Il Vangelo di Giovanni. Analisi linguistica e commento esegetico 8830803995

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Il Vangelo di Giovanni. Analisi linguistica e commento esegetico
 8830803995

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]. MATEOS-]. BARRETO

IL VANGELO DI GIOVANNI analisi linguistica e commentc) esegetico

CITIADELLA EDITRICE

J. MATEOS J. BARRETO in collaborazione con

ENRIQUE HURTADO- ANGEL URBAN JOSEP RIUS-CAMPS

IL VANGELO DI GIOVANNI analisi linguistica e commento esegetico quarta edizione

CITTADELLA EDITRICE

Assisi 8-S.1982 Imprimatur Sergio Goretti Vescovo

t i tolo originale •

El Evangelio de

Juan



traduzione Teodora Tosattl revisione redazlonale Antonio Dal Bianco bozzetto coperta Roberto Plzzlgonl

© Edicion es Cristiandad - Madrid 1979 © per la lingua italiana Cittadella Editrice - Assisi 1• edizione oltobre 1982 4" edizione gennaio 2000

ISBN 88-308-0399-5

NOTA INTRODUTTIVA ALL'EDIZIONE ITALIANA

Juan Mateos e Juan Barreto offrono in quest'optra i frutti di lunghi anni di lavoro e di ricerche sul testo di Giovanni. Il loro Dizionario Teologico del Vangelo di Giovanni, edito sempre da Cittadella Editrice nel maggio 1982, lasciava intuire la profondità, la ricchezza e l'originali· tà della loro traduzione e commento al Vangelo di Giovanni. Gli ambiti nei quali più spiccatamente si evidenzia la novità sono quello linguisti· co-filologico e quello biblico-teologico. Nell'introduzione al presente volume gli autori stessi sottolineano di essersi impegnati in maniera particolare in questi settori. Nonostante la voluminosità dell'opera, la pregnanza di idee e concetti che vi si trovano, dà l'impressione di trovarsi di fronte a una sintesi, soprattutto per il settore linguistico-ti· lologico. Infatti; come la parte biblico-teologica è corredata dal citato Dizionario teologico, così quella linguistico-filologica è affiancata da due opere non ancora tradotte in italiano: la prima di J. Mateos, El Aspecto Verbal en el Nuevo Testamento; la secortda di l. Mateos, A. Urbdn e M. Alepuz, Cuestiones de Gramatica y Léxico. Anche se le Note Filologiche di ogni paragrafo sono destinate soprattut­ to agli • addetti ai lavori», esse sono indispensabili per una valutazione critica della nuova linea linguistica, per capire tante novità nel modo di tradurre il testo greco del Vangelo e perché aprono la strada a numerose imwvazioni biblico-teologiche. La traduzione italiana dell'opera originale spagnola ha il merito di essere stata fatta da u n'allieva degli autori, che ha portato avanti il lavoro in u n dialogo continuo con loro. La traduzione del testo biblico è stata fatta sempre tenendo presente l'originale greco ed ebraico. Il lettore troverà delle differenze - a volte anche notevoli - tra la prima edizione spagnola e questa edizione italiana. Infatti la presente edizio­ ne ha potuto giovarsi degli approfondimenti apportati dagli autori alla seconda edizione spagnola, in preparazione, e a volte presenta addirit· tura delle innovazioni rispetto a tutte e due. Ci auguriamo che l'opera trovi anche in Italia l'accoglienza che sta ricevendo in Spagna, rugli altri paesi europei e in quelli latino-ame­ ricani.

ANTONIO DAL BIANCO

INTRODUZIONE

Il titolo di questa collana, « Lettura del Nuovo Testamento •, che presenta come primo volume Il Vangelo di Giovanni, enuncia con chiarezza non soltanto il suo proposito, ma anche il metodo seguito per realizzarlo: leggere il vangelo. Ciascun genere letterario esige il suo particolare modo di lettura. Quella di un romanzo o di un'opera drammatica, organizzati secondo un piano d'insieme, non è quella di una miscel lanea di articoli o raccolta di aneddoti, senza altra unità che di autore, tema o personaggi comuni. Il vangelo di Giovanni si presenta come opera unitaria; di conseguenza si è partiti, per leggerlo, dal presupposto che possa essere letto come tale, vale a dire, come uno scritto in cui le singole parti sono in funzione di un piano o struttura d'insieme intenzionale dell'autore, struttura che a sua volta illumina il senso di ciascuna delle parti che la compongono. In altre parole: l'autore ha disposto il suo materiale in maniera organica, atta a esprimere il contenuto che desidera trasmette­ re. In questo modo, oggetto di lettura diviene l'opera nel suo complesso, non soltanto le unità che la compongono prese isolatamente. La validità di questo pre s u pposto , adottato all'inizio come ipotesi, si è andata confermando man mano che il commento procedeva.

Strutturaz.ione storica o teologica? Adottata l'ipotesi secondo cui questo vangelo costituisce un'opera uni­ taria, è necessario determinare se la sua struttura risponda a un intento prevalentemente storico-narrativo o non piuttosto a una conce­ zione teologica. II te:-ttativo di considerare il vangelo come una narrazione di carattere puramente storico, incontra immediatamente difficoltà insormontabili: analizzando il testo come se fosse opera di un cronista, si presentano, da un lato, « salti • nella topografia e incoerenze nella successione degli eventi e, dall'altro, omissione di dati, mancanza di logica narrativa e dettagli inverosimili.

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Introduzione Fra i salti topografici spicca la successione dei capitoli 5 e 6. Gesù, che si trovava a Gerusalemme, nel pieno della controversia con i suoi avversari, appare d'un tratto, senza transizione alcuna, in Galilea, sulla sponda orientale del lago, accompagnato dai suoi discepoli (6,1). Più tardi, la barca che trasporta i discepoli si trova repentinamente • a terra •. mentre Gesù cammina • sul mare» (6, 19-21). La mancanza di logica nella successione degli eventi risalta nell'invito a uscire rivolto da Gesù a metà del discorso della Cena (14, 31), mentre egli stesso continua il discorso, senza che si indichi un cambiamento di luogo o di tempo. L'omissione di dati risulta evidente, per esempio, nella solenne dichia­ razione di Giovanni Battista (l, 29-34), dove manca qualunque menzione di uditorio; parallelamente, il grido finale di Gesù, quando sintetizza la sua attività (12, 44-50). risuona nel vuoto, senza che venga indicato né il luogo né il pubblico. Altre volte viene meno la logica narrativa: cosi, a Cana, la madre di Gesù, dinanzi alla mancanza di vino, si rivolge a lui - un invitato anziché al maestro di tavola Il presente, incaricato dell'andamento del banchetto (2, l-Il). In questo stesso episodio, Gesù «manifesta la sua gloria •. espressione solenne, unica nel vangelo, per aver trasformato acqua in vino; non altrettanto più tardi, quando dà vita a un moribon­ do (4, 46b), fa camminare un invalido (5, lss) o dona la vista a un cieco nato (9, l ss). opere che si direbbero di maggiore importanza. D'altra parte, le cifre che compaiono in alcuni episodi risultano invero­ simili se considerate dal punto di vista esclusivamente storico: cosi, in 1,ma casa privata, si trovano sei giare da 80 a 120 litri ciascuna. destinate semplicemente alla purifica;done (2, 6); Nicodemo compra per imbalsamare Gesù 100 libbre di aromi (19, 39), circa 40 chili. Per questi e per molti altri dettagli, il testo, letto in una prospettiva iluramente storica, risulta spesso trascurato o incoerente.

Strutturazione teologica: le sue linee portanti Di fatto, il piano che struttura i l vangelo di Giovanni è teologico. Non si tratta di una biografia di Gesù (20, 30). e neppure di un riassunto della sua vita, ma di una interpretazione della sua parola e opera, data da una comunità attraverso la sua esperienza di fede. Ne consegue che il lettore deve interpretare i fatti che incontra nel testo. la storicità dei quali non viene pregiudicata, attenendosi alla finalità del vangelo, vale a dire, come linguaggio teologico. Ebbene, una volta ammesso che questo vangelo pone in primo piano l 'interpretazione teologica e che a essa vengono subordinati i dati storici, sarebbe illogico continuare a farsi un problema delle difficoltà che il testo presenta nella prospettiva storica. Nella lettura di Giovanni risulta ozioso discutere, per es. se, collocando l'espulsione dei mercanti dal tempio al principio della vita pubblica di Gesù anziché alla fine, egli sia più preciso dei sinottici. In questo o in altri fatti, interessa soprattutto considerare il significato che essi assumono all'interno della struttura teologica del vangelo, e scoprire se, messi a fuoco in tale prospettiva, sia giustificata la loro collocazione nel contesto.

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Strutturazione teologica

La coerenza di Giovanni, dunque, non deve essere ricercata nella precisione storica, quanto piuttosto nell'unità !ematica, in relazione al suo piano teologico. Molti « problemi » che creano difficoltà in questo vangelo derivano soltanto da un difetto di impostazione ini ziale. Le linee portanti della teologia di Giovanni sono due: il tema della creazione e quello della Pasqua-alleanza. Il tema della creazione, che comincia nel prologo (1, lss), domina la cronologia e fornisce una chiave interpretativa dell'opera di Gesù. In primo luogo spiega la successione cronologica che appare al principio del vangelo ( l , 19: testimonianza di Giovanni Battista; l, 29: il giorno seguente; l, 35: il giorno seguente; l, 43: il giorno seguente; 2,1: il terzo giorno), il cui obiettivo è far coincidere l'annuncio e il principio dell'opera di Gesù con il sesto giorno, quello della creazione dell'uomo; sottolinea in tal modo il senso e il risultato della sua opera: portare a compimento questa creazione. Essa culminerà nella sua morte in croce (19, 30: è ormai completato), che avrà luogo anch'essa nel sesto giorno, come ricorda l'evangelista con un'altra serie di indicazioni (12, l: sei giorni prima della Pasqua; 12, 12 il giorno seguente; 13, 1: prima della Pasqua; 19, 14.31.42: preparazione della Pasqua). Ne consegue che tutta l'attività di Gesù fino alla sua morte sta sollo i l segno del • giorno sesto » , mostrando il disegno che l a presiede: con­ durre a termine l'opera creatrice, completando l'uomo con lo Spirito di Dio (cfr. 19, 30; 20, 22). Il giorno sesto include due periodi: quello dell'attività di Gesù, • il Giorno del Messia • (2, 1-11, 54; cfr. 8,56), e l'Ora finale "• che lo conclude e coincide con il periodo dell'ultima Pasqua (Il, 55-19, 42; cfr. 12, 23; 13,l; 17,1; 19,14.27), intrecciando così i due temi principali. La parte finale del vangelo completa il tema della creazione situandosi nel « primo giorno • (20,1), che indica l'inizio e la novità della creazione portata a compimento, e che allo stesso tempo, è l'« ottavo giorno» (20, 26), indicandone la pienezza e il carattere definitivo. Anche la men· zione dell'orto-giardino (19, 41; cfr. 20,15) allude al giardino della prima coppia. I temi della vita e della luce, centrali nel vangelo (1, 4ss e pa.ssim). come anche quello della nascita (1,13; 3,3ss), si collocano nella linea della creazione. "

Il tema della Pasqua-alleanza include quello dell'esodo e, in questo, tutti i temi subordinati: la presenza della gloria nella Tenda del­ l'Incontro o santuario (cfr. l, 14; 2, 19-21), l'agnello (1, 29; 19, 36), la Legge (3, lss), la traversata del mare (6, 1), il monte (6,3), la manna (6,31), il cammino o la sequela di Gesù (8, 12), il passaggio dalla morte alla vita (5,24), il passaggio del Giordano (10,40). È intimamente collegato con il tema del Messia (1, 17), che, come un secondo Mosè, doveva realizzare l'esodo definitivo (dr. Excursus, p. 871) e, pertanto, con quello della regalilà di Gesù (1, 49; 6,15; 12,13s; 18, 5.7; 18,33-19, 22). «Il mondo» nemico di Gesù e dei suoi (15, 18ss), dal quale egli o il Padre conducono fuori (15,19; 17, 6), è un elemento del tema dell'esodo (la terra della schiavitù). 9

Introduzione II tema pasquale domina lo schema de lle sei feste che inquadrano l'attività di Gesù. Di queste, la prima (2, 13ss), la terza o centrale (6, 4) e l'ultima ( ll, 55; 12, l) sono la stessa festa di Pasqua. Si noterà l'insistenza di Giovanni sul numero sei: giorno sesto, ora sesta, sei giorni prima della Pasqua, sei feste, sei giare. Questo numero indica l'incompleto, il preparatorio, il periodo di attività che tende a un risultato. II numero sette compare soltanto in un'occasione, designando l'ora settima (4, 52) che segue la sesta e indica il frutto dell'opera compiuta: la vita che Gesù concede. I temi della creazione e dell'alleanza (Pasqua) si intrecciano fin dall'ini­ zio dell'attività di Gesù (2,1-1_1), particolarmente nella figura dello Sposo, che è allo stesso tempo il Messia che deve inaugurare le nuove nozze-alleanza (3,28-29) e il primo uomo della nuova creazione, che incontra la sposa (la comunità) nell'orto-giardino (20,1ss). La designazione di Gesù come l'Uomo (il Figlio dell'uomo) appartiene al tema della creazione, perché lo qualifica come il modello di uomo, l'uomo compiuto. Così anche il titolo «il Figlio di Dio» (l, 34, ecc.), che indica la realizzazione del progetto divino. La designazione c il Figlio • le comprende e riunisce entrambe (cfr. Excursus, p. 874). Delle due guarigioni pubbliche che Gesù compie, quella del paralitico (5, 1ss), che mette in condizione di camminare, si colloca nella linea del cammino e dell'esodo; mentre quella del cieco, (9, 1ss), cui manifesta la luce, è nella linea della creazione dell'uomo. Entrambe sono tuttavia unite dalla menzione dei • ciechi » in 5, 3. Numerose sono le diramazio­ ni di questi temi nel vangelo.

L'unione del t ema · della creazione con quello del Messia (la nuova Pasqua-alleanza) mostra che Giovanni ha sintetizzato alcuni aspetti della teologia giudaica precedente. II Messia, oggetto dell'aspettativa, si identifica con la Sapienza-progetto creatore (Prv 8, 22ss) e con la Parola creatrice di Dio (Gn l,lss), che è inoltre messaggio e richiesta di Dio (Sapienza che invita). Così Gesù è il Messia in quanto è, da un lato, il progetto di Dio realizzato, l'Uomo (cfr. l , 14, realtà del Messia) e, dall'altro, la Parola di Dio creatrice ed efficace (1, 17, missione del Messia). Così si spiega la corrispondenza tra gli episodi della samarita­ na e del cieco. Al riconoscimento di Gesù come profeta, comune a entrambi (4, 19; 9,17), fa seguito la sua rivelazione in un caso come Messia (4, 25-26), nell'altro come l'Uomo (9, 35-37), mostrando l'affinità tra le due espressioni. Giovanni demitizza l'idea del Messia (cfr. 7,27) e concentra l'aspettativa, che vede realizzata in Gesù, nella figura del­ l'Uomo compiuto. II modello di uomo (tema della creazione) è il modello dell'umanità e il suo liberatore (Messia/Figlio di Dio, tema della Pasqua). La relazione tra le due linee teologiche la si può concepire in questo modo: il disegno di Dio consiste nel portare a compimento la creazione dell'uomo comunicandogli il principio vitale che supera la morte (lo Spirito), e nel fare dell'« uomo carne .. l'• uomo spirito» (3, 6): passag­ gio che esige la libera scelta dell'uomo (3, 19). Alla realizzazione di tale disegno si oppone, tuttavia, il fatto che l'uomo, ingannato e assoggetta­ to da forze malefiche (1, 5: la tenebra; 8,23: questo mondo/ordinamen­ to), ha rinunciato alla pienezza cui lo destina il progetto creatore. Ne

lO

Il punto d1 partenza

consegue la necessità di un salvatore (4, 42), il Messia (1, 17), che Io tragga fuori dalla schiavitù in cui si trova (1, 29: il peccato del mondo; tema dell'esodo), dandogli capacità di scelta, e completi in lui l 'opera creatrice (1, 17; cfr. l, 33: battezzare con Spirito Santo) . La linea primaria, perciò, è la realizzazione del disegno creatore. Al presupposto di un piano teologico che struttura il vangelo, corri­ sponde un atteggiamento di diffidenza sistematica verso ogni apriori­ smo che avrehhe potuto influire sulla lettura. Si è fatto uno sforzo per non proiettare sul testo concezioni estranee. Per questo nell'int erpreta­ zione di Giovanni si è evitata deliberatamente ogni comparazione con altri scritti del NT, la visione teologica dei quali, elaborata seguendo un piano diverso, o rispondendo a situazioni differenti, avrebbe potuto introdurre elementi estranei a quella dell'evangelista. Questa precauzio­ ne si è estesa anche agli scritti giovannei (lettere di Giovanni, Apocalis­ se) , dato che non è accertata né l'identità di autore né di epoca tra questi e il vangelo. D'altra parte, nella prima lettera di Giovann i, malgrado le sue innegabili affinità con il vangelo, compaiono anche discrepanze; basti citare la differente concezione del peccato e la preponderante attenzione della lettera per i problemi della comunità, che nel vangelo non trovano posto. La comparazione fra i diversi scritti del NT, sarebbe certamente molto utile, ma rappresenta uno stadio successivo all'analisi separata di ciascuna opera. Di fatto, lo studio parallelo di pericopi isolate in scritti differenti corre il rischio di deformare il loro significato. Esse infatti, pur avendo una tematica comune, si trovano integrate, a seconda · dell'opera di cui fanno parte, in un contesto o struttura teologica diversa, che può imprimere loro un significato o sfumatura particolare.

Il punto di partenza La teologia di Giovanni parte dalla realtà umana di Gesù, resa evidente nella sua morte. Questo è il fatto centrale del v11ngelo: Gesù fu

condannato a morte e giustiziato da un'istituzione che non Io accolse, considerandolo pericoloso per i propri interessi politici, economici e religiosi, difesi da un'interpretazione della Legge sulla quale si appog­ giarono per dargli la morte. L'evangelista parte da questa realtà di Gesù, e utilizza per esprimerla e spiegarla il linguaggio della cultura, familiare a lui e ai destinatari della sua opera, messo al servizio della sua teologia. Essendo tale linguaggio soltanto uno strumento, egli cita liberamente i testi antichi (13, 18) e, all'occorrenza, Ii cambia, omettendo frasi o combinando citazioni di provenienza diversa. I n 12, 15, per esempio, riunisce passi di Sof 3 e Zc 9 per elaborare un testo composto che alluda allo stesso tempo all'uni­ versalità (Sof 3, 9) e alla non violenza (Zc 9, 9) del re che giunge, . interpretato dalla folla, secondo Sof 3, 15, come il re d'Israeie. Sebbene le citazioni esplicite dell'AT non siano più di 13 nel vangelo, sono invece molto numerqse le allusioni, sia a passi concreti, sia, soprattutto, a temi teologici. L'allusione può anche non essere univoca; nell'ep isodio di 11

Introduzione

Natanaele, per citare un caso, entrano in gioco il testo di Sof 3, 12.15 riguardante il resto d'Israele e il suo re, e quello di Os 9, I O (come fichi primaticci), per significare che in Natanaele si rinnova l'elezione del­ l'antico popolo. In altre occasioni Giovanni opera una rilettura di passi dell'AT (4, 3ss: Osea; 6, lss: Esodo; 20, lss: Cantico) o usa la simbologia delle feste per illustrare la persona e l'opera di Gesù (festa delle Capanne: 7,37-39, motivo dell'acqua; 8, 12, motivo della luce). Allo scopo di sintetizzare in un solo passo il significato messianico di varie feste, introduce, per esempio, nella terza Pasqua il motivo dei rami di palme (il lulab, 12, 12), proprio della festa delle Capanne (7, lss) e della Dedicazione o Capanne d'Inverno (IO, 22). L'utilizzazione deli'AT in Giovanni è, come si vede, estremamente libera. Il motivo è che l'evangelista non intende operare una sintesi eclettica delle diverse correnti teologiche veterotestamentarie, per presentare la figura di Gesù fabbricando un mosaico composto da una moltitudine di tasselli. Per Giovanni, la novità di Gesù è radicale; egli si serve, per esprimerla, di un linguaggio elaborato nell'arco di secoli e disponibile al suo tempo. Per questo non serve seguire la linea teologica isolata di un testo che cita o cui allude, come se fosse un filone con un proprio significato, separato dalla visione globale dell'evangelista. Questa ten­ denza a basarsi su un termine isolato è stata appunto la causa di tanta difficoltà per l'interpretazione del prologo. AI contrario, è necessario cercare la coerenza di Giovanni nel dato fondamentale, la vita e morte di Gesù, perché essa sola permette di calibrare il senso esatto del suo linguaggio. Considerando, per esempio, le allusioni al libro apocalittico di Daniele che appaiono in 5, 28s, è necessario chiedersi cosa significano nel linguaggio di Giovanni. Se si tiene presente che egli, in tutta la sua opera, si rifà costantemente alla realtà umana di Gesù, e, in particolare, alla sua morte (2, 4: la sua ora), come manifestazione definitiva della gloria-amore di Dio per l'umanità, si vede che, per Giovanni, tutta l'aspettativa dell'AT trova il suo compimento in tale realtà umana e in tale evento; le attese apocalittiche si realizzano in Gesù, ma in Gesù uomo crocifisso. Così l'evangelista demitizza l'escatologia integrandola nella storia. Vale a dire, per interpretare questo testo di Giovanni non si può partire dalla teologia di Daniele, ma da quella dell'evangelista, e biso­ gna vedere nelle allusioni al profeta una forma espressiva della quale egli si serve, trasferendola in chiave s torica, per esprimere come Gesù sia la norma non solo del presente, ma anche del passato. Allorché tutta la tensione dell'AT si concentra nella morte di Gesù, o meglio, in Gesù crocifisso, l'aspettativa accumulata nella Scrittura ac­ quista dimensione storica e concretezza umana. La croce di Gesù è il punto di arrivo cui Giovanni fa convergere le diverse linee teologiche dell'AT. Ripetendo quanto sopra, possiamo dire che egli non ricompone la figura di Gesù a partire dalle svariate concezioni teologiche vetero­ testamentarie, ma al contrario: guarda all'AT dalla realtà concreta e tangibile del Crocifisso, e a partire da essa interpreta la realtà antica, o se ne serve semplicemente come di un linguaggio per esprimere la propria esperienza di Gesù.

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Grammatica e lessico

La

preistoria del testo

Dato l'obiettivo del presente commento: • leggere • il vangelo come opera unitaria, la preistoria del testo non offriva un interesse diretto. Senza dare un giudi:tio sulle diverse teorie che cercano di spiegarla si è preferito, comunque, partire dall'ipotesi che non fossero imprescindibili per la comprensione del testo stesso. Di fatto, l'opzione iniziale era sostenuta dallo stile uniforme dell'evangelista; i tentativi di distinguere varie fonti basandosi su divergenze stilistichc non sono risultati convin­ centi. Dal punto di vista letterario, il vangelo risulta un'opera uni­ taria, quali che siano state le fonti utilizzate nella sua elaborazione. Cosi come lo studio diacronico del linguaggio non è indispensabile per il suo studio sincronico, neppure la preistoria del testo - d'altronde , poco sicura, come dimostra la diversità di teorie è condizione per interpretare il testo stesso. Le teorie sulle fonti o sulla composizione del testo intendono fonda­ mentalmente spiegare le divergenze teologiche o le incoerenze storiche che questo, apparentemente, presenta. Gli au tori del commento hanno preferito investigare senza pregiudizi se lo sforzo di comprensione del testo basti a risolvere le difficoltà cui tali teorie cercano di trovare soluzione_ L'analisi del testo e la sintesi risultante hanno mutato ciò che era un'ipotesi di lavoro in ferma persuasione: una volta scoperto il piano teologico unitario dell'evangelista, le apparenti contraddizioni e divergenze cessano di essere tali, e i dati trovano collocazione e signifi­ cato. Alcuni esempi si vedranno più avanti. -

Connessa con la formazione del testo è la questione del suo autore, luogo e data di composizione. Non avendo per il momento nulla di decisivo da apportare alla discussione, i commen tatori hanno preferito astenersi dall'esporre le varie opinioni a questo proposito_ Il lettore potrà trovare facilmente la necessaria informazione nei diversi com­ menti e studi già esistenti su Giovanni.

Grammatica e lessico Il vangelo è redatto in una lingua antica, a noi estranea. Ciò ha creato un desiderio di precisione e uno sforzo di studio a livello linguistico, grammaticale e lessicale. Si è diffidato di una lettura rapida che desse per scontata la piena trasparenza del testo greco. Su questo punto, si è adottato il presupposto che l'autore fosse capace di esprimersi nella lingua che utilizzava e che il difetto di comprensione o chiarezza debba essere imputato al lettore non sufficientemente familiarizza to con essa. La mancanza di rigore grammaticale o lessicale conduce inevitabilmen­ te a inesattezze che falsano il significato, o alla permanenza di ambigui­ tà che lo offuscano, ostacoli non disprezzabili per l'interpretazione del testo e per scoprirne la coerenza. Di qui l'interesse per l'indagine grammaticale e lessicale nel presente commento, che si fonda su di un rinnovato sforzo di comprensione del testo, facendo in modo di non lasciare problemi irrisolti a questo livello. Si giustifica cosi lo spazio

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Introduzione

riservato alle note, grammaticali e filologiche che accompagnano la traduzione e l'importanza data alla nostra versione come risultato finale dello studio. La stessa disposizione del commento, che comincia con la traduzione e con le relative note che la giustificano, prima di presentare l'esegesi, testimonia questa preoccupazione. Per citare alcuni risultati a livello grammaticale, si potrà apprezzare l'importanza che acquista la considerazione degli aspetti verbali per stabilire la struttura del prologo (cfr. p. 44), per interpretare e tradurre con esattezza la frase di Giovanni in l , 15, per illuminare l'apparente contraddizione che il pf. anabebeken in 3, 13 presentava in relazione a 20, 17. Decisivo per l'interpretazione della teologia di Gio­ vanni è l'uso manifestativo del verbo doxaz6 (manifestare la gloria, cfr. 7, 39 nota). La determinazione dell'aspetto iterativo di erkhornai in 21. 22 evita la contraddizione con gli episodi precedenti e l'annuncio di una venuta escatologica inesistente in Giovanni e contraria ai suoi presupposti. Dal punto di vista lessicale, la distinzione fra i significati di hoti causale elimina incongruenze nella traduzione ( 1 , 16 nota), comprese interpretazioni poco soddisfacenti (8, 29) . Si noti la traduzione di sabba­ ton con • riposo di precetto "• in luogo di • sabato » (5, 9b nota). Si è precisato il significato della particella pali1t, distinguendo i generi di iterazione che denota (4, 54 nota). La frase idiomatica: t i ernoi kai soi (2, 4), che causava difficoltà, è stata oggetto di studio particolare per chiarificare le sue diverse accezioni. Precisando il significato di basi/eia (regalità) in 18, 33, si è scartato un dualismo contrario al pensiero di Giovanni. L'espressione « il Figlio dell'Uomo » (l'Uomo) ha trovato il suo posto all'interno del tema della creazione (cfr. l'Excursus dedicato a questo tema, p. 874). Si è studiato anche il significato di onorna, particolarmente nella difficile fra se e n t6 onomati mou (14, 13 nota).

Delimitazione delle unità e piano del vangelo Sulla base della comprensione del testo si è proceduto a del i mitare l e differenti unità. Scoprendo l e relazioni che s i stabiliscono a diversi livelli, si è giunti alla struttura globale dell opera, struttura che sarà esposta alla fine di questa introduzione. L'analisi successiva venne a confermare e illuminare la divisione ottenuta; la struttura globale proiettava la sua luce sulla funzione delle differenti unità all'inte rno del piano d'insieme. Si vedano, ad esempio, a livello di pericopi, l 'inclusione fra 3, 22 e 4, 1-3; la scissione di 4, 46, della pericope del funzionario (4, 46b-54) separando l'inclusione con 2, 1 (4, 46a) ; le inclusioni che delimitano 7, 1-10. 1 1-13.32.52; la pericope che comincia in 9, 40 e termina in 10, 7. 1 ; in modo simile, 1 1 . 1-17: 1 1 , 33-38a.38b45; 2, 12-36; l'importante divisione fra 13, 2 1-32 e 13, 33-35; le inclusioni e la struttura concentrica in 1 5 , 26-16, 15; la divisione e struttura della • sequenza del re •, 1 8, 28-19, 22, avente come episodio centrale la present azione di Gesù come l'Uomo-Figlio di Dio. '

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DeUmllarlone delle unltll

di cicli c'è da notare l'identificazione di due episodi program­ matici, quello di Cana (2, 1-1 1 ) , che regge il ciclo delle istituzioni, (tema: la sostituzione dell'alleanza), e la guarigione del figlio del funzionario reale (4, 46b-54), che apre il ciclo dell'uomo (tema: la vita ). A livello di parti, si può segnalare la distinzione fra le grandi divisioni del giorno sesto (2, 1-19, 42) : «il Giorno del Messia • (2, l-Il, 54) c « l'Ora finale », che comprende l'ultimo periodo pasquale (Il, 55-19, 42).

A livello

Infine, la determinazione del ruolo de ll'epilogo (21, 1-23) in relazione al corpo del vangelo, simile, sebbene in forma ridotta, a quello degli Alli degli Apostoli in relazione a l vangelo di Luca. In esso si verifica ancora una volta la struttura a dittico che si ripete a partire dall'inizio dell'• Ora finale • (Il, 55): una pala del dittico espone la relazione di Gesù con la sua comunità, l'altra la relazione con i l • mondo », La prima volta si contrappongono le due opzioni di Israele: l'adesione a Gesù nella scena di Betania (12, l ss), c l'opzione contraria del popolo accecato dalla Legge (12, 1 2ss) . Questa struttura si incontra per la seconda volta nella Cena, dove la prima parte (capp. 13-14) d escriv e la vita della comunità e la seconda (capp. 1 5-16) la sua identità nel mondo e la sua missione. Il dittico si ripete a partire dal primo giorno della settimana (20, 1 ) : Gesù con i suoi (20, ll-29) e la sua presenza nella missione (21 , l ss). Considerando la struttura globale, hanno create dal presupposto della strutturazione

trovato soluzione difficoltà storica dell'opera. t!. appar­ so che la collocazione del cap. 6 dopo il 5 era perfettamente logica dal punto di vista tematico: la menzione di Mosè, la cui impresa centrale è l'esodo (5, 46), conduce naturalmente al cap. 6, dove, sotto l'immagine del passaggio del mare di Galilea viene anticipatamente figurato l'esodo del Messia. La situazione del oopolo e la guarigione dell'invalido (5, l ss), che può di nuovo camminare, appaiono come presupposti per intraprendere con Gesù il cammino dell'esodo (cfr. 6, 2). La mancanza di precisione sul punto di partenza di Gesù per attraversare il mare (6, l) non deve essere interpretata con un criterio geografico, ma · tematico. La terra di schiavitù, che Gesù abbandona quando compie il suo esodo, è l'intera nazione e in particolare la Giudea, centro dell'isti­ . tuzione oppressiva, dove la sua attività in favore dell'uomo è stata rifiutata dai dirigenti (5, 1 8 ; cfr. 4, 1-3.44). Un'altra difficoltà che svanisce, come si vedrà, quando la si consideri dal punto di vista tematico, è quella creata dall'invito a uscire a metà del discorso della Cena (14, 31). In effetti, i capitoli 13 e 14 ne formano la prima parte dove si tratta della costituzione e della vita della comunità; è centrata sul comandamento di Gesù, sua carta di fondazio­ ne (13, 34-35). I capp. 15-16, che formano la seconda parte, costituiscono invece un'istruzione sull'identità e la funzione della comunità in mezzo a l mondo. Risulta comprensibile, pertanto, l'invito di Gesù a uscire; con esso annuncia il cambiamento di tematica: terminata l'istruzione sulla vita della comunità «dentro casa » (cfr. 20, 19.26), passa immediatamen­ te a parlare della vita • fuori » (cf: . 2 1 , 3: uscirono), che sarà un 15

Introduzione

passaggio attraverso il mondo ostile seguendo - condizione perché sia fruttuoso - lo stesso itinerario di lui.

Ambiente e linguaggio Era di primaria importanza determinare l'ambiente culturale in cui si muoveva l'evangelista. Bisognava decidere se nell'opera predominasse l'ambiente ellenistico o la tradizione ebraica. Rifiutando nuovamente ogni idea preconcetta, si è fermata l'attenzione sul linguaggio; questo, che oltre alle citazioni esplicite, è denso di allusioni all'AT e a tradizio­ ni giudaiche, ha mostrato senza dar luogo a dubbi che l'evangelista si muove nel mondo di idee della cultura giudaica. Le tradizioni giudaiche cui il testo allude sono a volte attestate da documenti del tempo; altre si trovano soltanto in raccolte di epoca posteriore; tuttavia, la coinci­ denza esatta con certi dati del vangelo, mostra che queste compilazio­ ni hanno conservato materiale di epoche più antiche, che aiutano a mettere in luce alcuni passi di Giovanni. Perfino un termine così discusso come logos, che apparteneva al patri­ monio comune della cultura ellenistica, riceve in questo vangelo un peso semantico (già presente nel /ogos dei LXX) proveniente dalla teologia dell'AT e dell'epoca intertestamentaria. Studi sul rnernrd di Yahvè nei Targumin hanno confermato la radice ebrea dell'uso di logos in Giovanni 1• Bisogna tener conto anche del cambiamento di prospettiva prodotto dalle recenti scoperte sulla cultura giudaico-palestinese nel periodo precedente la distruzione di Gerusalemme. Non si può ormai dubitare della diversità di ideologie religiose e di linguaggio teologico che regna­ va nei tempi antecedenti la riorganizzazione del giudaismo fariseo; molte di quelle ideologie �.ono andate perdute a causa della visione unilaterale imposta da quest'ultimo. Bi sogna affrontare qui la questione del linguaggio teologico dell'evange­ lista. Non è da pensare che esso sia tutto creazione originale; al contrario, nella maggioranza dei casi utilizza un modo di esprimersi già esistente e disponibile. Nella letteratura ebraica dell'AT, i concetti teolo­ gici non si esprimevano come oggi con un linguaggio astratto, ma con immagini di uso corrente nella cultura, che rimandavano a categorie già conosciute. In Giovanni, un tema o fatto determinato si esprime o si interpreta usando categorie simboliche, la cui origine va cercata in gran parte nei libri dell'AT o nei suoi commenti. Si trova così il tema nuziale per significare l'alleanza o il rapporto di Dio con il suo popolo; il deserto, l'acqua, il pozzo, l'unzione, la pasqua, il pastore, le pecore, la gloria, il tempio, ecc., sono luoghi teologici. Contemporaneamente si utilizza la tipologia di personaggi o eventi della storia del popolo ebreo: Mosè, Giosuè, Elia, Eliseo, l'esodo, la traversata del mare o del Giordano, la manna, ecc. l Cfr. D. Muiioz Le6n, Dios-Palabra, Memrd en los Granada 1974.

16

Targumin del

Pentateuco.

Ambiente e linguaggio

Così, fra molti altri casi, si possono citare: le notze, figura dell'antica alleanza (2, l); le giare • di pietra » per la purificazione (cfr. le tavole di pietra) rappresentano la Legge (2, 6), come il pozzo di Giacobbe (4, 1 2 ) ; l a consegna del figlio unico allude ad Abramo (3, 1 6) ; l a traversata del GiordaQo, all'ingresso di Giosuè nella terra promessa (10, 40) ; i pani di orzo, alla storia di Eliseo (6, 9) ; il mantello lasciato come eredità, a Elia (19, 23); il profumo di nardo, al tema nuziale del Cantico ( 1 2, 3) ; l'or­ to-giardino, alla coppia primordiale (1 9, 4 1 ; cfr. 20, 1 5). Non solo; a volte, per interpretare un fatto si sovrappongono due o più categorie simboliche che in quel tempo er:mo immediatamente intelligi­ bili in quanto patrimonio comune della cultura. Il metodo analitico, che procede per separazione, non basta a captare il modo in cui l'evangeli­ sta propone una determinata scena. Si pensi, per es., alla morte di Gesù ( 1 9, 28-30), dove coincidono il tema della Legge che dà morte a Gesù (il vaso, l'aceto-odio, cfr. 19, 7) con il tema pasquale dell'agnello il cui sangue libera dalla morte (issopo) e quello della creazione (19, 30: è ormai completato).

Altre volte si adattano i simbolismi trasmessi. Così, il tema del mantel­ lo-eredità che si identifica con lo Spirito (storia di Elia ed Eliseo, 2 Re 2, 1 3-15) resta sdoppiato, nell 'eredità di Gesù, in mantello e tunica, per significare al tempo stesso l'universalità del dono dello Spirito e la sua unità ( 1 9, 23-24) . Talune parole, provviste di un peso semantico ben noto, costituiscono un leitrnotiv nel corso dell'opera; mentre, quando si associano ad altre, lo stesso tema continua con queste ultime, anche se sparisce il termine primario. Così, per es ., il tema delle « pecore., (come figura del popolo) espulse profeticamente da Gesù dal tempio, centro e simbolo dell'istitu­ zione giudea (2. 1 3ss), prosegue con gli infermi giacenti nei portici della piscina presso • la Pecoraia » (5, l ss) e riappare nell'allegoria del pastore ( 1 0, 1 ss); qui si associa con il termine • atrio », che rimanda alla scena del tempio (2, 13ss), e con i termini «porta, portinaio »; abbandonato il simbolo delle « pecore •, riappare l'• atrio • per desi­ gnare il palazzo di Anna, il sommo sacerdote, assieme a « porta, portinaia» (1 8, 15ss). Continua così il tema delle pecore-pastore, indi­ cando il risul tato della consegna di Gesù (trarre il popolo fuori dall'isti­ tuzione che lo opprime) e il rifiuto di Pietro di associarsi a Gesù in questa missione. Alla fine del vangelo, Gesù inviterà Pietro a dimo­ strargli il suo amore e a seguirlo, prendendo nuovamente il tema • pecore-pastore » come simbolo della missione di Pietro, che, per paura, aveva rifiutato (2 1 , 1 5-19). Un espediente abituale in Giovanni è quello di introdurre in un passo successivo un tema già noto, basandosi su una parola uguale, equivalen­ te o simile a quella del testo precedente. In pratica Giovanni, compo­ nendo la sua opera, tiene presenti i metodi esegetici usati dalle scuole rabbiniche. Così, la terza regola esegetica di Hillel. vissuto al tempo di Erode il Grande, quindi, prima di Giovanni, insegnava che quando in due luoghi della Legge si trovano parole di suono o significato uguale, entrambe le norme determinano la stessa cosa, e si possono applicare in modo identico. La quarta regola affermava che quando in un certo numero di passi biblici in relazione tra loro per il contenuto, uno di 17

Introduzione

essi offre una precisazione particolare, questa si può applicare a tutti. La sesta regola permette di spiegare un passo con un altro simile o parallelo 2. Queste regole si usavano anche per interpretare testi biblici non legali. II principio si può riassumere così: « La somiglianza di una parola in passi differenti permette di trasferire a uno di essi l'intera situazione che si trova nell'altro" 3• Questi metodi esegetici permettono di comprendere, o, almeno, sospet­ tare l'intenzione di Giovanni in non pochi passi. Cosi, il termine • le braci "• in 2 1 , 9, ricorda i rinnegamenti di Pietro ( 1 8, 18), che questi sta per cancellare rispon dendo alla triplice domanda di Gesù (2 1 , 15ss). • La moltitudine " di pesci in 2 1 , 6 indica probabi lmente a che categoria d i persone deve essere diretta in primo luogo la missione (5, 3 ) . II verbo • allacciarsi la cintura, cingersi in 2 1 . 7 mette questo passo in relazio­ ne con la lavanda dei piedi ( 1 3, 4), unico luogo dove il verbo è stato in precedenza incontrato. La sosti tuzione di un termine con un altro di significato equivalente, per evitare un'i ncongruenza nel contesto, si trova, per es., nell'uso di ependutes (gli indumenti esterni), in 2 1 , 7, che allude all'himation diviso sulla croce ( 1 9, 23). Probabilmente Io stesso procedimento appare nel­ l'equivalenza fra «gli uomini adulti • d i 6, !Ob, «essere adulto D (9, 2 1 .23) e i pesci • grandi • (21,11), che indicano la realizzazione dell'uomo a opera dello Spirito. L'enigmatica frase lo sono quello sulla bocca di Gesù (8, 24.28, ecc.) è in opposizione a quella di Giovanni Battista: lo non sono il Messia (l, 19; cfr. 3, 28) e allude alla dichiarazione di Gesù alla samaritana (4, 26: Sono io, che ti sto parlando) . Con essa, perciò, Gesù si riferisce alla sua qualità di Messia. La strana costruzione di 1 1 , 1 : C'era un infermo, ecc., nell'originale risulta essere in perfetto parallelismo sintattieo con l, 44: era Filippo di Betsaida. Con questo Giovanni attribuisce alla comunità dei tre fratelli la mentalità profondamente giudaica di Filippo e Nata­ naele, il che spiega molti tratti dell'episodio di Lazzaro. Appartengono a questa tecnica anche i giochi di parole. Così pléres (1, 14), plèr6ma ( 1 , 16), pleura (19, 34), identificano l'amore leale con l'acqua e il sangue che scaturiscono dal costato di Gesù. Vi è un probabile gioco di opposizione fra nomè (lO, 9) e nomos e fni spelaiur1 (simile a palaion (Il, 38b) e kainon ( 1 9, 4 1 ) , che opera cosi la distinzio­ ne fra i due sepolcri. D

Un altro espediente comune in questo vangelo è offerto dai personaggi rappresentativi. Molti di quelli che appaiono non agiscono semplice­ mente come figure storiche, ma investiti di una precisa rappresentanza. Per rendere differenti aspetti di quanto descritto, a volte personaggi diversi impersonano uno stesso ruolo sotto aspetti distinti o ruoli complementari. Così, per es., il caso di Natanaele, figura dell'Israele fedele alle promesse in quanto oggetto di rinnovata elezione da parte di Gesù ( 1 , 48.50), e della madre di Gesù, che rappresenta lo stesso Israele 2

Cfr. H. L. Strack, Einleirung in Talmud und Midrasch, Mtinchen 5!930. pp. 96-99. 3 Cosi H. L. Strack·P. Billerbeck, Kommen tar zum Neuen Testamenr aus Talmud und Midrasch, voli. I-IV, Miinchen 1922-1928.

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SIUe di Giovanni in quanto ongme di Gesù (2, 1 .3), che sarà integrato nella nuova comunità ai piedi della croce (19, 26-27). Natanaele, il primo rappresen­ tante, apparirà di fatto incluso nel gruppo dei discepoli, impegnati nella missione (2 1 , 2); egli viene collegato a Cana, località associata all'episo­ dio della madre (2, lss).

Un caso di particolare interesse è quello del discepolo che Gesù amava, figura anonima che rappresenta il di scepo lo o la comunità, in quanto amici di Gesù; è il di scepolo c he sperimenta il suo amore e gli corrisponde ( 1 8, 15 Lett.), quello che giunge per primo alla fede nella risurrezione (20, 8) e percepisce la presenza di Gesù nel frutto del lavoro (2 1 , 7). Questo discepolo servirà, inoltre, da termine positivo in ripetuta opposizione con Simon Pietro (13, 23ss; 18, 1 5; 20, 3ss; 2 1 , 7. 20-23). La f igura femminile che rappresenta la comunità , in quanto sposa di Gesù, è Ma ria la Maddalena, che appare per la prima volta ai piedi della croce, in parallelo con il discepolo ( 1 9 , 25-27) e costituirà con Gesù la nuova coppia primordiale che dà origine all'umanità nuova (20, l l ss). L'uso del linguaggio simbolico non deve stupire il lettore. Per l'evange­ lista, l'apparenza esterna dei fatti non rende il loro intero significato; l a mcra cronaca della v i t a d i Gesù sarebbe apparsa in mol te occasioni anodina per lui che percepiva la realtà profonda che vi si celava. La crocifissione, per es., che sign i fica per lui la grande mani festazione dell'amore di Dio per il mondo, po teva apparire a molti spettatori indifferenti come l 'esecuzione legale di un personaggio sovversivo; agli occhi dei dirigenti giudei fu il loro trionfo su Gesù, mentre per il credente significava la condanna da parte di Dio dell'istituzione che gli dav a la morte.

Stile di Giovanni Il pensiero di Giovanni non avanza in senso lineare: ogni part e contie­ ne la totali Là e, al tempo stesso, espone un aspetto della concezione centrale da cui parte tutta la sua teologia e cui gira costantemente intorno. Chi volesse scoprire la coerenza del testo in uno sviluppo lineare o narrativo incontrerebbe ingiustificabili retrocessioni a temi già trattati . Giovanni, al contrario, h a l a chiara visione del grande avvenimento: la morte di Gesù in croce. Su di essa torna continuamente e in mille modi, spiegandola da differenti punti di vista. Il suo scritto procede come una spirale che si muove dall'esterno verso il centro. Ogni segmento, preso in se s te sso, si può prolungare e, per la sua stessa curvatura, conduce al fatto centrale. Così si spiega che Giovanni ripeta lo stesso tema a diversi livelli, approssimandosi ogni volta di più al nucleo. Tale forma di composizione, che riflette il pensiero dell'evange­ lista, è criterio ermeneutico dell'interpretazione di G iova nni. Questo procedimento espositivo si organizza all'interno dello schema teologico-cronologico • giorno-ora "· I l giorno anticipa e spiega l'ora, l'ora compie il giorno e ne manifesta il contenuto. Man mano che si avvicina l'evento centrale, la morte di Gesù, l'evange19

lntroduzloDe

lista va concentrando i dati esposti nella spiegazione precedente; il simbolismo del suo linguaggio, disseminato nel corso dello scritto, si accumula e si concentra nelle scene della croce. Per il let tore moderno, poco abituato a questo genere di l inguaggio, esse potranno sembrare sovraccariche. Tuttavia, ripetendo la lettura e familiarizzandosi con il testo, ne gusterà la ricchezza espressiva. La meraviglia iniziale dinanzi all'inconsueto si trasformerà più tardi in apprezzamento estetico dello stile. La molteplice meditazione del tema centrale, la morte di Gesù in croce come espressione suprema dell'amore di Dio per l'uomo, è resa possibi­ le dall'utilizzazione di vari termini, che descrivono la stessa realtà da differenti punti di vista. Così, l'amore leale, che il Padre comunica in pienezza a Gesù, è chiamato, in quanto la sua mani festazione lo rende visibile, la • gloria • (l, 14). che rivela la presenza di Dio e costituisce Gesù suo santuario (2, 1 7. 1 9). La morte di Gesù in croce sarà, dunque, la manifestazione splendente della • gloria », l 'amore leale di Dio per l 'uomo ( 1 7 , l); Gesù sulla croce appare così come il nuovo tempio di Dio, che sostituisce tutti i templi. L'amore leale (cfr. l , 14 Lett.) o la gloria si identifica, a sua volta , con • Io Spirito • che scende dal cielo su Gesù e rimane su di lui (1, 32s); essendo Dio Spirito (4, 24). la presenza dello Spirito su Gesù fa di lui la presenza di Dio fra gli uomini. e della sua allivilà in favore dell'uomo, l 'attività stessa del Padre (5, 17.36). espressione creatrice del suo amore leale. Lo Spirito, che è forza, denota l'amore come principio vitale che, per mezzo di Gesù, Dio comunica all'uomo, e che porta a termine in lui l'opera creatrice ( 19 30; 20, 22). Così, l 'opera del Messia si può descrive­ re come far sì che esista • l'amore leale • (1, 17) o come « battezzare con Spirito Santo • ( l , 33). « La vita • che Io Spirito produce nell'uomo è • definitiva •. vale a dire, la sua qualità è tale da superare la morte (4, 14; cfr. 8, 5 1 ; 1 1 , 25s). I n altre parole: è l'amore leale a vitalizzare e sviluppare tutte l e capacità dell'uomo, conducendolo alla sua pienezza, secondo il progetto di Dio ( 1 9, 30: è ormai completato). • La vita » è al tempo stesso la luce dell'uomo (1, 4), vale à dire, la verità che guida i suoi passi. Con questa afrermazione, fatta al principio della sua opera, Giovanni pone come norma di verità la pienezza di vita contenuta nel progetto creatore, che si manifesterà in Gesù, il progetto realizzato. Pertanto, in Giovanni, il concetto di verità non è quello greco, che si riferisce a una conoscenza intellettuale; l'esperienza di vita, in quanto realtà cosciente e in qualche Jlllodo formulabile, costi­ tuisce per l'uomo la verità. • La vita » di cui parla Giovanni è sempre la vita definitiva, che ha inizio con il dono dello Spirito; questi fa nascere di nuovo (3, 3.5). rendendo l'uomo « spirito » (3, 6), vale a dire, dandogli una capacità di amare simile a quella di Dio (4, 24). La pratica dell'amore, assecondando l'impulso dello Spirito, dà all'uomo la somiglianza con il Padre, e in tal modo chi è nato da Dio ( l, 13) «diventa » figlio di Dio ( 1 , 12). « Spirito • e • amore leale » sono sinonimi a un punto tale che Giovanni può affermare che prima della morte-esaltazione di Gesù non esisteva « spi,

20

Domande al tulo

rito • (7, 39), poiché l'opera di Gesù Messia consiste appunto nel fare nascere l'amore leale nell'uomo (l, 1 7). • Il comandamento " di Gesù (13, 34) non fa altro che formulare, come carta di fondazione della sua comunità, la pratica dell'amore, che, come il suo, giunge fino alla donazione totale (amore leale); reso possibile dal dinamismo dello Spirito, esso rende l'uomo • figlio di Dio », come Gesù (cfr. 20, 17: miei fratelli) . • Il messaggio » di Gesù, che è quello del Padre (14, 24), è la proclama­ zione dell 'amore leale per l'uomo, l'annuncio della sua realtà in Gesù e della sua possibilità tramite lo Spirito. Come si può notare, la connessione fra i diversi termini è cosl stretta che si devono sempre tenere presenti le equivalenze o complementari­ tà per non perdere il filo del pensiero di Giovanni e poter trovare l'unità profonda del suo vangelo, che espone con diverse parole e sotto simboli differenti l'unica • verità »: l'amore incondizionato di Dio per l'uomo, realizzato e manifestato al massimo nella consegna volontaria di Gesù per l'umanità, per liberarla dalla morte comunicamlole la pienezza di vita che Dio le destinava nel suo progetto creatore. La preoccupazione teologica di Giovanni, che predomina sull'intenzione narrativa, dà luogo al passaggio dal dialogo a una esposizione che sviluppa il tema teologico impostato nel dialogo. Cosi avviene, per es., nel colloquio con Nicodemo, in cui l'ultima risposta di Gesù (3, 1 0- 1 2) continua con un'esposizione del piano di Dio che presenta il Messia come fonte di vita, espressione dell'amore di Dio e luce che rende decisiva l 'opzione dell'.uomo (3, 1 3-2 1 ). In maniera simile, nell'episodio successivo, il dialogo di Giovanni Battista con i suoi discepoli si prolunga in un'esposizione teologica del ruolo del Figlio inviato da Dio (3, 31-36).

Le domande poste al testo II fatto di leggere un testo indica un qualche interesse . nei suoi confronti, una qualche aspettativa da parte del lettore. La sua relazione con il testo è quella di un dialogo più o meno intenso, a seconda della qualità dello scritto; questo afferma o propone, il lettore domanda o apprende. Le domande che gli si rivolgono dipendono dall 'interesse che guida la lettura; può essere puramente linguistico, per studiare la grammatica, il lessico o Io stile. Si possono indagare anche i dati storici che fornisce, l'ambiente culturale che riflette, le sue relazioni con altre opere e la sua originalità letteraria. Altri indagheranno sulla preistoria del testo trasmesso o sulla storia della sua trasmissione (critica te­ stuale). Questi modi di avvicinarsi al testo mirano più che altro a una sua lettura !ematica. In essa, il lettore prende l'iniziativa, tenendo pronte le domande cui cerca risposta. Per es., si può studiare il concetto di • gloria • in Giovanni, o il rapporto fra il Padre e il Figlio o il ruolo che ha la madre di Gesù. L'interesse si può centrare, tuttavia, sul messaggio che il testo intende comunicare al lettore, e al quale sono ordinate tutte le sue componenti;

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Introduzione

i l contenuto centrale che integra e organizza tutti i rimanenti aspetti, dalla costruzione grammaticale e lo stile fino agli elementi ambientali assunti. Se tale contenuto, come nel caso del vangelo, è un messaggio che intende incidere sulla vita dei suoi destinatari (20, 3 1 : rimangono scritti perché giungiate a credere che Gesù è il Messia, il Figlio di Dio e, credendo, abbiate vita uniti a lui), chi affronta questo testo non si può sottrarre al suo confronto, a meno di rinunciare a comprenderlo. L'intenzione di interpellare è una componente oggettiva dell'opera, e sarebbe antiscientifico affrontarla da un'angolatura che prescindesse da questa realtà. Per captare questo messaggio, come è intendimento di un commento a ll in t era opera, l'at teggiamento del let t ore deve essere diverso. De­ ve anzitutto porsi una domanda generica: che dice questo testo?, !asciandogli l'iniziativa. Il testo stesso andrà suscitando problemi e interrogativi che stimoleranno la curiosità del lettore. La capacità di comprensione del messaggio dipenderà allora dalla condizione di chi legge: da una parte, dalla sua familiarità con l'ambiente dell'evangelista che scrive, in particolare con la !ematica dcli'AT e della tradizione giudaica (è evidente che se uno si avvicina a Giovanni senza tener presente la tradizione anteriore non comprenderà molte al lu s i o n i e significati presenti nel testo) ; d'altra parte, dipenderà dalla sensib ilità del lettore alla problematica dello scritto; quanto maggiore è la sinto­ nia fra il lettore e il testo, tanto maggiore sarà la comprensione dello stesso c la percezione dei suoi diversi aspetti. Così, lasciandosi solleci­ tare da esso e rispondendo ai suoi stimoli, il lettore potrà arri v are a captare il messaggio centrale che lo scritto intende trasmettere. Questo atteggiamento fondamentale incide sulla problematica personale del commentatore e impedisce che le sue domande, esplicite o imp!ici· te, deformino il messaggio del testo. Dovrà accet tare che quest'ultimo non risponda ad alcune di esse o che modifichi le sue impostazioni. '

La condizione fondamentale per una sana esegesi è ascoltare il testo, es­ sergli docili, senza forzarlo né imporgli risposte. Esso è l 'unica autorità che va presa in considerazione incondizionatamente; tutte le altre avran­ no validità in quanto possano accordarsi con i dati offerti. Questa prece· dcnza data al testo spiega perché in questo commento non si citano opere di altri autori. Non pretende con ciò un'originalità assoluta, ma per il suo carattere di lettura, ha preferito non sovraccaricare il testo con citazioni, il che, d'altra parte, avrebbe necessariamente condotto alla discussione delle diverse opinioni. Si incontreranno numerose op­ zioni esegetiche già presenti in opere anteriori, che sono state accetta­ te essendo stata dimostrata la loro coerenza con i risultati dell'analisi. Si citano soltanto opere contenenti documenti o dati che illustrano l'ambiente cul turale o i presupposti dell'evangelista. Commento scientifico è quello che con uno studio di prima mano sul testo cerca di condurre su di esso una riflessione che apporti soluzioni nuove. Si può presentare in due maniere: in modo tecnico, accessibile solo agli specialisti familiarizzati con la l ingua dell'originale, o in modo meno tecnico, diretto a un pubblico più vasto. Questo nostro corwncnto ha scelto di riservare la presentazione tecnica alle note che accampa22

n commento

gnan o la traduzione, esponendo invece l'esegesi in forma accessibile al lettore colto, anche se non specialista. D'altra parte, vi è il proposito di continuare a pubblicare studi complementari a livello tecnico, che possano giustificare più ampiamente alcune conclusioni proposte nel commento. Speciale attenzione si è prestata alle difficoltà che presenta il testo. Ogni volta che in un passo appare una costruzione strana, un dettaglio sorprendente, una situazione o un fatto inaspettato, poco in accordo con la logica della narrazione, Wl parallelo evidente con un altro passo, c'è da sospettare un significato particolare da parte dell'evangelista. Già Origcnc, uomo di lingua e cultura greca, notava gli • intoppi, ostacoli e cose impossibili " (skandala, proskommata, adunata) 4 che si incontrano nel vangelo: non bisogna dissimularli né eluderli, ma analizzarli: sono indizi che invilano alla riflessione e permettono di scoprire il signifi­ cato. Servano da esempio, fra i molti, la strana frase del prologo: diventare figli di Dio ( 1 , 12); il nome di Betania, comune al luogo dove battezzava Giovanni ( 1 , 28) e al villaggio di Lazzaro, Maria e Marta ( I l , I ; cfr. 10, 40); il fatto che nelle due scene in cui Gesù dialoga con sua madre egli la chiami « donna •, non madre, né essa chiami lui • figlio • (2. lss; 19, 26-27); l'oscillazione « fonte/pozzo • per designare il poao di Gia­ cobbe (4, 6.1 1 ) ; l'indiscreto invito di Gesù alla samaritana perché chiami suo marito (4, 16) ; l'espressione « il suo fango », riferito a Gesù, nella guarigione del cieco (9, 6) ; l'affermazione di 1 1 , 1 , che Lazzaro era compaesano delle sorelle Maria e Marta, mentre immediatamente dopo si dirà che era loro fratello; il sorprendente pianto di Gesù poco prima di risuscitare Lazzaro ( 1 1 , 35). o l'ordine che dà ai presenti: Sciogliete/o e lasciate che se ne vada ( 1 1 , 44), quando la cosa più ovvia sarebbe stata restituirlo alla famiglia; l'ambiguità di s�ggetto d i 1 1 . 4.5: quelli che erano andati da Maria ed erano stati presenti a ciò che aveva fatto

(chi aveva fatto ciò, Maria o Gesù?; casi analoghi in 13, 6; 19, 5.13) ; la strana collocazione del sudario in 20, 7: non messo con i te/i, ma a parte, che co p riva/avvolgeva un luogo determinato; la nudità di Pietro durante la pesca (2 1 . 7). Il

commento

Nei paragrafi precedenti sono già stati spiegati l'indole e il proposito del presente commento. Questo, basato su di un approfondimento dello studio grammaticale e lessicale, presenta una traduzione linguistica­ mente giustificata del testo greco, che intende essere fedele a tre principi: aderenza all'originale, chiarezza di significato e correttezza di lingua. Data la finalità dell'opera, si è procurato di conservare in essa, quanto possibile, i parallelismi stabiliti dal testo greco, facilitando così al lettore la comprensione delle allusioni di alcuni passi ad altri. Le note che seguono la traduzione, oltre alle questioni grammaticali o lessicali che il testo presenta, offrono dati che mettono in connessione � Cfr. P. A. IV (16), a cura di P. Koetschau, GCS Origenes V, Leipzig 1913, 321.

23

Introduzione

passaggi diversi del vangelo o paralleli che illustrano il passo trattato. L'organizzazione del commento è semplice e intende soltanto facilitare la lettura di un'opera di contenuto profondo, espresso con un linguag­ gio denso e insinuante, pieno di allusioni ad altri passi dello stesso vangelo e a temi deli'AT. Per questo, terminata l'esposizione tecnica contenuta nelle note, si orienta il lettore verso il tema centrale della pericope e la sua struttura interna (contenuto e divisione). Segue la lettura, che fa l'analisi di ogni versetto o parte di esso. Le numerose citazioni intercalate rimandano il lettore ad altri passi del vangelo che provano o illustrano ogni affermazione, permettendo di scoprire la coerenza interna dell'opera. Infine, al termine di ogni lettura si offre una sintesi, dove si riassume il contenuto della pericope o dove si sviluppa un punto di particolare interesse teologico, usando un linguag­ gio più vicino a quello dei giorni nostri. Era conveniente non perdere mai di vista la mentalità sintetica di Giovanni; per questo ogni parte, ciclo o sezione è preceduta dall'intro­ duzione corrispondente, che informa il lettore sullo sviluppo dell'opera. Il commento è provvisto di due indici. Il primo contiene le citazioni e le allusioni bibliche. Quelle del NT appartengono soprattutto alla parte filologica. Il secondo registra i fenomeni grammaticali e i dati lessicali particolarmente studiati '.

Piano del vangelo

L'esposizione dettagliata del piano del vangelo di Giovanni richiede uno studio a parte. Qui si intende unicamente offrire le grandi linee strutturali che risultano dall'analisi effettuata, adducendo le prove p i i t tangibili che la con fermano. Al principio di ogni parte o sezione si troveranno giustificazioni parziali della divisione adottata. Oltre al Prologo ( 1 , 1-18) e a una sezione introdutt iva (1, 1 9-5 1 ) , il vangelo di Giovanni si divide in due parti (2, 1-19, 42; 20, 1-31 ) e termina con un epilogo (21, 1-25). I. Il vangelo comincia con un prologo (l, 1-18), che costituisce un'unità distinta dal resto dell'opera, ed espone sinteticamente il contenuto e la realizzazione del disegno creatore. La sua struttura viene studiata in un paragrafo particolare (cfr. struttura del prologo, pp. 44ss) .

II. Dopo il prologo si trova una sezione introduttiva (1, 19-5 1 ) , che si pub intitolare: • Da Giovanni a Gesù », connessa con il prologo tramite le menzioni di Giovanni Battista ( 1 , 6. 1 5) e di Gesù ( 1 , 17). L'unità di questa sezione e, al tempo stesso, il suo carattere introduttivo, sono 5 È stato pubblicato, da Cittadella Editrice il Dizionario teologico del Vangelo di Giovanni, (maggio 1982) degli stessi autori del Commento. nel quale sono or�aniz­ zati il contenuto dci cancelli c il significato delle figure del vangelo, costituendo così un abbozzo della tL-ologia di Giovanni. La visione sintetica chiarifica e ar­ ricchisce i dati dispersi del Commento. La coerenza presentata dalle sintesi ivi espo­ ste è la miglior conferma della validità della linea esegetica adottata. Nel corso del presente Commento, si farà spesso riferimento alle voci di tale dizionario, che verrà citato con la sigla " Diz. Teol. • (N.d.T.).

24

Plano del vangelo

indicati, da un lato, dalla successione cronologica degli episodi, che sfocerà nella scena di Cana ( l , 19.29.35.42; 2, 1 } e, dall'altra, dalla tema­ tica, il trasferimento dell'aspettativa messianica da Giovanni a Gesù, fondata su dichiarazioni di Giovanni stesso (cfr. « Sezione introdutti­ va • . p. 79). III. Comincia poi la prima parte del vangelo, che si estende da 2, l a 19, 42. t:. inclusa fra la scena di Cana all'inizio, dove si annuncia per la prima volta « l'ora di Gesù », e questi, come anticipazione della sua ora ,; , offre l'assaggio del suo vino, simbolo dello Spirito (2, 1-1 1 ) , e la morte di Gesù alla fine, momento supremo della « sua ora » ( 1 2 , 23.27; 13, 1 ; 17, 1 ; 1 9, 1 4 ) in cui egli dà lo Spirito (19, 30: consegnò lo Spirito; 19, 34: l'acqua-Spirito, cfr. 3, 3; 4, 1 4 ; 7, 37-39). Questa prima parte corrisponde allo schema delle sei feste (2, 13: prima Pasqua; 5, l : festa; 6, 4: seconda Pasqua; 7, 1 : le Capanne; IO, 23: la Dedicazione; 1 1 , 55: terza Pasqua) e comprende l'opera di Gesù Messia. Tenendo conto che Giovanni apre il suo vangelo con una allusione alla Genesi e presentando la Parola creatrice (1, lss) , il giorno in cui avviene l'episodio di Cana (principio dei segni di Gesù), il sesto giorno a partire da l, 1 9, acquista un carattere simbolico: l'attività di Gesù si sviluppa nel giorno della creazione dell'uomo, perché la sua opera deve consiste­ re appunto nel portarla a termine con il dono dello Spirito. II • Giorno Sesto • culmina nell'• Ora •, quella finale di tale giorno. Tutta l'attività di Gesù sarà un'anticipazione di ciò che deve essere frutto della sua morte, Sof A� Zr.: MI

Proverbi Qoélet Cantico dei Cantici Sapienza Siracide Isaia Geremia Lamentazioni Baruch Ezechiele Daniele Osea Gioele Amos

Abdia Giona Michea Naum Abacuc Sofonia Aggeo Zaccaria Malachia

�..:.

Nuovo Testamento

Gv

Matteo Marco Luca Giovanni

At Rm

Atti Romani

Mt Mc Lc.

l Cor

2 Cor

Gal Ef Fil Col l Ts 2 Ts

l • Corinzi 2• Corinzi Galati Efesini Filippesi Colossesi l• Tcssalonicesi 2• Tessalonicesi

l

Tim

2 Tim Tt Fm Eb Gc l Pt 2 Pt

l Gv 2 Gv 3 Gv Gd Ap

Lettere di Ignazio di Antiochia Eph. Smirn. Tra/l.

= = =

Lettera ai c ris tiani di Efeso Lettera ai cristiani di Smirne Lettera ai cristiani di Tralle

l• Timoteo

2• Timoteo

Tito

Filemone Ebrei

Giacomo

l• Pietro

2• l• 2• 3•

Pietro Giovanni Giovanni

Giovanni Giuda

Apocalisse

Abbreviazioni e stele

Al TRE ABBREVIAZIONI accusativo

ace. agg. aor. il ram. art. a•,;v. avversa t. ca. cap. ca pp. complem.

aramaico art icolo avverbio avversativo circa capitolo capitoli complemento

cod. cfr.

confronta

compless. con g. connot.

con t.

correi. corrisp.

cast r.

aggettivo aoristo

codice

complessivo congiuntivo

connotazione

co nt i nuo correlativo, correlazione

corrispondente

cast ruzione

dat.

da ti vo

eb. ed.

ebraico edizio ne

di. dura t. es .

esplicat. fu t.

geni t.

gr. ibid. id. i mper. impf. incoat. in d. indica t. infiu.

ingress. i t.

diretto dura livo

esempio esplicativo futuro genitivo greco nello stesso luogo idem imperativo imperfetto incoativo indice indicativo infinito ingressiva italiano

Lett. letter. lett. var. loc. m dr. m s. m ss . negaz. ogg. oppos. parai. part. partic. pas. pers. p f. pl. ppf. pos sess . p re s. pron. prop. pros.

ps.

pun t. re lat.

sec.

sg.

sign. sin. si r. st. success. �.v. tra d. va r. V g. vol. vv.

Lettura l et t eralmen t e lettura variante locuzione m idrash manoscritto manoscritti negazione oggetto opposizione parallelo participio particella passat o personale perfetto plurale piuccheperfetto possessivo presente pronome proposizione prossimo pseudo puntuale rel at ivo secolo singolare significato sinaitico siriaco

storico

successivo si veda (vedi voce relativa) tra du zione vari ant e Vulgata volume

versetti

N.B. Ne l la traslitterazione del greco si è seguito un metodo molto semplifica­ to, che prevede solo l ' indicazione delle due vocali lunghe T) c w rese con è ed 6.

31

PROLOGO: IL DISEGNO CREATORE l, 1-18

Il vangelo di Giovanni si apre con una composizione di carattere esposi­ tivo che si è convenuto di chiamare prologo ( l , 1 - 1 8). Si caratterizza per il suo stile ricco di elementi ritmici (ripetizione di termini, parallelismi, ecc.) che Io distingue dalla prosa comune nel resto del vangelo. Nella sua seconda parte esprime, in prima persona, l'esperienza di salvezza della comunità ( 1 . 1 4 , 1 6: noz). In realtà, il tutto costituisce la professio­ ne di fede della comunità, o, secondo la terminologia di Giovanni, l a sua testimonian·z a. Questa testimonianza condensa in pochi tratti la realizzazione del pro­ getto creativo di Dio, che apre una nuova epoca nella storia dell'umani­ tà, così come è stato compreso e sperimentato dalla comunità stessa. Contiene in sintesi tutto il resto del vangelo che può essere considerato come un'amplificazione del prologo. Così, da una parte, offre chiavi d'in­ terpretazione per il resto del vangelo e annota i suoi temi principali; dall'altra, il suo spessore fa sì che non possa essere compreso appieno fino a che non sia stato esplicitato dalla narrazione stessa. La professione di fede che apre il vangelo è formulata a part ire da uno stereotipo che può essere riconosciuto nei diversi testi della riflessione sapienziale e che contiene i seguenti elementi: - la sapienza primordiale e il suo rapporto con Dir - la sua presenza nell 'opera creatrice - la sua partecipazione attraverso l'uomo - la sua identificazione con la norma etica - la sapienza, bene supremo dell'uomo. Questo schema parte dalla contemplazione della sapienza che sta presso Dio e nella creazione, procede alla sua manifestazione nella storia di Israele fino a identificarsi più tardi con la Legge ed è percepibile in mol­ ti testi dell'Antico Testamento (Gb 28; Pr 8, 22-36; Sir 24; Bar 3, 9-4, 4; Sal 1 9 , ecc.). Giovanni sostituisce il concetto di sapienza con quello di Parola e polemizza con la riflessione sapienziale segnalando che l'ultima e più completa manifestazione della Parola/sapienza non è la Legge, ma Gesù Messia, espressione della gloria di Dio ( 1 , 1 7); indica così l'articolo centrale del credo giovanneo, avallato dalla stessa esperienza della co­ munità. Tutto il vangelo può essere considerato come lo sviluppo di que­ sto articolo. Le corrispondenze del prologo con i l resto del vangelo sono numerose, come si potrà notare nel commento. ·

35

l, l-18. Prologo



1

Al principio la Parola già esisteva e la Parola si rivolgeva a Dio e la Parola era Dio. 2 Essa al principio si rivolgeva a Dio. 3

4 5

6 7

6

Mediante essa tutto cominciò a esistere, senza di essa non cominciò a esistere cosa alcuna di quanto esiste. Essa conteneva vita e la vita era la luce dell'uomo: questa luce splende nella tenebra e la tenebra non l'ha soffocata. Comparve un uomo inviato da Dio, il suo nome era Giovanni; egli venne per rendere testimonianza, per testimoniare la luce, cosicché, per suo mezzo, tutti giungessero a credere. Non era lui la luce, venne soltanto per testimoniare la luce.

Era essa la luce vera, quella che illumina ogni uomo, giungendo nel mondo. IO Era nel mondo e, sebbene il mondo avesse cominciato a esistere mediante essa, il mondo non la riconobbe. 9

u 12

13

Venne a casa sua, ma i suoi non l'accolsero. Invece a quanti la accettarono diede capacità di diventare figli di Dio: la diede, cioè, a coloro che mantengono l'adesione alla sua persona, quei che non nacquero da un mero sangue versato né per mero disegno di una carne né per mero disegno di un uomo, ma nacquero invece da Dio.

" E così la Parola divenne uomo, si accampò fra noi e abbiamo contemplato la sua gloria - la gloria che un figlio unico riceve da suo padre -. pienezza di amore e di Iealtà. 15

·16

36

Giovanni testimonia di lui e continua a gridare: � di costui che dissi: • Quello che viene dietro di me era già presente prima di me, perché esisteva prima di me•. Ne è prova che dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto un amore che risponde al suo amore.

Note Hlologlehe

17

Perc hé la Legge fu data per mezzo di Mosè,

l'amore e la lealtà hanno cominciato a esistere per mezzo di Gesù Messia. ti La divinità, nessuno mai l'ha vista; un Figlio unico, Dio, colu i che s i rivolge a l l i n ti mo del Padre, ne è stato la spiegazione. '

N OTE FILOLOGICHE l , l Il termine /ogos significa allo stesso tempo parola e progetto (cfr. Lett.); è una parola che ha un contenuto: il progetto divino. e lo esegue. La

parola, pertanto, è il progetto creatore in quanto formulato e, conseguen­ temente, eseguito. La frase en arkM bJ può significare che il /ogos coesisteva con il principio narrato nel Genesi (l , l ) oppure che Gv corregge la concezione del Genesi, indicando quale fu il vero principio. In ogni caso, la Parola/progetto pre­ cede l'opera creatrice. La forma durativa en indica, comunque, una durata in cui incide un momento puntuale ( en arkhe). L'esistenza della parola precede, pertanto, quella del principio, e di conseguenza la traduzione ap­ propriata è: al principio (riferito a quello del Genesi) la parola già esi­ steva. Ques ta, in quanto progetto formulato, è precedente al • principio •: in quanto parola creatrice, gli dà origine ( l , 3: mediante essa tutto cominciò a esistere). Questa unica parola contrasta con le molteplici parole della Legge: Es 4, 28; 20, 1.3.8 e, in particolare, con le dieci parole • (il Decalogo) : Es 34, 28; Dt 10, 14; 3 1 , 1 2 ; 32, 46, e con le parole dell'alleanza Dt 29, 1 ; 32, 44. - si rivolgeva a Dio, gr. en pros ton Theon. La prepos. pros ha significato di­ rezionale: verso. La parola era verso Dio la parola si rivolgeva a Dio, in parall. con il modo usato dall'AT per esprimere il rivolgersi di Dio ad un profeta: logos Theou egeneto pros, la parola di Dio fu verso Dio si rivolse a, cfr. l Re 13, 20; Mie 1 , 1 ; Ag 2, 10; Zc 1 , 1 .7; 4, 8; 7, 1 .8; Is 2, 1 ; 38. 4 : Ger 1 , 2.4.1 1 . 1 3 : 14. 1 : 21, 1 : 24, 4: 34 (41 ) , 1 : E2. 6, 1 ; 7, 1 : 12, 1 : 14, 12; 15, l: 16, l , ecc. La prepos. pros è usata da Gv stesso con il verbo legò (cor­ risp. logos). cfr. Gv 2, 3 : 3, 4; 4, 15.49, ecc. Non si oppone a questa interpretazione il testo di l Gv l , 2: tén �oen ten aiònion hétis en pros ton parera kai ephaneròthe hémin. Questa vita definitiva è una Parola/progetto ( 1 , 1 : peri tou logou tés zòes, genit. epe­ segetico: la Parola/progetto che è la vita). In quanto Parola/progetto in­ terpellava Dio, e, realizzata in Gesù, si è manifestata aflli uomini. . - [un] Dio, gr. theos. Senza artic., a differenza di l , lb1� ton theon, con articolo. Non sempre nel testo si riscontra una opposizione di questo genere. Preceduto da preposizione, theos omette spesso l'articolo ( 1 , 6.13). figlio di Dio • (1, 12), che indicano la qualità par­ Anche in frasi come tecipata che si riceve e si acquista (cfr. I l , 52: i figli d i Dio, con articolo). •

=

=



Si noti l'inclusione chiastica fra ! ,l a : en arkhé én ho /ogos e 1 , 2: houcos en en arkhé, alla quale viene aggiunta una • coda •: pros ton theon, che rimanda al tema centrale, il rivolgersi a Dio (l, lb). in quanto modo di esistere del logos.

2

37

1, 1-18. Prologo

3 cosa alcuna, gr. oude hm. Più forte di ouden (nulla). - di quanto esiste, gr. ho gegonen. Si adotta questa punteggiatura (con Vg,

Peshitta, Nestle n, Bover 5) per motivi contenutistici e stilistici. Rispetto al contenuto. se ho gegonen venisse unito a ciò che segue: l l il logos, � stituito dal creato, cesserebbe improvvisamente di ess ere il soggetto logico dell'intera sezione; 2) si parlerebbe non della vita contenuta nel progetto divino, ma di quella che è presente nel creato, identificando (én) il creato (in esso) con • vita •. concetto estraneo alla teologia di Gv, per il quale il creato, l 'uomo, non ha vita a meno di riceverla da Gesù (6, 53) ; lui solo è la vita ( I l , 25; 14, 6); inoltre, il significato di en auto rimarrebbe senza spiegazione, dato che non potrebbe essere interpretato come stru­ mentale ( 1 , 3.10: dia), e nemmeno come locale, data la alterità fra la pa­ rola e il suo effetto: 3) esisterebbe una contraddizione nel testo: mentre il creato sarebbe vita ( = la luce) e pertanto, luce ( 1 ,4), Giovanni Battista, colui che proclamava la luce, non sarebbe la luce ( l , 8); 4) la venuta di Giovanni ebbe come scopo che tutti giungessero a credere, il che suppone un termine (la luce-vita) personale e distinto da quelli che credono; 5) in­ fine, la luce-vi ta , in questa prima parte del prologo, è, da un lato extra· mondana, in quanto giunge fino al mondo ( 1 , 9), e dall'altro lato, mon­ dana, in quanto, identificandosi con la Parola/progetto (il progetto che interpella), era nel mondo; entrambi i tratti impediscono di identificare la luce-vita con il creato. Stil isticamente, in 1 , 3 vi è una costruzione sim ile a quella segnalata in 1 , 2, v al e a dire, l'aggiunta di una • coda • che riconduce al tema centrale (eb­ be esistenza): egeneto ... egeneto oude hen ... ho gegonen.

4 Essa conteneva vita, gr. en aut6 zoè èn. • Esse re in » e • contenere " sono espressioni correlat ive. - dell'uomo, gr. t6n antropon. In it . , l'universalità si esprime meglio con il sg. generico. 5 questa, gr. t o. Artic. anaforico. L'anafora che si riferisce a un termine già apparso con l'a rt icolo (1, 4: la luce) si traduce in i t. con il dimostra­ tivo anaforico, in particolare con questo, questa. - non l'ha soffocata, gr. ou katelaben. Katalambano nella voce attiva sign i­ fica • prendere, catturare, afferrare, trattenere, impadronirsi di • (cfr. Mc 9, 18: Rm 9, 30; l Cor 9, 24; Fil 3, 12). Applicato alla luce, " soffocare, estinguere ». Il significato « comprendere • è metaforico (it. • afferrare • ) e più frequente nella voce media (cfr. At 4, 1 3 : 10, 34: 25, 25). Le meta fore • tenebra/luce • mo s trano due realtà inconciliabil i : l'esistenza dell'una sup­ pone la non esistenza dell'altra. Per lo stesso significato ostile di questo verbo, cfr. i luoghi paralleli 6, 17 nota e 12, 35.

7 per testimoniare ... cosicché, gr. hina ... hina. Il primo indica il conte­ nuto della missione di Giovanni; il secondo, la sua finalità o l'effetto /con­ seguenza che si vuoi realizzare. - giungessero a credere, gr. pist eu s6s in, aor. incoativo, denotante inizio di stato. Cfr. El Aspecto V erbai, nn. 138s_ 8 venne soltanto, gr. alla. Nella trad. è necess ari o supplire alla forma verbale implicita secondo la f ra se parallela di l , 7: venne/giunse. L'oppo­ sizione che alla istituisce con la negazione p recedente è res t ri tt iva (sai­

tanto). 9 38

Era essa la luce vera, gr. én to phos to al€thinon. Dato che l'unico nomina-

Note filologiche tivo che precede è il pronome ekeinos ( 1 , 8), bisogna evitare che questo possa essere interpretato come soggetto di en. L'esplicitazione del soggetto nella traduzione attraverso il pronome essa (la Parola) toglie l'ambiguità. - giungendo, gr. erkhomenon. Part. durativo in corrispondenza con l'impf. durativo én. L'interpretazione di én ... erkhomenon come. forma perifra· stica va incontro a molte difficoltà. In primo luogo, la distanza nel· testo delle sue due componenti. In secondo luogo, all'annuncio della venuta imminente dovrebbe far seguito un verbo puntuale, ind icante il momento della venuta, mentre si incontra un'altra forma durativa (1, IO: én) in pa· rallelo con quella di l , 9. Esiste, quindi, nel mondo ( = l'umanità in tera) una presenza continua della luce vera, che si identifica con il lugos (1, 10), presenza dovuta alla venuta continua di questa luce nel mondo. - nel mondo, gr. eis ton kosmon. Questo termine può avere in Gv diversi significati: a) Il mondo fisico, l'universo ( 1 7. 5.24), la terra, luogo dove abita l'uma­ nità (Il, 9; 2 1 , 25). b) L'umanità che abita il mondo (1,9.10.29; 3, 16.17.19; 4, 42; 6, 14.33.5 1 ; 8, 12; 9, 5; I O , 36; 1 1 , 27; 12, 46.47; 16, 2 1 .28; 17, 18.21.23; 18, 20J7), connotandone spesso la necessità di salvezza ( 1 , 29; 3, 17 ecc. ). c) Gruppo umano numeroso: • il mondo intero » (1 2, 19; 14, 27). d) L'umanità in quanto strutturata in un ordinamento socio-religioso ne­ mico di Dio: • questo mondo/ordinamento • (7, 4.7; 8, 23.26; 9, 39; 12, 25 .3 1 ; 13, 1 (duplice accezione, locale e sociale); 14, 17.19.22.30.3 1 ; 15, 18.19: 16, 8. 1 1 .20.33; 17, 6.9. 1 1 (duplite accez.); 17, 13 (duplice accez.); 14, 15.16.25; 18, 36) (cfr. Diz.. Teol. • Cielo • II).

10 sebbene, gr. kai. Concessivo. - non la riconobbe, gr. ouk egn6. Aor. complessivo (cfr. El Aspecto Verbal, nn. 138.141) che nega globalmente l'inizio dello sta.to in . tutta la durata dell'impf. én. • Riconoscere • denota la responsabilità del • mondo •; non si tratta di semplice ignoranza, ma di un rifiuto dell'umanità (mondo) al­ l'attività della luce-vita (illumina ogni uomo), che prepara l , I l : non l'ac­

colsero.

1 1 a casa sua, gr. eis ta idia. Ciò che è suo proprio, detto del luogo dove si abita; cfr. Esd 5, 10; 6, 12 (LXX ) , trad. eb. bét6; Gv 16, 32; 19, 27; At 21, 6. Corrisp. a 4, 44: en té idid patridi. 12

la accettarono, gr. elabon. Con significato medio, a differenza di l . 1 6

(signif. passivo).

- diede capacittl, gr. ed6ken autois e;(Ousian. Facoltà, capacità. La frase in Gv significa • mettere nelle mani di qualcuno/a disposizione di qualcuno • (5, 27; cfr. 17, 2); il correlativo e;cousian ekhein essere nelle mani di qual­ cuno, aver libertà per (10, 18; 19, 10.1 1 ) . • Essere figli di Dio • non è, per­ =

tanto, una condizione statica, ma dinamica, legata all'attività (cfr. Lett.). La capacità è data con il • nascere da Dio » ( 1 , 13); le due espressioni: diede capacità, nacquero da Dio, sono equivalenti e indicano entrambe il momen­ to iniziale di un processo: diventare figli di Dio. - diventare, gr. genesthai. Infin. aor. che indica il termine del processo. Alla durata del processo corrisponde il part. pres. durativo pisteuousin, che espri­ me la condizione per raggiungere tale obiettivo (cfr. 6, 29). - la diede. cioè, a coloro, gr. tois (pisteuousin). Poiché l'art. anaforico si riferisce a coloro che sono stati menzionati sopra (cfr. N:d.A. successiva), si prefe­ risce tradurre con due proposizioni diverse, esplicitando tale riferimento (cioè) e ripetendo il verbo e l'oggetto, per esigenze della costr. it. (N.d.T.). - a coloro che mantengono l'adesione, gr. tois pisteuousin. Part. pres. durat. L'art. gr. anaforico li identifica con quelli che sono designati da autois e

39

l, 1-18. Prolop con l1osoi (casu$ pendens), anche se l'espressione participiale è restrittiva e potrebbe tradursi con una condizionale: se essi manrengono l'adesione. La costruzione pisteu6 eis, propria di Gv, indica non soltanto un assenso intellettuale, ma un'adesione personale (2, I l Lett./nota). Questo significato si conserva ancora nel Credo nicenocostantinopolitano, dove pisteuò eis ha come termine Dio Padre, il Signore Gesù Messia, lo Spirito e la Chiesa. La traduzione latina, in cui il verbo credere in non corrisponde esattamente al greco pisteu6 eis, soppresse la preposizione nell'ultimo termine: Credo

in unum Deum ... et in unum Dominum ... et in Spiritum ... et unam sanctam ... Ecclesiam. - alla sua persona, gr. eis to onoma autou. Onoma è un sostitutivo che identifica

designando (nome proprio. cfr. l, 6; 3, 1 ; 10, 3; 18, IO) o determinando con la funzione corrispondente alla persona (titolo, cfr. M t 24. 5; Mc 13, 6; Ef I, 2; Fil 2, 9) o con la qualità su cui si basa la funzione (M t I O , 41s). Nella costru­ zione pisteuein eis to onoma ( 1 , 12; 2, 23; 3, 18) si riferisce sempre a una fun­ zione o qualità menzionata in precedenza o implicita nel testo. Nel nostro caso designa colui che è venuto. in quanto personificazione della Parola-progetto. Per la costruzione en 16 anomali, si veda 14, 13 nota; per la manifestazione dell 'onoma e la costruzione en t6 onomati sou, cfr. 17, 6 nota.

13 Essi, gr. hoi. Non esiste una sola te�timonianza nella tradizione dei mss. greci. cominciando dai papiri 66 (circa 200) e 75 (principio del s. III), che offra come variante i l re la t. sg. hos. A tale unanimità della tradizione dei mss. greci si aggiunge quella della tradizione latina, che presenta due sole eccezioni: un ms. tardivo della Vetus Lat. (s. IV /V) e il Li ber Comicus, le­ zionario della Chiesa Ispanica, attribuito a s. Isidoro e, pertanto, del s. VII. Si noti. inoltre, che in latino il relat. qui è usato per il sg. c per il pl.; l'unica differenza si riscontra nel verbo (natus est/nati sunt). Alcuni mss. della ver­ sione siriaca presentano il verbo al sg. (etiled. omettendo la waw finale muta), ma conservano il relat. al plurale (aylen). Non vi è un solo Padre greco i cui scritti . originali contengano con certezza il singolare. Appare soltanto in traduzioni latine di lreneo, Origene (uso di pL e sg.) e forse dello Pscudo-Atanasio, che, in greco. presenta la letLura plurale. Nemmeno i Padri greci del secolo IV /V, come Cirillo di Alessandria. nel mezzo delle controversie cristologiche del loro tempo, adottarono la lett. hos. D"altra parte, negli scritti patristici non si incontrano necessariamente citazioni te­ stmili. ma applicazioni, dovute spesso alla polemica (come nel caso di Ter­ tulliano. De carne Christi, 19, 1·2); e non bisogna perdere di vista che tutti i codici contemporanei conservati. in greco e in latino. contenevano la for· ma plurale. Davanti a questa schiacciante evidenza te s t ua le l'opzione per il plurale hoi è l'unica scientificamente giustificata. Fare 01ppello 01 una pre­ sunta incoerenza interna del Lesto, presupponendo l'esistenza di una con­ traddizione tra 1 , 12: a quanti la accettarono diede capacità di diventare fi­ gli di Dio, e 1 , 1 3 : nacquero da Dio, è un'argomentazione inconsistente; fra le affermazioni di Gv non esiste contraddizione alcuna (sopra, 1. 12 nota) . ,

Non ... da un mero sangue versato né per mero disegno di una carne, né per mero disegno di un uomo. gr. ouk ex haimatòn, oude ek the/ematos sarkos, oude ek the/ema tos andros. Sorprende l'apparente asimmetria della frase. Se si considerano come un binomio i due primi elementi ex haimat6n ... ek ... sarkos, non si capisce perché il primo debba essere a l plurale né perché solo il secondo sia preceduto da thelematos né, soprattutto, che cosa aggiun­ gerebbe il terzo elemento enumerato (ek thelematos andros). L"espressione plurale ex haimat6n è strana i n greco. Per indicare l'origine o la nascita, la forma normale sarebbe il singolare. Nell'ebraico il singolare non è usato per indicare la discendenza o la parentela, per questo s i usa •carne• (basar). In ebraico il plurale damim normalmente ha i l significato di •sangue versa­ to•, fatto di sangue o omicidio.

40

·

Note lllolol!lcfu!

Si capirebbe meglio lo strano plurale del testo (senza riferimento a una deci­ sione - «disegno• -. che accompagna gli altri membri dell'enumerazione), se si tenesse presente il ruolo c he secondo Giovanni compie il san�:ue nell'o­ pera di Gesù; il sangue, c specialmente il sangue versato, è mediatore nella concessione della vita definitiva dell'uomo (6,53.54.55.56). Di fatto, Giovanni è l'unico evangelista che, a proposito della morte di Gesù, attira ]'attenzione sul sangue versato (19, 34). Allo stesso modo, secondo Giovann i, la carne di G esù è anche mediatrice indispensabile nella comunicazione della vita che egli promette (6. 5 1 . 53.54.55). Infine, in Giovanni. Gesù è designato solennemente da Giovanni Battista co­ me un uomo (anér) che al tempo s tes so è Figlio di Dio ( 1 , 30-40). L'asimmetrica ed enigmatica frase rivela il suo significato se la si considera come risposta a questa domanda: se è vero che i l sangue versato, la carne, l'uomo Gesù sono mediatori indispensabili della comunicazione della vita. è possibile che un semplice assassinio, una mera creatùra umana, un mero uomo siano l'origine della pretesa vita definitiva? Questa domanda coincide con quella dei discepoli dopo il discorso di Cafarnao, e l a risposta data Il da Gesù [• E. lo Spirito che dà la vita, la carne non serve a nulla» (6, 63)], è quella che in questo testo Giovanni amplia. La mancanza dell 'articolo sottolinea l'aspetto concettuale-categorico, ci> deriva in italiano da « campo/accampamento • e connota la tenda da campo, gr. skene, sostantivo da cui deriva i l verbo usato qui (cfr. nota). Appare così in questa frase un'allusione all'antica Tenda dell'Incontro, dimora di Dio fra gli israeliti durante la loro peregrinazione per il deserto, nella prima epoca di Israele (Es 33, 7-10), e rimpiazzata più tardi dal santuario di Gerusalemme (2 Sam 7, 1-13 ; l Re 5 , 1 5 - 1 9; 6, l ss). Quella presenza di Dio è ormai sostituita da questa: la tenda di Dio, il luogo dove egli abita in mezzo agli uomini, è un uomo, una « carne ». Affiora qui il tema dell'esodo, che sarà sviluppato nel corpo del vangelo a partire da 4, 46b (si veda i l ciclo dell'uomo, pp. 236ss) tipico della festa di Pasqua. Gesù, di fatto, riunirà nella sua persona e attività tutta la tematica dell'antico esodo. E. l'Agnello di Dio, quello della nuova Pasqua (l, 29.36). il suo sangue libererà l'umanità dalla morte (cfr. Es 12, 1-14), la sua carne sarà il cibo della nuova Pasqua (6, 55) e la nuova manna, che farà arrivare quanti lo seguono nella terra promessa (6, 58); egli sarà consegnato nell'ora in cui si immolava l'agnello, per sostituire definiti­ vamente l'antica pasqua (19, 14.16). Sta quindi per verificarsi un nuovo esodo, il passaggio dalle tenebre alla luce (8, 12) , dalla morte alla vita (5, 24; cfr. 6, 1 ; 10, 40) ; in esso la presenza di Dio fra i suoi si realizzerà in Gesù. • La tenebra •, punto di partenza dell'esodo verso la luce-vita, copre l'ambito del « mondo >> che odia Gesù (7, 7), personificato nel corso della narrazione dai dirigenti giudei, rappresentanti delle istituzioni che vo­ gliono ucciderlo (5, 1 8 ; 7. 1 ; I l , 53; si veda. l , 5 Lett.). La caratteristica della comunità di Gesù sarà la non appartenenza a questo mondo (8, :!3; 17, 14.16), terra di schiavitù dalla quale egli condurrà fuori i suoi (4, 46bss Lett.). a essere Dio; nella sua morte, vera vita • . . n parallelo fra le due frasi mostra che. almeno logicamente, • la carne • e la morte precedono l' • essere Dio • e • vera

\'ita ».

63

l, 1-18. Prologo

L'allusione alla nuova tenda già annuncia la sostituzione del tempio. Il corpo di Gesù, la sua umanità, sarà il nuovo santuario (2, 19.2 1 ) . Come l'antica, l a nuova tenda suppone un'umanità in cammino. Gesù non crea un nuovo tempio, massa statica e fissa; i suoi sono in cammino verso il Padre (14. 6). Camminano nella storia, non però con gli obiettivi della carne. ma con quelli dello Spirito e sono i soli a sapere dove vanno (3, 7; 8, 14). 14c

e abbiamo contemplato la sua gloria.

Nell'A T si chiamava « la gloria di Yahvè » Io splendore della presenza divina. Appariva in particolare sul santuario o tenda; durante la sua inaugurazione, essa si riempì della gloria di Dio (Es 40, 34-38; cfr. 29, 42s: l Re 8, ! Os). La sua presenza si rendeva visibile durante il giorno come nube, durante la notte come splendore. ma era l'idea d i luce ad essere associata a " gloria " (cfr. I s 60, 1-3). Nell'AT, l a gloria d i Yahvè s i manifestava spesso nella collera (N m 14, 10-12; 16, 20-2 1 ; 17, 7-10) 1 2 • Per la nuova umanità in cammino, la giona, vale a dire, la presenza attiva di Dio, non è legata a un luogo materiale, né la sua dimora è un recinto sacro; essa risplende nell 'Uomo, in Gesù. La gloria che la comunità contempla è quella di Gesù stesso, che si identifica con quella di Dio ( l , 1 4d Lett.) e che ha il suo momento privilegiato di manifestazio­ ne nell' •ora» della sua consegna alla morte ( 1 7 . 1 -5). In lui. Dio si rende presente per sempre in mezzo a un gruppo umano (fra noi). t;: scomparsa la distanza fra Dio e l'uomo e, pertanto, la ricerca angosciosa di Dio. Per conoscerlo non occorre uscire dal mondo, ma avvicinarsi a lui, che è venuto a dimorare nel mondo. Questo non è più un luogo profano, separato da Dio (5, 13 Lett.; cfr. 6, 10). Poiché si è accampato in una comunità di uomini, l'incontro con lui esclude ogni indi\'idualismo ed esclusività (20, 24ss). Stabilisce una relazione inter­ personale e sociale. Non vi è mediazione fra Gesù e i suoi, la sua presenza è immediata per tutti. Nel contesto dell'esodo, questa gloria sarà la luce che li guida nella notte della tenebra (cfr. Es 13. 2 1 ; 40, 38) . Il tratto di luminosità proprio del concetto di • gloria » indica soltanto certe qualità relative alla sua visibilità: grandezza, splendore, bellezza, ecc. • Gloria » è un termine che denota l'impatto con l'uomo di una realtà dotata di qualità tali o simili; come • verità », « gloria • è conce!-

u

N m 14, 10.12: • Allora tutta la comunità parlò di lapidar !i; ma la gloria del Signore apparve sulla Tenda dell'Incontro a tulli gli israeli ti. TI Signore disse a Mosè: - Fino a quan do m i disprezzerà questo popolo? E fino a quando non avranno fede in me, dopo tutti i miracoli che ha fatto in mezzo a loro? Io lo colpirò con la peste e lo distruggerò, ma farò di te una nazione più grande e più patente d i essa • ; 16.20.21: • la gloria del Signore apparve a tutta la comunità. Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: - Allontanatevi da questa comunità e io li consumerò in un istante •: 1 7 , 7- 1 0 : « mentre la com uni tà si radunava contro Mosè e contro Aronne, essi si diressero verso la Tenda dell'Incontro; ed ecco la nube la ricoprì e apparve la gloria del Signore. Mosè e Aronne vennero davan ti alla Tenda dell'Incontro. Il Si11nore disse a Mosè: Allontanatevi da questa comunità e io li consumerò in un is tan te •.

64

La Parola divenuta uomo e la comunità

to aggettivale, che suppone l'esistenza di un'altra realtà definibile pler se stessa. I n Gv. la gloria • è in relazione con • la luce » ( l , 4) o fulgore della vita che splende ( l . 5) e illumina ( l , 9) gli uomini. L'identità fra la parola creatrice e la luce della vita ( l , 9-10) mostra che la gloria con templata dalla comunità di Gv è anch'essa il risplendere della >i ta che s ta per essere definita come • amore e lealtà • ( l , 14e). •

14d

la gloria che un figlio unico riceve da suo padre.

La gloria che la comunità contempla non è, come nei tempi antichi, un fenomeno materiale, fuoco e nube che lontanamente simboleggiasse la presenza di Dio. ma la pienezza personale di Dio, presente in Gesù. Così è indicato dalla comparazione con il figlio unico, che possiede tutti i beni del Padre, senza eccezione. Il corrispondente ebraico del termine " gloria , (dr. nota) significa allo stesso tempo • gloria , e « ricchezza •. Il fi�lio unico è l'erede universale di suo padre, e tutto quanto questi possiede aprartiene a lui (cfr. 3, 35; 17, 10) . La gloria/ricchezza che splende in Gesù è, per estensione e intensità, esattamente la stessa che possiede il Padre. Per questo la sua presenza equivale a quella del Padre ( 12, 45; 14, 9), egli è Dio fra gli uomini, manifestato in una " carne , umana. � la rivelazione completa dell'essere di Dio, che realizzando il suo progetto di uomo uguale a sé (5, 1 8; 1 0, 33) proferisce se stesso nella sua Parola. Splende ora, in mezzo all'umanità nuova, tutTo il suo fulgore. Gesù è il Figlio unico, nato direttamente da Dio. e solo lui possiede la pienezza umana e divina. Quanti lo ricevono potranno diventare figli per la loro fedeltà a lui (1, 12). Possedendo la vita del Padre, egli può comunicarla. Gli altri daranno la loro adesione alla Parola-vita; egli è la Parola stessa, e la vita stessa, il progetto realizzato. Si scopre già in questo passo il contenuto che sta per acquistare nel vangelo il termine • padre •: è colui che comunica il suo essere, rendendo il figlio uguale a sé. Nella maggioranza dei casi si applicherà a Dio, definendolo come colui che, per amore, comunica all'uomo la sua propria vita divina; sarà così il prototipo dell'amore generoso, creatore di uguglianza. L'attività del figlio corrisponde a quella del padre, come spiega Gesù in 5 , 1 9 : un figlio non può far nulla di propria iniziativa : deve veder/o fare dal padre. Così, qualunque cosa questi faccia, anche il figlio la fa uguale (si veda Diz. Teol., • Padre , Ula). 14e

pienezza di amore e di lealtà.

La frase è tratta da Es 34, 6 (cfr. nota). Mosè prima di ricevere il secondo decalogo, rivolse varie richieste a Dio, che le esaudì (Es 33, 12-17). Tuttavia, quando gli espresse l'ultima: • Mostrami la tua glo­ ria • (Es 33, 1 8) , Dio gli rispose: • Io farò passare davanti a te tutta la mia ricchezza (gloria) e pronuncerò dinanzi a te il nome "Signore " (Yahvè) ... ma il mio volto non Io puoi vedere, perché nessuno può vederlo e restare in vita ... quando passerà la mia gloria ti porrò in una fenditura della roccia e ti coprirò col palmo della mia mano finché io non sia passato, e quando ritirerò la mano potrai vedere le mie spalle, ma il

65

l, l-18. Prologo

" mio volto non lo vedrai • (33, 19-23) . n Signore passò dinanzi a lui proclamando: « il Signore, il Signore, il Dio compassionevole e clemen­ te, paziente, grande in misericordia e fedeltà ( = pieno di amore e di lealtà), ecc. » (34, 6s). • Vedere la gloria • equivale nel testo a « vedere il volto di Dio. vale a dire, alla conoscenza personale (cfr. Gv l, 1 8) , all 'esperienza immediata d i Dio. La frase « pieno d i amore e di lealtà definisce, pertanto, l'essere di Dio, in ciò che costituisce la sua ricchez­ za e la sua gloria. Il termine greco (kharis) scelto da Gv significa amore gratuito e generoso, che si traduce in dono; non amore accentratore, ma, all'op­ posto. espansivo. Al di fuori del prologo, non tornerà a utilizzare questo termine, che sarà sostituito con " Spirito • (vita attiva nell'amore, 4, 24) , con " amore • (agape) e con i verbi • amare » (agapa6) essere amico • (phile6) (si veda Diz. Teol., « Amore • 1). L'amore, qualificato dalla lealtà o fedeltà, è quello che non si smentisce mai, non cessa, non arretra né cede dinanzi alle difficol tà. La lealtà (si veda la nota) è la verità dell 'amore. La frase: pienezza di amore e di lealtà, si collega con l , 1 4c : abbiamo contemplato la sua gloria (si veda la nota) . La frase intermedia: la gloria che un figlio unico, ecc. è un inciso che identifica la gloria manifestata in Gesù con quella del Padre, senza limitazione alcuna. La ricchezza di Dio che risplende in Gesù è il suo amore indefettibile. Dio ama l'uomo mosso dalla sua generosità, per un movimento spontaneo (Padre) , e il suo amore è tutto in Gesù. Il suo splendore è la sua evidenza. Come la luce si identifica con la vita ( 1 , 4), così la gloria si identifica con l'amore leale. Questo parallelo si trasforma in identità. Il Figlio unico, che possiede la pienezza della gloria-amore, è al tempo stesso realizzazione del progetto creatore che conteneva la vita-luce {1, 4. 9-10). Sono due aspetti della stessa realtà: luce corrisponde a gloria, vita ad amore. Di fatto, la vita non è una qualità statica, ma un dinamismo che si traduce necessariamente in attività. La sua attività propria è l'amore: vivere è amare, e amare è comunicare vita. Per questo l'amore gratuito e generoso che qui viene significato è il prin­ cipio e l'attività della vita, che si diffonde donandosi ad altri ( = lo Spirito). La lealtà è la costanza dell'amore, indica ciò che è fermo, stabile, certo, veritiero, autentico, fedele. Ne consegue che Gesù, presente fra i suoi. è l'offerta costante di vita-amore; egli rende possibile la crescita che conduce ad essere figlio di Dio ( 1 , 12: coloro che mantengono l'adesione •



"

alla sua persona). La manifestazione della gloria è un tema che percorre tutto il vangelo;

per di più, risulta il suo tema principale una volta che se ne afferri il contenuto: la manifestazione della gloria è quella dell'amore che comu­ nica vita. Sarà menzionato per la prima volta nella scena di Cana (2, I l ), dove Gesù offre anticipatamente lo Spirito di vita, come assag­ gio di ciò che sarà realtà nella « sua ora » (2, 4), quella della sua morte. La manifestazione della gloria coinciderà con il dono dell'acqua-Spirito (7, 39). La gloria-amore di Gesù, che è quella di Dio, si manifesterà facendo uscire Lazzaro dal sepolcro ( I l , 4.40.43), risurrezione che anti­ cipa quella dell'• ultimo giorno », che coinciderà anche con la croce 66

La Parola divenuta uomo e la comunità

39 Lett.; cfr. 7, 37) . Così la grande manifestazione della gloria avverrà nella croce, quando Gesù mostrerà il suo amore fino all'estremo (13, l ) , donando la sua vita per dare agli uomini l a vita definitiva con il dono dello Spirito (19, 30.34). Sarà la croce la visione della gloria, e il costato di Gesù, che continuerà a rimanere simbolicamente aperto dopo la risurrezione (20, 25-27), dimostrerà la lealtà del suo amore, la comuni­ cazione incessante della vita. Col dire: abbiamo contemplato la sua gloria, espressione che si riferi· sce a un evento concreto, la comunità affenna la sua esperienza di Gesù morto in croce, dal cui costato esce sangue, espressione del suo amore fino alla fine ( 13, l ) , e acqua, simbolo dello Spirito (7, 37-39) . l'amore-vita che si comunica. t!. la stessa esperienza contenuta nella testimonianza solenne dell'evangelista, che sottolinea la scena con la dichiarazione più enfatica di tutto il vangelo, indicando esser quello il momento culminante di tutta la narrazione: colui che lo ha visto (6,

personalmente ne lascia · testimonianza - e questa testimonianza sua è vera ed egli sa di dire la verità - affinclté anche voi giungiate a credere (19, 35) . Si compie nella comunità la profezia di Zaccaria (12, IO) citata da Gv: guarderanno colui che trafissero (19, 37) . E tale

esperienza iniziata non cessa: l'amore di Gesù continua ad essere il centro della comunità: Padre, voglio che anche loro - ciò che mi hai affidato - siano con me dove sono io, perché contemplino la gloria mia ( 1 7,24). Gesù si presenta nella comunità come il crocifisso/trafitto (20, 20.27) ; essa lo percepisce come il segno innalzato in mezzo al mondo (3, 14-16; 8, 28; 12, 34), dal quale sgorga continuamente la vita (7. 37-39).

Il fatto che la comunità cristiana possa contemplare la gloria personale di Dio, presente in Gesù, marca la differenza fra antica e nuova alleanza ( 1 ,14e Lett.). Vedere la gloria non solo non produce la morte (Es 33, 20), ma è condizione per la vita. Chi non contempla la gloria non può giungere a credere (2, I l Lett.). Altra figura di questa contemplazione della gloria è quella che Gesù propone a Natanaele: davvero vi assicuro: Vedrete il cielo ormai aperto e gli angeli di Dio che salgono e scendono su l'Uomo ( 1 . 5 1 Lett.)r.

b) La testimonianza di Giovanni: identificazione della Parola fatta uomo 1 5 Giova nni testimonia di lui e continua a gridare: È di costui che dissi: • Quello che viene dietro di me era già presente prima di me, perché esi­ steva prima di me».

La comunità narra la testimonianza di Giovanni, che vede confermata dalla sua propria esperienza. La Parola/progetto fatta uomo, la cui gloria è contemplata da coloro che parlano, fu riconosciuta e descritta da Giovanni. La sua testimonianza conserva, per lo stesso motivo, validità perenne. La quasi identità fra il testo citato e quello che egli pronuncia in l, 30 indica che la comunità ha presente l'intera dichia'ra· 61

l, 1-18.

Prologo

zione dl Giovanni ( 1 , 29-34) . La frase Giovanni testimonia di lui si riferisce a 1. 32-34, dove testimonia la discesa e permanenza dello Spirito su Gesù (1, 32: e Giovanni rese questa testimoniant.a; 1, 34 :

ebbene, io di persona ho visto ciò e lascio questa testimonianza: Lui è il Figlio di Dio) . La dichiarazione di Giovanni in l, 29-34 è, pertanto, una esplicazione in altri termini di ciò che la comunità sperimenta ed espone: la gloria-amore leale che il Padre comunica al Figlio unico e· lo Spirito di cui questi è ricolmo ( 1 , 32-33). Le affermazioni sull'identità della Parola contenute nella testimonianza di Giovanni concordano con altre simili fatte precedentemente nel Pro­ logo, ma con la peculiarità di confrontare, in un contesto polemico (cfr. note alla struttura), l'esistenza perenne della Parola con l'esistenza stori· camente limitata di Giovanni. L'affermazione centrale della testimonian­ za: • e ra già presente prima di me• si contrappone alla forma puntuale con la quale viene presentata la figura di Giovanni in 1 . 6: Comparve un uomo. L'apparizione, precedente nel tempo rispetto a quella di Gesù, u t il izzata dai d iscepoli di Giovanni come argomento a favore del loro maestro (3, 26), viene spiegata nella sua testimonianza. Giovanni si riferì· sce sintet icamente alle tre tappe temporali in cui ha distribuito l'esi­ stenza della Parola nel prologo, sebbene lo faccia iniziare in senso inve r­ so: mentre la visione del p rologo avanza dalle origini verso il presente, la testimonianza di Giovanni retrocede dal presente alle origini:

l, 1 1 . 1 4 1, 10 1 , 1 ·2

presenza • storica• (Quello che viene dietro di me) presenza •cosmica» (Era già presente prima di me) presenza primordiale (Già esisteva prima di me).

Spogliate dagli elementi comparativi, dovuti, come si è detto, al contesto polemico, le affermazioni di Giovanni contengono, come ci si potrebbe attendere, l'identificazione dell'uomo Gesù come la Parola fatta uomo, la stessa Parola permanentemente presente nel mondo e originariamen­ te presso Dio.

c) LA nuova comunità umana: partecipazione della gloria 1 6 Ne � prova che dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto un amore che risponde al suo amore.

Nella testimonianza di Giovanni il gruppo cristiano ha riconosciuto la realtà di Gesù Messia come fondatore della comunità della nuova alleanza, della quale fa parte. La locuzione: ne è prova, colleg a quanto segue con i fatti esposti in precede nza . In primo luogo, stabilisce la relazione fra contemplare ( 1 , 14) e ricevere ( l , 16), azioni corrispondenti alle due attività della luce: quella i nt ransi t iva , splendere ( 1 , 4, correlati­ vo di l , 14: contemplare la gloria), e quella transitiva, illuminare ( 1 , 9, correlativo di l , 16: abbiamo ricevuto). La vita-amore che splende come luce-gloria illumina comunicandosi. Per l'amore che vi regna, la comunità cristiana è la prova che fa fede della salvezza-vita comunicata da Gesù, il Messia portatore dello Spiri­ to, e dell'esistenza della nuova alleanza. L'amore e la lealtà che splen­ devano come gloria del Figlio unico sono stati comunicati ai suoi. Tutti 68

La Parola divenuta uomo e la comunltll

noi designa il gruppo di coloro che non appartengono a,I mondo dominato dalla tenebra (8, 23; 17, 14.16). perché il Messia Gesù li ha tratti fuori da esso ( 15, 19) liberandoli dal peccato del mondo ( 1 , 29). Sono coloro che vivono nella zona della luce-vita e contemplano la gloria ( 1 , 14), per aver realizzato l'esodo di Gesù. Tutti hanno ricevuto dalla sua pienezza di amore e lealtà ( 1 , 14), tutti partecipano così della gloria/ricchezza del Padre (17, 22), interamente comunicata a Gesù. Il Figlio wùco ed erede universale rende coeredi i suoi, partecipi della stessa eredità, vale a dire conferisce loro la condizione di figli. Questo tema si ripeterà nel corso del vangelo, in particolare con l'uso della formula • essere dove è lui �. posta sulla bocca di Gesù (7, 34; 12, 26; 14, 3; 17, 24) . Se non si adopera semplice­ mente il termine • figli » è perché, per Gv, tale qualità non viene conferita istantaneamen te, ma implica un processo di crescita ( 1 , 12 Lett.). La ricezione della gloria/amore leale corrisponde, pertanto, a • nascere da Dio » ( 1 , 13). momento iniziale di coloro che devono diven­ tare figli di Dio. L'umanità di Gesù è adesso il ricettacolo della vita, che soltanto da lui può essere ricevuta; per questo, egli è il centro della nuova comunità, la sua origine e la garanzia della sua esistenza e del suo frutto ( 15, Ss) . L'esperienza e la partecipazione dell'amore-vita è lo specifico cristiano (tutti noi).

II dono che si riceve è la risposta di Gesù a quanti ricevono lui (1, 12). vale a dire, a coloro che gli danno la loro adesione, in quanto egli è la realizzazione del progetto di Dio, e il modello che deve essere realizzato in ogni uomo a partire dalla nuova nascita. Essendo partecipazione alla pienezza di Gesù, l'amore ricevuto è somi­ gliante al suo e il suo esercizio condurrà l'uomo a realizzare in sé il progetto divino (1, 12). Comunicando il suo amore, comunica la sua gloria, che risplende nella comunità (17, 10: lascio manifesta in loro la mia gloria; 17, 22 : io ho dato loro la gloria che tu mi hai data). La prova della realtà e dell'azione di Gesù è l'amore che esiste nella comunità (17, 22s: perché siano uno come noi siamo uno ... affinché raggiungendo l'unittl si realizzino pienamente, e così il .mondo conosca che tu mi inviasti). L'amore ricevuto, che ha una relazione radicale con la sua persona, unisce a lui (17, 23: io in loro e tu in me) e si mostrerà in un'attività simile alla sua (13, 34: come io vi ho amati).

II suo amore arriverà fino al dono della vita, e in questo momento comunicherà la sua vita-amore a coloro che credono in lui. Questo duplice amore, dimostrato e comunicato, sarà rappresentato sulla croce dal sangue e dall'acqua che escono dal suo costato ( 1 , 14e Lett.). I passaggi l , 14.16 descrivono, pertanto, dal punto di vista della comunità, quanto è avvenuto nell'esaltazione di Gesù (morte e risurrezione). I l corpo d i Gesù, santuario d i Dio (2, 19.2 1 ) . i n quanto dimora dello Spirito ( l . 32s), rimane aperto sulla croce, e la sua pienezza può essere comunicata (19, 34) completando l'opera della creazione con il dono dello Spirito (7, 37-j9), alito vitale (20, 22) . Nella frase: un amore che risponde al suo amore, non appare il termine • lealtà • ( 1 , 1 4), che sarà ripetuto nel versetto seguente (1, 17). Posto che l'amore ricevuto è partecipazione del suo, la lealtà è inclusa in 69

l, 1-18. Prologo

esso. Questo mostra che la « lealtà termine principale ( = amore leale).



è aggettivale rispetto all'amore,

RIASSUNTO CONCLUSIVO

La nuova economia supera l'antica: manifestazione piena della gloria di Dio in Gesù Messia 1 7 Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, l 'amore e la lealtà hanno cominciato a esistere per mezzo di Gesù Messia. La congiunzione esplicativa •perché» non si riferisce esclusivamente al versetto precedente, ma introduce un riassunto esplicativo di tutta la sezione precedente (vedere le note alla struttura). Giovanni espone in sintesi, mediante un parallelismo antitetico, il superamento dell'antica economia con la nuova e il contrasto tra le due: la Legge l l'amore e la lealtà. Nel verso successivo è sottintesa implicitamente la stessa con­ trapposizione delle due alleanze e quella dei rispettivi mediatori: Mosè (servo di Dio) l Gesù (figlio unico del Padre). La prima parte di questo versetto è chiara: la legge fu data per mezzo di Mosè. La seconda invece ha bisogno di una spiegazione: l'amore e la lealtà hanno cominciato a esistere per mezzo di Gesù Messia. La costruzione della frase stabilisce un parallelo con l, 3 : mediante essa tutto cominciò a esistere; e con l, I O : sebbene il mondo avesse comin­ ciato a esistere mediante essa. Come in questi due casi si tratta quindi di un'attività creatrice: la creazione dell'uomo condotta alla sua com­ pletezza per mezzo di Gesù Messia, la Parola divenuta uomo. Grazie all'attività di Gesù Messia hanno cominciato a esistere negli uomini l'amore e la lealtà. Si era fatta menzione, in primo luogo, della pienezza esistente nella Parola divenuta uomo: pienezza di amore e di lealtà. Di seguito è stato presentato il dono che egli fa ai suoi, comunicando loro, dalla sua pienezza, un amore che risponde al suo amore ( 1 , 1 6 ) . Ora si spiega che questo amore ricevuto è l'opera propria del Messia. Rappresenta, allo stesso tempo, il culmine dell'opera crea­ trice di Dio, realizzata fin dal principio per mezzo della sua Parola, e la caratteristica della nuova alleanza, a differenza di quella di Mosè. Si possono ora analizzare le tre opposizioni che vengono stabilite fra i due elementi del versetto: Legge - amore e lealtà; fu data - hanno comin­

ciato a esistere; Mosè - Gesù Messia. a) La prima opposizione viene stabilita fra la Legge, esteriore all'uomo, e l'amore leale, realtà interiore all'uomo, che lo trasforma, divenendo un costitutivo del suo essere. Si apprezza immediatamente la risonanza del noto testo di Ger 31 (LXX 38), 3 1-34, dove la nuova alleanza viene annunciata in questi termini: « ecco che vengono giorni - oracolo del Signore - in cui stringerò un'alleanza nuova con Israele e con Giuda: non sarà come l'alleanza che strinsi con i loro padri, quando li presi per mano per trarli fuori dall'Egitto; l'alleanza che essi infransero e che io mantenni - oracolo del Signore -; così sarà l 'alleanza che stringerò con Israele in quel tempo futuro - oracolo del Signore -: porrò la mia Legge nel loro petto, la scriverò nel loro cuore, io sarò il 70

Riassunto conclusivo

loro Dio ed essi saranno il mio popolo; non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, reciprocamente, dicendo: devi conoscere il Signore, perché tutti, grandi e piccoli, mi conosceranno - oracolo del Signore -, io perdono infatti le loro colpe e dimentico i loro peccati •. La sostituzione dell'alleanza decaduta, annunciata nel testo di Geremia, è quella che Gv in questo versetto constata come già verificatasi: è stato Gesù Messia l'instauratore della nuova alleanza. Nel passo prole· tico, la differenza fonda mentale fra le due è quella che passa fra una Legge esterna, come quella data da Mosè, c una Legge interna, impressa nel cuore. Questa Legge nuova è appunto l'amore leale, opera di Gesù Messia. L'amore, impresso nel cuore, viene a essere componente del­ l 'uomo; per questo la sua comunicazione rientra nell'ambito dell'opera creatrice, effettuata fin dal principio per mezzo della Parola, incarnata ora in Gesù. L'amore c la lealtà, qui attribuiti all'opera creatrice del Messia, sono quello stesso amore che la comunità ha ricevuto dalla sua pienezza ( 1 , 16) . L'opera di Gesù Messia consiste nel comunicare la realtà divina presente in lui stesso; è ciò che prima è stato chiamato « nascere da Dio • ( 1 , 1 3 ) . Comincia allora secondo la profezia (lutti ... mi conosce­ ranno), una conoscenza nuova, immediata e sperimentale, i n ciascuno di coloro che ricevono questo amore: l'intimità con Dio, propria dei figli ( 1 7, 3; cfr. 10, 1 5 ) . Un altro aspetto dell'alleanza nuova, annunciato dal profeta e che sarà presente nel vangelo, è quello della purificazione. Il peccato, ostacolo all'intimità con Dio, sarà definitivamente perdonato e dimenticato, ren· dendo inutili le purificazioni dell'antica alleanza (2, 6; 13, I O ; 15, 3). La legge mosaica si contrappone all'amore e alla lealtà, come ciò che è esterno e caduco a ciò che è costitutivo e permanente. Dinanzi alla nuova realtà dell'uomo, il codice esterno perde la sua validità e la sua ragion d'essere. La Legge nuova sarà un'inclinazione interiore dell'uomo stesso, frutto dello Spirito che riceve. B noto il passo di Ezechiele 36, 25-28, ispirato a quello di Geremia 31 citato sopra: « vi aspergerò con un'acqua pura che vi purificherà; da tutte le vostre impurità e idolatrie devo purificarvi. Vi darò un cuore nuovo e vi infonderò uno spirito nuovo; strapperò dalla vostra carne i l cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Vi infonderò il mio spirito, e farò sì che camminiate secondo i miei precetti e mettiate in pratica i miei comandamenti. Abi terete nella terra che diedi ai vostri padri ; voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio •. La trasfonnazione che Dio effettua nell'uomo è simboleggiata dal cam· biamento del cuore (di pietra/di carne). La Legge interiore di cui parlava Geremia si identifica in Ezechiele con il dono dello Spirito. Così, Gv l , 17 è in parallelo con 7, 39: ancora non vi era spirito, perché la gloria di Gesù 11on si era ancora manifestata. « Spirito • in questo passo significa il frutto della nuova nascita (cfr. 3, 6: dalla carne nasce carne, dallo Spirito nasce spirito). L'uomo che ha ricevuto lo Spirito è stato pienamente creato ed è capace di amare diventando figlio di Dio ( 1 , 12). • Non c'era spirito • perché l'amore e la lealtà, cioè l'uomo nato dall'alto (3, 3), venne all'esistenza per la prima volta quando Gesù manifestò la sua gloria, nell'ora della sua morte ( 17, 1 s ; 1 9 , 30.34). 71

l, 1-18. Prologo

Si noterà in questi passi profetici i l simbolismo dell'acqua pura e purificatrice, che corrisponde alla simbologia dello Spirito in Gv (3, 5; 4, 14; 7, 37-39; 1 9, 34). b ) La seconda opposizione viene stabilita fra • fu data • e • harmo cominciato a esistere •· La forma impersonale (fu data) riduce al minimo l'attività di Mosè, mero trasmettitore (D t 9, I l ; IO, 4). La Legge era separabile dal legislatore, un suo lascito al popolo (7, 1 9 : non fu Mosè a /asciarvi la Legge ?) . L'amore leale, invece, procede dall'azione di Gesù; questi non è mero trasmettilore ma agente nell'esistenza di questa nuova realtà. E questa azione non si interrompe; la comunica­ zione dello Spirito è incessante ( 1 5 , 5) . creando una comunione di vita come quella esistente fra lui e il Padre ( 1 7 , l Lett.) . c) II titolo di Messia applicato a Gesù (cfr. Mc l, l) lo mette in relazione con il compimento delle promesse e il termine dell 'epoca della Legge. Il Messia doveva realizzare l 'esodo definitivo, inaugurando la nuova era che sarebbe sfociata nel regno di Dio. Dinanzi al Messia, l'antica alleanza, promulgata per mezzo di Mosè, viene defini tivamente chiusa. � cominciata la nuova alleanza, non fondata sulla Legge esterna, ma sul cuore nuovo. Non è contrattuale, basata su un codice che delimiti gli obblighi dei contraent i e si ponga fra di loro; il suo statuto è la relazione personale dell'amore, dimostrato da Dio in Gesù Messia e comunicato da lui ai suoi, che rispondono con lo stesso amore ( 1 , 16). Per questo nel designare tale alleanza s i adopera unicamente l'immagi­ ne nuziale ( l , 15 Lett.). Gv va delineando l'immagine del Messia, che verrà completata nel verso seguente: l'un ico Dio generato. Il liberatore che Dio invia all'umanità, il Messia, è la realizzazione del suo progetto creatore ( 1 , 1 4). vale a dire. possiede la pienezza della vita ( 1 , 4) per la comunicazione dell 'essere di Dio ( 1 , 14: l'amore leale; l, 32: Io Spirito), e pertanto è Dio egli stesso ( 1 , l c. l 8 ; 20, 28) . La sua opera liberatrice consisterà nel dare vita ( 1 . 1 6- 1 7 : amore leale; 1 , 1 3 : nascere da Dio), affinché l'uomo, attraver­ so il libero esercizio dell'amore, giunga a essere figlio di Dio ( 1 , 1 2 ) . realizzando i n s e stesso i l progetto divino ( 1 , le). Gesù creerà l'alterna­ tiva al • mondo • (sistemi oppressori) che impedisce la vita dell'uomo, dando inizio a un'umanità nuova e definitiva (nuova alleanza). Sebbene Gv uti lizzi per Gesù l'antico titolo • Messia •, si scopre la distanza che corre fra questa concezione e quella che aveva trasmesso la tradizione giudaica. Il Messia non segue la linea della Legge: viene a sosti tuirla con l'amore e la lealtà; non sarà un dominatore temporale, ma, donando la sua vita, completerà la creazione dell 'uomo perché questo sia libero e autonomo nell'amore; l 'opera messianica si dirige a tutti gli uomini. non a un popolo particolare. L'azione di Gesù con i suoi consis terà nel comunicare loro vita dalla sua pienezza, affinché essi percorrano con lui il cammino che egli traccia. La concezione del Messia che Gv presenta spiega l'incomprensione da parte di coloro che si appigliano alla concezione tradizionale ( 1 , 45; 2, 1 7 ; 3, 2; 6, 15; 7, 27; 8, 1 9.25 ; 9, 1 6 ; IO, 24; 12, 34; 13, 8.37; 18, 10). ·

72

Rlauunto conclusivo

18 La divin ità, nessuno mai l'ha vista; un Figlio unico, Dio, colui che si rivolge all'intimo del Padre, ne è stato la spiega zione. Mosè e con lui tutti gli intermediari dell'antiCa alleanza avevano avuto una conoscenza mediata di Dio. Mosè fu soltanto un med iatore che non parlava di Dio per esperienza diretta, ma per incarico. Non vide il volto di Dio (Es 33, 20.23), udl soltanto una descrizione fatta da Dio stesso (Es 3 4 , 6; l , 1 4b Lett.) . Cercò di trascrivere in una Legge la conoscen7.a intel lettuale che aveva acquisito, ma non riuscì a riflettere l 'essere di Dio. Questa Legge avrebbe dovuto essere una tappa prepar::�toria alla rivelazione piena. Ma quando fu assolutizzata, considerata come un fine in se medes ima, divenne un diaframma che velava il vero essere di Dio e un ostacolo alla sua _manifestazione; di qui il suo fal li mento. Tutte le spiegazioni di Dio date prima di Gesù erano parziali o false (11essuno mai 1'1w vista ) . e le espressioni nelle quali si afferma eh;: alcuni personaggi videro il Dio di Israele (Es 24, 1 0· 1 1 . ebr., addolcito dai LXX; cfr. Es 33, I l ; N m 12. 6-8; Dt 34, IO) devono essere relativizzate. L'evangelista limi ta la validità deii'AT: era annuncio, preparazione o figura del tempo del Messia e non può in nessun modo essere assolutiz­ zato. La missione della Scrittura era uguale a quella di Giovanni Battista: rendere testimonianza a Gesù (5, 39). Mosè stesso scrisse di lui (5, 46). La Scrittura conteneva una speranza e una promessa; con Gesù Messia è giunta la realtà che la compie. Ostinarsi sulla perpe tuità della Legge è opporsi al piano di Dio, come si vedrà più avanti commentando 3, 22-4, 3. Contrariamente a Es 33, 20, dove Dio dice a Mosè: il mio volto nmt lo puoi vedere, perché nessuno può veder/o e restare in vita, Dio non solo ammette l'uomo alla sua presenza senza che muoia, ma gli comunica la ricchezza del suo essere, il suo amore leale ( 1 , 14) e, infondendogli così la sua propria vita. si tramuta in Padre (prima volta che nel vangelo si applica questo termine direttamente a Dio; cfr. l, 14). Gv propone qui il superamento dell'antica teologia dell 'uomo-immagine di Dio. Dio non conclude il suo disegno creatore dando esistenza all'uomo modellato con argilla e animato da un alito vitale (Gn 2, 7) ; Io porta a termine col generare il Figlio, comunicandogli la sua propria di\·inità. L'azione creatrice raggiunge il suo culmine nella paternità d i Dio. La comunicazione della sua gloria è una effusione di amore che fa partecipare al suo stesso essere, realizzando l'intima comunione fra il Figlio e il Padre ( I O, 30.38; 14, 10 .1 1 ; 17, 2 1 .22). Il Figlio si rivolge all'intimo del Padre, accolto nella sua intimità (cfr. nota) ; e questa relazione non è momentanea o accidentale, definisce invece la posizione connaturale del Figlio alla presenza del Padre. Soltanto Gesù, il Dio generato, per la sua esperienza personale intima, può esprimere ciò che Dio è (cfr. 6, 46). La vera esperienza di Dio riconosce in lui colui che è come il Padre totalmente e incondizionata­ mente a favore dell'uomo ( l , le). t:: necessario disimparare quel che si sapeva di Dio per farsi ammaestrare da Gesù, che è la spiegazione del Padre; la sua persona e la sua attività ne sono la spiegazione; il suo insegnamento non è teorico ma esistenziale. G v ha sempre davanti agli occhi la morte di Gesù, manifestazione suprema della gloria-amore di Dio e spiegazione piena del suo essere ( 1 7, 1 ) . 73

l, 1-18. Prologo

La frase: ne

è

. stato la spiegazione, con cui termina il prologo, apre ii

racconto evangelico che segue. Gv invita il lettore a prestare attenzione alla persona di Gesù, poiché in lui l'umanità potrà conoscere, per la prima volta, il vero essere della misteriosa divinità. Senza dubbio, non bisogna partire da un'idea preconcetta di Dio per concludere che Gesù è esattamente uguale a lui, come se si potesse avere un concetto autentico di Dio indipendentemente da Gesù; Gv afferma che il punto di partenza è Gesù Messia. Dio il Padre è come Gesù, l 'unico dato dell'esperienza alla portata dell'uomo. Ogni idea di Dio che non possa essere verificata in Gesù, è un a priori umano, destituito di qualunque valore. Gesù, l'Uomo-Dio, il Dio generato, rende presente il Padre ed è l'unica fonte per conoscerlo come è 13• Al ti tolo: u n Figlio u nico, Dio, corrisponderà alla fine del vangelo l'esclamazione di Tommaso: Signore mio e Dio mio! (20, 28), la fede che è finalmente giunta a conoscere Gesù (cfr. 14, 9). Gesù è così inseparabilmente la verità dell'uomo e la verità di Dio, non come dottrina ma come presenza di essere e attività. Rivela cos'è l'uomo perché è la realizzazione piena del progetto creatore: l'Uomo completato, il modello di Uomo (l'Uomo/il Figlio dell'uomo). Rivela cosa è Dio dando la sua vita per dare vita all'uomo, rendendo cosi presente e visibile l'amore incondizionato del Padre (i/ Figlio di Dio) .

S I NTESI La ricchezza del prologo di Gv è talmente grande che è necessario limitarsi a segnalare alcune linee fondamentali, che serviranno da chiavi interpretative per il corpo del vangelo. a) In primo luogo, Gv comincia il suo vangelo con la menzione del • principio • in riferimento alla creazione. Colloca cosi tutta l'opera di Gesù in questa prospettiva. Il Dio che crea il mondo, realizzando il suo progetto di vita, è quello che si manifesta in Gesù. Questo è il suo ultimo e definitivo in tervento. La sua opera corona l'attività creatrice e manifesta Dio come amore fedele, che si realizza nella comunicazione di vita. Gv in tal modo risale oltre la Legge, che forma già parte della storia. Se si pone in primo piano il Dio della Legge, si corre il · rischio di dimenticare che Dio prima che legislatore fu creatore, e di opporre la Legge al disegno della creazione. Tale opposizione, reale nei dirigenti giudei, motiva l'opposizione a Gesù, che manifesta il Dio della crea­ zione e della vita (cfr. 5, 1 6 ; 9, 29). Il disegno di Dio creatore è comunicare la sua vita, che si identifica

Il Dì nuo,·o Ignazio in una frase lapidaria, corrobora quanto affermato da Gio­ vanni: hoti heis theos estin, ho phanerosas heautan dia Jesou Christou 1011 huiou autou. l1os est in autou logos apo sigés proelthon (Mg 8, 2). Gesù Messia è il primo c unico che ha rotto il silenzio di Dio e ha manifestato il su o progetto sull'uomo.

74

Sintesi

con il suo amore. Se, invece, lo si concepisce principalmente come datore della Legge, il suo disegno sarà d'imporla e custodire l'ordine che essa stabilizza. Varia cosi, a seconda della concezione di Dio, il criterio per diljtinguere fra il bene c il male. Nella linea di Dio creatore il criterio è la vita stessa: è buono ciò che favorisce la vita, lo sviluppo della creazione. L'uomo ha come punto di riferimento l'espe­ rienza di vita in se stesso e nel mondo. Nella linea del Dio l egi s lat o re il criterio è la Legge e la sua interpretazione accettata. Il punto di riferimento obbligato ed esteriore all'uomo è il codice, mediato d;1 coloro che lo interpretano. Imponendo la sua volontà dal di fuori (il codice), il Dio della Legge svuota l'uomo, facendolo rinunciare alla sua propria volontà e iniziati­ va. Il Dio Creatore, al contrario, potenzia la vita dell'uomo incremen­ tando la sua libertà e la sua capacità di azione. L'incompatibilità fra i dirigenti giudei e Gesù si radica nell'opposizione fra due tipi di Dio. Gesù e il suo messaggio mettono in contatto con Dio comunicando vita. Per • i giudei », la fedeltà alla Legge, sebbene uccidesse l 'uomo, era il valore supremo; così fecero della Legge uno strumento di morte. ,

b) Un'altra chiave interpretativa del vangelo è il progetto creatore di Dio sull'uomo, realizzato in Gesù, i l Dio generato dalla comunicazione della glo1·ia-amore del Padre. Egli è il modello d'Uomo, il Figlio di Dio. Con una nuova nascita, che porta a termine nell'uomo l'opera creatrice, chi risponde a Gesù riceve la qualità di vita e la capacità di amare (lo Spirito) che gli permette di percorrere il suo cammino, seguendo Gesù fino al dono totale di se stesso, e realizzare così la totale somiglianza con il Padre. Dio vuole che l'uomo raggiunga la sua pienezza umana, e in tal modo giunga ad essere suo figlio. La persona di Gesù è la richiesta e il messaggio di Dio all'umanità, l'offerta della pienezza di vita. Sempre è esistito nell'uomo questo anelito, conformemente al progetto divino, ma rimane conti nuamente frustrato dal dominio che esercitano sul mondo determinati gruppi umani (la tenebra), che non solo spengono la vita, ma cercano di sopprimere perfino la speranza. Tutta l'opera di Gesù nel vangelo consisterà nell'abilitare l'uomo, con il dono della vita-amore, a realizzare in se stesso il progetto di Dio, la somiglianza con il Padre. Ne consegue c he la scena principale del racconto evangelico è quella di Gesù in croce, dal cui costato sgorgano il sangue del suo amore e l'acqua dello Spirito, la vita-amore che egli comunica all'uomo. La narrazione evangelica sarà la spiegazione antici­ pata degli effetti e delle conseguenze di questo dono di Gesù: il dono della sua vita che vuole comunicare. c) Una terza chiave di lettura si trova nell'identificazione della luce con la vita ( l , 4). La luce, in quanto realtà percettibile e riconoscibile, è una metafora per designare la verità che guida e illumina l'uomo. Il pmlogo dichiara, pertanto, che la vita precede logicamente la verità e non viceversa. Non si afferma che la luce (verità) è la vita dell'uomo, ma che la vita è la sua luce (verità) . Non è la verità a condurre alla vita : lo splendore della vita è la verità. Di conseguenza, la Parola creatrice 75

l, 1-18.

ProiDID

non rivela una presunta verità la cui conoscenza produrrebbe la vita; essa dà una vita che, sperimentata e riconosciuta, si rivela come verità. Si previene così l'interpretazione intellettualistica, che originerebbe una lettura a rovescio » di tutto il vangelo. Tale lettura trasforma Gesù ·nel Rivelatore • di verità occulte, nelle quali risiederebbe il segreto della vita. Al contrario, egli si manifesta come il datore di vita, la cui forza e attività eliminano la morte. Per questo, la prova della sua missione non è la sublimità della sua dottrina, ma l'efficacia delle sue opere (5, 36; IO, 38). Riconoscére la vita che egli comunica è riconoscere la verità. •



76

SEZIONE INTRODUTilVA DA GIOVANNI A GESU l ' 1 9-5 1

Questa sezione del vangelo è introduttiva: la sua unità si basa sul fatto che ciascuno degli episodi che la compongono sviluppa una dichiarazio­ ne precedente riguardante Giovanni Battista, o attribuita a lui. Il primo episodio ( l , 19-28) contiene la dichiarazione di Giovanni davan­ ti agli inviati dell'autorità giudaica: Giovanni nega di essere il Messia, ma rende testimonianza che questi viene; corrisponde alle frasi del prologo: non era lui la luce, venne soltanto per testimoniare la luce (1, 8). Il secondo ( 1 , 29-34), che comincia presentando Gesù che va verso Giovanni ( 1 , 29), già sistemato a Betania ( l , 28), spiega la frase di quest'ultimo: Quello che viene dietro di me ... esisteva p rima di me( l, 1 5) e descrive l'investitura e la missione del Messia. Il terzo ( l , 35-42), in cui si descrive Gesù che cammina, e due discepoli che abbandonano Giovanni per andare con Gesù, corrisponde alle parole di Giovanni: era presente prima di me ( l , 1 5). Nel quarto e ultimo (1, 43-5 1 ) , chiamando direttamente Filippo - e con la chiamata rivolta da quest'ultimo a Natanaele - Gesù si prepara a realizzare l'obiettivo della missione di Giovanni: perché egli si manife­ sti a Israele (I, 31), parzialmente conseguito nella pericope precedente, promettendo a questi israeliti, estranei al circolo di Giovanni, la mani­ festazione { 1 , 5 1 ) che si andrà realizzando nel corso dei · giorno del Messia (2, 1-1 1 , 54). Appare così l'unità di questa sezione, costruita su elementi che l'autore stesso ha opportunamente inserito nel suo testo. Inoltre, ha inizio in essa una successione cronologica di quattro giorni { 1 , 19: primo giomo; l , 29: il giorno seguente; l , 35: il giorno seguente; l, 43 : il gionw seguente). che culminerà nel sesto giorno, in cui avrà luogo la scena d i Cana (2, l ; cfr. Il Giorno Sesto, p. 1 29) . La sezione comprende, pertanto, le seguenti pericopi: I , 19-28: « Non era lui la luce, venne soltanto per testimoniare la luce •.

Dichiarazione di Giovanni davanti alla commissione investiga­ trice. l, 29-34: • Quello che viene dietro di me •. Identità e missione del Messia. l, 35-42: « Si pone davanti a me •. Alcuni discepoli di Giovanni seguono Gesù. l, 43-51 : « Perché egli si manifesti a Israele •. Seguaci chiamati da Gesù. 79

Sezione lntrodulllva

DICHIARAZIONE DI GIOVANNI Gv 1 , 19-28: • Non era lui la luce, venne soltanto per testimoniare la luce

•.

l , 19 E questa fu la testimonianza di Giovanni, quando le autorità giudaiche mandarono da Gerusalemme sacerdoti e !eviti a domandargli: - Tu, chi sei? ' 0 Egli Io riconobbe, non ricusò di rispondere, e riconobbe questo: - Io non sono il Messia. 2 1 Gli domandarono: E cosa, allora? Sei tu Elia? Rispose: - Non lo so no. - Sei il P ro feta , tu? Rispose: - No. 22 Allora gli dissero: - Chi sei? Dobbiamo portare una risposta a quelli che ci hanno inviati. Tu, come ti definisci? �

23 Dichiarò:

- Io, una voce che grida dal deserto: (come disse il profeta Is a ia )

c

Raddrizzate la via del Signore •

.

Vi erano anche inviati del gruppo fariseo, � e gli fecero questa domanda: - Allora, perché battezzi, se tu non sei il Messia, né Elia, né il 24

Profeta ?

26

In risposta, Giovanni disse loro: - Io battezzo con acqua; tra di voi si è reso presente, anche se voi non sapete chi è, 2 7 colui che viene dietro di me; e non mi spetta di sciogliergli la fibbia dei sandali. 21

Questo avvenne a Betania, dall'altra parte del Giordano, dove Gio­

vanni stava battezzando.

NOTE FILOLOGICHE l, 19 le autorità giudaiche, gr. hoi ioudaioi. Il termine • giudeo/giudei • , sal· vo in alcuni casi che saranno indicati, non ha in Gv un significato etnico, ma ideologico. Essi sono distinti dal popolo, che li teme (7. 13; 9, 22; cfr. 19, 38; 20, 19). Il termine designa genericamente coloro che aderisco­ no attivamente al regime politico-religioso esistente, includendo quanti esercitano in esso un 'autorità di qualunque genere. Quando il testo altri· buisce loro il potere di adottare misure repressive, significa • i dirigenti • (2, 18; 5, 10.16.18; 9, 22 ecc.), oppure le autorità », che si identificano con gli alti dirigenti { 1 , 19; 19, 7.12); neg li altri casi designa i fedeli al sistema politico-religioso ed equivale a i giudei fedeli al regime (8, 3 1 ; 1 1 , 19; 12, I l : in opposizione ai sommi sacerdoti » , ecc.) . •





80



l, 19-%8. Dichiarazione di Giovanni

Gv stabilisce vari paralleli che mostrano con precisione il contenuto del termine. Così. i sommi sacerdoti e i farisei ( 1 8, 3) che inviano guardie a catturare Gesù (senza lasciar luogo a dubbi: i membri del consiglio, cfr. 1 1 . 47), sono chiamati i giudei • in 18, 1 2 (le autorità giudaiche). I rarisei di 9, 13-17 si identificano con i giudei di 9, 1 8-23, e continuano a non avere alcuna qualifica nel resto della scena (9, 24-34; cfr. 9, 27: ve l'ho detto, e 9, 15), per riapparire come i farisei (9, 40) ed essere nuova· mente designati come i giudei • alla fine del discorso ( 10, 19: la nuova divisione che sonze li identifica chiaramente con i farisei di 9. 16). Sono « i giudei (9, 22) o i farisei (12, 42) quelli che possono espellere dalla si· nagoga. Un'altra identificazione viene s tabilita nelle scene che si svolgono davanti a Pilato. I farisei sono assen ti. mentre « i giudei • ( 1 8, 31 .36.38b; 19, 7.12. 14) si identificano con i sommi sacerdoti ( 18, 24.35; 19, 6 più i subalterni) e Gesù chiama i giudei • i sommi sacerdoti che lo hanno consegnato a Pilato (18 , 36). Questo permette di identificare con i sommi sacerdoti i giudei » che si oppongono a Gesù nel tempio (2, 18) e di includerli nel novero di coloro che discutono con lui, in altre occasioni, nello stesso luogo (8, 22-59; IO, 22-39). Di fallo, sommi sacerdoti e farisei operano di comune accordo, ma il gruppo più attivo, capace di mettere in movimen· t o l'azione repressi va dei sommi sacerdoti, è quello dei farisei (7, 32; I l , 46s). Sono loro a dominare con la paura perfino i • capi • ( 12, 42). Que· sto t ermine designa i membri del Consiglio (sinedrio), supremo organo di governo, presieduto dal sommo sacerdote. Nicodemo, fariseo, è uno di loro (3, ! ) ; essi impongono un'ideologia al popolo (7, 26.48). Le eccezioni a questo significato tecnico del termine giudeo/giudei • si trovano, in primo luogo, in 4, 9 (bis)12; qui esso è usato in opposizione a un altro termine di carattere etnico-religioso. samaritano/a •. e si col· !oca, pertanto, nel suo campo semantico. In secondo luogo, sulla bocca di non giudei (Pilato, soldati), il termine si colloca in un'opposizione si­ mile a quella precedente e conserva con ciò stesso la connotazione etnico­ religiosa ( 18, 33.35.39; 19, 3.19.21c). - /eviri, gr. leuirai, da cui proviene il grecismo !evita Questo termine designa quei membri della tribù di Levi (tribù clericale) che, non apparle· nendo alla famiglia di Aronne, non potevano ottenere il grado sacerdotale. •















•.

20 Egli lo riconobbe, non ricusò di rispondere, e riconobbe questo, gr. kai homologésen kai ouk érnésato, kai homologésen. Delle tre proposi­

zioni coordinate. la principale è la terza. che introduce la dichiarazione. Le prime due fungono da preparazione enfatica, appoggiando la frase ùel prologo: non era lui la luce ( l . 8). Il verbo greco homologeo, confessare, riconoscere, in italiano esige l'uso del pronome che si riferisce al conte­ nuto della risposta e suppone il testo di l, 8. Ouk ernésato ha come com­ plemento implicito l'infinito h6mologein, che in it. è preferibile esplicitare, anche sostituendolo con un altro verbo che eviti la monotonia. L'hoti com­ pletiva che introduce la dichiarazione equivale al pronome cataforico questo •. •

22 Tu, come ti definisci?, gr. ti /egeis peri seautou. Si chiede a Giovanni che egli stesso (Il> (19, 3 1 ) ed albeggia il primo giorno, la settimana definitiva (20, 1), che dà il via alla nuova creazione. In consonanza con questa cronologia simbolica, Gesù parla nel vangelo del « suo giorno » (8, 56). indicando il tempo della sua attività, oppure descrive questa attività, come un periodo di dodici ore ( I l , 9). Da un altro punto di vista i l fatto che Gesù passi dal giorno quarto al sesto con la formula il terzo giorno » mostra la sua intenzione di associare al tema della creazione quello dell'alleanza, dato che la stessa formula è usata in Es 1 9, 1 0 . 1 1 . 1 5 . 1 6 (dopodomani, il terzo giorno), per annunciare la teofania che sul Sinai inaugurò il dono della Legge (Es 20, 1 ·2 1 ) . L'indicazione il terzo giorno allude anche a Os 6, 2 (eb.) : dopo due giorni ci ridarà la vita, e il terzò ci farà rialzare ( risusciterà) e noi vivremo alla sua presenza ». La promessa di Osea per il terzo giorno, che corrisponde al giorno sesto di Gv, è quella della risurrezione, dono che sarà comunicato all'uomo quando Gesù donerà lo Spirito (6, 39 Lett.) � . II giorno sesto sarà, pertanto, al tempo stesso il giorno dell'alleanza nuova, della creazione ultimata e della risurrezione. L'alleanza nuova, in cui lo Spirito sostituirà la Legge ( 1 , 17). consisterà precisamente nella costituzione della nuova comunità umana, quella degli uomini completati con Io Spirito e che per questo godranno della vita definiti­ va ( risurrezione) . •

«

=

=

Divisione del grorno sesto Le due cronologie precedentemente esposte, quella del giorno che comincia a Cana, ultimo del primo arco di sei giorni (1, 19-21 ) , e quella che termina sulla croce, sesto giorno del secondo arco (12, 1-19, 42) , dividono il giorno sesto in due parti, che possono essere intitolate « il giorno del Messia • e • l'ora finale ».

sei giorni con il primo, si veda 12. l Lett. L'idea di "' le'\'arc • contenuta nell'allusione a Osea, si incontra a partire da S, 8: le�•ari (egeire, equivalente di anasra, cfr. 5, 2 1 ) fino a Il, 25, dove Gesù dichiara di e ssere lui la risurrezione.

' Per la relazione del secondo arco di

2

130

A . IL GIORNO DEL MESSIA 2, 1 - 1 1 , 54

II giorno del Messia (2, 1-1 1 , 54) abbraccia tutta l'attività di Gesù, anticipazione dell'opera che deve realizzare con la sua morte, e presenta la sua manifestazione a Israele, annunciata da Giovanni (l, 3 1 ) e pro­ messa da Gesù stesso ( 1 , 5 1 ) . La manifestazione a Israele è quella della sua gloria-amore (2. I l ) ; sarà progressiva, fino a culminare nell'episodio di Lazzaro, ultimo del giorno del Messia, in cui si menzionano per la seconda volta la manifestazione e ,la visione della gloria (2, 1 1 ; 1 1 .4.40). L'attività del Messia, che comincia a Cana, provocherà la sua condanna a morte da parte delle massime autorità giudaiche, il sommo sacerdote e il Consiglio (2, 1 1 : Questo Gesù compì ... come principio dei segni; I l , 47.53: quest'uomo compie molti segni ... così quel giorno concordarono di ucciderlo) . Alla manifestazione dell'amore risponde quella dell'odio, mentre si esaspera il contrasto fra luce e tenebra. Israele dovrà fare la sua scelta tra l'una e l'altra. Per • l'ora finale " · si veda l'introduzione corrispondente pp. 496ss.

I due cicli del giorno del Messia II giorno dell'attività del Messia si suddivide a sua volta in due dcii, chiaramente indicati dall'evangelista: il primo, o ciclo delle istituzioni, fa immediatamente seguito al segno compiuto a Cana (2, 11) e annuncia la sostituzione delle istituzioni di Israele con la persona del Messia. A Cana si anticipa la sostituzione dell'antica alleanza, simboleggiata dalle nozze in cui manca il vino, con la nuova, in cui esisterà il vino dello Spirito (2, 1-1 1 ) . Gli episodi che seguono indicheranno la sostitu­ zione delle istituzioni appartenenti all'alleanza decaduta. Dopo un ver­ setto in cui si fissano i tipi di atteggiamenti che Gesù incontra nella sua attività (2, 12). tale attività ha inizio a Gerusalemme, durante la festa di Pasqua (2, 13), allorché presentandosi nel tempio, egli annuncia la sostituzione di quel tempio corrotto con la propria persona. Dinanzi a quest'azione messianica di Gesù, i n Gerusalemme si produce una reazione favorevole, ma errata. Questa viene dapprima espressa in maniera generica (2, 23-25), in seguito specificata in quella dei capi farisei, rappresentati da Nicodemo, che vedendo nel Messia il maestro e 131

D giorno del Messia. Ciclo delle Istituzioni

i l custode della Legge, essi attendono da lui l'instaurazione del rigoro­ so regime legale, strumento della venuta del regno di Dio (3, 1 - 2 1 ) . La controversia di Gesù con Nicodemo rende patente la sostituzione della Legge, consi derata fonte di vita e luce-norma di condotta. Più avanti, queste due funzioni le assume Gesù. Levato in croce come segno di salvez· za (3, 14-16), egli sarà il luogo dalla cui altezza sgorgheranno vita, che fa nascere di nuovo (3, 3-7) e luce che svela la bontà o malvagi tà delle azioni dell'uomo (3, 19-21), l'unica norma valida di condotta. L'episodio successivo (3, 22-4, 3), denuncia l'assolutiuazione delle figure e del messaggio deii'AT; arriva al colmo nell'atteggiamento dei discepoli di Giovanni Battista, che si aggrappano a lu i senza accettare il Messia che egl i annunciava. La dichiarazione di Giovanni mostra la relatività della sua figura e, con essa, quella della Legge e della profezia deii'AT, che erano annuncio e preparazione. La Legge, pe rta nt o, in quanto base dell'istituzione i sraeli ti ca, e la profezia in quanto sua interprete nel solco dell'antica alleanza, hanno esaurito la loro missione, sostituite dalla persona del Messia, lo Sposo che inizierà la nuova alleanza e il Figlio le cui esigen ze comunicano lo Spirito (cfr. 3, 34). La sostituzione proposta da Gesù mentre si trovava nella regione della Giudea, dove avevano le loro radici le is tit uz ion i, è rifiutata. Questi episodi ampliano così la fase del prologo • i suoi non l'accolsero " ( l , I l ). Dinanzi al sospetto dei farisei, Gesù torna in Galilea. Durante il cammino t rova in Samaria, la regione emarginata, l'accoglienza che i suoi non gli hanno offerto (4, 4-44 ) . Il ciclo termina con l'arrivo in Galilea e a Cana (4, 45-46a), concludendo così l'itinerario cominciato in 2, l . Per il secondo ciclo, i l ciclo dell'uomo, si veda l'in traduzione corrispon­ dente, p. 236.

• l SUOI NON L'ACCOLSERO " (2, 1-4, 46a)

1 . CICLO DELLE ISTITUZIONI.

SOSTITUZIONE DELL ' ALLEANZA

2, 1-1 1 : Cana: Il principio dei segni 1

Il terzo giorno ci furono delle nozze a Cana di Galilea, ed era lì la madre di Gesù; 2 anche Gesù fu invitato alle nozze, come pure i suoi discepoli. Essendo mancato il vino, la madre di Gesù si rivolse a lui: Non hanno vino. • Gesù le rispose: - Che cosa importa a me e a te, donna? Non è ancora giunta la mia ora. 5 Sua madre disse ai servitori: - Qualunque cosa vi dica, fatela. 3

-

132

2, 1-11. Sootltuzlone dell'alleanza: Cana

Erano collocate lì sei giare di pietra destinate alla purificazione dei giudei, capienti un centinaio di litri ciascuna. •

' Gesù disse loro: - Riempite d 'acqu a le giare. E le riempirono fino all'orlo. ' Al lora ordinò loro: - Adesso attingete e portatela al ma e s t ro

di tavola.

Quelli gliela po rtarono. 9 Assaggiala l'acqua tramutata in vino, senza sapere da dove venisse (ma ben lo sapevano i servitori, avendo attinto l'acqua), il maestro di tavola chiamò Io sposo 1 0 e gli disse: - Tutti servono prima il vino di qualità, e quando la gente è al t i cc ia , il peggiore; tu, il vino di qualità lo hai t en u t o in serbo fino a ora . 11

Questo Gesù compì a Cana di Galilea, come principio dei se gn i ; sua gloria, e i s u oi discepoli gli diedero la loro ad es io ne .

manifestò la

NOTE FILOLO G I C H E 2, l 11 terzo giorno. L'intervallo fra due avvenimenti s i esprimeva inclu­ dendo nel computo i giorni in cui l'uno e l'altro avvenivano. Cosl, sulla bocca di un personaggio, • il terzo giorno • significa • dopodomani •, co­ me appare in Le 13, 32: oggi, domani e il terzo giorno. Lo stesso uso si constata nelle predizioni e nei racconti della risurrezione • il terzo gior­ no • o • dopo tre giorni • (Mt 16, 2 1 ; 17, 23; 20, 19; 27, 64; Mc 8 , 3 1 ; 9, 3 1 ; I O, 34; Le 9 , 22; 18, 33; 24, 7.46; At IO, 40). Gesù morì la sera del venerdì e risuscitò la domenica; secondo il nostro modo di parlare, dopo due giorni. L'intervallo temporale denotato dalla frase greca • il terzo giorno / dopo t re giorni • è pertanto senza dar luogo a dubbi di due giorni, comincian­ do nel caso nostro dalla decisione di partire per la Galilea ( l , 43). In i t. l 'espres s ione • il terzo giorno • è ambigua; può significare tre o due giorni dopo. Da una parte, è importante interpretare bene l'intervallo (due gior­ ni); per questo sarebbe preferibile la traduzione " dopo due giorni • , per­ ché rimanga chiaro che si tratta del giorno sesto, a partire da l , 1 9 (cfr. l , 29.35.43), in parallelo con il giorno della morte di Gesù (cfr. 19, 31), messo i n relazione con l'episodio di Cana dalla menzione della « sua ora " (2, 4). Tuttavia, l 'allusione a Os 6, 2: il terzo giorno ci ristabilirà/farà levare, con­ si glia d i conservare nella traduzione la formula " i l terzo giorno • . Lo stesso computo è fatto d a Origene nel suo commentario a Giovanni (49 [30, 259)): • il terzo giorno a partire dal quarto, cioè: nel sesto giorno da no i enumerato fin dal principio hanno luogo le nozze a Cana di Ga­ lilea ... • . - era lì. Si noti il parallelismo fra_ questa espressione locale, applicata alla 'lladre di Gesù, e quella che si applica alle giare: erano lì (2, 6), per in­ dicare la comune appartenenza all'alleanza antica (nozze), da una parte, del popolo. rappresentato dalla madre, e, dall'altra, della Legge, simbo­ leggiata dalle giare (cfr. Lett.).

2 anche ... [fu invita to ] , gr. de. Ebbene, e, anche. - come pure, gr. kai ... kai. Le due particelle copulative stabiliscono una corrispondenza: tanto Gesù come i suoi discepoli. Per conservare il verbo al singolare, si adotta una traduzione equivalen te (cfr. 17, 10.1 1 .26).

1 33

li pomo del MHsla. Cleto delle Istituzioni

si rivolse a lui, gr. legei pros auton. Pres. st. La costruzione leg6 pros (cfr. l , 1 : ho logos en pros ton Tlwon) è più forte di lego + dat., e ac­ quista diverse sfumature a seconda dei contesti: Non sempre si trova un verbo it. che rifletta l'insistenza o urgenza espresse da questa costruzio­ ne. Oltre che in questo passo, si trova al presente in 3, 4 (obiellò); 4, 1 5 (disse); 4, 49 (insistette) ; 6, 5 (si rivolse) ; 7, 50 (interpellò). Con l'aor. in 4, 48 (rispose); 6, 28 (domandarono) ; 6, 34 (dissero); 8, 57 (replicarono); I l , 21 (disse). 3

4

le rispose. Gr. pres. st.

- Che cosa importa a me e a te?, letter. Che cosa a me

e a te? Idiotismo se· mitico ben conosciuto che esprime non esistenza o rottura di relazione. Suppone sempre due persone (A c B) e un fatto accaduto. Il suo significato dipende dal contesto in cui viene adoperato. Si possono distin�uerc quat­ tro casi: a) Se il fatto è un'azione presente d i B, che A considera inopportuna o pe· ricolosa nei suoi confronti, A può respingere l'intervento di B facendo uso di questo idiotismo che, in tal caso, si traduce con: Perché ti impicci dei fatti miei? o più semplicemente: Lasciami in pace. Così, in Mc l, 24, dove l'indemoniato considera una m inaccia l'insegnamento di Ges(t (cfr. Le 4, 34; Mc 5, 7-8; M t 8, 29; 2 Cr 35, 21). b) Se il fatto (azione d i B o attribuita a lui) s i colloca nel passato rispetto al dialogo, e A lo considera nocivo per sé, con questo idiotismo dichiara rot· ta la propria relazione con B. Così in l Re 17, 18, in cui la vedova di Sa­ repta respinge Elia, pensando che suo figlio sia morto per colpa del pro­ feta: « cosa ho a che fare con te? •. oppure: « non voglio aver niente a che fare con te •. c) Se A ignora quale fatto abbia provocato un atteggiamento ostile di B, può domandarlo facendo uso di questo idiotismo. Cosi, in Gdc I l , 12, dove Jefte manda a chiedere al re degli Ammoniti, che lo assale: cosa [è suc· cesso] fra te e me? •, oppure: c che t i ho fatto perché tu venga ad as· salirmi? •. d) Finalmente, se il fatto non dipende dalla volontà di A né di B, la for· mula serve per raccomandare a B l'indifferenza davanti al fatto. Cosi in 2 Sam 1 6, IO, quando Abisai chiede a Davide il permesso di uccidere Simei, che insultava il re chiamandolo assassino, la risposta di Davide: cosa a me e a te? si può tradurre perfettamente con: • che importa/compete a me e a te? Lasciato maledire, ché se il Signore gli ha ordinato di male­ dire Davide, chi gliene chiederà conto ? •- Qualcosa di simile in 2 Sam 19, 23. Nel caso nostro, in cui la mancanza di vino è indipendente dalla volontà della madre e di Gesù, quest'ultima non ha mosso una petizione formale, ma ha soltanto esposto la situazione, il significato proprio è quello di d). Gesù la esorta a disinteressarsi del fatto: che [ce ne importa] a me e a te? •



•.

6 destinate. La prepos. kata con accusativo indica una relazione di corri· spondenza fra due termini. Dal punto di vista del primo (le giare) denota finalità; dal punto di vista del secondo (la purificazione). necessità o esi­ genza. A seconda di quella che si adotta, si può tradurre: richieste dalla! necessarie per la purificazione oppure destinate alla purificazione, che, in entrambi i casi, risulta termine dominante. - un centinaio di litri. Letter. 2 o 3 « metrete •, misura di capacità equi­ valente a 40 litri. Si potrebbe tradurre: da ottanta a centoventi litri ciascuna, ma siccome Gv, con l'indeterminatezza vuole evitare ogni significato sim­ bolico delle cifre che non sia quello dell'enorme quantità, è sufficiente tradurre più brevemente: un centinaio di litri, indicando ugualmente la gran­ de capacità delle giare.

1 34

2, 1-11. Sootlluzlone dell'alleanza: Cana

7 Riempite, gr. gemisate. n verbo gemit6 significa riempire un recipiente che è vuoto (6, 13: i cesti; Mc 15, 36: impregnare d'aceto una spugna; Le 14, 23: la casa in cui non si erano recati i primi invitati ; 15, 16 [ lett var. ] : riempirsi Io stomaco, detto d i uno che h a fame; Ap 8 , 5 : l'incensario, di ti7.zoni; 15, 8: il santuario, di fumo). O che non è destinato a contenere ac­ qua (Mc 4, 37: la barca). Le giare erano, pertanto, vuote. .

8 ordinò loro, gr. /egei autois. Il verbo lego, come l'it. dire, ha in determinati contesti significato di • ordinare/comandare • (cfr. 2, 5.7) e ammette questa traduzione. - attingete. Il verbo gr. antle6 si usa ordinariamente per attingere acqua da un pozzo (cfr. 4, 7: Gn 24, 20; Es 2, 19; Is 12, 3). Le giare hanno, quindi, una qualche relazione con un pozzo. Come si vedrà in 4, 7 Lett., « il pozzo " era un simbolo della Legge di Mosè. Nuovo modo per indicare il significato sim· bolico delle giare. 9a

ben lo sapevano. Il ben enfatico traduce la particella avversativa gr. de.

9b-IO chiamò ... disse. I n gr. pres. st. Tutti, gr. pas anthr6pos. - di qualità, gr. ka/os. Indica sempre eccellenza; cfr. IO, 11.14: il modello di pastore; IO, 32.33: opere eccellenti, allusione a quelle di Dio nella creazione (Gn l, 31). La traduzione vino buono • è insufficiente. - lo hai tenuto in serbo. Forza del pf. gr. teterekas. -



Il Questo Gesù compì ... come principio dei segni, gr. taut�n epoiesen arkhén t6n semei6n ho Iésous. Da un lato, arkhén è il complem. dir. di epo­ iesen; dall'altra, il dimost r ativo tauten si accorda con esso. La trad. • que­ sto principio fece Gesù • non è it., si direbbe • dare inizio ma questo porterebbe a sopprimere il vero poie6, fare/realizzare, caratteristico dei segni in Gv (cfr. 2, 23; 3, 2; 4, 54, ecc.). Non soddisfa neppure la trad.: « que­ sto fu i l p ri ncip io dei segni che fece Gesù perché separa il verbo dal suo complemento. La t rad . proposta ha il vantaggi o di conservare come com· plemento del verbo l'azione realizzata a Cana, indicando il suo carattere di principio •: questo termine è più indicativo dell'espressione " primo dei segni perché include l'idea di prototipo e, in certo modo, quella di origine. - manifestò la sua gloria, gr. ephaner6sen ten doxan autou. La gloria è visi­ bile, può essere contemplata ( 1 , 14), e a questa visibilità corrisponde la ma­ nifestazione. Essendo questo segno il prototipo di tutti quelli che seguono e l'annuncio dell'ora di Gesù (2, 4) , che sarà quella della sua morte in croce, tale perifrasi serve a interpretare ciò che Gv indicherà in seguito con le forme del verbo doxaz6, con valore manifestativo. Confronta la corrispon­ denza fra I l , 4: huper t es doxes tou Theou, hina doxasthe ho lwios tou Theou di' awés e I l , 40; o pse tén doxan tou Theou. Alla visione corrisponde una manifestazione. La menzione dell'ora, unita alla manifestazione della gloria, si trova in 12, 23 (hina doxasthé); 17, 1 : manifesta la gloria (doxason) del tuo Figlio perché il Figlio manifesti la tua (doxasé). Confronta El Aspecto V erba/, nn. 172-189 e 7, 39 nota. - gli diedero la loro adesione, gr. episteusan eis auton. Il verbo pisteu6 è caratteristico di Gv non solo per la sua frequenza (96 volte; M t, I l ; Mc, 14; Le, 9) , ma anche per la peculiare costruzione con la prepos. eis (33 vol­ te; Mt 18, 6; forse Mc 9, 42; l Gv, 3 volte; altre 6 nel resto del NT). Pisteuò indica sempre un'adesione, a diversi livelli: a) + dativo, prestar fede a un enunciato (2, 22: té graphe; 4, 50: t6 log6; 5, 47: emois remasin; 12, 38: te akoe) o dar credito a una persona (4, 2 1 ; 5, 24.38.46; •.

•,



•,

1 35

Il pomo del Messia. Ciclo delle Istituzioni

6, 30; 8 , 3 1 .45.46; 10.37.38: tois ergois come manifestazione di Gesù; 14, 1 1 ) . b ) + accus. e dativo d i persona, fidarsi di/affidarsi a qualcuno (2, 24). c) La costruzione con eis aggiunge un sema direzionale, che conferisce un dinamismo all'azione del soggetto. Gv concepisce in modo dinam ico la relazione soggettggetto e la esprime con questa preposizione. Cosi si spiega che, essendo lui quello che più usa - e di gran lunga - il verbo pisteuo. non adoperi mai il sostantivo pistis (sinottici e At, 40 volte: Paolo 143), più indicato per esprimere possesso/stato nel soggetto che non dina­ mismo soggettggetto. L'espressione i t. • credere in • non traduce ade­ guatamente, essendo la prep. in, contrariamente a quella greca eis, tanto statica quanto dinamica. Inoltre, credere in • si usa con complemento di persona ( • in qualcuno •) e di cosa ( • in qualcosa •). Non cosi pisteuo eis, il cui termine è sempre personale, in Gv sempre Gesù, eccetto in 1 2 , 44; 14, 1: Dio e Gesù (in Rm 10, 10, eis indica finalità, non termine); come attività del soggetto nella sua relazione con un termine personale: dare/ mantenere l'adesione. In 1 , 12; 2, 23; 3, 18c, il termine è ro onoma, che espri­ me la persona sotto un determinato aspetto ( 1 , 12c nota; 2, 23 nota). d) Per la costruzione con en e dativo confronta 3, 15 nota. · e) + hoti e proposizione completiva che enuncia il contenuto della fede •

(8, 24; 9, 18; 1 1 , 27.42; 13, 19; 14, 10.1 1 ; 16, 27.30:

17, 8).

f) Quando si usa senza alcun complemento, il contesto determina a qU.ale delle forme precedenti corrisponde.

CONTENUTO E DIVISIONE Il segno compiuto da Gesù a Cana, inizio dei segni (2, 1 1 ) , annuncia la sostituzione dell'antica alleanza, fondata sulla Legge mosaica, con la nuova, fondata sull'amore leale ( 1 , 14-17). il cui simbolo è il vino che Gesù dona. L'episodio è programmatico. Prendendo le mosse da un fatto, le nozze in un paese, Gv costruisce la sua narrazione. Le nozze, come è risaputo, erano simbolo dell'alleanza, in cui Dio appariva come lo Sposo del po­ polo '· Queste nozze anonime, in cui né lo sposo né la sposa hanno volto o voce, sono figura dell'antica alleanza, cui Gesù sta per presentarsi. L'idea dell a nuova alleanza, messianica, nacque dinanzi al fallimento di quella an­ tica z. La figura dello Sposo, accennata in l , 27 (cfr. l, 15.30), appare qui in primo piano: Gesù, il nuovo sposo, è presente nelle antiche nozze. In esse annuncia il cambiamento dell'alleanza, che avrà luogo nella • sua ora •

(2, 4).

I l v. 6, che interrompe il racconto con la descrizione statica delle giare, di­ vide l'episodio in due parti. La prima (2, 1-5) comprende l'introduzione (2, 1-2) e l'intervento della madre di Gesù, nominata tre volte (2, 1.3.5). Nella seconda (2, 7-10). la figura centrale è quella del maestro di tavola, menzio­ nato anch'egli tre volte (2, 8.9.9.). Il legame fra le due parti è costituito dalla figura di Gesù (2, 1 .2.3.4.7) e da quella dei servitori, nominati uria vol ta nella prima parte e un'altra nella seconda (2. 5.9). L'episodio termina con una conclusione dell'evangelista, che interpreta teologicamente l'accaduto (2, l i ). Riassumendo: 2, 1-2: 2, 3-5:

Introduzione: tempo, luogo, circostanze. Mancanza di vino. Intervento della madre.

l Os 2, 16-25; Is l , 2 1 -23; 2 Ger 31, 33-34; 33, 1+22;

136

49, 14-26; 54; 62; G�r 2; Ez 16. Ez 36, 22-32.

2, 1-11. Sostlluzlone dell'alleanza: Can:> le giare wote. 2, 6: 2, 7-10: I l vino nuovo. Il maestro di tavola.

2, 1 1 :

Interpretazione del fatto.

LETT U RA

Introduzione: tempo, luogo, circostanze 2, la

Il terzo giorno ci furono delle rwzze a Cana di Galilea.

Essendo stato annunciato Gesù come nuovo sposo per bocca di Giovan­ ni Battista ( 1 , 15.27.30), le nozze acquistano immediatamente un signifi­ cato simbolico, come si è già esposto in precedenza. L'evangelista ambienta l'episodio in un paese di montagna, a una quindicina di chilometri da Nazaret. La detenninazione di Galilea dis tingue questa Cana da altri paesi dello stesso nome 3• La nuova menzione della Galilea, regione in cui si reca Gesù appena fonnato il primo gruppo di discepoli (cfr. l, 43). ricorda la libertà di azione che poteva godervi in opposizione alla Giudea, dove Gesù si vedrà perseguitato (4, 1-3; 7, 1 ) . Cana inoltre era situata nella parte montuosa della Galilea, luogo classico dei ribelli al regime imperante a Gerusalemme. In questo ciclo, nel quale Gesù propone la sostituzione delle istituzioni giudaiche, egli annuncia il suo programma a Cana e, una volta compiuta la denuncia nel tempio (2, 13ss) e cominciato il suo lavoro in Giudea (3, 22ss), per non incorrere nella fiscalizzazione che vi esercitavano i farisei (4, 1-3), tornerà a Cana (4, 46a) . da dove inizierà il suo lavoro direttamente con il popolo (4, 46b). � probabile che il nome • Can a •, avente relazione con il verbo ebraico qanah (acquistare, creare), sia stato scelto da Gv per fare allusione al popolo acquistato, creato da Dio • ( E s 15, 16; Dt 32, 6; Sal 72, 4), soggetto della sua alleanza. •

lb

ed era lì la madre di Gestì.

madre di Gesù è presentata senza nome proprio, soltanto attraverso la sua relazione con lui. Non avrà nome neppure nelle menzioni succes­ sive (2, 1 2 ; 6, 42; riguardo all'ultima, ai piedi della croce, si veda 19, 25 Lett.). La madre appartiene alle nozze, cioè all'antica alleanza. Si noti il parallelismo delle espressioni: era lì la madre di Gesù (2, l) ed erano collocate lì sei giare di pietra (2, 6). Tanto la madre quanto le giare rientrano nel solco dell'alleanza. Al principio, la madre è l'unico personaggio delle nozze ad avere rilievo, tutti gli altri costituiscono uno sfondo anonimo. Nei versetti successivi si vedrà cosa rappresenti la sua figura. La

' Cfr. Gs 19, 20, altra Cana situata a sud-est di Tiro; S. - B. Il, 400.

137

Il giorno del Messia. Ciclo delle lslltuzlonl

2

anche Gesù fu invitato alle nozze, come pure i suoi discepoli

.

Entra in scena Gesù, per la prima volta alla testa di un gruppo di discepoli. Nelle narrazioni precedenti non era stato in primo piano lui: i personaggi centrali erano stati Giovanni e gli uomini che, in un modo o nell'altro, prendevano contatto con Gesù ( 1 , 35-5 1 ) . Tutto era stato preparazione e presentazione. Ora ha inizio il giorno dell'attività; il Messia entra nelle antiche nozze, nel popolo che vive sotto l'antica alleanza, ma come invitato. Non appartiene ad essa, è soltanto ospite, e così pure i suoi discepoli, che fanno gruppo con lui. La madre vive all'interno dell'alleanza antica; Gesù e i suoi no. La presenza di Gesù sta per mel tere in moto la scena.

Mancanza di vzno. Intervento della madre 3 Essendo mancato il vino, la madre di Gesù si rivolse a lui: hanno vino •.



Non

Elemento indispensabile nelle nozze, come segno di gioia, il vino è simbolo dell'amore fra lo sposo e la sposa, come appare chiaramente nel Cantico 4• I n queste nozze, che rappresentano l'antica alleanza, non esiste relazione di amore fra Dio e il popolo. Nella triste situazione della mancanza di vinojamore interviene la madre di Gesù, che si limita ad informarlo, senza formulare una richiesta esplicita. Bisogna precisare, quindi, chi rappresenti la madre, che da un lato è membro delle nozze, e dall'altro ha uno stretto vincolo con Gesù, l'invitato. Si ricordi, in primo luogo, che la madre non figura con un nome proprio. Di seguito si noti che rivolgendosi a Gesù non lo chiama figlio; neppure Gesù, da parte sua, la chiama madre. Tra Gesù e lei esiste pertanto una relazione di origine, ma non di dipendenza, e nemmeno di familiarità. Né lei pretende di avere alcun diritto su Gesù (assenza di richieste, cfr. 1 1 , 3), né Gesù si riconosce dipendente da lei (2, 4: donna, non madre). Nella narrazione, costruita sul simbolo delle nozzejalleanza, la madre che appartiene all'alleanza antica, ma che riconosce il Messia e spera i n lui, personifica gli israeliti che hanno mantenuto l a fedeltà a Dio e la speranza nelle sue promesse. La madre di Gesli è, di conseguenza, la figura femminile che corrisponde a quella maschile di Natanaele, colui che è un vero israelita ( l , 47). Questi rappresentava l'Israele fedele, in quanto oggetto di rinnovata elezione da parte del Messià; l a madre, come figura femminile, serve a denotare l'origine del Messia, il virgulto che nasce dal vero Israele e nel quale stanno per adempiersi le promesse. Ha riconosciuto il Messia e la sua speranza si ravviva. Il suo primo passo consiste nel mostrargli la carenza: non hanno vino. Con questa frase, pur appartenendo alle nozze, si distanzia da esse (non hanno, 4 Nel Cantico il vino è simbolo dell'amore: l, 2: • i tuoi amori sono migliori del vino • (in parallelo con i profumi); 7, IO: • la tua bocca è vino generoso • ; 8, 2: • ti darei da bere vino aromatico •, ecc.

138

2, 1-11. Sostituzione dell'alleanza: Cana

anziché non abbiamo). Sa bene che il Dio dell'alleanza è amore e lealtà (Es 34, 6 ; cfr. Dt 4, 37; 7, 7s; 10, 15; Gv l, 14e Lett.) e che tale amore non è finito (cfr. Ger 3 1 , 3 [38, 3 LXX ] ) : " con amore eterno ti ho amato, per questo ho protratto la mia lealtà n; attende il giorno promesso dal profeta (Ger 3 1 , 1 : • in quel tempo, oracolo del Signore, io sarò Dio per tutte le tribù di Israele ed esse saranno il mio popolo •l- Espone a Gesù l'insostenibilità della situazionl', confidando che egli vi ponga riparo. Non può sapere ciò che Gesù farà, ma sa mollo bene cosa manca a Israele. L'antico Israele pone la sua fiducia nel Messia, che ha ricono­ sciuto (1, 45.49). Non si rivolge al capo del banchetto, incaricato di procurare le provviste e responsabile della mancanza di vino: egli fa parte della situazione, e da lui non c'è da aspettarsi nulla. Soltanto il Messia può offrire la soluzione. 4a Gesù le rispose: « Che cosa importa a me e a te, donna?

•-

parole di Gesù intendono far coraggio alla madre j israele e indicarle la necessità di rompere con il passato. Essa, che giudicava intollerabile la situazione, si attendeva che il Messia vi ponesse riparo prendendo come base la realtà esistente ( 1 , 45b Lett.) . Gesù le fa comprendere che quell'alleanza è decaduta e non deve essere rivitalizzata; la sua oper::1 non poggerà sulle antiche istituzioni: rappresenta una novità radicale; l'alleanza fondata sulla Legge non sarà integrata nell'alleanza nuova. Gesù si distanzierà costantemente dalla Legge mosaica, che, sulla sua bocca, sarà la « loro » Legge, non la sua (7, 1 9 ; 8, 1 7 ; I O, 34; 1 5 , 25). La madrejisraele, che spera nel Messia, guarda ancora all'indietro, pen­ sando che l'opera di Gesù sia vincolata al passato; Gesù le spiega che tale dipendenza non sussiste. Né a lui né a lei spetta intervenire nell'alleanza senza vita. L'appellativo • donna •. che non è mai usato da un figlio per rivolgersi alla madre 5, poteva invece designare una donna sposata o • promessa sposa • (M t l, 20.24; 5, 3 1 .32; Mc IO, 2; Ap 1 9, 7; 2 I. 9). Gesù lo userà per rivolgersi a sua madre (2, 4a; I 9, 26), alla samaritana (4, 21) e a Maria la Maddalena (20, 15). Le tre donne rivestono il ruolo di sposa, in quanto figura di una comunità dell'alleanza: la madre, la comunità-sposa dell'antica alleanza. che si è conservata fedele a Dio; la samaritana, la sposa-adultera (adulterio = idolatria) che torna allo sposo; Maria la Maddalena, la comunità-sposa della nuova alleanza, che formerà con Gesù la nuova coppia primordiale nell'ortofgiardino. Le

4b



Non



ancora giw1ta la m ia ora

•-

D'altra parte, la novità radicale che Gesù porta è legata a un momento futuro, • la sua ora • (7, 30; 8, 20; 12, 23.27; 17, 1), che sarà quella della sua morte ( 1 3 , l : la sua ora, quella di passare da questo mondo al Padre). Gesù stimola la speranza, ma avverte che la realizzazione non è immediata. Questa frase di Gesù pone il vino che gli viene implicitamente richiesto in connessione con la « sua ora •- Con ciò, il vino acquista immediata�

Non si riscontrano casi né neli'AT, né nella letteratura rabbinica.

139

Il elomo del Messia. Ciclo delle lstltw::lonl

mente un significato simbolico. Un vino reale, presente, urgente, non può dipendere da un avvenimento futuro. II vero Israele vede l'insufficienza e la tristezza della situazione in cui si trova, e la espone al Messia. Sa che questi deve inaugurare un'epoca nuova, quella dell'amore e della gioia, ma non conosce il momento né il modo in cui darà compimento alla sua missione. Gesù afferma la propria indipendenza rispetto al passato e dichiara che la nuova allean­ za non può avere inizio anzitempo. Però l'annuncio dell'ora di Gesù ha mostrato alla madrej lsraele che la salvezza non è lontana. Di qui il suo ordine ai servitori: quando venga il momento si deve essere pronti. 5

Sua madre disse ai servitori:



Qualunque cosa vi dica, fatela



Appaiono nuovi personaggi, i servitori, e la madre del Messia dice loro di mettersi a completa disposizione di lui (qualunque cosa vi dica). Essa non conosce i piani di Gesù, ma afferma che bisogna accettare senza condizioni il suo programma ed essere preparati a seguire qua­ lunque sua indicazione. Nel contesto di alleanza in cui si sviluppa la scena, l'ordine della madre ai servitori acquista tutto il suo significato. La sua frase fa allusione a quella che i l popolo pronunciò sul Sinai, impegnandosi a compiere tutto ciò che Dio gli comandasse (Es 19, 8: Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo! ; cfr. 24, 3.7) . La madre j lsraele, che è stata fedele a quell'impegno, comprende tuttavia dalle parole di Gesù che l'antica alleanza è decaduta e che il Messia sta per inaugurare l'alleanza nuova; chiede quindi ai servitori, cioè a coloro che collaborano con il Messia (cfr. 12, 26) , di dare la loro fedeltà all'alleanza che egli sta per promul­ gare. Le

giare vuote

6 Erano collocate ll sei giare di pietra destinate alla purificazione dei giudei, capienti un centinaio di litri ciascuna.

narrazione s'interrompe per segnalare la presenza delle giare desti­ nate alla purificazione. La descrizione è minuziosa; si precisa il loro numero (sei) , il materiale di cui erano fatte (di pietra) e la loro capienza, un centinaio di litri (letteralmente, da 80 a 120 litri ciascuna) ; con ciò, risultavano praticamente inamovibili. L'espressione era110 col­ locate lì accentua la loro staticità e inamovibilità; la loro finalità (destinate alla purificazione dei giudei) viene collocata al centro della frase, per darle tutto il suo rilievo. Le giare, enormi e piazzat e narrati­ vamente nel centro dell'episodio, lo dominano; esse presiedono le noz­ ze jalleanza. La determinazione di pietra evoca immediatamente le tavole o lastre di pietra sulle quali fu scolpita la Legge; essere di pietra è appunto l'epiteto che si applica costantemente loro (Es 3 1 , 1 8 ; 32, 1 5 ; 34, 1 .4; Dt 4, 13; 5, 22; 9, 9.10. 1 1 ; 10, 1 .3 ; l Re 8, 9) . In queste giare, Gv rappresenta la Legge di Mosè, codice dell'antica alleanza. In relazione con il cambio di alleanza, la pietra ricorda anche il testo di Ezechiele: • vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il La

140

2, 1-11. Soolltuzlone dell'alleanza: Cana cuore di pietra e vi darò un cuore

di

(36, 26).

·

Alla Legge di pietra, l'antica alleanza, corrisponde i l cuore di pietra, senza amore • .

Lo scopo delle giare era

carne •

la purificazione,

Legge antica. Questa Legge creava una

un concetto che dominava la relazione con Dio difficile e

fragile, mediata da riti. La necessità continua di purificazione procede­ va dalla coscienza di impurità, cioè di indegnità, creata dalla Legge stessa. Tale ossessione della indegnità dell'uomo davanti a Dio spiega la posizione centrale di questo versetto nell'episodio delle nozze e l'insi­ stenza sulla capacità e immobilità delle giare. Esse

sono

il personaggio

centrale, che invade lo spazio.

La

continua necessità di purificazione rivela un Dio suscettibile, che

respinge l 'uomo per qualunque motivo 7• La Legge non riflette il suo vero essere ( 1 , ii suo amore;

17

Lett .), in quanto attraverso essa non si può percepire la Legge propone l'immagine di un Dio impositore,

custode geloso della sua dis tanza rispetto al popolo e all'individuo, e non perde occasione per sottolinearla. In queste condizioni, in cui, secondo la Legge, Dio va continuamente allontanando l 'uomo da sé, e in cui di conseguenza l'uomo si sente sempre indegno, sottomesso a uno sforzo costante di riconciliazione con lui, non può esistere amore. Non si manifesta l'amore di Dio per l'uomo, né questi si sente unito a Dio da un vincolo d'amore, ma di timore e dipendenza. La Legge non è mediazione, ma ostacolo. t! questa pertanto a far mancare il vino in queste nozze, o l 'amore in questa alleanza. Le purificazioni sono qualificate come o i suoi fedeli

( 1 , 19

Era il sacerdozio

dei giudei,

i dirigenti del regime

nota).

il

mediatore

della purificazione legale (Lv

12-16);

questa, poggiando sulla coscienza del peccato creata dalla Legge, e ra quindi uno strumento di potere nelle mani dei dirigenti, che s e ne servivano per tenere assoggettato i l popolo

(5, 10

Lett .).

Non s i dice, tuttavia, che l e giare contenessero acqua. Di fatto, dovran­ no essere riempite in seguito all'ordine di Gesù. I l pomposo rituale delle purificazioni

è

vacuo

(2, 7

nota) . Le purificazioni, prescritte dalla

Legge, erano soltanto apparenti, e pertanto inutili

e inefficaci, non

erano un vero mezzo per ristab ilire la relazione con Dio. Il sistema religioso propugnato dai giudei è a un tempo oppressivo (costante coscienza di peccato, giare di pietra) e inefficace (assenza di acqua ) . Esiste solo l'esterno, senza contenuto reale.

II

numero

sei è

la cifra dell'incompletezza, in opposizione al sette, che

indica la totalità.

II

numero delle feste giudaiche registrate nel vangelo

sarà il sei (tre Pasque:

2, 13; 6, 4; 1 1 , 55;

una festa anonima:

5, 1 ;

la

festa delle Capanne: 2, 7; quella della Dedicazione del tempio: 10, 22) . i l che indica anche i l loro carattere di provvisorietà, i n quanto stanno per essere sostituite dalla pasqua di Gesù, preparata con la sua morte • Sarebbe ingiusto dire che la Sinagoga ha abbandonato l'aspetto gratuito e mise­ ricordioso dell'elezione di Israele, ma è certo che le scuole farisaiche misero l'ac­ cento sull'aspetto contrattuale a un punto tale che non era più l'alleanza a in­ globare la Legge. ma la Legge a essere il motivo dell'alleanza •. Cfr. A. Jaubert, La Notion d'Alliance dans le Judaisme, Paris 1%3, p. 291. 7 Cfr. l'ampia casistica sull'impurità rituale e sull'espiazione in Lv 11-16. 141

D pomo del Meula. Ciclo delle lstltuzloal ( 1 9, 42 Lett.). L'attività di Gesù si svolge nel sesto giorno, appunto perché la creazione non è completata. Il numero di sei giare indica nuovamente l'inefficacia della purificazione e l'imperfezione della Legge, che non raggiunge il suo obiettivo di unire l'uomo a Dio 8 • !;. la Legge pertanto a produrre la tristezza dell'antica alleanza , in cui manca il vino dell'amore. I l primo segno che compirà Gesù, il nuovo Sposo, annuncerà il cambiamento di alleanza e la soppressione dell'an­ tico codice legale; lo compie offrendo un assaggio del suo vino.

Il vmo nuovo. Il maestro di tavola 7 Gesù disse loro: « Riempite d'acqua le giare ». E le riempirono fino all'orlo.

Si rivolge ai servitori, che per indicazione della madre sono disposti a eseguire quanto egli dica. I I Messia, la cui ora non è ancora giunta, sta per mostrare all'Israele in attesa quale sarà l'effetto del compimento della sua missione e il risultato della sua opera. Gesù sa che le giare .sono vuote, e ne fa prendere coscienza ai servitori. L'ordine che dà richiede la loro collaborazione a quanto sta per fare. Essi lo eseguono scrupolosamente: e le riempirono fino all'orlo. Facendo riempire d'acqua le giare, Gesù indica che lui sta per offrire la vera purificazione. Questa però non dipenderà da nessuna Legge, per­ ché le giare non conterranno mai il vino che egli offre. L'acqua si muterà in vino al di fuori di esse (2, 9: ma ben lo sapevano i servito ri, avendo attinto acqua). Gesù fa riempire le giare soltanto per far comprendere che quanto nell'antica alleanza era un'immagine ora sta per diventare realtà, ma indipendentemente dalla Legge antica. La Legge non poteva purificare, Gesù sì; non lo farà però con un'acqua esterna, ma con un vino che penetra dentro l'uomo. Tale purificazione sarà talmente efficace da non aver bisogno di ripetizione ( 1 3 , 10: colui cha ha -già fallo il bagno non ha bisogno che gli lavino altro che i piedi. t; interamente pulito; 1 5 , 3: puliti voi già siete, per il messaggio che vi ho comunicato). La Legge si poneva fra l'uomo e Dio. D'ora in

poi non ci saranno intermediari; il vino, che è l'amore, stabilirà una relazione personale e immediata. In essa esisterà la gioia (15, 1 1 : vi lascio detto questo perché vi portiate dentro la gioia mia e così la vostra gioia giunga al colmo).

8 Allora ordinò loro: « Adesso attingete e tavola •· Quelli gliela portarono.

portatela

al maestro di

Gesù dà un secondo ordine. Il maestro di tavola era l'incaricato e il responsabile dell'organizzazione e dello svolgimento del banchetto •, ma 8 Vi era anche una leggenda giudaica secondo la quale Mosè aveva dato agli israeliti sei vasi che contenevano acqua che sapeva di vino (Bonsirven, 121). Il Messia ap­ pare così come il nuovo Mosè; cgJi non darà acqua che sa di vino, ma il vero vino� La prima era la Legge, che Gesu sostituirà con il vino dello Spirito. 9 S . . B. II, 407409.

