino al limite c'è vita senza limite, perché l'amore è la vita. Chi dispone della sua vita per darla sa che dispone di essa per recuperarla dopo che è stata completata dallo Spirito, indi­ struttibile e definitiva come lo Spirito stesso. Per chi ama non c'è morte: questo è l'ultimo gesto di una vita di dedizione, che sigilla definitivamente la condizione di figlio. Dare la vita signific!l credere fino alla fine nella verità e potenza dell'amore come forza di vita. Gesù afferma la sua assoluta libertà nel dono della sua vita. Nessuno può toglierla, egli la dà di propria iniziativa (1 9, l i Lett.). Si noti che nel vangelo di Gv nessun segno caratterizza Gesù risorto, eccetto le impronte della sua morte nelle mani e nel costato (20, 20.27), che indicano precisamente la continuità: Gesù è per sempre colui che ha donato la sua vita umana. La sua donazione non è stata qualcosa di accidentale: lo mostra definitivamente come Figlio di Dio (20, 17), il Dio generato (20, 28; cfr. l , 18). Davanti a l suo udi torio d i dirigenti giudei (10, 19), che l o odiano (7, 7) e cercano di ucciderlo (7, 1 . 19; 8, 37.40), Gesù afferma che è precisamente la sua prontezza a morire a far sì che si manifesti in lui l'amore del Padre.

1 8b



Questo è il comandamento che ricevetti da mio Padre

•·

I l Padre, che ama Gesù, gli lascia piena libertà; questi come Figlio, dispone dei propri atti (cfr. 3, 35; 13, 3). La relazione fra Gesù e il Padre non è di sottomissione, ma d'amore: è operando liberamente che egli mostra la sua unità con il Padre e gli esprime il suo amore. Il comandamento del Padre non è un ordine (cfr. nota), ma un incarico; inoltre c'è l'unità di proposito che nasce dalla sintonia nello Spirito. La relazione di Gesù con il Padre è modello per quella dei suoi con lui (IO, 14s). Il discepolo compie il comandamento del suo maestro (13, 34); neppure questo è un ordine, ma nasce da un'identificazione interiore

(14, 1 5 : se mi amate, compirete i comandamenti miei).

Gv utilizza il termine • comandamento • per opporlo a quelli dell'antica Legge. Mosè ricevette da Dio numerosi comandamenti (Es 24, 12; Dt 1 2 , 28, ecc.); Gesù ne riceve uno solo, quello dell'amore fino all'estremo (cfr. 13, 1 ) . Questo • comandamento » Gesù lo propone agli uomi­ ni, e significa vita definitiva (12, 49s; cfr. 8, 28) ; sarà lo stesso che darà ai suoi di scepoli (13, 34: come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri). t;. il comandamento suo (15, 12). l'unico che egli formula. Si sottolinea nuovamente la differenza fra le due alleanze ( 1 , 17). I l comandamento che Gesù riceve per sé ( 10, 18; 14, 31) si diversifica nei « comandamenti • ( 1 5, IO) : realizzare le opere del Padre (5, 36: IO, 37s). Ugualmente, il comandamento che i discepoli ricevono da Gesù e che costituisce la comunità (13, 34; 1 5 , 12.17) si esplica nei « coman­ damenti " (14, 15.2 1 ; 1 5, IO) che stimolano i discepoli a lavorare a favore dell'uomo (9, 4).

442

9, 39 • 10, 21. L'alternativa di Gala

Divisione fra i . dirigenti 19-21 Queste parole causarono nuovamente scissione fra i dirigenti giudei. Molti di loro dicevcmo: « È pazzo da legare, perché lo ascolta­ te? » Altri invece: • Queste non sono parole da pazzo; forse che la pazzia può aprire gli occhi dei ciechi? •. Le opinioni sono discordi. Alcuni continuano ad accusarlo di pazzia (7, 20; 8, 48.52), ora con più furore di prima (pazzo da legare), perché la denuncia è stata più esplicita. Altri dubitano. Gesù demolisce le loro sicurezze. Il plurale • ciechi • allude alla scena paradigma tica di 5, 3, localizzata presso la Pecora ia; questo conferma che la figura del cieco era caratteristica nell'attività di Gesù. *

In questa pericope Gesù ha descritto la sua m1ss1one messianica sotto l'immagine del pastore modello (10, 1 1 . 14), l'unico pastore ( 10, 16), con chiaro riferimento al nuovo Davide annunciato (Ez 34, 23) . Tuttavia, egli conferisce ai suoi . discepoli l'unzione messianica ( 1 7 , 17 Lett.) e li associa alla sua missione (17, 1 8 ; cfr. 20, 2 1 : come il Padre mi ha inviato, così anch 'io mando voi). Anche loro dovranno entrare nell'atrio, disposti ad affrontare la morte, per far risuonare il messaggio di vita e far uscire le pecore dal luogo dell'oppressione (10, Js). Questo principio dà la chiave per interpretare la scena nell'• atrio • del sommo sacerdote, dove un discepolo mostra il suo amore per Gesù entrando con lui, disposto a seguire la sua stessa sorte, mentre Pietro interromperà la sua sequela e negherà Gesù (18, 15-18). Sulla sponda del mare di Tiberiade Gesù inviterà Pietro a rettificare, associandosi alla sua missione e accettando di dare la vita per le pecore (2 1 . 15-18). t> cosi che Pietro potrà finalmente seguirlo (2 1 , 19; cfr. 13, 36).

S I NTESI Gesù denuncia il peccato dei dirigenti: la menzogna che consiste nel chiamare vita ciò che è morte, luce ciò che è tenebra. Questa nasce dalla loro menzogna interiore, poiché si rifiutano di vedere i fatti e di riconoscere l'evidenza; il motivo profondo di tale modo di agire è l'interesse personale, per i l quale opprimono il popolo. Gesù mostra la sua incompatibilità con l'istituzione giudaica e an· nuncia il proposito di condurre coloro che ascoltano il suo mes­ saggio fuori di essa, per formare una comunità umana libera, che goda della pienezza che egli comunica. Con un'al tra formulazione Gesù traccia nuovamente la linea che divide gli uomini: essere a favore o contro la vita umana, vale a dire essere disposto a dare se stesso o, al contrario, essere ladro e omicida, privando l'uomo dei suoi beni e della sua vita. La sua morte volontaria dimostra che chi si priva della vita per amore degli altri non la distrugge, ma la porta al suo culmine, rendendosi simile al Padre, che è dono gratuito e generoso. Chi dà se stesso si trasforma in datore di vita. 443

QUINTA SEZIONE

LA FESTA DELLA DEDICAZIONE ( 1 0 , 22-42)

Il Messia rifiutato completa il suo esodo Questa breve sezione, in cui Gesù appare pe•· i'ultirna volta nel tempio, in occasione della fe sta della Dedicazione/Consacrazione, espone la qualità del suo messianismo. Gesù è il Consacrato dal Padre: come nuovo santuario in cui splende la gloria, sostituisce il tempio e, con esso, ogni istituzione giudaica. Tale consacrazione conferisce alla sua attività il dinamismo dello Spirito e realizza la liberazione degli op· pressi. Tale messianismo, che metteva in questione la legittimità dell'i­ stituzione giudaica oppressiva, è definitivamente rifiutato dai dirigenti, che cercano di mettere a morte Gesù. La menzione delle pecore collega questa sezione a quella precedente. L'avvertenza di Gesù ai dirigenti: nessuno strapperà dalle sue mani ciò che il Padre gli ha dato, è polemica, insistendo per l'ultima volta sull'irreversibile sostituzione delle istituzioni antiche. Allo stesso tempo, insinua la resistenza che queste offrono e si indovina l'intento, da parte dei dirigenti, di recuperare quanti hanno accettato il messaggio di Gesù. Al rifiuto dei dirigenti risponde l'uscita di Gesù al di fuori del territo­ rio giudaico, simboleggiata dalla traversata del Giordano, ultima tappa del suo esodo, l'ingresso in una terra promessa che ormai non si identifica con Israele e che, pertanto, è aperta a ogni uomo. t:. lì, in faccia alle istituzioni oppressive che lo rifiutano, che si forma la sua comunità.

Gv 1 O, 22-39: l dirigenti rifiutano il Messia 22 Ebbe luogo allora la Dedicazione, a Gerusalemme. Era inverno, 2J e

Gesù passeggiava nel tempio, nel portico di Salomone.

24 Lo attorniarono allora i dirigenti giudei e gli dissero: - Fino a quando non ci lascerai vivere? Se sei tu il Messia diccelo apertamente. 25 Replicò loro Gesù: - Ve l'ho detto, ma non lo credete. Le opere che io realizzo a nome di mio Padre, sono proprio esse ad accreditarmi, 26 ma voi non credete perché non siete pecore mie. 27 Le pecore mie ascoltano la mia voce: io

IO, D-39. l dlrlgeutl rlllutauo U Meula

le conosco ed esse mi seguono, 21 io do loro vita definitiva e non si perderanno mai. né alcuno le strapperà dalle mie mani. 29 Ciò che m io Padre mi ha affidato è ciò che importa più di tutto, e nessuno può strappare alcunché dalle mani del Padre. lO lo e il Padre siamo una cosa sola. 31 I d i r igen t i raccolsero nuovamente delle pietre per lapidario. " Replicò loro Gesù: - Vi ho mostrato molte opere eccellenti, che sono del Padre; per quale di tali opere mi lapidate? " Gli risposero i dirigenti: - Non ti lapidiamo per alcuna opera eccellente, ma per bestemmia; perché tu, che sei uomo, ti stai facendo Dio . l< Replicò loro Gesù: - Non sta scritto nella vostra Legge: • Io ho detto: Siete dèi •? l5 Se chiamò dèi coloro cui Dio rivolse la sua parola - e questo passo non lo si può sopprimere -, l • di me, che il Padre consacrò e inviò al mondo, voi dite che bestemmio per avere io detto: « Sono Figlio di Dio •? rr Se non realizzo le opere di mio Padre non credetemi; 31 se però le realizzo, anche se non credete a me, credete alle opere; cosi saprete una volta per tutte che il Padre è in mc e io nel Padre.

Allora tentarono un'altra volta di catturarlo, ma egli sfuggì alle loro mani.

l9

NOTE FILOLOGICHE IO, 22 Ebbe luogo, gr. egeneto. Specificato dal contesto. - la Dedicazione, gr. ta egkainia. Trad. dell'eh. hanukkah, in sir. quddala (consacrazione) oppure l:uuJ.data (rinnovamento), cui corrisponde il gr. egkainia. - Gerusalemm e, gr. en tois Hierosolumois. Come in 2, 23 e 5, 2 (cfr. nota). - Era inverno, gr. kheim6n br. Può significare anche pioveva oppure era brutto tempo. Tuttavia qui denota la stagione senza vita (cfr. Lett.); du­ rava più o meno dal IS dicembre al 15 febbraio (S - B. II, S41).

nel portico. Il termine gr. stoa appare soltanto qui e in S, 2 (i cinque portici della piscina).

23

24 Lo attorniarono, gr. ekuklosan auton. Verbo che, nel contesto di osti­ lità a Gesù, acquista significato peggiorativo, come in Sal 22, 17: cani/ mastini; 32, 7: nemici (LXX) ; 88, 18: acqua; 109, 3: mi accerchiano con pa­ role di odio; 1 1 8, 10: popoli; 11 8, 12: api. - non ci lascerai vivere, gr. tbr psuk hén hém6n aireis. In parai). con 10, 18: oudeis airei autén (tén psukh én ) ap'emou, qui in senso metaforico. 25 ma, p-. kai. Avversat. - ad accreditarmi, gr. marturei peri emou. In parall. con S, 36. 29 Fra le numerose varianti che questo versetto presenta, la decisione con­ cerne il relativo maschile hos o il neutro ho. Quest'ultimo è lectio diffi-

445

Il llomo del Meuia. Ciclo dell'uomo cilior, perché segue il maschile ho pat�r mou. Inoltre, nel caso che hos fosse originale, la sua sostituzione con ho, distruggendo la concordanza, sarebbe inesplicabile. Infine, la formula ho ded6kcn moi, o una simile. appare in 6, 39; 17, 2.4.24, sempre in relazione con il Padre. Le altre varianti dipendono da questa. Qui si presenta un caso in più di anticipazione espres­ siva di un soggetto al di fuori della frase cui appartiene (cfr. 3, 21; .5, 42).

32 [opere] eccellenti, gr. kala. Come il vino di Cana (di qualità, 2, 10), o il pastore (modello, 10, 1 1 .14). o come le opere della creazione (Gn 1 , 3 1 LXX). 35 Dio rivolse la sua parola. Cfr. 1 , 1 2: la Parola si rivo lg eva a Dio. Gesù argomenta a fortiori: molto di più con una consacrazione e missione che con una parola. 36

che bestemmio. Stile indiretto in luogo di quello diretto.

38 così saprete una volta per tutte, gr. hina (consec.) gn6te (ingress.) kai ginoskete (durai.) . Momento iniziale e stato successivo, in trad. idiomatica. - il Padre è in me e io nel Padre, gr. en emoi ... kag6 en 16 patri. Si tratta di unione mutua e interiore, non locale, come è marcato dal duplice en, che rende ciascuno contenente e contenuto al tempo stesso. Si tratterebbe di una « compenetrazione • che, per l'unità di Spirito e di disegno, si esprime meglio con " essere in/identificarsi cfr. IO, 30: siamo una cosa sola. •,

CONTENUTO E DIVISIONE La pericope descrive l'ultimo confronto di Gesù con i dirigenti giudei. In parallelo con il primo (2, 13ss), esso si situa nel tempio in cui Gesù non tornerà a entrare. La domanda dei dirigenti raccoglie il gesto messianico compiuto da Gesù in quell'occasione (2, !Sa Lett.), ora avallato da tutta la sua attività. Di qui la !ematica sulla consacraziohe, che interessa il tempio (festa della Dedicazione), e Gesù - il consacrato dal Padre - che, come nuovo santuario, sostituisce quello antico (2, 19-21). La scena è da un lato in parallelo con l'interrogatorio fatto a Giovanni Battista dalla com· missione di sacerdoti inviata da Gerusalemme (1, 19ss). Si propone la questione cruciale: se egli sia il Messia. Gesù non risponde direttamente, si limita a presentare le proprie credenziali: le sue opere a favore dell'uo­ mo. Questo mette i dirigenti giudei in una situazione difficile, perché noo tollerano tali opere che demoliscono la loro posizione di potere. I loro interessi impediscono di ammetterle. L'unità della pericope è marcata da quella di luogo, dalla corrispondenza tra Messia (IO, 24) e Consacrato e Figlio di Dio (IO, 36), dalla duplice men­ zione delle sue opere come credenziali della sua missione (10, 2537s) e dalla duplice affermazione della sua unione con il Padre [10, 3038). Dopo un'introduzione che determina il luogo e il tempo (IO, 22-23), la pericope si divide in due parti: la prima (IO, 24-30) contiene la domanda dei dirigenti (se sei tu il Messia ) e la risposta di Gesù, che offre loro la premessa ne­ cessaria per trarre la conclusione. La seconda (IO, 31-38) si incentra sul· l'accusa di bestemmia, che Gesù ribatte con argomenti tolti dalla loro Legge. Termina con il fallito tentativo di catturarlo (IO. 39). ·

446

·

10, ZZ-39. l dirigenti ri8utano Il Mesola .

Riassumendo:·

IO, 22-23: IO. 24-30: IO, 31-38: IO, 39:

. .

Circostanze di luogo e di tempo. Le opere, credenziali del Messia. Il Consacrato e il Figi io di Dio. Tentativo di arrestare Gesù.

LETIU RA Circostanze di luogo e di tempo IO,

22a

Ebbe luogo allora la Dedicazione, a Gerusalemme.

La festa celebrava la dedicazione o consacra1.ione del tempio, rinnovata ai tempi di Giuda Maccabeo (165 a.C.), dopo la profanazione commessa da Antioco Epifane (cfr. l Mac 4, 36-59; 2 Mac l , 9 . 1 8 ; IO, 1-8). Cadeva in dicembre e durava otto giorni. Anche in occasione di essa si accendeva­ no i grandi candelabri della festa delle Capanne (8, 1 2a Lett.), ed essa giunse a chiamarsi la festa delle luci o delle Capanne d'inverno. Si trattava sempre di una festa molto popolare 1 • Concerneva direttamente il tempio come luogo consacrato a Dio, ma includeva il simbolismo messianico dell'altra festa. II testo, d'altra parte, non la chiama festa né le aggiunge la determinazione • dei giudei • . come nei casi precedenti (2, 1 3 ; 5, l ; 6, 4; 7, 2); questo si potrebbe spiegare perché nella scena non apparirà affatto il popolo, la cui oppressione era indicata da tali es �ressioni. Sarà un confronto fra Gesù e i dirigenti, da soli. 22b

Era i11verno.

Questa precisazione dell'evangelista è sorprendente, dato che la festa cadeva sempre in inverno, e che per di più egli non aveva mai indicato prima la stagione di nessun'altra celebrazione, supponendola nota ai lettori. Questo induce a pensare che le attribuisca un secondo signi­ ficato. Le allusioni al Cantico dei Cantici in episodi successivi ( 1 2 , 1-3; 20 . l l ss) rendono probabile che Gv stia usando il linguaggio di tale libro: • L'inverno è passato ... i fiori sono apparsi nei campi ... il fico ha messo fuori i primi frutti e le viti fiorite spandono fraganze • (2, 1 1-13). Il Cantico descrive la stagione in cui la t'ita fiorisce. La precisazione cronologica di Gv potrebbe indicare, per contrasto, la morte che regna a Gerusalemme e nel tempio. Sarà la comunità di Gesù il luogo della vita ( 1 1 , 25.44). 23

e Gesù passeggiava nel tempio, rzel portico di Salomone.

Come prima era andato in giro per la Galilea, la regione della libertà (7, l ) . ora Gesù passeggia nel tempio, il luogo dove Io vollero catturare (7, 30.32.44; 8, 20). In esso aveva denunciato il potere oppressore l

Cfr. S. · B. Il, 539.

447

Il pomo del Messia. Ciclo deU'uomo

(8, 21-58) e avevano cercato di lapidario (8, 59). � la roccaforte dei suol nemici, coloro che vogliono dargli la morte (7, 1.19.25; 8, 37.40). Gesù mostra la sua libertà passeggiando pubblicamente. La menzione dei portici mette questa scena in relazione con quella della prima piscina (5, 2: cinque portici). Il tempio è il luogo dei dirigenti, la piscina ne era la prosecuzione: il luogo del popolo mori­ bondo, da loro oppresso per mezzo della Legge (5, 2 Lett.). Il portico di Salomone correva lungo la facciata orientale del grande cortile esterno 2• La menzione del nome del re, costruttore del primo tempio, ricorda la prima consacrazione o dedicazione, che ebbe luogo proprio nella festa delle Capanne. Un nuovo vincolo fra le due feste. D 'altra parte la menzione di Salomone ricorda anche la sua ascenden­ za: suo padre Davide, l'Unto (Messia) del Signore (Sal 18, 5 1 ; 1 32, 17).

Le opere, credenziali del Messia

24 Lo attorniarono allora i dirigenti giudei e gli dissero: • Fino a quando rton ci lascerai vivere? Se sei tu il Messia diccelo apertamente • . Nel luogo più sacro d i Israele, · centro e simbolo della loro istituzione religioso-politica, Gesù il Messia, la speranza di Israele (cfr. l , 41.49). si vede circondato dai dirigenti che si erano proposti di ucciderlo (5, 18; 7, 1 .19.25). In tali circostanze, l'espressione lo attorniarono acquista significato ostile (cfr. nota). Pongono la loro domanda con un'angustia e un'irritazione (fino a quartdo non ci lascerai vivere?), che potrebbero riflettere la precedente situazione di divisione fra loro ( 10, 19-2 1 ) . Gesù ha annunciato che darà la sua vita liberamente (l O, 18), ora essi lo accusano di star togliendo loro la vita; le frasi sono parallele (cfr. nota). Gesù darà la sua vita perché l'uomo abbia vita piena ( l O, 10b), e questo pone in pericolo la loro istituzione. Dare vita agli oppressi significa toglierla loro. Non li lascia vivere, perché vivono per se stessi a spese del popolo (2, 16 Lett.). Vogliono forzarlo a dichiararsi Messia. Ma Gesù non pronuncia mai con le sue labbra questo titolo; si era dato a conoscere apertamente come tale soltanto alla donna samaritana (4, 26). La domanda che gli rivolgo­ no è in parallelo con quella rivolta a Giovanni Battista dagli emissari di Gerusalemme ( l , 19 Lett.) , e a Gesù stesso dai c giudei • nel tempio (8, 25). Il parallelo con l'interrogatorio di Giovanni Battista fa sl che la do­ manda includa, sulla bocca dei dirigenti, un sospetto simile a quello che conteneva allora. Secondo la concezione comune, che più tardi sarà espressa dalla moltitudine (12, 13; cfr. l , 49), il Messia doveva essere il re d'Israele. I dirigenti temono pertanto che Gesù voglia impadronirsi del trono. D'altra parte, dato i l confronto di Gesù con le istituzioni che essi appoggiano e che sono lo strumento del loro potere, l'intronizza­ zione di Gesù come re-Messia significherebbe per loro la rovina (cfr. 1 1 , 47s; 12, 19). Già varie volte hanno tentato di catturarlo, particolarZ Cfr. S. - B. Il, 623.

448

10, :U.39. I dirigenti rifiutano Il Meula

mente qoando molti della folla cominciavano a riconoscerlo come Messia (7, 3 1 -32) : tale sua dichiarazione avrebbe provocato l'arresto immediato. Così cercheranno nuovamente di fare alla fine dell'episodio

( IO, 39) .

25 Replicò loro Gesù: « Ve l'ho detto, ma non lo credete. Le opere che io realiz�o a nome di mio Padre, sono proprio esse ad accreditarmi ». La risposta di Gesù è netta. Pur senza pronunciare il titolo, si è dichiarato Messia molte volte e con sufficiente chiarezza: in primo luogo con la sua costante affermazione di essere l'inviato del Padre; in secondo luogo, ha dichiarato che gli antichi simboli e istituzioni cessa­ vano di esistere per essere sostituiti dalla sua persona (7, 37: datore d i acqua/Spirito = nuovo tempio, Legge; 8, 1 2 : l a luce del mondo = Mes­ sia, Legge; I O, 1 1 .1 4 : pastore modello = nuovo David, cfr. Ez 43, 23; Sal 78, 70-7 1). Ma Gesù non si attribuisce titoli né reclama diritti. Nemmeno prova la sua missione di Messia appoggiandosi · alla Scrittura. Le sue uniche credenziali sono le opere; essi devono considerarle e concludere da se stessi, impegnandosi con un atto libero, invece domandano una soluzione a livello di enunciato. Il messianismo di Gesù non viene proposto in astratto per essere sottoposto a discussione. Per parlarne si esige una condizione previa : riconoscere che l'attività di Gesù è quella di Dio stesso, quella del Padre. Dato che le sue opere procurano dignità, libertà e vita piena dell'uomo, al di sopra di ogni istituzione o dottrina, chi pretende di affrontare la questione del suo messianismo dovrà prima di tutto pronunciarsi su tale questione fondamentale: se l 'uomo e il suo bene valgano di più e siano al di sopra di ogni altra realtà sociale e istituziona· le; riconoscere che procede da Dio ed è disegno suo soltanto ciò che favorisce la libertà e la vita dell'uomo, e che ogni Legge, istituzione o sistema che non adempia a tali condizioni non può assolutamente pre­ tendere di essere riconosciuto da Dio (cfr. 5, 36). Proponendo le opere come credenziali, Gesù sta domandando ai giudei di definire il loro atteggiamento. Fino a quando non risponderanno a tale domanda preliminare non si può trattare la questione del suo messianismo. Ma questa è la domanda cui essi non risponderanno mai, perché dovrebbero negare i loro interessi o confessare di essere contro l 'uomo e contro Dio. Non vogliono riconoscere la propria ingiustizia. II messianismo di Gesù non è una questione accademica come essi vogliono renderla, ma una questione vitale. Vogliono discussione senza impegno, e Gesù non l'accetta. Le credenziali che egli offre non sono giuridiche, ma oggettive; sono fatti, le sue opere a favore dell'uomo. Dimostra il suo diritto con la fedeltà al disegno del Padre. Per questo dirà più avanti di non credere alle sue parole ma alle sue opere ( IO, 38). Per di più, come ha affermato in altre occasioni, il cri terio per distinguere la pretesa autentica da quella falsa è che l'individuo operi o meno con giustizia (cfr. 5, 43; 7, 1 8). Gesù abbatte ogni legittimità che non si fondi sul modo d'agire: chi è con l'uomo senza riserve, è con Dio; chi in qualunque modo è contro l'uomo, se anche invoca il nome di Dio, è contro di lui. Gesù non legittima nemmeno la sua qualità di Messia facendo appello a

449

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

una tradizione (5, 34ss). L'azione di Dio si discerne nel presente, perché i l criterio è sempre lo stesso: dove c'è amore e lealtà per l'uomo, lì c'è Dio, che è Padre (cfr. l, 14.17). 26

«

ma t•oi non credete perché non siete pecore mie

•·

Non sono delle sue pecore perché non rispondono alla sua chiamata, che è quella del Padre (6,45 Lett .). Non hanno mai ascoltato la voce di Dio (5,37b), per questo non ascoltano quella di Gesù. Non conoscono Dio (5, 37-38; 8, 55) e non possono riconoscere le sue opere (7, 17), perché sono ladri e banditi che sfruttano il popolo (IO, 1 .8.10). Non imparano dal Padre (6, 45) né vogliono realizzare il suo disegno (7, 17), per questo non sono di Gesù. Non percepiscono la voce dello Spirito (3, 8; cfr. 8, 1 4 ; 14, 17). 27·28 « Le pecore mie ascoltano la mia voce: io le conosco ed esse mi seguono, io do loro vita definitiva e nor1 si perderanno mai, né alcuno le strapperà dalle mie mani ». Davanti ai dirigenti, che ricusano di rispondere a Gesù, egli descrive ciò che significa essere dei suoi. Questi ultimi hanno la caratteristica d i accettare la sua voce, cioè d i dargli la loro adesione, non verbale né di principio, ma di condotta e di vita (mi seguono), impegnandosi con lui e come lui a dedicarsi senza riserva al bene dell 'uomo. II dono di Gesù a quanti lo seguono è la vita definitiva, la nuova nascita attraverso lo Spirito (3, 3.5s), che completa in loro l'opera creatrice e dà la capacità di diventare figli di Dio ( 1 , 12). Questi non si perderanno mai, dato che la qualità di vita che egli comunica supera la morte (3, 16; 8, 5 1 ) ; inoltre saranno al sicuro (6, 39; IO, 9) , non periranno per mano di ladri (10, 10) , né saranno afferrati dal nemico (cfr. 10, 12b), perché Gesù è il pastore che difende i suoi fino a dare la vita ( 10, 1 1 ) .

• Ciò elle mio Padre mi Ila affidato, è ciò che importa più di tutto, e nessuno può strappare alcunché dalle mani del Padre •.

29

Per Gesù, come per il Padre, ciò che più importa è il frutto della sua opera, la nuova umanità, che il Padre gli ha affidato (6, 37.44.65) perché egli le comunichi la vita definitiva. Previene i giudei affinché non cer­ chino di recuperare quanto hanno perso: nessuno può strappare la vita dalle mani del Padre. Gesù dà loro nuovamente questo avviso (10, 5). Nel­ l'episodio del cieco, essi hanno voluto « strapparlo dalle mani di Dio •. ma non ci sono riusciti, ed essere nelle mani di Gesù equivale a essere nelle mani del Padre (cfr. Is 43, 1 3 : « nessuno può sot trarre nulla al mio potere; chi può cambiare quanto io faccio? ». 30

c

/o e il Padre siamo una cosa sola

•.

Gesù, il nuovo santuario (2, 19-2 1 ) , rende presente il Padre. Lo Spirito, l'amore leale che lo riempie, è principio della sua attività ( 1 , 14.32). II Padre è presente e si manifesta in Gesù e, attraverso di lui, realizza la sua opera creatrice, che porta a compimento il suo disegno (5, 17.30; 6, 3840). Gesù si dedica alla realizzazione di questo disegno senza

45 0

10, 2%-39. I dirigenti rlllutano Il Meula

riservarsi nulla. Non vi è nulla in lui che rimanga al di fuori dell'attivi­ tà dello Spirito. Egli è interamente espressione del Padre ( 1 2 , 45; 14, 9). L'identificazione fra lui e il Padre esclude ogni istanza superiore. La critica a Gesù è critica a Dio, l'opposizione a lui è opposizione a Dio. Non possono appoggiarsi a nulla per giudicarlo. Dinanzi a lui non c'è al tro che accettazione o rifiuto, sapendo che l'una e l'altro includono la stessa opzione rispetto a Dio.

Il Consacrato 31

e

il Figlio di Dio

l dirigenti raccolsero nuovamente delle pietre per lapidario.

Sono gli stessi dirigenti che già una volta avevano cercato di lapidare Gesù (8, 59) , perché non potevano ammettere che egli fosse la realizza· zione del piano di Dio (8, 58 Lett.). Sono quelli che hanno come padre il Nemico. i menzogneri omicidi (8, 44). In corrispondenza a ciò che sono, la loro reazione è la violenza e la morte. I n quanto Gesù identifica il suo agire con quello del Padre, lo rifiutano in pieno, perché tale dichiarazione li accusa di essere nemici d i Dio, mentre essi se ne chiamano rappresentanti. Nel tempio stesso, l'antica casa del Padre, ora casa di commercio (2, 14-16), vogliono uccidere l'inviato di Dio, il Figlio, nuovo santuario in cui splende la gloria (2, 2 1 ) . Essi, che l'hanno espulsa dal loro tempio, non possono tollerare la sua manifestazione in Gesù. Il Messia è per lo­ ro un nemico. 32 Replicò loro Gesù: • Vi ho mostrato molte opere eccellenti, che sono del Padre; per quale di tali opere mi lapidate ? •. Davanti al loro tentativo, Gesù domanda il motivo. Egli non ha presen­ tato altre credenziali che le sue opere, non ha nessun'altra pretesa né reclama alcun privilegio. Sono pertanto le sue opere che meriteranno lo­ de o condanna. Se essi le condannano, devono spiegare quale di esse meriti la morte. Le opere tornano a essere caratterizzate come proprie del Padre, Dio, a favore dell'uomo. Gesù non deduce né legittima la sua missione con dichiarazioni verbau. Il suo insegnamento e i suoi discorsi spiegano le sue opere ed espongo­ no le conseguenze che ne derivano (cfr. 5, 1 6ss; 6, 26ss; 9, 39ss). L'aggettivo eccellente denota la qualità delle opere che procurano l'integrità dell'uomo. Tali sono state il far camminare l'invalido e il dare la vista al cieco. Azione buona, eccellente, è quella che sopprime l'indigenza. il dolore, la debolezza, l'incompletezza dell'uomo; quella che Io fa crescere, rendendolo adulto, libero e responsabile. L'aggettivo contiene inoltre un'allusione all'opera divina della creazio­ ne 1. Le opere di Gesù la continuano e la portano a termine, perché il Padre continua a lavorare e lui stesso lavora (5, 17) . Sono opere che creano vita, secondo il disegno creatore ( 1 , 4). Male è l'anti-creazione, ciò che impedisce o distrugge la vita. 1 Cfr. Gn I, 3 1 : • Dio vide quanto ave\·a fatto, ed ecco, era cosa molto buona LXX: kai idou kala lian.

•:

451

Il giorno del

Mesola.

Ciclo dell'uomo

33 Gli risposero i dirigenti: « Non ti lapidiamo per alcuna opera eccellente, ma per bestemmia; perché tu, che sei uomo, ti stai facendo Dio • · Gesù propone loro le sue opere. Essi che, senza ammetterle, non possono ormai negarne la qualità, pretendono di dissociarle dalle sue parole (per bestemmia), senza riconoscere che le dichiarazioni di Gesù espongono semplicemente le implicazioni della sua azione. Non reagiscono invocando la Legge (5, 10; 9, 1 4) , la controversia sul sabato è stata già esposta (5, 1 6ss; 7, 2 1 -24). Gesù risponde adesso alla seconda accusa che gli avevano mosso nella sua precedente visita a Gerusalemme (5, 1 8) , ora ripetuta: perché tu, che sei uomo, ti stai

facendo Dio. Essi, che si contentano di parole, parlano di bestemmia. Aver tras for­ mato la casa di Dio in un mercato (2, 16), sfruttato e tenuto i l popolo mcribondo (5, 3) non conta, purché si abbia sulle labbra il nome di Dio. :E. il rispetto a parole e l'assassinio di fatto (8, 44) . Sono il prototipo di ciò che diceva Is l, 14s: • I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue •; e 29, 1 3 : « Poiché questo popolo si avvicina a me solo a parole e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e il culto che mi rendono è un imparaticcio di usi umani • . Nell 'accusa traspare l'ironia di Gv. L'espressione che essi tacciano di bestemmia descrive esattamente il disegno di Dio ( 1 , le Lett.). Essi, che non amano ma odiano (7, 7), non hanno esperienza dell'amore di Dio (5, 42) né, pertanto, del suo piano. Accusano Gesù di farsi Dio mentre è uomo. Non comprendono l'amore del Padre.

Replicò loro Gesù: detto: Siete dèi" ? "·

34



Non sta scritto nella vostra Legge: "Io ho

Gesù ribatte con la loro stessa Legge, distanziandosi nuovamente dalle istituzioni di Israele (vostra Legge, cfr. 7, 1 9 ; 8, 17; 15, 25). Il termine Legge designa spesso l'AT intero o qualunque sua parte (cfr. 12, 34; Mt 5, 1 8 ; Le 16, 17), e di fatto Gesù cita come • Legge • un salmo. Il passo addotto appartiene al Sal 82, 6: Io ho detto: voi siete dèi, siete tutti figli dell'Altissimo. Il salmo contiene una requisitoria contro i capi; li si chiama dèi perché hanno ricevuto una nomina divina per esercitare una funzione, quella di giudici, che primordialmente compe­ teva a Dio (cfr. Es 7, l: Il Signore disse a Mosè: ecco, ti rerido un dio per il faraone •; Dt l, 17; 19, 7.17). Il titolo divino non era, pertanto, esclusivo; si applicava a coloro cui veniva a t tribuita una particolare somiglianza con Dio; nell'A T, a quanti ne riflettevano il potere. Per questo Gesù si distanzia dal testo che cita: la somiglianza con Dio non è nel potere, ma nell'amore. •





35 • Se chiamò dèi coloro cui Dio rivolse la sua parola - e questo passo non lo si può sopprimere- "· Con questa frase Gv ricorda quanto detto nel prologo: e la Parola si 452

IO, ll-39. l dlrlgenll rifiutano Il Me01la

rivolge*I a Dio ( l , l ) . I destinatari del salmo avenno ricevuto da Dio un messaggio, parola o nomina momentanea, legata alle circostanze. Ma esiste un'altra Parola primordiale e pennanente, che al principio si rivolgeva a Dio e che si fece uomo (1. 14), la Parola prima e definitiva, espressione massima dell 'amore di Dio creatore. Questa Parola divina si è realizzata in Gesù. Se l'appellativo « dèi • si è potuto applicare a degli uomini, per essere stati oggetto di una comunicazione divina transito· ria, Gesù, in cui si realizza la Parola/progetto totale e primigenio di Dio, potrà ben applicare a maggior ragione a sé questo stesso titolo

(l. 18).

• di me, che il Padre consacrò e inviò al mondo, voi dite che bestemmio pe1· avere io detto: " Sono Figlio di Dio? " » .

36

Sulle premesse stabilite in precedenza, Gesù costruisce la sua argo­ mentazione. Egli non è uno dei tanti cui Dio ha rivolto la sua parola. 1!. colui che il Padre consacrò e inviò al mondo. La consacrazione, effet­ tuata con lo Spirito che discese e rimase su Gesù (1, 32), era i n funzione della missione. Lo Spirito ricevuto con pienezza l o costituì Figlio di Dio, secondo la dichiarazione del testimone, Giovanni Battista (l, 34). Questa fu la sua unzione (cfr. Sal 2, 2.6.7), la sua consacrazione messianica (cfr. 6, 69). A causa di tale consacrazione è lui a consacrare con lo Spirito ( l , 33: è lui che battezzerà con Spirito Santo; cfr. 17, 17 Lett.). è quello le cui opere rispondono al dinamismo dello Spirito. Gesù risponde indirettamente alla domanda iniziale: se sei tu il Messia diccelo apertamente (10, 24) . Il dialogo è collocato nel contesto della dedicazione/consacrazione del tempio; dichiarando di essere lui il con­ sacrato dal Padre, Gesù sta affermando di prendere il posto del tempio. La comunicazione dello Spirito, vita-amore di Dio, è la comunicazione della gloria del Padre ( 1 , 14). Gesù è pertanto la Tenda dell'Incontro (ibid.), il Santuario dove splende la gloria e sostituisce quello antico (2, 19.2 1 ) . La consacrazione con lo Spirito ( 1 , 32; cfr. 6. 27) riassume e realizza in Gesù tutti gli antichi simboli di Israele, che cercavano soltanto di esprimere la presenza permanente di Dio nel suo popolo. Tuttavia, la somiglianza data dallo Spirito non è quella del potere, come supponeva il testo del salmo (10, 34) . ma quella dell'amore. Lo Spirito è l'attività dell'amore creatore. In esso è l'uguaglianza e l'unità fra Gesù e il Padre (10, 3 0) . • Se non realizzo le opere di mio Padre non credetemi; se però le realizzo, anche se non credete a me, credete alle opere ».

37-38a

Sfida finale di Gesù ai dirigenti. La qualità dell'uomo si prova da quella delle sue opere. Egli dice di essere l'inviato del Padre e il Figlio di Dio, e lo dimostra con le opere che compie. La frase di Gesù li condanna indirettamente. Essi, i bugiardi e assassini (8, 44; cfr. IO, 1 .8.10), non possono in alcun modo rappresentare Dio. Hanno credenziali giuridiche, ma queste per Gesù non contano. A testimoniare la sua missione divina non sono neppure le sue parole (non credetemi), ma soltanto le opere che realizza.

453

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

38b « cosi saprett rma volta per tutte che il Padre è in me e io nel Padre ». Dalle opere devono dedurre l'unità fra Gesù e il Padre (cfr. 8, 46); entrambi hanno Io stesso obiettivo: dare vita all'uomo. Come è apparso al principio dell'episodio, Gesù non accetta di essere riconosciuto come Messia senza che questo porti all'impegno con lui e con il Padre. Non accetta una discussione teorica sul proprio messianismo. Se rico­ noscono che la sua è l'attività di Dio - il che implica porsi a favore dell'uomo - egli è indiscutibilmente il Messia. Se invece, per il fatto di essere oppressori, non vogliono riconoscere che la sua è l'attività di Dio, la discussione non condurrebbe a nulla. Non c'è fede in Gesù se non preceduta dall'opzione a favore dell'uomo.

Tentativo di arrestare Gesù 39 Allora tentarono un'altra volta di catturarlo, ma egli sfuggi alle loro mani. Non rispondono più, perché egli ha messo a nudo le loro vere motiva­ zioni, e non hanno risposta. Come al loro solito (un'altra volta cfr. 7, 30; 8, 20.59), fanno appello alla violenza, ma Gesù sfugge loro. Gesù esce definitivamente dal tempio, la cittadella del sistema giudaico che rifiuta il Messia in modo irrevocabile. Non tornerà più a trattare con i dirigenti, finché non giungerà la sua ora, quando lo arresteranno per ucciderlo (18, l ss). Gesù esce per andarsene al di là del Giordano, la nuova tappa del suo esodo.

SINTESI In quest'episodio, durante l'interrogatorio ufficiale, Gesù definisce la sua condizione di Messia. Ma invece d i applicare a se stesso tale titolo, si descrive come il Figlio di Dio, vale a dire come il Consacrato dal Padre, per mezzo dello Spirito, per una missione salvifica. Questa consacrazione conferisce un dinamismo, che è la stessa forza di Dio. Ne consegue che le sue credenziali non sono giuridiche, ma nascoQo dalla sua attività, uguale a quella del Padre. Le opere di Gesù, che realizzano il piano creatore, sono quelle del Padre, il cui amore comunica vita al l'uomo. Non insegna dottrine su Dio: mostra chi è attraverso la sua stessa azione. Si confrontano con lui in questa scena, i dirigenti giudei, che a parole rispettano Dio, mentre nella condotta sono oppressori dell'uomo. Sullo sfondo si oppongono due serie concatenate di realtà: vita (Dio), la cui attività, l'amore, produce vita; morte, la cui attività, l'odio. produce morte (8, 44: omicida). t!. l'opposizione fra Dio e « il Nemico • (8, 44 ), che si identifica con il potere del denaro (8, 20). ·

454

Gv 10, 40-42: Gesù, al dJ là del Giordano .a Si recò, questa volta, all'altro Iato del Giordano, nel luogo dove Giovanni era stato a battezzare al principio, e rimase lì. 41 Accorsero d a lu i molti, e dicevano: - Giovanni non compì alcun segno, ma tutto ciò che Giovanni d is se di costui era vero. 4 2 E mol t i , in quel luogo, gli diedero la loro adesione.

NOTE FILOLOGICHE I O, 40 questa volta, gr. palin. Come in 4, 54, dove pa/in rimandava al se­ gno di Cana (2, I l ) senza indicare semplice ripetizione (cfr. 4, 54 nota), qui rimanda alla traversata del mare (6, l : ap<hen ... peran tes thalass�s; 10, 40: apélthen palin peran tou Jordanou). dato che la frase apelthen peran appare soltanto in questi due passi. Il significato anaforico d i palin, indicando somiglianza o parallelismo di azioni non identiche, si esprime in it. in diversi modi: ancora, questa volta, che suppongono la volta pre­ cedente. - rimase lì gr. kai emeinen ekei. Aor. ingr. connot. stato successivo. Nel cap. l, il verbo men6 è stato applicato alla permanenza dello Spirito su Gesù (l, 32J3), al luogo della sua residenza (1, 38J9) e alla permanenza dei discepoli con lui (l, 39).

CONTENUTO Questa breve pericope è in intima relazione con quanto la precede. In questo secondo ciclo (4, 460-1 1, 54) del giorno del Messia, Gesù ha visitato Gerusalemme due volte. Nella prima (5, 1ss) effettuò la guarigione del­ l'invalido, e alla controversia con i dirigenti, che lo rifiutavano, fece seguito la prima tappa del suo esodo al di fuori dell'istituzione giudaica, simboleg­ giato dalla trnversata del mare di Galilea, che ricordava quella del Mar Rosso (6, l ss). Alla seconda visita (7, 10), che, dopo una lunga attività di Gesù, ha reso definitiva la rottura dell'istituzione non soltanto con lui, ma anche con chi aderisce a lui (9, 34b), Gesù effettua la seconda t!lppa del suo esodo, la trnversata del Giordano, che ricorda quella di Giosuè con il popolo per entrnre nella terra promessa (Gs 3-4). Gesù, che ha dato forza, libertà e vista al popolo, personificato nell'invalido e nel cieco, colloca la sua comunità, nuova terra promessa, al di fuori del paese giudaico che lo rifiuta. La pericope è anche in stretta relazione con quella successiva. Il luogo dove Gesù si stabilisce, dove Giovanni battezzava al principio, si chiama Betania. Betania si chiamerà anche il villaggio di Lazzaro. Questi appartie­ ne, pertanto, alla comunità di Gesù.

4SS

Il g!omo del Messia. Ciclo dell'uomo

LETIU RA IO, 40a

Si recò, questa volta, all'altro lato del Giordano.

Come si è detto spiegando il contenuto, Gesù, dopo il rifiuto definitivo da parte dell'istituzione giudaica, effettua la seconda tappa del suo esodo, simboleggiando l'entrata nella terra promessa. Questa rappresen­ ta la sua propria comunità, il luogo della vita piena (5, 24b; 6, 21 Lett.; 1 0, 9. 10b). Tuttavia, attraversa il fiume in senso contrario a quello di Giosuè, uscendo dai confini di Israele, poiché quella che fu terra promessa si è trasformata in terra di schiavitù {6, l Lett.).

nel luogo dove Giovanni era stato a battezzare al principio, e rimase li.

40b

Questo luogo si chiamava Betania (1, 28). Il passo illumina il contenuto dell 'annuncio di Giovanni e il significato del suo battesimo con acqua. S i tuandosi al di là del Giordano, Giovanni annunciava la comunità messianica. Esercitava la sua attività al limite dell'esodo di Gesù per chiedere adesione alla realtà che si avvicinava. La sua localizzazione significava pertanto un allontanamento dall'istituzione giudaica e un'e­ sortazione a rompere con essa. Furono la sua presenza e attività in quel luogo a motivare l'interrogatorio cui fu sottoposto { 1 , 1 9ss). � l'ultima menzione di Giovanni nel vangelo. Si chiude un arco e si torna al luogo dei primi avvenimenti. Gesù rimase lì. Si risponde alla domanda dei due discepoli : maestro, dove vivi? ( 1 , 38s). Gesù, che non appartiene a quello stato di cose (8, 23), risiede fuori dell'istituzione giudaica, creando il luogo dello Spirito (cfr. nota). La frase: e da quel giorno rimasero a vivere con lui ( 1 , 39) significava che i discepoli entrarono a far parte della sua comunità, che optarono per Gesù separandosi dal loro passato. Dove sta i) pastore, lì sta il gregge {10, 16) . 41a

Accorsero da lui molti.

Se nella prima tappa dell'esodo fu una molti tudine ad accorrere da Gesù (6, 5 ) , qui, nella seconda tappa, quelli che accorrono sono indivi· dualizzati (molti) ; l'esodo di Gesù comincia a essere realtà; la nuova comunità comincia a esistere. Sono quelli che egli ha fatto uscire dall'i­ stituzione; egli va avanti ed essi lo seguono, perché conoscono Ja · sua voce {10, 4), che è il suo messaggio di vita. Hanno optato per lui davanti a coloro che lo perseguitano a morte. 4 1 b e dicevar10: • Giovanni non compl alcun segno, ma tutto ciò che Giovanni disse di costui era vero •. Si torna a insistere sul ruolo di Giovanni, precursore del Messia. La sua attività fu una testimonianza; non fece segni perché non era lui il realizzatore della speranza, ma solo il suo annunciatore. � Gesù colui che può appellarsi alla realtà delle sue opere. Giovanni era solo una voce ( 1 , 23), ma questa voce fu veritiera: Gesù ha compiuto pienamente 456

IO, 40-42. Gesù al di lll del Giordano

quello che Giovanni annunciava; egli doveva essere il portatore dello Spirito, che avrebbe tolto il peccato, la schiavitù del mondo, la sotto­ missione dell'umanità alla tenebra. Finora l'attività di Gesù ha mostrato la salvezza che egli propone, e ha attratto un popolo che non lo conosceva. L'attività che segue ( 1 1 , lss) descriverà la realizzazione del disegno di Dio in coloro che si sono già avvicinati a lui.

42

E molti, in quel luogo, gli diedero la loro adesione.

« In quel luogo » si oppone a Gerusalemme e al tempio, dove hanno voluto lapidai·� ( lO, 3 1 ) e catturare (10, 39) Gesù. Quelli che accorrono hanno visto nella sua attività quella del Padre e, in essa, la manifesta­ zione del suo amore fedele per l'uomo (2, I l). Riconoscono attraverso le sue opere la sua qualità di Messia (IO, 25) e gli danno la loro adesio· ne. Per dargliela devono varcare una frontiera. Già durante l'attività del Battista, Betania era un luogo che indicava rottura. Chi non varcherà la frontiera, non crederà.

SI NTESI Come espresso da Gv con differenti formulazioni, la comunità di Gesù, alternativa al mondo di oppressione e morte, non si confonde con questo, ha la sua frontiera, rappresentata simbolicamente dal Giordano. t:. la terra dove l'uomo gode di libertà e vita, nell'attività e nella donazio­ ne dell'amore agli altri. L'allontanamento di Gesù è simbolico, le sue comunità saranno in mezzo al mondo, ma senza appartenere a esso. Per credere in Gesù bisogna seguirlo nel suo esodo.

457

SESTA SEZIONE

LA VITA DEFINITIVA ( 1 1 , 1 -54)

LAZZARO. LA VITA CHE GE SÙ CONFERISCE

La sezione 1 1 , 1-54 è composta da un dittico le cui facce contrappongo­ no la vita che Gesù conferisce ( 1 1 , 1-45) e la sua condanna a morte da parte dei dirigenti giudei ( 1 1 , 46-54). Si chiude con l'uscita di Gesù e dei suoi discepoli dalla Giudea ( l i , 54). La prima parte, l'episodio della risurrezione di Lazzaro, vuole mostrare che la vita comunicata da Gesù ai suoi attraverso lo Spirito vince la morte e, pertanto, porta con sé la risurrezione. Si sviluppa in una comunità di discepoli che, pur avendo ricevuto la vita definitiva, non ne percepiscono ancora la qualità. Perciò sono angustiati dinanzi alla prospettiva della morte. Questa mancanza di percezione è in parallelo con una mancanza di comprensione del mes­ sianismo di Gesù; non si rendono conto della potenza del Messia, perché ancora legati alla mentalità deii'AT. Ciascuno dei tre personaggi che formano il gruppo i fratelli Lazzaro, Maria e Marta è tipo della comunità sotto diversi aspetti. L'infermità di Lazzaro è dovuta alla sua condizione umana, che porta con sé la morte fisica, ma è circondata dalla paura della morte; questo timore è la massima schiavitù dell'uomo, e la radice di ogni altra schiavitù da cui Gesù viene a liberare. Per questo Lazzaro viene chiamato • un infermo • come sintesi e caso limite di tutti quelli che sono apparsi in questo ciclo, a partire dal figlio del funzionario (4, 46bss; 5, 1ss; 6, 2). In Lazzaro si manifesta la pienezza dell'opera di Gesù nei confronti del­ l'umanità inferma, mostrando fino a che punto è potente la vita che egli comunica: questa, in quanto definitiva, supera la morte fisica ed è perciò essa stessa la risurrezione. Un'altra connessione con la narrazione precedente appare nell'atteggia· mento di Gesù, il pastore modello, che non teme di esporsi al pericolo per provvedere alla necessità dei suoi ( I l , 7s) . I I suo gesto lo porterà alla soglia della • sua ora •, cui si collega (12, 1 ss). In essa il pastore darà la vita per le sue pecore. La seconda faccia del dittico ( 1 1 , 47-53) presenta la reazione delle supreme autorità giudaiche, che condannano a morte Gesù, il datore di vita. Il conflitto iniziato apertamente al principio di questo ciclo (5, 16.18) giunge così alla sua crisi. L'attività di Gesù è insopportabile per l'istituzione, che vede in essa un pericolo e una minaccia per i propri interessi. Si delimitano così i campi e prende forma il dilemma che si presenta dinanzi al popolo: Gesù ha concluso la sua attività come datore di vita; -

-

458

Il, 1-17. Il Umore deUa morte

le autorita, cond a nnandolo, manifestano chiaramente la loro vera con­ dizione di agenti di morte. Il Messia e l'istituzione sono incompatibili. Il popolo dovrà adesso optare tra l'uno e l'altra: • l'ora » del Messia, che sta per cominciare, sarà quella della decisione. La sezione termina con la nuova uscita di Gesù dalla Giudea, uscita che annuncia l'area dell 'espansione delle sue future comunità ( 1 1 , 54).

Gv 1 1 , 1-17: Gesù e i discepoli: il timore della morte 1 C'era un infermo, Lazzaro, di Betania, del vjllaggio di Maria e di Marta sua sorella. 2 (Maria era quella che unse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i capelli, e suo fratello Lazzaro era infermo).

l Le sorelle mandarono a dire a Gesù: - Signore, guarda che il tuo amico è infermo. 4 Udendo ciò, Gesù disse: - Questa infermità non è per la morte, ma per la gloria di Dio; cosi si manifesterà per suo mezzo la gloria del Figlio di Dio. l Gesù voleva bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. 6 Venuto a sapere che era infermo, si trattenne, malgrado ciò, due giorni nel luogo dove si trovava. 7 Poi, dopo ciò, disse ai discepoli: - Andiamo un'altra volta in Giudea. 1 I discepoli gli dissero: - Maestro, poco fa i giudei ti volevano lapidare, e vai là un'altra volta? 9 Gesù replicò: - Di giorno, non ci sono dodici ore? Se uno cammina di giorno non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 1 0 invece se uno cammina di notte inciampa, perché gli manca la luce. 1 1 Disse ciò, e quindi aggiunse: - Lazzaro, il nostro anùco, si è addormentato, ma vado a destarlo. 12 I discepoli gli dissero: - Signore, se si è addormentato, si salverà. 1 3 (Gesù aveva detto questo riferendosi alla morte di lui, ma essi pensarono che parlasse del sonno naturale). 1 4 Allora Gesù disse loro apertamente: - Lazzaro è morto, 15 e mi rallegro per voi di non essere stato ll, perché possiate credere. Su, andiamo da lui. 1 6 Allora Tommaso, che vuoi dire Gemello, disse ai suoi compagni: - Andiamo anche noi a morire con lui. ·

1 7 Giungendo, Gesù lo trovò che stava già da quattro giorni nel sepol­ cro.

459

Il giorno del Meo1la. Ciclo dell'uomo

NOTE FILOLOGICHE I l , l C'era un infermo, ecc. Sebbene l a traduzione debba necessariamente essere diversa, il testo è costruito in perfetto parallelo con l, 44: ln de ho Philippos apo Béthsaida, ek tés poleos Andreou kai Petrou (che erano fratelli, cfr. l, 41); 1 1 , 1 : én de tis asthenon, Lazaros, apo Béthanias, ek tés komés, Marias kai Marthas, tls adelphés autes. Questo secondo parallelo spiega, in primo luogo, la stranezza della costruzione e, in secondo luogo, perché non si dica fin dal principio che Lazzaro abitava a Betania ed era fratello di Maria e Marta. L'intenzione del parallelismo è rendere Lazzaro destinatario dell'invito di Gesù: seguimi (l, 43). Lazzaro, come Filippo, ha ricevuto la chiamata, è discepolo. Dopo il periodo di attività nei confronti dell'uomo in generale, Gesù sta per mostrare la sua opera nei confronti di quanti gli danno la loro adesione rispondendo alla sua chiamata. L'episodio di Lazzaro, che si inserisce nel giorno del Messia, continua d'altra parte il passo di l, 43-51 e anticipa l'ora del Messia, l'ultimo giorno, quando di fatto ci sarà la risur­ rezione (6, 39 Lett.). - infermo, gr. asthenon. Cfr. 4, 46b; 5, 3.7.1 3 ; 6, 2 (retrospettivo). Appare an­ cora in 1 1 , 12J.6; astheneia in 5, 5 e 11, 4. Si chiude in questo episodio l'azione di Gesù verso gli infermi/deboli, cominciata programmaticamente in 4, 46b. D'altra parte, la definitività dello stato di Lazzaro (morte) lo ren­ de simile al cieco dalla nascita. Quest'episodio spiegherà pertanto l'intero contenuto dell'opera di Gesù verso l'uomo. Asthenon non appare mai come predicato verbale (era infermo), soltanto come part. aggett. sostantivato

(un infermo). - sua sorella, gr. tés ade!phés autés. Il termine

• fratello • si applica nel vangelo, prima della risurrezione, alla coppia di discepoli Andrea e Pietro ( 1 , 40.4 1 ; 6, 8), a Maria, Marta e Lazzaro (1 1 , 1 2J.4.1921 2328J2J9), alla ma· dre di Gesù e a sua sorella (19, 25). Esiste, d'altra parte, il gruppo dei • fra· telli di Gesù (suoi parentr) che gli sono ostili (2, 12; 7, 35.10) e apparten­ gono al « monda • malvagio (7, 7). Dopo la risurrezione, Gesù chiamerà i suoi discepoli • fratelli • (20, 17) e tale appellativo sarà quello ordinario tra i membri della comunità cristiana (2 1 , 23). Il termine connota pertanto l'uguaglianza e l'amore mutuo propri dei discepoli di Gesù, che formano la nuova comunità, distinta e opposta a quella antica (i fratelli/i parenti di Gesù • ) . •



2

(Maria ... ). Gr. de parentetico, cfr. 6, 2.

mandarono a dire a Gesù, gr. ap�steilan ... pros auton !egousai. Il sema di dizione contenuto nel part. gr. vrene reso con una frase idiomatica it. (per evitare ambiguità si traduce il pron. auton con il nome proprio Gesù. N.d.T.). - il tuo amico, gr. hon plrileis. Forma nominale in luogo della verbale (cfr. I l , I l : ho philos hém6n).