142

2, 1-11. Sostituzione dell'alleanza: Cana

non era al corrente · della mancanza di vino. n capo del banchetto to rappresenta la classe dirigente, « i giudei • (2, 6). I capi si disinteressa­ no della situazione del popolo. Per di più, sembra loro normale che Dio venga ad essere allontanato a causa della mediazione della Legge e che non si sperimenti il suo amore. Essi dirigono il sistema religioso: soltanto il popolo fedele avverte che la situazione è insostenibile. 9a Assaggiata l'acqua tramutata in vino, senza sapere da clove venisse (ma ben lo sapevano i servitori, avendo attinto l'acqua) . · L'acqua si è mutata in vino dopo essere stata tolta dalle giare, non in esse. Il maestro di tavola, che assaggia il vino, non riconosce il dono messianico. I servitori sì, perché sanno che il vino offerto proviene dall'azione di Gesù. II vino simboleggia l'amore (2, 3 Lett.). Quello che Gesù dà significa, perciò, la relazione di amore fra Dio e l'uomo che si instaura nella nuova alleanza, relazione diretta e personale, senza intermediari. L'amo­ re come dono è lo Spirito ( 1 , 16.17) ed è lui a purificare. La scena di Cana annuncia la croce, « la sua ora • (2, 4) . È lì che si manifesterà fino all'estremo ( 13, l ) l 'amore di Dio per l'uomo (17, l ) e si offrirà a tutti lo Spirito (19, 34 Lett.). Simboleggiato qui dal vino, significa la gioia prodotta dall'esperienza dell 'amore, tipica della nuova alleanza ( 1 5 , 1 1 ; 16, 22.24; 17, 13). Si riscontra così in questo episodio programmatico l'opposizione in­ staurata in 1 , 17: la Legge fu data per mezzo di Mosè, l'amore e la lealtà hanno cominciato a esistere per mezzo di Gesù Messia. Il vino dello Spirito crea nell'uomo « l'amore leale • che costituisce la saa nuova condizione. Questa è la Legge della nuova alleanza, non un codice esterno, come l'antica, ma un vino che penetra nell'interno dell'uomo e lo trasforma, la Legge scritta nel cuore (Ger 3 1 . 33; Gv l , 17 Lett.). Essendo lo Spirito a completare la creazione dell'uomo (3, 6 Lett.), si uniscono fin dall'inizio dell'attività di Gesù le due linee maestre della tematica di Gv: l'alleanza e l'opera creatrice, che saranno definitiYa­ mente realizzate nella croce, « l'ora • di Gesù (19, 30 Lett.). Questo vino viene offerto ai dirigenti giudei (il maestro di tavola), ma costoro non lo riconoscono. Gesù non si opporrà con la violenza, al contrario darà loro la possibilità di rettificare (cfr. 2, 16), riconoscendo che il passato (e con esso la loro propria posizione) è decaduto, e accettando il dono messianico; soltanto davanti all'ostinazione e al rifiuto (1, 1 1 : i suoi non l'accolsero) prescinderà da loro per rivolgersi direttamente al popolo (4, 46bss) . 9b-10 il maestro di tavola chiamò lo sposo e gli disse: « Tutti servono prima il vino di qualità, e quando la gente è alticcia, il peggiore; tu, il vino di qualità lo hai tenuto in serbo fino a ora •· L'incaricato del banchetto si rivolge allo sposo. Il suo rimprovero sottolinea due cose: la superiorità del vino nuovo e la sorpresa perché il nuovo è migliore dell'antico. to Il termine greco arkhitriklinos è in relazione etimologica con 11rkh6n, arkhiereus, che designano le autorità di Israele (18, 13 Lett. e l , 19 nota).

143

Il giorno del MessiL Ciclo delle lstlluzloni

II plano di Dfò seguiva una linea ascendente; n Messia doveva inaugu­ rare un'epoca incomparabilmente superiore a quella antica. Le nozze vere, con pienezza di gioia, stanno per avere inizio con Gesù, lo sposo vero (3, 29). Il maestro di tavola, da parte sua, riconosce un tempo presente (fino a ora) in cui la situazione è diversa, ma non lo riferisce alla presenza di Gesù né sospetta il cambiamento di al leanza che questo vino prcfigura. Protesta contro l'ordine, che gli appare irrazionale, in cui i vini vengono offerti: quello di prima dev'essere migliore. Non si capacita della progressione del piano di Dio né comprende che il meglio possa venire dopo; per lui, la situazione passata era già quella definitiva; i dirigenti non vogliono né sperano che qualcosa cambi. Essi, i detentori del sistema di potere, credono che il loro regime non necessiti di migliora­ mento. Constata che il vino che gli offrono è di qualità migliore, e non se lo spiega. Non comprende neanche per un attimo che il passato è stato ormai superato. Per lui, quello che succede non è decisivo; ogni novità deve essere integrata nella continuità con il passato; per questo è convinto di conoscere la provenienza del vino, la cantina dello sposo (lo l!ai tenuto in serbo) . come se questo vino fosse stato destinato fin dal principio alle nozze che egli dirige. Non comprende che il vino è di un -altro ordine, che annuncia una situazione nuova e la fine delle nozze presenti. Non ha riconosciuto la presenza del Messia. La frase lo hai tenuto in serbo fùzo a ora contiene un'altra allusione alla morte di Gesù. Egli donerà lo Spirito, che risiede in lui (1, 32s) soltanto • nella sua ora •, come il frutto della sua morte (19, 30: consegnò lo Spirito) . Quello che il maestro di tavola riceve, ma non comprende né accetta, è soltanto un assaggio di ciò che sarà realtà sulla croce, nel momento in cui, terminata l'opera creatrice (19 , 30: è ormai completato) , si inaugurerà l'al leanza nuova. I l vino che Gesù offre allude indirettamente all'eucarestia. Questa, descritta da Gv con l'espressione mangiare la sua carne e bere il suo sangue sarà il veicolo dello Spirito che produce nell'uomo la vita defi­ nitiva (6, 54).

I personaggi delle nozze I dati dispersi nel commento a proposito dei personaggi si possono riassumere così: la madre di Gesù si contrappone a l maestro di tavola. Essa rappresenta l'I sraele che ha riconosciuto il Messia; il maestro di tavola è simbolo de • i giudei • che non lo attendono né hanno bisogno di lui, e non sanno apprezzare la novità del dono messianico. Isra ele (la madre) sperimenta la carenza e desidera il cambiamento; i dirigenti giudei (il maestro di tavola) si stupiscono che qualcosa possa cambia­ re: ritengono definitivo il regime che essi dominano. Mantengono ufficialmente l'alleanza, ma vuota di contenuto. Sono responsabili di quell'alterazione ( l . 23 Lett.), per cui ha cessato di essere espressione dell'amore di Dio per il suo popolo. Le giare (la Legge), collocate al centro dell'episodio, separano le due categorie di persone e i due atteggiamenti. La madre, definita attraver­ so la sua relazione con Gesù, di cui è l'origine, è aperta al futuro, alle r

144

2, 1-11. Sostituzione dell'alleanza: Cana

promesse di Dio. Il maestro di tavola, al éontrario, si definisce attra­ verso la sua relazione con le nozze esistenti, con un presente chiuso i n una tradizione senza orizzonte d i futuro. Questi due personaggi descrivono l'ambiente in cui Gesù si muoverà; da un. lato, gli israeliti che attendono; dall'altro, quelli aggrappati al loro sistema, che dominano il popolo. I primi riconosceranno il Messia, i secondi saranno i suoi nemici. Compaiono inoltre i servitori, che si mettono a disposizione di Gesù ed eseguono il suo incarico. Il termine lo userà Gesù per invitare a seguirlo ( 1 2, 26: colui c/1e voglia collaborare con me) . Includendo quindi i suoi discepoli, i servitori designano tutti coloro che si prestano a collaborare all'opera del Messia. La madre e il maestro di tavola, figure-tipo, saranno rappresentati nel vangelo dalle folle che assumono davanti a Gesù atteggiamenti contrari (cfr. 7, 25-3 1 ) . Tra i personaggi che nel racconto continuano la figura del maestro d i tavola, vale a dire, fra coloro che non s i aspettano nulla da Gesù, si trovano i • suoi parenti • . i suoi fratelli di sangue (7, 3-9). Per questo, quando Gesù, dopo Cana, scenderà a Cafamao, appariranno tre gruppi: sua madre ( l'Israele che attende), i suoi parenti ( i fedeli al regime) e i discepoli ( = coloro che desid erano collaborare con Gesù). =

=

Interpretazione del fatto Questo Gesù compì a Cana di Galilea, come princtpw dei segni; manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli gli diedero la loro adesione.

Il

Questa annotazione conclusiva dell'evangelista annuncia una serie di segni che Gesù compirà. Quello di Cana è il principio, il primo della serie, prototipo e nonna interpretativa di tutti quelli che seguiranno. II tema dell'alleanza che attraversa tutta la pericope termina con la manifestazione della gloria, come sul Sinai (Es 24, 1 5 . 1 7 : • la gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai ... la gloria del Signore appariva agli occhi degli israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna • ) . La gloria del Padre è presente in Gesù con la pienezza del suo amore leale ( 1 , 14) e si manifesta fin dal principio della sua attività, anticipando la manifestazione piena che avrà luogo nella • sua ora » (17, 1 ) . Ogni segno realizzato d a Gesù sarà pertanto una manifestazione della sua gloria, e di fatto nell'ultimo segno di questo giorno, la · risurrezione di Lazzaro, si tornerà a menzionare tale manifestazione ( I l , 4.40). La gloria/amore manifestata e sperimentata è quella che fonda la fede: fino a ora i discepoli si erano rivolti a Gesù come maestro (1, 38.49), cioè, come colui che possiede e trasmette una dottrina; ora danno la loro adesione alla sua stessa persona, come presenza della gloria/amore fedele, di Dio. La sua gloria si è manifestata annunciando la nuova relazione che Dio instaura gratuitamente con l'uomo, unendolo intimamente a sé e ren­ dendolo capace di amare come lui, per mezzo dello Spirito che purifica 145

Il giorno del Messia. Ciclo delle istituzioni

l'uomo e lo rende figlio di Dio. La fede consiste nel riconoscere l'amore indefettibile di Dio, manifestato in Gesù, e nel rispondere con l'adesione personale.

L'episodio di Cana è messo in relazione con la morte di Gesù dall'allu­ sione alla « sua ora • (2, 4; cfr. 12, 23.27s; 17, 1). :B pertanto una promes­ sa di quanto avverrà con la morte di Gesù. Sarà dalla croce che egli si rivolgerà per la seconda volta a sua madre (19, 26), e che essa, figura dell'Israele fedele, sarà definitivamente integrata nella nuova comunità (19, 27 Lett.) . Nella croce avrà luogo la manifestazione piena e definitiva della glo­ riajamore, di cui darà solenne testimonianza l'evangelista (19, 35). In forma simbolica, la gloria/amore si manifesta nello squarcio del costato di Gesù aperto dal colpo di lancia e nello spargimento di sangue (il suo amore che giunge a dare la vita per l'uomo) e acqua (lo Spirito o amore che egli comunica all'uomo). Entrambi sono inclusi nel simbo­ lismo del vino, in corrispondenza con la frase del prologo: dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto un amore che risponde al suo amore (1, 16).

Anche la nuova alleanza si verifica sulla croce, in quanto è lì che si promulga il nuovo codice, la nuova Scrittura dell'alleanza, il cui titolo è l'iscrizione sulla croce; il suo contenuto sarà Io stesso Gesù crocifisso, espressione suprema dell'amore di Dio per l'uomo (19, 19-22 Lett.) . Le nuove nozze appariranno il giorno della nuova creazione, con la nuova coppia nell'orto/giardino: Gesù risuscitato e Maria la Maddalena, figura della comunità nel suo ruolo di sposa del Messia (20, 1-18). Dall'annuncio di Giovanni Battista (1, 15.27.30) fino alla scena della risurrezione, l'alleanza è raffigurata sotto il simbolo nuziale (cfr. 12, 1ss), perché più adatto a esprimere la relazione personale che essa inaugura. Prefigurando la sparizione dell'antica alleanza, Cana prepara gli episodi del primo ciclo (2, 13-4, 46a) , che annunciano la sostituzione delle istitu­ zioni che la concretiu.avano (cfr. i due cicli del giorno del Messia, pp. 1 3 1 s ) . D'altra parte, quando dice che la nuova alleanza consisterà nella relazione di amore fra Dio e l'uomo, annuncia il secondo ciclo, in cui l'amore di Dio manifestato nelle opere di Gesù, sta per tradursi nella liberazione e nuova vita per l'uomo (4, 54 Lett.), come risultato del contatto diretto con Gesù, la vita. Così l'evangelista può affermare che Cana non è soltanto il primo dei segni operati da Gesù, ma anche il loro principio, il loro prototipo e la loro origine. Tutti saranno manife­ stazioni di questo amore che culminerà nella • sua ora �.

146

2, 1-11. Sostituzione dell'alleanza: Cana

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SINTESI

L'episodio di Cana è programmatico, e percib in stretto parallelo con la scena della croce, in cui Gesù dà compimento alla sua opera. Seguendo la linea iniziata nel prologo, che metteva a fuoco l'intero vangelo nella prospettiva della creazione ( 1 , 3) dell'uomo, in vista della sua pienezza ( l , 12: figli di Dio), questo episodio si colloca nel sesto giorno, quello della creazione delruomo; inaugura un giorno simbolico che conterrà tutta l'attività di Gesù e la cui ora finale sarà quella della sua morte. La pienezza dell'uomo (essere figlio di Dio) si realizza nella sua relazio­ ne intima e senza frattura con Dio: quella dell'amore e della gioia simbolizzati dal vino che Gesù offre. La figura delle nozzejalleanza annuncia pertanto la formazione di una nuova comunità, in cui l'espe­ rienza dell'amore di Dio produrrà la pienezza di vita, causerà la gioia e si eserciterà nella pratica di un amore che corrisponde a quello che Dio le manifesta. L'ostacolo alla realizzazione dell'uomo era la Legge. Essa, frapponendosi tra Dio e l'uomo e creando in quest'ultimo una coscienza di indegnità, deformava l'immagine di Dio e impediva l'esperienza del suo amore. In luogo di questo Dio che parla attraverso la Legge per poi chiedere conto (colpevolizzare) , Gesù rende presente il Dio che offre e comunica il suo amore gratuitamente. La fede è la risposta all'amore di Dio manifestato in Gesù, che si traduce nell'adesione personale a lui. Nel corso del vangelo si andrà esponendo il contenuto di tale adesione.

147

Gv 2, 12: Transizione. Campo dell'attività di Gesù u

Dopo ciò egli scese a Cafarnao, con sua madre, i suoi parenti e i suoi discepoli, e si fermarono lì, per non molti giorni.

NOTE FILOLOG I C H E 2, 12 Dopo ciò, gr. meta touto ( I l , 7.1 1 ; 19, 28). Ordinariamente denota un intervallo di tempo più breve che non meta tauta (cfr. 3, 22). - suoi paren ti, gr. hoi adelphoi autou. Com'è risaputo, fra i giudei il termine adelphos des ig nava anche i p arent i prossimi in linea coll aterale (cugini di primo e secondo grado) . Per designare un fratello carnale viene utilizzata l'espressione: ton adelphon ton idion (1, 41 nota). Criticamente, il posses · sivo (suoi) è attestato meglio della sua omissione. D'altra parte, nel resto del vangelo la madre e i « fratelli • di Gesù non tornano a essere menzionati insieme. La madre, figura dell'Israele fedele, apparirà nuovamente ai piedi della croce e sarà integrata nel gruppo dei discepoli (19, 25ss), mentre i fra­ telli si mostreranno ostili a Gesù (7, 3-9) e non saranno integrati nella comu­ nità. Sono figura degli israeliti che, essendo d'accordo con il sistema giu­ daico (7, 5.7). non accettano il Messia. l • fratel li • di Gesù sono, pertanto. fratelli di razza.

LETIU RA Cafarnao

è

un'importante città, situata presso il lago di Galilea, cro­

è conosciuto (cfr. 4, 46b) e lì insegnerà in una riunione (6, 59). Dopo aver tracciato il suo programma a Cana, Gesù sta per iniziare la

cevia di carovane; li Gesù

sua attività pubblica. Per questo scende a Cafamao, da dove andrà a Gerusalemme. Intorno a lui appaiono tre gruppi, raffiguranti la realtà umana che si presenta dinanzi ai suoi occhi:

costituiscono una pano­

ramica della società, classificata a seconda dell'atteggiamento nei con­ fronti della situazione religiosa. È l'unica volta che i tre gruppi appaio­ no i n sie m e;

si

vede così il loro carattere sintetico. Quello rappresentato

dalla madre, l'Israele fedele, da cui proviene umanamente Gesù, sarà aperto al suo messaggio e verrà alla fine incorporato al popolo messia­ nico ( 1 9 , 25 ss) . I fratelli (la sua gente) non apprezzeranno la sua opera e gli saranno ostili (7, ma

•.

3-9),

perché attaccati ai valori del



mondo/siste­

cui si attengono; come figura del popolo fedele al regime, sono, in

un certo modo, correlativi a quella del maestro di tavola di Cana. I discepoli

sono

coloro

che

hanno già

aderito

a

Gesù, e

disposti

a

seguirlo; anch'essi, in un certo modo corrispondono ai servitori delle nozze . Saranno

i soli a d accompagnare

Gesù

nella

sua

a t t ivi tà .

La

madre e i fratelli appartengono a un passato che, davanti alla persona di Gesù, assumerà atteggiamenti contrari ; i discepoli, fanno parte del futuro. Risalta l'opposizione fra antico e nuovo.

La convivenza (si fermarono lì) è molto effimera: per non molti giorni. Per molto poco tempo Gesù coesiste pacificamente con la società. Si lancerà immediatamente all'azione (2, 13). e si delineeranno le sfere d'influsso.

148

S O STITUZIONE

DEL

TEMPIO

Gv 2, 13-22: Gesù, nuovo aantuarlo. Il

Era prossima la Pasqua dei giudei e Gesù salì a Gerusalemme.

1 4 Trovò nel tempio i venditori di buoi, pecore e colombe e i cambiava­ lute che vi si erano installati, 1 5 e avendo formato una specie di flagello di corde, li cacciò tutti dal tempio, tanto le pecore quanto i buoi; ai cambiavalute sparpagliò le monete e rovesciò i banchi, 1 ' e a quelli che vendevano colombe disse: - Levate tutto questo da qui: non trasformate la casa di mio Padre in una casa di commercio.

17 I suoi discepoli si ricordarono che stava scritto: tua casa mi consumerà •.



La passione per la

1 8 R isposero allora i dirige n ti giudei, dicendogli: - Che segno ci mostri per poter compiere queste cose? 1 • Replicò loro Gesù: - Sopprimete questo santuario e in tre giorni lo eleverò. 2o Dissero allora i dirigenti: - Quarantasei anni ci sono voluti per costruire questo santuario, e tu lo eleverai in tre giorni? 21 Ma lui si riferiva al santuario del suo corpo.

2 2 Così, quando si levò da morte, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo e prestarono fede a quel passo e al detto che aveva pronunciato Gesù.

NOTE F I LOLOG I C H E 2, 13 polo

lJJ Pasqua dei giudei. Nell'AT non s i parla m ai della • pasqua del po­ ma del l a • pasqua del/per il Signore • (paskha to Kurio, Es 12. 1 1 .48; Lv 23,5; N m 9, 10.14; Dt 16, 1 ; 2 Re 23, 2123; in tempi posteriori, sempli­ cemente della • pasqua •. Esd 1, 1.6; Ne 6, 19). La precisazione di Gv, • dei giudei • , non può rispondere al desiderio di spie­ gare la festa a lettori pagani; la Pasqua era tipicamente giudaica e la pre­ cisazione non aggiungeva alcun dato nuovo; tanto più tenendo conto che la narrazione si colloca fin dal principio nell 'ambiente della Palestina· e che, date le numerose allusioni veterotestamentarie disseminate nel testo evan­ gelico, si vede che l'autore lo indirizza a un pubblico familiarizzato con I'AT e, pertanto, con le antiche istituzioni. Per offrire una precisazione, inoltre, sarebbe stato sufficiente farlo la prima volta, mentre il dato viene ripetuto in tre menzioni della Pasqua (2, 13; 6, 4; I l , 55). La precisazione non si spie­ ga neppure con il desiderio di distinguere questa pasqua da quella cristiana, poiché in tal caso sarebbe superfluo applicarla a feste che non avevano un parallelo fra i cris tiani (7, 2: le Capanne, la grande festa dei giudei), o a una festa anonima (5, 1 ) . • La Pasqua dei giudei • è dunque in opposizione alla • Pasqua del/per il Signore •· Gv non ritiene che la Pasqua di 2, 13 sia l'erede di quella istituita •.

149

Il giorno del Measla. Ciclo delle Istituzioni

nell'Esodo, ma una festa propria del regime giudaico della sua epoca e mani­ polata dai dirigenti. Accostando alla menzione della festa lo spettacolo del commercio nel tempio, mostra chiaramente la sua intenzione. Lo stesso av­ verrà in 5, 1-3, dove la festa dei giudei sarà in contrasto con la folla di invalidi. In 7, 1-2 sarà la festa di quelli che vogliono uccidere Gesù. Si po­ t rebbe tradurre, molto propriamente, • la pasqua del regime ». Gesù è stato annunciato come l'Agnello, che istituirà la Pasqua di Dio ( 1 , 29.36). Per questo, a partire dal cap. 12 si omette la determinazione « dei giudei » in relazione alla Pasqua (12, l ; 13, l; 18, 28.39; 1 9, 1 4 ) . E un aspetto del principio di sostituzione che domina nel vangelo, principio già insinuato nel prologo facendo il confronto fra Mosè e Gesù Messia (1, 17). La persona del Messia sta per sostituire tutte le isti tuzioni dell'antico Israele. 14 i venditori sono presentati come una collettività inseparabile (assenza d'articolo davanti ai nomi di animali), come se gli stessi individui vendes­ sero ogni genere di animali. Comincia così il linguaggio simbolico della pcricope. In seguito appariranno soltanto i venditori di colombe, gli unici cui Gesù attribuisce la responsabilità della corruzione del tempio, identifi­ candoli così con l'intero gruppo iniziale di commercianti: dietro l'intero commercio ci sono dunque i dirigenti del tempio. - cambiavalute. Il testo utilizza nei vv. 14 e 15 due diverse parole: kermatistés, kollubistés; mentre il termine kerma indica semplicemente la moneta, kollubos può indicare la moneta o il cambio della divisa, ed è quindi in relazione con l'interesse che se ne ricava. 15 una specie di flagello, gr. hds phragellion. La lettura con hos è attestata dai papiri 66 e 75, alquanto più antichi dei codd. onciali. Considerato anche il significato simbolico del flagello (cfr. la nota successiva), è normale che l'autore lo indichi con la particella. Con il perdersi dell'interpretazione sim­ bolica e l'attribuzione all'episodio di un senso meramente storico, la parti­ cella poté essere soppressa. - flagello di corde. Secondo Strack-Billerbeck (Il, 410), Wiinsche, alludendo a San 98b, sosteneva che si era soliti rappresentare il Messia munito di un fla­ gello (eb. /:lebel), col quale avrebbe messo fine a ogni costume malvagio. Per questo non pochi rabbini attendevano la sua venuta con timore e tre­ pidazione. I discepoli di Rabbi Eliezer una volta gli domandarono come debba comportarsi l'uomo per sfuggire al flagello del Messia, cioè ai suoi castighi e rimproveri. Per S.-B., tuttavia, /:leblu sei mali/:1 non significa flagello o frusta, ma le af­ flizioni del Messia (dolori di parto) che precederanno la sua venuta. In l , 950, a proposito d i Mt 24, 8 , traduce i l gr. 6dines ( dolori [ d i parto]) con /:leblu fel mali/:1, che interpreta come i dolori o afflizioni dai quali dovevano nascere i tempi messianici (secondo Is 26, 17; 66, 8; Ger 22, 23; Os 13, 13; Mie 4, 9s), non quelli che soffrirà il Messia stesso. Secondo S.-B., il termine viene usato già da Rabbi Eliezer (90 d.C.) e può essere stato conosciuto al tempo di Gesù. Tuttavia, secondo i documenti rabbinici citati da S.-B. (ibid.) questi dolori non sono preparatori alla venuta del Messia, ma coincidono con essa. Cosi, per esempio, in una interpretazione rabbinica di MI 3, 23: • io invierò il pro­ feta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore •, il Giorno significa la persona del Messia ed è terribile appunto a causa dello /:lebel del Messia. Si afferma anche che nei giorni del Messia, cioè all a sua venuta, Babilonia non sperimenterà 1'/:lebel del Messia. Il flagello, pertan­ to, non prepara la sua venuta, ma l'accompagna. Fatta eccezione per un testo dubbio, /:lebel s i utilizza sempre al singolare. In ebraico, lo stesso termine /:lebel significa corda e dolori (di parto) ; in si­ dolori (di parto). L'ambiguità del termine riaco, /:labla = corda, /:lebld =

=

150

2, 13-22. Sostituzione del tempio permette quindi alla metafora di funzionare nei due sensi: dal punto di vista del Messia, che infligge i dolori, il flagello; dal punto di vista ùi chi lo soffre, le afflizioni. L'opinione di Wiinsche era, quindi, giustificata. l:. possibile che Gv duplichi l'immagine: phragellion ek skhoinion, hebel min /:labalim, per ricalcare maggiormente la figura. Si noti che in italiano i ter­ mini • sferza, flagello •. hanno lo stesso duplice significato. - tutti, gr. pantas, mascohile. Questo genere anomalo (si riferisce a probata [neutro] e a boas [masch.]), si spiega pen::hé le pecore (probata) sono figura del popolo; appunto in questo contesto, per insinuare il significato figurato, Gv cambia l'ordine del v. 14 (buoi, pecore) e lo fa precedere ùa un pronome maschile. In IO, 4, al contrario, in cui il significato figurato si com­ prende fin dal principio, può utilizzare senza rischi il neutro (ta idia panca

ekbalel) . La prima enumerazione di animali riflette un'impressione visiva, in ordine di grandezza. Tuttavia, una volta intervenuto l'elemento simbolico, « il flagello », l'inatteso maschile tutti (pantas) e l'inversione dell'ordine degli animali (le pecore, figura del popolo, messe al primo posto), insieme al pa­ rallelismo stabilito con IO, 4 (ha spinto fuori tutte), mostrano chiaramente che l'autore ha introdotto un significato simbolico. Il pronome tutti (pantas) non si può riferire ai venditori, collocati collettivamente al principio, in­ cludendo quelli delle colombe, ma all'inciso epesegetico che segu e (tanto le

pecnre quanto i buor). - tutti ..., tanto ... quanto. La costruzione con te kai è epesegetica di pantas, cfr. M t 22, IO: sunégagon pantas ... , ponérous te kai agathous, riunirono tutti ..., tanto i cattivi quanto i buoni; Le 22, 66: sunékhthé to presbuterion ... , arkhiereis te kai grammaceis, si riunl il presbiterio/senato ... , tanto i sommi sacerdoti quanto i letterati. - ai cambiavalute, gr. t6n kollubist6n. Si cambia la costruzione con il geniti­ vo per poter conservare l'ordine enfatico della frase greca.

16 non trasformate, quem.

ecc .,

gr. m� poieite. l:. seguito dai termini a quo e ad

17 passione, gr. zelos. Zelo, passione, interesse, da cui deriva telotes, ze/ota, il fanatico, appassionato, nome applicato ai nazionalisti che propugnavano la violenza contro il dominio romano e quanti collaboravano con esso. Non è sicuro che il termine designasse un gruppo politico ai tempi di Gesù, ma lo designava certamente all'epoca in cui fu scritto il vangelo. 1 8 Risposero allora ... , dicendogli, gr. apekrithèsan orm ... k. eipan auto. Tanto i verbi quanto la particella oun identificano i dirigenti giudei (hoi loudaioi) con i venditori di colombe interpellati in precedenza da Gesù (2, 16).

- ci mostri, gr. deiknueis. Chiedono a Gesù di avallare la propria missione con qualche prodigio, cfr. Mt 12, 38; 1 6, 1; Le 1 1 , 16; Gv 6, 30; IO, 32. - per poter compiere queste cose, gr. hoti tauta poieis. I l segno dovrebbe di­ mostrare il diritto di Gesù ad agire in tale modo; si preferiste esplicitare in it. il verbo implicito. (N.d.T.).

19 Sopprimete, gr. /usate. Sciogliete, verbo insolito per indicare la distru­ zione di un edificio, ma che Gesù applica all a sua uccisione a opera delle autorità. Per indicare la demolizione di un edificio si usa il composto katalu6 (Mt 24, 2; 26, 61; 27, 40; Mc 13, 2; 14,58; 15, 29; Le 2 1 , 6; At 6, 14); in senso metaforico, Gal 2, 1 8 ; 2 Cor 5, L Il verbo lu6 viene usato in Gv nel senso di • sciogliere • (l, 27; I l , 44); c abolire/sopprimere/invalidare/annul­ Iare » (5, 18: il sabato; 7, 23: la Legge; 10,35: un passo della Legge). - santuario, gr. naos. La cappella centrale del tempio, dove si trovava il lo-

151

D pOI'DO del Meala. Ciclo delle Istituzioni

cale chiamato il Santissimo (il Santo del Santi), ·luogo

Il giorno del 1\lessla. Ciclo delle Istituzioni

vita si è manifestata hel mondo, non è stata soffocata dalla tenebra. La dialettica morte-vita è precedente alla manifestazione piena della vita in Gesù. Gli uomini per i quali la vita è la luce (1. 4), cioè, coloro che rispondono alla chiamata del progetto creatore e sono a favore della creazione e della vita, sono quelli che si avvicinano a Gesù, la luce. Lo stesso principio sarà enunciato in 7, 1 7 : chi vuole realizzare il disegno di Dio valu terà se questa dottrina è da Dio o se io parlo per conto mio. Vi sono una disposizione e una prassi che precedono l 'ade­ sione a Gesù: la lealtà verso la vita e l'uomo; così anche in 8, 47: c/1i procede da Dio ascolta le esigenze di Dio; per questo voi non ascoltate, perché non procedete da Dio. Procedere da Dio significa imi tarne il modo di agi re (cfr. 5, 19) e precede l'adesione a Gesù. In modo simile in 6, 45: chiunque ascolta il Padre e impara si avvicina a me. Vi è pertanto una docilità a Dio precedente alla fede in Gesù e che permette di giungere ad essa. Il Padre è il Dio creatore, fonte di vita e amore. Colui che con la sua condotta ha assecondato l'opera crea trice di Dio, l'attività del suo amore per l'uomo, riconoscerà la luce e le si avvicine­ rà senza t im o re ; allora apparirà che le sue opere rispondevano al disegno di Dio, pienamente rivelato in Gesù, e che non erano soltanto dell'uomo, ma di Dio assieme a lui (cfr. nota).

I paralleli fra il prologo e questa pericope sono numerosi. In primo luogo, l'uso del verbo nascere ( 1 , 13: nacquero da Dio; 3, 3 : nascere di nuovo/dall'alto; 3, 5: nascere da acqua e Spirito; 3, 6: nascere dallo Spirito). Per identi ficare altri paralleli bisogna tener conto delle equivalenze: S p i ri t o /a m or e fv i ta definitiva » e « accettare/dare la propria adesio­ n e /a vv i c i na rs i ». Così, coloro che ricevono la Parola-luce sono quelli che nascono da Dio ( 1 , 12s); parallelamente, coloro che danno la loro ade­ sione all'Uomo levato in alto ottengono vita definitiva (3, 14s) o nascono «

dall'alto (3, 3.7) , dall'acqua-Spirito (3, 5.6.8).

S I NTESI Dopo la manifestazione messianica di Gesù nel tempio, in cui ha de nun cia t o l'oppressione e annunciato la sostituzione del santuario con la sua propria persona, Gv espone la reazione al fatto: dapprima in modo generico, quindi quella degli uomini di governo e di legge. Essi sono rappresentati da un personaggio appartenente alle alie sfere del potere, giudeo osservante e maestro della Legge. Egli non attende il Messia della forza, ma il Messia dell'ordine, il maestro capace di spiegare la Legge e inculcarne la pratica, per giungere così a costruire l'uomo e la società. II problema si incentra sulla validità della Legge religiosa come norma di condotta e fonte di vita, come mezzo per impiantare la società umana che Dio desidera e promette. Gesù abbatte il presupposto di Nicodemo: l'uomo non può giungere a ottenere pienezza e vita tramite l'osservanza della Legge, ma attraverso la capacità di amare. Tale capacità, che lo Spirito dà, gli viene da Dio e completa l'essere umano. I due aspetti della Legge si concentrano in 190

2, Z3 · l, 21. Soetltuzlone deUa Leue: Nlcodemo

Gesù stesso levato in alto: egli è fonte della vita definitiva, Io Spirito, e mostrando il suo amore nel dono della propria vita - la norma che l'uomo deve seguire per raggiungere la pienezza. Solo con uomtm disposti ad amare fino alla morte si può costruire la vera società umana: sono gli uomini liberi, che rompono con un passato per cominciare di nuovo, non più rinchiusi in una tradizione, nazionalità né cultura. La loro vita sarà la pratica dell'amore, il dono di se stessi, con l'universalità con cui Dio ama l'umanità intera. Dio, in Gesù, offre così a tutti la vita piena. L'uomo deve scegliere tra la vita e la morte. Chi è i n qualche modo nemico dell'uomo e della vita, la rifiuta e si condanna da se stesso a morire. Chi è per l'uomo e per la vita, aderisce a Gesù. Ogni impresa che si basi sull'uomo incompiuto, l'uomo senza amore, è condannata al fallimento.

-

191

SOS TITUZIONE DEI MEDIATORI Gv 3, 22 - 4, 3: lo

Sposo/Figlio

zz

Dopo un certo tempo, Gesù andò con i suoi discepoli nel territorio della Giudea, si trattenne lì con loro e bat tezzava. 23 Anche Giovanni stava battezzando a Enon, presso Salim, essendovi lì acqua abbondante; s i presentava gente e veniva battezzata; 24 (non avevano ancora messo Giovanni in carcere). 25 I discepoli di Giovanni intavolarono una discussione con un giudeo su certi riti di purificazione. 26 In seguito andarono dove stava Giovanni e gli dissero: - Maestro, quello che stava con te all'altro lato del Giordano, e del quale tu desti testimonianza, ecco che sta battezzando e tutti accorrono da lui. z 1 Replicò Giovanni: - Nessuno può appropriarsi cosa alcuna se non gli viene concessa dal cielo. 26 Voi stessi mi siete testimoni che ho detto di non essere io il Messia, ma di essere stato inviato davanti a lui. z o Quello che prende con sé la sposa è lo sposo, e l 'amico dello sposo, che rimane accanto a lui e lo sente, prova grande gioia per la voce dello sposo. Perciò questa mia gioia è giunta al colmo. 30 A lui spetta c rescere, a me diminuire. Colui che proviene dall'alto è al di soora di tutti. Colui che è dalla terr:1 . dalla terra è, e dalla terra parla. Colui che proviene dal cielo, n d i ciò che ha visto personalmente e ha udito, di questo dà testimonian· za, ma la sua testimoni�.nza nessuno la accetta. D Chi accetta la sua testimonianza imprime il suo sigillo dichiarando: " Dio è !cale »; " l'inviato di Dio oropone infatti le esigenze di Dio; ne è prova che esse comunicano lo Spirito senza misura. 35 I l Padre ama il Figlio e ha posto tutto nelle sue mani; 36 chi dà la propria adesione al Figlio possiede vita definitiva, chi non dà retta al Figlio non saprà cosa sia !a vita: no, la riprovazione di Dio rimane su di lui. 31

4 1 I farisei vennero a sapere che Gesù faceva più discepoli e bat tezzava più di GiO\·:mni 2 (sebbene in realtà non battezzasse lui personalmente, ma i suoi discepoli). 3 Quando Gesù lo seppe abbandonò la Giudea e tornò in Gal ilea.

NOTE FI LOLO G I C H E 3 , 2 2 Dopo 21 l). ' 24

un

certo tempo, gr. meta tauta (5, 1 ; 5 , 14; 6, l ; 7 , l ; 1 3 , 7 ; 19, 38;

(non avevano ancora), gr. gar. Parentetico, cfr. 4, 7-8 note; 6, 64.

25 intavolarono, gr. egeneto. Avvenne; ma la preposizione ek indica che i discepoli di Giovanni prendono l'iniziativa.

192

3, ZZ - 4, 3.

Sostituzione del mediatori

- con un giudeo. Secondo altri mss., co11 alcu11i giudei. Dal punto di vi sta cri­ tico, il sg. è lecrio di{ficilior (unico caso in Gv) e, pertanto, rreferibile. Dal punto di vista del contesto, situandosi l'azione fuori della Giudea, risu l ta più probabile il sg. In ogni caso, il giudeo • rappresenta la sua c las s e ( 1 , 19 nota). - su certi riti di purificazione, gr. peri katharismou. Katharismos, con arti­ colo, deno ta la puri fi caz ione legale (cfr. 2, 6). Qui, senza articolo, è riferito contestualmente ai battesimi di . Giovanni e di Gesù, interpretati come riti eq uiv al ent i a purificazioni legali. •

26 In seguito andarono, gr. kai [�lthon ]. Successivo: poi, dopo, allora. - ecco che, gr. ide [guarda]. Usato come particella per richiamare l 'a t t enzio ne su un avven imento.

27 Nessuno può, gr. ou duruztai anthropos. Ha valore universale data l'in­ dete rmi na tezza (un/qualunque uomo). - appropriarsi, gr. lambanein. Prendere [e fare suo ] . Forma dinamica che prepara quella statica ho ekh6n ten numphen (3, 29). - cosa alcuna, gr. ouden. Neanche una cosa, cfr. 1 , 3. - dal cielo. Cfr. l , 32 (senza articolo); 3, 13. 28 -

di non essere io il Messia. Cfr. l, 20. davanti a lui. Cfr. l, 15.27.30.

29 Quello che prende con sé, gr. ho ekh6n. Forma statica in luogo della dinamica: quello che ha preso con sé; in it. presente atemporale. - rimane accanto a lui. Cfr. l , 26 nota. - prova grande gioia, gr. khara khairei. Complemento interno intensivo. - è giunta al colmo, gr. perpler6tai. Pf. di termine definitivo. 30 A lui spetta, gr. ekeinon dei. Denota una necessità di fatto (lui deve crescere), conseguenza della sua funzione messianica. 31 Colui che proviene dall'alto (cfr. 7, 28.29). Vi sono codici che ripetono qui la frase è al di sopra di tutti. Il testo è dubbio. Per criterio interno (è apparentemente superfluo), si adotta la lettura breve. 33 imprime il suo sigillo, gr. esphragisen. Aor. gnomico. In it. presente atemporale. - dichiarando. La partic. hoti, recitativa, introduce un discorso diretto che suppone un verbo di dire. Si tratta della dichiarazione che accompagna l'atto di porre il sigillo e che es prime il con vin ci m ento che ci sarà tale ratifica.

. - Dio è leale, gr. aléthés. In relazione con la lealtà di l , 4.17; 3 , 2 1 , l 'espressione indica le opere (il dono dello Spirito e la vita nuova) dell'amore di Dio. J4

l'inviato di Dio propone infatti ... ne è prova che, gr. gar ... gar. Il pri­ mo gar introduce la prova/spiegazione della lealtà di Dio e comprende il verso intero; il secondo, in cambio, introduce il motivo della frase prece­ dente: la prova che l'inviato di Dio propone le esigenze di Dio è che que­ ste, a differenza di quelle di Mosè, non sono soltanto parole: con esse co­ munica lo Spirito (l, 33; 3, 3.5.6.7.8; 6, 63.68). - le esigenze. gr. ta remata. Uno dei termini impiegati nell'AT greco (LXX) per designare i comandamenti, gli ordini di Dio della Legge mosaica (Es 34, 1 .2728; D t 4, 13: i dieci comandamen ti; 5, 22; IO, 2). Si t raduce es igen•

193

Il Jlloruo del Messia. Ciclo delle lotltuziOIII

ze • per differenziare questo termine da entole che si traduce con • coman­ damento/incarico • (cfr. 13, 34). Il termine • parole •, che si trova spesso nelle traduzioni di questo versetto, è inadatto perché non contiene il sema di • ordine •. essenziale componente del vocabolo originale. - ne è prova che esse comunicano, gr. gar ... didosin. Questo verbo non ha soggetto esplicito. La frase spiega il motivo (gar) che permette di afferma· re che le esigenze proposte dall'inviato sono quelle di Dio; la prova si basa su un'esperienza dello Spirito comunicato. La comunicazione, pertanto, non è indipendente dalle esigenze stesse, dato che in caso contrario non si po­ trebbe sapere che queste sono di Dio se non per testimonianza esterna, an­ che indipendentemente dall'inviato stesso. Essendo il principio valido per ogni generazione cristiana (parla la comunità di Gv), è attraverso le esi­ genze stesse che deve essere possibile percepire la sua origine divina, con l'esperienza dello Spirito che esse stesse comunicano. Questa interpreta­ zione coincide con quanto espresso in 6, 63: le esigenze che vi ho esposto finora sono spirito e sono vita; e in 6, 68: le tue esigenze comunicano vita definitiva ( Spirito). Grammaticalmente, è un caso di soggetto neutro plurale con verbo al singolare, cfr. 5, 36; 6, 63; IO, 25. =

36 non saprà cosa sia la vita, gr. ouk opsetai zoen. Non vedrà la .-ita (metaf.), senza artic. Il futuro è in opposizione a quello di l , 5 1 : vedrete il cielo ormai aperto, ecc.; cfr. 1 , 50; 1 1 , 40; 3, 3: non si può scorgere il regno di Dio. - la riprovazione di Dio rimane su di lui, gr. hé orgé tou Theou menei ep'auton. In opposizione a l , 33: menon ep'auton, detto dello Spirito che rimane sopra Gesù. Se lo Spirito è l'amore di Dio, la orgé è il suo con­ trario: odio, ira, riprovazione (cfr. Lett.). 4, 1-3 l farisei vennero a sapere. In gr., 4, 1 , comincia: quando Gesù seppe che erano venuti a sapere, mentre il verbo il cui soggetto è Gesù, si trova in 4, 3: ab bandonò la Giudea ecc. Per evitare il lungo inciso, che complica eccessivamente il periodo, si unisce il soggetto con il verbo.

CONTEN UTO E DIVISIONE L'unità d i questa pericope è marcata dalla menzione iniziale e finale della Giudea e dei battesimi di Gesù e di Giovanni (3, 22s; 4, ls). Tutto il suo contenuto si riferisce pertanto alla permanenza di Gesù nella provincia, fuori della capitale; tuttavia, come nell'episodio di Nicodemo (3, 1]-21). an­ che qui la pane narrativa viene prolungata con una esposizione che, comin­ ciando sulla bocca di un personaggio (Giovanni Battista). si stacca poco a poco dalla sua figura, fondendosi sempre più con la voce del narratore. Nel­ l'una e nell'altra forma, costui sviluppa il tema teologico, suo principale obiettivo. Questo episodio è separato temporalmente (dopo un certo tempo) e local­ mente (andò) da quello anteriore. Tornano d'altra parte a comparire i di­ scepoli di Gesù. e ambientato nella regione della Giudea. La pericope mostra l'ostacolo che si oppone alla sostituzione dell'alleanza e delle sue istituzioni che Gesù ha proposto: l'assolutizzazione degli inviati di Dio dell'antica alleanza; loro e il loro messaggio non vengono conside­ rati come annuncio e preparazione del Messia, ma fine a se stessi. Un caso estremo è quello di Giovanni Battista: malgrado egli abbia affermato ripetutamente di essere soltanto un precursore, i suoi discepoli vogliono

194

3, ZZ • 4, 3. Sostituzione del Jlledlatorl

far di lui un protagonista, opponendolo a Gesù. Giovanni afferma di nuovo la sua missione preparatoria ed esprime la sua gioia per il successo del Messia. Senza nominarlo, si passa allora alla considerazione della figura di Mosè, il primo della catena di inviati, la cui Legge, ritenuta uno stadio definitivo, diviene ostacolo per l'accettazione del Mess ia . La pericope inizia descrivendo la si tuazio ne (3, 22-24). L'incidente dei disce­ poli di Giovanni con il giudeo e il loro ricorso al maestro provoca la ri· sposta di G iovanni (3, 25-30). Il discorso si svi lup pa su Mosè, il primo anello della catena che terminerà con Giovann i (3, 31-36; 3, 31 Lett.). La pericope si chiude con la menzione di Gesù che abbandona la Giudea (4, 1-3). Riassumendo:

3, 22-24: Andata di Gesù nel territorio della Giudea e battesimi paralleli. 3, 25-30: Allarme dei discepoli di Giovanni . Giovanni e il Messia-Sposo, che inaugura la nuova alleanza. 3, 31-36: Superiorità del Messia-Figlio su Mosè, il primo e il prototipo degli intermediari dell'antica alleanza. Diffidenza dei farisei. Gesù abbandona la Giudea. 4, 1-3:

LETIURA Andata di Gesù nel te"itorio della Giudea e battesimi paralleli 3, 22 · Dopo un certo tempo, Gesù andò con i suoi discepoli nel territo­ rio della Giudea, si trattenne li con loro e battezzava.

Tenendo in conto l'episodio precedente, si indica uno spostamento da Gerusalemme, la capitale, alla provincia; il dato cronologico è vago e Gv non traccia un itinerario preciso. Il territorio della Giudea si trovava sotto la diretta ispezione e giurisdizione di Gerusalemme (4, 1). � la prima volta dal prologo ( l , 1 1 : venne a casa sua, ma i suoi no n l'accolsero), che Gesù è soggetto del verbo andare/venire/giungere (in greco un unico verbo). Le frasi sono pertanto parallele: venne a casa sua/venne/andò nel territorio della Giudea. Gesù si presenta per la prima volta in Giudea per esercitare un'attività con il popolo. I n Gerusalemme aveva fatto una proclamazione e una denuncia, rifiutate o male interpretate; ora si allontana dalla capitale e va nella provincia per reclutare adepti. L'identificazione del territorio della Giudea con la casa sua/i suoi (l, 1 1 ) spiega perché Gesù, parlando con la samaritana, s i presenti come appartenente alla Giu d ea (4, 22) e che più tardi, in occasione della sua andata in Galilea a causa del sospetto dei farisei (4, 1-3, 43), possa citare, applicandolo a se stesso, il proverbio: nessun profeta lo si onora nella sua propria terra (4, 44). I farisei di Gerusalemme non riconosceranno che « la casa » di Gesù sia la Giudea, lo considerano un galileo (7, 52: vedrai che un profeta 195

Il gloi"'IO del Messia. Ciclo delle bdtuzlolli

dalla Galilea non spunta). Giudicano con criteri geografici, mentre il luogo di origine di Gesù è la sfera divina (3, 3 1 : dall'alto, dal cielo) ed egli,

come Messia, appartiene al popolo come tale. Secondo il testo Gesù battezzava, anche se per m ezzo dei suoi discepoli, come si preciserà in 4, 2. Tuttavia, non si indica che restasse fisso in un luogo. Come il battesimo di Giovanni (cfr. ! , 25s.3 1 .33), anche quello di Gesù simboleggia la rottura con il passato e l'adesione alla novità che egli rappresenta; esprime un cambiamento di fedeltà: per questo deste· rà i sospetti dei fa ri sei (4, 1 ) . In questa circostanza, dopo l'episodio del tempio (2, 13-22), c'è la rottura con le istituzioni di Israele. Gesù desta l'inquietudine e. ra ccogl ie adepti in piena Giudea, non lontano dalla capitale; chiaramente, è una sfida alle autorità centrali, che lo hanno rifiutato. 23-24 Anche Giovanni stava battellando a Enon, presso

Salim, essen­ dovi lì acqua abbondante; si presentava gente e veniva battezzata; (non avevano ancora messo Giovanni in carcere).

In secondo luogo, in contrapposizione a Gesù, viene introdotto Giovan­ ni, che secondo l'incarico ricevuto da Dio continua a battezzare con acqu a , affinché Gesù si manifesti a Israele {1, 3 1 .33). Giovanni si trova adesso in una località diversa da quella dov'era stato al principio (1, 28; 3, 26; 10,40). In questo momento si trova a Enon ( le Fonti), nel territorio della Scitopoli, nella Decapoli (localizzazione più probabile di Salim). Gv segnala l'abbondanza di acqua in questo luogo; tale dettaglio introduce un'opposizione con le giare di Cana , che non contenevano acqua. Si ricordi la grande capacità di quei recipienti (2, 6s). Le giare vuote mostravano che all'interno del sistema legale, la purificazione era impossibile. Facendole riempire, Gesù indicava essere lui quello che stava per dare la vera purificazione, ma che questa avrebbe implicato la rottura con il sistema legale, in conseguenza del cambiamento di alleanza. La sua purificazione si opera con lo Spirito (2, 9). Il passo iniziale, la rottura con le istituzioni giudaiche, è compiuto dal battesi­ mo di Giovanni. L'evangelista lo segnala indicando che questi sta per essere messo in carcere: egli, come più tardi lo sarà Gesù, è un perseguitato dalle autorità. Il suo itinerario e la sua sorte assomigliano a quelli di Gesù. La rottura con la situazione esistente è a portata di mano di tutti: c'è acqua abbondante. All 'interno del sistema « dei giudei » non poteva esserci purificazione, perché l'impurità consisteva appunto nell'appartenere ad esso (8, 23). In questa pericope Giovanni utilizzerà l'immagine del Messia-Sposo, e definirà se stesso come l'amico dello Sposo. A lui spetta di preparare la sposa (bagno pre-nuziale) per le nozze; preparare il popolo, traendolo fuori dalla sfera istituzionale in cui vive, affinché incontri il Messia, che si situa fuori di essa. Giovanni ha mutato località. Sembra pertanto che sia andato incontro a difficoltà nel continuare la sua opera a Betania ( 1 , 28) e che fosse già perseguitato; così insinua l'evangelista (non avevano ancora messo Giovanni in carcere). Ha cambiato localizzazione, trasferendosi in una regione non sottoposta alla giurisdizione giudaica e romana della Giu=

196

!, ZZ - 4, 3.

Sostituzione del DMdlatorl

dea e, al tempo stesso, di quella di Erode in Galilea. C'è gente che si presenta a Enon e si fa battezzare da Giovanni, anche se non se ne precisa il numero. Né manca chi continua a mostrare il suo scontento davanti alla situazione esistente. Paragonando i versetti 22 e 23, si vede che il campo di attività di Gesù si estende all'in tera regione (il territorio della Giudea ... Il), mentre Giovanni si ferma in un luogo determinato (in Enon ... lì). Non si menziona l 'acqua in relazione a Gesù, mentre si sottolinea l'abbon­ danza di cui dispone Giovanni. Questi appare come una figura statica (stava); quella di Gesù è una figura dinamica (andò). Non si menziona il concorso di gente attorno a Gesù; inoltre egli è soggetto agente (battezzava) ; da Giovanni andava la gente e veniva battezzata. I due personaggi, Gesù e Giovanni, appaiono separati e in contrasto, non comunicano né collaborano. Non c'è trapasso dall'antico al nuovo. Esistono due battesimi paralleli, e questa situazione crea un dilemma: recarsi d a Gesù o da Giovanni. Sarà risolta da quest'ultimo.

Allarme dei discepoli di Giovanni. Giovanni e il Messia-Sposo che inaugura la nuova alleanza 25 I discepoli di Giovanni intavolarono una discussione con un giudeo su certi riti di purificazione. In questa situazione stabile, si produce un fatto che suscita il proble­ ma: la discussione dei discepoli di Giovanni con un giudeo. t:: strano che appaia un gruppo di adepti di Giovanni dopo che Gesù ha inaugurato in maniera clamorosa la sua attività (2, 13ss). Come aveva affermato lo stesso Giovanni, la sua missione consisteva nel dare testimonianza affinché il Messia si manifestasse a Israele ( l , 31); vale a dire, il suo battesimo con acqua non aveva altra finalità che quella di preparare il terreno a colui che giungeva dietro di lui. Questi discepoli che continuano a stringersi a Giovanni mostrano di non aver compreso il suo messaggio, non essendo andati con Gesù, come altri avevano fatto ( 1 , 35: due discepoli, Lett.). D'altra parte, mentre questi si presen­ ta in Giudea accompagnato dai suoi discepoli, Giovanni appare a Enon da solo. Al contrario dei primi giorni ( 1 , 35), questi discepoli non formano un circolo intorno a lui. Possono stare da un'altra parte. La dichiarazione di Giovanni (3, 27-30) sarà un nuovo invito a mettersi al seguito di Gesù. Nella discussione prendono l'iniziativa i discepoli di Giovanni; ciò indica un contrasto di opinioni. Questi discepoli, fedeli a Giovanni che considerano come maestro, si mettono a d iscutere con un giudeo. Questi, uomo della Giudea, regione dove sta Gesù, comunica loro la notizia della sua attività che essi precedentemente ignoravano. t:: quanto fa capire la loro reazione e il loro i ndignato ricorso a Giovanni (3, 26). Nasce la discussione. I discepoli d i Giovanni e il giudeo non interpretano i battesimi di Giovanni e di Gesù come simboli di adesione alla speranza del Messia e alla sua persona. Non comprendendo questo significato i discepoli di Giovanni lo considerano un rito purificatorio ,

197

n

liomo del

Masla. Ciclo delle Jatltuzlonl

in più; da parte sua il giudeo, figura che allude a 2, 6 (alla purifica­ zione dei giudei) , essendo un seguace della Legge li vede anch'egli così. L'uno e gli altri rimangono nella mentalità dell'antica alleanza. Se si priva Giovanni della sua relazione con Gesù, quella di precursore, lo si riduce a un mero personaggio in più dell'alleanza antica, integrato nel regime della Legge.

26a In seguito andarono dove stava Giovanni e gli dissero: stro ...



Mae­

Come risultato della discussione, e informati dell'attività di Gesù, i discepoli, della cui localizzazione non si fa alcun cenno, vanno a vedere Giovanni per informarlo. Si mostrano allarmati, considerando Gesù come un rivale del loro maestro; espongono la loro amarezza o la loro irritazione. Usano nei confronti di Giovanni il trattamento rispettoso che si usava verso i letterati (Rabbì, maestro, cfr. 3, 2), usato fino adesso soltanto per rivolgersi a Gesù: l , 38: due discepoli; l , 49: Natanaele; 3, 2 : Nicodemo. Questi, invece, considerano Giovanni, non Gesù, come i l loro proprio maestro. Formano ormai un gruppo che vuole farne un lea­ der. 26b • quello che stava con te all'altro lato del Giorda110, e del quale tu desti testimonianza ... Gli parlano di Gesù ma senza nominarlo; al contrario, usano un tono dispregiativo: quello che ... del quale ... ecco .. . La prima frase collo­ ca Gesù nella stessa categoria di Giovanni, o piuttosto lo subordina a lui, dato che Giovanni rimane come centro (quello che stava con te). Inoltre, dato che Giovanni rese testimonianza in suo favore e lo fece conoscere (l , 34 ) , giudicano che Gesù sia debitore a Giovanni della propria fama. Si indignano che egli. che deve tutto a Giovanni, si sia messo a battezzare per conto proprio e si porti dietro la gente. Considerano questo fatto una concorrenza sleale, quella del favorito che tradisce il suo benefattore. Questi individui non avevano accettato o compreso la testimonianza di Giovanni; hanno aderito a lui, che era la figura popolare. Non hanno preso sul serio le sue dichiarazioni ( 1 , 26s: io battezzo con acqua; tra voi si è reso presen te ... colui che viene dietro di me), non si sono resi conto che il popolo non appartiene a Giovanni ( l , 27 : e non mi spetta di sciogliergli la fibbia dei sandali) . Come i farisei ( 1 , 25) , nemmeno loro sanno perché Giovanni battezza.

Ora si mostrano allarmati. 26c



ecco che sta battezzando e tutti accorrono da lui •.

Vengono descritte in maniere diverse l'attività di Giovanni e quella di Gesù. Riguardo alla prima veniva detto che la gente si presentava e veniva battezzata (3, 23) , senza indicare l'intenzione del battesimo né il risultato cui portava. Quella di Gesù viene descritta dai discepoli di Giovanni in ordine inverso: menzionano prima di tutto il fatto che Gesù sta battezzando e aggiungono poi che tutti si avvicinano/accorro­ no a lui (cfr. 4, 1 ) . Questo accorrere personalmente a lui indica che il 1 98

3, ZZ - 4, 3.

SoatltuziODe del mediatori

battesimo sfociava in un'adesione alla sua persona, che in qualche maniera credevano in lui (cfr. 6, 35). Mentre Giovanni annunziava sol­ tanto una speranza, la gente trova in Gesù non solo la rottura (battesi­ mo), ma anche la persona da seguire dopo. Il movimento di adesione a Gesù è generale (tutti). I discepoli di Giovanni rimangono perplessi e seccati davanti a questa realtà. 1:: questo significato di adesione personale a Gesù, rivestito dal suo battesimo, a far sì che l'autore segnali in principio che Gesù battezzava (3, 22.26; 4, 1 ) . Voleva stabilire solamente il parallelo e l'opposizione fra due battesimi, quello di Gesù e quello di Giovanni (3, 22-23). Per questo le prime volte attribuisce il battesimo a Gesù, tennine dell'adesione (3, 22.26); in seguito può onnai, senza rischio di equivoci, precisare che non Io amministrava personalmente (4, 2). 27 Replicb Giovanni: • Nessuno può appropriarsi cosa alcuna se non gli viene concessa dal cielo • .

Reazione di Giovanni: quello che avviene con Gesù è disegno divino. II principio che cita si applica anche a lui stesso: egli non ha diritto a prendersi nulla, perché non gli è stato concesso dal cielo. L'espressione • dal cielo • pone questo detto in relazione con la discesa dello Spirito sopra Gesù ( 1 , 32: ho contemplato lo Spirito che scendeva come colom­ ba dal cielo, e rimase su di lui). Giovanni attribuisce la missione sponsale di Gesù alla discesa dello Spirito; essa rappresenta la sua investitura messianica, attraverso cui egli l'aveva riconosciuto come il Figlio di Dio ( l , 34). Solo colui che possiede Io Spirito può attribuirsi tale titolo. Si ricordi che mai si menziona l'acqua in relazione al battesimo di Gesù, mentre si insiste su di essa a proposito del battesi­ mo di Giovanni (1, 26.31.33; 3, 23) . Il battesimo del Messia sarà quello con lo Spirito ( 1 , 33), e Giovanni prevede che quelli che aderiranno a Gesù dovranno riceverlo. Egli, che non ha ricevuto il dono dal cielo, non può pretendere di comunicare lo Spirito (cfr. 3, 34) . Giovanni riaffenna, quindi, la sua missione di precursore (1, 22s); egli è venuto per rendere testimonianza della luce ( 1 , 7). L'autore mette in contrasto la fedeltà di Giovanni all'incarico ricevuto con l'ostinazione dei suoi discepoli, che insistono nel considerarlo il personaggio definiti­ vo. L'evangelista riflette probabilmente in tutto questo passo una situa­ zione posteriore. Esistono al suo tempo gruppi che si appigliano alla figura di Giovanni e vedono in Gesù un rivale che ha soppiantato l'avente diritto. t! un conflitto di attribuzioni messianiche: i seguaci di Giovanni vedono in lui il Messia. Di qui l'insistenza sulla purezza della testimonianza di Giovanni. • Voi stessi mi siete testimoni clze ho detto di non essere io il Messia, ma di essere stato inviato davanti a lui •.

28

Giovanni non ha mai mutato la sua testimonianza; dal primo giorno fino a ora sempre ha rifiutato di essere considerato il Messia ( 1 , 20.25); al contrario, è stato esplicito nel ricalcare la sua missione di precurso­ re, di preparatore ( l , 23) . Non è lui, pertanto, il salvatore; questo ruolo spetta a colui che egli ha annunciato. 199

D Rtomo del Menta. Ciclo aette latltuzfonl

29a

« Quello che prende con sé la sposa è lo sposo

•·

La sposa è figura del popolo, secondo le immagini usate dai profeti 1 (2, l Lett.). Conseguenza del principio enunciato in precedenza (3, 27: nessuno può appropriarsi cosa alcuna se non gli viene concessa dal cielo) , se Gesù prende con sé la sposa, è perché è consacrato Messia ( 1 , 33: lo Spirito rimane sopra Gesù a mo' di unzione messianica) :

bisogna riconoscere in lui lo Sposo. Si sta verificando ciò che Giovanni aveva annunciato in varie occasioni ( 1 , 1 5 .27.30). Nuova allusione a Cana, nozze dell'antica alleanza, che stava per essere sostituita. Quello che veniva lì anticipato dal segno di Gesù è ciò che oggi Giovanni percepisce. Lo Sposo è presente. le vere nozze stanno per cominciare; poi lo sposo verrà chiamato il « Figlio • (3, 35s) . Il re � è appellativo dello sposo nel Cantico (1, 4.12; 3, 9.1 1 ) ; corrisponde a « il Messia "· che in quanto tale è il Figlio di Dio (Sal 2, 7). Questi titoli evocano numerosi passi dell'AT, che permettono il successivo sviluppo. a

29b c e l'amico dello sposo, clze rimane accanto a lui e lo sertte, prova grande gioia per la voce dello sposo » .

Giovanni definisce se stesso l'amico dello sposo, vale a dire colui che è incaricato che tutto sia pronto per le nozze, di preoccuparsi dell'anda· mento dei festeggiamenti e di preparare la sposa 2• � chiara in questo versetto l'allusione ai testi di Ger 7, 34; 16, 9; 25. IO; 33, IOs. Nei primi tre si esprime la minaccia di Dio: c farò cessare nei paesi di Giuda e nelle strade di Gerusalemme la voce gioiosa e la voce allegra, la voce dello sposo e la voce della sposa, perché il paese sarà un deserto •. Dopo tale desolazione, il profeta annuncia l'epoca futura della restaurazione: • Nelle città d i Giuda e nelle strade di Gerusalem· me, ora desolate, senza uomini né greggi, si ascolterà ancora la voce gioiosa e la voce allegra, la voce dello sposo e la voce della sposa • (33, !Os). A Cana, nell'antica alleanza, non si udì la voce dello sposo né quella della sposa. Invece adesso Giovanni ascolta la voce dello sposo annunciato da lui { 1 , 27). che è, pertanto, il segno della restaurazione definitiva, dell'alleanza nuova; di qui la sua gioia. Non si ode ancora la voce della sposa; quelli che aderiscono a Gesù non hanno ancora ricevuto lo Spirito, che sgorgherà dal suo costato aperto (7, 39; 19,34) . Solo quando avrà inizio il nuovo giorno, quello della nuova creazione, alla voce di Gesù risponderà quella della sposa. Maria la Maddalena (20, 16 Lett.), figura della comunità cristiana. l

Cfr. Is 62, 4s: • nessuno ti chiamerà più Abbandonata. né l a tua terra sarà più detta Devastata. ma tu sarai chiamata Mio Compiacimento e la tua terra, Sposata. perche il Signore si compiacerà di te e la tua terra avrà uno sposo. Sl. come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo creatore; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te •: Ger 2, 2: • così dice il Signore: mi ricordo di te. > ), alla dottrina ufficiale della Legge (la tenebra). e non riconosce il progetto divino sull'uomo ( l , 10). Re­ primendo l'aspirazione alla vita, si vede ridotto a uno stato di morte (5, 24) . che lo condurrà alla morte definitiva (Diz. Teo/., Morte >> III). L'episodio appare così come una rappresentazione di quanto annunciato da Giovanni Battista a proposito di Gesù: colui che toglierà il peccato del mondo ( ! , 29) . •





6 Gesù, vedendo/o prostrato e comprendendo che lo era già da tempo, dice: • Vuoi otte11ere la salute? •. Non si diae che Gesù vada alla piscina né che entri nel suo recinto. Si è detto soltanto che sta lì a Gerusalemme, e che all'interno della città vi era una piscina. Senza altra spiegazione, Gesù si trova fra la moltitudi­ ne degli infermi. La piscina è la città stessa. La sua folla, la massa emarginata che esiste a Gerusalemme 5• I segni della lunga infermità sono visibili; Gesù si rende con to dello stato avanzato della malattia. A quest 'uomo/popolo egli vuole dare la salute: all 'uomo senza forze, incapace di movimento e azione, vittima della sua infermità, uomo in condizioni disumane, senza creatività né iniziativa, Gesù offre implicitamente una speranza di salute. Compie il suo programma, agendo senza forzare la libertà. Non è un leader che proponga una ideologia. La sua proposta tocca l'essenziale dell 'uomo. la vita in quanto capacità e libertà di azione.

' Cfr. Jeremias, Jerusalén, pp. 136-138: • in verità, Gerusalemme era. già all'epoca di · Gesù, un centro di mendicità •, concentrata per di più " intorno al tempio •· l mendicanti non erano che un aspetto di tale quadro: • dobbiamo ricordare non soltanto i mendicanti per giustificare l'impressione che Gerusalemme. già all'epoca di Gesù, fosse la città dei vagabondi e, che un numeroso proletariato, che viveva dell'imponanza religiosa della città santa, facesse parte delle sue caratteristiche più singolari >. Non è facile, malgrado la qualificazione di Jeremias, ridurre tutto il fenomeno a • vagabondaggio •, tanto più che egli riconosce le enonni proporzioni assunte da questa situazione: • si constata con sorpresa quanta gente di questo genere esistesse durante gli ultimi anni prima della distruzione; si formarono al­ lora delle bande che terrorizzarono tutta Gerusalemme e che. più tardi. portarono la guerra civile nella città. Certamente. fra questi rivoluzionari, vi furono non po­ chi patrioti ferventi e uomini pieni di entusiasmo religioso; ma ci fu anche molta gente che Giuseppe Flavio qualifica a ragione come schiavi e persone senza scru­ poli •. Malgrado questa valutazione negativa di alcuni fennenti popolari, Jeremias conclude: • l'importanza che ebbero i fattori sociali nel movimento zelota si deduce. in modo particolannente chiaro, dall'entusiasmo con cui questi liberatori del popolo. nell'anno 66 d.C., bruciarono gli archivi di Gerusalemme per distruggere i documenti dei debiti che vi si custodivano •.

252

5, l-9a. L'Invalido cbe cammina

L'infermo gli rispo�e: • Signore, non ho un· uomo che, quando si agita l'acqua, mi ger t i nella piscina; me111re arrivo io Wl altro scende prima di me •. 7

In quanto infermo, non aveva speranza. Risponde rispettosamente (Si­ gno r e) ; continua a pensare che la sua salvezza sia nella piscina ed

espone a Gesù la propria situazione di dipendenza. Non può andare da solo e nessuno si presta ad aiutarlo. L'acqua della piscina si agitava di quando in quando, e questo veniva considerato come un segno prodi­ gioso che essa avrebbe guarito qualunque infermità. Di fatto, si attri­ buivano all'agitazione dell 'acqua della piscina proprietà curative 6• Però quest'acqua non serve a Gesù, come non gli serviva quella del pozzo di Giacobbe (4, 1 3 ) . Quella non calmava la sete, questa non guarisce. Non si afferma che coloro che scendevano venissero guariti. Il verbo che Gv usa, « agitarsi • , si riferisce sempre (nel NT 1 7 volte) a persone, non a elementi. Indica, in particolare, l'agitazione prodotta i n un gruppo o folla (At 15, 24; 1 7, 8.13; Gal l , 7; 5, IO). L'agitazione dell'ac­ qua rappresenta, pertanto, l'illusione del popolo oppresso di trovare rimedio in agitazioni popolari. È la lusinga di una liberazione che non arriva mai a concretizzarsi, fatta di aneliti sporadici, va.ne rivolte messianiche che sorgevano nella folla abbandonata. senza alcun risulta­ to. Ponevano la loro speranza nell'uso della forza e nella pressione sul potere. La menzione dell'acqua congiunge il passo con i riferimenti precedenti e annuncia quelle che seguiranno. L'acqua è fattore di vita, ma vi sono acque, come quella del pozzo di Giacobbe (4, 13) e questa, che per quanto la promettano, non possono darla. L'acqua di vita è quella del Messia (4, 1 4 ) . Io Spirito che sgorgherà da lui come da un nuovo tempio (7, 37-39). le acque placide di Siloe, la piscina dell'Inviato (9, 7 Lett.) situata fuori dalla città 7, in opposizione a questa. La guarigione diven­ tava impossibile (Zc IO, 2: • perché non vi era guarigione • ) . L'infermo la desiderava, ma era al di fuori della sua portata. Ora, pensando ancora alla piscina, vale a dire a ottenere una soluzione senza uscire dai limiti della istituzione nei cui principi crede (cfr. 5, 14) . l'invalido si attende aiuto da Gesù, ma questi gli darà la salvezza in un altro modo.

8

Gli dice Gesù:



Levati, prendi il tuo giaciglio e cammina

•-

Gesù risponde al desiderio. Alla situazione senza uscita può rimediare lui. Immediatamente gli dà la salute e con essa la capacità di agire da solo, senza dipendere da altri. La salute giunge all'infermo da dove non l'attendeva, senza chiasso. L'uomo può disporre del giaciglio che lo teneva immobile e può andare dove vuole. Il giaciglio, menzionato quattro volte (5, 8.9. 1 0. 1 1 ) , acquista un rilievo particolare. Esso gravava sull'uomo invalido; ora, guarito, l'uomo se lo carica sulle spalle. La parola di Gesù è quella che guarisce (4, 50 Lett.). dando forza e libertà. Cfr. Jeremias, Jerusa/én, p. 138: • questa piscina dovette essere un luogo molto frequentato da chi andava a chiedere grazie (anche dopo il 70 si considerava curati­ va, come indicano gli ex voto trovati negli scavi) •. ' Cfr. S. - B. I I , 530s. •

253

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

Gesù non solleva l'uomo: lo mette in condizioni di sollevarsi da solo e di camminare. II suo ordine è triplice: levati, prendi il tuo giaciglio e cammina. Basterebbe il primo, ed eventualmente l'ultimo, per indicare la guarigione e la libertà. I l ripetuto intercalare della frase: prendi il tuo giaciglio (5, 8.9.10 . 1 1 l mostra la sua importanza nella narrazione. Gesù rende l'uomo signore di ciò che lo dominava, gli fa possedere ciò da cui era posseduto. L'uomo era sottomesso e privato di iniziativa propria; ora può disporre di se stesso, con piena libertà di azione (cammina) . Di un uomo ridotto all'inutilità Gesù ne fa un uomo libero. 9a si

E immediatamente l'uomo ottenne la salute, prese il suo giaciglio e a cam111inare.

mise

L'ordine di Gesù si compie immediatamente e alla lettera. L'uomo esegue ciò che gli ha detto e si mette a camminare, caricandosi il suo giaciglio. lo come un morto risuscitato (5, 2 1 .25). Gesù appare come colui che è capace di dare vita a un popolo morto, sollevare gli assoggettati, reaJiz. zare la speranza. Non ha posto altra condizione che il desiderio della salute. Ora lascia all'uomo piena libertà. Non lo chiama a essere discepolo. lo ha reso sempl icemente uomo. Ormai liberato, deve trovare la sua propria strada. Non gli si è nemmeno dato a conoscere. La guarigione si deve, più che alla presenza fisica di Gesù, alla sua parola che porta speranza (5, 6) ed è efficace (5, 8) , vale a dire, al suo messaggio, non circoscritto a un luogo (4, 50 Lett.). L'uomo vi trova la capacità di azione (levati, ottenne la salute), la liberazione da un passato (prese il suo giaciglio) e la libertà per il futuro (si mise a cammina re).

S I NTESI Quest'episodio prelude all'esodo del Messia, l'uscita dalla terra della schiavitù. Per questo bisogna essere in grado di camminare; perciò la prima opera di Gesù è far camminare l'infermo, figura del popolo oppresso. Lo libera dalla soggezione che lo teneva prostrato e sull'orlo della morte. Dà all'uomo la libertà perché decida i l suo cammino. Gesù offre vera salute e libertà a tutto il popolo, che prima poneva la sua speranza in vane agitazioni popolari. Ciò gli scatenerà contro la persecuzione dei dirigenti.

254

· · -· ·

Gv 5, 9b-15: la Legge, ostacolo alla libertà

"' Quel giorno era riposo di precetto. 11 Dissero quindi l dirigenti giudei a co lu i che era ormai gua rit o: - Oggi è ripo so e n on t i è permesso prendere il tuo giac ig l io . 11 Egli replicò: - Colui che mi rese la salute, è stato lui a di rmi: • Prendi il tuo gi ac i gli o e ca m mi na • . 12

G li domandarono:

- Chi è l'uomo che ti ha detto: • Prendilo e cammina •? 1 1 Il guarito non sapeva chi fosse, perché, essendoci nel luogo molta gente, Gesù si era ritirato . 14 Dopo un certo tempo, Gesù andò a cercarlo nel tempio e gli disse: - Ecco hai ottenuto la salute. Non peccare più, non avesse a succeder­

ti qualcosa di peggio. 1 s L'uomo notificò ai dirigenti giudei: - Chi m i ha reso la salute è Gesù.

NOTE FILOLOGICHE 5, 9b Riposo di precetto, gr. sabbaton. Questa forma traslittera l'eb. sabbaton, che significa riposo obbligatorio. sia in giorno di sabato (Es 16, 23) che in altro giorno festivo (Lv 23, 2439). Il giorno di sabato, che non appare nel vangelo di Gv, viene indicato nei sinottici con la semplice fonna plurale (cfr. Mt 12, 5 : tois sabbasin hoi hiereis en t6 hier6 to sabbaton bebélousin, nei giorni di sabato, i sacerdoti nel tempio violano il riposo di precetto), oppure con l'espressione hé hémera ton sabbatéin (Le 4, 16). Come • riposo di precetto • deve essere interpretato in 5, 9 (riposo corrispondente alla festa menzionata in 5, 1 ) 10.16.18; 7, 2213; 9, 1 4 .16, e anche in 19. 3 1 (bis), dove .si tratta del riposo solenne proprio nel giorno di Pasqua, cfr. 19, 3 1 nota. Questa interpretazione è l'unica che spieghi la costruzione apparente­ mente strana: én de sabbaton en ekeiné té ltémerd e, parallelamente, quella di 9, 14. IO Dissero, gr. elegon. Cfr. El Aspecto Verbal, nn. 345ss. - a colui che era ormai guarito, gr. téi tetherapeumen6. Pf. di risultato sta­ bile, cfr. El Aspecto Verbal, nn. 383387.404. I l Colui che mi rese la salute, gr. ho poiésas me hugie (cfr. 5, 1 5). So­ stan ti vo astratto in luogo di aggettivo; frase equivalente, ma più idio­ matica di rendere/far diventare sano.

12 Prendilo, gr. aron. La costr. it . richiede che sia esplici tato l'oggetto. (N.d.T.).

14 Dopo un certo tempo. Cfr. 5, l nota. gr. euriskei auton. Pres. st.; cfr. l , 41, nota.

- andò a cercarlo,

255

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

- hai ottenuto la salute, con S. 1 1 .15.

15

gr. gegohas. Pf. di risultato definitivo, in parallelo

notificò. gr. an�ggeilen. Cfr. 4, 25 nota.

CONTENUTO E DIVISIONE La pericope sottolinea, da un lato, la somma indifferenza di Gesù per la istituzione giudaica. Egli agisce con piena indipendenza da ogni Legge e norma ufficiale. Determina, dall'altro, qual è stata la liberazione effet­ tuata da Gesù. La paralisi e l'inutilità dell'uomo dipendevano dalla sua sottomissione al sistema religioso oppressore. La pericope contiene due scene. La prima (5, 9b-13) descrive l'incontro dell'uomo con i dirigenti, che gli danno un ordine contrario a quello di Gesù. La seconda (5, 14-15) narra il suo incontro con Gesù nel tempio e l'informazione che dà ai dirigenti giudei. Si può dividere così:

5, 9b-13: II precetto del riposo, ostacolo alla libertà. 5, 14-15: Il peccato, causa dell'invalidità.

LETTURA

Il precetto del riposo, ostacolo alla libertà 5, 9b

Quel giorno era riposo di prece ito .

Non si era detto, fino a questo momento, che quel giorno fosse riposo obbligatorio. Gesù si è comportato come se non esistesse, senza tenere in alcun conto le disposizioni della Legge né l'interpretazione che di essa veniva data. Mostra la propria assoluta indipendenza rispetto alle istituzioni di Israele, la cui sparizione, insieme a quella dell'alleanza, aveva annunciato a Cana (2, 1 - 1 1 ) . La sua proposta era stata rifiutata in pieno

dai

dirigenti.

Ora

egli

ignora

ist ituzioni che essi controllano. S i

è

assolutamente

l'esistenza

delle

collocato al margine del sistema

religioso. La sua attività a favore dell'uomo non

è

limitata da nessuna

Legge.

La

violazione del riposo sarà la pietra dello scandalo per

i

dirigenti

giudei. Gesù non suscita la questione del giorno festivo né pretende di far polemica contro di esso; fa uso della sua libertà e continua il suo compito. Per lui conta soltanto i l bene dell 'uomo in qualunque circ(}­ stanza.

IO Dissero, quindi, i dirigenti giudei a colui che era ormai guarito: Oggi è riposo e non ti è permesso prendere il tuo giaciglio •.

«

l 56

5, 9b-15. T.a

Leae o•bcolo alla

Ubenlll

Appaiono sulla scena i dirigenti giudei, coloro che controllano la festa e il sabato. Loro sono invece ben coscienti del giorno di festa, e immedia­ tamente si rivolgono all'uomo guarito. Non interessa loro la sua persona né i motivi che possa avere per camminare portando un carico; si preoccupano soltanto dell'osservanza della Legge e, in suo nome, gli ricordano che è proibito portare il giaciglio. La loro proibizione si oppone parola per parola all'ordine di Gesù (5, 8 : prendi il tuo giaciglio). L'importanza del tema che si affronta qui è analoga a quella che assumeva fra i giudei l'osservanza del sabato, prototipo del riposo obbligatorio 1 • Secondo Es 20, 8- 1 1 , il precetto si fondava sul riposo di Dio al termine della creazione '· Nel libro apocrifo dei Giubilei, ante­ riore al NT (Secolo II a.C.), il precetto del sabato si presenta come la prima legge ricevuta dagli uomini e, di conseguenza, come il punto centrale di tutta la Legge. Per questo la sua violazione con il lavoro era passibile di pena di morte 1. Secondo la dottrina rabbinica, questo precetto obbligava tanto quanto tutti gli altri precetti della Legge messi insieme e ancora di più •. L'osservanza del sabato equivaleva pertanto a quella di tutta la Legge; la sua violazione o il suo disprezzo era violazione o disprezzo della Legge intera. Portare a spalla il giaciglio, sapendo che era giorno di precetto, significava non riconoscere la Legge, considerarsi libero dalle sue obbligazioni e dall'autorità dei suoi custodi e interpreti, i dirigen­ ti. Controllata da loro, la Legge non tollera la libertà dell'uomo; questi non è signore delle proprie azioni, deve attenersi a quanto è comanda­ to . . Invocando il giorno sacro, massimo precetto della Legge, vogliono togliergli la libertà che Gesù gli ha dato. Anzi, se Gesù avesse osservato la Legge, l 'uomo avrebbe continuato a essere invalido. Includendo nelle parole/messaggio di Gesù, che guariscono l'invalido, una violazione del precetto (prendi il tuo giaciglio) . Gv indica la relazione esistente fra la Legge e · l'invalidità, relazione già insinuata in precedenza collocando la moltitudine di infermi nei portici che rappre­ sentavano la Legge (5, 2-3 Lett.). Questa, utilizzata come strumento di oppressione, causava l'infermità e proibiva la guarigione. Per suo mezzo si manteneva il popolo in uno stato d'impotenza. La Legge era al servizio del potere e, come si poteva dedurre nel caso del funzionario regio, era il potere a tenere il figlio/popolo sull'orlo della morte (4, 49.53 Lett.). Il giaciglio, luogo dell'inattività, si identifica con il sabato, precetto ' Poiché il sabato era il giorno di riposo obbligatorio più frequente e il prototipo del precetto, d'ora innanzi si parlerà indistintamente di • sabato • o di • riposo di precetto •. 2 Cfr . Es 20, S. l l : • ricordati del giorno di sabato per santi ficarlo: sei giorni fati­ cherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Si�nore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro • ; cfr. Dt 5, 12·15. l Cfr. Leipoldt-Grundmann, El Mundo del Nuevo Testamento, I, p. 225. 4 Cfr. S. - B. I. 905.

257

h pomo del Mesola. Ciclo

deH'aumo

e con esso la Legge intera - la dell'inattività. l; questo precetto causa e l'alleato dell'invalidità. La sottomissione al regime incarnato dalla Legge è che trasformava il giaciglio nel • tuo giaciglio • (5, 8.9.10 . 1 1 ) . Gesù ha dato all'uomo la facoltà di sbarazzarsi della sua soggezione, di disporre di ciò che lo teneva soggiogato. Si alleano, da un lato, la festa dei giudei (5, 1 ) , in cui il popolo costituisce uno spettacolo di dolore e miseria (5, 3); dall'altro, il precetto del riposo, che vuole impedirgli la libertà, e con esso la Legge, manipolata dalle autorità, che causa la prostrazione del popolo. Non si indica che l'uomo fosse uscito dal recinto della piscina né dove si incontrò con i dirigenti. Questo conferma che la piscina rappresenta­ va la città (5, 2·3 Lett.). -

I l Egli replicò: • Colui che mi rese la salute, è stato lui a dirmi: " Prendi il tuo giaciglio e cammina" • .

L'uomo dà la sua spiegazione. Egli fa ciò che gli hanno detto. Si è sentito libero dalla Legge, perché colui che fu capace di dargli la salute pote\'a a maggior ragione dargli la libertà. 12 Gli domandarono: cam1nina " ? » .



Chi è l'uomo che ti ha detto:

"Prendi/o

e

La replica dell'uomo allarma i dirigenti; non si tratta onnai di una violazione particolare commessa da un individuo poco religioso: esiste qualcuno che si arroga il diritto di esimere dali 'osservanza della Legge_ Non reagiscono davanti alla notizia della guarigione: il bene dell'uomo non importa loro; invece, gli domandano immediatamente chi può essere costui che osa dispensare gli altri dalle loro obbligazioni religio· se. Appaiono qui due mondi: quello dei dirigenti, interessati soltanto all'im· posizione dell'osservanza, e quello della moltitudine, che brama sfrutta­ re la benché minima speranza di uscire dal suo stato (5, 7) . Sono due sfere senza comunicazione, sebbene non indipendenti, perché i dirigenti si arrogano il dominio sulla massa del popolo. Essi non cercano soluzioni alla situazione disperata; aggiungono ad essa un'altra schiavi­ tù: quella dei precetti. La sorte di quei disgraziati è per loro indiffe­ rente; ma appena avvertono un'erosione della loro autorità, intervengo­ no senza indugio. La sfera legale è l'ambito del loro potere; la Legge, Io strumento del loro dominio. Non importa per loro che l'uomo sia sano o infenno; pretendono unicamente di conservare la propria egemonia. In 2 , 13ss la pasqua del regime appariva come uno sfruttamento econo­ mico del popolo; in 5, l ss, la festa del regime risulta una farsa. Vi è una festa ufficiale, mentre esistono moltitudini abbandonate alla loro miseria. Un caso come quello presente, quello di un invalido guarito. sarebbe un vero motivo di gioia in consonanza con la festa; ma i dirigenti lo amareggiano invocando l'obbligo. La libertà di un uomo li irrita, e il fatto che vi sia chi libera li allarma. Questo tale è per loro evidentemente « l'uomo • nemico del Dio datore della Legge, dato che osa opporsi a essa. Domandando chi gli abbia dato quest'ordine, i dirigenti non menziona-

258

5, 911-15. La Lene ostacolo alla libertà.

no più il giaciglio (prendilo). Fanno risaltare, sul piano simbolico, l'opera liberatrice di Gesù. Aver posto l'uomo al di sopra dell'obbligo del riposo (il giaciglio) equivale a parlo al di sopra di ogni norma che si opponga alla sua libertà d'azione. Vedono chiaro che, soppressa la soggezione al precetto, l'uomo si libera interamente dal loro dominio. La festa è contingente, occasionale, mentre la miseria è permanente. I l passo sottolinea i l totale disinteresse dei dirigenti rispetto a l popolo. I l tempio celebra le sue feste senza assolutamente occuparsi della situa­ zione reale; inoltre, quando sorge un barlume di libertà, i fedeli del regime lo reprimono. Vogliono spegnere la vita, che è la luce ( 1 , 5; cfr. 10, 8). 1 3 11 guarito non sapeva chi fosse, perché, essendoci nel luogo molta gente, Gesù si era ritirato. Si insiste sul fatto della guarigione (il guarito). L'infermo si era fidato di un uomo (5, 12: chi è l'uomo) e ha trovato la sua liberazione. Colui che aveva perso la speranza di trovare un uomo che lo aiutasse (5, 7) lo ha trovato in Gesù e, fidandosi di lui, ha recuperato la sua propria umanità. Prima non trovava solidarietà, vale a dire amore: la Legge non l'aveva dato. Al contrario, utilizzata dai dirigenti, lo impediva (cfr. 2, 4 : non hanno vino). Ora, in Gesù, comincia a splendere l'amore leale di Dio. « Il luogo • è espressione consacrata per designare il tempio (4, 20; I l , 48), dove avrebbe dovuto essersi manifestata la gloria di Dio. Ma Dio non è più presente in quel tempio, trasformato in un mercato (2, 16). Questo • luogo • comprende la piscina (la città), simbolicamente ab­ bracciata dai portici del tempio che la domina (5, 2); e l'atrio (10,1) dove stanno le pecore (2, 14s; 5, 2: la Pecoraia) destinate alla morte. � lì che vi è « molta gente •, la moltitudine descritta all'inizio (5, 3). Gesù si era ritirato. Non cerca popolarità, intende soltanto dare vita. Ha restituito all'uomo la sua forza, senza richiedergli nulla. L'amore è dono gratuito.

Il peccato, causa dell'invalidità 14

Dopo un certo tempo, Gesù andò a cercarlo nel tempio e gli disse: Ecco, hai ottenuto la salute. Non peccare più, non avesse a succeder­ ti qualcosa di peggio •·

«

Passato un certo tempo, Gesù si trova con l'uomo che aveva liberato dall a sua infermità. La localizzazione, nel tempio, raccoglie quella del versetto anteriore, nel luogo. Il tempio ha cessato di essere il luogo dove sta Dio, e Gesù si propone di trarne fuori il popolo (2, 1 5b Lett.). Mantenersi nel suo recinto significa accettare di essere sfruttato e rinunciare alla libertà. Questo tempio e il suo culto devono sparire (4, 2 1 ) ; sono incompatibili con Gesù, la cui persona li sostituirà (2, 19). Il tempio inoltre impone la Legge al popolo intero, riducendolo alla miseria e all'impotenza (5, 2 Lett.). Incontrandolo lì, Gesù gli dà un avvertimento: non peccare più, non avesse a succederei qualcosa di peggio

•.

259

n elomo del Ma1la. Ciclo dell'uomo

Queste J)arole indicano in Jlrimo luogo che la sua infennità - e anche quella degli altri infermi (il popolo) - era causata dal loro peccato . D'altra parte il suo contrario, la salute, viene dalla parola di Gesù e significa forza che libera, permettendo di uscire dalla prostrazione causata dal dominio di coloro che controllano la Legge. Il peccato consiste, pertanto, nell'accet tare volontariamente il dominio dell'istitu­ zione, avallando con la sottomissione il regime di ingiustizia. Il peccato di quest'uomo è il peccato del mondo ( l , 29), vale a dire la rinuncia volontaria alla vita, la sottomissione alle tenebre non ricono­ scendo la luce ( 1 , 10). Gesù lo ha liberato dalle tenebre/morte. dal sistema oppressore. Per i dirigenti il peccato era andare contro la loro Legge; per Gesù è andare contro la vita, che va realizzando il proge tto creatore di Dio. Se, dopo aver scoperto la libertà, l'uomo continua a dare la sua adesione al regime ingiusto, può succedergli qualcosa di peggio: non più l'infermità, ma la morte stessa. Gesù tuttavia non forza la sua decisione; come lasciò alla sua iniziativa il levarsi, prendere il suo giaciglio e mettersi a camminare, così ora non gli impedisce di fare un passo indietro, che sarebbe definitivo. Di fronte al dominio e all'impo­ sizione dei dirigenti, Gesù si presenta come colui che ristabilisce la libertà rispettandola. Egli non si impone all'uomo né lo domina. Lo stesso avverrà alla fine con Giuda; Gesù gli porrà nelle mani la sua propria vita, !asciandogli l'opzione tra aderire a lui o consegnarlo alla morte (13, 26s Lett.).

15 L'uomo notificò ai dirigen ti giudei: Gesù • .



Chi mi ha reso la salute è

Una volta conosciuto Gesù e ricevuto il suo avviso, l'uomo va a trovare i dirigenti, che gli avevano proibito di essere libero invocando il precetto. La sua frase si contrappone a quella che essi avevano pronun­ ciato: è riposo e non ti è permesso; l'uomo risponde: chi mi ha reso la salute è Gesù alludendo alla frase precedente: colui che mi rese la salute, è stato lui a dirmi: • Prendi il tuo giaciglio •. Gesù è la norma, in luogo del sabato. Egli, che dà la vita, sostituisce la Legge della morte. Per bocca di quest'uomo, il popolo liberato attribuisce la sua salvezza a Gesù ( = Dio salva, libera), e dà testimonianza di essa davanti ai suoi antichi oppressori. L'insistenza sul nome di Gesù in questi episodi (5, 1 .6.8. 14.15) si trasforma in una confessione della sua missione liberatrice. Nella prima salita a Gerusalemme Gesù denunciò l'istituzione del tem­ pio, provocando una vasta ma errata adesione (2, 23s). Avviene ora la seconda salita, anonima, in cui Gesù libera il popolo senza strepito né segni portentosi (4, 48), senza apparire come leader. Ha visitato ora il tempio senza farsi conoscere; comunica vita al popolo, sottraendo fedeli all'istituzione giudaica e portando alla rottura con essa, che è causa della prostrazione del popolo: solo suo malgrado giunge la salute. I n ogni caso, vi è ormai chi può camminare. 1:. diventato possibile co­ minciare l'esodo.

260

�. 9b-l�. La Legge oatacolo alla libertà l

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SINTESI

In questa tappa della sua attività, Gesù prescinde completamente dai dirigenti e dalla istituzione manipolata da loro; essi avevano rifiutato la sua de n u n c i a e la sua proposta. Per lui importa unicamente l'uomo, per questo va dove questo si trova ridotto alla miseria e all'impotenza. Procede così passando sopra alle prescrizioni religiose; è del tutto indifferente all'opinione dell'autorità. Abilita l'uomo all'attività facendolo camminare per conto proprio. L'esperienza della sua integrità riacquistata gli conferisce libertà dinan­ zi alle istituzioni. Gesù non provoca la ribellione, la sua missione non si definisce in opposizione a quel sistema politico-religioso, ma per il suo aspetto positivo: comunicare salute e forza. Si propone di formare una comunità umana alternativa, creando l'ambiente della libertà e della vita, dove l'uomo possa entrare abbandonando il regime di oppressione e di morte. II peccato è restare volontariamente nella tenebra, o tornare ad essa, rinunciando a realizzare il progetto di Dio. Si profila l'esodo del Messia.

261

Gv 5, 16-30: L'opera di Gesù, opera del Padre 1 6 Appunto per questo i dirigenti giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché compiva tali cose in giorno di riposo. 17 Gesù replicò loro: - Mio Padre fino ad ora continua a lavorare, e anch'io lavoro. 1 8 A motivo di ciò, i dirigenti giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non solo sopprimeva il riposo di precetto, ma inoltre chiamava Dio suo Padre, facendo se stesso uguale a Dio. 1 9 Gesù reagì dicendo loro: - Davvero vi assicuro: Un figlio non può far nulla di propria iniziati­ va: deve vederlo fare dal padre. Così, qualunque cosa questi faccia anche il figlio la fa uguale. "" Il Padre infatti vuoi bene al Figlio e gli mostra tutto ciò che fa, e gli mostrerà opere m aggiori di queste, a vostra meraviglia. 11 Come il Padre suscita i morti dando loro vita, così il Figlio dà vita a coloro che ama; 22 infatti il Padre non emette sentenza contro nessuno, ma la sentenza l'ha delegata tutta al Figlio, 23 perché tutti onorino il Figlio come onorano lui: rifiutarsi di onora re il Figlio significa rifiutar­ si di onorare il Padre che lo mandò. 14 Davvero vi assicuro che chi ascolta il mio messaggio, e presta cos\ fede a colui che mi mandò possiede vita definitiva e non è soggetto a giudizio: è ormai passato dalla morte alla vita.

1 5 Davvero vi assicuro che si avvicina, o per meglio dire è giunta, l'ora in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e coloro che lo ascoltano avranno vita. 26 Perché come il Padre dispone della vita, così ha concesso anche al Figlio di disporre della vita 27 e, inoltre, gli ha dato l'autorità. di istituire un giudizio: perché è uomo. 28 Non vi stupisca questo, perché si avvicina l'ora in cui coloro chP. stanno nel sepolcro udranno la sua voce 19 e ne usciranno: quelli che praticarono il bene per comparire in giudizio e avere vita; quelli che agirono in modo perverso, per comparire e ricevere la sentenza: 30 Io non posso fare nulla di mia iniziativa; emetto sentenza a seconda di ciò che apprendo, e questa mia sentenza è giusta, perché non perseguo un disegno mio, ma il disegno di colui che mi mandò.

NOTE F I LOLO G I C H E 5 , 1 6 Appunto per questo, gr. kai dia touto. Enfatico. - cominciarono, gr. edi6kon. lmpf.; connot. incoativa perché dipendente dalla ragione addot ta in seguito (hoti). La persecuzione, occasionata dalla prima violazione del precetto, non ces serà (seconda e ultima menzione in 15, 20. retrospettiva) . 1 7 L'importanza della replica di Gesù è indicata dall'uso dell'aor. l • medio apekrinato (cfr. 5, 19; M t 27, 12; Mc 14, 6 1 ; Le 23, 9) in luogo de l l'o rdina rio medio-passivo apekrithé (5, 7.1 1). ·

262

!, 16-30. L'opera di

- continua a lavorare, fino al presente.

gi-.

i!rgazetai. Attività continua

Gesù, opera del Padre

che

dal passato giunge

18 ancor più, gr. mallon. Indica il passaggio a un'attività più · intensa: persecuzione a morte. 19 reagl ... dicendo loro, gr. apekrinato ... k. elegen autois. Apokrinomai denota reazione verbale a un'istanza rivolta con parole o fatti. Essendo in questo caso esplicitato il verbo lego (elegen; al contrario che in 5, 18) e rispondendo ad un'accusa non proferita (5, 16, frase del narratore), con­ serva il suo significato di • reagire •. Cfr. M t 12, 25; 26, 25. Per apokrinomai pros, si veda 8, 33 nota. - Un figlio, gr. ho huios. Artic. generico (ogni figlio, in stile proverbiale equi· vale all'indeterminato italiano. Cfr. 7, 28 nota. - di propria iniziativa, gr. aph'heautou. Cfr. 5, 42 nota. - deve, gr. an mé. La necessità (dovere) equivale alla condizione indispensabile (a meno di). - Così, gr. gar. Esplicativo. .

mostra/mostrerà, gr. verbo deiknumi. In contesto di apprendimento, correi. di blepé (5, 19): far vedere perché il figlio impari. - a vostra meraviglia, gr. hina humeis thaumazéte. In luogo della forma ver· baie, si adotta quella nominale, più idiomatica e fluida in it.

20

21 suscita, gr. egeirei. In parall. con 5, 8: levati: mostra il significato figu· rata di questi • morti • . - dando loro vita, gr. kai t6opoiei. Frase coordinata modale; cfr. 4, 36; 8, 59; 14, 1 .2 1 .23.26; 20, 19.26.

22 non, gr. oude. - emette sentenza. gr. krinei. Cfr 3, 17 nota. - l'ha delegata, gr. ded6ken. Trasmissione di una facoltà. .

23 rifiutarsi di onorare, gr. ho mé timon. Forma infinita it. per enunciare un principio generale. Rifiutarsi esplicita il sema di volontarietà, cfr. 3, 1 8: ho mé pisteuon.

24 è ormai passato, gr., metabebéken. Pf. di lessema risultativo, stato per­ manente. Metabain6 denota il trasferimento che opera l'esodo proposto da Gesù. Cfr. 13, l, l'esodo al Padre; 7, 3, il falso esodo proposto dai suoi fra· telli. L'affinità fra sentenza e morte appare chiaramente nella struttura simme· trica di 5, 24b: vita definitiva/giudizio morte/vita. ·

25

o per meglio dire è giunta. Cfr. 4, 23 nota.

26 dispone della vita, gr. ekhei zoén en heauto. Questo verso spiega il pre· cedente (gar), ed esprime pertanto la condizione per comunicare vita, che non è soltanto possederla, ma anche disporne, cfr. 5, 2 1 : hous thelei z6opoiei. L'espressione. usata in altri casi in forma negativa, che, negando il posses­ so, nega la possibilità di comunicazione (5, 42; 6, 53), afferma qui i due fatti: possesso e comunicazione libera, accentuando contestualmente que· st'ultimo aspetto. Cfr. 6, 68: rémata zoés ai6niou ekheis, hai parole/esigenze che comunicano vita definitiva le tue esigenze comunicano vita definitiva; e in senso più generale, 3, 35: panta dedoken en té kheiri autou, ha posto tutto nelle sue mani, come erede universale, detto del Figlio, come in questo passo. =

263

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

T1 uomo, gi'. huios anthr6pou. Forma senza articolo, cfr. Excursus, p. 874 (eb. ben 'adam; aram. bar nas ), molto frequente in Ez (2, 1.3.6.8; 3, 1.3.4.10. 17.25, ecc.). Cfr. Dn 7, 13: hòs huios anthròpou, una figura umana. 29 per comparire in giudizio, gr. eis anastasin. Forma verbale in luogo della nominale. Si fa uso di espressioni di Dn 12, 2. Per anastasisjanistamai, le· varsi/comparire in giudizio, cfr. Mt 12, 41 (sinonimo di egeiromai, Mt 12, 42). e avere vita, gr. zòés. I genitivi zòés kriseòs indicano i risultati del giudizio, ed è necessario supplire con un verbo appropriato che lo esprima, avere (cfr. 5, 24), ricevere. La sentenza (krisis) equivale a non passare dalla morte alla vita (sentenza di morte, cfr. 5, 24). -

30 a seconda di ciò che apprendo, gr. kathòs akouò. Questo significato di akouo (apprendere) è frequente, sebbene non vada sempre tradotto con tale verbo, cfr. 8, 26.40.47; 12, 34. Il v. 30 è in parallelo con i vv. 19, 20 (non può, non posso) . Ciò che li veniva espresso in termini di visione (blepè. deiknusin). si esprime qui in termini di ascolto. Si tratta in entrambi i casi dell ' insegnamento che il Padre comunica al Figlio, mostrandogli qual è il suo disegno. - un disegno, gr. to theléma. Cfr. l , 13; 4, 34; 6, 38ss. La determinazione (lo) indica un disegno possibile, ma in realtà inesistente, che in it. si esprime con l'indeterminatezza; cfr. 7, 28 nota.

CONTEN UTO E DIVISIONE Davanti all'opposizione dei dirigenti giudei, che invocano la Legge come espressione della volontà divina, Gesù espone il fondamento della sua atti­ vità liberatrice. La sua opera si identifica con quella di Dio creatore. che continua a lavorare in favore dell'uomo per condurlo alla pienezza di vita. La volontà di Dio sull'uomo, che si trasforma in norma per quest'ultimo, si manifesta unicamente in Gesù e nella sua attività, e sostituisce tutti gli antichi codici di moralità o di condotta, in particolare la Legge mosaica. La sua sarà l'opera dell'amore leale, il fondamento della nuova alleanza, in opposizione all'alleanza di Mosè ( 1 , 1 7 ; 2, 6). Essere con Gesù è essere con Dio, essere contro di lui è essere contro Dio. La sua persona e attività di· scriminano fra bene e male. Questo viene indicato con l'espressione • emet­ tere sentenza che non implica un atto giudiziale (cfr. 3, 19), ma la separa· zione che la sua presenza provoca fra coloro che sono a favore e quelli che sono contro l'uomo. La pericope comincia notando l'opposizione dei dirigenti, che perseguono Gesù per il suo operato e che, davanti alla sua Tisposta, si prop

nuova condizione, che riceve anch'essa il nome di • spirito • (3, 6 Lett.), e si identifica con la capacità di amare, partecipando del dinamismo divino dell'amore (4, 24). II rimprovero di Gesù è che hanno limitato il loro orizzonte: l'alimento che finisce dà soltanto una vita che muore; porre tutta la speranza in questo alimento è negare nell'uomo la dimensione dello spirito e ridurlo alla • carne •, accettando la propria dist ruzione. Li invita, quindi, a superare tale dimensione che mutila il disegno creatore di Dio. Il pane era un segno che esprimeva l'amore e Io conteneva. Non vi è amore senza dono di se stessi; non c'è dono di sé senza una reale comunicazione di beni. Perché il dono del pane acquisti il suo significato, deve essere espressione dell'amore; e questo non si può esprimere che nel dono del pane. Era però necessario leggere nel segno il suo contenuto, e questo la folla non lo ha fatto. Quel pane distribuito era l'espressione di Gesù stesso. I n lui la carne contiene lo Spirito, con cui è stato segnato ( l , 32s) : il segno conteneva l'amore come la carne lo Spirito. Essi vedono il pane senza comprendere l'amore e in Gesù vedono la carne, senza scoprire lo Spirito. Il sigillo di Dio sull'umanità di Gesù è lo Spirito che ha fatto di lui l'Uomo (cfr. Excursus, pag. 874). Gesù, il modello di uomo, essendo il portatore dello Spirito, è capace di dare l'alimento che dura. Attraverso i suoi segni, Gesù esprime il suo essere; essi rendono visibile lo Spirito che, in lui, dà completezza alla • carne • e all 'opera che realizz a ( 1 , 14.32). I suoi segni sono così manifestazione dell'amore-Spirito che lo riempie; questo acquista la sua visibilità attraverso di loro ed essi acquistano a loro volta pienezza attraverso lo Spirito che contengono e comunicano. Gesù promette questo alimento per il futuro. Di fatto, tutte le opere di Gesù anticipano la sua opera defnitiva, il dono totale di se stesso sulla croce, manifestazione suprema dell'amore che comunica la vita (19, 34 Lett.). Lo Spirito che sìgilla Gesù è quello di Dio, Padre, vale a dire datore di vita, culmine dell'opera creatrice. I n tal modo Gesù, pieno di tale Spirito, con questo alimento la completa nell'uomo. Per comprendere il segno non basta assistervi passivamente, è necessa­ rio entrare nel significato che contiene. Ma l'amore non può essere riconosciuto se non esiste la volontà di amare. l> questa che Gesù designa come lavorare per guadagnarsi l'alimento •. La sintonia del­ l'amore fa comprendere il segno e porta all'adesione a Gesù. •

28 Gli domandarono: Dio vuole? •·



Cosa dobbiamo fare per compiere le opere che

Comprendono la necessità di lavorare, ma non sanno né come né a che cosa. Comprendono che il pane che non perisce è un pane di Dio, e vogliono sapere le condizioni che egli pone per concederlo. Abituati dalla Legge al fatto che Dio detti comandamenti e osservanze, doman­ dano a Gesù quali sono quelli che prescrive adesso. Non conoscono l'amore gratuito, credono che Dio ponga un prezzo ai suoi doni.

307

Il pomo del Messia. Ciclo dell'uomo

29 Rispose Gesù:

• Questo è il lavoro che Dio vuote, che diate la vostra adesione a colui che egli ha inviato •.

Gesù corregge il presupposto della domanda. Dio non imporrà nuovi precetti od osservanze. Il lavoro che Dio vuole è unico: dare la propria adesione permanente a Gesù, come suo inviato. Tale è il lavoro che procura il pane che rimane e dà vita definitiva. L'adesione costituisce nei confronti di Gesù quello che il lavoro costituisce nei confronti del pane. Nell'uno e nell'altro caso viene descritta una appropriazione, rendere proprio l'alimento, o rendere proprio Gesù, assimilandolo. Una tale esigenza è nuova e non se la aspettavano. Erano disposti a manifestare la loro adesione a Dio, nel modo che egli avesse domanda­ to. Hanno considerato Gesù un profeta, nella linea di Eliseo, per quanto superiore a lui; in quanto tale, avrebbero rispettato ciò che Dio avesse loro comunicato per mezzo suo. Ma continuano ad attribuirgli il ruolo di mediatore, non di termine di un'adesione. Un profeta è stru­ mento di Dio, ma davanti a Dio rimane in secondo termine. Gesù invece non li esorta né ad aderire né a imitare Dio, ma da parte di Dio domanda adesione alla sua propria persona.

Richiesta di un segno Gli dissero: • E che segno realizzi tu, perché, vedendo/o, ti credia­ mo? Che opera compi? •.

30

La gente comprende che Gesù si dichiara Messia, esecutore del disegno divino, rappresentante di Dio sulla terra. Non avendo compreso il segno, non basta loro come credenziale il pane mangiato il giorno precedente e gli domandano un segno particolare che dia garanzia alla sua domanda e all'adesione che richiede. Il Messia doveva rinno­ vare i prodigi dell'esodo: questo si attendono ora da Gesù.

31

•l nostri padri mangiarono la manna nel deserto; cosi sta scritto: "Diede loro da mangiare pane del cielo" •.

Nell'AT venne chiamata • pane del cielo • la manna (Ne 9, 15; Es 16 ,15; Nm 1 1 , 7-9; Sal 78, 24); essi si attendono da Gesù un .prodigio simile. Parlano dei • loro padri •. mentre Gesù ha parlato del Padre (6, 27). Sono sempre attaccati alla loro stirpe e si rifugiano nel passato (cfr. 4, 12.20) Gesù, invece, ha una prospettiva universale. Ai • nostri padri • corrisponde Israele; al • Padre •. il mondo.

Si nota qui la controversia fra i giudei e la comunità cristiana. Essi oppongono i prodigi di Mosè alla mancanza di carattere spettacolare dell'opera di Gesù. Si esige ciò che è portentoso (4, 48 Lett.), ciò che abbaglia senza impegnarsi con l'uomo, anziché chiedere quanto è uma­ no, quotidiano, profondo e di efficacia permanente. Gesù ha dato la sua vita per l'uomo e gli ha comunicato la capacità di amare come lui {13, 34): ecco il suo prodigio messianico, di gran lunga superiore a quelli di Mosè.

308

6, 22-40. La nuova manna

32-33 Alliira C esù rispose loro:

c Davvero vi assicuro: Mos� non vi ha dato mai il pane del cielo; no, è mio Padre a darvi il vero pane del cielo. Perché il pane di Dio è quello che scende dal cielo e sta dando vita al mondo •·

La risposta di Gesù è tagliente: la loro fede è illusoria. Soltanto suo Padre dà il vero pane del cielo. La manna è cosa del passato; il pane di Dio è presente, una comunicazione permanente di vita che egli dona al mondo. Questo pane scende dal cielo, come la manna pioveva dall'alto, ma senza cessare; e non si limita a dar vita a un popolo, ma all'umani­ tà intera. Dato che è Gesù a dare questo pane (6, 27). si afferma qui la comunicazione continua della vita di Dio all'uomo attraverso Gesù ( 1 , 51 Lett.). Come si è visto nell'episodio precedente, il pane esprime l'amore di Dio creatore; il pane del cielo è una manifestazione di questo amore, superiore a quella del pane materiale. II pane è la vita, dono continuo di Dio e che non termina (6, 27: l'alimento che dura, e dà vita definitiva) . Sazia anche la fame materiale dell'uomo, perché è amore che abbraccia l'uomo intero; è definitiva, piena, l'unica degna dell'uomo secondo il progetto creatore. Il pane del giorno prima non era soltanto un segno che raffigurava un altro pane; quel pane conteneva colui che annunciava. Nel pane condi­ viso è necessario scoprire il pane dell'amore, poiché questo viene dato soltanto con quello. Nell'amore umano, espresso con doni umani, sono contenuti l'amore di Dio e il dono di Dio, come nell'Uomo è contenuta la presenza divina. Gesù parla qui non più del Padre, ma di mio Padre, in corrispondenza con l'espressione che segue: il pane di Dio. Sta preparando l'identifica­ zione del pane con se stesso (6, 35). Egli procede da Dio, è il suo Figlio e il. suo pane, unico dono (3, 16).

34

Gli dissero allora:

c

Signore, dacci sempre questo pane"·

Dinanzi alla dichiarazione di Gesù, la gente reagisce chiedendogli quel pane che egli stesso doveva dare (6, 27: quello che vi darà l'Uomo). Lo chiamano • Signore •. credono nelle sue parole. indovinano che Gesù può soddisfare tutti i loro aneliti. Con rispetto e desiderio glielo domandano, ma non si impegnano al lavoro, non giungono fino a dargli la loro adesione. Rimangono nel loro atteggiamento passivo, dipendente, cercando il proprio beneficio. Vogliono ricevere il pane senza lavoro, trovare la soluzione fatta, senza collaborazione personale.

35 Rispose loro Gesù: « Io sono il pane della vita. Chi si avvicina a me non soffrirà mai la fame, e chi mi dà la sua adesione non soffrirà mai la sete •. Gesù si era presentato come datore d i pane, ora si identifica con il pa­ ne, egli stesso si dà come pane. Mangiarlo significa pertanto dare la propria adesione, assimilare Gesù (6, 29); si tratta della stessa attività formulata precedentemente in termini di lavoro (6, 27.29). Si ottiene così la qualità di vita che porta l'uomo alla sua pienezza. II pane che dura è l'amore, concretato ora in Gesù stesso come dono di amore.

309

Il pomo del Mesola. Ciclo dell'uomo

L'unione con lui comunica la vita di Dio al mondo. Egli è il pane che Dio offre agli uomini. Come si è già visto nell 'episodio della samaritana (4, 13a-14 Lett.), la frase si oppone esattamente a quella della Sapienza nell'AT: chi mi mangia avrà ancora fame, chi mi beve avrà ancura sete (Sir 24. 21); il contrasto vuoi dimostrare che la fedeltà alla Legge lasciava una conti­ nua insoddisfazione, come l'acqua del pozzo di Giacobbe. Non colma le esigenze umane, perché non risponde loro interamente. Invece, in ciò che Gesù promette, l'uomo trova piena soddisfazione. Non incentra l'uomo nella ricerca della propria perfezione, ma nel dono di se stesso. Mentre la perfezione è astratta e ha una meta tanto illusoria e tanto lontana quanto quella indicata dalla propria ambizione, il dono di se stessi è concreto, e può essere totale come quello di Gesù. Con la prima, l'uomo va edificando il suo proprio piedistallo; con il secondo si pone al servizio degli altri e crea l'uguaglianza nell'amore ( 1 3, 5 Lett.). 36 • Ma vi ho detto che mi avete visto di persona e che non crede­ te •· L'introduzione di Gesù vi ho detto allude alla frase precedente, che deve essere necessariamente quella di 6, 26: non mi cercate per aver visto segni. I segni si identificano ora con la persona di Gesù, espressa attraverso la sua attività. Le sue opere manifestano che egli è stato segnato con lo Spirito (6, 27) e per questo in esse si può riconoscere la testimonianza del Padre (5, 36; cfr. 12, 45; 14, 9). Essi le hanno viste, ma senza scoprire la sua persona: nell'uomo non scoprono il Figlio. Desi· derano il pane che Gesù offre, ma non compiono il passaggio, non si avvicinano a lui. Desiderano un suo dono, ma non quello della sua persona; si mantengono a distanza. Pretendono di separare il dono dall'amore che contiene, facendogli perdere il suo significato. Per questo vogliono ricevere, ma rifiutano di amare. *

Sono numerosi i paralleli tra questa spiegazione di Gesù e l'episodio della samaritana. In entrambi i casi c'è uno sguardo al passato, con la menzione dei padri e delle loro gesta, e un paragone che sfida Gesù (4, 12; 6, 3 1 ) . Accettando la sfida, e superando l'opera del passato, Gesù Io annulla, dando inizio a una nuova realtà. . Nell'uno e nell'altro caso si nega l'efficacia dei dono dei padri (4, 13: tornerà ad aver sete; 6, 49: morirono) e si afferma l'efficacia di quello di Gesù (4, 14: non avrà mai più sete; 6, 35: non soffrirà mai la fame, non soffrirà mai la sete). Gli interlocutori manifestano il desiderio di ricevere il dono di Gesù (4, 1 5 : dammi quest'acqua; 6, 34: dacci ... que· sto parte) . Gesù si definisce (4, 26: sono io (il Messia) ; 6, 35a: io sono il pane della vita). Questi paralleli, che hanno come motivo comune, il mangiare-bere/ac­ qua sviluppano il tema della vita (4, 14; 6, 27: e dà vita definitiva). Ciò che Gesù vuoi trasmettere è la vita definitiva, che si identifica con lo Spirito (acqua-alimento contenuto in lui); la condizione per riceverla non è l'accettazione di una dottrina proposta da Gesù, ma l'adesione 310

6, zz..tO. La nuova manna

alla· persona sua.

di lui (4, 39; 6, 29), manifestata in un'attività uguale alla

Gesù, il datore di vita • Tutto ciò che il Padre mi consegna giunge fino a me, e chi si avvicina a me io no n lo caccio fuori •·

37

Gesù spiega (6, 37-40) quanto detto in precedenza sotto il simbolo della del cielo, usando un linguaggio diverso. Il tema di questo passo è quello centrale del vangelo: Gesù è datore di vita (l, 4; 3, 14s; 4, 14.50; 5, 21 .25s.40; 10, 10; 1 1 , 25; 17, 2; 19, 34 Lett.). Il passo comincia con una espressione della coscienza che la comunità cristiana ha della propria appartenenza a Gesù per volontà del Padre (ciò che il Padre mi consegrw), che ha posto tutto nelle mani di suo Figlio (3, 35). e sperimenta l'accoglienza di questi come permanente e sicura (non lo caccio fuori). Il significato di questo versetto si intende più facilmente mettendolo in relazione con espressioni parallele che appaiono nel capitolo. Saranno trattate insieme in 6, 65 Lett. Il neutro tutto ciò (cfr. 6, 39), in luogo del plurale tutti coloro che, sottolinea l'unità, il blocco formato da coloro che aderiscono a lui; non sono individui isolati, ma un corpo. !! una comunità umana, un insieme indivisibile (10, 29; 17, 2.1 1 ) da cui nulla può essere separato, di cui nulla si può perdere (3, 16; 17, 1 2 ) , e in cui la realizzazione della vita deve verificarsi fino alla fine. manna/pane

38

• perché non sto qui, disceso dal cielo, per realir.r.are un disegno mio, ma il disegno di colui che mi mandò •.

Come si è già spiegato (3, 1 3 Lett.), l'espressione c scendere dal cielo • non deve essere intesa in senso spaziale: significa che l'origine di Gesù non è meramente umano, ma deve essere cercata nella sfera divina. Denota in concreto la discesa dello Spirito su Gesù ( 1 , 32), che fa di lui la presenza del Padre fra gli uomini (cfr. l, 14). Dalla identificazione con il Padre nasce la sua assoluta fedeltà al disegno di lui (cfr. 5, 30). L'obiettivo di entrambi è lo stesso: comunicare vita all'uomo.

39

• E questo è il disegno di colui che mi mandò: che di tutto ciò che mi ha affidato io non perda nulla, ma lo risusciti l'ultimo giorno •.

!l la prima volta che appare l'espressione l'ultimo giorno (6, 39.40.44.54; 1 1 , 24; 12, 48), che in questo discorso si ripete con insistenza. Strana·

mente, oltre che nei testi citati, l'espressione • l'ultimo giorno » si trova come introduzione a un episodio nel tempio: l'ultimo giorno, il più solenne delle feste (7, 37-39), dove Gesù invita colui che crede a bere l'acqua che sgorgherà dal suo intimo. Tale invito, tuttavia, per quanto situato nel presente, non può realizza rsi in quel momento, si renderà possibile alla sua morte, quand'egli manifesterà la sua gloria e verrà dato lo Spirito (19, 30.34). Giocando sul doppio riferimento, al presente (nel tempio) e al futuro

311

D pomo del Messia. Ciclo dell'uomo

(nella sua morte), l'evangelista mostra che la morte di Gesù, Agnello pasquale, sarà il vero ultimo giorno, il più grande della festa, quando sarà possibile a tutti avvicinarsi e bere l'acqua dello Spirito. Essendo quello l'ultimo giorno, sarà allora quello in cui egli concederà la risurrezione a tutti coloro che il Padre gli ha affidato; vale a dire, il dono dello Spirito porta con sé quello della risurrezione. Per questo in 8, 51 afferma: chi compie il mio messaggio non saprà mai cos'è la morte. Di conseguenza, Gesù non accetterà i l significato che Marta dà ali'ultimo giorno (Il, 24), interpretandolo come fine dei tempi, secondo la concezione dell'epoca. L'ultimo giorno è quello in cui termina la creazione dell'uomo, il giorno sesto della morte di Gesù, quando, completata la sua opera, egli donerà lo Spirito (19, 20) e la vita defi­ nitiva comincerà a essere realtà (7, 37 Lett_)_ Concedendo la risurrezione con il dono dello Spirito, Gesù mostra che la realizzazione dell'uomo non è un mero prodotto del processo storico. Appare qui una delle implicazioni della frase di Gesù: vi ho scelti e tratti fuori dal mondo (15, 1 9 ) Gesù li sottrae all'influsso distruttivo .

(17, Il: essi saranno nel mondo; 17, 1 5 : non ti prego di toglier/i dal mondo), partecipando a della società ingiusta; senza uscire da essa

essa, la sua comunità rappresenta una forza di vita, tramite cui la creazione va acquistando la sua condizione definitiva.

40 • Perché questo è il disegno di mio Padre, che chiunque riconosce il Figlio e gli dà la sua adesione abbia vita definitiva, e io lo risusciti, l'ultimo giorno ». •

Colui che mi mandò • del versetto precedente si identifica ora con • mio Padre •, precisando la relazione che esiste fra Dio e Gesù. La sua missione non è quella di un subordinato, né si esegue per obbe­ dienza a un ordine, ma è espressione di una comunità di essere e di un vincolo di amore. Espone nuovamente la condizione già presentata (6, 29: clze diate la vostra adesione a colui che egli ha inviato) per comunicare vita. Attraverso i segni che realizza, bisogna riconoscere in Gesù il Figlio. Questa denominazione, senza determinazione alcuna, comprende in sé le due grandi denominazioni di Gesù: il Figlio dell'uomo (l'Uomo) e il Figlio di Dio (Dio); l'uomo completato, culmine dell'umanità, che è al tempo stesso i l Figlio di Dio, la presenza di Dio nel mondo. Vedere nell'uomo Gesù, il Figlio di Dio, significa riconoscere all'uomo la capaci­ tà di essere figlio di Dio ( 1 , 12), realizzando in se stesso .il progetto creatore. L'uomo accetta allora tutta la potenzialità che Dio ha posto in lui, il vero orizzonte del suo essere. Al riconoscimento fa seguito l'adesione personale a Gesù, che comunica la vita piena e definitiva, culminante nella risurrezione stessa. Il contenuto della adesione a Gesù sarà spiegato nella sezione successiva.

312

6, 2240. La

nuova manna

SINTESI La pericope, prima parte della spiegazione dell'episodio del pani, pre­

senta la mancanza di penetrazione, da parte della folla, dei segni compiuti da Gesù. Questi sono i l linguaggio con cui Dio si è rivolto all'uomo, composti, come Gesù, di « carne • e • spirito •. Sono il mezzo di comunicazione personale fra un soggetto divino e uno umano. Consi­ derarle come un mero fatto oggettivo, senza scoprire il significato, vale a dire, il soggetto che si comunica in essi, equivale a percepire un rumore di parole, il rumore del vento, in luogo della voce dello Spirito (3, 8).

Si pone qui la questione di come conoscere Dio. Tale conoscenza non è possibile se lo si oggettiva considerandolo oggetto di speculazione. Non ci si può domandare se Dio • esiste • come un oggetto qualunque, ma se Dio • è presente •, come persona. Per conoscerlo è necessario scoprir· ne la presenza. Non essendo Dio un essere materiale, questa non si può percepire che attraverso la relazione interpersonale, attraverso un in­ terpellare compreso e accettato. Dio interpella attraverso Gesù stesso, la Parola fatta «carne • ( 1 , 14). e la Parola il cui significato è lo Spirito che in essa si comunica; si rivolge non soltanto all'intelligenza, ma all'uomo intero, come soggetto personale. Accettata, produce la presenza di Dio (lo Spirito) nell'uo­ mo. I segni di Gesù spiegano ciò che egli stesso è, sono parole che spiegano la Parola. Il pane che egli dà è una parola che, significando l'amore, lo comunica: pertanto, un gesto di comunione. Ricevere il pane senza accettare il suo significato è chiudersi alla comunicazione divina.

313

Gv 6, 4t-59: Assimilare Gesù, vita e nonna di vita l giudei fedeli al regim e lo criticavano perché aveva detto: « lo sono il pane disceso dal cielo •, '2 e dicevano: - Ma costui non è Gesù, il figlio di Giuseppe, di cui conosciamo il padre e la madre? Come fa adesso a dire: • Sono qui disceso dal cielo •? ••

'3 Replicò Gesù: - Smettetela di criticare fra di voi. " Nessuno può giungere fino a me se il Padre che mi mandò non lo attrae a sé, e io lo risusciterò l'ultimo giorno. " Sta scritto nei profeti: • Saranno tutti discepoli di Dio •; chiunque ascolta il Padre e impara si avvicina a me. •• Non che qualcuno abbia visto personalmente il Padre, eccetto colui che procede da Dio; questi ha visto personalmente il Padre. Davvero vi assicuro: chi crede possiede vita definitiva. '8 Io sono il pane della vita: '9 i vostri pad ri mangiarono la manna nel deserto, ma morirono; 50 questo è il pane che scende dal cielo affinché mangiando­ ne non si muoia. 51 Io sono il pane vivo disceso dal cielo; chi mangia questo pane vivrà per sempre. Ma inoltre il pane ch·e io darò è la mia carne, perché il mondo viva.

'7

52 Quei giudei litigavano tra loro di cendo: - Come può costui darci da mangiare la sua carne? 53 Disse loro Gesù: - Davvero vi assicuro: se non mangiate la carne dell'Uomo e non bevete il suo sangue non avete in voi vita. 54 Chi mangia la mia carne e be,·e il mio sangue ha vita definitiva, e io lo risusciterò l'ultimo giorno, 55 perché la mia carne è cibo vero, e il mio sangue è bevanda vera. 56 Chi mangia la carne mia e beve il sangue mio rimane con me, e io con lui; ;�come il Padre, che vive, inviò me, e quindi io vivo per il Padre, così anche chi mangia me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i vostri padri, che morirono; chi mangia questo pane vivrà per sempre. 59

Questo lo disse insegnando in una riunione, a Cafarnao.

NOTE FILOLOGICHE i giudei fedeli al regime, gr. hoi Ioudaioi. (Cfr. l, 19 nota) . In questo passo non c'è moti vo di supporre che fossero dirigenti, ma comunque fe­ deli al sistema. - lo criticavano, gr. egogguzon ... peri. Il contesto aggiunge il signif icato av­ versativo: cfr. 6, 61; in senso favorevole 7, 32; ambivalente goggusmos, 6, 41

1,12. 42

314

Ma ... non ..., gr. ouklz. Interrogativo che attende risposta affermativa.

6, 41-59. Aalmllare Gesù, vita e norma di vita

Oue5ta sfumatura sr esprime in it. con ma rrort interro gativo o altra locu­

zione equivalente. - sono qui disceso dal cielo, gr. ek tou ouranou katabebèka. Pf. dinamico statico, di azione passata e stato presente; cfr. El Aspecto Verbal, n. 387.

43 Smettete/a di criticare, gr. mé gogguzete. Imper. con funzione di in­ terrompere, cfr. El Aspecto Verbal, n. 223. 45 il Padre, gr. para tou Patros. Punto di origine di quanto ascoltato. abbia/ha visto, gr. heòraken. Conoscenza immediata. (Cfr. 1, 18.34; 4, 45; 5, 37; 8,57; 19,35; 20, 29). Cfr. El Aspecto Verbal, nn . 327ss.

46

49

ma morirono, gr. kai. Avversativo.

51

Ma inol tre gr. kai ,



de.

Chi mangia, gr. ho tr6gòn. Per il tema del pres. Gv wa tréJg6 (6, 56. 57.58; 13, 18). in luogo di esthi6. Cfr. l'equivalenza del presente tr6gò con esthiò in M t 24, 38.49. 54

56 rimane con me, gr. en emoi menei. Pres. durat. dipendente dal parti­ cipio condizionale ho t rògòn, pres. durat.; merrei denota, quindi, la per­ manenza assicurata dal fatto di mangiare sempre. Con me, unito a: nel· l'immagine della vite: in me (15, 2); riferito alla persona, con me (cfr. 15, 4.7). 57 e quindi, gr. kai (ka gò) . Consec. - per il Padre ... per me, gr. dia. Con ace., indicando la motivazione e l'orien­ tamento della vita. 58 non CX�me quello che mangiarono. In gr. l'on. della comparazione (il pane/manna) è omesso (ellissi); - che morirono, gr. kai. Avversativo; cfr. v. 49. La costr. it. richiede una prop. relativa (N.d.T.).

59 in una riunione, gr.

err sunagogi. Senza articolo.

CONTENUTO E DIVISIONE Nel contesto pasquale e dell'alleanza, la prima. parte del discorso aveva come tema centrale Gesù datore di vita (simbolo della manna). Nella se­ conda, gli avversari di Gesù non ammettono che un uomo possa avere origine divina e, cosi, possedere e dare vita definitiva. Gesù insiste: egli è il datore di vita definitiva, in opposizione a quella conferita dalla manna. e tale vita si trova appunto nella sua condizione umana (carne), della quale essi si scandalizzano. Specifica quindi in che modo egli sia datore di vita: donando la sua vita (carne e sangue). Bisogna accettare pertanto non solo la sua condizione umana, ma anche l'evento della sua morte come veicolo della vita, interiorizzando questa realtà per trasformarla in norma personale. Tale è la nuova legge scritta nel cuore. La pericope inizia introducendo nuovi personaggi, i giudei, fedeli all'isti­ tuzione. Questi, davanti alla precedente dichiarazione di Gesù, presentano

315

D l!lomo del MealL Ciclo dell'uomo come obiezione la sua origine umana,

per

loro incompatibile con la qua­

lità divina che la sua pretesa comporta (6, 41-42). Gesù rivela, in primo lu ogo, qu al è il motivo della loro opposizione a lui, la ma nca n za di inte­ resse per l uomo, dovuta alla non conoscenza di Dio come Padre (6, 43-46). Di seguito si dichiara pane di vita in luogo della manna che non fu in grado di condurre alla terra promessa il popolo uscito dall'Egitto (6, 47-51). Egli comunica la vita dando se stesso, nell a sua realtà u mana . fino alla morte. L'accettazione di questo suo dono e l assimil azione vitale di lui (mangiare la sua carne e bere il suo sangue) sono per l'uomo fonte di vita (nuova manna) e no nn a di vita (nuova Legge). Cosi, a differenza di quan­ to avve.nuto con l'antico popolo, la nuova comunità potrà raggiungere la sua terra promessa. quella della vita defini tiva (6, 52-58). La peri cope ter­ mina indicando l'occasione e il luogo (6, 59). '

'

Riassumendo: 6, 41-42: Obiezione: ongme umana contro o n gm e divina. 6, 4346: Il presu ppos to della fede: essere dalla parte dell'uomo. 6, 47-51: La manna del suo esodo: la sua realtà um ana. 6, 52-58: La legge della sua comunità: assimilare il dono della sua vita. 6, 59: Occasione e luogo.

LETIURA

Obiezione: origine umana contro origine divina 41 l giudei fedeli al regime lo criticavano perché aveva detto: sono il pane disceso dal cielo •1 fedeli all'istituzione attribuiscono a Gesù

religiosa lo criticavano.

è

Di

fatto, la



Io

frase che

leggermente diversa da quella che egli aveva

pronunciato in precedenza:

il pane ... che scende dal cielo, ripetutamen­

te o in modo continuo, come la pioggia della manna (6, 33); si riferiva al dono dello

Spirito,

la

comunicazione

mettono la frase al passato,

di

vita di Dio

all'uomo.

il pane disceso dal cielo, riferendosi

momento storico particolare. Gesù parlava della sua missione di dare vita, che

è

Essi a

un

continua; essi invece

si riferiscono all'origine divina che si deduce da questa missione, e non l'accettano.

42 e dicevano: • Ma costui non è Gesù, il figlio di Giuseppe; di cui conosciamo il padre e la madre? Come fa adesso a dire: "Solto qui disceso dal cielo?• •· Gli avversari di Gesù protestano contro la sua pretesa. La loro arg� mentazione si basa sulla sua origine umana, ben nota, che secondo loro esclude di per se stessa ogni origine divina.

La

pretesa di Gesù, uomo

di carne e ossa, è inammissibile. Essendo un uomo, sta usurpando il posto di Dio

È

(c fr. 5, 18; IO, 33).

la stessa mentalità di Nicodemo; questi non comprendeva che l'uomo

potesse avere una nuova origine in Dio, equivalente a una nuova nascita

(3, 3-6). 316

6, 41-59. Aalml1ere Gesfl, vita e nGmlll di vita

La pietra di scandalo è, pertanto, l'umanità di Gesù. Tuttavia la pienez· dello Splucu \l, �2s) che fa di lui la presenza ùi Dio in terra, si trova proprio in questa carne e sangue, espressione dalla sua origine uma­ na. Essi separano Dio dall'uomo; non credono nel suo amore, generoso e gratuito, che Io porta a comunicarsi. I giudei fedeli alla Legge non conoscono un Dio vicino.

za

Il presupposto della fede: essere dalla parte dell'uomo 43-44 Replicò Gesù: • Smettete/a di criticare fra rfi ''f';. Nessuno può giungere fino a me se il Padre che mi mandò non lo altrae a sé, e io lo risusciterò l'ultimo giorno •. Gesù non entra in discussione riguardo alla sua origine divina o umana; interrompe il commento, denunciando l'atteggiamento che le loro critiche denotano. Per avvicinarsi a lui è necessario lasciarsi attrarre dal Padre, ma essi non riconoscono che Dio è Padre e che è a favore dell'uomo (5, 37s). Questo è il motivo della loro resistenza. I l Padre spinge verso Gesù, perché questi è i l suo dono, l'espressione del suo amore per l'umanità (3, 16; 4, IO). Essi, che non si interessano all'uomo, né aspettano tale dono né lo desiderano (2, 9b-IO Lett.). L'at· tività di Gesù a favore degli oppressi non li fa riflettere mentre è l'unico criterio per comprendere chi è Gesù, la sua missione divina e la presenza del Padre in lui (5, 36; IO, 38). Trincerati nella loro teologia, che impedisce loro di essere docili a Dio, non accettano Gesù. La risurrezione era ammessa e difesa dalla scuola farisaica, come premio per l'osservanza della Legge. Gesù afferma che essa non di­ pende da tale osservanza, ma dall'adesione a lui. Non vi è altra risurrezione che quella data da lui e inclusa nella vita che egli comuni· ca (6, 39 Lett.). Egli è l'unico che dispone della vita (5, 26). 45 • Sta scritto nei profeti: "Saranno tutti discepoli di Dio"; chiunque ascolta il Padre e impara si awicina a me •. Gesù prende un testo profetico (ls 54, 1 3) , che veniva posto in relazione con Ger 3 1 , 33s: • porrò la mia legge nel loro petto, la scriverò sul loro cuore •. deducendo che Dio avrebbe inculcato al popolo la fedeltà alla legge mosaica 1• Gesù, tuttavia, dà un'interpretazione differente: Dio non insegna a osservare la Legge, ma ad aderire a lui. Di quf la frase seguente: Chiunque ascolta il Padre e impara si avvicina a me. II testo di Isaia non è citato alla lettera; nell'originale Dio parla a Gerusalemme e dice così: • tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore •. Sopprimendo • i tuoi figli •. il detto viene universalizzato: • il Signore • della profezia, non è più il Dio di Israele, ma il Padre universale (4, 21 Lett.) . Secondo questo passo, Dio non sceglie alcuni privilegiati affinché cre­ dano in Gesù; il suo insegnamento viene offerto a tutti e a tutti è ' Cfr. S.· B. III, 704.

317

D

lfomo del Menta. Ciclo deR'uomo

possibile l'adesione. � necessario però apprendere dal Padre e lasciarsi muovere da lui. Interpretando il termine • Dio • della profezia con l'appellativo • Padre •, che designa Dio come creatore della vita e pieno di amore per l'uomo, Gesù addita la maniera in cui il Padre fa udire la sua voce e istruisce l'uomo. Chiunque vede in Dio un alleato dell'uomo si sentirà attratto verso Gesù. :E. lo stesso argomento usato in preceden­ za (5, 36s) per mostrare che le sue opere erano una testimonianza data dal Padre. L'universalismo dell'espressione di Gesù annuncia che la nuova comuni· tà non sarà una prosecuzione né una restaurazione di Israele come popolo (cfr. 4, 21), e che sarà aperta a chiunque apprenda dal Padre, a tutti i figli di Dio dispersi (cfr. 11, 52). 46 « Non che qualcuno abbia visto personalmente il Padre, eccetto colui che procede da Dio; questi ha visto personalmente il Padre •.

Per questo motivo non occorre un'esperienza di Dio al di fuori dell'or­ dinario. Di fatto, per quel popolo bastava prestare attenzione alla sua antica storia per comprendere che Dio è dalla parte dell'uomo (cfr. 5, 45-46).

Il padre non è immediatamente accessibile, soltanto Gesù, che procede da lui, ne ha un'esperienza immediata. Nessuno, né Mosè né i profeti, lo avevano visto; tuttavia cercavano di trasmettere la sua volontà. Quanto più Gesù, che conosce il Padre faccia a faccia (l, 18), potrà essere interprete di Dio. Per di più, egli è l'unico che possa manifestare il suo disegno sull'uomo e stabilire le condizioni per realizzarlo (6, 39-40). In questo primo paragrafo Gesù ha risposto a quelli che lo criticavano, mettendo a nudo il vero motivo della loro incredulità: non ascoltano Dio, perché non sono a favore dell'uomo; per questo si oppongono a Gesù. La manna del suo esodo: la sua realtà umana 47

«

Davvero vi assicuro: chi crede possiede vita definitiva •.

Dopo la precedente denuncia, Gesù pronuncia una dichiarazione solen­ ne. L'effetto della adesione personale a lui è per l'uomo una nuova qualità di vita, che, per la sua pienezza, è definitiva. L'uomo si realizza tramite l'adesione a Gesù. 48



Io sono il pane della vita

•.

Come apparirà dalla contrapposizione immediata stabilita con la man­ na, Gesù come pane di vita assicura il successo della liberazione dell'uomo che per suo mezzo sfugge alla morte. Ma, al tempo stesso, la vita definitiva non indica soltanto - né in primo luogo - una durata indefinita, ma una qualità nuova. La sua durata senza fine ne è conseguenza, trattandosi della vita che appartiene al mondo definitivo, alla creazione terminata. Per questo Gesù, come pane di vita, se da un lato si contrappone alla manna, dall'altro si contrappone anche alla 318

6, 41-59. Assimilare Geoù, vita e norma di vita

Legge che, come fonte di vita, era chiamata • pane • z, e la cui osser­ vanza, secondo la dottrina rabbinica, assicurava la vita per il mondo futuro ( 1 , 4 Lett.). Era il pane offerto dalla Sapienza (Prv 9, 5). La manna dava vita in questo mondo, la Legge la conferiva per il mondo futuro. Gesù, come pane, comunica all'uomo fin d'ora la vita propria del mondo definitivo. • l vostri padri mangiarono la manna nel deserto, ma morirono; questo � il pane che sce11de dal cielo affinché mangiandone non si muoia».

49-50

Gesù torna al tema della manna, per mostrare loro che quel pane, per quanto prodigioso lo considerassero, non comunicava vita autentica. t;: da notare in primo luogo che Gesù non si identifica con la tradizione giudaica: • i vostri padri • non sono i padri di Gesù; la salvezza che egli porta è destinata all'umanità intera (3, 16s; 4, 22). non a un unico popolo. Gesù si rende indipendente dalle proprie origini. Essi hanno menzionato suo padre e sua madre (6, 42); egli parla unicamente di mio • Padre». Ma avere Dio per Padre (=essere disceso dal cielo, 6, 4 1 .42) non è incompatibile con la sua origine umana, al contrario: l'universa­ lità del • Padre • fa della sua realtà umana un mezzo di comunione con l'umanità intera. • I nostri padri »: così la gente aveva chiamato gli israeliti che, nell'e­ sodo, attraversavano il deserto (6, 3 1 ) . Gesù ricorda loro che essi, malgrado avessero mangiato la manna, morirono. La loro morte non fu soltanto una morte fisica, ma "!a privazione della terra promessa, del riposo che speravano; era pertanto il fallimento definitivo (Nm 14, 2 1 -23; Gs 5, 6; Sal 95, 7ss) l . Con l'antica manna, la generazione uscita dalla schiavitù non fu in grado di giungere alla meta. Per loro, l'esodo fu la rovina; il popolo costituito sul Sinai non raggiunse il suo obiettivo. La comunità umana che Gesù fonda ha invece piena possibilità di riuscita. Per l'assimila­ zione di lui, i suoi membri godranno di una vita che non si può distruggere, quella che assicura i l successo dell'impresa. La sua terra promessa diverrà realtà per chiunque lo segua. Nei tre passi citati (Nm 1 4, 21-23; Gs 5, 6; Sal 95, 7ss), il motivo d i quella morte che l i privò per sempre della terra che produceva latte e miele (Gs 5, 6) fu il non aver ascoltato la voce di Dio. Qui è contenuto un avviso di Gesù ai suoi interlocutori. Sono loro adesso che non ascoltano il Padre e per questo non si avvicinano a lui. II Padre offre il nuovo pane, che è Gesù. Soltanto chi lo mangia raggiungerà la sua meta. Assimilare Gesù (mangiare) evita il fallimento dell'uomo (affinché

mangiandone non si muoia). Questo pane scende senza sosta dal cielo. L'immagine continua quella della manna (Es 16, 4: io farò piovere pane del cielo), alludendo all'incessante comunicazione di vita da parte dello Spirito (cfr. 6, 23), che fluisce attraverso Gesù (6, 35) ed è comunicato da lui. La continuità segnalata per il presente (scende dal cielo) corrisponde alla disponibili2 Cfr. S.- B. II. 482s. Trattato Sa,edr. IO. 3 dtàndo Nm 14,35: parte nel mondo futuro • .

l



La goenerazione del deserto non avrà

319

D Kiomo del Messia. Ciclo dell'uomo

tà permanente del dono, che l'uomo deve fare sllo in un determinato momento (aoristo: phage). S ia • Io sono il pane vivo disceso dal cielo; chi mangia questo pane vivrà per sempre •. Si noti la differenza con la frase precedente (6, SO). Il pane che scende continuamente, come dono sempre offerto, viene ora descritto come il pane disceso, indicando il momento iniziale della sua presen­ za nel mondo; apre così un periodo di tempo che terminerà con il dono di se stesso, come pane e come carne (6, S lb), nella sua morte. Con questa frase Gesù riassume tutto il suo pensiero precedente, prima di precisare in che modo egli sarà alimento. S l b • Ma inoltre il pane che io darò viva •·

è

la mia carne, perché il mondo

Passa dalla figura della manna a quella dell'agnello, senza uscire dalla simbologia dell'Esodo (Pasqua) (cfr. l , 29.36). Entrambi i termini appar­ tengono al campo semantico dell'alimento. Gesù raccoglie l'obiezione iniziale dei giudei. Il suo dono è • la sua carne •: vale a dire che lo Spirito non si dà al di fuori della sua realtà umana: • la sua carne • lo manifesta e lo comunica. Non vi è dono dello Spirito dove non c'è dono della • carne •. Attraverso di essa, il dono di Dio si rende concreto, storico, diventa realtà per l'uomo. Pertanto la carne • di Gesù non è solo il luogo in cui Dio si rende presente (1,14), ma si trasforma nel dono di Gesù al mondo, dono dell'amore del Padre (3, 16). È così una presenza che cerca un incontro, che è volontà di comunicazione da parte di Dio. Dio instaura questa comunione con l'uomo sul piano umano, in Gesù e per mezzo suo. L'obiezione dci giudei (6,42) rifletteva lo scandalo provocato dall'Uo­ mo-Dio. Mentre Dio pone ogni suo interesse nell'avvicinarsi all'uomo e stabilire comunione con lui, costui tende continuamente ad allontanarlo dal suo mondo, situandolo in una sfera chiusa e trascendente; Dio, al contrario, apre in Gesù questa sfera (l, 5 1 : vedrete il cielo ormai aperto) , per comunicarsi e vivere con l'uomo (14, 23) . La parola creatrice di Dio enuncia la sua volontà di dialogo con l'umanità. È parola efficace che si esprime nell'opera creata ( 1 , 3). e contiene per l'uomo un messaggio di vita (1, 4). Come volontà di comunione, si fa realtà umana ( 1 , 14) che manifesta e comunica Dio stesso, amore leale ( 1 , 14-17). L'uomo Gesù, la Parola divenuta carne. contiene come significato la gloria del Padre (lo Spirito-amore) . In lui Dio si esprime nella storia; è nell'uomo e nel tempo che si trova Dio. che lo si vede e lo si accetta o rifiuta. Dio non è nell'• aldilà •: si è reso presente in Gesù. Non esistono doni divini che non abbiano espressione nella • carne ''· Dio dà il suo Spirito, ma è la sua • carne • che lo esprime e contiene. I giudei, che pensano al Dio • dell'aldilà •. sono scandalizzati dalla carne. Non credono che Dio possa essere visto e toccato. Dio, tuttavia, vuole entrare nel campo dell'esperienza umana. Gesù dona la sua carne perché il mondo viva; l'espressione suppone che l'umanità sia carent e di vita. L'universalità dell'espressione è in paralle•

320

6, 4l-S9. Assimilare Gesù, vita e norma di vita

Io con l, 29: colui che toglierà il peccato del mondo; la vita si oppone anche con 3, 16: Dio manifestò il suo amore per il mondo in modo tale

da giungere a dare il suo Figlio unico, affinché tutti coloro che gli danno la loro adesione abbiano vita definitiva e nessuno perisca. Il dono della vita si offre a tutti, e si comunica nel dono della carne, la realtà umana di Gesù.

La legge della sua comunità: assimilare il dono della sua vita Quei giudei litigavano tra loro dicendo: mangiare la sua carne? •·

52



Come può costui darci da

Le parole di Gesù non provocano adesso una critica (cfr. 6, 41), ma una lite fra gli stessi giudei. Non comprendono il suo linguaggio; la men­ zione della sua carne li ha disorientanti, ma al tempo stesso ha tolto loro sicurezza. Finché Gesù si mantenne nella metafora del pane, credevano di comprendere; potevano ancora interpretare che egli si presentava come un maestro di sapienza inviato da Dio. Ma Gesù ha precisato che questo pane è la sua stessa realtà umana, non una dottrina. Essi non comprendono più che cosa possa significare • man­ giare la sua carne •. Cercano una spiegazione, ma non la trovano. Per i lettori di Gv, invece, il significato è chiaro. L'autore parla nella prospettiva della sua comunità, tenendo presente la celebrazione e il significato dell'eucaristia. Disse loro Gesù: c Davvero vi assicuro: se non mangiate la carne dell'Uomo e non bevete il suo sangue non avete in voi vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue lza vita definitiva, ed io lo risusciterò l'ultimo giorno »,

53-54

Gesù lancia la sua seconda dichiarazione, che spiega la prima. Aggiun­ gendo a « carne • l'elemento • sangue •. risponde alla domanda: come può costui darci da ma11giare la sua carne? La separazione di carne e sangue esprime la morte; Gesù darà la sua carne morendo. Quando l a sua carne e il suo sangue saranno separati dalla violenza dell'odio, si vedrà la vita che è in lui, lo Spirito, amore e gloria, che come acqua di vita sgorgherà dal suo corpo donato (cfr. 19, 34). t=. nella sua carne e nel suo sangue che si manifesta e si comunica. L'antica simbologia dell'agnello pasquale ( 1 , 29: l'Agnello di Dio) rimane integrata, ma cambiando molti aspetti. La carne dell'agnello fu alimen­ to per l'uscita dalla schiavitù, il suo sangue liberò dalla morte. Nel nuovo esodo, la figura viene realizzata e superata al tempo stesso: l a carne dell'Agnello è alimento, m a permanente; i l suo sangue non solo libera momentaneamente dalla morte, ma, come la sua carne, dà vita definitiva, che la supera. Gesù torna a utilizzare la sua autodesignazione: l'Uomo/quest'Uomo, perché è in quanto tale che egli può dare la sua carne e il suo sangue. Torna così a insistere sulla sua realtà umana, espressa in precedenza ·

321

n pomo del Meosla. Ciclo dell'uomo

con il tennine • carne • (6, 5 1 ) , in risposta alla protesta dei giudei (6, 4ls) . • L'Uomo •, tuttavia, è • la carne • piena dello Spirito ( l , 32) con cui è stato segnato (6, 27) . Questo, essendo la pienezza dell'amore leale (l, l4e Lett.), Io porta a donare la sua carne e il suo sangue, in cui si comunica questo stesso Spirito, che è forza vitale nell'uomo. La frase di Gesù: non avete in voi vita è decisiva: non c'è realizzazione per l'uomo se non attraverso l'assimilazione di Gesù, compiuta dallo Spirito che da lui si riceve. Accettare Gesù, aderire a lui, equivale a « mangiare •, e significa assimi­ lare la sua realtà umana, che viene data all'uomo nella sua vita e nella sua morte; è così che si possiede la vita definitiva che non conosce fine né dipende dalle vicissitudini umane (io lo risusciterò) . Dallo Spirito-vi­ ta che riceve, l'uomo è portato alla stessa donazione cui fu portato Gesù. II discepolo di Gesù, con lui e come lui, dà se stesso fino alla morte per il bene dell'uomo. Come Gesù stesso, non si trattiene neppu­ re davanti alla morte, perché la vita che possiede la supera (per • l'ultimo giorno », cfi:-. 6, 39 Lett.). 55



vera

Perché la mia carne è cibo vero, e il mio sangue è bevanda

•-

Il contesto eucaristico in cui Gv si muove sta per essere formulato con maggior chiarezza. L'eucarestia apparirà sotto un duplice aspetto: come nuova manna, alimento che dà forza e vita, veicolo dello Spirito (6, 55), e come nuova legge, che è realtà, non per mezzo di un codice esterno, ma per l'identificazione con Gesù ( 6, 56) che porta a una dedizione si­ mile alla sua (6, 57). In altre parole: da parte di Gesù, l'eucarestia, memoriale della sua vita e morte, è dono che comunica il suo amore e la sua vita (lo Spirito) ; da parte del discepolo è l'accettazione del dono; da questo nasce un'espe­ rienza di vita-amore che si trasforma in nonna della sua condotta; accettandolo, rinnova il suo impegno con Gesù e, in lui, con l'uomo. Gesù, alimento della sua comunità, produce in essa l'amore, la dedizi� ne e la gioia festosa (agnello pasquale). Il dono ricevuto porta al dono di sé: è l'amore che risponde al suo amore ( 1 , 1 6). 56 • Chi mangia la came mia e beve il sangue mio rimane con me, e io con lui •-

L'adesione a Gesù non si ferma all'esterno. Egli non è un modello esteriore da imitare, ma una realtà interiorizzata. Questa comunione intima cambia la realtà interiore del discepolo. Produce la sintonia con Gesù, e fa vivere identificati con lui. Appare per la prima volta l'espressione • rimanere con me/in me », che costituirà uno dei motivi principali dell'immagine della vite come nuova comunità umana (15, 4.5.7). Restare nella vite equivale a restare nell'a­ more (15, 9: rimanete in questo mio amore). Quest'unione attiva del discepolo con Gesù si esprime ora con la metafora del mangiare e bere. Questo mostra che l'adesione a Gesù è sempre un'adesione di amore, che stabilisce una comunione di vita.

322

6, 41-59. Assimilare Gesù, vita

e

norma di vita

57 " Come il Padre, che vive, inVI �tne, e quindi io vivo per il Padre, cosl anche chi mangia me vivrà per me ».

La vita che Gesù possiede procede dal Padre (1, 32: lo Spirito che scendeva come colomba dal cielo e rimase su di lui), ed egli vive per il Padre, vale a dire in totale dedizione al disegno di Dio (4, 34), che è dare vita al mondo (6, 39-40 .5 1). Disponendo egli stesso della vita ( 1 , 33: è lui che battezzerà con Spirito Santo; cfr. 5, 26: ha concesso anche al Fi­ glio di disporre della vita), la comunica ai suoi; l'atteggiamento di questi ultimi deve essere la dedizione allo stesso disegno. Lo stesso vincolo di vita che esiste fra Gesù e il Padre (vita ricevuta-vita dedicata) esiste fra i discepoli e Gesù. 58 «Questo � il pane disceso dal cielo, non come quello che mangia­ rono i vostri padri, che morirono; chi mangia questo pane vivrà per sempre».

Si chiude il tema della manna, cominciato nella pericope precedente (6, 3 1 ) e ripreso nella prima parte di questa sezione (6, 4 1 .49.5 1 ) . Esistono due palÙ del cielo: uno, falso, la manna, e l'altro vero, la sua persona. Il primo non poté completare l'esodo, non condusse quelli che lo mangiarono fino alla terra promessa (cfr. 6,49) ; l'esodo di Gesù, invece, giunge al suo fine: chi mangia questo pane vivrà per sempre. Questo pane, nuova manna, è disceso dal cielo (cfr. 6, 57: come il Pad re ... inviò me). Gesù si riferisce ora a se stesso come datore dello Spirito (cfr. 6, 33.34), a disposizione dell'uomo. In questa pericope si parla della nuova comunità umana, che deve giungere alla terra promessa, a differenza di quella che si costitul nel Sinai e che morì nel deserto. Tuttavia, ogni volta che fa allusione alla sua sequela (mangiare/bere). Gesù si riferisce all'individuo, non alla comunità. Per lui, la comunità non è «gente» né «folla» (6, 5), ma uomini, adulti (6, IO), in cui ciascuno fa la sua opzione personale e libera e ha la propria responsabilità nella sequela e nell'assimilazione. Gesù ha esposto la condizione per creare la società che Dio vuole per l'uomo, l 'unica che gli permetterà una vita pienamente umana, e per compiere il progetto di Dio sulla creazione: l'amore di tutti e d i ciascuno per tutti, senza negare nulla. Egli dà all'uomo l a possibilità di tale amore e di tale vita. Alla fine della scena non si registra alcuna reazione da parte dei giudei che avevano criticato Gesù (6, 4 1 ) . All'evangelista interessa soltanto sottolineare la loro incomprensione. Tutto l'episodio è diretto, in realtà, alla cerchia dei credenti, per porre in chiaro il significato dell'adesione al Messia, spiegare il programma di Gesù e quello della comunità e interpretare l'eucarestia.

Occasione e luogo 59

Questo lo disse insegnando in una riunione, a Cafamao.

Il dato locale, relegato alla fine dell'episodio, appare come secondario (cfr. l, 28) . Chiude le due scene, formando un legame con la prima 323

D giorno del MeulL Ciclo dell'uomo

menzione di Cafamao (6, 24). Il dialogo con la gente (6, 22-40) e la polemica con i giudei fedeli al regime (6, 41·59) sono intimamente collegati, formano due pale di uno stesso dittico.

S INTESI In questa pericope Gesù dà l'ul tima spiegazione della spartizione dei pani. II punto centrale si trova nella sua affermazione, ripetuta in diverse maniere, del dono di se stesso. Gesù non è venuto a dare • cose », ma a dare se stesso all'umanità. Per questo il pane che dava conteneva la sua propria donazione, era il segno che l'esprimeva. Questo è pure quello che egli chiede al discepolo: deve considerare se stesso come • pane • che va distribuito, e deve distribuire il suo pane come se distribuisse se stesso. Deve riunciare a possedersi. Solo chi non abbia paura di perdersi troverà la sua vita. Questa si riceve soltanto nella misura in cui si dà, si possiede nella misura in cui si dona. Fare che la propria vita sia • alimento disponibile • per gli altri, come quella di Gesù, ripetendo il suo gesto con la forza del suo Spirito, che è quella del suo amore, è la legge della nuova comunità umana. Si esprime nell'eucarestia, che rinnova il gesto di Gesù. In essa si sperimenta il suo amore nell'amore dei fratelli e si manifesta l'im­ pegno di donarsi agli altri come egli si donò. La nuova società non sarà creata da un intervento miracoloso di Dio. L'amore di Dio si è manifestato in Gesù-Uomo e deve continuare a manifestarsi per mezzo degli uomini, con il loro sforzo e la loro dedizione.

324

Gv 6, 60-71: Crisi nella emnunltà dei discepoli e StM soluzione 60

Molti suoi discepoli udendolo dissero: - Questo m es sagg i o è troppo gravoso; chi può dargli retta? 61 Gesù, cosciente che i suoi discepoli lo criticavano per questo, disse loro: - Questo vi scandalizza? 61 E se vedeste l'Uomo salire dove stava in p rincipio ? u t! lo Spirito che dà la vita, la carne non serve a nulla; le esigenze che vi ho esposto finora sono spirito e sono vita. 6' Ma tra di voi vi sono alcuni che non credono (Gesù infatti sapeva già fin dal principio chi erano quelli che non credevano e chi era quello che lo avrebbe consegnato). •• E aggiunse: - Per questo vi ho lasciato detto che nessuno può giungere fino a me se non glielo concede il Padre. 66 Da allora, molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andava­ no più con lui. 67 Gesù domandò allora ai Dodici: - Forse volete andarvene anche voi? 61 Gli rispose Simon Pietro: - Signore, con chi ce ne andremo? Le tue esigenze comunicano vita definitiva, 69 e noi crediamo fermamente e sappiamo benissimo che tu sei il Consacrato da Dio. R ispose loro Gesù:

1o

- Non sono stato io a scegliere voi, i Dodici? Tuttavia tra di voi uno che è nemico.

c'è

7' Si riferiva a Giuda di Simone Iscariota, che infatti, pur essendo uno

dei Dodici, lo stava per tradire. 1





'

,_

NOTE FILOLOGICHE 6, 60 Questo messaggio, gr. ho /ogos houtos. Riferendosi al le esigenze (6, 63: rèmata) esposte da Gesù nel d iscorso . - troppo gravoso, gr. sk/ èros. Duro, difficile, più di quanto si . possa am me t tere, sopportare. - dargli retta, gr. akouein. Ascoltare e . accettare, prestare orecchio, cfr. 9, 27; M t 18, 15; At 28, 28. ·

·

61 cosciente, gr. eid6s .. . en heaut6. L'aggiunta indica soltanto che la in­ formazione non è stata ricevuta da altri. - lo criticavano, gr. gogguzousin. Pres. in tenue consecuzione temporale con l'aor. eipen. Questa può essere voluta, alludendo a fatti contemporanei al­ l'autore (pres.) cui Gesù rispose una volta per tutte (aor.). 62 E se vedeste . .. ?, gr. ean oun the6rète. In senso molto ampio: vedere , ricon osce re (cfr. 6, 40 nota ), comprendere. Oun i nt rod uce la risposta e la spiegazione.

325

Il glomo del Mesola. Ciclo dell'uomo

- salire, gr. anabainonta. Si oppone a 1ultabain6n (6, 33.50), katabas (6, 4151.58), katabebeka (6, 38.42). la carne, gr. he sarx. Si riferisce a quella menzionata in precedenza (6. 51s s). ma qui contrapposta a t o pneuma, secondo l'erronea interpreta­

63

zione di quelli che si scandalizzano.

- non serve a nulla, gr. ouk 6phelei ouden. (Cfr. 12, 1 9) . - esigenze. gr. rèmata. Cfr. 3, 34 nota. - ho esposto finora, gr. lelaleka. Pf. retrospettivo estensivo; cfr. El Aspecto Verbal, n. 246. 64

(... infatti .. ), gr. gar. Marca un'inciso esplicativo. .

65 aggiunse, gr. elegen. Impf. continuativo (kai). - vi ho lasciato detto, gr. eirèka humin. Allude a 6, 37.44; per!. oracolare che

esprime un detto di Gesù che rimane nella comunità, con possibile allu­ sione a messaggi profetici relativi allo stesso tema, all'interno della comunità.

Da allora, gr. ek toutou. Soltanto in Gv (cfr. 1 9, 12; l Gv 4, 6); sinon. di apo tote (M t 4, 17; 1 6 2 1 ; 26, 16; Le 16, 16), mai in Gv. - si tirarono indietro, gr. apèltlwn eis ta opis6 (cfr. 18, 6).

66

,

domandò, gr. eipen. Specificato dal contesto. Forse ... ?, gr. mè. Attende risposta negativa (forse).

67 -

68 con chi ...?, gr. pros tina. Indica il movimento e la permanenza. - Le tue esigenze comunicano vita, gr. rèmata z6ès ... eklzeis. Remata ha un sema di comunicazione; la relazione indicata dal genitivo include la vita (zoes) nel contenuto della comunicazione. Comunicano denota al tempo stesso che la vita è in Gesù (hai) e che passa a colui che compie le sue esigenze (cfr. 6, 63; 3, 34). 69 crediamo fermamente, gr. pepisteukamen. Pf. intensivo (cfr. Il, 27; 16, 27). - sappiamo benissimo, gr. egn6kamen. Pf. intensivo (cfr. 5, 42; 8, 52); cfr. El Aspecto Verbal, n. 152. - il Consacrato da Dio, gr. ho hagios tou Theou. Hagios agg. risultato di un atto (cfr. I O . 36: han ho Patèr hegiasen), equiv. al pan. pf. hègiasmenos (cfr. l Cor l , 2: hègiasrnenois, lzagiois), praticamente sinonimo di Khristos, Unto, cfr., in un contesto parallelo, M t 16, 16; Mc 14, 6 1 ; e specialmente Le 9, 2 0 : ton Khriston tou Theou, l'Unto da Dio.

70 Tuttavia, gr. kai. Avversa!. - nemico, gr. diabolos. Cfr. 13, 2 Lett. (Cfr. LXX Sal 108, 6; l Mac l, 36; di uomini). 71 Si riferiva, gr. elegen. Con ace. - Giuda di Simone lscariota. Questa denominazione appare tre volte (6, 7 1 ; 1 3 , 2.26). sempre i n prossimità d i una menzione d i Simon Pietro (6, 68 ; 1 3, 6.24). Giuda Iscariota i n 12, 4 (14, 22); Giuda in 13, 29; 18, 2.3.5.

326

6, 60-71. Crlal nella comunllk del dbcepoll

CONTENUTO E DIVISIONE Le esigenze presentate da Gesù nella precedente pericopc, provocano forte resistenza tra i discepoli, che le considerano eccessive. Hanno interpre­ tato male la morte che Gesù annunciava, considerandola una debolezza e un fallimento, e di conseguenza ricusano di seguirlo nell 'amore fino alla morte. Conservano la concezione del Messia re, manifestata in occasione della spartizione dei pani (6, 15) e che aveva provocato la prima crisi, parallela a questa (6, 16ss). Gesù spiega loro che la sua morte è condizione della vita e che la sua realtà umana contiene la forza dello Spirito. Mal· grado la sua spiegazione, la maggior parte lo abbandona. I Dodici, invece, davanti alla domanda di Gesù, lo riconoscono come Messia e gli danno la loro adesione, accettando le sue richieste, anche se all'interno del gruppo si nasconde un nemico, disposto a consegnare Gesù. Dal punto di vista della comunità cristiana, la carne e lo Spirito ricordano l'eucarestia di cui si è prima parlato (6. 53-58)_ Si può essere discepoli di Gesù esterior­ mente, accettando la sua carne (eucarestia) senza lo Spirito, vale a dire, senza assimilare Gesù. La pericope si divide in due parti: - la prima descrive la protesta di un numeroso gruppo di discepoli contro le esigenze avanzate da Gesù e la risposta di quest'ultimo. Termina con l'allontanamento di molti di loro (6, �). Nella seconda parte Gesù pone la questione ai Dodici, che lo riconoscono come Messia (il Consacrato da Dio). per bocca di Simon Pietro. Il gruppo, tuttavia, non è compatto, e Gesù lo sa (6, 67-71) . La pre­ senza di Gesù e i discepoli al principio e alla fine del capitolo (6, 3-21 .6(}.7 1). la duplice menzione di Simon Pietro (6, 8.68), e la cifra dodici (6, 13.67.70.7 1 ) dimostrano l'unità dell'intero episodio.

Si può dividere così:

6, 6(}.66 : Crisi e defezione. 6, 67-71 : L'adesione dei Dodici.

LffiURA Crisi e defezione 6,60 Molti suoi discepoli udendolo dissero: • Questo messaggio è trop­ po gravoso; chi può dargli retta ? "· Si è chiusa la scena di Cafarnao e i discepoli appaiono di nuovo con Gesù, collegando così la pericope con la scena della barca e l'arrivo a terra (6, 21). Nella prima parte si è già avuto u n malinteso: i discepoli, dava n ti al rifiuto di Gesù di essere proclamato re (6, 15). hanno diserta­ to in blocco (6, 16-2 1 ) . G esù , invece, non Ii ha abbandonati; è andato loro incontro mentre si allontanavano da l ui (6, 19-20). Il gruppo venne ricostituito (6, 2 1 ) . I l discorso di Cafarnao, nelle sue due parti (6, 22-40.41-59), ha trattato appunto delle condizioni per appartenere alla com un i tà messianica: l'adesione a Gesù e la sua assimilazione attraverso la dedizione agli altri.

327

Il Jlomo del Messia. Ciclo dell'uomo

Il Messia e i suoi formano quindi una comunità dedita senza riserve al bene dell'uomo. Gesù non propone, pertanto, un messianismo trionfali­ stico né nazionalista, come se Io attendevano i suoi contemporanei. II Messia non sarà un dominatore né limiterà il suo orizzonte a Israele. I discepoli, che avevano interpretato male la scena del tempio (2, 17) e che il giorno precedente avevano preteso di farlo re, hanno compreso il significato delle parole di Gesù. Questi non cerca gloria umana (5, 4 1 ) n é l a promette a i suoi. Seguirlo significa rinunciare a ogni ambizione. Molti discepoli considerano troppo esigente questo messaggio di Gesù (cfr. M t 16, 22; Mc 8, 32). Tutto questo riflette, senza dubbio, problemi esistenti nella comunità cristiana; non tutti vogliono accettare il pro­ gramma di donazione totale di sé espresso nella donazione dei beni, che la generosità moltiplica. AI principio del capitolo si notava chiaramente che i discepoli non comprendevano l'atteggiamento di Gesù, che si era messo a servire la gente con un gesto che doveva essere normativa per i suoi (6, l i Lett.). Pretendevano, invece, di conferirgli un potere che dispensasse dallo sforzo; volevano un pane « istituzionale • (re) . Quando Gesù espone il suo programma in modo radicale e inequivocabile, nasce la ribellione di molti discepoli, che rifiutano di seguire questa linea. 61-62 Gesù, cosciente che i suoi discepoli lo criticavano per questo, disse loro: • Questo vi scandalizza? E se vedeste l'Uomo salire dove stava in principio? •. Gesù si rende perfettamente conto di quanto accade e affronta la situazione. Il suo insegnamento ha creato un'ostacolo perché essi consi­ derano la morte come una fine e un fallimento. Non si sono resi conto della qualità di vita che Gesù possiede e promette. Attendono tutto da un trionfo terreno. Gesù, invece, vuoi far loro comprendere che la morte non significa una fine, che non interrompe la vita. La discesa nella morte include il risalire alla vita; egli sta per donare la vita, ma per riprenderla nuovamente (cfr. IO, 17ss) ; questo è il suo ritorno là dove era al principio. La morte è la sua gloria, perché è l'espressione massima dell'amore. Così come « scendere • indicava il movimento di colui che ha una vita proveniente da Dio, per entrare in un mondo · il cui distintivo ed espressione massima è la morte, « salire • è il suo movimento dalla morte, causata da tale mondo, fino alla vita definitiva. Essi si scanda­ lizzano della sua « discesa • e considerano troppo duro doverlo assimi­ lare, perché non ne comprendono il frutto né l'orizzonte. 63 • 1:. lo Spirito che dà la vita, la carne non serve a nulla; le esigenze che vi ho esposto finora sono spirito e sono vita •. Gesù contrappone la sua idea messianica a quella dei discepoli, che non accettano le sue esigenze. Lo Spirito è la forza dell'amore, che procede dal Padre (15, 26) ed è Dio stesso (4, 24). Egli è vita e la comunica. La « carne » sola, senza forza né amore, l'uomo incompiuto (3, 6 Lett.), è debole, e quanto intraprende non giunge a termine e non è durevole. II fondamento della nuova comunità umana è la donazione di sé agli altri 328

6, 60-71. Crisi nella comunlt•

del

discepoli

e la pienezza dell'uomo (carne + spirito), non il potere che i discepoli pretendevano di conferirgli (6, 15) . In concreto, il programma che Gesù propone e l a legge che fonda la nuova comunità sono l'identificazione con la sua morte. Non si tratta della morte per se stessa, né della non violenza come debolezza (carne), ma, al contrario, della morte come espressione di amore, unica forza agente di vita (Spirito). Sono coloro che • credono • a modo proprio, come quelli di Gerusalemme (2, 23), a voler imporre a Gesù la loro idea di Messia e, quando lui espone la sua, sono incapaci di accettarla. Il dono di sé fino alla morte non può entrare nei loro piani. Comprendo­ no i segni del potere (4, 48 Lett.), non quelli dell'amore (cfr. 13, 6ss). Gesù, invece, rifiuta assolutamente una simile concezione; la salvezza che egli porta si basa sulla vita nuova che egli comunica con lo Spirito. Da quest'uomo nuovo « sgorgherà • la società nuova, che sarà espres­ sione di vita, non ristagno di morte. La nuova società o comunità messianica non si costituisce senza la collaborazione dell'uomo. Sono quelli che scelgono Gesù e adottano il suo atteggiamento di dedizione a costruire il mondo nuovo. Il Messia potente, al contrario, che organizza e impone l'ordine, dispensa l'indivi­ duo dall'amare, Io scarica della responsabilità che è sua. È nell'eucarestia che si riceve Io Spirito e si esprime la dedizione della comunità e dei suoi membri, che si identificano con Gesù. La • carne » senza Spirito indica anche, pertanto, un'appartenenza alla comunità e una partecipazione all'eucarestia puramente esteriore, che non includo­ no l'impegno dell'amore per l'uomo. Quando Gesù ricorda il suo mes­ saggio si produce la crisi, come in questa occasione. 64 • Ma tra di voi vi sono alcuni che non credono •. (Gesù infatti sapeva già fin dal principio chi erano quelli che non credevano e chi era quello che lo avrebbe consegnato).

Gesù non si fa illusioni circa il suo gruppo; non tutti accettano la sua linea per il semplice fatto di stare con lui. Vi sono resistenze, e sequela puramente esteriori. Al sopraggiungere di questa crisi, si rivelerà chi siano i veri seguaci. Egli sapeva anche che uno di loro lo avrebbe consegnato. Vedeva già in Giuda l'uomo che, professando i valori del mondo •, non assimilava il suo messaggio. Gesù sa fin dal principio, vale a dire fa già i conti con il tradimento, perché fa i conti con la libertà dell'individuo. La sua elezione non la elimina né pretende di evitare i rischi. È un'offerta la cui. accettazione dipende da ciascuno, come il boccone offerto a Giuda nella Cena attendeva la sua opzione senza forzare una risposta (13, 26ss Lett.; per il significato della elezione, cfr. 15, 16 Lett.). «

65 E aggiunse: « Per questo vi ho lasciato detto che nessuno può giungere fino a me se non glielo concede il Padre •. Gesù annuncia questo principio in quattro modi differenti: tutto ciò che il Padre mi consegna giunge fino a me (6, 37); nessuno può giungere fino a me se il Padre ... non lo attrae (6, 44) ; chiunque ascolta il Padre e impara si avvicina a me (6, 45) ; nessuno può giungere fino a me se non glielo concede il Padre (6, 65). 329

Il &�orno del

Messia. Ciclo dell'uomo

Si può avere ora una visione d'insieme di questi quattro detti di Gesù. In essi ha grande rilievo l'attività del Padre, descritta come consegnare (6, 37), attrarre (6, 44), parlare/insegnare (impliciti in 6, 45), concedere (6, 65). Queste azioni, (attrarre, che si concluderà in consegnare), hanno come termine Gesù (attrarre a lui, consegnargli) e come oggetto l'uomo (che è attratto, consegnato). Le altre due azioni hanno come termine l'uomo (cui si parla/insegna o concede). La successione logica è la seguente: la prima si dirige all'uomo: parlare/insegnare. Si descrive così l'offerta universale che fa il Padre (6, 45 : saranno tutti discepoli di Dio), invitando alla pienezza di vita, obiettivo del progetto creatore, che si trova in Gesù. A questo invito, l'uomo deve rispondere (6, 45: ascolta­ re/imparare) facendo uso della sua libertà. Questa attività del Padre si rivolge, pertanto, all'uomo, e ha Gesù come oggetto. Alla risposta positiva dell'uomo fa seguito l'attività del Padre, descritta come attrar­ re, che indica in termini di attrazione l'impulso interiore verso Gesù che egli suscita nell'uomo. Il termine di questo movimento è l'incontro con Gesù (6, 65: giungere fino a me), che è concesso dal Padre a colui che si è lasciato attrarre. L'incontro con Gesù in questa docilità al Padre si identifica con la ricezione dello Spirito, che realizza la conse· gna dell'uomo a Gesù da parte del Padre. Chi si chiude allo Spirito, rimanendo nella sfera della • carne », rifiuta il dono del Padre e non giunge mai fino a Gesù. 1! il caso dei discepoli che disertano. Hanno accettato Gesù nella sfera della • carne », secondo la concezione trionfalistica del Messia-re, e rifiutano lo Spirito, vale a dire. il dinamismo dell'amore leale che porta Gesù a dare la sua vita per comunicarla all'uomo. I discepoli, che nella loro visione si erano fermati all'orizzonte della • carne », vale a dire all'uomo senza Spirito, non accettavano la propo­ sta di Gesù considerandola troppo gravosa (6, 60), eccessiva per le forze umane. Gesù li aveva invitati a superare tale visione, avvertendoli che solo lo Spirito dà la vita (6, 63); ora lo conferma: nessuno può giungere fino a lui se non mediante lo Spirito. Questo detto di Gesù esprime l'impossibilità di seguirlo prima della sua morte, perché soltanto allora lo Spirito sarà comunicato (7, 39). Un passo parallelo si trova in 13, 33ss, in un contesto dove appaiono ugualmente le figure di Giuda e Simon Pietro (13, 21-32.36-38). Per i paralleli fra i capp. 6 e 13 cfr. p. 584 ss. 66

Da

allora,

molti dei suoi discepoli si

tirarono

indietro. e non

andavano più con lui.

Si origina una forte crisi nel gruppo. Molti si ritirano definitivamente. Il programma esposto, che esige da un lato di rinunciare a ogni ambizione personale, e dall'altro di assumere la responsabilità propria dell'uomo libero, provoca in molti di loro un chiaro rifiuto.

330

6, 60-71. Crisi nella comunllà del dlacepoll

L'adesione dei Dodici 67 Gesù domandò allora ai Dodici: voi? ».

«

Forse volete andarvene anche

I n questa situazione dolorosa, Gesù s i rivolge ai Dodici, e domanda quale sia la loro scelta; non accetta compromessi. Il tenore della domanda mostra che è disposto a restare senza discepoli piuttosto che a rinunciare alla sua linea. Per lui non esiste salvezza per l'umanità al di fuori del programma che ha esposto, quello della dedizione per amore. Tutti gli altri, per brillanti che appaiano, lasciano l'uomo nella sua mediocrità e, con ciò stesso, si concludono nel fallimento. Appare per la seconda volta in Gv la cifra • 12 » che sarà ripetuta nei vv . seguenti (6, 70.71; cfr. 20, 24). La prima volta, in questo stesso capitolo (6, 13). precisava il numero delle ceste di pane e pesce avanzato che erano state raccolte. In entrambi i casi l'allusione a Israele è chiara (6, 13 Lett.; per il significato in questi vv., cfr. 6, 70 Lett.). 68

Gli rispose Simon Pietro: • Signore, con chi ce ne ar1dremo? Le tue esigenze comunicano vita definitiva •.

L'impegnativa domanda di Gesù suscita una reazione nel gruppo dei Dodici. In rappresentanza di tutti (uso del plurale) , risponde Simon Pietro. I Dodici comprendono che al di fuori di Gesù non c'è speranza. Senza di lui si avviano al fallimento. Le esigenze di Gesù non costituiscono un semplice messaggio orale : sono inseparabili dalla sua persona, che esprime in esse i l suo atteggia­ mento. Non sono una dottrina che, separata da lui, produca vita; non possono costituire un sistema teorico; dipendono dalla realtà di Gesù. È lui il progetto di Dio realizzato (1, 14a Lett.) e, proponendo le sue esigenze, egli sta spiegando se stesso; esse rimandano alla vita che egli possiede, la vita definitiva, che i suoi possono avere assimilandolo (6, 54). Per bocca di Pietro si formula l'esperienza della comunità di Gv (plurale) . Di qui l'uso del termine • esigenza/mandato • (cfr. 3, 34, in opposizione ai comandamen ti di Mosè) . Le • esigenze • sono qualcosa che la comunità pratica e che le fornisce la sua identità, come i Comandamenti promulgati da Mosè la fornivano all'antico Israele. Si riducono al comandamento di Gesù: come io vi ho amati, così amatevi anche voi, il suo distintivo di fronte al mondo (13, 34s). Si esprimono nell'eucarestia; in essa, il dono materiale del pane e del vino con-tiene il dono personale di Gesù ai suoi, e diviene norma per la vita dei discepoli, come dono di sé all'umanità. 69a

• e noi crediamo fermamente e sappiamo benissimo •·

Pietro continua parlando come portavoce del gruppo. Tutta la scena è Ietta nella prospettiva della comunità; non è una cronaca, ma una storia interpretata attraverso un'esperienza. II contenuto di questa, che è riconoscimento e adesione, viene sdoppiato nella coppia di verbi: crediamo fermamente e sappiamo. Di fatto, l'adesione fa seguito al 331

Il pomo del Messia. Ciclo dell'uomo

riconoscimento e lo manlfesta; qui però si inverte l'ordine per dar enfasi alla fede, tema del capitolo. Questa si esprime indistintamente con " avvicinarsi a Gesù » (6, 37.45), • giungere fino a lui • (6, 37.44) o c dargli adesione • (6, 29.35.40.47). È inclusa anche nell'immagine di c mangiare e bere • (6, 50-51 .53-58). 69b



che tu sei il Consacrato da Dio

•·

La consacrazione si identifica con la pienezza dello Spirito ( l , 32) con cui il Padre ha segnato Gesù (6, 27; cfr. IO, 36). L'espressione (cfr. nota) è titolo messianico che risponde alla rivelazione messianica dei pani (6, 13 Lett.). Poiché l'unzione di Gesù come Messia è lo stesso Spirito di Dio, Gesù è il Figlio di Dio, come Giovanni aveva dichiarato rendendo testimonianza della sua visione ( l , 34). la presenza di Dio nel mondo. Entrambi i titoli (Messia e Figlio di Dio), che si applicavano al re di Israele (Sal 2, 2.7), si verificano in Gesù in modo unico. Cosi affermerà Gesù di se stesso dinanzi alla commissione che lo interroga sul suo carattere messianico (IO, 24.36). Il titolo « il Consacrato da Dio • riuni­ sce ora tutto ciò che Gesù è, ed esclude il Messia politico che i discepoli si immaginavano (2, 17; 6, 15). Gesù, il Consacrato con Io Spirito, vive per il Padre (6, 57) e realizza liberamente il suo disegno (4, 34; 5, 30; 6, 38; 13, 3; 17, 18s) ; la nuova comunità, c il suo regno •, sarà costituita a sua volta da coloro che liberamente accetteranno il suo messaggio (18, 37b). Non sarà un re fatto da loro (6, 15), a immagine della « carne •, ma da Dio, con il sigillo dello Spirito (6, 27).

70 Rispose loro Gesù: • Non sono stato io a scegliere voi, i Dodici? Tuttavia tra di voi c'� uno che è nemico •· La risposta di Gesù alla dichiarazione di Simon Pietro, fatta a nome di tutti e inappuntabile sul piano della formulazione, non è entusiasta; al contrario, marca la sua riserva. Davanti a tale professione di fede, Gesù ricorda con ironia il tradimento di uno di loro. Per Gesù, le parole non danno la misura della fedeltà effettiva. Pietro, al momento di seguirlo, sarà incapace di farlo (13, 36ss). Lo farà soltanto quando accetterà la morte di Gesù, perché allora sarà disposto ad accettare la sua propria morte per le pecore (2 1 , 19); questa non sarà più soltanto una frase, ma un fatto che darà significato alla sua vita. Per essere vero discepolo non basta l'adesione di principio, è necessario attenersi in pratica al messaggio di Gesù (8, 31). Il gruppo dei Dodici non è compatto. La frase di Gesù riveste un carattere di avvertenza alla comunità cristiana: possono esserci membri che non solo non accettano il messaggio, ma che sono alleati, manifesti od occulti, del « mondo • nemico di Gesù (7, 7) . Fa notare che il fatto di essere stati scelti da lui non garantisce la permanenza nella fedeltà. La sua elezione non forza assolutamente la libertà del gruppo, come ha mostrato con la sua domanda: forse volete andarvene anche voi? (6, 67). Ma perfino l'adesione del gruppo (6, 69: no1) non garantisce l'adesione personale di ogni membro. Ciascuno è responsabile di se stesso. Non compare in questo vangelo l'elezione dei Dodici cui Gesù si

332

6, 60-71. CrW aella comunità del dlseepoU

rife ris ce. Né si dà mai la listà di coloro che lo compongono. Menzionati con i loro nomi, appaiono in questo vangelo sette discepoli: Andrea e Simon Pietro ( 1 , 40), Filippo ( 1 , 43), Natanaele ( 1 , 45), Tomrnaso ( 1 1 , 16) Giuda Iscariota (6, 7 1 ) e l'altro Giuda ( 1 4, 22); inoltre, senza nome proprio i figli di Zebedeo (2 1 , 2). Giuseppe D'Arimatea fu discepolo clandestino ( 19, 38). Solo Giuda Iscariota (6, 71) e Tommaso (20, 24) sono esplicitamente inclusi nel gruppo dei Dodici. Bisogna aggiungere, naturalmente, Simon Pietro, che se ne rende portavoce (6, 68). Queste imprecisioni, e l'assenza di una lista, fanno di questo numero in Gv un simbolo della comunità cristiana nel suo insieme, il numero della nuova comunità in opposizione a quello dell'antico popolo, I sraele, cui si faceva allusione con la menzione dei dodici cesti di avanzi nella distribuzione dei pani (6, 13). Mostra il vincolo della sua comunità all'antico Israele, in quanto erede delle promesse (4, 37-38 Lett.) . 71

dei

Si riferiva a Giuda di Simone Iscariota, che infatti, pur essendo uno lo stava per tradire.

Dodici,

t! sorprendente l'identi ficazione di Giuda, personaggio che appare per la prima volta (cfr. 12, 4; 13, 2.26.29; 18, 2.3.5). Soltanto in Gv lo si chiama di Simone Iscariota, e questo patronimico appare tutte e tre le volte in contesti dove si trova vicino a Simon Pietro (cfr. nota). I I nome di Simone che, anche se in modo diverso, li designa entrambi, potrebbe insinuare un certo parallelo fra il discepolo che tradisce Gesù e quello che lo rinnega per tre volte ( 1 3 , 38; 18, 15-18.25-27) . Questa predizione su Giuda prepara le scene di 12, �. dove lo si qualifica ladro; 1 3 , 21-30, dove si accinge a consegnare Gesù, e 18, 1-5, dove si porrà alla testa di quelli che lo consegnano. Gesù lo qualifica nemico, avversario (cfr. nota); tale è il significato del greco diabolos (8, 44a Lett.). Come si rivelerà in 12, 4ss è nemico perché trattiene per sé il denaro di tutti, esattamente al contrario di quanto Gesù ha insegnato nella spartizione dei pani. Giuda non accetta il dono di se stesso agli altri; al contrario, toglie agli altri e trattiene per sé ( 1 3 , 2 Lett.). Con questa nota pessimista tennina l'episodio dei pani. La crisi si è prodotta e si è risolta, ma la mancanza di unanimità continua nel gruppo di Gesù. Il suo insegnamento dell'amore fino al dono totale ha provocato la diserzione di molti, e anche fra coloro che rimangono c'è chi sta per tradirlo.

SI NTESI Il punto centrale di questa pericope si trova nell'opposizione tra c car­ ne » e « Spirito •, vale a dire fra due concezioni dell'uomo e, di conse­ guenza, di Gesù e della sua missione. La condizione indispensabile per essere vero discepolo e potersi identificare con Gesù è la visione dell'uomo come « spirito • vale a dire, come realizzato dall'azione crea333

Il porno del Messia. Ciclo dell'uomo

trice del Padre, non meramente come • carne •, l'uomo senza capacità di amore disinteressato fino alla fine. A queste due concezioni dell'uomo corrispondono due diverse concezio­ ni di Gesù. Il Messia secondo la « carne » è il re che essi hanno voluto insediare, il dominatore che impone il suo governo a un regno di sudditi. I l Messia secondo lo Spirito è quello che si rende servitore dell'uomo fino a dare la sua vita per lui, per comunicargli vita piena, vale a dire libertà e capacità di amare come lui. L'accettazione di un tale Messia implica l'assimilazione della sua persona e messaggio, che porta, attraverso lo Spirito, allo stesso atteggiamento vitale. Comporta una rinuncia, come la sua, a ogni ambizione di dominio o di potere e un rifiuto della gloria umana.

334

TERZA

SEZIONE

LA FESTA DELLE CAPANNE (7, 1 -52 - 8, 1 1 -59)

Nel dominio della 1f10rte, Gesù chiama alla vita terza sezione del secondo ciclo si sviluppa durante la festa delle Capanne, la più popolare dell'anno, che aveva un marcato carattere messianico. t;: composta da una introduzione e da due sequenze; la seconda termina con una annotazione conclusiva '· Nell'introduzione (7, 1-10), Gesù si reca clandestinamente dalla Galilea a Gerusalemme, dove non è diminuita l'ostilità contro di lui. La prima sequenza (7, 1 1 -8, 20) comprende l'insegnamento di Gesù al popolo. A metà della festa, sale al tempio ad insegnare, incarnando la Sapienza, che invita tutti ad accorrere a lei, per evitare la rovina che li minaccia. Fa due dichiarazioni messianiche, ispirate ai riti della festa, l'acqua viva e la luce. Con ambedue dichiara di sostituire il tempio, e invita tutti ad avvicinarsi a lui e a seguirlo, abbandonando l'antica istituzione, il cui dio è il tesoro, che tra l'altro ha trasformato la terra promessa in uno spazio di morte. La seconda (8, 2 1 ·58) contiene la denuncia dei dirigenti. Gesù li avverte della prossima rovina e denuncia il loro peccato, la complicità col sistema di menzogna e di morte (8, 2 1-30). Ne nasce una violenta discussione in cui Gesù prosegue la sua denuncia, e viene insultato da loro. L'annotazione conclusiva (8, 59) chiude la scena ricordando il tentativo di lapidario e l'uscita di Gesù dal tempio. Gesù, il nuovo santuario in cui risiede la gloria del Padre, non trova accoglienza nel tempio antico; per di più, deve uscime, perché la sua presenza risulta intollerabile: è il tempio del denaro, il luogo della tenebra, incompatibile con la luce. La

' La pericope 7, 53 - 8, I l , che contiene l'episodio dell'adultera, anche se conserva certamente un racconto molto primitivo, non appartiene al ,·angelo di G'·· In primo lu"'!o, non si trova nelle migliori testimonianze del testo, a partire dai papiri 66 e 75 e nei codici più accreditati (cfr. le edizioni critiche). Inoltre, nei codici e nelle versioni che la contengono, .non occupa sempre Io stesso posto; la . maggior parte delle volte compare dopo 7, 36; 7, 44 e, perfino, alla fine del vangelo. Non manca un documento che l 'attribuisce al vangelo di Luca (dopo 1 1 , 38). Oltretutto. molti di questi mss . la racchiudono fra asterischi o altri segni per indicare la mancanza di documentazione. Il vocabolario della pericope non conisponde a quello di Gv; l'esempio più evidente è l'apparizione della categoria grammateis, letterati, del tutto assente nel vangelo. D'altrn parte nessun Padre greco la commenta; fra gli scrittori ecclesiastici greci la prima menzione è quella fatta da Eutimio Zigabeno, nel sec. XII, che inoltre avverte come essa manchi nei migliori esemplari del vangelo. Per di più il suo inserimento a questo punto del vangelo interrompe chiaramente l'unità !ematica della sezione. Per questi motivi, che dimostrano la sua non appartenenza al testo di Gv., la si relega alla fine del commento (p . 869).

335

INTRODUZIONE Gv 7, 1-10: Gesù rifiuta la proposta del suoi 1 Dopo ciò Gesù continuava il suo cammino per la Galilea; non voleva continuarlo in Giudea perché i dirigenti giudei cercavano di ucciderlo. 2 Si avvicinava la grande festa dei giudei, quella delle Capanne. l I suoi pare n ti gli dissero: - Trasferisciti di qui e vai in Giudea, cos\ i tuoi discepoli vedranno le opere che compi; • in fatt i nessuno fa le cose clandestinamente se cerca pubblica fama. Se fai tali cose, manifestati al mondo. suoi parenti gli davano la loro adesione. 5 Di fatto, nemmeno i

6 Gesù rispose loro: - Per me, ancora non è il momento; per voi, invece, qualunque momento è buono. 7 II mondo non ha motivo di odiare voi; odia invece me, perché di lui io denuncio il suo modo perverso di operare. Salite voi alla festa, io non salgo a questa festa, perché per me il momento non è giun to ancora .

1

' Detto ciò egli si trattenne in Galilea; 10 tuttavia, dopo che i suoi parenti furono saliti alla festa, allora salì anche lui, non in modo manifesto ma clandestinamente.

NOTE FI LOLOGICHE 7, 1 Dopo ciò, gr. kai meta tauta. La particella kai aggiunge alla locuzione temporale un significato di immediatezza; cfr. 3, 22 nota; S, l ; 6, 1. - continuava il suo cammino, gr. periepatei. Peripate6 è termine tecnico in Gv per indicare la strada o il cammino di Gesù e di quanti lo seguono (cfr. l, 35; 5, 9); l'aspetto durativo delle forme (impf. e infin. pres.) suppone la continuità del cammino. - i dirigenti giudei. Nel contesto Giudea-Gerusalemme, il termine • i gtu. dei • designa in particolare i dirigenti, cfr. 1, 19 nota. la grande feÙa dei giudei, quella delle Capanne, gr. he hhJrJe ..• hl skénopègia. Anteponendo la menzione della festa · alla sua designazione, si

2

indica che era la festa principale dell'ann o. 3 I suoi parenti. Cfr. 2, 12 nota. - Trasferisciti ... vai, gr. metabethi ... hupage. Entrambi i verbi vengono uti­ lizzati per indicare esodo. Metabain6 appare in 13, 1 (infin. aor.), per indicare l'esodo di Gesù (passare da questo mondo al Padre), e in S, 24 (pf.) indi­ cando il passaggio già avvenuto dalla morte alla vita, che è l'esodo rea­ lizzato da Gesù. Hupag6 si usa costantemente a proposito dell'andata di Gesù, attraverso la morte, al Padre (cfr. 7, 33; 8, 1411; 13, 3; 16, 10 ecc.),

punto d'arrivo del suo esodo personale. I di invertire la direzione del suo esodo. 336



fratelli • di Gesù gli propongono

7, l-lO. Gesù rifiuta la proposta del suoi

4 fa le cose, gr. ti poiei. Modo greco e i t. per esprimere indeterminatezza . - clandestinamente, gr. en krupt6. Loc. avv. (7, IO in opposizione a phaneros) ; cfr. 19, 38: discepolo clandestino. - se cerca pubblica fama, gr. kai zetei autos en parr�ia einai. Rispetto alla preceden te, questa frase espone un modo di procedere incompatibile con quantò vi era enunciato: non si possono seguire al tempo stesso (kai) due tattiche contraddittorie. La relazione di simultaneità si può esprimere in it. con una condizionale. Avere pub blica fama essere lui in pubblidtà. ( I l pron. autos e il verbo avere sarebbero superflui nella traduzione it. N.d.T.). ___

=

6 rispose, gr. !egei, pres. st., verbo generico specificato dall'uso della par­ ticella oun, che collega con la proposta precedente. - Per me, ecc., gr. ho kairos ho emos oup6 parestin. Per voi, ecc. gr. ho kairos ho humeteros pantote es/in hetoimos. Le frasi greche considerano il mo­ mento in sé; la frase idiomatica it. lo considera dal punto di vista del sog­ getto personale. 7 non ha motivo, gr. ou dunatai. Impossibilità che nasce dalla mancanza di motivo per odiare, confronta 15, 19: se apparteneste al mondo il mondo vi amerebbe come cosa sua. Nei riguardi di Gesù, al contrario, l'odio ha come motivo la denuncia che egli ha fatto. - denuncio, gr. martiro peri autou. Testimonianza sfavorevole, non giudi­ ziaria. - il suo modo ... di operare, gr. t a erga autou. Confronta 3, 1 9 nota.

8 non è giunto ancora, gr. oup6 �plir6tai. Un lasso di tempo non com­ piuto; confronta Mc I . 15.

CONTENUTO E DIVISIONE I dirigenti della Giudea continuano a considerare Gesù un pericolo per la loro società e si propongono di ucciderlo, idea che avevano concepita in seguito alla guarigione dell'invalido (5, 16-18 Lett.). All'avvicinarsi della festa più solenne dell'anno, i congiunti di Gesù lo sfidano ironicamente a uscire dalla clandestinità, salire con il pellegrinaggio a Gerusalemme e ivi manifestare pubblicamente ciò che è capace di fare, atteggiandosi cosi a personaggio di pubblica fama. Gesù non accetta una tale proposta. La pericope comincia con un'introduzione che espone il luogo, l'ambiente di persecuzione contro Gesù e l'epoca dell'anno (7, 1-2). Prosegue con la pro­ posta dei parenti, rifiutata da Gesù (7, 3-8); termina segnalando la divi­ sione fra Gesù e loro, e il suo modo di procedere, diametralmente opposto a quello che essi volevano {7, 9-10).

Riassumendo: 7, 1-2: Circostanze ed epoca dell'anno. 7, 3-8: Proposta dei suoi parenti e rifiuto di Gesù. 7, 9-10: Salita a Gerusalemme.

337

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

LETTURA Circostanze ed epoca dell'anno 7, 1 Dopo ciò Gesù continuava il suo cammino per la Galilea: non voleva continuarlo in Giudea perché i dirigenti giudei cercavano di ucciderlo.

Dopo gli avvenimenti precedenti Gesù deve restare in Galilea, perché i dirigenti di Gerusalemme non gli perdonano il suo operato, e sono sempre decisi a ucciderlo (cfr. S, 16-18). Gesù, da parte sua, non si espone senza necessità, rimane lontano, al di fuori della loro giurisdi­ zione politica, che si esercitava soltanto sulla Giudea, e si trattiene nella regione del nord. Tutta la provincia del sud è territorio per lui pericoloso 2• « I suoi, che non l'accolsero ,. (1, I l ; 4, 44) continuano nel loro rifiuto. 2

Si avvicinava la grande festa dei giudei, quella delle Capanne.

La festa delle Capanne 3 era la più popolare dell'anno liturgico, e l'occasione in cui il maggior numero di pellegrini accorreva alla capita­ le •La profezia di Zaccaria (Zc 4 1 , 16.19) l'aveva associata al • giorno del Signore », vale a dire, al giorno del suo trionfo, e accumulava promesse per tale giorno: il re messianico sarebbe giunto a Gerusalemme caval­ cando un asinello (9. 9) . Dio avrebbe riversato sulla dinastia davi dica e sulla gente di Gerusalemme uno spirito di pentimento (12, 1 0), e per loro sarebbe stata scoperta una sorgente contro i peccati (13, 1). L'ac­ qua di Gerusalemme doveva fluire fino ai due mari e il Signore sarebbe stato il re del mondo intero (14, 8). La festa delle Capanne sarebbe stato il punto di incontro delle nazioni pagane ogni anno (14, 16 e 17) . Quella che non vi si fosse recata non avrebbe ricevuto la pioggia (14, 17).

Questa festa aveva pertanto un carattere messianico; suscitava la spe­ ranza del futuro regno di Dio e della liberazione del popolo. Le festività duravano sette giorni, il primo dei quali era festivo quanto un sabato l ; cadevano al principio dell'autunno. Come nelle occasioni precedenti (2, 13; S, 1 ; 6, 4). si tratta di una festa dei dirigenti ( • i giudei ») , vale a dire manipolata da loro.

2 Di fatto, la vigilanza poliziesca della Giudea ricadeva in parte sulle autorità di Gerusalemme e sulla guardia del tempio, che era a loro disposizione (J. Jeremias, Jerusalén, p. 89) . 3 Cfr. Lv. 23, 33-36.39-43; Dt 16, 13-15. Cfr. Es 23, 16; Dt 31, 10; Ne 8, 15s. • Cfr. s. - B. n. n4. l Cfr. S. - B. Il, n4.

338

7, 1-10. Gesù rifiuta la proposta del suoi

Proposta dei suoi parenti e rifiuto di Gesù 3a

I suoi parenti gli dissero.

I parenti di Gesù sono apparsi già in 2, 12, quando egli era sceso a Cafarnao accompagnato da tre gruppi: sua madre, i suoi parenti c i suoi discepoli. Gv 7, 3-10 offre la chiave interpretativa del significato di tale gruppo: sono gente della Galilea (4, 45) , giudei di razza, che non credono in Gesù (7, 5), in contrasto con la figura della madre, rappre­ sentante dell'Israele che attendeva la realizzazione delle promesse. 3b

«

Trasferisciti di qui e vai in Giudea

•·

Vogliono allontanarlo dalla sua linea di condotta. Gli consigliano di installarsi nella provincia del sud, dove chiaramente Gesù corre perico­ lo. Non comprendono la gravità della situazione. I verbi che Gv impiega in questa frase sono gli stessi che userà per l'andata di Gesù, attraverso la morte, al Padre (cfr. nota). Ciò che in realtà propongono a Gesù è il contrario di ciò che egli vuoi fare. Se il suo esodo significa uscire dalla società dominata dall'istituzione giudai­ ca (6, l Lett.), essi gli propongono il movimento contrario: partire dalla Galilea per entrare nell'istituzione giudaica (Giudea). Ma il suo esodo non avrà la Galilea come punto di partenza, né la Giudea, la circoscri­ zione del potere giudaico e il luogo della morte, come punto di arrivo. Partirà da Gerusalemme e si concluderà nella vita (18, l Lett.). 3c



così i tuoi discepoli vedranno le opere che compi a.

I parenti distanziano se stessi dai discepoli di Gesù; non appartengono né hanno intenzione di appartenere a questo gruppo. Essi non si aspettano nulla da Gesù. La manifestazione pubblica che gli propongo­ no servirebbe per i suoi discepoli; questo rivela il carattere ironico della loro proposta. Hanno visto quello che considerano il fallimento di Gesù, abbandonato da molti (6, 66) e lo sfidano a compiere nella capitale una dimostrazione pubblica che li recuperi. • infatti nessuno fa le cose clandestinamente se cerca pubblica fama. Se fai tali cose manifestati al mondo •.

4

Essi presuppongono che Gesù pretenda di acquistare una posizione di influenza e considerano incongruente la sua condotta. Le loro parole lo invitano ad adottare il programma messianico già rifiutato da lui (6, 15). Usano appunto il verbo « manifestarsi », con cui Giovann i Bat­ tista descrisse l'obiettivo della sua missione ( l , 3 1 : perché egli si manife­ sti a Israele). La manifestazione di Gesù, cominciata a Cana, fu quella del­ la sua gloria-amore per l'uomo (2, I l ) . Essi gli propongono invece una manifestazione personale, per la sua propria gloria che è stata - e sarà - anch'essa rifiutata da Gesù (5, 4 1 ; cfr. 7, 18). 5

Di fatto nemmeno i suoi parenti gli davano la loro adesione.

La ragione proposta dall'evangelista per spiegare questo atteggiamento

339

Il 1lomo

del

Messia. Ciclo deU·uomo

è che essi non prendevano posizione a favore di Gesù. Egli è giunto al minimo della sua popolarità: da un lato, i dirigenti lo perseguitano; dall'altro, il suo gruppo ha sofferto una crisi; infine, i suoi compaesani non stanno dalla sua parte, si mostrano scettici e ironici. Gesù rispose loro: • Per me, ancora non è il momento: per voi, invece, qualunque momento è buono "·

6

L'espressione • il momento • di Gesù è ambivalente. Se da un lato non è per lui il momento di salire a questa festa, dall'altro non è ancora giunta « la sua ora • (cfr. 2, 4; 7, 30; 8, 20), ora nella quale egli si presenterà pubblicamente a Gerusalemme, e che Io condurrà alla morte (12, 12.23). � allora che egli realizzerà la sua opera, la manifestazione della gloria, che deve suscitare la fede dei discepoli (19, 35). Essi, al contrario, che non si trovano in situazione di conflitto con l'istituzione di Gerusalemme, possono andare e venire liberamente. In seguito Gesù spiegherà il perché della differenza. 7a



Il mondo non ha motivo di odiare voi ».

Non c'è conflitto tra loro e • il mondo •, perché non dissentono né protestano contro di esso, sono suoi fedeli. Questo è il motivo per cui non aderiscono a Gesù. Identificati con l'istituzione (7, 1 : i dirigenti giudei), non vedono la necessità di un cambiamento né alimentano speranze di miglioramento. Sono gente sottomessa, docile, per questo partecipano alla festa degli oppressori. Essi non si sentono esclusi (5, 3 Lett.); non deside­ rano, pertanto, di essere guariti (5, 6) né anelano alla libertà (5, 14 Lett.). « Il mondo • è qui un'entità capace di odiare e di operare (7, 7b: odia me; il suo modo perverso di operare) ; è in parallelo con 7, l : i dirigenti giudei, che cercavano di ucciderlo. • Il mondo » , pertanto, si identifica con c i giudei • ( 1 , 9 nota), in particolare con i dirigenti. Il collettivo • il mondo » li descrive come un tutto chiuso, una corporazione o sistema di potere. Al tempo stesso, per la denotazione universale de • il mondo •. questo sistema si trasforma in tipo di ogni sistema oppressore ( l , 5 Lett.). 7b

• odia invece me, perché di lui io denuncio il suo modo perverso di operare •.

Gesù è oggetto di odio a motivo della sua attività che, in parole e in opere (2, 1 3ss.; 3, 19-2 1 ; 5, 4 1-47), denuncia il comportamento. dei diri· genti. Ma essi non rett.ificano: la loro azione è l'odio e la persecuzione (5, 16-18). Gesù denuncia in loro l'indifferenza per il popolo, che hanno abbandonato e che, inoltre, opprimono con la Legge. Vi è in particolare un riferimento all'ultimo episodio a Gerusalemme (5, 1-47). Verbalmente, tuttavia, la frase ripete il testo 3, 19, dove tale condotta spiega l'opzione in favore delle tenebre. Il chiarimento che segue (3, 20: chiunque agisce in modo perverso, odia la luce e non si avvicina alla luce, perché non gli venga rinfacciato il suo modo di operare) si applica pertan­ to al « mondo •, ai dirigenti giudei. In realtà odiano Gesù, perché temono che egli metta a nudo dinanzi al popolo la loro vera condotta. 340

7, 1-10. Gesù rlfiula la proposta del ouol

Il modo di agire del « mondo » (1, 7) è in contrasto con le opere di Gesù (7, 3), quelle che i suoi parenti lo incitano a compiere in pubblico. Sono tali opere quelle che " il mondo • non può sopportare (2, 18). Esse provocano Io scontro con i dirigenti (5, 16-18). • Salite voi alla festa, io non salgo a questa festa, perch� per me il momento non è giunto ancora ».

8

Dopo aver loro spiegato i motivi che il mondo ha per odiarlo, Gesù, dicendo loro di salire alla festa, pone davanti ai loro occhi la complicità con l'ingiustizia. Egli, invece, non si ·reca a una festa " dei giudei • ; giungerà il suo momento e celebrerà la sua festa, che riunirà l e compo­ nenti della Pasqua e delle Capanne (12, 1 3 Lett.). Il grande giorno della sua festa sarà allorché sulla croce lascerà scorrere il torrente dello Spi­ rito (7, 37-39; 1 9,34). In questa occasione non salirà al tempio finché le feste non siano già a metà, e non andrà per partecipare alle celebrazioni, ma per insegnare. La sua presenza e le sue dichiarazioni provocheranno un grave conflitto che giungerà fino al tentativo di lapidario (8, 59).

Salita a Gerusalemme Detto ciò egli si tratteni'Ul in Galilea; tuttavia, dopo che i suoi parenti furono saliti alla festa, allora sali anche lui, non in modo mani­ festo ma clandestinamente.

9-10

Gesù di per sé non cerca il conflitto. Questo sarà causato dalla sua fedeltà alla missione ricevuta. Sale alla capitale, ma in modo contrario a quello che la sua gente gli aveva proposto: non « per manifestarsi •, ma clande­ stinamente (cfr. 7, 4).

SI NTESI Appare qui apertamente l'opposizione fra l'istituzione giudaica e Gesù. Questi è già un perseguitato a morte. Appena iniziata la sua attività con il popolo, i dirigenti lo considerano già un pericolo. Per il momento, Gesù si mantiene nella clandestinità. La situazione intorno a lui è di crisi, scetti· cismo e persecuzione. Tuttavia il suo atteggiamento non è cambiato; non ascolta gli inviti alla gloria mondana; denuncia, invece, il perverso modo di agire della società. La sua stessa presenza e attività a favore dei deboli costituiscono il rimprovero più efficace dell'oppressione che il sistema esercita sul popolo.

341

l.

IN S EGNAMENTO

.

AL

POPOLO

Gv 7, 1 1 ·3 1 : L'or!gine del Messia r''"d i"rigenti giudei lo cercavano durante le feste e dicevano: - Dove sarà quello? 1 2 La gente parlava molto di lui, mormorando. Alcuni dicevano: - !l una brava persona. Altri invece: - No, travia la gente. u Ma nessuno parlava di lui in pubblico, per paura dei dirigenti. Il

Tuttavia, già a metà delle feste, Gesù salì al tempio e si mise a insegnare. 15 I dirigenti giudei si domandavano sconcertati: - Come fa costui a conoscere la Scrittura se. non ha studiato? 1 6 Replicò loro Gesù: - La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi mandò. 1 7 Chi vuole realizzare il disegno di Dio valuterà se questa dottrina è da Dio o se io parlo per conto mio. 18 Chi parla per conto proprio cerca la sua gloria; invece, chi cerca la gloria di colui che lo ha mandato, questi merita fi· ducia e in lui non c'è ingiustizia. 14

1 9 Non fu Mosè a !asciarvi la Legge? Tuttavia nessuno di voi adempie questa Legge. Perché cercate di uccidermi ? 2 0 La gente reagì: - Tu sei pazzo, chi cerca di ucciderti? 21 Replicò loro Gesù: - Un'opera ho realizzato e tutti siete sconcertati. 21 Per questo, Mosè vi prescrisse la circoncisione (non che venga da Mosè, ma dai patriarchi), e in giorno di riposo circoncidete un uomo. 23 Se si circoncide l'uomo iD giorno di riposo per non disattendere la Legge di Mosè, vi indignate con me perché in giorno di riposo ho reso sano un uomo intero? 24 Non· giudicate superficialmente, date la sentenza giusta. 25 Alcuni da Gerusalemme commentavano: - Non è lui che cercano di uccidere? 26 Guardate, ecco che parla pubblicamente e non gli dicono nulla. Che i capi si siano convinti che que­ sti è il Messia? 'D Però costui sappiamo da dove proviene, mentre, quando giunge il Messia, nessuno sa da dove proviene. 2 1 Gridò allora Gesù, mentre insegnava nel tempio: . - Sapete dunque chi sono e sapete da dove provengo? Tuttavia, non sono venuto per decisione mia personale, ma vi è realmente uno che mi ha mandato, anche se voi non sapete chi è. 29 Io so bene chi è, perché provengo da lui e lui mi ha inviato.

Cercarono allora di catturarlo, ma nessuno gli mise le mani addosso, perché ancora non era giunta la sua ora. 3 1 Fra la gente, comunque, molti gli diedero la loro adesione e diceva­ no: - Quando verrà il Messia, realizzerà forse più segni di quelli che ha realizzato lui? 3°

342

Origine del Messia

7, 11-31.

NOTE FILOLOGICHE 7, 1 1 Dove sarà quello?, gr. pou estin ekeinos. u domanda non chiede in­ fonnazione, è dubitativa, e in it. si costruisce con il futuro, confronta Mc 4, 41. Un caso simile in Gv 7, 3S. 12 lA gente parlava molto di lui, mormorando, gr. goggusmos ... polus. Molto mormorio: è il soggetto della frase. - 8 una brava persona, gr. agathos estin. L'il. richiede un soggetto di cui si possa predicare la qualità. Si preferisce • persona • a • uomo •, che in Gv può avere valore teologico (cfr. 19, 15). - No, travia. L'opposizione marcata dal gr. alla viene espressa in it. con l'uso della virgola. 13

dei dirigenti.



I giudei

•,

cfr. 7, l nota.

IS si domandavano sconcertati, gr. ethaumucm ... legcmtes. In it., al contra· rio che in greco, si è soliti usare il part. per indicare il modo dell'azione e il verbo personale per l'azione stessa. - la Scrittura, gr. grommata. Cfr. 5, 47, riferito agli scritti di Mosè.

17 il disegno di Dio, gr. to theléma autou. Si esplicita • Dio • per la ambi­ guità del possessivo it. • sua •. cfr. 4, 34; S, 30; 6, 39s. - valuterà, gr. gndsetai. Fut. incoat. di stato (aspetto aoristico). - per conto mio, gr. ap' emautou. Cfr. S, 19.30 (di mia iniziativa). 18

merita fiducia, gr. aUthis. Cfr. S, 31 nota; cfr. 3, 33: leale.

19 a /asciarvi, gr. deddken humin. Pf. con aspetto di El Aspecto Verbal n. 300.

pennanenza. Cfr.

20 reagì, gr. apekrithé. Il verbo apokrinomai denota sempre reazione ver­ bale, sia come rispOsta, se preceduto da domanda, sia come intervento, come in questo caso, dove Gesù parlava ai dirigenti. - sei pazzo. gr. daimonion ekheis. Modo di indicare la follia, qui chiaramente riconoscibile; la gente pensa semplicemente che Gesù non sappia quello che dice, confronta 8, 48.52; IO, 20. Daimonion e diabolos (6, 70) in Gv non sono sinonimi. 21 siete sconcertati, gr. thaumazete. Pres. continuativo, la cui durata par­ te dal fatto passato (cfr. S, 3ss). Cfr. El Aspecto Verbai, n. 81. - prescrisse, gr. deddken. Come precetto che rimane. Cfr. 17, 22, dove Gesù dà/lascia (ded6ka), ai suoi la gloria/amore (cfr. l, 17).

22

in giorno di riposo. Cfr. 5, 9b nota.

24 superficialmente, gr. kat'opsin. Secondo l'apparenza/la prima sione. - date la sentenza giusta. Cfr. S, 30. 2!5 commentavano, gr. elegon oun. Verbo specificato daDa con la frase precedente (oun); cfr. 7, 26.

!Wl

impres­

connessione

343

D pomo del Meosla. Ciclo dell'uomo

26 Che ... ?, gr. mlpote. Dubitativo. - si siano convinti, gr. aléth6s egn6san. Aor. incoat., giungere a conoscere con certezza; l'il. include il significato dell'avv. nel lessema verbale. 27 da dove proviene, gr. pothen estin. Non si tratta del luogo di nascita (cfr. 7, 42), ma dell'improvvisa apparizione del Messia. 28 per decisione mia personale, gr. ap'emautotl. Cfr. 7, 17: per conto mio. - vi è realmente uno che mi ha mandato, gr. estin aléthinos ho pempsas me. Giustifica l'affermazione precedente: non sono venuto per decisione mia personale. Aléthinos, vero, si oppone a falso; in tennini di esistenza (estin), equivale a reale in opposizione a irreale: è reale esiste realmente. L'artic. ho denota qui semplice singolarità, come l'a uno • i t., dato che il gr. non possiede artic. indet. uno, una, a volte, per denotare singolarità non de­ tenninata (per la quale non basta l'indefinito tis), si usa l'artic. ho, he, lo (cfr. 5, 19.30; 6, 38). - anche se, frase relativa con sfumatura concessiva, cfr. l, 26. =

29 lo, so bene chi è, gr. ego oida auton. L'opposizione dell'• io • iniziale alla negazione precedente domanda in it. di essere rafforzata dall'avv. bene ». e:

CONTEN UTO E DIVISIONE lA pericope si collega agli avvenimenti del cap. 5. Gesù, il perseguitato per il suo operato verso il popolo (5, 16-18), insegna per la prima volta a Gerusalemme in un ambiente ostile. Si dibatteranno due questioni: la prima. il criterio per conoscere se la sua dottrina è o meno da Dio. Gesù affenna che è necessaria una disposizione della volontà per poter conoscere la ve­ rità della sua dottrina; in corrispondenza con la sua affennazione prece­ dente: il vostro accusatore è Mosè (5, 45), rinfaccia ai dirigenti la superfi· ciale interpretazione della Legge cui si appoggiano per condannarlo. Poi viene proposta la seconda questione, quella dell'origine del Messia. Gesù si scontra con i pregiudizi creati nel popolo dall'insegnamento delle scuole, e li avverte che il loro modo di giudicare è falso. Tutto l'episodio è appe­ santito dalla minaccia di morte a Gesù. Comincia con una introduzione che descrive l'aspettativa esistente intorno alla persona di Gesù e la diversità di opinioni su di lui (7, 1 1-13). Gesù in­ segna per la prima volta nel tempio e viene messa in discussione l'origine della sua dottrina, non appresa nelle scuole ufficiali (7, 14-18). Gesù passa a un'invettiva contro quelli che vogliono screditarlo, difendendo il suo pre· cedente operato con l'infenno, figura del popolo oppresso (7, 19-24). Dinanzi al vacillare della gente, che, per la sua dipendenza dai capi e ie dottrine che ha appreso, non si azzarda a pronunciarsi in suo favore, Gesù fa una dichiarazione sulla sua vera origine (7, 25-29) . Si produce allora una doppia reazione, contro e a favore di lui. Sono però molti quelli che credono, guar­ dando ai fatti e superando così i propri pregiudizi (7, 30.31).

Riassumendo: 7, 1 1-13: A Gerusalemme: atteggiamenti rispetto a Gesù. 1, 14-18: Insegnamento: origine della dottrina di Gesù. 7, 19-24: Invettiva contro i dirigenti: Mosè. 7, 25-29: Insegnamento: origine di Gesù come Messia. 7, 30.3 1 : Atteggiamenti di fronte a Gesù.

344

7, 11-31. Origine del Messia i .

.. _ - , . .

LETIURA

A Gerusalemme: atteggiamenti rispetto a Gesù 1 1 l dirigenti giudei lo cercavano durante le feste e dicevano: • Dove sarà quello? » .

7,

Le festività hanno avuto inizio e Gesù non si lascia vedere in pubblico. I dirigenti non sono tranquilli, i loro precedenti scontri con Gesù avevano avuto luogo in occasioni di feste (2, 13ss; 5, Ll6ss). Ora fanno indagini per impadronirsi di lui se si presenta alla capitale (cfr. 7, 1 ) . 12 ww

gente parlava molto di lui, mormorando. Alcuni dicevano: • brava perso11a •. Altri, invece : • No, travia la gente • .

La

l!.

L'aspettativa esiste anche nel popolo. Gesù gode già pubblica fama, i commenti riguardo a lui sono incessanti tra la moltitudine di pellegrini. ma a voce bassa. Fin dalla sua apparizione, tutti si pronunciano nei suoi confronti. l dirigenti lo hanno già fatto, vogliono ucciderlo (7, 1). La moltitudine, da parte sua, è divisa; alcuni mostrano la loro ap p rovazione; per altri invece, che sono dalla parte dei dirigenti, Gesù è un impostore. I primi definiscono Gesù come buono, dote che qualifica la persona e si apprezza nelle opere (cfr. 5, 29). Questi osservano la sua attività, senza idee preconcette. L'opinione degli altri su Gesù non si basa sulla sua bontà o malvagità, vale a dire non si fonda sulle sue opere: affermano che travia la ge n t e , giudicandolo dal punto di vista dell 'ortodossia. Vi è per loro una verità da cui Gesù svia. I due criteri di giudizio mostrano la loro diversi t11: il primo si appoggia sulla prassi, il secondo sull'ideologia. 13

Ma nessuno parlava di lui in pubblico, per paura dei dirigenti.

Vi sono simpatizzanti e nemici di Gesù, ma domina il timore delle autorità (cfr. 9, 22) . La gente conosce la loro posizione rispetto a Gesù e non osa esprimere opinioni ad alta voce. Appare qui la pressione che i dirigenti esercitavano sull'opinione pubblica. Chi si pronuncia contro di loro può essere soggetto a sanzioni. II popolo non ha libertà di esprimersi.

Insegnamento : origine della dottrina di Gesù 1 4 Tuttavia, già a metà delle feste, Gesù salì a l tempio e s i mise a in­ segnare.

Gesù ha già trascorso alcuni giorni a Gerusalemme e non è andato al tempio; ora sale, non per partecipare al culto, ma per insegnare. Egli non si sente solidale con questa festa (7, 8), che è quella dei giudei (7, 2), che vogliono ucciderlo (7, l ) . Non aveva mai insegnato prima a Gerusalemme (soltanto in una riunione 345

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

a Cafarnao, 6, 59). Fino ad ora·, nella capita Ìe aveva esercitato la sua at­ tività e sostenuto polemiche (2, 1 3ss; 5, 1 ss) ; ora, invece, espone la sua dottrina. Gv non ne esplicita il contenuto, passa immediatamente alla controversia che suscita. 15 I dirigenti giudei si domandavano sconcertati: « Come fa costui a conoscere la Scrittura, se non ha studiato? ». Sorpresa dei dirigenti, che non si aspettavano questo. Conoscevano Gesù dai segni che aveva compiuto (2, 1 3ss; 5, 1ss). Che ora insegni al popolo risulta loro inesplicabile, lui un uomo senza studi 1• Constatano tuttavia il suo sapere, e questo li lascia perplessi. Parlano di lui in tono sprezzante (costui). Gesù, da parte sua, non insegna in un circolo esoterico, ma nel tempio nei cui portici essi avevano le loro scuole 2• Il suo insegnamento è una minaccia all'istituzione; Gesù, che conosce le loro intenzioni di ucci­ derlo, non arretra. 16 Replicò loro Gesù: mandò •.



La

mia dottrina non è mia, ma di colui che mi

Gesù replica, passando all'offensiva. Li informa circa la provenienza del suo sapere. La dottrina che espone non è opinione personale né è stata appresa nelle scuole ufficiali, è da Dio stesso. Parla ai dirigenti, che già lo conoscono e sanno che si dichiara Figlio di Dio (5, 17-18), ma ora si rivolge a loro davanti alla moltitudine. � il Padre che ha insegnato a Gesù (8, 28); è lui che gli ha comandato ciò che deve dire e proporre, e questo suo comandamento significa vita definitiva (12, 49s) . La dottrina che Gesù propone non è altro che l'espressione del comandamento che egli stesso ha ricevuto dal Padre: consegnare la sua vita e così attenerla di nuovo ( 1 0, 17s) ; insegna che l'amore senza misura è la strada per realizzare il disegno divino. Questa è la verità, appresa da Dio, che egli propone (8, 40.46). � il ten:o scontro di Gesù con la cerchia di potere di Gerusalemme (2, 13ss; 5, 16ss). Il Figlio di Dio ha appreso dal Padre anche ciò che insegna (5, 1 9 ) . Di fatto, questo capitolo prolunga la controversia iniziata in 5, 17 a proposito della guarigione dell'invalido. 1 7 • Chi vuole realizzare il disegno di Dio valuterà se questa dottrina è da Dip o se io parlo per conto mio •. Gesù non prova la sua affermazione con argomentazioni né cHando testi deli'AT. Il criterio per discernere la verità della sua dottrina è nell'uomo stesso, e a questo Gesù si rimette. Egli non si impone, ciascuno deve trovare la certezza. Il criterio che Gesù propone, indipendente dalla sua persona, è la fedeltà a Dio creatore, il desiderio di realizzare il suo disegno cooperando all'opera creatrice, lavorando per il bene dell'uomo. Per chi l Era opinione accettata che lo studio non comportasse soltanto la frequenza alle lezioni di un maestro riconosciuto, ma anche l 'apprendimento del suo compor· lamento stando al suo servizio. Non era totalmente sconosciuto l'autodidatta, ma il suo sapere non godeva della stessa stima di quello appreso nelle scuole (cfr. S. · B. II, 466) . 2 Cfr. Leipol�t-Grundmann, El Mundo del Nuevo Testamento, I , p . 209.

346

7, 11-31. Origine del Meoola

con sideri il bene den'uomo come valore supremo, relativizzando ogni al­ tra norma, e sia disposto a dedicarvisi. sarà evidente che la dottrina di Gesù viene da Dio. Vale a dire, in chi cerca la pienezza di vita, la dottrina di Gesù produce un'esperienza che gliene fa percepire la verità. II con­ vincimento è pertanto personale, non per testimonianza altrui e, tan­ tomeno, per imposizione esterna. e il criterio già proposto da Gesù i n altre occasioni ( 5 , 36-38; 6 , 44-45).

18 • Chi parla per conto proprio cerca la sua gloria; invece chi cerca la gloria di colui che lo ha mandato, questi merita fiducia e in lui non c'è ingiustizia • • La propria gloria • è esteriore, e pertanto constatabile; per questo la sua ricerca o la sua rinuncia può servire da criterio per giudicare la provenienza di una dottrina. La ricerca del proprio prestigio denota che la dottrina che si propone non procede da Dio ma dall'uomo; è un mezzo per favorire i propri interessi. Questo criterio completa il primo - esposto nel versetto precedente che si rivolgeva a chi ascolta la dottrina di Gesù, e consisteva nell'espe­ rienza inte riore fatta da chi sta dalla parte dell'uomo. Ma, per il pubblico cui Gesù parlava, esisteva un'altra dottrina ufficiale, che pretendeva anch'essa autorità divina: la Legge, interpretata e manipola­ ta dai circoli di potere. Per questo egli aggiunge un criterio esterno: gli interessi difesi da colui che propone una dottrina; questi permetteran­ no di giudicare della sua validità. La dottrina riflette l'atteggiamento di colui che la insegna; è espressione della persona, inseparabile da essa. Questo criterio risponde alla concezione di Gv; Gesù non propone una dottrina astratta: egli stesso è la verità, con le sue opere e, soprattutto, con la sua morte, in quanto, nella sua vita e nella sua morte, rende presente Dio stesso, manifestando l'efficacia del suo amore leale. Le parole o esigenze di Gesù sono sempre un'esplicazione di ciò che egli è e fa: le sue opere danno significato alle sue parole; queste si compren­ dono in relazione alle sue opere (5, 36; IO, 37s; 14, IOs). Dio non si rivela in lui attraverso formulazioni, ma manifestando la sua presenza nell'at­ tività di Gesù (5, 36s; IO, 30.37s). Quando la dottrina su Dio viene proposta da uno che non cerca d i manifestare la gloria d i Dio, m a d i favorire l a propria, manipola Dio. I I criterio ultimo della verità è l'attività a favore dell'uomo, perché l a verità d i Dio è d i essere Padre, amore per l'uomo come presenza attiva ed effettiva. La parola deve comunicare la presenza e l'azione di Dio. Per q·uesto le parole/esigenze di Gesù sono Spirito e sono vita (6, 63) . Se uno con la sua parola non intende comunicare vita, ma promuovere il suo proprio prestigio, questi non conosce Dio né ha esperienza di lui; non solo non rifletterà ciò che Dio è, ma, ponendolo al servizio dei suoi interessi, necessariamente Io falsificherà. Non si può parlare di Dio distanziandosi da lui, perché Dio non è una formula ma una presenza. e formulabile soltanto quando l'espressione si mantiene nell'ambito della sua presenza e attività; la parola si trasforma allora in segno che la esprime e la trasmette. Quando spezza questo contatto, si trasforma in ideologia e necessariamente defonna

Il glomo del Messia. Ciclo dell'uomo

Dio: offre come dio quello che è un suono inerte o un'invenzione umana al servizio del proprio interesse. Chi non cerca la propria gloria, ma vuole manifestare quella di Dio, il suo amore leale per l'uomo, merita fiducia; in lui non c'è ingiustizia, cioè peccato (8, 46: chi di voi mi può rinfacciare alcun peccato?). Chi è guidato da questo valore supremo non sfrutta l'uomo né manipo­ la la Legge. Le sue parole sono degne di fede (5, 3 1 ) e la sua condotta è leale (cfr. 3, 33) . Fra i due elementi della frase c'è una relazione di conseguenza; questa, al tempo stesso, rimanda alla causa e la confer­ ma. Al contrario, chi, cercando il suo prestigio, cerca di porsi al di sopra degli altri, commette ingiustizia; questo è il caso dei dirigenti, che si valgono della Legge per conservare la loro posizione di privilegio. Questo è stato descritto nell'episodio del paralitico guarito: invocando la loro Legge (5, 10), condannarono l'uomo, e così pure Gesù, giungendo a decretarne la morte (5, 18). Gesù, invece, guarendo l'invalido, aveva manifestato il suo criterio per interpretare la Legge e giudicare gli atteggiamenti: la fedeltà al disegno di Dio; a causa di tale fedeltà, la sua sentenza è giusta (5, 30 Lett.) 3• Questi criteri accusano pertanto i dirigenti. Essi non accettano la dottrina di Gesù perché non vogliono compiere il disegno di Dio; anzi lo impediscono con l'oppressione che esercitano (5, IO Lett.), senza fermarsi davanti all'omicidio (5, 1 8 ; 7, 1 ) . Inoltre, la loro dottrina non è da Dio: nessuna dottrina che ridondi a proprio beneficio merita credi­ to.

Invettiva contro i dirigenti: Mosè 1 9 • Non fu Mosè a /asciarvi la Legge? Tuttavia nessuno di voi adem­ pie questa Legge. Perché cercate di uccidermi? •. Gesù sottolinea la sua distanza rispetto all'intera tradizione giudaica; non include se stesso fra i destinatari della Legge. Di fatto, l'epoca della Legge è passata. In contrapposizione a Mosè, che lasciò ai giudei la Legge, Gesù lascerà ai suoi la gloria (17, 22). e l'amore leale ( 1 , 17). Mosè annunciò la realtà che Gesù rappresenta (5, 46), e questi basando­ si su di lui, dimostrerà ai dirigenti l'incoerenza della loro condotta con la stessa Legge che professano e si vantano di osservare. Afferma prima di tutto, che loro, custodi della Legge nei confronti del popolo, non la compiono, perché la usano come mezzo di repressione; così appare dal proposito di ucciderlo, strumentalizzandola. I dirigenti volevano uccidere Gesù perché violava il precetto del riposo e perché si faceva uguale a Dio (5, 1 8). In questa occasione, Gesù dimostrerà loro, con la Legge stessa, che non possono accusarlo di violarla, dato che i criteri che ha appena esposto (7, l7s) sono al di sopra di essa e devono guidarne l'interpretazione. In un altro momento ribatterà la loro accusa di farsi Figlio di Dio ( I O, 33ss). La sua l�t6 ... to thélema tou pempsantos me (5, 30), ho de zét6n tèn do:mn tou pempsantos auron (7, 18) . I l disegno del Padre è la vita dell'uomo (6, 39s) e questa è la manifestazione della sua gloria/amore 3 Si noti il parallelismo delle espressiooi:

(17 , 1-2).

348

7, 11·31. Origine del Masla

argomentazione continua, ma c'è un'interruzione da parte della gente che ascoltava. 20

La

gente reagl :



Tu sei pazzo. chi cerca di ucciderti? •·

Dinanzi alla grave accusa mossa da Gesù ai dirigenti la moltitudine reagisce, non possono credere che le loro autorità abbiano intenzione di ucciderlo. Quelli di Gerusalemme lo sapevano bene (7, 25), i pellegrini no. Ciò che dice Gesù sembra loro insostenibile (sei pazzo). Essi, che conoscono l'attività passata di Gesù (7, 12), non vedono alcun motivo per condannarlo e tanto meno per cercare di ucciderlo. 21 Replicò loro Gesù: ti •.



Un'opera ho realizzato e tutti siete sconcerta·

dei suoi avversari si deve alla guarigione dell'invalido (5, 16-18). Con essa, tuttavia, Gesù ha realizzato in un uomo l'opera che il Padre lo aveva incaricato di compiere (4, 34), lavorando come il Padre stesso lavora (5, 17). Ma con la sua azione e con la successiva contro­ versia (5, 19ss) Gesù ha abbattuto l'autorità dei dirigenti, ed essi hanno giurato di fargliela pagare. L'audacia di Gesù nel sottoporre a giudizio il dogma indiscutibile, la validità perenne della Legge, ha sconcertato tutti. L'ostilità

22a



Per questo, Mosè vi prescrisse la circoncisione

•·

Gesù dimostrerà loro che non penetrano il vero significato della Legge di Mosè, che conteneva già un annuncio della futura liberazione. Conti­ nua così la sua precedente argomentazione (7, 1 9). L'opera che egli ha realizzato e di cui lo accusano è un'opera creatrice, appartiene al lavoro che egli compie sulla linea del Padre (5, 17); significava porre il bene dell'uomo come valore assoluto, al di sopra della Legge. Però già Mosè insinuava questo principio prescrivendo nella sua Legge la circoncisione nell'ottavo giorno, che prevale sul riposo del sabato. Mosè aveva serino di lui (5, 46) e ora si trasforma in loro accusatore (5, 45) : questa eccezione al precetto dava loro una lezione che essi non volevano apprendere. 22b-23 • (non che venga da Mosè, ma dai patriarchi), e in giorno di riposo circoncidete un uomo. Se si circoncide l'uomo in giorno di riposo per non disattendere la Legge di Mosè, vi indignate con me perclté in giorno di riposo ho reso sano un uomo intero? • . Su questo punto Mosè non fu originale. Non è lui pertanto, in questo caso, l'autorità ultima. II precetto di circoncidere l'ottavo giorno era stato dato da Dio ad Abramo: quando avrà otto giorni, sarà circonciso tra di voi ogni maschio di generazione in generazior1e (Gn 17, 12). Mosè non fece che ripetere quella prescrizione divina (Lv 12, 3), e la Legge, anche quella del riposo, dovette rispettarla. Esisteva pertanto un'istanza antecedente alla Legge. Gesù ne ha espressa un'altra riferendosi al lavoro creatore del Padre (5, 1 7) . Il suo disegno è al di sopra di ogni precetto.

349

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

La circoncisione si considerava un bene fatto all'uomo in un membro

particolare 4• Gesù invece, gli conferisce un bene totale, facendolo pas· sare dalla morte alla vita (5, 21 .26). Coloro che realizzavano la circonci· sione ponevano, di fatto, ciò che consideravano benefico per l'uomo al di sopra del precetto del riposo, e questo per la prescrizione della stessa Legge. Così Gesù mostra loro la mancanza di fondamento delle loro accuse.

24



Non giudicate superficialmente, date la sentenza

giusta "·

L'esortazione di Gesù non contiene soltanto un'avvertenza, ma, al tem­ po stesso, un'accusa. In precedenza aveva affermato che soltanto lui, che cercava la gloria del Padre, manifestata nella sua attività liberatri­ ce, meritava fiducia ed era libero da ingiustizia (7, 1 8 Lett.). Ora li esorta a praticare la giustizia, adottando come unico criterio di azione il bene dell'uomo, sola norma di mora l i tà che permette di distinguere fra il bene e il male. e la norma esposta in 5, 30: il disegno del Padre. Insegnamento:

Origine di Gesù come Messia

25-26 Alcuni da Gerusalemme commentavano: • Nor1 è lui, che cercano di uccidere? Guardate, ecco che parla pubblicamente e non gli dicono nulla. Che i capi si siano convinti che questi è il Messia? •. I gerosolimitani sono al corrente dell'intenzione dei capi. Esprimono il

loro stupore, perché non vedono come possano conciliarsi due fatti: da un lato, vogliono uccidere Gesù; dall'altro, lo lasciano parlare in pub­ blico nello stesso tempio, senza prendere misure. Nasce in loro il dubbio: che i capi si siano convinti che questi è il Messia? Nella capitale, in occasione della sua prima visita al tempio, il gesto messia­ nico di Gesù aveva provocato una reazione sfavorevole da parte delle autorità (2, 13ss); notando ora la passività dei dirigenti, gli abitanti di Gerusalemme si domandano se abbiano cambiato parere. Appare qui un gruppo di gente dipendente dall'opinione dei capi.

27 • Però costui sappiamo da dove proviene, mentre, quando giunge Messia, nessur10 sa da dove proviene "·

t1

Essi stessi, tuttavia, escludono tale possibilità, basandosi sulle con­ cezioni del tempo riguardo alla venuta del Messia. Si pensava che sarebbe venuto dalla casa d i Davide, che sarebbe nato a Betlemme (7, 42), ma prima della sua manifestazione trionfale, nessuno, nemmeno egli stesso, avrebbe potuto sapere di essere designato Messia; inoltre. avrebbe dovuto apparire in pubblico improvvisamente, senza che si sapesse da dove veniva. Gesù, invece, va e viene dalla Galilea, è una persona conosciuta. Queste sue venute non possono avere relazione con • Vi era un argomento corrente nelle scuole, formulato a volte in questo modo:

se la circoncisione, che interessa una delle 248 parti del corpo dell'uomo, pre­ vale sul sabato, quanto più prevarrà il suo intero corpo, se è in pericolo di morte Era permesso, anche il sabato, salvare uno che fosse in pericolo di morte (cfr. S. · B. II, 488) .



•.

350

7, 11-31. Origine del Maola

quella del Messia, che doveva essere una sorpresa e occasionare un cambiamento immediato e definitivo 5• 28a Gridò allora Gesù, mentre i11segnava nel tempio: « Sapete dunque chi sono e s�pete da dove provengo? Tuttavia, non so110 venuto per decisione mia personale, ma vi è realmente uno che mi ha mandato ».

Gesù sta insegnando. Davanti a quelle credenze fantastiche che impe­ discono alla gente di riconoscerlo come Messia, reagisce energicamente per confutarle. Opinioni che al principio furono tentativi di comprende­ re e spiegare il piano di Dio, si sono trasformate in verità indiscutibili. In nome di un'interpretazione, di una tradizione, dettano a Dio la maniera di agire, gli piani ficano il futuro. La sua azione dovrà adattarsi alle credenze o non sarà riconosciuta come sua. Si elimina la spontanei­ tà dello Spirito e non se ne riconosce la voce (3, 8). L'uomo perderà la vera opportunità di possederlo, quando si presenterà come dono libero di vita al di fuori della logica tessuta dall'uomo stesso. Tale sarà la situazione del popolo destinatario delle promesse ( 1 2 , 40). Il grido di Gesù ricorda quello della Sapienza (Prv l, 21 s ) : (La Sapien­ za) • grida per le strade, nelle piazze fa udire la voce; dall'alto delle mura essa chiama, pronunzia i suoi detti alla porta della città: fino a quando, o inesperti, amerete l'inesperienza e i beffardi si compiaceran­ no delle loro beffe e gli sciocchi avranno in odio la sci enza ? •. Questo avviso avrà un seguito in 7, 34: mi cercherete, ma non mi troverete (Prv l. 28) . Gv presenta l'attività di Gesù che insegna (confronta 7, 1 4 ss .28 ; 8, 20) come quella della Sapienza che ammaestra (Prv l, 23ss.29 ). Essi pensano di conoscere Gesù e di sapere l'origine, mentre, come si è visto, secondo le credenze, il Messia non sarebbe stato riconosciuto fino al momento della sua manifestazione, e la sua provenienza non avrebbe potuto essere prevista. Gesù cambia l'impostazione della questione: il vero Messia non deve essere conosciuto dal suo luogo di provenienza, come · essi pensano; la sua autenticità dipende unicamente dall'essere inviato.da Dio (non sono venuto per decisione mia personale), portatore dello Spirito (confronta l, 32: nemmeno io sapevo chi fosse, ecc .) . la cui attività si riconosce dalle opere. Il Messia liberatore deve essere rico­ nosciuto perché dà libertà all'oppresso (5, 36s; 7, 1 8) . Questa è l'unica condizione che si può richiedere; se essi non la riconoscono in Gesù è perché hanno subordinato la realtà di Dio e del suo piano ai loro propri pregiudizi. 2 8b



anclze se voi no11 sapete chi è •·

• Voi • include tutti coloro che partecipano di queste idee, tanto il popolo che i dirigenti. L'ideologia religiosa, che occulta l'amore di Dio per l'uomo (2, 6; 5, 38 Lett.), impedisce loro di conoscerlo, e, di conse­ guenza, di riconoscere il suo inviato.

29



lo so bene chi è, perché provengo da lui e lui mi ha inviato •·

Gesù invece conosce Dio, perché procede da lui ( 1 , 1 8.32; 3, 3 1 ) , e quesoo s

Cfr. S. - B.

II,

438s.

�t

Il pomo del Messia. Ciclo dell'uomo

� il fondamento della

!tla missione e attività. Esprime q'ui la sua esperienza di unione con il Padre, l'esperienza d i vita (cfr. 6, 57) propria del Figlio (3, 34). Non si può sapere chi è Dio senza esserne Figlio ( 1 7, 3 Lett.). Qui si radica la differenza fra il sapere di Gesù e quello che si attribuiscono le scuole della Legge ( 1 , 1 8 ; 5, 1 9 Lett.). Egli ha appreso dal Padre (5, 19s) ed è l'unico che può parlare del suo disegno sull 'uo­ mo (6, 39s; cfr. 3, 1 1 .32).

Atteggiamenti di fronte a Gesù 30 Cercarono allora di catturarlo, ma nessuno gli mise le mani addos­ so, percl1é ancora non era giunta la sua ora.

La dichiarazione di Gesù, che invalida il modo corrente di concepire il Messia, e accusa coloro che lo professano di non conoscere Dio, provoca due reazioni diverse. Una parte degli ascoltatori cerca di catturarlo. Le sue parole hanno suscitato in loro un forte antagonismo; non sono disposti a rinunciare alle proprie convinzioni e non tollerano che siano sottoposte a giudizio. Di fatto non conoscono Dio (7, 28), e per questo non accettano Gesù. La pretesa messianica di quest'ultimo risulta loro intollerabile; vogliono come Messia il trionfatore della misteriosa apparizione e della vittoria immediata. Non riescono a mettergli le mani addosso, perché l'ora di Gesù non è ancora giunta. Gesù darà la vita da sé, quando giungerà il momento; nessuno gliela prenderà con la forza ( 10 , 18). 31 Fra la gerrte, comunque, molti gli diedero la loro adesione e dicevano: • Quando verrà il Messia, realizzerà forse piìt segni di quelli che ha realizzato lui? ». Tuttavia, una gran parte della moltitudine che ascolta rimane convinta dalle sue parole e si mette dalla sua parte. Lo riconoscono come Messia e gli danno la loro adesione. Gesù ha aperto loro gli occhi: lasciano le teorie per badare ai fatti. La gente conosce le azioni passate di Gesù; le hanno comprese (segni) e accettate come prova della sua messianicità (5, 36) . Il Messia non si riconosce da riferimenti al passato né al futuro, ma al presente. Se da lui ci si attendeva una liberazione, Gesù ha mostrato di essere liberatore del popolo oppresso (5, 1 ss) . In modo analogo alla situazione iniziale (7, 12), la moltitudjne .è divisa rispetto a Gesù. Le sue dichiarazioni hanno portato quegli atteggiamen­ ti alle loro ultime conseguenze. C'era chi stava contro di lui, conside­ randolo eterodosso (7, 1 2b: travia la gente); ora un gruppo ha cercato di catturarlo. C'era chi lo giudicava favorevolmente, in base alla sua attività (7, 12a: è una brava persona); ora molti gli danno la loro adesione, riconoscendolo come Messia. I l numero di questi è elevato, il che susciterà l'allarme delle autorità.

352

7, 11-31. OrlKfne del Messia

SI NTESI Sp i cca sempre la situazione di paura in cui il popolo vive rispetto ai dirigenti, temendo di esprimere opinioni su Gesù. Si vede la pressione esercitata dall'i deologia ufficiale. Il suo scudo è )a legge di Mosè, che i dirigenti interpretano e mantengono come ultimo criterio di bene e di male. I n mezzo a questa mancanza di libertà, si alza la voce di Gesù che insegna nel tempio, sfidando l'istituzione. Dinanzi al contrasto della sua dottrina con quella dei circoli religiosi ufficiali, che lo vogliono uccide­ re, Gesù enuncia davanti al popolo due criteri per distinguere chi parla a nome di Dio e chi approfitta del nome di Dio per opprimere il popolo. I l primo è questo: solo chi è in sintonia con Dio, perché desidera collaborare nel suo lavoro a favore dell'uomo, può distinguere se una dottrina viene da Dio o no. Nessuna dottrina che in qualche modo impedisca la realizzazione dell'uomo può essere autorizzata in nome di Dio. II secondo criterio completa il primo: chi in qualche modo cerca con la sua dottrina di guadagnare prestigio o gloria, questi non parla a nome di Dio, perché di fatto non è a favore dell'uomo; giunto il momento, sacrificherà l'uomo ai suoi propri interessi. Merita fiducia soltanto chi, dimenticando il proprio interesse, pone il bene dell 'uomo come valore supremo e agisce di conseguenza. ·

353

Gv 7, 32·52: Il tempo della salvezza: invito e urgenza J2 I farisei udirono tali mormorii della gente; allora i sommi sacerdoti e i farisei mandarono guardie a catturarlo. Jl Disse quindi Gesù: - Ancora per breve tempo rimango con voi, poi vado

da chi

mi

mandò. 3' Mi cercherete, ma non mi troverete; perché dove sto io, voi non siete in grado di venire. l ! Commentarono fra loro i dirigenti giudei: - Dove pensa di andare, perché noi non possiamo trovarlo? Che voglia andare con gli emigrati in paesi greci per insegnare ai greci? 36 Che significa ciò che ha detto: • Mi cercherete, ma non mi troverete » e • dove sto io, voi non siete in grado di venire • ? n L'ultimo giorno, i l più solenne delle feste, Gesù, levatosi i n piedi, gridò: - Se qualcuno ha sete, che si avvicini a me, e beva l a chi mi dà la sua adesione. Come dice quel passo: • Dentro di lui sgorgheranno fiumi di

acqua viva •· 39 Questo lo disse riferendosi allo Spirito che stavano per ncevere coloro che gli avrebbero dato la loro adesione (ancora non vi era spirito, perché la gloria di Gesù non si era ancora manifestata). •o Udendo tali parole, alcuni tra la gente dicevano: - Certamente questi è il Profeta. 4 1 Dicevano altri: - Questi è il Messia. Ma i primi dicevano: - Forse che il Messia viene dalla Galilea? '2 Non dice quel passo che il Messia viene dalla stirpe di Davide, e da Betlemme, il paese di Davi­ de ? 0 Si produsse divisione fra la gente a proposito di lui. " Alcuni di loro volevano catturarlo, ma nessuno gli mise le mani addosso.

45 Le guardie tornarono allora dai sommi ·sacerdoti e dai farisei, questi domandarono loro: - Si può sapere perché non lo avete portato? •• Replicarono le guardie: - Nessun uomo ha mai parlato cosi. -schiavo di Abramo fu espulso da quella casa perché non potesse ereditare con il figlio libero. Il figlio libero è quello che nasce dalla promessa di Dio, dalla sua parola fedele. Per questo essere figlio libero di Abramo è essere figlio di Dio, nascere da lui. La libertà nasce dall'origine divina. In tale senso, soltanto Gesù è libero, perché soltanto lui è il Figlio di Dio. Il versetto presenta due piani di significato: il primo si riferisce ad Abramo e ai suoi due figli: !sacco, il libero, e Ismaele, lo schiavo; il secondo si riferisce in primo luogo a Dio tracciando un parallelo con Abramo; in secondo luogo, in parallelo con !sacco, a Gesù, colui che procede da Dio, e infine, in parallelo con Ismaele, a coloro che sono schiavi perché non sono nati da Dio, vale a dire a quanti appartengono al • mondo • . Il punto di contatto fra i due piani si trova nell'origine e missione di !sacco e di Gesù: !sacco nasce per opera della parola/pro­ messa di Dio, che attraverso di lui mirava alla creazione di un popolo (Gn 12, 3; 17, 4.19) . Gesù è la formulazione nella • carne • della parola creatrice che compie finalmente la promessa fatta ( l , 14). ·Riferita a Gesù e ai suoi avversari, l'opposizione libero/schiavo è la stessa che esiste tra Spirito e carne (3, 6; 6, 63). Si può essere discendente di Abramo ed, essendo schiavo, non avere diritto all'eredità né a rimanere nella sua casa. Essere figlio ed erede significava aver parte alla prt>­ messa che si doveva compiere nel Messia, godere dei beni messianici. Ebbene, chi pratica il peccato declassa se stesso alla condizione di schiavo e cessa di essere figlio ed erede. 36



Pertanto, se il Figlio vi dà la libertà, sarete realmente liberi •·

Il figlio vive in casa per diritto proprio e può disporre di quanto vi si

391

n pomo del Meula. Ciclo dell'uomo

trova (3, 35). Soltanto luì. the è signore, può dare la libertà a uno schiavo, farlo passare alla condizione di figlio, partecipe dell'eredità. Solo Gesù, il Figlio libero, l'unico erede, può dare la libertà, dando lo Spirito. Gesù, come Figlio di Dio, si muove nella libertà che tale condizione gli conferisce. Alla luce della sua immediata relazione con il Padre, tutto resta relativizzato: la Legge (5, 16.23 Lett.), Mosè (5, 46; 7, 19), Abramo (8, 56.58), le istituzioni (7, 37b-39 Lett.). � la sua coscienza di Figlio a renderlo libero di fronte a quell'autorità che egli smaschera davanti al popolo (7, 19) e a renderlo libero davanti alla morte (l0, 1 7s). In base a questa esperienza vitale, Gesù invita a lasciarsi liberare , a ricevere la condizione di figli, per vivere con il Padre un rapporto simile al suo. Dio non sarà più il Sovrano che fa sentire all'uomo la sua inferiorità e che lo sottomette, ma il Padre che gli comunica la sua vita e lo rende libero.

Due padri? 37

• So bene che siete stirpe di Abramo, tuttavia cercate di uccidere me, perché il mio messaggio non vi entra in testa •-

Riconosce che essi sono discendenti di Abramo, sebbene la frase risulti ironica dopo che li ha chiamati schiavi. Sottolinea la contraddizione che la loro condotta implica. Gloriarsi di essere stirpe di Abramo e, al tempo stesso, perseguitare mortalmente Gesù, sono atteggiamenti che non collimano. Essi, che pretendono di discendere da Abramo, non gli assomigliano. Sono assolutamente refrattari al messaggio di Gesù, ma­ nifestato nella sua attività; non Io possono tollerare perché, ponendo il bene dell'uomo come valore assoluto, distrugge la loro idea di Dio e denuncia la corruzione della loro istituzione. 38

.• lo propongo quel che ho visto personalmente presso il Padre, e così voi pure fate quello che avete appreso da vostro padre •·

Tuttavia, Gesù non parla a nome proprio: il suo messaggio è quello di Dio stesso. Essi, pertanto, che si oppongono alla liberazione che egli realizza, non stanno dalla parte di Dio. Gesù insinua che hanno un altro padre, che non è Abramo e nemmeno Dio.

. Gli risposero: • Nostro padre � Abra mo •- Rispose loro Gesù: • Se foste figli di Abramo, realizzereste le opere di Abramo; invece cercate di uccidere me - uomo che vi ha proposto la verità appresa da Dio . Questo Abramo non lo fece •· 39-40

-

Davanti all'insinuazione di Gesù si origina una nuova reazione, in cui essi affermano ancora una volta la propria ascendenza: Gesù li mette nuovamente di fronte al loro modo di agire. Essere figlio non è un fatto statico, ma dinamico; la comunità di sangue deve tradursi in una somiglianza di condotta. Se non si comportano come si comportava Abramo, non sono figli suoi; un figlio impara dal padre (5, 19). Nella tradizione giudaica, • le opere di Abramo • designavano la benevo392

8, 31-59. Il mito della •tlrpe

lenza, la modestia e l'umiltà l_ Ma fra i rabbini si affennava anche che chi non realizzava tali opere realizzava, invece, quelle dei suoi antenati, che erano idolatri 4• Se essi fanno il contrario di Abramo, dato che vogliono uccidere chi comunica loro la verità di Dio, devono essere figli di un altro padre. Si prepara l'accusa contenuta nel paragrafo seguen­ te.

Procedono dal Nemico non da Dio 41a

� Voi realizzate le opere di vostro padre

•-

Con questa frase comincia lo sviluppo del tema già accennato (8, 38). Secondo la concezione del tempo, se essi non imitano Abramo è perché non hanno il Dio di Abramo; sono idolatri. 4 1 b Gli replicarono allora: � Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre, Dio •1 dirigenti comprendono perfettamente l'allusione di Gesù, poiché nei profeti l'idolatria si paragonava alla prostituzione 5• Essi negano total­ mente di essere un popolo idolatra. Sono infine giunti a comprendere che c'è un Padre al di sopra di Abramo. Professano il loro monoteismo, la loro lealtà a Dio - e implicitamente alla sua alleanza e alla sua Legge (Dt 5, 7: • non avere altri dei miei rivali • ) - che conforma la loro condotta a ciò che Dio vuole.

42 Replicò loro Gesù: � Se Dio fosse vostro padre, vorreste bene a me, perché sono qui procedendo da Dio; e neppure sono venuto per deci­ sione mia personale, fu lui a inviarmi •. Gesù ribatte sempre con lo stesso argomento: essere figlio di qualcuno significa somigliargli, comportarsi come lui. L'unica prova di essere figli è la somiglianza con il proprio padre. Se avessero appreso da Dio il loro modo di comportarsi, necessariamente vorrebbero bene a Gesù, che viene da parte di Dio; invece lo vogliono uccidere come espressione del loro odio (7. 7; 8,37.40). Non hanno gli stessi sentimenti né lo stesso modo di agire di Dio, dunque non sono figli di Dio. Resta pertanto in piedi l'accusa d'idolatria. Per questo non riconoscono l'inviato di Dio né accettano la verità che propone loro a nome di Dio (8, 40). Si comprende Gesù soltanto se si è disposti a realizzare il l Cfr.

S. -

B. II, 524.

Cfr. S . . B. I I . 524. s Cfr. Ez 16, 15s: • tu però, infatuata della tua bellezza e approfittando della tua fa­ ma, ti sei prostituita concedendo i tuoi favori a ogni passante. Prendesti poi abiti ... su cui ti prostituivi •; 23, 19s.30: • ma essa continuò a moltiplicare prostitu­ zioni, ricordando il tempo della sua gioventù, quando si prostituiva in Egitto, arse di libidine per quegli amanti ... sarà sve4ata la turpitudine delle tue scelleratezze, la tua libidine e la tua disonestà. Così sa.ra> trattata perché tu mi hai tradito con le genti, perché ti sei contaminata con i loro idoli •: Os l , 2: • quando il Signore co­ minciò a parlare a Osea, gli disse: va', prenditi in moglie una prostituta e abbi figli di prostituzione, perché il paese non fa che prostituirsi allontanandosi dal Signore •: 2, 4: • accusate vostra madre, accusatela, perché essa non è più mia moglie e io non sono più suo marito! S i tolga dalla faa: ia i segni delle sue pr­ stituzioni e i segni del suo adulterio dal suo pello •.



393

Il pomo del Messia. Cleto deU'uomo

dis egno di Dio (7, 17), ma essi non vogliono bene a Gesù e detestano la sua attività, che è la vera espressione di tale disegno. Chi ispira l'attività dei dirigenti non è, pertanto, il Padre che dà la vita, ma un altro dio.

43 c Per quale motivo non capite il mio linguaggio? Perché capaci di ascoltare il messaggio mio » .

non siete

Già in varie occasioni gli avversari di Gesù hanno mostrato di non comprendere ciò che egli diceva loro (7, 35s; 8, 19.27.37). Tale impossibi· Iità di comunicazione nasce dalla percezione di una minaccia nel mes· saggio che Gesù propone. L'amore per l'uomo, l'aiuto ai deboli, il dono di se stesso agli altri, sono concetti che essi rigettano, perché esigono la rottura con Io stato di cose ingiusto che sostengono e in cui occupano una posizione dominante. Essi sono gli uomini della situazione; Gesù è l'uomo del popolo (6, 42; 7, 52) che si mette dalla parte dei deboli, degli ignoranti, considerati maledetti dai farisei (7, 49). Gesù è la negazione stessa di tutto il loro sistema. Essi, per difenderlo, avevano creato un'ideologia che Gesù rifiuta (5, 1 7) . Ha messo allo scoperto la loro ambiziosa sete di onori e prestigio (5, 43 s ), ha rinfacciato loro l'infedeltà a Mosè (5, 45-47) e alle Scritture (5, 39s) ; Ii ha accusati di non compiere la Legge che Mosè aveva dato loro (7, 19) e di giudicare senza giustizia (7, 24) ; ha predetto loro la rovina (7, 34), rendendoli responsabili del disastro che sovrasta il popolo (8, 2 1 ) . Ha rinfacciato loro l'appartenen­ za a uno stato di cose oppressivo, contrario al piano di Dio (8, 23); li ha chiamati schiavi, negando che siano figli di Dio (8, 42). Essi, attaccati al sistema che spalleggia i loro interessi, si chiudono al suo messaggio. Non possono sopportare il modo di parlare di Gesù. Pongono la loro condizione di privilegiati al di sopra dell'uomo, e ogni volta che Gesù lo ricorda loro, si esasperano e si difendono attaccandolo. 44a • Voi procedete da quel padre., che è il Nemico, e volete realizzare i desideri di vostro padre » . Gesù continua ad applicare il suo criterio e a incalzarli : il loro modo di agire mostra di chi sono figli. Assecondano i desideri del 1oro padre. perché è proprio del figlio fare ciò che piace al padre (8, 29). I figli rassomigliano al padre. Essi vogliono uccidere Gesù: devono aver appreso ciò da un padre che sia omicida: il NemiCo. In questo vangelo si utilizza il termine « nemico » (diavolo) tre volte: la prima volta (6, 70) Gesù lo applica a Giuda; la seconda, in questo passo, lo riferisce ai dirigenti giudei, dei quali afferma che hanno come padre il « Nemico •: la terza (13, 2), l'evangelista non identifica il « nemico • con Giuda, ma lo presenta come ispiratore del tradimento di quest'ul­ timo (il Nemico aveva già indotto Giuda ... a consegnarlo) •. Il termine diabolos, come è risaputo, è la traduzione greca dell'ebraico Satan (Satana), che appare in 13, 27: significa l'avversario/nemico, partico­ larmente in contesto giudiziario, ma generalizzato più tardi come • il Nemico » dell'uomo, che procura la sua rovina 7• ·

• Per il significato in 13, 2 cfr. · ibid. Lett. 7 Per la distinzione fra diavolo e demonio, cfr.

394

7, 20 nota.

8, 31-59. Il mito della

atlrpe

In questo contesto, la menzione del Nemico come padre dei dirigenti giudei è in relazione con l'insinuazione di idolatria fatta da Gesù, cui essi hanno violentemente reagito. Il loro padre, da èui apprendono il modo di agire, è il dio cui servono, in opposizione al Dio vero, il Padre di Gesù, che gli insegna a portare a termine il suo disegno (5, 19ss). L'opposizione stabilita fra i due padri-dio in questo secondo e solenne operato di Gesù nel tempio corrisponde alla denuncia fatta la prima volta, in occasione della Pasqua che inaugurava la sua attività in Giudea. Lì Gesù li accusava di aver trasformato la casa di suo Padre in una casa di commercio (2, 16). Essi avevano eliminato dal tempio la presenza di Dio, sostituendola con l'interesse economico. Questo è il dio del tempio che Ii rende idolatri. � per questo che, ponendo al centro stesso di questa sezione la menzione del Tesoro (8, 20), l'evangelista sta contrapponendo Gesù, il nuovo santuario (2, 17; 7, 37-39), e il Tesoro, santuario del tempio idolatrico, dove è alloggiato il dio e padre dei dirigenti. In quel recinto cultuale convivono momentaneamente la presenza del Padre in Gesù, e quella del Nemico nel Tesoro. I giudei devono decidersi per l'uno o per l'altro. Con l'intento di uccidere Gesù (8, 59) hanno fatto la loro opzione definitiva. Si comprende adesso perché Gesù, proponendo il suo esodo, vale a dire la sua comunità alternativa, metta a prova l'atteggiamento dei suoi, rappresentati da Filippo, sul tema del denaro. La sua comunità non deve trovare nel sistema economico sfruttatore la soluzione al proble­ ma della sussistenza (6, 5ss). Nella stessa sezione dei pani Gesù qualificò Giuda come c nemico • (diavolo) . Quanto esposto in precedenza chiarisce il significato di que­ st'appellativo, che si esplicita in 12, 6: era ladro. 44b • Egli è stato omicida fin dal principio e non è mai stato nella verità, perché in lui non c'è verità; quando parla, la menzogna gli sgorga dal dì dentro, perché è menzognero: il padre della menzo­ gna • Gesù allude al racconto delle origini, secondo cui il serpente (Gn 3, lss), identificato più tardi con il c diavolo/nemico • (Sap 2, 24), causò la morte dell'uomo (omicida) con l'inganno. I dirigenti, che hanno come padre il Nemico (diavolo), rappresentano la stirpe del serpente (Gn 3, 1 5). Ma Gesù, a sua volta, indentifica il Nemico dell'uomo con il denaro, anima occulta ma onnipotente dell'istituzione corrotta. All'ordi­ namento basato sul potere del denaro egli attribuisce la malvagità e l'ostilità contro l'uomo, proprie del serpente primordiale. Essi sono omicidi (8, 40: cercate di uccidere me - uomo), come lo è il Nemico, che incarnato in sistemi oppressori ha sacrificato sempre (dal principio) l 'uomo all'interesse economico. Essi sono menzogneri (8, 55), perché il Nemico che li ispira lo è e lo è sempre stato. Questo ordina, e i dirigenti che lo rappresentano propongono la menzogna, contraria alla verità esposta da Gesù su incarico del Padre (8, 40). La verità si riferisce a un modo di agire che favorisce la vita (8, 31 Lett.); la menzogna, pertanto, è quella che favorisce la morte. Presentare come un valore ciò che mutila e diminuisce l'uomo: questa è la menzogna. La verità di Gesù è pienezza di vita e libertà; la loro 395

Il pomo del Mesala. Cielo deli 'uomo

menzogna è schiavitù e soppressione della vita. Insegnandola come volontà di Dio, amputano la tendenza fondamentale dell'uomo, svuotan· dolo del desiderio di pienezza umana obiettivo del disegno creatore. Gli fanno accettare come verità un dinamismo suicida. Questo risponde . all'attività del serpente in Gn 3, 1-5; egli inganna e causa la morte appunto proponendo l'idea falsa di un Dio tiranno e rivale dell'uomo. Gesù assicurava che quanti avessero messo in atto il suo messaggio avrebbero scoperto la verità (8, 32). Denuncia il sistema giudaico come menzogna e crimine istituzionalizzati. Ma l'accusa di Gesù implica inoltre che chiunque si identifichi con un ordinamento ingiusto si rende complice di tale menzogna e omicidio. Il Nemico non dirà mai la verità. Incarnato nel Tesoro, l'accumulazione sfruttatrice, si oppone alla condivisione, segno e veicolo dell 'amore (6, 1 1 Lett.). E, per essenza, la negazione dell'amore creatore. In 7, 1 8 Gesù aveva proposto il criterio per giudicare della validità di una dottrina: chi parla per conto proprio cerca la sua gloria; invece, chi cerca la gl()ria di colui che lo ha mandato, questi merita fiducia e in lui non c'è ingiustizia. È falsa la dottrina di colui che cerca di promuovere i suoi propri interessi. Ne consegue che l'istituzione basa­ ta sull'interesse economico non possa proporre che menzogna. Tale ordinamento è radicalmente ingiusto: solo chi è libero dall'ingiustizia può dire la verità (7, 1 8b). 45



A me invece, giacché dico la verità, non credete

•·

Essi, che insegnano la menzogna, rifiutano di accettare la verità (8, 40). perché essa dimostra la falsità in cui vivono e che praticano, e denun· eia le loro vere motivazioni. Questa frase è implicitamente parallela con S, 43: io sono venuto a nome di mio Padre e non mi accettate; se un altro venisse a nome proprio, lo accettereste. Egli dice la verità appunto perché non viene a nome proprio né cerca la sua gloria (5, 41). Gesù condanna implicitamente l'atteggiamento dei suoi avversari. Se egli giungesse cercando di soddisfare la propria ambizione affermando se stesso, lo accetterebbero; allora direbbe una menzogna, come loro (8, 53). 46à

c

Chi di voi mi può rinfacciare alcun peccato?

La sfida di Gesù mostra la sua sicurezza.

•·

c Peccato • significa per lui opposizione al disegno di Dio, ingiustizia contro l'uomo (7, 1 8 ; 8, 23 Lett.). Secondo questa norma di moralità, Gesù muta radicalmente il concetto di peccato. Essi, invece, propongono la Legge come norma assoluta al di sopra del bene dell'uomo, interpretata inoltre secondo i loro propri interessi (cfr. 7, 1 8.24). Gesù afferma che in lui non c"è ingiustizia, appunto perché non cerca la sua gloria né il proprio interesse; egli è sempre stato a favore dell'uomo e li sfida a provare il contrario. Sottolinea la coerenza inappuntabile fra il suo messaggio e la sua condotta; non c'è discrepanza fra il suo dire e il suo operare. Per questo la loro incredulità non ha scusanti (cfr. 15, 22.24}, né ha fon­ damento la persecuzione di cui lo fanno oggetto (5, 18; 7, l .l9ss).

396

8, 31-�9. Il mito della stirpe

4 6b



· Se dico la ve rità, per quali motivo vo i non mi credete?

•·

Malgrado tutto, essi non credono alla verità che Gesù propone loro. Hanno la loro propria • verità •. con cui mantengono una coerenza che li porterà ad ucciderlo. Ammettere un principio assoluto al di sopra del bene dell'uomo porta inevitabilmente a sacrificarlo sugli altari di tale principio (cfr. 19, 7). Quando la sua ammissione viene vista come naturale, l'oppressione diventa connaturale e logica. Se inoltre il princi­ pio si identifica con la volontà di Dio, questa � verità • rende complice dell'oppressione Dio stesso. 1:. la perversione dell'idea di Dio, che Gesù denuncia come • menzogna •. Dio, il Padre, è il principio di vita; cerca incessantemente il bene dell'uomo (5, 17) fino a dare suo Figlio perché l'uomo abbia vita (3, 1 6) ; lo dimostrerà Gesù con la propria morte. 47 c Chi procede da Dio ascolta le esigenze di Dio; per questo t•oi non ascoltate, perché non procedete da Dio •. Gesù conclude dando la ragione ultima dell'incredulità dei dirigenti: malgrado le loro pretese di avere Dio per padre (8, 41b). non procedono da Dio; ne è prova che non ascoltano le sue esigenze. • Le parole/ esigenze di Dio • era espressione consacrata per designare i comanda­ menti dati per mezzo di Mosè 8• Già in 3, 34 si era detto di Gesù: l'inviato di Dio propone ... le esigenze di Dio; ne è prova elle esse comunicano lo Spirito senza misura. Perciò le esigenze si identificano con il messaggio (8, 31 .37.43) e con la verità che emerge nell'esperienza che dà lo Spirito (8, 31-32 Lett.), e rendono caduche quelle della Legge antica. Comunicando lo Spirito, collocano l'uomo sulla l inea dell'amore che fruttifica nell'attività. Le esigenze non fanno altro che formulare il dinamismo dello Spirit()-amore che ha fatto nascere da Dio ( l , 13; 3, 5s) . Essi, il cui movente è il Nemico, l'anti-amore, continuano a non ascolta­ re Dio (5, 37). Non riconoscono la voce dello Spirito (3, 8 Lett.) perché non procedono da Dio.

II.

CONTRATTACCO

GIUDAICO E

R I S POSTA

DI

GES Ù

( 8 , 48-58)

Gesù datore di vita definitiva 4 8 Risposero i dirigenti: « Non abbiamo motivo di dire che sei un sarnaritano e che sei pazzo? •.

I dirigenti non hanno argomenti da opporre a quelli di Gesù, replicano con insulti. Gesù li ha appena • scomunicati come idolatri, che hanno come dio il proprio interesse, principio di menzogna e omicidio. Essi si prendono la rivincita, credendo di • scomunicare • Gesù chiamandolo samaritano. Per i giudei, i samaritani erano una razza bastarda e idolatra (figli di prostituzione, cfr. 8, 4 1 ) . Non potendo coglierlo in fallo •

l Cfr. Dt 4, IO: • ascoltino le mie parole •: 4, 13: • qli vi annunciò la sua alleanza, che vi comandò di osservare, cioè le dieci parole/comandamenti •: IO, 2: • io scriverò su quelle tavole i comandamenti/parole •.

397

n glomo del Me..la.

Ciclo deU'uomo

(8, 46), risulta loro impossibile attaccarlo frontalmente e rispondere alla sua denuncia. Loro unica scappatoia è accusarlo di eterodossia e di insensatezza 9. 49 Replicò Gesù: c /o non sono pazzo, ma onoro mio Padre; invece voi volete disonorare me ». Dal primo insulto (samaritano) Gesù non si difende, perché non lo considera tale. Gli eterodossi di Samaria accettarono il suo messaggio (4, 4ss), mentre gli ortodossi di Giudea cercano di ucciderlo. Risponde, invece, al secondo (pa;z;zo). Ciò che sta facendo è appunto difendere l'onore di suo Padre, rivendi­ came il buon nome, distruggendo la falsa immagine di Dio che essi hanno creato. Difende l'onore di Dio, mostrando il suo vero volto. Essi non lo conoscono né conservano il suo messaggio (5, 37s); invece di accettare con gioia la manifestazione dell 'amore del Padre, presente in Gesù, si oppongono a quest'ultimo cercando di screditarlo. Il loro dio è il riflesso di ciò che essi sono, non un Dio-amore, ma un dio-tiranno. Il vero Dio è per loro un'eresia e un'insensatezza (samaritano, pa;z;zo).

50 • io però non rivendico la mia gloria; c'� chi se ne incarica ed � giudice del fatto ». A Gesù non importa il concetto che hanno di lui, perché non cerca il

suo prestigio personale. Con questo indica che non si intimorisce per la loro offensiva; continuerà ad agire come ha fatto finora. Non sono loro il tribunale supremo. 51 c Davvero vi assicuro: chi compie il mio messaggio, non saprà mai cos'è la morte "· Gesù, tuttavia, non è venuto per sentenziare; offre a tutti la vita. Con questa dichiarazione presenta ai dirigenti il frutto dell'amore per l'uo­ mo, il frutto delle ésigenze di Dio che costituiscono il suo messaggio. A quelli che lo vogliono uccidere non risponde con odio né li esclude dalla sua azione salvifica. Ha denunciato con forza la loro ingiustizia e la loro idolatria, ma adesso dà loro nuovamente l'occasione di rettifica­ re (2, 16 Lett.) . Il loro peccato li porta alla morte (8, 21 .24a). Gesù segnala loro nuovamente (8, 24b) il modo di sfuggirla: rinunciare al loro peccato dedicandosi al bene dell'uomo. Questo li renderà liberi e figli di Dio, e di conseguenza li libererà dalla morte. L'attività a favore dell'uomo, cui porta lo Spirito, è fonte di vita" fino al punto da escludere ogni esperienza di morte. Questa non esiste per il discepolo; la morte fisica non interrompe la vita né è un'esperienza di distruzione. La vita che Gesù comunica non conosce fine (3,16; 4, 34; 5, 21). Tale è il disegno di Dio (6, 39s).

' Per l'atteggiamento dei giudei nei confronti dei samaritani, cfr. S. - B. I, 538s.

398

8, 31-59. Il mito della atlrpe

Abramo e il giorno del Messia 52 Replicarono allora i dirigenti: « Ora siamo sicuri che sei pazzo. Abramo è morto e così pure i profeti, e tu te ne esci con la frase che chi compie il tuo messaggio non sperimenterà mai la morte? ». Come la prima volta nel tempio (2, 18) , i dirigenti non rispondono all'invito di Gesù; al contrario, continuano nella loro opposizione, affermando di aver trovato la prova definitiva della sua follia. Sono morti perfino gli uomini più vicini a Dio, come Abramo e i profeti (cfr. Zc l, 5: « dove sono i vostri padri? I profeti forse vivranno sempre? •) , e Gesù afferma che il suo messaggio esime dalla morte. Interpretano il suo detto come riferito alla morte fisica, cui Gesù aveva negato la qualifica di morte (cfr. 8, 51 nota). Essi la vedono come un'esperienza amara (sperimentare/gustare) da cui nessuno può liberarsi. 53 • Forse tu sei più grande di nostro padre Abramo, che morì? Anche i profeti sono morti. Chi pretendi di essere? • · Insistono sull'idea della morte inevitabile. Coloro che causano la morte (8, 40.44) sono incapaci di comprendere una promessa di vita. Sospetta­ no che Gesù si ponga al di sopra di Abramo, che chiamano nuovamente « nostro padre • (cfr. 8, 39a). anche quando Gesù ha loro negato la condizione di figli (8, 39b). La risposta è costruita come quella della samaritana: forse tu sei più grande di nostro padre Giacobbe? (4, 12). Ogni popolo fa appello all'antenato illustre, che gli dà la sua identità. Ma se la donna ricordava Giacobbe come datore di un pozzo, i giudei non si ricordano che Abramo aveva ricevuto una promessa; menzionano soltanto la sua morte. Per loro è ormai soltanto una cosa passata, non una speranza. Abramo non li conduce al Messia, compimento della promessa. Anche i profeti sono morti, coloro che annunciavano la restaurazione, sui cui scritti si era edificata la speranza messianica. Né da parte di Abramo né da parte dei profeti essi attendono nulla dal futuro: tutti sono morti. Per loro continua a vivere soltanto Mosè, di cui si profes­ sano discepoli (9, 28) ; mentre hanno deformato i suoi scritti, eliminando­ ne la speranza che annunciavano (5, 46s), e utilizzando la Legge per opprimere l'uomo, contro la volontà di Mosè (7, 19-24). Per questo egli stesso Ii accusa (5, 45). I dirigenti non si domandano se Gesù sia il Messia, che, almeno nel giudaismo più recente, veniva considerato superiore ad Abramo 10• Gli domandano di nuovo la sua identità (8, 25), ma ora in tono scettico: chi pretendi di essere? Non arrivano mai a una conclusione adeguata (8, 19.25), perché rifiutano di esaminare i fatti (cfr. 7, 31). 54a Rispose Gesù: • Se io stesso mi procurassi gloria, la mia gloria non varrebbe nulla; è mio Padre che me la procura » . Contro ciò che insinuano, Gesù non intende arrogarsi titoli; egli non viene a cercare la sua gloria (5, 41.43; 7, 18; 8, 50) né necessita di una IO

Cfr.

S . B. Il, 525. .

399

Il pomo del Meula. Ciclo dell'uomo

gloria sua esclusiva. Chi agisce in simile modo dimostra la falsità della propria dottrina e denuncia la propria ingiustizia (7, 18), mentre in Gesù non vi è peccato, oppressione né sfruttamento dell'uomo (8, 46). � il Padre a onorario, facendo splendere in lui il suo amore e la sua leal· tà ( 1 , 14). 54b-55a



conosciuto

quello che voi dite essere vostro Dio, pur non avendolo mai •·

Il Padre che onora Gesù è quello che essi chiamano loro Dio; op­ ponendosi a Gesù si oppongono a lui. Tornano a dimostrare di non avere Dio come Padre (8, 42). Gesù mostra la contraddizione fra la religione che esternamente profes­ sano e la loro condotta, li accusa di non conoscere quello che chiamano loro Dio. Non si tratta di una conoscenza intellettuale, la frase ha uno sfondo profetico. Ger 22,15b-17 (LXX ) : • sarebbe meglio per te praticare la giustizia e il diritto. Non sono giunti a conoscere, non hanno reso giustizia al povero né all'indigente. Questo non significa infatti non conoscermi ? - dice il Signore -. Ecco, né i tuoi occhi né il tuo cuore sono retti: li usi per il tuo proprio lucro, per spargere sangue innocen­ te, per l'abuso e l'assassinio •. Os 4, 1-2: • il Signore ha un processo con gli abitanti del paese. Non c'è infatti sincerità né amore del prossimo, né conoscenza di Dio nel paese. Si giura, si mentisce, si uccide, si ruba • . Con le sue parole: pur non avendolo mai conosciuto, Gesù ripete la denuncia mossa in precedenza nei confronti del padre omicida e menzognero (8, 44). Quanti vivono per il loro proprio interesse non conoscono il vero Dio né possono conoscerlo (5, 37; 8, 19) e, imponendo la loro dottrina in nome di Dio (5, I O), ne deformano l'immagine. 5Sb • lo, invece, so chi è, e se negassi di saperlo sarei un menwgnero simile a voi. Ma so chi è e compio il suo messaggio •. Gesù sa chi è Dio: il Padre il cui disegno è comunicare vita all'uomo. Se egli desistesse dalla sua attività, negando tale realtà di Dio, si renderebbe complice della menzogna di quanti presentano un Dio che appoggia l'oppressione che essi esercitano. Gesù, identificato con il Padre dalla comunione dello stesso Spirito-amore ( 1 , 32s), spiega con la propria persona e attività chi sia Dio. Questo amore rende impossibile a Gesù cedere alla loro pressione o approvare il loro sistema. Se fosse un impostore, potrebbe ritrattare dando loro ragione, e sarebbe un bugiardo come quelli la cui condotta e dottrina non nascono dall'esperienza di Dio, perché non hanno espe­ rienza del suo amore (5, 42) : parlano di lui senza conoscerlo e, in nome suo, impongono i propri precetti e sottomettono il popolo. Gesù menziona il messaggio del Padre, quello che essi non conservano (5, 38); sebbene testimoniato dalla Scrittura, non danno retta alla sua testimonianza (5, 39s). Era il messaggio del Dio liberatore, quello che per amore trasse il popolo fuori dall'oppressione dell'Egitto e, nel corso della storia, si mise sempre dalla parte del povero e dell'oppresso (5, 37b-38 Lett.) . Gesù attua questo messaggio: tutta la sua attività si sviluppa a favore dell'uomo, per dargli libertà e vita, ma essi non 400

8, 31-59. Il milo della stirpe

suoi discepoli lo attuano (14, 23-24; v ogliono ' riconoscerlo. Anche 17, 6.14) e questo messaggio li consacra (17, 17). 56a



Abramo, vostro padre

•·

.

Gesù si distanzia nuovamente dagli isracliti; egli non 5i considera figlio di Abramo, come prima non aveva riconosciuto la paternità di Giacob­ be (4, 21 Lett.). Non riconosce altro padre che Dio (4, 21 .23s). La novità che egli porta è al di sopra di ogni particolarismo e privilegio di razza. Per ribattere la loro argomentazione e rammentare loro la promessa chiama Abramo • vostro padre •. come l'hanno chiamato loro (8, 39a.S3). sebbene la loro condotta neghi tale discendenza (8, 39b). 56b • fu pieno di esultanza sapendo che avrebbe visto questo mio giorno, lo vide e fu ripieno di gioia •. Era tradizione ammessa che, quando Dio fece alleanza con Abramo (Gn 5, 9-21), gli avesse rivelato il lontano futuro, che poteva includere i giorni del Messia 1 1 • Si noti che Gesù parla del • suo giomo •, non dei • suoi giorni •. che era l'espressione rabbinica ordinaria (i giorni del Messia), perché in Gv l'attività del Messia si sviluppa in un giorno, quello della creazione dell'uomo, il sesto, cominciato a Cana (cfr. I l Giorno Sesto, p. 129). Gesù è superiore ad Abramo, essendo il compi­ mento della promessa che Dio gli aveva fatto. Abramo guardava con gioia al giorno in cui la benedizione promessa si sarebbe fatta realtà; essi no: al contrario, li irrita (8, 59) . Mostrano nuovamente di non essere figli di Abramo.

Il Messia precede Abramo

57 l dirigenti gli replicarono: sto personalmente Abramo? •·



Non hai ancora cinquant'anni e hai vi­

Non comprendono l'allusione messianica di Gesù. Interpretano sarcasti­ camente la sua affermazione, come riguardante una conoscenza perso­ nale e immediata di Abramo, e vogliono mostrare la sua assurdità. A cinquant'anni terminava la vita attiva (N m 4, 3.39; 8, 24s): essendo ancora un uomo giovane, egli pretende di essere stato· contemporaneo di Abramo. Gesù aveva loro detto che Abramo aveva visto il suo giorno; loro, in cambio, gli domandano se egli ha visto Abramo. Con il cam­ biamento di prospettiva vogliono sottolineare la superiorità di Abramo su Gesù. 58 Rispose loro Gesù: • Davvero vi assicuro: Abramo, io sono quello • ·

Prima che esistesse

Gesù risponde con una dichiarazione solenne. Non si sofferma sulla questione posta dai suoi avversari; la sua affermazione è più generica, ma parte, come prima, dalle opinioni contemporanee sul Messia. Nella " Cfr. S. · B. II, 525s.

401

D giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

letteratura rabbinica si afferma frequentemente che, prima ancora della creazione del mondo, Dio aveva concepito il progetto di varie realtà successive, fra cui la Legge, Israele e il Messia. Riguardo al Messia tale opinione veniva basata sul Sal 72, 17: � il suo nome duri in eterno, davanti al sole persista il suo nome •; interpretato dai commentatori: « prima che esistesse il sole apparve il suo nome • 12• Gesù, il Messia, fu da sempre una determinante della storia, perché in lui doveva splende· re la gloria di Dio (17, l ) , realizzarsi il suo progetto e risuonare la Parola divina primordiale ( 1 . 14).

ANNOTAZIONE CONCLU S IVA : TENTATIVO DI LAPIDARE GESÙ

(8, 59)

Raccolsero pietre per tirargliele, ma Gesù si nascose uscendo dal tempio.

59

Non possono sopportare quell'affermazione di Gesù, che si rende supe­ riore ad Abramo. Quanti cercavano la sua morte si accingono a metter­ la in atto. Mostrano di essere figli legittimi dell'assassino (8, 44). e uri parossismo di rabbia che li porta a cercare di lapidario, ma Gesù si nasconde ed esce dal tempio. Non permette che scarichino la loro rabbia su di lui. Gesù si nasconde. Questa frase costituisce un aggancio con 7, 10.14: la salita a Gerusalemme, non manifesta ma clandestina, per presentarsi nel tempio. Gesù torna ora alla clandestinità lasciando il tempio. LI la gloria di Dio ·si è manifestata in lui, non con gesti di potere per conseguire pubblicità, come gli proponevano i suoi parenti (7, 4), ma con un'offerta di salvezza, espressione dell'amore di Dio. Con l'uscita di Gesù dal tempio la stessa gloria di Dio se ne allontana, !asciandolo vuoto (cfr. Ez 10, 18). La denuncia del tempio fatta da Gesù all'inizio della sua attività (2, 13ss) non aveva avuto risonanza. Allora, con un gesto clamoroso e simbolico, aveva cacciato tutti dal tempio. Ora Gesù, il Figlio, ne esce davanti al pericolo di morte che lo minaccia. Decisamente non è più la casa del padre; l'assassino e il bugiardo ne ha occupato il posto. Questa scena potrebbe alludere a quanto avvenuto con Mosè nel deser· to (Es 1 7, 1-7). Gli israeliti, per la mancanza d'acqua nel deserto, • avevano protestato contro il Signore e l'avevano messo alla prova domandando: il Signore è in mezzo a noi o no? ». E cercarono di lapidare Mosè. I dirigenti giudei cercano di lapidare Gesù, che ha offerto l'acqua viva (7, 37-39), e nel tempio, in piedi (cfr. Es 17, 6), egli è la manifestazione della presenza di Dio in mezzo a loro (cfr. l, 27).

12 Cfr. S. - B. II, 335; cfr. ibid. Targum Sal 72, 17: • il suo nome sarà nominato per sempre, e prima che esistesse il sole fu stabilito il suo nome e per suo merito furono benedetti tutti i popoli •.

402

l, 31-59. n mito deUa ltlrpe

SINTESI Con la capacità di darsi agli altrl, lo Spinto fa fare l'esperlenza di Dio come Padre e forma il vero discepolo. Di fatto, l'adesione a Gesù, con la quale si riceve lo Spirito, mette il bene dell'uomo al di sopra di ogni istituzione umana e spinge a dedicarglisi senza riserve, rompendo con i sistemi oppressivi. L'esperlenza del Padre dà all'uomo la libertà di figlio, che lo rende capace di realizzare in se stesso il progetto creato­ re. Chi non fa tale esperienza d'amore è schiavo, prima di tutto perché, non conoscendo Dio come Padre, lo concepisce come un Dio di potere che sottomette l'uomo, legittimando con questo ogni tirannia. Ciascuno si definisce per la sua opzione: o si pone incondizionatamente in favore dell'uomo, come Gesù, ed è così figlio di Dio, oppure si pone contro l'uomo, rendendosi complice dell'oppressione. Tale opzione radi­ cale ispira la condotta, che costruisce o distrugge l'uomo: quale sia l'opzione di ciascuno, si rlvela nel modo di operare, al di là di ciò che le parole o i credi affermano.

403

QUARTA SEZIONE

A GERUSALEMME LA LUCE CHE LIBERA DALLA TENEBRA (9, 1 -1 0 , 2 1 )

La quarta sezione del secondo ciclo non è in relazione con una delle

feste annuali né si sviluppa in un luogo determinato. Tuttavia, come per la prima (5, l ss), con cui presenta numerosi punti di contatto, anche per questa rileviamo che ha avuto luogo in un giorno di precetto dopo una guarigione (5, 9b; 9, 14). La relazione con la guarigione dell'invalido appare anche dalla cecità della massa di infermi che giacevano nei portici della piscina (5, 3), dall'opposizione fra la piscina • Il Fosso • (5, 2) e quella di Siloe (9, 7.1 1 ) , dall'allusione alle pecore (5, 2: la Pecoraia), qui sviluppata ( IO, lss) e, infine, per la reazione che provoca la guarigione in giorno festivo 5, 16; 9, 1 6) . Come l'invalido, anche il cieco è figura del popolo ridotto all'impotenza e privato della sua condizione umana per l'oppressione esercitata dai dirigenti. • Aprire gli occhi al cieco • è frase che mette in relazione l'attività di Gesù con la missione liberatrice del Servo di Dio (ls 42, 6; 49, 6) nel contesto del secondo esodo (ls 35, 5.10) con cui Dio si proponeva di liberare il popolo dalla schiavitù di Babilonia (40, l ss). D'altra parte nell'episodio del cieco si incontra con grande frequenza il verbo • nascere • (9, 2.1 9.20.32.34; 9, 1 : dalla nascita); questo lo mette in relazione con quello di Nicodemo, in cui pure è frequente l'uso di questo verbo (3, 3.4 [bis].5.6 [bis ].7.8). Di fatto, la guarigione del cieco è la spiegazione della nascita attraverso lo Spirito (3, 6) . Il cieco dalla nascita è • carne •, che part,ecipa della condizione di debolezza dei suoi genitori (3, 6: dJJlla carne nasce carne; cfr. 9, 22: la paura dei dirigenti). e appunto la condizione di • carne • che per la sua debolezza rende possibile l'oppressione. L'• uomo-carne • è • carne di schiavitù •. Vissu­ to da sempre nell'ambito della tenebra (9, 1 : cieco dalla nascita) , che gli ha impedito di vedere la luce della vita (1, 5), quest'uomo non ha mai saputo ciò che può e deve essere l'uomo secondo il progetto creatore ( 1 , 4 Lett.: [ il progetto] conteneva vita); non avendo mai avuto esperien­ za della luce-vita, non aspira nemmeno a uscire dalla sua cecità: Gesù deve prendere l'iniziativa mostrandogli il disegno di Dio (9, 6: il suo fango). Destato cosi il suo anelito di vita, Gesù lo invita a lavarsi nella piscina dell'Inviato, dove l'acqua è lo Spirito ( 1 , 33: battezzare con Spirito Santo; 3, 5: nascere da acqua e Spirito) . Le scene successive descrivono la nuova condizione dell'• uomo spirito • (3, 6: dallo Spirito nasce spirito): identità personale (9, 9: sono io), libertà d'opinione (9, 1 7 : è un profeta), indipendenza rispetto al giudizio dei dirigenti (9, 24s), audacia per segnalare loro la contraddizione in cui incorrono (9, 30-33). La sua resistenza alla pressione che esercitano su di lui gli frutta l'espulsione (9, 34). Come negli episodi dell'invalido (5, l ss) e dei pani (6, lss), anche il 404

9, 1-12. segn o che Gesù reali zza. con L'unità di questa sezione

il

cieco

Guarigione del cieco

è ·s eguito da.Ùn discorso polemico.

marcata dalla menzione finale dell'opera che Gesù ha compiuto con i l cieco ( I O, 21). La prima sequenza

è

(9, 1-38)

narra l a guarigione del cieco, i l suo interro­

gatorio da parte dei farisei, l'interrogatorio dei genitori e l'intento di

dividere il cieco guarito da Gesù. Termina con l'i ncontro dell'uomo con Gesù e con la sua adesione a lui. La pienezza di vita che Gesù comunica

è incompa tibile con il regime di oppressione. L'ist ituzione giudaica non sopporta la libertà ed espelle colui che l'ottiene. Gesù accoglie l 'espul­

so.

La seconda sequenza (9, 39-10, 2 1 ) comincia con una dichiarazione pole­

mica di Gesù e con la domanda dei farisei che avevano interrogato il cieco guarito. Gesù accusa i dirigenti e annuncia loro il suo proposito di continuare la sua opera liberatrice, invitando a uscire dall'istituzione

religiosa, per formare una comunità umana dove l'uomo goda della pienezza di vita. In

opposizione

ai

dirigenti che sacrificano

il

popolo, Gesù

pastore modello, che darà la sua vita per liberarlo. La

sarà

comunità

il

di

Gesù non sarà unicamente di origine giudaica, ma incorporerà uomini di ogni stirpe.

Gv 9, 1-12: Guarigione del cieco · 1

Passando,

i suoi

Gesù vide un

uomo cieco dalla

- Maestro, chi aveva peccato,

2

lui o i suoi genitori,

cieco? 3 Rispose Gesù: - Né lui

in

nascita.

discepoli:

aveva peccato, né i suoi genitori; lui le opere di Dio. 4 Noi, finché è

Gli

domandarono

perché

nascesse

così però si manifesteranno giorno, dobbiamo lavorare

realizzando le opere di colui che mi mandò. Si avvicina la notte, quando

nessuno può lavorare. ' mondo.

6

Finché

Detto questo sputò in terra,

occhi con il suo

- Vai

a

lavarti

fango alla

7

fece del

e gli dis se :

piscina

erano soliti incontrarlo,

mondo, sono luce del

fango con la saliva,

gli

unse gli

Siloe (che significa: • I nvia to •). • I vicini e quelli che in precedenza

di

Andò, si lavò e tornò vedendo. - Non

io sono nel

perché era un mendicante, domandavano:

è lui quello che stava seduto e mendicava?

9 Alcuni dicevano:

- !!.

proprio lui. Altri invece: - No, ma gli assomiglia. Egli affermava: - Sono io. 1o

Allora

- Come 11

gli chiesero: ti si sono aperti

Egli rispose:

- Quell'uomo che

gli occhi?

si chiama

Gesù

fece

del fango,

me ne unse

gli oc�hi

405

Il glomo del Meuta. Ciclo dell 'uomo

mi di ss e : a vedere.

e



Val a Siloe e lavati

•·

A11ora

andai, e lava n domi

cominciai

1 2 Gli domandarono: - Lui dov'è? Rispose: - Non so.

NOTE FI LOLOG I C H E 9,2

perché nascesse cieco. Gr. hina consec.

3 così però si manifesteranno. Gr. hina consec., non finale. La cecità ·non era voluta da Dio, era l'occasione in cui si sarebbero manifestate nel cieco le opere di lui.

4 Noi. Variante critica attestata meglio che non • io •· - realizzando. Implicito in ergazesthai, infin. pres. iterativo. - [di colui che] mi [mandò]. Var. meglio appoggiata che non c ci •. Il tema dell'invio di Gesù da parte del Padre è costante in Gv: cfr. 3, 17; 4, 34; 5, 24.30.37, ecc. I discepoli, a loro volta, saranno inviati da Gesù, cfr. 17, 18; 20. 2 1 .

6 gli unse gli occhi con il suo fango, gr. epekhrisen autou ton �lon epl tous ophthalmous. Il possessivo autou non può determinare che ton pelon. Fra il possessivo e il sostantivo che esso determina potrebbe essere inter· calato un verbo (cfr. la differenza fra I l , 2 1 : ouk an apethanen ho adelphos mou; 1 1 , 32: ouk an mou apethanen ho adelphos), ma non un sostantivo, come in questo caso. D'altra parte, il verbo epikhrio non si costruisce con genit. di persona, ma con accus. di persona e dat. di mezzo (auton to pé/6) o accus. di mezzo e termine in frase con valore di preposizione (ton pélon epi tous ophthalmous). II possessivo, che attribuisce il fango a Gesù, e la ripetizione non necessa­ ria di fango • (5 volte: 9, 6bis . I 1 .1 4. 1 5) marcano il suo significato simbolico. D'altra parte il possessivo autou, per essere riferito agli occhi del cieco, non aveva bisogno di alcuna enfasi, dato che non ha termine cui opporsi; in caso di enfasi, la costruzione sarebbe stata: ton pélon epi tous autou ophthal­ mous. Infine, autou rimanda alla frase precedente: il fango è di Gesù, per­ ché lo ha fatto lui con la sua saliva. ·­



erano soliti irteontrarlo, gr. the6rountes. Part. pres. abituale. The6reò denota visione e riconoscimento (cfr. 2, 23 nota). - domandavano, gr. elegon. Specificato dal contesto. Casi simili in vv: 9, 10.12.

8

9

E proprio lui, gr. houtos estin. In corrispondenza alla domanda.

11

Quell'uomo, gr. ho (anaforico) anthr6pos. Seguito da una determinazione (che si chiama) , l'it. preferisce la forma aggettivale anaforica. - cominciai a vedere, gr. aneblepsa. Aor. Anche se il verbo anablep6 signi.fich� rebbe normalmente c recuperare la vista •. nel contesto del cieco di nascita è necessario tradurre con una forma incoativa, cfr. El Aspecto Verbal, n. 41.

12

406

Rispose, gr. !egei. Pres. st.

9, 1-12. Guarlpone del deco

CONTENUTO E DIVISIONE

· '

Gesù ha abbandonato il tem pio ed è tornato alla c land est inità (8, 59), ma non rinunci a al suo lavoro a favore dell'uomo. La pericope è in relazi one con la sua d ic hi arazione precedent e : io sono la luce del mondo (8. 12); la e!òplicherà dando la vista a un cieco nato. Il cieco, che non conosce la luce, è figura di quanti non hanno mai potuto sapere ciò che deve e può essere l'uomo. La sua figura si collega con quella degli infermi sdraiati nella piscina dai cinque portici (5, 3 : ciechi) : è un al tro rappresentante del po­ polo oppresso. Gesù gli mostra il progetto di Dio sull'uomo, la pienezza di vita, e così gli si aprono gli occhi. Questo produce in lui un cambia­ mento tale, al punto che i vicini dubitano del la sua identità . La pericope ha due parti. La p ri ma (9, 1·5), dopo aver segnalato l'occasione (9, 1 ) , contiene un dialogo di Gesù con i suoi discepoli, in cui si spiega la condizione del cieco e il lavoro che Gesù ed essi devono realizzare, alluden· do al tema della luce (9, 2-5). Nella seconda (9, 6-12) si descrive l'azione di Gesù nei confron ti del cieco (9, 6-7a), il cambiamento effettuato nella su a perso na , che dis orien ta quant i lo conoscevano, e l'interesse che suscita nella

gente (9, Th-12). La pericope può esse re divisa cosl:

9, 1-5: La cecità e le opere di Dio. 9, 6-12: Guarigione e cambiamento del cieco.

LETTU RA La cecità e le opere di Dio

9, 1-i Passando, Gesù vide un uomo cieco dalla nascita. Gli domanda­ rono i suoi discepoli: • Maestro, chi aveva peccato, lui o i suoi genitori perché nascesse cieco? •.

La

sc ena avviene fuori dal tempio, ma non ·se ne indicano il luogo né il tempo; • passando • suppone soltanto che Gesù cammini. Interessa unicamente la tematica, l'intima connessione con le sezioni precedenti. Gesù vede un uomo cieco dalla nascita. I discepoli che l'accompagnano

gli pongono una questione che risponde alla mentalità dell'epoca. Se­ condo la concezione corrente del giudaismo, la disgrazia· era effetto del peccato, che Dio castigava esattamente in proporzione alla gravità della colpa 1 • Si ammetteva anche che Dio potesse castigare per amore, per provare l'uomo, e tali castighi, accettati, producevano una benedizione: lunga vita, maggiore conoscenza della Legge, perdono dei peccati. Ma nessun castigo che venisse da Dio poteva impedire all'uomo lo studio della Legge 2• La cecità, pertanto, non poteva essere un castigo per amore, ma una maledizione. Non mancavano opinioni rabbiniche set

2

Cfr. S. - B. n. 193s. Cfr. S. · B. n. 194a; cfr. Sal 94, 12.

407

Il giorno del Meula. Ciclo dell'uomo

condo cui il bambino poteva peccare nel seno. di sua madre l, ma era più frequente pensare che i difetti corporali congeniti fossero dovuti alle mancanze dei genitori 4• 3

Rispose Gesù: • Né lui aveva peccato, né i suoi genitori; così però si manifesteranno in lui le opere di Dio • .

Questo cieco dalla nascita non ha esperienza né speranza della luce, e questo senza colpa personale né ereditaria. Ma la cecità dell'uomo ha anche un significato simbolico, come appare dal significato di • luce • in 9, 5 e dall'applicazione che si farà del termine • cecità • in 9, 40s. La mancanza di luce è dovuta all'azione della tenebra ( 1 , 5). Quest'uomo rappresenta, pertanto, quelli che da sempre (né lui ... né i suoi genitori) sono vissuti sottomessi all'oppressione, senza nozione della possibilità di uscirne, perché non conoscevano alternativa. Non sapevano neppure cosa fosse la luce. Né lui né i suoi genitori avevano peccato. Sono altri i colpevoli della loro cecità (9, 41). I suoi genitori gli hanno trasmesso la loro propria condizione di • carne • (3, 6: dalla carne nasce carne) , la cui debolezza ha reso possibile l'oppressione in cui vivono. Gesù vede nella cecità l'occasione di manifestare l'attività di Dio in quest'uomo. Afferma che non si tratta di un castigo, e che Dio non è indifferente al male; egli vuole che l'uomo esca dalla sua miseria e lo aiuta a uscirne. II cieco è un morto in vita, come l'invalido di 5, Sss; un altro caso particolare del popolo abbandonato dai dirigenti (la Pecoraia, 5, 2). L'invalido era infermo da quasi tutta la sua vita (5, 5: 38 anni); il cieco, invece, non ha mai conosciuto la luce/vita (cfr. l, 4; 9, l : cieco dalla nascita). Il primo aveva ancora speranza, sia pur quella dell'acqua ingannevole (5, 7), questi non si attende guarigione. Si rivelerà in lui ciò che Dio fa con quanti sono nati, e continuano a essere, privi della condizione umana. Poiché quell'uomo desiderava la salute, Gesù gliela offri (5, 6). A questo non può offrirla, perché non sa cosa sia; deve prima mostrargliela per renderlo capace di desiderarla. 4

• Noi, finché è giorno, dobbiamo lavorare realizzando le opere di coltli che m i mandò. Si avvicina la notte, quando nessuno può lavora­ re • .

Gesù avverte i suoi discepoli che devono associarsi alla sua attività. Nel 3

Cfr. S. · B. Il, 528s. Cfr. S. - B. Il, 193s: Es 20, 5: • Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io. il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e aDa quarta generazione, per ooloro che mi odiano •: 34, Th: • Ma non lascia senza punizione, ... castiga la colpa dei padri nei figli, e nei figli dei figli, fino alla terza e alla quarta generazione •- Nm 14, !8b; Dt 5, 9; Ger 3 1 , 29s: • In quei giorni non si dirà più: il padre ha mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati; ma ognuno morirà per la sua propria iniquità; a ogni persona che mangi l'uva acerba si allegheranno i denti •: Ez 18, 2: • Perché an­ date ripetendo questo proverbio nel paese di Israele: I padri han mangiato l'uva acerba e i denti dei figli si sono allegati? •; Tb 3, 3s: • Ora. Signore, ricordati di roe e guardami. Non punirmi per i miei peccat i e per gli errori miei e dei miei pa­ dri. Violando i tuoi comandi, abbiamo peccato davanti a te •. 4

408

9, l-12. Guarigione del deco

cieco si manifesteranno le opere di Dio per mano d i Gesù (cfr. 5. 17-36;

3, 2 1 ; 4, 34) , ma anche i suoi devono realizzarle (cfr. 14, 12). Tale sarà

l'attività del gruppo cristiano (20, 2 1 : co m e il Padre mi ha inviato, cosl anch'io mando voi). Come appare da questo episodio e da quello dell'invalido (5, 3ss). le opere ahe Dio realizza consistono nel liberare l'uomo dalla sua impotenza e nel dargli capacità d'azione. Il plurale • noi " si riferisce originariamente a Gesù, ma include la futura attività dei suoi, che dovrà seguire la stessa linea di liberazione. Si oppone al • noi » di 9, 40, contrapponendo la comunità illuminatrice alla comunità che acceca. La visione di situazioni di oppressione e di ingiustizia è una chiamata a collaborare all'azione di Dio. Gesù sottolinea la necessità, dobbiamo lavorare, e l'urgenza della mis­ sione, finché è giorno, vale a dire, finché c'è possibilità di lavoro, perché si avvicina una notte che impedirà ogni attività. La notte è il periodo della tenebra. Questa si può considerare in due modi: in se stessa, come principio attivo di morte ( 1 , 5), o per opposizione alla luce, come spazio o periodo in cui manca la luce-vita (8. 12). Qui predomina il secondo aspetto. Vi è un tempo di luce (8, 12), in cui Dio si manifesta offrendo la salvezza (7, 33), e ve ne è un altro, quello dell'assenza della luce in cui ciò non è più possibile. Gesù ha il suo giorno (8. 56), durante il quale manifesta la luce, che è la gloria del Padre ( 12, 35; cfr. 1 1 . 9); poi se ne andrà (7, 33). La notte giungerà quando si verificherà il rifiuto definitivo di Gesù. Notte è il mondo senza Gesù, che ne è la luce. Una volta che i dirigenti del popolo abbiano fatto l'opzione definitiva, condannando Gesù e rifiutandolo come re (19, 14s) , non si potrà far nulla, la rovina sarà inevitabile (cfr. 7, 34; 8, 21). Mentre rimane tempo, bisogna offrire la salvezza. In 6, 28 la gente aveva domandato a Gesù quali erano le opere di cui Dio voleva la realizzazione. Egli li avverti che Dio esige un'opera soltanto: l'adesione al suo inviato (6, 29). Ora i discepoli che gli danno la loro adesione hanno davanti a sé la prospettiva del lavoro, portare a compimento le opere di colui che lo ha inviato (5, 36; IO, 37). L'opera originaria, l'adesione a Gesù, si traduce in opere a favore dell'uomo. 5



Finché io sono nel mondo, sono luce del mondo

•.

Questo detto di Gesù continua quello di 8, 12: io sono la luce del mondo 5• Come in quel passo, questa metafora definisce la sua missione di Messia, in riferimento alla missione liberatrice del Servo di Dio secondo i due passi di Isaia (42, 6ss; 49, 6ss), che da una parte defini­ scono il servo come luce delle nazioni, e dall'altra la sùa missione nell'aprire gli occhi ai ciechi, azione che raffigura, come indicato dai parallelismi stabiliti dai testi stessi, la liberazione dall'oppressione (cfr. 9, 7b Lett.). La dichiarazione di Gesù supera tuttavia la questione dell'opzione di Israele; sarà norma per l'attività posteriore dei suoi discepoli. Le opere di colui che lo inviò non possono essere realizzate senza la sua presen­ za, quando manca la luce (21 , 3: quella no li e 110n presero nulla). 5

In 8 , 12 l a frase con articolo (la luce) . definiva Gesù e fondava l'invito a seguirlo. In questo passo, la frase senza articolo (luce) , descrive la sua atli\ilà illuminatrice. 409

Il giorno del Messia. Ciclo deU'uomo

Guarigione e cambiamento del cieco 6

Detto questo sputò in terra, fece del fango con la saliva, gli unse gli occhi con il suo fango.

Gesù passa all'azione. Non consulta l'uomo, perché questi, essendo cieco di nascita, non sa cosa sia la luce e non può nemmeno desiderar­ la. Non vuole, tuttavia, privarlo della sua libertà: gli porrà davanti agli occhi il progetto di Dio sull'uomo. La decisione di ottenere la vista rimarrà nelle sue mani; egli dovrà andare di propria iniziativa a lavarsi alla piscina. Il fango allude alla creazione dell'uomo. Anche se in Gn 2, 7 si dice che Dio lo • modellò » dalla « polvere » della terra (argilla del suolo). in altri passi deii'AT si usa la parola • fango •; così in Gb lO, 9: • ricorda che mi hai plasmato d'argilla •; Is 64, 7: • Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla/fango e tu colui che ci dà forma: tutti noi siamo opera delle tue mani •. Con l'uso del fango, Gesù riproduce simbolicamente la creazione dell'uomo. Si ricordi che • il giorno del Messia " è il giorno sesto (2, l Lett.), in cui l'uomo fu creato. Gesù fa del fango con la sua saliva. Vi è un elemento preesistente, la terra (sputò in terra) e uno suo personale. Si pensava che la saliva trasmettesse forza o energia vitale della persona •. In questo contesto prende il posto dell'acqua necessaria per fare il fango, risultato del miscuglio dei due elementi. Per questo, in seguito Gv parla del « fango di Gesù •. Si percepisce chiaramente l'intenzione dell'evangelista: far del fango con la saliva significa la creazione dell'uomo nuovo (simbo­ lismo del giorno sesto), composto con la terra/carne e con la saliva/ Spirito di Gesù. Di qui la frase successiva: gli unse gli occhi con il suo fango. Il fango modellato con lo Spirito è il progetto di Dio realizzato, il cui modello è Gesù stesso, la sua umanità piena della gloria/amore di Dio. t! questo ciò che egli pone davanti agli occhi di colui che non ha mai visto e non sa che cosa sia essere uomo. Gv usa due verbi per indicare l'applicazione del fango sugli occhi del cieco: in questa pericope, il verbo ungere/spalmare (9, 6.11); più avanti semplicemente porre/applicare (9, 15). La differenza deve essere notata. I l primo verbo è in relazione con l'appellativo di Gesù « il Messia/l'Unto • ( 1 , 4 1 ; 4, 25). Riassumendo tutti gli aspetti contenuti nell'azione, Gesù pone davanti agli occhi del cieco l'uomo unto dallo spirito. Al tempo stesso, egli, come Unto per eccellenza, realizza la sua opera ungendo l'uomo. Ungendogli gli occhi, lo invita a essere uomo comp Ìeto, unto e figlio di Dio per la comunicazione dello Spirito (17, 17-19 Lett.). 7a e gli disse:



Vai a lavarti alla piscina di Siloe (che signifiC4

" Inviato ") •·

Il progetto di Dio manifesta il suo amore per l'uomo. Gesù glielo ha mostrato, ma la guarigione non avviene automaticamente; il cieco deve •

Per questo l'uso della saliva era comune per guarire alcune infermità. Era dot· trina tradizionale che la saliva del primogenito di un padre guarisse le infennita degli occhi (non la saliva del primogenito della madre); cfr. S . . B. II, 15.

410

9, 1-12. Guarlelooe del cieco

accettare la lucé e optare llbéramente 'per essa (l, 19-21; cfr. l. 12: a quanti la accettarono diede capacità di diventare figli di Dio: la diede, cioè, a coloro che mantengono l'adesione alla sua persona).

La libera opzione dell'uomo si manifesterà andando alla piscina secon­ do l'ordine di Gesù; se segue il cammino che egli gli traccia e va al luogo che egli dice, troverà la luce; colui che era " carne » nascerà dallo Spirito (3, 6). La piscina di Siloe, che non deve essere confusa con l'omonima fonte 7, si trovava fuori delle mura della città. Si effettuavano lì i bagni/batte­ simi dei proseliti pagani '· Rispetto alla salvezza che egli porta, Gesù mette il giudeo sullo stesso piano del pagano. I l nome della piscina è interpretato da Gv. I I nome originario (aram. siloal:zfsilol:za) signifi­ cherebbe emissione/invio [ di acqua] oppure [acqua] emessa/inviata. L'evangelista adatta il nome per applicarlo a Gesù • l'Inviato • (cfr. 3, 17; 4, 34; 5, 24.30.37, ecc., e, poco prima, 9, 4). Non si menziona l 'acqua della piscina, che è pertanto l'acqua dell'I nviato, lo Spirito che sgorgherà dal suo intimo (7, 37-39; 19, 34). e la seconda piscina che si menziona in questo vangelo. La prima era situata all'interno della città (5, 2 : in Gerusalemme, presso la Pecoraia) e aveva cinque portici, figura della Legge (5, 2 Lett.). La seconda è al di fuori della città, ed è la piscina dell'Inviato. Nella prima, l'acqua si agitava periodicamente; come si è visto, questo fatto è figura, nel vangelo, delle agitazioni messianiche in cui il popolo poneva la sua speranza (5, 7). Quella di Siloe ricorda il testo di Is 8, 6-7: • Questo popolo ha rigettato le acque di Siloe, che scorrono piano ... per questo, ecco, il Signore li farà sommergere dalle acque del fiume, impetuose e abbondanti •. La duplice menzione di ungere/spalmare (9, 6. 1 1 ) e quella della piscina (9, 7), termine che sarà utilizzato per designare il fonte battesimale cristiano, mostrano che l'attività di Gesù viene letta attraverso riti di iniziazione di una comunità. 7b · Andò, si lavò e tornò vedendo. L'uomo segul le istruzioni e ottenne la vista. II cieco ha ora raggiunto la sua integrità umana. La sua fede consistette nel fidarsi di Gesù, e si espresse andando alla piscina. Le opere di Dio (9, 3s) realizzano l'uomo. Ha visto la luce, non attraverso un insegnamento, ma attraverso I'azi()­ ne. L'uomo si è lavato, come gli aveva detto Gesù. Quest'atto non ha qui valore di purificazione, dato che né lui -né i suoi genitori avevano peccato (9, 3). • Lavarsi • indica pertanto l'accettazione dell'acqua del­ l'Inviato, lo Spirito, l'amore che si manifesta. Il risultato dell'azione di Gesù e dell'accettazione da parte del cieco ha come effetto la vista (tornò vedendo). I I cambiamento espresso in questi termini consiste nella capacità di vedere/conoscere cosa sono l'uomo e il mondo. e stata prodotta dal contatto con il fango di Gesù, accettato dal cieco, vale a dire, dall'accettazione del progetto di Dio sull'uomo e dall'adesione a esso. Equivale a un dono di sapienza che gli 1 •

Cfr. S. · B. II. 530-533. Cfr. Jeremias, lerusalén, p. 332.

,.,_

411

Il pomo del Meu:la. Ciclo dell'uomo

permetterà di distinguere i veri valori da quelli falsi (cfr. 9, 1 3ss). Non gli è stata comunicata una dottrina, ma una percezione vitale di ciò che è l'uomo. Egli sa adesso, personalmente, cosa significa esserlo. Questa esperienza orienterà in futuro la sua azione. Come è già stato accenn·ato (9, 5 Lett.), dare la vista ai ciechi era uno dei segni propri della salvezza definitiva, annunciata dai profeti come simbolo della liberazione dalla tirannia. Cosi, Is 29, 1 8ss: Udranno in quel giorno i sordi le parole di un libro; liberati dall'oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno. Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo di Israele. Perché il tiranno non sarà più .. . •: 35, 5.10: • Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi ... ritorneranno i riscatta· ti dal Signore •: 42, 6-7 (del Servo di Dio) : • Io, il Signore, ti ho chiamato ... ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre • : 49, 6.9a: • t! troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Ma io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra ... per dire ai prigionieri: uscite, e a quanti sono nelle tenebre: venite fuo­ ri J>. Le tenebre svaniscono davanti alla rivelazione di Dio, Is 60, l ss: • Alzati, rivestiti di luce (Gerusalemme), perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Perché, ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno i popoli alla tua luce " · •

8 l 1•icini e quelli che in precedenza erano soliti incontrar/o, perch� era un mendicante, domandavano: • Non è lui quello che stava seduto e mendicava? •. La guarigione del cieco provoca perplessità fra la gente che lo conosce­ va. Alcuni pensano che non possa trattarsi della stessa persona 9; altri, invece, affermano che è lui. Per la prima volta viene detto che il cieco era un mendicante. Chiedeva l'elemosina seduto; stava immobile, impo­ tente, dipendente dagli altri. Gesù, dandogli la vista, gli ha dato il moto e l'indipendenza. Il caso del cieco presenta uno stretto parallelismo con quello dell'invalido. Uno era sdraiato al suolo, l'altro seduto, entrambi senza poter far nulla; sono morti che ricevono vita (5, 21), oppressi che ricevono libertà. 9a Alcuni dicevano:

miglia



t; proprio lui

•·

Altri invece:



No, ma gli asso­

•.

La gente, per identificarlo, non Io ha chiamato • il cieco •, ma it mendicante seduto; lo ha descritto con la sua inattività e dipendenza. conseguenza della sua cecità. Il dubbio sull'identità del cieco riflette la novità prodotta dallo Spirito; pur essendo egli stesso, è un altro. (; la di fferenza fra l'uomo senza iniziativa né libertà e l'uomo libero. 9

Neii'AT non si dà alcun caso di guarigione di un cieco dalla nascita.

412

9, 1-12.

9b

Egli affermava:



Sono io

Guarll!one

del cieco

•·

Gv pone sulla bocca del cieco le stesse parole che Gesù usa per identificare se stesso (4, 25-26 Lett.; 6, 20; 8, 24.28.58). Sono collocate fra le due menzioni dell'unzione (9, 6.1 1 ) e riflettono la nuova identità dell'uomo completato dallo Spirito; come Gesù, ora egli è un unto, ha trovato se stesso. IO



Allora gli chiesero:

Come ti si sono aperti gli occhi? •.

Adesso Io interrogano i vicini e quelli che lo avevano conosciuto come mendicante. La frase che usano allude ai testi profclici già citati in precedenza (9, 7b Lett.). Il fatto insolito suscita il loro interesse, e vogliono sapere come sia avvenuto. I l Egli rispo se: • Quell'uomo che si chiama Gesù fece del fango, me ne unse gli occhi e mi disse: • Vai a Siloe e lavati • · Allora andai, e /avandomi cominciai a vedere •·

La risposta di colui che era stato cieco, e torna a enumerare le azioni di Gesù (cfr. 9, 6), mostra l'importanza del racconto della guà rigione. I l guarito considera Gesù u n uomo come lui (9, 1 : un uomo; 9, 1 1 : quell'uomo). Sa che si chiama Gesù, che nel contesto potrebbe alludere al suo significato etimologico, • Dio salva • , ma non Io conosce. Certo è che, seguendo le sue istruzioni, ha ottenuto la vista. 12

Gli dorrumdarono:



Lui dov'è? •. Rispose: • Non so •.

La guarigione constatata suscita l'interesse per la persona di Gesù. La gente vuoi sapere dov'è. Prima vedevano il cieco seduto, dipendente dagli altri (mendicante), ora lo vedono integro e indipendente grazie all'azione di Gesù. Il segno suscita una speranza, e vogliono trovare colui che lo ha realizzato (cfr. 6, 2). L'uomo, tuttavia, non sa dove sia. Gesù non fa proselitismo, semplicemente agisce a favore dell'uomo e gli lascia la sua libertà.

SINTESI Sottomessi da sempre all'oppressione, molti uomini non sanno neppure che cosa significa la vera condizione umana, l'obiettivo per cui Dio li ha creati. Gesù è il modello di Uomo, in cui splende al massimo grado questa qualità di vita, capace di comunicarla. Missione di Gesù e dei suoi è mostrare tale possibilità, più che a parole, con la realtà che vivono e con gesti che realizzino la salvezza. t! un'offerta gratuita che dev'essere liberamente accettata.

413

Gv 9, 1 3-34: Verifica del fatto e Interpretazione del dirigenti Condussero dai farisei quello che era stato cieco. 14 Il giorno in cui Gesù fece il fango e gli aprì gli occhi era riposo di precetto. B Anche i farisei, a loro volta, gli domandarono come avesse potuto vedere. Egli rispose loro: - Mi ha posto del fango sugli occhi, mi sono lavato e ora vedo. 1 6 Alcuni dei farisei commentavano: - Quest'uomo non viene da parte di Dio, perché non osserva il giorno del riposo. Altri invece dicevano: - Come può un uomo, se è peccatore, realizzare simili segni? Ed erano divisi. 17 Domandarono un'altra volta al cieco: - A te ha aperto gli occhi; tu, di lui, cosa pensi? Egli rispose: - È un profeta. n

18 I

dirigenti giudei non credettero che egli fosse stato cieco e avesse ottenuto la vista fino a quando non chiamarono i genitori di colui che aveva acquistato la vista, 19 e domandarono loro: - È questo vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede? 2o Risposero i suoi genitori: - Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco. 21 Come mai però ora ci veda, non sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui, è adulto, egli stesso renderà conto da sé. 22 I suoi genitori risposero così per paura dei dirigenti giudei: i dirigenti avevano infatti già convenuto che chi riconoscesse Gesù come Messia venisse escluso dalla sinagoga. 23 Per questo i suoi genitori dissero: " È adulto, interrogate lui ». Chiamarono allora per la seconda volta l'uomo che era stato cieco, e gli dissero: - Riconoscilo davanti a Dio. Sappiamo bene che quest'uomo è un peccatore. 2s Allora egli replicò: - Se è peccatore o meno, non lo so; una cosa so, che ero cieco e ora vedo. 26 Insistettero: - Cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi? 27 Replicò loro: - Già ve l'ho detto e non mi avete dato retta. Perché volete sentirlo un'altra volta? Forse anche voi volete diventare suoi discepoli ? 28 Essi lo colmarono di improperi e gli dissero: - Discepolo di quello sarai tu, noi siamo discepoli di Mosè. 29 Sappia­ mo bene che con Mosè ha parlato Dio; quello, invece, non sappiamo da dove proviene. J o Replicò loro l'uomo: - Questa appunto è la stranezza, che mentre a me ha aperto gli occhi, 24

414

9, ll-34.

Interrogatorio

al clec:o

guarito

voi non sappiate da dove proviene. 31 Sappiamo che Dio . non ascolta i peccatori, ma chi Io ri s p e t t a e realizza il suo disegno, questo Io ascolta. 32 Mai si è sentito dire che qualcuno abbia aperto gli occhi a uno che nacque ci ec o; 3' se questi non venisse da parte di Dio, non avrebbe po tu to far nulla. H Gli replicarono: - Sei nato lercio di peccati, e vuoi dar lezione a noi? E lo cacciarono fuo ri .

NOTE FilOlOGICHE 9, 13 14.16

queUo che era stato cieco, gr. ton pote tuphlon. riposo di precetto. Cfr. 5, 9b nota.

15 a loro volta, gr. palin. In parallelo con la· domanda della gente (9, 10: p6s; 9, 15: p6s); cfr. Mc IO, 2.10. 16 un uomo, se � peccatore, gr. anthr6pos hamart61os. - Ed erano divisi, gr. kai skhisma en en autois. Situazione durevole; cfr. 10, 19.

17

Domandarono, gr. legousin. Pres. st. specificato dal contesto. La prop. causale gr. (hoti, giacché, dato che) si colloca

- A te ha aperto, ecc.

dinanzi alla principale.

- pensi, gr. legeis. Trad. idiomat. it. 18 La particella oun (in luogo di de) identifica i farisei precedenti (9, 13.15.16).



giudei • (9, 1812bis) con i

- avesse ottenuto la vista, aveva acquistato la vista. Espressioni equivalenti per evita re la monotonia, evitata in greco dalla differenziazione di forme verbali (aor., part.). 21 non lo, gr. ouk. La seconda negazione allude alla prima, - è adulto, gr. helikilln ekhei. Aram. che designa un individuo maggiore di tredici anni, considerato maggiorenne (S.·B. II, 534s). - egli stesso renderà conto da sé, gr. autos peri heautou /alései. Riferito al fatto. 22 risposero così, gr. tauta eipan. Verbo specificato dal contesto. - Gesù, gr. auton. Si sostituisce il nome proprio al pronome personale per

evitare ambiguità (N.d.T.).

24 Riconosci/o davanti a Dio, gr. dos do:can t6 The6. Frase idiomatica abi­

tuale per invitare a essere sincero, senza tener conto degli inconvenienti che ne possano derivare; chiede all'interpellato una condotta che non pro­ fani, ma glorifichi il nome di Dio (S.-B. II, 535). Secondo i casi bisognerà tradurre in un modo o in un altro. Cfr. Gs 7, 19: • dà gloria al Signore ... rendigli omaggio e raccontami ciò che hai fatto •: Es d 10, 1 1 : • confessatelo al Signore •: Ap 1 1 , 13: • diedero ragione al Dio .del cielo •; 14, 7; 16, 9. Sa­ rebbe sufficiente tradurre: • riconoscilo •; ma è opportuno conservare la

415

Il pomo del Messia. Ciclo dell 'uomo menzione di Dio, la cui autoritfl si arrogano i dirigenti per opporsi a Gesù. Sappiamo bene, gr. hemeis oidamen. Perfettivo.

-

25 Se è peccatore o meno. Secondo l'uso it. si aggiunge la di sgiunt iva meno "· implicita nel " se • du b i ta tivo.



o

28 Discepolo di quello, ecc. , gr. su math�tls. l'enfasi della frase greca viene tradotta con un idiotismo it. (Sarai: si tratta di una ritorsione, che l'il. esprime con il futuro). (N.d.T.). 29 ha parlato, gr. lelaleken. Pf. estensivo, cfr. El Aspecto Verbal, n. 246. 30 la stranez�a. gr. lo thaumaston. In senso negativo: sconcertante; costruz. idiom. i t.

curioso, strano.

31 lo ris petta, gr. theosebes i. Il verbo gr. sebomai denota il timo re reve­ renziale di Dio; l es pressione equivale a phobeitai ton Theon, già lessicaliz­ zata neli'AT pe r indicare il rispetto nei confronti di Dio; cfr., per es. Is I l . 2: spirito di conoscenza e di timore del Signore. "

Sei nato lercio di peccati, gr. en hamartiais su egenéthes holos. Il gr. un term ine indicante totalità (holos) che enfatizza il disprezzo dal con tes to Trad. idiom. it. (N.d.T). - vuoi dar le�ione, gr. su didaskei.5. L'espressione it. esplicita i l rifiuto con­ tenuto nel greco. 34

p resenta i n d icato

.

CONTENUTO E DIVISIONE La pericope. inclusa fra i l rigetto di alcun i farisei: quest'uomo non viene da parte di Dio (9, 16) e l'affermazione del cieco guarito: se questi non venisse da parte di Dio (9, 33), mostra lo sconcerto degli avversari di

Gesù, i cui principi teologici vacillano dinanzi all'accaduto. La loro prima

reazione è ne gare il fatto, e interrogano i genitori dell 'uomo guarito pen­ sando di scoprire un inganno. Dinanzi all'innegabile evidenza, cercano di imporre la loro autorità dottrinale all'individuo , ma la sua sapienza, nata dal l'esperienza di una nuo va vita, si rivela più forte del loro prestigio, e l'uomo rifiuta di sottomettersi. Dinanzi a ciò ricorrono a una misura violenta, espellendo l'uomo dalla comunità. Come Gesù era incompatibile con il tempio, dove stava per essere lapidato, cosi chi riceve da lui la v ita non trova posto nell'istituzione giudaica. La pericope contie e tre scene. La prima (9, 13-17), dopo aver precisato che il giorno della guarigione era riposo di precetto (9, 14), descrive l'interro­ gatorio da parte dei farisei del cieco guarito, che provoca una divisione fra di essi e una d i ch iarazione dell'interrogato. La seconda (9, 18-23) pre­ senta quei dirigenti che dinanzi alla difficoltà che il fatto crea loro, cer­ cano d i indagare se la guarigione sia falsa. Per questo chiamano i genitori del cieco, che, tuttavia, convalidano la verità dell'accaduto. La terza (9, 2�34) narra il tent ati vo dei dirigenti di recuper.�re l'uomo guarito, facen do gli rin­ negare Gesù. Davanti alla resistenza dell'uomo, lo espellono.

n

Riassumendo : 9, 13-17: I nte rrogatori o del guarito e di vi sion e tra i farisei. 9, 18-23: Tentativo di negare il fatto. Interrogatorio dei genitori. 9, 2�34: Tentat ivo di separare il cieco guarito. da Gesù.

416

9, ll-34. Intenoptorlo al cieco IIWirllo

LETTU RA I nlerrogalorio dell'uomo guarilo

e

divisione Ira i fari.rei

9, 1 3 Condussero dai farisei quello che era stato cieco. Fra i dirigenti gi � dei, dei quali fanno parte (9, 1 8 nota), i farisei sono l più attivi (cfr. 4, 1-3; 7, 32.47; 8, 13); sono quelli che detengono di falto il controllo sul popolo. L'ambiente della scena non riflette tanto un conflitto con il potere centrale giudaico (cfr. S, l : festa; S. 1 4 : tem­ pio; S, 16.18, ecc.: dirigenti giudei) , quanto quello della comunità cristiana con la sinagoga. 14 Il giorno in cui Gesù fece il fango e gli apri gli occhi era riposo di precetto. Come nell'episodio dell'invalido (5. 9b), la menzione del precetto è differita alla metà della narrazione. Per Gesù non conta il giorno festivo, non riconosce la sua esistenza. La Legge è in vigore per i farisei, non per lui, che continua a lavorare a favore dell 'uomo, come lavora il Padre (S, 17; 9, 4). Accanto al riposo di precetto, Gv menziona l'azione di Gesù (impastare il fango). che era esplicitamente proibita dall'interpretazione farisaica della Legge 1 , e vi abbina la frase • gli aprì gli occhi •, di chiaro significato messianico (9, 7b Lett.) . Il suo • im­ pastare il fango • prolunga il giorno sesto della prima creazione; Gesù continua a creare l'uomo. 1S Anche i fa risei, a loro volta, gli domandarono come avesse potuto vedere. Egli rispose loro: • Mi ha posto del fango sugli occhi, mi sono lavato e ora vedo •I farisei cominciano l'interrogatorio. A loro non interessa il fatto della guarigione, ma il come, perché è da 'questo che possono valutare se c'è stata infrazione della Legge. Non si rallegrano con l'uomo; l'umano viene visto attraverso il fattore giuridico. La risposta dell'uomo è schietta: mi ha posto del fango sugli occhi, mi sono lavato e ora vedo. Il fatto è incontestabile per la sua stessa semplicità. Non si nomina Gesù, che è sullo sfondo e inquieta i farisei. 16a Alcuni dei farisei commentavano: • Quest'uomo no·n "iene da parte di Dio, perché non osserva il giorno del l'iposo •La risposta del cieco produce divisione fra i farisei. Il primo gruppo adotta come unico criterio di giudizio l'osservanza della Legge. Chi l'osserva è con Dio, chi la viola non può venire da Dio. Essa è la norma indiscutibile che regola la relazione con Dio e traccia la linea discrimi­ natoria fra quanti gli sono graditi e quanti egli respinge. Il Dio di co­ storo non si interessa all'uomo sofferente o reso inutile; per questo Dio, 1

Impastare fango e applicarlo sugli Il, 330; l, 61Ss.

S. - B.

occhi ..rano lamri

proibiti

di sabato. cfr.

417

Il

giorno del Measla. Ciclo dell'uomo

il dato inviolabile, il valore supremo, è la Legge (cfr. 5, 10.22-23 Lett.). La Legge impersonale, come una muraglia, occulta l'amore di Dio e gli impedisce di manifestarsi (2, 6). 16b Altri invece dicevano: • Come può un uomo, se è peccatore, realizzare simili segni? ». Ed erano divisi.

Un secondo gruppo di farisei dubita. Essere peccatore - praticamente equivalente di empio, miscredente - sembra incompatibile con il segno così clamoroso che Gesù ha appena realizzato. Essi, inoltre, parlano di • segni • al plurale, conoscono la sua attività. Scoprono che il fatto • segnala » una realtà superiore, che non può essere che di Dio. Ma ciò che li impressiona è la qualità dell'azione; scoprono in essa il potere di Dio, non l'amore del Padre. Il gruppo è diviso, Gesù fa vacillare la loro sicurezza. 17 Domandarono un'altra volta al cieco: • A te ha aperto gli occhi; tu, di lui, cosa pensi? •. Egli rispose: • E 1111 profeta •.

In questa divisiÒne, ricorrono all'uomo e gli domandano il suo parere, come testimone eccezionale. Egli lo esprime in tutta semplicità: Gesù è un profeta. Non ha scoperto tutta la realtà di Gesù, ma è per lui indiscutibile che non è separato, né contro Dio; è un suo inviato e agisce a nome suo. � lo stesso processo di riconoscimento di Gesù seguito dalla samaritana (4, 19).

Tentativo di negare il fatto. Interrogatorio dei genitori 18-19 I dirigenti giudei non credettero che egli fosse stato cieco e avesse otrenuto la vista, fino a quando non chiamarono i genitori di colui che aveva acquistato la vista, e domandarono loro: « È questo vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede? •·

I farisei vengono ora chiamati con una denominazione più generica: i dirigenti giudei (• i giudei • ) . Gv segnala così la complicità dei farisei con l'ordinamento ingiusto; sono gente fedele al regime, e in esso hanno influenza. La loro connivenza con i sommi sacerdoti contro Gesù era già apparsa (7, 32.45). Davanti al dilemma insolubile si rifugiano nell'incredulità. Non vogliono vedere il fatto, perché contrasta con le loro convinzioni e demolisce il loro sistema teologico. L'ideologia li acceca. Questa, basata sul pregiu­ dizio e sul privilegio, è per loro indiscutibile; trincerati in essa, defor­ mano o negano la realtà stessa. Chiamano i genitori di quello che era stato cieco per scoprire se vi sia frode. Queste persone non avevano avuto colpa della cecità del figlio (9, 3 ) ; sono gente sottomessa che non ha nemmeno conosciuto la libertà. Di fatto hanno paura dei dirigenti (cfr. 7, 13). vivono nelle tenebre. La domanda che viene loro rivolta è duplice: in primo luogo, se sia vero che i l figlio nacque cieco e, in caso affermativo, come abbia ottenuto la vista. Il fatto è talmente evidente da condannare l'atteggiamento dei dirigenti nei confronti di Gesù, e 418

9, 1J.34. lnterroptorlo al cieco ,...rito

questo causa loro una profonda angustia. Ricorrono ai genitori con l'occulta speranza che il fatto non sia reale, ma costoro non faranno a ltro che confermarlo. Dovranno allora ricorrere, per difendersi dalla loro propria incoerenza, a un a priori teologico che giustifichi la posizione assunta. Risposero i suoi genitori: • Sappiamo che questo è nostro figlio e che è na to cieco. Come mai però ura ci veda, �ron sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. C l1 ie de te/o a lui, è Cldulto; egli stesso renderà conto da sé ».

20.21

I genitori affermano il fatto che conoscono di prima mano: il loro figlio

nacque cieco; insistono però nella loro ignoranza circa il modo o l 'agente della guarigione. Rifiutano ogni complicità con il fallo che i l figlio veda; dichiarano di non avere nozione d i chi l o abbia guarito. Si difendono come se • vedere • fosse un crimine; così è, di fatto, per i farisei. Gv ripete il dato dell'età adulta del cieco guarito (9, 2 1 .23), mostrando di attribuirle un'importanza particolare. In entrambe le occasioni è messo sulla bocca dei geni tori, in relazione con i l timore che provano di essere espulsi dall 'istituzione giudaica. Anche se vi si trovano oppressi (timore), è il loro unico orizzonte, non potrebbero viverne al di fuori. La loro sottomissione è ancestrale, come lo era quella del figlio. Per tale paura, declinano ogni responsab ilità nella guarigione e negano di conoscere Gesù. Tuttavia pensano che il figlio possa parlare: chiedetelo a lui, è adulto, egli stesso renderà conto da sé. La combinazione fra l'età adulta e il rendere conto personalmente alle autorità, mostra una chiara differenza con i genitori, che hanno paura di esprimersi. L'età adulta significa pertanto la capacità di parlare con libertà, basata sulla propria esperienza (render conto da sé), indicando la sicurezza dell'uo­ mo fatto, che non teme di esprimersi per la nuova sapienza e libertà che lo Spirito gli ha comunicato. Appare, quindi, un parallelo con l 'espressione incontrata in 6, lOb (uomini adulti, cfr. ibid. Lett.). 22

l suoi genitori risposero così per paura dei dirigenti giudei!. i dirigenti avevano infatti giD. convenuto che chi riconoscesse Gesù come Messia venisse escluso dalla sinagoga.

La naturale gioia per la guarigione del figlio non può essere manifesta­ ta. La paura impera. Tale è la situazione del popolo davanti alle autorità (cfr. 7, 13). I sudditi non devono avere opinione pro pria, ma dipendere da quella dichiarata dai dirigenti (7, 26). Questi la possono imporre perché dispongono di mezzi di coercizione: avevano infatti già convenuto che ... venisse escluso dalla s inagoga . Non offrono ragioni, è un atto di pura autorità. Si vede ora perché Gv abbia cambiato la denomi­ nazione • i farisei • con quella • i dirigenti »; la decisione non è solo dei farisei, ma della cerchia di potere nel suo complesso. t! strana la menzione del Messia in questo luogo. La moltitudine di Gerusalemme, almeno in gran parte, lo aveva riconosciuto come tale, e questo aveva allarmato i farisei che, d'accordo con i sommi sacerdoti, avevano ordinato di catturare Gesù (7, 3ls.4 1 ) . L'incredulità totale era tipica dei

419

Il giorno del Meula. Cielo deU'uomo

dirigenti (7, 48; 8, 19.25.53.59), sebbene vi fossero partigiani del sistema che gli davano credito (8, 31). I rappresentanti ufficiali di Dio e della sua Legge scomunicano chi riconosce l'inviato di Dio, il Messia, in Gesù, che libera coloro che essi opprimono. 23

Per questo i suoi genitori dissero:



E adulto, interrogate lui •·

Queste persone vivono intimorite, non osano sfidare i loro oppressori. Secondo i dirigenti, è male che il cieco abbia avuto la vista, perché il fatto si oppone alla loro Legge. Essi si oppongono così all'esperienza umana, invertono i valori elementari. I genitori non possono manifesta­ re gioia né mostrarsi riconoscenti a Gesù. Potrebbero essere considerati dei rinnegati e degli apostati.

Tentativo di separare il cieco guarito da Gesù 24 Cll iamarorto allora per la seconda volta l'uomo che era stato cieco, e gli dissero: • Riconoscilo davanti a Dio. Sappiamo bene che que­ st'uomo è un peccatore •·

Non hanno potuto dimostrare una frode nel fatto della guarigione. I genitori di colui che era stato cieco hanno confermato che nacque così. Vogliono adesso evitare la testimonianza dell'uomo a favore di Gesù, che tornerebbe a discredito della loro istituzione. Cercheranno di fargli rinnovare la sua lealtà nei loro confronti, contro colui che gli ha dato la vita. Un anello in più nella catena di contraddizioni cui li porta l'inquietudine di fronte al fatto. Adesso condannano Gesù in nome della morale ufficiale (peccatore) perché lo anatematizzi proprio colui che è stato guarito. t> l'ultimo modo per fargli negare, o più che altro rinnegare, il beneficio ricevuto; lo vogliono condurre a rigettarlo come un male. Quelli .che prima erano divisi (9, 16) hanno raggiunto l'unanimità. Non hanno potuto negare la guarigione, ma pensano di poter ridurre al silenzio l'interrogativo che pone loro. Per questo sentenziano che Gesù è un peccatore, cioè un miscredente. Nel conflitto fra la verità del fatto e il pregiudizio teologico, vince quest'ultimo. Dio non può agire contro il precetto a beneficio dell'uomo: il bene dell'uomo è un male, un'offesa a Dio. Ora domandano al cieco guarito di riconoscerlo egli stesso. Vogliono imporgli la propria idea di Dio, il giudizio che formulano loro, come più valido della sua esperienza. L'uomo dovrebbe ammettere che sarebbe stato meglio restare cieco, perché la vista di cui gode adesso è contraria alla volontà di Dio. Difendono la loro posizione negando l'evidenza. Sono i nemici della luce; con • la menzogna • (cfr. 8, 44) cercano di estinguerla ( l , 5). 25 Allora egli replicò: • Se è peccatore o meno, non lo so; una cosa so, che ero cieco e ora vedo •·

L'uomo oppone il fatto alla teoria; non entra in questioni ideologid Ciò che sa è che il suo stato attuale è indiscutibilmente migliore precedente; questo non può negarlo. 420

t, ll-34. loterroptorlo al deco guarito

Il cieco speriménta In se stesso come un bene la libertà e l'integrità umana; la sua esperienza è stata quella dell'amore gratuito, di una relazione personale comunicatrice di vita. l; questo ad aprirgli realmen­ te gli occhi e a renderlo più saggio dei maestri farisei. Egli sa ora (al di là di quella teologia e morale legalista) ciò che è l'uomo e ciò che è Dio. Egli vede, i maestri sono ciechi. È curioso che, mentre quelli gli parlano di Dio, lui, davanti alla sua evidenza personale, si disinteressi di quanto gli predicano. Si direbbe che non gli importi tale Dio, ma • l'uomo » in cui ha • visto • l'amore gratuito. In Gesù è presente il Padre.

26

Insistettero:



Cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?

•·

Nonostante la sicurezza che prima hanno dimostrato, non sono tran­ quilli. Gv continua a usare la frase (aprire gli occhi) che allude alla liberazione annunciata da Isaia: il fatto descritto in termini profetici preoccupa questi conosc1tori della Scrittura. Con l'insistere, denunciano la loro cattiva coscienza. 21 Replicò loro: • Già ve l'ho detto e non mi avete dato retta.. Perché volete sentirlo un'altra volta? Forse anche voi volete diventare suoi discepoli? •·

Vorrebbero trovare una scappatoia. La replica dell'uomo li associa ai sordi di Is 42, 1 8 : • sordi, ascoltate, ciechi, volgete lo sguardo per vedere •. Il popolo è cieco, perché non lo lasciano vedere; i dirigenti, sordi, perché non vogliono udire. Dinanzi a quell'accecamento, l'uomo si permette l'ironia: forse anche voi volete diventare suoi discepoli?

28

Essi lo colmarono di improperi e gli dissero: • Discepolo di quello sarai tu, noi siano discepoli di Mosè •.

Ùl risposta indica che l'intervento del cieco ha toccato il punto nevral­ gico del loro dilemma, mettendoli allo scoperto. Stanno cercando di rifiutare l'evidenza. Gv descrive come le tenebre non abbiano accolto la luce e come i dirigenti si sforzino di spegnerla in se stessi. Si rifugiano nella loro tradizione per non accettare la novità; si appoggiano al passato, sul quale hanno costruito il loro sistema teologico che Gesù abbatte. Gv sottolinea l'opzione fra Mosè e Gesù, fra la Legge senza amore e l'amore fedele ( 1 , 17). Aveva già proposto la questione in 3, 31-36, concludendo: chi non dà retta al Figlio non saprà cosa sia la vita:

no, la riprovazione di Dio rimane su di lui.

Fanno di Mosè un assoluto. Invece di comprendere che i suoi scritti annunciavano la realtà che Gesù porta (5, 47), vedono in essi una Legge definitiva e immutabile, e attraverso tale codice leggono la realtà: ciò che non collima con quella non ha validità. Legge alla mano, essi sanno ciò che Dio può o non può fare. II Dio creatore non si manifesta nel­ la Legge, ma nella vita dell'uomo, liberandolo e salvandolo: non è codificabile. Perciò, per credere, bisogna leggere i segni, le opere di Gesù, che sono quelle del Padre (5, 36; 9, 4). Dio chiede adesione alla vita che sorge per mezzo di Gesil (invalido che si leva, cieco che vede). Si prospetta cosi un'opzione per l'uomo: o 421

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

leggere direttamente nella vita, dove si manifesta l'azione di Dio, disposti ad accettare il nuovo e l'imprevedibile, o al contrario impe­ gnarsi a leggere la vita attraverso un'ideologia rigida che la soppianti; ci si trova così nel frangente di negare la realtà o di non riconoscervi l'azione di Dio. ·

29 • Sappiamo bene che con Mosè ha parlato Dio; quello, invece, non sappiamo da dove proviene "· Espongono la loro argomentazione per rifiutare Gesù. Di Mosè siamo certi; di quello no. Non potendo negare il fatto, vogliono denigrare la persona. Come di solito, designano Gesù con un pronome sprezzante. I I suo nome evoca l a loro storia. Gesù (Giosuè) , successore d i Mosè, introdusse il popolo nella terra promessa. Il suo nome significa " Dio salva •. ed essi non possono ammettere che Gesù sia un salvatore inviato da Dio. Che a Mosè abbia parlato Dio, risulta loro da alcuni libri che consen•a­ no un'epopea del passato, quando Dio, per mezzo di lui, aveva liberato il popolo. Non vogliono riconoscere la necessità di una nuova liberazione né che il popolo si trovi oppresso, perché ora gli oppressori sono loro. Coloro che cantano l'antica liberazione si oppongono a quella presente. Al Dio che in altri tempi li trasse dalla schiavitù proibiscono ora di trarre altri dalla schiavitù che essi procurano. Se l'esodo dall'Egitto era stato opera dell'amore di Dio per il suo popolo (mio figlio, Es 4, 22s; Os I l , l ) , essi interpongono ora la Legge di Mosè per evitare ogni nuova manifestazione del suo amore. Non sono disposti a riconoscerlo quando si mostra in Gesù. 30-33

Replicò loro l'uomo: • Questa appunto è la stranezza, che men­ tre a me ha aperto gli occhi, voi non sappiate da dove proviene. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma chi lo rispetta e realizza il suo disegno, questo lo ascolta. Mai si è sentito dire che qualcuno abbia aperto gli occhi a uno che nacque cieco; se questi non venisse da parte di Dio, non avrebbe potuto far nulla •.

L'uomo ridicolizza l'argomento dei dirigenti. Propone loro un criterio molto semplice per uscire dalla loro difficoltà. Usando una teologia ammessa da tutti (sappiamo) , conclude che Dio non può concedere a un miscredente di realizzare un'opera tanto straordinaria. La conclusio­ ne è ovvia: se questi non venisse da parte di Dio, non avrebbe potuto far nulla. Gv, per bocca del cieco, sta descrivendo alla lettera l'attività di Gesù: realizzare il disegno di colui che Io ha inviato (4, 34; 6, 38). I dirigenti, invece, gli si oppongono; per questo non possono percepire la verità del messaggio di Gesù (7, 17).

34a Gli replicarono: .,



Sei nato lercio di peccati e vuoi dar lezio11e a

1101 • • •

I dirigenti, incalzati, perdono le staffe. Tornano ad affermare la propria superiorità (cfr. 9, 24: sappiamo bene). Non discutono l'argomento del cieco, che è irrefutabile; passano all'insulto, come fecero con Nicodemo (7, 52) e con Gesù (8, 48). Questi aveva detto che il cieco non aveva 422

9, 13-34. Interrogatorio al cieco cuartto

peccato; loro, invece, ricorrono al loro falso principio e imputano al suo peccato congenito l'essere stato cieco. In realtà, erano loro gli oppressori, i colpevoli della cecità (9, 4 1 ) ; sono loro la tenebra che la produce, ma scaricano la colpa su di lui. Con la loro affermazione, tornano a deformare la realtà, questa volta quella dell'uomo stesso. Se non si sottomette al loro parere, negando l'evidenza, non è a posto con Dio. Dovrebbe tornare ad accecarsi per dar loro ragione. I dirigenti non hanno nulla da imparare (vuoi dar lezione a noi), sanno tutto e trovano risposte teologiche per tutto, perfino per negare l'evi­ denza. 34b

E lo cacciarono fuori.

Ora, fallita la costrizione morale, prendono misure violente. Lo espellono dalla comunità, perché non nega la sua stessa esperienza né rinuncia al bene che ha ricevuto. La sinagoga, retta dai di rigen ti, è il luogo della tenebra. Con la loro menzogna ufficiale hanno voluto spegnere la luce, che è la vita. Non avendo conseguito ciò, l'uomo non può restare all'interno. Per i responsabili, il bene dell'uomo non soltanto è indiffe­ rente ma risulta un impaccio, un ostacolo per il loro dominio. Rifiutano Gesù e quanti aderiscono a lui. Non c'è compromesso possibile; come Gesù dovette uscire dal tempio, cosi i suoi sono incompa tibili con la sinagoga.

S I NTESI I rappresentanti del potere religioso-politico giudaico sono sconcertati davanti all'opera di Gesù, che demolisce i presupposti teologici del loro sistema. La reazione è tipica: dopo l'impatto iniziale, che li fa vacillare, si accordano per neutralizzare il fatto. In primo luogo cercano di negarne l'esistenza, considerandolo una frode. Dinanzi all'inutilità del tenta tivo, ricorrono all'autorità dottrinale che si arrogano, per definire che quanto l'uomo sperimenta come bene e come vita è contrario a ciò che Dio vuole, e che pertanto non deve essere considerato un beneficio né, il suo autore, un inviato di Dio. Aggrappa ti alla loro ideologia negano l'evidenza e invertono i valori, chiamando il bene male e il male bene, la tenebra luce e la luce tenebra. Dietro tale ideologia vi è la loro posizione di privilegio e di dominio, che di fendono a ogni costo, anche · opponendosi · ai - fatti. La loro teologia, fondata sul concetto di un Dio che, tra il bene dell'uomo e l 'osservanza della sua Legge, opta per quest'ultima, ha argomenti per tutto. Dinanzi al fallimento della costrizione morale, ricorrono alla violenza, ultimo argomento, che mostra al tempo stesso la loro irrazionalità e la loro ca ttiva volontà. Pretendendo di possedere la luce, accecano se stessi e cercano di accecare gli altri.

423

Gv 9, 35-38: Incontro di Gesù con l'uomo !l

Gesù venne a sapere che lo avevano cacci à to fuori, andò a cercarlo e gli disse: - Dai la tua adesione a l'Uomo? 36 Egl i rispose: - E chi è, Signore, affinché possa dargliela? 'SI Gli rispose Gesù: - Se l o stai vedendo: t; proprio colui che ti parla! 38 Egli d ichia rò : - Ti do l a mia adesione, Signore. E si prostrò davanti a lui.

NOTE FILOLOGICHE 9, 35 andò a cercarlo. Cfr. 1 , 4 1 nota. - a l'Uomo, gr. eis ton huion tou anthropou. Cfr. Excursus, p. 874. Se lo stai vedendo . . l gr. heoraluls. Pf. in tens ivo incluso nella correla­ zione valutativa kai ... kai. Il se i t. valutativo traduce tanto l'aspetto intensivo del verbo quanto quello valutativo di kai.

37

.

,

"' .. .

Questo versetto e l'introduzione del v. 39 sono omessi dal Sin, dal papiro 75 e da varie versioni italiche. La loro autenticità tuttavia non è dub­ bia (cfr. Lett.) . La domanda di Gesù (9, 35: pisteueis) e l'intenzione dell'uomo (9, 36: hina pisteuso), annuncimo la confessione finale (pisteu6). Nel v. 39, inoltre, ha inizio un nuovo sviluppo, che deve essere separato dal prece· dente con un'introduzione propria. - Ti do la mia adesione, gr. pisteu6. Risposta a 9, 35. Cfr. 2, 11 nota. 38

CONTENUTO Il cieco guarito, che si

è mantenuto fedele alla verità della sua esperienza.

è stato espulso dall'istituzione sinagogale, dove i maestri impongono la loro

ideologia a a conoscere per la vita. zione passa

spese del bene dell'uomo. Gesù lo va a trovare e gli si dl come il modello di uomo, che lo aveva portato alla sua opzione L'espulso dà piena adesione a Gesù. L'emarginato dall'istitu· alla nuova comunità e comincia il suo nuovo culto.

LETIURA

9, 35a

Gesù venne a sapere che lo avevano cacciato fuori, andò a cercarlo.

L'iniziativa è di Gesù, come era successo con l'invalido (5, 14). A differenza di quest'ultimo, Gesù non previene l'uomo perché non pec424

9, 35. Incontro di Gesù con l'uomo

chi, dato che ha gi� l'esistito alla prova, confrontandosi con i dirigenti fino a trovarsi espulso. Egli ha visto la luce e non cede più alla tenebra. Gesù non abbandona colui che è stato fedele alla nuova visione di se stesso e del mondo. Con la sua domanda, completerà l 'opera di illumi­ nazione cui aveva dato inizio.

35b

e gli disse: • Dai la tua adesion e a t'Uomo? •·

La domanda è collegata a quanto accaduto in precedenza al cieco guarito. • L'Uomo • si identifica con il modello di uomo che Gesù gli aveva messo davanti agli occhi con il suo fango (9, 6 Lett.): l'immagine della sua stessa persona. Egli è la luce che splende nel mondo, perché la sua persona mostra all'uomo il progetto di Dio. La sua azione aveva fatto scoprire a l cieco in se stesso una nuova condizione umana, che prima non conosceva. Questo gli ha dato un nuovo sapere, una nuova coscienza di sé, che l'ha reso giudice della stessa Legge c libero dinanzi alla costrizione dei capi. Ma ancora non ha verificato che quanto sperimentato da lui deriva dall'azione di Gesù, e che ha in questi il suo ideale compimento, coincidendo con il disegno di Dio sull'uomo, realiz­ zato pienamente in Gesù. Identi ficandolo con il • fango • di Gesù, Gv spiega in questo passo il significato che dà all 'espressione • l'Uomo » (letter. il Figlio dell'uomo) : è la realtà umana portata al suo culmine con la comunicazione dello Spirito ( 1 , 32; 9, 6 Lett.). Come la samaritana, il cieco aveva visto in Gesù un profeta (9, 17; 4 , 19). Dopo tale riconoscimento iniziale, Gesù le si rivelò come il Messia (4, 25s) e ora, a colui che prima era cieco, come • l'Uomo •. Si vede il parallelo fra quel titolo e questa designazione di Gesù (4, 26: sono io, che ti sto parlando; 9, 37: colui che ti sta parlando). Nella chiave an tropologica propria di questo ciclo, e preci­ samente fuori delle istituzioni religiose, che hanno espulso tanto Gesù (8, 59) quanto il cieco (9, 34) , l'inviato di Dio si autodefinisce come • l'Uomo •, di significato universale. Gesù è il Messia per l'umanità intera in quanto è il modello di uomo. Gesù domanda al guarito se mantiene la sua adesione all'ideale che ha visto. Sottolinea l'aggettivo tua in opposizione ai dirigenti, che non credono (cfr. 9, 28) . La fede consiste nell 'aderire a Gesù, l'Uomo, in cui traspare la gloria o amore indefettibile del Padre.

36

Egli rispose:



E chi è, Signore, affinché possa dargliela? •·

L'uomo ha già dato la sua adesione interiore all'ideale di uomo che Gesù gli aveva fatto scoprire, ma non sapeva che si realizzasse piena­ mente in lui. Dinanzi alla domanda di Gesù, desidera identificarlo per esprimergli la sua fede. Dall'esperienza del dono ricevuto si giunge all 'adesione al datore dalla cui pienezza si riceve.

37 Gli rispose Gesù: parla! •.



Se lo stai vedendo:

È proprio colui che ti

Gesù si rivela all'uomo come aveva fatto con la samaritana (4, 26). Come luce del mondo, gli mostra la meta che Dio gli propone; come

425

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

liberatore e salvatore, gli dà la possibilità di raggiungerla, comunican­ dogli il suo Spirito, l 'acqua dell'Inviato (4, 14; 7, 37-39; 9, 7).

38 Egli dichiarò: davanti a lui.

«

Ti do la mia adesione, Signore

•·

E si prostrò

II verbo • prostrarsi », in greco, è lo stesso che in 4, 20s è stato tradotto con « rendere culto/adorare ». Gesù aveva annunciato alla samaritana che il culto in Samaria e a Gerusalemme sarebbe stato abolito dal culto reso al Padre con spirito e lealtà. Gesù, l'Uomo, è il nuovo santuario i n cui s i verifica l a presenza del Padre (2, 1 9-2 1 ; cfr. 1 2 , 4 5 ; 14, 9 ) . Colui che prima era cieco, espulso dalla sinagoga come peccatore, nemico di Dio, è rimasto escluso dalle istituzioni religiose (sinagoga, tempio), che monopolizzano il culto a Dio. In cambio, trova il nuovo santuario, Gesù, in cui si rende il culto annunciato alla samaritana. Questo non si localizza in un edificio, ma nell'Uomo, perché consiste nella pratica dell'amore leale (4, 23a Lett.), nel lavorare con Gesù realizzando le opere di colui che lo ha inviato (9, 4). L'adesione a Gesù è sfociata nell'adesione all'uomo (9, 4 Le tt.) . II guarito è uno di quegli adoratori che il Padre cerca (4, 23).

SINTESI Nell 'episodio del cieco si espone l'aspetto centrale della liberazione che Gesù conduce a compimento nell'uomo e che fonda il suo esodo. Consiste nel rendergli la coscienza del proprio valore e, di conseguenza . del valore di ogni uomo. Gesù non fa questo attraverso un insegnamen­ to dottrinale, ma attraverso la sua azione, manifestando all'uomo l'a­ more di Dio, espresso nel suo disegno su di lui. Sono le opere di Dio il veicolo del suo amore; esse fanno scoprire la propria dignità e libertà, e mostrano in Gesù la mèta della pienezza umana. In questo consiste il vero sapere, la luce. L'incontro con Gesù è un incontro con Dio nell'uomo, o con l'uomo che rende presente Dio nell'attività di amore. Questa esperienza sposta il culto dal tempio all'Uomo, che ora è il luogo della manifestazione di Dio. Con questi concetti ne possono essere messi in relazione altri, _incontra­ ti in precedenza nel vangelo. Dio, il Padre, si manifesta all'interno dell'uomo come un dinamismo di amore che conduce a una risposta di amore ( 1 , 16: un amore che risponde al suo amore), vale a dire, si sperimenta dal di dentro come forza che spinge verso gli altri. Gv chiama Spirito questa presenza dinamica, e chi l'accetta in sé nasce da Dio, ha una nuova vita. Quando viene sperimentata, rivela all'uomo la sua profondità umana, che in lui acquista realtà e dimensione grazie a questo Dio che in lui agisce, rendendolo cosciente della sua propria dignità e libertà; in altre parole, della sua condizione di figlio. t:. un'esperienza vitale diretta, della sua intera realtà (carne e Spirito), che lo colloca al di sopra di ogni definizione e soggezione schiavizzante.

426

9, 35. Incontro di Ge.ù con l'uomo . .

I capitoli S e 9 descrivono due azioni di Gesù nei confronti dell'uomo, che presentano molti tratti comuni e, al tempo stesso, una differenza fond:>mentale: l 'invalido (affetto anche da cecità, cfr. 5, 3), aveva pecca­ to (5, 14) ; il cieco dalla nascita, no (9, 3). Sono tipi di due situazioni umane: quella di coloro che sono privi di vita c attività (5, 3: storpi, disseccati) per aver dato la loro adesione a un'ideologia oppressiva (5, 3: ciechi)· e quella di quanti vivono sotto l'oppressione senza aver m ai conosciuto un'altra possibilita di esisten7.a ( 9 , l: ciecn dalla nascita). Nel caso dell'invalido e i n quello del cieco l'iniziativa appartiene a Gesù, l'uomo sperimenta l'effetto della sua azione come un bene fisico: salute e libertà di movimenti nel caso dell'invalido, vista e indipendenza nel caso del cieco. In entrambi i casi Gesù sparisce dalla scena e l'individuo guarito non sa chi sia e dove stia; tale espediente letterario comune sottolinea il disinteresse, la gratuità del beneficio; mette in primo piano il favore concesso, spogliandolo di ogni intenzione proseli­ tista. Infine, per iniziativa di Gesù, si produce un incontro con lui e il riconoscimento della sua persona. Oltre ad accentuare la gratuità, la distanza temporale fra l'esperienza del bene ricevuto e il riconoscimento di Gesù segnala anche, in forma paradigmatica, il processo psicologico del soggetto. In primo luogo ha avuto l'esperienza di un beneficio umano (salute, vista) indipendente­ mente da ogni professione di fede; ha ricevuto questo bene gratuita­ mente, perché Gesù ha preso l'iniziativa e non ha posto condizioni per ottenerlo; la prima conclusione cui si giunge è la bontà del dono e l'amore del donatore. Soltanto più tardi, come secondo passo, si scopre in Gesù, realizzatore di questo bene, una presenza più che umana, rico­ noscendolo come l'uomo in cui vive Dio e in cui si rende culto a lui. t;. a questo punto che il cieco acquista la vista completa. Non scopre, tuttavia, qualcosa di nuovo; è soltanto capace di dare un nome all'amo­ re che aveva già sperimentato. In entrambi i casi. pertanto, il contatto con Gesù non avviene a livello di idee o di dottrina, ma attraverso l'esperienza di un bene ricevuto, che si percepisce semplicemente come un bene umano. Questa espe­ rienza è innegabile, si impone di per se stessa, al di là di ogni ideologia. II primo contatto si verifica quindi con Gesù-uomo (9, 1 1 ) che opera a favore dell'uomo. II secondo passo scopre, attraverso l'esperienza del bene ricevuto, la pienezza dell'amore di Dio, il dinamismo di Dio creatore che colma Gesù e che agisce in lui; si riconosce allora Gesù come santuario di Dio (9, 38). La manifestazione dell'amore di Dio in Gesù, o manifestazione della gloria, che fonda la fede, avviene gratuitamente, senza esigere risposta. L'amore non si vende né la fede si compra. La manifestazione di amore su scala umana, accettata dall'uomo, gli farà scoprire interiormente una nuova dimensione del suo essere e di quello degli altri, che prima non si sospettava. Finirà con Io scoprire la qualità dell'amore, che di fatto procede da Dio stesso. Questa conclusione sarà formulata o meno; solo l'incontro con Gesù la porterà alla sua piena chiarezza. La differenza stabilita dal fatto di avere peccato' (invalido) o no (cieco) mostra che Gv sviluppa in questi episodi due aspetti dell'opera di Gesù. 427

Il (lomo del Messia. Ciclo

deU'uomo

Nel caso dell'invalido, il più comune (5, 3: una moltitudine), espone come Gesù toglie il peccato del mondo ( 1 , 29) dando all'uomo la forza (lo Spirito, cfr. l, 33) per uscire dall'oppressione in cui vive (5, 14: il tempio) Nel caso eccezionale del cieco (9, 1 : un uomo cieco dalla nascita) non si tratta di tog l iere il peccato, che non esiste, ma di completare la .

creazione: dell'uomo-carne, debole e vittima di ogni oppressione, Gesù

fa l'uomo-spirito (3, 6: dalla carne nasce carne, dallo Spirito nasce spirito). Questo, per la libertà che gl i dà la sua nuova visione di Dio e dell'uomo, si emancipa dal dominio dei dirigenti (9, 30.33) e risulta incompatibile con il loro sistema (9, 34: e lo cacciarono fuori).

428

Gv 9, '39-fO, 21 : lo sfruttamento del popolo e l'alternativa di Gesù 39 A!,!giunse Gesù: - Io sono venuto ad aprire un processo contro questo ordinamento; così coloro che non vedono, vedranno, e coloro che vedono, resteranno ciechi. 40 Vennero a saperlo quei farisei che erano stati da lui e gli domanda­ rono: - Siamo forse ciechi anche noi? • • Rispose loro Gesù: - Se foste ciechi non avreste peccato alcuno; ma proprio ora che dichiarate di vedere, il vostro peccato rimane.

10, 1 Davvero vi assicuro: Chi non entra nell'atrio delle pecore dalla porta, ma arrampicandosi da un'altra parte, quello è un ladro e un bandito. 2 Chi entra dalla porta è pastore delle pecore; 3 a questi il portinaio apre, e le pecore sentono la sua voce. Le sue pecore le chiama con il loro nome e le va conducendo fuori; • quando ha spinto fuori tutte le sue, cammina davanti a loro, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5 Un estraneo invece non lo seguiranno, fuggi­ ranno da lui perché non riconoscono la voce degli estranei. � Gesù propose loro questa similitudine, ma essi non compresero a cosa si riferisse.

Allora Gesù aggiunse: - Davvero vi assicuro che io sono la porta delle pecore. 1 Tutti coloro che sono venuti prima di me sono ladri e banditi, ma le pecore non hanno dato loro retta. 9 Io sono la porta, colui che entra attraverso di me si troverà in salvo, potrà entrare e uscire e troverà pascoli. 10 Il ladro non viene che per rubare, sacrificare e distruggere. Io sono venuto perché abbiano vita, e sovrabbondi in essi. 7

1 1 Io sono il modello di pastore. Il pastore modello dà se stesso per le pecore; 12 il salariato, che non è pastore, e cui le pecore non apparten­ gono in proprio, vede venire il lupo, lascia le pecore e scappa, e il lupo le arraffa e le disperde; 13 perché quello è un salariato, e non gli importa delle pecore. 1 4 Io sono il modello di pastore; conosco le mie e le mie conoscono me, 15 come il Padre conosce me e io conosco il Padre; cosicché do me stesso per le pecore. 16 Ho inoltre altre pecore, che non appartengono a quest'atrio; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e si farà un solo gregge, un solo pastore. 1 7 Per questo il Padre mi manifesta il suo amore, perché io consegno la mia vita e così la recupero. 11 Nessuno me la toglie, io la consegno per decisione mia personale. Sta a me consegnarla e sta a me recuperarla. Questo è il comandamento che ricevetti da mio Padre.

" Queste parole causarono nuovamente scissione fra Molti di loro dicevano: - t! pazzo da legare, perché lo ascoltate?

2•

i

dirigenti giudei.

429

n l!fomo del Meuta. Ciclo deD'uomo

21 Altri invece: - Queste non sono parole da pazzo; forse che la pazzia può aprire g l i occhi dei ciechi ?

NOTE FILOLO G I C H E 9 , 39 ad aprire un processo, gr. eis krima. Tennine che può denotare qua­ lunque momento del processo giudiziario, la sua apertura, corso e fine (sentenza). Per indicare la sentenza, tuttavia, Gv adopera krisis (3, 19; 5, 22.24.27.29.30; 7, 24; 8, 16; 12, 31; 16, 8.11), che denota l'opzione negativa del­ l'uomo stesso (3, 19 Lett.), che, con Gesù, acquista carattere definitivo. Il krima appartiene quindi alla missione di Gesù (sono venuto), ma non si identifica con la sentenza; denota pertanto il processo scatenato dalla sua presenza, la radicalizzazione dell'atteggiamento dell'uomo e dei gruppi davanti alla sua persona e attività. - [sono venuto ... ] contro questo ordinamento, gr. eis ton kosmon touton elthon. Il verbo venire (ilthon) non ha mai in Gv, come tennine locale, ton kosmon touton, ma semplicemente ton kosmon ( 1 , 9; 3, 19; 6, 14; 1 1 , 27; 12, 46; 16, 28; 18, 37), e cosi pure è il suo correlativo, essere inviato (3, 17; IO, 36; 17, 18). L'espressione • questo mondo/ordinamento • è appar.;a già una volta (8, 23) i n senso peggiorativo, designando l'ordinamento politico-religioso giudaico. Lo stesso significato avrà in 12, 25 (in mezzo a questo ordinamento); 16, 1 1 (come in 12, 3 1 : il capo di questo ordinamento) e 18, 36 (la regalità mia non appartiene a questo ordinamento). Per I l , 9 e 13, l si vedano le Lett. cor­ rispondenti. La preposizione eis denota ostilità, come in 8, 26: Ialo eis ton kosmon (cfr. ibid. nota) e 15, 21; cfr. Mc 3, 29; Le 12, 10; 15, 18.21; 22, 65; At 6, 1 1 ; 23, 30; Rm 8, 7; 2 Cor IO, l; Col 3, 9. Gesù non appartiene a questo ordinamento (8, 23); nei suoi confronti aprirà un processo che culminerà nella sen­ tenza (12, 31).

40 quei :.. che erano stati da lui, gr. hai met'autou ontes. Il part. (come l'impf.) di eimi può indicare passato rispetto al presente del testo (ppf.). Così, in stile diretto, Gv 9, 25: tuphlos 6n arti blep6, essendo stato cieco (ero/sono stato); cfr. in stile indiretto 9, 18 (impf.): hoti en tuphlos kai aneblepsen (fosse stato cieco). II pron. autou è un sostituto ambiguo, po­ trebbe riferirsi a Gesù, ma, nel contesto, rimanda al cieco guarito, nella scena con i farisei. 41

ma proprio ora che dichiarate di vedere, gr. nun de leget-e hoti ble­ pomen. Per il valore di nun de, cfr. 15, 22b.24b; 16, 5; 17, 13. La frase acqui­

sta enfasi per opposizione alla precedente, indicando la causa del peccato; per questo si usa un'espressione enfatica it. (ma proprio ora che dichiara­ te). Per evitare l'interruzione che causerebbe lo stile diretto, evitato in greco dall'hoti recitativo (hoti blepomen), si usa in it. quello indiretto.

IO, l nell'atrio, gr. eis ten aulen. Tennine che nell'AT (LXX) designa il recinto dove si trovava la tenda nell'Incontro (eb. J:r�ar) e, in epoca po­ steriore, gli altri del tempio: Es 27, 9.12.16; 37, 7.13; Lv 6, 16.26; 8.3 1 : tés aules tes skenes tou marturiou; Nm 3, 26.37; 4, 26.32; 2 Sam 17, 18; l Re 3, l; 6, 36_; 7, 8.9. 12; 2 Re 20, 4; 21, 5; 23 12; l Cr 9, 22.25; 16, 29; 2 Cr 4, 9; Ne 13, 7: il tesoro situato nella aule; Sal 99 (100), 4. In Est l , 1 .5; 2, 1 9 des igna il palaz430

9, 39 · IO, 21. L'alternativa di Gesù

zo

reale, cfr. Gv 18, 15. Non si usa per indicare un recinto destinato ad ani· mali; soltanto in Is 34, 13, come immagine di rovina, si vaticina che la regione sarà aule strouth6n, recinto di struzzi. Si menziona la porta (pulè) del recinto in Es TT, 16; 37, 13. In 2 Cr 4, 9 si menzionano due at ri con porte

(thurai).

- arrampicandosi, gr. anabain6n. 7 aggiunse, gr. eipen oun palin. La partic. oun coll eg a con il v. precedent e ; palin non denota una mera ripetizione, ma un'aggiunta in paral lelo alla vol ta precedente (4, 54 nota) . Il verbo it. integra la partic. e l'avverbio.

9 si troverà in salvo, gr. s6thèsetai. sivo. Come l'aor., denota il pass aggio

Fut. puntuale incoat. di stato succes­ da uno stato di pe ricolo a uno di si­ curezza. L'es p ressione equivale a " passare dalla tenebra alla luce » (cfr. 8, 12), • dalla morte alla vita • (5, 24; cfr. 3, 17).

11 il modello di pastore, gr. ho poimén ho kalos (cn fa t.) . Questo aggett. denota eccellenza (cfr . 2, 10, detto del vino ; 10, 32s, delle opere di Gesù ) . I l pastore p e r eccellenza, il modello di pastore. - dà se stesso, gr. tèn psukhèn autou. La vita che si identifica con la per· sona, equivalente, pe rtanto , al riflessivo; id. in 10, 15. In IO, 17.18 il con· testo esige che si traduca • la vita • a causa dell 'op pos izione a • togliere la vita • ( IO, 1 8 ). La traduzione del termine psukhé con • vita • si evita quanto possibile, mentre il termine vita si riserva alla traduzione di zoé, termine caratteristico di Gv, riferito alla vita che Gesù dà; si evitano cosi ambiguità. 15 cosicché, gr. kai. Consecutivo. Introduce l'atteggiamento cui la conoscenza-amore (cfr. Lett.).

Io

porta

16

Si adotta la variante genèsetai, ben attestata. Genésontai, significhe­ rebbe che l'unico gregge sarebbe stato composto soltanto dalle pecore che non appartenevano all'atrio/recinto di l"sraele (in corrispondenza con ekeina,

akousousin). 1 7 mi manifesta il suo amore, gr. me ... agapd. Uso manifestativo del pre­ sente di agapa6, in stile diretto, corrispondente a quello dell'aoristo in stile narrativo (cfr. 3 , 16). - e così, gr. hina. Consecu tivo; cfr. Lett. - la recupero, gr. palin labo. L'avverbio viene tradotto dal prefisso re-. 18 per decisione mia personale. Cfr. 7, 28 nota; 8, 42. - comandamento, gr. entolé. Secondo il contesto, ammette una vasta gamma

di significati. In questo passo, dove si è afferm ato l'amore del Padre per Gesù ( 10, 17). non si tratta propriamente di un comandamento; di ·un ordine,

ma d ell ' incarico incluso nella sua stessa miss ione . Si conserva, tuttavia, il termine • comandamento • perché lo stesso incarico, affidato ai suoi di­ scepoli, sarà espresso con questo termine, in opposizione ai comandamenti della Legge di Mosè (13, 34s; 14, 1 5 ; ecc.).

19 Queste parole causarono, gr. dia tous logous toutous. Si rende in voce attiva quella passiva del greco.

20 pazzo da legare. Per • pazzo •. cfr. 7, 20 nota; 8 , 48; • da legare ... gr. mainetai, è furioso. Si può tradurre « pazzo furioso o meglio « pazzo da •,

431

D clllnlo del Meat•. Ciclo deD'uomo

)�gatl! •. perché il verbo non denota gesti di Gesù o espressioni di ostilità da parte sua, ma l'opinione dei suoi avversari circa il contenuto del suo discorso.

21 la pazzia, gr. daimonion. monio •.

L'astratto di



essere pazzo/avere

un

de­

CONTEN UTO E DIVISIONE La pericope contiene una forte accusa contro i dirigenti giudei - sfrutta·

tori del popolo - che continua quelle mosse in precedenza, nei due episodi del tempio (2, 13ss; 8, 31ss). Esercitano oppressione con piena colpevolezza, perché, avendo davanti la luce, la respingono. Sono ciechi volontari che cercano di giustificare il falso e di presentarlo come volontà di Dio. Si sono arrogati una missione che non hanno, unicamente per il loro van­ taggio personale. Gesù afferma per questo che la sua missione come in­ viato di Dio è trarre il popolo sfruttato fuori della istituzione oppressiva, per formare una comunità alternativa, dove l'uomo trovi la sua pienezza. Mentre i dirigenti cercano soltanto il proprio interesse, distruggendo il popolo, Gesù annuncia che darà liberamente la sua propria vita per sal­ vario. La comunità umana che egli formerà non sarà una continuazione di Israele, ma riunirà uomini di origine diversa. Questa missione l'ha ri­ cevuta dal Padre. Le sue parole suscitano tra i dirigenti la stessa divisione e lo stesso sconcerto che essi avevano pensato di risolvere con l'espulsione del cieco (9, 16b.34b). Gesù, senza dichiarnrsi apertamente Messia, titolo che evita di pronunciare, descrive la sua missione messianica e come con­ durla a termine. Sebbene il discorso sia conseguenza di quanto avvenuto al cieco, cui si al­ lude al principio (9, 40: da lui) e alla fine ( IO, 21: aprire gli occhi dei ciechi), costituisce una scena distinta, in cui i personaggi sono Gesù e i farisei che avevano partecipato al giudizio dell'uomo guarito (9, 40), chia­ mati alla fine dirigenti ( i giudei •), in parallelo con 9, 13.18. La pericope comincia con un dialogo fra Gesù e il gruppo di farisei (9, 3941), e continua con una lunga esposizione di Gesù (10, 1-18). Questa contiene varie unità. In primo luogo Gesù dichiara la legittimità del suo proposito di condurre i suoi seguaci fuori dell'istituzione giudaica (10, 1-6) e si presenta come unica alternativa di vita (10, 7-10); poi si definisce mo­ dello di pastore, perché, a differenza di quanti cercano l'interesse proprio, egli darà tutto, perfino la vita, per i suoi, che non appartengono soltanto a Israele (10, 11-16); espone infine la relazione che l'unisce al Padre, che gli ha affidato tale missione (10, 17-18). La pericope si conclude descrivendo la divisione che il discorso provoca fra i dirigenti (10, 19-21). •

Riassumendo: 9, 394 1 : 10, 1-6: IO, 7-10: 10, 1 1 -16: 10, 17-18: 10, 19-21:

432

La cecità volontaria, peccato dei dirigenti.

Esodo dall'istituzione giudaica. Gesù, unica alternativa. Il modello di pastore. Amore del Padre e dedizione di Gesù. Divisione fra i dirigenti.

t, !t - IO, %1. L'altenu�tlva di Gelfl -, . ..,..

LETIURA

La cecità volontaria, peccato dei dirigenti .

9, 39a Aggiunse Gesù: questo ordinamelllo •-

«

lo sono yenuto ad aprire un processo contro

La frase di Gesù annuncia l'effetto della sua venuta. Sua missioDe non è giudicare l'umanità (3, 17; 12, 47), ma la sua presenza e la sua attività

denunciano il modo di agire del mondo • (7, 7) e aprono un processo contro l'ordinamento oppressivo. Il processo è già iniziato, e quindi obbliga a una precisa presa di posizione: chi è dalla parte dell'uomo starà dalla parte di Gesù, i suoi oppressori gli si mettono contro. I farisei e i dirigenti giudei hanno espulso il cieco . guarito perché non aveva rinnegato Gesù (9, 34b). Questi, che aveva sfidato i dirigenti a rinfacciargli un qualsiasi peccato (8, 46), o azione contro il bene dell'uo­ mo, rinfaccerà adesso il loro peccato, lo sfruttamento e l'oppressione del popolo. La menzione di " questo ordinamento • riprende la frase di 8, 23b: voi appartenete a questo ordinamento, io non appartengo a questo ordinamento. Questo ordinamento è incompatibile con Gesù (17, 14), lo odia (7, 7) e vuole ucciderlo (7, 1 .1 9.25; 8, 37.40). L'atteggia­ mento dei dirigenti è già il risultato del processo che Gesù ha aperto. La sua soluzione sarà la sentenza che essi stessi si daranno ( 12, 48; cfr. 3, 19). •

39b " così coloro che non vedono, vedranno, e coloro che vedono, resteranno ciechi •. Il processo che Gesù istituisce rovescerà le situazioni stabilite: quelli che non hanno mai potuto conoscere, come il cieco dalla nascita, conosceranno, perché sperimenteranno l'azione di Dio e con essa il suo amore. Invece, quelli che potevano conoscere, ma ingannavano o sfrut­ tavano il popolo con una falsa dottrina, rimarranno ciechi, per la persistenza del loro rifiuto di Gesù (3, 19s Lett.). Vennero a saper/o quei farisei che erano stati da lui, e gli doman­ darono: • Siamo forse ciechi anche noi? • ·

40

Questi farisei si sono resi giudici del cieco e lo hanno espulso. Hanno agito così in nome della loro Legge, utilizzata ingiustamente (7, 24) contro l'uomo. La loro domanda denuncia incredulità e autosufficienza. Gesù aveva predetto, come conseguenza del processo da lui aperto, che sarebbero rimasti ciechi; essi domandano ironicamente se già lo siano, rifiutandosi di credere che quanti possiedono la conoscenza basata sulla Legge possano essere ciechi o possano mai perdere la luce. 41 Rispose loro Gesù: « Se foste ciechi, non avreste peccato alcuno; ma proprio ora che dichiarate di vedere, il vostro peccato rimane •. Gesù li inchioda con la loro stessa affermazione. Il peccato non è essere cieco (cfr. 9, 3), ma esserlo volontariamente, vale a dire rifiutare la luce 433

D �forno del Messia. Ciclo dell'uomo

quando questa splende davanti agli dtchi. Con tali parole descrive quel che è accaduto ai farisei in occasione del processo all 'uomo guarito. La divisione nel gruppo fariseo (9, 16s), che rifletteva la lotta interna davanti all'interpellanza posta dalla guarigione del cieco, ha mostrato che non erano incapaci di vedere. Essi, davanti al fatto che li interpella· va (9, 16), avrebbero potuto aprire gli occhi alla luce, mentre li hanno chiusi, rifiutando l'evidenza (9, 24). Si vantano, tuttavia, di una visione che è falsa (9, 24b: sappiamo bene). Non solo non vogliono vedere, impongono anche la loro menzogna come verità; così si esprimeva Is 5, 20: • Guai a coloro che chiamano bene il male e male i l bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro •. I l loro peccato poggia, pertanto, su una duplice malafede: da un lato distinguono la luce e la rifiutano; dall'al· tro propongono come luce ciò che sanno essere contrario alla luce che conoscono. Fanno una scelta cosciente e distorta (3, 19: la luce è giunta nel mondo, e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché il loro modo di operare era perverso) . Sono ciechi volontari che cercano di accecare gli altri. Sono la tenebra che, proponendo la menzogna, spegne la verità e con essa la vita. Non operano incoscientemente, sanno benissimo cosa vogliono. Sono loro che stanno per restare definitivamente ciechi, escludendosi per sempre dalla luce-vita; quando giungerà la notte (9, 4), che provoche· ranno essi stessi con il loro definitivo rifiuto di Gesù, la loro sentenza sarà irrevocabile. II loro peccato è lo stesso che Gesù aveva denunciato in 8, 2 1 : il vostro peccato vi porterà alla morte (8, 23 Lett.). Essi si ostinano nella loro menzogna, e il loro peccato rimane. Avevano dichiarato peccatore Gesù (9, 24). mentre sono loro a praticare coscientemente il peccato (8, 34). Coloro che espellono in nome di Dio, sono i riprovati da Dio. Il cieco dalla nascita non aveva peccato (9, 3) . I farisei, che hanno la possibilità di rispondere alla luce, hanno peccato. Appare la differenza fra oppressi e oppressori. L'oppresso è cieco perché l'hanno privato della possibilità di vedere. L'oppressore, invece, propone la menzogna (8, 44), e con essa acceca il popolo. Vedendo gli effetti della loro azione (5, 3: una moltitudine di infermi: ciechi, storpi, disseccati), avrebbero dovuto rettificare, ma non hanno amore (5, 42) ; a loro non impona l 'uomo, ma le proprie posizioni e il proprio dominio (5, 44): il loro peccato rimane.