"'

·

4 cosi, gr. hina. Consecutivo. La gloria di Dio si manifesta sempre attra· verso il Figlio, cfr. 13, 31s; 17, 1 . - s i manifesterà ... la gloriil, gr. dom.sthé. Aor. manifestativo, cfr. 7 , 39 nota ed El Aspecto V erbai, n. 186. La gloria del Figlio è quella del Padre ( 1 , 14) e sarà visibile (11, 40). Si tratta quindi di una manifestazione, che pone quest'episodio in relazione con 2, I l : ephanerosen tén do.uzn autou e con la morte di Gesù (12, 23: hl. h6ra hina dom.sthé; cfr. 7, 39: oudep6 edoxasthé). 6

460

malgrado ciò, gr. tote. In opposizione a h6s oun ékousen acquista un si·

11, 1-17. Il timore della morte

gnificato avversativo-concessivo. La particella oun cede, dopo l'inciso del v. 5.

collega a quanto pre­

7

disse. Gr. pres. st. Le quattro menzioni dei

• discepoli • in questo episodio ( 1 1 , 7.8.12.54) man­ cano di possessivo (gr. autou). l:: praticamente il primo caso in Gv, dato che finora si è incontrato il termine senza possessivo soltanto in 4, l (pre­ dicato senza art.) e in 4, 31.33; anaforico di 4, 27 (suoi disc.)- Con possessivo: 2, 2JIJ2J 7.22; 3, 22; 4, 2.827; 6, 3.8J2.16.22[bis]-60.6L66; 7, 3 (tuoi); 8, 31 (miei); 9, 2 (9, 27-28, predicato, sulla bocca del cieco c dei giudei). L'omissione è, pertanto, intenzionale. Significa che il circolo di discepoli è più vasto di quelli che l'interpellano; vale a dire, che Lazzaro e le sue sorelle sono anch'essi discepoli.

8

poco fa, gr. rum. Di passato molto recente.

10 gli manca la luce, gr. to phos ouk estin en auto. Il pron. auto sostitui­ sce il soggetto della propos. principale (tis). La trad. ammette il significato di una luce interiore. 1 1 quindi a ggiunse, gr. meta touto /egei. In paralL con 1 1 , 7; verbo al pres. st. speci[icato dal contesto. si salverà, gr. s6thésetai. Cfr. 3, 1 7, in parall. con avere vita definitiva • (3, 16); in oppos. a • giudicare morte: 3, 17; 12, 47).

12







i 13

(Gesù ... ). Gr.

non perdersi • e con ( = dare sentenza di

de parentetico; cfr. 6, 2; 1 1 , 2.

15 possiate credere, gr. pisteusete. Aor. ingressivo di stato, in propos. finale (posteriorità). Cfr. El Aspecto Verbal, n. 77.144.148. - Su, gr. alla. Esortativo; cfr. Mt 9, 18; Mc 9, 22; At 10, 20. - andiamo da lui, gr. agom en pros auton. Il termine del movimento è una persona, Lazzaro. 16 che vuoi dire, gr. ho legomenos. Indica la traduzione del termine in greco, cfr. 4, 25. compagni, gr. summathetais. Condiscepoli, che in it. si usa più che altro per gli studenti.

CONTEN UTO E DIVISIONE La pericope vuole sottolineare la preoccupazione davanti alla morte e la

fede incompleta dei discepoli che non hanno ancora compreso la qualità di vita che Gesù comunica. Entrambe si rivelano tanto davanti all'infermità di un membro del gruppo, Lazzaro, quanto nel timore di arrischiare la vita da parte degli altri discepoli. Non comprendono che la morte non inter­ rompe la vita definitiva. La pericope comincia presentando i personaggi e la situazione di Lazzaro ( 1 1 , 1-2). In seguito si narra il messaggio inviato a Gesù, il commento di quest'ultimo e il suo indugio malgrado l'amicizia che l'univa al gruppo (Il, �). Dopo due giorni Gesù decide di andare in Giudea; questo suscita un'obiezione da parte dei discepoli, alla quale Gesù risponde (Il, 7-10). Fi-

461

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

nalmente, li informa della morte di Lazz aro e li invita ad andare con lui; Tommaso reagisce con un'adesione pessimistica ( 1 1 , 1 1-16). La pericope si conclude con l'arrivo a Betania e la constatazione della morte di Laz­ zaro ( 1 1 , 17). Riassumendo: I l , 1-2: Personaggi e situazione. 1 1 , 3-6: Ambasciata a Gesù, suo commento e indugio. 1 1 , 7-16: Decisione di Gesù e timore dei discepoli. 1 1 , 17: Arrivo a Betania.

LETIURA Personaggi e situazione 1 1 , l C'era urt infermo, Lazz.aro, di Beta11ia, del villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Con l'episodio di Lazzaro, formulato in questo modo, Gv si collega alla narrazione di l , 43ss (cfr. nota), in cui dopo l'invito a seguirlo rivolto da Gesù a Filippo, si aggiunge: Era Filippo di Betsaida, del paese di Andrea e Pietro. L'episodio di Lazzaro mostrerà pertanto l'azione di Gesù nei confronti di coloro che lo seguono, la comunicazione di una vita che vince la morte (8, 5 1 ) . Lì ebbe luogo la chiamata, qui si descriverà il risultato dell'opera di Gesù in quanti rispondono. Sta per realizzarsi quanto detto da Gesù a Natanaele: cose più grandi vedrai { 1 , 50). Lazzaro infermo riassume e personifica da una parte tutti gli infermi presentati finora, cominciando dal figlio del funzionario, che era sul punto di morire (4, 46b, cfr. 1 1 , 1 nota). L'infermità di Lazzaro rappre­ senta la minaccia della morte fisica, dalla quale il di-scepolo non è esente. Viene descritta la situazione. Dei tre personaggi menzionati, Maria occupa il centro. t; una figura più conosciuta di quella di Lazzaro ; si puntualizza che Betania era il suo villaggio; Marta viene messa in relazione con Maria in quanto sorella. Per il momento, di Lazzaro si afferma soltanto che è dello stesso villaggio, anche se presto si dirà che era suo fratello { l i , 2). I tre personaggi formano pertanto un . gruppo omogeneo, sono tutti fratelli e dello stesso paese. Non si dice che Lazzaro fosse fratello di Maria e Marta, per stabilire il parallelismo con l, 44, dove Filippo è presentato soltanto come conter­ raneo di Andrea e Pietro. L'autore vuoi mostrare che Lazzaro, come Filippo, è discepolo di Gesù. :1!. la prima volta che un infermo ha nome proprio; il figlio del funzionario (4, 46b), l'invalido (5, 3ss) e il cieco (9, 1 ) sono stati perso­ naggi anonimi: nuovo tratto che caratterizza Lazzaro come già appar­ tenente alla comunità di Gesù, che l'ha chiamato con il suo nome per trarlo fuori dell'isti tuzione giudaica (cfr. 10, 3). La localizzazione « Betania » mette l 'episodio in relazione con que llo 462

I l, 1-17. Il Umore della morte

precedente, in cui Gesù si era · stabilito al di là del Giordano, nel luogo dove Giovanni era stato a battezzare al principio {10, 40). E quel luogo si chiamava Betania (1, 28). La coincidenza di nomi indica una topo­ grafia simbolica: Betania è la localizzazione della comunità creata da Gesù. Marta era sorella di Maria. • Fratello D è uno dei modi di chiamarsi fra i discepoli (cfr. nota), e indica, come già il luogo (Betania), l'apparte­ nenza di Marta alla comunità di Gesù e la relazione di amore e di uguaglianza vigente fra i suoi membri. Un altro modo di chiamarsi sarà c amico » (cfr. 1 1 , 1 1 ) . 2 a (Maria era quella che unse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i capelli ... Maria è un personaggio conosciuto dai lettori per via dell'omaggio che rese a Gesù. Si anticipa la scena di 12, 1-3 dove si descrivono le stesse azioni quasi con gli stessi termini, soltanto che nel capitolo 12 si dirà che essa unse di profumo i piedi di Gesù, mentre qui l'unzione ha come termine la persona di lui. L'unzione con profumo, simbolo di vita c amore, indica l'amore della comunità per Gesù, che le ha dato la vita; la menzione dei capelli, d'altro canto, significa l'amore che lega Gesù alla sua comunità ( 1 2, 3 Lett.). Si indicano qui brevemente le relazioni di intimità e affetto che esistono fra Gesù e i suoi, e che nascono dal dono della vita e dalla gratitudine che i discepoli sperimentano. In 12, 1-3, la descrizione sarà più dettagliata. 2b

. . . e suo fratello Llluaro era infermo).

Maria torna a essere al centro: come Marta era « sua sorella •. Lazzaro è • suo fratello ». Si sottolinea il carattere inclusivo della figura di Maria in quanto comunità. Sulla parentela carnale fra i tre personaggi, prevale cosi la comune appartenenza alla comunità di Gesù, segnalata già fin dal principio (Il, 1 : di Betania). Il vincolo di amore, implicito in • fratello D, sarà fondato sull'amore che Gesù ha per loro ( I l , 5).

Ambasciata a Gesù, suo commento 3 Le sorelle mandarono a dire a Gesù: amico è infermo •·



e

indugio

Signore, guarda che il tuo

Si fa menzione delle sorelle senza riferirne i nomi e senza aggiungere il possessivo (• sue sorelle •); vengono così elevate a categoria significati­ va della comunità di Gesù, che mostra l'interesse di lui per ciascuno dei suoi membri. I n questo contesto di amore fraterno si eserciterà l'azione di Gesù. Non c'è petizione esplicita; si limitano a informarlo (cfr. 2, 3). La comunità si rivolge a lui con il titolo di « Signore ». Ha piena fiducia in lui, perché conosce il suo amore e sa che non può tralasciare di soccorrere nella necessità. Non menzionano il nome del fratello, soltan­ to ricordano a Gesù la relazione che l'unisce a lui (il tuo amico/colui 463

II giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

cui vuoi bene). I I vincolo di Gesù con ciascuno dei suoi viene descritto come una relazione di affetto e amicizia (cfr. 1 1 , 1 1 ; 1 5, 14s). L'infermità che Io porta alla morte non è dovuta a mancanza di amore di Gesù. 4 Udendo ciò, Gesù disse: • Questa infermità non è per la morte, ma per la gloria di Dio; così si manifesterà per suo mezzo la gloria del Figlio di Dio • · ·

Gesù commenta la notizia ricevuta. Questa infermità, trattandosi di uno che ha dato la sua adesione a Gesù, non ha come termine la morte. L'incontro con Gesù cambia la situazione e il futuro dell'uomo. Egli intende che c'è un'altra infermità che conduce alla morte, esemplificata in quella del paralitico (5, 5), e causata dal peccato: la sottomissione alla Legge di un sistema ingiusto. Di qui la severa avvertenza che, dopo la guarigione, Gesù gli rivolge incentrandolo nel tempio: non peccare p iù (peccato = sottomissione), non avesse a succederti qualcosa di peggio, la morte (5, 14 Lett.). « Morte » significa cessazione di vita, prodotta dal c peccato • (8, 21). Per quanti sono usciti dal peccato, hanno cioè dato la loro adesione a Gesù, la vita non cesserà più, perché egli comunica vita definitiva. Questa, una volta ricevuta, manifesterà la gloria di Dio e quella del Figlio di Dio, presenza di Dio fra gli uomini. La menzione della manifestazione della gloria-amore (cfr. nota) allude alla scena di Cana (2, I l ), dove per la prima volta Gesù manifestò la sua gloria. I I frutto dell'amore, che egli prometteva per « la sua ora • (2, 4), viene anticipato con la risurrezione di Lazzaro. Come tutti i segni che Gesù realizza (2, 1 1 Lett.), anche questo anticipa gli effetti della sua morte (10, 1 8) per dare vita ai suoi. Sarà allora, l'ultimo giorno (6, 39; 7, 37 Lett.). che Gesù, comunicando lo Spirito ( 1 9, 30.34). darà a chi aderisca a lui la vita e la risurrezione. La frase tuttavia (ques ta infermità. non è per la morte), poteva essere male interpretata: i discepoli possono pensare che Lazzaro non sia i n pericolo di morte. 5

Gesù voleva bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro.

In questo versetto viene descritto il rapporto di Gesù con il gruppo dei fratelli. Le sorelle avevano affermato l'amore di Gesù per l'infermo (I l , 3 ) , e si era parlato della dimostrazione di affetto di Maria verso Gesù ( I l , 2). Ora, mettendo assieme i tre, si sottolinea ancora una volta il vincolo di Gesù nei loro confronti. Nell'enumerazione tuttavia si omette il nome di Maria, nominato prece­ dentemente prima di sua sorella ( 1 1 , 1 .2); ora viene presentata come la sorella di Marta. Lazzaro, che occupava all'inizio il primo posto ( I l , 1 ) . viene ora messo all'ultimo. Il cambiamento di ordine e l'omissione del nome indicano l'unità del gruppo. Non esistono precedenze, l'uguaglianu. è tale che fa Io stesso cominciare dall'uno o dall'altro. Ciascuno dei personaggi è centrale nel gruppo a seconda dei momenti. Sono comuni· tà, e ciascuno ne rappresenta un aspetto. II gesto di Maria ( I l , 2). attribuito naturalmente a un personaggio femminile, esprimeva l'amore del gruppo per Gesù; Gesù corrisponde all'amore di ciascuno ( I l , 3) e a quello del gruppo ( I l , 5). 464

Il, 1-17. n timore della morte

Vi è una leggera differenza fra i verbi usati nel testo. Le sorelle hanno espresso l'amore di Gesù per Lazzaro in termini di amicizia, che indicano in primo luogo una relazione di affetto; invece, il verbo usato in questo versetto è " a mare • (tradotto « voler bene »), e indica un amorj! che si t raduce in attività e in comunicazione di vita (cfr. 14, 15). Gesù, pertanto, non soltanto è unito a i suoi d a un vincolo di affetto, ma da una attività di amore. 6 Venuto a sapere che era infermo, si trattenne, giomi 11el luogo dove si trovava.

malgrado

ciò, due

Il ritardo di Gesù è deliberato. Con la sua passività, lascia che il frutto

della morte si consumi. Egli non è venuto ad alterare il ciclo normale della vita fisica, liberando l'uomo dalla morte biologica, ma a dare a questa u n nuovo significato. Comunica una vita la cui potenza supera la morte stessa c ne annulla gli effetti. Cosi la morte cessa di essere motivo di timore.

Decisione di Gesù e timore dei discepoli Poi, dopo ciò, disse ai discepoli: dea ».

7



Andiamo

un'altra volta in Giu­

Gesù sceglie il suo momento, la sua azione si realizza quando lo decide lui. Il termine Giudea evoca l'opposizione a Gesù. Egli dovette abbandonare quella regione dinanzi al sospetto fariseo (4, 1 -3.47.54) ; dovette restarne lontano perché i dirigenti giudei cercavano di ucciderlo (7, 1 ) . La Giudea era sotto l'immediato controllo di Gerusalemme, dove Gesù ave\'a avuto l'ultimo incontro con i suoi avversari nel tempio ( 1 0, 22-39), dopo il quale si era ritirato in Transgiordania. Ora, tut tavia, decide di tornare là, per non abbandonare il suo amico. 8 l discepoli gli dissero: « Maestro, poco fa i giudei ti volevano lapidare, e vai là un'altra volta? •discepoli obiettano. Hanno paura per Gesù (cfr. 10, 3 1 .39), pensano che la sua morte sarà la fine di tutto e che debba essere evitata a ogni costo. Non riescono a comprenderlo. Vedono soltanto il pericolo non i l motivo né tanto meno il frutto di una morte accettata per amore. Non credono che Gesù disponga della sua vita ( 1 0 , 1 8 ) né che sia capace di vincere la morte. Vogliono proteggerlo dal pericolo, e al tempo stesso proteggere se stessi. 1

Gesù replicò: " Di giomo, no1z ci sono dodici ore? Se uno cammi­ na di giorno non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; invece se uno cammina di notte inciampa, perclzé gli manca la luce >>. 9- 1 0

Gesù risponde in primo luogo al timore dei discepoli. Le dodici ore del giorno rappresen tano il periodo della sua attività, la durata del giorno

465

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo • sesto •. che simbolicamente iniziò a Cana (2, l) e cui ha fatto allusione successivamente (8, 56: questo mio giorno) (cfr. Il Giorno Sesto, p. 1 29). La sua attività terminerà con la risurrezione di Lazzaro e la decisione di uccidere Gesù da parte delle autorità ( 1 1 , 54) ; allora avrà inizio " la sua ora •. l'ora finale del suo giorno, quando egli condurrà a termine la sua opera con il dono della sua vita. Finché dura il giorno, l'attività continua, e bisogna sfruttare l'occasione per realizzare le opere del Padre (9, 3s), senza paura del pericolo. Per la sua spiegazione Gesù si vale del ritmo naturale. Per l'uomo il periodo di attività è il giorno, mentre la notte non è adatta al lavoro a causa della mancanza di luce. « Il giorno » designa pertanto il tempo della sua vita, in cui egli realizza la sua opera. A questo livello d i linguaggio, la luce esprime l a possibilità di lavoro per Gesù, come la notte significherà la cessazione della sua attività (cfr. 1 3 , 30). La frase la luce di questo mondo non ha qui pertanto lo stesso significato di io sono la luce del mondo (8, 12) ; l'evangelista aggiunge il dimostrativo proprio per evitare il parallelismo. Tuttavia, dato che questo principio si applica anche ai discepoli, il paragone acquista un secondo significato. Per loro il tempo dell'attività richiede la presenza di Gesù, che è la loro luce; indirettamente pertanto il paragone ritorna al simbolismo della luce espresso in 8, 12 (21. 3 Lett.J.

1 1 Disse ciò, e quindi aggiunse: « Lazzaro, il nostro amico, si � addormentato, ma vado a destarlo » . Dopo aver tolto i motivi di timore, Gesù espone la ragione per andare in Giudea; informa i discepoli della morte di Lazzaro con un linguaggio ambiguo, anche se conosciuto; sulla sua bocca non è un semplice eufemi· smo, perché per lui la morte non è definitiva. Questo modo d i parlare era comune nelle comunità cristiane ( l Cor 7, 39; l I . 30; 15, 6.1 8.20.5 1 ; l Ts 4, 13; ecc.). • Amico », come • fratello •. era un modo usato dai cristiani per chia­ marsi tra loro, almeno nelle comunità giovannee (cfr. 3 Gv 1 5 : gli amici ti saluta110. Saluta gli amici uno a uno). Gesù designa Lazz aro come un membro del suo gruppo e, in continuità con le espressioni precedenti ( 1 1 , 3.5 ; cfr. 1 5 , 14s), indica qual è la relazione fra i discepoli e lui. Non stabilisce differenza: Gesù si considera membro della sua comunità di uguali (nostro amico). Queste parole indicano il motivo della sua andata in Giudea: non abbandonare l'amico. È i l pastore che sfida i l pericolo per amore dei suoi (IO, 1 2 ) . Gesù va a destare Lazzaro. È giunto il momento di mostrare fin dove giunge il disegno del Padre (6, 39s). 1 2- 1 3 I discepoli gli dissero: « Signore, se si è addormentato, si salve­ rà •· (Gesù aveva detto questo riferendosi alla morte di lui, ma essi pensarono che parlasse del sonno naturale). I discepoli, nel loro timore, trovano un pretesto per dissuadere Gesù dal suo proposito. È buon sintomo che un infermo possa dormire. Per loro • salvarsi » significa evitare la morte fisica. Gesù invece ha usato

Il, 1-17. Il timore della morte

questo verbo come sinonimo di quella che vince

la morte.

debole e peri tura; chi zione di

«

carne

»

è



avere vita definitiva ,. (cfr. nota), •

è il destino della

Quest'ultima

nato dallo Spirito

(3, 6)

carne ,,

ha superato la condi­

e ha ottenuto la vera salvezza:

la morte fisica non

I discepoli non hanno ancora compreso la

mette fine alla sua esistenza.

qualità di vita che Gesù comunica, continuano ad aggrapparsi all'antica concezione della morte. Di qui il loro timore del rischio che possono correre in Giudea. L'equivoco in cui i discepoli cadono

è

inoltre un espediente letterario,

che sottolinea l'interpretazione della morte come sonno, data da Ge­ sù.

14-15 Allora Gesù disse loro apertamente: • Lazzaro è morto, e mi rallegro per voi di non essere stato lì, perché possia te credere. Su, andiamo da lui » , Davanti all'incomprensione dei discepoli, Gesù chiarisce loro il signifi­ cato delle sue parole: Lazzaro è morto. Paradossalmente, unisce la

mi

notizia della morte a una manifestazione di gioia:

rallegro per

voi.

Mostra così che la morte non e definitiva, come aveva mostrato con la metafora del sonno; il paradosso morte-gioia annuncia la vittoria della vita; davanti a tale evidenza, i discepoli giungeranno a credere. È significativo che Gv, dopo aver affermato nell'episodio di Cana

(2, 1 1 )

che i discepoli diedero la loro adesione a Gesù, insista ora sul fatto che essi debbono giungere a credere. Di fatto non avevano raggiunto una fede

piena;

questa

sarà

possibile

soltanto

dopo

la

morte

di

Gesù,

quando si saranno rese visibili la pienezza del suo amore per l'uomo e

16, 30-32). La mancanza di fede è la La risurrezione di Lazzaro, che anticipa quella di

la vittoria definitiva della vita (cfr. causa del timore.

Gesù, mostrerà loro chiaramente il fondamento della fede: percepiran­ no tutta la portata dell'amore di Dio vedendo che la vita supera la morte. Gesù parla di

Lazzaro

come se fosse vivo

(su, andiamo da lui).

Non si

propone di andare a consolare le sorelle, ma di andare a incontrarsi con Lazzaro stesso.

1 6 Allora Tommaso, che vuoi dire Gemello, disse ai suoi compagni: Andiamo anche noi a morire con lui ».



Tommaso

è

(compagni/condiscepoli).

uno dei discepoli

Il fatto di offri­

re la traduzione del nome aramaico mostra che Gv attribuisce impor­ tanza al

suo

significato

e

invita

il

lettore a

importanza. I I è disposto a morire

darci

significato s i deduce dalla frase d i Tommaso, che con Gesù

(non come

Pietro,

che vorrà morire



per Gesù »,

13, 37).

Questo discepolo, disposto a seguire Gesù fino alla morte, rappresenta un altro aspetto della comunità, unita a Gesù e disposta a subire la sua stessa sorte: è l ' • altro » (gemello) di Gesù. Tommaso, tuttavia, pensa che la morte sia imminente; non si rende conto che le dodici ore del giorno non sono ancora terminate. D'altra parte, il suo orizzonte finisce con essa. Non avendo ancora l'esperienza della risurrezione, non cono­ sce la qualità di vita che Gesù possiede e comunica. Giunge al massimo

467

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

dell'adesione all'interno della sua prospettiva umana, e in essa si fermerà (cfr. 20, 25). finché Gesù non lo trarrà dalla sua ostinazione, facendogli toccare il suo trionfo sulla morte (20, 27ss). Non sa che Gesù non va semplicemente a morire, ma a consegnare liberamente la sua vita e, così, a recuperarla ( 1 0, 17-18 Lett.).

Arriz-·o a Betania 1 7 Giungendo, Gesù lo trovò che stava già da quattro giorni nel sepolcro. Si pensava che la morte fosse definitiva a partire dal terzo giorno, quando la decomposizione cominciava a cancellare i lineamenti del defunto 1 • Quando arriva Gesù, Lazzaro è definitivamente morto, nessu­ no può dubitarne. Tuttavia, secondo il valore simbolico della cifra « 4 • (totalità indeter­ minata, cfr. p. 229, nota 1 2 ) , la frase stava già da quattro giorni nel sepolcro sembra indicare la situazione in cui Gesù trova Lazzaro. Il sepolcro significa l'assenza di vita (per questo Gesù lo farà uscire da lì) ; i quattro giorni significherebbero la totalità del tempo passato: il sepolcro è stato il destino dell'umanità fin dal principio. La morte di Lazzaro è stata assimilata dai suoi alla morte di sempre, senza speran· za, secondo la condizione comune dell'umanità, da cui Gesù è venuto a trarre l'uomo. Questa interpretazione si vedrà confermata dal significa­ to della « grotta • ( 1 1 , 38b Lett.) e dalla ripetizione della cifra " 4 • in 1 1 , 39.

SI NTESI II gruppo di Gesù è una comunità di fratelli e am1c1 m cui vigano relazioni di affetto e in cui l'amore è attivo. L'affetto di Gesù, al pari di quello dei discepoli, deve affrontare il rischio per aiutare chi ne ha bisogno. La comunità cristiana, che vede ancora nella morte l'interru­ zione della vita, non ha raggiunto la pienezza della fede, non avendo com­ preso la qualità di vita che Gesù comunica. La paura dell'ostilità del mondo nasce appunto da questa mancanza di fede, che teme la morte. Gesù non elimina la morte fisica; ma, per chi ha ricevuto da lui- la vita. essa non è altro che un sonno.

l

S. - B.

468

II, 544.

Gv 1 1 , 18-27: Gesù e Marta: la risurrezione e la vita Il E ra Betania v1cma a Gerusalemme, a circa tre chilometri, 19 e molti giudei fedeli al regime erano andati da Marta e Maria, a far loro le condoglianze per il fratello. 20 Marta, avendo saputo che veniva Gesù, gli uscì i nco n t ro. (Maria stava seduta in casa).

21 D isse Mart a a Gesù: - Sig nore , se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto; 22 ma, ancora adesso, so che lutto ciò che chiederai a Dio, Dio le lo darà. 23 Gesù le disse: - Tuo fratello risusci terà. 2• Rispose Marta: - So bene che risusciterà nella risurrezione dell'ultimo giorno. 2 s Le disse Gesù: - Io sono la risurrezione e la vita; chi mi dà la sua adesione, quand'anche muoia, vivrà, " poiché chiunque vive e mi dà la sua adesione, non morirà mai. Credi questo ? 27 Essa gli rispose: - Sì, S i gno re , io credo fermamente che tu sei il Messia, il Figlio di Dio, quello che doveva venire nel mondo.

NOTE FI LOLOG I C H E 1 1 , 1 8 a circa tre chilometri. Letter. qualcosa come quindici stadi, misura equivalente a 600 piedi, variabile secondo le regioni, vale a dire fra 185 e 197 m. Il totale ammonta a poco meno di tre chilometri ; questa cifra, co­ me quella del testo, è approssimativa. 19 giudei fedeli al regime, gr. ioudaion. Non necessariamente d irigenti , ma fedeli cfr. l , 19 nota. ,

20

(Maria ... ).Gr. de parentetico, cfr. 1 1 , 2.13.

23 disse, gr. /egei. P res . st. Idem nei vv. 2411, dove inoltre è specificato dal contesto. - risusciterà, gr. anastesetai. Voce media intransitiva; levarsi, .risuscitare: Il, 2314.3 1; 20, 9. Per indicare l'agente esterno si usa la voce attiva: 6, 39.40.44.54. 26 poiché, gr. kai. Epesegetico, introduce il principio generale che spiega l'affermazione precedente. - chiunque vive, gr. pas ho zo n. Con riferimento alla vita che produce l'ade­ sione a lui (11, 25: zes eta i) ; e mi dà la sua adesione, gr. kai pisteuon eis eme, in parallelo con il part. precedente, indicando la continuità dell'ade­ sione. ' 27 credo f er mam en te, gr. pepisteuka. Pf. intensivo. Cfr. El Aspecto Verbal, n. 152. Come in 20, 29, il pf. denota il processo della fede di Marta.

469

Il pomo del Messia. Ciclo dell'uomo

CONTENUTO E DIVISIONE La

pericope espone la situazione della comunità rappresentata dai tre fra­

telli. E. un g ruppo di discepoli ancora legati all'istituzione e alla mentalità giudaica. Di qui nascono false concezioni circa la morte e la risu rrezione e circa l'opera del Messia. Nel suo dialogo con Marta, che personifica la comunità, Gesù dissipa tali credenze e fa conoscere il s i gni fica to della sua persona e missione, conducendo Marta/la comunità alla pienezza di fede propria del di sc epolo (cfr. 1 1 , 15). Comincia descrivendo la situazione di Betan ia , le circostanze che Gesù troverà al suo arrivo e la reazione di Marta (Il, IS-20). Prosegue con il dia · logo fra Marta e Gesù, la cui tematica morte-vita-risurrezione culmina nella professione di fede ( I l , 21-27). La pericope può essere divisa così:

I l , 18-20: S itua zi one . Arrivo di Gesù.

I l, 21-27: La fede nel Messia, Figlio di Dio.

LETIURA Situazione. Arrivo di Gesù I l , 18

Era Betania vicina a Gerusalemme, a circa tre chilometri.

Anche se il nome di Betania, come si è visto, raffigura la localizzazione della comunità di Gesù ( I l , l Lett.), questa Betania, vicina a Gerusa­ lemme, non si identifica con quella situata al di là del Giordano (10, 40: cfr . l , 28). Esiste quindi una comunità di discepoli, personi fi cata dai tre fra t ell i, che vive ancora all'interno della frontiera di Israele. La duplice localizzazione simboleggi a pertanto due situazioni nelle comunità cri­ stiane: quella di quanti hanno creduto, uscendo fuori dall'antica istitu­ zione, e quella di altri, che, avendo dato l'adesione a Gesù ed essendo pertanto discepoli, non hanno an c ora rotto con il loro passato giu deo . Si vede qui il motivo della connessione di questa pe ricope con quella di Fil i ppo e Natanaele ( 1 1 , 1 Lett.) . Filippo è la figura del discepolo chiamato direttamente da Gesù, senza aver ascoltato il messaggio del Battista. La descrizione che fa di Gesù come Messia lo assimila ali'AT:

colui che è stato descritto da Mosè nella Legge, e dai Profet_i, l'ab­ biamo trovato ( l , 45) . Q ue st 'ultimo plurale designava colo ro che, a­ vendo risposto alla chiamata di Gesù, conservavano la mentalità del passato, come nel caso di Marta. Gesù torna ad avvicinarsi alla capitale, anche se questa volta non vi entra. :E lì che la minaccia d i morte lo sovrasta (10, 3 1 .39). 19 e molti giudei fedeli al regime erano andati da Marta e Maria, a far loro le condoglianze per il fratello. I giudei presenti a Betania, per quanto non siano dirigenti, appartengo. no all'ordinamento nemico di Gesù, quello di coloro che Io vogliono 470

11, 18-27. Gesù e Marta

uccidere ( 1 1 , 8; cfr. 7, 1 ; 8, 59; IO, 3 1 .39) . Tuttavia danno prova di amici­ zia a questa comunità di discepoli : non hanno visto in loro una rottura simile a quella che compì Gesù. Si conferma il significato della duplice Betania. Mentre Gesù va a trovare Lazzaro ( 1 1 , 15) per destarlo ( 1 1 , 1 1 ). i giudei vanno a trovare l e due sorelle per mostrar loro solidarietà nella morte, per essi irrimediabile. Sono andati a consolare le sorelle, senza poter offrire loro nulla. Sarà Gesù a dar loro il vero conforto. Il fratello , senza il possessivo (loro). definisce Lazzaro come un membro della comunità cristiana ( 1 1 , 3: le sorelle).

Marta, avendo saputo che veniva Gesù, gli uscì incontro. (Maria stava seduta in casa).

20

Gesù sta giungendo, la sua venuta nella comunità è continua. Marta deve uscirgli incontro. Viene espresso qui in tennini di movimento lo stesso incontro che avrà luogo in termini di confessione: il percorso della fede di Marta. Risponde così al movimento di Gesù. L'incontro fra Gesù e i suoi è sempre la confluenza di due movimenti ( 1 , 38). Egli viene dai suoi ( 1 , I l }, ma ciascuno deve avvicinarsi a lui (6, 37). Maria, che non si rende conto dell 'arrivG di Gesù, rimane nella casa dove si esprime la solidarietà nella morte. Ll Gesù non può entrare. Maria è seduta: la morte di' Lazzaro, che per lei ha significato il termine della vita del fratello, la riduce all'inattività; questa idea della morte come distruzione paralizza la comunità e la fa rimanere nell'ambiente del dolore, mescolata a quanti non hanno . fede in Gesù.

La fede nel Messia, Figlio di Dio Disse Marta a Gesù: « Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto •·

21

Marta chiama Gesù • Signore • come quando gli avevano mandato a dire che il fratello era infermo ( 1 1 , 3); così il gruppo cristiano chiama Gesù. La frase che pronuncia mostra la sua pena e insinua un rimpro­ vero. Il dolore della morte si sarebbe potuto evitare. Dov'è Gesù regna la vita; suo fratello è morto a causa della sua assenza. L'avverbio qui si oppone nella narrazione al luogo in cuf Gesù rimase due giorni dopo aver saputo la notizia ( 1 1 , 6) . Marta giudica che Gesù sarebbe dovuto venire a Betania per evitare la morte di s:uo fratello. Come già Tommaso rispetto a Gesù e ai discepoli ( I l , 16), Marta crede che la morte di suo fratello ne abbia interrotto la vita; Gesù l'avrebbe dovuta evitare con la sua presenza, vale a dire, restituendogli la salute. Attendeva una guarigione, senza rendersi conto che la vita che Gesù ha loro comunicato ha guarito già il male radicale dell'uomo: la sua schiavitù alla morte. Marta non sa ancora cosa significa l'amore di Gesù ( 1 1 , 5). Senza di lui la morte è la rovina dell'uomo, la fine della sua esistenza; ma . per quanti egli ama, è soltanto un sonno ( 1 1 , 1 1).

471

Il giorno del Mesola. Ciclo dell'uomo

22 « ma, ancora adesso, so clJe tutto ciò che chiederai a Dio, Dio te lo darà ». la prima delle due cose che Marta sa (cfr. I l , 24), entrambe al di sotto del livello di fede proprio del discepolo. Non penetra la realtà di Gesù, lo vede come un mediatore infallibile davanti a Dio, senza comprendere che il Padre e Gesù sono una cosa sola ( I O, 30) e che le opere di Gesù sono quelle del Padre (IO, 32.37). Nelle parole di Marta si percepisce la speranza di un intervento taumaturgico di Gesù; come il funzionario, attende la salvezza dall'e­ sterno. Il profeta Eliseo aveva risuscitato un morto (2 Re 4, Sss) . Marta pensa che anche Gesù, col suo intervento, possa restituire la vita a un defunto. Non sa che il Padre ha affidato a Gesù tutti coloro che gli si avvicina­ no, perché Gesù stesso dia loro la vita definitiva t:: la risurrezione (6, 37-40). Questa non è un'eccezione in un caso particolare; è contenuta nella stessa vita che egli comunica. La salvezza che Gesù porta non si realizza con atti isolati, che non cambiano la condizione umana: consi­ ste in una trasformazione dal di dentro dell'uomo intero, che gli conferisce una qualità di vita che è indistruttibile. Marta non ha ancora compreso fin dove giunge l'amore del Padre per Gesù (3, 35: il Padre ama il Figlio e ha posto tutto nelle sue mani), né che i l Padre gli insegna a fare tutto ciò che fa lui (5, 20); come il Padre, così anche Gesù dispone della vita per comunicarla (5, 2 1 .26). E.

23

Gesr'l le disse:

«

Tuo fratello risusciterà ».

Gesù ri s ponde a Marta, restituendole la speranza. La morte di suo fratello non è definitiva. Contro quello che lei avrebbe desiderato, non le dice: • io risusciterò tuo fratello •, ma semplicemente « risusciterà •. senza promettere una sua azione personale. Questa frase sembra con­ trastare con quanto aveva detto Gesù esponendo i l disegno del Padre:

clJe chiunque riconosce il Figlio e gli dà la sua adesiorte abbia vira definitiva; e io lo risusciti l'ultimo giorno (6, 40). L'opposizione è solo apparente. L'identificazione dell'ultimo giorno con quello della sua morte (6, 39 Lett.), quando egli comunicherà vita definitiva con Io Sp irito, fa sì che la risurrezione non sia altro che la persistenza di tale vita e che, in realtà, non esiga alcuna azione speciale da parte di Gesù. La perennità della vita era stata data a Lazzaro con la vita stessa che lo Spirito dona.

24 Rispose Marta: tin1o giorno » .

c

So bene che risusciterà nella risurrezione dell'ul­

Marta interpreta le parole d i Gesù secondo la credenza farisea popola­ re. È certamente questa la consolazione che le hanno offerto quanti sono andati a trovarla. È la seconda cosa che Marta sa (cfr. I l , 22), ma nemmeno con essa giunge alla fede del discepolo. Le sue parole (so bene) tradiscono una delusione. Ciò che Gesù le dice, lo ha sentito molte volte. Essa sperava che egli pregasse Dio per suo fratello. confidando che Dio lo avrebbe esaudito ( I l , 22). Ora le sembra. che Gesù non lo farà, che la stia consolando con la frase che dicono tutti.

472

I l , 18-27. Gesù

e

Marta

L'ultimo giorno è lontano. Continua a pensare in categorie giudaiche, senza comprendere la novità di Gesù. 25a

Le disse Gesi1: « lo sono la risurrezione e la vita "·

Gesù non viene a prolungare la vita fisica che l'uomo possiede; non è un medico né un taumaturgo; viene a comunicare la vita che egli stesso possiede e della quale dispone (5, 26). Questa vita, che è la sua e che egli dà, annulla la morte nell 'uomo che la riceve. La vita comunicata all'uomo è Gesù stesso, essendo il suo stesso Spirito, la presenza di Gesù e del Padre in colui che lo accetta e si attiene al suo messaggio (14, 23) . Per questo la sua presenza nell'uomo crea una condizione definitiva. Nella frase di Gesù, il primo termine, la risurrezione, dipende dal secondo, la v ita. t:. la risurrezione perché è la vita ( 1 4, 6 Lett.). Risur­ rezione è un termine relativo, suppone uno stato precedente (ri-) di vita fisica. Rispetto ad esso, dinanzi al fenomeno visibile della morte natu­ rale, la vita ulteriore appare come un rinnovamento di vita. Tuttavia. rispetto alla vita che Gesù comunica, indica unicamente la sua conti­ nuità. La qualità che tale vita possiede fa sì che, incontrandosi >.

Il messaggio recato a Maria a bassa voce denota l'ostilità che regnava contro Gesù negli ambienti ufficiali, ai quali appartenevano, almeno come s i mpat izzanti , i giudei che erano andati a visitare le sorelle ( 1 1 , 19). Insinua al tempo stesso l'esistenza di comunità clandestine in ambienti nemici (cfr. 19, 38). Marta chiama sua sorella, ma in realtà non fa altro che trasmettere la chiamata di Gesù. Di fatto questi non le ha dato alcun messaggio per Maria, ma essa interpreta l'arrivo di Gesù come una chiamata per i 477

II giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

suoi. l.a venuta di Gesù nella comunità è una dimostrazione di amore che reclama una risposta. Marta, che ha incontrato Gesù (incontro dal doppio significato: locale e di fede piena) va a cercare la sorella, come Andrea cercò suo fratello Simon Pietro ( l , 4 1 ) , e Filippo Natanaele (1, 45) . Non va per farle conoscere Gesù, come nei due casi citati, dato che Maria lo conosce già, ma perché sa che Maria deve udire dalle labbra di Gesù ciò che essa ha udito. Per questo Marta lo chiama: • il Maestro >>. Nella comunità è Gesù a insegnare direttamente a tutti.

Essa, all'udire ciò, si alzò in fretta e si diresse dove stava lui. Gesù non era ancora entrato nel villaggio, si trovava sempre nel luogo dove Marta gli era andata i11contro.

29-30

Maria esce immediatamente perché riconosce la voce di Gesù, il pastore (IO, 3s), che la chiama, e risponde senza esitare. Questa voce la toglie all 'immobilità in cui si trovava ( 1 1 , 20), paralizzata dal dolore senza speranza. Essa, che era nella casa del dolore, si alza e la lascia. Gesù non entra ne lla casa del dolore. Egli non ha fatto le condoglianze a Marta, le ha assicurato che suo fratello resusciterà. Quella casa non è luogo adatto perché egli si riunisca con i suoi.

J l l giudei che stavano con Maria in casa, facendole le condoglianze, vedendo che si era alzata in fretta ed era uscita, la seguirono, pensando che andasse al sepolcro per piangervi. I visitatori interpretano la partenza di Maria come un nuovo impulso di dolore, come se il sepolcro la chiamasse. Aspettano soltanto il pianto, che esprime la coscienza della disgrazia. Maria invece è uscita in fretta per andare da Gesù. Farà lo stesso percorso di Marta (si diresse dove stava lui). I giudei escono dietro Maria; seguendo un discepolo, vanno, senza pensare, a incontrarsi con Gesù. L'intervento di quest'ultimo avverrà alla loro presenza. Quelli che sono solidali con la morte vedranno splendere la vita. Dinanzi a essa dovranno compiere la loro scelta ( I l , 45s).

32 Quando Maria giunse dove stava Gesù, al veder/o gli si gettò ai piedi, dicendogli: • Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sareb­ be morto ''· Il dolore di Maria è più espressivo di quello di Marta. Le parc;>le sono quasi identiche a quelle di sua sorella (cfr. testo greco), ma esprimono in primo luogo il ricordo di Lazzaro (cfr. nota) . Come quelle di Marta, costituiscono un implicito rimprovero a Gesù per non aver evitato la morte del fratello. La ripetizione, in stretto parallelismo, trasforma questa frase nel leitmotiv degli incontri. Gv sottolinea che non è missione di Gesù preservare i suoi dalla morte naturale. Gesù non le risponde. I l dolore per questa morte non può trovare altro conforto che la vita stessa. Al lamento di Marta aveva risposto con le parole di vita. In contrasto con le condoglianze dei giudei, solidarietà senza efficacia, Gesù non pronuncia parole di conforto né esorta alla rassegnazione. Chiamerà Lazzaro perché esca dal sepolcro.

47R

Il, 21-llla. Geaù

e

Maria

Il pianto

·'" '"'

33 Gesù allora, vedendo che lei piangeva e piangevano i giudei che l'accompagnavano, si controllò, reagì. Gesù contempla lo spettacolo di quelli che piangono rumorosamente; sono Maria, la sorella del defunto, e i visitatori che si erano riuniti con lei. Maria non ha ancora speranza. Il suo pianto viene equiparato a quello dei • giudei •, che non conoscono Gesù. Pur avendo creduto, non comprende le conseguenze della sua fede. Questa non dà soltanto la garanzia della vita futura, che anche i giudei attendevano. In tal caso, Gesù sarebbe stato un maestro in più. La sua azione sarebbe consistita nell 'offerta di una dottrina differente o superiore, che avrebbe però condotto alla stessa fine. Egli, invece, non offre un cammino diverso per giungere alla vita, ma una vita diversa, quella definitiva, che è la meta della creazione (14, 6 Lett.). Gesù si controlla; non vuole partecipare a questo genere di dolore. II suo si manifesterà dopo, ma con un altro tipo di pianto. Questo è il pianto sconsolato per l'inevitabilità e definitività di una morte senza speranza; tutt'al più con la speranza di una lontana risurrezione ( 1 1 , 24). L'espressione si controllò può avere un secondo significato, per l'ambi­ valenza dell'aggiunta greca (t6 pneumati), che può indicare semplice­ mente un atto interiore di volontà, o connotare Io • spirito • come opposto alla • carne ». I I pianto di Maria e dei giudei è proprio dell'uomo incompiuto (« la carne • ) , che si sente vinto dalla morte; Gesù, che ha Io Spirito, rifiuta di parteciparvi.

34 e domandò: vedilo, Signore • .



Dove l'avete posto? • · Gli risposero:



Vieni e

Gesù domanda il luogo del sepolcro, ed essi lo invitano ad andare a vederlo personalmente. Quest'ultima frase è identica a quella con cui Filippo i nvitò Natanaele a convincersi per esperienza della realtà di Gesù; qui invece invitano Gesù a constatare la realtà della morte. Si tratta di due movimenti contrari: quello dell'uomo che si avvicina a Gesù e quello di quest'ultimo che si avvicina all'uomo. Per la prima volta Gv presenta Gesù dinanzi alla cruda realtà della morte, destino dell 'uomo debole e infermo ( 1 1 , 1 ) . II movimento dell'uomo verso Gesù è la fede; quello di Gesù verso l'uomo, la vita. II Figliq di Dio mar.ifesterà la sua gloria, il suo amore per l'uomo ( 1 1 , 4). La condizione umana portava inesorabilmente alla morte. A questa morte tragica, fallimento e frustrazione, rispondono il pianto di Maria e quello dei giudei. La domanda di Gesù: dove l'avete posto?, mostra che sono loro ad aver collocato Lazzaro nel sepolcro senza speranza.

35-36 A Gesù sgorgarono le lacrime. I giudei commentavano: date quanto gli voleva bene! • .



Guar­

Gesù, che non si è lasciato trascinare dallo sconforto degli astanti, piange ora spontaneamente, mostrando il suo affetto personale per 479

Il giorno del Messia. Ciclo deU'uomo

Lazzaro e il suo dolore per· l'assenza dell'amico. I l suo pianto non è rumoroso ma sereno. Solidarizza con il dolore, non con la disperazio­ ne. II pianto di Gesù mancherebbe di significato se egli fosse sul punto di rendere a Lazzaro la vita fisica. I I suo dolore esprime il suo amore per l'uomo, amore di amico, che nasce dalla sua stessa condizione umana. In Gesù, l'affetto di Dio si trasforma in solidarietà di uomo. Dio è nell'« Uomo ». I presenti interpretano correttamente il pianto di Gesù (guardate quan­ to gli voleva bene!) ma parlano del suo affetto per Lazzaro come di cosa passata; tuttavia, l'amore di Gesù è sempre presente.

37 Alcuni di loro, invece, dissero: « E non poteva lui, che aprì gli occhi al cieco, fare anche in modo che questi nm1 morisse? ». Alcuni dei presenti fanno un commento diverso, ricordano ciò che Gesù aveva fatto per il cieco. Si stupiscono che quella manifestazione di potenza non �ia stata esercitata verso l'infermo impedendogli di morire. Come in al tre occasioni, l'evangelista suggerisce al lettore un secondo significato per bocca dei suoi personaggi: Gesù, che fu capace di dare vita nel battesimo (episodio del cieco, 9, 6). non sarebbe stato capace di conservare questa vita ? Rivolta prima che Gesù vada al sepolcro, la domanda sembra insinuare la speranza di trovare Lazzaro vivo. 38a

Allora Gesù, facendosi forza di nuovo, si diresse al sepolcro.

Gesù ha pianto, mostrando il suo affetto per Lazzaro, suo amico. Ora va r.! sepolcro, non per dolore, come i giudei avevano pensato di Maria ( I l . 3 1 ), ma a manifestare la gloria di Dio, il suo amore che, attraverso Gesù·uomo, salva l'uomo dalla morte irreparabile.

S I NTES I è ancora afflitta per il defunto. Gesù l'invita a uscire dalla casa del dolore senza speranza. La comunità non sa rendersi indi pendente dall'antica concezione della morte, ed esprime il suo dolore come coloro che non conoscono la vita. Anche Ges.ù prova pena, non perché la morte sia definitiva, ma · perché si sente solidale con l'uomo che le è soggetto, e soffre per l'assenza dell'amico. La comunità cns tiana

. ' ,

480

Gv 1 1 , 3Bb-46: Gesù e Lazzaro : dalla morte alle vita

J&b Era una grotta, e all'entrata era posta J9 Gesù disse:

una

pietra.

- Togliete la pietra. Gli dice Marta, la sorella del defunto : - Signore, è di quattro giorni: manda già cattivo odore. 40 Le rispose Gesù: - Non ti ho detto che se giungi a credere vedrai la gloria di Dio? 4 1 Tolsero allora la pietra. Gesù levò gli occhi in alto e disse: - Grazie, Padre, per avermi ascoltato. 42 Io sapevo che sempre mi ascolti, ma lo dico per la gente che mi sta intorno, perché giungano a credere che tu mi hai inviato. 0 Detto ciò, diede un urlo con voce molto forte: lazzaro, vieni fuori! 44 II morto usci, con le gambe e le braccia legate da bende; il suo volto era avvolto in un sudario. Disse loro Gesù: - Scioglietelo e lasciate che se ne vada. -

Molti dei giudei che erano andati da Maria ed erano stati presenti a ciò che aveva fatto, gli diedero la loro adesione. 46 Alcuni di loro, tuttavia, andarono dai farisei e riferirono loro ciò che aveva fatto Gesù. o

NOTE FI LOLOG ICHE 1 1 , 38 All'entrata, gr. ep'aut6. I o mancanza di un a prepos. che traduca senza ambiguità il gr. epi, si precisa il luogo in cui era collocata la pietra.

39 disse. Gr.

pres. st.

40 rispose, -

gr. !egei. l'la . st., precisato dal contesto. giungi a credere, gr. pisteuses. Aor. ingr.

42 girmgano a credere. Cfr. nota precedente. diede un urlo, gr. ekraugasen. Come in 12, 13; 18, 40; stingue da kraz.6, gridare (7, 28.37; 12, 44).

43

19, 6.12.15; si di­

gambe, gr. podas. Piedi, gambe, già nel gr. class. fin da Omero, Il. 23, 772; Od., 4, 149 (L.-S.-J . s.v. l, l); cfr. Ap 10, 1 : le gambe (podes) come colonne di fuoco; At IO, 25: cadendo in ginocchio (epi tous podas). 44

- braccia, gr. kheiras. Mani, braccia, cfr. Om Il. 21, 166: il gomito del braccio (kheiros) destro (L.-S.-J. s.v. I, 2); cf r. Mt 4, 6; Le 4, 1 1 ; Mc 3, 5: stendi il braccio (tén kheira).

481

Il Kf omo del Mcula. Ciclo deD'uomo

CONTENUTO E D IVISIONE Con questa pericope cul mina l'episodio di Lazzaro. Risalta in essa l'opposi­ zione fra la morte, la cui irrev ocabili tà è ra pp resenta ta dalla pietra del se­

polcro, e la vita conferita da Gesù, che vince la morte. Gesù porta i suoi alla visione di questa realtà, che da una parte manifesta loro l'amore di Dio, e dall'altra li libera dalla paura radicale dell'uomo. La pericope si divide in due uni tà . La prima ( 1 1 , 38b4 la), la sequenza della pietra, dopo l'interruzione che descrive il se polcro ( 1 1, 38b) contiene il dialogo fra Gesù e Marta ( 1 1 , 3940) e la rimozione della pietra ( 1 1 , 4la) . La seconda ( I l , 4lb44) contiene l'azione d i grazie d i Gesù ( 1 1 , 4142) e l'uscita del morto ( 1 1 , 4344). La pericope si conclude notando le opposte reazioni dei due gruppi di giude ! presenti alla scena (I l , 4546). Riassumendo: I l , 38b4la: Credere per vedere l� vita. 1 1 , 41b44: Dalla morte alla vita. I l , 4546: Opposte reazioni.

LETIURA Credere per vedere la vita I l , 38b Era una grotta, e all'entrata era posta una pietra. La precisazione offerta da Gv, che il sepolcro era una grotta, ricorda iT sepolcro dei patri archi , la grotta di Macpela, dove furono sepolti Abramo, !sacco e Gi a co bbe (Gn 49, 29-32; SO, 13). La grotta-sepolcro è legata alle origini del popolo. In opposizione al sepolcro nuovo di Gesù, in cui nessuno era stato ancora posto (1 9, 41), questo è quello antico, il sepolcro di Israele dove tutti sono stati posti 1 • Lazzaro è stato inwnato alla maniera e secondo la concezione giudaica, per • riunirsi con suo padre ,, (Gn 15, 15); • con i suoi » (Gn 35, 28) ; • con il suo popolo » (Gn 49, 33 LXX) 2• La pietra, che blocca il passaggio ed è simbolo della L'opposizione al sepolcro nuovo (kainon) , in cui sarà posto Gesù (19, 41), sug­ gerisce l'esistenza in questo luogo di un giuoco di parole fra sptelaicm, grotta, t palaion, antico. Altri sono apparsi in 6, 8.10b (Andreas-Andres) e in IO, 9 (nome­ nomos). cfr. anche 19, 34 (pleura-plerés) . 2 Il giudaismo riteneva che l a morte dei patriarchi significasse la privazione dd­ la vita, come appare chiaramente quando si tratta della morte di Mosè: cosi Dr Rabba 9 : • Parlò Mosè: "Signore del mondo, dopo le molte glorie che i miei occhl hanno visto, devo morire?" Rispose Dio: "Mosè, quale uomo può vivere senza \•edere la morte?" • (Sal 89, 49). R. Tankhuma (circa 380) disse: • Quale uomo è come Abramo, che entrò nel forno (di Nimrod) e fu salvato? Tuttavia, si dice poi in Gn 25, 8: Abramo spirò e morl. Quale uomo è come Isacco, che offri il suo collo sull'altare? Ma dopo si dice in Gn 27, 2: ormai sono vecchio e non so quando morirò. Quale uomo è come Gia­ cobbe, che lottò con l'angelo? Ma dopo si dice in Gn 47,29: si avvicinava per Israe­ le l'ora di morire. Quale uomo è come Mosè, che parlava con il suo Creatore faccia a faccia? E dopo si dice in Dt 31, 14: è vicino il giorno della tua morte • (S . . B. I, 754) . t

482

li, 381>-46. GeaU e Lazzaro

definitività i:!ella morte, completa il significato della grotta '· Separa due mondi, quello dei morti e quello dei vivi, e rimanda la risurrezione fino all'ultimo giorno, secondo la concezione giudaica espressa da Marta

( 1 1 , 24).

39 Gesù disse : • Togliete la pietra ». Gli dice Marta, la sorella del defunto: • Signore, è di quattro giorni: manda già cattivo odore » . L'ordine di Gesù chiede alla comunità d i spogliarsi di questa credenza che ritarda la risurrezione fino al momento finale, separando i vivi dai morti. Come l'invalido doveva poter disporre del suo giaciglio; cosi questa comunità deve anch'essa essere in grado di sharazzarsi della mentalità che le impedisce di credere pienamente in Gesù. I I testo sottolinea nuovamente il vincolo fra Marta e Lazzaro, il morto. La comunità pensa che la morte sia la fine (il defunto). Marta obietta all'ordine di Gesù. La nuova menzione dei quattro giorni ( I l , 17 Lett.) sottolinea i danni della morte e mostra ancora una volta che la sorella non vede differenza fra la morte di un discepolo e quella che l'umanità ha da sempre sofferto. Non crede che l'adesione a Gesù abbia mutato la condizione dell'uomo. La fede prima espressa da Marta, chiara nella sua formulazione ( I l , 27), vacilla davanti alla cruda realtà (manda già cattivo odore); non conosce la qualità dell'amore di Dio né la portata della sua opera creatrice.

40 Le rispose Gesù: gloria di Dio? ».



Non ti ho detto che se giungi a credere vedrai la

Gesù si riferisce alle proprie parole precedenti. Aveva domandato a Marta se credeva quanto lui aveva detto: io sono la risurrezione e la vita, e la sua conseguenza: chi mi dà la sua adesione, quand'anche muoia, vivrà ( 1 1 , 25). Questa vita che vince la morte manifesta la gloria di Dio. Se Marta crede, cioè se aderisce a Gesù come risurrezione e vita, vedrà gli effetti del suo amore per l'uomo: la vita di suo fratel­ lo. Gesù rimprovera a Marta la sua incredulità. L'amore di lui ha già realizzato la sua opera in Lazzaro, ma Marta non la può vedere fi1""1ilé non arriva a credere. Glielo impedisce la sua persistenza nell'antica concezione, rappresentata dalla pietra che chiude il sepolcro. La fede appare qui come condizione per vedere/sperimentare personalmente (vedrai) la gloria-amore di Dio, manifestata nel dono della vita definiti· va. La parola di Gesù a Marta (vedrai) collega questo episodio con la p romessa fatta a Natanaele: cose più grandi vedrai (1, 50) e anticipa il compimento della seconda promessa, rivolta a tutti i discepoli: vedrete il cielo ormai aperto ... (1, 51 Lett.); questa si verificherà nella manife· stazione suprema della gloria, Gesù sulla croce ( 19, 37: guarderanno colui che trafissero) . La gloria che sta per manifestarsi è quella di Dio ( I l , 40) e quella del Figlio di Dio ( I l , 4) : uno stesso amore, quello del Padre, presente in Gesù e attivo nella sua persona. 3 La pietra ricorda le tavole di pietra della Legge (2, 6); cfr. 2 Cor 2, 7: quell'agente di morte · parole incise sulla pietra, ecc .

483

Il giorno del Meula. Ciclo dell'uomo

41a

Tolsero allora la pietra.

Davanti al rimprovero, la comunità si decide a lasciare la sua idea della morte. Scompare così la frontiera fra morti e vivi. La pietra non solo non lasciava entrare, ma non lasciava nemmeno uscire. Pretendeva di porre la parola • fine » all'esistenza : occultava nella morte la presenza della vita. Dalla morte alla vita 41 b

Gesù levò gli occhi in alto.

Come in 8, 23: io appartengo a ciò che è in alto, l'alto rappresenta la sfera del Padre, dal quale procede lo Spirito; ad essa appartiene Gesù. II suo gesto mostra agli astanti la sua comunicazione con la sfera di Dio. 41c

e disse:

c

Grazie, Padre, per avermi ascoltato



Il testo non dice che Gesù preghi e, di fatto, il verbo • pregare • (proseukhomai) in Gv non appare mai. Gesù non esprime nemmeno una petizione, come si era attesa Marta, pensando che la sua preghiera a Dio sarebbe stata infallibile ( I l , 22). Rende grazie al Padre, che gli ha dato tutto (3, 35). Per questo non ha bisogno di chiedere. � la seconda volta che Gesù pronuncia un'azione di grazie. La prima volta (6, 1 1 ) ne furono oggetto i beni creati. l'alimento già esistente; rese grazie per il pane, dono di Dio a tutti, che egli stava per spartire rendendosi mediatore del dono. Ma il pane esprimeva e conteneva il dono che Gesù fa di se stesso, come pane che comunica la vita definitiva (6, 5 1). Ora rende grazie per questa vita comunicata. 42 • lo sapevo clte sempre mi ascolti, ma lo dico per la gente che mi sta intorno, perché giungano a credere che tu mi hai inviato •.