Esodo dall'istituzione giudaica IO, l • Dawero vi assicuro: Chi non entra nell'atrio delle pecore dalla porta, ma arrampicandosi da un'altra parte, quello è un ladro e un bandito ». Riappare il tema delle pecore, già insinuato in 2, 15 (li cacciò tutti dJJl tempio, tanto le pecore quanto i buoi) e in 5, 2 (la Pecoraia), dove esse si identificavano con la moltitudine di infermi sdraiati nei ponici della piscina (5, 3). Sono, pertanto, il popolo dominato dai dirigenti. La dichiarazione di Gesù si dirige agli stessi farisei che lo hanno 434

9, 39 - IO, 21. L'alternativa di Ceoù

appena interpellato. Di fatto, la !certa tenninerà corr una divisione (10, 19), parallela a quella avvenuta in precedenza (9, 16) e con un'allu­ sione alla guarigione del cielo ( 10, 2 1 ; cfr. 9, 10.14). Gesù comincia con un paragone allegorico il cui significato, nel contesto, è chiaro. L'atrio rappresenta il tempio (cfr. nota) o, più ampiamente,' l'istituzione giu­ daica, in cui si sono arrogati i posti di potere degli individui eh� mancano di ogni diritto e che sono in realtà sfruttatori del popolo (ladri e banditi). Apre la sua esposizione con un principio generale: c'è un solo modo legittimo per avvicinarsi alle pecore: entrando dalla porta del recinto in cui si trovano. Chi penetra da un altro lato non lo fa per amore verso di loro, ma per sfruttarlc a beneficio proprio. Questo è il peccato dei dirigenti. • Ladro • , termine applicato a i dirigenti e a Giuda, è chi si appropria di ciò che appartiene a tutti ( 1 2 , 6 Lett.) ; si oppone a ciò che Gesù è, e a ciò che fa praticare ai suoi: far diventare di tutti ciò che appartiene a ciascuno (6, 1 1 Lett.). Essi tolgono al popolo ciò che è suo. Fu questa la denuncia fatta da Gesù nella sua prima visita al tempio (2, 1 3ss). • Bandito • , che si applica ai dirigenti e a Barabba ( 1 8, 40). è colui che usa la violenza. I dirigenti sono omicidi (8, 44) come dimostreranno con la morte di Gesù (cfr. 1 1 , 53; 12, IO); essi sottomettono il popolo con la violenza del loro sistema (7. 13; 9, 22: il timore), riducendolo a uno stato di morte (5, 3.2 1 .25) ; l'hanno usata per espellere il cieco guarito (9, 34b). L'accusa di Gesù significa, pertanto, che quanti si arrogano la direzione del popolo sono sfruttatori (ladri) che usano la violenza (banditi) per sottomettere il popolo mantenendolo in uno stato di miseria 1• Si ricordi che il Nemico, • il diavolo », padre dei dirigenti, che ispira la loro condotta, incarnato nel tesoro del tempio, è la bramosia di lucro e il potere del denaro (8, 20; 8, 44a Lett.). 2-3 c Chi entra dalla porta è pastore delle pecore; a questi il portinaio apre, e le pecore sentono la sua voce. Le sue pecore le chiama con il loro nome e le va conducendo fuori •Ai ladri e banditi che saltano il muro, si oppone il pastore. Egli si distingue perché entra dalla porta e il custode (il portinaio) gli riconosce il diritto a entrare. Sotto i tratti del pastore, Gesù descrive se stesso l

L'invettiva contro i cattivi pastori era corrente Dei profeti. Cfr. Ez 34.2-5.10: Profetizza contro i pastori di Israele, predici e riferisci ai pastori: ·dice· il Signore Dio: Guai ai pastori di Israele, che pascolano se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregie? Vi nut rite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le infenne, non avete fasciato quelle ferite. non avete riportato le disperse. non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con cru­ del t à e violenza. Per colpa del pastore si sono disperse e sono preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate ... dice il Signore Dio: Eccomi contro i pastori: chiederò loro conto del mio gTcgge e non li lascerò più pascolare il mio gTegge, così i pastori non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le n1ie pecore e non saranno più il loro pasto •; cfr. inoltre: Ger 2, 8; IO, 21: 12, IO: 23, 1-2; 25, 34-38; Zc Il. 3-9.15-17. Gesù, tuttavia, non riconosce ai dirigenti il rango di pastore. che avrebbe implicato ona missione legi ltima, anche se wrrolta; egli li chiama ladri e banditi. •

435

Il giorno del Meula. Ciclo dell'uomo

come l'unico che ha diritto a entrare nel tempio-istituzione e l'unico che venga riconosciuto 2• Jl suo diritto si identifica con la sua missione divina. In Ezechiele, il ruolo di pastore spettava in primo luogo a Dio (34, l l s.15) e quindi al futuro Davide o re messianico (34, 23). Gesù, implicitamente, si dichiara di nuovo Messia l. Contrapponendosi ai dirigenti afferma che l'autorità che si arrogano è illegittima. II pastore entra per aver cura delle pecore, non per sfruttarle. Per questo le pecore ascoltano la sua voce (5, 25) e gli danno retta, come ha fatto il cieco. La voce di Gesù è un messaggio che significa liberazione, quella del Messia, che trae fuori dalla tenebra-morte (8, 12) . La sua voce non si rivolge a una moltitudine anonima, è una chiamata personale: le chiama per nome. Per Gesù non esiste la massa ( 6, lOa Lett.), ciascuno ha volto e nome. L'attività del pastore inviato da Dio consiste nel condurre fuori dall'istituzione giudaica coloro che rispondono alla sua chiamata. Gesù esprime di nuovo la qualità del suo esodo, indicato anteriormente dalla traversata del mare (6, l Lett.). L'istituzione giudai· ca si è trasformata nel luogo delle tenebre, dominato dall'interesse economico; il denaro ha preso il posto del Padre (2, 16: una casa di commercio). Egli conduce il popolo fuori, per liberarlo dalla morte (cfr. 5, 14). Non fa questo surreniziamente, ma apertamente, perché tale è la missione che il Padre gli ha affidato. Entra e chiama: quelli che rispondono al suo invito alla libertà sono i suoi, ed egli li conduce fuori. Gesù non vuole installarsi nell'antica istituzione né continuarla. Non è venuto a rinnovare le istituzioni di Israele, ma a creare una nuova comunità umana. 4 • quando ha spinto fuori tutte le sue, cammina davanti a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce •·

Gesù caccia, spinge fuori tutti i suoi. La frase è in parallelo con quella del tempio, quando ne cacciò tutte le pecore e i buoi (2, 15b Lett.), gesto simbolico che annunciava il suo programma; è in parallelo anche con l'avviso che diede al paralitico guarito (5, 14) . I l tempio, luogo dello sfruttamento, era il luogo della morte per il popolo, rappresentato dal bestiame che vi si vendeva. Gesù, che spinge i suoi fuori dal recinto dell'istituzione, si oppone ai dirigenti che ne cacciano fuori colui che era stato cieco (9, 34). Con la sua frase li avverte che, in realtà, non sono stati loro quelli che Io hanno espulso, ma è stato lui a trarlo fuori. Ottenendo la vista, il cieco era già fuori del loro dominio. Egli stesso mostra il loro cammino ed essi lo seguono. • Seguire • descrive l'atteggiamento del discepolo rispetto a Gesù. Egli stesso è il una probabile allusione a Ezechiele. La porta � quella da do� era entrata la gloria di Dio per colmare il nuovo tempio (Ez 43, 4-5), porta che da allora rimase chiusa (Ez 44, 2) . Gv inverte l'ordine degli avvenimenti descritti da Ezechiele. Se nel profeta la gloria dapprima esce dal tempio profanato (Ez IO, 4.18: I l , 23), per tornare nel tempio futuro ideale che egli descrive (43, 4-5) . in Gv la gloria del Padre entra nel tempio (7, 14) solo per abbandonarlo definitivamente (10, 4.40) . Gesù, l'inviato da Dio, l'unico che ha diritto a entrnre da questa porta, condurrà il popolo definitivamente fuori dal tempio profanato. 3 Dio, pastore di Israele, cfr. Sal 23; Ez 34, 1 1-16. Israele, gregge di Dio, cfr. Sal 23, 14; 74, l; 78, 52.7().72; 79, 13; 80, 2; 95,7: Is 40, I l .

2 C'è

436

9, 39. 10, 21. L'alternativa di Gesù

cammino (14, 6) che i suoi devono percorn!'re." La sua voce è la loro sicurezza, perché comunica vita (6, 63: le esigenz.e che vi ho esposto ... sono spirito e sono vi ta) ; l'esperienza di vita conduce alla sequela •. Ma Gesù non introduce le sue pecore in un altro recinto. Non intende creare un'istituzione parallela a quella antica, ma dare libertà. I suoi vivranno con lui ( 1 , 39), uniti a lui (15, lss). Le pecore non potevano uscire da sole, perché non c'era alternativa. Gesù le trae fuori offrendo loro la vita. Coloro che ascoltano la sua voce sono quelli che il Padre gli affida (6, 37), per questo sono suoi. A questi egli comunica vita definitiva, in essi compie il disegno del Padre (6, 39s). • Un estraneo invece non lo seguiranno, fuggiranno da lui perché non riconoscono la voce degli est ranei ».

5

Come il timbro di voce del pastore invita alla libertà, la voce dell'estra· neo annuncia furto e violenza (10, 1), e le pecore fuggono da lui. Gesù oppone il suo messaggio di vita alla menzogna di morte che i dirigenti propongono (8. 44) . Gli dà un avviso: sono loro gli estranei, e non potranno recuperare coloro che egli ha fatto uscire dal loro dominio. 6 Gesù propose loro questa similitudine, ma essi non compresero a cosa si riferisse.

I dirigenti non comprendono la comparazione; non vedono perché sono ciechi; non conoscono la sua voce, perché non sono pecore sue (10, 26) . e non capiscono il suo linguaggio perché non sono capaci di ascoltare il messaggio di vita, che li priverebbe della loro situazione e sicurezza (8, 43). Installati nella loro istituzione, con la coscienza di essere i capi legitti­ mi del popolo, non sono capaci di capire la denuncia che Gesù fa di loro né la necessità o possibilità dell'esodo che egli sta per realizzare.

Gesù, unica alternativa 7-8

Allora Gesù aggiunse: • Davver.o vi assicuro che io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me sono ladri e banditi, ma le pecore 1wn hanno dato loro retta ».

In questa unità Gesù utilizza nuovamente il simbolo della porta, ma applicato ora a se stesso. Ha parlato della porta antica, quella del recinto di Israele che serve soltanto per lasciar entrare Gesù e condur­ re fuori le pecore. t:. una porta i l cui ruolo sarà finito una volta effettuato l'esodo del Messia. Dichiara adesso di essere lui la nuova porta, in primo luogo in relazio­ ne ai dirigenti, in secondo luogo in relazione a coloro che lo seguono. 4 Cfr. Nm 27. 16-17: • Il Signore ... nomini un capo (LXX: un uomo) per la comunità (U(X: la si nagoga) . uno che li preceda nell'uscire e nel tornare, li faccia uscire e li faccia tornare. perché la comunità del Signore non sia un gregge senza pastore • .

437

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

In relàzione ai dirigenti, dichiara di essere lui l'unico luogo di acces so legittimo alle pecore. Questa affermazione ha due significati: primo, non c'è né vi è stata legittimità se non in funzione del Messia, come preparazione alla sua venuta, che era il ruolo della Legge stessa. Questo conduce al secondo significato: solo assumendo l'atteggiamento del Messia, la disposizione a dare la vita, si può avere accesso alle pecore. I capi avevano concepito la loro relazione con il popolo in termini di potere e dominio (cfr. 4, 46bss) che conducevano allo sfruttamento e causavano la morte (ladri e banditi). Bisogna cambiare concezione e prassi. Entrare attraverso Gesù significa porre il bene dell'uomo come valore supremo (8, 3 1 -32 Lett.) e, pertanto, dedicarsi senza limite a procurarlo. Chi non adotta questo principio è inevitabilmente un op­ pressore (8, 46b Lett.). La dichiarazione di Gesù è molto dura. Coloro che si sono costituiti leaders del popolo hanno usato il dominio e la violenza per sfruttarlo (cfr. 2, 16). Il presente « sono », in luogo di un passato, riferisce il detto di Gesù soprattutto alla sua epoca contemporanea. Ma le pecore non hanno dato loro retta. I I popolo è sottomesso per paura (7, 1 3 ; 9, 22), non per convinzione.

9 • lo sono la porta, colui che entra attraverso di me si troverà in salvo, potrà entrare e uscire e troverà pascoli ». Usando la stessa immagine, Gesù descrive in secondo luogo la sua relazione con l'uomo. Per l'individuo, entrare dalla porta che è Gesù è lo stesso che « avvicinarsi a lui », « dargli la sua adesione » {6 , 35), seguirlo o attenersi al suo messaggio (8, 3 1 .5 1 ) , il che include, come nel caso precedente, diventare con lui una cosa sola nella dedizione al bene dell 'uomo. Rispetto a coloro che entrano attraverso di lui, Gesù è l'alternativa che permette di sfuggire alla morte: si troverà in salvo, perché egli dà vita definitiva (3, 15ss; 5, 2 1 .24.40; 6, 27.40.5 1 .54; 7, 37ss). Questa porta si apre sulla terra della vita, quella dell'amore leale. L'uomo sarà ormai libero dallo sfruttamen�o cui era sottomesso. Gesù propone se stesso come alternativa all'ordinamento ingiusto; egli crea l'ambito dove l'uomo può essere libero e godere della vita-amore che egli comunica: la terra promessa, la nuova comunità umana di amore vicendevole (6, 21 Lett.), punto d'arrivo del suo esodo. L'uomo eserciterà la sua attività attraverso questa porta, come esprime la frase: potrà entrare e uscire; avrà libertà di movimenti, perché Gesù fa camminare gli invalidi (5, 8.9. 1 1.12; cfr. 8, 32.36) 5• L'espressione troverà pascoli equivale a non soffrirà mai la fame, ... non soffrirà mai la sete (6, 35) . Il « pascolo » di cui parla Gesù si identifica con il pane della vita che è lui stesso. Vi è un giuoco di parole fra • pascolo • (gr. nomè) e Legge (gr. nomos) • . L'antica Legge è sostituita da questo « pascolo » che il discepolo trova e che, contenendo lo Spirito, si trasforma nella nuova Legge, quella dell'amore leale ( 1 , 17: 13, 34s). s L'espressione entrare e uscire, entrate e uscite, è un ebraismo che significa la vita e l'attività dell'uomo. Cfr. Nm 27, 17; 2 Cr l , IO; At l, 21. • Un altro simile in 19, 34.

438

9, 39 · IO, 21. L'alternativa di Gesù

L'alrematlva'4i Gesù è quindi la sua comunità, il luogo della vita (si troverà in salvo), dell'attività e libertà (potrà entrare e uscire), e dell'amore c solidarietà vicendevoli (pascoli). !Oa

c

11

Ladro non viene che per rubare, sacrificare e distruggere

•.

Gesù rinfaccia nuovamente ai dirigenti la loro condotta omicida; de­ scrive l 'attività perversa del ladro (cfr. IO, 8), in termini che rimandano alla scena del tempio (2, 15s) . Il ladro non soltanto ruba, cioè spoglia il popolo di ciò che è suo, ma è inoltre assassino (bandito), sacrifica le pecore. Allude chiaramente al bestiame preparato nel tempio per il sacrificio e da lui simbolicamente espulso. Le vere vittime del culto non sono gli animali ma il popolo stesso; mentre il tempio si è trasformato in una casa di commercio (2, 16) e accumula i suoi beni nel tesoro (8, 20), il popolo è ridotto alla miseria e sull 'orlo della morte (5, 3). Con questa immagine Gesù denuncia la violenza c la durezza dei dirigenti, che sfruttano il popolo senza misurare le stragi che causano e senza alcun rispetto per la vita. IOb

c

/o sono venuto perché abbiano vita, e sovrabbondi in essi

•·

Gesù oppone la sua figura a quella dei dirigenti del popolo. Se essi cercano morte, egli, al contrario, ha come missione e disegno che gli uomini godano di vita piena (6, 40) ; questa è la sua testimonianza a favore della verità (cfr. 1 8 , 37). Tanto all'invalido (5, 6) che al cieco (9, 6) , egli ha dato speranza e ha comunicato vita, senza porre altra condizione che il desiderio di essa.

Il modello di pastore 1 l c /o sono il modello di pasfore. le pecore ».

11

pastore modello dà se stesso per

Gesù si è presentato come porta perché egli stesso è l'accesso alla vita, l'alternativa alla morte; pastore, invece, è termine che descrive la sua attività con coloro che il Padre gli ha dato (6, 39). Gesù non è un pastore in più, ma il modello, quello vero, e la caratteristica del pastore è dare la vita per i suoi (cfr. 15, 13). Chi non ama fino a dare la vita non è pastore (cfr. 2 1 , 16). Esiste uno stretto parallelismo fra la frase del versetto precedente e questa: Gesù viene a dare vita traboccante, e dà se stesso per questo. Darsi è comunicare vita. Lo stesso principio sarà enunciato in 12, 24 con l'immagine del chicco di frumento. Per comunicare la pienezza di vita, Gesù si donerà fino alla morte. La vita viene comunicata soltanto dall'amore, che è dono di �é agli altri (15, 1 3) . Il massimo dono di sé è la piena comunicazione dell'amore. 12-13 « 11 salariato, che non è pastore, e cui le pecore non appartengo­ no in proprio, vede venire il lupo, lascia le pecore e scappa, e il lupo le 439

D pomo del Meula. Ciclo dell'uomo

a"affa e le disperde; perché quello � un salariato, e ntm gli importa delle pecore ». Come prima l'immagine della porta (cfr.

IO, 2}

quella

(10, 8-9}, anche la figura del pastore

appare anzitutto in opposizione a una figura negativa (qui

del salariato e

relazione con gli amici

mercenario,

(10, 1 4-15).

10, 1 1-13},

e

in

seguito

nella

sua

L'opposizione tra il pastore e il salaria­

to si fonda sulle reciproche motivazioni: il pastore presta il suo servizio per amore, rinunciando al proprio interesse, disposto a dare la vita per le pecore; il salariato lo fa per denaro e, in caso di pericolo, lascia che le pecore muoiano. I l lupo è un'altra figura negativa, in parallelo a quella dei ladri e

le arraffa e le disperde. Compie nel gregge la è contraria a quella di in rmo i figli di Dio dispersi ( 1 1 , 52).

banditi:

stessa strage che

essi compiono. La sua opera

Gesù,

raccogliere

14-15 • Io sono il modello di pastore; conosco le mie e le mie cono­ scono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; cosicché do me stesso per le pecore • . Gesù descrive la sua relazione con i suoi. Prima affermava una cono­ scenza personale di ciascuno di loro, che egli chiamava per nome per condurli fuori dal recinto

(lO, 4}. Ora

dichiara che fra lui e la comunità

come somma di individui esiste una relazione personale di conoscenza profonda e intima. Far parte della comunità significa conoscere Gesù, che. ha dato la vita per i suoi amici e ha comunicato loro lo Spirito, vale a dire conoscere il suo amore. Per questo l'espressione

mie e le mie conoscono me

conosco le

indica la relazione di amore fra Gesù e i

suoi· creata dalla partecipazione allo Spirito

( 1 , 16).

Questa relazione di conoscenza-amore è tanto profonda che Gesù la paragona a quella che esiste fra lui e il Padre, basata anch'essa sulla comunione di Spirito

( 1 , 32; 4, 24}. La

stessa realtà sarà descritta più

avanti in tennini di identificazione fra i discepoli, Gesù e il

(14, 20)

o di unità con Gesù e con il Padre

(17, 2 1 } .

Padre

L'appartenenza alla

comunità di Gesù non è una affiliazione esterna: si basa su questa esperienza. Appunto in ciò consiste l a vita definitiva: nel conoscere

persona lmente il Padre e il suo inviato Gesù Messia (17, 3 Lett.). La sua conoscenza-amore per i suoi e per il Padre conduce Gesù a dar la vita per le pecore.

16 « Ho inoltre altre pecore, che non appartengono a quest'atrio; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce, e si farà un solo gregge, un solo pastore •· Gesù scopre l'orizzonte della sua futura comunità. La sua missione non si limita al popolo giudeo, si estende ad altri (li, 52-54 Lett.). Questo universalismo

è

in consonanza con la concezione di Gv, che fin dal

prologo colloca il suo vangelo nel contesto della creazione. L'amore di Dio, che la realizza, ha come termine l'umanità intera ( 1 , 9: la luce che illumina ogni uomo; 3, 16: Dio manifestò il suo amore per il mondo/u­ manità in modo tale; 4, 42: il Salvatore del mondo; 8, 12: la luce del mondo). I discepoli provenienti da altri popoli formeranno una sola 440

9, 39 - IO, 21. L'alternativa di Gesù

comunità con quelli che verranno da Israele; � finito il privile�o del popolo eletto ( 1 9 , 25 Lett.). L'unità di tutti si verificherà attraverso la convergenza nell'unico pastore, Gesù. L'assenza di coordinazione (e) o di una preposizione indicante relazione (con) fra i due membri della frase: un solo gregge, un solo pastore, riduce al minimo la dualità di entrambi. La relazione del gregge con Gesù non è quella di giustapposizione né quella di compagnia; l'esisten­ za del gregge porta in sé la presenza di Gesù pastore, perché egli, con la sua morte, sarà ormai costituito fonte di vita unica e perenne per i suoi, secondo la relazione intima di conoscenza-amore descrilla già prima. Gesù forma un gregge, ma non crea un'istituzione/tempio (atrio) paral­ lela e opposta a quella giudaica, da cui conduce fuori quanti ascolta­ no la sua voce 7• La sua comunità, che è universale. non è racchiusa in alcuna istituzione nazionale o culturale. La sua base è la natura del­ l'uomo completato dallo Spirito. Da essa nasceranno le sue differenti espressioni.

Amore del Padre e dedizione di Gesù 1 7-18a • Per questo il Padre mi manifesta il suo amore, perché io consegno la mia vita e così la recupero. Nessuno me la toglie, io la consegno per decisione mia personale. Sta a me consegnarla e sta a me recu perarla ».

Il disegno di Dio è dare vita all'umanità (6, 39s). Gesù lo fa suo (4, 34; S. 30; 6, 38) e così è un cosa sola con il Padre (lO, 30). A partire dal momento in cui il Padre, con lo Spirito, gli conferisce la missione ( l , 32s), tutta la sua esistenza è interamente dedicata a con­ durla a termine, identificando la sua attività con quella del Padre (5, 17). Gesù si esprime e si realizza con tale assimilazione al disegno, e da essa acquista significato la sua vita (4, 34). Nella sua attività, non pone limiti alla sua dedizione (10, 1 1 ); il movente del suo operato non è il suo interesse personale o la sua gloria (5, 4 1 ; 7. l ; 8. 50). ma solo e totalmente il bene dell'uomo. Gesù consegna se stesso e cosi si recupera, perché dare se stesso significa acquistare la pienezza del proprio essere. In luogo di perdersi , si recupera con la sua piena identità, quella d i figlio d i Dio: dando se stessi si partecipa del dinamismo del Padre, e si realizza così la condizione di figlio { 1 , 12b Lett.). La sua identità di Figlio rende Gesù partecipe e destinatario dell'amore del Padre. Questa dimostrazione continua di amore si realizza nell'atti­ vità incessante dello Spirito in lui, e si manifesta nel suo agire. Gesù è così il Figlio di Dio, uguale al Padre e, al tempo stesso, il modello di uomo (il Figlio dell'uomo). Come Gesù, chi dà se stesso fino alla morte per amore, non lo fa con la ·

7 La trad. della Vulgata è qui difettosa: la prima parte del versetto: non suni ex: hoc ovili ha contaminato la seconda e, anziché tradurre il termine J!T". poimné (grex, gregge), ripete quello precedente [unuml ovile, dando una falsa idea del di­ selJI10 di Gesù.

44 1

li giorno del Messia. Ciclo dell'uomo speranza di recupe rare la vita come prem io a tale sacrificio (merito) , ma con la certezza di poterla riprendere di nuovo, per la forza dell'a· more stesso. Dove c'è amore fino al limite c'è vita senza limite, perché l'amore è la vita. Chi dispone della sua vita per darla sa che dispone di essa per recuperarla dopo che è stata completata dallo Spirito, indi­ struttibile e definitiva come lo Spirito stesso. Per chi ama non c'è morte: questo è l'ultimo gesto di una vita di dedizione, che sigilla definitivamente la condizione di figlio. Dare la vita signific!l credere fino alla fine nella verità e potenza dell'amore come forza di vita. Gesù afferma la sua assoluta libertà nel dono della sua vita. Nessuno può toglierla, egli la dà di propria iniziativa (1 9, l i Lett.). Si noti che nel vangelo di Gv nessun segno caratterizza Gesù risorto, eccetto le impronte della sua morte nelle mani e nel costato (20, 20.27), che indicano precisamente la continuità: Gesù è per sempre colui che ha donato la sua vita umana. La sua donazione non è stata qualcosa di accidentale: lo mostra definitivamente come Figlio di Dio (20, 17), il Dio generato (20, 28; cfr. l , 18). Davanti a l suo udi torio d i dirigenti giudei (10, 19), che l o odiano (7, 7) e cercano di ucciderlo (7, 1 . 19; 8, 37.40), Gesù afferma che è precisamente la sua prontezza a morire a far sì che si manifesti in lui l'amore del Padre.

1 8b



Questo è il comandamento che ricevetti da mio Padre

•·

I l Padre, che ama Gesù, gli lascia piena libertà; questi come Figlio, dispone dei propri atti (cfr. 3, 35; 13, 3). La relazione fra Gesù e il Padre non è di sottomissione, ma d'amore: è operando liberamente che egli mostra la sua unità con il Padre e gli esprime il suo amore. Il comandamento del Padre non è un ordine (cfr. nota), ma un incarico; inoltre c'è l'unità di proposito che nasce dalla sintonia nello Spirito. La relazione di Gesù con il Padre è modello per quella dei suoi con lui (IO, 14s). Il discepolo compie il comandamento del suo maestro (13, 34); neppure questo è un ordine, ma nasce da un'identificazione interiore

(14, 1 5 : se mi amate, compirete i comandamenti miei).

Gv utilizza il termine • comandamento • per opporlo a quelli dell'antica Legge. Mosè ricevette da Dio numerosi comandamenti (Es 24, 12; Dt 1 2 , 28, ecc.); Gesù ne riceve uno solo, quello dell'amore fino all'estremo (cfr. 13, 1 ) . Questo • comandamento » Gesù lo propone agli uomi­ ni, e significa vita definitiva (12, 49s; cfr. 8, 28) ; sarà lo stesso che darà ai suoi di scepoli (13, 34: come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri). t;. il comandamento suo (15, 12). l'unico che egli formula. Si sottolinea nuovamente la differenza fra le due alleanze ( 1 , 17). I l comandamento che Gesù riceve per sé ( 10, 18; 14, 31) si diversifica nei « comandamenti • ( 1 5, IO) : realizzare le opere del Padre (5, 36: IO, 37s). Ugualmente, il comandamento che i discepoli ricevono da Gesù e che costituisce la comunità (13, 34; 1 5 , 12.17) si esplica nei « coman­ damenti " (14, 15.2 1 ; 1 5, IO) che stimolano i discepoli a lavorare a favore dell'uomo (9, 4).

442

9, 39 • 10, 21. L'alternativa di Gala

Divisione fra i . dirigenti 19-21 Queste parole causarono nuovamente scissione fra i dirigenti giudei. Molti di loro dicevcmo: « È pazzo da legare, perché lo ascolta­ te? » Altri invece: • Queste non sono parole da pazzo; forse che la pazzia può aprire gli occhi dei ciechi? •. Le opinioni sono discordi. Alcuni continuano ad accusarlo di pazzia (7, 20; 8, 48.52), ora con più furore di prima (pazzo da legare), perché la denuncia è stata più esplicita. Altri dubitano. Gesù demolisce le loro sicurezze. Il plurale • ciechi • allude alla scena paradigma tica di 5, 3, localizzata presso la Pecora ia; questo conferma che la figura del cieco era caratteristica nell'attività di Gesù. *

In questa pericope Gesù ha descritto la sua m1ss1one messianica sotto l'immagine del pastore modello (10, 1 1 . 14), l'unico pastore ( 10, 16), con chiaro riferimento al nuovo Davide annunciato (Ez 34, 23) . Tuttavia, egli conferisce ai suoi . discepoli l'unzione messianica ( 1 7 , 17 Lett.) e li associa alla sua missione (17, 1 8 ; cfr. 20, 2 1 : come il Padre mi ha inviato, così anch 'io mando voi). Anche loro dovranno entrare nell'atrio, disposti ad affrontare la morte, per far risuonare il messaggio di vita e far uscire le pecore dal luogo dell'oppressione (10, Js). Questo principio dà la chiave per interpretare la scena nell'• atrio • del sommo sacerdote, dove un discepolo mostra il suo amore per Gesù entrando con lui, disposto a seguire la sua stessa sorte, mentre Pietro interromperà la sua sequela e negherà Gesù (18, 15-18). Sulla sponda del mare di Tiberiade Gesù inviterà Pietro a rettificare, associandosi alla sua missione e accettando di dare la vita per le pecore (2 1 . 15-18). t> cosi che Pietro potrà finalmente seguirlo (2 1 , 19; cfr. 13, 36).

S I NTESI Gesù denuncia il peccato dei dirigenti: la menzogna che consiste nel chiamare vita ciò che è morte, luce ciò che è tenebra. Questa nasce dalla loro menzogna interiore, poiché si rifiutano di vedere i fatti e di riconoscere l'evidenza; il motivo profondo di tale modo di agire è l'interesse personale, per i l quale opprimono il popolo. Gesù mostra la sua incompatibilità con l'istituzione giudaica e an· nuncia il proposito di condurre coloro che ascoltano il suo mes­ saggio fuori di essa, per formare una comunità umana libera, che goda della pienezza che egli comunica. Con un'al tra formulazione Gesù traccia nuovamente la linea che divide gli uomini: essere a favore o contro la vita umana, vale a dire essere disposto a dare se stesso o, al contrario, essere ladro e omicida, privando l'uomo dei suoi beni e della sua vita. La sua morte volontaria dimostra che chi si priva della vita per amore degli altri non la distrugge, ma la porta al suo culmine, rendendosi simile al Padre, che è dono gratuito e generoso. Chi dà se stesso si trasforma in datore di vita. 443

QUINTA SEZIONE

LA FESTA DELLA DEDICAZIONE ( 1 0 , 22-42)

Il Messia rifiutato completa il suo esodo Questa breve sezione, in cui Gesù appare pe•· i'ultirna volta nel tempio, in occasione della fe sta della Dedicazione/Consacrazione, espone la qualità del suo messianismo. Gesù è il Consacrato dal Padre: come nuovo santuario in cui splende la gloria, sostituisce il tempio e, con esso, ogni istituzione giudaica. Tale consacrazione conferisce alla sua attività il dinamismo dello Spirito e realizza la liberazione degli op· pressi. Tale messianismo, che metteva in questione la legittimità dell'i­ stituzione giudaica oppressiva, è definitivamente rifiutato dai dirigenti, che cercano di mettere a morte Gesù. La menzione delle pecore collega questa sezione a quella precedente. L'avvertenza di Gesù ai dirigenti: nessuno strapperà dalle sue mani ciò che il Padre gli ha dato, è polemica, insistendo per l'ultima volta sull'irreversibile sostituzione delle istituzioni antiche. Allo stesso tempo, insinua la resistenza che queste offrono e si indovina l'intento, da parte dei dirigenti, di recuperare quanti hanno accettato il messaggio di Gesù. Al rifiuto dei dirigenti risponde l'uscita di Gesù al di fuori del territo­ rio giudaico, simboleggiata dalla traversata del Giordano, ultima tappa del suo esodo, l'ingresso in una terra promessa che ormai non si identifica con Israele e che, pertanto, è aperta a ogni uomo. t:. lì, in faccia alle istituzioni oppressive che lo rifiutano, che si forma la sua comunità.

Gv 1 O, 22-39: l dirigenti rifiutano il Messia 22 Ebbe luogo allora la Dedicazione, a Gerusalemme. Era inverno, 2J e

Gesù passeggiava nel tempio, nel portico di Salomone.

24 Lo attorniarono allora i dirigenti giudei e gli dissero: - Fino a quando non ci lascerai vivere? Se sei tu il Messia diccelo apertamente. 25 Replicò loro Gesù: - Ve l'ho detto, ma non lo credete. Le opere che io realizzo a nome di mio Padre, sono proprio esse ad accreditarmi, 26 ma voi non credete perché non siete pecore mie. 27 Le pecore mie ascoltano la mia voce: io

IO, D-39. l dlrlgeutl rlllutauo U Meula

le conosco ed esse mi seguono, 21 io do loro vita definitiva e non si perderanno mai. né alcuno le strapperà dalle mie mani. 29 Ciò che m io Padre mi ha affidato è ciò che importa più di tutto, e nessuno può strappare alcunché dalle mani del Padre. lO lo e il Padre siamo una cosa sola. 31 I d i r igen t i raccolsero nuovamente delle pietre per lapidario. " Replicò loro Gesù: - Vi ho mostrato molte opere eccellenti, che sono del Padre; per quale di tali opere mi lapidate? " Gli risposero i dirigenti: - Non ti lapidiamo per alcuna opera eccellente, ma per bestemmia; perché tu, che sei uomo, ti stai facendo Dio . l< Replicò loro Gesù: - Non sta scritto nella vostra Legge: • Io ho detto: Siete dèi •? l5 Se chiamò dèi coloro cui Dio rivolse la sua parola - e questo passo non lo si può sopprimere -, l • di me, che il Padre consacrò e inviò al mondo, voi dite che bestemmio per avere io detto: « Sono Figlio di Dio •? rr Se non realizzo le opere di mio Padre non credetemi; 31 se però le realizzo, anche se non credete a me, credete alle opere; cosi saprete una volta per tutte che il Padre è in mc e io nel Padre.

Allora tentarono un'altra volta di catturarlo, ma egli sfuggì alle loro mani.

l9

NOTE FILOLOGICHE IO, 22 Ebbe luogo, gr. egeneto. Specificato dal contesto. - la Dedicazione, gr. ta egkainia. Trad. dell'eh. hanukkah, in sir. quddala (consacrazione) oppure l:uuJ.data (rinnovamento), cui corrisponde il gr. egkainia. - Gerusalemm e, gr. en tois Hierosolumois. Come in 2, 23 e 5, 2 (cfr. nota). - Era inverno, gr. kheim6n br. Può significare anche pioveva oppure era brutto tempo. Tuttavia qui denota la stagione senza vita (cfr. Lett.); du­ rava più o meno dal IS dicembre al 15 febbraio (S - B. II, S41).

nel portico. Il termine gr. stoa appare soltanto qui e in S, 2 (i cinque portici della piscina).

23

24 Lo attorniarono, gr. ekuklosan auton. Verbo che, nel contesto di osti­ lità a Gesù, acquista significato peggiorativo, come in Sal 22, 17: cani/ mastini; 32, 7: nemici (LXX) ; 88, 18: acqua; 109, 3: mi accerchiano con pa­ role di odio; 1 1 8, 10: popoli; 11 8, 12: api. - non ci lascerai vivere, gr. tbr psuk hén hém6n aireis. In parai). con 10, 18: oudeis airei autén (tén psukh én ) ap'emou, qui in senso metaforico. 25 ma, p-. kai. Avversat. - ad accreditarmi, gr. marturei peri emou. In parall. con S, 36. 29 Fra le numerose varianti che questo versetto presenta, la decisione con­ cerne il relativo maschile hos o il neutro ho. Quest'ultimo è lectio diffi-

445

Il llomo del Meuia. Ciclo dell'uomo cilior, perché segue il maschile ho pat�r mou. Inoltre, nel caso che hos fosse originale, la sua sostituzione con ho, distruggendo la concordanza, sarebbe inesplicabile. Infine, la formula ho ded6kcn moi, o una simile. appare in 6, 39; 17, 2.4.24, sempre in relazione con il Padre. Le altre varianti dipendono da questa. Qui si presenta un caso in più di anticipazione espres­ siva di un soggetto al di fuori della frase cui appartiene (cfr. 3, 21; .5, 42).

32 [opere] eccellenti, gr. kala. Come il vino di Cana (di qualità, 2, 10), o il pastore (modello, 10, 1 1 .14). o come le opere della creazione (Gn 1 , 3 1 LXX). 35 Dio rivolse la sua parola. Cfr. 1 , 1 2: la Parola si rivo lg eva a Dio. Gesù argomenta a fortiori: molto di più con una consacrazione e missione che con una parola. 36

che bestemmio. Stile indiretto in luogo di quello diretto.

38 così saprete una volta per tutte, gr. hina (consec.) gn6te (ingress.) kai ginoskete (durai.) . Momento iniziale e stato successivo, in trad. idiomatica. - il Padre è in me e io nel Padre, gr. en emoi ... kag6 en 16 patri. Si tratta di unione mutua e interiore, non locale, come è marcato dal duplice en, che rende ciascuno contenente e contenuto al tempo stesso. Si tratterebbe di una « compenetrazione • che, per l'unità di Spirito e di disegno, si esprime meglio con " essere in/identificarsi cfr. IO, 30: siamo una cosa sola. •,

CONTENUTO E DIVISIONE La pericope descrive l'ultimo confronto di Gesù con i dirigenti giudei. In parallelo con il primo (2, 13ss), esso si situa nel tempio in cui Gesù non tornerà a entrare. La domanda dei dirigenti raccoglie il gesto messianico compiuto da Gesù in quell'occasione (2, !Sa Lett.), ora avallato da tutta la sua attività. Di qui la !ematica sulla consacraziohe, che interessa il tempio (festa della Dedicazione), e Gesù - il consacrato dal Padre - che, come nuovo santuario, sostituisce quello antico (2, 19-21). La scena è da un lato in parallelo con l'interrogatorio fatto a Giovanni Battista dalla com· missione di sacerdoti inviata da Gerusalemme (1, 19ss). Si propone la questione cruciale: se egli sia il Messia. Gesù non risponde direttamente, si limita a presentare le proprie credenziali: le sue opere a favore dell'uo­ mo. Questo mette i dirigenti giudei in una situazione difficile, perché noo tollerano tali opere che demoliscono la loro posizione di potere. I loro interessi impediscono di ammetterle. L'unità della pericope è marcata da quella di luogo, dalla corrispondenza tra Messia (IO, 24) e Consacrato e Figlio di Dio (IO, 36), dalla duplice men­ zione delle sue opere come credenziali della sua missione (10, 2537s) e dalla duplice affermazione della sua unione con il Padre [10, 3038). Dopo un'introduzione che determina il luogo e il tempo (IO, 22-23), la pericope si divide in due parti: la prima (IO, 24-30) contiene la domanda dei dirigenti (se sei tu il Messia ) e la risposta di Gesù, che offre loro la premessa ne­ cessaria per trarre la conclusione. La seconda (IO, 31-38) si incentra sul· l'accusa di bestemmia, che Gesù ribatte con argomenti tolti dalla loro Legge. Termina con il fallito tentativo di catturarlo (IO. 39). ·

446

·

10, ZZ-39. l dirigenti ri8utano Il Mesola .

Riassumendo:·

IO, 22-23: IO. 24-30: IO, 31-38: IO, 39:

. .

Circostanze di luogo e di tempo. Le opere, credenziali del Messia. Il Consacrato e il Figi io di Dio. Tentativo di arrestare Gesù.

LETIU RA Circostanze di luogo e di tempo IO,

22a

Ebbe luogo allora la Dedicazione, a Gerusalemme.

La festa celebrava la dedicazione o consacra1.ione del tempio, rinnovata ai tempi di Giuda Maccabeo (165 a.C.), dopo la profanazione commessa da Antioco Epifane (cfr. l Mac 4, 36-59; 2 Mac l , 9 . 1 8 ; IO, 1-8). Cadeva in dicembre e durava otto giorni. Anche in occasione di essa si accendeva­ no i grandi candelabri della festa delle Capanne (8, 1 2a Lett.), ed essa giunse a chiamarsi la festa delle luci o delle Capanne d'inverno. Si trattava sempre di una festa molto popolare 1 • Concerneva direttamente il tempio come luogo consacrato a Dio, ma includeva il simbolismo messianico dell'altra festa. II testo, d'altra parte, non la chiama festa né le aggiunge la determinazione • dei giudei • . come nei casi precedenti (2, 1 3 ; 5, l ; 6, 4; 7, 2); questo si potrebbe spiegare perché nella scena non apparirà affatto il popolo, la cui oppressione era indicata da tali es �ressioni. Sarà un confronto fra Gesù e i dirigenti, da soli. 22b

Era i11verno.

Questa precisazione dell'evangelista è sorprendente, dato che la festa cadeva sempre in inverno, e che per di più egli non aveva mai indicato prima la stagione di nessun'altra celebrazione, supponendola nota ai lettori. Questo induce a pensare che le attribuisca un secondo signi­ ficato. Le allusioni al Cantico dei Cantici in episodi successivi ( 1 2 , 1-3; 20 . l l ss) rendono probabile che Gv stia usando il linguaggio di tale libro: • L'inverno è passato ... i fiori sono apparsi nei campi ... il fico ha messo fuori i primi frutti e le viti fiorite spandono fraganze • (2, 1 1-13). Il Cantico descrive la stagione in cui la t'ita fiorisce. La precisazione cronologica di Gv potrebbe indicare, per contrasto, la morte che regna a Gerusalemme e nel tempio. Sarà la comunità di Gesù il luogo della vita ( 1 1 , 25.44). 23

e Gesù passeggiava nel tempio, rzel portico di Salomone.

Come prima era andato in giro per la Galilea, la regione della libertà (7, l ) . ora Gesù passeggia nel tempio, il luogo dove Io vollero catturare (7, 30.32.44; 8, 20). In esso aveva denunciato il potere oppressore l

Cfr. S. · B. Il, 539.

447

Il pomo del Messia. Ciclo deU'uomo

(8, 21-58) e avevano cercato di lapidario (8, 59). � la roccaforte dei suol nemici, coloro che vogliono dargli la morte (7, 1.19.25; 8, 37.40). Gesù mostra la sua libertà passeggiando pubblicamente. La menzione dei portici mette questa scena in relazione con quella della prima piscina (5, 2: cinque portici). Il tempio è il luogo dei dirigenti, la piscina ne era la prosecuzione: il luogo del popolo mori­ bondo, da loro oppresso per mezzo della Legge (5, 2 Lett.). Il portico di Salomone correva lungo la facciata orientale del grande cortile esterno 2• La menzione del nome del re, costruttore del primo tempio, ricorda la prima consacrazione o dedicazione, che ebbe luogo proprio nella festa delle Capanne. Un nuovo vincolo fra le due feste. D 'altra parte la menzione di Salomone ricorda anche la sua ascenden­ za: suo padre Davide, l'Unto (Messia) del Signore (Sal 18, 5 1 ; 1 32, 17).

Le opere, credenziali del Messia

24 Lo attorniarono allora i dirigenti giudei e gli dissero: • Fino a quando rton ci lascerai vivere? Se sei tu il Messia diccelo apertamente • . Nel luogo più sacro d i Israele, · centro e simbolo della loro istituzione religioso-politica, Gesù il Messia, la speranza di Israele (cfr. l , 41.49). si vede circondato dai dirigenti che si erano proposti di ucciderlo (5, 18; 7, 1 .19.25). In tali circostanze, l'espressione lo attorniarono acquista significato ostile (cfr. nota). Pongono la loro domanda con un'angustia e un'irritazione (fino a quartdo non ci lascerai vivere?), che potrebbero riflettere la precedente situazione di divisione fra loro ( 10, 19-2 1 ) . Gesù ha annunciato che darà la sua vita liberamente (l O, 18), ora essi lo accusano di star togliendo loro la vita; le frasi sono parallele (cfr. nota). Gesù darà la sua vita perché l'uomo abbia vita piena ( l O, 10b), e questo pone in pericolo la loro istituzione. Dare vita agli oppressi significa toglierla loro. Non li lascia vivere, perché vivono per se stessi a spese del popolo (2, 16 Lett.). Vogliono forzarlo a dichiararsi Messia. Ma Gesù non pronuncia mai con le sue labbra questo titolo; si era dato a conoscere apertamente come tale soltanto alla donna samaritana (4, 26). La domanda che gli rivolgo­ no è in parallelo con quella rivolta a Giovanni Battista dagli emissari di Gerusalemme ( l , 19 Lett.) , e a Gesù stesso dai c giudei • nel tempio (8, 25). Il parallelo con l'interrogatorio di Giovanni Battista fa sl che la do­ manda includa, sulla bocca dei dirigenti, un sospetto simile a quello che conteneva allora. Secondo la concezione comune, che più tardi sarà espressa dalla moltitudine (12, 13; cfr. l , 49), il Messia doveva essere il re d'Israele. I dirigenti temono pertanto che Gesù voglia impadronirsi del trono. D'altra parte, dato i l confronto di Gesù con le istituzioni che essi appoggiano e che sono lo strumento del loro potere, l'intronizza­ zione di Gesù come re-Messia significherebbe per loro la rovina (cfr. 1 1 , 47s; 12, 19). Già varie volte hanno tentato di catturarlo, particolarZ Cfr. S. - B. Il, 623.

448

10, :U.39. I dirigenti rifiutano Il Meula

mente qoando molti della folla cominciavano a riconoscerlo come Messia (7, 3 1 -32) : tale sua dichiarazione avrebbe provocato l'arresto immediato. Così cercheranno nuovamente di fare alla fine dell'episodio

( IO, 39) .

25 Replicò loro Gesù: « Ve l'ho detto, ma non lo credete. Le opere che io realiz�o a nome di mio Padre, sono proprio esse ad accreditarmi ». La risposta di Gesù è netta. Pur senza pronunciare il titolo, si è dichiarato Messia molte volte e con sufficiente chiarezza: in primo luogo con la sua costante affermazione di essere l'inviato del Padre; in secondo luogo, ha dichiarato che gli antichi simboli e istituzioni cessa­ vano di esistere per essere sostituiti dalla sua persona (7, 37: datore d i acqua/Spirito = nuovo tempio, Legge; 8, 1 2 : l a luce del mondo = Mes­ sia, Legge; I O, 1 1 .1 4 : pastore modello = nuovo David, cfr. Ez 43, 23; Sal 78, 70-7 1). Ma Gesù non si attribuisce titoli né reclama diritti. Nemmeno prova la sua missione di Messia appoggiandosi · alla Scrittura. Le sue uniche credenziali sono le opere; essi devono considerarle e concludere da se stessi, impegnandosi con un atto libero, invece domandano una soluzione a livello di enunciato. Il messianismo di Gesù non viene proposto in astratto per essere sottoposto a discussione. Per parlarne si esige una condizione previa : riconoscere che l'attività di Gesù è quella di Dio stesso, quella del Padre. Dato che le sue opere procurano dignità, libertà e vita piena dell'uomo, al di sopra di ogni istituzione o dottrina, chi pretende di affrontare la questione del suo messianismo dovrà prima di tutto pronunciarsi su tale questione fondamentale: se l 'uomo e il suo bene valgano di più e siano al di sopra di ogni altra realtà sociale e istituziona· le; riconoscere che procede da Dio ed è disegno suo soltanto ciò che favorisce la libertà e la vita dell'uomo, e che ogni Legge, istituzione o sistema che non adempia a tali condizioni non può assolutamente pre­ tendere di essere riconosciuto da Dio (cfr. 5, 36). Proponendo le opere come credenziali, Gesù sta domandando ai giudei di definire il loro atteggiamento. Fino a quando non risponderanno a tale domanda preliminare non si può trattare la questione del suo messianismo. Ma questa è la domanda cui essi non risponderanno mai, perché dovrebbero negare i loro interessi o confessare di essere contro l 'uomo e contro Dio. Non vogliono riconoscere la propria ingiustizia. II messianismo di Gesù non è una questione accademica come essi vogliono renderla, ma una questione vitale. Vogliono discussione senza impegno, e Gesù non l'accetta. Le credenziali che egli offre non sono giuridiche, ma oggettive; sono fatti, le sue opere a favore dell'uomo. Dimostra il suo diritto con la fedeltà al disegno del Padre. Per questo dirà più avanti di non credere alle sue parole ma alle sue opere ( IO, 38). Per di più, come ha affermato in altre occasioni, il cri terio per distinguere la pretesa autentica da quella falsa è che l'individuo operi o meno con giustizia (cfr. 5, 43; 7, 1 8). Gesù abbatte ogni legittimità che non si fondi sul modo d'agire: chi è con l'uomo senza riserve, è con Dio; chi in qualunque modo è contro l'uomo, se anche invoca il nome di Dio, è contro di lui. Gesù non legittima nemmeno la sua qualità di Messia facendo appello a

449

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

una tradizione (5, 34ss). L'azione di Dio si discerne nel presente, perché i l criterio è sempre lo stesso: dove c'è amore e lealtà per l'uomo, lì c'è Dio, che è Padre (cfr. l, 14.17). 26

«

ma t•oi non credete perché non siete pecore mie

•·

Non sono delle sue pecore perché non rispondono alla sua chiamata, che è quella del Padre (6,45 Lett .). Non hanno mai ascoltato la voce di Dio (5,37b), per questo non ascoltano quella di Gesù. Non conoscono Dio (5, 37-38; 8, 55) e non possono riconoscere le sue opere (7, 17), perché sono ladri e banditi che sfruttano il popolo (IO, 1 .8.10). Non imparano dal Padre (6, 45) né vogliono realizzare il suo disegno (7, 17), per questo non sono di Gesù. Non percepiscono la voce dello Spirito (3, 8; cfr. 8, 1 4 ; 14, 17). 27·28 « Le pecore mie ascoltano la mia voce: io le conosco ed esse mi seguono, io do loro vita definitiva e nor1 si perderanno mai, né alcuno le strapperà dalle mie mani ». Davanti ai dirigenti, che ricusano di rispondere a Gesù, egli descrive ciò che significa essere dei suoi. Questi ultimi hanno la caratteristica d i accettare la sua voce, cioè d i dargli la loro adesione, non verbale né di principio, ma di condotta e di vita (mi seguono), impegnandosi con lui e come lui a dedicarsi senza riserva al bene dell 'uomo. II dono di Gesù a quanti lo seguono è la vita definitiva, la nuova nascita attraverso lo Spirito (3, 3.5s), che completa in loro l'opera creatrice e dà la capacità di diventare figli di Dio ( 1 , 12). Questi non si perderanno mai, dato che la qualità di vita che egli comunica supera la morte (3, 16; 8, 5 1 ) ; inoltre saranno al sicuro (6, 39; IO, 9) , non periranno per mano di ladri (10, 10) , né saranno afferrati dal nemico (cfr. 10, 12b), perché Gesù è il pastore che difende i suoi fino a dare la vita ( 10, 1 1 ) .

• Ciò elle mio Padre mi Ila affidato, è ciò che importa più di tutto, e nessuno può strappare alcunché dalle mani del Padre •.

29

Per Gesù, come per il Padre, ciò che più importa è il frutto della sua opera, la nuova umanità, che il Padre gli ha affidato (6, 37.44.65) perché egli le comunichi la vita definitiva. Previene i giudei affinché non cer­ chino di recuperare quanto hanno perso: nessuno può strappare la vita dalle mani del Padre. Gesù dà loro nuovamente questo avviso (10, 5). Nel­ l'episodio del cieco, essi hanno voluto « strapparlo dalle mani di Dio •. ma non ci sono riusciti, ed essere nelle mani di Gesù equivale a essere nelle mani del Padre (cfr. Is 43, 1 3 : « nessuno può sot trarre nulla al mio potere; chi può cambiare quanto io faccio? ». 30

c

/o e il Padre siamo una cosa sola

•.

Gesù, il nuovo santuario (2, 19-2 1 ) , rende presente il Padre. Lo Spirito, l'amore leale che lo riempie, è principio della sua attività ( 1 , 14.32). II Padre è presente e si manifesta in Gesù e, attraverso di lui, realizza la sua opera creatrice, che porta a compimento il suo disegno (5, 17.30; 6, 3840). Gesù si dedica alla realizzazione di questo disegno senza

45 0

10, 2%-39. I dirigenti rlllutano Il Meula

riservarsi nulla. Non vi è nulla in lui che rimanga al di fuori dell'attivi­ tà dello Spirito. Egli è interamente espressione del Padre ( 1 2 , 45; 14, 9). L'identificazione fra lui e il Padre esclude ogni istanza superiore. La critica a Gesù è critica a Dio, l'opposizione a lui è opposizione a Dio. Non possono appoggiarsi a nulla per giudicarlo. Dinanzi a lui non c'è al tro che accettazione o rifiuto, sapendo che l'una e l'altro includono la stessa opzione rispetto a Dio.

Il Consacrato 31

e

il Figlio di Dio

l dirigenti raccolsero nuovamente delle pietre per lapidario.

Sono gli stessi dirigenti che già una volta avevano cercato di lapidare Gesù (8, 59) , perché non potevano ammettere che egli fosse la realizza· zione del piano di Dio (8, 58 Lett.). Sono quelli che hanno come padre il Nemico. i menzogneri omicidi (8, 44). In corrispondenza a ciò che sono, la loro reazione è la violenza e la morte. I n quanto Gesù identifica il suo agire con quello del Padre, lo rifiutano in pieno, perché tale dichiarazione li accusa di essere nemici d i Dio, mentre essi se ne chiamano rappresentanti. Nel tempio stesso, l'antica casa del Padre, ora casa di commercio (2, 14-16), vogliono uccidere l'inviato di Dio, il Figlio, nuovo santuario in cui splende la gloria (2, 2 1 ) . Essi, che l'hanno espulsa dal loro tempio, non possono tollerare la sua manifestazione in Gesù. Il Messia è per lo­ ro un nemico. 32 Replicò loro Gesù: • Vi ho mostrato molte opere eccellenti, che sono del Padre; per quale di tali opere mi lapidate ? •. Davanti al loro tentativo, Gesù domanda il motivo. Egli non ha presen­ tato altre credenziali che le sue opere, non ha nessun'altra pretesa né reclama alcun privilegio. Sono pertanto le sue opere che meriteranno lo­ de o condanna. Se essi le condannano, devono spiegare quale di esse meriti la morte. Le opere tornano a essere caratterizzate come proprie del Padre, Dio, a favore dell'uomo. Gesù non deduce né legittima la sua missione con dichiarazioni verbau. Il suo insegnamento e i suoi discorsi spiegano le sue opere ed espongo­ no le conseguenze che ne derivano (cfr. 5, 1 6ss; 6, 26ss; 9, 39ss). L'aggettivo eccellente denota la qualità delle opere che procurano l'integrità dell'uomo. Tali sono state il far camminare l'invalido e il dare la vista al cieco. Azione buona, eccellente, è quella che sopprime l'indigenza. il dolore, la debolezza, l'incompletezza dell'uomo; quella che Io fa crescere, rendendolo adulto, libero e responsabile. L'aggettivo contiene inoltre un'allusione all'opera divina della creazio­ ne 1. Le opere di Gesù la continuano e la portano a termine, perché il Padre continua a lavorare e lui stesso lavora (5, 17) . Sono opere che creano vita, secondo il disegno creatore ( 1 , 4). Male è l'anti-creazione, ciò che impedisce o distrugge la vita. 1 Cfr. Gn I, 3 1 : • Dio vide quanto ave\·a fatto, ed ecco, era cosa molto buona LXX: kai idou kala lian.

•:

451

Il giorno del

Mesola.

Ciclo dell'uomo

33 Gli risposero i dirigenti: « Non ti lapidiamo per alcuna opera eccellente, ma per bestemmia; perché tu, che sei uomo, ti stai facendo Dio • · Gesù propone loro le sue opere. Essi che, senza ammetterle, non possono ormai negarne la qualità, pretendono di dissociarle dalle sue parole (per bestemmia), senza riconoscere che le dichiarazioni di Gesù espongono semplicemente le implicazioni della sua azione. Non reagiscono invocando la Legge (5, 10; 9, 1 4) , la controversia sul sabato è stata già esposta (5, 1 6ss; 7, 2 1 -24). Gesù risponde adesso alla seconda accusa che gli avevano mosso nella sua precedente visita a Gerusalemme (5, 1 8) , ora ripetuta: perché tu, che sei uomo, ti stai

facendo Dio. Essi, che si contentano di parole, parlano di bestemmia. Aver tras for­ mato la casa di Dio in un mercato (2, 16), sfruttato e tenuto i l popolo mcribondo (5, 3) non conta, purché si abbia sulle labbra il nome di Dio. :E. il rispetto a parole e l'assassinio di fatto (8, 44) . Sono il prototipo di ciò che diceva Is l, 14s: • I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue •; e 29, 1 3 : « Poiché questo popolo si avvicina a me solo a parole e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e il culto che mi rendono è un imparaticcio di usi umani • . Nell 'accusa traspare l'ironia di Gv. L'espressione che essi tacciano di bestemmia descrive esattamente il disegno di Dio ( 1 , le Lett.). Essi, che non amano ma odiano (7, 7), non hanno esperienza dell'amore di Dio (5, 42) né, pertanto, del suo piano. Accusano Gesù di farsi Dio mentre è uomo. Non comprendono l'amore del Padre.

Replicò loro Gesù: detto: Siete dèi" ? "·

34



Non sta scritto nella vostra Legge: "Io ho

Gesù ribatte con la loro stessa Legge, distanziandosi nuovamente dalle istituzioni di Israele (vostra Legge, cfr. 7, 1 9 ; 8, 17; 15, 25). Il termine Legge designa spesso l'AT intero o qualunque sua parte (cfr. 12, 34; Mt 5, 1 8 ; Le 16, 17), e di fatto Gesù cita come • Legge • un salmo. Il passo addotto appartiene al Sal 82, 6: Io ho detto: voi siete dèi, siete tutti figli dell'Altissimo. Il salmo contiene una requisitoria contro i capi; li si chiama dèi perché hanno ricevuto una nomina divina per esercitare una funzione, quella di giudici, che primordialmente compe­ teva a Dio (cfr. Es 7, l: Il Signore disse a Mosè: ecco, ti rerido un dio per il faraone •; Dt l, 17; 19, 7.17). Il titolo divino non era, pertanto, esclusivo; si applicava a coloro cui veniva a t tribuita una particolare somiglianza con Dio; nell'A T, a quanti ne riflettevano il potere. Per questo Gesù si distanzia dal testo che cita: la somiglianza con Dio non è nel potere, ma nell'amore. •





35 • Se chiamò dèi coloro cui Dio rivolse la sua parola - e questo passo non lo si può sopprimere- "· Con questa frase Gv ricorda quanto detto nel prologo: e la Parola si 452

IO, ll-39. l dlrlgenll rifiutano Il Me01la

rivolge*I a Dio ( l , l ) . I destinatari del salmo avenno ricevuto da Dio un messaggio, parola o nomina momentanea, legata alle circostanze. Ma esiste un'altra Parola primordiale e pennanente, che al principio si rivolgeva a Dio e che si fece uomo (1. 14), la Parola prima e definitiva, espressione massima dell 'amore di Dio creatore. Questa Parola divina si è realizzata in Gesù. Se l'appellativo « dèi • si è potuto applicare a degli uomini, per essere stati oggetto di una comunicazione divina transito· ria, Gesù, in cui si realizza la Parola/progetto totale e primigenio di Dio, potrà ben applicare a maggior ragione a sé questo stesso titolo

(l. 18).

• di me, che il Padre consacrò e inviò al mondo, voi dite che bestemmio pe1· avere io detto: " Sono Figlio di Dio? " » .

36

Sulle premesse stabilite in precedenza, Gesù costruisce la sua argo­ mentazione. Egli non è uno dei tanti cui Dio ha rivolto la sua parola. 1!. colui che il Padre consacrò e inviò al mondo. La consacrazione, effet­ tuata con lo Spirito che discese e rimase su Gesù (1, 32), era i n funzione della missione. Lo Spirito ricevuto con pienezza l o costituì Figlio di Dio, secondo la dichiarazione del testimone, Giovanni Battista (l, 34). Questa fu la sua unzione (cfr. Sal 2, 2.6.7), la sua consacrazione messianica (cfr. 6, 69). A causa di tale consacrazione è lui a consacrare con lo Spirito ( l , 33: è lui che battezzerà con Spirito Santo; cfr. 17, 17 Lett.). è quello le cui opere rispondono al dinamismo dello Spirito. Gesù risponde indirettamente alla domanda iniziale: se sei tu il Messia diccelo apertamente (10, 24) . Il dialogo è collocato nel contesto della dedicazione/consacrazione del tempio; dichiarando di essere lui il con­ sacrato dal Padre, Gesù sta affermando di prendere il posto del tempio. La comunicazione dello Spirito, vita-amore di Dio, è la comunicazione della gloria del Padre ( 1 , 14). Gesù è pertanto la Tenda dell'Incontro (ibid.), il Santuario dove splende la gloria e sostituisce quello antico (2, 19.2 1 ) . La consacrazione con lo Spirito ( 1 , 32; cfr. 6. 27) riassume e realizza in Gesù tutti gli antichi simboli di Israele, che cercavano soltanto di esprimere la presenza permanente di Dio nel suo popolo. Tuttavia, la somiglianza data dallo Spirito non è quella del potere, come supponeva il testo del salmo (10, 34) . ma quella dell'amore. Lo Spirito è l'attività dell'amore creatore. In esso è l'uguaglianza e l'unità fra Gesù e il Padre (10, 3 0) . • Se non realizzo le opere di mio Padre non credetemi; se però le realizzo, anche se non credete a me, credete alle opere ».

37-38a

Sfida finale di Gesù ai dirigenti. La qualità dell'uomo si prova da quella delle sue opere. Egli dice di essere l'inviato del Padre e il Figlio di Dio, e lo dimostra con le opere che compie. La frase di Gesù li condanna indirettamente. Essi, i bugiardi e assassini (8, 44; cfr. IO, 1 .8.10), non possono in alcun modo rappresentare Dio. Hanno credenziali giuridiche, ma queste per Gesù non contano. A testimoniare la sua missione divina non sono neppure le sue parole (non credetemi), ma soltanto le opere che realizza.

453

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

38b « cosi saprett rma volta per tutte che il Padre è in me e io nel Padre ». Dalle opere devono dedurre l'unità fra Gesù e il Padre (cfr. 8, 46); entrambi hanno Io stesso obiettivo: dare vita all'uomo. Come è apparso al principio dell'episodio, Gesù non accetta di essere riconosciuto come Messia senza che questo porti all'impegno con lui e con il Padre. Non accetta una discussione teorica sul proprio messianismo. Se rico­ noscono che la sua è l'attività di Dio - il che implica porsi a favore dell'uomo - egli è indiscutibilmente il Messia. Se invece, per il fatto di essere oppressori, non vogliono riconoscere che la sua è l'attività di Dio, la discussione non condurrebbe a nulla. Non c'è fede in Gesù se non preceduta dall'opzione a favore dell'uomo.

Tentativo di arrestare Gesù 39 Allora tentarono un'altra volta di catturarlo, ma egli sfuggi alle loro mani. Non rispondono più, perché egli ha messo a nudo le loro vere motiva­ zioni, e non hanno risposta. Come al loro solito (un'altra volta cfr. 7, 30; 8, 20.59), fanno appello alla violenza, ma Gesù sfugge loro. Gesù esce definitivamente dal tempio, la cittadella del sistema giudaico che rifiuta il Messia in modo irrevocabile. Non tornerà più a trattare con i dirigenti, finché non giungerà la sua ora, quando lo arresteranno per ucciderlo (18, l ss). Gesù esce per andarsene al di là del Giordano, la nuova tappa del suo esodo.

SINTESI In quest'episodio, durante l'interrogatorio ufficiale, Gesù definisce la sua condizione di Messia. Ma invece d i applicare a se stesso tale titolo, si descrive come il Figlio di Dio, vale a dire come il Consacrato dal Padre, per mezzo dello Spirito, per una missione salvifica. Questa consacrazione conferisce un dinamismo, che è la stessa forza di Dio. Ne consegue che le sue credenziali non sono giuridiche, ma nascoQo dalla sua attività, uguale a quella del Padre. Le opere di Gesù, che realizzano il piano creatore, sono quelle del Padre, il cui amore comunica vita al l'uomo. Non insegna dottrine su Dio: mostra chi è attraverso la sua stessa azione. Si confrontano con lui in questa scena, i dirigenti giudei, che a parole rispettano Dio, mentre nella condotta sono oppressori dell'uomo. Sullo sfondo si oppongono due serie concatenate di realtà: vita (Dio), la cui attività, l'amore, produce vita; morte, la cui attività, l'odio. produce morte (8, 44: omicida). t!. l'opposizione fra Dio e « il Nemico • (8, 44 ), che si identifica con il potere del denaro (8, 20). ·

454

Gv 10, 40-42: Gesù, al dJ là del Giordano .a Si recò, questa volta, all'altro Iato del Giordano, nel luogo dove Giovanni era stato a battezzare al principio, e rimase lì. 41 Accorsero d a lu i molti, e dicevano: - Giovanni non compì alcun segno, ma tutto ciò che Giovanni d is se di costui era vero. 4 2 E mol t i , in quel luogo, gli diedero la loro adesione.

NOTE FILOLOGICHE I O, 40 questa volta, gr. palin. Come in 4, 54, dove pa/in rimandava al se­ gno di Cana (2, I l ) senza indicare semplice ripetizione (cfr. 4, 54 nota), qui rimanda alla traversata del mare (6, l : ap<hen ... peran tes thalass�s; 10, 40: apélthen palin peran tou Jordanou). dato che la frase apelthen peran appare soltanto in questi due passi. Il significato anaforico d i palin, indicando somiglianza o parallelismo di azioni non identiche, si esprime in it. in diversi modi: ancora, questa volta, che suppongono la volta pre­ cedente. - rimase lì gr. kai emeinen ekei. Aor. ingr. connot. stato successivo. Nel cap. l, il verbo men6 è stato applicato alla permanenza dello Spirito su Gesù (l, 32J3), al luogo della sua residenza (1, 38J9) e alla permanenza dei discepoli con lui (l, 39).

CONTENUTO Questa breve pericope è in intima relazione con quanto la precede. In questo secondo ciclo (4, 460-1 1, 54) del giorno del Messia, Gesù ha visitato Gerusalemme due volte. Nella prima (5, 1ss) effettuò la guarigione del­ l'invalido, e alla controversia con i dirigenti, che lo rifiutavano, fece seguito la prima tappa del suo esodo al di fuori dell'istituzione giudaica, simboleg­ giato dalla trnversata del mare di Galilea, che ricordava quella del Mar Rosso (6, l ss). Alla seconda visita (7, 10), che, dopo una lunga attività di Gesù, ha reso definitiva la rottura dell'istituzione non soltanto con lui, ma anche con chi aderisce a lui (9, 34b), Gesù effettua la seconda t!lppa del suo esodo, la trnversata del Giordano, che ricorda quella di Giosuè con il popolo per entrnre nella terra promessa (Gs 3-4). Gesù, che ha dato forza, libertà e vista al popolo, personificato nell'invalido e nel cieco, colloca la sua comunità, nuova terra promessa, al di fuori del paese giudaico che lo rifiuta. La pericope è anche in stretta relazione con quella successiva. Il luogo dove Gesù si stabilisce, dove Giovanni battezzava al principio, si chiama Betania. Betania si chiamerà anche il villaggio di Lazzaro. Questi appartie­ ne, pertanto, alla comunità di Gesù.

4SS

Il g!omo del Messia. Ciclo dell'uomo

LETIU RA IO, 40a

Si recò, questa volta, all'altro lato del Giordano.

Come si è detto spiegando il contenuto, Gesù, dopo il rifiuto definitivo da parte dell'istituzione giudaica, effettua la seconda tappa del suo esodo, simboleggiando l'entrata nella terra promessa. Questa rappresen­ ta la sua propria comunità, il luogo della vita piena (5, 24b; 6, 21 Lett.; 1 0, 9. 10b). Tuttavia, attraversa il fiume in senso contrario a quello di Giosuè, uscendo dai confini di Israele, poiché quella che fu terra promessa si è trasformata in terra di schiavitù {6, l Lett.).

nel luogo dove Giovanni era stato a battezzare al principio, e rimase li.

40b

Questo luogo si chiamava Betania (1, 28). Il passo illumina il contenuto dell 'annuncio di Giovanni e il significato del suo battesimo con acqua. S i tuandosi al di là del Giordano, Giovanni annunciava la comunità messianica. Esercitava la sua attività al limite dell'esodo di Gesù per chiedere adesione alla realtà che si avvicinava. La sua localizzazione significava pertanto un allontanamento dall'istituzione giudaica e un'e­ sortazione a rompere con essa. Furono la sua presenza e attività in quel luogo a motivare l'interrogatorio cui fu sottoposto { 1 , 1 9ss). � l'ultima menzione di Giovanni nel vangelo. Si chiude un arco e si torna al luogo dei primi avvenimenti. Gesù rimase lì. Si risponde alla domanda dei due discepoli : maestro, dove vivi? ( 1 , 38s). Gesù, che non appartiene a quello stato di cose (8, 23), risiede fuori dell'istituzione giudaica, creando il luogo dello Spirito (cfr. nota). La frase: e da quel giorno rimasero a vivere con lui ( 1 , 39) significava che i discepoli entrarono a far parte della sua comunità, che optarono per Gesù separandosi dal loro passato. Dove sta i) pastore, lì sta il gregge {10, 16) . 41a

Accorsero da lui molti.

Se nella prima tappa dell'esodo fu una molti tudine ad accorrere da Gesù (6, 5 ) , qui, nella seconda tappa, quelli che accorrono sono indivi· dualizzati (molti) ; l'esodo di Gesù comincia a essere realtà; la nuova comunità comincia a esistere. Sono quelli che egli ha fatto uscire dall'i­ stituzione; egli va avanti ed essi lo seguono, perché conoscono Ja · sua voce {10, 4), che è il suo messaggio di vita. Hanno optato per lui davanti a coloro che lo perseguitano a morte. 4 1 b e dicevar10: • Giovanni non compl alcun segno, ma tutto ciò che Giovanni disse di costui era vero •. Si torna a insistere sul ruolo di Giovanni, precursore del Messia. La sua attività fu una testimonianza; non fece segni perché non era lui il realizzatore della speranza, ma solo il suo annunciatore. � Gesù colui che può appellarsi alla realtà delle sue opere. Giovanni era solo una voce ( 1 , 23), ma questa voce fu veritiera: Gesù ha compiuto pienamente 456

IO, 40-42. Gesù al di lll del Giordano

quello che Giovanni annunciava; egli doveva essere il portatore dello Spirito, che avrebbe tolto il peccato, la schiavitù del mondo, la sotto­ missione dell'umanità alla tenebra. Finora l'attività di Gesù ha mostrato la salvezza che egli propone, e ha attratto un popolo che non lo conosceva. L'attività che segue ( 1 1 , lss) descriverà la realizzazione del disegno di Dio in coloro che si sono già avvicinati a lui.

42

E molti, in quel luogo, gli diedero la loro adesione.

« In quel luogo » si oppone a Gerusalemme e al tempio, dove hanno voluto lapidai·� ( lO, 3 1 ) e catturare (10, 39) Gesù. Quelli che accorrono hanno visto nella sua attività quella del Padre e, in essa, la manifesta­ zione del suo amore fedele per l'uomo (2, I l). Riconoscono attraverso le sue opere la sua qualità di Messia (IO, 25) e gli danno la loro adesio· ne. Per dargliela devono varcare una frontiera. Già durante l'attività del Battista, Betania era un luogo che indicava rottura. Chi non varcherà la frontiera, non crederà.

SI NTESI Come espresso da Gv con differenti formulazioni, la comunità di Gesù, alternativa al mondo di oppressione e morte, non si confonde con questo, ha la sua frontiera, rappresentata simbolicamente dal Giordano. t:. la terra dove l'uomo gode di libertà e vita, nell'attività e nella donazio­ ne dell'amore agli altri. L'allontanamento di Gesù è simbolico, le sue comunità saranno in mezzo al mondo, ma senza appartenere a esso. Per credere in Gesù bisogna seguirlo nel suo esodo.

457

SESTA SEZIONE

LA VITA DEFINITIVA ( 1 1 , 1 -54)

LAZZARO. LA VITA CHE GE SÙ CONFERISCE

La sezione 1 1 , 1-54 è composta da un dittico le cui facce contrappongo­ no la vita che Gesù conferisce ( 1 1 , 1-45) e la sua condanna a morte da parte dei dirigenti giudei ( 1 1 , 46-54). Si chiude con l'uscita di Gesù e dei suoi discepoli dalla Giudea ( l i , 54). La prima parte, l'episodio della risurrezione di Lazzaro, vuole mostrare che la vita comunicata da Gesù ai suoi attraverso lo Spirito vince la morte e, pertanto, porta con sé la risurrezione. Si sviluppa in una comunità di discepoli che, pur avendo ricevuto la vita definitiva, non ne percepiscono ancora la qualità. Perciò sono angustiati dinanzi alla prospettiva della morte. Questa mancanza di percezione è in parallelo con una mancanza di comprensione del mes­ sianismo di Gesù; non si rendono conto della potenza del Messia, perché ancora legati alla mentalità deii'AT. Ciascuno dei tre personaggi che formano il gruppo i fratelli Lazzaro, Maria e Marta è tipo della comunità sotto diversi aspetti. L'infermità di Lazzaro è dovuta alla sua condizione umana, che porta con sé la morte fisica, ma è circondata dalla paura della morte; questo timore è la massima schiavitù dell'uomo, e la radice di ogni altra schiavitù da cui Gesù viene a liberare. Per questo Lazzaro viene chiamato • un infermo • come sintesi e caso limite di tutti quelli che sono apparsi in questo ciclo, a partire dal figlio del funzionario (4, 46bss; 5, 1ss; 6, 2). In Lazzaro si manifesta la pienezza dell'opera di Gesù nei confronti del­ l'umanità inferma, mostrando fino a che punto è potente la vita che egli comunica: questa, in quanto definitiva, supera la morte fisica ed è perciò essa stessa la risurrezione. Un'altra connessione con la narrazione precedente appare nell'atteggia· mento di Gesù, il pastore modello, che non teme di esporsi al pericolo per provvedere alla necessità dei suoi ( I l , 7s) . I I suo gesto lo porterà alla soglia della • sua ora •, cui si collega (12, 1 ss). In essa il pastore darà la vita per le sue pecore. La seconda faccia del dittico ( 1 1 , 47-53) presenta la reazione delle supreme autorità giudaiche, che condannano a morte Gesù, il datore di vita. Il conflitto iniziato apertamente al principio di questo ciclo (5, 16.18) giunge così alla sua crisi. L'attività di Gesù è insopportabile per l'istituzione, che vede in essa un pericolo e una minaccia per i propri interessi. Si delimitano così i campi e prende forma il dilemma che si presenta dinanzi al popolo: Gesù ha concluso la sua attività come datore di vita; -

-

458

Il, 1-17. Il Umore deUa morte

le autorita, cond a nnandolo, manifestano chiaramente la loro vera con­ dizione di agenti di morte. Il Messia e l'istituzione sono incompatibili. Il popolo dovrà adesso optare tra l'uno e l'altra: • l'ora » del Messia, che sta per cominciare, sarà quella della decisione. La sezione termina con la nuova uscita di Gesù dalla Giudea, uscita che annuncia l'area dell 'espansione delle sue future comunità ( 1 1 , 54).

Gv 1 1 , 1-17: Gesù e i discepoli: il timore della morte 1 C'era un infermo, Lazzaro, di Betania, del vjllaggio di Maria e di Marta sua sorella. 2 (Maria era quella che unse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i capelli, e suo fratello Lazzaro era infermo).

l Le sorelle mandarono a dire a Gesù: - Signore, guarda che il tuo amico è infermo. 4 Udendo ciò, Gesù disse: - Questa infermità non è per la morte, ma per la gloria di Dio; cosi si manifesterà per suo mezzo la gloria del Figlio di Dio. l Gesù voleva bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. 6 Venuto a sapere che era infermo, si trattenne, malgrado ciò, due giorni nel luogo dove si trovava. 7 Poi, dopo ciò, disse ai discepoli: - Andiamo un'altra volta in Giudea. 1 I discepoli gli dissero: - Maestro, poco fa i giudei ti volevano lapidare, e vai là un'altra volta? 9 Gesù replicò: - Di giorno, non ci sono dodici ore? Se uno cammina di giorno non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 1 0 invece se uno cammina di notte inciampa, perché gli manca la luce. 1 1 Disse ciò, e quindi aggiunse: - Lazzaro, il nostro anùco, si è addormentato, ma vado a destarlo. 12 I discepoli gli dissero: - Signore, se si è addormentato, si salverà. 1 3 (Gesù aveva detto questo riferendosi alla morte di lui, ma essi pensarono che parlasse del sonno naturale). 1 4 Allora Gesù disse loro apertamente: - Lazzaro è morto, 15 e mi rallegro per voi di non essere stato ll, perché possiate credere. Su, andiamo da lui. 1 6 Allora Tommaso, che vuoi dire Gemello, disse ai suoi compagni: - Andiamo anche noi a morire con lui. ·

1 7 Giungendo, Gesù lo trovò che stava già da quattro giorni nel sepol­ cro.

459

Il giorno del Meo1la. Ciclo dell'uomo

NOTE FILOLOGICHE I l , l C'era un infermo, ecc. Sebbene l a traduzione debba necessariamente essere diversa, il testo è costruito in perfetto parallelo con l, 44: ln de ho Philippos apo Béthsaida, ek tés poleos Andreou kai Petrou (che erano fratelli, cfr. l, 41); 1 1 , 1 : én de tis asthenon, Lazaros, apo Béthanias, ek tés komés, Marias kai Marthas, tls adelphés autes. Questo secondo parallelo spiega, in primo luogo, la stranezza della costruzione e, in secondo luogo, perché non si dica fin dal principio che Lazzaro abitava a Betania ed era fratello di Maria e Marta. L'intenzione del parallelismo è rendere Lazzaro destinatario dell'invito di Gesù: seguimi (l, 43). Lazzaro, come Filippo, ha ricevuto la chiamata, è discepolo. Dopo il periodo di attività nei confronti dell'uomo in generale, Gesù sta per mostrare la sua opera nei confronti di quanti gli danno la loro adesione rispondendo alla sua chiamata. L'episodio di Lazzaro, che si inserisce nel giorno del Messia, continua d'altra parte il passo di l, 43-51 e anticipa l'ora del Messia, l'ultimo giorno, quando di fatto ci sarà la risur­ rezione (6, 39 Lett.). - infermo, gr. asthenon. Cfr. 4, 46b; 5, 3.7.1 3 ; 6, 2 (retrospettivo). Appare an­ cora in 1 1 , 12J.6; astheneia in 5, 5 e 11, 4. Si chiude in questo episodio l'azione di Gesù verso gli infermi/deboli, cominciata programmaticamente in 4, 46b. D'altra parte, la definitività dello stato di Lazzaro (morte) lo ren­ de simile al cieco dalla nascita. Quest'episodio spiegherà pertanto l'intero contenuto dell'opera di Gesù verso l'uomo. Asthenon non appare mai come predicato verbale (era infermo), soltanto come part. aggett. sostantivato

(un infermo). - sua sorella, gr. tés ade!phés autés. Il termine

• fratello • si applica nel vangelo, prima della risurrezione, alla coppia di discepoli Andrea e Pietro ( 1 , 40.4 1 ; 6, 8), a Maria, Marta e Lazzaro (1 1 , 1 2J.4.1921 2328J2J9), alla ma· dre di Gesù e a sua sorella (19, 25). Esiste, d'altra parte, il gruppo dei • fra· telli di Gesù (suoi parentr) che gli sono ostili (2, 12; 7, 35.10) e apparten­ gono al « monda • malvagio (7, 7). Dopo la risurrezione, Gesù chiamerà i suoi discepoli • fratelli • (20, 17) e tale appellativo sarà quello ordinario tra i membri della comunità cristiana (2 1 , 23). Il termine connota pertanto l'uguaglianza e l'amore mutuo propri dei discepoli di Gesù, che formano la nuova comunità, distinta e opposta a quella antica (i fratelli/i parenti di Gesù • ) . •



2

(Maria ... ). Gr. de parentetico, cfr. 6, 2.

mandarono a dire a Gesù, gr. ap�steilan ... pros auton !egousai. Il sema di dizione contenuto nel part. gr. vrene reso con una frase idiomatica it. (per evitare ambiguità si traduce il pron. auton con il nome proprio Gesù. N.d.T.). - il tuo amico, gr. hon plrileis. Forma nominale in luogo della verbale (cfr. I l , I l : ho philos hém6n).

"'

·

4 cosi, gr. hina. Consecutivo. La gloria di Dio si manifesta sempre attra· verso il Figlio, cfr. 13, 31s; 17, 1 . - s i manifesterà ... la gloriil, gr. dom.sthé. Aor. manifestativo, cfr. 7 , 39 nota ed El Aspecto V erbai, n. 186. La gloria del Figlio è quella del Padre ( 1 , 14) e sarà visibile (11, 40). Si tratta quindi di una manifestazione, che pone quest'episodio in relazione con 2, I l : ephanerosen tén do.uzn autou e con la morte di Gesù (12, 23: hl. h6ra hina dom.sthé; cfr. 7, 39: oudep6 edoxasthé). 6

460

malgrado ciò, gr. tote. In opposizione a h6s oun ékousen acquista un si·

11, 1-17. Il timore della morte

gnificato avversativo-concessivo. La particella oun cede, dopo l'inciso del v. 5.

collega a quanto pre­

7

disse. Gr. pres. st. Le quattro menzioni dei

• discepoli • in questo episodio ( 1 1 , 7.8.12.54) man­ cano di possessivo (gr. autou). l:: praticamente il primo caso in Gv, dato che finora si è incontrato il termine senza possessivo soltanto in 4, l (pre­ dicato senza art.) e in 4, 31.33; anaforico di 4, 27 (suoi disc.)- Con possessivo: 2, 2JIJ2J 7.22; 3, 22; 4, 2.827; 6, 3.8J2.16.22[bis]-60.6L66; 7, 3 (tuoi); 8, 31 (miei); 9, 2 (9, 27-28, predicato, sulla bocca del cieco c dei giudei). L'omissione è, pertanto, intenzionale. Significa che il circolo di discepoli è più vasto di quelli che l'interpellano; vale a dire, che Lazzaro e le sue sorelle sono anch'essi discepoli.

8

poco fa, gr. rum. Di passato molto recente.

10 gli manca la luce, gr. to phos ouk estin en auto. Il pron. auto sostitui­ sce il soggetto della propos. principale (tis). La trad. ammette il significato di una luce interiore. 1 1 quindi a ggiunse, gr. meta touto /egei. In paralL con 1 1 , 7; verbo al pres. st. speci[icato dal contesto. si salverà, gr. s6thésetai. Cfr. 3, 1 7, in parall. con avere vita definitiva • (3, 16); in oppos. a • giudicare morte: 3, 17; 12, 47).

12







i 13

(Gesù ... ). Gr.

non perdersi • e con ( = dare sentenza di

de parentetico; cfr. 6, 2; 1 1 , 2.

15 possiate credere, gr. pisteusete. Aor. ingressivo di stato, in propos. finale (posteriorità). Cfr. El Aspecto Verbal, n. 77.144.148. - Su, gr. alla. Esortativo; cfr. Mt 9, 18; Mc 9, 22; At 10, 20. - andiamo da lui, gr. agom en pros auton. Il termine del movimento è una persona, Lazzaro. 16 che vuoi dire, gr. ho legomenos. Indica la traduzione del termine in greco, cfr. 4, 25. compagni, gr. summathetais. Condiscepoli, che in it. si usa più che altro per gli studenti.

CONTEN UTO E DIVISIONE La pericope vuole sottolineare la preoccupazione davanti alla morte e la

fede incompleta dei discepoli che non hanno ancora compreso la qualità di vita che Gesù comunica. Entrambe si rivelano tanto davanti all'infermità di un membro del gruppo, Lazzaro, quanto nel timore di arrischiare la vita da parte degli altri discepoli. Non comprendono che la morte non inter­ rompe la vita definitiva. La pericope comincia presentando i personaggi e la situazione di Lazzaro ( 1 1 , 1-2). In seguito si narra il messaggio inviato a Gesù, il commento di quest'ultimo e il suo indugio malgrado l'amicizia che l'univa al gruppo (Il, �). Dopo due giorni Gesù decide di andare in Giudea; questo suscita un'obiezione da parte dei discepoli, alla quale Gesù risponde (Il, 7-10). Fi-

461

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

nalmente, li informa della morte di Lazz aro e li invita ad andare con lui; Tommaso reagisce con un'adesione pessimistica ( 1 1 , 1 1-16). La pericope si conclude con l'arrivo a Betania e la constatazione della morte di Laz­ zaro ( 1 1 , 17). Riassumendo: I l , 1-2: Personaggi e situazione. 1 1 , 3-6: Ambasciata a Gesù, suo commento e indugio. 1 1 , 7-16: Decisione di Gesù e timore dei discepoli. 1 1 , 17: Arrivo a Betania.

LETIURA Personaggi e situazione 1 1 , l C'era urt infermo, Lazz.aro, di Beta11ia, del villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Con l'episodio di Lazzaro, formulato in questo modo, Gv si collega alla narrazione di l , 43ss (cfr. nota), in cui dopo l'invito a seguirlo rivolto da Gesù a Filippo, si aggiunge: Era Filippo di Betsaida, del paese di Andrea e Pietro. L'episodio di Lazzaro mostrerà pertanto l'azione di Gesù nei confronti di coloro che lo seguono, la comunicazione di una vita che vince la morte (8, 5 1 ) . Lì ebbe luogo la chiamata, qui si descriverà il risultato dell'opera di Gesù in quanti rispondono. Sta per realizzarsi quanto detto da Gesù a Natanaele: cose più grandi vedrai { 1 , 50). Lazzaro infermo riassume e personifica da una parte tutti gli infermi presentati finora, cominciando dal figlio del funzionario, che era sul punto di morire (4, 46b, cfr. 1 1 , 1 nota). L'infermità di Lazzaro rappre­ senta la minaccia della morte fisica, dalla quale il di-scepolo non è esente. Viene descritta la situazione. Dei tre personaggi menzionati, Maria occupa il centro. t; una figura più conosciuta di quella di Lazzaro ; si puntualizza che Betania era il suo villaggio; Marta viene messa in relazione con Maria in quanto sorella. Per il momento, di Lazzaro si afferma soltanto che è dello stesso villaggio, anche se presto si dirà che era suo fratello { l i , 2). I tre personaggi formano pertanto un . gruppo omogeneo, sono tutti fratelli e dello stesso paese. Non si dice che Lazzaro fosse fratello di Maria e Marta, per stabilire il parallelismo con l, 44, dove Filippo è presentato soltanto come conter­ raneo di Andrea e Pietro. L'autore vuoi mostrare che Lazzaro, come Filippo, è discepolo di Gesù. :1!. la prima volta che un infermo ha nome proprio; il figlio del funzionario (4, 46b), l'invalido (5, 3ss) e il cieco (9, 1 ) sono stati perso­ naggi anonimi: nuovo tratto che caratterizza Lazzaro come già appar­ tenente alla comunità di Gesù, che l'ha chiamato con il suo nome per trarlo fuori dell'isti tuzione giudaica (cfr. 10, 3). La localizzazione « Betania » mette l 'episodio in relazione con que llo 462

I l, 1-17. Il Umore della morte

precedente, in cui Gesù si era · stabilito al di là del Giordano, nel luogo dove Giovanni era stato a battezzare al principio {10, 40). E quel luogo si chiamava Betania (1, 28). La coincidenza di nomi indica una topo­ grafia simbolica: Betania è la localizzazione della comunità creata da Gesù. Marta era sorella di Maria. • Fratello D è uno dei modi di chiamarsi fra i discepoli (cfr. nota), e indica, come già il luogo (Betania), l'apparte­ nenza di Marta alla comunità di Gesù e la relazione di amore e di uguaglianza vigente fra i suoi membri. Un altro modo di chiamarsi sarà c amico » (cfr. 1 1 , 1 1 ) . 2 a (Maria era quella che unse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i capelli ... Maria è un personaggio conosciuto dai lettori per via dell'omaggio che rese a Gesù. Si anticipa la scena di 12, 1-3 dove si descrivono le stesse azioni quasi con gli stessi termini, soltanto che nel capitolo 12 si dirà che essa unse di profumo i piedi di Gesù, mentre qui l'unzione ha come termine la persona di lui. L'unzione con profumo, simbolo di vita c amore, indica l'amore della comunità per Gesù, che le ha dato la vita; la menzione dei capelli, d'altro canto, significa l'amore che lega Gesù alla sua comunità ( 1 2, 3 Lett.). Si indicano qui brevemente le relazioni di intimità e affetto che esistono fra Gesù e i suoi, e che nascono dal dono della vita e dalla gratitudine che i discepoli sperimentano. In 12, 1-3, la descrizione sarà più dettagliata. 2b

. . . e suo fratello Llluaro era infermo).

Maria torna a essere al centro: come Marta era « sua sorella •. Lazzaro è • suo fratello ». Si sottolinea il carattere inclusivo della figura di Maria in quanto comunità. Sulla parentela carnale fra i tre personaggi, prevale cosi la comune appartenenza alla comunità di Gesù, segnalata già fin dal principio (Il, 1 : di Betania). Il vincolo di amore, implicito in • fratello D, sarà fondato sull'amore che Gesù ha per loro ( I l , 5).

Ambasciata a Gesù, suo commento 3 Le sorelle mandarono a dire a Gesù: amico è infermo •·



e

indugio

Signore, guarda che il tuo

Si fa menzione delle sorelle senza riferirne i nomi e senza aggiungere il possessivo (• sue sorelle •); vengono così elevate a categoria significati­ va della comunità di Gesù, che mostra l'interesse di lui per ciascuno dei suoi membri. I n questo contesto di amore fraterno si eserciterà l'azione di Gesù. Non c'è petizione esplicita; si limitano a informarlo (cfr. 2, 3). La comunità si rivolge a lui con il titolo di « Signore ». Ha piena fiducia in lui, perché conosce il suo amore e sa che non può tralasciare di soccorrere nella necessità. Non menzionano il nome del fratello, soltan­ to ricordano a Gesù la relazione che l'unisce a lui (il tuo amico/colui 463

II giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

cui vuoi bene). I I vincolo di Gesù con ciascuno dei suoi viene descritto come una relazione di affetto e amicizia (cfr. 1 1 , 1 1 ; 1 5, 14s). L'infermità che Io porta alla morte non è dovuta a mancanza di amore di Gesù. 4 Udendo ciò, Gesù disse: • Questa infermità non è per la morte, ma per la gloria di Dio; così si manifesterà per suo mezzo la gloria del Figlio di Dio • · ·

Gesù commenta la notizia ricevuta. Questa infermità, trattandosi di uno che ha dato la sua adesione a Gesù, non ha come termine la morte. L'incontro con Gesù cambia la situazione e il futuro dell'uomo. Egli intende che c'è un'altra infermità che conduce alla morte, esemplificata in quella del paralitico (5, 5), e causata dal peccato: la sottomissione alla Legge di un sistema ingiusto. Di qui la severa avvertenza che, dopo la guarigione, Gesù gli rivolge incentrandolo nel tempio: non peccare p iù (peccato = sottomissione), non avesse a succederti qualcosa di peggio, la morte (5, 14 Lett.). « Morte » significa cessazione di vita, prodotta dal c peccato • (8, 21). Per quanti sono usciti dal peccato, hanno cioè dato la loro adesione a Gesù, la vita non cesserà più, perché egli comunica vita definitiva. Questa, una volta ricevuta, manifesterà la gloria di Dio e quella del Figlio di Dio, presenza di Dio fra gli uomini. La menzione della manifestazione della gloria-amore (cfr. nota) allude alla scena di Cana (2, I l ), dove per la prima volta Gesù manifestò la sua gloria. I I frutto dell'amore, che egli prometteva per « la sua ora • (2, 4), viene anticipato con la risurrezione di Lazzaro. Come tutti i segni che Gesù realizza (2, 1 1 Lett.), anche questo anticipa gli effetti della sua morte (10, 1 8) per dare vita ai suoi. Sarà allora, l'ultimo giorno (6, 39; 7, 37 Lett.). che Gesù, comunicando lo Spirito ( 1 9, 30.34). darà a chi aderisca a lui la vita e la risurrezione. La frase tuttavia (ques ta infermità. non è per la morte), poteva essere male interpretata: i discepoli possono pensare che Lazzaro non sia i n pericolo di morte. 5

Gesù voleva bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro.

In questo versetto viene descritto il rapporto di Gesù con il gruppo dei fratelli. Le sorelle avevano affermato l'amore di Gesù per l'infermo (I l , 3 ) , e si era parlato della dimostrazione di affetto di Maria verso Gesù ( I l , 2). Ora, mettendo assieme i tre, si sottolinea ancora una volta il vincolo di Gesù nei loro confronti. Nell'enumerazione tuttavia si omette il nome di Maria, nominato prece­ dentemente prima di sua sorella ( 1 1 , 1 .2); ora viene presentata come la sorella di Marta. Lazzaro, che occupava all'inizio il primo posto ( I l , 1 ) . viene ora messo all'ultimo. Il cambiamento di ordine e l'omissione del nome indicano l'unità del gruppo. Non esistono precedenze, l'uguaglianu. è tale che fa Io stesso cominciare dall'uno o dall'altro. Ciascuno dei personaggi è centrale nel gruppo a seconda dei momenti. Sono comuni· tà, e ciascuno ne rappresenta un aspetto. II gesto di Maria ( I l , 2). attribuito naturalmente a un personaggio femminile, esprimeva l'amore del gruppo per Gesù; Gesù corrisponde all'amore di ciascuno ( I l , 3) e a quello del gruppo ( I l , 5). 464

Il, 1-17. n timore della morte

Vi è una leggera differenza fra i verbi usati nel testo. Le sorelle hanno espresso l'amore di Gesù per Lazzaro in termini di amicizia, che indicano in primo luogo una relazione di affetto; invece, il verbo usato in questo versetto è " a mare • (tradotto « voler bene »), e indica un amorj! che si t raduce in attività e in comunicazione di vita (cfr. 14, 15). Gesù, pertanto, non soltanto è unito a i suoi d a un vincolo di affetto, ma da una attività di amore. 6 Venuto a sapere che era infermo, si trattenne, giomi 11el luogo dove si trovava.

malgrado

ciò, due

Il ritardo di Gesù è deliberato. Con la sua passività, lascia che il frutto

della morte si consumi. Egli non è venuto ad alterare il ciclo normale della vita fisica, liberando l'uomo dalla morte biologica, ma a dare a questa u n nuovo significato. Comunica una vita la cui potenza supera la morte stessa c ne annulla gli effetti. Cosi la morte cessa di essere motivo di timore.

Decisione di Gesù e timore dei discepoli Poi, dopo ciò, disse ai discepoli: dea ».

7



Andiamo

un'altra volta in Giu­

Gesù sceglie il suo momento, la sua azione si realizza quando lo decide lui. Il termine Giudea evoca l'opposizione a Gesù. Egli dovette abbandonare quella regione dinanzi al sospetto fariseo (4, 1 -3.47.54) ; dovette restarne lontano perché i dirigenti giudei cercavano di ucciderlo (7, 1 ) . La Giudea era sotto l'immediato controllo di Gerusalemme, dove Gesù ave\'a avuto l'ultimo incontro con i suoi avversari nel tempio ( 1 0, 22-39), dopo il quale si era ritirato in Transgiordania. Ora, tut tavia, decide di tornare là, per non abbandonare il suo amico. 8 l discepoli gli dissero: « Maestro, poco fa i giudei ti volevano lapidare, e vai là un'altra volta? •discepoli obiettano. Hanno paura per Gesù (cfr. 10, 3 1 .39), pensano che la sua morte sarà la fine di tutto e che debba essere evitata a ogni costo. Non riescono a comprenderlo. Vedono soltanto il pericolo non i l motivo né tanto meno il frutto di una morte accettata per amore. Non credono che Gesù disponga della sua vita ( 1 0 , 1 8 ) né che sia capace di vincere la morte. Vogliono proteggerlo dal pericolo, e al tempo stesso proteggere se stessi. 1

Gesù replicò: " Di giomo, no1z ci sono dodici ore? Se uno cammi­ na di giorno non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; invece se uno cammina di notte inciampa, perclzé gli manca la luce >>. 9- 1 0

Gesù risponde in primo luogo al timore dei discepoli. Le dodici ore del giorno rappresen tano il periodo della sua attività, la durata del giorno

465

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo • sesto •. che simbolicamente iniziò a Cana (2, l) e cui ha fatto allusione successivamente (8, 56: questo mio giorno) (cfr. Il Giorno Sesto, p. 1 29). La sua attività terminerà con la risurrezione di Lazzaro e la decisione di uccidere Gesù da parte delle autorità ( 1 1 , 54) ; allora avrà inizio " la sua ora •. l'ora finale del suo giorno, quando egli condurrà a termine la sua opera con il dono della sua vita. Finché dura il giorno, l'attività continua, e bisogna sfruttare l'occasione per realizzare le opere del Padre (9, 3s), senza paura del pericolo. Per la sua spiegazione Gesù si vale del ritmo naturale. Per l'uomo il periodo di attività è il giorno, mentre la notte non è adatta al lavoro a causa della mancanza di luce. « Il giorno » designa pertanto il tempo della sua vita, in cui egli realizza la sua opera. A questo livello d i linguaggio, la luce esprime l a possibilità di lavoro per Gesù, come la notte significherà la cessazione della sua attività (cfr. 1 3 , 30). La frase la luce di questo mondo non ha qui pertanto lo stesso significato di io sono la luce del mondo (8, 12) ; l'evangelista aggiunge il dimostrativo proprio per evitare il parallelismo. Tuttavia, dato che questo principio si applica anche ai discepoli, il paragone acquista un secondo significato. Per loro il tempo dell'attività richiede la presenza di Gesù, che è la loro luce; indirettamente pertanto il paragone ritorna al simbolismo della luce espresso in 8, 12 (21. 3 Lett.J.

1 1 Disse ciò, e quindi aggiunse: « Lazzaro, il nostro amico, si � addormentato, ma vado a destarlo » . Dopo aver tolto i motivi di timore, Gesù espone la ragione per andare in Giudea; informa i discepoli della morte di Lazzaro con un linguaggio ambiguo, anche se conosciuto; sulla sua bocca non è un semplice eufemi· smo, perché per lui la morte non è definitiva. Questo modo d i parlare era comune nelle comunità cristiane ( l Cor 7, 39; l I . 30; 15, 6.1 8.20.5 1 ; l Ts 4, 13; ecc.). • Amico », come • fratello •. era un modo usato dai cristiani per chia­ marsi tra loro, almeno nelle comunità giovannee (cfr. 3 Gv 1 5 : gli amici ti saluta110. Saluta gli amici uno a uno). Gesù designa Lazz aro come un membro del suo gruppo e, in continuità con le espressioni precedenti ( 1 1 , 3.5 ; cfr. 1 5 , 14s), indica qual è la relazione fra i discepoli e lui. Non stabilisce differenza: Gesù si considera membro della sua comunità di uguali (nostro amico). Queste parole indicano il motivo della sua andata in Giudea: non abbandonare l'amico. È i l pastore che sfida i l pericolo per amore dei suoi (IO, 1 2 ) . Gesù va a destare Lazzaro. È giunto il momento di mostrare fin dove giunge il disegno del Padre (6, 39s). 1 2- 1 3 I discepoli gli dissero: « Signore, se si è addormentato, si salve­ rà •· (Gesù aveva detto questo riferendosi alla morte di lui, ma essi pensarono che parlasse del sonno naturale). I discepoli, nel loro timore, trovano un pretesto per dissuadere Gesù dal suo proposito. È buon sintomo che un infermo possa dormire. Per loro • salvarsi » significa evitare la morte fisica. Gesù invece ha usato

Il, 1-17. Il timore della morte

questo verbo come sinonimo di quella che vince

la morte.

debole e peri tura; chi zione di

«

carne

»

è



avere vita definitiva ,. (cfr. nota), •

è il destino della

Quest'ultima

nato dallo Spirito

(3, 6)

carne ,,

ha superato la condi­

e ha ottenuto la vera salvezza:

la morte fisica non

I discepoli non hanno ancora compreso la

mette fine alla sua esistenza.

qualità di vita che Gesù comunica, continuano ad aggrapparsi all'antica concezione della morte. Di qui il loro timore del rischio che possono correre in Giudea. L'equivoco in cui i discepoli cadono

è

inoltre un espediente letterario,

che sottolinea l'interpretazione della morte come sonno, data da Ge­ sù.

14-15 Allora Gesù disse loro apertamente: • Lazzaro è morto, e mi rallegro per voi di non essere stato lì, perché possia te credere. Su, andiamo da lui » , Davanti all'incomprensione dei discepoli, Gesù chiarisce loro il signifi­ cato delle sue parole: Lazzaro è morto. Paradossalmente, unisce la

mi

notizia della morte a una manifestazione di gioia:

rallegro per

voi.

Mostra così che la morte non e definitiva, come aveva mostrato con la metafora del sonno; il paradosso morte-gioia annuncia la vittoria della vita; davanti a tale evidenza, i discepoli giungeranno a credere. È significativo che Gv, dopo aver affermato nell'episodio di Cana

(2, 1 1 )

che i discepoli diedero la loro adesione a Gesù, insista ora sul fatto che essi debbono giungere a credere. Di fatto non avevano raggiunto una fede

piena;

questa

sarà

possibile

soltanto

dopo

la

morte

di

Gesù,

quando si saranno rese visibili la pienezza del suo amore per l'uomo e

16, 30-32). La mancanza di fede è la La risurrezione di Lazzaro, che anticipa quella di

la vittoria definitiva della vita (cfr. causa del timore.

Gesù, mostrerà loro chiaramente il fondamento della fede: percepiran­ no tutta la portata dell'amore di Dio vedendo che la vita supera la morte. Gesù parla di

Lazzaro

come se fosse vivo

(su, andiamo da lui).

Non si

propone di andare a consolare le sorelle, ma di andare a incontrarsi con Lazzaro stesso.

1 6 Allora Tommaso, che vuoi dire Gemello, disse ai suoi compagni: Andiamo anche noi a morire con lui ».



Tommaso

è

(compagni/condiscepoli).

uno dei discepoli

Il fatto di offri­

re la traduzione del nome aramaico mostra che Gv attribuisce impor­ tanza al

suo

significato

e

invita

il

lettore a

importanza. I I è disposto a morire

darci

significato s i deduce dalla frase d i Tommaso, che con Gesù

(non come

Pietro,

che vorrà morire



per Gesù »,

13, 37).

Questo discepolo, disposto a seguire Gesù fino alla morte, rappresenta un altro aspetto della comunità, unita a Gesù e disposta a subire la sua stessa sorte: è l ' • altro » (gemello) di Gesù. Tommaso, tuttavia, pensa che la morte sia imminente; non si rende conto che le dodici ore del giorno non sono ancora terminate. D'altra parte, il suo orizzonte finisce con essa. Non avendo ancora l'esperienza della risurrezione, non cono­ sce la qualità di vita che Gesù possiede e comunica. Giunge al massimo

467

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

dell'adesione all'interno della sua prospettiva umana, e in essa si fermerà (cfr. 20, 25). finché Gesù non lo trarrà dalla sua ostinazione, facendogli toccare il suo trionfo sulla morte (20, 27ss). Non sa che Gesù non va semplicemente a morire, ma a consegnare liberamente la sua vita e, così, a recuperarla ( 1 0, 17-18 Lett.).

Arriz-·o a Betania 1 7 Giungendo, Gesù lo trovò che stava già da quattro giorni nel sepolcro. Si pensava che la morte fosse definitiva a partire dal terzo giorno, quando la decomposizione cominciava a cancellare i lineamenti del defunto 1 • Quando arriva Gesù, Lazzaro è definitivamente morto, nessu­ no può dubitarne. Tuttavia, secondo il valore simbolico della cifra « 4 • (totalità indeter­ minata, cfr. p. 229, nota 1 2 ) , la frase stava già da quattro giorni nel sepolcro sembra indicare la situazione in cui Gesù trova Lazzaro. Il sepolcro significa l'assenza di vita (per questo Gesù lo farà uscire da lì) ; i quattro giorni significherebbero la totalità del tempo passato: il sepolcro è stato il destino dell'umanità fin dal principio. La morte di Lazzaro è stata assimilata dai suoi alla morte di sempre, senza speran· za, secondo la condizione comune dell'umanità, da cui Gesù è venuto a trarre l'uomo. Questa interpretazione si vedrà confermata dal significa­ to della « grotta • ( 1 1 , 38b Lett.) e dalla ripetizione della cifra " 4 • in 1 1 , 39.

SI NTESI II gruppo di Gesù è una comunità di fratelli e am1c1 m cui vigano relazioni di affetto e in cui l'amore è attivo. L'affetto di Gesù, al pari di quello dei discepoli, deve affrontare il rischio per aiutare chi ne ha bisogno. La comunità cristiana, che vede ancora nella morte l'interru­ zione della vita, non ha raggiunto la pienezza della fede, non avendo com­ preso la qualità di vita che Gesù comunica. La paura dell'ostilità del mondo nasce appunto da questa mancanza di fede, che teme la morte. Gesù non elimina la morte fisica; ma, per chi ha ricevuto da lui- la vita. essa non è altro che un sonno.

l

S. - B.

468

II, 544.

Gv 1 1 , 18-27: Gesù e Marta: la risurrezione e la vita Il E ra Betania v1cma a Gerusalemme, a circa tre chilometri, 19 e molti giudei fedeli al regime erano andati da Marta e Maria, a far loro le condoglianze per il fratello. 20 Marta, avendo saputo che veniva Gesù, gli uscì i nco n t ro. (Maria stava seduta in casa).

21 D isse Mart a a Gesù: - Sig nore , se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto; 22 ma, ancora adesso, so che lutto ciò che chiederai a Dio, Dio le lo darà. 23 Gesù le disse: - Tuo fratello risusci terà. 2• Rispose Marta: - So bene che risusciterà nella risurrezione dell'ultimo giorno. 2 s Le disse Gesù: - Io sono la risurrezione e la vita; chi mi dà la sua adesione, quand'anche muoia, vivrà, " poiché chiunque vive e mi dà la sua adesione, non morirà mai. Credi questo ? 27 Essa gli rispose: - Sì, S i gno re , io credo fermamente che tu sei il Messia, il Figlio di Dio, quello che doveva venire nel mondo.

NOTE FI LOLOG I C H E 1 1 , 1 8 a circa tre chilometri. Letter. qualcosa come quindici stadi, misura equivalente a 600 piedi, variabile secondo le regioni, vale a dire fra 185 e 197 m. Il totale ammonta a poco meno di tre chilometri ; questa cifra, co­ me quella del testo, è approssimativa. 19 giudei fedeli al regime, gr. ioudaion. Non necessariamente d irigenti , ma fedeli cfr. l , 19 nota. ,

20

(Maria ... ).Gr. de parentetico, cfr. 1 1 , 2.13.

23 disse, gr. /egei. P res . st. Idem nei vv. 2411, dove inoltre è specificato dal contesto. - risusciterà, gr. anastesetai. Voce media intransitiva; levarsi, .risuscitare: Il, 2314.3 1; 20, 9. Per indicare l'agente esterno si usa la voce attiva: 6, 39.40.44.54. 26 poiché, gr. kai. Epesegetico, introduce il principio generale che spiega l'affermazione precedente. - chiunque vive, gr. pas ho zo n. Con riferimento alla vita che produce l'ade­ sione a lui (11, 25: zes eta i) ; e mi dà la sua adesione, gr. kai pisteuon eis eme, in parallelo con il part. precedente, indicando la continuità dell'ade­ sione. ' 27 credo f er mam en te, gr. pepisteuka. Pf. intensivo. Cfr. El Aspecto Verbal, n. 152. Come in 20, 29, il pf. denota il processo della fede di Marta.

469

Il pomo del Messia. Ciclo dell'uomo

CONTENUTO E DIVISIONE La

pericope espone la situazione della comunità rappresentata dai tre fra­

telli. E. un g ruppo di discepoli ancora legati all'istituzione e alla mentalità giudaica. Di qui nascono false concezioni circa la morte e la risu rrezione e circa l'opera del Messia. Nel suo dialogo con Marta, che personifica la comunità, Gesù dissipa tali credenze e fa conoscere il s i gni fica to della sua persona e missione, conducendo Marta/la comunità alla pienezza di fede propria del di sc epolo (cfr. 1 1 , 15). Comincia descrivendo la situazione di Betan ia , le circostanze che Gesù troverà al suo arrivo e la reazione di Marta (Il, IS-20). Prosegue con il dia · logo fra Marta e Gesù, la cui tematica morte-vita-risurrezione culmina nella professione di fede ( I l , 21-27). La pericope può essere divisa così:

I l , 18-20: S itua zi one . Arrivo di Gesù.

I l, 21-27: La fede nel Messia, Figlio di Dio.

LETIURA Situazione. Arrivo di Gesù I l , 18

Era Betania vicina a Gerusalemme, a circa tre chilometri.

Anche se il nome di Betania, come si è visto, raffigura la localizzazione della comunità di Gesù ( I l , l Lett.), questa Betania, vicina a Gerusa­ lemme, non si identifica con quella situata al di là del Giordano (10, 40: cfr . l , 28). Esiste quindi una comunità di discepoli, personi fi cata dai tre fra t ell i, che vive ancora all'interno della frontiera di Israele. La duplice localizzazione simboleggi a pertanto due situazioni nelle comunità cri­ stiane: quella di quanti hanno creduto, uscendo fuori dall'antica istitu­ zione, e quella di altri, che, avendo dato l'adesione a Gesù ed essendo pertanto discepoli, non hanno an c ora rotto con il loro passato giu deo . Si vede qui il motivo della connessione di questa pe ricope con quella di Fil i ppo e Natanaele ( 1 1 , 1 Lett.) . Filippo è la figura del discepolo chiamato direttamente da Gesù, senza aver ascoltato il messaggio del Battista. La descrizione che fa di Gesù come Messia lo assimila ali'AT:

colui che è stato descritto da Mosè nella Legge, e dai Profet_i, l'ab­ biamo trovato ( l , 45) . Q ue st 'ultimo plurale designava colo ro che, a­ vendo risposto alla chiamata di Gesù, conservavano la mentalità del passato, come nel caso di Marta. Gesù torna ad avvicinarsi alla capitale, anche se questa volta non vi entra. :E lì che la minaccia d i morte lo sovrasta (10, 3 1 .39). 19 e molti giudei fedeli al regime erano andati da Marta e Maria, a far loro le condoglianze per il fratello. I giudei presenti a Betania, per quanto non siano dirigenti, appartengo. no all'ordinamento nemico di Gesù, quello di coloro che Io vogliono 470

11, 18-27. Gesù e Marta

uccidere ( 1 1 , 8; cfr. 7, 1 ; 8, 59; IO, 3 1 .39) . Tuttavia danno prova di amici­ zia a questa comunità di discepoli : non hanno visto in loro una rottura simile a quella che compì Gesù. Si conferma il significato della duplice Betania. Mentre Gesù va a trovare Lazzaro ( 1 1 , 15) per destarlo ( 1 1 , 1 1 ). i giudei vanno a trovare l e due sorelle per mostrar loro solidarietà nella morte, per essi irrimediabile. Sono andati a consolare le sorelle, senza poter offrire loro nulla. Sarà Gesù a dar loro il vero conforto. Il fratello , senza il possessivo (loro). definisce Lazzaro come un membro della comunità cristiana ( 1 1 , 3: le sorelle).

Marta, avendo saputo che veniva Gesù, gli uscì incontro. (Maria stava seduta in casa).

20

Gesù sta giungendo, la sua venuta nella comunità è continua. Marta deve uscirgli incontro. Viene espresso qui in tennini di movimento lo stesso incontro che avrà luogo in termini di confessione: il percorso della fede di Marta. Risponde così al movimento di Gesù. L'incontro fra Gesù e i suoi è sempre la confluenza di due movimenti ( 1 , 38). Egli viene dai suoi ( 1 , I l }, ma ciascuno deve avvicinarsi a lui (6, 37). Maria, che non si rende conto dell 'arrivG di Gesù, rimane nella casa dove si esprime la solidarietà nella morte. Ll Gesù non può entrare. Maria è seduta: la morte di' Lazzaro, che per lei ha significato il termine della vita del fratello, la riduce all'inattività; questa idea della morte come distruzione paralizza la comunità e la fa rimanere nell'ambiente del dolore, mescolata a quanti non hanno . fede in Gesù.

La fede nel Messia, Figlio di Dio Disse Marta a Gesù: « Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto •·

21

Marta chiama Gesù • Signore • come quando gli avevano mandato a dire che il fratello era infermo ( 1 1 , 3); così il gruppo cristiano chiama Gesù. La frase che pronuncia mostra la sua pena e insinua un rimpro­ vero. Il dolore della morte si sarebbe potuto evitare. Dov'è Gesù regna la vita; suo fratello è morto a causa della sua assenza. L'avverbio qui si oppone nella narrazione al luogo in cuf Gesù rimase due giorni dopo aver saputo la notizia ( 1 1 , 6) . Marta giudica che Gesù sarebbe dovuto venire a Betania per evitare la morte di s:uo fratello. Come già Tommaso rispetto a Gesù e ai discepoli ( I l , 16), Marta crede che la morte di suo fratello ne abbia interrotto la vita; Gesù l'avrebbe dovuta evitare con la sua presenza, vale a dire, restituendogli la salute. Attendeva una guarigione, senza rendersi conto che la vita che Gesù ha loro comunicato ha guarito già il male radicale dell'uomo: la sua schiavitù alla morte. Marta non sa ancora cosa significa l'amore di Gesù ( 1 1 , 5). Senza di lui la morte è la rovina dell'uomo, la fine della sua esistenza; ma . per quanti egli ama, è soltanto un sonno ( 1 1 , 1 1).

471

Il giorno del Mesola. Ciclo dell'uomo

22 « ma, ancora adesso, so clJe tutto ciò che chiederai a Dio, Dio te lo darà ». la prima delle due cose che Marta sa (cfr. I l , 24), entrambe al di sotto del livello di fede proprio del discepolo. Non penetra la realtà di Gesù, lo vede come un mediatore infallibile davanti a Dio, senza comprendere che il Padre e Gesù sono una cosa sola ( I O, 30) e che le opere di Gesù sono quelle del Padre (IO, 32.37). Nelle parole di Marta si percepisce la speranza di un intervento taumaturgico di Gesù; come il funzionario, attende la salvezza dall'e­ sterno. Il profeta Eliseo aveva risuscitato un morto (2 Re 4, Sss) . Marta pensa che anche Gesù, col suo intervento, possa restituire la vita a un defunto. Non sa che il Padre ha affidato a Gesù tutti coloro che gli si avvicina­ no, perché Gesù stesso dia loro la vita definitiva t:: la risurrezione (6, 37-40). Questa non è un'eccezione in un caso particolare; è contenuta nella stessa vita che egli comunica. La salvezza che Gesù porta non si realizza con atti isolati, che non cambiano la condizione umana: consi­ ste in una trasformazione dal di dentro dell'uomo intero, che gli conferisce una qualità di vita che è indistruttibile. Marta non ha ancora compreso fin dove giunge l'amore del Padre per Gesù (3, 35: il Padre ama il Figlio e ha posto tutto nelle sue mani), né che i l Padre gli insegna a fare tutto ciò che fa lui (5, 20); come il Padre, così anche Gesù dispone della vita per comunicarla (5, 2 1 .26). E.

23

Gesr'l le disse:

«

Tuo fratello risusciterà ».

Gesù ri s ponde a Marta, restituendole la speranza. La morte di suo fratello non è definitiva. Contro quello che lei avrebbe desiderato, non le dice: • io risusciterò tuo fratello •, ma semplicemente « risusciterà •. senza promettere una sua azione personale. Questa frase sembra con­ trastare con quanto aveva detto Gesù esponendo i l disegno del Padre:

clJe chiunque riconosce il Figlio e gli dà la sua adesiorte abbia vira definitiva; e io lo risusciti l'ultimo giorno (6, 40). L'opposizione è solo apparente. L'identificazione dell'ultimo giorno con quello della sua morte (6, 39 Lett.), quando egli comunicherà vita definitiva con Io Sp irito, fa sì che la risurrezione non sia altro che la persistenza di tale vita e che, in realtà, non esiga alcuna azione speciale da parte di Gesù. La perennità della vita era stata data a Lazzaro con la vita stessa che lo Spirito dona.

24 Rispose Marta: tin1o giorno » .

c

So bene che risusciterà nella risurrezione dell'ul­

Marta interpreta le parole d i Gesù secondo la credenza farisea popola­ re. È certamente questa la consolazione che le hanno offerto quanti sono andati a trovarla. È la seconda cosa che Marta sa (cfr. I l , 22), ma nemmeno con essa giunge alla fede del discepolo. Le sue parole (so bene) tradiscono una delusione. Ciò che Gesù le dice, lo ha sentito molte volte. Essa sperava che egli pregasse Dio per suo fratello. confidando che Dio lo avrebbe esaudito ( I l , 22). Ora le sembra. che Gesù non lo farà, che la stia consolando con la frase che dicono tutti.

472

I l , 18-27. Gesù

e

Marta

L'ultimo giorno è lontano. Continua a pensare in categorie giudaiche, senza comprendere la novità di Gesù. 25a

Le disse Gesi1: « lo sono la risurrezione e la vita "·

Gesù non viene a prolungare la vita fisica che l'uomo possiede; non è un medico né un taumaturgo; viene a comunicare la vita che egli stesso possiede e della quale dispone (5, 26). Questa vita, che è la sua e che egli dà, annulla la morte nell 'uomo che la riceve. La vita comunicata all'uomo è Gesù stesso, essendo il suo stesso Spirito, la presenza di Gesù e del Padre in colui che lo accetta e si attiene al suo messaggio (14, 23) . Per questo la sua presenza nell'uomo crea una condizione definitiva. Nella frase di Gesù, il primo termine, la risurrezione, dipende dal secondo, la v ita. t:. la risurrezione perché è la vita ( 1 4, 6 Lett.). Risur­ rezione è un termine relativo, suppone uno stato precedente (ri-) di vita fisica. Rispetto ad esso, dinanzi al fenomeno visibile della morte natu­ rale, la vita ulteriore appare come un rinnovamento di vita. Tuttavia. rispetto alla vita che Gesù comunica, indica unicamente la sua conti­ nuità. La qualità che tale vita possiede fa sì che, incontrandosi >.

Il messaggio recato a Maria a bassa voce denota l'ostilità che regnava contro Gesù negli ambienti ufficiali, ai quali appartenevano, almeno come s i mpat izzanti , i giudei che erano andati a visitare le sorelle ( 1 1 , 19). Insinua al tempo stesso l'esistenza di comunità clandestine in ambienti nemici (cfr. 19, 38). Marta chiama sua sorella, ma in realtà non fa altro che trasmettere la chiamata di Gesù. Di fatto questi non le ha dato alcun messaggio per Maria, ma essa interpreta l'arrivo di Gesù come una chiamata per i 477

II giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

suoi. l.a venuta di Gesù nella comunità è una dimostrazione di amore che reclama una risposta. Marta, che ha incontrato Gesù (incontro dal doppio significato: locale e di fede piena) va a cercare la sorella, come Andrea cercò suo fratello Simon Pietro ( l , 4 1 ) , e Filippo Natanaele (1, 45) . Non va per farle conoscere Gesù, come nei due casi citati, dato che Maria lo conosce già, ma perché sa che Maria deve udire dalle labbra di Gesù ciò che essa ha udito. Per questo Marta lo chiama: • il Maestro >>. Nella comunità è Gesù a insegnare direttamente a tutti.

Essa, all'udire ciò, si alzò in fretta e si diresse dove stava lui. Gesù non era ancora entrato nel villaggio, si trovava sempre nel luogo dove Marta gli era andata i11contro.

29-30

Maria esce immediatamente perché riconosce la voce di Gesù, il pastore (IO, 3s), che la chiama, e risponde senza esitare. Questa voce la toglie all 'immobilità in cui si trovava ( 1 1 , 20), paralizzata dal dolore senza speranza. Essa, che era nella casa del dolore, si alza e la lascia. Gesù non entra ne lla casa del dolore. Egli non ha fatto le condoglianze a Marta, le ha assicurato che suo fratello resusciterà. Quella casa non è luogo adatto perché egli si riunisca con i suoi.

J l l giudei che stavano con Maria in casa, facendole le condoglianze, vedendo che si era alzata in fretta ed era uscita, la seguirono, pensando che andasse al sepolcro per piangervi. I visitatori interpretano la partenza di Maria come un nuovo impulso di dolore, come se il sepolcro la chiamasse. Aspettano soltanto il pianto, che esprime la coscienza della disgrazia. Maria invece è uscita in fretta per andare da Gesù. Farà lo stesso percorso di Marta (si diresse dove stava lui). I giudei escono dietro Maria; seguendo un discepolo, vanno, senza pensare, a incontrarsi con Gesù. L'intervento di quest'ultimo avverrà alla loro presenza. Quelli che sono solidali con la morte vedranno splendere la vita. Dinanzi a essa dovranno compiere la loro scelta ( I l , 45s).

32 Quando Maria giunse dove stava Gesù, al veder/o gli si gettò ai piedi, dicendogli: • Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sareb­ be morto ''· Il dolore di Maria è più espressivo di quello di Marta. Le parc;>le sono quasi identiche a quelle di sua sorella (cfr. testo greco), ma esprimono in primo luogo il ricordo di Lazzaro (cfr. nota) . Come quelle di Marta, costituiscono un implicito rimprovero a Gesù per non aver evitato la morte del fratello. La ripetizione, in stretto parallelismo, trasforma questa frase nel leitmotiv degli incontri. Gv sottolinea che non è missione di Gesù preservare i suoi dalla morte naturale. Gesù non le risponde. I l dolore per questa morte non può trovare altro conforto che la vita stessa. Al lamento di Marta aveva risposto con le parole di vita. In contrasto con le condoglianze dei giudei, solidarietà senza efficacia, Gesù non pronuncia parole di conforto né esorta alla rassegnazione. Chiamerà Lazzaro perché esca dal sepolcro.

47R

Il, 21-llla. Geaù

e

Maria

Il pianto

·'" '"'

33 Gesù allora, vedendo che lei piangeva e piangevano i giudei che l'accompagnavano, si controllò, reagì. Gesù contempla lo spettacolo di quelli che piangono rumorosamente; sono Maria, la sorella del defunto, e i visitatori che si erano riuniti con lei. Maria non ha ancora speranza. Il suo pianto viene equiparato a quello dei • giudei •, che non conoscono Gesù. Pur avendo creduto, non comprende le conseguenze della sua fede. Questa non dà soltanto la garanzia della vita futura, che anche i giudei attendevano. In tal caso, Gesù sarebbe stato un maestro in più. La sua azione sarebbe consistita nell 'offerta di una dottrina differente o superiore, che avrebbe però condotto alla stessa fine. Egli, invece, non offre un cammino diverso per giungere alla vita, ma una vita diversa, quella definitiva, che è la meta della creazione (14, 6 Lett.). Gesù si controlla; non vuole partecipare a questo genere di dolore. II suo si manifesterà dopo, ma con un altro tipo di pianto. Questo è il pianto sconsolato per l'inevitabilità e definitività di una morte senza speranza; tutt'al più con la speranza di una lontana risurrezione ( 1 1 , 24). L'espressione si controllò può avere un secondo significato, per l'ambi­ valenza dell'aggiunta greca (t6 pneumati), che può indicare semplice­ mente un atto interiore di volontà, o connotare Io • spirito • come opposto alla • carne ». I I pianto di Maria e dei giudei è proprio dell'uomo incompiuto (« la carne • ) , che si sente vinto dalla morte; Gesù, che ha Io Spirito, rifiuta di parteciparvi.

34 e domandò: vedilo, Signore • .



Dove l'avete posto? • · Gli risposero:



Vieni e

Gesù domanda il luogo del sepolcro, ed essi lo invitano ad andare a vederlo personalmente. Quest'ultima frase è identica a quella con cui Filippo i nvitò Natanaele a convincersi per esperienza della realtà di Gesù; qui invece invitano Gesù a constatare la realtà della morte. Si tratta di due movimenti contrari: quello dell'uomo che si avvicina a Gesù e quello di quest'ultimo che si avvicina all'uomo. Per la prima volta Gv presenta Gesù dinanzi alla cruda realtà della morte, destino dell 'uomo debole e infermo ( 1 1 , 1 ) . II movimento dell'uomo verso Gesù è la fede; quello di Gesù verso l'uomo, la vita. II Figliq di Dio mar.ifesterà la sua gloria, il suo amore per l'uomo ( 1 1 , 4). La condizione umana portava inesorabilmente alla morte. A questa morte tragica, fallimento e frustrazione, rispondono il pianto di Maria e quello dei giudei. La domanda di Gesù: dove l'avete posto?, mostra che sono loro ad aver collocato Lazzaro nel sepolcro senza speranza.

35-36 A Gesù sgorgarono le lacrime. I giudei commentavano: date quanto gli voleva bene! • .



Guar­

Gesù, che non si è lasciato trascinare dallo sconforto degli astanti, piange ora spontaneamente, mostrando il suo affetto personale per 479

Il giorno del Messia. Ciclo deU'uomo

Lazzaro e il suo dolore per· l'assenza dell'amico. I l suo pianto non è rumoroso ma sereno. Solidarizza con il dolore, non con la disperazio­ ne. II pianto di Gesù mancherebbe di significato se egli fosse sul punto di rendere a Lazzaro la vita fisica. I I suo dolore esprime il suo amore per l'uomo, amore di amico, che nasce dalla sua stessa condizione umana. In Gesù, l'affetto di Dio si trasforma in solidarietà di uomo. Dio è nell'« Uomo ». I presenti interpretano correttamente il pianto di Gesù (guardate quan­ to gli voleva bene!) ma parlano del suo affetto per Lazzaro come di cosa passata; tuttavia, l'amore di Gesù è sempre presente.

37 Alcuni di loro, invece, dissero: « E non poteva lui, che aprì gli occhi al cieco, fare anche in modo che questi nm1 morisse? ». Alcuni dei presenti fanno un commento diverso, ricordano ciò che Gesù aveva fatto per il cieco. Si stupiscono che quella manifestazione di potenza non �ia stata esercitata verso l'infermo impedendogli di morire. Come in al tre occasioni, l'evangelista suggerisce al lettore un secondo significato per bocca dei suoi personaggi: Gesù, che fu capace di dare vita nel battesimo (episodio del cieco, 9, 6). non sarebbe stato capace di conservare questa vita ? Rivolta prima che Gesù vada al sepolcro, la domanda sembra insinuare la speranza di trovare Lazzaro vivo. 38a

Allora Gesù, facendosi forza di nuovo, si diresse al sepolcro.

Gesù ha pianto, mostrando il suo affetto per Lazzaro, suo amico. Ora va r.! sepolcro, non per dolore, come i giudei avevano pensato di Maria ( I l . 3 1 ), ma a manifestare la gloria di Dio, il suo amore che, attraverso Gesù·uomo, salva l'uomo dalla morte irreparabile.

S I NTES I è ancora afflitta per il defunto. Gesù l'invita a uscire dalla casa del dolore senza speranza. La comunità non sa rendersi indi pendente dall'antica concezione della morte, ed esprime il suo dolore come coloro che non conoscono la vita. Anche Ges.ù prova pena, non perché la morte sia definitiva, ma · perché si sente solidale con l'uomo che le è soggetto, e soffre per l'assenza dell'amico. La comunità cns tiana

. ' ,

480

Gv 1 1 , 3Bb-46: Gesù e Lazzaro : dalla morte alle vita

J&b Era una grotta, e all'entrata era posta J9 Gesù disse:

una

pietra.

- Togliete la pietra. Gli dice Marta, la sorella del defunto : - Signore, è di quattro giorni: manda già cattivo odore. 40 Le rispose Gesù: - Non ti ho detto che se giungi a credere vedrai la gloria di Dio? 4 1 Tolsero allora la pietra. Gesù levò gli occhi in alto e disse: - Grazie, Padre, per avermi ascoltato. 42 Io sapevo che sempre mi ascolti, ma lo dico per la gente che mi sta intorno, perché giungano a credere che tu mi hai inviato. 0 Detto ciò, diede un urlo con voce molto forte: lazzaro, vieni fuori! 44 II morto usci, con le gambe e le braccia legate da bende; il suo volto era avvolto in un sudario. Disse loro Gesù: - Scioglietelo e lasciate che se ne vada. -

Molti dei giudei che erano andati da Maria ed erano stati presenti a ciò che aveva fatto, gli diedero la loro adesione. 46 Alcuni di loro, tuttavia, andarono dai farisei e riferirono loro ciò che aveva fatto Gesù. o

NOTE FI LOLOG ICHE 1 1 , 38 All'entrata, gr. ep'aut6. I o mancanza di un a prepos. che traduca senza ambiguità il gr. epi, si precisa il luogo in cui era collocata la pietra.

39 disse. Gr.

pres. st.

40 rispose, -

gr. !egei. l'la . st., precisato dal contesto. giungi a credere, gr. pisteuses. Aor. ingr.

42 girmgano a credere. Cfr. nota precedente. diede un urlo, gr. ekraugasen. Come in 12, 13; 18, 40; stingue da kraz.6, gridare (7, 28.37; 12, 44).

43

19, 6.12.15; si di­

gambe, gr. podas. Piedi, gambe, già nel gr. class. fin da Omero, Il. 23, 772; Od., 4, 149 (L.-S.-J . s.v. l, l); cfr. Ap 10, 1 : le gambe (podes) come colonne di fuoco; At IO, 25: cadendo in ginocchio (epi tous podas). 44

- braccia, gr. kheiras. Mani, braccia, cfr. Om Il. 21, 166: il gomito del braccio (kheiros) destro (L.-S.-J. s.v. I, 2); cf r. Mt 4, 6; Le 4, 1 1 ; Mc 3, 5: stendi il braccio (tén kheira).

481

Il Kf omo del Mcula. Ciclo deD'uomo

CONTENUTO E D IVISIONE Con questa pericope cul mina l'episodio di Lazzaro. Risalta in essa l'opposi­ zione fra la morte, la cui irrev ocabili tà è ra pp resenta ta dalla pietra del se­

polcro, e la vita conferita da Gesù, che vince la morte. Gesù porta i suoi alla visione di questa realtà, che da una parte manifesta loro l'amore di Dio, e dall'altra li libera dalla paura radicale dell'uomo. La pericope si divide in due uni tà . La prima ( 1 1 , 38b4 la), la sequenza della pietra, dopo l'interruzione che descrive il se polcro ( 1 1, 38b) contiene il dialogo fra Gesù e Marta ( 1 1 , 3940) e la rimozione della pietra ( 1 1 , 4la) . La seconda ( I l , 4lb44) contiene l'azione d i grazie d i Gesù ( 1 1 , 4142) e l'uscita del morto ( 1 1 , 4344). La pericope si conclude notando le opposte reazioni dei due gruppi di giude ! presenti alla scena (I l , 4546). Riassumendo: I l , 38b4la: Credere per vedere l� vita. 1 1 , 41b44: Dalla morte alla vita. I l , 4546: Opposte reazioni.

LETIURA Credere per vedere la vita I l , 38b Era una grotta, e all'entrata era posta una pietra. La precisazione offerta da Gv, che il sepolcro era una grotta, ricorda iT sepolcro dei patri archi , la grotta di Macpela, dove furono sepolti Abramo, !sacco e Gi a co bbe (Gn 49, 29-32; SO, 13). La grotta-sepolcro è legata alle origini del popolo. In opposizione al sepolcro nuovo di Gesù, in cui nessuno era stato ancora posto (1 9, 41), questo è quello antico, il sepolcro di Israele dove tutti sono stati posti 1 • Lazzaro è stato inwnato alla maniera e secondo la concezione giudaica, per • riunirsi con suo padre ,, (Gn 15, 15); • con i suoi » (Gn 35, 28) ; • con il suo popolo » (Gn 49, 33 LXX) 2• La pietra, che blocca il passaggio ed è simbolo della L'opposizione al sepolcro nuovo (kainon) , in cui sarà posto Gesù (19, 41), sug­ gerisce l'esistenza in questo luogo di un giuoco di parole fra sptelaicm, grotta, t palaion, antico. Altri sono apparsi in 6, 8.10b (Andreas-Andres) e in IO, 9 (nome­ nomos). cfr. anche 19, 34 (pleura-plerés) . 2 Il giudaismo riteneva che l a morte dei patriarchi significasse la privazione dd­ la vita, come appare chiaramente quando si tratta della morte di Mosè: cosi Dr Rabba 9 : • Parlò Mosè: "Signore del mondo, dopo le molte glorie che i miei occhl hanno visto, devo morire?" Rispose Dio: "Mosè, quale uomo può vivere senza \•edere la morte?" • (Sal 89, 49). R. Tankhuma (circa 380) disse: • Quale uomo è come Abramo, che entrò nel forno (di Nimrod) e fu salvato? Tuttavia, si dice poi in Gn 25, 8: Abramo spirò e morl. Quale uomo è come Isacco, che offri il suo collo sull'altare? Ma dopo si dice in Gn 27, 2: ormai sono vecchio e non so quando morirò. Quale uomo è come Gia­ cobbe, che lottò con l'angelo? Ma dopo si dice in Gn 47,29: si avvicinava per Israe­ le l'ora di morire. Quale uomo è come Mosè, che parlava con il suo Creatore faccia a faccia? E dopo si dice in Dt 31, 14: è vicino il giorno della tua morte • (S . . B. I, 754) . t

482

li, 381>-46. GeaU e Lazzaro

definitività i:!ella morte, completa il significato della grotta '· Separa due mondi, quello dei morti e quello dei vivi, e rimanda la risurrezione fino all'ultimo giorno, secondo la concezione giudaica espressa da Marta

( 1 1 , 24).

39 Gesù disse : • Togliete la pietra ». Gli dice Marta, la sorella del defunto: • Signore, è di quattro giorni: manda già cattivo odore » . L'ordine di Gesù chiede alla comunità d i spogliarsi di questa credenza che ritarda la risurrezione fino al momento finale, separando i vivi dai morti. Come l'invalido doveva poter disporre del suo giaciglio; cosi questa comunità deve anch'essa essere in grado di sharazzarsi della mentalità che le impedisce di credere pienamente in Gesù. I I testo sottolinea nuovamente il vincolo fra Marta e Lazzaro, il morto. La comunità pensa che la morte sia la fine (il defunto). Marta obietta all'ordine di Gesù. La nuova menzione dei quattro giorni ( I l , 17 Lett.) sottolinea i danni della morte e mostra ancora una volta che la sorella non vede differenza fra la morte di un discepolo e quella che l'umanità ha da sempre sofferto. Non crede che l'adesione a Gesù abbia mutato la condizione dell'uomo. La fede prima espressa da Marta, chiara nella sua formulazione ( I l , 27), vacilla davanti alla cruda realtà (manda già cattivo odore); non conosce la qualità dell'amore di Dio né la portata della sua opera creatrice.

40 Le rispose Gesù: gloria di Dio? ».



Non ti ho detto che se giungi a credere vedrai la

Gesù si riferisce alle proprie parole precedenti. Aveva domandato a Marta se credeva quanto lui aveva detto: io sono la risurrezione e la vita, e la sua conseguenza: chi mi dà la sua adesione, quand'anche muoia, vivrà ( 1 1 , 25). Questa vita che vince la morte manifesta la gloria di Dio. Se Marta crede, cioè se aderisce a Gesù come risurrezione e vita, vedrà gli effetti del suo amore per l'uomo: la vita di suo fratel­ lo. Gesù rimprovera a Marta la sua incredulità. L'amore di lui ha già realizzato la sua opera in Lazzaro, ma Marta non la può vedere fi1""1ilé non arriva a credere. Glielo impedisce la sua persistenza nell'antica concezione, rappresentata dalla pietra che chiude il sepolcro. La fede appare qui come condizione per vedere/sperimentare personalmente (vedrai) la gloria-amore di Dio, manifestata nel dono della vita definiti· va. La parola di Gesù a Marta (vedrai) collega questo episodio con la p romessa fatta a Natanaele: cose più grandi vedrai (1, 50) e anticipa il compimento della seconda promessa, rivolta a tutti i discepoli: vedrete il cielo ormai aperto ... (1, 51 Lett.); questa si verificherà nella manife· stazione suprema della gloria, Gesù sulla croce ( 19, 37: guarderanno colui che trafissero) . La gloria che sta per manifestarsi è quella di Dio ( I l , 40) e quella del Figlio di Dio ( I l , 4) : uno stesso amore, quello del Padre, presente in Gesù e attivo nella sua persona. 3 La pietra ricorda le tavole di pietra della Legge (2, 6); cfr. 2 Cor 2, 7: quell'agente di morte · parole incise sulla pietra, ecc .

483

Il giorno del Meula. Ciclo dell'uomo

41a

Tolsero allora la pietra.

Davanti al rimprovero, la comunità si decide a lasciare la sua idea della morte. Scompare così la frontiera fra morti e vivi. La pietra non solo non lasciava entrare, ma non lasciava nemmeno uscire. Pretendeva di porre la parola • fine » all'esistenza : occultava nella morte la presenza della vita. Dalla morte alla vita 41 b

Gesù levò gli occhi in alto.

Come in 8, 23: io appartengo a ciò che è in alto, l'alto rappresenta la sfera del Padre, dal quale procede lo Spirito; ad essa appartiene Gesù. II suo gesto mostra agli astanti la sua comunicazione con la sfera di Dio. 41c

e disse:

c

Grazie, Padre, per avermi ascoltato



Il testo non dice che Gesù preghi e, di fatto, il verbo • pregare • (proseukhomai) in Gv non appare mai. Gesù non esprime nemmeno una petizione, come si era attesa Marta, pensando che la sua preghiera a Dio sarebbe stata infallibile ( I l , 22). Rende grazie al Padre, che gli ha dato tutto (3, 35). Per questo non ha bisogno di chiedere. � la seconda volta che Gesù pronuncia un'azione di grazie. La prima volta (6, 1 1 ) ne furono oggetto i beni creati. l'alimento già esistente; rese grazie per il pane, dono di Dio a tutti, che egli stava per spartire rendendosi mediatore del dono. Ma il pane esprimeva e conteneva il dono che Gesù fa di se stesso, come pane che comunica la vita definitiva (6, 5 1). Ora rende grazie per questa vita comunicata. 42 • lo sapevo clte sempre mi ascolti, ma lo dico per la gente che mi sta intorno, perché giungano a credere che tu mi hai inviato •.

Gesù ha coscienza permanente della sua relazione con il Padre. Che questi lo abbia ora ascoltato non è altro che un caso particolare di ciò che avviene sempre, perché Gesù e il Padre sono una cosa sola (IO, 30) e sono uniti (10, 38) ; unico è il loro disegno (5, 30; 6, 39-40) e la loro azione (IO, 37). I l Padre non lo ha mai lasciato solo (8, 29). Con questa formula: che sempre mi ascolti, Gesù scopre al tempo stes­ so il suo atteggiamento interiore di continua azione di grazie al Padre. La riconoscenza, espressione dell'amore, è un aspetto del suo rapporto con lui. Gesù riconosce così che il suo essere e il suo amore procedono dal Padre. Rende grazie per coloro che lo circondano. Mette cosi in risalto l'im­ portanza di ciò che sta per fare e vuole che se ne conosca l'origine. La sua azione si realizza in mezzo a un mondo ostile ( • i giudei • ) . Egli onora suo Padre (8, 49) e vuole attribuirgli la gloria. L'azione di grazie risponde alle accuse di bestemmia. Lo avevano accusato di farsi uguale a Dio (5, 1 8), di farsi Dio (IO, 33); ora vuole mostrare loro come egli e il Padre siano uno. Si dimostrerà la veritil 484

Il, 381>-46. Gesù e Lazzaro

del l'argomentazione data dal cieco guarito ai dirigenti: sappiamo che ... chi ... realizza il suo disegno, questo lo ascolta (9, 31). Con questo fatto Gesù vuole metterli davanti all'evidenza della sua mi�sione divina. Vuole che gli uomini riconoscano l'amore di Dio presente e attivo per suo mezzo nel mondo. Gesù desidera che, conoscendo la vita che vince perfino la morte, l'umanità si convinca. La fede appare due volte in relazione con lo stesso fatto. La fede di Marta è condizione per vedere la gloria; quella dei presenti sarà effetto della sua manifestazione. Vi è nel primo contatto con Gesù un'accettazione della sua parola ( l , 39, due discepoli; l, 43, Filippo; 4, 50, funzionario; 9, 7, cieco). Ma è la manifestazione della gloria-amore a fondare l'adesione a lui (2, 1 1 ) . Per questo la fede in Gesù come inviato, alla quale gli astanti debbono giungere, sgorgherà dal fatto di riconoscere nell'opera di Gesù l'azione del Padre, che manifesta la sua gloria. Questa comunità (Marta), da parte sua gli ha dato la sua adesione; ma, anèorata alla tradizione giudaica, non ha ancor scoperto tutta la realtà di Gesù: che egli è la presenza dell'amore del Padre ( l , 51). Deve vedere la gloria (l, 3 9 Lett.), per vivere con lui nella condizione di discepolo (cfr. 17, 24). 43 Detto ciò, diede un urlo con voce molto forte: fuori! •.

«

Lazzaro, vieni

II sepolcro in cui avevano collocato Lazzaro, secondo il costume e la mentalità dei giudei, non era il luogo adatto a lui. Sono stati essi a collocarvelo ( I l , 34: dove l'avete posto?). :e il sepolcro del passato ( I l , 38b). Il credente non è destinato a esso perché, anche se muore, continua a vivere ( 1 1 , 25; 19, 41 Lett.). Per questo, con il suo ordine, Gesù presenta Lazzaro vivo nella morte. II suo grido sgorga da una sua azione di grazie (detto ciò, diede un urlo). l destinatari della sua azione sono gli astanti ( I l , 42: perché giungano a credere che tu mi ha inviato) : devono convincersi che la morte fisica non ha interrotto la vita del discepolo.

44 Il morto uscì, con le gambe e le braccia legate da bende; il suo volto era avvolto in un sudario. Disse loro Gesù: • Sciogliete/o e lasciate che se ne vada •· l dettagli del testo, bende e sudario, fanno . risaltare la realtà della morte, come prima aveva fatto la resistenza di Marta a togliere la pietra. Le gambe e le braccia legate mostrano l'uomo incapace di movimento e attività. Il testo espone un paradosso. Colui che esce è morto e ostenta tutti gli attributi della morte, ma esce da solo, perché è vivo. Ordinandogli di uscire, Gesù lo presenta ai circostanti, invitandoli a mutare la loro concezione. L'esortazione a togliergli le bende è l'invito a tradurre in pratica la nuova convinzione che il morto è vivo, che non è sottomesso al potere della morte. Gesù non rende Lazzaro alla comunità, lascia che se ne vada, ma ormai libero. Il cammino di Lazzaro conduce al Padre (cfr. 6, 21 nota), con il ....

485

Il giorno del Measla. Ciclo dell'uomo

quale Lazzaro vive. La narrazione illustra il cambiamento di mentalità davanti alla morte che Gesù domanda ai discepoli. Sono loro che l'hanno legato, e loro che devono slegarlo. Come la pietra che avevano posto rinchiudeva il morto nel passato, nel sepolcro di Abramo, le bende con cui lo avevano legato gli impedivano di giungere alla casa del Padre. Si descrive drammaticamente la concezione giudaica del destino dell'uomo, che impediva alla comunità di comprendere l'amore che il Padre le aveva manifestato in Gesù. Non che Lazzaro debba ancora andare dal Padre, sono loro che devono !asciarlo andare, com­ prendendo che Lazzaro vive nella sfera di Dio, invece di trattenerlo nella loro mente come un defunto senza vita. Sciogliendo Lazzaro morto sono loro a sciogliersi dalla paura della morte che li paralizzava. Così escono tutti fuori dal sepolcro, che li sottometteva alla schiavitù della morte. Soltanto adesso, sapendo che morire non significa cessar di vivere, la comunità potrà donare la sua vita come Gesù, per recuperarla (IO, 1 8 ; cfr. 6, 6 1-62 Lett.).

Opposte reazioni 45 Molti dei giudei che erano andati da Maria ed erano stati presenti a ciò che aveva fatto, gli diedero la loro adesione. La reazione naturale al fatto era l 'adesione a Gesù. La vita è la suprema aspirazione dell'uomo, la sua luce ( l , 4; 8, 12), e Gesù ha mostrato di comunicare la vita che vince la stessa morte. Di coloro che erano andati da Maria, molti si schierano dalla sua parte. Impotenti davanti alla morte, erano andati a esprimere la loro solidarietà nel dolore ( I l , 19.3 1 ) . Con Gesù è spuntata la speranza; la morte non è l'ultima parola. Ora, fra la loro istituzione e Gesù - che essa ha respinto - optano per quest'ultimo. Conoscono il sistema religioso giudaico, e sanno che non offre la soluzione al grande problema dell'uomo; Gesù invece, presenza e attività dell'amore di Dio, la offre. Maria, figura della comunità ( I l , 2 Lett.). è l'unica che ora venga menzionata. La frase ed erano stati presenti a ciò che aveva fatto si può appl icare tanto a Gesù quanto a Maria. L'ambiguità potrebbe essere intenzionale: da un lato, Gesù ha presentato Lazzaro vivo, mostrando loro l'amore del Padre; ma, dall'altro, è la comunità che lo ha sciolto e lasciato andar via, vale a dire: essa ha percepito la qualità di vita che possiede, e non si spaventa più davanti alla morte. Ha visto la ·gtoria, e questa splende adesso nella sua condotta. Finché aveva paura della morte, la comunità non stimolava nessuno, né si vedeva differenza alcuna fra i giudei e i discepoli di Gesù. Ora la coscienza della vita e la certezza della sua continuità nella morte, fanno della comunità una testimonianza dell'amore di Dio, che libera l 'uomo dalla paura più profonda. radice di tutte le sue schiavitù. Questa testimonianza conduce gli altri a credere in Gesù.

46 Alcuni di loro, tuttavia, andarono dai fa risei e riferirono loro ciò che aveva fatto Gesù.

486

11, 381>-46. Gesù e Lazzaro

Sono incondizionatamente ligi all'ordinamento ingiusto quelli che non si arrendono davanti ai fatti perché non desiderano la vita, i morti che cercano la morte. La notizia viene nuovamente porta ta ai farisei. che controllano la situazione (9. 1 3). Che l'uomo abbia vita e sia libero è per loro uno scandalo, un motivo di inquietudine. Gv elimina qui l'ambiguità precedente: denunciano quanto fatto da Gesù. B lui il responsabile dell'esistenza dell'uomo nuovo.

;.�.

SINTESI

Il disegno di Dio sull'uomo. che Gesù realizza , è la comunicazione di una vita che cambia qualitativamente quella che l'uomo poss iede : vita definitiva. che supera la morte. Questa continuerà a essere un fatto biologico, ma non segnerà la fine. Ha così il suo culmine il disegno dell'amore creatore. Gesù invita a penetrare questa realtà dell'amore di D io e a scoprirne la portata. Esorta a fidarsi della sua parola, a togliere la pietra e a sciogliere i legami delle antiche conc ezioni della morte. che opprimevano l'uomo riducendo il suo destino alla condizione di cadavere. La morte come fine della vita è il punto massimo della debolezza umana. che include tutte le altre debolezze e umiliazioni. La paura della morte come sparizione definitiva rende l'uomo impotente a resistere all'oppressione, e fonda il potere degli oppressori. Liberandolo da questa paura radicale, Gesù lo rende radicalmente libero. L'uomo non può essere disposto a dare la sua vita come Gesù, se non è convinto di essere indistruttibile. Soltanto la certezza di possedersi pienamente al di là della morte liberà in lui la capacità di dedizione generosa e totale.

4117

Gv 1 1 , 47·53: La untenza di morte contro Gesù 47 I sommi sacerdoti e i farisei convocarono allora una sessione del Consiglio, e dicevano: - Che facciamo? Perché quest'uomo compie molti segni. 41 Se Io lasciamo continuare così, tutti gli daranno la loro adesione e i romani verranno e toglieranno di mezzo il nostro luogo sacro e anche la nostra nazione. 4' Ma un� di loro, Caifa, essendo sommo sacerdote in quell'anno, disse loro: - Voi non capite nulla; 50 e non considerate neppure che vi conviene che un solo uomo muoia per il popolo, e non perisca la nazione intera. " Questo non lo disse per conto proprio; essendo sommo sacerdote in quell'anno, profetizzò che Gesù stava per morire per la nazione; 52 e non soltanto per la nazione, ma anche per raccogliere in uno i figli di Dio dispersi. 53

Così quel giorno concordarono di ucciderlo.

NOTE FILOLOGICHE 11, 47 48

una sessione del Consiglio, gr . sunedrion. Senza artic.

lasciamo continuare, gr. apMmen. Specificato dal cont esto (polla poiei

sémeia).

- toglieranno di meuo, gr. arousin. Cfr. l, 29 nota; 19, 15. - nostro ... nostra, gr. h�m6n. Un solo possessivo, ma riferito a entrambi i termini (kai . . ka1) . - luo go sacro, gr. ton topon. Riferito al tempio, eb. maklln (Es 15, 17; l Re 8, 13; 2 Cr 6, 2; Is 4, 5); cfr. 4, 20. - e anche, gr. kai . .. kai, intensi vo. .

51

per conto proprio,

gr. aph'heautou.

Cfr. 7, 18.

CONTEN UTO E DIVISIONE u pericope espone la reazione delle massime autorità di Israele al fatto di Lazzaro. u comunicazione di vita e di libertà all'uomo risulta intollerabile al sistema di potere giudaico. Razionalizzano la propria ostilità a Gesù sotto pretesti di bene n azion ale. Il capo supremo, il sommo sacerdote, pro­ pone una soluzione: sacrificare un uomo a beneficio del po polo. L'evangelista propone la sua spiegazione delle parole del sommo sacerdote. Il Consiglio de· termina di uccidere Gesù. Si oppongono in questa pericope Gesù, la vita, e il sistema di potere, la morte: sono incompatibili. u tenebra cerca di s� gnere la luce.

488

Il, 47-53. La sentenza di morte

la pericope comincia segnalando la reazione immediata del potere, il suo disorientamento ( I l , 47-48). Presenta quindi l'intervento di Caifa e il com­ mento dell'evangelista ( I l , 49-52). Si conclude con l'unanime decisione del Consiglio (I l , 53).

Riassumendo: 1 1 , 47-48: u sessione del Consiglio. Disorientamento e allarme. 1 1 , 49-52: L'intervento del sommo sacerdote e il commento dell'evangelista. 1 1 , 53: la sen tenza di morte.

LETIU RA La sessione del Consiglio. Disorientamento e allarme 1 1 , 47a l sommi sacerdoti e i farisei convocarono allora una sessione del Consiglio. � la seconda volta che Gv sottolinea la forza del gruppo fariseo, capàce di mettere in movimento l'apparato di potere (cfr. 7, 32). Viene convo­ cata una riunione ufficiale cui partecipano i sommi sacerdoti, potere politico-religioso, e i farisei, gruppo cui apparteneva la maggior parte dei letterati del Consiglio, e che esercitava un grande influsso spirituale sul popolo. Gli uni e gli altri passano per rappresentanti di Dio, i primi per il loro incarico, i secondi per la loro scienza e la loro osservanza esemplare della Legge. Sono gli stessi due gruppi che diedero ordine di arrestare Gesù nel tempio (7, 32.45).

47b

e dicevano: segni • ·



Che facciamo? Perché quest'uomo compie molti

Coloro che si sono riuniti commentano con pessimismo la situazione. Non menzionano mai Gesù con il suo nome (quest'uomo). Sono loro « i giudei • (1, 19 nota) che avevano domandato a Gesù nel tempio se egli fosse il Messia (IO, 24) e che l'avevano voluto lapidare perché, essendo uomo, si faceva Dio (IO, 33). Gesù aveva fatto appello alle proprie opere (10, 38), che sono • i molti segni » cui ora essi si riferiscono e che motivano il loro allarme. Essi stessi li chiamano « segni » , ma, anche se • segno • significa un fatto che addita una realtà superiore, il gruppo dominante rifiuta di riconoscerlo. Si rendono perfettamente conto che tali azioni non provengono da un uomo qualunque, ma questo per loro non conta, cercano soltanto il proprio interesse. Gesù dà vita, libertà e autonomia all'uomo. Essi sono gli oppressori; l'opposizione tra loro e Gesù è quella della morte-tenebra nei confronti della vita-luce. Si domandano cosa debbano fare. Non sarà nulla di positivo, ma di negativo: far fronte all'attività di Gesù, impedire il piano creatore di Dio. 48a

ne



Se lo lasciamo continuare cosi, tutti gli daranno la loro adesio­

n.

489

Il giorno del Messia. Ciclo dell'uomo

Per loro, i segni di Gesù rappresentano soltanto una minaccia per la propria egemonia. Temono che tutti vadano con lui, riconoscendo i suoi segni. Gesù si è mostrato loro avversario dichiarato e ha pronunciato le accuse più gravi: li ha chiamati bugiardi e omicidi (8, 44), ha dichiarato che sono schiavi (8, 34) e denunciato che il vero signore del loro tempio è il denaro (2, 16; 8, 20; 8, 44 Lett.) . Ha detto che essi, i rappresentanti di Dio, non lo conoscono (8, 54-55), che non adempiono la Legge di Mosè (7, 19) e che la dottrina che propongono non viene da Dio, in quanto cercano la loro propria gloria (7, 18). L'adesione del popolo a Gesù significherebbe la fine del loro dominio. 48b

«

e i romani verranno

•·

Cercano una ragione che motivi la loro opposizione a Gesù, e la trovano sul terreno politico. Una sommossa messianica avrebbe certa­ mente provocato l'intervento romano, e temono di essere spogliati del loro privilegio. Non si domandano neanche per un momento se Gesù è il Messia inviato da Dio e appoggiato da lui (lO, 24.36). Dio non entra nei loro calcoli. Lo hanno inquadrato in una amministrazione religiosa e in una Legge, e non gli riconoscono una attività propria. • e toglieranno di mezzo il nostro luogo sacro e anche la nostra nazione • .

48c

Vedono in Gesù un pericolo per le loro istituzioni e la loro razza in caso di conflitto col potere invasore. I l tempio è • il luogo • loro, da dove esercitano il dominio; in 5, 13, • i l luogo • designava la città op­ pressa dal tempio. Per salvare il • loro luogo • si opporranno a Dio. Hanno costruito il loro sistema e vogliono conservarlo, costi quel che costi. Accampano tuttavia il pretesto di assicurare la permanenza del lUogo sacro, cioè di difendere Dio, come se egli fosse impotente. Per loro non è Dio a sostenere l'uomo, ma le istituzioni a sostenere Dio; pretendono di difenderlo difendendo il proprio sistema. Per questo quando, nella persona di Gesù, Dio interviene nella storia, conside­ rano Gesù sospetto e pericoloso. La loro tattica politica è errata: non c'è sicurezza al di fuori di Dio e di Gesù; ciò che essi temono, la distruzione del loro tempio, se la gente segue Gesù. avverrà appunto per averlo rifiutato. Si verificherà quanto annunciato da Ger 7, 4ss: « Non confidate nelle parole menzognere di coloro che dicono: Tempio del Signore, tempio del Signore, tempio del Signore ... rubate, uccidete ... poi venite e vi presentate alla. mia presen­ za in questo tempio, che prende il nome da me, e dite: Siamo salvi! per poi compiere tutti questi abomini ... Io tratterò questo tempio che porta il mio nome e nel quale confidate, e questo luogo che ho concesso a voi e ai vostri padri, come ho trattato Silo. Vi scaccerò davanti a me come ho scacciato tutti i vostri fratelli, tutta la discen­ denza di Efraim » .

490

I l , 47-53. La sentenza d1 \ .... :�

49a

morte

Intervento del sommo ·sacerdote e commento dell'evangelista

Ma uno di loro, Caifa, essendo sommo sacerdote in quell'anno.

Entra in scena colui che agisce come capo del popolo, figura unica (uno), che presiede il Consiglio. :e. lui a prendere l'iniziativa. Lo si identifica con il suo nome, che è in realtà un soprannome. Al tempo stesso è uno di loro, solidale con gli altri. Il capo incarna la corpora­ zione; si sottolinea la responsabilità di Caifa, sommo sacerdote nell'an­ no decisivo (quell'anno), in cui Israele rifiuterà il Messia. La frase tuttavia ha anche un altro significato: Caifa è una figura effimera, è uno dei tanti nella serie dei sommi sacerdoti, rappresentante momenta­ neo di un'istituzione ed esecutore dei suoi disegni. Non è l'ultima istanza: dietro di lui c'è un potere del quale egli è strumento (18, 1 3 Lett.). · 49b-50 disse loro: • Voi non caPite nulla; e non considerate neppure che vi conviene che un solo uomo muoia per il popolo, e non perisca la nazione intera •·

I l leader esercita la sua funzione, proponendo una via d'uscita. Tronca brutalmente la discussione, parla con rudezza, senza rispetto per il Consiglio, ma fa appello all'interesse personale: vi conviene. Con questo evoca la minaccia della loro rovina, ricorda che a essere in gioco è la loro autorità, e si conquista così la loro volontà e il loro voto. La frase di Caifa: che un solo uomo muoia per il popolo e non perisca la nazione intera, ricorda un episodio della vita di David: Achitofel, consigliere di Assalonne, gli propone in presenza del Consiglio di dar morte a David: • Io colpirò solo il re, e ricondurrò a te tutto il popolo, come ritorna la sposa al marito. La vita di un solo uomo tu cerchi; la gente di lui rimarrà tranquilla • (2 Sam 17, 2-3). Continua ad apparire lo sfondo messianico su cui si muove la persecuzione contro Gesù, il Messia, nuovo David (IO, 24). Che la morte di quell'uomo fosse salvezza per il popolo era appunto il disegno di Dio, che Caifa annuncia senza rendersene conto e del quale gli altri non sanno nulla. Nella frase di Caifa si contrappongono due termini: popolo e nazione. • Popolo • è parola teologica e denota l'insieme degli uomini con i quali Dio stabilisce la sua alleanza e che, perciò, vengono costituiti popolo di Dio (cfr. Es 19, 5 : • Se vorrete ascoltare la mia voce e èustodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà fra tutti i popoli •. e passim). • Nazione », al contrario, designa in Gv il popolo giudaico in quanto si differenzia dagli altri, non solo per razza, ma soprattutto per la sua organizzazione teocratica. Di fatto, la nazione è legata al tempio ( I l . 48) e governata dai sommi sacerdoti (18, 35; cfr. Es 1 9, 6: • Sarete un popolo sacro, retto da sacerdoti »). Facendo sì che un uomo muoia per il popolo, Caifa vuole salvare la nazione, vuole cioè impedire che crolli il sistema teocratico in cui esercita l'autorità suprema.

491

Il IJiorno del Messia. Ciclo dell'uomo

S l -52 Questo non lo disse per conto proprio; essendo sommo sacerdote in quell'anno, profetizzò che Gesù stava per morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per raccogliere in uno i figli di Dio dispersi. L'isti tuzione del sommo sacerdozio creava un intermediario fra Dio e popolo. Dio gli dà ora il suo ultimo messaggio, che annuncia la verità di Dio e al tempo stesso denuncia il tradimento dei dirigenti. La profezia di Caifa riassume la storia dell'infedeltà d'Israele. Egli annun­ cia ciecamente il disegno di Dio, senza comprenderlo. Con questo si chiude la storia dell'ist ituzione giudaica. t> ormai sigillato il rifiuto: i suoi non l'accolsero ( ! , I l ) , per bocca del massimo rappresentante del popolo. Vogliono spargere sangue innocente (Ger 7, 5-7: « Se realmente pronunzierete giuste sentenze ... se non spargerete il sangue innocente in questo luogo ... allora abiterò con voi in questo luogo ) Usano l'ingiustizia per difendere la nazione e il tempio (il nostro luogo) . Essi stessi ne provocano la distruzione. Gv spiega in che senso le parole di Caifa sono profezia. « Il popolo • che sarà oggetto della nuova alleanza di Dio con l'umanità non si limiterà a Israele, « la nazione •, ma comprenderà uomini di altre razze e popoli. Alla nazione, la morte di Gesù darà la possibilità di uscire dall'oppres­ sione che soffre; essa tirerà fuori dal recinto le pecore (10, 3s; cfr. 1 8 , 5 Lett.); sarà la fine dell'istituzione giudaica, che in questa sezione firma la propria sentenza di morte. Il Messia sta per riunire la nuova comunità umana, composta da tutti coloro che gli daranno la loro adesione. Loro distintivo non sarà la consanguineità con Abramo (8, 33.37.39), ma la consanguineità con Dio (i figli di Dio), essendo nati da lui (l, 13) tramite lo Spirito (3, 6) . Non sarà chiusa in un paese, ma sparsa per il mondo, conservando il suo vincolo di unità (raccogliere in uno), formando l'unico gregge (10, 16; 19, 23 Lett.). Il testo allude a Ger 3 1 , 8 (3 8 , 8 LXX ) , che descrive la riunione del popolo disperso: • Ecco li riconduco dal paese del settentrione e li raduno dall'estremità della terra ». I LXX aggiungono : « nella festa di Pasqua •, che si trasforma in segno della futura liberazione. Gv fa sua questa interpretazione della versione greca (cfr. 13, l ; 19, 3 1 .42). La morte di Gesù per il popolo sarà quella del pastore che muore per difendere le sue pecore, per dar loro vita (10, 10s) . Da parte degli uomini sarà la massima ingiustizia, da parte di Dio la massima mani­ festazione della sua gloria, del suo amore per l'uomo. Senza di essa non si sarebbe mai potuto conoscere chi è Dio ; né la portata del suo amore. L'unità cui Gesù porterà coloro che provengono da Israele e i figli di Dio dispersi è l'unità sua con il Padre (10, 30: /o e il Padre siamo una cosa sola), come esprimerà chiaramente nel discorso della Cena (14, 20: Sperimenterete che io sono in mio Padre, voi in me e io in voz) e nella preghiera finale (17, 2 1 : Che siano tutti uno - come tu, Padre, sei in me e io in te -, perché anche loro lo siano in noi). Questa è l'unità dell'unico gregge. •

492

.

Il, 47-53. La sentenza di morte

La sentenza di morte 53

Cosi quel giorno concordarono di uccider/o.

Il discorso di Caifa ha pieno successo, l'adesione è unanime. II leader ha formulato ciò che tutti si portavano dentro ( I l , 47: Che facciamo? ... Se lo lasciamo continuare così . ..). Hanno formulato la loro sentenza, e sanno cosa devono fare; la morte di Gesù non avverrà con un linciag­ gio, come hanno tentato di fare in altre occasioni (8, 59; 10, 3 1 ) , ma con una decisione ufficiale e fredda, politicamente giustificata. Non hanno celebrato Wl giudizio formale, ma non era necessario: quello che volevano non era far giustizia, ma difendere i propri interes­ si. La condanna di Gesù è un fatto, d'accordo con la loro Legge (7, 5 1 ) , anche s e non l o hanno ascoltato come esigeva Nicodemo. Essi, c he . la difendono e la utilizzano, non l 'adempiono (7, 19a), e meno che mai quando cercano di uccidere Gesù (7, 19b). Hanno per padre il Nemico, omicida fin dal principio (8, 44).

SI NTESI Il sistema di potere giudaico identifica la sopravvivenza del popolo con la propria. Giustifica in tal modo il suo opportunismo politico e l 'ingiustizia che commette. Come istituzione religiosa, questa tattica lo porta alla rovina, in quanto essa cessa di essere realtà significativa della presenza di Dio nell'umanità. L'attività di Gesù a favore dell'uomo ha interpellato seriamente questo potere; è l'attività di Dio che lavora nella storia. Ma essi soffocano l'invito annichilendo Dio stesso. L'istitu­ zione rimane svuotata della presenza di lui. Quando firma la sentenza contro Gesù, cessa di esistere.

493

Gv 1 1 , 54: La clttl di Gesù 54 Per questo Gesù smise di andare in giro pubblicamente fra i giudei e da quel luogo si recò nella regione vicina al deserto, a Efraim, una città così chiamata, e lì rimase con i discepoli.

NOTE FI LOLOGICHE I l , 54

smise di andare in giro,

terrompere.

gr.

ouketi ... periepatei. I n funzione di in­

- e si recò, gr. alla, i l cui significato avversativo rimane integrato nell'oppo­ sizione smise di, e si recò. Efraim, una cittd così chiamata. La costruzione it. conserva l'enfasi data dal testo al nome geogra fi co

.

LETTURA LA città di Gesù J l , 54 Per questo Gesù smise di andare in giro pubblicamente fra i giudei e da quel luogo si recò nella regione vicina al deserto, a Efraim, una città così chiamata, e lì rimase con i discepoli. Davanti alla sentenza dell'istituzione giudaica contro di lui, Gesù, da Betania, dove molti partigiani del regime avevano visto il suo operato, si reca in una città vicina al deserto 1 • Come nelle occasioni precedenti (6, 1 ; 10, 40), ·cv dà all'allontanamento di Gesù un significato figurato, utilizzando nuovamente il linguaggio dell AT. In questo caso Gesù (nome che in ebraico e in greco si identifica con quello di Giosuè), si reca in una città chiamata Efraim. Egli, come Mosè, ha attraversato il mare, cioè è uscito dalla terra di schiavitù (6, 1 ) e, come Giosuè, ha attraversato i l Giordano, giungendo alla terra promessa (l 0,40) . Ora, dinanzi al definitivo rifiuto dell'istitu· zione giudaica Gesù, come Giosuè, riceve la sua eredità per volontà di Dio; cfr. Gs 1 9, 49-50 LXX : • Gli israeliti diedero a Giosuè, figlio di Nun . un'eredità in mezzo a loro. Seguendo l'ordine del Signore, gli diedero la città che egli chiese: Timna Serai, nella terra di Efraim. Egli costrul la città e vi si installò •· Le autorità di Israele non ammettono Gesù in ' L'identificazione di questa città è dubbia. Alcuni vogliono vedere in essa l'antica Ofra (Gs 18, 23; cfr. Gs 15, 9: Efron). In ogni caso la costruzione della frase, che mette l'enfasi sul nome (eis Ephraim /egomenén polin), mostra essere questo ciò che l'evangelista vuole sottolineare. La lett. var. del P 66 eis tén kh6ran eggus tés erémou, Ephraim legomenén, rafforza l'allusione a Samaria (si veda Lett.); tut· ta\"ia la. testimonianza dei codd. e l'allusione all'eredità di Giosuè raccomandano la lettura lunga.

494

Il, 54. La cltll dl Gaù

mezzo a loro, ma, per ordine di Dio, egli ha la sua eredità al di fuori dei " suoi >> ( 1 , I l ) . Gv la identifica con Efraim, altro nome di Samaria, il paese che lo ricevette (4, 30.39). Gesù vi fu riconosciuto come salvato­ re del mondo (4, 42). Efraim si oppone al mondo giudaico: è fuori di esso che Gesù avrà la sua città. La sua comunità emigra, perché dove è lui sono i suoi discepoli, che apparterranno alla terra intera (10, 16; I l , 52). Nel testo di Ger 38, 8 (LXX), in cui si prometteva la riunificazione per il giorno della pasqua ( I l , 52 Lett.), Dio chiama Efraim suo primogenito (Ger 3 1 , 9; 38, 9 LXX) . Gv allude qui anche a questo testo profetico: fra i figli di Dio, che saranno riuniti da Gesù, la primizia sarà Efraim, cioè Samaria, che lo ha già ricevuto. Con questa menzione di Efraim/Samaria termina il secondo ciclo, come era terminato il primo. In entrambi i casi, al rifiuto dei suoi (4, 1-3; I l , 47-53) risponde l'accoglienza degli altri popoli, rappresentati dal primogenito.

495

B . L�ORA FINALE: LA PASQUA DEL MESSIA

1 1 , 55 - 1 9 , 42

L'ora del Messia (cfr. 12, 23.27; 13, l; 16, 32; 17, l; 19, 14.27), parte finale del suo giorno (cfr. p. 1 29), abbraccia il periodo di tempo che precede la terza Pasqua, ultima delle 6 feste menzionate nel vangelo.

Delimitazione Le indicazioni che delimitano questo periodo sono numerose. In primo luogo, la prossimità dell'ultima Pasqua è un dato cronologico che separa questo periodo da quello precedente, concluso con una penna· nenza di Gesù al di fuori della Giudea, di durata imprecisata (Il, 54). Le allusioni a questa Pasqua si moltiplicheranno nel corso del periodo ( I l , 55bis; 12, 1 ; 13, 1 ; 18, 39; 19, 14), prolungate dalle menzioni della preparazione (19, 14.3 1 .42). Bisogna notare che la Pasqua riceve la determinazione • dei giudei " per l'ultima volta in I l , 55. A partire da 12, l ( 1 1 , 55b è ambiguo) si chiamerà semplicemente « la Pasqua •. poiché si riferirà soprattutto alla Pasqua di Gesù, che è la Pasqua di Dio. Questa giungerà al suo compimento con il sacrificio dell'Agnello (19, 28-30). mentre la Pasqua giudaica rimarrà interrotta durante la preparazione e non giungerà mai a essere celebrata ( 19, 42). In secondo luogo, in 12, l si apre un periodo di sei giorni che fa coincidere il giorno sesto con quello della morte di Gesù. Le datazioni intermedie (1 2. 12: il giorno seguente; 13, 1 : prima ... di Pasqua) sono incluse nel periodo aperto dalla menzione dei tre giorni. L'ultimo giorno sarà quello della preparazione, in cui Gesù muore ed è sepolto ( 1 9, 3 1 .42) . Questo periodo di sei giorni corrisponde al primo, comincia· to in l , 19 (cfr. l , 29.35.43) e culminato a Cana, principio dell'attività di Gesù e primo annuncio della sua ora (2, 1 .4). Il giorno di Cana conclu­ deva il primo arco di sei giorni, il giorno della morte di Gesù conclude­ rà il secondo. Così tanto il principio come la fine della sua attività sono sotto il segno del giorno sesto, quello della creazione dell'uomo. Un terzo dato che stabilisce l'unità di questo periodo è la menzione, al principio e alla fine, della sepoltura di Gesù e, in relazione a essa, del profumo ( 1 2, 3.5.7; 19, 39s). Anche il tema del traditore, annunciato in 496

Significato dell'ora

6, 71 e sviluppato nelle tre sezioni di questo periodo (12, 4ss); 13, 21ss; 1 8, l ss) dimostra l'unità dell'• ora »; così pure il tema di Gesù re, insinuato nella sezione preparatoria ( 1 , 49) , incluso nel tema del regno nel colloquio con Nicodemo (3, 3.5) e apparso in senso negativo in occasione della seconda Pasqua (6, 15). Qui sarà invece trattato ampia­ mente, 'in primo luogo in relazione con l'opzione del popolo {12, 12ss) e, più avanti, nel giudizio di Gesù davanti a Pilato { 1 8, 33ss). Si noti che i tre grandi periodi del vangelo, il giorno (2, 1-1 1 , 54), l'ora ( I l . 55-19, 42) e il nuovo giorno (20, 1-29), cominciano con un episodio dal tema nuziale: a Cana si presenta sotto il simbolo delle nozze l'antica alleanza che deve essere sostituita nella • sua ora •: a Betania si anticipano le nuove nozze . alleanza in cui Maria rappresenta la sposa del Cantico ( 1 2, 3), e nella scena dell'orto (20, l . l l ss) si realizzano le noz­ ze-alleanza definitive fra Gesù sposo e Maria la Maddalena sposa, figura della comunità messianica.

Relazione con il grorno La relazione dell'ora con il giorno del Messia (che fonnano entrambi il giorno sesto, quello della creazlone dell'uomo). diventa visibile in quan­ to il giorno sesto comprende le sei feste menzionate nel vangelo, l'ultima delle quali è questa terza pasqua, quella della morte di Gesù. La sovrapposizione dei due cicli, quello della creazione dell'uomo rap­ presentato dal giorno sesto e quello delle sei feste che culminano in questa Pasqua, unifica i due temi, creazione e Pasqua, mostrando che la creazione dell'uomo può essere completata solo attraverso una libera­ zione, che include un esodo, una nuova alleanza e Legge, e una nuova festività. Al giorno sesto e alle sei feste si unisce adesso l'ora sesta, in cui Gesù sarà consegnato alla morte (19, 14; cfr. 4, 6), con esplicita menzione della preparazione della Pasqua ( 1 9, 14). Appare così l'intenzione dell'e­ vangelista, che fa confluire nel numero sei (l'ora, il giorno sc:sto e i l periodo d i sei giorni, i l numero delle feste) l'avvenimento della conse­ gna e morte di Gesù. Questo numero sei, simbolo dell'incompletezza, non sfocia, come ci si potrebbe attendere, in un giorno settimo, che simboleggerebbe una realtà completa ma chiusa, ma in un giorno primo (20, l ) che anziché essere fine è inizio di una nuova realtà (non viene intercalato un giorno settimo neppure fra il primo arco di sei giorni, concluso a Cana, e il secondo, cominciato in 12, 1).

Significato dell'ora L'ora del Messia, che culminerà nella croce, rappresenta l'epilogo della tensione accumulata nel corso della narrazione evangelica tra le autori­ tà e Gesù. L'attività di questi, �.:he anticipa il frutto della sua morte, si è conclusa con l'episodio di Lazzaro. fine della sua manifestazione a Israele, prm·ocando la sua condanna a morte da parte delle massime autorità. La tensione è giw1ta al culmine, e davanti al popolo si presenta chiaramente l'opzione Ira Gesù, il datore di vita, e l'istituzione, 497

L'ora finale. La Pasqua del Messia

agente di morte. Da questa proviene un ordine di denuncia e di cattura ( I l , 57); i campi vengono delimitati: chi d'ora innanzi si metterà dalla parte di Gesù si collocherà per ciò stesso contro l'istituzione giudaica, e accetterà la stessa sorte del condannato. L'arrivo dell'ora suppone da parte di Gesù l'accettazione definitiva della propria morte ( 1 2, 27). come manifestazione della gloria-amore di Dio che realizza il suo disegno creatore; da parte delle autorità suppone la realizzazione del loro disegno di morte, che culmina nell'esecuzione di Gesù. Si contrappongono così, al loro acme, l'amore e l'odio, il disegno del Padre (6, 39s) e quello del Nemico omicida (8, 44) .

Divisione Il periodo dell'ora finale si divide in tre sezioni intimamente connesse. La prima si può chiamare • l'opzione nei confronti del Messia •· In primo luogo descrive l'opzione della sua comunità, che celebra la vita , ma in cui è presente il traditore; il contenuto della pericope, ambienta­ ta in una cena, sarà sviluppato nella seconda sezione. Subito dopo si presenta l'opzione negativa di I sraele; la morte di Gesù, che si annuncia in essa, sarà messa in atto nella terza sezione. Si chiude con tula solenne dichiarazione di Gesù (si veda p. 499). Le due sezioni che seguono formano le due pale di un dittico, il cui titolo globale può essere: « la Pasqua di Gesù: il passaggio dal mondo al Padre ». La sua unità è indicata dalle inclusioni fra 13, l (eis telos) e 19, 28.30 (te telestai) cosi come fra 13, 1 .3 (eidos) e 19, 28 (eid6s). Nell'u· na e nell'altra sezione vengono descritti la Pasqua di Gesù e il suo passaggio al Padre ( 1 3, 3; 18, la Lett.). Nella prima, che comprende la Cena con i discepoli, sono esposti sotto forma di istruzione per la comunità; nella seconda, con la consegna e morte di Gesù. Queste sezioni corrispondono ai due episodi presentati nella prima. Prima di tutto, la Cena è in relazione con la cena di Betania. In entrambi i casi, oltre alla cornice comune, una cena (12, 2; 13, 2). viene presentata la comunità come tale nel suo rapporto con Gesù, scena senza precedenti nel primo periodo (• il giorno del Messia »). I paralleli sono numerosi: oltre alla prossimità della Pasqua (12, l ; 13, 1), che mette queste sezioni in relazione con la morte di Gesù, appare in entrambe il servizio, ma in senso inverso: della comunità a Gesù, come unzione dei piedi (12, 3), e di Gesù alla comunità, come lavanda dei piedi (13, Sss). In entrambe spicca il traditore ( 12, 4ss; 13, 21ss). La consegna e la morte di Gesù corrispondono all'episodio del pqpolo che esce da Gerusalemme ( 1 2, 12s). In entrambi · i casi vi è un incontro di Gesù con un gruppo, sia la folla, sia i soldati capeggiati da Giuda. 1:: comune anche il tema della regalità di Gesù (12, 13; 18, 33ss); di fatto all'acclamazione della folla (12, 1 3 : il re d'Israele) corrisponde la desi­ gnazione di coloro che vanno a catturarlo ( 1 8 , 5.7: Gesù il Nazareno), ed esse appariranno unite nel titolo della croce ( 1 9, 1 9 : il Nazareno, il re dei giudei). I rinnegamenti di Pietro ( 18�1 7.25.27) sono in relazione con l'avviso dato da Gesù ai discepoli circa il timore della morte ( 12, 25). Il tema dell'Uomo (12, 23.34) riapparirà nell'episodio centrale del giudizio davanti a Pilato ( 1 9, 5), sempre in relazione con la regalità (19, 2.3.5). 498

PRIMA SEZIONE

L'OPZIONE NEl CONFRONTI DEL MESSIA ( 1 1 , 55 - 1 2 , 50)

La condanna a morte di Gesù da parte delle autorità ha spinto all'e­ stremo il conflitto già in atto. Si presenta adesso dinanzi a Israele una duplice opzione: a favore del Messia o a favore dell'istituzione che lo condanna. La sezione comincia con un bre,·e preludio ( 1 1 , 55-57) che, nel contesto della prossimità della Pasqua, descrive l'ambiente che regna tra la gente nei confronti di Gesù, e menziona l'ordine ufficiale della sua denuncia e cattura. All'inizio della sezione si ricorda così la tensione in cui si sviluppano le scene successive. Si descrivono quindi le opzioni all'interno della comunità (12, 1-8); una parte di essa apprezza in tutto il suo valore il dono della vita ricevuto da Gesù; un'altra, rappresentata dal traditore, si oppone alla sua persona e messaggio. La scena si svolge a Betania, dove stava Lazzaro. Il gruppo di discepoli fedeli rende omaggio a Gesù per la vittoria sulla morte, concessa come il dono della vita definitiva. La nuova realtà della comunità di Gesù attrae molti partigiani del regime e intensifica la persecuzione da parte delle autorità ( 1 2 , 9-1 1). La scena centrale che segue (12, 12-36), descrive l'opzione di Israele. Cominciata con un'acclamazione entusiasta, nei confronti di Gesù come Messia riformatore, finisce con il rifiuto, dovuto alla non comprensione del suo disegno messianico e del valore della sua morte. In questa pericope viene intercalato il primo avvicinamento a Gesù dei non giudei, annuncio della futura missione. L'evangelista chiude quest'episodio con la spiegazione delle cause del rifiuto (12, 37-43). La sezione termina con una dichiarazione solenne di Gesù (12, 44-50) senza precisazione di tempo e luogo. Non è più diretta al popolo come tale, ma ai singoli. In essa egli riassume la sua missione e il suo messaggio, come alternativa alla morte, dinanzi alla quale deve operare una scelta l'uomo di ogni epoca. Universalizza così il significato degli episodi che precedono. La scena di Betania e quella della folla che esce da Gerusalemme formano un dittico: Gesù fra i suoi, Gesù davanti al popolo. Questo dittico è in parallelo da un lato con quello costituito dalle due ultime sezioni (cfr. p. 498), ma una struttura simile si ripete anche più avanti: nei capp. 1 3-14 (comunità) e 15-16 (missione), e negli episodi con i discepoli dopo la risurrezione: 20, 19-29 (comunità) e 2 1 , 1-23 (missio­ ne). ·

499

Gv 1 1 , 55-57: Attesa nei confronti di Gesù Era prossima la Pasqua dei gi u dei , e molti dalla campagna salirono a Gerusalemme, prima della Pa sq ua , per lavare la loro im pu ri tà . 56 Cercavano Gesù e commentavano fra loro, senza muoversi dal tem· pi o : - Che vi pare? Forse non verrà alle feste? 57 Da parte loro, i s om mi sacerdoti e i farisei avevano già dato l'ordine che se qualcuno fosse venuto a sapere dove stava, avvisasse per cattu­ 5l

rarlo.

NOTE FILOLOGICHE I l , 55 per lavare la loro impuri/d, gr. hina hagnisosin heautous. La puri· ficazione denotata da hagnizo si faceva con acqua, cfr. Nm 8, 6-7 (LXX) :

li purificherai (aphagnieis autous) e compirai così la loro purificazione (hagnis mon): li aspergerai con acqua di purificazione (hagnismou) , ecc.; cfr. Es 19, IO e, 1n riferimento all'immolazione dell'agnello pasquale, 2 Cr 30, 17 s. Plutarco, Mor., 263 E: lo pur kathairei kai to hudor hagnizei. Nell'A T, il katharismos si poteva fare con sangue (Lv 8, 15), con un sacrificio (Lv 12, 7-8) o con sangue misto ad acqua (Lv 14, 7) ; il termine si applicava an­ che alle purificazioni fatte in privato (Gv 2, 6) o senza carattere ufficiale (3, 25). Gv sceglie quindi hagnizo per indicare una purificazione ufficiale, nel tempio (cfr. At 21, 26), e fatta con acqua espiatrice (cfr. sopra N m 8, 6-7l. Nella traduzione bisogna pertanto da un lato evitare di creare un paralle· lo, inesistente in Gv, fra questo passo e 2, 6; 3, 25; 13, 10-1 1; 1 5 , 3, dall'altro esprimere la relazione con l'acqua, evidente per il lettore di Gv, e che allude a Zc IJ, l (cfr. Lett.). Di qui l'uso della perifrasi lavare •

•.

56 commentavano, gr. elegon. Specificato dal contesto e dall'aggiunto met'allelon (cfr. 6, 43). - senza muoversi dal tempio, gr. m 16 hiero hestekotes. Part. pf. che indica localizzazione durevole o permanente (cfr. 6, 22), qui espressa meglio in it., con la forma negat. (cfr. l, 27 nota). - alle fesre, gr. eis ren heortén; l'espressione greca indica un periodo di tem­ po. Di qui la trad. con il plurale.

CONTEN UTO Questa pericope, in cui la gente della campagna sale a Gerusalemme a pu­ rificarsi prima della Pasqua, contiene dati che rimandano al racconto della passione. In primo luogo vi è un'opposizione fra lavare la loro impurità ( I l , 55) e non contaminarsi e poter celebrare il pasto della Pasqua (18, 28). Il termine • pasqua • apparirà per l'ultima volta in 19, 14: era la prepara­ zione della Pasqua. I l lavare l'impurità forma un'opposizione inclusiva con 19, 34, in cui l'acqua sgorga dal costato d i Gesù (cfr. Lett.). La pericope contiene tre momenti. In primo luogo si descrive la circostan· za ( l i, 55); in seguito, l'aspettativa della gente nei confronti di Gesù (Il, 56); infine si menziona il mandato di cattura emesso dalle autorità (Il, 57).

500

Il, S5-57. Attesa nel confronti di Gaù

. . LE'TTtffi A 1 1 , 55a · Era prossima la Pasqua dei giudei. :t

la terza e ultima volta che Gv menziona la v1cmanza della Pasqua

2, 1 3 ; 6, 4; I l , 55) . Nella prima Pasqua (2, 13) ebbe luogo la denuncia da parte di Gesù dell'istituzione del tempio; nella seconda (6, 4), Gesù non

salì a Gerusalemme, si trattenne in Galilea e anticipò la futura Pasqua messianica; nella terza ( I l , 55), di nuovo a Gerusalemme, la narrazione avrà il suo culmine, coincidendo con l'• ora • di Gesù (2, 4; 1 2 , 23). Riassumendo le due precedenti, la Pasqua e il tempio antico saranno definitivamente sostituiti dalla nuova Pasqua e dal nuovo santuario (2, 1 9) : s'immolerà l'Agnello di Dio ( 1 , 29) e sgorgherà dal nuovo san­ tuario l'acqua dello Spirito (7, 39; 19, 34) . 55b e molti dalla campagna salirono a Gerusalemme, prima della Pasqua, per lavare la loro impurità.

Molta gente della provincia sale alla capitale prima della data della Pasqua, per sottoporsi ai riti di purificazione imposti dal sistema religioso (cfr. 2 Cr 30, 15-20). Quanti si trovavano in stato di impurità non potevano celebrare la Pasqua alla data fissata, dovevano attendere il mese successivo. In Nm 9, 1-14 si narra che alcuni la ritardarono per aver toccato un cadavere. La gente della campagna sale a Gerusalemme, il luogo dello sfruttamen­ to (2, 1 3 ss ) ; credono ancora nelle sue istituzioni. Sono sottomessi ai suoi sacerdoti, che hanno deciso di uccidere Gesù ( I l , 53). L'espressione lavare la loro impurità, che indica un legame con l'acqua (cfr. nota). e la menzione di Gerusalemme mettono questo testo in relazione con quello di Zc 13, l (eb.), in cui il profeta annuncia l'apertu­ ra a Gerusalemme di una fonte per lavare i peccati e le impurità. La promessa si trova fra quelle che si compiranno • nel giorno del Signo­ re • , in cui si inserisce la menzione del • Trafitto • (Zc 12, 1 0). Gv, che segue il testo ebraico, nel Trafitto vede Gesù (19, 37), dal cui costato aperto sgorga l'acqua insieme con il sangue ( 1 9, 34), associando al Trafitto sulla croce la promessa della fonte aperta a Gerusalemme per lavare i peccati e le impurità (Zc 13, l ; cfr. 14, 8). La gente della campagna sale a purificarsi a Gerusalemme senza sapere che, per la prima volta, esisterà la possibilità di farlo realmente; salgono a celebrare la Pasqua dei giudei, ignorando che, per la prima volta, sta per essere celebrata una Pasqua nuova, con l'Agnello che toglie il peccato del mondo. Vanno a purificarsi da ciò che considerano peccato, le macchie legali, mentre, senza rendersene conto, sono sottomessi alla tenebra che impe­ disce loro di vivere. Da questa che è - e causa - il peccato del mondo, li libererà l'Agnello di Dio. 56 Cercavtmo Gesù e commentavano fra loro, senza muoversi dal tempio: • Che vi pare? Forse non verrà alle feste? •·

Si aspettavano di trovare Gesù in città; ora, per le cerimonie della

SOl

L'ora finale. La Pasqua del Meula

purificazione, rimangono nel tempio, l'atrio (10, 1 ) in cui stanno le pecore che il ladro ruba, sacrifica e distrugge (10, IO) . II nome di Gesù è sulla bocca di tutti. Si domandano se egli avrà il coraggio di andare alla festa. Essi, sottomessi alle loro istituzioni, cercano tuttavia Gesù, che si è opposto alle istituzioni e ai dirigenti. Ma non possono uscire da soli dal recinto in cui si trovano: continuano a essere sottomessi, soffrendo lo sfruttamento. Soltanto Gesù può trarli fuori da lì (10, 3-4). � questa l'ultima scena situata nel tempio. In avvenire esso sarà menzionato una volta soltanto, da Gesù davanti ad Anna, riferendosi al suo insegnamento passato (18, 20). Gesù non andrà a questa festa che, nella narrazione evangelica, non sarà mai celebrata. Egli deve celebrare la sua Pasqua. 57 Da parte loro, i sommi sacerdoti e i farisei avevano già dato l'ordine che se qualcuno fosse venuto a sapere dove stava, avvisasse per catturarlo.

La situazione è critica: vi è già un ordine ufficiale di denuncia e cattura. Gesù è considerato dalle autorità come un criminale pericoloso ( 1 1 . SO) . Ha dato vita: bisogna dargli morte ed estinguere la speranza. n sistema politico-religioso è agente del Nemico omicida (8, 44).

502

Gv 1 2, 1 -8 : La comunità celebra la vita 1 Sei giorni prima della Pasqua Gesù andò a Betania, dove stava Lazzaro, il morto, quello che Gesù aveva suscitato da morte. ' Gli offrirono ivi una cena, e Marta serviva; Lazzaro era uno di coloro che erano adagiati a mensa con lui. 1 Allora Maria, prendendo una libbra di profumo di nardo autentico, molto costoso, unse i piedi di Gesù, e gli asciugò i piedi con i capelli. E la casa si riempì della fragranza del profumo.

4 Disse però Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, quello che stava per consegnarlo: 5 Per qual motivo non si è venduto per trecento denari e non si sono da ti ai poveri ? 6 Disse ciò non perché gli importassero i poveri, ma perché era un ladro, e siccome teneva la borsa, portava via quello che vi mettevano. 7 Disse allora Gesù: - Lasciala fare ! Che lo custodisca per il giorno della mia sepoltura; • perché i poveri li avrete sempre fra voi, invece non sempre avrete me. -

NOTE F I LOLOGICHE 12, l il morto, gr. ho tethnékos. Variante critica che , se anche manca in alcuni codici importanti (Sin, B), si trova tuttavia nella testimonianza più antica (papiro 66) e in altri codici importanti (A, D). t! più facile ammettere la soppressione di queste parole che non la loro aggiunta a un testo pri­ mitivo che non le comprendesse. - aveva suscitato, gr. égeiren. In correi. con 5, 21. ' Si noti il parallelismo fra 1 ,28: en Béthania ... hopou en ho 16annés baptizon e 12, 1 : ei.s Béthanian, hopou én Lazaros ho tethn�kos, hon egeiren ek ne­

kr6n Usous.

2 Gli offrirono, gr. epoi�an ... autlJ. - adagia ti a mensa. Cfr. 6, W-1 1 ; 13, 23. 3

autentico, gr. pistik�. Derivato di pisti.s; di persone: fedele, degno di fede;

raramente di cose: autentico, non adulterato. I n questo testo, e nel suo parallelo Mc 14, 3, pistikés ha causato difficoltà . Il valore simbolico del profu­ mo ( = l amore, cfr. Lett.) spiega l'uso di questo aggettivo: profumo autenti­ .

'

co = amore fedele. t;: una nuova espressione della kharis kai alétheia, 1 , 14. 16.17: l'amore fedele della comunità risponde a que llo di Gesù.

5 Per qUDl motivo ... ?, gr. dia ti. Cfr. 7, 45; 8, 43.46; 13, 37. - per trecento denari. Si conserva nella trad. questa moneta fuori uso, per conservare la cifra, che ricorda le trenta monete di Mt 26, 15; 27, 3.9. Il de­ naro era il salario della giornata di un operaio. La somma rappresentava quasi un anno di lavoro, cfr. 6, 7 nota.

7

Che lo custodisca, gr. hina. Imperativo. 503

L'ora liDale. La Puqua del Meula

8 fra voi,

.

meth'heaut�n. In luogo di meth'humon, cfr. 5, 42 nota. - non ... avrete me, gr. ou ... ekhete. A differenza di ekhete meth'heaut6n, che indica continuità con Io stato presente, la negazi one introduce un'interruzione gr.

di questo stato collocata in un futuro immediato.

CONTENUTO E DIVISIONE Questa pericope, con cui comincia un nuovo arco di sei giorni, descrive la celebrazione fatta dalla comunità cristiana della vita che Gesù le ha comu· nicato. t! situata a Betani a il luogo della comunità (IO, 40b Lett.; Il, 1). Questa la celebra servendo (Marta) e mostrando l'amore per Gesù (Maria). Fra i discepoli, Giuda non comprende né il servizio né l"amore. La pericope comincia presentando l'occasione e il gesto di Maria nei con­ fronti di Gesù (12, 1-3). G iuda si oppone e Gesù risponde alla sua protesta ,

(12, 4-8).

Si può dividere cosi: 12, 1-3: Occasione e gesto di Maria. 12, 4-8: Protesta di Giuda e risposta di Gesù.

LETTURA Comincia qui un nuovo arco di sei giorni (cfr. l . 19; 2, l) che racchiude l'ora di Gesù (12, 27; 17, l ; cfr. 19, 14.27) e termina con la sua morte. I l giorno stesso del primo arco, quello della creazione dell'uomo, cominciò a Cana e comprendeva ì"attività di Gesù, alla quale egli darà compimen­ to in questa ora. Rispetto a l suo giorno è l'ora finale, ma al tempo stesso è quella che inizia il giorno della nuova creazione (20, 1 ) . 2 la frontiera fra due periodi della storia dell'uomo: è l'ora cui tendeva tutta la speranza precedente, e l'ora che origina la nuova realtà inci­ piente. In essa si realizza il grande segno, del quale tutti i precedenti erano anticipo: la manifestazione dell'amore di Dio in forma totale e definitiva. La gloria di Dio si renderà visibile nella persona di Gesù, il n uo vo e d e fi n i t i vo santuario (2, 19.2 1 ) .

Occasione e gesto di Maria 12, 1 Sei giorni prima della Pasqua Gesù andò a Betania, dove stava Lazzaro, il morto, q uello che Gesù aveva suscitato da morte. In ques to passo la Pasqua non ha più Ia determinazione • dei giudei •, perché si sta per celebrare la Pasqua di Gesù, che è quella di Dio. Gesù va a Betania, luogo della sua comunità ; è lì che si celebra la festa, perché que l lo è il luogo della vita. Questa Betania manca qui

504

U, 1-1.

La comuaftl celebra la vita

di localizzazione precisa; per di ptu, il parallelismo della frase: a Be­ tania, dove stava lAzzaro, con quella di l . 28: a Betania, ... dove Giovan­ ni stava .. , la assimila più che altro al luogo ideale della comunità, al di fuori del mondo giudaico (10, 40-42). I I gruppo di discepoli rappresenta­ to dai tre f ra telli ha compiuto ormai la sua rottura ( 1 1 , l Lett.). Betania è id en t ifica t a come il luogo dove si trova Lazzaro, morto e vivo al tempo stesso; è la comunità di Gesù, in cui la vita ha vinto la morte. .

2 Gli offrirono ivi una cena, e Marta serviva; lAzzaro era uno di coloro che erano adagiati a mensa con lui.

AI di fuori di questo passo, la parola

• cena • appare soltanto in 13, 2.4; 21. 20, sempre riferita all'ultima cena. La cena di Betania si identifica pertanto in un certo modo con quella, in cui si dà il comandamento che interpreta l'eucarestia ( 1 3, 34s). Questa cena o celebra zione è un' azione di grazie a Gesù per il dono della vita. La celebrazione cristiana non si rivolge a un Gesù a ssen te o distante, ma presente e par te cip ante. La frase i n iz iale è solenne : gli offrirono ivi una cena. II soggetto indeterminato include l'intera comunità, il cui anonimato permette l 'applicazione a ogni tempo. Lo stesso va lore ha la localizzazione ivi, che equivale a Betania, luogo simbolico che rappresenta la comunità

dei discepoli. I personaggi stabiliscono relazioni diverse, mostrando di essere figure complementari: Mar ta serve; anche se si è nominato soltanto Gesù, l'amore per lui porta all 'amore per gli altri (14, 15). Lazzaro, il com­ mensale passivo, è in relazione esclusiva con Gesù (era adagiato a mensa con lui).

Questa celebrazione della comunità cristiana sostituisce il banchetto funebre. Tolta la pietra che separava i morti dai vivi, e sciolto Lazzaro, questi può essere presente alla cena. Lo avevano lasciato andare con il Padre, ma proprio per questo egli è presente nella comunità, luogo della presenza del Padre (14, 23). Recuperata dalla sua tristezza, la comunità celebra la vita ricevuta, riconosciuta in Gesù come sua fonte e in Lazzaro come beneficiario. Perciò il banchetto in memoria di un morto si trasforma in azione di grazie per cel ebrare la presenza del da tore di vi ta e la vittoria sulla morte. Questo banchetto, come la stessa eucarestia, anticipa anche in un certo modo il banchetto fi nal e, i cui commensali saranno tutti coloro che hanno ricevuto la vita definitiva. 3 Allora Maria, prendendo una libbra di profumo di nardo autentico, molto costoso, unse i piedi di Gesù, e gli asciugò i piedi con i capelli. E la casa si riempì della fragranza del profumo. II gesto di Maria mostra la sua riconoscenza per i l dono della vita; il prezzo del p rofu mo è si m bol o del suo amore senza misura ' · Per descrivere la scena Gv util izza i l linguaggio del Cantico, mostrando che M aria , rappresentante della comunità, assume il ruolo di sposa 1 Maria unge i piedi di Gesù. Una schiava poteva ungere i piedi di un ospite prima di mangiare, con olio allo stato naturale o profumato (S. - B. l , 426ss) ; ma il gesto di Maria non è soltanto d i servizio, ma di omaggio.

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L'ora finale. La Paoqua del Metl!lla

rispetto a Gesù. Cosi Ct 1 , 12: • Mentre il re ( = Io sposo) stava sul suo divano (cfr. Gv 12, 2: adagiato), il mio nardo spandeva il suo profumo " (Gv 1 2 , 3). Il tema dei capelli si trova in Ct 7, 6 : « Con le tue trecce fai prigioniero u n re ». Il profumo che Maria spande è simbolo dell'amore della comunità per Gesù, che risponde all 'amore che egli le ha mostrato comunicandole la vita ( 1 , 1 6 Lett.). Asciugandogli i piedi con i capelli, con i quali viene imprigionato lo sposo (Ct 7, 6), si insinua l'amore che lega Gesù ai suoi. La frase finale: la casa si riempì della fragranza del profumo, contrasta con Ger 25, IO (LXX) : « Farò cessare le grida di gioia e le voci di allegria, la voce dello sposo e quella della sposa, la fragranza del profumo e la luce della lampada • . Con Gesù, lo sposo, è tornata la gioia che colmò Giovanni Battista (3, 29 ) ; esiste nuovamente la fragran· za dell'amore. In Ct l , 3 (LXX) la si identifica con lo sposo: • la fragranza dei tuoi profumi supera tutti gli aromi ; profumo asperso è il tuo nome, per questo le ragazze si innamorano di te >>. La casa intera. la comunità, si riempie della fragranza dello Spirito, amore che ha ricevuto da Gesù e contraccambia, vincolo di unione fra i discepoli. La comunità di Gesù si riunisce in una casa che al tempo stesso è la sua dimora. Il termine appartiene alla vita familiare, senza connotazio­ ne religiosa. La casa·dimora fu nominata per la prima volta nell'epi· sodio del funzionario, dove alludeva all'universalità della missione {4, 53: la sua famiglia). Le comunità di Gesù non si stabiliscono nell'area del sacro, ma in quella dell'umano, mentre, al tempo stesso, questa ca­ sa-dimora è già quella del Padre, in cui Gesù ha preparato un posto ai suoi (14, 2s). La comunità cristiana celebra quindi la nuova vita, la creazione del­ l'uomo a opera di Gesù. I n questa celebrazione Gesù è presente, e l'amore e la riconoscenza che gli vengono espressi ridondano sulla comunità, colmandola dello Spirito. Questo è profumo perché è vita e immortalità, opponendosi al fetore che Marta teme\·a da suo fratello morto (I l , 39). Quel fetore irrimediabile si è trasformato in profumo, perché la comunità sa ora che la vita ha vinto la morte. Gesù ha portato a termine il disegno di Dio sull'uomo, dandogli la vita definiti­ va. Di qui il prezzo del profumo. Questa vita oltrepassa ogni prezzo. L'omaggio della comunità a Gesù è quello di un amore autentico, fedele (dr. nota), che manterrà la lealtà a lui in mezzo alle persecuzioni di cui è oggetto. I dati del testo intorno all'unzione possono riassumersi così: il profu. mo è offerto a Gesù nel corso del banchetto, fa parte dell'omagg io che la comunità gli rende come datore di vita. Per l'allusione al Cantico, rappresenta l'amore che la sposa tributa allo Sposo, l'amore fedele (autentico). Vengono unti i piedi di Gesù; l'omaggio si trasforma in servizio, segno di accoglienza, e ricorda la lavanda dei piedi che Gesù farà ai suoi e sarà norma della comunità come espressione dell'amore vicendevole. Il profumo in luogo dell'acqua identifica il servizio con l'amore. Quest'amore, che ha come centro Gesù, riempie la casa, si estende cioè a tutti e crea l'ambiente della comunità.

506

U, 1-1. u comunlt/1 celebra la vita

Protesta di Giuda

e

risposta di Gesù

4-5 Disse però Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, quello che stava per consegnarlo: • Per qual motivo non si è venduto per trecento denari e non si sono dati ai poveri? �-

Nella comunità si leva una voce discordante. Qualificando Giuda come uno dei suoi discepoli, Gv lo considera appartenente al gruppo, uno che se ne professa membro e convive con gli altri. Non tutti i discepoli, pertanto, accettano il messaggio di Gesù. Giuda è colui che non lo ha mai accettato; fin dal principio Gesù sapeva che lo avrebbe consegnato (6, 64). � un nemico (6, 70s). Il motivo sarà indicato più avanti (12, 6) . Torna a emergere il contrasto: uno che è discepolo consegnerà Gesù. Colui che fu qualificato come uno dei Dodici (6, 7 1 ) , è ora designato come uno dei suoi discepoli. Come si era già visto, il numero 1 2 designa la comunità intera in quanto erede delle promesse di Israele (6, 70 Lett.). Gesù morirà per mano del • mondo • . ma per la sua morte sarà necessaria la cooperazione di un discepolo. Il traditore nella cerchia dci suoi è per lui il massimo pericolo. La domanda di Giuda è una protesta. La cifra di 300 denari rappresenta una somma considerevole, dato che il denaro era il salario della giornata di un operaio: la somma equivale pertanto a quasi un anno di lavoro. e superiore a quella che Filippo stimò insufficiente a calmare la fame della folla (6, 7). Giuda rimane nelle categorie del denaro (vendere, cfr. 6, 5 : comprare, cfr. Lett.), professa i principi dello sfruttamento (2, 14: i venditori nel tempio). Egli preferisce il denaro all'amore e, pertanto, a Gesù. In realtà sta dando un prezzo alla sua persona. Ha tassato ciò che non ha prezzo 2 • Risuona nuovamente il testo del Cantico: se qualcuno volesse comprare l'amore con tutte le ricchezze della propria casa, si renderebbe disprez­ zabile (8, 7). Giuda non crede nell'amore generoso; il denaro è per lui il

valore supremo. Maria svaluta il denaro; Giuda, l 'amore. Il pretesto che Giuda adduce mette l'attività esteriore della comunità al di sopra dell'espressione della sua stessa vita. Non partecipando dei valori del gruppo, vuole dissimulare la sua mancanza di integrazione facendo appello a una attività che in realtà è una evasione; parla come se si potesse amare coloro che sono al di fuori senza amare coloro che sono al di dentro, o come se l'amore non fosse l'identità e il distintivo della comunità e la piattaforma necessaria per la testimonianza, da cui deriva la possibilità della fede per il mondo ( 1 3 , 34s; 17, 22). Pretende di opporre i poveri a Gesù; pensa che la dimostrazione di amore debba esser data unicamente a loro; questa è perlomeno la giustificazione espressa nella sua protesta. Per rimediare la situazione dei poveri propone dei mezzi che si sono già rivelati inefficaci (6, 5-7). Tuttavia la gratitudine espressa dal profumo dimostra precisamente che la comunità è vicina ai poveri: si ringrazia Gesù per la vita che si riceve da lui e che il discepolo possiede per dedicarla agli altri. Questa gratitudine è un impegno. 2 l 300 denari ricordano le trenta monete d'argento. prezzo fissato per Gesù, che

i sommi sacerdoti pagarono a Giuda (M t 26, 15; 27, 3.9).

L'ora 6nale. La Pasqua del Messia

Come soluzione alla povertà Giuda propone l'elemosina anziché la comunità; questa non vive in strutture di denaro (compra-vendita), ma di azioni di grazie e messa in comune (6, I l ) , di amore condiviso e che condivide. Jn ogni caso, Giuda pensa che nessuno, neanche Gesù stesso, meriti un amore totale. In pratica non è disposto a dare tutto per nessuno; si rifugia nel generico, nella massa astratta (i poveri). Tuttavia l'unico modo per giungere ai poveri è identificarsi con Gesù che dà vita dando se stesso. Quanto maggiore sarà l'assimilazione a lui, tanto più si sarà vicini ai poveri. Soltanto attraverso Gesù questi trovano la salvezza, perché la povertà è causata dal rifiuto di una generosa dedizione. Non basta dare, è necessario darsi, e solo identi· ficandosi con Gesù si può amare così.

6 Disse ciò non percl1é gli importassero i poveri, ma perché era un ladro, e siccome teneva la borsa, portava via quello che vi mettevano. Giuda è menzognero; in realtà dei poveri non gli importa; vuole trarre vantaggio dalla vendita del profumo. In fondo, non oppone Gesù ai poveri, ma al proprio interesse. L'amore dimostrato a Gesù · Jo molesta perché impedisce il suo profitto personale. Non sa cosa significhi amare, non prova riconoscenza per Gesù, perché non ha accettato il suo dono né, pertanto, ha ricevuto la vita. Non può ricevere la vita nuova perché non ha rotto con i valori del sistema oppressore. Gesù lo aveva qualificato come nemico ( • diavolo •. 6. 70 s) . ed egli lo è. in quanto ladro come i dirigenti (10, 1 .8.10) . Come loro, ha per padre il Nemico, il potere del denaro (8, 44a Lett.; cfr. 13, 2.27) : per questo è bugiardo e sarà omicida. Si metterà d'accordo con loro (18, 3) e tornerà spudoratamente al mondo cui apparteneva. L'alleato delle tenebre (13, 30) sarà l'agente di morte. Non avendo ricevuto la vita non ha nulla da celebrare, e la festa gli sembra inopportuna. Colui che pretende di occuparsi dei poveri, anziché condividere, acca­ parra (portava via/prendeva quello che vi mettevano), quando l'appro­ priazione è la ragione dell'esistenza dei poveri. Vi è un'opposizione con l 'episodio dei pani, in cui la messa in comune si trasfonna per mezzo di Gesù in alimento per tutti (6, 1 1). Il ladro, Giuda, fa il contrario: ciò che appartiene a tutti passa a essere proprietà di uno, invertendo il movimento della vita, che è diffusivo. Non soltanto ruba, ma sotto pretesto di aiutare i poveri, pretende di rubare ancora di più. �nziché donare se stesso, come Gesù, per dare vita, SpOglia gli altri e trattiene per sé, causando morte. Togliere la vita non è altro che il furto portato al suo estremo, la spoliazione totale. Il ladro finisce con l'essere un assassino. Nel gruppo, Giuda è l'esponente del sistema nemico di Gesù.

Disse allora Gesù: della mia sepoltura • .

7



lAsciata fare! Che lo custodisca per il giorno

L'omaggio che la comunità tributa a Gesù ha come motivo la vittoria della vita sulla morte. Quando giungerà il momento della morte di Gesù

508

12, 1-8. La comunità celebra la vita

dovntnno rinnovarlo, affermando nuovamente tale vittoria; ciò che già hanno visto in Lazzaro, dovranno crederlo di Gesù. Malgrado la sua raccomandazione, il profumo non sarà conservato. I discepoli, rappresentati da Giuseppe di Arimatea (19, 38 Lett.), si di­ menticheranno di portare questa libbra di profumo, accettando invece per la sepoltura le cento libbre di aromi che porterà il fariseo Nicode­ mo (1 9, 39). Cercheranno di perpetuare la memoria di Gesù come quella di un defunto illustre; non avranno imparato che il datore di vita è la vita stessa (14, 6). Soltanto la fede nella potenza della vita, tradotta in adesione e amore per Gesù, garantirà la permanenza in lui della comunità (15, 4.9s), condizione per la sua esistenza e per il suo frutto. Senza tale fede non potranno occuparsi dei poveri. 8 • perché i poveri li avrete sempre fra voi, invece me •.

11011

sempre avrete

presenza di Gesù con i suoi ha un duplice aspetto. Il primo è quello dell'identificazione con la persona di lui (14, 20) attraverso lo Spirito, la gloria che egli riceve dal Padre e comunica ai suoi. Si reàlizza così l 'unione con lui e con il Padre ( 17, 22s). Questa presenza di Gesù è permanente (14, 1 8-20.23) . è un dinamismo unificatore che rende parte· cipi della sua stessa condizione (17, 24) . In questo senso, Gesù è presen­ te nella comunità, più che come termine di relazione, come fonte di vita, principio e capacità di rapporto con ogni uomo. A questo livello, il rapporto personale con Gesù consiste nel rimanere in lui accettando la vita che da lui scaturisce (15, 4-5) . I l secondo aspetto considera Gesù presente come termine esteriore di relazione; questa presenza termina con la sua morte. Il termine della relazione d'ora in avanti lo costituiranno c i poveri • che rimangono sempre. Gesù, presente nella comunità, le comunica il dinamismo del suo amore e, at traverso di essa, raggiunge la persona degli altri. u comunità non si incentra quindi in Gesù come presenza statica verso la quale confluisce tutta la sua vita: è incentrata in Gesù in quanto rimane in lui e partecipa del suo Spirito che la conduce verso c i poveri ». u frase i poveri li avrete sempre fra voi indica la forma di relazione che si stabilisce fra la comunità e i poveri. Questi non sono il termine di un'attività volta all'esterno, come se si trovassero al di fuori del gruppo cristiano; li si considera all'interno di esso, o perché apparten­ gono alla comunità, o perché li si accoglie in essa. Là comunità è separata dal mondo, ma non dai poveri. Attraverso la sua morte, Gesù si vincolerà con tutti i poveri di questo mondo, oppressi , perseguitati. Come lui, la comunità cristiana dovrà manifestare la propria solidarietà con essi. Con la sua morte, Gesù darà la possibilità e indicherà il cammino per abolire l'oppressione, non partendo da una situazione di forza e dominio (denaro), ma di solida­ rietà (dono di sé fino alla morte). La comunità non si distingue dai poveri. è una comunità di poveri che si amano e che, attraverso la condivisione, espressione dell'amore, superano la propria condizione di oppressi. u

509

L'ora Hnale. La Pasqua del Messia

L'amore che rende presente Gesù, risposta e replica del suo, è necessa­ riamente amore vicendevole (13, 34s Lett.); tende a integrare e, con i rapporti umani, a creare comunità di eguali. Per questo i poveri non possono essere l'oggetto esterno della sollecitudine della comunità. L'amore non mette nelle mani un'elemosina per poi disinteressarsi. L'amore di Gesù consiste nell'accogliere alla propria tavola e alla propria intimità. t:: così che i poveri devono essere sempre fra i discepoli. È nella relazione personale che si manifesta l'amore di Gesù. La comunità cristiana pertanto ha la sua chiara identità (13, 35), che però è quella dell'amore vicendevole, consistente appunto nell'essere aperti agli altri. Non si identifica per opposizione a nessuno, ma, come Gesù, per la propria capacità di accoglienza e donazione. L'amore che accoglie, personalizza. Questo è il dono che, accettato, produce l'espe­ rienza dello Spirito, che è vita e amore (17, 22 Lett.). Gesù dà all'uomo la sua piena dignità e statura umana; cosi questi esce dalla propria oppressione e povertà. Sovverte in questo modo la dinamica omicida che svuota l'uomo del suo contenuto, riducendolo a oggetto utilizzabile da qualunque sistema oppressore; elimina la volontà di potere, causa dell'oppressione, dandosi ai poveri non in quanto poveri, ma in quanto fratelli. Risalta ora per contrasto l'atteggiamento di Giuda: mettendo ostacoli all'amore di Gesù, uccide la possibilità di amare i poveri. Colui che non accetta l'amore fino alla morte, vale a dire un atteggiamento di dona­ zione senza misura come quella di Gesù, si trasforma necessariamente in accaparratore e sacrificherà il bene degli altri a quello suo. Siamo al principio del periodo dei sei giorni che racchiudono • l'ora • di Gesù, quella della sua morte. Il conflitto che si imposta a Betania è quello che avrà il suo epilogo nella croce. Giuda, il traditore, incarna il mondo e il suo atteggiamento. Nell'ultimo incontro che avrà con Gesù egli sarà a capo di tutti i poteri ostili ( 1 8, 3-5). E. lui l'aggancio del mondo all'in terno del gruppo. La pericope è in stretta relazione con la scena dei pani in Galilea (6, l ss). "-ì aveva inizio l'esodo di Gesù al di fuori della società ingiusta; a Betania si è giunti alla terra promessa (6, 21 Lett.), la nuova comunità umana. In Galilea la spartizione del pane prefigurava la caratteristi­ ca della nuova comunità, che non comincia creando una organizzazione ma stabilendo uno stile di vita umano, la cui espressione è l'amore (6, I Ob I l) . La comunità ha i poveri con sé e in mezzo a sé. In Galilea l'assimilazione di Gesù appariva come il fondamento della nuova umani­ tà, il cui im pegno è la fedeltà a lui e al suo messaggio di amore per l'uomo (6, 26). A Betania la comunità mostra e mantiene la propria adesione a Gesù e si prepara a mostrargliela nella sua morte, che sara la norma del suo stesso amore.

510

12, 1-'. La comunità celebra la vfta

SINTESI La comunità di Gesù celebra la vita ricevuta da lui, e la sua celebrazio­ ne si incentra su Gesù, datore della vita. I discepoli Io ringraziano per la pienezza raggiunta. Gli dimostrano il loro amore e la loro identifica· zione con lui, che li porta a donare se stessi come lui per dare vita agli altri. Nella pericope vengono opposti due modi di vedere. Il primo è quello del • mondo •, rap p re s en t a t o da un discepolo che da un Iato, col proprio affanno di accaparrare, crea la povertà, e dall'altro, sotto pretesto di beneficienza, utilizza i poveri per il proprio profitto. La seconda è quella di Gesù, per il quale la soluzione della povertà è nel dono di sé agli altri; la relazione personale dà agli oppressi la dignità e la libertà, facendoli così uscire dall'oppressione e mettendoli in condi­ zione di costruire la comunità umana e fraterna.

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Gv 1 2, 9-1 1 : La eemunlti, punto di attrazione ' Una moltitudine di giudei fedeli al regime venne a sapere che si trovava lì, e andarono, non soltanto per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro, che egli aveva suscitato da morte. 1o I sommi sacerdoti, da parte loro, concordarono di uccidere anche Lazzaro, 11 perché a causa sua molti di quei giudei se ne andavano e davano la loro adesione a Gesù.

NOTE F I LOLO G I C H E 12, 9

Una moltitudine, gr. okhlos po/us.

molti di quei giudei, ecc. In gr. genit. partit. senza prepos. ek (cfr. 19, 20) in pa.rall. con I l , 45. Per ltupag6 senza. termine espresso, cfr. 8, 2 1 .

Il

CONTENUTO La pericope mostra l'impatto prodotto dal fatto di I...azro za fra i fedeU

dell'istituzione giudaica. Non solo Gesù, ma la sua comunità, si trasfonna· no in un punto di attrazione. Le autorità religiose reagiscono, senza esitan davan ti a un nuovo omicidio; si propongono di sopprimere anche coloro che possiedono la vita che Gesù comunica, la cui realtà provoca l'esodo dei loro fedeli.

LETTURA 12, 9 U11a moltitudine di giudei fedeli al regime venne a sapere che si trovava li, e andarono, non soltanto per Gesù, ma anche per vedere IAu.aro, elle egli aveva suscitato da morte. Gesù stava • lì ». Questa determinazione locale raccoglie quella della pericope precedente (12, 2: gli offrirono ivi una cena) e indica il luogo della comunità cristiana, dove si celebra la vita rendendo omaggio a Gesù presente. Il fatto di Lazzaro ha una vasta ripercussione fra • i giudei � . Con la sua opera, Gesù ha creato la speranza. La vita che regna nella sua comuni!& attrae coloro che non l'avevano mai conosciuta perché integrati in un sistema di morte. La comunità rende testimonianza davanti al mondo. prima che con le parole, con la sua nuova realtà. Lazzaro, il morto vivo. si trasforma in figura della comunità cris tiana, quella dei • resuscitati da morte •. Il mondo futuro è presente nella storia.

512

IZ, 9-11. La c:omlllltà l , punto di attrazione

Con il suo modo di agire la comunità afferma che è finita l'attesa. che la tappa definitiva è giunta. Questo si percepisce nella celebrazione della comunità a Betania, dove si reca una moltitudine di giudei; Il il rito funebre era stato sostituito dall'azione di grazie. Questa fede nella vita definitiva presente dà alla comunità la sua fisionomia, consuma la sua rottura con il passato e la rende testimone della salvezza. La nuova realtà invalida t t� tta l'istituzione giudaica. 1 0 I sommi sacerdoti, da parte loro, concordarono di uccidere anche Lazzaro.

L'accordo di uccidere Lazzaro è parallelo a quello che avevano preso in precedenza rispetto a Gesù ( I l , 53). La duplice decisione delle autorità rappresenta la successione storica dei fatti. Dopo aver ucciso Gesù vogliono sopprimere la sua comunità, che afferma che il resuscitato vive fra loro ed essi partecipano della sua vita. Lazzaro appare come figura che anticipa la risurrezione dalla morte cominciata in Gesù. La vita che Gesù comunica rende la comunità libera e autonoma di fronte al mondo, e questo reagisce come ha fatto contro Gesù ( 1 5 , 18-2 1 ) . Vivendo come gruppo alternativo, la comunità mette in pericolo le basi del sistema, mostrando la nuova realtà che si offre a tutti. La comunità cristiana manifesta e prolunga la libertà di Gesù. 1 1 perché a causa sua molti di quei giudei se ne andavano e davano la loro adesione a Gesù. II contatto con la comunità cristiana dà i suoi frutti; la sua testimonian·

conduce alla fede in Gesù. Le autorità si allarmano per la diserzione di molti dei loro fedeli. I sommi sacerdoti vedono crollare la loro credi­ bilità e, con essa, il loro potere. Hanno decretato la morte di Gesù, ma vedono che i loro stessi fedeli si schierano dalla parte di colui che essi hanno condannato. za

513

Gv 12, 12·36: Israele rifiuta Il Messle 12 Il giorno seguente, la moltitudine venuta per la festa, udendo che Gesù giungeva a Gerusalemme, 1 1 colse i rami delle palme gli uscì incontro e si mise a urlare : - Salvaci! Benedetto colui che viene a nome del Signore, il re di Israele! 1 4 Ma Gesù trovò un asinello, gli montò in groppa, come stava scritto: ,

l!

16

Non temere, città di Sion, guarda il tuo re che giunge in groppa a un puledro d'asina.

Sul principio i suoi discepoli non compresero questo; quando però Gesù manifestò la sua gloria, allora si ricordarono che questo era stato scritto e questo gli avevano fatto. 1 1 Rendeva testimonianza la gente che era stata con lui quando chiamò Lazza ro dal sepolcro suscitandolo da mone. 11 Appunto per questo la moltitudine gli uscì incontro, essendo venuta a sapere che aveva com­ piuto quel segno. 19 Davanti a ciò i farisei dissero tra loro: - Vedete bene che non approdate a nulla, ecco che il .mondo intero è andato dietro a lui. 20 Alcuni di quelli che salivano a render culto nella festa erano greci;

21

costoro si avvicinarono a Filippo, quello di Betsaida di Galilea, e Io pregarono: - Signore, vorremmo vedere Gesù. 22 Filippo Io andò a dire ad Andrea; Andrea e Filippo Io anelarono a dire a Gesù. " Gesù rispose loro: - 1ò giunta l'ora che si manifesti la gloria dell'Uomo. 24 Davvero vi assicuro: se il chicco di frumento caduto a terra non muore, rimane solo; se muore, invece, produce molto frutto. 21 Essere attaccati alla propria vita è dist ruggersi, disp rezzare la propria vita in questo ordi­ namento è conservarsi per una vita definitiva. 26 Chi vuole collaborare con me, mi segua, e così , là dove sono io, sarà anche colui che collabora con me. Chi collabora con me il Padre Io onorerà. .

27 Ora mi

sento fortemente agitato; ma che posso dire?: • Padre, liberami da quest'ora? •· Ma per questo sono giunto a quest'ora: 21 Pa­ dre, manifesta la gloria della tua persona! Venne allora una voce dal cielo: - Come l'ho manifestata, così tornerò a manifestarla! 29 Davanti a ciò, la gente che si trovava lì e la udì, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: - Gli ha parlato un angelo. Jo Replicò Gesù: - Questa voce non era per me, ma per voi. 3 1 Ora vi è già una sentenm contro questo ordina mento, ora il capo di questo ordinamento sta per essere cacciato fuori; J2 infatti io, quando sarò innalzato da terra. trarrò tutti a me. 33 Questo Io diceva indicando il genere di mone di cui stava per morire. 514

U, 1.2-36. bnele rllluta Il Meufa

Gli replicò la gente: - Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Messia rimane per sempre, come fai a dire tu che l'Uomo dev'essere levato in alto? Cosa è quest'Uomo? J5 Rispos e loro Gesù : - Per breve tempo a ncora la luce sarà tra voi; camminate finché avete la luce, perché non vi colga la tenebra, perché chi cam min a nella tenebra non sa dove va. " Finché avete luce, date l'adesione alla luce, e sarete così partecipi del la luce. Così pa rlò Gesù. Poi se ne andò, nascondendosi da loro.

34

NOTE FI LOLO G I C H E 12, 1 2 moltitudine, gr. okhlos polus. Cfr. 6, 5; 12, 9. - per [la festa], gr. eis. La festa non era ancora cominciata, cfr. 12, 1 : sei giorni prima della Pasqua.

colse i rami delle palme, gr. · elabon ta baia ton. phoinik6n. Il verbo (elabon) e la duplice determinazione (la ... ton) indica che si tratta del lulab o hosa'nti (h6sanna), il cui fondamento biblico si trova in Lv 23, 40.

13

L'interpretazione rabbinica segnala, da un lato, il ramo di cedro e, dal­ l'altro, il ramo composto di palma, salice e mirto, in cui la prima eccedeva "in lunghezza (4 palmi; le altre, 3) (S.-B. Il, 780). A questo ramo composito allude Gv con la sua espressione: i rami delle palme. L'essenziale nel pre­ cetto di Lv 23,40 era prendere il ramo (LXX : Iempsesthe; cfr. Gv 12, 13: elabon) (S.·B. II, 784). Anche se originariamente fu prescritto per la festa delle Capanne (Lv 23, 3941). veniva usato anche nella Dedicazione, le Ca­ panne d 'inverno (cfr. 2 Mac IO, 7; Gv IO, 22). I rami venivano agitati al canto del Sal I I 8: rendete grazie al Signore, in segno di rendimento di grazie e di vittoria (cfr. Sal I I8, B-21 e S.-B. Il, 786). Il testo di Gv 12, 13 fa per­ tanto una sintesi delle feste di Pasqua, delle Capanne e della Dedicazione, che riassume le grandi occasioni dell 'attività di Gesù e ingloba il carattere messianico delle tre feste, mettendole nel contesto dell'esodo, motivo prin­ cipale della Pasqua. - si mise a urlare, gr. ekraugazon. lmpf. success. Per l'uso di kraugaz6, cfr. I I , 43. - Salvaci!, gr. hòsanna. Dall'eh. hosa'nti (Sal I I 8, 25, LXX: s6son de). 15 città di Sion, gr. thugater. Morfema eb. bat chj: serve a personificare una città e i suoi abitanti, cfr. Zc 2, 1 1 (LXX): thugatera Babulònos 9, 9: thugatér Siòn. La personificazione femminile permette l'immagine del Messia-sposo.

17 suscitando/o, gr. kai igeiren. La consecuzione in it. si esprime meglio con il gerundio che con la coordinazione. 18 aveva compiuto, gr. pepoiekmlli. Pf. di azione passata a stato presente; il segno compiuto permane. Cfr. El Aspecto Verbal, nn. 383, 387, 434. 19

[)Qva n ti a ciò, gr. oun. Rimanda

a

quello precedente.

515

L'ora fiDale. La Puqua del Meula

- non approdate a nulla, gr. ouk IJpheleite ouden. Espressione idiomatica it. per indicare l'inutilità di uno sforzo. - il mondo intero, gr. ho kosmos. Nel suo duplice significato: universale e particolare di moltitudine.

21

vorremmo, gr. thelomen. In fanna it. di cortesia.

23 che si manifesti la gloria, gr. hina doJCasthi. Aor. manifestativo, cfr. 7, 39 nota. - l'Uomo, cfr. Excursus, p. 874. 25 Essere attaccati, ecc. gr. ho philon, ecc. La forma con l'infinit. è comune nello stile delle sentenze i t., cfr. 5, 23 nota. I l complemento psukhén con il possessivo è un semitismo che equivale spesso al semplice pron. riflessivo, cfr. IO, I l nota; in questo caso, tuttavia, (cfr. IO, 17), il significato dei verbi richiede la traduzione • vita • (fisica, in oppos. a z6é) . Phile6, miseo forma­ no un'opposizione il cui fulcro si trova nell'attaccamento a/distacco da se stesso. - questo ordinamento. Cfr. 8, 23 nota; 9, 39. 26 Chi vuole collaborare con me, gr. ean emoi tis diakoné. Si evitano in questo contesto i termini servire/servitore, che falserebbero l'immagine che Gesù propone (cfr. 15, 13-15). Diakonos significa non soltanto chi serve qualcuno per amore (in oppos. a doulos) , ma l'ausiliare/aiutante/collabo­ ratore nel suo lavoro, cfr. Rm 13, 4 (agente) ; l Cor 3, 5; 2 Cor 3, 6; 6, 4; 1 1 , 8.23; Gal 2, 17; Ef 3, 7; 6, 21; Fil 1 , 1 ; Col 1 , 7; 4, 7. - e così, gr. kai. Consec. 27 mi sento fortemente agitato, gr. hA psukhé mou tetarak tai. Pf. intensi­ vo; per psukhé con posses., cfr. 12, 25 nota. La perifrasi con psukhé mette l'agitazione di Gesù in relazione con 12, 25b: ho mison tén psukhén autou en t6 kosmo tout6. manifesta la gloria. Cfr. 7, 39 nota. - della tua persona, gr. sou to onoma. Cfr. 17, 6 nota.

28

29 Davanti a ciò, gr. oun. Consec. - era sta to, gr. gegonenai. Essere accaduto. - Gli ha parlato, gr. lelaléken. Pf. estensivo: gli è stato a parlare, sfumatura superflua nella trad. 31 vi è già, gr. estin. Perfettivo risultativo, che denota esistenza attuale derivante da un fatto passato. - sentenza, gr. krisis. Cfr. 3, 19. 32 infatti io, gr. kag6, kai. Specificato nel contesto come esplicativo­ causale. 34

abbiamo appreso, gr. ékousamen. Con aggiunta di origine non personale, cfr. 5, 30 nota. - l'Uomo, cfr. Excursus, p. 874. - Cosa, gr. tis. Non domanda l'identità dell'Uomo, ma la sua funzione: che titolo gli si applica? (dato che non può essere il Messia).

35

516

perché, gr. kai. Cfr. 12, 32 nota.

12, lZ-36. loraele rifiuta Il Meala - Ta

tm�tJra. Si adotta la variante con articolo (cfr. 1, 5; 6, 17; 8, 12). L'omis­ sione dell'articolo nei migliori codici può esser dovuta a una aplografia, perché è preceduto dalla negazione me.

36 � . . . così, gr. hinJJ. Consec. - sarete ... partecipi della luce, gr. huioi phOtos genésthe. Per la perifrasi con huios, cfr. Excursus, p. 874 - Poi, gr. kpi. Successivo.

CONTEN UTO E DIVISIO NE La scena di Betania descriveva la celebrazione fatta dalla comunità cristiana di Gesù il Messia, datore di vita (12, l.a). In questa pericope si narra l'in·

contro di Gesù come Messia con Israele, e il rifiuto della sua proposta messianica. I temi principali della pericope sono la qualità del messianismo di Gesù e la sua universalità; sviluppa la reazione dei discepoli insinuata in 2, 17 da· vanti al gesto messianico di Gesù nel tempio, in occasione della prima Pasqua, e il tentativo di farlo re nel contesto della seconda (6, 15). L'aspet­ tativa messianica giudaica aveva per oggetto un re potente, che continuasse le glorie di Davide e restituisse il suo splendore a Israele come nazione. Il messianismo di Gesù, al contrario, ha come evento centrale il dono della sua vita e la possibilità che egli dà all'uomo di realizzare in sé il progetto divino. Appoggiata dal Padre (12, 28), la comunità proclama Gesù re universale, che dalla croce si trasforma in punto di attrazione per l'umanità intera. L'iti­ nerario di Gesù diventa norma per i suoi, che hanno la missione di produrre frutto, proclamando quest'Uomo come Messia. Rompendo con la concezio­ ne messianica tradizionale, suscita nell'auditorio giudaico la domanda stu· pita: Cosa t quest'Uomo? ( 12, 34), che annuncia già il rifiuto. La pericope comincia con l'uscita della folla da Gerusalemme incontro a Gesù, che non entra in città. Si divide in tre pani principali: la prima (12, 12-19) descrive l'acclamazione messianica . nazionalista e la reazione di Gesù e termina con il commento disperato del gruppo fariseo , in parallelo con la reazione dei dirigenti dopo la scena di Betania (12, 9·11). La seconda (12, 20.26), rivolta in primo luogo ai discepoli, introduce il tema della mis­ sione universale e le condizioni' per realizzarla. La terza (12, 27-36), in cui Gesù torna a rivolgersi alla moltitudine, espone il tema del Messia cro­ cifisso; questo provoca la sorpresa e lo sconcerto della gente, che gli oppone il suo concetto tradizionale del Messia, cui Gesù risponde con un avviso finale. La pericope termina con l'allontanamento. di Gesù, che non tornerà a presentarsi davanti al popolo. Riassumendo:

12, 12-19: Acclamazione messianica e reazione di Gesù. 12. 2(}.26: La missione universale e le sue condizioni. 12, 27-36: L'Uomo levato in alto, il Messia rifiutato.

517

L'ora finale. La Pasqua del Messia

LETIU RA Acclamazione messramca e reazione di Gesù 1 2 Il giorno seguente, la moltitudine venuta per la festa, udendo che Gesù giungeva a Gerusalemme. La datazione mette l'episodio in connessione immediata con quello

della sera precedente (cfr. 6, 22). Da Betania, sede della sua comunità, Gesù si dirige a Gerusalemme, sede dell'istituzione giudaica. La setti­ mana finale è avanzata e l'epilogo si avvicina. La conversazione dei pellegrini nel tempio verteva sulle probabilità che Gesù si presentasse nella capitale per le feste di Pasqua ( 1 1 , 56). Come di costume in queste feste, la città era piena di forestieri. Ba colse i rami delle palme, gli usci incontro. La moltitudine viene a sapere che arriva Gesù ed esce dalla città incontro a lui. Gesù non entrerà a Gerusalemme, dove dominano quelli che l'hanno condannato a morte; la sua presenza, al contrario, fa uscire il popolo. Per ricevere Gesù, la moltitudine coglie i rami delle palme. Questa strana frase allude al ramo che si coglieva e agitava nella festa delle Capanne (cfr. nota), composto da un ramo di palma, un altro di salice e un altro di mirto. Introducendo quest'elemento nella sua narrazione, Gv opera una sintesi della festa di Pasqua e di quella delle Capanne (7, l Lett.) e anche di quella della Dedicazione del tempio o Capanne d'inverno (IO, 22a Lett.). La tematica messianica dei capitoli 7-1 0 viene così incorporata alla Pasqua, festa dell'esodo e della liberazione del popolo, in cui si immolava l'agnello. Giovanni raccoglie e anticipa i significati che avrà la morte di Gesù. 13b e si mise a u rlare : « Salvaci! Benedetto colui che viene a nome del Signore, il re di lsraele! •· La moltitudine si· mette a gridare esprimendo il proprio anelito di salvezza, come se attendesse il grido di vita che Gesù lanciò davanti alla tomba di Lazzaro (cfr. nota). A tali acclamazioni risponderanno più tardi i sommi sacerdoti con grida di morte contro Gesù (19, 15). Si attende la salvezza da Dio (Sal 1 1 8, 25), ma si realizzerà per mezzo del Messia; così la folla riceve Gesù, come l'inviato che "giunge con l'autorità di Dio stesso per eseguirne l'opera. Lo acclamano come re messianico. Il titolo « re di Israele • era stato applicato a Gesù da Natanaele, interpretando quello di • Figlio di Dio • ( l , 49 Lett.). II popolo lo acclama ora come • il re di Israele •. l'atteso. Si è realizzato ciò che Giovanni voleva ottenere con la sua attività (l, 3 1 : perché egli si mani­ festi a Israele) , ma la reazione della moltitudine rimane all'interno di un orizzonte nazionalista (re di Israele). I l titolo messianico che gli rivolgono costituirà l'accusa che lo porterà alla morte (19, 19). La moltitudine che lo acclama è quella degli israeliti 518

12, 12-36. hraele rifiuta Il Messia

che hanno riconosciuto in Gesù il Messia liberatore. Essi sono Israele e Gesù è il loro Re. L'acclamazione h6sanna (salvaci), ben�detto colui che viene, ecc., appartiene al Sal 1 1 8, 25s, in cui è diretta al vincitore. Gesù è ricevuto come vincitore, per la sua vittoria · sulla morte (12, 17). 14- 1 5 Ma Gesù trovò w t asinello, gli montò in groppa, come stava scritto: " Non temere, città di Sion, guarda il tuo re che giunge in groppa a un puledro d'asina • . Il gesto di salire s u un asinello, mostra l a reazione di Gesù all'acclama­ zione precedente. L'autore lo interpreta alludendo a temi esposti dai profeti e utilizzandone i testi. Il primo è di Sof 3, 16, cambiando il nome di Sion con suo equivalente città di Sion (cfr. nota). Crea in tal modo una personificazione femmi­ nile che facilita il simbolo del Messia-Sposo (cfr. l , 27.30; 3, 29), che appare nel testo di Sofonia 3, 17: • Il Signore tuo Dio ... esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con i l suo amore » . La profezia ha al tempo stesso un carattere universalista che fa di Gerusalemme la capitale del mondo, oltrepassando le frontiere di Israele: • Allora io darò ai popoli un labbro puro perché invochino tutti il nome del Signore e lo servano (Sof 3, 9). La frase non temere che sostituisce di comune accordo quella di Zc 9, 9: rallegrati, città di Sion, si dirige alla città, non come capitale gloriosa, ma come capitale di un popolo povero e umile, un resto di Israele che accoglierà il Signore (Sof 3, 13.18s) . Il Messia viene a liberare dal timore gli oppressi. Non è un guerriero che salva con la forza, né causando morte: egli darà libertà e vita. Nella profezia di Zc 9, 9: • Ecco, a te viene il tuo re, egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina », Gv sopprime le caratteristiche che si attribuiscono al re che giunge (giusto. vittorioso, umile), per lasciare soltanto il tratto che corrisponde al gesto di Gesù: cavalcando un asinello. Il testo di Zc veniva interpretato messianicamente 1 e indicava la non violenza del Messia dopo il suo trionfo (Zc 9, IO: « Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme. l'arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle genti • ) . Prendendo come cavalcatura l'asinello, Gesù vuole smentire ogni pretesa di violenza e di regalità mondana che la folla possa attendersi da lui. La cavalcatura dei re di Is raele era la mula, non l'asino ( l Re l , 33.38.44). Questi testi profetici hanno dei punti in comune. In primo luogo la promessa di liberazione (Sof 3, lSss; Zc 9, 9ss), poi i l tema della riunio­ ne dei dispersi (Sof 3, 1 9s ; Zc 9, 1 2 ) . Zacca ria, da parte s ua, aggiunge l'idea dell'universalità del regno (9, IO) e del suo carattere pacifico (9, 9ss). Il testo di Mie 4, 6-8 è molto vicino ai precedenti: espone il tema della regalità del Signore • quel giorno • (4, 7b), menziona la capitale Gerusa­ lemme ( 4 .8 rLXXl: thugater Si6n. cfr. nota) e la riunione degli invalidi e dispersi (4, 6-8) ; esprime la stessa idea del gregge di Sof 3, 19. •

l

Cfr. S. · B. I, 842.

519

L 'ora finale. La Paaqua del Messia

16 Sul principio, i suoi discepoli non compresero questo; quando però Gesù manifestò la sua gloria, allora si ricordarono che questo era stato scritto e questo gli avevano fa t to. 1! la seconda volta che i discepoli non comprendono, per il momento, il significato di quanto avviene (2, 22) . Continua a vigere l'affermazione di Gv: i discepoli partecipavano dell'idea di un Messia riformatore (2, 17.22 Lett.). Ma mentre nella prima Pasqua (2, 13ss) l'evangelista afferma che essi non compresero fino a dopo la risurrezione di Gesù. qui invece comprenderanno quando la sua gloria si manifesterà sulla croce, che coincide con « la sua ora " (12, 23.27). Leggendo il titolo della croce (19, 19: Gesù il Nazareno, il re dei giudei) e vedendo Gesù morto su di essa, comprenderanno qual è il suo messianismo, capiranno il signi· ficato delle profezie e come essi stessi, senza saperlo, avessero annun­ ciato il vero messianismo di Gesù. Per il momento la loro interpreta­ zione coincide con quella del popolo. Questa scena contrasta con quella di 6, 15, in cui vollero proclamare re Gesù. Lì se ne erano voluti impadronire con la forza, ed egli era fuggito. Qui accetta l'omaggio perché è ormai giunta la sua ora: sta per morire, e la sua morte toglierà ogni ambiguità alla sua regalità.

17-18 Rendeva testimonianza la gente che era stata con lui quando chiamò Lazzaro dal sepolcro suscitando/o da morte_ Appunto per que­ sto la moltitudine gli uscì incontro, essendo venuta a sapere clze aveva compiuto quel segno. Si torna a descrivere Il! scena iniziale aggiungendo alcuni dettagli e precisando il motivo delle acclamazioni. Gesù giungeva alla città accom­ pagnato da un gruppo di testimoni che erano stati presenti a quanto era avvenuto a Betania, e questi continuano a rendere testimonianza. Gv ricorda qui la voce di Gesù che chiamò Lazzaro perché uscisse dal sepolcro. La moltitudine sa di questa voce e del suo effetto, e gli esce incontro. Sono i morti che odono la sua voce, perché è ormai giunta l 'ora (5, 25); quanti l'ascoltano avranno vita. Il segno di Lazzaro suscita una speranza di liberazione. Andare incontro a Gesù equivale a uscire dalla capitale, la sede delle istituzioni oppressive ( I O, 3.4) e, in particolare, allontanarsi dal tempio. La presenza di Gesù fa uscire quanti erano accorsi in occasione della festa, incentrata nel tempio; egli si è avvicinato alla città ( 1 2 , 12: che Gesù giungeva a Gerusalemme). ma per svuotarla (cfr. 12, 19). Per la prima volta Gesù accetta la condizione di re messianico, la cui missione è liberare e riunire (10, 16; 1 1 ,52; cfr. Sof 3, 18s: « Allontanerò da te il male, perché tu non abbia a subirne la vergogna. Ecco, in quel tempo io sterminerò tutti i tuoi oppressori. Soccorrerò gli zoppicanti. radunerò i dispersi, li porrò in lode e fama dovunque sulla terra sono stati oggetto di vergogna »). Questo potere di convocare che Gesù ha, viene indicato letterariamente dalla struttura concentrica del passo, in cui appaiono in primo luogo la folla e la sua acclamazione (12, 12-13), e nel centro la figura di Gesù con il suo gruppo (12, 14-17}, per terminare nuovamente con la menzione della moltitudine e il motivo dell'acclamazione (12, 18). 520

12, IZ-36.

Israele r16uta U Meula

19 Davanti a ciò, i farisei dissero tra loro: • Vedete bene che non approdate a nulla, ecco che il mondo intero è andato dietro a lui "· Al di fuori di questa concentrazione, formata da Gesù e dalla folla, rimane il gruppo fariseo, che non partecipa. Fra i due poli: Gesù, la luce della vita, e i farisei, la tenebra, si trova una moltitudine che passa dalla tenebra alla luce. Davanti all'impatto prodotto da Gesù i farisei reagiscono all'interno del proprio circolo (tra loro). I l loro modo di parlare (non approdate a nulla, anziché • non approdiamo a nulla •) mostra che non fanno un semplice commento pessimista alla situazione, ma si incolpano l'un l'altro di quanto avviene. Nessuno si prende la responsabilità. Sono uniti contro Gesù, ma davanti al fallimento si dividono (cfr. 9, 16). La frase il mondo intero (cfr. nota) ha il peso teologico del prologo ( 1 , 9s). I I mondo, l'umanità, può riconoscere la luce e abbandonare le tenebre, rinunciando al suo peccato ( l , 29: il peccato del mondo), l'integrazione a un ordinamento ingiusto (8, 23 Lett.). t:. Gesù a offrire la vera alternativa, e così egli toglie il peccato. I farisei constatano che la moltitudine va con Gesù: non forma un corteo che si avvicina all'istituzione che essi rappresentano, ma una manifestazione che si allontana per andare con colui che essi hanno condannato a morte ( I l , 47.53). Gesù in troduce nella storia una dinamica di significato contrario a quella esistente; per loro c per il loro sistema significa la rovina. La menzione dei farisei in questo luogo prepara quella della Legge in 12, 34. La moltitudine anela alla vita che esiste in Gesù e nei suoi (Lazzaro). Nella sua acclamazione è però latente un equivoco: Gesù cerca di dissiparlo salendo sull'asinello, ma neanche i suoi discepoli lo comprendono. Il popolo attende un re che faccia giustizia prendendo il potere (il re di Israele). Anche se stanno con Gesù, non comprendono il suo programma. Egli dà vita all'uomo dal di dentro, dandogli la forza dello Spirito. Essi invece la attendono dal di fuori, dalla riforma fatta da un re giusto; non desiderano uscire dalla loro dipendenza. La moltitudine è andata con Gesù, ma senza abbandonare i propri ideali. Situazione ambigua, che prepara la defezione.

La missione universale e le sue condizioni 20 Alcuni di quelli che salivano a render culto nella festa erano . greci. « Greco " può significare non giudeo 2 • Potevano essere proseliti o semplici simpatizzanti 3• Il corteo che aderisce a Gesù diventa universa­ le: gente di altri popoli va dietro a lui. L'ostilità contro i greci contenuta in Zc 9, 13: « Ecciterò i tuoi figli, Sion, contro i tuoi figli, Grecia, ti farò come spada di un eroe », si trasforma in accoglienza da parte di Gesù. Si verifica la frase dei farisei: il mondo intero è andato

2

Cfr. Mc 7, 26: grego

=

sirofenicio.

3 Cfr. A t 8, 27, dove l'eunuco, che come tale non poteva essere proselita, era andato a Gerusalenune per il culto.

521

L'ora finale. La Puqua del Meula

dietro a lui. Coloro che salivano per rendere culto nel tempio scoprono Gesù e rinunciano al loro proposito. Gesù ha sostituito il tempio e devia l'itinerario della moltitudine. Egli ha annunciato il fine dei templi, in particolare di quello di Gerusalemme, e la sostituzione del culto antico con l'amore fedele per l'uomo (4, 2 1 .23-24 Lett.). Le pecore che non appartengono al recinto di I sraele (10, 1 6) cominciano ad avvicinarsi, per essere riunite da Gesù. 21-22 costoro si avvicinarono a Filippo, quello di Betsaida di Galilea, e lo pregarono: • Signore, vorremmo vedere Gesù ». Filippo lo andò a dire ad Andrea; Andrea e Filippo lo andarono a dire a Gesù. I greci si rivolgono a Filippo, oriundo di Betsaida, situata nella tetrar­ chia di Filippo, al di fuori del territorio propriamente giudaico, anche se per estensione la si chiama Betsaida di Galilea '. Assieme ad Andrea, che apparirà dopo, essi sono quei discepoli che immediatamente dopo il loro incontro con Gesù andarono a invitare altri a partecipare alla loro esperienza ( 1 , 40.45). 11 nome Betsaida (l� di peétlt} allude serua dubbio a!Yatttvnà netta. missione, espressa con la metafora della pesca, comune nei sinottici (Mc l , 17 e parall.). Di fatto il terzo discepolo originario di Betsaida, Simon Pietro ( 1 , 44), apparirà nell'esercizio di tale attività, che simbt>­ leggerà la missione fra i pagani (21 , 3). La petizione che i greci rivolgono a Filippo corrisponde all'invito che questi fece a Natanaele: vieni e vedilo ( l , 46). I greci, tuttavia, non hanno bisogno di invito: mostrano essi stessi il desiderio di avvicinarsi a Gesù. Cercano di conoscerlo, di avere un'esperienza personale di _ lui (vedere), un rapporto con la luce, che è Gesù, e con la gloria (splendo­ re), che è il suo amore ( 1 , 14). Filippo, l'uomo della tradizione (1, 45) , lo va a dire ad Andrea, colui che, per la sua rottura con il passato, vive già con Gesù (1, 39) . Filippo, che aveva invitato Natanaele ad avvicinarsi a Gesù ( 1 , 46), non osa fare lo stesso con i greci. Ma nemmeno Andrea prende da solo l'iniziativa: con Filippo, va a proporre la questione a Gesù. Quest'episodio riflette la difficoltà con cui le comunità_ si decisero per l'evangelizzazione dei pagani, e la sua trascendenza storica. Giovanni vuoi mostrare che questa decisione non dipese dall'iniziativa individuale e nemmeno dalla comunità stessa, ma fu presa dopo aver consultato il Signore. Il fatto corrisponde a Sof 3, 9, testo cui Gv aveva fatto allusione in precedenza (1 2 , 1 5) e in cui si parla dell'integrazione dei pagani: • Allt>­ ra io darò ai popoli un labbro puro perché invochino tutti il nome del Signore e lo servano di comune accordo "· Anche Zc 9, 10 parla di un regno universale: • il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra ». Comincia qui una nuova convocazione, parallela a quella narrata in l , 39 (due discepoli di Giovanni) e in l , 43 (Filippo), ma che si verifica una volta che esiste il gruppo di Gesù, quando egli si è già rivelato come il liberatore dalla morte. I pagani vogliono partecipare alla vita e prendono l'iniziativa. Vogliono avvicinarsi a ' La determinazione • di Galilea • allude probabilmente alla mentalità giudaica di Filippo ( 1 . 4Sb Lett.); per questo non viene applicata ora ad Andrea.

522

IZ, IZ-36. Israele rifiuta Il Measla

Gesù, anticipando ciò che accadrà quando egli sarà levato in alto (12, 32). 23 Gesù rispose loro: dell'Uomo •·



E.

giunta l'ora che si manifesti la gloria

Gesù non parla direttamente con i greci, si rivolge ai suoi discepoli, la sua comunità. Spetterà a lei la missione verso i pagani. Dichiara, in primo luogo e per la prima volta, che � l'ora • annunciata fin dal principio (2, 4) è giunta, e che in essa si manifesterà la gloria dell'� Uomo •, il suo amore fedele fino al dono della vita, realizzando fino alla fine il progetto di Dio ( l , 51 nota; 9, 35b Lett.). La gloria che sta per manifestarsi in lui è la stessa del Padre ( 1 , 14). t; la sua umanità il luogo della teofania; viene salvata la distanza fra l'uomo e Dio { 1 , 5 1 Lett.). t; appunto il fatto che Gesù sta per manifestare la gloria dell'Uomo che permetterà la missione. Egli non proporrà una dottrina né un'ideologia, ma mostrerà il disegno creatore di Dio, che significa la pienezza umana. Vuole restituire all'uomo il suo valore fondamentale, al di sopra di ogni ideologia. Su questo terreno non vi sono barriere culturali né razziali. La manifestazione della gloria indica l'esistenza del nuovo tempio, che sarà il luogo di riunione di tutti, dove splendono l'amore e la vita. La moltitudine, giudea e pagana, che era andata in pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme, trova che la gloria di Dio risiede nell'« Uomo » (9, 38 Lett.). • Davvero vi assicuro: se il chicco di frumento caduto a terra non muore, rimane solo; se muore, invece, produce molto frutto •·

24

In questa dichiarazione solenne e centrale Gesù spiega come si produr­ rà il frutto della missione sua e dei discepoli (cfr. 17, 18: come tu hai inviato me nel mondo, così io ho inviato loro nel mondo, cfr. 20, 21). Non si può produrre vita senza dare la propria. La vita è frutto dell'amore e non sgorga se l'amore non è pieno, se non giunge al dono totale. Amare è darsi senza lesin a re fino a sparire, se necessario, come individuo e come comunità. Gesù sta per donarsi per le pecore (10, 1 1 ), ha accettato la morte e ne prevede già il frutto. Nella metafora del chicco che muore in terra, la morte è la conllizione perché si liberi tutta l'energia vitale che contiene; la vita che vi è racchiusa si manifesta in una forma nuova. Gesù afferma che l'uomo possiede molte più potenzialità di quante ne appaiono, e che soltanto il dono totale di sé le libera perché esercitino tutta la loro efficacia; il frutto comincia nello stesso chicco che muore. La morte di cui parla Gesù non è un avvenimento isolato, ma il culmine di un processo di donazione di se stesso. t; l'ultimo atto di una donazione costante, che sigilla difinitivamente la dedizione rendendola irreversibile. Nel contesto dell'avvicinamento dei pagani Gesù mostra che il frutto saranno loro. I greci e la moltitudine sono un anticipo e una promessa di fecondità. Per tutti c'è la speranza di formare un solo gregge con l'unico pastore (10, 16; 1 1 , 52). ,

523

L'ora finale.

La

Pasqua del Messia

La fecondità non dipenderll. dalla trasmissione di un messaggio dottri­ nale, ma da un'estrema dimostrazione di amore. L'amore è il messaggio

( 1 9, 22 Lett.). La infecondità del chicco che non muore viene espressa in un modo inatteso: rimane solo. Il frutto sono gli uomini che si aggregano alla nuova comunità, passando dalla morte alla vita (5, 24). 25 • Essere attaccati alla propria vita è distruggersi, disprezzare la propria vi ta irz questo ordinamento è conservarsi per una vita definiti· va •· Dare la propria vita, condizione per la fecondità, è la misura suprema dell'amore. Gesù spiega ai discepoli che tale decisione non è per l'uomo una perdita, ma il suo massimo guadagno; non significa frustrare la propria vita, ma portarla al suo completo successo. Infondere timore è la grande arma dell'ordinamento ingiusto. Chi non teme nemmeno la propria morte, lo disarma; è sonanamente libero, ed è libero per amare totalmente. II timore di perdere la vita è il grande ostacolo alla dedizione; Gesù avverte che porre limite all'impegno per attaccamento alla vita è condurla al fallimento. L'unica linea di sviluppo per l'uomo è l'attività dell'amore; egli ne raggiungerà il culmine quando l'amore giungerà alla sua espressione suprema. L'attaccamento alla vita conduce a tutte le abdicazioni; arriverà il momento in cui l'uomo cederà di fronte alla minaccia. Non solo gli sarà impossibile amare fino all'estremo limite. ma finirà col commettere l'ingiustizia o col tacere dinanzi a essa. L'amore leale consiste nel dimenticare il proprio interesse e la propria sicurezza, e nel continuare a lavorare per la vita, dignità e libertà dell'uomo all'interno e malgrado il sistema di morte. L'ambito in cui si è svolta l'attività di Gesù e in cui continuerà quella dei discepoli (15, 1 8) è • il mondo • che lo odia, perché egli denuncia che il suo modo di operare è perverso (7, 7). Gesù si dichiara disposto all'ultimo con· franto. Per dare vita è disposto a dare la sua propria. Cosl mostra la grandezza e la forza del suo amore, che è quello di Dio stesso. Il frutto suppone una morte; la dedizione esige fede nella fecondità dell'amore. 26a

• Chi vuole collaborare con me, mi segua •·

Gesù ha avvertito che il segreto della fecondità è nel dono della propria vita. Ora invita a seguirlo in questo cammino: quello del servizio totale. Essere discepolo consiste nel collaborare al suo stesso compito, dis� sto a soffrire la sua stessa sorte, in mezzo all'ostilità e alla persecuzio­ ne, e con la possibilità di perdere tutto. Gesù espone con queste parole lo stesso messaggio contenuto nell'esigenza di « mangiare la sua carne e bere il suo sangue » (6, 35 Lett.). 26b c e cosi, là dove sono io, sarà anche colui che collabora con me •· Gesù è nella sfera dello Spirito, che è quella di Dio (7, 34; 8, 23 Lett.). Chi decide di seguirlo entra in questa sfera divina. Stare dove sta Gesù significa rimanere unito a lui, permanere nel suo amore (15, 4.9b); non .524

IZ, 1:t.36. hraele riButa U Meala

però in modo statico, ma dinamico, lasciandosi portare dallo Spirito, che è amore e dedizione (15, 10.12.14). La capacità di amare, che in Gesù è piena fin dal principio, deve essere sviluppata nel discepolo con l 'esercizio e l'attività. Così egli va seguendo Gesù, fino a raggiungere come meta un amore simile al suo (13, 34; 17, 24). Gesù, " il Figlio ha la sua dimora nella casa del Padre. L'adesione dinamica della sequela rende l'uomo figlio di Dio ( 1 , 12; 14, 6 Lett.) ; attraverso di essa egli va acquistando la sua somiglianza con il Padre fino a che, nel dono totale, la presenza del Padre sarà piena in lui. Giunge così a realizzare in se stesso il progetto creatore. Il luogo di Gesù è pertanto quello della pienezza dell'amore che egli d imostrerà sulla croce, da dove sgorgherà il frutto e da dove trarrà tutti verso di sé. La comunità, che deve essere feconda, lo sarà in questa sequela, stando dove sta lui, vivendo nel dono continuo e totale. La morte sarà l'ultimo atto del dono fatto in ciascun momento. In un'occasione precedente Gesù aveva detto ai dirigenti giudei che essi non erano capaci di andare dov'è lui (7, 34), perché avevano scelto il cammino contrario a quello dell'amore per l'uomo. Per questo il loro peccato, l'oppressione che esercitano e l'ingiustizia che commettono, li porta alla morte (8, 21.24). C'è vita, realizzazione dell'uomo, soltanto dove c'è amore. Questa frase spiega la precedente: disprezzare la propria vita ... è conservarsi per una vita definitiva. L'uomo libero secondo Gesù è signore della sua vita, e per questo la può dare (8, 32 Lett.). Ciò che possiede è il suo presente, e in ogni presente può donarsi completamente. Tale è il significato di « morire • : consegnare progressivamente l a propria vita, non perché altri l a strap­ pino, ma liberamente, come dono di sé. Quando l'uomo dà la sua vita, il Padre, per mezzo suo, comunica vita ad altri e l'accresce in lui stesso, che si rende somigliante al Padre. Vivere è dare vita: la vita si ha nella m isura in cui si dona. "•

26c



Chi collabora con me, il Padre lo onorerà

•.

In parallelo con 8, 50, in cui Gesù affermava che il Padre s i occupa della gloria di lui, dichiara ora che egli si occupa anche dell'onore dei discepoli. Essi perderanno, come Gesù, il proprio onore, nel confronto con il mondo rinunceranno all'onore umano (5, 4 1 ; 7, 18), ma lo riceve­ ranno dal Padre (5, 44) : egli li accoglierà come figli.

L'uomo levato in alto, il Meùia rifiutato 27a



Ora mi sento fortemente agitato

».

I l testo greco (cfr. nota), mette l'agitazione di Gesù in relazione con la sua frase precedente: disprezzare la propria vita in questo ordinamento ( 12, 25 nota). Gesù ha sfidato l'is tituzione giudaica (in questo ordina­ mento) e il suo atteggiamento sta per costargli la vita. Ora il suo essere protesta, si agita, opponendosi a questa morte. Egli è la vita, l'antitesi della morte. Per di più la sua non sarà una morte naturale, ma prematura, nel fiore degli anni (cfr. 8, 57) , una conseguenza della sua 525

L'ora

lln•le. L•

Pasqua del Meula

opposizione « a questo ordinamento •. Arrischiare la vita, accettate la sofferenza, è duro. Gesù non è uno stoico; soffrire non è facile nemme­ no per lui, per questo è l'• Uomo •. « La carne • si ribella davanti alla morte violenta e, avendo maggior pienezza di vita, la sua ribellione è più forte. Lo Spirito non sopprime la condizione di uomo; al contrario, fa amare profondamente la realtà umana, creazione di Dio che Io Spirito conduce alla sua pienezza. Per questo la confidenza suprema in Dio e la certezza della continuità della vita (12, 25: conservarsi per una vita definitiva) non i mpediscono la lacerazione di tale morte. La morte di Gesù sarà l'effetto del parossismo dell'odio e della massi­ ma ingiustizia. Egli che offre amore e vita, si vede respinto, condannato a morte dai suo i . La sua agitazione esprime anche l'orrore prova to dall'amore davanti all 'odio. • ma che posso dire?: "Padre, liberami da quest'ora?" Ma per questo sono giunto a quest'ora! •-

27b

II significato della sua intera vita dipende dalla sua ora, che sarà il suo confronto finale con • il mondo • omicida e la manifestazione suprema del suo amore per l'uomo. La sua ora è la conseguenza e il coronamen­ to della sua intera vita. Fin dal pri nc ipio egli l'aveva presente (2, 4). Si mostra qui la realtà della carne di Gesù, l'Uomo. Fa la sua opzione cosciente contro la sua inclinazione naturale. Le sue frasi, quella ipotetica (che posso dire ... ?) e quella che di fatto pronuncia ( 12, 28: Padre, manifesta la gloria della tua persona!), si oppongono l'una all'altra, come l'involontario al volontario. Gesù non va alla morte col sorriso sulle labbra, l 'impresa è molto seria e dolorosa. Ma nel para­ dosso che l'uomo di carne possa amare a tal punto, splende la gloria di Dio e quella dell'uomo stesso ( 12, 23). Gesù è l'uomo completo, pieno dello Spi rito , la forza d'amore capace di superare la debolezza della carne. 28a

«

Padre, manifesta la gloria della tua persona!

•·

Gesù reagisce contro il suo stato d'animo riaffennando la propria decisione di portare a compimento la sua opera; per questo chiede al Padre di manifestare la sua gloria, il suo amore fedele. • La persona • (cfr. nota) designa il Padre - presente nell'Uomo Gesù (12, 45; 14, 9-10) , manifestato nelle opere di lui come principio di amore attivo, che rivela così la sua gloria. Gesù gli chiede ora di manifestarla ancora una volta, nella prova finale che egli sta affro n tando. La sua tentazione è stata quella di chiedere al Padre un intervento che lo liberasse dalla situazione critica in cui si trovava; era l'idea del Dio rifugio, che permette di schivare la propria responsabilità e il proprio destino. Ma Gesù rifiuta questa tentazione e riaffenna la propria fedeltà alla missione ricevuta (10, 17s): chiede al Padre di realizzare il suo disegno in lui e attraverso di lui, manifestando il suo amore nella donazione di se da parte di Gesù. Così l'umanità potrà vedere nella realizzazione della sua opera l'azione stessa del Padre.

-

526

11, 12-36. Israele rlftuta Il Meuta

28b Venne allora una voce dal cielo: tornerò a manifestar/a! ».



Come l'ho manifestata, così

La risposta conferma l'atteggiamento di Gesù. La voce proviene • dal cielo n, cioè dalla sfera divina, da dove proveniva lo Spirito che rimase in lui (1, 32) . Il termine « voce • significa anche « tuono • (eb. gol, Es 19, 16.19 LXX), e così l'interpreterà una parte dei presenti (12, 29). Tale era la voce di Dio quando parlava con Mosè (Es 19, 19). La discesa dello Spirito fu per Gesù la manifestazione della gloria-amo­ re del Padre ( 1 , 32) , che lo costituiva • il Figlio di Dio •. secondo la testimonianza di Giovanni Battista ( l , 34) ; quella fu la comunicazione della gloria del Padre a Gesù ( 1 , 14). La voce si rivolge ora al popolo (12, 30) e promette una manifestazione della gloria-amore visibile per tutti. Sarà la nuova teofania , che sostituisce quelle dell'AI; per il vocabolario usato in questo contesto (voce-tuono, levato in al to-salito al monte), prende il significato di teofanla dell'alleamla, quella che fu anticipata a Cana (2, I l Lett.). Appaiono i contrasti fra l'antica teofania, fatta a Mosè- e la nuova in Gesù. Dio parlava soltanto con il mediatore sull'ah!>' del monte, mentre il popolo doveva restare a distanza, sotto pena di morte- per i trasgres­ sori (Es 19, 10-25). Quell'al tezza significava isolamentO' e solitudine del mediatore con Dio. Gesù invece promette l'accesso di tutti a questa nuova teofania, perché quando lui sarà innalzato trarrà tutti a sé (12, 32) , perché tutti siano lì dove è lui (12, 26). Per di più nemmeno Mosè, il mediatore, aveva potuto contemplare la gloria di Dio (Es 33, 18-34, 13), e anche gli israeliti non potevano fissare lo splendore del suo volto quando egli scese dal monte (Es 34, 29-35). Ora invece la gloria di Dio sta per essere visibile a tutti in Gesù, nel quale il suo amore fedele per l'uomo splenderà al massimo ( 1 , 14; 12, 45) . Chiedendo al Padre di manifestare la sua gloria, Gesù sta pregando per il popolo, per l'intera umanità, perché da tale manifestazione dell'amo­ re-vita dipende la salvezza del mondo (17, 1-2) . Dio darà compimento alla sua opera con il dono totale di Gesù; il disegno del Padre è dare vita (6, 39s), e sarà completato quando Gesù sulla croce si trasformerà in principio di vita comunicando lo Spirito (19, 30.34 Lett.). La voce dal cielo è il secondo messaggio divino che appare nel vangelo. I l primo fu rivolto a Giovanni Battista, per fargli conoscere Gesù e annunciargli quale sarebbe stata la sua missione ( 1 , 33). Ora, al princi­ pio dello stadio finale, c'è un altro messaggio divino che annuncia alla moltitudine il proposito del Padre, confermando la missione di Gesù. Quel messaggio descriveva la sua investitura, preparandone l'attività; questo viene dato quando, terminata la sua attività, giunge l'ora di Gesù, nella quale la sua opera arriverà al culmine.

Davanti a ciò, la gente che si trovava lì e la udì, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: • Gli ha parlato un angelo ».

29

La moltitudine riconosce la provenienza celeste della voce. Per gli uni è una sorprendente manifestazione divina, e forse minacciosa (tuono, cfr. Es 19, 16; Sal 29, 3ss) ; per altri è un messaggio di Dio (angelo), anche se 527

L'ora finale. La Pasqua del Meula

pensano che il destinatario sia soltanto Gesù come confidente di Dio, in parallelo con Mosè. Si profila nel popolo un contrasto di atteggiamen­ ti. 30

Replicò Gesù:

« Questa voce non era per me, ma per voi �.

Gesù interpreta loro l'accaduto. Si trattava di un messaggio, che non era però destinato a lui, ma a loro. Come già l'annuncio di Giovanni ( 1 , 33), la voce intendeva manifestare loro la missione di Gesù, interpre­ tare la sua attività e prepararli alla gloria che sta per manifestarsi. 31 « Ora vi è già una sentenza contro questo ordinamento, ora di questo ordinamento sta per essere cacciato fuori ».

il

capo

Questo ordinamento, o sistema di potere, è il nemico di Gesù e dei suoi discepoli (12, 25; cfr. 8, 23) . • Il capo di questo ordinamento • è il signore che lo regge. L'espressione • il capo di qup to ordinamento/ mondo » (12, 3 1 ; 16, 1 1 ) e, semplicemente, « il capo del mondo • (14, 30) nel NT è propria di Gv s. In 8, 23 si distinguevano due appartenenze: alla sfera « dell'alto •, quella di Dio, e a quella « del basso • , che si identificava con c questo ordinamento •· L'appartenenza all'una o all'altra si deve alla corrispon­ dente paternità: quella di chi ha per Padre Dio, per aver ricevuto lo Spirito (Gesù), e quella di coloro che hanno per padre il Nemico (• il diavolo •) , l'assassino e bugiardo (dirigenti, 8, 44). I I capo di questo ordinamento personifica la cerchia di potere, i dirigenti, figli e agenti di questo • padre • che, come si è visto, designa il dio-denaro (il tesoro del tempio, 8, 44a Lett.). Nell'episodio del cieco (9, 13-34) aveva avuto luogo un processo; i dirigenti giudei avevano condannato il cieco e in lui Gesù. I l processo si concluse con l'espulsione (9, 34 e lo cacciarono fuori). Escludendolo dalla loro istituzione credevano di escluderlo da Dio e dal popolo delle promesse (9, 22: sinagoga). Dopo questa scena Gesù annunciava ai farisei di essere venuto a istituire un processo contro questo ordinamento (9, 39). Giunta la sua ora (12, 23) , e divenuto definitivo il rifiuto ( 1 1 , 53), afferma che il processo ivi annunciato ha avuto luogo e c'è già la sentenza. Rifiutarsi di accettare Gesù è rifiutarsi di entrare nella luce (3, 19) e, pertanto, dettare la propria sentenza. Credendo di escludere Gesù, come fecero nella persona del cieco, in realtà sono loro stessi che si escludono dalla luce e da Dio, perché Gesù e il Padre sono uno (IO, 30; 12, 45). Millan­ tando di conoscere Dio e la sua volontà attraverso l'interpretazione della Legge, hanno gettato fuori il cieco. Ma non accettando Gesù e rifiutandolo definitivamente, sono loro che devono essere gettati fuori. Pertanto si invertono i ruoli: quelli che credevano di giudicare sono i giudicati; quelli che volevano espellere sono gli espulsi; quelli che pensavano di essere all'interno sono quelli che stanno fuori. Non c'è altro • dentro » che l'ambito di Gesù, che è quello del Padre (14, 20). s t! frequente nella letteratura rabbinica, i n cui non designa Satana, anselico che regge la natura creata (cfr. S. - B. Il, 552).

528

ma

l'es�

Il, l:t-36. Israele rifiuta Il Messia

Chi non rimane in lui (15, 4ss) è gettato fuori (15, 6), ma chi è unito a lui nessuno potrà portarlo via ( IO, 29). La sentenza esiste a causa dell'opzione fatta dall'istituzione giudaica contro l'amore del Padre (3, 19: ebbene, proprio in questo sta la senteno:a: che la luce è giunta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché il loro modo di operare era perverso; cfr. 7, 7). II sistema di potere sigillerà la propria opzione, eseguendo la condanna a morte già pronunciata contro Gesù ( I l , 53). La motivazione comune e l'unità di intento dei dirigenti è espressa nella personificazio­ ne " il capo di questo ordinamento ». La loro opposizione a Dio giunge­ rà all'uccisione di colui che è la sua stessa presenza; le istituzioni sono strumento del Nemico. L'eliminazione del " capo di questo ordinamento/mondo • è in relazione con la missione dell'Agnello di Dio: togliere il peccato del mondo ( l , 29). Il sangue dell'Agnello pasquale libererà dalla schiavitù del pec­ cato (8, 23 Lett.). I l capo di questo ordinamento è l'usurpatore che distrugge la creazione di Dio, e deve essere detronizza to. Con questo linguaggio ( • ora vi è già/ora è •) Gesù proclama la sostitu­ zione delle istituzioni di Israele incentrate nel tempio, che deve sparire, come egli aveva annunciato fin dal principio (2, 19.21). La frase • ora è » si trovava nell'episodio della samaritana (4, 23: si awicina l'ora o, per meglio dire, è giunta) per annunciare la sparizione dei templi; e nella controversia sulla guarigione dell'invalido (5, 25) precedeva il le­ varsi dei morti alla vita (5, 3), sottomessi dalla Legge (5, 10.18). 32·33 • infatti io, quando sarò innalzato da terra, trarrò tutti a me Questo lo diceva indicando il genere di morte di cui stava per morire.

•·

stesso atto di innalzare Gesù sigillerà la sentenza dell'ordinamento ingiusto. In quel momento, che sarà quello della manifestazione splen­ dente dell'amore di Dio per l'uomo e del dono della vita, Gesù divente­ rà il punto di attrazione e comincerà a dare frutto. Essere levato in alto non significa semplicemente morire, ma trasformarsi in potenza vivificante, e salvatrice dalla morte. Gesù levato sarà Wl segno visibile, il segno della vita in mezzo a un campo di morte (3, 14s), la grande dimostrazione dell'amore di Dio, che dà il suo Figlio unico per salvare l'umanità (3, 16s). Quando Io leveranno in alto gli uomini potranno vedere il Padre, il Dio che è amore e vita per l'uomo, manifestato in lui (8, 28). Esiste una notevole coincidenza di vocabolario e di concetti fra questo passo e l Sam 2, 1-10. Lì si dice che il Signore accorre in aiuto dell'umile, opponendosi ai suoi nemici (2, 1 .8.1 0), e lo fa sedere su un trono di gloria (2.8: doxa, LXX ). Dio tuona dal cielo sbaraglia i suoi avversari ed è giudice di tutta la terra, dando forza al suo re ed esaltando il potere del suo Unto ( = il suo Messia). In questo passo la voce-tuono è stata la risposta di Dio alla domanda angustiata di Gesù (12, 27), il Padre manifesterà la sua gloria nel Figlio, il perseguitato (12, 28) ; la voce-tuono è al tempo stesso Wl avvertimento per coloro che non l'accettano ( 12, 30); si realizza la sentenza del mondo (12, 3 1 ) . I I re riceve forza per attrarre tutti ( 1 2, 13); l'UnLo

529

L'ora finale. La Pasqua del Meula

to/Messia (1 2 , 34) sarà esaltato (12, 3 2), perché quando sarà levato in alto splenderà la gloria del suo amore. Gesù non parla apertamente della croce; le si riferisce in modo velato, ma intelligibile, associandola all'idea di esaltazione.

34a Gli replicò la gente: • Noi abbiamo appreso dalla Legge ·che il Messia rimane per sempre "· La Legge, come spesso in Gv, significa gli scritti deii'AT in quanto li si considera come un tutto chiuso e assoluto. Il suo autentico ruolo come Scrittura (5, 39) consisteva nell'annunciare e preparare il futuro inter­ vento di Dio nella storia, del quale gli eventi passati non erano che figura e gli oracoli anticipo. Nelle scuole del tempo quegli scritti erano stati assolutizzati, attribuendo loro un carattere definitivo: non ci si attendeva alcuna novità; tutto doveva avvenire come era già detto nella • Legge • e nella sua interpretazione autorizzata (cfr. 7, 27). La fede nel Dio della storia era stata trasferita al libro. I testi dell'AI che venivano interpretati in senso messianico inc1Udeva110 l'idea di un regno senza fine. Così Sal 89, 4-5: • Ho stretto un'alieaRza CQil il mio eletto, ho giurato a Davide mio servo: stabilirò per sempre la tua discendenza, ti darò un trono che duri nei secoLi •; Sal. l Hl, l : • Porrò i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi •; Is 9, 6: • Grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e sempre •. Conoscendo questo e altri testi, la folla si attende come soluzione definitiva il governo di un re davidico (7, 42) . Hanno acclamato Gesù come Messia (12, 13: il re d'Israele), e credono che tale re e Io splendore del suo regno debbano durare per sempre. Gesù ha invece identificato il Messia con « l'Uomo levato in alto •. Non è un Signore cui si debba ubbidire, ma una meta da raggiungere, l'Uomo è la luce del mondo. Viene abbinato qui il contenuto delle due grandi rivelazioni messianiche del vangelo: la risposta di Gesù alla samaritana che proponeva la questione in chiave teologica (4, 25s: il Messia), e la sua domanda al cieco guarito, in cui Gesù stesso la propose in chiave antropologica (9, 35s: l'Uomo). Anche qui si definisce Gesù come • l'Uomo •: è la folla a parlare di Messia. Il progetto creatore, la pienezza umana, è lo stesso per tutta l'umanità: Israele non ha un Messia diverso da quello degli altri popoli (4, 42: il

Salvatore del mondo). • come fai a dire tu che l'Uomo dev'essere levato in alto? Cosa quest'Uomo?

34b

l

•.

La denominazione usata dalla folla per riferirsi a Gesù mostra che hanno associato due sue dichiarazioni, quella di 12, 23: è giunta l'ora che si manifesti la gloria dell'Uomo e quella di 12, 32: io, qWlndo sarò innalzato da terra, trarrò tutti a me. La prima affermazione sembrava

loro adatta al Messia; la seconda invece li urta, e non possono unirla alla prima. Hanno inteso la prima dichiarazione di Gesù come relativa a una gloria

530

12, I:Z..36.

llraele rifiuta Il Meula

che -non è quella dell'amore; nella seconda vedono soltanto la morte, non l'esaltazione, né la vita; e risulta loro incompatibile con quanto hanno appreso nella loro Legge. Oppongono la propria concezione mcssianica (il Messia). già fissata dall'insegnamento, all'appellativo usa­ to da Gesù (l'Uomo). Non comprendono il suo messianismo. Per questo la domanda finale: Cosa è quest'Uomo? mostra appunto la loro incer­ tezza; vogliono sapere quale titolo Gesù applichi a sé, dato che non può essere il Messia, perché non corrisponde a quanto era annunciato. Si delinea già il rifiuto. Se il Messia che avevano acclamato (12, 13) afferma ora di essere sul punto di morire, non lo riconoscono come Messia. Cercavano un re glorioso, un restauratore che desse splendore alla loro nazione e facesse giustizia, sempre nel solco delle antiche istituzioni (la Legge) . Si attendevano una salvezza esterna, nella dipen­ denza, e non accettano la libertà portata da Gesù, la pienezza di vita. La denominazione • l'Uomo », che Gv mette sulla bocca della gente, si riferisce a Gesù come modello di Uomo, il progetto di Dio realizzato (cfr. Excursus, p. 874) . Precisamente in quanto è « Uomo » e in quanto possiede la pienezza dell'amore del Padre, egli lo deve mostrare fino alla fine, fino al dono libero della propria vita (10, 1 8) per togliere l'uomo dal ia morte (3, 1 4s). Questa è la manifestazione della sua glo­ ria. La moltitudine non lo comprende né lo accetta; non conosce il disegno di Dio; per loro la gloria è lo splendore e il potere del re, non il fulgore dell'amore senza limite. II Messia che attendono imporrà il proprio regno come re designato da Dio, senza lasciare possibilità di scelta. Invece Gesù trarrà tutti a sé • con legami d'amore, con corde di affetto » (Os 1 1 , 4), rispettando la libertà di ciascuno, per portarli a una dedizione pari alla sua ( 12, 26) e fondare la comunità umana conforme al disegno divino. Essi che, sotto il regime della Legge in cui sono vissuti, non sono mai stati stimolati alla libertà né alla responsabilità personale, non desiderano una simile salvezza che li comprometta personalmente. Desiderano la riforma delle istituzioni, ma il cambia­ mento e la pienezza dell'uomo non entra nel loro orizzonte. Si attendo­ no una salvezza dal potere, non dall'amore. Sono nella stessa situazione dei discepoli di 6, 60-62, dopo il tentativo di fare re Gesù (6, 15). Anche alla folla la dichiarazione di Gesù sembra eccessiva (6, 60: questo messaggio è troppo gravoso; chi può dargli retta?). La condizione per essere • l'Uomo •, cioè per realizzare il progetto di Dio, è la gloria dell'amore fino all'estremo. Respingendola, la folla sbarra il cammino alla propria creazione. La sua domanda: cosa è quest'Uomo? è in opposizione a quella del cieco guarito, che voleva identificare Gesù per dargli la sua adesione (9, 36); questi, che sanno cosa sia, non vogliono riconoscerlo né vedere in lui il Messia, la speranza di Israele. Il cieco era guarito proprio per aver aderito alla realtà di Gesù, l'Uomo (9, 6-7 Lett.); quelli rimarranno ciechi per non avere riconosciuto quest'Uomo come Messia. Si è interposta la Legge. 35 Rispose loro Gesù: • Per breve tempo ancora la luce sarà tra voi; camminate finché avete la luce perché non vi colga la tenebra, perché chi cammina nella tenebra non sa dove va » . Gesù torna ad avvertirli dell'urgenza della scelta: il tempo stringe (cfr. 531

L'on

finale.

La Pasqua

del Mess ia

7, 33) . � ormai l'ultimo avviso, poi si consumerà la rottura (12, 37ss). Li esorta alla riflessione; essi, vittime del sistema di potere, attendono la liberazione ma, seguendo i falsi ideali (tenebra/menzogna) proposti dai dirigenti { 12, 34: abbiamo appreso dalla Legge), la attendono da un altro potere e non accettano quella offerta da Gesù. Avevano fatto il primo passo avvicinandosi a lui; Gesù li esorta a continuare il cammino che avevano incominciato, finché egli, la luce della vita, è presente. La tenebra li circonda ed è in agguato; essi avranno per poco tempo la luce che permetterà loro di uscirne: quando cattureranno lui, non ci sarà opzione possibile per Israele come popolo: i dirigenti l'avranno fatta al posto suo. Gesù esorta il popolo a separarsi dai dirigenti, che hanno optato contro la vita ( I l , 53) , a uscire dal peccato che lo conduce alla morte (8, 2 1 ) . Questo passo s i riferisce direttamente a 8, 1 2 : io sono la luce del

mo11do; chi mi segue non cammirzerà nella tenebra, avrà la luce della vita. L'esortazione a camminare e l'opposizione tenebra-luce mettono in stretta relazione entrambi i detti di Gesù. Egli torna a presentar loro la opzione ivi proposta, ma con maggior urgenza (breve tempo). La luce significava la salvezza, il Messia come al ternativa e come Legge. Ma essi hanno opposto la loro propria Legge, che li mantiene nella tenebra. Si cade nuovamente e irrimediabihnente sotto il dominio della menzogna. Israele rimarrà cieco e perderà la strada (chi cammina nella tenebra non sa dove va), non avrà meta {8, 12). La salvezza viene ripetutamente annunciata in Isaia sotto la metafora (ft:lla • luce » (Is 2, 5; 9, l ; 42, 16; 59, 9-10; 60, 1-3.19-28). La luce, nel tempo stesso in cui illumina, raduna (2, 5: • Casa di Giacobbe, vieni. camminiamo alla luce del Signore »). La salvezza si offre i n termini di liberazione (9, 1 : • I l popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abi tavano in terra tenebrosa una luce rifulse , ) . e a compiere tale promessa sarà un successore di Davide (9, 5 s ) . In Isaia una salvezza simile si attribuisce all'opera realizzata da Dio per mezzo del suo Servo (42, 1 6 : • Farò camminare i ciechi per vie che non conoscono, li guiderò per sentieri sconosciuti: trasformerò davanti a loro i luoghi aspri in pianura »). La luce splenderà sulla Gerusalemme ideale, centro di convergenza di tutte le nazioni. che offrirà una salvezza universale (60, 1-3: • Alzati, rivestiti di luce. perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te », ecc.). La luce sarà il Signore stesso (60, 1 9 : • I l Signore sarà per te luce eterna •). Al contrario, la situazione del popolo lontano da Dio viene descritta come • essere nella tenebra • (59, 9-1 0 : • Per questo il diritto si è allontanato da noi e non ci raggiunge la giustizia. Speravamo la luce ed ecco le tenebre, lo splendore, ma dobbiamo camminare nel buio. Tastiamo come ciechi la parete, come privi di occhi camminiamo a tentoni; inciampiamo a mezzogiorno come al crepuscolo; tra i vivi e vegeti siamo come morti »). Nell'episodio di Nicodemo, l'Uomo levato in alto era punto di riferi­ mento, offerta di salvezza per tutti (3, 14 s ) ; di fronte a lui come luce si dividevano le opzioni (3, 19-2 1 ) . In questo episodio invece l'Uomo levato in alto appare come centro di convocazione e di convergenza, in parallelo con la luce di Is 2, 5 ; 60. l ss. In entrambi i casi, l'ostacolo all'accettazione di Gesù, l'Uomo, è la Legge (3, 10 Lett.).

532

Il, ll-36.

braele rifiuta

Il Meula

36a « Finché avete luce date l'adesione alla luce, e sarete cosi partecipi della luce • . Gesù insiste: prescindano da idee preconcette e diano la loro adesione alla luce, per possedere la luce della vita (8 , 12). La partecipazione alla luce dipende dalla sua comunicazione. La luce si possiede come cosa pro­ pria, come l'acqua ricevuta da Gesù, che si trasforma in ciascuno in una sorgente interiore (4, 14). La luce, che è la vita, si integra nella perso­ na. 36b Così parlò Gesù. Poi se ne andò, IU!Scondendosi da loro. Dopo aver dato questo avviso, Gesù si allontana. tò finito il suo contatto con Israele che non gli ha dato la sua adesione come Messia; • i suoi >> non l'hanno ricevuto (l, 1 1 ). Ha voluto dare loro l'ultima opportunità di sfuggire alla morte che li domina, ma la Legge (12, 34) insegnata dai farisei (12, 19) impedisce al popolo di vedere. I morti hanno udito la sua voce, ma non l'hanno ascoltata (5, 25).

S I NTESI La pericope propone l'opzione di Israele nei confronti del suo Messia, che finisce con l'essere negativa. Si oppongono due concezioni messia­ niche; il popolo, modellato sulla tradizione trasmessa dai dirigenti, concepisce il Messia in termini di regalità umana e, pertanto, di potere. Gesù invece si presenta come il Messia che compie le promesse dell'AT, ma interpretate sotto un'altra luce: quella di Dio creatore. Per questo identifica il Messia come • l'Uomo •. che porta fino al limite il proprio amore dando la vita per salvare l'uomo, conducendolo alla sua pienezza. Per questo annuncia la propria morte come componente essenziale del suo messianismo. Al tempo stesso avverte i suoi discepoli che seguirlo in questa donazione è condizione perché la missione sia feconda. Appare ora con maggior chiarezza il significato della scena di Bctania (12, 1 ss.) . t! lì che Gv descrive anticipatamente il rapporto del Messia con il suo popolo-comunità. Non sarà il Signore che domina, ma l'amico che prende posto a tavola con i suoi, lo Sposo che riceve l'omaggio della sposa, il datore di vita centro della comunità dei vivi. Il quadro non è fornito da istituzioni grandiose, ma dall'ambiente familiare; l'orizzonte della sua comunità non è la grandezza umana, ma l'amore per i poveri.

533

Gv 12, 37-43: Le cause demncredulità !7 Malgrado i tanti segni che aveva realizzati alla loro presenza, rifiuta­ vano d i d a rgl i la loro adesione; 30 così si compirono le parole che disse il profeta Isaia:

Signore, chi ha credu to al nostro annuncio? E a citi si è ma11ifestata la forza del S igno re ? 39 E non potevano credere a motivo di ciò che disse in un'altra

occasione I sa ia :

40 Ha

accecato

i loro occhi,

lta in torp idit o la loro m ent e perché i lo ro occlti non vedano 11é la loro mente percepisca né si convertano né io li guarisca. 41 Ques to disse Isaia perché vide la sua gloria, e così parlò di lui. ,

42 Malgrado tutto, comunque, proprio tra i capi, molti gli diedero la loro adesione, ma a causa dei farisei non lo confessavano, per non essere e sc lus i dalla sinagoga; 43 p referi ron o infatti la gloria umana alla gl oria di Dio.

NOTE FILOLOGICHE 12, 37 aveva realizzati, gi-. pepoi�kotos. Pf. retrospettivo estensivo. - rifiutavano di dargli la loro adesione, gr. ouk episteuon eis auton. In Gv non esiste una posizione intennedia fra fede e non fede. La fanna nega­ tiva di pisteu6 ind ica un rifiuto, non semplicemente uno stato di mera indifferenza (cfr. 3, 1 8 nota).

38 le parole, gr. /ogos. Discorso, parole. - la forza, gr. ho brakhi6n. Il braccio; neii'AT metafora indicante la forza (cfr. Es 6, 1 ; 15, 16; Is 40, 1 1; 5 1 , 5; ecc.). 39 a motivo di ciò che, gr. dia touto ... hoti. Uniti in i t. nella seconda proposizione per riferire chiaramente l'espressione causale a quanto segu�. 40 Ha accecato i loro, gr. tetuphl6ken. Pf. di stato durevole o definitivo. In questo caso l'aspetto rimane sufficientemente espresso dal pass. pros. it. - la loro mente, gr. he kardia. Semitismo per indicare la sede del pensiero, vo­ lontà e sentimento. - percepisca, gr. noes6sin. Aor. di effetto.

41

e così, gr. kai. Consce.

42

proprio, gr. kai. Enfatico, che oppone i capi al popolo (12, 37).

43

umana, gr. ton anthr6p6n. Genit. qualificativo.

534

11, 37-43. Le cause dell'locredulltà

CONTENUTO E DIVISIONE La pericope cominci a constatando

la mancanza di adesione che Gesù in· contra nel popolo, malgrado l'evidenza dci suoi segni liberatori. L'evangc· lista ne trova formulata la causa in un antico detto di Isaia: è la Legge, sostegno e strumento del regime giudaico, che lo ha accecato, impedendogli di riconoscere la salvezza cui Dio lo destina in Gesù. Ciononostante, molli dirigenti comprendono il suo messaggio, ma non osano sfidare i farisei, custodi della Legge, e per paura di perdere la propria posizione tacciono, causando cosi l a rovina del popolo. La pericope

si divide in due unità:

12, 37-41: I ncredu lit à del popolo e sua causa. 12, 42-43: Codardia e tradimento dei capi.

LETTU RA Incredulità del popolo e sua caMSa Malgrado i tanti segni che aveva realizzati alla loro presenza, rifiutavano di dargli la loro adesione.

37

L'evangelista commenta quanto è appena accaduto. Israele, che aveva acclamato Gesù, non gli ha dato la sua adesione. Gesù aveva realizzato molti segni, dei quali Giovanni ha riportato soltanto una selezione significativa (20, 30; 2 1 , 25), ma il popolo rifiuta di leggerli e respinge Gesù. Non si avvicinano alla luce, rimangono nella tenebra e pesa così su di Ioro la riprovazione di Dio (3, 36).

38 così si compirono le parole che disse il profeta Isaia: • Signore, ciii ha creduto al r1ostro annuncio? E a chi si è manifestata la forza del Signore? •. In ciò che succede Gv vede il compimento di un testo di Isaia (53, 1 ) , che i l profeta applicava a l Servo d i Dio. Descrive così i l rifiuto del messaggio di Gesù, e di conseguenza l'impossibilità di interpretare i suoi segni liberatori (suo braccio/sua forza); Si trattava della forza di Dio stesso, poiché le opere che Gesù realizzava erano quelle del Padre (5, 36; 9, 4; IO, 25.38), che mostrava con esse il suo amore per l'uomo.

39-40 E non potevano credere a motivo di ciò che disse in un'altra occasione Isaia : • Ha accecato i loro occhi, ha intorpidito la loro mente, perché i loro occhi non vedano né la loro mente percepisca né si convertano né io li guarisca •· Gv vede spiegata la ragione di tale rifiuto in un altro testo del profeta, che appartiene alla scena della sua chiamata (ls 6, 9 s) . Tuttavia il testo presentato da Gv non corrisponde esattamente né all'ebraico né alla 535

L'ora finale. La Pasqua del Meula

traduzione greca (LXX). Si veda la traduzione del testo ebraico, in cui Dio dà quest'ordine al profeta: • Intorpidisci il cuore (la mente) di questo popolo, rendilo duro d'orec­ chio, acceca i suoi occhi: che i suoi occhi non vedano, che le sue orecchie non odano, che il suo cuore (mente) non comprenda, che non si converta e guarisca •. E la traduzione greca: « II cuore (la mente) di questo popolo si è intorpidito; sono tardi di udito, hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi e non udire con le orecchie, e non comprendere con il cuore (la mente) , e non convertirsi così che io li guarisca • . Gv omette, in primo luogo, le frasi che si riferiscono all'udito. Per lui sono importanti gli occhi e la mente (il cuore), perché si tratta di vedere segni e di interpretarli (12, 37). Non hanno chiuso le orecchie a una dottrina, ma gli occhi a una realtà. Esiste una notevole differenza fra i tre testi. In quello ebraico è il profeta che, col suo annuncio, deve accecare il popolo, per ordine di Dio, per procurargli la rovina che sarà il suo castigo (ls 6, 1 1-13). L'ordine di Dio al profeta è retorico; ciò che si propone come finalità divina, è in realtà effetto dell'indurimento del popolo stesso. A causa della cattiva disposizione, quanto più il profeta parlerà loro, tanto più sarà la resistenza che incontrerà. Nella traduzione greca, al contrario, il popolo risulta responsabile della propria cecità: sono loro stessi ad avere chiuso gli occhi e a impedire la propria guarigione. Di fatto il rifiuto di Israele di vedere e di ascoltare è tema comune nei profeti. Così per esempio Is 42, 18: • Sordi, ascoltate, ciechi, volgete Io sguardo per vedere •. Ger 5, 21-23: c Questo dunque ascoltate, o popolo stolto e privo di senno, che ha occhi ma non vede, che ha orecchi ma non ode ... questo popolo ha un cuore indocile e ribelle; si voltano indietro e se ne vanno •· Ez 12, 2: ·c Figlio di Adamo, tu abiti in mezzo a una genìa di ribeUi, che hanno occhi per vedere e non vedono, hanno orecchi per udire e non odono, perché sono una genìa di ribelli •. Secondo questi e altri testi, la responsabilità della cecità ricade sul popolo; a volte tuttavia, retoricamente, viene espressa come un disegno di Dio provocato dalla sua collera. In Gv 12, 40 tuttavia esiste un agente esterno che acceca il popolo e impedisce che Gesù lo guarisca. La sua azione è appunto quella contra­ ria all'azione compiuta da Gesù quando apri gli occhi al cieco (9, 1 .10.14, ecc.; 10, 2 1 ; 1 1, 37). Poiché questa era stata un'opera di Dio (9, 3s), l'azione di accecare non può venire da lui. II Figlio inviato da Dio al mondo (3, 17) è la luce che illumina ogni uomo ( l , 9; 3, 19); Dio non opera discriminazioni, perché non l'ha inviato a giudicare il mondo ( = l'umanità) , ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui (3, 17; 12, 47). Pertanto a causare la cecità non può in nessun modo essere Dio, come di fatto non lo er;1 nemmeno nell'AT: dev'essere un suo antagonista. Il contesto Io identifica senza dar luogo a dubbi: l'avversario della luce/verità è la tenebra (12, 35), che usando c la menzogna • (8, 44) rende l'uomo cieco, incapace di percepire Io splendore della vita cui Dio Io 536

lZ, 37-43. Le

caiUe

dell'lnereduUtà

destina (1, 5). Concretamente, la causa immediata che ha impedito a l popolo di riconoscere Gesù come Messia è stata l a Legge, con la s ua dottrina sul Messia che non doveva morire (12, 34). Ma la Legge, a sua volta, è lo strumento del sistema di potere, personificato nel • capo di questo ordinamento » (12, 31). Gli agenti umani della cecità del popolo sono, pertanto, i dirigenti che incarnano tale sistema, in particolare i farisei (cfr. 1 2, 19.42). Essi utilizzano la Legge, promettendo al popolo nn Messia, futuro continuatore delle istituzioni esistenti; assimilano il futuro al passato e programmano in anticipo l'intervento di Dio nella storia; cosi mantengono il popolo nella cecità e gli impediscono di riconoscere l'inviato di Dio (7, 25-29.40-43). Sono loro, interessati a mantenere la propria posizione ( I l , 48 c Lett.), i primi a respingere Gesù; di fatto hanno già concordato di ucciderlo ( I l , 53). Sono ciechi per loro scelta, perché si sono rifiutati di accettare la luce; ma inoltre fanno mostra di vedere e propongono al popolo la falsa luce (9, 41 Lett.). Gesù è venuto a dare la salute, a guarire il popolo (cfr. 5, 9.13), liberandolo dall'oppressione che le istituzioni esercitano (2, 14-16; 5, 1 ss ), m a il popolo, dipendente dai suoi maestri (12, 34; cfr. 5, 39s.46s), non accetta la vita che Gesù gli offre. La frase finale: né io li guarisca, allude all'invalido della piscina (5, 6.9.1 1 .13). Il popolo era rappresentato dalla moltitudine di infermi che giacevano nei portici, figura della Legge (5, 2-3). Non possono camminare, perché non hanno forza né libertà: la Legge, manipolata dai dirigenti, li paralizza, impedendo loro di avere la salute e la vita (5, 10). La loro tradizione li mantiene nella schiavitù (8, 34) . Questa Legge che li distanzia da Dio e ne occulta l'amore (2, 3.6 Lett.) rende loro incomprensibile la morte del Messia. Non possono compren­ dere che Dio ami l'uomo fino al punto di dar la vita per lui. Non percepiscono che è cosi che si manifesta la sua gloria, che non è la gloria del potere, ma quella dell'amore leale.

41

Questo disse Isaia perché vide la sua gloria e cosi parlò di lui.

I l testo di Isaia appena citato segue, effettivamente, la visione di Dio avvenuta nel tempio (ls 6, 3), dove i serafini lo acclamavano con il triplice Santo. Il tempio era pieno della sua gloria (6, 1), e così pure la terra (6, 3). « Vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato: i lembi del suo manto riempivano il tempio {LXX) e pieno era il tempio/la casa della sua gloria ... tutta la terra è piena della sua gloria! ». La gloria che vide Isaia si identifica con quella che Gesù possiede, perché è quella che il Padre gli ha dato (17, 4.22) . t:. lui il santuario. pieno dell 'amore fedele di Dio ( 1 , 14), che i suoi hanno contemplato ( l , 14: abbiamo contemplato la sua gloria). t:. la gloria che si diffonde su tutta la terra, l'amore di Dio per l'umanità intera (3, 1 6) . La resisten­ za di Israele al messaggio profetico anticipava ciò che avrebbe avuto luogo dinanzi al messaggio del Messia. La cecità del popolo è in opposizione alla visione della gloria, che il testimone narrerà quando si troverà dinanzi alla figura di Gesù in croce ( 1 9, 35 Lett.), e che continuerà nella sua comunità (1, 14).

537

L'ora finale. La

Pasqua

del

Measla

Codardia e tradimento dei capi 42 Malgrado tutto, comw1que, proprio tra i capi, molti gli diedero la loro adesione, ma a causa dei farisei non lo confessavano, per non essere esclusi dalla sinagoga.

I capi si distinguono dai farisei (3, l ; 7, 26.28) e designano i membri del Consiglio supremo, appartenenti o meno a quel gruppo. Essi avevano constatato i molti segni che Gesù realizzava ( l i , 47); possedevano una risposta alla richiesta di un segno che gli avevano rivolta nel tempio (2, 18). Molti di loro avevano compreso e stavano dalla parte di Gesù, ma per paura dei farisei non si pronunciavano. Questi, arrogandosi il monopolio dell'interpretazione della Legge, si impongono a tutti (cfr. 9, 22) . In suo nome potevano espellere dalla sinagoga 1 • Ùl loro influen­ za è stata già segnalata varie volte nel vangelo (7, 32.45ss; 9, 13; I l , 46s). L'adesione a Gesù comportava la rottura con le istituzioni (8, 23s.3 1 ; IO, 3s); non hanno i l coraggio di fare il passo, vedono la luce e la riconoscono, ma rimangono nelle tenebre, temendo le conseguenze della loro decisione. � la loro grande crisi: essere giunti a vedere che ciò che credevano vero era falso, ma continuare a difenderlo per paura del rischio futuro. Gv descrive l'ipocrisia: fingere di credere ciò che non si crede più, e non affrontare le conseguenze della verità. Commettono il tradimento di se stessi, guastano la propria vita, e inoltre, per attaccamento a essa, tradiscono il popolo (12, 25) . Ùl loro adesione pubblica a Gesù avrebbe reso possibile quella del popolo, che si fidava fino in fondo di loro (7, 26: che i capi si siano convinti che questi è il Messia ?; cfr. 12, 34). Ma, restando allineati con i nemici di Gesù, propongono come luce ciò che sanno essere tenebra, disorientano il popolo e gli impediscono di raggiungere la liberazione che Gesù gli offre. Per questo rimangono nel peccato, perché, senza essere ciechi, accecano il popolo (9, 40s) : occul· tana la verità per conservare la propria posizione. Nella pericope precedente Gesù parlava del • capo di questo ordina­ mento »; ora Gv, a breve distanza, menziona • i capi • del popolo. L'accostamento non è casuale; questi sono la realtà di quel simbolo. Con la loro condotta, che stabilisce come valore supremo il proprio interesse, al di sopra della verità che ormai percepiscono e del bene del popolo, mostrano di avere per padre il Nemico, principio ispiratore del sistema di denaro e di potere: come lui, sono bugiardi proponendo come verità ciò che sanno essere menzogna, e assassini, perché· privano il popolo della vita che Gesù gli offre (8, 44) e lo conducono con sé alla rovina (7, 33s; 8, 21 .23). 43

preferirono infatti la gloria umana alla gloria di Dio.

Avendo percepito in Gesù la gloria di Dio, lo splendore del suo amore per l'uomo, si trovano davanti a un dilemma. Accettare tale gloria come norma della loro ·vita significa perdere la loro posizione di privilegio. ' Cena mente come eretici (S . B. IV, 330s).

538

12, 37-43. Le cause dell'lncredulltl

Nell'alternativa optano di restllre dove stavano, rinunciando alla vita (12, 25; 3, 36) , a essere figli di Dio ( 1 , 12) . Verificano l'accusa fatta da Gesù (5, 44: come farete a credere voi che accettate gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che si riceve da Dio solo?). Sono legati alla propria posizione sociale. Così, anche se sanno che Dio è dalla parte dell'uomo, come Gesù ha manifestato, essi coscientemente continuano a essere oppressori dell'uomo. Esistono quindi due cause dell'incredulità. Una, nel popolo, la tradizio· ne che gli hanno insegnato (12, 34) ; l'altra, nei dirigenti, il desiderio di gloria umana (12, 43) . In definitiva, i responsabili principali della situa­ zione sono i capi, perché sono loro a tener sottomesso il popolo con il loro prestigio e la loro dottrina, impedendogli di vedere la realtà.

SI NTESI La grande tragedia de1 popolo oppresso è avere assimilato l'ideologia del sistema che l'opprime, accettando come valori i principi di morte che questo propone. Restano incapaci di vedere e valutare ogni realtà che in qualche modo la contraddica. Di qui l'eno rme responsabilità dei dirigenti. Nella pericope appare il tradimento del popolo ad opera di molti capi giudei, che, già convinti che Dio sia dalla parte di Gesù, il condannato dal loro sistema, non osano essere leali con se stessi e rimangono pubblicamente nella fazio­ ne opposta, per paura .di perdere la loro posizione. Nella pericope si delinea il dilemma che si presenta davanti all'uomo, quando l'azione di Dio distrugge le sue antiche sicurezze dottrinali. È il momento in cui si gioca tutto il suo avvenire: o si affida a Dio e accetta il rischio, oppure si chiude allo Spirito aggrappandosi al pro­ prio passato, anche se ormai non gli risulta valido. È l'opzione di ogni uomo fra la luce e la tenebra. Chi non si avvicina allora alla luce, per motivi più o meno inconfessabili, comincerà a odiare la luce, che è Gesù, il Figlio di Dio.

539

, , ·

Gv 12, 44-50: L'avviso finale

44 Gesù disse gridando: - Quando uno mi dà la sua adesione, non è a me che la dà, ma a colui che mi ha mandato, 45 e quando uno vede me, vede colui che mi ha mandato. 4' Io sono venuto nel mondo come luce; così, nessuno che mi dà la sua adesione rimane nella tenebra. 47 Se uno ascolta le mie esigenze e non le compie, io non pronuncio sentenza contro di lui. perché non sono venuto per pronunciare senten­ za contro il mondo, ma per salvare il mondo. 48 Quando uno mi rifiuta e non accetta la mie esigenze, ha chi sentenzia contro di lui: il messaggio che io ho proposto sentenzierà contro di lui l'ultimo giorno. 49 Perché io non ho fatto proposte mie, ma il Padre che mi inviò mi diede egli stesso l'incarico di ciò che dovevo dire e proporre; 5 0 e io so che quel suo comandamento significa vita definitiva; per questo, ciò che io propongo, lo propongo esattamente come me lo ha lasciato detto il Padre.

NOTE FILOLOGICHE 1 2 , 44 Quando uno, ecc., gr. ho pisteu6n. Part. condiz. ipotetico, che si può tradurre con una condizionale propria (se) o con una impropria (quando). Cfr. 8, 19.42.47; 13, 20. - mandato. Cfr. 3, 16-17; 5, 36-38; 6, 27 .29.39; 8, 16.42; 9, 4. 45

Cfr. l, 14.18; 8, 19.42; IO, 30.38; 14, 7.9.

così, gr. hina. Consec. L'adesione stessa interrompe la permanenza nella ten ebra . Luce, cfr. l , 4.5.7-9; 3, 19ss ; 8, 12; 9, 5; 12, 35-36.

46

47 esigenze. cfr. 3, 34; 6, 68; 8, 47. - non pronuncio sentenza, gr. ou krin6. Cfr. 3, 17; 5, 24; 8, 15. 48

Cfr. 3, 18; 5, 45.

49 proposte mie, gr. ex emautou. A differenza di ap' emautou (5. 19.30; 7, 1 7 . 1 8 ; 8, 28; 14, IO) non si riferisce alla missione, ma a lla • fa rina del pro­ prio sacco •. cfr. 8, 44: ek ton idi6n /alei. - diede ... l'incarico, gr. entolén dedoken. Pf. di effetto p ermanen te. quel suo comandamento, gr. e ento/i. autou. Si tratt a dello stesso co­ mandamento di cui si parla nel v. 49. Per conservare l'identificazione fra i due, che il greco esprime con la ripetizione del termine entolé, si usa in it. il pronome dimostrativo (N.d.T.) - significa, gr. estin. Il comandamento, accettare la mo rt e { I O, 18). è in Gesù realtà di vita e possibilità per gli uomini. I l duplice aspetto viene espresso meglio da " significa •, cfr. IO, 18. - esattamente, gr. kath6s ... hout6s. Cfr. 8, 28; 14, 31. - lasciato detto, gr. eirekén. Pf. definitivo. El Aspecto Verbal, n. 387.

50

540

IZ, �!0. L'avvtoo finale

CONTENUTO Dinanzi alla vita che Ge sù offre all'uomo, la classe dirigente giudaica ha preso posizione e decretato la sua morte. Tale accordo dava inizio al p eriod o dell'ora di Gesù, che coincideva con la pross im i tà dell'ultima pasqua ( I l , 55; 12, 1). La d eci s ione rimase per il momento a livello ufficiale. Di fronte a essa si trovava la comunità di Gesù, che gli re ndeva omaggio per la vita che egli le aveva com unicat o (12, 1 ss). Il popolo, che non aveva preso parte alla decisione contro Gesù , ha dovuto scegliere fra l 'i dea di un Messia pote nte proposta da i dirigenti, suoi oppressori, e il Messia datore di vita, che è la negazione del potere, crocifisso a opera del potere stesso (18, 36ss; 19, 19). Ma l grado l'acclamazione iniziale, Israele è rimasto attaccato all'idea dei capi , e questi, molti dei quali hanno riconosciuto la verità di Gesù, h anno tradito per paura la causa del popolo. Di qui ta le dichiarazione finale di Gesù, che, dopo il rifiuto di Israele come popolo, lascia aperto il suo invito

a

ogni uomo.

Gesù non tornerà più a parlare in pubblico. La pericope offre un riassunto fat to da lui stesso del significato e delle conseguenze della sua attività. I n ogni frase risuonano testi precedent i. L'idea centrale è l'origine divina del suo messaggio; Gesù mette l'uomo di fronte a questa realtà per s ti mola rlo all'opzione positiva, mettendogli davanti le conseguenze del suo rifiuto. Affer· ma ancora una volta il carattere unicamente salvifico della sua missione e fa presente a ciascuno la sua responsabilità nell'accettare o meno la vita definitiva che il Padre offre nella persona di lui.

LETIU RA 12,44a

Gesù disse gridando.

D'ora innanzi, Gesù parlerà soltanto con i suoi discepoli o con coloro che l'interrogano. Queste parole di Gesù, le ultime rivolte all'uomo in generale, mancano di ogni determinazione di luogo e di tempo. Sono così valide per ogni epoca e ogni uomo come il grido della propria coscienza. Sarà la testimonianza della comunità c ri st i an a su Gesù, perpetuata nella storia. Gesù riassume la propria missione e la interpreta, lasciando a ciascuno la sua opzione personale. Il suo messaggio rimane in vigore, e sarà quello che giudicherà l'uomo. t! la terza e ultima volta che Gesù fa una dichiarazione gridando in

relazione

con

le

due

precedenti

(7, 28.37).

Nel

primo

caso

l

ed è Gesit

affermava con forza la propria missione divina e la conoscenza perso­ nale di colui che lo aveva inviato. Nel secondo (7, 37) esponeva il risultato della sua missione, il dono dello Spirito, e invitava ad avvici· narsi a lui per riceverlo, anticipando quanto sarebbe dovuto avvenire nell'ora della sua morte, manifestando la sua gloria (7, 39). Questo terzo caso ricorda pertanto i due primi, riassumendo la missione divina di Gesù

(12, 44b),

e il comandamento del Padre, che signi fica vita definiti-

l Nelle tre occasioni appare l'aor. elcraxe" tradotto con • gridare •. Un verbo dif· ferente, kraugaz6, è usato in Il, 43 ecc .. tradotto con • urlare • (N.d.T.).

541

L'ora

finale.

La

Pasqua del Messia

va, per il dono dello Spirito che nella uomini (12, SO; 17, 3 Lett.).

··saa

ora » sarà comunicato agli

44b • Quando uno mi dà la sua adesione, non � a me che la dà, ma a colui che mi ha mandato •.

L'adesione a Gesù è adesione al Padre {14, 1 ) , perché significa riconosce­ re in lui il Figlio di Dio ( l , 34; 3, 16-18), il progetto creatore realizzato ( 1 , 14). Nell 'adesione a lui si riconosce e accetta l'amore del Padre per l'uomo, e si esprime la riconoscenza per quest'amore. Essere con Gesù è essere con l'uomo e con Dio, non essere con Gesù è opporsi all'uomo e a Dio. 45



e quando uno vede me, vede colui che mi ha mandato

•.

Non esiste differenza alcuna fra G es ù e il Padre, poiché la persona e attività di Gesù spiegano ciò che Dio è ( 1 , 18). Non si conosce Dio se non si accetta Gesù (7, 28; 8, 1 9.54s), né esiste Dio oltre a quello che si vede in Gesù: il Padre che è a favore dell'uomo. Il dio riflesso dalla Legge, nel cui nome i dirigenti si oppongono a Gesù (5, 6-18; 8, 19; 9, 1 6a.24.29; 10, 33), è un dio falso. Gesù non dice di somigliare o di essere ugua le a Dio, ma, al contrario. che Dio è come lui. Non c'è altro modo di conoscere Dio che quello di guardare Gesù. Bisogna rinunciare a ogni idea · preconcetta di Dio. Questi si è manifestato pienamente soltanto in Gesù, cui ha comunicato la pienezza della sua gloria-amore ( 1 , 14.18). 46 • lo so11o venuto nel mondo come luce; cosi, nessuno che mi dà la sua adesione rimane rwlla tenebra ». Il tema luce-tenebra ( 1 . 4.5) è apparso fin dal prologo. Gesù si è identificato con la luce del mondo (8, 12; 9, 5; 12, 35s). La luce della vita trae fuori dalle tenebre della morte, l'ambito dominato dai nemici di Gesù, il sistema politico-religioso giudaico (5, 16.18; 7, 1.7.19.32; 8, 1 3ss.37.40.59; 9, 24ss; 10.31ss; I l , 53). L'adesione a Gesù è l'alternativa all 'oppressione, il cui strumento è l 'ideologia, che estingue nel l uomo l'aspi razione alla pienezza (la tenebra). '

4 7 • Se uno ascolta le mie esigenze e non le compie, io non pronuncio sentenza contro di lui, perché non sono venuto per pronunciare senten­ za contro il mondo, ma per salvare il mondo "·

Le esigenze di Gesù sono Spirito e vita (6, 63), e comunicano vita definitiva (6, 68). Per opposizione a quelle di Mosè, sono le vere esigenze di Dio; ne è prova che comunicano lo Spirito (3, 34). Gesù le ha proposte, ma rispetta la libertà dell'uomo: la risposta d'amore deve essere libera. Non pronuncia sentenza, perché la sua missione è salvare, comunicando vita (cfr. 8, 1 5). L'esperienza dell'amore che vivifica viene trasformata in norma per l'uomo; questa è l'esigenza di Gesù. Egli salva dando la capacità di amare, cioè, di sviluppare il proprio essere, rendendosi somigliante al Padre ( l , 12). Chi non fa sua l'esigenza di Gesù danneggia se stesso, perché non si 542

12, 44-50. L'avviso finale

realizzerà mai come uomo: frustra in sé il progetto di Dio. Questa è la sua sentenza, dettata da lui stesso. Gesù è pura offerta di salvezza (3, 17). Non esiste discriminazione alcuna fra gli uomini da parte di Dio, né predestinazione alla morte; il suo amore si estende all'umanità intera (3, 16) e a tutti offre la vita nel Figlio. La discriminazione la operano gli uomini, secondo la qualità della loro risposta. 48 • Quando uno mi rifiuta e non accetta le mie esigenze, ha chi sentenzia contro di lui: il messaggio che io ho proposto sentenzierà contro di lui l'ultimo giorno •.

Gesù sottolinea la libertà dell'uomo. Dio non si impone, l'uomo è responsabile della propria sorte. Chi rifiuta Gesù rinuncia alla pienezza di vita. La stessa offerta gratuita fatta da Gesù sarà testimone contro colui che non l'accetta. Non dando ascolto al messaggio della vita, questi ne rimarrà privo. Questo giudizio si verificherà l'ultimo giorno. e stato già analizza to il contenuto di questo dato temporale, che si collega soprattutto alla risurrezione (6, 39 Lett.; cfr. 6, 40.44.54; I l , 24) e che appare qui per l'ultima volta. Il significato tradizionale dell'ultimo giorno dei tempi come Marta lo interpretava, era stato corretto da Gesù ( 1 1 , 24s). Alla luce di 7, 37-39, l'ultimo giorno appare come quello in cui si conclude la creazione dell'uomo (19, 30), quello della morte di Gesù, quando egli sarà innalzato da terra (12, 32) e da lui fluirà l'acqua dello Spirito (19, 34) . Questo giorno creatore per eccellenza si prolungherà in un continuo presente. Essendo il giorno in cui Gesù darà la prova totale e definitiva del suo amore per l'uomo, sarà perpetuo come questo stesso amore, simboleggiato dal costato che rimane aperto dopo la risur· rezione (20, 27). Il messaggio che Gesù ha pronunciato giudicherà l'uomo l'ultimo gior· no; vale a dire: una volta data questa prova di amore supremo, non ci sarà scusa valida per respingere il suo messaggio (cfr. 8, 28). 49 • Perché io non ho fatto proposte mie, ma il Padre che mi inviò mi diede. egli stesso l'incarico di ciò che dovevo dire e proporre •. La sorte dell'uomo dipende pertanto dal suo atteggiamento davanti a

Gesù. Tale opzione è decisiva perché il messaggio che Gesù trasmette non è invenzione umana, ma messaggio del Padre, di Dio, che è vita e amore. Nella redazione di questo versetto Gv allude a Dt 18, 18, dove Dio si rivolgeva a Mosè: • Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò (letter. darò) in bocca le mie parole (letter. la mia parola/comandamento) ed egli dirà loro quanto io gli comanderò •. Gesù si presenta come colui che ha ricevuto da Dio un comandamento che annulla gli antichi. 50 • e io so che quel suo comandamento significa vita definitiva; per questo, ciò che io propongo, lo propongo esattamente come me lo ha lasciato detto il Padre • .

I



comandamenti



o incarichi dati dal Padre a Gesù sono un modo di 543

L'orll

ftnale.

La

Pasqua del Messia

esprimi!re la missione messianica. In 10, 17s Gesù esponeva il coman­ damento riferito alla sua persona: io consegno la mia vita e così la recupero ... questo è il comandamento che ricevetti da mio Padre. Con questo dono di sé continuo fino alla fine Gesù completa la consacrazio­ ne messianica che ha ricevuto ( 17, 19), manifestando un amore che nella sua morte giunge a essere uguale a quello del Padre ( 19, 28 Lett.): è la realizzazione piena dell'Uomo-Dio (19, 30: è ormai completato), princi· pio della nuova umanità. Questo secondo comandamento e incarico si riferisce all'attività di Gesù nei confronti degli uomini: racchiude • la dollrina che non è sua, ma del Padre • (7, 1 6.17; cfr. 8, 28) , • i comandamenti suoi » ai suoi discepoli. che corrispondono a quelli dati dal Padre a Gesù (15, IO). Ma tale comandamento non è indipendente dal primo: è il messaggio e l'esigenza di un amore per l'uomo uguale al suo, l'invito a dedicarsi come egli si è dedicato ( 12, 24-26: cfr. 1 3 , 34). Propone agli uomini di realizzare anche loro il disegno di Dio: dare adesione a lui, ottenendo così vita definitiva (6, 39s). Di qui l'espressione che segue: so che quel suo comandamento significa vita definitiva. Gesù non si allontana neanche per un momento da questo messaggio: lo propongo esattamen­ te, da cui dipende l'esistenza dell'umanità nuova. Gesù torna a sottolineare la sua fedeltà al Padre e la sua identità di propositi con lui (4, 34; 5, 30; 6, 38; 8. 28s; IO, 30.38). Dissipa ogni illusio­ ne di accesso a Dio o di fedeltà a lui fondati su modi d'agire differenti dal suo. Coloro che rifiutano il suo messaggio non compiono il disegno di Dio e, di conseguenza, non hanno vita (cfr. 6, 53). L'antica legge è decaduta. Avverte che non è possibile relativizzare le sue parole: egli trasmette esattamente ciò che il Padre gli ha comunicato (8, 28.38.40). Non esiste una volontà o un disegno di Dio che possa opporsi a quello che espone Gesù, né istanza superiore a lui cui ci si possa appellare contro di lui, perché il Padre è in lui e lui nel Padre (IO, 38). Implicitamente denuncia l'ignoranza e la malafede dei suoi avversari, che, sotto pretesto di fedeltà all'antica Legge, si oppongono a Dio (5, 37s; 7, 1 9 : 8, 54s). · Lo dimostrano respingendolo. Essi vivono per la l01·o gloria e disconoscono e disprezzano la gloria di Dio (5, 44; 12, 43). 1\tosè nella sua ultima allocuzione aveva promesso vita a coloro che avessero messo in pratica tutti gli anicoli della Legge (D t 32, 46s) : • Essa infatti non è una parola senza valore per voi: anzi è la vostra vita; per questa parola passerete lunghi giorni sulla terra di cui state per prendere possesso. passando il Giordano •. Gesù è venuto a sosti· tuire quella Legge con il messaggio che dà la vita definitiva (cfr. 5, 24).

SI NTESI Gesù è l'unica rivelazione piena di Dio; per questo l'adesione a lui è l'adesione al Padre. Ogni idea o teoria su Dio che non sia compatibile con ciò che si vede in Gesù è falsa; Dio non è un'idea, è il Padre. persona, vita e amore, e si manifesta in Gesù e nella sua attività a 544

12, 44-!10. L'avviso finale

favore dell'uomo. I nemici di Gesù sono nemici di Dio, coloro che seguono Gesù sono figli di Dio, come lui è • il Figlio "· La missione data dal Padre a Gesù è offrire all'uomo un'alternativa al suo stato di frustrazione e fallimento, dargli la possibililà di uscire dall'oppressione in cui vive sotto un ordinamento ingiusto che gli si impone e lo maltratta (la tenebra). Gesù non opera discriminazioni. La sua missione non si limita a un popolo, si estende all'umanità intera, oggetto dell'amore del Padre, il Dio creatore. L'uomo resta libero di accettare la sua offerta ; ma il rifiuto della vita porta in sé l'opzione per la morte. Il suo messaggio è quello del Padre, ed è vita definitiva. Non esiste messaggio di vita oltre a quello di Gesù: amare fino al limite estremo come ha amato lui.

545

SECONDA SEZIONE

LA CENA. LA NUOVA COMUNITA' UMANA ( 1 3 , 1 - 1 7, 26)

I cinque capitoli di questa sezione sono posti fin dall'inizio in relazione con la Pasqua di Gesù. Si descrive la sua morte in termini di passaggio ( = Pasqua) con evidente allusione al significato della festa della Pa­ squa, che celebrava il passaggio del popolo dalla schiavitù d'Egitto alla libertà. Gesù passa da questo mondo, spazio di morte, come venne definito nel prologo ( 1 , 5: la tenebra), al Padre. La Pasqua di Gesù è un passaggio attraverso la tenebra più densa: la morte. Nel libro dell'Eso­ do la partenza avviene di notte. Qui la cena si celebra nel cuore della notte (13, 30). Questo è il simbolo dell'odio del mondo, che diventa efficace con la decisione di Giuda di consegnare Gesù. L'unità della sezione non ha bisogno di essere dimostrata: la segnala la cornice della cena in cui si svolge. Si possono tuttavia notare gli agganci fra i capitoli 1 3 e 17: il tema dell'amore (13, l ; 17, 26) ; l'appella­ tim " Padre » ( 1 3, l ; 17, 25); la menzione dell'« ora » ( 13, 1 ; 17, l ); la manifestazione della gloria (13, 3 1 -32; 17, 1 .4-5); l'amore eis telos-teleioo (13, l ; 17, 4); la consegna di tutto a Gesù da parte del Padre ( 1 3 , 3; 17, 2); il tema del traditore (13, 2.27; 17, 12); l'adempimento della Scrit­ tura 03, 18; 17, 12). In questa sezione appare per l'ultima volta il termine " la gloria ., (17, 5.22.24). Nella sezione successiva verrà presen­ tato l'« avvenimento » che la manifesta, cui tende tutta la narrazione. La manifestazione della gloria si esprimerà in termini di « visione • (1 9, 35). La sezione si divide in tre sequenze ben delimitate. La prima compren­ de i capitoli 13-14 e si conclude con l'invito a uscire che Gesù rivolge ai discepoli (14, 3 1 ) . La seconda comprende i capitoli 15-16, seconda parte dell'istruzione di Gesù ai suoi. La terza, costituita dal capitolo 17, contiene la preghiera di Gesù. La prima sequenza si può intitolare • La nuova comunità: fondazione e cammino Dopo l'introduzione ( 1 3 . 1 ) narra due episodi: la lavanda dei piedi ( 1 3 , 2-20) e il tradimento di Giuda (13, 2 1 -32), il cui significato prepara il comandamento nuovo di Gesù, carta di fondazione della nuova comunità 13, 33-35 ) . Al contenuto del comandamento si oppone l'atteggiamento di Pietro, cui Gesù annuncia i suoi rinnegamenti ( 13, 36-38) . Questa parte prosegue con un'istruzione di Gesù che espone la pratica dell'amore come itinerario della comunità, cioè la continua­ zione del suo esodo (14, 1- 14) . e la presenza del Padre e sua in questa comunità in cammino (14, 1 5-26). Si conclude con le parole di addio (14, 21-30) e l'invito a uscire dal luogo in cui si trovano (14, 3 1) , per seguirlo nell'esodo: egli apre il cammino: la meta è il Padre. Ha loro spiegato qual è il cammino che devono percorrere, ora li invita a passare attraverso il mondo dell'odio e della morte. •-

546

La

cena. La

nuova comunltll umaaa

La seconda sequenza si può denominare • La nuova comunità in mezzo al mondo », di qui la partenza simbolica ( 14, 3 1 ) . Di fatto, presenta l'istruzione ai discepoli per la loro missione in mezzo al mondo ostile. La comunità di Gesù si colloca in mezzo a tale mondo come il nuovo popolo di Dio ( 1 5 , l ss). L'amore è fecondo, per questo la crescita della comunità e l'aggregazione a essa di nuovi membri vengono concepite come • produrre frutto •. Condizione indispensabile per questo è l'u. nione a Gesù, centro da cui promana la vita (lo Spirito) (15, 1·6), con un amore che risponde al suo e stabilisce fra Gesù e i discepoli la relazione di amici (15, 7- 17). Come quella di Gesù, la missione della comunità si eserciterà in mezzo all'odio del mondo ( 1 5 , 18-25), ma in essa i discepoli saranno sostenuti dallo Spirito ( 1 5, 26-16, 15). Gesù parla del dolore e della gioia in mezzo alla durezza della missione, della sua assenza e presenza ( 16, 1 6-23a), e finisce assicurando loro l'amore del Padre e la sua vittoria sul mondo (16, 23b-33). La terza sequenza contiene la preghiera di Gesù, che include un'intro­ duzione (17, 1-5), una preghiera per la comunità presente (17, 6-19) e per la comunità del futuro (17, 20-23), concludendosi con il desilierio di Gesù che il Padre onori coloro che l'hanno riconosciuto, e con il proposito di portare a compimento la sua opera (17, 24-26) . La cena con i discepoli è in stretta relazione con quella descritta a Betania (12, 1-8), anche se la prospettiva è differente. Di fatto quella di Betania, nella sua prima parte ( 12, 1-3 ), descrive il risultato della vita comunicata da Gesù ai suoi, che sarà effetto della sua consegna alla morte. Vi si esprime l'amore dei discepoli per Gesù come riconoscenza per il suo dono. In questa cena, invece, si propone l'altro aspetto, quello dell'amore di Gesù per i suoi, che fonda l'amore espresso a Betania. t!. il servizio di Gesù ai suoi che permette l'omaggio e il servizio di questi a Gesù. Entrambe le scene presentano il traditore: a Betania si spiegava il fondamento del suo tradimento ( 12,6: era un ladro) , qui si descrive la sua decisione finale e la sua complicità con il Nemico. Questa sezione è in relazione anche con quella successiva (18, 1-19, 42). II passaggio di Gesù da questo mondo al Padre vi sarà simboleggiato fin da principio nel passaggio del torrente, abbandonando la città ( =.;. i l mondo), per entrare nella terra della vita e della libertà, simboleggiata dall'orto (18, l Lett.).

547

Prima sequenza · LA NUOVA COMUNITÀ: FONDAZIONE E CAMMINO

( 13, l - 1 4 , 3 1 )

Gv 13, 1-20: La lavanda dei piedi • Prima della festa di Pasqua, essendo Gesù cosciente che era giunta la sua ora, quella di passare da questo mondo al Padre, lui, che aveva amato i suoi che stavano in mezzo al mondo, dimostrò loro il suo amore fino all'estremo.

Mentre cenavano (il Nemico aveva già indotto Giuda di Simone 3 cosciente che il Padre aveva posto tutto nelle sue mani, e che da Dio procedeva e a Dio andava, • si alzò dalla mensa, depose il mantello e, prendendo un panno, se lo legò alla cintura. 5 Poi versò dell'acqua nel catino e si mise a lavare i piedi ai discepoli e ad asciugarli con il panno di cui si era cinto. l

Iscariota a consegnarlo),

6 Avvicinandosi a Simon Pietro, questi gli disse: - Signore, tu lavi i piedi a me? 7 Gesù gli replicò: - Ciò che io sto facendo, tu adesso non lo capisci, ma lo comprenderai entro breve tempo. e Gli disse Pietro: - Non mi laverai mai i piedi. Gli rispose Gesù: - Se non lasci che ti lavi, non hai nulla da spartire con me. 9 Simon Pietro gli disse: - Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e la testa. 10 Gesù gli rispose: - Colui che ha già fatto il bagno non ha bisogno che gli lavino altro che i piedi. t;. interamente pulito. Puliti siete anche voi, ma non tutti. 11 (Sapeva infatti chi stava per consegnarlo, per questo disse: c Non tutti siete puliti •). Il

Lavati loro i piedi, prese il suo mantello e si adagiò nuovamente a mensa. Allora disse loro: - Comprendete ciò che vi ho fatto? 13 Voi mi chiamate Maestro e Signore, e a ragione, perché lo sono. 1' Ebbene, se io, il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. 15 Vale a dire, vi lascio un esempio, perché come ho fatto io con voi, facciate voi pure. 16 Davvero vi assicuro: un servo non è da più del suo signore, né l'inviato da più di chi lo manda. 17 Lo capite? Ebbene, beati voi se fate questo. 1 1 Non lo dico per tutti voi, io so bene chi ho scelto, ma così si compie quel passo: • quello che mangia il pane con me mi ha fatto lo sgambetto ». 1 9 Ve lo dico già fin d'ora, prima che succeda, perché, quando succederà, crediate che io sono quello. 20 Davvero vi assicuro:

548

13, 1·20. La lavanda del piedi

chi riceve chiunque io manderò, ri ceve me, e chi riceve me, riceve colui che mi mandò.

NOTE FILOLOGICHE 13, l Per la particella d e. al principio della pericope, cfr. 2, 23; 4 , 4 ; S , 9b; I l , 1.5S. - Prima della festa di Pasqua. DI fatto si trattava del giorno precedente la Pasqua, ma dato che con il tramonto del sole aveva avuto inizio il giorno della preparazione, la prepos. pro non indica immediatezza particolare; cfr. I l , 55b, in cui prima della Pasqua indica un intervallo di almeno sei giorni (cfr. 12, 1). Il parallelismo è probabilmente intenzionale: in 1 1 , 55, la gente della campagna deve salire in anticipo a purificarsi ; in 13, IO, Gesù afferma che i suoi sono puliti (puri) e che non hanno bisogno di purificazione. Si può trattare di un'opposizione fra il rito giudaico e la fede in Gesù. - aveva amato ... dimostrò loro il suo amore. Ogni aor. ha il suo valore par· ticolare. Il primo, retrospettivo, è complessivo e abbraccia tutto il tempo precedente. Il secondo, che nel testo presente si riferisce a un futuro im· mediato, è manifestativo (cfr. 3, 16 e El Aspecto Verbal, nn. 91-93). - fino all'estremo/fine, gr. eis telos. Al tempo stesso temporale e intensivo. Fa riferimento al pf. tetelestai (19, 30), ultima parola di Gesù sulla croce. Cfr. D t 3 1 , 24: eis telos. 2 Mentre cenavano, gr. deipnou ginomenou. Senza articolo, non denota il pasto rituale di Pasqua. - il Nemico, gr. tou diabolou. Cfr. 3, 44a Lett. - aveva già indotto Giuda, gr. ede beblekotos eis tbt kardia11 Touda. Si adot· ta questa lettura variante, ben attestata, perché è quella che risponde al significato di bal/6 eis e a quanto esposto da Gv sul diabolos in 8, 44. La variante /oudas (nominativo), sebbene lectio difficilior e appoggiata da testimoni più antichi, deve essere respinta per due ragioni: a) la costruzione ba//6 eis suppone un termine esterno al soggetto (cfr. Gv 20, 25.27). Una frase simile appare soltanto in Nm 22, 38 LXX: co rema ho ean balé ho theos eis to storna mou, la parola che Dio ponga sulle mie labbra. L'agente è esterno. Quando invece si tratta di una decisione presa dal soggetto stesso, si usa tithemi eis rén kardian (MI 2, 2), epi tén k. (Dn 1, 8), en te k. (Le 21, 14; At S, 4), sempre con il possessivo, che manca nel testo di Gv. b) se si mantiene il nominativo e si traduce il Nemico aveva preso la decisione (equiparando ballo a tithémi e sottintendendo il possessivo), il .significato di ho diabolos sarebbe diverso da quello in 8, 44: Il è il padre • in opposizione al • Dio Padre •) che esprime desideri che l'uomo decide di realizzare (tas epithumias tou patros humon thelete poiein); non prende decisioni, ma ispira una condotta. Riassumendo: il significato di ballo eis, l'assenza di possessivo e l'indole del diabolos in Gv, inclinano la bilancia a favore della variante /ouda. - /scariota. Come in 6, 7 1 ; 13, 26, si applica più probabilmente a Simone che non a Giuda. •





3

procedeva, gr. exelthen. Aor. puntuale, cfr. 16, 27 nota.

4 si alzò. In gr. pres. st. - depose il mantello, gr. tithesin ta himatia. Pres. st. Unito a 13, 12, prese

549

L'ora

finale. La Pasqua del

Messia

(efaben) if mantetfo, è in parallelo con IO. 1 7: consegno (tithemr) fa mia vita e così la recupero (lab6). Il verbo ordinario per • togliersi il mantello » sa­ rebbe stato apotithemi. I parallelismi mostrano l'esistenza di un linguaggio simbolico (cfr. Lett.).

5 versò. Gr. pres. st. - si era cinto, gr. én die, ma una falsità e ingiustizia che egli non accetta (cfr. 5, 41 .44; 7, 18). L'unica grandezza è nell'essere come il Padre, dono totale e gratuito di se stesso {3, 1 6). Questa scena è parallela a quella di Betania (cfr. 12, ls). In entrambe le occasioni si tratta di una cena (12, 2; 13, 2). si menzionano « i piedi » 02, 3: di Gesù; 13, 5: dei discepoli). appare il verbo « asciugare • {12, 3; 13, 5); si contrappongono invece i verbi « ungere » (12, 3) e « lavare . (13. 5). In quella scena la comunità, rappresentata da Maria, . rendeva Qmaggio a Gesù (gli unse i piedi), esprimendogli il proprio amore (il profumo), che si estendeva all'intera comunità { 1 2, 3: la casa si riempì). Qui Gesù mostra il suo amore per i suoi con il proprio servizio. Così si corrispondono Gesù e il suo gruppo. Il servizio dei discepoli invece non si rivolgerà a Gesù: lo renderanno gli uni agli altri e ai poveri, come già fu annunciato nella scena di Betania (12, 8 Lett.). La lavanda dei piedi significa accettazione, ospitalità, accoglienza fra­ terna, come spiegherà Gesù (13, 20). L'amore fraterno si esprime in accoglienza, e questa a sua volta in servizio.

556

13, 1-211. La lavanda del piedi • •.

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,- .,

·

Resistenza di Pietro

6 Avvicina11dosi a Simon Pietro, questi gli disse: piedi a me? • .



Signore, tu lavi i

Stupore e protesta di Pietro. Lo chiama • Signore " • titolo di superiori­ tà, in contrasto con • lavare •. servizio di un inferiore. Il suo stupore e la sua protesta si esprimono in greco con la vicinanza e l'enfasi dei pronomi (su - mou). Pietro ha compreso che l'azione di Gesù inverte l'ordine ammesso di valori. Riconosce la differenza fra Gesù e lui e lo sottolinea per mostrare la sua disapprovazione. Interpreta il gesto in chiave di • umiltà "· Egli, come gli altri, considera Gesù un Messia che deve occupare il trono di Israele (cfr. 6, 1 5 ; 12, 1 3 ; 18, 10), per questo non accetta il suo servizio. Egli è suddito, non ammette l'uguaglianza. Si immagina il re­ gno messianico come una società simile a quella antica. Non compren­ de l'alternativa di Gesù. Mentre gli altri discepoli accettano il gesto di Gesù, Pietro si distingue da loro. 7 Gesù gli replicò: cCiò che io sto facendo, tu adesso non lo capisci, ma Io comprenderai entro breve tempo »,

Gesù non si meraviglia dell'incomprensione di Pietro - egli conosce coloro che ha scelto (13, 18) - ma quella di lavar loro i piedi era una prova di accoglienza e di affetto, e gli domanda di accettarla. Gli sta rivelando il modo in cui lui e il Padre Io amano, non a parole, ma con l'azione. Pietro finirà col capire, entro breve tempo. Questa espressione (cfr. nota) introdurrà la scena finale del vangelo ( 2 1 , l) ' · Sa

Gli disse Pietro:

c

Non mi laverai mai i piedi • -

Totale rifiuto di Pietro. Non accetta assolutamente che Gesù si abbassi: ognuno deve stare al proprio posto. Difendere il rango di un altro è difendere il proprio; non accettare il gesto di Gesù significa non essere disposto a comportarsi come lui. In questo passo, in cui Pietro si oppone all'azione di Gesù, l'evangelista Io designa, per la prima volta nella narrazione (cfr. l , 44), unicamente con il soprannome (Pietro) _ Comincia a delinearsi il significato che Gesù gli attribuiva nel suo primo incontro con lui ( 1 , 42 Lett.). Pietro conserva ancora i principi del • mondo •, crede che la disugua­ glianza sia legittima e necessaria. L'iniziativa di Gesù crea un gruppo di uguali; il leader abbandona il suo posto per rendersi uguale ai suoi; questo Io disorienta ed egli Io rifiuta. Come la moltitudine di Gerusa­ lemme, vuole che Gesù sia il capo (12, 1 3 il re di Israele); non accetta il 4

2 1 , l sarà l'unica volta in cui l'espressione meta tauta si troverà d'ora innanzi in scena in cui appare Pietro (cfr. 19, 38) , quando questi, dopo la sua ultima ini­ ziativa, che si conclude con un fallimento (21,3: ma quella notte non presero nulla) , comprende e accetta finalmente le esigenze di Gesù, e questi, per la prima volta, una

lo invita a seguirlo (2 1 , 1 9; cfr. 1 , 42 Lett.).

557

L'ora finale. La Pasqua del Messia

suo servizio, né, pertanto, la sua morte per lui (1 2, 34; 1 3 , 37). Aveva riconosciuto che le esigenze di Gesù comunicavano vita definitiva (6,68s}, ma quando giunge il momento dell'azione di Gesù, che interpre­ ta le sue parole, non l'accetta. Rimane nella mentalità di 6, 15, quando vollero fare re Gesù, sebbene questi si fosse messo al servizio della gente (6, I l ) 5• Non capisce cosa significhi l'amore, perciò non lascia che Gesù glielo manifesti. 8b Gli rispose Gesù : spartire con me » .



Se non lasci che ti lavi, non hai nulla da

Se non ammette l'uguaglianza. non può stare con Gesù. Bisogna accetta­ re che non ci siano capi, ma servitori (cfr. Mc 10, 45 parall.) : Gesù il Signore, è membro di una comunità che serve; chi rifiuta tale tratto distintivo del suo gruppo viene escluso dall'unione con Gesù, suo centro e fondamento. La sua minacciosa dichiarazione (se non ... non hai nulla da spartire con me) mostra la gravità dell'atteggiamento di Pietro. La mentalità di quest'ultimo è incompatibile con quella di Gesù; Pietro corre pericolo. Per lui l'azione di Gesù è intollerabile (cfr. 6, 60). e questi Io avvisa che si trova sull'orlo della defezione (cfr. 6, 66). 9 Simon Pietro gli disse: e la testa • ·



Signore, non solo i piedi, ma anche le ma11i

La reazione di Pietro mostra che egli aveva aderito personalmente a Gesù, pur senza comprenderne il modo d'agire. Pur di non separarsi da lui è disposto a fare quello che vuole, ma in quanto è volontà del capo, non per convinzione. Continua a essere un dipendente. Non comprende l'atteggiamento vitale che ispira l'azione di Gesù, e pertanto non potrà tradurlo in atteggiamento proprio. Si mostra disposto a obbedire, non a imitare. Dicendosi disposto a farsi lavare da Gesù le mani e la testa, Pietro pensa che il lavacro sia purificatorio. Se • non lasciarsi lavare • signifi· ca non essere accettato, deduce che il lavacro elimina qualche ostacolo, qualche impurità o mancanza, e che è condizione per essere ammesso da Gesù, come lo era la purificazione ebraica per avvicinarsi a Dio. Se dev'essere purificato da qualcosa, è disposto a sottoporvisi. Giudicava inammissibile l'azione come servizio; come rito religioso, vi si presta. Si tratterebbe in tal caso di un atto unico e individuale, come un rito di ammissione. Per quanto riguarda il Messia, anche su questo punto Pietro pensa in categorie giudaiche, come i discepoli di Giovanni, che interpretavano il suo battesimo, gesto simbolico di rottura con l'istituzione giudaica, in chiave di purificazione tradizionale (3, 25 Lett.). Si riflette qui l'appella­ tivo che Gesù aveva dato a Pietro nel suo primo colloquio: Simone, il figlio di Giovanni ( 1 , 42 Lett.). il discepolo di Giovanni che, come quelli di 3, 25, non vedeva la novità che questi annunciava. Ora che è riuscito a spiegarsi il gesto di Gesù in modo compatibile con i suoi principi, Pietro torna a chiamarlo • Signore •. titolo che aveva !

Cfr. Mc 8, 33 e parall.

558

13, 1-20. La lavanda del piedi

soppresso nella piedi).

sua

indignata reazione (13, 8: non mi laverai mai i

I Da Gesù gli rispose: • Colui che ha già fatto il bagrzo norz ha bisogno che gli lavino alrro che i piedi. È interamente pulito. Puliti siete arzche voi ». Che si trattasse di un servizio e non di un rito purificatorio era stato messo in chiaro dal gesto di Gesù (togliersi un mantello e cingersi un panno o grembiule, come un servo, 13, 4). Inoltre si purificavano ri· tualmente le mani, ma non esisteva un lavaggio rituale per lavare i piedi; la lavanda dei piedi apparteneva all'area del · servizio, degli usi domestici. Cosi aveva compreso Pietro nella sua prima reazione, e per questo protestò vedendo l'improprietà dell'azione di Gesù in relazione alla sua categoria di Maestro e Signore. Gesù corregge la seconda interpretazione di Pietro; non si tratta di un rito purificatorio, ma di un servizio, e come tale lo deve accettare. Il gesto mostra l'atteggiamento interiore di colui che lo esegue, mostra cioè che Gesù non si pone al di sopra dei suoi discepoli. Poco dopo li chiamerà amici { 1 5, 14) e, dopo la sua risurrezione, si riferirà a loro come ai suoi fratelli (20, 17). « Aver fatto il bagno • significa esser stato purificato ed essere intera­ mente pulito. Per Gesù, i discepoli sono puliti (puri), vale a dire che non si interpone alcun ostacolo fra loro e Dio; questi li accetta e li ama. L'unico motivo per cui l'uomo dispiace a Dio, e pertanto ne provoca la riprovazione, è il rifiuto a dar retta al Figlio, cioè la permanenza volontaria nella zona della tenebra (3, 36c Lett.) . I discepoli, al contra­ rio, sono già usciti dal « mondo » ingiusto (15, 19; cfr. 17, 6.14.16); l'appartenenza a esso è il peccato (8, 23 Lett.) che rende impuro l'uomo. Accettando il messaggio di Gesù essi hanno abbandonato « il mondo » e sono divenuti puri (15, 3); l'opzione fu espressa da Simon Pietro in 6, 68: Signore, corz chi ce rze andremo? Le tue esigenze comunicano vita definitiva, anche se di fatto non ne ha tratto le conseguenze. Il termine « puliti » ( == puri) mette questa scena in relazione con quella di Cana, in cui si menzionavano le purificazioni dei giudei (2, 6). La necessità di purificazione, caratteristica della religione giudaica, signifi­ cava la precarietà del rapporto con Dio, interrotto da qualunque con­ taminazione legale. In quell'occasione Gesù aveva annunciato la fine delle purificazioni e della Legge stessa. Esclude ora ogni . significato purificatorio del suo gesto, perché l'opzione per lui · ha purificato definitivamente i suoi. Un discepolo ha bisogno soltanto che gli lavino i piedi. cioè che gli mostrino l'amore, dandogli dignità e libertà. Le antiche purifìcazioni erano testimonianze della coscienza di peccato, di separazione da Dio. Nella comunità di Gesù il rapporto con Dio è assicurato, Dio è con loro (colui che ha già fatto il bagno). Ormai non esistono impurità rituali o legali, eccetto la complicità con un ordina­ mento ingiusto. 10b- l l « ma rzon tutti ». (Sapeva infatti chi stava per consegnarlo, per questo disse: « Non tutti siete puliti »). 559

L'ora finale. La Pasqua del Messia

In questo stato di purezza c'è tuffàvia un'eccezione. C'è ·uno che si oppone a Gesù, perché non ne condivide i valori né il programma. Chi rifiuta di dare la propria adesione a Gesù è separato da Dio. t> cessata l'antica purezza legale, che si perdeva per il contatto con oggetti o per funzioni naturali. L'atteggiamento nei confronti dell'uomo, rappresenta­ to da Gesù, determina la situazione nei confronti di Dio. Giuda, anche se Gesù gli ha lavato i piedi, non è pulito. Questo indica nuovamente che la lavanda non significava purificazione; la pulizia o la non pulizia precedevano l'azione di Gesù, e questa non ha cambiato la situazione. Gesù, tuttavia, non ha escluso Giuda dalla sua accoglienza né dal suo amore. Gli ha dato la stessa dimostrazione che ha dato agli altri, anche se ben cosciente del tradimento che egli prepara. Le sue parole: ma non tutti, avvisano il traditore che egli conosce il suo atteggiamento.

Istruzione 1 2 Lavati loro i piedi prese il suo mantello e si adagiò nuovamente a mensa. Allora disse loro: c Comprendete ciò che vi ho fatto? •·

Con la prima frase Gv chiude chiaramente il quadro dell'azione prece­ dente (13, 4: si alzò dalla mensa, depose il mantello e, prendendo un panno, se lo legò alla cintura; 13, 12: prese il suo mantello e si adagiò nuovamente a mensa), che ha il significato di testamento-comandamen­ to. Come si vede dal parallelo fra il principio e la fine (13, 4.12), Gesù, tornando alla mensa, non si toglie il grembiule, segno del suo servizio, che culminerà nella morte e continuerà per sempre (3, 5 Lett.). D'altra pane, tornando alla posizione di uomo libero (si adagiò nuova­ mente a mensa) con indosso il grembiule, mostra che il servizio prestato per amore non diminuisce la libertà né la dignità dell'uomo. Si integra ora nel gruppo di eguali che ha creato con il suo gesto. Li ha resi liberi (signori), ma non ha cessato di essere lui libero e signore. Con la sua domanda: compre11dete ciò che vi ho fatto?, vuole evitare che il suo gesto venga interpretato erroneamente, come un semplice atto di umiltà. La frase di Gesù (letter.: ciò che vi ho lasciato fatto, cfr. nota), indica in primo luogo l'intenzione di Gesù di dare alla sua azione validità. permanente per i suoi; ma al tempo stesso, nella prospettiva della comunità, lasciare il ricordo di un'azione che permane e resta in vigore al suo interno. 13 « Voi mi chiamate Maestro e Signore, sono •.

e a

ragione, perché lo

Non si permetteva ai discepoli di chiamare per nome il maestro. Gli si rivolgevano con il titolo di Maestro (Rabbi; cfr. l , 38) o con quello di Signore (Mar) 6• Pietro lo ha appena chiamato due volte • Signore • (13, 6.9). Esiste una differenza fra Gesù e i suoi discepoli; tutti ne sono coscienti. Gesù lo ricorda loro per far comprendere in cosa consista •

S . . B. II, 558.

560

13, 1-20. La Javauda del piedi

veramente essere ··m11iestro e signore. Prima di tutto nella sua comunità la di fferenza non crea rango; le doti o runzioni non giustificano alcuna superiorità. Lui, il Maestro e il Signore, li ha collocati al suo stesso livello. Li rende uguali e li tratta da uguali. Non c'è altra funzione oltre a que\}e richieste dall 'efficacia dell 'amore vicendevole, e queste non eclissano mai la relazione personale di fratelli (20, 1 7 ; 2 1 , 23). 14 voi

" Ebbene, .te io, il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri •.

Gesù cambia l'ordine dei titoli indicandone l 'equivalenza. L'uno e l'altro si davano ai maestri, ma Gesù è riconosciuto dai suoi anche come Messia, il che dà al titolo di Signore un contenuto particolare. Egli tuttavia li equipara. Davanti a Pilato definisce la sua missione di re • rendere testimonianza a favore della verità • ( 1 8, 37). In quanto Mes­ sia pertanto non è un potente né un dominatore. Al contrario, la sua azione mostra che amare gli altri è l'unico significato di signore e maestro. Gesù certamente è Signore, ma lo è in quanto comunica il suo Spirito, l'amore del Padre, che fa nascere da Dio, e identifica con Gesù per la libera spontaneità dell'amore. Non è signore per imposizione alcuna. Per questo la sua sequela è un assimilare lui (6, 53ss: mangiare la sua carne), non un'obbedienza (15, 15). La sua condizione di signore non sopprime la libertà ma la esalta, dando la possibilità di esprimere pienamente con l'amore la vita che si possiede. Con la sua azione Gesù ha loro mostrato il suo atteggiamento interiore, quello di un amore che non esclude nessuno, neppure colui che sta per consegnarlo. Se Io chiamano signore, devono identificarsi con lui; se lo chiamano maestro devono apprendere da lui. I suoi devono agire come agisce lui. Gesù è maestro perché col suo gesto, che preludeva alla sua morte (15, 13), fa far loro l'esperienza di essere amati, e cosi insegna ad amare con un amore che risponde al suo {1, 16). Questa esperienza fa conosce­ re Dio come Padre. Chi accetta l 'amore di Dio, attivo in quello dei fratelli, accetta e riceve Io Spirito, e con esso la capacità di corrispon­ dere a questo amore. Così si esercita la signoria di Dio, che è quella di Gesi1, come una forza che, dall'interno, porta l'uomo all'espansione. Non accaparra, ma svi­ luppa. li un principio di vita che trasforma rendendo simile a lui; è punto d'arrivo di una somiglianza, che apre un orizzonte se111pre più vasto. 15 • Vale a dire, vi lascio un esempio, perché come facciate voi pure • .

/w

fatto io con voi,

Gesù non lesina i termini per esplicitare la sua esigenza. Essi devono imitare lui. Quello che ha appena compiuto non è un gesto transitorio, ma una norma valida per ogni tempo. t; un servizio che nessuno impone; non nasce dal senso del dovere, ma dalla spontaneità dell'amo­ re comunicato dallo Spirito. Espone così il contenuto del suo coman­ damento, la legge di fondazione della nuova comunità, che esprimerà 561

L'ora finale. u Pasqua del Meula

con tma frase parallela: come io vi ho amati, cosi amatevi anche voi gli

uni gli altri (13, 34).

Avvisi: fedeltà, tradimento, frutto 16 • Dawero vi assicuro: un servo non è da più del suo signore, né l'inviato da più di chi lo manda • .

Gesù cita u n proverbio ben noto, l a cui forma più usuale si trova in Mt

10, 25: basta al discepolo essere come il suo maestro, e al servo come il suo signore 7• Non che Gesù chiami servi i suoi discepoli ( 15, 13) proprio quando, con l a lavanda dei piedi, ha dato loro la categoria di uguali: usa il proverbio soltanto per indicare l'arroganza e la irrespon sabilità che supporrebbe l'allontanarsi dal suo esempio.

­

17

«

Lo

capite? Ebbene, beati voi se fate q1�esto

•.

Pietro non lo capiva ( 1 3 , 7). Dopo aver spiegato il significato del suo gesto (13, 12- 1 5) e dato l'avvenenza che non permette nessuna scappa­ toia (13, 16), Gesù include Pietro nella sua domanda. Non basta a Gesù l 'adesione di principio (cfr. 8, 3 1 ) , richiede la pratica del suo messaggio, traducendo gli atteggiamenti interiori in modi di comportarsi. Esprime la sua esigenza sotto forma di beatitudine: beati voi se lo fate. Nell'amore è la pienezza di vita, ed egli vuole che i suoi discepoli lo capiscano. Dissipa il miraggio di felicità proposto dal potere. Non si è felici dominando, ma amando; non essendo superiori, ma uguali. La vera felicità nasce dall'esperienza dell 'amore in una comunità di fratelli. Questa beati tudine prepara quella che Gesù pronuncerà nel suo rim­ provero a Tommaso (20, 29: beati coloro che, senza aver visto, giungono a credere). La pratica dell 'amore vicendevole darà ai discepoli l'espe­ rienza dell 'amore di Gesù vivo e presente. Questo è il vero fondamento della fede, non un'esperienza straordinaria come quella che chiedeva Tommaso (20, 29 Lett.).

18 • Non lo dico per tutti vo1, 10 so bene chi ho scelto, ma cosl si compie quel passo: "quello che mangia il pane con me mi ha fatto lo sgambetto" •· Gesù sa che tra i suoi vi è chi non è disposto a mettere in atto il messaggio di uguaglianza e di amore che ha appena trasmesso loro. C'è chi non è pulito (13, I l ) . La menzione del traditore in questo momento mostra il rovescio della felicità che egli promette, e sottolinea l'impor­ tanza e la serietà dell'avviso precedente. Parlando dell'elezione ricorda il detto di 6, 70s: Non sono stato io a scegliere voi, i Dodici? TuttaviJJ

tra voi c'è uno che è nemico. Si riferiva a Giuda di Simone Iscariota. che infatti, pur essendo uno dei Dodici, lo stava per tradire. Gesù conosce coloro che sono stati oggetto della sua elezione. Egli non ' s. - a. r. sn.

562

13, 1-211 . La lavanda del piedi

res p inge nessuno · che gli si avvfcini cercando vita (6, 37), anche se ha un'idea errata di quello che cerca. In questo momento tuttavia le posizioni si chiariscono. L'esempio di amore nel servizio che egli ha loro dato discriminerà gli atteggiamenti. Fra i discepoli si trova il caso estremo, Giuda, cui Gesù sta per offrire l'ultima opportunità. • Quello che mangia il pane con me ... ». Gv adatta al contesto del vangelo il testo del Sal 4 1 , 1 0 : anche l'amico in cui confidavo, anche lui, elle mangiava il mio pane, è il primo a tradirmi. C'è una chiara allusione a 6, 58: chi mm1gia questo pane vivrà per sempre (cfr. nota), Gesù non dice però che Giuda mangia il suo pane, ma che mangia il pane con lui. L'eucarestia è difatti un segno con un suo significato: il segno è il pasto in comune dei fratelli; il significato è la comunione fraterna che ha come centro e fonte Gesù, cioè l'amicizia dei membri della comunità ( 1 5 , 1 3 . 1 5 : amici) e l'impegno con Gesù, l'assimilazione della sua vita e morte. Giuda è rimasto al livello formale del segno, la partecipazione alla stessa mensa, ma ha tradito l'amicizia e non ha seguito Gesù. Più tardi Gesù gli offrirà il suo pane (13, 26s), ultimo invito a seguirlo, e questo lo spingerà a consumare il suo tradimento. Il passo riflette la situazione delle comunità. Vi è chi esternamente appartiene alla comunità e partecipa all'eucarestia, ma non segue la linea tracciata da Gesù. 19 • Ve lo dico già fin d o ra, prima che succeda, perché, quando suc­ cederà, crediate che io sono quello •'

La sua predizione ha uno scopo. Quando giungerà la sua morte, essi vedranno che egli l'aveva accettata volontariamente. Come in altre occa­ sioni, la frase ellittica • io sono • (8, 24.28; cfr. l , 20; 4, 26) si riferisce alla totalità della sua missione come Messia ( l , 20 Lett.), l'inviato, salvatore. liberatore (8, 12: la luce del mondo), il Figlio di Dio ( l , 34), la presenza del Padre fra gli uomini ( 1 , 5 1 ; 12, 45; cfr. 14, 9). 20 • Davvero vi assicuro : Chi riceve chiunque io manderò, riceve me, e chi riceve me, riceve colui che mi mandò •. Secondo detto solenne di Gesù, in parallelo con il primo ( 1 3 , 1 6-17), che conclude la pericope. II primo si riferiva ai discepoli che devono seguire il suo esempio; il secondo a chiunque riceve il discepolo che egli invierà: il primo, a Gesù maestro; il secondo, all'umanità dinanzi al suo messaggio. Questo detto raccoglie la seconda opposizione contenuta nel proverbio citato da Gesù ( 1 3, 1 6 : servo-signore; inviato-inviante). Egli li considera come inviati, con una missione uguale alla sua (17, 1 8 : come tu hai invia­ to me nel mondo, così io ho inviato nel mondo loro; 20, 2 1 : come il Padre mi ha inviato, così anch'io mando voi). Tuttavia, il detto si riferisce direttamente a coloro che accolgono l'inviato. C'è un parallelo con l , 1 2 : a quanti la accettarono, diede capaci­ tà di diventare figli di Dio. Ricevere lui è lo stesso che ricevere un suo inviato. I discepoli avranno la stessa missione ed efficacia di Gesù (cfr. 14, 12). Ricevere l'inviato significa accet!arne il messaggio, e i discepoli, nella 563

L'ora

finale.

La Pasqua

del

Messia

loro missione, faranno la stessa cosa che ha fatto Gesù, dare dignità e libertà agli uomini; i loro titoli saranno l'amore e il servizio, annun­ ciando con le opere la nuova fraternità e la nuova accoglienza umana, manifestando l'amore di Gesù e quello del Padre. Quanti l'accetteranno entreranno nell'ambito dell 'amore del Padre, e Gesù comunicherà loro lo Spirito, mettendoli nelle condizioni di diventare figli di Dio. Sebbene Gesù non la esprima in questi termini, la seconda dichiarazio­ ne si potrebbe formulare come la prima: " beato chi riceve voi che gli portate questo messaggio " · I discepoli, per la loro pratica dell'amo­ re nel servizio, saranno figli di Dio, altrettanto sarà di quanti ricevono tali messaggeri. L'amore è l'unico modo per dare vita all'umanità; esso crea la nuova comunità umana.

SI NTESI Nell'episodio della lavanda dei piedi Gesù spiega con il suo gesto il fondamento della sua comunità: l'uguaglianza e la libertà sono il frutto dell 'amore vicendevole. Offre il modello della vera grandezza, che non si fonda sull'onore umano (5, 4 1 ) ma sulla somiglianza con Dio. Essere grande consiste nell'avere la gloria che viene da Dio solo (5, 44) , e che si identifica con il suo amore ( 1 , 14). In questo episodio Gesù risponde al desiderio di farlo re, che i suoi discepoli espressero in 6, 15 ed egli rifiutò. Rendendosi servitore mostra loro che la sua regalità non segue il modello di questo mondo

(18, 36) . Non si tratta di un atto di umiltà di Gesù, ma di un profondo e decisivo insegnamento. L'umiltà viene interpretata come una rinuncia a valori reali per altri più elevati; di fatto, consolida i falsi valori. Gesù va al di là. Nega validità a quelli che il mondo chiama valori: sono falsità e ingiustizie. I suoi, egli li eleva alla sua stessa categoria, quella di figli di Dio; non c'è rango più alto di questo; inoltre, questa è l'unica vera dignità dell'uomo. Ma essere figlio di Dio è inseparabile dall'essere pienamente uomo, perché la gloria di Dio, l'espressione del suo amore. è che l'uomo giunga a realizzare pienamente il suo progetto creatore. Rendendoli figli dell'unico Padre, Gesù fonda l'uguaglianza umana; la categoria di figlio dà la libertà all'uomo, che cessa di essere servo. Gesù è la presenza di Dio fra gli uomini. Le sue azioni sorto quelle del Padre (IO, 37). Prestando servizio ai discepoli esprime al tempo stesso il suo amore e quello del Padre. Il Padre si mette, con Gesù, al servi�io dell 'uomo. Da questo momento, Dio non è più un essere lontano, il sovrano celeste che guarda l'uomo dall'alto. Al contrario, è colui che vuole mostrare il suo amore innalzando l'uomo fino a se stesso. L'idea di un Dio sovrano, col suo trono nel cielo, fonda il paradigma delle grandezze umane. I più potenti fra gli uomini sono quelli che gli somigliano di più. Sono l'immagine del Dio che schiavizza. Quando invece Dio è uomo e si pone a servizio dell 'uomo (lavanda dei piedi), la più esatta copia di Dio è colui che serve (cfr. Mt 1 8 , 1-5 ; 20, 25-28; Mc 9, 33-37; 10, 42-45; Le 9, 46-48; 22, 24-27). Con Gesù, Dio ha lasciato il suo

564

13, 1-20. La lavanda del piedi

trono, si manifesta eome amore senza limite, che accompagna l'uomo nella sua esistenza ( 1 4 , 23). Il modo di somigliare al Dio geloso della propria trascendcnza è rendersi in qualche modo trascendente attraverso la fama e il potere. Invece il modo di somigliare al Padre è amare fino alla fine, darsi totalmente per il bene dell'uomo, come Gesù (14, 6: io sono il cammi­ no ... nessuno si avvicina al Padre se non per mio mezzo). Il Padre, che è puro dono di sé, non ha bisogno di culto né lo richiede; il culto a lui si identifica con il servizio all'uomo, con l'amore leale (4, 23) , che sarà l'unico comandamento (13, 34). Per questo Gesù sopprime le categorie religiose dei templi e dei sacrifici (2, 13ss; 4, 21ss). Gesù effettua un'inversione totale della concezione tradizionale di Dio, e di conseguenza della sua relazione con l'uomo e degli uomini fra loro. I l padre, che non esercita dominio ma comunica vita e amore, non legittima alcun potere né dominio. In Gesù, Dio ha recuperato il suo vero volto, deformato dall'uomo. Questi aveva proiettato su di lui le proprie ambizioni, timori, interessi e crudeltà. Gesù mostra che Dio è Padre e che si impegna a favore della sua opera, la creazione, per condurla alla pienezza; rifiuta e combatte tutto ciò che cerca di distruggerla.

565

Gv 13, 21-32: Il traditore 21

Detto questo, turbato, Gesù dichiarò: - Davvero vi assicuro che uno di voi sta per consegnarmi. 22 I discepoli si guardavano gli uni gli a l t r i senza potersi spiegare di chi lo dicesse. 2 3 Uno dei suoi discepoli era ad agi a to accanto a Gesù; era quello che Gesù amava. 2' Simon Pietro gli fece cenno d i indagare a chi potesse riferirsi. 25 A l lora , reclinandosi senz'altro sul petto di Gesù, gli chiese: - Si gn ore , chi è? 2 6 Gesù ri s po se: - t quello per cui io intingerò il boccone, e al quale sto per darlo.

In tingendo quindi il boccone, lo diede a Simone Iscariota. 27 E in quel momento, do po il boccone, Satana entrò in lui. Perciò Gesù gli disse:

- Ciò che intendi fare, fallo subito. 2e Nessuno dei commensali si rese conto del perché gli dicesse questo. l'l (Alcuni pensavano che, siccome Giuda teneva la borsa, Gesù gli dicesse: • Compra ciò di cui abbiamo bisogno per la festa », o di dare qualcosa ai poveri). 30 Egli prese il boccone e subito usci; era notte. 3 1 Quando usci, Gesù disse: - Or ora si è manifestata la gloria dell'Uomo e così la gloria di Dio si è manifestata in lui; n e Dio manifesterà la sua gloria in lui, e la manifesterà molto presto . .

NOTE FILOLOGICHE 1 3 , 21 turbato, gr. etarakhth� t 6 pneumati. Pneuma denota un atto int� riore, in questo caso sentimento, che produce l'agitazione o turbamento. T6 pneumati si aggiunge al verbo per indicare che l'agitazione non provie­ ne da causa esterna, cfr. Mc 2, 8; 8, 12. La comparazione di Gv I l , 33 e 38 ha mostrato l'equivalenza fra t6 pneumati e en heaut6. La relazione pro­ viene dall'interno di Gesù, dimora dello Spirito. - dichiarò, gr. marture6. In senso non giudiziario. 22 senza potersi spiegare, gr. aporoumenoi. - lo dicesse. Gr. pres. in costruzione di discorso diretto.

accanto a Gesù, gr. en t6 kolp6. Si paragonino l, 18: eis ton kolpon tou patros e 13, 23: en t6 kolp6 tou lésou. Kolpos designa la parte anteriore del tronco, lo spazio fra le braccia. Corrisponde approssimatamente all 'it. grembo. Ma la frase si utilizza nel significato di • essere vicino a una per­ sona, davanti •. in opposizione a • di spalle • ; vale a dire, di fronte a, se è dinamico (eis); davanti a, se statico (en). A tavola, tuttavia, designa il posto d'onore, il primo dopo colui che presiede, e quest a sfumatura ri­ sulta meglio con la traduzione accanto a. Data la posizione che si adottava a tavola, reclinati e appoggiati sul gomito

23

566

13, Zl-3Z. D traditore

sinistro, il corpo risultava leggermente volto a sinistra; un commensale si trovava così davanti il commensale principale e un altro alle sue spalle. Essendo i divani collocati obliquamente rispetto alla tavola, la testa di quello che era davanti si trovava all'altezza del petto di colui che era al centro. Così si spiega il gesto del v. 25. 25

gli chiese, gr. /egei. Pres. st.

rispose. Gr. pres. st. - in cingerò ... /ncingendo. In gr. il verbo bapco proviene dalla slcssa radice di baptizo, baptisma. - lo diede. Gr. prcs. st. L'inserzione di lambanei kai è attestata peggio che non

26

la sua omissione. Rinforza il carattere eucaristico del boccone che Gesù offre a Giuda. Cfr. M t 26, 26; Mc 14, 22; Le 22 1 9 ; l Cor I l , 23, anche se in questi passi si intercala la benedizione o azione di grazie fra prendere e dare. In ogni modo, è chiaro che Gesù offre a Giuda il suo corpo e il suo sangue. ,

27 gli disse. Gr. pres. st. - Ciò che intendi fare, gr. ho poieis. Pres. in luogo del futuro prossimo. 29 (Alcuni . ..), gr. gar. parentetico. Cfr. 3, 24; 4, 8; 6, 64. La particella oun nel v. 30 indica che la narrazione si riprende dopo la parentesi. 31-32 L'unione di questi due vv. con la scena precedente è marcata dalla formula ho/e oun exelthen, perfetto parallelismo con !3, 12: ho/e oun enipsen. Ciascuna si riferisce a un verbo precedente: 13, 30, exelchen; 13, 5, erxaco niptein, ed entrambi contengono una spiegazione dell'episodio che precede. Il v. 32 è inoltre separato dal v. 33 per il cambiamento dalla terza alla seconda persona (vocativo: teknia, ecc.). Questo stabilisce la delimi­ tazione della pericope. - Or ora si è manifestata, gr. nun edoxasthe. La costruzione nun con l'aori­ sto indica anteriorità immediata, come in it. le perifrasi • or ora, comin­ ciare a •. cfr. 21, lO; M t 26, 65; A t 7, 52. Tuttavia si conserva • ora • nella traduzione, per non- perdere la connessione stabilita con • l'ora • (13, 1). Il verbo doxazo, come d'ordinario in Gv, è manifestativo (7, 39 nota). Si noti la differenza fra voce medio-passiva nella prima parte (v. 31), e attiva nella seconda (v. 32). Nel v. 3 1 l'Uomo non è soggetto agente e rimane in primo piano la manifestazione della gloria; nel v. 32 invece è Dio il soggetto agente. Come è noto, nella lingua ellenistica si usa la formula non aspirata auton in luogo di quella aspirata hautonjheauton, cfr. Gv l , 29; 2, 24; 20, IO (Aland, NT, ed. 2• e 3•); inoltre, Mc 9. 16; Le 23, 12; l Gv 5, IO, ecc. La forma attiva del futuro (v. 32) è quindi in parallelo con quella medio-passiva del v. 31b. - e così la gloria di Dio, gr. kai lro cheos edoxasthe en autò. La partic. kai è consecutiva. per l'identità tra l'una e l'altra gloria. L'omissione di !3, 32a, ei ho Theos edoxasthe en auto, ripetizione di 13. 3lb. è attestata meglio che non la sua inclusione.

CONTEN UTO E D IVISIONE 11 tradimento cui Gesù aveva fatto allusione nella pericope precedente (!3, 1 1.18). adesso si consuma. Gesù annuncia ormai chiaramente che uno dei presenti sta per tradirlo. Il suo proposito non è tuttavia denunciarlo

567

L'ora finale. u Pasqua del Muela

pubblicamente, ma offrirgli l'ul tima possibilità di tornare indietro e aderire a lui. Il tentativo di Gesù fallisce: Giuda si ostina e decide di compiere l'ultimo passo. Gesù accetta il tradimento e interpreta il fatto. Comincia con la dichiarazione emozionata di Gesù sul tradimento imminen· te, dichiarazione che lascia sconcertati i discepoli (13, 21-22). Simon Pietro chiede al discepolo cui Gesù vuole bene di domandargli chi sarà il tradi· tore, e Gesù gli indica il modo per identificarlo (13, 23-26a). In segno di amicizia offre a Giuda un boccone di pane, ma l'effetto è controproducente. I discepoli rimangono disorientati e Giuda esce (13, 26b-30). Gesù interpreta l'accaduto (13, 31-32). u pericope, anche se più breve, possiede una struttura simile a quel la della precedente. Dopo l'episodio, Gesù ne propone la spiegazione. Si può dividere così: 13, 21-22: 13, 2J.26a: 13, 26b-30: 13, 31-32:

Annuncio del tradimento. Domanda a Gesù sull'identità del traditore. Gesto di Gesù e partenza di Giuda. Interpretazione di Gesù.

LETIURA Annuncio del tradimento 13, 21 Detto questo, turbato, Gesù dichiarò: uno di voi sta per consegnarmi •.



Davvero vi assicuro che

Si mette l'accento su uno di voi, frase che, con leggere varianti, è già apparsa tre volte riferita a Giuda (6, 70: tra di voi c'è uno che � nemico; 6, 71 : pur essendo uno dei Dodici, lo stava per tradire; 12, 4: uno dei suoi discepoli). Questa dichiarazione di Gesù mette la parola fine agli annunci precedenti; il tradimento sta per essere consumato. Vedendo che uno dei suoi si condanna da solo alla rovina e alla morte, ostinato nella sua cattiva scelta, Gesù rabbrividisce. u sua vita corre un pericolo immediato; ma soprattutto, colui che sempre aveva amato i suoi e sta per dimostrar loro il suo amore fino all'estremo (13, 1), prova orrore percependo l'odio che Giuda gli oppone. Con il traditore fallisce la sua opera di salvezza. Tutto lo sforzo del suo amore rimane inutilizzato, perché quest'uomo non lo accetta. Gesù s i era sentito fortemente agitato alla prospettiva della sua morte (12, 27) . ora invece ha già annunciato la sua morte volontaria nella lavanda dei piedi. È la morte di Giuda che lo turba. u frase sta per consegnarmi indica la duplice tragedia: quella di Gesù e quella di Giuda. 22 l discepoli si guardavano gli uni gli altri senza potersi spiegare di chi lo dicesse. Gesù ha avuto sempre coscienza della mancanza di adesione di Giuda, che, nascostamente, è sempre stato contro di lui (6. 64.7 1 ) . Ma è la prima volta che annuncia chiaramente il tradimento, dopo le allusioni

568

13, 21-32. Il

traditore

merlo esplicite dell'episodio precedente. Coglie di sorflresa i discepoli; la sua dichiarazione provoca in loro inquietudine e crea un sospetto diffuso.

Domanda a Gesù sull'identità del traditore 23 Uno dei suoi discepoli era adagiato accanto a Gesù; era quello che Gesù amava. Secondo i costumi del tempo, nei pasti solenni si mangiava reclinati su divani, appoggiandosi sul gomito sinistro; il corpo restava quindi legger­ mente rivolto verso sinistra. Il luogo più vicino e intimo rispetto a un commensale era quello che nella mensa si trovava a destra (cfr. nota), e questo posto lo occupava il discepolo cui Gesù voleva bene. Si menziona per la prima volta questo discepolo, che non avrà mai no­ me (Gv 19, 26; 20, 2; 2 1 , 7.20). Viene caratterizzato con la stessa espressio­ ne usata per Marta, sua sorella e Lazzaro ( 1 1 , 5: Gesù voleva bene a Marta, ecc.), che rappresentavano una comunità di Gesù. La frase che Gv adopera per indicare il posto che occupava accanto a Gesù è in relazione con l , 1 8 in cui si dice che Gesù si rivolge all'intimo del Pa­ dre (cfr. nota). Esiste pertanto una somiglianza di rapporti, fra Gesù e il Padre da un Iato, e fra questo discepolo e Gesù dall'altro (cfr. IO, 14s: conosco le mie e le mie conoscono me, come il Padre cono­ sce me e io conosco il Padre), la somiglianza data dall'intimità e dalla confidenza. La relazione fra i due testi viene illustrata anche da 14, 20: io sono in mio Padre, voi in me e io in voi. L'identificazione del discepolo con Gesù si esprime attraverso il posto che occupa; quella di Gesù con il discepolo, attraverso l'amore che Gesù ha per lui. I l discepolo rimane nell'amore di Gesù (15, 9). Occupare il posto accanto a Gesù è la situazione tipica del discepolo, e la vicinanza è dovuta al sentirsi amato da lui; si potrebbe definire come un rapporto di intenso affetto vicendevole che produce una speciale sensibilità. Tale discepolo è il confidente di Gesù, cui questi non occulta i suoi segreti, perché l'altro è capace di percepirli. La figura di questo discepolo si contrap­ pone a quella di Simon Pietro (cfr. 1 8, 1 5 ; 20, 2ss; 2 1 , 7.20-23) . Accetta l'amore di Gesù e gli risponde con la sua vicinanza. Pietro, invece, non lo ha accettato nella lavanda dei piedi. Il discepolo sembra incarnare la comunità nella figura dell'amico di Gesù ( 1 5 , 13.15). Il suo amore penetra i segreti di Gesù e gli dà una intima sensibilità per • scoprire • la presenza del Signore (21 . 7). Perciò in questa scena, sorprendentemente, non vi sarà alcuna delazione del traditore, identificato dal discepolo che ama: ma, poiché Io ama, non lo denuncia. Questo discepolo, figura della comunità come un « altro , Gesù, riappa­ rirà in 1 8 , 1 5 , dove entrerà con Gesù nell'atrio del sommo sacerdote (18, 15b Lett.). 24-25 Simon Pietro gli fece cenno di indagare a chi pstesse riferirsi. Allora, rec/inandosi senz.'altro sul petto di Gesù, gli chiese: • Signore, chi è? » . 569

L'ora finale. La Pasqua del Mes1la

II discepolo si può permettere un gesto di · totale intimità e, chinandosi indietro, si appoggia sul petto di Gesù e lo interroga senza perifrasi. Fra lui e Gesù non ci sono barriere. Pietro, invece, non può prendere l'inizia tiva e porre la domanda: non sta accanto a Gesù, non compren­ de il suo amore né accetta di essere amato ( 1 3 , 8). La barriera che lo separa appa rirà in 2 1 , 1 5 : mi ami più di costoro? ( ib id. Lett.). Come il discepolo che Gesù amava, stando accanto a Gesù, conosce Gesù e il Padre, così Pietro non li conosce. Può arrivare fino a Gesù soltanto attraverso l'altro, così come non lo riconoscerà se non dietro sua indicazione (2 1 , 7). Gesù rispose: sto per darlo •-

26a



E

quello per cui io intingerò il boccone, e al quale

Nella lavanda dei piedi, Gv ha presentato solennemente il comandamen­ to nuovo, caratteristico della nuova comunità. Ora, con questo gesto di Gesù, avverte che l'amore non soltanto non esclude nessuno, ma inclu­ de persino lo stesso nemico mortale, e che ci si deve dare anche a lui senza misura. Il gesto di Gesù non suppone alcuna delazione. Per far conoscere il nemico, Gesù compie verso di lui un gesto d'amore che non solo non lo denuncia, ma lo protegge dall'at teggiamento inquisitore dei discepoli. Quest'atteggiamento verso il traditore diventa norma della comunità. La risposta di Gesù non rivela il nome del traditore né lo indica; non vuole denunciarlo alla presenza di tutti. Rivela chi è soltanto a questo discepolo, con un gesto che significherà al tempo stesso accettazione. Gesù continua la sua lezione: ha detto che bisogna accettarsi vicende­ volmente ( 1 3 , 14 ) e ora indica fino a che punto. Egli non rompe con colui che sta per tradirlo rendendosi strumento della sua morte: non è venuto a giudicare, ma a salvare (12, 47). Con il pane, offre la sua accoglienza fino all'ultimo momento, sta offrendo se stesso; offre la sua amicizia fino alla fine. Porgere a un commensale un boccone di pane intinto nella salsa, o un boccone di alimento, era segno di deferenza.

Gesto di Gesù e partenza di Giuda 26b

lntingendo, quindi il boccone lo diede a Sjmone Iscariota.

La quadruplice ripetizione del boccone (26 bis 27.30) ne mostra l'impor­ tanza nel passo e annuncia un linguaggio simbolico. Non si specifica di cosa sia, giocando con l'ambiguità pane/carne, né in cosa lo intinga. creando un'altra ambiguità salsa/sangue. L'uso del verbo • intingere analogo a bat tezza t � bagnare (cfr. nota), insinua l'idea della carne bagnata nel sangue. Ciò che Gesù offre a Giuda è la sua stessa persona. disposta ad accettare la morte. Mangiare la sua carne e il suo sangue unisce a lui (6, 56: chi mangia la came mia e beve il sangue mio rimane con me, e io con lui) e dà vita definitiva (6, 54) . Il gesto di Gesù invita Giuda a essere dei suoi, a rettificare tutto il suo passato. Risponde al suo odio con amore, come avverrà sulla croce, dove offrirà l'ultima opportunità a coloro che l'hanno crocifisso ( 1 9, 28). Tale è la qualita •.

570

13, 21-32. n traditore

dell 'amore leale (l, 14) : · quello che non si smentisce mai, che spera e si offre fino all'ultimo momento, anche a costo della propria vita. Mette la sua vita nelle mani del nemico. Ora spetta a Giuda compiere l'ultima opzione: o accettare l'amore di Gesù e rispondergli, oppure indurirsi nella sua posizione e con sumare il tradimento. Si torna a definire Giuda • di Simone Iscariota ». Ultimo parallelo con Simon Pietro. Questi vuole indagare chi sia il traditore, senza rendersi conto di quanto egli stesso sia vicino a tradire Gesù (13, 36-38). 27a

E in quel momento, dopo il boccone, Satana entrò in lui.

Gv evita di dire che Giuda mangiò il boccone, il che avrebbe significato la volontà di assimilare Gesù. Questi glielo ha dato, ma rimane in sospeso cosa Giuda ne faccia. Più tardi si spiegherà: lo prende ed esce ( 1 3 , 30). Prenderà il boccone, la vita di Gesù, per consegnarlo a coloro che stanno per ucciderlo. Così Gv indica figuratamente quale è stata la sua opzione. Satana si identifica con • il Nemico/diavolo ,. (13, 2) . In questo momen­ to, Giuda fa la sua oPzione definitiva. Avendo nelle mani la vita e la morte di Gesù, non l'accetta come dono, ma decide di farlo morire. I l gesto d i amicizia di Gesù non provoca in lui risposta positiva, a l contrario, n e alimenta l'antagonismo. Si mette deliberatamente a fianco del sistema diabolico, si identifica con i suoi princìpi e valori, riassunti nell'idolatria del denaro (8, 44a Lett.) . Così interiorizza (entrò in) pie­ namente l'avversario di Dio, Satana, che lo rende suo agente e omici­ da. 27b

Perciò Gesù gli disse:



Ciò che intendi fare, fallo subito

».

Percependo l'atteggiamento di Giuda, Gesù non cerca di forzarlo; egli gli ha mostrato il suo fino all'ultimo momento: non l'ha denunciato davanti agli altri discepoli, gli ha lasciato piena l ibertà di opzione, anche a costo della propria vita. Ma adesso è ormai inutile prolungare la situazione. Gesù stesso gli facilita la partenza. Rispetta la decisione libera e malvagia del discepolo, come il Padre rispetterà quella di Pilato (19, l l a Lett.). Appare qui l'assoluta libertà che Dio lascia all'uomo. La sua offerta di vita non si impone in nessun senso. Il suo amore è indefettibile, continuo, fino alla fine, ma non forza mai. Si può accettare la vita piena e definitiva o consumare la propria rovina: non è Dio a giudica­ re, ma l'uomo a emettere la propria sentenza (3, 16-2 1).

28

Nessuno dei commensali si rese conto del perché gli dicesse questo.

La frase di Gesù, che ha accompagnato il suo gesto di accettazione . non può essere interpretata come un rimprovero rivolto a Giuda. Nessuno si rende conto dell'imminenza del tradimento.

(Alcuni pensavano che, siccome Giuda teneva la borsa, Gesù gli dicesse: • Compra ciò di cui abbiamo bisogno per la festa •. o di dare qualcosa ai poveri). 29

57 1

L'ora ftnale. La Pasqua del Messia

' Giuda amministrava i fondi del gruppo (12, 6). Alclln i discepoli; che non si sono resi conto del significato del gesto di Gesù né della portata delle sue parole, danno due interpretazioni. Suppongono che Gesù gli abbia detto di comprare ciò di cui avevano bisogno per la festa oppure di dare qualcosa ai poveri. Con queste frasi Gv vuole nuovamente mostrare la mancanza di penetrazione del messaggio di Gesù, che esiste in alcuni discepoli. Il verbo • comprare • indicava la prova cui Gesù sottopose Filippo nell'episodio dei pani (6, 5b.6 Lett.) ; alcuni compren· dono così poco la novità di Gesù da considerarlo ancora dipendente dal sistema economico sfruttatore. L'altra supposizione parla di • dar qual· cosa ai poveri "• con allusione a 12. 5, dove appunto Giuda propose di vendere il profumo e di dare l'importo ai poveri. Gesù aveva corretto tale concezione, affermando che i poveri non devono ricevere • qualco­ sa dalla comunità, ma che devono esservi accolti; questa deve condi­ videre con i poveri tutto ciò che ha (cfr. 6, 1 1 ). Si dipinge così la complessità del gruppo: a fianco di Giuda, il traditore, stanno Simon Pietro, colui che non sa accettare l'amore di Gesù (13, 8), e altri discepoli, che non hanno compreso come l'amore si esprima nel dono; di fronte a tutti loro, la figura del discepolo che Gesù amava, che rappresenta l'ideale della comunità. Al tempo stesso Gv gioca con il duplice significato delle frasi. Ci sono due feste, la Pasqua giudaica e la Pasqua di Gesù, la festa della morte e quella della vita. Di fatto, Giuda va a procurare il necessario per la vera festa: si prepara a sacrificare l'Agnello di Dio, che inaugura la Pasqua definitiva. Tale Pasqua, Gesù sulla croce, sarà al tempo stesso il grande dono ai poveri, colui che li libererà dalla loro miseria. Giuda. cui i poveri non importavano (12, 6), sarà il mezzo involontario perché essi possano uscire dalla loro situazione. Il necessario, tuttavia, non occorre comprarlo (6, Sb-6 Lett.) : lo fornisce l'amore di Gesù, che darà la sua vita volontariamente (10, 18). I discepoli, senza saperlo, esprimo­ no ciò che sta realmente succedendo. •

30

Egli prese il boccone e subito uscì; era notte.

Le parole di Gesù permettono a Giuda di andarsene da un gruppo cui non è più unito da nulla. Egli ha deciso la morte di Gesù; lo ha rifiutato assolutamente e definitivamente. Non si può fermare lì un momento di più. Esce, ma portandosi il boccone, la vita di Gesù, per consegnarla. Era notre. Giuda entra nella tenebra, nell'ambito dei nemici di Gesù, al quale l'ha condotto la sua decisione. Abbandona il luogo in cui splende la gloria e l'amore. La sua uscita nella notte è l'espressione visibile della sua decisione interiore: è passato al nemico, non c'è ritorno. La notte significa l'assenza della luce che è Gesù ( I l , I O ; 21, 3); questa è la tenebra dell'odio e della morte. Non ha voluto camminare dietro a Gesù, e torna a essa (12, 35) . Non c'è altra alternativa. Ma torna alla tenebra portandosi la luce, per estinguerla ( 1 , 5) .