Gesù ha coscienza permanente della sua relazione con il Padre. Che questi lo abbia ora ascoltato non è altro che un caso particolare di ciò che avviene sempre, perché Gesù e il Padre sono una cosa sola (IO, 30) e sono uniti (10, 38) ; unico è il loro disegno (5, 30; 6, 39-40) e la loro azione (IO, 37). I l Padre non lo ha mai lasciato solo (8, 29). Con questa formula: che sempre mi ascolti, Gesù scopre al tempo stes­ so il suo atteggiamento interiore di continua azione di grazie al Padre. La riconoscenza, espressione dell'amore, è un aspetto del suo rapporto con lui. Gesù riconosce così che il suo essere e il suo amore procedono dal Padre. Rende grazie per coloro che lo circondano. Mette cosi in risalto l'im­ portanza di ciò che sta per fare e vuole che se ne conosca l'origine. La sua azione si realizza in mezzo a un mondo ostile ( • i giudei • ) . Egli onora suo Padre (8, 49) e vuole attribuirgli la gloria. L'azione di grazie risponde alle accuse di bestemmia. Lo avevano accusato di farsi uguale a Dio (5, 1 8), di farsi Dio (IO, 33); ora vuole mostrare loro come egli e il Padre siano uno. Si dimostrerà la veritil 484

Il, 381>-46. Gesù e Lazzaro

del l'argomentazione data dal cieco guarito ai dirigenti: sappiamo che ... chi ... realizza il suo disegno, questo lo ascolta (9, 31). Con questo fatto Gesù vuole metterli davanti all'evidenza della sua mi�sione divina. Vuole che gli uomini riconoscano l'amore di Dio presente e attivo per suo mezzo nel mondo. Gesù desidera che, conoscendo la vita che vince perfino la morte, l'umanità si convinca. La fede appare due volte in relazione con lo stesso fatto. La fede di Marta è condizione per vedere la gloria; quella dei presenti sarà effetto della sua manifestazione. Vi è nel primo contatto con Gesù un'accettazione della sua parola ( l , 39, due discepoli; l, 43, Filippo; 4, 50, funzionario; 9, 7, cieco). Ma è la manifestazione della gloria-amore a fondare l'adesione a lui (2, 1 1 ) . Per questo la fede in Gesù come inviato, alla quale gli astanti debbono giungere, sgorgherà dal fatto di riconoscere nell'opera di Gesù l'azione del Padre, che manifesta la sua gloria. Questa comunità (Marta), da parte sua gli ha dato la sua adesione; ma, anèorata alla tradizione giudaica, non ha ancor scoperto tutta la realtà di Gesù: che egli è la presenza dell'amore del Padre ( l , 51). Deve vedere la gloria (l, 3 9 Lett.), per vivere con lui nella condizione di discepolo (cfr. 17, 24). 43 Detto ciò, diede un urlo con voce molto forte: fuori! •.

«

Lazzaro, vieni

II sepolcro in cui avevano collocato Lazzaro, secondo il costume e la mentalità dei giudei, non era il luogo adatto a lui. Sono stati essi a collocarvelo ( I l , 34: dove l'avete posto?). :e il sepolcro del passato ( I l , 38b). Il credente non è destinato a esso perché, anche se muore, continua a vivere ( 1 1 , 25; 19, 41 Lett.). Per questo, con il suo ordine, Gesù presenta Lazzaro vivo nella morte. II suo grido sgorga da una sua azione di grazie (detto ciò, diede un urlo). l destinatari della sua azione sono gli astanti ( I l , 42: perché giungano a credere che tu mi ha inviato) : devono convincersi che la morte fisica non ha interrotto la vita del discepolo.

44 Il morto uscì, con le gambe e le braccia legate da bende; il suo volto era avvolto in un sudario. Disse loro Gesù: • Sciogliete/o e lasciate che se ne vada •· l dettagli del testo, bende e sudario, fanno . risaltare la realtà della morte, come prima aveva fatto la resistenza di Marta a togliere la pietra. Le gambe e le braccia legate mostrano l'uomo incapace di movimento e attività. Il testo espone un paradosso. Colui che esce è morto e ostenta tutti gli attributi della morte, ma esce da solo, perché è vivo. Ordinandogli di uscire, Gesù lo presenta ai circostanti, invitandoli a mutare la loro concezione. L'esortazione a togliergli le bende è l'invito a tradurre in pratica la nuova convinzione che il morto è vivo, che non è sottomesso al potere della morte. Gesù non rende Lazzaro alla comunità, lascia che se ne vada, ma ormai libero. Il cammino di Lazzaro conduce al Padre (cfr. 6, 21 nota), con il ....

485

Il giorno del Measla. Ciclo dell'uomo

quale Lazzaro vive. La narrazione illustra il cambiamento di mentalità davanti alla morte che Gesù domanda ai discepoli. Sono loro che l'hanno legato, e loro che devono slegarlo. Come la pietra che avevano posto rinchiudeva il morto nel passato, nel sepolcro di Abramo, le bende con cui lo avevano legato gli impedivano di giungere alla casa del Padre. Si descrive drammaticamente la concezione giudaica del destino dell'uomo, che impediva alla comunità di comprendere l'amore che il Padre le aveva manifestato in Gesù. Non che Lazzaro debba ancora andare dal Padre, sono loro che devono !asciarlo andare, com­ prendendo che Lazzaro vive nella sfera di Dio, invece di trattenerlo nella loro mente come un defunto senza vita. Sciogliendo Lazzaro morto sono loro a sciogliersi dalla paura della morte che li paralizzava. Così escono tutti fuori dal sepolcro, che li sottometteva alla schiavitù della morte. Soltanto adesso, sapendo che morire non significa cessar di vivere, la comunità potrà donare la sua vita come Gesù, per recuperarla (IO, 1 8 ; cfr. 6, 6 1-62 Lett.).

Opposte reazioni 45 Molti dei giudei che erano andati da Maria ed erano stati presenti a ciò che aveva fatto, gli diedero la loro adesione. La reazione naturale al fatto era l 'adesione a Gesù. La vita è la suprema aspirazione dell'uomo, la sua luce ( l , 4; 8, 12), e Gesù ha mostrato di comunicare la vita che vince la stessa morte. Di coloro che erano andati da Maria, molti si schierano dalla sua parte. Impotenti davanti alla morte, erano andati a esprimere la loro solidarietà nel dolore ( I l , 19.3 1 ) . Con Gesù è spuntata la speranza; la morte non è l'ultima parola. Ora, fra la loro istituzione e Gesù - che essa ha respinto - optano per quest'ultimo. Conoscono il sistema religioso giudaico, e sanno che non offre la soluzione al grande problema dell'uomo; Gesù invece, presenza e attività dell'amore di Dio, la offre. Maria, figura della comunità ( I l , 2 Lett.). è l'unica che ora venga menzionata. La frase ed erano stati presenti a ciò che aveva fatto si può appl icare tanto a Gesù quanto a Maria. L'ambiguità potrebbe essere intenzionale: da un lato, Gesù ha presentato Lazzaro vivo, mostrando loro l'amore del Padre; ma, dall'altro, è la comunità che lo ha sciolto e lasciato andar via, vale a dire: essa ha percepito la qualità di vita che possiede, e non si spaventa più davanti alla morte. Ha visto la ·gtoria, e questa splende adesso nella sua condotta. Finché aveva paura della morte, la comunità non stimolava nessuno, né si vedeva differenza alcuna fra i giudei e i discepoli di Gesù. Ora la coscienza della vita e la certezza della sua continuità nella morte, fanno della comunità una testimonianza dell'amore di Dio, che libera l 'uomo dalla paura più profonda. radice di tutte le sue schiavitù. Questa testimonianza conduce gli altri a credere in Gesù.

46 Alcuni di loro, tuttavia, andarono dai fa risei e riferirono loro ciò che aveva fatto Gesù.

486

11, 381>-46. Gesù e Lazzaro

Sono incondizionatamente ligi all'ordinamento ingiusto quelli che non si arrendono davanti ai fatti perché non desiderano la vita, i morti che cercano la morte. La notizia viene nuovamente porta ta ai farisei. che controllano la situazione (9. 1 3). Che l'uomo abbia vita e sia libero è per loro uno scandalo, un motivo di inquietudine. Gv elimina qui l'ambiguità precedente: denunciano quanto fatto da Gesù. B lui il responsabile dell'esistenza dell'uomo nuovo.

;.�.

SINTESI

Il disegno di Dio sull'uomo. che Gesù realizza , è la comunicazione di una vita che cambia qualitativamente quella che l'uomo poss iede : vita definitiva. che supera la morte. Questa continuerà a essere un fatto biologico, ma non segnerà la fine. Ha così il suo culmine il disegno dell'amore creatore. Gesù invita a penetrare questa realtà dell'amore di D io e a scoprirne la portata. Esorta a fidarsi della sua parola, a togliere la pietra e a sciogliere i legami delle antiche conc ezioni della morte. che opprimevano l'uomo riducendo il suo destino alla condizione di cadavere. La morte come fine della vita è il punto massimo della debolezza umana. che include tutte le altre debolezze e umiliazioni. La paura della morte come sparizione definitiva rende l'uomo impotente a resistere all'oppressione, e fonda il potere degli oppressori. Liberandolo da questa paura radicale, Gesù lo rende radicalmente libero. L'uomo non può essere disposto a dare la sua vita come Gesù, se non è convinto di essere indistruttibile. Soltanto la certezza di possedersi pienamente al di là della morte liberà in lui la capacità di dedizione generosa e totale.

4117

Gv 1 1 , 47·53: La untenza di morte contro Gesù 47 I sommi sacerdoti e i farisei convocarono allora una sessione del Consiglio, e dicevano: - Che facciamo? Perché quest'uomo compie molti segni. 41 Se Io lasciamo continuare così, tutti gli daranno la loro adesione e i romani verranno e toglieranno di mezzo il nostro luogo sacro e anche la nostra nazione. 4' Ma un� di loro, Caifa, essendo sommo sacerdote in quell'anno, disse loro: - Voi non capite nulla; 50 e non considerate neppure che vi conviene che un solo uomo muoia per il popolo, e non perisca la nazione intera. " Questo non lo disse per conto proprio; essendo sommo sacerdote in quell'anno, profetizzò che Gesù stava per morire per la nazione; 52 e non soltanto per la nazione, ma anche per raccogliere in uno i figli di Dio dispersi. 53

Così quel giorno concordarono di ucciderlo.

NOTE FILOLOGICHE 11, 47 48

una sessione del Consiglio, gr . sunedrion. Senza artic.

lasciamo continuare, gr. apMmen. Specificato dal cont esto (polla poiei

sémeia).

- toglieranno di meuo, gr. arousin. Cfr. l, 29 nota; 19, 15. - nostro ... nostra, gr. h�m6n. Un solo possessivo, ma riferito a entrambi i termini (kai . . ka1) . - luo go sacro, gr. ton topon. Riferito al tempio, eb. maklln (Es 15, 17; l Re 8, 13; 2 Cr 6, 2; Is 4, 5); cfr. 4, 20. - e anche, gr. kai . .. kai, intensi vo. .

51

per conto proprio,

gr. aph'heautou.

Cfr. 7, 18.

CONTEN UTO E DIVISIONE u pericope espone la reazione delle massime autorità di Israele al fatto di Lazzaro. u comunicazione di vita e di libertà all'uomo risulta intollerabile al sistema di potere giudaico. Razionalizzano la propria ostilità a Gesù sotto pretesti di bene n azion ale. Il capo supremo, il sommo sacerdote, pro­ pone una soluzione: sacrificare un uomo a beneficio del po polo. L'evangelista propone la sua spiegazione delle parole del sommo sacerdote. Il Consiglio de· termina di uccidere Gesù. Si oppongono in questa pericope Gesù, la vita, e il sistema di potere, la morte: sono incompatibili. u tenebra cerca di s� gnere la luce.

488

Il, 47-53. La sentenza di morte

la pericope comincia segnalando la reazione immediata del potere, il suo disorientamento ( I l , 47-48). Presenta quindi l'intervento di Caifa e il com­ mento dell'evangelista ( I l , 49-52). Si conclude con l'unanime decisione del Consiglio (I l , 53).

Riassumendo: 1 1 , 47-48: u sessione del Consiglio. Disorientamento e allarme. 1 1 , 49-52: L'intervento del sommo sacerdote e il commento dell'evangelista. 1 1 , 53: la sen tenza di morte.

LETIU RA La sessione del Consiglio. Disorientamento e allarme 1 1 , 47a l sommi sacerdoti e i farisei convocarono allora una sessione del Consiglio. � la seconda volta che Gv sottolinea la forza del gruppo fariseo, capàce di mettere in movimento l'apparato di potere (cfr. 7, 32). Viene convo­ cata una riunione ufficiale cui partecipano i sommi sacerdoti, potere politico-religioso, e i farisei, gruppo cui apparteneva la maggior parte dei letterati del Consiglio, e che esercitava un grande influsso spirituale sul popolo. Gli uni e gli altri passano per rappresentanti di Dio, i primi per il loro incarico, i secondi per la loro scienza e la loro osservanza esemplare della Legge. Sono gli stessi due gruppi che diedero ordine di arrestare Gesù nel tempio (7, 32.45).

47b

e dicevano: segni • ·



Che facciamo? Perché quest'uomo compie molti

Coloro che si sono riuniti commentano con pessimismo la situazione. Non menzionano mai Gesù con il suo nome (quest'uomo). Sono loro « i giudei • (1, 19 nota) che avevano domandato a Gesù nel tempio se egli fosse il Messia (IO, 24) e che l'avevano voluto lapidare perché, essendo uomo, si faceva Dio (IO, 33). Gesù aveva fatto appello alle proprie opere (10, 38), che sono • i molti segni » cui ora essi si riferiscono e che motivano il loro allarme. Essi stessi li chiamano « segni » , ma, anche se • segno • significa un fatto che addita una realtà superiore, il gruppo dominante rifiuta di riconoscerlo. Si rendono perfettamente conto che tali azioni non provengono da un uomo qualunque, ma questo per loro non conta, cercano soltanto il proprio interesse. Gesù dà vita, libertà e autonomia all'uomo. Essi sono gli oppressori; l'opposizione tra loro e Gesù è quella della morte-tenebra nei confronti della vita-luce. Si domandano cosa debbano fare. Non sarà nulla di positivo, ma di negativo: far fronte all'attività di Gesù, impedire il piano creatore di Dio. 48a

ne



Se lo lasciamo continuare cosi, tutti gli daranno la loro adesio­

n.

489

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

Per loro, i segni di Gesù rappresentano soltanto una minaccia per la propria egemonia. Temono che tutti vadano con lui, riconoscendo i suoi segni. Gesù si è mostrato loro avversario dichiarato e ha pronunciato le accuse più gravi: li ha chiamati bugiardi e omicidi (8, 44), ha dichiarato che sono schiavi (8, 34) e denunciato che il vero signore del loro tempio è il denaro (2, 16; 8, 20; 8, 44 Lett.) . Ha detto che essi, i rappresentanti di Dio, non lo conoscono (8, 54-55), che non adempiono la Legge di Mosè (7, 19) e che la dottrina che propongono non viene da Dio, in quanto cercano la loro propria gloria (7, 18). L'adesione del popolo a Gesù significherebbe la fine del loro dominio. 48b

«

e i romani verranno

•·

Cercano una ragione che motivi la loro opposizione a Gesù, e la trovano sul terreno politico. Una sommossa messianica avrebbe certa­ mente provocato l'intervento romano, e temono di essere spogliati del loro privilegio. Non si domandano neanche per un momento se Gesù è il Messia inviato da Dio e appoggiato da lui (lO, 24.36). Dio non entra nei loro calcoli. Lo hanno inquadrato in una amministrazione religiosa e in una Legge, e non gli riconoscono una attività propria. • e toglieranno di mezzo il nostro luogo sacro e anche la nostra nazione • .

48c

Vedono in Gesù un pericolo per le loro istituzioni e la loro razza in caso di conflitto col potere invasore. I l tempio è • il luogo • loro, da dove esercitano il dominio; in 5, 13, • i l luogo • designava la città op­ pressa dal tempio. Per salvare il • loro luogo • si opporranno a Dio. Hanno costruito il loro sistema e vogliono conservarlo, costi quel che costi. Accampano tuttavia il pretesto di assicurare la permanenza del lUogo sacro, cioè di difendere Dio, come se egli fosse impotente. Per loro non è Dio a sostenere l'uomo, ma le istituzioni a sostenere Dio; pretendono di difenderlo difendendo il proprio sistema. Per questo quando, nella persona di Gesù, Dio interviene nella storia, conside­ rano Gesù sospetto e pericoloso. La loro tattica politica è errata: non c'è sicurezza al di fuori di Dio e di Gesù; ciò che essi temono, la distruzione del loro tempio, se la gente segue Gesù. avverrà appunto per averlo rifiutato. Si verificherà quanto annunciato da Ger 7, 4ss: « Non confidate nelle parole menzognere di coloro che dicono: Tempio del Signore, tempio del Signore, tempio del Signore ... rubate, uccidete ... poi venite e vi presentate alla. mia presen­ za in questo tempio, che prende il nome da me, e dite: Siamo salvi! per poi compiere tutti questi abomini ... Io tratterò questo tempio che porta il mio nome e nel quale confidate, e questo luogo che ho concesso a voi e ai vostri padri, come ho trattato Silo. Vi scaccerò davanti a me come ho scacciato tutti i vostri fratelli, tutta la discen­ denza di Efraim » .

490

I l , 47-53. La sentenza d1 \ .... :�

49a

morte

Intervento del sommo ·sacerdote e commento dell'evangelista

Ma uno di loro, Caifa, essendo sommo sacerdote in quell'anno.

Entra in scena colui che agisce come capo del popolo, figura unica (uno), che presiede il Consiglio. :e. lui a prendere l'iniziativa. Lo si identifica con il suo nome, che è in realtà un soprannome. Al tempo stesso è uno di loro, solidale con gli altri. Il capo incarna la corpora­ zione; si sottolinea la responsabilità di Caifa, sommo sacerdote nell'an­ no decisivo (quell'anno), in cui Israele rifiuterà il Messia. La frase tuttavia ha anche un altro significato: Caifa è una figura effimera, è uno dei tanti nella serie dei sommi sacerdoti, rappresentante momenta­ neo di un'istituzione ed esecutore dei suoi disegni. Non è l'ultima istanza: dietro di lui c'è un potere del quale egli è strumento (18, 1 3 Lett.). · 49b-50 disse loro: • Voi non caPite nulla; e non considerate neppure che vi conviene che un solo uomo muoia per il popolo, e non perisca la nazione intera •·

I l leader esercita la sua funzione, proponendo una via d'uscita. Tronca brutalmente la discussione, parla con rudezza, senza rispetto per il Consiglio, ma fa appello all'interesse personale: vi conviene. Con questo evoca la minaccia della loro rovina, ricorda che a essere in gioco è la loro autorità, e si conquista così la loro volontà e il loro voto. La frase di Caifa: che un solo uomo muoia per il popolo e non perisca la nazione intera, ricorda un episodio della vita di David: Achitofel, consigliere di Assalonne, gli propone in presenza del Consiglio di dar morte a David: • Io colpirò solo il re, e ricondurrò a te tutto il popolo, come ritorna la sposa al marito. La vita di un solo uomo tu cerchi; la gente di lui rimarrà tranquilla • (2 Sam 17, 2-3). Continua ad apparire lo sfondo messianico su cui si muove la persecuzione contro Gesù, il Messia, nuovo David (IO, 24). Che la morte di quell'uomo fosse salvezza per il popolo era appunto il disegno di Dio, che Caifa annuncia senza rendersene conto e del quale gli altri non sanno nulla. Nella frase di Caifa si contrappongono due termini: popolo e nazione. • Popolo • è parola teologica e denota l'insieme degli uomini con i quali Dio stabilisce la sua alleanza e che, perciò, vengono costituiti popolo di Dio (cfr. Es 19, 5 : • Se vorrete ascoltare la mia voce e èustodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà fra tutti i popoli •. e passim). • Nazione », al contrario, designa in Gv il popolo giudaico in quanto si differenzia dagli altri, non solo per razza, ma soprattutto per la sua organizzazione teocratica. Di fatto, la nazione è legata al tempio ( I l . 48) e governata dai sommi sacerdoti (18, 35; cfr. Es 1 9, 6: • Sarete un popolo sacro, retto da sacerdoti »). Facendo sì che un uomo muoia per il popolo, Caifa vuole salvare la nazione, vuole cioè impedire che crolli il sistema teocratico in cui esercita l'autorità suprema.

491

Il IJiorno del Messia. Ciclo dell'uomo

S l -52 Questo non lo disse per conto proprio; essendo sommo sacerdote in quell'anno, profetizzò che Gesù stava per morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per raccogliere in uno i figli di Dio dispersi. L'isti tuzione del sommo sacerdozio creava un intermediario fra Dio e popolo. Dio gli dà ora il suo ultimo messaggio, che annuncia la verità di Dio e al tempo stesso denuncia il tradimento dei dirigenti. La profezia di Caifa riassume la storia dell'infedeltà d'Israele. Egli annun­ cia ciecamente il disegno di Dio, senza comprenderlo. Con questo si chiude la storia dell'ist ituzione giudaica. t> ormai sigillato il rifiuto: i suoi non l'accolsero ( ! , I l ) , per bocca del massimo rappresentante del popolo. Vogliono spargere sangue innocente (Ger 7, 5-7: « Se realmente pronunzierete giuste sentenze ... se non spargerete il sangue innocente in questo luogo ... allora abiterò con voi in questo luogo ) Usano l'ingiustizia per difendere la nazione e il tempio (il nostro luogo) . Essi stessi ne provocano la distruzione. Gv spiega in che senso le parole di Caifa sono profezia. « Il popolo • che sarà oggetto della nuova alleanza di Dio con l'umanità non si limiterà a Israele, « la nazione •, ma comprenderà uomini di altre razze e popoli. Alla nazione, la morte di Gesù darà la possibilità di uscire dall'oppres­ sione che soffre; essa tirerà fuori dal recinto le pecore (10, 3s; cfr. 1 8 , 5 Lett.); sarà la fine dell'istituzione giudaica, che in questa sezione firma la propria sentenza di morte. Il Messia sta per riunire la nuova comunità umana, composta da tutti coloro che gli daranno la loro adesione. Loro distintivo non sarà la consanguineità con Abramo (8, 33.37.39), ma la consanguineità con Dio (i figli di Dio), essendo nati da lui (l, 13) tramite lo Spirito (3, 6) . Non sarà chiusa in un paese, ma sparsa per il mondo, conservando il suo vincolo di unità (raccogliere in uno), formando l'unico gregge (10, 16; 19, 23 Lett.). Il testo allude a Ger 3 1 , 8 (3 8 , 8 LXX ) , che descrive la riunione del popolo disperso: • Ecco li riconduco dal paese del settentrione e li raduno dall'estremità della terra ». I LXX aggiungono : « nella festa di Pasqua •, che si trasforma in segno della futura liberazione. Gv fa sua questa interpretazione della versione greca (cfr. 13, l ; 19, 3 1 .42). La morte di Gesù per il popolo sarà quella del pastore che muore per difendere le sue pecore, per dar loro vita (10, 10s) . Da parte degli uomini sarà la massima ingiustizia, da parte di Dio la massima mani­ festazione della sua gloria, del suo amore per l'uomo. Senza di essa non si sarebbe mai potuto conoscere chi è Dio ; né la portata del suo amore. L'unità cui Gesù porterà coloro che provengono da Israele e i figli di Dio dispersi è l'unità sua con il Padre (10, 30: /o e il Padre siamo una cosa sola), come esprimerà chiaramente nel discorso della Cena (14, 20: Sperimenterete che io sono in mio Padre, voi in me e io in voz) e nella preghiera finale (17, 2 1 : Che siano tutti uno - come tu, Padre, sei in me e io in te -, perché anche loro lo siano in noi). Questa è l'unità dell'unico gregge. •

492

.

Il, 47-53. La sentenza di morte

La sentenza di morte 53

Cosi quel giorno concordarono di uccider/o.

Il discorso di Caifa ha pieno successo, l'adesione è unanime. II leader ha formulato ciò che tutti si portavano dentro ( I l , 47: Che facciamo? ... Se lo lasciamo continuare così . ..). Hanno formulato la loro sentenza, e sanno cosa devono fare; la morte di Gesù non avverrà con un linciag­ gio, come hanno tentato di fare in altre occasioni (8, 59; 10, 3 1 ) , ma con una decisione ufficiale e fredda, politicamente giustificata. Non hanno celebrato Wl giudizio formale, ma non era necessario: quello che volevano non era far giustizia, ma difendere i propri interes­ si. La condanna di Gesù è un fatto, d'accordo con la loro Legge (7, 5 1 ) , anche s e non l o hanno ascoltato come esigeva Nicodemo. Essi, c he . la difendono e la utilizzano, non l 'adempiono (7, 19a), e meno che mai quando cercano di uccidere Gesù (7, 19b). Hanno per padre il Nemico, omicida fin dal principio (8, 44).

SI NTESI Il sistema di potere giudaico identifica la sopravvivenza del popolo con la propria. Giustifica in tal modo il suo opportunismo politico e l 'ingiustizia che commette. Come istituzione religiosa, questa tattica lo porta alla rovina, in quanto essa cessa di essere realtà significativa della presenza di Dio nell'umanità. L'attività di Gesù a favore dell'uomo ha interpellato seriamente questo potere; è l'attività di Dio che lavora nella storia. Ma essi soffocano l'invito annichilendo Dio stesso. L'istitu­ zione rimane svuotata della presenza di lui. Quando firma la sentenza contro Gesù, cessa di esistere.

493

Gv 1 1 , 54: La clttl di Gesù 54 Per questo Gesù smise di andare in giro pubblicamente fra i giudei e da quel luogo si recò nella regione vicina al deserto, a Efraim, una città così chiamata, e lì rimase con i discepoli.

NOTE FI LOLOGICHE I l , 54

smise di andare in giro,

terrompere.

gr.

ouketi ... periepatei. I n funzione di in­

- e si recò, gr. alla, i l cui significato avversativo rimane integrato nell'oppo­ sizione smise di, e si recò. Efraim, una cittd così chiamata. La costruzione it. conserva l'enfasi data dal testo al nome geogra fi co

.

LETTURA LA città di Gesù J l , 54 Per questo Gesù smise di andare in giro pubblicamente fra i giudei e da quel luogo si recò nella regione vicina al deserto, a Efraim, una città così chiamata, e lì rimase con i discepoli. Davanti alla sentenza dell'istituzione giudaica contro di lui, Gesù, da Betania, dove molti partigiani del regime avevano visto il suo operato, si reca in una città vicina al deserto 1 • Come nelle occasioni precedenti (6, 1 ; 10, 40), ·cv dà all'allontanamento di Gesù un significato figurato, utilizzando nuovamente il linguaggio dell AT. In questo caso Gesù (nome che in ebraico e in greco si identifica con quello di Giosuè), si reca in una città chiamata Efraim. Egli, come Mosè, ha attraversato il mare, cioè è uscito dalla terra di schiavitù (6, 1 ) e, come Giosuè, ha attraversato i l Giordano, giungendo alla terra promessa (l 0,40) . Ora, dinanzi al definitivo rifiuto dell'istitu· zione giudaica Gesù, come Giosuè, riceve la sua eredità per volontà di Dio; cfr. Gs 1 9, 49-50 LXX : • Gli israeliti diedero a Giosuè, figlio di Nun . un'eredità in mezzo a loro. Seguendo l'ordine del Signore, gli diedero la città che egli chiese: Timna Serai, nella terra di Efraim. Egli costrul la città e vi si installò •· Le autorità di Israele non ammettono Gesù in ' L'identificazione di questa città è dubbia. Alcuni vogliono vedere in essa l'antica Ofra (Gs 18, 23; cfr. Gs 15, 9: Efron). In ogni caso la costruzione della frase, che mette l'enfasi sul nome (eis Ephraim /egomenén polin), mostra essere questo ciò che l'evangelista vuole sottolineare. La lett. var. del P 66 eis tén kh6ran eggus tés erémou, Ephraim legomenén, rafforza l'allusione a Samaria (si veda Lett.); tut· ta\"ia la. testimonianza dei codd. e l'allusione all'eredità di Giosuè raccomandano la lettura lunga.

494

Il, 54. La cltll dl Gaù

mezzo a loro, ma, per ordine di Dio, egli ha la sua eredità al di fuori dei " suoi >> ( 1 , I l ) . Gv la identifica con Efraim, altro nome di Samaria, il paese che lo ricevette (4, 30.39). Gesù vi fu riconosciuto come salvato­ re del mondo (4, 42). Efraim si oppone al mondo giudaico: è fuori di esso che Gesù avrà la sua città. La sua comunità emigra, perché dove è lui sono i suoi discepoli, che apparterranno alla terra intera (10, 16; I l , 52). Nel testo di Ger 38, 8 (LXX), in cui si prometteva la riunificazione per il giorno della pasqua ( I l , 52 Lett.), Dio chiama Efraim suo primogenito (Ger 3 1 , 9; 38, 9 LXX) . Gv allude qui anche a questo testo profetico: fra i figli di Dio, che saranno riuniti da Gesù, la primizia sarà Efraim, cioè Samaria, che lo ha già ricevuto. Con questa menzione di Efraim/Samaria termina il secondo ciclo, come era terminato il primo. In entrambi i casi, al rifiuto dei suoi (4, 1-3; I l , 47-53) risponde l'accoglienza degli altri popoli, rappresentati dal primogenito.

495

B . L�ORA FINALE: LA PASQUA DEL MESSIA

1 1 , 55 - 1 9 , 42

L'ora del Messia (cfr. 12, 23.27; 13, l; 16, 32; 17, l; 19, 14.27), parte finale del suo giorno (cfr. p. 1 29), abbraccia il periodo di tempo che precede la terza Pasqua, ultima delle 6 feste menzionate nel vangelo.

Delimitazione Le indicazioni che delimitano questo periodo sono numerose. In primo luogo, la prossimità dell'ultima Pasqua è un dato cronologico che separa questo periodo da quello precedente, concluso con una penna· nenza di Gesù al di fuori della Giudea, di durata imprecisata (Il, 54). Le allusioni a questa Pasqua si moltiplicheranno nel corso del periodo ( I l , 55bis; 12, 1 ; 13, 1 ; 18, 39; 19, 14), prolungate dalle menzioni della preparazione (19, 14.3 1 .42). Bisogna notare che la Pasqua riceve la determinazione • dei giudei " per l'ultima volta in I l , 55. A partire da 12, l ( 1 1 , 55b è ambiguo) si chiamerà semplicemente « la Pasqua •. poiché si riferirà soprattutto alla Pasqua di Gesù, che è la Pasqua di Dio. Questa giungerà al suo compimento con il sacrificio dell'Agnello (19, 28-30). mentre la Pasqua giudaica rimarrà interrotta durante la preparazione e non giungerà mai a essere celebrata ( 19, 42). In secondo luogo, in 12, l si apre un periodo di sei giorni che fa coincidere il giorno sesto con quello della morte di Gesù. Le datazioni intermedie (1 2. 12: il giorno seguente; 13, 1 : prima ... di Pasqua) sono incluse nel periodo aperto dalla menzione dei tre giorni. L'ultimo giorno sarà quello della preparazione, in cui Gesù muore ed è sepolto ( 1 9, 3 1 .42) . Questo periodo di sei giorni corrisponde al primo, comincia· to in l , 19 (cfr. l , 29.35.43) e culminato a Cana, principio dell'attività di Gesù e primo annuncio della sua ora (2, 1 .4). Il giorno di Cana conclu­ deva il primo arco di sei giorni, il giorno della morte di Gesù conclude­ rà il secondo. Così tanto il principio come la fine della sua attività sono sotto il segno del giorno sesto, quello della creazione dell'uomo. Un terzo dato che stabilisce l'unità di questo periodo è la menzione, al principio e alla fine, della sepoltura di Gesù e, in relazione a essa, del profumo ( 1 2, 3.5.7; 19, 39s). Anche il tema del traditore, annunciato in 496

Significato dell'ora

6, 71 e sviluppato nelle tre sezioni di questo periodo (12, 4ss); 13, 21ss; 1 8, l ss) dimostra l'unità dell'• ora »; così pure il tema di Gesù re, insinuato nella sezione preparatoria ( 1 , 49) , incluso nel tema del regno nel colloquio con Nicodemo (3, 3.5) e apparso in senso negativo in occasione della seconda Pasqua (6, 15). Qui sarà invece trattato ampia­ mente, 'in primo luogo in relazione con l'opzione del popolo {12, 12ss) e, più avanti, nel giudizio di Gesù davanti a Pilato { 1 8, 33ss). Si noti che i tre grandi periodi del vangelo, il giorno (2, 1-1 1 , 54), l'ora ( I l . 55-19, 42) e il nuovo giorno (20, 1-29), cominciano con un episodio dal tema nuziale: a Cana si presenta sotto il simbolo delle nozze l'antica alleanza che deve essere sostituita nella • sua ora •: a Betania si anticipano le nuove nozze . alleanza in cui Maria rappresenta la sposa del Cantico ( 1 2, 3), e nella scena dell'orto (20, l . l l ss) si realizzano le noz­ ze-alleanza definitive fra Gesù sposo e Maria la Maddalena sposa, figura della comunità messianica.

Relazione con il grorno La relazione dell'ora con il giorno del Messia (che fonnano entrambi il giorno sesto, quello della creazlone dell'uomo). diventa visibile in quan­ to il giorno sesto comprende le sei feste menzionate nel vangelo, l'ultima delle quali è questa terza pasqua, quella della morte di Gesù. La sovrapposizione dei due cicli, quello della creazione dell'uomo rap­ presentato dal giorno sesto e quello delle sei feste che culminano in questa Pasqua, unifica i due temi, creazione e Pasqua, mostrando che la creazione dell'uomo può essere completata solo attraverso una libera­ zione, che include un esodo, una nuova alleanza e Legge, e una nuova festività. Al giorno sesto e alle sei feste si unisce adesso l'ora sesta, in cui Gesù sarà consegnato alla morte (19, 14; cfr. 4, 6), con esplicita menzione della preparazione della Pasqua ( 1 9, 14). Appare così l'intenzione dell'e­ vangelista, che fa confluire nel numero sei (l'ora, il giorno sc:sto e i l periodo d i sei giorni, i l numero delle feste) l'avvenimento della conse­ gna e morte di Gesù. Questo numero sei, simbolo dell'incompletezza, non sfocia, come ci si potrebbe attendere, in un giorno settimo, che simboleggerebbe una realtà completa ma chiusa, ma in un giorno primo (20, l ) che anziché essere fine è inizio di una nuova realtà (non viene intercalato un giorno settimo neppure fra il primo arco di sei giorni, concluso a Cana, e il secondo, cominciato in 12, 1).

Significato dell'ora L'ora del Messia, che culminerà nella croce, rappresenta l'epilogo della tensione accumulata nel corso della narrazione evangelica tra le autori­ tà e Gesù. L'attività di questi, �.:he anticipa il frutto della sua morte, si è conclusa con l'episodio di Lazzaro. fine della sua manifestazione a Israele, prm·ocando la sua condanna a morte da parte delle massime autorità. La tensione è giw1ta al culmine, e davanti al popolo si presenta chiaramente l'opzione Ira Gesù, il datore di vita, e l'istituzione, 497

L'ora finale. La Pasqua del Messia

agente di morte. Da questa proviene un ordine di denuncia e di cattura ( I l , 57); i campi vengono delimitati: chi d'ora innanzi si metterà dalla parte di Gesù si collocherà per ciò stesso contro l'istituzione giudaica, e accetterà la stessa sorte del condannato. L'arrivo dell'ora suppone da parte di Gesù l'accettazione definitiva della propria morte ( 1 2, 27). come manifestazione della gloria-amore di Dio che realizza il suo disegno creatore; da parte delle autorità suppone la realizzazione del loro disegno di morte, che culmina nell'esecuzione di Gesù. Si contrappongono così, al loro acme, l'amore e l'odio, il disegno del Padre (6, 39s) e quello del Nemico omicida (8, 44) .

Divisione Il periodo dell'ora finale si divide in tre sezioni intimamente connesse. La prima si può chiamare • l'opzione nei confronti del Messia •· In primo luogo descrive l'opzione della sua comunità, che celebra la vita , ma in cui è presente il traditore; il contenuto della pericope, ambienta­ ta in una cena, sarà sviluppato nella seconda sezione. Subito dopo si presenta l'opzione negativa di I sraele; la morte di Gesù, che si annuncia in essa, sarà messa in atto nella terza sezione. Si chiude con tula solenne dichiarazione di Gesù (si veda p. 499). Le due sezioni che seguono formano le due pale di un dittico, il cui titolo globale può essere: « la Pasqua di Gesù: il passaggio dal mondo al Padre ». La sua unità è indicata dalle inclusioni fra 13, l (eis telos) e 19, 28.30 (te telestai) cosi come fra 13, 1 .3 (eidos) e 19, 28 (eid6s). Nell'u· na e nell'altra sezione vengono descritti la Pasqua di Gesù e il suo passaggio al Padre ( 1 3, 3; 18, la Lett.). Nella prima, che comprende la Cena con i discepoli, sono esposti sotto forma di istruzione per la comunità; nella seconda, con la consegna e morte di Gesù. Queste sezioni corrispondono ai due episodi presentati nella prima. Prima di tutto, la Cena è in relazione con la cena di Betania. In entrambi i casi, oltre alla cornice comune, una cena (12, 2; 13, 2). viene presentata la comunità come tale nel suo rapporto con Gesù, scena senza precedenti nel primo periodo (• il giorno del Messia »). I paralleli sono numerosi: oltre alla prossimità della Pasqua (12, l ; 13, 1), che mette queste sezioni in relazione con la morte di Gesù, appare in entrambe il servizio, ma in senso inverso: della comunità a Gesù, come unzione dei piedi (12, 3), e di Gesù alla comunità, come lavanda dei piedi (13, Sss). In entrambe spicca il traditore ( 12, 4ss; 13, 21ss). La consegna e la morte di Gesù corrispondono all'episodio del pqpolo che esce da Gerusalemme ( 1 2, 12s). In entrambi · i casi vi è un incontro di Gesù con un gruppo, sia la folla, sia i soldati capeggiati da Giuda. 1:: comune anche il tema della regalità di Gesù (12, 13; 18, 33ss); di fatto all'acclamazione della folla (12, 1 3 : il re d'Israele) corrisponde la desi­ gnazione di coloro che vanno a catturarlo ( 1 8 , 5.7: Gesù il Nazareno), ed esse appariranno unite nel titolo della croce ( 1 9, 1 9 : il Nazareno, il re dei giudei). I rinnegamenti di Pietro ( 18�1 7.25.27) sono in relazione con l'avviso dato da Gesù ai discepoli circa il timore della morte ( 12, 25). Il tema dell'Uomo (12, 23.34) riapparirà nell'episodio centrale del giudizio davanti a Pilato ( 1 9, 5), sempre in relazione con la regalità (19, 2.3.5). 498

PRIMA SEZIONE

L'OPZIONE NEl CONFRONTI DEL MESSIA ( 1 1 , 55 - 1 2 , 50)

La condanna a morte di Gesù da parte delle autorità ha spinto all'e­ stremo il conflitto già in atto. Si presenta adesso dinanzi a Israele una duplice opzione: a favore del Messia o a favore dell'istituzione che lo condanna. La sezione comincia con un bre,·e preludio ( 1 1 , 55-57) che, nel contesto della prossimità della Pasqua, descrive l'ambiente che regna tra la gente nei confronti di Gesù, e menziona l'ordine ufficiale della sua denuncia e cattura. All'inizio della sezione si ricorda così la tensione in cui si sviluppano le scene successive. Si descrivono quindi le opzioni all'interno della comunità (12, 1-8); una parte di essa apprezza in tutto il suo valore il dono della vita ricevuto da Gesù; un'altra, rappresentata dal traditore, si oppone alla sua persona e messaggio. La scena si svolge a Betania, dove stava Lazzaro. Il gruppo di discepoli fedeli rende omaggio a Gesù per la vittoria sulla morte, concessa come il dono della vita definitiva. La nuova realtà della comunità di Gesù attrae molti partigiani del regime e intensifica la persecuzione da parte delle autorità ( 1 2 , 9-1 1). La scena centrale che segue (12, 12-36), descrive l'opzione di Israele. Cominciata con un'acclamazione entusiasta, nei confronti di Gesù come Messia riformatore, finisce con il rifiuto, dovuto alla non comprensione del suo disegno messianico e del valore della sua morte. In questa pericope viene intercalato il primo avvicinamento a Gesù dei non giudei, annuncio della futura missione. L'evangelista chiude quest'episodio con la spiegazione delle cause del rifiuto (12, 37-43). La sezione termina con una dichiarazione solenne di Gesù (12, 44-50) senza precisazione di tempo e luogo. Non è più diretta al popolo come tale, ma ai singoli. In essa egli riassume la sua missione e il suo messaggio, come alternativa alla morte, dinanzi alla quale deve operare una scelta l'uomo di ogni epoca. Universalizza così il significato degli episodi che precedono. La scena di Betania e quella della folla che esce da Gerusalemme formano un dittico: Gesù fra i suoi, Gesù davanti al popolo. Questo dittico è in parallelo da un lato con quello costituito dalle due ultime sezioni (cfr. p. 498), ma una struttura simile si ripete anche più avanti: nei capp. 1 3-14 (comunità) e 15-16 (missione), e negli episodi con i discepoli dopo la risurrezione: 20, 19-29 (comunità) e 2 1 , 1-23 (missio­ ne). ·

499

Gv 1 1 , 55-57: Attesa nei confronti di Gesù Era prossima la Pasqua dei gi u dei , e molti dalla campagna salirono a Gerusalemme, prima della Pa sq ua , per lavare la loro im pu ri tà . 56 Cercavano Gesù e commentavano fra loro, senza muoversi dal tem· pi o : - Che vi pare? Forse non verrà alle feste? 57 Da parte loro, i s om mi sacerdoti e i farisei avevano già dato l'ordine che se qualcuno fosse venuto a sapere dove stava, avvisasse per cattu­ 5l

rarlo.

NOTE FILOLOGICHE I l , 55 per lavare la loro impuri/d, gr. hina hagnisosin heautous. La puri· ficazione denotata da hagnizo si faceva con acqua, cfr. Nm 8, 6-7 (LXX) :

li purificherai (aphagnieis autous) e compirai così la loro purificazione (hagnis mon): li aspergerai con acqua di purificazione (hagnismou) , ecc.; cfr. Es 19, IO e, 1n riferimento all'immolazione dell'agnello pasquale, 2 Cr 30, 17 s. Plutarco, Mor., 263 E: lo pur kathairei kai to hudor hagnizei. Nell'A T, il katharismos si poteva fare con sangue (Lv 8, 15), con un sacrificio (Lv 12, 7-8) o con sangue misto ad acqua (Lv 14, 7) ; il termine si applicava an­ che alle purificazioni fatte in privato (Gv 2, 6) o senza carattere ufficiale (3, 25). Gv sceglie quindi hagnizo per indicare una purificazione ufficiale, nel tempio (cfr. At 21, 26), e fatta con acqua espiatrice (cfr. sopra N m 8, 6-7l. Nella traduzione bisogna pertanto da un lato evitare di creare un paralle· lo, inesistente in Gv, fra questo passo e 2, 6; 3, 25; 13, 10-1 1; 1 5 , 3, dall'altro esprimere la relazione con l'acqua, evidente per il lettore di Gv, e che allude a Zc IJ, l (cfr. Lett.). Di qui l'uso della perifrasi lavare •

•.

56 commentavano, gr. elegon. Specificato dal contesto e dall'aggiunto met'allelon (cfr. 6, 43). - senza muoversi dal tempio, gr. m 16 hiero hestekotes. Part. pf. che indica localizzazione durevole o permanente (cfr. 6, 22), qui espressa meglio in it., con la forma negat. (cfr. l, 27 nota). - alle fesre, gr. eis ren heortén; l'espressione greca indica un periodo di tem­ po. Di qui la trad. con il plurale.

CONTEN UTO Questa pericope, in cui la gente della campagna sale a Gerusalemme a pu­ rificarsi prima della Pasqua, contiene dati che rimandano al racconto della passione. In primo luogo vi è un'opposizione fra lavare la loro impurità ( I l , 55) e non contaminarsi e poter celebrare il pasto della Pasqua (18, 28). Il termine • pasqua • apparirà per l'ultima volta in 19, 14: era la prepara­ zione della Pasqua. I l lavare l'impurità forma un'opposizione inclusiva con 19, 34, in cui l'acqua sgorga dal costato d i Gesù (cfr. Lett.). La pericope contiene tre momenti. In primo luogo si descrive la circostan· za ( l i, 55); in seguito, l'aspettativa della gente nei confronti di Gesù (Il, 56); infine si menziona il mandato di cattura emesso dalle autorità (Il, 57).

500

Il, S5-57. Attesa nel confronti di Gaù

. . LE'TTtffi A 1 1 , 55a · Era prossima la Pasqua dei giudei. :t

la terza e ultima volta che Gv menziona la v1cmanza della Pasqua

2, 1 3 ; 6, 4; I l , 55) . Nella prima Pasqua (2, 13) ebbe luogo la denuncia da parte di Gesù dell'istituzione del tempio; nella seconda (6, 4), Gesù non

salì a Gerusalemme, si trattenne in Galilea e anticipò la futura Pasqua messianica; nella terza ( I l , 55), di nuovo a Gerusalemme, la narrazione avrà il suo culmine, coincidendo con l'• ora • di Gesù (2, 4; 1 2 , 23). Riassumendo le due precedenti, la Pasqua e il tempio antico saranno definitivamente sostituiti dalla nuova Pasqua e dal nuovo santuario (2, 1 9) : s'immolerà l'Agnello di Dio ( 1 , 29) e sgorgherà dal nuovo san­ tuario l'acqua dello Spirito (7, 39; 19, 34) . 55b e molti dalla campagna salirono a Gerusalemme, prima della Pasqua, per lavare la loro impurità.

Molta gente della provincia sale alla capitale prima della data della Pasqua, per sottoporsi ai riti di purificazione imposti dal sistema religioso (cfr. 2 Cr 30, 15-20). Quanti si trovavano in stato di impurità non potevano celebrare la Pasqua alla data fissata, dovevano attendere il mese successivo. In Nm 9, 1-14 si narra che alcuni la ritardarono per aver toccato un cadavere. La gente della campagna sale a Gerusalemme, il luogo dello sfruttamen­ to (2, 1 3 ss ) ; credono ancora nelle sue istituzioni. Sono sottomessi ai suoi sacerdoti, che hanno deciso di uccidere Gesù ( I l , 53). L'espressione lavare la loro impurità, che indica un legame con l'acqua (cfr. nota). e la menzione di Gerusalemme mettono questo testo in relazione con quello di Zc 13, l (eb.), in cui il profeta annuncia l'apertu­ ra a Gerusalemme di una fonte per lavare i peccati e le impurità. La promessa si trova fra quelle che si compiranno • nel giorno del Signo­ re • , in cui si inserisce la menzione del • Trafitto • (Zc 12, 1 0). Gv, che segue il testo ebraico, nel Trafitto vede Gesù (19, 37), dal cui costato aperto sgorga l'acqua insieme con il sangue ( 1 9, 34), associando al Trafitto sulla croce la promessa della fonte aperta a Gerusalemme per lavare i peccati e le impurità (Zc 13, l ; cfr. 14, 8). La gente della campagna sale a purificarsi a Gerusalemme senza sapere che, per la prima volta, esisterà la possibilità di farlo realmente; salgono a celebrare la Pasqua dei giudei, ignorando che, per la prima volta, sta per essere celebrata una Pasqua nuova, con l'Agnello che toglie il peccato del mondo. Vanno a purificarsi da ciò che considerano peccato, le macchie legali, mentre, senza rendersene conto, sono sottomessi alla tenebra che impe­ disce loro di vivere. Da questa che è - e causa - il peccato del mondo, li libererà l'Agnello di Dio. 56 Cercavtmo Gesù e commentavano fra loro, senza muoversi dal tempio: • Che vi pare? Forse non verrà alle feste? •·

Si aspettavano di trovare Gesù in città; ora, per le cerimonie della

SOl

L'ora finale. La Pasqua del Meula

purificazione, rimangono nel tempio, l'atrio (10, 1 ) in cui stanno le pecore che il ladro ruba, sacrifica e distrugge (10, IO) . II nome di Gesù è sulla bocca di tutti. Si domandano se egli avrà il coraggio di andare alla festa. Essi, sottomessi alle loro istituzioni, cercano tuttavia Gesù, che si è opposto alle istituzioni e ai dirigenti. Ma non possono uscire da soli dal recinto in cui si trovano: continuano a essere sottomessi, soffrendo lo sfruttamento. Soltanto Gesù può trarli fuori da lì (10, 3-4). � questa l'ultima scena situata nel tempio. In avvenire esso sarà menzionato una volta soltanto, da Gesù davanti ad Anna, riferendosi al suo insegnamento passato (18, 20). Gesù non andrà a questa festa che, nella narrazione evangelica, non sarà mai celebrata. Egli deve celebrare la sua Pasqua. 57 Da parte loro, i sommi sacerdoti e i farisei avevano già dato l'ordine che se qualcuno fosse venuto a sapere dove stava, avvisasse per catturarlo.

La situazione è critica: vi è già un ordine ufficiale di denuncia e cattura. Gesù è considerato dalle autorità come un criminale pericoloso ( 1 1 . SO) . Ha dato vita: bisogna dargli morte ed estinguere la speranza. n sistema politico-religioso è agente del Nemico omicida (8, 44).

502

Gv 1 2, 1 -8 : La comunità celebra la vita 1 Sei giorni prima della Pasqua Gesù andò a Betania, dove stava Lazzaro, il morto, quello che Gesù aveva suscitato da morte. ' Gli offrirono ivi una cena, e Marta serviva; Lazzaro era uno di coloro che erano adagiati a mensa con lui. 1 Allora Maria, prendendo una libbra di profumo di nardo autentico, molto costoso, unse i piedi di Gesù, e gli asciugò i piedi con i capelli. E la casa si riempì della fragranza del profumo.

4 Disse però Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, quello che stava per consegnarlo: 5 Per qual motivo non si è venduto per trecento denari e non si sono da ti ai poveri ? 6 Disse ciò non perché gli importassero i poveri, ma perché era un ladro, e siccome teneva la borsa, portava via quello che vi mettevano. 7 Disse allora Gesù: - Lasciala fare ! Che lo custodisca per il giorno della mia sepoltura; • perché i poveri li avrete sempre fra voi, invece non sempre avrete me. -

NOTE F I LOLOGICHE 12, l il morto, gr. ho tethnékos. Variante critica che , se anche manca in alcuni codici importanti (Sin, B), si trova tuttavia nella testimonianza più antica (papiro 66) e in altri codici importanti (A, D). t! più facile ammettere la soppressione di queste parole che non la loro aggiunta a un testo pri­ mitivo che non le comprendesse. - aveva suscitato, gr. égeiren. In correi. con 5, 21. ' Si noti il parallelismo fra 1 ,28: en Béthania ... hopou en ho 16annés baptizon e 12, 1 : ei.s Béthanian, hopou én Lazaros ho tethn�kos, hon egeiren ek ne­

kr6n Usous.

2 Gli offrirono, gr. epoi�an ... autlJ. - adagia ti a mensa. Cfr. 6, W-1 1 ; 13, 23. 3

autentico, gr. pistik�. Derivato di pisti.s; di persone: fedele, degno di fede;

raramente di cose: autentico, non adulterato. I n questo testo, e nel suo parallelo Mc 14, 3, pistikés ha causato difficoltà . Il valore simbolico del profu­ mo ( = l amore, cfr. Lett.) spiega l'uso di questo aggettivo: profumo autenti­ .

'

co = amore fedele. t;: una nuova espressione della kharis kai alétheia, 1 , 14. 16.17: l'amore fedele della comunità risponde a que llo di Gesù.

5 Per qUDl motivo ... ?, gr. dia ti. Cfr. 7, 45; 8, 43.46; 13, 37. - per trecento denari. Si conserva nella trad. questa moneta fuori uso, per conservare la cifra, che ricorda le trenta monete di Mt 26, 15; 27, 3.9. Il de­ naro era il salario della giornata di un operaio. La somma rappresentava quasi un anno di lavoro, cfr. 6, 7 nota.

7

Che lo custodisca, gr. hina. Imperativo. 503

L'ora liDale. La Puqua del Meula

8 fra voi,

.

meth'heaut�n. In luogo di meth'humon, cfr. 5, 42 nota. - non ... avrete me, gr. ou ... ekhete. A differenza di ekhete meth'heaut6n, che indica continuità con Io stato presente, la negazi one introduce un'interruzione gr.

di questo stato collocata in un futuro immediato.

CONTENUTO E DIVISIONE Questa pericope, con cui comincia un nuovo arco di sei giorni, descrive la celebrazione fatta dalla comunità cristiana della vita che Gesù le ha comu· nicato. t! situata a Betani a il luogo della comunità (IO, 40b Lett.; Il, 1). Questa la celebra servendo (Marta) e mostrando l'amore per Gesù (Maria). Fra i discepoli, Giuda non comprende né il servizio né l"amore. La pericope comincia presentando l'occasione e il gesto di Maria nei con­ fronti di Gesù (12, 1-3). G iuda si oppone e Gesù risponde alla sua protesta ,

(12, 4-8).

Si può dividere cosi: 12, 1-3: Occasione e gesto di Maria. 12, 4-8: Protesta di Giuda e risposta di Gesù.

LETTURA Comincia qui un nuovo arco di sei giorni (cfr. l . 19; 2, l) che racchiude l'ora di Gesù (12, 27; 17, l ; cfr. 19, 14.27) e termina con la sua morte. I l giorno stesso del primo arco, quello della creazione dell'uomo, cominciò a Cana e comprendeva ì"attività di Gesù, alla quale egli darà compimen­ to in questa ora. Rispetto a l suo giorno è l'ora finale, ma al tempo stesso è quella che inizia il giorno della nuova creazione (20, 1 ) . 2 la frontiera fra due periodi della storia dell'uomo: è l'ora cui tendeva tutta la speranza precedente, e l'ora che origina la nuova realtà inci­ piente. In essa si realizza il grande segno, del quale tutti i precedenti erano anticipo: la manifestazione dell'amore di Dio in forma totale e definitiva. La gloria di Dio si renderà visibile nella persona di Gesù, il n uo vo e d e fi n i t i vo santuario (2, 19.2 1 ) .

Occasione e gesto di Maria 12, 1 Sei giorni prima della Pasqua Gesù andò a Betania, dove stava Lazzaro, il morto, q uello che Gesù aveva suscitato da morte. In ques to passo la Pasqua non ha più Ia determinazione • dei giudei •, perché si sta per celebrare la Pasqua di Gesù, che è quella di Dio. Gesù va a Betania, luogo della sua comunità ; è lì che si celebra la festa, perché que l lo è il luogo della vita. Questa Betania manca qui

504

U, 1-1.

La comuaftl celebra la vita

di localizzazione precisa; per di ptu, il parallelismo della frase: a Be­ tania, dove stava lAzzaro, con quella di l . 28: a Betania, ... dove Giovan­ ni stava .. , la assimila più che altro al luogo ideale della comunità, al di fuori del mondo giudaico (10, 40-42). I I gruppo di discepoli rappresenta­ to dai tre f ra telli ha compiuto ormai la sua rottura ( 1 1 , l Lett.). Betania è id en t ifica t a come il luogo dove si trova Lazzaro, morto e vivo al tempo stesso; è la comunità di Gesù, in cui la vita ha vinto la morte. .

2 Gli offrirono ivi una cena, e Marta serviva; lAzzaro era uno di coloro che erano adagiati a mensa con lui.

AI di fuori di questo passo, la parola

• cena • appare soltanto in 13, 2.4; 21. 20, sempre riferita all'ultima cena. La cena di Betania si identifica pertanto in un certo modo con quella, in cui si dà il comandamento che interpreta l'eucarestia ( 1 3, 34s). Questa cena o celebra zione è un' azione di grazie a Gesù per il dono della vita. La celebrazione cristiana non si rivolge a un Gesù a ssen te o distante, ma presente e par te cip ante. La frase i n iz iale è solenne : gli offrirono ivi una cena. II soggetto indeterminato include l'intera comunità, il cui anonimato permette l 'applicazione a ogni tempo. Lo stesso va lore ha la localizzazione ivi, che equivale a Betania, luogo simbolico che rappresenta la comunità

dei discepoli. I personaggi stabiliscono relazioni diverse, mostrando di essere figure complementari: Mar ta serve; anche se si è nominato soltanto Gesù, l'amore per lui porta all 'amore per gli altri (14, 15). Lazzaro, il com­ mensale passivo, è in relazione esclusiva con Gesù (era adagiato a mensa con lui).