Interpretazlone di Gesù 31

Qu a ndo uscì, GesÌ4 disse: • Or o ra si � manifestata la giarra cosi la gloria di Dio si è ma n ife s ta t a in lui • .

dell'Uomo, e

572

13, 21-32. Il traditore

Al termine della lavanda dei piedi, Gesù ne aveva spiegato il significato (13, 12) . Ora interpreta la partenza di Giuda, che sta per consegnarlo. Spiega la sua accettazione della morte in termini di manifestazione della sua gloria, che si identifica con quella di Dio. L'Uomo che realizza il proge t1o di Dio manifesta la gloria/amore in tutta la sua pienezza ( 1 , 1 4).

Gesù ha accettato la propria morte; per di più, ha messo liberamente la sua vita nelle mani dei nemici, per amore dell'uomo, per salvarlo. La sua morte è la grande prova dell'amore di Dio, che dà il suo Figlio unico (3, 16). La costruzione or ora si è manifestata la gloria dell'Uomo mette nel primo tennine la manifestazione della gloria (cfr nota) ; ma l'amore manifestato è quello di Dio stesso, tanto grande che, tradotto da Gesù in termini umani, giunge a dare la propria vita per gli uomini. 32 • e Dio manifesterà la sua gloria in lui, e la manifesterà molto presto •. Se i primi due punti della spiegazione di Gesù espongono l'amore suo e di Dio per l'uomo, che Gesù dimostra dando la propria vita, gli ultimi due espongono l'amore di Dio comunicato all'uomo attraverso Gesù. Il frutto della vita che egli ha dato sarà la vita che Dio comunicherà attraverso di lui, il dono dello Spirito all'umanità. La frase di Gesù è in relazione con 1 2, 28: Padre, manifesta la gloria della tua persona e con la risposta dal cielo: come l'ho manifestata,

così tornerò a manifestar/a! Se nella prima parte ( 1 3 , 3 1 ) il primo luogo era occupato dalla manife­ stazione della gloria, in questa seconda il primo termine è Dio, che manifesta la sua attraverso Gesù (cfr. nota). Si torna a esprimere così il tema di tutto il vangelo: la reciproca unione dell'amore dimostrato con l'amore comunicato ( 1 , 16), rappre­ sentata nella croce dal sangue e dall'acqua che sgorgano dal costato aperto di Gesù. Per questo, qui si tratta successivamente delle due glorie, che si confondono in una. La gloria/amore di Gesù si manifesta nel dono della sua vita, ed esprime l'amore di Dio per l'uomo; la gloria di Dio si manifesta nel dono dello Spirito, che avviene per mezzo di Gesù. Questo sarà l'amore ricevuto che risponde al suo amore dimostrato ( 1 , 16). Si vede la ragione dell'« or ora • iniziale. t! in corrispondenza con l'c ora » annunciata in 13, l . In altre occasioni Gesù afferm ava: Si avvtcma l'ora o, per meglio dire, è giunta (letter. ed è ora) (cfr. 4, 23 ; 5, 25 ) , anticipando quella della sua morte. Nella Cena l'ora è presente, e in essa si manifesta la sua gloria (cfr. 12, 23) .

573

L'ora finale. La

Pa1qua

del Messia

SINTESI Con la lavanda dei piedi Gesù ha dimostrato in cosa consiste l'amore, e questo episodio mostra il suo totale rispetto per la libertà dell'uomo, a costo della propria vita. Uno dei suoi discepoli si è proposto di consegnarlo. Gesù non lo denuncia davanti ai suoi compagni; lo mette di fronte alla sua ultima scelta, nella quale si giocherà la sua sorte. Non lo fa, tuttavia, freddamente, ma offrendogli la propria amicizia; con essa gli offre la vita e la verità, il suo rapporto umano, di essere libero e figlio di Dio. Ma non lo forza, gli lascia la possibilità di rifiutarlo e di procurare la propria morte e quella di Gesù stesso. Non esercita pressione sulla sua l ibertà nemmeno per difendersi. Il tradì· mento del discepolo sarà per Gesù l'occasione di dimostrare che il suo amore è più forte dell'odio mortale dei suoi nemici. La menzione del discepolo cui Gesù voleva bene e l'identificazione del traditore - con la quale in realtà non lo dà a conoscere -, completano l'istruzione di Gesù circa l'amore che caratterizza il suo discepolo: un amore che non giudica, non conosce limite, e si estende al nemico mortale. Per chi sta con Gesù non ci sono nemici da denunciare. Il frutto di tale amore, che dà la vita liberamente, sarà la possibilità universale di salvezza, il dono dello Spirito. Questa è la comunicazione di Dio stesso, che dà all'uomo la capacità di amare senza limiti, rendendolo così pienamente uomo. Gesù esclude ogni violenza. Mostra che Dio non si impone né esercita costrizione, ma che è puro amore che si offre. L'idea di un Dio autoritario giustifica ogni potere e ogni violenza fra gli uomini. Il Dio di Gesù, il padre, non ne giustifica nessuna. Per questo non esiste altro giudizio oltre a quello che l'uomo dà di se stesso.

574

Gv 1 3, 33-35: Codice e distintivo della nuova comunità n

Figli

m ie i , mi

resta

te, ma ciò che dissi ai di venire

•.

ormai poco tempo

giudei:

«

per stare

con voi.

lo dico ora anche a voi .

" Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli io vi ho 3'

Mi cerchere­

Là dove io vado, voi non siete in grado

amati,

cosi amatevi anche voi gli

Da questo tutti conosceranno che siete

avete amo re

fra voi.

uni gli altri;

uni gli altri. discepoli m ie i :

dal

come

fatto che

NOTE FILOLOG ICHE 1 3 , 3 3 Figli miei, gr. teknia. Termine denotante affetto, cfr. l G v 2 . 1 .1218, ecc.; la sfumatura affettiva del diminutivo greco si trasferisce al pos­ sessivo it. - mi resta ormai poco tempo, ecc. Gr. eti più einai equivale a restare. - ciò che dissi, gr. kathos. Per semitismo, equivalente al relativo neutro (ciò che, quello che), cfr. M t 2 1 , 6; Mc 14, 16; 15, 8; Le 5, 14; 22, 13. - Là dove io vado, gr. hopou egò hupagò. Cfr. 6, 21 e 8, 21 note (N.d.T.). 34 un comandamento nuovo, gr. entolén kainén. In • un • può indicare aggiunta od opposizione; in gr. questo contesto, indica opposizione in relazione alla stituisce. Per • i comandamenti • di Gesù, cfr. 14, 1 5 Il primo hina, esplicativo, introduce il contenuto del condo è imperativo.

it. l'indeterminatezza l'indeterminatezza, in Legge antica, che so· Lett. comandamento; il se·

35 La corrispondenza en tout6 ... ean (da questo . .. se) è insolita in italiano; è necessario tradurre con la frase parallela da questo ... dal fatto che. Sa· rebbe possibile la traduzione con una condizionale se si invertisse l'ordine della frase : se avete amore tra voi, tutti conosceranno che siete discepoli

miei.

CONTENUTO E DIVISIONE Questa breve peri cope è di importanza capitale poiché, nel contesto della Pasqua, promulga lo statuto di fon dazione della nuova comunità umana; esso sostituisce la Legge mosaica, statuto dell'antico popolo e della sua alleanza. Gesù ha spiegato con il suo esempio che l'amore consiste nel servizio dell'uomo fino a dare la vita (lavanda dei piedi); poi ha mostrato che questo servizio si estende a tutti, compreso i l nemico (tradì· mento di Giuda), anche a costo della vita; esclude così ogni violenza e rispetta totalmente la libertà, mostrando che l'amore è più forte dell'odio. Ora, in questa pericope, compendia nel suo unico comandamento quanto prima aveva spiegato, e ne fa il distintivo .di coloro che lo seguono nel suo esodo. Il passaggio dalla terza · alla seconda persona divide chiaramente questa pericopc da quella precedente; al tempo stesso la pericope collega i due

575

L'ora finale. La Pasqua del Messia

ep isod i prece de nt i con la pericope che segue. Da tm lato l'annuncio della sua partenza e l'impossibilità di seguir lo per il momento (13, 33), ripre si nella pericope successiva (13,36-38). preparano il tema del cammino (cap. 14); da ll al t ro il comandamento dell'amore (13, 34-35) riassume per i di scepo l i il comportamento di Gesù nelle due scene precedenti. '

Si possono

considerare due momenti:

13, 33: Annuncio della sua imminente partenza. 13, 34·35: Il nuovo comandamento.

LETTU RA

Annuncio della sua imminente partenza 13, 33a

«

Figli miei, mi resta ormai poco tempo per stare con voi »,

Gesù si ri\' Olge ai discepoli con un termine affettuoso. Il momento è emozionante. perché egli annuncerà loro la sua prossima partenza, della quale è p i ena me n te cosciente (13, 1 .3). Le parole che seguono assumono perciò carat tere di testamento. Anche se loro non se ne sono resi conto (13, 28) , il t rad i me n to è stato consumato e la consegna è imminente. Questo " poco • sarà completato in 1 6, 16ss con un altro • poco •. quando i discepoli torneranno a vedere Gesù. Per il momento egli parla loro della sua partenza. quella che dà carattere definitivo al comanda· mento che sta per comunicare loro. • Mi cerclzerete, ma ciò che dissi ai giudei: Là dove io vado, voi non siete in grado di venire ", lo dico ora anche a voi »,

33b



La frase cui Gesù allude si trova in 8, 2 1 : io me ne vado; mi cercherete,

ma il vostro peccato vi porterà alla morte: là dove io vado, voi non siere in grado di venire. I discepoli lo cercheranno (20, 1 5 ) , perché la

sua as se nza causerà loro dolore ( 1 6 , 20) , ma non si tratterà, come per i giudei, di un 'assenza definitiva che li porta alla rovina. Non moriranno per il lor o p eccat o perché sono puri ( 1 3 , 10). Tuttavia nemmeno loro sono in grado di andare dove va lui. Egli va liberamente dove lo porta Giuda ( 1 3 , 30): alla croce, e attraverso essa al Padre ( 1 3 , 3) . .In questo it inerario nessuno è in grado di accompagnarlo. Nessuno può com· prendere ancora la grandezza del suo amore né associarsi a lui. I giudei non a\' rebbero mai accettato un Messia che dovesse morire (cfr. 12, 34) : per questo non potevano accompagnare Gesù. Nemmeno i discepoli possono ancora accettarlo né comprendere fino a dove deve giungere il dono di sé (cfr. 16, 3 1 ) . Non hanno ancora la statura . necessaria per amare in questo modo. Egli la darà loro con la sua morte. Di fatto, lo abbandoneranno nell'ora decisiva (16, 32) . Soltanto il discepolo amico di Gesù (13, 23) lo accompagnerà nel suo itinerario ( 1 8, 1 5s), e si troverà ai piedi della croce (19, 26s), dove sarà testimone dell'amore manifestato ( 1 9, 35). Egli rappresenta quindi il discepolo modello. ,

576

13, 3J-35. Codice e distintivo della nuova comunità �( . .



34a

tri

Il nuovo comandamento Vi do

urt

comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli al­

».

Egli se ne va, ma essi devono restare ( 13, I ; 17, 1 1 ) . Gesù li costi tuirà in comunità, dando . loro uno statuto e un'identità. Essi, che l'hanno riconosciuto come Messia ( l , 41 .45.49), sapranno ora qual è il fondamen­ to e la caratteristica della comunità messianica. Dà loro il comanda­ mento nuovo, in opposizione alla Legge antica; la Legge di Mosè viene sostituita dal comandamento di Gesù. Ora sta per essere stabilita la differenza fra le due alleanze: quella del legislatore e quella del Messia ( 1 , 17), quella di colui che parla dalla terra e quella dello Sposo-Figlio che pronuncia le esigenze di Dio (3, 29.31.34). L'alleanza basata sulla rea ltà dell 'amore e la lealtà di Dio non può avere altra Legge che quella dell'amore, che è al tempo stesso il culto che il Padre cerca (4, 23s) e lo Spirito che egli comunica. Se la gloria di Dio è amore e lealtà ( 1 , 14), non può essere diversa la sua esigenza nei confronti degli uomini: urt amore che risponde al suo amore ( l , 16). In realtà la nuova legge è Gesù stesso, come segno elevato che manifesta ed esprime l'amore di Dio· (3, 16; per il tema Legge antica - Legge nuova cfr. 3, 1ss Lett.). Gesù lo chiama comandamento per apporlo a quelli dell'antica Legge. In realtà l'amore non è, né può essere, un precetto imposto dal di fuori, come non lo è nemmeno per Gesù. Egli fa ciò che vede fare da suo Padre ( 1 , 1 8) , ciò che il Padre gli mostra (5, 1 9s). Opera in sintonia e per identificazione con il Padre. (IO, 30; 14, 10). Nel suo comandamento Gesù non chiede nulla per se stesso né per Dio, ma soltanto per l'uomo. Emerge di nuovo il fatto che Dio non accentra in sé, né accaparra l'uomo; al contrario, è un dinamismo espansivo d'amore universale, le cui onde spingono sempre più lontano. B fonte d'amore personale, dono di sé, che dà l'impulso per donarsi agli altri. Tutta la vita e l'attività devono essere una multiforme espressione di quest' unica preoccupazione: esprimere in opere l'amore per gli altri. 34b

« come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri ».

Gesù aveva già presentato come norma per i discepoli l'assimilazione della sua vita e della sua morte (6, 53: se non mangiate la cante dell'Uomo e non bevete il suo sangue non avete i11 voi l'ila). Ora specifica che la norma è il suo modo d'agire: il comandamento nuovo consiste nell 'amare come egli li ha amati; Gesù è la meta che devono raggiungere. La salvezza dell'uomo consiste nell'essere come lui, l'Uomo, apice delle poss ibilità umane, cioè dello sviluppo di tulla la capacità d 'amare. Il punto di riferimento, come io vi ho amati, è appena stato spiegato da Gesù nelle due scene precedenti: « amare » consiste nell'accogliere, nel mettersi a servizio degli altri, per dare loro dignità e libertà attraverso l'amore (lavanda dei piedi), e questo senza limite né discriminazione alcuna, con sommo rispetto per la libertà (episodio di Giuda). Il comandamento di Gesù è rivolto ai suoi, che sono nati da Dio attraverso lo Spirito ( 1 , 13; 3, Ss) . Nascendo da Dio hanno ricevuto la 577

L'ora

6nale. La Pasqua del Messia

capacità di diventare figli di Dio ( 1 , 12), e diventeranno tali amando come ha amato Gesù, il Figlio: lui stesso è il cammino che essi devono percorrere (14, 6). Questo è il contenuto del suo comandamento. Gesù è norma, non a parole ma a fatti. Ora traduce i fatti in un principio: il suo atteggiamento devono adottarlo anche loro; l'amore che egli mostra, e che è la sua gloria, deve verificarsi anche in loro (cfr. 17, 10: lascio manifesta ... la mia gloria) . Questo è il comandamento nuovo: essere simili a Gesù nel suo amore senza limite. Il comandamento è tanto nuovo quanto l'amore di Gesù. Il massimo cui era giunto l'AT era la formulazione di Lv 19, 18: « Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso ... ». Questo comandamento rendeva l'uomo norma del bene del suo prossimo. Nell'amore veniva pertanto proiettato il proprio io. Ma l'uomo di « carne • non può essere norma del bene dell'altro. Gesù, l'Uomo compiuto, che realizza il progetto di Dio, è l'unico che mostra il vero essere dell'uomo. Egli, che lo ama più della sua stessa vita, giungerà fino alla pienezza dell'amore (13, 1), senza lesinare nulla, rinunciando a ogni interesse e gloria propria. Soltanto lui può essere norma dell'amore. Chi ama l'altro come se stesso può deformare a seconda della propria deformazione. Guardando se stesso, limitato ed egoista, non può giungere a sapere cos'è realmente buono per il suo prossimo. 35 • Da questo tutti conosceranno che siete discepoli miei: dal fatto che avete amore fra voi ». L'amore che esiste fra i suoi dev'essere visibile, e potrà essere ricono­ sciuto da ogni uomo. Pertanto dev'essere mostrato con opere simili a quelle di Gesù. Questo sarà il segno distintivo della sua comunità. Quel che i discepoli apprendono dal loro maestro non è una dottrina, ma un comportamento: non si distingueranno per un sapere particolare o tanto meno esoterico, né comunicheranno all'umanità una speculazione su Dio. Mostreranno la possibilità dell'amore e di una società nuova; così manifesteranno e renderanno presente il Padre nel mondo. Gesù vuole creare lo spazio in cui esista l'amore, l'alternativa alla tenebra. Per questo il suo comandamento si riferisce ai discepoli. Sta costituendo la sua comunità, realizzando l'utopia. Non crea tuttavia un gruppo chiuso, ma la base indispensabile per la missione in mezzo al mondo, di cui tratterà nei capp. 1 5 e 16, in cui « il frutto ·• esprimerà l'amore per l'umanità (cfr. 12, 24) e « i suoi comandamenti • lo prescri· veranno. L'attività dell'amore deve avere come base l'esperienza vitale dell'amore. Chi non vive nell'amore non conosce la vita né può offrirla. Dall'esperienza di vita nasce l'urgenza della missione. La prima dimostrazione di amore per l'umanità consiste nel dimostrare che l'utopia è possibile, che Dio è Padre e che gli uomini possono essere fratelli, nel far risplendere in mezzo al mondo la gloria di Dio, il suo amore leale per l'uomo. Questo è il comandamento « costituente » della comunità di Gesù: crea la solidarietà dell'amore, pratica « i comandamenti • (14, 15) realizzando • le opere di Dio • (9, 3s) e donando la vita all'uomo (12, 24s). I l suo opposto è il peccato • costitutivo • di questo ordinamento: esso crea 578

13, 3!-35. Codice

e

distintivo della nuova comunitll

la solidarietà del male, le cui attività sono « i peccati ,. od opere perverse (7, 7), che tolgono la vita all'uomo (8, 23.44 Lett.). Ponendo come unico distintivo della sua comunità l'esistenza di que­ st'amore visibile, Gesù elimina ogni altro criterio. L'identità del suo gruppo non sarà basata su osservanze, leggi o culti. Con quest'unico distintivo Gesù esime i suoi da ogni condizionamento culturale. Se l'orgoglio di Israele poggiava sulla peculiarità delle sue istituzioni rispetto a quelle dei popoli pagani 1, il gruppo di Gesù non avrà barriere che lo separino. II suo messaggio coincide con le profondità dell'uomo, al di là delle diverse culture. L'amore è linguaggio univer­ sale. L'indipendenza che Gesù ha mostrato nel corso della sua vita pubblica dinanzi alle istituzioni della sua cultura (2, 13ss; 4, 2 1ss; 5, 1 8.39; 6, 32; 7, 19; 8, 44; 9, 14; IO, 3-4) vale anche per i suoi discepoli. Le opere a favore dell'uomo, espressione dell'amore, sono quelle che rendono te· stimonianza della sua missione divina; i suoi avranno le stesse creden­ ziali. Gv situa il comandamento dell'amore fra il tradimento di Giuda e la predizione dei rinnegamenti di Pietro, nello stesso luogo in cui Mt (26, 26-30) e Mc (14, 22-26) collocano l'eucarestia. Gv, nel comandamento, sta spiegando il significato profondo di quest'ultima. Come già aveva descritto in 6, 56: chi mangia la carne mia e beve il sangue mio rimane con me e io cçm lui, l'eucarestia è l'identificazione con Gesù per mezzo dell'assimilazione della sua vita e della sua morte. Per Gv, pertanto, la celebrazione dell'eucarestia è il ricordo incessante dell'amore di Gesù, e il continuo impegno della comunità a tale amore fino alla morte. Ma non è soltanto ricordo: Gesù, presente fra i suoi, continua a dimostrar loro il suo amore e a comunicare il suo Spirito, che permetterà loro di amare come egli li ha amati.

SINT�SI Il primo comandamento della Legge antica si riferiva a Dio: « Amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze » (Dt 6, 5). Come tutti i comandamenti di quella Legge, viene sostituito dal comandamento che dà Gesù: come io vi ho amati, cosi amatevi anche voi gli uni gli altri. Logicamente ci si aspetterebbe che Gesù chiedesse una corrispondenza al suo amore: « Amatemi come io vi ho amati , (cfr. l Gv 4, 1 1) . La frase di Gesù mostra, al contrario, che solo amando l'uomo si ama Dio, che Dio è inseparabile dall'uomo. Chi dice di amare Dio e non ama suo fratello è bugiardo (cfr. l Gv 4, 20). L'amore per gli altri è l'unica prova della presenza nell'uomo dell'amore di Dio. II distintivo di Israele era la Legge e il modo di agire che essa prescriveva; S. . B. III, 127s. Si veda, a esempio, Mo'ed Qatan 16b: • Non siete per me come etiopi, o israeliti? (Am 9, 7). Come mai li si chiama etiopi e non Israele? Perché come un etiope si differenzia per il colore della pelle, cosi anche gli israeliti si differenziano da tutti gli altri popoli per il loro modo d'agire •. l

579

L'ora finale. La Pasqua del Messia

Amare Dio, è in primo luogo, accettarlo in se stessi, come presenza e forza d 'amore (lo Spirito), il cui termine è sempre l'uomo. Così aman· do gli altri, si rende Dio presente in se stessi e si stabilisce con lui l'unico rapporto possibile, quello del suo amore accettato, cioè la sua presenza e la sua gloria. In Gesù, Dio si è reso presente nell 'uomo, è divenuto uno con lui ( I O, 30) . Con questo esige il massimo rispetto per l'uomo e considera come diretti a sé tanto l 'amore quanto l'offesa. Il Dio lontano e trascendente permetteva di manipolare l'uomo; il Dio che abita nel· l 'uomo lo rende intoccabile. Il comandamento di Gesù dà esistenza al suo gruppo, lo costituisce. Questo si trova in mezzo al mondo come l'alternativa della vita di fronte alla morte, della dignità e libertà di fronte alla sottomissione. l:. l 'offerta permanente dell'amore di Dio per l'umanità attraverso Gesù. Egli è il centro di questo gruppo umano, perché ne è il modello, il datore della vita che i membri condivi dono e, con essa, della possibilità d'amare. In base a questa alternativa e a questa esperienza vitale si esercita il servizio all'uomo.

580

Gv 13, 36-38: Il falso amore. Gesi) predice Il rlnnegamento di Pietro 16

Gli domanda Simon Pietro: - Signore, dove vai? Gli rispose Gesù: - Là dove vado. non sei capace di seguirmi ora, ma finirai col se­ guirmi.

37 Gli disse Pietro:

30

- Signore, per qual motivo non sono capace di seguirti fin d'ora? Darò la mia vita per te. Replicò Gesù: - Proprio la tua vita darai per me? Davvero ti assicuro: prima che un gallo canti mi av ra i rinnegato tre vo lte.

NOTE F I LO LOGICHE 13, 36 domanda, gr. /egei. Significato specificato dal contesto. Là dove vado, gr. hopou hupagò. Cfr. 6, 21 e 8, 21 nota (N.d.T.). - finirai col seguirmi, gr. akoloulheseis I1Usleron. Corrisponde a mela taula (13, 7) con riferimento a 21, 1 .19.

-

37 per qual motivo, gr. dia ti. Più forte che ti, cfr. 7, 45; 8, 43; 12, 5. - seguirli, gr. akolouthesai. In fi n . aor. incoativo che indica il principio della sequela. - fin d'ora, gr. arti. Per differenziarlo dal nun del verso precedente (ora).

38 Replicò. Gr. pres. st. - Proprio. Esprime in it. l'ironia contenuta nel testo greco (N.d.T.). - prima che un gallo canti. Gr. opposizione ou me ... heos ho11.

CONTEN UTO E DIVISIONE La pericope descrive l'atteggiamento sbagliato di Pietro rispetto a Gesù, che continua a considerare un Messia politico, un leader cui i sudditi de· vono il sacrificio della propria vita. Sebbene il tema prenda le mosse dalle parole pronunciate in precedenza da Gesù (13, 33), forma un'unità a parte descrivendo un dialogo con Pietro. Inizia con una domanda di Pietro cui Gesù risponde ( 13, 36 ). Pietro non accetta la risposta e si ostina nel suo atteggiamento, il che gli frutta l'ironia di Gesù e la predizione dei suoi rinnegamenti.

Si possono distinguere due momenti: Singolarità della morte di Gesù. 13, 36: 13, 37-38: Ostinazione di Pietro e predizione dei suoi rinnegamenti.

581

L'ora finale. La Pasqua del Messia

L mU RA Singolarità della morte di Gesù 13, 36a

Gli domanda Si;;;on Pietro:

c

Signore, dove vai? ».

Delle precedenti parole di Gesù, Pietro ha ritenuto soltanto quelle che annunciavano la sua partenza. Vuole sapere dove va. Gesù aveva detto che se ne andava da solo (13, 33) e che essi non potevano ancora seguirlo; lasciava loro per testamento il comandamento dell'amore vicendevole. Pietro non si sofferma su ciò che lo tocca come discepolo, ma soltanto su ciò che riguarda Gesù. 36b Gli rispose Gesù: ma finirai col seguirmi

«

Là dove vado non sei capace di seguirmi ora,

•·

Ripete a Pietro la sua frase precedente, aggiungendo però che gli toccherà percorrere lo stesso itinerario nel futuro. Gesù deve aprire il cammino dell'amore totale. Quel che loro faranno sarà una sequela, non una compagnia. I discepoli non sono all'altezza necessaria, dato che ancora non hanno ricevuto lo Spirito; non sono ancora capaci di amare fino alla fine (13, 1 ) . La creazione dell'uomo non è ancora completata ( 19, 30).

Ostinazione di Pietro e predizione dei suoi rinnegamenti 37 Gli disse Pietro: c Signore, per qual motivo non sono capace di seguirti fin d'ora? Darò la mia vita per te », Pietro non si adatta. Dà nuovamente a Gesù il titolo di • Signore » e gli mostra la sua totale adesione, dichiarandosi disposto a dar la vita per lui, ma non si dà per inteso sul comandamento dell'amore ai fratelli. Si sente vincolato al Signore e vuole sostituirsi a lui nella morte . Torna a distinguersi fra i suoi compagni, volendo mostrare un'adesione a Gesù maggiore degli altri (2 1 , !Se Lett.). D'altra parte crede che Gesù non lo conosca bene e di conoscere lui solo le proprie possibilità (cfr. 2 1 , 17: tu conosci tutto). Non capisce che non si tratta di morire per Gesù, ma per· l'uomo. Pietro, che non si lascia amare, non lascia nemmeno amare, vuole impedire che Gesù mostri il suo amore per l'uomo. Per lui una morte equivale all'altra, perché non comprende il significato di quella di Gesù. La morte di Pietro manifesterebbe la sua adesione al suo Signore, ma non l'amore di Dio per l'uomo. Seguire Gesù non consiste nel dare la vita per lui, ma nel darla con lui, l'uomo che muore per il popolo ( 1 1 , 50; 18, 14; cfr. 1 1 , 16 Lett.). La sua generosità manifesta la sua profonda incomprensione, perché nessuno può sostituire Gesù nella sua funzione liberatrice e manifesta­ trice nell'amore del Padre. Soltanto lui è uno con il Padre (10, 30) : nessuno può prendere il suo posto. 582

13, 36-38. D rlnnegamento dl Pietro

Come nella lavanda dci piedi, Pietro considera Gesit come il leader; in quell 'occasione gli sembrava sconveniente che i l leader servisse i suddi· ti; qui invece stima che il subalterno debba dare la propria vita per i l capo. Gesù non gli h a chiesto nulla per sé: i l suo comandamento è amarsi gli uni gli altri; Pietro si impegna invece a mostrare la propria adesione a Gesù senza ricordarsi del comandamento. Per la seconda volta (cfr. 13, 8) Gv usa il soprannome Pietro isolata­ mente, senza accompagnarlo al nome di Simone. Come la volta prece­ dente, questo avviene quando Pietro mostra la propria indocilità a Gesù. Fino ad ora, pertanto, il soprannome (Pietra) sembra descrivere la sua ostinazione. Questa interpretazione verrà confermata dal suo uso nel capitolo 18. Pietro crede che Gesù percorrerà un cammino e giungerà a una fine che egli conosce. Per lui la morte di Gesù è come un'altra qualunque e, in base alla propria idea messianica, la vuole evitare. Egli si offre come riscatto. Non si è reso conto che Gesù traccia il cammino, perché è il cammino lui stesso (14, 6). Pietro non capisce che il cammino verso Dio è il cammino verso l'uomo; la massima solidarietà con l'uomo, che Gesù mostrerà nella sua morte, è il punto di arrivo a Dio o il p_unto i n cui Dio si rende presente, manifestando i l suo amore. Nella sua morte, Gesù diventa il dono supremo di Dio all'umanità. Non è tanto la donazione dell 'uomo a Dio quanto quella di Dio all'uomo. Tale è stato l 'atteggiamento di Gesù nel distribuire il pane (6, 1 1 ) e nel lavare i piedi dei suoi discepoli (13, 5 ) ; questo atteggiamento culminerà nella sua morte. Seguendo Gesù, l'uomo non si sacrifica a Dio, ma fa di sé il dono di Dio agli altri uomini, come Dio stesso, attraverso lo Spirito, si fa dono all'uomo. L'uomo finisce di percorrere il suo cammino quando giunge a essere dono totale di Dio agli altri. ·

38 Replicò Gesù: • Proprio la tuo. vita darai per me? Dawero ti assicu­ ro: prima che un gallo canti mi avrai rinnegato tre volte • · Gesù risponde a Pietro con ironia. Questi ha mostrato la sua arroganza e la sua ignoranza. Non si può dar la vita per Gesù, perché nessuno può sostituirlo come salvatore, né egli vuole la vita dei suoi discepoli; non ha bisogno di sacrifici per sé, né li accetta; il discepolo deve dare la sua vita con Gesù e come Gesù: per l'uomo. Dio non accentra, ma spinge ad amare. Gesù, che si è posto al servizio dei suoi {lavCI.Ilda dei piedi), non chiede loro di vivere per lui. Pietro si vuole legare soltanto a Gesù. Non ha compreso che Gesù è inseparabile dal gruppo. Lavando loro i piedi aveva distrutto l'immagi­ ne tradizionale del maestro e del signore; non si tolse il grembiule (13. 5.12). mostrando di essere il primo in quel servizio vicendevole che esige dai suoi (cfr. 2 1 , 9). Gesù è il centro e l'origine di una comunità di eguali. Pietro vuole separarlo dal gruppo, ponendolo su un piedistallo. Gesù non accetta tale adesione. Pietro, che si offre di morire per il suo signore, vedendo crollare la sua falsa idea di Messia, finirà col rinnegarlo. Pur nella sua arroganza, è u n debole. La sua forza era quella del leader con cui s i era identificato, vale a dire, il Messia che avrebbe sfidato il potere con le sue stesse 583

L'ora finale. La Pasqua del Messia

anni (18, 26). Quando la realtà dei fatti gli mostrerà che Gesù non rappresenta il suo ideale, la sua forza si dissolverà; sarà allora evidente che il suo rapporto con Gesù non era tanto un 'adesione alla sua persona (amore) quanto alla funzione immaginata da lui stesso. Così, Pietro non poteva comprendere che Gesù sfidasse il potere non con la violenza, ma con l'amore. L'unica forza del discepolo è quella dell 'ama direzione. Con lo Spirito Gesù crea un'onda di solidarietà per l'uomo, di amore disinteressato che segue i suoi passi e conduce l'umanità all'in· contro finale con il Padre. Così si costituirà il regno definitivo (3, 3.5). Gesù accompagna sempre i suoi in questo cammino, che non è soltanto individuale. ma comunitario. La sua morte non interrompe il contatto: egli li accompagna, e il suo amore partecipa all'i tinerario.

Gv 14, 1 5�26: Dio nella nuova umanità 15 Se mi amate, compirete i comandamenti mtet; 16 io, a mia volta, pregherò il Padre, e vi darà u n altro soccorritore che stia con voi sempre, 17 lo Spirito della verità, quello che il mondo non può ricevere perché non lo percepisce né lo riconosce. Voi lo riconoscete, perché vive con voi e inoltre starà con voi. 1 8 No n vi lascerò abbandonati, tomerò con voi. 19 Entro breve tempo i l mondo cesserà di vedermi; voi invece m i vedrete, perché io ho vita e anche voi l'avrete. 10 Quel giorno sperimenterete che io sono in mio Padre, voi in me e io in voi. 11 Chi ha fatto suoi i miei comandamenti e li compie, questi è colui che mi ama; e a col u i che mi ama mio Padre dimostrerà il suo amore, e anch'io glielo dimostrerò manifestandogli la mia pers on a. 22 L'altro Giuda, non J'Iscariota, gli domandò: - Signore, e come mai che a noi manifesterai la tua persona e al mondo no? 2J Gesù gli rispose: - Chi mi ama compirà il mio messaggio, e mio Padre gli dimostrerà il suo amore: verremo da lui e ci fermeremo a vivere con lui. " Colui che non mi ama non compie le mie parole; e il messaggio che state udendo non è mio, ma di chi mi mandò, del Padre.

25

Vi lascio dette queste cose mentre vivo con voi. 26 Questo soccorrito­ re, lo Spirito Santo che il Padre invierà per causa mia, egli vi andrà insegnando tutto, ricordandovi tutto ciò che io vi ho esposto.

NOTE FI LOLOGICHE 1 4 , 1 6 soccorritore, gr. parakletos (14, 1626; 16, 7 ; l Gv 2 , l di Gesù). Etimologicamente deriva da parakaleò con significato passivo: • uno ch ia· mato per stare accanto/per assistere •. Nella lingua classica (raro) si usa come • awocato • in un giudizio. Di qui passa al significato at tivo ; « chi aiuta quello che gli st a a lato ». Dato che in Gv non appare come difensore dei discepoli, ma come colui che li aiuta con l 'ins egnamento (14, 26), rende testimonianza con loro (15, 26) c accus a il mondo (16, 7ss). il termine più generico di • soccorri tore » è preferibile ad « awocato •. Nella letteratura rabbinica si usa, tra sli tterato dal $reco, con i si gnif icat i avvocato, inter· cessare, soccorritore (S.-B. II, 560ss) . Non appare nei LXX.

17 lo Spirito della ve rit d, gr. to pneuma tls alétheias (15, 26; 16, 13). Genit. epeseg.: quello che è la verità, la comunica e fa vivere in essa; si oppone allo spirito dell'errore (l Gv 4, 6: to pneuma tes planès), lo spirito che in· ganna, ingannevole. Dato, tuttavia, il duplice significato di aletheia: verità, lealtà (cfr. l, 14: kharis kai alétheia; 4, 2324: en pneumati kai alétheia, 3, 2 1 : ho po iòn tén alètheian, quello che pratica la lealtà = amore leale), lo Spi rito della verità è lo Spirito della lealtà, l'amore leale che procede dal Pa dre (15, 26): questa è la verità o realtà divina (cfr. 17, 17: consacrali con

la veritd).

597

L'ora finale. La Pasqua del Mesola

- né lo riconosce, gr. oude gin6skei. Cfr. 1 , 10 nota e 3, 8. - starà, gr. es1ai. Lettura fondata meglio di quella estin e che corrisponde, inoltre, alla futura venuta dello Spirito, cfr. Lett. 18 abbandonati, letter. orfani. Usato non raramente in senso metaforico, di discepoli rispetto al maestro. Così in Platone, Fed., ll6a, per la morte di Socrate. 19

Entro breve tempo, gr. eti mikron kai. Ancora un poco e ...

20 sperimenterete, gr. gn6sesthe. Si tratta, in questo caso, di una cono­ scenza dovuta a esperienza interiore; cfr. 17, 3. - in. Cfr. 10, 38 nota. 21 Chi ha fatto suoi, gr. ho ekh6n. Pres. risultativo di appropriazione/as­ similazione, cfr. El Aspecto Verbal, nn. 106-109. - a colui ... dimostrerà il suo amore, gr. agapethesetai auton. L'uso di agapad in questo versetto e nel v. 23 è manifestativo; cfr. 3, 16; 10, 17; 15, 9. - manifestandogli la mia persona, gr. kai emphanis6 auto emauton. La pro­ pos. coordinata indica il modo in cui si effettua quanto espresso dalla pre­ cedente; cfr. 4, 28; 5, 2 1 : su.scita i morti e dà loro vita ( = dando loro vita); 14, 1; lo stesso in 14, 23. Emphaniz6: Gv 14, 2122; Mt 27, 53, dei morti risu· scitati; At 23, 15, presentarsi alle autorità; 23, 22, rivelare un segreto; 25, 2.15, presentarsi davanti a qualcuno; Eb. 9, 24, davanti a Dio; 1 1 , 14, mostrare, dimostrare. La mia persona: modo per tradurre l'enfasi del pronome

emauton.

22 L'altro. Aggiunto al greco, per evitare fin dal principio la confusione con Giuda Iscariota.

- come mai .. ?, gr. ti gegonen. Cos'è avvenuto [che giustifichi] ... ? - e al mondo no. Si noti il parallelismo fra 7, 4b: phaner6son setmton ttJ kosm6, e 14, 22: emphanizein seauton ... 16 kosm6. .

23 Chi ini ama, gr. ean tis agapiJ. me. Espressioni indeterminate equivalenti - il mio messaggio, gr. logos. Parola concreta, messaggio, in corrispondenza con



mie parole



nel v. 24. ·

- ci fermeremo a vivere con lui, gr. monbt par'aut6 poiésometha (voce media). Noi faremo dimora/vita con/insieme a lui (cfr. 14, 17, dello Spirito). La permanenza indicata da ci fermeremo è inclusa in mone: stabilire una di­ mora permanente = fermarsi a vivere. Il Padre e Gesù prendono dimora con il discepolo; la metafora è quella di un cambiamento di casa. La frase forma inclusione con 14, 2 e lo spiega. I molti posti nella dimora del Padre equivalgono alla dimora che il Padre e Gesù stabiliscono in ogni discepolo ; essere figlio di Dio = essere dov'è Gesù (14, 3b), cioè, stare con lui (14, 3a: vi prenderò con me) nell'intimità det Padre. La costruzione coordinata (kai pros auton ...) è anche modale (cfr. 14, 21); qui viene indicata mediante la punteggiatura (:).

25

Vi lascio

pres. - fut.

dette,

gr.

lelaleka

(15, 11;

16, 1.4.6.25.33).

Pf. definitivo eli

lo Spirito Santo, gr. lo pneuma lo hagion (1, 33; 20, 22). In parall. lXIII to pneuma tes aletheias (14, 17; cfr. 14, 16.26: parakletos). - per causa mia, gr. en t6 onomati mou. I l significato di questa locuzione è stato spiegato in 14, 13 nota. Qui, tuttavia, si trova in parallelismo con 26

598

14, 15-26. Dio nella nuova umanltli

14, 16: kag6 er6t�s6 ttm patera. La missione dello Spirito, dal punto di vista di Gesù, sarà frutto della sua preghiera. Dal punto di vista del Padre, sarà l'adempimento della preghiera di Gesù (en t6 anomali mou). La tra· duzione deve esprimere questo significato, senza usare tuttavia una formu­ la troppo esplicita; di qui: pe r causa mia [della mia persona]. - ricordandovi, gr. kai hupomm!sei humas. La ripetizione del complemento tutto (panta), che identifica i contenuti, mostra che la propos. coordinata è modale, cfr. 14, 21.23.

CONTENUTO E DIVIS IONE Gesù ha tracciato l'itinerario della nuova umanità, itinerario che la con­ duce a incontrare il Padre nella solidarietà totale con l'uomo (14, l-14). In questa pericope espone come Dio diventi una cosa sola con la comunità e viva in ogni membro di essa. Si hanno così due aspetti dell'esodo: la comunità in cammino e la presenza di Dio in mezzo ai suoi. La condizione per questa presenza è l'identificazione del gruppo con la persona e il mes· saggio di Gesù, attraverso l'amore per lui e la pratica dei suoi .comanda­ menti. Gesù assicura la comunità che essa non è sola nel suo cammino. La perico­ pe comincia così promettendo l'invio di un nuovo soccorritore, lo Spirito della verità (14, 15-17). Gesù tornerà a essere presente fra i suoi, come vin­ colo di unione con il Padre (14, 111·20). In ogni membro abiteranno il Padre e Gesù; la condizione per questo è la pratica del messaggio dell'amore (14, 21-24). La pericope si chiude tornando al tema del soccorritore promes­ so, lo Spirito, che appare nella sua funzione di consacratore e maestro

(14, 25-26).

Si può dividere così:

14, 15-17: II nuovo soccorritore, lo Spirito della verità. 14, 1 8-20: Gesù nella comunità, vincolo di unione con il Padre. 14, 21-24: Ogni membro, dimora del Padre e di Gesù. 14, 25-26: II nuovo soccorritore, lo Spirito che consacra e insegna.

LETTURA Il nuovo soccorritore, lo Spirito della verità 14, 1 5



Se mi amate, compirete i comandamenti, miei ».

L'amore per Gesù (21, !Se Lett.) è condizione per compiere i suoi comandamenti, così come la messa i n pratica dei suoi comandamenti sarà la prova dell'amore per lui (14, 2 1 ) . Chi non ama Gesù non può amare gli altri; chi non ama gli altri non ama Gesù. Per la prima volta Gesù menziona l'amore dei discepoli per lui; la fede in lui denota pertanto un'adesione personale che culmina nell'amore. L'adesione alla sua persona e alla sua opera si trasforma in un impulso di identificazione.

L'ora finale.

La

Paoqua del Messia

Per l'identificazione con lui, i comandamenti perdono ogni carattere di imposizione: sono le esigenze dell 'amore. Compierle significa essere come lui, e a questo conduce spontaneamente la forza interiore dello Spirito. Non si tratta dell 'obbedienza dei discepoli a norme esterne, ma della espansione interiore della loro sintonia con Gesù. Se Gesù conserva il termine • comandamento » per designare tale realtà, è soltanto per opporre la sua norma di vita ai comandamenti della Legge antica, che vengono superati; per i suoi discepoli valgono soltanto i suoi. La stessa enfasi della costruzione: i comandamenti miei, in luogo de i miei comandamenti, indica l'opposizione a quelli della Legge di Mosè. Dopo aver esposto il comandamento nuovo (13, 34) , Gesù parla dei • suoi comandamenti » ( 1 4 , 15.2 1 ; 15, IO); il comandamento nuovo creava la solidarietà dell'amore nella quale sono presenti Gesù e il Padre ( 1 3 , 17; 17, 2 1 Lett.); è in base a tale solidarietà che si esercita l'amore per l'umanità, con la realizzazione delle opere di Dio (9, 3s) : esse sono Il contenuto dei comandamenti di Gesù. Questi non vengono mai enumerati né formulati: come le « esigenze • ( 1 5 , 7; 17, 8). sono la risposta dell 'amore alla necessità dell'uomo in ogni circostanza. « Co­ mandamenti •, • esigenze » e • parole designano le varie traduzioni pratiche di questo messaggio d'amore (14, 23.24). Così come il peccato costitutivo della solidarietà per fare il male (• il mondo •). sfociava nei « peccati • o ingiustizie contro l'uomo. parallelamente il comandamento •, costitutivo della solidarietà per l'amore (la comunità di Gesù), si dispiega nei • comandamenti • , che prescrivono l'attività a favore dell 'uomo. « Il comandamento nuovo » è prototipo di tu t ti gli altri: l'identificazio­ ne con Gesù attraverso un amore per i fratelli simile al suo (13. 34) che lo rende presente nella comunità ( 1 3 , 17 Lett.) - porta in sé l'esigenza dell'amore per tutti gli uomini, così come egli li ha amati. •



•,



-

1 6-17a « io, a mia volta, pregherò il Padre, e vi darà un altro soccorri­ tore che stia con voi sempre, lo Spirito della verità •. -

Gesù esercita un'attività mediatrice presso il Padre per la comunicazio­ ne dello Spirito ai suoi. t> l'uomo (Spirito Santo), e attraverso di lui tutta la creazione. Non vi sono piit, quindi, ambiti sacri in cui Dio si manifesta al di fuori dell'uomo stesso. Questa « sacralizzazione >> produce, al tempo stesso, una « desacralizzazione >>, sopprimendo ogni mediazione del « sacro » esteriore all'uomo. II Padre pertanto non è più un Dio lontano, ma colui che si avvicina all'uomo e vive con lui, facendo comunità con gli uomini, oggetto del suo amore. La ricerca di Dio non esige che lo si vada a cercare al di fuori di se stessi, ma che ci si lasci incontrare da lui. che si scopra e si accetti la sua presenza attraverso un rapporto, che non è più quello di servo/signore, ma di Padre/figlio. Questo nuovo rapporto dell'uomo con Dio implica il suo nuovo rappor­ to con l 'uomo. Il suo modello è Gesù, cui il credente si assimila. Dio rivela la sua presenza e stabilisce la sua comunione nella comunione con l'uomo. Nel dono di sé agli altri si verifica l'incontro con il Padre. La presenza di Dio nell'uomo non è statica: è quella del suo Spirito, il suo dinamismo d'amore e di vita, che rende l'uomo « spirito • come lui, facendolo partecipare al suo stesso amore. Il Padre è l 'amore assoluto, e pertanto l'assoluto dono di sé; si rivela in Gesù come colui che si dona per dar vita all'uomo. Per questo sparisce la mediazione della Legge: l'unica legge è Gesù, in cui il Padre, attraverso il suo Spirito, ha realizzato il modello di uomo. Dio somiglia a un 'onda in espansione che comunica vita con generosità infinita. Non vuole che l'uomo sia per lui, ma che - vivendo di lui - sia come lui, dono di sé, amore assoluto: questo è il comandamento trasmesso da Gesù. All'uomo spetta accettar­ lo, incorporarsi a questa forza, lo Spirito di Dio, che tende a espandersi in un continuo dono. Quando l'uomo lo riceve, Dio realizza in lui la sua presenza e comincia a produrre frutto, segno della vita. Così la crescita e lo sviluppo dell'uomo sarahno l'affermazione di Dio stesso in lui. L'uomo e tutto il creato sono l'espressione della sua generosità gratui­ ta: stimarlo, affermarlo e farlo crescere è rendergli grazie per il suo amore. La sua venuta è un atto creatore della sua generosità. Dio non è il rivale dell'uomo; non l'ha creato per reclamargli poi la sua vita come tributo e sacrificio; egli non accentra né diminuisce l'uomo, ma lo poten­ zia. L'uomo non può annullarsi per affermare Dio, perché questo significherebbe negare Dio creatore, il datore della vita. L'unione con Dio non si compie risalendo la corrente per sparire nelle origini, ma accettando il Dio che viene, inserendosi nella grande corren­ te della vita in espansione che è lui stesso. Dio integra gli uomini nella sua azione cosmica di vita e di amore, manifestata in Gesù. L'uomo si unisce così con Gesù all'azione del Padre. Il centro che irradia vita si va ampliando, e si va realizzando il destino gioioso della creazione intera: la pienezza di vita nell'amore.

607

Gv 14, 27-31: Conclusione: Il commiato 27 " Pace , è il m io commiato; la mia pace vi auguro, ma io non mi accomiato come si accomiatano tutti. Non siate turbati, né abbia t e paura; la av e t e sentito tutto ciò che vi ho detto: che me ne vado p er tornare con voi. Se mi amaste vi rallegrereste che io vada dal Padre, p e rch é il Pa dre è piLt di me. " Ve lo lascio de t to ora, prima che avvenga, affinché q uand o avvenga giungiate a credere. 30 Ormai non c'è tempo di parla r e a lungo , perché sta per giungere il capo del mondo. Non che egl i possa alcunché contro di me, 31 ma così il mondo comprenderà che amo il Padre e compio esattamente ciò che mi comandò. Alzatevi, andiamocene da q ui!

NOTE F I LOLOGICHE 14, 27



Pace •

è

il

mio

commiato,

gr.

eirenen aphiemi humin. Ap h iemi

significa qui lasciare qualcosa quando uno se ne va. Si tratta del saluto di commiato rivolto con la frase convenzionale ebraica: Pace (cfr. l Sam l, 17: vai in pace), sulla bocca di chi se ne va: restate in pace. Pace:

14, 27; 16, 33; 20, 19.21 .26.

- la mia pace vi auguro. gr. eir�nén di commiato, come in it. salutare.

ten emen did6mi humin.

t! la formula

- ma io non mi accomiato, gr. ou kath6s, ecc. (opposizione implicita). Letter. non come il mondo (la) dà io (la) dò a voi. La trad. it. rende l'equivalente culturale, dato che la trad. letterale non farebbe capire il motivo del detto di Gesù. Di fatto, egli non si accomiata come tutti perché continuerà a essere presente, come assicura in seguito. - tutti, gr. ho kosmos. Cfr. 12, 19 nota.

28

che· me ne vado per tornare.

(Per il verbo hupag6 cf r. 6,

Stile indiretto N.d.T.).

in

luogo di quello diretto.

21 e 8, 21.

30 Ormai n on c'� tempo di parlare a lungo, gr. ouketi polla lalés6 meth'hu­ m6n. Ormai non parlerò molto con voi. La traduzione si fonda sul motivo che si adduce in seguito: sta per giungere, ecc. Non è per decisione di Gesù, ma perché la sua attività sta per essere interrotta. - il capo del mondo. Cfr. 12, 31; 16, Il. - Non che egli possa alcunché contro di me. Frase ebraizzante (S.-B, II, 563) 'én Jel 16 ' alay, non ha nulla su di m e/cont ro di 1ne, che si può· interpretare di puro diritto o del suo effetto, il potere. Qui ha il significato forte, poiché è im plic ito il riferimento a IO, 18: nessuno mi tog li e la vi ta .

31

esattamente, gr.

kath6s ... hout6s.

Cfr.

8, 28; 12, SO.

CONTEN UTO E DIVISIONE Terminata l a s ua istruzione a i discepoli e gettate le fondamenta della nuo­ va umanità, Gesù si accomiata. Li tranquillizza per il futuro, perché la sua assenza sarà breve. Le parole che ora pronuncia daranno sicurezza ai suoi

608

14, %7-31. n commiato

quando si compiranno (14, 27-29). Giunge il momento di dimostrare il suo amore per il Padre, dando la sua vita per gli uomini. Il mondo nemico si avvicina. Gesù invita i suoi a uscire (14, 30-31). Si possono distinguere due m omenti:

14, 27-29: Il commiato. 14,30-31: La partenza.

LmURA Il commiato 14,27 « •Pace• � il mio commiato; la mia pace vi auguro, ma io non mi accomiato come si accomiatano tutti. Non siate turbati, né abbiate paura

•·

Gesù si accomiata augurando loro la pace. Questa era il saluto comune arrivando e partendo. La sua pace, tuttavia, è diversa: non è un banale saluto. Né egli si accomiata come tutti, perché se ne va, ma non sarà assente. Questo deve dar loro serenità e toglierli da ogni timore. Gesù chiude questa parte della sua istruzione cosi come l'aveva cominciata (14, 1).

28



avete sentito tutto ciò che vi ho detto:

che me ne vado per

tornare con voi. Se mi amaste vi rallegrereste che io vada dal Padre, perché il Padre



più di me

•·

Cita le sue parole precedenti per tl'1lnquillizzarli di nuovo; la sua assenza non è definitiva, e nemmeno prolungata. Andare dal Padre, anche se attraverso la morte, non è una tragedia, dato che la sua morte sarà la manifestazione suprema dell'amore del Padre (12, 27s), la vitto­ ria sul mondo e sulla morte. Il Padre è più di lui, perché in lui Gesù ha le sue origini ( 1 , 32; 3, 13.31; 6, 51), il Padre lo ha consacrato e inviato (10, 36) e tutto ciò che Gesù ha, proviene dal Padre (3, 35; 5, 26s; 17, 7). 29



Ve lo lascio detto ora, prima che avvenga, affinché quando avven·

ga, giungiate a credere

•·

Gesù, che aveva predetto il tradimento perché i suoi discepoli com­ prendessero più tardi la grandezza del suo amore e si confermassero nella sua messianicità (13, 19). ripete ora la sua frase a proposito della propria promessa di tornare. La prima volta si riferiva alla sua morte; la seconda, ai suoi effetti: il trionfo della vita in lui e in loro.

609

L'ora flnalè. 1.11 Pasqua del Meoala

La

partenza

30a • Ormai non c'è tempo di parlare a lungo, perché sta per giungere il capo del mondo ». La partenza di Gesù è imminente, la permanenza con oì. suoi volge al termine. Sta per confrontarsi con il capo del mondo ingiusto, già menzionato in 12, 31 (il capo di questo ordinamento sta per essere cacciato fuori). Come in quell'occasione è la personificazione del potere oppressore, figura di coloro che stanno per arrestarlo, i rappresentanti del potere civile e religioso ( 1 8, 3: Giuda prese la guarnigione, e guardie dai sommi sacerdoti e dai farisei ... ) . 30b-31 a • Non che egli possa alcunché contro di me, ma cosl il mondo comprenderà che amo il Padre e compio esattamente ciò che mi co­ mandò •. Gesù non è assolutamente sottomesso a tale potere, n� questo può rivendicare autorità su di lui, né diritto ad arrestarlo e condannarlo. Ma Gesù accetterà il confronto per mostrare all'umanità il suo amore per il Padre, portando a compimento la sua opera a costo della propria vita (10, 17: per questo il Padre mi manifesta il suo amore, perché io consegno la mia vita e così la recupero). La morte di Gesù deve convincere tutti della autenticità del suo messaggio, della sua fedeltà a colui che Io inviò. Compirà scrupolosamente il suo incarico, liberando l'uomo e comunicandogli vita. La sua fedeltà al Padre, non cedendo né transigendo in nulla con il mondo, sarà la prova del suo amore. Esiste un chiaro parallelismo fra questa frase: così il mondo compren­ derà che amo il Padre e compio esattamente ciò che mi comandò, e quella di 8, 28: allora comprenderete che io sono quello e che no11 faccio nulla per conto mio, ma propongo esattamente ciò che mi ha insegnato il Padre. Il parallelismo identifica in primo luogo i dirigenti giudei, ai quali Gesù si rivolge in 8, 28, menzionando • il mondo • (14, 3 1 ; cfr. 8, 23). Ciò che questo deve comprendere viene enunciato sia in: • che io sono quello • ( = il Messia, cfr. 8, 24b Lett.) , sia in: «che amo il Padre Infine, in entrambi i casi, si deduce che l'attività di Gesù ha la sua origine nella missione ricevuta dal Padre. •.

Jlb



Alzatevi, andiamocene da qui!

•·

Al termine dell'istruzione comunitaria, Gesù ha annunciato l'arrivo del capo del mondo. La sua esortazione a uscire (14, 3 1 ) ha un tono di sfida che si trasforma in consegna per tutta la comunità (andiamocene). Questa, come Gesù, deve stare nel mondo e in esso deve dare frutto. Costerà sofferenza, perché il mondo la odia a morte (15, 1 8s). Invita i suoi discepoli ad andarsene con lui. Con le sue parole indica nuovamente la sua accettazione della morte che si avvicina; in esse include in qualche modo i suoi discepoli che, nel futuro, dovranno essere disposti a morire con lui (Il , ISs). Va incontro al suo esodo definitivo, parte dal mondo per passare definitivamente al Padre (13, 1). 610

14, 27-31. n commiato

Questo versetto divide il discorso della Cena in due parti. Nella prima, l'istruzione di Gesù, in opere e parole, si riferiva alla costituzione della comunità; nella seconda (capp. 1 5-16) tratterà della sua identità e della sua missione nel mondo, del frutto che deve produrre e dell'oppo­ sizione e persecuzione cui farà fronte. L'invito ad andarsene con lui indica appunto la differenza di tema. Gesù sta per andare con il Padre passando attraverso il mondo di tenebra e morte, e in questo passaggio porta con sé i suoi . La costituzione della comunità è avvenuta all'inter­ no della casa, ma il suo cammino è fuori, in mezzo all'umanità oppres­ sa e in opposizione ai poteri oppressori.

SINTESI morte di Gesù, ormai imminente, non dev'essere motivo di inquietu· dine per i suoi, poiché egli tornerà a essere presente in mezzo a loro; per di più, guardando al suo esito, dev'essere motivo di allegria, perché indica il culmine della sua missione e la realizzazione della sua opera, il suo stare definitivo con il Padre. L'esperienza futura di questa realtà confermerà la fede e l'adesione dei discepoli. Gesù si confronterà con i poteri ostili. Coloro che seguono Gesù e sono membri dell'umanità nuova cui egli è venuto a dar inizio, contano sull'aiuto del Padre e su quello di Gesù, non sono soli nel corso della storia. Il messaggio di Gesù dovrà essere vissuto in circostanze molto diverse. Bisogna ora vedere la missione di questo gruppo nell'umanità, e l'oppo­ sizione che incontrerà. La

611

Seconda sequen1.4 LA NUOVA COMUNITÀ IN MEZZO AL MONDO

(15,

1- 16, 33)

G v 15,1-6: La comunltl I n espansione • Io sono la vite vera, mio Padre è l'agricoltore. 2 Ogni tralcio che in me non produce frutto lo taglia, e ognuno che produce frutto lo va pulendo, perché dia più frutto. l Puliti voi già siete, per il messaggio che vi ho comunicato. • Rimanete con me, e io rimarrò con voi. Come il tralcio non può dar frutto da se stesso se non rimane nella vite, così nemmeno voi se non rimanete con me.

' Io sono la vite, voi i tralci. Colui che rimane con me - e io con lui questi produce molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6 Se uno non rimane con me, lo gettano fuori come i tralci, e si secca; raccolgono i tralci, li gettano nel fuoco e bruciano.

NOTE FILOLOG I C H E 15, l vera, gr. allthine. Cfr. l, 9, la luce; 4, 23 , gli adoratori; 4, 37, il pro­ verbio; 6, 32, il pane del cielo; 7, 28, l 'e sistenza di colui che lo inviò; 8, 16, il g iudizio di Gesù, la sentenza di Gesù (valida); 1 5, l, la vite; 17,3, Dio; 19, 35, la testimonianza.

2 lo taglia, gr. airei auto. Letter. lo toglie. - lo va pulendo, gr. kathairei auto. Il termine greco contiene un sema di purificazione, e stab ilisce un gioco di parole con il v ersetto 3 puliti (gr. katharol), rinviando alla lavanda dei piedi. Cfr. 13, 10.11; (N.d.T.). 3 Puliti. Cfr. 13, 10.11 nota. - il messaggio, gr. ton logon. Parola concreta, formulazione, il contenuto di un discorso; cfr. 1 , 1.14; 14, 2324; 15, 20; 17, 6.14.17.20. Rimanete, gr. meinate. Aor. che esprime una conferma o rinnovamento dell'atteggiamento che 'già si ha. - e io [rimarrò] con voi; e: gr. kai consec. Si aggiunge la parola tra pa­ rentesi per indicare la ì:lifferenza tra i due membri, espressa ellitticamente nel testo. La prima parte è un'esortazione, la seconda è una promessa. - da se stesso, gr. aph'heautou. Cfr. 5, 19. - rimane ... rimanete, gr. mené ... menete. Pres. cong. - con me, gr. en emoi. Applicando l'immagine della vite alla persona di Gesù, è preferibil e la trad. • con me •; cfr. 6, 56 nota. 4

6 Se uno non rim ane con me, lo gettarw fuori... e si secca. La costruzione greca, ean me tis meni (pres. cong) ... eblétM (aor. indie.) ... kai e:4:éran612

15, 1-16. La coanmtt• m npanslone

thé (aor. indie.), letter. se uno non restasse con me, lo gettarono fuori . . e si seccò, non rispetta la consecutio temporum. Si sarebbe potuto usare il presente (bal/etai, xérainetaz), ma idiomaticamente l'aor. indica inevitabilità e definitività dell'azione o stato. In it. si danno casi simili: per esempio, se non dà rett11., si è perso per se mpre, dove il passato è in luogo di un fu­ turo: si perderà per sempre. - lo gettano fuori, gr. eblethé ex6. Da bal/6; cfr. ekbal/6 ex6, cacciar fuori: 6, 37; 9, 3435 (dell'espulsione del cieco guarito); 12,31 (del capo di questo ordinamento). Il suo significato è passivo, correlativo di 15, 2: il Padre lo taglia. - raccolgono i tralci... bruciano, gr. kai sunagousin auta ... kaietai. A causa dell'alternarsi di soggetti diversi nel testo greco, si preferisce tra­ durre il pronome auta con il sostantivo, mentre la propos. coordinata kai kaietai viene resa con la congiunzione (e) (N.d.T.). .

CONTEN UTO E DIVISIONE In questa pericope inizia l'istruzione di Gesù circa l'identità e la situazione della sua comunità in mezzo al mondo. La comunità umana che egli fonda è il vero popolo di Dio, in opposizione a quello antico. L'identità gli viene dallo Spirito, che riceve continuamente da Gesù (la linfa della vita), lo mantiene unito a lui e gli assicura la fecondità. La pericope ha tre parti; la prima e la terza cominciano con affermazioni simili (15, 15: io sono la vite). La prima (15,1-2) parla dell'attività del Pa­ dre. La seconda (15, 3-4) espone la condizione perché la comunità produca frutto. La terza (15, �) presenta al discepolo l'opzione indispensabile per avere vita e produrre frutto abbondante. Riassumendo: 15, 1-2: Attività del Padre. 15, 3-4: La comunità: condizione per il frutto. 15, �: II discepolo: frutto e sterilità.

LffiURA Attività del Padre 1 5, l



lo sono la vite vera, mio Padre

è t'agricoltore».

La vite o vigna era il simbolo d i Israele come popolo di Dio. Cosl Sal 80, 9: • Hai divelto una vite dall'Egitto; per trapiantarla, hai espulso i popoli. Le hai preparato il terreno, hai affondato le sue radici e ha riempito la terra •. L'equivalenza vite /vign a appare nei vv 15s: « Visita questa vigna, proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato •· Fra altri testi, Is 5, 1.7: • Ca n t erò per il mio d i letto il mio cantico d'amore per la sua vigna. Il mio diletto p os sedeva una vigna sopra un fertile colle ... la 613

L'ora Jlnale. La Puqua del Messia

\'igna del Signore degli eserciti è la casa di Israele •: Ger 2, 2 1 : « Io ti avevo piantata come vigna scelta, tutta di vitigni genuini; ora, come mai ti sei mutata in tralci degeneri di vigna bastarda? »; Ez 19, 10-12: • Tua madre era come una vite piantata vicino alle acque. Era rigoglio­ sa e frondosa per l'abbondanza dell'acqua ... mirabile per la sua altezza e per l'abbondanza dei suoi rami. Ma essa fu sradicata con furore e gettata a terra; il vento d'oriente la disseccò, disseccò i suoi frutti » (cfr. Os 10, l ; 14, 8; Ger 6, 9; Ez 17, 5-10). L'affermazione di Gesù si contrappone ai testi deii'AT. :e lui la vite vera, il vero popolo di Dio, formato dalla vite con i suoi tralci. Non c'è altro popolo di Dio oltre quello che si costmisce a partire da Gesù. Continua il tema della sostituzione, iniziata nella scena di Cana (2, 1 - 1 1 ) . Egli è stato designato come l a luce vera, che s i oppone alla Legge ( 1 , 4-9; cfr. 8, 12), il vero pane del cielo, in contrapposizione alla manna (6, 32). Ora si definisce come il vero popolo di Dio. Come neii'AT, è Dio, il Padre di Gesù, che ha piantato questa vite. Egli stesso ne ha cura (cfr. Is 5, 1-7), dimostrandole il suo amore. La vigna è cosa del Padre, perché è la comunità che egli ha fondato. Le immagini vite/vigna sono equivalenti. Gv utilizza • vite • per mostrare la sua unità e la sua unica origine in Gesù. 2a

«Ogni tralcio che in me non produce frutto lo taglia

•·

Gesù comincia con un avvertimento severo, che già definisce la missio­ ne di questa comunità. Egli non ha creato un cenacolo chiuso né un ghetto, ma una comunità in espansione. Ogni tralcio che sia vivo deve dare frutto; ogni membro ha cioè una crescita da effettuare e una missione da compiere. II frutto è apparso già in 4, 36, con riferimento al raccolto di Samaria, in chiave universale, e in 12, 24 dove l 'avvicinamento dei greci (12, 20s) provoca la dichiarazione di Gesù. Il frutto è l'effetto della morte del chicco di grano, cioè dell'espressione dell'amore senza misura. Lo stesso frutto viene descritto in altri termini in 12, 32, come l'attrazione univer­ sale che Gesù eserciterà con l'essere levato in alto. I I frutto è la realtà dell'uomo nuovo. L'attività, espressione del dinamismo dello Spirito, è la condizione perché esso esista; si realizza a livello di individuo e di comunità (crescita) e a livello di propagazione (nascita dell'uomo nuovo, cfr. 16, 21), cioè in intensità e in estensione. Un tralcio non produce frutto perché non risponde alla vita che gli si comunica. Il Padre, che ha cura della sua vigna, lo taglia; è un tralcio bastardo, che non appartiene a questa vite. Gesù non esclude nessuno (6, 37), ma il Padre si. Nell'allegoria della vite, la sentenza prende l'aspetto di sfrondamento. Il Padre si incarica di sfrondare la sua vigna. Ma questa sentenza non è altro che la convalida di quella che l'uomo stesso si è data (cfr. 3, 17- 1 8; 5, 22) ; ricusando di amare e non dando retta al Figlio, si colloca nella zona dell'ira di Dio (3, 36). I l tralcio che non dà frutto è quello che appartiene alla comuni­ tà, ma non risponde allo Spirito. Quello che mangia il pane, ma non assimila Gesù.

614

15, 1-16. u comunltil In esp11D8Ione

2b



frutto

e

•-

ognuno

che

produce

frutto

lo va

pulendo,

p�rché

dia

più

Chi pratica l'amore deve seguire un processo ascendente, uno sviluppo, reso possibile dallo sfrondamento compiuto dal Padre. La sua attività è positiva (va pulendo) ed elimina i fattori di morte; lasciando che il tralcio/discepolo sia sempre più autentico, più libero, gli dà maggiore capacità di dedizione e ne aumenta l'efficacia. Come il chicco di frumento deve morire per produrre frutto abbondan­ te (12, 24), e la donna deve soffrire perché nasca l'uomo (16, 21), cosi anche il tralcio dev'essere sfrondato. Questa condizione per accrescere il frutto coincide con quella espressa in precedenza in termini di morte (12, 24), in quanto questa significa rinuncia al pr · oprio interesse, disaffe­ zione per la propria vita (12, 25). Lo sviluppo è stato esposto anteriormente dal punto di vista del discepolo, come il suo cammino verso il Padre attraverso il crescente dono di sé (14, 6b Lett.). Lo Spirito è un dinamismo che non si arresta. Non esiste uno stadio finale oltre quello dell'amore fino alla morte, come mostra Gesù (13, 1). L'intenzione del Padre è l'aumento del frutto, nella correlazione che esso contiene; frutto d'amore nel discepolo, e frutto di nuova umanità.

lA 3



comunità: condizione per il frutto

Puliti voi già siete, per il messaggio che vi ho comunicato

•·

I discepoli sono puliti, come Gesù aveva affermato (13, 10). Vi è pertan­ to una purezza iniziale e un 'altra dovuta alla crescita. La prima si realizza con l'innesto nella vite separandosi dall'ordinamento ingiusto, il che, da parte del discepolo, richiede la decisione di mettere in pratica il messaggio di Gesù (8, 31 Lett.). La seconda, compiuta dal Padre, mira alla fecondità di tale innesto. I discepoli, appreso il messaggio, pos­ sono già cominciare a dar frutto. Il discorso, che espone la realtà della comunità nel mondo, come società nuova e alternativa che comin­ cia con Gesù, vale per ogni epoca. Il termine • pulito • . che in linguaggio religioso si traduce con • puro •, mette questo passo in relazione con le purificazioni menzionate nella scena di Cana (2, 6) e in quella dei discepoli di Giovanni Battista (3, 25), e inoltre con la lavanda dei piedi (13, 10s). Le giare vuote di Caita erano una falsa promessa di purificazione; in quella scena Gesù promise la purificazione attraverso lo Spirito (vino nuovo) (2, 8-9 Lett.). Nell'episo­ dio dei discepoli del Battista, il battesimo di quest'ultimo veniva erroneamente interpretato come una purificazione rituale, mentre il suo significato era la rottura con l'ordinamento ingiusto (3, 25 Lett.); tale rottura è la condizione per essere purificati, dato che il peccato consi­ ste nell'appartenere a tale ordinamento (8, 23 Lett.). Nella cena, in risposta alla cattiva interpretazione di Pietro, Gesù spiegò ai discepoli che egli non lavava loro i piedi per purificarli, dato che già erano puri (13, 10-11 Lett.). In questo passo si menziona per l'ultima volta il tema e si attribuisce la purezza al messaggio ricevuto e accettato. 615

L'ora Roale. La Puqua del Menla

Si può ora fare la sintesi di questi dati dispersi. La purificazione viene prodotta dall'opzione a favore del messaggio di Gesù, che è quello dell'amore. Questo separa dal mondo ingiusto, e toglie pertanto il peccato. Il messaggio, al tempo stesso, in quanto diventa realtà nella vita nel discepolo, si identifica con lo Spirito, il dinamismo dell'amore. Chi, docile allo Spirito, prende l'amore fattivo come norma di vita (14, 2 1 : comandamenti) è puro, e l'attività del suo amore lo purifica sempre più. In riferimento alla lavanda dei piedi, non è l'essere lavato che purifica, ma il lavare i piedi agli altri; chi dimostra il suo amore, è pulito. Aspetto positivo del concetto • puro/pulito » è essere gradito a Dio e avere accesso alla sua presenza: soltanto chi pratica l'amore per gli altri piace a Dio (14, 23: mio Padre gli dimostrerà il suo amore); e non solo avrà accesso a Dio, ma il Padre verrà ad abitare con lui (14, 23).

4 • Rimanete con me, e io rimarrò con voi. Come il tralcio non può dar frutto da se stesso se non rimane nella vite, così nemmeno voi se non rimanete con me •. Gesù esorta i discepoli a rinnovare la loro adesione a lui, in funzione del frutto che devono produrre. L'unione a Gesù non è qualcosa di automatico né di rituale: richiede la decisione dell'uomo, e all'iniziativa del discepolo risponde la fedeltà di Gesù (e io rimarrò con voi). Questa vicendevole unione fra Gesù e i discepoli, visti qui come gruppo, è la condizione per l'esistenza della sua comunità, per la sua vita e per il frutto che deve produrre. La sua comunità non avrà vero amore per l'uomo senza l'amore per Gesù (14, 15: se mi amate, compirete i comandamenti miei), e senza amore per l'uomo non c'è frutto possibile. Il tralcio non ha vita propria, e pertanto non può dar frutto da solo, ha bisogno della Ji.nfa, cioè dello Spirito comunicato da Gesù. Interrompe· re il rapporto con Gesù significa tagliarsi fuori dalla fonte della vita e ridursi alla sterilità. L'assenza di frutto denuncia la mancanza di unione èon .Gesù (2 1 , 3 b Lett.).

Il discepolo: frutto e sterilità S-6 • lo sono la vite, voi i tralci. Colui che rimane con me e io corr lui - questi produce molto frutto, perché sem:a di me non potete far nulla. Se uno non rimane con me, lo gettano fuori come i tralci e si secca; raccolgono i tralci, li gettano nel fuoco e bruciano •. -

Gesù ripete ora la sua prima affermazione, in relazione non al Padre, ma ai discepoli. Fra lui e loro esiste un'unione intima. La stessa vita che è in lui circola nei suoi.

Colui che rimane con me - e io con lui - questi produce molto frutto. La frase di Gesù raccoglie quella pronunciata in 6, 56: chi mangia la carne mia e beve il sangue mio rimane con me, e io con lui. Questo spiega il significato dell'unione con la vite; consiste nel mangiare la sua e e bere il suo sangue, cioè nell'assimilare la sua vita e morte. espressioni del suo amore. Il testo allude all'eucarestia, spiegata come

carn

616

15, 1-16. La comunltè In esp1111slone

l'impegno con Gesù che porta all'im.pegno con gli altri. Questa assimila­ zione di Gesù è quella che produce il frutto. Ma, come si è visto, alla decisione dell'uomo risponde quella di Gesù {15, 4: e io rimarrò con voi) ; non si tratta pertanto di volontarismo, ma della capa'dtà che si riceve con la nuova vita, comunicata nell'eucarestia (6, 54: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita definitiva), purché questo significhi l'impegno già citato. In realtà chi si compromette in questo modo con Gesù rimane unito a lui e partecipa della sua stessa vita; è una comunione permanente con lui, come indicato dall'immagine della vite. II frutto di cui si parlava prima (15, 2.4) si chiama ora molto frutto, come nell'immagine del chicco di frumento (12, 24). Come allora, sup­ pone la rottura con il sistema ingiusto, fino al disprezzo della vita (12, 25). Gesù passa a considerare il caso contrario, la mancanza di risposta. L'avvenire di chi esce dalla comunità per mancanza di amore è c sec­ carsi », cioè la carenza totale di vita. Chi rinuncia ad amare rinuncia a vivere. L'allegoria termina con la descrizione della sorte dei tralci tagliati; sono un rifiuto: raccolgono i tralci, li gettano nel fuoco e bruciano. La fine è la distruzione. La morte in vita finisce nella morte definitiva, opposta alla vita definitiva di colui che assimila Gesù (6, 54).

SINTESI In mezzo alla società comincia a esistere l'umanità nuova. La sua esistenza non dipende da un'istituzione, ma dalla partecipazione alla vita di Gesù, dalla comunicazione del suo Spirito. Ogni membro è chiamato a produrre frutto. Con questo termine si esprime l'impegno del cristiano. Se Gesù ha dato ai suoi il comandamento di un amore come il suo, non per questo li chiude in se stessi; essi sono una comunità in espansione. Gesù crea l'alternativa al « mondo » oppressi­ vo: la società dell'amore vicendevole, espressione della vita e ambiente della libertà. Ma il suo obiettivo raggiunge l'umanità intera. L'impegno cristiano non è qualcosa di esteriore e di aggiunto, è il dinamismo di un'esperienza che cerca di comunicarsi. L'unione con Gesù e Io Spirito che egli infonde conducono necessariamente all'attivi­ tà. II frutto ha un duplice effetto inseparabile: la crescita personale e comunitaria, realizzata dal dono di sé agli altri. II Padre ha cura dei membri del suo popolo. La sua azione su ciascuno è l'eliminazione progressiva di ogni fattore di morte, per condurlo alla sua autenticità e alla sua pienezza, liberando così la capacità di amare da ta dallo Spirito.

617

Gv 15, 7-17: A..,., amicizia e frutto 7

Se rimanete con me e le mie esigenze rimangono fra di voi, chiedete ciò che volete e si realizzerà. 8 In questo si è manifestata la gloria di mio Padre: avete cominciato a produrre molto frutto per esservi fatti miei discepoli. ' Come il Padre mi dimostrò il suo amore, cosi io vi ho dimostrato il mio. Rimanete in questo mio amore. 10 Se compirete i miei comanda­ menti, rimarrete nel mio amore, come io continuo a compiere i coman· damenti di mio Padre e rimango nel suo amore. 11 Vi lascio detto questo perché vi portiate dentro la gioia mia e cosi la vostra gioia giunga al colmo. 12

Questo è il comandamento mio: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Il Nessuno ha amore più grande per gli amici di uno che consegna la propria vita per loro. 14 Voi siete miei amici se fate ciò che vi comando. 15 No, non vi chiamo servi, perché un servo non è al corrente di ciò che fa il suo signore; voi, sempre vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che udii da mio Padre ve l'ho comunicato. 16 Non avete scelto voi me, io ho scelto voi, e ho stabilito che andiate, produciate frutto e il vostro frutto duri; così, qualunque cosa chiediate al Padre in unione con me, ve la darà. 17 Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

NOTE FILOLOGICHE 15, 7 fra di voi, gr. en humin. Cfr. 5, 38. - e si realizzerà, gr. genesetai humin. Il dat. per voi è superfluo in it.

8 si � manqestata la gloria. Cfr. 7, 39 nota. - avete cominciato, ecc. Si veda El Aspecto Verbal, n. 187. (La partic. gr. hina non è consecutiva ma collega la propos. alla principale per svilup­

parla. N.d.T.).

mi dimostrò il suo amore. Aor. manifestativo di agapa6, cfr. 3, 16; IO, 17; 14, 21.23.

9

IO

continuo a compiere, gr. tetereka. La necessaria simultaneità con men6 al presente. Cfr. El Aspecto Verbai, 246 e 248.

mostra trattarsi di un pf. estensivo fino

nn.

Il Vi lascio detto. Cfr. 14, 25. - perché vi portiate dentro, gr. en humin �. Durativo. - la gioia mia, gr. he khara he eme. « Mia • in italiano può significare p�

prietà esclusiva o semplice mente caratteristica, come in questo

-

caso.

la vostra gioia giunga al colmo. Cfr. 3, 29.

13 Nessuno ha amore più grande per gli amici, ecc. L'anticipazione al � cipio del primo membro del pronome gr. tautes, che esprime il termine

618

15, 7-17. Amore, amicizia e frutto

di p aragone (di questo), equivale ad anticipare tutto il secondo membro:

maggiore amore di quello di uno che consegna la propria vita per i suoi amici nessuno lo ha, facendo sottindere lo stesso complemento nei due membri (nessuno lo ha per gli amici). Gesù spiega il suo comandamento, l'amore

intracomunitario, che fonda l'alternativa alla società.

15 No, non vi chiamo, gr. ouketi. Anche se comunemente significa • non più», si usa anche come negazione enfatica (cfr. 21, 6; Mc 5, 3). Gesù non ha mai chiamato • servi • i suoi; il tennine è apparso soltanto in un pro­ verbio (13, 16 Lett.; 15, 20), mentre ha chiamato «nostro amico» Lazzaro (Il, Il; cfr. Il, 3) ed è stato qualificato come amore il rapporto fra Gesù e i tre fratelli, figure di discepoli (Il, 5), e fra Gesù e i suoi discepoli in generale (13, 1 .34; 14, 1 521; 15, 9, ecc.). Il dominio del signore (correlativo di servo) è rimasto escluso nella lavanda dei piedi (13, 14) e lo è nuova­ mente in questo versetto (cfr. 6, 10 Lett.). - sempre vi ho chiamati, gr. eireka. Pf. estensivo fino al presente.

16 che andiate. Il testo gr. aggiunge humeis enfatico ( = voi), che in italiano risulta eccessivamente pesante per la sua indeclinabilità e per la ripetizione nel corso del versetto. - in unione con me. Cfr. 14, 13.

CONTENUTO E DIVISIONE Gesù chiama i suoi all'amicizia con lui e tra loro; il modello di amJCJZla l ui stesso, che dà la vita per i suoi amici. La dedizione agli altri secondo la volontà di Gesù farà p arteci pare i discepoli alla sua gioia per il frut­ to che produce. Essi si dedic heran no con lui a un impegno che sen­ tono come proprio: non saranno servi di un signore, ma uomini liberi che, uniti a lui dal vincolo dell'amicizia, lavorano con lui nel suo stesso compito. Gesù comincia esortandoli a rispondere al suo amore per partecipare alla sua gioia (15, 7-1 1). Spiega il suo comandamento in tennini di amicizia ed espone loro la finalità dell'elezione (1 5,12-17).

è

Si può dividere:

15, 7-11: La fedeltà, conclizione per la gioia. 15, 12-17: Impegno comune nell'amicizia.

LETIURA La

fedeltà, condizione per la gioia

« Se rimanete con me e le mie esigenze rimangono f ra di voi, chiedete ciò che volete e si realizzerà ».

15, 7

Prosegue il tema della fecondità: il frutto si fonda anche sull'efficacia della r i chi est a. Questa si compirà quando Gesù se

ne sarà

andato,

619

L'ora finale. La Puqua del Meuia

perché la sua partenza non signffica abbandono. Gesil risponde all 'ade­ sione dei suoi facendosi solidale con loro nell'attività, senza alcun limite (ciò che volete). La condizione perché Gesù si associ loro in questo modo è che i discepoli rimangano uniti a lui. Se c'è separazione, si interrompe il flusso della vita. La condizione descrive i due aspetti inseparabili della comunione con Gesù: con la sua persona (con me) e col suo messaggio (le mie esigenze). Non si può dare adesione a queste esigenze senza darla alla sua persona (14, 15 Lett.). Qui, tuttavia, non si tratta unicamente dell'adesione di ciascuno alle esigenze di Gesù; la frase esprime qualcosa di più: le esigenze creano l'ambiente della comunità (fra di voi) . Questa espressione si oppone al rimprovero fatto da Gesù ai dirigenti giudei riguardo al messaggio di Dio (5, 38: neppure conservate fra voi il suo messaggio). Per giustificare la loro prassi si erano creati una dottrina che contraddiceva il vero messaggio che Dio aveva loro trasmesso nella storia e nella Scrittura (5, 37b-38 Lett.). Gesù, invece, attende dai suoi che l'adesione a lui mantenga vivo tra loro il suo messaggio, nella molteplicità delle esigenze concrete dell'amore per l'uomo. Dev'essere questa l'atmosfera in cui essi vivono. Quando nella comunità regna questo clima di unione con Gesù e di dedizione alla missione, la comunità può chiedere ciò che vuole: la sintonia con lui, creata dall'impegno a favore dell'uomo, stabilisce la collaborazione attiva di Gesù con i suoi. Il tema della richiesta e del frutto si trova al principio e alla fine della pericope (15, 7-8.16). Chiedere significa affermare la comunione con Gesù e riconoscere che la potenza di vita proviene da lui. Lo Spirito, la forza di vita, è indivisibile: è Io stesso in lui e nei suoi. L'unione del gruppo con Gesù fa sl che esso possa disporre della forza di Dio a favore dell'uomo (5, 21.26; 6, 11; 11, 41), per continuare la sua stessa attività. 8 • In questo si è manifestata la gloria di mio Padre: avete cominciato a produrre molto frutto per esservi fatti miei discepoli •.

La gloria, che è l'amore del Padre, si manifesta nell'attività dei discepo­ li, che continuano a lavorare a favore dell'uomo (5, 18). Questa consta­ tazione riferisce il versetto al contesto delle comunità successive. Gesù parla nell'ambito della sua comunità, che è in mezzo al mondo, sotto forma di messaggio profetico. Lo Spirito sta portando i discepoli a comprendere (14, 26). Tale stile profetico chiarisce anche l'uso dei tempi (si è manifestata ... avete cominciato a produrre molto frutto) : è un'esperienza del gruppo in missione. « Come il Padre mi dimostrò il suo amore, così io vi ho dimostrato il mio •.

9a

Il Padre mostrò tale amore per Gesù con la comunicazione dello Spirito (1, 32.33). che era la comunicazione della sua gloria o del suo amore fedele (1, 14). Gesù dimostra il suo amore per i discepoli nello stesso modo, comunicando loro la forza del proprio amore, lo Spirito che è in lui (7, 39). L'unione a Gesù-vite, esposta nella pericope prece­ dente, si esprime ora in termini di amore; la fecondità è l'effetto della sua comunicazione. Gesù parla al passato del dono dello Spirito. Gv 620

15, 7·17. Amore, amicizia e frutto

continua ad anticipare ciò che avverrà a partire dalla morte e risurre­ zione.

9b



Rimanete in questo mio amore •.

Come risposta permanente all'amore che egli ha mostrato loro, Gesù chiede ai suoi discepoli di vivere nell'ambito di questo suo amore. :e la caratteristica dello Spirito ricevuto: un amore che risponde al suo amore (l, 16). La comunità è quindi il luogo delimitato dall'amore di Gesù, dove ne sono visibili gli effetti: quest'amore è la sua atmosfera e la sua esperienza. Questa esortazione traduce quella di 15, 4: rimanete con me, e io rimarrò con voi, e anch'essa è condizione per il frutto. lO



Se compirete i miei comandamenti,

rimarrete nel mio amore,

come io continuo a compiere i comandamenti di mio Padre e rimango nel suo amore

•.

Gesù mette in parallelo la relazione dei discepoli con lui e la sua con il Padre (lO, 15). In entrambi i casi è la fedeltà caratteristica del vero amore (l, 14: amore e lealtà; cfr. l , 16.17). Compiere i suoi comanda· menti equivale a mantenersi nel suo amore. Insiste sulla necessità della prassi come criterio dell'unione con lui. Non esiste amore per Gesù né vita sotto il suo influsso che non si risolva nell'impegno verso gli altri. Gesù compie i comandamenti di suo Padre, e così si mantiene nel suo amore. I comandamenti o incarichi del Padre a Gesù si identificano con la sua missione: quella di salvare l'umanità (3, 17; 12, 47); l'ha realizzata liberando dall'oppressione della Legge (2, 13ss; 5, lss), aprendo gli occhi di quanti vivevano nella schiavitù ancestrale (9, lss) e dando vita all'uomo morto (11, lss). I discepoli sono frutto del suo impegno (15, 9). Ora chiede loro, come risposta, di compiere i suoi comandamenti, gli stessi che egli ha ricevuto dal Padre, trasmettendo la vita che hanno ricevuto. Come già in precedenza (14, 21), il plurale • comandamenti • si riferisce al lavoro per l'uomo, che realizza le opere di Dio (9, 3s). La figura della vite sottolinea la necessità dell'inserimento per produrre frutto. Ora viene sostituita dallo spazio dell'amore, e si ricorda la condizione per rimanere in lui: l'attività a favore degli altri (i suoi comandamenti). Gesù dà ai suoi discepoli un criterio oggettivo per valutare il loro rapporto con lui e con il Padre: l'amore fattivo. La realtà della salvezza è verificabile; il discepolo può sapere se si mantiene nell'amore di Gesù, come Gesù sa di mantenersi nell'amore del Padre (cfr. l Gv 3, 14: noi sappiamo di esser passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli) . L'angoscioso interrogativo sul favore di Dio, ha trovato la sua

risposta affermativa nella dedizione al bene dell'uomo. Soltanto la dedizione agli altri può dare la certezza di essere oggetto dell'amore di Dio. Questo è il criterio che discerne l'autenticità dell 'esperienza inte· riore. Senza quest'amore non esiste vincolo con Gesù né, pertanto, esperienza del Padre, che si manifesta in lui (12, 45; 14, 9) . Se non esiste l'amore, non resta altro che il vuoto, l'assenza di Dio; Dio potrà essere immagi· 621

L'ora finale. La Pasqua del Mesala

nato, ma non sperimentato, poiché chi non ama non può av�re rap)'orti con il Padre. Questo vuoto viene colmato da dèi falsi, che prendono il posto del Padre, unico Dio vero ( 17, 3). Il • Vi lascio detto questo perché vi portiate dentro la gioia mia e così la vostra gioia giunga al colmo ». Per la prima volta nella Cena appare il tema della gioia di Gesù, cui i discepoli partecipano (cfr. 16. 20.22.24; 1 7, 13), tema già incontrato nel­ l'episodio della samaritana, in relazione con il frutto della missione compiuta (4, 36: cos ì si rallegrano entrambi, seminatore e mietitore), e sarà sviluppato in 16, 20-24, dove la gioia si attribuisce alla nascita dell'uomo (16, 21 Lett.). Tale gioia • oggettiva » per il frutto che nasce (15, 8: molto frutto) è inseparabile dalla gioia • soggettiva •: l'amore praticato produce l'espe­ rienza dell'amore. Gesù, per la sua donazione e attività a favore del­ l'uomo (15, 10: compiere i comandamenti del Padre), vive circondato dall'amore del Padre (rimango nel suo amore); i discepoli, dedicandosi come lui (a compiere i suoi comandamenti), vivono circondati dall'amore di Gesù (rimarrete nel mio amore). Ma Gesù condivide con essi anche la sua stessa gioia, quella che nasce dal frutto della sua morte e dall'esperienza del Padre, per portare al colmo quella dei discepoli.

Impegno comune nell'amicizia 12 «Questo è il comandamento mio: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho ama ti •.

Il comandamento che costituisce la comunità di Gesù e le dà la sua identità (13, 34) è, al tempo stesso, il fondamento della missione. Gesù lo annuncia ora per la seconda volta, in relazione con il frutto (15, 16). Comunità e missione non sono due cose distinte né separabili: dove non esiste la comunità e l'amore vicendevole, non può esistere la missione di Gesù. Come Gesù, nella sua attività, manifesta la presenza del Padre fra gli uomini, così deve fare la comunità; ma Dio si rende presente e attivo soltanto dove esiste un amore come quello di Gesù, espresso dal suo comandamento. Non si può proclamare il messaggio dell'amore senza fondarlo sull'esperienza dell'amore, né è possibile offrire l'alternativa al mondo ingiusto senza creare la nuova comunità. Nel versetto precedente Gesù aveva parlato dei « suoi comandamenti • (15, 10); il comandamento offre la base all'attività. « Nessuno ha amore più grande per gli amici di uno che consegna la propria vita per loro ».

13

Gesù indica qual è l'apice dell'amore, quello che si verificherà nella sua prossima morte. La frase che adopera è tuttavia indeterminata: uno che consegna la propria vita. Con questo Gesù propone il principio per tutti i suoi discepoli. È il grado sommo dell'amore, che spiega perfetta­ mente il contenuto del suo comandamento. Come io vi ho amati 622

15, 7-17. Amore,

amicizia e rrutto

(13, 34; 15, 12) significa la disposizione a dare la vita, la decisione di non porre limiti alla dedizione. 14



Voi siete miei amici se fate ciò che vi comando ».

Nell'allegoria della vite Gesù descriveva l'adesione a lui come legame volontario e permanente (15, 4). Spiega ora l'adesione in termini di amicizia, fondata sulla somiglianza con lui creata dalla pratica dell'a­ more. L'amicizia nasce dalla comunità di ideali e dalla comune vita di dedizione agli altri. Gesù è passato, pertanto, dall'espressione metaforica locale (15, 4: ri­ manete con me, innestati nella vite) alla relazione personale (essere amici): condizione per • il frutto • è compiere il suo comandamento. L'amicizia con Gesù si fonda sul possesso dello stesso Spirito, che è il suo amore comunicato. Non si può essere amico di Gesù se non secondando il dinamismo dello Spirito, che porta all'amore dei fratelli.

15a c No, nort vi chiamo servi, perché un servo non � al corrente di ciò che fa il suo signore; voi, sempre vi ho chiamati amici •· In 13, 13s Gesù dichiarava di essere maestro e signore, ma in modo nuovo. Nella lavanda dei piedi era stato il primo nell'impegno di servizio che tutti devono praticare. Gesù manifestava in quell'occasione il rapporto d'amore e solidarietà che egli instaura fra gli uomini (4, 7-8 Lett.). Qui appare la stessa cosa da un altro punto di vista: l'amore vicendevole rende figli di Dio e mette i discepoli al livello di Gesù. Colui che qui li chiama amici, li chiamerà anche fratelli (20, 17). Gesù richiede, pertanto, che il rapporto fra i suoi discepoli e lui sia di amicizia. Essendo il centro del gruppo, non se ne colloca al di sopra. Vuole essere compagno dei suoi nell'impegno comune. Nel contesto di missio­ ne, l'amicizia con Gesù significa la collaborazione in un lavoro conside· rato comune e sotto la responsabilità di tutti; per questo la gioia della missione viene condivisa con Gesù (15, 1 1). I discepoli non sono servi al soldo di un signore, ma amici che volontariamente collaborano nella realizzazione della missione (cfr. 12, 26). Il gruppo di amici vive con Gesù, in comunicazione e fiducia. Egli è con loro e ne condivide la vita (14, 23

Lett .).

La relazione di amicizia è quella caratteristica del gruppo, rispetto a Gesù e fra i suoi membri. Prima, parlando di Lazzaro ( 1 1 , 1 1 ), Gesù lo aveva chiamato «nostro amico»: Gesù si integra nel suo gruppo. L'uguaglianza e l'affetto creano la libertà; questa è la testimonianza dei suoi di fronte al mondo e l'alternativa che essi offrono. Da questo dipende il frutto.

15b

« perché tutto ciò elle udii da mio Padre ve l'ho comunicato

•·

La differenza fra il servo e l'amico si basa sull'assenza o esistenza della familiarità. Gesù definisce quindi l'amicizia da due tratti: la familiarità piena e la prontezza nel dar la vita. Egli, che sta per morire per i suoi amici, non ha segreti per loro. Ciò che Gesù ha loro comunicato, per averlo udito dal Padre, è il suo disegno sul mondo e i mezzi per

623

L'ora finale. La Pasqua del Meula

realizzarlo. Sono la persona e l'attività di Gesù a rivelare il "'Padre (1, JB; 14, 9.11), non proponendo enunciati sull'essere di Dio, ma mostrando con la sua attività che il Padre è amore senza limite e lavora a favore dell'uomo (5, 17). La comunicazione fra amici non è certo quella fra maestro e discepolo: è terminato l'apprendistato, poiché Gesù ha loro comunicato tutto. In queste pericopi (15, 1-6: la vite e i tralci, 15, 7·17: l'amore), i verbi che descrivono la relazione con Gesù sono « rimanere, restare con me, rimanere nel suo amore », che indicano compagnia, vicinanza, compe­ netrazione, situazioni vitali che vanno molto al di là dell'insegnamento. Si può apprendere senza insegnamento, per· sintonia' e comunione. II tipo di rapporto fra i discepoli e Gesù è quello che egli ha con il Padre (10, 14s; 14, 10-11.20; 15, 9s). Come Gesù vive per il Padre (6, 57), cos}, a sua volta, è centro e origine della vita dei discepoli (vite) . In entrambi i casi c'è una comunicazione di vita, che non produce tuttavia subordina­ zione (cfr. 5, 1 8; 10, 30.33; 17, 10), ma compenetrazione e intimità (14, 20 . Lett.). J 6a



Non avete scelto voi me, io ho scelto voi ».

Il detto di Gesù si riferisce a ogni discepolo. Se in 6, 70 si applica ai Dodici, questi, di conseguenza, rappresentano la comunità cristiana in quanto nuovo popolo, indipendente dall'antico Israele ed erede delle sue promesse. e certo che Gesù non respinge nessuno di coloro che si accostano a lui (6, 37), ma tale affermazione non denota un atteggiamento passivo da parte sua, dato che esisteva già un amore previo alla decisione dell'uo­ mo. L'amore di Gesù la precede e la segue, senza forzarla. In un certo modo Gesù ha scelto l'umanità intera, dato che è venuto a salvare il mondo (3, 17; 12, 47) ; quando l'uomo si avvicina, tale elezione viene concretizzata e realizzata dall'accoglienza di Gesù. La frase esprime l'esperienza di ogni cristiano, che, anche se cosciente della sua libera opzione, sa di non poter attribuire soltanto alla propria iniziativa la condizione di membro della comunità di Gesù. Il suo avvicinamento a lui è stato una risposta. Questa coscienza è il fondamento dell'azione di grazie. • e ho stabilito che andiate, produciate frutto e il vostro frutto duri »,

16 b

Gesù ha eletto i discepoli per una missione simile alla sua (17, 18; 20, 21). Nel contesto di quella cultura tale frase acquista un grande significato: i discepoli non sono lavoratori a giornata che supplicano di essere ammessi al lavoro: sono collaboratori scelti da Gesù prima che essi si potessero offrire. Non li ammette in condizioni di inferiorità, ma su un piano di amicizia e di aiuto (12, 26). Scopo della sua chiamata è la missione: questa appartiene all 'essenza del discepolo. Torna a eliminare ogni pretesa di comunità chiusa; essi devono continuare il suo impegno verso l'umanità. In tale missione, inoltre, dà loro libertà (cfr. 10, 18; 13, 3); saranno loro ad andare, a produrre un frutto che è loro, e un frutto durevole. Gesù non tiene 624

15, 7-17. Amore, amicizia e frutto

stretti a sé i suoi, li rende adulti perché essi seguano i suoi passi; ni! la missione crea dipendenza. I discepoli devono andare a percorrere, in mezzo all'umanità, il loro cammino verso il Padre (14, 6), quello della progressiva dedizione agli altri. Nell'attività il Padre e Gesù saranno con loro (14, 23). Il proposito di Gè sù è condurre a termine la creazione dell'uomo; fare uomini adulti, liberi e responsabili, animati dal suo stesso Spirito, che riprodu. cano i suoi tratti in mezzo al mondo. Attraverso di loro si realizzerà la salvezza. Gesù si attende che l 'impegno dei suoi abbia un impatto durevole, che vada cambiando la società: clte il vostro frutto duri. L'efficacia della realizzazione non si misura tanto dalla sua estensione quanto dalla profondità, dalla quale dipende la durata del frutto. Quanto più forte sarà il vincolo creato con Gesù e l'intensità della sua vita nei nuovi membri, più il frutto sarà permanente. 16c • così, qualunque cosa chiediate al Padre in rmior1e con me, ve la darà • .

La dedizione a realizzare le opere d i Dio (9, 4 ) , che è l a sostanza della missione, mette la forza del Padre a disposizione di tutti. Attraverso di loro si spande il torrente del suo amore, che essi si propongono di manifestare. Il Padre, in Gesù, comunica loro la sua forza, rendendoli idonei alla missione liberatrice. In 14, 13 Gesù aveva esposto l'efficacia della richiesta anche in relazione alla futura attività dei discepoli, che non sarà minore della sua. Ora la mette in relazione con il frutto; li assicura che l'amore del Padre sosterrà sempre il loro operato, per realizzare il suo disegno. In 15, 7 ha esposto la condizione: essere uniti a lui e al suo messaggio. 17



Questo vi comando, che vi amiate gli uni gli altri

•·

Per concludere la sezione sull'amore, Gesù ripete il suo comandamento (15, 12), condizione per essere uniti a lui e produrre frutto. La ripeti­ zione, che sottolinea l'unicità del comandamento, lo trasforma in proto­ tipo e punto d'origine d'ogni comandamento (15, IO) ed esigenza ( 1 5 , 7). Se questo comandamento verrà compiuto, si attualizzerà fra loro la presenza di Gesù (13, 17 Lett.), il cui amore darà l'impulso al gruppo e lo sosterrà nella sua attività a favore dell'uomo. Al tempo stesso è un avviso : se esiste questa qualità d'amore, la comunità si può riconoscere come comunità di Gesù, altrimenti manca l'essenziale. Nessun'altra realtà lo può sostituire, né la fedeltà a Gesù si può esprimere se non attraverso la pratica dell'amore vicendevole.

SINTESI Identificato con Gesù e col suo messaggio, il gruppo h a l a sua piena solidarietà e fondamento. L'amore del Padre si manifesta nel frutto prodotto dalla comunità, la cui attività non è altro che la prosecuzione 625

L'ora Hnale. La Puqua del Messia

dell'amore di Dio che offre vita all'uomo, perché questo esca dalla situazione di morte in cui si trova. Gesù propone in un'altra chiave la missione della comunità e la condi­ zione della sua fecondità. Nella pericope precedente le aveva esposte sotto l'immagine dei tralci (discepoli) che devono dare frutto (missione) per la loro unione alla vite (Gesù), piantata dall'agricoltore (il Padre). Ora cambia l'immagine con quella degli amici scelti per collaborare nel suo lavoro. La condizione è mantenersi uniti a lui col vincolo del­ l'amore. Gesù realizza i comandamenti del Padre, esprimendo così il suo amore verso di lui. I discepoli realizzano quelli che Gesù ha ricevuto dal Padre: esprimono così la loro amicizia con lui e rimangono uniti al Padre. Questo nuovo modo di esporre il rapporto fra il Padre, Gesù e i discepoli, toglie qualunque ambiguità al vincolo espresso in precede!Uia sotto l'immagine della vite. Si compie attraverso un amore che è risposta al suo, ma Gesù esclude espressamente l'amore e l'adesione tipica dei servi: si tratta di amicizia che giunge fino a dare la vita per gli amici. La missione della comunità acquista così una dimensione nuova: i discepoli non l'esercitano come salariati, impiegati per realiz­ zare il lavoro di un signore ed eseguire i suoi ordini, ma come amici che condividono la sua gioia nella comune realizzazione.

626

Gv 15, t1t-25: L'odio del mondo 1 s Quando il mondo vi odierà, tenete presente che prima di voi ha preso in odio me. 1 9 Se apparteneste al mondo, i l mondo vi amerebbe come cosa sua; siccome non appartenete al mondo, ma vi ho scelti e tratti fuori dal mondo, per questo il mondo vi odia.

20 Ricordatevi del detto che io stesso vi ho citato: « Un servo non è da più del suo signore ». Se hanno perseguitato me, anche voi perseguite­ ranno; se hanno spiato il mio messaggio, anche il vostro spieranno. 2 1 Ma tutto questo lo faranno contro di voi perché siete dei miei, dato che non vogliono riconoscere colui che mi mandò. 22

Se io non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero manifestato la loro ostinazione nel peccato; ma ora non hanno scusante per il loro peccato. 23 Odiare me significa odiare mio Padre. 24 Se io non avessi fatto fra di loro opere che nessun altro ha fatto, non avrebbero manifestato la loro ostinazione nel peccato; ora però le hanno viste personalmente, tuttavia hanno preso in odio tanto me quanto mio Padre. 25 Ma cosl si compie il detto che sta scritto nella loro Legge: c Mi odiarono senza ragione » .

NOTE FI LOLOGICHE 15, 1 8 Quando, gr. ei. U1 trad. con la condizionale se darebbe il falso si­ gnificato della possibile assenza di odio da parte del mondo, mentre il testo espone tale odio come inevitabile: cfr. 15, 19; 17, 14. - hQ preso in odio me. gr. eme ... memiséken. Pf. di stato cominciato nel passato e che continua. Se apparteneste al mondo. Per il significato dell'espressione einai ek, 8, 23. - vi ho scelti e tratti fuori dal mondo, gr. eg6 e,;elexamén humas ek tou kosmou. U1 prep. ek, dinamica, indica il movimento dal pWJto di partenza 19

cfr.

(il mondo). In it. è necessario supplire al verbo di movimento, che dal punto di vista di Gesù è trarre fuori/fare uscire. I l motivo dell'odio sarà l'effe tto dell'elezione (trarre fuori). Per questo si pone in it. come verbo principale.

20 del detto che ... vi ho citato. Cfr. 13, 16. - io stesso, gr. ego. Enfat ico, in opposizione implicita a qualWJque altro. - hanno spiato il mio messaggio, gr. ton logon mou eteresan. Anche se tlrein ton /ogon, in Gv significa di solito • compiere il messaggio • (8, 51 .52.55; 14, 23; 17, 6), in questo passo, in parallelo con eme edi6xan e compreso in tutto questo lo faranno contro di voi • (15, 21), ha necessariamente si­ gnificato ostile (cfr. Gn 27, 36; Ger 20, 10; M t 27, 36.54; At 12, 5; 16, 23; 24, 23). L'uso del verbo tere6 in questo contesto, con un significato cosi diverso da quello usuale , è probabil men te ironico. •

21

contro di voi, gr. eis. Con significato ostile, cfr. 8, 26 nota; 9, 39.

627

L'ora llnale. La Pasqua del Messia

- perché siete dei miei, gr. dia to orumta mDU. Perché i discepoli di Gesù portano il suo nome (cristiani) e proclamano l'adesione alla persona di lui. non vogliono riconoscere, gr. ouk oidasin. Mancanza di conoscenza colpe­ vole (cfr. 15, 24), non mera ignoranza. -

22 non avrebbero manifestato la loro ostinazione nel peccato, gr. hamartian ouk eikhosan. La seconda parte della frase nun de prophasin ouk ekhousin peri tes hamartias auton, mostra che ciò che è cambiato con l'attività di Gesù è una situazione rispetto al peccato già esistente: ora non hanno scusante per il loro peccato. Pertanto il significato di hamartian ouk ei· khosan non è semplicemente non avrebbero peccato. Il parallelo di questa frase si incontra in 9, 41: ei tuphloi éte ouk an eikhete hamartian; nun de legete hoti blepomen, hé hamartia hum6n menei; avevano peccato, perché non erano ciechi; l'operato di Gesù era stato una occasione per rettificare: ostinandosi nel loro atteggiamento, il loro peccato persiste. - Ekh6 è cosl da un lato risultante, equivalente a un pf. (cfr. El Aspecto Verbal, n. 108): il peccato che hanno è lo stato conseguente a un atto pre­ cedente (l'opzione contro Gesù), che ha confermato il loro precedente pec· cato; la loro ostinazione li mantiene in esso. D'altra parte, è anche mani· festativo: opponendosi a Gesù e volendogli dare la morte ( I l , 53), mostrano la propria ostinazione nel peccato. La traduzione letterale: non avrebbero pecctlto, crea una contraddizione col secondo membro (ora non hanno scusante), che suppone il peccato già esistente. Quella che tenga in conto soltanto l'aspetto risultante: non si sareb­ bero ostinati nel loro peccato, produce l'impressione che Gesù sia col· pevole di tale ostinazione. t; necessario, pertanto, esprimere anche l'aspetto manifestativo: non avrebbero manifestato la loro ostinazione nel peccato. Lo stesso in 15, 24. 23 Odiare me, ecc., gr. ho eme miSon. La costruzione participiale enuncia un principio generale che in it. si esprime meglio con l'infinito, cfr. 5, 23 nota. 24 le hanno viste personalmente. Forza del pf. he6rakasin, cfr. l, 34 nota. - preso in odio, gr. memisékasin. Cfr. 15, 18 nota. - tanto ... quanto, gr. kai ... kai. Cfr. 2, 2.

CONTEN UTO E DIVISIONE La pericope è chiaramente delimitata dal tema dell'odio: 1 5 , 18: ha ?Teso

in odio me; 15, 25: mi odiarono senza ragione. Questo tema si oppone a quello dell'amore, sviluppato nella pericope pre­ cedente, 15, 12-27, con cui forma un dittico collegato dalla duplice men· zione dell'elezione fatta da Gesù (15, 16.19); nella pericope precedente, questa fondava la missione, cioè l'attività a favore dell'uomo (amore) propria della comunità caratterizzata dall'amore vicendevole. In questa pericope l'elezione, che trae i discepoli fuori dal mondo, provoca l'odio contro di loro. Si divide in tre paragrafi. Il primo (15, 13-19) espone l'inevitabilità del­ l'odio, per la rottura dei discepoli con il sistema d'ingiustizia (mondo). Il secondo (15, 20.21) annuncia la persecuzione, per la loro adesione a Gesù. che è adesione a Dio. Il terzo (15, 22-25) espone come tale odio sia inescu· sabile dopo il messaggio e l'attività di Gesù.

628

15, 18-ZS. L'odio del moDdo

Riassmnendo:

... , ..

.

15, 18-19: La rottura, causa dell'odio del mondo. 15, 20.21: L'adesione a Gesù, causa di persecuzione. 15, 22-25: Responsabilità dei dirigenti.

LETIURA La

rottura, causa dell'odio del mondo

15, 18 • Quando il mondo vi odierà, tenete presente che prima di voi ha preso in odio me •· • II mondo •, nome collettivo, designa il gruppo o sistema di potere che organizza la società e i suoi aderentL Nel racconto evangelico si identifica con l'istituzione religiosa, con il suo centro a Gerusalemme (7, 1 .7), anche se in questo contesto, senza alcuna determinazione e all'interno della prospettiva della missione, il suo significato si amplia per includere ogni sistema ingiusto. Continua lo stile profetico. Si suppone che la comunità soffra persecuzione, e Gv le ricorda, per bocca di Gesù, che questa è la prosecuzione inevitabile di quanto avvenuto con Gesù stesso. L'odio è quello che il mondo ha per la luce, che denuncia chiunque opera in modo perverso (3, 20); è l'odio contro l'uomo. « Il mondo • odia Gesù appunto per la denuncia che questi fa del suo modo d'agire (7, 7).

19a • Se apparteneste al mondo, il mondo vi amerebbe come cosa sua •Il favore o la disgrazia davanti • al mondo • dipendono dall'accettazione o meno dei suoi valori. • II mondo • esige che gli individui si integrino in esso, conformandosi ai suoi principi (cfr. 5, 43) senza essere distur­ bati dalla sua ingiustizia; offre dimostrazioni di amicizia a quanti si pongono dalla sua parte. Non si dimentichi che • il mondo • è, per Gesù, radicalmente ingiusto: il nemico mortale dell'uomo (8, 44 : omici­ da, cfr. Lett.). Godere del suo favore significa aver manifestato i n qualche modo i l proprio accordo con i l suo modo d'agire perverso (cfr. 7, 7) . .

19b • siccome non appartenete al mondo, ma vi ho scelti e tratti fuori dal mondo, per questo il mondo vi odia ». I discepoli hanno rotto con il mondo, per effetto dell'elezione di Gesù. Non si può essere con Gesù e con il mondo: optare per Gesù è rompere con il mondo (8, 3 1 ; cfr. M t 6, 24). Tale è l'esodo cui Gesù invita: il passaggio dalla schiavitù alla libertà (8, 36) , dalla morte alla vita (5, 24). La frase vi ho scelti ripete quella di 15, 16: io lzo scelto voi, e ho stabilito che a n d iate , produciate frutto e il vostro frutto duri. Per 629

L'ora finale. La Pasqua del Messia

produrre frutto è quindi indispensabile essere usciti dall'ordinamen­ to ingiusto. Essere dalla parte di tale ordinamento è il peccato (8, 2 1 . 23), perché s i tratta d i un ordinamento oppressore dell'uomo (5, 10; 9, 14), e pertanto si oppone a Gesù e al disegno del Padre (cfr. 6, 40; 10, 10). Odia i discepoli come odia Gesù (7, 7), perché non si integrano in esso né si rendono complici della sua ingiustizia.

L'adesione a Gesù, causa di persecuzione 2 0a

« Ricordatevi del detto che io stesso vi ho citato: " Un servo 11011 A da più del srw signore". Se hanno perseguitato me, anche voi persegui­ teramro ».

Gesù ripete la prima parte del proverbio che aveva citato in occasione della lavanda dei piedi ( 13, 16) . Allora lo utilizzò per inculcare loro che l'amore significa servizio vicendevole, a sua imitazione. Ora mostra loro le inevitabili conseguenze di tale procedere: susciterà la persecuzione, in quanto è la negazione e la denuncia del sistema. Per la seconda volta appare il verbo « perseguitare ». In 5, 16 comincia­ va la persecuzione contro Gesù, motivata dalla sua attività che . libera dalla Legge, strumento di oppressione nelle mani dei dirigenti (5, 16 Lett.). Ora Gesù annuncia ai suoi che a essi toccherà la sua stessa sorte. Le cause della persecuzione devono essere le stesse: i . suoi discepoli continueranno la sua attività. 20b

«

se hanno spiato il mio messaggio, anche il vostro spieranno

•.

L'atteggiamento dei partigiani del sistema davanti a Gesù e ai suoi è di continuo sospetto. Il messaggio che essi propongono li irrita e li allarma, è assolutamente radicale e prende forma in un gruppo la cui esistenza dimostra la possibilità dell'alternativa: è per loro intollerabi­ le. Non solo vi è persecuzione dichiarata, ma anche diffidenza e pres­ sione incessanti. Il frutto suscita l'odio, come è avvenuto con Gesù ( 1 1 , 47s: Quest'uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti gli daranno la loro adesione; 1 2 lOs: l sommi sacerdoti, da ,

parte loro, concordarono di uccidere anche Lazzaro, perché a causa sua molti di quei giudei se ne andavano e davano la loro adesione a Gesù.

Temono di perdere i loro adepti. Il messaggio è ormai dei discepoli (vostro messaggio). t lo . stesso di Gesù, ma interiorizzato, assimilato, reso vita propria. Espone prima di tutto l'esperienza della nuova comunità. La frase sottolinea l'autonomia che Gesù le concede nella missione (15, 1 6 : perché il vostro frutto duri), fondata nell'amicizia con lui (15, 1 5 ) . « Ma tutto questo lo faranno contro di voi perché siete dei miei dato che non vogliono riconoscere colui che mi mandò •.

21

I discepoli sono conosciuti come il gruppo di Gesù, e questo causa l'ostilità e la persecuzione. Ma l'appartenenza a Gesù è attiva. Li tratteranno come lui, perché come lui realizzeranno le opere del Padre

530

U, 18-25. L'odio del mondo

a favore dell'uomo, manifestando il suo amore. A ciò risponderà l'odio degli oppressori. I dirigenti hanno ricusato di riconoscere in Gesù l 'inviato dal Padre; hanno creato un'immagine falsa di Dio (5, 37s) e per questo si oppon­ gono al Dio vero. Quello che chiamano loro Dio, non lo conoscono (8, 55 Lett.). Quello che essi adorano si rende complice dell'oppressione, dato che in nome suo esercitano il loro dominio (5, 10; 9, 14.24). Non possono tollerare il Dio che è a favore dell'uomo e che lo libera. Incarnato nella Legge, il loro Dio sarà l'autore principale dell'ingiustizia, quello che ucciderà Gesù (19, 7).

Responsabilità dei dirigenti 22 • Se io non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero manifestato la loro ostinazione nel peccato; ma ora non hanno scusante per il loro peccato ». Gesù aveva affermato che la cecità dei dirigenti è volontaria (9, 4 1) : sono coloro che, vedendo la luce, optano per le tenebre (12, 42s) . Le parole e le opere di Gesù (15, 24) hanno dato loro l'occasione di rettificare. Egli ha spiegato le sue opere, ne ha esposto il significato e ha mostrato ai dirigenti la loro incoerenza (5, 19-47; 8, 1 2-58; · 9, 39-10, 38), ma la risposta è stata l'opposizione (8, 48; 10, 20), l'intento pennanente di uccidere Gesù (5, 16.1 8 ; 7, 1 . 1 9.25.30.32.44; 8, 20.37.40; 1 1 , 47ss; 12, 10) e, all'occasione, la violenza (8, 59; 10, 3 1 .39), fino a giun­ gere alla condanna a morte ( 1 1 , 53). Commettono l'ingiustizia coscien­ temente. Questo passo allude direttamente a quello di 9, 4 1 . in cui il peccato che i farisei commettono rifiutando Gesù prolunga un peccato già esisten­ te. Il peccato del mondo è anteriore alla venuta di Gesù, è la situazione che egli viene a sopprimere ( 1 , 29 Lett.). Gesù ha denunciato lo sfrut· tamento che esercitavano (2, 16 Lett.); i dirigenti erano ladri e banditi prima della sua venuta (10, 8); hanno creato un sistema che fa avere per padre il « Nemico • (8, 44). Questo è il peccato che li condurrà alla morte (8, 2 1 ) e dal quale non possono uscire se non attraverso l'ade· sione a Gesù (8, 23) . Il rifiuto di Gesù pertanto è il peccato che porta all'apice quello che già avevano, e che consisteva nell'opzione per i propri interessi e contro l'uomo (8, 23 Lett.). Per questo Gesù afferma che la sua venuta rende inescusabile il loro peccato. Il suo messaggio, che è quello del Padre (14, 24) . anziché far loro abbandonare l'ingiustizia, li ha condotti all'opposizione finale con­ tro Dio. Prima di Gesù non era cosi evidente la loro malafede: avrebbe potuto esservi speranza di conversione; ora, invece, hanno chiuso volon­ tariamente e definitivamente gli occhi alla luce. E questo è dovuto a quanto detto in 3, 1 9 : gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché il loro modo di operare era perverso. La presenza della luce li ha portati a confermare per sempre il loro peccato. Deliberatamente, preferiscono sostenere un'ideologia falsa (la tenebra) che autorizza la 631

L'ora finale. La Puqua del Messia

loro ingiustizia, anziché riconoscere la verità che ,a denuncia ed esige che desistano da essa. 23



Odiare me significa odiare mio Padre •.

Gesù rende presente Dio ( 12, 45); le sue parole sono quelle che ha udite dal Padre (8, 38; 12, 50), ma essi non le hanno ascoltate perché non procedono da Dio (8, 7). Per le sue parole hanno odiato Gesù (5, 1 8 ; 8, 40; IO, 33). In tal modo odiano il Padre, perché non esiste un Dio diverso da quello che si rende presente in Gesù e parla per mezzo di lui. 24 • Se io non avessi fatto fra di loro opere che nessun altro ha fatto, non avrebbero manifestato la loro ostinazione nel peccato; ora però le l1amw viste personalmente, tuttavia hanno preso in odio tanto me quanto mio Padre •· Di Dio non erano soltanto le parole di Gesù, ma in primo luogo le sue opere, che accreditavano le sue parole (4, 34; 5, 19.30.36; 6, 38; 10, 37s). Essi, anziché accettarle, hanno preso in odio non solo Gesù, ma il Padre stesso. Scoprendo l'essere del vero Dio lo detestano, perché non appoggia né legittima il loro potere e la loro ingiustizia. Con l'uso che facevano della Legge erano _ riusciti a far dimenticare i tratti più rilevanti di Dio neii'AT (5, 36s Lett.), rendendo fine ciò che era un mezzo, la Scrittura e Mosè (5, 39.46). Quando Dio si manifesta piena­ mente in Gesù, dissipando tutti i loro sofismi e denunciando il loro sistema oppressore, anziché riconoscerlo si ribellano. Chi non è a favore dell'uomo non può accettare il vero Dio. L'ingiustizia conduce a odiare il Padre, la cui presenza in Gesù è una denuncia senza atte­ nuanti. Le due menzioni del Padre in questa pericope hanno il possessivo • mio Padre », perché entrambe si riferiscono all'attività di Gesù. Gesù è il Figlio unico; odiando lui, odiano colui che gli ha dato origine. • Ma cosi si compie il detto che odiarono senza ragione " "·

25

sta

scritto nella loro Legge:



Mi

Le parole che Gesù cita appartengono ai Sal 35, 1 9 e 69, 5. Come in altre occasioni (IO, 34), sotto il nome di • Legge • si includono tutte le Scritture giudaiche, dalle quali Gesù, in quanto sono considerate Legge, si distanzia nuovamente (nella loro Legge, cfr. 7, 19; 8, 17; IO, 34). Nessun'altra citazione deii'AT viene introdotta con una formula simile a questa, che riunisce tre aspetti: il detto (logos), lo scritto e la menzione della Legge. Gv prepara cosi la scena della morte di Gesù (19, 28 Lett.). Gesù vede come i suoi avversari, avendo rovesciato il significato della Scrittura (la loro Legge) , si identifichino con quanti in nome di essa si oppongono al disegno di Dio. Professandosi fedeli alla Legge defonnata, la compiono con il loro odio. Al messaggio di Gesù, che è quello del Padre (14, 23s: logos), messaggio dell'amore gratuito ( 1 , 14: kharis), Gv contrappone il detto o messaggio (logos) di questa Legge, quello dell'o­ dio gratuito. Questo messaggio di odio sta scritto definitivamente nella Legge, e 632

15, 18-25. L'odio del mondo

definitivamente scritto rimarrà anche il messaggio di Gesù, il suo nome posto sopra la croce, espressione suprema del suo amore (19, 1 9).

SINTESI La pace fra un sistema ingiusto e la comunità di Gesù è impossibile. I discepoli, in quanto tali, hanno rotto con questo • mondo », o per dir meglio, Gesù li ha tratti fuori da esso. Ciò provoca l'odio degli oppres­ sori, inevitabile come quello che ebbero per Gesù. Il sistema di morte si allarma dinanzi alla defezione dei suoi sudditi e aborrisce i disertori. Ne segue la persecuzione, dichiarata o coperta. Il gruppo cristiano è oggetto di pressioni; è un gruppo sospetto, cui si applicheranno, come a Gesù, i peggiori epiteti (cfr. 8, 48; 10, 20). Il motivo dell'ostilità contro i discepoli è lo stesso che il " mondo » ha contro Dio stesso: non vuole riconoscerlo cosi come si è manifestato in Gesù. Accetta un Dio che legittimi l'ingiustizia, ma non quello che si presenta in Gesù, liberatore dall'oppressione (5, 3ss), denunciatore della loro perversità (7, 7) che conduce la gente fuori del loro dominio (6, l ss).

633

·'

·

· Gv 15, 26 16, 15: Lo Spirito nella lotta contro il mondo •

Quando giungerà il soccorritore che io sto per mandarvi e che ricevo dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli renderà testimonianza in m io favore. 27 Ma anche voi renderete testimonianza, perché fin dal principio siete con me. 2'

16, 1 Perché non veniate meno vi lascio detto questo: 2 vi escluderanno dalla sinagoga; per di più si avvicina l'ora in cui chiunque vi dia morte penserà di rendere culto a Dio. 3 E opereranno così perché non hanno conosciuto il Padre e neppure me. • Comunque, vi lascio detto ciò affinché, quando giunga la loro ora, vi ricordiate che io vi avevo prevenuto.

Non ve l'ho detto fin dal principio, perché io stavo con voi. 5 Ora, invece, vado da colui che mi mandò, ma nessuno d i voi mi domanda dove vado, 6 mentre ciò che vi ho detto vi ha colmati di tristezza. 7 Tuttavia io vi sto dicendo la verità: vi conviene che io me ne vada, perché se non me ne vado, il soccorritore non verrà da voi. Invece, se me ne vado, ve lo manderò. a Quando giungerà lui, rinfaccerà al mondo, che rimane in peccato, che io ho ragione e che si è autogiudicato. 9 Primo, che rimane in peccato, e ne è prova che si rifiutano di darmi la loro adesione; 10 poi che io ho ragione, e ne è prova che vado dal Padre e cesserete di vedermi; 11 infine che si è autogiudicato, e ne è prova che il capo di questo ordinamento è già condannato.

12

Molto mi rimane da dirvi, ma non potete sostenerlo per il momento. Quando giungerà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà progressiva­ mente alla verità tutta intera, perché non parlerà per conto proprio, ma vi comunicherà ogni cosa che gli viene detta e vi interpreterà ciò che deve accadere. 14 Egli manifesterà la mia gloria, perché, per darvi l'interpretazione, prenderà del mio. 15 Tutto ciò che ha il Padre è mio; per questo ho detto che prende del mio per darvi l'interpretazione. Il

NOTE FILOLOGICHE 15,26 ricevo dal Padre, gr. para tou patros. La prepos. para in dica originr. l , 6: inviato di/da Dio, origine della missione di Gi vanni; l, 14: la gloria che ha la sua origine nel Padre; cfr. 5.4 1 .44: quella che ha la sua origine nell'uomo; l, 40; 6, 45; 7, SI; 8, 26.40; 15, 15: punto di p rovenie nza di quanto si ode; 6, 46; 7, 29; 9, 16.33: essere/procedere da Dio; 10, 18: l'incarico/comandamento ricevuto da Dio). In questo caso. Gesù afferma che egli manderà Io Spirito, che procede e riceve d al Padre Lo Spirito si identifica con l a gloria/amore leale ( 1 , 14). - procede, gr. ekporeuetai. Prcs. continuo; cfr. Et Aspecto Verbat, n. 204. - egli, gr. ekeinos. Con l'uso di questo pronome maschile si sottolinea in questa pericope il carat te re personale dello S pi ri to (p11ewna, neutro); cfr. 14, 26; 16, 8.13.14, già indicato in 14, 25-26 Lett.

provenienza (cfr.

634

15, Z6 . 16, 15. Lo Spirito nella lotta contro Il mondo

tf

Ma anche, gr. kai ... de.

16, 1 Perché non veniate meno, gr. skandalisthéte. Aor. effettivo (cfr. 6, 61), e quindi reso meglio da venir meno, che non dal causale scandalizzarsi. - vi lascio detto questo, gr. tauta lelaléka humin. Il verbo laleo, a causa del complemento, funziona come lessema risultativo (cfr. El Aspecto Verbal, n. 194). La finalità espressa nel testo (hina mé skandalisthéte) mostra senza dar luogo a dubbi che il complemento tauta si riferisce a quanto segue, non a quanto precede. Il pf. lelaléka denota pertanto azione nel presente (o futuro immediato) e stato futuro (cfr. ibid., n. 395s). La sfumatura di perfetto darebbe la traduzione: sto per !asciarvi detto questo, forma troppo pesante in i t. I n 16, 4, invece, il complemento tauta si riferisce a quanto detto in precedenza; 11ppare cosl una inclusione fra gli aspetti di lelaléka al principio e alla fine del passo. Un caso analogo a quello di 16, l appare in 16, 33. 2 vi escluderanno dalla sinagoga. Cfr. 9, 22; 12, 42. - per di più, gr. alla. Intensivo.

3 e neppure, gr. oude. l..'assenza della correlazione oude ... oude mostra che

i due membri non sono paralleli, ma che il secondo è conseguenza del primo, cfr. 14, l nota.

5

ma, gr. kai. Avversativo.

6 mentre, gr. alla. Avversativo dopo la negazione. - ciò che vi ho detto, gr. hoti tauta lelaléka humin. La causa (hotr) viene traslata a soggetto agente. Il pf. lelaléka ha la stessa sfumatura di 16, 4 (vi lascio detto), superfluo nella trad. it. - vi ha colmati di tristezza, gr. hé lupe pepleroken humon tén kardian. I l significato d i kardia, che denota tutta l'interiorità dell'uomo, oltrepassa quello di • cuore •: la tristezza vi ha colmati interiormente. Quest'uso se­ mitizzante di kardia risulta pleonastico in it. Si noti la posizione enfatica del posses. 11Umon, che devìa l'attenzione da tén kardian per incentrarla sulla persona. 8 rinfaccerà, gr. eleg;cei (cfr. 3, 20 nota). Non si tratta di un'accusa davanti a un tribunale, ma della denuncia del mondo, fatta dallo Spirito nella co­ munità per confermarla, e dalla comunità, a sua volta, davanti al mondo. - in peccato, ecc., gr. peri hamartias, ecc. II significato generale dei versetti 8-1 1 è che lo Spirito inverte il giudizio dato dal mondo su Gesù, da esso condannato come colpevole. Il colpevole (peccato) è il mondo; al contrario, è Gesù ad aver la ragione dalla parte sua, a essere nel giusto (dikaiosuné). Di conseguenza, è stata pronunciata la sentenza di condanna contro « il capo di questo mondo/ordinamento •La frase greca è talmente ellittica che la sua traduzione letterale risulte­ rebbe incomprensibile: riguardo al peccato, riguardo alla ragione e riguardo alla semenza. Per questo conviene supplire agli elementi impliciti, secondo la spiegazione data immediatamente dall'evangelista (16, 9-1 1 ) . « I l peccato • è quello del mondo: che rimane in peccato; « la ragione è quella di Gesù: che io ho ragione; • la sentenza • è quella contro • il capo del mondo »: che si è •

autogiudicato. L'astratto it. che riflette meglio il significato di dikaiosuné, applicato a colui che ha ragione in un giudizio contro il suo avversario, è appunto ragione •: il termine giustizia " non si usa come astratto per • aver ragione •: si applicherebbe al giudice, non a colui che riceve la sentenza favorevole. •



635

L'ora fiDale. La Pasqua del Meula � ne � prova eh�. gr. hori. Dimostrativo, come in 1, 16; 4, 22; 5, 3!1; 8, 29. Il peccato del mondo è precedente all'opzione contro Gesù, cfr. 15, 22 Lett.

9

10 e ne � prova che, gr. hori. Dimostrativo, come il precedente. Gesù non ha ragione perché va dal Padre, ma è accolto dal Padre perché è colui che sta nel giusto. - cesserete di vedermi. La particella ouketi indica interruzione e si traduce con l'ausiliare • cessare di •. di uguale sigrùficato ma più idiomatico, cfr. 14, 19; 16, 16. Il e ne � prova che, gr. hori. Dimostrativo, come i precedenti. L'esistenza della comunità, dove si perpetua la presenza e l'azione di Gesù, mostra che Dio ha pronunciato sentenza contro il mondo. - il capo di questo ordinamento. Cfr. 12, 3 1 ; 14, 30. - è già condannato, gr. pf. kekritai. Detto di sentenza definitiva e sfavorevole (cfr. 3, 1 8). 12 Molto mi rimane da dirvi, gr. eri + ekh6. In it. mi resta. - non potete sostenerlo, gr. ou dunasthe bastazein. Poter caricarsi di qualcosa. - per il momento, gr. arri. Leggermente diverso da nun; cfr. 13, 36s.

1 3 non parlertl p�r conto proprio, gr. aph'heautou. Cfr. 5 19; 7, 18; I l , 51; ,

15, 4; inoltre, 5, 30; 7, 17 .28; 8, 28.42; IO, 18; 14, 10; 18, 34. - ogni cosa che gli viene detta, gr. hosa akousei. Il pron. hosa è distributivo. si tratta quindi di un'attività che perdura: quantojogni cosa. La forma akousei (ogni cosa che oda/ascolti, cfr. 12, 34) si traduce meglio con il suo correlativo: gli viene detta/mostrata, cfr. 5, 30. La trad. ogni cosa che oda

darebbe l'impressione di notizie casuali di qualunque provenienza, non di messaggi intenzionali. - ciò che deve accadere, gr. ta erkhomena. Più vago di ra mellonta, che in· dicherebbe il metastorico. In relazione con I l , 27, ho eis ton kosmon erkho­ menos (il Messia Figlio di Dio) e si riferisce agli avverùmenti dell'era messianica. Il verbo erkhomai si usa nei profeti per indicare avvenimenti storici: cfr. Is 47, 13: ti me/lei epi se erkhesthai; Ger 19, 6: hemerai erkhonrai [cfr. 30 (37) , 3; 31 (38), 27.31.38; Am 8, 1 1 ; 9, 13; Is 44; 7: ra eperkhomena e Gv 18, 4: ta erkhomena ep'auton ] . Si tratta, quindi, dell'interpretazione degli avvenimenti a partire dalla morte-esaltazione di Gesù, che inaugura la tappa finale della storia, l'era escatologica, già presente. - vi interpreterà, gr. anaggelei. Cfr. Dn 2. 2: interpretare i sogni del re; cfr. ibid. 2, 4.6; 3, 2; Ez 37, 18: spiegare.

14

manifesterà la mia gloria, gr. eme doxasei. Manifestativo, come quasi

sempre in Gv; cfr. 13, 3 1 .

.

.

- per darvi l'interpretaz;ione, prenderà del mio, gr. ek tou emou limpsetai kai anaggelei humin. Ciò che lo Spirito prende viene da Gesù ed è mes­ saggio suo; ciò che interpreta è, come è stato precisato in 16, 13, ciò che deve accadere. Lo Spirito interpreterà la storia alla luce del messaggio di Gesù; kai è consecutivo: e così vi interpreterà. La differenza fra consec. e finale è meramente di prospettiva oggettiva o soggettiva. Per evitare

l'ambiguità che sorgerebbe nella traduzione se si mantenesse l'ordine del testo (prenderà del mio e vi darà l'interpretazione: si potrebbe riferire l'in­ terpretazione a del mio). è preferibile adottare la forma finale e cambiare nella traduzione l'ordine delle proposizioni.

636

U, 26 - 16, 15. Lo Spirito nella lotta contro Il mcmdo

CONTEN UTO E DIVISIONE La delimitazione della pericope è chiara, per l a menzione al principio

e alla fine dello Spirito della verità (15, 26; 16, 13) e delle sue due attività: rendere testimonianza a Gesù con i discepoli (15, 26s) e aiutarli, interpretan­ do loro le circostanze storiche alla luce del messaggio (16, 13.15). Gesù ha parlato ai discepoli della missione della sua comunità (15, 1-1 1) che vive nell'amore vicendevole (15, 12-17) e della persecuzione che risulterà da parte del mondo ingiusto (15, IS-25). Ora indicherà loro il compito, senza dissimularne le difficoltà, e l'aiuto di cui godranno . La missione consiste nella testimonianza riguardo a Gesù, data da loro con lo Spirito che è in essi (15, 26-27). La religione costituita non potrà tollerare la loro testi­ monianza e li perseguiterà senza pietà (16, l-4a). Hanno bisogno di sapere questo perché egli se ne va, ma la sua partenza non è motivo di tristezza; egli promette loro il soccorritore (lo Spirito), che li aiuterà nel loro com­ pito e la cui presenza sarà più efficace di quella di Gesù stesso (16. 4b-7). Il soccorritore giudicherà il mondo e darà loro sicurezza in mezzo alle persecuzioni (16, S-I I). La comunità si verrà a trovare in circostanze stori­ che nuove, in cui dovrà prendere decisioni pratiche. Anche in ciò si vedrà aiutata dallo Spirito, che le interpreterà le circostanze alla luce del messag­ gio di Gesù (16, 12-15). La struttura

15. 26-27: 16, I-4a: 16, 4b-7: 16, S-I I : 16, 12-15:

è concentrica:

La missione come testimonianza dello

Spirito e dei discepoli. Persecuzione dei discepoli in nome della religione. Necessità della partenza di Gesù. Risposta dello Spirito alla persecuzione. Aiuto dello Spirito nella missione.

LETIURA missione come testimonianza dello Spirito e dei discepoli

La

1 5 , 26 « Quando giungerà il soccorritore che io sto per mandarvi e clze ricevo dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli renderà testimonianza in mio favore • .

Nella prima parte del discorso Gesù prometteva ai discepoli l a perma­ nenza in loro dello Spirito della verità ( 1 4, 1 7 ), che farà loro penetrare il suo messaggio (14, 26). In questa pericope annuncia loro l'attività dello Sp irit o nella missione: rendere testimonianza a favore di Gesù stesso, condannato dal mondo. Lo Spirito, parola che orig inariamen te significa « vento • o « alito •. rappresenta figu ratam ent e « l'alito di Dio »; è l'espressione della sua vita, procedente dall'intimo del suo essere. I l significato di • vento • ne indica al tempo stesso la forza (Gn l , 2: • E l'alito/vento di Dio si librava sulle acque >�). t;: Io Spirito creatore, che procede da Dio stesso come Padre. Questo processo è continuo (cfr. nota) e rapp re senta un 637

L'on finale. La Pasqua del Meula

flusso incessante di vita che procede da Dio. Questo Spirito, che è egli stesso forza e vita, e perciò lo Spirito della verità ( 1 , 4: e la vita era la luce dell'uomo), è quello che darà testimonianza di Gesù, il datore di vita. Renderà questa testimonianza all'interno della comunità, assicurandola della verità del suo messaggio e del suo operato. Si tratta della testimo­ nianza profetica che sostiene il gruppo cristiano, confermando l'esperien· za interiore dei suoi membri e consolidando così l'atteggiamento di rottu· ra con il mondo. In questo passo Gesù non parla di « suo Padre » (cfr. 1 S , 23.24), ma • del Padre », perché la relazione con Dio come Padre sarà propria di ogni uomo che risponda alla sua chiamata. Lo Spirito, la forza di vita, è la salvezza che Gesù porta, offerta all'umanità intera (3, 17; 12, 47). 27a



Ma anche voi renderete testimonianza

».

La testimonianza dei discepoli dinanzi al mondo continua quella dello Spirito nella comunità. Lo Spirito della verità sarà in loro (14, 17), e così la loro voce sarà quella dello Spirito (3, 8). I l confronto fra Gesù e il mondo non terminerà con la morte di lui; al contrario, si moltipli· cherà per mezzo dei suoi. Il Padre realizza il suo disegno: dare vita all'uomo (6, 40) inviando Gesù, cui comunica pienamente il suo Spirito (1, 32-34; 3, 16s; 4, 34; S, 30; 6, 39.40). Gesù lo comunica ai suoi perché essi continuino la sua opera. Lo Spirito, nella sua testimonianza a favore di Gesù, la interpre­ ta (14, 2S-26 Lett.); il gruppo che riceve questa testimonianza rinnova in ogni epoca l'opera di Gesù, e in questo consiste la sua testimonian­ za.

27b



percf1é fin dal p rin c ipio siete con me

•.

I discepoli possono rendere testimonianza a Gesù perché sono con lui fin dal principio. Bisogna domandarsi cosa significhi questa espressio­ ne. Nel vangelo appaiono con Gesù fin dal principio soltanto Andrea e un altro discepolo di Giovanni, Pietro, Filippo e Natanaele ( 1 , 3S-S l ) . L'espressione fin dal prùzcipio non può quindi avere u n semplice significato cronologico. Ogni discepolo, in qualunque epoca, è chiamato a render testimonianza a Gesù. Queste parole sono dunque valide e applicabili sempre. Ciò che l'evangelista afferma è che per rendere questa testimonianza è necessario accettare come norma tutta. la \•ita di Gesù, fin dal pr inc ipio , senza separare Gesù risuscitato dal Gesù terreno. Mettersi in rapporto unicamente con Gesù glorioso è la tenta­ zione spiritualista e gnostica (l Gv 4, 2-3; S, 6); Gv insiste per questo sull"accettazione di Gesù Uomo-Dio. Bisogna porre in parallelo due testimonianze che appaiono nel vangelo: quella di Giovanni Battista, che precede la missione di Gesù, e quella dei discepoli, che la segue. La testimonianza di Giovanni si concentrava sulla visione dello Spirito che scendeva e rimaneva su Gesù ( 1 , 32s) e sull'annuncio del dono dello Spirito (1, 33); l'obiettivo della sua missione era che il Messia si manifestasse a Israele (1, 3 1 ) . La testimonianza dei discepoli s u Gesù concerne l a s ua missione realiz638

15, 26 - 16, 15. Lo Spirito nella lot ta contro Il mondo

zata, della quale essi sono frutto è continuazione. Essi hanno ricevuto lo Spirito, e questo li sostiene nella loro missione, rendendo testimo­ nianza insieme con loro. Giovanni annunciava un fatto venturo; i discepoli, la loro esperienza personale di Gesù. Gv accentua in tal modo la centralità di Gesù nella storia. Con il Battista termina l'epoca dell'aspettativa. Dopo Gesù, che ha inaugurato lo stadio finale, spetta ai discepoli annunciare la loro esperienza di lui. Ma non si può rendere tale testimonianza se non si è con lui, cioè se non si sperimenta la sua presenza, e questo fin dal principio, accettan­ do la sua intera realtà umano-divina.

Persecuzione dei discepoli in nome della religione 16, l



Perché non veniate meno vi lascio detto questo

•.

Questo avviso di Gesù ha un'importanza straordinaria, poiché è la secon­ da volta che si usa il verbo gr. • scandalizzarsi • (cfr. nota). La prima fu in 6, 6 1 , relativamente alla diserzione dei discepoli, che consideravano insopportabile il suo messaggio. Ora Gesù li previene, pertanto, per evitare la loro diserzione nel futuro; ciò che annuncerà loro è qualcosa che essi devono attendersi, per quanto contraddittorio possa apparire. • vi escluderanno dalla sinagoga; per di più, si avvicina l'ora in cui chiunque vi dia morte penserà di rendere culto a Dio • .

2

Ciò che poteva sembrare inesplicabile ai discepoli e far loro abbando­ nare Gesù, era il vedersi combattuti dalle istituzioni religiose. Nel vangelo è stata menzionata due volte l'espulsione dalla sinagoga: la prima (9, 22) il popolo temeva l'espulsione decretata dai • giudei • contro coloro che riconoscessero Gesù come Messia; la seconda ( 1 2 , 42), i capi temevano i farisei - il gruppo di • giudei • più influente e più ostile a Gesù (4, 1 -3 ; 7, 32.47s; 8, 13; I l , 46) - che li avrebbero potuti fare espellere se si fossero pronunciati a favore di lui. Gesù· annuncia in anticipo ai discepoli che saranno emarginati da quanti si proclamano rappresentanti di Dio e interpreti della sua volontà, in particolare dai difensori acerrimi della Legge. Non devono allarmarsi se le istituzioni religiose li respingono. Gesù insiste: non solo li emargineranno, ma giungeranno a dar loro morte per eliminarli. Qui si generalizzano ormai gli oppositor.i: ch;un­ que vi dia morte. L'orizzonte dell'ostilità, anche includendo i giudei, si è ampliato. Il conflitto potrà sorgere in qualunque paese e di fronte a qualunque religione costituita. Gesù li avverte che Le istituzioni religiose adorano un dio che accetta come culto la morte dell'uomo. Se questo è il loro dio, sono omicidi per essenza (cfr. 8, 44) . Gesù è venuto a dare vita; il sistema di morte, di cui l'istituzione religiosa giudaica è il prototipo, non ha altra alter­ nati\'a che uccidere lui e quanti lo rendono presente attraverso la loro testimonianza. Di fatto i suoi massimi rappresentanti hanno decretato già la morte di Gesù ( 1 1 , 53) e quella di Lazzaro ( 1 2 , 10). Si sono fabbricati un dio a propria immagine, e gli sacrificano l'uomo. 639

L'ora finale. La Puqua del Messia

L'istituzione religiosa, che darà morte a Gesù e perseguiterà i suoi discepol i, è quella i cui sudditi, invalidi, riempivano i portici della piscina (5, 3). La sua oppressione produce morte in vita (5, 2 1 ) e dà morte a chi le si oppone. « E opereranno così perché non hanno conosciuto il Padre e neppure

3

me

•.

Gesù libera i suoi dall'ossequio alle istituzioni religiose. Dietro la loro impressionante facciata si nasconde una frode, poiché non conoscono il Padre, cioè non conoscono Dio (5, 37; 8, 1 9.47.54s). II Dio che essi adorano e al quale offrono culto non è quello vero (17, 3), perché non è a favore dell 'uomo (5, 1 0 ; 9, 24.29) : è l'antitesi di quello che si manifesta in Gesù. Questa è la ragione della loro condotla omicida: non riconoscendo Dio come la fonte della vita e dell'amore incondizionato per l'uomo (il Padre) , non riconoscono Gesù, che ne è la piena manifestazione e col suo operato ha collocato i l bene dell 'uomo al di sopra di qualunque Legge e istituzione. Appare nuovamente qui uno dei principi fondamentali della teologia di Gv: condizione per aderire a Gesù è l'atleggiamento a favore dell'uomo (cfr. 16, 9), rispondendo all 'esperienza di Dio come Padre e all 'impulso del suo progetto creatore ( 1 , 4: la vita era la luce dell'uomo; 6, 45: chiunque ascolta il Padre e impara si avvicina a me; 7, 17: chi vuole

realizzare il disegno di Dio valuterà se questa dottrina

è

da Dio).

Uccidere Gesù equivarrà a eliminare Dio come Padre. Ma svuotando Dio del suo essere, essi riempiono il nome di Dio con la proiezione delle loro ambizioni, che spiegano la loro capacità distruttrice. Di qui il dio omicida ( 8, 44 ). 4a vi

• Comunque, vi lascio detto ciò affinché, quando giunga la loro ora. rico1·diate che io vi avevo prevenuto ».

Gesù ha prevenuto i suoi discepoli su quanto sta per succedere. Descri­ vendo l 'odio del mondo aveva loro annunciato la persecuzione (15, 20) . ma ora ha spiegato loro che anche le istituzioni religiose cui essi appartenevano fanno parte di questo mondo nemico di Dio. II mondo odierà i discepoli perché negano l'adesione ai suoi principi (15, 18s). Il mondo religioso si opporrà loro perché renderanno testimonianza a Gesù, mostrando la falsità del loro presunto dio e la frode del loro culto ufficiale (2, 1 6; 8, 20 Lett.). Questo mondo avrà la sua ora·, quella del suo apparente trionfo. Sarà l 'ora dell'odio mortale ( 1 9, 29 Let!.), ia opposizione a quella di Gesù, espressione suprema dell 'amore vivifican· te. Non dev'essere una sorpresa per i discepoli. L'istituzione religiosa li condannerà in nome del suo dio, come condannò Gesù stesso (19, 7; cfr. 1 1 , 48).

640

1!, 26 · 16, 15. Lo Sptrfto neO. kltl• contro n inondo

Necessità della partenza di Gesù • Non ve l'ho detto fin dal principio perché io stavo con voi. Ora, invece, vado da colui che mi mandò, ma nessuno di voi mi domanda dove vado, mentre ciò che vi ho detto vi ha colmati di tristezza •.

4b-6

Gesù non aveva mai parlato loro della persecuzione futura. Fino ad ora, il bersaglio della persecuzione era lui, che, inoltre, li poteva difendere ( 17, 12). Nella prima parte del discorso ( 1 4 , 5) Tommaso aveva obiettato a Gesù che essi non sapevano dove egli andasse, e che pertanto non potevano sapere il cammino per seguirlo. I discepoli continuano a non comprendere la morte come andata al Padre: per loro è la fine di tutto. Non chiedono spiegazioni, che considerano superflue, ma si riempiono di tristezza pensando alla separazione, che interpretano come solitudine definitiva (cfr. 14, 18). Il mondo si presenta come un avver· sario formidabile e, senza Gesù, si sentono indifesi. • Tuttavia io vi sto dicendo la verità: vi conviene che io me ne vada, perché se non me ne vado il soccorritore non verrà da voi. Invece, se me ne vado, ve lo manderò •.

7

Secondo Gesù la presenza e l'aiuto dello Spirito apporteranno ai disce­ poli un bene maggiore della sua stessa presenza esterna. Tuttavia per comunicare lo Spirito deve prima dare la prova ultima, definitiva e radicale del suo amore per l'uomo, che porta la sua condizione umana alla completezza del progetto creatore (19, 30: è ormai completato). Come il chicco di frumento, se muore, si trasforma per la forza di vita che contiene e si moltiplica in altri chicchi ( 1 2 , 24), così la morte di Gesù, il suo dono totale, libera in lui tutta la forza dello Spirito che conteneva, rendendolo comunicabile ( 1 9, 30). Lo Spirito darà ai discepoli la possibilità di amare come Gesù (13, 34 : come io vi ho amati). Ebbene: non sapranno come li ha amati Gesù né potranno capire, pertanto, tutta la portata del suo comandamento, fino a qu:mdo egli non darà la vita per loro (15, 13). Per questo conviene loro che Gesù se ne vada, perché finché egli non morirà essi non potranno essere come lui. Fino ad ora è per loro un modello, e nemmeno completo. Lo Spirito farà sì che Gesù sia la fonte interiore della loro vita, li assimilerà a lui.

Risposta dello Spirito alla persecuzione • Quando giungerà lui, rinfaccerà al mondo, che rimane in peccato, che io ho ragione e che si è autogiudicato » .

8

Il mondo o sistema ingiusto si è eretto a giudice di Gesù e lo ha condannato come criminale. Con la sua sentenza ha affermato la propria legittimità e ragione e la colpa di Gesù ( 1 8 , 30: se questi non fosse w1 malfattore, non te lo avremmo consegnato). Ora lo Spirito, che è la forza di Dio, aprirà nuovamente il processo per pronunciare la sentenza contraria. Coloro che si costituirono giudici sono colpevoli; il 64 1

L'ora Bnale. u Pa1qua del Meula

· •

:

· ·

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condannato aveva ragione e, di conseguenza, il sistema che osò com­ mettere una simile ingiustizia è condannato da Dio. La morte di Gesù sarà al tempo stesso due cose: in primo luogo la massima manifestazione del potere mortifero del sistema ingiusto; essa lo maschererà completamente, dimostrando fin dove giunge la sua malvagità. D'altra parte sarà la massima manifestazione dell'amore di Dio, che coincide con questo parossismo di odio del mondo. Uccidendo Gesù il mondo pronuncia la propria accusa: chi osa assassinare Dio mostra di non fermarsi davanti a nulla; di per sé tende a farla finita con ogni vita, dato che uccide l'autore della vita. • Il mondo • o sistema, il cui principio ispiratore è • il Nemico » (8, 44) e la cui unità di proposito e di azione si esprime nella denominazione • il capo di questo ordinamento • ( 1 2, 3 1 ; 14, 30; 16, 1 1 ) , incarna la solidarietà uma­ na svuotata d'amore e di vita; esso scatena una forza distruttrice che trascende gli individui che la compongono. Il peccato consiste nell'in­ tegrarsi in tale ordinamento perverso, rendendosi solidale con la sua ingiustizia. 9 « Primo, che rimane in peccato, e ne � prova che darmi la loro adesione •-

si

rifiutano di

« Il mondo » appare chiaramente come un collettivo per designare il gruppo dirigente che condannò Gesù. Il suo peccato è il peccato del mondo: rifiutarsi di riconoscere il progetto creatore { l , 10 Lett.), e per di più, opporglisi e cercare di distruggerlo nell'uomo ( l , 5). Tale peccato è giunto alla sua massima e definitiva espressione nel rifiuto di Gesù {15, 22 Lett.). Gesù aveva dato loro la possibilità di uscire dal loro peccato attraverso l'adesione a lui come Messia (8, 24: se non riuscite a credere che io sono quello, morirete restando nei vostri peccati), Essi si identificano invece con l'oppressione e l'assassinio (8, 44), e lo provano dandogli la morte. Essa marcherà l'opposizione radicale e definitiva fra Dio e i sistemi di oppressione.

1 0 • poi che io ho ragione, e ne � prova che vado dal Padre e cesserete di vedermi " · La prova che Gesù aveva · ragione sarà l'accoglienza del Padre, della quale la comunità avrà piena coscienza attraverso l'esperienza dello Spirito che riceverà da lui (15, 26). Questa sarà la ratifica - da ·parte del Padre di tutta l'attività e l'opera di Gesù; accogliendolo, Dio si costitui · sce a giudice e inverte il giudizio dato dal mondo. I nemici di Gesù sono i nemici di Dio. L'andata di Gesù al Padre farà si che egli non sia più presente come prima; ai discepoli tuttavia ha già assicurato che la sua assenza fisica è per loro vantaggiosa (16, 7), e nella pericope successiva spiegherà loro che godranno di un altro genere di visione {16, 16ss; cfr. 14, 19-21). 1 1 • infine che si è autogiudicato, e ne è prova che il capo di questo ordinamento è già condannato •. 642

l!, 26 - 16, U. Lo Spirito nella lotta C:ODiro Il mondo

Ora che l'ordinamento ingiusto si considererà più sicuro per la morte di Gesù, la comunità sperimenterà che tale mondo è giudicato e che Dio è contro di lui. « n capo di questo ordinamento » (12, 3 1 ; 14, 30) incarna il gruppo dirigente, considerato come un tutto unico, con piena unanimità di obiettivi. La comunità si sente giudicata e condannata dal • mondo • (16, 1-4), ma la testimonianza dello Spirito la convince che è lei a poter giudicare il mondo, accusandolo del suo peccato. Così, malgrado la persecuzione che soffre, non si sente colpevole né si intimorisce, ha la certezza dello Spirito e sente l'appoggio del Padre. � in atteggiamento attivo di fronte al giudizio del mondo. Gesù le appare come vita e il sistema come morte.

Aiuto dello 5p irito nella mmrone 12 • Molto mi rimane da dirvi, ma non potete sostenerlo per il momento ». Gesù aveva comunicato ai suoi discepoli ciò che aveva udito dal Padre (15, 15). I I suo messaggio tuttavia ha delle conseguenze che essi non hanno ancora tratto, né possono per il momento comprendere. Non sanno ancora come morirà Gesù né il significato ultimo della sua morte; nemmeno percepiscono la sostituzione di tutto l'ordinamento precedente che essa causerà. Due volte Gv ha notato che i discepoli compresero un gesto di Gesù soltanto dopo la risurrezione (2, 22) o dopo la sua morte (12, 16) . 1 3 • Quando giungerà lui, lo Spirito della verità, v i guiderà progressi­ vamente alla verità tutta intera, perché non parlerà per co11to proprio, ma vi comunicherà ogni cosa che gli viene detta e vi interpreterà ciò che deve accadere •. Nella verità di Gesù c'è molto terreno inesplorato, che pOtrà essere conosciuto soltanto man mano che l'esperienza metterà la comunità di fronte a nuovi fatti o circostanze; questi illumineranno il significato della sua morte-esaltazione. Lo Spirito comunicherà ciò che udrà da Gesù, sarà il suo profeta {14, 25-26 Lett.). Il passo fa allusione ai messaggi profetici all'interno della comunità; nella missione lo Spirito le comunica verità, cioè spiega e applica il messaggio, ciò che Gesù è e Ciò che significa come manifestazione dell'amore del Padre. Non si tratta di una dottrina nuova, ma della proposta continua alla comunità della realtà di Gesù, che sarà il contenuto della sua testimonianza e l'orientamento della sua attività. La comunità percepirà la voce dello Spirito (3, 8), che è la voce di Gesù stesso. Ciò che deve accadere (cfr. nota) è il nuovo stadio della storia a partire dall'• ultimo giorno » (6, 93 Lett.) , quello della morte ed esaltazione di Gesù, che l'inaugura; in esso deve man mano diventare realtà il proget­ to di Dio. Il Messia Figlio di Dio era quello che doveva venire nel mondo ( I l , 27) ; il regno messianico è quello che deve giungere quando egli darà compimento alla sua opera. Gv lo concepisce come una 643

L'ora finale. La Puqa del Menta

.•

escatolog ia presente nella storia. Come gli antichi profeti interpretava­ no la storia alla luce dell'alleanza, lo Spirito, facendo conoscere Gesù, il cui amore fonda la nuova alleanza, offre la chiave di lettura della storia come dialettica fra il • mondo • e il progetto di Dio. A partire dalla morte-esaltazione di Gesù e penetrando sempre più nel suo significato, la comunità potrà scoprire negli avvenimenti il peccato del mondo •. il suo spirito menzognero e omicida (8, 44). percependo al tempo stesso la progressiva esecuzione della sen tenza che lo condanna al fallimento ( 1 6 , 8-1 1) . L'interpretazione dello Spirito guida i discepoli nella loro atti\·ità a favore dell'uomo. Per accertare ciò che è opportuno devono essere aperti da una parte alla vita e alla storia, e dall'altra alla voce dello Spirito che gliela interpreta. L'attività dell'amore si diversificherà in mille modi; così essi compiranno • i suoi comandamenti • ( 1 4, 15; 15, 10). •

14 • Egli manifesterà la mia gloria, perché, per darvi l'interpretazione, prmderà del mio •.

Gesù spiega ai suoi il modo in cui lo Spirito interpreterà loro la storia. Lo farà manifestando loro la sua gloria, il che equivale a prendere del suo • . Lo Spirito prende da Gesù (del mio) il messaggio ( 1 6, 1 3 : ogni cosa elle gli viene detta) e l'amore (la gloria) manifestati nella sua morte. Lo ode in quanto messaggio, lo prende in quanto amore, per comuni­ carlo. Così la manifestazione della gloria ai discepoli non è soltanto un'illuminazione, ma una comunicazione dell'amore di Gesù che Ii mette in sintonia con lui. Tale è la funzione dello Spirito della verità. La penetrazione del messaggio, cioè la sintonia dell'amore, rende possi­ bile l'interpretazione della storia. Con questo Gesù indica che soltanto attraverso l'amore si può conoscere l'essere dell'uomo, interpretarne il destino e realizzare la società umana. Suo modello e fonte è Gesù, che dà la vita per gli uomini. •

15 • Tutto ciò che ha il Padre è mio; per questo Ilo detro cl1e prende del mio per darvi l'interpretalione ».

Ciò che Gesù possiede in comune con il Padre è in primo luogo la gloria che questi gli ha comunicato ( 1 , 1 4 ) ; in altre parole l'amore leale (ibid.), lo Spirito ( l , 32; cfr. 17, 10). Non si deve concepire come. posses­ so statico, ma come rapporto dinamico con il Padre, comunicazione incessante e vicendevole, che fa sì che i due siano uno (lO, 30) e ne compenetra l'attività. Gesù realizza così le opere del Padre (5, 17.36; IO, 25), il suo disegno creatore (4, 34; 5, 30; 6, 38-40; cfr. 7 ,17; 9 ,3 1 ) . Pertanto il criterio per interpretare l a storia, basato come si è visto sulla sintonia con Gesù attraverso l'accettazione del suo amore, si concretizza ora nella realizzazione dell'uomo, disegno del Padre ed espressione del suo amore. Già realizzato in Gesù, deve realizzarsi nella comunità e orientare la sua attività verso gli uomini. Lo Spirito, che unendolo al Padre porta Gesù alla piena realizzazione e diventa l'ese­ cutore del disegno del Padre, rende la comunità partecipe del dinamismo di Gesù (prende del mio). 644

15, %6 - 16, 15. Lo Splrtt6 neRa lotta contro n mondo

SINTESI La voce dello Spirito, che risuona nel messaggio profetico, sostiene e conferma l'esperienza della comunità cristiana, dando testimonianza di Gesù e rendendolo presente. Il vigore che la comunità riceve dall'azione dello Spirito si trasmette alla missione, che è la sua testimonianza davanti al mondo. La condizione per rendere testimonianza è accettare totalmente Gesù Uomo-Dio. Grave pericolo per le comunità cristiane è voler scindere Gesù, seguen­ do o un Gesù uomo d'azione, che ha lasciato soltanto il suo esempio, o un Gesù glorioso, staccato dalla sua esistenza terrena. Gesù non è soltanto esempio del passato, ma anche e soprattutto il salvatore presente; ma non è neppure e soltanto oggetto di contemplazione e gioia, ma Messia da seguire e alla cui opera è necessario collaborare. Dio non è visibile se non att raverso Gesù-uomo, e non lo si può conoscere senza accettarlo nell'umanità di Gesù (8, 19): cambia pertan­ to il rapporto dell'uomo con Dio e con l'uomo stesso. Dio non è un'astrazione, ma il Padre che si rende visibile in Gesù. Un Dio distante lo si accetta facilmente per la sua stessa lontananza; gli si può offrire un culto staccato dalla realtà umana. Ma un Dio-uomo che si inserisce nella storia, mettendosi in relazione diretta con gruppi e individui umani, interessa la trama stessa della società. Prendendo una posizione definitiva davanti alla realtà umana e sociale, e operando di conseguen­ za, discrimina con la sua azione gli atteggiamenti che concordano con il disegno creatore e quelli che gli si oppongono. La sua presa di posizio­ ne è di per se stessa criterio di verità, che si trasforma in norma per coloro che si chiamano discepoli. Non si può concepire una comunità cristiana che non abbia lo stesso impegno verso l'uomo che ebbe Gesù. Questa presenza liberatrice di Dio in Gesù diventa insopportabile per l 'istituzione religiosa che egli aveva denunciato e che gli darà morte. Lo stesso fa con i suoi discepoli. La stessa istituzione, nemica dell'emanci­ pazione dell'uomo e della sua pienezza di vita, continuerà a perseguita­ re spietatamente i discepoli di Gesù, che continuano nel mondo il suo atteggiamento e la sua atti\"ità. Gesù pronuncia la più dura accusa contro ogni sistema religioso che opprime l'uomo: anche se dice d i rappresentare Dio, non lo conosce. D i fatto chi osa, per qualunque motivo, uccidere l'uomo, non conosce Gesù né il Padre, e . il dio che presenta al mondo non è quello vero. Nella sua continua tensione con il mondo, la comunità è appoggiata dallo Spirito, che realizza la comunione fra Gesù e i suoi. Lo Spirito costituisce tutta la verità e ricchezza di Gesù, erede del Padre, che egli comunica ai discepoli. Il suo luogo, in cui abita, è Gesù. « Viene » nella comunità; accettato, la rende partecipe dell'amore di Gesù, met­ tendola in sintonia con lui e scoprendole il suo significato. Così la conferma nella sua posizione. Se anche si vede accusata, essa non si sentirà colpevole. La potenza del sistema oppressore e la sua minaccia non la renderanno vile. Essa sa, e lo proclama, che il colpevole è il mondo che uccise Gesù e continua a esser disposto a uccidere (16, 2) . Gesù, colui che doveva venire, inaugura lo stadio ultimo della storia. A

645

L'ora IIMJe. La Puqua ciel Meala ·

dalla comprensione della sua morte-esaltazione, i discepoli comprenderanno tutta la verità su di lui, e questa sarà per loro la chiave di lettura della storia. La verità totale di Gesù illumina il disegno di Dio sull'uomo; per contrasto, mette allo scoperto il peccato del mondo, la sua capacità omicida, e al tempo stesso il suo fallimento, evidente nell'esaltazione di Gesù. L'amore completa nell'uomo il piano creatore e, di fronte a lui, l'odio è impotente. La sua apparente vittoria è la sua disfatta. La vita definitiva, caratteristica dello stadio finale, resiste al potere distruttore del « mondo ». partire

646

Gv 16, 16-2311 : Assenza e presenza di Gest '' - Entro breve tempo cesserete di vedermi, ma poco più tardi mi vedrete apparire. 1 7 Commentarono allora alcuni dei suoi discepoli: - Che significa questo che ci dice: • Entro breve tempo cesserete di vedermi, ma poco j)iù tardi mi vedrete apparire •? E questo • vado dal Padre •? 1 s E s i domandavano: - Che significa quel • entro breve tempo •? Non sappiamo di cosa parla. 1 • Gesù si rese conto che volevano domandarglielo, e disse loro: - State discutendo perché ho detto: • Entro breve tempo cesserete di vedermi, ma poco più tardi mi vedrete apparire •? 20 Davvero vi assicu­ ro che voi piangerete e vi lamenterete; il mondo, invece, si rallegrerà. Voi vi rattristerete, ma la vostra tristezza si trasformerà in ·gioia. 2 1 Q uando la donna sta per partorire, si sente triste, perché è giunta la sua ora; quando però il bimbo nasce, non si ricorda più del travaglio, per la gioia che è stato generato al mondo un uomo. 22 Cosi anche voi ora provate tristezza, ma quando io apparirò fra di voi vi rallegrerete, e la vostra gioia nessuno ve la toglierà. na Quel giorno non avrete bisogno di domandarmi nulla.

NOTE FILOLOGICHE 16, 1 6 Entro breve tempo, gr. mikron kai. Cfr. 13, 33; 14, 19. - cesserete di vedenni. Cfr. !ti, IO nota. - mi vedrete apparire, gr. opsesthe me. Fut . di hora6, denotante un modo di vedere diverso da the6reite me (vedermi). Questo futuro, come l'aor. pas­ si vo , si usa soprattutto per indicare una visione di qualcuno o di qualcosa appartenente alla sfera divina. Cfr. El Aspecto Verbal, nn. 319s ; cfr. Gv l, 39.5 1. 17

Commentarono, gr. eipan ... pros allelous.

18 quell'• entro breve tempo •. gr. touto to mikron. Cfr. Is 26, 20: diti un breve istante • . (LXX: mikron hoson hoson).

..

Nascon­

19 si rese conto. Aor. ingress. di gin6sk6. - domandarglielo, gr. auton er6tan. Per esigenze della costr. it. si esplicita l'oggetto (N.d.T.). 21 travaglio, gr. thlipsis. Affanno, travaglio (da thlib6), si usa associato a di6gmos, persecuzione (M t 13, 2 1 ; Mc 4, 17) o come suo equivalente (At I l , 1 9 ; 2 Co r l , 8). Così appare in 16, 33. 23a non avrete bisogno di domandanni, gr. ouk ertJt�sete. Nega la necessità del fatto; cfr. l , 19.21 25; 9, 2.1921 ; 16, 5.19; 21, 12: exetasai.

647

L'ora finale. La Pasqua del Messia

CONTEN UTO E DIVIS IONE La pericope è caratterizzata dal tema della breve assenza di Gesù, seguita

dalla presenza di lui; si intreccia con le reazioni corrispondenti della co­ munità: la tristezza e la gioia. Si divide in due unità: la prima contiene il commento disorientato dei disce­ poli di fronte all'affermazione di Gesù, che comincia e si chiude con l'espres­ sione « entro breve tempo • (16, 16-18), e la seconda, la spiegazione data da Gesù (16, 19-23a), che comincia ripetendo la sua stessa frase; quest'unità è marcata dalle espressioni: « volevano domandarglielo • (16, 19) e • non avrete bisogno di domandarmi nulla • (16, 23a). Al centro figura il para­ gone con la donna che partorisce (16, 21). Riassumendo: 16, 16-18 : Assenza e ritorno d i Gesù. 16, !9-23a: La tri s tezza si trasforma in g ioia La nascita dell'uomo. .

LETIU RA Assenza e ritorno di Gesù 16, 16 . • Entm breve tempo cesserete di vedermi, ma poco più tardi mi vedrete apparire •.

Gesù riprende la frase pronunciata in 14, 19: entro breve tempo il mondo cesserà di vedermi; voi invece mi vedrete. Tuttavia cambia il secondo verso: mi vedrete apparire. La differenza di verbi indica significati diversi. In que l passo, riguardante l'istruzione sulla vita interna della comunità, la visione di Gesù, che per i discepoli non soffrirà interruzione, significava la comunione di vita con lui ( 14, 19: perché io ho vita e anche voi l'avrete) . La situazione interiore dei discepo­ li non cambia, la loro relazione con Gesù è di vicinanza permanente. In questo passo, invece, mentre istruisce i suoi sulla loro situazione nel mondo, parla della comunità soggetta alle vicissitudini della storia, in pa rt i cola re alla persecuzione. La comunità sperimenterà momenti di vicinanza c di lontananza di Gesù, prototipo dei qual i saranno l'assenza causata dalla sua morte e la sua presenza dopo il ritorno alla vita. Ogni gruppo avrà i suoi momenti difficili, nei quali sembrerà che sia rimasto abbandonato; ma a og n i prova esteriore succederà, senza lungo inter­ vallo, una nuova presenza di Gesù. I l ciclo di Gesù (morte-risurrezione) si trasforma in ritmo della comunità. Nella pericope anteriore ( 1 6 , 6-7) Gesù aveva menzionato la sua parten­ za, e la tristezza che causa nei discepoli il timore di trovarsi indifesi davanti agli attacchi del mondo. Gesù rispose allora a tale preoccupa · zionc promettendo l'assistenza dello Spirito. Ora svilupperà espressa­ mente il tema della sua assenza, in relazione con le circostanze mutevo­ li in cui i suoi si troveranno. 648

16, 16-Zla. Assenza e presenza di Gesù

La �Oli prtlssima assenza sarà breve. Egli tornerà a stare con loro, anche se in modo diverso da quello della sua vita mortale.

17 Commentarono allora alcuni dei suoi discepoli: • Che significa questo che ci dice: Entro poco tempo cesserete di vedermi, ma poco più tardi mi vedrete apparire "? E questo " vado dal Padre "? ». •

Il commento di alcuni discepoli rivela che non hanno compreso nem­ meno cosa significa l'assenza di Gesù, la sua andata al Padre. Si sottolinea molto il loro sconcerto, poiché la frase si ripete praticamente quattro volte (16, 16.17.18.19). Tale insistenza dell'evangelista indica nuovamente che non si riferisce soltanto alla sorte di Gesù, ma anche a quella della comunità. Questa non prevede i tempi difficili che le toccherà sopportare. Le domande dei discepoli corrispondono esattamente a una frase pre­ cedente di Gesù (16, I O : e ne è prova che vado dal Padre e cesserete di vederml) . Non comprendono che la sua andata dal Padre è la garanzia della sua futura presenza (16, 7) e la prova che egli ha ragione, di fronte al mondo. Continuano a pensare che la morte sia la fine di tutto; come prima Tommaso (14, 5 Lett.), non comprendono che sia un cammino. Per questo l'assenza di Gesù è per loro motivo di tristezza (16, 6) anziché di gioia (14, 28). 18 E si domandavano: • Che significa quel «entro breve tempo?" Non sappiamo di cosa parla •· L'insistenza sull'• entro breve tempo • e la successiva immagine della donna che partorisce, collocano le parole di Gesù sullo sfondo di I s 26, 14ss, i n special modo d i 26, 20s: • Va, popolo mio, entra nelle tue stanze e chiudi la porta dietro di te (cfr. Gv 20, 19.26). Nasconditi per un momento (cfr. nota) finché non sia passato lo sdegno. Perché ecco, il Signore esce dalla sua dimora per punire le offese fatte a lui dagli abitanti della terra; la terra ributterà fuori il sangue assorbito e più non coprirà i suoi cadaveri ».

La

tristezza si trasforma in gioia. La nascita dell'uomo

19 Gesù si rese conto che volevano domandarglielo, e disse loro: State discutendo perc!té /10 detto: " entro breve tempo cesserete di vedermi, ma poco più tardi mi vedrete apparire" ? ». •

Gesù ripete testualmente la sua frase, come per inculcarla bene ai suoi. Conserva la stessa differenza di verbi, la cui contrapposizione indica due modi di essere presente e, correlativamente, due modi di vedere, quello fisico e quello di un'esperienza spirituale. L'intervallo fra le due visioni suppone un'assenza di Gesù, come se egli si fosse occultato o fosse morto. Ma i discepoli si devono convincere che la sua sparizione è momentanea, che presto torneranno a vederlo. Come si è detto, la frase mira in primo luogo alla prossima morte di Gesù, ma include le difficoltà e i bisogni dei suoi inseriti nella storia. La 649

L'ora Hnale. La Paoqua del Mesola

comunità vive in mezzo al mondo, faccia a faccia a un sistema perver­ so, e partecipa continuamente di due realtà: la vita di Gesù e la sua morte. La vita di Gesù che sperimenta è una realtà interiore e indefet­ tibile (14, 19), esternamente, tuttavia, si incontrerà spesso in circostanze di lotta e morte. II conflitto più o meno acuto fra la comunità e il mondo avrà i suoi momenti di intenso dolore. e allora che il gruppo cristiano deve manifestare l'amore del Padre, come Gesù, che in mezzo al parossismo dell'odio risponde con amore (19, 28 J..ett.). Nei discepoli la vita è già una realtà, la morte sarà soltanto il passaggio a un nuovo stadio, ma frattanto essi dovranno seguire Gesù, disposti alla donazione totale (12, 25; 2 1 , 19). c Davvero vi assicuro che voi piangerete e vi lamenterete; il mondo, invece, si rallegrerà. Voi vi rattristerete, ma la vostra tristezza si trasformerà in gioia •-

20

Per descrivere il dolore dei discepoli e la violenza della prova, Gesù usa i due verbi classici per esprimere il lutto per un morto: piangere e

lamentarsi. Mentre la comunità sarà in lutto, il mondo sarà allegro. Marca così il contrasto con il • mondo • e, con esso, lo spettacolo che si offre alla vista di tutti: il trionfo del mondo sui discepoli. Come in tutto il passo, fa riferimento in primo luogo alla sua morte (20, 1 1 .13.15: pianto di Maria al sepolcro), ma questa sarà il paradigma delle prove successive che la comunità dovrà sopportare. Immediatamente, tuttavia, annuncia loro il cambiamento di situazione: la vostra tristezza si trasformerà in gioia. La tristezza è il sentimento della comunità davanti alla prova dolorosa. Il contrasto fra tristezza e

è in parallelo con quello precedente: cesserete di vedermi vedrete apparire (16, 16).

gioia

-

mi

• Quando la donna sta per partorire, si sente triste, perché è giun ta la sua ora; quando però il bimbo nasce, non si ricorda più del travaglio, per la gioia che è stato generato al mondo un uomo •·

21

La donna », che essendo determinata dall'articolo si trasforma in tipo, qui figura dell'umanità, come la gestante di Is 26, 17 è immagine del popolo e in Is 66, 8 è la città di Sion che dà alla luce i suoi figli. In contesto di creazione, l'immagine evoca Eva, la madre dei viventi 1 ; i n questo passo s i allude alla nascita di una nuova umanità, a un nuovo inizio, che sarà indicato da Gv con la menzione del primo giorno della settimana (20, l ) e dell'orto-giardino (20, 15) . Il .tema della creazione percorre tutto il vangelo a partire dal prologo (1, lss; 5, 17 Lett.). La salvezza che il Messia porta viene concepita in termini di creazione completata (3, 5-6 Lett.) , che dà inizio allo stadio definitivo (6, 39 Lett.) . Questo tema si intreccia tuttavia con quello della nuova alleanza ( l , 17 Lett.), espresso con l'immagine nuziale frequente nei profeti (2, l ; 3, 29 Lett; cfr. 12, lss; 20, lss). c

è

·

l I temi paralleli utilizzano un linguaggio simile. I dolori della • donna • (Gn 3, 16) sono fin dal principio associati alla sua fecondità (ibid.), e l'esclamazione di Eva davanti alla nascita del primo uomo: ho ottenuto un uomo con l'aiuto di Dio (Gn 4, 1), non è lontana dall'espressione usata da Gesù: è stato generato al mondo un

uomo. 650

16, 16-Zla. Assenza e praenm di Gesù

All'inizio della sua m1ss1one, Gesù fu presentato da Giovanni Battista come • Io Sposo » che prende con sé la sposa, nel giorno delle nozze; questo causava la gioia di Giovanni al veder compiuta l'aspettativa di Israele, la promessa di un'alleanza nuova (3, 29 Lett.). In questo passo, alla fine della missione di Gesù, la menzione della donna che dà alla luce evoca la fecondità di quelle nozze; l'allegria si deve al frutto della nuova alleanza, il completamento della creazione dell'uomo (4, 36; 15, I l Lett.), espresso in termini di nascita (cfr. 3, 3.5.6). II paragone di Gesù allude al tempo stesso a Is 26, 14ss: • I morti non vivranno più, le ombre non risorgeranno ... hai fatto crescere la nazione, Signore, ... ti sei glorificato, hai dilatato tutti i confini del paese ... come una donna incinta che sta per partorire si contorce e grida nei dolori, così siamo stati noi di fronte a te, Signore ... di nuovo vivranno i tuoi morti, risorgeranno i loro cadaveri. Si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nella polvere. Perché la tua rugiada è rugiada luminosa, la terra darà alla luce le ombre ». II testo profetico usa l'immagine del parto in relazione con una risur­ rezione di morti. Sulla bocca di Gesù, indica non solo la sua risurre­ zione, ma anche quella che l'uomo sperimenta uscendo dall'oppressione, che è morte (5, 21). Il testo di Isaia include i temi della manifestazione della gloria di Dio (v. 20: Gv 16, 18 Lett.). L'immagine del parto si colloca nella stessa duplice prospettiva: la morte-risurrezione di Gesù e la tristezza-gioia dei suoi. La persecuzione e la morte sono pegno di risurrezione e vita. Quest'immagine è in relazione con quella del grano che cade in terra e muore (12, 24). In entrambi i casi si riferisce direttamente a Gesù, ma si applica conseguentemente alla sua comunità; nell'uno e nell'altro passo, il contesto è di missione. Le due immagini hanno in comune un aspetto negativo (morte-tristezza) e un altro positivo (fecondità) conse­ guenza del primo. La menzione dell'• ora • della donna riprende il tema dell'• ora • di Gesù, nel suo duplice aspetto: quello negativo, la morte come risultato della persecuzione provocata dall'odio (7, 30; 8, 20; 1 2 , 23.27), cui fa allusione • il travaglio • (cfr. nota), e quello positivo, la manifestazione suprema dell'amore di Dio (12, 23.28), il passaggio di Gesù al Padre (13, 1). L'immagine del parto precisa in cosa consistano il frutto del chicco di frumento e quello menzionato a partire da 1 5 , 2: è l'uomo nuovo, quello che possiede la vita nuova e definitiva. Nasce come frutto di una spoliazione, espressa in termini di morte o di dolore. Gesù darà la sua vita per creare l'uomo nuovo; anche le sofferenze dei suoi. perseguitati dall'ordinamento ingiusto, sono dolori di parto della nuova umanità. Non bisogna, in questo passo, ridurre il significato del • mondo •. che denota la creazione intera. L'uomo nuovo nasce per il bene della creazione (è stato generato al mondo un uomo); questa trova il suo stadio definitivo appunto nella nuova condizione dell'uomo. 22 • Cos! anche voi ora provate tristezza, ma quando io apparirò fra di voi vi rallegrerete, e la vostra gioia nessuno ve la toglierà •. Il verbo prima tradotto, mi vedrete apparire (16, 16.17.19),

ha

ora

per

651

L'ora finale. La Pasqua del Messia

soggetto Gesù, che torna a vedere i suoi; indica così il nuovo tipo di esperienza e di visione. Il tema della gioia si unisce a quelli della nascita e della restaurazione in Is 66: « Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come erba fresca • (66, 14); « prima di provare i dolori, ha partorito; prima che le venissero i dolori, ha dato alla luce un maschio ... un popolo è generato forse in un istante? Eppure Sion, appena sentiti i dolori, ha partorito i figli • (66, 7s). Gesù applica qui chiaramente il tema della tristezza-gioia agli avveni· menti della sua morte e risurrezione. Li mette così in parallelo con l'immagine che aveva usato: la sua morte rappresenta i dolori del parto; la sua risurrezione, la nascita dell'uomo. t! attraverso la dedi­ zione totale che l'uomo giunge alla sua condizione definitiva. Nella vita di cui gode Gesù, a partire dalla sua morte, culmina il disegno creatore. Ciò che nasce è l'uomo; la condizione di Gesù risorto non cessa pertanto di essere umana: al contrario, è la pienezza di esistenza che Dio ha destinato all'uomo. Così in Gesù l'umanità comincia il suo stadio definitivo. Per Gv sottoli­ neare tale fatto è importante a tal punto che lo chiama « la nascita dell'uomo •. Si spiega cosi la sua mancanza di interesse per la genealo­ gia di Gesù e per le circostanze della sua nascita nella carne (7, 42 Lett.). L'uomo raggiunge la sua pienezza soltanto quando è giunto ad amare fino all'estremo ( 1 3, 1 ) . La gioia sarà permanente. Una volta che i discepoli abbiano visto il trionfo della vita sulla morte, non ci sarà motivo di tristezza, la vittoria sarà sicura. La gioia della comunità si fonda sulla presenza di Gesù risorto, segno della vita invincibile, esperienza che non può essere estinta dal potere della morte. 2 la morte in qualunque sua modalità, morte in vita e morte finale, l'unica causa di tristezza. Il potere, che rappresenta e causa tale morte (8, 44; 16, 2), è seminatore di tristezza. Il sistema di potere si rallegrava dell'apparente trionfo della morte sulla vita, i discepoli si rallegreranno del trionfo della vita sulla morte.

23a



Quel giorno non avrete bisogno di domandarmi nulla •·

Quando giungerà quel giorno, comprenderanno. Le domande che si sono andate susseguendo nella Cena ( 1 3, 36; 14, 5.22; 16, 19) mostravano che i discepoli non comprendevano il significato della morte di Gesù. La sua frase mostra che non potranno comprenderla finché non avran· no fatto l'esperienza dello Spirito. Essa risponderà a tutte le loro domande (14, 20.26). ·

SINTESI Gesù si sforza di assicurare i suoi discepoli che la sua morte non è una fine, ma un principio. La sua assenza sarà breve e darà luogo a una presenza nuova, che mai mancherà loro. Nella pericope precedente aveva promesso l'aiuto dello Spirito nel loro confronto con il mondo. Ma lo Spirito renderà presente Gesù stesso. Nel discorso di Gesù appaiono due piani sovrapposti in relazione con il

652

16, 16-23a. Assenza e presenza di Gesù

tema della morte-fecondità. In primo luogci si riferisce alla sua morte, che produrrà tristezza, ma non duratura; suo frutto sarà la nascita dell'uomo nuovo. In secondo luogo quel che avviene con Gesù è legge per tutti: per produrre frutto abbondante il chicco di frumento deve morire. La comunità dev'essere feconda, e conoscerà pertanto i suoi momenti di morte. Su questo piano la realtà è più complessa, poiché include le prove di ogni individuo e quelle della comunità come tale. Ciascuno deve passare attraverso la propria morte, non soltanto fisica, ma come propria dedizione a favore dell'uomo. La comunità conoscerà i suoi momenti di persecuzione, che produrranno dolore. Nel corso della storia individuale e collettiva, individuo e comunità dovranno morire per dare vita. Gli uni e gli altri hanno la loro ora, come quella di Gesù. In mezzo al dolore vi è gioia, che nasce dalla presenza di Gesù, dalla certezza della sua vittoria e del frutto che nasce.



..

�f .

653

Gv 16, 23b-32: L'amore del Padre 2lb

Davvero vi assicuro:

Se chiedete qualcosa al Padre in unione con

me, ve la darà. 24 Fino a oggi non avete chiesto nulla in unione con me; chiedete e riceverete, così sarete pieni di gioia. 2s Di questo vi ho parlato per similitudini. Si avvicina l'ora in cui non vi parlerò più per similitudini, ma vi informerò chiaramente circa il Padre. 26 Quel giorno chiederete in unione con me; e non vi dico che io pregherò il Padre per voi, 27 perché il Padre stesso vi vuole bene, poiché voi mi volete bene veramente e credete fermamente che sono uscito da Dio. 28 Uscito dal Padre, sono venuto nel mondo; ora lascio il mondo e vado dal Padre. 29 I suoi discepoli gli dissero: - Ora si che parli chiaro, senza usare similitudini.

30

Ora sappiamo che

sai tutto e che non hai bisogno che qualcuno ti faccia domande. Per questo crediamo che procedi li G esù replicò loro: - E adesso credete?

32

da

Dio.

Ecco, si avvicina l'ora, ed

è

già presente, in

cui

vi disperderete ciascuno per la sua strada, e mi lascerete solo; sebbene io non sia solo, perché il Padre

è

con me.

NOTE FILOLOGICHE 16, 23b in unione con me. Cfr. 14, l J nota. 24

così sarete, gr. hina. Consecutivo.

25

similitudini, gr. paroimiais. Comparazioni, similitudini, linguaggio

fi­

gurato.

27 vi vuole bene, gr. philei. Esprime l'affetto proprio di amici (philos), l'amicizia; cfr. 1 1 , 3.1 1 ; 15, 14.15; 21, 17. - mi volete bene veramente, gr. pephilekate. Pf. intensivo. Cfr. El A.specto V erba/, n. 154. - credete fermamente, gr. pepisteukate. Pf. intensivo. Cfr. 6, 69; 1 1 , �· Uscito dal Padre, gr. exelthon para tou patros. La prepos. para indica origine, provenienza (15, 26 nota). Gesù procede dal Padre in quanto è realiz­ zazione del progetto di lui; la sua « uscita • indica il passaggio dal Padre (discesa dello Spirito, l , 32) alla manifestazione a Israele. - ora, gr. palin. Come in altre occasioni (cfr. 4, 54 nota) rimanda a un fatto anteriore, ma senza indicare semplice ripetizione. In questo caso, un iti­ nerario contrario a quello indicato in precedenza. 28

[Ora] si che [parli chiaro], gr. ide. Come esclamazione ; con « ecco! •. o con l'intensiva « si che •. - senza ... similitudini, gr. paroimian oudemian.

29

654

si può tradurre

16, 23b-32. L'amore del Padre

30 procedi, gr. exlfthes apo. Acir. Non si tratta di luogo fisico, ma di pro­ venienza (16, 28 nota). In i t. l'idea di provenienza si espone normalmente al presente. 31 E adesso credete}, gr. arti pisteuete. L'interrogazione non è domanda, ma prova di incredulità, che in i t. si indica con la sottolineatura • e • . 32 per la sua strada, gr. eis ta iditl. Secondo i contesti, significa sua • (cfr. 1, 1 1 ; 19, 27). " per i fatti propri " o idea simile. - sebbene, gr. kai. Concessivo.

c a

ea!a

CONTEN UTO E DIVISIONE L'unità della pericope è indicata dalla menzione del Padre, la cui relazione con la comunità è il tema centrale {16, 23b.25.26.27.28.32: Padre; 16, 27.30: Dio). La sua struttura inverte quella della pericope precedente, della quale è simmetrica. Comincia con l'istruzione di Gesù (16, 23b·28) e termina con un dialogo con i discepoli (16, 29-32). Si possono distinguere due temi:

16, 23b-28: Il Padre e i discepoli. 16, 29-32: Dialogo. Fede illusoria.

LETTURA Il Padre e i discepoli 16, 23b • Davvero vi assicuro: se chiedete qualcosa al Padre in unione con me, ve la darà •· Questa pericope comincia con una dichiarazione solenne: Gesù assicura i discepoli che essi hanno pieno accesso al Padre, la cui paternità Ii comprende (assenza del possessivo mio [ Padre ] ) . L'accesso esiste attra­ verso di lui, cioè in unione con luL Quella di Gesù non è una mediazio­ ne che distanzia dal Padre; al contrario, porta i discepoli fino a lui; Gesù non prende il loro posto, come un intercessore che Ii rappresenti; li unisce a sé, e in comunione con lui essi presentano le loro petizioni al Padre_ La certezza con cui Gesù afferma: ve la darà, mostra che egli dispone della ricchezza del Padre ( 1 6, 1 5 : tutto ciò che ha il Padre è mio; 3, 3 5 ; 17, 1 0) ; a l tempo stesso sottolinea l'efficacia della petizione. I I campo di quest'ultima è illimitato. Ponendo come unica condizione che sia fatta in unione con lui, l'oggetto della richiesta dev'essere collegato a Gesù e, pertanto, al suo amore e alla sua opera, definita da lui stesso: io sono

655

L·ora finale. La Pasqua del Messia

venuto perché abbianò vita · e sovrabbondi in essi (IO, IO). Tutto ciò che contribuisce alla vita individuale o comunitaria dell'uomo, e alla comu· nicazione di tale vita ad altri, può essere oggetto di petizione. 24 « Fino a oggi non avete chiesto nulla in unione con me; chiedete e riceverete, così sarete pieni di gioia "·

Questa maniera di domandare non sarà possibile finché i discepoli non riceveranno lo Spirito, che crea l'unione con Gesù. Per questo ha loro detto in precedenza: vi conviene che io me ne vada; soltanto allora lo potranno ricevere (1 6, 7; cfr. 14, 16) . Li esorta a chiedere con la sicurez­ za di ricevere. Il Padre concede tutto ai suoi figli; nella molteplicità dei suoi doni esprime e comunica loro il suo amore. L'esperienza del Padre raggiungibile e generoso dà alla comunità in mezzo alla sofferenza una gioia piena che nessuno le può togliere ( 1 6 , 22 ) ; ha la certezza di possedere la ricchezza di Dio, anche se vive sotto la minaccia di essere privata dei beni e anche della vita. 25 • Di questo vi ho parlato per similitudini. Si avvicina l'ora in cui non vi parlerò più per similitudini, ma vi informerò chiaramente circa il Padre ».

L'ora cui Gesù si riferisce è quella del suo ritorno (16, 22). La sua informazione sul Padre, tuttavia, non consisterà in spiegazioni verbali, ma nella comunicazione della sua stessa esperienza del Padre attraverso il dono dello Spirito. Questi renderà superflui tutti i paragoni; la conoscenza del Padre sarà loro connaturale (17, 3 Lett.). Questa frase equivale a quella di 16, 23a: quel giorno non avrete bisogno di doman­ darmi nulla. 26-27 « Quel giomo chiederete in unione con me; e non vi dico che io pregherò il Padre per voi, perché il Padre stesso vi vuole bene, poiché voi mi volete bene veramente e credete fermamente che sono uscito da Dio •. È la terza e ultima volta che Gesù indica, con quest'espressione, un preciso giorno futuro (14, 20; 16, 23.26) ; allude al primo giorno della settimana (20, 19: quel primo giorno della settimana; cfr. 20, 1), in cui verrà dai suoi e comunicherà loro lo Spirito (20, 19,22) . In ciascuno dei tre passi è stato esposto un aspetto dell'esperienza propria di questo giorno; in 14, 20, l'identificazione dei suoi con lui e con il Padre; in 16, 23, quel giorno in cui lo vedranno e si rallegreranno (16, 22; cfr. 20, 20), e i n cui si renderà inutile ogni domanda; in questo passo (16, 26), nello stesso giorno, il vincolo prodotto dallo Spirito permetterà loro di domandare in unione con lui. Questo modo di chiedere manifesta l'unione con il Padre attraverso Gesù e la comunione di interessi fra il Padre, Gesù e i suoi. Gesù non si int.erpone fra il Padre e i discepoli; in lui essi trovano il contatto diretto con il Padre. Si può chiamare mediatore perché soltanto in lui e con lui si incontra il Padre. In questo testo Gesù afferma che non pregherà il Padre per i suoi; tuttavia in altre occasioni ha dichiarato che egli prega il Padre per loro.

656

16, 23b-3Z. L'amore del Padre

preghiera_ di Gesù per i suoi fonda la è'omunità e la mantiene in vita, in particolare attraverso il dono e la comunicazione dello Spirito (14, 16.24; 17, 9.20). Dicendo che pregherà il Padre dà loro la sicurezza della benevolenza del Padre; sotto l'immagine della preghiera, che è dialogo, esprime la comunione incessante e intima fra il Padre e lui st èsso. La sua presenza presso il Padre come primizia dell'umanità nuova si trasforma in vincolo di comunione fra Dio e l'umanità. In questa che si può chiamare l'intercessione continua di Gesù, si inseriscono le richieste dei discepoli; uniti a Gesù, hanno in lui pieno accesso al Padre. Non esistono pertanto un Dio severo e un Gesù mediatore, ma un Dio Padre che ama gli uomini e che rende presente il suo amore in Gesù. Per questo l'amore del Padre e quello di Gesù sono uno stesso amore; quando Gesù agisce è il Padre ad agire. Gesù è la prova dell'amore del Padre, la risposta a ogni richiesta e l'espressione dell'amore che la concede. L'amore del Padre per i discepoli ha come fondamento l'adesione di questi a Gesù, il loro affetto per lui come amici e la loro fede nella sua provenienza, che significa riconoscerlo come dono del Padre. Tale presupposto non significa che il Padre ami direttamente Gesù e solo indirettamente gli uomini; al contrario, fu l'amore per l'umanità a portarlo a dare suo Figlio (3, 1 6) . Ma poiché Gesù è il dono del suo amore e il modello di Uomo, chi lo respinge respinge con ciò l'amore di Dio e l'amore per se stesso come uomo. Amarlo, invece, è rispondere all'amore del Padre, amare l'uomo e se stesso. II Padre ama i discepoli come amici, al pari di Gesù (cfr. nota). In quanto « amico •, appellativo dei membri della comunità (cfr. I l , I l) , il Padre, come Gesù (15, 15), entra in essa (cfr. nota). Né l'uno né l'altro dominano l'uomo; sono a suo favore e si mettono al suo servizio, come ha dimostrato Gesù (6, I l ; 13, 4ss). Di fatto Dio offre il suo amore al mondo intero (3, 16), ma tale amore diventa reciproco soltanto se l'uomo risponde. L'amore non è com· pleto fino a quando non è mutuo; finché non Io si accetta rimane ·in sospeso. I discepoli lo hanno accettato amando Gesù, e così hanno reso efficace l'amore del Padre. Se non lo si accetta, rimane frustrato; non ha realtà né effetto. L'onnipotenza di Dio è quella del suo amore; egli non può agire che in questa linea, cioè in quella del suo essere (4 , 24: Dio è Spirito). II suo amore, creatore di vita, è aiuto efficace, ma diventa realtà soltanto quando trova risposta. Dio non si impone, si offre come dono gratuito. Il mondo, la creazione, è un'espressione concreta dell'amore di Dio, è suo dono, e tale amore è la forza che la sostiene. Se l'uomo, la grande espressione del suo amore, rifiuta la propria realtà, fa violenza a se stesso e alla creazione; trascinandola fuori dall'ambito dell'amo;·e, si distmgge con essa. La

28 « Uscito dal Padre, sono venuto nel mondo; ora lascio il mondo e vado dal Padre • Gesù riassume il proprio itinerario: dal Padre fino al Padre (cfr. 13, 3). • Uscire dal Padre » significa non soltanto essere inviato da lui (cfr. 657

L'ora finale. La Pasqua del Messia

5, 36.38), ma essere la realizzazione del p�etto che Dio aveva fin dal principio ( 1 , 1 ) . La traiettoria di Gesù è quella dello Spirito (3, 6; 8 , 14). Essendo quest'ultimo la forza vitale di Dio comunicata, porta in modo connatu· rale Gesù alla sua origine. Gesù è uno con gli uomini perché è nel mondo, e uno con il Padre, dal quale è venuto e dal quale si prepara ad andare; egli unisce l'uomo con Dio. Il suo cammino passa attraverso la morte: quest'espressione suprema del suo amore lo condurrà alla sua condizione definitiva presso il Padre.

Dialogo. Fede illusoria 29 l suoi discepoli gli dissero: similitudini » .

c

Ora si che parli chiaro, senza usare

Gesù ha detto ai suoi che l'ora di comprendere pienamente (16, 25) si avvicinava, non che fosse già arrivata. Essi invece, credendo che il Padre lo abbia inviato, secondo quanto ha appena affermato Gesù (16, 27), si figurano di comprendere già tutto. Ironia dell'evangelista. 30 • Ora sappiamo che sai tutto e che non hai bisogno che qualcuno ti faccia domande Per questo crediamo che procedi da Dio ». : I discepoli interpretano male le parole di Gesù. Credono che Gesù abbia risposto alla loro domanda non formulata (1 6, 1 9). penetrando il loro pensiero, e si meravigliano del suo sapere. Per questo credono che procede da Dio. La loro fede non si fonda sull'unico argomento che Gesù ha dato: le sue opere (5, 36; IO, 38; 14, 1 1 ) , ma su una pretesa scienza che gli attribuiscono. 31

Gesù replicò loro:



E adesso credete? •·

Gesù mostra il proprio scetticismo davanti a una simile motivazione. La vera fede ha come oggetto Gesù in croce (19, 35); consiste nell'adesione all'Uomo levato in alto (3, 14s) come manifestazione suprema dell'amore di Dio (3, 16), sua forza salvifica. Gesù crocifisso si trasforma cosl per il credente in nuova Legge, che gli insegna ad amare come lui (13, 34; 1 9, 19 Lett.), sapendo che la sua donazione è anche forza salvifica di Dio. Questa è la fede nell'amore come unica forza salvifica, manifestata in Gesù e comunicata da lui. I discepoli mostrano di seguire Gesù come un maestro eccezionale e si meravigliano del suo sapere. Ma Gesù insegna dalla croce, non con dottrine, ma con la sua dedizione. Insegna ai suoi che l'amore fino all'estremo produce la fecondità della vita ( 12, 24), che perdersi � trovarsi (12, 25) e realizzare in se stessi il progetto di Dio. Se non apprendono questa lezione, non possono chiamarsi discepoli. Già Nicodemo aveva visto in Gesù un maestro inviato da Dio (3, 2) e si attendeva un insegnamento da lui. Gesù gli offrì invece lo Spirito, la potenza dell'amore (3, Ss). La morte-esaltazione di Gesù continua a emergere come l'avvenimento 658

16, Z3b-3Z. L'amore del Padre

che dà signi ficato à tutta la sua vita e da cui irradia la forza dello Spirito. Gv ha concepito l'attività di Gesù come anticipo degli effetti della sua morte (2, 4b Lett.). La sua presenza tra i discepoli produrrà frutto a partire dalla sua esaltazione. 32 • Ecco, si avvicina l'ora, ed è già presente, in cui vi disperderete ciascuno per la sua strada, e mi lascerete solo; sebbene io non sia solo, perché il Padre è con me ». Gesù mostra di conoscerli meglio di quanto non si conoscano essi stessi. L'inadeguatezza della loro fede apparirà molto presto: quando si confronteranno con la realtà della morte di Gesù. Si immaginano di essere pienamente suoi discepoli prima di accettare la sua morte e di ricevere lo Spirito. La loro fede è insufficiente: là dove io vado, voi non siete in grado di venire (13, 33). Lo lasceranno solo. Ma il Padre è con Gesù, e la sua presenza si manifesterà più che mai in questo momento, quando tutti l'avranno abbandonato. Gesù evoca l'immagine del gregge disperso: i suoi Io lasceranno solo. Già una volta Gesù, davanti all'atteggiamento dei discepoli, che preten­ devano di farlo re, se ne andò da solo sul monte (6, 1 5). Essi lo abbandonarono (6, 17). Ora, davanti alla realtà del suo arresto e della sua morte, che distruggono ogni speranza di trionfo terreno, andranno ciascuno per conto suo. Sarà la figura di Pietro, che conserva l'illusione di un re terreno, a rappresentare al massimo tale defezione dei discepoli (18, 10· 1 1 Lett.). Dinanzi al crollo delle sue speranze, giungerà a rinnegare Gesù (18, 15-18.25-27) .

SINTESI In mezzo alla futura lotta, Gesù assicura ai suoi discepoU la permanenza dell'amore del Padre. Il loro contatto con il Padre è immediato in Gesù; egli è la porta del Padre per il mondo e dell'uomo per il Padre ( l . 5 1) . La sua mediazione non si interpone, ma avvicina. L'amore del Padre giunge direttamente ai discepoli; egli è presente nella comunità come amico, come per ogni membro è compagno di vita ( 1 4, 23) . 1:. il Dio che dà e che aiuta. Sua gloria è l'amore fedele per l'uomo ( 1 , 14). . La fede è incompleta fino a quando non si accetta Gesù cosi come si mostrerà nella sua morte. Chi vive nella speranza del trionfo terreno lo abbandona ogni volta che sopraggiunge la prova. Solo comprendendo che la sua vittoria consiste nel superare l'odio con l'amore, la fede trova il suo vero fondamento. Non basta riconoscere che Gesù proviene dal Padre, bisogna sapere che va al Padre appunto per la sua donazione totale.

659

��

Gv 16, 33: ConcluSione. La viHorla sul mondo

Affinché abbiate pace, uniti a me, vi lascio detto: • In mezzo al mondo avrete travagli; state tranquilli, però, che io ho vinto il mon­ do ».

n

NOTE FILOLOGICHE 16,33 vi hlscio detto, gr. lelaléka. Riferito non al p ass ato, ma all'immediato futuro (cfr. 16, 1 nota). (II pf. ha in questo caso valore oracolare. (N.d.T.). - uniti a me, gr. en emoi. Allus ion e a 15,4: rimane te con me. - state tranquilli, gr. tharseite. l:.

l'opposto del turbamento

e

dell'inquietudine

menzionate in 14, 127. (N.d.T.) . - ho vinto il mondo, pf. nenikeka. Con forza di vittoria definitiva: ho lasciato vinto. II pass. pross. it. ho vinto connota anch'esso la definitività.

LETTURA 16, 33 • Affinché abbiate pace, uniti a me, vi lascio detto: "In mezlo al mondo avrete travagli; state tranquilli, però, che io ho vinto il mon­ do" ». Con questo versetto termina lo sviluppo sulla persecuzione dei discepoli da parte del mondo, cominciato in 15, 18: quando il mondo vi odierà, tenete presente che prima di voi ha preso in odio me. Gesù vuole tranquilizzare i suoi (cfr. 14, 1 .27). La pace che augurava come commiato ( 14, 27) deve essere in loro una realtà grazie all'unione con lui. tl la pace della sua comunità, assicurata dalla presenza di Gesù e del Padre. Risponde alla gioia che nessuno potrà loro togliere (16, 22). Tale pace inalterabile che Gesù augura ai suoi è accerchiata dalla pressione del • mondo •. l'ordinamento ingiusto in mezzo al quale essi si trovano (12, 25; 13, l ) . Gesù dà per scontato il fatto della persecuzio­ ne; se i discepoli si mantengono fedeli a lui, questa è inev.itabile (15, 18-25). Ma per la comunità di Gesù l'ostilità del mondo non è segno di disfatta. La vittoria è già conseguita, e il sistema ingiusto ha ricevuto la sua sentenza (12, 3 1 ; 16, 1 1 ) . Di qui la possibilità della gioia continua e della pace; ogni volta che il mondo crede di vincere, conferma il proprio fallimento. La morte di Gesù gli toglierà tutta la legittimazione religiosa cui s 1 appoggia (15, 2 1 ; 16, 3), e metterà allo scoperto fin dove giunge la sua malvagità intrinseca. Per chi crede in Gesù, l'ordinamento ingiusto rimarrà screditato per sempre.

660

Terza ·sequenza

. ,·

'

Gv 17, 1·26: La preghiera di Gesù l Cosi parlò Gesù e, levando gli occhi al cielo, disse: - Padre, è giunta l'ora; manifesta la gloria del tuo Figlio, perché il Figlio manifesti la tua: 2 poiché gli hai dato, nei confronti di tutti gli uomini, la capacità di dare loro - a tutto ciò che gli hai affidato vita definitiva; 3 e questa è la vita definitiva: che essi conoscano personalmente te, l'unico vero Dio, e il tuo inviato, Gesù Messia. • Io ho manifestato la tua gloria sulla terra, dando compimento all'ope· ra che mi incaricasti di realizzare; 5 ora, Padre, manifesta tu la mia gloria al tuo fianco, la gloria che avevo alla tua presenza prima che il mondo esistesse. 6 Ho manifestato la persona tua agli uomini che mi affidasti traendoli fuori dal mondo; erano tuoi, li affidasti a me e stanno compiendo il tuo messaggio. 7 Conoscono ormai che tutto ciò che mi hai dato procede da te; 8 perché le esigenze che tu mi consegnasti le ho consegnate loro ed essi le hanno accettate, e così hanno veramente conosciuto che procedo da te e hanno creduto che tu mi inviasti. 9 Io ti prego per loro; non ti prego per il mondo, ma per quelli che mi hai affidati, perché sono tuoi. 10 (Come tutto ciò che è mio è tuo, anche il tuo è mio). Lascio manifesta in loro la mia gloria, 11 e io non sarò più nel mondo; mentre essi saranno nel mondo, io vengo da te. Padre santo, custodiscili uniti alla tua persona - ciò che mi hai affidato perché siano uno come lo siamo noi. 12 Mentre ero con loro, io li custodivo uniti alla tua persona - ciò che mi hai affidato - e li protessi; nessuno di loro si perse, eccetto colui che andava alla perdi­ zione, cosicché si compie quel passo. 13 Ma ora vengo con te, e parlo così in mezzo al mondo perché siano ricolmi della gioia mia. 14 Io ho consegnato loro il tuo messaggio, e il mondo li ha presi in odio, perché non appartengono al mondo, come neppure io appartengo al mondo; 15 non ti prego di toglierli dal mondo, ma di custodirli dal Perverso. 16 Non appartengono al mondo, come nemmeno io appartengo al mon· do. 17 Consacrali con la verità: verità è il messaggio tuo. 18 Come tu hai inviato me nel mondo, così io ho inviato loro nel mondo, 19 e per loro consacro me stesso, perché anche loro siano consacrati con verità.

20

Né ti prego soltanto per questi, ma anche per coloro che attraverso il loro messaggio mi daranno la loro adesione: 21 che siano tutti uno come tu, Padre, sei in me e io in te - perché anche loro Io siano in noi, e cosi il mondo creda che tu mi inviasti. 22 E così io ho dato loro la gloria che tu mi hai data, perché siano uno come noi siamo uno 23 - io i n loro e tu in me - affinché, raggiungendo l'unità, si realizzino pienamente, e così il mondo conosca che tu mi inviasti e hai dimostrato loro il tuo amore come Io hai dimostrato a me. 24 Padre, voglio che anche loro - ciò che mi hai affidato - siano con me dove sono io, perché contemplino la gloria mia, quella che tu mi hai data, perché mi hai amato prima che esistesse il mondo.

661

L'or:>

finale. La Pasqua del Messia

Padre giusto, il mondo non ti ha riconosciuto: io invece ti ho riconosciuto, e questi hanno riconosciuto che tu mi invi ast i. 2 6 Ho fatto già conoscere loro la tua persona, ma la farò loro conoscere ancora, affinché questo amore con cui tu mi hai amato sia in loro e così io sia in loro. u

NOTE FI LOLOGI C H E 17, l Così parlò, gr. ta r da elalesen. Anaforico. - nw•tifesta la gloria. Cfr. 7, 39 nota; cfr. 13, 31 nota. 2 poiché, gr. kath6s. Causale; cfr. At 7, 48; 15, 15; Rm 1 , 28; l Cor 1 , 6; 5, 7; 2 Cor 4. 1 ; Ef 1, 4; Fil 1 , 7 ; l Ts 1 , 5. - gli hai dato, nei confronti di tutti gli uomini, la capacità, gr. ed6kas auto exousian pasés sarkos. La frase annuncia il presupposto della richiesta che segue. Exousia è usato qui in modo correlativo a l, 12: ed6ken autois exousian, diede loro capacità/li rese capaci di diventare figli di Dio. Designa la ca­ pacità/facoltà che il Padre concede a Gesù di dare tale capacità/facoltà al· l'uomo. Non significa pertanto • autorità su ogni uomo •. ma la possibilità che Gesù ha di realizzare quanto espresso in seguito: dare vita definitiva. La frase è ellittica, e forse Gv gioca con la duplice connessione del termine: ed6kas exousian, capacità comunicata dal Padre a Gesù e exousian pases sarkos, quella che Gesù può comunicare a ogni uomo: lo hai messo in grado di dare la capacità ( dare vita definitiva) a ogni uomo [pen;:hé diventi figlio di Dio]. In it. non si può mantenere totalmente l'ellissi del duplice contenuto dell'exousia, bisogna riferirsi a esso con l'articolo (la) che riman· da alla richiesta successiva. - nei confronti di tutti gli uomini. gr. pas�s sarkos. Termine cui si riferisce l'azione dell'exousia, distributivo (assenza di articolo), con allusione a l, 14: ho logos sarx egeneto. Dare vita definitiva sarà render possibile la rea­ lizzazione del progetto divino nella • carne • · - di dare, gr. ltina ... dose. Non in senso finale, ma completivofimperativo introducendo il contenuto della petizione, come in 17, 15 (er6t6) e 17, 21 (verbo sottinteso); cfr. 4, 47; 19, 31bJ8; Mt 14, 36; 27, 2032; Mc 5, 18; 6, 56; 7, 26; a, 22: 14, 35; Le 7, 36; s. 32: 9, 40; 16, 21. - tutto ciò che gli hai affidato, gr. pan ho dedr'Jkas autr'J (cfr. 17, 11.12.24; 6, 37: IO, 29). Riferito a persone (autois), formula dura in greco quanto in i t. I l neutro designa il gruppo dei discepoli come un tutto, un nucleo distinto da ciò che lo circonda. - vita definitiva. Cfr. 3, 15 nota. =

3 che essi conoscano personalmente te, gr. hina gin6sk6sin. Il verbo gi­ n6sk6 può denotare, come in questo caso, una conoscenza non solo intel· lettuale, ma immediata, esperienziale (si veda Le! t.); (cfr. 14, 20) ; Mc 5, 29. Così gn6sis in Fil 3, 8. 5 al tuo fianco, gr. para seaut6. La prepos. para con dat. denota prossi­ mità; in questo versetto si usa due volte: para seaut6, in cui la qualità del pronome aggiunge il vincolo personale: al tuo fianco, e para soi, che indica semplice prossimità: alla tua presenza. - la gloria che, gr. t� doxe. I l significato manifestativo di dozaz6 porta a cambiare la costr. it. (N.d.T.).

662

17, l-26. La preghiera di Gesù

6 persona tua, gi. sou to onoma. Orioma (cfr. 2, 23; 3, 18 note) è un sostituto che designa la persona, per denominazione (nome), funzione (titolo) o quali­ tà. In questo capitolo appare quattro volte: due (17, 6.26) come oggetto di una manifestazione il cui correlativo è la conoscenza (17, 3); altre due (17, 1 1 .12) come punto di adesione o l'ambito in cui si devono mantenere i discepoli. In tutti i casi sostituisce la persona facendo riferimento alla sua qualità di Padre: • a te in quanto sei Padre •. Il concetto più vicino è • persona •· Cfr. 14, 13 nota. - traendoli fuori dal mondo. Cfr. 15, 1 9 nota. - stanno compiendo, gr. tetérekan. Pf. estensivo continuativo che arriva fino al presente, cfr. 15, IO nota: cfr. El Aspecto Verbal, nn. 246.248. - il tuo messaggio, gr. ton logon sou. Cfr. 15, 3 nota. 7 Conoscono ormai, gr. egnokan. Pf. che indica stato. - mi hai dato, gr. dedokas. Pf. definitivo. - procede da te, gr. para sou. Cfr. 15, 26, in cui il verbo

esplicito.



procedere • è

8 le esigenze, gr. ta rémata. Cfr. 3, 34 Lett.; 6, 63; 14, IO; 15, 7. - mi consegnasti, gr. edokas. Di un messaggio che deve essere trasmesso a sua volta. - le ho consegnate loro, gr. dedoka autois. Pf. definitivo. - e così, gr. k.aL Consec. 9-1 1 Fuori dell 'inciso parentetico in 17, 10a (kai ... panta ... ema), le panicelle si dispongono cosi: (v. 9) hoti ... (v. IO) kai . . (v. I l ) kai... kai ... kai ... La partic. causale hoti introduce le tre ragioni che inducono Gesù a pre­ gare: • sono tuoi •, lascio manifesta la mia gloria •, • non sarò più nel mondo • L'ultima correlazione kai ... kai .. . stabilisce il contrasto che si produce nella nuova situazione: mentre essi ... io ... .



10 (Come ... anche ...) , gr. kai ... kai. Come d'ordinario, questa costruzione non giustappone due membri in semplice parallelismo, ma li pone in qual­ che modo in relazione; indica qui il comune possesso di beni, che pennette di attribuirli all'uno o all'altro possessore. Per altri casi, cfr. 2, 2; 17, 1 1 .26. - Lascio manifesta ... la mia gloria, gr. dedoJUlSrnai. Pf. medio manifestativo di azione presente e stato futuro, in parai!. con 17, 22: ho dato loro la gloria che tu mi hai data. Cfr. 7, 39 nota.

1 1-12 uniti alla tua persOIUJ. Cfr. 17, 6 nota. - ciò che mi hai affidato, gr. ho dedokas moi. Esistono tre varianti testuali h6 ded6kas/ho ded6kas/hqus dedokas. La forma plurale è quella peggio at­ testata; quella attestata meglio è il dativo sg. Si adotta, tuttavia, la lettura ho per i seguenti motivi: a) questa lettura spiegherebbe meglio l'origine delle altre due. Il pron. relat. ho ha un antecedente ambiguo: onoma/autous (cfr. il pl. che segue ho e gli si riferisce in 17, 2.24). Le altre due varianti dissipano l'ambiguità, o riferendolo all'antec. sg. (onoma), il più prossimo, utilizzando una forma praticamente omofona (h6, cosi la maggioranza dei codd.), oppure al plurale (autous). b) L'espressione ho ded6kas moi appare altre due volte nello stesso ca­ pitolo (17, 2.24) ; in entrambi i casi la sua inserzione nel testo produce una frase sintatticamente dura; questo indica trattarsi di una fonnula stereotipata. A questo rispetto, cfr. 10, 29, in cui la stessa espressione appare con la medesima difficoltà sin tattica. Per il tema di • ciò che è stato af­ fidato », cfr. 6, 37-39. ·

663

L'ora finale. La Pasqua del Mesola

c) Tanto in 17, 2 quanto in 17, 24, l'espressione è prussima all'invocazione Padre », che apre una richiesta di Gesù (17, 1 14). Incontrando la stessa invocazione nella petizione centrale (17, 1 lb). ci si poteva attendere la con­ tiguità della stessa formula. d) Tanto in 17, ls quanto in 17, 24 la formula si esplicita con il passaggio al plurale, e lo stesso succede in 17, 1 1 .12. e) Se l'antecedente fosse onoma, si affermerebbe qui per la prima e l'unica volta che il Padre comunica al Figlio il suo nome (cfr. 17, 22, la gloria; 17, 8, le sue esigenze; 3, 35: ha posto tutto nelle sue mani). Dato che • no­ me " sostituisce « Padre il significato della frase sarebbe notevolmente oscuro. •

•.

12 colui che andava alla perdi�ione, gr. ho huios tes ap6leias. La perifrasi huios + geni t. denota una relazione fra due termini, che può essere di ge· nere molto diverso. In questo caso indica l'epilogo inevitabile, senza pro­ nunciarsi sulla causa (cfr. Excursus, p. 874). - quel passo, gr. hé graphé. Sg. di un testo concreto (5, 39: hai graphai, la Scrittura) ; artic. anaforico a 13, 18. 13

della gioia mia, gr. ten kharan tén emen. Possess. enfatico, cfr. 1 5, I l .

14 li ha presi in odio, gr. emisésen autous. Aor. ingressivo di stato, cfr. El Aspecto Verbal, nn. 138s. - non appartengono. Cfr. 8, 23 nota. 15 dal Perverso, gr. ek tou ponerou. Il parall. con ek tou kosmou: • il Perverso • designa « il Nemico • (8, 44; 13, 2), principio ispiratore del mondo ,.,

a

17 Consacrali, gr. hagiason. Derivato da hagios (cfr. 17, l lb: Pater hagie), significa • separare • per una missione (cfr. IO, 36: e/te il Padre con­ sacrò e inviò al mondo), cfr. Ger l, S. - con la verità, gr. en. Strumentale. 19 con verità, gr. en té aletheia. Senza escludere il carattere di locuz. avver­ biale, non si può ignorare l'allusione al v. 17. • Con • è al tempo stesso strumentale e avverbiale.

21 che siano, gr. hina. Introduce il contenuto della richiesta, dipendendo da er6t6, implicito, cfr. 17, 2. - sei in. Cfr. IO, 38; 14, 20; 17, 26. 23 raggiungendo l'unità, gr. eis hen (cfr. 1 1 , 52). I l ' dinamismo délla prepos. dev'essere espresso in i t. con un verbo, cfr. 17, 6: ek rou kosmou; 17, 7: para sou. - si realizzi1to pienamente, gr. 6sin tetelei6menoi. Cfr. 17, 19. Teleio6 = far giungere al massimo di · sviluppo, portare alla perfezione di uno stato, cfr. 4, 34; s. 36; 17, 4; 19, 28. 24 la gloria m ia, gr. ten do:x:an tén emén. Possessivo enfatico; cfr. 17, 13. - prima che esistesse il mondo, gr. pro katabolés kosmou (cfr. 17, 5). Espres­ sione corrente con apo, cfr. Mt 13, 35; 25, 34; Le 1 1, SO; Ef 1 , 4; Eb 4, 3; 9, 26; l Pt l , 20; Ap 13, 8; 17, 8. 25

664

non ti ha riconosciuto, gr. ouk egn6. Cfr. l, IO nota.

17, 1-26. La

preghiera di Gesù

26 già ... ma :.. ancora, gr. kai ... kai. La correlazione di particelle oppone in questo caso all'opera del passato, che avrebbe potuto considerarsi ter­ minata (egn6risa). quella che rimane da realizzare nel futuro (gn6ris6), cfr. 17, 1 0. 1 1 . - tua perso11a. Cfr. 17, 6.

CONTEN UTO E DIVISIONE Terminata l a sua istruzione a i discepoli, nella quale h a stabilito i l fonda­ mento della sua comunità (capp. 1 3-14) e ne ha determinata la missione (capp. 15-16), Gesù si rivolge al Padre. La sua preghiera si compone di una introduzione ( 17, 1-5). un corpo, che comprende a sua volta due pre­ ghiere, per la sua comunità presente e futura (17, 6-23), e una conclusione che riassume la sua opera con i discepoli, ed esprime il suo proposito di con­ durla a termine (17, 24-26). Nell'introduzione (17, 1-5), senza usare verbi che significhino richiesta, Gesù chiede al Padre la manifestazione della gloria e il dono ai suoi della ''ita definitiva, che la sua morte cioè manifesti il suo amore e quello del Padre attraverso la comunicazione dello Spirito a coloro che credono. Nella preghiera delle comunità successive, questa petizione si trasfor­ merà in rendimento di grazie (eucarestia) per l'opera realizzata. Il corpo della preghiera si divide in due parti: la prima per i discepoli at­ tuali (17, 6-19) e la seconda per quelli del futuro (17, 20-23). Ciascuna co­ mincia con un'introduzione che enuncia in entrambi i casi lo stesso pre­ supposto: la fede o adesione a Gesù come effetto dell'opera di Gesù stesso ( 1 7, 6-8) o del messaggio dei suoi discepoli ( 1 7, 20). a) Dopo l'introduzione, la preghiera per la comunità attuale esprime la circostanza da cui è motivata (19, 9- l l a): l'andata di Gesù al Padre, dopo aver comunicato ai suoi discepoli • la gloria • ( 17, 10). Segue la richiesta propriamente detta ( 17, 1 lb-19). la cui idea centrale è che il Padre li custodisca nell'unità ( 1 7, I l b) e li protegga, consacrandoli con la verità, perché esercitino la loro missione nel mondo (17, 17-19) senza cedere alle sue pressioni (17,15-16). b) La preghiera per la comunità del futuro, più breve, chiede per essa, dopo l'introduzione (17, 20). l'unità perfetta, effetto della comunicazione della gloria (17, 22) e garanzia dell'efficacia della missione (17, 21b23b). La conclusione (17, 24-26) presenta vari paralleli con l'in troduzione: « ciò che mi hai affidato (17, 2.24), l'allusione alla creazione del mondo ( 1 7, 5.24); la futura manifestazione ( 1 7, 26: la farò loro conoscere) corrisponde alla conoscenza che è la vita definitiva ( 17, 2-3); • l'amore » che deve essere nei discepoli (17, 26) procede dalla mani festazione della ozloria del Padre ( = dono dello Spirito = vita definitiva, 17, 1-3). Esprime la volontà di Gesù che il Padre conceda ai suoi la qualità di figli (essere dov'è lui), perché essi lo hanno riconosciuto seguendo lui, in con­ trasto con il mondo; annuncia il proposito di portare a compimento l'opera salvifica, con la manifestazione finale della persona del Padre e il dono dell'amore-vita ai suoi. Conviene tener presente l'equivalenza fra i vari termini che appaiono in questo capitolo. e di questi con altri del resto del vangelo. « La gloria " ( 1 7, 10.22.24), come nel prologo, si identifica con l'amore leale ( 1 , 14) ; entram· bi, a loro volta, con lo Spirito ( l , 32 Lett.) datore di vita (4, 14; 6, 63). Lo Spirito ricevuto fa fare l'esperienza dell'amore gratuito del Padre pre· sente in Gesù; tale esperienza, in quanto formulata è « la verità » (17, 17); in quanto proclamata è « messaggio (17, 6.8.17.20); in quanto diventa norma •

-

·



665

L'ora ftnale. La Pasqua del Malfa

di vita, si trasforma in • comandamento • di amore per i fratelli (13, 33; (17, 8) dell 'a more per ogni 15, 12.17) e in • comandamenti • o • esigenze uomo. •

Il capitolo si può dividere così: 17, 1-5: Introduzione: che si realizzi l'avvenimento sa lvifico. 17, 6-19: Preghiera per la comunità attuale. Presupposto : Fede e prassi della comunità, 6-B:

frutto del­ l'attività di Gesù. Circostanza : L'andata di Gesù al Padre. 9-l l a : l lb-19: Rich ies ta : Che il Padre li custodisca nella missione con­ sacrandoli con la veri tà . 17, 20-23: Preghiera per la comunità del futuro. 20: Presu pposto : La fede frutto del messaggio dei discepoli. Richiesta: Che raggiungano la perfetta unità attraverso 2 1 -23:

l'amore perché il mondo creda. 17, 24-26: Conclusione: che il Padre onori coloro che !"hanno riconosciuto. Propos ito di Gesù di portare a compimento la sua opera.

LETIURA Introduzione: che si realizzi l'avvenimento salvifico 17, l a

Così parlò Gesù e, levando gli occhi al cielo, disse:

La preghiera che Gesù pronuncia è intimamente legata alle sue istru­ zioni precedenti (cosi parlò) , nelle quali ha stabilito il fondamento della sua comunità ( 1 3 , 33-35), le ha indicato il cammino ( 14, 1 - 14) , ha esposto le condizioni per la missione ( 1 5 . 1 - 1 7) e ha predetto l'odio del mondo e l'aiuto che riceverà in mezzo alla difficoltà ( 1 5 , 18-16, 15). La realtà di tutto questo programma dipende dal verificarsi dell'evento salvifico, opera comune di Gesù e del Padre, cui ora sta per rivolgersi. Per parlare con lui leva gli occhi al cielo, che per la sua eccellenza e invisibilità è si m b ol o della sfera divina. t! anche la dimora del Padre, da dove discese su Gesù lo Spirito ( 1 , 32s) e da dove può dire di essere sceso lui stesso (3, 13-3 1 ; 6, 32.33.38.41 .42.50.5 1 .58). Gesù risponde ora alla voce che venne dal cielo; manifesta il suo desiderio, che coincide con la promessa fatta allora dal Padre ( 1 2 , 28) . In futuro • il cielo • o luogo di Dio sarà Gesù pendente dalla E:roce, nuovo santuario; con la sua morte esso rimarrà definitivamente aperto ( 1 , 5 1 ) , lo Spirito scenderà dal suo costato ( 1 9 , 34; cfr. 7, 37-39) . Vi è uno stretto parallelismo fra questi due passi e quanto narrato nella scena di Lazzaro ( I l , 4 1 ) , uniche due occasioni in cui si esplicita una preghiera di Gesù. I gesti sono quasi identici; l'invocazione ( • Padre • ) è la stessa. La differenza è che in questo passo si chiede la manifestazione futura della gloria, mentre in I l , 41 Gesù esprimeva il proprio rendimento di grazie al Padre, sempre in relazione con la gloria ( I l , 40; cfr. 1 1 , 4 ) . L'azione di grazie di Gesù era dovuta al fatto che il Padre l'aveva ascoltato; si riferiva alla realizzazione della sua opera nell'uomo, preci566

17, t-26. La preghiera di Gesù

samente ciò che si chiede per il futuro in 17, 1-3. L'episodio di Lazzaro , come tutta l'attività di Gesù durante • il suo giorno », anticipava e spiegava gli effetti della sua morte (• la sua ora »). Quanto è avvenuto con Lazzaro risulta così figura di quanto avverrà nella morte di Gesù e, di conseguenza, in quella dei suoi. lb

« Padre,

è

giunta l'ora "·

• Padre » è l'appellativo di Dio che mostra la relazione con quello di colui che lo pronuncia, e caratterizza Dio come colui che per amore comunica la propria vita ( 1 , 14d Lett.). Gesù lo chiama così perché egli è e si sente pieno della vita del Padre, il suo amore leale, che gli ha interamente comunicato. Partendo da tale uguaglianza si rivolge al Padre. E. giunta • l'ora • annunciata a Cana (2, 4), il cui periodo è cominciato sei giorni prima di Pasqua ( 1 2 , 1.23) ; tale ora aveva provocato la crisi di Gesù (12, 27). Qui non solo annuncia nuovamente che è giunta, ma che l'accetta pienamente. Davanti alla sua ora, che culminerà nella sua morte, Gesù è completamente tranquillo; inoltre, chiederà che non venga differita. Sa che " essa significa la sua vittoria (1 6, 33).

le tua



manifesta la gloria del tuo Figlio, perché il Figlio manifesti la

•.

Come aveva fatto superando la crisi (12, 27), Gesù torna a chiedere al Padre che si realizzi l'avvenimento salvifico, la manifestazione della sua gloria-amore. Ha fretta di manifestare all'umanità il proprio amore, e quello del Padre. Entrambi sono una stessa gloria: quella del Padre comunicata interamente a Gesù ( 1 , 14). Chiede che splenda in tutto il suo splendore, attraverso il dono della sua propria vita (10, 18). questo amore illimitato, capace di vincere perfino l'odio che storicamente lo conduce alla morte (15, 18-25). Manifestando il suo amore, Gesù vuoi far conoscere il Padre agli uomini ( 17, 26). Gv continua a insistere sull'idea del vero Dio, quello che è disposto a dare tutto per l'uomo (3, 16) perché questi giunga alla sua pienezza ( 1 , le). Ciò che Gesù aveva anticipato nella lavanda dei piedi, il servizio dell'uomo fino alla morte (13, 4 Lett.), è ciò che ora sta per compiere in unione con il Padre. Gesù manifesterà la sua gloria-amore consegnando­ si alla morte; il Padre manifesterà la sua dando vita ( = Io Spirito) per mezzo di Gesù (13, 32 Lett.). Chiedendo al Padre di manifestare la gloria di suo Figlio, Ges!I mostra il carattere dinamico della comunicazione della gloria-a more. Questa non è un bene trasmesso una volta per tutte e che agisce indipenden­ temente dalla propria fonte; al contrario, la comunicazione è incessante, ininterrotta, come espressione continua dell'amore del Padre per il Figlio. Gesù non può manifestare la propria gloria senza l'accordo del Padre, perché ciò che manifesta è la gloria che il Padre gli sta comunicando. Appare quindi che l'espressione di l , 32s: ho contemplato lo Spirito ... e rimase su di lui, non significava che tale Spirito si separasse dal Padre per restare su Gesù, ma che da quel momento la comunicazione totale dello Spirito del Padre a Gesù non subisce alcuna interruzione. 667

L'on Onale. La Pa�quo del Me.ala

Essendo l'amore del Padre e quello di Gesù inseparabili, non esiste in Gesù un amore umano che non sia divino, né il Padre manifesta un amore che non sia al tempo stesso umano. t:. l'amore divino espresso nella carne, e l'amore umano con dinamismo divino. 2 « poiché gli hai dato, nei confronti di tutti gli uomini, la capacità di dare loro a tutto ciò che gli hai affidato - vita definitiva ». -

Da Gesù verso di (5, 24.26). dandogli

dipende l'esito dell'opera creatrice di Dio, perché solo attra­ lui può essere comunicata agli uomini la vita definitiva Gesù ha la capacità di far sì che l'uomo nasca da Dio ( l , 13). così la capacità d i diventare figlio ( l , 12) (cfr. nota) . Riferendosi all 'uomo come carne >>, lo considera in una condizione di vita effimera; è l'uomo non completo. Tale condizione non si supera se non • nascendo di nuovo » , ricevendo • dall'alto » lo Spirito, principio della vita definitiva (3, 3.5-6). Al tempo stesso, con la denominazione « carne », Gv evoca l'elemento di solidarietà fra Gesù, il progetto divenu­ to uomo (• carne »), e gli altri uomini. Gesù è l'uomo che possiede interamente lo Spirito ( 1 , 32; cfr. l , 14) e può comunicarlo (7, 39). Gesù, • carne " pi ù Spirito, è il progetto di Dio realizzato ed è colui che, comunicando lo Spirito che possiede, dà la possibilità agli altri uomini (• carne ») di partecipare alla sua stessa condizione ( 1 , 12.13.16.17) . Ogni uomo può ottenere questa vita, accettando l'o fferta che il Padre gli fa in Gesù. Da parte di Dio non c'è discriminazione alcuna: sarà l'uomo a decidere il proprio destino (3, 17; 12, 46s; 15, 22-24) . Chi, respingendo l'amore, re spinge la vita, rimane nella mo rte. La comunicazione della vita definitiva indica che il mondo, considerato realtà futura dal giudaismo, è già presente nella comunità di Gesù. Il regno di Dio (3, 3.5) comincia a delinearsi in questa terra, perché l'amore del Padre si manifesta dando agli uomini la vita propria della creazione completata (3, 15.16; 4, 14; 5, 24; 6, 40.50s.58; I l , 25s). Appare in questo capitolo per l'ultima volta l'espressione neutra: ciò che gli hai affidato, riferito al gruppo dei suoi discepoli ( 17, 2.1 1 . 12.24; cfr. 6, 37.39; IO, 29) . Questa strana designazione, per l'incoerenza sin tat­ t ic a che crea (mancanza di concordanza con il plurale che prec ed e o segue), dimostra trattarsi di una formula stereotipa propria di Gv. 'L'uso del neutro singolare per designare i l gruppo è in relazione con l'obiettivo della preghiera • perché siano uno • (neutro, 17, 1 1 .21 .22.23; cfr. IO, 26.30; 1 1 , 52) . D'altra parte questo neutro singolare può essere posto in relazione con la denominazione • sp iri to • (pneuma, neutro) , applicato all'uomo nato dallo Spirito (3, 6: dallo Spirito nasce spirito). Di questo uomo nuovo afferma l'evangelista: ancora non vi era spirito, perché la gloria di Gesù non si era ancora manifestata (7, 39). I l frutto della manifestazio­ ne della gloria viene designato pertanto come • esistenza dello spirito • o come comunicazione della vita definitiva (1 7, 2) ; le due espressioni sono dunque equivalenti: possiede la vita definitiva ch i è nato dallo Spi rit o. Un'altra equivalenza si incontra in l, 17: l'amore e la lealtà hanno cominciato a esistere per mezzo di Gesù Messia; sono il frutto della sua missione, ciò che si riceve dalla sua pienezza ( l , 16) ; quando nell'uomo esistono • l'amore e la lealtà », esiste lo spirito. L'espressione •

668

17, 1-26. La prqhlera di Gesù

neutra • ciò che mi hai affidato • denota pertanto la comunità- in quanto fonna un'unità, in quanto è " amore leale », cioè " spirito •, possedendo così la vita definitiva. Il Padre ha affidato a Gesù il gruppo di coloro che rispondono alla chiamata della vita, nel presente e nel futuro (6, 37-40; 17, 6-8.20). Sono coloro per i quali la vita è la luce ( 1 , 4) e da essa si lasciano illuminare ( 1 , 9); coloro che ascoltano e imparano dal Padre (6, 45) . e bramano raggiungere la pienezza contenuta nel progetto divino ( ! , le; 7, 1 7) . Gesù deve realizzare questo anelito dando loro la vita definitiva. 3 « e questa è la vita definitiva: che essi cortoscano personalmente te, l'mrico vero Dio, e il tuo inviato, Gesù Messia >>.

vita che Gesù vuoi comunicare all'uomo consiste nella conoscenza personale e immediata del Padre, unico Dio vero (cfr. 20, 17). Essendo " Padre • un termine relativo (17, l b Lett.), conoscere Dio in quanto tale è un fatto necessariamente relazionale, di esperienza, non unicamente intellettuale. Può conoscere Dio come Padre soltanto chi rispetto a lui è figlio. La vita definitiva implica quirdi l 'essere figlio del Padre. Questa conoscenza è correlativa nell'uomo alla manifestazione della gloria del Padre: il suo amore o Spirito. Gesù lo riceve dal Padre ed è pertanto il Figlio ( 1 , 32-34); l'uomo a sua volta lo riceve da Gesù e lo Spirito crea anche in lui il rapporto ·li figlio. Accettando tale amore come norma l'uomo si rende simile a Gesù ( 1 , 16). Anche il rapporto di Gesù con il Pat re viene descritto in termini di conoscenza, che significa l'intimità de l'amore (10, 14- 1 5 Lett.), e tale è la relazione dei suoi con lui ( 1 0, +). È l'esperienza descritta da Gesù in 14, 20: quel giorno spe rim e n t e re t e (conoscerete) ch e io sono in mio Padre, voi in me e io in voi. Il Padre datore di vita è l'unico vero Dio. Ogni Dio che stabilisce con l 'uomo un rapporto signore-servo è falso. Il Padre non si impone all'uomo, ma lo completa, dandogli (;, capacità e comunicandogli la sua stessa vita per mezzo dello Spirito-anore. L'aggiunta: e il tuo inviato, Gesù Mc;sia, mostra che la conoscenza del Padre è inseparabile da quella di GL sù, che realizza la presenza di lui (14, 6.9). Egli si è definito come il Figlio », mostrando la propria relazione con il Padre ( 1 7 , 1 ) ; ora si designa come • Messia », indicando la sua missione storica rispetto agli uomini. È il liberatore che effettua un nuovo esodo (8, 1 2) e costituiscL una nuova comunità umana, ren­ dendo possibile la salvezza. È la prima volta, dal prologo (1, 1 7), che appaiono associati nome e missione storica : Gesù Messia; lì u esposta la sua opera messianica: l'amore e la lealtà hanno cominc ato a esistere per mezzo di Gesù Messia. Egli, come Messia, la re:t!izza nell'uomo, comunicandogli lo Spirito ( 1 , 1 7 Lett.). La

•·

4 • lo ho manifestato la tua gloria sulla terra, dando compimento all'opera che mi incaricasti di reclliu.are •.

Gesù dà compimento all'opera del Padre in primo luogo in se stesso. La manifestazione del suo amore firo all'estremo completa in lui l'opera creatrice e inaugura il mondo m•ovo e definitivo ( 1 9, 30). 669

L'ora finale. La Pasqua del Messia

Così, con la sua morte-esaltazione, realizza il disegno del Padre (4, 34), dando vita definitiva a coloro che il Padre gli affida (6, 39.40); a ciò tendeva la sua attività, che continuava il lavoro creatore (5, 1 7.26); Gesù la porta a termine infondendo lo Spirito ( 19, 30.34; 20, 22). La nuova condizione dell'uomo, che lo pone di fronte al Padre nella situazione di figlio, somigliante a quella di Gesù (20, 17) , lo trasforma, collocandolo di conseguenza in un nuovo rapporto con il mondo e con gli altri uomini. In quanto figlio di Dio partecipa della sua libertà e del suo dominio sul mondo; rispetto all'uomo si colloca in uno stato di uguaglianza radica­ le, fondata sulla comune condizione di figlio di Dio, data dallo Spirito; e al tempo stesso in relazione di solidarietà totale, il cui fondamento è i l dinamismo dello Spirito, che spinge alla dedizione. L'attività di Gesù ha manifestato che è lui il prototipo di t à le nuova condizione (l'Uomo) ; i suoi segni egli li ha realizzati negli uomini, dando loro libertà (5, I ss), amore che condivide (6, 1 ss), pienezza umana (9, I ss) . vita definitiva (cfr. I l , 44). Sa

«

ora, Padre, manifesta tu la mia gloria al tuo fianco

•.

Gesù vive un processo storico che, a partire dal suo arrivo (1, 1 1 .15.27.30), si sviluppa in un'attività e termina con la sua partenza (13, 1 ) . Dal punto di vista della sua unione con il Padre, non cambia nulla, poiché questa è piena fin dal principio ( 1 , 32) , ma Gesù va attualizzando con la sua attività la risposta all'amore ( Io Spirito) che il Padre gli comunica in pienezza; la sua morte sarà l'espressione della sua risposta totale e definitiva. Gesù domanda che la sua morte manifesti l'amore solidale del Padre e suo per l'uomo e sia la prova indiscutibile che la sua opera e il suo amore sono quelli del Padre. L'aggiunta : al tuo fianco, indica il caratte· re definitivo di tale manifestazione; sarà l'accoglienza del Padre come fine dell'itinerario di Gesù ( 1 3 , 3 : cosciente ... che da Dio procedeva e a Dio andava; cfr. 16, 10) e lo stato definitivo di unione con il Padre, che manifesterà permanentemente la gloria del Figlio; questa sarà la gloria contemplata dalla comunità (17, 24) . Tale manifestazione perpetua del­ l'amore dimostrato sulla croce, il cui dono è lo Spirito, sarà simboleg­ giata dal costato aperto dopo la risurrezione (19, 34; 20, 20.27). =

5b « la gloria che avevo alla tua presenza prima che il mondo esistes­ se )). Gesù è la realizzazione del progetto divino sull'uomo. Questo progetto. precedente alla creazione, era l'Uomo-Dio (1, le Lett.) pieno della gloria del Padre ( 1 , 14), un Figlio unico, Dio (l. 1 8). Gesù domanda ora al Padre che esso giunga alla sua realizzazione perfetta con la dimostrazione piena della sua capacità di amare e di comunicare vita (cfr. 20, 28). Essendo Gesù il compimento del progetto creatore, la creazione, che era ancora in corso, giunge in lui al suo culmine. Tutta la creazione mirava a quest'ora di Gesù, nella quale avverrà la piena manifestazione della vita dell'uomo, attraverso questo atto d'amore totale. Il testo esprime la predestinazione di Gesù. Il progetto iniziale (l, l) 670

17, 1-26. La preghiera di Gesù

non doveva attuarsi in un uomo qualunque, ma proprio in lui: l'Uomo-Dio si identificava con Gesù. Ecco perché in questo vangelo Gesù non ha « preistoria » : quando appare la prima volta (1, 35) è già il Figlio di Dio (cfr. l , 34), che ha ricevuto la pienezza dello Spirito. A questo rapporto senza confronti tra il Padre e Gesù corrisponde il titolo di • Figlio uni­ co • ( l , 14; 3, 18), alla cui pienezza partecipano coloro che lo accettano ( l , 1 6 ), per diventare • figli » ( 1 , 12). Il progetto iniziale, personificato in Gesù, era la concretizzazione della gloria del Padre. Ora questa gloria/amore, presente nel Figlio unico, si va manifestando.

Preghiera per la comunità attuale a) Presupposto: fede e prassi della comunità, frutto dell'attività di Gesù

6a • Ho manifestato la persona tua agli uomini che mi affidasti traendo/i fuori dal mmtdo ». Gesù è la manifestazione o epifania del Padre. Essendo egli la luce che splende e illumina (1, 5.9). viene per manifestarsi a Israele, come rivelazione ultima e definitiva di Dio, che porta all'apice la rivelazione profetica; Giovanni, il suo ultimo rappresentante, ha come missione non soltanto parlare a nome di Dio, ma indicarlo presente in Gesù in mezzo al popolo (l, 26.3 1 ) . Gesù è la rivelazione del Padre, poiché ciò che contiene e manifesta, ciò che la comunità contempla, è la gloria del Padre che lo colma ( 1 , 14) ; essendo il Padre la sua specifica ricchezza, che Gesù ha ricevuto in eredità, ne è anche la gloria (2, 1 1 ) . La gloria-amore che risiede i n Gesù è principio d'attività; per questo, a ttraverso la sua persona, si manifestano le opere del Padre, o in altri termini: il Padre, operando attraverso Gesù, si manifesta all'uomo (9, 3). Per questo vedere Gesù è vedere il Padre (12, 45; 14, 9). Gesù, che è venuto a manifestarsi a Israele ( l , 31), ricusa di manifestar­ si « al mondo •• (7, 4; 14, 22), poiché questo, per il suo modo d'agire, respinge la paternità di Dio e accetta quella del Nemico (8, 23.44). Chi invece pratica la lealtà verso l'uomo manifesta che le sue opere sono realizzate in unione con Dio (3, 20s). Questi sono coloro che il Padre affida a Gesù. La chiamata del Padre fa rompere con il mondo, il sistema di - ingiusti­ zia e di morte; tale rottura è completata dall'elezione di Gesù (15, 19). Il peccato è appartenere al • mondo » (8, 23.44a Lett.) . Chi, ascoltando la chiamata del Padre, esce dal • mondo •, si aggrega a Gesù nel suo eso­ do (8, 12). 6b gio

• •.

erano

tr10i,

li affidasti a me, e stanno compiendo il tuo messag­

Erano del Pad re perché avevano risposto alla sua offerta; ma il Padre si manifesta in Gesù e agisce per mezzo di lui; a Gesù egli consegna 671

L'ora finale. La Pasqua del Measla

tutto, perché lui deve portare a compimento l'opera salvifica (17, 2; cfr. 3, 35; 13, 3). I discepoli stanno compiendo il messaggio del Padre, che è quello di Gesù (14, 24: il messaggio che state udendo non è mio, ma di chi mi mandò, del Padre). È il messaggio dell'amore (14, 24 Lett.), il cui com­ pimento realizza il disegno di Dio sull'uomo. 7-8 « Conoscono ormai che tutto ciò che mi hai dato procede da te; perché le esigenze che tu mi consegnasti le ho consegnate loro ed essi le hanno accettate, e così hanno veramente conosciuto che procedo da te e hanno creduto che tu mi inviasti ».

Al centro di questo passo si trova il motivo del sapere e della conoscenza: le esigenze ... le hanno accettate. Vi è una decisione della volontà, accettare le esigenze, che precede la conoscenza e ne è condizione. In relazione con il versetto precedente, l'accettazione di cui si parla qui indica il momento iniziale del compimento del messaggio (17, 6). La relazione fra • il messaggio » e • le esigenze • è quella che corre fra il particolare e il generale; • le esigenze • esprimono la pratica del mes­ saggio (14, IO; 15, 7; 3, 34 Lett.; 6, 63) . Il plurale indica che il messaggio è stato accettato non come un principio teorico, ma prevedendo la molteplicità delle sue implicazioni. Gesù ripete qui il principio enunciato nella controversia del tempio: chi vuole realizzare il disegno di Dio, valuterà se questa dottrina è d4 Dio o se io parlo per conto mio (7, 17). La stessa precedenza della decisione rispetto alla conoscenza egli la espresse rivolgendosi ai giudei che gli avevano dato credito: per essere veramente miei discepoli dovete attenervi al messaggio mio: conoscerete la verità e la verità vi renderà liberi (8, 31s). Non c'è conoscenza senza previa decisione della volontà, non si esce dal dubbio senza impegnarsi per i l bene dell'u.> mo. Non si può conoscere Gesù né dargli adesione senza darla all'uomo; il suo comandamento e le sue esigenze si riferiscono all'amore degli altri; le sue opere, che sono l'argomento decisivo per provare l 'autenticità della sua missione (5, 36: 10, 38; 14, 1 1 ) , non sono opere compiute per onorare Dio, ma per aiutare l'uomo. I discepoli sono giunti alla certezza perché hanno accettato l'esigenza dell'amore; allora hanno conosciuto l'origine di Gesù e hanno creduto alla sua missione. Questo passo è in relazione con 3, 33s: chi accetta la sua testimonianz11 imprime il suo sigillo dichiarando: « Dio è leale »; l'inviato di Dio propone infatti le esigenze di Dio, ne è prova che esse comunicano lo Spirito senza misura. Accettando le esigenze e mettendole in pratica, i discepoli sperimentano l 'azione dello Spirito in loro; questo li convince della missione divina di Gesù e del fatto che quanto egli ha procede dal Padre. La certezza della fede non si fonda pertanto su una testimonianza esterna, ma sull'esperienza di vita (lo Spirito) comunicata dalla pratica del messaggio di Gesù, che crea la comunione con lui. Fondata su questa evidenza, la fede non ha bisogno di altra prova e può resistere a ogni attacco. Appare di nuovo implicitamente cosa sia la verità: l'e\;. denza della vita sperimentata. 672

17, 1-26. La prqfllera di Gesù

D'altra parte questa fede, che si riferisce a Gesù, lo accetta pienamente, scoprendo l'origine divina della sua persona e missione (clze procedo da te ... che tu mi inviasti); si scopre inoltre che in Gesù non vi è nulla che non proceda da Dio, che ogni aspetto della sua persona, messaggio e modo d'agire riflette esattamente ciò che è il Padre (8, 29: ne è prova che io faccio sempre ciò che è gradito a lui; 12, SO: ciò che io propongo, lo propongo esattamente come me lo ha lasciato detto il Padre; 14, 24: il messaggio che state udendo non è mio, ma di chi mi mandò, del Padre; 14, 3 1 : che amo il Padre e compio esattamente ciò che mi comandò). Si

giunge così, attraverso Gesù,

a

conoscere l'unico Dio vero (17, 3).

b) Circostanze: L'andata di Gesù al Padre

9-10a • Io ti prego per loro; non ti prego per il mondo, ma per quelli che mi hai affidati, perché sono tuoi. (Come tutto ciò che è mio è tuo, anche il tuo è mio) ». Nel discorso precedente Gesù aveva detto ai suoi: quel giorno chiedere­ te in unione con me; e non vi dico che io pregherò il Padre per voi, perché il Padre stesso vi vuole bene (16, 26 Lett.). Nelle necessità

concrete, la comunità avanza richieste in unione con Gesù; non ci sarà un'autentica mediazione, perché il contatto con il Padre e il suo amore sono immediati nella persona di lui. La preghiera che ora Gesù fa per i suoi non si riferisce a necessità particolari, ma al futuro della sua comunità in mezzo al mondo. Questa preghiera, valida per sempre, precede l'esistenza della sua comunità e la fonda. Gesù non prega per il mondo, che, come ordinariamente nel discorso della cena (1 5, 18-25; 16, 8-1 1.20.33; 1 7 , 6.14.16.25), significa l'ordinamen­ to ingiusto. Rispetto a questo, si può chiedere soltanto che venga distrutto e sparisca. L'ingiustizia istituzionale, che si chiama • il mon­ do "• è nemica dell'uomo e, pertanto, di Dio. Gesù sottolinea la propria incompatibilità con il sistema di morte, il cui capo si avvicina per toglierg li la vi t a (14, 30) . I discepoli sono del Padre e di Gesù. Esiste fra i due una comunità totale, effetto della loro identificazione (10, 30.38; 14, 1 1 .20; 16, 15; cfr. 1. 13 Lett.). I discepoli sono oggetto dell'amore inseparabile di entram­ bi, e appartengono loro. « Essere del Padre , non significa proprietà, ma appartenenza alla famiglia; sono coloro che vivono nella dimora del Padre (14, 2-3). uniti dal vincolo dello Spirito. Non pregando per il mondo, e facendolo invece per i suoi discepoli, Gesù distingue i suoi dal sistema ingiusto. Essi formano la comunità della vita, riunita intorno al Padre e a Gesù. Traccia così la frontiera fra la zona della vita-luce e quella della tenebra-morte ( l . 4-5). ·

10b-l l a • Lascio manifesta in loro la mia gloria, e io non sarò più nel mondo; mentre essi saranno nel mondo, io vengo da te • . Il distintivo della comunità cristiana è che in essa splende la gloria di Gesù (13, 35). La co m un i tà deve continuare a manifestarla con l'attività 673

L'ora finale. La Pasqua del Measta

del suo amore verso l'umanità intera, secondo la missione che il Padre ha affidato a Gesù (3, 17; 12, 47). È una comunità in cui l'amore giunge fino al dono della vita (15, 13), e costituisce così un nucleo d'amore per l'umanità, che manifesta l'amore gratuito di Dio. Perpetua così la sua presenza fra gli uomini. • Il mondo • conserva le sue connotazioni negative. Gesù va al Padre, ma i suoi rimarranno in quest'ambiente ostile (15, 1 8-25) e al tempo stesso seduttore, che costituisce un pericolo per la minaccia che fa pesare e per la sicurezza e comodità che offre (12, 42s) . Gesù ha enumerato i motivi della richiesta che sta per avanzare: in primo luogo, i discepoli appartengono al Padre; quindi, egli lascia in essi la manifestazione del suo amore; infine, questa comunità d'amore, inizio della nuova umanità, non avrà più il sostegno della sua presenza fisica, e si vedrà invece sommersa in un mondo ostile, che cercherà di farla sparire. La comunità, senza l'appoggio visibile di Gesù, ha bisogno di un aiuto per conservare la propria identità in mezzo al mondo, resistere ai suoi scontri e continuare a manifestare agli uomini l'amore leale di Gesù e del Padre. La richiesta che segue esporrà come il Padre manterrà la comunità fedele alla sua chiamata. c) Riclùesta: che il Padre custodisca i discepoli nella missione consacrandoli cori la verità l lb



Padre santo ».

L'appellativo • Padre santo » (hagie) prepara la richiesta finale di que­ sta preghiera: consacrali (hagiason) con la verità. • Santo » significa originariamente • separato •, e conserva questo significato in quanto il Padre si distingue dal • mondo • , dal sistema del peccato e della morte, e gli si oppone. L'aggettivo • santo • insieme a qualità indica attività: « santificatore •, quello che attrae alla propria sfera, separando dal mondo del peccato. La sua qualità di • santo » non lo�ritira quindi dalla realtà umana, ma al contrario lo fa intervenire in essa. Se l'essere del Padre è l'amore leale, la sua attività come • santo • consisterà nel manifestarlo, facendo sì che l'uomo esca dalla sfera del peccato e della morte. La frase di l , 29: guardate l'Agnello di Dio, colui che toglierà il peccato del mondo, annuncia l'attività santificatrice di Dio per mezzo di Gesù; di fatto il peccato sarà tolto dall'umanità con la comunicazione dello Spirito Santo ( l , 33), che trae l'uomo dalla schiavitù, dandogli la condizione di figlio (8, 36 Lett.). Ile



custodiscili uniti alla tua persona - ciò che mi hai affidato

-



Come i discepoli sono uniti a Gesù, la vite vera da cui ricevono vita (15, 1-8) . così devono mantenersi uniti al Padre, restare nella sua zona d'influsso. In tal modo non cederanno al mondo ostile che li circonda. La difesa contro quest'ultimo è nell'unità del gruppo. Gesù chiede al Padre di mantenerli uniti alla sua persona; ma non esiste unione con il Padre indipendente dall'unione con Gesù, luogo della sua dimora 674

"17, 1-26. La

j,reghlera

di Gesù

(2, 1 9-2 1 ) . Gesù esprime in altri termini ciò che aveva detto nella sua esortazione ai discepoli: mantenete là vostra adesione a Dio mal1lenel1dola a me ( 1 4, 1). Sa che l'unica garanzia di unione con il Padre è l'unione con lui, e chiede al Padre di assicurare l'adesione dei discepoli a lui stesso, l'unico luogo d'incontro con il Padre. Questa preghiera di Gesù compie quanto annunciato in 14, 1 6- 1 7 : io ... pregherò il Padre, e vi darà un altro soccorritore che stia con voi sempre, lo Spirito della verità. Ciò che lì si esprimeva come dono dello Spirito, si formula ora come presenza personale del Padre (custodiscili uniti alla tua persona). L' un ione si realizza attraverso la comunicazione del suo Spi rit o , che, creando il rapporto d'amore con il Padre, Io rende presen te e mantiene nell'ambito della sua presenza.

lld

«

perché siano uno come lo siamo noi

•·.

Per la prima volta appare lo scopo ultimo della preghiera di Gesù, che sarà sviluppato nella parte successiva ( 1 7, 2 1 -23) . Si formula sempre in termini di unità: essere uno, come lo so; 10 il Padre e Gesù; essere tutti uno come il Padre è in Gesù e Gesu nel Padre - perché anche i discepoli lo siano con loro e il mondo c-reda ( 1 7, 2 1 ) ; essere uno come perché si Io sono il Padre e Gesù - Gesù in loro e il Padre in Gesù realizzino pienamente raggiungendo l'urità (17, 22s) . Per raggiungere tale obiettivo Gesù ' hiede la protezione del Padre (17, I l e) , che non consiste nel trarli fuori dal mondo, ma nel proteggerli dal Perverso ( 1 7 , 1 5 ) . Il mezzo interno è, per così dire, la consacrazione con la verità, cioè con lo Spirito (17, 17) ; in altre parole: la comunicazione e la contem­ plazione della gloria ( 1 7 , 22.24); ciò eqt· t vale alla conoscenza del Padre e di Gesù Messia (17, 3). che è la vita de: initiva. Effetto dell'unità sarà la fede del mondo ( 17, 22.23 ) . Quest'unità era stata annunciata com< un'esperienza di compenetrazio­ ne: quel giorno sperimenterete che io ;ono in mio Padre, voi in me e io in voi ( 1 4 , 20). La sollecitudine del Pa11re, agricoltore che ha cura della sua vigna ( 1 5 , 1 ) , avrà come risultato l'unità perfetta, come quella che Gesù stesso ha con lui. Finora è stato Gesù a render presente il Padre sulla terra (12, 45; 14, 9); in avvenire sarà la comunità unita a mostrare l'esistenza dell'amore leale. Gesù va trasmettendo alla comunità i propri attributi: egli è stato la manifestazione della gloria-a · nore del Padre; ora sarà la comu­ nità (17, 10), con la sua perfetta un . tà, a manifestarla. Gesù, il Figlio unico, ha dato ai suoi la capacità di diventare figli di Dio ( 1 , 12); sarà la comunità dei figli a manifestare a gloria del Padre. Il paragone che Gesù stabilisce fra l'unità dei discepoli e qu ell a che esiste fra lui e il Padre elimina ogni idea di dominio; si tratta dell'unità dell'amore che identifica e compencrra. Lo scopo della preghiera di Gesù è che esiste l'unità, cioè che la sua a lter na t iva sia realtà ed esista in mezzo al mondo la prova visibile dell'amore di Dio per l'uomo. Essa ·� il presupposto della missione e, in cer to modo, il suo termine. -

-

675

L'ora finale. La PaiCIII'It M Meula

12a



Mentre ero con loro, io li custodivo uniti alla tua persona - ciò

che mi hai affida to - •.

La convivenza e l'unione di Gesù con i discepoli ha loro già aperto l'accesso al Padre, che sarà completo e personale quando riceveranno lo Spirito. Essi hanno di lui esperienza esteriore, per la loro convivenza con Gesù; tale esperienza deve giungere a essere interiore ( 14, 17). Questo è ciò che Gesù esprime: finora, costituendo il gruppo e vivendo in esso, li ha mantenuti uniti al Padre, presente in lui. D'ora innanzi la situa­ zione cambia: l'esperienza del Padre dev'essere interiore, perché Gesù stesso, presenza del Padre, sarà una realtà interiore nei discepoli. Avranno come fattore aggregante questa esperienza che produrrà la perfetta unità (17, l ld). Così giungono al loro stato adulto. 1 2b • e li protessi; nessuno di loro si perse, eccetto colui che andava alla perdizion e, cosicché si compie quel pa sso •·

La sollecitudine di Gesù per il gruppo ebbe il suo esempio nell'episodio dei pani, quando i discepoli disertarono da Gesù, andandosene a Cafar­ nao. ed egli li andò a cercare camminando sull'acqua (6, 16-2 1 ) . I l suo amore (13, l ) non è stato vano. Soltanto un'eccezione si è prodotta, quella del traditore, che non aveva mai accettato il messaggio di Gesù; questi sapeva fin dal principio che Giuda lo avrebbe consegnato (6, 64). Giuda non ha praticato l'amore, mostrato nel condividere (6, I l Lett.); al contrario era ladro ( 1 2 , 6), nemico (6, 70), come i dirigenti giudei, che hanno come padre il Nemico (8, 44). Mai, nemmeno nell'ultimo momen­ to, ha risposto all'amore di Gesù. Questi ha rispettato la sua libertà e gli ha testimoniato la sua amicizia mettendogli nelle mani la sua stessa vita (13, 26 Lett.), ma Giuda è stato incapace di risposta. Rifiutando la vita che Gesù gli offre, perde se stesso. Gv non cita il passo della Scrittura che si compie, ma l'esatto parallelo con 13, 1 8 mostra che si riferisce a quello ivi citato: quello che mangia il pane con me mi ha fatto lo sgambetto (Sal 4 1 , 10). La menzione del traditore in questo luogo è un avviso alle comunità. Possono esistere cristiani di nome che non praticano l'amore, ma che vivono per il loro tornaconto personale. Prepara il paragrafo successi­ vo: se durante la vita di Gesù, mentre egli li proteggeva, un discepolo si è perso, ora che Gesù se ne va continuano ad aver bisogno di protezione. 13 « Ma ora vengo con te, e parlo cosi in mezzo al mondo perché siano ricolmi della gioia mia •· Gesù menziona nuovamente la sua partenza, che dà lo spunto per la preghiera. Il tema della gioia è apparso già nel discorso della cena in varie occasioni; con una formulazione quasi identica, in 15, 1 1 : vi lascio detto questo perché vi portiate dentro la gioia mia e così la vostra gioia giunga al suo colmo.

Era la gioia di colui che raccoglie il frutto e sperimenta l'amore di Gesù e del Padre (15, I l Lett.). La condizione per questo era mantenersi nell'amore di Gesù attraverso la pratica dei suoi comandamenti (15, 10). Qui, una volta che Gesù ha chiesto al Padre di custodirli uniti alla sua 676

17, 1-26. La prqhlera di Gedl

persona perché siano uno (17, l lb), è la gioia di sapersi amati dal Padre, che li renderà oggetto della sua sollecitudine (cfr. 15, l); Gesù vede in questa unione la promessa del frutto, che causerà ulteriore gioia. Si insinua quanto verrà esplicitato più tardi: sarà l'unione fra i discepoli a muovere il mondo a credere in Gesù come inviato del Padre: così gli uomini riceveranno la vita definitiva (17, 2). L'unione dei discepoli nell'ambito del Padre suppone l'esperienza conti­ nua del suo amore (lo Spirito), che li conduce all'attività dell'amore verso gli altri. Questo flusso di vita incessante ricevuta e comunicata è la causa della gioia e crea l'ambiente di festa proprio della Pasqua che l'Agnello di Dio sta per inaugurare. 14 « lo ho consegnato loro il tuo messaggio, e il mondo li ha presi in odio, perché non appartengono al mondo, come neppure io appartengo al mo11do

•-

II Padre aveva affidato i discepoli a Gesù tmendoli fuori dal mondo (17, 6) . Gesù ha loro trasmesso il messaggio del Padre, che è quello dell'amore, portando a compimento tale loro separazione. I discepoli, che stanno compiendo il messaggio (17, 6), si sono collocati fuori da quella sfera. Questa nuova realtà suscita l'odio del mondo, comprovando che quanti hanno seguito Gesù hanno disertato dalle sue file (15, 1 8 25). Il mondo cerca di disgregare, ,;opprimendo l'amore, forza che congrega e mantiene l'unione dei discepoli. Come Gesù non appartiene al mondo, così non gli appartengono nem­ meno i suoi seguaci, che percorrono il suo stesso cammino con le medesime conseguenze (15, 18-19). -

15 • non ti prego di toglier/i dal mondo, ma di custodirli dal Perver­ so )), La rottura con il mondo non comporta tuttavia un allontanamento materiale. I discepoli debbono restare in mezzo alla società, perché in essa devono disimpegnare la propria missione (17, 18). Questa richiesta di Gesù corrisponde alla constatazione fatta in precedenza: essi saran­ no nel mondo (17, 1 1 ) . Ma tale contatto ineludibile con il sistema perverso non deve contaminare i discepoli; questi non debbono cedere alla sua minaccia o al suo allettamento. « Il Perverso • è una nuova denominazione del i< Nemico • (8; 44; · 13, 2), « Satana » (13, 27), il dio-denaro, principio ispiratore (8, 44: padre) del sistema di ingiustizia. Egli ha fatto di Giuda un nemico (6, 70s), ladro (12, 6; cfr. IO, 1 .8.10), menzognero (12. 6; cfr. 8, 55) e omicida (13, 30; cfr. 8, 40; 1 1 , 53) , portandolo alla morte definitiva (17, 12) . t! lui a ispirare il modo d'agire perverso proprio del mondo ingiusto (7, 7). Cedere all'am­ bizione e al desiderio di profitto personale, agli antipodi dell'amore per l'uomo, porterebbe i discepoli a essere complici dell'oppressione; sa­ rebbe la fine della comunità di Gesù, che passerebbe dalla parte del « mondo •. Non potrebbe succederle nulla di peggio che ostentare da u n lato i l nome di Gesù e dall'altro essere solidale con l'ingiustizia, i n connivenza con i poteri che diedero morte a Gesù.

677

L'ora finale. la Pasqua del Meslia

16-1 7a • Non appartengono al mondo, come nemmeno io appartengo al mondo. Consacrali con la verità ».

Gesù esprime nuovamente la rottura dei discepoli con il mondo, rottura corrispondente alla sua; introduce così la petizione successiva, che costituisce il punto culminante di questa preghiera. Chiedendo al Padre di consacrare i discepoli con la verità, questa prende il posto dell'unzione rituale. I termini imparentati: « santo, consacrato, consacrazione », sono scarsi in Gv. « Santo •> si applica in primo luogo allo Spirito ( 1 , 33; 14. 26 ; 20, 22) e, come si è visto, significa al tempo stesso santo e santificatore, colui che è separato e colui che separa (14, 26). Si applica a Gesù, il consacrato da Dio {6, 69; IO, 36: che il Padre consacrò e inviò al mondo). Questo fatto fonda il suo titolo e la sua attività di Messia ( 10, 24), la sua funzione storica di liberazione e d i fondazione del nuovo popolo (1 1 , 50-52) . Infine è stato applicato al Padre (17, I lb), da cui procede Io Spirito (15, 26) e che è fonte di ogni consacrazione; egli consacrò Gesù per la sua missione ( 1 0 , 36) e possie­ de la pienezza che soltanto lui può comunicare. Gesù chiede al Padre di consacrare i discepoli in modo simile al suo, cioè per una missione. La consacrazione di Gesù è avvenuta attraverso lo Spirito che rimane su di lui come unzione messianica ( 1 , 32 Lett.). Ma lo Spirito Santo è al tempo stesso Io Spirito della verità (14, 17; 15, 26; 16, 13); esiste quindi una relazione fra consacrazione e verità; Gesù la annuncia in questo passo. Lo Spirito è la vita-amore del Padre, principio di vita (3, 6) ; comunicato all'uomo lo fa nascere di nuovo, dandogli l'amore che risponde a quello di Gesù ( 1 , 16). Produce una nuova esperienza di vita che, percepita e formulata, è la verità (8, 3 1-32 Lett.). « La verità ,. è pertanto la realtà di Dio in Gesù, il suo amore senza limite, conosciuto per esperienza e in qualche modo formulato. Questo amore, in quanto ricevuto, è lo Spiri­ to. « Consacrare con la verità •• significa pertanto comunicare Io Spirito che fa scoprire la verità su Dio e sull'uomo (14, 17 nota; 14, 16-17a Lett.). Il Padre, che è Spirito (4, 24), consacra comunicando ( 1 , 32) e facendo partecipare al suo Spirito (3, 6: dallo Spirito nasce spirito). La consa­ crazione si effettua per una missione (10, 36: che il Padre consacrò e inviò al mondo) che realizza il disegno di Dio, la sua opera salvi fica nei confronti dell'umanità. Per questo Gesù è il Consacrato per eccellenza (6, 69: il Consacrato da Dio), il Messia { 1 , 17) Figlio di Dio ( 1 , 34) . La consacrazione dei discepoli viene dal Padre ( 17, 17), da cui procede lo Spirito (15, 26); ma, come tutta l'opera del Padre, si compie per mezzo di Gesù ( 1 , 33: battezzerà con Spirito Santo; 20, 22: ricevete Spirito Santo). poiché lo Spirito sgorgherà da lui (7, 38s) trafitto sulla croce (19, 34: acqua) . Per questo Gesù può inviare i discepoli con una missione simile alla sua ( 17, 18; 20, 21). Gesù chiede che la sua comunità partecipi a quanto è suo: ora, all'unzione mesSianica in vista della missione messianica. Come Figlio ha reso i suoi capaci di diventare figli di Dio ( 1 , 1 2 ; 17, 2); in quanto luogo della gloria, lo ha comunicato alla comunità, che continua a 678

17, 1-26. La preghiera di Gesù

manifestare nel mondo la presenza del Padre ( 1 7, 10). Ora, per la missione, chiede al Padre di consacrarli con la sua stessa unzione, lo Spirito. La comunità messianica riceve la consacrazione del Messia e perpetua la sua opera nella storia (9, 9b Lett.). L'olio della consacrazio· ne è la verità, cioè l'esperienza dello Spirito. Saranno l 'evidenza della vita che i discepoli sperimentano e la risposta al suo dinamismo d'amore a mantenere la loro autenticità in mezzo al mondo. La petizio­ ne di 17, l l c: custodiscili uniti alla tua persona, sfocia ora nella missione. Sono due aspetti inseparabili di Gesù stesso: • il Figlio » (17, 1), il suo rapporto con il Padre ( 17, l lc: custodiscili uniti alla tua persona), e • il Messia » (17, 3), la sua missione nell'umanità (= 17, 17: consacrali con la verità). =

17b

« verità

è

il messaggio tuo •.

E il messaggio dell'amore (1 7, 6.17), le esigenze trasmesse dal Padre ai discepoli ( 17, 8). La consacrazione dei discepoli si verifica quindi per la pratica dell'amore che è frutto dello Spirito in loro. Non è consacrazio­ ne statica, ma dinamica; l 'esperienza iniziale ( 1 , 13: nascere da Dio) si va sviluppando fino a giungere alla sua meta (1, 12: diventare figli di Dio). Lo Spirito separa l'uomo dal mondo ingiusto jacendolo entrare nella sfera divina, il luogo dov'è Gesù ( 1 , 38s; 7, 34; 12, 26; 14, 3). Ma il Padre non chiede all'uomo nulla per sé; lo spinge, invece, a dedicarsi agli altri; tale è il comandamento. Definendo la nozione di culto, Gesù aveva espresso la medesima idea: Dio è Spirito (4, 24), cioè forza di vita-amore, e coloro che lo adorano devono rendergli culto con spirito e lealtà, cioè con la pratica dell'amore fedele fino alla morte, secondo il comandamento di Gesù. Il Padre cerca uomini che lo adorino così (4, 23) . Non c'è dicotomia né dispersione nella vita che Gesù propone; la sfera di Dio porta alla sfera umana; il culto di Dio è servizio all'uomo, lo Spirito di Dio protegge e sviluppa l'uomo (4, 14). La verità che consacra è il messaggio dell'amore e della \'ita. La frase allude senza alcun dubbio al Sal 1 1 8, 142 (LXX) : verità è la tua Legge (lett. var.: è la tua parola/messaggio) . Gesù ha sostituito l'antica Legge con la dedizione al bene dell'uomo: questa è la verità del Padre. La consacrazione realizza nel discepolo l'amore leale, che doYeYa esistere per mezzo di Gesù-Messia ( 1 , 17).

l 8 • Come tu hai inviato me nel mondo, così io ho inviàto ioro rtel mondo •· La consacrazione dei discepoli, come quella di Gesù, ha come scopo la missione (IO, 36; 17, 3 : il tuo inviato, Gesù Messia) . I discepoli non formano un gruppo che si isola, disinteressandosi della realtà che Ii circonda e indifferente al dolore dell'uomo. Devono costituire l'alterna­ tiva che offre a tutti libertà e vita. Dall'esperienza di unione con il Padre e con Gesù (14, 23; 17, I l e). e come membri della comunità di amici disposti a dare la vita (15, 13), entrano nella società, portando come testi monianza l'esperienza di vita e gioia ( 17, 13) e la dedizione al 679

L'ora finale. La Pasqua del Messia

bene dell'uomo (9, 4). La missione deve produrre frutto, e frutto che duri (15, 16). Ciò è talmente necessario che il Padre taglia il tralcio che non lo produce (15, 2). Non esiste vita cristiana senza l'attività della missione. Devono trarre gli uomini fuori dal mondo, proclamando il messaggio del Padre (17, 6). entrare nell'« atrio » per cacciar fuori le pecore vittime dello sfruttamento (10, 2s). La missione dei discepoli ha lo stesso fondamento di quella di Gesù: la consacrazione con lo Spirito, e le stesse conseguenze: la persecuzione da parte del mondo ostile (15, 18-25; 16, 1-4a). L'amore del Padre, che splendeva in Gesù, deve splendere ugualmente nei suoi (17, 10). 19 • e per loro consacro me stesso, perché anche loro con verità "·

siano

consacrati

Gesù era già consacrato da Dio per la sua missione (10, 36) ; tuttavia ora afferma di consacrare se stesso per i suoi discepoli. Quest'ultima espressione, per loro, evoca la sua morte (10, 1 1 : il pastore modello dà se stesso per le pecore, cfr. IO, 1 5 ; l I . 50: che un solo uomo muoia per il popolo, cfr. I l , S l s; 15, 1 3 : dare la vita per i propri amici). La consacrazione di cui Gesù parla è la sua morte. Per conciliare la duplice affermazione bisogna comprendere come si coordinano l'azione di Dio e quella dell'uomo. L'antica consacrazione o unzione con olio si riceveva passivamente e conferiva un rango. La consacrazione con lo Spirito esige la collaborazione. Da parte di Dio, la consacrazione consiste nell'abilitare alla missione che egli affida; da parte di chi la riceve, nell'accettarla e nell'impegnar­ si a portarla a termine. Il compimento sarà progressivo, fino a giungere alla pienezza. Da parte di Dio, pertanto, la consacrazione si identifica con la comuni· cazlone dello Spirito. Da parte di Gesù, il Consacrato da Dio (6, 69) . questo dono ricevuto, forza di vita e amore, si va manifestando nella sua attività a favore dell'uomo. La morte, suo dono totale, sarà l'accet· tazione totale dello Spirito, portando alle sue ultime conseguenze il suo dinamismo d'amore per l'umanità. Così Gesù porta a compimento la sua propria consacrazione. Un dono non giunge a essere tale finché non è accettato. La morte di Gesù, mostrando l'accettazione del dono fino all'estremo, gli darà la sua realtà piena e definitiva. La sua morte renderà possibile la consacrazione dei discepoli, poiché mostrerà loro qual è il massimo dell'amore (13, 1 ) , e attraverso di essa riceveranno lo Spirito. Rimarranno così consacrati, cioè capaci di percorrere il cammino verso il Padre (14, 6) , con Gesù e come lui, fino a giungere alla risposta totale. Gesù non propone una sequela volontarista. Egli non dà unicamente un esempio, ma la forza per seguirlo. Non è soltanto maestro, ma soprat­ tutto salvatore. Solo a partire dall'azione di lui (consacrazione iniziale) si può percorrere il suo cammino (consacrazione realizzata) . Appare nuovame n te (17. 17b Lett.) che con il simbolo della consacrazio­ ne nei suoi due aspetti, iniziale e finale, si riprendono le metafore del prologo « nascere di nuovo " e « diventare figli di Dio ,. ( 1 , 12.13).

�80

17, 1-26. La preghiera di

. . .... . ..

.

Gesù

Preghiera per la comunità del futuro

a) Presupposto: la fede fru tto del messaggio dei discepoli

20 • Né ti prego soltanto per questi, ma anche per coloro che attra­ verso il loro messaggio mi daranno la loro adesione ». Gesù allarga l'orizzonte alle comunità delle epoche successive. t; sicuro che la sua opera continuerà; vi saranno sempre uomini che risponde­ ranno alla chiamata della vita. Sono i suoi discepoli gli incaricati di andar trasmettendo questo messaggio. Quello che viene detto « messag­ gio del Padre » (17, 6.17) e, in altre occasioni, messaggio di Gesù (14, 23), lo è anche dei discepoli (cfr. 15, 20) . Non è per loro una dottrina imparata; il messaggio dell'amore non si può proclamare se non si vive: si comunica come esperienza propria. Questo messaggio, diffuso dai discepoli, deve prodWTe l'adesione per­ sonale a Gesù, punto di riferimento per tutti i tempi, centro perenne della comunità; questa non può mai perdere di vista la propria origine né dimenticare il suo salvatore e modello (13, 34: come io vi ho amati). Il messaggio non è una teoria sull'amore, ma la formulazione della vita e morte di Gesù; espone la sua persona c la sua opera, l'amore di Dio per l'uomo manifestato in lui e diventato realtà per mezzo suo (1, 17). Non si può interrompere la linea che parte da Gesù, né la missione ha alcuna efficacia se non conduce a lui. (4, 3942). b) Richiesta: che raggiungano la perfetta unità attraverso l'amore, perché il mondo creda 2 1a



che siano tutti wto - come tu, Padre, sei in me e io in te

-

•-

Ciò che Gesù desidera e chiede per la sua comunità di ogni epoca è l'unità, espressione e prova dell'amore, presenza della gloria (17, 10), che si realizza compiendo il suo comandamento (13, 34). Modello di tale unità, che la eleva alla qualità di ideale, è l'unità che esiste fra il Padre e Gesù, basata sulla conoscenza intima (10, 14s ; cfr. 17, 3) data dall'amore (3, 35; 10, 17; 14, 3 1 ; 15, 10). Gesù indica nuovamente il distin­ tivo della sua comunità, la novità che essa rappresenta in mezzo al mondo (13, 35) e il modo della sua esistenza. 2 1 b • perché anche inviasti ».

loro lo sumo in noi,

·

.

e cos l il mondo creda che tu mi

L'unione della comunità è condizione per l'unione con il Padre e con Gesù. Se esiste, la comunità vive unita a loro. Se non esiste, tale unione è impossibile. Quanti non amano non possono avere vero contatto con il Padre e Gesù, il cui essere è l 'amore leale. Si stabilisce così la comunicazione di Dio con gli uomini (cfr. 14, 20; 1 7, llc). La presenza e i rradiazione di Dio da parte della comunità, attra­ verso opere che ne rivelano l'amore (9, 4), sarà la prova convincente del­ la missione divina di Gesù. La presenza del Padre si constata nell'unità perfetta, effetto dell'amore vicendevole espresso nel servizio vicendevole 681

L'ora finale . La Pasqua del Messia

(13, 14s) . Dev'essere visibile, dato che costituisce una testimonianza davanti al mondo: risplende nell'attività a favore dell'uomo. Gesù torna a insistere sulla necessità di creare l'alternativa alla società di morte. Non si convince con parole, ma con fatti; egli stesso faceva appello alle sue opere, al di sopra delle sue stesse parole, come prova della sua missione (5, 36; lO, 25.38; 14, I l ). Soltanto l'esistenza palpabile della libertà (8, 32), dell'amore {13, 34s), della gioia {17, 13), che accom· pagnano la dedizione disinteressata, convincerà l'umanità della verità di Gesù. Se questo non succede, Gesù apparirà come un altro teorico dell'utopia umana; soltanto se il suo progetto prende corpo e acquista realtà, si vedrà che egli non è un mero filosofo, ma che la forza di Dio opera in lui e per mezzo suo. 22-23a « E cosl io ho dato loro la gloria che tu mi hai data, perché sillno uno come noi sillm o uno - io in loro e tu in me - affinché raggiungwdo l'unità si realizzino pienamente ». •

La gloria "· ricchezza del Padre ( = lo Spirito) che Gesù ha ricevuto

( l , 14), costituisce il Figlio (l, 32 34) « uno » con il Padre ( IO, 30). La -

comunicazione della gloria ai suoi realizza in loro la condizione di figli; possedendo tutti la stessa filiazione, tutti saranno • uno ». La comunità di Spirito rende • uno » con Gesù e, attraverso di lui, con il Padre. Lo Spirito ( = gloria) produce la comunione di vita e di attività; la comuni­ tà è il nuovo santuario da cui irradia la presenza di Dio, che si traduce nelle opere del suo amore leale per l'uomo. La comunicazione della gloria implica pertanto la comunicazione del dinamismo dell'amore. La comunità che, per l'unione che vi regna, è dimora di Dio, prolunga la sua manifestazione avvenuta in Gesù. Essa offre come alternativa al mondo l'ambito di Dio, la sfera dell'a­ more e della vita. Al tempo stesso, e inseparabilmente, si dona con e come Gesù, manifestando così l'amore gratuito e generoso del Padre e costituendosi, come Gesù, in suo dono all'umanità {3, 16). L'espressione « realizzarsi pienamente raggiungendo l'unità » è in rela­ zione con • dar compimento all'opera del Padre " (4, 34; 17, 4) . La realizzazione piena del disegno di Dio nei discepoli dipende dall'esisten­ za dell'unità, frutto dell'amore incondizionato. 23b



e così il mondo co11osca che tu mi i11viasti

•.

L'unità perfetta è l'unico argomento capace di convincere l'umanità. Tale unità dinamica, effetto visibile dell'amore, si manifesta nella co­ munione e in un servizio che giunge fino al dono della vita. La fede si basa sull'esperienza dell'amore-gloria che Gesù ha lasciato ai suoi {17, 1 0 .22) . Come quando egli manifestò la sua gloria a Cana i suoi discepoli credettero (2, I l ) , così sarà la dimostrazione dell'amore nella comunità a provocare la fede del mondo. La fede nasce dalla conoscenza della verità, cioè l'esperienza dell'amore che comunica vita. Se Gesù fosse venuto a rivelare una verità concet­ tuale o dottrinale, l'adesione sarebbe stata data direttamente a essa, indirettamente a lui; un discepolo avrebbe _ potuto credere la verità di 682

17, 1-Z6.

La pre11blera di Gesù

Gesù, anche separandosi dalla persona di lui. Gesù e la verità non sarebbero la stessa cosa (14, 6) . Basterebbe dedurre da lui un modello; avendo il suo esempio, non sarebbe necessaria la sua presenza. La fede invece non risponde a un concetto, ma all'esperienza dell'amore perce­ pito nelle opere. 23c • e hqi dimostrato loro il tuo amore come lo hai dimostrato me •·

a

Gesù esprime in altre parole quanto detto in precedenza, mostrando l'equivalenza fra c gloria • e • amore ». In effetti, la gloria che il Padre gli ha dato e che egli dà ai suoi discepoli (17, 22) è il dono dell'amore del Padre a Gesù e a loro. La gloria-amore si identifica con lo Spirito; con esso il Padre comunica ai suoi nuovi figli la capacità d'amare fino alla fine, come Gesù (13, 34). Con la sua attività, Gesù manifestava Dio come Padre, cioè come donazione generosa e totale: lo stesso faranno i suoi (cfr. 14, 12; 15, 12). Conclusione: che il Padre onori coloro che l'hanno riconosciuto 24a • Padre, voglio che anche loro - ciò che mi hai affidato - siano co11 me dove sono io ••. L'espressione neutra ciò che mi hai affidato, che denota il gruppo di Gesù formato dall'unità creata dalla sua presenza, mette questo verset­ to in parallelo con 17, 2: di dare loro - a tutto ciò che gli hai affidato - vita definitiva. Ciò che Gesù vuole per i suoi, qui espresso come • essere dov'è lui », equivale pertanto ad avere la vita definitiva. Il termine che Gesù adopera c voglio », mostra la sua libertà di Figlio (13, 3 : cosciente che il Padre aveva posto tutto nelle sue mani) , ed esprime il suo disegno, che è lo stesso del Padre (4, 34; 5, 30; 6, 38-40). È disegno di Gesù che dov'è lui siano anche i suoi discepoli. Questa frase riprende vari suoi detti precedenti (14, 3: vi prenderò con me; così, dove sono io, sarete anche voi; cfr. 1 2 , 26). Come si deduce da 14, 2-3, denota la condizione di figli, corrispondente a quella di Gesù. Include l'intimità con il Padre e l'unione con lui descritta in 17, 2 1 : perché anche loro lo siano in noi, e che diverrà realtà con i l dono dello Spirito. Questo disegno di Dio abbraccia i due gruppi: la sua comunità attuale e quella del futuro. 24b « perché contemplino la gloria mia, quella che tu mi hai data, perché mi hai amato prima clze esistesse {I mon do ». Contemplare la gloria-amore è correlativo alla sua manifestazione (17, 1 .4.5). Partecipando alla condizione di Gesù, i discepoli, come la comunità di Gv affermava di se stessa nel prologo ( 1 , 14), potranno contemplare la sua gloria, cioè sperimentare il suo amore e risponder­ gli, grazie allo Spirito ricevuto ( 1 , 16: un amore che risponde al suo amare). La grande manifestazione della gloria si verificherà sulla croce, e lì il testimone la vedrà personalmente e lascerà testimonianza (19, 35) . L'a683

L'ora finale. La Pasqua del Messia

more ivi manifestato, che continua, come continua a essere aperto il costato di Gesù (20, 25.27), è quello che la comunità sperimenta. Il ·gruppo di Gesù gode continuamente della presenza dell'amore di lui, sa di costruirsi intorno a lui, e che su tale esperienza è fondata la sua unità. II suo sguardo converge su Gesù, l'Uomo levato in alto, segno e fonte di vita (3, 14s) . Gesù ricevette la gloria-amore perché il Padre lo amava prima che esistesse il mondo. Questa frase mette nuovamente in parallelo questo paragrafo con il primo (17, 5: la gloria che avevo alla tua presenza prima c!ze il mondo esistesse) . Gesù ha realizzato il progetto di Dio ( 1 , 1 ) , che il Padre aveva concepito come espressione totale del suo amore, e la cui realizzazione in Gesù era prevista fin dal principio. Si noti che Gv omette la scena del battesimo di Gesù; mentre nei sinottici il battesimo significa il suo impegno fino alla morte, essendo Io Spirito la risposta del Padre, in Gv la comunicazione dello Spirito equivale alla realizzazione del progetto creatore in Gesù e alla missione di realizzarlo negli uomini. 25 • Padre giusto, il mondo non ti ha riconosciuto; io invece ti !w riconosciuto, e questi hanno riconosciuto che tu mi inviasti ». I n questo versetto Gesù espone il motivo del desiderio espresso nel versetto precedente. L'aggettivo • giusto •, raro in Gv (5, 30: sentenza di Gesù; 7, 24: sentenza giusta), applicato qui al Padre, è in relazione con la differenza fra Gesù e i suoi, che Io riconoscono, e il mondo che rifiuta di riconoscerlo. Raccoglie quanto detto in 12, 26: chi vuole collaborare con me mi segua, e così, là dove sono io, sarà anche colui che collabora con me. Chi collabora con me, il Padre lo onorerà. Gesù ricorda al Padre la risposta e la fedeltà dei suoi discepoli, in contrasto con l'incredulità del mondo, perché il Padre li onori concedendo loro di essere dove è lui, cioè di godere anch'essi della condizione di figli. Di qui l'appellativo: Padre giusto. I l riconoscimento di cui Gesù parla è stato prima espresso come convincimento e fede (17, Bb) e non si limitava all'accettazione di principio, ma si basava sulla pratica dell'amore vicendevole ( 17, 6.8a) . Questa è la fedeltà cui Gestt si riferisce, contraria alla condotta perver­ sa del mondo oppressore (17, 6a), che con il proprio modo di operare nega Dio. 26 • Ho fatto già conoscere loro la tua persona, ma la. farò loro conoscere ancora, affinché questo amore con cui tu mi hai amato sia in loro e così io sia in loro • · Nelle sue ultime parole Gesù riassume il contenuto della sua preghiera. Allude alla sua attività passata (cfr. 1 7 , 4 : io ho manifestato la tua gloria sulla terra; 11, 6: ho manifestato la persona tua agli uomiui che mi affidasti) e afferma il suo proposito per il futuro: la farò loro conoscere, che equivale alla futura manifestazione della gloria (17, 1 : manifesta la gloria del tuo Figlio perché il Figlio manifesti la tua; 17, 5: manifesta tu la mia gloria al tuo fianco). La frase di Gesù è in parallelo con la voce del cielo di 12, 28: come l'ho manifestata, cosi tornerò a 684

17, 1-26. La preghiera d1 Gesù

manifestarla, in risposta alla richiesta di Gesù: manifesta la gloria della tua persona (12, 28). La manifestazione futura si riferiva alla morte di Gesù, culmine della sua ora ( 1 2, 23.32). Lì è la promessa del Padre; qui, il proposito di Gesù. La sua croce sarà la rivelazione piena e definitiva della persona del Padre, manifestando tutta la portata del suo amore. L'affermazione di Gesù: la farò loro COI�nscere, è un v-ido davanti alla morte ormai prossima, che sarà la sua vittoria definitiva sul mondo 16, 33). Frutto della sua morte sarà la comunicazione anche ai discepoli dello Spirito che fu comunicato a Gesù; questo è il dono dell'amore del Padre che essi riceveranno dalla pienezza di Gesù ( 1 , 1 6; 19, 34: l'acqua del costato) . Come si è già potuto osservare, la realtà divina che si comunica all'uomo riceve nomi diversi. Si chiama Spirito in quanto è forza, principio vitale che si riceve; vita, in quanto forza che si possiede; amore, in quanto attività della vita che tende al dono di se stesso per comunicare vita; gloria, in quanto la vita e l'amore sono visibili. Conoscere il Padre è la vita definitiva (17, 3); per questo Gesù farà conoscere la sua persona, perché l'uomo lo possa conoscere sperimen­ tando il suo amore. Gesù vuole che, davanti al Padre, i discepoli siano uguali a lui, che godano dello stesso amore del Padre di cui ha goduto lui e che formino così una unità con lui. In questa occasione non dice che essi siano in lui, ma che lui è in loro; Gesù è presente nella comunità, è uno con essa, per l'amore che il Padre le comunica: lo stesso Spirito che comunicò a lui. Gesù non incentra su se stesso né accaparra i suoi. I n mezzo al mondo in cui devono essere presenti (17, 1 1 .15), egli li accompagna nella realiz­ zazione (14, 23) , agisce con loro e attraverso loro. I discepoli perpetuano così la sua presenza e quella del Padre, il suo messaggio e la sua attività in mezzo all'umanità che attende di essere liberata dalla tenebra. Gesù prega per i suoi tenendo presente l'umanità intera. t; la fine dell'attività di Gesù. Giunge il momento in cui non potrà continuare ad agire, perché si darà totalmente. Mette tutto nelle mani del Padre, la cui presenza si rende più visibile in questo momento. Il chicco di frumento sta per cadere in terra e morire: vuoi dare molto frutto.

SINTESI L'avvenimento salvifico è la morte di Gesù, un fatto che avviene nella storia e rivela in primo luogo ciò che è Dio, amore totale e gratuito per l'uomo; a questa realtà di Dio corrisponde il nuovo nome di « Padre » ( 17, 1 .24)_ Al tempo stesso rivela cos'è l'uomo, cioè il progetto di Dio su di lui: che sia, come è il Padre, dono gratuito e totale di sé agli altri ( 17, 1 .26), diventando così « figlio » .

685

L'ora finale. La Pasqua del Messia

L'unità Dalla morte per amore dell'uomo, che identifica Gesù con il Padre, nasce la richiesta principale della sua preghiera, cui sono subordinate tutte le altre, per l'unità perfetta fra i suoi: che tutti siano uno ( 17, 1 1 .21.23). Tale unità realizza i discepoli ( 17, 23). Le altre affermazioni o richieste di Gesù esprimono i presupposti che permettono di raggiungere tale unità; tali sono la consegna del messag­ gio (17, 14), la consacrazione con la verità ( 17, 17) e la comunicazione della gloria-amore (17, 22). Lo stesso avvenimento salvifico, la manife­ stazione della gloria-amore ( 17, 1 ) , ha come obiettivo dare vita definiti­ va, che si identifica con la conoscenza propria dei figli, effetto dello Spirito (= amore, gloria) comunicato (17, 2-3). Tutte queste formulazio­ ni descrivono una stessa realtà: i discepoli sono stati messi in grado di diventare figli di Dio ( l , 12) attraverso la comunicazione dello Spirito ( 1 , 1 3 : nascere da Dio; cfr. l , 14.32; 3, Ss; 7, 37-39) , che è la gloria ( 1 , 14.32), l'amore leale ( 1 , 14.16.17) , il messaggio (17, 17) e il principio di vita (6, 63).

L'unità attraverso l'amore L'unità che Gesù desidera per i suoi è opera dell'amore vicendevole, contenuto nel suo comandamento: amare come ha amato lui (13, 34), dandosi agli altri fino alla morte (15, 13). L'unità esiste, pertanto, quando i membri della comunità si amano in modo tale che ciascuno si dona agli altri senza limite. Quest'amore è la norma di condotta del discepolo. La vita che Gesù dona con Io Spirito si riceve per darla. La cooperazione con Io Spirito va sviluppando la capacità di dedizione. II dono di sé stabilisce la relazione interpersonale, che non si crea dando • cose •, ma dando se stessi. In qualunque donazione si offre la propria persona. I I bene dell'uomo, in effetti, non sta nel possedere « qualcosa », ma • qualcuno •. nel possedere Dio e gli altri. Ebbene, tale possesso non si ottiene per conquista o acquisto, si riceve come dono gratuito. Nella comunità di Gesù ciascuno possiede gli altri attraverso l'amore, perché ciascuno regala la sua vita a tutti, come il Padre, che è Spirito (4, 24), dà il suo Spirito a Gesù ( 1 , 32), e come Gesù si dona e dona lo Spirito agli uomini ( I O, I l ; 1 9, 30). Ciascuno è padrone della sua vita, la sua massima ricchezza, per donarla; in questo modo tutti hanno in comune la ricchezza di tutti (cfr. 17, 10). Tale è il patrimonio della comunità, le . vite messe in comune; così si realizza il comandamento dell'amore vicendevole. Si vede così il significato del « servizio � che Gesù considera normativa per i suoi. E. il dono personale di tutti a tutti. Non basta un servizio " oggettivo » all'uomo, è necessario che nell'oggettivo sia contenuto il soggettivo, l'offerta della persona. Così è apparso nell'episodio dei pani (6, 1 0ss). Non basta dare il pane che non dura, • il dono oggettivo •; bisogna dare • il pane che dura dando vita definitiva •, il dono di 54! per amore (6, 27). 686

17, 1-26. La preghiera di Gesù

Che stano uno In questa esperienza di intercomunione viene trascesa l'individualità di ogni membro, facendogli superare la propria frontiera per rendersi presente negli altri. Integrandosi nell'« uno • ( 1 7, 21 .22.23) o nel « noi • (l, 14.16) che ne è il risultato, la cui realtà oltrepassa la somma delle ricchezze individuali, l'individuo acquista una dimensione nuova. II dono totale di sé non svuota di contenuto il donante, questi non si dissolve integrandosi nel « noi ». « Darsi • significa liberare in se stesso tutta la potenza dell'amore, che è lo Spirito di Dio, la sua forza creatrice; al termine della sua donazione l'uomo torna a incontrare se stesso con la sua vera identità di figlio di Dio, simile al Padre e, come lui, datore di vita ( 10, 17).

Il dono di se stesso L'uomo non giunge al suo massimo sviluppo ( = realizzare il disegno creatore) finché non ha imparato a darsi del tutto, come Gesù (13, 34) in un modo o nell'altro. Questo equivale a considerare la propria vita come pane e vino, che esistono soltanto per essere mangiati e bevuti, e così danno vita all'uomo. II dono di se stesso è progressivo, è un cammino (14, 4.6), una crescita in intensità ed estensione. Si sviluppa la capacità di amare e si scoprono nuove possibilità di farlo. La donazione personale, per mani­ festarsi ed esistere, ha bisogno di espressioni concrete. lò un linguaggio che bisogna andar scoprendo, « le esigenze » (17, 8) che specificano il dono di sé in ogni circostanza. Ogni donazione d'amore esprime e comunica lo Spirito di Dio (3, 34) . Per potersi dare, l'uomo ha bisogno di possedersi, di essere signore di se stesso per decidere del suo dono personale, secondo la propria peculiarità. Poiché il comandamento dell'amore è l'unico cammino per l'uomo, la norma che traduce la vita e la morte di Gesù stesso, l'uomo deve custodire gelosamente la possibilità di darsi, e pertanto la sua libertà. In ultimo tennine, il bene radicale che l'uomo possiede, l'unico di cui può realmente disporre, è la propria persona; se gli si impedisce di possedersi lo si priva della possibilità di donarsi, che è l'unica possibilità di realizzarsi, e pertanto lo si priva della sua ricchezza essenziale.· Chi sopprime la libertà toglie all 'uomo la possibilità di essere tale. L'amore di Gesù consiste nel dono di se stesso generoso e gratuito. Non cerca la propria affermazione, ma quella dell'altro, e pertanto non esige nemmeno di essere accettato né corrisposto. Rispetta così assolutamen­ te la libertà, pennettendo all'altro di donare a sua volta se stesso. Per Gesù la nonna di condotta non si basa su una definizione previa e astratta dell'uomo e del suo bene; si va scoprendo nel rapporto inter­ personale, quello dell'amore, in cui l'uomo non è un oggetto, m a un soggetto, con la sua peculiarità e la sua situazione.

687

L'ora finale. La Pasqua del Meosla

La missione

L'unità è creata dallo Spirito-amore, che si riceve da Gesù e unisce a lui, Io stesso che crea l 'unità fra Gesù e il Padre (14, 20; 15, 4). Per questa comunione con Gesù, la comunità riceve la sua stessa missione ( 1 7, 18): portare frutto ( 1 5 , 8 . 1 6) manifestando la gloria-amore del Pa­ dre. L'esistenza di « una » comunità è al tempo stesso l'origine e il termine del­ la missione. L'unità identifica la comunità con Gesù e con il Padre (17, 21), rendendoli presenti in essa: è allora che nella sua attività con gli uomini essa irradia l'amore di Dio e si spiega la potenza di lui; attraverso di essa Dio comunica vita. L'esperienza dell'amore gratuito porta il mondo a credere che Gesù è l'inviato di Dio e ad avvicinarsi a lui per ottenere vita. Ma al tempo stesso l'esistenza della comunità unita è l'obiettivo della missione. L'amore, che si esprime nell'attività, è forza di integrazione e unità e ad esse tende necessariamente. L'unità degli uomini fra loro, che li unisce con Gesù e con il Padre, li conduce alla loro piena realizzazione (17, 22) : la comunità unita è il segno visibile della creazione che arriva alla sua pienezza ( 17, 23). La comunità si costituisce, pertanto, accettando l'amore di Dio; gli risponde con l'amore fra i suoi membri, che rende visibile in essa la gloria di Dio ( 1 , 5: la luce che splende), e inserendo la sua attività umana nel dinamismo di Dio che tende a congregare e riunire ( 1 , 9: la luce che illumina). La comunità, in cui Dio è presente e attivo, è al tempo stesso la sua espressione e la sua proclamazione, come Io era la persona di Gesù (12, 45; 14, 9.24). Il mondo, interpellato dall'attività dell'amore gratuito, scopre l'unità dell'amore e, di conseguenza, la sua origine, la missione di Gesù (17, 2 1 .23). Così percepisce che l'amore, ricchezza che il Padre comunicò a Gesù ( 1 , 14; 17, 22}, continua a essere presente nei suoi (17, 22-23).

Relazione con il prologo La relazione del cap. 17 con il prologo del vangelo ( 1 , 1-18) è così stretta che si può dire che i temi accennati nel prologo vengono spiegati in questo capitolo. Qui se ne abbozzano alcuni di maggior rilievo; altri si possono trovare nel Dizionario Teologico (Cittadella Ed.). In primo luogo appare in entrambi il tema della gloria. Nel prologo è tema centrale nel contesto dell'umanità nuova ( 1 , 14) : la pienezza della gloria (= amore leale) è comunicata dal Padre al Figlio unico (1, 14) e da questo ai membri della sua comunità ( 1 , 16.17). Nel cap. 17 il tema centrale è la manifestazione della gloria di Gesù e del Padre ( 1 , 1-5}, che viene comunicata ai discepoli (17, 10.22). Come nel prologo, la gloria di Gesù è oggetto di contemplazione (1, 14; 17, 24); significa la presenza di Gesù nella comunità, che la rende cosciente dell'amore di lui; essa si apre così alla conoscenza di Gesù e del Padre (17, 3). La gloria comunicata è la partecipazione al dinamismo dello Spirito che, con Gesù, porta all'attività a favore dell'uomo (cfr. Diz. Teol. : « Gloria » ). 688

17, 1·26. La preghiera di Gesù

Come nel prologo. la gloria si Identifica con l'amore (cfr. 17, 22.26), espresso lì in termine di kharis, amore generoso che si traduce in dono, qui come agape, l'amore che porta a donare se stesso agli altri (cfr. Diz. Teol. : • Amore »). Termine centrale del prologo è logos (progetto, parola, messaggio) ( 1 , 1 . 14), che nel cap. 17 si menziona come logos (messaggio) del Padre ( 1 7, 6); i discepoli Io compiono (17, 6), Gesù lo ha loro comunicato ( 1 7, 14), come ha loro comunicato la gloria (17, 22). � anche il messag· gio dei discepoli ( 1 7, 20). Il logos del Padre, che conteneva vita, la luce dell'uomo ( 1 , 4) , si identifica così con il messaggio che Gesù trasmette; perciò la vita equivale all'amore (cfr. Diz. Teol. : • Parola "• • Vita »). Termina in questo capitolo il tema della carne (sarx), cominciato in l , 14: la Parola divenne carne (uomo) (in l . 1 3 la frase è negativa), che si collega con 17, 2: gli hai dato, nei confronti di tutti gli uomini (di ogni carne), la capacità di .. . (cfr. Diz. Teol. : • Carne •. • Figlio di Dio »). I n entrambi i luoghi appare la denominazione composta Gesù Messia ( 1 , 17 ; 17, 3). Nel prologo si specifica la missione del Messia nel dare esistenza all'amore leale ( 1 , 17); qui nel comunicare la vita definitiva ( 17, 2), che si identifica con la conoscenza - per esperienza - del Padre e di Gesù stesso ( 17, 3). Di qui l'equivalenza fra gloria-amore leale - vita definitiva - conoscenza di Dio come Padre e di Gesù come Messia (cfr. Diz. Teol.: • Conoscenza •) . Il tema della vita definitiva (17, 2s) è in relazione con il • nascere da Dio • ( 1 , 13) e con la capacità di diventare figli di Dio ( 1 , 12) (cfr. Diz. Teol.: • Vita »). In entrambi i luoghi si menziona esplicitamente la creazione del mondo ( 1 , 3.10; 17, 5.24) e si tratta del • mondo • in senso peggiorativo, quello che rifiuta di riconoscere la vita-luce ( 1 , 10). al quale non appartengono né Gesù né i suoi ( 1 7, 14.16) ( cfr. Diz. Teol. : • Mondo • ) . Si può dire che, se il prologo formula la realizzazione del progetto divino in Gesù, attraverso la comunicazione della gloria-amore leale, in questa preghiera Gesù espone la fondazione della comunità attraverso la comunicazione della stessa gloria. Il progetto divino, realizzato in Gesù, deve essere realizzato nei suoi.

689

TERZA SEZIONE

CONSEGNA, M O RTE E SEPOLTURA DI GESù.

LA MANI FESTAZIONE DELLA GLORIA ( 1 8,

1

·

1 9,

42)

La narrazione della consegna, morte e sepoltura di Gesù, che descrive il momento culminante dell'• ora del Messia •, è incorniciata dalla men­ zione, al principio (18, l ) e alla fine (19, 4 1 ) , di un orto che simboleggia in entrambi i casi il luogo della vita. Suo punto culminante è la morte di Gesù sulla croce, che realizza il disegno di Dio creatore (1 9, 28: ormai ... andava completandosi; 19, 30: è ormai completato) e fonda la nuova alleanza ( 1 9, 30: consegnò lo Spirito). Questa pericope è preceduta da tre sequenze: quella introdut· tiva, seguita dalla prima e dalla seconda. Si ha così la seguente di· visione: Sequenza introduttiva (18, 1-27): Consegna di Gesù e opzione di Pietro. Corpo della sezione (18, 28-19,42): I sequenza ( 1 8, 28-19, 22): Il Re dei giudei. II sequenza ( 1 9, 23-27 ): Il regno del Messia. III sequenza ( 1 9, 28-30 ): Episodio centrale. La morte di Gesù. La creazione completata. La nuova alleanza. Sequenza finale ( 19, 3142 ) : La preparazione della Pasqua. La sequenza introduttiva (18, 1-27), che si può intitolare « consegna di Gesù e opzione di Pietro •, è inquadrata da due menzioni dello stesso orto (18, 1 .26) e caratterizzata dall'opposizione costante tra le figure di Gesù e di Pietro (18, 10-1 1 . 15-18.25-27). Tema centrale è la reazione ( 1 8 , 10) e l'opzione di Pietro (8, 17.25.27) davanti alla consegna volonta· ria di Gesù alle autorità giudaiche e al conseguente crollo dell'idea di un Messia trionfatore. La sequenza è inoltre unificata dalla menzione alla fine (18, 26) del servo cui Pietro tagliò l'orecchio (18, 10). Inoltre, in modo maggiormente simbolico, dalla corrispondenza della figura di Giuda, che prendendo e capeggiando le truppe che andavano a ·cattura­ re Gesù diventa rappresentante del • capo del mondo • (cfr. 14, 30), con la figura del sommo sacerdote Anna ( 1 8, 13.19ss) , ultimo responsabile di quanto avviene e pertanto incarnazione del Nemico/diavolo, che aveva indotto Giuda a consegnare Gesù (13, 2). La sequenza si può dividere in due pericopi, che comprendono rispetti­ vamente la scena dell'orto (18, 1-14) e le scene nel palazzo del sommo sacerdote (18, 15-27) :

18, 1-14: Consegna di Gesù alla violenza del mondo e reazione di Pietro. 1 8 , 15-27: Rinnegamenti di Pietro e testimonianza di Gesù. 690

18, l - 19, 4Z.

CoJllK!IDII , morte e sepoltura di Gesù

I I corpo della sezione ( 1 8 , 28-19, 42) è separato dalla sequenza introdut­ tiva dalla menzione del mattino (18, 28), in parallelo con l'inizio della sezione successiva (20, ! ) . La menzione della Pasqua al principio (18, 28) forma inclusione con la preparazione della Pasqua nell'ultima sequenza (19, 3 1 .42) . Anche il tema della morte, cui si allude solo retrospettiva­ mente nella sequenza introduttiva (18, 14), comincia e si sviluppa, speci­ ficandosi come morte in croce in tutto il resto della sezione ( 1 8 , 31 .32; 19, 6.7.10.15.17.1 9.23.25.3 1 .4 1 ) . Spariscono la figura di Pietro, centrale nel­ la sequenza introduttiva, e i nomi di Anna e Caifa. Entra in scena inve­ ce il governatore Pilato (18, 28), che sarà menzionato fino alla sequenza finale ( 1 9, 3 1 .38).

La prima sequenza (18, 2 8- 1 9, 22) si può intitolare:

• II re dei giudei •­ Di fatto in essa si raccolgono le allusioni fatte in precedenza alla regalità messianica di Gesù (1, 41 .49; 3, 3.5.14; 6, 15; 8, 28; IO, 24; 12, 13 .34) e si spiega la qualità d i tale regalità. Comprende il periodo dal momento in cui Gesù è condotto a Pilato e ha luogo il primo dialogo di questi con i dirigenti giudei ( 1 8, 28-32), fino all'ultimo dialogo con loro a proposito del cartello della croce (19, 19-22). Comprende nove pericopi, disposte in forma concentrica intorno alla pericope centrale, che descrive la presentazione dell' Uomo Figlio di Dio (19, 4-8) :

a ) La consegna a Pilato. II malfattore (18, 28-32). b) La regal ità di Gesù ( 1 8, 33-38a). c) L'opzione per la violenza : Barabba (18, 38b-40) . d) Lo scherno del Re (19, 1-3) . e ) La vera regalità: l'Uomo Figlio di Dio (19, 4-8). d') Responsabilità di Pilato e dei giudei ( 1 9,9- 1 2) . c') L'opzione contro Dio: il Cesare ( 1 9, 13-16a). b') Il crocifisso e i suoi compagni ( 1 9, 1 6b-18). a") Il delitto. I I Messia-Re crocifisso, la nuova Scrit tura (19, 19-22). La prima pericope propone i temi che saranno sviluppati in quelle successive. Così, in primo luogo, il tema del malfattore e dell'accusa contro di lui (18, 29.30) continuerà con la domanda di Pilato: che hai fatto? ( 1 8 , 35), con le tre dichiarazioni di innocenza ( 1 8, 38b; 19, 4.6), e l'accusa di essersi fatto Figlio di Dio, (19, 7) e di farsi re (19, 1 2 ) , per concludersi con la specificazione del delitto nella scrittura della croce ( 1 9, 19) e la correzione che i sommi sacerdoti vogliono introdurre (J9, 2 1 ) . Nell'accusa d i « malfattore • è sottinteso i l tema centrale: quello della regalità o messianismo di Gesù, già precedentemente insinuato nella denominazione « il Nazareno », usata da quanti andarono a catturarlo nell'orto ( 1 8 , 5.7); questa implicita accusa viene alla luce nell'interroga­ torio di Pilato (18, 33), e permette le spiegazioni di Gesù (18, 36) e la sua esplicita dichiarazione (18, 37) ; il tema continua fino alla fine della sequenza (18, 39; 19, 3.12.14.1 5.19.2 1 ) . La pericope centrale (19, 4-8), in cui si fa menzione del manto e della corona, espone in cosa consiste la vera regalità. Un altro tema che si apre nella prima pericope è quello della Legge (18, 3 1 ) ; appare di nuovo nella pericope centrale (19, 7), e trova la sua

691

L'on finale. La

Pasqua del Messia

corrispondenza nell'uitima, dove Gesù sulla croce appare come la nuova Scrittura e la nuova Legge (19, 19). II centro di queste nove pericopi è occupato dall'uscita di Gesù, davanti al popolo, che Pilato presenta come • l'Uomo » e che i giudei rifiutano come « il Figlio di Dio • ( 1 9, 4-8). Una volta spogliato di tutti gli attributi della regalità terrena, queste due denominazioni di Gesù, che compendiano la sua realtà umano-divina, costituiscono la definizio­ ne della sua vera regalità. La struttura concentrica appare per la corrispondenza, a due a due, delle pericopi equidistanti dal centro: a) in una schermaglia verbale fra i dirigenti giudei e Pilato si espone la richiesta di morte per il malfattore; a') si descrive il delitto che motiva la sentenza del malfattore e l'opposizione finale dei dirigenti a Pilato; b) si espone la regalità di Gesù, che • non appartiene a questo ordina­ mento » e rifiuta l'uso della forza; si spiega la sua missione come re, cioè rendere testimonianza della verità, e chi siano quelli che ascoltano tale testimonianza: b') mostra il re che rinuncia al potere (crocifisso) . rende testimonianza della verità (l'amore di Dio e dell'uomo) carican­ dosi spontaneamente la croce, è circondato da coloro che hanno ascoltato la sua testimonianza e danno la vita con lui; c) si descrive l'opzione dei dirigenti contro Gesù e a favore della violenza; c') si descrive la loro opzione contro Gesù e a favore del massimo rappresentante del potere oppressore; d) indica la prima misura arbitraria di Pilato: far flagellare Gesù, e lo scherno della regalità; d') espone l 'autorità arbi traria che Pilato si attribuisce sulla vita di Gesù; allo scherno della regalità corrisponde, sulla bocca dei « giudei •. l'accusa di farsi re; e) rappresenta il centro della sequenza: si definisce in cosa consiste la vera regalità (manto e corona) , quella dell'Uomo che realizza il progetto divino consegnandosi per amore dell'uomo; essendo così Figlio di Dio, è libero e signore. In questa sequenza c'è un alternarsi di uscite ed entrate. Pilato, e poi Gesù con lui, entrano ed escono dalla residenza del governatore. I verbi • uscire • ed • entrare • indicano l'esistenza di due mondi, quello giudaico e quello pagano, che vogliono giocare con il destino di Gesù, ma schivando la responsabilità della condanna (18, 29.33J8b; 19, 4.9.13). Tuttavia ci sono due casi in cui Gesù esce di propria iniziativa: nella pericope centrale, dove è presente come • l'Uomo • ( 1 9, 5), e in quella della crocifissione, dove, lasciando indietro il gioco dei poteri, esce volontariamente verso il luogo della sua morte ( 1 9, 17). La seconda sequenza (19, 23-27) si può intitolare: • II regno del sia •. e comprende due episodi ai piedi della croce; il sorteggio vesti, che simboleggia la futura comunità universale (1 9, 23-24) , consegna della madre al discepolo, che figura l'integrazione del d'Israele nella comunità messianica (19, 25-27 ) :

Mes­ delle e la resto

19, 23-24: Spartizione delle vesti di Gesù: La comunità universale. 19, 25-27: La madre e il discepolo: Israele integratç> nella nuova co­ munità.

La terza sequenza (19, 28-30) è 692

l'•

Episodio centrale ». La morte di Ge-

18, 1-14. Consegna di Gesù alla violenza del mondo

sù descrive il termine dell'opera di Gesù, con il supremo atto d'amo re che supera l'odio e la donazione dello Spirito. La morte di Gesù termina l'opera della creazione dell'uomo e fonda la nuova alleanza, aprendo " l'ultimo giorno •. in cui si concedono agli uomini la vita e la risur­ rezione. La sezione termina con la sequenza finale ( 19, 3 1-42), determ inata dalla duplice menzione del giorno della Preparazione (19, 31 .42). Comprende due pericopi, caratterizzate dai personaggi che vi figurano: 1 9 , 31-37: Il sangue e l'acqua. La visione della gloria. 19, 38-42 : La sepoltura nell'orto. Il sepolcro nuovo.

Sequenza

introdu ttiva

CONSEGNA DI GE SÙ E OPZIONI: DI PIETRO ( 1 8 , 1-27 )

Gv 18, 1-14: Consegna di Gesù alla violenza del mondo 1 Detto questo Gesù usci con i suoi discepoli all'altro Iato del torrente Cedron, dove c'era un orto; egli vi e�.trò, come pure i suoi discepoli. 2 (Anche Giuda, quello che lo conseg;.1ava, conosceva il luogo, perché molte volte Gesù vi si era riunito co•t i suoi discepoli).

' Allora Giuda prese la guarnigione e �ardie dai sommi sacerdoti e dai farisei e giunse lì con lanterne, torcr e anni. ' Gesù allora, cosciente di tutto ciò che incombeva su di lui, usci e disse loro: - Chi cercate? 5 Gli risposero: - Gesù il Nazareno. Disse loro: - Sono io. (Anche Giuda, quello che lo con� egnava, era presente con loro). 6 Appena disse loro: • Sono io •, ;;i gettarono indietro e caddero a terra. 7 Domandò loro nuovamente: - Chi cercate? Quelli dissero: - Gesù, il Nazareno. e Replicò Gesù: - Vi ho detto che sono io; se du1que cercate me, lasciate che questi se ne vadano. 9 Cosi si compirono le parole che aveva detto: > od ordinamento politico-religioso; ma questi segue nella sua maniera di agire l'ispirazione di colui che comanda fra le quinte, il denaro-potere, personificato in questa pericope da Anna. 1l questo il motivo per cui Anna è il personaggio giudaico che tratta con Gesù (perché era suocero di Caifa). In questo momento si scopre la realtà di quella istituzione, diretta dal • Nemico » dell'uomo. Caifa, che detiene il potere, ne è lo strumento: quell'anno. Identificando il Nemico con il sommo sacerdote (18, 19), Gv denuncia l'istituzione religioso-politica come il massimo nemico dell'uomo, e di conseguenza di Dio, il maggior ostacolo alla realizzazione del suo disegno (19, 7 Le t t.). Ma collocando la figura del • comandante •. capo delle truppe romane, fra coloro che consegnano Gesù ad Anna, mostra che ogni potere ha come padre lo stesso principio sfruttatore ( 1 9, l l b Lett.). 14 Era stato Caifa a persuadere i dirigenti giudei che conveniva che un uomo solo morisse per il popolo. Gv sottolinea che Caifa era stato l'esecutore del proposito del vero padrone (8, 44: e volete realizzare i desideri di vostro padre), a ispirare la strategia dell'istituzione. Risalta nuovamente il duplice significato del suo detto profetico ( I l , 5 1 } , che da un lato esprimeva il disegno omicida dell'istituzione nemica di Gesù (8, 40.44; I l , 53), e dall'altro il disegno del Padre, secondo il quale la morte di Gesù avrebbe fondato il popolo della nuova alleanza ( I l , 52). Questa citazione del detto di Caifa rivela il significato della cattura di Gesù: vogliono dare esecuzione all 'accordo del Consiglio ( I l , 53) . 2 l'ultimo passo; per questo non si celeb rerà alcun giudizio davanti ad Anna. Al tempo stesso, l'accostamento fra il titolo c il Nazareno • . che designa il discendente di Davide ( 1 8 , 5 Lett.), e la morte • di un uomo solo • . allusione a Davide ( I l , 50 Lett.), indicano il Re-Pastore annunciato: • Susciterò per loro un pastore che le pascerà, Davide mio servo. Egli

704

18, 1-14. Con.oegua di Gesù alla violenza del mondo

le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore • (Ez 34, 23), quello che dà la vita per le pecore ( 1 0, 1 1) . Si prepara così la spiegazione della regalità di Gesù, che sarà il tema della sequenza successiva ( 1 8 . 28-19. 22) .

SI NTESI Gesù si consegna volontariamente ai suoi nemici, che sono i nem1c1 dell'uomo; darà la sua vita per il popolo, per eliminare il peccato del mondo ( 1 , 29), la schiavitù che impongono coloro che lo vanno a catturare. Si mette in rilievo lo spiegamento di forze e la complicità di tutti i poteri. Giuda, il discepolo nemico, si fa caporione degli agenti di morte. Pietro si mostra partigiano della lotta armata, cui è preparato. Non comprende Gesù né il significato della sua donazione. Non vede nella sua morte l'avvenimento salvifico, la manifestazione dell'amore di Dio che desidera comunicare vita all'uomo. Non comprende che Gesù non vuole prendere il posto dell'istituzione esistente, ma presentare, di fronte all'odio e alla violenza, l'alternativa dell'amore; per questo Pietro vuole rispondere al mondo con le sue stesse anni e sul suo stesso terreno. Considerando Gesù un re nello stile di questo mondo, crede che debba essere difeso, mentre è Gesù che, dando la propria vita, difende Pietro. Dio non ha bisogno jn questo mondo di apologie o di protettori di nessun genere. Volerlo difendere è arroganza; l'unica cosa valida è ripetere il suo gesto, donare la vita per amore dell'uomo. Si annuncia già il fallimento del mondo. All'atto di" catturare Gesù, i suoi agenti sono umiliati e sconfitti. Consegnandosi, Gesù annulla il loro potere. Nel sommo sacerdote Anna - il potere occulto che muove le fila della cospirazione contro Gesù - appare personificata la figura del • Nemi­ co »: Anna incarna il potere del denaro, del quale Giuda era un semplice strumento.

705

Gv 18, 1 5-27: Rlnne!famentl di Pietro e testimonianza di Gesù 1s Gesù era seguito da Simon Pietro, e inoltre da un altro discepolo. Quel discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò insieme con Gesù nell'atrio del sommo sacerdote. 16 Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora uscì l'altro discepolo, quello conosciuto dal sommo sacerdote; parlò alla portinaia e condusse dentro Pietro. 1 7 Allora la serva che faceva da portinaia disse a Pietro: - Forse sei anche tu discepolo di quest'uomo? Egli disse: - Non lo sono. 1 6 S i erano trattenuti lì i servi e l e guardie, che, tenevano accese delle braci e si scaldavano poiché faceva freddo; (anche Pietro stava con loro, lì in piedi scaldandosi).

Allora il sommo sacerdote interrogò Gesù circa i suoi discepoli e la sua dottrina. 20 Gesù gli rispose: - Finora ho parlato pubblicamente a tutti; sempre io ho insegnato in riunioni e nel tempio, dove accorrono tutti i giudei, e non ho detto nulla nascostamente. 21 Perché interroghi me? Interroga coloro che sono stati a sentire ciò di cui ho parlato. Ecco, essi sanno ciò che ho detto. 22 Appena ebbe detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: - Così rispondi al sommo saà rdote? n Gli replicò Gesù: - Se ho mancato nel parlare spiega dov'è la mancanza; se però ho parlato come si deve, perché mi batti? 24 Allora Anna lo mandò legato a Caifa, il sommo sacerdote. 19

Simon Pietro, dunque, stava lì in piedi e si scaldava. Gli dissero allora: - Forse anche tu sei suo discepolo? Egli lo negò dicendo: - Non lo sono. 26 Uno dei servi del sommo sacerdote, parente dell'altro cui Pietro aveva tagliato l'orecchio, gli disse: - Non ti ho visto io nell'orto con lui? 2 7 Di nuovo Pietro negò, e immediatamente cantò un gallo. 25

NOTE FILOLOGICHE 18, 15 Gesù era seguito da Simon Pietro e . da un altro discepolo, gr. eko­ louthei de tò Usou Simòn Petros kai al/os mathetes. A causa della man­ canza in it. di una prep. indicante l 'ogge t to s i traduce con la forma passiva per ev i ta re ambiguità. La costruzione it. separa tra loro le sequele di Pietro e dell'altro discepolo, separate in gr. dal riferimento del verbo (sg.) al solo ..

,

Pietro (N.d.T.).

- inoltre gr. kai. Ag�iun t ivo dopo verbo sg. cfr. 2, 2.

706

18, 15-27. Rlnne&amenll di Plelro

16

si f erm ò, gr. heist�kei. Cfr. l, 26 nota.

r · , c

17 la serva che faceva da portinaia, gr. h è paidiskè hè thuroros. Cfr. IO, 3. - discepolo, gr. ek ton matheton. Partitivo. - disse, gr. pres. st.

- Non lo sono, gr. ouk eimi. • Non sono •, in opposizione a ego e1m1, • io sono » (18, 6.8; cfr. 9, 9). La negazione (ouk) prende il posto del pronome perso­ nale (ego) che denota l'identità. Pietro rimane senza identità propria.

18 Si erano trattenuti ll, gr. heistèkeisan. Cfr. l, 26 nota. - delle braci, gr. anthrakian. Denota un mucchio di braci, non propriamente un • bracere », come appare dal suo uso in 2 1 , 9. - (anche .. . stava, ecc.) gr. de. Parentetico; cfr. 18, 2.5. - lì in piedi/fermo, gr. hest6s. Entrambe le traduzioni sono legittime; cfr. l , 27 nota.

Finora ho parlato, gr. lelateka. Pf. estensivo; cfr. El Aspecto Verba/, nn. 246, 247. - a tutti, gr. t6 kosm6. Cfr. 12, 19; 14, 27. - in r iun ion i , gr. en s ina gog è. Senza artic.; cfr. 6, 59. 20

21

coloro che sono stati a sentire, gr. tous akekootas. Part. pf. estensivo,

cfr. El Aspecio Verb ai, n. 250. - Ecco, gr. ide.

22. una delle guardie presenti, gr. heis parestekos t6n hupèreton. Uno pre­ sente delle guardie; è dubbio se indichi che fosse l'unica guardia presente. In tutti i modi rappresenta la classe.

Se ho mancato nel parlare, gr. ei kakos e/alésa. • Parlare male/inala­ mente • avrebbero in i t. una sfumatura differente. Per mantenere la coe­ renza si traduce peri tou kakou con • la mancanza •. - spiega , gr. martureson. In contesto non giudiziario, cfr. 7, 7. - se però ho parlato come si deve, gr. ei de kalos. Tradotto come opposizione alla frase precedente. • Parlare bene/con finezza/educatamentl! » non ren­ derebbero il senso dell'originale. 23

25

stava, ecc. Cfr. 18, 18 nota.

26 l'o recch io , gr. to otion. Non ha il significato preciso di Marion, il lobo dell'orecchio (18, 10). - gli disse. Cfr. pres. st.

CONTEN UTO E DIVISIONE Questa pericope, che forma una sequenza con quella precedente, ne è inse­ parabile. Sono collegate dal permanere delle figure principali, Gesù e Pie­ tro; continuano a essere presenti gli stessi nemici, Anna e Caifa (18, 13.14. 23.24) e le guardie che sono andate ad arrestare Gesù (18, 3.18.22). e si menziona il servo/servi del sommo sacerdote (18, 10.18.26). Al centro della pericope appare la testimonianza di Gesù, interrogato dal sommo sacerdote; è incluso fra i rinnegamenti di Pie.tro, interrogato a sua

707

L'ora finale. La Pasqua del Messia

volta dalla serva, i servi e le guardie. Davanti ad Anna, che si arroga il d iri tto di interrogarlo, Gesù mostra la propria libertà, protegge i suoi rifiu. tando di denunciarli e dichiara di non avere nulla da occultare. Davanti alla violenza contro la sua persona, non risponde con la violenza, si mantiene libero c affro n ta l'avversario e la sua irrazionalità. Nell'uno e nell'altro mo· mento, Gesù mostra una libertà che lo colloca al di sopra di ogni potere. Collocando questa scena tra le due in cui appare Pietro; l'evangelista vuole accentuare il contrasto. Pietro si intimorisce davanti agli agenti del po­ tere e perfino davanti a una serva, per timore della violenza che avrebbe potuto causargli la morte, come la causò a Gesù. Per questo nega, in modo totale, di essere discepolo. La sua estrema codardia contrasta con la estre· ma temerarietà che mostrò nell'orto. Lì confidava nella violenza (la spada), immaginandosi ancora Gesù come un Messia trionfatore. Ora che egli è stato catturato, Pietro rimane privo di movente per affrontare la morte. La pericope comincia con la scena in cui Pietro, in contrasto con il discepolo non nominato che entra con Gesù, nega di essere discepolo ( 1 8 , 15-18). La scena cambia e appare Gesù in terrogato dal sommo sacerdote, di fronte al quale mostra la sua assoluta libertà e indipendenza ( 18, 19-24). La pericope si conclude mostrando nuovamente Pietro che, interrogato dai servi, con­ ferma e sigilla il proprio rinnegamento (18, 25-27). Si può dividere cosl: 18, 1 5-18: Pietro nega la propria identità di discepolo. 18, 19-24: Testimonianza di Gesù davanti al potere. 18, 25-27: Pietro conferma e sigilla il proprio rinnegamento.

LETIURA Pietro nega la propria identità di discepolo 18, lSa

Gesù era seguito da Simon Pietro, e inoltre da un altro disce­

polo.

Segue n do Gesù, Pietro contraddice l'avviso che questi gli aveva dato: ltl

dove io vado, non sei capace di seguirmi ora (13, 36) ; non dà retta a

queste parole. Gesù ha cominciato ad andare al Padre (13, 3), conse­ gnandosi per dare la sua vita per il popolo (18, 14). Pietro im•ece non era disposto a dar la vita per il popolo, ma per Gesù (13, 37}, per evitarne la morte (18, 1 1 ) . Non è preparato a seguirlo perché non ha un amore simile al suo. Per questo tale sequela finirà nel fallimento. Anche un altro discepolo, senza nome, segue Gesù. La figura di questo discepolo appare a prima vista come un'incognita, ma Gv offre dati sufficienti per comprenderne il significato. A pa rtire dalla cena Gv associa cinque volte la figura di Pietro a quella dell'altro discepolo non nominato, designato quattro volte come « di­ scepolo che Gesù amava/cui Gesù voleva bene ,, e questa volta come • un altro discepolo » . Nella scena del sepolcro le due designazioni si mescolano: andò di corsa da Simon Pietro e anche dall'altro discepolo, cui Gesù voleva bene (20, 2); l'altro discepolo superò Pietro correndo più in fretta di lui (20, 4).

708

18, 15-27. Rlnnegamentl di Pietro n discepolo è stato caratterizzato nella Cena come quello che sperimen­ ta l'amore che Gesù ha per lui; è il suo confidente e gode di tale intimità da potersi reclinare sul petto di Gesù, gesto di familiarità assoluta (13, 23.25). I n questa pericope, la seconda volta che appare, l'evangelista mostra l'amore con cui il di scepolo corrisponde a Gesù, e che manifesta seguendo il suo cammino verso la morte. In questo caso Gv sopprime la denominazione abituale (il discepolo cui Gesù volel 'a bene) per far risaltare la sua risposta. Più importante che non identi ficare questo discepolo con uno o vari personaggi storici, è definirne la funzione nel racconto evangelico, cioè il suo signi ficato teologico. Appariva nella Cena, in contrasto con Pietro, come confidente di Gesù, per la sua prossimità a lui ( 1 3 , 23s). Sempre in contrasto con Pietro, lo si descrive qui come colui che entra con Gesù catturato, disposto a correre la sua stessa sorte (18, 15). Si dirigerà al sepolcro, di nuom insieme con Pietro e , in contrasto con lui, comprenderà i segni e crederà nella risurrezione (20, 2-10). Nella pesca, a cui accompagna Pietro, sarà lui a riconoscere il Signore (2 1 . 7). Per l'ultima volta apparirà insieme a Pietro nella scena finale del vangelo (21 , 20-22) . La comunità afferma che il vangelo intero è la sua testimonianza (2 1 , 24) . Ciò integra, pertanto, il dato che ai piedi della croce egli presenziò alla gloria di Gesù (19, 35) ; è questo discepolo che, nel momento culminante, resta vicino al Messia crocifisso. Vedendo com­ piuta la dichiarazione di Giovanni Battista sull'Agnello di Dio ( 1 , 29.36). al quale non sarebbe stato spezzato neanche un osso (19, 36) , la sua testimonianza finale (19, 35) completa quella che pronun ciò Giovanni annunciando la missione del Messia ( 1 , 32.34). In tal modo collega questa figura con quella del discepolo anonimo che, avendo ascoltato la testimonianza di Giovanni, seguì Gesù e rimase a vivere con lui ( 1 , 35-39) . La sua permanenza al fianco di Gesù gli permette adesso di entrare con lui per arrivare fino alla croce, dove accoglierà la madre ( 1 9, 26s) e si trasformerà in testimone (19, 35). Riassumendo il suo significato: è il discepolo che, avendo rotto con l'isti tuzione giudaica (discepolo del Battista), segue Gesù e vive con lui. Per questo è suo confidente, quello che Io accompagna fino alla morte, rende testimonianza della sua gloria, riconosce la sua risurrezione e percepisce la sua presenza nella comunità. Di qui la sua funzione d i testimone da\·anti al mondo. I suoi tratti raffigurano in questo vangelo quelli del discepolo e della comunità secondo l'ideale che Gesù propone.

15b Quel discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò insieme con Gesù nell'atrio del sommo sacerdote. La frase: ... e . .. un altro discepolo. Quel discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote, ripete senza necessità la condizione di discepolo; sarebbe stato sufficiente indicare il personaggio con un pronome: « egli/questi " (houtos). Un caso simile si riscontra nella menzione suc­ cessiva: allora uscì l'altro discepolo, quello conosciuto dal sommo sacerdote. Questa ridondanza indica che il discepolo era conosciuto, in quanto tale, dalla massima autorità giudaica t . 1

OucslO testo è in relazione con due precedenti. In riferimento al sommo sa-

709

L'ora llnale. La Pasqua del Messia

L'indicazione dell'evangelista: quel discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote, allude al detto di Gesù: da questo tutti conosceranno che siete discepoli miei: dal fatto che avete amore fra voi (13, 35). Questo discepolo ha il distintivo proprio di coloro che sono di Gesù. Così si completa la sua figura: sperimenta l'amore di Gesù (13, 23), corrispon­ de a tale amore (entrò insieme con Gesù nell'atrio del sommo sacerdo­ te), compie il comandamento di Gesù (13, 34s). È il modello di discepo­ lo. Data la portata universale che Gesù attribuisce alla testimonianza dell'amore vicendevole ( 1 3 , 35: tutti conosceranno), non c'è nulla di strano che l'evangelista estenda tale conoscenza allo stesso sommo sacerdote, soprattutto se si tiene conto che questi riassume nella sua persona l'istituzione giudaica ( 1 2 , IO Lett.). L'insistenza di Gv sul fatto che era conosciuto come discepolo sottoli­ nea il pericolo che egli corre in quel luogo; affrontandolo, dimostra il p roprio amore per Gesù. Ha compreso il detto di quest'ultimo: disprez­ zare la propria vita in questo ordinamento è conservarsi per una vita definitiva {12, 25).

Come Gesù, il discepolo è oggetto dell'odio del • mondo » (7, 7; 1 5 , 1 8-19). rappresentato dall'autorità suprema. Tut tavia, inseparabile da Gesù, entra insieme con lui, accettando pienamente il rischio, conse­ guenza inevitabile della sua sequela ( 15, 20). Il verbo « entrare » (10, 1 .2 : eiserkhomai, 1 8, 1 5 : suneiserkhomai). insie­ me con la menzione dell'« atrio "• mette questo episodio in relazione con IO, 1-5. Il parallelo fra i due passi sarà confermato dalla menzione della • porta » (IO. 1.2; 18, 16) e da quella del • portinaio/portinaia • (IO, 3; 1 8 , 16.17). L'atrio del sommo sacerdote equivale quindi all'atrio delle pecore (10, 1 ) , dove queste sono sfruttate e sacrificate (2, 14-15; 10, IO), con evidente allusione al tempio, simbolo dell'istituzione giudaica, denuncia­ to da Gesù nella sua prima visita a Gerusalemme (2, 16 Lett.). Il sommo sacerdote, figura del Nemico, è l'anima del tempio sfruttatore. Come pastore, Gelòù entra nell'istituzione per dare la vita per le pecore (10, I l ) e trarle così fuori dall'oppressione {10, 3-4). Perciò Gesù non « è condotto • (18, 13) dentro il palazzo ma « entra •, mostrando ancora una volta la libertà della sua decisione (10, 1.2). 16a

Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta.

Sorge il cont rasto fra perché conosciuto come come discepolo, rimane « La porta » continua il

Pietro e l'altro discepolo. Questi è · entrato tale. Pietro invece non entra; non lo si conosce fuori presso la porta. parallelismo con IO, 1-4. Lì Gesù aveva detto: chi entra dalla porta è pastore delle pecore (IO, 2). Egli è il pastore modello (10, 1 1 . 1 4). Chiunque entra dalla porta si associa alla sua

cerdote, con 12, 10: I sommi sacerdoti, da parte loro. concordaro11o di uccidere personaggio che in quel contesto rappresenta la comunità di coloro che hanno ricevuto la vita definitiva; questo discepolo, conosciuto come tale, è uno di quelli che sono condannati con Gesù e può entrare e accompagnarlo nel cammino della sua morte. L'altro testo, l'esortazione di Tommaso ai suoi compagni, spiega l'atteggiamento del discepolo: andiamo anche noi a morire con lui (li, 16). Disposto a morire con Gesù, il discepolo entra volontariamente con lui nell'atrio. anche La��aro ,

710

18, U-27. Rinnegamenll di Pietro

missione di pastore; ciò che caratterizza il pastore, in opposizione al mercenario, è dare la vita per le pecore (10, I l ). Ogni discepolo deve associarsi a Gesù ed entrare con lui nell'atrio, disposto a dar la vita per trarle fuori (IO, 3). Così ha fatto l'altro discepolo; Pietro, invece, non è ancora entrato. Quando sarà disposto a dare la vita, Gesù lo inviterà a seguirlo in questa missione (2 1 , 15-19) . Per la quarta volta appare il soprannome Pietro senza che sia accom­ pagnato dal nome (13, 8.37; 18, 1 1 ) . In ogni episodio Gv introduce il personaggio con il suo appellativo completo ( 1 3, 6.36; 18, IO: Simon Pietro), ma poi sottolinea l'atteggiamento negativo di Pietro usando soltanto il soprannome, che nelle scene del rinnegamento si ripeterà isolato per sei volte (18, l6bis.l7.1 8.26.27). Pietro, « l'ostinato », giungerà in questi passi all'estremo della sua ostinazione, fino a rinnegare Gesù, perché l'atteggiamento di questi non corrispondeva all'idea di Messia che egli si era fatto. 16b

Allora uscì l'altro discepolo, quello conosciuto dal sornrno sacerdo­

te; parlò alla portinaia e co11dusse dentro Pietro.

L'altro discepolo, rappresentante della comunità fedele, offrirà a Pietro l'opportunità di dichiararsi discepolo e di poter seguire Gesù nella sua consegna e morte. La sua libertà di movimento in questo ambiente ostile continua a illustrare il detto di Gesù sul disprezzo del pericolo (12, 25). t libero perché non ha paura di morire. Appare la figura della " portinaia », in parallelo con « il portinaio » (he/ho thur6ros) che apriva a chi entrava nell'atrio (lO , 3), se ne ricono­ sceva il diritto. L'altro discepolo, come Gesù, è entrato perché lo aveva; non entra per rubare e distruggere, ma per salvare e dare vita (10, !s. 3s.IO). Ora è lui che persuade la portinaia a lasciare entrare Pietro. Pietro non entra spontaneamente, si lascia portare, come la prima volta quando Andrea lo condusse da Gesù ( 1 , 42 Lett.). Pur condotto dentro, non si è deciso di fare il passaggio, rimane nel suo atteggiamento. Cosi è indicato anche dall'uso del semplice soprannome (condusse Pietro) . 17 Allora la serva che faceva da portinaia disse a Pietro: « Forse sei anche tu discepolo di quest'uomo ? » . Egli disse: • Non lo sono • Pietro, condotto dall'altro discepolo, è all'interno dell'atrio del sommo sacerdote. La portinaia, incaricata di riconoscere il diritto a _ entrare, domanda a Pietro se è discepolo, cioè se entra con la stessa disposizio­ ne di Gesù e dell'altro. Dicendo: an ch e tu, allude all'altro discepolo, che era conosciuto come tale. Essere conosciuto come discepolo è conse­ guenza di una condotta. Pietro, pertanto, non ha il distintivo di discepo­ lo ( 1 3, 34s; cfr. 2 1 , 7 Lett.). Per questo la portinaia glielo chiede. La sua domanda colloca· Pietro davanti all'opzione, lo obbliga a definir­ si: o si dichiara discepolo ed entra con Gesù, disposto a seguirlo, oppure lo rinnega, rompendo apertamente con lui. Tutta la sua arroganza è sparita, si spaventa davanti a una ragazza . Teme le possibili conseguenze di professarsi simpatizzante del prigio­ niero. La sua adesione si rivolgeva in realtà al suo Messia, che sperava di vedere incamato in Gesù. Una volta che questi ha defraudato la sua 711

L'ora finale. La Pasqua del Messia

aspettativa, non si sente vincolato a lui. Pietro si trova nella stessa situazione dei discepoli che disertarono in Galilea, dopo il discorso sul pane di vita, nel quale Gesù chiedeva l'assimilazione della sua vita e morte (6, 53s.60); come loro, lo abbandona (6, 66) . malgrado avesse accettato in principio le sue esigenze e confermato la sua adesione a nome di tutti (6, 68s) . Pietro è discepolo, ma non veramente, secondo il detto di Gesù: per essere veramente miei discepoli dovete attenervi al messaggio mio; conoscerete la verità e la

verità vi

renderà

liberi

(8, 3 1 s). Chi si è opposto alla morte di Gesù per il popolo (l8, 10s. l4) non comprende il messaggio e l'amore per l'uomo, né lo pratica. Per questo non conosce la verità e non è libero. La portinaia ha chiamato Gesù " quest'uomo ». t:: l'uomo che sta per morire per il popolo (18, 14). Ma Pietro non accetta tale morte. Nega la propria identità di discepolo e rimane senza identità alcuna: non lo sono (cfr. nota). La sua negazione si oppone all'affermazione di Gesù nell'orto, quando rispondeva a coloro che stavano per catturarlo: sono io, riconoscendo la sua missione di Messia davidico (il Nazareno, 18, Sa Lett.), con tutte le sue conseguenze. Pietro non può dire, come Gesù, sono io, una volta che il suo falso ideale è crollato. II cieco guarito da Gesù, dopo essersi lavato a Siloe, poteva dire: sono io a quanti dubitavano della sua identità (9, 9), poiché l'aveva acquistata accettando l'amore di Gesù. Pietro, che non si lascia amare, non l'ha ancora acquistata. Gesù rischia la propria vita dichiarando ciò che è; Pietro si aggrappa a se stesso e si perde ( 1 2, 25). 18 Si erano trattenuti lì i servi e le guardie, che tenevano accese delle braci e si scaldavano poiché faceva freddo; (anche Pietro stava con loro, lì in piedi scaldandosi) . Pietro ha rinunciato a essere discepolo, ma davanti a Gesù non c'è posto per l'indifferenza; rompere con lui significa passare al mondo nemico, essere catturato da lui (6, 17; 12, 35). Non c'è zona intermedia fra la luce e le tenebre, fra la libertà e la schiavitù. Pietro non aveva i requisiti per essere amico di Gesù (15, 15; 18, 10a Lett.) e si trova nel gruppo di coloro che servono il Nemico. Non avendo raggiunto la libertà, è fra i servi; si mischia con gli agenti del capo del mondo, quelli che andarono a catturare Gesù. II freddo, come la notte ( 1 3 , 30), la tenebra ( l , 5; 12, 35) e l'inverno (lO, 22) sono simboli di morte. Alle lanterne e torce che cercavano di vincere la tenebra (18, 3) corrispondono le braci che cercano di vincere il freddo. Il parallelismo fra le frasi: anche Giuda, quello che lo consegnava, era presente con loro ( 1 8, 5); anche Pietro stava, con loro, Il in piedi scaldandosi, sembra dar compimento al parallelismo stabilito tre volte fra Giuda e Pietro dal nome " Simone • (6, 68: la confessione di Simon Pietro, e 6, 7 1 : l'identificazione di Giuda di Simone Iscariota come nemico e traditore; 13, 2 : Giuda di Sirnone Iscariota, strumento del tradimento, e 1 3 , 6: Simon Pietro, che rifiuterà di lasciarsi lavare i piedi; 13, 24: Simon Pietro indaga sull'identità del traditore, e 13, 26: Gesù dà il boccone a Giuda di Simone Iscariota e Satana entra in lui). Anche se in modo differente da quello di Giuda, Pietro, per il suo 712

18,

B-21.

Rlnnepmènd di Pleti'o

ideale di Messia dominatore, è anch'egli partigiano di un sistema di potere e appartiene come gli altri « a questo ordinamento » ( 1 8, 36) .

Testimonianza di Gesù davanti al potere 19 Allora il sommo sacerdote interrogò Gesù circa i suoi discepoli e la sua dottrina. La scena è in contrasto con quanto avviene nel cortile; Il Pietro nega di essere discepolo; qui Gesù è interrogato riguardo ai suoi discepoli. I l sommo sacerdote è Anna ( 1 8 , 24) , personificazione del Nemico che ispira la condotta oppressiva dei dirigenti giudei (8, 44). In questo momento si omette il suo nome: è il capo supremo, che dà origine al potere religioso-politico, colui che fa comparire e interroga Gesù. Sa chi è, perché ha fatto in modo che lo arrestino; gli interessa prima di tutto sapere chi lo appoggia, l'influsso che ha Gesù (suoi discepoli) ; poi la dottrina che propone. Come avvenne nella condanna di Gesù ( I l , 47-53), il sommo sacerdote non fa la minima allusione a Dio, né domanda a Gesù l 'origine o la legittimazione della sua persona e dottrina (7, 16). Dopo la manifestazione all'uscita di Gerusalemme (12, 12ss), è di dominio pubblico che il popolo ha visto in Gesù il Messia, il re d'Israele, inviato e rappresentante di Dio (12, 1 3 : colui che viene a nome del Signore) che doveva adempiere le profezie (12, 34); Anna d'altra parte lo ha fatto arrestare come il • Nazareno • . cioè come un pretendente al messianismo davidico (18, Sa Lett.). Ma il rappresen­ tante del potere non riprende questa questione. La sua preoccupa­ zione è meramente politica: proteggere gli interessi dell'istituzione che a sua volta è a servizio dei suoi piani ( I l , 47-50) . I l colloquio non è un giudizio, non c'è alcuna formalità giuridica. La sentenza è già data ( 1 1 , 53). • Finora ho parlato pubblicamente a tutti; sempre io ho insegnato in riunioni e nel tempio, dove accorrono tutti i giudei, e non ho detto nulla nascostamente » .

20 Gesù gli rispose:

Gesù non ha alcuna dottrina segreta da scoprire. II suo insegnamento è sempre stato pubblico. Di fatto, secondo la narrazione evangelica, ha avuto luogo in . una riunione a Cafarnao (6, 59) e nel tempio (7, 14.28; 8, 20). La denominazione • i giudei • designa qui, come d'ordinario, i partigiani del sistema. I suoi stessi fedeli hanno ascoltato Gesù; il sommo sacer­ dote quindi, ha numerose fonti d'informazione. Gesù ha parlato a ogni uditorio, non ha creato un circolo esoterico. Le sue pretese messianiche le ha proposte in pubblico, ha invitato tutti ad avvicinarglisi (7, 37-39; 8, 12). Anche la sua attività è stata pubblica, per questo ha suscitato discussioni con i partigiani del sistema (5, 16ss; 6, 41ss; 9, 39ss). La sua opposizione alle istituzioni è stata espressa nel tempio e agli stessi dirigenti (8, 21-59) .

713

L'ora Hnale. La Pasqua del

Measla

21

« Perché ir1terroghi me? Inte rroga coloro che sono stati a sentire ciò di cui ho parlato. Ecco, essi sanno ciò che ho detto •.

Gesù respinge l'inquisizione del sommo sacerdote; è lui quello che dovrebbe sapere di che cosa lo si accusa e potrebbe interrogare. L'hanno arrestato senza muovergli alcuna imputazione, e pretendono ora che egli stesso offra loro dei capi d'accusa. Non dà alcuna informazione circa i suoi discepoli; non compromette nessuno, non perde nessuno di coloro che il Padre gli ha affidato (6, 39; 17, 1 2 ; 1 8,8-9). In quanto alla sua dottrina, si rimette a coloro che l'hanno ascoltata. Risponde con la serenità di colui che non ha nulla da occultare. Spetta alle autorità intentargli un processo se lo vogliono. Gesù non accetta la condizione di suddito interrogato. Il capo gli chiede una dichiarazione ed egli rifiuta di darla; non ammette che essi lo giudichino. Qui sta la frustrazione del mondo: vuole trattare Gesù come un reo, ma egli non gli riconosce autorità. Davanti a tale giudice non ha motivo di difendersi, giustificarsi o dare ragioni. Sono loro che devono andare da lui e conoscerlo, avvicinarsi alla luce, che è evidente di per se stessa, anche se in rea! tà ne sono incapaci, perché ciò che difendono sono i loro propri interessi; Gesù non importa loro come persona, ma come possibile minaccia. Appena ebbe detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: « Così rispondi al sommo sacerdote ? ».

22

Guardia, subalterno (huperetes), è termine che denota la esistenza dell'autorità e la sottomissione a essa. Secondo questo individuo, il capo non può essere contraddetto in nulla; nei suoi confronti non si può pretendere dialogo, ma soltanto rendere obbedienza. II potere è sostenuto dai suoi schiavi; quanti si definiscono sudditi gli forniscono la base che Io rende possibile. La reazione del servo è dovuta alla pretesa offesa al suo signore; si identifica con lui. Il sistema gli ruba la sua identità e gli presta la propria; l'individuo definisce se stesso per la sua dipendenza. I l subalterno stima che le parole di Gesù al sommo sacerdote costi­ tuiscano una mancanza di rispetto, non a causa del loro contenuto, che non ha analizzato, ma perché davanti al capo bisogna mostrare defe­ renza senza condizioni. Identificato con il capo, è strumento cieco di repressione. Questo subalterno offre un parallelo con Pietro nella scena della cattura di Gesù. Anche Pietro si metteva a difendere il leader, attac­ cando il servo del sommo sacerdote. In entrambi la violenza ubbidisce all'istinto di sottomissione a un capo. Ma Gesù non è · come Anna, non ha bisogno né vuole sudditi che Io difendano (cfr. 1 8, 36). Gli replicò Gesù: • Se ho mancato nel parlare, spiega dov'è la mancanza; se però ho parlato come si deve, perché mi batti? •.

23

Gesù si rivolge alla guardia prescindendo dal giudizio che questa ha dato sulla sua risposta. Le ricorda le sue stesse parole e le chiede di analizzarle senza pregiudizi. La invita alla ragione, facendole compren­ dere la sua irrazionalità; la invita a badare alla realtà dei fatti, 714

18, 1.5-27. Rlnnegamentl di Pietro

fon damento d el giudizio personale e della libertà (cfr. 7, 31). La schiavi· tù del subalterno comincia con la rinuncia a vedere la realtà per conto proprio, accettando una sottomissione acritica e superstiziosa a chi sta in alto. Interiorizzando la propria condizione di suddito ha perso la libertà. 24

Allora Anna lo mandò legato a Caifa, il sommo sacerdote.

Anna, che non ha potuto manipolare Gesù, non risponde. Questi appa· re come uomo libero, padrone di sé, che non ha bisogno di difendersi né lo vuole. Gesù continua a essere legato. Mandarlo legato a Caifa indica nuova· mente la minaccia che l'istituzione vede in lui. La principale è la sua libertà, perché li lascia disarmati. Gesù è sempre colui che il mondo ha condannato a morte. Così lo vede e lo interpreta la comunità, come modello per la situazione in cui essa si trova. La violenza maschera la debolezza del potere davanti alla forza di una libertà coerente con la verità dell 'esistenza. La libertà attacca il potere alla sua radice: il potere, invece, agisce contro la libertà solo esterna· mente: legando o colpendo, atti che rivelano la sua impotenza. Anche se reprime, c'è sempre chi difende la libertà; se uccide, risorgerà la vita.

Pietro conferma e sigilla il proprio rinnegamento 25 Simon Pietro, dunque, stava lì in piedi e si scaldava. Gli dissero allora: • Forse anche tu sei suo discepolo? » Egli lo negò dicendo: « Non lo sono ». Gesù ha continuato il suo itinerario verso il Padre. Pietro non si è mosso da dove stava. I l timore della morte lo ha reso incapace di seguirlo (13, 36; 2 1 , 7 Lett.). In alto si è svolto l'interrogatorio di Gesù, in basso si svolge quello di Pietro. Gesù si rimetteva a quanti Io avevano ascoltato; Pietro, che è uno di loro, sta quieto, riscaldandosi, senza richiamare l'attenzione. Hanno domandato a Gesù dei suoi discepoli e Pietro nega di esserlo, ora non soltanto alla portinaia, ma davanti a tutti i presenti. 1!. già l'apostasia pubblica. Mentre Gesù non cede in nessun momento né fa un passo indietro, Pietro va scomparendo come discepolo. Inquadrando l'interrogatorio di Gesù fra le due scene del rinnegamento di Pietro, Gv vuole accentuare il contrasto. Mentre Gesù affronta la situazione con pieno dominio di sé, appare un Pietro attanagliato dal timore, che mendica un po' di calore, mescolato anonimamente con coloro che nell'orto aveva voluto sterminare, senza osar affrontare la propria situazione. Colui che è sciolto, è in realtà legato, mentre Gesù, legato, non ha perso la sua libertà. Poiché Gesù è prigioniero, Pietro Io dà già per sconfitto. Quando è impossibile usare la spada e non vi è un leader per cui lottare, Pietro, che si definiva attraverso la spada e il leader, non è più niente, si annulla negando la propria identità.

715

L'ora fiDale. La Pasqua del Messia

26-27 Uno dei servi del sommo sacerdote, parente dell'altro cui Pietro aveva tagliato l'orecchio, gli disse: « Non ti ho visto io nell'orto con lui? >>. Di nuovo Pietro negò, e immediatamente cantò un gallo.

Seconda menz ion e del taglio dell'orecchio dopo le scene in cui si nominano Anna e Caifa. Pietro è interrogato da uno che fu testimone del suo atto di violenza contro il rappresentante del sommo sacerdote (l 8, 10). Egli si intimorisce, non osa affrontare l'autorità. Quel gesto significava la sua rottura con l'istituzione; ora non osa condannarla . Nega per la terza volta; quella definitiva: canta il gallo. Poiché cantava nella notte, il gallo veniva considerato animale diabolico 2; il suo canto è il grido di vittoria della tenebra. Quando Pietro ha rinnegato Gesù, rinunciando alla vita, e si è integrato nel gruppo dei sottomessi, la tenebra ha trionfato (6, 17). I l pieno significato di questa pericope apparirà in 21, 1Sss, dove a q ues to triplice rinnegamento corrisponderanno le tre professioni di amore per Gesù, e al suo ri fiu to a seguirlo, l'incarico di pascere, che equivale a seguire Gesù fino alla morte.

SINTESI In questa pericope si stabilisce il contrasto fra l'atteggiamento di Gesù e quello di Pietro, al quale si oppone anche la figura del discepolo che accompagna Gesù. Pietro era ricorso alla violenza, Gesù si consegna volontariamente nelle mani dei suoi nemici. Ora mentre Gesù, manifestando la propria liber­ tà, rende testimonianza davanti al mondo ostile, senza ritrattare nulla della sua attività precedente ma rimettendosi a essa, Pietro per paura rinnega la sua condizione di discepolo, cioè il suo passato di adesione a Gesù. Questi, anche se ammanettato, è libero; Pietro, che è in libertà, è legato dalla paura. Colui che credeva nella violenza, la teme.

2

Si pensava che, anche se gli spiriti maligni e demoni erano normalmente invi· sibili, esistessero mezzi per scoprime la presenza e anche per vederli: « Chi vuole vedere le loro impronte, prenda cenere stacciata e la sparga intorno al letto. Di mattina vi si vedrà qualcosa di simile alle impronte di un gallo • (Ber. VIa). Gli orientali consideravano il gallo come una potenza delle tenebre perché cantava nell'oscurità. Tra gli idoli introdotti a Samaria dai colonizzatori ass iri (2 Re 17, 30). il Talmud (Sanh. 63b) identifica Succot-Benot con una gallina e Nergal con un gallo . Cfr. A. Cohen, Il Talmud (trad. italiana: Bari 1935) 314. I n Gerusalemme era proibito l'allevamento di galli e galline perché potevano essere causa di impurità, cfr. S. · B. I, 992s; questo evidenzia il lin guaggio simbolico che Gv utilizza .

716

Prima sequema IL

RE

DEI

GltiDEI

( 1 8, 28 - 19, 22)

G v 18, 28-32: La consegna a Pilato. Il malfattore 28

Condussero allora Gesù dalla casa di Caifa alla residenza del governa­ tore. Era mattina. Essi tuttavia non entrarono nella residenza del governatore, per non contaminarsi e poter celebrare il pasto di Pasqua.

29

Pilato uscì fuori, dove stavano loro, e chiese: - Quale accusa presentate contro quest'uomo? Gli risposero così: - Se questi non fosse un malfattore, non te lo avremmo consegnato. Allora Pilato disse loro: - Prendetelo voialtri e giudicatelo secondo la vostra Legge. Gli dissero allora le autorità giudaiche: - A noi non è permesso uccidere nessuno.

30

Jl

31

Cosl avrebbe avuto compimento il detto di Gesù, quando indicava il genere di morte di cui stava per morire.

NOTE FILOLOGICHE 18, 28 mattina, gr. pr6i. Cfr. 20, l. Dei quattro momenti che dividono le phulakai della notte (Mc 8, 48), pr6i indica la sua frontiera con il giorno (Mc 13, 35: caduta la notte, a mezzanotte, al canto del gallo o già all'aurora) ; è un momento posteriore all'orthros, l'alba o prima luce, l'ora i n cui s i

soleva uscire per il lavoro.

- e poter celebrare, ecc. gr. alla phag6sin to paskha. Il termine paska signi· ficava tanto celebrare la nella trad. il • l'agnello di

la festa quanto l'agnello; mangiare la pasqua • equ i vale a festa mangiando l'agnello. Non conviene, tuttavia, introdurre termine • agnello •. che creerebbe una relazione inesistente con Dio (1 , 29.36). •



30 Gli risposero cosi, gr. apekrithesan kai eipan auto. II secondo verbo mette l'accento sul contenuto, cfr. l , 25 nota. - malfattore, gr. kakon poi6n, secondo la lettura megl io attestata. Cfr. 19, 7: huion theou heauton epoiesen; 19, 12: basilea heauton poi6n. Questi testi specificano il significato di • malfattore •: si è fatto Figlio di Dio, si fa Re.

31 A noi non è permesso uccidere nessuno, gr. hemin ouk exestin apokteinai oudena. Si noti in primo luogo l'opposizione con 19, IO: exousian ekh6 stauròsai se. In secondo luogo, il parallelo con 5, I O : sabbaton estin, kai ouk exestin sai arai ton krobaton sou, mostra che la frase allude al comanda· mento del Decalogo: • non ucciderai • (Es 20, 13; Dt 5, 17). Anche se il verbo usato dai LXX in ques ti passi è phoneu6, assas s inare (mai in Gv), in questo vangelo anche il verbo apoktein6, ha questo significato, come appare in

717

L'ora finale. La Pasqua del Messia 8, 44: anthr6poktonos in parallelo con 8. 40: me apokteinai, anthr6pon. Di fatto. la morte di Gesù che hanno tramato fin dal principio (cfr. S. 18) era un assassinio, poiché non si trattava di una condanna a morte emanata in Wl giudizio legittimo (cfr. 7, l ; 1 1 , 53).

32

Così avrebbe avuto compimento,

futuro.

- quando indicava, disse.

gr.

gr.

hon eipen semain6n.

hina ... pler6the.

Consecutiva nel

Si evita il pleonasmo:

il detto che

CONTEN UTO E D IVISIONE Questa pericope apre la sequenza della regalità d i Gesù ( 1 8 . 28-19. 22). Le autorità giudaiche affrontano Pilato: vengono descritti i loro primi sforzi per ottenere da lui l'esecuzione di Gesù. Hanno già decretato la sua morte ( 1 1 . 53; 18, 14) e vogliono forzare il governatore a ratificarla ed eseguirla. Ottengono la loro prima vittoria: le risposte che danno alle obiezioni di Pilato creano una situazione a loro favore: il governa tore, anche se non gli presentano accuse formali, e sapendo ciò che vogliono, non congeda gli accusatori. La pericope comincia descrivendo il momento e il luogo della scena (18, 28). Segue il dialogo fra Pilato e le autorità, senza che si giunga a un accordo (18, 29-31). Si conclude con l'indicazione • del narratore, che ricorda un detto precedente di Gesù (18, 32). Si può dividere cosi:

18, 28: Tempo e luogo. 18, 29-3 1 : Chiedono a Pilato la morte di Gesù. 18, 32: Compimento del detto di Gesù.

LETIURA Tempo e luogo 18, 28a Condussero allora Gesù dalla casa di Caifa alla residenza del governatore. Non si narra l'accaduto nella casa di Caifa, dove Gesù è stato agli arresti. Le autorità giudaiche non hanno celebrato un giudizio per cond annarlo la decisione era stata presa sulla base dei loro inte re s si senza sentenza giud iz ia ria ( 1 1 , 47-53). D'altra parte il giudizio del « mondo • (cfr. 12, 31) si è andato facendo attra,·erso l'attività di Gesù, ch e ne ha messo in evidenza l i ngiustizia (7, 7). Essi, rifiutando e condannando Gesù, hanno dettato la loro stessa sentenza ( I l , 51 Lett.). Ora vogliono che la causa di Gesù passi alla giurisdizione del potere invasore e pagano. ,

,

'

718

18, 28-32. La consegna a Pilato

28b Era mattina. Essi tuttavia non entrarono nella residenza del governatore, per non contaminarsi e poter celebrare il pasto di Pasqua.

La mattina indica l'arrivo del nuovo giorno 1, quello decisivo, di cui si indicano il principio, la fine ( 1 9, 42) e l'ora centrale (19, 14). È • il sesto giorno , (cfr. 12, 1 ) , quello della creazione dell'uomo (cfr. • l'ora fina­ le •. p. 496). « Essi » sono i sommi sacerdoti (18, 35; 19, 6), chiamati anche • giudei » (18, 31 .36.38b; 19, 7.12). Quest'ultima denominazione ha incluso anche i farisei ( 1 8, 3.12). I sommi sacerdoti rappresentano tutti i circoli di potere della loro nazione ( 1 9, 2 1 ) ; sono l'autorità ufficiale. I capi giudei evitano di contaminarsi entrando nella casa di un pagano; se avessero contratto impurità non avrebbero potuto celebrare la festa, il cui atto centrale era il mangiare l'agnello. Gli oppressori del popolo (5, 1 ss) mettono cura nell'osservanza delle prescrizioni legali. Gv indica con questo il significato della Pasqua ufficiale: l'antica festa della liberazione è passata a essere un mero rito. Grazie a Gesù, tuttavia, quell'anno si celebrerà la vera Pasqua; Giuda ha preparato il necessario, la morte dell'Agnello pasquale (13, 29), e Caifa ha profetizzato che Gesù mo d rà per costituire il nuovo popolo ( 1 1 , 50; 18, 14). Essi ora faranno sì che possa essere mangiato il vero Agnello e celebrata la vera Pasqua (6, 5 1 ) . Gesù toglierà il peccato del mondo ( 1 , 29), liberando dalla schiavitù con l'esodo definitivo.

Chiedono a Pilato . la morte di Gesù 29 Pilato uscì fuori, dove stavano loro, e chiese: presentate contro quest'uomo? "·

« Quale accusa

Primo movimento di Pilato. Uscire è già una concessione, il potere romano si piega in un certo modo davanti a quello giudaico, che ha già dimostrato la propria superiorità, disponendo della guarmg1one ( 1 8 3.12). Il termine del movimento: dove stavano loro, annuncia la traiettoria che l'atteggiamento di Pilato seguirà: la sua debolezza affio­ ra fin dal principio del colloquio. Pilato non usa formule di cortesia, la sua domanda è diretta. Gesù non è per lui uno sconosciuto, dato che le sue truppe hanno partecipato alla cattura. Sa molto bene di cosa l'accusano, poiché l'hanno detenuto come il • Nazareno • . cioè come se discendesse da Davide, il Messia promesso. Questo lo dimostrerà bene nell'intèrrogatorio, la cui prima domanda sarà: tu sei re dei giudei? Come giudice, chiede tuttavia un'accusa formale. ,

30 Gli risposero cosl: « Se questi non fosse un malfattore, non te lo avremmo consegnato •· l Per

i divers i modi di determinare l'inizio del giorno, cfr. R. De Vaux,

Les lllsti­

l, Paris 1976, p. 275. Gv, da parte sua, fa cominciare il giorno con il mattino, non con il tramonto del sole, come era il costume giudaico del tempo. Così appare dal dato di 20. 19: caduta la notte, quel primo giorno della settimana, cominciato con il pr6i di 20, l . tutions de l'AT, vol.

719

L'ora finale. La Paoqua del Meosla

Solo per ottenere il cedimento finale di Pilato • i giudei • pronunceran· no l'accusa che muovono a Gesù (19, 1 2 : chiunque si fa re si dichiara contro il Cesare). Prendono a male che Pilato esiga da loro un'accusa precisa. Essi, le autorità supreme di Israele, non gli chiederebbero di condannare un innocente. Non pretendono che giudichi Gesù, ma che ratifichi la decisione che essi hanno preso ( 1 1 , 53). Qualificano Gesù come • malfattore ». Nella riunione del Consiglio ave­ vano espresso il proprio allarme dicendo: quest'uomo compie molti segni ( I l , 47). e di fatto molti loro adepti uscivano dalla loro sfera di influenza e passavano a Gesù (12, 1 1 ; cfr. 12, 19). Riassumono· ora l 'attività di Gesù qualificandola come criminale. Il sommo sacerdote lo interrogò circa la sua dottrina (18, 19), ma ciò che realmente li inquieta è il suo operato. Gesù si era ripetutamente rifatto alle proprie opere, compiute a favore dell'uomo (5, 36) . ed essi erano stati incapaci di condannarle (10, 33). Per i dirigenti tuttavia sanare e liberare l'uo­ mo è un crimine. Dalla loro situazione di potere si arrogano la facoltà di definire ciò che è buono e ciò che è cattivo; stabiliscono così una morale ufficiale al servizio degli interessi della loro istituzione ( I l , 50: vi co11viene) . Il verbo « consegnare •• finora è stato usato soltanto per Giuda (6, 64.7 1 ; 1 2 , 4; 1 3 , 2. 1 1 .2 1 ; 1 8 , 2.5) ; i l tradimento macchinato da costui è consuma­ to dai • giudei »; appare nuovamente la somiglianza fra Giuda e • i giudei » (13, 2 Lett.). 3la Allora Pilato disse loro: la vostra Legge ».



Prendete/o voialtri e giudicatelo secondo

Pilato non accetta la proposta delle autorità giudee. Non vuole ratifica­ re senz'altro la decisione che hanno preso. Comincia la schermaglia fra i due poteri. Quello giudaico ha fretta di farla finita con Gesù; quello romano - da cui essi temevano potesse giungere un pericolo a causa dell'attività di Gesù ( l i , 48) - oppone resistenza alle misure che vogliono prendere. Rimandandoli alla loro Legge, Pilato, senza saperlo, li sta accusando. La loro Legge non permetteva di giudicare un uomo senza prima averlo ascoltato per sapere cosa avesse fatto. Tale fu il rimprovero rivolto da Nicodemo ai suoi colleghi farisei (7, 51). La loro Legge avrebbe impedi­ to di condannarlo senza giudizio formale. 3 l b Gli dissero allora le autorità giudaiche : uccidere nessuno •.



A noi no11 è permesso

La risposta dei • giudei • pretende di forzare Pilato a intervenire. La frase che pronunciano ha un duplice significato. Da una parte, se si paragona con quella che più tardi ( 19, 10) Pilato rivolgerà a Gesù: sta a me liberarti e sta a me crocifiggerti (cfr. nota). i giudei affermano di non avere la facoltà di condannare a morte. Non si può decidere se la chiara affermazione di Gv corrisponda a una realtà storica. II senso storico, tuttavia, è sostenuto da quello teologico: la frase, parallela a quella 5, 10: è riposo e non ti è permesso prendere il tuo giaciglio, allude, come in quell'occasione, a un comandamento del Decalogo, in questo caso: • Non ucciderai •• (cfr. nota). 720

18, 28-32. la consegna

a

Pilato

Rimettendo ai " giudei » la responsabilità di condannare Gesù secondo la loro Legge, Pilato fa loro confessare la contraddizione tra la loro condotta e il principio enunciato nel Decalogo. Ironicamente, Gv pone sulla bocca delle autorità giudaiche la dichiarazione della loro propria colp'evolezza. Con questa risposta, le autorità rivelano le loro intenzioni. Non hanno portato Gesù davanti a Pilato perché questo lo giudichi, ma perché gli dia morte. Essi, che da quando è cominciata l'attività di Gesù avevano concepito il proposito di ucciderlo (5, 1 8) e così hanno deciso in una sessione ufficiale (I l , 53), non vogliono farlo di propria mano. e possibile che il rifiuto di eseguire di propria mano la sentenza contro Gesù abbia anche come motivo quello di evitare l'impurità legale causata dallo spargimento di sangue. Nel consiglio celebrato per con­ dannarlo erano state addotte soltanto ragioni di opportunismo politico ( 1 1 , 47-50) che, in un giudizio, non sarebbero servite a provare la colpevolezza di Gesù. Essi sanno molto bene di commettere un evidente omicidio con apparenze legali (8, 44 : omicida fin dal principio). Pensano di potersi liberare dell'impurità che questo avrebbe loro causato com­ mettendolo per mano di un terzo. Ritorna qui la domanda che rivolse loro Gesù: non fu Mosè a /asciarvi la Legge? Tut tavia, 11essuno di voi compie questa Legge. Perché cercate di uccidermi? (7, 19). Essi hanno deformato la Legge di Mosè e l'hanno trasformata nella « loro Leg­ ge » ( 1 9, 7).

Compimento del detto di Gesù 32 Così avrebbe avuto compim ento il detto di Gesù, qua11do i11dicava il genere di morte di cui stava per morire. Poiché le autorità giudaiche rifiutano di incaricarsi dell'esecuzione di Gesù, si rende possibile il compimento della sua predizione circa il modo della sua morte: levato in alto (3, 14; 8, 28; 12, 32s) ; è con tale morte, al tempo stesso la sua esaltazione, che egli trarrà tutti a sé (12, 32). Appare qui la preoccupazione dell'evangelista di giustificare la morte di Gesù sulla croce. Era una morte al di fuori delle categorie legali giudaiche e, perfino dei romani, talmente degradante da non potersi condannare alla croce un cittadino romano. La morte sulla croce significava per se stessa l'esclusione tanto dalla società giudaica quanto da quella romana. Appare qui un altro "elemen· to di rottura con la tradizione di Israele. Il Messia, che esce dal territorio di Israele per fondare la sua comunità ( 10, 40-42). muore anche al di fuori di Israele. Ma la sua morte significa anche rifiuto da parte del potere romano. Nessuna istituzione ammette tale Messia. Per spiegare questa morte Gv, in tutto il suo vangelo, le dà il significa­ to di una esaltazione ; perciò egli vede nell'Uomo levato in alto, fonte di vita, il compimento di un tipo deli'AT (3, 14-15), e la dimostrazione suprema dell'amore di Dio per l'umanità (3, 16). I l fatto che questa morte debba compiere la predizione di Gesù, rende manifesta la suà volontarietà, che colloca Gesù al di sopra della disputa 721

L'orn llnale. La Pasqua del MeoKia

tra i poteri. Egli è il padrone della sua vita quindi può consegnarla; nessuno gliela toglie (10, 18).

S I NTESI L'arresto di Gesù è avvenuto con la complicità di tutti i poteri, dei quali il più forte è il potere giudaico, rappresentato da Anna. Tuttavia, nell'ora di eseguire la morte già concordata, ciascuna delle parti, il potere giudaico e quello romano, vogliono schivare la responsabilità diretta. « I giudei • pretendono che Pilato convalidi la loro decisione senza celebrare un regolare giudizio. Pilato cerca di restituire la causa alla giurisdizione giudaica. La Legge serve per il gioco di entrambi, ma restano vittoriosi i dirigenti giudei. che affermano la loro supremazia. L'accusa generica « malfattore », applicata a Gesù, copre il vero motivo, che apparirà soltanto più tardi: l'accusa di farsi re è implicita fin dal principio. Si apre così il tema della regalità di Gesù, che occuperà tutta la sequenza.

722

Gv 18, 33-38a: La regalità di Gesù JJ

34

Js

36

Pilato entrò di nuovo nella residenza, chiamò Gesù e gli disse: - Tu sei il re dei giudei? Rispose Gesù: - Questo che dici è cosa tua, o altri te lo hanno detto di me? Replicò Pilato: - Forse che io sono giudeo? La tua nazione e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me. Cosa hai fatto? Rispose Gesù:

- La

regalità mia non appartiene a questo ordinamento. Se la regalità mia appartenesse a questo ordinamento, le mie guardie avrebbero lottato per impedire che mi consegnassero alle autorità giudaiche. Ora, però, la regalità mia non è di qui.

37

Gli domandò allora Pilato: - Dunque tu sei re? Rispose Gesù:

- Lo stai dicendo tu, io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza in favore della verità. Chiunque appartiene alla verità ascolta la mia voce. l8a Gli dice Pilato: - Che vuoi dire « verità » ?

NOTE FILOLOGICHE 18, 34 Questo che dici è cosa tua .. ?, gr. a po seautou s u touro legeis. La prepos. apo + pron. rifles. (seautou, ecc.) indica la provenienzat iniziativa personale in ciò che si dice o si fa (cfr. 5, 19.30; 7, 17.1 8.28, ecc.). Di qui la traduzione idiomatica. .

35 La tua nazione, gr. lo ethnos to son. Cfr. 15, I l nota; idia patridi.

cfr. 4, 44:

en té

La regalità mia, gr. he basi/eia he eme. II termine basi/eia, della stess a radice di basileus, re, equivale a seconda dei contesti a due termini italiani: regalità (la dignità reale), regno (come esercizio della dignità reale o come territorio e sudditi che competono al re e sui q uali egli esercita il suo goyerno). Bisogna determinare il suo significato in questo contesto. l) Per far ciò è necessario prima di tutto stab i l i re il significato dell'espres­ sione: il re dei giudei. Questa caratterizza il regno (giudei) dal punto di vista razziale. Equivale, sulla bocca di un non giudeo (Pilato) alla denomi­ nazione di carattere teologico • il re d'Israele ,. (popolo eletto). Ques t'ul­ tima era utilizzata dai giudei per designare il Messia atteso (l, 49; 12, 13: benedetto colui che viene a nome del Signore, il re d'Israele!; cfr 12, 24: il Messia). Dal punto di vista dell'evangelista, c'è tuttavia un altro motivo per il cambiamento d'espressione: dal momento in cui il popolo ha rifiu­ tato il Messia (12, 3440) cessa di essere • Israele •. l'eletto, per trasformarsi in • giudei •. un popolo in più fra gli altri (cfr. I l , 48: i romani). 36

.

723

L'ora finale. La Pasqua del Messia

Pilato chiede a Gesù se egli è il Messia·re. La risposta di Gesù, a sua vol­ ta, definisce, per opposizione alla regalità di questo mondo, la qualità della sua regalità/messianismo. tl in discussione la pretesa messianica di Gesù; se questa è vera, sarà necessariamente • il re dei giudei •: cosi apparirà d i fatto dalla scritta della croce (19, 19.21). 2) L'argomento addotto da Gesù per distinguere la sua basi/eia da quella di questo ordinamento » è che egli non si basa sulla forza delle armi per rivendicare il proprio diritto a regnare e a difendersi da quanti gli si op­ pongono. Egli non è Wl re sullo stile di quelli del mondo. 3) La frase la rega/ità mia non appartiene a questo ordinamento è in pa­ rallelo con 8, 23: io non appartengo a questo ordinamento, situata immedia­ tamente prima dell'affermazione messianica: io sono quello (8, 24b Lett.). 4) Gesù chiama la nuova comunità il regno di Dio • (3, 3.5); non il regno suo né quello del Messia. Questi viene • a nome del Signore • come rc/cse· cutore del regno di lui. Culmina qui il tema della regalità di Gesù, affiorato varie volte nel rac­ conto evangelico (1, 49; 6, 15) e la cui errata interpretazione ha causato la defezione del popolo (12, 13.15.34). Continuerà nel corso di tutta la sequenza . in cui il titolo di re si ripete 12 volte (18, 3l37bis.39; 19, 3.12.14.15bis.2lbisl. otto delle quali con la specificazione • dei giudei • o equivalente (18, 3339; 19, 3.14.15.19.21bis). - le mie guardie, gr. hoi huperetai hoi emoi. Cfr. 15, I l nota. - non è di qui, gr. ouk estin enteuthen. Cfr. 8, 23: humeis ek ton kato este, •



ego ek ton ano eimi.

37 Dunque, gr. oukoun. In frase interrogativa attende risposta affermativa: « allora è vero che tu sei re? Cosicché/quindi tu sei re? •. - Per questo io sono nato, gr. eis touto gegennemai. Cfr. 3, 6.8. - sono venuto nel mondo, gr. e/elutha eis ton kosmon. Cfr. 3, 19; 12, 46; 16, 18. La forza del pf. greco: sono venuto e sono nel mondo, è sufficientemente espressa dal pas. pros. it. - per rendere [unajla] testimonianza, gr. hina martureso. Aor. puntuale. La testimonianza di Gesù si concentrerà nella sua morte in croce.

38a Che vuoi dire • verità »?, gr. ti estin aletheia. L'assenza d'articolo indica che questa • verità • non si identifica con quella menzionata da Gesù, ma che la domanda è generica. Est in significa cfr. IO, 6: tima en ha elalei autois, che significava ciò che diceva loro (non compresero a cosa si riferis­ se), cfr., inoltre, M t 9, 13; 13, 19.2237; Le l, 29. In luogo di: che significa « verità •?; si adotta una trad. idiomatica. =

CONTEN UTO E DIVISIONE La pericope imposta l a questione della regalità di Gesù, arrestato come

il Nazareno », cioè come pretendente al trono di Davide. II tema è sorto periodicamente nel corso del vangelo (1, 49; 6, 15; 12, 13). I l titolo • Messia • indicava appWlto il re d'Israele Wlto da Dio (cfr. l . 41). Gesù afferma chia­ ramente la propria regalità, che equivale alla sua missione messianica, ma spiega che non ha alcuna somiglianza con la regalità del • mondo poiché egli rinWlcia in assoluto all'uso della forza e ha come missione rendere testimonianza alla verità. Ha inizio con la domanda sorpresa di Pilato, che tuttavia rifiuta di andare •

•,

·

724

18, 33-l&a. La regaUtà di Gesù

al -fondo della questione (18, 33-35). Gesù gli spiega la differenza tra la sua reg ali tà e quella di questo ordinamento (18, 36). Afferma nuovamente di es sere re c definisce qual è la sua missione, il che provoca il commento sprezzante di Pilato (18, 37-38a). Si

può dividere così:

18, 33-35: Il re dei giudei. Il re che non si basa sulla forza. 1 8 , 36: 18, 37-38a: La missione del re.

LETIU RAIl

re dei giudei

18, 33 Pi!Mo entrò di nuovo nella residmza, chiamò Gesù e gli disse: Tu sei il re dei giudei? ».

«

Pilato entra nella sua residenza, dove si trova più a suo agio, a riparo dalla pressione giudea. Fa chiamare Gesù che era fuori con i suoi accusa tori. II fatto che la guarnigione abbia partecipato alla cattura di Gesù mostra che Pilato sapeva chi era e di cosa lo si accusava. L'insistenza delle autorità giudaiche gli ha impedito di schivare questo processo e vuole informarsi personalmente. Lo chiama « il re dei giudei •. in luogo di • il re d'Israele •. modo di parlare tradizionale ( 1 , 49; 12, 13). Sulla bocca del romano, la denomina­ zione « i giudei » indica la differenza razziale e religiosa, la nazione come tale, non solo la casta dirigente (cfr. l , 19). Equivalente a • il re d'Israele », il titolo « il re dei giudei », con la sua determinazione (il), designa un re conosciuto, il Messia oggetto dell'aspettativa popolare (cfr. Excursus, p. 871). La questione del messianismo di Gesù, che si identifica con quella della sua regalità e già apparsa frequentemente nel racconto evangelico (1, 41 .49; 3, 28 s; 6, 15; 7, 26s.4ls; 9, 22; IO, 24; 12, 1 3 . 1 5 .34; cfr. 1 8 , 5.7: il Nazareno) . viene ora proposta ufficialmente. Gesù è stato chiamato per l'ultima volta « il re d'Israele • quando si propose la questione del suo messianismo di fronte al popolo (12, 13); a partire da allora l'espressione viene sostituita da « il re dei giudei ». « Israele » era la denominazione teologica che ricordava l'elezione del popolo e le promesse fatte ai patriarchi. Ora, per il suo rifiuto del Messia, compimento delle promesse, questo popolo cessa di essere Israele: è un popolo come gli altri, caratterizzato non più dall'elezione divina, ma dalla razza (giudei; cfr. 4, 40: samaritani; I l , 48: romani). Il pronome iniziale: t1t sei ... ?, identifica Gesù fra altri possibili preten­ denti al titolo. Pilato vuoi sapere se Gesù afferma di essere tale personaggio. 34 Rispose Gesù: detto di me? ».