Questa celebrazione della comunità cristiana sostituisce il banchetto funebre. Tolta la pietra che separava i morti dai vivi, e sciolto Lazzaro, questi può essere presente alla cena. Lo avevano lasciato andare con il Padre, ma proprio per questo egli è presente nella comunità, luogo della presenza del Padre (14, 23). Recuperata dalla sua tristezza, la comunità celebra la vita ricevuta, riconosciuta in Gesù come sua fonte e in Lazzaro come beneficiario. Perciò il banchetto in memoria di un morto si trasforma in azione di grazie per cel ebrare la presenza del da tore di vi ta e la vittoria sulla morte. Questo banchetto, come la stessa eucarestia, anticipa anche in un certo modo il banchetto fi nal e, i cui commensali saranno tutti coloro che hanno ricevuto la vita definitiva. 3 Allora Maria, prendendo una libbra di profumo di nardo autentico, molto costoso, unse i piedi di Gesù, e gli asciugò i piedi con i capelli. E la casa si riempì della fragranza del profumo. II gesto di Maria mostra la sua riconoscenza per i l dono della vita; il prezzo del p rofu mo è si m bol o del suo amore senza misura ' · Per descrivere la scena Gv util izza i l linguaggio del Cantico, mostrando che M aria , rappresentante della comunità, assume il ruolo di sposa 1 Maria unge i piedi di Gesù. Una schiava poteva ungere i piedi di un ospite prima di mangiare, con olio allo stato naturale o profumato (S. - B. l , 426ss) ; ma il gesto di Maria non è soltanto d i servizio, ma di omaggio.

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L'ora finale. La Paoqua del Metl!lla

rispetto a Gesù. Cosi Ct 1 , 12: • Mentre il re ( = Io sposo) stava sul suo divano (cfr. Gv 12, 2: adagiato), il mio nardo spandeva il suo profumo " (Gv 1 2 , 3). Il tema dei capelli si trova in Ct 7, 6 : « Con le tue trecce fai prigioniero u n re ». Il profumo che Maria spande è simbolo dell'amore della comunità per Gesù, che risponde all 'amore che egli le ha mostrato comunicandole la vita ( 1 , 1 6 Lett.). Asciugandogli i piedi con i capelli, con i quali viene imprigionato lo sposo (Ct 7, 6), si insinua l'amore che lega Gesù ai suoi. La frase finale: la casa si riempì della fragranza del profumo, contrasta con Ger 25, IO (LXX) : « Farò cessare le grida di gioia e le voci di allegria, la voce dello sposo e quella della sposa, la fragranza del profumo e la luce della lampada • . Con Gesù, lo sposo, è tornata la gioia che colmò Giovanni Battista (3, 29 ) ; esiste nuovamente la fragran· za dell'amore. In Ct l , 3 (LXX) la si identifica con lo sposo: • la fragranza dei tuoi profumi supera tutti gli aromi ; profumo asperso è il tuo nome, per questo le ragazze si innamorano di te >>. La casa intera. la comunità, si riempie della fragranza dello Spirito, amore che ha ricevuto da Gesù e contraccambia, vincolo di unione fra i discepoli. La comunità di Gesù si riunisce in una casa che al tempo stesso è la sua dimora. Il termine appartiene alla vita familiare, senza connotazio­ ne religiosa. La casa·dimora fu nominata per la prima volta nell'epi· sodio del funzionario, dove alludeva all'universalità della missione {4, 53: la sua famiglia). Le comunità di Gesù non si stabiliscono nell'area del sacro, ma in quella dell'umano, mentre, al tempo stesso, questa ca­ sa-dimora è già quella del Padre, in cui Gesù ha preparato un posto ai suoi (14, 2s). La comunità cristiana celebra quindi la nuova vita, la creazione del­ l'uomo a opera di Gesù. I n questa celebrazione Gesù è presente, e l'amore e la riconoscenza che gli vengono espressi ridondano sulla comunità, colmandola dello Spirito. Questo è profumo perché è vita e immortalità, opponendosi al fetore che Marta teme\·a da suo fratello morto (I l , 39). Quel fetore irrimediabile si è trasformato in profumo, perché la comunità sa ora che la vita ha vinto la morte. Gesù ha portato a termine il disegno di Dio sull'uomo, dandogli la vita definiti­ va. Di qui il prezzo del profumo. Questa vita oltrepassa ogni prezzo. L'omaggio della comunità a Gesù è quello di un amore autentico, fedele (dr. nota), che manterrà la lealtà a lui in mezzo alle persecuzioni di cui è oggetto. I dati del testo intorno all'unzione possono riassumersi così: il profu. mo è offerto a Gesù nel corso del banchetto, fa parte dell'omagg io che la comunità gli rende come datore di vita. Per l'allusione al Cantico, rappresenta l'amore che la sposa tributa allo Sposo, l'amore fedele (autentico). Vengono unti i piedi di Gesù; l'omaggio si trasforma in servizio, segno di accoglienza, e ricorda la lavanda dei piedi che Gesù farà ai suoi e sarà norma della comunità come espressione dell'amore vicendevole. Il profumo in luogo dell'acqua identifica il servizio con l'amore. Quest'amore, che ha come centro Gesù, riempie la casa, si estende cioè a tutti e crea l'ambiente della comunità.

506

U, 1-1. u comunlt/1 celebra la vita

Protesta di Giuda

e

risposta di Gesù

4-5 Disse però Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, quello che stava per consegnarlo: • Per qual motivo non si è venduto per trecento denari e non si sono dati ai poveri? �-

Nella comunità si leva una voce discordante. Qualificando Giuda come uno dei suoi discepoli, Gv lo considera appartenente al gruppo, uno che se ne professa membro e convive con gli altri. Non tutti i discepoli, pertanto, accettano il messaggio di Gesù. Giuda è colui che non lo ha mai accettato; fin dal principio Gesù sapeva che lo avrebbe consegnato (6, 64). � un nemico (6, 70s). Il motivo sarà indicato più avanti (12, 6) . Torna a emergere il contrasto: uno che è discepolo consegnerà Gesù. Colui che fu qualificato come uno dei Dodici (6, 7 1 ) , è ora designato come uno dei suoi discepoli. Come si era già visto, il numero 1 2 designa la comunità intera in quanto erede delle promesse di Israele (6, 70 Lett.). Gesù morirà per mano del • mondo • . ma per la sua morte sarà necessaria la cooperazione di un discepolo. Il traditore nella cerchia dci suoi è per lui il massimo pericolo. La domanda di Giuda è una protesta. La cifra di 300 denari rappresenta una somma considerevole, dato che il denaro era il salario della giornata di un operaio: la somma equivale pertanto a quasi un anno di lavoro. e superiore a quella che Filippo stimò insufficiente a calmare la fame della folla (6, 7). Giuda rimane nelle categorie del denaro (vendere, cfr. 6, 5 : comprare, cfr. Lett.), professa i principi dello sfruttamento (2, 14: i venditori nel tempio). Egli preferisce il denaro all'amore e, pertanto, a Gesù. In realtà sta dando un prezzo alla sua persona. Ha tassato ciò che non ha prezzo 2 • Risuona nuovamente il testo del Cantico: se qualcuno volesse comprare l'amore con tutte le ricchezze della propria casa, si renderebbe disprez­ zabile (8, 7). Giuda non crede nell'amore generoso; il denaro è per lui il

valore supremo. Maria svaluta il denaro; Giuda, l 'amore. Il pretesto che Giuda adduce mette l'attività esteriore della comunità al di sopra dell'espressione della sua stessa vita. Non partecipando dei valori del gruppo, vuole dissimulare la sua mancanza di integrazione facendo appello a una attività che in realtà è una evasione; parla come se si potesse amare coloro che sono al di fuori senza amare coloro che sono al di dentro, o come se l'amore non fosse l'identità e il distintivo della comunità e la piattaforma necessaria per la testimonianza, da cui deriva la possibilità della fede per il mondo ( 1 3 , 34s; 17, 22). Pretende di opporre i poveri a Gesù; pensa che la dimostrazione di amore debba esser data unicamente a loro; questa è perlomeno la giustificazione espressa nella sua protesta. Per rimediare la situazione dei poveri propone dei mezzi che si sono già rivelati inefficaci (6, 5-7). Tuttavia la gratitudine espressa dal profumo dimostra precisamente che la comunità è vicina ai poveri: si ringrazia Gesù per la vita che si riceve da lui e che il discepolo possiede per dedicarla agli altri. Questa gratitudine è un impegno. 2 l 300 denari ricordano le trenta monete d'argento. prezzo fissato per Gesù, che

i sommi sacerdoti pagarono a Giuda (M t 26, 15; 27, 3.9).

L'ora 6nale. La Pasqua del Messia

Come soluzione alla povertà Giuda propone l'elemosina anziché la comunità; questa non vive in strutture di denaro (compra-vendita), ma di azioni di grazie e messa in comune (6, I l ) , di amore condiviso e che condivide. Jn ogni caso, Giuda pensa che nessuno, neanche Gesù stesso, meriti un amore totale. In pratica non è disposto a dare tutto per nessuno; si rifugia nel generico, nella massa astratta (i poveri). Tuttavia l'unico modo per giungere ai poveri è identificarsi con Gesù che dà vita dando se stesso. Quanto maggiore sarà l'assimilazione a lui, tanto più si sarà vicini ai poveri. Soltanto attraverso Gesù questi trovano la salvezza, perché la povertà è causata dal rifiuto di una generosa dedizione. Non basta dare, è necessario darsi, e solo identi· ficandosi con Gesù si può amare così.

6 Disse ciò non percl1é gli importassero i poveri, ma perché era un ladro, e siccome teneva la borsa, portava via quello che vi mettevano. Giuda è menzognero; in realtà dei poveri non gli importa; vuole trarre vantaggio dalla vendita del profumo. In fondo, non oppone Gesù ai poveri, ma al proprio interesse. L'amore dimostrato a Gesù · Jo molesta perché impedisce il suo profitto personale. Non sa cosa significhi amare, non prova riconoscenza per Gesù, perché non ha accettato il suo dono né, pertanto, ha ricevuto la vita. Non può ricevere la vita nuova perché non ha rotto con i valori del sistema oppressore. Gesù lo aveva qualificato come nemico ( • diavolo •. 6. 70 s) . ed egli lo è. in quanto ladro come i dirigenti (10, 1 .8.10) . Come loro, ha per padre il Nemico, il potere del denaro (8, 44a Lett.; cfr. 13, 2.27) : per questo è bugiardo e sarà omicida. Si metterà d'accordo con loro (18, 3) e tornerà spudoratamente al mondo cui apparteneva. L'alleato delle tenebre (13, 30) sarà l'agente di morte. Non avendo ricevuto la vita non ha nulla da celebrare, e la festa gli sembra inopportuna. Colui che pretende di occuparsi dei poveri, anziché condividere, acca­ parra (portava via/prendeva quello che vi mettevano), quando l'appro­ priazione è la ragione dell'esistenza dei poveri. Vi è un'opposizione con l 'episodio dei pani, in cui la messa in comune si trasfonna per mezzo di Gesù in alimento per tutti (6, 1 1). Il ladro, Giuda, fa il contrario: ciò che appartiene a tutti passa a essere proprietà di uno, invertendo il movimento della vita, che è diffusivo. Non soltanto ruba, ma sotto pretesto di aiutare i poveri, pretende di rubare ancora di più. �nziché donare se stesso, come Gesù, per dare vita, SpOglia gli altri e trattiene per sé, causando morte. Togliere la vita non è altro che il furto portato al suo estremo, la spoliazione totale. Il ladro finisce con l'essere un assassino. Nel gruppo, Giuda è l'esponente del sistema nemico di Gesù.

Disse allora Gesù: della mia sepoltura • .

7



lAsciata fare! Che lo custodisca per il giorno

L'omaggio che la comunità tributa a Gesù ha come motivo la vittoria della vita sulla morte. Quando giungerà il momento della morte di Gesù

508

12, 1-8. La comunità celebra la vita

dovntnno rinnovarlo, affermando nuovamente tale vittoria; ciò che già hanno visto in Lazzaro, dovranno crederlo di Gesù. Malgrado la sua raccomandazione, il profumo non sarà conservato. I discepoli, rappresentati da Giuseppe di Arimatea (19, 38 Lett.), si di­ menticheranno di portare questa libbra di profumo, accettando invece per la sepoltura le cento libbre di aromi che porterà il fariseo Nicode­ mo (1 9, 39). Cercheranno di perpetuare la memoria di Gesù come quella di un defunto illustre; non avranno imparato che il datore di vita è la vita stessa (14, 6). Soltanto la fede nella potenza della vita, tradotta in adesione e amore per Gesù, garantirà la permanenza in lui della comunità (15, 4.9s), condizione per la sua esistenza e per il suo frutto. Senza tale fede non potranno occuparsi dei poveri. 8 • perché i poveri li avrete sempre fra voi, invece me •.

11011

sempre avrete

presenza di Gesù con i suoi ha un duplice aspetto. Il primo è quello dell'identificazione con la persona di lui (14, 20) attraverso lo Spirito, la gloria che egli riceve dal Padre e comunica ai suoi. Si reàlizza così l 'unione con lui e con il Padre ( 17, 22s). Questa presenza di Gesù è permanente (14, 1 8-20.23) . è un dinamismo unificatore che rende parte· cipi della sua stessa condizione (17, 24) . In questo senso, Gesù è presen­ te nella comunità, più che come termine di relazione, come fonte di vita, principio e capacità di rapporto con ogni uomo. A questo livello, il rapporto personale con Gesù consiste nel rimanere in lui accettando la vita che da lui scaturisce (15, 4-5) . I l secondo aspetto considera Gesù presente come termine esteriore di relazione; questa presenza termina con la sua morte. Il termine della relazione d'ora in avanti lo costituiranno c i poveri • che rimangono sempre. Gesù, presente nella comunità, le comunica il dinamismo del suo amore e, at traverso di essa, raggiunge la persona degli altri. u comunità non si incentra quindi in Gesù come presenza statica verso la quale confluisce tutta la sua vita: è incentrata in Gesù in quanto rimane in lui e partecipa del suo Spirito che la conduce verso c i poveri ». u frase i poveri li avrete sempre fra voi indica la forma di relazione che si stabilisce fra la comunità e i poveri. Questi non sono il termine di un'attività volta all'esterno, come se si trovassero al di fuori del gruppo cristiano; li si considera all'interno di esso, o perché apparten­ gono alla comunità, o perché li si accoglie in essa. Là comunità è separata dal mondo, ma non dai poveri. Attraverso la sua morte, Gesù si vincolerà con tutti i poveri di questo mondo, oppressi , perseguitati. Come lui, la comunità cristiana dovrà manifestare la propria solidarietà con essi. Con la sua morte, Gesù darà la possibilità e indicherà il cammino per abolire l'oppressione, non partendo da una situazione di forza e dominio (denaro), ma di solida­ rietà (dono di sé fino alla morte). La comunità non si distingue dai poveri. è una comunità di poveri che si amano e che, attraverso la condivisione, espressione dell'amore, superano la propria condizione di oppressi. u

509

L'ora Hnale. La Pasqua del Messia

L'amore che rende presente Gesù, risposta e replica del suo, è necessa­ riamente amore vicendevole (13, 34s Lett.); tende a integrare e, con i rapporti umani, a creare comunità di eguali. Per questo i poveri non possono essere l'oggetto esterno della sollecitudine della comunità. L'amore non mette nelle mani un'elemosina per poi disinteressarsi. L'amore di Gesù consiste nell'accogliere alla propria tavola e alla propria intimità. t:: così che i poveri devono essere sempre fra i discepoli. È nella relazione personale che si manifesta l'amore di Gesù. La comunità cristiana pertanto ha la sua chiara identità (13, 35), che però è quella dell'amore vicendevole, consistente appunto nell'essere aperti agli altri. Non si identifica per opposizione a nessuno, ma, come Gesù, per la propria capacità di accoglienza e donazione. L'amore che accoglie, personalizza. Questo è il dono che, accettato, produce l'espe­ rienza dello Spirito, che è vita e amore (17, 22 Lett.). Gesù dà all'uomo la sua piena dignità e statura umana; cosi questi esce dalla propria oppressione e povertà. Sovverte in questo modo la dinamica omicida che svuota l'uomo del suo contenuto, riducendolo a oggetto utilizzabile da qualunque sistema oppressore; elimina la volontà di potere, causa dell'oppressione, dandosi ai poveri non in quanto poveri, ma in quanto fratelli. Risalta ora per contrasto l'atteggiamento di Giuda: mettendo ostacoli all'amore di Gesù, uccide la possibilità di amare i poveri. Colui che non accetta l'amore fino alla morte, vale a dire un atteggiamento di dona­ zione senza misura come quella di Gesù, si trasforma necessariamente in accaparratore e sacrificherà il bene degli altri a quello suo. Siamo al principio del periodo dei sei giorni che racchiudono • l'ora • di Gesù, quella della sua morte. Il conflitto che si imposta a Betania è quello che avrà il suo epilogo nella croce. Giuda, il traditore, incarna il mondo e il suo atteggiamento. Nell'ultimo incontro che avrà con Gesù egli sarà a capo di tutti i poteri ostili ( 1 8, 3-5). E. lui l'aggancio del mondo all'in terno del gruppo. La pericope è in stretta relazione con la scena dei pani in Galilea (6, l ss). "-ì aveva inizio l'esodo di Gesù al di fuori della società ingiusta; a Betania si è giunti alla terra promessa (6, 21 Lett.), la nuova comunità umana. In Galilea la spartizione del pane prefigurava la caratteristi­ ca della nuova comunità, che non comincia creando una organizzazione ma stabilendo uno stile di vita umano, la cui espressione è l'amore (6, I Ob I l) . La comunità ha i poveri con sé e in mezzo a sé. In Galilea l'assimilazione di Gesù appariva come il fondamento della nuova umani­ tà, il cui im pegno è la fedeltà a lui e al suo messaggio di amore per l'uomo (6, 26). A Betania la comunità mostra e mantiene la propria adesione a Gesù e si prepara a mostrargliela nella sua morte, che sara la norma del suo stesso amore.

510

12, 1-'. La comunità celebra la vfta

SINTESI La comunità di Gesù celebra la vita ricevuta da lui, e la sua celebrazio­ ne si incentra su Gesù, datore della vita. I discepoli Io ringraziano per la pienezza raggiunta. Gli dimostrano il loro amore e la loro identifica· zione con lui, che li porta a donare se stessi come lui per dare vita agli altri. Nella pericope vengono opposti due modi di vedere. Il primo è quello del • mondo •, rap p re s en t a t o da un discepolo che da un Iato, col proprio affanno di accaparrare, crea la povertà, e dall'altro, sotto pretesto di beneficienza, utilizza i poveri per il proprio profitto. La seconda è quella di Gesù, per il quale la soluzione della povertà è nel dono di sé agli altri; la relazione personale dà agli oppressi la dignità e la libertà, facendoli così uscire dall'oppressione e mettendoli in condi­ zione di costruire la comunità umana e fraterna.

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Gv 1 2, 9-1 1 : La eemunlti, punto di attrazione ' Una moltitudine di giudei fedeli al regime venne a sapere che si trovava lì, e andarono, non soltanto per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro, che egli aveva suscitato da morte. 1o I sommi sacerdoti, da parte loro, concordarono di uccidere anche Lazzaro, 11 perché a causa sua molti di quei giudei se ne andavano e davano la loro adesione a Gesù.

NOTE F I LOLO G I C H E 12, 9

Una moltitudine, gr. okhlos po/us.

molti di quei giudei, ecc. In gr. genit. partit. senza prepos. ek (cfr. 19, 20) in pa.rall. con I l , 45. Per ltupag6 senza. termine espresso, cfr. 8, 2 1 .

Il

CONTENUTO La pericope mostra l'impatto prodotto dal fatto di I...azro za fra i fedeU

dell'istituzione giudaica. Non solo Gesù, ma la sua comunità, si trasfonna· no in un punto di attrazione. Le autorità religiose reagiscono, senza esitan davan ti a un nuovo omicidio; si propongono di sopprimere anche coloro che possiedono la vita che Gesù comunica, la cui realtà provoca l'esodo dei loro fedeli.

LETTURA 12, 9 U11a moltitudine di giudei fedeli al regime venne a sapere che si trovava li, e andarono, non soltanto per Gesù, ma anche per vedere IAu.aro, elle egli aveva suscitato da morte. Gesù stava • lì ». Questa determinazione locale raccoglie quella della pericope precedente (12, 2: gli offrirono ivi una cena) e indica il luogo della comunità cristiana, dove si celebra la vita rendendo omaggio a Gesù presente. Il fatto di Lazzaro ha una vasta ripercussione fra • i giudei � . Con la sua opera, Gesù ha creato la speranza. La vita che regna nella sua comuni!& attrae coloro che non l'avevano mai conosciuta perché integrati in un sistema di morte. La comunità rende testimonianza davanti al mondo. prima che con le parole, con la sua nuova realtà. Lazzaro, il morto vivo. si trasforma in figura della comunità cris tiana, quella dei • resuscitati da morte •. Il mondo futuro è presente nella storia.

512

IZ, 9-11. La c:omlllltà l , punto di attrazione

Con il suo modo di agire la comunità afferma che è finita l'attesa. che la tappa definitiva è giunta. Questo si percepisce nella celebrazione della comunità a Betania, dove si reca una moltitudine di giudei; Il il rito funebre era stato sostituito dall'azione di grazie. Questa fede nella vita definitiva presente dà alla comunità la sua fisionomia, consuma la sua rottura con il passato e la rende testimone della salvezza. La nuova realtà invalida t t� tta l'istituzione giudaica. 1 0 I sommi sacerdoti, da parte loro, concordarono di uccidere anche Lazzaro.

L'accordo di uccidere Lazzaro è parallelo a quello che avevano preso in precedenza rispetto a Gesù ( I l , 53). La duplice decisione delle autorità rappresenta la successione storica dei fatti. Dopo aver ucciso Gesù vogliono sopprimere la sua comunità, che afferma che il resuscitato vive fra loro ed essi partecipano della sua vita. Lazzaro appare come figura che anticipa la risurrezione dalla morte cominciata in Gesù. La vita che Gesù comunica rende la comunità libera e autonoma di fronte al mondo, e questo reagisce come ha fatto contro Gesù ( 1 5 , 18-2 1 ) . Vivendo come gruppo alternativo, la comunità mette in pericolo le basi del sistema, mostrando la nuova realtà che si offre a tutti. La comunità cristiana manifesta e prolunga la libertà di Gesù. 1 1 perché a causa sua molti di quei giudei se ne andavano e davano la loro adesione a Gesù. II contatto con la comunità cristiana dà i suoi frutti; la sua testimonian·

conduce alla fede in Gesù. Le autorità si allarmano per la diserzione di molti dei loro fedeli. I sommi sacerdoti vedono crollare la loro credi­ bilità e, con essa, il loro potere. Hanno decretato la morte di Gesù, ma vedono che i loro stessi fedeli si schierano dalla parte di colui che essi hanno condannato. za

513

Gv 12, 12·36: Israele rifiuta Il Messle 12 Il giorno seguente, la moltitudine venuta per la festa, udendo che Gesù giungeva a Gerusalemme, 1 1 colse i rami delle palme gli uscì incontro e si mise a urlare : - Salvaci! Benedetto colui che viene a nome del Signore, il re di Israele! 1 4 Ma Gesù trovò un asinello, gli montò in groppa, come stava scritto: ,

l!

16

Non temere, città di Sion, guarda il tuo re che giunge in groppa a un puledro d'asina.

Sul principio i suoi discepoli non compresero questo; quando però Gesù manifestò la sua gloria, allora si ricordarono che questo era stato scritto e questo gli avevano fatto. 1 1 Rendeva testimonianza la gente che era stata con lui quando chiamò Lazza ro dal sepolcro suscitandolo da mone. 11 Appunto per questo la moltitudine gli uscì incontro, essendo venuta a sapere che aveva com­ piuto quel segno. 19 Davanti a ciò i farisei dissero tra loro: - Vedete bene che non approdate a nulla, ecco che il .mondo intero è andato dietro a lui. 20 Alcuni di quelli che salivano a render culto nella festa erano greci;

21

costoro si avvicinarono a Filippo, quello di Betsaida di Galilea, e Io pregarono: - Signore, vorremmo vedere Gesù. 22 Filippo Io andò a dire ad Andrea; Andrea e Filippo Io anelarono a dire a Gesù. " Gesù rispose loro: - 1ò giunta l'ora che si manifesti la gloria dell'Uomo. 24 Davvero vi assicuro: se il chicco di frumento caduto a terra non muore, rimane solo; se muore, invece, produce molto frutto. 21 Essere attaccati alla propria vita è dist ruggersi, disp rezzare la propria vita in questo ordi­ namento è conservarsi per una vita definitiva. 26 Chi vuole collaborare con me, mi segua, e così , là dove sono io, sarà anche colui che collabora con me. Chi collabora con me il Padre Io onorerà. .

27 Ora mi

sento fortemente agitato; ma che posso dire?: • Padre, liberami da quest'ora? •· Ma per questo sono giunto a quest'ora: 21 Pa­ dre, manifesta la gloria della tua persona! Venne allora una voce dal cielo: - Come l'ho manifestata, così tornerò a manifestarla! 29 Davanti a ciò, la gente che si trovava lì e la udì, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: - Gli ha parlato un angelo. Jo Replicò Gesù: - Questa voce non era per me, ma per voi. 3 1 Ora vi è già una sentenm contro questo ordina mento, ora il capo di questo ordinamento sta per essere cacciato fuori; J2 infatti io, quando sarò innalzato da terra. trarrò tutti a me. 33 Questo Io diceva indicando il genere di mone di cui stava per morire. 514

U, 1.2-36. bnele rllluta Il Meufa

Gli replicò la gente: - Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Messia rimane per sempre, come fai a dire tu che l'Uomo dev'essere levato in alto? Cosa è quest'Uomo? J5 Rispos e loro Gesù : - Per breve tempo a ncora la luce sarà tra voi; camminate finché avete la luce, perché non vi colga la tenebra, perché chi cam min a nella tenebra non sa dove va. " Finché avete luce, date l'adesione alla luce, e sarete così partecipi del la luce. Così pa rlò Gesù. Poi se ne andò, nascondendosi da loro.

34

NOTE FI LOLO G I C H E 12, 1 2 moltitudine, gr. okhlos polus. Cfr. 6, 5; 12, 9. - per [la festa], gr. eis. La festa non era ancora cominciata, cfr. 12, 1 : sei giorni prima della Pasqua.

colse i rami delle palme, gr. · elabon ta baia ton. phoinik6n. Il verbo (elabon) e la duplice determinazione (la ... ton) indica che si tratta del lulab o hosa'nti (h6sanna), il cui fondamento biblico si trova in Lv 23, 40.

13

L'interpretazione rabbinica segnala, da un lato, il ramo di cedro e, dal­ l'altro, il ramo composto di palma, salice e mirto, in cui la prima eccedeva "in lunghezza (4 palmi; le altre, 3) (S.-B. Il, 780). A questo ramo composito allude Gv con la sua espressione: i rami delle palme. L'essenziale nel pre­ cetto di Lv 23,40 era prendere il ramo (LXX : Iempsesthe; cfr. Gv 12, 13: elabon) (S.·B. II, 784). Anche se originariamente fu prescritto per la festa delle Capanne (Lv 23, 3941). veniva usato anche nella Dedicazione, le Ca­ panne d 'inverno (cfr. 2 Mac IO, 7; Gv IO, 22). I rami venivano agitati al canto del Sal I I 8: rendete grazie al Signore, in segno di rendimento di grazie e di vittoria (cfr. Sal I I8, B-21 e S.-B. Il, 786). Il testo di Gv 12, 13 fa per­ tanto una sintesi delle feste di Pasqua, delle Capanne e della Dedicazione, che riassume le grandi occasioni dell 'attività di Gesù e ingloba il carattere messianico delle tre feste, mettendole nel contesto dell'esodo, motivo prin­ cipale della Pasqua. - si mise a urlare, gr. ekraugazon. lmpf. success. Per l'uso di kraugaz6, cfr. I I , 43. - Salvaci!, gr. hòsanna. Dall'eh. hosa'nti (Sal I I 8, 25, LXX: s6son de). 15 città di Sion, gr. thugater. Morfema eb. bat chj: serve a personificare una città e i suoi abitanti, cfr. Zc 2, 1 1 (LXX): thugatera Babulònos 9, 9: thugatér Siòn. La personificazione femminile permette l'immagine del Messia-sposo.

17 suscitando/o, gr. kai igeiren. La consecuzione in it. si esprime meglio con il gerundio che con la coordinazione. 18 aveva compiuto, gr. pepoiekmlli. Pf. di azione passata a stato presente; il segno compiuto permane. Cfr. El Aspecto Verbal, nn. 383, 387, 434. 19

[)Qva n ti a ciò, gr. oun. Rimanda

a

quello precedente.

515

L'ora fiDale. La Puqua del Meula

- non approdate a nulla, gr. ouk IJpheleite ouden. Espressione idiomatica it. per indicare l'inutilità di uno sforzo. - il mondo intero, gr. ho kosmos. Nel suo duplice significato: universale e particolare di moltitudine.

21

vorremmo, gr. thelomen. In fanna it. di cortesia.

23 che si manifesti la gloria, gr. hina doJCasthi. Aor. manifestativo, cfr. 7, 39 nota. - l'Uomo, cfr. Excursus, p. 874. 25 Essere attaccati, ecc. gr. ho philon, ecc. La forma con l'infinit. è comune nello stile delle sentenze i t., cfr. 5, 23 nota. I l complemento psukhén con il possessivo è un semitismo che equivale spesso al semplice pron. riflessivo, cfr. IO, I l nota; in questo caso, tuttavia, (cfr. IO, 17), il significato dei verbi richiede la traduzione • vita • (fisica, in oppos. a z6é) . Phile6, miseo forma­ no un'opposizione il cui fulcro si trova nell'attaccamento a/distacco da se stesso. - questo ordinamento. Cfr. 8, 23 nota; 9, 39. 26 Chi vuole collaborare con me, gr. ean emoi tis diakoné. Si evitano in questo contesto i termini servire/servitore, che falserebbero l'immagine che Gesù propone (cfr. 15, 13-15). Diakonos significa non soltanto chi serve qualcuno per amore (in oppos. a doulos) , ma l'ausiliare/aiutante/collabo­ ratore nel suo lavoro, cfr. Rm 13, 4 (agente) ; l Cor 3, 5; 2 Cor 3, 6; 6, 4; 1 1 , 8.23; Gal 2, 17; Ef 3, 7; 6, 21; Fil 1 , 1 ; Col 1 , 7; 4, 7. - e così, gr. kai. Consec. 27 mi sento fortemente agitato, gr. hA psukhé mou tetarak tai. Pf. intensi­ vo; per psukhé con posses., cfr. 12, 25 nota. La perifrasi con psukhé mette l'agitazione di Gesù in relazione con 12, 25b: ho mison tén psukhén autou en t6 kosmo tout6. manifesta la gloria. Cfr. 7, 39 nota. - della tua persona, gr. sou to onoma. Cfr. 17, 6 nota.

28

29 Davanti a ciò, gr. oun. Consec. - era sta to, gr. gegonenai. Essere accaduto. - Gli ha parlato, gr. lelaléken. Pf. estensivo: gli è stato a parlare, sfumatura superflua nella trad. 31 vi è già, gr. estin. Perfettivo risultativo, che denota esistenza attuale derivante da un fatto passato. - sentenza, gr. krisis. Cfr. 3, 19. 32 infatti io, gr. kag6, kai. Specificato nel contesto come esplicativo­ causale. 34

abbiamo appreso, gr. ékousamen. Con aggiunta di origine non personale, cfr. 5, 30 nota. - l'Uomo, cfr. Excursus, p. 874. - Cosa, gr. tis. Non domanda l'identità dell'Uomo, ma la sua funzione: che titolo gli si applica? (dato che non può essere il Messia).

35

516

perché, gr. kai. Cfr. 12, 32 nota.

12, lZ-36. loraele rifiuta Il Meala - Ta

tm�tJra. Si adotta la variante con articolo (cfr. 1, 5; 6, 17; 8, 12). L'omis­ sione dell'articolo nei migliori codici può esser dovuta a una aplografia, perché è preceduto dalla negazione me.

36 � . . . così, gr. hinJJ. Consec. - sarete ... partecipi della luce, gr. huioi phOtos genésthe. Per la perifrasi con huios, cfr. Excursus, p. 874 - Poi, gr. kpi. Successivo.

CONTEN UTO E DIVISIO NE La scena di Betania descriveva la celebrazione fatta dalla comunità cristiana di Gesù il Messia, datore di vita (12, l.a). In questa pericope si narra l'in·

contro di Gesù come Messia con Israele, e il rifiuto della sua proposta messianica. I temi principali della pericope sono la qualità del messianismo di Gesù e la sua universalità; sviluppa la reazione dei discepoli insinuata in 2, 17 da· vanti al gesto messianico di Gesù nel tempio, in occasione della prima Pasqua, e il tentativo di farlo re nel contesto della seconda (6, 15). L'aspet­ tativa messianica giudaica aveva per oggetto un re potente, che continuasse le glorie di Davide e restituisse il suo splendore a Israele come nazione. Il messianismo di Gesù, al contrario, ha come evento centrale il dono della sua vita e la possibilità che egli dà all'uomo di realizzare in sé il progetto divino. Appoggiata dal Padre (12, 28), la comunità proclama Gesù re universale, che dalla croce si trasforma in punto di attrazione per l'umanità intera. L'iti­ nerario di Gesù diventa norma per i suoi, che hanno la missione di produrre frutto, proclamando quest'Uomo come Messia. Rompendo con la concezio­ ne messianica tradizionale, suscita nell'auditorio giudaico la domanda stu· pita: Cosa t quest'Uomo? ( 12, 34), che annuncia già il rifiuto. La pericope comincia con l'uscita della folla da Gerusalemme incontro a Gesù, che non entra in città. Si divide in tre pani principali: la prima (12, 12-19) descrive l'acclamazione messianica . nazionalista e la reazione di Gesù e termina con il commento disperato del gruppo fariseo , in parallelo con la reazione dei dirigenti dopo la scena di Betania (12, 9·11). La seconda (12, 20.26), rivolta in primo luogo ai discepoli, introduce il tema della mis­ sione universale e le condizioni' per realizzarla. La terza (12, 27-36), in cui Gesù torna a rivolgersi alla moltitudine, espone il tema del Messia cro­ cifisso; questo provoca la sorpresa e lo sconcerto della gente, che gli oppone il suo concetto tradizionale del Messia, cui Gesù risponde con un avviso finale. La pericope termina con l'allontanamento. di Gesù, che non tornerà a presentarsi davanti al popolo. Riassumendo:

12, 12-19: Acclamazione messianica e reazione di Gesù. 12. 2(}.26: La missione universale e le sue condizioni. 12, 27-36: L'Uomo levato in alto, il Messia rifiutato.

517

L'ora finale. La Pasqua del Messia

LETIU RA Acclamazione messramca e reazione di Gesù 1 2 Il giorno seguente, la moltitudine venuta per la festa, udendo che Gesù giungeva a Gerusalemme. La datazione mette l'episodio in connessione immediata con quello

della sera precedente (cfr. 6, 22). Da Betania, sede della sua comunità, Gesù si dirige a Gerusalemme, sede dell'istituzione giudaica. La setti­ mana finale è avanzata e l'epilogo si avvicina. La conversazione dei pellegrini nel tempio verteva sulle probabilità che Gesù si presentasse nella capitale per le feste di Pasqua ( 1 1 , 56). Come di costume in queste feste, la città era piena di forestieri. Ba colse i rami delle palme, gli usci incontro. La moltitudine viene a sapere che arriva Gesù ed esce dalla città incontro a lui. Gesù non entrerà a Gerusalemme, dove dominano quelli che l'hanno condannato a morte; la sua presenza, al contrario, fa uscire il popolo. Per ricevere Gesù, la moltitudine coglie i rami delle palme. Questa strana frase allude al ramo che si coglieva e agitava nella festa delle Capanne (cfr. nota), composto da un ramo di palma, un altro di salice e un altro di mirto. Introducendo quest'elemento nella sua narrazione, Gv opera una sintesi della festa di Pasqua e di quella delle Capanne (7, l Lett.) e anche di quella della Dedicazione del tempio o Capanne d'inverno (IO, 22a Lett.). La tematica messianica dei capitoli 7-1 0 viene così incorporata alla Pasqua, festa dell'esodo e della liberazione del popolo, in cui si immolava l'agnello. Giovanni raccoglie e anticipa i significati che avrà la morte di Gesù. 13b e si mise a u rlare : « Salvaci! Benedetto colui che viene a nome del Signore, il re di lsraele! •· La moltitudine si· mette a gridare esprimendo il proprio anelito di salvezza, come se attendesse il grido di vita che Gesù lanciò davanti alla tomba di Lazzaro (cfr. nota). A tali acclamazioni risponderanno più tardi i sommi sacerdoti con grida di morte contro Gesù (19, 15). Si attende la salvezza da Dio (Sal 1 1 8, 25), ma si realizzerà per mezzo del Messia; così la folla riceve Gesù, come l'inviato che "giunge con l'autorità di Dio stesso per eseguirne l'opera. Lo acclamano come re messianico. Il titolo « re di Israele • era stato applicato a Gesù da Natanaele, interpretando quello di • Figlio di Dio • ( l , 49 Lett.). II popolo lo acclama ora come • il re di Israele •. l'atteso. Si è realizzato ciò che Giovanni voleva ottenere con la sua attività (l, 3 1 : perché egli si mani­ festi a Israele) , ma la reazione della moltitudine rimane all'interno di un orizzonte nazionalista (re di Israele). I l titolo messianico che gli rivolgono costituirà l'accusa che lo porterà alla morte (19, 19). La moltitudine che lo acclama è quella degli israeliti 518

12, 12-36. hraele rifiuta Il Messia

che hanno riconosciuto in Gesù il Messia liberatore. Essi sono Israele e Gesù è il loro Re. L'acclamazione h6sanna (salvaci), ben�detto colui che viene, ecc., appartiene al Sal 1 1 8, 25s, in cui è diretta al vincitore. Gesù è ricevuto come vincitore, per la sua vittoria · sulla morte (12, 17). 14- 1 5 Ma Gesù trovò w t asinello, gli montò in groppa, come stava scritto: " Non temere, città di Sion, guarda il tuo re che giunge in groppa a un puledro d'asina • . Il gesto di salire s u un asinello, mostra l a reazione di Gesù all'acclama­ zione precedente. L'autore lo interpreta alludendo a temi esposti dai profeti e utilizzandone i testi. Il primo è di Sof 3, 16, cambiando il nome di Sion con suo equivalente città di Sion (cfr. nota). Crea in tal modo una personificazione femmi­ nile che facilita il simbolo del Messia-Sposo (cfr. l , 27.30; 3, 29), che appare nel testo di Sofonia 3, 17: • Il Signore tuo Dio ... esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con i l suo amore » . La profezia ha al tempo stesso un carattere universalista che fa di Gerusalemme la capitale del mondo, oltrepassando le frontiere di Israele: • Allora io darò ai popoli un labbro puro perché invochino tutti il nome del Signore e lo servano (Sof 3, 9). La frase non temere che sostituisce di comune accordo quella di Zc 9, 9: rallegrati, città di Sion, si dirige alla città, non come capitale gloriosa, ma come capitale di un popolo povero e umile, un resto di Israele che accoglierà il Signore (Sof 3, 13.18s) . Il Messia viene a liberare dal timore gli oppressi. Non è un guerriero che salva con la forza, né causando morte: egli darà libertà e vita. Nella profezia di Zc 9, 9: • Ecco, a te viene il tuo re, egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina », Gv sopprime le caratteristiche che si attribuiscono al re che giunge (giusto. vittorioso, umile), per lasciare soltanto il tratto che corrisponde al gesto di Gesù: cavalcando un asinello. Il testo di Zc veniva interpretato messianicamente 1 e indicava la non violenza del Messia dopo il suo trionfo (Zc 9, IO: « Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme. l'arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle genti • ) . Prendendo come cavalcatura l'asinello, Gesù vuole smentire ogni pretesa di violenza e di regalità mondana che la folla possa attendersi da lui. La cavalcatura dei re di Is raele era la mula, non l'asino ( l Re l , 33.38.44). Questi testi profetici hanno dei punti in comune. In primo luogo la promessa di liberazione (Sof 3, lSss; Zc 9, 9ss), poi i l tema della riunio­ ne dei dispersi (Sof 3, 1 9s ; Zc 9, 1 2 ) . Zacca ria, da parte s ua, aggiunge l'idea dell'universalità del regno (9, IO) e del suo carattere pacifico (9, 9ss). Il testo di Mie 4, 6-8 è molto vicino ai precedenti: espone il tema della regalità del Signore • quel giorno • (4, 7b), menziona la capitale Gerusa­ lemme ( 4 .8 rLXXl: thugater Si6n. cfr. nota) e la riunione degli invalidi e dispersi (4, 6-8) ; esprime la stessa idea del gregge di Sof 3, 19. •

l

Cfr. S. · B. I, 842.

519

L 'ora finale. La Paaqua del Messia

16 Sul principio, i suoi discepoli non compresero questo; quando però Gesù manifestò la sua gloria, allora si ricordarono che questo era stato scritto e questo gli avevano fa t to. 1! la seconda volta che i discepoli non comprendono, per il momento, il significato di quanto avviene (2, 22) . Continua a vigere l'affermazione di Gv: i discepoli partecipavano dell'idea di un Messia riformatore (2, 17.22 Lett.). Ma mentre nella prima Pasqua (2, 13ss) l'evangelista afferma che essi non compresero fino a dopo la risurrezione di Gesù. qui invece comprenderanno quando la sua gloria si manifesterà sulla croce, che coincide con « la sua ora " (12, 23.27). Leggendo il titolo della croce (19, 19: Gesù il Nazareno, il re dei giudei) e vedendo Gesù morto su di essa, comprenderanno qual è il suo messianismo, capiranno il signi· ficato delle profezie e come essi stessi, senza saperlo, avessero annun­ ciato il vero messianismo di Gesù. Per il momento la loro interpreta­ zione coincide con quella del popolo. Questa scena contrasta con quella di 6, 15, in cui vollero proclamare re Gesù. Lì se ne erano voluti impadronire con la forza, ed egli era fuggito. Qui accetta l'omaggio perché è ormai giunta la sua ora: sta per morire, e la sua morte toglierà ogni ambiguità alla sua regalità.

17-18 Rendeva testimonianza la gente che era stata con lui quando chiamò Lazzaro dal sepolcro suscitando/o da morte_ Appunto per que­ sto la moltitudine gli uscì incontro, essendo venuta a sapere clze aveva compiuto quel segno. Si torna a descrivere Il! scena iniziale aggiungendo alcuni dettagli e precisando il motivo delle acclamazioni. Gesù giungeva alla città accom­ pagnato da un gruppo di testimoni che erano stati presenti a quanto era avvenuto a Betania, e questi continuano a rendere testimonianza. Gv ricorda qui la voce di Gesù che chiamò Lazzaro perché uscisse dal sepolcro. La moltitudine sa di questa voce e del suo effetto, e gli esce incontro. Sono i morti che odono la sua voce, perché è ormai giunta l 'ora (5, 25); quanti l'ascoltano avranno vita. Il segno di Lazzaro suscita una speranza di liberazione. Andare incontro a Gesù equivale a uscire dalla capitale, la sede delle istituzioni oppressive ( I O, 3.4) e, in particolare, allontanarsi dal tempio. La presenza di Gesù fa uscire quanti erano accorsi in occasione della festa, incentrata nel tempio; egli si è avvicinato alla città ( 1 2 , 12: che Gesù giungeva a Gerusalemme). ma per svuotarla (cfr. 12, 19). Per la prima volta Gesù accetta la condizione di re messianico, la cui missione è liberare e riunire (10, 16; 1 1 ,52; cfr. Sof 3, 18s: « Allontanerò da te il male, perché tu non abbia a subirne la vergogna. Ecco, in quel tempo io sterminerò tutti i tuoi oppressori. Soccorrerò gli zoppicanti. radunerò i dispersi, li porrò in lode e fama dovunque sulla terra sono stati oggetto di vergogna »). Questo potere di convocare che Gesù ha, viene indicato letterariamente dalla struttura concentrica del passo, in cui appaiono in primo luogo la folla e la sua acclamazione (12, 12-13), e nel centro la figura di Gesù con il suo gruppo (12, 14-17}, per terminare nuovamente con la menzione della moltitudine e il motivo dell'acclamazione (12, 18). 520

12, IZ-36.

Israele r16uta U Meula

19 Davanti a ciò, i farisei dissero tra loro: • Vedete bene che non approdate a nulla, ecco che il mondo intero è andato dietro a lui "· Al di fuori di questa concentrazione, formata da Gesù e dalla folla, rimane il gruppo fariseo, che non partecipa. Fra i due poli: Gesù, la luce della vita, e i farisei, la tenebra, si trova una moltitudine che passa dalla tenebra alla luce. Davanti all'impatto prodotto da Gesù i farisei reagiscono all'interno del proprio circolo (tra loro). I l loro modo di parlare (non approdate a nulla, anziché • non approdiamo a nulla •) mostra che non fanno un semplice commento pessimista alla situazione, ma si incolpano l'un l'altro di quanto avviene. Nessuno si prende la responsabilità. Sono uniti contro Gesù, ma davanti al fallimento si dividono (cfr. 9, 16). La frase il mondo intero (cfr. nota) ha il peso teologico del prologo ( 1 , 9s). I I mondo, l'umanità, può riconoscere la luce e abbandonare le tenebre, rinunciando al suo peccato ( l , 29: il peccato del mondo), l'integrazione a un ordinamento ingiusto (8, 23 Lett.). t:. Gesù a offrire la vera alternativa, e così egli toglie il peccato. I farisei constatano che la moltitudine va con Gesù: non forma un corteo che si avvicina all'istituzione che essi rappresentano, ma una manifestazione che si allontana per andare con colui che essi hanno condannato a morte ( I l , 47.53). Gesù in troduce nella storia una dinamica di significato contrario a quella esistente; per loro c per il loro sistema significa la rovina. La menzione dei farisei in questo luogo prepara quella della Legge in 12, 34. La moltitudine anela alla vita che esiste in Gesù e nei suoi (Lazzaro). Nella sua acclamazione è però latente un equivoco: Gesù cerca di dissiparlo salendo sull'asinello, ma neanche i suoi discepoli lo comprendono. Il popolo attende un re che faccia giustizia prendendo il potere (il re di Israele). Anche se stanno con Gesù, non comprendono il suo programma. Egli dà vita all'uomo dal di dentro, dandogli la forza dello Spirito. Essi invece la attendono dal di fuori, dalla riforma fatta da un re giusto; non desiderano uscire dalla loro dipendenza. La moltitudine è andata con Gesù, ma senza abbandonare i propri ideali. Situazione ambigua, che prepara la defezione.

La missione universale e le sue condizioni 20 Alcuni di quelli che salivano a render culto nella festa erano . greci. « Greco " può significare non giudeo 2 • Potevano essere proseliti o semplici simpatizzanti 3• Il corteo che aderisce a Gesù diventa universa­ le: gente di altri popoli va dietro a lui. L'ostilità contro i greci contenuta in Zc 9, 13: « Ecciterò i tuoi figli, Sion, contro i tuoi figli, Grecia, ti farò come spada di un eroe », si trasforma in accoglienza da parte di Gesù. Si verifica la frase dei farisei: il mondo intero è andato

2

Cfr. Mc 7, 26: grego

=

sirofenicio.

3 Cfr. A t 8, 27, dove l'eunuco, che come tale non poteva essere proselita, era andato a Gerusalenune per il culto.

521

L'ora finale. La Puqua del Meula

dietro a lui. Coloro che salivano per rendere culto nel tempio scoprono Gesù e rinunciano al loro proposito. Gesù ha sostituito il tempio e devia l'itinerario della moltitudine. Egli ha annunciato il fine dei templi, in particolare di quello di Gerusalemme, e la sostituzione del culto antico con l'amore fedele per l'uomo (4, 2 1 .23-24 Lett.). Le pecore che non appartengono al recinto di I sraele (10, 1 6) cominciano ad avvicinarsi, per essere riunite da Gesù. 21-22 costoro si avvicinarono a Filippo, quello di Betsaida di Galilea, e lo pregarono: • Signore, vorremmo vedere Gesù ». Filippo lo andò a dire ad Andrea; Andrea e Filippo lo andarono a dire a Gesù. I greci si rivolgono a Filippo, oriundo di Betsaida, situata nella tetrar­ chia di Filippo, al di fuori del territorio propriamente giudaico, anche se per estensione la si chiama Betsaida di Galilea '. Assieme ad Andrea, che apparirà dopo, essi sono quei discepoli che immediatamente dopo il loro incontro con Gesù andarono a invitare altri a partecipare alla loro esperienza ( 1 , 40.45). 11 nome Betsaida (l� di peétlt} allude serua dubbio a!Yatttvnà netta. missione, espressa con la metafora della pesca, comune nei sinottici (Mc l , 17 e parall.). Di fatto il terzo discepolo originario di Betsaida, Simon Pietro ( 1 , 44), apparirà nell'esercizio di tale attività, che simbt>­ leggerà la missione fra i pagani (21 , 3). La petizione che i greci rivolgono a Filippo corrisponde all'invito che questi fece a Natanaele: vieni e vedilo ( l , 46). I greci, tuttavia, non hanno bisogno di invito: mostrano essi stessi il desiderio di avvicinarsi a Gesù. Cercano di conoscerlo, di avere un'esperienza personale di _ lui (vedere), un rapporto con la luce, che è Gesù, e con la gloria (splendo­ re), che è il suo amore ( 1 , 14). Filippo, l'uomo della tradizione (1, 45) , lo va a dire ad Andrea, colui che, per la sua rottura con il passato, vive già con Gesù (1, 39) . Filippo, che aveva invitato Natanaele ad avvicinarsi a Gesù ( 1 , 46), non osa fare lo stesso con i greci. Ma nemmeno Andrea prende da solo l'iniziativa: con Filippo, va a proporre la questione a Gesù. Quest'episodio riflette la difficoltà con cui le comunità_ si decisero per l'evangelizzazione dei pagani, e la sua trascendenza storica. Giovanni vuoi mostrare che questa decisione non dipese dall'iniziativa individuale e nemmeno dalla comunità stessa, ma fu presa dopo aver consultato il Signore. Il fatto corrisponde a Sof 3, 9, testo cui Gv aveva fatto allusione in precedenza (1 2 , 1 5) e in cui si parla dell'integrazione dei pagani: • Allt>­ ra io darò ai popoli un labbro puro perché invochino tutti il nome del Signore e lo servano di comune accordo "· Anche Zc 9, 10 parla di un regno universale: • il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra ». Comincia qui una nuova convocazione, parallela a quella narrata in l , 39 (due discepoli di Giovanni) e in l , 43 (Filippo), ma che si verifica una volta che esiste il gruppo di Gesù, quando egli si è già rivelato come il liberatore dalla morte. I pagani vogliono partecipare alla vita e prendono l'iniziativa. Vogliono avvicinarsi a ' La determinazione • di Galilea • allude probabilmente alla mentalità giudaica di Filippo ( 1 . 4Sb Lett.); per questo non viene applicata ora ad Andrea.

522

IZ, IZ-36. Israele rifiuta Il Measla

Gesù, anticipando ciò che accadrà quando egli sarà levato in alto (12, 32). 23 Gesù rispose loro: dell'Uomo •·



E.

giunta l'ora che si manifesti la gloria

Gesù non parla direttamente con i greci, si rivolge ai suoi discepoli, la sua comunità. Spetterà a lei la missione verso i pagani. Dichiara, in primo luogo e per la prima volta, che � l'ora • annunciata fin dal principio (2, 4) è giunta, e che in essa si manifesterà la gloria dell'� Uomo •, il suo amore fedele fino al dono della vita, realizzando fino alla fine il progetto di Dio ( l , 51 nota; 9, 35b Lett.). La gloria che sta per manifestarsi in lui è la stessa del Padre ( 1 , 14). t; la sua umanità il luogo della teofania; viene salvata la distanza fra l'uomo e Dio { 1 , 5 1 Lett.). t; appunto il fatto che Gesù sta per manifestare la gloria dell'Uomo che permetterà la missione. Egli non proporrà una dottrina né un'ideologia, ma mostrerà il disegno creatore di Dio, che significa la pienezza umana. Vuole restituire all'uomo il suo valore fondamentale, al di sopra di ogni ideologia. Su questo terreno non vi sono barriere culturali né razziali. La manifestazione della gloria indica l'esistenza del nuovo tempio, che sarà il luogo di riunione di tutti, dove splendono l'amore e la vita. La moltitudine, giudea e pagana, che era andata in pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme, trova che la gloria di Dio risiede nell'« Uomo » (9, 38 Lett.). • Davvero vi assicuro: se il chicco di frumento caduto a terra non muore, rimane solo; se muore, invece, produce molto frutto •·

24

In questa dichiarazione solenne e centrale Gesù spiega come si produr­ rà il frutto della missione sua e dei discepoli (cfr. 17, 18: come tu hai inviato me nel mondo, così io ho inviato loro nel mondo, cfr. 20, 21). Non si può produrre vita senza dare la propria. La vita è frutto dell'amore e non sgorga se l'amore non è pieno, se non giunge al dono totale. Amare è darsi senza lesin a re fino a sparire, se necessario, come individuo e come comunità. Gesù sta per donarsi per le pecore (10, 1 1 ), ha accettato la morte e ne prevede già il frutto. Nella metafora del chicco che muore in terra, la morte è la conllizione perché si liberi tutta l'energia vitale che contiene; la vita che vi è racchiusa si manifesta in una forma nuova. Gesù afferma che l'uomo possiede molte più potenzialità di quante ne appaiono, e che soltanto il dono totale di sé le libera perché esercitino tutta la loro efficacia; il frutto comincia nello stesso chicco che muore. La morte di cui parla Gesù non è un avvenimento isolato, ma il culmine di un processo di donazione di se stesso. t; l'ultimo atto di una donazione costante, che sigilla difinitivamente la dedizione rendendola irreversibile. Nel contesto dell'avvicinamento dei pagani Gesù mostra che il frutto saranno loro. I greci e la moltitudine sono un anticipo e una promessa di fecondità. Per tutti c'è la speranza di formare un solo gregge con l'unico pastore (10, 16; 1 1 , 52). ,

523

L'ora finale.