«

Questo che dici



cosa tua, o altri te lo ham10

A sua volta Gesù gli domanda se egli è giunto da solo a questa 725

L'ora finale. La Pasqua del Messia

conclu sione o se ripete semplicemente ciò che altri gli hanno detto, eire se ha agito di propria convinzione o come strumento di altri. Vuole che il suo interlocutore rifletta sulla sua posizione e lo invita a considerare la sua responsabilità di giudice. 35 Replicò Pilato: « Forse che io sono giudeo? La tua nazione e sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me. Cosa hai fatto? ». Per non confessarsi strumento dell'autorità giudaica, Pilato nega che la questione lo riguardi personalmente: non è giudeo di razza; Gesù gli è stato consegnato dalla sua nazione, e in particolare dalle sue massime autorità. Rifiuta ogni responsabilità per quanto succede; non ha provo­ cato lui la situazione. L'autore ricalca la responsabilità dei capi ; sottolinea il tradimento che hanno commesso consegnando al potere straniero uno della loro stessa razza e popolo (18, 30). La gravità del gesto mostra fin dove giungeva l'odio dei dirigenti contro Gesù (cfr. 7, 7; 15, 23) . Odiano lui più dell'in­ vasore, di cui ora si servono come strumento per soddisfare il proprio odio. Ma il tradimento va oltre. Non consegnano a Pilato soltanto un conna­ zionale, ma precisamente quello che si presenta come Messia, e al quale essi stessi hanno posto la questione (IO, 24). Questo è il motivo della loro macchinazione, secondo quanto si deduce dall'appellativo " il Nazareno » (18. 5.7) e dalla domanda di Pilato: tu sei il re dei giudei? Quello di Gesù non è quindi il messianismo di un agitatore politico, ma quello di colui che segue la linea liberatrice attestata dalle loro Scrittu­ re (5, 39) . II tradimento che commettono non è soltanto tradimento del loro popolo e razza, ma tradimento di Dio stesso, come diventerà palese nella loro opzione finale per il Cesare (19, 1 5 ; cfr. 15, 23). Pilato afferma che la nazione e i sommi sacerdoti hanno consegnato Gesù. I responsabili della sua condanna e della sua cattura sono stati unicamente i capi ( I l , 53; 18, 3.12). Ma il popolo che, nel momento decisivo. dopo che fu promulgato l'ordine di delazione di Gesù ( I l , 57), non seppe optare per il Messia liberatore contro le proprie autorità oppressive, è anch'esso responsabile di tale tradimento, e di fatto ci si è lascia t o trascinare dai suoi dirigenti. I sommi sacerdoti possono con· siderarsi i rappresentanti della nazione e parlare a suo nome. In questa consegna si consuma il rifiuto annunciato fin dal prologo: i suoi non l'accolsero ( l , I l ) , e sviluppato nel ciclo delle istituzioni (2, 1-4, 46a), in cui Gesù annunciava già questa " ora » (2, 4). La Giudea, che rifiuta di dar retta al Figlio, rimane sotto la riprovazione di Dio (3, 36). Il popolo delle promesse cessa di essere tale, anche se rimarrà un resto che verrà integrato nella comunità del Messia (19, 25·27). Scaricando la responsabilità sulla nazione e sui sacerdoti, Pilato vuole ridurre la questione della regalità di Gesù a una faccenda interna dei giudei. I titoli di Gesù non gli interessano, ma gli interessa la sua attività: cosa hai fatto? La domanda si colloca nel contesto dell'accusa precedente: un malfattore. Gesù faceva appello soprattutto alle sue opere come credenziali della legittimità della sua missione messianica (5, 36; IO, 25.38; 14, I l ) . Pilato tuttavia le considererà soltanto i n quanto possano supporre una minaccia per il potere che egli rappresenta. 726

18, 33-3Sa. La regaUtà di Gesù

Il re che ftl}n si basa rulla forza 36 Rispose GesÌL: • La regalità mia non appartiene a questo ordina­ mento. Se la regalità mia appartenesse a questo ordinamento, le mie guardie av1·ebbero lottato per impedire che mi consegnassero alle autorità giudaiche. Ora, però, la regalità mia non è di qui " · Gesù non risponde direttamente alla seconda domanda di Pilato: cosa hai fatto?, ma alla prima: tu sei il re dei giudei? Scartando la regalità che si basa sulla forza sarà evidente che non pretende occupare il trono, come avrebbe potuto suggerire il titolo che gli ha dato: il re dei giudei. Afferma chiaramente la propria qualità di re, ma nega di avere alcuna affinità con i re che Pilato conosce. L'espressione: la regalità mia non appartiene a questo ordinamento , è in parallelo con quella che aveva detto di se stesso: io non appartengo a questo ordinamento (8, 23), in un contesto in cui immediatamente dopo afferma la sua qualità di Messia: io sono quello (8, 24b Lett.). Questo ordinamento, • il mondo », è il sistema di ingiustizia, quello che opprime l'uomo, e l'adesione a esso è peccato (8, 23 Lett.). Gesù pratica il servizio all'uomo e rifiuta il potere (6, 10.15); come re sarà l'Uomo levato in alto, che darà la sua vita per salvare l'uomo (12, 13.1 5.32.34; cfr. 3, 3.5.14) . La figura di Gesù, il re che non appartiene a questo ordinamento, si oppone a quella del « capo di questo ordinamento » ( 1 2, 32; 16, 1 1 ) , personificazione del gruppo di potere. Gesù caratterizza i re di questo ordinamento come coloro che si appoggiano alla forza delle armi e impongono così il loro dominio: se la regalità mia appartenesse a questo ordinamento, le mie guardie avreb­ bero lottato per impedire che mi consegnassero alle autorità giudee. Gesù considera l'uso della violenza come componente della sfera del­ l'ingiustizia e del peccato. Precisamente in questo la sua regalità si distingue dalle altre. L'opposizione fra la sua posizione e quella di « questo ordinamento • è chiara; egli si è consegnato volontariamente e ha troncato la violenza di Pietro ( 1 8, 1 1) . Rinunciando all'uso della forza ha provato di non essere un re come gli altri. Non si è costituito rivale dei suoi avversari, contestando loro il potere, ma si è consegnato nelle loro mani. La sua regalità non ha la propria origine in nessuna legittimità . di questo mondo: la regalità mia non è di qui. Ha un fondamento completamente diverso, che non si esprime in un linguaggio giuridico di diritto-sottomissione. Il detto è in parallelo con quello di 8, 23: voi appartenete a ciò che è qui in basso, io appartengo a ciò che è in alto (cfr. nota). « Non essere di qui • equivale pertanto a « non appartenere a questo ordinamento » . La sua rega!ità appartiene • a ciò che è in alto •, alla sfera del Padre e dello Spirito; è pertanto una regalità che per amore comunica vita, anziché produrre morte per mezzo dell'op­ pressione ( 4, 47.49 Lett.). Egli è il Messia, il Re designato e unto da Dio, ma non imporrà il proprio regno: quanti lo accetteranno come re lo faranno per una libera opzione. Il rispetto di Gesù per la libertà si era manifestato nella Cena, quando egli pose la sua vita nelle mani di Giuda, come supremo atto di 727

L'ora finale. La Pasqua del Messia

amicizia {13, 26b Lett.). Fu in quel momento che Gesù si consegnò volontariamente alla morte ( 13, 31 Lett.) .

La missione del re 37a Gli domandò allora Pilato: • Dunque tu sei re? •. Rispose Gesù: Lo stai dicendo tu, io sono re ».

«

La dichiarazione di Gesù produce stupore in Pilato. Non può compren­ dere un re che si dichiara tale e che, al tempo stesso, rinuncia all'uso della forza per difendere il suo diritto. Con le domande successive di Pilato, Gv in troduce le risposte di Gesù fino a completare il contenuto della sua regalità. In primo luogo, conformemente alla sua dichiarazione precedente, Gesù afferma chiaramente la sua qualità di re. Tuttavia non aggiunge « dei giudei »; questo titolo equivale a quello di Messia, ma il suo messia­ nismo non si limita a Israele: si estende all'umanità intera (10, 16; I l , 52: non soltanto per la nazione (= giudei), ma anche per raccogliere in uno i figli di Dio dispersi. II regno di Dio, nel quale Gesù ha la funzione di re messianico, è aperto a ogni uomo che nasca • dall'alto da acqua e Spirito (3, 3.5) . Inoltre l'indeterminazione in cui Gesù lascia il suo titolo: io sono re (in luogo di io sono il re), in parallelo con l'accusa che muoveranno i dirigenti giudei : chitmque si fa re si dichiara contro il Cesare (19, 12) . mostra che neppure il titolo è esclusivo. Comunicando ai suoi discepoli la sua unzione e la sua missione messianica (17, 17s; cfr. 9, 6.1 1 ) . egli li fa partecipare alla sua condizione regale: sono uomini liberi, figli di Dio e signori della creazione, il dono del suo amore. Nella scena della crocifissione appariranno insieme con Gesù altri due crocifissi: egli sarà il centro di coloro che, insieme a l Figlio, diventeranno figli di Dio ( 1 , 12), dando la propria vita per amore dell'uomo (19, 18 Lett.). •.

37b • Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo. per re11dere testimonianza in favore della verità ». Gesù spiega la propria funzione di re, che deriva dalla qualità della sua regalità; non consiste nel dominare o nel governare, allo stile dei re di questo mondo, ma nel rendere testimonianza alla verità. Con queste parole Gesù condensa davanti al giudice il significato della sua vita e della sua attività. Per questo io sono nato è frase che si ricollega a 3, 6.8: dallo Spirito nasce spirito ... questo avviene per chiunque è nato dallo Spirito. Gesù ha ricevuto la pienezza dallo Spirito ( 1 , 32s), che è lo Spirito della verità (14, 17; 1 5 , 26; 16, 13), per questo la sua missione rende testimonianza alla verità. Ma la frase è anche in relazione con varie designazioni utilizzate nel vangelo: un Figlio unico, Dio ( 1 , 1 8), Figlio unico ( 1 , 14 . 3, 16. 1 8) e, più in generale, il Figlio di Dio ( 1 . 34 ecc.) o semplicemente il Figlio (3, 35s). Implicitamente viene qui abbinata l'idea messianica e lo Spirito che abita in Gesù e Io rende Figlio di Dio ( 1 , 32-34; 10, 36). La frase: per q11esto io sono nato e per questo sono venuto nel mondo 728

18, 33-38a. La regaUià dJ Gesù

(16, 28: uscito dal Padre, sono venuto nel mondo) , espone la questione in termini di posteriorità rispetto alla nascita. Si tratta soltanto di una posteriori tà logica: nascita e missione si identificano con la discesa dello Spirito su Gesù ( 1 , 32; cfr. 10, 36) ; è questa a realizzare in lui il progetto creatore e a costituirlo Figlio di Dio ( 1 , 34) ; al tempo stesso è la sua consacrazione per la missione messianica ( 1 0, 36 Lett.). Essere venuto nel mondo ·è frase che si applica due volte alla luce (3, 19; 1 2, 46); la seconda volta Gesù la riferisce esplicitamente alla sua persona. La verità, cui rende testimonianza, la verità che è lui stesso ( 14, 6), si identifica pertanto con la luce, lo splendore della vita ( 1 , 4). Nel vangelo la testimonianza di Gesù si riferiva a: ciò che abbiamo visto (3, 1 1 ), ciò clze ha visto personalmente e ha udito (3, 32), alla sua denuncia del mondo per il suo modo di agire perverso (7, 7) e alla sua stessa persona in relazione con la sua missione (8, 14) 1 • Nel suo aspetto positivo la verità cui Gesù rende testimonianza è pertanto la sua stessa esperienza (3, 1 1 .32; 8, 14b Lett.). quella dello Spirito che è vita e amore. Possedendo la pienezza dello Spirito, egli stesso è la vita, e di conse­ guenza la verità ( 1 4, 6). e la verità dell'amore di Dio per il mondo (3, 16), manifestato nella sua persona e attività; la sua missione rivela la vita che egli ha e comunica. Così Gesù è la verità su Dio perché ne manifesta l'amore, e la verità sull 'uomo, in quanto è la realizzazione del progetto di Dio su di lui. Di questa verità egli rende testimonianza. Tuttavia, la forma verbale che si incontra nel testo (cfr. nota) concen­ tra in un atto la sua te s timonianza: sarà la sua morte in croce a riassumere e far culminare tutta la testimonianza della sua vita. Essa sarà la sua opera più grande, che darà la massima testimonianza (5, 36) ; sarà la suprema manifestazione della gloria (17, l ) e concluderà la realizzazione del progetto creatore (19, 30) . La frase di Gesù: per questo sono venuto nel mondo, mostra che la sua missione si realizza nella storia. La sua regalità si differenzia da quella del « mondo • come sistema ingiusto, ma si esercita necessariamente all'interno della storia umana; per di più, viene a dare il suo vero orientamento a questa stessa storia, perché la sua missione si inserisce nell'opera creatrice per portarla a termine (5, 17; 19, 30a Lett.) . Questo concorda con la richiesta di Gesù al Padre nella Cena: non ti prego di toglier/i dal morrdo ma di custodirli dal Perverso ( 1 7, 15). La comunità di Gesù, che si trova in mezzo al mondo, non è pertanto un rifugio che permette all'uomo di evadere dalla storia, ma porta in sé il dinamismo dello Spirito che la consacra per una missione all'interno di essa: la sua attività sarà uguale a quella di Gesù e provocherà la stessa ostilità da parte del mondo (15, 18ss) . Consisterà nel promuovere negli uomini la realizzazione del progetto creatore, liberandoli dalle forze che lo soffocano; si inizia così lo stadio definitivo dell'umanità (20, 17 Le t t.) . Le due caratteristiche di Gesù re, la sua rinuncia all'uso della forza e la sua missione di rendere testimonianza alla verità, mostrano come egli eserciti la sua azione liberatrice. Gesù si trova davanti a un mondo mosso dall'ambizione, dal denaro e 1 Si considera la testimonianza continua, espressa col presente durativo, non quel­ la occasionale, in aoristo (cfr. 4, 44 ; 13, 21).

729

L'ora finale. La Pasqua del Messia

dal potere (8, 44; 1 3, 2 : il Nemico). Questa ambizione dà ongme a una ideologia contraria alla verità di Dio (8, 44: il padre della menzogna; 8, 40: la verità appresa da Dio); essa giustifica un ordinamento sociale che priva l'uomo di libertà e pienezza di vita a beneficio di quanti Io dominano. D'altra parte prende corpo in una struttura sociale ingiusta (8, 23: questo ordinamento/il mondo), appoggiata dall'ideologia. La poli­ tica del circolo dirigente è ispirata dalla stessa ambizione di denaro e potere (8, 44: quel padre è il Nemico), che li fa agire corporativamen­ te ( 1 2, 32; 14, 30; 16, 1 1 : « capo di questo ordinamento •). Il popolo, vittima di questo ordinamento sociale, soffre l'oppressione (5, 3; 10, 10a Lett.), sottomesso dal timore (7, 1 3 ; 9, 22) e ligio all insegnamento che gli si propone (7, 26s; 12, 34; cfr. 7, 48s). Per trarre fuori il popolo dall'oppressione in cui si trova, Gesù non combatte l'ordinamento ingiusto opponendo violenza a violenza ( 18, 36); l'oppressione ha come causa ultima l'assimilazione dell'ideologia da parte del popolo: Gesù lo libera mostrandogli la falsità di ciò che crede: non è volontà di Dio che l 'uomo sia schiavo, ma libero (8, 34-36 Lett.). Tuttavia alla ideologia falsa egli non ne contrappone un'altra vera, ma l 'esperienza dell'amore che comunica vita (8, 32: la verità che rende liberi). Re::tlizzando « le opere del Padre » (10, 37) fa scoprire all'uomo la verità su Dio e su se stesso: l'amore che Dio ha per lui è la dignità e libertà cui lo chiama; cambia così la sua visione di Dio, di se stesso e del mondo, e l'uomo comprende l'oppressione in cui è vissuto; abbandona allora l'ideologia che lo privava di vita e con essa il « mondo • de l l'ingiustizia ( 1 7, 14.16). '

37c

«

Chiunque appartiene alla verità ascolta la mia voce

�.

Gesù non ottiene l'adesione dell'uomo con la grandezza umana o con l'uso della forza, ma offrendo la verità della vita. Quanti sono a favore di essa rispondono alla sua chiamata « Appartenere alla verità • si oppone ad « appartenere a questo ordina­ mento » (18, 36). Esclude pertanto la professione dei suoi principi e il rendersi complice della sua ingiustizia. L'appartenenza alla verità pre­ cede il fatto di ascoltare la voce di Gesù e ne è condizione. Fino all'ultimo momento Gv ricalca il suo grande principio: per ascoltare e dare adesione a Gesù si richiede una disposizione previa di amore per la vita e per l'uomo, o in altre parole che la vita sia la luce dell'uomo ( 1 , 4) . Tale condizione indispensabile è stata formulata in precedenza jn diversi modi: praticare la lealtà (3, 2 1 ) , ascoltare e apprendere dal Padre (6, 45) , voler reali zz are il disegno di Dio (7, 17), conoscere il Padre (16, 3 Lett.). La verità cui Gesù rende testimonianza è la risposta alla aspirazione centrale dell'uomo: il desiderio di pienezza. La luce che è venuta nel mondo in Gesù è la concretizzazione ed espressione somma del progetto creatore di Dio, intrinseco all'uomo stesso, che suscita e nutre il suo desiderio d i vita. Coloro che si integrano nel sistema di ingiustizia e morte o che ne professano i principi sono nemici della vita; per questo non appartengono alla verità né ascoltano la voce di Gesù, cioè non gli danno la loro adesione (IO, 26). La frase: ascolta la mia voce, mette questo passo in relazione con 1 0, 16.27, i n cui Gesù affermava che le sue pecore ascoltano la sua voce. .

730

18, 33-38a. La regaUtà di

Gesù

Bisogna quindi leggere la sua regalità sullo sfondo dell 'allegoria del Pastore modello che dà se stesso per i suoi (10, 1 1 .15), chiamati più tardi « suoi amici " (15, 13), e per riunire i dispersi ( 1 1 , 52); egli non perderà nessuno di loro (18, 9). Come re, è il Davide promesso, il pastore unico (Ez 34, 23 : « Darò loro un pastore unico che le pasca: il mio servo Davide; egli le pascolerà, sarà il loro pastore »). Il testo allude pertanto non solo alla regalità di Gesù, ma all'opposizione del pastore modello ai ladri c ai banditi (IO, 1 .8.10). Per questo la verità cui Gesù dà testimonianza si oppone alla menzogna dei dirigenti (8, 44.55). Coloro che lo riconoscono come re sono in mezzo al mondo ( 1 3, 1 ; 17, 1 1 . 1 5; cfr. 1 2, 25), come lo era lui stesso, m a senza appartenergli (17, 14-16). La comunità che egli costituisce, il regno di Dio (3, 3.5), prende una forma completamente diversa da quella attesa. I movimenti messianici tendevano a realizzare il regno all'interno delle categorie della monarchia temporale (cfr. 12, 13.34) . Gesù, il Messia-Re, non eser­ cita il proprio regno come i re di questo ordinamento. Ciò non significa che non abbia incidenza sulla realtà sociale; la comunità che egli forma si presenta appunto come una alternativa non soltanto diversa, ma opposta ai sistemi di questo mondo. Il rapporto che vige fra Gesù e i suoi non è quello da signore a suddito, ma quello che intercorre tra chi propone la verità e coloro che l'accettano liberamente (cfr. 15, 13-15) . La comunità di Gv si sente legata a Gesù dall'adesione a lui come verità, perché in lui risplende la pienezza di vita. Si rifanno a Gesù come a loro re. Questo termine, ereditato dali'AT e comune in quella cultura, perde sulla bocca di Gesù l'idea di potere e di dominio. 38a

Gli dice Pilato:



Che vuol dire " verità"?

».

Pilato si disinteressa. Constatando che Gesù non pretende il potere, non lo considera pericoloso e non si preoccupa più. Non gli interessa la sua persona, voleva soltanto accertare se c'era stato reato. Per il resto è cieco e sordo. Quest'uomo di potere. appartiene • a questo ordinamento » ; non alla verità, e non può ascoltare la voce di Gesù. L'offerta implicita di Gesù lo lascia insensibile. Non sa cosa sia la verità perché non conosce la vita.

SINTESI In questa pericope Gesù spiega la qualità del proprio messianismo, tema che è stato presentato nel corso della narrazione. Gesù condanna ogni uso della violenza come appartenente « a questo ordinamento », cioè al mondo ingiusto nemico di Dio e dell'uomo. Per realizzare la propria opera, il Re-Messia non si basa sulla forza né esercita il dominio; quanti lo seguiranno lo faranno liberamente. Il Messia che Dio offre a Israele compirà le promesse in modo molto superiore e diverso da quello immaginato dall 'aspettativa popolare. Non occuperà il trono, ma offrirà una vita che li renderà liberi. 731

Gv 18, 38b-40: L'opzione per la violenza: Barabba 38b

Detto ciò usci di nuovo dove stavano le autorità giudaiche, e disse

loro : - Io non trovo alcun capo d'accusa contro di lui. 19 C'è però la consuetudine che io vi liberi uno per Pasqua; volete che vi liberi il re dei giudei? • o Questa volta urlarono: - Questo no, Barabba. E Barabba era un bandito.

NOTE FI LOLOG ICHE 18, 38b disse loro. Gr. pres. storico. - alcun capo d'accusa contro di lui,

gr.

oudemian ... en awò aitian. Aitia

significa causa, motivo d'accusa, imputazione.

40 Questa volta urlarono, gr., ekraugasan oun palin legontes. La particella pa/in rimanda al dialogo precedente dei giudei con Pilato (18. 29-31). Qui si riannoda, anche per iniziativa di Pilato. Essi rispondono nu m• a mente, ma, questa volta con degli urli. La particella indica una situazione parallela, ma non identica a quella precedente, cfr. 4, 54 nota. Per kraugazò cfr. I l , 43: urlo di Gesù che fa uscire Lazzaro; 12. 13: acclamazione messianica. - Barabba, aram. Bar abba, figlio del padre. La qualifica léstés, bandito, mette questo bandito in relazione con i dirigenti (cfr. IO, 1 .8). Poiché essi hanno come padre il Nemico/diavolo, l'omicida (8, 44), il nome Barabba ricorda tale padre. Essendo un bandito, come i dirigenti, impara ed esegue i de­ sideri dello stesso padre.

CONTEN UTO Pilato, di nuovo sul terreno dei giudei riconosce l'innocenza di Gesù e propone un sotterfugio che permetta di concludere la faccenda senza disonore per se stesso né per i dirigen ti. Questi, portati dall'odio per Gesù, respingono la soluzione di Pilato. Preferiscono la libertà dell'omicida a quella di Gesù, che ha rinunciato alla violenza. •

•.

LETIURA 18, 38b Detto ciò usci di r1uovo dove stavano le autorità giudaiche, e disse loro: � Io non trovo alcun capo d'accusa contro di lui "· Pilato esce senza aver ascoltato la voce di Gesù (detto ciò) e senza essersi pronunciato a favore della verità. Lascia così il suo terreno per incon trarsi di nuovo con quelli che esercitano pressione su di lui

732

18, 38b-40. L'opzione per la violenza: Barabba

affinché dia morte a Gesù. La sua mancanza di adesione alla verità Io priva della libertà (cfr. 8, 32) e lo rende vulnerabile. L'interrogatorio di Gesù gli ha mostrato .che non c'è motivo per pro­ nunciare una sentenza di condanna. L' accusato dichiara che la violenza non entra nel suo programma. Come giudice, dichiara Gesù innocente. Gesù non è un malfattore ( 1 8. 30). Pilato esprime il pensiero dell'evan­ gelista. Spicca, di fronte al suo atteggiamento, l'accanimento delle autorità giudaiche. I diri!:enti avevano condannato Gesù considerando che la sua attività avreb b e potuto causare la distruzione del tempio e della nazione da parte dei romani ( I l . 48) . Il governatore romano assicura che egli non vede in essa pericolo. togliendo ogni fondamento alla loro precedente sentenza. Così si scopre che il movente dell'ostilità contro Gesù non era il pericolo romano, ma la minaccia ai loro propri interessi ( I l . 50: vi conviene). • C'è però la consuetudine che io vi liberi uno per Pasqua; volete c/1e vi liberi il re dei giudei? ».

39

La pasqua in origine fu la festa della liberazione dall'Egitto e della costituzione del popolo. Liberare un prigioniero nella festa ricordava l'antica liberazione e simboleggiava la sua permanenza. Mal grado il suo verdetto di innocenza, Pilato non si decide a fare ciò che la giustizia esigerebbe: mettere in libertà Gesù. Egli stesso non è libero, sente la pressione delle autorità giudaiche e cede. Propo­ ne loro una soluzione di compromesso che lasci contenti tutti: i dirigenti rinunceranno alla loro accusa ed egli stesso potrà mettere in libertà Gesù senza offenderli. Questa volta Ù rlarorzo : « Questo 110, Barabba bandito.

40

•.

E Barabba era un

La risposta di Pilato provoca la clamorosa protesta delle autorità. Non vogliono la libertà di Gesù a nessun prezzo. II grido di Gesù aveva fatto uscire Lazzaro dal sepolcro ( I l , 43); le folle hanno acclamato Gesù come Messia salvatore (12, 13). Cominciano ora le grida dei dirigenti, che finiranno col chiedere per Gesù la croce. Al grido di vita e a quelli di speranza le autorità oppongono le loro urla di odio e .di morte (18, 40; 1 9 , 6.15). Pilato non aveva proposto alternativa. Sono loro a menzionare un altro individuo che presentato senza una introduzione dimostra di essere loro ben noto. Il nome, Barabba, che significa • figlio del padre » (cfr. nota), contiene senza dubbio un'allusione alle controversie nel tempio. Mentre i dirigenti pretendevano di avere come padre Dio (8, 4 1 ) , Gesù denunciò chi era il loro vero padre, il Nemico omicida (« il diavolo », 8, 44 Le tt ) . In luogo di Gesù, il Figlio di Dio, propongono come alternativa che sia messo in libertà il figlio del diavolo. Al datore di vita ( 1 0, IO) preferi­ scono il datore di morte (omicida). Questo viene espresso da Gv con l'identificazione che dà di Barabba: era un bandito. Questa denominazione, che significa violento e omicida, fu usata anche per designare gli zeloti. Da parte sua Gv l'ha applicata .

733

L'om finale. L11 Pasqun del Mesola

·

·

ai dirigenti, agli sfruttatori del popolo ( I O, 1 .8), equiparando così la violenza istituzionale a quella di coloro che combatte vano l'istituzione. « I giudei • detentori del potere considerano la libertà di Gesù, che rifiuta la violenza, ma la cui vita e at ti vi tà è u n a denuncia della loro oppressione (7, 7) e un discredito del loro sistema ( 1 2 , 1 1 ), più pericolo­ sa di quella del violento che fa uso delle loro stesse armi. Il si s tema repressivo (4, 1-3; 5, 1 6 . 1 8 ; 7, 1 . 1 9.25.32.44; 8, 37.40; 9, 22.34; 10, 33.39; I l , 48.53 ; 12, 10; 15, 1 8-25; 16, 2; 18, 3.12) non tollera una alternativa di libertà. Con la loro scelta si manifesta ancora una volta che il loro potere non è altro che violenza. Non negano che Gesù sia innocente; non adducono accuse che facciano rettificare il verdetto del giudice. Il loro a cc an ime n to mostra l'i ncom­ pati b i li tà fra il sistema che formano e Gesù: si compie il detto scritto nella loro Legge: mi odiarono senza ragione (cfr. 15, 25) . In questo racconto Ba rab ba, il figlio del Nemico/diavolo, appare come tipo della violenza, incarnata come istituzione nel sistema giudai co . Perciò è questo e non Pilato a proporre il suo nome. L'opzione reale è fra la libertà di quanti hanno il loro tipo in Barabba e quella di Gesù. Questi, con la sua attività, non lascia vivere gli oppressori (10, 24 Lett.). Per conservare la loro libertà di azione devono sopprimerlo.

SI NTESI La figura di Barabba, il bandito, simboleggia in questa pericope la violenza, di cui è strumento l'istituzione giudaica che la libertà di Gesù m ett e in pericolo. Questi è il re che non fa leva sulla forza e viene a dar vita all'uomo. Il sistema oppressore vede in ciò la propria rovina e conferma la sua linea di violenza opponendosi a che Gesù sia messo in libertà.

734

Cv 19, 1·3: Lo scherno del re t

Allora Pilato prese Gesù e comandò di frustarlo. 2 Poi i soldati intrecciarono una corona di spini e gliela posero sulla testa, lo vestiro­ no con un manto color porpora 3 e, avvicinandosi a lui, gli dicevano: - Salve, re dei giudei! e gli davano schiaffi.

NOTE FILOLO G I C H E 19, l

comandò di frustarlo, gr. emastigosen. Causativo.

2 Poi, gr. kai. Successivo. - di spini, gr. .ex akanthon. Hai akanthai è il nome della pianta: ro vo, sp in o, cfr. Mt 13, 7.22; Mc 4, 7.18. Non si intrecciano sp ine, ma rami di spi no. - color porpora gr. po rph urou n. L'aggettivo descrive il colore del rr.antello reale, senza indicame la qual i tà.

3 Salve, gr. khaire. Rallegrati, saluto comune nella cultura

greca.

CONTENUTO La scena deve essere letta tenendo in conto un duplice punto di vista. Dal punto di vista dei soldati. rappresentanti della violenza del potere, è lo scherno alla regalità di Gesù. Dal punto di vista di Gesù è la ridicolizzazione, che egli accetta e ratifica, del messianismo politico dei giudei.

LETI U R A 19, l

Allora Pilato prese Gesù e comandò d i fmstarlo.

Pilato entra nella ·residenza, dato che questa scena si colloca fra due uscite (18, 38b; 19. 4). Tuttavia Gv non segnala la sua entrata, perché la scena dello scherno del Re si rivolge in primo luogo ai giudei che stanno fuori. Si usava frustare un reo che stava per essere crocifisso; questa senten· za, tuttavia, non è ancora stata emessa. Gv dispone gli avvenimenti per sviluppare gradualmente il significato della missione e morte di Gesù. Poi i soldati intrecciarono una corona di spini e gliela posero sulla testa, lo vestirono con un manto color porpora e, avvicinandosi a lui, gli dicevano: " Salve, re dei giudei! ». E gli davano s chiaffi . 2-3

735

L'ora finale. La Pasqua del Messia

Entrano in scena i soldati, gli agenti della violenza del potere. Fanno una parodia della proclamazione imperiale, come avveniva a volte nelle legioni romane. Corona, manto di porpora e saluto reale, tutti gli emblemi della regalità, figurano nella scena per essere oggetto di scherno. I soldati considerano Gesù come un pretendente al trono. Esprimono con le loro azioni il disprezzo che merita per loro il titolo di • re dei giudei " · Passo passo distruggono ogni illusione sulla monarchia davidi­ ca, che costituiva l'ideale messianico del popolo. La spogliano d'ogni grandezza, ridicolizzano tutti gli attributi regali. Gesù non esprime alcuna protesta. L'azione dei soldati è la sua; è lui che va sottolineando l'insensatezza della concezione messianica comune. Egli, che ha chiaramente affermato la propria regalità ( 1 8 , 36sl, sta permettendo la negazione di tutto ciò che essa potrebbe comportare d i potere e splendore. Le promesse messianiche stanno per compiersi, ma in modo paradossale. Gesù si lascia schernire come re « di questo ordinamento » (18, 36), per dimostrare che non è questa la sua regalità, ma quella che egli stes­ so disprezza e viene a distruggere. La scena ha un certo parallelo con quella della lavanda dei piedi, quando egli si proclama Signore mentre afferma che il suo esser Signore non ha nulla in comune con quello di questo mondo; mettendosi al servizio dei suoi discepoli (13, 4ss), si rende Signore in un'altra dimensione, quella dell 'amore, distruggendo così ogni pretesa di dominio. Gv non descrive una scena umiliante per commuovere il lettore (13, 1-20 sintesi), egli illustra la demolizione del potere. La regalità di Gesù è quella del pastore modello. La croce sarà la massima umiliazione della regalità come la intende il mondo (19, 19) : non ci sarà re con maggior disonore ma, al tempo stesso, non ci sarà segno più convincente dell'a­ more del pastore che dà la vita per le sue pecore (10, I l ) , dell'amico che la dà per i suoi amici ( 1 5, 13). Gesù sovverte i valori. Essere re come Io è lui, consacrato dal Padre (l O, 24.36). significa rinunciare a ogni dominio e mettersi al servizio dei suoi. Egli è un re che non pretende di assoggettare nessun uomo, ma che invita tutti e accetta quanti rispondono alla sua voce (18, 37) . I l suo regno significa libertà, amicizia e amore. Di qui si entra nel regno di Dio (3, 5), accettando questo re, che è la negazione della regalità del mondo. La sua proviene dalla consacrazione con lo Spirito, dinamismo di vita e amore. Regna integrando i suoi in unità con lui e con il Padre ( I l , 52; 17, 2 1 -23).

SINTES I Perché si manifesti il vero significato della regalità di Gesù, che � quella dell'Uomo, egli dovrà essere spogliato d'ogni falsa grandezza. I soldati, pretendendo di schernire Gesù, distrug gono l'ideale messianico giudaico e il prestigio d'ogni potere mondano. Soltanto così si potrà manifestare la vera grandezza che rende l'uomo re, quella dell'amore che giunge fino al dono della vi ta. 736

Gv 19, 4-8: la vera regalità: l'Uomo-Figlio di Dio 4

Pilato uscì fuori un'altra volta e disse loro:

5

- Ecco, ve lo po rto fuori, perché sappiate che non trovo alcun capo d 'a ccus a contro di lui. A l lora uscì fuori Gesù, portando la corona di spini e il m a nt o color porpora. E disse loro: - Ecco l'uomo.

6

Ma appena lo \"idero, i sommi sacerdoti e le guardie cominciarono a urlare:

- Alla croce! Mandalo alla croce! Rispose loro Pilato: - Prendetelo voialtri e crocifiggetelo, perché io non trovo capo d'accusa contro di lui. rep l ica ro n o i giudei: - Noi abb i amo una Legge, e secondo questa Legge deve morire, pe rch é si è fatto fi g l i o di Dio.

7 Gli

8

Quando Pilato sentì dire ciò, gli venne ancor più paura.

NOTE FILO LO G I C H E 19, 4 disse. Gr. pres. st. - alcun capo d' a ccusa . Cfr.

18, 38b nota.

E disse loro. G r. pres. st.; si noti l 'ambiguità del soggetto: Pilato o Gesù. Cfr. 6, 15 ; 8, 33; 1 1 , 45 ; 1 3 , 6; 19, 1 3 . - Ecco l'uomo, gr. idou h o anthr6pos. In questa · pericope, • l'uomo • , titolo che è il centro della prima unità, corrisponde a • Figlio di Dio •, centro della seconda. Questa corrispondenza mostra chiaramente il significato dell 'espressione " l 'uomo che equivale al titolo « Uomo • (« i l Figlio del· l'uomo •) che Gesù ha usato per designare se stesso nel corso del vangelo (cfr. Excursu s. p. 874). Nell'episodio del cieco (9, 3Sb Lett.) e nell'incontro di Gesù con il popolo (1 2,23.34), tale designazione equivale a quella di Mes­ sia: il Messia-re è il modello di Uomo. " L'Uomo •. realizzazione del pro­ getto d ivi no, è al tempo stesso il Figlio di Dio (1, 32-34; 3, 14-18). Si spiega il cambiamento di espressione in greco (uomo = Figlio dell'uomo), in primo luogo, perché l'evangelista mette la seconda soltanto sulla bocca di Gesù o alludendo alle sue parole (12, 34). in secondo luogo perché il suo accen· tuato sapore semitico stonerebbe sulla bocca di un romano. 5

•,

6 appena lo videro, gr. hote ow1 eid011. L'immediatezza (appena) è indicata dalla successione di aoristi, cfr. Euthus v sinonimos en el NT, in Cuestiones de gramdtica y léxico, pp. 127ss. - Alla croce!. gr. staur6son. t:. forma nominale. L'imper. manda/o! indica che si chiede a Pilato stesso l'esecuzione della condanna, come denota l 'imper. greco. - Prendete/o. Cfr. 18, 3 1 . ·

7

i giudei.

In questo pas so , l a d enom i nazio ne s i riferisce immediatamente

737

L'ora finale. La Pasqua del 1\fessfa

ai sommi sacerdoti, appoggiati dalle guardie (19. 6). Dato che nel contesto rimane libera da equivoci (non designa il popolo giudaico, ma le autorità e i loro fedeli), non è necessario esplicitarne il contenuto. Così in 19, 12.14.

CONTENUTO E DIVISIONE Questa pericope occupa i l centro della • sequen7a del r e • e definisce po­ sitivamente la regalità di Gesù. Dissipata l'immagine del re terreno, appare in lui la vera regalità, quella dell'Uomo realizzato per aver portato il suo amore fino al dono della vita. Gli oppressori non possono sopportare la sua presenza e chiedono la sua morte. Gli imputano come delitto ciò che è appunto la verità dell'Uomo: essere Figlio di Dio. La Legge, resa stru· mento del potere, è la nemica dell'uomo: essa condanna a morte chi vuole realizzare il progetto creatore. Le due dichiarazioni di innocenza fatte da Pilato dividono la pericope in due unità. Il centro della prima (19, 4-6a) è costituito dalla presentazione di Gesù come " l'Uomo », alla quale risponde il grido che chiede la morte. Quello della seconda (19, 6b-8) dal titolo di " Figlio di Dio "• del quale i suoi avversari Io accusano e che, in nome della loro Legge, adducono come cri· mine che merita la morte. Riassumendo:

19, 4-6a: La regalità dell'Uomo. 19, 6b-8: L'Uomo-Figlio di Dio, condannato

dalla Legge.

LETTURA La

regalità dell'Uomo

19, 4 Pilato uscì fuori un'altra volta e disse loro: « Ecco, ve lo porro fuori, perché sappiate che non trovo alcun capo d'accusa contro di lui •.

Pilato annuncia l'uscita di Gesù. Egli lo condurrà « fuori • . Questo avverbio, ripetuto tre volte ( 1 9, 4bis.S), indica la sfera dei " giu de i ., che lo odiano ( 1 8 , 29; 19, 13). Condurre fuori Gesù ha come finalità di mostrar loro che non c'è alcun motivo per condannarlo. La colpa avrebbe potuto consistere nella pretesa di dar la scalata al potere proclamandosi re dei giudei. Ora, un Gesù schernito nella sua pretesa regale, privo d'ogni potere, non può ispirare alcun timore. Non è possibile accusarlo. Pi la to torn a a tran qu illizz arl i : non vede pe ricolo in Gesù né il suo atteggiamento può provocare un intervento romano (cfr. 1 1 . 48). Sa Allora uscì fuori Gesù, portando la corona di spini e il manto color porpora. 738

19, �8. La vera regalltà: l'Uomo-Figlio di Dio

Anche se Pilato aveva affermato che sarebbe stato lui a condurre fuori Gesù, è Gesù a uscire di propria iniziativa. Si presenta dinanzi a coloro che detengono il potere della sua nazione portando gli attributi regali dello scherno. Mostra loro la qualità del suo messianismo: il Messia consacrato da Dio, che compie le promesse di Israele, che rifiuta il potere e si dispone a dare la sua vita, perché non periscano ( l i , 50s; 1 8 , 14). Sb

E disse loro:



Ecco l'uomo



I I soggetto è ambiguo (cfr. nota), può essere Pilato o Gesù stesso. L'ambivalenza è indubbiamente deliberata (19, l3 nota). Sebbene il sog­ getto, secondo la logica della narrazione, debba essere Pilato, in realtà è Gesù stesso a proclamarsi « l'Uomo ». Questa è la sua gloria. Egli è la realizzazione del progetto di Dio, il culmine dell'umanità. Questa designazione equivale a quella che Gesù ha usato tante volte: • l'Uomo », • quest'Uomo » (cfr. nota). Per la prima volta nella storia sta apparendo ciò che è, e significa, essere uomo. L'Uomo è il re, perché a ciò è destinato da Dio, è il Messia che Dio invia all'umanità (9, 35b Lett.). Non c'è dignità superiore a questa. I soldati, spogliando Gesù della falsa dignità regale propria del mondo, hanno messo allo sc,,perto la sua vera regalità, quella di essere « l'Uo­ mo •: colui che è libero, è tanto ricco d'amore, da dare persino la propria vita. La stessa identificazione dell'• Uomo » con il Messia, che appare qui dalla corona e dal manto che riveste Gesù, era stata espressa nell'epi­ sodio del cieco (9, 3Sb Lett.) c in quello della manifestazione messianica del popolo, dove Gesù, acclama to come re (12, 13.15). si definisce come � l'Uomo • che sta per manifestare la propria gloria-amore (12, 23) quan­ do sarà innalzato da terra (12, 32) ; la folla non comprende questa messianicità né che il Messia si identifichi con « l'Uomo " (12, 34). 6a Ma appena lo videro, i sommi sacerdoti e le guardie, cominciarono a urlare: • Alla croce! Manda/o alla croce! ». Rispondono i capi religiosi e i loro subalterni, quelli che hanno arresta­ to Gesù (18, 3), identificati con i loro signori (18, 22 Lett.). Chiedono la morte infamante. Le guardie rappresentano gli oppressi che accettano l'oppressione e si rendono così complici dell'ingiustizia. Sono gli op­ pressi-oppressori. I l popolo è assente da tutta la sequenza; i capi decidono, e quanti sono loro supinamente fedeli si aggregano alla decisione; l'ultima volta che la moltitudine appare in questa scena mostra di non avere convinzioni proprie, ma di dipendere da ciò che avevano appreso dai dirigenti (12, 34: noi abbiamo appreso dalla Legge elle il Messia rimane per sempre; cfr. 7, 25s). t!. evidente ancora una volta il vero motivo dell'odio dei sommi sacerdo­ ti contro Gesù: non si tratta del pericolo implicito nella pretesa di regalità, dissipato dallo scherno e dalla beffa dei soldati. t!. • l'Uomo » il bersaglio del loro odio. Essi, gli oppressori, non possono sopportare la presenza di colui che, con la sua verità, demolisce la menzogna del loro sistema. Col potere e con la loro Legge, hanno preteso di impedire che 739

L'ora finale. La Pasqua del Messia esista l'uomo; ora lò banno davanti in tutta la sua grandezza e

la stia vista li offende. Gridano perché non hanno armi contro tale verità. B l'ultima menzione delle guardie o subalt ern i, esecutori della violenza esercitata dal regime dei sommi sacerdoti e dei farisei (18,3; cfr. 18, 12: dei giudei). Apparvero per la prima volta inviati ad arrestare Gesù nel tempio (7, .�2), incarico cui non diedero compimento per la sorpresa che produsse in loro il suo modo di pariare (7, 45.46). Avendo espresso un giudizio personale su di lui, furono immediatamente richiamati all'ordi­ ne: non dovevano avere opinione propria né un comportamento sbagliato con la plebe maledetta, ma fidarsi dei capi e farisei, gli unici che possiedono la verità, perché conoscono la Legge (7, 47-49). La tenebra spegne in loro la luce che vedevano splendere. Da allora si mostrano docili ai loro padroni: eseguono l'arresto di Gesù (18, 12); si mantengo­ no a livello dei servi (18, 18); uno di loro, che li rappresenta tutti. mostra la propria deferenza al capo supremo schiaffeggiando Gesù (18, 22) . Mancano di personalità e giudizio proprio; la loro identificazio­ ne con i capi li ha privati della loro condizione di uomini. Perciò in questa occasione uniscono la loro voce a quella dei loro padroni per chiedere la morte di Gesù: la manifestazione dell'• Uomo » libero e re, mostra per contr'lsto l'abiezione in cui essi si trovano. II gruppo di potere, « il capo di questo ordinamento » (sommi sacerdoti) drcondato dalle sue ruardie, agenti della sua violenza, è l'antagonist a del re che non appa1: tiene a questo ordinamento », quello che non ha guardie che Io difendono, perché respinge la violenza (18, 36). "

L'Uomo-Figlio di Dio, condannato dalla Legge 19, 6b Rispose loro Pilato: u Prendete/o voialtri e crocifiggetelo, perche io non trovo capo d'accusa contro di lui •· la seconda voi ta che Pila t o mostra il desiderio che siano loro a la responsabilità di Gesù. La prima (18, 3 1 ) li aveva invitati a giudicarlo; ora propone loro di crocifiggerl o essi stessi. Come giudice torna a ripetere la dichiarazione d'innocenza di Gesù. Vuole disinteres­ sarsi della faccenda, percependo l'ingiustizia di tutto il processo. Mo­ stra la propria esasperazione vedendo che, uno dopo l'altro, i suoi tentativi di compromesso vengono inesorabi!mente respinti dalla gerar­ chia sacerdotale. B

prendere

7 Gli replicarono i giudei: « Noi abbiumo una Legge, e secondo questa Legge deve morire, perché si è fatto figlio di Dio ». Coloro che replicano a Pilato sono « i giudei •, term ine che comprende tutti i dirigent i e i partigiani dell'istituzione giudaica. Affermano di avere una Legge, quella che possiedono e manipolano, rendendola strumen.to della loro oppressione. Davanti all'invito di Pilato di giudica· re Gesù secondo la loro Legge, le loro parole erano state un'eco del comandamento di Mosè: « Non ucciderai » (18, 3 1 ) . Ora invece, in nome della • loro Legge », vogliono dargli morte. La « loro Legge • contraddi­ ce quella di Mosè (7, 1 9) e vogliono assassinare Gesù; il suo delitto . 740

19, U. La vera regalità: I'UoJDOoFigllo di Dio

prima accusa concreta che gli muovono, è essersi fatto Figlio di Dio (5, 18; IO, 33). Mostrano che la loro Legge è nemica di Dio, dato che si oppone alla realizzazione del progetto di lui (!, le Lett.); proibisce di essere figlio di Dio ( 1 , 12). e con ciò di essere uomo. « La loro Legge • è quella dell'odio (15, 25 Lett.) e si presta come strumento per dare morte. La Legge assolutizzata (9, 29) e resa arma di dominio (5, IO) deve uccidere il Messia liberatore. Gv porta all'estremo l'opposizione fra Legge e amore: la Legge è stata incapace di comunicare all'uomo l'amore leale che lo rende figlio di Dio; questo esiste soltanto per mezzo di Gesù Messia ( 1 , 17); resa ora fine a se stessa, si volge contro l'uomo che manifesta tale amore, e lo uccide. I n questa pericope vengono accostati i due termini che definiscono Gesù: « L'Uomo • e il « Figlio di Dio ». Gesù, in quanto è l'Uomo, è il Figlio di Dio; l'uno è inseparabile dall'altro, perché è lo Spirito che, realizzando in lui pienamente il progetto creatore, lo rende Figlio di Dio. Pilato, pagano, definisce il Messia come • l'Uomo » ; i giudei come il • Fie:Jio di Dio ». L'accu; a presenta vari aspetti. Prima di tutto, secondo le parole che il Sal 2, 7 mette sw'a bocca di Dio: Tu sei mio figlio, rivolte al re d'Israele e applicatfo i n particolare al Messia (cfr. 10, 34.36), il titolo di Figlio di Dio non pu1eva essere motivo d'accusa da parte della loro Legge. Per questo lo considerano una pretesa di farsi uguale a Dio (5, 18), di farsi Dio (IO, 3 4 ) . Il vero motivo dell'accusa, che combina i due aspetti, è che Gesù da :ma parte adduce le proprie opere a favore dell'uomo come prova della 'Ua missione messianica, e dall'altra che queste opere, demolitrici del Jominio dei dirigenti, egli le attribui­ sce a Dio, suo Padre (5, 17; I O, 2: .37). Un Messia che in nome di Dio si oppone alla loro istituzione non può e�sere altro che un blasfemo. Poi non tollerano che il Messia-Figlio di Dio si identifichi con « l'Uomo • che respinge la gloria umana e manifesterà la sua gloria dando la propria vita (12, 23.32) per salvare il popolo dall'oppressione che essi causano ( 1 , 2 9 b Lett.). Si appoggiano a un'interpretazione della Legge che Gesù ha già esautorato (5, 1 6-18). La gloria dell 'Uomo-Figlio di Dio è l'antitesi di quella del mondo; non è quella che danno gli uomini (5, 4 1 ) , ma quella che dà Dio (12, 43; 17, 5), la pienezza dell'amore leale ( l , 14). Nel momento in cui la gloria umana è distrutta, splende come non mai quella di Dio, il suo amore indefettibile. I dirigenti invece non conoscono l'amore di Dio e cercano la gloria umana (5, 42.44; 7, 18); non possono sopportare il distacco e il disprezzo che Gesù mostra per essa. Gli omicidi (8, 44) chiedono la morte di Gesù. In lui sfogheranno tutto il loro odio contro l'uomo. I giudei » non assumono la responsabilità del l'assassinio di Gesù, si fanno scudo della " loro Legge Pur avendola trasformata in strumen­ to di oppressione, le attribuiscono autorità divina e la impongono come espressione della volontà di Dio. Scaricano su Dio la responsabilità della loro ingiustizia, lo rendono complice del loro omicidio. •

».

8

Qllando Pilato se11tì dire ciò, gli vem1e a11cor· più pallra.

La paura che Pilato aveva delle autorità giudaiche si era manifestata nel 741

L'ora finale. La Pasqua

del Messia

suo agiré vacillan te, nella mancanza di decisione nel liberare Gesù, che riconosce innocente. Ora la sua paura aumenta davanti al timore dell'accusa che muovono contro Gesù. Nel conflitto dei poteri, le autorità giudaiche sono più forti di Pilato. L'accusa lo impressiona. Teme le autorità, ma si domanda se non deve temere anche Gesù. Se questi fosse un semplice uomo, lo potrebbe trattare con ingiustizia impunemente; davanti alla possibile presenza del divino, non sa come comportarsi, si sente insicuro. Nella narrazione il potere giudaico gioca con l'insicurezza di Pilato. Si vanno svilendo, i giudei con il loro accanimento e Pilato con la sua paura; nel centro si va scoprendo la forza di Gesù, che consegnandosi si mantiene fedele a se stesso e alla sua missione.

SINTESI Questa pericope centrale è carica di contenuto teologico. In essa si definisce la vera regalità, che è sinonimo di ricchezza e libertà. • Il re • è « l'Uomo », quello che realizza il progetto divino consegnandosi per amore fino alla morte, dimostrando così di essere Figlio di Dio. Gv indica la qualità del Messia che Dio manda all'umanità: non è un re dominatore, ma colui che possiede la pienezza umana e può rendere capace l'uomo di conseguirla. Essere « l'Uomo • compiuto è lo stesso che essere figlio di Dio. Questa è la vera grandezza. La sua ricchezza è l'amore che, con piena libertà, dona se stesso. Per questo motivo tale Messia non si chiude in una cultura né risponde ai suoi imperativi, ma è valido per l'umanità intera. La Legge, come strumento d'oppressione, si oppone a che l'uomo giunga a realizzarsi; lo sottomette privandolo della libertà e gli impedisce così di disporre della propria vita per darla. Gli oppressori condannano a morte l'Uomo·Figlio di Dio.

742

Gv 1 9, 9-12: Responsabilità di Pilato e del giudei ' Entrò di nuovo nella residenza e domandò - Tu, da dove provieni? Ma Gesù non gli diede risposta. IQ

Il

12

a Gesù:

Allora Pilato gli disse: - Ti rifiuti di parlare a me? Non sai che sta a me liberarti e sta a me crocifiggerti? Gli replicò Gesù: - Non starebbe a te fare nulla contro di me, se Dio non ti lasciasse fare. Per questo chi mi ha consegnato a te ha sulla coscienza un peccato maggiore. Da quel momento Pilato cercava di liberarlo, ma i giudei urlavano: p rosc iog l i costui non sei amico del Cesare. Chiunque si fa re s.i dichiara contro il Cesare.

- Se

NOTE FILOLO G I C H E 19, 9 domandò gr. !egei. Pres . st. Significato specificato dal contesto. - Tu, da dove provieni? gr. pothen ei su. Come in 7, 27s; 9, 29, non si tratta del luogo di nascita (it.: tu, di dove sei?), ma di un'origine in qualche modo divina, sconosciuta a Pilato. 10 disse. G r pres. st. - Ti rifiuti di parlare a me?, gr. emoi ou laleis. La forma e la posizione en­ fatica del pronome emoi vengono rese meglio dal complemento separato a me, che non dalla forma parlarmi. L'espressione ti rifiuti risponde al con­ .

testo, che indica la volontarietà del silenzio di Gesù: • non parlare a qualcuno • significa ordinariamente in it. sentirsi offeso da qualcuno. - sta a me, ecc. gr. exousian ekh6 . . La frase è costruita in parallelo con 10, 18 (duplice menzione di exousia) . Come lì, non si tratta di autorità in senso giuridico, ma di libertà nell'agire: sta a me. Giuridicamente, Pilato ha sol­ tanto l'autorità di pronunciare la sentenza giusta, secondo if verdetto d'innocenza pronunciato tre volte da lui (18, 38b; 19, 4.6). Nel caso di Gesù exousia ekhein (avere capacità/facoltà/libertà per far qualcosa) può essere il risultato di un dono divino: edokas auto exousian (17, 2). In questo caso, la differenza di genere fra exousia e il part. dedomenon indica che la libertà d'azione contro Gesù che Pilato possiede non è l'oggetto diretto di una donazione o concessione (cfr. 3, 27; 6, 65), ma un fatto che esiste nell'ambito di un dono più ampio, quello della libertà stessa. La exousia di Pilato non risulta dal fatto che Dio • gli abbia messo nelle mani D abbia fatto sì che stesse a lui), ma che gli • ha lasciato • libertà d'azione. ( Dio non interviene per impedire che egli agisca contro Gesù, rispetta la sua libertà. La exousia, pertanto, in 10, 18 e 19, 1 1 , implica il libero arbitrio, la libertà d'azione che Dio concede all'uomo. Così, Gesù usa la propria libertà per dare .la sua vita (10, 18), Pilato per dare morte (19, 1 1 ) . Si paragoni con questo testo quello di 18, 3 1 : hémin ouk exestin apokteinai .

,

=

oudena.

·

743

L'ora finale. La Pasqua del Messia

1 1 contro di me, gr. kat'emou. kata + gen it. di persona, denota ostilità, cfr. M t 5, 11.23; IO, 35; 12, 14; 20, I l, ecc.; Mc 3, 6; 9, 40; I l , 25; 14, 55ss; LA: 9, 50; 11, 23; 23, 14. - Dio, gr. anòthen. Dal l alto , modo di designare Dio (cfr. 3, 31), qui usato per non menzionarlo davanti a un pagano. '

12 i giudei. Cfr. 19, 7 nota. - si fa re, gr. basilea heauton poion. In parai. 18, 30: kakon poiòn, malfattore.

CONTEN UTO E DIVISIONE Il tem a della pericope è la responsabilità di Pilato nella sua opzione contro l'uomo (19, 5: ecco l'uomo ), ma su di essa risalta la responsabilità maggiore

dei dirigenti giudei. Gesù, che avrebbe potuto far leva sulla paura di Pilato per forzare la sua sentenza in senso positivo, non lo fa; • i giudei invece, fanno pressione perché emetta WJa sentenza di morte. Dio lascia che Pilato e i giudei prendano la lo ro decisione e as sumano le proprie responsabilità. Si distinguono quindi tre WJità: la prima (19. 9) indica il rispetto di Gesù per la libertà di Pilato; nella seconda (19, 10-1 1) questi afferma la propria libertà di opzione; Gesù gliela conferma e lo avverte della sua responsa· bilità e di quella dei giudei che fanno pressione su di lui; nella terza (19, 12) s i descrive la pressione eserci tata da questi ultimi per forzare la decisione di Pilato. •.

Riassumendo: Rispetto di Gesù per la libertà. 19, 9: 19, IO-l l : Libertà e responsabilità. Pressione dei giudei su Pilato. 19, 12:

LETIURA Rispetto di Gesù per la libertà 1 9, 9 Entrò di 11uovo 11 ella residenza e donw11dò provieni? •. Ma Gesù non gli diede risposta.

a

Gesù:

«

T11,

.da dove

Pilato rientra nella residenza portando con sé Gesù. Vuole sfuggire all'ambiente esterno, dove regnano la passione e l'odio espresse nelle grida di morte senza alcuna giustificazione. Fuori Gesù non pronuncia parola; la malafede dei suoi nemici impedisce ogni dialogo. All'interno, al contrario, ha risposto a Pilato circa il s ign ificat o delia sua reg a lità ( 1 8, 33-38a) e continua a essere disponibile al dialogo con lui. Pilato ora è dominato dalla paura (19, 8) . L'accusa dei giudei contro Gesù: si è fatto figlio di Dio, lo turba. La domanda che gli rivolge ricorda altri passi del vangelo (7, 27: costui sappiamo di dove proviwe, mentre, q11ando giunge il 1'vlessia, nessuno sa di dove proviene; 8, 14: 744

19, 9-12. Responsabilità di Pilato e del giudei

voi nort sapete da dove vengo né dove vado; 9, 29: quello ... non

sappiamo da dove proviene). Pilato chiede a Gesù di dichiarargli qual è la sua origine; il suo timore lo spinge a chiedere se la sua origine è umana o divina. Gesù non gli risponde. Per fare giustizia gli deve bastare che Gesù sia un uomo, come egli stesso ha proclamato ( 1 9, 5). Gesù non si approfitta della paura di Pilato per forzarlo a dargli la libertà. Il giudice ha dati più che sufficienti per emettere sentenza. Inoltre l'origine di Gesù si scopre soltanto attraverso le sue opere (5, 36; IO, 25.38; 14, I l ). Davanti ai dirigenti giudei, Gesù aveva rifiutato di dare spiegazioni sulla sua persona ( IO, 24: se sei tu il Messia, diccelo apertamente), rifacendosi alla propria attività ( IO, 25). Nemmeno a Pilato ora le dà. Questi gli aveva domandato: cosa Jzai fatto? { 1 8, 35), e Gesù nella sua risposta gli aveva spiegato che la sua regalità rifiuta l'uso della forza e la sua missione consiste nella testimonianza della verità. Pilato ha già elemen· ti di giudizio. U n 'allusione alla sua origine divina (cfr. 7, 28s; 8, 19; IO, 30.36) potrebbe inclinare la bilancia a suo favore: Gesù non la fa; la decisione di Pilato deve riferirsi all'uomo, perché l 'opzione nei confronti di questi è l'o­ pzione pro o contro Dio (5, 27; 15, 23 Lett.).

Libertà e responsabilità IO Allora Pilato gli disse : « Ti rifiuti di parlare a me? No11 sai che sra a me liberarti e sta a me crocifiggerti? •·

Il silenzio di Gesù costringe Pilato a continuare. Per uscire dal dubbio che lo inquieta, ricorre alla minaccia, ricordando a Gesù di avere in mano la sua vita e la sua morte. Pensa che il fatto di detenere il potere dovrebbe persuadere Gesù a sottomettersi ai suoi desideri: li rifiuti di parlare a me? Non sa che Gesù dà la propria vita volontariamente ( 10, 17). I due elementi della frase di Pilato: liberar/i ... crocifiggerti esprimono l'opzione che egli ha dinanzi. • Liberarti • corrisponde al verdetto che egli stesso ha dato (18, 38b; 19, 4.6: non trovo alcur1 capo d'accusa co11tro di lui) e alla proposta che ha fatto (18, 39); • crocifiggerti " corrisponde alle grida dei sommi sacerdoti che fanno pressione su di lui (19, 6). Pilato è coscientli! della situazione in cui si trova e si vanta di avere nelle mani un tale potere da agire con o contro giustizia. La frase di Pilato: sta a me liberarti e sta a me crocifiggerti, contrasta con quella pronunciata da Gesù: sta a me consegnarla (la vita) e sta a me recuperarla (10, 1 8 ) . La prima descrive la facoltà illegittima che si arroga il sistema ingiusto, pretendendo di essere padrone della vita dei suoi sudditi. La seconda, la facoltà propria del Figlio di Dio e di coloro che, per l'adesione a lui, diventano figli di Dio ( 1 , 12): non pretendono di essere padroni della vita degli altri; ma, come uomini liberi, lo sono della loro propria e la consegnano per gli altri. Così l'uomo possiede una ricchezza, che è se stesso, ed è libero di darla: in questo consiste « farsi re "• accusa che sarà proferita contro Gesù alla fine della pericope. 745

L'ora finale. La Paoqua del

Measla

Di fronte a Gesù, Pilato si arToga la facoltà di emettere sentenza d'assoluzione o di morte, prescindendo da ogni giustizia. e l'abuso della libertà. I la Gli replicò Gesù: « Non starebbe a te fare nulla contro di me, se Dio non ti lasciasse fare ». Gesù afferma l'assoluto rispetto di Dio per la libertà; ciascuno è responsabile della sua opzione pro o contro l'uomo. Ma questa si identifica con l'opzione pro o contro Dio. Il giudice sta per scegliere tra la vita e la morte. La sua sentenza su Gesù sarà la sua stessa sentenza (3, 17). Pilato ha annunciato la sua duplice possibilità: dare libertà e uccidere. Gesù raccoglie soltanto la seconda, la scelta cattiva. Per fare del bene all'uomo ha l 'appoggio di Dio (3, 2 1 ) ; per togliere la vita, no. Il detto di Gesù a Pilato: se Dio non ti lasciasse fare, concorda con ciò che Gesù stesso fece con il traditore durante la Cena: intingendo il boccone, che rappresentava la sua stessa persona e la sua stessa vita, lo diede a Giuda (13, 26), mettendo così la propria vita nelle sue mani. In quel momento Giuda si trovò a fare la sua opzione definitiva: doveva scegliere fra dare la propria adesione a Gesù o consegnarlo. Gesù non esercitò mai pressione sulla sua libertà né impedl la sua decisione; l 'uomo deve scegliere il suo cammino, bisogna dargli questa possibilità anche a costo della propria vita. Giuda prese la vita di Gesù per consegnarla ( 1 3 , 30 Lett.). Queskl mostra ora che l'atteggiamento di Dio verso l'uomo è uguale al suo. Con Gesù e in Gesù, Dio offre a tutti il suo amore incondizionato, ma non forza la risposta. l l b c Per questo chi mi ha consegnato a te ha sulla coscienza un peccato maggiore ». L'espressione al singolare: chi mi ha consegnato a te, è in parallelo con quella al plurale: la tua nazione e i sommi sacerdoti ti hanno consegna­ to a me (18, 35), e con la frase precedente dei dirigenti: se questi non foss e wz malfattore non te lo avremmo consegnato ( 18, 30). A consegnare Gesù è stato il gruppo di potere il cui agente fu Giuda, colui che lo consegnava (6, 7 1 ; 12, 4; 1 8, 2). Per Gv « il peccato • (8, : 1 .34) consiste nell'integrarsi nell'ordinamento ingiusto, oppressore dell'uomo (8, 23 Lett.) . Pilato appartiene all'ordì· namento oppressore. Da tale appartenenza . derivano i c peccati », le ingiustizie concrete. Pilato, con la sua minaccia a Gesù, dimostra di essere disposto a commettere ingiustizia, dopo aver dichiarato tre volte l'innocenza dell'accusato. La maggior responsabilità (peccato) dei « giudei • si deve a varie ragio­ ni: in primo luogo essi, che non hanno la possibilità di crocifiggere Gesù (18, 3 1 ) , stanno cercando di farlo per mano di terzi ( 19, 6: alla croce! Manda/o alla croce!) . In secondo luogo violano con ciò il coman­ damento esplicito della loro Legge, che proibisce l'omicidio (18, 3 1 : a noi non è permesso uccidere nessuno) . In terzo luogo, si tratta di un'azione contro Gesù, che ormai possono conoscere come Messia attraverso le sue parole e le sue opere (15, 22: se io non fossi venuto e

746

19, 9-12. ReoponaabWtè di Pilato e del giudei

non avessi parlato loro, non ti'I!Tebbero manifestato la loro ostinazione nel peccato; ma ora non hanno scusante per il loro peccato; cfr. 15, 24; IO, 25.37-43); per di più nel loro rifiuto di Gesù hanno trascinato il popolo, privandolo della liberazione cui Dio lo destinava e condan­ nandolo alla rovina (12, 42 Lett.). Infine per uccidere Gesù invocano la loro Legge (19, 7), attribuendo così l'omicidio a Dio stesso; si fanno scudo di Dio per dar la morte al Figlio di Dio. Così rendono Dio sostegno e complice dell'ingiustizia umana.

Pressione dei giudei su Pilato 1 2a Da quel momento Pilato cercava di liberarlo. Pilato non aveva cercato di giustificarsi con la volontà di Dio per commettere l'ingiustizia; aveva invocato la propria autorità. Quando Gesù gli scopre la responsabilità che pesa su di lui e l'esistenza di una istanza superiore, comprende di non poter agire arbitrariamente. Di qui i suoi sforzi per liberare Gesù, secondo il suo proposito frustrato ( 1 8 , 39). Egli stesso ha appena affermato che sta a lui liberarlo. Cerca di sbarazzarsi della pressione e degli interessi dei dirigenti giudei; capisce di essere sul punto di commettere una grave ingiustizia e vuole rettifi­ care a tempo. 12b ma . i giudei urlavano: « Se prosciogli costui non sei amico del Cesare. Chiunque si fa re si dicl1iara contro il Cesare ». Mentre Pilato è dentro con Gesù e si sforza di agire con giustizia, si ode l'urlo minaccioso dei capi giudei. Per forzare la decisione del giudice, ricorrono alla minaccia personale. Fino ad ora l'accusa contro Gesù era stata religiosa (19, 7: si è fatto figlio di Dio) ; ora la cambiano con un'accusa politica: Gesù è un ribelle contro l'imperatore, accusa che era implicita durante tutto il processo. Pilato ha già chiara coscienza che la condanna di Gesù sarebbe una flagrante ingiustizia; ma « i giudei » lo pongono davanti a un dilemma: essere leale verso l'uomo o verso il sistema di potere cui appartiene; l'una e l'altra lealtà sono inconciliabili. Deve essere amico di Gesù ( 1 5 , 15) o amico del Cesare 1 • Gli si offre l'occasione di optare a favore dell'uomo, ma questo lo porterebbe a perdere la propria posizione. Chi sta a favore dell'uomo deve essere disposto a sacrificare tutto per il suo bene, persino la propria vita (12, 25); ma chi dà la propria lealtà al potente finisce col sacrificare l'uomo. :E: tragico che • i giudei • ricordino a Pilato il suo dovere verso il potere oppressore, e proprio per esigere da lui l'omicidio del loro re, colui che costituiva la speranza di salvezza per Israele. Rifiutando così l'unica Amico del Cesare • era un titolo concesso dall'imperatore come premio per la lealtà, e pegno di familiarità con lui. • Gli amici del Cesare • costi tuivano un cir­ colo esclusivo ai cui componenti l'imperatore conce.deva spesso incarichi di autorità; il titolo sembra già attestato prima dell'epoca di Gesù (cfr. l Mac 2, 18; 3, 38; 10, 65; F. Giuseppe, Antiq. XII, 7, 3: par. 298), ma, in ogni caso, l'espressione indica la lealtà verso l'imperatore, alla quale corrisponde il favore imperiale. l



747

L'ora finale. La Pasqua del Musla

possibilità di liberazione, che veniva loro offerta in Gesù, annunciano già la loro opzione per il Cesare. Esercitando pressione su Pilato e mettendolo in una situazione limite, che determinerà la sua sentenza ingiusta, anch'essi si caricano della responsabilità del giudice. I capi giudei accusano Gesù di c farsi re •; prima l'avevano accusato di essersi fatto " figlio di Dio • (19, 7). In realtà egli è re perché è Figlio di Dio; è stato lo Spirito che lo ha consacrato Messia, e il suo dinamismo ad averlo guidato nella sua missione (10, 36). L'espressione farsi re si oppone a quella di 6, 1 5 : per farlo re, che descriveva il tentativo rifiutato da Gesù. Quello era il genere di regalità che egli non ammette, basato sulla sottomissione volontaria dei sudditi. c Essere re nel senso di Gesù, cioè giungere alla totale indipendenza e libertà, non dipende dagli altri, ma da se stessi: si realizza attraverso il dono di sé - per la collaborazione con lo Spirito - che si manifesta agendo a favore dell'uomo (10, 36-37) . La regalità desiderata dai discepo­ li (6, 15) e dal popolo (12, 13) li diminuiva per esaltare il re. Quella di Gesù dà vita abbondante ai suoi ( 10, l Os). Con la sua consegna e il suo rifiuto del potere, Gesù sta facendo se stesso re; lo sarà definitivamente sulla croce, dove il suo titolo rimarrà fissato per sempre. La frase dei sommi sacerdoti ammette un duplice significato: da un lato essi pretendono di accusare Gesù come caporione politico, ribelle contro il potere imperiale. Ma l'evangelista indica al tempo stesso che chi, con la consegna di se stesso, acquista la propria libertà e indipen­ denza, si dichiara necessariamente contrario a ogni potere oppressore, il cui simbolo supremo è il Cesare romano. Ne consegue che quanto espresso nella frase oltrepassa il caso personale di Gesù: chiunque si fa re. Chi è disposto a darsi per il bene dell'uomo si mette inevitabilmente contro· i poteri oppressori. Si vede così l'equivalenza delle espressioni essersi fatto figlio di Dio ( 19, 7) e farsi re (19, 12). CiascW1o corrisponde a W1a sfera, ma hanno lo stesso contenuto: figlio di Dio o re è l'uomo che realizza in sé il disegno divino, donandosi senza limite. Chi agisce co�ì è i n compatibile con il potere religioso, espresso nella Legge ( 1 9, 7), e con il si stema di governo oppressore ( 1 9, 12). L'uno e l'altro lo condanneranno a morte. •

SI NTESI In questa pericope, al di sopra della responsabilità di Pilato nella morte di Gesù, spicca quella dei « giudei • , che rendono Pilato stru­ mento del loro odio. Avendo davanti agli occhi tutti i dati per conosce­ re Gesù e riconoscerlo come Messia inviato da Dio, anziché accettarlo come liberatore lo vedono come una minaccia per i loro interessi. Di qui sorge l'avversione che li acceca, e che li fa alleare con i loro stessi oppressori contro Gesù. D'altra parte appare il dilemma di Pilato, l'uomo integrato nel sistema di potere: o mette in pericolo la propria posizione o sacrifica l'uomo. Essendo membro della struttura di ingiustizia, finisce col sacrificare l 'uomo, anche contro la propria convinzione, per mantenere la carica.

748

Gv 19, 13·16a: L'opzione contro Dio: Il Cesare I l Pilato, udendo quelle parole, condusse fuori Gesù. Si sedette su di uno scanno, in un luogo che chi am avano « il Lastricato " (nella lingua degli ebrei, Gabbata). 1 4 Era la preparazione della Pasqua; era circa l'ora sesta.

Disse ai giudei: - Ecco il vostro re. 15 Qu el l i allora presero a url are : - Toglilo, toglilo di mezzo! Crocifiggilo! Pilato disse loro: - Il vostro re crocifiggerò? Replicarono i sommi sacerdoti: - Non abbiamo altro re che il Cesare. 1 6• Alla fine, allora, lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

NOTE FILOLO G I C H E 19, 1 3 S i sedette, gr. ekathisen. Per la continuità con la frase precedente, il soggetto sarebbe normalmente Pilato. Tuttavia, in Gv non è infrequente il cambiamento di soggetto senza alcuna indicazione grammaticale (cfr. 13, 6 e, inoltre. 6. 15; I l , 45; 19, 5, in cui l'ambiguità è intenzionale). Il vero soggetto, pertanto, può essere Gesù stesso. Dato lo stretto parallelismo tra questo passo: ekathisen epi bematos eis topon legomenon Lithostr6ton. hebraisti de Gabbatha, e quello della pericope successiva: bastaz6n 11eaut6

ton stauron exelthen eis ton legomenon Kraniou topon, ho legetai lzebraisti Go/gotha ( 1 9, 17), in cui l 'i niziativa è attribuita a Gesù (exelthen), il narra· tore insinua che egli si siede di propria iniziativa. Di fatto, il suo bema

(scranno-tribunale) sarà la croce; Gv lascia indeterminato questo termine, precisamente per non identificarlo con il bema o tribunale di Pilato. È meno probabile l'interpretazione transitiva (lo fece sedere); tematicamente, non è Pilato che intronizza Gesù; inoltre, se l'evangelista avesse voluto si­ gnificare un atto così insolito, sarebbe stato naturale indicarlo ripetendo il complemento (auton). Oltre al termine Lithostr6ton, che si incontra in Ct 3, 10 esiste in questo passo di Gv un linguaggio che ricorda quello dello stesso passo del Cantico a proposito dello sposo-re: epi bématos - epiba.sis; ide ho basileus hwn6n idete en t6 basilei Sa/6m6n; inoltre, la menzione della corona e del giorno delle nozze, (Ct 3, 1 1 ) , simbolo dell'allegria. - in un luogo, gr. eis topon. L'uso della prepos. eis in luogo di ert. risponde al parallelo con 19, 17: eis ton ... Kraniou topon. Il Lithostr6tort anticipa il luogo del Teschio. - nella lirtgua degli ebrei, gr. hebraisti, cfr. 5, 2. 1 4 Era, ecc. én de. Marca - Disse. Gr. pres. st. - ai giudei. Cfr. 19, 7 nota.

15

-

un

inciso, cfr. 18, 2.5.

presero a urlare: cfr. 18, 40; 19, 6. disse. Gr. pres. st.

16a Alla fine,

gr.

oun. Conclude l'azione da parte di Pilato. 749

L'ora finale. La

Pa�qua del Meala

CONTEN UTO E DIVISIONE L:� pcricone e.> del Messia, annunciata a Cana al principio della sua attività (2, 4), ha mantenuto in tensione il racconto, orientato verso di essa (5, 28; 7, 30; 8, 20). I l periodo dell'• ora » costituisce la seconda parte del giorno sesto ( si veda « l'ora finale », p. 496). Questo momento ha un importante significato. Come è già apparso in 4, 6, l'ora sesta, cifra dell'incompleto, indica l'ora di Gesù nel suo aspetto di morte (4, 6 : affaticato), mentre l'ora settima ha indicato i suoi frutti di vita (4, 52) . L'ora sesta, quella della piena luce, aveva indicato la rivelazione del Messia alla Samaria (4, 25s) ; ora la indica per Israele. Poiché tutta la scena è un'anticipazione della croce, anche l'ora anticipa quella della sua morte; sono i sommi sacerdoti, rifiutando Gesù, a uccidere l'Agnello. Preparano così, come Giuda (13, 29 Lett.). il necessa· rio per la Pasqua, cui essi non parteciperanno.

L'opzione per il Cesare 14b

Disse ai giudei:



Ecco il vostro re •·

Queste parole, rivolte ai rappresentanti del popolo, possono essere pronunciate da Pilato o da Gesù stesso, soggetto del verbo precedente (si sedette). Nuova ambiguità intenzionale di Gv. Esistono due piani: quello narrativo e quello teologico; nel primo sarebbe Pilato a procla­ mare re Gesù; nel secondo, · il più importante per l'evangelista, è Gesù stesso a presentar'si come re davanti al suo popolo. La stessa ambiguità di soggetto s'incontrava in 19, S: ecco l'uomo, frase parallela a questa. « L'Uomo • è il « re dei giudei •. Gesù, il Re Messia venuto da Dio e inviato al suo popolo, doveva adempiere l'aspettativa secolare e realizzare la liberazione definitiva; era per Israele l'unica speranza. Tale è il re davanti al quale devono fare la loro opzione. Gesù mostra nuovamente · il vero carattere della sua regalità; spoglio di ogni attributo di potere, fa splendere l'amore di Dio. !Sa

gilo!

Quelli allora presero a urlare:

«

Toglilo, toglilo di meuol Crocifig·

».

Vi è una schermaglia che allarga la scena e rende più drammatica l 'opzione dei capi giudei. Mostrano uno smisurato odio, che non tollera più nemmeno la vista di Gesù. Il re che vuoi dare la sua vita per il popolo ( 1 1 , SO; 18, 1 4 ) è respinto da essi. Chiedono per lui la pena di morte. Gesù viene a eliminare il peccato del mondo; i rappresentanti 752

19, 13-16a.

L'opzione contro Dio: Il Cesare

del peccato (8, 2 1 ) vogliono eliminare Gesù. Davanti al re, che anziché dominare vuole liberare dal dominio, gli oppressori si ribellano. Il grido di odio contro Gesù è quello dell'odio contro Dio: odiare me significa odiare mio Padre (15, 23). Si va rivelando l'incompatibilità fra iJ Dio vero e l'istituzione di Israele, che culminerà nell'opzione finale. 1 5b Pilato disse loro: " Il vostro re crocifiggerò? "· Pilato giustappone i due termini: re e supplizio, rendendo intollerabile il contrasto. Nella narrazione va spiccando sempre di più la regalità di Gesù, perfino per gli stessi personaggi, che parlano di essa come di un fatto innegabile. I capi si vedono forzati ad agire a favore o contro il loro re. !Se Replicarono Cesare "·

sommi sacerdoti: " Nmz abbiamo altro re che il

Rispondono i sommi sacerdoti, rappresentanti del sistema autocratico. Coloro che rappresentano Dio sono quelli che lo tradiscono; coloro che avevano la missione di trasmettere gli oracoli divini (cfr. I l , 5 1 : essen­ do sommo sacerdote in quell'anno profetizzò che Gesù stava per morire per. la nazione) commettono l'apostasia definitiva. Nella tradizione dell'AT era Dio il re d'Israele (Sal 5, 3; 29, IO; 44, 5; 47, 3.7; 48, 3 ; 74, 12; 84, 4 ; 89, 19; 145, 1 ; 149, 2; Is 6, 5; 33, 22; 4 1 , 2 1 ; 44, 6; Zc 14, 9 ecc.). Essi, invece, accettano come re legittimo l'imperatore romano, che aveva tolto loro l'indipendenza come nazione, il pagano che non riconosce Dio. Preferiscono essere dominati dal potere della morte che essere amati dal Dio della vita, perché essi sanno dare morte (8, 44) . ma non conoscono l 'amore di Dio (5, 42). I n realtà, scegliendo l'imperatore, scelgono il loro Dio di sempre, poiché da sempre avevano compiuto la loro opzione per il potere; che questo abbia questo o quel nome, Dio o imperatore romano, è secondario. Il Dio cui essi professavano fedeltà, anche se continuavano a chiamarlo Yah­ vé, era un Dio che legittimava l'oppressione, disinteressandosi del grido degli oppressori (8, 54s: quello che voi dite essere vostro Dio, pur non avendolo mai conosciuto; 5, 37s: mai voi avete ascoltato la sua vo ce, né l'isto la sua " figura "• e neppure conservate fra voi il suo messaggio; cfr. Is 5, 7 : " Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi >>). Nella narrazione l'evangelista mette in rilievo le vere scelte, al di là delle parole e delle professioni esterne di religiosità. Ciò che · importa non è il· nome che si dà a Dio, ma il contenuto significato con Questo nome. L'opzione per il Cesare denuncia ciò che Dio significava per loro. Quando Dio si rivela in Gesù come amore per l'uomo, essi lo respingo­ no e scelgono quello che, in quanto oppressore, permette e giustifica l'oppressione che essi esercitano. La loro opzione non è nuova; Gesù non fa altro che mettere allo scoperto la realtà del potere religioso (sommi sacerdoti). Accettano soltanto un Dio che legittimi la loro posizione e il loro privilegio. Nella loro opzione, i capi trascinano il popolo: lo sottomettono alla oppressione straniera che, per il momento, legittima quella che essi esercitano. 753

L'ora finale. La Pasqua del Messia

La consegna ai sommi sacerdoti 1 6a

Alla fine, allora, lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

Pilato finisce per tradire l'uomo, come gli altri: lo consegnò loro, la stessa espressione usata per indicare il tradimento di Giuda (18, 2) e quello dei dirigenti giudei (18, 30. 35). Vedendo in pericolo il proprio potere, egli sacrifica l'uomo. I giudei si professano fedeli all'imperatore, mentre hanno messo in questione la fedeltà di Pilato. Udendo menzionare per la seconda volta il Cesare, Pilato, fra l'uomo e l'oppressore, sceglie quest'ultimo. Ecco il suo tradimento. Come i « giudei », preferisce la gloria umana a quella che viene soltanto da Dio (5, 44; 12, 43) .

S I NTESI sentenza contro Gesù mette allo scoperto quali sono le opzioni profonde dei dirigenti giudei, rappresentati dai sommi sacerdoti, capi del sistema teocratico. Dichiarandosi contro Gesù e riconoscendo il Cesare come unico re, respingono il Dio liberatore, che in quanto tale fa uscire il popolo dalla loro sfera d'influenza e dal loro dominio. Mostrano così qual è il loro vero dio: la loro ambizione di potere e gloria, che Gesù stesso ha denunciato ripetute volte e che è stata simboleggiata dal Tesoro del tempio. t! questa ambizione a renderli oppressori e assassini dell'uomo. In questa occasione rivelano il loro ateismo, mettendo i propri interessi al posto di Dio. Quando ad opera di Gesù sparisce la figura di un dio complice dell'oppressione, essi cercano la loro legittimazione nell'autorità del Cesare, il potere invaso­ re. Con ciò pronunciano la propria sentenza, escludendosi dalla libera· zione messianica. u

754

Gv 19, 1 6b-18: Il crOc:lfisso e l suoi compagni S i presero quindi Gesù 1 7 e questi, caricandosi della croce, usd verso quello che chiamavano « luogo del Teschio • (che, nella lingua degli ebrei, si dice Golgota); .1 8 Il lo crocifissero, e con lui altri due, all'uno e all'altro lato; in mezzo Gesù. l lb

NOTA FILOLOG ICA e questi, gr. heautd. Da se stesso.

19, 17

CONTEN UTO La pericope, in parallelo e contrasto con quella precedente, descrive l'in· tronizzazione di Gesù in tennini di crocifissione. Ma egli non è solo: è il centro di coloro che l'accompagnano morendo come lui.

LETTU RA 19, 1 6b

Si presero quindi Gesù.

responsabilità piena della morte di Gesù passa al potere giudaico. Quelli che non lo avevano accolto come Parola di vita (1, I l ) lo accol­ gono ora per ucciderlo. 1!. la tenebra che vuole spegnere la luce ( 1 , 5). La

17a

e questi, caricandosi della croce.

Decretandone la morte, tutti i poteri hanno· tradito Gesù, e con lui l'uomo. Ma Gesù non dipende dalla loro sentenza, nessuno gli toglierà la Yita, egli si consegna volontariamente ( 1 0 , 18). Gv sottolinea la volon­ tarietà e la libertà della morte di Gesù: egli · stesso si carica ora della croce ed esce verso il luogo dell'esecuzione come era uscito per conse­ gnarsi ( 1 8 , 4) e più tardi per presentarsi come re ( 1 9, 5). Gesù prende l'iniziativa, come se avesse fretta di manifestare l'amore di Dio e di liberare l'uomo. Si affermava che il sacrificio d'Isacco aveva avuto luogo esattamente nell'ora in cui più tardi sarebbe stata stabilita l'immolazione dell'agnel­ lo pasquale 1• Gesù, il Figlio unico, dato dal Padre per amore del mondo (3, 1 6) , in quest'ora esce verso la morte. ' Cfr. R. Le Déaut, La Nuit Pasca/e (Roma 1963), p. 179.

755

L'ora fmale. La Pasqua del Messia

17b

uscì verso quelto che chiamavano



lu ogo del Teschio "

(che,

nella lingua degli ebrei, si dice Golgota) .

Gv descrive ora in termini di crocifissione quanto prima deseritto in termini di esaltazione (19, 1 3-16). Al " lastricato " (litlwstr6ton). luogo in cui si manifesta la gloria, corrisponde il luogo della morte. I l contrasto appare ancora più evidente paragonando i due nomi aramaici messi in parallelo: Gabbata, l'altura, e Golgota, il teschio. L'esaltazione di Gesù si verifica nel dono della sua vita. 18

lì lo crocifissero, e con lui altri due, all'uno e all'altro lato; in

mezzo Gesù.

Non si specifica chi lo crocifisse. Sono tutti colpevoli della sua morte. In primo luogo. i sommi sacerdoti (19, 16a: lo consegnò loro perché fosse crocifisso), che l'avevano decisa ( I l , 5 3 ) e l'hanno ottenuta. Ma anche Pilato ha tradito l'uomo per timore di perdere il suo posto. Sulla croce Gesù non sarà solo: con lui crocifiggono altri due. A differenza degli altri evangelisti, Gv non identifica i due compagni di supplizio né li qualifica in nessun modo. Essi sono quelli che moriran­ no con Gesù; le parole con lui ricordano quelle di Tommaso, il Gemello: andiamo anche noi a morire con lui ( 1 1 , 16). Figurano i discepoli che seguono Gesù fino alla fine e danno con lui la vita per l 'uomo. La specificazione : all'uno e all'altro lato; in mezzo, Gesrì, mostra la corte del re, dato che Gv non ha menzionato che si fossero tolti a Gesù gli atlributi regali (19, 2.5). I posti alla destra e alla sinistra del personaggio principale spettavano alle persone di rango più elevato ' · Quelli che muoiono con Gesù condannati dal " mondo " (15, 20) sono coloro che lo possiedono nella sua comunità. Ma Gv non distingue fra destra e sinistra; esprime una localizzazione che indica l'uguaglianza. Questi sono i discepoli che stanno dov'è Gesù ( 14, 3; 17, 24) per aver percorso il suo cammino (14, 4.6). L'Uomo levato in alto li ha tratti verso di sé e li ha innalzati con sé fino al culmine della donazione (12, 32). Sono chicchi di frumento che, caduti in terra, moriranno per dar molto frutto (12, 24). Al principio del vangelo apparvero due discepoli che seguirono G e s ù e rimasero a vivere con lui ( l , 39) ; alla fine due uomini l'hanno accom · pagnato fino al termine del suo cammino e moriranno con lui. Come quelli rappresentavano la comunità ideale, così questi indicano il ter· mine del suo itinerario. Di fatto sarà la croce la morte che Gesù annuncerà a Pietro quando, nella scena finale, questi si deciderà di accettare l'amore di Gesù e sarà invitato a seguirlo (21 , 18-19).

2 Cfr. S. - B. I, 835s. 756

Gv 19, 1 9-22: Il delitto. Il Messia-Re crocifisso: la nuova Scrittura

" Pilato scrisse inoltre un cartello e Io fissò sulla croce; stava scritto: « Gesù il Nazareno, il re dei giudei ». IO Questo cartello Io lessero molti giudei, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città. Ed era scritto in ebraico, latino e greco. 21

22

I sommi sacerdoti dei giudei dissero allora a Pilato: - Non lasciare la scritta: « il re dei giudei », ma: « questi disse: Sono re de i g i ude i » . Replicò Pilato: - Ciò che ho scritto, scritto lo lascio.

NOTE FI LOLOG I C H E 19, 19 stava scritto, gr. en ... gegrammenon. Questa formula, ripetuta nel versetto successivo, corrisponde a quella che serve a Gv per indicare i testi dell'antica Scrittura, cfr. 2, 1 7 ; 6, 31.45; IO, 34; 12, 14.16; 15, 25. Si noti l'ac· cumulo di forme del verbo graph6 in questa pericope: v. 19: egrapsen, en ... gegrammenon; v. 20: en gegrammenon; v. 2 1 : me graphe; v. 22: gegrapha (bis). Questo indica il suo tema principale: la nuova Scrittura. 21 dissero, gr. elegon. Cfr. El Aspecto Verbal, nn. 345-47. - Non lasciare la scritta, gr. me graphe. Non si riferisce a un'azione futura (non scrivere). ma all'interruzione di un fatto già esistente. 22 Ciò che ho scritto, ecc., gr. ho gegrapha, gegrapha. Il primo pf. si ri· ferisce al fatto passato (ciò che è scritto rimane scritto); il secondo, alla sua permanenza nel futuro (lo lascio scritto, in opposizione a me graphe).

CONTEN U TO E DIVISIONE narra l a collocazione della scritta della croce, che indicava la causa della morte, e carica questo fatto di contenuto teologico : . la scritta rappresenta il ti tolo della nuova Scrittura, il cui contenuto è Gesù, Messia crocifisso. È pertanto il codice della nuova alleanza, che sostituisce quella antica; è universale, destinata a tutti i popoli. I nemici di Gesù, i sommi sacerdoti che hanno ottenuto la sua morte, rifiutano ancora una volta di riconoscerlo come Messia e vogliono impedire che sia proclamato re. La pericope

Si possono distinguere due momenti:

19, 19-20: II Messia-Re dei giudei . 19, 21-22: Vana opposizione dei sommi sacerdoti.

757

L'ora fmale. La Pasqua del

Mesola

LETIU RA Il Messìa-Re dei giudei 19, 19 Pilato scrisse inoltre un cartello e lo fissò sulla croce; stava scritto: « Gesù il Nazareno, il re dei giudei >>. La scritta della croce indica la causa della condanna. Dettandola, Pilato contraddice l'opzione fatta dai sommi sacerdoti: il re dei giudei non è il Cesare, ma Gesù (19, 15). Torna a comparire il titolo « Nazareno », il germoglio, il virgulto di Davide, pastore modello che si occuperà delle pecore maltrattate (18, Sa Lett.; IO, 1 1 ; cfr. 5, 3 Lett.) . Questi è il re dei giudei, il Messia annuncia· to; i n lui si compiono le promesse. Egli difenderà gli umili del popolo (Sal 72, 4), non Io farà però come re potente, acclamato dalle moltitudi­ ni (12, 1 3 ) . ma come l'Uomo levato in alto, segno di vita e punto d'attrazione (12, 32; cfr. 3, 14s; 8, 28). Dà la vita per mezzo del sistema ingiusto, ma non è un oppresso; consegnandosi volontariamente per il bene dell'uomo, seguendo il dinamismo dello Spirito, mostra la sua libertà di fronte al sistema che Io vuole distruggere. Gesù è più forte, e di fatto è il giudice del sistema che lo condanna (12, 3 1 ; 16, 1 1). Egli è il Sovrano perché è signore di se stesso e dispone della propria vita. Lo Spirito, che l'ha consacrato Messia ( 1 , 32; 10, 36), la forza che costituisce il suo « potere >>, lo rende più potente della morte. Davanti a tale forza, lo Spirito, l'uomo non deve professare sottomissione: al contrario, è una forza che i suoi ricevono dal loro re, per diventare liberi e re come lui. La consacrazione non è soltanto un privilegio personale come quella antica, ma un bene comunicabile (17, 16-17a Lett.). L'espressione stava scl'itto è quella classica per designare i testi dell'an­ tica Scrittura (cfr. nota) . Questo cartello descrive i l contenuto della Scrittura nuova, che non deve essere Ietta, ma contemplata ( 1 , 14; 17, 24; 19, 35). 20 Questo cartello lo lessero molti giudei, perché il luogo · dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città. Ed era scritto in ebraico, latino e greco. I giudei che hanno rifiutato Gesù come re ( 19, 15b) leggono ora il cartello e notano l'umiliazione e l'accusa implicita nei loro confronti; nemmeno loro potevano tollerare che il loro re fosse crocifisso come un criminale (19, 1 5b). II titolo proclama al tempo stesso la regalità di Gesù e la vergogna del popolo. La costruzione della frase greca è strana. Dice letteralmente: stava presso il luogo della città dove fu crocifisso Gesù (cfr., invece, 1 1, 18). L'ambiguità potrebbe essere intenzionale, per caricare in qualche modo sulla città che l'ha rifiutato la responsabilità della morte di Gesù. Il parallelo con 19, 17s: luogo del Teschio ... lì lo crocifissero, indicherebbe la città come l'ambito della morte (cfr. 1 2 , 1 8 Lett.). Il cartello era scritto in tre lingue, quella degli ebrei e le due lingue principali del mondo conosciuto; quella degli oppressori, dai quali si 758

19, 19-22. Il Messia-Re crocifisso

temevano rappresaglie se Gesù avesse continuato la sua attività ( 1 1 , 48) e quelle dei pagani che vogliono vedere Gesù (12, 20s). Il Messia dei giudei è il salvatore del mondo (4, 29.42), la sua missione universale deve essere tradotta in tutte le lingue. Egli ha pecore che non appar· tengono a questo popolo (10, 16) e crea una comunità umana in cui non conta l'appartenenza etnica (4, 1 2.20.21 Lett.). La salvezza viene dai giudei, per opera del Messia re dei giudei, che raccoglie le promesse fatte al popolo da Dio (4, 22), ma è destinata all'umanità intera. Le tre lingue annunciano anche coloro che saranno attratti da Gesù: quando sarò innalzato da terra, trarrò tutti a me (12, 32) .

Vana opposizione dei sommi sacerdoti 2 1 I sommi sacerdoti dei giudei dissero allora a Pilato: • Non ll!l.sciare la scritta: n re dei giudei", ma questi disse: Sono re dei giudei" "· •



I sommi sacerdoti, che hanno optato per il Cesare rifiutando Gesù come re, non possono tollerare che la loro decisione sia smentita dal cartello né che lo stesso rappresentante dell'imperatore rinfacci loro i l tradimento. Nella figura d i Pilato è i l paganesimo ad accusare i giudei della loro infedeltà. Il testo oppone due denominazioni: i sommi sacerdoti dei giudei e il re dei giudei. I primi non tollerano il secondo titolo, che equivale a quello di Messia. :e l'istituzione religiosa come tale che si rende rivale del Messia salvatore e Io rifiuta; essa, che si è impadronita del popolo, sul quale esercita il potere politico e religioso. Nell'ambito giudaico essa è • il capo di questo ordinamento » che ora, davanti al re • che non appartiene a questo ordinamento • (18, 36), all'Uomo levato in alto, si sente cacciato fuori (12, 32); per questo vuole che Gesù appaia come un impostore. 22

Replicò Pilato:

c

Ciò che ho scritto, scritto lo lascio •.

Si contrappongono un'altra volta i capi giudei e Pilato, e questi appare in miglior luce che non quelli, perché per Gv il peccato più grave è adulterare l'idea di Dio e renderlo complice dell'oppressione ( 1 9, lla Lett.). La frase di Pilato ha tono di oracolo: lo scritto è definitivo, rimane e non si può cambiare. Questo carattere indelebile (IO, 35) assimila la proclamazione della regalità di Gesù all'antica Scrittura; Gesù crocifis­ so per amore dell'uomo, e proclamato in tutte le lingue, è il compimen­ to delle promesse messianiche e la Scrittura definitiva. La Scrittura rendeva testimonianza di lui; ora si compie il suo contenu­ to e cessa il suo ruolo. Per il futuro, non c'è altro libro oltre questo. Di qui l'insistenza dell'evangelista sul vocabolo scrivere (19, 19: scrisse, stava scritto; 19, 20: era scritto in ebraico, ecc.; 19, 2 1 : non lasciare la scritta; 19, 22: ciò che ho scritto, scritto lo lascio) . La Scrittura conteneva le clausole dell'alleanza, che stabilivano una relazione bilaterale: Dio s'impegnava ad aiutare il popolo, e questo a esser fedele al suo Dio, suo Sovrano. 759

L'ora finale. La Pasqua del Messia

Gesù è il nuovo codice dell'alleanza. Tale codice non enuncia però precetti che esplicitino la volontà sovrana di Dio; il cartello o titolo della croce annuncia che il suo contenuto è Gesù stesso crocifisso. Il disegno di Dio non consiste nell'imporsi all 'uomo, ma nell'incontrarsi con lui per dargli vita definitiva (6, 38-40). La Scrittura nuova non è un enunciato, ma una persona che rivela una presenza: quella del Padre che manifesta il suo amore fino all'estremo. Cosi Gesù sulla croce insegna ciò che è Dio e, al tempo stesso, ciò che è l'uomo, la cui massima realizzazione è visibile in lui. Questa Scrittura-persona è normativa; tuttavia non è un comandamento esterno che viene prescritto, ma una presenza che contiene e comunica lo Spirito. Questo fa identificare con Gesù, conferisce la sua missio­ ne e fa percorrere il suo cammino. Questa è l'unica clausola dell'al­ leanza (13, 34; 15, 12s) : ciò che Dio chiede all'uomo è che sia come lui, e ciò che egli è viene espresso nel libro della croce. Così si realizza l'obiettivo dell'alleanza: io sarò il tuo Dio, e tu sarai il mio popolo (Ger 3 1 , 33) o, espresso in categorie di Gv: che siano tutti uno (17, 21-23). Non esiste una legge intermediaria fra Gesù-codice e l'uomo; l 'adesione a Gesù-norma si realizza attraverso l'amore personale per lui (14, 1 5 : se mi amate, compirete i comandamenti miei). Per questo l'alleanza viene assorbita dal simbolo nuziale (2, l ss ; 12, 2s; 20, l . l l ss; cfr. Ger 3 1 , 33; Ez 36, 25-27) .

S I NTESI Il Messia promesso a l popolo giudaico, il realizzatore delle promesse, si manifesta sulla croce come salvatore universale. I n lui si realizza la nuova alleanza di Dio con l'umanità, il cui codice è Gesù stesso. Egli è la Scrittura nuova, che contiene la definizione essenziale di Dio-amore e dell'uomo, progetto del suo amore e risposta a esso. I l rapporto dell'uomo con Dio ormai non si stabilisce attraverso testi scritti, ma attraverso l'amore personale per questo Uomo-Dio crocifisso. La sua condizione umana e la sua morte per l uomo lo mettono al di sopra di ogni condizionamento culturale. L'essenzialità di questa Scrittura, in cui l'uomo appare come espressione di Dio, la rende patrimonio comune dell'umanità intera, al di sopra di ogni particolarismo. Ogni uomo la può leggere: il linguaggio di questo amore è universale. '

760

Seconda sequenza IL

REGNO DEL

( 1 9 , 2 3 -27)

ME S S I A

Gv 19, 23-24: Spartizione delle vesti di Gesù: la comunità universale 21

I

soldati, quando crocifissero Gesù, presero il suo mantello e ne

fecero quattro parti. una parte per ciascun soldato; in più vi era la tunica. La tunica non aveva cuciture, era tessuta tutta i nt era dall'alto. " Si dissero gli uni gli altri : - Non s t rappiamola, sorteggiamola

e

vediamo

a

chi

tocca.

Si compì in tal modo quel passo: « si spartirono il mio mantello e tirarono a sorte le mie vesti "· Fu ro no i soldati a fare questo.

NOTE FILOLOG ICHE 19, 23 in più vi era gr. kai. Aggiuntivo. La costr. it. richiede l'esplicitazione del verbo essere implicito nel greco (N.d.T.). - dall'alto, gr. an6then. Gv fa uso di questa strana espressione, difficile da interpretare come un dettaglio appa rten en te alla tecnica del tessuto, per introdurre un concetto teologico già ripe t u to nel vangelo: l'avverbio am'Jthen e il suo corrispondente ano designano la sfera da cui procede Gesù (3, 3 1 ; 8, 23) e d a dove procede l o Spirito p e r l a com un it à (3, 3.5.7.14s; 1 9 , 23; cfr. 19, 30.34). 24 strappiamo/a, gr. skhisomen auton (cfr. 21, I l). In relazione con sklzisnra, scisma, divisione, 7,43; 9, 16; 10, 19. - vediamo a chi tocca, gr. tin os estai. Di chi sarà, come risultato del sorteg­ gio. - in tal modo, gr. hina. Consecutivo.

CONTEN UTO Facendo uso di un linguaggio simbolico, Gv annuncia in questa scena l'estensione universale del regno del Messia (spartizione del mantello in 4 parti) e la sua unità interiore indivisibile (la tunica). Essendo i soldati, agenti della crocifissione, a dividere il mantello, Gv mostra come il frutto germogli dalla morte di Gesù (cfr. 12, 24: il chicco di grano). 11 mante ll o di Gesù e la sua eredità. Gv descrive così il distintivo delle sue comunità nel mondo intero.

LETTURA 19, 23a I soldati, quando crocifissero Gesù, presero il suo malltel/o e ne fecero quattro parti, una parte per ciascwz soldato. Era costume che gli esecutori della sentenza si spartissero le vesti del reo. Su tale dato Gv costruisce la sua narrazione.

71ll

L'oro finale. La Pasqua del Messia

L'evangelista non ha segnalato che fossero stati tolti a Gesù gli attributi regali dello scherno (19, 2.5). Gesù continua quindi a essere il re schernito, spogliato del potere. Sono quattro soldati pagani a ricevere l'eredità di Gesù. Gv insiste su questo fatto: l'episodio comincia e si conclude con la menzione dei soldati. Rappresentanti del mondo non giudaico, mostrano due aspetti diversi: da una parte, come esecutori dell'odio del mondo (15, 18ss), sane gli agenti della morte di Gesù; dall'altra, ne sono gli eredi. L'evangelista menziona in primo luogo il mantello di Gesù; il mantello possiede neii'AT vari simbolismi, che Gv utilizza per offrire il contenuto teologico della scena. In primo luogo è simbolo del regno. Cosi, in l Re I l , 30-3 1 , il profeta Achia, per indicare la divisione del regno alla morte di Salomone e la sua spartizione fra due eredi, divide il suo mantello in dodici parti: due di esse rappresentano il regno di Giuda e dieci quello d'Israele. In modo simile, in l Sam 15, 27, la rottura del mantello del profeta, che Saul vuole trattenere, simboleggia che quest'ultimo rimane spogliato del regno. Gv raccoglie questo simbolismo, ma dandogli una piega particolare. D mantello di Gesù, re dei giudei ( 19, 19.2 l bis), raffigura il suo regno. I soldati prendono il mantello e lo dividono in quattro parti, di cui si appropriano. L'antico regno, quello dei giudei, passa ora a essere quello dei pagani: i pagani tolgono il re ai giudei per farlo loro re. I soldati compiono il gesto profetico, esprimendo la volontà di Dio di trasmette­ re ad altri il regno. Le quattro parti in cui dividono il mantello alludono ai quattro punti cardinali e significano la terra intera (cfr. 4, 35 nota). La salvezza viene dai giudei (4, 22), ma si estende a tutta l'umanità (4, 42). Gesù non sarà più il re dei giudei, ma il re universale; il resto d'Israele, che continua a esser fedele a questo re, dovrà integrarsi nella nuova comunità ( 1 9, 27). Al tempo stesso, l'universalità del regno non significa divisione: la tunica rimarrà intatta per indicarne l'unità. Come agenti della violenza del potere, i soldati crocifiggono Gesù; ma è questa sentenza, che essi eseguono, a permettere di dividere le sue vesti. Le comunità cristiane nel mondo intero saranno il frutto della sua morte. Un altro simbolismo che si attribuisce al mantello nell'A T è quello della trasmissione dello Spirito profetico. Così, in l Re 19,20, Elia indica a Eliseo la sua vocazione profetica gettandogli addosso il suo mantello. Quando viene portato in cielo, Elia gli trasmette il suo Spirito !ascian­ dogli in eredità il mantello; portare il mantello di Elia sarà il segno che Eliseo è rivestito dello stesso Spirito e che continua la sua stessa missione (2 Re 2, 1-4) . L'evangelista utilizza il tema del vestito-eredità, ma lo modifica, sdop­ piandolo in mantello e tunica; entrambi sono simboli dello Spirito che Gesù comunica con la sua morte. Poiché a riceverlo non sarà un uomo solo, ma uomini sparsi nel mondo intero, bisogna esprimere che l'eredi­ tà di Gesù è per tutti i popoli (mantello diviso), e al tempo stesso indicare l'unità dello Spirito che ricevono (la tunica indivisa). Il mantello di Gesù è il suo vestito esterno. Tutti i suoi dovranno 762

19, 23-24. Spartizione delle vesti di Gesù

portare questo vestito, che li renderà simili a lui; da e.sso saranno riconosciuti come discepoli suoi. I l vestito uguale per tutti si trasforma in uniforme, distintivo. Questo simbolismo si collega con 13, 35: da questo tutti co1wsceranno che siete discepoli miei: dal fatto che avete amore fra voi. Questo amore è la risposta all'impulso dello Spirito. Le comunità cristiane saranno riconosciute perché avranno la veste di un crocifisso, cioè perché continueranno, col suo stesso Spirito, la missione e dedizione di colui che diede la sua vita per amore dell'uomo, per mano dei poteri di questo mondo. Nella lavanda dei piedi il mantello simboleggiava la vita che Gesù consegna volontariamente (13, 4 Lett.) e recupera ( 10, 17 Lett.). In que­ sto modo si esprime anche il dinamismo dello Spirito che anima i suoi discepoli nel mondo intero. I diversi simbolismi del mantello si completano fra loro: il regno di Dio si estende all'umanità intera (cfr. 3, 16) e si realizza con la comuni­ cazione del suo Spirito attraverso Gesù; i cittadini di questo regno si riconosceranno per l'attività del loro amore. Nella pluralità delle comu­ nità saranno riconoscibili le parti di uno stesso mantello. Sarà quindi il modo di comportarsi ·in mezzo al mondo a dare la loro identità ai gruppi che vi sono sparsi. Il discepolo che non porti questa veste, che cioè non si comporti come Gesù, sarà nudo, come lo sarà Pietro in 2 1 , 7. 23b in più vi era la tunica. La tunica non aveva cucitllre, era tessuta tutta intera dall'alto. Di questo indumento, interno, viene offerta una descrizione dettagliata. Contrasta con l'indumento esterno, il mantello. Questo si può dividere, la tunica no. Si oppone così la pluralità esterna (mantello diviso) all'unità interiore (tunica). L'unità non ha frattura (cucitura), e inoltre essendo tessuta di un sol pezzo, è indivisibile. Gv concepisce la comunità cristiana come una partecipazione dello Spirito e dell'amore di Gesù, che forma gruppi che si estendono per il mondo intero; si riconoscono per l'identità del loro servizio all'uomo e ' godono interiormente dell'unità indivisibile dello Spirito; questo realiz· za la presenza di Gesù e del Padre e comunica loro il dinamismo d'amore che li distingue. L'unità della tunica è fortemente sottolineata: tutta intera. La frase tessuta dall'alto denota il principio dinamico che struttura la comunità; è la forza vitale dello Spirito, che raggiunge tutto il corpo (c fr. nota) . 24 Si dissero gli uni gli altri: • Non strappiamo/a, sorreggiamo/a e vediamo a chi tocca "· Si compì in tal modo quel passo: • si spartirono il mio mantello e tirarono a sorte le mie vesti >>. Furono i soldati a fare questo. I soldati rinunciano a dividere la tunica, in questo sono tutti concordi; ogni divisione le toglierebbe la sua bellezza e il suo valore. Attentare al l'unità è distruggere l'opera di Gesù (cfr. nota). Gv vede compiuto nell 'azione dei soldati il detto del Salmo 22, 19 (21 , 19 LXX, citato 763

L'ora finale. La Pasqua del Messia

letteralmente). La Scrittura rendeva testil110nianza di Gesù in quanto inviato da Dio e datore di vita (5, 39-40). Gv vede pertanto in questa scena un compimento della missione di Gesù, l'estensione della sua opera al mondo intero. Nel salmo la spartizione delle vesti ha un significato ostile; tuttavia, realizzando quest'atto, i soldati compiono il gesto profetico che annun· eia il piano di Dio. Come avevano rivelato la vera grandezza di Gesù spogliandolo della grandezza mondana ( 1 9 , 1·3), così ora ciò che sembra una spoliazione è in realtà un'espansione universale. L'importanza e il profondo significato dell'azione vengono sottolineati dalla frase finale: furolw i solda ti a fare questo.

SINTESI L'universalità espressa nella pericope precedente dalla pluralità di !in· gue in cui era redatto il cartello della croce viene ora espressa nella spartizione del mantello di Gesù. La verità del Messia sarà portata nel mondo intero; come il vestito, deve essere fatta propria, per trasfor· marsi nel distintivo delle comunità sparse sulla terra. Malgrado la pluralità di razze e culture, permane un elemento indivisibile, la unità che realizza lo Spirito, che ha la sua origine « in alto "· Il mondo riconoscerà i discepoli come eredi del « crocifisso », che si distinguono come lui per la pratica del servizio dell'uomo fino al dono della vita.

764

Gv 1 9, 25-27: La madre e Il discepolo:

.

"'·- ·

Israele integrato nella nuova comunità

25

Stavano in pi edi presso la croce di Gesù sua madre e la sorella madre, Maria quella di Cleofa e Maria la Maddalena.

sua

,. Gesù allora, vedendo la madre e, al suo Iato, il voleva bene, disse alla madre : - Donna, ecco tuo figlio. 21 Poi d i sse al discepolo: - Ecco t ua ma dr e. E da que ll 'ora il discepolo la accolse a casa sua.

discepolo cui

di

egl i

NOTE FILOLOG ICHE 19. 25 Stawmo in piedi, gr. heistékeisan. Cfr. l , 26 nota. - sua madre, ecc. Nel testo vi sono quattro designazioni di personaggi fem­ minili: sua madre e la sorella di sua madre, Maria di C leofa e Maria la Maddalena. Si pone la questione del numero di donne che l'evangelista vuole indicare. La possibilità di quattro donne è scartata per la mancanza della particella kai fra la seconda e la terza denominazione (cfr. 21 , 2). Si può quindi trattare di tre donne: la madre, sua sorella, chiamata Maria di Cleofa, e una terza, Maria la Maddalena; oppure di due donne, la madre e sua sorella, che si chiamavano rispettivamente Maria di Cleofa e Maria la Maddalena. Per risolvere il problema bisogna tener presente che, dato l'orientamento teologico della sua opera, quando Gv nomina un personaggio è perché gli attribuisce qualche ruolo significativo. Così Giovanni Battista, Andrea, Simon Pietro, Filippo, Natanaele, Nicodemo, Giuda Iscariota, Lazzaro, Ma­ ria, Marta, Tommaso. Perfino l'altro Giuda, sebbene menzionato soltanto una volta, intervenne nella Cena con un 'obiezione ben definita (14, 22). l figli di Zebedeo, d'altra parte, che si integrano nel gruppo dei sette (21, 2) , parteci· pano all'episodio della pesca. Dei personaggi presenti in questa scena, la madre di Gesù è intervenuta a Cana (2, 1 .3.5) e ha accompagnato Gesù a Cafarnao (2, 12); è stata men· zionata inoltre i n 6, 42. Maria la Maddalena, che appare per la prima volta, riapparirà presso il sepolcro, facendo da collegamento, insieme al discepolo cui Gesù voleva bene, fra la scena della croce e la risurrezione. Se si accettasse l 'ipotesi delle tre donne, si avrebbe un personaggio, Maria quella di Cleofa, sorella della madre di Gesù, che apparirebbe soltanto in questa scena senza rivestire alcun ruolo qui né nel resto della narrazione. Ciò sarebbe contrario all'accurata composizione di questo vangelo. Si opta quindi per la menzione di due donne, indicate prima dal vincolo di parentela (madre, sua sorella) e poi identificate coi loro nomi. Tale opzione verrà confermata dal chiaro significato delle donne nella scena. Cleofa sarebbe il nome del padre di Maria. Si noti che non è valida l'obiezione che due sorelle abbiano lo stesso nome, poiché la madre di Gesù è unanime· mente chiamata Maria negli altri vangeli; sua sorella avrebbe in ogni caso lo stesso nome, sia che si trattasse di Maria di Cleofa, nell'ipotesi delle tre donne, o di Maria la Maddalena, nell'ipotesi di due. Inoltre, si può dire che in questo vangelo il nome " Maria , è proprio delle donne che rappre­ sentano una figura di sposa fedel e: la madre di Gesù. quella dell'antica al·

765

L'ora finale. La Pasqua del Messia

(2, 1-5); Maria di Betania (12, 3) anticipa la figura di Maria la Mad­ dalena; Maria la Mad dalena è la sp '?sa fedele della nuova alleanza (29, 1 . 1 1-18).

Ieanza

26 allora, gr. ow1. La particella è consecutiva: cosicché, allora; si riferisce pertanto a quanto la precede: le persone che Gesù vede si identificano con quelle prima menzionate come presenti.

26-27 disse. Gr. pres. st. ecco, gr. ide.

-

27 a casa sua, gr. eis ta idia. Cfr. l, I l nota.

CONTEN UTO E DIVISIONE Dopo aver affermato l'universalità della comunità messianica, G v presenta l'integrazione in essa dell'Israele fedele alle promesse, personificato dalla madre di Gesù. Si forma così la nuova comunità, che non fa distinzione di razza. Nella pericope si possono indicare due unità:

19, 25: I presenti. 19, 26-27: L'integrazione d'Israele.

LETIURA I presenti 19, 25 Stavano in piedi presso la croce di Gesù sua madre e la sorella di sua madre, Maria quella di Cleofa e Maria la Maddalena. La presenza di due donne presso la croce d i Gesù (cfr. nota) contrasta con il versetto successivo, in cui saranno presenti la madre e il discepolo che Gesù amava. Questa presenza s i gn ifi ca fedeltà. La madre, che rappresenta, come a Cana (2, 1 .3.5; cfr. 2 , 12), l'Israele che attende il compimento delle promesse, mostra la propria fedeltà appunto accompagnando · Gesù nella sua morte. Essa riconobbe il Messia e, dicendo ai servitori di fare tutto ciò che egli avesse loro ordinato, mostrò di accettare fin dal p r in ci pio tutto il programma di Gesù, che l'ha portato a esser condan­ nato a morte. In questo momento in cui lei sola, in mezzo al rifiuto del mondo (12, 34-40), accetta un Messia che ha invalidato la concezione del re terreno, sarà accolta dalla comunità messianica. La sua designazione, • quella di C leofa », può essere il suo patronimico. La seconda donna è Maria la Maddalena. L'aggettivo significa • nativa di Magdala », presso Tiberiade, sul lago di Galilea 1 • Maria la Maddalena t

S. - B. I, 1047.

766

19, 2!1-27. La madre e Il

cll8cepolo

apparirà nella scena della risurrezione, dove rappresenterà la nuova comunità come sposa del Messia (20, l . l l s) . Ciascuna delle due donne rappresenta l a comunità d i un'alleanza: la madre, quella dell'alleanza antica, il resto d'Israele, la sposa fedele di Dio (2, 4: donna); Maria la Maddalena, la comunità della nuova allean· za, la sposa del Messia (20, 1 3 . 1 5 : donna). Il resto d'Israele è ammesso nell'alleanza nuova (cfr. Diz. Teol., « Donna »). Il ruolo della madre, l'antica comunità, finisce presso la croce; quello di Maria la Maddalena comincia da essa (cfr. 20, 1 . 1 1-18). L'identità di nome indica anche il comune ruolo di sposa (cfr. nota). Maria di Betania anticipava la figura della nuova sposa, proprio nella morte e risurrezione di Lazzaro ( I l , 1-2; 12, 3), che preannunciavano quelle di Gesù. Con questo gioco di personaggi, Gv afferma che la nuova comunità (Maria la Maddalena) è sorella di quella antica (la madre di Gesù). Esiste quindi una relazione di parentela, di fraternità, fra il popolo antico e fedele e la nuova comunità, che è la sposa di Gesù. Vale a dire: Israele, che ha cessato di essere un popolo privilegiato (18, 33 Lett.), è parte della comunità umana che il Messia forma, e vi entra su un piano di uguaglianza.

L'integ razione di Israele 26-27 Gesil allora, vedendo la madre e, al suo lato, il discepolo cui egli voleva bene, disse alla madre: « Donna, ecco tuo figlio ». Poi disse al discepolo: « Ecco tua madre » . E da quell'ora il discepolo la accolse a casa sua.

Cambia il gioco dei personaggi. La nuova comunità, rappresentata come sposa da Maria la Maddalena, sarà ora rappresentata dal personaggio maschile, il discepolo cui Gesù voleva bene. La sostituzione di un personaggio con un altro è indicata nel testo. In primo luogo, men­ zionando i presenti, Gv ha indicato soltanto le due donne: ora invece i presenti sono la madre e i l discepolo. La sostituzione di Maria la Maddalena con il discepolo, come rappresentanti femminile e maschile della comunità, è indicata dalla particella allora (cfr. nota) , che riferi­ sce ciò che Gesù vede nei personaggi menzionati in precedenza. La relazione di fraternità descritta precedentemente fra l'antico Israele e la comunità della nuova alleanza sta per essere presentata sotto un altro aspetto. Il discepolo rappresenta la comunità in quan to i suoi membri sono compagni e amici di Gesù. Essendo il confidente di Gesù (13, 23-25) e in quanto inseparabile da lui entrò con lui nell'atrio del sommo sacerdote, per essere testimone della sua consegna a morte (18, 15 Lett.). Per questo è presente ai piedi della croce. Egli deve essere il testimone della gloria che si manifesta ( 1 9, 35). In questa scena Gesù vede « la madre », non • sua madre », come era stata chiamata in occasione delle sue tre menzioni a Cana (2, 1.3.5), a Cafar­ nao (2, 12) e nel versetto precedente (19, 25 bis) . Colei che era « ma­ dre », cioè origine di Gesù, passa a essere origine della comunità nuova. � in primo luogo dall'Israele che crede nelle promesse di Dio ed è fedele 767

L'ora llnale. La Pasqua del Messia

a esse che nasce il Messia (4, 22) e, di conseguenza, la comunitlli messianica. L'incarico dato da Gesù alla madre e al discepolo è in termini di riconoscimento vicendevole: ecco tuo figlio; ecco tua madre. L'antica comunità giudaica (la madre) deve riconoscere come sua discendenza la comunità nuova, quelli di quanti hanno rotto con l'istituzione giudaica (l, 35 Lett.), accettano l'amore di Gesù (il discepolo cui Gesù voleva bene) e comprendono la novità del Messia. La comunità nuova (il discepolo) deve da parte sua riconoscere la pro­ pria origine, essere il compimento delle promesse che Dio fece al popolo d'Israele. Il discepolo accoglie la madre nella sua casa. Essa non ha ormai dimora propria; incorporandosi nella comunità trova la sua nuova casa, una volta che Israele, rifiutando il Messia, ha cessato di essere il popolo di Dio (cfr. l, I l) 2 . La combinazione delle figure della Maddalena e del discepolo, che come si è visto rappresentano la nuova comunità sotto diversi aspetti, mo­ strano la relazione che la comunità israelita stabilisce con quella nuova. Pur essendo stata l'origine della comunità messianica (la madre), non gode di privilegi (sorella). Da quell'ora, quella della morte di Gesù, viene formato il nuovo popolo, che ha le sue origini in Israele per estendersi fino ai confini del mondo ( 1 9, 23 Lett.). Gesù chiama la madre con l'appellativo • donna •. come aveva fatto a Cana, identificandola nuovamente come la comunità dell'antica alleanza (2, 4 Lett.). L'ora che le aveva annunciato in quell'occasione (2, 4: non è ancora giunta la mia ora) è ormai giunta. Ora egli darà il vino dello Spirito e inaugurerà l'alleanza nuova che sostituirà definitivamente quella antica. Questo vino sarà offerto non più al capotavola, che l'ha rifiutato, ma a chiunque lo voglia accettare. L'amore di Gesù, che sgorgherà dal suo costato sotto forma di sangue e acqua, sarà il vino che rallegrerà le nozze nuove e definitive.

S I NTESI

L'universalità, espressa in primo luogo in termini di Scrittura univer· sale, poi come regno universale, lasciava in sospeso una questione: il posto d'Israele nei tempi messianici. L'evangelista la risolve ricono­ scendo da un lato il ruolo provvidenziale di quel popolo, dal quale ven­ ne la salvezza, e dall'altro mostrando la sua continuazione nella nuova comunità in cui tale popolo si integra. La comunità cristiana riconosce così la fedeltà di Dio att111verso la sto­ ria, fedeltà che è culminata nel Messia Gesù. 2 Mettendo in relazione la figura della madre con quella di Natanaele (1, 45-51), rapo presentante maschile del resto d' Israele, vengono qui unite sotto la croce di Gesu le due comunità rappresentate dai primi discepoli: quella di quanti erano stati i.J>. fonnati da Giovanni Battista (1. 35ss, il discepolo anonimo e Andrea) e quella di quanti erano attaccati alla tradizione israelita (1, 43ss. Filippo e Natanaele) (cfr. l, 34-42; l, 4l-51 sintesi). Sta ora per compiersi (19, 34) la visione della gloria

B.lliiunciata da Gesù (l, 51).

768

Terza seq�a

EPISODIO CENTRALE : L A MORTE DI GESÙ

Gv 19, 28-30: L'amore leale: la creazione completata e la nuova alleanza

za

Dopo ciò, cosciente che ormai tutto stava completandosi, Gesù disse: - Ho sete (così quel passo si sarebbe realizzato del tutto). zo Era collocato Il un vaso pieno di aceto. Mettendo intorno a una verga di issopo una spugna imbevuta d'aceto, gliela avvicinarono alla bocca Jo e, quando ebbe preso l'aceto, Gesù disse: - t! o rm ai completato. E, reclinando il capo, consegnò lo Spirito.

NOTE FILOLOG ICHE 19, 28 Dopo cii), gr. meta touto. Cfr. 2, 12 nota.

- cosciente, gr. eidos. Cfr. 6, 6 1 ; 13, 1 .3 ; 18, 4. - tutto, gr. panta. Cfr. l, 3: panta di 'autou egeneto, mediante essa tutto venne all'esistenza. - stava completandosi, gr. tetelestai. Questo pf. riappare in 19, 30: è: ormai completato. In entrambi i casi il suo significato deve essere in stretta

relazione: non può trattarsi di due completamenti indipendenti tra loro, è la stessa morte di Gesù a completare l'opera di lui. Di conseguenza, se in 19,·30 il pf. indica un punto finale che crea uno stato permanente, in questo v. deve indicare un processo di completamento in corso, che giungerà al culmine in 19, 30. Si noti che in questo primo caso tetelestai non è un semplice fatto affermato dal narratore, ma l'oggetto di una conoscenza: eidos hoti, caso simile a quelli di 1 3 , 1.3. In 13, l, Gesù è cosciente dell'arrivo dell'ora (hoti elthen) che, tuttavia, rimane nel prossi­ mo futuro (passare da questo mondo al Padre); in 13, 3 si riferisce a un fatto passato che continua nel presente (che il Padre aveva posto tutto nelle sue mani), ma anche allo stesso avvenimento imminente della sua andata dal Padre. Non c'è quindi inconveniente perché questo pf. tetelestai includa nella sua temporalità il futuro prossimo: stava completandosi. D'altra parte, però, questa coscienza di Gesù è in relazione con quanto precedeva, (meta touto, dopo ciò). Il pf. tetelestai si riferisce quindi da u n lato alla costituzione della nuova umanità, dall'altro alla dimos trazione fi­ nale del suo amore espressa nella sua morte e nel dono dello Spirito (19, 30 Lett.). La traduzione deve rispettare la complessa temporalità di questo pf., includendo il passato e ciò che ancora è futuro; la forma it. che la esprime meglio è quella perifrastica: stava completandosi. Entrambi i perfetti for­ mano inclusione con 13, l : eis telos égapesen, dimostrò loro il suo amore fino

all'estremo. - (cosi quel passo si sarebbe realizzato del tutto), gr. hina teleiòthe he graphe,

unica volta che Gv applica questo verbo al compimento di un testo della Scrittura. Nel vangelo, teleioò si riferisce sempre alla realizzazione dell'opera del Padre da parte di Gesù (4, 34; 5, 36; 17, 4) o nei discepoli (17, 23); per il compimento di un testo della Scrittura o della Legge si usa il verbo pléro6 ( 1 2, 38; 13, 18; 15, 25; 17, 12; 19, 24.36). Qui si tratta pertanto non solo del

769

L'ora finale. La Pasqua del Mesola

compimento, ma del fatto che porta al culmine il compimento dell'opera o azione descritta in un determinato testo della Scrittura o della Legge; essendosi già compiuto, non è ancora giunto alla sua massima realizzazione. Per determinare a quale passo Gv alluda bisogna tener presente: a) nei tre casi in cui teleio6 ha come soggetto Gesù, è sempre esplicito il complemento (to ergon/ta erga) e non viene mai messo in connessione con hè graphè, ma con " colui che lo inviò/il Padre •: b) il completamento dell'opera di Gesù viene indicato in questa pericope con il verbo tele6 (19, 28.30: tetelestai); c) la parola di Gesù: dips6 ho sete, non è da sola citazione di un testo della Scrittura; si può considerare tale solo in quanto esprime la condizione perché gli sia dato l'aceto (Sal 69 [LXX 68], 22: kai eis tén dipsan mou

epotisan me o:tos, per la mia sete mi diedero aceto) .

d) si tratta quindi di un'opera/azione dei nemici di Gesù, espressa in un testo della Legge/Scrittura, ·che raggiunge la sua piena realizzazione, (dà compimento alla sua opera) dandogli da bere l'aceto. Il testo cui si riferisce teleio6 deve quindi essere quello contenuto nello stesso salmo: mi odiarono serna ragione (Sal 69, 5), già citato da Gesù come compiuto (15, 25: hina plér6thè), ma che giunge qui al suo adempimento totale (hina telei6tlzé). Si vede ora il motivo della solenne e insolita introduzione in 15, 25 al testo del Sal 69, 5: cosi si compie il detto che sta scritto nella loro Legge. La men· zione della • loro Legge •, implicata da hina telei6thé, dà origine al simboli· smo del vaso (la Legge) che contiene l'aceto (l'odio). Non bisogna stupirsi che Gv alluda in questa maniera a un testo citato molto prima. In 17, 12 ha fatto allusione al testo citato in 13, 18 a proposito del traditore; in 20, 9 si presenterà un caso simile. La particella hina, come di costume quando introduce un compimento, è consecutiva, quindi non finale, (cfr. 12, 38; 13, 18; 15, 25; 17, 12; 18, 32; 19, 36) ; si considera cioè la connessione dei due fatti dal punto di vista oggettivo (conseguenza constatata dall'osservatore) non soggettivo (finalità voluta da chi agisce). Qui, come in 18, 32, il narratore espone il risultato che osserva: quando Gesù esprime la propria sete si produce un fatto che realizzerà del tutto ciò che in quel testo era scritto. Grammaticalmente la frase introdotta da hina dipende dal verbo principale /egei. Potrebbe quindi essere posposta a esso, al contenuto della locuzione (dips6) e perfino alla totalità dell'episodio (finale di 19, 29). Tuttavia l'autore anticipa la consecutiva, creando una tensione nel racconto. In it. la sua collocazicne davanti al verbo principale risulta troppo difficile per la lettura.

29 Era collocato Il, gr. ekeito. Cfr. 2, 6: èsan de ekei ... keimenai. - un vaso, gr. skeuos. Possibile gioco verbale con paraskeuè. - pieno ... imbevuta, gr. meston ... meston. Indica che la totalità dell'aceto è assorbita dalla spugna: imbevuta d'aceto. La stessa totalità viene. espressa in 19, 30 con l'articolo: to o:tos, l'aceto.

30 li ormai completato, gr. tetelestai. Pf. risultativo di presente (immediato passato)-futuro (in it. tale determinazione temporale del pf. greco si esprime con " ormai •. Cfr. l, 51 nota (N.d.T.).

770

19, Z8.30. La morte di Gesù

CONTENUTO La morte di Gesù è la manifestazione massima del suo amore, che è l 'amo re del Padre. In essa l'amore leale - la gloria che il Padre gli comunica splende in tutta la sua pienezza. e l'amore fino alla fine, che non cessa né si smentisce, capace di superare l'odio monale. All'odio dei suoi, che lo hanno condannato à morte e hanno eseguito la sentenza, Gesù risponde ancora con un gesto d'amore: manifestando la propria sete offre nuovamente loro la possibilità di accoglierlo, per evitare che si perdano per sempre. In risposta riceve il gesto dell'odio estremo simboleggiato dall'aceto; quanti lo respingono cosi pronunciano la loro sentenza. Gesù beve l'aceto, accettando la morte che l'odio gli infligge, per mostrare la qualità dell'amore suo e del Padre. Viene così completato il progetto creatore: con il suo amore invincibile, l'Uomo mostra la propria condizione divina. L'atto di amore senza limite lo costituisce fonte di vita liberando la potenza dello Spirito che risiedeva in lui. Lo Spirito, che trasforma l'uomo comunicandogli l'amore leale, costituisce il fondamento della nuova alleanza. In questo momento supremo convergono di nuovo le due linee maestre del vangelo: creazione completata e alleanza nuova, a opera dell'Uomo-Dio, il Messia universale.

LETIU RA 1 9 , 28 Dopo ciò, cosciente che ormai tutto stava completandosi, Gesù disse: « Ho sete » (così quel passo si sarebbe realizzato del tutto).

La scena è strettamente leg a ta a quella precedente (dopo ciò) : costitui­ ta la nuova comunità universale, tutto si va ormai completando, manca soltanto l'espressione estrema dell'amore di Gesù (cfr. nota; c fr 1 3 , 1 ) . che dà agli stessi che lo hanno respinto l'ultima opportunità di accettarlo come Messia, per vedersi liberi dalla rovina che li minaccia (8, 24). Fino all'ul timo momento G v indica che Gesù non è stato trascinato alla morte, e che questa non è qualcosa di imprevisto; egli è padrone del suo destino e continua a realizzare il disegno del Padre: cosciente che ormai tutto stava completandosi, Gesù . . L'evangelista non si spaventa davanti alla realtà di quella condanna: al contrario, avvene che Gesù stesso l'aveva predetta (8, 28; 10, 1 1 ; 18, 32) e l'accetta come punto culminante della sua opera. Era cosciente che il Padre aveva messo tutto nelle sue mani ( 13, 3). Facendo uso della sua totale libertà, dà volontariamente la vita per gli uomini ( I O, 18). Gesù esprime la prop ria necessità: ho sete. Questo detto ricorda la richiesta che rivolge alla samaritana: dammi da bere (4, 7). Chiedere acqua equivaleva a chiedere accoglienza, espressa da una prova di elementare solidarietà umana. A q uel la della donna, Gesù risponde con il dono della sua acqua viva, lo Spirito (4, 10). Come a Sicar - sempre all'ora sesta (19, 14) - Gesù è adesso stanco del suo cammino (4, 6) : esprime la stessa necessità e domanda la s t essa a cco glie nza . La scena si può para go na re a q ue l la del traditore durante la Cena. .

.

771

L'on finale. La Pasqua del Meula

Malgrado la certezza del tradimento (13, 1 1 .18.2 1 ; cfr. 6, 64), Gesù non lo escluse dal suo amore; glielo offerse anzi per l'ultima volta mettendogli nelle mani la propria vita (13, 26s Lett.). Il gesto di amicizia che lo invitava ad accettare Gesù, e con lui la vita, provocò la decisione di Giuda: esacerbando il suo odio lo respinse definitivamente e lo conse­ gnò a coloro che ne avevano decretato la morte. Sulla croce, Gesù compie un gesto simile verso quelli che l'hanno respinto e ne hanno ottenuto la condanna (19, 6.15). Dimostra loro che il suo amore non è stato vinto dall'odio; gli mette davanti la qualità dell'amore suo e del Padre che non si stanca né si smentisce, che lascia sempre aperta la possibilità di risposta, perché l'uomo non si perda. In questa atmosfera di odio senza limite, splende così in Gesù la pienezza della gloria del Padre, il suo amore senza limite, la sua lealtà verso l'uomo fino all'estremo ( l , 14). Gesù mostra che Dio non condanna l'uomo ma cerca soltanto di salvarlo comunicandogli vita (3, 16s; 6, 39s; 1 2 , 47). Offre loro ancora una volta la possibilità di scegliere a favore di essa. L'evangelista nota che il gesto di Gesù causerà il pieno adempimento di un testo della Scrittura (cfr. nota). tl quello che Gesù aveva citato durante la cena: mi odiarono senza ragione (15, 25 Lett.). Si era già compiuto nella vita di Gesù (7, 7: il mondo mi odia), ma l'odio nei confronti suoi e del Padre ( 1 5, 23s) giungerà al colmo nel momento della sua morte, con il rifiuto finale dell'amore offerto: i suoi non l'ac· colsero ( 1 , 1 1 ). 29 Era collocato li un vaso pieno di aceto. Mettendo intorno a una verga di issopo una spugna · imbevuta d'aceto, gliela avvicinarono alla bocca.

Il vaso lì collocato ricorda le giare di Cana: erano collocate Il sei giare (2, 6). L'aceto contenuto nel vaso si oppone al vino che Gesù offerse al capotavola in quelle nozze: è l'odio opposto all'amore. Nelle nozze mancava loro il vino; ora rifiutano colui che lo offre. Alla mancanza totale di amore (2, 3: non hanno vino), corrisponde la pienez. za dell'odio (un vaso pieno d'aceto). La triplice menzione dell'aceto (19, 29bis.30) mette in risalto l'importanza del simbolo. Il vaso pieno d'aceto rappresenta la loro Legge (15, 25) che dà morte a Gesù (19, 7). Sebbene proibisse loro di uccidere ( 1 8 , 3 1 ) , l'hanno trasformata in strumento di morte. La spugna assorbe tutto l'aceto contenuto nel vaso (cfr. nota) , tutto l'odio contro Gesù che la loro Legge prediceva (15, 25) . Respingendo Gesù emettono la propria sentenza (3, 18). Dinanzi all'Uomo levato in allo 12, 3 1 s) ricevono quella che avevano pronunciato contro se stessi sce­ gliendo il Cesare ( 19, 1 5 Lett.). Tuttavia Gv introduce a questo punto un dettaglio che completa il significato della scena: assicurano la spugna a una verga di issopo, la. pianta che si utilizzava per spruzzare il sangue liberatore dell'agnello pasquale: « Immolate la pasqua ( = l'agnello). Prenderete un fascio di issopo, lo intingerete nel sangue che sarà nel catino e spruzzerete l'architrave e gli stipiti ... il Signore passerà per colpire l'Egitto, vedrà il sangue sull'architrave e sugli stipiti: allora il Signore passerà oltre la 772

19, 28.30. La morte di Gesù

pbl"rll e non permetterà allo stenninatore di entrnre nella vostra casa per colpire » (Es 12, 21ss ) La spugna offre a Gesù l'odio degli omicidi (8, 44); verrà così versato i l sangue dell'Agnello d i Dio (l, 29). L'issopo raccoglierà questo sangue che libererà l 'umanità dalla morte. Ha inizio il tema della nuova Pasqua, in relazione con l'alleanza del Messia. .

30a

e, quando ebbe preso l'aceto, Gesù disse:



E

ormai completato "·

Prendere l'aceto equivale ad accettare la morte causata dall'odio; è il compimento della • sua ora • (2, 4; 13, l), nella quale l'Uomo, il Figlio, dimostra la sua gloria, il suo amore fino all 'estremo (12, 23; 13, l ; 17,1); compie così il suo esodo passando da questo mondo al Padre ( 1 3 , 1 ) . Il suo passaggio coincide con l'atto finale e supremo di amore, che lo assimila perfettamente al Padre. Le ultime parole di Gesù sono: E ormai completato. Ha dato compi­ mento all'opera di colui che lo inviò (4, 34). Egli, che aveva ricevuto la pienezza dello Spirito ( l , 32; cfr. l, 14: pienezza di amore e di lealtà), ha risposto a quella consacrazione fino a completarla (17, 19); è stato conseguente fino alla fine essendo, come il Padre, amore gratuito e ge­ neroso che dà senza attendere contraccambio e risponde all'odio con l 'amore. Gesù ha realizzato in se stesso la pienezza dell'Uomo uguale a Dio (20, 28); giunge così al culmine la realizzazione del progetto creatore ( l , l e Lett.). Ciò che • i giudei • consideravano bestemmia esprimeva il disegno del Padre: Gesù si faceva uguale a Dio (5, 18), si faceva Dio ( 10, 33; cfr. 19, 7). In questo atto di amore, che si offre fino all'ultimo momento ai suoi nemici, il Padre manifesta la gloria di suo Figlio e il Figlio manifesta quella del Padre (17, l). In questo momento la presenza di Dio splende come non mai in Gesù, che egli pone per sempre al suo fianco ( 17 , 5); essendo il Padre la fonte della vita, ogni morte viene esclusa dalla sua presenza. Per questo la morte fisica di Gesù non ne interromperà la vita. In Gesù l'opera creatrice giunge per la prima volta al termine, secondo il progetto iniziale ( 1 , le Lett.; 17, 5). È questo « l'ultimo giorno • (6, 39 Lett.), che completa la creazione e apre il mondo definitivo. L'ultimo giorno sarà anche il primo (20, 1 ) , a partire dal quale questo mondo già iniziato si andrà completando. Gesù, l'Uomo-Dio, ne sarà l'artefice. 30b

E, reclinando il capo, consegnò lo Spirito.

La frase reclirtando il capo indica che Gesù si addormenta, secondo la

metafora che egli stesso aveva usato per Lazzaro (I l , 1 1 -13). È una morte che non interrompe la vita: il simbolo è parallelo a quello della sepoltura nell'orto ( 1 9, 41 Lett.). Ciò che agli spettatori apparirà come una morte definitiva (19, 33) è in realtà un sonno. II gesto spontaneo mostra la volontarietà della morte di Gesù che non viene indicata in altro modo. Ma questo gesto è subordinato alla donazione dello Spirito: Gesù non muore senza scopo, ma per salvare l'uomo; per completare la sua opera 773

L'ora finale. La Pa�qua del Messia

doveva dimostrare il suo amore fino alla fine. Tale estremo amore spezza, per così dire, i limiti dell'umanità di Gesù e lo trasforma in datore di vita, come il Padre. Lo Spirito che egli aveva ricevuto dal cielo ( 1 , 32s), può ora donarlo e comunicarlo agli uomini: Gesù è un Fi· gli o unico, Dio ( l , 1 8; 20, 28). Lo Spirito che Gesù dona, è il fondamento della nuova alleanza; egli realizza il regno universale (19, 23 Lett.) e costituisce il nuovo popolo ( 1 9, 25-27) . Annunciato a Cana sotto la figura del vino (2, 9 Lett.), viene offerto ora all'intera umanità. Lo Spirito, che completerà la creazione dell 'uomo (3, 6 Lett.) · dandogli la capacità di amare come Gesù ( 1 3 , 34; 15, 12), formerà !"umanità nuova, il popolo della nuova alleanza. Nel dono dello Spirito, si uniscono così i due temi: quello della creazione e quello dell'alleanza-Pasqua. In contrasto con Mosè, datore della Legge, Gesù Messia comunica lo Spirito, l'amore leale ( 1 , 17). L'Uomo è stato levato in alto come segno di vita in mezzo al dominio della morte; quanti lo faranno oggetto della loro adesione riceveranno la vita definitiva (3, 14s). Questa è la grande prova dell'amore di Dio, che offre a tutti la salvezza; gli uomini dovranno optare di fronte a questa luce (3, 1 6·21 ).

SI NTESI Nella morte di Gesù culmina la realizzazione del progetto di Dio sull'uomo. L'Uomo, trasformato dallo Spirito di Dio, che ha risposto fino alla fine al suo dinamismo d'amore, è quello che è capace di donarsi volontariamente per amore degli altri, e che vince l'odio estendendo il suo amore, fino all'ultimo momento, agli stessi. nemici che gli danno la morte. l!. così che si trasforma in fonte di vita. Questa assoluta generosità, che ama fino alla fine senza esigere corri­ spondenza, è quella che rende !"uomo uguale a Dio, che è amore fedele, gratuito e generoso. Quando l'Uomo sviluppa la sua intera capacità di amare, comincia il mondo definitivo, lo stadio finale dell'umanità.

774

Sequenza finale LA

PREPA RAZIONE

DELLA

PASQUA

( 1 9, 3 1-42 )

Gv 1 9, 31-37: Il sangue e l'acqua. La visione della gloria '' I dirigenti giudei, poiché era Preparazione - perché i corpi non restassero sulla croce durante il giorno di riposo, essendo solenne il giorno di quel riposo - pregarono Pilato affinché facesse spezzare loro le gambe e li facesse togliere. l 2 Perci ò i soldati andarono e spezzarono loro le gambe, prima a uno e poi all'altro dei crocifissi con lui. 33 Ma giungendo a Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe; " comunque uno de i soldati, con una lancia, gli trafisse i l costato, e immediatamente usciro­ no sangue e acqua_ 35 Colui che Io ha visto personalmente ne lascia testimonianza - e questa testimonianza sua è vera, ed egli sa di dire la verità - affinché anche voi giungiate a credere. 36 Tali cose ii1fatti avvennero perché s i compisse quel passo: Non gli verrà rotto neppure u n osso; 3 7 e u n altro passo dice ancora: Guarderanno colui che trafissero.

NOTE FILOLO G I C H E 19, 31

era Preparazione, gr. Paraskeue. Cfr. 19, 14.42. il giorno di riposo. Cfr. 5, 9b nota. - essendo solenne il giorno di quel riposo gr. en far megate he hemera ekeinou tou sabbatou. Si tratta del riposo proprio della festa di Pasqua, non è necessario che la Pasqua coincidesse con un sabato. Cfr. 7. 37: en de te eskhate hemera té megale Us heortés. Per l'interpretazione del primo gior­ no della settimana, cfr. 20, la Lett. - affinché facesse spezzare ... facesse togliere, gr. hina kateagosin ... arthOsin.

-

Per esigenze di chiarezza si sostituisce all'impersonale greco una frase con soggetto (Pilato) (N.d.T.). - le gambe, gr. la skelé. (Cfr. 19, 32J3). Te rm ine che si applica alle gambe delle persone, indicando generalmente il muscolo (cfr. l Sam 17, 6; Prv 26, 7; Ez 16, 25), ma anche a quelle di animali, (cfr. Lv I l , 21; Am 3, 12; Ez l, 7); si mantiene in tal modo la relazione con la tipologia dell agnel lo (19, 36). '

giungendo a Gesù, gr. epi de ton Iésoun elthontes. Unica volta che Gv fa uso del verbo erkhomai con epi indicando il punto di arrivo (senza l'idea di • sopra •); cfr. M t 3, 7; 21, 19; Mc 16, 2; Le 14, 31; 19, 5.

33

Colui che lo ha visto personalmente ne lascia testimonianza, gr. lw l•eorak6s memartureken. Cfr. l , 34 nota. - giw1giate a credere gr. pisteuséte. Ao r. ingress. di stato.

35

775

L'ora finale. La Pasqua del Messia

37 an cora gr. palin. Non indica mera ripetizione, ma coinci denza nel fatto della predizione e, al tempo stesso, differenza di contenuto, cfr. 4, 54 nota. Guarderanno, gr. opsontai eis. Cfr. l, S I : opsesthe, vedrete.

-

CONTENUTO E DIVISIONE Questa pericope e l a successiva formano le due pale di un dittico, delimitato dalla duplice menzione della Pasqua e dei giudei » (19, 31.42). Ogni pericope comincia con una richiesta a Pilato, la prima da parte dei • giudei » (19, 3 1 ) ; la seconda da parte di Giuseppe d'Arimatea, discepolo clandestino (19, 38). I termini che, con la loro ripetizione, uniscono le due pericopi sono inoltre « il/i corpi • (19, 3 1 .38bis.40) e il verbo " togliere », oggetto della richiesta ( 19, 31.38). Questa pericope ha per l'evangelista un'importanza straordinaria. Dopo aver presentato la morte di Gesù come la fine della creazione dell'uomo e il fondamento della nuova alleanza (19, 28-30), presenta ora la prospettiva che apre per il futuro: da essa nascerà la nuova comunità messianica cui ap­ partiene la Pasqua definitiva. Il tema centrale è la trafittura del costato, da cui sgorgano sangue e acqua. In questo passo c'è un cumulo di simboli: il sangue raffigura la morte, espressione dell'amore fino all'estremo; l'acqua la vita (Spirito) che ne deriva: sono l'amore dimostrato e l'amore comunicato. All'interno del tema pasquale rappresentano il sangue dell'Agnello che libera dalla morte e la fonte d'acqua che purifica. t;: l'Agnello immolato (sangue) per esser dato in alimento e la Legge nuova (acqua-Spirito) che costituisce la nuova allean­ za. Si prepara così la nuova Pasqua che sostituisce definitivamente quella antica. Quest'amore (sangue) che salva dando vita definitiva (acqua-Spirito) è la suprema manifestazione della gloria, la pienezza dell'amore leale del Padre in Gesù. Egli è il segno innalzato da cui sgorga la salvezza. La solenne te­ stimonianza che l'evangelista rende di quanto ha visto, mostra l'importanza che le attribuisce: questa visione è il fondamento della fede. Gv sviluppa il tema teologico ponendolo in connessione con l'Esodo (agnello pasquale) e vede compiuta in esso, per mezzo del testo di Zaccaria, la pro­ messa fatta da Gesù a Natanaele in l , S I . L a pericope comincia inquadrando l a scena nel contesto della preparazione della Pasqua e in relazione con il riposo festivo del giorno seguente che provoca la richiesta fatta a Pilato che i corpi vengano tolti (19, 31). Segue la scena sulla croce, in cui un soldato trafigge il costato di Gesù (19, 32-34). Si conclude con la testimonianza dell'evangelista, basata sulla Legge e sui profeti (19, 35-37). •

Si divide pertanto così: 19, 3 1 : Il riposo e la petizione a Pilato. 19, 32-34: Il costato trafitto. 19, 35-37: Testimonianza dell'evangelista e della Scrittura.

176

19, 31-37. La vblooe della 11lorla : ,,., ., r

LETTU RA Il riposo e la petizione a Pilato

19, 3 1 I dirigenti giudei, poiché era Preparazione - perché i corpi non restassero sulla croce durante il giorno di riposo, essendo solenne il giorno di quel riposo - pregarono Pilato affinché facesse spezzare loro le gambe e li facesse togliere. Ricompaiono i dirigenti giudei (19, 20), quelli che sono riusciti a dare la morte a Gesù. fra i quali si trovano i sommi sacerdoti (cfr. 19, 14.15). Fin dal primo colloquio con Pilato, • i giudei » avevano presente la purezza legale richiesta dalla Pasqua che si avvicinava (18, 28). Ora continuano a essere preoccupati; si pensava che l'esecuzione capitale profanasse il sabato o la festa 1 • Non vogliono che nulla impedisca la celebrazione. Era Preparazione; essi credono di star preparando la loro Pasqua, che in realtà è stata sostituita da quella di Gesù ( I l , SSa; 1 2 , l Lett.). La menzione dei corpi esprime la solidarietà di Gesù verso quelli che sono crocifissi con lui e verso ogni uomo, così come l'aveva espressa « la carne • ( 1 , 14; 1 7 2). • II corpo », che uguaglia Gesù agli uomini, è il santuario di Dio (2, 2 1 ) . I corpi sono sulla sua stessa croce (sulla croce) : è la croce di tutti i suoi, come lo sarà il suo sepolcro (19, 41 Lett.). Non dovevano restare sulla croce il giorno di riposo, perché il giorno di festa che imponeva quel riposo era molto solenne. Bisogna distinguere qui due punti di vista, quello dei giudei e qvello di Gesù. Dal punto di vista dei giudei, è la preparazione della loro Pasqua, che non si arriverà a celebrare (cfr. 19, 42). La loro festa rimarrà priva di contenuto. Dal punto di vista di Dio e di Gesù, terminato il giorno sesto l'opera della creazione (19, 30), comincia il sabato, il riposo. · La frase essendo solenne il giorno è in parallelo con 7, 37: l'ultimo giorno, il [ più] solenne delle feste, messo in relazione con la manifestazione della gloria (7, 39 Lett.). Questo giorno sesto della morte di Gesù, nel quale l'uomo è ormai definitivamente creato, è « l'ultimo giorno •: in es­ so si completa l'opera di Dio, ma al tempo stesso la si inizia. L'ultimo giorno è al tempo stesso il primo (20, l) che apre il cammino della nuova storia. La nuova coppia nell'orto/giardino darà inizio alla nuova umani­ tà (20, l lss) . • I giudei • vanno a pregare Pilato. Gli rivolgono petizioni concrete: che spezzino le gambe ai condannati, per accelerarne la morte; e che li tolgano. Né l'una né l'altra si verificheranno con Gesù; i soldati non gli spezzeranno le gambe; nemmeno saranno loro a toglierlo dalla croce, questo sarà oggetto di altra richiesta di un discepolo (19, 38). Vogliono accelerare la morte, perché i condannati non siano vivi duran­ te la festa. La presenza di Gesù e quella dei suoi compagni crocifissi è incompatibile con essa, poiché produrrebbe un'impurità secondo la Legge. Non ritengono che li renda impuri il crimine, bensl la violazione di una prescrizione legale. ,

l S . . B. II, 822s.

777

L'ora ftnale. La Pasqua del Messia

Per loro, a Gesù possono essere spezza te le gambe. Non sanno che è l'Agnello della nuova Pasqua (19, 36).

1l costato trafitto Perciò i soldati andarono e spezzarono loro le gambe, prima a uno e poi all'altro dei crocifissi con lui. Ma giungendo a Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe. 32·33

I soldati cominciano dai compagni di Gesù. Questi erano ancora vivi; adesso, una volta che è morto lui. possono morire anche loro. Egli ha aperto il cammino verso il Padre, ed essi lo possono seguire. Nessuno può togliere la vita a Gesù, egli l'ha data di propria iniziativa (10, 17s; 19, 30). Affermando che non gli spezzarono le gambe, Gv prepara la ci tazione del testo riguardante l'agnello pasquale (19, 36). Gesù, come Lazzaro, è morto. ( 1 1 , 44; 12, l nota); per i soldati si tratta di una morte definitiva, come le altre. comunque uno dei soldati, con una lancia, gli trafisse il costato, e immediatamente uscirono sangue e acqua.

34

Come l'aceto, così la lancia rappresenta l'odio (19, 29s). L'azione del soldato non era necessaria, ma l'ostilità continua. Adesso è il pagano a esprimerla. I soldati si erano fatti beffe della regalità di Gesù e lo avevano schernito ( 1 9, 1·3). si erano distribuiti le sue vesti (19, 23-24) . Ora la punta della lancia vuole distruggerlo definitivamente. L'espres­ sione d'odio permette quella dell'amore che produce vita. Come all'ace­ to dell'odio Gesù rispose con la sua morte accettata per amore (19, 30: reclinando il capo) , il cui frutto fu la donazione dello Spirito, così ora alla ferita della lancia succede l'effusione di sangue e acqua. II fatto è di un'importanza eccezionale, come appare dalla solenne testimonianza che l'evangelista rende subito dopo. C'è da attendersi quindi una grande ricchezza di significato. Il sangue che esce dal costato di Gesù figura la sua morte, che egli accetta per salvare l'umanità (cfr. 18, 1 1 ). t! l'espressione della sua gloria, del suo amore fino all'estremo ( 1 , 14; 1 3, 1), quello del pastore che si dona per le pecore (10, 1 1 ) , dell'amico che dà la vita per i suoi amici ( 1 5 , 1 3 ) . Questa massima prova d'amore, che non si ferma davanti alla morte, è oggetto di contemplazione per la comunità di Gv ( 1 , 14 :

abbiamo contemplato la sua gloria). Così Gesù, sulla croce, è la Tenda dell'Incontro del nuovo Esodo (2, 2 1 ) . I n essa si verifica l a suprema manifestazione della gloria, secondo la richiesta di Gesù al Padre (17, l ; cfr. 7, 39; 12, 23; 13, 3 l s). Dal suo costato fluisce l'amore, che al tempo stesso è inseparabilmente suo e del Padre. L'acqua che sgorga rappresenta, a sua volta, lo Spirito, principio di vita che tutti avrebbero potuto ricevere quando egli avesse manifestato la sua gloria, secondo l'invito che Gesù rivolse nel grande giorno della festa (7, 37-39). In quell'occasione si annunciava il compimento della 778

19, 31-37. La vbloue della gloria

· " profezia di Ezechiele. In quella scena Gesti, i ri piedi - posizione che annunciava quella della croce - invitava ad avvicinarsi a lui l'ultimo giorno per bere l'acqua che doveva sgorgare dal suo intimo. Gesù sulla croce è il nuovo tempio da dove sgorgano i fiumi dello Spirito (7, 38; cfr. Ez 47, 1 . 12). l'acqua che si trasformerà nell'uomo in una sorgente che zampilla dando vita senza termine (4, 1 4) . Si può cosi compiere quanto annunciato nel prologo ( 1 , 16) : dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto un amore (l 'acqua-Spirito) che risponde al suo amore (il sangue-morte accettata). Il sangue simboleg­ gia quindi il suo amore dimostrato; l'acqua, il suo amore comunicato. L'allusione alla frase del prologo è talmente chiara che esiste probabil­ mente un gioco di parole fra l , 14: pleres; I, 1 6 : plér6ma (pieno, pienezza), e 19, 34: pleura (costato) : • dalla sua pienezza noi tutti ab­ biamo ricevuto •. « dal suo costato uscirono sangue e acqua •. Ora appare qui il segno permanente, l'Uomo levato in alto (il cui tipo era stato il serpente innalzato da Mosè nel deserto), perché chiunque ne fa l'oggetto della sua adesione abbia vita definitiva (3, 14s). Da lui scende l'acqua dello Spirito (3, 5), perché l'uomo nasca nuovamente dall'alto (3, 3) e cominci la vita propria della creazione terminata, co­ minciando a essere « spirito ,. (3, 6; cfr. 7, 39), amore e lealtà ( 1 , 17). � stato sacrificato l'Agnello della nuova Pasqua, quello che libera l'uomo dall'oppressione, togliendo così il peccato del mondo ( l , 29; 8, 2 1 .23 Lett.). Secondo i testi di Zaccaria cui si alluderà più tardi (19, 37), la fonte d'acqua che qui si apre, quella dello Spirito, sarà quella che purificherà dal peccato ( l , 33 Lett.). Questa purificazione fu promessa a Cana, combinando i simboli dell'acqua e del vino (2, 7 Lett.) e si oppone a quelle che vanamente cercavano all'interno del tempio i pellegrini che erano accorsi a Gerusalemme per la Pasqua ( 1 1 , 55b Lett.). La nuova Pasqua significa una nuova alleanza, annunciata a Cana (2, 4). l> giunta l'ora in cui Gesù dà il vino del suo amore. Cominciano le nozze definitive. Come anticamente Mosè, Gesù sta ora in piedi, pro­ mulgando la Legge (7, 37 nota). l> la legge dell'amore leale ( l , 17) che egli manifesta sulla croce, espressa nel suo comandamento (13, 34: come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri, cfr. 15, 12), e infusa con lo Spirito, che identifica con lui. I I progetto divino è stato completato in Gesù (19, 28-30); ora si prepara il suo completamento negli uomini. Lo Spirito che sgorga sarà quello che trasformerà l 'uomo dandogli la capacità d'amare e di diventare figlio di Dio ( 1 , 12). Con questi uomini nuovi si formerà la comunità messia­ nica. La descrizione della morte di Gesù come un sonno ( 1 9, 30: reclinando il capo; cfr. 1 1 , 1 1-13) e l'uso del termine pleura (costato) mettono questo passo in relazione con quello della creazione della donna in Gn 2, 2 1 s : « Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole (LXX : mian t6n pleur6n au­ tou ... ) plasmò con la costola ... una donna ». Dal costato di Gesù, l'Uomo completato (cfr. 19, 30), l'Uomo-Dio, sgorga l 'acqua dello Spirito, che completerà l'uomo di carne (9, 6 Lett.). Da questa nascita da acqua-Spirito (3, 5) si formerà la comunità di Gesù, rappresentata in figura di donna-sposa (cfr. 20, 1 3. 1 5) da Maria la Mad-

779

L 'ora ftnale. La Pasqua del Me..,la

dalena (19, 25). L1ncontro della nuova coppia primordiale avrà luogo nell'orto/giardino il primo giorno della nuova creazione (20, 16). La prima donna era carne della carne di Adamo e osso delle sue ossa (Gn 2, 23); la nuova sposa dell'Uomo è spirito dello Spirito di Gesù

( 1 , 16: dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto; 3, 6: dallo Spirito nasce spirito; cfr. 7, 39: ancora non vi era spirito, perché la gloria di Gesù non si era ancora manifestata). In quest'ultimo giorno, quello della creazione completata (19, 30 Lett.),

Gesù dà all'uomo - con lo Spirito - la vita che vince la morte: questa

è la risurrezione promessa (6, 39.40.44.45; cfr. 1 1 .25).

Testimonianza dell'evangelista e della Scrittura 35 Colui che lo lza visto perso�Ullmente ne lascia testimonianza - e questa testimonianza sua è vera, ed egli sa di dire la veritèl. - affinché anche voi giungiate a credere. La testimonianza che l'evangelista rende davanti allo spettacolo di Gesù trafitto sulla croce è la più solenne del vangelo. Questa testimonianza chiude l'arco aperto da quella di Giovanni Battista (1, 34: io di persona ho visto ciò; e lascio questa testimonianza: lui è il Figlio di Dio) sulla discesa e presenza dello Spirito in Gesù, sua unzione messianica, che lo costituisce Figlio di Dio e lo annuncia come colui che battezzerà con Spirito Santo ( l , 32-34). Giovanni Battista· descriveva con queste parole la missione di Gesù, prima che cominciasse l'attività di lui; ora l'evan­ gelista vede l'opera completata (cfr. 19, 30). Giovanni Battista preparava le manifestazioni a Israele ( 1 , 3 1 ) , l'evangelista rende la sua testimc>­ nianza perché tutti quelli che lo ascoltano giungano a credere. Come a Cana, dove la prima manifestazione della gloria fu quella che portò i suoi discepoli a dargli la loro adesione (2, 1 1) , cosi questa manifestazic>­ ne definitiva e suprema sarà il fondamento della fede dei discepoli futuri. 1! la prima volta che l'evangelista si rivolge ai suoi lettori: voi, correla­ tivo al • noi • del prologo ( l , 14.16). La testimonianza si riferisce diret­ tamente al sangue e all'acqua che escono dal costato; ma identificando sangue con morte e acqua con Spirito, si ricollega a quanto narrato io

1 9, 28-30.

36 Tali cose infatti avvennero perché gli verrà rotto neppure u�1 osso • ·

si compisse quel piJ.sso:



N011

L'evangelista vede nell'accaduto il compimento dei due testi della Scrit­ c ogni agnello dev'essere mangia· to ... non gli romperete nemmeno un osso • (cfr. Nm 9, 12) 2 • Gesù torna

tura. Il primo è tratto da Es 12, 46:

2

Si è pensato che, in luogo di Es 12, 46, l'evangelista citi il Sal 34, 20s: • Molte sono sventure del giusto, ma Io libera da tutte il Signore. Preserva tutte le sue ossa, neppure uno sarà spezzato •. Tuttavia il testo citato: ostoun 01.1 suntribl.setlll autou, è molto più \ici no a Es 12, 46: ostoun ou suntripsete (Nm 9, 12: suntripsou.sin) ap ' il tempo in cui va sorgendo il mondo definitivo. 26b i suoi discepoli stavano di nuovo dentro casa, e Tommaso co11 loro. Mentre le porte erano spranga/e, giunse Gesù rendendosi presente in mezzo e disse: « Pace a voi ». I discepoli sono • dentro », vale a dire nel luogo di Gesù, nella sfera dello Spirito, opposto al • fuori », il luogo senza Gesù e pertanto senza Dio, dove doveva essere gettato « il capo di questo ordinamento ». Il • dentro » è la terra promessa, distinta dal mondo ingiusto che la 824

20, 24-29. Tommaso

circonda; equivale a un ;aftra determ inazione locale figurata: « alt o », la sfera di Dio e dello Spirito (8, 23 : voi appartenete a ciò che sta qui in basso, io appartengo a ciò che è in alto). Tommaso si è reinserito nella comunità; può sperimentare l'amore. « I suoi discepoli » come « i discepoli » della pericope precedente, includo­ no la totalità dei suoi. Le porte chiuse non ind icano più timore. Lo Spirito ha dato ai discepoli la sicurezza e la libertà davanti « al mondo •• (20, 19: dirigenti giudei). trasformando! i in accusatori della sua ingiustizia (cfr. 16, 8-1 1 ) , le porte tracciano ora la frontiera fra la comunità e questo mondo che la circonda. Gesù si rende presente a coloro che lo amano, non si manifesta al mondo (14, 22s). Il verbo : giul!se, nel testo greco è al presente: giunge (cfr. nota) a dif­ ferenza della pericope precedente (20, 19: giunse). Questo contrasto è si­ gnificativo: nell'episodio precedente Gesù fondava la sua comunità, in­ fondendole per la prima volta lo Spirito, frutto della sua morte (19, 30b. 34 Lett.), e con esso la vita definitiva che completa la creazione dell'uomo; con Io Spirito li consacrava per la missione. Questa volta invece, il presente indica che non si tratta più di fondare la comunità, ma della presenza abituale di Gesù fra i suoi nella riunione comunitaria, con allusione all'eucarestia per la menzione del giorno della settimana (l'otta­ vo giorno) . Gesù giunge e si rende presente per la comunità intera, non solo per Tommaso. Egli si colloca al centro del gruppo (17, 24 Lett.) perché da lui promana la vita (15, 5). Gv non offre alcuna descrizione dell'incontro della comunità con Gesù. Menziona tuttavia il saluto, che nella pericope precedente apriva cia­ scuna delle due parti. Nella prima (20, 19-29) precedeva la manifestazio­ ne di Gesù e il suo riconoscimento da parte della comunità; nella seconda (20, 21-23), la missione e il dono dello Spirito. Dato che i n questa scena non si tratta ormai del primo incontro, i l saluto rimanda alla seconda parte della scena precedente. Ogni volta che Gesù si rende presente (allusione all'eucarestia), rinnova la missione dei suoi discepoli comunicando loro Io Spirito l La comunità celebra il suo incontro con Gesù. Maria, nella sua ricerca. lo considerava legato a un luogo concreto (20, 2: non sappiamo dove l'hanno messo; cfr. 20, 1 3). Egli si rende presente dove sono i suoi. Gv risponde alla domanda che gli rivolsero due di loro al principio: dove vivi? ( l , 38). Come la comunità permane in Gesù, così egli è _presente nella comunità (15, 4). ·

Fede di Tammaro. Vero fondamento della fede 27 Poi dice a Tommaso: « Metti qui il tuo dito, guarda le mie mani; stendi la tua mano e metti/a nel mio costato, e non essere incredulo ma fedele ».

L'indicazione di posteriorità (poi) divide l'apparizione di Gesù alla ' Come in l , 36, Gv usa qui il procedimento letterario di ripetere un incipit per rimandare a un'intera scena già narrata.

825

Il primo giorno. La nuova creazione

dal caso di Tommaso. Gesù viene per tutti ed è in questa riunione, e non indipendentemente dal gruppo, che Tommaso si incon· trerà con lui e troverà la soluzion e al suo problema. Egli aveva manifestato la propria incredulità davanti agli altri discepoli; Gesù prende l'iniziativa e Io invita a toccarlo, come aveva preteso: accetta la sua sfida e lo esorta a credere. Gesù mostra nuovamente il suo amore per i suoi. Così come aveva preso l'iniziativa quando lo abbandonarono (6, 1 9-2 1 ) , la prende anche ora per impedire che si perda Tommaso (17, 12), che gli aveva dato la sua sincera adesione, mostrandosi disposto a morire con lui ( I l , 16). Ogni volta che Gesù si fa presente fra i suoi porta in sé il ricordo della sua morte per i suoi amici (15, 13). Il suo amore fino all'estremo, simboleggiato dai segni dei chiodi e della lancia, è connaturale alla sua presenza e ne è inseparabile. Il segno del costato significa inoltre il dono incessante dello Spirito. Gv insiste fortemente sull'aspetto fisico della prova che Tommaso richiede e che Gesù è disposto a concedergli. Sottolinea con questo la continuità fra il passato e il presente di Gesù, espressa per mezzo della sua realtà umana. Tuttavia il corpo di Gesù ha una qualifica: è quello che è passato attraverso la morte e che rimarrà sempre tale, nel suo stato defini tivo (Diz. Teol., « Corpo •, • Risurrezione »). Indica pertanto in primo luogo che la risurrezione non Io spoglia della condizione umana precedente, né significa il passaggio a una condizione di essere superiore a quella umana, ma è la condizione umana portata al suo culmine, che assume tutta la sua storia precedente. Questa non è stata semplicemente una tappa preliminare; ha realizzato lo stato ' presente di Gesù. Si nota di nuovo, in questa scena, il tema eucaristico. Toccare le mani e il costato di Gesù significa una comunione con la sua carne e la sua morte, ricevendo per suo mezzo la sua stessa vita. La comunità riunita contempla la sua gloria (17, 24), Io splendore del suo amore. comunità

28

Tommaso reagì dicendo: « Signore mio e Dio mio

•.

La risposta di Tommaso è estrema quanto la sua incredulità. • Signo­ re , e " Maestro • erano gli appellativi che i discepoli usavano per rivolgersi a Gesù (13, 13) o per designarlo (20, 2 . 1 3 . 1 8.20.25). • Il Signo­ re • è quello che lavò i piedi ai suoi discepoli (13, 14). annunciando la sua morte per loro, espressione del suo massimo servizio (15, 13). Chiamandolo « mio Signore » Tommaso riconosce l'amore di Gesù e lo accetta, esprimendo allo stesso tempo la sua totale adesione. Il posses­ sivo • mio •. parallelo a quello usato da Maria la Maddalena (20, 1 3 : si sono presi il mio Signore), indica la sua vicinanza a lui. L'appellativo " signore » può essere avvicinato a quello di u re •· L'insi· stenza nel designarlo come • il Signore • dopo la risurrezione 2 indica che questo titolo viene attribuito a Gesù soprattutto a partire dalla sua 2 Nei primi 1 9 capitoli si trova il titolo • Signore • sulla bocca dei discepoli 16 volle. sempre in discorso diretto (6, 68; I l , 3.12.21.2732.3439; 13, 6.9.25.36.37; 14, 5.8.22). Nri capitoli 20.21 appare 14 volle, di cui 7 in discorso diretto (20, 15.28; 21, 15.16.17.20.21) e 7 in discorso indiretto (20, 2.13.18.25; 2 1 , 7bis.l2) e una volta usato dal narratore (20, 20) .

826

20, 24-29. Tommaso

morte, quando egli ha dimostrato nella croce la qualità della sua regalità. • Il Signore • è quello che si è posto al servizio dei suoi nella morte (13, 5.14 Lett.); così indicano i segni che ostenta. e questo il modo in cui Gesù • si è fatto re • (19, 12), portando al limite estremo l'espressione del suo amore. In lui è giunta cosi al culmine la condizio· ne umana (19, 30), e resta aperto il cammino per gli altri (19, 12b.34 Lett.) . L'espressione di Tommaso: Signore mio è il riconoscimento della massima qualità umana realizzata in Gesù ed equivale sulla bocca del discepolo al titolo • l'Uomo • usata da Gesù stesso (cfr. Exursus, p. 874). Tommaso vede in Gesù la completa realizzazione del progetto divino sull'uomo e lo prende come modello (mio). Dopo il prologo ( 1 , 1 8 : un Figlio unico, Dio) è la prima volta che Gesù è chiamato semplicemente Dio. Fino ad ora nella narrazione era stato chiamato « il Figlio di Dio • ( 1 , 34.49; 5, 25, ecc.) o • il Figlio unico di Dio • (3, 16. 1 8, ecc.) • I giudei » tuttavia lo avevano accusato di farsi uguale a Dio (5, 18) o di farsi Dio (10, 33). Quando giunge a dare la sua vita rispondendo all'odio con l'amore (19, 30a Lett.), Gesù ha condotto a termine l'opera di colui che l'ha inviato (4, 34; cfr. 17, 19) : realizzare nell'Uomo l'amore totale e gratuito proprio del Padre (17, le Lett.). La designazione • il Figlio di Dio •, che apparve al principio sulla bocca di Giovanni Battista (1, 34), annunciava pertanto la condizione divina af· fermata nel prologo ( 1 , 18). Si è compiuto il progetto creatore: • un Dio era il progetto " ( 1 , 1 c Lett.). Le parole di Tommaso: Dio mio, sono in relazione con quelle di Gesù a Maria: Salgo da mio Padre: vostro Padre, mio Dio e vostro Dio (20, 17). Chi ha come unico Dio il Padre, chiama Gesù « Dio mio • . Questi è il Dio generato, perché riceve la vita del Padre, la totalità del suo Spirito, che ha fatto culminare la sua condizione umana nella condizione divina. Il Padre, unico vero Dio (17, 3), il Dio di Gesù (20, 17), è in lui (14, 10) ed è uno con lui ( 1 0, 30) . Gesù è in sua presenza (12, 45; 14, 9). Tommaso, nel suo contatto con Gesù, sperimenta ciò che egli aveva annunciato ai discepoli: quel giorno sperimenterete che io sono in mio Padre, voi in me e io in voi (14, 20). Tommaso è giunto a scoprire l 'identificazione di Gesù con il Padre (Dio mio) e l'identificazione con loro (Signore mio). In Gesù si realizza il contatto con il Padre (14, 9: chi vede me presente, vede presente il Padre; cfr. l, 51 Lett.). • l giudei " non conoscevano cosa significa l'amore di Dio per l'uomo e nell'uomo. Il Padre, fonte della vita e della divinità, comunicando all'uomo il suo amore (= il suo Spirito, la sua vita), gli dà la possibilità di diventare figlio di Dio ( 1 , 12). In Gesù, la comunicazione totale dello Spirito ( 1 , 32s) e la sua risposta a lui (17, 19) lo portarono a una condizione divina, fecero di lui la Parola/Progetto divenuta uomo ( 1 . 14). Ma l'amore del Padre, per mezzo di Gesù, vuole realizzare il suo progetto in tutti gli uomini, comunicando loro il suo Spirito. Tommaso lo confessa. Il suo Dio è l'Uomo-Dio, nel quale si manifesta il Padre, unico Dio vero (17, 3). Solo in Gesù si può conoscere ciò che è Dio, perché solo nell'Uomo-Dio splende nella sua totalità l'amore di Dio per l'uomo. Il Figlio unico è così la spiegazione della divinità ( l , 1 8). Dio è vicino, accessibile nell'Uomo; egli è il cammino e la meta per ogni uomo, la speranza dell'umanità. Questa adesione, vicinanza e 827

n

primo !lfomo. La nuova creazione

intimità sono quelle che Tommaso esprime con le sue parole: Signore mio e Dio mio Il progetto di Dio realizzato in Gesù scopre all'uomo tutto l"orizzonte delle sue possibilità. Reso capace di ciò dallo Spirito, che porta a compimento l'opera creatrice, l'uomo può trascendere se stesso attra­ verso la dedizione fino al dono totale. .

29 Gli disse Gesù: « Hai dovuto vedermi di persona per arrivare credere? Beati coloro che, senza aver visto, giungono a credere ''·

a

Tommaso fa la stessa esperienza che avevano fatto gli altri discepoli: vedere di persona Gesù (20, 25). Pertanto il rimprovero di Gesù si riferisce al rifiuto d i Tommaso di credere alla testimonianza della comunità, esigendo un'esperienza personale, separata dal gruppo. Tommaso cercava un contatto con Gesù simile a quello che aveva prima della morte di lui; ma l'adesione non si dà al Gesù del passato, ma al Gesù del presente. Lo stesso Gesù di prima si manifesta vivo nella comunità per mezzo della sua azione in essa e in ciascuno dei suoi membri. Tommaso non ottiene ciò che voleva. Gesù si rivela a Tommaso all'in­ terno della comunità (dent ro). dopo che egli ha partecipato all'esperien· za di tutti (20, 26). Fuori del gruppo di coloro che lo amano c'è « il mondo , cui Gesù non si manifesta (14, 22s). L'esperienza di Tommaso non è un modello; Gesù gliela concede per evitare che si perda uno di coloro che il Padre gli ha affidato ( 17, 1 2 ; 18, 9) . Tommaso ha invertito i termini: senza ascoltare gli altri discepo· li, né percepire la nuova realtà creatrice per mezzo dello Spirito, vuole incontrarsi con Gesù; ma Gesù non lo si incontra che nella nuova realtà di amore esistente nella comunità ( 1 , 17). L'esperienza dell'amore di Gesù durante la sua vita aveva fondato la fede incipiente dei discepoli (2, 1 1 ; cfr. 16, 3 1 ) ; la presenza dell'amore nella comunità, la gloria che egli le comunica ( 1 7, 22) , frutto della sua morte-esaltazione ( 1 9, 30: lo Spirito), dimostra che Gesù è vivo e presente in essa, che ha vinto la morte. L'esperienza di questo amore (senza aver visto) è quella che porta alla fede in Gesù vivo (gitmgono a credere); accettandolo come norma di vita, il discepolo avrà l'esperienza/visione personale di Gesù (14, 2 1 ) . La beatitudine beati coloro che, senza aver visto, giungono a credere è in stretta relazione con quella pronunciata durante la Cena: beati voi se fate questo (13, 17). Ciò che i discepoli devono compiere sono le opere del servizio vicendevole che esprime l'amore e rende liberi (13, 14s). Questo amore rende Gesù presente, vivo e attivo nel gruppo. Gv torna a enunciare qui il principio ripetuto nel vangelo: che la accettazione e la pratica dell'amore sono condizioni per l'esperienza di Gesù (7, 17: la volontà di realizzare il disegno di Dio porta a capire che la dottrina di Gesù viene da Dio; 8, 3 1 s : la pratica del messaggio porta alla conoscenza della verità; 1 7 , 6-8: l'accettazione delle esigenze del Padre e la pratica del suo messaggio portano a conoscere l'origine divina di Gesù e a credere che è l'inviato di Dio). Non è l'esperienza straordinaria (Tommaso) l'autentico fondamento della fede: è l'espe· 828

20, 24-29. Tommaso

rienza e la pratica dell'amore fra i fratelli la sua base solida e permanente. Ogni discepolo di qualunque epoca deve vedere il Signore, e questa visione si realizza sperimentando la vita che egli comunica: voi invece mi vedrete, perché io ho vita e anche voi l'avrete (14, 19). e la comunicazione dello Spirito a produrre questo tipo di visione. L'espe­ rienza si perpetua nella celebrazione eucaristica, in cui i discepoli assimilano Gesù e ricevono vita definitiva (6, 54). Questa esperienza produce la conoscenza : la vita è la luce dell'uomo ( 1 , 4). Il vangelo resta aperto al futuro: beati coloro che, senza aver visto, giungono a credere. Crederanno attraverso il messaggio dei discepoli (17, 20) , che continueranno a manifestare in mezzo al mondo l'amore d i Gesù.

SINTESI La fede in Gesù vivo e risuscitato consiste nel riconoscere la sua · presenza nella comunità dei credenti, che è il luogo naturale in cui egli si manifesta e da cui irradia il suo amore. Tommaso rappresenta la figura di colui che non dà retta alla testimonianza della comunità, né percepisce i segni della nuova vita che vi si manifestano. Anziché inserirsi e partecipare alla stessa esperienza, pretende di ottenere una dimostrazione privata. Inol i re non cerca Gesù fonte di vita, ma una reliquia del passato che possa percepire palpabilmente. La fede della comunità riconosce in Gesù l'Uomo-Dio; tale è la formulazione della sua esperienza. Questa tuttavia non è prerogativa dei primi testimoni; ogni generazione cristiana può partecipare a essa. Con questa nota di a­ pertura al futuro l'evangelista conclude il racconto dei fatti di Gesù .

. , .

829

Gv 20, 30·31 : Annotazione sulla vita di Gesù Certamente Gesù realizzò, in presenza dei suoi discepoli, ancora molti a lt r i s eg n i , che non sono scritti in q ue sto libro; 3 1 qu e sti riman­ gono scritti perché giungiate a cred e re che Gesù è il Messia, il Figlio di Dio e, credendo, abbiate vita u n it i a lui. lo

NOTE FILOLOG ICHE 20, 30

Certamente ... ancora, gr. men oun kai. L accu mulo d i particelle vuoi men è al tempo s tes s o correlativo '

dare particolare rilievo all'annotazione;

di de (20, 3 1 ) .

rimangono scritti, gr. gegraptai. Pf. risultativo passivo. Cfr. El Aspecto Verba/, n. 394. - giungiate a credere, gr. pisteusete. Aor., lettura meglio attestata, che indica l'atto iniziale continuat o dal part. pres. pisteuontes. - uniti a lui. Cfr. 14, 12b-14 Lett. e 14, 13 nota. 31

CONTEN UTO L'autore conclude la narrazione della vita di Gesù rivolgendosi alla comunita dei lettori. � la prima annotazione conclusiva dell'opera; caratterizza il vangelo come il libro dei segni di Gesù, culminanti nella croce, dove egli è rimasto innalzato come il segno permanente dal quale sgorga lo Spirito. L'obiettivo del libro è la fede in Gesù, che ottiene la vita. Dopo l'epilogo che segue, il libro avrà la sua annotazione conclusiva (21, 2425). dove alla testimonianza dell'evangelista si aggiungerà quel la dell a comunità s te s sa .

LETIU RA 20, 30 Certamerlte Gesù realizzò, in presenza dei suoi discepoli, ancora molti altri segni, che non sono scri tt i in questo libro.

Per l'eY-7: Gv 5, J6.37a 59, 9-10: Gv 12. 35 60, 1: Gv 8, 12a (n. 2); 9, 7b 60, 1-3: Gv l. 14c; 12, 35 60, 19-28: Gv 12, 35 61, 1: Gv 5, 36-37a 61, lss: Gv l , 32 62: Gv l , 15; 2, 1-1 1 (n. 3) 62, 4s: Gv 3, 29a (n. l) 64, 7: Gv 9, 6 65, 16: Gv 3, 33 65, 17-18: Gv 6, S!Hi (n. 2) 66, 1: Gv 4, 23a 66, 5 LXX: Gv 7, 39 ( N ) 66 . 7s: G v 16, 22 66, 8: Gv 2, 15 (N); 16, 2 1 66 , 1 4 : G v 1 6 , 22 Geremi4 l , 1.4.11.13: Gv l, l (N) 2: Gv l , 15; 2, 1-11 (n. 3 ) 2 , 2: Gv l . 14 (N); 3 , 29a (n. l ) 2, 8: Gv IO, l (n. l ) 2, 21: Gv 15. l 3, 20: Gv 3, 29a (n. l ) 5, 20-23: Gv 12, 39-40 5, 28: Gv 14, 111-19 6, 9: Gv 15, l 7, 4ss: Gv I l , 48c 7, 4-10: Gv 3, 31b 7, 5: Gv Il, 51-52 7, 6: Gv 14, 18-19 7, 7: Gv I l , 51-52 7, 21-26: Gv 2, !Sb (n. 7 ) 7 , 22: G v 2 , 16 7, 34: Gv 3, 29b IO, 21: Gv IO, l (n. l ) 12, IO: Gv IO, l (n. l ) 14, 1: G v l , l ( N ) 16, 9 : G v 3, 29b 19, 6: Gv 16, 13 ( N ) 20. I O : G v 15, 20 (N) 21. 1: Gv l, l (N) 21. 1 1·12: Gv 5, J6.37a 22, 3: Gv 14, 18-19 22, 15-16: Gv 5, 36-37a 22, !Sb-17: Gv 8, 54b-55a 22, 23: Gv 2, 15 ( N ) 23, 1-2: G v IO, l (n. ! ) 23, 5: Gv 18, 5 ( N ) 23, Sss: p. 871 24. 4: Gv l, l (N) 25, IO: Gv 3, 29b; 12, 3 25. 34-38: Gv IO, l (n. ! ) 30 (37). 3 : Gv 16, 13 ( N ) 31, 1.3: G v 2 , 3 3 1 , 8: Gv I l , 5 1·52 3 1 , 9: Gv I l , 54 3 1 , 10-12: Gv 6, Sb-6 (n. l)

Indice delle citazioni blbllcbe 31 (38>. 27: Gv 16. 13 -17: Gv 6, IOb 3, 19: Gv 21, 20 (N) 4, 4: Gv 6, IOb

5)

l, 20: Gv 4, 14 (N) l, 28: Gv 17, 2 (N)

8, 7: Gv 9, 39 (N) 9, 30: Gv l. 5 (N) IO, 10: Gv 2, Il (N) 14, 15: Gv 4, 34 . (N) 15, 19: Gv 4, 48 (N)

Indice delle dtazionl bibliche

l Corinzi l , 6: Gv 17, 2 (N) 3, 5: Gv 12, 26: (N) 5, 7: Gv 17, 2 (N) 5, 7-8: Gv l, 29b 7, 39: Gv I l , I l 9, 24: Gv l , 5 (N) IO, 4: Gv 4, 14b I l , 30: Gv I l , I l 14, 7: Gv 3, 8 15, 6: Gv I l , I l 15, 12ss: Gv 21, 1 4 (N) 15, 18: Gv I l , I l 15, 20: G v I l , I l 15, 5 1 : Gv I l , I l 16, 7: Gv 4, 37 (N)

(N) (n.

6, 21: Gv 12, 26 7, 1: Gv l, 14a

Giacomo 12)

Filippesi l , 1 : Gv 12. 26 (N) l, 7: Gv 17, 2 (N) 2, 9: Gv l, 12 (N) 3, 8: Gv 17, 3 (N) 3, 12: Gv l , 5 (N) 3, 20: Gv 4, 37 (N)

Colossesi l, 7: Gv 12, 26 (N) l. IO: Gv 4, 14 (N) 3, 9: Gv 9, 39 (N) 4, 7: Gv 12, 26 (N)

2 Corinzi t, 8: Gv 16, 21 (N) 2, 7: Gv I l , 38b (n. 3) 3, 6: Gv 12, 26 (N) 3, 15: Gv 3, 15 (N) 4, 1 : Gv 17, 2 (N) 5, 1 : Gv 2, 19 (N) 5, 19: Gv 4, 41-42 6, 4: Gv 12, 26 (N) 6, 14-16: Gv 13, 8 7, 8: Gv 5, 35 (N) IO, 1: Gv 9, 39 (N) I l , 2: Gv 3, 29a (n. l) I l , 5: Gv 4, 37 (N) I l , 8: Gv 12, 26 (N) I l , 23: Gv 12, 26 (N) I l , 26: Gv 4, 6 (N) 12, 12: Gv 4, 48 (N)

l

Tessalonicesi

l, 5: Gv 17, 2 (N) 4, 13: Gv I l , I l 2 Tessalonicesi

2, 9: Gv 4, 48 (N) l Timoteo 5, 1 : Gv 21, 18

(N)

2, 8: Gv 20, 5 (N) 4, 15: Gv l, 16 (N)

l Pietro l, 1: Gv 7, 35 (N) l, 18: Gv 1, 29b 1, 29: Gv 17, 20 (N) 3, 9: Gv l. 16 (N)

l Giovanni l, 7: Gv l, 29c l, 29: Gv 13, 31-32 2, 1: Gv 13, 33 (N) 2 , 2 : Gv 1 , 29c 2, 5: Gv l. 14 (N) 2, 24: Gv 13, 31-32 4, 6: Gv 6, 66 (N) 4, 8: Gv l, 14 (N) 4, I l : Gv l, 16 (N) 4, 14: Gv 4, 4 1-42 5, IO: Gv 13, 31-32 12, 28: Gv 13, 33 (N) 20, IO: Gv 13, 31-32 2 Giovanni 8: Gv l, 13 (N)

Giuda 2 Timoteo

8: Gv 20, 5

2, 9: Gv 20, 5 (N) Apocalisse

Calali

Tito 2 , 6: Gv 21 , 18

l , 7: Gv 5, 7 2, 5: Gv 5, 35 (N) 2, 17: Gv 12, 26 (N) 2, 18: Gv 2, 19 (N) 5, IO: Gv 5, 7

Efesini t, 2: Gv l . 12 (N) l, 4: Gv 17, 2 (N); 17, 24 (N) 2 , 2: p. 874 3, 7: Gv 12, 26 (N) 5, 25·27: Gv 3, 29a (n. l) 5, 31-32: Gv 3, 29a (n. l)

(N)

Filemone 15: Gv 5, 35 (N)

Ebrei 2, 4: Gv 4, 48 (N) 4, 3: Gv 17, 24 (N) 8, I l : Gv 21, 25 (N) 9, 24: Gv 14, 21 (N) 9, 26: Gv 17, 24 (N) I l , 14: Gv 14, 2 1 (N) 12, 16: Gv l, 16 (N)

6, 1 : Gv 3, 8 (N) 8 , 5: Gv 2,7 (N) 8, 13: Gv 3, 8 (N) IO, 1: Gv 11, 14 (N) I l , 18: Gv 21, 15 (N) 13, 8: Gv 17, 24 (N) 13, 16: Gv 21. 15 (N) 14, 1 : Gv 3, 15 (N) 15, 8: Gv 2, 7 (N) 17, 8: Gv 17, 24 (N) 19, 5: Gv 2 1 , 15 (N) 19, 7: Gv 2 , 4a 19, 18: Gv 21, 15 (N) 20, 12: Gv 21. 15 (N) 2 1 . 2: Gv 3, 29a (n. l) 21, 9: Gv 2, 4a 22, 17: Gv 3, 29a (n. l)

891

INDICE GRAMMATICALE E LESSICALE

In questo indice veneono indicati i fenomeni grammaticali e i dati lessicali di par­ ticolare interesse registrati nelle note filologiche ; a essi rimandano le citazioni. Per i termini greci si segue l'ordine aUabetico della trascrizione. Un'informazione più approfondita sulle parole-chiave del Vangelo di Giovanni si trova nel Diziono.rio Teologico del Vangelo d i Giovanni degli stessi autori, Citta­ della Editrice, Assisi 1982, cui fanno riferimento le voci tra virgolette.

ace. temporale che non denota durata: l. 39; 4, 52 ade/phos: 2, 1 2 ; I l , l adikia: « Peccato u agapao: 21, 1 5 : • Amore • agapé: a: Amore • ago + ace. di persona: l , 42 airo: l. 29 aitia: 18, 38 b akanthai: 19, 2 akoloutheo: • Discepolo • akou6 : 5, 30: 6, 60 alétheia: l , 14 ; • Verità •; porem tbt alétheian: 3, 1 5 ; cfr. pneurna a/éthés: 5, 31-32; • Verità • aléthinos: 4, 23 ; 7, 28 ; 8, 16; 15, 1 ; • Ve­

rità

alla:

p

esortativo:

Il. 15;

intensivo:

16,

2 ; avversativo: 16, 6; opposizione re­

strittiva: l . 8

anab/ep6: 9, I l anagge/16; 4, 25 ; 16, 1 3 anapipt6; 6 , !Oa anastasis eis: 5, 28-29 ; • Risurrezione • anér: " Uomo • anistémi: • Risurrezione • 3. 3 ; 9, I l ; 19, 23; • Cielo • anotlten: anrhrakia: 18, 1 8 ; 2 1 , 19 anlhr6pos; 4, 28 ; • Uomo • anli: l , 16 aoristo: complessivo: l, IO; 4, 20; 13, 1: di effetto: 3, 17 ; 12, 40 ; 16, l ; gnO. mico 3, 33: incoativo/ingressivo: l, 7.14.39 ; 4, 53 : 6, 1 1 ; 7, 25 ; 8, 24.56 ; IO, 38.40 ; 1 1 , 35.40.42 ; 13, 37 ; 16, 1 9 ; 17, 14 ; 19, 35 ; 20, 20.29 ; manifestativo: 3, 1 6 ; 7, 39 ; Il, 4 ; 12, 23 ; 13, 1 ; 15, 9 ;

892

puntuale di eiTetto:

3, 12 : 6, 2211 ; 20, 19; 21, 15 aphiérni: 14, 27 ; 20 , 23 apo + pro n. riflessivo: 18, 34 ; aplt'heautou: 5, 19 ; 7, 18 ; 1 1 . 5 1 ; 15. 4 : 16, 13 apokrinornai: l. 25: 5, 1 9 ; 7, 20; 8, 33 apollumai: • Morte • apothnéskO: .. Morte • arké: l. l ; rén arkhén: 8, 25 archon 16n ludai6n; 3, l ; arkhon lou kosmou (lourou): • Nemico • • Mon­

do



arnion:

21, 15

articolo: anaforico: l. 5.12; 9, I l ; concretizza qualcosa di possibile: 5, 30 asrhene6: Morte • •

asthenon: 1 1 . l aulé: IO, l ; • Tempio • auros: in oppos1z1one 41-42 ; in sostituzione s. 41-42 baion: 12, 13 ballo exo: IS, 6 bapt6: 13, 26 Barabba: 18. 40 basi/eia: 18, 36 ; • basilikos: 4, 46b ; Bézarha: S, 2 bosko: 21 . IS brakhion: 12. 38

a

di

Messia Messia

ego/su: S. healll6n:







daimonion ekhein: 1, 20 de: specificativo: 21, 1 ; parentetico: 6, 2.4.10.17b ; 1 1 . 2.1310; 19, 14: intro­ ducente una precisazione: 6, 39 deiknumi: 5 , 19-20

Indice 1J1'81D1113tlcale e Iesslcale dia + ace.: 6, 57 ; dia ti: 8, 43 ; 1ll7; dia touto enfatico (con kai) : 5, 16 diabolos: 6, 70; 8, 44; • Nemico • diakonefJ: !2, 26 diazònnumi: 2!, 7

discorso coordinato modale: 4, 38 ; 5, 21 : 8. 59; 14, 1.21 .23.26 ; 20, !9.26 dòdeka: • Discepolo • doxa: I , 1 4 ; 2, I I ; • Gloria • ; didònai doxan tò the6: 9, 24 doxazò: 7, 39; 13, 31·32 ea n

me: 5, 19·20 egeirò: 5. 8 ; a Risurrezione • eimi: impf. con funzione di ppf.: 6, 22 ; 20, 7 ; eimi ek: 8, 23 eis: consecutivo-causativo: 4, 1 4 ; dire­ zionale: l , 1 8 ; in luogo di en: 19,

1 3 ; denota ostilità: 9, 3 1 ; 15, 2 1 ek: appartenenza: 3, l ; ek toutou: 6, 66 ekeinos: in opposizione a egd/su: 5, 4!42 ; in sostituzione di heaut6n: 5, 4142 ekhò: 5, 36-37a ; 15, 22 ; + avv.: 4, 52 ; ekhein z6en en heautò: 5, 26-27 ; sta­ tico in luogo di dinamico: 3, 29 e/egkhò: 3, 20; 16, 8 e/eos : l, 14 embrimaomai: I l , 1 3 emphanizò: 14, 21 e11: strumentale: 8, 21 ; 17, 17 entolé: IO, 18 ; • Amore •, • Comandamento • ependutés: 21. 7 epi + dat.: 4, 6 epigeia (ta): 3, 12 epistrephò: 21 , 20 epourania: 3, 12 eraunaò: 5, 3940 ergazomai: 6, 30