La

Pasqua del Messia

La fecondità non dipenderll. dalla trasmissione di un messaggio dottri­ nale, ma da un'estrema dimostrazione di amore. L'amore è il messaggio

( 1 9, 22 Lett.). La infecondità del chicco che non muore viene espressa in un modo inatteso: rimane solo. Il frutto sono gli uomini che si aggregano alla nuova comunità, passando dalla morte alla vita (5, 24). 25 • Essere attaccati alla propria vita è distruggersi, disprezzare la propria vi ta irz questo ordinamento è conservarsi per una vita definiti· va •· Dare la propria vita, condizione per la fecondità, è la misura suprema dell'amore. Gesù spiega ai discepoli che tale decisione non è per l'uomo una perdita, ma il suo massimo guadagno; non significa frustrare la propria vita, ma portarla al suo completo successo. Infondere timore è la grande arma dell'ordinamento ingiusto. Chi non teme nemmeno la propria morte, lo disarma; è sonanamente libero, ed è libero per amare totalmente. II timore di perdere la vita è il grande ostacolo alla dedizione; Gesù avverte che porre limite all'impegno per attaccamento alla vita è condurla al fallimento. L'unica linea di sviluppo per l'uomo è l'attività dell'amore; egli ne raggiungerà il culmine quando l'amore giungerà alla sua espressione suprema. L'attaccamento alla vita conduce a tutte le abdicazioni; arriverà il momento in cui l'uomo cederà di fronte alla minaccia. Non solo gli sarà impossibile amare fino all'estremo limite. ma finirà col commettere l'ingiustizia o col tacere dinanzi a essa. L'amore leale consiste nel dimenticare il proprio interesse e la propria sicurezza, e nel continuare a lavorare per la vita, dignità e libertà dell'uomo all'interno e malgrado il sistema di morte. L'ambito in cui si è svolta l'attività di Gesù e in cui continuerà quella dei discepoli (15, 1 8) è • il mondo • che lo odia, perché egli denuncia che il suo modo di operare è perverso (7, 7). Gesù si dichiara disposto all'ultimo con· franto. Per dare vita è disposto a dare la sua propria. Cosl mostra la grandezza e la forza del suo amore, che è quello di Dio stesso. Il frutto suppone una morte; la dedizione esige fede nella fecondità dell'amore. 26a

• Chi vuole collaborare con me, mi segua •·

Gesù ha avvertito che il segreto della fecondità è nel dono della propria vita. Ora invita a seguirlo in questo cammino: quello del servizio totale. Essere discepolo consiste nel collaborare al suo stesso compito, dis� sto a soffrire la sua stessa sorte, in mezzo all'ostilità e alla persecuzio­ ne, e con la possibilità di perdere tutto. Gesù espone con queste parole lo stesso messaggio contenuto nell'esigenza di « mangiare la sua carne e bere il suo sangue » (6, 35 Lett.). 26b c e cosi, là dove sono io, sarà anche colui che collabora con me •· Gesù è nella sfera dello Spirito, che è quella di Dio (7, 34; 8, 23 Lett.). Chi decide di seguirlo entra in questa sfera divina. Stare dove sta Gesù significa rimanere unito a lui, permanere nel suo amore (15, 4.9b); non .524

IZ, 1:t.36. hraele riButa U Meala

però in modo statico, ma dinamico, lasciandosi portare dallo Spirito, che è amore e dedizione (15, 10.12.14). La capacità di amare, che in Gesù è piena fin dal principio, deve essere sviluppata nel discepolo con l 'esercizio e l'attività. Così egli va seguendo Gesù, fino a raggiungere come meta un amore simile al suo (13, 34; 17, 24). Gesù, " il Figlio ha la sua dimora nella casa del Padre. L'adesione dinamica della sequela rende l'uomo figlio di Dio ( 1 , 12; 14, 6 Lett.) ; attraverso di essa egli va acquistando la sua somiglianza con il Padre fino a che, nel dono totale, la presenza del Padre sarà piena in lui. Giunge così a realizzare in se stesso il progetto creatore. Il luogo di Gesù è pertanto quello della pienezza dell'amore che egli d imostrerà sulla croce, da dove sgorgherà il frutto e da dove trarrà tutti verso di sé. La comunità, che deve essere feconda, lo sarà in questa sequela, stando dove sta lui, vivendo nel dono continuo e totale. La morte sarà l'ultimo atto del dono fatto in ciascun momento. In un'occasione precedente Gesù aveva detto ai dirigenti giudei che essi non erano capaci di andare dov'è lui (7, 34), perché avevano scelto il cammino contrario a quello dell'amore per l'uomo. Per questo il loro peccato, l'oppressione che esercitano e l'ingiustizia che commettono, li porta alla morte (8, 21.24). C'è vita, realizzazione dell'uomo, soltanto dove c'è amore. Questa frase spiega la precedente: disprezzare la propria vita ... è conservarsi per una vita definitiva. L'uomo libero secondo Gesù è signore della sua vita, e per questo la può dare (8, 32 Lett.). Ciò che possiede è il suo presente, e in ogni presente può donarsi completamente. Tale è il significato di « morire • : consegnare progressivamente l a propria vita, non perché altri l a strap­ pino, ma liberamente, come dono di sé. Quando l'uomo dà la sua vita, il Padre, per mezzo suo, comunica vita ad altri e l'accresce in lui stesso, che si rende somigliante al Padre. Vivere è dare vita: la vita si ha nella m isura in cui si dona. "•

26c



Chi collabora con me, il Padre lo onorerà

•.

In parallelo con 8, 50, in cui Gesù affermava che il Padre s i occupa della gloria di lui, dichiara ora che egli si occupa anche dell'onore dei discepoli. Essi perderanno, come Gesù, il proprio onore, nel confronto con il mondo rinunceranno all'onore umano (5, 4 1 ; 7, 18), ma lo riceve­ ranno dal Padre (5, 44) : egli li accoglierà come figli.

L'uomo levato in alto, il Meùia rifiutato 27a



Ora mi sento fortemente agitato

».

I l testo greco (cfr. nota), mette l'agitazione di Gesù in relazione con la sua frase precedente: disprezzare la propria vita in questo ordinamento ( 12, 25 nota). Gesù ha sfidato l'is tituzione giudaica (in questo ordina­ mento) e il suo atteggiamento sta per costargli la vita. Ora il suo essere protesta, si agita, opponendosi a questa morte. Egli è la vita, l'antitesi della morte. Per di più la sua non sarà una morte naturale, ma prematura, nel fiore degli anni (cfr. 8, 57) , una conseguenza della sua 525

L'ora

lln•le. L•

Pasqua del Meula

opposizione « a questo ordinamento •. Arrischiare la vita, accettate la sofferenza, è duro. Gesù non è uno stoico; soffrire non è facile nemme­ no per lui, per questo è l'• Uomo •. « La carne • si ribella davanti alla morte violenta e, avendo maggior pienezza di vita, la sua ribellione è più forte. Lo Spirito non sopprime la condizione di uomo; al contrario, fa amare profondamente la realtà umana, creazione di Dio che Io Spirito conduce alla sua pienezza. Per questo la confidenza suprema in Dio e la certezza della continuità della vita (12, 25: conservarsi per una vita definitiva) non i mpediscono la lacerazione di tale morte. La morte di Gesù sarà l'effetto del parossismo dell'odio e della massi­ ma ingiustizia. Egli che offre amore e vita, si vede respinto, condannato a morte dai suo i . La sua agitazione esprime anche l'orrore prova to dall'amore davanti all 'odio. • ma che posso dire?: "Padre, liberami da quest'ora?" Ma per questo sono giunto a quest'ora! •-

27b

II significato della sua intera vita dipende dalla sua ora, che sarà il suo confronto finale con • il mondo • omicida e la manifestazione suprema del suo amore per l'uomo. La sua ora è la conseguenza e il coronamen­ to della sua intera vita. Fin dal pri nc ipio egli l'aveva presente (2, 4). Si mostra qui la realtà della carne di Gesù, l'Uomo. Fa la sua opzione cosciente contro la sua inclinazione naturale. Le sue frasi, quella ipotetica (che posso dire ... ?) e quella che di fatto pronuncia ( 12, 28: Padre, manifesta la gloria della tua persona!), si oppongono l'una all'altra, come l'involontario al volontario. Gesù non va alla morte col sorriso sulle labbra, l 'impresa è molto seria e dolorosa. Ma nel para­ dosso che l'uomo di carne possa amare a tal punto, splende la gloria di Dio e quella dell'uomo stesso ( 12, 23). Gesù è l'uomo completo, pieno dello Spi rito , la forza d'amore capace di superare la debolezza della carne. 28a

«

Padre, manifesta la gloria della tua persona!

•·

Gesù reagisce contro il suo stato d'animo riaffennando la propria decisione di portare a compimento la sua opera; per questo chiede al Padre di manifestare la sua gloria, il suo amore fedele. • La persona • (cfr. nota) designa il Padre - presente nell'Uomo Gesù (12, 45; 14, 9-10) , manifestato nelle opere di lui come principio di amore attivo, che rivela così la sua gloria. Gesù gli chiede ora di manifestarla ancora una volta, nella prova finale che egli sta affro n tando. La sua tentazione è stata quella di chiedere al Padre un intervento che lo liberasse dalla situazione critica in cui si trovava; era l'idea del Dio rifugio, che permette di schivare la propria responsabilità e il proprio destino. Ma Gesù rifiuta questa tentazione e riaffenna la propria fedeltà alla missione ricevuta (10, 17s): chiede al Padre di realizzare il suo disegno in lui e attraverso di lui, manifestando il suo amore nella donazione di se da parte di Gesù. Così l'umanità potrà vedere nella realizzazione della sua opera l'azione stessa del Padre.

-

526

11, 12-36. Israele rlftuta Il Meuta

28b Venne allora una voce dal cielo: tornerò a manifestar/a! ».



Come l'ho manifestata, così

La risposta conferma l'atteggiamento di Gesù. La voce proviene • dal cielo n, cioè dalla sfera divina, da dove proveniva lo Spirito che rimase in lui (1, 32) . Il termine « voce • significa anche « tuono • (eb. gol, Es 19, 16.19 LXX), e così l'interpreterà una parte dei presenti (12, 29). Tale era la voce di Dio quando parlava con Mosè (Es 19, 19). La discesa dello Spirito fu per Gesù la manifestazione della gloria-amo­ re del Padre ( 1 , 32) , che lo costituiva • il Figlio di Dio •. secondo la testimonianza di Giovanni Battista ( l , 34) ; quella fu la comunicazione della gloria del Padre a Gesù ( 1 , 14). La voce si rivolge ora al popolo (12, 30) e promette una manifestazione della gloria-amore visibile per tutti. Sarà la nuova teofania , che sostituisce quelle dell'AI; per il vocabolario usato in questo contesto (voce-tuono, levato in al to-salito al monte), prende il significato di teofanla dell'alleamla, quella che fu anticipata a Cana (2, I l Lett.). Appaiono i contrasti fra l'antica teofania, fatta a Mosè- e la nuova in Gesù. Dio parlava soltanto con il mediatore sull'ah!>' del monte, mentre il popolo doveva restare a distanza, sotto pena di morte- per i trasgres­ sori (Es 19, 10-25). Quell'al tezza significava isolamentO' e solitudine del mediatore con Dio. Gesù invece promette l'accesso di tutti a questa nuova teofania, perché quando lui sarà innalzato trarrà tutti a sé (12, 32) , perché tutti siano lì dove è lui (12, 26). Per di più nemmeno Mosè, il mediatore, aveva potuto contemplare la gloria di Dio (Es 33, 18-34, 13), e anche gli israeliti non potevano fissare lo splendore del suo volto quando egli scese dal monte (Es 34, 29-35). Ora invece la gloria di Dio sta per essere visibile a tutti in Gesù, nel quale il suo amore fedele per l'uomo splenderà al massimo ( 1 , 14; 12, 45) . Chiedendo al Padre di manifestare la sua gloria, Gesù sta pregando per il popolo, per l'intera umanità, perché da tale manifestazione dell'amo­ re-vita dipende la salvezza del mondo (17, 1-2) . Dio darà compimento alla sua opera con il dono totale di Gesù; il disegno del Padre è dare vita (6, 39s), e sarà completato quando Gesù sulla croce si trasformerà in principio di vita comunicando lo Spirito (19, 30.34 Lett.). La voce dal cielo è il secondo messaggio divino che appare nel vangelo. I l primo fu rivolto a Giovanni Battista, per fargli conoscere Gesù e annunciargli quale sarebbe stata la sua missione ( 1 , 33). Ora, al princi­ pio dello stadio finale, c'è un altro messaggio divino che annuncia alla moltitudine il proposito del Padre, confermando la missione di Gesù. Quel messaggio descriveva la sua investitura, preparandone l'attività; questo viene dato quando, terminata la sua attività, giunge l'ora di Gesù, nella quale la sua opera arriverà al culmine.

Davanti a ciò, la gente che si trovava lì e la udì, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: • Gli ha parlato un angelo ».

29

La moltitudine riconosce la provenienza celeste della voce. Per gli uni è una sorprendente manifestazione divina, e forse minacciosa (tuono, cfr. Es 19, 16; Sal 29, 3ss) ; per altri è un messaggio di Dio (angelo), anche se 527

L'ora finale. La Pasqua del Meula

pensano che il destinatario sia soltanto Gesù come confidente di Dio, in parallelo con Mosè. Si profila nel popolo un contrasto di atteggiamen­ ti. 30

Replicò Gesù:

« Questa voce non era per me, ma per voi �.

Gesù interpreta loro l'accaduto. Si trattava di un messaggio, che non era però destinato a lui, ma a loro. Come già l'annuncio di Giovanni ( 1 , 33), la voce intendeva manifestare loro la missione di Gesù, interpre­ tare la sua attività e prepararli alla gloria che sta per manifestarsi. 31 « Ora vi è già una sentenza contro questo ordinamento, ora di questo ordinamento sta per essere cacciato fuori ».

il

capo

Questo ordinamento, o sistema di potere, è il nemico di Gesù e dei suoi discepoli (12, 25; cfr. 8, 23) . • Il capo di questo ordinamento • è il signore che lo regge. L'espressione • il capo di qup to ordinamento/ mondo » (12, 3 1 ; 16, 1 1 ) e, semplicemente, « il capo del mondo • (14, 30) nel NT è propria di Gv s. In 8, 23 si distinguevano due appartenenze: alla sfera « dell'alto •, quella di Dio, e a quella « del basso • , che si identificava con c questo ordinamento •· L'appartenenza all'una o all'altra si deve alla corrispon­ dente paternità: quella di chi ha per Padre Dio, per aver ricevuto lo Spirito (Gesù), e quella di coloro che hanno per padre il Nemico (• il diavolo •) , l'assassino e bugiardo (dirigenti, 8, 44). I I capo di questo ordinamento personifica la cerchia di potere, i dirigenti, figli e agenti di questo • padre • che, come si è visto, designa il dio-denaro (il tesoro del tempio, 8, 44a Lett.). Nell'episodio del cieco (9, 13-34) aveva avuto luogo un processo; i dirigenti giudei avevano condannato il cieco e in lui Gesù. I l processo si concluse con l'espulsione (9, 34 e lo cacciarono fuori). Escludendolo dalla loro istituzione credevano di escluderlo da Dio e dal popolo delle promesse (9, 22: sinagoga). Dopo questa scena Gesù annunciava ai farisei di essere venuto a istituire un processo contro questo ordinamento (9, 39). Giunta la sua ora (12, 23) , e divenuto definitivo il rifiuto ( 1 1 , 53), afferma che il processo ivi annunciato ha avuto luogo e c'è già la sentenza. Rifiutarsi di accettare Gesù è rifiutarsi di entrare nella luce (3, 19) e, pertanto, dettare la propria sentenza. Credendo di escludere Gesù, come fecero nella persona del cieco, in realtà sono loro stessi che si escludono dalla luce e da Dio, perché Gesù e il Padre sono uno (IO, 30; 12, 45). Millan­ tando di conoscere Dio e la sua volontà attraverso l'interpretazione della Legge, hanno gettato fuori il cieco. Ma non accettando Gesù e rifiutandolo definitivamente, sono loro che devono essere gettati fuori. Pertanto si invertono i ruoli: quelli che credevano di giudicare sono i giudicati; quelli che volevano espellere sono gli espulsi; quelli che pensavano di essere all'interno sono quelli che stanno fuori. Non c'è altro • dentro » che l'ambito di Gesù, che è quello del Padre (14, 20). s t! frequente nella letteratura rabbinica, i n cui non designa Satana, anselico che regge la natura creata (cfr. S. - B. Il, 552).

528

ma

l'es�

Il, l:t-36. Israele rifiuta Il Messia

Chi non rimane in lui (15, 4ss) è gettato fuori (15, 6), ma chi è unito a lui nessuno potrà portarlo via ( IO, 29). La sentenza esiste a causa dell'opzione fatta dall'istituzione giudaica contro l'amore del Padre (3, 19: ebbene, proprio in questo sta la senteno:a: che la luce è giunta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché il loro modo di operare era perverso; cfr. 7, 7). II sistema di potere sigillerà la propria opzione, eseguendo la condanna a morte già pronunciata contro Gesù ( I l , 53). La motivazione comune e l'unità di intento dei dirigenti è espressa nella personificazio­ ne " il capo di questo ordinamento ». La loro opposizione a Dio giunge­ rà all'uccisione di colui che è la sua stessa presenza; le istituzioni sono strumento del Nemico. L'eliminazione del " capo di questo ordinamento/mondo • è in relazione con la missione dell'Agnello di Dio: togliere il peccato del mondo ( l , 29). Il sangue dell'Agnello pasquale libererà dalla schiavitù del pec­ cato (8, 23 Lett.). I l capo di questo ordinamento è l'usurpatore che distrugge la creazione di Dio, e deve essere detronizza to. Con questo linguaggio ( • ora vi è già/ora è •) Gesù proclama la sostitu­ zione delle istituzioni di Israele incentrate nel tempio, che deve sparire, come egli aveva annunciato fin dal principio (2, 19.21). La frase • ora è » si trovava nell'episodio della samaritana (4, 23: si awicina l'ora o, per meglio dire, è giunta) per annunciare la sparizione dei templi; e nella controversia sulla guarigione dell'invalido (5, 25) precedeva il le­ varsi dei morti alla vita (5, 3), sottomessi dalla Legge (5, 10.18). 32·33 • infatti io, quando sarò innalzato da terra, trarrò tutti a me Questo lo diceva indicando il genere di morte di cui stava per morire.

•·

stesso atto di innalzare Gesù sigillerà la sentenza dell'ordinamento ingiusto. In quel momento, che sarà quello della manifestazione splen­ dente dell'amore di Dio per l'uomo e del dono della vita, Gesù divente­ rà il punto di attrazione e comincerà a dare frutto. Essere levato in alto non significa semplicemente morire, ma trasformarsi in potenza vivificante, e salvatrice dalla morte. Gesù levato sarà Wl segno visibile, il segno della vita in mezzo a un campo di morte (3, 14s), la grande dimostrazione dell'amore di Dio, che dà il suo Figlio unico per salvare l'umanità (3, 16s). Quando Io leveranno in alto gli uomini potranno vedere il Padre, il Dio che è amore e vita per l'uomo, manifestato in lui (8, 28). Esiste una notevole coincidenza di vocabolario e di concetti fra questo passo e l Sam 2, 1-10. Lì si dice che il Signore accorre in aiuto dell'umile, opponendosi ai suoi nemici (2, 1 .8.1 0), e lo fa sedere su un trono di gloria (2.8: doxa, LXX ). Dio tuona dal cielo sbaraglia i suoi avversari ed è giudice di tutta la terra, dando forza al suo re ed esaltando il potere del suo Unto ( = il suo Messia). In questo passo la voce-tuono è stata la risposta di Dio alla domanda angustiata di Gesù (12, 27), il Padre manifesterà la sua gloria nel Figlio, il perseguitato (12, 28) ; la voce-tuono è al tempo stesso Wl avvertimento per coloro che non l'accettano ( 12, 30); si realizza la sentenza del mondo (12, 3 1 ) . I I re riceve forza per attrarre tutti ( 1 2, 13); l'UnLo

529

L'ora finale. La Pasqua del Meula

to/Messia (1 2 , 34) sarà esaltato (12, 3 2), perché quando sarà levato in alto splenderà la gloria del suo amore. Gesù non parla apertamente della croce; le si riferisce in modo velato, ma intelligibile, associandola all'idea di esaltazione.

34a Gli replicò la gente: • Noi abbiamo appreso dalla Legge ·che il Messia rimane per sempre "· La Legge, come spesso in Gv, significa gli scritti deii'AT in quanto li si considera come un tutto chiuso e assoluto. Il suo autentico ruolo come Scrittura (5, 39) consisteva nell'annunciare e preparare il futuro inter­ vento di Dio nella storia, del quale gli eventi passati non erano che figura e gli oracoli anticipo. Nelle scuole del tempo quegli scritti erano stati assolutizzati, attribuendo loro un carattere definitivo: non ci si attendeva alcuna novità; tutto doveva avvenire come era già detto nella • Legge • e nella sua interpretazione autorizzata (cfr. 7, 27). La fede nel Dio della storia era stata trasferita al libro. I testi dell'AI che venivano interpretati in senso messianico inc1Udeva110 l'idea di un regno senza fine. Così Sal 89, 4-5: • Ho stretto un'alieaRza CQil il mio eletto, ho giurato a Davide mio servo: stabilirò per sempre la tua discendenza, ti darò un trono che duri nei secoLi •; Sal. l Hl, l : • Porrò i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi •; Is 9, 6: • Grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e sempre •. Conoscendo questo e altri testi, la folla si attende come soluzione definitiva il governo di un re davidico (7, 42) . Hanno acclamato Gesù come Messia (12, 13: il re d'Israele), e credono che tale re e Io splendore del suo regno debbano durare per sempre. Gesù ha invece identificato il Messia con « l'Uomo levato in alto •. Non è un Signore cui si debba ubbidire, ma una meta da raggiungere, l'Uomo è la luce del mondo. Viene abbinato qui il contenuto delle due grandi rivelazioni messianiche del vangelo: la risposta di Gesù alla samaritana che proponeva la questione in chiave teologica (4, 25s: il Messia), e la sua domanda al cieco guarito, in cui Gesù stesso la propose in chiave antropologica (9, 35s: l'Uomo). Anche qui si definisce Gesù come • l'Uomo •: è la folla a parlare di Messia. Il progetto creatore, la pienezza umana, è lo stesso per tutta l'umanità: Israele non ha un Messia diverso da quello degli altri popoli (4, 42: il

Salvatore del mondo). • come fai a dire tu che l'Uomo dev'essere levato in alto? Cosa quest'Uomo?

34b

l

•.

La denominazione usata dalla folla per riferirsi a Gesù mostra che hanno associato due sue dichiarazioni, quella di 12, 23: è giunta l'ora che si manifesti la gloria dell'Uomo e quella di 12, 32: io, qWlndo sarò innalzato da terra, trarrò tutti a me. La prima affermazione sembrava

loro adatta al Messia; la seconda invece li urta, e non possono unirla alla prima. Hanno inteso la prima dichiarazione di Gesù come relativa a una gloria

530

12, I:Z..36.

llraele rifiuta Il Meula

che -non è quella dell'amore; nella seconda vedono soltanto la morte, non l'esaltazione, né la vita; e risulta loro incompatibile con quanto hanno appreso nella loro Legge. Oppongono la propria concezione mcssianica (il Messia). già fissata dall'insegnamento, all'appellativo usa­ to da Gesù (l'Uomo). Non comprendono il suo messianismo. Per questo la domanda finale: Cosa è quest'Uomo? mostra appunto la loro incer­ tezza; vogliono sapere quale titolo Gesù applichi a sé, dato che non può essere il Messia, perché non corrisponde a quanto era annunciato. Si delinea già il rifiuto. Se il Messia che avevano acclamato (12, 13) afferma ora di essere sul punto di morire, non lo riconoscono come Messia. Cercavano un re glorioso, un restauratore che desse splendore alla loro nazione e facesse giustizia, sempre nel solco delle antiche istituzioni (la Legge) . Si attendevano una salvezza esterna, nella dipen­ denza, e non accettano la libertà portata da Gesù, la pienezza di vita. La denominazione • l'Uomo », che Gv mette sulla bocca della gente, si riferisce a Gesù come modello di Uomo, il progetto di Dio realizzato (cfr. Excursus, p. 874) . Precisamente in quanto è « Uomo » e in quanto possiede la pienezza dell'amore del Padre, egli lo deve mostrare fino alla fine, fino al dono libero della propria vita (10, 1 8) per togliere l'uomo dal ia morte (3, 1 4s). Questa è la manifestazione della sua glo­ ria. La moltitudine non lo comprende né lo accetta; non conosce il disegno di Dio; per loro la gloria è lo splendore e il potere del re, non il fulgore dell'amore senza limite. II Messia che attendono imporrà il proprio regno come re designato da Dio, senza lasciare possibilità di scelta. Invece Gesù trarrà tutti a sé • con legami d'amore, con corde di affetto » (Os 1 1 , 4), rispettando la libertà di ciascuno, per portarli a una dedizione pari alla sua ( 12, 26) e fondare la comunità umana conforme al disegno divino. Essi che, sotto il regime della Legge in cui sono vissuti, non sono mai stati stimolati alla libertà né alla responsabilità personale, non desiderano una simile salvezza che li comprometta personalmente. Desiderano la riforma delle istituzioni, ma il cambia­ mento e la pienezza dell'uomo non entra nel loro orizzonte. Si attendo­ no una salvezza dal potere, non dall'amore. Sono nella stessa situazione dei discepoli di 6, 60-62, dopo il tentativo di fare re Gesù (6, 15). Anche alla folla la dichiarazione di Gesù sembra eccessiva (6, 60: questo messaggio è troppo gravoso; chi può dargli retta?). La condizione per essere • l'Uomo •, cioè per realizzare il progetto di Dio, è la gloria dell'amore fino all'estremo. Respingendola, la folla sbarra il cammino alla propria creazione. La sua domanda: cosa è quest'Uomo? è in opposizione a quella del cieco guarito, che voleva identificare Gesù per dargli la sua adesione (9, 36); questi, che sanno cosa sia, non vogliono riconoscerlo né vedere in lui il Messia, la speranza di Israele. Il cieco era guarito proprio per aver aderito alla realtà di Gesù, l'Uomo (9, 6-7 Lett.); quelli rimarranno ciechi per non avere riconosciuto quest'Uomo come Messia. Si è interposta la Legge. 35 Rispose loro Gesù: • Per breve tempo ancora la luce sarà tra voi; camminate finché avete la luce perché non vi colga la tenebra, perché chi cammina nella tenebra non sa dove va » . Gesù torna ad avvertirli dell'urgenza della scelta: il tempo stringe (cfr. 531

L'on

finale.

La Pasqua

del Mess ia

7, 33) . � ormai l'ultimo avviso, poi si consumerà la rottura (12, 37ss). Li esorta alla riflessione; essi, vittime del sistema di potere, attendono la liberazione ma, seguendo i falsi ideali (tenebra/menzogna) proposti dai dirigenti { 12, 34: abbiamo appreso dalla Legge), la attendono da un altro potere e non accettano quella offerta da Gesù. Avevano fatto il primo passo avvicinandosi a lui; Gesù li esorta a continuare il cammino che avevano incominciato, finché egli, la luce della vita, è presente. La tenebra li circonda ed è in agguato; essi avranno per poco tempo la luce che permetterà loro di uscirne: quando cattureranno lui, non ci sarà opzione possibile per Israele come popolo: i dirigenti l'avranno fatta al posto suo. Gesù esorta il popolo a separarsi dai dirigenti, che hanno optato contro la vita ( I l , 53) , a uscire dal peccato che lo conduce alla morte (8, 2 1 ) . Questo passo s i riferisce direttamente a 8, 1 2 : io sono la luce del

mo11do; chi mi segue non cammirzerà nella tenebra, avrà la luce della vita. L'esortazione a camminare e l'opposizione tenebra-luce mettono in stretta relazione entrambi i detti di Gesù. Egli torna a presentar loro la opzione ivi proposta, ma con maggior urgenza (breve tempo). La luce significava la salvezza, il Messia come al ternativa e come Legge. Ma essi hanno opposto la loro propria Legge, che li mantiene nella tenebra. Si cade nuovamente e irrimediabihnente sotto il dominio della menzogna. Israele rimarrà cieco e perderà la strada (chi cammina nella tenebra non sa dove va), non avrà meta {8, 12). La salvezza viene ripetutamente annunciata in Isaia sotto la metafora (ft:lla • luce » (Is 2, 5; 9, l ; 42, 16; 59, 9-10; 60, 1-3.19-28). La luce, nel tempo stesso in cui illumina, raduna (2, 5: • Casa di Giacobbe, vieni. camminiamo alla luce del Signore »). La salvezza si offre i n termini di liberazione (9, 1 : • I l popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abi tavano in terra tenebrosa una luce rifulse , ) . e a compiere tale promessa sarà un successore di Davide (9, 5 s ) . In Isaia una salvezza simile si attribuisce all'opera realizzata da Dio per mezzo del suo Servo (42, 1 6 : • Farò camminare i ciechi per vie che non conoscono, li guiderò per sentieri sconosciuti: trasformerò davanti a loro i luoghi aspri in pianura »). La luce splenderà sulla Gerusalemme ideale, centro di convergenza di tutte le nazioni. che offrirà una salvezza universale (60, 1-3: • Alzati, rivestiti di luce. perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te », ecc.). La luce sarà il Signore stesso (60, 1 9 : • I l Signore sarà per te luce eterna •). Al contrario, la situazione del popolo lontano da Dio viene descritta come • essere nella tenebra • (59, 9-1 0 : • Per questo il diritto si è allontanato da noi e non ci raggiunge la giustizia. Speravamo la luce ed ecco le tenebre, lo splendore, ma dobbiamo camminare nel buio. Tastiamo come ciechi la parete, come privi di occhi camminiamo a tentoni; inciampiamo a mezzogiorno come al crepuscolo; tra i vivi e vegeti siamo come morti »). Nell'episodio di Nicodemo, l'Uomo levato in alto era punto di riferi­ mento, offerta di salvezza per tutti (3, 14 s ) ; di fronte a lui come luce si dividevano le opzioni (3, 19-2 1 ) . In questo episodio invece l'Uomo levato in alto appare come centro di convocazione e di convergenza, in parallelo con la luce di Is 2, 5 ; 60. l ss. In entrambi i casi, l'ostacolo all'accettazione di Gesù, l'Uomo, è la Legge (3, 10 Lett.).

532

Il, ll-36.

braele rifiuta

Il Meula

36a « Finché avete luce date l'adesione alla luce, e sarete cosi partecipi della luce • . Gesù insiste: prescindano da idee preconcette e diano la loro adesione alla luce, per possedere la luce della vita (8 , 12). La partecipazione alla luce dipende dalla sua comunicazione. La luce si possiede come cosa pro­ pria, come l'acqua ricevuta da Gesù, che si trasforma in ciascuno in una sorgente interiore (4, 14). La luce, che è la vita, si integra nella perso­ na. 36b Così parlò Gesù. Poi se ne andò, IU!Scondendosi da loro. Dopo aver dato questo avviso, Gesù si allontana. tò finito il suo contatto con Israele che non gli ha dato la sua adesione come Messia; • i suoi >> non l'hanno ricevuto (l, 1 1 ). Ha voluto dare loro l'ultima opportunità di sfuggire alla morte che li domina, ma la Legge (12, 34) insegnata dai farisei (12, 19) impedisce al popolo di vedere. I morti hanno udito la sua voce, ma non l'hanno ascoltata (5, 25).

S I NTESI La pericope propone l'opzione di Israele nei confronti del suo Messia, che finisce con l'essere negativa. Si oppongono due concezioni messia­ niche; il popolo, modellato sulla tradizione trasmessa dai dirigenti, concepisce il Messia in termini di regalità umana e, pertanto, di potere. Gesù invece si presenta come il Messia che compie le promesse dell'AT, ma interpretate sotto un'altra luce: quella di Dio creatore. Per questo identifica il Messia come • l'Uomo •. che porta fino al limite il proprio amore dando la vita per salvare l'uomo, conducendolo alla sua pienezza. Per questo annuncia la propria morte come componente essenziale del suo messianismo. Al tempo stesso avverte i suoi discepoli che seguirlo in questa donazione è condizione perché la missione sia feconda. Appare ora con maggior chiarezza il significato della scena di Bctania (12, 1 ss.) . t! lì che Gv descrive anticipatamente il rapporto del Messia con il suo popolo-comunità. Non sarà il Signore che domina, ma l'amico che prende posto a tavola con i suoi, lo Sposo che riceve l'omaggio della sposa, il datore di vita centro della comunità dei vivi. Il quadro non è fornito da istituzioni grandiose, ma dall'ambiente familiare; l'orizzonte della sua comunità non è la grandezza umana, ma l'amore per i poveri.

533

Gv 12, 37-43: Le cause demncredulità !7 Malgrado i tanti segni che aveva realizzati alla loro presenza, rifiuta­ vano d i d a rgl i la loro adesione; 30 così si compirono le parole che disse il profeta Isaia:

Signore, chi ha credu to al nostro annuncio? E a citi si è ma11ifestata la forza del S igno re ? 39 E non potevano credere a motivo di ciò che disse in un'altra

occasione I sa ia :

40 Ha

accecato

i loro occhi,

lta in torp idit o la loro m ent e perché i lo ro occlti non vedano 11é la loro mente percepisca né si convertano né io li guarisca. 41 Ques to disse Isaia perché vide la sua gloria, e così parlò di lui. ,

42 Malgrado tutto, comunque, proprio tra i capi, molti gli diedero la loro adesione, ma a causa dei farisei non lo confessavano, per non essere e sc lus i dalla sinagoga; 43 p referi ron o infatti la gloria umana alla gl oria di Dio.

NOTE FILOLOGICHE 12, 37 aveva realizzati, gi-. pepoi�kotos. Pf. retrospettivo estensivo. - rifiutavano di dargli la loro adesione, gr. ouk episteuon eis auton. In Gv non esiste una posizione intennedia fra fede e non fede. La fanna nega­ tiva di pisteu6 ind ica un rifiuto, non semplicemente uno stato di mera indifferenza (cfr. 3, 1 8 nota).

38 le parole, gr. /ogos. Discorso, parole. - la forza, gr. ho brakhi6n. Il braccio; neii'AT metafora indicante la forza (cfr. Es 6, 1 ; 15, 16; Is 40, 1 1; 5 1 , 5; ecc.). 39 a motivo di ciò che, gr. dia touto ... hoti. Uniti in i t. nella seconda proposizione per riferire chiaramente l'espressione causale a quanto segu�. 40 Ha accecato i loro, gr. tetuphl6ken. Pf. di stato durevole o definitivo. In questo caso l'aspetto rimane sufficientemente espresso dal pass. pros. it. - la loro mente, gr. he kardia. Semitismo per indicare la sede del pensiero, vo­ lontà e sentimento. - percepisca, gr. noes6sin. Aor. di effetto.

41

e così, gr. kai. Consce.

42

proprio, gr. kai. Enfatico, che oppone i capi al popolo (12, 37).

43

umana, gr. ton anthr6p6n. Genit. qualificativo.

534

11, 37-43. Le cause dell'locredulltà

CONTENUTO E DIVISIONE La pericope cominci a constatando

la mancanza di adesione che Gesù in· contra nel popolo, malgrado l'evidenza dci suoi segni liberatori. L'evangc· lista ne trova formulata la causa in un antico detto di Isaia: è la Legge, sostegno e strumento del regime giudaico, che lo ha accecato, impedendogli di riconoscere la salvezza cui Dio lo destina in Gesù. Ciononostante, molli dirigenti comprendono il suo messaggio, ma non osano sfidare i farisei, custodi della Legge, e per paura di perdere la propria posizione tacciono, causando cosi l a rovina del popolo. La pericope

si divide in due unità:

12, 37-41: I ncredu lit à del popolo e sua causa. 12, 42-43: Codardia e tradimento dei capi.

LETTU RA Incredulità del popolo e sua caMSa Malgrado i tanti segni che aveva realizzati alla loro presenza, rifiutavano di dargli la loro adesione.

37

L'evangelista commenta quanto è appena accaduto. Israele, che aveva acclamato Gesù, non gli ha dato la sua adesione. Gesù aveva realizzato molti segni, dei quali Giovanni ha riportato soltanto una selezione significativa (20, 30; 2 1 , 25), ma il popolo rifiuta di leggerli e respinge Gesù. Non si avvicinano alla luce, rimangono nella tenebra e pesa così su di Ioro la riprovazione di Dio (3, 36).

38 così si compirono le parole che disse il profeta Isaia: • Signore, ciii ha creduto al r1ostro annuncio? E a chi si è manifestata la forza del Signore? •. In ciò che succede Gv vede il compimento di un testo di Isaia (53, 1 ) , che i l profeta applicava a l Servo d i Dio. Descrive così i l rifiuto del messaggio di Gesù, e di conseguenza l'impossibilità di interpretare i suoi segni liberatori (suo braccio/sua forza); Si trattava della forza di Dio stesso, poiché le opere che Gesù realizzava erano quelle del Padre (5, 36; 9, 4; IO, 25.38), che mostrava con esse il suo amore per l'uomo.

39-40 E non potevano credere a motivo di ciò che disse in un'altra occasione Isaia : • Ha accecato i loro occhi, ha intorpidito la loro mente, perché i loro occhi non vedano né la loro mente percepisca né si convertano né io li guarisca •· Gv vede spiegata la ragione di tale rifiuto in un altro testo del profeta, che appartiene alla scena della sua chiamata (ls 6, 9 s) . Tuttavia il testo presentato da Gv non corrisponde esattamente né all'ebraico né alla 535

L'ora finale. La Pasqua del Meula

traduzione greca (LXX). Si veda la traduzione del testo ebraico, in cui Dio dà quest'ordine al profeta: • Intorpidisci il cuore (la mente) di questo popolo, rendilo duro d'orec­ chio, acceca i suoi occhi: che i suoi occhi non vedano, che le sue orecchie non odano, che il suo cuore (mente) non comprenda, che non si converta e guarisca •. E la traduzione greca: « II cuore (la mente) di questo popolo si è intorpidito; sono tardi di udito, hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi e non udire con le orecchie, e non comprendere con il cuore (la mente) , e non convertirsi così che io li guarisca • . Gv omette, in primo luogo, le frasi che si riferiscono all'udito. Per lui sono importanti gli occhi e la mente (il cuore), perché si tratta di vedere segni e di interpretarli (12, 37). Non hanno chiuso le orecchie a una dottrina, ma gli occhi a una realtà. Esiste una notevole differenza fra i tre testi. In quello ebraico è il profeta che, col suo annuncio, deve accecare il popolo, per ordine di Dio, per procurargli la rovina che sarà il suo castigo (ls 6, 1 1-13). L'ordine di Dio al profeta è retorico; ciò che si propone come finalità divina, è in realtà effetto dell'indurimento del popolo stesso. A causa della cattiva disposizione, quanto più il profeta parlerà loro, tanto più sarà la resistenza che incontrerà. Nella traduzione greca, al contrario, il popolo risulta responsabile della propria cecità: sono loro stessi ad avere chiuso gli occhi e a impedire la propria guarigione. Di fatto il rifiuto di Israele di vedere e di ascoltare è tema comune nei profeti. Così per esempio Is 42, 18: • Sordi, ascoltate, ciechi, volgete Io sguardo per vedere •. Ger 5, 21-23: c Questo dunque ascoltate, o popolo stolto e privo di senno, che ha occhi ma non vede, che ha orecchi ma non ode ... questo popolo ha un cuore indocile e ribelle; si voltano indietro e se ne vanno •· Ez 12, 2: ·c Figlio di Adamo, tu abiti in mezzo a una genìa di ribeUi, che hanno occhi per vedere e non vedono, hanno orecchi per udire e non odono, perché sono una genìa di ribelli •. Secondo questi e altri testi, la responsabilità della cecità ricade sul popolo; a volte tuttavia, retoricamente, viene espressa come un disegno di Dio provocato dalla sua collera. In Gv 12, 40 tuttavia esiste un agente esterno che acceca il popolo e impedisce che Gesù lo guarisca. La sua azione è appunto quella contra­ ria all'azione compiuta da Gesù quando apri gli occhi al cieco (9, 1 .10.14, ecc.; 10, 2 1 ; 1 1, 37). Poiché questa era stata un'opera di Dio (9, 3s), l'azione di accecare non può venire da lui. II Figlio inviato da Dio al mondo (3, 17) è la luce che illumina ogni uomo ( l , 9; 3, 19); Dio non opera discriminazioni, perché non l'ha inviato a giudicare il mondo ( = l'umanità) , ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui (3, 17; 12, 47). Pertanto a causare la cecità non può in nessun modo essere Dio, come di fatto non lo er;1 nemmeno nell'AT: dev'essere un suo antagonista. Il contesto Io identifica senza dar luogo a dubbi: l'avversario della luce/verità è la tenebra (12, 35), che usando c la menzogna • (8, 44) rende l'uomo cieco, incapace di percepire Io splendore della vita cui Dio Io 536

lZ, 37-43. Le

caiUe

dell'lnereduUtà

destina (1, 5). Concretamente, la causa immediata che ha impedito a l popolo di riconoscere Gesù come Messia è stata l a Legge, con la s ua dottrina sul Messia che non doveva morire (12, 34). Ma la Legge, a sua volta, è lo strumento del sistema di potere, personificato nel • capo di questo ordinamento » (12, 31). Gli agenti umani della cecità del popolo sono, pertanto, i dirigenti che incarnano tale sistema, in particolare i farisei (cfr. 1 2, 19.42). Essi utilizzano la Legge, promettendo al popolo nn Messia, futuro continuatore delle istituzioni esistenti; assimilano il futuro al passato e programmano in anticipo l'intervento di Dio nella storia; cosi mantengono il popolo nella cecità e gli impediscono di riconoscere l'inviato di Dio (7, 25-29.40-43). Sono loro, interessati a mantenere la propria posizione ( I l , 48 c Lett.), i primi a respingere Gesù; di fatto hanno già concordato di ucciderlo ( I l , 53). Sono ciechi per loro scelta, perché si sono rifiutati di accettare la luce; ma inoltre fanno mostra di vedere e propongono al popolo la falsa luce (9, 41 Lett.). Gesù è venuto a dare la salute, a guarire il popolo (cfr. 5, 9.13), liberandolo dall'oppressione che le istituzioni esercitano (2, 14-16; 5, 1 ss ), m a il popolo, dipendente dai suoi maestri (12, 34; cfr. 5, 39s.46s), non accetta la vita che Gesù gli offre. La frase finale: né io li guarisca, allude all'invalido della piscina (5, 6.9.1 1 .13). Il popolo era rappresentato dalla moltitudine di infermi che giacevano nei portici, figura della Legge (5, 2-3). Non possono camminare, perché non hanno forza né libertà: la Legge, manipolata dai dirigenti, li paralizza, impedendo loro di avere la salute e la vita (5, 10). La loro tradizione li mantiene nella schiavitù (8, 34) . Questa Legge che li distanzia da Dio e ne occulta l'amore (2, 3.6 Lett.) rende loro incomprensibile la morte del Messia. Non possono compren­ dere che Dio ami l'uomo fino al punto di dar la vita per lui. Non percepiscono che è cosi che si manifesta la sua gloria, che non è la gloria del potere, ma quella dell'amore leale.

41

Questo disse Isaia perché vide la sua gloria e cosi parlò di lui.

I l testo di Isaia appena citato segue, effettivamente, la visione di Dio avvenuta nel tempio (ls 6, 3), dove i serafini lo acclamavano con il triplice Santo. Il tempio era pieno della sua gloria (6, 1), e così pure la terra (6, 3). « Vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato: i lembi del suo manto riempivano il tempio {LXX) e pieno era il tempio/la casa della sua gloria ... tutta la terra è piena della sua gloria! ». La gloria che vide Isaia si identifica con quella che Gesù possiede, perché è quella che il Padre gli ha dato (17, 4.22) . t:. lui il santuario. pieno dell 'amore fedele di Dio ( 1 , 14), che i suoi hanno contemplato ( l , 14: abbiamo contemplato la sua gloria). t:. la gloria che si diffonde su tutta la terra, l'amore di Dio per l'umanità intera (3, 1 6) . La resisten­ za di Israele al messaggio profetico anticipava ciò che avrebbe avuto luogo dinanzi al messaggio del Messia. La cecità del popolo è in opposizione alla visione della gloria, che il testimone narrerà quando si troverà dinanzi alla figura di Gesù in croce ( 1 9, 35 Lett.), e che continuerà nella sua comunità (1, 14).

537

L'ora finale. La

Pasqua

del

Measla

Codardia e tradimento dei capi 42 Malgrado tutto, comw1que, proprio tra i capi, molti gli diedero la loro adesione, ma a causa dei farisei non lo confessavano, per non essere esclusi dalla sinagoga.

I capi si distinguono dai farisei (3, l ; 7, 26.28) e designano i membri del Consiglio supremo, appartenenti o meno a quel gruppo. Essi avevano constatato i molti segni che Gesù realizzava ( l i , 47); possedevano una risposta alla richiesta di un segno che gli avevano rivolta nel tempio (2, 18). Molti di loro avevano compreso e stavano dalla parte di Gesù, ma per paura dei farisei non si pronunciavano. Questi, arrogandosi il monopolio dell'interpretazione della Legge, si impongono a tutti (cfr. 9, 22) . In suo nome potevano espellere dalla sinagoga 1 • Ùl loro influen­ za è stata già segnalata varie volte nel vangelo (7, 32.45ss; 9, 13; I l , 46s). L'adesione a Gesù comportava la rottura con le istituzioni (8, 23s.3 1 ; IO, 3s); non hanno i l coraggio di fare il passo, vedono la luce e la riconoscono, ma rimangono nelle tenebre, temendo le conseguenze della loro decisione. � la loro grande crisi: essere giunti a vedere che ciò che credevano vero era falso, ma continuare a difenderlo per paura del rischio futuro. Gv descrive l'ipocrisia: fingere di credere ciò che non si crede più, e non affrontare le conseguenze della verità. Commettono il tradimento di se stessi, guastano la propria vita, e inoltre, per attaccamento a essa, tradiscono il popolo (12, 25) . Ùl loro adesione pubblica a Gesù avrebbe reso possibile quella del popolo, che si fidava fino in fondo di loro (7, 26: che i capi si siano convinti che questi è il Messia ?; cfr. 12, 34). Ma, restando allineati con i nemici di Gesù, propongono come luce ciò che sanno essere tenebra, disorientano il popolo e gli impediscono di raggiungere la liberazione che Gesù gli offre. Per questo rimangono nel peccato, perché, senza essere ciechi, accecano il popolo (9, 40s) : occul· tana la verità per conservare la propria posizione. Nella pericope precedente Gesù parlava del • capo di questo ordina­ mento »; ora Gv, a breve distanza, menziona • i capi • del popolo. L'accostamento non è casuale; questi sono la realtà di quel simbolo. Con la loro condotta, che stabilisce come valore supremo il proprio interesse, al di sopra della verità che ormai percepiscono e del bene del popolo, mostrano di avere per padre il Nemico, principio ispiratore del sistema di denaro e di potere: come lui, sono bugiardi proponendo come verità ciò che sanno essere menzogna, e assassini, perché· privano il popolo della vita che Gesù gli offre (8, 44) e lo conducono con sé alla rovina (7, 33s; 8, 21 .23). 43

preferirono infatti la gloria umana alla gloria di Dio.

Avendo percepito in Gesù la gloria di Dio, lo splendore del suo amore per l'uomo, si trovano davanti a un dilemma. Accettare tale gloria come norma della loro ·vita significa perdere la loro posizione di privilegio. ' Cena mente come eretici (S . B. IV, 330s).

538

12, 37-43. Le cause dell'lncredulltl

Nell'alternativa optano di restllre dove stavano, rinunciando alla vita (12, 25; 3, 36) , a essere figli di Dio ( 1 , 12) . Verificano l'accusa fatta da Gesù (5, 44: come farete a credere voi che accettate gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che si riceve da Dio solo?). Sono legati alla propria posizione sociale. Così, anche se sanno che Dio è dalla parte dell'uomo, come Gesù ha manifestato, essi coscientemente continuano a essere oppressori dell'uomo. Esistono quindi due cause dell'incredulità. Una, nel popolo, la tradizio· ne che gli hanno insegnato (12, 34) ; l'altra, nei dirigenti, il desiderio di gloria umana (12, 43) . In definitiva, i responsabili principali della situa­ zione sono i capi, perché sono loro a tener sottomesso il popolo con il loro prestigio e la loro dottrina, impedendogli di vedere la realtà.

SI NTESI La grande tragedia de1 popolo oppresso è avere assimilato l'ideologia del sistema che l'opprime, accettando come valori i principi di morte che questo propone. Restano incapaci di vedere e valutare ogni realtà che in qualche modo la contraddica. Di qui l'eno rme responsabilità dei dirigenti. Nella pericope appare il tradimento del popolo ad opera di molti capi giudei, che, già convinti che Dio sia dalla parte di Gesù, il condannato dal loro sistema, non osano essere leali con se stessi e rimangono pubblicamente nella fazio­ ne opposta, per paura .di perdere la loro posizione. Nella pericope si delinea il dilemma che si presenta davanti all'uomo, quando l'azione di Dio distrugge le sue antiche sicurezze dottrinali. È il momento in cui si gioca tutto il suo avvenire: o si affida a Dio e accetta il rischio, oppure si chiude allo Spirito aggrappandosi al pro­ prio passato, anche se ormai non gli risulta valido. È l'opzione di ogni uomo fra la luce e la tenebra. Chi non si avvicina allora alla luce, per motivi più o meno inconfessabili, comincerà a odiare la luce, che è Gesù, il Figlio di Dio.

539

, , ·

Gv 12, 44-50: L'avviso finale

44 Gesù disse gridando: - Quando uno mi dà la sua adesione, non è a me che la dà, ma a colui che mi ha mandato, 45 e quando uno vede me, vede colui che mi ha mandato. 4' Io sono venuto nel mondo come luce; così, nessuno che mi dà la sua adesione rimane nella tenebra. 47 Se uno ascolta le mie esigenze e non le compie, io non pronuncio sentenza contro di lui. perché non sono venuto per pronunciare senten­ za contro il mondo, ma per salvare il mondo. 48 Quando uno mi rifiuta e non accetta la mie esigenze, ha chi sentenzia contro di lui: il messaggio che io ho proposto sentenzierà contro di lui l'ultimo giorno. 49 Perché io non ho fatto proposte mie, ma il Padre che mi inviò mi diede egli stesso l'incarico di ciò che dovevo dire e proporre; 5 0 e io so che quel suo comandamento significa vita definitiva; per questo, ciò che io propongo, lo propongo esattamente come me lo ha lasciato detto il Padre.

NOTE FILOLOGICHE 1 2 , 44 Quando uno, ecc., gr. ho pisteu6n. Part. condiz. ipotetico, che si può tradurre con una condizionale propria (se) o con una impropria (quando). Cfr. 8, 19.42.47; 13, 20. - mandato. Cfr. 3, 16-17; 5, 36-38; 6, 27 .29.39; 8, 16.42; 9, 4. 45

Cfr. l, 14.18; 8, 19.42; IO, 30.38; 14, 7.9.

così, gr. hina. Consec. L'adesione stessa interrompe la permanenza nella ten ebra . Luce, cfr. l , 4.5.7-9; 3, 19ss ; 8, 12; 9, 5; 12, 35-36.

46

47 esigenze. cfr. 3, 34; 6, 68; 8, 47. - non pronuncio sentenza, gr. ou krin6. Cfr. 3, 17; 5, 24; 8, 15. 48

Cfr. 3, 18; 5, 45.

49 proposte mie, gr. ex emautou. A differenza di ap' emautou (5. 19.30; 7, 1 7 . 1 8 ; 8, 28; 14, IO) non si riferisce alla missione, ma a lla • fa rina del pro­ prio sacco •. cfr. 8, 44: ek ton idi6n /alei. - diede ... l'incarico, gr. entolén dedoken. Pf. di effetto p ermanen te. quel suo comandamento, gr. e ento/i. autou. Si tratt a dello stesso co­ mandamento di cui si parla nel v. 49. Per conservare l'identificazione fra i due, che il greco esprime con la ripetizione del termine entolé, si usa in it. il pronome dimostrativo (N.d.T.) - significa, gr. estin. Il comandamento, accettare la mo rt e { I O, 18). è in Gesù realtà di vita e possibilità per gli uomini. I l duplice aspetto viene espresso meglio da " significa •, cfr. IO, 18. - esattamente, gr. kath6s ... hout6s. Cfr. 8, 28; 14, 31. - lasciato detto, gr. eirekén. Pf. definitivo. El Aspecto Verbal, n. 387.

50

540

IZ, �!0. L'avvtoo finale

CONTENUTO Dinanzi alla vita che Ge sù offre all'uomo, la classe dirigente giudaica ha preso posizione e decretato la sua morte. Tale accordo dava inizio al p eriod o dell'ora di Gesù, che coincideva con la pross im i tà dell'ultima pasqua ( I l , 55; 12, 1). La d eci s ione rimase per il momento a livello ufficiale. Di fronte a essa si trovava la comunità di Gesù, che gli re ndeva omaggio per la vita che egli le aveva com unicat o (12, 1 ss). Il popolo, che non aveva preso parte alla decisione contro Gesù , ha dovuto scegliere fra l 'i dea di un Messia pote nte proposta da i dirigenti, suoi oppressori, e il Messia datore di vita, che è la negazione del potere, crocifisso a opera del potere stesso (18, 36ss; 19, 19). Ma l grado l'acclamazione iniziale, Israele è rimasto attaccato all'idea dei capi , e questi, molti dei quali hanno riconosciuto la verità di Gesù, h anno tradito per paura la causa del popolo. Di qui ta le dichiarazione finale di Gesù, che, dopo il rifiuto di Israele come popolo, lascia aperto il suo invito

a

ogni uomo.

Gesù non tornerà più a parlare in pubblico. La pericope offre un riassunto fat to da lui stesso del significato e delle conseguenze della sua attività. I n ogni frase risuonano testi precedent i. L'idea centrale è l'origine divina del suo messaggio; Gesù mette l'uomo di fronte a questa realtà per s ti mola rlo all'opzione positiva, mettendogli davanti le conseguenze del suo rifiuto. Affer· ma ancora una volta il carattere unicamente salvifico della sua missione e fa presente a ciascuno la sua responsabilità nell'accettare o meno la vita definitiva che il Padre offre nella persona di lui.

LETIU RA 12,44a

Gesù disse gridando.

D'ora innanzi, Gesù parlerà soltanto con i suoi discepoli o con coloro che l'interrogano. Queste parole di Gesù, le ultime rivolte all'uomo in generale, mancano di ogni determinazione di luogo e di tempo. Sono così valide per ogni epoca e ogni uomo come il grido della propria coscienza. Sarà la testimonianza della comunità c ri st i an a su Gesù, perpetuata nella storia. Gesù riassume la propria missione e la interpreta, lasciando a ciascuno la sua opzione personale. Il suo messaggio rimane in vigore, e sarà quello che giudicherà l'uomo. t! la terza e ultima volta che Gesù fa una dichiarazione gridando in

relazione

con

le

due

precedenti

(7, 28.37).

Nel

primo

caso

l

ed è Gesit

affermava con forza la propria missione divina e la conoscenza perso­ nale di colui che lo aveva inviato. Nel secondo (7, 37) esponeva il risultato della sua missione, il dono dello Spirito, e invitava ad avvici· narsi a lui per riceverlo, anticipando quanto sarebbe dovuto avvenire nell'ora della sua morte, manifestando la sua gloria (7, 39). Questo terzo caso ricorda pertanto i due primi, riassumendo la missione divina di Gesù

(12, 44b),

e il comandamento del Padre, che signi fica vita definiti-

l Nelle tre occasioni appare l'aor. elcraxe" tradotto con • gridare •. Un verbo dif· ferente, kraugaz6, è usato in Il, 43 ecc .. tradotto con • urlare • (N.d.T.).

541

L'ora

finale.

La

Pasqua del Messia

va, per il dono dello Spirito che nella uomini (12, SO; 17, 3 Lett.).

··saa

ora » sarà comunicato agli

44b • Quando uno mi dà la sua adesione, non � a me che la dà, ma a colui che mi ha mandato •.

L'adesione a Gesù è adesione al Padre {14, 1 ) , perché significa riconosce­ re in lui il Figlio di Dio ( l , 34; 3, 16-18), il progetto creatore realizzato ( 1 , 14). Nell 'adesione a lui si riconosce e accetta l'amore del Padre per l'uomo, e si esprime la riconoscenza per quest'amore. Essere con Gesù è essere con l'uomo e con Dio, non essere con Gesù è opporsi all'uomo e a Dio. 45



e quando uno vede me, vede colui che mi ha mandato

•.

Non esiste differenza alcuna fra G es ù e il Padre, poiché la persona e attività di Gesù spiegano ciò che Dio è ( 1 , 18). Non si conosce Dio se non si accetta Gesù (7, 28; 8, 1 9.54s), né esiste Dio oltre a quello che si vede in Gesù: il Padre che è a favore dell'uomo. Il dio riflesso dalla Legge, nel cui nome i dirigenti si oppongono a Gesù (5, 6-18; 8, 19; 9, 1 6a.24.29; 10, 33), è un dio falso. Gesù non dice di somigliare o di essere ugua le a Dio, ma, al contrario. che Dio è come lui. Non c'è altro modo di conoscere Dio che quello di guardare Gesù. Bisogna rinunciare a ogni idea · preconcetta di Dio. Questi si è manifestato pienamente soltanto in Gesù, cui ha comunicato la pienezza della sua gloria-amore ( 1 , 14.18). 46 • lo so11o venuto nel mondo come luce; cosi, nessuno che mi dà la sua adesione rimane rwlla tenebra ». Il tema luce-tenebra ( 1 . 4.5) è apparso fin dal prologo. Gesù si è identificato con la luce del mondo (8, 12; 9, 5; 12, 35s). La luce della vita trae fuori dalle tenebre della morte, l'ambito dominato dai nemici di Gesù, il sistema politico-religioso giudaico (5, 16.18; 7, 1.7.19.32; 8, 1 3ss.37.40.59; 9, 24ss; 10.31ss; I l , 53). L'adesione a Gesù è l'alternativa all 'oppressione, il cui strumento è l 'ideologia, che estingue nel l uomo l'aspi razione alla pienezza (la tenebra). '

4 7 • Se uno ascolta le mie esigenze e non le compie, io non pronuncio sentenza contro di lui, perché non sono venuto per pronunciare senten­ za contro il mondo, ma per salvare il mondo "·

Le esigenze di Gesù sono Spirito e vita (6, 63), e comunicano vita definitiva (6, 68). Per opposizione a quelle di Mosè, sono le vere esigenze di Dio; ne è prova che comunicano lo Spirito (3, 34). Gesù le ha proposte, ma rispetta la libertà dell'uomo: la risposta d'amore deve essere libera. Non pronuncia sentenza, perché la sua missione è salvare, comunicando vita (cfr. 8, 1 5). L'esperienza dell'amore che vivifica viene trasformata in norma per l'uomo; questa è l'esigenza di Gesù. Egli salva dando la capacità di amare, cioè, di sviluppare il proprio essere, rendendosi somigliante al Padre ( l , 12). Chi non fa sua l'esigenza di Gesù danneggia se stesso, perché non si 542

12, 44-50. L'avviso finale

realizzerà mai come uomo: frustra in sé il progetto di Dio. Questa è la sua sentenza, dettata da lui stesso. Gesù è pura offerta di salvezza (3, 17). Non esiste discriminazione alcuna fra gli uomini da parte di Dio, né predestinazione alla morte; il suo amore si estende all'umanità intera (3, 16) e a tutti offre la vita nel Figlio. La discriminazione la operano gli uomini, secondo la qualità della loro risposta. 48 • Quando uno mi rifiuta e non accetta le mie esigenze, ha chi sentenzia contro di lui: il messaggio che io ho proposto sentenzierà contro di lui l'ultimo giorno •.

Gesù sottolinea la libertà dell'uomo. Dio non si impone, l'uomo è responsabile della propria sorte. Chi rifiuta Gesù rinuncia alla pienezza di vita. La stessa offerta gratuita fatta da Gesù sarà testimone contro colui che non l'accetta. Non dando ascolto al messaggio della vita, questi ne rimarrà privo. Questo giudizio si verificherà l'ultimo giorno. e stato già analizza to il contenuto di questo dato temporale, che si collega soprattutto alla risurrezione (6, 39 Lett.; cfr. 6, 40.44.54; I l , 24) e che appare qui per l'ultima volta. Il significato tradizionale dell'ultimo giorno dei tempi come Marta lo interpretava, era stato corretto da Gesù ( 1 1 , 24s). Alla luce di 7, 37-39, l'ultimo giorno appare come quello in cui si conclude la creazione dell'uomo (19, 30), quello della morte di Gesù, quando egli sarà innalzato da terra (12, 32) e da lui fluirà l'acqua dello Spirito (19, 34) . Questo giorno creatore per eccellenza si prolungherà in un continuo presente. Essendo il giorno in cui Gesù darà la prova totale e definitiva del suo amore per l'uomo, sarà perpetuo come questo stesso amore, simboleggiato dal costato che rimane aperto dopo la risur· rezione (20, 27). Il messaggio che Gesù ha pronunciato giudicherà l'uomo l'ultimo gior· no; vale a dire: una volta data questa prova di amore supremo, non ci sarà scusa valida per respingere il suo messaggio (cfr. 8, 28). 49 • Perché io non ho fatto proposte mie, ma il Padre che mi inviò mi diede. egli stesso l'incarico di ciò che dovevo dire e proporre •. La sorte dell'uomo dipende pertanto dal suo atteggiamento davanti a

Gesù. Tale opzione è decisiva perché il messaggio che Gesù trasmette non è invenzione umana, ma messaggio del Padre, di Dio, che è vita e amore. Nella redazione di questo versetto Gv allude a Dt 18, 18, dove Dio si rivolgeva a Mosè: • Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò (letter. darò) in bocca le mie parole (letter. la mia parola/comandamento) ed egli dirà loro quanto io gli comanderò •. Gesù si presenta come colui che ha ricevuto da Dio un comandamento che annulla gli antichi. 50 • e io so che quel suo comandamento significa vita definitiva; per questo, ciò che io propongo, lo propongo esattamente come me lo ha lasciato detto il Padre • .

I



comandamenti



o incarichi dati dal Padre a Gesù sono un modo di 543

L'orll

ftnale.

La

Pasqua del Messia

esprimi!re la missione messianica. In 10, 17s Gesù esponeva il coman­ damento riferito alla sua persona: io consegno la mia vita e così la recupero ... questo è il comandamento che ricevetti da mio Padre. Con questo dono di sé continuo fino alla fine Gesù completa la consacrazio­ ne messianica che ha ricevuto ( 17, 19), manifestando un amore che nella sua morte giunge a essere uguale a quello del Padre ( 19, 28 Lett.): è la realizzazione piena dell'Uomo-Dio (19, 30: è ormai completato), princi· pio della nuova umanità. Questo secondo comandamento e incarico si riferisce all'attività di Gesù nei confronti degli uomini: racchiude • la dollrina che non è sua, ma del Padre • (7, 1 6.17; cfr. 8, 28) , • i comandamenti suoi » ai suoi discepoli. che corrispondono a quelli dati dal Padre a Gesù (15, IO). Ma tale comandamento non è indipendente dal primo: è il messaggio e l'esigenza di un amore per l'uomo uguale al suo, l'invito a dedicarsi come egli si è dedicato ( 12, 24-26: cfr. 1 3 , 34). Propone agli uomini di realizzare anche loro il disegno di Dio: dare adesione a lui, ottenendo così vita definitiva (6, 39s). Di qui l'espressione che segue: so che quel suo comandamento significa vita definitiva. Gesù non si allontana neanche per un momento da questo messaggio: lo propongo esattamen­ te, da cui dipende l'esistenza dell'umanità nuova. Gesù torna a sottolineare la sua fedeltà al Padre e la sua identità di propositi con lui (4, 34; 5, 30; 6, 38; 8. 28s; IO, 30.38). Dissipa ogni illusio­ ne di accesso a Dio o di fedeltà a lui fondati su modi d'agire differenti dal suo. Coloro che rifiutano il suo messaggio non compiono il disegno di Dio e, di conseguenza, non hanno vita (cfr. 6, 53). L'antica legge è decaduta. Avverte che non è possibile relativizzare le sue parole: egli trasmette esattamente ciò che il Padre gli ha comunicato (8, 28.38.40). Non esiste una volontà o un disegno di Dio che possa opporsi a quello che espone Gesù, né istanza superiore a lui cui ci si possa appellare contro di lui, perché il Padre è in lui e lui nel Padre (IO, 38). Implicitamente denuncia l'ignoranza e la malafede dei suoi avversari, che, sotto pretesto di fedeltà all'antica Legge, si oppongono a Dio (5, 37s; 7, 1 9 : 8, 54s). · Lo dimostrano respingendolo. Essi vivono per la l01·o gloria e disconoscono e disprezzano la gloria di Dio (5, 44; 12, 43). 1\tosè nella sua ultima allocuzione aveva promesso vita a coloro che avessero messo in pratica tutti gli anicoli della Legge (D t 32, 46s) : • Essa infatti non è una parola senza valore per voi: anzi è la vostra vita; per questa parola passerete lunghi giorni sulla terra di cui state per prendere possesso. passando il Giordano •. Gesù è venuto a sosti· tuire quella Legge con il messaggio che dà la vita definitiva (cfr. 5, 24).

SI NTESI Gesù è l'unica rivelazione piena di Dio; per questo l'adesione a lui è l'adesione al Padre. Ogni idea o teoria su Dio che non sia compatibile con ciò che si vede in Gesù è falsa; Dio non è un'idea, è il Padre. persona, vita e amore, e si manifesta in Gesù e nella sua attività a 544

12, 44-!10. L'avviso finale

favore dell'uomo. I nemici di Gesù sono nemici di Dio, coloro che seguono Gesù sono figli di Dio, come lui è • il Figlio "· La missione data dal Padre a Gesù è offrire all'uomo un'alternativa al suo stato di frustrazione e fallimento, dargli la possibililà di uscire dall'oppressione in cui vive sotto un ordinamento ingiusto che gli si impone e lo maltratta (la tenebra). Gesù non opera discriminazioni. La sua missione non si limita a un popolo, si estende all'umanità intera, oggetto dell'amore del Padre, il Dio creatore. L'uomo resta libero di accettare la sua offerta ; ma il rifiuto della vita porta in sé l'opzione per la morte. Il suo messaggio è quello del Padre, ed è vita definitiva. Non esiste messaggio di vita oltre a quello di Gesù: amare fino al limite estremo come ha amato lui.

545

SECONDA SEZIONE

LA CENA. LA NUOVA COMUNITA' UMANA ( 1 3 , 1 - 1 7, 26)

I cinque capitoli di questa sezione sono posti fin dall'inizio in relazione con la Pasqua di Gesù. Si descrive la sua morte in termini di passaggio ( = Pasqua) con evidente allusione al significato della festa della Pa­ squa, che celebrava il passaggio del popolo dalla schiavitù d'Egitto alla libertà. Gesù passa da questo mondo, spazio di morte, come venne definito nel prologo ( 1 , 5: la tenebra), al Padre. La Pasqua di Gesù è un passaggio attraverso la tenebra più densa: la morte. Nel libro dell'Eso­ do la partenza avviene di notte. Qui la cena si celebra nel cuore della notte (13, 30). Questo è il simbolo dell'odio del mondo, che diventa efficace con la decisione di Giuda di consegnare Gesù. L'unità della sezione non ha bisogno di essere dimostrata: la segnala la cornice della cena in cui si svolge. Si possono tuttavia notare gli agganci fra i capitoli 1 3 e 17: il tema dell'amore (13, l ; 17, 26) ; l'appella­ tim " Padre » ( 1 3, l ; 17, 25); la menzione dell'« ora » ( 13, 1 ; 17, l ); la manifestazione della gloria (13, 3 1 -32; 17, 1 .4-5); l'amore eis telos-teleioo (13, l ; 17, 4); la consegna di tutto a Gesù da parte del Padre ( 1 3 , 3; 17, 2); il tema del traditore (13, 2.27; 17, 12); l'adempimento della Scrit­ tura 03, 18; 17, 12). In questa sezione appare per l'ultima volta il termine " la gloria ., (17, 5.22.24). Nella sezione successiva verrà presen­ tato l'« avvenimento » che la manifesta, cui tende tutta la narrazione. La manifestazione della gloria si esprimerà in termini di « visione • (1 9, 35). La sezione si divide in tre sequenze ben delimitate. La prima compren­ de i capitoli 13-14 e si conclude con l'invito a uscire che Gesù rivolge ai discepoli (14, 3 1 ) . La seconda comprende i capitoli 15-16, seconda parte dell'istruzione di Gesù ai suoi. La terza, costituita dal capitolo 17, contiene la preghiera di Gesù. La prima sequenza si può intitolare • La nuova comunità: fondazione e cammino Dopo l'introduzione ( 1 3 . 1 ) narra due episodi: la lavanda dei piedi ( 1 3 , 2-20) e il tradimento di Giuda (13, 2 1 -32), il cui significato prepara il comandamento nuovo di Gesù, carta di fondazione della nuova comunità 13, 33-35 ) . Al contenuto del comandamento si oppone l'atteggiamento di Pietro, cui Gesù annuncia i suoi rinnegamenti ( 13, 36-38) . Questa parte prosegue con un'istruzione di Gesù che espone la pratica dell'amore come itinerario della comunità, cioè la continua­ zione del suo esodo (14, 1- 14) . e la presenza del Padre e sua in questa comunità in cammino (14, 1 5-26). Si conclude con le parole di addio (14, 21-30) e l'invito a uscire dal luogo in cui si trovano (14, 3 1) , per seguirlo nell'esodo: egli apre il cammino: la meta è il Padre. Ha loro spiegato qual è il cammino che devono percorrere, ora li invita a passare attraverso il mondo dell'odio e della morte. •-

546

La

cena. La

nuova comunltll umaaa

La seconda sequenza si può denominare • La nuova comunità in mezzo al mondo », di qui la partenza simbolica ( 14, 3 1 ) . Di fatto, presenta l'istruzione ai discepoli per la loro missione in mezzo al mondo ostile. La comunità di Gesù si colloca in mezzo a tale mondo come il nuovo popolo di Dio ( 1 5 , l ss). L'amore è fecondo, per questo la crescita della comunità e l'aggregazione a essa di nuovi membri vengono concepite come • produrre frutto •. Condizione indispensabile per questo è l'u. nione a Gesù, centro da cui promana la vita (lo Spirito) (15, 1·6), con un amore che risponde al suo e stabilisce fra Gesù e i discepoli la relazione di amici (15, 7- 17). Come quella di Gesù, la missione della comunità si eserciterà in mezzo all'odio del mondo ( 1 5 , 18-25), ma in essa i discepoli saranno sostenuti dallo Spirito ( 1 5, 26-16, 15). Gesù parla del dolore e della gioia in mezzo alla durezza della missione, della sua assenza e presenza ( 16, 1 6-23a), e finisce assicurando loro l'amore del Padre e la sua vittoria sul mondo (16, 23b-33). La terza sequenza contiene la preghiera di Gesù, che include un'intro­ duzione (17, 1-5), una preghiera per la comunità presente (17, 6-19) e per la comunità del futuro (17, 20-23), concludendosi con il desilierio di Gesù che il Padre onori coloro che l'hanno riconosciuto, e con il proposito di portare a compimento la sua opera (17, 24-26) . La cena con i discepoli è in stretta relazione con quella descritta a Betania (12, 1-8), anche se la prospettiva è differente. Di fatto quella di Betania, nella sua prima parte ( 12, 1-3 ), descrive il risultato della vita comunicata da Gesù ai suoi, che sarà effetto della sua consegna alla morte. Vi si esprime l'amore dei discepoli per Gesù come riconoscenza per il suo dono. In questa cena, invece, si propone l'altro aspetto, quello dell'amore di Gesù per i suoi, che fonda l'amore espresso a Betania. t!. il servizio di Gesù ai suoi che permette l'omaggio e il servizio di questi a Gesù. Entrambe le scene presentano il traditore: a Betania si spiegava il fondamento del suo tradimento ( 12,6: era un ladro) , qui si descrive la sua decisione finale e la sua complicità con il Nemico. Questa sezione è in relazione anche con quella successiva (18, 1-19, 42). II passaggio di Gesù da questo mondo al Padre vi sarà simboleggiato fin da principio nel passaggio del torrente, abbandonando la città ( =.;. i l mondo), per entrare nella terra della vita e della libertà, simboleggiata dall'orto (18, l Lett.).

547

Prima sequenza · LA NUOVA COMUNITÀ: FONDAZIONE E CAMMINO

( 13, l - 1 4 , 3 1 )

Gv 13, 1-20: La lavanda dei piedi • Prima della festa di Pasqua, essendo Gesù cosciente che era giunta la sua ora, quella di passare da questo mondo al Padre, lui, che aveva amato i suoi che stavano in mezzo al mondo, dimostrò loro il suo amore fino all'estremo.

Mentre cenavano (il Nemico aveva già indotto Giuda di Simone 3 cosciente che il Padre aveva posto tutto nelle sue mani, e che da Dio procedeva e a Dio andava, • si alzò dalla mensa, depose il mantello e, prendendo un panno, se lo legò alla cintura. 5 Poi versò dell'acqua nel catino e si mise a lavare i piedi ai discepoli e ad asciugarli con il panno di cui si era cinto. l

Iscariota a consegnarlo),

6 Avvicinandosi a Simon Pietro, questi gli disse: - Signore, tu lavi i piedi a me? 7 Gesù gli replicò: - Ciò che io sto facendo, tu adesso non lo capisci, ma lo comprenderai entro breve tempo. e Gli disse Pietro: - Non mi laverai mai i piedi. Gli rispose Gesù: - Se non lasci che ti lavi, non hai nulla da spartire con me. 9 Simon Pietro gli disse: - Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e la testa. 10 Gesù gli rispose: - Colui che ha già fatto il bagno non ha bisogno che gli lavino altro che i piedi. t;. interamente pulito. Puliti siete anche voi, ma non tutti. 11 (Sapeva infatti chi stava per consegnarlo, per questo disse: c Non tutti siete puliti •). Il

Lavati loro i piedi, prese il suo mantello e si adagiò nuovamente a mensa. Allora disse loro: - Comprendete ciò che vi ho fatto? 13 Voi mi chiamate Maestro e Signore, e a ragione, perché lo sono. 1' Ebbene, se io, il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. 15 Vale a dire, vi lascio un esempio, perché come ho fatto io con voi, facciate voi pure. 16 Davvero vi assicuro: un servo non è da più del suo signore, né l'inviato da più di chi lo manda. 17 Lo capite? Ebbene, beati voi se fate questo. 1 1 Non lo dico per tutti voi, io so bene chi ho scelto, ma così si compie quel passo: • quello che mangia il pane con me mi ha fatto lo sgambetto ». 1 9 Ve lo dico già fin d'ora, prima che succeda, perché, quando succederà, crediate che io sono quello. 20 Davvero vi assicuro:

548

13, 1·20. La lavanda del piedi

chi riceve chiunque io manderò, ri ceve me, e chi riceve me, riceve colui che mi mandò.

NOTE FILOLOGICHE 13, l Per la particella d e. al principio della pericope, cfr. 2, 23; 4 , 4 ; S , 9b; I l , 1.5S. - Prima della festa di Pasqua. DI fatto si trattava del giorno precedente la Pasqua, ma dato che con il tramonto del sole aveva avuto inizio il giorno della preparazione, la prepos. pro non indica immediatezza particolare; cfr. I l , 55b, in cui prima della Pasqua indica un intervallo di almeno sei giorni (cfr. 12, 1). Il parallelismo è probabilmente intenzionale: in 1 1 , 55, la gente della campagna deve salire in anticipo a purificarsi ; in 13, IO, Gesù afferma che i suoi sono puliti (puri) e che non hanno bisogno di purificazione. Si può trattare di un'opposizione fra il rito giudaico e la fede in Gesù. - aveva amato ... dimostrò loro il suo amore. Ogni aor. ha il suo valore par· ticolare. Il primo, retrospettivo, è complessivo e abbraccia tutto il tempo precedente. Il secondo, che nel testo presente si riferisce a un futuro im· mediato, è manifestativo (cfr. 3, 16 e El Aspecto Verbal, nn. 91-93). - fino all'estremo/fine, gr. eis telos. Al tempo stesso temporale e intensivo. Fa riferimento al pf. tetelestai (19, 30), ultima parola di Gesù sulla croce. Cfr. D t 3 1 , 24: eis telos. 2 Mentre cenavano, gr. deipnou ginomenou. Senza articolo, non denota il pasto rituale di Pasqua. - il Nemico, gr. tou diabolou. Cfr. 3, 44a Lett. - aveva già indotto Giuda, gr. ede beblekotos eis tbt kardia11 Touda. Si adot· ta questa lettura variante, ben attestata, perché è quella che risponde al significato di bal/6 eis e a quanto esposto da Gv sul diabolos in 8, 44. La variante /oudas (nominativo), sebbene lectio difficilior e appoggiata da testimoni più antichi, deve essere respinta per due ragioni: a) la costruzione ba//6 eis suppone un termine esterno al soggetto (cfr. Gv 20, 25.27). Una frase simile appare soltanto in Nm 22, 38 LXX: co rema ho ean balé ho theos eis to storna mou, la parola che Dio ponga sulle mie labbra. L'agente è esterno. Quando invece si tratta di una decisione presa dal soggetto stesso, si usa tithemi eis rén kardian (MI 2, 2), epi tén k. (Dn 1, 8), en te k. (Le 21, 14; At S, 4), sempre con il possessivo, che manca nel testo di Gv. b) se si mantiene il nominativo e si traduce il Nemico aveva preso la decisione (equiparando ballo a tithémi e sottintendendo il possessivo), il .significato di ho diabolos sarebbe diverso da quello in 8, 44: Il è il padre • in opposizione al • Dio Padre •) che esprime desideri che l'uomo decide di realizzare (tas epithumias tou patros humon thelete poiein); non prende decisioni, ma ispira una condotta. Riassumendo: il significato di ballo eis, l'assenza di possessivo e l'indole del diabolos in Gv, inclinano la bilancia a favore della variante /ouda. - /scariota. Come in 6, 7 1 ; 13, 26, si applica più probabilmente a Simone che non a Giuda. •





3

procedeva, gr. exelthen. Aor. puntuale, cfr. 16, 27 nota.

4 si alzò. In gr. pres. st. - depose il mantello, gr. tithesin ta himatia. Pres. st. Unito a 13, 12, prese

549

L'ora

finale. La Pasqua del

Messia

(efaben) if mantetfo, è in parallelo con IO. 1 7: consegno (tithemr) fa mia vita e così la recupero (lab6). Il verbo ordinario per • togliersi il mantello » sa­ rebbe stato apotithemi. I parallelismi mostrano l'esistenza di un linguaggio simbolico (cfr. Lett.).

5 versò. Gr. pres. st. - si era cinto, gr. én die, ma una falsità e ingiustizia che egli non accetta (cfr. 5, 41 .44; 7, 18). L'unica grandezza è nell'essere come il Padre, dono totale e gratuito di se stesso {3, 1 6). Questa scena è parallela a quella di Betania (cfr. 12, ls). In entrambe le occasioni si tratta di una cena (12, 2; 13, 2). si menzionano « i piedi » 02, 3: di Gesù; 13, 5: dei discepoli). appare il verbo « asciugare • {12, 3; 13, 5); si contrappongono invece i verbi « ungere » (12, 3) e « lavare . (13. 5). In quella scena la comunità, rappresentata da Maria, . rendeva Qmaggio a Gesù (gli unse i piedi), esprimendogli il proprio amore (il profumo), che si estendeva all'intera comunità { 1 2, 3: la casa si riempì). Qui Gesù mostra il suo amore per i suoi con il proprio servizio. Così si corrispondono Gesù e il suo gruppo. Il servizio dei discepoli invece non si rivolgerà a Gesù: lo renderanno gli uni agli altri e ai poveri, come già fu annunciato nella scena di Betania (12, 8 Lett.). La lavanda dei piedi significa accettazione, ospitalità, accoglienza fra­ terna, come spiegherà Gesù (13, 20). L'amore fraterno si esprime in accoglienza, e questa a sua volta in servizio.

556

13, 1-211. La lavanda del piedi • •.

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,- .,

·

Resistenza di Pietro

6 Avvicina11dosi a Simon Pietro, questi gli disse: piedi a me? • .



Signore, tu lavi i

Stupore e protesta di Pietro. Lo chiama • Signore " • titolo di superiori­ tà, in contrasto con • lavare •. servizio di un inferiore. Il suo stupore e la sua protesta si esprimono in greco con la vicinanza e l'enfasi dei pronomi (su - mou). Pietro ha compreso che l'azione di Gesù inverte l'ordine ammesso di valori. Riconosce la differenza fra Gesù e lui e lo sottolinea per mostrare la sua disapprovazione. Interpreta il gesto in chiave di • umiltà "· Egli, come gli altri, considera Gesù un Messia che deve occupare il trono di Israele (cfr. 6, 1 5 ; 12, 1 3 ; 18, 10), per questo non accetta il suo servizio. Egli è suddito, non ammette l'uguaglianza. Si immagina il re­ gno messianico come una società simile a quella antica. Non compren­ de l'alternativa di Gesù. Mentre gli altri discepoli accettano il gesto di Gesù, Pietro si distingue da loro. 7 Gesù gli replicò: cCiò che io sto facendo, tu adesso non lo capisci, ma Io comprenderai entro breve tempo »,

Gesù non si meraviglia dell'incomprensione di Pietro - egli conosce coloro che ha scelto (13, 18) - ma quella di lavar loro i piedi era una prova di accoglienza e di affetto, e gli domanda di accettarla. Gli sta rivelando il modo in cui lui e il Padre Io amano, non a parole, ma con l'azione. Pietro finirà col capire, entro breve tempo. Questa espressione (cfr. nota) introdurrà la scena finale del vangelo ( 2 1 , l) ' · Sa

Gli disse Pietro:

c

Non mi laverai mai i piedi • -

Totale rifiuto di Pietro. Non accetta assolutamente che Gesù si abbassi: ognuno deve stare al proprio posto. Difendere il rango di un altro è difendere il proprio; non accettare il gesto di Gesù significa non essere disposto a comportarsi come lui. In questo passo, in cui Pietro si oppone all'azione di Gesù, l'evangelista Io designa, per la prima volta nella narrazione (cfr. l , 44), unicamente con il soprannome (Pietro) _ Comincia a delinearsi il significato che Gesù gli attribuiva nel suo primo incontro con lui ( 1 , 42 Lett.). Pietro conserva ancora i principi del • mondo •, crede che la disugua­ glianza sia legittima e necessaria. L'iniziativa di Gesù crea un gruppo di uguali; il leader abbandona il suo posto per rendersi uguale ai suoi; questo Io disorienta ed egli Io rifiuta. Come la moltitudine di Gerusa­ lemme, vuole che Gesù sia il capo (12, 1 3 il re di Israele); non accetta il 4

2 1 , l sarà l'unica volta in cui l'espressione meta tauta si troverà d'ora innanzi in scena in cui appare Pietro (cfr. 19, 38) , quando questi, dopo la sua ultima ini­ ziativa, che si conclude con un fallimento (21,3: ma quella notte non presero nulla) , comprende e accetta finalmente le esigenze di Gesù, e questi, per la prima volta, una

lo invita a seguirlo (2 1 , 1 9; cfr. 1 , 42 Lett.).

557

L'ora finale. La Pasqua del Messia

suo servizio, né, pertanto, la sua morte per lui (1 2, 34; 1 3 , 37). Aveva riconosciuto che le esigenze di Gesù comunicavano vita definitiva (6,68s}, ma quando giunge il momento dell'azione di Gesù, che interpre­ ta le sue parole, non l'accetta. Rimane nella mentalità di 6, 15, quando vollero fare re Gesù, sebbene questi si fosse messo al servizio della gente (6, I l ) 5• Non capisce cosa significhi l'amore, perciò non lascia che Gesù glielo manifesti. 8b Gli rispose Gesù : spartire con me » .



Se non lasci che ti lavi, non hai nulla da

Se non ammette l'uguaglianza. non può stare con Gesù. Bisogna accetta­ re che non ci siano capi, ma servitori (cfr. Mc 10, 45 parall.) : Gesù il Signore, è membro di una comunità che serve; chi rifiuta tale tratto distintivo del suo gruppo viene escluso dall'unione con Gesù, suo centro e fondamento. La sua minacciosa dichiarazione (se non ... non hai nulla da spartire con me) mostra la gravità dell'atteggiamento di Pietro. La mentalità di quest'ultimo è incompatibile con quella di Gesù; Pietro corre pericolo. Per lui l'azione di Gesù è intollerabile (cfr. 6, 60). e questi Io avvisa che si trova sull'orlo della defezione (cfr. 6, 66). 9 Simon Pietro gli disse: e la testa • ·



Signore, non solo i piedi, ma anche le ma11i

La reazione di Pietro mostra che egli aveva aderito personalmente a Gesù, pur senza comprenderne il modo d'agire. Pur di non separarsi da lui è disposto a fare quello che vuole, ma in quanto è volontà del capo, non per convinzione. Continua a essere un dipendente. Non comprende l'atteggiamento vitale che ispira l'azione di Gesù, e pertanto non potrà tradurlo in atteggiamento proprio. Si mostra disposto a obbedire, non a imitare. Dicendosi disposto a farsi lavare da Gesù le mani e la testa, Pietro pensa che il lavacro sia purificatorio. Se • non lasciarsi lavare • signifi· ca non essere accettato, deduce che il lavacro elimina qualche ostacolo, qualche impurità o mancanza, e che è condizione per essere ammesso da Gesù, come lo era la purificazione ebraica per avvicinarsi a Dio. Se dev'essere purificato da qualcosa, è disposto a sottoporvisi. Giudicava inammissibile l'azione come servizio; come rito religioso, vi si presta. Si tratterebbe in tal caso di un atto unico e individuale, come un rito di ammissione. Per quanto riguarda il Messia, anche su questo punto Pietro pensa in categorie giudaiche, come i discepoli di Giovanni, che interpretavano il suo battesimo, gesto simbolico di rottura con l'istituzione giudaica, in chiave di purificazione tradizionale (3, 25 Lett.). Si riflette qui l'appella­ tivo che Gesù aveva dato a Pietro nel suo primo colloquio: Simone, il figlio di Giovanni ( 1 , 42 Lett.). il discepolo di Giovanni che, come quelli di 3, 25, non vedeva la novità che questi annunciava. Ora che è riuscito a spiegarsi il gesto di Gesù in modo compatibile con i suoi principi, Pietro torna a chiamarlo • Signore •. titolo che aveva !

Cfr. Mc 8, 33 e parall.

558

13, 1-20. La lavanda del piedi

soppresso nella piedi).

sua

indignata reazione (13, 8: non mi laverai mai i

I Da Gesù gli rispose: • Colui che ha già fatto il bagrzo norz ha bisogno che gli lavino alrro che i piedi. È interamente pulito. Puliti siete arzche voi ». Che si trattasse di un servizio e non di un rito purificatorio era stato messo in chiaro dal gesto di Gesù (togliersi un mantello e cingersi un panno o grembiule, come un servo, 13, 4). Inoltre si purificavano ri· tualmente le mani, ma non esisteva un lavaggio rituale per lavare i piedi; la lavanda dei piedi apparteneva all'area del · servizio, degli usi domestici. Cosi aveva compreso Pietro nella sua prima reazione, e per questo protestò vedendo l'improprietà dell'azione di Gesù in relazione alla sua categoria di Maestro e Signore. Gesù corregge la seconda interpretazione di Pietro; non si tratta di un rito purificatorio, ma di un servizio, e come tale lo deve accettare. Il gesto mostra l'atteggiamento interiore di colui che lo esegue, mostra cioè che Gesù non si pone al di sopra dei suoi discepoli. Poco dopo li chiamerà amici { 1 5, 14) e, dopo la sua risurrezione, si riferirà a loro come ai suoi fratelli (20, 17). « Aver fatto il bagno • significa esser stato purificato ed essere intera­ mente pulito. Per Gesù, i discepoli sono puliti (puri), vale a dire che non si interpone alcun ostacolo fra loro e Dio; questi li accetta e li ama. L'unico motivo per cui l'uomo dispiace a Dio, e pertanto ne provoca la riprovazione, è il rifiuto a dar retta al Figlio, cioè la permanenza volontaria nella zona della tenebra (3, 36c Lett.) . I discepoli, al contra­ rio, sono già usciti dal « mondo » ingiusto (15, 19; cfr. 17, 6.14.16); l'appartenenza a esso è il peccato (8, 23 Lett.) che rende impuro l'uomo. Accettando il messaggio di Gesù essi hanno abbandonato « il mondo » e sono divenuti puri (15, 3); l'opzione fu espressa da Simon Pietro in 6, 68: Signore, corz chi ce rze andremo? Le tue esigenze comunicano vita definitiva, anche se di fatto non ne ha tratto le conseguenze. Il termine « puliti » ( == puri) mette questa scena in relazione con quella di Cana, in cui si menzionavano le purificazioni dei giudei (2, 6). La necessità di purificazione, caratteristica della religione giudaica, signifi­ cava la precarietà del rapporto con Dio, interrotto da qualunque con­ taminazione legale. In quell'occasione Gesù aveva annunciato la fine delle purificazioni e della Legge stessa. Esclude ora ogni . significato purificatorio del suo gesto, perché l'opzione per lui · ha purificato definitivamente i suoi. Un discepolo ha bisogno soltanto che gli lavino i piedi. cioè che gli mostrino l'amore, dandogli dignità e libertà. Le antiche purifìcazioni erano testimonianze della coscienza di peccato, di separazione da Dio. Nella comunità di Gesù il rapporto con Dio è assicurato, Dio è con loro (colui che ha già fatto il bagno). Ormai non esistono impurità rituali o legali, eccetto la complicità con un ordina­ mento ingiusto. 10b- l l « ma rzon tutti ». (Sapeva infatti chi stava per consegnarlo, per questo disse: « Non tutti siete puliti »). 559

L'ora finale. La Pasqua del Messia

In questo stato di purezza c'è tuffàvia un'eccezione. C'è ·uno che si oppone a Gesù, perché non ne condivide i valori né il programma. Chi rifiuta di dare la propria adesione a Gesù è separato da Dio. t> cessata l'antica purezza legale, che si perdeva per il contatto con oggetti o per funzioni naturali. L'atteggiamento nei confronti dell'uomo, rappresenta­ to da Gesù, determina la situazione nei confronti di Dio. Giuda, anche se Gesù gli ha lavato i piedi, non è pulito. Questo indica nuovamente che la lavanda non significava purificazione; la pulizia o la non pulizia precedevano l'azione di Gesù, e questa non ha cambiato la situazione. Gesù, tuttavia, non ha escluso Giuda dalla sua accoglienza né dal suo amore. Gli ha dato la stessa dimostrazione che ha dato agli altri, anche se ben cosciente del tradimento che egli prepara. Le sue parole: ma non tutti, avvisano il traditore che egli conosce il suo atteggiamento.

Istruzione 1 2 Lavati loro i piedi prese il suo mantello e si adagiò nuovamente a mensa. Allora disse loro: c Comprendete ciò che vi ho fatto? •·

Con la prima frase Gv chiude chiaramente il quadro dell'azione prece­ dente (13, 4: si alzò dalla mensa, depose il mantello e, prendendo un panno, se lo legò alla cintura; 13, 12: prese il suo mantello e si adagiò nuovamente a mensa), che ha il significato di testamento-comandamen­ to. Come si vede dal parallelo fra il principio e la fine (13, 4.12), Gesù, tornando alla mensa, non si toglie il grembiule, segno del suo servizio, che culminerà nella morte e continuerà per sempre (3, 5 Lett.). D'altra pane, tornando alla posizione di uomo libero (si adagiò nuova­ mente a mensa) con indosso il grembiule, mostra che il servizio prestato per amore non diminuisce la libertà né la dignità dell'uomo. Si integra ora nel gruppo di eguali che ha creato con il suo gesto. Li ha resi liberi (signori), ma non ha cessato di essere lui libero e signore. Con la sua domanda: compre11dete ciò che vi ho fatto?, vuole evitare che il suo gesto venga interpretato erroneamente, come un semplice atto di umiltà. La frase di Gesù (letter.: ciò che vi ho lasciato fatto, cfr. nota), indica in primo luogo l'intenzione di Gesù di dare alla sua azione validità. permanente per i suoi; ma al tempo stesso, nella prospettiva della comunità, lasciare il ricordo di un'azione che permane e resta in vigore al suo interno. 13 « Voi mi chiamate Maestro e Signore, sono •.

e a

ragione, perché lo

Non si permetteva ai discepoli di chiamare per nome il maestro. Gli si rivolgevano con il titolo di Maestro (Rabbi; cfr. l , 38) o con quello di Signore (Mar) 6• Pietro lo ha appena chiamato due volte • Signore • (13, 6.9). Esiste una differenza fra Gesù e i suoi discepoli; tutti ne sono coscienti. Gesù lo ricorda loro per far comprendere in cosa consista •

S . . B. II, 558.

560

13, 1-20. La Javauda del piedi

veramente essere ··m11iestro e signore. Prima di tutto nella sua comunità la di fferenza non crea rango; le doti o runzioni non giustificano alcuna superiorità. Lui, il Maestro e il Signore, li ha collocati al suo stesso livello. Li rende uguali e li tratta da uguali. Non c'è altra funzione oltre a que\}e richieste dall 'efficacia dell 'amore vicendevole, e queste non eclissano mai la relazione personale di fratelli (20, 1 7 ; 2 1 , 23). 14 voi

" Ebbene, .te io, il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri •.

Gesù cambia l'ordine dei titoli indicandone l 'equivalenza. L'uno e l'altro si davano ai maestri, ma Gesù è riconosciuto dai suoi anche come Messia, il che dà al titolo di Signore un contenuto particolare. Egli tuttavia li equipara. Davanti a Pilato definisce la sua missione di re • rendere testimonianza a favore della verità • ( 1 8, 37). In quanto Mes­ sia pertanto non è un potente né un dominatore. Al contrario, la sua azione mostra che amare gli altri è l'unico significato di signore e maestro. Gesù certamente è Signore, ma lo è in quanto comunica il suo Spirito, l'amore del Padre, che fa nascere da Dio, e identifica con Gesù per la libera spontaneità dell'amore. Non è signore per imposizione alcuna. Per questo la sua sequela è un assimilare lui (6, 53ss: mangiare la sua carne), non un'obbedienza (15, 15). La sua condizione di signore non sopprime la libertà ma la esalta, dando la possibilità di esprimere pienamente con l'amore la vita che si possiede. Con la sua azione Gesù ha loro mostrato il suo atteggiamento interiore, quello di un amore che non esclude nessuno, neppure colui che sta per consegnarlo. Se Io chiamano signore, devono identificarsi con lui; se lo chiamano maestro devono apprendere da lui. I suoi devono agire come agisce lui. Gesù è maestro perché col suo gesto, che preludeva alla sua morte (15, 13), fa far loro l'esperienza di essere amati, e cosi insegna ad amare con un amore che risponde al suo {1, 16). Questa esperienza fa conosce­ re Dio come Padre. Chi accetta l 'amore di Dio, attivo in quello dei fratelli, accetta e riceve Io Spirito, e con esso la capacità di corrispon­ dere a questo amore. Così si esercita la signoria di Dio, che è quella di Gesi1, come una forza che, dall'interno, porta l'uomo all'espansione. Non accaparra, ma svi­ luppa. li un principio di vita che trasforma rendendo simile a lui; è punto d'arrivo di una somiglianza, che apre un orizzonte se111pre più vasto. 15 • Vale a dire, vi lascio un esempio, perché come facciate voi pure • .

/w

fatto io con voi,

Gesù non lesina i termini per esplicitare la sua esigenza. Essi devono imitare lui. Quello che ha appena compiuto non è un gesto transitorio, ma una norma valida per ogni tempo. t; un servizio che nessuno impone; non nasce dal senso del dovere, ma dalla spontaneità dell'amo­ re comunicato dallo Spirito. Espone così il contenuto del suo coman­ damento, la legge di fondazione della nuova comunità, che esprimerà 561

L'ora finale. u Pasqua del Meula

con tma frase parallela: come io vi ho amati, cosi amatevi anche voi gli

uni gli altri (13, 34).

Avvisi: fedeltà, tradimento, frutto 16 • Dawero vi assicuro: un servo non è da più del suo signore, né l'inviato da più di chi lo manda • .

Gesù cita u n proverbio ben noto, l a cui forma più usuale si trova in Mt

10, 25: basta al discepolo essere come il suo maestro, e al servo come il suo signore 7• Non che Gesù chiami servi i suoi discepoli ( 15, 13) proprio quando, con l a lavanda dei piedi, ha dato loro la categoria di uguali: usa il proverbio soltanto per indicare l'arroganza e la irrespon sabilità che supporrebbe l'allontanarsi dal suo esempio.

­

17

«

Lo

capite? Ebbene, beati voi se fate q1�esto

•.

Pietro non lo capiva ( 1 3 , 7). Dopo aver spiegato il significato del suo gesto (13, 12- 1 5) e dato l'avvenenza che non permette nessuna scappa­ toia (13, 16), Gesù include Pietro nella sua domanda. Non basta a Gesù l 'adesione di principio (cfr. 8, 3 1 ) , richiede la pratica del suo messaggio, traducendo gli atteggiamenti interiori in modi di comportarsi. Esprime la sua esigenza sotto forma di beatitudine: beati voi se lo fate. Nell'amore è la pienezza di vita, ed egli vuole che i suoi discepoli lo capiscano. Dissipa il miraggio di felicità proposto dal potere. Non si è felici dominando, ma amando; non essendo superiori, ma uguali. La vera felicità nasce dall'esperienza dell 'amore in una comunità di fratelli. Questa beati tudine prepara quella che Gesù pronuncerà nel suo rim­ provero a Tommaso (20, 29: beati coloro che, senza aver visto, giungono a credere). La pratica dell 'amore vicendevole darà ai discepoli l'espe­ rienza dell 'amore di Gesù vivo e presente. Questo è il vero fondamento della fede, non un'esperienza straordinaria come quella che chiedeva Tommaso (20, 29 Lett.).

18 • Non lo dico per tutti vo1, 10 so bene chi ho scelto, ma cosl si compie quel passo: "quello che mangia il pane con me mi ha fatto lo sgambetto" •· Gesù sa che tra i suoi vi è chi non è disposto a mettere in atto il messaggio di uguaglianza e di amore che ha appena trasmesso loro. C'è chi non è pulito (13, I l ) . La menzione del traditore in questo momento mostra il rovescio della felicità che egli promette, e sottolinea l'impor­ tanza e la serietà dell'avviso precedente. Parlando dell'elezione ricorda il detto di 6, 70s: Non sono stato io a scegliere voi, i Dodici? TuttaviJJ

tra voi c'è uno che è nemico. Si riferiva a Giuda di Simone Iscariota. che infatti, pur essendo uno dei Dodici, lo stava per tradire. Gesù conosce coloro che sono stati oggetto della sua elezione. Egli non ' s. - a. r. sn.

562

13, 1-211 . La lavanda del piedi

res p inge nessuno · che gli si avvfcini cercando vita (6, 37), anche se ha un'idea errata di quello che cerca. In questo momento tuttavia le posizioni si chiariscono. L'esempio di amore nel servizio che egli ha loro dato discriminerà gli atteggiamenti. Fra i discepoli si trova il caso estremo, Giuda, cui Gesù sta per offrire l'ultima opportunità. • Quello che mangia il pane con me ... ». Gv adatta al contesto del vangelo il testo del Sal 4 1 , 1 0 : anche l'amico in cui confidavo, anche lui, elle mangiava il mio pane, è il primo a tradirmi. C'è una chiara allusione a 6, 58: chi mm1gia questo pane vivrà per sempre (cfr. nota), Gesù non dice però che Giuda mangia il suo pane, ma che mangia il pane con lui. L'eucarestia è difatti un segno con un suo significato: il segno è il pasto in comune dei fratelli; il significato è la comunione fraterna che ha come centro e fonte Gesù, cioè l'amicizia dei membri della comunità ( 1 5 , 1 3 . 1 5 : amici) e l'impegno con Gesù, l'assimilazione della sua vita e morte. Giuda è rimasto al livello formale del segno, la partecipazione alla stessa mensa, ma ha tradito l'amicizia e non ha seguito Gesù. Più tardi Gesù gli offrirà il suo pane (13, 26s), ultimo invito a seguirlo, e questo lo spingerà a consumare il suo tradimento. Il passo riflette la situazione delle comunità. Vi è chi esternamente appartiene alla comunità e partecipa all'eucarestia, ma non segue la linea tracciata da Gesù. 19 • Ve lo dico già fin d o ra, prima che succeda, perché, quando suc­ cederà, crediate che io sono quello •'

La sua predizione ha uno scopo. Quando giungerà la sua morte, essi vedranno che egli l'aveva accettata volontariamente. Come in altre occa­ sioni, la frase ellittica • io sono • (8, 24.28; cfr. l , 20; 4, 26) si riferisce alla totalità della sua missione come Messia ( l , 20 Lett.), l'inviato, salvatore. liberatore (8, 12: la luce del mondo), il Figlio di Dio ( l , 34), la presenza del Padre fra gli uomini ( 1 , 5 1 ; 12, 45; cfr. 14, 9). 20 • Davvero vi assicuro : Chi riceve chiunque io manderò, riceve me, e chi riceve me, riceve colui che mi mandò •. Secondo detto solenne di Gesù, in parallelo con il primo ( 1 3 , 1 6-17), che conclude la pericope. II primo si riferiva ai discepoli che devono seguire il suo esempio; il secondo a chiunque riceve il discepolo che egli invierà: il primo, a Gesù maestro; il secondo, all'umanità dinanzi al suo messaggio. Questo detto raccoglie la seconda opposizione contenuta nel proverbio citato da Gesù ( 1 3, 1 6 : servo-signore; inviato-inviante). Egli li considera come inviati, con una missione uguale alla sua (17, 1 8 : come tu hai invia­ to me nel mondo, così io ho inviato nel mondo loro; 20, 2 1 : come il Padre mi ha inviato, così anch'io mando voi). Tuttavia, il detto si riferisce direttamente a coloro che accolgono l'inviato. C'è un parallelo con l , 1 2 : a quanti la accettarono, diede capaci­ tà di diventare figli di Dio. Ricevere lui è lo stesso che ricevere un suo inviato. I discepoli avranno la stessa missione ed efficacia di Gesù (cfr. 14, 12). Ricevere l'inviato significa accet!arne il messaggio, e i discepoli, nella 563

L'ora

finale.

La Pasqua

del

Messia

loro missione, faranno la stessa cosa che ha fatto Gesù, dare dignità e libertà agli uomini; i loro titoli saranno l'amore e il servizio, annun­ ciando con le opere la nuova fraternità e la nuova accoglienza umana, manifestando l'amore di Gesù e quello del Padre. Quanti l'accetteranno entreranno nell'ambito dell 'amore del Padre, e Gesù comunicherà loro lo Spirito, mettendoli nelle condizioni di diventare figli di Dio. Sebbene Gesù non la esprima in questi termini, la seconda dichiarazio­ ne si potrebbe formulare come la prima: " beato chi riceve voi che gli portate questo messaggio " · I discepoli, per la loro pratica dell'amo­ re nel servizio, saranno figli di Dio, altrettanto sarà di quanti ricevono tali messaggeri. L'amore è l'unico modo per dare vita all'umanità; esso crea la nuova comunità umana.

SI NTESI Nell'episodio della lavanda dei piedi Gesù spiega con il suo gesto il fondamento della sua comunità: l'uguaglianza e la libertà sono il frutto dell 'amore vicendevole. Offre il modello della vera grandezza, che non si fonda sull'onore umano (5, 4 1 ) ma sulla somiglianza con Dio. Essere grande consiste nell'avere la gloria che viene da Dio solo (5, 44) , e che si identifica con il suo amore ( 1 , 14). In questo episodio Gesù risponde al desiderio di farlo re, che i suoi discepoli espressero in 6, 15 ed egli rifiutò. Rendendosi servitore mostra loro che la sua regalità non segue il modello di questo mondo

(18, 36) . Non si tratta di un atto di umiltà di Gesù, ma di un profondo e decisivo insegnamento. L'umiltà viene interpretata come una rinuncia a valori reali per altri più elevati; di fatto, consolida i falsi valori. Gesù va al di là. Nega validità a quelli che il mondo chiama valori: sono falsità e ingiustizie. I suoi, egli li eleva alla sua stessa categoria, quella di figli di Dio; non c'è rango più alto di questo; inoltre, questa è l'unica vera dignità dell'uomo. Ma essere figlio di Dio è inseparabile dall'essere pienamente uomo, perché la gloria di Dio, l'espressione del suo amore. è che l'uomo giunga a realizzare pienamente il suo progetto creatore. Rendendoli figli dell'unico Padre, Gesù fonda l'uguaglianza umana; la categoria di figlio dà la libertà all'uomo, che cessa di essere servo. Gesù è la presenza di Dio fra gli uomini. Le sue azioni sorto quelle del Padre (IO, 37). Prestando servizio ai discepoli esprime al tempo stesso il suo amore e quello del Padre. Il Padre si mette, con Gesù, al servi�io dell 'uomo. Da questo momento, Dio non è più un essere lontano, il sovrano celeste che guarda l'uomo dall'alto. Al contrario, è colui che vuole mostrare il suo amore innalzando l'uomo fino a se stesso. L'idea di un Dio sovrano, col suo trono nel cielo, fonda il paradigma delle grandezze umane. I più potenti fra gli uomini sono quelli che gli somigliano di più. Sono l'immagine del Dio che schiavizza. Quando invece Dio è uomo e si pone a servizio dell 'uomo (lavanda dei piedi), la più esatta copia di Dio è colui che serve (cfr. Mt 1 8 , 1-5 ; 20, 25-28; Mc 9, 33-37; 10, 42-45; Le 9, 46-48; 22, 24-27). Con Gesù, Dio ha lasciato il suo

564

13, 1-20. La lavanda del piedi

trono, si manifesta eome amore senza limite, che accompagna l'uomo nella sua esistenza ( 1 4 , 23). Il modo di somigliare al Dio geloso della propria trascendcnza è rendersi in qualche modo trascendente attraverso la fama e il potere. Invece il modo di somigliare al Padre è amare fino alla fine, darsi totalmente per il bene dell'uomo, come Gesù (14, 6: io sono il cammi­ no ... nessuno si avvicina al Padre se non per mio mezzo). Il Padre, che è puro dono di sé, non ha bisogno di culto né lo richiede; il culto a lui si identifica con il servizio all'uomo, con l'amore leale (4, 23) , che sarà l'unico comandamento (13, 34). Per questo Gesù sopprime le categorie religiose dei templi e dei sacrifici (2, 13ss; 4, 21ss). Gesù effettua un'inversione totale della concezione tradizionale di Dio, e di conseguenza della sua relazione con l'uomo e degli uomini fra loro. I l padre, che non esercita dominio ma comunica vita e amore, non legittima alcun potere né dominio. In Gesù, Dio ha recuperato il suo vero volto, deformato dall'uomo. Questi aveva proiettato su di lui le proprie ambizioni, timori, interessi e crudeltà. Gesù mostra che Dio è Padre e che si impegna a favore della sua opera, la creazione, per condurla alla pienezza; rifiuta e combatte tutto ciò che cerca di distruggerla.

565

Gv 13, 21-32: Il traditore 21

Detto questo, turbato, Gesù dichiarò: - Davvero vi assicuro che uno di voi sta per consegnarmi. 22 I discepoli si guardavano gli uni gli a l t r i senza potersi spiegare di chi lo dicesse. 2 3 Uno dei suoi discepoli era ad agi a to accanto a Gesù; era quello che Gesù amava. 2' Simon Pietro gli fece cenno d i indagare a chi potesse riferirsi. 25 A l lora , reclinandosi senz'altro sul petto di Gesù, gli chiese: - Si gn ore , chi è? 2 6 Gesù ri s po se: - t quello per cui io intingerò il boccone, e al quale sto per darlo.

In tingendo quindi il boccone, lo diede a Simone Iscariota. 27 E in quel momento, do po il boccone, Satana entrò in lui. Perciò Gesù gli disse:

- Ciò che intendi fare, fallo subito. 2e Nessuno dei commensali si rese conto del perché gli dicesse questo. l'l (Alcuni pensavano che, siccome Giuda teneva la borsa, Gesù gli dicesse: • Compra ciò di cui abbiamo bisogno per la festa », o di dare qualcosa ai poveri). 30 Egli prese il boccone e subito usci; era notte. 3 1 Quando usci, Gesù disse: - Or ora si è manifestata la gloria dell'Uomo e così la gloria di Dio si è manifestata in lui; n e Dio manifesterà la sua gloria in lui, e la manifesterà molto presto . .

NOTE FILOLOGICHE 1 3 , 21 turbato, gr. etarakhth� t 6 pneumati. Pneuma denota un atto int� riore, in questo caso sentimento, che produce l'agitazione o turbamento. T6 pneumati si aggiunge al verbo per indicare che l'agitazione non provie­ ne da causa esterna, cfr. Mc 2, 8; 8, 12. La comparazione di Gv I l , 33 e 38 ha mostrato l'equivalenza fra t6 pneumati e en heaut6. La relazione pro­ viene dall'interno di Gesù, dimora dello Spirito. - dichiarò, gr. marture6. In senso non giudiziario. 22 senza potersi spiegare, gr. aporoumenoi. - lo dicesse. Gr. pres. in costruzione di discorso diretto.

accanto a Gesù, gr. en t6 kolp6. Si paragonino l, 18: eis ton kolpon tou patros e 13, 23: en t6 kolp6 tou lésou. Kolpos designa la parte anteriore del tronco, lo spazio fra le braccia. Corrisponde approssimatamente all 'it. grembo. Ma la frase si utilizza nel significato di • essere vicino a una per­ sona, davanti •. in opposizione a • di spalle • ; vale a dire, di fronte a, se è dinamico (eis); davanti a, se statico (en). A tavola, tuttavia, designa il posto d'onore, il primo dopo colui che presiede, e quest a sfumatura ri­ sulta meglio con la traduzione accanto a. Data la posizione che si adottava a tavola, reclinati e appoggiati sul gomito

23

566

13, Zl-3Z. D traditore

sinistro, il corpo risultava leggermente volto a sinistra; un commensale si trovava così davanti il commensale principale e un altro alle sue spalle. Essendo i divani collocati obliquamente rispetto alla tavola, la testa di quello che era davanti si trovava all'altezza del petto di colui che era al centro. Così si spiega il gesto del v. 25. 25

gli chiese, gr. /egei. Pres. st.

rispose. Gr. pres. st. - in cingerò ... /ncingendo. In gr. il verbo bapco proviene dalla slcssa radice di baptizo, baptisma. - lo diede. Gr. prcs. st. L'inserzione di lambanei kai è attestata peggio che non

26

la sua omissione. Rinforza il carattere eucaristico del boccone che Gesù offre a Giuda. Cfr. M t 26, 26; Mc 14, 22; Le 22 1 9 ; l Cor I l , 23, anche se in questi passi si intercala la benedizione o azione di grazie fra prendere e dare. In ogni modo, è chiaro che Gesù offre a Giuda il suo corpo e il suo sangue. ,

27 gli disse. Gr. pres. st. - Ciò che intendi fare, gr. ho poieis. Pres. in luogo del futuro prossimo. 29 (Alcuni . ..), gr. gar. parentetico. Cfr. 3, 24; 4, 8; 6, 64. La particella oun nel v. 30 indica che la narrazione si riprende dopo la parentesi. 31-32 L'unione di questi due vv. con la scena precedente è marcata dalla formula ho/e oun exelthen, perfetto parallelismo con !3, 12: ho/e oun enipsen. Ciascuna si riferisce a un verbo precedente: 13, 30, exelchen; 13, 5, erxaco niptein, ed entrambi contengono una spiegazione dell'episodio che precede. Il v. 32 è inoltre separato dal v. 33 per il cambiamento dalla terza alla seconda persona (vocativo: teknia, ecc.). Questo stabilisce la delimi­ tazione della pericope. - Or ora si è manifestata, gr. nun edoxasthe. La costruzione nun con l'aori­ sto indica anteriorità immediata, come in it. le perifrasi • or ora, comin­ ciare a •. cfr. 21, lO; M t 26, 65; A t 7, 52. Tuttavia si conserva • ora • nella traduzione, per non- perdere la connessione stabilita con • l'ora • (13, 1). Il verbo doxazo, come d'ordinario in Gv, è manifestativo (7, 39 nota). Si noti la differenza fra voce medio-passiva nella prima parte (v. 31), e attiva nella seconda (v. 32). Nel v. 3 1 l'Uomo non è soggetto agente e rimane in primo piano la manifestazione della gloria; nel v. 32 invece è Dio il soggetto agente. Come è noto, nella lingua ellenistica si usa la formula non aspirata auton in luogo di quella aspirata hautonjheauton, cfr. Gv l , 29; 2, 24; 20, IO (Aland, NT, ed. 2• e 3•); inoltre, Mc 9. 16; Le 23, 12; l Gv 5, IO, ecc. La forma attiva del futuro (v. 32) è quindi in parallelo con quella medio-passiva del v. 31b. - e così la gloria di Dio, gr. kai lro cheos edoxasthe en autò. La partic. kai è consecutiva. per l'identità tra l'una e l'altra gloria. L'omissione di !3, 32a, ei ho Theos edoxasthe en auto, ripetizione di 13. 3lb. è attestata meglio che non la sua inclusione.

CONTEN UTO E D IVISIONE 11 tradimento cui Gesù aveva fatto allusione nella pericope precedente (!3, 1 1.18). adesso si consuma. Gesù annuncia ormai chiaramente che uno dei presenti sta per tradirlo. Il suo proposito non è tuttavia denunciarlo

567

L'ora finale. u Pasqua del Muela

pubblicamente, ma offrirgli l'ul tima possibilità di tornare indietro e aderire a lui. Il tentativo di Gesù fallisce: Giuda si ostina e decide di compiere l'ultimo passo. Gesù accetta il tradimento e interpreta il fatto. Comincia con la dichiarazione emozionata di Gesù sul tradimento imminen· te, dichiarazione che lascia sconcertati i discepoli (13, 21-22). Simon Pietro chiede al discepolo cui Gesù vuole bene di domandargli chi sarà il tradi· tore, e Gesù gli indica il modo per identificarlo (13, 23-26a). In segno di amicizia offre a Giuda un boccone di pane, ma l'effetto è controproducente. I discepoli rimangono disorientati e Giuda esce (13, 26b-30). Gesù interpreta l'accaduto (13, 31-32). u pericope, anche se più breve, possiede una struttura simile a quel la della precedente. Dopo l'episodio, Gesù ne propone la spiegazione. Si può dividere così: 13, 21-22: 13, 2J.26a: 13, 26b-30: 13, 31-32:

Annuncio del tradimento. Domanda a Gesù sull'identità del traditore. Gesto di Gesù e partenza di Giuda. Interpretazione di Gesù.

LETIURA Annuncio del tradimento 13, 21 Detto questo, turbato, Gesù dichiarò: uno di voi sta per consegnarmi •.



Davvero vi assicuro che

Si mette l'accento su uno di voi, frase che, con leggere varianti, è già apparsa tre volte riferita a Giuda (6, 70: tra di voi c'è uno che � nemico; 6, 71 : pur essendo uno dei Dodici, lo stava per tradire; 12, 4: uno dei suoi discepoli). Questa dichiarazione di Gesù mette la parola fine agli annunci precedenti; il tradimento sta per essere consumato. Vedendo che uno dei suoi si condanna da solo alla rovina e alla morte, ostinato nella sua cattiva scelta, Gesù rabbrividisce. u sua vita corre un pericolo immediato; ma soprattutto, colui che sempre aveva amato i suoi e sta per dimostrar loro il suo amore fino all'estremo (13, 1), prova orrore percependo l'odio che Giuda gli oppone. Con il traditore fallisce la sua opera di salvezza. Tutto lo sforzo del suo amore rimane inutilizzato, perché quest'uomo non lo accetta. Gesù s i era sentito fortemente agitato alla prospettiva della sua morte (12, 27) . ora invece ha già annunciato la sua morte volontaria nella lavanda dei piedi. È la morte di Giuda che lo turba. u frase sta per consegnarmi indica la duplice tragedia: quella di Gesù e quella di Giuda. 22 l discepoli si guardavano gli uni gli altri senza potersi spiegare di chi lo dicesse. Gesù ha avuto sempre coscienza della mancanza di adesione di Giuda, che, nascostamente, è sempre stato contro di lui (6. 64.7 1 ) . Ma è la prima volta che annuncia chiaramente il tradimento, dopo le allusioni

568

13, 21-32. Il

traditore

merlo esplicite dell'episodio precedente. Coglie di sorflresa i discepoli; la sua dichiarazione provoca in loro inquietudine e crea un sospetto diffuso.

Domanda a Gesù sull'identità del traditore 23 Uno dei suoi discepoli era adagiato accanto a Gesù; era quello che Gesù amava. Secondo i costumi del tempo, nei pasti solenni si mangiava reclinati su divani, appoggiandosi sul gomito sinistro; il corpo restava quindi legger­ mente rivolto verso sinistra. Il luogo più vicino e intimo rispetto a un commensale era quello che nella mensa si trovava a destra (cfr. nota), e questo posto lo occupava il discepolo cui Gesù voleva bene. Si menziona per la prima volta questo discepolo, che non avrà mai no­ me (Gv 19, 26; 20, 2; 2 1 , 7.20). Viene caratterizzato con la stessa espressio­ ne usata per Marta, sua sorella e Lazzaro ( 1 1 , 5: Gesù voleva bene a Marta, ecc.), che rappresentavano una comunità di Gesù. La frase che Gv adopera per indicare il posto che occupava accanto a Gesù è in relazione con l , 1 8 in cui si dice che Gesù si rivolge all'intimo del Pa­ dre (cfr. nota). Esiste pertanto una somiglianza di rapporti, fra Gesù e il Padre da un Iato, e fra questo discepolo e Gesù dall'altro (cfr. IO, 14s: conosco le mie e le mie conoscono me, come il Padre cono­ sce me e io conosco il Padre), la somiglianza data dall'intimità e dalla confidenza. La relazione fra i due testi viene illustrata anche da 14, 20: io sono in mio Padre, voi in me e io in voi. L'identificazione del discepolo con Gesù si esprime attraverso il posto che occupa; quella di Gesù con il discepolo, attraverso l'amore che Gesù ha per lui. I l discepolo rimane nell'amore di Gesù (15, 9). Occupare il posto accanto a Gesù è la situazione tipica del discepolo, e la vicinanza è dovuta al sentirsi amato da lui; si potrebbe definire come un rapporto di intenso affetto vicendevole che produce una speciale sensibilità. Tale discepolo è il confidente di Gesù, cui questi non occulta i suoi segreti, perché l'altro è capace di percepirli. La figura di questo discepolo si contrap­ pone a quella di Simon Pietro (cfr. 1 8, 1 5 ; 20, 2ss; 2 1 , 7.20-23) . Accetta l'amore di Gesù e gli risponde con la sua vicinanza. Pietro, invece, non lo ha accettato nella lavanda dei piedi. Il discepolo sembra incarnare la comunità nella figura dell'amico di Gesù ( 1 5 , 13.15). Il suo amore penetra i segreti di Gesù e gli dà una intima sensibilità per • scoprire • la presenza del Signore (21 . 7). Perciò in questa scena, sorprendentemente, non vi sarà alcuna delazione del traditore, identificato dal discepolo che ama: ma, poiché Io ama, non lo denuncia. Questo discepolo, figura della comunità come un « altro , Gesù, riappa­ rirà in 1 8 , 1 5 , dove entrerà con Gesù nell'atrio del sommo sacerdote (18, 15b Lett.). 24-25 Simon Pietro gli fece cenno di indagare a chi pstesse riferirsi. Allora, rec/inandosi senz.'altro sul petto di Gesù, gli chiese: • Signore, chi è? » . 569

L'ora finale. La Pasqua del Mes1la

II discepolo si può permettere un gesto di · totale intimità e, chinandosi indietro, si appoggia sul petto di Gesù e lo interroga senza perifrasi. Fra lui e Gesù non ci sono barriere. Pietro, invece, non può prendere l'inizia tiva e porre la domanda: non sta accanto a Gesù, non compren­ de il suo amore né accetta di essere amato ( 1 3 , 8). La barriera che lo separa appa rirà in 2 1 , 1 5 : mi ami più di costoro? ( ib id. Lett.). Come il discepolo che Gesù amava, stando accanto a Gesù, conosce Gesù e il Padre, così Pietro non li conosce. Può arrivare fino a Gesù soltanto attraverso l'altro, così come non lo riconoscerà se non dietro sua indicazione (2 1 , 7). Gesù rispose: sto per darlo •-

26a



E

quello per cui io intingerò il boccone, e al quale

Nella lavanda dei piedi, Gv ha presentato solennemente il comandamen­ to nuovo, caratteristico della nuova comunità. Ora, con questo gesto di Gesù, avverte che l'amore non soltanto non esclude nessuno, ma inclu­ de persino lo stesso nemico mortale, e che ci si deve dare anche a lui senza misura. Il gesto di Gesù non suppone alcuna delazione. Per far conoscere il nemico, Gesù compie verso di lui un gesto d'amore che non solo non lo denuncia, ma lo protegge dall'at teggiamento inquisitore dei discepoli. Quest'atteggiamento verso il traditore diventa norma della comunità. La risposta di Gesù non rivela il nome del traditore né lo indica; non vuole denunciarlo alla presenza di tutti. Rivela chi è soltanto a questo discepolo, con un gesto che significherà al tempo stesso accettazione. Gesù continua la sua lezione: ha detto che bisogna accettarsi vicende­ volmente ( 1 3 , 14 ) e ora indica fino a che punto. Egli non rompe con colui che sta per tradirlo rendendosi strumento della sua morte: non è venuto a giudicare, ma a salvare (12, 47). Con il pane, offre la sua accoglienza fino all'ultimo momento, sta offrendo se stesso; offre la sua amicizia fino alla fine. Porgere a un commensale un boccone di pane intinto nella salsa, o un boccone di alimento, era segno di deferenza.

Gesto di Gesù e partenza di Giuda 26b

lntingendo, quindi il boccone lo diede a Sjmone Iscariota.

La quadruplice ripetizione del boccone (26 bis 27.30) ne mostra l'impor­ tanza nel passo e annuncia un linguaggio simbolico. Non si specifica di cosa sia, giocando con l'ambiguità pane/carne, né in cosa lo intinga. creando un'altra ambiguità salsa/sangue. L'uso del verbo • intingere analogo a bat tezza t � bagnare (cfr. nota), insinua l'idea della carne bagnata nel sangue. Ciò che Gesù offre a Giuda è la sua stessa persona. disposta ad accettare la morte. Mangiare la sua carne e il suo sangue unisce a lui (6, 56: chi mangia la came mia e beve il sangue mio rimane con me, e io con lui) e dà vita definitiva (6, 54) . Il gesto di Gesù invita Giuda a essere dei suoi, a rettificare tutto il suo passato. Risponde al suo odio con amore, come avverrà sulla croce, dove offrirà l'ultima opportunità a coloro che l'hanno crocifisso ( 1 9, 28). Tale è la qualita •.

570

13, 21-32. n traditore

dell 'amore leale (l, 14) : · quello che non si smentisce mai, che spera e si offre fino all'ultimo momento, anche a costo della propria vita. Mette la sua vita nelle mani del nemico. Ora spetta a Giuda compiere l'ultima opzione: o accettare l'amore di Gesù e rispondergli, oppure indurirsi nella sua posizione e con sumare il tradimento. Si torna a definire Giuda • di Simone Iscariota ». Ultimo parallelo con Simon Pietro. Questi vuole indagare chi sia il traditore, senza rendersi conto di quanto egli stesso sia vicino a tradire Gesù (13, 36-38). 27a

E in quel momento, dopo il boccone, Satana entrò in lui.

Gv evita di dire che Giuda mangiò il boccone, il che avrebbe significato la volontà di assimilare Gesù. Questi glielo ha dato, ma rimane in sospeso cosa Giuda ne faccia. Più tardi si spiegherà: lo prende ed esce ( 1 3 , 30). Prenderà il boccone, la vita di Gesù, per consegnarlo a coloro che stanno per ucciderlo. Così Gv indica figuratamente quale è stata la sua opzione. Satana si identifica con • il Nemico/diavolo ,. (13, 2) . In questo momen­ to, Giuda fa la sua oPzione definitiva. Avendo nelle mani la vita e la morte di Gesù, non l'accetta come dono, ma decide di farlo morire. I l gesto d i amicizia di Gesù non provoca in lui risposta positiva, a l contrario, n e alimenta l'antagonismo. Si mette deliberatamente a fianco del sistema diabolico, si identifica con i suoi princìpi e valori, riassunti nell'idolatria del denaro (8, 44a Lett.) . Così interiorizza (entrò in) pie­ namente l'avversario di Dio, Satana, che lo rende suo agente e omici­ da. 27b

Perciò Gesù gli disse:



Ciò che intendi fare, fallo subito

».

Percependo l'atteggiamento di Giuda, Gesù non cerca di forzarlo; egli gli ha mostrato il suo fino all'ultimo momento: non l'ha denunciato davanti agli altri discepoli, gli ha lasciato piena l ibertà di opzione, anche a costo della propria vita. Ma adesso è ormai inutile prolungare la situazione. Gesù stesso gli facilita la partenza. Rispetta la decisione libera e malvagia del discepolo, come il Padre rispetterà quella di Pilato (19, l l a Lett.). Appare qui l'assoluta libertà che Dio lascia all'uomo. La sua offerta di vita non si impone in nessun senso. Il suo amore è indefettibile, continuo, fino alla fine, ma non forza mai. Si può accettare la vita piena e definitiva o consumare la propria rovina: non è Dio a giudica­ re, ma l'uomo a emettere la propria sentenza (3, 16-2 1).

28

Nessuno dei commensali si rese conto del perché gli dicesse questo.

La frase di Gesù, che ha accompagnato il suo gesto di accettazione . non può essere interpretata come un rimprovero rivolto a Giuda. Nessuno si rende conto dell'imminenza del tradimento.

(Alcuni pensavano che, siccome Giuda teneva la borsa, Gesù gli dicesse: • Compra ciò di cui abbiamo bisogno per la festa •. o di dare qualcosa ai poveri). 29

57 1

L'ora ftnale. La Pasqua del Messia

' Giuda amministrava i fondi del gruppo (12, 6). Alclln i discepoli; che non si sono resi conto del significato del gesto di Gesù né della portata delle sue parole, danno due interpretazioni. Suppongono che Gesù gli abbia detto di comprare ciò di cui avevano bisogno per la festa oppure di dare qualcosa ai poveri. Con queste frasi Gv vuole nuovamente mostrare la mancanza di penetrazione del messaggio di Gesù, che esiste in alcuni discepoli. Il verbo • comprare • indicava la prova cui Gesù sottopose Filippo nell'episodio dei pani (6, 5b.6 Lett.) ; alcuni compren· dono così poco la novità di Gesù da considerarlo ancora dipendente dal sistema economico sfruttatore. L'altra supposizione parla di • dar qual· cosa ai poveri "• con allusione a 12. 5, dove appunto Giuda propose di vendere il profumo e di dare l'importo ai poveri. Gesù aveva corretto tale concezione, affermando che i poveri non devono ricevere • qualco­ sa dalla comunità, ma che devono esservi accolti; questa deve condi­ videre con i poveri tutto ciò che ha (cfr. 6, 1 1 ). Si dipinge così la complessità del gruppo: a fianco di Giuda, il traditore, stanno Simon Pietro, colui che non sa accettare l'amore di Gesù (13, 8), e altri discepoli, che non hanno compreso come l'amore si esprima nel dono; di fronte a tutti loro, la figura del discepolo che Gesù amava, che rappresenta l'ideale della comunità. Al tempo stesso Gv gioca con il duplice significato delle frasi. Ci sono due feste, la Pasqua giudaica e la Pasqua di Gesù, la festa della morte e quella della vita. Di fatto, Giuda va a procurare il necessario per la vera festa: si prepara a sacrificare l'Agnello di Dio, che inaugura la Pasqua definitiva. Tale Pasqua, Gesù sulla croce, sarà al tempo stesso il grande dono ai poveri, colui che li libererà dalla loro miseria. Giuda. cui i poveri non importavano (12, 6), sarà il mezzo involontario perché essi possano uscire dalla loro situazione. Il necessario, tuttavia, non occorre comprarlo (6, Sb-6 Lett.) : lo fornisce l'amore di Gesù, che darà la sua vita volontariamente (10, 18). I discepoli, senza saperlo, esprimo­ no ciò che sta realmente succedendo. •

30

Egli prese il boccone e subito uscì; era notte.

Le parole di Gesù permettono a Giuda di andarsene da un gruppo cui non è più unito da nulla. Egli ha deciso la morte di Gesù; lo ha rifiutato assolutamente e definitivamente. Non si può fermare lì un momento di più. Esce, ma portandosi il boccone, la vita di Gesù, per consegnarla. Era notre. Giuda entra nella tenebra, nell'ambito dei nemici di Gesù, al quale l'ha condotto la sua decisione. Abbandona il luogo in cui splende la gloria e l'amore. La sua uscita nella notte è l'espressione visibile della sua decisione interiore: è passato al nemico, non c'è ritorno. La notte significa l'assenza della luce che è Gesù ( I l , I O ; 21, 3); questa è la tenebra dell'odio e della morte. Non ha voluto camminare dietro a Gesù, e torna a essa (12, 35) . Non c'è altra alternativa. Ma torna alla tenebra portandosi la luce, per estinguerla ( 1 , 5) .

Interpretazlone di Gesù 31

Qu a ndo uscì, GesÌ4 disse: • Or o ra si � manifestata la giarra cosi la gloria di Dio si è ma n ife s ta t a in lui • .

dell'Uomo, e

572

13, 21-32. Il traditore

Al termine della lavanda dei piedi, Gesù ne aveva spiegato il significato (13, 12) . Ora interpreta la partenza di Giuda, che sta per consegnarlo. Spiega la sua accettazione della morte in termini di manifestazione della sua gloria, che si identifica con quella di Dio. L'Uomo che realizza il proge t1o di Dio manifesta la gloria/amore in tutta la sua pienezza ( 1 , 1 4).

Gesù ha accettato la propria morte; per di più, ha messo liberamente la sua vita nelle mani dei nemici, per amore dell'uomo, per salvarlo. La sua morte è la grande prova dell'amore di Dio, che dà il suo Figlio unico (3, 16). La costruzione or ora si è manifestata la gloria dell'Uomo mette nel primo tennine la manifestazione della gloria (cfr nota) ; ma l'amore manifestato è quello di Dio stesso, tanto grande che, tradotto da Gesù in termini umani, giunge a dare la propria vita per gli uomini. 32 • e Dio manifesterà la sua gloria in lui, e la manifesterà molto presto •. Se i primi due punti della spiegazione di Gesù espongono l'amore suo e di Dio per l'uomo, che Gesù dimostra dando la propria vita, gli ultimi due espongono l'amore di Dio comunicato all'uomo attraverso Gesù. Il frutto della vita che egli ha dato sarà la vita che Dio comunicherà attraverso di lui, il dono dello Spirito all'umanità. La frase di Gesù è in relazione con 1 2, 28: Padre, manifesta la gloria della tua persona e con la risposta dal cielo: come l'ho manifestata,

così tornerò a manifestar/a! Se nella prima parte ( 1 3 , 3 1 ) il primo luogo era occupato dalla manife­ stazione della gloria, in questa seconda il primo termine è Dio, che manifesta la sua attraverso Gesù (cfr. nota). Si torna a esprimere così il tema di tutto il vangelo: la reciproca unione dell'amore dimostrato con l'amore comunicato ( 1 , 16), rappre­ sentata nella croce dal sangue e dall'acqua che sgorgano dal costato aperto di Gesù. Per questo, qui si tratta successivamente delle due glorie, che si confondono in una. La gloria/amore di Gesù si manifesta nel dono della sua vita, ed esprime l'amore di Dio per l'uomo; la gloria di Dio si manifesta nel dono dello Spirito, che avviene per mezzo di Gesù. Questo sarà l'amore ricevuto che risponde al suo amore dimostrato ( 1 , 16). Si vede la ragione dell'« or ora • iniziale. t! in corrispondenza con l'c ora » annunciata in 13, l . In altre occasioni Gesù afferm ava: Si avvtcma l'ora o, per meglio dire, è giunta (letter. ed è ora) (cfr. 4, 23 ; 5, 25 ) , anticipando quella della sua morte. Nella Cena l'ora è presente, e in essa si manifesta la sua gloria (cfr. 12, 23) .

573

L'ora finale. La

Pa1qua

del Messia

SINTESI Con la lavanda dei piedi Gesù ha dimostrato in cosa consiste l'amore, e questo episodio mostra il suo totale rispetto per la libertà dell'uomo, a costo della propria vita. Uno dei suoi discepoli si è proposto di consegnarlo. Gesù non lo denuncia davanti ai suoi compagni; lo mette di fronte alla sua ultima scelta, nella quale si giocherà la sua sorte. Non lo fa, tuttavia, freddamente, ma offrendogli la propria amicizia; con essa gli offre la vita e la verità, il suo rapporto umano, di essere libero e figlio di Dio. Ma non lo forza, gli lascia la possibilità di rifiutarlo e di procurare la propria morte e quella di Gesù stesso. Non esercita pressione sulla sua l ibertà nemmeno per difendersi. Il tradì· mento del discepolo sarà per Gesù l'occasione di dimostrare che il suo amore è più forte dell'odio mortale dei suoi nemici. La menzione del discepolo cui Gesù voleva bene e l'identificazione del traditore - con la quale in realtà non lo dà a conoscere -, completano l'istruzione di Gesù circa l'amore che caratterizza il suo discepolo: un amore che non giudica, non conosce limite, e si estende al nemico mortale. Per chi sta con Gesù non ci sono nemici da denunciare. Il frutto di tale amore, che dà la vita liberamente, sarà la possibilità universale di salvezza, il dono dello Spirito. Questa è la comunicazione di Dio stesso, che dà all'uomo la capacità di amare senza limiti, rendendolo così pienamente uomo. Gesù esclude ogni violenza. Mostra che Dio non si impone né esercita costrizione, ma che è puro amore che si offre. L'idea di un Dio autoritario giustifica ogni potere e ogni violenza fra gli uomini. Il Dio di Gesù, il padre, non ne giustifica nessuna. Per questo non esiste altro giudizio oltre a quello che l'uomo dà di se stesso.

574

Gv 1 3, 33-35: Codice e distintivo della nuova comunità n

Figli

m ie i , mi

resta

te, ma ciò che dissi ai di venire

•.

ormai poco tempo

giudei:

«

per stare

con voi.

lo dico ora anche a voi .

" Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli io vi ho 3'

Mi cerchere­

Là dove io vado, voi non siete in grado

amati,

cosi amatevi anche voi gli

Da questo tutti conosceranno che siete

avete amo re

fra voi.

uni gli altri;

uni gli altri. discepoli m ie i :

dal

come

fatto che

NOTE FILOLOG ICHE 1 3 , 3 3 Figli miei, gr. teknia. Termine denotante affetto, cfr. l G v 2 . 1 .1218, ecc.; la sfumatura affettiva del diminutivo greco si trasferisce al pos­ sessivo it. - mi resta ormai poco tempo, ecc. Gr. eti più einai equivale a restare. - ciò che dissi, gr. kathos. Per semitismo, equivalente al relativo neutro (ciò che, quello che), cfr. M t 2 1 , 6; Mc 14, 16; 15, 8; Le 5, 14; 22, 13. - Là dove io vado, gr. hopou egò hupagò. Cfr. 6, 21 e 8, 21 note (N.d.T.). 34 un comandamento nuovo, gr. entolén kainén. In • un • può indicare aggiunta od opposizione; in gr. questo contesto, indica opposizione in relazione alla stituisce. Per • i comandamenti • di Gesù, cfr. 14, 1 5 Il primo hina, esplicativo, introduce il contenuto del condo è imperativo.

it. l'indeterminatezza l'indeterminatezza, in Legge antica, che so· Lett. comandamento; il se·

35 La corrispondenza en tout6 ... ean (da questo . .. se) è insolita in italiano; è necessario tradurre con la frase parallela da questo ... dal fatto che. Sa· rebbe possibile la traduzione con una condizionale se si invertisse l'ordine della frase : se avete amore tra voi, tutti conosceranno che siete discepoli

miei.

CONTENUTO E DIVISIONE Questa breve peri cope è di importanza capitale poiché, nel contesto della Pasqua, promulga lo statuto di fon dazione della nuova comunità umana; esso sostituisce la Legge mosaica, statuto dell'antico popolo e della sua alleanza. Gesù ha spiegato con il suo esempio che l'amore consiste nel servizio dell'uomo fino a dare la vita (lavanda dei piedi); poi ha mostrato che questo servizio si estende a tutti, compreso i l nemico (tradì· mento di Giuda), anche a costo della vita; esclude così ogni violenza e rispetta totalmente la libertà, mostrando che l'amore è più forte dell'odio. Ora, in questa pericope, compendia nel suo unico comandamento quanto prima aveva spiegato, e ne fa il distintivo .di coloro che lo seguono nel suo esodo. Il passaggio dalla terza · alla seconda persona divide chiaramente questa pericopc da quella precedente; al tempo stesso la pericope collega i due

575

L'ora finale. La Pasqua del Messia

ep isod i prece de nt i con la pericope che segue. Da tm lato l'annuncio della sua partenza e l'impossibilità di seguir lo per il momento (13, 33), ripre si nella pericope successiva (13,36-38). preparano il tema del cammino (cap. 14); da ll al t ro il comandamento dell'amore (13, 34-35) riassume per i di scepo l i il comportamento di Gesù nelle due scene precedenti. '

Si possono

considerare due momenti:

13, 33: Annuncio della sua imminente partenza. 13, 34·35: Il nuovo comandamento.

LETTU RA

Annuncio della sua imminente partenza 13, 33a

«

Figli miei, mi resta ormai poco tempo per stare con voi »,

Gesù si ri\' Olge ai discepoli con un termine affettuoso. Il momento è emozionante. perché egli annuncerà loro la sua prossima partenza, della quale è p i ena me n te cosciente (13, 1 .3). Le parole che seguono assumono perciò carat tere di testamento. Anche se loro non se ne sono resi conto (13, 28) , il t rad i me n to è stato consumato e la consegna è imminente. Questo " poco • sarà completato in 1 6, 16ss con un altro • poco •. quando i discepoli torneranno a vedere Gesù. Per il momento egli parla loro della sua partenza. quella che dà carattere definitivo al comanda· mento che sta per comunicare loro. • Mi cerclzerete, ma ciò che dissi ai giudei: Là dove io vado, voi non siete in grado di venire ", lo dico ora anche a voi »,

33b



La frase cui Gesù allude si trova in 8, 2 1 : io me ne vado; mi cercherete,

ma il vostro peccato vi porterà alla morte: là dove io vado, voi non siere in grado di venire. I discepoli lo cercheranno (20, 1 5 ) , perché la

sua as se nza causerà loro dolore ( 1 6 , 20) , ma non si tratterà, come per i giudei, di un 'assenza definitiva che li porta alla rovina. Non moriranno per il lor o p eccat o perché sono puri ( 1 3 , 10). Tuttavia nemmeno loro sono in grado di andare dove va lui. Egli va liberamente dove lo porta Giuda ( 1 3 , 30): alla croce, e attraverso essa al Padre ( 1 3 , 3) . .In questo it inerario nessuno è in grado di accompagnarlo. Nessuno può com· prendere ancora la grandezza del suo amore né associarsi a lui. I giudei non a\' rebbero mai accettato un Messia che dovesse morire (cfr. 12, 34) : per questo non potevano accompagnare Gesù. Nemmeno i discepoli possono ancora accettarlo né comprendere fino a dove deve giungere il dono di sé (cfr. 16, 3 1 ) . Non hanno ancora la statura . necessaria per amare in questo modo. Egli la darà loro con la sua morte. Di fatto, lo abbandoneranno nell'ora decisiva (16, 32) . Soltanto il discepolo amico di Gesù (13, 23) lo accompagnerà nel suo itinerario ( 1 8, 1 5s), e si troverà ai piedi della croce (19, 26s), dove sarà testimone dell'amore manifestato ( 1 9, 35). Egli rappresenta quindi il discepolo modello. ,

576

13, 3J-35. Codice e distintivo della nuova comunità �( . .



34a

tri

Il nuovo comandamento Vi do

urt

comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli al­

».

Egli se ne va, ma essi devono restare ( 13, I ; 17, 1 1 ) . Gesù li costi tuirà in comunità, dando . loro uno statuto e un'identità. Essi, che l'hanno riconosciuto come Messia ( l , 41 .45.49), sapranno ora qual è il fondamen­ to e la caratteristica della comunità messianica. Dà loro il comanda­ mento nuovo, in opposizione alla Legge antica; la Legge di Mosè viene sostituita dal comandamento di Gesù. Ora sta per essere stabilita la differenza fra le due alleanze: quella del legislatore e quella del Messia ( 1 , 17), quella di colui che parla dalla terra e quella dello Sposo-Figlio che pronuncia le esigenze di Dio (3, 29.31.34). L'alleanza basata sulla rea ltà dell 'amore e la lealtà di Dio non può avere altra Legge che quella dell'amore, che è al tempo stesso il culto che il Padre cerca (4, 23s) e lo Spirito che egli comunica. Se la gloria di Dio è amore e lealtà ( 1 , 14), non può essere diversa la sua esigenza nei confronti degli uomini: urt amore che risponde al suo amore ( l , 16). In realtà la nuova legge è Gesù stesso, come segno elevato che manifesta ed esprime l'amore di Dio· (3, 16; per il tema Legge antica - Legge nuova cfr. 3, 1ss Lett.). Gesù lo chiama comandamento per apporlo a quelli dell'antica Legge. In realtà l'amore non è, né può essere, un precetto imposto dal di fuori, come non lo è nemmeno per Gesù. Egli fa ciò che vede fare da suo Padre ( 1 , 1 8) , ciò che il Padre gli mostra (5, 1 9s). Opera in sintonia e per identificazione con il Padre. (IO, 30; 14, 10). Nel suo comandamento Gesù non chiede nulla per se stesso né per Dio, ma soltanto per l'uomo. Emerge di nuovo il fatto che Dio non accentra in sé, né accaparra l'uomo; al contrario, è un dinamismo espansivo d'amore universale, le cui onde spingono sempre più lontano. B fonte d'amore personale, dono di sé, che dà l'impulso per donarsi agli altri. Tutta la vita e l'attività devono essere una multiforme espressione di quest' unica preoccupazione: esprimere in opere l'amore per gli altri. 34b

« come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri ».

Gesù aveva già presentato come norma per i discepoli l'assimilazione della sua vita e della sua morte (6, 53: se non mangiate la cante dell'Uomo e non bevete il suo sangue non avete i11 voi l'ila). Ora specifica che la norma è il suo modo d'agire: il comandamento nuovo consiste nell 'amare come egli li ha amati; Gesù è la meta che devono raggiungere. La salvezza dell'uomo consiste nell'essere come lui, l'Uomo, apice delle poss ibilità umane, cioè dello sviluppo di tulla la capacità d 'amare. Il punto di riferimento, come io vi ho amati, è appena stato spiegato da Gesù nelle due scene precedenti: « amare » consiste nell'accogliere, nel mettersi a servizio degli altri, per dare loro dignità e libertà attraverso l'amore (lavanda dei piedi), e questo senza limite né discriminazione alcuna, con sommo rispetto per la libertà (episodio di Giuda). Il comandamento di Gesù è rivolto ai suoi, che sono nati da Dio attraverso lo Spirito ( 1 , 13; 3, Ss) . Nascendo da Dio hanno ricevuto la 577

L'ora

6nale. La Pasqua del Messia

capacità di diventare figli di Dio ( 1 , 12), e diventeranno tali amando come ha amato Gesù, il Figlio: lui stesso è il cammino che essi devono percorrere (14, 6). Questo è il contenuto del suo comandamento. Gesù è norma, non a parole ma a fatti. Ora traduce i fatti in un principio: il suo atteggiamento devono adottarlo anche loro; l'amore che egli mostra, e che è la sua gloria, deve verificarsi anche in loro (cfr. 17, 10: lascio manifesta ... la mia gloria) . Questo è il comandamento nuovo: essere simili a Gesù nel suo amore senza limite. Il comandamento è tanto nuovo quanto l'amore di Gesù. Il massimo cui era giunto l'AT era la formulazione di Lv 19, 18: « Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso ... ». Questo comandamento rendeva l'uomo norma del bene del suo prossimo. Nell'amore veniva pertanto proiettato il proprio io. Ma l'uomo di « carne • non può essere norma del bene dell'altro. Gesù, l'Uomo compiuto, che realizza il progetto di Dio, è l'unico che mostra il vero essere dell'uomo. Egli, che lo ama più della sua stessa vita, giungerà fino alla pienezza dell'amore (13, 1), senza lesinare nulla, rinunciando a ogni interesse e gloria propria. Soltanto lui può essere norma dell'amore. Chi ama l'altro come se stesso può deformare a seconda della propria deformazione. Guardando se stesso, limitato ed egoista, non può giungere a sapere cos'è realmente buono per il suo prossimo. 35 • Da questo tutti conosceranno che siete discepoli miei: dal fatto che avete amore fra voi ». L'amore che esiste fra i suoi dev'essere visibile, e potrà essere ricono­ sciuto da ogni uomo. Pertanto dev'essere mostrato con opere simili a quelle di Gesù. Questo sarà il segno distintivo della sua comunità. Quel che i discepoli apprendono dal loro maestro non è una dottrina, ma un comportamento: non si distingueranno per un sapere particolare o tanto meno esoterico, né comunicheranno all'umanità una speculazione su Dio. Mostreranno la possibilità dell'amore e di una società nuova; così manifesteranno e renderanno presente il Padre nel mondo. Gesù vuole creare lo spazio in cui esista l'amore, l'alternativa alla tenebra. Per questo il suo comandamento si riferisce ai discepoli. Sta costituendo la sua comunità, realizzando l'utopia. Non crea tuttavia un gruppo chiuso, ma la base indispensabile per la missione in mezzo al mondo, di cui tratterà nei capp. 1 5 e 16, in cui « il frutto ·• esprimerà l'amore per l'umanità (cfr. 12, 24) e « i suoi comandamenti • lo prescri· veranno. L'attività dell'amore deve avere come base l'esperienza vitale dell'amore. Chi non vive nell'amore non conosce la vita né può offrirla. Dall'esperienza di vita nasce l'urgenza della missione. La prima dimostrazione di amore per l'umanità consiste nel dimostrare che l'utopia è possibile, che Dio è Padre e che gli uomini possono essere fratelli, nel far risplendere in mezzo al mondo la gloria di Dio, il suo amore leale per l'uomo. Questo è il comandamento « costituente » della comunità di Gesù: crea la solidarietà dell'amore, pratica « i comandamenti • (14, 15) realizzando • le opere di Dio • (9, 3s) e donando la vita all'uomo (12, 24s). I l suo opposto è il peccato • costitutivo • di questo ordinamento: esso crea 578

13, 3!-35. Codice

e

distintivo della nuova comunitll

la solidarietà del male, le cui attività sono « i peccati ,. od opere perverse (7, 7), che tolgono la vita all'uomo (8, 23.44 Lett.). Ponendo come unico distintivo della sua comunità l'esistenza di que­ st'amore visibile, Gesù elimina ogni altro criterio. L'identità del suo gruppo non sarà basata su osservanze, leggi o culti. Con quest'unico distintivo Gesù esime i suoi da ogni condizionamento culturale. Se l'orgoglio di Israele poggiava sulla peculiarità delle sue istituzioni rispetto a quelle dei popoli pagani 1, il gruppo di Gesù non avrà barriere che lo separino. II suo messaggio coincide con le profondità dell'uomo, al di là delle diverse culture. L'amore è linguaggio univer­ sale. L'indipendenza che Gesù ha mostrato nel corso della sua vita pubblica dinanzi alle istituzioni della sua cultura (2, 13ss; 4, 2 1ss; 5, 1 8.39; 6, 32; 7, 19; 8, 44; 9, 14; IO, 3-4) vale anche per i suoi discepoli. Le opere a favore dell'uomo, espressione dell'amore, sono quelle che rendono te· stimonianza della sua missione divina; i suoi avranno le stesse creden­ ziali. Gv situa il comandamento dell'amore fra il tradimento di Giuda e la predizione dei rinnegamenti di Pietro, nello stesso luogo in cui Mt (26, 26-30) e Mc (14, 22-26) collocano l'eucarestia. Gv, nel comandamento, sta spiegando il significato profondo di quest'ultima. Come già aveva descritto in 6, 56: chi mangia la carne mia e beve il sangue mio rimane con me e io cçm lui, l'eucarestia è l'identificazione con Gesù per mezzo dell'assimilazione della sua vita e della sua morte. Per Gv, pertanto, la celebrazione dell'eucarestia è il ricordo incessante dell'amore di Gesù, e il continuo impegno della comunità a tale amore fino alla morte. Ma non è soltanto ricordo: Gesù, presente fra i suoi, continua a dimostrar loro il suo amore e a comunicare il suo Spirito, che permetterà loro di amare come egli li ha amati.

SINT�SI Il primo comandamento della Legge antica si riferiva a Dio: « Amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze » (Dt 6, 5). Come tutti i comandamenti di quella Legge, viene sostituito dal comandamento che dà Gesù: come io vi ho amati, cosi amatevi anche voi gli uni gli altri. Logicamente ci si aspetterebbe che Gesù chiedesse una corrispondenza al suo amore: « Amatemi come io vi ho amati , (cfr. l Gv 4, 1 1) . La frase di Gesù mostra, al contrario, che solo amando l'uomo si ama Dio, che Dio è inseparabile dall'uomo. Chi dice di amare Dio e non ama suo fratello è bugiardo (cfr. l Gv 4, 20). L'amore per gli altri è l'unica prova della presenza nell'uomo dell'amore di Dio. II distintivo di Israele era la Legge e il modo di agire che essa prescriveva; S. . B. III, 127s. Si veda, a esempio, Mo'ed Qatan 16b: • Non siete per me come etiopi, o israeliti? (Am 9, 7). Come mai li si chiama etiopi e non Israele? Perché come un etiope si differenzia per il colore della pelle, cosi anche gli israeliti si differenziano da tutti gli altri popoli per il loro modo d'agire •. l

579

L'ora finale. La Pasqua del Messia

Amare Dio, è in primo luogo, accettarlo in se stessi, come presenza e forza d 'amore (lo Spirito), il cui termine è sempre l'uomo. Così aman· do gli altri, si rende Dio presente in se stessi e si stabilisce con lui l'unico rapporto possibile, quello del suo amore accettato, cioè la sua presenza e la sua gloria. In Gesù, Dio si è reso presente nell 'uomo, è divenuto uno con lui ( I O, 30) . Con questo esige il massimo rispetto per l'uomo e considera come diretti a sé tanto l 'amore quanto l'offesa. Il Dio lontano e trascendente permetteva di manipolare l'uomo; il Dio che abita nel· l 'uomo lo rende intoccabile. Il comandamento di Gesù dà esistenza al suo gruppo, lo costituisce. Questo si trova in mezzo al mondo come l'alternativa della vita di fronte alla morte, della dignità e libertà di fronte alla sottomissione. l:. l 'offerta permanente dell'amore di Dio per l'umanità attraverso Gesù. Egli è il centro di questo gruppo umano, perché ne è il modello, il datore della vita che i membri condivi dono e, con essa, della possibilità d'amare. In base a questa alternativa e a questa esperienza vitale si esercita il servizio all'uomo.

580

Gv 13, 36-38: Il falso amore. Gesi) predice Il rlnnegamento di Pietro 16

Gli domanda Simon Pietro: - Signore, dove vai? Gli rispose Gesù: - Là dove vado. non sei capace di seguirmi ora, ma finirai col se­ guirmi.

37 Gli disse Pietro:

30

- Signore, per qual motivo non sono capace di seguirti fin d'ora? Darò la mia vita per te. Replicò Gesù: - Proprio la tua vita darai per me? Davvero ti assicuro: prima che un gallo canti mi av ra i rinnegato tre vo lte.

NOTE F I LO LOGICHE 13, 36 domanda, gr. /egei. Significato specificato dal contesto. Là dove vado, gr. hopou hupagò. Cfr. 6, 21 e 8, 21 nota (N.d.T.). - finirai col seguirmi, gr. akoloulheseis I1Usleron. Corrisponde a mela taula (13, 7) con riferimento a 21, 1 .19.

-

37 per qual motivo, gr. dia ti. Più forte che ti, cfr. 7, 45; 8, 43; 12, 5. - seguirli, gr. akolouthesai. In fi n . aor. incoativo che indica il principio della sequela. - fin d'ora, gr. arti. Per differenziarlo dal nun del verso precedente (ora).

38 Replicò. Gr. pres. st. - Proprio. Esprime in it. l'ironia contenuta nel testo greco (N.d.T.). - prima che un gallo canti. Gr. opposizione ou me ... heos ho11.

CONTEN UTO E DIVISIONE La pericope descrive l'atteggiamento sbagliato di Pietro rispetto a Gesù, che continua a considerare un Messia politico, un leader cui i sudditi de· vono il sacrificio della propria vita. Sebbene il tema prenda le mosse dalle parole pronunciate in precedenza da Gesù (13, 33), forma un'unità a parte descrivendo un dialogo con Pietro. Inizia con una domanda di Pietro cui Gesù risponde ( 13, 36 ). Pietro non accetta la risposta e si ostina nel suo atteggiamento, il che gli frutta l'ironia di Gesù e la predizione dei suoi rinnegamenti.

Si possono distinguere due momenti: Singolarità della morte di Gesù. 13, 36: 13, 37-38: Ostinazione di Pietro e predizione dei suoi rinnegamenti.

581

L'ora finale. La Pasqua del Messia

L mU RA Singolarità della morte di Gesù 13, 36a

Gli domanda Si;;;on Pietro:

c

Signore, dove vai? ».

Delle precedenti parole di Gesù, Pietro ha ritenuto soltanto quelle che annunciavano la sua partenza. Vuole sapere dove va. Gesù aveva detto che se ne andava da solo (13, 33) e che essi non potevano ancora seguirlo; lasciava loro per testamento il comandamento dell'amore vicendevole. Pietro non si sofferma su ciò che lo tocca come discepolo, ma soltanto su ciò che riguarda Gesù. 36b Gli rispose Gesù: ma finirai col seguirmi

«

Là dove vado non sei capace di seguirmi ora,

•·

Ripete a Pietro la sua frase precedente, aggiungendo però che gli toccherà percorrere lo stesso itinerario nel futuro. Gesù deve aprire il cammino dell'amore totale. Quel che loro faranno sarà una sequela, non una compagnia. I discepoli non sono all'altezza necessaria, dato che ancora non hanno ricevuto lo Spirito; non sono ancora capaci di amare fino alla fine (13, 1 ) . La creazione dell'uomo non è ancora completata ( 19, 30).

Ostinazione di Pietro e predizione dei suoi rinnegamenti 37 Gli disse Pietro: c Signore, per qual motivo non sono capace di seguirti fin d'ora? Darò la mia vita per te », Pietro non si adatta. Dà nuovamente a Gesù il titolo di • Signore » e gli mostra la sua totale adesione, dichiarandosi disposto a dar la vita per lui, ma non si dà per inteso sul comandamento dell'amore ai fratelli. Si sente vincolato al Signore e vuole sostituirsi a lui nella morte . Torna a distinguersi fra i suoi compagni, volendo mostrare un'adesione a Gesù maggiore degli altri (2 1 , !Se Lett.). D'altra parte crede che Gesù non lo conosca bene e di conoscere lui solo le proprie possibilità (cfr. 2 1 , 17: tu conosci tutto). Non capisce che non si tratta di morire per Gesù, ma per· l'uomo. Pietro, che non si lascia amare, non lascia nemmeno amare, vuole impedire che Gesù mostri il suo amore per l'uomo. Per lui una morte equivale all'altra, perché non comprende il significato di quella di Gesù. La morte di Pietro manifesterebbe la sua adesione al suo Signore, ma non l'amore di Dio per l'uomo. Seguire Gesù non consiste nel dare la vita per lui, ma nel darla con lui, l'uomo che muore per il popolo ( 1 1 , 50; 18, 14; cfr. 1 1 , 16 Lett.). La sua generosità manifesta la sua profonda incomprensione, perché nessuno può sostituire Gesù nella sua funzione liberatrice e manifesta­ trice nell'amore del Padre. Soltanto lui è uno con il Padre (10, 30) : nessuno può prendere il suo posto. 582

13, 36-38. D rlnnegamento dl Pietro

Come nella lavanda dci piedi, Pietro considera Gesit come il leader; in quell 'occasione gli sembrava sconveniente che i l leader servisse i suddi· ti; qui invece stima che il subalterno debba dare la propria vita per i l capo. Gesù non gli h a chiesto nulla per sé: i l suo comandamento è amarsi gli uni gli altri; Pietro si impegna invece a mostrare la propria adesione a Gesù senza ricordarsi del comandamento. Per la seconda volta (cfr. 13, 8) Gv usa il soprannome Pietro isolata­ mente, senza accompagnarlo al nome di Simone. Come la volta prece­ dente, questo avviene quando Pietro mostra la propria indocilità a Gesù. Fino ad ora, pertanto, il soprannome (Pietra) sembra descrivere la sua ostinazione. Questa interpretazione verrà confermata dal suo uso nel capitolo 18. Pietro crede che Gesù percorrerà un cammino e giungerà a una fine che egli conosce. Per lui la morte di Gesù è come un'altra qualunque e, in base alla propria idea messianica, la vuole evitare. Egli si offre come riscatto. Non si è reso conto che Gesù traccia il cammino, perché è il cammino lui stesso (14, 6). Pietro non capisce che il cammino verso Dio è il cammino verso l'uomo; la massima solidarietà con l'uomo, che Gesù mostrerà nella sua morte, è il punto di arrivo a Dio o il p_unto i n cui Dio si rende presente, manifestando i l suo amore. Nella sua morte, Gesù diventa il dono supremo di Dio all'umanità. Non è tanto la donazione dell 'uomo a Dio quanto quella di Dio all'uomo. Tale è stato l 'atteggiamento di Gesù nel distribuire il pane (6, 1 1 ) e nel lavare i piedi dei suoi discepoli (13, 5 ) ; questo atteggiamento culminerà nella sua morte. Seguendo Gesù, l'uomo non si sacrifica a Dio, ma fa di sé il dono di Dio agli altri uomini, come Dio stesso, attraverso lo Spirito, si fa dono all'uomo. L'uomo finisce di percorrere il suo cammino quando giunge a essere dono totale di Dio agli altri. ·

38 Replicò Gesù: • Proprio la tuo. vita darai per me? Dawero ti assicu­ ro: prima che un gallo canti mi avrai rinnegato tre volte • · Gesù risponde a Pietro con ironia. Questi ha mostrato la sua arroganza e la sua ignoranza. Non si può dar la vita per Gesù, perché nessuno può sostituirlo come salvatore, né egli vuole la vita dei suoi discepoli; non ha bisogno di sacrifici per sé, né li accetta; il discepolo deve dare la sua vita con Gesù e come Gesù: per l'uomo. Dio non accentra, ma spinge ad amare. Gesù, che si è posto al servizio dei suoi {lavCI.Ilda dei piedi), non chiede loro di vivere per lui. Pietro si vuole legare soltanto a Gesù. Non ha compreso che Gesù è inseparabile dal gruppo. Lavando loro i piedi aveva distrutto l'immagi­ ne tradizionale del maestro e del signore; non si tolse il grembiule (13. 5.12). mostrando di essere il primo in quel servizio vicendevole che esige dai suoi (cfr. 2 1 , 9). Gesù è il centro e l'origine di una comunità di eguali. Pietro vuole separarlo dal gruppo, ponendolo su un piedistallo. Gesù non accetta tale adesione. Pietro, che si offre di morire per il suo signore, vedendo crollare la sua falsa idea di Messia, finirà col rinnegarlo. Pur nella sua arroganza, è u n debole. La sua forza era quella del leader con cui s i era identificato, vale a dire, il Messia che avrebbe sfidato il potere con le sue stesse 583

L'ora finale. La Pasqua del Messia

anni (18, 26). Quando la realtà dei fatti gli mostrerà che Gesù non rappresenta il suo ideale, la sua forza si dissolverà; sarà allora evidente che il suo rapporto con Gesù non era tanto un 'adesione alla sua persona (amore) quanto alla funzione immaginata da lui stesso. Così, Pietro non poteva comprendere che Gesù sfidasse il potere non con la violenza, ma con l'amore. L'unica forza del discepolo è quella dell 'ama direzione. Con lo Spirito Gesù crea un'onda di solidarietà per l'uomo, di amore disinteressato che segue i suoi passi e conduce l'umanità all'in· contro finale con il Padre. Così si costituirà il regno definitivo (3, 3.5). Gesù accompagna sempre i suoi in questo cammino, che non è soltanto individuale. ma comunitario. La sua morte non interrompe il contatto: egli li accompagna, e il suo amore partecipa all'i tinerario.

Gv 14, 1 5�26: Dio nella nuova umanità 15 Se mi amate, compirete i comandamenti mtet; 16 io, a mia volta, pregherò il Padre, e vi darà u n altro soccorritore che stia con voi sempre, 17 lo Spirito della verità, quello che il mondo non può ricevere perché non lo percepisce né lo riconosce. Voi lo riconoscete, perché vive con voi e inoltre starà con voi. 1 8 No n vi lascerò abbandonati, tomerò con voi. 19 Entro breve tempo i l mondo cesserà di vedermi; voi invece m i vedrete, perché io ho vita e anche voi l'avrete. 10 Quel giorno sperimenterete che io sono in mio Padre, voi in me e io in voi. 11 Chi ha fatto suoi i miei comandamenti e li compie, questi è colui che mi ama; e a col u i che mi ama mio Padre dimostrerà il suo amore, e anch'io glielo dimostrerò manifestandogli la mia pers on a. 22 L'altro Giuda, non J'Iscariota, gli domandò: - Signore, e come mai che a noi manifesterai la tua persona e al mondo no? 2J Gesù gli rispose: - Chi mi ama compirà il mio messaggio, e mio Padre gli dimostrerà il suo amore: verremo da lui e ci fermeremo a vivere con lui. " Colui che non mi ama non compie le mie parole; e il messaggio che state udendo non è mio, ma di chi mi mandò, del Padre.

25

Vi lascio dette queste cose mentre vivo con voi. 26 Questo soccorrito­ re, lo Spirito Santo che il Padre invierà per causa mia, egli vi andrà insegnando tutto, ricordandovi tutto ciò che io vi ho esposto.

NOTE FI LOLOGICHE 1 4 , 1 6 soccorritore, gr. parakletos (14, 1626; 16, 7 ; l Gv 2 , l di Gesù). Etimologicamente deriva da parakaleò con significato passivo: • uno ch ia· mato per stare accanto/per assistere •. Nella lingua classica (raro) si usa come • awocato • in un giudizio. Di qui passa al significato at tivo ; « chi aiuta quello che gli st a a lato ». Dato che in Gv non appare come difensore dei discepoli, ma come colui che li aiuta con l 'ins egnamento (14, 26), rende testimonianza con loro (15, 26) c accus a il mondo (16, 7ss). il termine più generico di • soccorri tore » è preferibile ad « awocato •. Nella letteratura rabbinica si usa, tra sli tterato dal $reco, con i si gnif icat i avvocato, inter· cessare, soccorritore (S.-B. II, 560ss) . Non appare nei LXX.

17 lo Spirito della ve rit d, gr. to pneuma tls alétheias (15, 26; 16, 13). Genit. epeseg.: quello che è la verità, la comunica e fa vivere in essa; si oppone allo spirito dell'errore (l Gv 4, 6: to pneuma tes planès), lo spirito che in· ganna, ingannevole. Dato, tuttavia, il duplice significato di aletheia: verità, lealtà (cfr. l, 14: kharis kai alétheia; 4, 2324: en pneumati kai alétheia, 3, 2 1 : ho po iòn tén alètheian, quello che pratica la lealtà = amore leale), lo Spi rito della verità è lo Spirito della lealtà, l'amore leale che procede dal Pa dre (15, 26): questa è la verità o realtà divina (cfr. 17, 17: consacrali con

la veritd).

597

L'ora finale. La Pasqua del Mesola

- né lo riconosce, gr. oude gin6skei. Cfr. 1 , 10 nota e 3, 8. - starà, gr. es1ai. Lettura fondata meglio di quella estin e che corrisponde, inoltre, alla futura venuta dello Spirito, cfr. Lett. 18 abbandonati, letter. orfani. Usato non raramente in senso metaforico, di discepoli rispetto al maestro. Così in Platone, Fed., ll6a, per la morte di Socrate. 19

Entro breve tempo, gr. eti mikron kai. Ancora un poco e ...

20 sperimenterete, gr. gn6sesthe. Si tratta, in questo caso, di una cono­ scenza dovuta a esperienza interiore; cfr. 17, 3. - in. Cfr. 10, 38 nota. 21 Chi ha fatto suoi, gr. ho ekh6n. Pres. risultativo di appropriazione/as­ similazione, cfr. El Aspecto Verbal, nn. 106-109. - a colui ... dimostrerà il suo amore, gr. agapethesetai auton. L'uso di agapad in questo versetto e nel v. 23 è manifestativo; cfr. 3, 16; 10, 17; 15, 9. - manifestandogli la mia persona, gr. kai emphanis6 auto emauton. La pro­ pos. coordinata indica il modo in cui si effettua quanto espresso dalla pre­ cedente; cfr. 4, 28; 5, 2 1 : su.scita i morti e dà loro vita ( = dando loro vita); 14, 1; lo stesso in 14, 23. Emphaniz6: Gv 14, 2122; Mt 27, 53, dei morti risu· scitati; At 23, 15, presentarsi alle autorità; 23, 22, rivelare un segreto; 25, 2.15, presentarsi davanti a qualcuno; Eb. 9, 24, davanti a Dio; 1 1 , 14, mostrare, dimostrare. La mia persona: modo per tradurre l'enfasi del pronome

emauton.

22 L'altro. Aggiunto al greco, per evitare fin dal principio la confusione con Giuda Iscariota.

- come mai .. ?, gr. ti gegonen. Cos'è avvenuto [che giustifichi] ... ? - e al mondo no. Si noti il parallelismo fra 7, 4b: phaner6son setmton ttJ kosm6, e 14, 22: emphanizein seauton ... 16 kosm6. .

23 Chi ini ama, gr. ean tis agapiJ. me. Espressioni indeterminate equivalenti - il mio messaggio, gr. logos. Parola concreta, messaggio, in corrispondenza con



mie parole



nel v. 24. ·

- ci fermeremo a vivere con lui, gr. monbt par'aut6 poiésometha (voce media). Noi faremo dimora/vita con/insieme a lui (cfr. 14, 17, dello Spirito). La permanenza indicata da ci fermeremo è inclusa in mone: stabilire una di­ mora permanente = fermarsi a vivere. Il Padre e Gesù prendono dimora con il discepolo; la metafora è quella di un cambiamento di casa. La frase forma inclusione con 14, 2 e lo spiega. I molti posti nella dimora del Padre equivalgono alla dimora che il Padre e Gesù stabiliscono in ogni discepolo ; essere figlio di Dio = essere dov'è Gesù (14, 3b), cioè, stare con lui (14, 3a: vi prenderò con me) nell'intimità det Padre. La costruzione coordinata (kai pros auton ...) è anche modale (cfr. 14, 21); qui viene indicata mediante la punteggiatura (:).

25

Vi lascio

pres. - fut.

dette,

gr.

lelaleka

(15, 11;

16, 1.4.6.25.33).

Pf. definitivo eli

lo Spirito Santo, gr. lo pneuma lo hagion (1, 33; 20, 22). In parall. lXIII to pneuma tes aletheias (14, 17; cfr. 14, 16.26: parakletos). - per causa mia, gr. en t6 onomati mou. I l significato di questa locuzione è stato spiegato in 14, 13 nota. Qui, tuttavia, si trova in parallelismo con 26

598

14, 15-26. Dio nella nuova umanltli

14, 16: kag6 er6t�s6 ttm patera. La missione dello Spirito, dal punto di vista di Gesù, sarà frutto della sua preghiera. Dal punto di vista del Padre, sarà l'adempimento della preghiera di Gesù (en t6 anomali mou). La tra· duzione deve esprimere questo significato, senza usare tuttavia una formu­ la troppo esplicita; di qui: pe r causa mia [della mia persona]. - ricordandovi, gr. kai hupomm!sei humas. La ripetizione del complemento tutto (panta), che identifica i contenuti, mostra che la propos. coordinata è modale, cfr. 14, 21.23.

CONTENUTO E DIVIS IONE Gesù ha tracciato l'itinerario della nuova umanità, itinerario che la con­ duce a incontrare il Padre nella solidarietà totale con l'uomo (14, l-14). In questa pericope espone come Dio diventi una cosa sola con la comunità e viva in ogni membro di essa. Si hanno così due aspetti dell'esodo: la comunità in cammino e la presenza di Dio in mezzo ai suoi. La condizione per questa presenza è l'identificazione del gruppo con la persona e il mes· saggio di Gesù, attraverso l'amore per lui e la pratica dei suoi .comanda­ menti. Gesù assicura la comunità che essa non è sola nel suo cammino. La perico­ pe comincia così promettendo l'invio di un nuovo soccorritore, lo Spirito della verità (14, 15-17). Gesù tornerà a essere presente fra i suoi, come vin­ colo di unione con il Padre (14, 111·20). In ogni membro abiteranno il Padre e Gesù; la condizione per questo è la pratica del messaggio dell'amore (14, 21-24). La pericope si chiude tornando al tema del soccorritore promes­ so, lo Spirito, che appare nella sua funzione di consacratore e maestro

(14, 25-26).

Si può dividere così:

14, 15-17: II nuovo soccorritore, lo Spirito della verità. 14, 1 8-20: Gesù nella comunità, vincolo di unione con il Padre. 14, 21-24: Ogni membro, dimora del Padre e di Gesù. 14, 25-26: II nuovo soccorritore, lo Spirito che consacra e insegna.

LETTURA Il nuovo soccorritore, lo Spirito della verità 14, 1 5



Se mi amate, compirete i comandamenti, miei ».

L'amore per Gesù (21, !Se Lett.) è condizione per compiere i suoi comandamenti, così come la messa i n pratica dei suoi comandamenti sarà la prova dell'amore per lui (14, 2 1 ) . Chi non ama Gesù non può amare gli altri; chi non ama gli altri non ama Gesù. Per la prima volta Gesù menziona l'amore dei discepoli per lui; la fede in lui denota pertanto un'adesione personale che culmina nell'amore. L'adesione alla sua persona e alla sua opera si trasforma in un impulso di identificazione.

L'ora finale.

La

Paoqua del Messia

Per l'identificazione con lui, i comandamenti perdono ogni carattere di imposizione: sono le esigenze dell 'amore. Compierle significa essere come lui, e a questo conduce spontaneamente la forza interiore dello Spirito. Non si tratta dell 'obbedienza dei discepoli a norme esterne, ma della espansione interiore della loro sintonia con Gesù. Se Gesù conserva il termine • comandamento » per designare tale realtà, è soltanto per opporre la sua norma di vita ai comandamenti della Legge antica, che vengono superati; per i suoi discepoli valgono soltanto i suoi. La stessa enfasi della costruzione: i comandamenti miei, in luogo de i miei comandamenti, indica l'opposizione a quelli della Legge di Mosè. Dopo aver esposto il comandamento nuovo (13, 34) , Gesù parla dei • suoi comandamenti » ( 1 4 , 15.2 1 ; 15, IO); il comandamento nuovo creava la solidarietà dell'amore nella quale sono presenti Gesù e il Padre ( 1 3 , 17; 17, 2 1 Lett.); è in base a tale solidarietà che si esercita l'amore per l'umanità, con la realizzazione delle opere di Dio (9, 3s) : esse sono Il contenuto dei comandamenti di Gesù. Questi non vengono mai enumerati né formulati: come le « esigenze • ( 1 5 , 7; 17, 8). sono la risposta dell 'amore alla necessità dell'uomo in ogni circostanza. « Co­ mandamenti •, • esigenze » e • parole designano le varie traduzioni pratiche di questo messaggio d'amore (14, 23.24). Così come il peccato costitutivo della solidarietà per fare il male (• il mondo •). sfociava nei « peccati • o ingiustizie contro l'uomo. parallelamente il comandamento •, costitutivo della solidarietà per l'amore (la comunità di Gesù), si dispiega nei • comandamenti • , che prescrivono l'attività a favore dell 'uomo. « Il comandamento nuovo » è prototipo di tu t ti gli altri: l'identificazio­ ne con Gesù attraverso un amore per i fratelli simile al suo (13. 34) che lo rende presente nella comunità ( 1 3 , 17 Lett.) - porta in sé l'esigenza dell'amore per tutti gli uomini, così come egli li ha amati. •



•,



-

1 6-17a « io, a mia volta, pregherò il Padre, e vi darà un altro soccorri­ tore che stia con voi sempre, lo Spirito della verità •. -

Gesù esercita un'attività mediatrice presso il Padre per la comunicazio­ ne dello Spirito ai suoi. t> l'uomo (Spirito Santo), e attraverso di lui tutta la creazione. Non vi sono piit, quindi, ambiti sacri in cui Dio si manifesta al di fuori dell'uomo stesso. Questa « sacralizzazione >> produce, al tempo stesso, una « desacralizzazione >>, sopprimendo ogni mediazione del « sacro » esteriore all'uomo. II Padre pertanto non è più un Dio lontano, ma colui che si avvicina all'uomo e vive con lui, facendo comunità con gli uomini, oggetto del suo amore. La ricerca di Dio non esige che lo si vada a cercare al di fuori di se stessi, ma che ci si lasci incontrare da lui. che si scopra e si accetti la sua presenza attraverso un rapporto, che non è più quello di servo/signore, ma di Padre/figlio. Questo nuovo rapporto dell'uomo con Dio implica il suo nuovo rappor­ to con l 'uomo. Il suo modello è Gesù, cui il credente si assimila. Dio rivela la sua presenza e stabilisce la sua comunione nella comunione con l'uomo. Nel dono di sé agli altri si verifica l'incontro con il Padre. La presenza di Dio nell'uomo non è statica: è quella del suo Spirito, il suo dinamismo d'amore e di vita, che rende l'uomo « spirito • come lui, facendolo partecipare al suo stesso amore. Il Padre è l 'amore assoluto, e pertanto l'assoluto dono di sé; si rivela in Gesù come colui che si dona per dar vita all'uomo. Per questo sparisce la mediazione della Legge: l'unica legge è Gesù, in cui il Padre, attraverso il suo Spirito, ha realizzato il modello di uomo. Dio somiglia a un 'onda in espansione che comunica vita con generosità infinita. Non vuole che l'uomo sia per lui, ma che - vivendo di lui - sia come lui, dono di sé, amore assoluto: questo è il comandamento trasmesso da Gesù. All'uomo spetta accettar­ lo, incorporarsi a questa forza, lo Spirito di Dio, che tende a espandersi in un continuo dono. Quando l'uomo lo riceve, Dio realizza in lui la sua presenza e comincia a produrre frutto, segno della vita. Così la crescita e lo sviluppo dell'uomo sarahno l'affermazione di Dio stesso in lui. L'uomo e tutto il creato sono l'espressione della sua generosità gratui­ ta: stimarlo, affermarlo e farlo crescere è rendergli grazie per il suo amore. La sua venuta è un atto creatore della sua generosità. Dio non è il rivale dell'uomo; non l'ha creato per reclamargli poi la sua vita come tributo e sacrificio; egli non accentra né diminuisce l'uomo, ma lo poten­ zia. L'uomo non può annullarsi per affermare Dio, perché questo significherebbe negare Dio creatore, il datore della vita. L'unione con Dio non si compie risalendo la corrente per sparire nelle origini, ma accettando il Dio che viene, inserendosi nella grande corren­ te della vita in espansione che è lui stesso. Dio integra gli uomini nella sua azione cosmica di vita e di amore, manifestata in Gesù. L'uomo si unisce così con Gesù all'azione del Padre. Il centro che irradia vita si va ampliando, e si va realizzando il destino gioioso della creazione intera: la pienezza di vita nell'amore.

607

Gv 14, 27-31: Conclusione: Il commiato 27 " Pace , è il m io commiato; la mia pace vi auguro, ma io non mi accomiato come si accomiatano tutti. Non siate turbati, né abbia t e paura; la av e t e sentito tutto ciò che vi ho detto: che me ne vado p er tornare con voi. Se mi amaste vi rallegrereste che io vada dal Padre, p e rch é il Pa dre è piLt di me. " Ve lo lascio de t to ora, prima che avvenga, affinché q uand o avvenga giungiate a credere. 30 Ormai non c'è tempo di parla r e a lungo , perché sta per giungere il capo del mondo. Non che egl i possa alcunché contro di me, 31 ma così il mondo comprenderà che amo il Padre e compio esattamente ciò che mi comandò. Alzatevi, andiamocene da q ui!

NOTE F I LOLOGICHE 14, 27



Pace •

è

il

mio

commiato,

gr.

eirenen aphiemi humin. Ap h iemi

significa qui lasciare qualcosa quando uno se ne va. Si tratta del saluto di commiato rivolto con la frase convenzionale ebraica: Pace (cfr. l Sam l, 17: vai in pace), sulla bocca di chi se ne va: restate in pace. Pace:

14, 27; 16, 33; 20, 19.21 .26.

- la mia pace vi auguro. gr. eir�nén di commiato, come in it. salutare.

ten emen did6mi humin.

t! la formula

- ma io non mi accomiato, gr. ou kath6s, ecc. (opposizione implicita). Letter. non come il mondo (la) dà io (la) dò a voi. La trad. it. rende l'equivalente culturale, dato che la trad. letterale non farebbe capire il motivo del detto di Gesù. Di fatto, egli non si accomiata come tutti perché continuerà a essere presente, come assicura in seguito. - tutti, gr. ho kosmos. Cfr. 12, 19 nota.

28

che· me ne vado per tornare.

(Per il verbo hupag6 cf r. 6,

Stile indiretto N.d.T.).

in

luogo di quello diretto.

21 e 8, 21.

30 Ormai n on c'� tempo di parlare a lungo, gr. ouketi polla lalés6 meth'hu­ m6n. Ormai non parlerò molto con voi. La traduzione si fonda sul motivo che si adduce in seguito: sta per giungere, ecc. Non è per decisione di Gesù, ma perché la sua attività sta per essere interrotta. - il capo del mondo. Cfr. 12, 31; 16, Il. - Non che egli possa alcunché contro di me. Frase ebraizzante (S.-B, II, 563) 'én Jel 16 ' alay, non ha nulla su di m e/cont ro di 1ne, che si può· interpretare di puro diritto o del suo effetto, il potere. Qui ha il significato forte, poiché è im plic ito il riferimento a IO, 18: nessuno mi tog li e la vi ta .

31

esattamente, gr.

kath6s ... hout6s.

Cfr.

8, 28; 12, SO.

CONTEN UTO E DIVISIONE Terminata l a s ua istruzione a i discepoli e gettate le fondamenta della nuo­ va umanità, Gesù si accomiata. Li tranquillizza per il futuro, perché la sua assenza sarà breve. Le parole che ora pronuncia daranno sicurezza ai suoi

608

14, %7-31. n commiato

quando si compiranno (14, 27-29). Giunge il momento di dimostrare il suo amore per il Padre, dando la sua vita per gli uomini. Il mondo nemico si avvicina. Gesù invita i suoi a uscire (14, 30-31). Si possono distinguere due m omenti:

14, 27-29: Il commiato. 14,30-31: La partenza.

LmURA Il commiato 14,27 « •Pace• � il mio commiato; la mia pace vi auguro, ma io non mi accomiato come si accomiatano tutti. Non siate turbati, né abbiate paura

•·

Gesù si accomiata augurando loro la pace. Questa era il saluto comune arrivando e partendo. La sua pace, tuttavia, è diversa: non è un banale saluto. Né egli si accomiata come tutti, perché se ne va, ma non sarà assente. Questo deve dar loro serenità e toglierli da ogni timore. Gesù chiude questa parte della sua istruzione cosi come l'aveva cominciata (14, 1).

28



avete sentito tutto ciò che vi ho detto:

che me ne vado per

tornare con voi. Se mi amaste vi rallegrereste che io vada dal Padre, perché il Padre



più di me

•·

Cita le sue parole precedenti per tl'1lnquillizzarli di nuovo; la sua assenza non è definitiva, e nemmeno prolungata. Andare dal Padre, anche se attraverso la morte, non è una tragedia, dato che la sua morte sarà la manifestazione suprema dell'amore del Padre (12, 27s), la vitto­ ria sul mondo e sulla morte. Il Padre è più di lui, perché in lui Gesù ha le sue origini ( 1 , 32; 3, 13.31; 6, 51), il Padre lo ha consacrato e inviato (10, 36) e tutto ciò che Gesù ha, proviene dal Padre (3, 35; 5, 26s; 17, 7). 29



Ve lo lascio detto ora, prima che avvenga, affinché quando avven·

ga, giungiate a credere

•·

Gesù, che aveva predetto il tradimento perché i suoi discepoli com­ prendessero più tardi la grandezza del suo amore e si confermassero nella sua messianicità (13, 19). ripete ora la sua frase a proposito della propria promessa di tornare. La prima volta si riferiva alla sua morte; la seconda, ai suoi effetti: il trionfo della vita in lui e in loro.

609

L'ora flnalè. 1.11 Pasqua del Meoala

La

partenza

30a • Ormai non c'è tempo di parlare a lungo, perché sta per giungere il capo del mondo ». La partenza di Gesù è imminente, la permanenza con oì. suoi volge al termine. Sta per confrontarsi con il capo del mondo ingiusto, già menzionato in 12, 31 (il capo di questo ordinamento sta per essere cacciato fuori). Come in quell'occasione è la personificazione del potere oppressore, figura di coloro che stanno per arrestarlo, i rappresentanti del potere civile e religioso ( 1 8, 3: Giuda prese la guarnigione, e guardie dai sommi sacerdoti e dai farisei ... ) . 30b-31 a • Non che egli possa alcunché contro di me, ma cosl il mondo comprenderà che amo il Padre e compio esattamente ciò che mi co­ mandò •. Gesù non è assolutamente sottomesso a tale potere, n� questo può rivendicare autorità su di lui, né diritto ad arrestarlo e condannarlo. Ma Gesù accetterà il confronto per mostrare all'umanità il suo amore per il Padre, portando a compimento la sua opera a costo della propria vita (10, 17: per questo il Padre mi manifesta il suo amore, perché io consegno la mia vita e così la recupero). La morte di Gesù deve convincere tutti della autenticità del suo messaggio, della sua fedeltà a colui che Io inviò. Compirà scrupolosamente il suo incarico, liberando l'uomo e comunicandogli vita. La sua fedeltà al Padre, non cedendo né transigendo in nulla con il mondo, sarà la prova del suo amore. Esiste un chiaro parallelismo fra questa frase: così il mondo compren­ derà che amo il Padre e compio esattamente ciò che mi comandò, e quella di 8, 28: allora comprenderete che io sono quello e che no11 faccio nulla per conto mio, ma propongo esattamente ciò che mi ha insegnato il Padre. Il parallelismo identifica in primo luogo i dirigenti giudei, ai quali Gesù si rivolge in 8, 28, menzionando • il mondo • (14, 3 1 ; cfr. 8, 23). Ciò che questo deve comprendere viene enunciato sia in: • che io sono quello • ( = il Messia, cfr. 8, 24b Lett.) , sia in: «che amo il Padre Infine, in entrambi i casi, si deduce che l'attività di Gesù ha la sua origine nella missione ricevuta dal Padre. •.

Jlb



Alzatevi, andiamocene da qui!

•·

Al termine dell'istruzione comunitaria, Gesù ha annunciato l'arrivo del capo del mondo. La sua esortazione a uscire (14, 3 1 ) ha un tono di sfida che si trasforma in consegna per tutta la comunità (andiamocene). Questa, come Gesù, deve stare nel mondo e in esso deve dare frutto. Costerà sofferenza, perché il mondo la odia a morte (15, 1 8s). Invita i suoi discepoli ad andarsene con lui. Con le sue parole indica nuovamente la sua accettazione della morte che si avvicina; in esse include in qualche modo i suoi discepoli che, nel futuro, dovranno essere disposti a morire con lui (Il , ISs). Va incontro al suo esodo definitivo, parte dal mondo per passare definitivamente al Padre (13, 1). 610

14, 27-31. n commiato

Questo versetto divide il discorso della Cena in due parti. Nella prima, l'istruzione di Gesù, in opere e parole, si riferiva alla costituzione della comunità; nella seconda (capp. 1 5-16) tratterà della sua identità e della sua missione nel mondo, del frutto che deve produrre e dell'oppo­ sizione e persecuzione cui farà fronte. L'invito ad andarsene con lui indica appunto la differenza di tema. Gesù sta per andare con il Padre passando attraverso il mondo di tenebra e morte, e in questo passaggio porta con sé i suoi . La costituzione della comunità è avvenuta all'inter­ no della casa, ma il suo cammino è fuori, in mezzo all'umanità oppres­ sa e in opposizione ai poteri oppressori.

SINTESI morte di Gesù, ormai imminente, non dev'essere motivo di inquietu· dine per i suoi, poiché egli tornerà a essere presente in mezzo a loro; per di più, guardando al suo esito, dev'essere motivo di allegria, perché indica il culmine della sua missione e la realizzazione della sua opera, il suo stare definitivo con il Padre. L'esperienza futura di questa realtà confermerà la fede e l'adesione dei discepoli. Gesù si confronterà con i poteri ostili. Coloro che seguono Gesù e sono membri dell'umanità nuova cui egli è venuto a dar inizio, contano sull'aiuto del Padre e su quello di Gesù, non sono soli nel corso della storia. Il messaggio di Gesù dovrà essere vissuto in circostanze molto diverse. Bisogna ora vedere la missione di questo gruppo nell'umanità, e l'oppo­ sizione che incontrerà. La

611

Seconda sequen1.4 LA NUOVA COMUNITÀ IN MEZZO AL MONDO

(15,

1- 16, 33)

G v 15,1-6: La comunltl I n espansione • Io sono la vite vera, mio Padre è l'agricoltore. 2 Ogni tralcio che in me non produce frutto lo taglia, e ognuno che produce frutto lo va pulendo, perché dia più frutto. l Puliti voi già siete, per il messaggio che vi ho comunicato. • Rimanete con me, e io rimarrò con voi. Come il tralcio non può dar frutto da se stesso se non rimane nella vite, così nemmeno voi se non rimanete con me.

' Io sono la vite, voi i tralci. Colui che rimane con me - e io con lui questi produce molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6 Se uno non rimane con me, lo gettano fuori come i tralci, e si secca; raccolgono i tralci, li gettano nel fuoco e bruciano.

NOTE FILOLOG I C H E 15, l vera, gr. allthine. Cfr. l, 9, la luce; 4, 23 , gli adoratori; 4, 37, il pro­ verbio; 6, 32, il pane del cielo; 7, 28, l 'e sistenza di colui che lo inviò; 8, 16, il g iudizio di Gesù, la sentenza di Gesù (valida); 1 5, l, la vite; 17,3, Dio; 19, 35, la testimonianza.

2 lo taglia, gr. airei auto. Letter. lo toglie. - lo va pulendo, gr. kathairei auto. Il termine greco contiene un sema di purificazione, e stab ilisce un gioco di parole con il v ersetto 3 puliti (gr. katharol), rinviando alla lavanda dei piedi. Cfr. 13, 10.11; (N.d.T.). 3 Puliti. Cfr. 13, 10.11 nota. - il messaggio, gr. ton logon. Parola concreta, formulazione, il contenuto di un discorso; cfr. 1 , 1.14; 14, 2324; 15, 20; 17, 6.14.17.20. Rimanete, gr. meinate. Aor. che esprime una conferma o rinnovamento dell'atteggiamento che 'già si ha. - e io [rimarrò] con voi; e: gr. kai consec. Si aggiunge la parola tra pa­ rentesi per indicare la ì:lifferenza tra i due membri, espressa ellitticamente nel testo. La prima parte è un'esortazione, la seconda è una promessa. - da se stesso, gr. aph'heautou. Cfr. 5, 19. - rimane ... rimanete, gr. mené ... menete. Pres. cong. - con me, gr. en emoi. Applicando l'immagine della vite alla persona di Gesù, è preferibil e la trad. • con me •; cfr. 6, 56 nota. 4

6 Se uno non rim ane con me, lo gettarw fuori... e si secca. La costruzione greca, ean me tis meni (pres. cong) ... eblétM (aor. indie.) ... kai e:4:éran612

15, 1-16. La coanmtt• m npanslone

thé (aor. indie.), letter. se uno non restasse con me, lo gettarono fuori . . e si seccò, non rispetta la consecutio temporum. Si sarebbe potuto usare il presente (bal/etai, xérainetaz), ma idiomaticamente l'aor. indica inevitabilità e definitività dell'azione o stato. In it. si danno casi simili: per esempio, se non dà rett11., si è perso per se mpre, dove il passato è in luogo di un fu­ turo: si perderà per sempre. - lo gettano fuori, gr. eblethé ex6. Da bal/6; cfr. ekbal/6 ex6, cacciar fuori: 6, 37; 9, 3435 (dell'espulsione del cieco guarito); 12,31 (del capo di questo ordinamento). Il suo significato è passivo, correlativo di 15, 2: il Padre lo taglia. - raccolgono i tralci... bruciano, gr. kai sunagousin auta ... kaietai. A causa dell'alternarsi di soggetti diversi nel testo greco, si preferisce tra­ durre il pronome auta con il sostantivo, mentre la propos. coordinata kai kaietai viene resa con la congiunzione (e) (N.d.T.). .

CONTEN UTO E DIVISIONE In questa pericope inizia l'istruzione di Gesù circa l'identità e la situazione della sua comunità in mezzo al mondo. La comunità umana che egli fonda è il vero popolo di Dio, in opposizione a quello antico. L'identità gli viene dallo Spirito, che riceve continuamente da Gesù (la linfa della vita), lo mantiene unito a lui e gli assicura la fecondità. La pericope ha tre parti; la prima e la terza cominciano con affermazioni simili (15, 15: io sono la vite). La prima (15,1-2) parla dell'attività del Pa­ dre. La seconda (15, 3-4) espone la condizione perché la comunità produca frutto. La terza (15, �) presenta al discepolo l'opzione indispensabile per avere vita e produrre frutto abbondante. Riassumendo: 15, 1-2: Attività del Padre. 15, 3-4: La comunità: condizione per il frutto. 15, �: II discepolo: frutto e sterilità.

LffiURA Attività del Padre 1 5, l



lo sono la vite vera, mio Padre

è t'agricoltore».

La vite o vigna era il simbolo d i Israele come popolo di Dio. Cosl Sal 80, 9: • Hai divelto una vite dall'Egitto; per trapiantarla, hai espulso i popoli. Le hai preparato il terreno, hai affondato le sue radici e ha riempito la terra •. L'equivalenza vite /vign a appare nei vv 15s: « Visita questa vigna, proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato •· Fra altri testi, Is 5, 1.7: • Ca n t erò per il mio d i letto il mio cantico d'amore per la sua vigna. Il mio diletto p os sedeva una vigna sopra un fertile colle ... la 613

L'ora Jlnale. La Puqua del Messia

\'igna del Signore degli eserciti è la casa di Israele •: Ger 2, 2 1 : « Io ti avevo piantata come vigna scelta, tutta di vitigni genuini; ora, come mai ti sei mutata in tralci degeneri di vigna bastarda? »; Ez 19, 10-12: • Tua madre era come una vite piantata vicino alle acque. Era rigoglio­ sa e frondosa per l'abbondanza dell'acqua ... mirabile per la sua altezza e per l'abbondanza dei suoi rami. Ma essa fu sradicata con furore e gettata a terra; il vento d'oriente la disseccò, disseccò i suoi frutti » (cfr. Os 10, l ; 14, 8; Ger 6, 9; Ez 17, 5-10). L'affermazione di Gesù si contrappone ai testi deii'AT. :e lui la vite vera, il vero popolo di Dio, formato dalla vite con i suoi tralci. Non c'è altro popolo di Dio oltre quello che si costmisce a partire da Gesù. Continua il tema della sostituzione, iniziata nella scena di Cana (2, 1 - 1 1 ) . Egli è stato designato come l a luce vera, che s i oppone alla Legge ( 1 , 4-9; cfr. 8, 12), il vero pane del cielo, in contrapposizione alla manna (6, 32). Ora si definisce come il vero popolo di Dio. Come neii'AT, è Dio, il Padre di Gesù, che ha piantato questa vite. Egli stesso ne ha cura (cfr. Is 5, 1-7), dimostrandole il suo amore. La vigna è cosa del Padre, perché è la comunità che egli ha fondato. Le immagini vite/vigna sono equivalenti. Gv utilizza • vite • per mostrare la sua unità e la sua unica origine in Gesù. 2a

«Ogni tralcio che in me non produce frutto lo taglia

•·

Gesù comincia con un avvertimento severo, che già definisce la missio­ ne di questa comunità. Egli non ha creato un cenacolo chiuso né un ghetto, ma una comunità in espansione. Ogni tralcio che sia vivo deve dare frutto; ogni membro ha cioè una crescita da effettuare e una missione da compiere. II frutto è apparso già in 4, 36, con riferimento al raccolto di Samaria, in chiave universale, e in 12, 24 dove l 'avvicinamento dei greci (12, 20s) provoca la dichiarazione di Gesù. Il frutto è l'effetto della morte del chicco di grano, cioè dell'espressione dell'amore senza misura. Lo stesso frutto viene descritto in altri termini in 12, 32, come l'attrazione univer­ sale che Gesù eserciterà con l'essere levato in alto. I I frutto è la realtà dell'uomo nuovo. L'attività, espressione del dinamismo dello Spirito, è la condizione perché esso esista; si realizza a livello di individuo e di comunità (crescita) e a livello di propagazione (nascita dell'uomo nuovo, cfr. 16, 21), cioè in intensità e in estensione. Un tralcio non produce frutto perché non risponde alla vita che gli si comunica. Il Padre, che ha cura della sua vigna, lo taglia; è un tralcio bastardo, che non appartiene a questa vite. Gesù non esclude nessuno (6, 37), ma il Padre si. Nell'allegoria della vite, la sentenza prende l'aspetto di sfrondamento. Il Padre si incarica di sfrondare la sua vigna. Ma questa sentenza non è altro che la convalida di quella che l'uomo stesso si è data (cfr. 3, 17- 1 8; 5, 22) ; ricusando di amare e non dando retta al Figlio, si colloca nella zona dell'ira di Dio (3, 36). I l tralcio che non dà frutto è quello che appartiene alla comuni­ tà, ma non risponde allo Spirito. Quello che mangia il pane, ma non assimila Gesù.

614

15, 1-16. u comunltil In esp11D8Ione

2b



frutto

e

•-

ognuno

che

produce

frutto

lo va

pulendo,

p�rché

dia

più

Chi pratica l'amore deve seguire un processo ascendente, uno sviluppo, reso possibile dallo sfrondamento compiuto dal Padre. La sua attività è positiva (va pulendo) ed elimina i fattori di morte; lasciando che il tralcio/discepolo sia sempre più autentico, più libero, gli dà maggiore capacità di dedizione e ne aumenta l'efficacia. Come il chicco di frumento deve morire per produrre frutto abbondan­ te (12, 24), e la donna deve soffrire perché nasca l'uomo (16, 21), cosi anche il tralcio dev'essere sfrondato. Questa condizione per accrescere il frutto coincide con quella espressa in precedenza in termini di morte (12, 24), in quanto questa significa rinuncia al pr · oprio interesse, disaffe­ zione per la propria vita (12, 25). Lo sviluppo è stato esposto anteriormente dal punto di vista del discepolo, come il suo cammino verso il Padre attraverso il crescente dono di sé (14, 6b Lett.). Lo Spirito è un dinamismo che non si arresta. Non esiste uno stadio finale oltre quello dell'amore fino alla morte, come mostra Gesù (13, 1). L'intenzione del Padre è l'aumento del frutto, nella correlazione che esso contiene; frutto d'amore nel discepolo, e frutto di nuova umanità.

lA 3



comunità: condizione per il frutto

Puliti voi già siete, per il messaggio che vi ho comunicato

•·

I discepoli sono puliti, come Gesù aveva affermato (13, 10). Vi è pertan­ to una purezza iniziale e un 'altra dovuta alla crescita. La prima si realizza con l'innesto nella vite separandosi dall'ordinamento ingiusto, il che, da parte del discepolo, richiede la decisione di mettere in pratica il messaggio di Gesù (8, 31 Lett.). La seconda, compiuta dal Padre, mira alla fecondità di tale innesto. I discepoli, appreso il messaggio, pos­ sono già cominciare a dar frutto. Il discorso, che espone la realtà della comunità nel mondo, come società nuova e alternativa che comin­ cia con Gesù, vale per ogni epoca. Il termine • pulito • . che in linguaggio religioso si traduce con • puro •, mette questo passo in relazione con le purificazioni menzionate nella scena di Cana (2, 6) e in quella dei discepoli di Giovanni Battista (3, 25), e inoltre con la lavanda dei piedi (13, 10s). Le giare vuote di Caita erano una falsa promessa di purificazione; in quella scena Gesù promise la purificazione attraverso lo Spirito (vino nuovo) (2, 8-9 Lett.). Nell'episo­ dio dei discepoli del Battista, il battesimo di quest'ultimo veniva erroneamente interpretato come una purificazione rituale, mentre il suo significato era la rottura con l'ordinamento ingiusto (3, 25 Lett.); tale rottura è la condizione per essere purificati, dato che il peccato consi­ ste nell'appartenere a tale ordinamento (8, 23 Lett.). Nella cena, in risposta alla cattiva interpretazione di Pietro, Gesù spiegò ai discepoli che egli non lavava loro i piedi per purificarli, dato che già erano puri (13, 10-11 Lett.). In questo passo si menziona per l'ultima volta il tema e si attribuisce la purezza al messaggio ricevuto e accettato. 615

L'ora Roale. La Puqua del Menla

Si può ora fare la sintesi di questi dati dispersi. La purificazione viene prodotta dall'opzione a favore del messaggio di Gesù, che è quello dell'amore. Questo separa dal mondo ingiusto, e toglie pertanto il peccato. Il messaggio, al tempo stesso, in quanto diventa realtà nella vita nel discepolo, si identifica con lo Spirito, il dinamismo dell'amore. Chi, docile allo Spirito, prende l'amore fattivo come norma di vita (14, 2 1 : comandamenti) è puro, e l'attività del suo amore lo purifica sempre più. In riferimento alla lavanda dei piedi, non è l'essere lavato che purifica, ma il lavare i piedi agli altri; chi dimostra il suo amore, è pulito. Aspetto positivo del concetto • puro/pulito » è essere gradito a Dio e avere accesso alla sua presenza: soltanto chi pratica l'amore per gli altri piace a Dio (14, 23: mio Padre gli dimostrerà il suo amore); e non solo avrà accesso a Dio, ma il Padre verrà ad abitare con lui (14, 23).

4 • Rimanete con me, e io rimarrò con voi. Come il tralcio non può dar frutto da se stesso se non rimane nella vite, così nemmeno voi se non rimanete con me •. Gesù esorta i discepoli a rinnovare la loro adesione a lui, in funzione del frutto che devono produrre. L'unione a Gesù non è qualcosa di automatico né di rituale: richiede la decisione dell'uomo, e all'iniziativa del discepolo risponde la fedeltà di Gesù (e io rimarrò con voi). Questa vicendevole unione fra Gesù e i discepoli, visti qui come gruppo, è la condizione per l'esistenza della sua comunità, per la sua vita e per il frutto che deve produrre. La sua comunità non avrà vero amore per l'uomo senza l'amore per Gesù (14, 15: se mi amate, compirete i comandamenti miei), e senza amore per l'uomo non c'è frutto possibile. Il tralcio non ha vita propria, e pertanto non può dar frutto da solo, ha bisogno della Ji.nfa, cioè dello Spirito comunicato da Gesù. Interrompe· re il rapporto con Gesù significa tagliarsi fuori dalla fonte della vita e ridursi alla sterilità. L'assenza di frutto denuncia la mancanza di unione èon .Gesù (2 1 , 3 b Lett.).

Il discepolo: frutto e sterilità S-6 • lo sono la vite, voi i tralci. Colui che rimane con me e io corr lui - questi produce molto frutto, perché sem:a di me non potete far nulla. Se uno non rimane con me, lo gettano fuori come i tralci e si secca; raccolgono i tralci, li gettano nel fuoco e bruciano •. -

Gesù ripete ora la sua prima affermazione, in relazione non al Padre, ma ai discepoli. Fra lui e loro esiste un'unione intima. La stessa vita che è in lui circola nei suoi.

Colui che rimane con me - e io con lui - questi produce molto frutto. La frase di Gesù raccoglie quella pronunciata in 6, 56: chi mangia la carne mia e beve il sangue mio rimane con me, e io con lui. Questo spiega il significato dell'unione con la vite; consiste nel mangiare la sua e e bere il suo sangue, cioè nell'assimilare la sua vita e morte. espressioni del suo amore. Il testo allude all'eucarestia, spiegata come

carn

616

15, 1-16. La comunltè In esp1111slone

l'impegno con Gesù che porta all'im.pegno con gli altri. Questa assimila­ zione di Gesù è quella che produce il frutto. Ma, come si è visto, alla decisione dell'uomo risponde quella di Gesù {15, 4: e io rimarrò con voi) ; non si tratta pertanto di volontarismo, ma della capa'dtà che si riceve con la nuova vita, comunicata nell'eucarestia (6, 54: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita definitiva), purché questo significhi l'impegno già citato. In realtà chi si compromette in questo modo con Gesù rimane unito a lui e partecipa della sua stessa vita; è una comunione permanente con lui, come indicato dall'immagine della vite. II frutto di cui si parlava prima (15, 2.4) si chiama ora molto frutto, come nell'immagine del chicco di frumento (12, 24). Come allora, sup­ pone la rottura con il sistema ingiusto, fino al disprezzo della vita (12, 25). Gesù passa a considerare il caso contrario, la mancanza di risposta. L'avvenire di chi esce dalla comunità per mancanza di amore è c sec­ carsi », cioè la carenza totale di vita. Chi rinuncia ad amare rinuncia a vivere. L'allegoria termina con la descrizione della sorte dei tralci tagliati; sono un rifiuto: raccolgono i tralci, li gettano nel fuoco e bruciano. La fine è la distruzione. La morte in vita finisce nella morte definitiva, opposta alla vita definitiva di colui che assimila Gesù (6, 54).

SINTESI In mezzo alla società comincia a esistere l'umanità nuova. La sua esistenza non dipende da un'istituzione, ma dalla partecipazione alla vita di Gesù, dalla comunicazione del suo Spirito. Ogni membro è chiamato a produrre frutto. Con questo termine si esprime l'impegno del cristiano. Se Gesù ha dato ai suoi il comandamento di un amore come il suo, non per questo li chiude in se stessi; essi sono una comunità in espansione. Gesù crea l'alternativa al « mondo » oppressi­ vo: la società dell'amore vicendevole, espressione della vita e ambiente della libertà. Ma il suo obiettivo raggiunge l'umanità intera. L'impegno cristiano non è qualcosa di esteriore e di aggiunto, è il dinamismo di un'esperienza che cerca di comunicarsi. L'unione con Gesù e Io Spirito che egli infonde conducono necessariamente all'attivi­ tà. II frutto ha un duplice effetto inseparabile: la crescita personale e comunitaria, realizzata dal dono di sé agli altri. II Padre ha cura dei membri del suo popolo. La sua azione su ciascuno è l'eliminazione progressiva di ogni fattore di morte, per condurlo alla sua autenticità e alla sua pienezza, liberando così la capacità di amare da ta dallo Spirito.

617

Gv 15, 7-17: A..,., amicizia e frutto 7

Se rimanete con me e le mie esigenze rimangono fra di voi, chiedete ciò che volete e si realizzerà. 8 In questo si è manifestata la gloria di mio Padre: avete cominciato a produrre molto frutto per esservi fatti miei discepoli. ' Come il Padre mi dimostrò il suo amore, cosi io vi ho dimostrato il mio. Rimanete in questo mio amore. 10 Se compirete i miei comanda­ menti, rimarrete nel mio amore, come io continuo a compiere i coman· damenti di mio Padre e rimango nel suo amore. 11 Vi lascio detto questo perché vi portiate dentro la gioia mia e cosi la vostra gioia giunga al colmo. 12

Questo è il comandamento mio: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Il Nessuno ha amore più grande per gli amici di uno che consegna la propria vita per loro. 14 Voi siete miei amici se fate ciò che vi comando. 15 No, non vi chiamo servi, perché un servo non è al corrente di ciò che fa il suo signore; voi, sempre vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che udii da mio Padre ve l'ho comunicato. 16 Non avete scelto voi me, io ho scelto voi, e ho stabilito che andiate, produciate frutto e il vostro frutto duri; così, qualunque cosa chiediate al Padre in unione con me, ve la darà. 17 Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

NOTE FILOLOGICHE 15, 7 fra di voi, gr. en humin. Cfr. 5, 38. - e si realizzerà, gr. genesetai humin. Il dat. per voi è superfluo in it.

8 si � manqestata la gloria. Cfr. 7, 39 nota. - avete cominciato, ecc. Si veda El Aspecto Verbal, n. 187. (La partic. gr. hina non è consecutiva ma collega la propos. alla principale per svilup­

parla. N.d.T.).

mi dimostrò il suo amore. Aor. manifestativo di agapa6, cfr. 3, 16; IO, 17; 14, 21.23.

9

IO

continuo a compiere, gr. tetereka. La necessaria simultaneità con men6 al presente. Cfr. El Aspecto Verbai, 246 e 248.

mostra trattarsi di un pf. estensivo fino

nn.

Il Vi lascio detto. Cfr. 14, 25. - perché vi portiate dentro, gr. en humin �. Durativo. - la gioia mia, gr. he khara he eme. « Mia • in italiano può significare p�

prietà esclusiva o semplice mente caratteristica, come in questo

-

caso.

la vostra gioia giunga al colmo. Cfr. 3, 29.

13 Nessuno ha amore più grande per gli amici, ecc. L'anticipazione al � cipio del primo membro del pronome gr. tautes, che esprime il termine

618

15, 7-17. Amore, amicizia e frutto

di p aragone (di questo), equivale ad anticipare tutto il secondo membro:

maggiore amore di quello di uno che consegna la propria vita per i suoi amici nessuno lo ha, facendo sottindere lo stesso complemento nei due membri (nessuno lo ha per gli amici). Gesù spiega il suo comandamento, l'amore

intracomunitario, che fonda l'alternativa alla società.

15 No, non vi chiamo, gr. ouketi. Anche se comunemente significa • non più», si usa anche come negazione enfatica (cfr. 21, 6; Mc 5, 3). Gesù non ha mai chiamato • servi • i suoi; il tennine è apparso soltanto in un pro­ verbio (13, 16 Lett.; 15, 20), mentre ha chiamato «nostro amico» Lazzaro (Il, Il; cfr. Il, 3) ed è stato qualificato come amore il rapporto fra Gesù e i tre fratelli, figure di discepoli (Il, 5), e fra Gesù e i suoi discepoli in generale (13, 1 .34; 14, 1 521; 15, 9, ecc.). Il dominio del signore (correlativo di servo) è rimasto escluso nella lavanda dei piedi (13, 14) e lo è nuova­ mente in questo versetto (cfr. 6, 10 Lett.). - sempre vi ho chiamati, gr. eireka. Pf. estensivo fino al presente.

16 che andiate. Il testo gr. aggiunge humeis enfatico ( = voi), che in italiano risulta eccessivamente pesante per la sua indeclinabilità e per la ripetizione nel corso del versetto. - in unione con me. Cfr. 14, 13.

CONTENUTO E DIVISIONE Gesù chiama i suoi all'amicizia con lui e tra loro; il modello di amJCJZla l ui stesso, che dà la vita per i suoi amici. La dedizione agli altri secondo la volontà di Gesù farà p arteci pare i discepoli alla sua gioia per il frut­ to che produce. Essi si dedic heran no con lui a un impegno che sen­ tono come proprio: non saranno servi di un signore, ma uomini liberi che, uniti a lui dal vincolo dell'amicizia, lavorano con lui nel suo stesso compito. Gesù comincia esortandoli a rispondere al suo amore per partecipare alla sua gioia (15, 7-1 1). Spiega il suo comandamento in tennini di amicizia ed espone loro la finalità dell'elezione (1 5,12-17).

è

Si può dividere:

15, 7-11: La fedeltà, conclizione per la gioia. 15, 12-17: Impegno comune nell'amicizia.

LETIURA La

fedeltà, condizione per la gioia

« Se rimanete con me e le mie esigenze rimangono f ra di voi, chiedete ciò che volete e si realizzerà ».

15, 7

Prosegue il tema della fecondità: il frutto si fonda anche sull'efficacia della r i chi est a. Questa si compirà quando Gesù se

ne sarà

andato,

619

L'ora finale. La Puqua del Meuia

perché la sua partenza non signffica abbandono. Gesil risponde all 'ade­ sione dei suoi facendosi solidale con loro nell'attività, senza alcun limite (ciò che volete). La condizione perché Gesù si associ loro in questo modo è che i discepoli rimangano uniti a lui. Se c'è separazione, si interrompe il flusso della vita. La condizione descrive i due aspetti inseparabili della comunione con Gesù: con la sua persona (con me) e col suo messaggio (le mie esigenze). Non si può dare adesione a queste esigenze senza darla alla sua persona (14, 15 Lett.). Qui, tuttavia, non si tratta unicamente dell'adesione di ciascuno alle esigenze di Gesù; la frase esprime qualcosa di più: le esigenze creano l'ambiente della comunità (fra di voi) . Questa espressione si oppone al rimprovero fatto da Gesù ai dirigenti giudei riguardo al messaggio di Dio (5, 38: neppure conservate fra voi il suo messaggio). Per giustificare la loro prassi si erano creati una dottrina che contraddiceva il vero messaggio che Dio aveva loro trasmesso nella storia e nella Scrittura (5, 37b-38 Lett.). Gesù, invece, attende dai suoi che l'adesione a lui mantenga vivo tra loro il suo messaggio, nella molteplicità delle esigenze concrete dell'amore per l'uomo. Dev'essere questa l'atmosfera in cui essi vivono. Quando nella comunità regna questo clima di unione con Gesù e di dedizione alla missione, la comunità può chiedere ciò che vuole: la sintonia con lui, creata dall'impegno a favore dell'uomo, stabilisce la collaborazione attiva di Gesù con i suoi. Il tema della richiesta e del frutto si trova al principio e alla fine della pericope (15, 7-8.16). Chiedere significa affermare la comunione con Gesù e riconoscere che la potenza di vita proviene da lui. Lo Spirito, la forza di vita, è indivisibile: è Io stesso in lui e nei suoi. L'unione del gruppo con Gesù fa sl che esso possa disporre della forza di Dio a favore dell'uomo (5, 21.26; 6, 11; 11, 41), per continuare la sua stessa attività. 8 • In questo si è manifestata la gloria di mio Padre: avete cominciato a produrre molto frutto per esservi fatti miei discepoli •.

La gloria, che è l'amore del Padre, si manifesta nell'attività dei discepo­ li, che continuano a lavorare a favore dell'uomo (5, 18). Questa consta­ tazione riferisce il versetto al contesto delle comunità successive. Gesù parla nell'ambito della sua comunità, che è in mezzo al mondo, sotto forma di messaggio profetico. Lo Spirito sta portando i discepoli a comprendere (14, 26). Tale stile profetico chiarisce anche l'uso dei tempi (si è manifestata ... avete cominciato a produrre molto frutto) : è un'esperienza del gruppo in missione. « Come il Padre mi dimostrò il suo amore, così io vi ho dimostrato il mio •.

9a

Il Padre mostrò tale amore per Gesù con la comunicazione dello Spirito (1, 32.33). che era la comunicazione della sua gloria o del suo amore fedele (1, 14). Gesù dimostra il suo amore per i discepoli nello stesso modo, comunicando loro la forza del proprio amore, lo Spirito che è in lui (7, 39). L'unione a Gesù-vite, esposta nella pericope prece­ dente, si esprime ora in termini di amore; la fecondità è l'effetto della sua comunicazione. Gesù parla al passato del dono dello Spirito. Gv 620

15, 7·17. Amore, amicizia e frutto

continua ad anticipare ciò che avverrà a partire dalla morte e risurre­ zione.

9b



Rimanete in questo mio amore •.

Come risposta permanente all'amore che egli ha mostrato loro, Gesù chiede ai suoi discepoli di vivere nell'ambito di questo suo amore. :e la caratteristica dello Spirito ricevuto: un amore che risponde al suo amore (l, 16). La comunità è quindi il luogo delimitato dall'amore di Gesù, dove ne sono visibili gli effetti: quest'amore è la sua atmosfera e la sua esperienza. Questa esortazione traduce quella di 15, 4: rimanete con me, e io rimarrò con voi, e anch'essa è condizione per il frutto. lO



Se compirete i miei comandamenti,

rimarrete nel mio amore,

come io continuo a compiere i comandamenti di mio Padre e rimango nel suo amore

•.

Gesù mette in parallelo la relazione dei discepoli con lui e la sua con il Padre (lO, 15). In entrambi i casi è la fedeltà caratteristica del vero amore (l, 14: amore e lealtà; cfr. l , 16.17). Compiere i suoi comanda· menti equivale a mantenersi nel suo amore. Insiste sulla necessità della prassi come criterio dell'unione con lui. Non esiste amore per Gesù né vita sotto il suo influsso che non si risolva nell'impegno verso gli altri. Gesù compie i comandamenti di suo Padre, e così si mantiene nel suo amore. I comandamenti o incarichi del Padre a Gesù si identificano con la sua missione: quella di salvare l'umanità (3, 17; 12, 47); l'ha realizzata liberando dall'oppressione della Legge (2, 13ss; 5, lss), aprendo gli occhi di quanti vivevano nella schiavitù ancestrale (9, lss) e dando vita all'uomo morto (11, lss). I discepoli sono frutto del suo impegno (15, 9). Ora chiede loro, come risposta, di compiere i suoi comandamenti, gli stessi che egli ha ricevuto dal Padre, trasmettendo la vita che hanno ricevuto. Come già in precedenza (14, 21), il plurale • comandamenti • si riferisce al lavoro per l'uomo, che realizza le opere di Dio (9, 3s). La figura della vite sottolinea la necessità dell'inserimento per produrre frutto. Ora viene sostituita dallo spazio dell'amore, e si ricorda la condizione per rimanere in lui: l'attività a favore degli altri (i suoi comandamenti). Gesù dà ai suoi discepoli un criterio oggettivo per valutare il loro rapporto con lui e con il Padre: l'amore fattivo. La realtà della salvezza è verificabile; il discepolo può sapere se si mantiene nell'amore di Gesù, come Gesù sa di mantenersi nell'amore del Padre (cfr. l Gv 3, 14: noi sappiamo di esser passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli) . L'angoscioso interrogativo sul favore di Dio, ha trovato la sua

risposta affermativa nella dedizione al bene dell'uomo. Soltanto la dedizione agli altri può dare la certezza di essere oggetto dell'amore di Dio. Questo è il criterio che discerne l'autenticità dell 'esperienza inte· riore. Senza quest'amore non esiste vincolo con Gesù né, pertanto, esperienza del Padre, che si manifesta in lui (12, 45; 14, 9) . Se non esiste l'amore, non resta altro che il vuoto, l'assenza di Dio; Dio potrà essere immagi· 621

L'ora finale. La Pasqua del Mesala

nato, ma non sperimentato, poiché chi non ama non può av�re rap)'orti con il Padre. Questo vuoto viene colmato da dèi falsi, che prendono il posto del Padre, unico Dio vero ( 17, 3). Il • Vi lascio detto questo perché vi portiate dentro la gioia mia e così la vostra gioia giunga al colmo ». Per la prima volta nella Cena appare il tema della gioia di Gesù, cui i discepoli partecipano (cfr. 16. 20.22.24; 1 7, 13), tema già incontrato nel­ l'episodio della samaritana, in relazione con il frutto della missione compiuta (4, 36: cos ì si rallegrano entrambi, seminatore e mietitore), e sarà sviluppato in 16, 20-24, dove la gioia si attribuisce alla nascita dell'uomo (16, 21 Lett.). Tale gioia • oggettiva » per il frutto che nasce (15, 8: molto frutto) è inseparabile dalla gioia • soggettiva •: l'amore praticato produce l'espe­ rienza dell'amore. Gesù, per la sua donazione e attività a favore del­ l'uomo (15, 10: compiere i comandamenti del Padre), vive circondato dall'amore del Padre (rimango nel suo amore); i discepoli, dedicandosi come lui (a compiere i suoi comandamenti), vivono circondati dall'amore di Gesù (rimarrete nel mio amore). Ma Gesù condivide con essi anche la sua stessa gioia, quella che nasce dal frutto della sua morte e dall'esperienza del Padre, per portare al colmo quella dei discepoli.

Impegno comune nell'amicizia 12 «Questo è il comandamento mio: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho ama ti •.

Il comandamento che costituisce la comunità di Gesù e le dà la sua identità (13, 34) è, al tempo stesso, il fondamento della missione. Gesù lo annuncia ora per la seconda volta, in relazione con il frutto (15, 16). Comunità e missione non sono due cose distinte né separabili: dove non esiste la comunità e l'amore vicendevole, non può esistere la missione di Gesù. Come Gesù, nella sua attività, manifesta la presenza del Padre fra gli uomini, così deve fare la comunità; ma Dio si rende presente e attivo soltanto dove esiste un amore come quello di Gesù, espresso dal suo comandamento. Non si può proclamare il messaggio dell'amore senza fondarlo sull'esperienza dell'amore, né è possibile offrire l'alternativa al mondo ingiusto senza creare la nuova comunità. Nel versetto precedente Gesù aveva parlato dei « suoi comandamenti • (15, 10); il comandamento offre la base all'attività. « Nessuno ha amore più grande per gli amici di uno che consegna la propria vita per loro ».

13

Gesù indica qual è l'apice dell'amore, quello che si verificherà nella sua prossima morte. La frase che adopera è tuttavia indeterminata: uno che consegna la propria vita. Con questo Gesù propone il principio per tutti i suoi discepoli. È il grado sommo dell'amore, che spiega perfetta­ mente il contenuto del suo comandamento. Come io vi ho amati 622

15, 7-17. Amore,

amicizia e rrutto

(13, 34; 15, 12) significa la disposizione a dare la vita, la decisione di non porre limiti alla dedizione. 14



Voi siete miei amici se fate ciò che vi comando ».

Nell'allegoria della vite Gesù descriveva l'adesione a lui come legame volontario e permanente (15, 4). Spiega ora l'adesione in termini di amicizia, fondata sulla somiglianza con lui creata dalla pratica dell'a­ more. L'amicizia nasce dalla comunità di ideali e dalla comune vita di dedizione agli altri. Gesù è passato, pertanto, dall'espressione metaforica locale (15, 4: ri­ manete con me, innestati nella vite) alla relazione personale (essere amici): condizione per • il frutto • è compiere il suo comandamento. L'amicizia con Gesù si fonda sul possesso dello stesso Spirito, che è il suo amore comunicato. Non si può essere amico di Gesù se non secondando il dinamismo dello Spirito, che porta all'amore dei fratelli.

15a c No, nort vi chiamo servi, perché un servo non � al corrente di ciò che fa il suo signore; voi, sempre vi ho chiamati amici •· In 13, 13s Gesù dichiarava di essere maestro e signore, ma in modo nuovo. Nella lavanda dei piedi era stato il primo nell'impegno di servizio che tutti devono praticare. Gesù manifestava in quell'occasione il rapporto d'amore e solidarietà che egli instaura fra gli uomini (4, 7-8 Lett.). Qui appare la stessa cosa da un altro punto di vista: l'amore vicendevole rende figli di Dio e mette i discepoli al livello di Gesù. Colui che qui li chiama amici, li chiamerà anche fratelli (20, 17). Gesù richiede, pertanto, che il rapporto fra i suoi discepoli e lui sia di amicizia. Essendo il centro del gruppo, non se ne colloca al di sopra. Vuole essere compagno dei suoi nell'impegno comune. Nel contesto di missio­ ne, l'amicizia con Gesù significa la collaborazione in un lavoro conside· rato comune e sotto la responsabilità di tutti; per questo la gioia della missione viene condivisa con Gesù (15, 1 1). I discepoli non sono servi al soldo di un signore, ma amici che volontariamente collaborano nella realizzazione della missione (cfr. 12, 26). Il gruppo di amici vive con Gesù, in comunicazione e fiducia. Egli è con loro e ne condivide la vita (14, 23

Lett .).

La relazione di amicizia è quella caratteristica del gruppo, rispetto a Gesù e fra i suoi membri. Prima, parlando di Lazzaro ( 1 1 , 1 1 ), Gesù lo aveva chiamato «nostro amico»: Gesù si integra nel suo gruppo. L'uguaglianza e l'affetto creano la libertà; questa è la testimonianza dei suoi di fronte al mondo e l'alternativa che essi offrono. Da questo dipende il frutto.

15b

« perché tutto ciò elle udii da mio Padre ve l'ho comunicato

•·

La differenza fra il servo e l'amico si basa sull'assenza o esistenza della familiarità. Gesù definisce quindi l'amicizia da due tratti: la familiarità piena e la prontezza nel dar la vita. Egli, che sta per morire per i suoi amici, non ha segreti per loro. Ciò che Gesù ha loro comunicato, per averlo udito dal Padre, è il suo disegno sul mondo e i mezzi per

623

L'ora finale. La Pasqua del Meula

realizzarlo. Sono la persona e l'attività di Gesù a rivelare il "'Padre (1, JB; 14, 9.11), non proponendo enunciati sull'essere di Dio, ma mostrando con la sua attività che il Padre è amore senza limite e lavora a favore dell'uomo (5, 17). La comunicazione fra amici non è certo quella fra maestro e discepolo: è terminato l'apprendistato, poiché Gesù ha loro comunicato tutto. In queste pericopi (15, 1-6: la vite e i tralci, 15, 7·17: l'amore), i verbi che descrivono la relazione con Gesù sono « rimanere, restare con me, rimanere nel suo amore », che indicano compagnia, vicinanza, compe­ netrazione, situazioni vitali che vanno molto al di là dell'insegnamento. Si può apprendere senza insegnamento, per· sintonia' e comunione. II tipo di rapporto fra i discepoli e Gesù è quello che egli ha con il Padre (10, 14s; 14, 10-11.20; 15, 9s). Come Gesù vive per il Padre (6, 57), cos}, a sua volta, è centro e origine della vita dei discepoli (vite) . In entrambi i casi c'è una comunicazione di vita, che non produce tuttavia subordina­ zione (cfr. 5, 1 8; 10, 30.33; 17, 10), ma compenetrazione e intimità (14, 20 . Lett.). J 6a



Non avete scelto voi me, io ho scelto voi ».

Il detto di Gesù si riferisce a ogni discepolo. Se in 6, 70 si applica ai Dodici, questi, di conseguenza, rappresentano la comunità cristiana in quanto nuovo popolo, indipendente dall'antico Israele ed erede delle sue promesse. e certo che Gesù non respinge nessuno di coloro che si accostano a lui (6, 37), ma tale affermazione non denota un atteggiamento passivo da parte sua, dato che esisteva già un amore previo alla decisione dell'uo­ mo. L'amore di Gesù la precede e la segue, senza forzarla. In un certo modo Gesù ha scelto l'umanità intera, dato che è venuto a salvare il mondo (3, 17; 12, 47) ; quando l'uomo si avvicina, tale elezione viene concretizzata e realizzata dall'accoglienza di Gesù. La frase esprime l'esperienza di ogni cristiano, che, anche se cosciente della sua libera opzione, sa di non poter attribuire soltanto alla propria iniziativa la condizione di membro della comunità di Gesù. Il suo avvicinamento a lui è stato una risposta. Questa coscienza è il fondamento dell'azione di grazie. • e ho stabilito che andiate, produciate frutto e il vostro frutto duri »,

16 b

Gesù ha eletto i discepoli per una missione simile alla sua (17, 18; 20, 21). Nel contesto di quella cultura tale frase acquista un grande significato: i discepoli non sono lavoratori a giornata che supplicano di essere ammessi al lavoro: sono collaboratori scelti da Gesù prima che essi si potessero offrire. Non li ammette in condizioni di inferiorità, ma su un piano di amicizia e di aiuto (12, 26). Scopo della sua chiamata è la missione: questa appartiene all 'essenza del discepolo. Torna a eliminare ogni pretesa di comunità chiusa; essi devono continuare il suo impegno verso l'umanità. In tale missione, inoltre, dà loro libertà (cfr. 10, 18; 13, 3); saranno loro ad andare, a produrre un frutto che è loro, e un frutto durevole. Gesù non tiene 624

15, 7-17. Amore, amicizia e frutto

stretti a sé i suoi, li rende adulti perché essi seguano i suoi passi; ni! la missione crea dipendenza. I discepoli devono andare a percorrere, in mezzo all'umanità, il loro cammino verso il Padre (14, 6), quello della progressiva dedizione agli altri. Nell'attività il Padre e Gesù saranno con loro (14, 23). Il proposito di Gè sù è condurre a termine la creazione dell'uomo; fare uomini adulti, liberi e responsabili, animati dal suo stesso Spirito, che riprodu. cano i suoi tratti in mezzo al mondo. Attraverso di loro si realizzerà la salvezza. Gesù si attende che l 'impegno dei suoi abbia un impatto durevole, che vada cambiando la società: clte il vostro frutto duri. L'efficacia della realizzazione non si misura tanto dalla sua estensione quanto dalla profondità, dalla quale dipende la durata del frutto. Quanto più forte sarà il vincolo creato con Gesù e l'intensità della sua vita nei nuovi membri, più il frutto sarà permanente. 16c • così, qualunque cosa chiediate al Padre in rmior1e con me, ve la darà • .

La dedizione a realizzare le opere d i Dio (9, 4 ) , che è l a sostanza della missione, mette la forza del Padre a disposizione di tutti. Attraverso di loro si spande il torrente del suo amore, che essi si propongono di manifestare. Il Padre, in Gesù, comunica loro la sua forza, rendendoli idonei alla missione liberatrice. In 14, 13 Gesù aveva esposto l'efficacia della richiesta anche in relazione alla futura attività dei discepoli, che non sarà minore della sua. Ora la mette in relazione con il frutto; li assicura che l'amore del Padre sosterrà sempre il loro operato, per realizzare il suo disegno. In 15, 7 ha esposto la condizione: essere uniti a lui e al suo messaggio. 17



Questo vi comando, che vi amiate gli uni gli altri

•·

Per concludere la sezione sull'amore, Gesù ripete il suo comandamento (15, 12), condizione per essere uniti a lui e produrre frutto. La ripeti­ zione, che sottolinea l'unicità del comandamento, lo trasforma in proto­ tipo e punto d'origine d'ogni comandamento (15, IO) ed esigenza ( 1 5 , 7). Se questo comandamento verrà compiuto, si attualizzerà fra loro la presenza di Gesù (13, 17 Lett.), il cui amore darà l'impulso al gruppo e lo sosterrà nella sua attività a favore dell'uomo. Al tempo stesso è un avviso : se esiste questa qualità d'amore, la comunità si può riconoscere come comunità di Gesù, altrimenti manca l'essenziale. Nessun'altra realtà lo può sostituire, né la fedeltà a Gesù si può esprimere se non attraverso la pratica dell'amore vicendevole.

SINTESI Identificato con Gesù e col suo messaggio, il gruppo h a l a sua piena solidarietà e fondamento. L'amore del Padre si manifesta nel frutto prodotto dalla comunità, la cui attività non è altro che la prosecuzione 625

L'ora Hnale. La Puqua del Messia

dell'amore di Dio che offre vita all'uomo, perché questo esca dalla situazione di morte in cui si trova. Gesù propone in un'altra chiave la missione della comunità e la condi­ zione della sua fecondità. Nella pericope precedente le aveva esposte sotto l'immagine dei tralci (discepoli) che devono dare frutto (missione) per la loro unione alla vite (Gesù), piantata dall'agricoltore (il Padre). Ora cambia l'immagine con quella degli amici scelti per collaborare nel suo lavoro. La condizione è mantenersi uniti a lui col vincolo del­ l'amore. Gesù realizza i comandamenti del Padre, esprimendo così il suo amore verso di lui. I discepoli realizzano quelli che Gesù ha ricevuto dal Padre: esprimono così la loro amicizia con lui e rimangono uniti al Padre. Questo nuovo modo di esporre il rapporto fra il Padre, Gesù e i discepoli, toglie qualunque ambiguità al vincolo espresso in precede!Uia sotto l'immagine della vite. Si compie attraverso un amore che è risposta al suo, ma Gesù esclude espressamente l'amore e l'adesione tipica dei servi: si tratta di amicizia che giunge fino a dare la vita per gli amici. La missione della comunità acquista così una dimensione nuova: i discepoli non l'esercitano come salariati, impiegati per realiz­ zare il lavoro di un signore ed eseguire i suoi ordini, ma come amici che condividono la sua gioia nella comune realizzazione.

626

Gv 15, t1t-25: L'odio del mondo 1 s Quando il mondo vi odierà, tenete presente che prima di voi ha preso in odio me. 1 9 Se apparteneste al mondo, i l mondo vi amerebbe come cosa sua; siccome non appartenete al mondo, ma vi ho scelti e tratti fuori dal mondo, per questo il mondo vi odia.

20 Ricordatevi del detto che io stesso vi ho citato: « Un servo non è da più del suo signore ». Se hanno perseguitato me, anche voi perseguite­ ranno; se hanno spiato il mio messaggio, anche il vostro spieranno. 2 1 Ma tutto questo lo faranno contro di voi perché siete dei miei, dato che non vogliono riconoscere colui che mi mandò. 22

Se io non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbe