Sicilia ellenistica, consuetudo italica. Alle origini dell'architettura ellenistica d'Occidente. Atti dell'Incontro di studio (Spoleto, 2004) 8884761042

Il volume raccoglie gli Atti di un Incontro di studio centrato sulla storia e la storia dell'arte siciliane in peri

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Sicilia ellenistica, consuetudo italica. Alle origini dell'architettura ellenistica d'Occidente. Atti dell'Incontro di studio (Spoleto, 2004)
 8884761042

Table of contents :
SOMMARIO
Mario Torelli, INTRODUZIONE
Lorenzo Campagna, L’ARCHITETTURA DI ETÀ ELLENISTICA IN SICILIA: PER UNA RILETTURA DEL QUADRO GENERALE
Massimo Osanna, ARCHITETTURA PUBBLICA E PRIVATA A KOSSYRA
Pierfrancesco Vecchio, PROPOSTA PRELIMINARE DI ARTICOLAZIONE IN FASI PER L’ABITATO DI KOSSYRA, ACROPOLI DI S. MARCO (SAGGI IX-X)
Thomas Schäfer, DECORAZIONE ARCHITETTONICA E STUCCHI DI COSSYRA
Ernesto De Miro, AGRIGENTO IN ETÀ ELLENISTICA. Aspetti di architettura
Gioacchino Francesco La Torre, URBANISTICA E ARCHITETTURA ELLENISTICA A TINDARI, ERACLEA MINOA E FINZIADE: NUOVI DATI E PROSPETTIVE DI RICERCA
Umberto Spigo, TINDARI. CONSIDERAZIONI SULL’IMPIANTO URBANO E NOTIZIE PRELIMINARI SULLE RECENTI CAMPAGNE DI SCAVO NEL SETTORE OCC IDENTALE
M. Cecilia Parra, NOTE DI ARCHITETTURA ELLENISTICA A SEGESTA, INTORNO ALL’AGORÀ
Rossella Giglio, Pierfrancesco Vecchio, NUOVI DATI SU LILIBEO ELLENISTICA
Francesca Spatafora, Gilberto Montali, PALERMO: NUOVI SCAVI NELL’AREA DI PIAZZA DELLA VITTORIA
Chiara Pilo, LA VILLA DI CAPO SOPRANO A GELA
Alessia Mancini, ARCHITETTURA DOMESTICA A MORGANTINA
Chiara Albanesi, ARCHITETTURA ELLENISTICA A SOLUNTO: UN CASO SINGOLARE DI TEATRO-TEMPIO?
Massimo Frasca, CENTURIPE ELLENISTICA. IL QUADRO GENERALE
Rosario P. A. Patané, CENTURIPE ELLENISTICA. NUOVI DATI DALLA CITTÀ
Enzo Lippolis, RICOSTRUZIONE E ARCHITETTURA A TARANTO DOPO ANNIBALE
Fabrizio Pesando, IL ‘SECOLO D’ORO’ DI POMPEI. ASPETTI DELL’ARCHITETTURA PUBBLICA E PRIVATA NEL II SECOLO A.C.
Vassilis Tsiolis, FREGELLAE: IL COMPLESSO TERMALE E LE ORIGINI DEGLI EDIFICI BALNEARI URBANI NEL MONDO ROMANO
Jacopo Bonetto, PERSISTENZE E INNOVAZIONI NELLE ARCHITETTURE DELLA SARDEGNA ELLENISTICA

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B I B L I OT E C A DI «SIC ILIA ANTIQVA» c ollana di retta da ernesto de miro

1.

UNIVERSITÀ DI PERUGIA UNIVERSITÀ DELLA BASILICATA scuola di specializzazione in arc heologia di matera ENTE PARC O AGRIGENTO

SICILIA ellenistica, C o N s u e t u d o i ta l i c a ALLE ORIGINI D E L L’ A RC H I T E T T U R A ELLENISTI C A D ’ O C C I D E N T E spoleto c omplesso monumentale di s. nic olò 5- 7 novembre 2004 a cura di massimo osanna e mario torelli

ROMA EDIZIONI DELL’ATENEO 2006

Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresi la copia fotostatica, il microfilm, la memorizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta delle Edizioni dell’Ateneo®, Roma, un marchio della Accademia editoriale®, Pisa · Roma. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge. * Proprietà riservata · All rights reserved © Copyright 2006 by Edizioni dell’Ateneo®, Roma, un marchio della Accademia editoriale®, Pisa · Roma www.libraweb.net Stampato in Italia · Printed in Italy isbn 88-8476-104-2

SOMMARIO Mario Torelli, Introduzione Lorenzo Campagna, L’architettura di età ellenistica in Sicilia: per una rilettura del quadro generale Massimo Osanna, Architettura pubblica e privata a Kossyra Pierfrancesco Vecchio, Proposta preliminare di articolazione in fasi per l’abitato di Kossyra, Acropoli di S. Marco (saggi ix-x) Thomas Schäfer, Decorazione architettonica e stucchi di Cossyra Ernesto De Miro, Agrigento in età ellenistica. Aspetti di architettura Gioacchino Francesco La Torre, Urbanistica e architettura ellenistica a Tindari, Eraclea Minoa e Finziade: nuovi dati e prospettive di ricerca Umberto Spigo, Tindari. Considerazioni sull’impianto urbano e notizie preliminari sulle recenti campagne di scavo nel settore occidentale M. Cecilia Parra, Note di architettura ellenistica a Segesta, intorno all’agorà Rossella Giglio, Pierfrancesco Vecchio, Nuovi dati su Lilibeo ellenistica Francesca Spatafora, Gilberto Montali, Palermo: nuovi scavi nell’area di Piazza della Vittoria Chiara Pilo, La villa di Capo Soprano a Gela Alessia Mancini, Architettura domestica a Morgantina Chiara Albanesi, Architettura ellenistica a Solunto: un caso singolare di teatro-tempio? Massimo Frasca, Centuripe ellenistica. Il quadro generale Rosario P. A. Patané, Centuripe ellenistica. Nuovi dati dalla città Enzo Lippolis, Ricostruzione e architettura a Taranto dopo Annibale Fabrizio Pesando, Il ‘secolo d’oro’ di Pompei. Aspetti dell’architettura pubblica e privata nel ii secolo a.C. Vassilis Tsiolis, Fregellae: il complesso termale e le origini degli edifici balneari urbani nel mondo romano Jacopo Bonetto, Persistenze e innovazioni nelle architetture della Sardegna ellenistica

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Mario Torelli INTRODUZIONE

Q

uando, più di due anni fa, in occasione di un incontro casuale all’Istituto Archeologico Germanico di Roma, Massimo Osanna e Thomas Schäfer hanno avuto la gentilezza di mostrarmi le foto dei loro rinvenimenti di Pantelleria e in particolare quelle con i bellissimi stucchi figurati della decorazione del tempio da loro scoperto, sono rimasto colpito dai grandi occhi, i cui bulbi oculari apparivano sporgenti e globosi, contornati da palpebre rigonfie, che caratterizzavano la testa meglio conservata. Non mi è stato affatto difficile riconoscere il modo di trattare quel particolare del volto così caratteristico : quello stilema, esclusivo dei ritratti tolemaici, costituiva un immediato richiamo figurativo di intensi rapporti intercorsi, prima e dopo la fine di Cartagine, tra Alessandria e il Nordafrica, quegli stessi che, a partire dalla sintesi sull’architettura punica di Lézine,1 l’archeologia ha registrato nel campo dell’architettura, con scoperte di grande rilievo come il naiskos di Chemtou, così ben illustrato da F. Rakob.2 Quell’ovvio accostamento mi ha riportato quasi istintivamente ad un altro contesto, pure molto vicino, l’ultimo ellenismo di Leptis Magna, dove molte architetture ancora tra la fine del i sec. a.C. e gli inizi del i sec. d.C. ripropongono formule alessandrine soprattutto nell’architettura sacra,3 e dove, oltre ai modelli architettonici, godono di eccezionale prestigio anche tradizioni di stile originate da Alessandria, come ci insegna il trattamento “tolemaico”degli occhi delle più antiche statue di culto colossali del tempio di Roma ed Augusto.4 Come abbiamo visto nel caso di Pantelleria, le soluzioni stilistiche dell’ellenismo egiziano, che ci appaiono straordinariamente vive nella città tripolitana, costituiscono un’evidente riprova della profondità e della durata dell’influenza esercitata in tutta l’area da Alessandria, un’influenza che supera i limiti stessi dell’autonomia e del prestigio della capitale tolemaica. Il Mediterraneo meridionale, dove insistono Pantelleria, Leptis (e Cartagine), ha dunque rappresentato uno dei luoghi più direttamente investiti dal prestigio dell’ellenismo di Alessandria : in quest’area, da sempre un ruolo rilevante ha avuto la Sicilia, che difficilmente è rimasta estranea agli influssi provenienti dalla capitale egiziana, non foss’altro perché la metà occidentale dell’isola, non diversamente da Cossyra e dalla stessa Tripolitania, è stata per lungo tempo soggetta al dominio cartaginese. A ben vedere, per ciò che concerne la Sicilia, la communis opinio ha vedute tutt’affatto diverse sul peso, la durata e il significato dello stile alessandrino. Una tradizione di studio, molto radicata tra i cultori di archeologia di Sicilia, ha finito sempre con il considerare la caduta del piccolo regno di Siracusa come la “morte” della grecità siceliota, in piena sintonia con quanto gli archeologi ellenisti della Magna Grecia hanno decretato per la grecità della penisola, sia quella delle superstiti, impoverite colonie elleniche che quella ostentatamente esibita 1 A. Lézine, Architecture punique, Paris 1959; cfr. dello stesso, Carhage, Utique. Etudes d’architecture et d’urbanisme, Paris 1968. 2 M. Khanoussi, T. Kraus, F. Rakob, Simitthus 2. Der Tempelberg und das römische Lager, Mainz a.R. 1994. 3 V. ad es. il sacello all’interno del Chalcidicum : v. M. Torelli, Chalcidicum. Forma e semantica di un tipo edilizio antico, «Ostraka» xii, 2003, 215-238. Forti reminiscenze di modelli ellenistici caratterizzano anche molti dei monumenti sepolcrali dell’alto impero riadoperati nelle mura tardo-antiche della città, che attendono uno studio analitico : v. intanto L. Musso, Leptis Magna e il suo territorio. Suburbio, ville marine, necropoli, mausolei, in Missioni archeologiche italiane, La ricerca archeologica, antropologica, etnologica, Roma 2003, pp. 203-208. 4 Anche in questo caso manca un’edizione moderna dello straordinario complesso di architettura e scultura del tempio di Roma e di Augusto : v. la scheda e le belle foto in R. Bianchi Bandinelli, E. Vergara Caffarelli, G. Caputo, Leptis Magna, Roma 1963, p. 86 s., fig. 89, p. 92.

dalle élites italiche, dai Campani, dai Lucani, dai Bretti e dagli Apuli, tutti notoriamente imbevuti di cultura greca. Agisce tra gli studiosi tradizionali al di qua e aldilà dello Stretto un pregiudizio ideologico di chiaro stampo “nazionalistico”, molto simile a quella degli archeologi greci, i quali, pensandosi eredi diretti della Grecia classica, amano parlare di una romaikokratia alla stessa maniera in cui parlano di una tourkokratia : gli uni e gli altri, archeologi della Grecia propria e archeologi della Grecia d’Occidente, in maniera del tutto inconscia, si autoidentificano tout court con i Greci, giungendo senza mediazioni ad una lettura catastrofica e negativa delle conseguenze della conquista romana : nell’inconscio di quanti condividono questa visione aleggia una radicata idealizzazione della grecità tutta, ingenuamente immaginata come un giardino, in modo brutale distrutto dal rullo compressore delle legioni romane, responsabili di un’immediata e totale desertificazione della Grecia, della penisola italiana e della Sicilia, in una parola della iugulazione della cultura greca. Non c’è bisogno di dire che, come avremo modo di vedere fra breve, la realtà sia tutt’altra. Il caso ha voluto che, molto prima dell’incontro con Osanna e Schäfer, questo luogo comune degli studi di archeologia siceliota sia stato al centro di alcuni colloqui da me avuti con un giovane e valente allievo di De Miro, Lorenzo Campagna : assai favorevolmente impressionato dai suoi lucidi argomenti e dalla vastità delle sue informazioni, l’ho esortato a scrivere per «Ostraka» una rassegna sugli studi relativi all’ellenismo medio e tardo in Sicilia, che è stata poi pubblicata nel volume xiii di quella rivista5 e ad essa rimando il lettore per ripercorrere le tappe di questo singolare itinerario della storiografia archeologica, importante premessa alle conclusioni alle quali approderanno gli atti del convegno di cui questa è la prefazione. Naturalmente lo scambio di idee tra Campagna e me non aveva come obiettivo – un fatto in sé poco rilevante – la demistificazione di questi atteggiamenti tanto ingenui quanto pervicaci di molti archeologi della Sicilia antica, ma le gravi aporie che questa tradizione di studi, anche indirettamente, ha provocato, contestando cronologie “impossibili” di monumenti e di importanti manifestazioni della cultura artistica : penso qui a molte datazioni di monumenti e di opere pertinenti a siti fondamentali per la storia dell’arte e dell’architettura della Sicilia ellenistica, come Monte Iato o Morgantina, che sono ormai divenute nella vulgata autentici “punti fissi” per altri analoghi documenti di differenti siti. Di fatto la Sicilia successiva alla prima o al più tardi della seconda guerra punica è un autentico “buco nero” nella griglia cronologica dell’ellenismo dell’isola, che, come ho detto, l’archeologia ufficiale quasi con soddisfazione mette in parallelo alla (pretesa) solitudo Italiae dell’età post-annibalica. Tuttavia, prima di procedere oltre in queste considerazioni, occorre sgombrare il campo da questi equivoci parallelismi e ricordare a tutti che se la presenza di Roma in Italia Meridionale si è accompagnata a grandi trasformazioni economiche e sociali, che vanno dalla eliminazione di tutti ceti “intermedi” (e questo non solo nell’area meridionale) e a radicali cambiamenti nell’insediamento e nel modo di produrre,6 la provincializzazione della Sicilia, pur cancellando anche qui i “ceti intermedi” delle poche, grandi città greche o di tradizione greca, ha cercato e ottenuto, come dimostrano le ce5 L. Campagna, La Sicilia romana nella storiografia degli ultimi cinquant’anni, in «Ostraka» xii, 2003, pp. 7-13. 6 V. M. Torelli, Tota Italia. Essays in the Cultural Formation of Roman Italy, Oxford 1999, pp. 1-13, pp. 43-118.

12 mario torelli 1 che di Roma.Come non è pura accademia cercare di dare agli lebri tavolette di Entella, preziosi alleati all’interno delle classi eventi storico-artistici una solida cornice cronologica, così non dirigenti delle moltissime città minori di antico ethnos indigeno, è un vano esercizio di Soziologie der Kunst ricercare i portatori elimo, sicano o siculo. I risultati delle due operazioni di conquista e di sottomissione messe in atto da Roma sono tutt’altro che di questa cultura artistica, ma compito essenziale dello storico confrontabili, obbligandoci perciò a bandire come superficiali e dell’arte, se vuole essere in primo luogo storico : l’alternativa è quella di limitarsi a dibattere sulla scorta di puri articoli di fede, ingannevoli tutti i facili parallelismi tra Italia e Sicilia. In realtà la fisionomia della cultura ellenistica di Sicilia va income non infrequentemente è accaduto alla mia generazione, teramente ripensata alla luce della palese impossibilità di seguire che ha affrontato le generazioni precedenti sulla spesso pretequelle datazioni della vulgata, che talora rischiano di collocare la stuosa base si scelte aprioristiche, che di volta in volta vedeva schierarsi rialzisti contro ribassisti, non importa se le cronolocomparsa in piccole città provinciali dell’isola di fenomeni artigie fossero quelle della protostoria italica, della colonizzazione stici molto prima che nella stessa Alessandria : datare, ad esempio, al pieno iii sec. a.C. il mosaico di Ganimede di Morgantina, greca o di fenomeni artistici i più vari del mondo greco, italico significa trascinarsi dietro in quell’impossibile cronologia altri o romano. Quel che conta è invece il quadro organico di una mosaici siciliani, da quelli di Palermo a quelli di Solunto, mosaisequenza storico-culturale con le sue specifiche ragioni storiche, ci che nella stessa Alessandria non vanno più indietro del pieno il sistema insomma, nel quale centrale è il pieno riconoscimento ii sec. a.C. :2 questo improbabile “primato” finisce con l’isolarli dei ceti portatori di quella cultura, sia dell’Italia peninsulare che da un largo contesto mediterraneo, nel quale il trionfo della culdella Sicilia. tura artistica di Alessandria su quella degli altri Kunstzentren è La nascita di questa koiné è la chiara espressione di una funinvece, come vedremo subito, un fenomeno che si afferma fuori zionalissima alleanza tra due ceti dall’origine assai diversa, ma che tuttavia erano cresciuti in stretta relazione con il diffondersi dell’area strettamente greca solo all’indomani dell’eclissi degli altri regni dei Diadochi e al parallelo affermarsi della stella di dell’agricoltura schiavistica, ma nelle sue due diverse formazioni, una quella della penisola e l’altra quella della Sicilia. La koiné Roma. Tutto ciò appare ancor più evidente, se allarghiamo il nostro bene esprimeva la saldatura tra gli interessi delle produzioni estensive granarie (ivi comprese le connesse forme del pascolo) orizzonte dalle prospettive del mondo greco e della sua immepraticate sulle immense estensioni di ager publicus e gli interessi diata periferia, qual è in fondo la Sicilia ellenizzata degli indigeni e dell’eparchia punica, all’area più progressiva e ricca e al delle produzioni intensive vitivinicole che avevano il loro centempo stesso di antica ellenizzazione, quella dell’Italia romana tro in più ristrette aree, soprattutto, ma non esclusivamente tra Etruria meridionale, Lazio e Campania : quest’alleanza ovviaepicentro del mondo di produzione schiavistico.3 L’innegabile affinità che lega le esperienze dell’architettura della luxuria itamente coinvolgeva anche estese e significative forme di quella lica4 e dell’ellenismo siceliota a quella di Alessandria è apparsa che Cicerone chiamava mercatura honesta. Nell’Italia romana evidente a tutti gli studiosi, ad onta dei “pregiudizi” instillati questi ceti erano assai estesi, in prevalenza (ma non esclusivadalle false cronologie dell’ellenismo di Sicilia : penso qui al noto mente) ancora una volta insediati nelle colonie latine e nelle cittema del c.d. capitello corinzio-italico, le cui origini alessandrine tà dei socii di Campania e Apulia; in Sicilia erano invece quei sono state a suo tempo messe in luce da H. Lauter5 e sono state vertici, non meno estesi, delle società indigene, “liberati” dalla via via ribadite dagli studi su quel tipo di capitello, condotti sugli fine del dominio cartaginese e siracusano sul piano sia politico esemplari siciliani da Solunto da A. Villa6 e su quelli italici di che (soprattutto) economico, affrancati dalla pressione fiscale Pompei da M. G. Cocco7 e da M. Lauter Bufe,8 che ha definito esercitata sia da Siracusa che da Cartagine, più “vicina” e certo giustamente questo tipo di capitello come “corinzio-siceliota”. più esosa di quella romana. Tutti questi ceti hanno largamente Tutti questi fenomeni in buona sostanza delineano la formazione profittato della nuova situazione determinatasi con il fatidico di una straordinaria koiné tra Italia, Sicilia e Nordafrica, sul cui ventennio tra 166 e 146 a.C., quando Roma nella province avvia una politica fatta di un’esplosiva miscela, fatta di laissez-faire sfondo si stagliano Alessandria e la sua prestigiosa cultura, koiné generale e di una corruzione e una concussione individuali, e che nell’Italia peninsulare sostituisce quella medio-repubblicana imposta egemonicamente sulle altre tra iv e iii sec. a.C. dalla quando contestualmente si profilano i colossali affari favoriti colonizzazione romana,9 mentre in Sicilia “democratizza” e svidalla terribile dipendenza della capitale dal grano di tante parti luppa nel corso del ii sec. a.C. tendenze della cultura di corte in del Mediterraneo, non ultima la Sicilia : questi stessi ceti in Sicilia saranno protagonisti di un selvaggio sfruttamento degli schiavi, nuce nella Siracusa di Ierone II già nei decenni finali del iii sec. alle origini delle rovinose guerre servili che devasteranno l’isola a.C. Questa cultura architettonica e artistica di matrice alessandrina «esprimeva la libertà – avrebbe detto Bianchi Bandinelli a partire dal 133 a.C. – dei ceti socialmente attivi» di tutta quest’area, protagonisti Ma ad onta della diversa origine e della differente composizione sociale sempre questi sono i gruppi, fra loro solidali negli della colossale rapina di risorse avviata dalle conquiste asiatiinteressi economici e solidali sul piano della cultura, che in Si1 cilia come nell’Italia peninsulare più sviluppata gareggiano per Vedi Da un’antica città di Sicilia. I decreti di Entella e Nakone (Catalogo della mostra, Pisa 2001), Pisa 2001 (con bibl. prec.). dotare le proprie città di teatri, di bagni, di piazze pubbliche, 2 V. il corpus di W. A. Daszewski, Corpus of Mosaics from Egypot, 1. Hellenistic di templi a prestigiose e venerande divinità cittadine, senza per and Early Roman Period, Mainz a.R. 1985, con le riflessioni più recenti di A. M. Guiquesto disdegnare lussi privati fino a quel momento inauditi : mier-Sorbets, Les ateliers de mosaïstes à Alexandrie à l’époque hellénistique et ai début de l’époque impériale. Continuité et innovation, in La mosaïque gréco-romaine, 8 (Actes pur nelle profonde differenze tra queste diverse aree quanto a du viiième Colloque internationale pour l’étude de la mosaïque antique et mediévastoria remota e meno remota e nelle diversità nate da esigenze le, Lausanne 6-11 octobre 1997), Lausanne 2001, pp. 282-297. 3 sociali non sempre identiche, la cultura della koiné della luxuAncora fondamentali i volumi di A. Giardina, A. Schiavone (edd.), Società romana e produzione schiavistica, i-iii, Roma-Bari 1981. ria costruita sullo sfruttamento selvaggio del pingue Oriente e 4 F. Pesando, Domus. Edilizia privata e società pompeiana tra iii e i sec. a.C :, sul perverso funzionamento della macchina imperialistica roRoma 1997. 5 mana ci appare sostanzialmente unitaria, da Solunto a Pompei, H. Lauter, Bemerkungen zur späthellenistischen Baukunst in Mittelitalien, «JdI» xciv, 1979, pp. 390-459. da Morgantina a Praeneste, alimentata dalle esperienze baroc6 A. Villa, I capitelli di Solunto, Roma 1998. che della cultura di Alessandria. Affrontare questo groviglio di 7 M. G. Cocco, Due tipi di capitelli a Pompei, corinzio-italici e a sofà, «CronPomp» problemi era l’obiettivo dell’incontro, obiettivo che mi appare iii, 1977, pp. 57-166. 8 H. Lauter-Bufe, Die Geschichte des sikeliotisch-korinthischen Kapitells. Der sosostanzialmente raggiunto dalle vivaci e interessanti relazioni e genannte italisch-republikanishe Typus, Main a.R. 1987. dalla discussione che se ne è avuta e che debbo confessare con 9 M. Torelli, Fictiles fabulae. Rappresentazione e romanizzazione nei cicli figurati vivo rammarico di non aver neanche tentato di pubblicare. fittili repubblicani, «Ostraka» ii, 1993, pp. 269-299.

introduzione 13 La presentazione delle circostanze occasionali che hanno dato cilia Antiqua», si deve al lungimirante sostegno dell’architetto Pietro Meli, Presidente dell’Ente Parco di Agrigento, sostegno origine a questo convegno non deve tuttavia farci dimenticare concesso nella prospettiva di ricevere da quest’incontro una due circostanze fondamentali. In primo luogo, il convegno è stamigliore comprensione delle straordinarie architetture al Parco to reso possibile solo perché il Sindaco Maurizio Brunini di Spoleto, da sempre interessato alle tematiche della cultura (come affidate. A conclusione di questo lungo lavoro, vorrei trasmettestimoniano continuità e successo dell’ormai celeberrimo Fetere al Sindaco Brunini, all’amico De Miro e all’architetto Meli tutta la gratitudine mia personale e del mio staff per aver fatto stival dei Due Mondi, per ricordare soltanto l’iniziativa spoletina più nota), ha voluto accoglierci offrendo piena ospitalità ai sì che quanto originato da conversazioni informali e scambi di relatori e ambienti bellissimi, come il complesso monumentale idee sostanzialmente privati si sia potuto tradurre in questo bel di S. Nicolò, per lo svolgimento dei lavori. In secondo luogo mi volume di atti, tempestivi e, speriamo, fortunati. è gradito ricordare che la pubblicazione degli atti, prevista come Perugia, febbraio 2006 primo supplemento alla bella rivista di Ernesto De Miro «Si-

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Lorenzo Campagna L’ARCHITETTURA DI ETÀ ELLENISTICA IN SIC ILIA : PER UNA RILETTURA DEL QUADRO GENERALE

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ella storia degli studi sulla Sicilia in età ellenistica si può riconoscere una linea di tendenza condivisa largamente e per lungo tempo, caratterizzata dalla convinzione che la caduta di Siracusa nel 211 a.C. e dunque la definitiva annessione dell’isola al governo di Roma, abbiano costituito un inderogabile terminus post quem non per l’inquadramento di tutte le testimonianze relative sia all’architettura pubblica e privata, sia, più in generale, ai fenomeni di definizione e di crescita degli impianti urbani. Nel consolidarsi di tale convinzione, tradottasi in posizioni ora più interlocutorie, ora decisamente radicalizzate, hanno concorso diversi fattori, in gran parte legati alla natura stessa dell’evidenza archeologica e soprattutto ai problemi di datazione di molte classi di manufatti ; a fronte di siffatti problemi cronologici, il persistere di un certo pregiudizio di matrice classicistica nei confronti della Sicilia di età romana – ravvisabile in verità più sul côté degli archeologi che non su quello degli storici – ha indotto a preferire datazioni “alte” per quasi tutte le testimonianze di urbanistica ed architettura ellenistiche, e a consacrare dunque come unica stagione dell’ellenismo isolano l’età timoleontea, prolungata fino alla fine del iii sec. solo entro i confini del regno siracusano di Ierone II. 1 Rispetto a posizioni del genere, sostenute non di rado solo con affermazioni apodittiche, un primo passo importante verso l’individuazione di punti di riferimento cronologici meno aleatori, è stato compiuto nell’ambito di analisi stilistiche sulla decorazione architettonica e parietale : 2 sebbene condotti per lo più su disiecta membra, tali studi hanno iniziato a far luce su aspetti di una fioritura dell’edilizia sia pubblica che privata rilevabili in diversi centri dell’isola ed attribuibili, in base a dati più concreti, al ii e i sec. a.C. Una più decisa inversione di tendenza, tuttavia, è maturata in seno alla cospicua attività di ricerche avviata nell’ultimo ventennio soprattutto in alcuni centri della Sicilia nord-occidentale : gli scavi di nuovi complessi, ma anche le indagini su monumenti già da tempo in luce, hanno permesso di acquisire nuovi elementi che orientano verso datazioni in età tardo-ellenistica, delineando così nei centri in questione una consistente fase di sviluppo monumentale relativa a questo periodo, ed offrendo nel contempo nuovi punti di riferimento per una revisione della cronologia di altre architetture già note, sia pubbliche che private. La letteratura degli ultimi anni mi sembra indichi abbastanza chiaramente come si vada delineando un consenso via via più ampio in merito al fatto che la facies ellenistica di centri come Tindari, Solunto, Segesta, Lilibeo – per citare solo i casi più noti – appartenga non alla fine del iv-inizi del iii sec. a.C., secondo una vulgata ormai consolidata fino nella manualistica, bensì al ii-i sec. a.C. e vada letta, dunque, alla luce di una diversa trama di fenomeni sociali, economici e politici, ormai connessi alla provincia Sicilia e ai suoi rapporti con Roma. 3 1 A tal proposito, e sulle tendenze più significative presenti nel dibattito storiografico sulla Sicilia repubblicana a partire dall’ultimo dopoguerra, mi sia consentito rinviare alle considerazioni da me svolte in La Sicilia di età repubblicana nella storiografia degli ultimi cinquant’anni, « Ostraka », xii, 2003, 1, pp. 7-31. 2 Si veda a questo proposito soprattutto : M. de Vos, Pitture e mosaico a Solunto, « BABesch », l, 1975, 2, pp. 195-205 ; W. von Sydow, Späthellenistische Stuckgesimse in Sizilien, « mdai(r) », lxxxvi, 1979, pp. 181-230 ; Idem, Die hellenistischen Gebälke in Sizilien, « mdai(r) », xci, 1984, 2, pp. 239-358 ; H. Lauter-Bufe, Die Geschichte des sikeliotisch-korinthischen Kapitells, Mainz a. R., 1987. 3 Il principale fautore della necessità di inquadrare le testimonianze architettoniche dell’ellenismo siciliano secondo cronologie recenziori rispetto a quelle tradizionali, è senza dubbio R. J. A. Wilson, che a questi temi ha dedicato nell’ultimo decennio alcuni importanti contributi di sintesi : cfr. in particolare Roman Architecture in a

Tuttavia, la tendenza ad attribuire questa fase di sviluppo al primo ellenismo, continua ad avere tenaci sostenitori. Un nodo cruciale a tal proposito è costituito, come si sa, dalle straordinarie testimonianze di architettura pubblica e privata di Monte Iato, per le quali l’équipe svizzera che conduce ricerche nel sito sotto la guida di H. P. Isler, continua a sostenere cronologie alte, talora contro ogni evidenza archeologica, riferendo tali testimonianze ad una presunta rifondazione di Iaitas che sarebbe avvenuta intorno al 300 a.C., sull’onda dei benefici effetti dell’operato di Timoleonte nell’isola. 4 Ma a parte il caso controverso di Monte Iato, che in seguito sarà richiamato più volte, molti aspetti del quadro generale restano ancora da chiarire e da approfondire ; qualunque tentativo di sintesi dell’architettura ellenistica siciliana non potrà non tener conto dei limiti imposti da questioni cronologiche tuttora aperte e da uno stato di conoscenze ancora parziali ed approssimative su molti monumenti, con inevitabili conseguenze sulla possibilità di valutare adeguatamente gli aspetti socio-economici ed ideologici connessi a siffatte manifestazioni. Sotto questo profilo, accanto alle questioni cronologiche inerenti singoli monumenti, risulta altrettanto importante tentare di circoscrivere la diffusione dei fenomeni di sviluppo urbanistico e monumentale cui si è accennato : i dati di cui disponiamo, infatti, sono tutt’altro che uniformi. Le testimonianze più consistenti riguardano senza dubbio i centri della costa settentrionale e della cuspide nord-occidentale dell’isola, da Tindari a Termini Imerese, Solunto, Palermo, Segesta e Lilibeo, ai quali si possono aggiungere almeno Halaesa, ancora in gran parte inedita, e, come ritengo si possa dimostrare, anche Monte Iato. 5 Le altre aree dell’isola sembrerebbero invece caratterizzate a partire dalla fine del iii sec., da trasformazioni socio-economiche di segno diverso e fenomeni paragonabili si possono rilevare più sporadicamente : sulla costa meridionale ad Agrigento, ad Eraclea Minoa e a Licata/Phintias, 6 nell’interno solo a Centuripe, 7 mentre resta ancora da chiarire se la cronologia delle fasi di sviluppo di Morgantina è effettivamente quella proposta dagli scavatori ; 8 Greek World : the Example of Sicily, in Architecture and Architectural Sculpture in the Roman Empire, ed. M. Henig (Oxford University Committee for Archaeology, Monograph No. 29), Oxford, 1990, pp. 67-90 ; Sicily under the Roman Empire. The archaeology of a Roman province, 36bc-ad535, Warminster, 1990, pp. 17-32 ; Ciceronian Sicily : an archaeological perspective, in Sicily from Aeneas to Augustus. New approaches in Archaeology and History, edd. C. Smith, J. Serrati, Edinburgh 2000, pp. 134-160. 4 Si veda a tal proposito la recente sintesi proposta da H. P. Isler, Monte Iato : guida archeologica2, Palermo, 2000. 5 Il quadro più completo ed aggiornato relativamente alle attestazioni in tali centri è quello presentato da Wilson, Ciceronian Sicily, cit., con altri riferimenti bibliografici. 6 Per Agrigento cfr. soprattutto E. De Miro, Da Akragas ad Agrigentum, « Kokalos », xlii, 1996, pp. 15-29 ; Idem, Agrigento nella prima età imperiale, in Damarato. Studi di antichità classica offerti a Paola Pelagatti, Milano, 2000, pp. 380-386 ; per Eraclea Minoa e per Licata/Phintias si veda, in questi stessi Atti, G. F. La Torre, Urbanistica e architettura ellenistica a Tindari, Eraclea Minoa e Finziade : nuovi dati e prospettive di ricerca. 7 Per Centuripe, oltre G. Libertini, Centuripe, Catania, 1926, si vedano : R. Patané, Monumenti di Centuripe romana, Troina, 2000 ; Scavi e ricerche a Centuripe, a cura di G. Rizza (Studi e Materiali di Archeologia Mediterranea, 1), Catania, 2002 (in particolare : R. P. A. Patané, Centuripe in età ellenistica : i rapporti con Roma, pp. 127-167). Inoltre : C. Greco, Un pezzo di Roma sotto il vulcano, « Kalos », 14, 2002, suppl. al n. 4 (ott.-dic.), pp. 2-6. 8 Sulla datazione delle fasi di sviluppo di Morgantina in età ellenistica si vedano M. Bell, Excavations at Morgantina 1980-85, Preliminary Report xii, « aja », 92, 1988, part. pp. 338-339 e B. Tsakirgis, Morgantina : A Greek Town in Central Sicily, « ActaHyp », vi, 1995, pp. 123-147. I dubbi in merito a tali datazioni sono indotti in primo luogo dal fatto che numerose emissioni monetali utilizzate per datare i contesti del sito, sono state di recente sottoposte ad una revisione della cronologia che ha portato ad abbassamenti anche considerevoli : rinvio in proposito al recente studio di

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lorenzo campagna ritengo si debba tentare di riequilibrare il quadro rispetto alla sulla costa orientale ci sfugge ancora la fisionomia di centri come convinzione, espressa ancora di recente, che soltanto nell’amSiracusa, Catania, Taormina o Messina. Un altro aspetto non bito della committenza privata sopravvivano, dopo la fine del meno importante, d’altro canto, riguarda la necessità di definire iii sec., alcuni fermenti vitali. 3 I dati di cui disponiamo oggi, ini termini cronologici di tali fenomeni, guardandosi cioè dalla fatti, mi pare permettano di sostenere che a tale esibizione di un tentazione di appiattire tutto in un orizzonte di tardo ii e i sec., lusso privato corrisponde uno sviluppo altrettanto consistente e mirando invece a distinguere eventuali testimonianze architetdell’edilizia pubblica : non si tratta di interventi isolati, bensì di toniche e urbanistiche riferibili alle prime fasi della provincia, una complessiva definizione e monumentalizzazione degli spazi tra la fine del iii e la prima metà del ii sec. 1 pubblici, caratterizzata da significative analogie per quanto riNei centri indicati, le testimonianze di tale fioritura architetguarda sia il ricorrere costante di determinate tipologie edilizie, tonica interessano tanto il settore privato quanto quello pubblisia le affinità di soluzioni architettoniche e decorative. Uno dei co. Nelle pagine che seguono, tuttavia, mi limiterò ad affrontare poli interessati da tali interventi, è rappresentato dall’agorà con alcuni aspetti, a mio avviso particolarmente rilevanti, inerenti il suo apparato di portici e di edifici funzionali ; l’altro, spesso in l’edilizia pubblica ; tale limitazione di campo è stata dettata instretta contiguità topografica con il precedente, è il teatro. nanzitutto dal fatto che in anni recenti alcune importanti ricerche, dedicate soprattutto agli apparati decorativi delle sontuose La storia degli studi sui teatri siciliani riflette emblematicamendimore a peristilio di Solunto, Palermo, Segesta, ma anche di te alcune tendenze più generali della storiografia sull’ellenismo Tindari e Lilibeo, non solo hanno chiarito diversi problemi crosiciliano cui si accennava in apertura : la tendenza ricorrente a nologici, riferendone lo sviluppo proprio al tardo ii sec. a.C., riferirne la costruzione ad epoche piuttosto risalenti, tra iv e ma hanno anche fatto luce sul contesto storico, sociale e cultuiii sec. a.C., per lo più senza alcun argomento cogente, rapprerale nel quale si collocano tali fenomeni, riconoscendovi i segni senta l’esempio forse più indicativo dei pregiudizi che hanno dell’esibizione di un lusso privato, chiaramente a scopo di aupesato a lungo sulla valutazione dell’architettura ellenistica torappresentazione del proprietario, che si allineano ad esemdell’isola. 4 Un problema che a tutt’oggi limita la possibilità di pi analoghi ben noti in altre aree della penisola. 2 D’altra parte, delineare una storia dell’edificio teatrale siciliano, è costituito dall’elevato numero di monumenti ancora poco noti o sostanzialmente inediti. 5 Tuttavia, alcuni studi recenti e meno recenti sui teatri di Tindari, Solunto e Segesta, hanno apportato contributi fondamentali, innanzitutto ai problemi della restituzione architettonica dell’edificio scenico : 6 nei casi di Tindari e di

Fig. 1. Tindari, teatro. Disegno di ricostruzione del prospetto dell’edificio scenico.

Fig. 2. Segesta, teatro. Disegno di ricostruzione del prospetto dell’edificio scenico. B. Carroccio, Dal basileus Agatocle a Roma. Le monetazioni siciliane d’età ellenistica (cronologia – iconografia – metrologia), Pelorias, 10, Soveria Mannelli, 2004, in particolare per Morgantina pp. 97-99, 111-114. D’altra parte, non può non suscitare perplessità l’uso pressoché esclusivo delle monete come elemento di datazione : il fatto che tutto il resto dei materiali rinvenuti in associazione rimanga completamente sconosciuto, non permette di valutare in che misura tali monete abbiano effettivamente un valore datante e non siano invece residuali. 1 Risultati significativi in tal senso sono offerti dalle ricerche condotte recentemente da G. F. La Torre a Tindari, a Licata e ad Eraclea Minoa : per i primi dati cfr. G. F. La Torre, Il processo di “romanizzazione” della Sicilia : il caso di Tindari, « Sicilia antiqua », i, 2004, pp. 111-146 ; Idem, Urbanistica e architettura ellenistica a Tindari, Eraclea Minoa e Finziade, cit. 2 I contributi più importanti, a tal proposito, sono rappresentati da alcuni recenti saggi di E. C. Portale : si vedano Problemi del mosaico ellenistico in Sicilia : rapporti con Alessandria, in La Sicilia tra l’Egitto e Roma : la monetazione siracusana dell’età di Ierone II (Atti Seminario di Studi Messina 1993), a cura di M. Caccamo Caltabiano,

« AAPel lxix », 1993, suppl. n. 1, Messina, 1995, pp. 157-179 ; Eadem, I mosaici nell’apparato decorativo delle case ellenistiche siciliane, in Atti del iv Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico (Atti Colloquio Palermo 1996), a cura di R. M. Bonacasa Carra, F. Guidobaldi, Ravenna 1997, pp. 85-106 ; Eadem, Per una rilettura delle arti figurative nella Provincia Sicilia : pittura e mosaico tra continuità e discontinuità, « Seia », n. s., vi-vii, 2001-2002, pp. 43-90. 3 Cfr. ad esempio N. Bonacasa, Influenze microasiatiche nell’architettura della Sicilia ellenistica, in Sicilia e Anatolia dalla preistoria all’età ellenistica (Atti della 5° riunione scientifica della Scuola di Perfezionamento in Archeologia Classica dell’Università di Catania, Siracusa 1987), « CAStA », 26-27, 1987-1988 (1996), p. 151 ; Idem, Sicilia ed Egitto in età ellenistica : appunti sulla documentazione archeologica, in La Sicilia tra l’Egitto e Roma, cit., p. 66. 4 Un esempio emblematico, anche se certo non unico, di tale tendenza, è rappresentato dalle posizioni espresse da F. Coarelli nei due saggi pubblicati in Storia della Sicilia, vol. ii, Napoli 1979 : La cultura figurativa in Sicilia nei secoli iv-iii a.C., ivi, pp. 155-182 ; La cultura figurativa in Sicilia. Dalla conquista romana a Bisanzio, ivi, pp. 371-392. 5 Per contro, diversi studi relativamente recenti hanno preso in esame i monumenti siciliani nel quadro più ampio dell’architettura teatrale della penisola italiana, basandosi per lo più sui dati editi, soltanto in parte integrati da osservazioni autoptiche : cfr. in proposito C. Courtois, Le bâtiment de scène des théâtres d’Italie et de Sicile. Étude chronologique et typologique (Archeologia Transatlantica, viii), Louvain-la-Neuve, 1989 ; K. Mitens, Teatri greci e teatri ispirati all’architettura greca in Sicilia e nell’Italia meridionale, c. 350-50 a.C. (arid, Suppl. xiii), Roma, 1988 ; L. Todisco, Teatro e spettacolo in Magna Grecia e Sicilia. Testi immagini architettura (Biblioteca di Archeologia, 32), Milano 2002. Importanti spunti critici su problemi inerenti singoli teatri e questioni più generali della storia dell’architettura teatrale in Sicilia e Magna Grecia si trovano in J.-C. Moretti, Les débuts de l’architecture théâtrale en Sicile et en Italie méridionale (ve-iiie s.), « Topoi », 3, 1993, 1, pp. 72-100. A questi lavori rinvio per i riferimenti bibliografici completi relativi ai monumenti citati nelle pagine seguenti. 6 Per il teatro di Tindari cfr. L. Bernabò Brea, Due secoli di studi, scavi e restauri del teatro greco di Tindari, « ria », n.s., xiii-xiv, 1964-1965, pp. 99-144. Per il teatro di Solunto : A. Wiegand, Das Theater von Solunt : Ein Besonderer Skenetyp des Späthellenismus auf Sizilien (dai Rom, Sonderschriften, Bd. 12), Mainz a. R., 1997. Per il teatro di Segesta : F. D’Andria, Ricerche archeologiche sul teatro di Segesta, in Atti delle Seconde Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima (Atti Convegno Gibellina 1994), Pisa-Gibellina, 1997, i, pp. 429-450. Interpretazioni diverse dei risultati emersi nel corso delle recenti ricerche sul teatro segestano, sono state formulate dall’équipe del Politecnico di Torino ; si vedano soprattutto A. De Bernardi, Per lo studio del teatro di Segesta, in Atti delle Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima (Atti Convegno Gibellina 1991), Pisa-Gibellina, 1992, pp. 213-220 ; Idem, Relazione dei lavori sul campo per lo studio del teatro di Segesta (1992-1993), « asnp », s. iii, vol. xxv, 4, pp. 1169-1179 ; Idem, Geometria e progetto del teatro di Segesta, in Atti delle Seconde Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima, cit., i, pp. 525-535 ; M. L. De Bernardi, Il rilievo per lo studio del teatro di Segesta, « Palladio », 19, 1997, pp. 5-18 ; A. De Bernardi, Considerazioni sui risultati finora raggiunti nello studio e nel rilevamento del teatro di Segesta, in Atti delle

l ’ architettura di età ellenistica in sicilia 17 Segesta (Figg. 1, 2), il riesame delle ricostruzioni di Heinrich Bulle, se ne ha confermato il rigore filologico e, nell’insieme, la correttezza, ha d’altra parte permesso di introdurvi alcune modifiche importanti, eliminando certi elementi come il grande frontone centrale, che dubbi avevano suscitato già al von Gerkan e al Lauter. 1 Ma soprattutto, i risultati delle indagini archeologiche che da oltre un decennio si conducono al teatro di Segesta sotto la guida di F. D’Andria, hanno consentito di fondare su basi più salde la storia di quel “sizilische Theatermuster” che H. Lauter individuava come modello dei teatri di area campano-sannitica, soprattutto per quanto riguarda l’edificio scenico. 2 Nella versione attestata nei teatri di Tindari e di Segesta, ma non solo in essi, questo tipo di edificio scenico appartiene senza Fig. 3. Solunto, teatro. Disegno di ricostruzione del prospetto dubbio al tardo ii sec. a.C. Per Tindari la datazione della scena dell’edificio scenico. tra fine ii ed inizi i sec. a.C., sostenuta da W. von Sydow in base all’analisi della decorazione architettonica, 3 mi sembra costituisca già di per sé un punto di riferimento valido. Per Segesta i dati ta artificiale di terra di riporto sulla quale poggiavano, in tutto restituiti dai recenti scavi stratigrafici, permettono di affermare (Solunto) o in parte (Tindari), le gradinate ; in entrambi i casi, senz’altro che l’intero teatro è stato costruito non prima degli tuttavia, i dati a nostra disposizione non permettono di escluultimi decenni del ii sec. a.C., avvalorando quanto già emerso dere in modo definitivo che la cavea sia più antica dell’edificio dallo studio degli elementi decorati della scena. 4 scenico. 7 Per la cavea del teatro di Segesta, invece, i dati emersi Un altro dato estremamente significativo a tal proposito, è la nelle ultime ricerche, mostrano caratteri decisamente innovativi. straordinaria somiglianza rilevabile tra la scena di Segesta, nella Innanzitutto, va segnalata la presenza di un ulteriore settore di nuova proposta di restituzione (Fig. 2), e la scena di Solunto, segradinata in summa cavea, poggiato su un’imponente struttura condo la recente ricostruzione di A. Wiegand (Fig. 3) : le affinità di sostruzione : in proposito, F. D’Andria ha opportunamente rinon si limitano solo all’articolazione generale della struttura, chiamato le affinità con i teatri di Alinda e di Alabanda in Caria, ma riguardano anche, fin nei particolari, le componenti dell’apanche in riferimento alla capacità di adeguare la conformazione parato decorativo del basamento e dei due ordini dorico e iodella struttura alla morfologia del terreno in contesti segnati da nico della facciata dell’edificio. Il carattere stringente di queste forti pendenze. 8 Il secondo aspetto estremamente rilevante riaffinità avvalora senza dubbio per la scena di Solunto una data guarda i caratteri costruttivi della cavea : a differenza di tutti gli vicina a quella del teatro di Segesta, così come ha sostenuto con altri teatri ellenistici dell’isola, che sfruttano pendenze naturali argomenti validi A. Wiegand, 5 piuttosto che la tradizionale colregolarizzate in misura maggiore o minore solo con riempimenlocazione nella seconda metà del iv sec. a.C., sostenuta spesso ti artificiali, a Segesta la cavea occupa uno spazio ricavato atma in base a motivazioni del tutto generiche. 6 traverso un massiccio sbancamento della roccia del monte ed è Nei teatri di Solunto e Tindari anche l’orchestra e la cavea interamente costruita su un complesso sistema di muri radiali 9 mostrano analogie sia nella planimetria che nella tecnica di (Fig. 4). Mi sembra significativo segnalare, a questo proposito, costruzione, caratterizzata dalla creazione di una massicciache in Italia meridionale, se ancora sullo scorcio del ii sec. le iscrizioni attestano che il teatro di Capua era un theatrum terra Terze giornate internazionali di studi sull’Area Elima (Atti Convegno Gibellina-Ericeexaggeratum, 10 nello stesso periodo a Teanum Sidicinum la caContessa Entellina 1997), Pisa, 2000, pp. 369-381 ; M. L. De Bernardi, Analisi delle vea risulta per la prima volta interamente costruita su un sistema anomalie architettoniche dell’attuale cavea del teatro di Segesta, ivi, pp. 383-387. Non è di sostruzioni voltate in opus incertum. 11 La differenza dei matepossibile in questa sede entrare nel merito di questi ultimi lavori citati ; mi limito solo ad osservare che alcune delle ipotesi sostenute – restituzione di una scena “greca” lignea precedente la scena lapidea “romana” (sic !) ; esistenza di una cavea più antica con asse di simmetria a nord – risultano almeno al momento indimostrabili e non tengono conto dei dati stratigrafici ed archeologici a disposizione. 1 Per le ricostruzioni di H. Bulle dell’edificio scenico dei teatri di Segesta e Tindari cfr. H. Bulle, Untersuchungen an Griechischen Theatern, München, 1928, pp. 110131, tavv. 23-25 (Segesta) ; pp. 131-152, tavv. 33-37 (Tindari). Per le critiche mosse a tali ricostruzioni da A. von Gerkan e da H. Lauter, soprattutto per quanto riguarda la restituzione del grande frontone al centro del prospetto, cfr. rispettivamente : A. von Gerkan, Zu den Theatern von Segesta und Tyndaris, in Festschrift A. Rumpf, Krefeld, 1952, p. 82 sgg. ; H. Lauter, Die hellenistischen Theater der Samniten und Latiner in ihrer Beziehung zur Theaterarchitektur der Griechen, in Hellenismus in Mittelitalien (Kolloquium Göttingen 1974), Hrsg. P. Zanker, Göttingen, 1976, ii, p. 415. Nuove osservazioni sulla ricostruzione di Bulle della scena di Segesta : Wiegand, Das Theater von Solunt, cit., p. 47. Sulla frontescena dei due teatri si veda anche C. Buckler, Two Sicilian Skenai : a Modified View, « aa », 1992, pp. 277-293, le cui proposte di restituzione suscitano tuttavia non poche perplessità, anche per i presupposti metodologici su cui si fondano. 2 Lauter, Die hellenistischen Theater der Samniten und Latiner, cit. 3 von Sydow, Die hellenistischen Gebälke in Sizilien, cit., pp. 327-332, 358, tavv. 90,2 ; 93,1. 4 Per i dati di scavo cfr. D’Andria, Ricerche archeologiche sul teatro di Segesta, cit., part. pp. 439-440 e 442-448. Relativamente allo studio stilistico della decorazione architettonica dell’edificio scenico cfr. von Sydow, Die hellenistischen Gebälke in Sizilien, cit., pp. 263-265, 291-292, 311-313, 350 n. 19, figg. 15, 53, tav. 83,2 ; L. Campagna, Note sulla decorazione architettonica della scena del teatro di Segesta, in Atti delle Seconde Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima, cit., i, pp. 227-249. 5 Wiegand, Das Theater von Solunt, cit., part. pp. 52-55. 6 Cfr. in proposito V. Tusa, Il teatro di Solunto, « SicA », i, 3, 1968, pp. 5-11 ; Idem, Solunto. Il teatro e l’odeon, in Odeon ed altri “monumenti” archeologici, Palermo, 1971, pp. 85-92 ; H. P. Isler, Una cariatide dal teatro greco di Solunto, « SicA », 18, 59, 1985, pp. 65-70 ; Idem, recensione a Wiegand, Das Theater von Solunt, cit., « ra », 2001, 2, pp. 405-406.

7 Relativamente al teatro di Solunto, l’indisponibilità dei dati di scavo dell’edificio, rimasti ad oggi completamente inediti, non aiuta a stabilire se la cavea sia coeva alla scena o più antica. Tuttavia, l’esame condotto da Wiegand sulle strutture rinvenute all’interno delle fondazioni del muro di analemma, riferibili a precedenti fasi di frequentazione di età ellenistica, mi sembra costituisca già un buon argomento a favore della contemporaneità di tutte le parti del teatro : cfr. Wiegand, Das Theater von Solunt, cit., pp. 22, 25. Per Tindari, la stratigrafia osservata in un ristretto saggio nelle fondazioni del muro di analemma orientale, aveva indotto L. Bernabò Brea (Due secoli di studi, scavi e restauri, cit., pp. 135-136) a riferire la costruzione della cavea al periodo di fine iv-inizi iii sec. a.C. Ovviamente lo studioso aveva ben presente che i materiali ceramici recuperati, attribuiti alla seconda metà del iv sec. a.C., forniscono solo un terminus post quem e non escludono affatto, pertanto, una datazione più tarda ; ciononostante, finiva per propendere per la datazione indicata, confortato dal fatto che il periodo in questione « [è] uno dei momenti di maggiore prosperità non solo di Tindari, ma di tutta la Sicilia in genere… » (ivi). Opportunamente G. F. La Torre (Il processo di “romanizzazione” della Sicilia : il caso di Tindari, cit., p. 133 e nota 197, p. 135) ha messo in risalto come i dati utilizzati da Bernabò Brea per la datazione della cavea abbiano un valore limitato e non risolutivo. 8 Cfr. D’Andria, Ricerche archeologiche sul teatro di Segesta, cit., pp. 435-437. Per una diversa interpretazione delle strutture individuate nella summa cavea cfr. A. De Bernardi, Geometria e progetto del teatro di Segesta, cit., p. 534 ; M. L. De Bernardi, Il rilievo per lo studio del teatro di Segesta, cit., pp. 14-15 ; A. De Bernardi, Considerazioni sui risultati finora raggiunti nello studio e nel rilevamento del teatro di Segesta, cit., pp. 373-376. 9 D’Andria, Ricerche archeologiche sul teatro di Segesta, cit., p. 435 ; A. De Bernardi, Geometria e progetto del teatro di Segesta, cit., pp. 533-534 ; M. L. De Bernardi, Il rilievo per lo studio del teatro di Segesta, cit., pp. 12-14 ; A. De Bernardi, Considerazioni sui risultati finora raggiunti nello studio e nel rilevamento del teatro di Segesta, cit., pp. 376-378. 10 Cfr. in proposito F. Coarelli in Hellenismus in Mittelitalien, cit., ii, pp. 421-423. 11 Cfr. in proposito W. Johannowsky, Relazione preliminare sugli scavi di Teano, « BdA », 48, 1963, pp. 152, 157-158 ; P. Gros, Architecture et Société à Rome et en Italie

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lorenzo campagna

Fig. 4. Segesta, teatro. Pianta di ricostruzione dei muri di sostegno della cavea.

riali e delle tecniche di costruzione non permette di assimilare tout court i casi di Segesta e di Teano ; mi chiedo tuttavia se tali sperimentazioni di nuovi sistemi costruttivi nello stesso arco di tempo non possano costituire l’indizio di una più ampia trama di scambi ed influenze reciproche tutta da indagare, ed ampliare così l’orizzonte dei rapporti tra Sicilia ed area campano-sannitica su cui, a proposito dell’architettura teatrale, aveva già richiamato l’attenzione H. Lauter. 1 Le affinità tra i teatri tardo-ellenistici di Segesta, Solunto e Tindari, chiamano in causa la questione di un eventuale modello di riferimento : in merito a tale problema, che del resto si pone anche per altri edifici teatrali dell’isola, non credo si possa prescindere dal valutare il ruolo giocato dal grande teatro di Siracusa. È necessaria a questo proposito una premessa : rispetto alla mancanza ancora oggi di un consenso unanime sui problemi legati alla cronologia del monumento siracusano ed alla restituzione dell’edificio scenico, la tesi che appare più convincente è quella sostenuta da Bernabò Brea nel 1967, 2 secondo la quale la costruzione del teatro attualmente visibile, andrebbe riferita interamente, compresa la scena, ad un unico intervento monumentale promosso da Ierone II nei decenni successivi alla fine della prima punica. 3 Maggiori problemi sussistono per la ricocentro-méridionale aux deux derniers siècles de la République (Coll. Latomus, 156), Bruxelles, 1978, p. 43 ; Idem, L’architecture romaine du début du iiie siécle av. J.-C. à la fin du Haut-Empire, 1. Les monument publics, Paris, 1996, pp. 276-277. Sul teatro di Teano si veda ora F. Sirano, A. Balasco, H. J. Beste et alii, Il teatro di Teanum Sidicinum. Attraverso un progetto di rivalutazione, « mdai(r) », 109, 2002, pp. 317-336, part. 320-334. 1 Lauter, Die hellenistischen Theater der Samniten und Latiner, cit. 2 L. Bernabò Brea, Studi sul teatro greco di Siracusa, « Palladio », xvii, 1967, pp. 97-154, ma cfr. già Bulle, Untersuchungen, cit., pp. 152-154. Per un quadro di sintesi delle ricerche degli ultimi decenni sul teatro di Siracusa, con i relativi riferimenti bibliografici, rinvio a Moretti, Les débuts de l’architecture théâtrale, cit., part. pp. 75, 83-86 ; inoltre : Wilson, Roman Architecture in a Greek World, cit., p. 68. 3 Il terminus post quem per la datazione del teatro è notoriamente rappresentato dall’associazione al trono da parte di Ierone II del figlio Gelone, che nelle iscrizioni del muro del diazoma compariva con il titolo di basileus : sulla questione si veda ora, dello Scrivente, Architettura e ideologia della basileia a Siracusa nell’età di Ierone II, in Nuove prospettive della ricerca sulla Sicilia del III sec. a.C. Archeologia, numismatica, storia (Atti Incontro di Studio Messina 2002), a cura di M. Caccamo Caltabiano, L. Campagna, A. Pinzone, Pelorias 11, Soveria Mannelli, 2004, pp. 174-175. La data generalmente indicata per tale evento, subito dopo il 238 a.C., è stata di recente abbassata, con argomenti molto convincenti, agli anni tra il 230 e il 227/226 a.C. da E. C. Portale (Euergetikotatos … kai philodoxotatos eis tous Hellenas. Riflessioni sui rapporti fra Ierone II e il mondo greco, ivi, pp. 259-262) : ciò comporta dunque che non prima di tale momento si deve collocare la costruzione del teatro, o quantomeno il completamento dei lavori e l’esecuzione delle iscrizioni.

struzione dell’edificio scenico : nonostante il tentativo rigorosamente condotto da Bernabò Brea per riconoscere negli esigui resti conservati una serie di rifacimenti tra l’età ieroniana e l’età imperiale, alcune questioni rimangono sostanzialmente irrisolte. Infatti, l’appartenenza alla scena di elementi architettonici di ordine dorico e ionico, ragionevolmente riferibili con von Sydow ad età ieroniana, 4 e dei ben noti resti di Stützfiguren in forma di Menade e di Satiro, anch’essi generalmente attribuiti alla stessa epoca, 5 pone il problema dell’esistenza di un edificio scenico in pietra a più ordini sovrapposti già nel teatro di età ieroniana, mentre per Bernabò questo sarebbe esistito solo più tardi. 6 Per quanto riguarda le Stützfiguren, lasciando da parte valutazioni di tipo stilistico, che in questo caso specifico potrebbero non essere determinanti ai fini della datazione, mi sembra invece di maggior peso il fatto che il motivo dei sostegni architettonici in forma di figura umana costituisce un tema piuttosto ricorrente nell’architettura ufficiale ieroniana : come ho sostenuto in altra sede, 7 si tratta di un richiamo diretto al tema degli Atlanti dell’Olympieion teroniano di Agrigento, riproposti da Ierone II con precise finalità ideologiche. Pur in mancanza di elementi decisivi, dunque, è ragionevole supporre che l’introduzione di tale tema anche in un contesto teatrale sia avvenuta già in età ieroniana e non in una fase successiva. In base a queste considerazioni ritengo si possa presumere che già negli ultimi decenni del iii sec. il teatro siracusano avesse una scena a più ordini decorata da figure di sostegno in forma di Satiro e Menade, anche se il suo assetto architettonico continua a sfuggirci interamente. Si può aggiungere, a questo proposito, anche una suggestiva ipotesi formulata da Hans Lauter, 8 secondo la quale i due piloni di roccia squadrati che si trovano ai lati dell’edificio scenico siracusano rappresenterebbero il precedente dei parasceni dei teatri tardo ellenistici. La costruzione del teatro rispondeva ad un preciso disegno di politica edilizia di Ierone II, mirante a fare del teatro stesso un luogo del consenso al suo potere, allora chiaramente connotato in senso autocratico e dinastico : 9 il monumento doveva rappresentare dunque un modello aulico del quale difficilmente si sarebbe potuto non tenere conto. Ed è in riferimento a tale modello che a mio avviso si possono spiegare le affinità dei teatri tardo-ellenistici siciliani per quanto riguarda la presenza sia di una frontescena a più ordini sovrapposti, sia di Stützfiguren nei due teatri di Segesta e Solunto, figure di Pan nel primo, Menadi nel secondo. 10 Rispetto a questo quadro, tuttavia, un esame degli altri teatri dell’isola rivela un panorama più articolato. Alcuni monumenti 4 Per tali elementi si veda G. E. Rizzo, Il teatro greco di Siracusa, Milano-Roma, 1923, pp. 94-96, fig. 37 (due frammenti di un epistilio ionico) ; pp. 96-97, figg. 3941 (due blocchi frammentari di cornice dorica) ; von Sydow, Die hellenistischen Gebälke, cit., pp. 261, 287, 322 ; p. 349, cat. n. 13, fig. 37 ; p. 357, cat. n. 47, fig. 66 ; tavv. 81.3-4. 5 Menade : Rizzo, Il teatro greco, cit., pp. 59, 97-98, tav. vi, fig. 42 (con dati di rinvenimento) ; Bulle, Untersuchungen, cit., p. 156 ; E. A. Ribi, C. Isler-Kerényi, Die Stützfiguren des griechischen Theaters von Iaitas, in H. Bloesch, H. P. Isler, Studia Ietina i, Zürich, 1976, p. 39, tav. 22, 1-2, tav. 23,1 ; A. Schmidt-Colinet, Antike Stützfiguren, Frankfurt-Mainz, 1977, pp. 32, 69, 144, 228 cat. W31 ; E. Schmidt, Geschichte der Karyatide. Funktion und Bedeutung der menschlichen Träger- und Stützfigur in der Baukunst, Würzburg, 1982, pp. 115-116 ; D. King, Figured supports. Vitruvius’ Caryatids and Atlantes, « nac », 27, 1998, p. 292. Satiro : Rizzo, Il teatro greco, cit., pp. 99-101, figg. 43, 44 ; Bulle, Untersuchungen, cit., p. 156 ; Ribi, Isler-Kerényi, Die Stützfiguren, cit., p. 39, tav. 22, 3 ; Schmidt-Colinet, Antike Stützfiguren, cit., pp. 47, 69, 144, 242-243 cat. M3 ; Schmidt, Geschichte der Karyatide, cit., pp. 115-116 ; King, Figured supports, cit., pp. 292-293. 6 Bernabò Brea, Studi sul teatro greco di Siracusa, p. 125 sgg. 7 Campagna, Architettura e ideologia della basileia a Siracusa nell’età di Ierone II, cit., pp. 165-170. 8 Lauter, Die hellenistischen Theater der Samniten und Latiner, cit., pp. 414-415 ; cfr. anche Wiegand, Das Theater von Solunt, cit., p. 44. 9 Cfr. Campagna, Architettura e ideologia della basileia a Siracusa nell’età di Ierone II, cit., p. 171 sgg. 10 Segesta : Bulle, Untersuchungen, cit., p. 117, tavv. 28 c-d ; 29 a. Solunto : Wiegand, Das Theater von Solunt, cit., pp. 32, 67, cat. nn. K1 e K2, tavv. 25 ; 26, 1-2, Beil. 2-3.

l ’ architettura di età ellenistica in sicilia 19 appartengono senza dubbio ad una fase più antica rispetto ai teanotevole vicinanza a Siracusa di Akrai ed Eloro, induce a ritetri tardo-ellenistici della Sicilia nord-occidentale e probabilmennere che, al di là delle vicende politiche, i due centri gravitaste anche rispetto allo stesso teatro ieroniano di Siracusa. Ma di sero nell’orbita culturale della metropoli ed è dunque difficile quanto più antica ? Un caso assai indicativo, sotto questo profilo, che la costruzione dei rispettivi teatri abbia preceduto quella è quello del teatro di Eraclea Minoa, caratterizzato da una cadel teatro siracusano : una data a partire dagli ultimi decenni del iii sec. mi sembra più verosimile, ancorché da verificare sulla vea di forma del tutto peculiare e dall’assenza di un edificio scenico in pietra 1 (Fig. 5). L’attribuzione al periodo tra gli ultimi base di dati più consistenti. Una situazione simile pare si possa decenni del iv e la prima metà del iii sec. a.C. si basa sui dati delineare anche per Tauromenion, dove non sono note fino ad di scavo e su alcuni particolari architettonici : 2 il problema che ora testimonianze sicuramente più antiche del iii sec. a.C. e l’arsi pone, a questo proposito, è di valutare se tali elementi non chitettura monumentale sembra riflettere l’influenza di modelli possano invece comportare una data successiva alla metà del iii, siracusani. 7 A tal proposito, per il teatro, la cui fase ellenistica è stata quasi del tutto cancellata dalle massicce trasformazioni di collocando pertanto la costruzione del teatro in un contesto di nuova definizione del centro urbano successiva alla prima punietà imperiale, vale la pena di anticipare un dato nuovo, sul quale ca. 3 Ad una fase ancora precedente, invece, sembrerebbe dovermi riservo di tornare più diffusamente in altra sede. Una recente si datare il teatro individuato nel sito di Montagna dei Cavalli : ricognizione nei depositi del locale Antiquarium, mi ha permesso l’identificazione dell’insediamento con l’Hippana di Diodoro di identificare la parte inferiore di una figura maschile di sostepone come terminus ante quem la conquista da parte dei Romagno in pietra calcarea ; 8 la conformazione della base indica che la scultura doveva essere collocata in una posizione angolare, ni nel 258 a.C., cui avrebbe fatto seguito, secondo i dati emersi dalle recenti ricerche archeologiche, l’abbandono pressoché analoga a quella delle Stützfiguren che decoravano la fronte dei definitivo dell’abitato. 4 Il teatro, attribuito per il momento al peparasceni nei teatri di Segesta, Solunto e verosimilmente Monte riodo tra la seconda metà/fine del iv e l’inizio del iii sec. a.C., è Iato. 9 L’eventualità che la figura appartenesse alla scena del teatro ellenistico è certamente seducente e costituirebbe un indizio stato tuttavia indagato ancora in modo assai parziale e l’estrema esiguità dei dati attualmente a disposizione, rende difficile quapiù concreto di una derivazione dell’edificio scenico di Taurolunque valutazione ; 5 mette conto sottolineare però che, fino a menion dal modello ieroniano di Siracusa ; la propongo tuttavia questo momento, non è stata individuata nessuna traccia di una come ipotesi di lavoro, nell’auspicio che le indagini per risalire gradinata lapidea. al contesto di provenienza della scultura, fino a questo momento Un discorso diverso va invece fatto per i teatri della Sicilia infruttuose, possano dare in futuro migliori risultati. Considerazioni in parte analoghe andrebbero fatte anche per centro-orientale. Per il teatro di Akrai o per quelli di Eloro e il teatro di Morgantina. 10 I dati resi noti fino ad oggi, non conTauromenion – quasi del tutto sconosciuti, questi ultimi, persentono di valutare adeguatamente l’attendibilità delle ipotesi sino nella conformazione architettonica – manca del tutto qualunque elemento concreto di datazione ; 6 il problema del resto formulate sulla storia dell’edificio ; tuttavia, non si possono non è più ampio e si estende alla difficoltà di datare con maggiore condividere i dubbi manifestati da J.-Ch. Moretti in merito alla precisione le fasi di sviluppo monumentale di età ellenistica nei ricostruzione di una prima fase del teatro con orchestra trapecentri in questione. Rispetto a tale stato dei fatti, al momento si possono proporre solo considerazioni di carattere generale : la 1 Sul teatro di Eraclea Minoa si vedano E. De Miro, Heraclea Minoa e l’epoca di Timoleonte, « Kokalos », iv, 1958, pp. 73-75 ; Idem, Heraclea Minoa. Scavi eseguiti negli anni 1955-56-57, « nsa », 1958, pp. 243-257 ; Idem, Il teatro di Heraclea Minoa, « RendLinc », xxi, 1966, pp. 151-169 ; Idem, Eraclea Minoa, in Teatri antichi, « Kalos », 1995, pp. 26-31 ; Idem, Il teatro di Eraclea Minoa nel quadro di teatri minori di Sicilia, in Studi classici in onore di Luigi Bernabò Brea, a cura di G. M. Bacci, M. C. Martinelli, « Quaderni del Museo Archeologico Regionale Eoliano », suppl. 2, Messina, 2003, pp. 275-279. 2 De Miro, Heraclea Minoa. Scavi eseguiti negli anni 1955-56-57, cit., pp. 254-257 ; Idem, Il teatro di Heraclea Minoa, cit., pp. 167-168. 3 Cfr. in tal senso anche La Torre, Urbanistica e architettura ellenistica, cit., in questi stessi Atti. 4 In proposito cfr. btcgi, s. v. Monte dei Cavalli, vol. x, Pisa-Roma, 1992, pp. 324-328 (C. Michelini) ; S. Vassallo, Montagna dei Cavalli. Lo scavo del 1991, in Atti dell’viii congresso internazionale di studi sulla Sicilia antica, « Kokalos », xxxix-xl, 1993-1994, pp. 1259-1271 ; Idem, Montagna dei Cavalli – Hippana, in Sicani Elimi e Greci : storie di contatti e terre di frontiera (Catalogo Mostra Palermo 2002), a cura di F. Spatafora, S. Vassallo, Palermo, 2002, p. 133 sgg. 5 Cfr. S. Vassallo, Montagna dei Cavalli, in Di terra in terra. Nuove scoperte archeologiche nella provincia di Palermo (Catalogo Mostra Palermo 1991), Palermo, 1993, pp. 122-124 ; Idem, Ricerche a Montagna dei Cavalli. Scavi 1988-1991 a Montagna dei Cavalli-Hippana, in Archeologia e territorio, Palermo, 1997, pp. 297-298. 6 Per il teatro di Akrai cfr. L. Bernabò Brea, Akrai, Catania, 1956, pp. 31-43. Per il teatro di Eloro : P. Orsi, Eloro i. Campagna di scavo 1899 (scritto postumo di P. Orsi con aggiunte e note di M. T. Currò), « mal », xlvii, 1966, pp. 232-235, fig. 9 ; E. Militello, Eloro iii. Relazione degli scavi del 1958-59, ivi, pp. 324-328. Per Tauromenion manca ancora un tentativo di lettura d’insieme delle pochissime tracce superstiti per un’ipotesi di ricostruzione del teatro di età ellenistica ; solo brevi cenni sugli elementi identificati si trovano in : P. Rizzo, Tauromenion (Taormina). Storia, topografia, monumenti, monete, Riposto, 1928, pp. 320-328 ; Bulle, Untersuchungen, cit., p. 207 ; G. Libertini, Il teatro di Taormina, « Dioniso », ii, 1930, fasc. 4-6, pp. 114-116 ; M. Santangelo, Taormina e dintorni, Roma, 1950, pp. 36-39, 46-47 ; Wilson, Sicily under the Roman Empire, cit., p. 71 ; F. Sear, The Theatre at Taormina. A New Chronology, « pbsr », lxiv, 1996, pp. 42, 44-45. Ai teatri citati nel testo si può adesso aggiungere quello messo in luce in scavi recentissimi a Montagna di Marzo, per cui cfr. L. Guzzardi, Montagna di Marzo : nuovi dati sulla storia e sulla topografia del sito, « Kokalos », xlv, 2003, pp. 543-551, tav. lv. I dati resi noti in via preliminare, tuttavia, non mi pare permettano un corretto inquadramento dell’edificio né per quanto riguarda le caratteristiche architettoniche, né dal punto di vista cronologico.

Fig. 5. Eraclea Minoa, teatro. Pianta. 7 Una testimonianza abbastanza indicativa, in tal senso, è rappresentata dal carattere tipicamente “ieroniano” della cornice del tempio ellenistico presso l’odeon, realizzata peraltro, a quanto pare, in calcare siracusano : cfr. in proposito von Sydow, Die hellenistischen Gebälke in Sizilien, cit., pp. 255 sgg., 280-282, 340 sgg., 347-348, cat. n. 10 (“feiner syrakusanischer Kalkstein”), tav. 80, 2-3, figg. 32-34 ; I. Correa Morales, Note sull’architettura templare del iv e iii sec. a.C. in Sicilia, « nac », xxix, 2000, p. 209 sgg. 8 La scultura, del tutto inedita, è attualmente conservata nei depositi dell’Antiquarium del Teatro di Taormina (inv. n. 76). 9 Per Segesta e Solunto vedi supra, nota 10 di p. 18 ; per Monte Iato, infra, nota 4 di p. 21. 10 Sul teatro di Morgantina si veda la nota preliminare di R. Stillwell, The theater of Morgantina, « Kokalos », x-xi, 1964-1965, pp. 579-588. Più di recente J. J. Dobbins ha condotto uno studio sistematico del monumento, ancora inedito (per brevissime anticipazioni vedi J. J. Dobbins, New Excavations in the Theater at Morgantina, « aja », 89, 1985, 2, p. 329 ; B. Tsakirgis, Recent work at Morgantina, Sicily, « ArchN », 17, 1-4, 1992, p. 27) ; per la cronologia cfr. anche Bell, Excavations at Morgantina 1980-85, Preliminary Report xii, cit., p. 338.

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lorenzo campagna ca la cronologia di alcune serie monetali siracusane, sulle quali si fondano le datazioni degli interventi di monumentalizzazione dell’agorà di Morgantina ; 3 è probabile dunque che per la realizzazione di siffatti interventi – e quindi anche del teatro che di tale sistemazione sembra far parte –, si debba pensare ad una data più recente rispetto a quella sostenuta da M. Bell, nei decenni centrali del iii sec. a.C. Ciò a maggior ragione se, come sostiene lo studioso, tale monumentalizzazione dipende dai modelli dell’architettura ieroniana di Siracusa : 4 in questo caso mi sembra preferibile una data più tarda, per lo meno nei decenni successivi alla fine della prima punica, quando verosimilmente si pone l’attuazione dei programmi edilizi ufficiali nella capitale. Tuttavia, qualunque valutazione definitiva per il teatro come per tutti gli altri monumenti di Morgantina, resta subordinata alla pubblicazione dettagliata dei dati e dei materiali di scavo. Ho lasciato volutamente da parte, in questo discorso, il teatro di Monte Iato (Fig. 6) : ritengo, infatti, che sia la ricostruzione della struttura e delle sue trasformazioni successive proposta da Isler, sia la datazione della fase iniziale verso la fine del iv sec., si basino su un’interpretazione dei risultati dello scavo piuttosto Fig. 6. Monte Iato, teatro. Pianta schematica. discutibile e non esente da forzature. 5 In questa sede, tuttavia, dovrò limitarmi per ovvie ragioni a segnalare solo alcuni aspetti della questione. Un primo ordine di considerazioni riguarda la proposta di ricostruzione dell’edificio scenico (Fig. 7) : se infatti i resti conservati rendono plausibile la restituzione, sin dalla prima fase, di una struttura interamente in muratura, a parasceni e con due ordini sovrapposti ad un basamento, lascia invece perplessi l’identificazione dello spazio tra i parasceni come palcoscenico basso, a livello dell’orchestra ; diverse considerazioni inducono piuttosto ad interpretare tale spazio come un iposcenio, sul quale si sarebbe sviluppato, alla quota del primo ordine, il consueto logeion, che meglio si concilierebbe, per altro, con i due ordini soprastanti il basamento. Cadrebbe così la tesi, sostenuta con forza da Isler, di una derivazione del teatro di Monte Iato dal teatro di Dioniso ad Atene nella ricostruzione promossa da Licurgo : 6 tesi che, al di là delle perplessità di ordine generale, risulta difficilmente sostenibile per le differenze sostanziali tra l’architettura della scena ateniese e quella di Monte Iato. 7 Perplessità altrettanto serie suscita l’inquadramento cronoFig. 7. Monte Iato teatro. 1. Sezione ; 2. Pianta dell’edificio scenico, del monumento. Il fatto che i materiali ceramici più tardi logico prima fase.

zoidale e gradinata poligonale, ipotizzata già da H. L. Allen e da lui datata al terzo quarto del iv sec. a.C. 1 D’altra parte, anche le datazioni indicate per la costruzione del teatro con koilon semicircolare ed edificio scenico in muratura, oscillanti tra il primo (Allen ; Dobbins) ed il secondo quarto del iii secolo (Bell), suscitano qualche perplessità, innanzitutto perché non sembrano tener conto della presenza di materiali più recenti nel riempimento di fondazione della gradinata, di cui pure si fa cenno nei rapporti preliminari. 2 In secondo luogo, i risultati delle più recenti ricerche in campo numismatico, hanno condotto ad abbassare agli anni immediatamente precedenti la seconda puni1 Moretti, Les débuts de l’architecture théâtrale, cit., 80. L’ipotesi si basa sul rinvenimento di alcuni setti murari rettilinei nella parte alta della cavea in corrispondenza di uno dei cunei mediani : cfr. in proposito H. L. Allen, Excavations at Morgantina (Serra Orlando), 1967-1969. Preliminary Report x, « aja », 74, 1970, pp. 363-364, tav. 91,3 ; Dobbins, New Excavations in the Theater at Morgantina, cit., p. 329. 2 Cfr. R. Stillwell, Excavations at Morgantina (Serra Orlando) 1966. Preliminary Report ix, « aja », 71, 1967, p. 245 : rinvenimento di materiali databili alla seconda metà del III sec. a.C. nel riempimento sotto la gradinata nei due cunei più vicini all’analemma nord ; in particolare alla nota 3 si fa riferimento ad un frammento, non meglio specificato, di campana A. Inoltre, Allen, Excavations at Morgantina, cit., pp. 363-364 : nello scavo di una trincea all’interno del riempimento di fondazione della gradinata, si rinviene una moneta dimezzata di Ierone II (inv. n. 67-193, serie non specificata ; in generale, per la datazione della pratica del dimezzamento a Morgantina dopo il 217 a.C. cfr. ora Carroccio, Dal basileus Agatocle a Roma, cit., p. 112, con bibliografia alle note 10 e 11).

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In proposito vedi supra, nota 8 di p. 15. M. Bell iii, Observations on Western Greek Stoas, in Eius Virtutis Studiosi, Classical and Postclassical Studies in Honor of Frank Edward Brown (Studies in the History of Art, 43), Washington, 1993, p. 328 sgg. ; Idem, Centro e periferia nel regno siracusano di Ierone II, in La colonisation grecque en Méditerranée occidentale. Actes de la rencontre scientifique en hommage à Georges Vallet (Atti Convegno Roma-Napoli 1995), céfr 251, Rome, 1999, pp. 259-269. 5 Per una prima presentazione complessiva del monumento a conclusione dello scavo, cfr. H. P. Isler, Il teatro greco di Iaitas, « SicA », xxxiii, 98, 2000, pp. 201-220, con riferimenti alla bibliografia precedente, e Idem, Il teatro greco di Iaitas, «Dioniso», n.s., 2003, 2, pp. 276-291; dello stesso si vedano anche Monte Iato : guida archeologica2, cit., pp. 46-59 e Contributi per la storia del teatro antico : il teatro greco di Iaitas e il teatro di Segesta, « nac », x, 1981, pp. 131-164. 6 Isler, Contributi, cit., pp. 149-150 : secondo lo studioso il modello ateniese sarebbe stato recepito a Monte Iato attraverso la mediazione del teatro di una città meno periferica, che lo studioso non esita ad identificare in Palermo ( !). In proposito si vedano anche, dello stesso autore, Iaitas. Specchio siciliano del modello ateniese, in Teatri antichi delle Province di Palermo, Trapani e Agrigento, Supplemento a « Kalos », novembre-dicembre 1995, pp. 14-19 ; Edifici teatrali antichi in Sicilia, in ProsoponPersona : testimonianze del teatro antico in Sicilia (Catalogo Mostra Lipari 2002), a cura di G. M. Bacci, U. Spigo, Palermo, 2002, pp. 9-10. 7 Si veda in proposito la ricostruzione della scena del teatro di Dioniso proposta da R. F. Townsend, The Fourth-century Skene of The Theater of Dionysos at Athens, « Hesperia », 55, 1986, 4, pp. 423-438. Per altre ipotesi parzialmente divergenti cfr. ancora L. Polacco, Il teatro di Dioniso Eleutereo ad Atene (Monografie della Scuola Archeologica di Atene e delle Missioni Italiane in Oriente, iv), Roma, 1990, part. pp. 174-177, figg. xlii-xliii ; S. Gogos, Bemerkungen zu den Theatern von Priene und Epidauros sowie zum Dionysostheater in Athen, « ÖJh », 67, 1998, Beiblatt, pp. 65-106. Sul teatro di Dioniso cfr. da ultimo J.-C. Moretti, The theater of the sanctuary of Dionysus Eleuthereus in late fifth-century Athens, in Euripides and Tragic Theatre in the Late Fifth Century, « ics », 24-25, 1999-2000, pp. 377-398. 4

l ’ architettura di età ellenistica in sicilia rinvenuti nel riempimento artificiale della cavea, appartengano, secondo Isler, alla seconda metà del iv-inizi del iii sec. a.C., 1 non costituisce un terminus ad quem, bensì solo un terminus post quem rispetto al quale la costruzione della cavea può essere più tarda. Per la scena, d’altra parte, gli argomenti addotti a sostegno di una contemporaneità con la cavea, non si riferiscono a dati stratigrafici, ma sono di carattere generico e per nulla determinanti ; 2 al contrario, nelle relazioni preliminari si rilevano alcuni indizi che farebbero pensare ad una datazione ben più tarda. 3 Riguardo poi alle ben note figure di Menadi e Satiri che avrebbero decorato l’edificio sin dalla prima fase, nessuna spiegazione viene data dell’improvvisa comparsa di questo motivo in un centro come Iaitas alla fine del iv sec. : 4 l’affermazione che il teatro di Monte Iato rappresenterebbe il capostipite della serie dei teatri a parasceni della Sicilia nord-occidentale non spiega nulla e riflette a mio avviso una sopravvalutazione del ruolo dell’edificio non commisurata alla reale importanza del centro. La presenza delle Stützfiguren si comprende meglio in riferimento ad un modello, che anche in questo caso dovette essere il teatro ieroniano di Siracusa. 5 In definitiva, più che al teatro ateniese di Dioniso, mi sembra che l’edificio scenico di Monte Iato sia assimilabile agli altri teatri tardo-ellenistici di Segesta, Solunto e Tindari e che dunque trovi una sua più adeguata collocazione, almeno fino a prova contraria, nel corso del ii sec. a.C. Ciò comporta, naturalmente, l’attribuzione ad età più tarda anche dei rifacimenti successivi della scena, la qual cosa non mi sembra contraddetta dai dati di scavo resi noti. È possibile che la cavea sia più antica dell’edificio scenico, ma in ogni caso credo si debba pensare ad una data nel iii sec., verosimilmente nella seconda metà, e non certo negli ultimi decenni del iv sec. Le considerazioni fin qui svolte mirano dunque a proporre una storia dello sviluppo dell’architettura teatrale in Sicilia a partire dal teatro ieroniano di Siracusa 6 e dal valore “paradigmatico” che dovette assumere non solo per l’articolazione architettonica e per l’apparato decorativo, ma anche, ritengo, in rapporto ai nuovi significati politici ed ideologici che esprimeva nelle strategie di autorappresentazione della basileia siracusana. In questo secondo aspetto sono da cercare, a mio avviso, le ragioni della fortuna del grande monumento della Neapolis come modello per i teatri tardo-ellenistici dei centri della Sicilia nord-occidentale, ed ancora le ragioni della costante presenza del teatro nella panoplia di edifici pubblici che caratterizza il rinnovamento monumentale dei centri suddetti tra ii e i secolo : non in quanto espressione, dunque, di un rinnovato afflato democratico, secondo la prospettiva “timoleontea” cara a non 1 Cfr. in particolare H. P. Isler, « SicA », iv, 1971, 12-13 ; Idem, « nsa », 1975, p. 540 ; Idem, « SicA », xiv, 1981, pp. 56-58 ; Idem, « SicA », xvi, 1983, pp. 17-18 ; Idem, « SicA », xxvi, 81, 1993, p. 7 sg. ; Idem, Il teatro greco di Iaitas, cit., pp. 213-214 (con altri riferimenti). 2 Isler, Contributi, cit., p. 138 ; Idem, Il teatro greco di Iaitas, cit., pp. 213-217. 3 Segnalo, ad esempio, che nel riempimento della trincea di fondazione del muro posteriore dell’edificio scenico – giudicato pertinente alla fase originaria della struttura – si è rinvenuto un piatto in campana A datato alla fine del ii sec. a.C. : per il rinvenimento cfr. H. P. Isler, « SicA », ix, 1976, p. 13 ; per il piatto (inv. K 2554), R. B. Caflisch, Studia Ietina iv. Die Firniskeramik vom Monte Iato. Funde 1971-1982, Zürich, 1991, p. 183, cat. n. 842, fig. 26, dove tuttavia si afferma – senza motivazioni cogenti – che il riempimento suddetto va riferito « einer späteren Umbauphase oder Reparatur des Theaters ». 4 Ribi, Isler-Kerényi, Die Stützfiguren, cit., pp. 13-48. 5 Così anche Wilson, Roman Architecture in a Greek World, cit., pp. 69-71, con osservazioni in merito all’inquadramento stilistico delle sculture. 6 L’importanza del teatro ieroniano di Siracusa nei confronti dell’architettura teatrale “minore” della Sicilia è stata messa in risalto già da L. Polacco, La posizione del teatro di Siracusa nel quadro dell’architettura teatrale greca in Sicilia, in Aparchai. Nuove ricerche e studi sulla Magna Grecia e la Sicilia antica in onore di Paolo Enrico Arias, a cura di M. L. Gualandi, L. Massei, S. Settis, ii, Pisa, 1982, pp. 431-443 (con le posizioni dell’Autore, tuttavia, soprattutto per gli aspetti cronologici, non mi pare possibile concordare). Pienamente condivisibili, invece, le osservazioni di F. D’Andria, Il teatro greco in Sicilia, in Urbanistica e architettura della Sicilia greca (Catalogo Mostra Agrigento 2004), Palermo, 2004, 37 e di La Torre, Il processo di “romanizzazione” della Sicilia : il caso di Tindari, cit., pp. 129-135.

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pochi studiosi dei decenni passati, bensì riflesso dell’ideologia “principesca” delle élites locali responsabili di siffatto rinnovamento. Ma su questo aspetto tornerò più avanti. Tale linea di sviluppo non intende, ovviamente, escludere la possibilità che nelle città siciliane siano stati edificati teatri anche prima degli ultimi decenni del iii sec. a.C., analogamente a quanto, del resto, si riscontra in Magna Grecia : basti citare gli esempi meglio noti di Metaponto e di Locri. 8 E tuttavia, se è vero che i teatri di Eraclea Minoa e di Montagna dei Cavalli – gli unici riferibili, a mio parere, ad una fase più antica rispetto a quello ieroniano di Siracusa – difficilmente avranno costituito due casi isolati, d’altra parte mi sembra che i dati di cui disponiamo, non permettano di identificare con certezza nessun altro esempio siciliano del primo ellenismo o anche più antico. Ciò vale pure per Siracusa : a parte le riserve suscitate dalle ricostruzioni di L. Polacco delle fasi pre-ieroniane del teatro, 9 anche sulle tracce identificate di recente da G. Voza, relative ad una presunta fase più antica della cavea, la documentazione disponibile appare del tutto insufficiente. 10 Credo però valga la pena di insistere su due punti importanti : in primo luogo, la difficoltà di datare con precisione i teatri di Eraclea e di Montagna dei Cavalli, dovrebbe indurre a mantenere una certa cautela nel proiettare verso l’alto, ad epoca timoleontea o agatoclea, la comparsa nell’isola dei primi edifici teatrali in pietra. In secondo luogo, come mostra l’esempio di Heraclea, ritengo si possa escludere la presenza in questa più antica fase dell’architettura teatrale siciliana di un edificio scenico stabile e in muratura, la cui introduzione costituisce, fino a prova contraria, un’innovazione degli architetti al servizio di Ierone II. 7

Un altro aspetto fondamentale di questo processo di monumentalizzazione delle aree pubbliche in età tardo-ellenistica, riguarda, come si diceva, lo spazio dell’agorà ; a questo proposito, il discorso risulta strettamente legato al tipo di edificio che concorre in misura privilegiata, anche se non esclusiva, a realizzare tale processo, e cioè la stoà. Ancor più che per i teatri, una lettura adeguata di tali fenomeni risulta fortemente penalizzata dall’esiguità della documentazione edita relativa alle stoai ellenistiche siciliane, con i conseguenti problemi sia di inquadramento cronologico, che di restituzione degli elevati. Ciononostante, l’esame dell’architettura in portico di centri quali Solunto, Halaesa, Termini Imerese, Segesta, Monte Iato, e delle soluzioni adottate nell’articolazione delle rispettive agorai, 11 permette di riconoscere diversi elementi nuovi nel con7 Cfr. in particolare Isler, Contributi, cit., pp. 162-163, e, più di recente, L. Gallo, I teatri delle poleis siciliane: funzione politica e implicazioni demografiche, in Atti delle Quarte Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima (Atti Convegno Erice 2000), Pisa, 2003, ii, part. p. 540. 8 Teatro di Metaponto : D. Mertens, A. De Siena, Metaponto : Il Teatro. Ekklesiasterion, « BdA », 16, 1982, pp. 1-60 ; teatro di Locri : M. C. Parra, Il teatro di Locri tra spettacolo e culto : per una revisione dei dati, « asnp », s. iv, iii, 1-2, 1998, pp. 303-322 (con bibliografia precedente). Ai due esempi citati si possono aggiungere inoltre il teatro di Velia, per cui cfr.: C. Bencivenga Trillmich, Il teatro sull’acropoli di Elea. Rendiconto dello scavo ed alcune considerazioni sulle fasi edilizie ed urbanistiche, in Velia. Studi e ricerche, a cura di G. Greco, F. Krinzinger, Modena 1994, pp. 87-96 (rinvenimento di muri di analemmata relativi a fasi del teatro precedenti quella di età romano-imperiale, datate rispettivamente verso il 470-460 a.C. ed intorno al 300 a.C.; cfr. anche M. Steskal et al., Velia, Das Theater, Bericht über die Ausgrabungen 2001, «ÖJh», 71, 2002, pp. 265-283) ; ed il teatro di Castiglione di Paludi, per il quale gli scarsissimi dati noti sono raccolti in Todisco, Teatro e spettacolo in Magna Grecia e Sicilia, cit., pp. 139-140. 9 L. Polacco, C. Anti, Il teatro antico di Siracusa, Rimini, 1981. 10 Cfr. G. Voza, Nuove ricerche sul teatro greco di Siracusa, in La Sicilia antica nei rapporti con l’Egitto (Atti Convegno Siracusa 1999), a cura di C. Basile, A. Di Natale, Siracusa, 2001, p. 209 : rinvenimento, immediatamente a monte della attuale summa cavea, di tratti di un più antico muro di analemma, dubitativamente riferito al v sec. a.C. 11 Per l’agorà di Solunto cfr. A. Cutroni Tusa, A. Italia, D. Lima, V. Tusa, Solunto (Comitato nazionale per gli studi e le ricerche sulla civiltà fenicia e punica. Itinerari xv), Roma, 1994, pp. 70-73 ; Wilson, Ciceronian Sicily : an archaeological perspective, cit., p. 141. Agorà di Halaesa : G. Scibona, Epigraphica Halaesina i (Schede 1970), « Kokalos », xvii, 1971, pp. 3-20 (aggiornato agli scavi del 1970 ; le campagne di scavo più recenti sono del tutto inedite) ; Wilson, Roman Architecture in a Greek World, cit., p. 72 ; Idem, Ciceronian Sicily : an archaeological perspective, cit., pp.

22 lorenzo campagna fronto con agorai il cui assetto risale al iv o al iii sec. a.C. : cito valorata dalle notevoli affinità con le cornici ioniche della scena ad esempio i casi di Camarina (Fig. 8) e di Megara Hyblaea. 1 del teatro 4 e dalla presenza nella stoà di balaustre decorate con un Rispetto a questi centri, le differenze non dipendono esclusivareticolo di losanghe, la cui diffusione è attestata, in Sicilia come mente dalle diverse condizioni geomorfologiche, ma risentono, altrove, in monumenti datati a partire dalla fine del iii-inizi del ii a mio avviso, delle trasformazioni maturate tra iii e ii sec. nel sec. 5 Ad Halaesa i pochissimi dati editi configurano una situazioMediterraneo orientale riguardo la concezione dello spazio delne del tutto analoga : una stoà con pianta molto simile a quella di l’agorà. Solunto, ma con doppia fila di colonne doriche davanti al muro di fondo e sui lati, delimitava la piazza a monte e sui due lati, mentre il lato a valle era chiuso, almeno in parte, da un edificio monumentale, probabilmente una seconda stoà, cui sembra riferibile un basamento messo in luce negli scavi della fine degli anni ’50. 6 Allo stato attuale non sono noti elementi datanti per la stoà alesina, ma le affinità notevoli con l’impianto di Solunto farebbero propendere per una datazione nello stesso ambito cronologico. Agli esempi di Solunto e di Halaesa si potrebbe aggiungere quello purtroppo poco noto ma con ogni probabilità coevo, dell’agorà di Termini Imerese. 7 Nei tre casi la stoà permette di superare i condizionamenti imposti dalla situazione orografica, mascherando i tagli artificiali necessari alla creazione di terrazze a quote diverse ; da un punto di vista generale, si potrebbero richiamare attestazioni analoghe di area microasiatica e soprattutto pergamena, collegate chiaramente alle esigenze di regolarizzare la morfologia accidentata dei siti mediante la creazione di terrazze artificiali a quote diverse. D’altra parte, l’impianto delle agorai di Solunto e di Halaesa mi sembra rifletta una tendenza a definire in modo più marcato lo spazio della piazza, non più dunque con l’edificazione lungo i margini di singoli edifici “freestanding”, bensì mediante una chiusura uniforme perseguita attraverso la sequenza continua dei tre colonnati, omogenea anche in altezza. Il fatto che in entrambi i casi non si conosca la delimiFig. 8. Camarina, agorà. Pianta. tazione della piazza verso valle, se non in modo assai sommario ad Halaesa, non permette di valutare fino in fondo l’applicazioLe agorai di Solunto e di Halaesa (Figg. 9, 10), molto simili tra ne di tali principi. Ciononostante, ritengo si possa riconoscere il loro, offrono in tal senso diversi spunti di riflessione. A Solunto riflesso, seppure in scala diversa, di tendenze maturate anche in la piazza si estende su una terrazza regolarizzata artificialmente, questo caso nelle città dell’Asia Minore : in particolare l’assetad una quota inferiore rispetto a quella del teatro, e presenta sul to raggiunto nel corso del II sec. da alcune agorai come quella lato a monte una stoà con risalite laterali, che delimita l’area su meridionale di Mileto e soprattutto quella di Priene, offre a mio tre lati. Sulla fronte della stoà è restituibile un colonnato che riavviso termini di riferimento abbastanza indicativi. 8 girava anche sui lati, mentre una serie di esedre si apre davanti al A considerazioni in parte affini si presta l’agorà di Monte muro di fondo, che serve da muro di contenimento della terrazza Iato 9 (Fig. 11). Secondo quanto emerso dalle indagini archeosoprastante ; è probabile che l’edificio avesse anche un secondo logiche, l’assetto monumentale della piazza sarebbe il risulordine. 2 Verso valle, la piazza è delimitata dalla via principale tato di interventi edilizi relativi a periodi diversi : all’impianto del centro urbano, oltre la quale si estende una zona non indaoriginario, datato dagli autori dello scavo intorno al 300 a.C., gata, la cui pertinenza all’area pubblica non è determinabile con apparterrebbero i portici sui lati nord ed est, mentre il portico sicurezza. Gli esigui dati cronologici di cui disponiamo, derivano ovest con il bouleuterion retrostante ed il tempio che lo delimita essenzialmente da considerazioni stilistiche : alla stoà appartiene a sud, sarebbero stati aggiunti in un momento successivo, nel una cornice ionica con gronde a protome leonina attribuita da corso dell’ultimo quarto del ii sec. a.C., a giudicare dai materiali von Sydow al 130-120 a.C. ; 3 questa indicazione cronologica è avrinvenuti in strati datanti. 10 La posteriorità del portico ovest rispetto al contiguo portico nord, risulta evidente dalle relazioni 145-147. Agorà di Termini Imerese : O. Belvedere, A. Burgio, R. Macaluso, M. S.

Rizzo, Termini Imerese. Ricerche di topografia e di archeologia urbana, Palermo, 1993, pp. 26-34. Agorà di Segesta : notizie preliminari sulle prime campagne di scavo in C. Michelini, Le agorai di ambiente coloniale e il caso di Segesta, in Atti delle Seconde Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima, cit., ii, pp. 1139-1158 ; M. A. Vaggioli, Ricerche archeologiche e topografiche sull’agora di Segesta, ivi, pp. 1329-1354; per gli scavi più recenti cfr. i contributi di C. Michelini e M. A. Vaggioli in «asnp», s. iv, vol. vi, 2, 2001, risp. pp. 430-446 e 447-457. Agorà di Monte Iato : per una presentazione d’insieme dell’area si veda adesso Isler, Monte Iato : guida archeologica2, cit., pp. 31-46. 1 Per l’agorà di Camarina cfr. G. Di Stefano, L’agorà di Camarina in Sicilia, in Classical archaeology towards the third millennium. Reflexions and perspectives. Proceedings of the xvth International Congress of Classical Archaeology (Atti Convegno Amsterdam 1998), Amsterdam, 1999, pp. 150-153 ; Idem, Sacelli e altari nell’agorà di Camarina, in Damarato. Studi di antichità classica offerti a Paola Pelagatti, cit., pp. 276-287 ; Id., I recenti scavi di Camarina, in Un ponte fra l’Italia e la Grecia. Atti del simposio in onore di Antonino Di Vita (Atti Simposio Ragusa 1998), Padova, 2000, pp. 195-198. Per l’agorà ellenistica di Megara Hyblaea cfr. G. Vallet, F. Villard, P. Auberson, Mégara Hyblaea, 3. Guide des fouilles (mefra, suppl. 1), Rome, 1983, pp. 20-25. 2 Così Wiegand, Das Theater von Solunt, cit., p. 53, che attribuisce all’ordine superiore ionico i frammenti di balaustre lapidee a reticolo di losanghe per cui vedi infra, nota 5. 3 von Sydow, Die hellenistischen Gebälke in Sizilien, cit., pp. 276, 314, 355-356 n. 40, figg. 26-28, tav. 86,3.

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Wiegand, Das Theater von Solunt, cit., pp. 71-72, tavv. 39-41, Beil. 15, 17. Le balaustre della stoà di Solunto sono inedite ; diversi esemplari frammentari si trovano sparsi nell’area dell’agorà. Relativamente alla diffusione ed alla cronologia delle balaustre con decorazione a reticolo di losanghe rinvio a Campagna, Note sulla decorazione architettonica della scena del teatro di Segesta, cit., pp. 235-236. 6 Cfr. G. Carettoni, Tusa (Messina). Scavi di Halaesa (seconda relazione), « nsa », 1961, pp. 296-303. 7 Supra, nota 11 di p. 21. 8 Per l’agorà meridionale di Mileto cfr. H. Knackfuss, Milet 1.7. Der Südmarkt und die benachbarten Bauanlagen, Berlin, 1924 ; G. Kleiner, Die Ruinen von Milet, Berlin, 1968, pp. 61-63, Abb. 37 ; J. J. Coulton, The Architectural Development of The Greek Stoa, Oxford, 1976, p. 261, fig. 86. Per l’agorà di Priene, ivi, pp. 277-278, fig. 103 ; cfr., inoltre, pp. 97-98 ; M. Schede, G. Kleiner, W. Kleiss, Die Ruinen von Priene, 2. Aufl., Berlin, 1964, pp. 49-57 ; F. Rumscheid, Priene. A Guide to the “Pompeii of Asia Minor”, Istanbul, 1998, pp. 31, 69-82. 9 Supra, nota 11 di p. 21. Per notizie preliminari sugli scavi nell’area dell’agorà di Iaitas si vedano le relazioni annuali pubblicate da H. P. Isler su « SicArch » e « ak ». 10 Per gli edifici sul lato ovest dell’agorà cfr. l’edizione definitiva di H.-S. Daehn, Studia Ietina iii. Die Gebäude an der Westseite der Agora von Iaitas, Zürich, 1991, in particolare, per la cronologia del complesso, pp. 91-123 ; a differenza di quanto sostiene l’A., tuttavia, mi pare che i materiali ceramici su cui si basa la cronologia, non permettano di escludere una data di costruzione più tarda, nel corso della prima metà del i sec. a.C. 5

l ’ architettura di età ellenistica in sicilia

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Fig. 9. Solunto. Pianta dell’area pubblica con l’agorà (in basso a sinistra).

stratigrafiche tra gli stilobati dei due edifici ; 1 meno condivisibile appare invece la datazione del portico nord intorno al 300 a.C., circa due secoli prima della costruzione di quello ovest. I pochi frammenti architettonici riferibili all’elevato dei due portici, infatti, appaiono sostanzialmente affini e presentano caratteri stilistici che orientano verso una datazione non anteriore alla fine del iii sec. : ciò vale per la presenza di colonne con fusto sfaccettato nella parte inferiore, 2 per la conformazione dei capitelli dorici 3 e ancora per la presenza nel geison della cornice di mutuli isolati nella parte posteriore. 4 Occorre considerare, tra l’altro, 1 Cfr. in proposito H. P. Isler, « SicArch », x, 1977, p. 16 ; Idem, « SicArch », xvii, 1984, pp. 7-9 ; Idem, « ak », 28, 1985, pp. 46-47 ; Daehn, Studia Ietina iii, cit., p. 35. 2 Per le colonne del portico ovest, vedi Daehn, Studia Ietina iii, cit., p. 38, nn. A783, A786, A788, A790, tavv. 43-47. Rocchi di colonne attribuiti al portico nord (rinvenuti tutti in situazioni di reimpiego) : H. P. Isler, « SicA », xx, 65, 1987, pp. 15-16, fig. 11 ; Idem, « SicA », xxi, 66-68, 1988, p. 46, fig. 22. Per le attestazioni di fusti sfaccettati nella parte inferiore, ricorrenti in edifici datati a partire dalla seconda metà del iii sec. a.C., cfr. Coulton, The Architectural Development of The Greek Stoa, cit., pp. 112-113 ; F. Rumscheid, Untersuchungen zur kleinasiatischen Bauornamentik des Hellenismus, Mainz a. R., 1994, i, pp. 86-87, 300. 3 Per i capitelli del portico ovest cfr. Daehn, Studia Ietina iii, cit., p. 38, A774, tav. 42 e A849, tav. 49 (quest’ultimo in precedenza attribuito al portico nord da H. P. Isler, « SicArch », xix, 1986, p. 33, fig. 12) ; per i capitelli del portico nord cfr. H. P. Isler, « SicA », xvi, 52-53, 1983, p. 20, figg. 8 e 10 (A779, A780 e A782) ; Idem, « SicA », xxii, 69-70, 1989, p. 12, fig. 12 (A1042). Contrariamente a quanto sostenuto da Isler (« SicA », xvi, 52-53, 1983, p. 20), le differenze rilevabili nel profilo dell’echino tra i due gruppi di capitelli non implicano necessariamente una differenza cronologica (in proposito si vedano le osservazioni generali di Rumscheid, Untersuchungen zur kleinasiatischen Bauornamentik des Hellenismus, cit., i, p. 302) ; più indicativa risulta invece la conformazione, del tutto identica nei due gruppi, del raccordo tra il sommoscapo ed il collarino ad anelli : le scanalature si collegano ad angolo retto alla parte inferiore del collarino e formano nel punto di raccordo un arco di cerchio. Tale conformazione, che caratterizza anche i capitelli molto simili dell’ordine inferiore del peristilio della Peristylhaus 1 della stessa Iaitas, non è attestata prima della fine del iii sec. : cfr. in proposito Rumscheid, Untersuchungen zur kleinasiatischen Bauornamentik des Hellenismus, cit., i, p. 303 ; inoltre : Campagna, Note sulla decorazione architettonica della scena del teatro di Segesta, cit., nota 44 (a proposito dei capitelli della Peristylhaus 1). 4 Frammenti di geison attribuiti al portico ovest : Daehn, Studia Ietina iii, cit., pp. 37-38, n. A773, tav. 41, e A813, tav. 49. Geison frammentario riferito al portico nord : H. P. Isler, « SicA », xxi, 66-68, 1988, pp. 40 e 46, fig. 4. Per la datazione della comparsa nel geison di mutuli isolati nella parte posteriore, cfr. Campagna, Note sulla decorazione architettonica della scena del teatro di Segesta, cit., pp. 228-229 (con altri riferimenti).

che anche per il portico nord sembra necessario restituire un fregio con cinque triglifi per interasse, in ragione dell’ampiezza dell’intercolumnio della fronte (m 2,97) e del raccordo con il portico ovest con analogo fregio 5 (Fig. 12) ; si tratta, anche in questo caso, di un indizio importante per la cronologia, in quanto lo schema a cinque triglifi è attestato solo in edifici databili a partire dal ii sec. a.C. 6 In base a tali considerazioni, mi sembra più verosimile per il portico nord una data più recente rispetto a quella sostenuta da Isler, non anteriore alla fine del iii-inizi del ii sec. a.C., la qual cosa non sembra esclusa dai dati di scavo ; 7 pertanto, la definizione dell’assetto monumentale dell’agorà di Iaitas, con i portici sui lati nord e – verosimilmente – est, 8 non dovette precedere di molto la costruzione del portico ovest, con la quale la piazza assunse la sua forma di età tardo-ellenistica ; si può aggiungere, a questo proposito, che alcuni saggi eseguiti nella massicciata di fondazione del lastricato della piazza, hanno restituito materiali ceramici collocabili nel corso del iii sec. o addirittura nella seconda metà, che pertanto, lungi dal confermare una cronologia alla fine del iv, mi sembra impongano una datazione più tarda, a partire almeno dalla metà del iii sec. a.C., se non ancora più tardi. 9 5 Per l’ampiezza dell’intercolumnio del colonnato sulla fronte del portico nord, cfr. H. P. Isler, « SicArch », xvi, 1983, p. 20 ; Idem, « SicArch », xx, 1987, p. 15. Per la restituzione nel fregio del portico ovest di cinque triglifi per interasse cfr. Daehn, Studia Ietina iii, cit., p. 48, tav. 39. 6 Cfr. in proposito Coulton, The Architectural Development of The Greek Stoa, cit., pp. 117-118 ; H. von Hesberg, Konsolengeisa des Hellenismus und der frühen Kaiserzeit, Mainz, 1980, p. 31 ; Rumscheid, Untersuchungen zur kleinasiatischen Bauornamentik des Hellenismus, cit., i, p. 315. 7 I saggi effettuati negli strati relativi alla costruzione del portico non hanno infatti restituito elementi significativi per la datazione dell’edificio : cfr. in proposito H. P. Isler, « SicArch », xx, 1987, p. 16 ; Idem, « SicArch », xxiv, 1990, pp. 7-9 ; Idem, « ak », 34, 1991, pp. 66-67. 8 Gli elementi attualmente noti sul lato orientale dell’agorà sono riassunti in Isler, Monte Iato. Guida archeologica2, cit., pp. 32-35 e Idem, Monte Iato: scavi 1998-2000, in Atti delle Quarte Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima, cit., pp. 827-838; occorre rilevare, tuttavia, che non risulta siano finora emersi dati specifici a favore della datazione del portico est verso il 300 a.C. sostenuta dall’Autore. 9 Cfr. in proposito H. P. Isler, « SicArch », xxx, 1997, p. 25 e nota 26 : frammenti

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Fig. 10. Halaesa, agorà. Pianta (aggiornata agli scavi del 1970).

Anche a Monte Iato si riflette una tendenza a conferire, attraverso i portici, un aspetto omogeneo dal punto di vista architettonico a tre lati della piazza, mentre il lato sud rimane aperto verso valle. Ciò è particolarmente evidente sui lati nord ed ovest, dove le due stoai mascherano dietro l’uniformità delle facciate la presenza di edifici funzionali come il bouleuterion dietro il portico ovest, o il complesso con corte a peristilio dietro il portico nord, sul quale torneremo. In relazione a questo aspetto, si potrebbero richiamare diversi esempi ancora una volta di ambiente microasiatico : il più significativo mi sembra la cosiddetta hierà stoà di Priene, del terzo venticinquennio del ii sec. a.C., che chiude l’agorà sul lato nord creando una fronte unica agli ambienti retrostanti e agli edifici del bouleuterion e del pritaneo. 1 Rispetto a Solunto e ad Halaesa, tuttavia, mi pare che i principi cui si è fatto riferimento, trovino a Monte Iato un’applicazione meno organica e forse ancora vicina, sotto questo profilo, alla ben nota agorà di Morgantina, dove la costruzione lungo i margini di singole stoai e di altri edifici, non tutti secondo assi paralleli o ortogonali, rispecchia a mio avviso una concezione meno aggiornata. 2 Non intendo dare a questa affermazione alcuna implicazione cronologica ; la datazione dell’agorà di Mordi skyphoi a vernice nera e fondi di coppe con decorazione stampigliata, per i quali l’A. fa riferimento a Caflisch, Studia Ietina iv, cit., pp. 137-141, cat. nn. 668-691, fig. 21 ; gli esemplari citati per confronto, tuttavia, sono datati, per lo più, tra la prima metà e la metà del iii sec., e, in due casi, anche nella seconda metà. Inoltre : H. P. Isler, « SicArch », xxxii, 1999, pp. 7-8 e nota 16 (a fig. 8 un piattello a vernice nera Morel F1323/1324, attribuito « al primo trentennio del sec. iii a.C. » ; inoltre un frammento di patera Morel F1554, che Caflisch data dubitativamente alla prima metà del iii sec. a.C.). Per una proposta analoga di datazione dell’impianto dell’agorà di Iaitas, non sostenuta però da alcuna motivazione, cfr. ora Wilson, Ciceronian Sicily : an archaeological perspective, cit., p. 147. 1 Per la hierà stoà di Priene – dedicata verosimilmente da Orophernes di Cappadocia – rinvio, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, a Rumscheid, Untersuchungen zur kleinasiatischen Bauornamentik des Hellenismus, cit., i, p. 46 ; ii, p. 74 (150-125 a.C.) ; Idem, Priene, cit., pp. 70-77 ; B. Schmidt-Dounas, Schenkungen hellenistischer Herrscher an griechische Städte und Heiligtümer, ii.2. Geschenke erhalten die Freundschaft, Berlin, 2000, pp. 248-250. Una datazione più antica della stoà, ancora nella prima metà del ii sec., è stata sostenuta da H. Schaaf, Untersuchungen zu Gebäudestiftungen in hellenistischer Zeit, Köln-Weimar, 1992, pp. 121-140.

gantina ai decenni centrali del iii sec. a.C. rimane a mio avviso sub iudice e vincolata alla pubblicazione dei materiali ceramici e numismatici rinvenuti nei contesti datanti, soprattutto, ma non solo, in ragione dell’abbassamento della cronologia di molte coniazioni ieroniane proposto di recente. 3 Spunti di riflessione altrettanto significativi sono offerti dall’agorà di Segesta. 4 Nonostante il loro carattere preliminare, i dati finora a disposizione permettono alcune considerazioni. L’immagine che si ricava da questi dati, è quella di una piazza estesa su una terrazza regolarizzata artificialmente con consistenti interventi di taglio del banco roccioso e relative opere di contenimento sui lati nord ed ovest ; lungo quest’ultimo, in particolare, il salto di quota rispetto alla terrazza soprastante è mascherato da una serie di edifici, tra cui un interessante edificio con fronte a pilastri e probabile criptoportico sul fondo, interpretato come horreum. Nei lati sud ed est, rivolti a valle, sono stati identificati i resti di poderose opere di sostruzione funzionali all’edificazione dei margini della piazza. Se allo stato attuale si può dire poco del lato est, la sistemazione messa in luce sul lato sud risulta del massimo interesse : i due muri di sostruzione paralleli rintracciati a quote diverse sembrano configurare l’esistenza di un edificio a più livelli, da restituirsi in elevato fino alla quota dell’agorà, alla quale un crepidoma parzialmente conservato indizia la presenza di un portico aperto verso la piazza. I materiali recuperati in alcuni saggi nelle sostruzioni danno come terminus post quem il iv-iii sec. a.C. ; 5 ritengo però si debba pensare ad una data più tarda, in considerazione del fatto che una cornice dorica verosimilmente appartenente al portico, presenta caratteri stilistici di pieno II sec., molto simili a quelli delle cornici del vicino teatro. 6 Del 2 Per l’agorà di Morgantina cfr. Bell, Excavations at Morgantina 1980-85, Preliminary Report xii, cit., pp. 338-340 ; Idem, Observations on Western Greek Stoas, cit., pp. 327-341. 3 4 In proposito vedi supra, nota 8 di p. 15. Supra, nota 11 di p. 21. 5 Vaggioli, Ricerche archeologiche e topografiche sull’agora di Segesta, cit., p. 1346. 6 Ivi, p. 1341, tav. cclxxv, 1 ; per le cornici doriche dell’edificio scenico del teatro cfr. Campagna, Note sulla decorazione architettonica della scena del teatro di Segesta, cit., pp. 228-230.

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Fig. 11. Monte Iato, agorà. Pianta.

resto, i confronti più diretti per questo tipo di edificio si possono rintracciare in ambiente pergameno, dove stoai a più livelli sono attestate a partire dalla fine del iii sec. in diversi esempi, tra cui quelli notissimi delle agorai di Aigai, Assos ed Eraclea al Latmo. 1 L’edificio, inoltre, sembra far parte di un più complesso programma di monumentalizzazione del fronte sud dell’agorà, rivolto verso la città, programma che comprendeva anche un portico aperto verso valle con un colonnato corinzio, identificato più ad ovest ma all’incirca sullo stesso asse ; lo stile del capitello, del tipo corinzio-siceliota, orienta ancora una volta verso una data nella seconda metà del ii sec. 2 I caratteri pergameni cui si faceva prima riferimento, non riguardano solo l’edificio sud dell’agorà ; l’articolazione di tutta l’acropoli nord della città su terrazze artificiali, a quote diverse e con orientamenti diversi, realizzate con massicce opere di sbancamento e di sostruzione, riflette a mio avviso un’applicazione di tali principi costruttivi più radicale ed estesa rispetto a quanto si può rilevare negli altri centri in esame. Un’altra componente del quadro dell’architettura pubbli1

Coulton, The Architectural Development of The Greek Stoa, cit., pp. 70-71. Cfr. M.V. Benelli, M. De Cesare, M. Paoletti, M.C. Parra, Lo scavo dell’area 3000 (sas 3), in Segesta. Parco archeologico e relazioni preliminari delle campagne di scavo 1990-1993, « asnp », s. iii, xxv, 1995, pp. 685, 754, tav. cxii, 1a-b. 2

Fig. 12. Monte Iato, agorà. Disegno di ricostruzione dell’angolo tra i portici nord ed ovest.

ca siciliana di età ellenistica è costituita dai bouleuteria. Com’è noto, un cospicuo numero di testimonianze letterarie ed epigrafiche relative a diverse città siciliane, fa riferimento a

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Fig. 13. Bouleuteria di Agrigento (1), Segesta (2) e Solunto (3). Piante di ricostruzione.

boulai/senati locali, presupponendo indirettamente l’esistenza di sedi per riunioni, delle quali peraltro, in alcuni casi, si fa esplicita menzione, senza che se ne possano però dedurre indicazioni in merito alla configurazione architettonica. 1 Meno numerosi sono i monumenti documentati archeologicamente : in alcuni casi si tratta di edifici noti già da tempo, come i bouleuteria di Akrai, Morgantina e Solunto ; 2 sono invece frutto di ricerche più recenti quelli di Agrigento, di Segesta e di Monte Iato, dove al bouleuterion dietro la stoà ovest è venuto ad aggiungersi il cosiddetto “primo bouleuterion”, individuato nel complesso a peristilio retrostante il portico nord. 3 Escluderei dalla discussione il bouleuterion di Tauromenion, la cui identificazione in un edificio messo in luce solo in minima parte da scavi nell’area della presunta agorà, resta ad oggi as1 Per una raccolta delle fonti letterarie ed epigrafiche sui bouleuteria siciliani cfr. A. Iannello, I bouleuteria in Sicilia. Fonti e monumenti, « QuadMessina », 9, 1994, part. pp. 84-88 ; cfr. anche, in proposito, M. Giangiulio, Edifici pubblici e culti nelle nuove iscrizioni da Entella, « asnp », xii, 3, 1982, p. 964. 2 Bouleuterion di Akrai : Bernabò Brea, Akrai, cit., pp. 44-53, figg. 12 e 19, tav. x (cfr. anche pp. 39-40 per la datazione in età ieroniana) ; Daehn, Studia Ietina iii, cit., p. 59 ; Iannello, I bouleuteria in Sicilia, cit., pp. 66-70. Bouleuterion di Morgantina : R. Stillwell, « aja », 67, 1963, p. 166 ; E. Sjöqvist, « aja », 68, 1964, pp. 140-141 ; Daehn, Studia Ietina iii, cit., pp. 59-60 ; Iannello, I bouleuteria in Sicilia, cit., pp. 76-78. Bouleuterion di Solunto : V. Tusa, Solunto. Il teatro e l’odeon, in Odeon ed altri “monumenti” archeologici, cit., pp. 91-92, tav. 23a (identificato come odeion) ; L. Natoli, Il teatro e l’odéon della citta di Solunto, ivi, p. 111 ; Daehn, Studia Ietina iii, cit., pp. 58-59 ; Iannello, I bouleuteria in Sicilia, cit., pp. 70-72 ; Cutroni Tusa, Italia, Lima, Tusa, Solunto, cit., pp. 74, 77, tav. 22. 3 Per il bouleuterion di Agrigento cfr. E. De Miro, L’attività della Soprintendenza archeologica di Agrigento (anni 1980-84), in Atti del VI congresso internazionale di studi sulla Sicilia antica, « Kokalos », xxx-xxxi, 1984-1985, pp. 460-464 ; Idem, Il bouleuterion di Agrigento. Aspetti topografici, archeologici e storici, « QuadMessina », 1, 19851986, pp. 7-12 ; Idem, Architettura civile in Agrigento ellenistico-romana e rapporti con l’Anatolia, « QuadMessina », 3, 1988, p. 67 ; inoltre : Daehn, Studia Ietina iii, cit., pp. 60-61 ; Iannello, I bouleuteria in Sicilia, cit., pp. 73-75. Per il bouleuterion di Segesta : M. De Cesare, M.C. Parra, Il buleuterio di Segesta : primi dati per una definizione del monumento nel contesto urbanistico di età ellenistica, in Atti delle Terze Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima, cit., i, pp. 273-286; Eaedem, Segesta. Area del bouleuterion (sas 3; 1995, 1997), «asnp», s. iv, v. vi, 2, 2001, pp. 417-429. Per il bouleuterion dietro il portico ovest dell’agorà di Monte Iato cfr. Daehn, Studia Ietina iii, cit., pp. 52-64 ; Iannello, I bouleuteria in Sicilia, cit., pp. 79-84. Per il cosiddetto “primo bouleuterion” cfr. H. P. Isler, « SicArch », xxv, 1992, pp. 13-18 ; Idem, « ak », 35, 1992, pp. 57-58 ; Idem, Monte Iato. Guida archeologica2, cit., pp. 35-36. 4 Cfr. G. M. Bacci, Ricerche a Taormina negli anni 1977-1980, « Kokalos », xxvixxvii, 1980-1981, pp. 739-741 ; dubbi in proposito sono espressi già da Wilson, Sicily under the Roman Empire, cit., p. 50.

solutamente ipotetica. 4 Come è stato più volte notato, i bouleuteria siciliani costituiscono un gruppo piuttosto omogeneo per quanto attiene alle caratteristiche architettoniche generali : si tratta infatti di edifici di dimensioni abbastanza contenute, a pianta rettangolare (Agrigento, Solunto, Segesta : Fig. 13) o quasi quadrata (Akrai, Morgantina, primo e secondo bouleuterion di Monte Iato : Fig. 14), all’interno della quale è iscritta una gradinata con andamento curvilineo, a semicerchio completo ovvero ad arco di cerchio ; l’unica eccezione sembrerebbe rappresentata dal bouleuterion di Morgantina, in quanto la restituzione di una gradinata semicircolare, a giudicare dai dati attualmente disponibili, è tutt’altro che sicura. 5 La presenza di un portico antistante costituisce un altro tratto comune, assente solo a Solunto ; d’altra parte, il cosiddetto “primo bouleuterion” di Monte Iato prospetta addirittura su una corte a peristilio. Problematica è la restituzione dell’elevato, scarsamente conservato in tutti i casi. Le dimensioni contenute e l’assenza di pilastri o colonne all’interno, fanno pensare ad una copertura autoportante, sostenuta da travi ad unica campata ; soltanto nel bouleuterion di Agrigento, di dimensioni maggiori, sono forse da restituire quattro sostegni interni. L’assenza, in tutti i casi, di apprestamenti riferibili ad un eventuale scena, mi sembra avvalori una destinazione prevalente a funzioni 5 All’interno della sala per riunioni, infatti, sono state messe in luce alcune strutture (vedi fig. 14.1), la cui appartenenza ad una stessa ovvero a più fasi distinte non è determinabile con chiarezza, in mancanza di informazioni circa le relazioni stratigrafiche intercorrenti tra di esse. Un basso muretto semicircolare di fronte all’ingresso, ritenuto la delimitazione di una sorta di “orchestra”, farebbe pensare all’esistenza di una cavea, della quale però non è stata trovata alcuna traccia (giustificata appare pertanto la cautela manifestata in proposito da Daehn, Studia Ietina iii, cit., p. 60) ; a ridosso di tale muretto, inoltre, si trova una fondazione a pianta rettangolare, che da un lato sembrerebbe attribuita alla stessa fase (“in conjunction” : Sjöqvist, « aja », 68, 1964, p. 140), dall’altro viene invece riferita ad una prima fase dell’edificio ed identificata come basamento di una piattaforma per sedili, che sarebbe stato obliterato in un secondo momento, « during the later remodeling of the room » (ibidem), la cui entità rimane tuttavia del tutto oscura. Tutt’altro che perspicua, ancora, è la funzione, e la fase di pertinenza, delle strutture individuate sul muro di fondo dell’ambiente. In base ai dati disponibili, appare del tutto priva di fondamento l’attribuzione ad una prima fase di una cavea in legno in relazione all’orchestra semicircolare, sostenuta da Iannello, I bouleuteria in Sicilia, cit., p. 76, che assegna invece la fondazione rettangolare (riferita ad un bema !) ad una trasformazione successiva.

l ’ architettura di età ellenistica in sicilia 27 assembleari, nonostante in passato da più parti soprattutto gli edifici di Solunto o di Akrai siano stati identificati piuttosto come odeia. 1 L’inquadramento cronologico dei bouleuteria siciliani presenta difficoltà analoghe a quelle evidenziate per i teatri. Soltanto per gli edifici di Segesta e di Monte Iato, stoà ovest, attribuiti entrambi agli ultimi decenni del ii sec. a.C., la datazione si basa su materiali ceramici rinvenuti in strati riferibili alla costruzione della struttura. Gli altri bouleuteria sono stati datati al iv o al iii sec. a.C., per lo più sulla base di argomenti esterni e di carattere generale (Solunto, Akrai, Agrigento) ; 2 nei casi del cd. “primo bouleuterion” di Monte Iato e di Morgantina, datati rispettivamente verso il 300 a.C. e al secondo quarto/seconda metà del iii sec., la cronologia si fonda invece su dati più specifici, che però, ad una più attenta valutazione, suscitano alcune perplessità. Nel caso di Morgantina, l’elemento determinante è costituito da un gruzzolo di sette monete della nota serie bronzea siracusana Testa di Poseidon/Tridente con tondello piccolo, rinvenuto nel (sic !) muro sud dell’edificio. 3 Il contesto di rinvenimento delle monete (all’interno del muro ? in fondazione ? occultamento successivo ?) appare tutt’altro che perspicuo e dunque non è chiaro se esse possano effettivamente essere messe in relazione con la costruzione del bouleuterion ; in ogni caso, la datazione della serie tra il 240 ed il 215 a.C. sostenuta dagli editori dei reperti numismatici del sito, 4 avrebbe dovuto già indurre, a nostro avviso, a lasciare aperta la possibilità di una data più tarda per l’edificio. Ciò appare necesFig. 14. Bouleuteria di Morgantina (1), Akrai (2) e Monte Iato sario, a fortiori, alla luce delle più recenti proposte (3 : “secondo bouleuterion” ; 4 : “primo bouleuterion”). Piante di ricostruzione. cronologiche per la monetazione siracusana di età ieroniana, secondo le quali il periodo di emissione più parti ed una cronologia più recente, nel corso del iii sec., ridella serie in questione andrebbe ristretto al 217-214 a.C. : 5 se sulta più verosimile per diverse ragioni. 8 In ogni caso, il mosaico dunque le monete datano la costruzione del bouleuterion, ritengo geloo appartiene ancora ad una fase per così dire “transizionale”, che questa non possa essere collocata prima della fine del iii sec. mentre invece il tessellato di Monte Iato ha una trama più regolaa.C. re ed è molto più simile a pavimenti siciliani databili a partire dal Anche a proposito del “primo bouleuterion” di Monte Iato, gli secondo ventennio del ii sec. 9 Inoltre, il complesso a peristilio sul argomenti utilizzati a sostegno della datazione alla fine del iv sec. quale il bouleuterion prospetta, è direttamente connesso al portico a.C. richiedono alcune considerazioni. L’orchestra dell’edificio nord antistante, per il quale, come si è già detto, appare preferibipresenta un pavimento in tessellato monocromo bianco con ordile una datazione a partire dal tardo iii sec. 10 to abbastanza regolare, che lo stesso Isler riconosce come appar6 In base a tali considerazioni appare difficilmente condivisitenente alla fase originaria : a sostegno di una datazione alta, lo bile la tesi di Isler, secondo la quale il “primo bouleuterion” anstudioso citava a confronto il mosaico del cosiddetto andron della drebbe connesso all’ordinamento della neocostituita comunità ben nota casa presso l’ex Villa Iacona a Gela, che D. Adamesteadegli Ietini intorno al 300 a.C., mentre il bouleuterion della stoà nu attribuiva alle fasi anteriori alla distruzione della città nel 280 ovest, più recente, rifletterebbe una trasformazione politica a.C. 7 Su tale datazione, tuttavia, sono state formulate riserve da ed istituzionale legata all’intervento di Roma. 11 L’attribuzione 1

Cfr. ad esempio Lauter, L’architettura dell’ellenismo, cit., pp. 154, 161. Si veda però Wilson, Sicily under the Roman Empire, cit., pp. 24, 25, 27, 49, a favore di una datazione più recente, al ii sec. a.C., degli edifici in questione. 3 Per il rinvenimento cfr. E. Sjöqvist, « aja », 68, 1964, p. 141 (« in the original south wall of the building ») ; per la classificazione delle monete (inv. nn. 63-12371243) cfr. T. V. Buttrey, K. T. Erim, T. D. Grooves, R. Ross Holloway, Morgantina Studies ii. The Coins, Princeton, New Jersey, 1989, p. 198. Per la datazione del bouleuterion cfr. anche Bell, Excavations at Morgantina 1980-85, Preliminary Report xii, cit., p. 338 (secondo quarto o seconda metà del iii sec. a.C.). 4 Buttrey, Erim, Grooves, Ross Holloway, Morgantina Studies ii, cit., p. 106, cat. n. 368. 5 Si vedano in proposito M. Caccamo Caltabiano, B. Carroccio, E. Oteri, Il sistema monetale ieroniano : cronologia e problemi, in La Sicilia tra l’Egitto e Roma, cit., part. pp. 214-216, 224-225 ; Carroccio, Dal basileus Agatocle a Roma, cit., part. p. 86, cat. n. 75, 112, 119, 124, 137, 273-274. 6 Cfr. H. P. Isler, « SicArch », xxiv, 1990, p. 10, fig. 10 ; xxv, 1992, pp. 13-14, fig. 9 ; xxvii, 1994, pp. 9-10, fig. 8 ; Idem, « ak », 34, 1991, p. 68, tav. 9.1 ; 35, 1992, pp. 5758 ; 37, 1994, p. 34 ; Idem, Monte Iato : scavi 1992-1994, cit., p. 1021, tav. cxcv ; Idem, Monte Iato : mosaici e pavimenti, in Atti del iv Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico, cit., p. 21, fig. 1 ; cfr. anche ivi, p. 1028. 7 Cfr. D. Adamesteanu, Gela. Scoperta di una casa ellenistica a Capo Soprano, 2

« nsa », 1956, pp. 343-354 ; R. Panvini, Considerazioni sul mosaico della villa ellenistica di Gela, in Atti del iv Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico, cit., pp. 159-164. 8 Per la questione della cronologia del complesso rinvio a Portale, I mosaici nell’apparato decorativo delle case ellenistiche siciliane, cit., pp. 86-87, con bibliografia precedente. Per un riesame dei dati e dei materiali di scavo a disposizione si veda il contributo di C. Pilo in questi stessi Atti. 9 Tali pavimenti sono attestati in diverse abitazioni dell’isola, a Lilibeo, Solunto, Eraclea Minoa, oltre che nella stessa Monte Iato, e ricorrono in costante associazione con decorazioni parietali elaborate in stucco di i stile avanzato : in proposito cfr. Portale, I mosaici nell’apparato decorativo delle case ellenistiche siciliane, cit., pp. 9395, con i relativi riferimenti bibliografici. 10 Cfr. supra, p. 23. Recentemente Wilson, Ciceronian Sicily : an archaeological perspective, cit., pp. 147-148 e fig. 11.11, ha indicato per il “primo bouleuterion” una datazione intorno al 150 a.C., senza addurre però alcun argomento specifico. 11 Cfr. bibliografia cit. supra, nota 3 di p. 26. La costruzione del nuovo bouleuterion dietro la stoà ovest viene connessa da Isler direttamente all’intervento di Rupilio in Sicilia, che avrebbe comportato un ampliamento del senato cittadino e dunque la costruzione di una sala di riunioni più grande : in proposito H. P. Isler, « ak », 35, 1992, 1, p. 58 ; Idem, Bouleuteria di Sicilia, in Archeologia del Mediterraneo. Studi in onore

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lorenzo campagna

dell’edificio ad una fase più recente, almeno di primo ii sec. a.C. e dunque vicina a quella dell’altro bouleuterion ietino, impone di valutarne la costruzione in rapporto ad un assetto politico che è già quello della provincia romana. Nulla vieta, naturalmente, di pensare anche in questo caso che i due edifici riflettano un mutamento nell’ordinamento del senato ietino ; mi chiedo tuttavia se la spiegazione non vada invece cercata in una diversa funzione di tutto il complesso attorno alla corte a peristilio e dunque anche del presunto bouleuterion ad esso appartenente. 1 D’altra parte, l’attribuzione alla fine del iv sec. del cosiddetto “bouleuterion più antico” di Iaitas si collega ad una tesi più generale sostenuta recentissimamente da Isler, 2 tendente a riportare a questa stessa epoca gran parte dei bouleuteria siciliani e a considerarli dunque complessivamente come un riflesso degli ordinamenti istituzionali di cui si dotarono le città in questione sulla scia delle riforme introdotte nell’isola da Timoleonte : ad età timoleontea apparterrebbero per lo studioso anche gli edifici di Agrigento, di Solunto, di Akrai, nonché quelli, documentati solo dalle fonti letterarie ed epigrafiche, di Siracusa, di Agyrion e di Entella. Tesi del genere denotano a nostro avviso una tendenza piuttosto discutibile sotto il profilo metodologico : non è chi non veda infatti come le incertezze in questioni di cronologia, anziché ispirare posizioni di maggiore cautela, vengano utilizzate per far valere datazioni congruenti con ricostruzioni storiche le quali più che essere un risultato, appaiono piuttosto il frutto di tesi precostituite. In merito alla datazione dei bouleuteria siciliani, tuttavia, occorre mettere in evidenza un aspetto che non mi sembra sia stato adeguatamente valutato finora. Come si è già osservato, gli edifici documentati archeologicamente presentano caratteristiche planimetriche ed architettoniche riconducibili sempre – tranne forse l’unica eccezione di Morgantina 3 – allo stesso tipo, caratterizzato dalla gradinata a forma di cavea teatrale semicircolare o ad arco di cerchio. L’esempio più antico sicuramente documentato di bouleuterion con gradinata di questo tipo, è rappresentato, come si sa, da quello di Mileto, 4 eretto tra il 175 e il 164 a.C., al quale si collegano diversi edifici più tardi, eretti prevalentemente in città dell’Asia Minore ; 5 questo gruppo di Ernesto De Miro, a cura di G. Fiorentini, M. Caccamo Caltabiano, A. Calderone, Roma, 2003, part. pp. 429-431. 1 Cfr. V. Kockel, Bouleuteria. Architektonische Form und urbanistischer Kontext, in Stadtbild und Bürgerbild im Hellenismus (Atti Colloquio München 1993), Hrsg. M. Wörrle, P. Zanker, München 1995, pp. 35-36, per riferimenti ad edifici di forma analoga ai bouleuteria ma con funzioni diverse. 2 Cfr. Isler, Bouleuteria di Sicilia, cit., pp. 429-431. 3 In proposito vedi supra, nota 5 di p. 26. 4 Per il bouleuterion di Mileto cfr. H. Knackfuss, Milet i 2. Das Rathaus von Milet, Berlin, 1908 ; Schaaf, Untersuchungen zu Gebäudestiftungen in hellenistischer Zeit, cit., pp. 37-61 (con bibliografia precedente). L’unica attestazione più antica potrebbe essere individuata nel cosiddetto “nuovo bouleuterion” di Atene : secondo la vecchia ricostruzione di H. A. Thompson (Buildings on the West Side of the Agora, « Hesperia », vi, 1937, pp. 140-160, tavv. 6-8 ; H. A. Thompson, R. E. Wycherley, The Athenian Agora xiv. The Agora of Athens, Princeton, 1972, pp. 31-38), l’edificio, la cui costruzione si pone nell’ultimo quarto del v sec a.C., sarebbe stato dotato in età ellenistica di una cavea semicircolare. Si tratta tuttavia di una ricostruzione largamente ipotetica, come indicano le proposte di restituzione radicalmente diverse sostenute in tempi più recenti da G. Kuhn (Das Neue Buleuterion von Athen, « aa », 1984, 1, pp. 17-26 ; cfr. però la critica a tale ricostruzione di Daehn, Studia Ietina iii, cit., pp. 61-63), da W. B. Dinsmoor Jr. (disegno di ricostruzione del 1985, pubblicato in J. M. Camp, The Athenian Agora, London 1986, fig. 91 ; ma dello stesso Dinsmoor cfr. la ricostruzione differente ivi, fig. 67) e da H. Schaaf (Untersuchungen zu Gebäudestiftungen in hellenistischer Zeit, cit., pp. 41-45, fig. 7) : in proposito, cfr. anche Kockel, Bouleuteria. Architektonische Form und urbanistischer Kontext, cit., pp. 30-31, fig. 1 a-c. Del tutto congetturale, inoltre, è la restituzione di una gradinata semicircolare nei presunti bouleuteria di Olinto e di Lousoi in Arcadia (così interpretati soltanto ipoteticamente), rispettivamente datati al v e al iv-iii sec. a.C. : cfr. W. A. McDonald, The Political Meeting Places of the Greeks, Baltimore, 1943, pp. 196-198, tav. viii, fig. 18 (Lousoi) ; pp. 231-236, tav. xv (Olinto). 5 Cfr. i bouleuteria con gradinata semicircolare di Alabanda, Stratonicea, Iasos, Anemurium, Efeso, Troia, Nysa, cui si aggiunge, come unico esempio non microasiatico, quello di Apollonia in Illiria ; inoltre cfr. i bouleuteria con gradinata ad arco di cerchio di Termessos e di Ariassos. In proposito si vedano le considerazioni di Lauter, Architettura dell’ellenismo, cit., pp. 152-154 ; Schaaf, Untersuchungen zu Gebäu-

“microasiatico” – secondo la definizione datane dal Lauter – si differenzia nettamente dai bouleuteria più antichi sia della Grecia che dell’Asia Minore, che appartengono per lo più, sia pure con numerose varianti, al tipo della sala ipostile a pianta quadrata o rettangolare. 6 Considerati i caratteri specifici di tale gruppo di bouleuteria, ben circoscritto geograficamente e cronologicamente, mi sembra che le affinità rilevabili nei bouleuteria siciliani non siano casuali, ma che al contrario siano indizio di una derivazione da modelli microasiatici, seppure riadattati ad una scala ridotta ; del resto già E. De Miro, in un suo contributo del 1988, aveva sottolineato le affinità tra il bouleuterion di Agrigento e quello di Mileto. 7 Questa ipotesi investe naturalmente anche il problema della datazione dei monumenti siciliani, che non dovrebbero essere, a questo punto, più antichi della seconda metà del ii sec. ; in altri termini, la cronologia ricavata dai dati di scavo per i bouleuteria di Segesta e di Monte Iato, stoà ovest, andrebbe estesa anche a quelli di Agrigento, di Solunto, di Akrai e di Monte Iato, stoà nord, riportando dunque ad un unico orizzonte di seconda metàtardo ii sec. a.C. la comparsa nell’isola di questo tipo di edificio per riunioni. Più problematico mi sembra invece l’inquadramento del bouleuterion di Morgantina, considerate le incertezze che ancora sussistono sulla ricostruzione dell’assetto interno : non è escluso che l’edificio, almeno in una fase originaria, attesti la presenza nell’isola di un tipo più antico di sala per riunioni, caratterizzato da banchi (lignei ?) rettilinei lungo le pareti dell’ambiente. Del resto, le considerazioni fin qui svolte non intendono negare che anche prima del ii sec. a.C. esistessero nelle città siciliane edifici destinati alle assemblee della boule, considerato per altro che essi sono effettivamente documentati dalle fonti almeno dal iii sec. : lo attesta ad esempio il riferimento esplicito al bouleuterion in alcuni dei decreti di Entella, 8 mentre per Siracusa, se la menzione della curia/bouleuterion compare solo nelle Verrine, 9 le testimonianze relative alla boule siracusana sono più antiche e presuppongono dunque l’esistenza di un edificio per riunioni già ben prima dell’epoca di Cicerone. 10 Ritengo invece si debba distinguere tra un tipo di bouleuterion di derivazione microasiatica, adottato nei centri che hanno conosciuto questa fioritura monumentale in età tardo-ellenistica, e, dall’altra parte, gli edifici per riunioni di iii sec., o anche più antichi, dei quali però, in mancanza di qualunque riscontro archeologico, ci sfugge del tutto la conformazione architettonica. destiftungen in hellenistischer Zeit, cit., pp. 45-51. Per i riferimenti relativi ai singoli edifici cfr. McDonald, The Political Meeting Places of the Greeks, cit., pp. 219-224 (Nysa), 248-249 (Troia) ; G. C. Izenour, Roofed Theaters of Classical Antiquity, West Hanover, 1992, pp. 56-62 (Termessos e Ariassos, con bibliografia precedente), 108-113 (Anemurium e Nysa). Inoltre, per il bouleuterion di Alabanda : Edhem-Bey, in «crai», 1905, pp. 443-459 ; per il bouleuterion di Stratonicea : R. Naumann, Das Buleuterion von Stratonikeia, « IstMitt », Beih. 10, 1973, pp. 68-79 ; per il bouleuterion di Iasos : R. Parapetti, Il bouleuterion : aspetti architettonici e decorativi, in Studi su Iasos di Caria. Venticinque anni di scavi della Missione Archeologica Italiana, « BdA », suppl. al n. 31-32, 1985, pp. 105-136 ; per il bouleuterion di Efeso: W. Alzinger, Das Zentrum der lysimachischen Stadt, in 100 Jahre österreichische Forschungen in Ephesos (Atti Simposio Wien 1995), Wien 1999, pp. 389 sg. ; per il bouleuterion di Apollonia : K. Zheku, Le monument des agonothètes. Reconstruction hypothétique de sa vue principale (in albanese con riass. in francese), in « Monumentet », 4, 1972, pp. 7-24 ; Idem, L’anastylose de l’aspect principal du monument des agonothètes à Apollonie (in albanese con riass. in francese), « Monumentet », 18, 1979, pp. 29-42. 6 Cfr. in proposito McDonald, The Political Meeting Places of the Greeks, cit., p. 255 sgg., part. pp. 263-270 ; Lauter, Architettura dell’ellenismo, cit., p. 147 ; Kockel, Bouleuteria. Architektonische Form und urbanistischer Kontext, cit. 7 De Miro, Architettura civile, cit., p. 67. 8 Il riferimento esplicito al bouleuterion compare nei decreti iv (ll. 14-16), v (ll. 28-30), vii (ll. 13-17) e viii (ll. 18-22) ; cfr. in proposito Giangiulio, Edifici pubblici e culti nelle nuove iscrizioni da Entella, cit., pp. 963-970. Sui decreti di Entella cfr. ora Da un’antica città di Sicilia. I decreti di Entella e Nakone (Catalogo Mostra Pisa 2001), Pisa, 2001. 9 Cfr. in particolare Cic. Verr. ii, 2, 50 ; 4, 119 ; 4, 137 ; 4, 138 ; 4, 147. 10 Cfr. ad esempio la menzione della boula nella cosiddetta iscrizione del “giuramento dei Siracusani” (ig xiv, 7), di età ieroniana, per cui si veda G. Manganaro, Un’epistola di Gerone II ai Siracusani (ig xiv 7), « Athenaeum », xliii, 1965, pp. 312320.

l ’ architettura di età ellenistica in sicilia 29 5 mitano a qualche eccezione. Ma soprattutto, come si vedrà tra Riguardo ad altre categorie di edifici pubblici, le attestazioni atbreve, non si può eludere il problema posto dallo squilibrio tra il tualmente note sono molto più limitate. Particolarmente evidennumero di attestazioni letterarie ed epigrafiche e l’esiguità delle te, innanzitutto, è l’esiguità di testimonianze archeologiche sui testimonianze archeologiche. ginnasi, a fronte di un numero abbastanza elevato di fonti letDei ginnasi fatti costruire da Ierone II – a Siracusa ? in altri terarie ed epigrafiche che fanno riferimento direttamente o, più centri del regno ? – l’assetto architettonico ci sfugge praticaspesso, indirettamente all’esistenza di impianti di questo tipo in mente del tutto ; anche il riferimento al ginnasio allestito sulnumerose città siciliane in età ellenistica. 1 A ben vedere, il quala Syrakosia 6 è tutto sommato poco illuminante, per quanto si dro che da tali fonti si può ricavare riguardo alla diffusione delle possa immaginare che, come altre parti di rappresentanza del strutture ginnasiali nell’isola da un punto di vista sia geografico colossale palais flottant, esso riflettesse caratteri dell’architettura che cronologico, offre spunto ad alcune considerazioni. In priaulica promossa dal dinasta. Per queste ragioni – tralasciando mo luogo le testimonianze relative ai periodi più antichi, almeun presunto ginnasio di Megara Hyblaea, la cui interpretazione no fino alla fine del iv sec. a.C., ma anche per buona parte del non mi pare ancora del tutto perspicua 7 – assume un’importanza secolo successivo, riguardano esclusivamente Siracusa, dove la centrale il ginnasio di Noto (Fig. 15), sicuramente identificabile costruzione di ginnasi risulta connessa, seppure in modi diversi, come tale grazie ad una nota iscrizione rinvenuta nell’area (ig a momenti e figure ben precise, vale a dire Dionisio I, Timoxiv 240), 8 dalla quale peraltro si può verosimilmente desumeleonte e Ierone II. 2 Sebbene nei primi due casi le attestazioni re che esso era denominato Hieroneion, come è stato sostenuto, siano piuttosto laconiche, è difficile sottrarsi all’idea che siffatti credo con buoni argomenti, ancora di recente. 9 La datazione del interventi sottendessero precisi intenti politici ; per Ierone II le ginnasio in età ieroniana e la sua fondazione per iniziativa regia, fonti sono invece un po’ più esplicite e lasciano intravedere un sembrano dunque abbastanza probabili ; non molto invece si può ruolo dell’istituzione ginnasiale che non sembra avere riscontro dire al momento dell’articolazione architettonica, caratterizzata altrove nell’isola. La predilezione per la costruzione di ginnasi da una larga terrazza artificiale – la paradromís ? – e da alcuni – oltre che di templi – nei programmi di politica edilizia proambienti retrostanti ricavati nel costone roccioso, di funzione mossi direttamente dal dinasta, di cui fa fede un notissimo passo tutt’altro che chiara. 10 di Moschion in Ateneo, 3 sembra alludere all’importanza attriPer i due secoli successivi le attestazioni non sono meno labuita all’istituzione nell’organizzazione del potere autocratico cunose. Se infatti escludiamo alcuni edifici la cui identificazione ieroniano, anche se le interpretazioni proposte nella letteratura come ginnasio è dubbia o del tutto infondata (Segesta, Hapiù recente, in disaccordo tra loro e tutto sommato poco soddilaesa), 11 le testimonianze da prendere in considerazione si risfacenti, 4 mostrano come su aspetti nodali dell’ultima basileia ducono sostanzialmente ai complessi di Agrigento, Solunto e siracusana ancora non si sia fatto luce adeguatamente. Tauromenion. Il ginnasio di Agrigento, indagato di recente, Relativamente agli altri centri siciliani, invece, le fonti letteraanche se ancora solo parzialmente, costituisce un’attestazione rie e le iscrizioni si riferiscono in quasi tutti i casi al periodo sucimportante, ma riferibile già alla prima età imperiale : non sono cessivo alla fine del iii sec. a.C., e sembrerebbero effettivamente note al momento eventuali, presumibili, tracce di un impianto documentare, nell’ambito dei primi due secoli della provincia, più antico. 12 una diffusa fioritura dell’istituzione ginnasiale, per quanto andrebbe forse osservata una maggiore cautela in merito alle datazioni delle iscrizioni in questione, formulate per lo più su basi 5 Cfr. Plut. Marc. 30, 4, ove si attribuisce l’erezione di un ginnasio a Catania al esclusivamente paleografiche. Le informazioni che possiamo console M. Claudio Marcello ; Delorme, Gymnasion, cit., p. 140 riferisce la costrutrarre da tali documenti, tuttavia, dal punto di vista che qui ci zione ai tempi della campagna siciliana del console nel 213-212 a.C. Un terminus riguarda, sono piuttosto limitate : i riferimenti diretti all’assetante quem alla metà del ii sec. a.C. per il ginnasio di Tindari, sembrerebbe invece costituito dalla menzione nelle Verrine (ii, 4, 84-92 ; cfr. anche 5, 185) del dono di una to monumentale o alla posizione urbanistica del ginnasio sono statua di Hermes da parte di P. Cornelio Scipione Emiliano dopo la presa di Cartainesistenti, mentre le notizie sull’epoca della costruzione si li1

Per una raccolta delle testimonianze epigrafiche e letterarie relative ai ginnasi nelle città siciliane cfr. G. Cordiano, La ginnasiarchia nelle « poleis » dell’Occidente mediterraneo antico (Studi e testi di storia antica, 7), Pisa, 1997, pp. 37-91. Per l’esame di alcune iscrizioni particolarmente significative si vedano anche G. Manganaro, Nuove ricerche di Epigrafia siceliota, « SicGymn », n. s. xvi, 1963, 1, pp. 54-57 ; Idem, Ricerche di antichità e di epigrafia siceliote, « ArchClass », 17, 1965, p. 202 ; in generale, Idem, La provincia romana, in Storia della Sicilia, ii, Napoli 1979, pp. 445-446. 2 Cfr. Diod. 15, 13, 5 (ginnasi fatti costruire da Dionisio I sulle rive del fiume Anapo) ; Plut. Timol., 39, 4-7 (ginnasio denominato Timoleonteion, costruito in Achradina attorno alla tomba di Timoleonte dopo la sua morte ; sul Timoleonteion cfr. anche Nepos, Timol., v, 4 ; Diod. 19, 6, 4 ; Polyaen. 5, 3, 8 ; Iust., 22, 2, 9-12) ; Moschion in Athen. v, 206 E (costruzione di ginnasi da parte di Ierone II : vedi infra e nota seguente). In proposito vedi J. Delorme, Gymnasion. Étude sur les monuments consacrés à l’education en Grèce, Paris, 1960, pp. 90-92. 3 Athen. v, 206 E ; cfr. in proposito Schenkungen hellenistischer Herrscher an griechische Städte und Heiligtümern, Hrsg. K. Bringmann, H. von Steuben, i. Zeugnisse und Kommentare, bearb. von W. Ameling, K. Bringmann, B. Schmidt-Dounas, Berlin, 1995, p. 393, n. 318 [L]. 4 Secondo Cordiano, La ginnasiarchia, cit., pp. 95-112, al ginnasio sarebbe stata attribuita da Ierone II una funzione prettamente militare, consistente nell’addestramento degli efebi per rimpiazzare gli eserciti mercenari ; da tale ruolo dipenderebbe, tra l’altro, l’introduzione dell’assetto diarchico della ginnasiarchia, che lo studioso attribuisce ad un intervento diretto del sovrano. In proposito si vedano però le perplessità opportunamente manifestate nelle recensioni al volume da parte di N. M. Kennel (« emc », xlii, 1998, 1, pp. 194-196) e di L. D’Amore (« rfic », 126, 1998, pp. 85-89), e, da ultimo, da F. Ferruti, L’attività di Ierone II a favore dei ginnasi, in Nuove prospettive della ricerca sulla Sicilia del iii sec. a.C., cit., pp. 203-206, secondo il quale invece l’interesse di Ierone per la costruzione di ginnasi si spiegherebbe meglio con ragioni di carattere ideologico e culturale, con l’intenzione, cioè, di equiparare il proprio regno agli altri regni ellenistici, potenziando i caratteri di grecità veicolati dai valori atletici ed educativi di cui il ginnasio era espressione.

gine ; ciò a condizione di accettare che l’affermazione di Cicerone in 5, 185, secondo la quale lo stesso Scipione volle si collocasse la statua in gymnasio Tyndaritanorum, risponda effettivamente a verità e non sia invece dettata da esigenze retoriche, possibilità, questa, che la costruzione della frase in questione, a mio avviso, invita a non escludere del tutto. Erronea in ogni caso la posizione di Delorme, Gymnasion, cit., pp. 140-141, che pensa si tratti dell’Africano Maggiore e che dunque la costruzione del ginnasio si ponga «bien avant la fin du iiie siècle». Sul passo cfr. anche C. Michelini, Il patrimonio artistico di alcune poleis siceliote nel De Signis ciceroniano, in Terze Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima, cit., ii, p. 788 e nota 48. Sulla possibile ubicazione del ginnasio tindaritano si veda da ultimo La Torre, Il processo di “romanizzazione” della Sicilia : il caso di Tindari, cit., p. 129. 6 Athen. v, 207 d. 7 Vallet, Villard, Auberson, Mégara Hyblaea, 3, cit., pp. 41-43, fig. 32. 8 Cfr. Schenkungen hellenistischer Herrscher an griechische Städte und Heiligtümern, Hrsg. Bringmann, von Steuben, i, cit., pp. 381-382, nr. 306 [E]. Per la bibliografia completa sull’epigrafe e per un esame dei relativi problemi di integrazione e di interpretazione, si veda ora Ferruti, L’attività di Ierone II a favore dei ginnasi, cit., p. 191 sgg. 9 Ferruti, L’attività di Ierone II a favore dei ginnasi, cit., pp. 192-194, con riferimenti alla bibliografia precedente. 10 Per un tentativo di lettura complessiva dei resti archeologici del ginnasio di Noto cfr. ora Ferruti, L’attività di Ierone II a favore dei ginnasi, cit., pp. 196-198. Si vedano inoltre : V. La Rosa, Archeologia sicula e barocca : per la ripresa del problema di Noto antica, in Atti e Memorie dell’Istituto per la Salvaguardia e la Valorizzazione di Noto Antica, ii, 1971 [1972], pp. 43-102 ; Idem, Per la Neaiton ellenistica : un saggio di scavo nella zona del Ginnasio, ivi, xviii-xix, 1987-1988 [1995], pp. 75-120. 11 Segesta, edificio con corte a peristilio nei pressi del bouleuterion : De Cesare, Parra, Il buleuterio di Segesta, cit., p. 285, nota 26 (ove non si escludono però altre possibilità di interpretazione del complesso). Halaesa, edificio a peristilio a valle dell’agorà : G. Carettoni, Tusa (Messina). Scavi di Halaesa (seconda relazione), « nsa », 1961, pp. 303-311 ; in proposito : Wilson, Sicily under the Roman Empire, cit., p. 379, nota 29 (con ogni probabilità un’abitazione privata). 12 Per il ginnasio di Agrigento cfr. D. Deorsola, Il ginnasio di Agrigento, in Gli edifici pubblici civili di Agrigento antica, ed. G. Fiorentini, Agrigento, 1990, pp. 22-23 ; G. Fiorentini, Agrigento. Agorà inferiore e Ginnasio nei recenti scavi, « QuadMessi-

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Fig. 15. Noto, ginnasio. Pianta.

Senz’altro plausibile appare l’identificazione del ginnasio di Solunto in un complesso immediatamente a nord del teatro (Fig. 16), articolato su due livelli dei quali il superiore presenta un’ampia corte a peristilio, una grande sala sull’asse dell’edificio (ephebeion ?) e, accanto, un vano circolare riconoscibile verosimilmente come laconicum. 1 La costruzione dell’edificio non è databile con certezza ; tuttavia, la posteriorità rispetto al teatro, accertata sulla base delle relazioni stratigrafiche tra il muro sud del ginnasio e l’analemma della cavea, 2 vincola a mio giudizio ad una datazione in età tardo-ellenistica. Un altro elemento significativo sia per l’identificazione che per la cronologia, è costituito dalle somiglianze con alcuni complessi tardo-ellenistici del Mediterraneo orientale, in particolare il ginnasio di Mileto e quello dell’Accademia ad Atene ; 3 come è stato osservato, l’articolazione degli spazi rilevabile in questi esempi rispecchia le trasformazioni che interessano l’architettura dei ginnasi nelle città della Grecia e dell’Asia Minore a partire dal II sec. a.C., 4 e che sembrano alla base anche di alcuni esempi in Occidente : basti citare i casi – piuttosto simili a quello di So-

Fig. 16. Solunto, ginnasio. Pianta.

na », 7, 1992, pp. 5-9 ; Eadem, « Kokalos », xxxix-xl, 1993-1994, t. ii.1, pp. 725-727 ; Eadem, Il ginnasio di Agrigento, « Kokalos », xlii, 1996, pp. 5-14. 1 Per una breve descrizione del complesso si veda Cutroni Tusa, Italia, Lima, Tusa, Solunto, cit., pp. 77-79, tav. 23 ; Wiegand, Das Theater von Solunt, cit., pp. 20-21, 22-24, 26-28 ; figg. 7, 8, 9, tavv. 15, 17, 18, 24. Per il laconicum cfr. anche M. Bürge, Das laconicum – eine Neubetrachtung nach dem Fund auf dem Monte Iato, in Zona Archeologica. Festschrift für Hans Peter Isler zum 60. Geburtstag, Hrsg. S. Buzzi, D. Käch, E. Kistler, E. Mango, M. Palaczyk, O. Stefani, Bonn, 2000, pp. 57-66. 2 Wiegand, Das Theater von Solunt, cit., pp. 20-21, 22-24, 26-28. 3 Ginnasio di Mileto : A. von Gerkan, F. Krischen, Milet i, 9. Thermen und Palaestren, Berlin, 1928, pp. 1-20 ; Kleiner, Die Ruinen von Milet, cit., pp. 91-92. Atene, ginnasio dell’Accademia : J. Travlos, Pictorial Dictionary of Ancient Athens, New York, 1980, pp. 42-43, fig. 59 ; M.-F. Billot, Academie (topographie et archéologie), in Dictionnaire des philosophes antiques, ed. R. Goulet, Paris, 1994, i, pp. 724, 730 (con datazione ad età imperiale). Simile anche il ginnasio di Stratonicea, probabilmente del primo terzo del i sec. a.C., per cui si veda E. Varınlıog˘lu, 1989 Stratonikeia Kazıları, in « xii Kazı Sonuçları Toplantisi », ii, 1990, pp. 219-224. 4 H. von Hesberg, Das griechische Gymnasion im 2. Jh. v. Chr., in Stadtbild und Bürgerbild im Hellenismus, cit., part. p. 16 sgg. Cfr. inoltre R. Förtsch, L’immagine della città e l’immagine del cittadino, in I Greci 2. Una storia greca iii. Trasformazioni, a cura di S. Settis, Torino, 1998, pp. 419-424.

l ’ architettura di età ellenistica in sicilia 31 lunto – del ginnasio di Ampurias e della c.d. Palestra Sannitica Nell’ambito di questa fioritura edilizia del tardo-ellenismo che di Pompei. 1 stiamo tentando di delineare, le attestazioni relative agli edifici Meno sicura mi sembra invece l’identificazione del ginnasio di di culto e ai santuari sono anch’esse meno numerose, ma doTauromenion nel complesso messo in luce sulle pendici meridiocumentano interventi di scala e portata diverse. Relativamente nali della collina del teatro (Fig. 17), articolato su due terrazze, agli edifici templari, le uniche due attestazioni consistono, com’è con corte a peristilio al livello inferiore. 2 Se infatti sembrerebbe noto, nel tempio sul lato ovest dell’agorà di Monte Iato 7 e nel accertata la pertinenza degli ambienti della terrazza a monte ad cosiddetto “Oratorio di Falaride” ad Agrigento. 8 una biblioteca, in ragione del rinvenimento dei ben noti lemmata Un intervento di altro tipo è rappresentato dalla costruzione su intonaco relativi a filosofi e storici dell’antichità, non altretdella grande stoà detta “a parasceni” nel santuario di Demetra e tanto può dirsi dell’identificazione come palestra proposta per Kore ad Eloro, eretta, a quanto risulta, intorno alla metà del II il peristilio sottostante : le dimensioni infatti sono notevolmente sec. 9 Benché i dati attualmente a disposizione non permettano più piccole rispetto a quelle delle palestre di altri impianti gindi riconoscere l’aspetto dell’elevato, i caratteri planimetrici rinasiali. 3 Inoltre, nell’area non è stata individuata alcuna traccia chiamano quelli di alcune stoai ad ali del Mediterraneo orientale, di altre componenti ricorrenti nel ginnasio, come lo xystos e la come i propilei dell’acropoli di Lindos o la stoà F del santuario paradromìs. Allo stato attuale, dunque, non escluderei che anche di Poseidon a Kalauria. 10 Nel nostro caso la costruzione ha i cale strutture della terrazza inferiore fossero di pertinenza della ratteri di un’aggiunta isolata, per quanto monumentale, all’inbiblioteca, e che questa non fosse in connessione diretta con un terno di un’area sacra già edificata in precedenza, ritengo in età ginnasio ; si tratta tuttavia di un’ipotesi che solo un’eventuale ieroniana : la stoà crea, come è stato più volte scritto, una quinta prosecuzione degli scavi potrebbe permettere di verificare. scenografica sul fondo dell’area, ma non risponde ad un più amL’esiguità dei dati archeologici a cui si è fatto rapidamente pio programma di ridefinizione degli spazi del santuario. cenno, induce a chiedersi se essa sia da addebitarsi esclusivamenAltrove si possono forse riconoscere le tracce di interventi di te al carattere parziale della ricerca. Per i casi in cui disponiamo portata più ampia. Se non sappiamo quasi nulla di uno dei più di riferimenti più espliciti al ginnasio (ad es. Phintias, Tindari, importanti santuari della Sicilia tardo-ellenistica, quello di VeCatania e forse Termini Imerese), 4 è probabile che il problema nere Ericina, alcuni indizi significativi ci offre il santuario sulla consista solo nel fatto che esso non è stato individuato. Tuttavia, sommità dell’acropoli nord di Segesta, anch’esso con ogni proconsiderato che la maggioranza delle iscrizioni fa menzione solo babilità di Afrodite e già esistente sin da età arcaica. Nonostante di ginnasiarchi, credo sia legittimo chiedersi se tali menzioni tutte le fasi precedenti siano state cancellate dalla costruzione presuppongano necessariamente in tutti i casi l’esistenza di un del castello medioevale, alcune tracce individuate negli scavi vero e proprio complesso monumentale e non invece di strutturecenti dell’Università di Lecce, indiziano interventi di ristrutre più semplici e meno caratterizzate da un punto di vista architurazione nel santuario in età tardorepubblicana, dei quali, tuttatettonico ; 5 e di conseguenza, se il ginnasio faccia effettivamente via, è difficile precisare l’entità. 11 In ogni caso, la stretta relazione parte o meno di questo restyling monumentale che interessa ditopografica tra il santuario ed il teatro, seppure non precisabile versi centri dell’isola nel tardo-ellenismo e che sembra riflettere nei dettagli, costituisce un’attestazione importante relativamenprecise opzioni sul piano ideologico. Un altro aspetto di questo te al tema del rapporto teatro-tempio, i cui sviluppi nell’Italia problema consiste nel definire il carattere effettivo della carica tardo-repubblicana sono ben noti. Esistono, a questo proposito, della ginnasiarchia nella Sicilia repubblicana, valutando quanto, due importanti precedenti nell’architettura della tarda età ieroin questa fase, essa conservi del ruolo e degli oneri che le eraniana ; mi limito solo a richiamarli, in quanto i dati attualmente no propri in epoche precedenti : la questione non mi sembra sia disponibili, molto limitati, non permettono di valutarli adeguastata analizzata a fondo né può essere affrontata compiutamente tamente. Il primo riguarda la sistemazione, a Siracusa, della coin questa sede ; a titolo di ipotesi di lavoro, però, suggerirei che siddetta “terrazza del Belvedere” che sovrasta a monte il teatro una chiave di lettura dei fenomeni fin qui delineati, si potreb(Fig. 18) : sulla terrazza, ritengo contestualmente ai lavori nel be individuare in un’eventuale evoluzione della carica in senso teatro, fu eretta una grandiosa porticus triplex che delimitava una più genericamente onorifico e liturgico e meno connesso con gli vasta area con al centro un edificio templare, perfettamente in aspetti specifici del training atletico e militare. 6 asse con il teatro, ma a quanto sembra risalente già al v sec. 12 L’altro esempio si riferisce invece a Tauromenion : sulla terrazza 1 naturale che domina la cavea del teatro, è stata messa in luce, Ginnasio di Ampurias : J. Ruiz de Arbulo, El gimnasio de Emporion. Siglos ii-i a.C., « BATarr », 16, 1994, pp. 11-44. Pompei, Palestra Sannitica : F. Pesando, Edifici alla fine dell’800, parte di una struttura riferibile verosimilmente pubblici ‘antichi’ nella Pompei augustea : il caso della Palestra Sannitica, « mdai(r) », ad un edificio templare e che sembrerebbe appartenere ad una 107, 2000, pp. 155-175 ; F. Coarelli, Il Foro Triangolare : decorazione e funzione, in

Pompei. 250° Anniversario degli Scavi di Pompei (Atti Convegno Napoli 1998), a cura di P. G. Guzzo, Milano 2001, part. p. 106 sgg. 2 Sul complesso cfr. G. Manganaro, Una biblioteca storica nel ginnasio di Tauromenion e il P.Oxy. 1241, « pp », xxix, 1974, pp. 389-409 ; Idem, Una biblioteca storica nel ginnasio a Tauromenion nel ii sec. a.C., in A. Alföldi, Römische Frühgeschichte, Heidelberg, 1976, pp. 83-96 ; « fa », xxii, 1967 [1971], n. 2968, s.v. Tauromenion (P. Pelagatti) ; P. Pelagatti, Il ‘Ginnasio’ di Tauromenio : ripresa delle ricerche, in Società e cultura nella Sicilia antica, « pp », lii, 1997, pp. 256-261 ; H. Blanck, Un nuovo frammento del “catalogo” della biblioteca di Tauromenion, ivi, pp. 241-255 ; dello stesso studioso si vedano inoltre Anaximander in Taormina, « mdai(r) », 104, 1997, pp. 507511 ; L’antica biblioteca di Taormina, « Kalos », xi, 1999, n. 6, pp. 22-29. Per un recente riesame del complesso cfr. ancora Ferruti, L’attività di Ierone II a favore dei ginnasi, 3 cit., pp. 198-203. Ivi, p. 201. 4 Per Catania e Tindari vedi supra, nota 8 di p. 29. Phintias : esplicita menzione del ginnasio in ig xiv 256, per cui cfr. Cordiano, La ginnasiarchia, cit., pp. 8386. A Termini Imerese la presenza di un ginnasio potrebbe essere attestata dal riferimento ad un aleipterion in ig xiv 317 : in proposito si vedano O. Belvedere, Osservazioni sulla topografia storica di Thermae Himerenses, « Kokalos », xxviiixxix, 1982-1983, p. 72 ; Belvedere, Burgio, Macaluso, Rizzo, Termini Imerese, cit., p. 26. 5 Cfr. Delorme, Gymnasion, cit., pp. 5-6, in merito al fatto che la presenza di un ginnasiarco non necessariamente implica l’esistenza di un ginnasio. In proposito si veda anche P. Gauthier, Notes sur le rôle du gymnase dans les cités hellénistiques, in Stadtbild und Bürgerbild im Hellenismus, cit., p. 1, nota 6. 6 Un indizio in tal senso sembrerebbe potersi cogliere in un’iscrizione da Alon-

tion, per la quale cfr. Cordiano, La ginnasiarchia, cit., pp. 43-44, part. considerazioni a nota 93. 7 Cfr. Daehn, Studia Ietina iii, cit., pp. 65-78 ; Isler, Monte Iato. Guida archeologica2, cit., pp. 40-41. Inoltre : Wilson, Roman Architecture in a Greek World, cit., p. 75. 8 P. Marconi, L’Oratorio di Falaride, « nsa », 1923, p. 106 sgg. ; De Miro, Architettura civile, cit., pp. 67-69 ; Wilson, Roman Architecture in a Greek World, cit., p. 75. 9 G. Voza, « Kokalos », xiv-xv, 1968-1969, pp. 360-362 ; eaa, suppl. 1970, Roma, 1973, s.v. Eloro, 300 (G. Voza). 10 Cfr. in proposito Coulton, The Architectural Development of The Greek Stoa, cit., p. 251 (propilei dell’acropoli di Lindos) ; p. 243 (stoà F del santuario di Poseidon a Kalauria). 11 D’Andria, Ricerche archeologiche sul teatro di Segesta, cit., pp. 440-442. 12 Lo scavo del complesso della terrazza del Belvedere è ancora sostanzialmente inedito ; brevi cenni si trovano in G. Voza, Attività nel territorio della Soprintendenza alle Antichità di Siracusa nel quadriennio 1980-1984, in Atti del vi congr. intern. di studi sulla Sicilia antica, « Kokalos », xxx-xxxi, 1984-1985, ii, 2, pp. 674-676, tavv. cxxxvcxxxvii ; Idem, Attività archeologica della Soprintendenza di Siracusa e Ragusa, in Atti dell’viii congr. intern. di studi sulla Sicilia antica, « Kokalos », xxxix-xl, 1993-1994, ii,2, pp. 1290-1291, tavv. clxxxii-clxxxiii, cxc ; Idem, La città antica e la città moderna, in Siracusa. Identità e storia 1861-1915 (Atti Convegno Siracusa 1996), a cura di S. Adorno, Palermo, 1998, p. 255 ; Idem, Nuove ricerche sul teatro greco di Siracusa, cit., pp. 208-209.

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privata, di ii e i sec. a.C. e non solo in Sicilia. 2 Un altro ordine di problemi riguarda invece gli aspetti sociali, economici ed ideologici relativi alla committenza delle architetture cui si è fatto finora riferimento. I dati a disposizione, sotto questo profilo, sono piuttosto esigui, ma restituiscono importanti attestazioni della diffusione del fenomeno dell’evergetismo privato all’interno delle classi dirigenti proprio nei centri in cui maggiormente si rilevano i segni di un rinnovamento monumentale tra ii e i sec. a.C. : il famoso passo ciceroniano relativo al termitano Stenio, resosi benemerito per avere abbellito la città di edifici pubblici e monumenti ex pecunia sua, 3 costituisce un esempio emblematico di tale fenomeno, testimoniato per lo stesso periodo anche da iscrizioni dalla stessa Termini, da Solunto e da Segesta, 4 che attestano interventi nel campo dell’edilizia pubblica sostenuti da singoli cittadini \κ τν †δíων. A fenomeni analoghi potrebbero far riferimento l’iscrizione monumentale della stoà est dell’agorà di Halaesa, ancora del tutto inedita, e soprattutto la presunta iscrizione di dedica del teatro di Monte Iato, purtroppo nota solo da alcuni frammenti. 5 Queste attestazioni costituiscono a mio avviso la Fig. 17. Tauromenion, cd. Ginnasio. Pianta. chiave di lettura per interpretare, almeno in parte, i programmi ambiziosi attuati nelle aree pubbliche delle città della provincia : sistemazione dietro la summa cavea coeva alla costruzione del si tratta, in definitiva, di manifestazioni parallele e speculari a teatro ellenistico. 1 quelle che, nell’ambito dell’edilizia privata, rispecchiano chiaramente la tendenza all’esibizione del lusso privato con l’adozione A completamento del quadro che ho tentato di delineare sugli di modelli abitativi altolocati del mondo ellenistico ; i due fenoaspetti più rilevanti dell’architettura pubblica siciliana del tarmeni, atti evergetici e lusso privato, costituiscono gli strumenti do ellenismo, vorrei accennare rapidamente a qualche spunto di autorappresentazione adottati dalle èlites locali, e di tali èlites di riflessione in merito ad alcuni temi di fondo. La documentaessi riflettono non solo il possesso di fortune molto consistenti, zione ci sottopone problemi di natura diversa : in primo luogo, ma anche un’ideologia nettamente connotata in senso oligarchiquelli di natura più specificamente urbanistica ed architettonico o addirittura “principesco”. Nell’ambito dell’edilizia pubblica, e, in particolare la questione dei modelli di riferimento. Una ca due aspetti mi sembrano particolarmente illuminanti a questo parte rilevante, in questo senso, hanno gli apporti dall’esterno, proposito : innanzitutto la costruzione, proprio in questo perioda leggersi nell’ambito di quella vasta circolazione di idee e di do, di nuovi bouleuteria, che rappresentano un segno tangibile uomini che interessa tutto il Mediterraneo e coinvolge tanto la Sicilia, quanto la penisola e Roma ; in particolare, mi sembra che 2 von Sydow, Die hellenistischen Gebälke in Sizilien, cit. ; Lauter-Bufe, Die Gegli apporti da alcune aree dell’Asia Minore abbiano giocato un schichte des sikeliotisch-korinthischen Kapitells, cit. ; Wilson, Roman Architecture in a ruolo importante. D’altra parte, ritengo si debba valutare con Greek World, cit., pp. 72-73. 3 attenzione il ruolo dell’architettura ufficiale ieroniana ; purtropCic. Verr. ii, 2, 112 : « Sthenius (...) qui oppidum non maximum maximis ex pecunia sua locis communibus monumentisque decoravit ». po della Siracusa di Ierone II conosciamo ancora troppo poco, 4 Termini Imerese : ig xiv 317 ; cfr. A. Brugnone, Iscrizioni greche del Museo ma è difficile credere che essa abbia costituito un modello solo Civico di Termini Imerese, « Kokalos », xx, 1974, pp. 221-223, tav. xxxii. Solunto : A. per gli elementi decorativi, dalle modanature architettoniche ai Wiegand, Zwei Beiträge zur Topographie Solunts, « mdai(r) », 98, 1991, pp. 121-126. Segesta : G. Nenci, Novità epigrafiche dall’area elima, in Atti delle Seconde Giornate capitelli cosiddetti corinzio-sicelioti e ionico-sicelioti, che veInternazionali di Studi sull’Area Elima, cit., iii, p. 1191, tav. ccxxxiv, 1 (iscrizione diamo ampiamente recepiti nell’architettura, sia pubblica che datata al i sec. a.C.) ; inoltre : ig xiv 290 e 291, sulle quali si veda G. Nenci, Florilegio 1

Per brevi notizie sul rinvenimento vedi « nsa », 1880, pp. 35-37 (G. Bonadonna) ; si vedano inoltre Rizzo, Tauromenion, cit., pp. 324-325, 338-339 (la struttura è interpretata come “altare”) ; Libertini, Il teatro di Taormina, cit., p. 114 ; Santangelo, Taormina e dintorni, cit., p. 39, fig. 23 ; p. 46.

epigrafico segestano, « asnp », s. iii, xxi, 1991, p. 922 sgg. 5 Iscrizione della stoà est dell’agorà di Halaesa : Carettoni, Tusa (Messina). Scavi di Halaesa (seconda relazione), cit., pp. 302-303, fig. 42. Iscrizione di dedica del teatro di Monte Iato : H. P. Isler, Monte Iato : scavi 1995-1997, in Atti delle Terze Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima, cit., ii, pp. 724-725, tav. cxliv, 1-3.

l ’ architettura di età ellenistica in sicilia

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Fig. 18. Siracusa, teatro. Pianta con il complesso messo in luce sulla terrazza del Belvedere.

dell’affermazione del potere da parte di queste cerchie ristrette ; vale la pena di sottolineare, in questo senso, anche che le dimensioni di tali edifici sono sempre piuttosto contenute. L’altro aspetto riguarda l’importanza che rivestono in questo panorama gli edifici teatrali ; a tal proposito, un nodo fondamentale della questione è costituito dal significato annesso alla riproposizione del modello del teatro di Siracusa. Come ho già accennato, l’adozione di tale modello non si limita agli aspetti architettonici e decorativi, bensì ripropone la nuova funzione del teatro come luogo del consenso al potere autocratico affermata da Ierone II con la costruzione del grande monumento della Neapolis. È in questa ottica che credo si debba leggere la presenza nel teatro di Iaitas di un’iscrizione che ne attesta, con ogni probabilità, la dedica da parte di un privato cittadino, come pure, nel teatro di Segesta, le iscrizioni relative all’erezione nell’edificio scenico delle statue di almeno due membri di una stessa famiglia (responsabili anch’essi della costruzione dell’edificio ?). 1 Quei principes civi-

tatis che arricchivano le proprie dimore ispirandosi, in ultima analisi, allo sfarzo delle basileiai ellenistiche, 2 adottavano scelte e comportamenti di tono principesco anche nelle manifestazioni di carattere pubblico. Non credo che alla base di tali manifestazioni si debba necessariamente vedere – come pure è stato sostenuto – una tendenza da parte dei ceti dominanti in centri per lo più di origine anellenica, ad affermare la propria appartenenza alla cultura greca ; 3 sarei più propenso, semmai, a riconoscervi l’esigenza di tali élites di esibire un’identità culturale alla pari rispetto a quella dei nuovi dominanti. Infine, la lettura che si è proposta in queste pagine mette a nudo una lacuna delle nostre conoscenze tutt’altro che irrilevante, relativa all’assetto urbanistico ed architettonico di centri di origine punica o elima, come Solunto, Segesta o Monte Iato, ma anche di Halaesa o della stessa Tindari, tra iv e iii sec. a.C., prima del loro ingresso nell’orbita della provincia romana. A

1 Per l’iscrizione del teatro di Monte Iato vedi nota precedente. Per le iscrizioni del teatro di Segesta (ig xiv 288) cfr. M. T. Manni Piraino, Iscrizioni greche lapidarie del Museo di Palermo (Sikelika vi), Palermo, 1972, pp. 70-73, nn. 46-47, tav. xxviii ; per l’ipotesi di collocazione nell’edificio scenico, Bulle, Untersuchungen, cit., pp. 123, 130-131, tavv. 22, 23, 25, 32 ; inoltre : C. Schwingenstein, Die Figurenausstattung des griechischen Theatergebäudes, München, 1977, pp. 83-84.

2 In proposito Portale, Per una rilettura delle arti figurative nella Provincia Sicilia, cit. 3 Cfr. ad esempio O. Belvedere in Belvedere, Burgio, Macaluso, Rizzo, Termini Imerese, cit., p. 271 e dello stesso studioso l’intervento in Da Akragas ad Agrigentum : le recentissime scoperte archeologiche nel quadro della storia amministrativa e culturale della città, « Kokalos », xlii, 1996, p. 82.

34 lorenzo campagna spinoso, certo, al quale tuttavia ritengo che la ricerca archeolotitolo di provocazione mi chiedo se non dobbiamo rinunciare gica non si possa più sottrarre. all’immagine tradizionale, alla quale ci ha abituato tanta letteratura dei decenni passati, di città ordinate secondo le maglie regolari dell’urbanistica ippodamea. 3 Si tratta di un problema 7.1 : da Isler, Contributi, cit., fig. 4. Fig. 7.2 : da Isler, Il teatro greco di Iaitas, cit., fig. 3

In proposito si veda da ultimo O. Belvedere, E. Termine, L’urbanizzazione della costa nord-orientale della Sicilia e la struttura urbana di Tindari, in Omni pede stare. Saggi architettonici e circumvesuviani in memoriam Jos de Waele (Studi della Soprintendenza archeologica di Pompei, 9), a cura di S. T. A. M. Mols, E. M. Moormann, Napoli 2005, pp. 85-91. Fonti delle illustrazioni : Fig. 1 : da Bernabò Brea, Due secoli di studi, scavi e restauri del teatro greco di Tindari, cit., tav. iv. Fig. 2 : rielaborata da A. De Bernardi, Considerazioni sui risultati finora raggiunti nello studio e nel rilevamento del teatro di Segesta, cit., tav. lxviii, 2. Fig. 3 : da Wiegand, Das Theater von Solunt, cit., Beil. 20. Fig. 4 : rielaborata da A. De Bernardi, Considerazioni sui risultati finora raggiunti nello studio e nel rilevamento del teatro di Segesta, cit., tav. lxxii. Fig. 5 : da De Miro, Il teatro di Heraclea Minoa, cit., fig. 2. Fig. 6 : da Isler, Il teatro greco di Iaitas, cit., fig. 2. Fig.

7. Fig. 8 : da Di Stefano, I recenti scavi di Camarina, cit., fig. 3. Fig. 9 : da Natoli, Il teatro e l’odéon della citta di Solunto, cit., fig. 10. Fig. 10 : da Scibona, Epigraphica Halaesina i, cit., tav. i. Fig. 11 : da H. P. Isler, Grabungen auf dem Monte Iato 2003, « ak », 47, 2004, Abb. 1. Fig. 12 : da H. P. Isler, Monte Iato : scavi 1992-1994, in Atti delle Seconde Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima, cit., tav. cxciv. Fig. 13.1 : De Miro, Il bouleuterion di Agrigento, cit., tav. viii. Fig. 13.2 : rielaborata da De Cesare-Parra, Il buleuterio di Segesta, cit., tav. cxcvii. Fig. 13.3 : da Natoli, Il teatro e l’odéon della citta di Solunto, cit., fig. 14. Fig. 14.1 : da Sjöqvist « aja », 68, 1964, fig. 1. Fig. 14.2 : da Bernabò Brea, Akrai, cit., fig. 19. Fig. 14.3 : da Daehn, Studia Ietina iii, cit., Beil. 2. Fig. 14.4 : rielaborata da H. P. Isler, Grabungen auf dem Monte Iato 2003, « ak », 47, 2004, Abb. 1. Fig. 15 : da La Rosa, Per la Neaiton ellenistica, cit., tav. iii. Fig. 16 : da Cutroni Tusa, Italia, Lima, Tusa, Solunto, cit., tav. 23. Fig. 17 : da Blanck, Un nuovo frammento del “catalogo” della biblioteca di Tauromenion, cit., fig. 1. Fig. 18 : da Voza, Nuove ricerche sul teatro greco di Siracusa, cit., fig. 2.

Massimo Osanna ARCHITETTURA PUBBLICA E PRIVATA A KOSSYRA « …addossate al prospetto di questo avanzo sono le ruine di una casa antica, cosa notata in altri punti del perimetro murale, il che prova come in una certa epoca, la romana, le fortificazioni fossero state completamente abbandonate e l’Acropoli avesse perduto ogni carattere militare ». (Orsi 1899, p. 510)

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e ricerche intraprese nel 2000 da parte della missione italo-tedesca a Pantelleria stanno portando alla luce un settore rilevante del piccolo centro urbano di Kossyra (Figg. 1-2). 1 Le nuove acquisizioni si inquadrano, in particolare, all’interno di un arco cronologico assai significativo per questa area del Mediterraneo, caratterizzato da profonde trasformazioni che interessano il mondo punico di Sicilia e d’Africa settentrionale : l’epoca compresa tra le tre guerre puniche e le guerre civili (iii e i sec. a.C.). L’isola di Pantelleria, 2 che dista da Capo Bon circa 70 km, si trova quasi a metà strada sulla rotta tra Sicilia e Tunisia. La posizione assolutamente strategica dell’isola fa dell’antica Kossyra il punto di passaggio obbligato per le comunicazioni tra il continente africano e la Sicilia, nonché per i transiti est-ovest nel mediterraneo. La centralità per le rotte antiche e l’importanza militare è sottolineata dalle poche fonti letterarie riferibili al sito : lo pseudo-Scilace descrive il viaggio da Cartagine a Lilibeo scandendo la navigazione in due giornate, una per raggiungere dal capo ermaico (Capo Bon) Kossyra, la seconda da Kossyra alla Sicilia occidentale ; 3 Strabone, la ricorda « davanti a capo Lilibeo e ad Aspis, città Cartaginese il cui nome attuale è Clupea, a metà strada tra i due… ». 4 La posizione strategica dell’isola si rivela fondamentale sin dallo scoppio della prima guerra punica : nell’anno 255 a.C. una flotta romana di 350 navi, salpata in soccorso delle truppe di Regolo accerchiate a Aspis/Clupea, si impadronisce dell’isola. La città è distrutta e una guarnigione viene lasciata a presidiare l’isola. 5 Per l’anno successivo i fasti registrano il trionfo dei

consoli Ser. Fulvius Paetinus Nobilior e M. Aemilius Paullus, de Cossurensibus et poenis. 6 La conquista romana di Kossyra si risolverà però in una impresa effimera, se già nello stesso anno le fonti registrano un contrattacco cartaginese : i punici, riportando la guerra in Sicilia, riconquistano immancabilmente l’isola. 7 Nulla

Fig. 2. Ortofoto dell’isola con ubicazione dell’area di indagine.

Fig. 1. Pantelleria tra Africa e Sicilia. 1 Le ricerche in collaborazione con la Soprintendenza bb.cc.aa. della provincia di Trapani, sono state promosse da Sebastiano Tusa e portate avanti dalla Scuola di specializzazione in archeologia di Matera, sotto la direzione di Massimo Osanna, e dall’Università di Tübingen (che ha sostituito l’Università di Greifswald), sotto la direzione di Thomas Schäfer. 2 Raccolta delle fonti antiche in re xi 2 (1922), p. 1503 sgg., s.v. Kossura. Cfr. Verger 1966, pp. 255-261. Le prime „memorie“ risalgono alla metà dell’800 : P. Calcara, Descrizione dell’isola di Pantelleria, Palermo, 1853 ; G. Dalla Rosa, Una gita all’isola di Pantelleria, « Archivio per l’Antropologia », ii, 1872, pp. 138-150. 3 Ps. Skylax, Müller p. 89, §111. Al riguardo : S. Medas, La Marineria cartaginese. Le navi, gli uomini, la navigazione, Sassari, 2000. 4 Strab. 6, 2, 11 ; 17, 3, 16. cfr. anche Strab. 2, 5, 19. 5 Zonar. 8, 14. Sulla spedizione di Regolo in Africa : S. Lancel, Carthage, Paris, 1992, pp. 385-388.

si sa di Kossyra per il successivo trentennio. Bisogna attendere la seconda punica per ritrovare l’isola nella cronaca di guerra, e significativamente già nel secondo anno del conflitto : mentre Annibale, con azione rapida e imprevista passa le Alpi, e dopo aver vinto già al Ticino e al Trebbia, sbaraglia Gaio Flaminio al Trasimeno, nello stesso 217 a.C. – ricorda Polibio – Cn. Servilius Geminus riconquista Kossyra e vi impianta una guarnigione, mentre l’isola viene incorporata nella Provincia Sicilia. 8 È evidente, nonostante il silenzio delle fonti, che la motivazione ultima di questa precoce conquista di Pantelleria, nel corso della seconda guerra punica, risiede nella volontà di interrompere il contatto di Annibale con l’Africa e di impedire, dunque, rifornimenti e rinforzi al generale cartaginese in Italia. 6 18-19 Gennaio 253 a.C. : A. Degrassi, « InscIt », xiii 1, 548 : Ser. Fulvius M. f. M. n. Paetinus A. cdx[cix] Nobilior pro Cos. de Cossurensibus et Poenis navalem egit xiii. K. Febr. / M. Aimilius M. f. L. n. an. cdxcix. pro Cos. de Cossurensibus et Poenis navalem egit xiii K. Febr. Per quanto riguarda la cronologia vedi M. Gwyn Morgan, « Chiron », vii, 1977, p. 98 sgg. Sul significato del “doppio” trionfo su punici e cossirensi, da ultimo : Manfredi 2002, pp. 323-336 (secondo la studiosa, la distinzione tra punici e cossirensi potrebbe rimandare alla registrazione romana della ripartizione tra la popolazione dell’isola, di cultura punica ma priva delle cittadinanza e i membri dello ‘m, cittadini cartaginesi a pieno diritto). 7 8 Zonar. 8, 14. Polyb. iii, 96, 13.

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massimo osanna

Fig. 3. Muro in blocchi squadrati individuato da F. Cavallari nelle indagini del 1874 in località S. Marco (presso il pendio occidentale della collina nord : da Cavallari 1874).

Anche nelle successive vicende che interessano quest’area del mediterraneo, Kossyra continua a mantenere il suo ruolo strategico per i transiti marittimi : nel corso della lotta tra Mario e Silla, durante la campagna di Pompeo in Sicilia, nell’81 a.C., Pantelleria è luogo di rifugio per Carbone, dove il console verrà catturato. 1 Ancora più evidente il ruolo strategico di Pantelleria appare durante la campagna di Ottaviano e Lepido contro Sesto Pompeo nel 36 a.C. : come ricorda Appiano « Pompeo… controllava tutta la costa della Sicilia verso Oriente e verso Occidente e specialmente le isole di Lipari e di Cossira, affinché né Cossira per Lepido, né Lipari per Cesare divenissero basi o punti di appoggio navali utili contro la Sicilia ». 2 Al di là di queste informazioni sulle vicende che hanno interessato l’isola, le fonti ricordano soltanto che questa possedeva una città omonima : come fa Plinio, 3 che menziona Cossura cum oppido, Strabone 4 e Tolomeo 5 che citano Kóssura nêsow kaí póliw. Passando a considerare quanto la ricerca archeologica ha fatto conoscere dell’antico centro, va ricordato che l’interesse per le antichità dell’isola, destatosi già a partire dalla metà del diciannovesimo secolo, si era da subito incentrato sull’area archeologica più spettacolare, quella di Mursia, ubicata nel settore nordoccidentale dell’isola, dove gli impressionanti resti delle tombe (i c.d. sesi) e del muro di difesa dell’abitato protostorico, avevano attirato l’interesse dei primi studiosi, approdati sull’isola con l’intento di studiarne caratteristiche geologiche e antichità. 6 Dopo le prime “memorie” descrittive dell’isola, le quali non si contraddistinguono sempre per sistematicità e rigore di metodo, una importante stagione di ricerche, che occupa tutto l’ultimo venticinquennio del xix sec., si apre con l’attività della Commissione per le antichità e belle arti della Sicilia, diretta da Saverio Cavallari. Lo studioso nel 1874, porta per la prima volta l’attenzione sull’area archeologica in località S. Marco, dove due collinette unite da una sella, poste alla pendici del picco di Monte S. Elmo, alle spalle del centro abitato di Pantelleria e del porto naturale principale, restituiscono le tracce di una significativa frequentazione di età storica. Avendo constatato l’affiorare tra 1

App. b.c. 1, 96. Cfr. Oros. 5,21,11 ; 5,24,16. 3 App. b.c. 5, 97 ; Sil. Ital. pun. xiv, 272 sgg. Plin. n. h. 5, 7. 4 5 Strab. xvii, 3, 16 Ptol. 4, 3. 6 Il primo lavoro dedicato all’isola si deve ad un geologo : P. Calcara, Rapporto del viaggio scientifico eseguito nelle isole di Lampedusa, Linosa e Pantelleria ed in altri punti della Sardegna, Palermo, 1846 ; Idem, Descrizione dell’isola di Pantelleria, Palermo, 1853. All’inizio degli anni ’70 del xix sec. risale il viaggio di G. Dalla Rosa, che pubblica un lavoro monografico e un saggio, Abitazioni dell’epoca della pietra nell’isola di Pantelleria, Parma, 1871, e Una gita all’isola di Pantelleria, « Archivio per l’Atropologia », ii, 1872, pp. 138-150. Il nobile si occupa soprattutto delle antichità preistoriche, ma segnala già la presenza di materiali e tombe nell’area di S. Marco. 2

i muri di terrazzamento moderni di imponenti tratti murari e di numerose cisterne, il Cavallari procede alla prima descrizione puntuale delle strutture antiche, visibili al suo tempo sulle due colline di S. Marco e di S. Teresa, accompagnandola con una schematica planimetria di tutta l’area compresa tra il picco di monte S. Elmo e il porto. Alla descrizione autoptica di muri e cisterne disseminate nell’aree, lo studioso affianca inoltre la realizzazione dei primi limitati saggio di scavo (Fig. 3). 7 In base ai risultati delle brevi ricerche, e in particolare alla ricostruzione del circuito difensivo e alla ubicazione delle necropoli (basate sui sondaggi di scavo e su informazioni reperite localmente) sul versante orientale e occidentale delle due colline, il Cavallari concluse che sulle colline di S. Marco e S. Teresa, doveva ubicarsi l’Acropoli della città antica (troppo limitata appariva infatti ai suoi occhi l’estensione dell’insediamento), mentre la città vera e propria si doveva ubicare, a circa 1500 m. più a nord, nell’area del moderno abitato e dell’area portuale. In seguito Paolo Orsi, nel 1894, procederà ad una ricognizione dell’isola, che porterà alla acquisizione di una enorme mole di dati sulle due aree archeologiche di Mursia e di S. Marco. 8 Ma prima dell’edizione di tali ricerche un nuovo sopralluogo fu effettuato e rapidamente pubblicato, ancora entro lo scadere del xix sec., da Albert Mayr, 9 il quale in considerazione del fatto che le indagini dell’Orsi erano ancora sostanzialmente inedite, procedette ad una descrizione dettagliata dei resti di murature visibili nell’area delle due colline, sottolineando come le strutture antiche solitamente erano state utilizzate per impostarvi sopra i muri a secco che scandivano in molteplici terrazze i pendii del rilievo. In base all’attenta analisi della topografia dell’area e alla considerazione che strutture abitative si dovevano estendere tanto dentro quanto fuori del circuito murario, lungo tutte le pendici del doppio rilievo e addirittura fino all’area di S. Basilio, a circa 300 m. a nord-est di S. Teresa, lo studioso tedesco concludeva, a differenza di quanto avanzato dal Cavallari, che la città antica non doveva essere ubicata presso il porto, ma proprio qui in località S. Marco. 10 La pubblicazione delle ricerche di Paolo Orsi, effettuate prima di quelle del Mayr, apparve solo un anno più tardi di quelle dell’archeologo tedesco. 11 Lo studio di Orsi porterà alla descri7 Cavallari 1874. Le indagini ricognitive riguardarono essenzialmente le tracce del circuito murario che difendeva le colline di S. Teresa e di S. Marco : « …più numerosi sono i resti delle saldissime mura che proteggevano la collina di San Marco : dagli avanzi tuttora esistenti si ricava che tutta questa collina era protetta da un doppio ordine di mura ascendenti a spira che la circondavano, fiancheggiate da una strada, formando un raddoppiato sistema di fortificazione » (Cavallari 1874, p. 25). La tavola vii del saggio mostra una veduta da nord-ovest del muro di fortificazione che chiudeva il fianco ovest della collina di S. Marco, oggetto di scavo nelle più recenti indagini : se nel testo non si fa cenno ad uno scavo lungo il muro, la presenza sullo sfondo della foto di un piccone e di una cesta sembra rimandare ad attività di sterro o di parziale ripulitura delle rovine. Saggi di scavo, di cui si serba memoria nel testo furono invece intrapresi nei campi ad oriente delle colline di S.Teresa e di S. Marco : un saggio, ubicato a circa 250 m dalla prima collina, in proprietà Salsedo, portò alla scoperta di « due urne simili a quelle pubblicate dal citato marchese della Rosa, e vari vasi cinerari romani senza caratteri speciali » ; un altro saggio « nell’istessa Necropoli si fece nei terreni di Giuseppe Valenza laterali a quelli del Salsedo e più prossimi alla collina di Santa Teresa », da dove era stato recuperato una « bellissima Anfora in perfetto stato, nelle quali stavano Leoni, Tigri e Pantere dipinti in nero sopra fondo chiaro » ; lo scavo portò alla scoperta di altri vasi « non con animali, ma dello stesso genere, e di manifattura orientale ». Le conclusioni del Cavallari (1874, p. 27) furono che « la citata necropoli servì di sepoltura dai tempi antichissimi sino all’epoca romana, e forse anche in epoche a noi più vicine ». 8 Il primo breve resoconto delle indagini è apparso in « NSc », 1895, p. 240. Paolo Orsi approdò sull’isola il 25 dicembre del 1894 e vi rimase fino al 2 febbraio del 1895, procedendo alla esplorazione di tutta la metà nord-occidentale dell’isola, ed in particolare delle due aree archeologiche principali, quella di Mursia, sede dell’abitato protostorico e quella di S. Marco, sede della Kossyra storica, nonché dell’area del santuario punico-romano del Lago di Venere. 9 Il sopralluogo, che durò complessivamente tre settimane, fu effettuato tra il mese di maggio e giugno del 1897 : Mayr 1898. Vedi anche Idem, Pantelleria, « Globus », lxxvii, 1900, pp. 137-143. All’epoca del sopralluogo lo studioso tedesco aveva già pubblicato l’importante studio sulla numismatica dell’isola : A. Mayr, Die antiken Münzen der Insel Malta, Gozo und Pantelleria, München, 1895. 10 Mayr 1898, pp. 389-390. 11 La pubblicazione dei dati reperiti nel corso del sopralluogo è apparsa pochi anni più tardi : Orsi 1899, pp. 504-527. Come sottolineato dal grande studioso delle

architettura pubblica zione e alla restituzione su carta, assai più precisa e dettagliata rispetto alla planimetria del Cavallari, di quanto dei resti antichi era ancora visibile sulle colline, e in particolare del complesso sistema difensivo. L’allora direttore del Museo di Siracusa, recatosi nell’isola su incarico del Ministero della Pubblica istruzione, indagò sia l’area di Monte S. Elmo, 1 di cui stabilì che doveva essere rimasta all’esterno del circuito murario, sia le due colline di S. Marco e S. Teresa con tutte le terrazze circostanti. Le fortificazioni ben visibili su ampi tratti delle due colline, secondo il calcolo dell’Orsi, dovevano racchiudere un’area di circa 21.000 mq. Lungo il percorso della cinta, sul fronte esterno, in più punti lo studioso notava la presenza di edifici che vi si addossavano, i quali furono interpretati come strutture abitative, che in età romana avevano sfruttato il circuito, defunzionalizzandolo. L’attenta ricognizione di tutte le terrazze sottostanti le due collinette, dove in località Cubebe e S. Basilio ancora si vedevano resti di edifici domestici di età romana, portò Paolo Orsi alla conclusione che l’antica città, si doveva estendere « con gruppi di abitazioni sparse sulle ridenti colline a ponente e a nord-est dell’Acropoli, le più ricche di piccolo materiale archeologico ; ma completamente sconvolte alla superficie per la riduzione dei terreni a vigne… ». 2 Le necropoli dell’insediamento vengono invece ubicate, in base alla puntuale analisi di tutti i dati ancora ai suoi tempi reperibili, « ad arco intorno all’Acropoli… ». Si doveva trattare sia di tombe arcaiche, come per le sepolture rinvenute subito ad sud-ovest della Polveriera, sia di età ellenistica e romana, come documentava la scoperta sia a sud che a est di S. Teresa di urne cinerarie in calcare e in vetro associate con unguentari, lucerne e monete. 3 Allo studio dell’Orsi, che pure aveva segnalato, come già del resto il Cavallari, l’importanza delle evidenze e la necessità di scavi, seguirono decenni di silenzio e disinteresse nei confronti delle antichità d’epoca storica nell’isola. Si devono attendere gli anni ’60 del xx sec. per registrare un nuovo ma effimero interesse per Kossyra punica e romana. Oltre all’esplorazione dell’isola intrapresa da D. Trump, 4 un nuovo progetto di indagine si deve all’Istituto di Studi del Vicino Oriente dell’Università di Roma, concretizzatosi in una “ricognizione” archeologica, effettuata in più punti dell’isola, e, per quel che concerne l’area di S. Marco, in un limitato sondaggio effettuato nel 1965 da Alessandro Verger, presso uno dei tratti di muro segnalati dagli studiosi di fine ottocento. 5 Un altro trentennio di silenzio separa queste limitate ricerche dalle indagini sistematiche che sono state avviate nel 1996 antichità di Magna Grecia e Sicilia, « …causa il lungo tempo impiegato nello studio dei Sesi, del villaggio preistorico, negli scavi, ed anche per le continue intemperie, non mi fu dato visitare la parte orientale al di là della Montagna Grande ; dove però mi consta…che mai avvennero scoperte di qualche rilievo, né esistono ruderi di sorta » (Orsi 1899, p. 449). Se si considera la brevità del soggiorno e la molteplicità delle aree indagate senza la collaborazione di alcuno (si aggiunga a quelle già citate anche l’area del lago di Venere, sede di un rilevante santuario frequentato dall’età punica a quella romana), risulta davvero impressionante la mole di dati recuperati e il rilievo delle riflessioni scaturite dall’indagine. Come si accennerà più avanti diverse ipotesi allora formulate riguardo fasi e topografia dell’insediamento sono state confermate nel corso delle più recenti indagini. 1 Se il picco non risultò essere incluso nelle opere di difesa che interessano le sottostanti colline, l’indagine dell’Orsi, come già il Cavallari aveva notato, portò alla segnalazione della presenza di frammenti ceramici di età ellenistica e di scaglie marmoree. Lo studioso inoltre affermava che « la costruzione del semaforo (18891890) ha pure dato luogo a talune scoperte, disgraziatamente non curate. Gli Arabi poi devono aver attribuito valore speciale, fors’anche militare a questa posizione, perché lassù venne sempre trovato il numero maggiore di monete di tale epoca » (Orsi 1899, pp. 508-509). 2 3 Orsi 1899, p. 518. Orsi 1899, pp. 522-527. 4 D. Trump, Pantelleria revisited, « Antiquity », xxxvii, 1963, pp. 203-206. 5 Su queste ricerche : Verger 1966a. Per le indagini ricognitive vedi Verger 1966b. Il limitato sondaggio di scavo, effettuato ai piedi del muro in tecnica pseudoisodoma, posto sul fianco sud-occidentale della collina di S. Marco è stato ripreso nel 1998 da parte di una équipe diretta da Maurizio Tosi. Il saggio rimasto inedito ha portato a datare il muro, nella sua fase più antica nel iii sec. a.C. Ringrazio Maurizio Tosi che ha permesso di consultare la documentazione di scavo, depositata presso la Soprintendenza bb.aa.cc. della provincia di Trapani.

e privata a kossyra 37 nell’isola da parte di una équipe dell’Università di Bologna, diretta da Maurizio Tosi, che hanno portato ad una ricognizione intensiva che ha interessato tutta l’isola. 6 Nell’ambito di questo rinnovato interesse per l’archeologia dell’isola sono state infine intraprese le indagini sistematiche sull’Acropoli da parte della Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera e dell’Università di Greifswald prima e a partire dal 2003 di Tuebingen. 7 Le nuove ricerche, 8 come già le indagini di Cavallari e di Orsi, si sono concentrate in località S. Marco (Fig. 4), dove le passate indagini lasciavano presupporre l’esistenza di un cospicuo nucleo della antica Kossyra, se non la vera e propria città. Il luogo del resto è di per sé talmente strategico – dalla collina di S. Marco si dominano le rotte dall’Africa alla Sicilia nonché le possibilità di transito verso l’interno dell’isola – che già la morfologia del luogo, se pure le indagini precedenti non ne avessero segnalato l’importanza, spingeva ad intraprenderne l’indagine. L’intero rilievo copre un area di circa 200 x 100 m che si configura oggi (e già ai tempi del Cavallari), come un sistema serrato di terrazzamenti che dalla sommità delle colline si articolano fino ai piedi delle stesse (Fig. 5). La sommità della collina di S. Teresa, occupata a partire dall’inizio del xix sec. dall’edificio circolare noto come Polveriera, nonché da una serie di abitazioni moderne, non permetteva la programmazione di indagini estensive. Si è deciso, dunque, di focalizzare l’attenzione, nelle prime campagne, sull’altura di S. Marco, sulle sue pendici e sulla sella intermedia. Contemporaneamente alle indagini di scavo è stata intrapresa in tutta l’area che si estende dal monte S. Elmo fino alla periferia meridionale del paese, una ricognizione di superficie, in modo da verificare quanto già noto dalla bibliografia e raccogliere

Fig. 4. Veduta aerea della località S. Marco con le due colline di S. Teresa e S. Marco. 6 Sull’importante progetto “Carta Archeologica di Pantelleria” che ha promosso una ricognizione intensiva dell’isola, vedi M. Cattani, M. Tosi, La carta archeologica di Pantelleria, « Ocnus », v, 1997, p. 243 sgg. Inoltre : A. Mosca, Cossyra fra Africa e Sicilia. Aspetti della sua economia, in Atti del xii Convegno di Studio, Olbia 12-15 dicembre 1966, Sassari 1998, pp. 1469-1478. Sull’inizio delle nuove ricerche a Pantelleria da parte della missione italo-tedesca : Schäfer, Osanna, Riethmüller 2001. 7 Le ricerche sono state intraprese in collaborazione con la Soprintendenza bb.aa. cc. di Trapani, grazie alla disponibilità e alla liberalità di Sebastiano Tusa, cui vanno i miei ringraziamenti. A Maurizio Tosi, che ha invitato l’équipe italo-tedesca a collaborare al progetto „Carta Archeologica di Pantelleria“, va la mia gratitudine, anche per l’interesse che ha sempre mostrato per la ricerca. 8 Prima di passare ad illustrare le nuove indagini, vorrei ringraziare quanti hanno preso parte alle campagne, sia dell’équipe italiana che di quella tedesca : tra questi ricordo in particolare Barbara Serio e Teresa Virtuoso, che fin dalla prima campagna sono state una presenza insostituibile sullo scavo ed inoltre per la conduzione dei saggi, Daniela Benke, Rosanna Colucci, Salvatore De Vincenzo, Mariella Mastrogiacomo, Katia Moede e Nikos Arvanitis ; per la documentazione grafica Marco Di Lieto, Thorsten Schwing e Ilaria Battiloro ; per la conduzione del laboratorio, J. Fischer, Heidi Schäfer Hänlein e Lucia Colangelo ; infine un ringraziamento particolare all’amico Pierfrancesco Vecchio, che ha coordinato sul campo le ultime lunghe campagne, al quale molto si deve delle riflessioni qui presentate.

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massimo osanna In questa sede si porterà l’attenzione sui risultati scaturiti dagli scavi estensivi realizzati sulle varie terrazze moderne della collina più settentrionale (Fig. 6), tra la sommità del rilievo stesso e le sue pendici settentrionali e occidentali, i quali hanno portato alla luce i resti monumentali dell’insediamento di età ellenistica. 3 Sulla sommità della terrazza (Fig. 7), il luogo più eminente dell’intero sistema collinare, dove Orsi immaginava dovesse « sorgere con altri edifici il santuario delle divinità protettrici di Cossyra », l’area interessata da una forte erosione, si è rivelata particolarmente compromessa, e le tracce di strutture rinvenute particolarmente esigue per poter ricostruire la planimetria degli edifici che nelle varie epoche dovevano occuparla. 4 Qui, come già Orsi aveva segnalato (…intatte rimasero soltanto numerose cisterne, colle quali i Cossyresi intesero provvedere al primo e più grave bisogno della città), quello che resta degli antichi edifici sono essenzialmente le numerosissime cisterne, che si distribuiscono su gran parte della terrazza sommitale, le quali corrisponFig. 5. Veduta aerea della collina di S. Marco (da nord). dono senza dubbio ad un sistema di approvvigionamento pubblico di acqua, la cui presenza all’interno delle mura di fortificazione ulteriori dati per una ricostruzione delle dinamiche insediative certo non stupisce. 5 In particolare sono state interessate dall’inche hanno interessato il territorio. Le ricerche, tutt’ora in corso, hanno documentato la presenza impressionante di ingenti significative : « ogni traccia è oggi scomparsa ed invano io ho percorso tutti i vicoli della cittadina, chiedendo, investigando, esplorando, se mai qualche muro antico materiali, compresi tra età arcaica ed età tardo-antica, in tutte fosse conglobato nelle fabbriche recenti, e fosse stato scoperta mettendo fondameta le terrazze sottostanti le due colline, contribuendo a colmare il di case. Solo nel castello... veggonsi impiegati, specialmente nella cortina di mezzovuoto di conoscenza su interi periodi storici non documentati giorno e nella bastionata a mare, moltissimi massi trachitici di eccellente squadro, che la tradizione dichiara tolti da monumenti di Cossyra » (Orsi 1899, pp. 520-521). finora dagli scavi dell’Acropoli, si pensi all’epoca arcaica e proIn seguito ai bombardamenti della seconda guerra mondiale tracce di strutture antoclassica, o a quella medio e tardo-imperiale. 1 I dati recuperati tiche sono affiorate, come riporta A. Verger : « l’ultima guerra ha fatto sì che venisse nel survey, uniti alle notizie recuperate in bibliografia permettoalla luce qualche tenue traccia dell’abitato antico, che doveva estendersi intorno al porto : si tratta di qualche frammento architettonico e di due strati di mosaico... » no di ubicare con relativa certezza, proprio in località S. Marco, (Verger 1966a, p. 272). I materiali rinvenuti sono presentati in Verger 1966b, pp. il polismation noto dalle fonti : del resto la mancanza di notizie 126-127, tavv. lxxix, 1 ; lxxxviii, 2. 3 riguardo la presenza significativa di strutture e materiali antichi Resoconto preliminare della campagna 2000 in Schäfer, Osanna, Riethmüller 2001 ; per le campagne di scavo 2001 e 2002 : Osanna, Riethmüller, Schäfer, nell’area del moderno abitato e del porto, rende quanto meno Tusa 2003. Un breve resoconto sugli scavi fino al 2003 è stato inoltre presentato da improbabile che Kossyra fosse stata ubicata nei pressi del porto, chi scrive in Osanna, Schaefer, Weiss 2004 e in Tusa 2004, pp. 71-87. 4 come voleva il Cavallari, secondo il quale in loc. S. Marco, saProprio per questo settore Paolo Orsi (1899, pp. 513-14) lamentava che « ciò 2 che qui sopra è stato manomesso e distrutto attraverso i secoli nessuno, malaugurebbe da riconosce solo la Acropoli della cittadina. 1

Le indagini di superficie nell’area dell’insediamento antico sono state oggetto di una tesi di specializzazione presso la scuola materana da parte della dott.ssa Martina Almonte, che ne ha anche coordinato i lavori sul campo ; a lei va il mio ringraziamento per le informazioni preliminari. 2 Secondo Paolo Orsi, presso l’abitato moderno sarebbe da ubicare il proastion con il quaertiere marittimo. Il suo sopralluogo non portò a recuperare qui tracce

ratamente, ha curato di ricordare, né scavi sistematici vi si eseguirono mai ». La sua ricognizione aveva portato comuque a segnalare in superficie numerosissime « reliquie archeologiche » : come scrive l’archeologo qui « d’ogni parte spuntano dal suolo pezzi di eccellenti intonachi, candidi e fortissimi, su cossio pesto...non mancano poi stucchi colorati, frammenti di marmi e di mosaici, cocci numerosi di vasi, tra i quali nessuno a figure nere o rosse, mentre abbondano gli etrusco-campani ». 5 Al riguardo : H. Schwartz, Patterns of public and private water supply in north

Fig. 6. Planimetria generale dell’area interessata dalle ricerche (rilievo di Thorsten Schwing).

architettura pubblica e privata a kossyra

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Fig. 7. Veduta aerea della sommità della collina (Saggi i, viii).

dagine una serie di grandi cisterne tra loro interrelate (che hanno restituito nel riempimento manufatti e reperti di grande rilievo per la storia di Kossyra), 1 collegate da un sistema di canalizzazione, e inoltre una rampa scavata nella roccia con il relativo canale (Fig. 8) : queste strutture risultano pertinenti ad una prima fase di frequentazione lasciando presupporre l’esistenza di edifici coevi : tracce di incassi nella roccia, lacerti di muri e di pavimenti sono tutto ciò che rimane. Gli unici indizi per l’inquadramento cronologico di questa prima fase, documentata nella stratigrafia solo da lembi ridottissimi di strati di frequentazione che risalgono almeno al v sec. a.C., sono soprattutto tipologia e dettagli tecnici delle cisterne (in particolare l’intonaco grigio a base di malta e cenere), confrontabili con esempi di Cartagine, ove sono datate tra iv e iii secolo a.C. 2 In una seconda fase le cisterne restano in uso, ma al di sopra della rampa viene realizzata una scalea pavimentata in signino, decorato con l’inserzione di tessere marmoree, che sembra inquadrabile cronologicamente nel corso del ii secolo a.C. Difficile invece inquadrare le disiecta membra di edifici e del loro arredo rinvenute nelle cisterne, riempite con materiale recuperato su tutta la sommità della collina. Gli strati di riempimento delle cisterne (con un’unica significativa eccezione) 3 possono essere interpretati come un contesto organico, creato in modo unitario, la cui cronologia non può essere determinata al momento in maniera puntuale, ma che comunque non risale certamente ad epoca precedente il v-vi d.C. 4 Gli strati di riempimento si distinguono per l’enorme ricchezza e la gamma molto ampia dei reperti : ceramica, lacerti di pavimento in cocciopesto e a mosaico, frammenti di iscrizioni e di sculture di età imperiale, nonché numerosi frammenti architettonici e di stucco. 5 Sul pendio occidentale e settentrionale è stata individuata invece una complessa pluristratificata sequenza di strutture (Figg. 9-10). È stato innanzitutto portato alla luce un altro tratto del siAfrica, in Humphrey 1981, 50-54. Discussione delle fonti letterarie in M. Fantar, Le probleme de l’eau potable dans le monde phénicien et punique : les citernes, « CahTun », xxiii, 1975, pp. 9-18. 1 Per il contenuto delle cisterne si rimanda al contributo di Th. Schäfer, in questo volume. Sui ritratti imperiali rinvenuti nel corso della campagna del 2003 vedi Osanna, Schäfer, Weiss 2004 ; Tusa 2004. 2 Cfr. al riguardo, le analoghe strutture edite da L. H. Davis, in Humphrey 1981, pp. 43-44 ; G. Stenzel, in Rakob 1991, pp. 12, 213 ; F. Wiblé, ivi, pp. 103 sg., 108, 135 ; O. Teschauer, ivi, pp. 152-155, 160 ; F. Rakob, ivi, p. 239. 3 Per la cronologia del riempimento della cisterna che ha restituito i ritratti di Cesare e Antonia Minore : Osanna, Schaefer, Weiss 2004, pp. 40-48 ; M. Osanna, Le teste di Pantelleria nel loro contesto di rinvenimento, in Tusa 2004, pp. 89-119. 4 Per la cronologia del contesto vedi Osanna, Riethmüller, Schäfer, Tusa 2003, p. 68. L’abbandono dell’area potrebbe essere inquadrata nell’ambito dell’invasione dei Vandali o della riconquista bizantina. Sulla fase tardo-antica e bizantina di Pantelleria, nota ancora in maniera del tutto embrionale vedi : F. Maurici, Medioevo trapanese. Gli insediamenti nel territorio nella provincia di Trapani dal tardo-antico alle soglie dell’età moderna, Palermo, 2002, pp. 50-53. 5 Alcuni dei materiali recuperati sono editi in Osanna, Schäfer, Riethmüller, Tusa 2003, pp. 90-98 ; T. Schäfer, in Tusa 2004.

Fig. 8. Planimetria dello scavo con ubicazione delle cisterne (Saggi i, viii).

stema viario di collegamento tra “città bassa” e “acropoli”, (il cui tratto terminale è stato intercettato, come già detto, sulla sommità della collina), costituito da una rampa realizzata nella roccia affiorante, in connessione con un duplice imponente sistema difensivo e ad una serie di edifici dall’evidente destinazione domestica. 6 La rampa nord-sud doveva essere delimitata ad ovest (Fig. 11), in una prima fase di frequentazione, da un complesso sistema pertinente alla difesa dell’insediamento. In particolare è stato individuato un ingresso, con rampa lapidea a gradini (larga m 2,60), contenuta tra due eleganti strutture in blocchi in tecnica isodoma, che rimandano ad un sistema di fortificazioni collegato con l’ingresso, la cui articolazione è ancora tutta da definire (Figg. 12-13). Significativa al riguardo la presenza nella parte interna dell’ingresso di una sistema di chiusura a saracinesca lignea. 7 In assenza di dati stratigrafici, in base alla valutazione della tecnica utilizzata nelle costruzione delle murature si potrebbe ipotizzare di essere di fronte al sistema difensivo della cittadella di epoca punica, probabilmente di iv sec. a.C., epoca in cui le opere di difesa conoscono un impressionante sviluppo, determinato dal progresso delle tecniche di assedio. 8 Un elemento di grande interesse è costituito dal fatto che le misure dell’ingresso (2,60 m) e della relativa scalea coincidono con quelle ricostruibili per la rampa originaria (calcolabile, là dove non è stata parzialmente obliterata da edifici successivi, come nel saggio i e ii) : 9 tale circostanza potrebbe consentire di ricostruire, almeno in questo punto della città di questa epoca, un sistema regolare di assi stradali dall’analoga ampiezza, che si incrociano ad angolo retto. Un radicale intervento di ridefinizione urbana è attestato invece nella fase successiva, quando viene realizzato un gran6

Osanna, Schäfer, Riethmüller, Tusa 2003, pp. 72-80. L’esistenza di porte a saracinesca (note nelle fonti greche come pyle katarraktes, nelle latine come cataracta), atte ad assicurare una quanto mai rapida apertura e chiusura degli ingressi, in particolare a protezione di una seconda linea di difesa, è ben documentata dalle fonti : si pensi alle indicazioni di Enea Tattico (xxxix, 3-4) : « se un numero eccessivo di nemici seguita ad entrare e tu vuoi trattenerli, bisogna preparare, sopra la parte centrale della porta, una saracinesca di legno, la più spessa possibile, e rinforzarla con del ferro. Quando, dunque, vorrai tagliare fuori i nemici che stanno irrompendo, lasciala cadere giù in verticale : la saracinesca stessa ucciderà alcuni nemici mentre cade, e impedirà agli altri di entrare ; nello stesso tempo, i soldati appostati sulle mura bersaglieranno i nemici in prossimità delle porte ». Cfr. al riguardo il commento di M. Bettalli, Enea Tattico. La difesa di una città assediata, Pisa, 1990, pp. 332-333, che segnala una serie di esempi storici di quanto prospettato da Enea, tra cui il celebre passo di App., Hist.Rom. xvi, 78-79 sull’assedio di Bruto a Xanthos. Per la documentazione archeologica vedi Winter 1971, p. 264 sgg. ; Lawrence 1979, pp. 262-266. 8 Al riguardo vedi Winter 1971, p. 317 sgg. ; Lawrence 1979, p. 420 sgg. Sullo sviluppo delle nuove tecniche poliorcetiche nel iv sec. a.C : Y. Garlan, Recherches de poliorcétique grecque, Paris, 1974, p. 156 sgg. 9 Schäfer, Osanna, Riethmüller 2001. 7

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massimo osanna Porta I fase

Rampa I fase

Fortificazioni II fase

Fig. 9. Planimetria generale dell’area di scavo presso il pendio nord-occidentale della collina (Saggi iii, iv, vii, ix, x).

Fig. 10. Lo scavo dell’abitato nel settore nord-occidentale della collina (veduta aerea da nord).

de bastione (Fig. 14), rimpiegando blocchi in trachite di altri edifici, senza dubbio un nuovo muro di fortificazione, pertinente ad un rinnovato sistema difensivo, che stravolge completamente il precedente impianto, evidentemente non più funzionale alle nuove esigenze difensive della città. Il notevole stato di conservazione degli imponenti manufatti murari (Fig. 15) si deve alle vicende complesse di uso e riuso degli stessi e soprattutto alla trasformazione dell’area probabilmente già in età antica in spazio non urbanizzato, che ha por-

Fig. 11. Saggio iii (da nord).

tato nel corso di un lungo periodo di tempo alla costruzione di terrazze per fini agricoli, una iterata e prolungata attività che sembra esaurirsi solo all’inizio del xx secolo, e che normalmente si è giovata della presenza di muratura antiche come base dei muretti a secco. 1 1 Come documentato sia dalla memoria di Cavallari 1874, sia da Orsi 1899, pp. 510, 518.

architettura pubblica e privata a kossyra Elemento decisivo per la definizione dello spazio in questo settore dell’insediamento è proprio il già ricordato “bastione” difensivo aggettante, a pianta quadrangolare, che sporge dal profilo della collina di S. Marco nel settore occidentale, al cui fianco orientale si addossa un altro imponente avancorpo, che aggetta a sud-ovest. Il bastione, che poggia le sue fondazioni sulla rampa del saggio iii obliterandone circa metà della larghezza, si eleva per una altezza conservata di ca. 6 m, orientato secondo un asse nord-ovest / sud-est, a proteggere il fianco sommitale occidentale della collina. 1 La struttura presenta un paramento esterno in tecnica pseudoisodoma, i cui filari di blocchi parallelepipedi risultano alternati per testa e taglio. La faccia esterna è l’unica perfettamente squadrata, spesso provvista di bugna, all’interno il blocco presenta una sbozzatura irregolare ed è inserito in malta di sabbia argillosa mista a graniglia di tufo che funge da emplecton, mentre il paramento interno è realizzato con blocchetti di piccole dimensioni irregolarmente squadrati. Se la funzione del “bastione” (e del correlato avancorpo occidentale), all’interno del sistema difensivo, allo stato attuale delle ricerche rimane ancora incerta, certo è che l’esistenza del manufatto architettonico risulta decisivo per lo sviluppo della storia edilizia di questo settore di Kossyra antica. Una volta perse le sue primarie funzioni di baluardo difensivo, la fortificazione diventa il cardine di un nuovo progetto di organizzazione dello spazio che prevede la costruzione di edifici residenziali, scanditi in blocchi paralleli. Cardine del nuovo impianto sono proprio i due avancorpi aggettanti della fortificazione ai quali si vengono ad addossare due blocchi di abitazioni scanditi da un piccolo asse stradale intermedio. Il blocco i (saggio iii) ha origine nello spazio ad angolo retto definito dal “bastione” e correlato “avancorpo” occiden1 Si tratta dell’unico tratto del circuito, insieme a quello indagato da Alessandro Verger (Verger 1966), che ancora rimaneva in vista al momento dell’inizio delle nuove indagini nel 2000, tra quelli che ricordavano Cavallari 1874 e Orsi 1899 intorno alle due colline : il saggio iii è stato aperto ai piedi del muro proprio per verificarne natura e cronologia.

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Fig. 12. Saggio iii : l’accesso alla città con i resti della scalea (da ovest).

tale e si dispone lungo il pendio, con orientamento nord-ovest/ sud-est, distribuendo spazi e ambienti su più livelli venendo ad obliterare i forti salti di quota che caratterizzano tutto lo spazio. Il fronte orientale del blocco, allineato sul piccolo asse, non indagato nel complesso, sembra allinearsi significativamente con il paramento esterno del già citato muro (usm 14), contro il quale doveva forse terminare. Il blocco i che si impianta sul pendio occidentale subito al di fuori del duplice bastione, si imposta su quanto restava della cortina muraria più antica, quella verosimilmente risalente ad età punica, la quale era stata parzialmente distrutta e smantellata per permettere la creazione del successivo sistema difensivo (Fig. 16). È interessante osservare che dopo la costruzione del secondo impianto murario, la rampa, sebbene pressoché dimezzata rispetto alla sua originaria estensione continui ad essere in uso : non si tratta più di un asse di collegamento tra “città bassa” e “acropoli”, ma continua comunque ad essere utilizzata in

Fig. 13. Saggio iii : planimetria.

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massimo osanna canale funzionale alla raccolta di acque piovane, che vengono così incanalate in una cisterna. Pertinente probabilmente a tale corte è un capitello dorico frammentario in trachite rivestita di stucco, rinvenuto poco lontano tra gli strati di crollo (Fig. 19). Il peristilio risulterebbe collegato direttamente all’ingresso della casa dalla rampa, come documenta il rinvenimento di una soglia. A ovest e nord del peristilio, dove è documentata una complessa sequenza di fasi, si dovevano disporre ambienti residenziali della casa : probabilmente un ambiente di rappresentanza doveva aprirsi a ovest della corte, nella parte della casa ormai completamente perduta a causa dello smottamento del pendio, il quale, come nel caso del vicino ambiente meridionale, doveva sfruttare come terrazzamento il vano inferiore, verosimilmente destinato a bottega (Fig. 20). Per il settore nord, scavato e conservato solo in parte, a causa della difficile situazione del pendio, si segnala la presenza di un vano identificabile con il bagno, come dimostra la presenza di una vasca rivestita in malta idraulica, nonché la scoperta in un angolo del piccolo vano di un’anfora destinata evidentemente alle abluzioni 2 (Fig. 21). A Fig. 14. Il bastione in blocchi squadrati visto da nord-ovest, che si impianta su parte della rampa (Saggi iii e ix).

connessione con il nuovo edificio che si imposta, al di fuori del nuovo muro di cinta, sugli antichi muri in tecnica isodoma delle fortificazioni puniche. Il blocco I è caratterizzato dalla presenza di un (unico ?) edificio, che presenta almeno due principali fasi costruttive, caratterizzato nella seconda fase dalla presenza di una corte tetrastila (Fig. 17), che diventa il fulcro di una elegante casa, che si estende su ampia superficie, e su quote diverse, sul margine occidentale del pendio. 1 La corte (la cui parte occidentale, come del resto tutto il settore occidentale della casa, non è purtroppo conservata) è pavimentata in cocciopesto (Fig. 18) con inclusi lapidei, le colonne, di cui restano gli incassi, inquadrano un piano ribassato – una sorta di vasca poco profonda – provvisto di Fig. 16. Saggio iii visto da sud.

Fig. 15. Saggio ix in corso di scavo (da nord-ovest). Fig. 17. Saggio iii : resti del peristilio tetrastilo (particolare). 1

Pur se conservato solo in parte l’ambiente colonnato sembra corrispondere piuttosto ad un peristilio che ad un atrio. La presenza di quest’ultimo richiederebbe del resto una articolazione della casa secondo canoni centro-italici che non sembrano attestati nel nosto contesto. L’esistenza di peristili intorno a cui viene ad organizzarsi lo spazio domestico è del resto attestato in maniera pervasiva in tutta la Sicilia ellenistica, che non sembra almeno per tutto il ii sec. a.C. trasformare gli spazi domestici secondo il modello “romano”. Qui come a Solunto e altrove in Sicilia gli spazi sembrano essere definiti „alla greca“, utilizzando come cellula della casa un peristilio più o meno esteso, che funge da disimpegno per i vari settori dell’abitazione. Al riguardo importanti osservazioni sono state avanzate partendo da una abitazione di Heraklea Minoa da L. Campagna, Una nuova abitazione ad Eraclea Minoa : primi dati, in Ricerche sulla casa greca in Magna Grecia e in Sicilia (Atti del Colloquio, Lecce 23-24 giugno 1992), edd. F. D’Andria, K. Mannino, Galatina, 1996, pp. 111-122.

2 Il piccolo vano destinato alle abluzioni, caratterizzato dalla presenza di una vasca „en sabot“ è ben attestato nel mondo ellenistico, in particolare in ambiente punico, dove ritorna sia una organizzazione spaziale analoga a quella di Pantelleria (con vasca addossata su uno dei lati dell’ambiente e ristrettissimo spazio di servizio) sia il tipo di vasca in muratura rivestita di malta idraulica : cfr. al riguardo, per gli esempi di Kerkouane, Fantar 1985, p. 301 sgg. (in particolare per il tipo di vasca, caratterizzata da un profilo rettangolare poco documentato a Kerkouane, dove è più frequente il tipo a pianta ovale, vedi 366, tav. vi). Per quanto riguarda la cronologia dell’apprestamento, nel caso di Kerkouane non sono stati presentati dati stratigrafici che permettano un inquadramento puntuale, ma in base alle vicende di vita della città si è proposto un termins ante quem – probabilente un po’ alto – alla fine del ivinizio del iii sec. a.C.

architettura pubblica sud si aprivano invece gli ambienti magazzino (come dimostra la scoperta nei livelli di crollo di numerosissimi tappi di anfora), che si impostano in una seconda fase su una grande cisterna che viene ad occupare un vano a pianterreno. Interessante notare che al piano inferiore vengono ad essere resi indipendenti due vani collegati, accessibili direttamente dall’esterno – probabilmente dalla strada principale che portava verso la “città bassa” – probabilmente botteghe 1 (Fig. 22). Per quanto riguarda la cronologia del complesso, non essendo stati rinvenuti strati pertinenti alla frequentazione, difficile proporre una puntuale definizione delle due fasi principali individuate. In ogni caso il rinvenimento di ingente materiale negli strati di abbandono, permette di proporre almeno un terminus ante quem, individuabile nella prima metà del i sec. d.C. Il materiale rinvenuto all’interno di tutto il blocco non sembra, comunque, risalire oltre l’avanzato iii sec. a.C., epoca oltre la quale non è possibile far risalire l’impianto delle strutture. Tutta la casa, che come abbiamo visto viene servita da un asse stradale risultante dal restringimento dell’antica rampa di età punica, invasa dal bastione e dallo stesso peristilio, si sviluppa lungo il piccolo asse stradale ampio circa 2 m, posto in prosecuzione della rampa nord-sud, il quale costituisce l’asse intermedio che separava il blocco i dal contiguo blocco ii. Tutto l’asse non è stato ancora scavato, ma non è escluso che costituisca, come per il tratto precedente quanto resta di una lungo asse nord-sud di età punica, ristretto dall’impianto della casa con peristilio. 1 La presenza di vani adibiti a bottega, indipendenti dal blocco della casa e aperti direttamente sulla strada ad un piano inferiore è ben documentata a Solunto : vedi Wolf 2003, pp. 79-80.

e privata a kossyra 43 Se passiamo a considerare il secondo blocco, e dunque il settore urbano che si apre a oriente dell’asse stradale, qui lo scavo ha messo in luce una serie di spazi e ambienti articolati, con ogni probabilità, su tre livelli a partire dalla base della fronte settentrionale del bastione Fig. 18. Saggio iii : pavimentazione fino alla quota della in signino del peristilio (particolare). strada stessa che funge da asse di servizio dei due blocchi di strutture (Fig. 23). Nel blocco ii la planimetria degli ambienti si sviluppa su tre setti longitudinali – a partire da nord-ovest, e un muro trasversale che presso la sezione nord del saggio delimita lo scavo e gli ambienti stessi. Tutti i muri appaiono realizzati con tecniche diverse : prevale il doppio paramento pseudoisodomo con blocchi squadrati posti di taglio e nucleo o allettamenti realizzati in argilla ; in alcuni casi vengono creati dei pannelli con una pezzatura di blocchi più piccoli inseriti tra piedritti (se verticali) o blocchi più grandi posti di taglio. Lo stato di visibilità delle strutture non permette ancora di valutare queste variazioni come rifacimenti o tamponature o al contrario quali tecniche diverse che rispondono a diacronici progetti edilizi.

Fig. 19. Il capitello dorico e ricostruzione della colonna del peristilio (disegno di Klaus Müller).

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massimo osanna

Fig. 20. Saggio iii : planimetria.

Fig. 21. Saggio iii : il bagno della casa con peristilio tetrastilo.

Fig. 22. Saggio iii : strutture del piano inferiore della casa con peristilio (botteghe ?).

Lo scavo del ii blocco non è stato ancora ultimato (Fig. 24) : difficile dunque definire nella diacronia la planimetria delle strutture dall’evidente carattere domestico, le quali si caratterizzano per la presenza, come nel blocco i, di vani occupati in una seconda fase da cisterne o da bagni. Se per le strutture murarie, le cisterne e i piani pavimentali residui possiamo abbozzare un quadro di riferimento interno connesso ad una cronologia relativa, per le stratigrafie, solo lo studio sistematico dei materiali provenienti dagli strati di riempimento che caratterizzano i depositi del saggio ix, chiarirà le modalità di questi accumuli naturali o artificiali ; la presenza di blocchi di tufo, di scaglie di lavorazione, la frequenza degli intonaci o degli stucchi provenienti dalle decorazioni architettoniche, permetterà una più attenta decodifica delle attività che si sono succedute in questo settore dell’acropoli dopo l’abbandono definitivo delle strutture abitative. Quando anche le strutture abitative vennero abbandonate gli spazi all’interno degli edifici privati furono organizzati per la sostruzione di nuove terrazze (Fig. 25). L’unico dato cronologico assoluto proviene da alcuni dei riempimenti delle terrazze i cui materiali ceramici sembrano stabilire un terminus post quem per l’inizio di questo processo di obliterazione, databile a partire dalla fine del ii secolo d.C. Questo termine temporale marca certamente un radicale riuso del sito e, in particolare, di questo settore dell’acropoli ma, verosimilmente, non ne decreta la fine come elemento fondamentale nella geografia e nella frequentazione dell’area, come documenta tra l’altro il rinvenimento dei due contenitori da cucina tardo-antichi integri, in uno strato di obliterazione delle strutture più antiche, posto ad immediato ridosso della fronte nord del bastione. Dati più significativi per un corretto inquadramento cronologico e la definizione della funzione degli spazi sono stati reperiti nell’area che si dispone a quota più bassa di questo settore (Fig. 26). Si tratta di tre vani aperti sul fronte stradale, di cui quello posto più a sud non è stato indagato, ma del quale si possono definire le dimensioni (5,30 x 3 m). Il vano immediatamente a nord di questo (ambiente 5) che presenta una forma trapezoidale (lunghezza di circa 5,20 m e una larghezza a ovest di 2,10 m, a

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Blocco I

Asse stradale

Blocco II

Fig. 23. Saggi iii, ix, x : planimetria generale.

est di 1,90 m) si imposta sul lato orientale direttamente sul banco roccioso affiorante, utilizzato qui non solo come fondazione del muro di fondo, ma, probabilmente, come banchina di appoggio o di lavorazione. Sul pavimento, realizzato in terra battuta, sono stati rinvenuti due buchi di palo allineati ad una distanza di circa 0,50 m dal muro meridionale e posti a circa 2,50 m l’uno dall’altro, atti forse a sostenere una scaffalatura lignea. Per quanto riguarda la funzione, il rinvenimento negli strati di obliterazione di concentrazioni di carboni, di resti di pasto, frequente Pantellerian Ware e anfore, può portare ad avanzare per questo vano una funzione di immagazzinamento. L’ambiente 6, ultimo della serie a nord, è di dimensioni maggiori del precedente, ma ugualmente di forma irregolare (lunghezza di circa 5, 20 m ed una larghezza a ovest di 2,80 m e a est di 3,08 m). Anche qui il pavimento è realizzato in terra battuta e gli strati di abbandono hanno restituito lo stesso materiale rinvenuto nell’ambiente 5, con una minore presenza, però di resti di pasto e di carboni comunque presenti. Questa fase di frequentazione viene obliterata in età augustea da strati di abbandono e distruzione che talvolta indiziano la presenza di mattoni crudi. A questo segue poi, tra la prima metà del I e gli inizi del ii sec. d.C., una notevole attività di livellamento della terrazza con colmate di frammenti ceramici, ciottoli, scaglie di trachite e sabbia che abbiamo rinvenuto negli ambienti settentrionali sino a coprire le rasature dei muri. Un altro complesso senza dubbio domestico, ma sostanzialmente diverso per tipologia è stato invece portato alla luce sul

Fig. 24. Saggio ix in corso di scavo (da est).

pendio settentrionale della collina, a nord-est delle strutture appena descritte (saggio iv), in un’area interessata dalla realizzazione di poderosi muri di terrazzamento (saggio vii), funzionali evidentemente alla realizzazione di strutture abitative, in un’area fortemente scoscesa. Si tratta di un complesso che potremmo attribuire ad un iii blocco di abitazioni, il quale conosce una serie di ristrutturazioni anche rilevanti della pianta, inquadrabili in almeno tre fasi edilizie (Figg. 27-28).

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Fig. 25. Saggio ix : muro di terrazzamento tardo-antico (da est).

Fig. 26. Saggi ix-x da sud-est.

L’edificio è caratterizzato dalla presenza di un cortile (ambiente 8) che permette l’accesso, a nord e a est ad una serie di ambienti di varie dimensioni, la maggior parte piuttosto angusti. Particolare significativo appare il rinvenimento di un vano-cucina, ubicato presso l’estremità nord-ovest del complesso, che ha restituito in situ materiale in ottimo stato di conservazione, tra cui si segnala ceramica comune, anfore e macine ; ed inoltre di un piccolo vano posto a sud-est, purtroppo parzialmente danneggiato dall’esplosione di una bomba del secondo conflitto mondiale, il quale ha restituito, in uno strato depositatosi sul pavimento (forse realizzatosi con il crollo di scaffalature lignee) una ingente quantità di ceramica da mensa e da dispensa, il quale permette di datare puntualmente l’ultima Fig. 27. Veduta aerea della collina da nord (in primo piano fase di vita dell’edificio 1 (Figg. 28-29). al centro i saggi iv e vii). Le classi ceramiche maggiormente attestate sono la ceramica comune (tardo-punica di importazione e di Pantelleria) e anfore (sia grecoitaliche che puniche) cronologicamente inquadrabili tra il iii ed il ii sec. a.C. ; ceramica a vernice nera, di produzione sia siciliana che africana, documentata da un repertorio di forme di età ellenistica databili tra la fine del iii ed l’inizio del i sec. a.C. ; scarsa ceramica a pareti sottili. Alla luce di questi dati, in via del tutto preliminare è possibile inquadrare cronologicamente l’ultima fase di vita della casa nel corso della seconda metà del ii sec., con una frequentazione che potrebbe spingersi fino all’inizio del i sec. a.C. Probabilmente ad epoca immediatamente posteriore risale la costruzione della cisterna che viene ad occupare lo spazio originariamente scoperto della corte.

Fig. 28. Saggio iv, visto da sud (sullo sfondo il paese moderno e il porto).

1 Si ringraziano : la dott.ssa Serena Massa che ha visionato la ceramica comune tardo-punica, la pantelleria ware, le sigillate africane, la white surface ware, le pareti sottili ; il dott. Antonio Ferrandes che ha preso visione delle sigillate italiche ed orientali e la ceramica a vernice rossa interna ; la dott.ssa Roberta Baldassarri, infine, per le anfore.

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Fig. 29. Saggio iv, visto da nord.

Fig. 30. Solunto, l’impianto urbano. Particolare (da Wolf 2003).

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delli cui la nostra casa si ispira sono infatti quelli della casa greca ellenistica, nota ad esempio a Delo ; il modello della casa ad atrio richiederebbe infatti la presenza di spazi connessi e interrelati, quali ale e tablino che non sembrano essere qui presenti (Fig. 32). Se dunque in questo caso siamo in presenza di una elegante casa a peristilio, la casa del saggio iv invece risponde a modelli diversi, che si caratterizzano per la presenza di una corte priva di eleganti decorazioni e di vani paratatticamente disposti di dimensioni piuttosto piccole. L’assenza di colonne nella corte scoperta, la presenza di vani di piccole dimensioni scanditi secondo una disposizione paratattica, sembra rimandare a soluzioni note in ambiente punico, come abbiamo visto e rispondere probabilmente ad altri modelli. Per quanto riguarda l’interpretazione del complesso non sembrano sussistere dubbi, considerando planimeFig. 31. Solunto, la casa di Arpocrate (da Wolf 2003). tria e reperti rinvenuti, riguardo la destinazione abitativa dell’edificio. Non sembrano Se passiamo a inquadrare le strutture rinvenute nel quadro dei andare contro tale ipotesi nemmeno le piccole dimensioni della contesti urbani di età ellenistica noti in ambiente siciliano, si può maggior parte degli ambienti indagati (almeno per quanto ririchiamare innanzitutto il caso di Solunto 1 (Fig. 30). Gli edifici guarda la ii fase di frequentazione) : se si avanzano confronti con rinvenuti, che si impiantano a più livelli, sfruttando il pendio strutture abitative ellenistiche del mondo punico tali caratterinaturale, presentano suggestivi richiami e analoghe soluzioni stiche non risulteranno inusitate. Si pensi, ad esempio, alle case nell’articolazione degli spazi. Innanzitutto bisogna sottolineare di Byrsa, 3 a quelle dell’insula I di Kerkouane 4 o ancora a quelle che a Kossyra come a Solunto convivono complessi abitativi della parte bassa di Solunto, dove si concentrano le strutture più che rispondono a soluzioni diverse sia riguardo a disposizione modeste, senza peristilio 5 (Fig. 33). Il complesso pantesco, semdegli spazi, sia per le decorazioni interne. La casa con corte tebra rimandare dunque ad una casa appartenente ad un tipo ben trastila trova riscontro puntuale con complessi soluntini, come attestato in ambiente punico, caratterizzato dalla presenza di un ad esempio la casa di Arpocrate (Fig. 31), dove si notano solucortile decentrato che funge da disimpegno per ambienti di varie zioni del tutto analoghe : anche qui infatti una corte colonnata dimensioni, ma generalmente piuttosto angusti. – un vero e proprio peristilio dorico – si fa fulcro della casa e Per quanto riguarda la cronologia delle strutture individuate spazio di disimpegno tra area a destinazione residenziale e aree e della fasi principali in cui risulta scandita la vicenda insediativa di immagazzinamento e botteghe. Gli spazi di rappresentanza sulla collina di S. Marco, difficile risulta al momento proporre sono qui come a Solunto decorati da pavimenti in cocciopesto una datazione puntuale dei singoli complessi e delle loro fasi, ma con inclusi di tesserine marmoree disposte secondo un ordito a è possibile tentare una lettura complessiva della definizione delle file parallele. Interessa in particolare riconoscere la soluzione varie trasformazioni che interessano l’area. È evidente, infatti che prevede ambienti-bottega separati dalla casa vera e propria che alla fase più antica di frequentazione, possano essere attriche diventano sostruzione per ambienti eleganti dalla posiziobuiti solo l’impianto stradale costituito dalla rampa nord-sud, ne volutamente scenografica. Riguardo alla corte tetrastila, qui tagliata nella roccia affiorante, e il connesso sistema difensivo come altrove in Sicilia, mi sembra possibile interpretare lo spacon porta monumentale e scalea. Tale fase potrebbe essere inzio più come un peristilio contratto a causa dello spazio ridotto quadrata ancora entro il iv sec. a.C., ossia nella fase punica di e condizionato dal pendio, che come un atrio tetrastilo : 2 i mo1

Sull’edilizia domestica di Solunto è disponibile ora l’importante repertorio di Wolf 2003. 2 Al riguardo si rimanda alle osservazioni di L. Campagna, Una nuova abitazione ad Eraclea Minoa : primi dati, in Ricerche sulla casa in Magna Grecia e Sicilia (Atti del

Colloquio, Lecce, 23-24 Giugno 1992), edd. F. D’Andria, K. Mannino, Galatina, 1996, pp. 111-122. 23 Cfr. ad esempio la casa 4 (C4) dell’isolato C in Lancel 1982, pp. 370-374, fig. 605. 4 5 Fantar 1984, p. 258, fig. 4 bis. Wolf 2003.

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Fig. 32. Particolare dell’impianto urbano di Solunto a sinistra (da Wolf 2003) e di Kossyra a destra.

Kossyra ; in ogni caso prima del primo intervento romano, che le fonti datano al 255 a.C. 1 La seconda fase vede invece lo stravolgimento complessivo di tale sistemazione urbana, attestato dalla defunzionalizzazione dell’ingresso e dalla connessa realizzazione di un nuovo sistema difensivo documentato dalla realizzazione del grande bastione occidentale. Tale intervento radicale, va letto evidentemente in connessione con eventi traumatici della vicenda insediativa, e potrebbe essere ricollegata all’epoca successiva rispetto alla prima conquista romana del 255 a.C. Sarebbe suggestivo mettere in connessione l’evidente smantellamento delle mura di età classica con la distruzione della città registrata dalle fonti e attribuita al conquistatore romano che qui vi lascerà una effimera guarnigione. 2 In effetti per quanto riguarda il momento di costruzione della nuova cinta muraria, realizzata con blocchi di riuso, questa in base a elementi di ordine stratigrafico non sembra essere più recente dell’iniziale ii sec. a.C. e potrebbe essere messa in connessione proprio con gli avvenimenti che interessano l’isola tra prima e seconda guerra punica. Dunque, potrebbe trattarsi del muro ricostruito in 1 L’esistenza di un importante insediamento di questo periodo è documentata epigraficamente : del resto fonti e documentazione archeologica concordano nell’indicare Pantelleria (yrnm), insieme alle Egadi, l’arcipelago maltese e l’isola di Zembra, come organicamente inserite nel complesso apparato difensivo organizzato da Cartagine (significativo al riguardo anche la menzione dello Pseudo-Scilace di Lampedusa, ricordata come una città cinta da un notevole muro con due o tre torri visibili dal mare). La testimonianza più significativa riguardo l’inserimento delle isole del Canale di Sicilia nel sistema politico-militare cartaginese è l’attestazione epigrafica riferibile a Pantelleria (cis i, 265), Gozo, Malta dello ‘m, l’assemblea del popolo, che dal iv sec. a.C. segna l’impegno politico amministrativo di Cartagine nelle regioni del Mediterraneo. Attraverso lo ‘m, organo collegiale retto e composto da cittadini di diritto cartaginese, la metropoli esercita il suo controllo sulle città e i capisaldi “provinciali” (cfr. L. I. Manfredi, I sufeti e l’assemblea del popolo in Sardegna, « rsf », 25, 1997, pp. 12-13). Come sottolineato da Manfredi 2002, p. 335, la presenza a Kossyra dei rappresentanti del popolo di Cartagine nel iii sec. a.C. sottolinea il loro rapporto coerente con la madrepatria in quanto presidi militari di primaria importanza strategica e li pone tra i possedimenti che in questo periodo 2 entrano a far parte del territorio statale. Zonar. 8, 14.

seguito alla immediata riconquista cartaginese del 254, o forse piuttosto di quello della presa definitiva della città da parte dei romani avvenuta nel 217 a.C. che porterà Kossyra ad essere inserita nella provincia di Sicilia. Sarebbe questo l’oppidum ricordato da Plinio, nella sua menzione dell’isola di Kossyra cum oppidum. 3 In quest’ultimo caso saremmo di fronte alla ridefinizione dell’antica acropoli punica come cittadella fortificata (di estensione più ridotta) voluta dai nuovi conquistatori in funzione di una strategia volta prima all’isolamento di Annibale in Italia e successivamente nell’ottica di un attacco contro Cartagine portato direttamente in suolo africano. In epoca successiva alla realizzazione del nuovo sistema difensivo anche spazi esterni alla cinta vengono occupati, riutilizzando le strutture pertinenti al più antico muro di cinta, come documentato dalla solo parziale obliterazione della rampa che continua ad essere utilizzata in connessione con le nuove strutture. La nuova fase edilizia documenta un boom impressionante per la storia urbana di Kossyra : come documentano i materiali ampiamente rinvenuti soprattutto in connessione con la Casa del saggio iv, il momento più intenso di frequentazione dell’area coincide proprio con il ii sec. a.C., datazione confermata tra l’altro dal rinvenimento sui piani pavimentali di un ambiente di un tesoretto con monete cartaginesi e di Kossyra databili entro la fine del ii sec. a.C. La presenza di impianti domestici, anche di alto livello, i quali vengono costruiti a ridosso delle mura si spiega verosimilmente con la perdita di funzione del sistema difensivo, confermando una delle solite geniali intuizioni di Paolo Orsi : 4 tale momento può essere individuato ovviamente non prima della fine della seconda punica, se non negli anni immediatamente successivi al 146 a.C., anno della distruzione di Cartagine e della definitiva 3 4

Al riguardo Verger 1966a, p. 259. Orsi 1899, p. 510.

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massimo osanna calpestio, ed inoltre nell’area della scalea, la quale viene messa definitivamente fuori uso proprio al momento della distruzione della complesso domestico. 3 Abbreviazioni bibliografiche

Fig. 33. Solunto, casa senza peristilio (da Wolf 2003).

pacificazione di questa area del Mediterraneo. Del resto una cronologia della fase di vita principale della casa a peristilio nella seconda metà del ii sec. a.C. concorderebbe bene con la datazione proponibile per l’introduzione della corte colonnata dorica, che utilizza capitelli dall’echino particolarmente contratto che non sembra possibile datare prima della metà del ii sec. a.C. 1 e per i pavimenti in cocciopesto con inclusi lapidei, che sebbene “invenzione” ben più antica, proprio nel ii sec. a.C. conoscono una diffusione ampia nel mediterraneo. 2 Per quanto riguarda l’abbandono di questo settore dell’abitato di Kossyra una serie di dati concorrono nel collocarlo precocemente, ancora entro la prima metà del i sec. d.C. : a quest’epoca rimandano gli strati di abbandono individuati negli ambienti scavati fino ad i piani di 1 In generale sull’articolazione della casa di tipo greco in età ellenistica : F. Pesando, La casa dei greci, Milano, 1989, pp. 193-252 ; L. C. Nevett, House and Society in the Ancient Greek World, Cambridge, 1999, pp. 144-153. 2 Su questo tipo di pavimenti, comunemente definiti signini, identificabili con i pavimenta poenica citati in Fest., 348 P.-L., vedi M. Gaggiotti, Pavimenta Poenica marmore Numidico constrata, in L’Africa romana, Atti del v convegno di studio, Sassari, 11-13 dicembre 1987, ed. A. Mastino, Sassari, 1988, pp. 215-221.

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Osanna-Riethmüller-Schäfer-Tusa 2003.

Pierfrancesco Vecchio PROPOSTA PRELIMINARE DI ARTICOLAZIONE IN FASI PER L’ABITATO DI KOSSYRA, ACROPOLI DI S. MARCO (SAGGI IX-X)

L

’a spetto più macroscopico dei resti archeologici dei saggi ix e x è dato dall’imponenza dei manufatti murari e dal loro stato di conservazione. Questa caratteristica, che determina il monumentale impatto visivo delle strutture, è il risultato di una storia deposizionale e stratigrafica articolata, volta alla totale obliterazione degli edifici – nel corso di un lungo periodo di tempo – e alla conseguente costruzione di terrazze per fini agricoli, attività che sembra esaurirsi, probabilmente, solo alle soglie del xx secolo. Lo spartiacque, nelle microstorie edilizie dei due saggi, è rappresentato certamente dal “bastione” difensivo aggettante, a pianta quadrangolare, che sporge dal profilo della collina di S. Marco nel settore occidentale. La sua presenza, il progetto costruttivo di cui fa parte, le trasformazioni che impone sugli edifici precedenti e gli adattamenti che lo utilizzano nelle fasi successive, sono l’oggetto di questo tentativo di sistematizzazione degli scavi e degli interventi realizzati sull’acropoli di Pantelleria tra il 2003 e il 2004. 1 Fase i Il momento costruttivo più antico, sull’intero fianco occidentale dell’acropoli, sembra coincidere con una struttura riferibile, probabilmente, ad una frequentazione di tipo residenziale ; in uno dei saggi sottoposti ad indagine è stato, infatti, messo in luce un muro che, almeno in questa fase, appare come precedente alla destinazione dell’area a scopi eminentemente difensivi. Nel saggio x, infatti, è stata messa in luce la cresta del muro usm 1774 (Fig. 1), visibile solo su due filari ed utilizzata come fondazione per il muro nordoccidentale dell’ambiente 6, usm 1080 : i blocchi sono di tecnica e dimensioni diverse, solo sbozzati, nel più basso, squadrati di grandezza variabile, nell’altro. L’orientamento, declinante verso est rispetto alle strutture superiori, e l’utilizzo originario del banco roccioso, lavorato ed adattato come linea di fondo a nord, segnalano un approccio costruttivo che, anche nelle fasi successive, sarà intermediario tra l’orografia della collina e le rinnovate esigenze edilizie. Questo orientamento, in questa fase, è probabilmente il segno di una non ancora raggiunta organicità e sistematicità dell’impianto ; il muro 1744, infatti, sembra seguire la massima pendenza e l’andamento del banco roccioso adattandosi ad esso, espressione di una concezione precedente all’imposizione di una maglia urbanistica regolare, indipendente dalle condizioni del terreno, che invece appare svilupparsi, in modo monumentale, a partire dalla fase iv. Fase ia Nel saggio ix, inglobata all’interno del bastione, è attestata una struttura muraria 2 – usm 946 – con doppio paramento di piccoli blocchi irregolarmente sbozzati a cuneo e riempimento 1 Desidero ringraziare Sebastiano Tusa e Massimo Osanna, rispettivamente direttore del Servizio per i Beni Archeologici della Soprintendenza bb. cc. aa. di Trapani e direttore dello scavo insieme a Thomas Schaefer, per la fiducia e la collaborazione dimostratemi durante la conduzione del cantiere di scavo dell’acropoli di Pantelleria, fonte di molteplici problematiche “insulari”. Grazie agli allievi della Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera per il loro insostituibile impegno ; grazie, per tutto, a Barbara Serio, Salvatore De Vincenzo, Mariella Mastrogiacomo responsabili di saggio, Martina Almonte, responsabile della survey e Marco Di 2 Lieto, responsabile della grafica. Campagna di scavo del 2003.

interno di sabbia argillosa, che conserva sulla faccia vista occidentale il rivestimento con intonaco biancastro ; l’orientamento è il medesimo del lato nord-ovest del bastione, usm 909, che gli si è appoggiato, conservandolo all’interno dell’emplecton (Fig. 2). Le dimensioni esigue del muro e la mancanza di qualunque connessione apparente con altri muri non possono chiarirne la funzione ; altri blocchi di reimpiego sono stati utilizzati per la costruzione del bastione, tra questi anche uno con tracce evidenti di intonaco simile a quello che riveste usm 946. Nel saggio x le strutture murarie usmm 1041 e 1043 presentano la medesima messa in opera di usm 946 inglobata dal bastione, con i blocchi lavorati a cuneo e inseriti con il lato sbozzato nell’interno del muro con legante argilloso ; i due pilastri, usmm 1039 e 1901, posti su entrambi i lati di usm 1043, delimitano l’ambiente 4 (Fig. 1) e sembrerebbero includere queste strutture nell’ambito della tecnica di tradizione orientale “a telaio”, non attestata con frequenza, però, nei muri dell’acropoli e mai, nella casistica finora attestata, con una compiuta aderenza ai canoni fenicio-punici. Se tale diversità sia il segno di una appartenenza alla facies più antica non è possibile affermarlo senza un’analisi esaustiva delle tecniche murarie messe in opera sull’acropoli e, tuttavia, l’aspetto “arcaizzante” della sequenza pilastro monolitico – paramento – pilastro monolitico e il rapporto stratigrafico con le altre strutture sembrerebbe comunque assegnare tale sistema murario a questa sottofase. Fase ii Nel saggio x, alla precedente struttura angolare dotata di pilastri con tecnica a telaio, vengono addossate, ad ovest, le usmm 1054 e 1051, a doppio paramento, più largo del precedente, con blocchi sbozzati di varie dimensioni ; sulla facciavista a nord compare un discendente esterno, us 1902, tagliato nel muro, 3 a sezione rettangolare, aperto e rivestito di malta idraulica, decorato sui due lati da due rincalzi con sezione ad angolo acuto (Fig. 1). Il battuto pavimentale relativo a questa canalizzazione e al muro non è stato raggiunto durante questa indagine ; il livello che lo oblitera è pertinente alla fase iv. Nell’ambiente 4, sul paramento interno di usm 1054 è presente un altro discendente, però fittile, a sezione circolare, us 1904, 4 e un incasso, quadrangolare e orizzontale, 5 è presente nell’angolo con usm 1051 ; in questo angolo un rivestimento di malta idraulica indica la presenza di una vasca cui afferisce una canalizzazione secondaria praticata all’interno di 1051, obliterata successivamente, con ogni probabilità, dall’allestimento del balneum us 1060 nella fase via. Fase iii Nel saggio ix è testimoniato l’impianto del bastione difensivo – usmm 909 e 908 – che è articolato, nella parte messa in luce, 6 su 3

Dimensioni : m 0, 28 x 0, 20. Dimensioni : m 0, 14 x 0, 24 per un’altezza di m 0, 23. us 1907, dimensioni : m 0, 34 x 0, 17 x 0, 23. 6 Rinvenuto nella campagna di scavo del 2003 ; usm 909, dimensioni : m 3, 40 x 1, 30, visibile per un’altezza massima di m 1, 80, pari a cinque filari di blocchi, usm 908, dimensioni : m 7, 60 x m 1, 20, visibile per un’altezza massima di m 3, pari a otto filari di blocchi. 4 5

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Fig. 1. Il saggio x con le strutture e le installazioni.

di difficile interpretazione poiché la parte meridionale, posta sul limite della linea di quota, è stata dilavata dall’esposizione continua agli agenti atmosferici e modificata dagli interventi successivi, moderni, legati all’ampliamento delle terrazze di coltivazione (Figg. 3-4). La tecnica di costruzione del bastione è complessa perché prevede, all’interno del paramento in blocchi monumentali, un altro paramento realizzato con blocchetti quadrangolari di piccole dimensioni allettati a secco e posti per lo più di testa, conservati

Fig. 2. usm 946 inglobato dal bastione occidentale.

un paramento esterno costituito da blocchi squadrati disposti in opera pseudo-isodoma, per testa e per taglio, spesso provvisti di bugna sulla faccia esterna, e allettati con un legante costituito da argilla sabbiosa giallastra, arricchito da frammenti minutissimi di tufo grigiastro. Un muro trasversale, usm 911, che attraversa tutta la larghezza del bastione, delimita uno spazio interno

Fig. 3. Il bastione occidentale da nord.

proposta preliminare di articolazione in fasi per l ’ abitato di kossyra sia nella parte interna di usm 908 che in quella della struttura trasversale usm 911. Alcuni battuti pavimentali e strati costituiti da scaglie di lavorazione di tufo grigiastro rinvenuti all’interno di questo spazio – uss 923, 924, 925, 936 – potrebbero indicare livelli di cantiere relativi all’edificazione del bastione.

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Fase iv È questo il primo grande intervento edilizio residenziale attestato nell’area dei due saggi : uno schema modulare, orientato nord-est/sud-ovest, regolarizza il settore occidentale dell’acropoli. La sequenza più riconoscibile, allo stato attuale delle indagini di scavo, è la serie degli ambienti che si dispongono lungo il medesimo asse trasversale sud-est/nord-ovest a partire dal fianco nord-ovest del bastione : gli ambienti 9, 5 e 6 nel saggio x 1 e gli ambienti 11 e 10 nel saggio ix 2 (Fig. 5). I tre spazi rettangolari, nella parte scavata del saggio x, afferiscono ad un corridoio, l’ambiente 2, su cui gli ambienti si aprono sul lato breve – almeno per questi tre – con il medesimo sistema ad accesso presso l’angolo, protetto da un’anta a nordovest. La tecnica muraria alterna l’impiego di blocchi di forme diverse e dimensioni variabili, lavorati con accuratezza e squadrati, ad altri solo sbozzati ; entrambi gli ambienti modificano e sfruttano il banco roccioso, nell’ambiente 5 come banchina e nell’ambiente 6 come parte del pavimento. 3 Non sono disponibili molti dati per l’ambiente 9, ancora sepolto sotto la sezione di scavo, e di cui è riconoscibile solo parte dell’accesso sul fronte sud-ovest. Nel saggio ix l’indagine non ha ancora permesso di verificare anche la parte inferiore dell’alzato dei muri degli ambienti 11 e 10, ancora ingombri dai detriti dei riempimenti della fase vii dell’obliterazione ; tuttavia la struttura usm 9146, che delimita in senso nord-est/sud-ovest i due ambienti, appare come una sorta di muro di spina, poderoso, realizzato con blocchi regolari ma non accuratamente squadrati, dalle dimensioni medie e grandi, parallelo alla sequenza dei vani situati sulla terrazza inferiore. Al muro usm 9146 si appoggia, a nord-est, l’ambiente 13 mentre, a sud-est, è tangente all’angolo del bastione tra usm 909 e 908. A sud-ovest e a nord-est è inquadrato dalle strutture usmm 9157 e 9160, realizzate con tecnica muraria a doppio paramento : 9157 mostra una faccia vista irregolare, per la parte visibile sul fronte sud-ovest, con blocchi squadrati di dimensioni variabili disposti su due/tre filari con commessure larghe e poco accurate ; 9160 è visibile solo sulla cresta, inglobato da strutture di fasi più tarde, con doppio paramento e riempimento interno composto di sabbia argillosa. Anche se questo settore dello scavo ha fornito solo dati preliminari, sembrerebbe comunque valida l’ipotesi della scelta di uno schema spaziale ripetitivo, che aggrega nuovi elementi a nord-est della corte tetrastila, avanzando nel corpo della collina e ritagliando i nuovi vani – specialmente il 5 e il 6 nel saggio x – nel banco roccioso, modificandolo e sfruttandolo per le nuove funzioni ; queste sono ancora incerte, ma legate, probabilmente, a processi di medio immagazzinamento e consumazione dei cibi, come attestano i ritrovamenti di suppellettili da cucina e da mensa e i resti faunistici sui battuti pavimentali. 4 Nel saggio x, il corridoio 2 sembra connotarsi come lo snodo 1 I muri che delimitano i due ambienti, rispettivamente 5 e 6, sono, da sud-est a nord-est, usmm 1017, 1059, 1042, 1072 e 1042, 1077, 1080, 1074 ; per il 9, usmm 1016 e 1017. 2 I due ambienti sono delimitati, rispettivamente 11 e 10, da sud-est a nord-est, da usmm 909, 9146, 9157 e 9146, 9172 – 9111, 9130 – 975 ; mancano in entrambi gli ambienti i limiti a sud-ovest, coperti dagli strati di obliterazione. 3 Rispettivamente us 1715 – dimensioni della struttura m 0, 62 x 2 x 0, 78 – e us 1780. 4 Dati in corso di studio.

Fig. 4. usm 911 da ovest.

dei percorsi interni tra la serie degli ambienti a nord-ovest – 9, 5 e 6 – e la sequenza degli spazi a sud-ovest – 4, 3, 1 e corte tetrastila ; se le due sequenze siano parte della stessa unità abitativa o se al contrario abbiano subito divisioni e partizioni, alterandone l’originaria coerenza spaziale anche nelle fasi successive, potrà essere chiarito solo dal prosieguo delle indagini. Fase iva Nel saggio x questa sottofase è caratterizzata da alcune modifiche nei percorsi interni e dall’aggiunta di nuove installazioni funzionali alla vita domestica (Figg. 1, 6) ; la soglia dell’ambiente 4 viene tamponata e sul lato verso il corridoio 2, gli viene appoggiata una piccola vasca 5 posta sulla quota del piano di calpestio/ battuto e costruita con blocchi sovrapposti a secco con una canaletta, posta all’interno, nell’angolo sud-orientale, per l’eventuale deflusso dell’acqua. 6 Nell’ambiente 6 viene realizzata un’istallazione quadrangolare 7 contro il muro 1077 ; la struttura ha un profilo irregolarmente scalare da sud-est a nord-ovest e l’interpretazione della sua funzione resta incerta. Nell’ambiente 5 viene rialzata la soglia con tre blocchi irregolari di tufo, usm 1778, allettati senza legante. Fase v Nel saggio ix l’ambiente 13 viene innalzato con nuove strutture murarie, usmm 9154 e 9161, e tutto il vano declina leggermente verso nord, creando su usm 9157, appartenente alla fase precedente, un’ampia risega (Figg. 7-9). In usm 9154, che a sud-est si appoggia allo spigolo del bastione, il paramento visibile è realizzato con blocchi quadrangolari accuratamente squadrati con riempimento interno incoerente di scapoli e scaglie di tufo, inglobati in argilla sabbiosa giallastra, mentre usm 9161 è visibile su quattro filari di blocchetti di medie dimensioni allettati con commessure irregolari. Sulla risega creata dalla sistemazione dell’ambiente 13 su usm 9157, viene impostato un nuovo ambiente, l’11, pavimentato in cocciopesto – usr 9156 –, come attestano i due esigui lacerti sulla risega stessa, e viene realizzato un altro vano sottostante all’11, ancora completamente obliterato dai riempimenti della fase vii ; sulla faccia vista di usm 9157, tra i due lacerti pavimentali, è presente un incavo quadrangolare, us 9158, obliterato all’interno da detriti e macerie : tale “canalizzazione” poteva, forse, essere connessa ad un sistema idrico totalmente obliterato dalla costruzione della cisterna us 969 nella fase successiva. 5 La tamponatura è usm 1764, la vasca è usm 1763 e le sue dimensioni sono m 1, 30 x 0, 65. 6 Il riempimento all’interno della vasca non è stato interamente scavato. 7 usm 1736, dimensioni : m 1, 01 x 0, 54 x 0, 50 realizzata con blocchi di varie dimensioni allettati in malta d’argilla.

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Fig. 5. La pianta generale del settore occidentale dell’acropoli.

Fig. 6. Gli ambienti 5 e 6 del saggio x.

I due ambienti, divisi in altezza dal pavimento in cocciopesto, sfruttavano sul lato sud-orientale tutta la mole del bastione che così delimitava spazi interni : in questo senso, è interessante notare come le commessure tra i blocchi monumentali e tra questi e usm 9157, siano accuratamente tamponate con un intonaco biancastro che ancora si conserva in situ. La destinazione dei due ambienti sovrapposti non è ancora ipotizzabile. Fase vi Nel saggio ix un nuovo ambiente, 13b, viene realizzato contemporaneamente alla costruzione di una cisterna ellittica, usm 969,

Fig. 7. La risega dell’ambiente 11 da sud ; a destra il bastione occidentale.

inglobata nell’ambiente 13a ; da nord-ovest a sud-est, le usmm 9152, 9153 e 9165 1 sono costruite con tecnica accurata : paramento con filari in opera pseudo-isodoma di blocchetti accuratamente allettati e inquadrati da un pilastro quadrangolare su due blocchi di grandi dimensioni (nella parte visibile), per usm 9152 (Fig. 8) ; paramento con due “pannelli” composto da blocchetti in tecnica pseudo-isodoma divisi al centro da un pilastro costituito da due 1 usm 9152, dimensioni : m 3, 30 x 0, 60, visibile per un’altezza di m 0, 45, per quattro filari, usm 9153, m 1, 53, visibile per un’altezza di m 0, 80 per cinque filari ; usm 9165, conservato per una lunghezza di circa m 0, 85, presenta due filari.

proposta preliminare di articolazione in fasi per l ’ abitato di kossyra 55 blocchi di medie dimensioni posti verticalmente, in usm 9153. Di usm 9165 si conserva solo una porzione che sembra possedere la medesima messa in opera. Nell’ambiente 13c si deve ipotizzare la costruzione della cisterna 9131, in parte obliterata dalla costruzione dell’usm 9164 e dell’ambiente ad esso connesso, appartenenti alla fase successiva. È possibile che la trasformazione in questo settore centrale dell’edificio abbia comportato anche la razionalizzazione o la modifica degli spazi posti a nord-est, ipotizzando per usm 975, che delimita il saggio di scavo lungo l’asse sud-est/nord-ovest, un primo impianto in questa fase ; 975 corre, infatti, parallelo ad usm 9161, relativo alla fase v, ed entrambi inquadrano un corridoio, l’ambiente 12, che sembra connettere spazi diversi nell’unità residenziale. 1 A questa fase viene assegnata anche la creazione dell’ambienFig. 8. usm 9152 da est.

1 Il corridoio 12 del saggio ix non è stato ancora liberato dagli strati di obliterazione.

Fig. 9. Il saggio ix.

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pierfrancesco vecchio A queste installazioni deve essere collegato anche un sistema di adduzione posto ad est, relativo alla raccolta dell’acqua piovana e costituito da due canalette, uss 9167 e 9166, tagliate sulla faccia superiore di tre blocchi, giustapposti fra loro a secco ad angolo retto. È possibile che la presenza di una o più cisterne, poste nel settore non scavato a nord-est oltre il limite del saggio, costituissero i bacini di immagazzinamento per l’acqua che alimentava anche la vaschetta 9162 nel corridoio 12. Nell’ambiente 10 del saggio ix vengono ricavati due spazi minori per un balneum, us 9132 (Figg. 9-10), e per un ambiente legato anche all’uso dell’acqua, come attesta un lacerto di pavimento di cocciopesto, us 9149, che, sul lato a nord-est, conserva il margine di una vasca, solo identificata ma non interamente scavata. Nel saggio x viene ricavato un altro balneum – us 1060 – nell’ambiente 3 (Fig. 1), forse adattando la nuova funzione ad uno spazio già destinato all’uso dell’acqua come attesterebbe la connessione, nella fase II, con l’altra vasca dell’ambiente 4, tramite la canalizzazione praticata nel muro 1051 ed obliterata proprio dall’installazione del bagno. I due balnea all’interno sono completamente rivestiti di malta idraulica e presentano entrambi una depressione circolare sul fondo : in us 9132 la malta è allettata in modo da creare una parete nettamente digradante verso il fondo, sul lato breve a sud-est, mentre un rincalzo sul muro a nord-est indicherebbe l’imposta della copertura ; l’altro balneum nel saggio x presenta una dotazione più accurata con l’inserimento di un basso sedile sul lato breve a nord-est. Fase vii Fig. 10. Il balneum 9132.

te 10, usmm 975, 9130, 9111, nel settore nord-ovest dell’edificio o, forse, una rinnovata delimitazione degli spazi interni ; il dato attuale può basarsi solo sulla parte visibile delle murature che spesso non raggiungono i cinque o sei filari fuori dai livelli di obliterazione non scavati. Sul lato breve a nord-est si apre una porta, us 9175, ampia m 0, 80, che doveva mettere in comunicazione l’ambiente 10 con spazi posti oltre il limite di scavo ; ad ovest dell’ambiente 10 viene aggiunto l’ambiente 14, provvisto di una grande cisterna ellittica, us 929. 1 Fase via Nel saggio ix, a sud-est, si innalzano i livelli pavimentali con la creazione del muro usm 9164, viene in parte obliterata la cisterna usm 9131 dell’ambiente 13c, viene costruita, probabilmente, un’altra cisterna, us 9155, 2 appoggiata al fianco nord-est del bastione e il corridoio 12 subisce modifiche che ne cambiano la precedente, ipotetica, funzione : sono allestite, infatti, una breve scala, una piattaforma e una vaschetta, us 9162, 3 che viene incastrata nel senso della larghezza fra i due muri 975 e 9161. La vaschetta, ricavata in un unico blocco di tufo, ha il bacino interno a sezione trapezoidale, intonacato con malta idraulica ; tramite due canalette di adduzione e di smaltimento dell’acqua, praticate sui due lati brevi, è posta in connessione con uno spazio a nordest, posto oltre la sezione del saggio di scavo, e a sud-ovest, con la cisterna us 969 (Fig. 9). Lo spazio privo di strutture, tra la vaschetta e il fondo del corridoio 12, non è stato scavato interamente. 1 Le dimensioni della cisterna sono m 4, 8 x 1, 8 ; il riempimento all’interno non è stato scavato. 2 Della presunta cisterna è conservato solo un breve arco dell’estremità a nordovest. 3 La scala us 968 è composta da tre gradini costituiti da tre-quattro blocchi di tufo squadrati, per una lunghezza di circa m 1 e una larghezza di m 0, 80, mentre la piattaforma us 9168 è formata da una concentrazione di blocchi di varie dimensioni ; la vasca misura m 0, 98 x 0, 44 x 0, 20 e almeno uno dei fori sembra praticato solo dopo la realizzazione del rivestimento in malta.

L’obliterazione delle strutture dei due saggi, qui inclusa in una sola fase, presuppone però varie attività che hanno trasformato, in un lungo periodo di tempo che giunge fino all’età contemporanea, le emergenze del sito. Un primo processo di obliterazione sistematica è stato accertato negli ambienti 5 e 6 del saggio x, dove è stato identificato un processo di colmatura accurato e continuo, con livelli sabbiosi ricchissimi di materiale ceramico, per lo più presente sotto forma di frammenti di pareti. Questa metodica attività sembra potersi collocare già in epoca antica, come attesterebbe la cronologia preliminare assegnata ai materiali, risalente come terminus post quem al i-ii secolo d. C. 4 Altrettanto sistematica deve essere stata l’opera di distruzione dei manufatti, muri, cisterne e pavimenti, i cui lacerti e frammenti sono stati rinvenuti in percentuali molto alte negli strati che coprivano le strutture ; le rasature e le asportazioni sono difficilmente databili e comunque potranno essere inquadrate solo dopo un attento esame dei materiali presenti negli strati di riempimento delle terrazze. È questo, infatti, uno dei fattori principali di distruzione ma anche di conservazione dei resti archeologici perché quasi tutte le terrazze moderne, realizzate per la coltivazione, sfruttano le linee di quota originarie o fondano i muri di contenimento sui muri e le strutture antiche. L’opera di spoliazione, infatti, è dovuta principalmente alla necessità di costruire i muri di terrazzamento con materiale rinvenuto sul sito : anche tale attività sembra essere iniziata già in epoca antica come testimonia la preliminare revisione dei materiali, presenti nelle obliterazioni e databili al medesimo periodo in cui vengono abbandonati gli ambienti. Un altro fattore di distruzione è dovuto alle attività belliche della Seconda Guerra Mondiale con l’escavazione di trincee e bunker che hanno spesso trasformato ampi settori dell’abitato antico ; non meno distruttivo è stato un recente intervento per la messa in opera di un impianto di illuminazione superficiale, con trincea per la posa del cavo e tombini, che ha intercettato diverse strutture asportandone i blocchi. 4

Dati preliminari provenienti dalla preclassificazione dei contesti ceramici.

Thomas Schäfer DECORAZIONE ARCHITETTONICA E STUCCHI DI COSSYRA

L

’a nalisi degli stucchi architettonici 1 si presenta strettamente connessa con la questione relativa alla nascita e alla diffusione della decorazione parietale di età ellenistica. 2 Esempi di quest’ultima si ritrovano nel Mediterraneo orientale, nel corso del iv secolo a.C., in complessi come quelli di Olinto, 3 ma soprattutto, in una fase successiva, nelle case di Delo. 4 Ad occidente, invece, il principale contesto di rinvenimento è rappresentato da Pompei. 5 Le indagini condotte sulla decorazione parietale parlano di Masonry-Style o del c.d. “i Stile” (e dei suoi precursori), sulla base della classificazione delle case pompeiane proposta dal Mau. 6 Tale denominazione sarà adottata anche in questo testo. I rivestimenti parietali di I Stile, diffusi nell’intero mondo ellenistico, sono destinati generalmente, come accade anche nel caso delle altre modalità di impiego dello stucco, ad imitare un materiale costoso come il marmo e a rivestire la muratura non rifinita. Ciò vale, innanzi tutto, per l’imitazione di un sistema decorativo più o meno complesso ma che, in ogni caso, rimanda ad una muratura in blocchi squadrati, che viene ottenuta mediante la realizzazione di scanalature e la realizzazione a colori dei singoli filari. L’utilizzo dello stucco come intonaco parietale viene ben presto integrato da una seconda dimensione nell’impiego di tale materiale, vale a dire mediante l’arricchimento e l’articolazione della parete per mezzo di elementi architettonici. Cornici, pilastri e semicolonne, dentelli, fregi di triglifi e metope, fregi figurati e sime con protomi leonine vengono utilizzate in questo momento per la decorazione degli ambienti interni e sono, con ciò, privati del loro autentico valore architettonico. Gli elementi decorativi propri degli edifici monumentali verranno utilizzati per la creazione di un nuovo repertorio decorativo, che comincia a sperimentare con questo materiale modificando le proporzioni ; singole parti, come ad esempio gli spazi posti al di sopra degli ortostati, verranno così arricchite mediante kymata o altri tipi di fregio. Su questo sfondo generale bisogna esaminare i numerosi stucchi ed elementi architettonici venuti alla luce sulla c.d. Acropoli di Pantelleria negli ultimi cinque anni. Purtroppo gran 1 Soltanto a partire dall’estate 2004 è stato concretamente possibile prendere visione di tutto il materiale rinvenuto e procedere ad un suo parziale restauro. Numerosi frammenti non sono stati ancora ricomposti, e, soprattutto, mancano ancora un gran numero di disegni e di foto. Il presente lavoro va considerato, dunque, un contributo del tutto preliminare per la conoscenza della decorazione architettonica in stucco di età ellenistica nell’antica Cossyra. Di conseguenza, mi limiterò in questa sede a presentare una selezione dei nostri rinvenimenti. Prima di presentare il materiale desidero ringraziare vivamente l’architetto Klaus Müller, cui si deve la documentazione grafica, nonché Vincenzo Capozzoli e Salvatore De Vincenzo per la traduzione dal tedesco del presente testo. Si ringrazia inoltre la Soprintendenza BB.CC.AA, sez. Archeologia di Trapani, specialmente S. Tusa e R. Giglio e la Gerda-Henkel-Stiftung, Düsseldorf. 2 Martin 1965, pp. 422 sgg., 433 sgg. ; J. Engemann, Architekturdarstellungen des frühen zweiten Stils, « mdai(r) », Suppl. xii, 1967, pp. 33 sgg., 44 sgg. ; Ling 1972, p. 11 sgg. ; Idem, Stuccowork and Painting in Roman Italy, ii, Ashgate, 1999 ; H. Mielsch, Römische Stuckreliefs, « mdai(r) », Suppl. xxi, 1975, p. 13 sg. 3 Robinson 1938, p. 299 ; Martin 1965, p. 435 ; Amphipolis : D. Malamitou, « ad », liii, 1997, 3, p. 839 sgg. ; J. Whitley, « ArchRep », l, 2003-2004, p. 55 sg., fig. 71. Milet : B. F. Weber, Milet 1983-1984. Die Grabung im Heroon III, « Istanbuler Mitteilungen », xxxv, 1985, p. 36 sgg., tavv. 11-12 ; Idem, Milet I 10. Die römischen Heroa von Milet, Berlin, 2004, p. 141 tav. 43,4 ; F. Rumscheid, Untersuchungen zur kleinasiatischen Bauornamentik des Hellenismus, Mainz, 1994, p. 47 sg., n. 162. 4 Bulard 1908, p. 91 sgg. ; J. Chamonard, Delos viii. Le quartier du théâtre, Paris, 1924, p. 358 sgg. ; G. Daux, Chronique des fouilles et découvertes archéologiques en Grèce, « bch », lxxxiv, 1960, p. 854. 5 A. Laidlaw, Reconstructions of the First Style decorations in the House of Sallust in Pompeii, in Essays in archaeology and humanities. In memoriam Otto J. Brendel, Mainz, 6 1976, p. 105 sgg. ; Laidlaw 1985, passim. Ling 1972, p. 14 sg.

parte dei manufatti non sono stati rinvenuti in situ, o comunque in connessione con le strutture che dovevano un tempo decorare, ma per la maggior parte all’interno delle numerose cisterne che si distribuiscono sulla sommità dell’acropoli, dove sono stati scaricati, probabilmente solo in età tardo-antica. Riguardo alla provenienza di tali elementi architettonici, se da un lato si può ragionevolmente pensare ad edifici che occupavano la terrazza sommitale e gli adiacenti pendii, dall’altro, l’associazione con iscrizioni anche di carattere funerario, suggerisce, che i materiali potrebbero provenire anche dalle zone residenziali collocate più in basso. Tale circostanza spiega sia la forte frammentazione dei pezzi in sé, sia la completa mescolanza di decorazioni in stucco provenienti dai più diversi contesti. A priori, insomma, non è possibile ricavare alcuna differenza tra i sistemi decorativi dell’architettura pubblica e di quella privata. Soltanto sulla parete di un edificio posto sul pendio nord-occidentale (saggio ix) si è conservato in situ una specchiatura in stucco di grandi dimensioni, che documenta, essenzialmente, il sistema decorativo del i stile (Fig. 1). A ciò si aggiunga il rivestimento in stucco di un capitello dorico, rinvenuto all’interno di un’altra casa. 7 Tuttavia, venendo meno, oltre a ciò, ogni possibilità di contestualizzazione, possiamo procedere soltanto inquadrando i materiali dal punto di vista tipologico e stilistico, interrogandoci sulle dimensioni e sull’utilizzo tipico degli elementi strutturali.

Fig. 1.

Capitelli Quasi cinquanta frammenti di capitelli sono stati recuperati, in particolare all’interno delle cisterne dei saggi i e viii. Si sono rinvenute volute di differenti tipi e dimensioni in un’ampia gamma di variazioni, e, accanto a ciò, anche resti di più semplici capitelli con profilo modanato. Gli elementi strutturali recano prevalentemente ancora parti del nucleo litico e del corposo rivestimento in stucco, a volte spesso più di qualche centimetro (Fig. 2). In seguito al disegno e all’esame dei principali esemplari, è stato possibile distinguere nel complesso nove diversi tipi di capitelli a volute, secondo le dimensioni, la forma dei dettagli e le caratteristiche proprietà del materiale (Fig. 3). A ciò si aggiungono, come anticipato, anche due capitelli dal profilo modanato. Per quel che concerne i capitelli caratterizzati dalla presenza di volute su tutti i lati, desidero presentare in questa sede quattro tipi. 7

Vedi al riguardo il contributo di M. Osanna, in questo volume.

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Fig. 2.

Fig. 4.

ancora più in basso al di sotto delle volute fino all’attacco con le colonne : si è rinunciato, insomma, ad una decorazione del corpo del capitello. Capitelli simili si trovano soprattutto in NordAfrica, ad esempio a Gabès o Djebel Mansour 2 (Figg. 7-8). Anche questi possiedono sotto l’abaco volute relativamente fitte, spesso avvitate, e non hanno alcuna decorazione sul sottostante corpo del capitello. Purtroppo si tratta di singoli rinvenimenti che finora non si possono datare per mezzo di un contesto. Il tipo B si è conservato integralmente dalla base (Ø 44 cm)

Fig. 3.

Nel tipo A (Figg. 4-5), le volute formano tra loro uno spigolo ad angolo retto ed appartengono, quindi, a capitelli realizzati allo stesso modo su quattro lati, come conferma anche la lastra quadrata dell’abaco. L’echino curvato in modo irregolare si spinge lateralmente fino nei canali delle volute. Sui cinque frammenti totali che si possono attribuire ad almeno due capitelli, non ci sono resti di stucco, sicché è probabile che essi non fossero rivestiti di stucco. La trascurata lavorazione della superficie superiore indica che essi non erano stati concepiti per essere visti. Un capitello caratterizzato dalla presenza di volute su tutti e quattro i lati, proveniente da Pantelleria e oggi andato perduto (Fig. 6), potrebbe essere stato molto simile al tipo A o appartenere addirittura alla stessa serie. 1 Il corpo del capitello è tirato 1 A. D’Aietti, Il libro dell’Isola di Pantelleria, Roma, 1968, p. 188, fig. 65 ; R. Gabriele, Io, tu e Pantelleria, Trapani, 1993, fig. 98.

Fig. 5. 2 N. Ferchiou, L’évolution du décor architectonique en Afrique Proconsulaire des derniers temps de Carthage aux Antonins. L’hellénisme africain, son déclin, ses mutations et le triomphe de l’art romano-africain, 1989, p. 150 sg., n. v.x.2 tav. 36d (Gabès) ; p. 152 n. v.x.4 tav. 37c-d (Dj. Mansour). Capitello da Solunto : A. Villa, I capitelli di Solunto, Roma, 1988, p. 26 ; p. 108, n. 146 tav. 26,1-2 ; fig. 9 a-c.

decorazione architettonica e stucchi di cossyra 59 ciò induce anche il fatto che il tipo in questione è rappresentato da almeno 15 frammenti. Nella stessa guisa è realizzata una voluta molto più piccola, che proviene dalla casa del Peristilio di Monte Iato, dove è datato nella prima metà del iii secolo a.C. 1 Sempre all’architettura di grande modulo appartiene un blocco di 40 x 62 x 100 cm (Figg. 13-14), che proviene da una delle cisterne poste sulla sommità dell’Acropoli. La sua fronte presenta una scanalatura con una protome leonina, sicché è possi-

Fig. 6.

fino all’abaco, e presenta un’altezza di 35 cm. I lati possiedono un profilo concavo, mentre le volute (conservatesi in modo frammentario) convergono in un angolo di 60°, in modo tale che alla base rimane la forma originaria realizzata allo stesso modo su tutti e quattro i lati. Allo stesso tipo corrisponde un capitello più piccolo, rinvenuto sempre a Pantelleria e proveniente da un’edicola funeraria (Figg. 9-10). Il tipo C (Fig. 11) è assolutamente straordinario nel suo aspetto. Le volute formano un angolo di 65°, mentre gli spigoli conservati dell’abaco sono sprovvisti di curvature e giacciono sullo stesso piano del lato frontale delle volute. Ricostruendo il

Fig. 8.

bile che tale blocco costituisca parte di una sima. Si tratta di un blocco in trachite locale – materiale che contraddistingue tutta l’architettura del luogo – rivestito di uno spesso strato di stucco. Conformemente a ciò, la protome leonina è soltanto abbozzata, mentre i dettagli del visto come pure la criniera sono stati realizzati in stucco. Questo blocco forma probabilmente soltanto un elemento decorativo, poiché ad esso manca una grondaia per la sua funzione di doccione. A quanto pare, la mandibola doveva trovarsi non su questo blocco, ma su quello inferiore. E

Fig. 7.

cerchio di fondo del capitello si nota che esso tocca esattamente il prolungamento dell’abaco, e ciò induce a concludere che il capitello deve essere stato triangolare nel complesso. Dal momento che i capitelli triangolari non sono proprio frequenti per le architetture, bisognerebbe chiedersi se, in questo caso, possa trattarsi di un capitello funzionale al sostegno di offerte votive. Il tipo D (Fig. 12) rappresenta, con un diametro della parte superiore della colonna ricostruibile fra i 70 e gli 85 cm, il tipo più grande di capitello. Le volute si distinguono per l’eccezionale grandezza del loro diametro che raggiunge i 32 cm ca. Le girali delle volute, tagliati quasi ad angolo retto, sono alti 4 cm e sono state impostate sulla base separatamente. Ipotizzando una proporzione di 1 :8, è possibile ricostruire per una colonna l’altezza di 6 m ca. Ciò esclude una casa privata e indica piuttosto un edificio rappresentativo di carattere pubblico come un tempio. A

Fig. 9.

non è escluso che lì si trovasse pure la grondaia per il deflusso delle acque. La collocazione cronologica è considerevolmente complicata dal cattivo stato di conservazione. Un confronto può essere istituito con la decorazione in pietra locale rivestita di stucco della trabeazione del Portico dell’Agora di Soluto (Fig. 15), che possiede una criniera dai riccioli simili e che può essere inquadrato nel corso del ii secolo a.C. 2 Alla stessa epoca ap1

Brem 2000, p. 103 sgg., p. 137, tav. 7,1. V. Tusa, Solunto. Il teatro e l’odeon, in Odeon ed altri monumenti archeologici, ed. A. Adriani, Palermo, 1971, p. 85 sgg. ; W. von Sydow, Die hellenistischen Gebälke, « mdai(r) », xci, 1984, p. 273 sgg., fig. 28, tav. 86,3. Sulle protomi leonine dal iii al ii sec. a. C. vedi F. Willemsen, Die Löwenkopf-Wasserspeier vom Dach des Zeustempels. Olympische Forschungen, iv, 1959, p. 62 sgg. Inoltre la protome dal Tempio degli Dioscuri in Agrigento : W. von Sydow, ivi, p. 276, tav. 87,1. 2

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Fig. 10.

partiene una protome leonina del geison del piano superiore del peristilio del “Ginnasio” di Solunto. 1 Probabilmente più tardi si data una protome leonina di Leptis Magna (Fig. 16), anch’essa modellata in stucco al di sopra di un nucleo in pietra locale, che potrebbe appartenere alla decorazione del tempio di Liber Pater dell’inizio i secolo a.C. 2 Funzione e dimensioni del blocco di

Fig. 12.

Fig. 13.

Fig. 11. 1

M. Wolf, Die Häuser von Solunt, Mainz a. Rh., 2003, p. 36, fig. 8, tav. 25,3, foglio 26, data l’architettura ancora nel iii sec. a.C. 2 Il pezzo è oggi collocato lungo la strada coperta da archi tra il tempio di Roma e Augusto e quello di Liber Pater cfr. Kleinwächter 2001, tav. 77,3. Probabilmente viene dal tempio di Liber Pater, essendo stato in parte il tempio realizzato con la medesima pietra di arenaria marrone, vedi Kleinwächter 2001, p. 231 ; Vedi Brouquier-Reddé, Temples et cultes de Tripolitaine, Paris, 1992, pp. 81-86 n. 4. Questo edificio ha una prima fase pre-romana, in considerazione del fatto che il calcare locale viene impiegato a partire dal 15-10 a.C. : J. Ward-Perkins in Town planing in North Africa during the first two centuries of the empire, with special reference to Lepcis and Sabratha : character and source, in 150 Jahr-Feier, p. 29 sgg., nota 7 ; Kleinwächter 2001, p. 231. Per una datazione della prima fase del Santuario di (Sadrapha=) Liber Pater all’inizio del i sec. a.C. vedi A. Di Vita, Shadrapa e Milkàshtart dèi patri di Leptis ed i templi del lato nord-ovest del Foro vecchio leptitano, « Orientalia », xxxvii, 1968, p. 204 sgg. ; Idem, Recensione a P. Romanelli, Enciclopedia classica, 3. Archeologia e storie dell’arte classica, 10. Archeologia, 7. Topografia e archeologia dell’Africa romana, « qal », vii, 1975, p. 170 sgg. ; Idem, Il progetto originario del forum novum severianum a Leptis Magna, in 150 Jahr-Feier, p. 46 sgg. ; Idem, Gli “Emporia” di Tripolitania, anrw, ii, 10,2, 1982, p. 553 sgg. ; Idem, L’urbanistica nelle città punico-romane della Tripolitania, in L’Africa Romana, x, 2, 1994, p. 685 sgg. ; ampiamente discusso da Kleinwächter 2001, p. 245 sg. Per ciò che concerne le molteplici fasi puniche del foro vedi Th. Howard Carter, Western Phoenicians at Leptis Magna, « aja », lxix, 1965, p. 123 sgg.

Pantelleria indicano ugualmente una provenienza da un edificio di carattere pubblico. A giudicare dai frammenti, dal loro contesto di rinvenimento e dall’analisi condotta fin qui si ricava la seguente immagine : * I capitelli erano stati già distrutti, quando essi furono scaricati all’interno delle cisterne. * Di alcuni tipi di capitelli si trovano solo isolati frammenti, che, verosimilmente, non devono essere ascritti necessariamente anche ai numerosi e differenti esemplari dello stesso tipo. Per i frammenti dei tipi A e D, invece, sono stati possibili degli attacchi : o il frammento si è rotto durante la caduta all’interno della cisterna, o è stato frantumato poco prima del riempimento, oppure i suoi singoli pezzi giacevano già prima in uno stato di rovina l’uno accanto all’altro, e vennero poi scaricati insieme nella cisterna. * Sono state rinvenute soprattutto le volute, raramente il corpo del capitello. Per tale motivo è probabile che i corpi delle volute siano stati staccati durante lo smontaggio dei capitelli, in modo da poter riutilizzare i compatti corpi dei capitelli in un altro luogo. * Le ricostruite misure dei capitelli fanno ipotizzare che ad essi appartenevano colonne con un diametro compreso fra i 40

decorazione architettonica e stucchi di cossyra 61 e gli 80 cm. I rocchi di colonne rinvenuti, come pure i profili stra pure la forma imponente e l’elaborato sistema decorativo ricurvi in stucco, che vanno ascritti alle loro basi, corrispondono dei capitelli a volute, queste sono senz’altro da inquadrare nela queste dimensioni. Da ciò si deduce che l’altezza delle colonne l’ambito dell’architettura monumentale e rappresentativa. * Ci si chiede se anche gli edifici relativi (a tali colonne), nosi aggira fra i 3,5 e i 6 m. Almeno le colonne alte 6 m sono senza nostante il rinvenimento di questo materiale sulla sommità della dubbio troppo grandi per un’architettura domestica : come mocollina, possano essere localizzati nella stessa zona. Lo spazio a disposizione sembra troppo piccolo per almeno 9 differenti architetture, tanto più che queste, in considerazione di corrispondenze formali ed artigianali potrebbero essere strettamente imparentate dal punto di vista cronologico. * Poiché di volta in volta si sono rinvenuti, nel materiale di riempimento delle cisterne, solo isolati elementi architettonici, si deduce che il materiale da costruzione degli edifici non deve essere confluito all’interno delle cisterne immediatamente in seguito alla loro distruzione. Nell’intervallo temporale il materiale potrebbe essere servito già, ad esempio, per il riempimento del piano di calpestio dell’acropoli, per giungere nel luogo del suo attuale rinvenimento soltanto al momento di una più ampia trasformazione dell’area. Le tracce di bruciato su alcuni elementi strutturali sembrano essersi originate soltanto all’interno delle cisterne. D’altra parte, non è escluso, sebbene manchino chiari indizi cronologici al riguardo, che il riempimento sia stato realizzato soltanto in età post-antica, quando gli angusti campi nell’area dell’acropoli furono ripuliti dai frammenti presenti nei dintorni, scaricandoli nelle cisterne che per la maggior parte dovevano essere vuote.

Fig. 14.

Fig. 17.

Fig. 15.

Fig. 16.

Fig. 18.

62

thomas schäfer Dentelli e kymata

Disponiamo di 6 differenti dentelli, l’altezza dei cui denti si aggira fra gli 8 e i 15 cm (Figg. 17-18). In tal modo sono ampiamente superate le dimensioni che si ritrovano sia a Cartagine, Solunto, Marsala che a Monte Iato, dove l’altezza raggiunge al massimo i 6 cm. Presso gli esemplari maggiori di Monte Iato, come pure a Pantelleria, al di sopra del filare di dentelli segue un astragalo. Un confronto valido anche se non puntuale (per quanto riguarda le

Fig. 20.

Fig. 21.

Fig. 19.

singole forme) si può istituire con un kyma ionico di Monte Iato. 1 Non se ne deduce comunque un indizio cronologico, poiché la nuova datazione della casa del Peristilio di Monte Iato proposta da Brem precede di ca. 100 anni la tradizionale cronologia di von Sydow. 2 In questo caso la soluzione è possibile solo grazie a nuovi studi condotti sulla base di più precise analisi stratigrafiche. Riguardo al tipo A, si sono conservati nove frammenti di maggiori dimensioni (Fig. 19). I denti hanno un’altezza di quasi 10 cm e una larghezza di 3,5 cm ca. ; nello spazio compreso fra ciascuno di essi si trovano resti di colore rosso. Al di sopra segue una lastra alta 4,5 cm, e al di sotto una piccola scanalatura ed una fascia, quindi un kyma lesbico, i cui assi non corrispondono con quelli dei dentelli. Questo kyma è noto da 17 frammenti e nel complesso (Fig. 20), possiede un’altezza di 7 cm e una misura assiale di 14 cm. Il profilo in stucco era stato lavorato separatamente e applicato nell’aspetto già definitivo. Al di sotto di esso segue una seconda scanalatura. Il kyma trova numerosi puntuali confronti a Cartagine : si pensi agli scavi tedeschi 3 e francesi 4 (Fig. 21) presso la Byrsa, la cosiddetta Chapell Carton 5 dell’inizio del ii secolo a.C. e a Utica. 6 La datazione di tutti gli stucchi viene fissata concordemente dalla Ferchiou e dalla Laidlaw alla prima metà del II secolo a.C. Ciò è confermato da ulteriori paralleli : due frammenti di Solunto, i cui kymata lesbici sono realizzati ugualmente al di sotto dei dentelli. 7

Nel primo frammento, tuttavia, i denti sono grandi meno della metà (Fig. 22). Il secondo proviene da una parete della terza Insula alla destra di Via Ippodamo 8 e fu ascritto da M. de Vos già alla prima fase del ii Stile, intorno all’80 a.C. Altri kymata provenienti da Palermo 9 ed Eraclea Minoa 10 sembrano essere ancora inediti. La datazione nel ii secolo a.C. può essere confermata anche da un altro indizio. Nell’edificio principale, impiantato secondo la datazione degli scavatori intorno al 300 a.C., della casa del Peristilio di Monte Iato non ricorre alcun kyma plastico in connessione con dentelli. 11 Soltanto nella parte occidentale aggiunta in un secondo momento, si trova un kymation simile, 12

1

Brem 2000, p. 133 forma 4, Beil. 3,2 ; tav. 41,3. von Sydow 1979, p. 225 sgg. 3 Karthago ii, p. 118 sgg., n. 19 fig. 17, tav. 135b. 4 In merito all’Insula c : N. Ferchiou, Stucs puniques hellénistiques de Carthage, « kj », xxiv, 1991, p. 22 sgg., figg. 15-17 ; = Ferchiou 1995, p. 77, fig. 35 = Karthago ii, p. 223, fig. 21a. 5 N. Ferchiou, Deux témoignages de l’architecture religieuse et funéraire de la Carthage hellénistique, « RivStFen », xv, 1987, p. 23 ; fig. 6 ; tav. 4,5 = Karthago ii, p. 223 6 fig. 21b, tav. 137a. Ferchiou 1995, p. 73, fig. 31. 7 von Sydow 1979, pp. 204, 220, 230, n. 29, tav. 46,5 e tav. 48,4.

Fig. 22.

2

8

M. De Vos, Pitture e mosaico a Solunto, « BABesch », l, 1975, p. 196, fig. 6. 9 von Sydow 1979, p. 201, nota 8 ; H. Fuhrmann, Philoxenos von Eretria. Archäologische Untersuchungen zu zwei Alexandermosaiken, Göttingen, 1931, p. 260. 10 E. De Miro in « Kokalos », xviii-xix, 1972, p. 229 ; Pompei, Via dei Sepolcri sud n. 17, recinto : V. Kockel, Die Grabbauten vor dem Herkulaner Tor in Pompeij, Mainz, 1983, p. 77, tav. 19b. 11 Brem 2000, p. 44, forma 12, n. 96, tav. 55 ; 7,2. 12 Brem 2000, p. 102 sg., intorno al 200 a.C.

decorazione architettonica e stucchi di cossyra 63 Decorazione parietale che dovrebbe appartenere soltanto ad una fase successiva al 200 a.C. In ogni caso si ricava l’impressione che i kymata lavorati Un ulteriore complesso di ritrovamenti di Pantelleria si può asplasticamente rappresentino un gradino successivo in confronsociare non tanto alle cornici plasmate in modo architettonico, to ai kymata lesbici piatti o dipinti. In generale si può dire con quanto piuttosto all’articolazione parietale degli ambienti interWartke che « il diffuso impiego di elementi plastici costituisce Mentre nelle case di Olinto la divisione delle svecchiature in ni. 1 una caratteristica del ii secolo a.C. ». stucco viene ottenuta soltanto attraverso incisioni, a partire dalResta sorprendente nel caso delle cornici in stucco di Panmetà del iii secolo a.C. circa prende piede il cosiddetto Stile la telleria il fatto che noi troviamo in questo caso singole parti di : i singoli pannelli vengono ora provvisti bugnato (“Bossenstil”) modulo straordinariamente grande rispetto al materiale di connon solo di fughe, ma anche di un bordo largo alcuni centimefronto. Ciò indica, in ogni caso, un’architettura di rappresentri. 3 Tale sviluppo è documentato nella maniera più evidente a Delo e a Pergamo, 4 ma è provato chiaramente anche a Pantel-

Fig. 23.

tanza di inusitate dimensioni, architettura che supera sia le case che i santuari di Cartagine e Utica, nonché quella della casa del Peristilio di Monte Iato. Resta da verificare se ciò costituisce uno sviluppo peculiare di Pantelleria, o piuttosto se questa decorazione architettonica fu utilizzata anche per le facciate esterne degli edifici. Infine, vanno citate ancora due piccole teste in stucco (Fig. 23), che sono venute alla luce soltanto nel corso della primavera 2004. Entrambe appartengono allo stesso tipo e mostrano un volto con guance arrotondate e con un ricco ornamento per capelli. In questo caso o si tratta di eroti o di meduse. Quest’ultima ipotesi potrebbe essere suggerita dai simili rinvenimenti di Priene e Delo, dove le teste sono servite probabilmente come ornamento di cassette (cassettoni) in stucco o di metope. 2 Delle cinque differenti cornici parietali finora esposte sono state misurate e disegnate soltanto due. Dopo la restituzione completa, la loro tipologia potrà essere giudicata meglio nelle singole forme e nella loro posizione relativa all’interno della trabeazione. Finora è da ritenere certo che le cornici si collocano nella tradizione dell’architettura in stucco di matrice sicula del ii secolo a.C., con la loro dettagliata e complicata giustapposizione di singoli motivi (kymata, dentelli, astragali) : tale tradizione, tuttavia, è stata fino ad oggi esaminata solo in parte. Il repertorio ricco di varianti per quanto concerne i dentelli (6 differenti tipi) e i profili di kymata (14 tipi) corrisponde allo spettro di forme, che è noto da altri siti del Nord-Africa e della Sicilia. Come le colonne, così anche queste forme isolate stanno in connessione con edifici di carattere rappresentativo. I dentelli di grande modulo, appartenente al tipo B, rimandano all’architettura rappresentativa di grande modulo, probabilmente ad un tempio. Il doccione, anch’esso di grandi dimensioni, può ugualmente costituire l’indizio di un edificio monumentale caratterizzato dal canone formale della koinè ellenistica. 1

Wartke 1977, p. 57. Wiegand-Schrader 1904, p. 312, in particolare p. 341 : Testine di stucco H : 7 cm Satiro, rosso. Cfr. : Delos, Casa del Tridente, ambiente H : L. Couve, Fouilles à Dèlos, « bch », xix, 1895, p. 472 sg., fig. 1 ; M. Bulard 1908, p. 157, tav. 8A ijlm ; J. Marcadé, Statuettes hellènistiques en aragonite du musèe de Dèlos, « bch », lxxvi, 1952, p. 111 sg., fig. 12 : una dozzina di maschere, h : 13 cm. Cfr. Trümper 1998, p. 255 sgg., n. 45. Pompei, Casa del Fauno : De Vos 1977, tav. 33, fig. 29 ; K. Tancke, Figuralkassetten griechischer und römischer Steindecken, Frankfurt a. M., 1989, p. 152 sgg., riguardo ai soffitti in stucco e alle teste di Medusa. 2

Fig. 24. 3 4

Robinson 1938, p. 299 ; cfr. Martin 1965, p. 435. Kawerau-Wiegand 1930, p. 50 sgg.

64 thomas schäfer leria. Come mostrano gli esempi meglio conservati di Delo, le pareti sono arricchite a partire, al più tardi, dal ii secolo a.C., di fasce decorative supplementari. In particolare, la zona degli ortostati è delimitata nella parte superiore per mezzo di una fascia ornamentale realizzata in modo sempre più ricercato, fascia che per lo più mostra un meandro con altre bande ornamentali (Fig. 24). 1 Accanto ai kymata, possono ricorrere in questo caso, ovuli, astragali, o anche bande intrecciate. In particolare, queste bande ornamentali sono separate, nella parete, dalla zona dei blocchi

Fig. 26.

Fig. 27.

Fig. 25.

squadrati per mezzo di una chiara risega, ma esse rimangono come tali sempre dipinte e non sono lavorate in modo plastico. 2 La datazione di queste case è verosimilmente assicurata dalla storia politica di Delo nel lasso temporale compreso tra il 160 e l’88 a.C. 3 Ma proprio a Delo si dovranno fare i conti con le tradizioni locali. Altri esempi ben conservati di meandri dipinti si trovano a Cnido 4 (Fig. 25) o ad Atene. 5 Anche a Pompei le superiori cornici di chiusura sono realizzate in modo plastico con dentelli, mentre le bande di ornamento sono solo dipinte. 6 Lo stesso vale per una fascia a meandri che separa lo zoccolo di un ambiente all’interno di una casa ellenistica di Centuripe. 7 A differenza di ciò, a Pantelleria ricorre il meandro con realizzazione plastica (Fig. 26). Pur non esistendo ancora disegni e integrazioni, è probabile che esso abbia posseduto un’altezza di oltre 30 cm. Tali bande realizzate in modo plastico sono relativamente rare. Bisogna menzionare un frammento di Cosa del quale fino ad oggi si ha soltanto una cattiva edizione 8 (Fig. 27), 1

Bulard 1908, tav. 6-6A. A proposito : Casa del Lago, ambiente H : Trümper 1998, p. 213 sg., n. 23 ; Bulard 1908, p. 101, fig. 35, tav. 6 b. Peristyl : Bulard 1908, p. 102, fig. 36, tav. 6 d. Simile ambiente F, Bulard 1908, fig. 35. Casa del tritone, ambiente A : Bulard 1908, p. 139, fig. 39, tav. 6d. Ambiente H : Boulard 1908, p. 114 sg., tav. 6A b. 3 Trümper 1998, p. 120 sgg. Cfr. anche Bruno 1969, p. 309. 4 M. J. Mellink, Archaeology in Asia Minor, « aja », lxxiii, 1969, p. 218, tav. 62, fig. 18. 5 F. Wirth, Mitteilungen aus dem Kerameikos V. Die Promachos des Phidias und die Kerameikos-Lampen, « mdai(a) », lvi, 1931, p. 58, n. 22, fig. 11. 6 Laidlaw 1985, p. 90, fig. 20, tav. 97 b-c (Nave Europa) ; p. 131, fig. 30, tav. 66b (Sallustio) ; p. 176, fig. 41 tav. 37c ; 69a (Fauno). 7 G. Libertini, Centuripe, Catania, 1926, p. 60 sg., tav. 5. 8 Bruno, 1969, p. 305 sg. tav. 68,3 ; cfr. Ling 1972, p. 16. 2

Fig. 28.

come pure numerosi esemplari di Priene 9 ( Fig. 28). I frammenti provengono dall’edificio ad est della casa 33 della strada del Teatro e si datano alla seconda metà del II secolo a.C. Con un’altezza di 15 cm, tuttavia, essi sono alti soltanto la metà dei meandri di Pantelleria. In entrambi i casi un meandro bianco è posto su uno sfondo blu. La tradizione delle fasce di meandri realizzate in modo plastico al di sopra del filare di ortostati è attestata ancora presso il tempio di Augusto ad Ankara (30 cm). 10 A Pantelleria sono documentate altre fasce intrecciate “guilloche” di formato relativamente grande (Fig. 29), la cui larghezza raggiunge i 20 cm ca. Finora non si sono conservati, a 9 Wiegand-Schrader 1904, p. 312 sg., fig. 345 : meandro a rilievo di colore bianco su fondo azzurro, h. 15 cm = Wartke 1977, p. 34 sg., nn. 19-20 ; p. 57, tavv. 5.7. 10 D. Krencker, M. Schede, Der Tempel in Ankara, Berlin, 1936, p. 14 sg. ; p. 36, tav. 23 ; H. Hänlein-Schäfer, Veneratio Augusti. Eine Studie zu den Tempeln des ersten römischen Kaisers, Roma, 1985, p. 188, tav. 42a, con ulteriori riferimenti.

decorazione architettonica e stucchi di cossyra

65

Fig. 29.

mia conoscenza, né nel Mediterraneo occidentale né in quello orientale “guilloche” realizzate in modo plastico come ornamento parietale. Pareti di Delo 1 come pure di Priene, 2 Cnido 3 e Pompei 4 mostrano questa decorazione sia pure in forma dipinta, sicché la posizione sulle pareti appare certa. Alla decorazione parietale potrebbe appartenere un fregio in stucco (Fig. 30), del quale si è conservata la gamba di una donna con ricco panneggio. L’altezza del fregio doveva raggiungere i 35 cm ca., tuttavia la sua posizione resta poco chiara. Un fregio di stucco di grandezza quasi doppia è situato sopra l’architrave dorico della Tomba del Giudizio a Lefkadia, 5 databile al tardo iv sec. a.C. Esigui resti di un fregio più piccolo sono stati rivenuti a Pergamo ; 6 a Fregellae e a Pompei sono documentati fregi di terracotta inseriti nelle pareti a partire dal ii sec. a.C. 7 Negli ambienti interni ci sono, nel corso del tardo I Stile, anche zone di fregio figurato, come mostrano degli esempi dipinti provenienti da Pompei 8 e da Cnido. 9 D’altra parte non si può escludere che il fregio derivi da una decorazione più tarda. Nel momento di passaggio tra il i ed il ii stile, ovverosia nel primo quarto del i sec. a.C., sono attestati almeno due esemplari di rilievi figurati in stucco. 10

Fig. 30.

Scultura architettonica in trachite Come ultimo, desidero presentare un complesso di rinvenimenti ancora più sensazionale, vale a dire la scultura figurata in trachite, rivestita ugualmente con uno spesso strato di stucco (Figg. 31-32). Purtroppo non esiste neppure in questo caso un evidente contesto stratigrafico, poiché quasi tutti i frammenti provengono nuovamente dalla cisterna 6. L’esemplare principale è costituito da un blocco di trachite, sulla cui fronte è stata realizzata in altorilievo una testa di proporzioni leggermente superiori al naturale (h. 0,33 m ca.). È raffigurata, di profilo, una testa chiaramente femminile, rivolta verso sinistra, e che, a giudicare dai resti sulla fronte e sulla calotta, potrebbe aver recato un elmo attico. In tal modo potrebbe essere identificata come una Atena o una divinità imparentata 1

2 Bulard 1908, tav. 6 d ; 6A b. Wartke 1977, tav. 5. Love 1972, p. 397, con fig. 4. 4 Laidlaw 1985, p. 32 sg., 197 tav. 44b (Fauno) ; p. 339, s.v. Cable. 5 P. M. Petsas, O τφς των Λευκαδων, Aθναι, 1966, p. 70 sg., tav. 27-30. 6 Kawerau-Wiegand 1930, p. 51, fig. 65 ; Delos : Bulard 1908, p. 141 sgg. 7 F. Coarelli, Due fregi da Fregellae. Un documento storico della prima guerra siriaca, « Ostraka », iii, 1994, p. 93 sgg., in particolare p. 106 sg. ; Pompei : B. D’Agostino, Uno scavo in Museo. Il fregio fittile di Pompei, « aion », iv, 1982, p. 63 sgg. 8 De Vos 1977, p. 35 sg. ; Laidlaw 1985, p. 34 ; p. 340 sg., tav. 47. 9 Love 1972, p. 397, fig. 4. 10 Ling 1972, p. 25 sgg. con confronto da Cales (Terme centrali), tav. 5 a-b e Roma (Casa di Grifi), tavv. 6a ; 7a-b. 3

Fig. 31.

ad essa dal punto di vista iconografico. Senza dubbio, la rappresentazione comprendeva anche altre figure, delle quali si sono rinvenuti frammenti di vesti, braccia, mani e piedi (Fig. 33). Il probabile soggetto della raffigurazione potrebbe essere suggerito dal rinvenimento di numerosi frammenti di una clava (Fig. 34), come pure di parte dell’orlo di uno skyphos caratterizzato da una decorazione a foglie e ricostruibile con un diametro di 20 cm ca. Entrambi gli attributi potrebbero essere associati con Eracle. 11 Ci troviamo, insomma, dinnanzi ai resti di una rappre11

limc iv, 1988, p. 766 sgg., n. 754 sgg. in particolare nn. 782. 785. 786. 788. 822.

66

thomas schäfer

Fig. 34.

Fig. 32.

Fig. 33.

sentazione di più figure, le quali, a causa delle loro dimensioni, possono essere appartenute soltanto ad un rilievo di grande modulo, lavorato, in più parti, in modo plastico. Si potrebbe chiamare in causa, a mio avviso, un frontone sul modello di quello in terracotta di via San Gregorio, che appartiene ugualmente alla seconda metà del ii secolo a.C. 1 Mi chiedo, inoltre, se questo 823. 829. 860 ; seduto : p. 744 sg., n. 950 sgg. ; sdraiato : p. 777 sgg. n. 1009 sgg. s.v. Herakles (O. Palagia) ; H. Scharmer, Der gelagerte Herakles, p. 124. Berliner Winckelmann Programm, 1971. Riguardo al significato del culto di Ercole a Roma ed in Italia, in relazione con la clava e lo skyphos vedi L’Ara Maxima a Roma : St. Ritter, Hercules in der römischen Kunst, Heidelberg, 1995, pp. 26, 43, 90 sg., tav. 6,2 ; p. 98, tav. 7,1 ; p. 113 sg. L’Ercole seduto con clava e skyphos è simbolo di un tranquillo benessere, come nel caso di Ercole con clava e skyphos nel frontono del tempio di Quirino : ivi, p. 142 sg., tav. 10,6. 1 L. Ferrea, Gli Dei di terracotta. La ricomposizione del frontone da via San Gregorio (Catalogo Mostra Milano 2002) Milano, 2002.

rilievo non vada riferito all’esistenza di un tempio da ubicarsi sulla terrazza sommitale dell’Acropoli, dove nel corso delle indagini del 2004, sono venuti alla luce i resti di una struttura di grandi proporzioni. La datazione è complicata considerevolmente dalla tecnica del rivestimento (comune in Sicilia, ma a Pantelleria utilizzata in modo esclusivo) della roccia affiorante in trachite – modellata esteriormente soltanto nei suoi dettagli generali – per mezzo di uno spesso strato di stucco. Le dure ed estese forme del viso (Figg. 31-32) hanno fatto pensare in un primo momento ad una collocazione cronologica nell’ambito dello Stile Severo. Tuttavia, ad una più attenta analisi, le teste delle metope del Tempio E di Selinunte (sorto intorno al 460 a.C.) sono realizzate in modo chiaramente diverso. Infatti, le strette labbra, gli occhi a forma di mandorla e le voluminose palpebre con i loro aspri contorni non sono comparabili con la nostra testa. Al contrario, l’occhio nel nostro caso appare molto più spalancato e le palpebre non sono così ampie e sporgenti. 2 Lo stesso vale anche per la posizione della testa sul rilievo : mentre sul nostro esemplare l’occhio destro è tagliato a metà dallo sfondo del rilievo, esso rimane completamente visibile, ad esempio, nella testa di Zeus sulla metopa E 4, che è realizzata in altorilievo esattamente come il nostro esemplare. 3 Questa peculiarità diventa corrente soltanto a partire dal iv sec. a.C. e si ritrova, in uno dei primi esempi, sulla lastra 1012 del fregio del Mausoleo di Alicarnasso. 4 I confronti migliori sono costituiti da opere del ii sec. a.C., nonché da quelle opere che continuano le tendenze classicistiche del iv sec. a.C. Va citata, ad esempio, la testa di Eracle del gruppo di Pergamo conservato a Berlino 5 (Fig. 35), che appartiene pure al ii sec. a.C. come una testa di Atena nel Museo Nazionale di Atene. 6 Confronti calzanti con la modellazione delicata e carnosa delle parti del viso voluminosamente rigonfie sono rappresentati, ad ogni modo, nella scultura alessandrina ed antiochena 7 nonché da opere legger2 V. Tusa, La scultura in pietra di Selinunte, Palermo, 1983, p. 135 sg., nn. 49-54, tavv. 35-40. 3 C. Marconi, Selinunte, Le Metope dell’Heraion, Modena, 1994, p. 144, fig. 15. Oltre a ciò le metope con Eos e Kefalos, ivi, p. 212 sg., figg. 77-81 con buona vista frontale delle teste in alto rilievo ; Lo stile severo in Grecia e in Occidente. Aspetti e problemi, ed. N. Boncasa, Roma, 1995, p. 81 sgg., tavv. 19-21. 4 Ben visibile in A. F. Stewart, Skopas of Paros, Park Ridge, n.j., 1977, p. 96, tav. 39a. 5 Martin 1987, p. 95 fig. 22b ; Der Pergamonaltar. Die neue Präsentation nach Restaurierung des Telephosfrieses, ed. W.-D. Heilmeyer, Tübingen, 1997, p. 79. 6 Atene, Mus. Naz. n. 234 : G. I. Despinis, Studien zur Hellenistischen Plastik i, « mdai(a) », cx, 1995, p. 326, tav. 66. 7 R. R. R. Smith, Hellenistic Royal Portraits, Oxford, 1988, p. 164 sgg., nn. 46-47, tav. 34 ; n. 51 tav. 56 ; nn. 57-58 tav. 39 ; n. 60, tav. 40 ; nn. 62-63, tav. 42 ; le stesse forme si notano anche su altri ritratti ellenistici, ivi, n. 88, tav. 54 ; nn. 93-94, tav. 56.

decorazione architettonica e stucchi di cossyra mente successive, come una testa proveniente da Kos, 1 o quella di Giunone Regina, 2 che appartengono, entrambe, alla metà del ii sec. a.C. Un limite cronologico potrebbe essere costituito dall’eclettica testa di Giunone Sospita di Lanuvium, 3 realizzata probabilmente intorno alla metà del i sec. a.C. Anche sulla base del confronto con la coroplastica tarantina 4 e le protomi maschili e femminili dei capitelli di San Leucio 5 una collocazione cronologica della nostra testa a rilievo nel corso del ii sec. a.C. mi sembra perciò la più probabile allo stato attuale degli studi.

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Osservazioni conclusive La ricchezza della decorazione ornamentale e figurata ricorda le parole dello storico greco Diodoro (v,12,2), che tramanda per le case di Melite (Malta) splendide cornici decorate con ricchissimo stucco : 6 « L’isola ospita artigiani esperti nelle opere più svariate, … tali, eressero gli edifici più rilevanti, decorati con dispendiose cornici e ricchissimi stucchi ». Ciò vale, evidentemente, nella stessa misura anche per la vicina isola di Pantelleria. Abbreviazioni bibliografiche 150-Jahr-Feier = 150-Jahr-Feier Deutsches Archäologisches Institut Rom (Atti Convegno Roma 1979), Mainz, 1982. Brem 2000 = H. Brem, Das Peristylhaus 1 von Iaitas : Wand- und Bodendekorationen. Studia Ietina vii, Lausanne, 2000. Bruno 1969 = V. J. Bruno, Antecedents of the Pompeian First Style, « aja », lxxiii, 1969, pp. 305-317. Bulard 1908 = M. Bulard, Peintures murales et mosaïques de Délos, Monuments et Mémoires, « mmai », 14, 1908, p. 191 sgg. De Vos 1977 = M. De Vos, Primo stile figurato e maturo quarto stile negli scarichi provenienti dalle macerie del terremoto del 62 d.C. a Pompei, « mnir », xxxix, 1977, pp. 29-47. Dally 2000 = O. Dally, Canosa, Località San Leuco. Canosa, località San Leucio. Untersuchungen zu Akkulturationsprozessen vom 6. bis zum 2. Jh. v.Chr. am Beispiel eines daunischen Heiligtums, Heidelberg, 2000. Ferchiou 1995 = N. Ferchiou, Stucs puniques hellénistiques d’Utique, « AntAfr », xxxi, 1995. Kawerau-Wiegand 1930 = G. Kawerau, Th. Wiegand, Die Paläste der Hochburg. Altertümer von Pergamon, v, 1, Berlin, 1930. Karthago II = A. Laidlaw, D. Berges, F. Rakob, Karthago, 2. Die deutschen Ausgrabungen in Karthago, Mainz, 1997. 1 R. Kabus-Preisshofen, Die hellenistische Plastik der Insel Kos, Berlin, 1989, p. 167 sgg. n. 92, tav. 76,1-2 ; Dally 2000, p. 98, tav. 36,1-2. 2 Martin, 1987, p. 88 , tav. 6 sg. ; C. Reusser, Der Fidestempel auf dem Kapitol in Rom und seine Ausstattung, « BullCom », ii Suppl. 1993, p. 106, figg. 43-45 ; Dally 2000, p. 99, tav. 36,3-4. Cfr. inoltre la testa maschile da Terracina con analoghi occhi e forma del viso, la cui datazione nel corso del ii sec. a.C. è sicura, da ultimo M. Papini, Antichi volti della Repubblica, « BullCom », xiii Suppl., 2004, p. 483 sgg., figg. 490-492. 3 Martin 1965, p. 118 sg., tavv. 15-16. 4 L. Bernabò Brea, I rilievi tarantini in pietra tenera, « ria », i, 1952, p. 186 sgg., fig. 171. 5 Dally 2000, p. 94 sgg. per una datazione alla metà del ii secolo. Contra P. Pensabene, Il tempio ellenistico di San Leucio a Canosa, in Italici in Magna Grecia. Lingua, insediamenti e strutture (Atti Convegno Acquasparta 1990), Venosa, 1990, p. 269 sgg. e lo stesso in Principi Imperatori Vescovi. Duemila anni di storia a Canosa (Catologo Mostra Bari 1992), ed. R. Cassano, Bari, 1992, p. 620 sgg. 6 Diod. 5,12,2 : Táw te o†k}seiw ˙jxiológouw kaì kateskeuasménaw fιlotímvw geíssoiw kaì koniámasi perittóteron.

Fig. 35. Kleinwächter 2001 = Cl. Kleinwächter, Platzanlagen nordafrikanischer Städte, Mainz, 2001. Laidlaw 1985 = A. Laidlaw, The First Style in Pompeii : Painting and Architecture, Roma, 1985. Ling 1972 = R. Ling, Stucco Decoration in Pre-Augustan Italy, « pbsr », xl, 1972, p. 11 sgg. Love 1972 = I. C. Love, A preliminary report of the excavations at Knidos, 1971, « aja », lxxvi, 1972 Martin 1987 = H.-G. Martin, Römische Tempelkultbilder Eine archäologische Untersuchung zur späten Republik, Roma, 1987. Martin 1965 = R. Martin, Manuel d’Architecture Grecque. Matériaux et techniques. 1, Paris, 1965. Robinson 1938 = D. M. Robinson, Olynthus viii. The terracottas of 1931, 1933, Baltimore, 1938. Trümper 1998 = M. Trümper, Wohnen in Delos. Eine baugeschichtliche Untersuchung zum Wandel der Wohnkultur in hellenistischer Zeit, Rahden, 1998. von Sydow 1979 = W. von Sydow, Späthellenistische Stuckgesimse in Sizilien, « mdai(r) », lxxxvi, 1979, pp. 181-231. Wartke 1977 = R.-B. Wartke, Hellenistische Stuckdekorationen aus Priene. Ein Beitrag zur Geschichte der hellenistischen Wanddekoration, « fbsm », xviii, 1977, p. 57. Wiegand, Schrader 1904 = Th. Wiegand, H. Schrader, Priene : Ergebnisse der Ausgrabungen und Untersuchungen in den Jahren 1895-1898, Berlin, 1904.

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Ernesto De Miro AGRIGENTO IN ETÀ ELLENISTICA aspetti di architettura

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onendo come data di riferimento il 338 a.C. 1 i periodi che seguirono e che segnarono la vita di Agrigento in senso specificamente significativo, sono due : quello che largamente definiamo timoleonteo-agatocleo (seconda metà iv-iii sec. a.C.) e quello che definiamo tardo-ellenistico e della “romanizzazione” (ii e i sec a.C.). Il primo periodo si attesta su basi generali di precorrimenti storici significativi all’opera di Timoleonte in Sicilia dopo la vittoria del Crimiso e la seconda colonizzazione del 338 a.C. Marta Sordi ha ben ricostruito motivazione e contenuti dell’opera di ripopolamento dell’Isola, di Siracusa in particolare, distinguendo nelle tradizioni in Plutarco e Diodoro 2 due momenti, per cui nel 343 l’invito a nuovi coloni riguarderebbe solo la provenienza dalla Sicilia, mentre nel 338 Timoleonte reitererà l’invito, conforme al suggerimento platonico, a tutto il mondo greco, e non solo a Corinto, ma a tutti gli Elleni dell’Italia, del continente greco, dell’Asia, delle Isole e della Sicilia. Nel bando diffuso in Grecia si parla di Siracusa, ma i coloni furono invitati e destinati a tutta la Sicilia, identificandosi il “territorio di Siracusa” con quello ad oriente dell’Alykos. 3 Che Akragas fosse compresa in questa epicrateia siracusana e che venisse interessata dal ripopolamento è chiaramente affermato nella fonte plutarchea, 4 sia pure nel quadro di una interessata descrizione della situazione dell’Isola tutta : « ηγριωµνην π κακν κα διαµεµισηµνην π τν κητρων παραλαν ». 5 « Allora, infatti, Agrigento e Gela, città grandi ma che erano state distrutte dai Cartaginesi dopo la guerra attica, furono ripopolate, l’una a opera di Megillo e Feristo, venuti da Elea, l’altra da Gorgo di Ceo, che radunarono in queste città gli antichi cittadini ». Che a tali città, come ad altre di Sicilia, si estendesse l’attività legislativa e in parte restauratrice di Timoleonte traspare dalla fonte plutarchea : « A costoro che si erano insediati in Sicilia Timoleonte non solo offrì sicurezza e tranquillità dopo un così lungo periodo di guerra ma procurò anche tutto il resto di cui c’era bisogno impegnandosi attivamente con essi e perciò era amato come un ecista. Poiché tutti gli altri intuivano gli stessi sentimenti verso di lui, non c’era trattato di pace né legislazione né insediamento né costituzione ( πλµυ τις λσις,  νµων σις,  ρας κατικισµς,  πλιτεας διταις) che sembrassero giusti senza che lui vi ponesse mano

o li regolasse come un demiurgo ». 6 Della nuova legislazione timoleontea per Siracusa – “democraticamente” esportata in altre città della Sicilia ricadenti nella epicrateia siracusana 7 – che, come risulta da un passo di Diodoro (xiii,35,3) si presentava come una esegesi dell’antica legislazione democratica di Diocle 8 – da Plutarco (38,2) sappiamo che essa conservava l’esistenza della assemblea popolare (ekklesia)9 affiancata 1 L. Edelstein, Platos Seventh Letter (Philosophia Antiqua 14), Leiden, 1966 ; M. Sordi, « Athaeneum », lv, 1977, p. 465. 2 Plut. 23, 2 ; 5-6 ; Diod. xvi, 82, 5. Per la non concordanza delle date del programma di colonizzazione cfr. Sordi 1961 ; Sordi 1980, p. 262 sgg. ; p. 279 sgg. 3 4 Diod. xvi, 82, 3, Plut. 34,2. Plut., Tim. 35,2-3 5 Su un corretto ridimensionamento della situazione di abbandono delle città nella prima metà del iv sec. a.C. e una migliore considerazione, sulla base dei dati archeologici, della Sicilia dionigiana, cfr. il recente volume La Sicilia dei due Dionisî, a cura di N. Bonacasa, L. Braccasi, E. De Miro, Roma, 2002. 6 Plut., Tim. 35,4 (trad. di A. Barzano), Milano, 2000. 7 Infatti le fonti (Plut. 39,5) parlano di leggi per i Sicelioti, non per i soli Siracusani. Sul concetto di egomonia e sul rapporto tra stato egemone e stato dipendente, 8 cfr. H. Triepel, Hegemonia, Stuttgart 1938. Sordi 1980, p. 280. 9 Sulla ekklesia a Siracusa sotto Timoleonte, cfr. Plut. 33, 34, 38.

da un consiglio, verosimilmente il medesimo sinedrio di 600 membri, attestato nelle fonti prima dell’avvento di Agatocle. 10 Se le attestazioni relative non mancano nelle fonti letterarie ed epigrafiche, 11 se boulè ed ekklesia avessero una sede monumentale apposita è tutt’altro che sicuro per Siracusa, almeno per quanto riguarda l’assemblea popolare. Quanto a Siracusa, nel v sec. a.C. l’ekklesia si riuniva nell’agorà, come è dichiarato nel passo di Diod. xi,92,2 per l’età di Ducezio. 12 In periodo post timoleonteo, sotto Agatocle, a Siracusa l’assemblea popolare si riuniva nel teatro. 13 Su queste premesse si possono chiarire i dati archeologici relativi ai monumenti pubblici civili scoperti in Agrigento, in particolare l’ekklesiasterion e il bouleuterion. Edifici pubblici civili in Agrigento: ekklesiasterion e bouleuterion Ekklesiasterion e bouleuterion costituiscono un complesso monumentale unitario e solidale nello spazio e nel tempo. Entrambi gli edifici, collocati rispettivamente a Sud e a Nord dal poggetto di S. Nicola, occupano una posizione centrale nella vallata su cui si stende il tessuto urbano della città antica (Fig. 1), con opere si sistemazione monumentale che ne fanno una cerniera vitale e funzionale nel tessuto medesimo. A Sud, su un terrazzo a dolce declivio si apre la cavea di 20 gradini ricavati nella maggior parte nella roccia (Figg. 2-3), a forma di semicerchio le cui estremità sono estese sino ad ottenere tre quarti dell’intera circonferenza, là dove restano i tagli per l’alloggiamento dei conci riportati. Il diametro massimo è di m 48.00; esso copre un’area di mq 1250 ca. e poteva accogliere circa tremila persone. 14 Tangente alla circonferenza, un portico ligneo a doppia L pare dovesse circondare la cavea, con evidente nesso funzionale con le strutture di un santuario addossato alla parete di roccia. La datazione dell’ekklesiasterion di Agrigento, pur non disponendo di condizioni concorrenti, trattandosi di edificio ricavato nel banco roccioso, tuttavia possiede elementi interni ed esterni che inducono a porne la costruzione nella seconda metà del iv sec. a.C., e possiamo dire in età timoleontea. Innanzitutto sono da considerare le vicende storico-monumentali del sito. In base agli scavi condotti negli anni ’50, è stato possibile definire la stratigrafia archeologico-architettonica di un complesso, le cui fasi risultano così articolate. In un primo periodo, collocabile nel vi-v sec. a.C., sul terrazzo sommitale del poggetto insisteva un’area sacra, di cui, a seguito dello sbancamento operato in età preellenistica (nonché quello in epoca moderna) risultavano solo tracce di incisioni nella roccia pertinenti all’alloggiamento di un muro di temenos in prossimità del ciglio occidentale del poggetto. In un secondo periodo (quello che cade sotto la nostra attuale 10

Diod. xix, 4,3 ; 5,6 ; 6,3 Per Siracusa ed Agrigento, la boulé figura in Diod. xi, 92, 2 ; ig. /2,1,105 ; cfr. W. Hüttl, Verfassungsgeschichte von Syrakus, Praga, 1929, p. 75, n. 72,1,7. 12 ...  ρντες συνγαγν κκλησαν κα (... affluito il demos nell’agorà). 13 Iust. xxii, 2, 9, 10 : veluti rei publicae statum fundaturus populum in theatrum ad contionem vocari iubet, contracto in gymnasio Senatu, quasi quaedam prius ordinaturus 14 Sulla storia monumentale del sito e sulla articolazione delle strutture, E. De Miro, I recenti scavi sul poggetto di San Nicola in Agrigento, « Cronache di Archeologia e Storia dell’Arte », 2, 1963, pp. 57-63 ; per una descrizione dell’ekklesiasterion, vedi E. De Miro, L’ekklesiasterion in contrada San Nicola di Agrigento, « Palladio », xvii, 1961, p. 164 sgg. 11

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Fig. 1. Schema urbanistico di Agrigento antica.

considerazione) fu operata una notevole katatomè, sbancamento e regolarizzazione del versante meridionale, creando un nuovo sottostante terrazzo su cui venne ad essere sistemata l’area sacra, la quale molto verosimilmente in una prima fase fu caratterizzata da uno spazio libero con favisse e alloggiamenti di strutture mobili, a cui riferire non poche buche di cui appare cosparso il piano roccioso ; successivamente fu costruito il sacello (m 7.65x 4.00) pavimentato in cocciopesto con ingresso ad Est, disposto lungo la parete di roccia tagliata, protetto da un muro di temenos con accesso all’angolo sud ovest. Quest’area sacra doveva essere in connessione con l’antistante cavea dell’ekklesiasterion. Per definire la cronologia di quest’ultimo monumento disponiamo dei seguenti dati : a) terminus post quem fornito dal santuario di vi-v sec. a.C. sulla sommità del poggetto, esistente prima della katatomé operata e della creazione della spianata sottostante con la nuova area sacra ; b) terminus ante quem fornito dall’abbandono dell’ekklesiasterion ricoperto da un riempimento a superficie battuta e pavimentazione di lastre di bianco calcare, creandosi un nuovo grande piazzale, apparentemente porticato su tre lati e sul fondo occidentale il tempietto prostilo con podio (il cosiddetto Oratorio di Falaride), piccolo altare quadrato sulla fronte, esedra semicircolare, basi di donari, botteghe quadrangolari a Nord sovrapposte al precedente sacello anch’esso abbandonato. Questo periodo, caratterizzato dalla presenza del tempietto prostilo, per caratteri architettonici del medesimo e per dati archeologici (presenza di ceramica di produzione Campana C nel battuto del

riempimento dell’ekklesiasterion abbandonato e del piazzale che lo ricopre) si data con notevole convincimento nel ii-i sec. a.C. Pertanto, l’ekklesiaterion viene a porsi tra questi due termini cronologici (vi-v e ii-i sec. a.C.), e nella storia di Agrigento postclassica, per le considerazioni storiche da cui siamo partiti, non potremmo che largamente indicare per l’impianto la seconda metà del iv sec. a.C., in particolare il periodo timoleonteo, che nulla vieta di estendere a quello agatocleo. Se due impianti analoghi al nostro ekklesiasterion, scoperti successivamente a Metaponto e a Paestum (rispettivamente datati l’uno in età arcaica e abbandonato alla fine del v sec. a.C. per dar posto all’impianto di un teatro ; l’altro nella prima metà del v sec. a.C. e abbandonato nel corso della 2a metà del secolo) hanno riaperto in astratto il problema della datazione dell’ekklesiasterion agrigentino, alla riaffermazione delle nostre considerazioni già esposte aggiungiamo che difficilmente dal vi al ii sec. a.C. l’impianto avrebbe potuto conservarsi senza modifica alcuna, quale appare essere il nostro. Situazione analoga dal punto di vista della storia monumentale e della cronologia del sito si pongono per l’altro edificio del complesso civile, il bouleuterion, situato sul versante sud opposto del poggetto, in correlazione topografica funzionale con il vicino ekklesiasterion (Fig. 4). Nel vi-v sec. a.C. un’area sacra comprendeva edificio templare bipartito disposto ad Est misurante m 6.80 x 7.30, costruito in conci di arenaria messi in opera

agrigento in età ellenistica. aspetti di architettura

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Fig. 2. Agrigento. Ekklesiasterion e santuario retrostante.

Fig. 3. Agrigento. Ekklesiasterion, sezione.

con buona tecnica isodomica, al centro di una spianata ai piedi del poggetto, sostenuta da un muro di terrazzamento su cui in età ellenistica viene innalzato un nuovo muro di contenimento (Fig. 5). Al tempio con temenos si riferiscono le numerose terracotte femminili sparse in prossimità. 1 L’estrema parte ovest della cella cade al di sotto del settore alto della cavea del bouleuterion. Infatti, in un periodo, che noi siamo portati a collocare nella seconda metà del iv sec. a.C., sotto Timoleonte, fu creato ai piedi del poggetto un unico esteso terrazzo su cui si imposta l’edificio del bouleuterion, sostenuto da un poderoso sistema di cortine murarie nei lati sud ed est del valloncello, in cui si insella la grande plateia, sul cui corso la fronte muraria in conci lavorati a pannello profilato veniva a costituire prospetto architettonico monumentale. Quanto avviene è significativo di un processo di trasformazione della zona in questo periodo, che porta a sostituire gli edifici sacri con edifici pubblici civili, ponendo particolare accento all’aspetto scenografico e funzionale dell’insieme urbano. L’edificio del bouleuterion consiste di una struttura rettangolare (m 20.50 x 12.50= 70x40 piedi di modulo cm 30 ca.), il cui tetto doveva essere sostenuto da 4 colonne, contenente 1

P. Marconi, « NSc », 1926, p. 95.

la cavea semicircolare di sei ordini e proedria in pietra arenaria attraversata da 4 scalette, di cui due radiali nel settore centrale le altre lungo i muri di analemmata. Il diametro massimo della cavea è di metri 19,00 ; il diametro dell’orchestra misura metri 8.20. La cavea si apriva su un portico (m 20,50x4,80). Poteva contare circa 300 posti. Il problema che qui particolarmente interessa è la cronologia del monumento. Allo stato attuale della ricerca, l’impianto del bouleuterion si colloca tra terminus post quem del vi-v sec. a.C. (in quanto il muro ovest di spalla della gradinata ha tagliato due precedenti livelli di vi-v sec. a.C. con avanzi di strutture, alcune di carattere sacro) e il terminus ante quem del ii-i sec. a.C., a cui si appella un rifacimento della struttura caveale (ceramica di produzione Campana C raccolta immediatamente sotto il piano battuto del livello di calpestio secondario, protrattosi sino ad epoca romana imperiale con sensibili modifiche dell’edificio (trasformazione in odeum). 2 Pertanto, tra i due termini cronologici sopra indicati, ragioni storiche aiutano a collocare l’edificio della boulè nello stesso periodo timoleonteo ; sarà utile richiama2 E. De Miro, Il bouleuterion di Agrigento. Aspetti topografici, archeologici e storici, « Quaderni UnivMessina », 1, 1985-1986, p. 7 sgg.

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Fig. 4. Agrigento. Il bouleuterion.

Se passiamo a confrontare in Sicilia il nostro edificio con altri esempi noti, il richiamo più vicino tipologicamente e cronologicamente è con il primo bouleuterion di Iaitas datato alla fine del iv sec. a.C., il che non esclude che modifiche apportate nella cavea nel ii-i sec. a.C. possano suggerire il confronto con il secondo nuovo bouleuterion di Iaitas, sorto in altro punto dell’agorà in una fase di ricostruzione urbana successiva alla guerra servile del 136/135-132 a.C. 2 Se rivolgiamo l’attenzione alla Grecia, il confronto che si impone è con il nuovo bouleuterion di Atene, secondo la ricostruzione di Thompson, 3 datato alla fine del v sec. a.C., non molto più grande : analoga pianta rettangolare della struttura, due kerkides che dividono radialmente il settore centrale e altre due lungo le testate della cavea ; anche esso associato nella fase ellenistica ad un portico di ampiezza pari a quello agrigentino che, per disponibilità di spazio, anziché essere sulla fronte orientale, è disposto e strutturato sul lato meridionale. La nascita di bouleuteria in Sicilia nel tardo iv sec. a.C. è testimoniata a Segesta dai recenti scavi, che hanno permesso di cogliere indizi consistenti della esistenza monumentale del bouleuterion in età anteriore a quello tardo ellenistico meglio connotato e a cui è sottostante. 4 Procedendo oltre, assegnato alla fine del iv sec a.C. su base dei dati archeologici come proposto dagli scavatori, il primo bouleuterion di Segesta – così come il primo di Iaitas 5 – si può pure opinare che abbia avuto come modello il bouleuterion di Agrigento e, pertanto esso sarebbe ben inquadrabile nella temperie del koinon elimo, garantito da Agatocle, per cui alla fine del iv sec. a.C. Entella, Segesta, Nacone, Iaitas, appaiono uniti da stretti rapporti istituzionali, cui può riferirsi il decreto entellino che concede la isopoliteia ai Segestani, varato dalla ekklesia e dalla boule. 6 Potremmo anche chiederci per Segesta una qualche correlazione con la rifondazione della città in Diceopoli da parte di Agatocle, dopo la punizione inflitta. 7 Recenti scavi, condotti da Graziella Fiorentini (promossi prima dalla Soprintendenza di Agrigento e successivamente dal nuovo organo regionale Ente Parco della Valle dei Templi), tuttora in corso, hanno consentito di delineare limiti e alcune particolarità architettoniche monumentali dell’agorà inferiore nell’area a Nord del tempio di Eracle. Si tratta di una vasta piazza (m 120 x m 35, allo stato attuale dello scavo) limitata da due stenopoi nord-sud (largh. m 4,00) di cui quello a Ovest è in asse con la Porta iv o Porta marina, e da una plateia est-ovest (plateia I-L che margina a Nord il Tempio di Zeus e attraversa l’agorà dirigendosi verso Porta ii) (Figg. 67) ; è solo possibile opinare che altra arteria est-ovest corrente ai piedi della Collina dei Templi (plateia M-N) con apposita deviazione dovesse limitare a Sud, là dove negli anni 50, in occasione di lavori per la sistemazione del grande piazzale detto “posto di ristoro”, si rinvennero cospicui avanzi di lastronato, da Pietro Griffo 8 messi subito in relazione con l’esistenza dell’agorà attestata dalle fonti. 9 Al margine nord della piazza, lungo la platea I-L da essa sepa-

Fig. 5. Agrigento. Il bouleuterion e il tempio arcaico sottostante.

re la boulè esistente a Corinto, il synedrion, cui spettò la decisione di inviare Timoleonte a Siracusa, e a considerare che dopo il 338 a.C. l’attività costituzionale e legislativa da Timoleonte fu affidata a nomoteti venuti da Corinto, ed essa attività si rivolge non solo a Siracusa ma a tutte le città siceliote incorporate nella epicrateia siracusana (Plut. 35,4 e 39,5 : πδωκε τς νµυς τς Σικελιταις), 1 promovendo una costituzione mista. 1

Sordi 1961, p. 77 sgg.

2 H. S. Dahen, Die Gebäude an der Westseite der Agorà von Iaitas, Studia Ietina iii, Zürich, 1991, p. 120. 3 H. A. Thompson, « Hesperia », 6, 1973, p. 140 sgg., tavv. vi-viii. 4 M. De Cesare, M.C. Parra, Il bouleuterion di Segesta : i primi dati per una definizione del monumento nel contesto urbanistico di età ellenistica, in Atti Terze giornate internazionali di studi dell’area Elima, 23-26 ottobre 1997, Pisa-Gibellina, 2000, p. 277 sgg. 5 H. P. Isler, Monte Iato : la ventunesima campagna di scavo, « Sic.Arch. », xxv, 78-79, 1992, pp. 7-43, 13-18 ; M. S. Daehn, op. cit., per il battuto più recente. 6 G. Nenci, Un nuovo decreto entellino (ix), « asnp », 1987, pp. 119-128 ; Consolo Langher 2000, p. 213 sgg. 7 Diod. xx, 71, 5. Cfr. Consolo Langher 2000, p. 243. 8 P. Griffo, Topografia storica di Agrigento antica, « Atti Acc. Scienze, lettere e Arti di Agrigento », ii, 1948-1952, p. 123 sgg. ; Idem, Bilancio di cinque anni di scavi nelle province di Agrigento e Caltanissetta, « Atti Acc. Scienze Lettere e Arti di Agri9 gento », iii, 1953-1954. Cic. Verr. ii, 4, 43.

agrigento in età ellenistica. aspetti di architettura rati da una cunetta di scorrimento delle acque piovane, sono due edifici di lunghezza pressoché eguale (edificio A : m 16=56 piedi di cm 32 ; edificio B : m 16,50) e profondità diversa (allo stato attuale di conservazione rispettivamente m 5= 15 piedi di cm 32, m 8,30 = 26 piedi di cm 32). Si tratta di edifici di utilizzazione pubblica (stoai, sale di riunione), che si presentano separati da un ambitus di drenaggio che convoglia le acque della piazza dislivellata nella cunetta che corre lungo la plateia. Le strutture di tali edifici risultano di due distinte sovrapposte fasi : l’una arcaico-classica l’altra protoellenistica (iv-iii sec. a.C.), la quale ultima ha utilizzato come fondazione gli avanzi dei muri preesistenti (rovina verosimilmente risalente alla distruzione cartaginese del 406 a.C.). Nell’area della piazza, a Sud ovest, in prossimità dello stenopos α è un grosso basamento (m 3,80 x 1,80) verosimilmente destinato ad un gruppo statuario. La piazza dell’agorà cade nel modulo di un isolato largo m 35. Nell’isolato attiguo ad Est dello stenopos β, a Sud della platea IL è una struttura quadrangolare (m 28,50=30 piedi di cm 32 x m 18,30= 57 piedi di cm 32) con ambienti allungati alternati a vani minori disposti su tre lati di un cortile, a cui si accede direttamente dalla strada. Il carattere di sale di riunione e di cubicula degli ambienti, lo spazio libero-cortile, la presenza di elementi rituali, deposizioni votive nel grande ambiente a Sud conformato a guida di sacello (pithos contenente oscilla fittili, unguentari, valve di conchiglia, brocchette acrome e paterette ; fossa combusta contenente lekane, piattello, lucerne, skyphoi, lekythos, disco fittile), la prossimità alla piazza dell’agorà, il tutto fa ritenere trattarsi di un edificio verosimilmente da identificarsi con il prytaneion (per cui si possono richiamare per la Grecia i prytaneia di Delos, 1 di 1

Lauter 1986, p. 123, fig. 37.

Fig. 6. Agrigento. L’agorà inferiore. Pianta schematica.

Fig. 7. Agrigento. L’agorà inferiore e gli edifici connessi. Pianta schematica.

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ernesto de miro Cos, i cui cittadini sono detti, secondo una felice integrazione, συνκισται di Gela. 6 Analoga proposta, data la natura ionica di Elea in Magna Graecia, a forme congeniali di un Elea epirota è con buone ragioni avanzata da David Asheri in un contributo del 1970, 7 e ciò sia per la natura dorica della polis sia per gli stretti rapporti nel iv sec. a.C. con Corinto, risalenti forse alla situazione di originaria colonia corinzia. 8 È convincente, pertanto, che Timoleonte in quanto legato di Corinto e strategòs autocrátor di Siracusa, non dovesse avere difficoltà ad usufruire dei buoni rapporti che le due città mantenevano con l’Epiro ; l’Epiro, da parte sua, che proprio allora cominciava ad interessarsi dell’occidente, dovette accogliere con simpatia la propaganda coloniaria di Timoleonte. 9 Tuttavia, poiché esempi di immigrazioni coloniarie eterogenee, sia pure rare, non mancano, un coinvolgimento di Elea in Magna Grecia nella politica colonizzatrice di Timoleonte non può essere escluso. Negli ultimi tempi l’ipotesi di un santuario Fig. 8. Agrigento. L’Asklepieion. Pianta schematica. di Asclepio a Elea ha preso consistenza, riconoscendosi l’Asklepieion in un grande complesso pubblico di età ellenistica, organizzato su più terrazze, sulla più bassa delle quali si individua Neapleuron, 1 di Kassope 2 e altri, e per la Sicilia quello di Moruna piazza circondata da muri e portici su tre lati, chiusa sulla gantina, 3 – quest’ultimo datato alla metà circa del iii sec. a.C. fronte da una fontana. 10 Alle spalle dell’Asklepieion di Elea sta la con sviluppo in uso nel ii-i sec. a.C. – tutti in prossimità stretta nota scuola di medicina, comunque essa vada intesa. 11 con l’agorà). La conclusione per noi è che sia possibile ipotizzare che con la L’agorà inferiore non è vissuta oltre il iii sec. a.C. La sua venuta in Sicilia del corinzio Timoleonte, e in particolare con la frequentazione non fu ripresa nel restante periodo ellenistico, grande colonizzazione coa ed eleata di Gela e Agrigento, si siamentre continuò ad essere frequentata l’agorà superiore, centro no determinate nelle due città la formazione e il potenziamento nevralgico del tessuto urbanistico. logistico architettonico rituale dei rispettivi santuari di Asclepio. E in Agrigento, città di Empedocle, la cui figura appare asGli edifici sacri sommare scienza e taumaturgia, l’Asklepieion può aver assunto La creazione dell’Asklepieion in Agrigento fuori le mura si data fisionomia e caratteri particolari. sulla base dei dati di scavo nella seconda metà del iv sec. a.C. 4 Della architettura dell’Asklepieion akragantino, già esamiEsso sorse come una grande area recintata, con il tempio, il nato nella pubblicazione monografica, 12 qui richiamiamo la grande altare, il sacello-thesaurós, la fontana, i portici, l’edificio particolarità propria del tempio, essendo uno dei pochi esempi dell’abaton, la trapeza e il vascone antistanti. Successivamente, di architettura sacra protoellenistica in Sicilia. 13 Si tratta di un nel corso della prima metà del iii sec. a.C. il santuario si è aredificio distilo in antis (Fig. 9) ; alle due colonne sul davanti corricchito architettonicamente e funzionalmente con katagogion rispondono le due mezze colonne applicate sulla parete esterna e hestatiatorion porticati, nonché delle strutture “aggiuntive” del muro occidentale di fondo, a guisa di pseudopistodomo. Il ai lati dell’ingresso (Fig. 8). Interessante è poter fissare la nakrepidoma non presenta curvatura per le correzioni ottiche. La forma dell’edificio presenta nelle dimensioni (m 20.35 x 9.38 allo scita dell’Asclepieion in Agrigento sul piano storico. Anche in stilobate) un rapporto di 1 :2 ; le colonne del pronao sono snelquesto caso il richiamo è all’evento della venuta in Sicilia di lite, e le colonne del pseudopistodomo non hanno entasi e nella Timoleonte e dell’invito ai Greci di Sicilia, di Italia e a tutti gli loro atrofia spaziale denunciano la tendenza del passaggio dal Elleni di trasferirsi a Siracusa (è facile ritenere, come già detto, valore architettonico a quello decorativo. che esso fosse esteso anche alle città siceliote ricadenti nella Le dimensioni e le forme del tempio, pertanto, pur nella peregemonia siracusana), offrendo loro terre e case. Abbiamo già sistenza della tradizione architettonica siceliota e akragantina visto come dalle fonti si individua la portata notevole del mo(piloni con scala fiancheggianti l’accesso dal pronao alla cella) vimento immigratorio, allorché anche Gela e Akragas (distrutconserva l’immagine della consuetudine classica, ma nello steste dai Cartaginesi alla fine del v sec.) ricevettero allora nuovi so tempo si avverte l’avvio e l’avvicinamento ai nuovi canoni abitanti di rincalzo : Gela da Ceo (κ Κω) sotto la guida di del periodo ellenistico, con il risultato che esso non ha perduto Gorgos, Akragas da Elea ( Ελας) sotto la guida di Megillos consistenza e nello stesso tempo non ha l’eleganza senza peso e Pheristos. È noto come sin dal Pais 5 sia stata proposta la letdegli edifici ellenistici. tura emendata κ Κω in κ Κ, con il vantaggio di ammettere una immigrazione coloniaria dorica in una città dorica sicelioAltro complesso sacro che, in base ai dati di scavo, si data, nella ta, e con una migliore collocazione dell’ecista Gorgos (nome articolazione di due fasi, negli ultimi 40 anni del iv sec. e, percomune a Rodi e a Coo). A ciò si aggiunga che in un decreto 6 R. Herzog-Klaffenbach, Asylieurkunden aus Kos, « AbhBerlin », 1952, i, n. 13 ; del 242 a.C. i Geloi di Phintias conferiscono asylia a favore di 1

Lauter 1986, pp. 139, 187, 219, fig. 17. 2 W. Hoepfner, E. L.Schwandner, Haus und Stadt im klassischen Griechenland, München, 1986, p. 98 sgg. 3 E. Sjoquist, Excavations at Morgantina (Serra Orlando). Preliminary Report ii, « aja », lxii, 1958, p. 161 ; H. L. Hallen, Excavations at Mortgantina (Serra Orlando), Preliminary Report x, « aja », lxxiv, 1970, p. 364 sg. L’identificazione è messa in dubbio da S. G. Miller, The Prytaneion, Berkeley, 1978, pp. 116-117, 126-127 ; mentre una nuova identificazione, in verità poco convincente, viene proposta da M. Bell, Una banca pubblica nell’agorà di Morgantina ?, in Nuove prospettive della ricerca sulla Sicilia del iii sec. a.C. Archeologia, Numismatica, Storia, Di.Sc.A.M., 2004, p. 135 4 sgg. De Miro 2003, p. 75 sgg. 5 E. Pais, Storia della Sicilia e della Magna Grecia, Torino, 1894, p. 234, n. 1 ; p. 240, n. 3 ; p. 299, n. 1.

G. Manganaro, Città di Sicilia e santuari panellenici nel iii e ii sec. a.C., « Historia », iii, 1964, p. 416 ; F. P. Rizzo, La Sicilia e le potenze ellenistiche al tempo delle guerre puniche, Palermo, 1973, p. 10 sgg. 7 D. Asheri, I coloni Elei di Agrigento, « Kokalos », xvi, 1970, p. 79 sgg. 8 P. R. Franke, Die antike Münzen von Epirus, Wieshaden, 1961, p. 301. 9 Vedi supra, p. 66. 10 Neue Forschungen in Velia, Velian Studies i, a cura di F. Krinzinger, G. Tocco, Wien, 1999 ; L. Cerchiai, L. Iannelli, F. Longo, Città greche della Magna Grecia e della Sicilia, Verona, 2002, p. 87. 11 G. Pugliese Carratelli, ΦΩΛΑΡXOΣ, « pp », 18, 1963, p. 385 sgg. ; Idem, Ancora di Parmenide e della scuola medica di Velia, « pp », 40,1985, p. 34 sgg. ; M. Fabbri, A. Trotta, Una scuola collegio di età augustea. L’insula ii di Velia, Roma, 1989, p. 119 12 sgg. De Miro 2003, p. 37 sgg. 13 Si ricordano il tempio B sull’Acropoli di Selinunte, il tempio di Megara Hyblaea, il tempio di Camarina.

agrigento in età ellenistica. aspetti di architettura 75 tanto occupa il periodo timoleonteo-agatocleo, è quello messo in luce a Sud e a Sud-est del grande tempio di Zeus. 1 Il complesso è composto di un edificio rettangolare lungo m 55, verosimilmente portico- fontana, la cui larghezza si calcola in m 7, disposto lungo la linea delle mura meridionali e prospiciente a Nord verso il tempio di Zeus ; di una grande vasca (m 11.00 x10.10 ; prof. m 1.55/2.00), all’estremità dell’edificio predetto, fornita di scaletta di accesso ; di un sistema di cisterna e canalette correlate. Interessante notare che l’insieme di tali strutture appare in correlazione topografico-struttiva e cronologica con il noto sacello a Sud est del tempio di Zeus, quasi addossato al suo spigolo (Figg. 10-11). Il sacello presenta particolarità architettoniche di notevole interesse nel periodo in cui si colloca. Esso è rettangolare, misura m. 14.50 x 7.60, l’interno è diviso in due vani dislivellati, pronao e cella, della misura rispettivamente di m 4.26 x 5.90 e 8.28 x 5.90 ; il vano di porta è largo m 3.90 tra due muri Fig. 9. Agrigento. L’Asklepieion. Prospetto ricostruttivo del tempio. di anta voltati all’interno, e la sua luce è divisa in due ingressi mediante un pilastro centrale, che conserva, al pari degli stipiti, Marconi 3 successivamente ritenne il sacello di età arcaica con un le incassature per i battenti ; sul suo allineamento al centro della uso sino al iv secolo a.C. (sullo strato del iv secolo a :C. sarebbe cella è altro pilastro (di controversa interpretazione funzionale). crollato il tetto arcaico con le terrecotte architettoniche) ; tuttaLa tipologia del sacello con doppio ingresso, diviso in due via egli dà l’impressione di essere stato guidato nella lettura dei navate da due pilastri mediani,ha creato problemi di adeguadati di scavo dalle suggestioni tipologiche dell’edificio (tipo a mento cronologico con il contesto. È noto che esso, scoperritmo dispari, ingresso a due porte e divisione interna mediante to dal 1922 dal Gabrici 2 fu assegnato alla seconda metà del iv pilastro). Noi abbiamo ritenuto corretta la datazione fornita dal a.C. in base ai dati di rinvenimento (strato archeologico del iv Gabrici, sia perché basata su una chiara lettura dei dati di scavo, secolo a contatto con il piano pavimentale, e, al di sopra, masia perché, in effetti, il contesto rivelato dagli scavi negli anni teriale arcaico, ritenuto di riporto operato per il riempimento sessanta ha documentato che nella seconda metà del iv secolo delle camerette del vicino muro di fortificazione ellenistico). Il a.C. la zona a Sud del Tempio di Zeus è stata interessata da una 1 attività costruttiva, che ha portato all’impianto di nuovi edifici. E. De Miro, Agrigento. Scavi nell’area a Sud del Tempio di Giove, « mal », xlvi, 1962, p. 90 sgg. 2 Gabrici 1925, p. 437 sgg.

3

P. Marconi, Agrigento arcaica, Roma, 1933, p. 131 sgg.

Fig. 10. Agrigento. Edificio a Sud del tempio di Zeus. Il portico-fontana e la vasca lustrale e il tempietto.

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ernesto de miro venga – in rapporto al periodo – il tipo di vaso a testa femminile, così copiosamente presente nel nostro santuario, e dalla presenza della stessa colmata della vasca di quantità di corna cervine. In oltre se teniamo conto che i caratteri struttivi (sacello, cortile, altare, bothroi) e i votivi richiamano aspetti di culto ctonio, non possiamo non richiamare il gran favore di cui godettero i culti di Demetra e Kore, 6 e anche di Tyche 7 sotto Timoleonte. In questo ultimo caso si potrebbe anche ipotizzare che il santuario agrigentino fosse dedicato al culto di Tyche associato a forme di culto ctonio (Demetra, Kore, Artemis, Ecate). A Tyche Timoleonte dedicò un ara nella propria casa. D’altra parte un culto di Tyche ben poteva trovar posto presso l’area sacra del tempio di Zeus (al quale l’eleutheria dichiarata per Akragas nel trattato del 338 a.C. poteva aver associato nuova consacrazione), e ciò sia per lontana tradizione teogonica (Pindaro nella xii olimpiade invoca la Tyche figlia di Zeus Eleuterio), ma ancora per una certa associazione della Tyche con Zeus Eleuterio nella religiosità oministica di Timoleonte. 8 Certo è che sulla base dei dati di scavo nella seconda metà del iv secolo a.C. si rileva in Akragas una ripresa dei vecchi santuari ctoni, e una tale ripresa riorganizzativa, che perdura sino ai primi decenni del iii secolo a.C., può ben appellarsi al periodo timoleonteo-agatocleo. Demetra e Kore entrano nella religiosità e nella propaganda timoleontea. Alla partenza da Corinto, « TiFig. 11. Agrigento. Ipotesi ricostruttiva del portico-fontana. moleonte aveva appreso dalle sacerdotesse di Demetra e Kore che le dee avevano loro annunciato in sonno che avrebbero navigato insieme con lui e con i suoi uomini, accompagnandolo Quanto ai caratteri architettonici del sacello, essi possono annonella traversata verso l’isola a loro sacra… Timoleonte consaverarsi tra le sopravvivenze, e più particolarmente tra le manifecrò alle dee la migliore delle navi e la chiamò sacra a Demetra stazioni arcaizzanti non infrequenti in Sicilia nella seconda metà e Kore ». 9 del iv sec. a.C. 1 Il santuario sul terrazzo ad Ovest di Porta v (Collina dei temA questo punto occorre analizzare in relazione topograficopli) – noto dagli scavi Marconi come “santuario delle divinità struttiva e funzionale l’intero complesso, in quanto il sacello non ctonie” e i cui studi sono stati recentemente ripresi 10 – dopo la è un edificio a sé stante. Infatti a Sud è annessa un area scoperta, conquista cartaginese del 406 a.C. risulta, anche sulla base dei sorta di cortile, il cui piano di roccia è cosparso di thysiai e di materiali votivi pubblicati, essere stato frequentato in forme di piccoli bothroi ; ad essa si accedeva dalla rampa antistante al sariorganizzazione nella seconda metà del iv secolo a.C., periocello, e il cortile medesimo risulta attiguo al terrazzo su cui è la do a cui possono riferirsi i rimaneggiamenti delle strutture di grande vasca. Questa, rinvenuta ricolma in particolare di balsaalcuni edifici sacri (recinto 2 Marconi con altare monolitico al mari plastici a testa femminile, e, fornita di gradini, ha caratteri centro della cella e altare esterno 6 ; tempietti 2 e 3 Marconi con che l’avvicinano ad una piscina per abluzioni, e la sua connessiol’aggiunta di un vano orientale) 11 ed un nuovo piano di calpene con cisterne si spiega piuttosto nell’ambito di installazioni a stio. La trasformazione del recinto 2 in sacello tripartito mescopo religioso-rituale. 2 Tale carattere è confermato dalla quandiante l’aggiunta di un vano orientale, la cui datazione verso la tità di balsamari plastici presenti nella colmata della vasca, e che fine del iv sec. a.C. sarebbe suggerita dal dato di scavo (presennon erano anche estranei allo stesso strato archeologico all’inza di una thysia contenente “un vaso a vernice nera con costo3 terno del sacello. Sul significato religioso dei vasi configurati lature di epoca ellenistica”, convincentemente interpretato dal non è dubbio. 4 Giova sottolineare la particolare associazione del Pancucci 12 da una descrizione del giornale di scavo Marconi). balsamario plastico a testa femminile con culti caratterizzati dal D’altra parte una seconda fase costruttiva in questo periodo sui rito di bagni catartici e delle abluzioni. 5 Inoltre è noto come tali terrazzi del settore occidentale della collina dei templi (terrazzi forme rituali andassero dalle semplici abluzioni presso fonti alle su cui noi abbiamo visto articolate il grande santuario dedicaimmersioni parziali, ai veri e propri bagni in vasche. to sin dal periodo arcaico a Demetra Thesmophoros 13) non può Quando alla identificazione del culto, occorre considerarne la non collocarsi dopo il sacco cartaginese del 406, che comporparticolarità, in quanto non si conoscono altri luoghi da cui protò anche la distruzione dei luoghi di culti ricordata dalle fonti, e che certamente non dovette risparmiare il nostro santuario 1 P. Orlandini, Tipologia e cronologia del materiale archeologico di Gela, « ac », ctonio data la sua prossimità alle mura e alla Porta v. Anche xx, 1957, 57 ; N. Di Vita, « Kokalos », iv, 1958, p. 97 sgg. Recentemente il monumennel terrazzo ad Est il tempietto di impianto arcaico a ridosso to con analitica descrizione è stato ripreso in considerazione da Zoppi 2001, p. 133 sgg., a cui si rimanda per una completa bibliografia e per una soluzione “di compromesso” (edificio arcaico ristrutturato nel iv sec. a.C.), basata su sottolineature di tipologie architettoniche contrastanti e non prive di ibridismi presenti nell’edificio stesso. Tuttavia è da osservare che è difficile ammettere la presenza di un sacello arcaico addossato allo spigolo sud-est del grande Tempio di Zeus. 2 A Morgantina, nel temenos ctonio dell’area iv, la cisterna del cortile C, comunica con una vasca cilindrica nella roccia (E. Sjoquist, Timoleonte a Morgatina, 3 « Kokalos », cit., p. 113. Gabrici 1925, p. 443. 4 M. J. Maximowa, Les vases palstiques dans l’antiquité, Paris, 1927. Balsamari plastici simili al nostro provengono dal santuario delle acque di Fontana Calda presso Butera. D. Adamesteanu, « mal », 1958, p. 628, fig. 250. 5 Valga l’esempio dei bagni rituali di Cirene per la consacrazione delle ragazze ad Artemide, secondo la nota iscrizione della stele della Legge sacra (seg ix, 72) ; Cfr. F. Chamoux, Cyrène sous la monarchie des Battiades, Paris, 1953 ; Idem, Cyrene and Apollonion, an hystorical Guide, London, 1959, p. 52 sgg. ; Cirene, a cura di N. Bonacasa, Milano, 2000, p. 33. Cfr. anche ThesCRA, Los Angeles, 2000, p. 73 sgg.

6 Demetra e Kore entrano nella religiosità e nella propaganda religiosa timoleontea (Diod. xvi, 66,5 ; Plut. Tim 8,1 sgg.) 7 Plut. Tim. 3,3 ; 19,1 ; 21,7 ; 36,5 ; Corn. Nep. Tim. 4,3. Cfr. Sordi 1961, p. 83 sgg. L’articolazione dell’area sacra (cortile esterno e tempietto) richiama il santuario di Tyche a Delo dei primi decenni del iii sec. a.C. (Delos xi, p. 224, fig. 185). 8 Plut. Tim. 26,6, Cfr. G. E. Rizzo, Monete greche della Sicilia, Roma, 1946, p. 257, tav. lviii ; Consolo Langher, Un imperialismo tra democrazia e tirannide. Siracusa nel v e iv a.C., Roma, 1997, p. 186 sgg. ; B. Carroccio, Dal basileus Agatocle a Roma. Le monetazioni siceliote di età ellenistica, Soveria Mannelli, DiScAM, 2004, p. 261. 9 Diod. xvi, 66 ; vedi anche Plut. Tim. 8,1. 10 11 De Miro 2000 ; Zoppi 2001. Zoppi 2001, p. 17 sgg. ; p. 63 sgg. 12 D. Pancucci, I temene del santuario delle divinità ctonie ad Agrigento, in Φιλιας χαριν, Miscellanea di studi in onore di E. Manni, 1980, p. 1665 sgg. 13 De Miro 2000, p. 91 sgg.

agrigento in età ellenistica. aspetti di architettura della Porta negli ultimi decenni del iv e nei primi del iii sec. fu obliterato con l’innalzamento del livello del lastronato del piazzale antistante, e sulla fronte del sacello abbandonato fu eretto il singolare altare composto di due elementi cubici recintati, segni di una ripresa della duplice consacrazione a Demetra e a Kore. 1 Anche l’area sacra situata sul terrazzo più occidentale – noto come “terrazzo dei donari” – subisce, dopo l’abbandono delle strutture di vi-v secolo, una ripresa del culto con la costruzione al centro dell’area di una edicola sacra, al tempo stesso che l’edificio rettangolare trasversale, sorta di lesche, situato all’angolo nord-est dell’area viene ingrandito e trasformato in un sacello con l’aggiunta di un piccolo vano sul lato occidentale, 2 e la superficie dell’intorno si cosparge di thysiai con piccoli vasi di destinazione femminile, tutti databili tra gli ultimi decenni del iv e i primi del iii sec. a.C. L’abitato Dell’abitato di Akragas nel periodo protoellenistico non abbiamo a tutt’oggi colto brani consistenti e correlati nella vasta area del cosiddetto “Quartiere ellenistico romano”, nei vari saggi praticati in profondità alla ricerca dei livelli preromani. Possediamo, tuttavia, un rilevante brano dell’organizzazione urbana del periodo in questione sull’altopiano in declivio alla estremità sud orientale della Rupe Atenea (l’acropoli della città greca), dove recenti scavi hanno messo in luce un quartiere destinato ad abitazione e ad attività artigianali, con la definizione parziale di un isolato, orientato in senso nord sud secondo lo schema urbanistico regolare nella cui maglia si inserisce 3 (Fig. 12). L’isolato, delimitato da due arterie viarie, misura m 35 di larghezza ed è diviso in senso longitudinale da un ambitus di drenaggio. La porzione di isolato esplorata presenta una scansione ripetitiva dello spazio in lotti quadrati (m 17.50 x 17.50) e rettangolari (m 17.50 x 9.50) alternati, occupanti rispettivamente un area di mq 306.25 e mq 166.25 ; alcuni lotti non sono occupati da strutture abitative e costituiscono aree libere, verosimilmente di pertinenza della casa attigua, destinate ad attività artigianali. I nuclei abitativi occupano aree di diversa estensione, risparmiando talora una parte del lotto, e sono separate da canalette per lo scorrimento delle acque. Si distinguono tre differenti tipologie planimetriche. La Casa A presenta l’organizzazione più complessa con ambienti su quote differenti lungo due lati del cortile interno a L ; gli ambienti quadrangolari dell’ala occidentale a quota inferiore erano utilizzati come magazzini mentre la parte residenziale si può ipotizzare nell’ala nord a livello più accessibile dal cortile e da un secondo ingresso esterno sul lato est. La Casa C presenta una distribuzione nello spazio molto semplice, con due ambienti non comunicanti che si aprono su un cortile rettangolare fornito di pozzo. La Casa E, parzialmente scoperta, ha uno schema analogo, con due piccoli ambienti che si affacciano su un cortile a L bipartito. È possibile riconoscere nello schema planimetrico delle case esplorate un elemento comune, il cortile a L, che non occupa mai un’area centrale e interna della casa, ma si trova per lo più in posizione periferica, lungo il lato sud. Tale impianto abitativo, che i saggi stratigrafici dicono sorto su un precedente impianto distrutto alla fine del v sec. a.C., si identifica con un quartiere ricostruito nel iv sec. a.C., allorché lo strato di macerie venne livellato per creare un novo piano di calpestio ; e invale una nuova tecnica costruttiva al quanto irregolare “a pseudo telaio”, dove gli ortostati posti di coltello e i grossi blocchi non hanno funzione portante, come largamente 1 2

c.s.

De Miro 2000, p. 64 sgg. E. De Miro, V. Calì, Agrigento. Collina dei templi. Il terrazzo dei donari,

3 D. Deorsola, Il quartiere di Porta ii ad Agrigento, « QuadMessina », 6, 1991, p. 71 sgg.

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Fig. 12. Agrigento. Abitato nell’area di Porta II. Suddivisione dello spazio e le abitazioni.

attestato nel periodo a Eraclea Minoa e a Selinunte. La data di tale ricostruzione nel corso del iv sec. a.C., dopo la distruzione cartaginese non è ulteriormente precisabile ; certo è che nello strato relativo all’ultimo momento di vita del quartiere, la datazione del materiale (ceramica e terrecotte figurate) indirizzano verso gli ultimi decenni del iv-iii sec. a.C., per cui saremmo autorizzati a supporre che la vita si sia svolta a partire dal periodo timoleonteo-agatocleo e si sia arrestata con l’inizio della prima guerra punica. In effetti in Agrigento, da prima della metà del iii sec. a poco dopo la metà del ii sec a.C. (le date sono in misura convenzionalmente approssimative), la vita dovette languire e l’archeologia non coglie segni di rilevabile attività. È il periodo tormentato delle città di Sicilia, al di fuori di Siracusa, causa le vicende delle guerre puniche. Nel 264 a.C. Agrigento è in mano dei Cartaginesi di Annone, che fortifica la città e ne fa base di operazioni contro i Romani ; 4 nel 262 i Romani assediano e costringono i Cartaginesi ad abbandonare la città, la quale viene conquistata e gli abitanti furono venduti come schiavi. 5 Nel 254 Cartalone compie un’incursione su Agrigento presidiata dai Romani, la incendia e ne abbatte le mura, mentre i superstiti del presidio si rifugiano all’interno del tempio di Zeus Olimpio, evidentemente trasformato in fortezza. 6 Intorno al 250 Agrigento risulta saccheggiata da mercenari gallici. 7 Allo scoppio della seconda punica nel 213 Agrigento è rioccupata da Imilcone comandante della flotta cartaginese. 8 La città, che era rimasta in mano ai Cartaginesi anche dopo la caduta di Siracusa (211 a.C.), 9 fu piegata per tradimento dal console romano M. Valerio Levino, che la consegnò alla vendetta e alle razzie : 10 quanti avevano collaborato con i Cartaginesi furono giustiziati, gli altri venduti con i beni mobili. In tale situazione è chiaro che Agrigento non potesse produrre manifestazioni di vitalità, e la descrizione di Polibio della città (ix,27) tradisce l’ammirazione di una fonte quale non poteva essere più attuale al suo tempo. Assai grave deve essere stato il regresso demografico, con perdite di ricchezza, come lascia intendere per ultimo il ripostiglio di aurei “marziali” rinvenuto nel 1985 nell’area degli 4

Polyb. i 17-20 ; Diod. xxiii, 1-2 ; xxiii, 7-9. Diod. xxiii,18,2 ; Naev. Fr. 19, E. Marmorale, Naevius poeta, Catania, 1941, p. 26 sgg. Con l’evento distruttivo del 262 a.C. è stata messa in relazione la drastica interruzione di vita di un’area di abitato con caratterizzazione artigianale sulla Rupe Atenea (J. A. De Waele, Agrigento. Gli scavi sulla Rupe Atenea, 1970-1975, « NSc », 1980, p. 446. 6 Sulla trasformazione dell’Olympieion in fortezza correlata al muro di fortificazione attiguo appositamente costruito. V. E. De Miro, Agrigento. Scavi nel7 l’area sa Sud del tempio di Giove, cit., col. 196. Polyb. ii, 7,7. 8 9 10 Liv. xxiv, 35, 3. Liv. xxv, 40. Liv. xxvii, 40,13 sgg. 5

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ernesto de miro nia al museo di Napoli (ig xiv 952-3), 8 privilegio che gli agriedifici pubblici civili nel cuore della valle dei Templi ; esso dogentini conferiscono al siracusano Demetrio di Deodoto per vette essere seppellito, secondo una attendibile cronologia, in servizi resi a Roma dove doveva risiedere, prevedeva che una connessione con gli eventi bellici del 214-213 a.C., che videro la copia in bronzo dovesse essere posta ες τ βυλευτριν ; in rioccupazione cartaginese della città, e il suo mancato recupero esso Agrigento figura avere una συγλητς ρι ( = boulè), cioè, implica la morte violenta dei piccoli risparmiatori ; 1 nello stesso come generalmente si intende, un senato di 110 membri. In tale tempo notevole dovette essere lo sconvolgimento sociale con la caso si può opinare che il decreto di proxenia rispecchiasse con i riduzione in schiavitù della popolazione. Non è senza significato 110 membri senatoriali una situazione valida fino alla fine del iii che nella stele iscritta di Delfi relativa ai theorodokoi, databile tra secolo a.C., 9 e che a seguito della ripopolazione della città avveil 200 e il 198 a.C., fra le città decumane visitate dai sacri messi nuta nell’anno della pretura di Scipione Asiageno, poco dopo la delfici, pur essendo essa situata lungo il percorso battuto, non colonia dedotta dal pretore Manlius Vulso 10 e la conseguente lefigura, insieme ad altre, Agrigento. 2 giferazione de senatu cooptando e del rapporto tra vecchi e nuovi La situazione accenna a cambiare nel ii sec. a.C. Agrigento, cittadini, l’ampliamento della cavea del bouleuterion potesse risapunita per la politica filopunica e privata da Levino della aulire ai primi decenni, con una situazione che è ancora presente al tonomia, nel 197-193 a.C. riebbe un assetto cittadino ad opera tempo di Rupilio, e ancora al tempo di Verre. E se al bouleuterion prima del pretore Manlio Vulsone (197 a.C.), che, identificato ancora nella prima fase può essere appartenuto il decreto di procon il T. Manlius ricordato da Cicerone (Verr. ii, 123), ebbe il xenia al museo di Napoli, al bouleuterion di seconda fase (ii-i sec. merito di aver ridato autonomia alla città, e poi ad opera del a.C.) apparterrebbe il frammento di decreto onorifico al Museo pretore Cornelio Scipione l’Asiatico (193 a.C.) che avrebbe prodi Agrigento, rinvenuto nel corso degli scavi dell’edificio conmulgato leggi sulla cooptazione dei membri del senato cittadidotti negli anni ottanta. 11 no. 3 Nello stesso torno di tempo Agrigento batte monetazione 4 Abbandonata l’agorà inferiore, nel ii-i sec. a.C. al centro del in bronzo caratterizzata dalla testa di Zeus, anche se di dubbia tessuto urbano viene sistemata una piazza porticata con il temcelebrazione della ricostituzione cittadina, tuttavia da collocare pio sul fondo (il cosiddetto Oratorio di Falaride) 12 sul versante nel contesto delle ben 33 zecche attive in Sicilia, significative di meridionale della Collina di S Nicola, obliterando l’ekklesiasteuna ripresa economica già nella prima metà del ii sec. a.C. rion, che era stato costruito contemporaneamente all’impianto Nel 135 a.C. il territorio di Agrigento fu coinvolto nelle devaoriginario del bouleuterion sull’opposto versante settentrionastazioni provocate dalla rivolta servile. Nel 131 la vittoria di Rule, ad esso correlato. L’ekklesiasterion veniva abbandonato nel pilio sui rivoltosi dà avvio ad una operazione di ripopolamento corso del ii sec. a.C. e, nel ii-i sec. a.C. la sua struttura veni(noto è il caso di Eraclea 5) e di nuove norme nel settore giudiva ricoperta da uno spesso riempimento arenario (contenente ziario. Agrigento, come altre città, torna a ricomporsi nel suo frammenti di ceramica Campana C) a costituire il battuto di assetto urbano, già accresciuto non solo con gli elementi latini una piazza porticata, sul cui fondo veniva elevato un tempietto e italici, proprietari terrieri e commercianti ; 6 inoltre la città non prostilo, dorico-ionico su podio, preceduto da una gradinata. sembra che abbia ricevuto danni e compromissioni dalla seconL’edificio templare (Fig. 13), come è noto, consta di due parti : da rivolta servile di Salvo e Athenione (104-101 a.C.). Questo un basamento di m 2.50 x 8.90 ; un podio semplice alto m 1.57, e, trend favorevole deve essersi rafforzato nei primi anni del I sec. sopra, il tempietto misurante m 11 x 7.50, alto con la trabeazione a.C., allorché è governatore della Sicilia Asyllios (Diod. xxvii, m 7 ; la cella (m 6 x 5.30), è preceduta da pronao profondo (m. 8), di cui è stata proposta la identificazione con L. Sempronio 2.40) tra due corte ante con base attico-ionica, capitello dorico Asellio (96 a.C.) 7 e di cui Diodoro, per la pietas, l’evergetismo e sul davanti quattro colonne ioniche (diam. m 0.60), epistilio e corretta amministrazione, esalta il merito di “aver restituito con regolo a sei gocce, fregio a metope e triglifi ; in asse sulla l’isola all’antica felice prosperità”. Con ciò non si esclude che fronte, alla distanza di m 13,00, è l’altare quadrato con protheuno stato di sofferenza debbano aver risentito nel contesto delsis : caratteri tipologici e formali riconducono a esempi dell’aml’isola le città della zona occidentale nel corso della guerra tra biente microasiatico tardoellenistico. 13 Questo edificio, di cui Ottaviano e Sesto Pompeo. possiamo accogliere la datazione proposta dal Marconi (fine Su tale sfondo storico si muovono i dati archeologici relativi ii-i sec. a.C.) – datazione confermata dai nostri scavi nell’area ad Agrigento nel tardo ellenismo. del piazzale – appare collocato sul fondo di un’area libera porticata ma aperta, con unica parete a nord costituita dal pendio Gli edifici pubblici civili collinare. Ci troviamo, pertanto, in presenza di una concezione Abbiamo già accennato che la cavea del bouleuterion subisce un ancora ellenistica della piazza del foro, aperta e accessibile con ampliamento nella parte superiore nella misura di 3 gradini, sul fondo un tempio, che nella sua architettura si rifà a modelli operazione questa che è da mettere in relazione con una seconda ellenistici. 14 Ad Agrigento una concezione della piazza porticafase di vita, testimoniata da un livello di calpestio secondario ta cinta all’esterno e del tempio tipicamente romano con podio dell’orchestra, databile nel ii-i sec. a.C. (presenza di ceramica ad avancorpo è esemplificato più tardi, in periodo augusteoCampana C nello strato immediatamente al di sotto). A questo tiberiano, dal foro sul versante nord della collina, adiacente al punto si innesta il problema storico. Un noto decreto di proxevecchio bouleuterion risistemato. 1 M. Caccamo Caltabiano, Le prime emissioni dell’oro “marziale” romano. Il tesoretto di Agrigento 1987, « Quad.Messina », 5, 1990, p. 49 sgg. 2 Manganaro 1980, p. 419 (con bibliografia). 3 E. Gabba, Sui senati delle città siciliana nell’età di Verre, « Atheneum », xxxvii, 1959, p. 304 sgg. D. Asheri, Nota sul senato di Agrigento, « RivFilClass », xcvii, 1969, p. 268 ; Manganaro 1980, p. 423. 4 E. Gabrici, La monetazione del bronzo nella Sicilia antica, Palermo, 1927, 119 ; Manganaro 1980, p. 23 ; B. Carroccio, op. cit., p. 186 (per la iconografia si opina che essa «sembra essere stata adottata preferibilmente in anni di guerra o di immediato dopoguerra con una funzione di auspicio di vittoria o di liberazione»). 5 Cic. Verr. ii, 125. 6 Cfr. dedica posta a Roma nel 79 a.C. dagli Italici qui Agrigenti negotiantur (illrp. 380) 7 T. R. S. Broughton, The Magistrates of the Roman Rep. ii, New York, 1961, p. 9.

8 G. Forni, Intorno alle costituzioni di città greche in Italia e in Sicilia, « Kokalos », iii, 1957, p. 67 sgg. ; G Manganaro, « Historia », iii, 1964, p. 430 ; A. Ardizzone, « Kokalos », xiii, 1967, p. 172 sgg. ; D. Asheri, « Riv. Fil. e Istr. Class. », 1969, p. 268 sgg. 9 La datazione del decreto di proxenia è stato variamene posta tra il 220 e il 150 10 a.C. F. Gabba, « Atheneum », n.s. xxxiii, pp. 3-4. 11 S. Calderone, Frammento di decreto onorifico agrigentino, «Quaderni Univ Messina», 1, 1985-1986, p. 135 sgg. 12 P. Marconi, L’oratorio di Falaride, « NSc », 1923, p. 106 sgg. ; Idem, Agrigento. Topografia e Arte, Firenze, 1929, p. 124. 13 E. Akurgal, Ancient civilizations and Ruins of Turkey, Instanbul, 1973, p. 84 sgg. ; E. De Miro, Aspetti dell’urbanistica e dell’architettura civile in Agrigento, in Sicilia e Anatolia, Catania, 1980, p. 161 sgg. ; R. Bohn, Pergamon iv, Berlin, 1886, p. 41 sgg. ; Lauter 1986, p. 199. 14 E. De Miro, Da Akragas ad Agrigentum, « Kokalos », xlii, 1996, p. 271 sgg.

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Le aree sacre Il santuario delle divinità ctonie sulla Collina dei templi, che aveva avuto una storia significativa nei secoli vi, v e iv, mostra segni di vita che non vanno oltre i primi decenni del iii sec. a.C. È da riflettere sulla crisi dei culti ctoni tra la metà del iii e la metà del ii sec. a.C., quale si riscontra in altri siti di Sicilia. 1 Una ripresa di frequentazione e di interventi di restauro è testimoniata nell’ultima fase del santuario suddetto, con il restauro della cornice del Tempio detto “dei Dioscuri”, recentemente datata su convincenti basi formali nel ii sec. a.C. inoltrato. 2 La tholos elevata a spese dell’estremità meridionale del portico a squadra, sul terrazzo di Porta v, con il reimpiego nelle fondazioni di alcuni elementi del geison di un tempio classico, monumento, esso, sacro od onorario che fosse, per dati di scavo e confronti architettonici si colloca nel ii sec. a.C. 3 Inoltre nel ii sec. a.C. su basi di scavo, si colloca la costruzione delle edicole che sul medesimo terrazzo sacro vengono elevate a prospetto sulla plateia, che da Porta v conduce all’agorà. 4 L’abitato La più significativa e complessa testimonianza dell’urbanistica e dell’architettura domestica nel periodo tardo ellenistico-romano viene dallo scavo dell’area dell’abitato in contrada San Nicola, noto nella manualistica e nelle guide itinerarie con la denominazione di “quartiere ellenistico-romano”. 5 Come è noto, l’antica origine di tale scavo risale alla scoperta nel 1867 della c.d. “casa greca”, casa con grande peristilio, i cui scavi furono ripresi nel 1925 con la scoperta della Casa attigua con atrio e piccolo peristilio, e nel 1936 con la scoperta della Casa delle tabernae ad Est del cardo ii. A tali scavi di portata limitata seguì negli anni del dopoguerra (1953-1955) lo scavo su vasta scala per una area di 15000 mq, mettendo in luce un vasto quartiere abitativo sistemato nella maglia urbana con strade parallele nord-sud (4 stenopoi-cardines), incrocianti la grande arteria est-ovest (plateia-decumanus E-F nella aerofotogrammetria Griffo-Schmiedt), 6 che attraversava la porta meridionale mediana dell’impianto urbanistico. Su questa area si sono esercitati in vari periodi successivi sino ai nostri giorni saggi di controllo stratigrafico. L’intera area di scavo del quartiere sarà oggetto di pubblicazione in una notevole serie di monografie in corso di preparazione. In questa sede si può anticipare che in più punti i saggi hanno accertato che i muri perimetrali delimitanti i lotti e le unità edilizie si datano col nuovo impianto nel II-I secolo a.C. Tali muri perimetrali dell’impianto tardo ellenistico-romano non ha sempre rispettato gli allineamenti delle preesistenze, riconosciute nei momenti di vi-v sec. a.C. e di seconda metà del iv sec. a.C., anche se in alcuni casi i tracciati stradali nella loro regolarità risultano aver rispettato quelli preesistenti. Può essere significativo conoscere la modularità progettuale degli isolati (Fig. 14 a-c). Allo stato attuale dello studio si è operato il tentativo di risalire allo schema di lottizzazione nell’area delle insulae al momento dell’impianto tardo-ellenistico. Innanzi tutto si sono calcolate le dimensioni delle insulae in m 295x35 (tale sono rispettivamente 1 I. Romeo, Sacelli arcaici senza peristasi nella Sicilia greca, « Xenia », 1989, p. 5 sgg. ; V. Hinz, Der Kult von Demeter und Kore auf Sizilien und in der Magna Graecia, Wiesbaden, 1998. 2 von Sydow, Die Hellinischen Gebälke in Sizilien, « rm », 91, 1984, pp. 295-298 ; p. 3 353, n. 28. De Miro 2000, pp. 56 sgg. e 89. 4 De Miro 2000, p. 58 sg. 5 E. De Miro, Il quartiere ellenistico-roimano di Agrigento, « ral », 1957, p. 135 sgg. ; E. De Miro, La valle dei Templi, Palermo, 1994, p. 45 sgg. ; P. Griffo, Akragas-Agrigento. La Storia, la topografia, i monumenti, gli scavi, Agrigento, 1995. 6 Griffo-Schmiedt, Agrigento antica dalla fotografia aerea e dai recenti scavi, « L’Universo », 38, 1958, p. 289 sgg.

Fig. 13. Agrigento. Agorà superiore. La piazza porticata e il tempietto su podio.

le distane dalla plateia-decumanus E-F e la plateia-decumanus GH, e quelle tra gli stenopoi-cardines). Il piede che risulta essere alla base è di m 0,327 ca., quale troviamo valido in Agrigento anche nel periodo ellenistico (insula m 295=900 piedi). Sulla base dell’analisi delle strutture, evidenziando i legami tra i muri (quelli in senso est-ovest e quelli nord-sud, questi ultimi perimetrali e di limite lungo i cardines), all’interno di ogni singolo isolato sono state verificate le distanze tra le strutture, pervenendo alla determinazione di moduli ricorrenti che costituiscono la base della lottizzazione. L’analisi ha dato i seguenti risultati. Insula i : può essere divisa in cinque lotti larghi m 35,10. Sulla base dei primi due lotti misurabili, lunghi m 76,80 (lotto A) e m 46,75 (lotto B), corrispondente rispettivamente a un quarto e a un sesto dell’isolato, si può ipotizzare la presenza di altri tre lotti di misure corrispondenti a due lotti di tipo B e un lotto di tipo A. Insula ii : può essere divisa in sei lotti larghi m 34,10. Sulla base dei lotti misurabili, lunghi m 41,25 (lotto C) e m 57,85 (lotto D) ; corrispondenti rispettivamente a un settimo e un quinto dell’isolato, si può ipotizzare la presenza di altri quattro lotti, di misure corrispondenti a due lotti di tipo C e due lotti di tipo D; in questo isolato sono presenti tre ambitus, tutti di età tardo-ellenistica, che premettono di ipotizzare già a livello progettuale la parcellizzazione ulteriore in lotti sia in senso nord-sud che in senso est-ovest, ottenendo unità abitative minori. Insula iii : lo strato di conservazione dell’isolato consente di rilevare solo la presenza di tre piccoli lotti, lunghi m 37 e larghi m 33 ca., corrispondenti rispettivamente a un ottavo dell’isolato separati in senso nord-sud da un ambitus che determina una larghezza di m 16,10.

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ernesto de miro A considerazione conclusiva, si può osservare come la dimensione dei lotti e degli isolati, e di conseguenza la superficie abitativa delle case, diminuisca procedendo verso Est, ovvero man man che ci si allontana dall’area centrale del tessuto urbano e dal sistema degli edifici pubblici dell’agorà superiore. Per quanto riguarda la definizione cronologica della lottizzazione si può escludere che questo risalga al periodo delle preesistenze arcaiche, anche se i saggi stratigrafici hanno confermato che i muri perimetrali degli isolati vengono in alcuni casi edificati in questo periodo. In attesa del completamento dell’analisi tecnica dell’apparecchio murario, si può sin da ora fondatamente proporre che la ripartizione sopra descritta sia stata impostata in età ellenistica e abbia costituito il palinsesto per le successive fasi insediamentali di età romana. Può essere altrettanto significativo produrre la esemplificazione di una abitazione, quale si coglie nella casa IB (casa con atrio e peristilio nella definizione del Gabrici). La casa, che in età romana imperiale occupa in senso est ovest lo spazio tra due cardines presenta la seguente successione tipologico-struttiva (Figg. 15-16-17) : Abitazione B1 a Ovest, fase i : casa con semplice atrio e accesso dal cardo i ; periodo tardo ellenistico. Abitazione B1 fase ii : casa con atrio tetrastilo, tablinum e ambienti disposti sui lati nord est e ovest ; fine i sec. a.C. Abitazione B2 attigua a Est, fase i : casa separata da un ambitus di drenaggio dalla casa B1 ; atrio centrale. Periodo tardo ellenistico Abitazione B2 fase ii : piccolo peristilio con quattro colonne per lato ; fusione delle due case B1 e B2 ; unificazione del tablinum con soluzione doppia, aperto parte sull’atrio tetrastilo parte sul piccolo peristilio ; prima età imperiale. In epoca imperiale successiva avviene la fusione della casa B con la casa attigua A detta “del grande peristilio”. Fig. 14. Agrigento. Il Quartiere ellenistico-romano : a. schema

planimetrico delle strutture legate ai muri perimetrali degli isolati ; b. Modulo della lottizzazione degli isolati ; c. Distribuzione delle unità abitative negli isolati.

Dall’esposizione oggettiva dei dati archeologici contestualizzati, relativa alla configurazione architettonica di Agrigento dal iv-

Fig. 15. Agrigento. Il Quartiere ellenistico-romano. Insula i. Pianta schematica della casa B1 e della casa B2 (1a fase).

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Fig. 16. Agrigento. Il Quartiere ellenistico-romano. Insula i. Pianta schematica della casa B, e della casa B2 (2a fase) e della casa attigua A (3a fase).

iii al ii-i sec. a.C. si possono trarre conclusioni di ordine più generale. Se è vero che l’ellenismo siciliano si esalta nel iii sec. a.C., ciò vale in particolare per la Siracusa di Ierone II e la sua epicrateia immediata ; ma rimane discutibile l’estinguersi della vicenda ellenistica alla fine del secolo, 1 con la presa della città da parte di Marcello e il successivo assetto dell’isola a opera di Marco Valerio Levino. Agrigento – ma il discorso può essere esteso ad altri siti – non “brucia” l’esperienza culturale ellenistica con il concludersi del iii sec. a.C., ma – sia pure senza riconoscibile continuità, in una situazione di decantato riassetto della stessa provincia romana – a partire dalla metà del ii sec. a.C. appare dispiegare segni ancora validi di quella cultura, nell’organizzazione urbanistica, talora anche nella modularità podismale, nelle strutture domestiche, nelle nuove agorai-fori, nell’architettura degli edifici sacri, nella tenace persistenza delle tradizionali tecniche murarie e decorative. Abbreviazioni bibliografiche Consolo Langher 2000 = S. Consolo Langher, Agatocle, Soveria Mannelli, 2000. De Miro 2000 = E. De Miro, Agrigento i. I santuari urbani. L’area sacra tra il tempio di Zeus e Porta v, i-ii, Roma, 2000. De Miro 2003 = E. De Miro, Agrigento ii. I santuari extraurbani. L’Asklepieion, Soveria Mannelli, 2003. 1 N. Bonacasa, L’ellenismo e la tradizione ellenistica, in Sikanie, Milano, 1985, p. 277 sgg. ; Idem, Riflessioni e proposte sulla ricerca archeologica nella Sicilia del III sec. a.C., in Nuove prospettive della ricerca sulla Sicilia del iii sec. a.C., Soveria Mannelli, Di.Sc.A.M., 2004, p. 35 sgg. (con bibliografia).

Fig. 17. Agrigento. Il Quartiere ellenistico-romano. Insula ii. Casa E, amb. l 1 sezione stratigrafica dell’impianto ellenistico-romano e delle preesistenze. Gabrici 1925 = E. Gabrici, Girgenti. Scavi e scoperte archeologiche dal 1916 al 1924, « NSc », 1925, p. 437 sgg. Lauter 1986 = H. Lauter, L’architettura dell’ellenismo, tr. it., Milano, 1986. Manganaro 1980 = G. Manganaro, La provincia romana in Sicilia antica, a cura di E. Gabba, G. Vallet, ii, 2, Napoli, 1980. Sordi 1961 = M. Sordi, Timoleonte, Palermo. 1961. Sordi 1980 = M. Sordi, L’intervento di Timoleonte in Sicilia, in Sicilia antica, a cura di E. Gabba, G. Vallet, ii, 1, Napoli, 1980, p. 262 sgg. Zoppi 2001 = C. Zoppi, Gli edifici arcaici del santuario delle divinità ctonie di Agrigento. Problemi di cronologia e di architettura, Torino, 2001.

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Gioacchino Francesco La Torre URBANISTICA E ARCHITETTURA ELLENISTICA A TINDARI, ERACLEA MINOA E FINZIADE : NUOVI DATI E PROSPETTIVE DI RICERCA 1. Introduzione

U

na corretta valutazione critica sulle manifestazioni dell’architettura ellenistica in Sicilia non può prescindere da una datazione dei monumenti quanto più precisa e documentata possibile ; 1 molte delle difficoltà interpretative con le quali ci stiamo confrontando in questo Convegno nascono proprio dal fatto che le cronologie correntemente proposte per gran parte dei complessi monumentali siciliani di epoca ellenistica non si basano su dati stratigrafici verificabili, 2 ma piuttosto su affermazioni generiche, spesso desunte solo dalla lettura delle fonti, una lettura talvolta viziata da pregiudizi ideologici, tendenti a far coincidere una presunta crisi culturale dell’Isola con la conquista romana. 3 Questa breve premessa è necessaria a spiegare il motivo per il quale, essendomi stato proposto dagli organizzatori di esaminare i centri di Tindari, Eraclea Minoa e Finziade, io prenda le mosse proprio dall’ultimo, Finziade, il meno noto, dove però, grazie alla liberalità della Soprintendenza Beni Culturali di Agrigento, ho la fortuna di poter dirigere un importante intervento di scavo nell’ambito del por Sicilia 2000-2006. 4 2. Cenni su Finziade La città di Finziade fu fondata dal tiranno agrigentino Finzia nel 282 a.C., come racconta Diodoro, quale nuova sede dei Geloi superstiti alla violenta distruzione della loro città, operata qualche anno prima da Finzia stesso, 5 forse per mano dei mercenari Mamertini, prima del loro definitivo stanziamento a Messana. 6 La città, in effetti l’ultima fondazione greca di Sicilia, sorge alla foce del Salso, l’antico Himera, all’estremità orientale della Montagna di Licata 7 (Fig. 1) ; essa si configura come il primo epi1 A tutt’oggi non si dispone di alcun contributo di sintesi sull’architettura ellenistica siciliana ; una utile messa a punto delle principali problematiche in R. J. A. Wilson, Roman Architecture in a Greek World : the Example of Sicily, in Architecture and Architectural Sculpture in the Roman Empire, a cura di M. Henig, Oxford, 1990 e Idem, Sicily under the Roman Empire. The archaeology of a roman province 36bcad535, pp. 17-31. 2 A tal proposito si rimanda all’esauriente disamina delle principali problematiche di recente proposta da L. Campagna, La Sicilia di età repubblicana nella storiografia degli ultimi cinquant’anni, « Ostraka », xii, n. 1, 2003, pp. 7-31. Sono grato all’amico Campagna per aver discusso a lungo con me le problematiche relative a vari aspetti dell’archeologia e della storia della Sicilia di età repubblicana. 3 Tale tendenza è stata portata alle estreme conseguenze da Filippo Coarelli nei suoi due contributi alla Storia della Sicilia ed in un saggio di poco successivo : cfr. F. Coarelli, La cultura figurativa in Sicilia nei secoli iv e iii a.C., in La Sicilia antica, a cura di E. Gabba, G. Vallet, Napoli, 1979, ii, 155-182, Idem, La cultura figurativa in Sicilia. Dalla conquista romana a Bisanzio, ivi, pp. 371-392, Idem, La Sicilia tra la fine della guerra annibalica e Cicerone, in Società romana e produzione schiavistica, i. L’Italia : insediamenti e forme economiche, a cura di A. Giardina, A. Schiavone, Bari 1981, pp. 1-18. Sulla carica ideologica del dibattito ha posto l’accento M. Mazza, Terra e lavoratori nella Sicilia tardorepubblicana, ivi, p. 19. Su questa complessa problematica rimando anche alle considerazioni da me recentemente formulate in un articolo di imminente pubblicazione, cfr. La Torre 2005a. 4 A tal proposito, desidero ringraziare il Soprintendente ai Beni Culturali di Agrigento, nella persona della dottoressa Graziella Fiorentini prima e della dottoressa Gabriella Costantino poi, per avermi consentito, nell’ambito di una apposita convenzione tra il Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Messina e l’Assessorato Regionale BB.CC.AA. e P.I., di lavorare a Licata. Un ringraziamento sentito va anche ai miei collaboratori sul campo : anzitutto al dottor Fabrizio Mollo e al Geom. Fedele Candia, amici e compagni di molte avventure archeologiche, all’Architetto Angelo Di Franco, Direttore dei lavori, al Sig. Giuseppe Profumo, preziosissimo assistente, e ai miei studenti : Marzia Buceti, Manuela Lupo, Elena 5 Diod. xxii, 2. Poma, Clara Terranova, Alessio Toscano, Laura Venuti. 6 Diod. xxiii, 1.4. 7 Sul territorio di Licata rimando ad un mio recente lavoro : La Torre 2005d, con bibliografia precedente.

sodio urbano nel territorio di Licata, interessato da una presenza stanziale greca, di matrice agrigentina, fin dal secondo quarto del vi secolo a.C. ; la nuova fondazione assume un carattere sinecistico dal momento che coincide con la fine di almeno altri due insediamenti limitrofi, oltre a Gela : il sito rurale di Poggio Marcato d’Agnone, sulle colline subito a Nord di Licata, 8 ed il centro indigeno di Monte Saraceno di Ravanusa, lungo la valle del Salso, 9 che sembrano esaurirsi proprio coi primi decenni del iii sec. a.C. La città si sviluppa sulle pendici meridionali e sud-orientali del Monte Sant’Angelo, la più orientale delle alture che costituiscono la Montagna di Licata ; 10 interventi di scavo effettuati dalla Soprintendenza hanno portato alla luce, negli anni ’80, settori di abitato 11 e aree di necropoli di età ellenistica sufficienti a delinearne, seppur ancora in maniera sommaria, la topografia urbana 12 (Fig. 2). 3. Architettura domestica ellenistica a Finziade Le scoperte più interessanti, frutto di ricerche sistematiche, provengono dallo scavo di un settore di abitato, iniziato nel 1994 dalla Soprintendenza 13 e ripreso nel dicembre del 2003 da chi vi parla, 14 sulla balza subito sottostante il Castel Sant’Angelo (Fig. 2.4), fortificazione aragonese che occupa la sommità della collina (m 134 s.l.m.). Qui si sono finora portate completamente alla luce due abitazioni (case 1 e 2) e la metà di una terza (casa 3), disposte in senso N-S, una accanto all’altra, all’interno di un isolato non ancora esplorato nella sua interezza (Fig. 3) ; esse presentano caratteristiche ricorrenti che ne suggeriscono la comune adesione ad un modello prestabilito : hanno misure costanti : m. 14,30 in senso E-W x 13,40 in senso N-S, compresi i muri perimetrali, per un’estensione di m2 190 ca. Le case 1 e 2 sono accessibili da Est, attraverso un corridoio stretto e lungo che introduce ad un cortile centrale scoperto, dotato di cisterna, intorno al quale si dispongono 8-9 ambienti : i più ampi e rappresentativi a Nord del cortile, quelli di servizio – bagno e cucina – ad Ovest, i depositi a Sud. Per ovvie ragioni di tempo, non posso in questa sede descrivere nel dettaglio l’articolazione delle case ; 15 mi limito solo a ricordare che, in tutte e tre, il vano centrale dell’ala settentrionale si segnala per la presenza di un altare in crudo, rivestito in stucco, destinato ai culti domestici ; nella casa 1 l’altare è in corrispondenza di una profonda nicchia praticata nel muro di fondo, decorata con quattro cariatidi in stucco. 16 La casa 1, profondamente incassata nel banco roccioso, aveva anche un piano superiore in corrispondenza dei tre vani a Nord 8

Barra Bagnasco 1989. Sul sito di Monte Saraceno si veda ora Il Centro Antico di Monte Saraceno di Ravanusa. Dall’archeologia alla storia, Campobello di Licata (ag), 2003, in particolare A. Siracusano, Preistoria, insediamento indigeno e acropoli greca, p. 52. 10 Cfr. La Torre 2005b. 11 Fiorentini 1988-1989. 12 Le aree di necropoli, individuate prevalentemente lungo le pendici orientali e settentrionali del Monte Sant’Angelo, sono note solo attraverso alcuni materiali di 13 corredo esposti nel Museo. Fiorentini 1997-1998. 14 Per una notizia preliminare sulla campagna 2003-2004 si veda La Torre 2005c. 15 Per una preliminare descrizione delle abitazioni finora scavate rimando a La Torre 2005c. 16 In proposito si veda anche Fiorentini 1997-1998, p. 9, tav. xiv, figg. 3-4. 9

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Fig. 1. Licata : il territorio.

Fig. 2. Licata : topografia del Monte Sant’Angelo : 1. S. Antonino ; 2. Via Cotturo ; 3. Piazza Sicilia ; 4. scavi Castello ; 5. scavi Via S. Maria ; 6. Cimitero vecchio.

del cortile, documentato dai crolli dei pavimenti, degli intonaci parietali e delle cornici stuccate e dipinte. 1 Le pareti dei vani al pianterreno sono semplicemente rivestite da intonaco bianco, talvolta con una zoccolatura rossa, con cornici in stucco in corrispondenza delle porte ; 2 i pavimenti delle case 1 e 2 sono di calce e ciottoli ; il vano 3 della casa 3, invece, presenta 1

Notazione già presente in Fiorentini 1997-1998, p. 9. Nel crollo del vano 2 della casa 2, in corrispondenza del vano di comunicazione con l’ambiente 1 si è rinvenuto un grosso frammento di cornice ionica a dentelli sormontata da un fregio di perle e astragali, cfr. ad esempio von Sydow 1979, n. 6, p. 187, fig. 6, da Marsala. 2

un bel signino con tessere marmoree inserite a formare un motivo a linee parallele chiaramente sovrapposto, in un secondo momento, all’originario consueto pavimento in calce e ciottoli. Numerosi elementi di decorazione parietale e pavimentale, talvolta anche di qualità superiore, provengono dalle case parzialmente scavate dalla Soprintendenza lungo la Via Santa Maria (Fig. 2.5), un terrazzo posto più in basso lungo il medesimo versante meridionale del Monte Sant’Angelo. 3 3

Per una presentazione preliminare dei risultati degli scavi di via S. Maria, oltre a

urbanistica e architettura ellenistica 85 ampio vano, pure aperto a Sud sul cortile, dotato di altare in La casa tipo emersa dagli scavi di Finziade mostra somigliancrudo con corrispondente nicchia nel muro. 4 ze sorprendenti con alcune delle abitazioni portate alla luce neLe affinità si estendono anche alla tecnica edilizia – zoccolagli anni ’50 e ’60 ad Eraclea Minoa, 1 fondazione selinuntina alla foce del Platani e poi presidio occidentale del territorio di Agriture in blocchi e blocchetti di pietra locale e alzato in crudo –, gento, con funzioni in qualche modo parallele a quelle di Licata ; nonché alle decorazioni pavimentali e parietali – pavimenti in mi riferisco, in particolare, alle tre case iia, b e c nel quartiere a calce e/o cocciopesto con tessere inserite e intonaci e cornici in Sud del teatro (Fig. 4). stucco di i stile –. 5 Anche qui abbiamo la successione di tre abitazioni delle stesse 4. Tracce dell’impianto urbano di Finziade dimensioni, m 13,50 x 11,50 ; la più orientale delle quali, la a, di dimensioni maggiori (19 x 11,50), poi tagliata dal più recenPassando ora ad osservare l’impianto urbano di Finziade, notiate braccio di muro di fortificazione, potrebbe essere il risultato mo come le tre case di Castel Sant’Angelo si affacciano ad Est su dell’unificazione di due abitazioni precedenti pure di m 13,50 x uno stenopos N-S, ampio circa m. 3, 6 mentre ad Ovest confinano 11,50, visto che la sua parte occidentale è articolata in maniecon un’area non urbanizzata ; in senso Est-Ovest, invece, tra la ra del tutto analoga alla casa b ; al momento della costruzione casa 1 e la 2 abbiamo rinvenuto, come ad Eraclea, uno stretto del braccio di muro orientale della fortificazione, che riduce la ambitus di m 0,60 di larghezza (Fig. 6) ; le case 2 e 3, al contra2 superficie dell’abitato di Eraclea, una parte della supposta casa rio, hanno il muro perimetrale in comune, così come la casa 1 e ad oriente della a sarebbe andata distrutta, mentre la parte più quella a monte, non ancora scavata. occidentale di questa sarebbe stata annessa alla casa a contigua pertanto, che ci troviamo di fronte ad un isolato poRitengo, (Fig. 5). In sostanza, è possibile ipotizzare per Eraclea una orial margine occidentale dell’abitato, largo solo m 14,30 e di sto ginaria successione di quattro case simili contigue, di m 13,50 sconosciuta, non inferiore, tuttavia, a m 54,20, lunghezza ancora x 11,50, accessibili da uno stenopos E-W di m 5 di larghezza, case di m 13,40 più l’ambitus mediano ; maggiopari a quattro separate a due a due da un ambitus trasversale di m 0,80, ben ri informazioni in merito alla scansione degli isolati si possono visibile tra la casa a e la b, fiancheggiate a Nord dalla strada ii, tuttavia trarre dallo scavo di via Santa Maria condotto, per esiattualmente di ampiezza variabile, forse un originario ambitus di tutela, lungo la strada moderna per un fronte di m 60 genze longitudinale, poi allargato ad Est. Est-Ovest e per una profondità variabile, ma mai circa in senso 2 Le case, un po’ più piccole rispetto a quelle di Licata, di m 7 Gli ambienti identificati, pur non potendo superiore ai m 15. 155 ca., presentano tuttavia un’articolazione planimetrica assai restituire alcuna abitazione completa, suggeriscono tuttavia una simile : uno stretto corridoio dà accesso ad un cortile centrale, articolazione urbana regolare, orientata in maniera analoga alle qui privo di cisterna, circondato da 6/7 ambienti ; la casa b aveva case scavate presso il Castello, con una leggera declinazione ver3 anche un secondo piano, assai ben documentato dai crolli ; la so Ovest rispetto al Nord (Fig. 7). casa c, infine, analogamente a quelle di Finziade, presenta un Partendo da Ovest riconosciamo l’ambiente 17, pertinente ad una casa altrimenti ignota, ad Est del quale corre un ambitus N-S Fiorentini 1988-1989, si veda anche De Miro A. 2005, che presenta numerose cordi m 0,60 ; segue un gruppo di ambienti 13, 14 15, 18 e 21, pronici in stucco di notevole qualità, un clipeo in stucco, diversi frammenti di intonaco parietale dipinto in colori vivaci con motivi geometrici, nonché un bell’emblema in tessellato bianco, circondato da una cornice a onde in tessere rosse, scoperto nel 1961 in una abitazione di Via Santa Maria, all’interno di un vano, allora interamente conservato, come si desume da una foto dell’archivio della Soprintendenza, pavimentato in signino con tessere inserite ; per l’emblema in tessellato, attualmente esposto al Museo di Licata, si veda von Boeselager 1983. 1 Sulle case di Eraclea si veda De Miro 1966a e De Miro 1980, pp. 717-721. 2 3 De Miro 1958, pp. 232-243. De Miro 1966a, p. 227.

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De Miro 1966a, pp. 231-232. von Sydow 1979, pp. 230-231. Lo stenopos è stato identificato limitatamente ad un piccolo saggio ad Est della casa 1, saggio che dovrà essere ripreso ed ampliato nel corso della prossima campagna. 7 Per una preliminare descrizione degli ambienti e per un primo tentativo di identificazione funzionale si veda De Miro A. 2005. 5

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Fig. 3. Licata : planimetria ricostruttiva delle case a Sud del Castello.

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Fig. 4. Eraclea Minoa : planimetria schematica del blocco II del quartiere a Sud del teatro.

Fig. 5. Eraclea Minoa : planimetria ricostruttiva della prima fase del blocco II del quartiere a Sud del teatro.

babilmente organizzati intorno ad un cortile 20, per un’ampiezza complessiva di m 14,00, lambiti ad Est da uno spazio privo di strutture di m 3 di larghezza, interpretabile come strada ; ad Ovest di questo stenopos sembra potersi enucleare, negli ambienti 19, 1, 2 e 3, un’altra abitazione, ampia in senso E-W m 12,30,

a fianco della quale corre un altro stretto ambitus di m 0,60 ; ad Est di questo, sebbene in pessime condizioni di conservazione, si può individuare un’altra unità abitativa negli ambienti 5, 6 e 8, larga m 13,70 ca. e fiancheggiata da una strada di m 3 di ampiezza, attraversata da canalette ; ancora più ad Est, gli ambienti

urbanistica e architettura ellenistica 87 che dovevano attraversare in senso Est-Ovest, con un tracciato quanto più possibile pianeggiante, il versante meridionale del colle a varie quote. L’organizzazione dell’impianto che si può ipotizzare sulla base dei dati ad oggi noti, trova confronti con numerose altre città ellenistiche di Sicilia, nelle quali la sequenza regolare di isolati rettangolari con un rapporto di 1 :2 o poco più viene imposta anche in presenza di forti condizionamenti orografici ; ricordo i casi di Solunto, Halaesa, Morgantina, Tindari, Eraclea Minoa, Monte Iato. 2 5. Cronologia delle case di Finziade

Fig. 6. Licata ; Monte S. Angelo : veduta dell’ambitus.

4 e 10 sembrano pertinenti ad una quinta abitazione, della quale manca il limite orientale. L’impianto urbano di Finziade, quindi, combinando i dati di Via Santa Maria e quelli del quartiere del Castello 1 sembra articolato in isolati rettangolari orientati Nord-Sud, ampi m 27/28 e lunghi non meno di m 54, come visto ; essi sono fiancheggiati da strade Nord-Sud in forte pendio, ampie m 3 ca., gli stenopoi, e suddivisi nel senso della lunghezza da un ambitus centrale di m 0,60 ; l’isolato sembra inoltre diviso da ambitus anche in senso Est-Ovest, ogni coppia di case, esattamente come ad Eraclea. È molto probabile che tutti gli isolati si affacciassero su strade più ampie, le plateiai, non ancora intercettate con lo scavo, 1 Ricordo come tutta la balza a fianco e al di sotto del Castello e fino alla Chiesa della Madonna di Pompei sia interessata da una serie numerosissima di affioramenti rocciosi regolarizzati artificialmente che presentano tutti un comune orientamento, analogo a quello delle strutture attualmente in corso di scavo ; in alcuni casi questi tagli delineano chiaramente degli ambienti, interamente o parzialmente ricavati nella roccia ; presso alcuni di questi affioramenti nel 1985-86 sono stati effettuati dalla Soprintendenza dei saggi di scavo che ne hanno confermato l’appartenenza al tessuto urbano della città ellenistica, purtroppo del tutto inediti. Parallelamente allo scavo estensivo del settore di abitato a Sud del Castello, l’équipe di ricerca dell’Università di Messina sta cercando di procedere al rilevamento topografico di tutte le emergenze per giungere all’obiettivo di redigere una carta archeologica completa di Finziade.

Dobbiamo ora esaminare con cura i dati stratigrafici offerti dallo scavo di Castel Sant’Angelo, dati che inducono a riconsiderare taluni aspetti cronologici dell’urbanistica e dell’architettura ellenistica in Sicilia e che suggeriscono una nuova e diversa valutazione storica di certi fenomeni archeologici. Lo scavo di Licata ha restituito una chiara successione di cinque fasi, ben datate attraverso i materiali rinvenuti, che brevemente riassumo (Fig. 8) : fase i : frequentazione precedente alla fondazione di Finziade ; fase ii : ambienti a-b, poi tagliati dalle case 1-2 e dall’ ambitus ; fase iii : costruzione delle case 1-3 e dell’impianto urbano ; fase iv : distruzione delle case 1-3 ; fase v : spoliazione dei muri perimetrali delle case 1-3.

Le prime due fasi, pertanto, sono precedenti alla costruzione delle case e, quindi, la definizione della loro cronologia è molto importante quale terminus post quem per la datazione dell’impianto urbano regolare di Finziade e delle abitazioni a cortile centrale. Un saggio stratigrafico condotto al di sotto del livello pavimentale del vano 1 della casa 1 (Fig. 9) ha restituito un contesto più antico dell’impianto urbano, la nostra fase I ; il vano 1 e gli altri del settore meridionale della casa, al contrario di quelli settentrionali, profondamente incassati nel banco roccioso, pog2 Sull’urbanistica siciliana di età tardoclassica ed ellenistica si veda R. Martin, P. Pelagatti, G. Vallet, G. Voza, Le strutture urbane ed il loro rapporto con la storia, in La Sicilia antica, a cura di E. Gabba, G. Vallet, i, pp. 259-268, Di Vita 1985, pp. 410-412 e Bonacasa 1987-1988.

Fig. 7. Licata : planimetria ricostruttiva degli isolati di via Santa Maria.

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Fig. 8. Licata : le fasi dello scavo a Sud del Castello.

Fig. 9. Licata : il saggio nel vano 1 della casa 1.

giano su un livello di riporto, costituito da gettate di terreno nerastro alternate a pietrisco ; frammisti al terreno di riporto, numerosi frammenti ceramici di seconda metà iv ed inizi iii illustrano una fase di frequentazione precedente alla fondazione di Finziade ; elementi significativi per l’attribuzione cronologica sono una lucerna acroma, 1 una kylix a vernice nera forma Morel 4213, 2 frammenti di ceramica siceliota a figure rosse e di ceramica sovradipinta di tipo Gnathia, frammenti di anfore mgs v 3 ed altro. 4 Si tratta di un contesto del tutto analogo a quello restituito dallo scavo della fattoria di Poggio Marcato d’Agnone, pure datato dalla Barra tra il 350 ed il 280 a.C. ; 5 questo livello docu1 La lucerna della US 366 presenta una vasca circolare, fondo piatto, tubicino centrale e orlo rivolto verso l’interno ed appartiene ad un tipo, ancora di tradizione classica, molto frequente nella seconda metà del iv sec. a.C. ; per un confronto dalla vicina necropoli Pezzino di Agrigento si veda De Miro 1989, tomba 136, pp. 81-82, tav. lxii. 2 La serie, molto diffusa in Sicilia, si data molto bene nella seconda metà del iv sec. a.C., cfr. Morel 1981, p. 295. 3 Si tratta di anfore vinarie, meglio conosciute come greco-italiche antiche, ben databili tra 350 e 280 a.C. sia in Sicilia che in Magna Grecia, cfr. Vandermersch 1995, pp. 76-80. 4 Nella US 366, inoltre, sono presenti anche vari altri frammenti di ceramica a vernice nera e di ceramica d’uso comune con un patrimonio formale del tutto diverso rispetto ai contesti più recenti che esamineremo. 5 Barra Bagnasco 1989, pp. 97-99.

menta, pertanto, uno dei villaggi greci attivi sulla Montagna di Licata prima del sinecismo di Finzia, della cui esistenza abbiamo una pallida eco nella tradizione letteraria 6 e qualche altro resto archeologico. 7 Le strutture della fase ii, invece, si sono conservate ad Ovest delle case 1 e 2, nello spazio non urbanizzato nella fase iii (Fig. 10) ; si tratta di ambienti poveri ed irregolari che sfruttano il banco roccioso, integrandolo con pietrame minuto messo in opera senza legante ; sul fondo dei cavi di spoliazione dei muri perimetrali della fase iii sono visibili altri tagli sulla superficie del banco che completano la planimetria delle strutture di fase ii. 8 Nei livelli d’uso e di distruzione di questi due ambienti si è rinvenuto materiale che consente di datare la fase nel corso del iii secolo a.C. ; particolarmente indicativi sono : un unguentario piriforme 9 e due skyphoi forma Morel 4375, 10 una lucerna acroma con orlo arrotondato all’interno, 11 anfore mgs vi. 12 Si tratta, con ogni evidenza, della prima Finziade, quella subito successiva alla fondazione del 282 a.C. Prima di discutere la cronologia della fase iii, che qui più interessa, mi sia consentita una notazione di carattere metodologico : se con il nostro scavo non avessimo intercettato anche le 6 Plut. Dion. 26. A tal proposito si veda G. Manganaro, Metoikismos-metaphorà di poleis in Sicilia : il caso dei geloi di Phintias e la documentazione epigrafica dei medesimi, in Storia e archeologia della media e bassa Valle dell’Himera. Atti iii giornata di studi sull’archeologia licatese, i convegno sull’archeologia nissena. Licata-Caltanissetta 1987, Palermo, 1993, pp. 33-34. 7 Si tratta del tesoretto IGCH, n. 2130, datato al 350-340, rinvenuto a Monte Sant’Angelo. 8 Altri tagli nella roccia che descrivono ambienti quadrangolari, caratterizzati da un orientamento simile ai vani a e b, sono ben visibili a Nord della casa 1 e potrebbero dunque testimoniare una maggiore estensione dell’abitato nella fase ii ; su questi ambienti si veda Fiorentini 1997-1998, pp. 7-8. 9 Si tratta di un unguentario con due bugnette applicate sulla spalla, decorato con sottili fasce di colore rosso sulla spalla stessa proveniente dalla US 186, simile all’esemplare della tomba 1668 di Agrigento, cfr : De Miro 1989, p. 84, tav. 61, datata nella prima metà del iii sec. a.C. nella tabella riassuntiva a p. 93. 10 Rispettivamente dalla US 175 e dalla US 184 ; la serie è databile tra la fine del iv ed il iii sec. a.C., cfr. Morel 1981, pp. 311-312. 11 Si tratta di una lucerna con vasca a parete curva e orlo arrotondato verso l’interno, piuttosto comune in contesti di iii sec. a.C. ; cfr. ad esempio la tomba 1303 della necropoli Pezzino ad Agrigento, De Miro 1989, p. 85, tav. lxix. 12 Le cosiddette greco-italiche recenti sono ben datate, sia in Sicilia che in Magna Grecia, in contesti tra il 280 a.C. e la seconda guerra punica, cfr. Vandermersch 1995, pp. 81-87.

urbanistica e architettura ellenistica

Fig. 10. Licata : i vani a-b di II fase.

strutture di pieno iii secolo, quelle della fase ii, intermedia tra la frequentazione tardo-classica e l’impianto ellenistico, il saggio nel vano 1 della casa 1 ci avrebbe indicato quale terminus post quem per la costruzione dell’abitazione l’inizio del iii secolo : a Finziade, quindi, sicuramente il 282 a.C., data di nascita della città, certificata dal testo di Diodoro. 1 L’esempio di Licata, pertanto, ribadisce che il terminus post quem deve essere considerato come tale, tenendo presente che tra il momento di formazione dello strato o, meglio, tra la cronologia dei materiali che esso contiene e l’attività stratigrafica che lo intacca può trascorrere anche un tempo assai lungo ; tali precisazioni di carattere metodologico, certamente superflue in questo contesto, vanno tuttavia ribadite per contrastare una diffusa tendenza ad utilizzare il terminus post quem piuttosto come ad quem o post quem non, per accreditare datazioni più risalenti di monumenti che si preferisce collocare in un quadro storico ancora caratterizzato dal prevalere dell’elemento greco. L’impianto urbano di Finziade e le case in esso contenute sono quindi sicuramente posteriori alla fase I, di metà iv-inizi iii, ma anche alla fase ii, di pieno iii sec. a.C. I materiali rinvenuti all’interno dei vani, oltre a residui di iii sec. a.C., coprono essenzialmente il ii e la prima metà del i sec. a.C. ; 2 più in particolare, la suppellettile rinvenuta a contatto di pavimento, al di sotto dei crolli, si data tra la fine del ii e la prima metà del i sec. a.C. : anfore Dressel IB e IC, anfore iberiche del tipo Maña C2b e Dressel 9 e 12, lucerne del tipo Dressel II e Dressel IIIa, vernice nera di tipo C, presigillata. Gli stucchi e gli intonaci dipinti rinvenuti nei crolli riportano pure ad un orizzonte del tardo ellenismo, così come le quattro figurine di cariatide in stucco, confrontabili con quelle in terracotta rinvenute nella nota casa alle pendici del Calvario di Centuripe 3 e datate agli inizi del i sec. a.C. 4 L’unico rinvenimento che si può ipoteticamente accostare alla fase di costruzione della casa 1 è il tesoretto rinvenuto nel 1998 nel vano 7, costituito da 2 denari (Fig. 11), 272 quinari e 169 sesterzi, tutti databili a partire dal 211 a.C., secondo la cronologia di Crawford, 5 e da un eccezionale gruppo di monili d’oro (Fig. 12), anch’essi databili alla fine del iii secolo, costituito da quattro mezzi bracciali in lamina a sbalzo con protome leonina alla estremità, dalle cui fauci fuoriesce una piccola catena, pure 1 Ad una tale conclusione si è in effetti pervenuti nella nota preliminare, cfr. Fiorentini 1997-1998, p. 9. 2 Si veda già Fiorentini 1988-1989, p. 20 (ii-i sec. a.C.) e Fiorentini 19971998, p. 9 (iii-i sec. a.C.). 3 Edificio scavato agli inizi del secolo scorso e poi ricoperto, sul quale si vedano G. Libertini, Centuripe, Catania 1926, pp. 54-64 e ora R. P. A. Patané, Centuripe in età ellenistica : i rapporti con Roma, in Scavi e ricerche a Centuripe, a cura di G. Rizza, Catania, 2002, pp. 142-144. 4 E. Schmidt, Geschichte der Karyatide, Wurzburg, 1982, p. 116 sgg. e Bonacasa 1985, p. 332. 5 M. Crawford, Roman Republican Coinage, Oxford, 1974 e Idem, Coinage and Money under the Roman Republic, London, 1985, pp. 52-74.

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Fig. 11. Licata : tesoretto del vano 7 della casa 1 – denarius e quinarius.

Fig. 12. Licata : tesoretto del vano 7 della casa 1 – bracciali, anello e medaglione.

in oro, alla quale doveva agganciarsi la seconda metà del bracciale, un quinto bracciale frammentario, un anello con castone in pietra dura e un medaglione aureo con testa di Medusa a rilievo, circondato da catena mobile. 6 Il tesoretto, pertanto, visto il suo rinvenimento tra i detriti del crollo delle strutture del vano soprastante l’ambiente 7 7 e la composizione assai omogenea, sembra essere stato occultato, forse nella muratura, 8 da uno dei primi abitatori della casa e non più implementato ; della sua esistenza si doveva essere persa memoria al momento della distruzione, tanto che è potuto giungere fino a noi, diversamente da tutte le altre suppellettili di pregio che la casa, non ricchissima, ma neanche modesta, doveva possedere e delle quali, invece, non v’è traccia, evidentemente portate via dagli ultimi proprietari o trafugate. Il tesoretto, quindi, potrebbe costituire un ulteriore elemento in favore di una datazione della casa 1, tra le fine del iii e gli inizi del ii sec. a.C. Per tutti questi motivi, la casa 1 e, di conseguenza, anche la ridefinizione dell’impianto urbano di Finziade devono essere posti negli anni subito successivi agli eventi della II guerra punica ; da Livio sappiamo che, nel 209 a.C., Marcello, dopo la presa di Agrigento, vinse l’ultima resistenza cartaginese sull’isola proprio lungo l’Himera 9 e, quindi, nel territorio di Finziade. 6 Sul tesoretto si veda G. Fiorentini, Città e campagna nella Sicilia ellenistica, in Teocrito nella storia della poesia bucolica. Atti del convegno nazionale (Milazzo 1998), a cura di G. Ramires, Milazzo 1999, pp. 178-186 e in ultimo De Miro A. 2005. 7 Gli esecutori dello scavo del 1998 riferiscono che le monete e i gioielli sono stati recuperati a circa cm. 30 al di sopra del piano pavimentale del vano 7, in uno strato caratterizzato da una grande massa di terriccio argilloso, il disfacimento dei mattoni crudi coi quali erano costruite le murature del piano superiore. 8 A tal proposito si veda già Fiorentini, art. cit. a nota 45, 182. 9 Liv. xxv, 40-41.

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gioacchino francesco la torre urbanistico della città agli anni subito successivi la ii guerra puLa cittadina, pertanto, da avamposto militare romano, base nica, quando anche Eraclea, con la definitiva romanizzazione, sia per la flotta che per l’esercito nel corso della i punica, 1 in quei frangenti definita πολισμτιον da Polibio, 2 probabilmenassume un ruolo economico rilevante, quale caricatore di un te alleata fedele anche nei decenni successivi, con la definitiva ricchissimo entroterra produttivo ; 10 in precedenza e fino a tutta la II guerra punica, era stata un avamposto punico, solo episoconquista di tutta l’isola muta il suo ruolo, per divenire uno dei principali caricatori del grano siciliano alla volta di Roma, come dicamente passato sotto il controllo greco : con Timoleonte, nel 339 a.C., 11 con Agatocle, nel 307 a.C. 12 e con Pirro nel 277 ; 13 nel ci suggerisce un noto passo ciceroniano che la affianca ad Halae357 a.C., infatti, è controllata dai Cartaginesi quando vi giunsa e Catania quale centro portuale dove un produttore ennese avrebbe indifferentemente potuto concentrare e consegnare al ge Dione ; 14 nel 313 a.C. il trattato tra Amilcare e Agatocle ne 3 sancisce l’appartenenza a Cartagine 15 fino alla conclusione delle pretore le sue mercanzie. La polis dei Geloi, come viene definita Finziade nella nota guerre puniche. 16 Le case del i strato, ia-e, più povere e meno regolari, 17 e l’asiscrizione Kaibel 256, centro mercantile e portuale, deve essere setto che l’abitato assume alla fine del ii sec. a.C., documentano stata frequentata nel ii e agli inizi del i sec. a.C., almeno fino alpiuttosto una stagnazione nello sviluppo della città, esplicitata l’epoca di Cicerone, da mercatores romani e italici e da publicani e deve aver sviluppato una modesta aristocrazia locale, orgogliosa anche dalla costruzione del braccio di muro N-S che esclude del proprio ruolo e del proprio rango, entrambi riconosciuti e una parte dell’abitato e taglia alcune delle case del II strato 18 e dal parziale disuso del teatro 19 (Fig. 13) ; questa contingenza, da sostenuti da Roma ; ciò determina l’esigenza del rinnovamento urbanistico e dell’adeguamento delle residenze private che i noaddebitarsi almeno in parte anche agli effetti delle guerre servili, stri scavi hanno iniziato a documentare. 4 prelude al definitivo abbandono, avvenuto, come a Finziade, in Se questi fenomeni sono da collocare tra gli ultimi anni del conseguenza dei rivolgimenti politici di epoca cesariana e triuiii e i primi decenni del ii sec. a.C. sulla base dell’evidenza mvirale, dalle guerre contro i pirati al blocco navale di Sesto stratigrafica, occorre necessariamente procedere ad una riconPompeo, alla vittoria di Ottaviano a Nauloco ed alla riorganizsiderazione della cronologia degli impianti urbani e delle archizazione augustea, eventi che determinano quella condizione di tetture domestiche che mostrano caratteri simili e che vengono generale abbandono della costa meridionale della Sicilia regiinvece considerati più antichi di almeno un secolo, con i consestrata da Strabone. 20 È molto probabile che già nel corso della seconda metà del II guenti riverberi sull’inquadramento storico generale. sec. a.C. il ruolo di Eraclea e, seppur in minor misura, di Finzia6. Eraclea Minoa de sia stato progressivamente assorbito da Agrigento, che inizia a riemergere come centro egemone di tutta la costa ad Est di LiIn primo luogo dobbiamo rivolgere lo sguardo alla vicina libeo e dove, intorno al 70 a.C., stando a Cicerone, risiedevano Eraclea che, oltre alle già segnalate affinità nello schema dell’immoltissimi cittadini romani. 21 pianto urbano e nella tipologia abitativa, condivide con Finziade Lo studio del quartiere ellenistico-romano, al quale il Prof. anche la fase di distruzione, intorno alla metà del i sec. a.C., De Miro sta attendendo, aiuterà certamente a meglio intendere qui preceduta da una crisi, probabilmente determinata dalle due queste rilevantissime problematiche. 22 guerre servili, ma non solo, con conseguente impoverimento delle architetture private e degrado di quelle pubbliche e del7. Tindari l’impianto urbano. 5 Diverso, ma molto utile come elemento di confronto in un Per le case di Eraclea, così simili a quelle di Licata, come vidifferente contesto geografico e culturale, è il caso di Tindasto, è stata proposta una generica datazione tra la fine del iv e la ri, fondazione dionigiana del 396 a.C. 23 su un promontorio prima metà del iii secolo a.C. ; 6 occorre notare, tuttavia, che le case iia e iic, ma forse anche la iib, recano tracce di riutilizzo affacciato sul Tirreno, km 60 ad Ovest di Messina ; gli scavi degli nella fase successiva, il c.d. i strato, 7 collegata alla colonizzazione di Rupilio del 131 a.C., 8 e che vengono abbandonate nel corso di questa fase ; per il resto dell’area urbana, interessata da altri scavi successivi alle del i sec. a.C. indagini degli anni ’60, non ancora noti, sembra che gli edifici del c.d. ii strato siano Una datazione più bassa delle case iia, b e c di Eraclea, tra la rimasti in uso fino alla definitiva distruzione della città, quasi ovunque databile nel terzo quarto del i sec. a.C. fine del iii e gli inizi del ii, in analogia con quanto documentato 10 L’entroterra di Eraclea Minoa risulta particolarmente ricco e sviluppato e caa Finziade, renderebbe meno drastica la cesura tra le fasi i e ii ratterizzato da una certa parcellizzazione della proprietà ancora fino in epoca tardoche, del resto, non risultano quasi mai chiaramente sovrapporepubblicana, cfr. Wilson 1990, pp. 221-223. 11 E. De Miro, Eraclea Minoa e l’epoca di Timoleonte, « Kokalos », iv, 1958, pp. ste una all’altra ; 9 ciò consentirebbe di riportare il rinnovamento 12 1

2 Pol. i, 25 e i, 53 ; Diod. xxiv, 1. Pol. i, 53, 10. Cic., In Verrem ii, 3, 192 4 Sull’adeguamento in età repubblicana degli stili di vita delle classi elevate siciliane agli standards romani e italici rimando a La Torre 2005a, pp. 141-145. 5 De Miro 1966a, pp. 221-226. 6 De Miro 1966a, p. 233, e De Miro 1981. 7 Per la casa c si veda De Miro 1981, pp. 718-719 ; per la casa a De Miro 1966a, pp. 228-231 e De Miro 1981, pp. 719-721 ; per la casa b il De Miro pensa al ii sec. a.C. anche se i materiali e gli elementi della decorazione pavimentale e parietale non escludono un utilizzo della stessa nella prima metà del i sec. a.C. Indicazioni cronologiche più puntuali provengono dallo scavo di una casa posta all’incrocio tra lo stesso stenopos iii sul quale affacciano le case iia, b e c, e la plateia N-S ; l’abitazione qui parzialmente messa in luce, dotata di una corte porticata, un piccolo peristilio tetrastilo, poggia su gettate di materiale di riporto con materiali databili tra la fine del iv e la prima metà del iii sec. a.C., che ne costituiscono il terminus post quem per la costruzione, ed è abbandonata nel terzo quarto del i sec. a.C. ; cfr. L. Campagna, Una nuova abitazione ad Eraclea Minoa : primi dati, in Ricerche sulla casa in Magna Grecia e Sicilia, F. a cura di D’Andria, K. Mannino, Galatina (le), 1996, pp. 111-122. 8 Cic. In Verrem, ii, 2, 125. 9 Si ha l’impressione, in realtà, che le abitazioni del I strato, più povere e urbanisticamente irregolari, abbiano occupato settori dell’abitato precedentemente riservati a spazi pubblici, come l’area antistante il teatro, dove maggiore è la presenza 3

69-81. Diod. xx, 56, 3. 13 14 Diod. xxii, 10, 2. Diod. xvi, 9, 4 ; Plut., Dio. xxv, 5-6. 15 Diod. xix, 71, 7. 16 Per un esame completo delle fonti si veda F. Basso, G. Nenci, E. De Miro, in btcg, vii, 1989, s.v. Eraclea Minoa, pp. 234-243. 17 Per una descrizione delle case del I strato si veda De Miro 1966a, pp. 221226. 18 Sul braccio di muro di fortificazione orientale si veda De Miro 1958, pp. 232243. Il muro di fortificazione, a sua volta articolato in almeno due fasi, costituisce un terminus ante quem per la prima fase della casa a, che taglia, ed un terminus post quem per la sua ristrutturazione che gli si appoggia. Purtroppo non vi sono elementi di cronologia assoluta, per la datazione delle fasi del muro : rapporti tra le strutture stabiliscono che la prima fase del muro è successiva alle strutture abitative del ii strato e in relazione con il teatro ; la seconda fase, invece, che mostra un considerevole ispessimento del muro, precede le strutture del I strato ; cfr. De Miro 1958, pp. 242-243. 19 Sulle costruzioni addossate al teatro nell’ultima fase di vita della città si veda De Miro 1958, pp. 257-260. 20 Strabo vi, 2, 5 : « Delle altre due coste della Sicilia, quella che congiunge il Pachino al Lilibeo è del tutto abbandonata e non conserva che qualche resto di antichi insediamenti, fra cui quello di Camarina, colonia siracusana. Continuano invece ad esistere Agrigento, colonia di Gela, ed il suo porto e la città di Lilibeo ». 21 Cic., In Verrem ii, 2, 123 e ii, 4, 93. 22 Si veda per ora, E. De Miro, Il quartiere ellenistico-romano di Agrigento, « ral », 23 xiii, 1957, p 135 sgg. Diod. xiv, 78, 5-6.

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Fig. 13. Eraclea Minoa : planimetria del quartiere a Sud del teatro.

anni ’50 e ’60, ancora sostanzialmente inediti, 1 ci restituiscono un interessante spaccato della vita di un isolato in una città che, a differenza di Finziade ed Eraclea, ha avuto anche una florida fase imperiale, quale Colonia Augusta. 2 Ai fini del nostro discorso sull’urbanistica e l’architettura domestica, lo scavo integrale dell’insula iv risulta prezioso, anche se problematico, soprattutto per quanto riguarda la cronologia, questione centrale nella prospettiva di questo contributo (Fig. 14). L’isolato tindaritano, infatti, nei secoli ha subito profonde alterazioni ; è inserito nella maglia urbana tra la plateia superiore e la mediana e misura m 28,30 x 72,40, compreso il corridoio di servizio delle Terme che, in età imperiale, occupa parte della sede stradale ; è fiancheggiato da due stenopoi di m 3 di larghezza e, in origine, era suddiviso da un ambitus longitudinale N-S 3 (Fig. 15). Saggi effettuati al di sotto dei livelli tardo-ellenistici e romani della casa B hanno restituito strutture murarie orientate con la rete stradale, 4 attribuibili ad abitazioni private disposte su due file, separate dall’ambitus. 5 Sulla base del ricorrere di taluni allineamenti nelle strutture portanti delle case b e c e delle Terme, quasi sempre coincidenti con salti di quota, è possibile ricostruire l’isolato originario come ipoteticamente costituito da due file di cinque abitazioni 1 Per un brevissimo resoconto preliminare si veda Bernabò Brea-Cavalier 1965 ; maggiori informazioni sugli scavi degli anni 1950-1952 in Lamboglia 1953 e M. A. Mezquiriz, Excavaciones estratigraficas de Tyndaris, « Cesaraugusta », 5, 1954, pp. 85-99. Ulteriori osservazioni in Wilson 1990, pp. 120-122. 2 Si vedano alcune iscrizioni pubbliche con la titolatura completa della colonia, cil x, nn. 7474, 7475, 7476, 7478 e 7480. 3 Bernabò Brea-Cavalier 1965. 4 Su questi resti più antichi si veda Lamboglia 1953, p. 81 e Bernabò Brea-Ca5 valier 1965, p. 206. Si veda in proposito La Torre 2005a, pp. 135-141.

Fig. 14. Tindari : planimetria dell’insula iv (da Bernabò Brea-Cavalier 1965).

di m 14 x 13,50 ca., dimensioni molto simili a quelle delle case di Finziade ed Eraclea che abbiamo appena esaminato (Fig. 16) ; dai pochi resti superstiti e sulla base di altri allineamenti ricorrenti in tutto l’isolato, si può ipotizzare che si trattasse di case del tipo a cortile centrale, anche tipologicamente analoghe a quelle di Eraclea e Finziade. Certo è che, diversamente da quanto osservato a Finziade e ad Eraclea, a Tindari si assiste non solo alla nascita, ma anche al consolidamento e alla crescita economica di una prorompente aristocrazia indigena che accumula surplus e genera nuove esigenze di ostentazione di status e velleità di autocelebrazione che si traducono, nell’architettura domestica, nell’acquisto di più unità immobiliari e nella costruzione di vaste dimore estese m2 800-1000, come le case b e c, 6 nelle quali sono presenti molti dei segni tipici di quella luxuria asiatica che si impadronisce delle classi elevate di Roma, del Lazio, della Campania tirrenica, di parti del Sannio e anche dei centri più vitali della Sicilia, soprattutto settentrionale ed occidentale, tra la metà del ii e la metà 6 Su queste due abitazioni si veda Lamboglia 1953, 81, limitatamente alla casa b, qui ancora chiamata a, lettera poi passata ad indicare le botteghe, Bernabò BreaCavalier 1965, Wilson 1990, pp. 120-122 e La Torre 2005, pp. 135-141.

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gioacchino francesco la torre

Fig. 15. Tindari : veduta dell’ambitus longitudinale.

del i sec. a.C. : vasti peristili, exedrae colonnate, oeci, spaziosi andrones, pavimenti in tessellato policromo, 1 decorazioni parietali in i e ii stile, 2 cornici in stucco, 3 capitelli corinzi, 4 ma anche suppellettili in metalli preziosi, stoffe e tappeti ; elementi, questi, quasi tutti assenti ad Eraclea e Finziade. Ma anche per Tindari risulta purtroppo problematico l’inquadramento cronologico di questi fenomeni ; nell’opinione prevalente l’impianto urbano è ritenuto di epoca timoleontea, 5 mentre i resti delle più antiche strutture residenziali sono datati tra l’età di Timoleonte 6 e quella di Agatocle ; 7 le case b e c, invece, sono ormai più facilmente databili tra la fine del ii (la c) 8 e la prima metà del primo (la b). 9 In un lavoro di recente pubblicazione su Tindari, 10 al quale rimando, ho affrontato diffusamente il tema dell’inquadramento cronologico dell’impianto urbano (Fig. 17), che presenta sostanziali analogie, tanto nel fondamento teorico che nelle applicazioni pratiche, con quelli di Solunto, Halaesa, Eraclea Minoa, Morgantina 11 ed ora anche Finziade, ipotizzandone una datazione comunque successiva all’alleanza stipulata con Roma nel 254 a.C.

Fig. 16. Tindari : proposta di ricostruzione dell’insula iv di prima fase.

1

von Boeselager 1983, pp. 39-46, dalla casa b. von Boeselager 1983, pp. 39-46, dalla casa b. 3 von Sydow 1979, p. 207, tav. 47, 3, dalla casa b. 4 H. Lauter Bufe, Die Geschichte des sikeliotisch-korintischen Kapitells, Mainz, 1987, pp. 19-21, dall‘esedra della casa c. 5 F. Barreca, Tindari dal 345 al 317 a.C., « Kokalos », iv, 1958, pp. 145-150, Bernabò Brea-Cavalier 1965, Bonacasa 1987-1988, pp. 154-155. 6 Bernabò Brea-Cavalier 1965, p. 206. 7 8 Lamboglia 1953, p. 81. Wilson 1990, p. 120. 9 Lamboglia 1953, p. 81, Bernabò Brea-Cavalier 1965, p. 207, Wilson 1990, 10 122. La Torre 2005a. 11 Per gli impianti di queste città si veda Di Vita 1985 e Bonacasa 1987-1988. 2

Fig. 17. Tindari : l’impianto urbano : 1. Santuario ; 2. Rocca Femmina ; 3. Cercadenari ; 4. Basilica ; 5. Teatro ; 6. Isolato iv ; 7. presunta agorà ; 8. Necropoli.

8. Evoluzione degli impianti urbani siciliani di epoca ellenistica Lo spazio urbano di tutte queste città e di altre ancora non sufficientemente note – si pensi a Segesta, Entella, Monte Iato,

urbanistica e architettura ellenistica 93 Palermo, Lilibeo, Cefalù, Termini Imerese, Caleacte –, cinto da consegue che l’impianto urbano costituisce un sicuro terminus mura poderose, sebbene si sviluppi in aree a pendio più o meno post quem per la loro datazione. sensibile, presenta comunque una serie di tre o quattro plateiai Mi pare superfluo ribadire come io propenda per una cronologia più bassa 7 e rimarcare lo scarto con le datazioni correnti a quote diverse, raccordate da numerosi stenopoi ortogonali, che collocano il teatro di Tindari in età timoleontea 8 e quello di con forte pendenza, talora gradonati, che danno luogo ad isolati Eraclea tra il iv ed il iii sec. a.C. 9 rettangolari disposti con il lato corto sulle plateiai, ma non più Tra i due edifici, tuttavia, esistono notevoli differenze tipoloallungatissimi, come nelle città tardo-arcaiche e classiche ; ora il rapporto tende all’1 :2, contro l’1 :4 di città sicuramente timogiche ; quello di Eraclea, privo di una scena in muratura, adotta leontee – Gela Capo Soprano e Camarina –. 1 una soluzione piuttosto arcaica per la cavea che eccede di molAllo stato attuale delle conoscenze non disponiamo di eleto oltre il semicerchio, con segmenti rettilinei e non curvilinei menti cronologici certi per la datazione degli impianti di queste (Fig. 13) ; quello di Tindari, invece, tanto per la cavea che per l’edificio scenico (Fig. 18), adotta soluzioni più evolute e mocittà che, tuttavia, vengono considerati emblematici della precostra confronti stretti con quelli di Solunto, 10 Monte Iato 11 e Segece applicazione in Sicilia dei principi dell’urbanistica ippodamea, sta, 12 con scena del tipo a parasceni (Fig. 19) ; i saggi stratigrafici così come codificati nel iv secolo a.C., soprattutto per quanto rieffettuati da Francesco D’Andria nel riempimento della cavea guarda la rigida applicazione anche in contesti orografici impervi, come Priene ; essi vengono tutti collocati nella temperie della del teatro di Segesta indicano una data tra la fine del ii e gli inizi rinascita culturale timoleontea quando, anche in piccoli centri del i per la costruzione 13 e contribuiscono a rafforzare analoghe datazioni per gli edifici simili, compreso quello di Tindari ; per della Sicilia occidentale, come Monte Iato o Solunto, soltanto quest’ultimo, come per quello di Monte Iato, resta la possibilità momentaneamente sottratti al dominio punico, verrebbero apche la cavea possa essere un po’ più antica dell’edificio scenico a plicati modelli ed esperienze appena maturati in Grecia, Macedonia ed Asia Minore. 2 parasceni, mai anteriore, comunque, al teatro tardo-ieroniano di Le stratigrafie emerse a Licata inducono a meditare su questi Siracusa, 14 modello per tutti gli altri, come vedremo tra breve. fenomeni di urbanizzazione ; rimanendo nell’ambito dei centri Una conferma della datazione bassa degli edifici scenici a a me assegnati, le turbolente vicende politiche che hanno inteparasceni viene da Eraclea ; qui, infatti, le tarde strutture del I strato, di fine ii-i sec. a.C., si addossano ai muri di analemma ressato sia Tindari che Eraclea tra l’età timoleontea e la conquista romana, lasciano ipotizzare che solo con la conclusione della cavea e obliterano le strutture della scena, ancora in legno della i guerra punica, se non addirittura dopo la ii, soprattutto e crudo, a giudicare dagli esigui resti conservati. 15 Pertanto, concordemente a quanto ravvisato nel campo delper Eraclea, sia stato possibile porre mano al rinnovamento dell’architettura domestica, nei decenni a cavallo tra ii e i sec. a.C., l’aspetto urbano, opera che presuppone una forte autorità politica capace di imporre una completa ridefinizione del regime delle mentre il teatro di Eraclea, che possiamo ritenere coevo all’improprietà ed una radicale riorganizzazione sociale e politica del pianto urbano per l’arcaicità delle soluzioni adottate, viene oblicorpo civico. terato dalle povere abitazioni dell’ultima fase della città, a Tindari, accanto alla comparsa di ricche domus a peristilio, si assiste La recente proposta di abbassare la cronologia dei decreti di alla costruzione di un poderoso edificio scenico a due piani, al Entella alla fine della i guerra punica, 3 se non oltre, ci fornisce un’importantissima testimonianza epigrafica dell’attività di sicoronamento del quale, in via ancora del tutto ipotetica, si ponecismo, consistente nella ricomposizione delle fratture polititrebbero attribuire le due belle Nikai volanti acroteriali in marche interne e nella ricostruzione dei rapporti diplomatici esterni mo insulare del 100 a.C. ca., rinvenute nell’area monumentale che impegnano le comunità della Sicilia occidentale devastate della città nell’‘800 e confluite, senza memoria del luogo preciso di rinvenimento, una al Museo di Palermo e l’altra nella colledalla guerra. zione del Barone Sciacca della Scala e poi a Siracusa. 16 9. I teatri di Eraclea e Tindari 10. Conclusioni Prima di concludere questo intervento, occorre esaminare, sepDa questo troppo rapido esame della documentazione offerta pur brevemente, l’architettura pubblica, con le sue imponenti dai siti di Tindari, Eraclea e Finziade si possono trarre, tuttavia, realizzazioni che documentano il rinnovato orgoglio civico di spunti utili per ulteriori approfondimenti. molte delle poleis della Sicilia ellenistica. I dati restituiti dallo scavo di Licata inducono a riconsiderare Per Finziade non abbiamo ancora elementi, se non l’ipotesi di ubicare l’agorà nell’area del Cimitero vecchio (Fig. 2.6), sorto le cronologie, non altrettanto ben definite su base stratigrafica, sul Convento dei Cappuccini, intorno alla Chiesa di S. Michele di molti degli impianti urbani e dei complessi monumentali elleArcangelo, l’unico terrazzo pianeggiante sufficientemente este7 so, posto a mezza costa tra la sommità del M. S. Angelo ed il In relazione alla problematica sullo sviluppo tipologico e cronologico dell’edificio teatrale in Sicilia, problematica assai complessa, anche in relazione alle porto ; da quest’area provengono colonne, 4 nonché la nota iscriinfluenze che il cosiddetto “sizilische Theatermuster” ha esercitato sul teatro italico zione Kaibel 256, 5 un decreto del δμος τν Γελιων, rinvenuta tardo-repubblicano, sui cui si veda H. Lauter, Die hellenistischen Theater der Samninel 1660 al di sotto della torretta di guardia di S. Barbara, oggi ten und Latiner in ihrer Beziehung zur Theaterarchitektur der Griechen, in Hellenismus in Mittelitalien, a cura di P. Zanker (Kolloquium in Göttingen 1974), Göttingen, 1976, non più esistente, ma ubicabile nei pressi del Convento dei Capii, pp. 413-430, rimando a La Torre 2005a, pp. 129-135. puccini. 6 8 9 L. Bernabò Brea 1964-1965, pp. 135-136. De Miro 1966b. 10 Per Tindari ed Eraclea ci limitiamo al teatro ; allo stato attuale A. Wiegand, Das Theater von Solunt. Ein besonderer Skenentyp des Spathellenismus auf Sizilien, Mainz am Rhein, 1997 non vi sono sostanziali novità da apportare al dibattito, se non 11 Da ultimo, H. P. Isler, Il teatro greco di Iaitas, « SicArch », xxxiii, 98, 2000, la considerazione che entrambi, pur non essendo inseriti nella pp. 201-220. 12 maglia urbana (Figg. 13 e 17), risultano orientati con essa ; ne Sul teatro di Segesta si vedano H. Bulle, Untersuchungen an Griechischen Thea1

Di Vita 1985, pp. 410-411. Di Vita 1985 e, più diffusamente, Bonacasa 1987-1988. C. Ampolo, in Da un’antica città di Sicilia. I decreti di Entella e Nakone (catalogo mostra), Pisa, 2001, pp. vii-xiv. 4 Si tratta di fusti in pietra rivestiti di stucco e dipinti in rosso, conservati nel 5 Museo di Licata. ig xiv, 256. 6 I. Paternò, Principe di Biscari, Viaggio per tutte le antichità della Sicilia, Palermo, 1817, p. 117. 2 3

tern, München, 1928, pp. 110-131, M. Bieber, The History of the Greek and Roman Theater, Princeton, 1961, p. 170, e H. P. Isler, Contributi per una storia del teatro antico : il teatro greco di Iaitas e il teatro di Segesta, « nac », x, 1981, pp. 154-163. 13 F. D’Andria, Ricerche archeologiche sul teatro di Segesta, in Seconde giornate internazionali di studi sull’area elima (Atti Convegno Ghibellina 1994), Pisa-Gibellina, 1997, pp. 429-450. 14 Sul teatro di Siracusa le posizioni più condivisibili sono quelle espresse dal Bernabò Brea, cfr. L. Bernabò Brea, Studi sul teatro greco di Siracusa, « Palladio », 15 xvii, 1967, p. 97 sgg. De Miro 1966b. 16 P. Zanker, Zwei akroterfiguren aus Tyndaris, « rm », 22, 1965, pp. 95-99.

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gioacchino francesco la torre

Fig. 18. Tindari : planimetria del teatro.

Fig. 19. Tindari : resti dell’edificio della scena.

nistici di Sicilia ; l’esame dei casi, così diversi tra loro, di Eraclea e Tindari mostra come questo tentativo, non contraddetto da alcuno dei dati in nostro possesso, consenta un miglior inquadramento storico tanto dei fenomeni di urbanizzazione, da collocare tra la seconda metà del iii e gli inizi del ii sec. a.C., dopo la conquista romana, che dei casi di rinnovamento architettonico e di acquisizione di modelli orientali, da porre invece tra la seconda metà del ii e gli inizi del i sec. a.C. Da questo discorso è purtroppo assente Siracusa, il cui ruolo, invece, credo sia stato centrale, soprattutto in epoca ieroniana ; è molto probabile, infatti, che nella Siracusa di Ierone II, forte dell’alleanza con Roma, in qualche modo compartecipe della cacciata dei Cartaginesi, abile nel destreggiarsi tra le potenze dell’epoca utilizzando sapientemente la sovrabbondante produzione cerealicola, siano stati adottati per la prima volta in Sicilia quei tipi urbanistici ed architettonici che vedremo poi diffondersi nei decenni successivi nel resto dell’Isola.

L’urbanizzazione della Neapolis, culminata dopo il 241 a.C. con la costruzione da parte di Ierone II dell’Ara di Zeus 1 e del teatro, 2 costituisce certamente un modello, analogamente a quanto è stato già evidenziato per la decorazione pavimentale e parietale 3 e per le membrature architettoniche, 4 sperimentate nell’ambiente di corte e poi divenute modello per le élites delle poleis siciliane più evolute. La diffusione dell’impianto urbano regolare, attraversato da poche plateiai parallele e caratterizzato da isolati rettangolari con rapporto 1 :2 o 1 :2,5, ulteriormente suddivisi al loro interno da ambitus longitudinali e trasversali, e l’adozione capillare, nelle stesse città, del tipo edilizio del teatro, nel quale convergono anche forti motivazioni ideologiche di orgoglio municipale, potrebbero aver seguito il medesimo percorso ; non è casuale, infatti, che questi fenomeni archeologici – impianti urbani regolari e edifici teatrali – siano attestati precocemente, forse ancora in epoca tardo-ieroniana, in quei centri della Sicilia orientale che, pur se non direttamente assoggettati politicamente al piccolo regno di Ierone II, subiscono maggiormente l’influenza culturale di Siracusa : anzitutto Eloro e Akrai, ma poi anche Taormina, Morgantina e Tindari ; solo dopo, in seguito alla pacificazione successiva alla definitiva conquista romana, gli stessi fenomeni fanno la loro comparsa nelle città della Sicilia occidentale. Per quanto concerne l’architettura domestica, i dati relativi alle tre città considerate inducono pure a qualche riflessione ; le case siciliane sicuramente databili all’ultimo quarto del iv sec. a.C., quelle di Camarina soprattutto, 5 presentano un ampio 1 G. V. Gentili, Siracusa. Ara di Ierone. Campagna di scavo 1950-51, « nsa », 1954, p. 333 sgg. 2 G. E. Rizzo, Il teatro greco di Siracusa, Milano-Roma, 1923 e L. Polacco, C. Anti, Il Teatro antico di Siracusa, Rimini, 1981. 3 C. Portale, Per una rilettura delle arti figurative nella Provincia Sicilia : pittura e mosaico tra continuità e discontinuità, « seia », vi-vii, 2001-2002, pp. 43-90. 4 W. von Sydow, Die hellenistischen Gebälke in Sizilien, « rm », 91, 1984, pp. 239358. 5 R. Martin, P. Pelagatti, G. Vallet, G. Voza, Camarina, in La Sicilia antica,

urbanistica e architettura ellenistica cortile, mai posto al centro, fiancheggiato su due o tre lati da pochi vani ; il tipo di casa più articolata, talvolta su due piani, con piccolo cortile centrale di m2 20 ca., spesso dotato di cisterna, documentato ad Eraclea e Finziade e, forse, anche a Tindari, sembra comparire non prima della metà del iii sec. a.C. ; la sua variante aulica, spesso il prodotto dell’unificazione di più unità abitative precedenti, 1 è costituita dalle case del ceto aristocratico, molto più ampie, dove il semplice cortile è sostituito da spaziosi e fastosi peristili ; il tipo, che nelle sue numerose varianti trova i migliori confronti a Pergamo e a Delo, assente per ora ad Eraclea e Finziade, compare a Tindari solo nei decenni finali del ii sec. ; suscitano forti dubbi, quindi, datazioni ancora nell’ambito del pieno iii, se non ancora precedenti, di recente riproposte per la casa a peristilio 1 di Monte Iato,2 per il c.d. Ginnasio di Solunto 3 e per altre grandi dimore a peristilio di Morgantina 4 e Solunto. 5 I tre centri da me esaminati, inoltre, mostrano con chiarezza come, anche dopo la conquista romana, l’Isola non abbia avuto uno sviluppo omogeneo ; 6 mentre Eraclea e Finziade esauriscono presto il loro ruolo ed entrano in crisi già tra la fine del ii e la metà del i sec. a.C., per poi essere definitivamente abbandonate, altre città, soprattutto quelle della costa settentrionale e dell’estremità occidentale, come Tindari, tra ii e i sec. a.C., vivono una fase di costante sviluppo, caratterizzata dall’adozione di ulteriori manifestazioni di prestigio cittadino e di elevato benessere privato, quali le monumentali scene teatrali a parasceni, i bouleuteria, i ginnasi, 7 le ricche dimore a peristilio, i pavimenti in tessellato policromo, le sontuose decorazioni parietali in i e ii stile, manifestazioni quasi tutte significativamente assenti tanto ad Eraclea che a Finziade, almeno per ora. Dietro questi fenomeni archeologici ci sono sicuramente la pax romana, come precondizione, una efficace organizzazione dei sistemi di produzione, raccolta, immagazzinamento e trasporto dei cereali, probabilmente ereditata anch’essa dall’esperienza ieroniana ed un ruolo politico rilevante nello scacchiere mediterraneo di molte delle città dell’Isola ; un ruolo che vede protagoniste le élites locali ; a partire dalla seconda metà del ii sec. a.C. emergono soprattutto le aristocrazie dei centri portuali meglio dislocati in funzione dei collegamenti con Pozzuoli e Roma e, quindi, Lilibeo, Palermo, Solunto, Thermai, Cephaloedion, Halaesa e Tindari, non a caso tra le città maggiormante menzionate nelle Verrine quali teatri delle ruberie del famigerato pretore. a cura di E. Gabba, G. Vallet, Napoli 1979, i, 3, pp. 516-519 e R. Martin, G. Vallet, L’architettura domestica, ivi, i, 2, pp. 336-352. 1 Il caso di Tindari è emblematico in proposito. 2 K. Dalcher, Das Peristylhaus 1 von Iaitas : Arkitektur und Baugeschichte, in Studia Ietina iv, Zürich, 1994 e H. Brem, Das Peristylhaus 1 von Iaitas : Wand- und Bodendekorationen, in Studia Ietina vii, Zürich, 2000. 3 M. Wolf, Die Häuser von Solunt und die hellenistische Wohnarchitektur, Mainz am Rhein, 2003. 4 B. Tsakirgis, The Domestic Architecture of Morgantina in the Hellenistic and Roman Period (Diss. Princeton University 1984), Ann Arbor, 1985. 5 L. Natoli di Cristina, Caratteri della cultura abitativa soluntina, in Scritti in onore di Salvatore Caronia, Palermo, 1966, pp. 175-207 e A. Italia, S. Lima, Solunto : struttura urbana e tipologia residenziale (Evoluzione e trasformazione di un sito archeologico), « SicArch », xx, 65, 1987, pp. 57-72. 6 In proposito rimando a quanto più diffusamente argomentato in La Torre 2005a. 7 Su questi aspetti dell’architettura pubblica rimando al contributo introduttivo di Lorenzo Campagna che condivido in pieno.

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Abbreviazioni bibliografiche Barra Bagnasco 1989 = M. Barra Bagnasco, Poggio Marcato di Agnone (Licata). Scavo 1989, « QuadMess », 4, 1989, pp. 85-99. Bernabò Brea 1964-1965 = L. Bernabò Brea, Due secoli di studi, scavi e restauri del teatro greco di Tindari, « riasa », xiii-xiv, 1964-1965, pp. 99-144. Bernabò Brea-Cavalier 1965 = L. Bernabò Brea, M. Cavalier, Tindari. Area urbana. L’insula iv e le strade che la circondano, « BdA », ser. v. i, 1965, pp. 205-209. von Boeselager 1983 = D. von Boeselager, Antike Mosaiken aus Sizilien, Roma, 1983. Bonacasa 1987-1988 = N. Bonacasa, Influenze microasiatiche nell’architettura della Sicilia ellenistica, in Sicilia e Anatolia dalla preistoria all’età ellenistica (Atti 5° Riunione Scientifica Catania 1987), a cura di G. Rizza, « Cd’A », 26/27, 1987-1988, pp. 139-158. De Miro A. 2005 = A. De Miro, I risultati degli scavi condotti a Licata negli ultimi anni, in Licata tra Gela e Finziada (Seminario di studi per la valorizzazione storica ed archeologica del territorio licatese, Licata 2004), a cura di C. Carità, Ragusa, 2005, pp. 131-166. De Miro 1958 = E. De Miro, Scavi e scoperte ad Heraclea Minoa. Scavi eseguiti negli anni 1955-56-57, « nsa », 1958, pp. 232-287. De Miro 1966a = E. De Miro, Heraclea Minoa. Risultati archeologici e storici dei primi scavi sistematici nell’area dell’abitato, « Kokalos » xii, 1966, pp. 221-233. De Miro 1966b = E. De Miro, Il teatro di Heraklea Minoa, « ral », 21, 1966, pp. 151-168. De Miro 1980 = E. De Miro, La casa greca in Sicilia. Testimonianza nella Sicilia centrale dal vi al iii secolo a.C., in ΦΙΛΙΑΣ ΧΑΡΙΝ. Miscellanea di studi classici in onore di Eugenio Manni, Roma, 1980, pp. 707-737. De Miro 1989 = E. De Miro, Agrigento. La necropoli greca di Pezzino, Messina, 1989. Di Vita 1985 = A. Di Vita, L’Urbanistica, in Sikanìe. Storia e civiltà della Sicilia greca, a cura di G. Pugliese Carratelli, Milano, 1985, pp. 361414. Fiorentini 1988-1989 = G. Fiorentini, Licata – Scavo in via S. Maria – Monte S. Angelo – 1988-1989, « bca », Sicilia ix-x, 3, 1988-1989, p. 20. Fiorentini 1997-1998 = G. Fiorentini, Problemi e linee di ricerca archeologica in territorio di Agrigento e provincia, « Kokalos », xliii-xliv, 1997-1998, tomo ii, 1, pp. 7-9. Lamboglia 1953 = N. Lamboglia, Gli scavi di Tindari, « La Giara », ii, 1, 1953, pp. 70-84. La Torre 2005a = G. F. La Torre, Il processo di “romanizzazione” della Sicilia ; il caso di Tindari, « Sicilia Antiqua », i, 2004 (2005), pp. 111-146. La Torre 2005b = G. F. La Torre, La Montagna di Licata in epoca classica, in Licata tra Gela e Finziada (Seminario di studi per la valorizzazione storica ed archeologica del territorio licatese, Licata 2004), a cura di C. Carità, Ragusa, 2005, pp. 73-85. La Torre 2005c = G. F. La Torre, I recenti scavi sul Monte Sant’Angelo di Licata, in Licata tra Gela e Finziada (Seminario di studi per la valorizzazione storica ed archeologica del territorio licatese, Licata 2004), a cura di C. Carità, Ragusa, 2005, pp. 167-193. La Torre 2005d = G. F. La Torre, Dall’Eknomos a Phintias : considerazioni sulla topografia del territorio di Licata in epoca storica, in Megalai Nesioi. Studi dedicati a Giovanni Rizza per il suo ottantesimo compleanno, «Studi e materiali di archeologia mediterranea», 3, Catania 2005, pp. 91-114. Morel 1981 = J. P. Morel, Céramique campanienne : les formes, Paris, 1981. von Sydow 1979 = W. von Sydow, Späthellenistische Stuckgesimse in Sizilien, « rm », 86, 1979, pp. 181-231. Vandermersch 1995 = C. Vandermersch, Vins et amphores de Grande Grèce et de Sicile. ive-iiie s. avant J.C., Napoli 1995. Wilson 1990 = R. J. A. Wilson, Sicily under the Roman Empire. The archaeology of a Roman province, 36bc-ad535, Warminster, 1990.

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Umberto Spigo TINDARI. CONSIDERAZIONI SULL’IMPIANTO URBANO E NOTIZIE PRELIMINARI SULLE RECENTI CAMPAGNE DI SCAVO NEL SETTORE OCC IDENTALE* i. L’impianto urbano

L

a conoscenza dell’impianto urbano di Tindari si è consolidata attraverso le diverse campagne di scavo effettuate negli anni 50 e 60 del secolo scorso. 1 L’abitato che, almeno in età imperiale romana, copriva un’estensione non inferiore a 27 ha, 2 si situa alla sommità del promontorio di Tindari, all’altezza di circa 230 m s.l.m. su di un vasto altipiano orientato NW-SE, degradante verso Nord sul golfo di Patti. All’altura che sovrasta a sud-est la città, sede del santuario della Madonna del Tindaro (m 286 s.l.m.) – dove sarebbe logico identificare l’acropoli coi principali edifici di culto (pur permanendo dubbi in assenza di dati di scavo) 3 – corrisponde a sud-ovest, a chiudere su quel versante il perimetro urbano, l’elevazione di Rocca Femmina (m 290 s.l.m.), anch’essa supposta sede di aree cultuali. 4 Assi dell’impianto sono le plateiai-decumani 5 parallele che percorrono il pianoro in direzione SE-NW : le indagini hanno restituito lunghi tratti delle due strade attraversanti rispettivamente le fasce meridionale (“plateia” superiore) e centrale (“plateia” mediana) della città, ciascuno dell’ampiezza di circa m 8-8,50, posizionati a quote diverse (nel settore sud orientale il dislivello fra le due arterie è di circa m 12,30) incrociati ortogonalmente da “stenopoi-cardines” in discesa, ciascuno della larghezza di circa m 2,80-3 (alcuni di essi, per far fronte alle pendenze troppo accentuate, sono stati sistemati a gradini artificiali, soluzione tecnica consueta nei siti segnati da forti dislivelli), a costituire una maglia di isolati rettangolari * Ringrazio i Professori Mario Torelli e Massimo Osanna per l’amichevole ospitalità. 1 Nel xx secolo il settore orientale dell’abitato di Tindari è stato oggetto di estese esplorazioni sistematiche negli anni 50 e 60 e di campagne di restauro (in particolare i complessi interventi sul Teatro e sulla basilica da parte della Soprintendenza alle Antichità di Siracusa,sotto la direzione di Luigi Bernabò Brea, ricerche alle quali ha dato un importante apporto, fra il 1950 e il 1952 l’Istituto di Studi Liguri diretto da Nino Lamboglia, alla cui équipe si devono fra l’altro sistematiche indagini stratigrafiche nell’ambito dell’imponente sistema di fortificazioni della città. Principali riferimenti bibliografici : Lamboglia 1953 basilare, insieme al successivo articolo della Mezquiriz, anche sul piano metodologico, per la presentazione preliminare dei dati acquisiti nelle indagini stratigrafiche, in particolare nell’ambito della cinta muraria) e per la messa a punto topografica, cui non è purtroppo seguita l’edizione completa ; Mezquiriz 1954, pp. 85-99 sulla linea del contributo di Lamboglia, di cui integra alcuni dati ; Barreca 1957, p. 125 sgg. ; Barreca 1958, pp. 145150, tav. 33 ; Bernabò Brea 1964-1965 (sui restauri e gli scavi del Teatro) ; Bernabò Brea-Cavalier 1965, pp. 205-209 ; Bernabò Brea-Fallico 1966, pp. 865-868, con altra bibliografia ; Le città greche, pp. 794-796 ; inoltre Ross Holloway 1960 ; Bernabò Brea 1989, pp. 796-800 ; Coarelli-Torelli 1984, pp. 384-391. Utile sintesi ragionata dei dati editi sino ad allora, arricchita di osservazioni e giudizi personali, in alcuni casi discutibili, ma sempre stimolanti in : Wilson 1990. Sui mosaici delle case B e C e delle terme dell’isolato iv : Boeselager 1983, pp. 47-54, 84-89, 114-130. Alcuni aspetti relativi all’urbanistica e dell’architettura di Tyndaris tardo classica ed ellenistica sono stati da ultimo ripercorsi, sulla base dell’edito,con particolare attenzione all’inquadramento cronologico, da La Torre 2004. Da ultimi: BelvedereTermine 2004. 2 Sul perimetro congetturale della città in base al percorso delle fortificazioni di età tardo-imperiale romana :Wilson 1990, p. 170 3 Almeno : Lamboglia 1983, p. 82 ; Bernabò Brea-Fallico 1966, p. 866. 4 Barreca 1958, p. 148, nota 8. 5 Parlando di un impianto che nelle sue linee portanti si suppone risalire alla fondazione della città abbiamo preferito adottare i termini “plateia” e “stenopos” preavvisando che, soprattutto per quanto riguarda le ricerche nel settore occidentale, la maggior parte dei contesti di scavo qui presi in considerazioni sono soprattutto pertinenti all’assetto urbano di età imperiale. Peraltro, sull’improprietà dei termini decumanus e cardo applicati all’urbanistica anche di età romana si era già espresso F. Castagnoli : vedi almeno Castagnoli 1963, p. 197, nota 84. In alcuni casi, per maggior chiarezza espositiva, collegheremo i due termini (plateia-decumanus e stenopos-cardo).

dell’ampiezza di circa m 28,30, modulo che, come vedremo, si reitera regolarmente anche nel settore occidentale. La lunghezza degli isolati compresi fra plateia superiore e mediana è di circa m 72,40 6 (Fig. 1). Non si è ancora individuato sul terreno il tracciato della plateia inferiore disimpegnante la parte settentrionale della città, logicamente congetturato. 7 Come si dirà, l’unico saggio sistematico sinora aperto nel settore settentrionale 8 – nella sua parte centrale – ha mostrato la prosecuzione dei settori abitativi con diverse fasi edilizie di età imperiale, ma non si è incontrato, alla distanza cui lo si prevedeva, l’incrocio con la “plateia” inferiore. Uno dei fattori “naturali” di cui necessariamente tenere conto quando si affronta la ricostruzione del perimetro urbano di Tyndaris è quello dell’ingente frana, causata presumibilmente da un movimento tellurico (?) che, forse nella prima età imperiale, provocò, secondo quanto riferisce Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, ii 206) la distruzione di metà della città. 9 Così, rispetto alla catastrofica asserzione pliniana, l’individuazione della reale entità del disastro che colpì il versante settentrionale affacciato sul mare e più esposto rimane una vera e propria crux per chi si occupa di archeologia tindaritana, tanto che, non a caso, N. Lamboglia pose questo tema fra gli obiettivi primari della ricerca topografica. 10 Anche se pochi sono sinora i concreti elementi dimostrativi, è invalsa l’opinione che l’impianto della Colonia Augusta Tyndaritanorum si fondi, senza reale soluzione di continuità, su uno schema urbano che, nel suo nucleo – base viene fatto risalire al iv secolo a.C., se non addirittura a poco dopo la fondazione del 396 a.C. 11 Di recente il problema è stato ripreso da A. Di Vita 12 ed ulteriormente approfondito da O. Belvedere ed E. Termine 13 che attribuiscono alla città dionigiana un impianto che, anche nel rapporto “poco maggiore di 1 :2 fra larghezza e lunghezza degli isolati”, appare, come già rilevato da F. Castagnoli, 14 assai vicino ai canoni ippodamei, della cui applicazione ed elaborazione 6 M 28,30 x 72,40 : appunto le dimensioni dell’insula iv, l’unica scavata integralmente : Bernabò Brea-Cavalier 1965, p. 205. 7 Per es. Bernabò Brea-Fallico 1966, pp. 865-866 ; Barreca 1958, p. 149 ; Di Vita 2002, p. 142. 8 Cfr. infra. Lamboglia effettuò alcuni saggi sulle balze nord-orientali, ma,a quanto riferisce, più in basso rispetto al presunto tracciato della plateia inferiore : accertamenti finalizzati a cogliere indizi della grande frana menzionata da Plinio il Vecchio. Lamboglia 1953, p. 82 (cfr. infra, nota 10). 9 Stando al testo pliniano, il terremoto (con conseguente tsunami) dovette anche avere catastrofiche ripercussioni nel tratto di costa settentrionale siciliana sino almeno allo stretto di Messina : « (pontus abstulit) dimidiam Tyndarida urbem ac quicquid ab Italia deest ». Su questo evento sempre interessanti le considerazioni di B. Pace, Arte e Civiltà della Sicilia Antica, iii. Cultura e vita religiosa, Città di Castello, 1945, pp. 133-134. 10 Lamboglia 1953, pp. 72, 82-83. Un saggio effettuato da Lamboglia « a mezza costa, nello scoscendimento assai più in basso della città », ha restituito resti di “abitazione” suburbana databile in età repubblicana che, a detta dello studioso, « sembra escludere il franamento in tutto un largo settore dove esso a prima vista apparirebbe più evidente ». Si impone quindi una ricerca sistematica anche in queste aree più scoscese, protese verso il mare che avrebbero dovuto risentire maggiormente le conseguenze della frana. Una linea di frana è chiaramente visibile sul margine nordorientale del plateaux. V. anche: Belvedere-Termine 2004, p. 87 e fig. 2. 11 Barreca 1957 ; Barreca 1958, p. 148 ; Bernabò Brea-Fallico 1966 ; Castagnoli 1963, p. 195 ; Le città greche, p. 694. 12 Di Vita 2002, p. 142. Precedentemente : A. Di Vita, L’urbanistica, in Sikanie. Storia e civiltà della Sicilia Greca, Milano, 1985, p. 410 ; Di Vita 1996, p. 299. 14 13 Belvedere-Termine 2004. Castagnoli 1963, p. 195.

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umberto spigo A questa convinzione si oppone però la mancanza, allo stato attuale, del conforto di significative evidenze archeologiche sul periodo dionigiano della città, 6 anche per quanto riguarda la presunta prima fase della fortificazione che precede, secondo Barreca, l’imponente opera isodoma a doppia cortina che si è concordi a datare all’inizio del iii secolo a.C., all’età di Iceta, sulla base degli accertamenti stratigrafici di Lamboglia. 7

cusa e la Sicilia Greca tra età arcaica ed alto ellenismo, Messina, 1996, pp. 575-579. 6 Lamboglia 1953 ; Mezquiriz 1954, pp. 95-96. Necessita certo una revisione completa di tutti i materiali pertinenti i livelli di IV secolo a.C raggiunti nei saggi Lamboglia, alla luce dei diversi inquadramenti cronologici successivamente conseguiti per alcune classi di materiali a in non lontani contesti : pensiamo, per la ceramica siceliota a figure rosse e a v.n., alle sequenze definite attraverso i corredi tombali liparesi e, per le monetazione in bronzo, al rialzamento cronologico all’età dionigiana di serie monetali di zecca siracusana allora attribuite a Timoleonte. 7 Per la cinta tardo classica ed ellenistica si dovrà tenere conto, quale punto di partenza, di un riesame comparato delle diverse interpretazioni dei dati degli scavi effettuati fra il 1949 ed il 1952, formulate da N. Lamboglia e F. Barreca, così come esigono più certe scansioni gli ampliamenti, i restauri e le integrazioni di età imperiale romana e bizantina. Riassumiamo qui brevemente le due letture delle fasi della fortificazione : A) Periodizzazione di Lamboglia : la prima fase è costituita dall’imponente muro a Fig. 1. Tindari. Planimetria generale aggiornata al 2004. (Realizzazione: architetto Cristina Tindara Sidoti. Ela- doppia cortina, databile dopo Agatocle e probabilmente attribuibile ad Iceta ; borazione informatica: Nino Ragusi). questa possente opera di difesa, con torri quadrate e la grandiosa porta a tenaglia, viene interrotta dopo alcuni decenni, per cause non ben determinabili (Lamboglia in Sicilia, peraltro ex novo (non in quanto sovrapposizione ad ipotizza una breve occupazione mamertina) continuata con una struttura più sempliun tessuto precedente,come il caso della Camarina timoleonce sul piano tecnico, una sorta di opera a telaio incerta ove ricorsi verticali di blocchi 1 2 si alternano tratti a muratura intonacata, che Barreca attribuisce invece, all’età diotea), costituirebbe anzi uno degli esempi più antichi. In effetti nigiana senza il riscontro di associazioni stratigrafiche. Cfr. Lamboglia 1953, pp. 74si addirebbe al programma politico di Dionisio il Vecchio la 78 ; Mezquiriz 1954, pp. 91-94 ; N. Lamboglia, Opus certum, « RStLig », xxiv, 1958, volontà di conferire a breve intervallo dall’insediarsi dei Mespp. 158-160. B) Ipotesi Barreca : la prima fase contemporanea o di poca successiva alla fondazione dionigiana, sarebbe costituita dalla struttura a telaio alla quale si soseni sul promontorio di Tindari – probabilmente con un primo stituirà la fortificazione a doppia cortina databile “al pieno iv secolo a.C”. Cfr. Barstanziamento strategico all’estremità sud-orientale, sull’altura reca 1957 ; 1958 ; 1959, 105-113. L’ipotetica prima fase dionigiana di Barreca è stata 3 del santuario e sulle sue immediate propaggini – un assetto accolta anche da Bernabò Brea e da altri studiosi, concordi invece sulla datazione ai primi decenni del iii sec. d.C. delle mura a doppia cortina prospettata da Lamboglia : compiuto di struttura urbana, pur se suscettibile di futuri svilupcfr. Bernabò Brea-Fallico 1966, p. 865 ; Le città greche, p. 698 ; Coarelli-Torelli pi legati all’“incremento demografico” (per usare il termine di 1984; M. Cavalieri, Le fortificazioni di età ellenistica in Sicilia : il caso di Tindari, Lamboglia), 4 ad una sua fondazione in un sito geograficamente « SicArch », xxxi, 1998, pp. 185-201. In attesa di un riesame dei materiali dei vecchi saggi, e di nuovi accertamenti, appare basata su più saldi riscontri scientifici la sefavorevole per il controllo di un’ampia fascia del Basso Tirrequenza proposta da Lamboglia (vedi anche La Torre 2004, pp. 123-129) ma rimane no compresa l’area dello Stretto di Messina e del suo entroterra l’interrogativo sull’effettiva assenza di una fortificazione, almeno sul più esposto lato 5 “indigeno”. meridionale, per l’intero primo secolo di vita della città. Al proposito alcune asserzioni richiedono più corroborate conferme : ad esempio se può realmente affermarsi 1 Per l’urbanistica di Camarina almeno Di Vita 2002, pp. 143-146 anche per altri che la città greca non fosse munita sul lato settentrionale di difese artificiali ma si riferimenti bibliografici. affidasse solo alla protezione delle sue erte balze ; Lamboglia (1953, p. 79) supponeva 2 Pur condividendo l’inquadramento cronologico al iv secolo a.C. dell’impianto per esempio che l’originaria fortificazione su questo versante fosse stata distrutta di Tindari, vogliamo però rammentare il richiamo alla prudenza metodologica di P. dalla grande frana citata da Plinio : occorrerebbero anche più saldi elementi di conSommella a proposito dei pericoli di travisamento critico nell’applicazione generafronto con altre presunte fortificazioni di fase dionigiana delle quali però mancalizzata del termine “ippodameo” alle esperienze urbanistiche siceliote di età tardo no elementi obiettivi di datazione : all’età del tiranno, e quindi alla prima fase delle classica : Sommella 1997, pp. 86-87. fortificazioni di Adranon, L. Karlsson (1989, p. 79 ; e anche Fortifications Towers and 3 4 Cfr. Lamboglia 1953, p. 82. Ivi, pp. 7-12. Masonry.Technique in the Hegemony of Syracuse, 405-211 b.c., Stoccolma, 1992, p. 72) 5 Per la fondazione di Tindari, il cui territorio inglobò parte di quello di Abaattribuisce per esempio, su parametri di raffronto tipologici, i tratti con muratura caenum (l’odierna Tripi) e le prime fasi della sua storia : Diod. Sic. xv, 78, 5-6. Per a catena rispetto a quelli a doppia cortina di blocchi isodomi con riempimento di l’inquadramento storico almeno : Ross Holloway 1960 ; S. N. Consolo Langher, pietrame appartenenti ad una fase successiva. Sempre in base alla sua classificazione Tindari nella politica di Dionisio I e nelle operazioni strategiche di Timoleonte, in Siratipologica Karlsson (1989, pp. 80-81) ritiene possibile una datazione ad età dioni-

tindari. considerazioni La fase dionigiana rimane per ora sfuggente anche in quanto conosciamo delle necropoli di Tindari delle quali non è ancora possibile rapportare con certezza lo sviluppo topografico alle vicende insediative della città, pur se è presumibile che i gruppi sepolcrali più antichi si fossero costituiti nei declivi a sud della collina del santuario ritenuta, come si diceva, sede del primo stanziamento “messenico”. In quest’area poche sono state ad oggi le occasioni di indagini scientificamente controllate e documentate : sepolture per la quasi totalità inedite, soprattutto ascrivibili al tardo ellenismo o alla colonia romana. 1 Numericamente ridotte appaiono sinora, fra i rinvenimenti noti, le tombe riferibili al iv secolo a.C. : di esse è stato di recente presentato un corredo dalla c/da Carruba, del terzo venticinquennio, che mostra forti analogie con coevi contesti liparesi. nella composizione e nella tipologia dei materiali. 2 Tornando alla città, poche sinora risultano le attestazioni della prima fase urbanistica del iv secolo a.C. restituite da approfondimenti stratigrafici effettuati nel settore meridionale della città, negli anni 50 e 60 del secolo scorso, che sono indicate, in base ai materiali ceramici ed alle monete associativi, come non risalenti oltre l’età timoleontea : 3 a) un piano di calpestio (probabile battuto stradale) sotto la sede stradale di età imperiale romana della plateia-decumanus superiore ; 4 b) resti di un’abitazione parzialmente scavata nel banco roccioso, nell’ambito di un saggio stratigrafico immediatamente all’interno della cinta muraria meridionale al limite occidentale del paese moderno ; 5 c) resti di un isolato di abitazione sottostante la casa B dell’insula iv che ne riprende l’orientamento: 6 un dato, quest’ultimo, che la Mezquiriz riteneva già possibile indizio di continuità fra le diverse fasi d’impianto.7 Fra i materiali ceramici dei livelli corrispondenti: alcuni framgiana della fase della cinta di Tindari considerata più antica da Barreca. Interessanti termini di confronto possono venire da un più certo chiarimento cronologico delle due diverse fasi della fortificazione di Halesa, tipologicamente vicine a quelle di Tindari, secondo la periodizzazione di Lamboglia : a doppia cortina di blocchi la più antica, con rinforzo di ricorsi verticali la seconda (G. Carrettoni, Tusa (Messina). Scavi di Halaesa (Prima relazione), in « NSc », 1959, pp. 295-327 ; Coarelli-Torelli 1984, pp. 394-395). Anche da questi pochi cenni risalta, in rapporto alla ricostruzione dei progressivi ampliamenti e delle vicende dell’impianto urbano di Tindari, la necessità di un approfondimento della conoscenza e dello studio delle fortificazioni e delle loro diverse fasi, nel quadro di un progetto mirato che dovrà comprendere sia nuove indagini di scavo sia un completo rilievo in dettaglio. Per il rifacimento delle fortificazioni in età tardo imperiale romana e per la successiva fase tardo bizantina, disponiamo sinora solo di poche notizie preliminari ; Lamboglia 1953, pp, 7-8, 12 ; Mezquiriz 1954, p. 94 fig. 8 ; Bernabò Brea 1964, pp. 115, 142-143 ; Wilson 1999, p. 168, fig. 5. 1 Bernabò Brea-Fallico 1966, p. 866 ; Wilson 1990, pp. 128-1291, 135-136, 140, 375 nota 65, 376, nota 93. Per la campagna di scavo effettuata da A. Salinas nell’area della necropoli meridionale (proprietà Sciacca) nel 1898 : Spigo 1998. 2 Scavi regolari nella necropoli meridionale di Tindari sono stati effettuati nel 1898 in proprietà Sciacca col coordinamento di A. Salinas (almeno Spigo 1998, p. 144) e nel 1956 da L. Bernabò Brea e M. Cavalier in c/da Scozzo (Wilson 1990, 121, p. 375 nota 65). Per il corredo di c/da Carruba ricuperato nel 1970 : Spigo 1992-1993, pp. 44-46. Una probabile testimonianza ascrivibile ai primi decenni del iv secolo a.C. di una correlazione fra le prime fasi di vita di Tindari e il controllo siracusano della fascia territoriale a nord-ovest del Golfo di Patti è offerta dal corredo di una tomba ad inumazione scoperta presso l’attuale cimitero della frazione Sorrentini, sotto Gioiosa Guardia con numerosa ceramica a vernice nera e con due skyphoi a figure rosse della cerchia del Pittore Santapaola : U. Spigo, Brevi considerazioni sui caratteri figurativi delle officine di Ceramica Siceliota della prima metà del iv secolo a.C. e alcuni nuovi dati in La Sicilia dei due Dionisii (Atti Convegno Agrigento 1999), edd. N. Bonacasa, L. Braccesi, E. De Miro, Roma, 2002, pp. 283-284. 3 Si impone il riesame dei materiali connotanti tali contesti sostanzialmente inediti – e questo non agevola il compito – come d’altronde i complessi di reperti dalle tutte le ricerche stratigrafiche condotte a Tindari negli anni 50 e 60, i cui termini di conoscenza ci sono forniti solo da pur accurate note preliminari 4 Barreca 1958, p. 149, che riscontra come la strada di età greca sembri avere un’ampiezza minore rispetto a quella di età imperiale. 5 Lamboglia 1953, p. 78 ; Mezquiriz 1954, p. 94, fig.7, 12 6 Lamboglia 1953, p. 84, Mezquiriz 1954, pp. 95-96; Barreca 1958, p. 148, n. 7; Bernabò Brea-Cavalier 1965; La Torre 2004, pp.135-136; Belvedere-Termine 7 2004, pp. 89-90. Mezquiriz 1954, p. 96.

sull ’ impianto urbano

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Fig. 2. Cercadenari 2004.Veduta generale da Est. In primo piano, a sud della platea-decumanus centrale ambienti di probabile età tardo-imperiale o bizantina (scavi 1968-1970) ; in secondo piano, a sud l’edificio monumentale (area A), a nord la domus (area B).

menti a figure rosse di fabbrica siceliota del iv sec. a.C., fra i quali un fr. di lekythos ariballica con testa femminile forse ancora risalente al secondo venticinquennio del secolo. Allo stato attuale la configurazione dell’originario progetto urbanistico di Tyndaris non può fruire di ampi riscontri “morfologici” (col debito sostegno del dato cronologico) con nuove fondazioni, o trasformazioni di tessuti preesistenti, ugualmente legate agli interventi e al disegno di Dionigi il Vecchio. Tuttavia, almeno due contesti offrono rilevanti incentivi di analisi pur mostrandosi la loro conoscenza ancora ampiamente lacunosa. Le porzioni dei settori dell’impianto di Adranon (fondata da Dionigi il Vecchio pochi anni prima di Tyndaris: Diod. Sic. xvi), messe in luce nell’ultimo trentennio, nella parte meridionale della moderna Adrano, appartengono ad un piano unitario a maglia ortogonale, con isolati orientati nord-sud, risalente alla seconda metà del iv secolo a.C. 1 In questo settore della città l’abitato mostra una sostanziale continuità di vita sino almeno alla seconda metà del ii secolo a.C. Uno degli assi viari principali è costituito da una strada nordsud, una probabile plateia di cui sono stati messi in luce tre tratti, per un’ampiezza massima di circa 7 m (raggiungeva forse gli 8 m, come a Tindari), delimitata sul margine orientale da una canaletta per il deflusso delle acque accuratamente realizzato in blocchi lavici. Parallelo al primo è un altro asse individuato a circa 170 m ad Ovest. Le prospezioni geoelettriche effettuate nel 1986 hanno mostrato la presenza nel sottosuolo di una serie di anomalie lineari parallele ai tracciati delle due strade accertate: probabilmente altre strade in direzione nord sud la cui distanza ricorrente, fra i 34-35 m potrebbe dubitativamente identificarsi con l’ampiezza degli isolati. Quanto sinora conosciuto dell’impianto di Adranon trova confronti nell’organizzazione urbana della Camarina “timoleontea” anche per la tipologia planimetrica delle porzioni di unità abitative messe in luce (particolarmente significativa la cosiddetta “casa D”. 2 Anzi da quanto è ricostruibile della planimetria dei resti di abitazione sottostanti la casa B di Tindari non si esclude un’affinità dimensionale e di articolazione interna (probabilmente vani 1 Almeno: Spigo 1984-1985 con altra bibliografia; Spigo 1994; Lamagna 1994; Lamagna 1997-1998; Lamagna 2000. 2 Per i resti di case di Adranon: Spigo 1984-1985 pp. 890 (fig. 5, casa B), 891, tavv. ccxviii-ccxxi; Lamagna 1997-1998.

100 umberto distribuiti ai latiun cortile) con alcuni esempi adraniti, pur lacunosi, ed insieme, l’apertura ad una possibilità di confronti con le tipologie abitative di Camarina “timoleontea”. 1 Assai frammentari risultano finora, ad Adranon, i resti di un impianto precedente il cui orientamento sembra poi esser stato ripreso dall’abitato successivo: l’associazione stratigrafica con frr. ceramici e monete della prima metà del iv secolo a.C. potrebbe riportare all’ originaria fondazione dionigiana. 2

Fig. 3. Cercadenari 2004. L’edificio monumentale (area A) e lo stenopos-cardo ad ovest di esso visti da Nord.

Negli ultimi decenni del secolo scorso sono anche emersi, nel corso di ricerche sistematiche, consistenti dati sull’impianto ortogonale di Katane conseguente all’occupazione di Dionigi il Vecchio nel 403 a.C.: significative porzioni del tessuto viario ed edilizio (sui quali si impostaronosenza reale soluzione di continuità gli impianti successivi di età ellenistica e romana), sull’acropoli, nell’area dell’ex Monastero dei Benedettini, e nel quartiere sviluppatosi sul declivio a sud-est dell’acropoli, in via Crociferi. 3 Al contrario, per Messana non sono ancoradocumentate testimonianze edilizie sicuramente assegnabili alle prime fasi della ricostruzione “dionigiana”. La porzione più cospicua dell’impianto successivo alla distruzione di Imilcone ed allo spianamento delle rovine che sembra esservi seguito – un asse viario in direzione est-ovest e una porzione di isolato – è databile fra gli ultimi decenni del iv (non prima quindi di Timoleonte) e gli inizi del iii secolo a.C. 4 Ma, pur non potendosi ancora far risalire con certezza, sulla base degli esiti di scavo, l’impianto di Tindari alla sua fondazione, siamo essenzialmente convinti dell’ attribuzione al corso del iv secolo a.C. Lo schema generatore appare, infatti, inquadrarsi coerentemente nella temperie urbanistica della Sicilia tardo classica e protoellenistica, 5 dalle manifestazioni diversificate ma il cui substrato mostra quale comune denominatore concettuale, e 1 Per i resti sottostanti la casa B di Tindari: Bernabò Brea-Cavalier 1965 fig.1; La Torre 2004 pp. 135-136; Belvedere-Termine 2004, pp. 89-90. Per le case di Camarina “timoleontea” almeno: P. Pelagatti, G. Vallet, L’architettura domestica in Le città greche, pp. 336-338. 2 In particolare i resti messi in luce nel 1981 nel quadrato G10-H10: Spigo 19841985, p. 891. Per la cronologia ad età dionigiana dei tre bronzi siracusani rinvenuti nei livelli corrispondenti: Mastelloni 1997, p. 26, nota 12. Fra i pochi ffr. a vernice nera sono significativi due frammenti di coppette echiniformi assegnabili alla prima metà del iv secolo a.C. A questa prima fase dovrebbero appartenere anche alcuni resti murari nei livelli sottostanti la casa D. 3 Oltre a Frasca infra, cfr. Frasca 2000, pp. 121-122; BRANCIFORTI 2003, p.109 sgg.V. anche: Frasca supra. 4 Almeno: Bacci 2000, pp. 53-55; G. Tigano, L’indagine archeologica nell’area dell’isolato Z in via Torino Da Zancle a Messina. Un percorso archeologico, edd. G. M. Bacci, G. Tigano, i, Messina, 2000, pp. 103-108. 5 In altra sede dovranno approfondirsi i confronti con altri impianti urbani sicelioti “post ippodamei”. Il rapporto dimensionale fra ampiezza e larghezza dell’isolato rettangolare si avvicina per esempio ai moduli di Morgantina (quartiere occidentale). Cfr. almeno : Di Vita 1996, pp. 305-306 ; Bell 2004, p. 34. Interessanti

spigo fattuale, la reinterpretazione del modello a pianta ortogonale,che assume nuovi valori funzionali e formali in una realtà culturale segnata dalle innovazioni della scuola di Ippodamo, commisurato alle singole situazioni storico-politiche ed ambientali ed anche, dove non si tratti di impianti ex-novo, alle specifiche esigenze di rinnovamento e ricostruzione. 6 Il tracciato su diverse quote della rete viaria – comunque organico allo schema che genera il modulo dell’isolato – ed il rapporto studiato col paesaggio attraverso la distribuzione su terrazze che nasce da un armonico processo di adeguamento dell’originaria orografia attraverso un compiuto connubio tra esigenze strategiche e funzionali e respiro “scenografico”, 7 caratterizzano, al pari di Tyndaris diverse città disposte su versanti montuosi e collinari (i casi di Halaesa, di Solunto, Eloro etc... ciascuno con le sue specificità), 8 nelle quali si possono anche scorgere affinità con modelli dell’urbanistica microasiatica pur se non è prudente parlare di influenze dirette. Ma per un’ equilibrata lettura di queste eventuali convergenze fra ambiente microasiatico e Sicilia protoellenistica è bene tenere a mente l’ammonimento metodologico di N. Bonacasa circa “la reale difficoltà di lettura di schemi urbanistici che hanno subito nel tempo sovrapposizioni con il costante riadeguamento del loro aspetto monumentale pubblico e privato” (fra gli altri esempi vi è anche un diretto riferimento a Tindari). 9 D’altra parte nel quadro archeologico di Tyndaris difettano ancora i termini conoscitivi per l’analisi di alcuni nodi primari del sistema urbano. In particolare : 1) Non si è ancora realmente accertata, attraverso le indagini di scavo, l’ubicazione dell’agorà per la quale sussistono due ipotesi : a) Identificazione con l’inedito complesso porticato, i cui resti furono parzialmente posti in luce negli anni 50 a NE della “Basilica” a non meno di 150 m. ad est del Teatro,”sul percorso (in realtà poco più a nord-est, comunque fuori asse) della stessa “plateia” superiore 10 secondo un sistema distributivo che richiama per esempio la situazione di Taormina dove il teatro si articola a monte del medesimo asse viario (corrispondente all’incirca all’attuale via del Teatro) che conduce all’agorà. 11 Questo modello compositivo è stato proposto per Tyndaris da R. Martin e G.Vallet 12 che unitamente ad altri studiosi, 13 ubicano l’agora là dove invece Barreca ipotizza la presenza del Ginnasio. anche i parallelismi con l’impianto siracusano fra Achradina e Neapolis (fine iv-iii secolo a.C.) dove gli stenopoi hanno un ampiezza costante di 3m. Cfr. almeno : Le città greche, pp. 264-265, 674 sgg. ; Di Vita 1996, pp. 305-307. Ma in questo e in altri confronti necessita sempre tener conto delle peculiarità che conducono alla creazione dei singoli impianti : cfr. infra. 6 Per una visione d’insieme dell’urbanistica della Sicilia tardo classica ed ellenistica almeno : Castagnoli 1963 ; Le città greche, pp. 259 e 268 ; Di Vita 1996, pp. 298-307 ; Bonacasa 1987-1988 ; Sommella 1987-1988, pp. 86-87 ; Di Vita 2002 ; Bonacasa 2004). 7 Sul concetto di “scenografia” applicato alle soluzioni urbanistiche cfr. però almeno : Sommella 1987-1988, p. 87. 8 Per Halaesa, almeno G. Carrettoni, Tusa (Messina). Scavi di Halaesa (Seconda relazione), « NSc », 1961, pp. 295-327 ; Castagnoli 1963, p. 195 ; Coarelli-Torelli 1984, pp. 391-392 ; per Solunto, almeno L. Natoli Di Cristina, Caratteri della cultura abitativa soluntina, in Scritti in onore di S. Caronia, Palermo, 1965, pp. 1-23. ; Le città greche, pp. 709-715. Per Eloro almeno Le città greche, pp. 296, 552-553. 9 Bonacasa 1987-1988, p. 143. Vedi anche : Bonacasa 2004. 10 Barreca 1958, p. 150 ; Bernabò Brea-Fallico 1965, p. 866 ; L. Bernabò Brea, Gli scavi di Tindari, in Sicilia (t.c.i. Guide d’Italia), Milano, 1989 (vi ed.), pp. 796800, 866. 11 Mentre i resti del possibile ginnasio-biblioteca sono stati messi in luce su una terrazza alle pendici del Monte Tauro, sotto il teatro. Per l’impianto di Taormina cfr. almeno : Bacci 1980-1981 ; Bacci-Rizzo 19931994 ; Bacci 1997. 12 Martin-Vallet in Città greche, p. 296. Per il confronto con le differenti articolazioni, nel quadro dell’impianto urbano, di altre agorai della Sicilia ellenistica (in particolare Solunto,Morgantina,Eloro ) cfr. almeno ivi, pp. 296-298; Bonacasa 1997-1998, p. 149. 13 In particolare Lamboglia 1953; Bernabò Brea-Fallico 1965; CoarelliTorelli 1984; De Miro 1987-1988 p. 159. O. Belvedere ed E. Termine ipotizzano invece, sviluppando i rapporti dimensionali, una doppia agorà con le due piazze affrontate e divise dalla plateia mediana: Belvedere-Termine, p. 87, fig. 2.

tindari. considerazioni Dal noto racconto ciceroniano delle Verrine (ii, iv, 86) possiamo trarre una planimetria essenziale dell’agorà-foro di Tindari nella prima metà del i secolo a.C., bordato da una grande “porticus” forse ad una quota superiore rispetto al piano di calpestio della piazza e dominato al centro da statue equestri dei Marcelli : un assetto che nel processo di ristrutturazione monumentale seguito alla deduzione della colonia augustea ben si vedrebbe introdotta dai volumi e dalle scansioni spaziali e dalla profondità “scenografica” della cosiddetta “basilica”, complesso a tutt’oggi “enigmatico”. 1 Ma, allontanando questa suggestione, pur non infondata, vi è una seconda possibilità da vagliare. b) F. Barreca ha infatti supposto la sistemazione a valle del teatro, su una terrazza a nord della “plateia” mediana : 2 un modello di composizione degli spazi monumentali su più livelli ma lungo una stessa direttrice che sembra forse più omogeneo rispetto alla “morfologia” del sito e alla scansione del piano urbano e che, oltre a trovare particolari analogie con Solunto, dove il teatro “sovrasta il terrazzo dell’agorà, 3 potrebbe anche “richiamare” Priene. Ma anche questa ipotesi non potrà che sostenersi su una sistematica convalida di scavo. 4 2) Si aggiunga, in una prospettiva di contestuale verifica sul terreno, che l’analisi corretta del rapporto e dell’interazione, nell’organico sviluppo della struttura urbana, fra questi poli della vita pubblica, non potrà rinunciare ad un riesame dei termini cronologici relativi all’impianto del teatro. I risultati dei saggi aperti da Bernabò Brea nei pochi lembi intatti di stratigrafia condurrebbero a datare la realizzazione del koilon almeno agli inizi del iii secolo a.C., antecedente quindi all’’edificio scenico a paraskenia la cui recenziorità (l’età ieroniana) era stata già messa in evidenza dallo studioso. 5 Pur ritenendo plausibile che Tyndaris usufruisse di una struttura teatrale stabile già agli inizi del iii secolo, concordiamo con l’esigenza di nuovi accertamenti 6 anche a fronte degli esiti di recenti messe a punto di dati cronologici e di inquadramento stilistico di alcuni teatri siciliani, quello di Segesta in primo luogo, per il quale è stata accertata una cronologia unitaria del monumento alla seconda metà del ii secolo a.C. 7 1 Ricordiamo per esempio quanto scrive De Miro (1987-1988, 159) : « a Tindari la c.d. Basilica […] può apparire un propylon monumentale atto ad assicurare un ingresso grandioso al Foro ». La datazione in età augustea della Basilica (almeno : Bernabò Brea-Fallico 1965, p. 866 ripresa da Coarelli-Torelli 1984) è stata spostata ad età tardo-imperiale dallo stesso Bernabò Brea, successivamente alle distruzioni del terremoto del 365 d.C. a seguito di un saggio in corrispondenza delle fondazioni che ha fra l’altro restituito lucerne databili fra iv e v sec. d.C. (Bernabò Brea 1966, p. 116 ; 1972, pp. 168-169) posizione poi convalidata dal Wilson 1990, 54. Certamente questa cronologia può lasciare assai perplessi per vari aspetti, ma non si può ricusare senza prima procedere alla verifica dei dati dei vecchi scavi e all’esecuzione di nuovi accertamenti stratigrafici. Una ipotesi da percorrere potrebbe essere quella della ricostruzione, nel pieno iv secolo d.C., di un complesso monumentale il cui impianto risalirebbe alla prima età imperiale, poi gravemente danneggiato da un terremoto. È comunque singolare come già B. Pace, Arte e Civiltà della Sicilia Antica, iv. Barbari e Cittadini, Città di Castello, 1949, p. 314, basandosi solo sull’assetto architettonico l’abbia definita, riprendendo un giudizio di E. Calandra, « un edificio dei bassi tempi assai notevole per la sua struttura ». La descrizione più accurata della planimetria e dei caratteri strutturali del monumento è in Wilson 1990, pp. 52-55. 2 Barreca 1958, pp. 145 e 150, fig. 33. 3 Per Solunto, vedi supra nota 36. 4 Così come dovrà essere, in logico parallelo, per l’attribuzione dell’ancora enigmatico complesso a nord-est della Basilica (realmente il Ginnasio di Barreca ?). 5 Bernabò Brea 1964-1965, pp. 135-137. Per schede sintetiche del teatro anche in rapporto al contesto urbano : K. Mitens, Teatri greci e teatri ispirati all’architettura greca in Sicilia e nell’Itala meridionale, « Analecta Romana Istituti Danici », Suppl. xiii, Roma, 1988, pp. 125-127 ; L. Todisco, Teatro e spettacolo in Magna Grecia e Sicilia. Testi, immagini architettura, Milano, 2002, pp. 191-192 e 224 (per la bibliografia precedente). 6 Pur rilevando la difficoltà, già segnalata da Bernabò Brea (1964-1965) di raggiungere, nei punti nodali, porzioni di stratigrafie ancora integre. 7 Almeno : F. D’Andria, Ricerche archeologiche sul teatro di Segesta, in Seconde giornate di studi sull’area elima (Atti Convegno Gibellina 1994), Pisa, 1997, pp. 429-450 ; L. Campagna, Note sulla decorazione architettonica della scena del teatro di Segesta, in Seconde giornate internazionali di studi sull’area elima (Atti Convegno Gibellina 1994), Pisa, 1997, pp. 227-249 ; F. D’Andria, Il teatro greco in Sicilia, in Urbanistica ed Architettura nella Sicilia Greca, Palermo, 2004, p. 37.

sull ’ impianto urbano

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ii. Recenti ricerche nel settore occidentale Richiamata così la complessità di alcuni dei problemi legati all’inquadramento ed alla conoscenza delle varie fasi dello sviluppo urbanistico ed architettonico di Tyndaris, 8 veniamo brevemente ai nuovi contributi conoscitivi emersi dalle sistematiche campagne di scavo condotte recentemente nel settore nord-occidentale. 9 a. Cercadenari Alla fine degli anni ’60, L. Bernabò Brea e Madeleine Cavalier sottoposero ad indagine lungo la “plateia”-decumanus centrale, la c/da Cercadenari, ai piedi di Rocca Femmina, 10 mettendo in luce per oltre 180 m l’arteria viaria sino alla sua estremità occidentale, configurata quest’ultima una sorta di propilon 11 i cui resti, nell’assetto oggi visibile, sembrerebbero appartenere ad una fase assai avanzata, probabilmente contemporanea al rifacimento tardo imperiale o protobizantino della cinta muraria che delimita la balza nord-occidentale Da qui si accedeva ad una terrazza sulla quale si distribuiva un settore di necropoli con monumenti funerari di età tardo imperiale, 12 il cui meglio conservato, presso l’“angolo” nordoccidentale della cinta muraria (all’interno di essa), è a camera quadrangolare (del tipo cosiddetto “a casa”) con basamento a gradini, orientato NO-SE coi lati brevi. 13 La pavimentazione della “plateia”, accuratamente composta da blocchetti di arenaria locale, ne caratterizza l’intero percorso

Fig. 4. Cercadenari 2004. Un incrocio da sud. Ad est dello stenopos-cardo la domus (area B) in corso di sistemazione (la tettoietta che copre i mosaici è provvisoria). 8 Non entriamo per ora in merito alle questioni cronologiche e morfologiche legate a altri importanti manifestazioni della cultura architettonica della Tyndaris. ellenistica. Riguardo all’isolato iv vedi naturalmente Bernabò Brea-Cavalier 1965 (sulla casa C, in particolare, S. Aiosa, La casa C dell’insula iv di Tindari:impianto e trasformazioni, «riasa», 59, s. iii, xxvii, 2004 c.s.) ; sul mosaico geometrico policromo della casa B (fase di fine ii-i sec. a.C.) : Von Boeselager 1983, pp. 39-47 ; sui pavimenti in signinum delle case B e C, primi cenni in Bernabò Brea-Cavalier 1965, pp. 206-207 ; Wilson 1990, pp. 120-122 ; sull’apparato decorativo architettonico, in particolare per il problema della cronologia dei capitelli corinzi fittili dell’esedra della casa C : Lauter Bufe 1987, pp. 19-21, che li considera di reimpiego e li colloca fra primo e secondo quarto del iii secolo a.C., contra Wilson 1990, p. 374, n. 28 ; Campagna 2003, pp. 151-152. Per alcuni capitelli corinzi marmorei purtroppo non contestualizzati : Lauter Bufe 1987, pp. 4-9, 65-71 ; Campagna 2003, p. 151 sgg. Per le due nikai acroteriali in marmo : P. Zanker, Zwei akroterfiguren aus Tyndaris, « rm », xxii, 1965, pp. 95-99. 9 Poiché l’ultima campagna di scavo si è appena conclusa (dicembre 2004) e l’elaborazione dei risultati e lo studio dei materiali sono in corso ci limitiamo ad una semplice enunciazione di dati, rinviando ad una edizione esaustiva che dovrà essere completata in termini relativamente brevi. 10 Scavi inediti. Breve notizia in Bernabò Brea 1972-1973, pp. 175-176. Vedi anche : Wilson 1990, p. 166 (didascalia alla fig. 141) ; Bacci 1997-1998. 11 12 Bernabò Brea 1972-1973, p. 175. Bernabò Brea 1972-1973, p. 175. 13 Bacci 1997-1998, p. 334.

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umberto spigo capitelli corinzi pure sporadici 5 e la grande maschera tragica del leukós anèr (in questo caso Priamo) rinvenuta “sulla fronte dell’isolato” durante lo scavo 1969, che Bernabò Brea attribuisce al ii secolo d.C. 6 Ma, aldilà di questo e dei confronti che dovranno essere avanzati con altri sistemi monumentali del mondo romano, anche

Fig. 5. Campagna di scavi 2004. Prosecuzione verso est della platea-decumanus centrale. Quadrati C7-D7/C8-D8. Veduta da sud-est. In primo piano ambienti di abitazione. Al di sopra della sede stradale si impostano le lunghe strutture murarie di età tardo-bizantina.

ed appartiene all’assetto urbano conseguente alla deduzione della colonia nel 36 a.C. Questa arteria, interamente carrabile, costituiva la spina centrale della città e, al suo sbocco occidentale, il collegamento più diretto con la strada esterna che, affiancata da una diramazione verso NO della cinta muraria, scendeva verso il mare. 1 I vistosi avvallamenti e le deformazioni ondulate della superficie stradale, caratterizzanti anche il nuovo tratto in direzione est messo in luce nello scorso biennio ed il segmento dinanzi all’insula iv, potrebbero almeno in parte ricondursi agli effetti di violenti terremoti, in particolare quello del 365 d.C. 2 Le ricerche a Cercadenari sono state riprese sistematicamente, fra il 1992 e il 2003, dalla Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Messina, 3 incentrandosi sull’edificio monumentale,con fronte scandita da pilastri e grande gradinata di accesso, già individuato ma non scavato in estensione da Bernabò Brea e Cavalier (area A) e sulla domus che occupa il terrazzo superiore di un’isolato, prospettante a sud sulla plateia mediana (area B). 4 Gli scavi del 1968-1970 hanno restituito manufatti marmorei di pregio presumibilmente appartenenti all’apparato architettonico dell’edificio monumentale dell’area A : fra essi un capitello “ionico” riutilizzato in un muro di recinzione moderno e due 1 Barreca 1958, pp. 146-147, 150. Vedi anche infra. È invece ancora è da chiarire come si raccordasse col sistema viario urbano la strada che da sud est attraverso la porta a tenaglia saliva verso la città : Barreca 1958, p. 149. 2 A. Bottari et alii, Evidence of coseismic deformation of the paved floor of the decumanus at Tindari, Atti Incontro di Studio di Archeosismologia (Atti Convegno Messina 2004), c.s. Bernabò Brea-Cavalier (1965, p. 208, fig. 40) avevano originariamente riferito gli avvallamenti della superficie del tratto di “plateia” mediana prospiciente l’insula iv al collassamento della copertura del sottostante sistema fognario. Le conseguenze di un disastro tellurico in età tardo-antica ben leggibili, attraverso i dati di scavo e lo stato di conservazione di diversi monumenti a Tindari (Basilica, “insula iv”, teatro) e in altri siti della Sicilia (la villa romana di Patti Marina, le terme di Bagnoli S. Gregorio a Capo d’Orlando, le terme di S. Calogero a Lipari, lo stesso teatro di Taormina) sono unitariamente riferite da L. Bernabò Brea (Note sul terremoto del 365 d.C. a Lipari e nella Sicilia orientale, in La Sicila dei terremoti. Lunga durata e dinamiche sociali (Atti Convegno Catania 1995), Catania, 1997, pp. 87-99) al terremoto del 365 d.C. (contra in particolare Boschi et alii, Catalogo dei Forti terremoti in Italia dal 461 a.C. al 1980 (Istituto Nazionale di Geofisica, sga Storia Geofisica Ambiente), Bologna, 1995. Vedi anche : Di Vita 1982 ; Wilson 1990, pp. 187-188. 3 Sotto la direzione di G. M. Bacci e di chi scrive con la collaborazione delle d.sse Rosina Leone e Monica Viara del Università di Torino che hanno curato la conduzione scientifica sul posto. Le campagne di scavo dal 1993 al 1998 sono state effettuate nell’ambito di finanziamenti ex L. 449/87 ed art. 61 L. 67/1988 e,successivamente, POP mentre l’ultima, nel giugno-luglio 2003, era inclusa nell’ambito del progetto por (vedi infra nota 66). 4 In appendice diamo una nota descrizione preliminare dei due complessi (in corso di pubblicazione) curata da R. Leone e M. Viara

Fig. 6. Campagna di scavi 2004. Saggio quadrati M17-N 17/M 18-N18 in corso di scavo. Da nord-ovest. Al centro lo stenopos-cardo ancora ingombro di crolli. Ad est e ad ovest porzioni di isolato.

questo edificio pubblico, di configurazione particolare, potrebbe già definirsi un altro segno di quel consimile “sperimentalismo” (pur inserito nel quadro di un organico piano urbanistico) di cui nella Tindari imperiale sembrerebbe espressione peculiare anche la “Basilica” 7 e che è probabilmente anche debitore di un patrimonio di cultura architettonica ellenistica elaborato localmente. Non è ancora stato possibile acclarare attraverso lo scavo se l’edificio impegnasse un preesistente spazio già di destinazione pubblica della Tyndaris ellenistica come potrebbe apparire probabile. Riguardo alle fasi anteriori all’età imperiale nell’area di Cercadenari, nei pochi saggi effettuati dall’equipe di Lamboglia (sulla cui ubicazione non abbiamo ancora reperito dati precisi) i materiali ceramici più antichi, rinvenuti in livelli rimescolati a quanto riferisce la Mezquiriz, non sembrano risalire, al più presto, oltre l’avanzato ii sec. 8 Diversamente, nelle recenti campagne di scavo,si sono raccolti, purtroppo nei livelli superficiali sconvolti da ripetuti lavori agricoli, diversi frammenti (ceramica a v.n., coroplastica) databili al iii e ii secolo a.C. Per una valutazione più sicura, saranno necessari altri accertamenti stratigrafici, a Cercadenari ed in altri settori dell’area nord-occidentale di Tyndaris ma non può escludersi che l’ampliamento verso Ovest e verso Nord della città sia avvenuto progressivamente (nel corso del iii secolo a.C. ?) attraverso il prolungamento degli assi viari e la reiterazione (almeno per la cadenza degli incroci e l’ampiezza degli isolati) dello stesso modulo generatore del primo nucleo urbano. Una valutazione del rapporto fra l’edificio monumentale e il 5 Generica menzione in L. Bernabò Brea, Terracotte teatrali e buffonesche della Sicilia orientale e centrale, Palermo, 2002, p. 109. 6 Ivi, pp. 108-109 ; inoltre L. Bernabò Brea, Le maschere ellenistiche della Sicilia Greca (Cahiers du Centre Jean Berard, xix), Napoli 1998, p. 45, fig. 21. 7 Fatti salvi gli interrogativi ancora sussistenti sulla cronologia del suo primo impianto : cfr. supra nota 41 8 Lamboglia 1953, p. 83 dove si accenna ad un saggio presso una non meglio specificata struttura muraria ; Mezquiriz 1954, p. 96 (per la quale i materiali non risalirebbero oltre il i secolo a.C. mentre Lamboglia indica come estremo più alto l’ultima parte del ii secolo a.C.).

tindari. considerazioni sull ’ impianto urbano tessuto urbano sarà possibile solo completando l’indagine dei contigui isolati. Per la conoscenza dell’articolazione urbanistica di questo settore della città, un altro importante filone di future ricerche sul terreno dovrà incentrarsi sul rapporto cronologico e funzionale fra la fortificazione di età tardo imperiale romana e la necropoli monumentale che sembra in parte inclusa nella cinta medesima, 1 e sulla definizione del tracciato della strada che attraverso le balze nord-occidentali collegava la città col litorale e con la probabile zona portuale : un percorso stradale ricalcante probabilmente quello di età greca che fiancheggiava il braccio di fortificazione che dalle pendici di Rocca Femmina scendeva a rendere sicuro l’accesso da mare, mantenuto e ristrutturato dal sistema difensivo tardo-antico.2

103

b. Scavi lungo la plateia centrale È appena terminata la campagna di indagini iniziata nel giugno 2003 3 lungo la “plateia”-decumanus centrale, della quale, pressoché in continuità col settore di Cercadenari, è stato messo in luce, in direzione est, un nuovo tratto di oltre 180 m di lunghezza. 4 Si sono colti alla distanza ricorrente di circa m 28,30 – l’ampiezza dell’isolato – gli incroci con sei stenopoi-cardines, ciascuno reiterante la larghezza costante di circa 3 m. Anche questo settore venne unitariamente servito, per un lungo lasso di tempo, dalla complessa ed imponente rete di drenaggio sotterraneo di età imperiale messa in evidenza nella parte sud-orientale della città, 5 della cui copertura a lastroni sono stati evidenziati nuovi tratti in corrispondenza degli incroci. Dei fronti degli isolati prospettanti sulla “plateia”, è stato quasi completamente messo in luce “il livello” o terrazzo inferiore di quello meridionale delimitato (rispettivamente ad est e ad ovest) dagli “stenopoi” dei quadrati C 8 e C 5, costituito da una serie di ambienti allineati lungo il margine dell’arteria viaria. 6 Si è per ora parzialmente raggiunto in un solo vano il piano pavimentale, in cocciopesto. Molti dei materiali ceramici recuperati sotto i livelli di crolli attengono ad una fase di media età imperiale (fra ii e iii secolo d.C.) : assai numerosi, negli strati di crollo, i frammenti. di intonaci dipinti policromi a fasce e riquadri e anche numerosissime tessere musive sparse riconducibili a “tappeti” denotanti un tenore economico affine a quello della “domus” di Cercadenari. 1

Bernabò Brea 1972-1973, p. 175. Barreca 1958, pp. 146-147, 150. 3 Campagna di scavo sistematica diretta da chi scrive, condotta dal giugno 2003 al dicembre 2004 nell’ambito di un Progetto por 2001-2006 (Misura 2,3),di valorizzazione dell’Area Archeologica di Tindari, in corso di attuazione da parte della Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Messina-Servizio ai Beni Archeologici e diretto da chi scrive ;danno inoltre il loro apporto costante alla conduzione dei lavori (dati in appalto alla ditta Cannavò Antonino) l’arch. Giuseppe Natoli (direttore operativo) ed il sig. Francesco Salvia (ispettore di Cantiere). Hanno prestato la loro collaborazione scientifica alla conduzione dello scavo le d.sse Valeria Pratolongo (Università di Torino) e Francesca Cifali (Università di Palermo) e, per un più breve periodo (giugno-luglio 2003) la d.ssa Gabriella Amico. I rilievi di scavo sono effettuati dall’arch. Cristina Tindara Sidoti e dal sig. F. Salvia. 4 Le esplorazioni si sono concentrate nel settore sud-occidentale della nuova area di recente trasferita al demanio regionale (oltre 11 ha) nel quadro di un piano di esproprio predisposto ed attuato dalla Soprintendenza di Messina che ha consentito di aggiungere alle fasce già demaniali (espropriate negli anni ’50 e ’60) un’altro vasto e continuo settore del perimetro urbano includente,come limite, l’intero tracciato della fortificazione occidentale e gran parte delle balze settentrionali a strapiombo sul mare. Il sistema dello scavo in estensione lungo l’asse stradale è stato dettato dalla necessità di palesare la continuità di conservazione e la densità dei resti del tessuto urbano di Tyndaris anche in quest’area da opporre alle motivazioni di un ricorso avanzato da privati il cui accoglimento vanificherebbe i futuri progetti di ricerca e valorizzazione per la costituzione di un grande parco archeologico. 5 Bernabò Brea-Cavalier 1965, 208-209. I due studiosi constatano che i materiali raccolti “nello svuotamento” di questi drenaggi « appartengono, nella loro grande maggioranza al I secolo d.C. » (ivi, p. 208). 6 Vani di abitazioni e non tabernae come potrebbe sembrare di primo acchito per la loro posizione, prospiciente la strada. 2

Fig. 7. Campagna di scavi 2004. Saggio quadrati M17-N 17/M 18-N18 in una fase successiva dello scavo rispetto alla Fig. 6. Veduta da sud. Particolare della l copertura del sistema fognario che lo percorre assialmente. Ad ovest tratto di successiva massicciata di probabile età bizantina.

Il complesso comunica direttamente col terrazzo soprastante attraverso una scala dai gradini in blocchi di arenaria sul lato orientale, dove si colloca anche una cisterna ; numerosi sono i segni di una fase edilizia successiva agli eventi sismici di età tardo imperiale. Alla pavimentazione della “plateia” si sovrappongono lunghi tratti di strutture murarie sicuramente non anteriori all’età bizantina, di fattura più accurata in alcuni tratti decisamente più rozza ed affrettata in altri, a due facce con un riempimento interno, in grandi blocchi irregolari e lastre di arenaria (una sorta di “ortostati”) con andamento curvilineo, le cui finalità non sono ancora chiarite. Appartengono probabilmente agli ultimi periodi di vita della città, prima della conquista araba dell’836 a.C., della larghezza max. di m 0,70 in contemporaneità con l’ultima fase della fortificazione eretta affrettatamente a proteggere il settore meridionale. 7 I riscontri stratigrafici mostrano che il lastricato doveva ormai essere in gran parte coperto e che il livello della sede stradale era stato quindi rialzato di almeno m 0,30-0,40. Questo sistema di muri avrebbe assolto in un primo tempo la funzione di delimitare e proteggere aree di diversa proprietà in un paesaggio che, con il sensibile restringimento del perimetro urbano, aveva assunto caratteri rurali . Ma il potenziamento delle strutture con grandi blocchi ed elementi di riuso indizia anche una finalità difensiva in un’emergenza di grande pericolo, quale la minaccia dell’invasione araba. 8 c) Saggio nei quadrati M7-N 17/M18-N 18 Come si diceva, si è aperta una trincea di saggio (m 10x10) sull’asse dell’’incrocio compreso fra i quadrati M17/M18 – N17/N 18, dove (fra m 70 ed 80 a NO) si presumeva dovesse cadere quello corrispondente con la “plateia-decumanus” inferiore che non si è però raggiunto. Al di sotto di un potente strato di crollo è venuta in luce la prosecuzione dello “stenopos-cardo”, attraversato in asse dalla fognatura (con grandi lastroni di copertura) cui era sovrapposta una fitta massicciata di pietrisco e frr. ceramici compattati con terra, probabile sottofondo del piano stradale ; anche qui il sistema di drenaggio presenta rifacimenti successivi. 7

Vedi soprattutto Bernabò Brea-Fallico 1966, p. 867 Queste strutture, sulle quali non ci soffermiamo qui perché non pertinenti al tema del Convegno, assumono particolare importanza per la conoscenza della Tindari bizantina e saranno oggetto di uno studio specifico. 8

104 umberto Lo “stenopos-cardo” è fiancheggiato dalle porzioni di due isolati con parte di edifici a vani rettangolari (tre per ciascuno) orientati nord-sud. È già possibile individuare almeno tre fasi abitative a partire (sulla scorta di una prima ricognizione dei materiali recuperati) almeno dal i secolo d.C. Nell’isolato occidentale è, per esempio evidente, nel vano sul lato sud, una fase di ristrutturazione interna, con un rinforzo del muro perimetrale legato alla riedificazione successiva al sisma di età tardo imperiale. L’accertata assenza dell’incrocio attesterebbe che almeno in questo fascia nord-occidentale gli isolati dovevano raggiungere una lunghezza presumibilmente inferiore rispetto a quella degli isolati fra le plateiai superiore e mediana : se originariamente o per ristrutturazioni successive non sapremmo ancora dirlo. Il nuovo segmento di “stenopos-cardo” è inoltre decisamente fuori asse di almeno 1 m verso est, rispetto al soprastante incrocio con la “plateia” mediana, particolarità che non sappiamo se possa unicamente venir collegata al forte pendio ed ai salti di quota e che impone, per essere chiarita, l’estensione del fronte di scavo. APPENDICE Rosina Leone · Monica Viara Cercadenari-Aree “A” e “B”. Schede preliminari Le campagne di scavo 1993-1996-1998-2003 nell’area nord-occidentale di Tyndaris, in contrada Cercadenari, hanno permesso di indagare, a monte e a valle della plateia centrale, due aree, convenzionalmente definite area A ed area B. Area A. L’area costituisce la porzione settentrionale, affacciata lungo il decumano centrale, di un’isolato, occupato per la parte indagata da un edificio monumentale, 1 già parzialmente individuato dai saggi condotti nell’area da L. Bernabò Brea e M. Cavalier negli anni ’70. 2 L’edificio in blocchi di arenaria su fondazioni in ciottoli immorsati in malta, con fronte pilastrata, è impostato su un’alta scalinata di 11 gradini che occupa integralmente la larghezza dell’isolato, e conservato quasi soltanto a livello delle fondazioni. Il perimetro esterno era percorribile lungo un pavimento in cocciopesto, di cui è ancora visibile un tratto sul lato orientale. All’interno l’area risulta libera da stratigrafie di distruzione. L’edificio sembra essere interessato da spoliazioni in età antica. Da segnalare la presenza di un profondo interro che ha reso lento e difficoltoso l’intervento di scavo. La parte più meridionale dell’area, oggetto soprattutto dell’ultima campagna di scavo, è inoltre interessata da un imponente fronte di crolli che hanno finora ostacolato la messa in luce della pianta complessiva dell’edificio : sono stati solo parzialmente messi in luce i muri lunghi, che corrono paralleli a quelli dei cardines. È stata scoperta anche parte dei cardines E ed W, gradinati. Area B. L’area, che risultava pesantemente rimaneggiata dai lavori agricoli che hanno interessato la zona fino ad età recente, costituisce la porzione meridionale, affacciata lungo il decumano centrale, di un’insula di abitazione. La parte indagata è composta da nove ambienti pertinenti ad un’abitazione almeno in parte su due piani. L’ingresso principale era ubicato in corrispondenza dell’ambiente iv : il salto di quota era superato tramite una scala in legno. Dal decumano inoltre una scala a tre gradini permetteva di accedere ad un ambiente (ambiente i) pavimentato in opus signinum con motivo a rombi delimitato da fascia lungo il perimetro della stanza. L’ambiente più importante del settore è l’ambiente v, da identificarsi con il triclinium, in cui si segnala un pavimento a mosaico in bianco e nero a T, composto di due parti distinte delimitate da una fascia a losanghe nere su fondo bianco 1 2

Già presentato preliminarmente in Bacci 1997-1998. Bernabò Brea- Cavalier 1972-1973, p. 175.

spigo compresa tra due linee nere : una zona rettangolare suddivisa in tre file di sei quadrati a motivi geometrici diversi inquadrati da un motivo a treccia e una zona con rosone prospettico centrale a triangoli alternativamente bianchi e neri incorniciato da un’altra serie di quadrati a motivi geometrici a loro volta delimitati da un motivo a treccia ; negli angoli kantharoi 3 da cui fuoriescono tralci stilizzati, delfini e pesci. La decorazione musiva risulta inquadrabile nell’ambito del ii sec. d.C. Il pavimento a mosaico è bordato da cocciopesto in corrispondenza della zona dell’ambiente che doveva essere occupata dai letti. L’area più occidentale del settore era occupata da ambienti di servizio, forse in parte scoperti, cui si accedeva dal cardo W. In questa area si segnala inoltre la presenza di piccole strutture riferibili ad età successiva a quella della costruzione dell’isolato. Sia l’ambiente i sia l’ambiente V hanno restituito, nei crolli, frr. di intonaci parietali policromi, a fasce ed a motivi vegetali stilizzati e stucchi decorati a rilievo. L’insula è stata messa in luce fino al muro perimetrale settentrionale della domus, che segna anche il salto di quota, conformemente a quanto già evidenziato nell’insula iv. 4 Il complesso edilizio si colloca nell’ambito del i-ii sec. d.C. Per le età precedenti si sottolinea come dagli strati agricoli siano presenti frequenti frammenti di ceramica a vernice nera, collocabili già nel iii sec. a.C. Sono stati messi in luce anche tratti dei cardines ad E ed ad W dell’isolato. Abbreviazioni bibliografiche Bacci 1980 = G. M. Bacci, Taormina 1. Ricerche archeologiche nell’area urbana, « Archivio Storico Messinese », xxi, 1980, pp. 335-347. Bacci 1980-1981 = G. M. Bacci, Ricerche a Taormina negli anni 19771980, « Kokalos », xxvi-xxvii, 1980-1981, pp. 740-745. Bacci 1997 = G. M. Bacci, in eaa, ii suppl., 1991-1994, v, Roma, 1997, 526-527, s.v. Taormina. Bacci 1997-1998 = G. M. Bacci, Tindari, « Kokalos », xliii-xliv, 1998, pp. 329-334. Bacci 2000 = G. M. Bacci, Alcuni elementi di topografia antica, in Da Zancle a Messina. un percorso archeologico, edd. G. M. Bacci, G. Tigano, i, Messina, 2000, pp. 53-55. Bacci-Rizzo 1993-1994 = G. M. Bacci, M. C. Rizzo, Attività della Soprintendenza. Taormina, « Kokalos », xxxix-xl, 1993-1994, p. 944 sgg. Barreca 1957 = F. Barreca, Tindari colonia dionigiana, « ral », 1957, p. 125 sgg. Barreca 1958 = F. Barreca, Tindari dal 345 al 317 a. C., « Kokalos », iv, 1958, pp. 145-150. Barreca 1959 = F. Barreca, Precisazioni circa le mura greche di Tindari, « ral », xiv,1959, pp. 105-113. Belvedere-Termine 2004 = O. Belvedere, E. Termine, L’urbanizzazione della costa nord-orientale della Sicilia e la struttura urbana di Tindari, in Omni pede stare. Saggi architettonici e circumvesuviani in memoriam Jos de Waele, edd. S. T. A. M. Mols, E. M. Moormann, Napoli, 2004, pp. 84-90. Bernabò Brea 1964-1965 = L.Bernabò Brea, Due secoli di studi, scavi e restauri del teatro greco di Tindari, « riasa », xiii-xiv, 1964-1965, pp. 99-144. Bernabò Brea 1966 = L. Bernabò Brea, Tindari (Messina), « BdArte », 1966, pp. 114-116. Bernabò Brea 1972-1973 = L. Bernabò Brea, « Kokalos ». Bernabò Brea-Cavalier 1965 = L. Bernabò Brea, M. Cavalier, Scavi in Sicilia.Tindari. L’isolato iv e le strade che la circondano, « BdArte », 1965, pp. 205-209. Bernabò Brea-Fallico 1966 = L. Bernabò Brea, A. M. Fallico, in eaa, vii, 865-868, s.v. Tindari. Boeselager 1983 = D. von Boeselager, Antike Mosaiken in Sizilien, Roma, 1983. Bonacasa 1987-1988 = N. Bonacasa, Influenze microasiatiche nell’architettura della Sicilia ellenistica in Sicilia e Anatolia dalla Preistoria all’età ellenistica. Atti della 5 riunione scientifica della Scuola di Perfezionamento in Archeologia Classica dell’Università di Catania (Atti Convegno Siracusa 1987), « CdA », xxvi-xxvii, 1987-1988, pp. 139-158. Bonacasa 2004 = N. Bonacasa, Lo sviluppo della città nel iv e iii secolo 3 4

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Spigo 1984-1985 = U. Spigo, Adrano Ricerche nell’area urbana di Adranon Greca, « Kokalos », xxx-xxxi, 1984-1985, pp. 887-891. Spigo 1993 = U. Spigo, Nuovi rinvenimenti di ceramica a figure rosse di fabbrica siceliota ed italiota da Lipari e dalla provincia di Messina in The Archaeology of the Aeolian Islands (Atti Convegno Melbourne-Sydney 1992), ed. J. P. Descoeudres, « Mediterranean Archaeology », v-vi, Sydney, 1993, pp. 32-47. Spigo 1998 = U. Spigo, Materiali per una storia degli studi archeologici nell’area dei nebrodi e nelle Isole Eolie in Età borbonica, in I Borbone in Sicilia (1734-1860), Catania, 1998, 140-155. Wilson 1990 = R. J. Wilson, Sicily under the Roman Empire. The Archaeology of Roman Province. 36 bc-ad 535, Warminster, 1990.

Postscriptum Quando questo articolo era già in bozze hanno visto la luce alcuni lavori dei quali non si è potuto purtroppo tenere conto nell’apparato critico: A) Urbanistica ed architettura nella Sicilia, ed. P. Minà, Palermo, 2005 i cui numerosi contributi sviluppano e approfondiscono i diversi temi della mostra realizzata nel 2004 presso il Museo Archeologico Regionale di Agrigento la cui guida, dal medesimo titolo, è da noi citata in bibliografia. In particolare si menzionano qui due note su Tindari: U. Spigo, Tindari. L’impianto urbano, p. 150; S. aiosa, La casa C dell’insula iv di Tindari, p. 158 (sintesi del lavoro dello stesso autore: La casa C dell’insula iv di Tindari: impianto e trasformazioni, «riasa», 59, s. iii, xxvii, 2004 c.s. B) Tindari. L’area archeologica e l’Antiquarium, ed. U. Spigo, Milazzo, 2005, con una serie di contributi fra i quali si citano, in rapporto a quanto trattato nel presente articolo: M. A. Mastelloni, Le monete, pp. 25-27; U. Spigo, Topografia archeologica ed impianto urbano, pp. 3034; R. Leone, Le fortificazioni pp. 38-41; U. Spigo, L’insula iv: le case B e C, le Terme romane, i mosaici, pp. 42-54 (in particolare per i resti dell’impianto del iv secolo a.C.: pp. 42 e 43, fig. 2 (planimetria generale dell’insula iv con indicazioni dei resti dell’isolato del iv secolo a.C. sottostante la casa B) e fig. 3 (con frr. di ceramica a figure rosse siceliota dai livelli relativi ai predetti resti); U. Spigo, I pavimenti di Tindari, pp. 51-54; G. F. La Torre, La “Basilica”, pp. 55-58; U. Spigo, Il teatro, pp. 59-64: Idem, I nuovi scavi lungo il decumanus centrale, pp. 65,67; E. C. Portale, La scultura, pp. 79-83; R. Leone, M. Viara, Contrada Cercadenari: l’edificio monumentale, la “domus”, i monumenti funerari ed altre emergenze, pp. 68-71; G. Pavia, M. Ravesi, A. Sardella, Le necropoli, pp. 89-92. C) Nuovi contributi sull’impianto urbano di Adranon: 1) G. Lamagna, La città greca di Adranon in Bronzetti ad Adrano. Piccoli capolavori greci indigeni dal territorio. Guida alla Mostra (Museo Archeologico di Adrano, 826 giugno 2005), ed. G. Lamagna, Palermo, 2005, pp. 15-18; 2) U. Spigo, Punti fermi e prospettive per Adranon, ivi, pp. 19, 22; 3) Idem,Continuità e nuovi orizzonti. Dalla Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Orientale alla Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Catania, in Dall’Alcantara agli Iblei. La ricerca archeologica in provincia di Catania. Guida alla mostra (Catania, Chiesa di S. Francesco Borgia, 22 ottobre 2005-31 Gennaio 2006, edd. F. Privitera, U. Spigo, Palermo, 2005, p. 37; G. Lamagna, Adranon ivi, pp. 166-167. D) Per l’impianto “dionigiano” di Katane da ultimo: M. G. Branciforti, Catania in Dall’Alcantara agli Iblei, cit. pp. 178-181.

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M. Cecilia Parra NOTE DI ARCHITETTURA ELLENISTICA A SEGESTA, INTORNO ALL’AGORÀ

D

al 2001 sono riprese le ricerche del Laboratorio di Storia, Archeologia e Topografia del Mondo Antico della Scuola Normale Superiore a Segesta – come in precedenza condotte in fattiva collaborazione con la Soprintendenza ai bbccaa per la Provincia di Trapani : duplice il fine, non solo ampliare l’indagine all’intero contesto dell’agora e degli edifici pubblici limitrofi, ma anche ricomporre in un tessuto connettivo unitario i dati già noti. 1 In questa sede tenterò di offrire un ‘campione ’ dei nuovi esiti, limitandomi a presentare dapprima gli edifici ellenistici messi in luce sulla terrazza del bouleuterion, dalla quale ‘scenderò’ verso l’agora, in un’area a Sud della piazza (strettamente connessa ed allo stesso livello di quota) e poi lungo i lati Ovest e Nord, aggiornando quanto già presentato nel dicembre 2003 al Colloquio tenutosi presso la Scuola Normale (Fig. 1). 2 Credo sia bene sottolineare una volta per tutte, senza entrare nel merito di alcun contenuto, quanto l’insediamento medievale sia stato invasivo in quest’area, con un grande edificio di tipo palaziale ed una porzione di villaggio con semplici abitazioni di tipologia edilizia islamica sulla terrazza del buleuterio, e numerosi grandi vani a pianta rettangolare nell’area dell’agora. Ma proprio quel riuso, diretto o indiretto, consapevole o inconsapevole che sia stato, costituisce un ‘serbatoio’ di estremo valore per la conoscenza dei monumenti antichi che li precedettero, ricostruibili ormai solo attraverso pazienti letture e ricomposizioni di spezzoni superstiti di strutture murarie e di fondamenta, di cavi di fondazione svuotati, di frammenti architettonici e decorativi dispersi nei crolli, ovvero fittamente impiegati nel tessuto delle ‘nuove’ murature. E spesso quanto il Medioevo ha distrutto e/o ha usato mescolando materiali diversi e di diversa pietra (travertino grigiastro, calcari e calcareniti più o meno compatti, grigi e di varie tonalità di giallo) è divenuto elemento-guida per una redistribuzione in edifici diversi ed in fasi distinte. Il caso del buleuterio è emblematico ; ma non meno quello dell’edificio con cortile lastricato scandito da un colonnato dorico (Fig. 1), adiacente al buleuterio a Sud, quasi interamente cancellato nell’articolazione planimetrica dal riuso postantico. 3 Ne è stato individuato solo l’accesso – sul lato orientale vòlto verso l’agora – scandito da una grande soglia, davanti alla quale si conservano tratti del sistema di deflusso delle acque piovane con grandi tubi fittili verticali adducenti in una canaletta in 1 Le prime ricognizioni a Segesta risalgono al 1987 e la prima campagna di scavo in un’area nodale della cosiddetta « Acropoli Nord » al 1989 : ho avuto modo di seguire tutte le indagini, prima con Giuseppe Nenci – che ricordo con riconoscenza per avermi affidato fin dall’inizio un ruolo di responsabilità nell’indagine archeologica – e adesso con Carmine Ampolo, sotto la cui direzione coordino dal 2001 la ricerca sul campo, rinnovata sotto molti aspetti. Nelle nuove indagini sono impegnati sul campo in modo diretto allievi, perfezionandi e collaboratori della Scuola Normale, insieme a studenti, laureati e dottorandi dell’Università di Pisa, mia sede istituzionale. Ringrazio tutti per l’entusiasmo con cui stanno affrontando il lavoro sul campo, spesso molto pesante, e la rielaborazione dei dati. Un grazie particolare a Cesare Cassanelli, ‘compagno’ di vecchie e nuove ricerche per l’elaborazione della documentazione grafica. Per le ricerche archeologiche nell’area del buleuterio e dell’agora fino al 1997, si veda : Ceramica medievale 1995 ; de Cesare-Parra 2000 ; Michelini 1997 ; Microstorie edilizie 1997 ; Pluristratificazione 1992 ; Scavo dell’area 3000 1991 ; Scavo dell’area 4000 1991 ; Paoletti-Parra 1991 ; Paoletti-Parra 1995 ; Paoletti-Parra 2000 ; Parra 1997 ; Scavo dell’area 3000 1995 ; Scavo dell’area 4000 (Ovest) 1995 ; Scavo dell’area 4000 (Sud) 1995 ; Scavo dell’area 3000 2001 ; Scavo dell’area 4000 (Ovest e Nord) 2001 ; Scavo dell’area 4000 (Sud) 2001. Per le indagini riavviate a partire dal 2001 : Ampolo c.s. a ; Ampolo c.s. b ; Ampolo-Parra c.s. a ; Ampolo-Parra c.s. b ; Parra c.s. ; Parra-Gagliardi c.s. 2 Parra c.s. 3 È in corso di elaborazione il volume complessivo riguardante gli edifici antichi della terrazza che sovrasta ad Ovest l’agora ; si veda dunque per il momento Paoletti – Parra 1991a, 838-839, tavv. ccliii, 2, ccliv, 1-3 e cclv, 1 ; Scavo dell’area 3000 1995, 667-669, tavv. cii, 1, ciii, 1-2 ; de Cesare-Parra 2000, 278 ; Scavo dell’area 3000 2001.

muratura. La pavimentazione originaria del portico colonnato era realizzata con lastre di pietra di forma e misure variabili : un lembo è stato messo in luce all’interno di un vano del complesso medievale. Alla fase più tarda appartengono invece varie parti di una pavimentazione secondaria a mattoni quadrati, che trova buoni confronti in Sicilia ad Alesa ed a Solunto in complessi tardoellenistici. Per il momento sono state riconosciute due fasi edilizie, una più antica – verisimilmente del primo impianto – da inquadrarsi nella seconda metà del iv sec. a.C., seguìta da una seconda coeva al buleuterio, col quale venne a costituire un unico complesso. Quanto alla tipologia edilizia, il grande cortile porticato potrebbe identificarsi in termini funzionali come il peristylos (sinonimo di peribolos e del più comune palaestra) di un ginnasio, 4 vale a dire come la palestra per lottatori, pugili e pancraziasti del ginnasio segestano : un edificio che già Nenci pensava attestato da cinque iscrizioni datate tra la fine del iv ed il ii sec. a.C., di recente riesaminate da C. Ampolo con nuove letture e dubbi di attribuzione, di alcune almeno, all’edificio in questione. 5 Avremmo così – accanto agli incerti casi di Noto Vecchia (Netum) riconosciuto da Orsi 6 e di Tauromenio ipotizzato dalla Pelagatti,7 nonché ai più ‘solidi’ casi di Agrigento 8 e di Megara Hyblaea 9 – una tra le poche attestazioni archeologiche di questa tipologia edilizia in Sicilia, dove Siracusa Solunto Tindari ed Alesa hanno goduto solo di erronee identificazioni di ginnasi, 10 documentati invece su base letteraria e/o epigrafica in più siti tra iv e i sec. a.C. : da Siracusa stessa – con i ginnasi fatti edificare da Dionisio il Vecchio sulle rive dell’Anapo (Diod., xv, 13, 5) ed il noto Timoleonteion (Plut., Timol., 39, 4) – ad 4 Sul ginnasio, accanto al noto lavoro di Delorme 1960, si veda la sintesi di von Hessberg 1995 ed il recente volume miscellaneo Gymnasion 2004, in cui si affrontano vari aspetti del ginnasio e delle pratiche ad esso connesse in termini istituzionali, politici, archeologici ecc. (con ampia bibliografia). 5 Delle cinque iscrizioni riferite a suo tempo da G. Nenci al ginnasio segestano (Nenci 1991a, pp. 921-927), C. Ampolo (che ha riesaminato tutte le iscrizioni segestane provenienti dall’area dell’agora e del buleuterio in un volume di prossima pubblicazione) ha escluso il collegamento col ginnasio di ig, xiv 290, di cui i recenti scavi hanno restituito la parte mancante permettendone una lettura completa che ha fatto cadere la citazione di uno xystos (contra si era già espresso Delorme 1960, 288 nota 7 e 487) ; come di ig, xiv 291, di Inv. sg 2007 e di Inv. sg 2004, nelle quali tutte i termini lètti come propri di ginnasi (o di personaggi ad essi connessi) potrebbero in realtà riferirsi ad altri tipi di edifici o di complessi edilizi pubblici. Resterebbe così unica testimonianza certa del ginnasio segestano l’iscrizione Inv. sg 2024 che contiene un’esplicita citazione di un ginnasiarca ; ad essa deve probabilmente aggiungersi un nuovo piccolo frammento tardoellenistico in cui si fa menzione di efebi. 6 Orsi 1897, pp. 71 e 81 ; cfr. Delorme 1960, p. 140 ; Cordiano 1997, p. 62 nota 180, con bibliografia. 7 Dell’edificio è nota in realtà solo una parte in cui si è riconosciuta una biblioteca : cfr. in sintesi (con bibliografia) Pelagatti 1997, pp. 256-261. 8 Sul quale vedi in breve sintesi (con bibliografia) : Edifici pubblici Agrigento 1990, p. 23 e Fiorentini 1996. 9 Dove peraltro è certa solo la presenza di una palestra, riferibile forse ad un ginnasio : cfr. Megara Hyblaea 1983, pp. 41-44. 10 Per Siracusa, mi riferisco al complesso santuariale romano di Acradina per il quale P. Orsi ipotizzò, all’avvio delle ricerche, la natura di ginnasio : v. in sintesi Coarelli-Torelli 1984, pp. 241-143 ; cfr. Delorme 1960, pp. 90-92 (a proposito di tutti i ginnasi della città). Per Solunto, alla casa a peristilio scavata nel 1865 dal Cavallari, che la identificò come ginnasio per il rinvenimento dell’iscrizione del ginnasiarca Antallo ig xiv, 311 : vedi in sintesi Coarelli-Torelli 1984, pp. 36-37 e Solunto 2003, s.v. ‘Le case di Solunto’ ; cfr. Delorme 1960, p. 487. Per Tindari, alle strutture identificate come ginnasio da B. Pace : cfr. Delorme 1960, pp. 140-141. Per Alesa, all’edificio con impianto termale (una casa, in realtà ?) ad Est dell’agora scavato da G. Carettoni, che lo riteneva invece a carattere pubblico e con possibili caratteristiche di ginnasio : cfr. Carettoni 1961, pp. 303-311 e Wilson 1990, pp. 26 e 379, nota 29 (a quest’ultimo rimando anche per brevissime menzioni di vari altri casi qua citati, passim). A questa lista possiamo aggiungere anche le strutture identificate da Sjökvist come pertinenti al ginnasio di Morgantina (cfr. Sjökvist 1962, pp. 136137 e Allen 1970), che sono invece da riferire ad una stoà o ad una casa privata/ palaestra : cfr. già Bell 1984-1985, pp. 510-512, e poi Wilson 1990, p. 360, nota 92 e Cordiano 1997, p. 88.

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m. cecilia parra

Fig. 1. Segesta, area dell’agora : planimetria generale plurifase.

Akrai, Catania, Leontini, Alontion, Eloro, Centuripe, Finziade, Lilibeo. 1 Lasciando da parte anche un indicatore troppo generico quale la vicinanza del ginnasio con l’agora nella media età ellenistica (in particolare nel iii sec. a.C.), 2 è d’obbligo tuttavia pensare che il peribolo possa collegarsi ad altre tipologie di edifici, perfino di culto : penso ad esempio ai casi di Iasos e di Messene, in cui il buleuterio è addossato ad un peribolo, rispettivamente quelli del santuario detto di Artemide Astiàs e dell’Asklepieion. 3 Viene da domandarsi allora se il piccolo tempio tardoarcaico, 4 1 Rinvio soltanto in generale, a Delorme 1960, pp. 90-92, 140-141, 222-223 e Cordiano 1997, passim ; ed a Gymnasion 2004 (in quanto riferimento bibliografico più recente sul ginnasio sotto i diversi aspetti d’indagine ad esso connessi). Per il ginnasio di Catania, di recente è stata da Wilson 1990, 160, recuperata una vecchia ipotesi di ubicazione del ginnasio in area urbana sepolta dall’eruzione dell’Etna del 1669 (cfr. Holm 1925, 57). Per Centuripe, fu esclusa già da Libertini 1926, pp. 4849, l’ipotesi ottocentesca dell’Ansaldi di riconoscere un ginnasio in resti di terme romane in località Acqua Amara. 2 Si veda in proposito von Hessberg 1995, passim. 3 In sintesi (con bibliografia), cfr. per il primo Laviosa 1995, per il secondo Themelis 1995. Nel caso di Iasos abbiamo uno schema di articolazione di complessi assai vicino a quello di Segesta : agora/peribolo di Artemide/buleuterio in stessa posizione reciproca. 4 Restano soltanto due tratti di murature a grandi blocchi parallelepipedi di travertino, larghi cm 85 ca., della fondazione di un edificio a pianta rettangolare riconoscibile solo in parte, grazie anche alla lettura di porzioni dei cavi di fonda-

individuato a breve distanza, non possa pensarsi al centro di un peribolo santuariale che lo abbia inglobato, ancora esistente in zione : è calcolabile così con una certa approssimazione, uno sviluppo planimetrico residuo di m 8 di larghezza e m 11,20 max di lunghezza, ma non è da escludere che l’edificio si sviluppasse ancora verso Est. Il tratto di muratura con andamento Est-Ovest, riferibile al margine meridionale della fondazione, è conservato su tre filari, ma probabilmente quello superiore è stato riposizionato e dunque fa parte dell’elevato di età sveva, quando la struttura fu inglobata in uno dei vani del palazzo fortificato, esercitando chiaramente funzione di ‘asse portante ’ e discriminante dell’orientamento di tutta la porzione meridionale del complesso palaziale. L’altro tratto, perpendicolare al primo, si articola in due filari di blocchi di fondazione, uno dei quali abbandonato in situ dopo un fallito tentativo di rimozione per riuso ; altri blocchi delle stesse dimensioni e dello stesso materiale sono riutilizzati a poca distanza in strutture medievali. Non è da escludere che questa struttura, perpendicolare alla prima, debba considerarsi come un tramezzo di fondazione, forse ‘mediano’ rispetto allo sviluppo planimetrico complessivo dell’edificio. Al suo alzato si devono verisimilmente collegare almeno tre elementi architettonici, tutti in travertino : 1) un rocchio di colonna scanalata – riutilizzato in un piccolo vano medievale posto a pochissima distanza verso Nord –, che si conserva per un’altezza di cm 63,5 ed ha un diametro di cm 76 ca. ; 2) un frammento di capitello dorico – rinvenuto nel settore meridionale del lato Ovest dell’agora in uno strato interpretato come uno scarico di materiali vari, molti dei quali architettonici, anteriore al xii secolo – con abaco alto cm 11 ca. ed echino che presenta forti analogie rispetto ad esemplari di templi agrigentini (cfr. Mertens 1984, pp. 92-124), ma soprattutto assai vicino a quello del capitello della peristasi del tempio del santuario di Contrada Mango, ancora ben poco noto, ma certamente anteriore al tempio maggiore (cfr. Mertens 1984, pp. 87-91, con datazione al 460-450 a.C.) ; 3) un frammento di gocciolatoio a testa leonina – rinvenuto sporadico nell’area della terrazza del buleuterio – confrontabile anch’esso con l’unico gocciolatoio noto dell’edificio templare di Contrada Mango,

note di architettura ellenistica a segesta, intorno all ’ agorà 109 1 alzato, forse dopo quasi due secoli : ma i dati archeologici, deproveniente da cave del vicino Monte Inici ; e che con ogni procisamente scarni, segnalano solo una radicale spoliazione, fino babilità era chiuso sul lato orientale formando un corpo struttualle fondazioni, di età medievale. ralmente unitario con l’aula del consiglio, come nei buleuteri di Agrigento e di Morgantina, invece di essere ‘svincolato’ da essa Accanto a queste testimonianze archeologiche potremmo citarne anche un’altra, letteraria, che ci fa intravedere un complesnell’andamento perimetrale come nel caso di Monte Iato e forse so buleuterio/peribolo : uno dei decreti emanati a Cuma eolica di Akrai. Si conserva, anche in parte dell’alzato, un ambulacro per la ‘supercittadina’ Archippe che finanziò la costruzione del retrostante la cavea, forse coperto a volta, con porta di accesso buleuterio e del santuario di Homonoia, prevedeva che si « … sul lato Ovest dove resta in situ la soglia ; all’interno si sono rincolloc(asse) una statua in bronzo dorato (scl. della benefattrice) venuti in crollo ed in perfetto stato di conservazione due sedili, su una colonna di marmo nel recinto (peribolos) del bouleuterion chiaramente caduti dai due ordini superiori della cavea. Si è ipodedicato da Archippe ». Secondo la Savalli, i festeggiamenti orgatizzato che dall’ambulacro si accedesse da una parte ad un vano nizzati da Archippe nel buleuterio attestati da altri decreti, dovesotterraneo retrostante, identificato ma solo in minima parte scavano svolgersi non solo nella sala del Consiglio, ma anche fuori vato e pertanto con funzione non ancora chiara (un magazzino ? un ‘archivio’ ?) – ; dall’altra è da ipotizzare la presenza di una dell’edificio, vale a dire nel peribolos, che viene così ad assumere la fisionomia di uno ‘spazio attrezzato monumentale’ che amplia scala di accesso secondario agli ordini superiori della cavea. quello della sala del buleuterio 2 – troppo piccola per eventi diverElementi erratici attestano o semplicemente fanno intravesi dalle assemblee del Consiglio –, ma che fa corpo con esso : ma dere altre caratteristiche strutturali e/o decorative. È certa la si deve forse pensare ad un peribolo antistante, come attestato ad presenza di klimakes divisorie della cavea, ma non il numero : forse due sole centrali, o piuttosto quattro, di cui due centrali e esempio per il buleuterio più antico di Monte Iato. 3 Veniamo adesso al buleuterio, indagato nella sua pressoché due ridossate alle pareti ai lati dell’ingresso ; e così anche di una pavimentazione in opus sectile dello spazio per gli oratori, a mattotale interezza. 4 Se ne conosce l’intera pianta (Fig. 2) e se ne può già proporre una ricostruzione ipotetica dell’alzato (Fig. 3), tonelle esagonali ed elementi trapezoidali ricurvi al limite infegrazie anche ad una lettura sistematica di elementi architettonici riore dei sedili – il tutto realizzato con lo stesso calcare rosso del e/o decorativi reimpiegati nei muri medievali o recuperati nei Monte Inici. 5 Rocchi di semicolonne 6 reimpiegati in muri medievali (Fig. 5 a-b) sono forse da ‘ricollocare ’ ai lati delle porte crolli. Sono note alcune parti del muro perimetrale dell’edificio, d’ingresso alla sala del consiglio dal portico – ne possiamo forse entro il quale si inscriveva la cavea semicircolare misurabile all’esterno in m 18,50 ca. di larghezza ; le misure complessive ipotizzare due poste ai lati dell’asse mediano dell’orchestra –, sono calcolabili in m 18,50 x 15,30 ca. Restano in situ, rasati, ovvero quali elementi terminali del colonnato del portico d’insoltanto tratti dei quattro muri radiali, con residui dei riempigresso, chiuso forse da muri angolari, al quale è da riferire con menti, e quattro grandi lastre delimitanti lo spazio semicircolare ogni probabilità sia un blocco di geison (Fig. 6) che un capitello destinato agli oratori (con raggio stimato di m 2,38) ; ma non dorico di colonna scanalata (Fig. 7) rinvenuti in strati di crollo si è conservato in alzato nessuno degli ordini di sedili, tutti simedievale nell’area antistante. 7 Entrambi trovano facile inquadramento cronologico in età tardoellenistica, pur non mancando stematicamente spogliati e riutilizzati, anche se si può calcolare uno sviluppo totale di sette ordini, a partire dal filare di base, sul buoni confronti anche con esemplari messi in opera nella Casa quale è ancora ben leggibile la linea-guida d’imposta del primo a Peristilio 1 di Monte Iato nella fase iniziale datata – in termiordine (Fig. 4). È così calcolabile la capienza dell’edificio, pari a ni ormai più volte messi in discussione – agli inizi del iii sec. a.C. ; 8 da segnalare che il capitello reca su un lato dell’abaco una 200 o 150 posti ca., a seconda che si adotti l’unità standard di cm lettera, G (gamma), con valore probabilmente numerico, forse 50 d’ingombro a persona, ovvero un’unità maggiore, forse più riferibile all’ordine di messa in opera per una terza colonna. consona alla sua funzione. Si conservano ancora in posto varie lastre (cm 120 x 93) del5 Non è da escludere che questa pavimentazione in sectile sia stata preceduta lo stilobate del portico che scandiva a Nord l’ingresso, su tre da una a mosaico bianco, di cui sono state trovate ampie tracce non più in situ, che delle quali sono riconoscibili le tracce d’imposta delle colonne verrebbe ad inserirsi tra gli esempi di tessellati bianchi siciliani la cui cronologia (diam. cm 66) : si può calcolare così che il porticato aveva una oscilla ancora tra proposte contrastanti, dalla fine del iv agli inizi del i sec. a.C. : cfr. de Cesare-Parra 2000, pp. 275-276 e nota 10 ; Scavo dell’area 3000 2001, pp. profondità di m 4,70 ca. Del portico sappiamo anche che aveva 422-423. Sulla problematica in questione, si veda (con ampia bibliografia) la sintesi una pavimentazione a lastre rettangolari di calcare rosso-rosato, di Portale 1997, pp. 85-88. ricondotto dalla Mertens-Horn (Mertens-Horn 1988, p. 94, 167, 188, nr. 21) ad un tipo agrigentino attestato in loco nella prima metà del v sec. a.C., ma diffuso successivamente nella Sicilia Occidentale (Mozia, Selinunte e Segesta Contrada Mango) ed in area geloa (Butera). Accanto a questi dati di tipo architettonico, lo scavo ha fornito anche alcuni indizi stratigrafici per la definizione cronologica dell’edificio, in particolare materiali arcaici residui nei riempimenti dei cavi di fondazione – peraltro assai inquinati dalle spoliazioni postantiche – che permettono di inquadrare questo tempio di piccole dimensioni che sorgeva sulla terrazza ad Ovest dell’agora entro la prima metà del v sec. a.C., in età dunque anteriore a quella di costruzione del grande tempio della collina occidentale. Per i dati di scavo, v. Scavo dell’area 3000 1995, pp. 662-663, 672, 674-677, 682 e cfr. anche Parra c.s. ; per il gocciolatoio a testa leonina, v. Scavo dell’area 3000 1991, p. 830, tav. cclii, 2 ; per il frammento di capitello dorico e il rocchio di colonna, v. Parra c.s. 1 Anche nel caso di Iasos, si riscontra una distanza cronologica non indifferente tra tempio in antis, di età ellenistica, posto al centro del peribolo ed il peribolo stesso del ii sec. d.C. (ma esisteva ancora il piccolo tempio quando fu costruito il peribolo ?) : cfr. cenni in Laviosa 1995, 83 (con bibliografia). 2 Savalli-Lestrade 1993 con analisi, commento e traduzione dei decreti per Archippe : cfr. in ptc. 242-246 e 266. Sul tema, si veda anche Förtsch 1998, in ptc. 437 e 457 (con bibliografia), nell’ambito del bel quadro generale sull’immagine della città e del cittadino in età ellenistica. 3 Cfr. ex. gr. Isler 2000, pp. 35-36. 4 Le indagini archeologiche all’edificio sono completate, ad eccezione di una modesta parte a Sud e ad Est in corrispondenza dell’ambulacro, dove il recupero delle strutture ellenistiche non può per il momento essere portato a termine in modo sistematico a causa della presenza di abitazioni medievali sovrappostesi. In attesa del citato volume inerente gli edifici antichi della terrazza sovrastante ad Ovest l’agora, si veda de Cesare-Parra 2000 e Scavo dell’area 3000 2001.

6 Cfr. de Cesare-Parra 2000, 275 e tav. xlviii, 3. Si tratta più esattamente di « semicolonne-pilastro semplici », per le quali cfr. in ptc. Büsing 1970, pp. 45-51. 7 Per il blocco di geison, vedi de Cesare-Parra 2000, nota 14 e tav. xlviii, 1-2 : per il tipo di cornice con « kymation ieroniano » (Ierone II), oltre a von Sydow 1984, p. 279 sgg., cfr. Campagna 1997, pp. 228-230, a proposito di esempi del teatro di Segesta, con ampia bibliografia e confronti tutti databili non prima degli inizi del ii sec. a.C. ‘In serie ’ con questo esemplare può inserirsi anche un altro blocco di geison con kyma lesbio da tempo rinvenuto in un enorme riempimento medievale nell’area della stoà Sud presso il macellum (a proposito del quale vedi infra) : cfr. Scavo dell’area 3000 1991, p. 784 e tav. cxi, 2, rinvenuto insieme alla statuetta femminile ed al capitello corinzio-siceliota, per cui v. infra. Per il capitello, cfr. Parra c.s. : lato abaco : cm 66,5 ; h abaco : 8,7 ; h echino con sommoscapo : 11,3 ; si tratta di un esemplare con echino quasi troncoconico con inclinazione a 45° (lievissimo incurvamento sup.), abaco quadrato con lati lisci, due anuli separati da scanalature nel sommoscapo, venti scanalature ; cfr. ex gr. Villa 1988, 23, echino tipo iv ; Pensabene 1993, p. 311, nr. 2, fig. 207 (fine iii-inizi i sec. a.C.) ; p. 335, nrr. 96-98 (iii-ii sec. a.C.) ; Dalcher 1994, pp. 52-53 e in ptc. 68-69, A 533 e 739 (dalla Casa a Peristilio 1 di Monte Iato, per cui vedi nota seguente). Cfr. anche gli esemplari di Iasos, definiti di « scuola pergamena » e datati nel ii sec. a.C. da Tomasello 1985, nell’accurata analisi inerente in particolare metodologie progettuali della pratica architettonica microasiatica d’età ellenistica. 8 Dalcher 1994, ad esempio 68, A30, tavv. 20 e 54 ; 69, A 739, tav. 54 ; 72, A 536, tavv. 24 e 61. Sulle perplessità avanzate a proposito della cronologia della Casa a Peristilio 1, fase i, cfr. ex. gr. già Villa 1988, 35 e Bechtold 1994 e 1995, passim, attraverso l’esame di materiali architettonici della fase ii della c.d. « Casa del Navarca » a Segesta, di certa cronologia tardoellenistica (fine ii-inizi i sec. a.C.). Il capitello dorico del buleuterio segestano (come quelli della stoà Ovest dell’agora, v. infra) può trovare altri paralleli a Monte Iato stessa nei capitelli della stoà Nord dell’agora, a proposito della quale rimando in sintesi solo ad Isler 2000, 35-36.

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Fig. 2. Segesta : pianta ricostruttiva del buleuterio.

Una cariatide-menade di piccole dimensioni (Fig. 8 ; h max cm 27) – nel cosiddetto « schema chiuso di Atlante » in cui queste figure femminili portanti fanno spesso da pendants a Telamonisileni –, rinvenuta sporadica nell’area immediatamente ad Ovest del buleuterio, potrebbe essere ricondotta ad una qualche forma di decorazione architettonica interna dell’aula dell’edificio (una serie di mensole a coronamento di lesene ?), piuttosto che del portico d’ingresso. Il nostro frammento amplia il numero, invero non molto elevato, delle attestazioni architettoniche lapidee del tipo – come noto, quasi tutte di ambito siciliano e magno greco ; 1 ma l’elevato stato di erosione ed il rinvenimento fuori contesto non aiu-

Fig. 3. Segesta : assonometria ricostruttiva del buleuterio.

1 Rinvio solo a Isler-Kerény-Ribi 1976 e alla più recente analisi di Capecchi 1991 (con bibliografia e dettagliato elenco di attestazioni). Ricordo, senza entrare nel dettaglio (ma si vedano alcuni contributi in questi stessi Atti), anche le attestazioni fittili (come a Centuripe) e pittoriche e/o in stucco dipinto (come a Pompei, tepidarium delle terme del Foro ; terme di Fregelle), interessanti anche per l’impiego nella decorazione interna di vani.

note di architettura ellenistica a segesta, intorno all ’ agorà 111 tano nell’inquadramento cronologico, peraltro non molto certo neppure per altri esemplari noti, spesso decontestualizzati, e, se ancora in situ e/o di certa provenienza, relativi a monumenti di cronologia discussa. E tra gli elementi erratici, sono da ricordare anche frammenti di cornice iscritti che potrebbero “ricomporsi” forse nell’epistilio del portico Nord. 1 Un saggio praticato all’angolo Nord-orientale del buleuterio ha permesso di chiarire la pianta su questo lato, facendo scartare l’ipotesi di un portico doppio – come nel buleuterio recente di Monte Iato, per esempio – e confermando invece quella di un’area aperta antistante il portico semplice, pavimentata con lastre di calcare chiaro (ne restano in situ due). Col medesimo intervento è stata inoltre individuata la fondazione del muro terminale di un secondo portico – già indiziato da due blocchi di stilobate ancora in situ – che si sviluppava lungo il lato orientale del buleuterio, quello vòlto verso l’agora, pavimentato con lastre Fig. 4. Segesta : buleuterio, veduta. lapidee come quello d’ingresso. 2 Quanto alla cronologia dell’edificio, due saggi praticati nei altri edifici segestani dell’agora ovvero al teatro, la cui dataziolivelli residui di riempimento della cavea 3 ne hanno permesso ne – come noto – è stata di recente ricondotta in questo stesso l’inquadramento in età tardoellenistica, alla fine del ii sec. a.C., periodo dagli scavi di F. D’Andria. 4 Ma è certo che nell’area vicino dunque al secondo buleuterio di Monte Iato, ma anche ad dovette esistere un edificio più antico, che dobbiamo inquadrare nella fase edilizia protoellenistica dell’ipotetico ginnasio : molti infatti i materiali residui nei livelli di riempimento, databili 1 Si veda una prima nota in Ampolo c.s., in attesa della citata edizione sistematica tra la fine del iv ed il iii sec. a.C. ; e sono presenti anche resti delle iscrizioni di quest’area pubblica di Segesta. 2 Restano solo residui della preparazione pavimentale di allettamento delle lastre, di strutture murarie anteriori al buleuterio tardoellenistico, ma ma molto ben leggibili : cfr. Scavo dell’area 3000 2001, p. 421. poco leggibili nell’articolazione planimetrica e nessuna riferi3 Per l’analisi di dettaglio dei materiali dai saggi al buleuterio rinvio a Scavo

dell’area 3000 2001, 421-423 : in generale, si tratta di materiali inquadrabili tra la fine del iv-inizi del iii e la fine del ii sec. a.C., oltre a qualche sporadico fr. di epoca antecedente, quali piatti a v.n. a tesa pendula della specie 1312 di Morel 1981 ; coppe e coppette ad orlo rientrante a v.n., coppe a v.n. della specie 3210 di Morel 1981, anfore greco-italiche, puniche, rodie (anche con bollo) e Dressel 1A, pentole e tegami ad orlo bifido, oltre a ceramica acroma fine tardoellenistica.

4 Si veda per il momento D’Andria 1994 (con una prima presentazione dei dati delle nuove indagini archeologiche), Campagna 1994 (per alcuni elementi architettonici della scena), oltre al quadro generale di Camerata Scovazzo 1997 ; cfr. l’ormai forte ‘ricezione’ della cronologia bassa dell’edificio e del quadro di riferimento, non solo segestano, in Wilson 2000.

Fig. 5a-b. Segesta : semicolonna del buleuterio.

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Fig. 6a-b. Segesta : blocco di geison del buleuterio.

bile con chiarezza ad un edificio preesistente adibito alle stesse funzioni. 1 Il buleuterio di Segesta presenta una fisionomia autonoma rispetto ai buleuteri siciliani noti. Si colgono alcune corrispondenze, per la tipologia planimetrica, con quelli di Agrigento e di Solunto ; 2 ma l’ambulacro che correva sotto i due ordini superiori di sedili della cavea, lo avvicina in particolare ad edifici microasiatici, in particolare al buleuterio di Nysa di età tardoellenistica, con ambulacri voltati sottostanti la cavea anche sui lati brevi dell’aula, e – in termini minori – a quello di Iasos, più recente di un secolo circa. 3 Questa considerazione sollecita a meditare sul possibile inserimento anche di questo edificio segestano in quel quadro di radicale rinnovamento urbanistico con forti connotazioni microasiatiche che di recente è stato riconosciuto per la città tardoellenistica ; rinnovamento al quale apparterrebbe anche il teatro, col quale – è innegabile – debbo1 Così avevamo ipotizzato, anche se con molta cautela, in de Cesare-Parra 1997, pensando ad una vicenda edilizia analoga a quella di Iato, dove due buleuteri si succedettero, ma senza sovrapporsi, tra il 300 a.C. e la fine del ii sec. a.C. (cfr. bibl. cit. ibidem, cui aggiungi Isler 2000, pp. 35-40). 2 Cfr. Daehn 1991 e de Cesare-Parra 1997 (con bibliografia, cui aggiungi per Solunto, Solunto 2003, s.vv. L’agorà di Solunto e L’agorà ellenistica in Sicilia). 3 Per i buleuteri siciliani, inseriti in un quadro generale di attestazioni note, si veda Daehn 1991, pp. 52-64 (con bibliografia), oltre a de Cesare-Parra 1997. Da tener presente anche Kockel 1995; scolastica la sintesi di Iannello 1994. Per il buleuterio di Nysa, cfr. bibliografia in Daehn 1991, p. 55, cui aggiungi Gneisz 1990, pp. 338-340 ; per quello di Iasos, datato alla fine del i sec. a.C. o anche più tardi, vedi Parapetti 1985, pp. 105-109 e 117 per la cronologia (per la quale vedi anche Gneisz 1990, p. 324). Nel buleuterio di Iasos si trova attestata anche una pavimentazione dell’orchestra in opus sectile (cfr. Parapetti 1985, pp. 110-111) ma ben diverso da quello del buleuterio segestano sia nel modulo, medio quadrato composito, sia per disegno compositivo, indubbiamente più recente ; l’edificio presenta inoltre una planimetria ben più complessa, con ambulacri coperti a volta paralleli ai lati Est ed Ovest dell’aula ed ambulacro anulare sotto la parte mediana della cavea.

no rilevarsi forti analogie nella fisionomia monumentale e nella tecnica edilizia. 4 Mi chiedo allora se l’architetto Bibakos figlio di Tittelos dell’iscrizione monumentale restituita dallo scavo del buleuterio – di cui ricordo soltanto che lo sviluppo complessivo è calcolabile in m 3,90 ca. – non possa essere pensato quale autore anche di altri monumenti segestani maggiori, se lo si ritenne degno di una menzione così ‘teatralmente’ esplicita e senza dubbio non particolarmente usuale. Non entro affatto nel merito dell’eccezionale testo epigrafico di cui si stanno occupando altri : 5 solo una precisazione circa la posizione originaria. L’iscrizione era già stata riconosciuta come pavimentale fin dal primo rinvenimento, dato lo spessore e le caratteristiche formali del retro dei blocchi : 6 adesso si è potuto accertare che era collocata a ridosso dello stilobate, probabilmente sull’asse centrale d’ingresso (Fig. 2), come suggerisce la distanza tra lo stilobate stesso ed alcune mattonelle di pavimentazione del portico ancora in situ, distanza esattamente corrispondente all’altezza delle lastre iscritte (cm 74-75 ca.). Dalla terrazza superiore che dominava ad Ovest l’agora, ‘scendo’ adesso in un’area strettamente collegata all’agora stessa a Sud, ed alla stessa quota (Figg. 1, 9-10) : qua è stata messa in luce una stoa ad Est del grande muro di recinzione del palazzo medievale, che ne cancellò quasi totalmente l’elevato con l’abituale riuso di pietra da costruzione, obliterandone solo poche parti ancora in situ sotto un possente riempimento. Di questa stoa resta in posizione originaria un tratto di stilobate, poggia4 Cfr. quanto già segnalato nella nota 4, p. 111, a proposito del teatro, cui aggiungi il recente contributo di Campagna 2003. 5 Cfr. Ampolo, nel volume cit. in nota 5, p. 107. 6 Cfr. de Cesare-Parra 2000, p. 279 ; Scavo dell’area 3000 2001, p. 417.

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Fig. 7a-b. Segesta : capitello dorico del portico Nord del buleuterio.

to direttamente sullo zoccolo di fondazione, con tre colonne a fusto liscio conservate solo a livello del rocchio di base, che dovevano essere sormontate da capitelli corinzio-sicelioti tardoellenistici : un esemplare (Fig. 11 a-b), riconducibile al Tipo i della classificazione dei capitelli corinzi di Solunto della Villa e ben confrontabile con esemplari di Noto Vecchia e Siracusa, è stato rinvenuto integro in crollo sul piano di calpestio interno del portico. 1 Una statua femminile di piccole dimensioni – stante, acefala, con chitone poderes ed himation cinto sui fianchi –, rinvenuta nel grande riempimento medievale dell’area, potrebbe appartenere alla decorazione del muro di fondo, che senz’altro era in origine rivestito d’intonaco dipinto. La figura femminile (una Musa ?) sembra un prodotto locale, che trova tuttavia riscontri significativi in esemplari – senza meno di qualità più elevata – di statuaria tardoellenistica di Atene, Rodi, Kos e Cirene. 2 In quest’area sono state di recente riprese le indagini con lo scopo di verificare l’assetto dello spazio antistante il portico ed in particolare il suo collegamento urbanistico – ed eventualmente monumentale – con le strutture a carattere pubblico che J. de la Genière mise in luce più a Sud alla fine degli anni ’70. 3 Grazie anche ad interventi di sgombero di alcune strutture medievali, si è innanzi tutto confermata in termini stratigrafici la cronologia per il primo impianto del portico – una stoa dunque coeva al buleuterio – suggerita in precedenza da soli elementi strutturali e/o 1 Si veda Scavo dell’area 3000 1995, pp. 685, 754-755, nr. 3, tavv. cx, 2, cxii, 1 a-b ; de Cesare-Paoletti-Parra 1997, p. 377, tav. lxiii, 1. Oltre alla bibliografia di confronto ivi già citata, vedi anche Lauter-Bufe 1987, p. 22, nr. 31, tav. 12, per un esemplare del Museo di Siracusa, dall’area dell’agora presso Piazza Marconi (non datato) ; pp. 22-23, tavv. 13 b e 14 a-b, per un altro esemplare del Museo di Siracusa da Noto Vecchia (complesso del presunto ginnasio riferita da Orsi 1897, p. 78, ad « età … non anteriore al secolo iii a.C. » : cfr. supra) ; pp. 48-51, nrr. 157, 159 e 162, tav. 35, dal Foro e dal portico superiore del Santuario della Fortuna di Palestrina (fine ii sec. a.C.) ; pp. 40-41, nrr. 108-111, tav. 28, a-b, capitelli della Casa del Fauno di Pompei (non oltre il 100 a.C.). E inoltre, vedi Pensabene 1993, pp. 109-120 ; Rumscheid 1994, pp. 55 e 89, nr. 362.2, tav. 190, 5-6 (per esemplare di solo riferimento dell’Olympieion ateniese, fase edilizia di Antioco IV Epifane, 175-164 a.C.). 2 La si veda in Scavo dell’area 3000 2001, pp. 691, 747-748, tav. cxi, a-c. Per il tipo rinvio a Geominy 1985 ed a Kabus-Preisshofen 1989, in ptc. pp. 142-157 (in relazione agli esemplari nrr. 106 e 108, 310-313). 3 Cfr. de La Genière 1988 ; lo scavo riportò in luce tra l’altro un tratto di strada il cui andamento sarebbe interessante verificare in relazione alla viabilità urbana di Segesta, oggi arricchita in modo notevole dalla scoperta di una grande arteria lastricata già individuata da saggi condotti nei primi anni ’80 da M. L. Famà all’esterno del teatro, lato Ovest (v. il resoconto in Tusa 1984-1985, pp. 581-583), e poi sistematicamente riportata in luce negli ultimi anni (scavi di R. Camerata Scovazzo) per un lungo tratto che dall’accesso occidentale del teatro si dirige verso la terrazza superiore Ovest dell’agora.

Fig. 8. Segesta : piccola cariatide (dal buleuterio ?).

decorativi, 4 chiarendo inoltre sia che esso fu in origine costruito in un’area già in uso nella prima età ellenistica, sia che visse una seconda fase d’uso divenendo parte di un edificio successivo. 5 4 Cfr. supra (a proposito del capitello corinzio-siceliota, della statuetta femminile ecc.). In particolare si deve segnalare la presenza di ceramica Campana A nei livelli residui sui quali è stata costruita la tholos del macellum, di cui infra (in ptc. serie 1312 e 4343 di Morel 1981). 5 I saggi hanno inoltre restituito chiare indicazioni circa la fase di distruzione

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Fig. 9. Segesta : pianta dell’area della stoa Sud e della tholos macelli.

Fig. 10. Segesta : veduta dell’area della stoa Sud e della tholos macelli.

Per quanto riguarda il primo aspetto, sussistono solo indizi di tipo non strutturale, ‘presenze ’ cioè di materiali ceramici residuali, che fanno intravedere una situazione analoga, ma ancor più sfuggente, di quella riscontrata nell’area del buleuterio, che peraltro arricchisce il quadro dei dati relativi alla fase protoellenistica di quest’area pubblica. Di consistenza decisamente maggiore stanno rivelandosi invece i dati relativi alle trasformazioni subite dalla stoa tardoellenistica nella prima età imperiale : lo scavo ha evidenziato infatti che lo spazio antistante fu occupato, nel i sec. d.C., da un edificio a pianta circolare al quale si accedeva attraverso una porta a doppio battente con apertura verso l’interno, della quale resta ben conservata in situ la soglia (Figg. 9-10) : 1 il diametro è dell’edificio – con presenze di ceramiche africane da mensa di produzione A e da cucina non più tarde degli inizi del iii sec. d.C. – del tutto consonanti con quelle che è stato possibile leggere con maggiore dovizia di dati nello scavo dell’angolo NordOvest della stoa dell’agora (cfr. infra, in ptc. nota 52). 1 Il terminus ad o post quem è da fissare agli inizi del i sec. d.C. : la cronologia è stata accertata mediante saggi condotti all’interno ed all’esterno della tholos, che hanno restituito forme precoci di ceramica sigillata italica, e comunque non più tarde di cftsi 1990, 22 e 33.1 (il materiale è in corso di studio).

calcolabile in m 5,76 ca. Ne è stata riportata alla luce la porzione residua del muro perimetrale, rasato a livello della fondazione, raddoppiata nello spessore del filare più profondo per motivi statici, ma l’intera pianta può completarsi con la ‘lettura’ dei cavi di fondazione ; niente resta della sistemazione pavimentale interna. In termini funzionali, dubito che potremo mai riferire l’edificio circolare segestano ad un contesto analogo a quello – più antico addirittura di tre secoli – attestato da un decreto di Magnesia sul Meandro (197-196 a.C.), che ricorda qÒlon ™n tÍ ¢gor´, una struttura per accogliere i Dodici Dei, da taluni considerata peraltro temporanea ; 2 né alle tholoi dell’agora di Gortina documentate da un’iscrizione cretese connessa ad eventi del 167/6 a.C. 3 Né – per ‘restare in Grecia’ – lo possiamo accostare per il momento ad edifici rotondi in spazi agoraici noti archeologicamente (ad Atene, a Corinto, a Stinfalo ad esempio), tutti peraltro più antichi. 4 Ad una interpretazione in qualche modo collegata all’ambito del ‘sacro’, mi pare piuttosto preferibile vedere in questo pur scarno residuo di strutture antiche, un macellum con tholos interna ad un cortile porticato : 5 per il momento ne conosceremmo solo un lato ed una piccolissima parte di un secondo – perpendicolare, inglobato in un vano medievale ad Est dell’edificio circolare – che in tempi recentissimi ha corroborato questa ipotesi di lavoro. La posizione in termini urbanistici – ai margini dell’agora/fòro – sollecita del resto in questo senso, come pure esempi vicini quali il macellum dell’agora superiore di Morgantina – con edificio circolare di dimensioni analoghe (m 6 di diam.), che ci 2 Sokolowski, lsam, p. 32 ; Inschriften von Magnesia, 98 ; cfr. Price 1999, pp. 225227 (devo la segnalazione a C. Ampolo). 3 ic iv, 182 ; cfr. Chaniotis 1996, pp. 296-300, nr. 44 e Marginesu 2003. 4 Rinvio soltanto al vecchio saggio di Robert 1939 ed a Martin 1951 (in ptc. pp. 521-526). Ma cfr. anche (con ampia bibliografia) Weber 1990 ed il recente contributo di Rambaldi 2001-2002. 5 L’ipotesi sembra avvalorata anche dalla notevole quantità di frammenti di ossa animali (non ancora classificate sistematicamente) e da alcuni elementi di tavole ponderali rinvenute nell’area della tholos. Per il tipo architettonico del macellum e la terminologia ad esso relativa, vedi De Ruyt 1983 ; Frayn 1993, pp. 101-116 ; Gros 1996, pp. 504-520 ; Ginouvès 1998, pp. 118-119, 185 (tutti con bibliografia ed analisi di singoli esempi).

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Fig. 11 a-b. Segesta : capitello corinzio-siceliota della stoa Sud.

ha conservato il più antico caso (ii sec. a.C., 140-120 a.C. ?) di tholos macelli noto archeologicamente in Italia e in Sicilia : 1 il caso segestano potrebbe così porsi, in termini di ‘rapporto privilegiato’, sulla linea di quello sviluppo dei mercati romani che vide, tra l’altro, l’acquisizione del padiglione circolare centrale di varroniana memoria proprio dalla Sicilia e dall’Italia peninsulare greco-ellenistica. 2 Dovremmo così pensare ad una ‘rifunzionalizzazione ’ di una stoa ellenistica della fine del ii sec. a.C., inglobata nel complesso del mercato alimentare nel i sec. d.C. 3 Da valutare ancora invece, l’ipotesi che il portico, anziché ad un solo ordine corinzio, come finora supposto, fosse a doppio ordine : recentissima infatti è l’individuazione di due capitelli dorici (Fig. 12 a-b) riusati in vani medievali limitrofi, che presentano un diametro d’imposta della colonna di misure corrispondenti ai rocchi ancora conservati in situ ; ma – accanto a considerazioni di statica e forse anche di armonia di volumi monumentali in questo settore dell’agora – anche il profilo arrotondato dell’echino e la proporzione con l’abaco, seppur verificati con difficoltà sul materiale ancora in giacitura di scavo, sembra suggerire una recenziorità rispetto ai capitelli dorici tardoellenistici del buleuterio e della stoa Ovest dell’agora (di cui dirò tra poco) e di conseguenza una loro pertinenza alla tholos o piuttosto ad altre parti del macellum. 4 1 Cfr. in sintesi (con bibliografia) De Ruyt 1983, pp. 110-114 (con discussione sulla cronologia, fatta oscillare tra la fine del iii sec. ed il 140-120 a.C., pp. 113-114, e nota 80), pp. 297-298, 315-316 (per il particolare della porta a doppio battente con apertura verso l’interno), pp. 326-329 (per la posizione limitrofa al fòro). Cfr. anche il breve cenno di Wilson 2000, p. 138, nel quadro dell’urbanistica siciliana tardoel2 lenistica. Si veda la sintesi di Gros 1996, p. 506 e passim. 3 Rinvio ancora a Martin 1951, cit. supra, per quel che riguarda le ‘forme di contatto’ tra stoai/agorai/macella. 4 Lato abaco : cm 77 ; h abaco : cm 11 ; h echino : 13,4 ; si tratta di un esemplare con echino ad arco di cerchio schiacciato, abaco quadrato con lati lisci, collarino a tre anuli degradanti, cfr. ex gr. Villa 1988, p. 23, tipo ii, e 75-76, nr. 42 (esemplare di dimensioni inferiori, dal peristilio di una casa soluntina dell’Isolato 5) ; Atlante eaa 1973, tav. 296, nr. 34 (Pergamo, stoa di Atena Poliàs, 197-159 a.C.), ma anche tav. 298, nr. 46 (Eleusi, propylon del tempio di Artemide Propylaia, 125 d.C.). Sul valore cronologico delle proporzioni tra le singole parti del capitello dorico, è bene sempre ricordare le conclusioni di Coulton 1979 (in ptc. a proposito del Gruppo 9/12, ellenistico).

Le vicende edilizie della stoa Sud tardoellenistica e del macellum del i sec. d.C. ben introducono all’agora, le cui grandi fasi edilizie e la cui fisionomia monumentale – in particolare per i lati Ovest e Nord – cominciano adesso ad apprezzarsi grazie alle più recenti indagini, che mi permettono in questa sede di proporne una sintesi ad ampio spettro, anche se il lavoro è totalmente in progress (Fig. 13). Era noto da tempo, nel settore meridionale del lato Ovest, un grande edificio articolato in un criptoportico ed in un ambiente porticato antistante scandito da possenti pilastri, già interpretato come horreum ; nota anche la cronologia d’impianto, nella seconda metà del ii sec. a.C., e quella d’uso primario, fino alla fine del i sec. a.C., con successive trasformazioni tra i e ii sec. d.C.. Accanto ad esso si collocava uno degli ingressi alla piazza, di cui è stata individuata la grande soglia con meccanismo di chiusura a scorrimento rientrante in un vano limitrofo. 5 È chiaro che questo complesso (cosidetto horreum e ingresso) era strettamente connesso in origine – e in fase – con la stoa Sud inglobata poi nel macellum, oggi separata solo da una strada di servizio moderna. Molte sono ancora le verifiche da fare in questo settore, solo parzialmente indagato e non ancora ripreso in esame nel quadro generale della piazza : è chiaro tuttavia che siamo di fronte ad un edificio che si colloca pienamente nella tipologia dei criptoportici con funzione di sostegno e soprattutto di distribuzione degli spazi monumentali in un terreno acclive da regolarizzare a terrazze, vicino sia a ‘modelli’ microasiatici – per lo più di ‘area pergamena’ – distribuiti tra iii e ii sec. a.C., che ad esempi di età ed ambito romano. 6 Sospendo invece il giudizio circa la funzione dell’edificio, nell’attesa che nuovi dati ma soprattutto una valutazione complessiva del 5 Per la prima individuazione di strutture dell’agora (lato Ovest) ed i primi sondaggi nell’area, cfr. Scavo dell’area 4000 1991 ; cfr. poi Scavo dell’area 4000 (Ovest) 1995 e Michelini 1997. Un esempio di porta scorrevole d’ingresso all’agora è attestato in Sicilia a Solunto : cfr. ex gr. planimetria in Solunto 2003, s.v. L’agorà di Solunto. 6 Senza entrare affatto nel merito di questioni ampiamente dibattute – quali ad esempio l’origine ellenistica o meno di questa tipologia architettonica, ovvero la sua esatta funzione – rinvio solo a Cryptoportiques 1972 (in ptc. per i contributi di R. Martin, F. De Angelis d’Ossat e R. Staccioli) ed al recente contributo di Noto 2003.

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Fig. 12 a-b. Segesta : capitello dorico dall’area della tholos macelli.

Fig. 13. Segesta : pianta plurifase del lato Ovest dell’agora.

note di architettura ellenistica a segesta, intorno all ’ agorà 117 quadro monumentale tardoellenistico di questo settore dell’agora, permettano di collocare il caso segestano più vicino all’uno piuttosto che all’altro dei due poli della querelle sui criptoportici – ambulacro o magazzino pubblico. Sul lato Nord il complesso con criptoportico era fisicamente connesso ad una seconda stoa che monumentalizzava il lato Ovest dell’agora presso l’angolo Nord-occidentale, dove si sono concentrate le ultime indagini (Figg. 14-15). 1 È certo ormai che il portico – con stilobate impostato su doppia crepidine – si sviluppasse su due piani, dorico nell’ordine inferiore, ionico in quello superiore : fusti di colonne (in parte ancora in situ) e capitelli dorici 2 di calcarenite compatta si conservano nei vani medievali (Figg. 15-16) che hanno invaso le strutture antiche in età sveva, ed elementi della trabeazione con fregio di triglifi e metope sono stati individuati nelle fondazioni di muri tardoantichi ( ?) poco distanti ; 3 mentre un capitello ionico di tipo ‘italiFig. 14. Segesta : veduta dell’angolo Nord-Ovest dell’agora, da Sud. co’ con foglie d’acanto mediane – di ben più leggera arenaria, rivestita di stucco – è stato recuperato in molti frammenti nei livelli di distruzione. 4 Quest’ultimo potrà forse trovare buoni confronti a Solunto, Centuripe, Monte Iato ed in altri esemplari siciliani d’incerta provenienza (datati con poche eccezioni tra ii e i sec. a.C.), ma solo dopo la ricomposizione ed il restauro, quando cioè se ne potrà valutare il dettaglio decorativo e definirne con esattezza il tipo : per il momento mi limito ad inquadrarlo nel tipo ii della Villa, anche se certamente troppo ‘variegato’ ; o piuttosto ad inserirlo genericamente nella serie di attestazioni raccolte dalla Dalcher come quadro di riferimento per gli esemplari di Iato. 5 Il piano superiore era certamente chiuso da balaustre a reticolo di losanghe (Fig. 17), del tipo già noto a Segesta dall’area del teatro e attestato anche altrove (in Sicilia ed in Grecia) non prima della fine del iii sec. a.C., poi diffuso nel ii sec. a.C. ; 6 ed una semicolonna – con valenza cronologica non difforme 7 – è nota tra gli elementi architettonici riferibili Fig. 15. Segesta : veduta dell’angolo Nord-Ovest dell’agora, da Nord. 1 Per le indagini precedenti condotte in alcune porzioni del settore in esame, cfr. anche Scavo dell’area 4000 (Ovest e Nord) 2001. 2 Esemplare intero con sommoscapo, reimpiegato (ed ancora in situ) nel muro Est di un vano presso l’angolo della stoa : lato abaco cm 88,9 ; h abaco cm 10,5 ; h echino cm 7, con anuli cm 10,2 ; h tot. con sommoscapo cm 43. Si tratta di un esemplare con echino troncoconico con inclinazione a 45°, abaco quadrato con lati lisci, quattro anuli degradanti in linea con l’echino, venti scanalature : cfr. ex gr. Villa 1988, 22, collarino tipo B4, echino tipo iv e in ptc. 68, nr. 16, tav. iii, 4 ; e inoltre Pensabene 1993 e Dalcher 1994, esemplari citt. a nota 21 in relazione al capitello dorico del portico d’ingresso al buleuterio. 3 Si tratta di due frammenti di trabeazione dorica di dimensioni diverse, a quanto risulta da un primissimo esame, reso peraltro difficile dalla posizione d’uso secondario di questi elementi architettonici di grandi dimensioni, uno dei quali reimpiegato di piatto nella fondazione, tanto da renderne impossibile al momento una valutazione metrica ed un’analisi tipologica. Le strutture riferibili a questa fase tardoantica sono state evidenziate al momento in particolare nell’area del tempio su podio, dove il vano laterale, annesso a Nord, fu suddiviso in due ambienti e fronteggiato da una seconda struttura muraria (Figg. 1, 13, 18). Di questa stessa fase è importante testimonianza l’iscrizione funeraria cristiana di Pontius (524 d.C.) rinvenuta in giacitura di reimpiego nel muro perimetrale Sud del palazzo fortificato di epoca sveva messo in luce sulla terrazza superiore ad Ovest dell’agora : cfr. per l’epigrafe Nenci 1991a, p. 929 ; Nenci 1991b ; Nenci 1992, p. 536 ; per i dati di scavo, Scavo dell’area 3000 1995, pp. 664, 691. 4 I materiali più significativi di tali livelli di distruzione (in particolare le ceramiche di produzione africana) sono presentati in forma preliminare in Parra-Gagliardi c.s. : si tratta di ceramica da mensa (tsa a) e da cucina riferibile in modo omogeneo a produzioni che non superano gli inizi del iii sec. d.C., data alla quale possiamo riferire dunque la distruzione del Foro segestano e degli edifici limitrofi, quali il macellum (cfr. supra, nota 5, p. 113). Presenze di ceramiche più tarde (in ptc. tsa d) sono state restituite dall’area del criptoportico, laddove si verificarono in questa fase anche alcuni interventi strutturali (cfr. supra). Significativi, e coincidenti con il quadro leggibile dalle strutture, anche i dati forniti dai rinvenimenti numismatici (forniti dal collega A. Facella che ringrazio) : le monete provenienti dall’area dell’agora e, in particolare, dagli strati di distruzione che hanno restituito la ceramica africana di produzione A, non sono più tarde della prima metà del iii d.C. ; segue un “gap numismatico” coincidente significativamente con la pressoché totale assenza di ceramica africana di produzione C, mentre le monete tornano a circolare in concomitanza con la frequentazione della piazza di età tardoantica (vi-vii secolo). 5 Villa 1988, pp. 27-35 (29-32, tipo ii), figg. 11-12, tavv. xxvii-xxix e Dalcher 1995, pp. 53-55 (elenco attestazioni dalla Sicilia), e pp. 69-70, tavv. 54-55. 6 Sul tipo vedi Campagna 1997, pp. 235-236 (con bibliografia e citazione di varie attestazioni). 7 Cfr. supra (nota 6, p. 109) a proposito delle semicolonne del buleuterio.

Fig. 16. Segesta : capitello dorico della stoa Ovest dell’agora.

alla parete interna del porticato. Due podi – l’uno rettangolare, l’altro ad L – monumentalizzavano la parte centrale della stoa in prossimità dell’angolo della piazza, destinati verosimilmente a sostenere statue e/o gruppi statuari : ne restano i basamenti, poggianti sulla pavimentazione dell’agora, chiaramente in fase. Quest’ultima è certo uno degli elementi residui di maggior spicco e qualità del settore (Figg. 14-15) : si conserva infatti in

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Fig. 19. Segesta : veduta della cisterna del lato Ovest dell’agora. Fig. 17. Segesta : frammento di balaustra della stoa Ovest dell’agora.

ottime condizioni, nel suo tessuto di lastre di dimensioni molto varie – quasi gigantesche in prossimità dell’angolo (m 1,80 X 1,14 max) – ‘segnate’ da una canaletta di deflusso delle acque verso Sud, che corre a ridosso dei podi e che conserva in un angolo anche un bel tombino di scolo a cinque fori. Un recentissimo ampliamento dell’area di scavo verso Est ha permesso verificare che la stoa Ovest non aveva alcuna soluzione di continuità sul lato Nord della piazza (Fig. 18) : si conserva perfettamente l’angolo della struttura, con uno sviluppo dello stilobate su doppia crepidine verso oriente messo in luce per oltre m 15. Ma ancora lunga sarà l’indagine, soprattutto per conoscere l’assetto degli spazi più interni della stoa su entrambi i

Fig. 18. Segesta : veduta dell’angolo Nord-Ovest dell’agora, da Est.

lati attualmente in scavo. Dati significativi – e forse definitivi – sono stati forniti invece in termini cronologici da saggi nel riempimento di un podio e nella massicciata di fondazione residua del pavimento – forse lastricato – del portico : 1 la presenza di ceramica Campana A riconduce la struttura alla stessa fase del buleuterio e della stoa Sud inglobata nel macellum. Di una fase anteriore – non ancora definibile né dal punto di vista cronologico né da quello monumentale – conosciamo al momento solo una grande cisterna (Fig. 18 ; diam. m 5,20), che fu non solo riempita di detriti ma anche ribassata – riducendo di forse oltre due terzi il suo sviluppo in profondità – al momento della costruzione del portico che la obliterò con la massicciata e con strutture di fondazione, per divenire poi cava di materiale edilizio nel Medioevo. È chiaro dunque che almeno alcuni punti dell’area furono oggetto in questa fase di un radicale sbancamento che dovette cancellare varie presenze architettoniche precedenti, che con ogni probabilità erano in fase con gli edifici della prima età ellenistica individuati, seppur con limitata consistenza architettonica, sulla terrazza superiore ad Ovest dell’agora. 2 Una storia complessa, dunque, quella della stoa che si snoda lungo i lati Ovest e Nord dell’agora, che dalla fine del ii sec. a.C. si prolunga fino agli inizi del iii sec. d.C., terminus ad o post quem disponibile per il crollo definitivo del colonnato sulla pavimentazione della piazza ; 3 ma certo gli aspetti da chiarire sono ancora molti. In questa lunga storia (Fig. 20), una grande ristrutturazione edilizia ‘segna’ il complesso monumentale nel i sec. d.C., 4 nello stesso momento in cui la stoa meridionale viene incorporata nel macellum : qua, accanto a forme forse minori di rifunzionalizzazione prevale la continuità d’uso, cui si affiancano espressioni di nuova edificazione e di caratterizzazione del complesso in ter1 Segnalo soltanto per il momento, come ‘fossile guida’, la presenza di frammenti di ceramica a v.n. di produzione ‘Campana A’, con esemplari di serie 1312 di Morel 1981. 2 Strutture riferibili a questa fase sono state del resto individuate anche dai sondaggi condotti in precedenza sul lato Sud dell’agora : in attesa di una ‘ricomposizione ’ con i dati dei nuovi scavi, cfr. Scavo dell’area 4000 (Sud) 1995, pp. 889-891 (dati di sintesi, con riferimenti interni) ; Vaggioli 1997, in ptc. pp. 1345-1347 per una sintesi dei dati cronologici ; Scavo dell’area 4000 (Sud) 2001. 3 Cfr. supra, nota 52. Senza dimenticare le difficoltà, più volte rilevate dagli specialisti, a riconoscere archeologicamente gli effetti di cause naturali quali un evento sismico, viene da chiedersi se questa distruzione degli edifici prospicienti il Foro e di altri ad esso limitrofi quali il macellum non possa imputarsi ad un fenomeno naturale di tal genere, peraltro non individuabile con esattezza per il momento tra quelli noti ; il ben noto terremoto che colpì la Sicilia nel 361-365 d.C. è infatti troppo tardo, anche se si ritiene che il fenomeno attestato dalle fonti sia in realtà da considerare un insieme di eventi cronologicamente distinti (cfr. in proposito Guidoboni 19901991 ; Terremoti 1989, pp. 606-607 ; Catalogue ancient earthquakes 1994, p. 270). 4 Circa la possibile cronologia della massicciata del tempio, saggiata con lo scavo già nel 1989 prima del riconoscimento della sua fisionomia funzionale (cfr. Scavo dell’area 4000 1991), ritengo oggi più verosimile – riesaminando i pochi materiali ceramici diagnostici recuperati – anticipare ai primi anni del i sec. d.C. il terminus ad o post quem allora proposto.

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Fig. 20. Segesta : pianta schematica plurifase del lato Ovest dell’agora.

mini forensi. Al momento, la più eloquente è senza dubbio la costruzione di un edificio su podio davanti all’horreum, del quale si tamponano le luci tra i pilastri del portico per ridossarvi il suo possente basamento : per le radicali spoliazioni medievali si conserva solo una porzione del basamento e niente più, ma vorremmo pensare ad un tempio di tipo medio-italico che in Sicilia potrebbe richiamare sia l’esempio tardoellenistico dell’agora di Monte Iato, facente corpo monumentale con una stoa e con il buleuterio ; sia i ‘parasceni’ monumentali della stoa del santuario di Demetra di Eloro (datata agli inizi del ii sec. a.C.), in uno dei quali almeno si è riconosciuta una fisionomia templare. 1 Complessi per i quali, come noto, sono stati chiamati in causa principi dell’architettura microasiatica e pergamena in particolare, che anche per Segesta dobbiamo tenere ormai come costante punto di riferimento, come è stato già sottolineato. 2 Potremmo pensare che tutto ciò sia avvenuto nel momento in cui il praefectus Cecilio Marziale deos forenses reposuit facendo inserire l’iscrizione dedicatoria nella crepidine superiore di un grande vano adiacente al tempio (e ad esso coevo), 3 1 Per il tempio su podio di Monte Iato, vedi Daehn 1991, pp. 65-77, 122-123, 129131 e Isler 2000, pp. 40-41. Per i ‘parasceni’ della stoa di Eloro, vedi scheda di sintesi in Daehn 1991, pp. 78-79 e Voza-Lanza 1994 (entrambi con bibliografia). 2 Si veda in sintesi Camerata Scovazzo 1997 ; ed il breve quadro delineato in Bonacasa 2004 per le città della Sicilia tra iv e iii sec. a.C. In generale sull’articolazione in terrazze delle stoai d’Asia Minore di tradizione pergamena, cfr. Barresi 2003, pp. 447, 454, 539-540, 558 e passim (Selge, Aspendos, Efeso ecc.). 3 Resa nota da Nenci 2000, pp. 811-813 (vedi anche Michelini 1999, pp 441442). Per il riesame del testo, v. Ampolo c.s. a-b ed il volume in preparazione cit. in nota 5, p. 107. Per il dettaglio dei dati di scavo e l’inquadramento cronologico del tempio (o meglio della massicciata del podio) e del vano adiacente, cfr. Scavo dell’area 4000 (Ovest e Nord) 2001, pp. 443-444.

significativamente collocato alla stessa quota della soglia della tholos e dello stilobate della stoa Sud inglobata nel macellum : immagini degli dèi del Foro, ricollocate dopo un restauro fatto eseguire forse proprio in quel tempio, di cui resta solo qualche lacerto del podio, con un atto di evergetismo – uno dei tanti che potrebbe aver segnato un periodo di rinnovamento urbanistico e monumentale non lontano dalle distribuzioni di terre attestate anche per Segesta dal Liber Coloniarum (1, 211) in età flavia (6979 d.C.), in un clima di evidente prosperità della città – finora peraltro negata –, che nel territorio – secondo i risultati delle recenti indagini di ricognizione topografica – sembrerebbe aver corrisposto ad una forte diminuzione dei siti rurali, con pressoché totale abbandono della zona circostante la città, accanto però ad un « … accentramento degli insediamenti in alcune aree di mezza collina e pianura oppure in luoghi esposti e panoramici … ». 4 Così potrebbe essere delineato il quadro storico di riferimento, tenendo salde cronologie già avanzate per l’iscrizione e per la massicciata solo con le indagini più recenti capita nella sua esatta funzione originaria di riempimento strutturale del podio di un tempio : ma ormai pare necessaria ed ineludibile una revisione, perché molti e fondati sono i dubbi relativi alla cronologia dell’iscrizione degli dèi forensi, probabilmente più antica (seconda metà del i sec. a.C. ?) del tempio stesso e per giunta incisa su un blocco di reimpiego : dovremo dunque arrivare a 4 Aprosio-Cambi-Molinari 1997, p. 188 ; Territorio di Segesta 2000, pp. 107-109. Diversa, a quanto pare, la posizione di Cambi c.s., secondo cui è solo la testimonianza del Liber Coloniarum a permettere di ipotizzare forme di continuità della piccola proprietà nel territorio segestano, senza peraltro alcun sostegno da parte dei dati della ricognizione.

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Fig. 21. Segesta : proposta ricostruttiva dell’agora (fasi ellenistiche).

ricostruire un percorso più articolato di interventi edilizi, uno dei quali vide senza dubbio un ricollocamento dell’epigrafe nel luogo del suo ultimo rinvenimento. 1 Un buleuterio, un ginnasio o un peribolo, un criptoportico, un sistema di stoai ; ed ancora un macellum ed un tempio su podio : tasselli di Segesta ellenistica e di Segesta romana, che si articolano a terrazze intorno ad un’agora prima, ad un fòro poi, intorno ad uno spazio aperto la cui pavimentazione può simboleggiare, con la sua straordinaria conservazione, grandi progetti edilizi che almeno in qualche espressione possiamo – a Segesta – legare ad un nome : Bibakos figlio di Tittelos. Ed a proposito di ‘artigiani’ di Segesta, forse coevi, vale la pena – credo – ricordare anche il Dionysios che firmò, poco lontano dal buleuterio, un mosaico in un vano di un edificio di non precisata funzione, soprattutto se ‘dichiaratamente ’ alessandrino secondo la lettura che è stata proposta per l’iscrizione. 2 Ma l’agora di Segesta resta ancora « … gravida di enigmi, (anche se) così promettente di rivelazioni … » – per dirla con parole con cui Paolo Orsi definiva, settantenne e stanco, la Sicilia Occidentale pre e protostorica, oscurata dalla « … divina bellezza dei templi e degli edifici greci, mèta suprema di ogni archeologo … ». 3 Ogni tentativo di ricostruzione non può che limitarsi ancora ad un puro insieme di suggestioni (Fig. 21) : meglio restare dunque, per il momento, ai dati noti. Addendum Le indagini più recenti (per le quali si veda Ampolo-Parra c.s. b) hanno notevolmente ampliato le conoscenze sia nell’area del macellum che lungo i lati Ovest e Nord dell’agorà. Ad Est del macellum infatti è stato messo in luce un tratto di strada basolata, non carrabile, larga m 5 ca. e con andamento Nord-Sud, che presenta caratteristiche strutturali e funzionali analoghe alle arterie urbane già note a Segesta (sia quella rinvenuta da J. de la Genière poco più a Sud, sia quella già individuata lungo il lato Ovest della cavea del teatro e di recente messa in luce per un ulteriore lungo tratto, dall’accesso occidentale in direzione della terrazza superiore orientale dell’agora). Anche se ‘interrotta’ dalla via moderna di accesso al teatro, è chiaro che la via raggiungeva l’imboccatura del criptoportico, continuando il per1 Si tenga presente che il vano adiacente al podio del tempio fu addossato ed ‘integrato’ in parte nel corpo della stoà Ovest e che vari blocchi della crepidine in cui fu inserita l’iscrizione sono chiaramente di reimpiego : cfr. ancora Scavo dell’area 4000 (Ovest e Nord) 2001, pp. 443-444. Per l’iscrizione e le problematiche inerenti i suoi contenuti storici e la sua cronologia, cfr. Ampolo c.s. e nell volume cit. in nota 5, p. 107. 2 Si tratta di una delle varie porzioni di pavimento musivo di vani ellenistici sottostanti la chiesa, messa in luce all’esterno di essa, a ridosso del muro settentrionale : cfr. Scavo dell’area 2000 1991, pp. 906-908 (con confronti per lo più della fine del ii-inizi i sec. a.C.) ; Nenci 1991a, pp. 916-917 (con datazione al « periodo ellenistico incipiente (inizio iii sec. a.C.) ») ; Nenci 1992, p. 536 (con rapida citazione di « un mosaicista alessandrino, un Dionisio figlio di Eracleide che lavorava a Segesta nel 3 iii-ii sec. a.C. »). Orsi 1928, p. 45.

corso al riparo della volta, proseguendo con una rampa tagliata nel banco roccioso – ascendente in direzione Sud-Nord –, che correva senza soluzione di continuità rispetto alla via basolata dietro il portico occidentale dell’agora, collegandosi verisimilmente al tratto di strada dell’area del teatro. È ipotizzabile dunque un percorso viario che – provenendo forse dall’area degli scavi francesi della Badia – passava ad Est del macellum, proseguiva come una sorta di via tecta in corrispondenza del criptoportico, passando poi tra la stoa occidentale dell’agora, il c.d. ginnasio ed il portico orientale del buleuterio, per raggiungere infine il teatro. Da verificare ancora stratigraficamente se il tratto di via basolata appena scoperto debba ricondursi alla imponente sistemazione urbanistica di Segesta del ii sec. a.C.; come è ancora da valutare se l’ampia area lastricata appena scoperta ad Est della strada debba inserirsi nello stesso ‘sistema’. Le caratteristiche formali e strutturali della pavimentazione – del tutto analoga a quella dell’agora – sembrano indirizzare verso questa ipotesi, ma l’unico dato cronologico al momento disponibile è costituito da una lastra residua di un’iscrizione – più tarda certo della fine del ii sec. a.C. – inserita con andamento obliquo nel lastricato, in modo non coerente alle linee del ‘tessuto’ generale, a ricordare i nomi di due personaggi, che potrebbero aver provveduto a restauri in una fase secondaria (quella del macellum?) piuttosto che all’originaria costruzione. Resta ancora tutta da definire anche la natura funzionale di questo grande spazio lastricato – che si sviluppa ad una quota leggermente inferiore rispetto al piano stradale – anche se le dimensioni potrebbero far pensare ad una piazza (una seconda agora a carattere commerciale?) piuttosto che ad un cortile interno di un edificio monumentale. Nel settore retrostante la fronte Ovest dell’agora le indagini stanno fornendo i primi dati circa l’articolazione interna della stoa occidentale: al momento è stato individuato un possente crollo di materiali architettonici in prossimità dell’angolo Nord, nonché un tratto del muro di fondo, nel cui prospetto si conserva una grande tabula ansata con margini arrotondati, anepigrafe, che documenta con chiarezza le modalità di collocazione di una tipologia di documenti epigrafici già ben attestata a Segesta. Sul lato Nord dell’agora, lo sviluppo dello stilobate su doppia crepidine verso oriente è stato ormai messo in luce per quasi m 25, fino ad un punto in cui la pavimentazione della piazza cambia orditura per segnare il perimetro di un altro corpo avanzato come i podi del lato Ovest: anche se rasato a livello del filare inferiore, le linee-guida incise per l’imposta dell’alzato hanno permesso di ‘leggere ’ la presenza di una struttura semicircolare, con ogni probabilità un’esedra.

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Rossella Giglio · Pierfrancesco Vecchio* NUOVI DATI SU LILIBEO ELLENISTICA

L

a città di Lilibeo, come noto, si sviluppò a partire dal 397 a.C. quando i superstiti della distrutta Mozia si stabilirono sul promontorio omonimo che guarda il mare, verso l’Africa. L’insediamento diventò ben presto una inespugnabile piazzaforte della eparchia cartaginese, anche grazie alla presenza di pericolosi banchi di sabbia che rendevano il luogo difficilmente accessibile dal mare 1 (Fig. 1).

Il problema più evidente dell’archeologia urbana risiede nella necessità di programmazione della ricerca, strettamente connessa agli strumenti urbanistici ; la caratteristica casualità degli scavi (dovuti a interventi propedeutici alla realizzazione di nuove costruzioni) ha prodotto nel tempo, generalmente, risultati frammentari e disomogenei, nei casi particolari dei singoli interventi in aree private. L’area del Boeo, estesa circa 30 ettari e libera dall’urbanizzazione contemporanea, è delimitata dal Lungomare omonimo che segue sui lati sud e ovest l’andamento della costa, costituita da bassi speroni rocciosi ed è separata dalla città moderna, in senso nord-sud, dai viali Isonzo e Cesare Battisti. La realizzazione di opere di valorizzazione connesse al parco archeologico, con la recinzione dell’area ed il restauro degli immobili demaniali, ha imposto nuove indagini in due diversi ambiti della città antica fornendo nuovi dati sia sulla struttura urbana che sulle fortificazioni. 3 Lo studio dello Schmiedt (Fig. 2) è il punto di partenza ob-

Fig. 1. Immagine satellitare del promontorio, con l’area del Boeo, e della città (ortofotocarte aima 1997).

Assidue campagne di scavo svolte dalla Soprintendenza, anche se condizionate da strati di sovrapposizione e distruzione, hanno consentito di documentare già da tempo lo schema urbano della città, che era difesa da una possente cinta muraria, rafforzata da torri, e, dalla parte della terraferma a nord-est e a sud-est, da un profondo fossato ; sul lato nord-orientale, oltre il fossato, si estendeva la necropoli. La peculiarità che caratterizza l’insediamento di Lilibeo/Marsala consiste nel fatto che tutta l’area urbana moderna ricade sul sito dell’antica città ; ma una grande porzione di essa, la vasta area antistante il Capo Boeo, estrema propaggine occidentale della città moderna che le si è sviluppata intorno, costituisce oggi una risorsa inestimabile, intatta dal punto di vista archeologico, in quanto non più edificata, se non sporadicamente, dal xvi secolo d.C. 2 * Rossella Giglio ha redatto le parti relative all’abitato e la necropoli, Pierfrancesco Vecchio quella relativa alle fortificazioni. 1 Diodoro xiii, 54, 4 e xxii, 10, 4 ; Di Stefano 1993, pp. 3-5. Sull’origine del nome della città, D. Musti, Tra toponimia e mitografia. Sul nome e sul mito di Lilibeo, in Alle soglie della classicità. Il Mediterraneo tra tradizione e innovazione. Studi in onore di Sabatino Moscati, Pisa, 1996, pp. 337-342. 2 La chiesa di S. Giovanni al Boeo fu riedificata nel 1555 dai gesuiti ; altri interventi, nel xix secolo, riguardarono la costruzione di bagli vinicoli a ridosso della costa prospiciente il Capo Boeo.

Fig. 2. Ricostruzione della planimetria urbana antica (da Schmiedt 1963).

bligato negli studi sullo schema urbano di Lilibeo, orientato in senso nord-ovest / sud-est (decumanus maximus, attuale via xi Maggio) e in senso nord-est / sud-ovest (cardo maximus, viali Isonzo e Cesare Battisti). Secondo questa ricostruzione, le insulae erano delimitate da strade che si incrociavano a 90° ad intervalli regolari con dimensioni teoriche, rilevate dalla aerofotogrammetria, di m 35, 52 x 106, 56. 4 La città occupava un grande quadrilatero delimitato, dai lati nord-ovest e sud-ovest, dal mare ; i lati sud-est e nord-est, dalla parte della terraferma, erano difesi da un profondo fossato e, lungo tutto il perimetro, da una possente cinta muraria, rafforzata da torri. 3 Sul progetto del parco archeologico del Boeo, R. Giglio, Problemi di archeologia urbana : Marsala, il “parco archeologico” di Capo Lilibeo e le attività di ricerca, « SicA », xxxiv, 2001, pp. 67-83. 4 G. Schmiedt, Contributo della fotografia aerea alla ricostruzione della topografia antica di Lilibeo, « Kokalos », ix, 1963, p. 69.

124 rossella giglio · pierfrancesco vecchio L’aspetto originario della città, all’atto della fondazione, posta Le strutture murarie individuate rappresentano sempre parti ormai tradizionalmente nella prima metà del iv secolo a.C., prodi edifici e sono rare le planimetrie pubblicate, integrabili spesso babilmente non coincide con l’immagine che la fotografia aerea solo dalla documentazione fotografica. Da questo stato, dispeci restituisce della città antica e che i risultati degli scavi, per lo rante, della documentazione è possibile tuttavia ricavare alcuni più effettuati negli anni ’70 e ’80 del ’900, cristallizzano, in base dati. alle scarne notizie pubblicate, due secoli dopo lo stanziamento Sono due le tecniche murarie più antiche finora attestate neldegli esuli moziesi, al ii secolo a.C. 1 Infatti, la maggior parte l’abitato : una prevedeva l’uso di piccoli scapoli irregolari mentre dei materiali datati alla seconda metà del iv a.C. proviene dalla l’altra, patrimonio tradizionale delle maestranze puniche, è del necropoli e, finora, nessuna pubblicazione dettagliata ha messo tipo “a telaio” con blocchi parallelepipedi collocati verticalmenin evidenza una connessione tra strutture abitative e ceramica te, alternati a blocchetti rettangolari o subrettangolari allettati che riporti ai primi decenni di vita della città. 2 per taglio ; 7 il materiale impiegato è la calcarenite locale e semIl sistema ortogonale regolare è stato rettificato recentemenbra – dalla documentazione fotografica – che la messa in opera te, in parte, grazie ai nuovi dati provenienti dalle prospezioni non prevedesse malta ma solo legante inerte (argilla) quindi con geomagnetiche effettuate nell’area di Capo Boeo (Fig. 3), che la disposizione a secco dei componenti. Nell’area archeologica hanno consentito di correggere e di integrare questa ricostruziodel Boeo, numerosi saggi di limitata estensione realizzati nel ne 3 e che, tuttavia, non ne hanno modificato la cronologia attecorso degli anni ’60 del ’900 misero in luce – in tre casi – muri stata. Una radicale, recente, revisione dell’impianto – tradizioa telaio. 8 Per l’aspetto dimensionale degli elementi della muratura, è nalmente assegnato all’epoca romana – che cerca archetipiche possibile citare un esempio, isolato, relativo all’area dell’ex chiefondazioni ippodamee, attende tuttavia di essere ancora dimosa di S. Girolamo (Fig. 4), libera da riedificazioni moderne : gli strata sul campo, con indagini archeologiche mirate ; 4 in questo senso, un dato in contrasto con la nuova ipotesi è la larghezza accertata del decumanus maximus, messo in luce al di sotto del Viale Vittorio Veneto, che non supera m 5, 20. 5 L’abitato Le testimonianze edilizie relative alla fase punica sono sporadiche e risalgono, per la maggior parte delle attestazioni, ad interventi effettuati, ancora, a partire dagli anni ’70 e ’80 del ’900. 6

Fig. 4. Area archeologica di S. Girolamo : muro a telaio ; ad una quota inferiore sono visibili lacerti murari costituiti da pezzame irregolare di calcarenite.

Fig. 3. Restituzione grafica dell’indagine geomagnetica ; si riconoscono gli assi stradali, le fortificazioni e alcuni edifici (Centro Internazionale di Studi Fenici, Punici e Romani di Marsala). 1

C. A. Di Stefano, Fase romana. L’abitato. Fase tardo repubblicana e protoimperiale, in Lilibeo, pp. 104-107. 2 Ivi, 36, dove si accenna a materiali di iv a.C. provenienti dall’abitato ma senza alcuna indicazione dell’area e del contesto archeologico. 3 G. Pucci, Ricerche nell’area di Lilibeo, Workshop “G. Nenci”. Guerra e pace in Sicilia e nel Mediterraneo antico (viii-iii Sec. a.C.): arti, prassi e teoria della pace e della guerra (Quinte Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima e la Sicilia Occidentale nel contesto mediterraneo. Erice, 12-15 ottobre 2003), c.s. 4 E. Caruso, Lilibeo (Marsala), l’insula i di Capo Boeo : eccezione urbanistica e monumentale domus urbana, « SicArch », xxxvi, 101, 2003, pp. 153-154 ; bisogna sottolineare che nessuno degli isolati antichi è stato finora messo in luce integralmente ad eccezione dell’insula i del Boeo, non riconducibile, però, allo schema urbano generale. 5 Ivi, 153, dove la medesima larghezza corrisponde però allo stenopos. 6 Di Stefano 1984a, 36 ; 1993, p. 27 ; le aree sono quelle del Capo Boeo, viale Isonzo (prop. Spanò), via S. Cammareri Scurti (prop. Forti), area del Convento di S. Girolamo, piazza Piancina e via delle Ninfe.

ortostati di un muro, pertinente alla porzione di un edificio solo in parte indagato, misurano 0, 58 x 0, 64 x 0, 60, mentre il “pannello” composto da blocchetti è largo m 0, 84. 9 Dalla documentazione esistente risulta che ai muri, rinvenuti durante le indagini di emergenza, in qualche caso, erano associati dei pavimenti in cocciopesto, decorati, in alcune circostanze, con tessere di calcare bianco. 10 Queste superfici sono realizzate con gettate di malta mista a ceramica frammentata o polverizzata e sono decorate con tessere di calcare bianco senza disegno oppure con schemi composti da reticolati semplici, da losanghe o da crocette. 11 Nonostante vi sia incertezza sulla cronologia e 7 La prima tecnica è visibile in due ambienti dell’insula al Boeo dopo lo strappo dei mosaici pertinenti alla domus, Di Stefano 1976, p. 36 ; la seconda è documentata in viale Isonzo (prop. Spanò), Eadem 1993, tav. xvii, 1-2, e da via delle Ninfe, ibidem, tav. xvi. Uno spezzone di muro “a telaio” è visibile anche in una foto degli inizi del ‘900 che ritrae la costa a nord di Capo Boeo, ivi, tav. iv, 4. 8 A. M. Bisi, Ricerche archeologiche al Capo Boeo, « nsa », 1967, pp. 379-400, saggio 8, p. 384, fig. 6, 396 ; saggio 14, 395, fig. 26, 401. 9 Lo scavo è inedito e le misure sono frutto di una ricognizione sul sito. 10 Di Stefano 1984a, 36 ; viale Isonzo : C. A. Di Stefano, Ricerche sulle fortificazioni di Lilibeo, « Kokalos », xvii, 1971, p. 41 ; Di Stefano 1972-1973, p. 416 ; via Cammareri Scurti : Eadem 1976-1977, p. 761 ; Capo Boeo : Di Stefano 1976, p. 30 sgg. ; via Sibilla, Eadem 1976-1977, p. 761. 11 A Lilibeo, E. Joly, Il signino in Sicilia : una revisione, in Atti del iv Colloquio aiscom, Palermo 1996, Ravenna, 1997, pp. 34-36, distingue diverse tipologie : seminato di tessere bianche o di frammenti policromi, punteggiati, reticolati e crocette, relative, rispettivamente, agli scavi di viale Isonzo, via Cammareri Scurti, dell’ insula ii di Capo Boeo, via Sibilla e insula iii di Capo Boeo e infine di via Sibilla.

nuovi dati su lilibeo ellenistica 125 creazione dell’atrio tetrastilo con vani che si dispongono intorsull’origine di queste tipologie pavimentali, esse sono attestate no allo spazio centrale inquadrato da colonne, dotato, come nel in siti punici della Sicilia occidentale – Solunto – o in contesti indigeni ellenizzati – Monte Iato e Segesta –, in un ambito temcaso dell’edificio di via Sibilla, di bacini e cisterne per la raccolta porale compreso tra gli inizi del iii e il i secolo a.C. 1 dell’acqua piovana 3 (Fig. 6). La ricostruzione planimetrica degli spazi delimitati da questi Campagne di ricerca archeologica più recenti, effettuate fra lacerti murari è lacunosa e non può costituire, al momento, alcun il 2002 e il 2004 sul viale Vittorio Veneto, nell’area del Capo modello di riferimento per l’elaborazione dell’ipotetico tessuto Boeo, 4 hanno fornito altre informazioni sull’assetto urbano della città ellenistica. Sono stati realizzati tre grandi saggi, riserurbanistico di Lilibeo. vando particolare attenzione alla documentazione del decumaIn un caso, ancorché parziale, la pianta edita dell’edificio rinnus maximus e degli incroci con i cardines e all’incontro con le venuto in via delle Ninfe mostra un settore dell’abitazione appartenente alla fase identificata come punica : un vano quadranfortificazioni di età punica. golare suddiviso da un setto intermedio sembra prevedere due Nel saggio i, 5 dove è stata indagata soprattutto la fase tardoantica e proto-bizantina, è stata rimessa in luce, per un considistinte funzioni legate, forse, all’uso dell’acqua. stente tratto di circa 30 metri quadrati, la pavimentazione straL’imboccatura di una cisterna e il piccolo vano pavimentato dale in basoli di pietra bianca di Trapani con particolari venature in cocciopesto, a nord-ovest, apparentemente rivestito da uno di colore rosa, la più antica testimonianza monumentale che lo spesso intonaco parietale, sembrano suggerire la presenza di una scavo ha restituito. stanza da bagno o, comunque, di attività domestiche connesse a Resti delle strutture murarie sono visibili solo nella cresta ed sistemi idraulici 2 (Fig. 5). Se tuttora è impossibile creare un quadro coerente delle atteè possibile che tali resti affioranti rappresentino il limite settenstazioni edilizie della città antica è, comunque, al ii secolo a.C. trionale di due isolati della griglia urbana lilibetana prospicienti che vengono assegnate le profonde e generali trasformazioni il decumano ; le creste murarie sono reimpiegate in epoca tardoantica-altomedievale come soglie, provviste di incavi per i del tessuto urbanistico della città, con l’acquisizione di modelli cardini delle porte. spaziali di tipo ellenistico : questo modello sembra affidarsi alla L’elemento più importante, ricollegabile alla fase preromana dell’asse viario, è emerso da una sezione esposta relativa ad una trincea moderna che reseca il decumano attingendo e mettendo a vista gli strati di preparazione del lastricato : almeno tre livelli stradali realizzati in terra battuta mista a frammenti di ceramica rappresentano le fasi precedenti alla monumentalizzazione del decumano massimo (Fig. 7).

Fig. 6. Area archeologica di via Sibilla : l’atrio tetrastilo (da Di Stefano 1984a).

Fig. 5. Area archeologica di via delle Ninfe, planimetria : in basso gli ambienti con la cisterna, intonaco e pavimento in signino (da Di Stefano 1984a). 1

Per Solunto : C. Greco, Pavimenti in opus signinum e tessellati geometrici da Solunto : una messa a punto, in Atti del iv Colloquio aiscom, Palermo 1996, Ravenna, 1997, pp. 40-41 ; per Monte Iato : H. P. Isler, Monte Iato : mosaici e pavimenti, in Atti del iv Colloquio aiscom, Palermo 1996, Ravenna, 1997, pp. 23-25 ; per Segesta : R. Camerata Scovazzo, I pavimenti ellenistici di Segesta, in Atti del iv Colloquio aiscom, Palermo 1996, Ravenna, 1997, p. 111, fig. 7. 2 Di Stefano 1984a, p. 36, fig. 16.

Fig. 7. Area archeologica del Capo Boeo – viale Vittorio Veneto : i livelli stradali in terra battuta sotto il lastricato del decumano massimo (saggio i). 3 4 5

Di Stefano 1984a, p. 104, fig. 59, p. 106, fig. 61. Gli scavi sono stati diretti dalla scrivente e finanziati dal Comune del Marsala. Dimensioni : m 26 x 24. È in preparazione il rapporto preliminare dello scavo.

126 rossella giglio · pierfrancesco vecchio Nel saggio ii, è da riferire alla fase più antica finora documessa in luce per un tratto di 66 metri dagli scavi condotti da mentata, verosimilmente di epoca ellenistica, un muro in opera Salinas negli anni 1893-1894 1 (Figg. 9-10). Le indagini archeologiche in questo settore hanno messo in a telaio con andamento est-ovest ; la struttura prospetta a nord sull’asse viario di cui si conserva ancora in situ parte del lastriluce varie fasi edilizie, attribuibili ad un excursus cronologico cato (Fig. 8). A sud del muro si estende un’insula con ambienti ampio, dalla fondazione punica alla lunga fase di vita in età rodelimitati da strutture in blocchi di calcare e piani pavimentali mana. in cocciopesto, pertinenti presumibilmente a vani di abitazione. È stato possibile liberare alcuni filari del muro perimetrale di età punica, costituiti da grandi blocchi di calcarenite, per uno La dislocazione delle strutture suggerisce una suddivisione degli spessore massimo di m 4,10, con orientamento est-ovest parallespazi con vani disposti intorno ad un atrio o corte aperta con lo alla costa, secondo un allineamento leggermente curvo verso impluvio, di cui sopravvivono alcuni blocchi assieme alle strutsud (Fig. 11). tura di fondazione e a qualche lacerto pavimentale. Collegata alla corte è da segnalare la presenza di una cisterna. Ad una fase A sud del saggio è stata documentata la presenza di strutture e scarsi residui pavimentali, realizzati a mosaico e a cocciopesto, edilizia successiva appartiene la ristrutturazione del medesimo riferibili a un’insula con diversi ambienti. I livelli pavimentali edificio documentata da un nuovo piano pavimentale in opus spicatum e un pozzo perfettamente conservato. corrispondono a tre diverse fasi di vita dell’abitazione ; il più antico indagato è un livello pavimentale in opus signinum decorato Il saggio iii è posizionato ad ovest, nel tratto finale del viale Vittorio Veneto, alla confluenza con il lungomare. a crocette disposte a losanga. 2 Connesso all’opus signinum, e alla stessa quota, è un lacerto di cocciopesto, individuato lungo il Tale ubicazione era funzionale all’individuazione del tracciato del decumano massimo in prossimità del percorso della cinta limite meridionale del saggio iii, la cui superficie è decorata con muraria punica, la quale, a breve distanza, più a sud, era stata una ruota realizzata con tessere policrome. 3 Le testimonianze ellenistiche dall’abitato di Lilibeo sono ancora molto parziali perché possa definirsi un quadro coerente della struttura urbana. Emergono, tuttavia, alcuni dati fondamentali : le conoscenze costruttive e le tecniche pratiche appar-

Fig. 9. Le fortificazioni rinvenute dal Salinas (da Di Stefano 1984a).

Fig. 10. Area archeologica del Capo Boeo – viale Vittorio Veneto : posizione del saggio Salinas. 1

Vedi ultra, p. 129. L’esame della superficie di questa pavimentazione ha permesso di osservare la presenza di una griglia isometrica, sicuramente realizzata tramite un cordino impresso sulla calce fresca, che ha consentito il regolare ed equidistante posizionamento delle cinque tessere che compongono la crocetta. 3 Il raggio è di cm 23 ; le tessere sono azzurre, bianche, rosse e nere. 2

Fig. 8. Area archeologica del Capo Boeo – viale Vittorio Veneto : il settore nord del saggio ii.

nuovi dati su lilibeo ellenistica

Fig. 12. Foto satellitare del promontorio di Punta d’Alga e della punta meridionale dell’Isola Lunga, Stagnone di Marsala (ortofotocarte aima 1997).

Fig. 11. Area archeologica del Capo Boeo – viale Vittorio Veneto : la prosecuzione del muro Salinas a nord, in verde (saggio iii).

tengono ad un comune bagaglio di tradizioni elaborate e perpetuate in ambito punico, in parte condivise e diffuse – come per le tipologie pavimentali – in realtà urbane di diversa origine ma gravitanti nell’area d’influsso punico, come Segesta, Monte Iato e Solunto. Dalla documentazione lilibetana edita, sembra che le strutture relative alla fase punica, vengano completamente inglobate dai rifacimenti di epoca tardo repubblicana o protoimperiale ; in altre circostanze, al contrario, alle preesistenze ellenistiche non vengono sovrapposte strutture successive, segno che molte unità abitative più antiche continuavano a sopravvivere insieme alle lussuose domus, cristallizzate, ormai, nell’immagine creata dal topos ciceroniano. Questa ipotetica discontinuità, nel tessuto urbano di Lilibeo, dovrà necessariamente trovare altre e più cospicue prove documentarie. Le fortificazioni Il piatto promontorio del Boeo, privo di difese naturali ma temibile per la navigazione a causa degli scogli affioranti o dei banchi di sabbia a nord, presso l’imboccatura dello Stagnone, rappresentava, nel momento della fondazione, una sfida per la tecnologia militare punica (Fig. 12). Eppure, nel trentennio che separa la presa di Mozia dal primo assedio subito da Lilibeo nel 367 a.C., le fortificazioni erano già perfettamente in grado di respingere, vittoriosamente, le truppe di Dionisio I, così come, ma quasi un secolo più tardi, quelle di Pirro, nel 278 a.C. 1 Durante la prima guerra punica l’eccellenza delle mura lilibetane è il primo dato, decisivo, della narrazione polibiana dell’assedio : i Romani si apprestano ad attaccare una città τεεσ τε διαφερντως ησφαλισµνην, 2 caratteristica che deciderà le sorti dell’intervento di terra. Il sistema difensivo della città era infatti un impianto complesso, articolato secondo le tecniche che la poliorcetica ellenistica aveva sviluppato 3 e che dota Lilibeo di apprestamenti che rispondevano a tre diversi compiti : difendere gli assediati – il circuito murario con le torri –, ostacolare il nemico e le sue macchine – il fossato – e, infine, permettere azioni di difesa attiva contro gli assedianti – le gallerie e i percorsi sotterranei. 1 3

Diodoro xv, 73, 2-5 e xxii, 10, 3-4. Garlan 1974, pp. 3-7.

2

Polibio i, 42, 7.

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La difesa principale era data, naturalmente, dal circuito murario, costituito da una struttura la cui larghezza variava da 5, 20 a 6 metri, fondata sul banco roccioso e realizzata con un doppio paramento in blocchi isodomi di grandi dimensioni e riempimento interno di argilla e pietre 4 (Fig. 13). Il muro era rafforzato da torri rettangolari aggettanti disposte a distanze regolari ed era coronato da una merlatura a profilo semicircolare. 5 Il sistema murario, rettilineo sui lati nord-est e sud-est, a nord-ovest e a sud-ovest doveva seguire la costa adattandosi all’orografia, come dimostra il tratto di muro scavato dal Salinas. 6 Durante l’assedio romano, Diodoro riferisce della costruzione di un secondo muro, interno, eretto a difesa contro il lancio delle catapulte : 7 questo dato potrebbe indicare che il muro verso il mare a sud-ovest non fosse alto o spesso come il resto delle fortificazioni e tale, così, da sostenere con successo l’impatto delle macchine da lancio romane. Lo stato di conservazione dello zoccolo di fondazione del muro, non più alto in media di m 1,40, non permette di verificare, materialmente, l’imponenza dell’elevato ma si può immaginare, per confronto con sistemi fortificati similari, un’altezza variabile tra i 6 e i 10 metri. 8 A Mozia, un’ipotesi ricostruttiva delle mura è configurata intorno ai 6 metri come altezza media ; 9 anche a Lilibeo, come a Mozia, l’alzato doveva essere costituito da mattoni crudi perché più semplici nella realizzazione e nella messa in opera e adatti, per le loro caratteristiche di elasticità, all’assorbimento dei colpi da catapulta o da ariete. 10 La larghezza delle mura permetteva di disporre dello spazio superiore, protetto dai merli, per posizionare le macchine da getto mentre le torri, pro4

Di Stefano 1984, p. 27 ; Di Stefano 1993, p. 21. Le torri erano disposte ad una distanza di ca. m 39-40 e sporgevano dalla cortina di m 13, Eadem 1993, p. 9, Eadem 1984, p. 31 e E. Caruso, Lilibeo-Marsala : le fortificazioni puniche e medievali, in Atti delle Quarte Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima, Erice 2000, 2003, p. 182. Recenti indagini in via Alagna hanno rimesso in luce altri due tratti della fortificazione sud-est. Il primo tratto (proprietà gam Costruzioni) conserva parzialmente la cortina esterna e parte del nucleo, per un’altezza di tre assise e tre probabili buche pontaie ; il secondo tratto è posto all’estremità occidentale della via Alagna, nell’area retrostante il porto attuale (prop. Rallo). Questo, allineato con il primo, si conserva per uno o due filari ; all’interno della fortificazione, larga 5,80 m., è presente un vano a pianta rettangolare, con un accesso (di cui si conservano i due stipiti) sul lato interno, realizzato con grossi blocchi squadrati posti in alternanza a porzioni di paramento campite con piccoli conci rettangolari, “a telaio”. In corrispondenza degli stipiti la soglia è costituita da un’enorme lastra calcarenitica. 6 E. Gabrici, Rinvenimenti nelle zone archeologiche di Panormo e Lilibeo, 7 « nsa »,1941, p. 273, fig. 16. Diodoro xxiv, 1, 2. 8 Adam 1982, fig. 77, 113 ; p. 117, fig. 78. 9 A. Ciasca, Sulle mura di Mozia, in Studi sulla Sicilia Occidentale in onore di Vincenzo Tusa, Padova, 1993, pp. 27-31, tav. viii, 1-2. 10 Adam 1982, pp. 19-20. 5

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rossella giglio · pierfrancesco vecchio confronti magnogreci – quello di Paestum (20 metri) e il fossato B di Siracusa (22 metri) ; non è stata, finora, accertata la presenza di un muro con terrapieno che completasse la difesa tra il ciglio interno e le fortificazioni. 7 Due recenti scavi d’emergenza all’esterno del perimetro urbano antico – aree dell’ex Stabilimento Curatolo e via del Fante – hanno però in parte modificato e complicato l’immagine del sistema difensivo nel settore nord-orientale di Lilibeo, grazie al rinvenimento di due nuovi fossati 8 (Fig. 14). È questo infatti il

Fig. 13. Il doppio paramento e il riempimento interno di un tratto delle fortificazioni (da Di Stefano 1984a).

babilmente non coperte, dovevano ospitarne altre, di maggiori dimensioni ; tutto questo apparato è descritto da Diodoro prima dell’assalto di Pirro, perché sulle mura la quantità di catapulte aveva superato lo spazio a disposizione. 1 Dobbiamo quindi immaginare la presenza di un camminamento, largo circa 2 metri, agevolmente raggiungibile grazie a scale lignee o terrapieni ; questa eventualità è ribadita nelle fonti con l’episodio che sottolinea la presenza della massa dei cittadini, raccolta επ τ τεη, per assistere all’arrivo dei rinforzi da Cartagine. 2 Le fortificazioni lilibetane restarono in efficienza almeno fino alla fine dell’età repubblicana quando, sotto il temporaneo dominio della Sicilia da parte di Sesto Pompeo, il legato propretore L. Plinio Rufo fece restaurare por(ta)m et turres tra il 39 e il 36 a.C. 3 È nel tardo impero che, alcuni settori delle mura, subiscono una trasformazione radicale con lo smantellamento dell’alzato e la costruzione di unità abitative con elementi di reimpiego. 4 La sviluppo della difesa passiva con l’escavazione di fossati, nel corso del iv secolo a.C., era stata incrementata proprio dalle macchine balistiche, il cui primo impiego era riconosciuto dalla tradizione proprio in Sicilia e ad opera di Dionisio I, che le aveva usate, con profitto, contro Mozia. 5 È probabile che il disastro del 397 a.C. abbia costretto i superstiti abitanti dell’isola a impiantare su nuovi modelli insediamentali la città e a predisporre più ampie ed articolate opere di difesa. Il fossato lilibetano correva a 30 metri dalle mura sui lati nord-est e sud-est, così come è documentato dalla ricerca archeologica, mentre è ancora visibile in alcuni tratti del perimetro urbano attuale. 6 La sua larghezza superava – per limitarci ai 1 Diodoro xxii, 10, 7 ; sull’uso delle artiglierie da parte dei difensori, Winter 1971, p. 156, nota 17. Rinvenimenti di proiettili da catapulta sono attestati dall’ex 2 Stabilimento Curatolo e dal decumano massimo. Polibio i, 44, 5. 3 L. Bivona, Lastra di calcare compatto, in Lilibeo, p. 35. 4 Di Stefano 1984, pp. 30-31, datate al iv d.C. 5 Di Stefano 1993, p. 23 ; su Mozia, M. A. Levi, Le armi balistiche nell’assedio di Mozia del 397 a.C., « ranl », vi, 1995, p. 667 ; sullo sviluppo delle tecniche di assedio, Winter 1971, pp. 316-317 e 320, con riferimento a Lilibeo. 6 La prima menzione del taglio è con l’assedio di Pirro, Diodoro xxii, 10, 5, ma in un contesto grammaticale in cui l’uso del tempo aoristo potrebbe indicare una difesa approntata in antico, all’atto della fondazione della città : Garlan

Fig. 14. Stralcio catastale del settore nord-est del Boeo con l’indicazione del fossato principale e dei due secondari : a nord-ovest il fossato “Curatolo”, a sud-est il fossato di via del Fante ; in arancio le porzioni messe in luce.

punto in cui la struttura urbana doveva collegarsi al porto, in un settore fondamentale per l’esistenza stessa della città, ma anche altamente vulnerabile in caso di attacco nemico : infatti, il rapporto tra strutture portuali e struttura urbana costituisce uno dei nodi dell’urbanistica dell’antichità e in particolare per le città di tradizione fenicia. 9 1974, p. 191, nota 7. Il fondo del fossato è largo 28 metri ed è visibile ancora sotto l’attuale carcere, l’antico castello di terra delle difese medievali e rinascimentali marsalesi, F. Maurici, Da Federico II al viceregno asburgico, in Marsala, pp. 201 e 203. 7 Bisogna, tuttavia, sottolineare che sono state rilevate, dalle prospezioni geomagnetiche, probabili strutture murarie nel settore nord-orientale tra mura e fossato interpretate come “muri di controscarpa” : pubblicazione del Centro Internazionale di Studi Fenici e Punici 1999, p. 4, fig. 6, n. 14 e 7 ; un esempio di questo sistema proviene da Atene, Adam 1982, pp. 112-114 e fig. 77 ; Winter 1971, pp. 274-275, fig. 312, Garlan 1974, p. 365. 8 Il fossato Curatolo è stato rinvenuto nel 1998 e nel 2004, nel 2004 quello di via del Fante : R. Giglio, Lilibeo (Marsala). Indagini archeologiche nell’area dell’ex Stabilimento Curatolo : rapporto preliminare, in Atti del v Congresso Internazionale di Studi Fenici e Punici, Palermo-Marsala 2-8 ottobre 2000 ; Eadem, Nuovi dati sulla topografia e sui sistemi di fortificazione di Lilibeo, in Workshop “ G. Nenci”. Guerra e pace in Sicilia e nel Mediterraneo antico (viii-iii sec. a.C.) : arti, prassi e teoria della pace e della guerra (Quinte Giornate Internazionali di Studi sull’area Elima e la Sicilia Occidentale nel contesto mediterraneo – Erice, 12-15 Ottobre 2003), c.s. 9 Per un’analisi recente, focalizzata sui porti interni, S. Tusa, Il sistema portuale di Mozia. Il Kothon, in Mozia – x, a cura di L. Nigro, Quaderni di Archeologia FenicioPunica, i, Roma, 2004, p. 451 sgg.

nuovi dati su lilibeo ellenistica Il “fossato Curatolo”, largo m 9/9, 30 e profondo m 4, 24, è connesso al fossato principale e, rispetto a questo, declinante di circa 45° in senso est/ovest ; in via del Fante il fossato ha una larghezza costante di 5,30 metri ed una profondità di circa 6,40 metri e corre parallelo alla strada attuale che, evidentemente almeno per questo tratto, ricalca il tracciato viario extraurbano antico 1 (Fig. 15).

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Fig. 16. Ricostruzione topografica dell’area fossati-porto ; in rosso i due secondari, in arancio l’ipotetico tracciato del fossato di congiunzione, in marrone il molo – “muro romano” – del porto antico (da Schmiedt 1963, rielaborazione).

Fig. 15. Il fossato di via del Fante.

È possibile che i due fossati (congiungendosi ?) piegassero poi verso il mare, in direzione della punta meridionale del cosiddetto “muro romano” che costituiva il molo esterno del porto antico 2 (Fig. 16) : in questo modo delimitavano lo spazio necessario per l’accesso al bacino, chiuso ad est dalla stretta e bassa lingua di terra di Punta dell’Alga, forse adattata e regolarizzata a mo’ di banchina, secondo quanto riporta la testimonianza autoptica dello Schubring, registrata nella seconda metà del xix secolo. 3 La presenza di due (o tre ?) diversi fossati, a protezione del lato interno del porto e dell’asse viario extraurbano, sembra ampliare in modo determinante le conoscenze consolidate sul sistema difensivo lilibetano e accreditare l’ipotesi, già formulata e finora non documentata, dell’esistenza di un sistema difensivo città-porto paragonabile, nell’impostazione tattica e funzionale, alle Lunghe Mura tra Atene e il Pireo. 4 1 Il margine meridionale del fossato Curatolo è stato individuato per una lunghezza di m 9,08, quello settentrionale per m 14, 10. A nord sono presenti delle buche, probabili apprestamenti temporanei per argani lignei destinati all’erezione del paramento murario. Un basamento monumentale forse ascrivibile alla platea di fondazione di una torre difendeva il fossato a nord. Due edifici vengono costruiti – terminus post quem, inizi del ii d.C. – sul riempimento del fossato. Sulla funzione dei due edifici non è possibile, allo stato attuale, avanzare alcuna ipotesi. Nel corso del iii d.C. uno degli edifici viene trasformato in complesso funerario semi ipogeico. Un altro intervento della Soprintendenza di Trapani nel 2004, diretto da Sebastiano Tusa, all’interno dell’area archeologica, ha accertato la connessione di questo fossato secondario con il fossato principale. 2 Di Stefano 1993, pp. 15-16 con tutta la bibliografia precedente. 3 Schubring 1867, p. 71, ipotizza che un “hafendamm ins meer hinausgebaut war” a causa della presenza di grandi blocchi, visibili in acqua, poco ad ovest della penisola. Sul “muro romano”, R. Giglio, La città punica e romana, in Marsala, Palermo, 1998, p. 74. 4 L’ipotesi è ancora dello Schubring 1867, p. 73, che immagina “eine fortificatorische verbindung” tra porto e città.

L’uso successivo dei fossati, ormai inutilizzati a fini militari, comporta l’impianto di officine ceramiche e, in epoca tardo antica, di tombe ad arcosolio. 5 L’escavazione di mine e contromine o la presenza di postierle e gallerie sotterranee che permettano sortite improvvise contro gli apparati offensivi degli assedianti, costituiscono gli elementi principali della difesa attiva di un sistema fortificato. 6 A Lilibeo sono attestate gallerie che partivano dall’interno della città, correndo al di sotto del fossato e che uscivano, verosimilmente, in campo aperto, nei settori nord-est e sud-est ; 7 a queste se ne deve aggiungere un’altra, nel fossato di via del Fante, scavata nella roccia e in parte costruita con blocchi di tufo 8 (Figg. 17-18). La specificità delle fortificazioni lilibetane e l’impatto, anche letterario, dovuto alla loro inespugnabilità e alla coerenza della concezione costruttiva e, dall’altra parte, l’apparato e lo sforzo bellico, durevoli, approntati per abbatterle e superarle, pongono in evidenza due diversi modi di concepire l’organizzazione militare. Le mura di Lilibeo costituiscono la realizzazione pratica della notevole competenza teorica ormai raggiunta dai regni ellenistici nella tecnologia militare mentre l’esercito romano porta con sé una nuova strutturazione della compagine combattente, basata su leva, disciplina e gerarchia ; 9 la descrizione dell’assedio e della resa di Lilibeo, pur invitta, alla fine della prima guerra punica rappresenta l’epopea di una contraddizione e di una svolta storica, tra capacità tecnologica e capacità demografica, tra l’inaffidabilità dei mercenari e lo spirito civico dei soldati di Roma. La necropoli La fase punica della necropoli lilibetana è ben documentata dalle tombe a fossa o a pozzo ipogeico e dai corredi che inquadrano 5 Nel fossato sono state individuate due fornaci in parte ricavate nelle pareti del taglio e in parte costruite ; in un’altra area, ad est, sempre lungo la via del Fante è messa in luce una fornace tronco-conica, utilizzata verosimilmente, per un lungo periodo, e anch’essa in parte scavata nella roccia, in parte costruita con blocchi di reimpiego. 6 J. Bonetto, La guerra sotterranea : i passaggi ipogei nella poliorcetica greca e romana. Fonti e archeologia, in Via per montes excisa. Strade in galleria e passaggi sotterranei nell’Italia romana, a cura di M. S. Bausana, Roma, 1997, pp. 361 e 364 : le gallerie di Lilibeo potrebbero rientrare nei tipi (e) ed (f ), rispettivamente per la difesa attiva e per “raggiungere le opere avanzate” ; su Lilibeo, ivi, pp.375-378. 7 Di Stefano 1984, p. 22, fig. 3, p. 23. 8 Questa è stata indagata solo in parte : si veda la nota 8, p. 128. 9 E. Gabba, La prima guerra punica e gli inizi dell’espansione transmarina, in Storia di Roma, 2, i, Torino, 1990, p. 61 sgg.

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rossella giglio · pierfrancesco vecchio spia Salvia – ha permesso di documentare il caso, finora unico, di una camera ipogeica, con accesso a dromos, interamente dipinta 2 (Figg. 19-20).

Fig. 19. Ipogeo di Crispia Salvia : planimetria.

Fig. 17. La galleria Mortillaro.

Fig. 20. Ipogeo di Crispia Salvia : interno della stanza funeraria.

L’eccezionalità del ritrovamento sta nel fatto che le pareti sono interamente ricoperte da scene figurate, contraddistinte da una vivace e intensa policromia, fra fiori rossi dischiusi e ghirlande floreali a forma di « esse » o disposte a festone (Fig. 21). A Lilibeo un precedente importante, per quanto riguarda la pittura, è costituito dalle famose edicole, documenti di botteghe locali di pittori ancora di tradizione ellenistica, i cui esemplari più antichi sono stati datati alla fine del iii secolo a.C. 3 (Fig. 22). Gli elementi decorativi che si trovano ripetuti nelle scene dipinte dell’ipogeo come le melagrane, i kalathoi, la trapeza (Fig. 23), ampiamente rappresentati nelle edicole, sono da intendere come espressione di un comune repertorio che è possibile ritrovare, senza sostanziali differenze tecniche, in sepolcreti pagani e cristiani in Sicilia e a Roma. Il primo impianto dell’ipogeo di Crispia Salvia, il cui repertorio figurativo è stato realizzato in fasi diverse, presumibilmente nell’arco di almeno due secoli, è da collocare nel pieno ii secolo d.C. 4 Il già consistente gruppo di pitture policrome lilibetane si è arricchito ulteriormente con i lavori di scavo archeologico in viFig. 18. La postierla nell’area di proprietà Falco.

l’estesa area cimiteriale in un periodo non anteriore al iv secolo a.C.1 Tuttavia, il ritrovamento di un nuovo ipogeo – quello di Cri1 Per un consuntivo sullo stato delle ricerche e sulla bibliografia relativa, cfr. R. Giglio, in Marsala, p. 71 sgg.

2 R. Giglio, Lilibeo : l’ipogeo dipinto di Crispia Salvia, « Quaderni b.c.a. Sicilia », 20, Palermo, 1996 ; R. Giglio, in Marsala, p. 88 sgg. 3 Il gruppo di tredici “edicole” dipinte, rinvenuto nel 1895 la cui provenienza è rimasta ignota, fu acquistato dal Salinas per il Museo di Palermo ; in mancanza di dati di scavo, esse sono state variamente datate fra il ii sec. a.C. ed il i sec. d.C. Si veda : Di Stefano 1993, p. 39 sgg. e ivi bibl. precedente, in part. Bisi A.M. Bisi, Influenze italiote e siceliote sull’arte tardo-punica : le stele funerarie di Lilibeo, « ArchCl », xxii, 4 1970, pp. 92-130, tavv. xxxii-lv. R. Giglio, in Marsala, pp. 89-91.

nuovi dati su lilibeo ellenistica

Fig. 21. Ipogeo di Crispia Salvia : la parete nord-est dell’ipogeo.

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Fig. 23. Ipogeo di Crispia Salvia : la scena di banchetto.

colo E. Pace, in un’area della necropoli ipogeica paleocristiana di Lilibeo. Il rinvenimento di un arcosolio con decorazione dipinta, costituita da fiori rossi con una ghirlanda floreale verde, posta al centro della composizione, connette questa catacomba alla rete di cubicoli individuati ormai un secolo fa dagli studiosi tedeschi Schultze e Führer, vasto e articolato complesso che, proseguendo verso est, giunge all’area compresa fra la Chiesa di Santa Maria della Grotta ed l’ex Convento dei Niccolini. 1 Tutta la zona infatti è caratterizzata da un complesso di latomie in cui è documentata la presenza di numerose tombe ipogeiche a pozzo verticale e sub divo, riconducibili al iv-ii secolo a.C., e di complessi catacombali con scene dipinte. Il tema floreale e gli altri elementi decorativi come le ghirlande e le melagrane, simili a quelli rinvenuti nell’ipogeo di Crispia Salvia sono largamente diffusi in Sicilia. Sono documentate inoltre numerose testimonianze in ambiente mediterraneo : i confronti più stringenti riconducono ad ambiente nord-africano, considerato che i rapporti fra la Sicilia occidentale e l’Africa, dall’età punica sino all’occupazione bizantina dell’isola, non si sono mai interrotti, come per altro è avvenuto anche in Spagna e in Sardegna. Abbreviazioni bibliografiche Adam 1982 = J. P. Adam, Architecture militaire grecque, Paris, 1982. Di Stefano 1973 = C. A. Di Stefano Le fortificazioni puniche di Lilibeo, « Magna Graecia », viii, 5-6, pp. 4-5. Di Stefano 1973a = C. A. Di Stefano, Nuove scoperte archeologiche a Marsala : le fortificazioni puniche di Lilibeo, « SicA », vi, 21-22, pp. 7179. Di Stefano 1976 = C. A. Di Stefano, Marsala : ricerche archeologiche al Capo Boeo, « SicA », ix, pp. 25-36. Di Stefano1982-1983 = C. A. Di Stefano, La documentazione archeologica del iii e del iv sec. d.C. nella provincia di Trapani, « Kokalos », xxviii-xxix, 1982-1983, pp. 350- 367. Di Stefano 1984 = C. A. Di Stefano, Fortificazioni, in Lilibeo, pp. 2135. Di Stefano 1984a = C. A. Di Stefano, Fase punica. L’abitato, in Lilibeo, p. 36. Di Stefano 1993 = C. A. Di Stefano Lilibeo punica, Palermo, 1993. Garlan 1974 = Y. Garlan, Recherches de poliorcétique grecque, b.e.f.a.r., 223, Athènes-Paris. 1974. 1 R. Giglio, P. Vecchio, Lilibeo (Marsala). Area di Santa Maria della Grotta e Complesso dei Niccolini : recenti rinvenimenti archeologici, in Atti delle Terze Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima, Gibellina – Erice – Contessa Entellina 1997, Pisa-Gibellina, 2000, pp. 655-680.

ig. 22. Edicola Salinas (Museo Archeologico Regionale “Baglio Anselmi”, Marsala n. inv. 1066). Lilibeo = Lilibeo. Testimonianze archeologiche dal iv sec. a.C. al v sec. d.C., Palermo, 1984. Marsala = Marsala (a cura di M. G. Griffo), Palermo, 1998. Schubring 1867 = G. Schubring, Motye – Lilybaeum, « Philologus », xxiv, 1867, pp. 49-82. Winter 1971 = F. E. Winter, Greek Fortifications, Toronto, 1971.

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Francesca Spatafora · Gilberto Montali PALERMO: NUOVI SCAVI NELL’AREA DI PIAZZA DELLA VITTORIA Le indagini archeologiche

N

el presentare, ancora in forma del tutto preliminare e limitatamente ai dati di carattere topografico e architettonico, i risultati delle ultime indagini realizzate nell’area di Piazza della Vittoria, nel cuore della paleapolis di fondazione fenicia (Fig. 1), è opportuno sottolineare come i singoli scavi di cui brevemente tratteremo debbano in realtà considerarsi solo utili tasselli per una possibile definizione del tessuto connettivo dell’impianto urbano della città punico-romana, la cui conoscenza può forse contribuire in maniera determinante a spiegare gli aspetti peculiari di una comunità particolarmente complessa sotto il profilo culturale, traducendone e interpretandone le idee e la mentalità. In quest’ottica lo studio dell’edilizia domestica assume un ruolo non secondario, soprattutto se all’osservazione tecnica delle strutture segue – anche attraverso l’esame e l’analisi degli arredi mobili, della distribuzione degli ambienti e della composizione stessa della casa – un approccio di tipo funzionale che non contempla, tuttavia, per quanto ci riguarda almeno, la mera applicazione di modelli precostituiti. 1 Purtroppo, però, le condizioni in cui abbiamo operato nell’area di Piazza della Vittoria, come spiegheremo oltre, non hanno consentito il recupero di tutte quelle informazioni necessarie a garantire un approccio metodologico soddisfacente: si tratta, infatti, in un caso, dell’ampliamento dello scavo intrapreso nel 1904 e proseguito nel 1915 da Antonino Salinas 2 in occasione della trasformazione in giardino della grande piazza d’armi (Fig. 2) antistante il Palazzo Reale, mentre, per quanto riguarda la seconda indagine, l’occasione è stata fornita dalla necessità di realizzare dei saggi di controllo nel cortile del trecentesco Pa-

Fig. 2. Piazza della Vittoria. G. Incorpora. Piazza della Vittoria, 1870 circa.

lazzo Sclafani (Fig. 3), oggi sede di una caserma dell’esercito, in occasione dei lavori di restauro del complesso monumentale. I due scavi si inseriscono però in un più ampio programma di indagini che ha interessato negli ultimi anni l’intero centro storico cittadino 3 offrendo, in qualche caso, conferme ad ipotesi

Fig. 3. Palazzo Sclafani. Fronte meridionale. Fig. 1. Palermo. L’area della città antica con l’indicazione di Piazza della Vittoria. 1 Per lo stretto nesso tra il parametro funzionale e quello planimetrico cfr. ad esempio, Kent 1990, pp. 1-8; più specificatamente per il mondo punico vedi Mezzolani 2000. La necessità di un’analisi completa dell’arredo domestico per la comprensione delle relazioni sociali ed economiche delle comunità è stata tra l’altro sottolineata e teorizzata in Ault-Nevett 1999. 2 Giornale di Sicilia, 28-29 ottobre 1904; Salinas 1904, p. 458.

3 Si è trattato di scavi programmati, realizzati in aree non ancora fagocitate dallo sviluppo urbanistico post-medievale o di indagini condotte all’interno di edifici storici in occasione di lavori di restauro; alcune preziose occasioni, tuttavia, sono state fornite anche dai lavori di ammodernamento della rete idrica cittadina, seguiti con grande attenzione dalla Soprintendenza di Palermo, soprattutto nel centro storico della città, coincidente con il perimetro dell’insediamento antico. Gli interventi a cui facciamo riferimento si sono svolti tutti a partire dal 1999 e i risultati delle ricerche sono in corso di studio ed elaborazione. Delle indagini archeologiche svolte in ambito urbano a partire dal 1999 diversi resoconti preliminari sono in corso di pubblicazione a cura della scrivente (cfr., ad esempio, Atti del x Convegno Internazio-

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francesca spatafora · gilberto montali due parti della città, l’acropoli o paleapolis e la neapolis, sembrano mantenere, attraverso i secoli, quella netta divisione, sottolineata forse da un circuito murario interno, che appare a molti segno evidente del carattere punico dell’impianto urbano 7 ma di cui, a prescindere dalla segnalazione del Salinas, non abbiamo rinvenuto traccia nel corso degli ultimi scavi condotti nella zona. Ma è soprattutto nella ipotizzata adozione di una unità di misura non greca, il grande cubito punico di circa cm 52, 8 che si estrinseca la complessità culturale che sta alla base dell’impianto: in effetti le misure proposte per la lunghezza degli isolati e, soprattutto, per la larghezza delle strade secondarie, ha trovato recentemente conferma nella scoperta, all’interno dei saggi condotti nel cortile del Palazzo Arcivescovile (Fig. 4), posto nella zona tradizionalmente considerata di confine tra la paleapolis e la neapolis, di un asse stradale (Fig. 5 a-b) mantenutosi pressoché inalterato in relazione al suo orientamento fino ad età medievale, di cui si sono riconosciuti almeno sei livelli d’uso, compresi tra la fine del iv e la fine del ii sec. a.C. 9 La strada, orientata in senso NO/SE, ha una larghezza di circa m 3 ed è in leggera pendenza verso Nord: si tratta, dunque, del primo stenopòs riportato alla luce nell’area della città antica, scoperta che avvalora l’ipotesi di Fig. 4. Palermo. L’area della città antica con l’indicazione un impianto regolare 10 con isolati di circa m 52, probabilmente del Palazzo Arcivescovale. suddivisi da ambitus, delimitati da assi stradali secondari larghi circa m 3. Alla stessa conclusione ci porta la scoperta nella Piazza ormai consolidate nel tempo 1 ma, in molte altre occasioni, nuovi Sett’Angeli, in una zona poco distante situata alle spalle della spunti di riflessione sulla storia urbanistica della città, considecattedrale normanna (Fig. 6), del fronte orientale di un’insula rato tra l’altro che solo raramente le ipotesi di riconfigurazione (Fig. 7), di cui si è riportato alla luce un tratto lungo circa m del tessuto urbano dell’antica Panormos sono state in passato 12, che sembra dunque delimitare un secondo stenopòs, parallelo elaborate sulla base di riscontri di tipo archeologico, risentendo, a quello messo in luce nel cortile del Palazzo Arcivescovile e piuttosto, dell’enorme letteratura sul sito sviluppatasi a partire anch’esso largo circa m 3, verosimilmente ricalcato dall’attuale dal xv secolo. 2 ingombro della Via delle Scuole. 11 La questione che si pone in maniera più problematica riguarNon abbiamo, invece, riscontri di tipo archeologico per una da proprio l’epoca a cui far risalire la pianificazione di quel tesdatazione alta dell’impianto, proposta finora solo in via ipotesuto regolare organizzato su un unico asse portante orientato in tica ed esclusivamente sulla base di plausibili considerazioni di senso Est-Ovest e che attraversa l’intera piattaforma calcarenicarattere storico: 12 le indagini del Palazzo Arcivescovile hanno, tica delimitata dai fiumi Papireto e Kemonia, fondamentalmente infatti, accertato un generale livellamento degli strati precedenti ricalcato oggi dal Corso Vittorio Emanuele, intersecato con rela realizzazione della strada ma, nello stesso tempo, hanno sfatato golarità da una viabilità secondaria orientata in senso Nord-Sud, definitivamente l’idea che il piano urbanistico regolare della citancora per buona parte rispecchiata dall’attuale trama viaria. tà fosse dovuto ai Romani. 13 È certamente condivisibile, invece, Pur non volendo addentrarci, soprattutto per la complessità l’idea di un impianto unico che abbia interessato paleapoli e neadel tema che richiederebbe uno specifico approfondimento, nei poli, 14 ipotesi che ha fondati riscontri sia nell’orientamento degli molteplici problemi che pone la lettura integrata dei dati archeoedifici scoperti in Piazza della Vittoria che nei risultati di un saglogici e delle fonti documentarie, ci preme in questa occasione gio realizzato tra l’Edificio A e l’Edificio B, di cui accenneremo sottolineare la “commistione” culturale che sta alla base del siavanti. Altrettanto evidente, e confermato sia dalle precedenti più stema urbanistico dell’antica Panormo, già peraltro evidenziaricerche che da numerosi saggi recentemente realizzati nella zona ta da Oscar Belvedere in un interessante lavoro del 1987 sulla più orientale della neapoli, 15 è il carattere diverso che le due aree topografia antica della città, 3 anche perché, come vedremo, essa dovevano rivestire nel contesto urbano, anche in considerazione è rispecchiata ancora nell’architettura di età ellenistica e romadella vicinanza al mare, e quindi alle attività portuali e commerna: l’impianto canonico per strigas, tipico delle città greche di ciali, della parte orientale dell’insediamento antico. Sicilia di età classica ma ampiamente diffuso nel mondo punico, 4 Destinata, invece, ad una edilizia residenziale di elevato tenore si adatta, anche nel caso di Panormos, alla morfologia dei luoghi doveva essere, almeno a partire dalla tarda età ellenistica, la zona ed alla situazione topografica del sito; all’asse viario principale si dell’attuale Piazza della Vittoria dove, dopo le indagini condotte affiancano, ad esempio, due vie periferiche che corrono all’intertra la fine dell’ottocento e i primi decenni del novecento, 16 che no della cinta muraria seguendone, probabilmente, l’andamento curvilineo – caratteristica questa che ritroviamo anche in alcune città puniche dell’Africa settentrionale 5 e della Sardegna 6 – e le sul centro abitato cfr. in ultimo Bartoloni 2000, pp. 53-63 con ampia bibliografia nale di Studi sulla Sicilia Antica, Palermo – Siracusa 2001); per le prime brevi notizie preliminari cfr. Spatafora 2003 e Spatafora 2005; sugli aspetti più specificatamente pertinenti la città di età medievale cfr. Spatafora 2004a. 1 Ci riferiamo in particolare ai limiti della città antica e alla localizzazione del primo emporio fenicio-punico nella parte alta del Cassaro: Columba 1910. 2 Per una sintesi sull’argomento cfr. Belvedere 1998, pp. 71-78. 3 Belvedere 1987, pp. 289-303 (con bibliografia precedente). 4 Isserlin 1973; Mahjoubi 1985; Mezzolani 1994. 5 Si veda, ad esempio, il caratteristico impianto urbanistico di Kerkuane caratterizzato, nel settore settentrionale, da un asse stradale che segue l’andamento curvilineo delle mura e della costa: Fantar 1984. 6 Si confronti, tra le altre, la struttura urbana di Monte Sirai; per una breve sintesi

7 precedente. Isserlin 1973, p. 138 sgg. 8 Belvedere 1987, pp. 294-296. Sulle problematiche connesse alla definizione dell’’unità di misura punica e il suo utilizzo nel mondo mediterraneo cfr. Barresi 9 1991. Spatafora 2003, 1179-1181; Spatafora 2004b. 10 Belvedere 1987, pp. 294-296. 11 Spatafora 2003, pp. 1181-1182; Spatafora 2004c, pp. 241-242. 12 Belvedere 1987, p. 298. 13 14 Ibidem, p. 299. Ibidem, pp. 298-299. 15 Mi riferisco in particolare alla scavo condotto in un’area lungo la via D’Alessi, all’interno di un’insula della neapoli, dove sono state portate alla luce testimonianze relative all’esistenza di impianti artigianali di difficile interpretazione (Spatafora 2003, p. 1182; Spatafora 2005, pp. 724-729). 16 Un resoconto complessivo delle ricerche ed una descrizione dei resti riportati alla luce si ebbero solo alcuni anni dopo a cura di Ettore Gabrici (Gabrici 1921).

palermo, nuovi scavi nell ’ area di piazza della vittoria

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Fig. 5. Palermo. 5a: Stralcio cartografico con l’indicazione del percorso stradale all’interno del cortile del Palazzo Arcivescovile. 5b: Saggi di scavo nel cortile del Palazzo Arcivescovile con la sequenza dei battuti stradali.

portarono alla luce i ben noti edifici – allora denominati A 1 e B (Fig. 8) – solo alcuni piccoli interventi furono realizzati nel corso degli anni sessanta, 2 fino alle recenti campagne a cura della Soprintendenza di Palermo. 3 L’ultimo intervento, svolto tra il 1999 ed il 2000, ha interessato la parte meridionale dell’edificio A, di età severiana, 4 e l’area del peristilio dell’edificio B, di cui tratteremo in questa occasione, mai finora sistematicamente indagata. È opportuno precisare che, anche se la nuova indagine ha permesso un’utile riconsiderazione di alcuni aspetti relativi all’impianto dell’edificio in età ellenistica, una lettura complessiva ed esaustiva dell’intero complesso è condizionata sia dalla mancanza dei dati di scavo delle precedenti indagini, se si prescinde dal resoconto del Gabrici del 1921, sia dal fatto che la parte meridionale del complesso, compresa quindi la zona d’ingresso alla casa, rimane al di fuori dell’area resa disponibile per lo scavo archeologico, essendo compresa all’interno dell’attuale Villa Bonanno sottoposta a vincoli di tipo urbanistico e naturalistico, mentre la parte settentrionale, parzialmente indagata dal Salinas, venne pian piano interrata dopo gli scavi del 1915 e mai più riscoperta. 5 Su questa parte, tra l’altro, grava il giustificato dub1 Lo scavo dell’Edificio A fu intrapreso da F. S. Cavallari nel 1868 e si protrasse fino al 1875; la maggior parte dei magnifici pavimenti musivi furono allora distaccati e conservati al Museo Archeologico di Palermo, dove ancora oggi possono ammirarsi. Su queste prime indagini archeologiche si vedano: Scubring 1870, p. 22 sgg.; Cavallari 1872, p. 15 sgg.; Aubé 1872; Basile 1874; Salinas 1875, p. 14 sgg. 2 Tamburello 1966, n. 4485, p. 305. Tamburello 1968-1969. 3 Le nuove indagini, sono state effettuate dalla Sezione per i Beni Archeologici della Soprintendenza di Palermo sotto la direzione della scrivente, nell’ambito di un più ampio progetto di recupero e valorizzazione dell’intera area, finanziato con fondi della Comunità Europea. Dei risultati di quest’ultima indagine è già stato dato un breve resoconto (Spatafora 2003, pp. 1183-1184) mentre per il primo intervento, svolto sotto la direzione di Carmela Angela Di Stefano, cfr. Di Stefano 1997, pp. 7-18; Di Stefano 1997-1998, pp. 566-568. 4 Per i risultati delle ultime indagini condotte nella parte meridionale dell’Edificio 5 A cfr. Spatafora 2004c, p. 237 sgg. Gabrici 1921, pp. 197-198

bio circa la pertinenza della porzione di peristilio riportata alla luce ad un ulteriore edificio 6 o, in alternativa, allo stesso Edificio B, così come recentemente proposto sulla base di un’iscrizione a mosaico sulla soglia del vano “p”, ricordata da Gabrici ma oggi non più visibile, che recava la formula chaire su duplicata in modo da permetterne la lettura in entrata e in uscita. 7 Per quanto riguarda le nuove indagini, esse hanno per prima cosa permesso di riconsiderare il problema della cronologia dell’edificio, finora oscillante tra il iii sec. a.C., secondo una recente ipotesi basata su confronti di carattere tipologico per quanto riguarda l’architettura e stilistici relativamente al famoso mosaico della Caccia, 8 ed il i secolo d.C., proposto dal Gabrici nella prima edizione del complesso monumentale. 9 Il saggio stratigrafico effettuato nell’area compresa tra l’Edificio B e l’edificio A, ha permesso di riconoscere un percorso stradale in terra battuta orientato in senso N-S, così come gli stenopoi della parte più bassa del Cassaro, largo però m 4,20, fiancheggiato dalle due ampie insulae che comprendevano gli edifici riportati alla luce. La stratigrafia ancora esistente ha dimostrato che la strada preesisteva all’impianto dell’edificio B (Fig. 9): la trincea di fondazione del suo muro perimetrale orientale, costruito peraltro nella tradizionale tecnica a telaio, 10 taglia, infatti, quattro livelli d’uso della strada, nel più recente dei quali (us 368) è stata rinvenuta una moneta di bronzo con Testa di Giove di profilo a sinistra sul diritto e guerriero con lancia e legenda Panorm(itan) al rovescio, genericamente datata dai numismatici nell’ambito del ii sec. a.C. 11 L’ultimo livello individuato, chiaramente connesso, invece, con le strutture dell’edificio, segna un cambia6

Questa è la lettura di Gabrici 1921, p. 197, fig. 7. Di Stefano 1997, p. 8. 9 Ibidem, p. 8 sg. Gabrici 1921, p. 203. 10 Nessun indizio sembra confermare la preesistenza della struttura a telaio (Di Stefano 1997, p. 12) che, invece, appare relativa alla prima fase edilizia della casa. 11 Tusa Cutroni 1999, p. 200, fig. 19. 7 8

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Fig. 6. Palermo. L’area della città antica con l’indicazione della Piazza Sett’Angeli.

mento anche per quanto riguarda la conformazione della strada: se, infatti, le fasi precedenti erano caratterizzate da un battuto con compluvio centrale, il nuovo sistema prevede un piano di calpestio dalla caratteristica forma a schiena d’asino con piccoli marciapiedi ai lati. Nello strato di preparazione del nuovo battuto stradale si raccolse una moneta di tipo analogo a quella precedentemente descritta, determinando quindi un terminus post quem certo al ii sec. a.C., epoca a cui pertanto può ascriversi anche la realizzazione della casa e del suo apparato decorativo, a meno che la prossima e complessiva analisi dei pochi materiali raccolti non contrasti con tale indicazione cronologica; nello stesso senso, tra l’altro, si va orientando la nuova analisi stilistica del Mosaico della Caccia, 1 da sempre l’elemento più noto della casa, di cui sono stati a più riprese sottolineate le strette affinità, sia sotto il profilo iconografico che stilistico, con l’ancor più famoso mosaico della Casa del Fauno a Pompei. 2 Passando adesso allo scavo all’interno della domus, vedremo come la complessa articolazione del peristilio sia frutto dello stratificarsi di varie fasi, testimoniate da trasformazioni e rifacimenti degli elementi originari e dall’inserimento di nuovi: il vasto spazio, di forma irregolarmente trapezoidale, si articola 1 Lo studio è in corso da parte di Chiara Portale. Naturalmente non è possibile richiamare tutta la sostanziosa letteratura prodotta sull’argomento dal momento della scoperta del pavimento in vermiculatum. In generale cfr. Fuhrmann 1931, pp. 228-270; Boeselager 1983, pp. 48-52; Wilson 1990, p. 31; Portale 1995, pp. 169173. 2 Fuhrmann 1931, pp. 228-270; Rumpf 1953, p. 147; Moreno 1965; Andreae 1977; da ultimo Moreno 2004, p. 265 sg. e nota 414 per la bibliografia aggiornata.

su una superficie di circa 180 mq con i lati maggiori di circa 16 m e quelli minori di circa 11 m, al filo interno dello stilobate. L’impianto originario del peristilio prevedeva sei colonne sui lati brevi e nove sui lati lunghi, con un rapporto di 2:3 (Fig. 10): il lato nord, che presenta quattro colonne d’ordine maggiore e due pilastri angolari – sottolineando in senso monumentale la parte della casa in cui si apriva l’exedra pavimentata col mosaico della “caccia” – sembra far parte dell’impianto originario del colonnato, non avendo riscontrato elementi significativi che giustifichino una sua costruzione in epoca successiva, così come recentemente proposto. 3 I tre restanti lati del peristilio sono scanditi da colonne di ordine dorico, così come testimoniano alcuni capitelli rinvenuti in crollo (Fig. 11), mentre per il lato nord, in assenza dei relativi capitelli ma sulla base di alcuni specifici elementi, 4 proponiamo l’esistenza di colonne di tipo dorico pergameno. I tre colonnati di ordine minore appaiono oggi chiusi da muri di parapetto finemente decorati a motivi vegetali (Fig. 12), frutto certamente di una trasformazione del peristilio da attribuire ad una fase difficilmente determinabile in termine di cronologia assoluta ma certamente successiva a quella originaria, in cui, invece, gli intercolumni dovevano essere liberi o, tutt’al più, chiusi da parapetti lignei, come sembra suggerire l’esistenza di incassi quadrangolari posti ad un’altezza di circa cm 80 sui fusti delle colonne del lato occidentale. La soluzione della chiusura parziale degli intercolumni, come verrà spiegato oltre, 5 è apparsa la più plausibile sia sulla base di alcuni elementi intrinseci alla struttura del colonnato che in considerazione di diversi confronti con complessi edilizi compatibili per stile o cronologia con il nostro edificio. 6 Diversamente, il colonnato orientale risulta, nella sua ultima fase di utilizzo, inglobato in una muratura continua di fattura piuttosto mediocre, plausibilmente relativa ad una terza ed ultima fase della casa. Fusti e capitelli sono realizzati in calcarenite, rivestiti di intonaco e caratterizzati da una ricca policromia: i diversi strati di intonaco, vari anche per colore, testimoniano anch’essi le numerose trasformazioni succedutesi nei secoli, così come aveva già ravvisato il Gabrici esaminando le strutture subito dopo lo scavo del 1915, momento in cui intonaci e stucchi dovevano ancora conservare la loro originaria freschezza. 7 Attorno al peristilio corre un ambulacro, di maggiore pro3

Di Stefano 1997, p. 12; Di Stefano 1997-1998, p. 568. 5 Cfr. ultra p. 141. Cfr. ultra p. 142. 6 Ciò in contrasto con l’ipotesi di C. A. Di Stefano che aveva proposto la chiusura totale degli intercolumni con pareti finestrate (Di Stefano 1997, p, 11, fig. 9) basandosi sulla presenza di un capitello che oggi, considerati i numerosi altri elementi rinvenuti negli strati di crollo, non può certamente attribuirsi, in base alle dimensioni, al colonnato inferiore né collocarsi nella posizione proposta. Per quanto riguarda i confronti vedi ultra p. 142 nota 6. 7 Naturalmente non mi soffermerò sugli apparati decorativi della casa, richiedendo il tema uno studio specifico, appena avviato, tra l’altro, anche per quanto riguarda i nuovi elementi raccolti negli strati di crollo. Per una descrizione dei colori originari cfr. Gabrici 1921. 4

Fig. 7. Palermo. Planimetria del Saggio di scavo nella zona orientale della Piazza Sett’Angeli (rilievo: Linda Catalano).

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Fig. 8. Palermo. Piazza della Vittoria: Edifici A e B (da Gabrici 1921).

Fig. 9. Palermo. Piazza della Vittoria. Planimetria e sezione stratigrafica del saggio tra l’Edificio A e l’Edificio B (rilievo: Gilberto Montali).

fondità sul lato Nord monumentalizzato, dove si aprono gli ambienti di rappresentanza, meno ampio ad Est – dove costituisce il limite dell’edificio – e ad Ovest, dove si affacciano i vani a carattere privato. Numerosi elementi rinvenuti nel corso dell’indagine in posizione di crollo, tra cui alcune colonne di diametro minore rispetto a quelle in situ, potrebbero testimoniare la presenza di un secondo piano o connettersi invece ad un pergolato testimoniato, nella parte centrale del peristilio, da alcuni plinti di arenaria intonacati; le proposte ricostruttive, di cui si tratterà oltre in

Fig. 10. Palermo. Piazza della Vittoria. Planimetria dell’Edificio B, dopo lo scavo del peristilio (elaborazione grafica: Leonardo Artale).

modo più specifico, devono tuttavia considerarsi semplici ipotesi di lavoro, dal momento che lo studio dei singoli elementi architettonici è stato appena avviato.

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Fig. 13. Palermo. Piazza della Vittoria. La fontana addossata al lato meridionale del perisitilio.

Fig. 11. Palermo. Piazza della Vittoria. Elementi del colonnato in crollo.

L’organizzazione dello spazio esterno venne completata, seppure non nella sua fase originaria, con la realizzazione di una scenografica vasca con fontana (Fig. 13) costituita da un elemento perimetrale pressoché rettangolare rivestito sul fronte settentrionale da lastre di marmo, all’interno del quale è collocata una fontana semicircolare: sia la vasca che la fontana sono ricoperte da un intonaco di un intenso colore azzurro, di cui si conservano ampie porzioni, mentre il fondo è rivestito di coc-

ciopesto. Ben conservata è pure una fistula di piombo, rinvenuta a Sud-Ovest della fontana. La vasca ingloba, nella sua parete meridionale, la terza colonna da Ovest del colonnato meridionale, testimoniandone quindi il successivo impianto, mentre si appoggia ad essa il muro di chiusura degli intercolumni realizzato nella seconda fase di ristrutturazione del peristilio: la costruzione della fontana può porsi dunque in un momento intermedio tra le due fasi principali. A questa sistemazione scenografica dello spazio scoperto, plausibilmente databile alla prima età imperiale, sembrano collegarsi altre due piccole fontane una delle quali di forma subcircolare con vasca rivestita da lastre di marmo (Fig. 14), posta al centro del pergolato, ed una più piccola, di forma ottagonale, situata tra le due, lungo lo stesso asse. Se dunque, nella sua ultima configurazione l’ampio spazio aperto allude a modelli e tipologie ben attestati per la stessa epoca nel resto della penisola, nella sua originaria organizzazione, caratterizzata in maniera precipua dal colonnato monumentale sul lato settentrionale, lo spazio sembra potersi connotare come un peristilio di tipo “rodio”, 1 secondo la definizione di Vitruvio (vi, 7, 3), una tipologia di origine orientale, che trova a Coos 2 e Delo 3 gli esempi più significativi e che ha una certa diffusione anche in ambito occidentale, come testimoniano tra l’altro, an1 2

Gros 2001, p. 57. Albertocchi 1996, pp. 125-128, figg. 284-295.

Fig. 12. Palermo. Piazza della Vittoria. Muro di parapetto decorato a motivi vegetali (disegno di Antonio Cellura).

3

Vallois 1944.

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Fig. 15. Palermo. L’area della città antica con l’indicazione di Palazzo Sclafani.

Fig. 14. Palermo. Piazza della Vittoria. La piccola fontana circolare al centro del peristilio.

che a Pompei, le Case delle Nozze d’Argento, degli Amorini dorati e dei Dioscuri. 1 La maggior parte delle attestazioni a noi note sembrano comunque distribuirsi a partire dalla seconda metà del II secolo a.C. e documentare una moda che, seppur non troppo diffusa, venne direttamente recepita, con tutta probabilità, dal mondo ellenistico orientale senza la mediazione della cultura greco-occidentale: lo dimostra anche il fatto che l’esempio di Piazza della Vittoria a Palermo sembra discostarsi in maniera significativa dalle tipologie e dai modelli comunemente attestati in ambito isolano a partire dagli inizi del iii sec. a.C. e caratterizzati da peristili ad uno o a più piani, dalla forma quadrata o più o meno allungata – si vedano per tutte le case di Morgantina, 2 Iato 3 e Solunto 4 – caratteristica quest’ultima che, a nostro avviso, non appare determinante per stabilire eventuali scarti cronologici. 5 Sotto il profilo spazio-funzionale, l’analisi è necessariamente limitata dalla mancata conoscenza della parte meridionale dell’edificio e, in particolare, della sua zona di ingresso: non sappiamo, pertanto, se il peristilio dell’Edificio B costituisca, alla maniera greca, l’elemento centrale della casa in cui convergono le attività dei suoi abitanti, non potendo verificare l’esistenza o meno di un eventuale atrium ad esso antistante e, quindi, di un’altra parte della casa fondamentale per la lettura dell’intero organismo; è però evidente che, al contrario di quanto avviene in alcuni famosi esempi coevi di area italica – valga per tutti la prima configurazione della Casa del Fauno, 6 con cui tuttavia 1 2 3 5 6

La Rocca-M. e A. de Vos 2000, pp. 322-325, 295-297, 300. Tsakirgis 1984; De Miro 1980, pp. 736-737; Sposito et alii 1995, pp. 105-112. 4 Brem 2000. Wolf 2003. Di Stefano 1997, pp. 12-13. Si vedano: Zevi 1998 e Zevi -Pedicini 1998, con bibliografia precedente.

esistono strette analogie relativamente ad altri aspetti – attorno al peristilio si sviluppano e si aprono numerosi ambienti, alcuni dei quali denunciano apertamente il loro carattere di rappresentanza sia per le dimensioni che per gli apparati decorativi, e la cui importanza è sottolineata, oltre che dall’ampiezza dell’ambulacro, anche dalla monumentalizzazione del lato del peristilio su cui essi si aprono. Nessuna considerazione in tal senso è possibile avanzare neppure in relazione alla domus individuata all’interno del Palazzo Sclafani, situato all’angolo Sud-Est di Piazza della Vittoria (Fig. 15): il ritrovamento dimostra tuttavia come buona parte della zona occidentale della città fosse interessata da un’edilizia residenziale di lusso inserita all’interno del tessuto urbano regolare. Il saggio di scavo, realizzato nel 2001 in un angolo del cortile porticato inserito, alcuni secoli dopo, nella originaria struttura trecentesca (Fig. 16), ha riportato alla luce una piccola porzione di una domus di età romana di cui erano emersi già elementi significativi nel corso di una precedente indagine condotta nel 1997. 7 L’allargamento dello scavo ha permesso tuttavia una migliore definizione dello sviluppo planimetrico della parte nordorientale del peristilio della casa e di quattro ambienti, denominati A-D, tre dei quali presentano un varco di accesso diretto sugli ambulacri Nord ed Est del peristilio (Fig. 17).

Fig. 16. Palermo. Localizzazione del saggio di scavo all’interno del cortile. 7

Di Stefano 1997-1998, pp. 569-572.

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Fig. 17. Palermo. Palazzo Sclafani. Planimetria dello scavo (Rilievo: Linda Catalano).

Il vano A, con pavimento in cocciopesto, presenta un varco di accesso nell’angolo NE dell’ambulacro N, probabilmente in origine occupato da una soglia marmorea, mentre il vano B, in posizione d’angolo, non ha accesso diretto al porticato. Il vano C, con accesso diretto sull’ambulacro orientale, conserva in situ parte della decorazione pittorica dei paramenti murari interni. con tracce di almeno due fasi decorative, una prima in rosso e una seconda in bianco con riquadri rossi (Fig. 18). La pavimentazione in cocciopesto, sovrappostasi ad altra analoga più antica, è in discreto stato di conservazione e ben si lega ai rivestimenti parietali. Il piano risulta tuttavia tagliato a Nord, in corrispondenza di un presumibile scasso di età medievale, e a Sud in corrispondenza del varco di accesso al portico, probabilmente per l’inserimento di una soglia in pietra o marmo. Il vano D, infine, sempre aperto sul peristilio, conserva una bella pavimentazione in opus signinum (Fig. 19) con tappeto centrale costituito da rombi di tessere bianche e fascia perimetrale con meandro di tessere bianche su fondo rosso. L’ambulacro Nord, con pavimento in cocciopesto, ha una larghezza nettamente superiore (m 3,40) rispetto a quella dell’ambulacro orientale, largo invece m 1,55, ripetendo quindi, con tutta probabilità, lo schema dell’Edificio B di Piazza della Vittoria, con gli ambienti di rappresentanza distribuiti lungo il lato settentrionale della casa. Alcuni degli elementi architettonici della piccola porzione di peristilio sono stati ritrovati in situ, molti altri sono stati invece rinvenuti in posizione di crollo: tra quelli nella loro posizione originaria segnaliamo le basi di tre sostegni verticali, due colonne e un pilastro d’angolo cuoriforme (Fig. 20). Tutti gli elementi, singolarmente rilevati e studiati, 1 hanno rivelato l’adozione del cubito punico come unità di misura utilizzata per la progettazione ed il dimensionamento della struttura, evidenziando, nel contempo, il susseguirsi di almeno tre successivi rifacimenti e consentendo un’ipotesi ricostruttiva che prevede l’esistenza di un peristilio a due livelli, fondatamente basata sulla presenza effettiva di molte membrature architettoniche. Particolarmente interessante la presenza del pilastro d’angolo 1

Cfr. ultra pp. 143-147.

cuoriforme che richiama una tipologia diffusa a partire dal iv secolo a.C. in area greco-orientale ed ampiamente adottata in ambiente alessandrino, 2 così come allo stesso ambito culturale richiama la conformazione dell’abaco dell’unico capitello relativo all’impianto originario della casa. 3 Tuttavia, non possono non ricordarsi i chiari ed evidenti richiami anche alle coeve attestazioni isolane per quanto riguarda il trattamento del fusto delle colonne, non scanalato ma semplicemente sfaccettato, come si ritrova, ad esempio, a Solunto. 4 Se dunque, dopo l’esame dei materiali, si rivelerà esatta la datazione del primo impianto della casa alla seconda metà del ii sec. a.C., per il momento proposta solo su basi stilistico-tipologiche, si confermerà il carattere eclettico di una cultura che, ancora in piena età romana e in un momento di generale rinnovamento, si connota per una piena e convinta adesione ai modelli all’epoca in voga in tutto il mondo ellenistico – almeno da parte di una committenza certamente abbiente – ma tradisce, proprio a livello progettuale, grazie all’utilizzazione dell’unità di misura punica, e nella realizzazione delle strutture, attraverso le proprie maestranze specializzate e non, una salda identità culturale probabilmente ancora consapevole delle proprie remote origini. Francesca Spatafora Analisi architettonica e ipotesi ricostruttive 5 Piazza della Vittoria Sulla scorta degli elementi architettonici ancora in situ e di quelli rinvenuti in corso di scavo, è possibile tentare una ricostruzione del peristilio dell’edificio B di Piazza della Vittoria (Fig. 21). Lo stilobate settentrionale, in conci di calcarenite e lastre di calcare, si conserva solo in parte e presenta le tracce di due colonne (Fig. 22a). Queste poggiavano su conci di calcarenite i cui letti di attesa conservano un risalto circolare, non scanalato, grazie al quale è possibile ricavare il diametro all’imoscapo della colonna, pari a 0,64-0,65 m. A pareggiare lo spessore del risalto rispetto alla quota dello stilobate sono poste lastre di calcare grigiastro. All’angolo nord-occidentale del peristilio è un concio di calcarenite, relativo ad un pilastro a base rettangolare (0,63 x 0,66 m) ed un elemento analogo doveva trovarsi all’angolo nord-orientale. Sulla base della posizione delle due colonne superstiti, si può ipotizzare che altre due colonne possano aver trovato posto all’interno del portico settentrionale, che risulta così composto da quattro colonne, con interasse pari a 2,285 m, e due pilastri angolari. Questa porzione dell’edificio era già stata interamente riportata in luce da Antonio Salinas 6 e la relazione di Ettore Gabrici 7 non fa menzione di partiti architettonici che possano essere messi in relazione con il portico nord, né fusti, né capitelli, né elementi della trabeazione. Durante i recenti lavori di scavo, tuttavia, proprio a ridosso dallo stilobate del portico settentrionale, sono stati rinvenuti alcuni frammenti di rivestimento di fusto di colonna, in stucco, che conservano scanalature con listello, 2 Per le varie attestazioni cfr. ultra note 5-12 a p. 149 Pensabene 1993, p. 127, nn. Cat. 706 e 707, 474, tav. 80. 3 Pensabene 1993, p. 335, n. cat. 98, tav. 16. 4 Wolf 2003, pp. 53-61, figg. 11-12, tavv. disegni 52-58, 82-84, tavv. fotografie 29.2, 30-33. 5 Desidero ringraziare la dott.ssa Francesca Spatafora per avermi affidato l’analisi di questi complessi architettonici e soprattutto per la grande disponibilità e l’incoraggiante affetto con il quale segue questo studio. Un caloroso grazie va anche all’arch. Valeria Brunazzi, la cui preziosa esperienza e gli amichevoli consigli sono stati un aiuto indispensabile nel lavoro. Un doveroso riconoscimento va inoltre a tutti coloro i quali, a vario titolo, hanno collaborato agli scavi e alla documentazione grafica. Laddove non diversamente indicato, foto e disegni sono dell’autore. 6 7 Vedi supra, p. 133, nota 2. Gabrici 1921, pp. 181-204.

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Fig. 18. Palermo. Palazzo Sclafani. Decorazione parietale del vano C.

ed un frammento di regula con una gutta, anch’esso in stucco. Nell’ipotesi che questi elementi appartengano al portico, il rinvenimento del frammento di fregio dorico e la particolare conformazione dello stilobate con i risalti per l’appoggio dei fusti delle colonne (e quindi la probabile assenza della base), spingono a credere che si tratti di un colonnato d’ordine dorico. Resta da spiegare la presenza di frammenti con scanalature e listelli, anziché a spigolo vivo: potrebbe trattarsi di colonne di tipo “pergameno”, con il terzo inferiore liscio e la restante parte del fusto scandita da scanalature con listello. 1 L’altezza complessiva della colonna, ipotizzabile su basi proporzionali e su confronti, potrebbe aggirarsi sui 5,85 m, con un rapporto base/altezza di 1:8,5. Non ci sono elementi per poter ricostruire i capitelli, così come la trabeazione. Relativamente più agevole è la ricostruzione dei restanti tre lati del peristilio, per i quali, grazie ai numerosi elementi in situ o in crollo, è possibile ricomporre l’elevato con una certa attendibilità e seguire la vita dell’edificio nelle varie fasi. Sui lati lunghi sono disposte nove colonne mentre sul lato sud, sebbene assai manomesso e mal conservato, è plausibile ipotizzare la presenza di sei colonne, anche grazie alla traccia di una di esse (la terza da Ovest) inglobata in un secondo momento dalla grande fontana meridionale. I fusti delle colonne (Fig. 22b), realizzati in tamburi di calcarenite, hanno un diametro all’imoscapo di circa 0,45 m, compreso lo spessore dello stucco di rivestimento. Di alcune si conserva il tamburo inferiore, per altre solo la traccia sullo stilo1 Questa particolare modulazione del fusto della colonna si ritrova a Pergamo già nel tempio di Athena Polias (metà del iii secolo a.C., Rocco 1994, pp. 96-98, figg. 55-56) e diventa caratteristica peculiare dell’architettura pergamena o di ispirazione pergamena, come ad esempio la stoà di Attalo ad Atene. Si ritrova anche nella “stoà sacra” (stoà nord) dell’agorà di Priene, datata alla seconda metà del ii secolo a.C. (Rumscheid 1998, pp. 70-77, figg. 57-58).

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Fig. 20. Palermo. Palazzo Sclafani. Veduta del peristilio con pilastro d’angolo cuoriforme.

Fig. 19. Palermo. Palazzo Sclafani. Pavimentazione in opus signinum del Vano D.

bate, altre ancora sono andate perdute. 2 Le colonne del lato orientale (Fig. 23) poggiano su plinti di calcarenite, uniti da lastre di calcare grigiastro a formare lo stilobate, mentre sul lato occidentale tale configurazione non è altrettanto evidente. Nell’impianto originario la parte inferiore dei fusti era rivestita da stucco di un caldo colore giallo. A queste colonne vanno riferiti tre capitelli e alcuni frammenti di fusti rinvenuti durante lo scavo, in crollo o 2 Il fusto della colonna meglio conservata ha un’altezza di circa 1,10 m dal piano dello stilobate.

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Fig. 23. Palermo, Piazza della Vittoria, Edificio B. Portico orientale del peristilio, da Ovest.

Fig. 21. Palermo, Piazza della Vittoria, Edificio B. Pianta del peristilio (rilievo: Linda Catalano).

Fig. 22. Palermo, Piazza della Vittoria, Edificio B. a: portico nord del peristilio, stilobate, da Est; b: portico occidentale del peristilio, fusto di colonna e parapetto, da Nord.

reimpiegati in strutture successive. I capitelli (Fig. 24) sono realizzati in calcarenite e ricoperti di stucco con tracce di policromia. Oltre ad abaco ed echino, il blocco del capitello comprende anche la parte superiore del fusto. 1 Due dei tre capitelli sono assai simili (differendo soltanto per le misure dell’abaco), mentre il terzo presenta una peculiare articolazione dell’echino. Nei primi due l’abaco ha un lato di 0,53 m ed è alto 0,085 m; l’echino, a profilo convesso, è alto 0,09 m. Sono assenti gli anuli, al posto dei quali è una fascia di colore rosso cinabro, alta 0,025-0,03 m, a sottolineare il collarino. Il diametro del fusto della colonna al sommoscapo è di 0,39-0,40 m, compatibile con i fusti in situ. Il capitello e il fusto sono ricoperti da uno strato di stucco di colore bianco: la parte superiore delle colonne doveva essere dunque bianca, mentre il terzo inferiore era giallo. Il capitello dall’echino diversamente sagomato (Fig. 25) ha un dimensionamento simile, 2 con collari1 Caratteristica che si ritrova comunemente negli esempi di capitelli di area alessandrina: Pensabene 1993, p. 124. 2 L’abaco misura 0,535 m di lato ed è alto 0,085 m.

no sottolineato da una fascia rossa, ma l’echino è più alto, 0,12 m circa, ed ha una sagoma articolata, con una mossa successione di modanature non ben definite. Considerata la sua giacitura in posizione di crollo nei pressi della fontana meridionale si può ipotizzare l’appartenenza ad una delle colonne del portico sud, forse una delle due centrali. L’interasse delle colonne è mediamente pari a 2,07-2,10 m, mentre l’altezza è solo ipotizzabile: tenendo conto della rastremazione dei fusti di colonna superstiti e delle dimensioni del sommoscapo, si può considerare una dimensione complessiva di circa 3,10 m, con una proporzione tra base e altezza di 1/7. Anche per questi tre lati del peristilio non ci sono elementi attribuibili alla trabeazione. Sul portico occidentale (Fig. 26), la terza e la quarta colonna da Sud presentano degli incassi quadrangolari 3 ad un’altezza di circa 0,80 m dal piano dello stilobate. La presenza di tali incavi nei fusti delle colonne, insieme all’attribuzione al portico di un capitello con incassi, era stata interpretata come indizio della chiusura del peristilio con una parete finestrata. 4 Pare più plausibile che si tratti invece di alloggiamenti per delle balaustre lignee che possono aver chiuso gli intercolumni e che in un secondo momento vennero sostituite con un parapetto in muratura, 5 alto almeno 0,75 m (altezza massima conservata), decorato con motivi vegetali di colore rosso bruno su sfondo giallo e con altri motivi da viridarium. 6 Nello scavo sono venuti in luce, inoltre, due capitelli di dimensioni minori (Fig. 27), simili a quello a cui si è accennato prima, scoperto nel corso della prima campagna di scavo e in quel momento attribuito al portico occidentale. 7 Questi capitelli, ritrovati all’interno di uno strato di crollo molto rimaneggiato, hanno caratteristiche simili agli esemplari di dimensioni maggiori: l’abaco misura 0,44-0,47 m di lato, è alto circa 0,07 m e sovrasta un echino a profilo convesso orlato superiormente da 3

Circa 0,08-0,10 m di lato. Di Stefano 1997, p. 11, fig. 9. Gabrici invece riteneva che la chiusura si limitasse ad un parapetto alto 0,75 m; individuava inoltre una terza fase del parapetto, nella quale venne sovrapposto uno strato di intonaco grigio verdognolo, oggi non più rintracciabile: Gabrici 1921, p. 191. 5 Ad avvalorare l’ipotesi che si trattasse di un semplice parapetto (di larghezza oscillante tra 0,35-0,40 m) e non di un muro con finestre è l’assenza, sui capitelli attribuibili al portico rinvenuti durante lo scavo, di tracce che possano indicare che ad essi si sia appoggiata una struttura muraria. L’ala orientale del peristilio invece sembra essere stata oggetto di un più radicale rifacimento, presumibilmente in un momento coevo o successivo alla chiusura con balaustra dei lati occidentale e meridionale, vista la presenza dei resti di un muro, largo circa 0,50 m, realizzato in scapoli di calcarenite e malta, che ha inglobato gli elementi del portico. 6 La chiusura della parte bassa degli intercolumni dei peristili con elementi lignei o muretti è ampliamente attestata sia in ambito campano (a Pompei nella casa di Menandro, nella casa degli Amanti e nella Villa dei Misteri, solo per citarne alcune) sia in Africa (in numerose case di Volubilis e Dougga), sia in Grecia, sia nell’area orientale del Mediterraneo: Vipard 2003, in particolare pp. 103-104, note 12-25. 7 Di Stefano 1997, p. 11. 4

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Fig. 24. Palermo, Piazza della Fig. 25. Palermo, Piazza della VitVittoria, Edificio B. Esemplare di toria, Edificio B. Capitello di capitello di dimensioni maggiori, dimensioni maggiori con echino portici del peristilio – lati est, sud diversamente sagomato, portico ed ovest (rilievo: Antonino sud del peristilio (rilievo: Cellura). Antonino Cellura).

una fascia di colore rosso cinabro. Anche in questo caso mancano gli anuli e il collarino è sottolineato da una fascia di colore grigio bluastro. Come nel caso dei capitelli maggiori, il blocco comprende anche la parte superiore del fusto della colonna. Il diametro del sommoscapo è di 0,29-0,30 m. La parte superiore del fusto è stuccata di bianco, 1 mentre la parte inferiore doveva essere di un acceso colore rosso, come sembrano testimoniare alcuni frammenti, con diametro massimo di 0,37 m. Anche in questo caso non ci sono dati sufficienti per la determinazione esatta dell’altezza complessiva di questo ordine; tuttavia, considerando una relazione proporzionale con le colonne dell’ordine precedentemente descritto, è possibile ipotizzare un valore pari a 2,44 m. Queste colonne sono dunque, in tutta evidenza, di dimensioni minori sia rispetto a quelle del lato settentrionale del peristilio, sia rispetto a quelle in situ nei restanti tre lati. Per la posizione di crollo e soprattutto per le dimensioni, è possibile ritenere che esse siano relative ad un piano superiore del peristilio. Le colonne poggiavano su plinti rivestiti di stucco bianco, a base non esattamente quadrata (0,36 x 0,40 m, alti 0,23 m) così come, ad esempio, nella maison de l’Hermès a Delos. 2 Diversamente da quanto accade per il piano inferiore, non ci sono elementi attribuibili ad un pur necessario parapetto. Purtroppo, non è noto alcun elemento della trabeazione, anche se uno dei capitelli presenta una singolare conformazione del letto di attesa (Fig. 27), che reca un incasso largo 0,235 m, interpretabile come appoggio per l’architrave. Sulla base di queste considerazioni si è dunque tentata un’ipotesi ricostruttiva che (Fig. 28), data la lacunosità dei ritrovamenti, è soltanto indicativa ma serve a dare un’idea della complessa articolazione del peristilio. Questo, con il grande portico di ordine maggiore sul lato nord e i colonnati dorici su due piani, verosimilmente, sui tre restanti lati, si configura come una variante del peristilio di tipo “rodio” (Vitruvio, vi, 7, 3), 3 per il 1 2 3

Uno dei fusti presenta tracce di una sovradipintura verdastra. Bruneau-Ducat 1983, pp. 215, 219, figg. 70-74, in particolare fig. 70. Gros 2001, p. 57.

Fig. 26. Palermo, Piazza della Vittoria, Edificio B. Portico occidentale del peristilio: fusti di colonna con incassi per elementi lignei, da Sud.

Fig. 27. Palermo, Piazza della Vittoria, Edificio B. Esemplare di capitello di dimensioni minori - secondo livello del peristilio o pergolato centrale (rilievo: Antonino Cellura).

quale i confronti, come è stato già detto, 4 sono rintracciabili sia in area greco-orientale – ad esempio a Coos e Delos 5 – sia in 4

Vedi supra p. 138, note 1-2 e p. 139, nota 1. Ad esempio la Casa delle Maschere (Bruneau-Ducat 1983, pp. 243-246) e la Casa del Tridente (Bruneau-Ducat 1983, pp. 250-253; Helmann 2003, p. 213, fig. 306). 5

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Fig. 28. Palermo, Piazza della Vittoria, Edificio B. Ipotesi ricostruttiva 1, veduta prospettica (elaborazione grafica: Stefano Fulvio).

Fig. 29. Palermo, Piazza della Vittoria, Edificio B. Ipotesi ricostruttiva 2, veduta prospettica (rielaborazione dell’autore su base grafica di Stefano Fulvio).

Occidente, con i bene noti esempi pompeiani, 1 ma è indubbio che per dimensioni e tipologia il peristilio dell’edificio B sia alquanto singolare, assimilabile ai peristili 18 e soprattutto 28 della cosiddetta “Casa Romana” di Coos. 2 In verità, si potrebbe avanzare una proposta alternativa per la collocazione delle colonne di ordine minore (Fig. 29). All’interno del peristilio e disposti secondo una simmetria assiale, sono stati rinvenuti 5 plinti di arenaria (su un totale originario di sei) con le facce intonacate, pressoché quadrati, con lati di 0,48-0,40 m: il sesto è mancante in quanto asportato, in seguito all’apertura di un pozzo in età medioevale. I plinti, con ogni verosimiglianza, dovevano sostenere una sorta di pergolato. Si potrebbe ipotizzare che il plinto mancante sia quello rinvenuto in connessione con le colonne d’ordine minore e quindi assegnare anch’esse al pergolato e non ad un piano superiore del peristilio. Le dimensioni del plinto intonacato, però, non sono compatibili con quelle degli altri cinque e non sembra congruo, sotto il profilo dimensionale, che al di sopra di un plinto a base quadrata di circa 0,50 m di lato sia stato posto un ulteriore dado a base rettangolare (0,36 x 0,40 m). Tuttavia, poiché il tamburo di colonna rivestito di intonaco rosso e pertinente alla parte inferiore della stessa non presenta tracce della balaustra, 3 non si può escludere definitivamente l’ipotesi che il peristilio non avesse un piano superiore e che le colonne d’ordine minore potessero essere impiegate come supporto della leggera trabeazione lignea del pergolato. Per quel che riguarda la datazione, i dati di scavo, ancora in fase di elaborazione, sembrano confermare che il peristilio, in modo particolare il portico settentrionale, facesse parte dell’impianto originario dell’edificio, collocabile cronologicamente, come si è visto, 4 alla metà del ii secolo a.C. Gli elementi architettonici dei portici dei restanti tre lati sono fra di loro piuttosto omogenei e, sulla base di considerazioni di tipo tecnico e stilistico, si possono considerare coevi anche se non con certezza appartenenti all’impianto originario del peristilio.

sioni originarie non è al momento possibile ipotizzare e attorno al quale si articolano i vani che si aprono sull’ambulacro. In strati di crollo, invece, sono stati ritrovati elementi appartenenti ad un pilastro cuoriforme angolare – cioè quattro rocchi (nn. cat. 7-10) 5 e il capitello (n. cat. 11) – un tamburo di colonna (n. cat. 12) ed un frammento di fusto (n. cat. 13), nonché tre cornici orizzontali di grandi dimensioni (nn. cat. 4-6), oltre a frammenti minori. Sulla scorta di tali elementi si è cercato di ricostruire l’articolazione di questa parte del peristilio, nelle sue varie fasi. I dati a disposizione, diversamente da quanto accade per il peristilio dell’edificio B di Piazza della Vittoria, sono in questo caso più numerosi e rendono possibile una ricostruzione più accurata ed attendibile. Peculiare è la presenza di un pilastro angolare cuoriforme (n. cat. 1 – Figg. 30-31, 32b): in situ si conserva soltanto il concio di base, con tracce evidenti di tre rimaneggiamenti o restauri. Nella fase originaria, il sostegno, in calcarenite locale, si articola in un pilastro quadrato di 0,41 m di lato, cui si addossano due semicolonne leggermente oltrepassate del diametro di 0,53 m, scandite da 11 sfaccettature (più mezza sfaccettatura all’intersezione delle due semicolonne), su un totale teorico di 20. Successivamente (ii fase), l’elemento viene ricoperto da uno strato di stucco, con il quale viene realizzata una modanatura di base, un semplice cordolo a quarto di circonferenza. Le sfaccettature scompaiono e lo stucco è di colore giallo ocra. La iii fase è testimoniata da un ulteriore strato di stucco, conservato all’intersezione delle semicolonne. Il rivestimento non solo ricopre il pilastro ma lo lega ad un parapetto: in questa fase gli intercolumni adiacenti al pilastro angolare (e con ogni probabilità quelli dell’intero peristilio) vengono chiusi da muretti. A Sud del pilastro si conserva, sebbene non per l’intera altezza originaria, un tratto di parapetto largo circa 0,50 m. Ad Occidente del pilastro sono i resti di due colonne (Fig. 32a), 6 poggianti su due lastre superstiti dello stilobate (nn. cat. 2 e 3). L’intercolumnio tra la colonna 2 e il pilastro 1 è di 1,26 m, quello tra la colonna 2 e la colonna 3 è di 1,50 m. In entrambe le colonne, il cui profilo è leggermente ”a sigaro”, 7 sono evidenti le tracce di numerose trasformazioni degli elementi. In una pri-

Palazzo Sclafani Fra gli elementi architettonici rinvenuti in situ nella parte occidentale del cortile di Palazzo Sclafani (Figg. 30-31) sono riconoscibili alcune strutture murarie e le basi di tre sostegni verticali: due colonne e un pilastro angolare cuoriforme, interpretabili come i resti dell’angolo nord-est di un peristilio, le cui dimen1

Vedi supra p. 139, nota 1. Albertocchi 1996, pp. 125-128, figg. 284-295. La balaustra, necessaria per il colonnato del piano superiore, avrebbe potuto 4 essere lignea. Vedi supra, p. 136. 2 3

5 Gli elementi architettonici rinvenuti in situ o in crollo nello scavo sono stati opportunamente catalogati. L’elemento di pilastro angolare cuoriforme n. cat. 7 è diviso in due frammenti. 6 Il tamburo della colonna 2 si conserva per un’altezza di 1,12 m rispetto al piano dello stilobate, quello della colonna 3 per un’altezza di 1,23 m. I letti di attesa dei tamburi, presentano un incasso quadrato per l’empolion. 7 Il diametro di base è infatti di circa 0,49 m, mentre il diametro del piano di attesa del tamburo delle colonne conservate è di 0,51-0,52 m.

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Fig. 30. Palermo, cortile di Palazzo Sclafani. Pianta del saggio durante lo scavo, con elementi in crollo (rilievo: Salvatore Matera).

Fig. 32. Palermo, cortile di Palazzo Sclafani. a: le due colonne in situ (nn. cat. 2 e 3), da Nord-Est. b: pianta del pilastro angolare cuoriforme in situ (n. cat. 1).

Fig. 31. Palermo, cortile di Palazzo Sclafani. Area del saggio, da Nord-Est.

ma fase il fusto, in calcarenite e con diametro inferiore di 0,49 m, ha 20 sfaccettature ed una superficie scialbata con calce e polvere di marmo. In un secondo momento (ii fase) le colonne vengono rivestite da uno strato di stucco di un vivace colore rosso cinabro. Le sfaccettature sono obliterate e il fusto, almeno nella parte inferiore, è liscio. Sempre in stucco è realizzata la modanatura di base (anche in questo caso un cordolo a quarto di cerchio) che raccorda dolcemente la colonna allo stilobate. Di una terza fase restano scarse tracce: resti di un ulteriore strato di intonaco di colore giallo sulla colonna 2.

In un primo tempo, l’aver ritrovato in crollo altri conci e un capitello appartenenti ad un pilastro cuoriforme (nn. cat. 7-11; Figg. 30, 33-35), perfettamente sovrapponibili ma privi dell’elemento inferiore, aveva fatto ritenere di poterli attribuire al pilastro ancora in situ. In effetti, mentre la tipologia e l’articolazione degli elementi sono simili, le loro dimensioni non sono affatto compatibili: il pilastro in crollo è costituito da un nucleo a base quadrata di solo 0,26 m di lato (contro 0,41 m del concio in posizione originaria) e a sezione costante per tutta l’altezza, al quale si addossano le due semicolonne sfaccettate. Si deve quindi ritenere che si tratti del pilastro del piano superiore, la cui presenza è testimoniata anche dal gran numero di frammenti di pavimento rinvenuti in crollo. Anche gli elementi del pilastro cuoriforme dell’ordine superiore presentano tracce di successivi rifacimenti. Nella fase originaria la superficie delle semicolonne è articolata in 11 sfaccettature per un totale ipotetico di 20 ed anche in questo caso la scabra superficie della calcarenite doveva essere ricoperta da una

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Fig. 33. Palermo, cortile di Palazzo Sclafani. Ricostruzione grafica degli elementi del pilastro angolare cuoriforme del secondo livello, elementi nn. cat. 7-11: prospetto.

sottile scialbatura in calce e polvere di marmo. 1 In una seconda fase il pilastro viene rivestito di stucco: la parte inferiore del fusto delle semicolonne è liscia mentre il resto è sfaccettato. Il numero delle sfaccettature è però diverso dalla fase precedente, riducendosi a 10, per un totale ipotetico di 18. 2 Il rivestimento in stucco sembra essere uniformemente bianco. Impronte lasciate in negativo sullo stucco del concio 7 testimoniano la presenza di un parapetto largo 0,296 m che doveva chiudere gli intercolumni del ii livello del peristilio. Non è dato sapere se tale parapetto fosse preesistente o piuttosto non fosse stato realizzato in concomitanza del rifacimento di seconda fase, pur tenendo conto che una balaustra o un parapetto dovevano necessariamente essere stati previsti già nella prima fase. In una terza fase un nuovo strato di stucco va a ricoprire interamente il pilastro e i fusti delle semicolonne sono adesso completamente lisci. Il rivestimento è di colore bianco ma presenta delle fasce rosse in corrispondenza dello spigolo esterno, dell’intersezione delle semicolonne e al di sotto del collarino del capitello. Per questa fase (che sembra rappresentare l’ultimo grande intervento di trasformazione del1 Tracce di questo rivestimento originario rimangono sul fusto della colonna n. cat. 12. 2 Numero piuttosto inusuale, ma si tratta di una semicolonna e non di una colonna intera.

Fig. 34. Palermo, cortile di Palazzo Sclafani. Ricostruzione grafica degli elementi del pilastro angolare cuoriforme del secondo livello, elementi nn. cat. 8-11: piante e schema assonometrico della prima fase.

la struttura), così come per le precedenti, non è possibile determinare il profilo del capitello, a causa di un ulteriore restauro, limitato al solo elemento terminale della colonna: hypotrachelion con tre anuli, un echino piuttosto ridotto e collegato con uno sguincio alla fascia dell’abaco.

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Fig. 37. Palermo, cortile di Palazzo Sclafani. Pianta del letto di posa dell’elemento n. cat. 10 del pilastro angolare cuoriforme del secondo livello, con linee guida tracciate con pigmenti.

Fig. 35. Palermo, cortile di Palazzo Sclafani. Il capitello del pilastro angolare cuoriforme del secondo livello, n. cat. 11.

Fig. 36. Palermo, cortile di Palazzo Sclafani. Cornice n. cat. 6.

Anche sul fusto di colonna n. cat. 12 sono assai evidenti le successive trasformazioni che il peristilio subì nel corso dei secoli. Si possono rintracciare le stesse tre fasi analizzate per il pilastro cuoriforme angolare. Il fusto in calcarenite ha un diametro di base di 0,445 m e si conserva per un’altezza di 1,62 m; il letto di posa presenta l’incasso per l’empolion, riempito da un tassello fittile e la superficie era in origine scandita da 20 sfaccettature. In un secondo momento la colonna venne rivestita interamente con stucco di colore bianco. Per un’altezza di 1,35 m questo si presenta liscio mentre al di sopra si articola in 20 sfaccettature. Sono evidenti delle grandi lacune regolari e simmetriche nell’intonaco, tracce della presenza della balaustra. In seguito un ulteriore strato di stucco bianco, questa volta completamente liscio, rivestì la colonna. Per le dimensioni il grande fusto di colonna 12 e il frammento 13, che per forma e proporzioni è ad esso assimilabile, sembrano appartenere allo stesso ordinamento del pilastro cuoriforme angolare minore, quindi al II livello del peristilio. Purtroppo poco si può dire per quel che concerne la trabea-

Fig. 38. Palermo, cortile di Palazzo Sclafani. Sezione integrata con ricostruzione dell’angolo nord-est del peristilio, prima fase. Analisi modulare degli elementi.

zione (Fig. 36) dei due livelli del peristilio: sono state infatti ritrovate soltanto tre cornici orizzontali (nn. cat. 4-6), alte circa 0,35 m, delle quali una (n. cat. 4) è un elemento angolare. Viste le dimensioni del piano di posa, oltre 0,50 m, sembra opportuno ritenere che le cornici facessero parte della trabeazione del i livello. Le cornici conservano gli incassi per i travetti del solaio, larghi circa 0,15 m, con un interasse di circa 0,45 m. Sono inoltre evidenti le tracce di due fasi: nella prima il profilo dell’elemento in calcarenite si articola in listello, kyma ionico liscio, listello, fascia di corona aggettante con gocciolatoio a listello, sguincio obliquo pronunciato, fascia di coronamento e sguin-

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francesca spatafora · gilberto montali cio di raccordo col piano di attesa; nella seconda fase le cornici vengono ricoperte da uno strato di intonaco e il profilo viene semplificato. 1 Di notevole interesse (Figg. 32, 34, 37) è la presenza sui letti di posa e di attesa di alcuni degli elementi del pilastro cuoriforme di incisioni o di linee tracciate con pigmenti di colore rosso e nero. I segni seguono assi perpendicolari ai lati dei pilastri e passanti per i centri delle circonferenze generatrici delle semicolonne (in corrispondenza dei quali sono ancora oggi visibili i segni lasciati dal compasso). Si vengono così a determinare delle griglie a maglia pressoché quadrata ma di dimensioni diverse, a seconda della posizione dell’elemento lungo lo sviluppo verticale del pilastro, in ragione della rastremazione delle colonne. Si tratta, con ogni probabilità, delle linee guida per lo scalpellino. In letteratura numerosissimi sono gli esempi simili, 2 la particolarità sta tuttavia nella presenza e nella conservazione, accanto alle più comuni incisioni, di linee realizzate con pigmenti, di solito assai evanescenti. L’ipotesi di ricostruzione grafica si basa su un’analisi metrologica e proporzionale degli elementi noti. Partendo dai dati desunti dal rilievo delle membrature architettoniche appartenenti al peristilio, si è cercato di desumere l’aspetto del porticato nelle diverse fasi di vita. Si è partiti dall’analisi degli elementi meglio conservati, ovvero i conci del pilastro cuoriforme angolare del secondo livello (nn. cat. 7-11) e il fusto di colonna 12. Mettendo in relazione queste membrature è possibile ricavare l’esatta dimensione e il proporzionamento del ii livello del peristilio. Infatti, mentre il pilastro risulta mancante dell’elemento di base, la parte inferiore del fusto della colonna è completa. Sia il pilastro che la colonna Fig. 39. Palermo, cortile di Palazzo Sclafani. Ipotesi ricostruttiva dell’angolo nord-est del peristilio, seconda fase: veduta prospettica. presentano inoltre chiare tracce del rifacimento di seconda fase, quando la parte inferiore della colonna venne resa liscia, lasciando 1 Il profilo si articola in tondino, fascia di corona aggettante con naso a listello, raccordata da un tondino ad uno sguincio obliquo, fascia di coronamento e sguincio di raccordo col piano di attesa. 2 Pensabene 1973, pp. 192-194, con bibliografia; Tomasello 1983, p. 92 sgg., note 15, 18-22; Pagello 1992; Hellmann 2003, pp. 88-91.

Fig. 40. Palermo, cortile di Palazzo Sclafani. Sezione integrata con ricostruzione dell’angolo nord-est del peristilio, seconda fase.

Fig. 41. Palermo, cortile di Palazzo Sclafani. Sezione integrata con ricostruzione dell’angolo nord-est del peristilio, terza fase.

palermo, nuovi scavi nell ’ area di piazza della vittoria 149 sfaccettata soltanto quella superiore. Lo stacco tra la parte liscia ha 20 sfaccettature, per tutta l’altezza. Non si conosce il profilo e quella sfaccettata nel fusto della colonna 12 è a circa 1,35 m dal del capitello, mentre è possibile ricavare quello dell’abaco. Per letto di posa (che si può considerare coincidente con il livello dello quel che riguarda la trabeazione del i livello, si conservano tre stilobate del ii livello), mentre nel pilastro è a 0,675 m dal letto elementi della cornice, mentre sono assenti membrature archidi posa del concio 7. Se dunque a 1,35 m (parte liscia del fusto tettoniche riferibili all’architrave o al fregio. Sembra comunque della colonna) si aggiungono i 2,40 m della parte sfaccettata e del da escludere che si possa trattare di una trabeazione dorica canocapitello (interamente conservati nel pilastro) si ottiene l’altezza nica, dal momento che le cornici risultano prive di mutuli. 4 complessiva dei sostegni del ii livello: circa 3,75 m. Il rapporto Nel ii livello si ripete lo schema compositivo del piano terra, tra la parte liscia e l’intera colonna è di 0,36 = 4:11, poco più di un variando le dimensioni degli elementi. Gli intercolumni dovevaterzo; il rapporto base/altezza della colonna è pari a 1/8,8. no essere chiusi da parapetti, anche se non ci sono resti evidenti, Per quel che riguarda il dimensionamento del primo livello così come non rimane nulla della trabeazione e della copertura. del peristilio, non avendo nessuna indicazione sull’altezza dei Elemento caratterizzante è l’uso del pilastro angolare cuoripilastri e delle colonne, sembra opportuno operare per analoforme, una tipologia che sembra essersi diffusa a partire dal iv gia con gli elementi del piano superiore: 1 si ricava un’altezza del secolo a.C. dall’Oriente: 5 fra gli esempi più antichi la stoà del primo livello pari a circa 4,13 m. porto di Mileto, 6 i portici dell’agorà di Magnesia sul Meandro, 7 L’analisi metrologica degli elementi architettonici (Fig. 38) la stoà sud dell’agorà di Priene (iii secolo a.C.), 8 il portico del spinge a pensare che il modulo utilizzato per la progettazione santuario del porto di Coos (ii secolo a.C), 9 mentre numerosi ed il dimensionamento della struttura possa essere stato il cusono gli esempi di età ellenistica ad Alessandria 10 (periptero del 2 bito punico e i suoi sottomultipli (piede e palmo). Assumencosiddetto “tempio di Arsinoe Zephyritis”, del iii secolo a.C. 11 e do come valore il cubito punico di 0,516 m, 3 l’altezza dei soresti di un grande edificio ellenistico nella zona occidentale della stegni del i livello risulta esattamente pari a 8 cubiti (12 piedi); città); 12 ed inoltre nella “sala tolemaica” di Tebtynis, 13 nella casa la cornice del primo livello è alta circa 0,35 m, corrispondente di Giasone Magno a Cirene e nel Grande Peristilio e nell’oecus ad un piede; l’altezza dei sostegni del ii livello, 3,75 m, ha un del Palazzo delle Colonne a Tolemaide. 14 Una soluzione simile valore assai prossimo a quello di 11 piedi punici. Si noti come fu adottata già dal iii secolo a.C. anche nella corte a pseudola parte non scanalata giunga sino a 4/11 della colonna, rapporperistilio dell’ipogeo 1 della necropoli di Mustafà Pascià 15 ed in to che sembra nascere proprio dal dimensionamento modulare altri centri egiziani. 16 Pilastri angolari cuoriformi si ritrovano, in dell’elemento. Inoltre il lato del pilastro di base dell’elemento epoca successiva, a Leptis Magna, in uno dei padiglioni del macuoriforme (0,26 m) è praticamente pari a mezzo cubito punico, cellum augusteo e nel quadriportico del Foro Nuovo severiano. 17 mentre l’altezza della balaustra è di circa 1,02-1,03 m, pari cioè Si tratta peraltro di un elemento non particolarmente comune e a 2 cubiti. L’interasse tra le colonne è di circa 2,08 m, ovvero 4 curiosamente presente anche nel peristilio del vicino edificio A cubiti: il rapporto quindi tra interasse ed altezza delle colonne è di piazza della Vittoria, il cui assetto attualmente visibile semdi 1:2. La distanza tra lo spigolo interno del pilastro angolare e bra potersi ascrivere alla monumentalizzazione di ii secolo d.C. l’asse della prima colonna è anch’esso pari a 4 cubiti. Anche gli Sebbene l’adozione del pilastro cuoriforme non possa considerarambulacri sembrano rispondere allo stesso criterio progettuale: si in sé un elemento discriminante dal punto di vista cronologico, quello orientale è largo 1,55 m, in pratica tre cubiti punici, quello le caratteristiche tecniche e stilistiche dell’esempio palermitano, settentrionale, più ampio, circa 3,40 m, dieci piedi punici. L’inassimilabili a quelle degli esempi di tradizione ellenistica ed alestero peristilio sembra dunque dimensionato su semplici rapporti sandrina in particolare, fanno propendere per una datazione tra il modulari: sulla base di queste considerazioni, si può ipotizzare ii e il i secolo a.C. che la trabeazione dell’ordine inferiore misurasse complessivaDel capitello dell’impianto originario non si conosce l’articomente 3 piedi (uno per l’architrave, uno per il fregio e uno per la lazione delle modanature, perché coperte dai successivi restauri. cornice), ovvero 2 cubiti: l’intero ordine inferiore risulta in tal L’unico elemento noto è l’abaco (Fig. 35), accompagnato infemodo alto 10 cubiti, con un rapporto trabeazione colonna pari riormente da un listello rientrante: una caratteristica non comua 1:4. Al di sopra dei sostegni del secondo livello (alti 11 piedi, ne che si ritrova simile in un capitello di semicolonna addossata cioè 7 cubiti e 1/3), si può ipotizzare di porre una trabeazione a pilastro da Teadelfia, oggi al museo di Alessandria, datato al alta 2 piedi e 1/2 (ovvero 1 cubito e 2/3), raggiungendo così i tardo iii-ii secolo a.C. 18 Il trattamento del fusto delle colonne, 9 cubiti complessivi. L’intero peristilio risulterebbe in tal modo non scanalato ma semplicemente sfaccettato, si ritrova nella casa alto 19 cubiti. di Arpocrate a Solunto 19 e in numerosi esempi di Delos: casa di Come anticipato, si possono distinguere dunque tre diverse 4 fasi di vita del peristilio: Si ricorda che nella prima fase la cornice presentava un profilo articolato in

i fase (Fig. 38). Gli elementi del i livello, colonne e semicolonne del pilastro cuoriforme angolare, poggianti direttamente sullo stilobate, sono realizzati in calcarenite locale scialbata con calce e polvere di marmo di colore bianco. Il fusto delle colonne 1 Conservando il rapporto proporzionale altezza /diametro di base della colonna del secondo livello, si ottiene: diametro di base colonna ii livello : altezza colonna ii livello = diametro di base colonna i livello : altezza colonna i livello (x); ovvero m 0,445 : 3,75 = 0,49 : x; x = 4,13 m. 2 Sulla scorta della tavola delle misure di Leptis Magna (Ioppolo 1967; Barresi 1991; Wilson Jones 2000, 81; Hellmann 2003, p. 47, fig. 42) è possibile ricavare per via aritmetica il piede punico. Il cubito è suddiviso in 6 palmi (0,086 m), a loro volta suddivisi o in tre pollici (0,02866 m ) o in quattro digiti (0,0215 m). Quattro palmi = 2/3 di cubito, corrispondono ad un piede (34,4 cm). 3 Ioppolo 1967; Barresi 1991, pp. 480, 483. Questo cubito (mensura structoria) avrebbe soppiantato un precedente cubito (mensura fabrilis), di valore pari a 0,509 m (Barresi 1991, p. 483), per permettere una correlazione tra cubito punico e piede romano: 4 cubiti = 7 piedi romani. Dunque l’introduzione del nuovo cubito sembrerebbe nascere dalla necessità di fare “dialogare” due diversi sistemi metrologici e sarebbe da intendere come risposta all’incontro delle due culture; ma sull’argomento non è stata fatta ancora piena luce (Barresi 1991, pp. 496, 498).

listello, un kyma ionico liscio, un altro listello, una fascia di corona molto aggettante con naso a listello, uno sguincio obliquo pronunciato, un listello di coronamento e uno sguincio obliquo di raccordo col piano di attesa. 5 Sul pilastro cuoriforme si vedano: Pesce 1950, p. 95, tav. 1; Coulton 1976, p. 136; Pensabene 1993, pp. 126-127, figg. 105 e 106, nota 19; Helmann 2002, p. 137, figg. 178-179. 6 7 Coulton 1977, p. 131, fig. 57. Coulton 1976, p. 136. 8 Rumscheid 1998, pp. 79-82, con bibliografia. 9 Livadiotti 1997, in particolare fig. 249. 10 Pensabene 1993, pp. 79, 124-127. 11 Pensabene 1993, p. 82, fig. 70; 126, fig. 106; Adriani 1963-1966, p. 127, n. 81, tav. 18. 12 Pensabene 1993, n. cat. 1026, 127, 538, fig. 105, tav. 110; Adriani 1963-1966, p. 78, n. 36. 13 Pensabene 1993, p. 127, nn. cat. 706 e 707, 474, tav. 80. 14 Pesce 1950, p. 95 e tav. 1 sul pilastro cuoriforme. 15 Adriani 1936, p. 17 sgg., tavv. 5 (fig. 2), 7, 8, 26, 28; Adriani 1963-1966, pp. 124 sgg., 128 sgg.; Adriani 1972, p. 36 sgg.; Adriani 2000, passim, tav. xviii. 16 Ipogeo 3 della necropoli occidentale, Miniet el-Basal (Adriani 2000, p. 104, nota 74 ) ed ancora esempi a Taposiris Magna e a Oxyrhynchos (Adriani 1936, 90, 17 nota 2). Pesce 1950, 95. 18 Pensabene 1993, n. cat. 98, 335, tav. 16. 19 Wolf 2003, pp. 53-61, figg. 11 e 12, tavv. disegni 52-58, 82-84, tavv. fotografie 29.2, 30-33. Nella casa di Arpocrate le colonne hanno 16 sfaccettature.

150 francesca spatafora 1 2 Cleopatra, casa di Dioniso e la maison de l’Hermès, 3 solo per citarne alcuni. Per quel che riguarda il rapporto base/altezza delle colonne, questo risulta pari a 1/8,8. Si tratta di colonne assai snelle, soprattutto tenendo conto che sono colonne doriche, ma i modelli tardo ellenistici di ii-i secolo a.C. spingono ad un’assimilazione delle proporzioni degli ordini come testimoniano numerosi esempi in Grecia, soprattutto a Delos, e in Asia Minore.

ii fase (Figg. 39-40). Tutti gli elementi portanti vengono rivestiti da uno strato di stucco. Certo è l’aspetto degli elementi del ii livello: la parte inferiore del fusto delle colonne e delle semicolonne del pilastro cuoriforme angolare viene rivestita da stucco, senza sfaccettature sino a 4/11 dell’altezza complessiva; lo stucco è di colore bianco. Nel piano terra la parte inferiore delle colonne è rivestita da stucco di colore rosso cinabro, mentre il pilastro ha un rivestimento giallo ocra e le semicolonne sono lisce. Per quel che riguarda la parte alta delle colonne, è probabile che si ripetesse la stessa articolazione di quelle del piano superiore e che fossero quindi sfaccettate e rivestite da stucco bianco. In questa fase anche le cornici del i livello vengono ricoperte da uno strato di stucco e il profilo viene semplificato (Fig. 36). Gli intercolumni del ii livello sono adesso sicuramente chiusi da parapetti, alti poco più di un metro e larghi 0,296 m. Il profilo dei capitelli dei due livelli è ipotetico. Per questa fase costruttiva si può ragionevolmente pensare ad un rifacimento avvenuto forse in prima età imperiale. iii fase (Fig. 41). Anche in questo caso la trasformazione consiste nella stesura di un nuovo strato di stucco al di sopra delle strutture e anche stavolta il dato certo è quello degli elementi del ii livello. Le semicolonne del pilastro cuoriforme e le colonne vengono interamente ricoperte da stucco liscio, di colore bianco. Sul rivestimento del pilastro angolare, tuttavia, sono presenti delle fasce di colore rosso in corrispondenza dello spigolo interno, dell’intersezione fra le semicolonne e al di sotto degli anuli del collarino del capitello. Per quel che riguarda gli elementi del piano terra, le colonne vengono ricoperte da stucco di colore giallo che, per analogia a quanto visto per il piano superiore, si può ipotizzare fosse liscio per tutta l’altezza del fusto. Il pilastro cuoriforme angolare viene rivestito da un ulteriore strato di stucco giallo, liscio, che ingloba anche i parapetti che ora vanno a chiudere gli intercolumni del i livello. Sulle cornici, il cui stato di conservazione è mediocre, non si conservano tracce di un rifacimento collegabile a questa fase. I profili, ipotetici, dei capitelli usati nella ricostruzione, si basano sul profilo del capitello del pilastro angolare del ii livello, che tuttavia appartiene ad un successivo limitato restauro. Per la terza fase si può ipotizzare un intervento realizzato tra la fine del ii e i primi decenni del iii secolo d. C., epoca alla quale risale anche l’impianto monumentale dell’edificio A di Piazza della Vittoria, a testimonianza di un rinnovato fermento edilizio e di accresciute possibilità economiche della comunità panormita. Gilberto Montali Bibliografia Adriani 1936 = A. Adriani, La nécropole de Moustafa Pacha, «Annuaire du Musée gréco-romain» 1933-1935, Alexandrie, 1936. Adriani 1963-1966 = A. Adriani, Repertorio d’arte dell’Egitto greco-romano, Serie C (Topografia e Architettura) i-ii, Palermo, 1963-1966. Adriani 1972 = A. Adriani, Lezioni sull’arte alessandrina, Napoli, 1972. Adriani 2000 = A. Adriani, La tomba di Alessandro. Realtà ipotesi e fantasie, Documenti e ricerche d’arte alessandrina vi, Roma, 2000. Albertocchi 1996 = M. Albertocchi, La “Casa Romana”, in La presenza 1 3

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Chiara Pilo LA VILLA DI CAPO SOPRANO A GELA ∗

Q

uando nel 338 a.C. Gela viene rifondata da Timoleonte e ripopolata con uomini giunti da Ceo sotto la guida di Gorgo, 1 l’abitato si espande verso il settore occidentale del pianoro, a Capo Soprano, area precedentemente destinata a necropoli ed edifici di culto. I quartieri che dalla fondazione della colonia sorgevano nella zona orientale della stessa collina sono rinnovati e continuano ad essere abitati, a quanto pare, fino alla conquista agatoclea del 311 a.C., 2 dopo la quale la città sembra ridursi al settore di più recente costruzione, difeso da possenti fortificazioni. 3 Nel 282 a.C. Gela viene distrutta dal tiranno di Agrigento Finzia, che ne deporta gli abitanti a Finziade, odierna Licata : 4 l’evento, secondo la tradizione, segna la fine della città che rimane praticamente disabitata fino al 1233, quando Federico II fonda sul sito di Gela la città di Terranova. Questo è quanto si ricostruisce dalle fonti sulla breve vita di Gela all’inizio dell’età ellenistica. 5 Molto poco si conosce dell’impianto urbano e delle abitazioni di questo periodo. In occasione di scavi condotti da Orsi agli inizi del ventesimo secolo vennero individuate una serie di strutture segnalate come povere costruzioni di iv e iii sec. a.C., 6 che poco attirarono l’interesse degli scopritori impegnati nell’indagine delle necropoli. Si tratta di muri, rinvenuti per lo più in fondazione, costruiti in pietre e scaglie di tegole cementate con malta o in blocchi squadrati ; i pavimenti degli ambienti erano prevalentemente in terra battuta e talvolta le pareti presentavano tracce di intonaco colorato, nei casi più elaborati arricchito da una decorazione incisa con fregio ad onda corrente e foglie. 7 Più recentemente una serie di lavori edili ha contribuito a portare alla luce nuovi settori dell’abitato ellenistico, consentendo di ricostruirne nelle linee generali l’impianto organizzato in isolati, delimitati da assi stradali ortogonali, con orientamento Nord/ Nord-Est – Sud/Sud-Ovest. 8 Gli scavi condotti nel 1951 da Adamesteanu e Orlandini portarono alla luce una testimonianza di eccezionale interesse nell’ambito dell’edilizia privata geloa, il complesso conosciuto nella letteratura archeologica come la villa ellenistica di Capo ∗ Desidero ringraziare la dott.ssa Enza Cilia Platamone, direttrice del Museo Archeologico Regionale di Gela, per avermi concesso l'opportunità di visionare direttamente il materiale archeologico, nonché per avermi prontamente fornito il materiale fotografico relativo agli scavi del 1951, autorizzandone la presentazione in questa sede. Un particolare e sentito ringraziamento va al geom. Casano, al sig. Burgio e a tutto il personale del museo che con estrema cortesia e disponibilità si è adoperato contribuendo alla realizzazione di questo studio. Figg. 3-4-5-6-7-8-9. © 2004 · Regione Siciliana Assessorato dei Beni Culturali e Ambientali e della Pubblica Istruzione per concessione del Museo Archeologico Regionale di Gela. Fig. 4 con elaborazione a cura dell’autore. 1 Plut, Tim. xxxv, 2. La città era stata distrutta dai Cartaginesi nel 406-405 a.C. (Diod. xiii, 108, 2-111, 2), ma non completamente abbandonata come conferma la partecipazione di Gela alla spedizione di Dionigi contro Mozia nel 397 a.C. (Diod. xiv, 47, 6) e a quella di Dione contro Dionigi II nel 357 a.C. (Diod. xvi, 9, 5 ; Plut. Dion., 26, 1). Il trattato del 405 a.C. tra Cartaginesi e Dionigi prevedeva infatti che Gela potesse tornare subito ad essere abitata, anche se le veniva imposto di rimanere priva di fortificazioni (Diod. xiii, 114, 1). Meno chiaro è quando questo ripopolamento si sia effettivamente realizzato e in che termini, dal momento che nel 396 a.C. si parla ancora di Gela e Camarina come due città disabitate a seguito delle vicende 2 del 405 a.C. (Diod. xiv, 68, 2). Diod. xix, 107. 3 Sulle fortificazioni di Capo Soprano : Adamesteanu 1957, p. 33 sgg. ; Panvini 1996, p. 117 sgg. ; Panvini 1998, p. 121. 4 Diod. xxii, 2, 2. 5 Orlandini 1956, p. 158 sgg. ; Adamesteanu 1957, p. 20 sgg. in particolare p. 31 sgg. ; Orlandini 1957, p. 44 sgg. ; p. 153 sgg. ; Orlandini-Adamesteanu 1962, p. 340 sgg. ; De Miro-Fiorentini 1977, p. 430 sgg. ; Panvini 1996, p. 103 sgg. ; Panvini 1998, p. 130; Tomasello 1998, p. 51 sgg. 6 Orsi 1906, coll. 272 ; 350 sg. ; 353 ; 376 sgg. ; 418 ; 420 ; 423 ; 461 ; 538 sg. ; Orlandini 1957, p. 46, nota 1. 7 Orsi 1906, col. 418 (stucchi rossi e bianchi) ; col. 379 fig. 281 (stucchi di colore 8 grigio con decorazione incisa). Panvini 1996, p. 107 ; Panvini 1998, p. 130.

Soprano o villa Jacona, dal nome della proprietà moderna. 9 Anche in questo caso lo stato della documentazione è tale da lasciare aperte numerose problematiche relative alla ricostruzione dell’impianto generale e alla distribuzione degli ambienti e, punto su cui il dibattito è stato più acceso, alla cronologia dell’edificio. La datazione del complesso è stata fissata dagli scopritori tra la fine del iv e gli inizi del iii sec. a.C., 10 cioè nei decenni immediatamente precedenti la distruzione della città da parte del tiranno agrigentino Finzia. Nonostante questa cronologia continui ad essere accettata e condivisa da diversi studiosi, 11 non sono mancate voci fuori dal coro più propense ad inquadrare l’abitazione in pieno iii sec. a.C., 12 se non addirittura in età tardorepubblicana, 13 aprendo in questo modo nuove prospettive non solo relative alla fase di vita del complesso ma, in un’ottica più ampia, alla storia della città stessa di Gela. La situazione che si presentò al momento della scoperta era già notevolmente sconvolta da lavori agricoli, smottamenti del terreno e scavi clandestini. Una relazione preliminare venne pubblicata in Notizie degli Scavi del 1956 che ad oggi, con tutti i limiti del caso, rimane il resoconto più completo, non che sostanzialmente l’unico, dell’insieme delle strutture all’epoca messe in luce. 14 Nuovi dati sicuramente potranno esser forniti dai risultati, non ancora resi noti, degli scavi eseguiti in anni più recenti che hanno interessato l’area a nord degli ambienti precedentemente individuati. 15 Nell’impossibilità di reperire eventuali diari di scavo o ulteriore documentazione scritta redatta al momento della scoperta e in mancanza di una pianta dettagliata delle strutture, ad eccezione di quella sommaria che accompagna la pubblicazione, l’occasione di avere accesso all’archivio fotografico dello scavo del 1951 è stata fondamentale per verificare alcuni aspetti dell’impianto dell’elegante dimora, oggi tra l’altro non più accessibile. L’edificio sorge a pochi metri dal mare, in una posizione altamente panoramica a metà costa del pendio meridionale di Capo Soprano, immediatamente all’esterno delle fortificazioni [Fig. 1, n. 22] [Fig. 2]. Nella zona meridionale dello scavo venne messo in luce un muro (a) in blocchi squadrati di grandi dimensioni impostati su una fondazione in blocchi irregolari di taglio differente 16 [Fig. 3]. Il muro, conservato per un tratto di circa sette metri e per solo un filare d’alzato, si sviluppa in direzione est-ovest, parallelamente alla linea di costa, e doveva essere funzionale, prima che alla delimitazione di ambienti, al terrazzamento del terreno particolarmente impervio, come dimostra il livello di frequentazione del vano (B) rinvenuto subito a monte della struttura che rimane ad una quota di circa due metri superiore rispetto alla base del muro stesso [Fig. 4]. L’ambiente [Fig. 5], per il quale è stato possibile ricostruire 9

Adamesteanu 1956, p. 343 sgg. ; Panvini 1996, p. 111 ; Panvini 1998, p. 146. Adamesteanu 1956, p. 354 ; Orlandini 1957, p. 75; p. 162 sgg. Boeselager 1983, p. 24 ; Panvini 1996, p. 111 ; Panvini 1997, p. 160 ; Johannowsky 1997, p. 582 ; Panvini 1998, p. 146. 12 Salzmann 1982, p. 73 sg. ; Wilson 1990, p. 22 13 Griffo-von Matt 1964, p. 203 (iii-i sec. a.C.) ; Bejor 1986, p. 485, n. 81 (villa repubblicana) ; Romizzi 2001, p. 250, n. 378 (citata tra le ville d’otium di ii sec. a.C.-i sec. d.C.). Il problema relativo alla cronologia dell’abitazione è sollevato anche da Campagna (Campagna 2003, p. 11). 14 Adamesteanu 1956, p. 343 sgg. 15 Un brevissimo cenno a questi interventi successivi in Panvini 1997, p. 161, fig. 6 ; Panvini 1998, p. 146, fig. 16 Da qui in poi per la descrizione delle strutture messe in luce si farà riferimento a quanto documentato in Adamesteanu 1956, p. 344 sgg., con l’integrazione, ove possibile, di ulteriori informazioni desumibili dalle fotografie di scavo. 10 11

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Fig. 1. Pianta di Gela ; villa di Capo Soprano n. 22 (da Orlandini-Adamesteanu 1956, p. 203).

le dimensioni di 2,50 x 3 metri, conservava la pavimentazione in cocciopesto ed era delimitato a nord da un muro (c) – un solo blocco del quale ancora in situ al momento della scoperta – che lo divideva da un ulteriore vano (D) ; quest’ultimo era attestato dalla presenza di lacerti di cocciopesto, ma lo stato di conservazione era troppo deteriorato per tentare di risalire alle dimensioni originarie. Nel terreno a nord di questo pavimento sono stati individuati solo strati di tegole. Ad ovest del primo ambiente gli scavatori segnalano la presenza di un vano (E) all’interno del quale erano conservate dodici anfore disposte su due file ; di questo vengono fornite le misure di 2,40 x 4 metri, sebbene non fosse stato possibile individuare il muro perimetrale. Secondo la descrizione fornita la cella sembrerebbe trovarsi allo stesso livello degli altri due ambienti individuati, anche se nessuna foto di scavo fornisce alcuna indicazione utile per verificarne con esattezza la posizione. Lo scavo venne quindi proseguito verso nord-est. Le foto documentano il rinvenimento di un secondo muro (f ) con orientamento est-ovest, parallelo al precedente, realizzato nella stessa tecnica a conci squadrati impostati su fondazioni in blocchi di taglio minore ed irregolare [Fig. 6]. A nord di questo, verso ovest, si individua almeno un vano (G) che sembrerebbe svilupparsi in profondità, sebbene l’interruzione dello scavo in quest’area non consenta di individuarne con precisione i limiti. Ad est un muretto (h) in piccoli blocchi legati da malta divideva quest’ultimo da due ambienti, posti in successione uno rispetto all’altro. Il primo vano (I), quello più a sud, a ridosso del muro estovest, presenta un pavimento in malta rosa con scaglie di marmo bianche disposte irregolarmente, conservato quasi integralmente

ad eccezione della fascia meridionale. Le pareti erano rivestiste da intonaco grigio, numerosi frammenti del quale sono stati rinvenuti durante lo scavo. Le dimensioni riportate per l’ambiente sono di 5,85 x 4 metri. Mediante un’apertura nella parete settentrionale si aveva accesso a quello che senza dubbio è l’ambiente (L) più interessante dell’intero complesso [Fig. 7]. Le foto di scavo consentono di sciogliere ogni dubbio sulla destinazione del vano che in modo piuttosto confuso è stato definito ora impluvium – in primo luogo dagli scopritori, ma non solo 1 – ora andron, 2 presupponendo quindi l’inquadramento nell’ambito di tipologie edilizie – la casa ad atrio romana o la casa classica greca – completamente differenti. Il vano, di 5,85 x 5,90 metri di grandezza, presenta lungo le pareti una banchina in cementizio dipinta in rosso, di cm 95 di larghezza e sopraelevata di cm 8. Il margine è decorato da una modanatura con listello piano e gola rovescia. In corrispondenza dell’ingresso, spostato leggermente verso sinistra rispetto all’asse della stanza, la banchina è interrotta da un pannello rettangolare in funzione di soglia, decorato con un mosaico a meandro lineare complesso – svastiche alternate a riquadri – disegnato con tessere nere in pietra lavica su sfondo di tessere marmoree bianche, piuttosto regolari 3 [Fig. 8]. La parte centrale della stan1 Adamesteanu 1956, p. 346; Griffo-von Matt 1964, p. 203 ; Panvini 1996, p. 111 ; Panvini 1997, p. 159 sgg. ; Panvini 1998, p. 146 (continua a parlare di impluvium nonostante interpreti l’ambiente come un andron). 2 Boeselager 1983, p. 25 ; Johannowsky 1997, p. 582 ; Portale 1997, p. 86 sg. ; Wolf 2003, p. 83 sg. (Gelageraum). 3 Adamesteanu 1956, p. 346 ; p. 348 fig. 6 ; Orlandini 1957, p. 75, tav. xliv, 2 ; Salzmann 1982, p. 73 sg., p. 122, n. 157, tav. 92,4 ; Boeselager 1983, p. 24 sgg., tav.

la villa di capo soprano a gela

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Fig. 2. Pianta della villa di Capo Soprano (da Adamesteanu 1956, p. 344, fig. 1, elaborata a cura dell’autore).

za era pavimentata con un mosaico a tessere bianche, anche queste abbastanza regolari. Come già sottolineato da D. von Boeselager 1 e da C. E. Portale, 2 il tipo di apprestamento è quello caratteristico dell’andron, la stanza destinata al simposio a cui gli uomini partecipavano prendendo posto su klinai dislocate lungo le pareti. 3 Anche le dimensioni dell’ambiente, la larghezza ed altezza della banchina, nonché la posizione nell’ala nord della casa corrispondono a quelle canoniche degli andrones, come sono ampiamente attestati nelle abitazioni di Olinto 4 e di Eretria. 5 Considerando le dimensioni ricostruite per una kline, l’andron di Gela era predisposto per accoglierne sette. 6 iii, 6 ; Dunbabin 1994, p. 27, fig. 1 ; Johannowsky 1997, p. 582 ; Portale 1997, p. 86 sg., fig. 1 ; Panvini 1997, p. 159 sgg., figg. 2 ; 5 ; Panvini 1998, p. 147, n. iii.24. 1 2 Boeselager 1983, p. 25. Portale 1997, p. 86. 3 Pesando 1989, p. 79 sgg. ; Ginouvès 1998, p. 158 sg. In generale sul simposio vedi Murray 1990. 4 Robinson-Graham 1938, p. 171 sgg. La maggior parte degli andrones di Olinto misura 4,50 x 5 m, con eccezioni che vanno da un minimo di 3,50 x 2,85 m ad un massimo di 8,70 x 4,95 m. Le banchine rialzate hanno una larghezza compresa tra 5 0,85 e 1 m e una profondità tra 2 e 6 cm. Reber 1998, p. 134 sgg. 6 Per le dimensioni delle klinai : Tomlinson 1970, p. 309 (2,25-1,75 x 1-0,75 m) ; Tomlinson 1990, p. 95 (intorno a 1,80 x 0,85 m).

L’equivoco per cui, anche in pubblicazioni recenti, si continua ad utilizzare il termine di impluvium in relazione a questo ambiente nasce da un’errata interpretazione di alcuni elementi strutturali, come il centro del pavimento ribassato rispetto alla fascia perimetrale e il canale di scolo che scorre attraverso la banchina nell’angolo sud orientale [Fig. 9]. In realtà proprio questo sistema di drenaggio è caratteristico degli andrones e ben documentato in alcune case di Olinto, dove il canale taglia la banchina o passa sotto questa, consentendo il deflusso all’esterno dell’ambiente dei liquidi versati durante il banchetto e dell’acqua di pulizia. 7 D’altra parte la stessa profondità del riquadro centrale, di soli 8 centimetri, è di molto inferiore a quella consueta degli impluvi – in media tra 18-20 cm 8 – senza considerare che, come è ben visibile nelle foto, l’interruzione della banchina in corrispondenza della soglia mosaicata rende l’apprestamento più che mai inadeguato ad un’eventuale raccolta delle acque. Alla luce di quanto detto risulta del tutto inverosimile la notizia secondo cui sarebbero state rinvenute tegole solo nella fascia perimetrale, come se la zona centrale del vano fosse scoperta. 9 7 9

Robinson-Graham 1938, p. 175 sg. Adamesteanu 1956, p. 346.

8

Fadda 1975, p. 161 sgg.

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Fig. 3. Muro meridionale (a).

chiara pilo so, che già al momento della scoperta era completamente franata. Nessun ambiente invece è stato individuato a sud del muro meridionale, per cui, almeno per quanto riguarda le strutture messe in luce, l’abitazione era collocata su un unico terrazzamento. Se a nord dell’area scavata nel 1951 il complesso abitativo si estendesse su un ulteriore terrazzamento, potrà confermarlo o smentirlo solo la pubblicazione dei dati delle indagini eseguite in questa zona. Le strutture individuate sono pertinenti all’ala occidentale dell’abitazione – almeno due vani affiancati e la cella – e a quella settentrionale, con andron e vestibolo ; la reduplicazione resa in pianta anche degli ambienti ad ovest di questi, come già accennato, non trova nessuna conferma nelle foto di scavo. Per quanto non sia possibile andare oltre la formulazione di ipotesi, è plausibile immaginare che ad est il complesso fosse chiuso da una terza ala e gli ambienti si distribuissero attorno ad una corte centrale [Fig. 11], secondo una tipologia abitativa ben documentata nel mondo greco. 3 Un’analoga distribuzione degli spazi – anche se invertita nella disposizione – è documentata dalla villa della Buona Fortuna ad Olinto 4 [Fig. 12], che ha in comune con l’abitazione di Gela anche la posizione suburbana. Il tipo di andron con banchina rialzata si attesta in pieno v sec. a.C. ed ha larga diffusione fino ai primi decenni del iii sec. a.C. Ad Olinto, città distrutta nel 348 a.C., più di un terzo delle abitazioni della città presentano questa caratteristica sala destinata al simposio, con piattaforma in cementizio e, in pochi

Fig. 4. Area occidentale dello scavo. Base del muro meridionale (freccia bianca); pavimento del vano B (freccia nera).

Fugato ogni dubbio sulla destinazione dell’ambiente, il vano pavimentato antistante, con la sua forma rettangolare allungata e stretta, trova una diretta corrispondenza nelle anticamere che, se non necessariamente, precedono spesso gli andrones assicurando la riservatezza e l’isolamento che convengono al momento conviviale. 1 Non è possibile ricostruire una pianta completa del complesso abitativo, ma sulla base delle foto di scavo si è proceduto ad un tentativo di revisione della documentazione grafica pubblicata. La sezione N-S, così come viene proposta [Fig. 10a], riproduce un forte dislivello tra le strutture venute alla luce nell’ala meridionale e quelle dell’ala settentrionale. Dalle foto – anche valutando la possibilità di una distorsione dell’immagine rispetto alla realtà – questa differenza non risulta e anzi le due aree di scavo sembrerebbero trovarsi all’incirca allo stesso livello. Riesaminando la sezione si nota che il blocco del muro (c), che delimita a nord il primo ambiente messo in luce, è reso quasi alla stessa quota dei blocchi alla base del muro meridionale (a), senza prendere in considerazione invece il dislivello tra questi e il pavimento dell’ambiente, chiaramente documentato dalle foto [Fig. 4]. Apportando le dovute correzioni le due aree scavate dell’abitazione verrebbero a trovarsi praticamente alla stessa quota [Fig. 10b]. Non è da escludere invece la possibilità che la cosiddetta cella vinaria, rappresentata nel disegno da due piccole anfore, potesse essere completamente o parzialmente interrata, anche se in mancanza di elementi probanti non è dato verificare questa ipotesi. 2 È verosimile che il muro meridionale, conservato solo nel tratto occidentale dello scavo, proseguisse invece verso est, fungendo da sostruzione anche dell’area sud-orientale del comples1

Olinto : Robinson-Graham 1938, p. 176 sg. Per alcuni esempi di dispense interrate si veda la stanza q1 della casa I di Eretria (Reber 1998, p. 30 sg. ; p. 140 sgg.), le stanze per provviste delle case di Olinto, in particolare l’ambiente j della casa della Buona Fortuna (Robinson-Graham 1938, p. 61 ; p. 207 sg.). 2

Fig. 5. Vano B.

Fig. 6. Area settentrionale dello scavo. 3 Ad es. Olinto (Robinson-Graham 1938, p. 157 sgg.) e in ambiente magnogreco, la casa dei leoni a Locri (Barra Bagnasco 1992, p. 18 sgg.) e la casa del drago a Caulonia (Pisapia 1987, p. 5 sgg.). Vedi anche Falcone 2003, p. 302 con bibl. dettagliata sul tipo della “casa a cortile”. 4 Per la Villa della Buona Fortuna : Robinson-Graham 1938, p. 55 sgg. Lo stato di conservazione dell’abitazione di Capo Soprano non consente di risalire, se non in modo decisamente approssimativo, alle dimensioni originarie dell’impianto. Per avere un’idea della notevole estensione del complesso si tenga comunque presente che le strutture messe in luce si distribuiscono su un’area di circa 22 x 18 m.

la villa di capo soprano a gela

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Fig. 7. Andron (L).

Fig. 9. Andron (L).

casi particolarmente lussuosi, con mosaico a ciottoli al centro. 1 Le abitazioni più antiche di Eretria, la cui costruzione si data all’inizio del iv sec. a.C., hanno un andron con piattaforma perimetrale, mentre in quelli di iv sec. a.C. inoltrato e dell’inizio del iii sec. a.C. le sale da simposio diventano due, se non più, mantenendo però le stesse caratteristiche. Nei rifacimenti di II sec. a.C. invece la banchina rialzata scompare definitivamente. 2 Nell’ambito dello stesso arco cronologico degli edifici di Olinto ed Eretria si collocano anche le case con andron di Cassope, 3 Abdera, 4 Priene, 5 Corinto, 6 Atene, 7 alcune abitazioni di Himera 8 e la casa del drago a Caulonia. 9 Dalla seconda metà del iii sec. a.C. le sale destinate al simposio non hanno più la piattaforma rialzata e la partizione dello spazio, quando è scandita, è affidata unicamente alla decorazione pavimentale : Delo in primo luogo, 10 ma anche città siciliane quali Morgantina, Solunto e Monte Iato offrono una vasta gamma di esempi. 11 L’andron con banchina rialzata inquadra quindi l’abitazione di Gela nella tipologia delle case di lusso di età classica. Il dato non è in contraddizione, ma anzi sembrerebbe confermare la datazione corrente del complesso tra la fine del iv e gli inizi del iii sec. a.C., sostenuta sul dato storico della distruzione di Gela nel 282 a.C. e sulla base del materiale rinvenuto nell’area di scavo. Prima di affrontare un discorso più ampio sul materiale datante proveniente dalla casa di Capo Soprano è necessario premettere che non è possibile parlare in senso stretto di materiale “contestuale” alle strutture. Lo smottamento del terreno lungo il pendio, che ha comportato la frana dell’area sud-orientale dell’abitazione, necessariamente deve aver provocato anche lo scivolamento di materiali dalla sommità della collina verso valle, dove è stata infatti individuata una notevole quantità di materiale definito di scarico. 12 Non è quindi possibile garantire sempre e con sicurezza la pertinenza dei reperti mobili al luogo preciso di rinvenimento, oltre al fatto che per la maggior parte del materiale è attualmente registrata solo la generica provenienza da Villa Jacona. A conferma di quanto detto è sufficiente osservare che nell’area dello scavo è stata rinvenuta una grande quantità di unguentari piriformi, olpette miniaturistiche, lucerne e frammenti di terrecotte figurate, 13 tutti oggetti più pertinenti ad un

contesto di necropoli che abitativo. La stessa tipologia di materiale si ritrova infatti nelle necropoli della zona settentrionale di Capo Soprano, a costa Zampogna e Piano Notaro. 14 Anche le lekanai, di cui si conservano numerosi frammenti pertinenti a vasche e a coperchi a figure rosse o in stile Gnathia con tralci di vite con foglie, grappoli e viticci sovraddipinti in bianco e giallo, sono forme che dal iv sec. a.C. ricorrono prevalentemente in corredi funerari ; 15 analoga destinazione dovevano avere anche le lekythoi aryballiche con decorazione a reticolo, ben attestate in tombe della Sicilia e della Magna Grecia. 16 Questo ovviamente non significa che tali classi di materiali non possano provenire anche da contesti differenti, ma sia il ricorrere di certe associazioni, sia la presenza di molti esemplari integri rendono quanto meno legittimo sollevare il dubbio sulla loro pertinenza alla casa. Ad eccezione di alcuni ritrovamenti riferibili a fasi anteriori all’abitazione, poco indagate, ma comunque attestate anche da un piccolo saggio in profondità, 17 e di sporadiche tracce di una frequentazione ormai tarda – tra cui alcuni frammenti di sigillata africana tipo D della seconda metà del v sec. d.C. 18 –, tutto il materiale rinvenuto durante gli scavi del 1951 è stato datato tra

Fig. 8. Soglia dell’andron con mosaico a meandro.

1

Robinson-Graham 1938, p. 171 sgg. ; Robinson 1946, p. 8 sg. ; p. 15 ; p. 74 sg. ; p. 123 ; p. 128 sgg. ; p. 193 ; p. 229 sg. ; p. 304 sgg. ; Höpfner-Schwandner 1994, p. 98sg. ; p. 108 sgg. 2 Reber 1998, p. 134 sgg. 3 Höpfner-Schwandner 1994, p. 146. 4 Höpfner-Schwandner 1994, p. 185. 5 Höpfner-Schwandner 1994, p. 216 sg. 6 Robinson-Graham 1938, p. 179 sg.; Newhall Stillwell 1948, p. 31, tav. 8e. 7 Dörpfeld 1895, tav. iv (indicato con la lettera W) ; Gräber 1905, tav. i (indicati con la lettera P e nei pressi di H) ; Judeich 1931, p. 299 ; fig. 36 ; Robinson-Graham 1938, p. 180 sg. ; Höpfner-Schwandner 1994, p. 31, figg. 17, 20-21, 31. 8 9 Vassallo 1997, p. 82 sgg. Pisapia 1987, p. 5 sgg., in particolare p. 8. 10 Trümper 1998, p. 17 sg ; p. 146 sg. Più in generale sulle decorazioni pavimentali di Delo : Chamonard 1924, p. 391 sgg. ; Bruneau 1972. 11 Morgantina : Tsakirgis 1989 ; Tsakirgis 1990 ; Tsakirgis 1997, p. 388 sg. ; Solunto : De Vos 1975, p. 195 sgg. ; Monte Iato : Brem 2000, p. 68 sgg. ; p. 111 sg. 12 Adamesteanu 1956, p. 345. 13 Adamesteanu 1956, p. 348 sgg. ; Orlandini 1957, p. 162, tav. lxiv,2.

14 Orlandini 1956a, p. 337 sgg. : l’unico corredo rinvenuto integro nella necropoli di Costa Zampogna era costituito da una pisside, tre olpette, due unguentari e una lucerna, tutti in ceramica acroma ; Panvini 1996, p. 120 sg. ; Panvini 1998, p. 136 sg. 15 Cfr : Veder greco 1988, p. 389 sgg. in particolare tomba D/288, nn. 2-3 ; tomba 273, n.1 ; tomba 1107, nn. 1-2 ; Greci in Occidente 1996, p. 655 sg., nn. 5-12 ; p. 751 sg., nn. ii-iii. Vedi anche Trendall 1967, p. 681 sgg. 16 Cfr : Veder greco 1988, p. 388 sgg. in particolare tomba 1317, n. 4 ; tomba D/288, n. 10 ; tomba 1107, nn. 4-5. 17 Il saggio eseguito sotto il pavimento del vestibolo ha individuato un battuto a 0,50 m di profondità. Dal terreno al di sotto di questo provengono manufatti di età arcaica (Adamesteanu 1956, p. 347 sg. ; p. 352 sg.). 18 Tra il materiale conservato al museo di Gela è stato possibile verificare la presenza di coppe tipo Hayes 81 (cfr. Atlante i, tav. xlviii, 5-6) e un frammento di piatto inv. n. 12564 forma Hayes 87A (cfr. Atlante i, tav.xli, 6-7). Adamesteanu parla anche di numerosi frammenti di ceramica di età imperiale, tra cui parte di una scodella datata al ii sec. d.C. (Adamesteanu 1956, p. 349 sg.).

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Fig. 10. Sezione N-S della villa di Capo Soprano (a. da Adamesteanu 1956, p. 344, fig. 1; b. elaborazione a cura dell’autore).

la seconda metà del iv sec. a.C. e l’inizio del secolo successivo. 1 La possibilità di visionare direttamente il materiale conservato al museo di Gela, oltre a quello noto dalle pubblicazioni, ha permesso di verificare l’attendibilità di questa datazione per un numero considerevole di reperti. Si tratta in prevalenza di anfore, ceramica siceliota a figure rosse, ceramica tipo Gnathia e ceramica a vernice nera. A questi si aggiungono anche diversi oscilla fittili, alcuni dei quali decorati con volto di medusa o con testa femminile dalla caratteristica pettinatura a melone, 2 e alcuni frammenti di arule fittili cilindriche. 3 Le dodici anfore trovate all’interno della cella, secondo quanto riferito dagli scavatori, erano dello stesso tipo di quelle rinvenute in altri due siti di Gela – il deposito di via Polieno e la casa-bottega 4 1

Adamesteanu 1956, p. 348 sgg. ; Orlandini 1957, p. 162 sgg. Adamesteanu 1956, p. 351 sg. (altri esemplari sono conservati al Museo Regionale di Gela). Sulla funzione di questi oggetti si rimanda a Siracusano 2003, p. 608 sgg. Sulla derivazione della Melonfrisur da modelli alessandrini si veda Manganaro 3 1989, p. 536 sg. Orlandini 1957, p. 163, tav. lxiv,3. 4 Per il deposito di via Polieno : Orlandini 1956b, p. 355 sgg. Per la casa-bottega : Orlandini 1960, p. 165 sgg. ; in particolare p. 178 sg. 2

– , cioè anfore mgs iv e anfore corinzie B-corciresi. 5 Entrambi i tipi, destinati essenzialmente alla conservazione del vino, sono datati tra iv e inizi iii sec. a.C. Il numero delle anfore sembra indiziare un consumo più che altro familiare, 6 escludendo quindi l’esistenza di un settore produttivo nell’abitazione, il cui carattere doveva essere esclusivamente residenziale. Altri frammenti di anfore provengono dalla terra smossa dell’area dello scavo, tra cui alcuni pertinenti ad anfore puniche Maña, del tipo D1, diffuse nel Mediterraneo occidentale dal iv sec. a.C., ma anche nel corso del iii sec. a.C. 7 5 Adamesteanu 1956, p. 345 ; Orlandini 1957, p. 162 sg. Per le mgs iv : Lyding Will 1982, p. 341 sgg. (anfore greco-italiche, forma a2) ; Vandermersch 1994, p. 73 sgg. Per le anfore corinzie B-corciresi : De Luca De Marco 1979, p. 573 sg. (variante D) ; Koehler 1981, p. 39, tav. 34, nn. 261-269. 6 Vandermersch 1994, p. 36 sg. 7 Alcuni frammenti con bolli sono descritti in Adamesteanu 1956, p. 348 sg. Per i bolli delle anfore della villa di Capo Soprano : Vandermersch 1994, p. 170 sg. ; p. 174 sg. Altri frammenti sono conservati nei magazzini del museo. Per le Maña tipo D1 vedi Maña 1951, p. 207 ; Solier 1968, p. 139 sgg., nn. 1-3 ; Bartoloni 1988, p. 57 fig. 13 (tipo e2) ; Ramon Torres 1995, p. 189, nn. 144-148 (T-4.2.1.5.).

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Fig. 11. Ipotesi ricostruttiva della pianta della villa di Capo Soprano (da Adamesteanu 1956, p. 344, fig. 1 elaborata a cura dell’autore).

Meno numerosi sono i frammenti attualmente reperibili sia di ceramica tipo Gnathia che di ceramica a figure rosse. Della prima classe, oltre alle lekanai già citate, sono conservati solo alcuni frammenti con tracce di racemi sovraddipinti in bianco e giallo, anche se, da quanto riferito dagli scavatori, in origine il numero doveva essere nettamente superiore. 1 Alla produzione siceliota di ceramica a figure rosse sono invece attribuibili alcuni frammenti dei cosiddetti “head vases” – si tratta prevalentemente di forme chiuse – e un frammento con la parte superiore di una figura femminile conservata fino al busto. 2 Nel prendere in esame questi materiali ponendosi come fine quello di verificare la datazione del complesso abitativo di Capo Soprano, non si può trascurare che proprio i ritrovamenti nella città di Gela hanno costituito un caposaldo fondamentale nel fissare la cronologia di alcune di queste classi di materiali. La rifondazione timoleontea del 338 a.C. e la distruzione di Gela del 282 a.C. sono infatti stati assunti come termini cronologici all’interno dei quali inquadrare i rinvenimenti di età ellenistica 1

Adamesteanu 1956, p. 350 sg. 2 Vedi Trendall 1967, p. 575 sgg. Frammento con figura femminile : n. inv. 12570.

di Gela e, di conseguenza, i materiali di altri siti ad essi confrontabili . È questo il caso, per citare esempi inerenti al discorso, sia delle anfore che della ceramica siceliota. 3 Il rischio è quindi quello di cadere in un circolo vizioso e fuorviante : il materiale è datato entro il 282 a.C. perché dopo questa data Gela sarebbe abbandonata, lo stesso materiale è chiamato in causa a sostegno della fine della frequentazione del sito perché ritenuto anteriore al 282 a.C. Probabilmente non è del tutto inverosimile che per alcuni di questi reperti la datazione possa scendere anche oltre il primo quarto del iii sec. a.C., come del resto è ormai confermato per la ceramica tipo Gnathia la cui produzione raggiunge i livelli più alti entro l’inizio del iii sec. a.C. – per l’esattezza del 272 a.C. anno della conquista romana di Taranto – ma continua fino alla fine del secolo ed oltre. 4 Con questo discorso non si vuole in nessun modo mettere in dubbio l’esistenza di una fase della casa di Gela tra l’età tardo classica e il primo ellenismo, che anzi sembra venir confermata sia dalla 3 Per le mgs iv o greco italiche : Lyding Will 1982, p. 344 ; Vandermersch 1994, p. 73. Per la ceramica siceliota a figure rosse : Trendall 1967, p. 581 sg. 4 Fozzer 1994 ; D’Amicis 1996, p. 436 sgg. ; Graepler 1997, p. 58 sgg. ; De Juliis 1997, p. 126 ; Hempel 2001, p. 49 sgg. ; p. 111 sgg. ; Puritani 2002, p. 379 sgg.

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Fig. 12. Villa della Buona Fortuna (da Robinson-Graham 1938, tav. 85,2).

tipologia edilizia – in particolare dall’andron con piattaforma sopraelevata – che dal materiale di cui si è appena parlato. A questo si devono aggiungere anche alcune forme di ceramica a vernice nera, prevalentemente bicchieri skyphoidi, bolsals, kantharoi e coppette su piede ad anello con palmette stampigliate sul fondo e cerchi concentrici a tratteggio, di produzione attica o di imitazione locale, anche queste attestate con sicurezza tra il iv e l’inizio del iii sec. a.C. 1 Proprio la ceramica a vernice nera rinvenuta nello scavo del 1951 e conservata al museo di Gela riserva però alcune interessanti sorprese. Tra i frammenti definiti dagli scopritori “a cattiva vernice nera”, ma comunque datati sempre entro l’inizio del iii sec. a.C., 2 è stato possibile verificare la presenza di numerosi esemplari di coppette con accentuata flessione della parete, coppe su piede ad anello, coppette con orlo ingrossato e bordo piatto, piattelli ad orlo pendulo [Fig. 13], tutte forme diffuse a partire dalla fine del iii sec. a.C., se non addirittura dalla metà del ii sec. a.C., come nel caso dei piattelli ad orlo pendulo che sono una forma praticamente esclusiva della produzione Campana A. 3 Al contrario di quanto sostenuto fino a questo momento, non tutto il materiale proveniente dall’area del complesso abitativo è quindi riferibile allo stesso arco cronologico. 1 Cfr. bicchieri skyphoidi : Agorà xii, p. 259 sg., nn. 348-349 (400-375 a.C.) ; bolsals : Agorà xii, p. 109 ; p. 275, n. 558 (380-350 a.C.) n. 561 (350 a.C.) ; Agorà xxix, p. 259, n. 168 (325-300 a.C) ; kantharoi : Agorà xxix, p. 245 sg., nn. 36-42 (335-300 a.C.) ; coppette : Agorà xxix, p. 338 sg., nn. 965-972 (300-285 a.C.) ; Morel 1981, p. 209, 2 serie 2714, p. 212, serie 2731. Adamesteanu 1956, p. 351. 3 Cfr. coppette : Morel 1981, p. 216 sg., serie 2745 (iii-ii sec. a.C.) ; p. 244, tipo 2981f (iii sec. a.C., probabilmente seconda metà) ; p. 244 sg., serie 2984 (Campana A, seconda metà del ii sec. a.C.) ; piattelli ad orlo pendulo : Morel 1981, p. 103 sg., serie 1312 (Campana A ii sec. a.C.).

Il problema relativo alla cronologia della casa di Capo Soprano deve essere posto in un’ottica differente : non tanto se esista una fase, ormai appurata, anteriore alla distruzione della città, ma se questa sia in realtà l’unica e, soprattutto, l’ultima fase di frequentazione dell’abitazione. In questo senso estremamente interessante si è rivelato l’esame degli elementi pertinenti alla decorazione dell’abitazione. Le pareti degli ambienti erano rivestite con intonaco bianco, rosso, giallo e grigio ed erano coronate da cornici modanate in stucco, di cui si conservano diversi frammenti. La maggior parte dei frammenti non sono stati trovato in situ e non si ha notizia della rispettiva appartenenza ai differenti ambienti, ad eccezione di qualche accenno fatto dagli scavatori a proposito dell’andron e del vestibolo. Le pareti di quest’ultimo – verosimilmente si fa riferimento alla parte inferiore della parete – conservavano al momento del rinvenimento tracce di intonaco grigio steso su una preparazione dello spessore di 4-6 cm ; 4 dall’andron, dalla terra che ricopriva il pavimento, oltre a intonaci grigi, provengono invece una serie di frammenti marmoreggiati, con pennellate grigie e azzurre su sfondo rosso, ad imitazione del granito 5 [Fig. 14]. In una delle foto di scavo si intravede anche un lacerto di intonaco con una profilatura, 6 che potrebbe corrispondere ad una serie di frammenti di intonaco grigio che riproducono blocchi sagomati [Fig. 15]. Non è quindi possibile ricostruire l’originaria sintassi delle pareti, ma non ci sono dubbi sulla tipologia della decorazione che corrisponde ad un primo stile, con fasce 4 6

5 Adamesteanu 1956, p. 346. Adamesteanu 1956, p. 354. Gabinetto Fotografico del Museo Regionale di Gela, n. di archivio 7443.

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Fig. 13. Ceramica a vernice nera di iii-ii sec. a.C. dalla villa di Capo Soprano.

marmoreggiate e assise isodome rese a rilievo. V. J. Bruno, individuando nelle architetture greche di età classica, in particolare di Atene, i modelli del cosiddetto primo stile pompeiano, fa risalire già alla metà del iv sec. a.C. l’introduzione del rilievo per riprodurre in stucco architetture reali, tecnica che non sostituisce, ma al contrario convive con l’utilizzo del colore o di linee incise per la realizzazione delle ripartizioni della pareti. 1 Una puntualizzazione piuttosto interessante ai fini della datazione della decorazione parietale della villa di Capo Soprano è quella proposta da P. Guldager Bilde nel suo lavoro dedicato alle pitture parietali di età ellenistica. 2 La studiosa infatti individua un’ulteriore distinzione tra quelli che lei definisce “pompeian first style and its eastern equivalents” e “zone style”. Entrambi rientrano nella tipologia delle decorazioni parietali architettoniche – primo stile per usare la terminologia convenzionale 3 – ma riflettono una diversa concezione della parete : il “pompeian first style” riproduce le murature in marmo, per cui elemento distintivo è la presenza di blocchi sagomati ad imitazione della tecnica isodoma nella parte principale della parete, sopra gli ortostati e la cornice ; al contrario lo stile a zone ripartisce il muro in fasce orizzontali, con la parte principale semplicemente rivestita da uno strato di intonaco a riprodurre l’alzato in argilla. Per rendere gli effetti architettonici sono usati indistintamente, in entrambi i casi, linee incise, colore e rilievo. Se però elementi a rilievo sono attestati nello stile a zone già dalla seconda metà del iv sec. a.C. – frammenti da Olinto e dall’Agorà di Atene 4 – questi non sono mai pertinenti a blocchi sagomati, ma piutto1

2 Bruno 1969. Guldager Bilde 1993. Sul problema relativo alla terminologia si veda in particolare Bruno 1969, p. 306 sgg. 4 Frammenti da Olinto : Robinson 1946, p. 139, nota 96 (House of Asclepios) ; p. 193, tav. 167, p. 201 ; Bruno 1969, p. 312 sg. ; Andreou 1989, p. 121, n. cat. 147, tav. 60 (House of Many Colours). Frammenti dell’Agorà di Atene : Bruno 1969, p. 306 ; p. 316 sg., tav. 69, figg. 8-10. Differente è il caso degli altri esempi di decorazione 3

Fig. 14. Frammento di intonaco marmoreggiato.

sto a cornici e modanature varie. La riproduzione a rilievo di blocchi sagomati compare invece a partire dal iii sec. a.C. e ha grande diffusione, in particolare, dalla fine del secolo in tutto il mondo ellenistico : è ampiamente documentata, per citare solo alcuni tra gli esempi più celebri, nelle abitazioni di Delo, 5 parietale a rilievo citati da Bruno per il iv sec. a.C. I frammenti dal Ceramico di Atene rinvenuti nei pressi del Pompeion (Wirth 1931, p. 33 sgg. ; Bruno 1969, p. 311 ; Hoepfner 1976, p. 103 sg. ; Laidlaw 1985, p. 40), sono attribuiti non all’impianto originario, ma al restauro di una delle sale da banchetto nei primi decenni del i sec. a.C. Anche per lo Hieron di Samotracia (ultimo quarto del iv sec. a.C.) è molto probabile che la decorazione delle pareti in Primo Stile sia pertinente alla ricostruzione del terzo quarto del ii sec. a.C. (Lehmann 1964, p. 277 sgg. ; Lehmann 1969, p. 138 sgg. ; p. 204 sgg., tav. cvi ; Bruno 1969, p. 306 ; p. 314 sgg., tav. 70, fig. 7 ; Guldager Bilde 1993, p. 156 sg.). 5 Chamonard 1924, p. 357 sgg. ; Bezerra de Meneses 1970, p. 151 sgg. ; Bruno 1985 ; Laidlaw 1985, p. 35 sgg. ; Andreou 1989, p. 50 sgg., cat. 30-115.

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chiara pilo attestazioni di pavimento seminato a scaglie, quello quasi integralmente conservato nel vestibolo. 9 Inutile dire che la datazione è ancora una volta basata sull’assunto della distruzione e dell’abbandono di Gela nel 282 a.C. 10 Se il criterio stilistico non garantisce la cronologia di un mosaico, per determinare la quale è più indicativo il contesto archeologico, il ricorrere del motivo del doppio meandro composito a Delo, Morgantina, Olimpia, Pompei, Rabat (Malta), 11 in contesti cioè di piena età ellenistica, unitamente ai dati emersi sulla decorazione delle pareti, diventa un elemento significativo per proporre una datazione più bassa del mosaico stesso, 12 inserito probabilmente nel corso di una ristrutturazione successiva dell’abitazione che deve aver interessato in primo luogo i rivestimenti parietali e pavimentali. Un breve accenno, per concludere, agli altri elementi della decorazione architettonica rinvenuti all’interno dell’andron. Certamente non sono pertinenti all’ambiente i gocciolatoi in pietra arenaria a forma di pistrice [Fig. 16] che erano stati in passato attribuiti all’ipotetico impluvium, 13 ma che potrebbero trovare una collocazione più adeguata in uno spazio aperto, forse la probabile corte della casa che a questo punto possiamo immaginare porticata. Il particolare soggetto è riproposto da altri gocciolatoi, questa volta in terracotta, provenienti dall’abitato di Reggio e datati al iii sec. a.C. 14 I frammenti di cornice marmorea a dentelli dovevano far parte della decorazione delle finestre o, più probabilmente, della porta, 15 mentre rimane incerta la collocazione del semicapitello corinzio-italico 16 [Fig. 17]. Anche in questo caso si entra nell’ambito di un’ampia e discussa problematica, quella relativa alFig. 15. Frammenti di intonaco grigio che riproducono blocchi sagomati. l’origine e diffusione del capitello corinzio-italico, rispetto alla quale il singolare esemplare di Gela, con doppia corona di foglie d’acanto sormontata da una palmetta tra due volute, viene posto 1 2 3 Priene, Eretria – nella fase di metà II sec. a.C. –, Pergamo, tra gli esemplari più antichi dei capitelli corinzio-sicelioti, insiePompei, 4 Cosa 5 e anche in Sicilia, a Morgantina, Monte Iato e me ai capitelli di Siracusa e Tindari. 17 Questo gruppo rimane Solunto. 6 piuttosto distinto dalla restante produzione di Sicilia e la manTornando alla decorazione delle pareti della villa di Capo canza di confronti puntuali non ne rende facile l’inquadramento Soprano, la presenza di frammenti di blocchi sagomati a rilievo cronologico. La caratteristica palmetta centrale ricorda modelli che imitano la tecnica isodoma costituisce quindi un elemento di di età classica – come il capitello corinzio del tempio di Apollo datazione significativo per i rivestimenti parietali – se non altro a Bassae 18 – che avvalorano la possibilità della pertinenza del per una parte di questi – la cui realizzazione sembra doversi colcapitello alla prima fase dell’abitazione. Non è tuttavia da sotlocare almeno nel corso del iii sec. a.C., difficilmente comunque tovalutare una forte affinità con alcuni capitelli tarantini, in reprima della distruzione di Gela. lazione ai quali è stato proposto di dover leggere un rapporto di L’indizio di una decorazione in primo stile delle pareti riadipendenza. 19 La datazione tradizionale dei capitelli di Taranto pre anche il problema sulla datazione dei rivestimenti musivi. tra 330 e 270 a.C. è ormai stata spostata ad un arco cronologico Senza entrare in merito all’acceso dibattito sull’introduzione più ampio che va dal iv al ii sec. a.C. 20 e l’elemento decorativo del tessellato in Sicilia, 7 ma associandosi a quanti ritengono della palmetta non sembra essere estraneo anche ad esemplari decisamente poco plausibile un primato siciliano nell’elaborapiù tardi, tra cui un capitello di lesena di cui è ritenuta molto zione di questa tecnica, è sufficiente ricordare che il mosaico a meandro che decora la soglia dell’andron di Gela è chiamato 9 Adamesteanu 1956, p. 346. Per i seminati a scaglie : Joly 1997, p. 34. in causa nella diatriba come primo esempio di tessellato nel10 Boeselager 1983, p. 24 sgg. ; Panvini 1997, p. 159 sgg. 11 l’isola. 8 A questo si assocerebbe anche una delle più antiche Ovadiah 1980, p. 102. 1

Wiegand-Schrader 1904, p. 308 sgg. ; Wartke 1977, p. 21 sgg. ; Andreou 1989, p. 131 sgg., nn. cat. 161-162. 2 Reber 1998, p. 115 sgg. 3 Radt 1999, p. 108, figg. 56-57 ; Andreou 1989, p. 126 sgg., nn. cat. 154-158. 4 Laidlaw 1985. 5 Bruno 1969, p. 305 sg. ; Bruno-Scott 1993, p. 22 sg. ; p. 86 ; p. 88 ; p. 100 sgg. ; p. 131 sgg. 6 Morgantina : Sjöqvist 1960, p. 131 sg. ; Tsakirgis 1997, p. 81 (Casa di Ganimede) ; Casa della Cisterna ad Arco : Sjöqvist 1961, p. 279 ; Guldager Bilde 1993, p. 163, fig. 4 ; p. 164, fig. 6 ; Tsakirgis 1997, pp. 131, 138 sg. (Casa della Cisterna ad Arco) ; Sjöqvist 1958, p. 160 ; Guldager Bilde 1993, p. 163, fig. 3 ; Tsakirgis 1997, p. 195 (Casa dei Capitelli Tuscanici). Monte Iato : Brem 2000, p. 29 sgg. ; p. 116 sgg. (datati tra fine iv sec. a.C.-prima metà iii sec. a.C. La datazione della Peristylhaus 1 di Monte Iato rimane comunque controversa. Da ultimo vedi Campagna 2003, p. 10). Solunto : De Vos 1975, p. 195 sgg. ; Wolf 2003, p. 49 ; p. 54. 7 Si veda a proposito : Levi 1947, p. 4 ; Phillips 1960, p. 245 sgg. ; Darmon 1981, p. 286 ; Salzmann 1982, p. 75 sgg. ; Boeselager 1983, pp. 26 sgg., 77 ; Daszewski 1985, p. 182 ; Bruneau 1988, p. 19 ; Tsakirgis 1989, p. 395 sgg.; Johannowsky 1997, p. 581 sgg. ; Baldassarre 1994, p. 435 sgg. ; Dunbabin 1994, p. 26 sgg. ; Dunbabin 1995, p. 807 ; Brem 2000, p. 121 sgg. 8 Per la bibl. relativa al mosaico vedi supra nota 3 p. 154.

12 Una datazione più bassa, nel corso del iii sec. a.C., è stata già suggerita da Salzmann 1982, pp. 73 sg., p. 122 n. 157 tav. 92, 4. 13 Adamesteanu 1956, p. 346 ; p. 349, figg. 7-8 ; p. 354 ; Orlandini 1957, p. 163 sg., tav. lxv, 1 ; Panvini 1996, p. 111, tav. 54 ; Panvini 1997, p. 160, fig. 4 ; Panvini 1998, p. 148, n. iii.26. 14 Spadea 2003, fig. a p. 94. 15 Citati in Adamesteanu 1956, p. 354. Due frammenti sono attualmente esposti al Museo Regionale di Gela. 16 Adamesteanu 1956, p. 346 ; p. 350, fig. 9 ; p. 354 ; Orlandini 1957, p. 164, tav. lxvi, 1 ; Lauter-Bufe 1987, p. 4 sg. ; p. 65 sgg., tav. 1a-b, 3a ; Panvini 1997, p. 160 ; Panvini 1998, p. 147, n. iii.25. 17 Lauter-Bufe 1987, p. 5 sgg., tavv. 2, a; 3 b (capitello di Siracusa) ; p. 9, tavv. 2 b; 3 c (capitello di Tindari) ; p. 65 sgg. (inquadramento cronologico e tipologico dei tre esemplari). In generale sulla classe dei capitelli corinzio-italici si veda : Gütschow 1921, p. 44 sgg. ; Fagerlind 1932, p. 118 sgg. ; Ziino 1941, p. 39 sgg. ; Weickert 1944, p. 205 sgg. ; Pensabene 1973, p. 203 sg. ; Drerup 1974, p. 91 sgg. ; Cocco 1977, p. 57 sgg. ; Delbrüch 1979r, p. 157 sgg. ; De Maria 1981, p. 575 sgg. ; Lauter-Bufe 1987 ; Villa 1988, p. 36 sgg. ; Wilson 1990a, p. 72 sg. 18 Roux 1961, p. 43 sgg., tav. 17 ; Bauer 1973, p. 14 sgg., tavv. 1-19 ; allegati 4-8. 19 Lauter-Bufe 1987, p. 66 sgg., tav. 48, a-c. 20 Sul problema della datazione dei semata della necropoli di Taranto : Lippolis 1994, p. 109 sgg., in particolare p. 122 sg.

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Fig. 16. Gocciolatoio in pietra a forma di pistrice.

Fig. 17. Semicapitello corinzio-italico (da Lauter-Bufe 1987, tav. 1a).

probabile la pertinenza ad una tomba con corredo databile tra l’inizio e la metà del ii sec. a.C. 1 Ricapitoliamo brevemente quanto emerso dal riesame delle strutture e del materiale. Alla seconda metà del iv sec. a.C. risale l’impianto generale dell’abitazione, con il caratteristico andron con piattaforma perimetrale sopraelevata. Il materiale – anfore, ceramica a vernice nera, ceramica siceliota a figure rosse e ceramica tipo Gnathia – conferma una fase di vita dell’abitazione tra seconda metà del iv e inizi del iii sec. a.C. Meno evidente è invece la cesura fissata tradizionalmente al 282 a.C., in concomitanza della distruzione di Gela, dal momento che alcuni materiali sembrano poter attestare una continuazione d’uso nel corso del iii sec. a.C. Comunque, che ci sia stata o meno un’interruzione nella frequentazione di vita dell’abitazione con la distruzione della città ad opera di Finzia, diversi indizi consentono di ipotizzare una ristrutturazione della casa nel iii sec. a.C., forse più verso la seconda metà del secolo : a questa fase risalgono le decorazioni parietali e molto probabilmente i rivestimenti musivi, in primis il mosaico a meandro che decora la soglia dell’andron. Non è inoltre da escludere completamente la possibilità che la casa continui ad essere abitata anche nel corso del ii sec. a.C., come sembrerebbe documentare la presenza di ceramica a vernice nera più tarda. In ultimo una considerazione di carattere terminologico. La denominazione di “villa” – per quanto utilizzata anche per le dimore extraurbane di Olinto – potrebbe indurre nell’equivoco di leggervi un richiamo al tipo della villa romana. Nonostante ristrutturazioni successive, è chiaro che il modello dell’abitazione di Gela è quello della casa greca, ma si è ritenuto opportuno continuare ad utilizzare la denominazione di “villa di Capo Soprano” dal momento che è quella ormai da tempo invalsa nella letteratura archeologica. Il fatto che nella casa di Capo Soprano ancora nel corso del iii sec. a.C., venga mantenuto un ambiente come l’andron, caratteristico di una tipologia edilizia ormai per l’epoca sorpassata e antiquata, non deve sorprendere più di tanto se a Delo nella Maison de l’Hermes, datata con sicurezza alla metà del ii sec. a.C., tra gli ambienti che si affacciano da nord sul peristilio è presente un andron con piattaforma rialzata e decorazione parietale in primo stile. 2 Evidentemente in questo caso, unico tra tutte le abitazioni di Delo, la banchina perimetrale sopraelevata è frutto di una scelta volutamente arcaizzante del proprietario. Tanto più comprensibile è quindi il permane di questa nella ristrutturazione dell’andron di Gela, dove non deve essere stata

aggiunta ex-novo nella fase più tarda, ma doveva far parte già dell’impianto originale di iv sec. a.C. Chi è che commissiona quindi la ristrutturazione dell’elegante dimora ? Non lo sappiamo, ma qualche suggestione è possibile proporla alla luce degli avvenimenti che seguono la riorganizzazione della Sicilia già dopo il 241 a.C. e, in particolare, dopo la presa di Siracusa del 211 a.C. Proprio in relazione alle vicende di quegl’anni le fonti attestano la pratica da parte dei Romani di ricompensare chi avesse appoggiato Roma contro le città siciliane ostili proprio con la concessione di terre e di case nei territori conquistati, oltre al privilegio della cittadinanza. Racconta Livio che al siracusano Soside e all’ispanico Merico furono concessi la cittadinanza e cinquecento iugeri di terra ciascuno, al primo per aver fatto da guida alle guarnigioni che entrarono notte tempo a Siracusa, al secondo per aver consegnato Nasso ; in particolare, viene specificato, a Soside furono assegnate le terre nel territorio siracusano, che era stato del re o dei nemici del popolo romano, e a Siracusa la casa di chiunque volesse di coloro che erano stati condannati in base al diritto di guerra. 3 Nel nostro caso nome e origine del proprietario sono destinati a rimanere sconosciuti. Italico o siceliota che fosse, è chiaro che si tratta di un personaggio eminente, che verosimilmente deve la sua posizione di prestigio a stretti rapporti con le nuove forze di potere in campo, in ultima analisi con Roma stessa. La posizione suburbana, che costituisce un’ulteriore conferma della qualità alta del proprietario, svincola l’abitazione dal più complesso problema della struttura urbana di Gela nel periodo successivo alla distruzione della città. Il fatto che la casa, situata fuori dal circuito delle mura di Capo Soprano, abbia una continuità di frequentazione oltre il 282 a.C. non implica necessariamente che la vita continui anche all’interno della città. Non mancano comunque dati sulla base dei quali è plausibile rivedere e forse attenuare il quadro di totale abbandono che viene tradizionalmente delineato per Gela dopo i primi decenni del iii sec. a.C. Anche se in quantità piuttosto limitata, nella città sono stati rinvenuti materiali successivi alla fatidica data del 282 a.C., tra cui ceramica di tipo caleno, coppe megaresi, unguentari fusiformi e monete di Ierone II e dei Mamertini. 4 Anche nelle fonti più tarde il nome di Gela non sembra scomparire del tutto. I Geloi sono citati da Cicerone nelle Verrine tra gli abitanti delle città danneggiate dal governo di Verre 5 e, in un secondo passo, tra coloro a cui Scipione, dopo la conquista di Cartagine, restituì le opere d’arte in passato depredate dai Cartaginesi. 6 Dando per scontato l’abbandono ormai definitivo della città nei momenti storici a cui fa riferimento Cicerone, questi Geloi vengono

1 Lauter-Bufe 1987, tav. 48, a-c. Il capitello di lesena (inv. 117364) è solo citato in Colivicchi 2001, p. 96, dove è invece pubblicato il corredo della tomba. Si ringrazia l’autore per il suggerimento. 2 Pesando 1997, p. 329 sgg., in particolare sull’andron p. 332 fig. 93 ; Trümper 1998, p. 234 sgg. Sulla cronologia : Kreeb 1985, p. 93 sgg.

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identificati con gli antichi abitanti di Gela trasferiti e insediati a Finziade. 1 La spiegazione sembra però essere smentita dalla notizia di Plinio il Vecchio che nel iii libro della Naturalis Historia, nella lista delle comunità della Sicilia, annovera tra quelle tributarie tanto i Gelani che i Phintienses, come entità ben distinte e differenziate. 2 Certamente Gela dopo la distruzione del 282 a.C. non tornerà mai al grande splendore passato e il suo peso nel quadro politico sarà praticamente inconsistente. Questo non toglie che – se pur nel generale stato di abbandono che secondo Strabone caratterizza, rispetto ai tempi antichi, l’intera costa meridionale della Sicilia 3 – più di un dato sembra confermare una certa continuità di vita a cui non sono estranee forme di rioccupazione e isolate testimonianze di prestigio, come la casa di Capo Soprano, e in cui un ruolo non secondario deve aver giocato lo sfruttamento agrario del territorio, tanto rilevante nella politica economica di Roma in Sicilia.

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Veder greco 1988 = Veder greco. Le necropoli di Agrigento (Mostra Agrigento 1988), Roma, 1988. Villa 1988 = A. Villa, I capitelli di Solunto, Roma, 1988. Wartke 1977 = R.-B. Wartke, Hellenistische Stuckdekorationen aus Priene. Ein Beitrag zur Geschichte der hellenistischen Wanddekoration « FuB », xviii, 1977, pp. 21-58. Weickert 1944 = C. Weickert, West-Östliches, « mdai(r) », 59, 1944, pp. 205-219. Wiegand-Schrader 1904 = Th. Wiegand-H. Schrader, Priene, Berlin, 1904.

Wilson 1990 = R. J. A. Wilson, Sicily under the Roman Empire, The archaeology of a Roman province, 36 bc-ad 535, Warminster, 1990. Wilson 1990a = R. J. A. Wilson, Roman Architecture in a Greek World : the Example of Sicily, in Architecture and Architectural Sculpture in the Roman Empire, ed. M. Henig, Oxford, 1990, pp. 67-90. Wirth 1931 = F. Wirth, Wanddekorationen ersten Stils in Athens, « am », 56, 1931, pp. 33-58. Wolf 2003 = M. Wolf, Die Häuser von Solunt, Main am Rhein, 2003. Ziino 1941 = V. Ziino, Riflessi architettonici italici in Grecia. Studi sul capitello, in Atti del iii Convegno Nazionale di Storia dell’Architettura, Roma 1938, xvi, Roma, 1941, pp. 39-60.

Alessia Mancini ARCHITETTURA DOMESTICA A MORGANTINA

I

l pianoro di Serra Orlando, che ospita la città di Morgantina, si trova ai margini settentrionali del territorio siracusano, ad ovest di Catania e di Leontini. Bagnato dai fiumi Gornalunga e Dittaino, è caratterizzato da una morfologia collinare che ha determinato l’assetto urbanistico della città. Morgantina fu favorita dalla sua posizione che dominava la strada che da Catania attraversava la valle del Gornalunga e, girando verso sud, conduceva fino a Gela. Inoltre l’antica strada metteva in comunicazione le città della costa meridionale – Gela, Siracusa e Agrigento – con quella settentrionale. 1 Morgantina è stata identificata e indagata da una missione dell’Università di Princeton a partire dal 1955. 2 Gli scavi sono stati editi solo in forma preliminare nell’American Journal of Archaeology, mentre solo alcune classi di materiali – terracotte e monete –, nonché l’insediamento protostorico, le fornaci e infine la necropoli arcaica sono stati pubblicati in modo definitivo nella serie « Morgantinian Studies ». 3 Il pianoro, che si estende da sud-ovest a nord-est, nella sua parte settentrionale è occupato da una collina, detta Cittadella, separata dall’area centrale, sulla quale sono state individuate tracce di una frequentazione ascrivibile all’età del Bronzo. 4 La Cittadella continuò ad essere frequentata anche in età arcaica, verosimilmente con funzione di Acropoli. 5 Diodoro Siculo ricorda la conquista della città da parte di Ducezio avvenuta nel 459 a.C. : 6 tale notizia storica è stata riferita dagli scavatori ad una vera e propria rifondazione che avrebbe impiantato la città non più sulla Cittadella ma sul pianoro. 7 A questa fase si riferirebbe la creazione di un impianto urbano che imita il sistema ortogonale adottato dalle città greche della costa. 8 Fino alla metà del iv sec. a.C. si hanno scarse informazioni sulla frequentazione della città, quando da Tucidide apprendiamo che il controllo di Morgantina nel 423 a.C. passò da quello di Siracusa a quello di Camarina tramite il pagamento di una certa somma. 9 L’insediamento fu distrutto nel 396 a.C. da Dionigi I di Siracusa, e il sito rimase almeno apparentemente disabitato fino alla seconda metà del iv secolo a.C. 10 Da Diodoro Siculo infine sappiamo che Agatocle nel 317 a.C. arruolò nel suo esercito “quelli di Morgantina”. 11 Ad epoca timoleontea si daterebbe una significativa ridefinizione degli spazi pubblici : risalirebbero a quest’epoca, secondo gli scavatori, alcuni degli edifici principali dell’agorà come il santuario centrale, la Stoà nord, quella sud nel loro aspetto originario. 12 Tuttavia il momento di maggiore sviluppo della città è solitamente assegnato dagli studiosi al periodo ieroniano quando Ierone II, divenuto tiranno di Siracusa, donò alla Sicilia orientale un lungo periodo di prosperità. 13 Dunque 1

Erim 1958, pp. 89-90. Nel corso degli anni hanno colleborato le Università dell’Illinois, della Virginia e di Wesleyan. 3 Per quanto riguarda le terrecotte: Bell 1981 ; per le monete Buttrey, Erim, Groves, Holloway, 1989 ; per l’insediamento protostorico Leighton 1993 ; per le fornaci Cuomo di Caprio 1992 ; le necropoli arcaiche Lyons 1996. 4 Per la fase preistorica si veda Allen 1973, p. 146 sgg. 5 6 Sjöqvist 1958b, pp. 156-158. D. S. xi 78, 5. 7 Bell 1985, pp. 504-505, ipotesi già avanzata da Sjöqvist 1958b, p. 156 e da Stil8 lwell 1959, p. 172. Bell 1980, p. 195. 9 Th. iv 65, 1. 10 11 D. S. xi 78, 6. D. S. xix 6, 2-3. 12 E. Sjöqvist si sofferma sull’analisi delle fonti letterarie nelle quali si tace il rapporto tra Timoleonte e Morgantina, pur tuttavia secondo lo studioso vi sarebbero validi elementi per poter affermare il contrario : Sjöqvist 1958a, p. 107 sgg. ; sullo stesso argomento Bell 1988, pp. 338-339. 13 Sull’immagine della Sicilia in questo periodo storico restituita dagli studi si veda il recente contributo di L. Campagna (Campagna 2003, p. 7 sgg.). 2

gran parte degli edifici sia pubblici che privati, come vedremo in seguito, sono attribuiti a quest’epoca. 14 Una netta cesura di questo periodo particolarmente florido sarebbe rappresentata da un momento storico ben preciso, ossia quando Roma nel 211 a.C conquistò e saccheggiò Morgantina, punita perché durante la II guerra punica passò dalla parte cartaginese. 15 Dopo la distruzione, Morgantina fu assegnata dal Senato di Roma ai mercenari ispanici, per sedare il loro malcontento dovuto alla partenza di Marcello senza il loro contingente. 16 Per quanto riguarda il II secolo la città, poco prima delle due rivolte schiavili del 141-132 a.C. e del 104-101 a.C., viene descritta da Diodoro come pacifica e prospera. 17 L’agorà fu rioccupata e modificata infatti sembra che l’ultima fase della stoà settentrionale, secondo la Stone, e con certezza l’erezione del macellum siano da ascrivere alla metà del ii secolo a.C. 18 Tanto più che dallo studio fatto sempre dalla Stone sui manufatti appare chiaro che l’attività dell’industria ceramica doveva essere piuttosto florida in questo periodo come anche nel secolo successivo. 19 Esigue informazioni si hanno riguardo il i secolo a.C., quando Morgantina è annoverata da Cicerone tra le città depredate da Verre e da Plinio è menzionata tra le città stipendiarie. 20 L’epilogo della vicenda insediativa è stato ricollegato agli eventi che coinvolgono la Sicilia negli anni 30 del i secolo a.C. ed in particolare al 35 a.C. quando Sesto Pompeo venne cacciato dalla Sicilia da Ottaviano. 21 Morgantina, in ogni caso, è menzionata ormai da Strabone come una città morta. 22 Tali notizie delle fonti letterarie sono state lette in parallelo a quanto restituito dalla documentazione archeologica : la Stone segnala tracce evidenti di abbandono seguiti da effimeri segni di rioccupazione e ricostruzione negli ultimi dieci anni del i a.C., come ad esempio il pavimento di uno dei peristili della Casa della Cisterna ad Arco, e vari ritrovamenti di monete imperiali nella collina Ovest, nonché diversi rifacimenti nell’agorà concentrati in particolare nei pressi della fontana monumentale e nell’agorà sud. 23 L’impianto della città (Fig. 1) si segnala per una serie di peculiarità che lo differenziano rispetto ai canonici impianti regolari di età tardo-classica : infatti se si può parlare di ortogonalità nel quartiere occidentale, situato sulla collina Trigona, che vede due plateiai che corrono da est a ovest intersecanti con stenopoi in modo da formare un angolo retto, questo non si può certo dire per l’agorà e per il quartiere orientale. Questi ultimi non sono disposti ortogonalmente alle strade del quartiere ovest, tanto più che l’agorà, sfruttando la depressione naturale della valle, si adatta alla morfologia del terreno assumendo così una conformazione trapezoidale. Anche il quartiere est, eretto sulla collina Boscarini, non presenta una assoluta regolarità, così la strada che corre da nord a sud lungo la collina non è esattamente parallela a quella che corre nella stessa direzione nell’altra collina. 24 Ma la lettura di questo quartiere è compromessa anche dal fatto che è stato solo parzialmente scavato. 14

Bell 1988, p. 312 con bibliografia. Liv. xxvi 21. Sulle vicende storiche che coinvolgono Morgantina in questo periodo: anche Marino 1988, pp. 81-82. 16 Liv. xxvi 21, 12 e 17. 17 D. S. xxxiv-v 2 ; Finley 1975, pp. 137-146 ; Serrati 2000, p. 109 sgg. 18 Stone 1984, pp. 4 e 59 ; Nabers 1967, pp. 126-142, con bibliografia. 19 Stone 1984, p. 4 sgg. 20 Cic. Verr. ii 3, 18 e 43 ; Plin. nat. iii, 8, 91 ; Wilson 2000, p. 134 sgg. 21 22 Wilson 1990b, p. 33 sgg. Strab. vi, 2, 4. 23 Stone 1984, pp. 11 e 66. 24 Per quanto riguarda l’aspetto urbanistico della città si veda l’introduzione della Tsakirgis 1995 e Bell 1985, pp. 501-520 con bibliografia. 15

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alessia mancini

Fig. 1. Morgantina. Planimetria della città (da Sposito 1995).

La singolarità dell’impianto della città è dovuta a vari aspetti uno dei quali è certamente la morfologia del territorio. Il rapporto stesso tra le diverse zone della città non sembra essere facilmente rintracciabile dal momento che fino ad ora non risulta alcun collegamento tra il quartiere orientale e l’agorà, mentre quest’ultima a nord è collegata alla collina occidentale tramite una strada lastricata che, superando il dislivello della collina, raggiunge il quartiere residenziale. Dunque la sistemazione dei vari blocchi che compongono la città non sembra essere così regolare e la distribuzione stessa degli edifici presenta delle peculiarità difficilmente rintracciabili in aree note come nelle città coloniali greche. 1 Perciò la forma leggermente trapezoidale dell’agorà è regolarizzata dalle stoai che vanno a chiudere i suoi lati est, ovest e nord mentre la zona sud, delimitata dalla cinta di fortificazione della quale sono conservati alcuni tratti, rimane aperta. La parte settentrionale e meridionale dell’area pubblica risultano nettamente separate dal momento che tra le due vi è un notevole dislivello (4,50 m) superato da una gradinata, i cui lati formano un mezzo esagono, identificata con un ekklesiasterion, ma che poteva avere anche funzione sacra in relazione con il vicino santuario attribuito alle divinità ctonie. 2 La distinzione tra le due aree sembra essere anche di carattere funzionale, infatti, in quella nord sembrano concentrarsi edifici di carattere politico, come il prytaneion sul lato occidentale, mentre in quella sud strutture di carattere commerciale e sacro come il santuario delle divinità ctonie appena citato e due granai. 3 Sempre a sud ma sul versante occidentale è situato il teatro di forma trapezoidale, aperto sul santuario. 4 1 2 3 4

Martin-Pelagatti-Vallet-Voza 1980, p. 734. Kolb 1975, p. 226 sgg. ; Stillwell 1965, p. 579 sgg. ; Allen 1970, pp. 363-364. Bell 1985, p. 506. Stillwell 1965, p. 579 sgg.

Gran parte degli edifici che compongono l’agorà sono attribuiti al periodo della dominazione ieroniana, quindi entro la metà del iii secolo a.C., tranne il macellum, situato al centro dell’agorà superiore ma spostato verso est e con orientamento diverso rispetto agli altri edifici, che, come accennato precedentemente, è stato datato alla metà del ii a.C. Tuttavia la sistemazione dell’agorà, con il suo aspetto fortemente scenografico ricorda quella delle città ellenistiche del tipo pergameno, 5 piuttosto che quello delle colonie greche sulla costa. In effetti un confronto attinente in ambito siciliano sembra essere quello di Eloro (Fig. 2), dove l’area santuariale di Demetra ha una forma trapezoidale limitata a nord e a est da edifici porticati e con tempio dedicato a Demetra nella parte sud, che nel ii secolo assume caratteri monumentali. 6 In ambito greco sembra invece interessante il confronto con Licosoura (Fig. 3) dove nel santuario della Dèspoina vi è una gradinata di tipo teatrale posta lungo il lato sud del tempio e al termine di una discesa, 7 sistemazione che ricorda quella appena descritta di Morgantina. L’inquadramento cronologico proposto dagli scavatori per gli edifici pubblici sembra risentire molto del condizionamento dovuto al termine cronologico del 211 a.C., anno della conquista romana, in cui gli studiosi hanno individuato l’inizio di un inesorabile decadimento e depauperamento della città. In questa sede non si tornerà sull’architettura pubblica ma ci si soffermerà piuttosto su quella privata, dove tale rigido schema cronologico, determinato da un approccio combinatorio tra dati delle fonti e documentazione archeologica, si avverte in maniera ancora più evidente. 5 Il richiamo all’urbanistica ellenistica è accennato da Bell stesso: Bell 1985, p. 517. Per l’architettura ellenistica e Pergamo in particolare: Lauteer 1986, pp. 78-79. 6 Voza 1981, pp. 686-688. 7 La descrizione del santuario riferita da Pausania viii, 37, 1-10 è stata confermata da quanto messo in luce dagli scavi archeologici : Jost 1985, pp. 172-178, con bibliografia.

architettura domestica a morgantina

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Fig. 3. Licosura. Santuario di Despoina (da Orlandini 1970).

Fig. 2. Eloro. Planimetria generale della città (da Voza 1981).

Gli edifici privati finora scavati si trovano sulle due colline che cingono a est e a ovest l’agorà (Fig. 1). Quella orientale, frequentata già dal v secolo a.C. anche se non vi sono strutture pertinenti a questa fase, 1 è occupata dalle case del Tesoretto d’argento, del Capitello Dorico e di Ganimede, tutte erette in una posizione dominante rispetto all’agorà. 2 Si può ben vedere come la Casa del Capitello dorico sia disposta in modo da dominare l’agorà ed averla come principale punto di riferimento. A questo proposito è emblematico il fatto che il peristilio, al centro della casa, sia rivolto proprio verso la piazza della città. Così l’organizzazione degli ambienti sfrutta la morfologia della collina in modo che l’edificio è concepito su più terrazze. Simile appare la Casa di Ganimede (Fig. 1), 3 denominata in tal modo per la presenza di un mosaico con raffigurato il rapimento del fanciullo, eretta più a sud rispetto alla precedente, che si va a disporre sull’estremità della collina ma in modo diverso da quella del Capitello dorico, dal momento che sfrutta la sommità piana di questa, più che le sue pendici. La collina occidentale ha delle caratteristiche diverse dalla precedente. Prima di tutto, come già ricordato sopra ha un impianto più regolare, e inoltre non risulta essere stata frequentata prima del iii secolo a.C. 4 Le abitazioni costeggiano la plateia B a nord e a sud, ma gli ingressi principali delle case sono situati su uno degli stenopoi che in senso nord sud percorrono la collina intersecando la plateia, occupando isolati di 37,50 x 62 m. In alcuni casi un edificio privato, che spesso presenta botteghe aperte sulla strada, occupa l’intero isolato e in altri la sua metà, come si vede nella porzione occidentale. 5 Il fianco est della collina Trigona, è occupato da una serie di case di particolare importanza per le loro dimensioni e il ricco apparato decorativo come la Casa della Cisterna ad Arco, la Casa del Palmento e la Casa Pappalardo, ma rimangono sconosciuti, perché non scavati, gli isolati a ridosso dell’agorà. 6 Il settore occidentale inve1

Tsakirgis 1984, p. 421. Stillwell-Sjöqvist 1957, pp. 156-157 ; Sjöqvist 1958b, pp. 161-162 ; Tsakirgis 1984, pp. 46-70 ; Tsakirgis 1990, p. 427, cat. 1. 3 Sjöqvist 1960, pp. 130-133 ; Stillwell 1961, p. 280 ; Tsakirgis 1984, pp. 70-84 ; Tsakirgis 1989, pp. 397-400, cat. 1-3 e Tsakirgis 1990, pp. 428-429, cat. 10-15. 4 5 Tsakirgis 1984, pp. 119-125. Stillwell 1967, p. 245. 6 Casa della Cisterna ad Arco : Stillwell 1961, pp. 277-280 ; Sjöqvist 1962b, pp. 138-140 ; Tsakirgis 1989, cat. 5-9 ; Tsakirgis 1990, pp. 431-432, cat. 16-26. Casa 2

ce appare differente a causa della conformazione morfologica che caratterizza il terreno su cui le case si ergono. 7 Questo lato della collina è piuttosto scosceso al punto che gli ambienti delle case si trovano su piani diversi con dislivelli anche di un metro. 8 Sfortunatamente il terreno è franato per cui la lettura della planimetria delle case situate su questo lato risultano incomplete. Le uniche due case portate alla luce su questa area sono quella dei Capitelli Tuscanici e quella detta di Sud-Ovest. 9 Del tutto isolata sembra essere la cosiddetta Casa del Magistrato posta alle pendici occidentali della collina Trigona, nei pressi delle mura sud, inizialmente interpretata come edificio pubblico per la sua particolare pianta e per la magnificenza della facciata, ma poi ritenuta edificio privato. 10 Entrambi i quartieri residenziali sono stati datati, fin dalle prime scoperte pubblicate come resoconti preliminari nell’American Journal e poi ribadite dallo studio complessivo della Tsakirgis, al iii secolo a.C. con ristrutturazioni e rifacimenti nel corso del ii secolo a.C. e del i a.C., fatta eccezione per la Casa dei Capitelli Tuscanici la cui prima fase è datata nella metà del ii a.C. e per quella cosiddetta Pappalardo, dal nome dello scopritore, anch’essa attribuita al ii, 11 nonostante per tutte e due si parli di una fase di iii, i cui ritrovamenti però sono rimasti inediti. 12 Nell’impossibilità di poter esaminare nel dettaglio tutte le case, si è scelto di prenderne in considerazione due che sembravano meglio esplicare le problematiche inerenti l’architettura domestica a Morgantina, sia dal punto di vista dell’attribuzione del Palmento : Stillwell 1967, pp. 246-247 ; Tsakirgis 1984, pp. 171-177; Casa Pappalardo : Pappalardo 1884 ; Sjöqvist 1958b, p. 160 ; Stillwell 1961, p. 279 ; Stillwell 1967, pp. 246-248 ; Tsakirgis 1989, pp. 405-406, cat. 13 ; Tsakirgis 1990, pp. 431-432, cat. 33-39. 7 Per quanto concerne l’aspetto geomorfologico delle due colline si veda Sposito 1995. 8 Per le misure dei vari dislivelli che caratterizzano le due colline si veda in generale Tsakirgis 1984. 9 Per la Casa dei Capitelli Tuscanici : Sjöqvist 1958b, pp. 160-161 ; Tsakirgis 1984, pp. 186-206 ; Tsakirgis 1989, pp. 403-405, cat. 10-12 ; Tsakirgis 1990, pp. 432434, cat. 43-66. Per la casa di Sud-Ovest : Stillwell 1967, pp. 248-250 ; Tsakirgis 1990, p. 432, cat. 40-41. 10 Stillwell 1963, pp. 166-168 ; Sjöqvist 1964, p. 144 ; infine per una puntuale analisi delle strutture cfr. Tsakirgis 1984, pp. 210-228 e Pesando 1989, pp. 203-206. Per le decorazioni pavimentali : Tsakirgis 1989, p. 400, cat. 4 e Tsakirgis 1990, cat. 27-32. 11 Tsakirgis 1989, pp. 405-406, cat. 13 ; Tsakirgis 1990, pp. 431-432, cat. 33-39. 12 La Tsakirgis menziona anche il ritrovamento di ceramica a figure rosse che farebbe pensare ad una “frequentazione in età classica” (Tsakirgis 1984, pp. 123124). L’unico edificio privato nella collina occidentale la cui prima fase è datata con certezza nel iii secolo è la cosiddetta Casa delle Antefisse (Allen 1970, p. 362). La cronologia è stata definita in base al riempimento di una cisterna della casa costituito da antefisse con figura di Bendis confrontate con quelle rinvenute a Gela e quindi datate al iii a.C. (Orlandini 1957, p. 160).

170 alessia mancini cronologica che dell’interpretazione archeologica. La scelta è Infatti alcuni di essi (1, 2, 14) hanno il pavimento rivestito di un ricaduta su quella di Ganimede perché dagli scavatori attribuita tappeto musivo policromo, mentre in altri (11, 17) il pavimento al iii a.C. con fasi di vita che perdurano nel ii secolo a.C. fino è costituito dal banco roccioso, ma tutti hanno pareti intonacate e dipinte. Gli ambienti con mosaici sono di diverse dimensioni, all’inizio del i a.C., e sulla casa dei Capitelli Tuscanici in quanto esempio di quella che doveva essere, sempre secondo gli studiotuttavia sono ridotti e tutti quasi quadrati, inoltre quello più a si, l’edilizia privata nel ii secolo a.C. 1 sud (1) e quello più a nord (14) hanno la porta leggermente deLa Casa di Ganimede (Fig. 4), fortemente restaurata, 2 si centrata, aspetto che ha indotto con ragione gli studiosi a riteneaffaccia sul lato est della strada che doveva percorrere in senre che fossero due andrònes. 6 Il mosaico in opus tessellatum della stanza 14 (Fig. 5) (2,95 x so nord-sud il crinale della collina, in una posizione preminente rispetto all’agorà. L’ingresso era proprio su questo lato enfatiz2,95m), uno dei più noti e discussi per la sua elevata qualità stizato da un ampio vestibolo (21) il cui pavimento è costituito dal listica, è costituito da un pannello quadrato con la raffigurazione banco roccioso che emerge in vari ambienti della casa e sul quale del rapimento di Ganimede, unico motivo figurato presente nei mosaici finora noti di Morgantina, inquadrato da una doppia si impostano direttamente tutte le strutture. 3 A sud del vestibolo vi è una stanza (22) identificata con un bagno, probabilmente fascia : una campita da tessere bianche, l’altra più esterna è caratterizzata da un meandro prospettico, delimitato da tre file di con ragione, vista la presenza di una tubatura fittile che da sotto il peristilio passa nel piccolo ambiente per poi sfociare nella tessere rosse. 7 Le pareti dell’ambiente sono intonacate e dipin4 te, dalle tracce conservatesi è possibile ricostruire che vi fosse strada. Tramite il vestibolo si accede direttamente nel peristilio (22,35 x 8,9 m) di forma oblunga, orientato in senso nordovestun’articolata pittura caratterizzata da un plinto rosso con pansudest, così che il lato lungo è rivolto verso l’agorà. La vasca nelli rosa, rossi gialli, neri e azzurri. 8 Il mosaico successivo è quello che troviamo nell’ambiente 2 del peristilio è rivestita di un pavimento in opus spicatum mentre (2,63 x 2,65) in cui non vi è una scena figurata ma è comunque di quello del porticato è in signinum con motivo punteggiato ortoelevato livello stilistico. 9 Sulla soglia vi è una corona con estremità pendenti e cornice a tralcio d’edera, nel pannello centrale un campo in tessere bianche inquadrato da un meandro complesso. La tecnica è molto simile a quella del precedente anche per l’uso di tessere perfettamente tagliate per le foglie. 10 Anche in questa stanza si sono conservate tracce dei dipinti che decoravano le pareti. Lo zoccolo è rosso e diviso in verticale con linee incise a formare pannelli di varie dimensioni. Sopra sono dipinti in rosso e bianco blocchi con margini disegnati. Si conserva solo il primo filare. 11 Infine, l’ultimo rivestimento musivo noto nella Casa di Ganimede è quello situato nella stanza 1 (4,70 x 4,70 m), nel quale sulla soglia dovevano essere raffigurati animali fantastici, rimangono tracce di teste di grifi, ormai illeggibili ma notate dai primi scavatori, 12 incorniciate da un meandro prospettico, mentre invece nel pannello centrale ricorre il motivo ad onde correnti. 13 Le pareti non sembrano essere state dipinte ma solo intonacate. L’ambiente appena descritto è quello che da B. Tsakirgis viene identificato con l’oecus maior della casa, nel quale potevano Fig. 4. Morgantina. Casa di Ganimede (da Trümper 1998).

gonale. L’accuratezza dell’esecuzione conferma un’alta qualità dell’opera ma la pavimentazione non sembra uniforme su tutti e quattro i lati del portico, infatti, in alcuni punti si vede o un motivo decorativo differente o una sovrapposizione di pavimenti, indicando in tal modo fasi diverse della pavimentazione. 5 Nel peristilio vi sono due cisterne, una a nord sul lato est dello stilobate e una nel portico meridionale. Sui lati settentrionale e orientale si aprono una serie di ambienti, i quali si affacciano sul peristilio assumendo così una posizione di particolare rilevanza nella planimetria della casa. Questi possono essere tutti definiti ambienti di rappresentanza proprio per la loro posizione di rilievo rispetto alle altre stanze nonché per il tipo di decorazione sia pavimentale che parietale. 1 Per la descrizione architettonica degli edifici si fa rifarimento allo studio precedentemente citato di B. Tsakirgis (1984) e all’osserzione diretta delle strutture. 2 La maggior parte delle case di Morgantina sono state restaurate e in particolare gli ambienti con pavimenti mosaicati sono stati completamente ricostruiti. Attualmente alcuni ambienti non sono visitabili. 3 D’altronde la maggior parte degli edifici finora rinvenuti a Morgantina sfruttano il banco roccioso, sul quale le strutture si poggiano direttamente. 4 Sjöqvist 1960, p. 131. Come nota la Tsakirgis (1984, pp. 71-72), la posizione del bagno vicino alla porta, così da permettere una più facile evacuazione dell’acqua e della sporcizia, è molto comune nell’antichità. A questo proposito si veda ad esempio la Maison du Lac e de l’Inopos a Delo : Chamonard 1922, p. 182. 5 Per il rivestimento in signinum cfr. Tsakirgis 1990, p. 429, cat. 12-15.

Fig. 5. Morgantina. Mosaico di Ganimede (da Tsakirgis 1989). 6

Portale 1997, pp. 88-89. Phillips 1960, p. 243 sgg. ; Tsakirgis 1989, pp. 399-400, cat 3 ; Bonacasa 1995, p. 64 ; Portale 1997, p. 89. 8 Sjöqvist 1960, pp. 131-132. 9 10 Portale 1997, p. 90. Tsakirgis 1989, p. 398, cat. 2. 11 Sjöqvist 1960, p. 131. 12 A questo ritrovamento si deve il primo nome della casa, detta appunto dei Grifi : Sjöqvist 1958b, p. 162. 13 Tsakirgis 1989, p. 397 cat. 1 ; Portale 1997, p. 90. 7

architettura domestica a morgantina 171 precisi, e inoltre, in generale, sono di quantità esigua i materiali essere disposte nove klinai. Questa identificazione appare conceramici ritrovati nelle case. 8 Di seguito però la stessa studiosa, vincente non solo per il decentramento della porta, caratteristiriprendendo la documentazione degli scavi precedenti, in parte ca della sala da banchetto, ma anche per il tipo di decorazione editi, afferma che nel corso del consolidamento dei mosaici è musiva che prevede una fascia risparmiata lungo il muro assustata rinvenuta ceramica di iii secolo – tipo uno skyphos di stile mendo così la stessa funzione della banchina. 2 Ma è ipotizzabile Gnathia – e una moneta di bronzo attribuita a Ierone II, ritrovache anche gli altri due fossero stanze da banchetto per la forma menti ritenuti determinanti per l’attribuzione cronologica. 9 Ma comunque quadrata, anche se di dimensioni più piccole, e per sia la moneta che il frammento sono stati trovati non nella prela fascia risparmiata lungo le pareti, nonché per l’alta qualità parazione del pavimento bensì sotto, quindi si possono considedell’apparato decorativo. 3 D’accordo con la Portale, si può in effetti pensare che queste di dimensioni ridotte fossero destinate rare elementi utili per determinare il terminus post quem ma certo a ricevere il proprietario di casa e solo alcuni degli ospiti più non per datare con sicurezza la realizzazione stessa del pavimenimportanti. 4 to. 10 Già Sjöqvist aveva ritenuto fondamentale lo svuotamento Gli altri ambienti che si affacciano sul peristilio (17-11) anche di una delle due cisterne del peristilio dalla quale provenivano se hanno il pavimento in roccia sono ad ogni modo da ritenere monete, databili una, del tipo siracusano, nel 330 a.C., altre in di rappresentanza viste sia le notevoli dimensioni, la posizione età ieroniana e una dopo il 211 a.C. in quanto riporta la legenda preminente nella casa, nonché la decorazione parietale carattehispanorum. 11 Ma quest’ultima, secondo lo studioso, solo per rizzata da intonaco dipinto di bianco sul quale rimangono tracce caso sarebbe caduta nella cisterna, mentre le altre apparterrebdi riquadri incisi. bero al riempimento che daterebbe così la fine dell’uso della ciAd est della parte che si può definire di rappresentanza vi è sterna circa all’inizio del ii a.C. L’interpretazione della presenza l’alcova (10), identificabile per la presenza di una banchina rialdella moneta ispanica come casuale è confermata anche dalla zata, tuttora conservatasi, che occupa l’intera parete meridionaTsakirgis, la quale sostiene inoltre che da una seconda cisterna, le dell’ambiente. Addossati a questa, su un piano leggermente quella nel portico sud, proviene materiale, purtroppo inedito, rialzato si trovano tre ambienti (6-7-8), verosimilmente la parte precedente al 211 a.C. Ciò induce la studiosa a ritenere che nel dei servizi, a cui si accede tramite un corridoio inclinato verso ii secolo la casa non aveva più rifornimento idrico. 12 D’altronde ovest. Secondo gli scavatori nell’ambiente 13 vi dovevano esseammettendo una fase successiva al iii secolo, per i cambiamenti re le scale che conducevano al secondo piano, ma questo non è sopra citati, è portata ad affermare che il rifornimento idrico era confermabile. forse garantito da anfore che a mano venivano riempite nella Unici elementi aggiunti in un secondo momento sono i due fontana dell’agorà. Oppure, più plausibilmente, da condotti in muri del peristilio, uno che poggia sullo stilobate occidentale, piombo funzionanti con l’alta pressione dei quali non è stata troin direzione nordovest-sudest, andando a chiudere il vestibolo vata però testimonianza se non nel quartiere occidentale della creando così due accessi nella corte, uno da sud e uno da nord. città. 13 Questi elementi non sembrano essere convincenti dal L’altro che corre in direzione est ovest, legandosi con il muro momento che se per il riempimento di una cisterna, pur non esprecedente, divide in due parti diseguali il peristilio andando sendo verificabile, è ammissibile una chiusura per l’altra non lo così a ridurre le dimensioni della casa. Ma segni evidenti di risi può affermare con certezza. facimenti successivi sono anche l’erezione delle colonne di laLa Tsakirgis rafforza la sua ipotesi di datare l’edificio al iii terizio e la diversità dello spicatum tra la vasca settentrionale a.C. portando come esempio il fatto che nei rifacimenti succese quella meridionale del peristilio, più accurato nella prima e sivi, riguardanti in particolare la zona del peristilio, è evidente meno nella seconda, nonché il labbro della vasca stessa che nella un decadimento della qualità della realizzazione e che i muri qui porzione nord è sagomato mentre in quella sud è liscio come costruiti sono più stretti rispetto ai precedenti. Ma quest’ultimo quello che troviamo nella Casa del Capitello Dorico. Simile apaspetto non si può confermare, infatti le misure sembrano prespare anche la pavimentazione in spicatum dei peristili delle due soché identiche, e non credo, comunque che la differenza di spescase, ma in quella del Capitello Dorico questo presenta tessere sore tra i muri possa considerarsi un elemento distintivo. Anche bianche piuttosto grandi inserite in ordine regolare. Altri pavila considerazione stilistica non è convincente in quanto sembra menti in opus spicatum noti a Morgantina sono quelli della Casa riduttivo ritenere che l’abbassamento della qualità è necessariaPappalardo e del Palmento, datati dai primi scavatori nel ii e mente da attribuire posteriormente all’arrivo degli Ispanici. successivamente nel iii in base ad incerti ritrovamenti. 5 Inoltre il confronto planimetrico della Casa di Ganimede con La costruzione della Casa di Ganimede, anche se sembra esle abitazioni note a Delo, sembra pertinente, come è stato già sere certa la sua occupazione nel ii secolo a.C. fino al i secolo generalmente accettato, per cui non sembra essere giustificabile a.C. per la presenza di ceramica datata in questo arco di tempo una datazione così alta. 14 In effetti la planimetria della casa con il come frammenti di Campana C, 6 è stata datata dagli studiosi alla fulcro centrale costituito dal peristilio e una serie di ambienti di metà del iii secolo a.C. in base ad alcuni elementi che, ad un atrappresentanza che si dispongono liberamente intorno è proprio 7 tenta analisi, risultano essere abbastanza incerti. Innanzitutto la quella rintracciabile a Delo. La presenza del peristilio rettangoTsakirgis premette che la datazione dell’edificio rimane in ogni lare addotto come elemento discordante non sembra essere così caso difficile poiché le strutture murarie poggiano direttamente determinante, dal momento che anche a Delo sono presenti pesul banco roccioso, fatto che determina l’assenza di fosse di fonristili oblunghi, come ad esempio nella Casa di Kerdon e di Diodazione, il cui materiale avrebbe potuto fornire dati cronologici niso 15 (Fig. 6) abitazioni datate tra il ii e il i sec. a.C. 1

1

Per il calcolo delle dimensioni si veda Hoepfner 1996, p. 12. Banchine di questo tipo sono rintracciabili a Delo (Trümper 1998, p. 17) e in Sicilia stessa a Solunto (Devos 1975, p. 195 sgg.) e a Monte Iato (Brem 2000, p. 68 sgg.) 3 Portale 1997, p. 90, n. 17 confronta il mosaico dell’ambiente 2 con quello di Salemi appartenente anch’esso ad un ambiente di piccole dimensioni (Salzmann 1982, p. 124, cat. 165 ; Boeselager 1983, pp. 31-34). 4 Portale 1997, pp. 90-91. 5 Per l’edito sui due edifici si veda supra p. 169, n. 6. 6 Tsakirgis 1984, pp. 83-84 ; Tsakirgis 1990, n. 14. 7 Sjöqvist 1960, pp. 132-133 ; Phillips 1960, pp. 243-262 ; Tsakirgis 1984, pp. 70-84. In Stillwell 1961, p. 280 si accenna ad una fase di iv secolo a.C. della casa per il rinvenimento di un piccolo tesoretto con monete sircusane e una sculo-punica, ma non è specificato il luogo esatto del ritovamento e nelle edizioni successive non viene più menzionato. 2

8

Tsakirgis 1984, p. 82. Sjöqvist 1960, p. 132 ; Tsakirgis 1990, p. 428, n. 14. 10 Il problema era stato già accennato da Boeslager 1984. 11 12 Sjöqvist 1960, p. 131. Tsakirgis 1984, p. 84. 13 Tracce delle tubature in piombo sono state rinvenute nella Casa della Cisterna ad Arco : Tsakirgis 1984, pp. 340-341. 14 Tsakirgis 1984, De Miro 1996, pp. 36-38, Trümper 1998, pp. 85-86. 15 Sulla tipologia dei peristili presenti nelle case di Delo si vedano Chamonard 1922, p. 121 ; Trümper 1998, pp. 40-52. Per la Casa di Kerdon cfr. Trümper 1998, pp. 228-231 ; Chamonard 1922, pp. 126-127 ; la casa è datata posteriormente alla metà del ii a.C. (Bruneu 1968, pp. 641-642). Per la Casa di Dioniso, più lussuosa della precedente, datata in epoca tardo-ellenistica : Trümper 1998, pp. 301-303 ; Chamonard 1922, pp. 128-134. 9

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alessia mancini La stessa pittura parietale, ascrivibile al I stile e contestuale alla messa in opera dei pavimenti, come affermato anche dagli scavatori, è ampiamente attestata nel corso del ii secolo. 5 Detto ciò non è certo da escludere che vi siano state strutture pertinenti ad una abitazione di iii secolo ma è ipotizzabile che l’impianto che ora vediamo sia successivo, databile forse intorno alla fine del iii inizio del ii secolo a.C., con successive ristrutturazioni che come abbiamo visto modificano solo in parte l’aspetto della casa. Purtroppo a causa della lacunosità della documentazione si è perso il rapporto tra la struttura e i pavimenti che avrebbe permesso di compiere un’analisi più dettagliata e quindi di giungere a formulare ipotesi certe. La Casa (Fig. 7), cosiddetta dei Capitelli Tuscanici, situata sulla collina occidentale è molto mal conservata rispetto alla precedente, fatto che rende più difficile la comprensione di alcuni elementi dell’edificio. Inoltre la mancanza di planimetrie dettagliate, problema comune in realtà a quasi tutte le case di Morgantina, aggrava la situazione.

Fig. 6. Delo. Casa di Kerdon (da Trümper 1998).

Certo è che il caso di Morgantina presenta notevoli differenze rispetto alle case appena citate dal momento che il peristilio della Casa di Ganimede ha una forma particolarmente allungata, dovuta probabilmente all’esigenza di adattarsi alla cresta della collina che su questo punto è piuttosto stretta, e la casa stessa assume un’aspetto monumentale anche per la ricchezza dell’apparato decorativo. Altri elementi contribuiscono ad avvicinarci al tipo delio, come il fatto che non solo nella Casa di Ganimede ma in tutte le altre messe in luce, gli oeci maiores non hanno la banchina rialzata ma semplicemente una fascia risparmiata lungo il muro, esattamente come a Delo e diversamente invece ad esempio da Olinto ed Eretria nei quali la banchina è appunto rialzata di qualche centimetro dal pavimento. 1 A questo punto anche la datazione dei pavimenti diviene incerta infatti sono stati attribuiti al III secolo a.C. sottovalutando però quelle che erano le motivazioni che portavano a queste datazioni. Tanto più che risulta quanto meno strano vedere in Morgantina l’antecedente di tanti modelli che poi avranno ampia diffusione nel mondo greco e romano. 2 Altre case di Morgantina offrono un vasto repertorio di motivi decorativi nei mosaici, ma sembrano a mio avviso difficilmente databili a causa dell’incertezza dei dati di scavo. 3 Oltretutto l’elevata qualità stilistica del mosaico figurato dell’ambiente 14, considerato uno dei primi esempi di opus tessellatum, non sembra essere ascrivibile alla metà del iii.4 1 Per Delo: supra p. 171 n. 2; Olinto, prima metà iv a.C.; Robinson-Graham 1938, pp. 171-185; Eretria, nelle case più antiche datate all’inizio del iv sec. a.C.; Reber 1998, 134 sgg. 2 Per il repertorio decorativo dei mosaici : Kreeb 1988, p. 91, n. 349 ; Salzmann 1982, pp. 49 sgg. e 74 sgg. Ad esempio la decorazione a meandro complesso è nota ad Alessandria : Daszweski 1985, pp. 45-48 ; Delo : Bruneau 1972, pp. 54-55 ; Pompei : Blake 1930, pp. 71 e 84. 3 Dubbi espressi anche da Greco 1997, p. 40, n. 5. 4 E. C. Portale suggerisce una datazione comunque non posteriore al 211 a.C. anno della distruzione della città : Portale 1995, p. 159 ; per cronologie che tendono ad abbassare la datazione del mosaico : Salzmann 1982, pp. 60-62 ; von Boeslager 1984 ; Dunbabin 1994, pp. 29-30. Inoltre Daszewski sottolinea come il confronto con il mosaico di Shatby portato da Phllips non è pertinente per la diversa tecnica usata nonchè per la diversa resa pittorica, conclude infine che il mosaico con raffigurazione di Ganimede bene si inserisce nel quadro dell’età tardoellenistica : Daszewski 1985, pp. 108-109.

Fig. 7. Morgantina. Casa dei Capitelli Tuscanici (da Trümper 1998).

Nell’aspetto odierno la casa occupa la metà settentrionale di un’insula. Secondo la Tsakirgis vi sono strutture di iii secolo a.C. che sono state poi del tutto obliterate da quelle di ii a.C. Ciò sarebbe emerso da sondaggi compiuti nel 1960, 1961 e 1980 ma rimasti inediti, e la stessa studiosa non ha evidentemente la possibilità di descrivere i risultati dell’indagine. 6 I risultati degli scavi sono in ogni caso parziali poiché le indagini compiute nel 1966 nella porzione settentrionale, in particolare nei lati est e nord, non sono stati pubblicati. Oltre tutto la sezione occidentale della casa è in parte franata con il resto della collina, per cui è stata solo parzialmente ricostruita. Tuttavia dall’analisi planimetrica è possibile osservare che la casa è divisa in tre blocchi – est, nord e ovest – ciascuno dei quali ha come corpo centrale una corte che può avere diverse dimensioni. Le sezioni settentrionale e orientale hanno ognuna un ingresso situato sul lato ovest della strada. Quello della parte est è costituito da un ampio vestibolo con pavimento in cocciopesto, che conduce direttamente nella corte, come nella Casa di Ganimede e in quasi tutte quelle di Morgantina, intorno alla quale si aprono degli ambienti. La corte (11,30 x 7,10 m compresi i portici), pavimentata in cocciopesto con tessere bianche inserite e disposte in fila, del quale si è persa ogni traccia perché coperto da vegetazione, presenta 5 Le decorazioni parietali conservate a Morgantina sono caratterizzate da un plinto senza margini incisi, sopra vi può essere o meno una cornice orizzontale dipinta con colore contrastante. Sopra il plinto o la cornice vi sono blocchi con margine inciso. Bruno data le pitture della Casa di Ganimede alla metà del ii secolo a.C. non tanto per motivi di carattere stilistico quanto per le indicazioni stratigrafiche fornitegli da Sjöqvist, che sono quelle da me analizzate poco sopra (Bruno 1969, p. 305, n. 3). Sulla cronologia e la tipologia delle decorazioni di i stile inoltre Guldager Bilde 1993, pp. 151 sgg. e il contributo edito in questo stesso volume di C. Pilo, con 6 bibliografia. Tsakirgis 1984, p. 186.

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Fig. 8. Delo. Quartiere del Teatro (da Chamonard 1922).

al centro una vasca quadrata, con una colonna ad ogni angolo (4,20 x 4,30 m). La vasca, rivestita di laterizi, è delimitata da uno stilobate anch’esso in laterizi, del quale si è conservato solo il lato settentrionale. Una cisterna si trova lungo il lato ovest come testimonia il ritrovamento di un puteal. Sjöqvist aveva individuato nella corte un atrio tetrastilo attribuendo quindi alla casa caratteristiche tipicamente romane, 1 ma come ha già sottolineato la Tsakirgis, nulla della disposizione degli ambienti riporta in quell’ambito. 2 Infatti non sembra di poter rintracciare uno schema simmetrico e assiale nella disposizione delle stanze e gli elementi canonici della casa ad atrio come il tablinum, o le fauces o le alae sembrano assenti. 3 Sembra dunque di poter vedere piuttosto quello che si può definire un “peristilio di forma ridotta”, 4 noto a Delo nel Quartiere del Teatro 5 (Fig. 8), ma anche in ambito siciliano come ad Eraclea Minoa, 6 a Lilibeo nella casa di via Sibilla, datata al ii secolo a.C., 7 ad Agrigento nel Quartiere ellenistico-romano, 8 a Solunto, 9 e infine a Kossyra 10 (Fig. 9). Gli ambienti hanno tutti accesso dalla corte assumendo in tal modo una posizione di rilievo nella casa, importanza accentuata in alcuni casi dalle dimensioni di ciascun ambiente e in altri dall’apparato decorativo. Le stanze che delimitano il lato nord sono pavimentate con signinum decorato con tessere disposte in fila oppure, come nell’ambiente 5, da tessere bianche e blu che formano un triangolo, mentre nella 6 le tessere formano delle rosette a sei petali. Il lato ovest, limitato da due corridoi, dei quali quello più a sud è stato chiuso in un secondo momento, è occupato da tre ambienti. Il primo (8) potrebbe essere una sorta di esedra che permette di accedere nell’ambiente successivo (9) – 2,48 x 3,39 m –, entrambi sono pavimentati con scaglie di pietra policroma disposte in ordine sparso. Per la disposizione 1

Sjöqvist 1958b, p. 163. Anche R. J. A. Wilson sottolinea che le case di Morgantina come anche quelle di Solunto appartengono al modello ellenistico più che a quello italico : Wilson 1990a, pp. 75-77. 3 In generale sulla casa romana De Albentiis 1990. 4 Campagna 1996, p. 122. 5 Chamonard 1922, pp. 154-157. 6 Campagna 1996, pp. 119-122, l’abitazione è datata dallo studioso nel secondo quarto/metà iii a.C., mentre la fase di distruzione è attribuita alla metà del i sec. 7 a.C. Di Stefano 1977, pp. 768-770. 8 Wilson 1990b, p. 115 con bibliografia. 9 In generale Wolf 2003 ; Wataghin Cantino 1978, pp. 647-648. 10 Sui dati messi in luce nell’isola di Kossyra si veda il contributo di M. Osanna in questo volume. 2

dei due ambienti, simile a quella di altre case di Morgantina, si è pensato che fossero l’alcova con un ambiente antistante, ma non vi è la banchina che possa confermarlo con certezza. Di seguito troviamo quello che doveva essere uno degli ambienti più importanti della casa (10), questo può essere confermato non solo dalle dimensioni (4,68x6,55 m) ma anche dalla decorazione del pavimento. Questa è caratterizzata da una fascia esterna in cocciopesto con tessere bianche disposte a meandro complesso, che cinge un campo decorato con tessere bianche a formare un reticolo di losanghe, nel quale è inserito un pannello musivo. 11 La cornice del pannello ha un motivo a onde correnti realizzate con tessere bianche e blu, l’emblema era campito di tessere bianche ma per lo più è andato perduto. L’ambiente, d’accordo con la Tsakirgis, può dunque essere identificato con l’oecus maior della casa. Il lato meridionale è occupato da tre grandi stanze il cui pavimento è sconosciuto ma che per la loro posizione e dimensione dovevano avere sicuramente una funzione di rappresentanza. Inoltre ciò può essere confermato dal fatto che nelle case di Morgantina sembra ricorrere la presenza di una stanza particolarmente grande su uno dei lati brevi della corte, come nella Casa della Cisterna ad Arco, nella Casa dei Capitelli dorici e in quella di Ganimede, ma soprattutto nella stessa Casa dei Capitelli Tuscanici, nella parte occidentale. Questo elemento inoltre è riscontrabile anche in una delle case più tarde di Delo, quella detta di Fourni 12 (Fig. 10). Le ristrutturazioni si concentrano nel lato orientale della casa. Un muro chiude il portico orientale del peristilio e il vestibolo, dove viene lasciato lo spazio per la soglia pavimentata in signinum con tessere bianche disposte a losanga. Lungo il lato occidentale un corridoio, le cui pareti sono intonacate e dipinte di rosso (19), conduce nella parte occidentale dell’edificio privato, situato ad una quota inferiore di 1,10 m rispetto alle porzioni orientale e settentrionale della casa. È probabile che quest’ala in un primo momento costituisse una casa a sé e solo in un secondo momento sia stata unificata. Dal corridoio si accede nel peristilio, i cui portici sono rivestiti di signinum con tessere disposte in fila, mentre i muri sono intona11 Tra le testimonianze in Sicilia del motivo a losanghe : Siracusa (Gentili 1951a, p. 15 sgg.; Gentili 1951b, p. 282 sgg.; Gentili 1956, p. 100, fig. 1) ; Solunto casa 3 insula 6 : Greco 1997, p. 41. Pavimenti datati tra il ii e il i sec. a.C. 12 Trümper 1998, p. 317.

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alessia mancini legati con malta, pressoché identica nelle varie tipologie edilizie della città non può essere utilizzata come base di datazione. 3 Altro punto debole è la cronologia dei pavimenti in signinum che decorano le case di Morgantina. In effetti questi offrono una notevole quantità di motivi decorativi diversi e sono stati spesso portati come confronto per altre realtà. 4 Ma stabilire la loro cronologia è complesso poiché i motivi raffigurati sono estremamente diffusi sia in ambito nord africano che romano a partire dal iii a.C. 5 Tanto che la stessa Tsakirgis, la quale ha compilato un catalogo dei signini presenti nelle abitazioni di Morgantina, conclude il suo articolo affermando che in effetti la cronologia più certa può essere affidata solo ai dati archeologici. 6 In attesa di una pubblicazione completa sulle indagini archeoFig. 9. Agrigento. Quartiere ellenistico-romano (da Wilson 1920b). logiche compiute a Morgantina è possibile gettare un po’ di luce sulla difficile interpretazione cronologica dell’architettura domestica. Anche se non si pretende di risolvere problemi qui solo cati e dipinti di rosso. Ovviamente la descrizione può essere solo accennati un valido aiuto può essere offerto dal confronto con parziale dal momento che la collina è franata, ma è da osservare Delo che per ora rimane quello più attinente. D’altronde le case come ad Ovest dell’ ambiente 22 seguono su livelli diversi tre di Morgantina per quanto diverse tra loro presentano una forte ambienti, purtroppo non segnalati in pianta e solo parzialmente caratteristica comune che è quella di avere come fulcro centrale scavati, che indicano comunque che probabilmente l’edificio su il peristilio, che può essere doppio come nella Casa della Cisterquesto lato era terrazzato. na ad Arco, allungato, come in quella di Ganimede o quadrato L’ambiente 22 (4,80 x 5,50 m), molto simile per posizione e come nella Casa dei Capitelli Tuscanici, circondato da una serie dimensione alla 12 della Casa della Cisterna ad Arco, doveva esdi ambienti che costituiscono lo spazio di rappresentanza. Inolsere l’oecus maior, di questa parte dell’edificio. Sfortunatamente tre sono erette su più livelli e, in particolare quelle sull’agorà, non è al momento visibile, ma il suo pavimento doveva essere dominano la città. decorato da un’area rettangolare in scutulatum centrato da un Oltre tutto è importante il fatto che i confronti più vicini pavimento in pseudofiglinum, quest’ultimo è in giallo, verde e dell’apparato decorativo individuabili in Sicilia sono databili blu, sulla soglia un meandro complesso in tesellato. 1 Sulle pareti intorno al ii secolo a.C., come la casa del Navarca a Segesta nelè raffigurato un plinto rosso sormontato da un motivo a quadrati la quale è stato ritrovato in uno degli ambienti un signino con prospettici, resi in bianco, verde e nero. Altre stanze di rappretessere bianche disposte a losanga, 7 nella già citata Casa di via sentanza dovevano essere la 20, che si apre come un’esedra sulla Sibilla a Lilibeo l’atrio era pavimentato con signinum e tessere corte, e la 21 entrambe pavimentate in signinum con motivo punsempre inserite a reticolo, 8 così a Siracusa a Piazza Vittoria è teggiato ortogonale o con rosette inserite al centro del meandro stata messa in luce una casa con signinum decorato con fascia a che si dispone a fascia. meandro, 9 altro esemplare noto è quello della rosa a sei petali Sembra dunque che in questa porzione della casa vi sia stata noto ad Agrigento nella casa di Afrodite e datato al II secolo una duplicazione degli ambienti presenti in quella orientale. a.C. 10 Altro ricco repertorio decorativo è offerto da Monte Iato Tramite un terzo corridoio si accede nella sezione settentrioche però meriterebbe uno studio a parte. 11 nale, munita di un suo ingresso indipendente, sempre sul lato In conclusione si può ribadire la problematicità di certe cronooccidentale della strada. È probabile che anche questa fosse una logie basate esclusivamente su capisaldi storici, che prescindocasa a sé poi aggiunta al resto dell’edificio. Elemento chiaramenno da un’attenta analisi della documentazione archeologica. Un te riconoscibile è la corte intorno alla quale sono distribuiti una inquadramento dell’architettura domestica di Morgantina entro serie di ambienti la cui planimetria è però illeggibile perché da il ristretto arco cronologico del iii secolo, rischia di deviare una una verifica nel luogo è emerso che molte delle strutture murarie equilibrata conoscenza dell’esperienza insediativa, finendo per non sono riportate sulla pianta pubblicata. Il piccolo peristilio cancellare il ii secolo, ossia l’epoca successiva all’intervento aveva una colonna in laterizio su ciascun angolo dello stilobaromano, o di considerarlo solo momento di decadimento e dete costituito invece da calcare. Da quest’area, ma non in situ, pauperamento, laddove confronti con altre situazioni vicine alla provengono due capitelli tuscanici che hanno attribuito il nome nostra sembrano attestare invece un rifiorire della vita urbana. alla casa. Alla luce di quanto detto finora, non sembra si possa escludeLa struttura della casa è stata con certezza attribuita al ii sere una forte presenza di una classe sociale che inserendosi nella colo poiché lo scavo ha restituito esclusivamente materiale di città commissiona opere che ostentano ricchezza. Livio stesso questo periodo, in particolare Campana C, fino ad una frequenricorda come proprio a Morgantina il Senato di Roma dà la postazione ascrivibile alla prima metà del i secolo d.C. come attesibilità ai mercenari di scegliere un lotto nell’agro ma anche una stano monete di Augusto. 2 casa in città. 12 I due esempi di architettura domestica di cui abbiamo appena L’utilizzo di case sì con l’impianto che ricorda quello greco discusso vengono datati dagli studiosi in periodi molto differenti ellenistico, ma di imponenti dimensioni, un apparato decorativo che sono uno ancora in età ieroniana e l’altro nel corso del ii tanto pregiato, doppi peristili e duplicazione degli ambienti di secolo a.C. Uno degli elementi principali che viene addotto per 3 Così invece Tsakirgis 1984, p. 313 sgg. rafforzare quest’ipotesi è il fatto che tra le due dimore vi sia una 4 Per il repertorio dei motivi decorativi dei pavimenti in signino : Joly 1997, p. 35, differenza nella tecnica edilizia. Ossia nella casa ritenuta di iii sen. 14 e in particolare Tsakirgis 1990, pp. 438-443 con bibliografia. 5 colo, quella di Ganimede, le mura sarebbero ben costruite e più L’opus signinum è diffuso dalla metà del iii a.C. al i d.C., sulla cronologia relativa : Moricone Matini 1971. Per il signinum in ambito punico cfr. Fantar 1966, p. 57 sgg. ; larghe mentre in quelle ritenute di ii sarebbero più strette. A parRakob 1991, pp. 220-226, e in generale Greco 1997, p. 42, n. 14 con bibliografia. te la debolezza dell’affermazione, come già avanzato precedente6 I motivi decorativi più diffusi sono i punteggiati, con tessere in fila parallele o mente, è invece importante sottolineare come la tecnica edilizia, trasversali alle pareti, i reticolati di losanghe, il meandro semplice o complesso. 7 Camerata Scovazzo 1997, pp. 214-225. a blocchetti più o meno squadrati disposti casualmente o a filari 8 9 10 1

Tsakirgis 1984, p. 204.

2

Stone 1980.

11

Supra p. 173, n. 7. Gentili 1956, p. 112. Boeslager 1983, p. 35. 12 Sui pavimenti di Monte Iato : Isler 1997, pp. 19-32. Liv. xvi, 21.

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Fig. 10. Delo. Casa di Fourni (da Trümper 1998).

rappresentanza sembra essere il mezzo tramite il quale la nuova classe dirigente si auto-rappresenta. Il modello a cui si ispira questa classe, formatasi grazie all’intervento romano, qui come altrove, è quello greco-ellenistico, che si diffonde in maniera ormai globalizzante a partire dalle esperienze alessandrine : l’edilizia domestica si conforma, qui come nel vicino mondo punico siciliano, a modelli ormai imperanti in tutto il mediterraneo. Del resto tali modelli ben si sposano con il sopravvivere in loco di una cultura greca generalizzata evidente anche nel permanere della lingua greca, come le iscrizioni rinvenute finora, tutte in greco, attestano. Una conferma interessante viene anche da un altro contesto privato, a Megara Iblea dove in un pavimento in signinum è iscritto il nome romano di Gnaiou Modiou in caratteri greci. 1 La Sicilia romanizzata si viene a distinguere così per la presenza di elites di origine romana o romanizzate imbevute di cultura greca. Bibliografia Allen 1970 = H. L. Allen, Excavations at Morgantina (Serra Orlando) 1967-1969. Preliminary Report x, « aja », lxxiv, 1970, pp. 359-383. Allen 1973 = H. L. Allen, Per una definizione della facies preistorica di Morgantina : l’età del ferro, « Kokalos », xviii-xix, 1972-1973, pp. 146160. Barletta 1993 = B. Barletta, The Archaic Monumental Architecture from Morgantina, « aja », xcvii, 1993, p. 352 sgg. Bell 1980 = M. Bell, The city Plan of Morgantina, « aja », lxxxiv, 1980, p. 195. Bell 1981 = M. Bell, The Terracottas, in Morgantinian Studies i, New Jersey, 1981. Bell 1985 = M. Bell, Recenti scavi nell’agorà di Morgantina, « Kokalos », xxx-xxxi, 1984-1985, pp. 501-520. Bell 1988 = M. Bell, Excavations at Morgantina, 1980-1985. Preliminay Report xii, « aja », xcii, 1988, pp. 313-342. Blake 1930 = M. E. Blake, The Pavements of the Roman Buildings of the Republic and Early Empire, « Memoirs of the American Academy in Rome », viii, 1930, pp. 7-159. 1 Ringrazio il Prof. M. Torelli per il prezioso suggerimento, l’iscrizione sarà pubblicata nel prossimo volume di «Sicilia Antiqua».

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alessia mancini

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Chiara Albanesi ARCHITETTURA ELLENISTICA A SOLUNTO : UN CASO SINGOLARE DI TEATRO-TEMPIO ?

L

o studio di un contesto non può prescindere da un approccio interdisciplinare ai dati. Infatti, ogni documento, letterario, epigrafico o archeologico che sia, non costituisce mai una testimonianza a se stante, ma piuttosto l’anello di una catena articolata di fattori, che trae la propria ragion d’essere dal legame con il resto. In tal senso, il lavoro che qui si presenta non si propone di fornire dati incontrovertibili, ma piuttosto di offrire, seguendo un metodo per quanto possibile sistematico, spunti di riflessione pertinenti ad un ambito, quello soluntino, del quale è nota la complessità. 1 L’elemento punico, quello greco e quello romano sembrano infatti qui coesistere e interagire a più livelli, nella sfera sia privata, sia pubblica, civile e religiosa. 1 Il presente contributo prende l’avvio da una serie di studi condotti contestualmente alla tesi di laurea, seguita dal prof. Filippo Coarelli, al quale vanno i miei ringraziamenti per il costante sostegno a me offerto. Ringrazio inoltre il prof. Mario Torelli ed il prof. Massimo Osanna per avermi offerto l’occasione di presentare il lavoro in questa sede e di aver sostenuto la ricerca con preziosi e puntuali suggerimenti.

Sebbene si tratti di una fondazione punica, l’impianto urbanistico è quello di una città greca, caratterizzato da una serie di isolati regolari, sviluppati su diverse terrazze, e da una distribuzione funzionale degli spazi. L’agorà, delimitata ad ovest da una stoà ed a nord da una grande cisterna, è posta allo sbocco della via omonima. Subito ad ovest, ad un livello superiore, si concentrano quindi il teatro, il bouleuterion ed il ginnasio, mentre ancora a monte sono collocati gli edifici sacri. Le abitazioni più ricche sono infine situate a ridosso dell’area pubblica e lungo la Via dell’Agorà (Fig. 1). 2 Quantunque l’impianto sia tipico dell’urbanistica tardo-classica, gli edifici oggi visibili presentano tracce di significative ridefinizioni planimetriche e dell’apparato decorativo, colloca2 Tra i numerosi contributi sull’argomento citiamo Famà 1987, pp. 73-76 ; ItaliaLima 1987, pp. 57-72 ; Tusa 1989, pp. 598-611 ; Cutroni Tusa et alii ; Italia 1994, pp. 23-32 ; Coarelli-Torelli 1997, pp. 31-44 ; Tusa 1999, pp. 369-375. In particolare sulla stoà vedi : Wilson 1990, p. 20, figg. 19-20 ; Italia 1994a, pp. 72-73 ; CoarelliTorelli 1997, pp. 41-42 ; Wilson 2000, p. 141. Per la cisterna Italia 1994a, p. 73. Sul bouleuterion : Natoli 1971, p. 111 ; Tusa 1971, pp. 91-92 ; Italia 1994a, pp. 74-77 ; Coarelli-Torelli 1997, pp. 42-43 ; Wilson 2000, p. 141. Sul ginnasio Italia 1994a, pp. 77-79 ; Wiegand 1997, pp. 26-28. Per il teatro vedi infra.

Fig. 1. Solunto. Planimetria dell’impianto urbano (da Cutroni Tusa et alii, pp. 104-105, Tav. 38).

178 chiara albanesi ne abitazioni, quali la Casa di Leda ed il c.d. Ginnasio (Figg. bili nel corso dell’età ellenistica, anche se per un puntuale inqua2-3), tra le più ricche della città, mostrano ora una planimetria dramento cronologico le posizioni sono ancora discordi. 1 Alcu1 Ad eccezione della recente monografia di M. Wolf (Wolf 2003), nella quale trova ampio spazio soprattutto l’analisi architettonica e strutturale del c.d. Ginnasio, e della guida archeologica della città edita nel 1994 (Cutroni Tusa et alii), non esiste alcuno studio d’insieme sull’edilizia privata soluntina, ma solo contributi riguardanti singoli aspetti, quali ad esempio le decorazioni architettoniche, le pitture, i pavimenti. I dati relativi allo scavo delle abitazioni sono infatti per lo più ancora inediti. All’in-

terno di tale quadro, le cronologie derivanti dall’analisi dei vari elementi sembrano attestare un inizio delle ristrutturazioni edilizie a partire da metà-fine ii sec. a.C. Per i pavimenti e le pitture : De Vos 1975 ; Boeselager 1983, pp. 55-65 ; Greco 1997 ; Portale 1997. Per le cornici modanate in stucco : von Sydow 1979. Per le trabeazioni : von Sydow 1984. Diversamente Wolf, come vedremo più ampiamente in seguito, colloca tale fase alla metà del iii sec. a.C. : Wolf 2003, pp. 48-52.

Fig. 2. Solunto. C. d. Ginnasio, assonometria (da Wolf 2003, p. 9, Abb. 2).

architettura ellenistica a solunto

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Fig. 3. Solunto. Casa di Leda, planimetria (da Wolf 2003, p. 65, Abb. 16).

ispirata a modelli tipici della contemporanea architettura ellenistica. 1 Organizzate su tre livelli, presentano infatti nel loro piano intermedio una corte porticata su due ordini, intorno alla quale si sviluppa una serie di ambienti di rappresentanza riccamente decorati (Fig. 4). 2 Elemento particolare è la presenza in alcune abitazioni di una vasca centrale, collegata ad una sottostante cisterna, simile all’impluvio tipico della domus romana, ma che qui sembra piuttosto rimandare ad una diversa articolazione. Nella casa greca a corte porticata l’elemento di disimpegno tra i vari ambienti risulta infatti costituito da un vero e proprio piccolo peristilio, dove alla presenza della vasca-“impluvio” non risponde una distribuzione funzionale ed ideologica degli spazi analoga a quella delle abitazioni romane. 3 Prima di passare a considerare più da vicino alcuni aspetti dell’architettura ellenistica soluntina, è necessario inoltre sottolineare che, come messo in rilievo anche dalle relazioni precedenti, le cronologie spesso problematiche avanzate per inquadrare tali impianti si basano su confronti non sempre pertinenti o che prescindono comunque da verifiche interne al contesto di riferimen1 Famà 1987, pp. 73-76 ; Italia-Lima 1987, pp. 57-72 ; Lima 1994 ; Wolf 2003. In particolare sul c.d. Ginnasio : Tusa 1987 ; Cutroni Tusa et alii, pp. 57-59 ; Wolf 1998 ; Wolf 2003, pp. 7-52. Per la casa di Leda : Medeksza 1990 ; Cutroni Tusa et alii, pp. 61-64 ; Wolf 2003, pp. 64-68. Si confronti inoltre la bibliografia citata a p. 178, nota 1. 2 Un’analisi accurata della tipologia di tali ambienti e dei confronti, ricorrenti non solo in ambito siciliano ed italico, ma anche in ambito greco-ellenistico è contenuta in Wolf 2003, pp. 71-110 (con ampia bibliografia di riferimento). In particolare l’autore identifica tre diversi tipi di ambienti di rappresentanza, esedre, oeci, « gruppi di tre ambienti » (Dreiraumgruppe), questi ultimi direttamente ispirati all’architettura palaziale macedone : Wolf 2003, pp. 72-74; 81-90. 3 Era già di questo avviso G. Wataghin Cantino, la quale, pur ammettendo l’esistenza di elementi strutturali e decorativi di diretta derivazione romana, riteneva che la diffusione dei peristili a Solunto fosse strettamente connessa alla presenza del cortile aperto proprio dell’architettura punica e orientale : Wataghin Cantino 1978, pp. 648-649. Ricostruiscono una fase punica precedente anche A. Italia e D. Lima : Italia-Lima 1987 ; Lima 1994. Al contrario Wolf ritiene le strutture in evidenza le più antiche individuabili, rialzandone la cronologia : Wolf 2003, pp. 50-51. Sull’argomento vedi infra. Per una breve discussione sulla validità dell’uso di una terminologia relativa all’edilizia privata romana in riferimento a strutture abitative della Sicilia vedi Campagna 1996, pp. 119-120 (con ampia bibliografia di riferimento).

Fig. 4. Solunto. C. d. Ginnasio, ricostruzione dell’alzato del peristilio (da Wolf 2003, p. 37, Abb. 8).

180 chiara albanesi to. Se si prende in considerazione ad esempio il recente volume stratigrafica, l’autore non ritiene in alcun modo dimostrabile sull’architettura domestica di Solunto curato da M. Wolf, risulta l’esistenza di eventuali fasi precedenti, per le quali doveva evenchiaro come l’inquadramento dei complessi avvenga tramite il tualmente esistere una struttura lignea. 9 confronto con analoghi impianti siciliani, da Monte Iato a MorI caratteri peculiari dell’edificio ne connotano pienamente gantina, prescindendo dalla documentazione materiale locale, la matrice ellenistica. Esso era infatti costituito da una cavea di ormai non più disponibile. Si arriva così a datare case come quelpianta di poco superiore al semicerchio, distinta in cinque cula di Leda o il c.d. Ginnasio alla metà del iii sec. a.C. sulla base nei ed iscritta in un muro di analemma poligonale di dodici lati esclusivamente di confronti planimetrici e di analogie, riferibili (Fig. 6). 10 L’ edificio scenico, del tipo a paraskenia, era invece allo sviluppo dei peristili su due piani ed alla loro decorazione. 1 dotato di un alto proscenio ligneo, completato da parti in pietra Ci riferiamo in particolare ai raffronti stabiliti con la casa a perie decorato negli spazi vuoti da semplici tavolette o pinakes. 11 I stilio i di Monte Iato, metro di paragone privilegiato per rialzanumerosi frammenti architettonici pertinenti all’alzato attestano re la cronologia delle abitazioni di Solunto. 2 Sappiamo tuttavia l’esistenza di una scena a due piani : il primo decorato in facciata quanto l’attribuzione a tale periodo sia tuttora discussa. 3 da colonne, semicolonne ed epistilio dorici ; il secondo ornato Come già proposto nelle relazioni precedenti e come il conda colonne e semicolonne ioniche. Il livello superiore dei patesto di Pantelleria presentato in questa stessa sede sembra raskenia era inoltre provvisto di un balcone loggiato, decorato a dimostrare, la ridefinizione delle planimetrie delle case e dellosanghe e sormontato da un timpano fornito di acroteri (Fig. le loro decorazioni si attua piuttosto in un momento avanzato 7). 12 Tutti questi elementi, che trovano stringenti analogie neldella storia urbanistica della città, non prima in ogni caso del l’architettura pubblica e privata a Solunto, Monte Iato, Segesta, ii sec. a.C. sono ampiamente diffusi nel ii sec. a.C. anche in ambito greco Del resto, tali trasformazioni trovano riscontro in un più ed italico. 13 A Solunto in particolare un analogo sviluppo dell’algeneralizzato sviluppo monumentale dell’architettura soluntizato è attestato non solo per la stoà, ma anche per i peristili del na, che incontra proprio nel ii sec. a.C. il momento di massic.d. Ginnasio e della Casa di Leda. Ugualmente analogie sono ma espressione, non solo nella sfera privata, ma anche in quella riscontrabili nella planimetria e nell’alzato della scena del teatro pubblica. Nascono infatti ora la stoà dell’agorà, il bouleuterion 4 e nello sviluppo dei peristili anche a Monte Iato. La casa a perie, secondo le più recenti indagini di Wiegand, il teatro ; 5 mentre stilio I della città era infatti dotata di un doppio ordine colonnanello stesso periodo un privato, ”Antalloj 'Askl£pou 'Ornicj, to, dorico e ionico. 14 finanzia a proprie spese la nuova pavimentazione di parte di Via Se per una analisi puntuale del teatro esistono quindi elementi dell’Agorà. 6 indicativi, per il sacello ci troviamo di fronte ad una pressoché All’interno di tale quadro assume uno speciale rilievo un contotale mancanza di dati. Infatti, sebbene la destinazione esclusitesto architettonico particolare, già notato da Wiegand, al quale vamente sacra degli edifici situati sulla terrazza subito a monte non è stato fino ad ora dato il dovuto risalto. L’edificio teatrale della struttura teatrale fosse stata già ipotizzata alla fine dell’Otsi trova, infatti, esattamente in asse con un sacello posto sulla tocento da D. Serradifalco, solo uno dei tre sacelli da lui inditerrazza retrostante (Fig. 5). 7 La rilevanza del dato è evidenviduati, il c.d. « edificio sacro a due navate », è stato fino ad ora te, poiché ci troveremmo qui di fronte ad un nuovo esempio di studiato e pubblicato. 15 teatro-tempio, realizzato in questo caso secondo forme non moL’unica seppur breve descrizione del tempio situato in asse con numentali. il teatro, posto subito a nord dell’« edificio sacro a due navate », è Il teatro, ubicato presso la terrazza ad ovest dell’agorà, sulinvece quella fornita da Serradifalco, al quale si devono la scola base degli elementi architettonici conservati, databili tutti al perta, avvenuta nel 1825, e l’immediata pubblicazione. 16 Benché, 130-120 a.C., e dei confronti riscontrabili con la seconda fase infatti, negli anni cinquanta del secolo scorso l’area a monte deldel teatro di Monte Iato e con quelli di Segesta e Tindari, è stato l’agorà sia stata oggetto di una serie di nuovi scavi, nelle pubblirecentemente datato da Wiegand alla fine del ii sec. a.C. 8 Essencazioni pertinenti alle campagne non viene fatta alcuna menzione do infatti impossibile utilizzare i materiali rinvenuti durante lo dell’edificio, il quale, come dimostra la planimetria riportata, doscavo, per i quali non siamo in possesso di nessuna successione veva essere stato almeno parzialmente individuato. 17 Un preciso rilievo, compreso all’interno della pianta generale dell’area pub1 blica, viene fornito inoltre in una recente monografia dedicata alla Wolf 2003, pp. 48-52. 2 città, senza che tuttavia se ne trovi alcun riferimento nel testo. 18 L’autore ritiene infatti che sulla base di tali analogie si debba rialzare fino alla metà del iii sec. a.C. la cronologia non solo dei pavimenti c.d. di prima fase, generalL’unico seppur breve accenno si trova invece in un recente contrimente attribuiti al pieno ii sec. a.C., ma anche quella delle trabeazioni (bibliografia buto di A. Wiegand, nel quale l’autore informa di come l’area sia alla p. 178, nota 1), nonché delle balaustre decorate a losanghe, diffuse nel ii sec. non stata nuovamente portata in luce nell’autunno del 1990. 19 solo in Sicilia, ma anche in ambito italico e greco-ellenistico : Wolf 2003, pp. 48-50. Sulle balaustre vedi : Tusa 1987 ; Medeksza 1990, pp. 105-106, figg. 6-7 ; Campagna La struttura, realizzata in blocchi di pietra irregolari rivestiti 1997, pp. 235-238 ; Wiegand 1997, pp. 52-53 (con ampia bibliografia di riferimento). 3 Alla cronologia al 300 a.C. proposta dagli scavatori per la prima fase della Casa a Peristilio i di Monte Iato (Dalcher 1994 ; Brem 2000) se ne contrappone infatti una di fine iii-prima metà ii sec. a.C., basata sull’analisi degli elementi decorativi e strutturali : von Sydow 1984, pp. 245, 263, 292, 313, 350 n. 20 ; Wilson 1990, p. 24, nota 75. 4 Vedi supra, bibliografia di riferimento alla p. 177, nota 2. 5 Wiegand 1997. 6 seg xli 836. Wiegand 1991, pp. 121-126. 7 Sebbene non se ne fornisca che una breve notizia, la collocazione in asse delle due strutture è stata dimostrata da recenti rilievi eseguiti dall’Istituto Germanico sia sulla terrazza del teatro sia su quella retrostante : Wiegand 1991, p. 127 ; Wiegand 1997, p. 9. 8 Wiegand 1997, p. 60. Diversamente V. Tusa riconosce quattro diverse fasi, la prima delle quali prevista già alla metà del iv sec. a.C., all’interno del generale progetto urbano : Tusa 1968, pp. 5-11 (dove se ne ricostruiscono però due sole, la prima delle quali comunque datata alla metà del iv sec. a.C.) ; Tusa 1971, pp. 86-92, in part. p. 91, nota 10. Dello stesso avviso anche L. Natoli, che ne attribuisce però alla struttura solo due : Natoli 1971, pp. 104-112, in part. pp. 109-111. Allo stesso modo H. P. Isler, ritenendo impossibile la datazione alla metà del iv sec. a.C. proposta da Tusa, in quanto anteriore a quello che viene considerato il capostipite degli edifici a paraskenia, il teatro ateniese di Dioniso, propone una posticipazione alla fine dello stesso secolo, coerentemente con il resto delle costruzioni teatrali della parte occidentale dell’isola : Isler 1985, p. 70.

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Wiegand 1997, pp. 29, 52. Tusa 1968, pp. 5-11 ; Natoli 1971, pp. 104-112 ; Tusa 1971, pp. 86-92 ; Wiegand 1997, pp. 16-24. Una breve descrizione della struttura è inoltre contenuta in Mitens 1988, pp. 113-115 ; Italia 1994a, pp. 73-75. 11 Wiegand 1997, pp. 9-16, 56-59, in part. p. 58. 12 Wiegand 1997, pp. 31-36, appendici 20-21. 13 Vedi supra, in particolare bibliografia alla nota 2. 14 Sul teatro vedi : Isler 1981 ; Wiegand 1997, pp. 48-51 (con bibliografia precedente). Per la Casa a Peristilio i : Dalcher 1996, pp. 45-63 ; Brem 2000, pp. 39-50. 15 Serradifalco 1831, p. 14 ; Serradifalco 1842, p. 66 ; Tusa 1967 ; Tusa 1989, pp. 609-610 ; Lima 1994a, pp. 81-85 ; Tusa 1999, p. 373 ; Tusa 2001, pp. 434-435. 16 Serradifalco 1831, pp. 11-13, tav. 5 ; Serradifalco 1842, pp. 64-68, tavv. xxxvi 8, xl, xli. Sappiamo inoltre che l’impossibilità di espropriare l’area ne rese necessaria la ricopertura, impedendo così una precisa collocazione topografica dei rinvenimenti: Salinas 1884, pp. 20-21. 17 La planimetria fornita da Tusa è leggermente differente rispetto a quella di Serradifalco, in quanto non si distinguono i due ambienti posti al fondo della struttura : Tusa 1967, p. 158, fig. 7. 18 Italia 1994, p. 71, tav. 19. 19 Wiegand 1991, p. 127. Confronta inoltre Wiegand 1997, fig. 2. 10

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Fig. 5. Solunto. Planimetria dell’area pubblica, edifici civili e religiosi (da Cutroni Tusa et alii, p. 71, Tav. 19).

di intonaco, si compone di una corte a cielo aperto, come dimostra la presenza di una canaletta per lo scolo delle acque (D), e di due ambienti aperti sul fondo, B e C. In particolare, il vano C presenta lungo tutti i lati una banchina, sulla quale, nella parte nord-orientale dell’ambiente, si imposta un’ulteriore piattaforma. Sopra di essa si trovava la statua di culto (Fig. 8). 1 Per quanto solo uno studio accurato delle strutture murarie possa fornire nuove informazioni sulle eventuali fasi, sembrerebbe verisimile pensare ad una fondazione dello stesso in concomitanza con il primo impianto urbano. In tal senso, i soli dati a nostra disposizione provengono da tre capitelli dorici, uno dei quali con tracce di reimpiego, attribuiti da A. Villa all’area del santuario e genericamente datati dalla stessa ad un periodo compreso tra il medio ed il tardo ellenismo. 2 Tali elementi, vista la loro esiguità e visto l’ampio margine cronologico di riferimento, costituiscono tuttavia una prova alquanto labile al fine di stabilire un’eventuale fase di frequentazione del santuario. Pur essendo impossibile risalire a confronti diretti, l’origine orientale della tipologia architettonica è evidente. 3 La struttura

sembra infatti ricreare in forme minori il tipico santuario fenicio-punico, generalmente di forma non monumentale, costituito da un area circondata o meno da un muro di temenos ed una o più celle all’interno. 4 Lo schema risulta inoltre analogo a quello conservato nei santuari africani dotati di celle sul fondo della corte, i quali costituirebbero secondo M. Leglay la realizzazione monumentale eseguita in età imperiale romana di planimetrie di origine orientale. 5 Confermano tale attribuzione non solo la mancanza di monumentalità, ma anche la tecnica costruttiva utilizzata e la presenza della banchina lungo le pareti del vano C. 6 In ambito siciliano il solo confronto che si potrebbe eventualmente prendere in considerazione è quello con i santuari di Monte Adranone, datati nella loro prima fase alla prima metà del iv sec. a.C. Essi sono infatti caratterizzati dalla giustapposizione di una serie di ambienti in senso latitudinale e dalla presenza di uno spazio centrale ipetrale (Fig. 9). 7 Il prevalere nel nostro caso di uno sviluppo lungo l’asse longitudinale può essere ricollegato da un lato alla forte influenza dell’elemento greco, dall’altro alla collocazione all’interno di un complesso che sem-

1 Serradifalco 1831, pp. 12-13 ; Serradifalco 1842, pp. 65-66. Per la statua vedi infra. 2 Villa 1989, pp. 78-79, nn. 51-52 ; 131, n. 208. 3 Lontane somiglianze sono ad esempio riscontrabili nelle abitazioni di tipo egiziano a tre ambienti (Egyptian Three Room) dell’età del Bronzo : Wright 1985, 137138, fig. 33. Per una breve sintesi critica sui rischi legati alla tendenza a ricollegare le strutture sacre puniche occidentali direttamente a planimetrie orientali, precedenti anche di molti secoli, si confronti da ultimo Mezzolani 2002, p. 25.

4 Sull’architettura sacra orientale vedi : Mazar 1980, pp. 62-68 ; Ottosson 1980, pp. 115-118 ; Stern 1984, pp. 31-38 ; Margueron 1991 ; Perra 1998, pp. 21-57 ; Perra 1999, pp. 43-77. Per l’Africa punica : Fantar 1986, pp. 62-143, tavv. i-li, figg. 1-22 (con ampia bibliografia di riferimento) ; Brouquier-Reddé 1992, pp. 227-228. 5 Leglay 1966, pp. 265-295. Sull’argomento vedi anche Pensabene 1990, pp. 2516 293. Confronta bibliografia alla p. 180, nota 16. 7 Fiorentini 1980, pp. 905-915, tavv. i-xiv ; Fiorentini 1995, pp. 15-16, 19, 2627 ; Coarelli-Torelli 1997, pp. 105-106.

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chiara albanesi

Fig. 6. Solunto. Teatro, planimetria (da Wiegand 1997, p. 41, Abb. 11).

Fig. 7. Solunto. Teatro, ricostruzione dell’alzato della scena (da Wiegand 1997, Beil. 20).

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Fig. 8. Solunto. Sacello alle spalle del teatro (da Wiegand 1990, p. 129, Abb. 4).

presenta una divinità femminile seduta su un trono fiancheggiato da sfingi alate (Figg. 10-11). La dea ha la parte anteriore del busto ed i piedi molto rovinati, la testa e le braccia sono mancanti. Inclinata all’indietro sul sedile, è coperta fino alle caviglie da una lunga tunica, le cui pieghe, incise a sottili linee, si aprono a ventaglio intorno al collo e ricadono verticalmente sulle gambe, mentre si presenta concava nella parte posteriore e per tutto il senso della lunghezza. Per quanto riguarda le sfingi, quella di sinistra risulta quasi totalmente perduta, mentre rimangono la parte anteriore, vestita di una specie di gonnellino, e le ali rivolte

Fig. 9. Monte Adranone. Tempio della terrazza superiore (da Fiorentini 1995, p. 76, Fig. 60).

bra almeno parzialmente adeguarsi alla tradizione urbanistica ed architettonica ellenica. Se si passa a considerare quanto rinvenuto all’interno dell’edificio, interessa ricordare in particolare il ritrovamento di una statua litica, da identificare verosimilmente con la statua di culto. La statua fu rinvenuta all’interno dell’ambiente C, 1 insieme ad un simulacro di Mercurio oggi perduto, 2 che doveva essere invece collocato nell’adiacente vano B. Di piccole dimensioni e realizzata in calcare dell’Aspra, rap1 Sebbene la provenienza dal sacello fosse attestata con precisione da Serradifalco, la confusione fatta già nell’Ottocento da A. Salinas (Salinas 1884, pp. 26-27), il quale riteneva che l’opera fosse stata rinvenuta nello stesso edificio dello Zeus, ed il presupposto che, essendo la dea interpretata come Astarte o Tanit e comunque come paredros della divinità maschile venerata nell’adiacente « edificio sacro a due navate », essa dovesse necessariamente essere collocata all’interno del medesimo tempio, avevano in passato spinto ad attribuire le due statue alla stessa struttura : Tusa 1967, pp. 159-162 ; Tusa 1983, p. 509 ; Tusa 1989, p. 609 ; Tusa 2001, p. 436. Riconoscono invece la provenienza dal sacello A. Wiegand e C. Greco : Wiegand 1991, p. 127 ; Greco 1997-1998, p. 643, nota 3 ; Wiegand 1997, p. 9. In tal senso, la presenza di rampe all’interno dei due ambienti del cosiddetto « edificio sacro a due navate » veniva ritenuta un’ulteriore prova della testimonianza di Serradifalco, che definisce l’immagine “su più gradini locata” : Serradifalco 1831, p. 13 ; Serradifalco 1842, p. 66. 2 Sappiamo da Serradifalco che all’epoca la statua era entrata in possesso del Marchese delle Favare : Serradifalco 1831, p. 13 ; Serradifalco 1842, p. 65.

Fig. 10. Solunto. Statua femminile in trono (da Tusa 1989, Fig. 667).

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chiara albanesi di una delle abitazioni, nonché tra i rilievi di due arulae-thymiateria provenienti dal centro, 5 la presenza di tali simboli non sembra sufficiente a provare la certa identificazione della statua, ma solo l’eventuale esistenza del culto in città. Sappiamo d’altra parte che dal c.d. « edificio sacro a due navate » provengono alcuni frammenti di statue femminili panneggiate in marmo, 6 mentre nel sacello è stato rinvenuto un Mercurio, 7 probabilmente associati solo in un secondo momento alle divinità principali. Allo stesso tempo il culto della dea punica si sviluppa in modo particolare a Cartagine solo a partire dal V sec. a.C., 8 in un periodo successivo quindi alla cronologia della statua. Appare pertanto maggiormente verisimile l’identificazione con Astarte, la venerazione della quale è stata sicuramente introdotta in concomitanza con la fondazione della colonia. 9 In tal senso, l’analisi di alcuni dei rilievi del trono della statua maschile rinvenuta nell’adiacente « edificio sacro a due navate », permetterebbe di comprendere alcune delle dinamiche attraverso le quali il teatro è stato associato al tempio. Il simulacro, rinvenuto anch’esso durante gli scavi del 1825, rappresenta, come si è già detto, una divinità maschile in trono, datata ormai concordemente alla fine del II sec. a.C. (Fig. 12). 10 Fig. 11. Solunto. Statua femminile in trono, disegno (da Wiegand 1997, p. 128, Abb. 3).

verso l’alto di quella di destra. Per tali caratteristiche e per il soggetto rappresentato, l’opera è stata considerata un prodotto di artigianato fenicio, dallo stile fortemente ionizzante, ed è stata datata al vi sec. a.C. 1 Prima di passare all’analisi della struttura planimetrica del complesso teatro-tempio si ritiene necessario fare alcune precisazioni sull’identificazione della divinità venerata nel sacello, variamente interpretata come Astarte o Tanit. 2 Per quanto la genericità dei confronti non consenta infatti di identificarla in modo puntuale, 3 e le origini orientali di Tanit siano ormai generalmente riconosciute, 4 una serie di elementi rende più probabile l’identificazione con Astarte. Sebbene a Solunto il segno di Tanit compaia sul pavimento 1 Tusa 1963-1964, pp. 3-20. È tipica della produzione fenicia e legata ad esigenze di tipo commerciale la realizzazione di opere di dimensioni ridotte : Moscati 1988a, pp. 284-291 ; Moscati 1998, pp. 63-78. 2 Per un’interpretazione generica come l’una o l’altra si vedano : Tusa 1963-1964, pp. 3-20 ; Tusa 1967, p. 159 ; Tusa 1970, pp. 7-23 ; Tusa 1972, pp. 27-44 ; Tusa 1983, pp. 508-509, fig. 5. Per Astarte : Moscati 1988a, pp. 286-287, 647, fig. 376 ; Bonnet 1996, p. 120 ; Moscati 1998, pp. 77-78, fig. 28. Per Tanit : Tusa 2001, p. 436 (coerente con l’identificazione della divinità maschile con Baal-Saturno). Diversamente, Serradifalco, Salinas, Ferri ed in un primo momento Tusa stesso la interpretarono come Iside, probabilmente in relazione alla presenza delle sfingi : Serradifalco 1831, pp. 11-13, tav. vi ; Serradifalco 1842, p. 66, tav. xli ; Salinas 1884, p. 28 ; Ferri 1941, p. 254 ; Tusa 1957, p. 80, nota 4. 3 L’iconografia, tipicamente orientale, come attestato anche dalla presenza delle sfingi, trova infatti in ambito occidentale confronti scarsi e distanziati nel tempo. Risale al vii sec. a.C. un esemplare d’importazione proveniente da Galera, raffigurante una divinità in trono con un bacile sulle ginocchia ed i seni forati, identificata come Astarte ; si data invece a fine iii-inizi ii sec. a.C. la cosiddetta Grande Dame di Cartagine, assisa su un trono costituito da sfingi alate accovacciate e ritenuta un’immagine di Tanit. Proviene infine da Mozia una statuetta di divinità femminile in trono, di dimensioni ridotte e priva della testa e del collo, generalmente datata agli inizi del iv sec. a.C. e ritenuta di produzione locale, identificata anch’essa con Astarte. Sulla statuetta da Galera : Moscati 1988a, pp. 288, 291, 716, fig. 778 (l’autore cita qui anche un’altra statuetta di divinità in trono, scoperta a Granada nel 1971 e ritenuta invece di produzione locale) ; Tore 1995, pp. 469-470 ; Moscati 1998, pp. 76-77. Per la Grande Dame Cintas 1952, pp. 17-20, figg. 1-2 (cita anche un esemplare analogo da Utica) ; Moscati 1988a, p. 284. Sulla statuetta da Mozia : Sfameni Gasparro 1973, pp. 152-153, fig. 152 ; Uberti 1975, pp. 33-39, tavv. i-ii ; Tore 1995, pp. 459-460 ; Moscati 1998, pp. 76-77. Sulle sfingi : Scandone Matthiae 1995, pp. 525-536. Per la diffusione del tipo con gonnellino qui attestato si vedano in particolare gli avori da Nimrud e Hadad (viii-vii sec.a.C.) : Parrot 1963, pp. 155, 256, figg. 256, 326 ; Moscati 1988, pp. 598-600, nn. 87-88, 96. Sulla sua diffusione in ambito punico vedi CHERIF 1988, 171-203. Per i confronti specifici in ambito orientale si rimanda a Tusa 1963-1964 ; Moscati 1998, 77. 4 Si pensi alla dedica ad entrambe incisa su una placchetta d’avorio proveniente da Sarepta (vii-vi sec. a.C.) o all’iscrizione cis i 3941 da Cartagine, nella quale Tanit viene definita del Libano, nonché ai numerosi teofori diffusi a Sidone e Kition. Per Sarepta vedi Pritchard 1978, pp. 104-108 ; Pritchard 1982, pp. 83-92. M. G.

Fig. 12. Solunto. Statua maschile in trono (da Bonacasa 1989, Fig. 327). Amadasi Guzzo interpreta invece la sigla ´štrt del testo come semplice riferimento al luogo dove la dea sarebbe venerata : Amadasi Guzzo 1991, pp. 82-91. Sui teofori Ferjaoui 1993, p. 381, nota 267 ; Amadasi Guzzo 1991, p. 83, note 4-5. 5 Tusa 2001, p. 434. Sulle arulae-thymiateria : Hvidberg Hansen 1984. 6 Tusa 1967, pp. 158-159. 7 8 Vedi supra. Xella 1991, pp. 83-91. 9 Sulla divinità confronta : Delcor 1986 ; Ferjaoui 1993, pp. 128-154, 375-379 ; Lipin´ski 1995, pp. 137-139 ; Bonnet 1996 ; Nier Rottenburg 1997. 10 Sulla statua : Serradifalco 1831, pp. 8-10, tav. iii ; Serradifalco 1842, pp. 6263, tav. xxxviii ; Pace 1938, ii, pp. 132-134, figg. 126-129 ; Ferri 1941, 254-258, tavv. lxxxi-lxxxiii. Per una datazione ad età imperiale, fondata sulle analogie dei rilievi del trono con alcuni di età cesariana e sulla presenza in essi di una divinità femminile con Eros sulla spalla, identificata con Venere Genitrice, vedi : Hauser 1889, pp. 258-260 ; Weickert 1925, pp. 59-61 ; Pace 1935-1949, ii, p. 133; iii, p. 666 ; Vermeule 1959-1960, p. 17, C 8 ; Tusa 1980, p. 2130 ; Vermeule 1982, p. 637, n. 6, nota 7 ; Tusa 1983, p. 509. Per la definitiva collocazione alla fine del ii sec. a.C. : Coarelli 1980, pp. 376-377 ; Bonacasa 1989, p. 296 ; Wilson 1990, pp. 25-26 ; Wilson 2000, p. 156. Per i rilievi vedi infra.

architettura ellenistica a solunto Variamente interpretato come Hades-Pluton, 1 Serapide, 2 KronosSaturno, 3 Zeus, 4 è in genere ritenuta un’immagine di Baal-Hammon nelle sembianze di Zeus. 5 In realtà, sulla base di due iscrizioni collocate nella stoà dell’Agorà, menzionanti l’¢mfipol…a di Zeus Olimpio, 6 la sua identificazione con tale divinità risulta essere la più verisimile. Sono pertinenti al trono inoltre due colonnine, a torto ritenute provenienti da Selinunte, 7 decorate a rilievo sulla parte anteriore : tre figure femminili su una (Figg. 13-14), 8 una Nike incoro-

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Fig. 14. Solunto. Statua maschile in trono, disegno della colonnina (da Hauser 1889, p. 257).

Fig. 13. Solunto. Statua maschile in trono, rilievo della colonnina con figure femminili (da Bonacasa 1989, Fig. 330).

nante un guerriero con corazza di tipo ellenistico, alla presenza di Afrodite ed Eros, sull’altra (Figg. 15-16). 9 Questi ultimi in particolare risultano dirimenti ai fini della nostra ricerca. 1

2 Ferri 1941, pp. 254-258. Hornbostel 1973, pp. 71, 350, nota 2. Tusa 2001, pp. 433-437. 4 Pace 1935-1949, ii, pp. 132-134 ; Wilson 1990, p. 24, in part. nota 77. 5 Tusa 1967, p. 159 ; Coarelli 1980, pp. 376-377 ; Tusa 1983, pp. 501-513. Di recente è stata quindi identificata da Tusa solo con Baal-Hammon, in base alla diffusione che il culto possiede ancora nell’Africa romana : Tusa 2003, pp. 713-718. 6 Tusa 1963 (data le iscrizioni alla fine del iii sec. a.C.) ; Wilson 2000, p. 146 (datazione al 100 circa a.C.). Sull’anfipolia vedi Diod. xvi 70 ; Cic. Verr. II 51. Confronta inoltre Szanto 1894 ; Sordi 1961, pp. 116-119 ; Consolo Langher 1997, 179, 187 ; BRACCESI-MILLINO 2000, 167. 7 Vermeule 1959-1960, p. 17, C 8 ; Vermeule 1982, p. 637, n. 6, nota 7. Sulla certa provenienza da Solunto già Salinas 1873, p. 38. 8 Demetra e Kore per F. Hauser, che però non sa riconoscere la terza, le C£ritej per altri : Hauser 1889, p. 259 ; Pace 1935-1949, ii, pp. 133, 136 fig. 128 ; Ferri 1941, p. 258, tav. lxxxii 13 ; Bonacasa 1989, p. 296, fig. 330. 9 Hauser 1889, pp. 258-260 ; Pace 1935-1949, ii, pp. 133, 135 fig. 127 ; Ferri 1941, pp. 257-258, tav. lxxxii 14 ; Bonacasa 1989, p. 296, fig. 329. Su entrambe si veda da ultimo Tusa 2001, p. 437, tav. 68, 2. 3

Fig. 15. Solunto. Statua maschile in trono, rilievo della colonnina con Nike incoronante un guerriero di fronte ad Afrodite (da Bonacasa 1989, Fig. 329).

Tale iconografia, infatti, risulta pienamente comprensibile qualora si faccia riferimento alle modalità con le quali il culto di Venere Ericina è stato introdotto a Roma, in diretta connessione con il tempio di Giove, 10 ed al legame instaurato tra le due divinità in relazione alle feste dei Vinalia. Sappiamo infatti che nel 248 a.C., dopo una serie di sconfitte subite dai Romani a largo delle coste di Lilibeo e Capo Passero, il console L. Iunius Pullo riuscì ad impadronirsi della città e del santuario di Erice, 11 il quale, sebbene il centro fosse stato riconquistato nel 244 a.C. da Amilcare Barca, rimase in mano romana fino alla fine della guerra. 12 10 Su Astarte Ericina Bonnet 1996, pp. 115-120. Per la complessità ed articolazione del culto vedi anche De Vido 1997, pp. 400-407. Un percorso parzialmente analogo è stato ricostruito per la diffusione del culto di Venere Ericina in Sardegna : 11 12 Zucca 1989. Pol. i 55, 6. Pol. i 58.

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chiara albanesi gazione e la sua ragion d’essere all’interno della leggenda eneadica, la canonizzazione e lo sviluppo della quale in ambito siciliano acquisiscono una loro peculiarità a partire dal iii sec. a.C., in seguito agli avvenimenti delle guerre puniche. Inoltre, risulta allo stesso modo comprensibile la vicinanza di Marte alla divinità. Infatti, sia nel racconto mitico, sia nello svolgimento reale dei fatti il ricorso alla dea è strettamente legato alla necessità di una vittoria bellica. Si pensi alla resistenza all’interno del santuario di Erice nel 248 a.C., resa possibile dal favore divino, ed infine agli avvenimenti legati all’erezione del tempio sul Campidoglio. In ognuno di questi momenti, così come per il sacrificio di Enea a Giove, il fine è lo stesso, ottenere la mediazione e la protezione che permettessero la vittoria in battaglia. 6 La presenza di Marte sembra far quindi riferimento nel nostro caso al carattere di mediatrice attribuito alla divinità. L’Astarte fenicia, divinità poliadica, materna, protettrice delfamiglia reale e del bene della comunità, ma al tempo stesla Fig. 16. Solunto. Statua maschile in trono, disegno della colonnina so cacciatrice e guerriera, marina e celeste, 7 incontra insomma (da Hauser 1889, p. 257). nell’Aeneadum Genetrix una degna equivalente. D’altra parte, la collocazione del culto sul Campidoglio accanto a quello di GioNel 217 a.C., dopo le rovinose sconfitte subite nelle battaglie ve Ottimo Massimo trova nel caso soluntino un ulteriore paraldel Ticino e della Trebbia (218 a.C.) e la disfatta del Lago Tralelo, essendo la dea affiancata qui come a Roma alla principale simeno (217 a.C.), Q. Fabius Maximus Cunctator convinse il sedivinità maschile e collocata in uno dei punti focali del centro, il nato a consultare i Libri Sibillini, i quali, tra le altre prescrizioni, complesso alle spalle dell’Agorà. esortavano all’esecuzione di un lectisternium ed all’erezione di Risulta quindi comprensibile come mai, in una città nella quaun tempio in onore di Venere Ericina. 1 L’edificio, costruito sul le almeno sino alla fine del ii sec. a.C. le divinità possiedono Campidoglio, fu dedicato nel 215 a.C. da Q. Fabius Maximus un nome greco e nella quale le cariche istituzionali sono di tipo stesso. 2 La portata dell’evento è enorme : infatti, sebbene i culti ellenico ancora in età imperiale, la leggenda eneadica sia tanto stranieri avessero generalmente sede al di fuori del pomerio, la radicata. 8 Come in precedenza la leggenda di Eracle era stata collocazione di questo sul colle Capitolino implica una conceespressione dei rapporti con l’elemento greco ed indigeno, così zione della dea come divinità nazionale, per di più in posizione ora l’adesione al mito troiano si pone come fondamento per le eminente, mostrando un’immagine totalmente romanizzata delrelazioni con la penisola. 9 3 lo stesso. Essa viene inoltre inclusa all’interno dei riti del lectiSebbene la precarietà dei dati a disposizione non permetta di sternium come compagna di Marte. 4 prendere alcuna posizione a riguardo, è interessante citare un Il rilievo del fatto e la manovra politica alla base della sua complesso che presenta una planimetria assimilabile a quella dei introduzione risultano maggiormente comprensibili in consiteatri-templi, il c.d. Ginnasio di Siracusa (Fig. 17). Il Complesderazione della collocazione nell’area capitolina e del legame so, scavato nel 1864-1865, è tuttora pressoché inedito, essendo intercorrente tra Venere e Giove all’interno del calendario, in l’area del santuario rimasta invasa dalle acque fino al 1985. 10 riferimento alle feste dei Vinalia. Sebbene infatti già a partire Caratterizzato da un portico colonnato che doveva svilupparsi dalla fine dell’età repubblicana si discutesse su quale delle due su almeno tre lati, 11 esso presenta al centro un tempio su podio divinità fosse la principale protagonista delle celebrazioni, il di tipo italico alle cui spalle si sviluppa una cavea teatrale. 12 Ad mito eziologico applicato alla loro istituzione fornisce un’idea eccezione di un tratto del lato nord del portico, databile secondo molto chiara del significato della loro associazione, ricollegabiCoarelli alla fine del ii sec. a.C., 13 le strutture sembrano risalire le anche all’analogia di effetti tra l’azione del vinum e quella di tutte ad età imperiale romana (i sec. d.C.). 14 È inoltre dibattuVenus. La presenza di Venere risulta pertanto pienamente comta la questione su quale fosse la divinità qui venerata. Coarelli, prensibile : in quanto Aeneadum Genetrix essa costituisce infatti basandosi sulle analogie planimetriche tra il tempio e l’Iseo di l’intermediaria privilegiata tra l’eroe, il popolo romano da lui Pompei, sul rinvenimento nelle vicinanze dell’area di un’iscridiscendente e Giove. 5 zione menzionante Serapide 15 e su un passo di Cicerone dove si La relazione tra le due divinità trova quindi una propria spie1

Liv. xxii 9, 7-10. 2 Livio non specifica il giorno preciso in cui avvenne la dedica, ma parla semplicemente della fine dell’anno : Liv. xxiii 30, 13. Sul tempio di Venere vedi Richardson 1992, p. 408 ; Coarelli 1999, p. 114. 3 La vittoria di Roma della Prima guerra punica comporta quindi il contemporaneo passaggio della dea dalla sfera cartaginese a quella romana. Le feste celebrate in occasione del viaggio della dea dal santuario di Erice a quello corrispondente a Sicca Veneria (Val. Max. ii 6, 15 ; Sol. xxvii 8) costituiscono una testimonianza dei rapporti della divinità ericina con la religiosità semitica e più in particolare punica. 4 Liv. xxii 10, 9. 5 Una puntuale analisi delle fonti e delle varie posizioni della critica antica e moderna sull’argomento è contenuta in Schilling 1954, pp. 91-124. L’opera, sebbene scritta da circa cinquant’anni, possiede ancora un valore fondamentale per la comprensione del culto di Venere nei suoi vari aspetti. Si confrontino inoltre Galinsky 1969, pp. 174-180 ; Schilling 1990 ; Sui Vinalia e sul rapporto intercorrente tra Giove e Venere vedi da ultimo Torelli 1984, pp. 87-95 ; pp. 157-173. Nel testo l’autore rivendica il ruolo predominante della figura di Giove all’interno di tali feste. Dello stesso avviso anche F. Coarelli, il quale spiega le caratteristiche ctonie e per così dire dionisiache di Giove Ottimo Massimo ed il suo legame con i Vinalia facendo riferimento alle origini etrusche del culto capitolino e all’assimilazione della divinità latina con l’etrusco Tinia : Coarelli 1988, pp. 421-427 ; Coarelli 1995, pp. 196-201.

6 Sebbene la tradizione mitologica greca ponga l’accento sul rapporto amoroso tra Ares ed Afrodite, nella Teogonia esiodea essi vengono definiti genitori di Armonia (Hes., Theog., 937). Forse si tratta anche in questo caso dell’espressione della pace ristabilita grazie all’intervento della dea, intesa come principio unificatore. 7 Bonnet 1996, pp. 19-30. Si confronti inoltre Ph. Bybl. ap. Eus. pe i 10-22. 8 Si pensi ad esempio all’iscrizione menzionante il ginnasiarca ”Antalloj 'Ant£llou toà 'Ant£llou, onorato con una dedica da tre schiere di fanti e dai suoi efebi : ig xiv 311 = seg xxviii 964. Manni Piraino 1973, p. 144, n. 114, tav. lxvii (cronologia alla metà del i sec. d.C.) ; Wilson 1990, p. 43, fig. 33 (cronologia compresa tra il 43 ed il 36 a.C.). 9 Un’analisi completa ed aggiornata, nonché ricca di nuovi spunti è presente in De Vido 1997, pp. 1-204 (con ampia bibliografia di riferimento). 10 Wilson 1990, p. 107. 11 Wilson 1990, p. 107 ; Coarelli-Torelli 1997, p. 241. 12 Cavallari-Holm 1883, pp. 394-408 ; Belvedere 1988, pp. 380-382 ; Wilson 1990, pp. 107-110 ; Coarelli-Torelli 1997, pp. 241-242 ; Nielsen 2002, pp. 222-224. 13 Coarelli-Torelli 1997, p. 243. 14 In particolare Wilson, pur ammettendo l’anteriorità del portico rispetto al resto delle strutture, non ritiene che esistano elementi sufficienti ad individuarne una cronologia precisa : Wilson 1990, p. 109. Allo stesso modo Belvedere crede che un puntuale inquadramento cronologico dell’edificio sia possibile solo attraverso uno studio delle decorazioni architettoniche e del loro rapporto con le strutture : Belve15 dere 1988, pp. 380-381. Sfameni Gasparro 1973, p. 168, n. 4.

architettura ellenistica a solunto

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Fig. 17. Siracusa. C. d. Ginnasio (da Nielsen 2002, p. 223, Fig. 100).

afferma che il santuario era situato in un luogo centrale e molto frequentato, 1 ritiene che il complesso fosse dedicato ad Iside e Serapide. 2 Diversamente Wilson pensa piuttosto ad una attribuzione a Cibele o alla Dea Siria, la cui connessione con rappresentazioni rituali è ben attestata. 3 Tuttavia, come si è già affermato in precedenza, la scarsità degli elementi a disposizione non rende al momento possibile trarre alcuna conclusione in merito e risulta pressoché inutilizzabile ai fini della nostra ricerca. Il confronto sicuramente più pertinente, visto l’ambito punico di riferimento, risulta invece essere quello con il santuario di Via Malta a Cagliari (Fig. 18). Il complesso, riportato in luce da P. Mingazzini a partire dalla fine degli anni trenta del secolo scorso, si compone infatti di una corte circondata da un muro di temenos, al centro della quale era situato il tempio, un edificio prostilo tetrastilo su alto podio del quale rimangono soltanto le fondazioni ed alcune parti dell’alzato. Si accedeva alla struttura attraverso una scalinata, posta in asse con un muro di terrazzamento semicircolare, che separava inoltre l’area dal livello sottostante, dove era situato il teatro. 4 Per quanto riguarda la cronologia, si è ormai concordi, sulla base dei confronti istituibili con i santuari dell’ambito medio-italico, nell’attribuirne la realizzazione al ii sec. a.C. 5 1

Cic. Verr. ii 66, 160. 2 Coarelli-Torelli 1997, pp. 242-243 (in precedenza lo stesso aveva invece ipotizzato che potesse trattarsi di un Asklepieion : Coarelli 1980, p. 381). Dello stesso avviso anche I. Nielsen : Nielsen 2002, pp. 222-224 ; 3 Wilson 1990, pp. 110-111. Confronta da ultimo NIELSEN 2002, pp. 61-66, 260-263 (Cibele) ; pp. 237-258 (Dea Siria). 4 Mingazzini 1949 ; Mingazzini 1952. Si confrontino inoltre Angiolillo 1985, pp. 103-104 ; Angiolillo 1986-1987 ; Nielsen 2002, pp. 184-186. 5 Una puntuale analisi delle diverse posizioni sull’argomento è contenuta in An-

Fig. 18. Cagliari. Teatro-tempio di Via Malta (da Nielsen 2002, p. 185, Fig. 84).

Ciò che più interessa in questa sede è tuttavia l’attribuzione del culto associato al santuario a Venere e Adone, convincentemente ipotizzata da S. Angiolillo sulla base tra l’altro di una moneta, datata alla metà circa del i sec. a.C., raffigurante al rovescio un tempio tetrastilo con legenda veneris kar, e della presenza tra i materiali rinvenuti durante lo scavo di abbondante corallo (circa tre chili), associabile al culto di Adone. 6 Anche in questo caso, quindi, come a Solunto, la planimetria del tipo teatro-tempio risulta legata a culti di derivazione orientale. L’esistenza infatti di una dedica a Venere Ericina datata al iii sec. a.C., il cui luogo di culto è probabilmente da localizzare sul capo S. Elia, nonché l’identificazione di quattro blocchi desinenti a voluta come pertinenti ad una kline legata a riti di lectisternium, 7 permette di ipotizzare influssi orientali anche per Venere. 8 Diviene a questo punto obbligato il confronto con un comgiolillo 1986-1987, pp. 61-66. Dello stesso avviso anche A. M. Colavitti e G. Deplano, che ne collocano la realizzazione in concomitanza con il primo nucleo urbano di età romana : Colavitti 1994, p. 1030 ; Colavitti-Deplano 2002, p. 1120. 6 Angiolillo 1986-1987, pp. 67-70. Su tale divinità e sulle modalità con il quale il culto è stato introdotto in occidente confronta Torelli 1977 ; Servais-Soyes 1981 ; Lipi´nski 1995, pp. 90-105. Sul legame intercorrente tra la presenza di corallo ed Adone si veda da ultimo Morel 2000, pp. 126-130. 7 Angiolillo 1986-1987, pp. 76-78. 8 L’origine greco-fenicia del culto attestato nel santuario viene già ipotizzata da Morel : Morel 2000, p. 126. Sull’epigrafe vedi Angiolillo 1986-1987, pp. 66-67.

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chiara albanesi

plesso per molti versi affine a quello soluntino : il santuario della Fortuna Primigenia a Praeneste (Fig. 19). 1 All’associazione di teatro-portici-tempio, realizzata alla fine del ii sec. a.C. secondo il medesimo asse generatore sul quale probabilmente si riorganizza anche la ristrutturazione dell’impianto urbano, corrisponde infatti la venerazione di una divinità per molti versi simile ad Astarte, la quale esplica le sue funzioni nella duplice forma ctonia e marziale. Tale duplicità si riproduce anche a livello architettonico nell’esistenza di due distinti luoghi di culto, inglobati, al momento della ristrutturazione del santuario in forme monumentali, all’interno di un complesso unico. L’uno, localizzato nella parte orientale della terrazza degli emicicli, l’altro, coincidente con la tholos, è posto al culmine del percorso ascensionale realizzato dai fedeli. 2

Fig. 20. Delo. Santuario delle Divinità Siriache, assonometria (da Nielsen 2002, p. 251, Fig. 116).

Fig. 19. Praeneste. Santuario di Fortuna Primigenia, assonometria (da Nielsen 2002, p. 182, Fig. 82).

Insomma la poliedricità di forme che caratterizza il culto di Astarte a Solunto e la modalità organizzativa degli spazi ad essa destinati si ripropongono in modo analogo anche per la divinità prenestina. Coarelli ha già ampiamente dimostrato come sia le analogie cultuali, sia il carattere orientale della modalità di estrazione delle sortes siano attribuibili ad un’influenza dei culti orientali, che agisce anche a livello di definizione della personalità della dea. 3 L’analisi fin qui condotta sembrerebbe quindi confermare l’ipotesi dell’esistenza di un rapporto privilegiato tra tale tipo di planimetria, che in età tardo ellenistica trova la sua realizzazione monumentale, e le divinità orientali. In tal senso sembra illuminante il caso del santuario della Dea Siria a Delo, il quale subì una ristrutturazione a partire dalla seconda metà del ii sec. a.C. (Fig. 20). 4 All’interno del complesso 1 La prima pubblicazione del santuario è stata realizzata da F. Fasolo e G. Gullini, si deve invece a F. Coarelli una compiuta analisi dello stesso e del culto in esso praticato : Fasolo-Gullini 1953 ; Coarelli 1987, pp. 35-84. Si confrontino da ultimo Fortune dell’età arcaica; Merz 2001, pp. 17-33. 2 3 Coarelli 1987, pp. 41-66. Coarelli 1987, pp. 66-82. 4 Will 1985.

il teatro riveste un ruolo centrale, non solo fisicamente, ma anche ideologicamente. La mancanza della scena e il collegamento con una serie di strutture, disposte pressoché in asse con la cavea, l’altare e la base del trono della divinità, ne documentano infatti il carattere esclusivamente sacro. 5 Poggiante a nord e sud su sostruzioni, esso ha la forma di un teatro greco e serve da collegamento con la terrazza superiore, caratterizzata dalla presenza di un portico ad U. Su di esso si aprono due ambienti definiti da Will esedre. Si è fino ad ora ritenuto che il santuario, vista la grandiosità della sua concezione, fosse pienamente inserito all’interno della tradizione architettonica tardo-ellenistica, alla quale si riconduce anche lo sviluppo pressoché assiale del complesso. 6 A tal proposito gli esempi riportati da Will documentano esclusivamente la probabile esistenza di théâtres sacrés in ambito siriano. L’autore cita infatti da un lato le cosiddette salles à gradins, specie di gradinate occupanti i lati lunghi della cella, dall’altro la presenza internamente ai cortili sacri di piccole cavee o odea, riconoscendo ad essi funzioni diverse nei vari santuari. 7 Allo stesso tempo, pur ritenendo lo schema tipico dell’architettura ellenistica, egli non esclude la possibilità che i centri di sviluppo della tipologia siano da ricercarsi proprio nella Siria contemporanea. 8 È inoltre importante notare come la coppia divina qui venerata, Atargatis-Hadad, risulti dotata di caratteristiche affini a quelle di Astarte e del suo corrispettivo maschile Baal. A livello iconografico innanzitutto la dea viene rappresentata seduta in trono, accompagnata da leoni ed a volte da sfingi. Lo stesso può dirsi per la divinità maschile, rappresentata anch’essa su un 5

6 Will 1985, pp. 156-157. Coarelli 1996, pp. 328-331. Egli riconosce comunque ad esse una funzione legata a particolari forme di venerazione della statua di culto : Will 1985, p. 112. Diversa l’opinione di P. Leriche, per il quale tali “gradinate” costituirebbero solo un fenomeno tardo, attestato a partire dalla prima età imperiale, e limitato nel tempo : Leriche 1997, pp. 892-894. 8 Will 1985, pp. 119-122, in part. p. 122. 7

architettura ellenistica a solunto trono fiancheggiato da tori. Allo stesso modo risultano simili anche i caratteri peculiari di tali divinità : Atargatis è infatti la dea madre dei siriani, procacciatrice di fertilità e fecondità, protezione e salvezza. 2 Così Hadad è il dio della tempesta e della fecondità, chiamato in Siria con l’appellativo di Baal (Signore). 3 Sebbene distanziato nel tempo rispetto ai nostri, un confronto sicuramente probante ai fini della nostra ipotesi potrebbe comunque essere quello con il santuario di Caelestis a Dougga (Fig. 21). Esso fu fatto costruire da Severo Alessandro a celebrazione della sua vittoria sui Persiani e della riconquista della Mesopotamia. 4 L’eccezionalità della planimetria, caratterizzata da un tempio su podio, posto in posizione assiale al centro di un portico semicircolare, è stata generalmente interpretata in vario modo. Essa viene infatti posta in relazione da un lato proprio con i teatri-templi, dall’altro con i ninfei, così diffusi in ambito orientale. 5 1

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portante supporto all’ipotesi proviene da una recente monografia di I. Nielsen, nella quale l’autrice istituisce uno stretto legame tra la diffusione di quelli che la stessa definisce drammi rituali e l’esistenza di teatri di tipo cultuale. 9 Documentate già a partire dal ii millennio a.C., in Oriente tali rappresentazioni avevano infatti luogo in relazione a feste di divinità di carattere agrario o poliadico, quali ad esempio Ishtar, Astarte, Atargatis, di cui si ripercorrevano le varie tappe del mito. In particolare, sede di tali performances erano i cortili posti di fronte ai santuari. 10 La mancanza di attestazioni di drammi rituali in ambito occidentale in un’età anteriore a quella Orientalizzante permette inoltre all’autrice di ricostruire un percorso di trasmissione di miti e riti da Oriente ad Occidente, attestato a livello sia di documentazione archeologica, sia di caratteristiche peculiari delle divinità oggetto di tali riti. Costituisce ad esempio un caso emblematico il culto di Artemis Orthia a Sparta, ritenuto l’interpretatio greca dell’Astarte fenicia. All’interno del santuario, frequentato almeno dall’viii sec. a.C., furono infatti rinvenute una serie di maschere, raffiguranti demoni o figure grottesche maschili, giovanili o barbate, direttamente ispirate a modelli orientali, che attestano l’esistenza di drammi rituali in connessione con le feste dedicate alla dea. Essi dovevano essere eseguiti direttamente di fronte al tempio, come dimostra la presenza di un’area pavimentata in ciottoli di fiume, che dovette rimanere in uso almeno fino al i sec. a.C., quando nella zona venne costruita una cavea teatrale (Figg. 22-23). 11

Fig. 21. Dougga. Tempio di Caelestis (da Dareggi 1990, p. 200, Fig. 1).

Diversamente, la critica più recente tende a ricollegarla alla funzione di propaganda imperiale del complesso. Un’iscrizione infatti, apposta sulla trabeazione del portico, menziona oltre alla dedica anche i nomi di alcune città e province. Severo Alessandro, ispirandosi ad Alessandro Magno, avrebbe in tal senso teso a creare un rapporto diretto con la divinità, identificandosi come theòs sýnnaos. 6 La verisimiglianza dell’ipotesi, in base alla quale però la scelta di Caelestis sarebbe stata veicolata semplicemente dal suo essere una delle principali divinità del pantheon locale, 7 trova in realtà un’ulteriore conferma nella recente identificazione della dea con Astarte,8 il cui carattere di protettrice della regalità è stato ampiamente dimostrato. In tal modo il legame con l’imperatore non risulterebbe più per così dire “casuale”, ma piuttosto ben valutato, rendendo ancora più probabile l’eventuale correlazione tra la dea e questo particolare tipo di planimetria. L’intercorrere di un rapporto privilegiato tra divinità di origine orientale e tale tipo di planimetria sembra quindi ricevere conferma dai confronti fino ad ora analizzati. In tal senso un im1

Will 1985, pp. 147-149. Drijwers 1986. Una descrizione del culto e dell’iconografia della divinità è contenuta nel trattato scritto da Luciano nel ii sec. d.C., il De Dea Syria. 3 Gawlikowski 1988. Per una completa analisi sull’iconografia ed i caratteri peculiari di entrambe le divinità confronta anche Hajjar 1977 ; Hajjar 1985. 4 Poinssot 1983, pp. 41-44 ; Dareggi 1990 ; Dareggi 1994 ; Liverani 1995, pp. 243-249. 5 Discussione in Dareggi 1990, pp. 207-208. Si noti inoltre che Poinssot riferiva la planimetria del portico al crescente lunare, attributo di Tanit, alla quale viene generalmente assimilata Caelestis : Poinssot 1983, p. 41. 6 Dareggi 1990 ; Dareggi 1994 ; Liverani 1995. 7 8 Dareggi 1994, p. 851. Lipin´ski 1995, pp. 147-151. 2

Fig. 22. Sparta. Santuario di Artemis Orthia, fasi di viii e vi sec. a.C. (da Nielsen 2002, p. 91, Fig. 28).

Se da un lato quindi tali spettacoli sembrano realizzati secondo modalità e luoghi analoghi a quelli orientali, dall’altro si assiste in ambito greco alla progressiva diffusione di teatri cultuali, legati ad un diverso modo di fruire la rappresentazione, in posizione seduta. Risulta quindi evidente come la comparsa di tali theatra costituisca un fenomeno le cui origini sono ricollegabili ad una matrice culturale prettamente ellenica. 12 9 Nielsen 2002. L’argomento era stato già in parte sviluppato dalla stessa autrice con particolare riferimento all’area greca : Nielsen 2000. 10 11 Nielsen 2002, pp. 12-38. Nielsen 2002, pp. 86-92. 12 Nielsen 2002, pp. 69-148.

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chiara albanesi In tal senso l’esempio soluntino sembra costituire un’ulteriore conferma all’ipotesi. Essendo infatti gli edifici sacri concentrati su un’unica terrazza, posta a monte delle strutture civili, la costruzione della cavea in asse con il sacello permette di creare un rapporto privilegiato con la divinità, i riti in onore della quale trovavano evidentemente il loro svolgimento nella struttura da spettacolo. Bibliografia

Fig. 23. Sparta. Santuario di Artemis Orthia, fase di iii sec. d.C. (da Nielsen 2002, p. 90, Fig. 27).

La Nielsen ricostruisce quindi un percorso analogo anche per l’area italiana, ancora una volta a partire dall’età Orientalizzante. 1 In particolare, secondo l’autrice, lo sviluppo di drammi rituali in ambito italico sarebbe direttamente collegato alla diffusione dei teatri-templi, per lo più connessi a divinità la cui matrice orientale è stata ampiamente dimostrata. Sulla base degli stretti legami esistenti tra area etrusca e laziale fin da antichissimo periodo, la stessa ritiene che tale tipo di planimetria sia ispirata a modelli non direttamente orientali, ma piuttosto etruschi, come sembrerebbe dimostrare il santuario di Castelsecco, nel quale al tempio è associata, seppur non in asse, una cavea. 2 In realtà, il quadro che sembra emergere dalle analisi condotte appare più articolato. Conosciamo infatti santuari orientali nei quali le performances si svolgono nei cortili di fronte al tempio della divinità, quale ad esempio il santuario di Astarte a Kition (Fig. 24), 3 complessi sacri greci in cui allo stesso fine si associano cavee teatrali, anche se non in asse, e teatri-templi nei quali i due caratteri sono strettamente collegati. Appare quindi verisimile pensare che l’origine di tale planimetria sia ispirata ad un duplice modello, quello orientale nello svolgimento dei riti esattamente di fronte all’edificio sacro, quello greco nell’utilizzo di una struttura funzionale alla loro visione, sviluppato secondo i canoni tipici dell’architettura monumentale tardo-ellenistica.

Fig. 24. Kition. Santuario di Astarte (da Nielsen 2002, p. 50, Fig. 13). 1 Nielsen 2002, pp. 149-195. Maschere di tipo analogo a quelle provenienti dall’Oriente e da Cipro sono infatti state rinvenute anche a Cagliari, Tharros, Mozia : Nielsen 2002, p. 151. 2 La Nielsen ritiene la mancanza di dati in proposito in area etrusca strettamente collegata all’inesistenza di scavi : Nielsen 2002, pp. 189-196. 3 Karageorghis 1976, pp. 107-117 ; Caubet 1986, pp. 159-160 ; Perra 1999, pp. 51-52 ; Nielsen 2002, pp. 47-49.

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Massimo Frasca CENTURIPE ELLENISTICA. IL QUADRO GENERALE

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resso gli autori antichi Centuripe è ricordata come una delle città più floride della Sicilia in età ellenistica. Cicerone la definisce totius Sicilae multo maxima et locupletissima, 1 precisando che nel i secolo a.C. la città avrebbe raggiunto una popolazione di 10.000 cittadini considerati tra i più ricchi dell’Isola. Nelle affermazioni di Cicerone c’è probabilmente dell’esagerazione, ma di certo Centuripe nel ristretto numero di città dell’interno della Sicilia fu tra quelle che raggiunsero il più elevato livello economico. Alle origini della prosperità della città sono la posizione strategica, che consentiva l’accesso e il controllo di aree coltivabili tra le più fertili dell’Isola, e i vantaggi derivanti dalla sottomissione ai Romani nel corso della prima guerra punica (263 a.C.) che le procurò la favorevole condizione di civitas immunis ac libera. Ulteriori vantaggi verranno ai Centuripini dalla distruzione di Leontini ad opera di Marcello nel 214 a.C. ; il repentino declino della città calcidese favorirà gli agricoltori centuripini che acquisiranno il possesso dei campi leontini, rinomati per la loro fertilità. È ancora una volta Cicerone che ci ricorda come l’attività degli honestissimi et locupletissimi aratores centuripini si esplicasse in gran parte della Sicilia. 2 La prosperità della Centuripe ellenistica trova riscontri nella vivacità delle sue produzioni artigianali, in particolare della coroplastica e della ceramica policroma, ma, come vedremo, non trova adeguati riscontri nella documentazione archeologica, soprattutto per quel che riguarda l’urbanistica e l’architettura della città. La sovrapposizione della città moderna su quella antica ha costituito – e costituisce ancora – un serio ostacolo per indagini sufficientemente estese : l’attività di scavo si è così sviluppata prevalentemente nelle necropoli dislocate all’esterno dell’abitato moderno e solo episodicamente all’interno di esso. Paolo Orsi, cui si devono i primi scavi ufficiali a Centuripe agli inizi del ’900, 3 si proponeva di raccogliere in una monografia – mai realizzata – i numerosi dati che formano la frammentaria documentazione archeologica centuripina. Fu merito di Guido Libertini di aver dato seguito al proposito dell’Orsi con la pubblicazione nel 1926 di un volume monografico su Centuripe 4 dove trovano posto le notizie sui resti antichi sparsi nell’abitato, in parte già resi noti dagli scritti dell’erudito locale Filippo Ansaldi alla metà dell’800, 5 ma spesso privi di elementi che ne consentano una precisa collocazione cronologica tra l’epoca ellenistica e quella romana. 1 Cic., Verr. ii,4,50. In questo contributo non si fornirà un inquadramento storico-archeologico approfondito su Centuripe ellenistica ; per esso si rimanda ai lavori di R. Patanè (R. Patanè, Centuripe in età ellenistica. I rapporti con Roma, in Scavi e ricerche a Centuripe, ed. G. Rizza, Catania, 2002, pp. 105-114 ; d’ora in poi, Patanè 2002, ed in particolare quello presentato in questo stesso volume). Colgo l’occasione per ringraziare Mario Torelli e Massimo Osanna per avermi invitato a partecipare al Convegno, offrendomi così l’occasione per un ritorno a Centuripe e alla sua complessa problematica archeologica. 2 I legami tra i Centuripini, i Romani e i Lanuvini sono documentati oltre che dalle fonti storiche anche da una nota iscrizione rinvenuta a Centuripe ed edita da G. Manganaro, Un Senatusconsultum in greco dei Lanuvini e il rinnovo della cognatio con i Centuripini, « RendAccNapoli », xxxviii, 1963, pp. 51-64. Sull’attività degli aratores centuripini e sui rapporti di Centuripe con Roma si rimanda all’esauriente trattazione in Patanè 2002. 3 P. Orsi, Relazione preliminare sulle scoperte archeologiche avvenute nel sud-est della Sicilia nel biennio 1/2 1905-1/2 1907, « NSc », 1907, pp. 491-494 ; P. Orsi, Reliquie di Centuripe Sicula, « mdai(r) », 1909, 90-99 ; P. Orsi, Sepolcri siculi di Centuripe, « bpi », xxxix, 1913, pp. 92-98 (d’ora in poi Orsi 1913). 4 G. Libertini, Centuripe, Catania, 1926 (d’ora in poi Libertini 1926). 5 F. Ansaldi, Memorie storiche di Centuripe, Catania, 1871 (riedizione a cura di P. Cacia, Catania, 1981).

Soltanto negli ultimi anni la collaborazione tra la Soprintendenza di Enna e la Direzione del Museo Civico di Centuripe, esercitando un attento controllo sugli interventi edilizi nell’abitato moderno, ha consentito di impostare i problemi dell’urbanistica della città antica sulla scorta di dati verificati stratigraficamente. 6 Topografia e storia del sito La città di Centuripe è posta su un alto colle di forma articolata con cinque propaggini dai fianchi ripidi e scoscesi che incombono su altrettante profonde vallate, i valloni Difesa, Gelso, Bagni, Gelofia, Madonna (Fig. 1) che da ogni lato rendono difficoltoso l’accesso alla sommità. L’insolita conformazione del colle ha richiamato ad alcuni la forma di una stella marina irregolare e ad altri, come Paolo Orsi, la zampa di un gallo.

Fig. 1. Carta topografica di Centuripe. Il retino indica l’ubicazione delle necropoli.

Il colle con i suoi 733 metri sovrasta con un panorama superbo sia la media valle del Simeto, con sullo sfondo il massiccio dell’Etna (Fig. 2), sia a Sud la Piana di Catania che viene compresa dallo sguardo nella sua totalità. La sua posizione presso la confluenza del Salso (Chrysas) con il Simeto, non lontano dalla valle del fiume Dittaino (Kyamosoros) assicuravano al sito una posizione unica per il controllo delle principali vie di comunicazione della Sicilia centro-orientale. Centuripe era infatti un punto obbligato sia sulla strada che risalendo il corso del Simeto collegava Catania con la costa settentrionale dell’isola (la via Catania-Termini degli Itinerari romani), sia sul percorso che aggirava da Nord il massiccio dell’Etna lungo la valle dell’Alcantara, da Taormina verso la parte centrale dell’isola. 7 La posizione del colle era tale da controllare anche la via che conduceva da Nord a Sud verso i campi leontini. 8 6

Vedi il contributo di R. Patanè in questo stesso volume. G. Bejor, Tucidide 7,32 e le vie dià Sikelòn nel settentrione della Sicilia, « asnp », iii, 3, pp. 741-765. 8 D. Adamesteanu, Note su alcune vie siceliote di penetrazione, « Kokalos », viii, 1962, pp. 199-209. 7

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massimo frasca Ancora in età imperiale Centuripe fu una delle più ricche città dell’interno della Sicilia, come testimoniano tra l’altro i monumenti visibili ancora all’interno della città ed oggetto di ammirazione sin dal ’700 da parte di eruditi e viaggiatori, dal Principe di Biscari all’Houel che ne ha lasciato alcune riproduzioni. Al Castello di Corradino (Fig. 3) posto sulla propaggine me-

Fig. 2. Centuripe. Il vallone Difesa. Sullo sfondo, oltre la valle del Simeto, l’Etna.

Tale posizione, altamente strategica, fu certamente all’origine del formarsi del primo agglomerato sul colle verso la fine dell’viii secolo a.C., allorquando lo stanziamento dei coloni greci lungo la costa suscitò nel mondo indigeno una sorta di sinecismo spontaneo con l’aggregazione dei piccoli nuclei dislocati nel territorio in siti strategicamente ubicati e naturalmente difesi. A Centuripe, i contatti precoci con i Greci sono resi evidenti dai materiali importati presenti nei corredi della necropoli indigene poste sui fianchi del colle. 1 Della Centuripe indigena si conosce poco. I dati che possediamo provengono esclusivamente dai ricchi corredi delle tombe di contrada Piano Capitano nel vallone Gelso, 2 di contrada Casino nel vallone Difesa 3 e di contrada Madonna. 4 Si tratta, come di norma nelle altre necropoli indigene dell’isola, di tombe scavate nel tenero banco di arenaria nei fianchi del colle ed utilizzate per lunghi periodi dalla fine dell’viii secolo fino al iv secolo a.C. Nessun dato si ha sull’abitato indigeno che doveva sorgere – come la città moderna – sulla sommità del colle. Centuripe manterrà a lungo la sua fisionomia di città sicula : ancora alla fine del v secolo Tucidide la definisce sikelikon polisma. Ed anche da quello che si può giudicare dagli usi funerari e dalla cultura materiale, in particolare dalla ceramica, Centuripe conserva i tratti della cultura indigena più a lungo di altri centri, nonostante gli intensi rapporti con le città greche e con Catania in particolare, evidenziati dall’alto numero di vasi di produzione greca presenti nei corredi. Una cesura nelle vicende storiche e culturali della città si ha con la probabile immissione di nuovi coloni provenienti dalla Grecia operata da Timoleonte negli ultimi decenni del iv secolo. 5 Centuripe, perduta in parte l’originaria popolazione indigena, entra nel novero delle città ellenistiche gravitanti nell’orbita siracusana. Il conflitto tra Ottaviano e Sesto Pompeo segna un’altra importante svolta nella storia di Centuripe. Strabone 6 accenna alla riorganizzazione urbana della città da parte di Ottaviano Augusto per ripagare la città delle sofferenze subite per la sua scelta di resistere a Sesto Pompeo. Dal contributo di R. Patanè in questo convegno si può osservare come questo dato può trovare significati riscontri nella documentazione archeologica più recente. 1 V. La Rosa, Per il problema della ceramica di produzione siceliota, in Insediamenti coloniali greci, Atti ii Riunione Scientifica Scuola di Perfezionamento in Archeologia Classica dell’Università di Catania (Siracusa 1976), Palermo, 1978, pp. 64-68. 2 Per le campagne di scavi nella necropoli di Piano Capitano, vedi G. Rizza, Scavi e scoperte a Centuripe nell’ultimo cinquantennio, in Scavi e ricerche a Centuripe, ed. G. Rizza, Catania, 2002, pp. 21-25 (d’ora in poi Rizza 2002). 3 Orsi 1913. 4 G. Libertini, Centuripe. Rinvenimento di una tomba arcaica, « NSc », 1952, pp. 332-341. 5 R. Patanè, Timoleonte a Centuripe e ad Agira, « CronA », xxxi, 1992, pp. 676 82. Strabone vi, 4, 272C.

Fig. 3. Centuripe. Veduta del Corradino.

ridionale, un mausoleo a pianta quadrata di età imperiale ; alla Dogana (Fig. 4), altra tomba monumentale a pianta rettangolare fino ai Bagni del vallone omonimo (Fig. 5), ritenuti da alcuni un Ninfeo e da altri un edificio termale – tutti monumenti già noti nel settecento – si è aggiunto, a seguito degli scavi del Libertini negli anni 1950-51, il grande complesso di carattere pubblico nell’ex Mulino Barbagallo (Fig. 6) in cui, per il rin-

Fig. 4. Centuripe. La Dogana riprodotta da J. Houel.

Fig. 5. Centuripe. Il vallone Bagni con l’edificio romano.

centuripe ellenistica. il quadro generale 195 6 al i sec. d.C. Un’altra fornace (Fig. 7) è stata messa in luce e parzialmente distrutta dall’ampliamento della strada provinciale che percorre il vallone Difesa nei pressi della necropoli di contrada Casino. 7 La fornace fa parte di un vasto complesso che attende ancora di essere scavato.

Fig. 6. Centuripe. Veduta dei ruderi dell’ex Mulino Barbagallo.

venimento di un’iscrizione e di diverse statue marmoree della famiglia imperiale, si ritiene vada collocata la sede del Collegio degli Augustali. 1 Centuripe ellenistica Passando ad esaminare la documentazione disponibile su Centuripe in età ellenistica, dobbiamo innanzitutto osservare come il quadro che se ne ricava sia insoddisfacente e solo in parte modificato dai nuovi rinvenimenti. Per quel che riguarda l’ubicazione e l’estensione dell’abitato, gli unici dati su cui possiamo fondarci sono quelli ricavabili dalla dislocazione delle necropoli e dagli impianti artigianali che si trovavano presso di esse, al di fuori dell’abitato. Le necropoli ellenistiche sono ubicate in zone in parte utilizzate come aree sepolcrali già in età arcaica. La necropoli più estesa è quella di contrada Casino nel vallone Difesa ad Est, scavata a più riprese dall’Orsi e dal Libertini con il rinvenimento di centinaia di tombe che attendono ancora di essere pubblicate. La necropoli era già utilizzata nell’età del ferro con insoliti sepolcri “a circolo di pietre” destinate ad inumazioni plurime. 2 Un’altra vasta necropoli largamente saccheggiata dagli scavatori clandestini si trova a Nord-Est nel Vallone Gelso in contrada Piano Capitano ed è stata scavata da G. Rizza e dai suoi collaboratori dell’Istituto di Archeologia dall’Università di Catania tra il 1968 e il 1979. 3 Anche in questo caso l’area era già stata utilizzata come necropoli a partire dall’viii secolo a.C. Sia nella necropoli di contrada Casino come nella necropoli di Piano Capitano sono comuni i sepolcri ellenistici a fossa con sovrastruttura a gradoni, i cosiddetti epitymbia, tipo di architettura tombale per il quale sono stati visti rapporti con l’Egitto nelle necropoli di Hadra e Sciatbi. 4 Altre necropoli ellenistiche sono localizzate nel Piano Pozzi a Sud-Est, in contrada Biliuzzo a Nord-Ovest e nel vallone Bagni a Nord. 5 Al di fuori dell’abitato, nelle immediate vicinanze della necropoli di Piano Capitano gli scavi di G. Rizza hanno riportato in luce un’officina di vasai che in parte riutilizzava precedenti tombe a camera. Due tombe di età romana e i materiali rinvenuti indicano che l’officina fu attiva per un lungo periodo dal iv fino 1

Rizza 2002. Orsi 1913 ; G. Libertini, Centuripe. Scavi nella necropoli in contrada Casino, « NSc », 1947, pp. 259-311 ; R. M Albanese Procelli, Sicani, Siculi, Elimi. Forme di identità, modi di contatto e processi di trasformazione, Milano, 2003, p. 64. 3 Rizza 2002. 4 N. Bonacasa, Per una revisione della cultura figurativa ellenistica in Sicilia, in Magna Grecia e Sicilia. Stato degli studi e prospettive di ricerca, Atti dell’incontro di studi (Messina 1996), edd. M. Barra Bagnasco, E. De Miro, A. Pinzone, Messina, 5 1999, p. 263 sg. Patanè 2002. 2

Fig. 7. Centuripe. La fornace del vallone Difesa.

Anche per quel che riguarda l’urbanistica e l’architettura i dati fin qui pubblicati non sono soddisfacenti. La città moderna utilizza la sommità del colle e le sue pendici, adattandosi alla conformazione naturale del sito con stradine tortuose che raccordano le abitazioni poste sul dislivello naturale. La viabilità principale della città moderna, edificata dal conte Moncada nel 1548 dopo tre secoli di abbandono, è sostenuta da due strade sulla sommità del colle che seguono l’andamento arcuato dei suoi margini est ed ovest. Non vi sono dati per affermare che questi assi potevano segnare la viabilità principale anche della città antica. Il lungo abbandono dal sito dal xiii secolo al xvi secolo potrebbe aver segnato una profonda frattura nella continuità dei percorsi stradali. Tuttavia, la presenza di ruderi della città antica ricordati dai visitatori del 500 e la particolare conformazione del colle possono aver determinato una continuità dei tracciati, peraltro resi quasi obbligati dalla orografia del colle. Per l’edilizia pubblica, sono state formulate ipotesi sulla collocazione del ginnasio ricordato da Cicerone nella parte alta del vallone Difesa, in prossimità dell’area a destinazione pubblica di età romana individuata nelle strutture superstiti presso l’ex Mulino Barbagallo. 8 Anche per l’edilizia sacra disponiamo soltanto di ipotesi sull’esistenza di un santuario dedicato a Demetra e Kore ubicato nella parte centrale del colle, dove ora sorge il Duomo. 9 La “casa” ellenistica di Monte Calvario Diversa la situazione per quel che riguarda l’edilizia privata e per cui disponiamo di un interessante, quanto enigmatico, edificio ubicato alle pendici del Monte Calvario. Nel 1902 l’Orsi segnalò la scoperta non lontano dai ruderi della Panneria dei resti di un edificio con affreschi e mosaici. L’edificio fu scavato qualche anno dopo, nel 1907, dalla Soprintendenza di Siracusa che ne diede una sistemazione provvisoria proteggendo i ruderi con una tettoia. Lo scavo fu ripreso ed ampliato dal Libertini in occasione della pubblicazione della sua monografia su Centuripe nel 1926. 10 L’edificio non fu indagato interamente ; di esso furono individuati in totale 7 ambienti, nuovamente interrati dopo lo 6

Rizza 2002, pp. 29-36, con bibliografia precedente. Rizza 2002, p. 36 sg. F. Coarelli, M. Torelli, Guide archeologiche Laterza, Sicilia, Bari, 1984 (d’ora in poi Coarelli-Torelli 1984), p. 344 sg. ; Patanè 2002. 9 10 Patanè 2002. Libertini 1926, p. 52 sgg. 7 8

196 massimo scavo. Seri limiti si pongono pertanto alla piena comprensione dell’edificio ed ogni discussione deve essere necessariamente basata sulla descrizione fornita dal Libertini che ne ha data una pianta schematica (Fig. 8). I sette ambienti di cui abbiamo notizia erano costruiti con

frasca grandi riquadri rettangolari di colori diversi (rosa e nero alternati) che facevano da sfondo per delle figure ; di esse al momento della scoperta si conservava traccia di una figura maschile con calzari. Il vano era fornito di un pavimento in opus signinum con squame e meandro (Fig. 10).

Fig. 8. Pianta della “casa” ellenistica (da Libertini 1926).

conci di piccole dimensioni ed erano disposti con orientamento est-ovest sfruttando il declivio naturale del colle. Dalla pianta e dalle indicazioni del Libertini l’edificio sembrerebbe definito solo sul lato ovest. Non ne conosciamo l’estensione sul lato est, probabilmente posto su un livello più basso – dove almeno un altro ambiente sembra esser stato intercettato negli scavi del 1907 – ed incompleto sul lato nord, dove furono visti – ma non scavati interamente – due ambienti. L’edificio presenta una pianta simmetrica con triplice ordine di stanze, di cui quello centrale si spinge più in profondità verso occidente. Il raccordo dei tre assi era costituito dal vano i. Si tratta di una stanza quadrata di m 5 per lato decorata da una zoccolatura costituita da cancellata dipinta a losanghe (Fig. 9) e tracce di

Fig. 9. Decorazione parietale del vano i (da Libertini 1926).

Fig. 10. Disegno del pavimento del vano i e dell’ingresso al vano v (da Libertini 1926).

Dal vano i si poteva infatti accedere a tutti gli altri ambienti dell’edificio. A Nord e a Sud si fronteggiavano gli ingressi del vano ii, di forma rettangolare e di dimensioni leggermente più piccole e a Sud l’ingresso del vano iii di forma quadrata e delle stesse dimensioni del vano i. Anche di questo vano si conservava parte della decorazione parietale formata da ortostati imitanti il marmo posti sopra uno zoccolo grigio, su cui si sovrapponeva una cornice composta da fasce di rettangoli orizzontali, di colore giallo e verde alternati. Un terzo ingresso, più ampio ed enfatizzato dalla presenza

Fig. 11. Decorazione parietale dell’ingresso al vano v (da Libertini 1926).

centuripe ellenistica. il quadro generale

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Fig. 12. Decorazione parietale lungo la sezione dell’edificio (da Libertini 1926).

di due semicolonne che lo fiancheggiavano, consentiva l’accesso dal vano i a quella che appare essere la parte più importante dell’edificio per la sua posizione centrale e per le sue dimensioni, formata dalla successione di due ambienti rettangolari. L’ingresso avveniva attraverso un piccolo andito con parete decorata da una zoccolatura con meandro (Fig. 11) e fornito di un pavimento in signino a reticolo. I due ambienti avevano dimensioni diverse ; il primo, vano v, più grande (m 4,89 x 3,63) era decorato come il vano iii da ortostati marmorei su uno zoccolo grigio, con al di sopra una fascia di rettangoli ; il secondo, il vano vi, il più interno dell’intero edificio, aveva forma analoga ma dimensioni minori. Dalla descrizione del Libertini e da una sezione prospettica pubblicata dallo stesso Libertini (Fig. 12) è possibile avere un’idea della decorazione della parete sud di questo ambiente. Non sappiamo però se la decorazione si ripeteva identica nelle altre pareti e so-

prattutto nella parete di fondo dove era una nicchia (profonda 82 cm, larga 65 e alta 1,42). Nella fascia di base è raffigurato un drappeggio pendente da

Fig. 13. Decorazione parietale del vano vi (da Libertini 1926).

Fig. 14. Siracusa, Museo di terracotta Regionale “Paolo Orsi”. Satiri-telamoni e menadi-cariatidi in terracotta.

198 massimo una zoccolatura grigia sormontata da una doppia cornice imitante marmi policromi, su cui si impostano quattro colonnine scanalate : tre di esse poggiano su una base, la quarta direttamente sulla cornice ; negli intercolunni sono pannelli di marmo variegato tranne nell’ultimo di destra dove Libertini ipotizzava la rappresentazione di un’apertura (Fig. 13). Gli altri due vani individuati dal Libertini, ma non scavati interamente, erano in connessione con i due vani posti lateralmente al vano i. A sud dal vano iii si accedeva ad un piccolo ambiente rettangolare orientato in senso nord-sud, il vano iv, (m 2 x1,50) con pareti decorate da conci imitanti il marmo, sormontati da una fascia di losanghe bianche e nere oblique. Dal vano ii si accedeva ad un ambiente non del tutto scavato, la cui parete nord era costituita dalla roccia naturale (vano vii). La decorazione pittorica delle stanze era arricchita da stucchi. Problematica resta l’esatta collocazione delle due coppie di satiri-telamoni e menadi-cariatidi di terracotta (Fig. 14) trovati in frammenti nel corso degli scavi eseguiti nel 1907 e che si suppone dovessero sostenere gli architravi di due porte. Il Libertini riferisce la testimonianza dell’ispettore onorario dell’epoca Luigi Campagna che constatò personalmente il luogo di giacitura : due si trovavano « in una prima stanza adorna di un pavimento a mosaico e che ora non esiste più e le altre due in una seconda stanza a sinistra di chi entra con la prima » ; 1 il Libertini identifica 1

Libertini 1926, p. 63.

frasca questa stanza con il vano ii, ma non appare chiaro quale fosse la stanza con mosaico non più esistente che doveva trovarsi nella parte antistante. Difficile l’interpretazione dell’edificio (Fig. 15). Libertini lo riteneva un’abitazione, proponendo un’identificazione dei singoli ambienti che però non trova precisi riscontri nelle normali abitazioni ellenistiche o romane. Proponeva di identificare il vano I per la posizione centrale in un atrio ; escludeva di poter vedere nella sala successiva (vano v) il tablino, in quanto di dimensioni modeste e non aperto su una veranda o peristilio, proponendo una sua identificazione con l’andron ; nella stanza successiva, la più riposta dell’edificio, riconosceva il thalamos. Nel vano iii ravvisava un triclinio e nella piccola stanza adiacente un cubicolo. Nel lato settentrionale, infine, la per la mancanza di decorazioni ipotizzava la presenza della cucina e di altri ambienti di servizio. Le proposte del Libertini non appaiono convincenti ; in particolare lascia perplessi l’identificazione dei due ambienti centrali con un andron e un thalamos. La successione dei due ambienti, con l’ingresso enfatizzato e monumentalizzato dalle due semicolonne, la nicchia sul fondo e la stessa particolare decorazione pittorica dell’ambiente più occidentale, per la quale sono stati avanzati confronti con gli affreschi del sacello repubblicano sottostante il Capitolium di Brescia, hanno indotto gli studiosi a ricercare una diversa interpretazione

Fig. 15. Assonometria della “casa” ellenistica (dis. di E. Castiglione, da Patanè).

centuripe ellenistica. il quadro generale

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Fig. 18. Catania. Decorazione parietale di un’abitazione all’interno del chiostro occidentale dell’ ex Monastero dei Benedettini. Fig. 16. Catania, ex Monastero dei Benedettini. Veduta del quartiere ellenistico-romano.

Fig. 17. Catania. Decorazione parietale di un’abitazione nel cortile orientale dell’ ex Monastero dei Benedettini.

dell’edificio, come quella della probabile sede di una corporazione. 1 L’incompletezza delle indagini effettuate, che non hanno messo in luce l’intera planimetria del complesso, e soprattutto l’assoluta mancanza di dati di scavo (mancano del tutto i dati stratigrafici e non si dispone neanche di un frammento di ceramica proveniente dallo scavo) inducono alla cautela per una soluzione definitiva del problema della destinazione dell’edificio. Cautela che deve essere mantenuta anche per quel che riguarda la cronologia, stabilita nei primi decenni del i secolo a.C. esclusivamente sulla base dello stile delle pitture e dei telamoni in terracotta, confrontati con i telamoni delle terme del foro di Pompei. Dunque, un edificio di difficile identificazione e di cronologia incerta disposto sulle pendici del colle probabilmente su più terrazze con effetti scenografici, come nel caso di altri edifici centuripini. 1

Coarelli-Torelli 1984, p. 247.

Senza entrare nel merito dei dati esposti nel contributo del collega Patanè, osserviamo come l’entità e la qualità dei rinvenimenti di Centuripe non siano ancora tali da consentire considerazioni definitive nella ricerca di confronti per le soluzioni urbanistiche adottate dai Centuripini. Una ricerca in tal senso però, secondo noi, non può prescindere dall’esame della realtà rappresentata da Catania, città munita di un ottimo porto e nella cui orbita Centuripe ha da sempre gravitato. Di Catania fino a non molto tempo fa si conoscevano soltanto gli importanti edifici romani, l’anfiteatro, i due teatri, le numerose terme, ma nulla della città greca che si riteneva irrimediabilmente sepolta dalle lave dell’Etna. Gli scavi eseguiti nei decenni scorsi sulla collina di Montevergine sui cui sorge il Monastero settecentesco dei Benedettini (Fig. 16), a ragione ritenuta l’acropoli della città antica, hanno modificato sensibilmente lo stato dei fatti. Tutta la collina di Montevergine era occupata in età ellenistica da un quartiere residenziale impiantato nella prima metà del iii secolo a.C. ed utilizzato, con rifacimenti e adattamenti interni, per un lungo periodo fino ai primi secoli dell’impero, quando gran parte dell’area fu destinata ad ospitare edifici di carattere pubblico. 2 Le abitazioni erano fornite di pavimenti in signino e avevano le pareti decorate da imitazioni delle crustae marmoree. In un caso, in un piccolo ambiente porticato, la zona inferiore raffigurava una transenna di canne (Fig. 17) che richiama, ancor più di quella della stanza III di Centuripe, la balaustra dei viridaria delle case pompeiane. In un altro ambiente rinvenuto all’interno del Monastero, il motivo del drappeggio della stanza vi di Centuripe ritorna nella riproduzione di una tovaglia (Fig. 18) che pende da una tavola imbandita. 3 L’immagine che deriva dagli scavi sulla collina dei Benedettini di Catania è quella di un quartiere in cui le abitazioni, addossandosi l’una all’altra su livelli diversi, superavano le difficoltà dettate dall’orografia del colle, con soluzioni di indubbi effetti scenografici. Tutto ciò non può non richiamare la situazione che si va delineando a Centuripe. 2 M. Frasca, Sull’urbanistica di Catania in età greca, in Damarato. Studi di Antichità classica offerti a Paola Pelagatti, Milano, 2000, pp. 119-125. 3 M. G. Branciforti, in Studi in onore di Ernesto De Miro, Roma, 2003.

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Rosario P. A. Patané CENTURIPE ELLENISTICA. NUOVI DATI DALLA C ITTÀ

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egli ultimi anni una ricerca essenzialmente di tipo economico ha consentito di delineare un quadro di Centuripe in età ellenistica, i suoi rapporti con Roma. 1 In estrema sintesi : imprenditori centuripini agivano in larga parte della Sicilia come aratores, appaltatori di ager publicus ; ma sembrano anche essere presenti a Roma, in Campania, e nel Mediterraneo orientale (Fig. 1), presumibilmente per occuparsi di commerci attraver-

Fig 1. Presenza di Centuripini nel Mediterraneo, iii-i secolo a.C.

so il porto di Siracusa. Questa situazione si spiega alla luce dei buoni rapporti che dovevano esistere tra le élites locali e grandi famiglie di Roma e del Lazio : è lo scenario in cui si inquadra la notizia di Cicerone relativa alla cognatio tra Centuripini e Romani, resa più comprensibile dalla nota iscrizione con il resoconto di una missione diplomatica centuripina a Roma e a Lanuvio e il trattato di syngheneia tra Centuripe e Lanuvio. Quindi non solo cives Romani in Sicilia qui negotiantur, 2 ma anche imprenditori sicelioti, in questo caso centuripini, presenti al loro fianco e impegnati nelle stesse attività. 3 In quest’ambito il censimento dei dati urbanistici tra il iii e il i secolo a.C. ha portato ad una carta archeologica su cui sono registrati trentotto punti : in ogni caso, si tratta di dati interessanti, ma molto frammentari. L’aspetto fisico dei luoghi ha chiaramente condizionato le scelte urbanistiche in maniera tale che la città moderna si sovrappone alla città antica, e questo ha sempre costituito un grosso ostacolo alla ricerca. Non è un caso, quindi, se molti dei punti censiti si trovano ai margini dell’abitato moderno. Inoltre, in molti casi si tratta di resti individuati ma in cui le indagini sono tuttora in corso. Allo Ringrazio gli organizzatori del Convegno per l’invito in questa sede. Questo testo va visto in stretta connessione con quello di M. Frasca, in questo stesso volume, relativo a Centuripe ellenistica. Il quadro generale ; ringrazio il prof. M. Frasca per avermi voluto coinvolgere in questa trattazione a quattro mani sul caso Centuripe. Voglio inoltre ringraziare per l’attenzione rivolta all’attività del Museo Civico di Centuripe e per la liberalità con cui mi si è concesso di partecipare a scavi in città : l’arch. S. Scuto, Soprintendente per i Beni Culturali e Ambientali di Enna, e la dott. C. Bonanno, Dirigente del Servizio per i Beni Archeologici della stessa Soprintendenza, e quanti li hanno preceduti nelle stesse cariche. Ringrazio lo staff del Museo Civico di Centuripe : i disegni alle figg. 3, 4, 16, 22, 23 sono stati realizzati grazie alla collaborazione di V. Castiglione ; P. Barbagallo e G. Catania hanno curato l’elaborazione delle immagini. 1 R. Patané, Centuripe in età ellenistica : i rapporti con Roma, in Scavi e ricerche a Centuripe, ed. G. Rizza (Studi e Materiali di Archeologia Mediterranea, 1), Catania, 2002, pp. 127-167. 2 Per riprendere la nota definizione di cil i2 836 = ils 8962. 3 Su tutto il problema : Patané 2002, p. 129 sgg.

stato attuale è comunque possibile intravedere una città con case scenograficamente disposte a terrazze e ornate con decorazioni architettoniche in terracotta e pitture parietali. È esattamente quello che ci si poteva aspettare per una prospera città di montagna dell’ellenismo maturo. 4 Ma è anche possibile andare oltre e cominciare a esaminare alcune linee di tendenza. In questa sede presenterò alcune situazioni che sono state oggetto di indagini recenti, 5 anche se si tratta appunto di indagini non ultimate : saggi da riprendere con scavi in estensione più approfonditi. Può essere intanto il caso di anticipare qualche punto di riferimento cronologico. Nel 339/338 a.C. Timoleonte pose fine alla vita della Centuripe sicula deportando a Siracusa gli abitanti, siculi ormai completamente assimilati alla cultura greca, e rifondando la città con nuovi coloni, per lui più affidabili militarmente. 6 Nel iv secolo a.C. ovviamente non è possibile distinguere archeologicamente “siculi” da “sicelioti” ; e in effetti doveva ormai esistere una sorta di koiné culturale ; ma rimane il fatto che le nostre fonti continuavano a fare questa distinzione di tipo etnico. 7 Non sappiamo esattamente cosa sia successo, materialmente, per architettura e urbanistica : abbiamo comunque motivo di credere che queste fondazioni di Timoleonte comportassero se non l’edificazione, quanto meno la pianificazione di alcuni monumenti con un alto valore simbolico nel definire la città. 8 L’abitato sembra avere avuto una notevole espansione grossomodo intorno al iii, alla seconda metà del iii secolo a.C. I dati cronologici oggi in nostro possesso non consentono di essere precisi su questo punto ; e questo dispiace particolarmente, visto il tema che stiamo affrontando. L’abitato sembra avere avuto poi una contrazione, magari legata a fatti traumatici, negli ultimi decenni del i secolo a.C. Questo momento, come vedremo, si può agevolmente far coincidere con un riassetto augusteo. La ricca Centuripe ellenistica doveva avere edifici pubblici notevoli. Ne abbiamo notizia dalle fonti scritte e dai dati epigrafici. Cicerone ci informa di un foro, o se preferiamo di un’agorà ornata di statue. 9 D’altra parte l’iscrizione relativa ai rapporti con Lanuvio 10 rimanda a un edificio pubblico più o meno imponente nel quale doveva essere esposta. Un’altra 4 Per l’architettura civile nella Sicilia ellenistica, con particolare riferimento alle abitazioni, cfr. N. Bonacasa, L’ellenismo e la tradizione ellenistica, in Sikanie, ed. G. Pugliese Carratelli, Milano, 1985, pp. 279-282, 334-337 ; G. Gullini, L’architettura, in Sikanie, ed. G. Pugliese Carratelli, Milano, 1985, pp. 485-486 ; R. J. A. Wilson, Sicily under the Roman Empire, Warminster, 1990, pp. 23-27, 31. Sul concetto ellenistico della città come scenografia e sul coinvolgimento funzionale di urbanistica e paesaggio, cfr. S. Santoro Bianchi, Urbanistica romana delle città d’altura in Emilia Romagna, in Studi sulla città antica. L’Emilia Romagna, Roma, 1983, p. 191 sgg. Cfr. F. Coarelli, I santuari del Lazio e della Campania tra i Gracchi e le guerre civili, in Les “bourgeoisies” municipales italiennes aux iie et ier siècles av. J.-C., Napoli, 1983, p. 217 sgg. Cfr. Vitruvio ii 8, 11 sull’urbanistica di Alicarnasso “theatri curvaturae similis” : J. B. Ward Perkins, Cities of ancient Greece and Italy : Planning in classical Antiquity, New York, 1974, p. 19 ; W. Höpfner, Halikarnassos, Die Hauptstadt des Maussolos, « Antiche Welt », xviii, 1987, 4, pp. 51-54 ; W. Höpfner, E. L. Schwandner, Haus und Stadt in Klassichen Griechenland, München, 1994, pp. 226-234. 5 Sui siti archeologici il Museo Civico è intervenuto, ovviamente, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali. 6 R. Patané, Timoleonte a Centuripe e ad Agira, « CronA », xxxi, 1992, pp. 67-82. 7 Patané 1992, pp. 67-75 ; R. Patané, Una casa del iv secolo a.C. a Centuripe, in Scavi e ricerche a Centuripe, ed. G. Rizza (Studi e Materiali di Archeologia Mediterranea, 1), Catania, 2002, p. 114. 8 L’elenco dei monumenti elencati in Diodoro xvi 83,3 a proposito della rifondazione timoleontea di Agira comprende tutti i monumenti che caratterizzano una polis. Cfr. Patané 1992, p. 77, con bibliografia ivi citata. Per la posizione dell’agorà 9 di Centuripe, cfr. Patané 2002, pp. 150-151. 2Verr. ii 161-164. 10 G. Manganaro, Un Senatus consultum in greco dei Lanuvini e il rinnovo della cognatio con i Centuripini, « RendAccadNapoli », n.s. xxxviii, 1963, pp. 23-44 ; Patané 2002, ivi bibliografia precedente.

202 rosario p. a. patané iscrizione, datata iii-ii secolo a.C., ci informa dell’esistenza di un ginnasio. 1 Ma praticamente, archeologicamente, conosciamo solo (scavo 1987, nella zona del foro di età imperiale) 2 pochi metri quadri di pavimento (Fig. 2) e qualche frammento di capitello (Fig. 3). I dati stratigrafici, pochi ma coerenti tra di loro, fanno ipotizzare una cronologia intorno al ii secolo a.C. Purtroppo, la coscienza che quelle pietre siano state calcate dai sandali di Cicerone, in ben due occasioni, nel 75 e nel 70 a.C., non fa procedere granché le nostre conoscenze sull’urbanistica della città. Di un tempio di Demetra conosciamo la localizzazione grazie alla scoperta della favissa, ma non conosciamo l’architettura. 3 Alla fine degli anni Ottanta, ovviamente del xx secolo, l’espansione edilizia ha indotto a condurre una serie di scavi in contrada Panneria, dove ruderi visibili e dati bibliografici deponevano a favore di un interesse archeologico notevole : i risultati sono stati all’altezza delle aspettative. Il disegno che qui si presenta (Fig. 4) ha lo scopo di cominciare a dare una vista tridimensionale dei resti databili tra il iii e il i secolo a.C. È stato realizzato collocando sul pendio (ovviamente “spogliato” delle case moderne) i ruderi nel loro aspetto attuale, o comunque documentato in un passato più o meno recente. Il risultato è un disegno leggibile con più immediatezza rispetto ad una carta a curve di livello. Sorvoliamo sul monumento più noto : la costruzione ellenistica con pitture alle falde del Calvario (Fig. 4, n. 1) nota dal libro

Fig. 3. Capitello, ricostruzione grafica.

di Libertini 4 e oggi non visibile. 5 Le pitture parietali e le terrecotte sono state datate per motivi stilistici intorno al 100 a.C. E qui rimaniamo in sospeso, perché mancano al momento dati di scavo che possano consentire di definire su basi stratigrafiche la cronologia dell’edificio. È stato anche osservato che la pianta dell’edificio sarebbe alquanto insolita per una abitazione privata ; anche a questo proposito, allo stato attuale ogni conclusione potrebbe essere prematura, dal momento che conosciamo solo una parte. 6 A ovest del Calvario è stato individuato 7 (Fig. 4, n. 2, Figg. 5-6) un tratto di muro di terrazzamento visibile per una lunghezza di circa 19 metri. La faccia è costituita da blocchi più o meno regolari, rinzeppati da piccole pietre ; dietro c’è un impietramento, per uno spessore totale di circa m 1/1,20. Il muro segue l’andamento irregolare della roccia : verso E è alto al massimo un metro, verso O è più conservato. Al muro è addossato un cortile con resti di pavimentazione in mattoni 8 e una canaletta (delimitata a valle da mattoni 9 disposti per taglio e accuratamente rinzeppati) che conduce all’imbocco di una cisterna. All’estremità O del muro di terrazzamento ad una quota di circa due metri più in basso, si addossava un crollo con pochi frammenti ceramici, ossa animali, molti frammenti di intonaco dipinto. Nel terrapie4

G. Libertini, Centuripe, Catania, 1926, pp. 54-64. Negli anni Venti, al momento delle indagini di G. Libertini, la tettoia era stata « completamente distrutta ed asportata ». « Cosicché, oggi, chi si reca sul luogo non vede che una specie di caverna alquanto pericolosa a coloro che si avventurano nel suo interno e quasi ostruita da un folto di vegetazione » (Libertini 1926, 54). Nel 1933 una lettera della Soprintendenza alle Antichità della Sicilia in Siracusa registrava la « lodevole iniziativa » del Comune di Centuripe di voler eseguire opere « onde rassettare e difendere con tettoia » l’edificio. 6 Per una recente messa a punto sul monumento, Patané 2002, pp. 142-145 ; R. Patané, Contrada Panneria a Centuripe. Un impianto urbano di età ellenistica, « Paleokastro. Rivista trimestrale di studi sul territorio del Valdemone », iii, 11 agosto 2003, pp. 7-8, ivi bibliografia precedente. Ma soprattutto cfr. anche Frasca in questo stesso volume. 7 Patané 2002, p. 144. Scavo 1989 ; proprietà Co.Pro.Ter. 8 9 M 0,33 x 0,33 x **. M 0,54 x 0,22 x 0,08. 5

Fig. 2. Ex Mulino Barbagallo. Scavo 1987. 1 G. Libertini, Iscrizioni centuripine, « SicGymn », n.s. ii, 1, 1949, pp. 91-94 ; G. Manganaro, Nuove ricerche di epigrafia siceliota, « SicGymn », n.s. xvi, 1963, pp. 512 64 ; Patané 2002, p. 150. Patané 2002, p. 150. 3 Patané 1992, p. 73 ; Patané 2002, p. 151 ; R. Patané, Demetra a Centuripe, in Demetra. La divinità, i santuari, il culto, la leggenda (Atti del convegno Enna 1-4 luglio 2004), c.s.

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Fig. 4. Pendio di contrada Panneria. Pianta e ricostruzione grafica, da NE.

Fig. 6. Pendio a O del Calvario : CoProTer scavo 1989.

Fig. 5. Pendio a O del Calvario : CoProTer scavo 1989.

no a E della parte scavata si vedevano chiaramente stratificazioni e un pavimento in signino. Quindi, sostanzialmente, a parte la scontata sistemazione a terrazze : una quota pavimento per il

cortile e un orientamento per i muri di terrazzamento. Si può proporre una cronologia genericamente in età ellenistica, anche se gli elementi datanti rimangono piuttosto scarsi. Praticamente inesistenti i materiali a contatto del cortile ; nello straterello sabbioso con carboncini si nota anche la presenza di elementi molto più tardi : da un frammento di teglia Hayes 23A, databile nel ii secolo d.C., 1 ad una monetina di Carlo d’Angiò, 2 che documenta una frequentazione fino al momento della scomparsa 1

Cfr. J. W. Hayes, Late Roman Pottery, London, 1972, pp. 45-48. Cfr. R. Spahr, Le monete siciliane. Dai Bizantini a Carlo I d’Angiò (582-1282), Zurich-Graz, 1976, tav. xxviii, n. 35. 2

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rosario p. a. patané (fig. 4 n° 3) ; 3 la parte inferiore è costruita a blocchi molto regolari (la tecnica si confronta abbastanza bene con quella della Panneria) ; la parte superiore è a blocchi più grandi e meno regolari, non è chiaro se appartiene ad una fase successiva. La parte inferiore ha dei setti trasversali che appartengono alla costruzione originaria : sono infatti ben ammorsati, non aggiunti successivamente. Allo stato attuale, dei setti trasversali rimane ben poco (Fig. 7) ; diverso appare lo stato di conservazione del manufatto nel rilievo pubblicato da G. Libertini nel 1926 (Fig. 8) : 4 mentre il prospetto del muro di fondo è sostanzialmente uguale, la pianta fa vedere uno stato di conservazione dei setti trasversali ben diverso e addirittura (in basso a destra) l’angolo di una struttura che evidentemente doveva trovarsi in una terrazza inferiore. 5 Il grande muro poggia sulla roccia immediatamente sotto il piano di campagna, mentre il muro trasversale poggia su un impietramento di fondazione che forma una Fig. 7. Struttura di terrazzamento. risega sporgente una decina di centimetri (Fig. 9). Allo stato attuale, anche sulla base della documentazione fornita dal rilievo 1 della città. Il mattone quadrato impiegato nella pavimentazioLibertini per la parte oggi non più visibile, è chiaro che si tratta ne trova confronto con i mattoni di uguali dimensioni impiegati di una serie di ambienti allineati, in un complesso disposto su nel pavimento dell’agorà di Halaesa e di Solunto. 2 I frammenti due terrazze ; non è ancora possibile avanzare ipotesi su aspetto di intonaco dipinto non consentono di riconoscere i soggetti ; è architettonico e funzione del complesso. Circa cinquanta metri possibile un generico confronto con cose della Sicilia ellenistica ; ad ovest è un altro tratto di muro di terrazzamento 6 orientato allo stesso orizzonte cronologico rimandano i pochi frammenti come il precedente (Fig. 4, n. 4). Alla base è visibile un tratto di ceramici associati. selciato (Figg. 10-11). 7 Sono sfalsati in pianta e a quote diverse : Sempre alla sistemazione ellenistica va probabilmente riconsi tratta di terrazze diverse. dotto un muro di terrazzamento di cui si vede un lungo tratto Più a valle, a nord-est, è la cosiddetta Casa delle Maschere 1 (Fig. 4, n. 5), interessante ma solo parzialmente indagata. Nel Gli abitanti di Centuripe furono deportati a Palermo da Federico II nel 1233.

Non è chiaro se la città si sia poi ripopolata o se risorse solo come posto militare ; abbiamo comunque notizia di una distruzione da parte di Carlo d’Angiò tra il 1267 e il 1270 : questa volta la città non risorge, fino alla rifondazione del 1548. Per una recente messa a punto sul problema, cfr. R. Patané, Centuripe. Scavo in contrada Difesa, via Scipione l’Africano, in Scavi e ricerche a Centuripe, ed. G. Rizza (Studi e Materiali di Archeologia Mediterranea, 1), Catania, 2002, 195, con bibliografia ivi citata. 2 G. Carettoni, Tusa (Messina). Scavi di Halaesa (seconda relazione), « NSc », 1961, pp. 290-292, fig. 28 ; R. J. A. Wilson, Brick and Tiles in Roman Sicily, in Roman Brick and Tile. Studies in Manufacture, Distribution and Use in the Western Empire, ed. A. McWhirr (bar International Series, 68), Oxford, 1979, pp. 11-13 ; Wilson 1990, pp. 46-48.

3 Cfr. Libertini 1926, pp. 34-35, tav. G ; Patané 2002, p. 147. Attualmente visibile per una lunghezza di quasi diciotto metri e un’altezza di cinque. 4 Libertini 1926, tav. G. 5 La pianta non reca nessuna indicazione di quote (e la foto a tav. vii,1 fa vedere solo la parte superiore del muro di fondo), ma l’andamento del terreno non lascia dubbi. 6 Visibile in pianta per circa m. 10 e conservato per un’altezza massima di m 1,70. Costruito nella solita tecnica a blocchi più o meno regolari rinzeppati da piccole 7 pietre. Cfr. Patané 2002, p. 147.

Fig. 8. Struttura di terrazzamento, da Libertini 1926, tav. G.

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Fig. 11. Struttura di terrazzamento, tratto O.

Fig. 9. Struttura di terrazzamento, angolo SO.

1988 si è fatta la scelta di non completare lo scavo di un edificio, ma di dedicare le risorse disponibili a più saggi, in modo da farsi un’idea e consentire alla Soprintendenza di vincolare un’area entro cui successivamente si sarebbe scavato in estensione. All’angolo di un cortile, una canaletta era evidentemente destinata a raccogliere l’acqua piovana, convogliandola (anche da altri punti) verso un punto in cui si presume dovesse essere una cisterna (Fig. 12). L’area della presunta cisterna non è stata ancora scavata ; si trova comunque alle spalle di un ambiente il cui pavimento è ad una quota di circa due metri e mezzo più in basso rispetto al cortile. Questo ambiente era stato tagliato da un muro di terrazzamento moderno, e quindi la parte a monte si è conservata per un’altezza di quasi due metri. Le pareti sono rivestite di intonaco bianco, su una delle pareti sono due lesene di stucco (con un rilievo di circa tre centimetri) : finte crustae marmoreae di un giallo variegato (Figg. 13-14). Lo scavo dell’interno dell’ambiente – a parte il complesso di splendide maschere teatrali e di attrezzi di ceramista di cui non è il caso di parlare in questa sede – ha restituito resti di cornicioni di stucco sagomati e dipinti ; e soprattutto larghi frammenti di lastroni, che facevano pensare al crollo del pavimento del piano superiore : la faccia superiore ha un aspetto simile a un pavimento di opus signinum, 1 ma l’impasto contiene del materiale molto leggero, probabilmente scorie di fornace. Quindi, una casa disposta su diversi livelli, sia nel senso che si disponeva a terrazze sul pendio, sia nel senso che almeno in qualche parte aveva diverse elevazioni. La cisterna che raccoglieva l’acqua piovana, data la disposizione a 1 Della vasta bibliografia sul signino cfr. almeno E. Joly, Il signino in Sicilia : una revisione, in Atti del iv Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico (Palermo 9-13 dicembre 1996), edd. R. M. Carra Bonacasa, F. Guidobaldi, Ravenna, 1997, pp. 33-38.

Fig. 10. Struttura di terrazzamento, tratto O.

terrazze, veniva a trovarsi alle spalle di un ambiente (il che ovviamente comportava la soluzione di problemi per la spinta dell’acqua e per l’umidità). Anche la casa prima descritta (Fig. 4, n. 2) doveva presentare le stesse caratteristiche. Case così trovano confronto in diversi posti. Si ritrovano ad esempio a Solunto ; 2 ma il modo di distribuire le case sulle terrazze sembra presentare delle differenze. Si ritrovano nella vicina Catania. 3 Ma si ritrovano anche nell’Egeo, ad esempio a Delos. 4 Una costruzione più a valle (Fig. 4, n. 6) aveva una parte in grotta (Figg. 15-16) : non dev’essere stato un caso unico. Più a est, dalla base di un muro di terrazzamento moderno fuoriesce un tratto di pavimento in signino con decorazione a 2 M. De Vos, Pitture e mosaico a Solunto, « BABesch », l, 2, 1975, pp. 197-203, 3 fig. 8. Frasca, in questo stesso volume. 4 F. Pesando, La casa dei Greci, Milano, 1989, 241-252.

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rosario p. a. patané

Fig. 12. “Casa delle Maschere”.

Fig. 15. Ingresso ad ambiente in grotta.

Fig. 13. “Casa delle Maschere”.

Fig. 14. “Casa delle Maschere”.

meandro con tessere di marmo bianco (Fig. 4, n. 7, Fig. 17). 1 Nell’attesa di procedere allo scavo, abbiamo comunque recuperato una quota e un orientamento. Il motivo decorativo è da localizzare all’angolo di un ambiente ; ma è anche ipotizzabile una soglia e quindi un ambiente attiguo. Nell’ambito di questo quartiere disposto a terrazze sul pendio e la cui vita sembra limitarsi all’età ellenistica, tra iii e i secolo a.C., si trova il monumento (Fig. 4, n. 8) conosciuto dalla fine del xviii secolo con il nome di Panneria : ne parla il Biscari 2 ed è descritto e disegnato da Houel. 3 Si tratta sostanzialmente di un monumento ancora da scavare. Si può ipotizzare che si tratti di un’opera di terrazzamento. 4 Nel Voyage di Houel si legge : « A nord del monte che si chiama Calvario, vi è una parte di edificio, tutto costruito in piccole pietre, con all’esterno dei pilastri di sostegno. Vi sono peraltro delle piccole volte basse, che gli abitan1 Patané 2002, p. 144 ; G. Biondi, Nuovi materiali di età ellenistica e romana dall’area del Calvario, in Scavi e ricerche a Centuripe, ed. G. Rizza (Studi e Materiali di Archeologia Mediterranea, 1), Catania, 2002, p. 169, fig. 1,5, fig. 2. 2 I. Paternò, principe di Biscari, Viaggio per tutte le antichità della Sicilia, Napoli, 1781, pp. 46-49 ; G. Pagnano, Le Antichità del Regno di Sicilia. I plani di Biscari e Torremuzza per la Regia Custodia 1779, Siracusa-Palermo, 2001, pp. 47, 142. 3 Nella visita a Centuripe J. Houel, che è stato ospite del Biscari, segue lo stesso elenco di monumenti e dimostra di conoscere le argomentazioni del principe. Cfr. Paternò 1781, pp. 46-49 ; Pagnano 2001, pp. 47, 52-53, 63, 68, 74, 86, 142-144. 4 Patané 2002, pp. 146, 156.

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Fig. 16. Ingresso ad ambiente in grotta.

Fig. 18. Pietroburgo, Ermitage. J. Houel, Ruderi della “Panneria” a Centuripe. 1778.

Fig. 17. Pavimento in signino. Da Biondi 2002, fig. 2.

ti chiamano Panaria, panetteria, a causa della somiglianza che queste volte hanno con l’imboccatura di un forno ». 1 Alle poche righe di testo non corrisponde nessuna incisione ; c’è però una guache all’Ermitage (Fig. 18). 2 Rimane oscura la spiegazione che Houel dà del nome : Panaria viene riconnesso a “pane”, e quindi spiegato come “boulangerie”, “panetteria”, a causa delle “piccole volte basse” che ricordavano la bocca di un forno. Al di là dell’etimologia fornita da Houel, quello che dobbiamo comunque pigliare per buono è il dato materiale : « Il y a aussi de petites voûtes basses ». Queste volte non sono visibili né nel disegno né nel monumento come conservato allo stato attuale ; a titolo di ipotesi si può pensare che fossero nella parte a destra, oggi non visibile e che nel disegno rimane in ombra, abbozzata in grigio. A meno che non si voglia pensare all’arco di scarico di cui diremo. Il monumento, almeno nella parte centrale, era sostanzialmente identico negli anni Venti del xx secolo, quando fu

rilevato da G. Libertini (Fig. 19). 3 E così è ancora oggi. Attualmente è possibile vedere una grandiosa sostruzione con pianta a L (all’incirca una ventina di metri il lato lungo, con un’altezza di circa cinque metri) : due muri ad angolo, realizzati con tecnica a sacco e rinforzati da pilastri. Libertini notava un arco, che evidentemente considerava tampognato e obliterato da un pilastro ; un saggio alla base gli fece osservare “una costruzione isodoma, assai meglio conservata, che giunge fino a m 2 1/2 di profondità”. L’arco è realizzato con blocchi di pietra ai quali sono alternati gruppi di quattro mattoni di sezione trapezoidale (Fig. 20). 4 Recentemente la possibilità di seguire gli scavi per la fognatura nella strada antistante ha consentito di vedere che la roccia è molto irregolare : quasi dappertutto è immediatamente sotto il piano di campagna ; proprio in quel punto si apre una profonda spaccatura. Quindi, si può pensare a un arco di scarico che rinforza il muro in corrispondenza di un tratto in cui la roccia di base è ad una profondità notevolmente maggiore. In ogni caso i pilastri sembrano essere parte integrante della costruzione, non appartenere ad una seconda fase. L’uso dell’arco di scarico per alleggerire il peso della muratura, per saltare un tratto di fondazioni, è abbastanza precoce : Vitruvio ne raccomanda l’uso, ma si tratta di un uso ellenistico mutuato dai romani. In Sicilia è possibile un confronto a Morgantina, con gli archi di scarico 3

1

J. Houel, Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malte et de Lipari, iii, Paris 1785, p. 31. 2 La Sicilia di Jean Houel all’Ermitage, ed. M. Pecoraino, Palermo. 1989, n. 187.

Libertini 1926, pp. 64-66. I mattoni hanno un’altezza di 36 cm. e uno spessore che alla sommità è di cm 6/7 e alla base si assottiglia fino a cm 3,5/4,5 : quindi un mattone realizzato per questa funzione specifica. 4

Fig. 19. “La Panneria”, da Libertini 1926, fig. 6.

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rosario p. a. patané ogni caso, ovviamente, non è chiaro che cosa l’opera di terrazzamento doveva sostenere. In attesa di uno scavo del monumento, più in là di tanto non possiamo andare. Allo stato attuale è chiaro che il pendio di contrada Panneria tra il iii e il i secolo a.C. è stato sede di un quartiere con costruzioni di una certa importanza, disposte a terrazze. Non è ancora possibile precisare la cronologia del momento iniziale ; è comunque chiaro che l’abitato si è allargato su un’area occupata da una necropoli fino al iv secolo e sembra non esistere più dopo il i secolo a.C. È immediato il confronto con l’urbanistica delle ricche città ellenistiche di montagna ; 6 ma è quanto mai interessante l’attenzione che è stata rivolta a un alessandrinismo, « filtrato in Sicilia non soltanto attraverso Siracusa », da riconoscere nella raffinata monumentalità dell’architettura in facciata, in una architettura su terrazze brevi, a diversi livelli, che si dispone scenograficamente con fughe prospettiche e con una enfatizzata mancanza di assialità. 7 Lo schizzo panoramico del pendio (Fig. 4) comincia a dare una vista a volo d’uccello dei resti databili tra il iii e il i secolo a.C. Ovviamente non è l’esatto equivalente di una cartografia tridimensionale ; tuttavia si comincia a vedere quale doveva essere l’aspetto del pendio. Si comincia a vedere appunto una serie di terrazze brevi, su diversi livelli, con costruzioni che si dispongono scenograficamente, adeguandosi al terreno, e non secondo assi precisi ; un’architettura pittoresca del tipo ad esempio di quella che ha lasciato un’eco nella nota pittura da Boscoreale con scena urbana (Fig. 21). 8

Fig. 20. “La Panneria”, Particolare.

della Casa Pappalardo, databili intorno al ii secolo a.C. 1 È stato affermato che l’opera cementizia si sarebbe diffusa a Roma e in Campania dalla fine del iii secolo a.C., su influenze ellenistiche. 2 Tuttavia gli esempi greci sembrano non risalire al di là della fine del ii secolo a.C. ; 3 in particolare in Sicilia l’opera cementizia non sembra essere documentata così precocemente. 4 Di conseguenza, in attesa del procedere delle indagini, è d’obbligo una certa cautela. La serie di possenti pilastri della Panneria non lascia dubbi sul fatto che si tratta di una struttura destinata a reggere un peso notevole. Nella raffigurazione settecentesca di J. Houel il monumento appare sostanzialmente uguale ad oggi ; ci sono però delle differenze che possono essere significative : il muro basso a sinistra si conserva solo per un breve tratto ; all’estremità destra, al di là dell’ultimo pilastro, è chiaramente visibile un tratto di muro trasversale ben più lungo di quello oggi visibile : è possibile quindi pensare ad una pianta più articolata. Ricerche future potranno anche permettere di verificare se – come è stato anche ipotizzato – la struttura a pilastri non sia una cisterna (i pilastri, quindi, per sostenere la spinta dell’acqua) ; ma allo stato attuale questa ipotesi non sembra poggiare su dati concreti. 5 In 1

Patané 2002, pp. 145-146, con bibliografia ivi citata. J.-P. Adam, L’arte di costruire presso i Romani. Materiali e tecniche, Milano 1984, pp. 82-83 ; C. F. Giuliani, L’edilizia nell’antichità, Roma, 1990, pp. 165-166. 3 Giuliani 1990, p. 166. 4 Wilson 1990, pp. 22, 30. 5 Un breve accenno dell’Ansaldi fa pensare a intonaco idraulico che rivestiva l’interno delle pareti : « Si osservano tutt’ora gli avanzi della volta, ed alcuni pezzi di stucco formato di calce arena e frantumi di mattoni, del quale erano incrostate al di dentro le pareti ». Ma poi continua : « Dalla parte esterna d’oriente si osservano gli orli d’una cisterna, che or trovasi piena di terra ». Come in altri casi, l’erudito ottocentesco dà la sua interpretazione del monumento, ed è piuttosto avaro di descrizioni asettiche che potrebbero essere più utili a chi oggi va a ripercorrere i suoi scritti. F. Ansaldi, Memorie storiche di Centuripe, a cura di P. Cacia, Catania, 1981 [1871], p. 200. 2

Fig. 21. New York, Metropolitan Museum. Pittura parietale da Boscoreale. 6

Cfr. Patané 2002, p. 157, con bibliografia ivi citata. N. Bonacasa, Influenze microasiatiche nell’architettura della Sicilia ellenistica, in Sicilia e Anatolia (« CronA », xxvi-xxvii, 1987-1988), pp. 139-158 ; N. Bonacasa, Per una revisione della cultura figurativa ellenistica in Sicilia, in Magna Grecia e Sicilia. Stato degli studi e prospettive di ricerca, (Atti dell’Incontro di Studi Messina 2-4 dicembre 1996), edd. M. Barra Bagnasco, E. De Miro, A. Pinzone, Messina, 1999, pp. 259-263, con bibliografia ivi citata. 8 O, se si preferisce, con scena di commedia ; in ogni caso la querelle sulla derivazione di questo genere di pitture dalle scenografie teatrali è ininfluente ai nostri fini. 7

centuripe ellenistica. nuovi dati dalla città

209

I direttori di museo buttano un occhio alla ricerca scientifica e l’altro alla divulgazione e alla didattica. Si è ritenuto opportuno tentare uno schizzo ricostruttivo : i vuoti sono troppo ampî ; e in ogni caso non abbiamo elementi per le facciate, per l’aspetto esterno di edifici di cui abbiamo solo parti. Tuttavia, a questo punto è possibile provare a schizzare una ricostruzione ideale, seguendo gli elementi accertati e integrando sulla base di situazioni simili (Fig. 22). 1 Anche altri scavi recenti, sempre in aree marginali rispetto all’abitato moderno, hanno rivelato la stessa situazione : l’abitato in età ellenistica si espande, per cessare di esistere negli ultimi decenni del i secolo a.C. Una situazione emblematica è quella della località Addolorata (Fig. 23). G. Libertini ipotizzava che in epoca romana un sobborgo della città avesse invaso l’area di una necropoli ellenistica : 2 è l’ipotesi che meglio poteva conciliare i dati noti a quell’epoca e, tutto sommato, anche i dati oggi noti. 3 Uno scavo del 1987 ha messo in luce parte di una casa distrutta violentemente : 4 ancora una volta, la distruzione violenta si lascia datare con buona precisione, mentre rimane P. W. Lehmann, Roman Wall Paintings from Boscoreale in The Metropolitan Museum of Art, Cambridge, Mass., 1953 ; A. Barbet, La peinture murale romaine, Paris, 1985, pp. 44-77 ; R. R. Holloway, Il cubicolo della villa romana di Boscoreale nel Metropolitan Museum of Art, New York, « RendPontAc », lxii, 1989-1990, pp. 105-119. Sulle pitture murali come espediente per realizzare “aperture” da cui vedere diversi panorami e sul valore documentario delle raffigurazioni di città, cfr. ad esempio (anche se non mirati in maniera specifica all’antichità) E. H. Gombrich, L’uso delle immagini. Studi sulla funzione sociale dell’arte e sulla comunicazione visiva, Milano, 1999, pp. 22-24 ; P. Burke, Testimoni oculari. Il significato storico delle immagini, Roma, 2002, pp. 96-100. 1 Cfr. R. Merlo, Ricostruzioni per la divulgazione e la didattica, in Lo scavo archeologico : Dalla diagnosi all’edizione, Firenze, 1990, pp. 547-578 ; A. Carandini, Storie dalla terra, Torino, 1991, pp. 143-147 ; R. Patané, Il Museo Civico di Centuripe : tecniche espositive e modi di comunicazione, in La Gestione del Patrimonio Culturale. vii Colloquio Internazionale. Accessibilità ai Beni Culturali e Ambientali (Atti del Convegno. Cesena 4-8 dicembre 2002), ed. M. Quagliuolo, Roma 2003, 192-200 ; M. Medri, Manuale di rilievo archeologico, Roma-Bari, 2003, pp. 186-211 ; Archeologie sperimentali. Metodologie ed esperienze fra verifica, riproduzione, comunicazione e simulazione, edd. P. Bellintani, L. Moser, Trento, 2003. 2 Libertini 1926, p. 74. 3 Dalla zona proviene un importante tesoretto per il quale è stata proposta una data di sepoltura molto vicina al 340 a.C. (G. V. Gentili, Centuripe (Enna). Ripostiglio di monete d’argento del iv-v secolo a.C., « NSc », 1954, 70-77 ; R. J. A. Talbert, Timoleon and the Revival of Greek Sicily, Cambridge, 1974, pp. 162, 172-173 ; Patané 1992, pp. 74-75), ma si tratta ovviamente di un dato ininfluente ai nostri fini. Cfr. ora G. Rizza, Scavi e ricerche a Centuripe nell’ultimo cinquantennio, in Scavi e ricerche a Centuripe, ed. G. Rizza (Studi e Materiali di Archeologia Mediterranea, 1), Catania, 4 2002, pp. 9-17. Patané 2002, p. 152.

Fig. 22. Schizzo ricostruttivo dell’abitato, da NE.

più incerta la cronologia del momento iniziale. La cronologia dei materiali appare molto omogenea e consente quindi di proporre una datazione abbastanza precisa per il momento finale di utilizzo della struttura. In particolare, l’associazione di ceramica del tipo Campana C con la ceramica sigillata fa pensare ad un momento di poco posteriore alla metà del i secolo a.C. A breve distanza, altre costruzioni databili tra il iii e il i secolo a.C. sono state individuate nel 1998 e attendono che venga completato lo scavo. Anche in questo caso le costruzioni sem-

Fig. 23. Addolorata. 1 : scavo 1987, 2 : scavo 1998.

210 rosario p. a. patané brano essere state abbandonate improvvisamente dopo la metà coinvolgendola in un piano di valorizzazione (finalizzato tra l’aldel i secolo a.C. 1 tro al consolidamento del potere nell’isola). Un riassetto della Abbiamo sistematicamente osservato fasi di distruzione nei città può anche aver comportato un invio di coloni, che possono decenni successivi alla metà del i secolo a.C. Possono anche anavere modificato la composizione della popolazione. 4 Le distruzioni, non seguite da ricostruzione, che hanno lasciato traccia dare d’accordo con la notizia di Strabone relativa a distruzioni intorno al 38-35 a.C. : « Augusto fece risorgere questa città [Siarcheologica in diversi punti della città, possono essere effetto racusa] e Catania, così come Centuripe che aveva molto contridel riassetto augusteo. È probabile che tra gli effetti della rinabuito alla sconfitta di Sesto Pompeo. (...) ». 2 Ma la cosa non è così scita ci sia stato un cambiamento del rapporto città-territorio. lineare : dal punto di vista archeologico, lo stesso fatto che troCenturipe dev’essere stata ricca e fiorente sia prima che dopo ; viamo gli strati di distruzione intatti, con nulla sopra, significa ma il cambiamento può anche avere avuto effetti traumatici. 5 La rete di insediamenti agricoli nota nel territorio comincia ad esseche non c’è stata ricostruzione. E questo è piuttosto strano, dal momento che Centuripe in età imperiale è una città molto ricca ; re abbastanza significativa e in età imperiale sembra esserci una e d’altra parte l’abitato non può essersi spostato : i condizionariduzione del numero di insediamenti, possibile indizio quindi menti orografici sono troppo forti. È possibile che il brevissimo della comparsa di fattorie più grosse con residenza stabile. Va passo di Strabone relativo ad una rinascita di Centuripe ad opecomunque osservato che dal materiale raccolto in superficie è ra di Augusto, alluda in realtà a qualcosa di più complesso di difficile cogliere cronologie precise tra i secolo a.C. e i secolo una ricostruzione della città dopo presunti danni subiti nel corso d.C. : la ceramica sigillata italica, l’elemento datante più facilmente riconoscibile per la prima età imperiale, non doveva essedella guerra con Sesto Pompeo. 3 Le intenzioni scopertamente “agiografiche” nei confronti di Augusto talvolta portano Strare molto diffusa nelle campagne. 6 bone a fornire versioni un po’ ritoccate. In ogni caso, il testo di 4 Strabone (14-19 d.C.) parla genericamente di una rinascita, non Un invio di coloni ci è testimoniato, ad esempio, per Catania da Plinio iii, 89 : fa esplicito riferimento a distruzioni per eventi bellici e ad una notizia non fornita da Strabone, che si limita a dire che Augusto νλαβεν Catania. La stessa cosa avvenne per Tindari. Cfr. R. Marino, Osservazioni sullo stato giuridico successiva ricostruzione. Centuripe può essere stata “premiata” di Palermo in età augustea, « Kokalos », xxxvi-xxxvii, 1990-1991, pp. 152-157. 5 per la sua fedeltà, non tanto con concessioni agli abitanti, ma Su tutto il problema cfr. Patané 2002, p. 156, con bibliografia ivi citata. 1

Ibidem. 2 Strabone vi 4, 272C : τατην δ τν πλιν νλαβεν  Κασαρ κα τν Κατνην, ς δ'ατως Κεντριπα, συμβαλομνην πολλ πρς τν Πομπηου κατλυσιν. 3 Per distruzioni in diversi punti della Sicilia nel terzo venticinquennio del I secolo a.C., cfr. Sh. C. Stone, Sextus Pompey, Octavian and Sicily, « aja », lxxxvii, 1983, pp. 11-22.

6 G. Biondi, Per una carta archeologica del territorio di Centuripe, in Scavi e ricerche a Centuripe, ed. G. Rizza (Studi e Materiali di Archeologia Mediterranea, 1), Catania, 2002, p. 78. Per la situazione della Sicilia in età imperiale, cfr. O. Belvedere, Land Tenure and Settlement in Roman Sicily, ed. T. Fischer-Hansen, « Ancient Sicily » (Acta Iperborea, 6), Copenhagen, 1995, pp. 195-208 ; O. Belvedere, Organizzazione fondiaria e insediamenti nella Sicilia di età imperiale, « Aitna. Quaderni di Topografia Antica », ii, 1996, pp. 81-89.

Enzo Lippolis RICOSTRUZIONE E ARCHITETTURA A TARANTO DOPO ANNIBALE 1. L’espansione romana in Italia : il caso di Taranto

I

processi di consolidamento della presenza politica romana nell’Italia sono da tempo oggetto di un’attenzione metodologica costante e di uno studio più organico. 1 Da una parte la discontinuità delle diverse comunità conquistate, italiche, greco-coloniali ed etrusche, in alcuni casi traumatica, e la difficile conservazione dell’identità locale, dall’altra l’omologazione culturale e la ricerca di forme di integrazione, anche a diverso livello, rappresentano aspetti contradditori ma complementari dei profondi cambiamenti in atto soprattutto tra il iii ed il ii secolo a.C. La ricostruzione del fenomeno complessivo, che tradizionalmente si ritiene compiuto nella definizione amministrativa dell’Italia augustea, non può che essere fondata sulle testimonianze dirette fornite dall’indagine archeologica, ma solo se vagliate da un’attenta analisi filologica e contestuale dei singoli casi di studio. Non è possibile, infatti, estendere in maniera indiscriminata alle diverse aree culturali uno stesso tipo di soluzione interpretativa, correndo il rischio di cercare la dimostrazione di tesi precostituite o di generalizzare un’esperienza storica che si articola in tempi e modi estremamente diversi a seconda delle comunità e delle fasce sociali interessate e che probabilmente non è orientata da una consapevolezza ‘imperialistica’ sempre uguale a se stessa nelle scelte politiche. In questa direzione si è sviluppata da tempo la ricerca su Taranto, cercando di comprendere meglio le fasi differenti di un rapporto che con la perdita dell’autonomia determina da un lato la progressiva recessione dell’identità locale, dall’altro la partecipazione al processo costitutivo del nuovo linguaggio che identifica un soggetto politico del tutto nuovo : l’Italia romana. Una sintesi recente si è concentrata in particolare sulla fase postannibalica e sul problema del collegamento tra i dati desumibili dalla ricerca archeologica e quelli ricavabili dalle fonti letterarie 1 In Italia la ricerca archeologica su questo tema si pone certamente in uno stretto rapporto con l’analisi storica del periodo e con le proposte interpretative che ne sono derivate, considerando soprattutto i lavori di A. J. Toynbee, Hannibal’s Legacy. The Hannibalic War’s Effects on Roman Life, Oxford, 1965 ; P. A. Brunt, Italian Manpower, Oxford 1971 ; W. V. Harris, Rome, Etruria and Umbria, Oxford, 1971 ; un primo esame organico dei metodi e delle fonti archeologiche disponibili sul problema può essere considerato lo studio di M. Torelli, A. La Regina, W. Johannowsky, Contributo dell’archeologia alla storia sociale, « DdArch », iv-v, 1971, pp. 2-3, 431-471, in cui vengono presi in esame l’Etruria, i territori sabellici e sannitici, la Campania e l’Apulia. Un’importante tappa successiva è rappresentata dalla pubblicazione degli Atti del convegno tenuto a Pisa nel 1979 dall’Istituto Gramsci : Società romana e produzione schiavistica, a cura di A. Giardina e A. Schiavone, Bari 1981, in cui il lavoro di F. Grelle, Canosa. Le istituzioni, la società, pp. 182-225, per l’area geografica apula più in particolare costituisce un testo fondamentale nello sviluppo successivo della ricerca ; a questo proposito si possono citare i contributi più generali, di rimando ad una vasta bibliografia specifica e di dettaglio : M. Torelli, Aspetti storico-archeologici della romanizzazione della Daunia, in La civiltà dei Dauni nel quadro del mondo italico. Atti del xiii Convegno di Studi Etruschi e Italici (Atti Convegno Manfredonia 1980), Firenze 1984, pp. 325-336 ; M. Mazzei, E. Lippolis, Dall’Ellenizzazione all’età tardorepubblicana, in La Daunia antica dalla preistoria all’altomedioevo, ed. M. Mazzei, Milano, 1984, pp. 185-252 ; La Puglia in età repubblicana. Atti del I convegno di studi sulla Puglia romana (Atti Convegno Mesagne 1986), ed. C. Marangio, Mesagne, 1988 ; G. Volpe, La Daunia nell’età della romanizzazione. Paesaggio agrario, produzione, scambi, Bari, 1990 ; M. Mazzei, J. Mertens, G. Volpe, Aspetti della romanizzazione della Daunia, in L’espansaionismo romano nel sud-est d’Italia (Atti Convegno Venosa 1987), Venosa, 1990, pp. 177-195 ; L’età annibalica e la Puglia. Atti del ii convegno di studi sulla Puglia romana (Atti Convegno Mesagne 1988), ed. G. Uggeri, Fasano, 1992 ; E. Lippolis, Fra Taranto e Roma. Società e cultura urbana in Puglia tra Annibale e l’età imperiale, Taranto, 1997, in cui si raccoglie in maniera più sistematica la specifica documentazione su Taranto ; il tema della città in età post-annibalica e della valutazione della sua ‘discontinuità’ nel processo di romanizzazione è stato discusso in Lippolis 2004, cui si rimanda per un inquadramento più ampio e dettagliato.

ed epigrafiche, due contesti di informazione che erano ritenuti apparentemente contrastanti. 2 Si è valorizzata, invece, la presenza di caratteri omogenei nelle testimonianze restituite dai due ambiti, che in particolare mettono in luce ruolo ed importanza del ceto ‘filoromano’ locale, responsabile sia del tentativo di costruire una nuova identità della comunità tarantina, più consona alle nuove condizioni politiche, sia delle forme di integrazione perseguite. Il gruppo dirigente della città tardo-repubblicana, coinvolto soprattutto in attività agricole e commerciali, appare fortemente orientato in area mediterranea e ben inserito nei processi di espansione degli Italici verso Oriente, aderendo ad una cultura materiale ed artistica tardo-ellenistica di tipo ‘internazionale’, che accomuna in una stessa rete di rapporti Atene, Rodi, Alessandria, Delo ed una serie di altri centri anche in Italia, tra cui Taranto e Siracusa mantengono, ancora entro il II secolo, un ruolo centrale. Un mutamento ulteriore di questo panorama si verifica piuttosto negli ultimi decenni del secolo e nei primi del successivo, con il protagonismo sempre più evidente ed attivo di negotiatores centro-italici, in una fase storica resa più complessa anche dalla definitiva assimilazione politica, almeno formale, delle varie comunità dell’Italia nel sistema romano, attraverso l’intensificarsi delle assegnazioni coloniali e della estesa concessione della cittadinanza. Rimandando alle considerazioni già espresse in un precedente studio sull’argomento, 3 in questa sede si intende approfondire un aspetto più specifico, quello della documentazione architettonica di ii secolo, per verificarne consistenza ed eventuale omogeneità con gli altri elementi già esaminati, desunti soprattutto dall’analisi della cultura materiale e funeraria. È necessario precisare, però, che nell’ambito di ricerca prescelto la documentazione è frammentaria e limitata, a causa della continuità d’uso dello spazio urbano antico e della sequenza di ristrutturazioni, che hanno ripetutamente interessato il tessuto costruttivo della città ellenistica, cancellandolo progressivamente. 4 Di conseguenza, gli elementi raccolti possono restituire solo in maniera molto parziale la complessità della situazione e dell’impegno architettonico nella ricostruzione della città dopo la guerra annibalica, fornendo indicazioni che assumono concretezza solo se confrontate con le altre manifestazioni culturali meglio note. 2. La guerra in città Nelle fonti letterarie, ed in particolare nel dettagliato resoconto di Polibio, 5 il patrimonio edilizio dell’insediamento di iii secolo appare notevolmente articolato, come suggeriva peraltro il lungo processo di urbanizzazione e lo sviluppo rivestito dalla comunità tra il iv ed i primi decenni del iii secolo a.C. (Fig. 1). Aree monumentali (agorà), rete stradale, edifici di arredo e funzione monumentale (teatro, ginnasi), complessi rappresentativi e cultuali (Museo), come anche dimore private e monumenti funerari di notevole impegno caratterizzavano l’immagine urbana all’interno delle mura, che avevano subito un parziale rifacimento, almeno limitato alla principale porta di accesso da oriente (forse identificabile nella porta Temenide), ad opera dell’architetto militare Herakleides, protagonista in seguito di me2 4 5

3 Lippolis 2004. Ibidem. Sul problema urbanistico della città, da ultimo, Lippolis 2001, pp. 119-169. Polyb. viii, 34-35.

212

enzo lippolis a sostenere la pressione militare sugli assediati della rocca, coincide con i dati emersi negli ultimi tempi nella zona interessata. Si tratta di un’area con sensibili variazioni di quota, accidentata, denotata da cave di materiale litico a cielo aperto, intermedia tra il quartiere dell’acropoli e quello dell’agorà. 4 Gli scavi condotti in diverse occasioni negli ultimi anni infatti hanno mostrato un livellamento databile entro il iii secolo, realizzato in un’unica occasione, attraverso il riempimento delle parti più accidentate con anfore da trasporto messe di traverso e coperte da materiale di rifiuto comprendente ceramiche e resti organici (ossa animali) ; inoltre è stato scoperto un muro trasversale, dalla baia esterna alla riva della laguna interna (Mar Piccolo), che la sequenza stratigrafica attribuisce proprio alla fine del iii secolo, eretto con blocchi di reimpiego in corrispondenza di un percorso servito da un imponente asse fognario del v secolo a.C. 5 L’opera, accuratamente spogliata subito dopo ed impiegata come sponda per il Fig. 1. Taranto, planimetria generale dell’abitato nel iii sec. a.C. ripristino della sede viaria, ricostruita nel ii secolo e funzionale ad una serie di abitazioni erette sul versante meridionale delmorabili vicende dopo la fuga dall’Italia e il suo accoglimento l’area, era realizzata con conci parallelepipedi asportati da edifici alla corte di Macedonia. 1 precedenti ed assemblati a secco, in una struttura integrata da Nel 213 l’ingresso delle truppe cartaginesi, proprio dalle porte riempimenti di pietrame e di altro materiale ; nel tratto indagato, orientali denominate Temenidi, grazie all’appoggio interno forin particolare, lo spessore era ottenuto con fusti di colonne messi nito da una fazione antiromana, determina i primi danneggiadi traverso a formare la larghezza della muratura, provenienti menti dovuti al dilagare delle truppe nella città, mentre Romani dallo spoglio di piccoli edifici (Fig. 3). L’ipotesi più probabile è e Tarantini filoromani dal porto interno riparano sull’Acropoli, dove si asserragliano entro le mura della rocca (Fig. 2). La città, divisa in due parti occupate dalle due formazioni nemiche e dai rispettivi sostenitori locali, diventa così essa stessa terreno di battaglia. Il corpo civico si divide quindi nei due campi : la fuga dei Romani lascia alla mercé delle rappresaglie di Annibale le loro proprietà immobiliari e il cartaginese ne ordina il saccheggio, disponendone evidentemente per le nuove esigenze della guerra. 2

Fig. 3. Taranto, via T. D’Aquino, resti di muro costruito con materiale di spoglio ; fine del iii sec. a.C.

Fig. 2. Taranto, planimetria generale dell’abitato nel iii sec. a.C. In rosso, ricostruzione del percorso delle truppe annibaliche, dalle porte Temenidi (1), nella platea (2) fino a raggiungere la via Batheia (3), alla fine della quale poterono irrompere nell’agorà (4) ; in verde, invece, il percorso di fuga dei romani e dei tarantini filoromani, dall’agorà verso il teatro (5), luogo di raduno prima dell’imbarco nel porto militare interno (6) ed un breve tratto per mare (7), per approdare ed occupare l’acropoli (8) ; il n. 9 indica l’area in cui furono erette le fortificazioni annibaliche.

La notizia della costruzione di un complesso sistema difensivo di fronte all’acropoli, 3 comprendente una muraglia destinata 1 Polyb xiii 4 ; xvi 16, 3 ; Liv. xxxii 5, 7 ; Diod. xxviii 9 ; Athen. xiv 634b ; s.v. 2 in re viii, 1, Stuttgart 1912, pp. 497-498. polyb. viii, 33. 3 La struttura difensiva, particolarmente complessa, comprendeva una serie di difese che permettevano la costruzione di un diateichisma in muratura più all’interno e si articolava, da est verso ovest, in una palizzata, un fossato parallelo a questa e alle mura dell’Acropoli, un aggere formato con la terra scavata sul bordo ovest del fossato, armato sulla sommità da un’altra palizzata e, ad una certa distanza, il muro vero e proprio : Polyb. viii, 35 ; Lippolis 1981, pp. 89-91.

che si tratti di membrature pertinenti a peristili di ordine dorico di abitazioni private, con colonne solo sfaccettate e prive delle scanalature canoniche, segno di un pesante saccheggio del patrimonio immobiliare più rappresentativo della città ellenistica, difficilmente non identificabile con quello dei Romani e dei loro amici Tarantini rifugiati sull’acropoli. I danni maggiori, comunque, si sono verificati durante i tre giorni di saccheggio conseguenti la riconquista romana di Q. Fabio Massimo, nel 209 a.C. Depredazioni ed incendi devono aver ulteriormente provato il sistema urbano, che nello stesso frangente è stato certamente privato del suo arredo scultoreo : i vincitori non sembrano aver asportato in maniera indiscriminata le opere d’arte destinate al trionfo, ma hanno operato una scelta, lasciando ai vinti le statue di culto, ‘gli dei irati’ di un celebre aneddoto letterario. 6 Sono stati depredati, invece, gli anathemata privati e pubblici, mettendo in pratica uno dei com4 Lippolis 1981, pp. 89-91 ; Lippolis 1982, p. 88 ; L. Costamagna, Taranto : indagini archeologiche nell’area di piazza Garibaldi, « Taras », iii, 1-2, 1983, 101-123 (nel testo non si precisa che lo scavo di v. Cavour 28 e la sistemazione dei materiali sono stati condotti dallo scrivente, mentre la definizione cronologica dell’interro proposta è precedente allo sviluppo delle ricerche condotte a partire dal 1984) ; Lippolis 2001, 5 pp. 149-150. Dell’Aglio c.s. 6 Liv. xxvii 16, 8 ; Plut. fab. 23 ; marc. 21.

ricostruzione e architettura a taranto dopo annibale 213 portamenti più consueti per le truppe romane nella conquista comunque, è costituita dalla risistemazione dello spazio urbano attraverso la rimozione di macerie e residui della città pre-annidi città, meno pesante di quello attuato in altri casi, forse probalica, scaricati entro pozzi della necropoli o in fosse appositaprio per la solidarietà offerta dalle famiglie filoromane, rapporto mente realizzate, che segnano in maniera abbastanza sistematica che nell’anno seguente permette probabilmente il ripristino del il panorama archeologico della città. foedus. Lo scavo condotto a nord del tempio dorico di piazza Gli edifici pubblici sembrano essere stati sostanzialmente riCastello, sull’acropoli, ha mostrato ad esempio che tra la fine del sparmiati, come il Pritaneo, che ancora in età ciceroniana contiiii e gli inizi del ii sec. l’area subisce danneggiamenti ed escavanuava ad accogliere una celebre scultura di satiro, 4 il teatro stesso 5 zioni, forse dovute proprio all’asportazione di piccole strutture e almeno uno dei ginnasi, il maggiore, ricordato ancora da Stra(probabilmente donari), cui seguono riempimenti e rifacimenti bone, 6 analogamente agli edifici e le aree templari urbane, come dei piani di calpestio. 1 mostrano ad esempio i templi di S. Domenico e di Piazza Castello 7 e parte degli arredi pubblici, tra i quali l’Europa di Pitagora. 8 3. La ricostruzione post-bellica È evidente, quindi, che già all’indomani della guerra inizia In una città fortemente provata dai combattimenti e dagli esiuna riorganizzazione della polis, che procede innanzitutto con ti negativi della guerra, nonostante i tentativi di recupero noti la ‘pulitura’ delle aree danneggiate, il seppellimento e l’abbandalle fonti, come il richiamo dei cittadini esiliati da Annibale, dono di vasti settori della grande necropoli monumentale, ora fatto da L. Manlio ad Olimpia nel 208 a.C., 2 i gravi danni subiti frequentata prevalentemente lungo le strade di attraversamento, in termini di vite umane e di depauperamento economico e prol’interruzione definitiva di alcuni comportamenti rituali come duttivo devono aver certamente determinano difficoltà notevoli l’impiego della coroplastica votiva, asportata dai luoghi di dee durature. L’interruzione del sistema di approvvigionamento posizione e raccolta con altro materiale entro stipi disseminate della pietra da taglio e la mancanza di capitali sufficienti sono nell’area della necropoli e in zone abitative periferiche, ripetenla causa principale di un’attività di reimpiego ben evidente sodo un comportamento già attestato in precedenza. 9 Mancano prattutto agli inizi del II sec. a.C. in ambito privato. I blocchi di invece tracce relative alla storia dell’impianto urbano, in quanto riuso provengono, a quanto sembra, dal precedente patrimonio praticamente in nessun caso si sono identificati settori di abitato monumentale privato, soprattutto dai semata funerari, in alcuni abbastanza consistenti relativi alle fasi di vita classica e protoellenistica della città, in cui verificare danni e cambiamenti concasi smontati e riutilizzati per costruire tombe a semicamera o seguenti alle operazioni di guerra. nuovi segnacoli funerari o singoli elementi decorativi, che recaNelle aree monumentali note sinora gli interventi appaiono no nella superficie posteriore evidenti tracce della destinazione estremamente limitati, almeno per il momento : come si è visto, originaria (Fig. 4). Questo riutilizzo prosegue nel tempo, anintorno al tempio di piazza Castello si ripristina un nuovo piano di calpestio esterno, mentre il tempio di S. Domenico potrebbe aver ricevuto un restauro solo in occasione della deduzione pompeiano-cesariana del 59 a.C., se in questo senso deve essere letta l’indicazione di un’epigrafe apposta da un magistrato Cn. Pompeius Cormus su un architrave attribuibile al complesso. 10 Per il momento mancano, comunque, elementi per definire l’ampiezza ed il carattere dei provvedimenti adottati per il ripristino dello spazio urbano e solo lo scavo sistematico di alcuni settori di abitato può fornire indicazioni sufficienti a comprenderne tempi e modalità. 4. Il sacello dell’Ospedale Militare

Fig. 4. Taranto, Museo Nazionale Archeologico, lastra di reimpiego utilizzata per una fiancata di tomba a semicamera ; inizi del ii sec. a.C.

che se in forme più limitate, e sembra concentrarsi sui materiali di migliore qualità, quali il marmo importato, come attesta ad esempio il caso di una statua femminile ad un terzo del vero rilavorata per ottenere un busto maschile togato destinato sempre ad un monumento sepolcrale. 3 L’evidenza più significativa, 1 Dell’Aglio, De Vitis 1993 ; Lippolis 1995, p. 67 ; Lippolis 1996, pp. 26-27 ; Dell’Aglio c.s. 2 Liv. xxvii 35, 3 ; Wuilleumier 1939, p. 165. 3 R. Belli Pasqua, Catalogo del Museo Nazionale Archeologico di Taranto iv, 1 Taranto. La scultura in marmo e in pietra, Taranto, 1995, cat. v.6, pp. 122-124.

Un’attenzione significativa sembra essere stata rivolta alla costa di Mar Piccolo, in corrispondenza dell’area sacra del fondo Anna Giovinazzi. Questa zona era denotata da poderosi terrazzamenti in opera quadrata di età classica ; un rinvenimento mostra anche l’esistenza di murature curvilinee nella stessa tecnica, che secondo un’ipotesi formulata di recente potrebbero essere state pertinenti alla cavea del teatro più importante della città. 11 Il settore occidentale di questo sistema terrazzato, ai margini dell’abitato in tutte le sue fasi di sviluppo, in età post-annibalica pare essere stato obliterato ed interrato, evidentemente in occasione di un ampliamento della superficie disponibile o per una diversa organizzazione degli spazi. Nell’ambito di questi lavori, in rapporto con altre strutture murarie di cui non è possibile riconoscere lo sviluppo planimetrico, viene costruito un edificio quadrangolare databile probabilmente nel corso del ii secolo a.C., realizzato in maniera integrale con materiale di spoglio (Figg. 5-6). 12 I conci delle murature perimetrali sono tutti di recupero e presentano pezzature differenti, alcuni provengono da strutture, ma vi sono anche cippi e blocchi con dediche votive (Figg. 7-8). Sembra trattarsi di ele4

Cic. verr. ii, iv, 135. Polyb. viii 30 ; Liv. xxv 10, 4 ; Dion. xix 5, 8 ; Floro i, 13, 3 ; Dio Cass. fr. 39, 6 3 ; Orosio iv, i, 214 ; Hesych. s.v. dromos. Strabo vi, 3. 7 Lippolis 1995, pp. 65-70. 8 Cic. verr. ii, iv, 135 ; Varro de l.l. v, 31 ; Taziano, orat. ad graec., 53 ; Wuilleu9 mier 1939, pp. 276. Lippolis 1995, pp. 41-49. 10 Notiziario 1995, pp. 141-142 ; Nafissi 1995, pp. 240-241 ; Lippolis 2001, p. 161. 11 Lippolis 1989, in particolare, pp. 26-27 ; Lippolis 2001, pp. 144-145. 12 Lippolis 1982, pp. 98-104 ; Lippolis 1995, pp. 71-77, ed in particolare pp. 72-73. 5

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enzo lippolis samento in carparo posto molto in alto (a m 1,70 dal piano di calpestio) e destinato a sorreggere evidentemente un elemento di culto, certamente di piccole proporzioni ed inserito in un incasso rettangolare. Alle pareti uno strato di intonaco dipinto, di cui si conservano tracce di fasce verticali in colore rosso, permetteva di nascondere l’irregolare tessitura muraria, offrendo un rivestimento omogeneo teso a qualificare ulteriormente il carattere dello spazio sacro e suggerendo che il sacello era coperto, anche se non si conservano tracce della parte più alta della struttura. Durante lo scavo Q. Quagliati scoprì elementi attribuiti ad una cassetta contenente monete (chiodi e coni in bronzo), forse resti di un thesauròs ligneo ; durante i lavori di sistemazione dell’edificio fu rinvenuta infine una statua in marmo di piccole dimensioni (h. Fig. 5. Taranto, Ospedale Militare, sacello tardorepubblicano, max. m 0,25), di una figura femminile stante, databile nel ii sec. planimetria di scavo (1900). a.C., certamente identificabile in un dono votivo (Fig. 13). 1 Anche per questo monumento, come per altre testimonianze di Taranto tardo-repubblicana, mancano confronti adeguati e emerge la sensazione che si tratti di una soluzione specifica, forse connessa ad una reinterpretazione di tradizioni più antiche o di modelli esterni rielaborati e rifunzionalizzati per l’ambiente locale. La presenza di una torcia a bassorilievo sulla stele a sinistra dell’ingresso (Fig. 12), unico attributo pertinente al culto praticato nel vano, rimanda ad una divinità femminile ed in particolare potrebbe trattarsi di Artemis. La presenza della stele con la torcia a rilievo ricorda un altro reperto tarantino, anche in questo caso una specie di stele o di alto basamento, anche se di minori dimensioni, con incasso superiore per un elemento sovrastante non conservato, che reca sulla fronte, in posizione verticale, una clava a rilievo (Fig. 14). 2 Si tratta, quindi, per entrambi, della

Fig. 6. Taranto, Ospedale Militare, sacello tardorepubblicano, planimetria dello stato attuale.

menti provenienti da un’area sacra, forse posta nello stesso luogo, che pare essere stata almeno in parte smantellata e destinata al recupero di materiale per la nuova costruzione, di cui si conservano le pareti in blocchi, scapoli di pietra e legante di malta. La forma e l’arredo del sacello costituiscono certamente un problema (Figg. 9-11) ; colpisce innanzitutto il fatto di essere privo di una qualificazione esterna di carattere monumentale, di una sua area di rispetto specifico e di un qualsiasi riferimento all’architettura sacra più canonica. Le stesse dimensioni (m 5,23 x 4,80), con uno sviluppo in larghezza più che in lunghezza, come anche l’organizzazione dello spazio interno, rappresentano una singolarità, ma è soprattutto l’arredo ad accrescere la specificità dell’edificio. Una banchina costruita in blocchi corre contro le pareti ; su di essa sono poste due stele di diverse dimensioni ai lati della porta, mentre altre stele sono accostate davanti alla banchina a nord e sud, tutte in pietra tenera su piccole basi modanate in carparo (Figg. 10-12). La porta si apre verso oriente, in asse con un elemento quadrangolare, collocato in prossimità dell’ingresso e in mezzo al vano ; si tratta della parte inferiore di un altare, più che di una trapeza per offerte. Contro la parete di fondo si conserva un nucleo in calcestruzzo, ora quasi completamente spogliato del rivestimento originario, che sostiene un piccolo ba-

Fig. 7. Taranto, Ospedale Militare, sacello tardorepubblicano, prospetto della parete di ingresso, esterno ed interno. 1 Inv. 2438 ; Lippolis 1995, p. 76 ; R. Belli Pasqua, Catalogo del Museo Nazionale Archeologico di Taranto iv, 1 Taranto. La scultura in marmo e in pietra, Taranto, 1995, cat. iv.19, p. 98 ; la statuetta, analogamente alla situazione di Messene, citata infra, poteva essere stata dedicata su una delle stele in pietra tenera. 2 Lippolis 1995, p. 40.

ricostruzione e architettura a taranto dopo annibale 215 interessante notare che nei diversi recuperi di terrecotte votive effettuati in tutto il settore di questo importante polo di culto si evidenzia la grande prevalenza del tipo del recumbente tarantino, con un’incidenza minima del tipo dell’Artemis Bendis ; quest’ultimo, però, aumenta proprio nei rinvenimenti connessi alla zona del sacello, costruito su un terrapieno che comprende molto materiale votivo. 3 Il monumento, quindi, inserito in un sistema costruttivo più complesso, si sovrappone nel II secolo ad un’area già in precedenza denotata da una frequentazione in cui il culto dell’Artemis vestita dalla pelle ferina secondo l’iconografia della Bendis aveva un ruolo particolarmente importante. Nel complesso diversi elementi segnalano che l’edificio possa esse-

Fig. 8. Taranto, Ospedale Militare, sacello tardorepubblicano, prospetto della parete di ingresso, esterno ed interno ; in grigio stelai di reimpiego.

Fig. 10. Taranto, Ospedale Militare, sacello tardorepubblicano, veduta di scavo dell’interno.

Fig. 9. Taranto, Ospedale Militare, sacello tardorepubblicano, veduta di scavo dall’esterno, con stelai in situ presso la porta.

qualificazione sacra di un oggetto votivo, effettuata attraverso la semplice indicazione di un attributo. In questo caso la provenienza del reperto dedicato ad Herakles dalla stessa zona dell’Arsenale Militare lascia supporre la possibilità che nell’area sorgessero anche altri sacelli o manifestazioni di culto analoghe. Un’iscrizione graffita su un blocco reimpiegato, con una dedica ad Artemide parzialmente conservata 1 conferma il fatto che anche in precedenza la divinità fosse venerata nell’area, contigua ad est al Fondo Giovinazzi e compresa nella zona del noto santuario denotato da una cospicua ed ininterrotta deposizione di coroplastica votiva tra la fine del vi sec. a.C. e l’età ellenistica. 2 È 1 2

Nafissi 1995, p. 175, tav. xlviii, 1. Lippolis 1995, pp. 45, 48, 71-77.

Fig. 11. Taranto, Ospedale Militare, sacello tardorepubblicano, veduta di scavo dell’interno. 3 Vedi, ad esempio, la stipe A.4.g.10, con un rapporto di 1 a 2 tra Artemis Bendis e recumbente : Lippolis 1995, p. 76.

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enzo lippolis

Fig. 12. Taranto, Ospedale Militare, sacello tardorepubblicano, veduta di scavo dell’interno, e stele con torcia a rilievo.

re parte di una riorganizzazione più generale che ha interessato l’area, intervenendo su una frequentazione sacra precedente e riutilizzandone in gran parte strutture e donari come materiale edilizio. Ad Artemide è offerto anche un naiskos dedicato probabilmente nello stesso secolo da un A. Titinius, primo esponente di una famiglia locale che presenta numerose attestazioni, continuità ed affermazione sociale. 1 Collocato in un’area non molto distante, 2 se ne conserva solo l’epigrafe bilingue di dedica, certamente anteriore all’unificazione giuridica delle due comunità dei Tarantini e dei cives romani della colonia dedotta nel 123 a.C. Considerando la penuria di testimonianze sulla città in questo periodo, è significativa comunque la coincidenza di destinazione cultuale tra il sacello dell’Arsenale e la divinità della piccola aedes eretta da Titinio, evidentemente oggetto di particolare attenzione nell’insediamento del ii-i secolo a.C. In entrambi i casi, inoltre, si tratta di piccoli edifici, strutture minori, che sembrano essere state elementi di completamento di aree sacre più vaste e articolate, come peraltro in entrambi i casi è abbastanza probabile. L’unico riferimento sinora individuato per il recinto templare dell’Arsenale è costituito dall’oikos K dell’Asklepieion di Messene, dedicato appunto ad Artemis, anche se il confronto tipologico non è del tutto omogeneo. 3 In entrambi i casi, comunque, si tratta di costruzioni minori, che rivestono una funzione complementare all’interno di un santuario più articolato (Fig. 15) ; ambedue presentano una forma non canonica, con una pro1 3

2 Nafissi 1995, pp. 175-177. Lippolis 2001, p. 163. Lippolis 1995, p. 72 ; sul monumento di Messene : Themelis 1994.

Fig. 13. Taranto, Museo Nazionale Archeologico, statuetta in marmo inv. 2438, dall’Ospedale Militare, sacello tardorepubblicano.

porzione della cella inconsueta, a Messene decisamente orientata nel senso della larghezza, più di quanto non avvenga a Taranto. In entrambi i casi l’attività cultuale sembra svolgersi soprattutto all’interno del sacello, come mostra la presenza di trapezai o altari per offerte, stele e basi di doni votivi posti come arredo di uno spazio relativamente ridotto (Fig. 16) ; coincide inoltre anche la stretta banchina perimetrale, come anche la cronologia (Fig. 12). È di particolare significato soprattutto il fatto che anche a Messene la divinità venerata fosse un’Artemis, identificata iconograficamente con le caratteristiche della Bendis, proprio come nelle terrecotte tarantine scoperte nell’area del sacello. L’oikos K viene costruito all’interno del grande santuario di Asklepios in corrispondenza di una zona che in precedenza era già oggetto di culto per Artemide : lo anticipa, infatti, un sacello a forma di naiskos (m 8,42 x 5,62) posto in uno spazio dotato

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Fig. 16. Messene, oikos K, veduta dell’interno, con la base della trapeza e l’altare al centro, la parte inferiore del thesauròs a destra. Fig. 14. Taranto, Museo Nazionale Archeologico, stele con clava a rilievo.

anche di una stoà e forse di un’altare, fortemente ridimensionato nelle sue pertinenze dopo l’erezione del monumentale complesso architettonico dell’Asklepieion (Fig. 17). Il naiskos, non più rivolto verso un’area aperta, ma quasi nascosto dietro il muro perimetrale del nuovo monumento, continua ad esistere, anche se il corrispondente e vicino oikos K ne eredita certamente funzioni e destinazione cultuale. La nuova realizzazione planimetrica, che risulta confrontabile con il monumento tarantino, è condizionata da un progetto urbanistico monumentale più esteso, che modifica l’aspetto originario dei luoghi in maniera abbastanza radicale, una situazione che anche in questo caso potrebbe trovare un confronto con il sacello tarantino. Le epigrafi di Messene relative sia all’oikos K che al naiskos più antico ricordano l’Artemis venerata con le epiclesi di Orthia (nel primo 1 e nel secondo caso 2), o Oupesia (nel primo), segnalando quindi uno stretto parallelo con la divinità di un celebre santuario spartano, quello, appunto, di Artemis Orthia. La leggenda di fondazione di quest’ultimo, a sua volta, lo collega ad un’origine non greca, ma pontica, la stessa della Artemis Tauropolos venerata in Attica ad Halai Araphenides e a Brauron. 3 La tradizione rituale, in sostanza, accomunava in luoghi diversi forme di venerazione in qualche modo ritenute apparentabili, attribuite ad un’origine esterna, pontica o tracia, 4 e quindi ambito di riferimento anche per l’introduzione di età storica del culto di Artemis Bendis dalla Tracia, fenomeno prevalentemente attico. L’iconografia della dea elaborata in quest’ultima occasione, caratterizzata soprattutto dalla pelle ferina portata sul chitone, si diffonde come immagine comune della versione antropomorfa connessa ai rituali di questo ambito cultuale, 5 affiancandosi a 1

thia. 2

Themelis 1994, iscrizione 1032 del i sec. a.C., dedica alla Vergine Potnia Or-

Themelis 1994, iscrizione n. 3587. Sul problema in generale, da ultimo, M. Giuman, La dea, la vergine, il sangue. Archeologia di un culto femminile, Milano 1999 ; sul problema della fascia di età coinvolta nel rito v., inoltre, N. Marinatos, The Arkteia and the gradual transformation of the Maiden into woman, in Le orse di Brauron. Un rituale d’iniziazione femminile nel santuario di Artemide, edd. B. Gentili, F. Perusino, Pisa, 2002, pp. 29-42. 4 Themelis 1994, p. 115 opportunamente collega l’epiclesi Oupesia alla forma Oupis attestata dalle fonti come forma tracia, e sottolinenandone lo stretto rapporto con la Orthia (peraltro la divinità, come si è detto, è invocata in entrambe le forme nelle iscrizioni dell’oikos K). 5 Per il caso di Messene, in particolare, Themelis 1994, che ne riconosce il tipo sia nella coroplastica, che presenta un corto chitone, la pelle ferina, un polos e alti calzari, mentre reca una torcia nella mano sinistra, sia in una statua in marmo, a grandezza naturale, rinvenuta in frammenti e reimpiegata in questo modo nel muro di una stoà taardoromana, attribuita alla fine del iv o agli inizi del iii sec. a.C. e caratterizzata dalla medesima iconografia, peraltro rientrando in un tipo già attestato : limc ii, 1, s.v. Artemis, 651 s., n. 362-379 ; anche la statua di culto di Damophon dell’oikos K, di cui si conservano frammenti, recava in maniera analoga una torcia. 3

Fig. 15. Messene, oikos K, planimetria.

forme antiche in cui invece la rappresentazione era costituita da uno xoanon 6 o da un bretas di tipo ermaico. 7 Le differenti epiclesi (Tauropolos, Orthia, Oupesia, etc.) sembrano funzionali anche a distinguere in maniera adeguata singole tradizioni locali, che danno una particolare identità al culto di ogni polis, senza escluderne, comunque, rapporti ed ascendenze rese esplicite dalla tradizione letteraria e dall’uso specifico delle occasioni rituali ; queste nel caso in esame sembrano sempre connesse a riti di passaggio dall’età puberale a quella adulta, sia per i maschi (Halai Araphenides, Sparta), sia per le femmine (Brauron, Munichia), ed un comportamento analogo è stato proposto anche per spiegare le azioni rituali legate alla co6 A Sparta : Pausania iii, 16, 10, dove si specifica che nelle cerimonie la sacerdotessa reca lo xoanon, di piccole dimensioni e leggero. 7 A Messene : Themelis 1994, iscrizione n. 1032 e frammenti di fanciulle con lo stesso bretas di tipo ermaico in mano, coperto da una stoffa identificata con il pharos (p. 116).

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enzo lippolis della kline e immagini di opliti. 3 Si tratta di una medesima cultura religiosa, espressa anche dalla somiglianza delle tipologie degli anathemata più impegnativi, come le numerose stelai, alcune recanti piccole statue votive sulla sommità, dedicate intorno al naiskos di Messene, 4 come a Taranto. 5 Inoltre è probabile che fosse simile anche la principale immagine di culto ; infatti anche nel sacello tarantino posizione e dimensioni del supporto conservato all’interno del sacello inducono a restituire un oggetto certamente piccolo, forse a base quadrangolare, asportabile dalla sua collocazione grazie ad un incastro, posto a 1,70 m di altezza ; si tratta di elementi che ricordano in maniera significativa il bretas di Messene, di forma ermaica e di piccole dimensioni, asportabile dalla sua collocazione originaria (forse all’interno del naiskos più antico) per essere portato in processione dalle giovani ragazze come Megò, come mostra la sua statua e l’epigrafe relativa dedicata nell’oikos K. Un frammento comprendente il braccio sinistro conserva ancora l’immagine della piccola statua di culto stretta nella mano, evidentemente durante le attività sacrificali o professionali, in maniera analoga a quanto avveniva anche a Sparta per lo xoanon di Artemis Orthia. 6 Il sacello tarantino, quindi, attesta con certezza un intervento Fig. 17. Messene, naiskos esterno all’Asklepieion, planimetria.

Fig. 18. Taranto, pavimento rinvenuto in v. Dante nel 1932.

Fig. 19. Taranto, pavimento rinvenuto in v. Mazzini nel 1992.

roplastica del tipo dell’Artemis Bendis attestata a Taranto tra v e iv sec. a.C. 1 È evidente anche uno stretto rapporto della divinità con gli animali, un’orsa in Attica, un cane nelle raffigurazioni coroplastiche messenie, più frequentemente un cerbiatto, come avviene ad esempio a Taranto. Questo ambito di cultura dorica, ed in particolare di matrice laconica, che comprende anche Taranto accanto a Messene e Sparta, mostra una connessione particolarmente stretta, come segnalano iconografie e sviluppo della tradizione di culto. Proprio tale rapporto giustifica evidentemente le analogie segnalate tra l’oikos K e il sacello tarantino, in cui anche i tipi di dedica votiva segnalano l’esistenza di una tradizione comune. In entrambi i casi, infatti, è attestato, per una fase più antica, l’uso di coroplastica votiva e tracce di una stipe di questo tipo, comprendente anche ceramica, sono state riconosciute lungo la parete settentrionale del naiskos messenio. 2 Colpisce, in particolare, anche se con un livello quantitativo che sembra molto differente da quello tarantino, l’identità delle tipologie : in entrambi i casi, infatti, sono attestate figurine dell’Artemis ‘Bendis’ e offerenti femminili in chitone lungo, affiancate, in proporzione inferiore, da eroi recumbenti con personaggio femminile seduto ai piedi

di riordino delle aree monumentali e sacre cittadine dopo le distruzioni della guerra, con una riorganizzazione generale dello spazio di cui non possiamo conoscere caratteristiche ed ampiezza ; all’interno di questo intervento trova spazio la costruzione di un sacello inserito in un sistema planimetrico più complesso, in cui si riprende un culto evidentemente praticato da tempo nell’area, adottando forme espressive e cultuali che per diversi aspetti ripropongono soluzioni attestate contemporaneamente nella madrepatria e in particolare nei luoghi di origine della comunità coloniale tarantina. La scarsa conoscenza della situazione spartana viene compensata in questo caso dalla documentazione restituita da Messene, centro vicino e storicamente legato alla Laconia, che attraversa una fase particolare di sviluppo proprio nei decenni iniziali del ii sec. a.C. Analogamente all’uso del

1

Lippolis 2005. Themelis 1994 : il deposito dovrebbe essere stato effettuato nel corso della prima metà del ii sec. a.C., come proverebbero alcune monete provenienti dallo stesso livello della coroplastica, ma non si può escludere che le terrecotte siano frutto di dediche più antiche. 2

3

Themelis 1994. Themelis 1994 ne ricorda l’esistenza soprattutto intorno al pronao ; quella meglio conservata (fig. 5) è un pilastro del tipo di quelli tarantini, coronato da una cyma, destinato a sostenere una statuetta di bronzo fermata con un tenone di piombo, dedicata dall’agonotheta Dioskouride figlio di Antikrate ad Artemide Orthia, datato su base paleografica alla seconda metà del iii sec. a.C. Un aspetto interessante è costituito inoltre proprio dalla tradizione di pratiche agonistiche connesse alle celebrazioni del santuario, in particolare lampadedromie, che sembrano particolarmente significative in una tradizione derivante da originari riti di passaggio. 5 Dalle vecchie foto di scavo, edite in Lippolis 1982, tav. xxix appare in maniera evidente la presenza di stele poste anche all’esterno (fig. 9) ; alcune di queste possono aver sostenuto piccoli oggetti votivi, per altre è necessario pensare a dediche in se compiute, che perpetuano la tradizione aniconica e cultuale degli argoi lithoi. 6 Vedi nota 37. 4

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Fig. 20. Taranto, pavimento rinvenuto in v. Mazzini nel 1992.

dialetto laconico nella parte greca dell’iscrizione di A. Titinio, la ripresa di forme e tradizioni cultuali specifiche del Peloponneso meridionale mostra la continuità culturale della popolazione greca di Taranto e una rinnovata volontà di manifestare la propria specifica identità, comportamento per altri versi rintracciato in numerose altre manifestazioni contemporanee. 1 5. L’edilizia privata Le tracce più antiche di una certa consistenza relative all’edilizia privata a Taranto sinora non sono anteriori all’età ellenistica avanzata e consistono in settori di abitazioni purtroppo molto incompleti e limitati nel numero per poterne conoscere forme e tipologie planimetriche adottate. Recenti rinvenimenti in via D’Aquino 2 e lo scavo condotto precedentemente da A. Dell’Aglio in via Minniti (Cantiere Bianco) 3 rappresentano i casi certamente attribuibili al ii secolo, ma sono comunque insufficienti a definire la cultura architettonica privata della città. Di maggiore interesse sono invece alcuni pavimenti a mosaico (cocciopesto con ciottoli e tessere o solo in tessere), purtroppo raramente correlati alle strutture murarie pertinenti. La cronologia di questi rinvenimenti può essere compresa tra il iii ed il ii secolo, ma almeno in un caso la stratigrafia documenta in maniera più concreta che si tratta di un intervento post-annibalico. L’omogeneità di caratteristiche tecniche ed ornamentali tra questo e i pochissimi altri esemplari del genere suggerisce una medesima datazione per questo piccolo nucleo, pertinente alla fase di vita dell’abitato anteriore agli estesi interventi urbanistici verificatisi nel i sec. a.C., che in certi casi sembrano aver comportato anche un innalzamento delle quote di calpestio ed un livellamento di interi settori della città. 4 Sinora sono noti, quindi, tre pavimenti, tutti ornati con il motivo del rosone centrale, due a petali lisci, alternati nella bicromia (cocciopesto con decorazione in ciottoli e tessere) (Figg. 18-20), 5 uno con foglie lisce e acantine, inserito in un più complesso sistema ornamentale con elementi geometrici e piccoli inserti figurati (eseguito integralmente con tessere) (Fig. 21). 6 Lo studio di questo materiale non può essere separato dal problema più generale della diffusione del mosaico in Italia, certamente dipendente dallo sviluppo assunto da questa nuova tecnica di rivestimento 1

2 Lippolis 2004. Dell’Aglio c.s. E. M. De Juliis, in Atti Taranto 1982, pp. 509-511 ; 1983, pp. 427-428 ; 1984, p. 4 563. Lippolis 2001, pp. 162-163. 5 Dell’Aglio-Masiello 2004. 6 Museo Nazionale Archeologico, inv. 0000 ; dalla Caserma C. Mezzacapo, vedi T. Minniti. 3

Fig. 21. Taranto, pavimento a mosaico rinvenuto in v. Minniti, Caserma Mezzacapo.

pavimentale a partire dalla metà del iv secolo, soprattutto nella Grecia settentrionale e negli ambienti da essa influenzati. Persistono, comunque, importanti problemi cronologici, che non permettono ancora di cogliere tempi e modi dello sviluppo tecnico che trasforma abbastanza rapidamente il mosaico da elemento di un prestigio esclusivo, a comune simbolo di status per i ceti medi urbanizzati, modificando in maniera significativa le forme insediative private nelle diverse città del Mediterraneo. In una prima fase, come è noto, la tecnica adottata prevedeva senza dubbio l’uso esclusivo di ciottoli bicromi o policromi, con listature disegnative delle diverse partizioni, figurate o geometriche, allettati in una malta di base a volte abbastanza predominante da emergere in brevi o più ampie campiture. L’introduzione di tessere in pietra, marmo o terracotta, appositamente tagliate, costituisce senza dubbio un fenomeno successivo e si estende da un impiego limitato per alcuni elementi del disegno pavimentale, all’intero emblema centrale (forme considerate ‘transizionali’), sino ad occupare, infine, tutta la superficie disponibile. Sarebbe comunque fuorviante ricostruire una linea di sviluppo univoca : è evidente, infatti, che la tendenza alla diffusione dei tessellati varia nel tempo, nei luoghi e a seconda della tipologia dell’ambiente, risultando fortemente condizionata dalla disponibilità economica dei committenti ; di conseguenza la persistenza di tappeti misti, con tessere e ciottoli, non può essere ritenuta in assoluto un motivo valido per proporne una cronologia ‘alta’, in mancanza di altri elementi di datazione.

220 enzo lippolis Di certo, in Grecia non esistono esempi di tessellati risalenti li e di carattere misto in complessi insediativi urbani di notevole al iv secolo a.C. : il palazzo di Verghina, una delle principali reimportanza, con l’adozione di schemi ornamentali di tipo aralsidenze macedoni, 1 come le case dei ceti emergenti di Sicione, dico che ricordano celebri esempi di Mozia, 7 rimandando coricostruita da Demetrio Poliorcete negli ultimissimi anni del munque in maniera evidente alle elaborazioni della Macedonia e secolo, 2 mostrano come ancora agli inizi del iii secolo la tecdelle aree vicine, come testimonia ancora la documentazione di nica del tessellato probabilmente non fosse ancora diffusa. 3 Per Olinto, databile entro la metà del iv secolo a.C. 8 In questo caso, quanto concerne l’Italia, invece, il problema appare più comcome a Iaitas, in Sicilia, solo un’edizione sistematica dei risultaplesso a causa delle incertezze nella definizione cronologica dei ti ed una prosecuzione della ricerca può definire la cronologia rinvenimenti e nella stessa valutazione dei dati disponibili. È staeffettiva dei pavimenti rinvenuti. 9 Le dimore di prestigio dell’ellenismo in Italia ed in Sicilia, infatti, sono oggetto di migliorato anche proposto che in quest’area il mosaico di tessere possa essersi sviluppato precocemente ed in maniera autonoma, con menti e rifacimenti continui degli apparati ornamentali e delle infrastrutture connesse, per cui è necessario identificare con precentri di elaborazione in Sicilia o in area magno-greca, distincisione le diverse fasi di vita del complesso esaminato. La situaguendo in questo modo due aree (Grecia e Italia) e due diverse tradizioni (disegno a ciottoli o a tessere). 4 Si tratta tuttavia di zione appare evidente proprio a Iaitas, dove la casa a peristilio I, un’ipotesi difficilmente condivisibile : le attestazioni disponibiche presenta pavimenti in tessellato attribuiti in un primo tempo li sono scarse ed incerte per datazione e collocazione culturale, al 300 a.C. circa, ad una più attenta analisi ha mostrato una stomentre tecniche e motivi ornamentali riconducono in maniera ria edilizia completamente diversa. Ferma restando la possibilità che la dimora possa essere stata costruita, nella sua prima evidente alla documentazione restituita dal mondo greco del redazione, verso gli inizi del iii sec. a.C. (sebbene il materiale Mediterraneo orientale, ambiente in cui si colloca meglio anche ceramico edito che documenterebbe questa proposta, consistenil carattere dell’innovazione, che potrebbe aver sviluppato la sote in 123 frr. complessivi, non presenta elementi particolarmente luzione a inserti di marmo irregolari già apparsa tra la fine del iv e l’inizio del iii sec. a.C., trasformandola in una tessitura regolacaratterizzanti, tali da rendere sicura una datazione così precisa), re e complessa in uno dei centri di cultura ellenistica e tradizione verifiche successive hanno documentato un rifacimento della semacedone come Alessandria. conda metà del ii sec. a.C., che ha interessato proprio le stesure pavimentali del pian terreno. 10 A maggior ragione manca ogni La diffusione in Italia, quindi, pur essendo certamente precoelemento utile per datare le pavimentazioni a mosaico, presence, difficilmente può risalire nel tempo prima delle più antiche attestazioni compiute di ambito greco, ed è proprio l’ambiente ti solo al piano superiore, rinvenute in stato di crollo, e prive alessandrino a fornire elementi che suggeriscono la diffusione di di ogni elemento di riferimento stratigrafico relativo alla loro questa tecnica intorno alla metà del iii sec. a.C. È improbabile, messa in opera. Anche a Gela risultano del tutto insufficienti le quindi, che i mosaici conosciuti in Italia possano essere anteriori informazioni su una abitazione con pavimenti a mosaico datata a questa data, se non vi sono elementi stratigrafici concreti e ben al iv sec. sulla base di uno scavo effettuato nel 1951, per la quale manca qualsiasi revisione ed edizione recente utilizzabile ; 11 su editi su cui documentare ipotesi differenti. In effetti, i pochi casi basi storiche non si ritiene possibile una datazione posteriore al per i quali è stata proposta una datazione al iv sec. a.C. sono sempre molto mal documentati e particolarmente incerti. Tra 280, mostrando una convinzione non accettabile sul piano del questi si può ricordare un pavimento di Buccino, l’antica Volcei, datato addirittura intorno al 350 a.C. (prima dei mosaici di 7 M. Mazzei, Nota sui mosaici a ciottoli della Daunia fra il iv ed il iii secolo a.C., Verghina), proposta che andrebbe forse riesaminata e discussa in Atti San Severo 1989, pp. 171-191 ; Ead., Mosaici ellenistici di Arpi, in Atti del ii Colloquio aiscom (Atti Convegno Roma 1994), edd. I. Brigantini, F. Guidobaldi, sulla base di concreti elementi di scavo, considerando tra l’altro Bordighera, 1995, pp. 1-8. il carattere periferico del centro, indipendentemente dalla sua 8 Salzmann 1982, pp. 21-27 e passim ; sulla struttura insediativa ad Olinto, da specifica importanza a livello regionale, e l’inserimento, al cenultimo, N. Cahill, Household and City Organisation at Olinthus, New Haven-London, 2002. tro della composizione, di una stella di tipo macedone, traccia 9 Purtroppo la scomparsa prematura di M. Mazzei priva, in questo come in altri evidente di una dipendenza da modelli greci ben identificabili. 5 aspetti, di un contributo certamente fondamentale ; è necessario auspicare che il suo Un altro esempio certamente antico è rappresentato dal mosaico insegnamento e il suo impegno possano essere assunti come modello per uno sviluppo ed una ripresa della archeologia della Daunia senza venir meno alle direttive e ed dell’ambiente centrale dell’ipogeo della Medusa ad Arpi, monual carattere programmatico da lei impresso alla ricerca. mento per il quale è stata proposta comunque una cronologia 10 La datazione alta in H. P. Isler, Monte Iato : mosaici e pavimenti, in Atti del iv non anteriore alla metà del iii secolo e che continua ad essere Colloquio aiscom (Atti Colloquio Palermo 1996), Ravenna, 1997, pp. 19-32, dove si afferma che i dati stratigrafici provengono solo dalla casa a peristilio I (p. 21) e utilizzato certamente nel secolo successivo. 6 Sempre Arpi moche lo scavo contribuisce a sistemare la cronologia del mosaico nelle sue fasi più stra, comunque, un significativo sviluppo delle tecniche a ciottoantiche ; il panorama emerge in maniera diversa nell’edizione sistematica della casa 1

M. Andronikos, Vergina. The Prehistoric Nekropolis and the Hellenistic Palace, Lund, 1964 ; Idem, Vergina. The Royal tombs and the Ancient city, Athens, 1984, pp. 38-46 ; Salzmann 1982, pp. 114-115 e passim ; Lauter 1986, pp. 58, 224. 2 Salzmann 1982, pp. 34, 78. 3 Salzmann 1982, p. 80 e passim ; Lauter 1986, pp. 223-224 ; nel caso di Verghina sono attestati solo inserti di marmo nella malta rossa del pavimento. 4 In questo senso, ad esempio, Johannowsky 1997, p. 587 : « …i pavimenti in tassellato sono una felice invenzione dell’Occidente greco avvenuta con ogni probabilità nel periodo timoleonteo della Sicilia orientale » ; oppure I. Baldassarre, Alle origini del mosaico : nuove conoscenze dai colloqui aiscom, in Atti del iv Colloquio aiscom (Atti Colloquio Palermo 1996), Ravenna, 1997, pp. 8-9, dove si sostiene la cronologia alta del tassellato in Italia, contemporanea allo sviluppo del mosaico a ciottoli in Grecia, basandola soprattutto sugli scavi e le stratigrafie di Monte Iato (vedi infra) che toglierebbero dall’isolamento le testimonianze più incerte (Gela, Morgantina, etc.) 5 Johannowsky 1997, pp. 581-594 ; B. D’Agostino, s.v. Buccino, in btcgi iv, pp. 209-212 ; A. Lagi De Caro, s.v. Buccino, in eaa, suppl. 1970-1994 ii, Roma, 1994, pp. 797-769 ; Eadem, Buccino, in I Greci in Occidente. Poseidonia e i Lucani, a cura di M. Cipriani, F. Longo, Napoli, 1996, p. 83. 6 M. Mazzei, Arpi. L’ipogeo della Medusa e la necropoli, Bari, 1995 ; sulla cronologia del monumento : S. Steingräber, Arpi – Apulien – Makedonien. Studien zum Unteritalischen Grabwesen in Hellenistischer Zeit, Mainz, 2000, pp. 61-77 ; F. Gilotta, Le ‘Lastre’ Museo Greg. 14129 nel quadro della coroplastica ellenistica etrusco-laziale, « BdA », cxix, 2002, p. 5 ; Lippolis-A. Dell’Aglio 2003, pp. 130-131.

stessa di K. Dalcher, Studia Ietina vi, Das Peristilhaus 1 von Iaitas : Architektur und Baugeschchte, Zürich, 1994, in particolare 81 ss., dove si precisa che un sondaggio nel vano 11 aveva restituito due frr. che si pensava in un primo tempo sostenessero la cronologia alta, ma che ad una revisione sono risultati attribuibili alla seconda metà del ii sec. a.C. ( !), testimoniando, quindi, almeno in questo caso, che il pavimento era frutto di un rinnovamento edilizio quasi due secoli successivo alla cronologia della fondazione dell’abitazione. La problematica non viene adeguatamente trattata purtroppo nel successivo studio di M. Brem, Studia Ietina viii. Das Peristylhaus 1 von Iaitas : Wand- und Bodendekorationen, Lausanne, 2000, in cui, richiamando in maniera chiara le difficoltà cronologiche del periodo e del contesto, si torna a sostenere omogeneità della decorazione della casa e cronologia alta, senza considerare, almeno nel caso dei mosaici del piano superiore rinvenuti in crollo, che in questo caso manca inoltre qualsiasi supporto stratigrafico. 11 Da ultimo, R. Panvini, Considerazioni sul mosaico della villa ellenistica di Gela, in Atti del iv Colloquio aiscom Atti Colloquio Palermo 1996), Ravenna 1997, 159164, che tra l’altro, sostiene la cronologia alta (seconda metà del IV sec. a.C.) proponendo (a p. 161) che nel centro di Gela si possa identificare la presenza di personaggi vicini all’ambiente della corte macedone, dove, peraltro, in questo stesso arco cronologico, manca completamente ogni documentazione di mosaico in tessere a superficie estesa. In realtà deve essere preso attentamente in considerazione il problema della frequentazione del sito in età successiva al trasferimento degli abitanti a Finziade, per cui è proprio la documentazione archeologica a dover mostrare il carattere, rurale o vicanico, delle presenze, peraltro certamente attestate nel sito, per cui vedi F. P. Rizzo, Per una ricerca sul ‘dopo Gela’, « Kokalos », xlv, 1999, pp. 409-411.

ricostruzione e architettura a taranto dopo annibale 221 metodo, e considerando inoltre l’eventualità che la dimora possa da blocchi di calcare locale, mentre su un bordo del pavimenessere relativa ad una rioccupazione successiva del sito, forse anto appare incastrata la vera di un pozzo probabilmente foderato che molto parziale o connessa allo sfruttamento agricolo, aspetti in anelli di terracotta. Non si tratta certamente di un triclinio, che devono essere chiariti dalla ricerca archeologica senza limiti ma del centro di un piccolo cortile con il suo pozzo di servizio, pregiudiziali. Anche a Velia, infine, le attestazioni più antiche secondo una tipologia costruttiva che trova confronto proprio non sembrano potersi porre prima della metà del iii sec. a.C., 1 nelle dimore di Delo di ii secolo ; qui tali pavimentazioni sono mentre la recente revisione delle testimonianze siciliane, lettespesso poste in corrispondenza del rettangolo interno allo stilorarie e materiali, attesta in maniera concreta la diffusione nelbate del peristilio, come nel caso tarantino, 8 situazione in forme più semplici attestata anche ad Herakleia. 9 l’isola dei tessellati, almeno parziali o limitati ad emblemi, non 2 Più di recente un mosaico analogo, ma di redazione più comprima del terzo venticinquennio del iii sec. a.C. Un’ulteriore conferma, cronologica e culturale, proviene anche dagli scavi di plessa, è stato rinvenuto in via Mazzini, ad una notevole profonHerakleia, che hanno restituito pavimentazioni molto semplici, dità ; lo strappo del pavimento e lo scavo del terreno sottostante hanno permesso di verificare la sua appartenenza al ii secolo, tra le quali solo una figurata con tessere irregolari in terracotta probabilmente alla prima metà (Figg. 19-20). 10 Anche in quee pietra calcarea, comprese sempre tra la seconda metà del iii 3 sto caso la semplice soluzione decorativa comprende il rosone ed il ii sec. a.C. La cronologia delle diverse fasi di sviluppo di questi arredi, in sostanza, necessita ancora di un approfondicentrale di petali lisci a bicromia alternata, come in quello precemento complessivo, adeguato all’importanza che essi rivestono dente, richiamando in maniera concreta diversi esempi analoghi soprattutto nella costruzione del linguaggio rappresentativo dei di Delo. 11 Ancora ad un vecchio rinvenimento, invece, si deve il receti dirigenti dell’Italia e della loro cultura ellenizzante. cupero del terzo mosaico, il più complesso, di cui si conserva Anche in questo caso la documentazione di Taranto può ripoco più di un quarto della superficie complessiva dell’emblema vestire un significato particolare ; i pavimenti ricordati non risalgono certamente oltre la metà del iii secolo a.C. e l’unico per (Fig. 21). 12 In un riquadro è compreso un rombo che racchiude a sua volta un elemento circolare, cornice di un rosone centrale il quale si dispone di dati di scavo, come si è detto, è databile certamente dopo la guerra annibalica. Gli elementi ornamentali a petali, alternati non solo nella bicromia, ma anche nella forma, attestati nei tre mosaici messi in luce riconducono in maniera associando il tipo liscio a quello acantino ad estremità ricurve. evidente a testimonianze di ambito egeo attribuibili al corso del Agli angoli esterni al rombo sono presenti inserti figurati che ii secolo a.C. Il centro di riferimento principale è senza dubbio richiamano l’ambito marino : nel settore conservato si riconosce un pistrice con il treno posteriore anguiforme avvolto in due Delo, 4 cui si rifanno entrambe le soluzioni attestate nella composizione del motivo centrale a rosone, che si ritrova in tutto giri. Anche in questo caso schema e singoli elementi trovano l’ambiente greco-italico meridionale, come dimostrano sia la un concreto riferimento nella documentazione di Delo, dove grande villa di Termitito presso Herakleia, 5 sia altre testimoil mosaico firmato dal mosaicista fenicio Asklepiades di Arado nianze di Velia, Iaitas, Morgantina e Fregellae, sia in bianco e rappresenta certamente un modello, anche se ad una scala deconero che policrome. 6 Anche in questo settore sembra pertanto rativa più complessa per articolazione disegnativa e per tecnica che si possa confermare la partecipazione ad una koinè medidi esecuzione. 13 terranea che trova proprio in Delo uno dei principali centri di 6. Le tombe monumentali elaborazione (un altro polo importante è senza dubbio quello di Alessandria) e che in Italia sembra giungere soprattutto a TaL’edilizia funeraria mostra comunque gli aspetti più interessanti ranto, a Siracusa e a Napoli. e più consistenti della complessità e della varietà delle soluzioni Nel caso di Taranto si può aggiungere qualche elemento di adottate. Si tratta sia di monumenti esterni, che mostrano la perconsiderazione ulteriore sui tre pavimenti considerati ; già nel sistenza della tradizione locale degli ultimi decenni del iv e del 1970 F. Lo Porto aveva pubblicato la documentazione fotografica iii secolo, 14 sia di camere ipogee, in parte scavate nella roccia, di un mosaico molto semplice, distrutto all’epoca dell’ampliain parte costruite. Tra queste, spesso ampiamente decorate con mento del Museo di età fascista, che sembra essere stato realizrivestimenti pittorici, 15 un nucleo consistente è rappresentato da zato con ciottoli e tessere allettate su uno strato di malta molto una tipologia particolare, che introduce l’uso dell’arco a tutto compatto (Fig. 18). 7 L’ornato si componeva di un semplice risesto in conci radiali all’interno del vano sepolcrale, costituendo quadro, al centro del quale spiccava un rosone a petali lisci a bicromia alternata ; la ripresa di scavo, purtroppo poco chiara, 8 Bruneau 1972, pp. 184-187, cat. 93 : Maison du lac, nell’impluvium ; 234-239 : mostra in maniera evidente anche i limiti perimetrali costituiti Maison des dauphins, impluvium del peristilio. 1 Johannowsky 1997, che ricorda un pavimento del complesso termale abbandonato nel i sec. a.C. e quello di una casa costruita nella seconda metà del iii sec. a.C., ma con mosaico attribuito al ii sec. a.C. (indicato come periodo di decadenza). 2 Portale 1995 ; 1997, pp. 85-106 ; su Segesta, in particolare : R. Camerata Scovazzo, I pavimenti ellenistici di Segesta, ivi, pp. 107-122. 3 L. Giardino, Architettura domestica a Herakleia. Considerazioni preliminari, in Ricerche sulla casa in Magna Grecia e in Sicilia (Atti Convegno Lecce 1992), edd. F. D’Andria, K. Mannino, Galatina, 1996, pp. 133-159 e, in particolare, sul pavimento figurato, p. 156. 4 Sulla documentazione dell’isola vedi, in generale, Bruneau 1972. 5 Giardino 2001. 6 Giardino 2001 ; B. Tsakirgis, The Decorated Pavements of Morgantina ii. The opus Signinum, « aja », xciv, 1990, pp. 425-443 ; Portale 1995, pp. 157-179 ; 1997, pp. 85-106. 7 Lo Porto 1970, pp. 373-374, tav. lxv, 1, rinvenimento effettuato nel 1932 in vedi D. Alighieri ; E. Lippolis, in Tappeti di pietra. I mosaici di Taranto romana (Egnazia 1989), Fasano, 1989, p. 94, fig. 61 ; sulla distruzione del mosaico in occasione dell’ampliamento del Museo : A. Dell’Aglio, E. Lippolis, La storia dell’esposizione : ampliamenti, progetti e trasformazioni dal deposito comunale al museo contemporaneo, in Catalogo del Museo Nazionale Archeologico di Taranto I, 1, La storia del Museo, Taranto, 1990, p. 45 ; il pavimento, quindi, non fu distrutto al momento dello scavo come indicato in Giardino 2001, pp. 213-214.

9 L. Giardino, Architettura domestica a Herakleia. Considerazioni preliminari, in Ricerche sulla casa in Magna Grecia e in Sicilia (Atti Convegno Lecce 1992), edd. F. D’Andria, K. Mannino, Galatina 1996, pp. 133-159. 10 A. Dell’Aglio, in Notiziario 1992-1993, pp. 147-148. 11 Bruneau 1972, pp. 69-70 : Motivi decorativi a rosacee, con confronti a Arsameia e a Rodi, per cui vedi ad xix, 1964, p. 473, tav. 555 d ; pp. 111-112 : pavimento dell’esedra nel santuario degli dei siriani, con tabella inserita nel mosaico opera di Antaios Aischrionos recante l’iscrizione di Midas di Herakleia, dedicante ; sull’epigrafe, id 2288, 226 : Midas di Zenone, Heràkleios, con indicazione cronologica al 106/5 a.C. ; 184-187, cat. 93 : Maison du lac, nell’impluvium ; 280-281, 283 : Maison iii Q, stanza E, mosaico 267 ; 296-297 : Maison vi M, stanza D, cat. 306. 12 Via T. Minniti, Caserma C. Mezzacapo. 13 Bruneau 1972, pp. 234-239 : Maison des dauphins, impluvium del peristilio, con elemento circolare a più cornici (centro a rosacea vegetale a foglie barocche) e coppie di delfini cavalcati da eroti ai quattro angoli. 14 Sui monumenti funerari esterni è in corso di preparazione l’edizione sistematica dei materiali scultorei ed architettonici, già oggetto di una tesi di dottorato I semata funerari tarantini di età ellenistica (Napoli, 1987) e di alcune studi successivi, cui si rimanda per la documentazione bibliografica e tematica : E. Lippolis, La tipologia dei semata, , in Catalogo del Museo Nazionale Archeologico di Taranto. iii,1 Taranto. La necropoli : aspetti e problemi della documentazione archeologica dal vii al I sec. a.C., Taranto, 1994, pp. 108-128 ; Idem, La pietra, in I Greci in Occidente. Arte e artigianato, Napoli, 1996, pp. 86-93, 493-507. 15 Alle tombe dipinte è stata dedicato un recente riesame in Lippolis, Dell’Aglio 2003.

222 enzo lippolis una classe di monumenti sinora non adeguatamente considerata nella bibliografia. La planimetria è molto semplice e prevede una camera quadrangolare accessibile da un dromos esterno oppure dall’alto (Fig. 22) ; all’interno, l’arco, che in genere parte

Fig. 22. Taranto, tomba ad arco v. D. Peluso, planimetria.

dal settore più basso delle pareti lunghe, è posto a metà dello spazio, a dividerlo in due settori equivalenti e assolve la funzione pratica di ridurre la luce complessiva del vano per sostenere la copertura in lastroni piani di carparo (Figg. 23-24). Si tratta di un accorgimento che non costituiva certamente un’esigenza tecnica obbligata, come mostrano altri ipogei coevi, delle stesse dimensioni, con copertura piana di lastroni, realizzata senza che si rendesse necessaria la costruzione di un diaframma di sostegno intermedio. L’uso dell’arco è quindi una scelta ben precisa, che introduce un elemento architettonico destinato evidentemente ad aumentare la connotazione ed il prestigio della sepoltura monumentale. La recensione effettuata ha permesso di riconoscere 24 tombe di questa tipologia (Fig. 25), 1 tutte di misure variabili entro 1 27.iv.1911, prop. Augenti-Ramellini, t. 1 (3,32 x 3,27 x 2,41, pareti intonacate e dipinte con festoni ; tre klinai con tre inumati ; secondo venticinquennio del i sec. a.C.) : A. Alessio, in Museo 1988, pp. 348-354, n. 30.13, 327, fig. 58 ; Maruggi 1994, n. 16 ; Hempel 2001, F-11 ; Dell’Aglio 2003, n. 55 ; 14.vii.1911, prop. Augenti-Ramellini, t. 11 (3 x 2,25, una kline ; pareti intonacate e dipinte) : Maruggi 1994, n. 21 ; Dell’Aglio 2003, n. 50 ; 28-29.xi.1919, ctr. Madre Grazia, prop. S. Bruno, t. 1 (3,05 x 2,4 x 1,65 ; tomba composta da due vani comunicanti tramite un passaggio ad arco, in parte scavata, in parte costruita con cornici a rilievo ; ii sec. a.C.) : Maruggi 1994, n. 35 ; Colivicchi 2001, contesto n. 7, 91-96 ; 26.X.1932, ctr. Corti Vecchie, vedi Regina Elena, t. 1, v. F. Crispi, t. 2 (scavi per case popolari) (2,14/2,16 x 2,70 ca. x 1, pareti intonacate e nicchie rettangolari sui lati sud-est e nord-ovest ; seconda metà del ii sec. a.C.-prima metà del i sec. a.C.) : Graepler 1997, t. 56 e 57 ; Colivicchi 2001, contesti 10 e 20, pp. 115-117, 145-149 ; Hempel 2001, E2-14, E3-22 ; 17.v.1950, ctr. Dattero, vedi Cugini, palaz. H, t. 1 (3,5 x 2,5 x 0,6, due klinai) : Maruggi 1994, n. 63 ; 3.vii.1950, vedi D. Alighieri, di fronte al Righi, prop. Lo Jucco (3,22 x 1,3 x 1,65) : Maruggi 1994, n. 65 ; 12.ix.1950, ctr. Dattero, vedi Cugini, palaz. A, t. 1 (3,02 x 2,2 x 1,95, due klinai) : Maruggi 1994, n. 67 ; 27.iv.1951, v. C. Battisti, ang. v. Zara, palaz. C, prop. Gigante, t. 17 (2,7 x 2,4 x 1,95) : Maruggi 1994, n. 73 ; 27.vi.1952, ctr. Colucci-Lupoli, v. C. Battisti, prop. Marina Militare, t. 7 (3,35 x 2,55 x 2) : Maruggi 1994, n. 80 ; 5.vi.1953, v. Oberdan 105, prop. Palagiano, Liuzzi, t. 2 (3,50 x 2,15, due klinai) : Maruggi 1994, n. 87 ; 5.vi.1953, v. Oberdan ang. V. Temenide, t. 3 (4 x 3,2 x 1,45, stuccata e in parte dipinta con fasce in rosso ; una kline e una tomba a fossa ? ultimo quarto del ii-metà del i sec. a.C.) : Maruggi 1994, n. 88 ; Hempel 2001, E318 ; V. 1955, v. Umbria ang. V. Toscana, t. 12 (2,9 x 2,4 x 1,92) : Maruggi 1994, n. 101 ; v. Umbria ang. v. Toscana, prop. Peluso, t. 13 (3,4 x 2,4 x 2,4, una kline ; pareti intonacati e dipinte) : Maruggi 1994, n. 103 ; Dell’Aglio 2003, n. 66 ; 11.vi.1956, v. Emilia ang. v. Marche, prop. Peluso, t. 29 (2,60 x 2,27 x 1,6) : Maruggi 1994, n. 108 ; 3.vi.1960, v. Lupoli ang. v. General Messina, prop. V. Petraro, t. 1 (3,3 x 3,15 x 1,5) : Maruggi 1994, n. 134 ; 17-19.viii.1960, v. Polibio, tra v. Dante e v. Rintone, prop. E. Altavilla, t. 1 (3,25 x 2,1 x 1,3, l’ipogeo era forse collegato ad un monumento funerario di ordine corinzio-tarantino, di cui si rinvennero due frr. (invv. 117363-117364). decenni centrali del ii sec. a.C.) : Maruggi 1994, n. 135 ; Graepler 1997, n. 206 ; Colivicchi 2001, contesto n. 8, pp. 96-107 ; Hempel 2001, E1/E2-1 ; 18.iv.1962, v. Icco ang. v. Rintone, prop. Comunale, t. 3 (3,07 x 3,6 x 1,7/0,6, una kline e una tomba a fossa) : Maruggi 1994, n. 146 ; 20.viii.1968, v. C. Battisti 147 ang. v. General Messina, prop. Montanari, t. 1 (3 x 2,4 x 1,6, una kline ed una nicchia) : Maruggi 1994, n. 158 ; vi. 1970, v. D’Alò Alfieri, tra v. Polibio e vialone Galleria, prop. Genoviva (2,84 x 2,15 x 1,84) : Maruggi 1994, n. 163 ; 1981, v. Dante ang. v. Cagliari (1,15 x 1,65 x 1,55, una kline) : Maruggi 1994, n. 168 ; 23.8.-12.9.1985, v. Diego Peluso (Due klinai e tracce di uso prolungato della camera, suddivisa in un secondo momento in due

Fig. 23. Taranto, tomba ad arco v. Marche, veduta dell’interno.

Fig. 24. Taranto, tomba ad arco v. Otranto, veduta.

una media di 3,08/09 di lunghezza x 2,4 di larghezza, mentre l’altezza media non supera 1,48 m. I dati di rinvenimento non sono tali da permettere valutazioni di tipo metrico, in quanto mancano indicazioni precise sul punto in cui è stato effettuato il rilevamento nella parete, se questa si presenta più o meno regometà ; ultimo quarto del ii-metà del i sec. a.C.) : Andreassi 1985, pp. 376-379 ; Hempel 2001, E3-2 ; ii-iv.1991, prolungamento v. Acton, t. 6 : Dell’Aglio 1990-1991, 310 ; 21.ii-20.iii.1997, v. Otranto (2,96 x 2,3) : Lippolis, Dell’Aglio 2003, n. 52 ; s. dati di scavo, forse nell’area di v. Emilia ang. v. Marche : Maruggi 1994, n. 177.

ricostruzione e architettura a taranto dopo annibale 223 lare, se è stato considerato l’aggetto di eventuali cornici superiori o meno ; inoltre, la natura estremamente friabile del banco di pietra naturale non permette l’esecuzione di tagli di particolare accuratezza, comportando in genere sfaldamenti superficiali che richiedono adattamenti in corso d’opera. Le misure, che pertanto devono essere considerate indicative delle dimensioni complessive dello spazio interessato, sembrano comunque segnalare la possibilità che siano state adottate unità metriche differenti, tra cui prevale, forse, un piede di circa 0,296 (ad esempio nelle tombe 22, di 10 piedi di lunghezza, 15, di 11 piedi di lunghezza, 4 e 9 di 12 piedi di lunghezza). Alcune dimensioni possono indicare invece un’unità metrica maggiore, intorno a 0,32 m. La soluzione ad arco rappresenta un prestito giunto dalla grande architettura dinastica e pubblica : nelle cinte murarie e nei ponti l’impiego dell’arco assume infatti un significato funzionale pertinente e complesso, che permette di ampliare la luce dei passaggi senza dover ricorrere al trasporto di monoliti di grandi dimensioni, soprattutto in zone prive di una pietra idonea a sopFig. 25. Taranto, distribuzione delle tombe a camera con arco interno portare pressioni di notevole consistenza. La sua attestazione a rispetto alle altre tipologie attestate nella necropoli. Taranto, forse dotata di un ponte all’imbocco del porto interno già prima dell’età annibalica, 1 può essere spiegata anche con la caso della dimora israelita presso la Sinagoga, con un pozzo cirpresenza nella città di architetti militari di notevole prestigio, colare costruito come una cisterna, con una copertura in lastre come il già ricordato Herakleides, cui viene commissionata la sostenuta da un arco a tre soli conci di poros e al di sopra, come in sistemazione di una porta della cinta muraria verso la mesogaia altri casi, il mosaico del cortile. 8 Un documento esterno all’isola negli anni anteriori all’occupazione di Annibale. 2 ed in qualche modo apparentabile è la cisterna con arco che da il La tipologia delle tombe ad arco, però, non sembra trovare nome ad una casa di Morgantina, documentando in Sicilia, nella confronti né nella tradizione locale, né in modelli esterni, preseconda metà del iii sec. a.C. la precoce ricezione del sistema, in cedenti o coevi, e resta un’esperienza isolata, che non produce una soluzione variata. 9 sviluppi ulteriori. Taranto appare unica nell’uso di questa tecniNell’isola sacra il carattere innovativo e di prestigio dell’uso ca per un genere, quello della tomba ipogea che, peraltro, neldell’arco appare anche nella muratura piena, sostituendo in gel’Italia romana e nel Meridione in particolare, a partire proprio nere l’architrave della porta di ingresso principale o quello della dal ii secolo a.C. conosce una forte recessione ed un abbandono porta di ingresso alla sala principale, come nel caso della ‘Maison quasi definitivo nel secolo successivo. 3 à une seule colonne’, dove la stanza nord-est, decorata da stucchi, Gli unici confronti possono essere effettuati solo per la sopresenta una porta sulla scala esterna, con architrave sostituito da luzione strutturale, rappresentata dallo spazio quadrangolare un arco in poros. 10 In genere, comunque, come è stato sottolineaspartito in due metà da un arco, che serve a disporre con magto da H. Lauter, l’uso dell’arco e della volta è abbastanza ridotgiore facilità una copertura in piano formata da lastroni. Anche to nell’architettura greca tra il iv ed il ii sec. a.C., a causa delle in questo caso la diffusione del sistema ci porta nell’Egeo centradifficoltà tecniche di contrastare le spinte esercitate sulle pareti, le ed in particolare proprio a Delo, dove la tipologia è impiegata limitandolo ai casi in cui la struttura permetteva di controbilanin maniera abbastanza estesa tra il iii ed il ii secolo nella cociare in maniera sicura la pressione esercitata. 11 Per questo motistruzione delle cisterne. L’esempio più antico, forse ancora di iii vo il principio appare impiegato all’interno di murature continue secolo, è rappresentato dalla grande cisterna connessa alla scena e a sviluppo longitudinale, come mura urbiche e ponti, oppure del teatro, un ambiente ipogeo di 22,5 x 6,5 m ripartito in sezioni quando può essere contrastato dal peso dell’interro nel caso di contigue da una serie di otto archi di granito, ognuno di 21 construtture ipogee. 12 Ne deriva, di conseguenza, che il suo impiego ci, destinati a sostenere la copertura in lastroni, ora scomparsa. 4 nell’architettura privata e nelle altre tipologie pubbliche 13 appaIl sistema, però, si diffonde anche nell’architettura privata del ii re abbastanza limitato e in genere non anteriore al ii secolo. In secolo, sempre per le cisterne, 5 sistemate in genere al di sotto del questi casi, comunque, viene usato in genere per una funzione peristilio, soluzione che richiedeva una solida copertura piana sostruttiva, come testimonia ad esempio la stoà di Aigai in Troaal di sopra della quale, a volte, si interveniva anche con la stede, a tre piani, che nel livello mediano mostra una sequenza di arsura di un mosaico decorativo. Tra le realizzazioni di carattere chi disposti nel senso della lunghezza, dividendo lo spazio in due pubblico, invece, ne sono un esempio significativo la Palestra di navate e sollevando un muro che regge la carpenteria del solaio Granito (metà del ii sec. a.C.), con una cisterna divisa in quattro e, al di sopra, le colonne interne del duplice portico superiore. 14 camere, forse ognuna con un arco rompitratta per la copertura 6 Lo stesso sistema appare peraltro in una cisterna di Taranto, ane la sede dei Poseidoniasti (160-150 a.C. ?), dove la cisterna del che questa costruita con materiale di spoglio proveniente in parte peristilio presenta una soluzione più complessa, con una coperdalla necropoli, in cui una breve sequenza di due archi bipartisce tura a volta composta da sei archi di cui è ancora visibile l’imla lunghezza dello spazio ipogeo, permettendo ancora una volta postazione ; 7 sono note realizzazioni anche variazioni, come nel di suddividere l’ampiezza dei lastroni di copertura. 15 8

1

Lo Porto 1970, p. 359 con un accenno anche alle tombe ad arco della necro2 poli. Polyb. xiii 4, 6 ; Lippolis 2005. 3 Proprio sulla documentazione tarantina, a questo proposito, Lippolis, Dell’Aglio 2003. 4 Delo 1983, p. 248. 5 Delo 1983, p. 179 ; vedi J. Chamonard, in ead viii, 323-356 ; T. D. Boyd, Arch and Vault in gr. Archit., diss Indiana 1976 ; K. Dornish, Griech. Bogentore. Entstehung und Verbreitung d. g. Keilsteingewölbes, diss. Erlangen 1982. 6 Delo 1983, pp. 193-194 ; anche la porta di ingresso della stanza S a sud dell’ingresso presenta un architrave sostituito da un arco a conci. 7 Delo 1983, pp. 177-178.

Delo 1983, pp. 205, 207. B. Tsakirgis, The Domestic Architecture of Morgantina in the Hellenistic and Roman Period, Princeton, 1984, Ann Arbor, 1997, pp. 125-151 ed in particolare p. 132. 10 11 Delo 1983, p. 219. Lauter 1986, pp. 60-63. 12 Ad Ephyra, ad esempio, nelle strutture sotterranee del Nekromanteion oppure a Klaros, nella cripta del santuario di Apollo ; Lauter 1986, pp. 173, 212-213. 13 Ad esempio nel ginnasio di Pergamo o nella struttura analoga dell’esedra 403 a tre sezioni di volta, oppure ancora nella sala principale dello heroon di Calidone : 14 Lauter 1986, p. 229. Lauter 1986, fig. 36. 15 Via Argentina, ang. Corso Italia (13-25 giugno 1959) ; cisterna bicamerata (circa m 9,50 x 4,30), con elemento divisorio centrale costituito da due archi a tutto sesto e copertura piana in lastroni, realizzata con materiale litico di recupero, pre9

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enzo lippolis babile che si debba pensare alle sepolture di elementi allogeni, La diffusione a livello privato urbano dell’arco, impiegato nelmacedoni o epiroti, giunti nella città a seguito di Alessandro il la sua struttura più semplice o come elemento costitutivo di una Molosso o di Pirro, 4 oppure immigrati più recenti, come il nobivolta a botte, rappresenta lo sviluppo più recente di un fenomeno le macedone Onesimo rifugiato a Taranto dai Romani durante che senza dubbio risale nel tempo fino agli ultimi decenni del iv la guerra con Perseo e assegnatario di una casa e di un lotto di secolo, trovando proprio in ambiente macedone le manifestazioterreno nel 169 a.C. 5 ni più antiche ed importanti. In questa regione l’evoluzione della Ad Arpi la situazione, invece, sembra diversa : la monumentatomba a camera nella forma monumentale a doppio ambiente le tomba della Medusa (Fig. 27) testimonia infatti la ricezione di ricoperto con volta a botte rappresenta certamente la prima attestazione significativa di questa tecnica costruttiva, adottata con un preciso scopo rappresentativo e simbolico e resa possibile dalla particolare condizione statica delle pareti, contrastate dal peso esterno del tumulo di terra che permetteva di reggere la spinta centrifuga esercitata dalle forze di scarico della volta. 1 Forse non è un caso, peraltro, come ha ricordato H. Lauter, che proprio a Democrito della città di Abdera sia attribuita l’edizione di uno studio dedicato alla volta, andato perso, che poteva rappresentare comunque un testo esclusivamente teorico. 2 Colpisce, in ogni caso, la comparsa della tecnica, a breve distanza di tempo, nella stessa area culturale. Non è possibile in questa sede affrontare in maniera esauriente il problema della diffusione della tecnica dell’arco e della volta nell’età proto- e medio-ellenistica, ma appare significativo il fatto che la tomba macedone a volta sia stata un modello rappresentativo utilizzato nel medesimo ambito anche nel resto della Grecia come nell’Italia centro-meridionale. La sua diffusione presenta problemi di cronologia e di definizione dei diversi modelli impiegati, che attendono ancora una disamina sistematica ; comunque è significativo che nelle stesse regioni che hanno restituito precoci testimonianze di rapporti con l’Egeo, come i mosaici cui si è accennato precedentemente, anche la tomba a volta di tipo macedone sia testimoniata da esempi importanti. Arpi e Taranto ne mostrano probabilmente i documenti più antichi : nella città magno-greca si tratta di un fenomeno isolato, circoscritto a due soli casi (uno, peraltro, realizzato per mezzo di un’escavazione, almeno parziale del banco tufaceo), che esulano completamente dalla tradizione locale precedente e posteriore all’età annibalica (Fig. 26). 3 È molto pro-

Fig. 27. Arpi, tomba della Medusa, planimetria.

Fig. 26. Taranto, tomba con volta a botte, veduta dall’esterno.

un modello di dimensioni dinastiche impiegato molto probabilmente per una famiglia locale, come mostra l’iscrizione tracciata a fresco sulla parete del vestibolo e la cultura funeraria del corredo. 6 Anche in questo caso, comunque, la ricezione non sembra diretta, ma potrebbe essere stata mediata da uno sviluppo posteriore ad Alessandro : la tomba, infatti, si articola in tre camere comunicanti tra loro e precedute da un portico, due laterali ed una centrale più importante, decorata dalla pavimentazione a mosaico. Si tratta della chiara imitazione del sistema della sala tricliniare triplice, elemento di maggiore valore rappresentativo dei palazzi dinastici macedoni, come appare soprattutto a Verghina e a Pella (Fig. 28), in seguito tratto identificativo importante per una vasta categoria di edifici signorili e dinastici sino all’età romana. 7 Planimetria e modello, quindi, mostrano una distanza formale dalla semplice sala a volta preceduta da vestibolo delle tombe macedoni reali, da quella detta di Filippo,

valentemente dallo smontaggio di naiskoi sepolcrali. Il pavimento, profondo m 2,10 dal soffitto, era realizzato in mattoni posti di coltello a spina di pesce ; su di esso, agli angoli, erano poste lastre in terracotta a doppio dente che le sollevava da terra, creando un’intercapedine. Nella concamerazione meridionale era stato ricavato un pozzetto di raccolta leggermente emisferico, in corrispondenza di un’imboccatura praticata nella copertura soprastante. 1 2 Lauter 1986, pp. 60-63, 201-205. Lauter 1986, p. 61. 3 10.ix.1932, ctr. Tre Carrare (2,9 x 2,26 x 2,06, due klinai) : Maruggi 1994, n. 43 ; 25.i.1952, v. Platea 39, prop. Zigrino, t. 1 (3 x 3 x 2,5, una kline e un tavolino, scavata in roccia) : Maruggi 1994, n. 77 ; Dell’Aglio 2003, n. 62.

4 A questo proposito, è significativa anche la comparsa contemporanea del rito funerario incineratorio, che appare appunto a partire dagli ultimi decenni del iv sec. a.C. e che presenta appunto forme di collegamento all’analoga tradizione macedone : A. D’Amicis, I sistemi rituali : l’incinerazione, in Catalogo del Museo Nazionale Archeologico di Taranto III, 1 Taranto. La necropoli : aspetti e problemi della documentazione archeologica tra vii e i sec. a.C., ed. E. Lippolis, Taranto, 1994, pp. 148-173. 5 Liv. xliv 16, 4-7 ; su Onesimo : P. Schoch, s.v., in re xviii, 1, Stuttgart, 1939, n. 9, col. 468. 6 M. Mazzei, Arpi. L’ipogeo della Medusa e la necropoli, Bari, 1995, passim. 7 Lauter 1986, pp. 215-216.

ricostruzione e architettura a taranto dopo annibale

225

a)

Fig. 29. Taranto, tomba con porta ad arco.

le case, come mostra sempre il caso di Delo. Si tratta quindi di un elemento utile soprattutto a qualificare il particolare valore ambientale dello spazio ipogeo, forse anche interpretato come esemplificazione e variazione sul tema della tomba completamente coperta a volta di tradizione macedone. 7. Taranto post-annibalica

b) Fig. 28. a, Verghina, sale tricliniari ; b, Pella, sale tricliniari.

alla tomba di Euridice e alla tomba Rhomaios presso l’acropoli di Verghina, 1 tipologia che sembra mantenersi inalterata nella regione. Solo all’esterno di essa ed in fasi più recenti si possono essere determinate evoluzioni che hanno assimilato in misura sempre più esplicita la dimora funeraria alla casa di prestigio e al suo apparato rappresentativo incentrato soprattutto sulle sale tricliniari, forse frutto di una elaborazione che può aver avuto luogo nelle città dinastiche dei diadochi e soprattutto nella stessa capitale egiziana di Alessandria. Se la volta di tradizione macedone qualifica lo spazio ipogeo delle tombe eccellenti, sottolineandone il prestigio e l’ambientazione simbolica, anche il semplice arco assume certamente un valore rappresentativo in parte analogo ; la storia specifica di questo elemento architettonico, peraltro, mostra come sia spesso impiegato per sottolineare il valore monumentale di un accesso, di un passaggio, di un cambiamento di destinazione e di importanza dello spazio attraversato. Porte ad arco sono scelte per enfatizzare i passaggi delle agorai ad Atene e a Piene, gli ingressi delle cinte murarie, le porte delle case di un certo impegno o delle stanze più rappresentative, come si è visto a Delo. 2 In un caso a Taranto l’arco viene portato in facciata (Fig. 29), proprio per segnare l’accesso alla tomba, al fine di valorizzare il passaggio tra la realtà quotidiana e lo spazio sacro dei defunti, considerandone l’evidente funzione simbolica e non quella strutturale, ribadendo un aspetto che certamente prevale anche nelle tombe tarantine con arco interno. 3 Come si è già notato, infatti, l’adozione del sistema non coincide con un ampliamento dello spazio ipogeo tale da giustificare la scelta costruttiva, ma si spiega soprattutto con la volontà di esibire una specifica distinzione sociale : manifestazione di ricchezza per l’impegno economico adottato, ma anche segno di ostentazione culturale evidente nell’adesione ad una tecnica costruttiva ‘moderna’ e testimonianza della possibilità di impiegare maestranze specializzate, nelle stesse forme esibite nel1

B. Gossel, Makedonische Kammergräber, diss. München 1979. Lauter 1986, p. 241. Senza dati di scavo, lato nord della vi palazzina case statali (v. C. Battisti ?) (1,67 x 2,47 x 1,67) : Maruggi 1994, n. 176. 2

La ‘invenzione ’ della tomba ad arco, comunque, rappresenta una di quelle soluzioni destinate a non entrare nel linguaggio omologato dell’architettura dell’Italia romana. Il tipo, come si è visto, rimane esclusivo della città ionica e non si diffonde all’esterno, senza conoscere neanche sviluppi ulteriori a livello locale. Esso deve essere considerato espressione tipica di un periodo e di un’esperienza tecnologica ben definiti, entrato nella tradizione tarantina sia attraverso la costruzione di opere pubbliche, come forse il ponte all’imboccatura del porto ad ovest dell’Acropoli, sia attraverso la partecipazione ad una temperie culturale egea che trova i suoi modelli a Delo, ad Atene e probabilmente anche ad Alessandria, centri di riferimento non solo per le produzioni ceramiche, per il lusso domestico, ma anche per gli stessi comportamenti sociali. Il rapporto, come si è avuto modo di indicare in altra sede, si spiega nella condivisione di importanti situazioni economiche (nel caso di Taranto si è sottolineato, ad esempio, il ruolo nel commercio schiavile) e di storie individuali tra famiglie ed aristocrazie che nello spazio politico creato dall’espansione romana trovano nuove occasioni di ruolo e di affermazione. 4 L’elite dirigente tarantina post-annibalica, in una città definitivamente ridimensionata entro un sistema statale che si evolve in maniera estremamente rapida, soprattutto nella prima metà del ii sec. a.C. cerca un’identità ed un linguaggio specifici, per vari aspetti elaborando una cultura eterogenea, di carattere eclettico, che rinnova modi della tradizione locale e nel contempo cerca di prendere le distanze da un sistema espressivo che segnava la storia pre-annibalica e in un certo senso non-romana della città. L’espansione mediterranea della nuova potenza italica fornisce spazi ed occasioni per rinsaldare e sviluppare legami etnici con il mondo greco, ma affrontandoli con un ruolo diverso ; questa rinnovata partecipazione offre i modelli di una cultura ‘internazionale ’, che viene scelta come linguaggio espressivo di base, caratterizzandola poi con accenti e soluzioni locali che rispondono ad un’esigenza di identità. Anche dal punto di vista architettonico, quindi, nonostante il carattere estremamente frammentario dei dati disponibili, Delo, il mondo pergameno, forse Alessandria sembrano essere centri di elaborazione e di

3

4

Lippolis 2005.

226 enzo lippolis Graepler 1997 = D. Graepler, Tonfiguren im Grab. Fundkontexte helleriferimento culturale anche per città come Taranto o Siracusa, nistischer Terrakotten aus der Nekropole von Tarent, Munchen, 1997. che partecipano attraverso commercianti e banchieri alla stessa Hempel 2001 = K. G. Hempel, Die Nekropole von Tarent im 2. und 1. costruzione di questo nuovo modello comportamentale, senza Jhahundert v. Chr. Studien zur materiellen Kultur, Taranto, 2001. escludere, come si è visto, riferimenti e riprese di origine peloJohannowsky 1997 = W. Johannowsky, Osservazioni sui mosaici in tesponnesiaca. sere e sui cocciopisti con tessere più antichi, in Atti del iv Colloquio aiSi tratta comunque di una fase in rapido sviluppo, in cui scom (Atti Colloquio Palermo 1996), Ravenna, 1997, pp. 581-594. Lauter 1986 = H. Lauter, L’architettura dell’ellenismo, tr. it., Milano, Roma rappresenta già un centro ormai proiettato in una scala 1986. di grandezza maggiore di ogni altro insediamento urbano mediLippolis 1981 = E. Lippolis, Alcune considerazioni topografiche su Taranterraneo ; le occasioni di partecipazione al sistema dell’impero e to romana, « Taras », i, 1, 1981, pp. 77-114. di estensione della cittadinanza trasformano in pochi decenni il Lippolis 1982 = E. Lippolis, Le testimonianze del culto in Taranto greca, quadro politico dell’Italia, rendendo inattuali anche le soluzioni « Taras », ii, 1-2, 1982, pp. 81-135. adottate dopo la guerra punica : progressivamente le aristocrazie Lippolis 1989 = E. Lippolis, in C. D’Angela, E. Lippolis, 1882-1889 : locali, che hanno elaborato mezzi espressivi diversi e comuni e gli scavi dell’Arsenale e l’archeologia tarantina, Taranto 1989, pp. 2131. forme di ‘resistenza’ culturale, solidarizzano totalmente con il Lippolis 1995 = E. Lippolis, La documentazione archeologica, in E. Lipmondo romano, trasferendosi in gran parte nella nuova capipolis, S. Garraffo, M. Nafissi, Culti greci in Occidente. i, Taranto, tale e fondendosi in un’ulteriore ricerca espressiva, quella della 1995, pp. 29-130. koinè italica posteriore alla guerra sociale, che non prevede spazi Lippolis 1996 = E. Lippolis, La funzione militare dell’acropoli di Taranto per una tradizione locale diversa o autonoma, che non sia relein età greco-romana e le strutture difensive del suo versante occidentale, in gata all’ambito dell’antiquaria e della retorica. 1 Taranto, sebbeE. Lippolis, C. D’Angela, Taranto : dall’acropoli al kastron, « ArchStPugl », xlix, i-iv, 1996, pp. 7-34. ne mantenga certamente una significativa dimensione urbana, Lippolis 2001 = E. Lippolis, Taranto : la topografia urbana, in Atti del xl al pari di altre città italiane viene omologata al ruolo di centro Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto, 2001, pp. 119-169. amministrativo periferico di un sistema che concentra risorse Lippolis 2004 = E. Lippolis, Taranto romana : dalla conquista all’età aued elaborazioni culturali quasi esclusivamente nella sua grande gustea, in Atti del xliv Convegno della Magna Grecia (Atti Convegno capitale. Taranto 2004), in c.d.s Bibliografia Andreassi 1985 = G. Andreassi, L’attività archeologica in Puglia nel 1985, in Atti Taranto 1985, pp. 371-397. Bruneau 1972 = Ph. Bruneau, Exploration archéologiques de Délos. X Les Mosaïques, Paris, 1972. Colivicchi 2001 F. Colivicchi, F. Colivicchi, Catalogo del Museo Nazionale Archeologico di Taranto iii,2. Alabastra tardo-ellenistici e romani dalla necropoli di Taranto. Materiali e contesti, Taranto, 2001. Dell’Aglio 1990-1991 = A. Dell’Aglio, in Notiziario delle attività di tutela giugno 1990-maggio 1991, « Taras », xi, 2, 1991, pp. 309-311. Dell’Aglio c.s. = A. Dell’Aglio, L’area del castello alla luce delle recenti scoperte, in Atti del Seminario ‘Dal Kastron bizantino al Castello Aragonese’ (Atti Convegno Taranto 2004), c.s. Dell’Aglio, De Vitis 1993 = A. Dell’Aglio, S. De Vitis, in Notiziario delle attività di tutela giugno 1992-dicembre 1993, « Taras », xiv, 1, 1994, pp. 141-143. Dell’Aglio, Masiello c.s. = A. Dell’Aglio, L. Masiello, Recenti rinvenimenti musivi a Taranto, in Apparati Musivi antichi nell’area del Mediterraneo. Atti del i Convegno Internazionale di studi ‘La materia e i segni della storia (Atti Convegno Piazza Armerina 2003), Palermo, 2004, pp. 49-59. Delo 1983 = Ph. Bruneau, J. Ducat, Site set monuments – I Guide de Délos, Paris, 1983. Giardino 2001 = L. Giardino, La villa romana di Termitito in provincia di Matera. I pavimenti in cocciopisto decorato, in Atti del vii Colloquio aiscom (Atti Colloquio Pompei 2000), Ravenna, 2001, pp. 209-222. 1 M. Torelli, « DdArch », iv-v, 1971, 2-3, pp. 301-302 : « …l’aristocrazia locale italiana … nel momento in cui avviene la saldatura con Roma…si trasferisce a Roma, per cui la possibilità di un’arte locale di alto livello che possa porsi in termini concorrenziali con Roma, cessa ».

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Fabrizio Pesando IL ‘SECOLO D’ORO’ DI POMPEI. ASPETTI DELL’ARCHITETTURA PUBBLICA E PRIVATA NEL II SECOLO A.C. Premessa

S

ottolineare ancora una volta il binomio Pompei-ellenismo potrebbe suonare come un’ovvietà, visto il ruolo centrale che lo studio della città campana ha avuto nella ricostruzione di questo complesso fenomeno storico e culturale nell’ambito dell’Italia antica. 1 Tuttavia, è bene spendere ancora qualche parola introduttiva al fenomeno delle manifestazioni ellenistiche a Pompei, dal momento che, in anni recenti e talvolta in maniera troppo sbrigativa, taluni filoni della ricerca archeologica hanno riconosciuto in tutta la “panoplia monumentale” esibita nelle aree pubbliche e sacre della città l’effetto della romanizzazione avvenuta all’indomani della deduzione coloniale dell’80 a.C. Non è certo questa la sede per esaminare in dettaglio le singole argomentazioni sostenute in alcune di queste proposte ; mi limiterò solo a segnalare ad un uditorio magari non del tutto addentro alle recenti discussioni della pompeianistica che, seguendo le conclusioni di questi studi, molti, se non tutti, i monumenti pompeiani ritenuti in genere capisaldi di intere tipologie architettoniche dell’ellenismo in area italica (dal Tempio di Apollo a gran parte delle costruzioni del Quartiere dei Teatri, dal Tempio di Giove agli edifici del Foro Civile, Basilica compresa) sono stati riferiti alla piena età romana. 2 Di fatto, partendo dalla condivisibile esigenza di definire con maggiore chiarezza taluni sviluppi dell’organizzazione monumentale di Pompei, si è giunti ad azzerare un’intera fase di vita della città, quell’Età del Tufo che generazioni di studiosi – da J. Overbeck ad A. Mau, da A. Sogliano ad A. Maiuri – avevano riferito al pieno ii secolo a.C. sulla base dell’attento e meditato incrocio di dati epigrafici, archeologici e stilistici (Fig. 1). Per difetti nel metodo (illuminante

Fig. 1. Distribuzione degli edifici pubblici, religiosi e delle abitazioni aristocratiche d’età tardo- sannitica (da Lauter, con integrazioni).

delle conclusioni prospettate in quegli studi sono inaccettabili ; dunque, per chi scrive, la Pompei ellenistica è ancora – e nonostante tutto – quella illustrata in anni recenti da H.Lauter, 5 J. De Waele, 6 S. De Caro, 7 P. Zanker, 8 F. Coarelli 9 e dai numerosi studi dedicati all’edilizia privata d’età sannitica. 10 Tuttavia, un’occasione di riflessione sull’ellenismo a Pompei e del suo intrecciarsi con una romanizzazione (o autoromanizzazione, seguendo la felice definizione coniata da F. Coarelli) 11 che mostra precocemente i suoi effetti già a partire dal pieno ii secolo a.C. si rende quanto mai necessaria ora che pubblicazioni analitiche su importanti monumenti rimasti inediti per più di due secoli a dispetto della loro notorietà (la Basilica, 12 il Tempio Dorico e l’area del Foro Triangolare) 13 e una cospicua serie di nuovi dati emersi dalle numerose attività di scavo in corso permettono di avere le idee più chiare sullo sviluppo urbanistico e monumentale di Pompei prima e durante il suo periodo di maggior floridezza, vale a dire il ii secolo a.C. 14 L’intreccio che collega la crescita di Pompei ai nuovi rapporti che l’intero comparto della Valle del Sarno ebbe con il mondo romano a partire dalla fine del iv secolo a.C. ha inizio a pochi anni di distanza dall’incursione effettuata nel 310 a.C. dai socii navales nell’agro nucerino (Liv. 9,38,2-4). Significativamente, in quell’occasione Pompei viene dapprima ignorata dalla flotta che pure lì è sbarcata ed è quindi difesa da un esercito tumultuario costituito non da milizie cittadine ma da agrestes ; questi ultimi, forse legati da vincoli di servitus ad una ricca aristocrazia fondiaria come suggeriva E. Lepore, 15 vivono non in città, ma nel territorio, secondo una modalità che, durante gran parte del periodo lucano, trova significativi confronti nella non lontana Poseidonia. 16 Dopo quella data, Pompei (e probabilmente anche gli altri centri della valle del Sarno) cambia profondamente aspetto, segno che qualcosa è mutato nel sistema insediativo allora dominante. Se il v e il iv secolo a.C. sembrano coincidere con una contrazione dell’abitato all’interno del pianoro, 17 i primi decenni del iii secolo vedono infatti un rifiorire di attività edilizie, concentrate soprattutto nelle grandi aree pubbliche. Al di là del possibile significato politico rivestito dalla rinnovata decorazione architettonica del Tempio Dorico, nella quale le antefisse con testa di Atena frigia si alternavano a quelle del locale eroe Eracle 18 e Minerva compariva in una metopa di soggetto mitologico (Figg. 2-3), è significativo che la ripresa di interesse nei confronti di una delle più importanti aree sacre della città arcaica coincida proprio con l’inserimento di Pompei fra le comunità alleate di Roma. 19 La costruzione, in questo stesso 5

6 7 Lauter 1979, pp. 416-436. De Waele 2001. De Caro 1991. 9 Zanker 1993. Coarelli 2001 ; Coarelli 2002. 10 Wallace-Hadrill 1994 ; Pesando 1997 ; Dickmann 1999. 11 12 13 Coarelli 1991. Ohr 1991. De Waele 2001. 14 Tra le nuove acquisizioni figura anche l’attribuzione all’età medio e tardo sannitica del santuario di Venere presso Porta Marina ; per una prima sintesi cfr. Curti 2004. 15 Lepore 1979, p. 15. 16 Sulle modalità di insediamento nella chora pestana fra v e iv secolo a.C. si rimanda a Longo 1999. 17 Sullo storia urbana della città fra l’età arcaica e la fine del iv secolo a.C. cfr. De Caro 1992, p. 71 sg. ; sulle possibili motivazioni della contrazione dell’insediamento fra v e iv secolo e sul suo possibile riflesso sull’urbanistica d’età sannitica cfr. in generale Coarelli-Pesando 2004. 18 Sulla questione si rimanda ai contributi di Luca Cerchiai, Stefano De Caro e Mario Torelli contenuti in L’iconografia di Atena, 2002. 19 Anche gli ex-voto fittili rinvenuti nella stipe votiva del santuario, una parte 8

a questo proposito il titolo di un programma di ricerca : “Publica magnificentia” and the Tufa Architecture of Augustan Pompeii, che anni prima di iniziare il lavoro sul campo si prefiggeva di scardinare la “tradizione pompeianista” 3) e nel merito (imbarazzanti disattenzioni sulla documentazione epigrafica osca o sull’inquadramento tipologico di intere classi di materiali 4) molte 1 Fondamentali sono ancora i numerosi contributi apparsi in Hellenismus in Mittelitalien (1976), nei quali i rimandi a Pompei costituiscono lo sfondo per tutta una serie di tipologie architettoniche presenti sull’intero territorio della Penisola. 2 Dobbins et alii 1998 (riserve sul metodo applicato nella ricerca in Guzzo-Pesando 2002) ; Carrol-Godden 2000 ; Carafa 2002 ; Dobbins 2005. 3 4 Dobbins 1992. Dobbins 1998 e soprattutto Carrol-Godden 2000.

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fabrizio pesando La Regio VI : tempi e modi di occupazione di un quartiere di Pompei nel iii secolo a.C.

Negli ultimi anni, varie iniziative di studio hanno proposto nuovi dati sull’età medio-sannitica di Pompei e soprattutto sulle diverse fasi edilizie documentate in alcuni quartieri abitativi. Fra questi, il più conosciuto al momento è la Regio vi, cioè il settore nord-occidentale della città attraversato dalla viu sarinu, coincidente in età romana con la Regio/Vicus Saliniensis 4 (Fig. 4). Come già documentato, sia pur in maniera frammentaria, da scavi stratigrafici effettuati in altre aree della città (e.g. al di sotto dei nuclei Fig. 2. Tempio Dorico, decorazione di fine iv-inizi iii secolo a.C. : antefisse con testa di Atena ed Eracle. edilizi più antichi della Casa di Trittolemo (vii, 7,2), 5 della Casa del Gallo 6 (viii, 5,2 e 5) e della Casa del Citarista: i, 4, 5) 7 le case più antiche – spesso individuate al di sotto di domus di ii secolo a.C. che di esse mantennero solo le facciate ed i muri perimetrali – sorsero isolate o al massimo raggruppate a coppie fra ampi spazi non edificati, disponendosi anche in prossimità dell’agger delle mura 8 (Fig. 5). Impianti produttivi sembrano aver garantito la disponibilità di materiale edilizio prima e forse anche durante la costruzione delle più antiche abitazioni. Al di sotto di un cubicolo della Casa dei Fiori (vi,5,8), un’abitazione della fine del iii secolo a.C. significativamente posta al margine del Santuario della Colonna Etrusca, è stata infatti scoperta una fornace per la produzione di tegole, coppi e grandi contenitori utilizzata prima della costruzione della casa (Figg. 6-7) ; la fornace funzionò durante la prima fase Fig. 3. Tempio Dorico, decorazione di fine iv-inizi iii secolo a.C. : metopa in tufo con raffigurazione del supplizio di Issione (o della costruzione della nave Argo ?).

periodo, di un edificio per banchetti in un’area posta a ridosso della piazza forense, 1 oltre ad indicare le forme in cui si esprimeva la coesione fra i gruppi aristocratici dell’epoca, mostra anche la ricezione in ambito locale di strutture di chiara ascendenza greca (pastades, andrones) e la disponibilità, da parte della locale élite, di servirsi di manodopera specializzata in grado di decorare con cura l’edificio, che già nella fase di inizio iii secolo a.C. è dotato di rivestimenti parietali di I Stile e di pavimenti in cocciopesto decorato. Che la comunità pompeiana disponesse in quel periodo di adeguate risorse con cui finanziare la costruzione di grandi opere pubbliche – quali una nuova fortificazione – o con cui impostare un coerente sistema di espansione urbana attraverso la definizione del reticolo viario e la divisione in lotti delle aree edificabili era cosa nota da tempo. 2 Più sfuggenti erano invece i contorni reali di questo sviluppo urbano, una volta abbandonate le facili e troppo semplicistiche ricostruzioni della pompeianistica ottocentesca, che sembrava aver individuato tutte le tappe di una progressiva crescita della città dall’età arcaica all’epoca romana ; la Pompei del iii secolo a.C. sembrava infatti quasi scomparire in mancanza di adeguati riscontri stratigrafici e si è perfino dubitato che l’occupazione dei suoli a fini abitativi avesse realmente avuto inizio prima del 200 a.C.3 della quale è stata recuperata al di sotto del portico occidentrale dell’hekatonstylon, testimoniano un’intensa ripresa del culto in età medio-sannitica ; significativamente, tra gli oggetti compaiono anche i votivi anatomici, vero fossile-guida del processo di romanizzazione dell’Italia centro-meridionale. Sulla stipe ellenistica del Foro Triangolare si veda D’Alessio 2003. 1 D’Ambrosio-De Caro 1989. 2 De Caro 1992 ; Coarelli 2002, pp. 38-44. 3 Carafa 1997 e Carafa 2002, pp. 59-60.

4 Lo studio del quartiere è l’obiettivo del “Progetto Regio VI”, che vede impegnate dal 2000 équipe delle università di Perugia, Venezia, Trieste, Siena e dell’Orientale di Napoli. Finora sono state indagate le insulae 2,5,7,9,10,13,14. In maniera sommaria, è bene riassumere la metodologia utilizzata che prevede : a) analisi delle stratigrafie murarie di tutte le unità abitative e commerciali presenti in ciascun isolato. b) individuazione delle cronologie relative e assolute sulla base delle stratigrafie verticali e della loro associazione con partiti decorativi, tecniche edilizie e oggetti mobili datanti. c) verifica delle cronologie attraverso l’esecuzione di saggi di scavo mirati. Fino ad oggi sono stati eseguiti più di ottanta saggi di scavo nelle insulae sopra ricordate, che hanno avuto come oggetto non solo i punti in cui l’osservazione di alcune anomalie edilizie suggeriva l’esistenza di strutture più antiche al di sotto di abitazioni utilizzate fra il ii secolo a.C. e il 79, ma anche le aree degli isolati che risultavano essere state più tardivamente occupate. L’incrocio sistematico di tutti questi dati ha consentito di ricostruire, per le fasi più antiche, un panorama insediativo piuttosto articolato, nel quale ad una primitiva divisione di lotti di differente ampiezza (conseguenza evidente della stratificazione sociale operante nella società pompeiana d’età medio-sannitica) seguì una lenta occupazione delle aree edificabili (su questo punto cfr. già Pesando 1997, pp. 183-187). Ci è sembrato che questa metodologia, che richiede un impegno costante di tempo ed energie, sia l’unica praticabile per lo studio delle aree urbane destinate all’edilizia privata e, crediamo, l’unica in grado di ovviare ad uno degli inconvenienti più comuni di tante ricerche in atto a Pompei come in altri siti antichi, ossia quello di proiettare apoditticamente i dati provenienti da limitate indagini di scavo (spesso appena in grado di chiarire solo lo sviluppo complessivo di un solo edificio) all’intera città e, talvolta, ad intere tipologie insediative. Anni di indagini sulla complessa documentazione offerta dall’edilizia privata nel mondo antico hanno ormai da tempo consigliato a chi scrive una buona dose di cautela : ciò che qui si espone riguarda le caratteristiche di un settore (la Regio VI) di una determinata città antica (Pompei) in un determinato periodo (il iii e il ii secolo a.C.). È già molto, ma non è tutto. 5 Cfr. Maiuri 1973 (=Nsc 1942, pp. 404-415), pp. 128-131; la cronologia suggerita per questa ed altre “case dell’età del calcare” (pieno IV secolo a.C.) è certamente troppo alta, come rilevato da Chiaramonte Treré 1990. La sequenza degli interventi edilizi documentati nella casa (almeno tre fra l’età sannitica e la prima età imperiale) indicano nel III secolo a.C. la probabile data del primo impianto. 6 Per le più antiche fasi edilizie documentate nella Casa del Gallo, il cui impianto attualmente visibile va datato alla fine del II secolo a.C. (Dickmann 1999, pp. 5860), cfr. Maiuri 1973, pp. 171-178; diversamente da quanto sostenuto in quella sede, i pavimenti in cocciopesto con decorazione a puntinato della casa più antica rimandano ad un orizzonte cronologico riferibile al più tardi alla metà del II secolo a.C. 7 Tommasino 2004, pp. 24-27. 8 Il quadro di queste acquisizioni è riassunto in Coarelli et alii 2002 ; Coarelli et alii 2003 ; Coarelli-Pesando 2004 ; Coarelli-Pesando et alii 2004 ; CoarelliPesando 2005; Coarelli 2005 ; Pesando 2005; Coarelli-Pesando 2006.

il ‘ secolo d ’ oro ’ di pompei. aspetti dell ’ architettura pubblica e privata

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Fig. 6. Fornace di iii secolo a.C. rinvenuta al di sotto dell’ambiente 3 della Casa dei Fiori (vi,5,9).

Fig. 4. Le insulae oggetto di studio del “Progetto Regio VI”.

Fig. 7. Fornace di iii secolo a.C. rinvenuta al di sotto dell’ambiente 3 della Casa dei Fiori (vi,5,9) : scarti di tegole, coppi e grandi contenitori.

Fig. 5. Pompei, settore occidentale : distribuzione delle strutture arcaiche e delle abitazioni di iii secolo a.C. rinvenute nel corso di scavi stratigrafici.

edilizia documentata nell’insula che, come ha rivelato una serie di saggi stratigrafici, risale alla seconda metà del iii secolo a.C. Lungo Via di Mercurio, la strada arcaica che venne utilizzata come asse generatore per l’intero quartiere, l’occupazione dei lotti edificabili sembra essere stata più antica di qualche decennio. Alla prima metà del iii secolo risale infatti il più antico impianto della Casa del Centauro (vi,9,3-5), 1 che, per comodità, si definirà d’ora in poi come “Protocasa del Centauro”. Il periodo di utilizzazione della “protocasa” può essere stabilito con una certa precisione non solo sulla base dei materiali rinvenuti nelle fosse di fondazione dei muri o al di sotto dei piani pavimentali, 2 ma anche grazie ad alcuni oggetti della suppellettile domestica che furono inglobati nella colmatura artificiale con cui, intorno alla metà del ii secolo a.C., si rialzò di circa 0,60 m il piano di calpestio prima di procedere ad una radicale ristrutturazione dell’abitazione, che del precedente impianto conservò solo la facciata a blocchi di calcare ed i muri perimetrali settentrionale e meridionale in opera a telaio. Fra tali oggetti figura una lucerna a vernice nera a serbatoio leggermente convesso e presa laterale di probabile fabbricazione pitecusana databile fra la fine del iv 1 Sulle fasi edilizie della Casa del Centauro fra la metà del ii secolo a.C. e l’età imperiale si veda Guidobaldi-Pesando 1997. 2 Sui risultati degli scavi effettuati nella Casa del Centauro fra il 2001 e il 2003 si rimanda ai contributi citati alla nota 7 a p. 228.

e gli inizi del iii secolo a.C. (Fig. 8), che costituisce pertanto un prezioso terminus ad quem a cui ancorare il periodo iniziale della frequentazione della “protocasa”. 3 La superficie abitativa era piuttosto ridotta rispetto a quella destinata alle attività domestiche (cortile con eventuali annessi ; spazio coltivato), occupando non più di un terzo dell’intero lotto (Fig. 9). Le fauces, sensibilmente spostate rispetto a quelle della casa di ii secolo a.C., erano affiancate a Nord da un grande ambiente – messo completamente in luce nel corso degli scavi – e a Sud da due piccole stanze, la cui esistenza è stata accertata solo attraverso studi di risonanza geoelettrica, poiché l’elevato livello di conservazione 3 La lucerna (h. cm 5 ; lungh. cm 9 ; diam. cm 6,5), scoperta durante la campagna di scavo del 2004, presenta un graffito inciso all’esterno del serbatoio che non è stato ancora possibile decifrare a causa della presenza delle spesse concrezioni di calce che vi si sovrapposero durante i lavori di ricostruzione della casa. È affine al tipo 25 D Howland (Howland 1958, pp. 79-80, nrr. 352 e 354), databile fra la fine del iv e gli inizi del iii secolo a.C., come mostrano gli esemplari simili documentati a Cartagine (Denauve 1969, pp. 54-55, nrr. 163 e 165 = Gruppo ix), a Corinto (Broneer 1930, p. 47 = Tipo viii) e a Delo (Bruneau 1965, p. 21, nr. 27). Particolari somiglianze sono riscontrabili con una “grande lucerna a vernice nera con sul disco parecchi graffiti” rinvenuta nella necropoli dell’Esquilino (Dressel 1880, p. 326, nr. 15 e tav. O, nr. 8 ; per il ritrovamento cfr. anche cil xv,2 782b), ritenuta di produzione campana e della quale si ricordavano esemplari identici scoperti proprio a Pompei (ivi, p. 326). Cronologia (fine iv-inizi iii secolo a.C.) e luogo di produzione (Ischia) possono essere stabiliti con certezza grazie al rinvenimento di lucerne identiche nello scarico di Monte di Vico (Pavolini 1982, p. 143 ; riproduzione della forma in Morel 1976, p. 474, fig. 1 ; per la ceramica a vernice nera rinvenuta nello scarico pitecusano cfr. Morel 1981, p. 47). Da Ischia (e Napoli ?) il tipo si può essere irradiato non solo nella zona del Golfo, come testimoniano gli esemplari pompeiani, ma forse anche a Roma (su quest’ultimo punto, si rimanda però alle considerazioni espresse da Pavolini 1982, p. 279, nota 11, che propende per un’importazione dalla stessa Grecia : l’ipotesi potrebbe in effetti trovare conforto nella perfetta identità fra l’esemplare romano e il tipo viii Broneer 1930). Il tipo può essere infine confrontato in maniera generica con le lucerne a corpo globulare e presa laterale diffuse in ambito tarantino ed apulo : cfr. Masiello 1992, p. 62.

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fabrizio pesando forse provvisto anche di un’apertura posteriore ; il pavimento, decorato da un cocciopesto con tappeto centrale in tessellato, era leggermente rialzato rispetto a quello dell’atrio, secondo una norma che sarà applicata sistematicamente nei tablini delle case edificate in età tardo-sannitica e romana (Fig. 10). A Nord del tablino si trovava un ambiente residenziale, decorato da pitture e pavimenti di i Stile, mentre a Sud un locale molto semplice, accessibile dall’atrio attraverso uno stretto varco e quasi del tutto privo di decorazione, funzionava come stanza da lavoro femminile e come dispensa. Da questa stanza, attraverso un’ampia apertura che immetteva in una sorta di veranda, si giungeva alla zona posteriore, occupata da un cortile e da un hortus ; in questo settore, oltre a qualche ambiente di servizio (cucina e latrina ?), si trovava una cisterna alimentata dalle acque piovane convogliate dagli spioventi del tetto. La pianta della “Protocasa

Fig. 8. “Protocasa del Centauro” (vi,9,3). Lucerna a vernice nera (fine iv-iii secolo a.C.) appartenente alla suppellettile in uso nella casa.

del pavimento del cubicolo con alcova della domus tardo-ellenistica 1 ha impedito di avviare indagini di scavo inevitabilmente distruttive. Le due stanze così individuate avevano una larghezza diseguale (rispettivamente ca. m. 1,00 e 1,60); sulla base di alcuni confronti presenti in altre case ellenistiche di Pompei (ad esempio nella vicina casa VI,7, 16-17 2), è ipotizzabile che una corrisponda ad un piccolo ambiente di servizio -forse utilizzato come repositorium o destinato all’ostiarius- e l’altra ad uno stretto

Fig. 10. “Protocasa del Centauro” : a battuto dell’atrio ; b tablino ; c ambiente residenziale settentrionale ; d fondazione del muro perimetrale orientale (in opera a telaio ?) ; e impluvio di tipo 1A Fadda della Casa del Centauro sovrapposto al tablino della “protocasa”.

del Centauro” non è immediatamente assimilabile alla consueta tipologia abitativa documentata a Pompei, cioè non ricade né nel tipo di casa ad atrio tuscanico, né in quello delle “casette a schiera” diffuse prevalentemente nelle Regiones i e ii. 3 Colpisce soprattutto la tripartizione dello spazio al fondo dell’atrio e la specifica funzionalità degli ambienti lì ricavati : il tablino, la stanza residenziale a Nord di esso (un triclinio ?) e, a Sud, l’am-

Fig. 9. “Protocasa del Centauro” (prima metà del iii secolo a.C.) : ipotesi ricostruttiva (in tratteggio l’ingombro della domus di ii secolo a.C.).

vano-scala; la presenza di un piano superiore, esteso quasi certamente solo sul lato della facciata rivolta verso Via di Mercurio, avrebbe così garantito un ulteriore spazio abitativo a disposizione del nucleo o dei nuclei familiari residenti nella domus. Dalle fauces si accedeva ad un piccolo atrio disposto trasversalmente e coperto da un tetto che andava ad impostare le sue travi ai vertici dei muri perimetrali. Al fondo dell’atrio si aprivano tre ambienti. Al centro – e perfettamente in asse con l’ingresso – era il tablino, 1 2

Sul cubicolo cfr. Elia 1932, p. 403. Pirson 1999, p. 218, kat. Nr. 45.

Fig. 11. Casa di Giulio Polibio (ix,13,1-3) : planimetria.

biente a destinazione femminile. In quest’ultimo è suggestivo riconoscere quel tamieion/histeon tipico delle abitazioni greche e certamente presente nella case delle ellenizzate élites sannitiche e lucane, stanza che sappiamo essere stata a tal punto sentita come centrale nell’organizzazione della vita domestica da aver 3

Nappo 1993-1994.

il ‘ secolo d ’ oro ’ di pompei. aspetti dell ’ architettura pubblica e privata rappresentato l’archetipo monumentale degli “edifici quadrati” costruiti fra il iv e il iii secolo a.C. in santuari e in aree pubbliche indigene. 1 Lo schema architettonico della casa, pur inusuale in ambiente pompeiano forse proprio a causa della sua antichità, non è tuttavia senza confronti : seppur poco numerose e alterate nel corso di molteplici rifacimenti, alcune abitazioni databili tra la fine del iii e i primi decenni del ii secolo a.C. mostrano in-

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Fig. 13. “Protocasa del Centauro”, decorazione dell’ambiente situato a nord delle fauces.

Fig. 12. Insula i,11 : casette a schiera.

fatti elementi di somiglianza con la “Protocasa del Centauro”. L’esempio più significativo è quello offerto dal settore anteriore della Casa di Giulio Polibio, corrispondente all’ingresso nr. 3. (Fig. 11). Lì, su un piccolo atrio testudinato disposto trasversalmente, si affacciavano in origine due ambienti situati ai lati delle fauces e altri tre sul lato di fondo : il tablino centrale, un ambiente residenziale e una stanza che (ancora ?) all’epoca dell’eruzione funzionava come apotheca ; dietro questo settore, dalle misure quasi coincidenti con quelle della “Protocasa del Centauro”, si trovava, forse già durante la prima fase edilizia dell’abitazione, un piccolo atriolo, mentre solo in un periodo successivo venne aggiunto il grande peristilio, ricavato probabilmente a spese di una confinante proprietà. 2 Anche alcune tra le modeste “casette a schiera” dell’insula i,11 – quale sia stata l’originaria struttura del loro atrio (testudinato o a cortile ; Fig. 12) – presentano alcune affinità con la nostra abitazione, come la disposizione trasversale della grande stanza comune, la tri/bipartizione dello spazio di fondo e, infine, la maggiore superficie accordata allo spazio verde rispetto a quello destinato alla vita degli abitanti. 3 Non sfuggirà, tuttavia, che gli esempi qui rapidamente citati si riferiscono a un settore abitativo forse casualmente fossilizzato in una domus ristrutturata durante l’età romana (la Casa di Giulio Polibio) e a una tipologia architettonica (quella delle “casette a schiera”) destinata al ceto meno abbiente della società pompeiana d’età sannitica, certo non coincidente con i luxuriosi 1 3

2 Greco 1996. Pesando 1997, pp. 137-141. Pesando 1997, pp. 211-215.

Fig. 14. “Protocasa del Centauro”, decorazione dell’ambiente residenziale settentrionale.

domini a cui dovette appartenere la “protocasa del Centauro”. Questa rivela infatti la ricchezza dei proprietari nella ricercata decorazione dei suoi ambienti più rappresentativi. Sia il grande ambiente affacciato sulle fauces, sia il vano residenziale che confinava a Nord con il tablino (Figg. 13-14) erano infatti decorati da pavimenti in cocciopesto (a puntinato regolare il primo, con tesserine di calcare sparpagliate il secondo) e da pitture di i Stile, delle quali sono state recuperate, oltre allo zoccolo, decorazioni a bugnato, cornici semplici e a dentelli. Di particolare rilievo era il pavimento del tablino, costituito da un cocciopesto con inserti calcarei ravvivato in corrispondenza della soglia da un puntinato di grandi tessere bianche e nella parte centrale da un tappeto mosaicato ; quest’ultimo era inquadrato da una fascia in tessere bianche di palombino e da un’altra rossa formata da scaglie irregolari di terracotta (Figg. 15-16). Non sfuggirà l’importanza di questo ritrovamento, che documenta una delle più antiche decorazioni pavimentali in tessellato (per di più in associazione con un cocciopesto) ad oggi conosciute non solo nella città vesuviana, ma anche in area magno-greca e siceliota. 4 Esponenti ugualmente di spicco della società pompeiana di iii secolo a.C. risiedevano anche nella non lontana Casa del Naviglio (vi,10,11-12), 5 un’abitazione che si presentava già allora 4 Sulla documentazione complessiva dei più antichi tessellati conosciuti nell’Occidente greco si rimanda a Baldassarre 2001. Un confronto piuttosto puntuale per l’associazione in questo periodo del cocciopesto con il tessellato è fornito dal pavimento della Tomba dei Cristallini a Napoli, databile fra la fine del iv e i primi anni del iii secolo a.C. (Baldassarre 2003, pp. 50-55). 5 Significative convergenze cronologiche sono state registrate con i risultati degli

232 fabrizio pesando nelle forme della casa ad atrio tuscanico e dalla quale proviene un rarissimo fregio dipinto di I Stile, raffigurante una teoria di uccelli con in bocca un ramoscello (Fig. 17) ; eseguito con rapidi tocchi, il fregio si inserisce nella temperie del medio ellenismo e

Fig. 18. “Protocasa del Granduca Michele” (vi,5,5), planimetria (campagne di scavo 2003-2004).

Fig. 15. “Protocasa del Centauro”, tablino : particolare della soglia a puntinato e dell’angolo nord-occidentale del tappeto centrale in tessellato.

Fig. 19. “Protocasa del Granduca Michele”, fasi pavimentali sovrapposte nell’ambiente 8.

Fig. 16. “Protocasa del Centauro”, tablino : particolare del tappeto centrale in tessellato.

Fig. 20. “Protocasa del Granduca Michele”, oecus.

Fig. 17. Casa del Naviglio (vi,10,12), fase d’età medio-sannitica : fregio figurato di i Stile. scavi effettuati dall’équipe olandese in un’altra domus ad atrio della Regio VI con facciata in opera quadrata e muri perimetrali in opera a telaio, la Casa degli Scienziati (vi,14,43) ; del tutto identica, per planimetria e proporzioni alla Casa del Naviglio, la sua prima fase edilizia è stata fissata sullo scorcio del iv secolo a.C. : cfr. MolsDe Waele 1998 e De Waele et alii 2000 ; Peterse-De Haan 2005; Peterse-De Waele 2005.

Fig. 21. “Protocasa del Granduca Michele”, sovrapposizioni pavimentali nel tablino.

il ‘ secolo d ’ oro ’ di pompei. aspetti dell ’ architettura pubblica e privata rappresenta il più antico esempio di pittura inserita in una parete di I Stile finora conosciuto a Pompei. Se la protocasa del Centauro appartiene ad una tipologia edilizia piuttosto isolata nel panorama pompeiano, già nelle tradizionali forme della casa ad atrio tuscanico venne costruita un’altra abitazione messa in luce nel corso di recenti scavi eseguiti al di sotto della Casa del Granduca Michele (vi,5,5). L’impianto più antico, situato a poca distanza dalla fornace sopra descritta, è databile alla fine del iii secolo a.C. (Fig. 18). Anche in questo caso, l’abitazione mostra un elevato livello decorativo negli ambienti di rappresentanza (tablino, cubicoli, ala, oeci), in alcuni dei quali, durante il primo quarto del ii secolo a.C., pavimenti in cocciopesto con decorazione a puntinato di tessere si sostituirono a più semplici battuti, rimasti da allora in uso solo negli spazi comuni o di transito (atrio, corridoi, ambienti di servizio) (Figg. 19-21). Di grande interesse è la differente tecnica edilizia utilizzata nei muri portanti e in quelli divisori, in quanto documenta per la prima volta il sistema costruttivo usato a Pompei prima del capillare impiego dell’opera incerta : i primi sono infatti realizzati in opera a telaio o in opera cementizia, i secondi in semplice argilla pressata, e cioè in quello che, sulla scorta delle fonti, potrebbe essere definito opus formaceum o paries formaceus 1 (Fig. 22). ‘Il secolo d’oro’ Come detto, la vitalità della Pompei d’età tardo-sannitica nella ricezione e nella rielaborazione della cultura architettonica ellenistica è stata più volte sottolineata. In questa sede, si è pertanto ritenuto opportuno rivolgere l’attenzione a taluni edifici sacri, pubblici e privati di ii secolo a.C. per i quali si può oggi stabilire con una certa precisione natura, funzione e cronologia : il Tempio di Apollo, le cd. Terme Repubblicane e alcune abitazioni della Regio vi nelle quali vennero introdotte nuove tipologie planimetriche e architettoniche. Come nel caso del Tempio Dorico, anche nell’antico santuario poliade, dopo una notevole contrazione delle offerte testimoniata per il v e il iv secolo a.C., a partire dal iii la devozione si manifesta nuovamente attraverso la consacrazione di ex-voto. Le grandi stipi votive intercettate durante gli scavi condotti all’interno del santuario da A. Maiuri 2 e durante lo svuotamento di una lunga trincea antica identificata da P. Arthur nel 1980 al di sotto del portico occidentale del Foro 3 (Fig. 23), erano ricolme di ossa di animali, di vasellame da mensa, di contenitori per derrate e liquidi, di monete e soprattutto di terrecotte votive, raffiguranti prevalentemente animali e figure femminili stanti o sedute ; tra le sicure identificazioni di divinità sono ricordate solo una statuetta di Venere e una di Erote. Il materiale attende ancora oggi uno studio sistematico, ma sembra essere riferibile ad un periodo compreso fra l’inizio del iii e il pieno ii secolo a.C. Non sappiamo se il tempio arcaico, come è stato supposto, fosse ancora funzionante in età medio-sannitica. La costruzione dell’edificio nelle forme che sostanzialmente rimarranno inalterate fino al 79 risale probabilmente al secondo quarto del ii secolo a.C. Si tratta, come noto, di un tempio periptero corinzio su alto podio, in origine privo della grande scalinata d’accesso, che venne aggiunta solo in età sillana, in concomitanza con la riconsacrazione dell’altare effettuata dai primi magistrati della colonia (cil x, 800). 4 A dispetto delle limitate alterazioni subite dal tempio in circa tre secoli di vita, la sua cella fu interessata nel giro di pochi decenni da due interventi decorativi ed è su questo aspetto che vorrei soffermarmi. Il semplice pavimento di cocciopesto, steso al momento della co-

Fig. 22. “Protocasa del Granduca Michele”, oecus. Particolare del paries formaceus.

struzione, fu infatti sostituito da un elegante mosaico di tessere di palombino con tappeto centrale a scutulatum inquadrato da un motivo a meandri ; l’abbellimento, deliberato dalla kumbennio, fu eseguito dal kvaistur Oppius Campanus utilizzando le risorse finanziarie del santuario (Vetter 18). Motivazione e cronologia di questa nuova decorazione possono essere oggi definite con una maggiore sicurezza che in passato, considerando non solo le attività edilizie che interessarono il tempio vero e proprio, ma anche quelle estese a tutta l’area del santuario. Gli scavi condotti tra il 1980 e il 1981 al di sotto di Via di Porta Marina in corrispondenza dell’area sacra hanno infatti messo in luce i resti di una scalinata costituita, in fondazione e in spiccato, da blocchi di tufo : 5 in essa va probabilmente riconosciuto l’accesso al santuario precedente la sistemazione attualmente visibile. La scalinata, databile alla prima metà del ii secolo – e dunque coeva alla costruzione del tempio – sembra aver funzionato per poco tempo e venne smantellata al momento della creazione del quadriportico che circondava, apparentemente isolandolo, il santuario di Apollo. La ragione di una così profonda ristrutturazione va ricondotta quasi certamente ad una eccezionale dedica fatta nel santuario pompeiano fra il 146 e il 142 a.C. Un recente studio di A. Martelli ha infatti permesso la definitiva identificazione di un titulus Mummianus inciso in lingua e in alfabeto osco su un basamento per statua in tufo addossato al lato meridionale del portico 6 (Fig. 24). L’iscrizione è di notevole importanza non solo per la storia di Pompei, ma anche per la ricostruzione dei rapporti fra Roma e le civitates foederate all’epoca delle guerre d’Oriente che caratterizzarono gran parte del ii secolo a.C. È altamente probabile che fra gli alleati di Roma durante la Guerra Acaica figurassero anche i Pompeiani, i quali, per il loro impegno, furono onorati con una o più statue depredate durante il sacco di Corinto, forse provenienti proprio da quel santuario di Apollo che fin dall’età arcaica aveva costituito il centro religioso della città. 7 Come è stato rilevato, la presenza di sostegni per basi di statue ricavati 5

1

Sull’opus formaceum cfr. Ginouvés 1985, p. 100 nota 122 e Pesando 1999, p. 247. Muri in pisé risalenti alla fine del iv-inizi del iii secolo a.C. sono stati individuati da recenti scavi anche al di sotto dell’impianto tardo-sannitico della Casa delle Vestali (vi,1,6.28-29) : Jones-Robinson 2004, pp. 109-110 e fig. 2. 2 Sugli scavi condotti nel Tempio di Apollo da A. Maiuri si veda De Caro 1986. 3 Arthur 1986. 4 Sulla storia edilizia del Tempio di Apollo si rimanda a De Caro 1986.

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Arthur 1986, 36-37 ; De Caro 1986, p. 19. Martelli 2002 ; Martelli 2003. L’ipotesi della presenza di un titulus Mummianus nel santuario di Apollo era già stata affacciata da Castrén 1976, 358 e ripresa con ulteriori argomentazioni da Zevi 1996, p. 128; sul titulus Mummianus cfr. anche Lippolis 2004, pp. 34-36. 7 Al bottino corinzio vengono attribuite da De Caro 1991, p. 33 le statue bronzee di Apollo e Artemide rinvenute nell’area del santuario, nessuna delle quali, tuttavia, si adatta al basamento di Lucio Mummio. 6

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fabrizio pesando appositamente nella gradinata di accesso al portico meridionale indica chiaramente la contemporaneità fra il donativo e la costruzione del quadriportico, che dunque va riferito al terzo quarto del ii secolo a.C. Nello stesso periodo, anche la cella del tempio venne rinnovata nella sua decorazione pavimentale e parietale e alla trabeazione furono forse aggiunte le lastre fittili di soggetto apollineo reimpiegate in età imperiale come typoi nella Casa del Bracciale d’Oro (vi,17,42) 1 (Fig. 25) ; significativamente, in una città alleata di Roma che era stata onorata da un vir triumphalis, si scelse per la decorazione del pavimento lo scutulatum, e cioè il tipo più raffinato di opus sectile allora conosciuto e messo in opera in quegli stessi anni nella cella del più importante tempio romano, vale a dire il Capitolium. 2 La chiusura del peribolo del santuario con un quadriportico non rappresentò un ridimensionamento architettonico e funzionale dell’antica area di culto, come talora affermato. 3 A ragione, invece, F. Coarelli ha sottolineato come il santuario si configuri da allora come la perfetta replica – seppur ridotta per scala ed opulenza- di quelle porticus triumphales che intorno alla metà del ii secolo a.C. erano venute ad occupare l’ampio settore del Campo Marzio compreso fra la porticus Minucia e il Circo Flaminio ; 4 in particolare, forti affinità sono state indicate fra l’area sacra di Pompei e la porticus Metelli, significativamente votata da Q. Cecilio Metello Macedonico per celebrare la vittoria su Andrisco nello stesso anno della conquista di Corinto da parte di Lucio Mummio. 5 Lo stretto rapporto esistente fra il santuario ed il Foro prima della costruzione del portico occidentale della piazza era, come noto, sottolineato dalle dieci grandi porte aperte nel muro perimetrale orientale. L’aspetto della piazza, ancora non interessata dalla costruzione del grande Tempio di Giove e con le semplici tabernae affacciate sul lato orientale, era ancora piuttosto ordinario. 6 Tuttavia, si volle almeno pavimentare il marciapiede in corrispondenza del muro perimetrale orientale del santuario 7 (Fig. 26). Va infatti riferita al drenaggio di una pavimentazione in cocciopesto e non alla presunta area di un lucus la notizia della scoperta, al di sotto del portico occidentale del Foro, di almeno one round pit containing an inverted amphora (type ?Dressel 1A) which lacked its neck, handles and stub, and which presented a number of holes pierced through its body ; 8 la sistematica identificazione Fig. 23. Santuario di Apollo : pianta con indicazione dei saggi eseguiti di simili apprestamenti al di sotto di quasi tutti i pavimenti in all’interno del temenos (1931-1932 e 1943-1944) e nel portico ovest del cocciopesto di ii secolo a.C. indagati stratigraficamente in queForo (1981-1982) (da De Caro 1986). C: cisterna; S: fosse di scarico; G: gradinata sti ultimi anni non lascia infatti dubbi sulla sua interpretazione (Fig. 27). Il più raffinato fra gli edifici ellenistici di Pompei si configurava pertanto come una delle più felici rivisitazioni della cultura architettonica del tempo, indicando uno dei tanti modi in cui poteva esprimersi l’imitatio urbis nel corso del ii secolo a.C., in un momento precedente a quel fenomeno di romanizzazione o di autoromanizzazione omologato sui modelli monumentali delle colonie di diritto romano, di cui la costruzione del grande tempio di Giove al fondo del lato settentrionale del Foro sul finire del ii secolo a.C. rappresenterà uno dei segni più evidenti 9 (Fig. 28). Il

Fig. 24. Tempio di Apollo, base con dedica in osco di Lucio Mummio (Vetter 61).

1 Sulle lastre rinvenute nella casa del Bracciale d’Oro cfr. Pompeji Wiederentdeckt 1994, pp. 307-310, (A. d’Ambrosio) ; sulla loro possibile pertinenza al Tempio di Apollo cfr. De Caro 1991, p. 30 e ppm 7,2, 1997, p. 287 (V. Sampaolo). 2 Sull’identificazione dello scutulatum con il motivo a cubi prospettici si veda Pesando 1997, pp. 224-228. Sulla cronologia della sua messa in opera cfr. Plin., 36,185 : Romae scutulatum in Iovis Capitolinis aede primum factum est post tertium bel3 lum Punicum. De Caro 1986, p. 24. 4 Coarelli 2002, p. 77. 5 Sulla porticus Metelli si veda Coarelli 1997, pp. 529-538. 6 Sulla piazza forense in età medio e tardo-sannitica sono ancora fondamentali i lavori di Maiuri 1941 e Maiuri 1942 (= Maiuri 1973, pp. 53-124). 7 La ristrutturazione del Santuario di Apollo avrebbe comportato l’erezione del portico occidentale del Foro secondo De Caro 1986, p. 19 ; tuttavia, al momento mancano riscontri certi per confermare questa ipotesi. 8 Arthur 1986, p. 35. L’ipotesi della presenza di un lucus nel santuario è stata ripresa soprattutto da Carroll-Godden 2000, anche se le conclusioni proposte dal contributo a favore della sua esistenza risultano poco convincenti. 9 Sul Tempio di Giove cfr. Maiuri 1973, pp. 101-124 ; sui motivi che determinarono le trasformazioni subite dal tempio dopo la colonizzazione si veda Coarelli 2001.

il ‘ secolo d ’ oro ’ di pompei. aspetti dell ’ architettura pubblica e privata

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Fig. 27. “Casa dell’Esedra” (vi,2,18-19) : anfora greco-italica utilizzata per il drenaggio del cocciopesto del triclinio meridionale.

Fig. 25. Casa del Bracciale d’Oro (vi,17,42) : lastra fittile con raffigurazione di Artemide (dal Tempio di Apollo ?) reimpiegata in una pittura di giardino d’età flavia.

nuovo assetto del Santuario di Apollo rappresentò il primo passo per la complessiva risistemazione del lato sud-orientale del Foro. Pochi anni dopo, nelle immediate vicinanze del tempio, furono infatti costruite la Basilica e una porticus duplex in tufo (il Portico di Popidio), 1 che costituirono un insieme integrato monumentalmente e funzionalmente, dal momento che, come attesta una

Fig. 26. Tempio di Apollo, fase di ii secolo a.C. : relazione con la piazza del Foro.

serie ormai quasi scomparsa di tituli picti oschi, il portico venne utilizzato per le procedure del vadimonium. 2 Il riesame di un piccolo bagno pubblico situato in prossimità del Foro Triangolare, noto con il nome convenzionale di Terme Repubblicane, ha indicato nella seconda metà del ii secolo a.C. la costruzione di questo edificio, noto finora soprattutto per la particolarità costruttiva delle sue suspensurae 3 (Figg. 29-30). Tale datazione restituisce a questa zona di Pompei un altro edificio di età tardo-sannitica, che viene così a sommarsi allo straordinario insieme di monumenti presenti in questa 1 Sul portico di Popidio e sulla Basilica ritengo essere ancora valide le interpretazioni date alle fasi costruttive da Maiuri 1941, pp. 398-404 (= Maiuri 1973, 70-74) e Maiuri 1951 (= Maiuri 1973, pp. 191-223). 2 Vetter 33 ; per un’interpretazione del contenuto dei tituli cfr. Sironen 1990. 3 Sull’edificio termale, citato ormai quasi esclusivamente in contributi dedicati alla storia delle terme romane, si veda Pesando 2002-2003.

zona durante gli ultimi decenni dell’autonomia politica della città. Significativamente, l’impianto termale occupava un posto di rilievo all’interno di una serie edifici, fra loro strettamente connessi, disposti intorno a uno dei più rilevanti quadrivi del tessuto urbano della città, quello dal quale si accedeva all’antichissima area sacra del Menervium (Fig. 31). Oltre alle terme, sul quadrivio gravitavano infatti non solo gli imponenti Propilei (che potrebbero essere identificati con la pastàs fatta costruire dal meddix V. Popidius), 4 ma anche la villa o domus publica di Pompei – menzionata nell’iscrizione Vetter 27 e decorata con il noto fregio fittile con scene di battaglia 5 – e la Palestra Sannitica, nella quale è stata da tempo riconosciuta la sede della Vereiia Pumpaiiana. 6 È soprattutto la presenza di quest’ultimo edificio e delle aree destinate agli esercizi atletici esistenti con ogni probabilità nell’hekatonstylon e nel grande quadriportico situato dietro al teatro che dovette giustificare la costruzione delle piccole Terme Repubblicane ; 7 queste dovevano certamente “fare sistema” con le strutture sopra ricordate e costituire pertanto un bagno riservato a coloro che le frequentavano. 8 Stretto doveva essere soprattutto il rapporto con la Palestra Sannitica, il piccolo edificio a peristilio che, come sottolineava già J. Delorme, 9 presenta tutte le caratteristiche di un impianto destinato agli esercizi ginnici e la cui funzione, talvolta messa in dubbio senza reali motivazioni, 10 era adeguatamente sottolineata dalla presenza di una copia del Doriforo di Policleto, vero arredo fisso di questo tipo di edifici. 11 Priva infatti di qualsivoglia ambiente destinato alle abluzioni o all’igiene, la Palestra Sannitica sembra richiamare nel suo sobrio impianto la consuetudine, per lungo tempo conservata nel mondo greco, di separare il gumnásion o la palaístra dal balaneîon. 12 E quest’ultimo, altro non poteva essere che l’impianto termale affacciato a pochi metri di distanza 4

Vetter 13. Pesando 1997a. Sull’interpretazione del fregio e sul suo inquadramento nella cultura artistica della Pompei sannitica cfr. d’Agostino 1982. 6 Sulla Palestra Sannitica si veda ora De Waele 2001, pp. 325-327. Per la sua relazione con la Vereiia Pumpaiiana si rimanda soprattutto a Poccetti 1982 e Coarelli 2001, pp. 102-105. 7 Per una interpretazione del Foro Triangolare come campus della comunità pompeiana si veda Pesando 2000, pp. 155-175 : 155-163 ; Coarelli 2001, p. 100 sgg. e De Waele 2001, pp. 328-332. 8 Cfr. De Caro 1991, p. 40 ; Pesando 2000, pp. 171-172 ; Coarelli 2001, p. 100 ; De Waele 2001, pp. 331-332. 9 Delorme 1960, pp. 229-230. 10 Richardson Jr. 1988, p. 75 (identificazione della Palestra Sannitica con un Tempio di Ercole) 11 L’importanza del ritrovamento della copia del Doriforo nella Palestra Sannitica per definirne la funzione è stata sottolineata da Coarelli 2001, pp. 103-106 (con discussione sulla cronologia della copia, riferita con buoni argomenti alla fine del ii secolo a.C.) e De Waele 2001, p. 331. 12 Secondo Delorme 1960, pp. 227-229 in ambito greco l’unificazione fra i due edifici si realizzò solo nel i secolo a.C. sotto l’influenza romana. Questa posizione è 5

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fabrizio pesando

Fig. 28. Il Foro di Pompei alla fine del ii secolo a.C. (da Zanker 1993, con modificazioni).

sullo stesso quadrivio, sufficientemente attrezzato per garantire ai frequentatori tutti i comfort presenti nell’unica altra terma esistente in quell’epoca a Pompei (le Terme Stabiane). Sul piano dell’edilizia privata, il ii secolo a.C. coincide con la sistematica occupazione di tutti i suoli edificabili e con l’adozione pressoché generalizzata della struttura ad atrio tuscanico, a cui si associa, nelle abitazioni più prestigiose, il peristilio. 1 Anche gli impianti tardo-sannitici della Casa del Centauro e del Granduca Michele alterarono profondamente l’impianto delle abitazioni più antiche. La Casa del Centauro, che all’abitazione precedente si sostituì nella seconda metà del ii secolo a.C., appare infatti ormai assimilabile alla tipologia della casa nobile romana, organizzando i propri spazi come una domus ad atrio sostanzialmente accettata da Ginouvés 1962, pp. 109-149 (soprattutto 147-149), che nota come durante l’età classica le palestre disponessero solo di limitati apprestamenti per le abluzioni e di loutrà costituiti da pochi ambienti. 1 Sul fenomeno cfr. Pesando 1997 ; Dickmann 1999 ; Gros 2001.

tuscanico e peristilio (cfr. Fig. 9). Della tipologia architettonica della “Protocasa del Centauro” non rimarrà un solo esempio nell’aristocratica Regio VI e solo una modesta variante del tipo continuerà ad essere utilizzato in alcune dimore d’età tardo-sannitica documentate nelle aree della città abitate prevalentemente da quegli homines tenues che non avevano bisogno né di atri, né di tablini. La ricostruzione della Casa del Granduca Michele, risalente agli ultimi decenni del ii secolo a.C., escluderà invece del tutto il settore del tablino, favorendo, secondo i dettami del tempo, un maggiore sviluppo della zona del peristilio (Fig. 32). In entrambe, come in tutte le coeve costruzioni pubbliche e private, i muri furono realizzati prevalentemente in opera incerta di lava, mostrando come lo sfruttamento delle proprietà della spongia o pumex Pompeiana per la coesione del materiale edilizio avesse ormai raggiunto un elevato livello di affidabilità. 2 La 2 Su questo legante, tipico delle zone situate alle pendici del Vesuvio, cfr. Vitr. 2,6, 2.

il ‘ secolo d ’ oro ’ di pompei. aspetti dell ’ architettura pubblica e privata

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Fig. 32. Casa del Granduca Michele (vi,5,5) : fase di fine ii secolo a.C.

Fig. 29. “Terme Repubblicane” (viii,5, 36), planimetria (da Maiuri 1951).

Fig. 33. Casa del Cenacolo (v,2,h).

Fig. 30. “Terme Repubblicane”, particolare delle suspensurae del calidarium femminile.

Fig. 31. Il Foro Triangolare e gli edifici affacciati sul “Quadrivio del Quartiere dei Teatri”. a : “Terme Repubblicane” ; b : Domus/villa publica ; c : Palestra Sannitica.

perfetta padronanza della nuova tecnica costruttiva permise di introdurre anche nell’edilizia privata nuove tipologie architettoniche, in grado di moltiplicare gli spazi d’uso e di residenza anche nella dimensione verticale. In abitazioni di media estensione vennero introdotti ampli cenacula, che, dalla recensione curata da I. Sutherland, risultano essere stati molto più numerosi in questo periodo di quanto in genere supposto ; 1 in taluni casi, come quello della Casa del Cenacolo (v,2,h ; Fig. 33) e della non 1

Mc Spadden Sutherland 1990.

lontana domus vi,14,34, planimetria e dimensioni sembrano essere talmente simili da far ipotizzare una comune progettazione. In altre abitazioni la possibilità di sviluppare gli spazi in altezza sfruttò i salti di quota naturali o creati artificialmente all’interno della città. Un caso esemplare è documentato nella Casa dell’Ancora (vi,10,7), che venne provvista di un “giardino infossato” il cui impianto è stato in genere riferito alla piena epoca imperiale (Fig. 34). Grazie al rilevamento delle stratigrafie verticali e ai dati emersi nel corso di alcuni saggi di scavo si è oggi in grado di datare all’ultimo quarto del ii secolo a.C. gran parte dell’impianto attualmente visibile e di riferire a questo stesso periodo l’espansione della dimora verso Sud e la creazione stessa del giardino, come già aveva intuito, ma senza poter andare oltre una più che plausibile ipotesi, J.-A. Dickmann. 2 Lo studio analitico della domus ha infatti potuto definire con chiarezza la natura di un’abitazione per la quale venne progettato un impianto collocato su più livelli e già dotato di un portico voltato che circondava su di un lato il giardino (Fig. 35) nello stesso periodo in cui a Pompei sorgevano i primi impianti delle ville suburbane sostruite su basamenti voltati, delle case edificate a cavallo delle mura urbiche e dell’abitazione che, a questo punto, possiamo considerare, per struttura e cronologia, la più vicina alla nostra, vale a dire la Casa del Criptoportico. 3 2 Dickmann 1999, p. 134, n. 49. Sulla casa cfr. ora D. Cannavina, F. Freda, A. Grassi in Coarelli-Pesando 2006, pp. 161-240. 3 Sulle abitazioni costruite sulle mura fondamentale Noack, Lehmann-Hartleben 1936, a cui va aggiunto il recente riesame della Casa di Giuseppe II (viii,2,3839) nel quale si è proposta una datazione alla seconda metà del ii secolo a.C. per l’intero complesso abitativo articolato su due piani (Carafa 2002, pp. 50-51). Al ricco repertorio vanno aggiunte le case vi,17, 15 e vii,16, 17, appartenute rispettivamente a Ma. Spurius e a Ma. Castricius, secondo quanto documentato dall’iscrizione Vetter 25. Sulla Casa del Criptoportico cfr. Maiuri 1933.

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fabrizio pesando

Fig. 35. Casa dell’Ancora (vi,10,7) : il portico voltato di i fase (ultimo quarto del ii secolo a.C.).

Fig. 34. L’insula vi,10 : planimetria con indicazione dei saggi eseguiti fra il 2001 e il 2003 ; al numero 7 si apre la Casa dell’Ancora.

Come mostrano gli esempi delle case costruite a cavallo delle mura, è nel tardo ii secolo a.C. che, a differenza di quanto in genere supposto, 1 si registra a Pompei la massima espansione delle aree abitative ; anche il settore sud-orientale della città, popolato solo da appezzamenti agricoli al momento dell’eruzione del 79, sembra essere stato abitato, come testimonia la scoperta di resti di abitazioni al di sotto della media cavea dell’anfiteatro sillano 2 (Fig. 36). In questo periodo cade anche l’occupazione delle ultime aree libere situate a ridosso dell’agger settentrionale. È questo il caso documentato dalla “Casa dell’Esedra” (vi,2,18-19), un edificio utilizzato come stabulum al momento dell’eruzione che, pur essendo noto fin dai primi anni del xix secolo, solo da poco è stato possibile datare alla seconda metà del ii secolo a.C. Di planimetria piuttosto inusuale, in quanto caratterizzato dalla presenza di una grande esedra distila paragonabile solo alla ben più nota Esedra di Alessandro, l’edificio è stato proprio per la sua posizione talvolta riferito all’età coloniale e le sue splendide colonne con capitelli corinzio-italici ritenute di spoglio 3 (Figg. 37-38). In realtà, l’esedra, decorata da uno splendido cocciopesto di I Stile con soglia a meandri, era inserita in un più arti1

E.g. Ward-Perkins 1979, pp. 25-29. Sulla documentazione dei ritrovamenti cfr. Pesando 2001. Per questa interpretazione cfr. L. Eschebach 1993, pp. 159-160 ; correttamente Fiorelli 1875, 88 parlava di « casa che nel tempo sannitico aveva avute nobili decorazioni ». Il capitello superstite, tipologicamente confrontabile con quelli della Casa del Labirinto, non compare nei repertori di M. Cocco e di H. Lauter-Bufe.

Fig. 36. Resti di abitazioni di II secolo a.C. inglobate nell’anfiteatro (foto sap).

colato contesto architettonico databile alla seconda metà del ii secolo a.C., del quale facevano parte almeno un triclinio sul lato Nord e una seconda esedra, un triclinio e un vano di incerta destinazione su quello Sud. 4 L’edificio venne parzialmente distrutto durante l’assedio dell’89 a.C. e quasi completamente alterato nella fase di ricostruzione : ceduti alcuni ambienti alla confinante

2 3

4 Tra gli elementi cronologici utili per la datazione del complesso va ricordata un’anfora di drenaggio greco-italica di tipo transizionale, rinvenuta quasi intatta al di sotto del cocciopesto del triclinio (cfr. Fig. 27). Sullo scavo dell’edificio cfr. A. Correale in Coarelli-Pesando 2005, pp. 171-174.

il ‘ secolo d ’ oro ’ di pompei. aspetti dell ’ architettura pubblica e privata

Fig. 37. “Casa dell’Esedra” (vi,2,18-19) : l’esedra distila (sistemazione d’età imperiale).

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Fig. 40. “Casa dell’Esedra”, pavimento del triclinio meridionale.

Fig. 39. “Casa dell’Esedra”, pavimento dell’ala meridionale.

Fig. 38. “Casa dell’Esedra”, particolare del capitello corinzio-italico.

domus vi,2,17, i ricchi pavimenti in cocciopesto, alcuni dei quali forse provvisti di emblema centrale (Figg. 39-40), vennero distrutti o frettolosamente restaurati ed il complesso si avviò ad essere un semplice ricovero per uomini ed animali. Idealmente, il “secolo d’oro” di Pompei si arresta con la violenta distruzione di una delle sue costruzioni più sontuose. A partire dall’epoca della deduzione coloniale, l’inserimento di grandi edifici utilizzati dalla collettività – quali l’Anfiteatro, l’Odeon, le Terme del Foro, gli edifici del culto imperiale – in aree quasi tutte precedentemente destinate all’edilizia privata, la contrazione dell’abitato nel settore sud-orientale e, infine, una serie di cambiamenti negli assetti di proprietà talora molto profondi modificarono sensibilmente l’aspetto della Pompei tardosannitica, trasformandola in ciò che troppo spesso consideriamo solo come il perfetto paradigma di una città romana di provincia. 1 Abbreviazioni bibliografiche Arthur 1986 = P. Arthur, Problems of the Urbanisation of Pompeii : Excavations 1980-1981, « The Antiquaries Journal », lvi, 1986, pp. 29-44. Baldassarre 2001 = I. Baldassarre, Alle origini del mosaico : nuove conoscenze dai colloqui aiscom, in Atti del vii colloquio aiscom (Atti Colloquio Pompei 2000), Ravenna, 2001, pp. 7-10. 1 Tra gli edifici costruiti in età sillana, solo le Terme del Foro sembrano essersi sostituite ad un analogo edificio d’età tardo-sannitica, anche se la documentazione fornita sulla complessa sequenza degli interventi edilizi succedutisi nell’area (H. Eschebach 1982 ; L. Eschebach 1991 ; L. Eschebach 1999) non sembra essere del tutto convincente. Sull’archeologia della Pompei della prima età coloniale si rimanda a Zevi 1996.

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Vassilis Tsiolis FREGELLAE : IL COMPLESSO TERMALE E LE ORIGINI DEGLI EDIFIC I BALNEARI URBANI NEL MONDO ROMANO 1 A Angelo Lisi in memoriam

G

li scavi archeologici di Fregellae, 2 condotti dal Prof. Filippo Coarelli, hanno permesso di conoscere numerosi aspetti dell’urbanistica e dell’architettura della colonia latina (Fig. 1) e hanno fornito testimonianze eccezionali per l’approccio ai fatti urbani romano-italici di epoca mediorepubblicana. Con la presente relazione mi propongo di analizzare i principali aspetti architettonici del complesso termale, indagato fra il 1996 e il 2002, che costituisce una delle scoperte fregellane più importanti. L’edificio, che ha conosciuto almeno due fasi edilizie, è inserito nel tessuto urbano, nel cuore del quartiere residenziale, occupando un’area di ca. 48 x 22 m. 3 Della fase più recente (fase II ; Figg. 2 e 3) si conservano le fondazioni, alcuni pavimenti e resti della infrastruttura tecnica. L’edificio si compone da una zona frontale (ca. 19 x 22 m), ubicata a sud-est e accessibile direttamente dal decumano 1, dove si localizzano nove ambienti (1-9), e da una zona interna, dove si concentrano le sale per il bagno propriamente detto, ed alcuni ambienti di servizio (ambienti 10-19). La zona interna è articolata in due settori (occidentale e orientale) divisi da un ampio spazio allungato, che sembra fungere da corridoio (12). Il settore occidentale, più spazioso e monumentale, è occupato da due grandi sale (14 e 16) e da un piccolo vano (15), ed è dotato di forno (17), raggiungibile attraverso uno spazio seminterrato di servizio (18), e di un’ulteriore vano, anch’esso di servizio (19). Il settore orientale comprende almeno due ambienti per il bagno (10 e 11), repliche in scala ridotta delle due grandi sale del settore opposto. Infine, l’angolo nord-est della zona interna è occupato da uno spazio rettangolare (13), situato a un livello leggermente più alto, dove le fondazioni di due basi di colonna sembrano indicare l’esistenza originaria di portici. Il primo ambiente (14) del settore occidentale è una sala rettangolare, di ca. 10,50 x 5,50 m, dotata di un lungo sedile di pietra, rivestito di cocciopesto, e finemente pavimentata con piccole tessere bianche. Le pareti, come nel resto degli ambienti dell’edificio, dovevano essere rivestite con intonaci di primo stile, almeno fino a una certa altezza della sala, al di sopra della quale doveva svilupparsi la fila di telamoni 4 che, secondo vari indizi, scandiva le pareti della sala alla maniera del tepidarium delle Terme del Foro di Pompei. I telamoni, che forse si alternavano con nicche per la custodia delle vesti degli utenti ai bagni, dovevano “sostenere” una spettacolare volta a tutto sesto, realizzata in una tecnica molto particolare di opus figlinum (Fig. 4). 1 Il presente lavoro è stato realizzato grazie alla partecipazione dell’autore al Programma di ricerca Ramón y Cajal, mediante un contratto finanziato dal Ministero di Educazione e Scienza della Spagna e dall’Università di Castilla-La Mancha. 2 Sulla storia di Fregellae, F. Coarelli in F. Coarelli, P. G. Monti, Fregellae I. Le fonti, la storia, il territorio, Roma, 1998, con bibliografia. 3 Per un’analisi dell’edificio e della sua problematica, si veda V. Tsiolis, Las Termas de Fregellae. Arquitectura, tecnología y cultura balnear en el Lacio durante los siglos iii y ii a.C., « CuPAUAM », xxvii, 2001 ; si vedano anche, F. Coarelli in F. Coarelli, P. G. Monti, op. cit., p. 60 sg. ; A. Ribera i Lacomba, La fundació de València La ciutat a l’època romanorepublicana (segles ii-i a.C.), Valencia, 1998 ; C. Martín Jordá, A. Ribera i Lacomba, Las termas romanas de l’Almoina (Quaderns de Difusió arqueològica 3), Valencia, 1999 ; p. 26 sg. ; Idem, Un caso precoz de edificio termal : los baños republicanos de Valentia, in Termas romanas en el Occidente del Imperio (Atti Colloquio Gijón 1999), edd. C. Fernández Ochoa, V. García Entero, Gijón, 2000, pp. 151-156 ; R. Känel, Ein etruskisch-italischer Telamon in Genf, « AntK », xlv, 2000, p. 152 sg. ; cfr. T. Sironen, Una tessera privata del ii secolo a.C. da Fregellae, « zpe », lxxx, 1990, pp. 116-120. 4 F. Coarelli in F. Coarelli, P. G. Monti, op. cit. ; R. Känel, op. cit., p. 152 ; V. Tsiolis, op. cit., p. 109 sg.

La posizione della sala rispetto alle altre stanze, le sue caratteristiche tecniche e ornamentali, nonché il confronto con altri stabilimenti termali repubblicani, inducono a riconoscervi l’apodyterium del settore occidentale delle terme, che, parallelamente, doveva svolgere anche le funzioni di tepidarium. La sala principale per il bagno caldo (calidarium) è facilmente riconoscibile nella grande stanza contigua (16), di 11,60 x 7,40 m, senza contare lo spazio occupato dal grande alveus situato sul lato nord e destinato al bagno collettivo per immersione in acqua calda. 5 La sala era anche dotata di labrum, di cui si è conservato integro il sostegno cilindrico, realizzato in conci di travertino rivestiti di cocciopesto. Il pavimento, eseguito con fini tessere bianche, è identico a quello del apodyterium/tepidarium. Intorno al sostegno cilindrico del labrum è ben visibile l’impronta di un bordo circolare, sicuramente ottenuto con lastre di pietra lavica. Altre impronte rettilinee sul pavimento indicano l’originaria presenza di una fascia di pietra lavica anche lungo le pareti est e ovest, nonché davanti all’alveus. Al contrario che nella stanza contigua (14), la copertura del calidarium, data la sua eccessiva larghezza, non sembra che fosse a volta. Un piccolo ambiente (15), dotato di ipocausto “vitruviano”, di cui si parlerà più avanti, completa le sale termali del settore occidentale. Di forma quasi quadrata (ca. 2,50 x 2,40 m), questa stanza è situata all’estremità meridionale dello spazio allungato in cui è inserito il forno (17). Non rimangono tracce degli alzati e del pavimento in situ, e nemmeno dell’ingresso all’ambiente, che, comunque, andrebbe situato in relazione con una delle due grandi sale contigue (14 o 16). Il forno, a doppia camera circolare (17), è costruito con tegole disposte con una delle alette verso l’esterno in modo da formare un paramento che ricorda una costruzione in mattoni cotti. 6 Sulle due camere dovevano essere collocate le caldaie metalliche dell’acqua. Nella parte frontale, il forno comunicava con l’ipocausto dell’ambiente 15. Per ultimo, il lato settentrionale del settore occidentale è occupato da un altro ambiente rettangolare (19), privo di rivestimento pavimentale, forse destinato alla custodia di oggetti e attrezzi, o all’immagazzinamento di legna. Il settore orientale è una replica ridotta del settore occidentale. L’ambiente 10, munito di sedile fisso, è del tutto analogo alla sala 14 e l’ambiente 11, anch’esso dotato di un piccolo sedile, di un sostegno cilindrico per il labrum e di un alveus per bagni d’immersione, corrisponde al calidarium del settore occidentale. 5 Il sottosuolo della vasca, non scavato, potrebbe disporre di un sistema di riscaldamento sotteraneo per il manenimento della temperatura dell’acqua, analogo a quello dell’impianto fregellano di i fase (del iii secolo a.C.), o a quelli dei balnea di Cabrera del Mar, di Valencia e di Musarna (infra), di ii secolo a.C. Oltre che a Fregellae, questa soluzione tecnica si riscrontra nella fase di iii secolo a.C., dei bagni greci di Gortys, in Arcadia, ed è presente in Sicilia, nei bagni di Megara Iblea e di Siracusa, databili anch’essi nel corso del iii secolo a.C. secondo la cronologia tradizionale (ma suscettibile di essere rivista). 6 Questa tecnica è documentata anche altrove a Fregellae, soprattutto nella prima fase della domus 7 (iii secolo a.C., probabilmente ancora della prima metà) : F. Coarelli, L’inizio dell’opus testaceum a Roma e nell’Italia romana, in La brique antique et médiévale. Production et commercialisation d’un matériau (Atti Colloquio Saint-Cloud 1995), edd. P. Boucheron, H. Broise, T. Thébert, Roma, 2000, pp. 87-95. La tecnica non riappare nelle costruzioni fregellane più recenti, fatto che potrebbe indicare la notevole antichità del forno delle terme e, di conseguenza, dell’intero impianto. Sulla cronologia delle fasi edilizie, infra.

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Fig. 1. Fregellae (Coarelli).

Il pavimento di questa sala è di cocciopesto decorato con tessere bianche (cd. opus signinum) formando meandri, con un bordo di pietra lavica intorno al piede del labrum. Rivestito di cocciopesto con rifiniture in tessere bianche e nere è anche l’alveus collettivo. Infine, un ambiente della zona frontale (9), di pianta quadrata e pavimentato in cocciopesto decorato con tessere calcaree, potrebbe aver svolto funzioni di apodyterium del settore orientale,

benché la mancanza di arredo fisso non permette avanzare ipotesi più concrete. Non sono rimaste tracce degli ingressi di queste stanze, che sicuramente erano comunicanti fra di loro e autonome rispetto al settore occidentale del complesso. Fra i due settori orientale e occidentale si trova la sala allungata 12, in cui non sembra possibile riconoscere un tepidarium o un apodyterium. Sembra, piuttosto, che si tratta di un corridoio,

fregellae: il complesso termale e le origini degli edifici balneari urbani

Fig. 2. Le terme di Fregellae. ii fase (base planimetrica : S. Martínez Caballero).

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246 vassilis che permette la comunicazione fra la zona frontale delle terme e lo spazio porticato 13. Non è facile riconoscere in questo ultimo spazio le caratteristiche essenziali di una palestra e, di conseguenza, pare superfluo speculare sulla problematica culturale che potrebbe suscitare l’eventuale inclusione di tale elemento nei bagni di Fregellae. Il raddoppio dei servizi balneari, rappresentato qui dai due settori occidentale e orientale, si riscontra, per la prima volta nell’architettura romano-italica, proprio in questo edificio di Fregellae. Il confronto cronologicamente più vicino è quello delle Terme Stabiane, di fine II secolo a.C. A Fregellae come a Pompei la divisione doveva rispondere a la separazione dei sessi, piuttosto che alla separazione per classi d’età. D’altronde, le fonti confermano l’antichità del raddoppio dei servizi termali in maschili e femminili (balneum virile, balneum muliebre) : Gellio 1 ci informa che, nell’anno 123 a.C., Teanum Sidicinum disponeva di bagni di questo tipo e Varrone, 2 riferendosi ai bagni pubblici più antichi di Roma, dice che essi venivano chiamati balneae (in femminile plurale) proprio perché erano edifici dai servizi doppi, destinati a uomini e donne rispettivamente. Di questa ii fase delle terme, richiedono un’analisi più approfondita due elementi che costituiscono casi molto particolari della storia architettonica dei bagni : la copertura a volta di almeno una delle sale del complesso e la presenza dell’ipocausto “vitruviano” nel sottosuolo del piccolo vano 15. Come si è già accennato, uno degli ambienti del settore occidentale, probabilmente la sala 14, era coperto con una volta di opus figlinum 3 (Fig. 4). A questa conclusione si giunge esaminando i numerosissimi frammenti di terracotta appartenenti a due tipi di materiali speciali, rinvenuti durante lo scavo. Si tratta di conci testacei e di tegole curve che costituivano gli elementi costruttivi di una copertura a volta. Entrambi sono pezzi di ottima qualità, fabbricati appositamente per questo edificio fregellano (Fig. 5). I conci hanno i lati lunghi dell’estradosso ribassati formando incassi longitudinali per l’appoggio delle tegole curve, mentre in prossimità di ciascuno dei lati corti presentano un foro verticale per il fissaggio con il concio contiguo mediante saldatura di piombo. In alcuni moduli questa perforazione è accompagnata da due brevi canali, sull’estradosso e l’intradosso rispettivamente, che garantiscono una aderenza migliore della grappa di piombo. Due dei quattro moduli di conci individuati sono assai più numerosi del resto e presentano dimensioni e caratteristiche tecniche fra loro uguali (moduli 1 e 2). Essi dovevano essere utilizzati in una o più volte di circa 6,00 m. di luce. Il modulo 3, presente piuttosto in una fase precedente del edificio, era impiegato in archi di circa 3,00 m di luce, mentre il modulo 4, molto raro, presenta dimensioni molto più ridotte. I conci non sembrano ottenuti con matrici individuali, bensì mediante un sistema di filiera. La volta costruita con i moduli più grandi consisteva in una serie di archi paralleli disposti ogni 0,44 m. (distanza interassiale di 0,61 m), in modo da formare una ossatura di centine permanenti destinata a sorreggere le tegole curve (Fig. 6). Queste presentano incassi longitudinali sui lati non curvi (uno sull’estradosso e l’altro sull’intradosso) per l’innesto della la tegola contigua. 4 La loro lunghezza e curvatura coincide con quella dei conci dei moduli 1 e 2. Con questa disposizione, l’estradosso della volta aveva la superficie completamente liscia, mentre sull’intradosso era visibile l’alternanza delle nervature degli archi con le fasce composte dalle tegole. 1

2 Gell. NA x 3,3. Varr. LL ix 68. F. Coarelli in F. Coarelli, P. G. Monti, op. cit., p. 61 ; V. Tsiolis, op. cit., p. 106 sgg. 4 Lunghezza (estradosso) 0,50 m ; larghezza 0,55 m. Si è conservato un esemplare praticamente integro. La distanza fra archi si ottiene restando dalla larghezza complessiva della tegola la larghezza degli incassi laterali (0,055 m ognuno) degli archi appaiati sui quali essa si appoggiava (0,550-0,055-0,055=0,440 m). 3

tsiolis Le tegole e gli archi erano rivestiti di stucco bianco soltanto nella parte inferiore (intradosso), in maniera che la volta presentava un aspetto monocromo uniforme nella sua parte vista (interna), mentre l’estradosso non sembra che fosse trattato con rivestimenti o malte. Questo particolare potrebbe significare che la volta fungeva da falso tetto e che il suo estradosso doveva essere protetto da un tetto costruito con metodi tradizionali. Nelle sue forme propriamente fregellane questo sistema di volta costituisce un unicum nell’architettura grecoromana. Come è noto, le volte finora conosciute databili prima del ii secolo a.C. sono eseguite in pietra ed impiegate quasi esclusivamente in porte urbiche e in ambienti sotterranei, come passaggi di teatri e le tombe. 5 Volte costruite interamente in cotto attribuibili con certezza a periodi precedenti non si conoscono. La cupola dei bagni di Morgantina, realizzata con tubi affusolati simili agli spatheia tardoantichi che s’innestano l’uno nell’altro, è datata da H. L. Allen alla fine del iv secolo a.C., ma con criteri no del tutto convincenti. 6 A proposito della cronologia della cupola di Morgantina, va preso in considerazione il confronto che offre adesso la volta a tutto sesto delle terme repubblicane di Cabrera del Mar (Catalogna), datata intorno alla metà del II secolo a.C. in base alla ceramica. 7 Alla luce di questo confronto e in attesa della pubblicazione di nuove indagini sulla cupola a tubuli di Morgantina, è da considerare più conveniente, a mio avviso, una datazione tra la fine del III e entro la prima metà del II secolo a.C. per questo tipo di strutture. 8 Rispetto a queste varianti di opus figlinum, è di grande interesse osservare l’impegno dei costruttori reppubicani di introdurre il cotto nella struttura delle coperture curve, sebbene i leggeri tubi fittili tipo spatheia impiegati nella cupola di Morgantina e quelli della volta di Cabrera del Mar 9 sono assai diversi dai pesanti conci e tegole curve del sistema di archi fregellano. Il sistema fregellano di II fase, databile intorno al secondo quarto del ii secolo a.C., costituirebbe communque uno dei più antichi esempi di volta complessa in cotto finora conosciuti. Tuttavia, come si avrà occasione di vedere più avanti, anche la I fase dei bagni di Fregellae, da datare ancora entro il iii secolo a.C., contava con al meno una volta identica a quella di II fase sebbene di dimensioni più ridotte. Il sistema di volta fregellano contribuisce anche a capire meglio il passo di Vitruvio sulle volte dei bagni. 10 Per le stanze bal5 In una di queste volte litiche di iii secolo a.C., quella del “adyton” (cisterna) del cd. Nekromanteion (fortezza) di Efira, gli archi sono disposti a modo di costolatura per sorreggere lastre che conformano una volta a tutto sesto (ringrazio Massimo Osanna per avermi indicato l’interpretazione più recente dell’edificio). Di concezione diversa sono le volte sotterranee del tempio di Apollo a Claros, o strutture più recenti, come la cd. cisterna del Teatro, di Delo. 6 H. L. Allen, Excavations at Morgantina (Serra Orlando), 1970-1972 : Preliminary Report xi, « aja », lxxviii, pp. 370-382. 7 A. Martín, Las termas republicanas de Cabrera del Mar (Maresme, Barcelona), in C. Fernández Ochoa-V. García Entero, op. cit., 157 ss. In questo impianto la volta è ottenuta mediante archi addossati di tubi affusolati, di un tipo diverso rispetto a quello dei tubuli impiegati nella cupola di Morgantina ma di concezione identica. In entrambi casi si tratta di tubi che ricordano gli spatheia (tubi affusolati o conici, ma anche le amfore omonime), ampiamente diffusi nell’architettura delle volte tardoantiche e bizantine (cfr. J. Durm, Die Baukunst der Etrusker. Die Baukunst die Römer, ii, Stuttgart, 1905, p. 298 sgg.). 8 Il sistema di coperture curve leggere grazie al impiego di tubi affusolati nella loro struttura potrebbe essere di origine siciliano se si accetti la contestata cronologia di fine iv a.C. per la cupola di Morgantina. Tuttavia, i traumatici eventi del 211 a.C., tradizionalmente utilizzati come argomento a favore dell’antichità di molti dei suoi impianti urbani, non devono essere considerati como un terminus ante quem obbligatorio, giacchè la città fu ceduta dai romani al contingente celtiberico condotto da Moericus che vi si installò fondando una nuova città (Liv. xxvi 21, 9 s. ; notizia confermata anche dalle monete con la leggenda Hispanorum). 9 Di epoca repubblicana è ancora un altro sistema di volta in cotto, documentato nei bagni di Baetulo (Badalona, Spagna), datati nel secondo quarto del i secolo a.C. (J. Guiart Duran, Baetulo. Topografía, Arqueología, Urbanismo e Historia, Badalona, 1976). 10 Vitr. v 10,3 : Concamarationes vero si ex structura factae fuerint, erunt utiliores ; sin autem contignationes fuer/rint, figlinum opus subiciatur. Sed hoc ita erit faciendum. Regualae ferreae aut arcus fiant, eaeque uncinis ferreis ad con/tignationem suspendantur quam creberrimis ; eaeque regulae sive arcus ita disponantur, uti tegulae sine marginibus sedere in duabus invehique possint, et ita totae concamarationes in ferro nitentes sint perfectae. Earumque camararum superiora / coagmenta ex argilla cum capillo subacta

fregellae: il complesso termale e le origini degli edifici balneari urbani

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Fig. 4. Volta di opus figlinum. Ricostruzione.

Fig. 3. Le terme di Fregellae. ii fase. Pianta schematica.

neari coperte da tetti con armatura di legno (contignatio), l’architetto suggerisce di rivestirli internamente in cotto per mezzo di un sistema di travi (regulae) o di archi (arcus) di ferro, disposti a intervalli regolari, sui quali poggiano tegole sine marginibus. Il tutto dovrà essere fissato con uncini di ferro ad contignationem, sigillate le giunte dell’estradosso della volta con una mescola di calce e peli e rivestito l’intradosso con malta e poi con stucco. A continuazione, Vitruvio prosegue con osservazioni sulla convenienza di creare doppie volte (concentriche) con questo sistema sugli ambienti caldi delle terme, per prottegere il legno del tetto dall’umidità. Ora, la volta descritta da Vitruvio sembra designare, almeno nel caso che vengono impiegati degli archi, una soluzione molto liniantur ; inferior autem pars, que ad pavimentum spectat, primum testa cum calce trullizetur, deinde opere albario sive tectorio poliatur. Eaeque camarae in caldariis si duplices factae fuerint, meliorem habebunt usum ; non enim a vapore umor corrumpere / poterit materiem contignationis, sed inter duas camaras vagabitur.

simile a quella di Fregellae, sebbene l’architetto pensa ad archi di ferro e non di cotto per l’ossatura (eaeque regulae sive arcus ita disponantur, uti tegulae sine marginibus sedere in duabus invehique possint). Difficile da risolvere è, comunque, la questione dell’espressione eaeque (regulae ferreae aut arcus) uncinis ferreis ad con/tignationem suspendantur quam creberrimis, che si suole tradurre nel senso che l’ossatura metallica della volta vada “appesa” dalla contignatio del tetto per mezzo di uncini. Una soluzione di questo genere, tenuto conto del peso considerabile della volta, sembra tecnicamente sfortunata. Lo scoglio può forse essere superato se (regulae ferreae aut arcus) suspendantur vada inteso nel senso di “si mettano in opera” 1 e intendendo gli uncini di ferro come grappe, chiodi o elementi simili impiegati per fissare i diversi elementi dell’ossatura fra di sé, non necessariamente in dipendenza dalla contignatio. In questo modo, il riferimento vitruviano ad contignationem suspendantur potrebbe avere il valore di usque ad contignationem, piuttosto che di ex contignationem : « si mettano in opera (suspendatur) le travicelle di ferro o gli archi per mezzo di uncini il più fitti possibile fino a raggiungere l’armatura lignea del tetto ». Con la sala voltata di Fregellae vanno associati anche i numerosi frammenti di telamoni fittili (più di 30 esemplari) rinvenuti durante gli scavi, 2 che appartengono a due tipi diversi 3 (con varianti per ogni tipo ; Fig. 7) : il tipo del personaggio maschile barbato 4 e quello del satiro giovane e imberbe, coronato con corimbi. 5 La chiave per la ricostruzione della decorazione originaria è fornita, appunto, dal gran numero di statue ritrovate, che suggerisce una soluzione analoga a quella del tepidarium delle Terme del Foro a Pompei. I telamoni di Fregellae dovevano, dunque, essere distribuiti a intervalli regolari, compresi fra due cornici all’altezza della posizione del fregio nella decorazione parietale di primo stile, dando l’impressione di sorreggere la volta. Com’è noto, la decorazione architettonica con file di atlantitelamoni 6 si riscontra per la prima volta nell’Olympeion teroniano di Agrigento (paulo post 480 a.C.), 7 e dopo un lungo periodo 1

Costruire la volta = cameram suspendere. F. Coarelli in F. Coarelli, P. G. Monti, op. cit., p. 61 e tav. xi, 17 ; cfr. P. G. Monti in F. Coarelli, P. G. Monti, op. cit., p. 92, n. 32.1 e tav. xvi, 10 (frammento di telamone giovane riutilizzato nel chiostro della chiesa di San Antonio presso Ceprano, cui provenienza originaria difficlimente può essere altra che le terme di Fregellae) ; R. Känel, op. cit., p. 151, nota 24 ; V. Tsiolis, op. cit., p. 109 sg. 3 R. Känel, op. cit., p. 151 sg. 4 Ivi, pp. 151 ; 153. L’esecuzione barocca del viso ricorda le figure dell’altare di Pergamo. 5 Lo stile idealizzato del viso di questa figura (che rimonta a modelli del secolo iv a.C.) è sensibilmente diverso da quello barocco del uomo barbato, benchè entrambi tipi furono fabbricati insieme (R. Känel, op. cit. 151 ; 153). 6 A. Schmidt-Colinet, Antike Stützfiguren. Untersuchungen zu Typus und Bedeutung der menschengestaltigen Architekturstütze in der griechischen und römischen Kunst, Frankfurt, 1977 ; B. De Griño, in limc iii (1986), s.v. Atlas. 7 Per una lettura del significato della decorazione, si veda C. Marconi, I Titani e Zeus Olimpio. Sugli Atlanti dell’Olympeion di Agrigento, « Prospettiva », lxxxviilxxxviii, 1997, pp. 2-13. 2

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vassilis tsiolis iv : 5 la parte esterna della nave era decorata con telamoni alti sei cubiti (ca. 2,60 m), che, disposti a intervalli regolari, sostenevano “i volumi superiori e il triglifo”. La descrizione sembra corrispondere a una disposizione delle figure simile a quella del Olympeion di Agrigento e analoga a quelle del tepidarium delle Terme del Foro di Pompei e delle terme fregellane. Il secondo elemento delle terme di ii fase che richiede un analisi più attenta è, come si è accennato sopra, l’ipocausto del piccolo vano 15 (Fig. 8). Appoggiate su un’area fatta di grosse tegole, si sono conservate in situ resti di 5 x 5 file di pilae (in origine forse 6 x 5 file), costruite con tegole spezzate in modo da formare elementi quadrati, simili a mattoni bessales. L’hypocaustum occupava tutto il sottosuolo del vano e si alimentava di gas caldi dal forno contiguo attraverso una apertura rettangolare (praefurnium). Il pavimento della stanza situata sopra l’ipocausto doveva essere di tegole rivestite di cocciopesto (suspensura), Fig. 5. Elementi della volta di opus figlinum. Tegola curva e frammenti di come sembra confermare anche il rinvenimento nelle vicinanze due conci fittili uniti con saldatura di piombo. di alcuni frammenti di tegole rivestite su uno dei lati di un grosso strato di cocciopesto. L’importanza di questo ipocausto si trova, appunto, nella sua apparente banalità se comparato con qualsiasi hypocaustum “vitruviano” di terme tardorepubblicane o imperiali. Tenuto conto dell’inamovibile terminus ante quem fregellano del 125 a.C., questa osservazione converte l’ipocausto di Fregellae nel più antico esempio di ipocausto canonico completamente sviluppato, finora noto. Il dato è sorprendente anche per quanto concerne la cronologia di questo tipo di impianti, la cui invenzione si attribuisce tradizionalmente a Sergio Orata, intorno agli inizi del i secolo a.C. Studi moderni hanno da tempo dimostrato che questa tradizione letteraria non è del tutto corretta, e il rinvenimento delle Terme di Olimpia, databili introno all’anno 100 a.C., aveva già permesso di rialzare la cronologia tradizionale dell’invenzione dell’ipocausto. Con la scoperta del caso fregellano, la cronologia dell’introduzione degli hypocausta canonici si rialza adesso di vari decenni, probabilmente fino al secondo quarto del ii secolo a.C. Associati al ipocausto erano anche numerosi frammenti di tubi fíttili, rinvenuti nello stesso ambiente. I tubi, piuttosto che per formare il tetto della saletta (come accade nei bagni di Morgantina e di Cabrera del Mar), servivano per riscaldare una o più pareti della stanza, anticipando così di molto l’introduzione della calefazione parietale mediante sistemi di tubuli. La piccola sala cosi fortemente riscaldata va interpretata come stufa. Negli stabilimenti termali tardorepubblicani questa funzione è assunta da sale specifiche (sudationes, laconica), documentate in ambito campano, 6 nelle Terme Stabiane della fase sillana. La planimetria del vano fregellano, diversa dalla pianta circolare dei laconica, 7 presenta alcune analogie, per forma, Fig. 6. Ricostruzione del sistema della volta.

di oblio conosce un revival in Sicilia durante il iv secolo a.C., diffondendosi anche in Magna Grecia e in Etruria. 1 Insieme al cosidetto “tipo siracusano” di telamone, 2 spesso con aspetto di satiro, appaiono anche figure di “telamoni femminili”, con aspetto di menadi. 3 Una confirmazione letteraria dell’importanza dello schema decorativo con file di telamoni ancora durante l’ultimo quarto del iii secolo a.C. è la descrizione, offerta da Ateneo, 4 di Syrakosía, la nave donata da Gerone II a Tolomeo 1 Bibliografia in R. Känel, op. cit. Per la Grecia continentale e la scarsa diffusione dei telamoni nella decorazione architettonica (soltanto si conosce l’atlante di Salonicco, di fine ii secolo a.C.), Th. Stefanidou-Tiveriou, “O πρις τλας απ την Αραα της Θεσσαλνκης”, in Regional Schools in Hellenistic Sculpture, Proceedings of an International Conference Held at the American School of Classical Studies at Athens (Atti Congresso Atene 1996), edd. O. Palagia, W. Coulson, Oxford. 2 L. Castiglione, Zur Plastik von Pompeij, in Neue Forschungen in Pompeji, edd. B. Andreae-H. Kyrieleis, 1975, p. 212 sgg. (specialmente 215). 3 Breve sintesi in Känel 2000. 4 Athen. v 208b : Ατλαντς τε περιτρεν τν ναν κτς ακεις,

 τς γκυς πειλφασιν τς νωττω κα τ τργλυφν πντες ν διαστµατι συµµτρω ετες. Per la descrizione della nave Ateneo (V 206d-

209) attinge da Moschione. 5 A. Schmidt-Colinet, op. cit., pp. 48 ; 132 ; 243 (pensa che la nave fu donata a Tolomeo III Evergete) ; J.-R. Jannot, Une orde étrusque à telamons ?, « mefra », xcvi, pp. 585 sgg. ; 594 sgg. Tolomeo IV Filopatore viene coronato re nel 221 a.C. Gerone II muore nel 215 a.C. 6 Sale a pianta circolare per il bagno di sudore sono note in stabilimenti greci gia dalla fine del iv secolo a.C., come a Gortys, dove una piccola rotonda è persino dotata di un “ipocausto” anulare (R. Ginouvès, L’établissement thermal de Gortys d’Arcadie, Pari, 1959). Altri metodi per ottenere calore secco erano i bracieri e le pietre incandescenti. La terminologia impiegata in Grecia per questo tipo di sale era pyriatérion (Eup. 108 ; Arist. Probl. 2, 11 ; 29-32 ; Plut. Cim. 1, 6 ; cfr. Dio Cass. 53, 27). 7 La planimetría del vano e le incertezze che accompagnano l’uso e significato della parola laconicum presso i latini, sconsiglia applicare il termine alla saletta fregellana. Nemmeno la comparazione con altri ambienti termali designati dalle fonti con il nome di sudatio o concamerata sudatio (Vitr. 5, 10, 5 ; 5, 11, 2 ; cfr. CIL I, 1251 da Pompei). Generici sono anche termini simili come camera sudationis e assa sudatio. Molti autori pensano che le sudationes funzionavano con calore umido, per opposizione al calore seco dei laconica (per esempio, R. Hartmann, Das Laconicum der römischen Thermen, « rm », xxxv, 1920, pp. 152-169 ; J. Delorme, Étude arcjitecturale sur Vitruve, « bch », lxxiii, 1949, pp. 398-420, a p. 407 sg. ; p. 413 ; F. Yegül, Baths

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Fig. 7. Telamoni dalle terme di Fregellae.

posizione e, probabilmente, funzioni, con le stufe dei balaneia siciliani di Megara Iblea e di Siracusa, riscaldate mediante canali

sotterranei. 1 Differenze, oltre che nella tipologia del sistema di riscaldamento, si osservano anche nel fatto che le stufe siciliane

and bathing in Classical Antiquity, New York, 1992, p. 384 ; I. Nielsen, Thermae et balnea, Aarhus 1992, pp. 18 sg. ; 158 sgg.). Il termine sudatorium, relativamente tardo, applicato da Seneca ad una stanza termale di calore secco, potrebbe servire per designare questa stanza fregellana (Sen. Ep. 51, 6 : quid cum sudatoriis, in que siccus vapor corpora exhausurus includitur ?).

1 L’ambiente megarese (e anche quello siracusano) veniva tradizionalmente interpretato come locale per riscaldare le caldaie, finchè studi recenti hanno dimostrato che si trattava di stufe per il bagno di sudore : H. Broise, La practique du bain chaud par immersion en Sicile et dans la péninsule italique à l’époque hellénistique, « Xenia Antiqua », iii, 1994, pp. 17-32.

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vassilis tsiolis teriore almeno di qualche decennio dalla distruzione della città : a) vita prolongata del edificio di ii fase, dimostrabile da alcune ristrutturazioni (effettuate prima del abbandono del 125 a.C.), fra le quali vanno menzionate la importante modificazione del muro di fondo (N) dell’edificio e la compartimentazione dell’alveus del calidarium maschile mediante muretti transversali ; b) segni di uso prolongato nell’impianto di riscaldamento (forno) ; c) pavimenti di opus tessellatum, comparabili con tipi pavimentali della II fase della domus 7 (que andrebbe datata dopo la I Guerra Siriaca, nella prima metà del II secolo a.C., in coincidenza con la monumentalizzazione urbana di Fregellae). 1 A questo proposito è necessario ricordare che dopo la fase di monumentalizzazione, molte delle domus di Fregellae hanno conocsciuto una ulteriore fase di riforme prima di essere abbandonate ; 2 d) grandi lavori di livellazione dell’area intorno al decumano 1, che provoca il rialFig. 8. Hypocaustum delle terme di Fregellae (da S). zamento brusco del livello delle parcelle in cui sorgono la domus 7 e la parte frontale delle terme di ii fase ; e) stile pergameno di si interpongono fra la sala centrale e la tholos per il bagno di alcuni telamoni “vecchi”, indicativo di una data posteriore alla pulizia, mentre a Fregellae, che non dispone di quest’ultimo sercostruzione dell’Ara di Pergamo pero ancora entro la tradizione vizio, la stufa si ubica fra apodyterium/tepidarium e calidarium. scultorica pergamena ; 3 f ) esistenza fuori dall’Italia (Illuro, VaL’area frontale delle terme, sul lato meridionale, ha sofferto lentia), fin dal terzo quarto del ii secolo a.C., di impianti termali grandi sconvolgimenti già in antico che rendono difficile la letsimili ai bagni fregellani di ii fase, arrivati con i coloni italici. tura planimetrica e l’interpretazione degli ambienti. Preceduti Questo fatto dovrebbe implicare la diffusione anticipata del moda un portico (1) si aprono qui quattro ambienti desiguali (3, dello in Italia. 4, 5, 6) e un corridoio (2). Non è possibile stabilire la posizione I saggi in profondità effettuati nella zona frontale delle terdegli ingressi degli ambienti 3, 5 e 6, questo ultimo più lungo me hanno rivelato che al di sotto di un grosso e uniforme strato del resto delle stanze, ne di attribuirli con certezza delle funziodi riempimento, di ca. 1,50 m., si conservano resti di una fase ni. Essi potevano servire sia da tabernae, sia da spazi funzionali precedente del edificio termale (Figg. 9 e 10), caratterizzato da del complesso termale (locale del balineator, latrina, ambienti pavimenti di cocciopesto decorato con tessere e opus figlinum, per servizi speciali ecc.). L’ambiente 4, che, probabilmente, ha questi ultimi eseguiti con diversi tipi di mattonelle, che a volte si uno dei suoi lati aperto, potrebbe fungere da vestibolo dell’amcombinano fra di sé o con panelli di cocciopesto nel pavimento pio spazio 7, situato alle spalle delle stanze 4, 5 e 6, e cui centro di una stessa stanza. 4 I pavimenti sono spesso tagliati dalle fosse è occupato dalle fondamenta di una costruzione rettangolare, di fondazione dei muri di seconda fase, benché in alcuni casi tali pertinente allo stilobate di un peristilio. Al livello del piano di fondazioni si appoggiano direttamente sui pavimenti di I fase calpestio dello spazio 7, che era rivestito di cocciopesto (si son senza tagliargli. Altre lesioni importanti dei pavimenti sono dopervenuti resti in situ lungo i lati ovest, nord e est), la costruziovute all’attività di spoglio delle mattonelle o alle operazioni di ne rettangolare-peristilio era circondata, in almeno tre dei suoi recupero di materiali costruttivi, effettuate già in antico. lati, da una fascia pavimentale eseguita in grosse tessere di tufo L’edificio di prima fase è, come il suo successore, di chiara e di calcare. Dallo spazio 7 con peristilio si accedeva al settore impronta balneare, sebbene la sua lettura planimetrica risulta occidentale (maschile) dei bagni. Il settore orientale (femminidifficoltosa a causa della massiccia attività di recupero di male), invece, sembra che fosse raggiungibile attraversando il corteriali sofferta e della sovrapposizione dell’edificio di seconda ridoio 2 e l’ambiente 9. fase. In ogni caso, nella zona scavata si possono distinguere con L’articolazione degli ambienti intorno al peristilio avvicina relativa certezza almento otto ambienti (Fig. 11). Il numero cosi la parte frontale dell’edificio termale ai principi dell’architettura alto di stanze potrebbe indicare che lo stabilimento disponeva domestica e palaziale di epoca ellenistica. Confronti più o meno di doppi servizi (maschile e femminile). Il settore occidentale, precisi di peristili analoghi si possono riscontrare oltre che nelpiù grande, comprende gli ambienti 1-5. L’ambiente 1, forse un le case di Delo o in quelle delle città siciliane (Solunto, Iaitai, portico aperto sul decumano 1, è pavimentato con cocciopesto Morgantina ecc.), anche in certe soluzioni architettoniche dodecorato con tessere di calcare. Seguono i due grandi ambienti cumentate nei palazzi ellenisti, come è il caso dell’angolo N-E paralleli 2 e 3, orientati N-S, in cui interno non si distinguodell’edificio I del palazzo di Pella. La combinazione di elementi no ulteriori suddivisioni, sebbene tale possibilità non è affatto dell’architettura domestica e di soluzioni architettoniche tipida escludere. Il pavimento dell’ambiente più occidentale (2) è che degli spazi propriamente termali potrebbe essere un indizio eseguito con grandi mattonelle a losanga, frammenti di tegola della stretta e relativamente precoce relazione fra architettura e, puntualmente, cocciopesto punteggiato con tessere calcaree. domestica ellenistica e bagni, una relazione che forse abbia con1 dizionato il posteriore sviluppo architettonico dei bagni del coF. Coarelli, Due fregi da Fregellae : un documento storico della Prima Guerra Siriaca ?, « Ostraka », iii, 1, 1994, pp. 93-108 ; Idem, op. cit., 1998. siddetto tipo italico. 2 3 F. Coarelli, op. cit., 1998, p. 43 sg. Cfr. R. Känel, op. cit. La cronologia della costruzione dello stabilimento fregellano 4 Quattro delle sale riconoscibili del edificio erano rivestite, in parte o del tutto, di ii fase sembra potersi fissare nella prima metà del ii secolo a.C. con mattonelle in forma di squame. Si conservano alcuni resti in situ e abbondanti impronte sulle preparazioni pavimentali. Si possono distinguere un tipo di mattoIn attesa della conclusione dello studio architettonico, dello stunelle policrome (la policromia si ottiene per effetto di cottura), usato in al meno due dio della ceramica e del resto dei materiali si può suggerire una stanze, e il tipo semplice, dal colore rosso mattone, usato in al meno una sala. In due datazione fra ca. 185 e 150 a.C. per la costruzione dell’edificio di di queste stanze, si impiegano anche mattonelle con forma di losanga, di un modulo piccolo. Un secondo tipo di mattonella a losanga, più grande, si è documentato nella ii fase, che comportò l’alterazione radicale di una edificazione pavimentazione di una quinta stanza, combinato con un tipo di opus figlinum realizbalneare precedente. Questa datazione generica, oltre che dalzato con piccoli frammenti di tegole di diverse tonalità e posti di taglio. Le mattonell’esame preliminare dei materiali ceramici, delle tecniche cole policrome a squame non sono state documente altrove a Fregellae. La bicromia appare anche in pavimenti simili di fine ii secolo a.C. come nel caso delle terme di struttive, dei tipi pavimentali e dei confronti interni con il resto Almoina, a Valencia (C. Martín, A. Ribera, op. cit., 1999, p. 13). I grandi rombi, delle edificazioni fregellane e i loro rapporti cronologici relativi, invece, sono simili per dimensioni alle mattonelle di cui è rivestito l’impluvium di I si ricava anche da altri indizi, che portano ad una datazione anfase della fregellana domus 7, databile nel iii secolo a.C.

fregellae: il complesso termale e le origini degli edifici balneari urbani 251 L’ambiente 3 é pavimentato con mattonelle a pelta nel suo lato dimostra un’impronta sul suolo. Questa grande sala, orientata nord, mentre il resto è rivestito di cocciopesto che racchiude E-O e pavimentata con mattonelle policrome a pelta, lastre di un panello in opus figlinum (mattonelle a pelta bordate da una pietra lavica e una striscia di matonelle a losanga, è dotata di una striscia di mattonelle a losanga). Lungo il muro corto orientale grande vasca per il bagno caldo d’immersione, che ne occupa dell’ambiente corre un canale poco profondo, realizzato in cocl’estremità ovest. Il sistema di riscaldamento sotterraneo delciopesto, che doveva servire per evacuare l’acqua che si svuotal’alveus consiste in un grande condotto allungato costruito con va sul pavimento. archi paralleli di piccoli conci ceramici, che corre sotto la vasca in direzione N-S. L’inizio del condotto doveva coincidere con All’interno della sala 3 è stato rinvenuto un labrum riempito di terra e coperto di tegole fratte, la cui destinazione non è chiara. la fonte di calore (non localizzata, ma comunque situata oltre Un’impronta circolare sulla preparazione del pavimento potrebl’estremità N dell’alveus) e la sua terminazione coincideva con la be indicare l’originaria posizione di un sostegno per un labrum. rastremazione arrotondata apparsa nell’estremità opposta della L’ambiente 3 comunicava con la sala contigua verso nord (4) atvasca, che penetra anche sotto il muro divisorio fra gli ambienti traverso una porta situata nel suo lato corto settentrionale, come 2 e 5, dove si ubicava la ciminiera. Ramificazioni di questo con-

Fig. 9. Le terme di Fregellae. i fase (base planimetrica : S. Martínez Caballero).

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Fig. 10. Le terme di Fregellae. Vista generale da S-E.

dotto (o un altro condotto indipendente) divise internamente mediante grossolani sostegni di tegole fratte, corrono sotto la spalliera dell’alveus. La sala 4 è facilmente identificabile con il calidarium del complesso. Di conseguenza, la sala 3, con la quale essa è direttamente collegata, doveva servire da tepidarium, e la sala 2 forse da apodyterium. L’itinerario risultante doveva essere lineare, diverso, per tanto, dell’itinerario centrifugo o radiale che si riscontra nei balaneia siciliani. In ogni caso, va ricordato che questi ultimi contano con ulteriori elementi fondamentali, com’è la stufapyriaterion (apparentemente assente nell’edificio fregellano di prima fase, pero presente in quello di seconda fase) e, soprattutto, delle installazioni per il bagno individuale di pulizia (tholos con vaschette), cosi caratteristico dei bagni greci. Questi cinque ambienti dello stabilimento fregellano di prima fase conformano uno spazio balneare omogeneo e complesso. Altre stanze potrebbero esistere ad ovest dell’edificio, fra cui una (5), situata ad ovest del calidarium, pare sicura. Tuttavia, sul lato orientale dell’edificio si schiera un’altra fila di tre ambienti che richiedono una interpretazione. Di questi, l’ambiente 6 e, apparentemente, privo di pavimentazione e sconvolto da una canalizzazione posteriore. Segue l’ampio ambiente 7, pavimentato con mattonelle rosse a pelta e dotato di un sedile costruito contro il muro meridionale del vano. Questa sistemazione dell’ambiente non era comunque la originale, giacché un’altra pavimentazione realizzata con piccoli frammenti testacei si è documentata al di sotto del pavimento di opus figlinum. Infine, parte di un ulteriore ambiente (8) è stata documentata più a nord. Anche questo ambiente, cui piano di calpestio è più basso rispetto al pavimento dell’ambiente contiguo 7, era pavimentato con mattonelle a pelta. I tre ambienti 6, 7 e 8 presentano una disposizione molto simile e misure praticamente identiche a quelle del settore femminile di seconda fase. Inoltre, essi sembrano formare un gruppo di ambienti indipendenti dagli ambienti del gruppo 1-5. Lo stabilimento di prima fase potrebbe, dunque, essere dotato con servizi doppi e in conseguenza, diviso in due settori, maschile e femminile, in modo analogo a quello del complesso di seconda fase. Incastrato fra la preparazione di uno dei pavimenti e le fondamenta di un muro di seconda fase apparve un frammento di un concio d’arco in cotto del modulo 3. Un altro frammento simile è stato scoperto in una delle fosse di fondazione spoliate, mescolato con il pietrame delle sottofondazioni. Di conseguenza, uno o più ambienti delle terme fregellane di prima fase disponevano di coperture a volta. 1 1 Ci sfuggono le cause dell’abbandono dell’edificio di prima fase e la sua sostituzione per una costruzione nuova. Tuttavia, la colmatazione che ha permesso

Fig. 11. Le terme di Fregellae. i fase. Pianta schematica.

La costruzione dell’edificio di I fase andrebbe datata in pieno iii secolo a.C. e il suo abbandono sembra potersi datare durante il primo quarto del ii secolo a.C. Per un certo periodo di tempo lo spazio sovrapposto alle rovine dell’edificio termale di I fase fu interessato dalla messa in opera di un sistema di drenaggio o di scollo di acque (che ha rotto muri e pavimenti di I fase), che, in seguito, è stato sconvolto dalla costruzione del peristilio e gli ambienti della zona frontale. Alcuni dati ricavabili dallo studio dei pavimenti di I fase delle terme suggeriscono una datazione analoga a quella della fase I della domus 7, cui costruzione pare risalire almeno alla prima metà del iii secolo a.C. 2 In ogni caso, la datazione del complesso termale di I fase non dovrebbe essere anteriore alla seconda metà del iii secolo a.C. In questo senso, è interessante osservare la somiglianza di alcuni dei suoi dispositivi tecnologici (specialmente l’alveus e il suo sistema di riscaldamento ; Fig. 12) con le strutture analoghe dei balaneia siciliani, databili tradizionalmente nei decenni centrali del iii secolo a.C., che probabilmente abbiano servito da modelli ai costruttori latini. I dati archeologici disponibili fino al momento della scoperta fregellana sembravano indicare che lo spettacolare sviluppo della cultura del balaneion nelle città greche e in centri campani come Pompei e Capua 3 non avesse coinvolto il mondo etrusco-laziale prima della seconda metà del ii secolo a.C. Tuttavia, come sospettavano molti ricercatori e come adesso vengono a confermare le scoperte di Fregellae, questa mancanza di registro archeologico è naturalmente casuale, dovuto soprattutto alla non conservazione di resti e ai limiti spaziali propri della ricerca archeologica. 4 rialzare il livello dell’area non si documenta soltanto nelle terme : sia il decumano 1 e le domus situate di fronte alle terme (specialmente la domus 7) sono stati oggetto di una colmatazione analoga. Questo fatto potrebbe significare che il rialzamento del livello fosse una misura drastica presa per risolvere persistenti problemi d’innondazione, che molto probabilmente soffriva questa zona per la sua ubicazione nella parte più bassa e avvallata del pianoro, o per far fronte a altro tipo di catastrofe (terremotto ?). 2 3 F. Coarelli, in F. Coarelli, P. G. Monti, op. cit. Liv. xxiii, 18. 4 Le fonti letterarie fanno riferimento a bagni pubblici fin dalla prima metà del

fregellae: il complesso termale e le origini degli edifici balneari urbani 253 Fra i pochi bagni pubblici di secondo secolo a.C. conosciuti (magnogreci e siciliani soprattutto), ma anche differenze, fra le nell’area etrusco-laziale prima della scoperta del edificio di Frequali, oltre alle variazioni di materiali e tecniche costruttive, spicgellae, il caso più noto è quello di Musarna 1 (vt), in ambito etruca l’assenza sistematica della tholos con le vaschette individuali. Il sco, dalla morfologia molto simile a quella dell’edificio fregellano modello architettonico risultante ha avuto una straordinaria fordi seconda fase (Fig. 13). L’edificio termale, datato con una certuna fin dalla prima metà del ii secolo a.C., come dimostra la sua ta elasticità nell’ultimo quarto del ii secolo a.C., consiste di tre “esportazione” alle coste della Hispania e della Gallia. ambienti destinati alle attività balneari (apodyterium, tepidarium e Infatti, due bagni pubblici di questo tipo 3 sono stati scopercalidarium dotato di labrum e alveus collettivo riscaldato). ti recentemente sulle coste di Catalonia e Valencia e un terzo a Altro stabilimento analogo, sebbene di cronologia più bassa, Antibes, sulla Costa Azzurra francese, e sono chiaramente opere è l’impianto romano di Via Sistina 2 (Fig. 14). Comprende tre di maestranze italiche. Dei due stabilimenti spagnoli, l’edificio sale rettangolari, articolate intorno a una ampia sala rotonda dotata di absidi nei suoi lati nord e sud. L’ingresso avviene da ovest, attraverso uno spazioso ambiente rettangolare (ambiente 1), interpretato come apodyterium, e si pasa all’ambiente 2 che, probabilmente, fungeva da tepidarium. La rotonda (ambiente 3), senza dubbio un calidarium, è decorata all’interno da otto semicolonne adossate alla parete ed è pavimentata in signino con emblema centrale. Le due absidi sono occupate da labra. Sul lato E della rotonda è ubicata la vasca per il bagno d’immersione. Un forno contiguo all’alveus doveva garantire l’acqua calda e il mantenimento della temperatura dell’acqua della vasca. È curioso notare la somiglianza planimetrica (e forse anche funzionale) di questo stabilimento romano con il balaneion di Gortys (Arcadia), considerato più antico di quasi due secoli. Un’altro elemento da sottolineare è la somilianza della decorazione (onda e mura di città) con quella degli impianti di Musarna e di Antibes, ricordato più avanti. Fig. 13. Le terme di Musarna (Broise e Jovilet). Gli edifici di Fregellae (i e ii fase), Musarna, Pompei (Terme Stabiane, fase iv ; Fig. 15) e Roma (via Sistina), in questo ordine, più antico, quello di Cabrera del Mar, presso Mataró (Illuro), permettono ricorrere parte dell’evoluzione del edificio balneare in Catalogna 4 (Fig. 16), è databile ancor prima della metà del ii secolo a.C. Presenta una divisione tripartita dei suoi spazi funzionali principali nei quali si riconosce facilmente lo schema apodyterium-tepidarium-calidarium, quest’ultimo dotato di labrum e alveus collettivo riscaldato. Inoltre, almeno una delle

Fig. 12. Alveus riscaldato di i fase (da S).

repubblicano in suolo italico. Già nel più antico di questi (Fregellae, fase i) si riscontrano alcune delle caratteristiche differenziali del tipo di edificio (definizione degli due o tre ambienti tipici dalle funzione specifiche e predeterminate), sebbene l’offerta di servizi può variare da uno stabilimento all’altro, aumentando o riducendo il numero degli spazi e impianti basici. Questi edifici, che tendono a definire con nitidezza i contorni degli spazi basici per ogni tappa del bagno, presentano molte analogie con i balaneia greci secolo (Plaut. Phoen. 690 ; 700 sgg. ; cfr. Stich. 229 dove si menziona il laconicum) ; Cato, ap. Non. 155, 24 : mihi puero... balneun non quotidianum, che, evidentemente, non esclude l’esistenza di stabilimenti. Per l’ambito privato, Sen. Epist. xi, 86, 4-12, sul balneolum di Scipione Africano della sua villa di Literno. 1 G. Barbieri, H. Broise, V. Jovilet, Musarna i. I bagni tardorepubblicani, « BdA », xxix, 1985, pp. 29-38. ; H. Broise, V. Jovilet, Le bain en Etrurie à l’époque hellénistique, in Les Thermes Romains (Atti Colloquio Roma), Roma, 1991, pp. 8185. 2 C. Fiorini, Edificio di età repubblicana in Via Sistina, « Quad.Top. Ant. », x, 1988, pp. 45-57.

Fig. 14. Roma, l’edificio di Via Sistina (Fiorini).

sue sale era coperta con una volta a tutto sesto, realizzata con elementi speciali dalla forma affusolata, simili a quelli impiegati nella cupola dei bagni di Morgantina. Lo stabilimento dell’Almoina, 5 nella città di Valencia (Valentia ; Fig. 17), sorse naturalmente dopo la fondazione della colonia (138 a.C.) e fu abbandonato durante gli episodi della guerra sertoriana (primavera del 75 a.C.). Presenta una serie di ambienti destinati alle pratiche di bagno e altri ancora di servizio. Attraverso un vestibolo (1) si accede a un vano identificato come apodyterium (3). Per raggiungere la sala seguente (4), 3 A detta di Giustino (Iust. 44, 2, 6) gli spagnoli aqua calida lavari, post secundum bellum Punicum a Romanis didicere. 4 Martín-Ribera, op. cit., 1999 ; Martín, op. cit. 5 Ribera, op. cit., 1998 ; Martín-Ribera, op. cit., 1999 ; 2000.

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Fig. 17. Valentia. Le terme dell’Almoina (Ribera i Lacomba).

Fig. 15. Pompei, le Terme Stabiane (Eschebach).

Fig. 16. Iluro (Cabrera del Mar, Catalogna). Terme (Martín).

contigua alla prcedente e interpretata come tepidarium, era necessario ritornare al vestibolo. Il tepidarium è dotato di un banco fisso, praticamente identico a quello del ambiente 14 di Fregellae. Tornando ancora nel vestibolo si accedeva alla terza sala (5), dotata di un sedile analogo e di una vasca collettiva sul fondo, in cui si riconosce facilmente il calidarium. La vasca si manteneva riscaldata grazie a un sistema di “ipocausto” (condotto sotterraneo), alimentato da un forno situato in un ambiente contiguo al calidarium. Lo stesso forno doveva riscaldare anche le caldaie. Gli ambienti 3, 4 e 5 erano rivestiti di un

pavimento in mattonelle in forma di pelta, comparabili a quelle rinvenute in molti edifici fregellani, terme di I fase comprese. Infine, sulla destra del vestibolo, in un ambiente allungato (2) sono state riconosciute le letrine. A questi due esempi spagnoli andrebbero forse aggiunti altri due casi (Baetulo e Emporiae), per i quali si sono proposte datazioni nel secondo quarto del i secolo a.C., ma che probabilmente andrebbero situati in cronologie leggermente più alte. Anche il bagno di Antibes 1 (Fig. 18), di cui soltanto si conosce una piccola parte del calidarium con decorazione simile alla sala di via Sistina, presenta caratteristiche identiche a quelle degli stabilimenti menzionati, soprattutto a quello di Musarna. Le due fasi edilizie del complesso fregellano costituiscono gli esempi più antichi di stabilimenti balneari pubblici del cosiddetto tipo italico pienamente sviluppato finora noti. La comparazione fra i due edifici permette cogliere in parte i processi evolutivi dell’architettura e cultura balneare fra III e II secolo a.C. e pone di rilievo la relativa precocità della cristallizzazione di questo tipo di balneum, che conosce grande diffusione durante la seconda metà del ii secolo a.C. Per cronologia, distribuzione degli spazi e dotazione tecnologica la fase più antica del complesso fregellano si avvicina a alcuni balaneia siciliani e magnogreci di iii secolo a.C., 2 dai quali tuttavia si differenzia in alcuni aspetti essenziali. 3 Si rivela cosi la familiarità italica con i mo1 M. Morena, D. Counord, Antipolis municipe romain (Catalogo Mostra Antibes 1994), Antibes, 1994 ; A. Bouet, Les modèles thermaux et leur diffusion en Gaule, in C. Fernández Ochoa, V. García Entero, op. cit., p. 36 sg. 2 Gela : P. Orlandini, D. Adamesteanu, Gela. Nuovi scavi : l’impianto greco di bagni pubblici presso l’ospizio, « NSc », xiv, 1960, p. 181 sgg. ; Megara Iblea : G. Vallet, P. Villard, P. Auberson, Megara Hyblaea iii. Guide des fouilles, Roma, 1983 ; cfr. H. Broise, op. cit., pp. 17-23 ; Siracusa : G. Cultera, Siracusa. Rovine di un antico stabilimento idraulico in contrada Zappalà, « NSc », 1938, pp. 261-301 cfr. H. Broise, op. cit, 21 sgg. ; Velia : W. Johannowski, Considerazioni sullo sviluppo urbano e la cultura materiale di Velia, « pp », xxxvii, pp. 243-247 ; I. Nielsen, op. cit., p. 7 sgg. 3 È ben noto che la ricerca moderna tende a attribuire ai edifici balneari repubblicani origini e processi formativi tecnici e culturali diversi. Cosi, la teoria sull’esistenza di una antica tradizione balneare centroitalica, che, con il tempo, avrebbe generato edifici balneari morfologicamente e tecnicamente indipendenti da tradizioni analoghe di altre culture (a partire dagli stimoli provenienti dei centri termominerali di Baia e dei Campi Flegrei), fu sostenuta da alcuni studiosi italiani durante il periodo fascista : I. Sgobbo, Terme flegree ed origine delle terme romane, « AttiCStR », i, 1928, pp. 186-194 ; F. Di Capua, Appunti sull’origine e sviluppo delle terme romane, « Accademia di Architettura, Lettere e Belle Arti di Napoli », xx, 1940, pp. 81-160. Studi posteriori hanno sottolineato l’importanza dei bagni campani : R. A. Staccio-

fregellae: il complesso termale e le origini degli edifici balneari urbani 255 nella sua fase più antica (fase i) caratteristiche comparabili con la fase contemporanea del balaneion di Olimpia 2 (fase ii), argomento questo utilizzato da chi è contrario all’ipotesi dello sviluppo autonomo della cultura balneare campana. Un alveus per l’immersione in acqua calda pare introdotto a Pompei durante il periodo II delle Terme Stabiane (iv-iii secolo a.C.), benché la tradizione delle batterie di vaschette individuali per il bagno di pulizia è ancora viva durante il iii periodo (iii secolo), quando si aggiungono una o due nuove sale con dispositivi di questo tipo lungo le pareti. 3 Con la grande riforma della seconda metà del ii secolo a.C. (fase iv di Eschebach), le Terme Stabiane si Fig. 18. Calidarium di Antibes (Bouet). convertiranno in uno stabilimento completamente differente, diviso in due settori (maschile e femminile) e dotato di tre sale delli greci ma anche la tendenza ad adattarli a esigenze culturali (apodyterium-tepidarium-calidarium) in ogni settore. Il confronspecifiche. 1 to delle Terme Stabiane con le due fasi dell’edificio fregellano Le Terme Stabiane (Figg. 9 a-c), l’unico stabilimento in Italia permette di concludere che le forme “italiche” dello stabilimendi cui si possono seguire le tracce fin dal v secolo a.C., presenta to pompeiano, quelle risultanti per la prima volta della riforma li, Tracce di terme ‘pompeiane’ a Roma, in Amor di Roma, 1955, pp. 391-401 ; Idem, della fase IV (se le ipotesi di Eschebach sono valide), non costiLe rotonde delle terme pompeiane, « ArchCl », vii.1, 1955, pp. 75-84 ; Idem, Sugli edifici tuiscono una naturale e originale evoluzione dello stabilimento termali minori, « ArchCl », x, 1958, pp. 273-278 ; B. Crova, Le terme romane nella della fase precedente, bensì rispondono all’introduzione di un Campania, « AttiCStR », viii, 1956, pp. 271-288. Più di recente, lo studio di E. Fabbricotti , I bagni nelle prime ville romane, « CronPomp », ii, 1976, pp. 29-11, tratta modello balneare che era già consolidato da tempo (forse da più di tracciare l’evoluzione dei bagni domestici in base a criteri tecnici. Sulla probledi un secolo), in aree poste a nord della Campania. matica, I. Nielsen, Considerazioni sulle prime fasi dell’evoluzione dell’edificio termale

romano, « AnalRomInstDan », xiv, pp. 81-112. 12 Sono stati i lavori di J. DeLaine che hanno chiamato l’attenzione sui debiti culturali e tecnici dei primi bagni italici verso le strutture analoghe della la Magna Grecia e la Sicilia, sebbene la studiosa difende uno sviluppo autonomo dei balaneia greco-occidentali rispetto a quelli de la Grecia continentale e orientale, specialmente in aspetti come i sistemi di riscaldamento e l’alveus collettivo per il bagno d’immersione, messi poi in dubbio dagli studi di H. Broise : J. Delaine, Recent Research on Roman Baths, « jra », i, 1988, pp. 11-32 ; Some Observations on the Transition from

Greek to Roman Baths in Hellenistic Italy, « Mediterranean Archaeology », ii, 1989, pp. 111-125 ; Roman Baths and Bathing, « jra », vi, 1993, pp. 348-58 ; cfr. H. Broise, op. cit. ; sui balaneia greci, R Ginouvès, Balaneutikè. Recherches sur le bain dans l’Antiquité grecque, Paris, 1962. 2 H. Eschebach, Die Stabianer Thermen in Pompeji, Berlin, 1979 ; cfr. I. Nielsen, op. cit., 1992, p. 26 sgg. 3 I. Nielsen, op. cit., 1985, pp. 84-88 ; J. Delaine, op. cit., 1989, pp. 117-119.

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Jacopo Bonetto PERSISTENZE E INNOVAZIONI NELLE ARCHITETTURE DELLA SARDEGNA ELLENISTICA 1 1. Le architetture della Sardegna ellenistica: le difficoltà della ricerca

I

l tentativo di ricucire in un quadro d’insieme aspetti e problemi delle architetture di Sardegna in età ellenistica si scontra quasi irrimediabilmente con gravi lacune nella documentazione che superano i limiti della fisiologica deficienza informativa connessa alla ricerca archeologica. Va infatti valutato come il panorama degli studi nell’isola sia stato dominato a lungo da prevalenti interessi verso quegli aspetti delle culture dell’età del Bronzo, la nuragica in primis, che dell’isola risultavano assolutamente peculiari o caratterizzanti e capaci di evidenziare una sua propria e forte identità differenziandola dal resto del mondo mediterraneo. Grande seguito e riscontro ha altresì ottenuto in anni recenti e recentissimi la scoperta degli esiti spesso straordinari della colonizzazione fenicia nella parte meridionale dell’isola, proiettata sugli scenari complessi e affascinanti dei movimenti di popolazioni del Mediterraneo tra la fine del ix e il vi sec. a.C. 2 Ben minore interesse, se non con eccezioni datate agli ultimi anni, ha invece suscitato il panorama insediativo del periodo seguente la conquista dell’isola da parte di Cartagine (fine vi sec. a.C.) e soprattutto della successiva età che si aprì con la provincializzazione dell’isola ad opera di Roma (238 a.C.). Per questi secoli, che comprendono l’epoca ellenistica di cui in questa sede ci si occupa, si devono lamentare vuoti imbarazzanti di documentazione e di indagini mirate, che rendono oggi obbiettivamente arduo tracciare un quadro anche lontanamente affidabile e provvisorio. Non è infatti difficile notare che per l’età repubblicana e per gran parte dell’età imperiale, come è stato evidenziato in passato da due autorevoli studiosi di antichità sarde quali R. Zucca 3 e S. Angiolillo, 4 si è registrato “uno scarso sviluppo degli studi” e la storia delle ricerche archeologiche ha conosciuto episodi di sterro e accumulo di inediti anche per due siti di enorme rilievo come Tharros e Nora. 5 Non sono mancati ovviamente nel passato tentativi di sintesi sui problemi generali dell’architettura e dell’urbanistica punica 6 e romana, 7 o anche alcuni validi studi di singole realtà architettoniche 8 che si sono talvolta basati sulla meritoria rilet1 Per questo lavoro sono debitore di fondamentali suggerimenti, di dati e di indicazioni bibliografiche ad Andrea Ghiotto, che ha dedicato alla Sardegna romana una parte consistente dei suoi più recenti studi. 2 Per un’aggiornata storia degli studi fenici nelle isole italiane vedi Bartoloni 3 2004. Zucca 1985, p. 95. 4 Angiolillo 1986-1987, pp. 57-58 e Angiolillo 1987, p. 35. 5 La storia delle ricerche in questi due centri di massimo rilievo per la storia dell’architettura antica di Sardegna è indicativa del sostanziale disinteresse ad essa rivolto fino ad anni recentissimi. Le pur meritorie grandi imprese di scavo degli anni ’50 del secolo scorso, condotte prevalentemente da G. Pesce, non condussero infatti ad edizioni sistematiche delle magniloquenti realtà architettoniche ed urbanistiche rimesse in luce, ma solo a presentazioni succinte, in forme di guide turistiche, dei risultati delle indagini (Pesce 1957 per Nora e Pesce 1966 per Tharros). 6 Pesce 1961a, pp. 8-15 per l’architettura e Barreca 1961 per l’urbanistica. 7 Di tutto il secolo scorso l’unico lavoro di sintesi sull’architettura romana di Sardegna è quello di Maetzke 1961, ripreso da Maetzke 1966 ; concisa ma assai centrata la sintesi di Angiolillo 1987, pp. 45-103. Sull’urbanizzazione le prime trattazioni si hanno con Tronchetti 1987 e Angiolillo 1987, pp. 33-45. Importante è la serie delle guide archeologiche di tutti i siti della Sardegna (Sardegna Archeologica. Guide e itinerari ) che comprende anche lavori sui singoli centri urbani (Tronchetti 1986 per Nora ; Acquaro, Finzi 1986 e Zucca 1993 per Tharros ; Tronchetti 1989 per Sulci ; Mastino-Vismara 1994 per Turris Libisonis ; Colavitti-Tronchetti 2003 per Cagliari). 8 Eccellenti per impostazione metodologica (stratigrafia e diacronia di analisi) e novità dei risultati, ma isolati nel panorama di ricerche, furono lo scavo del 1977 e il successivo studio condotti da C. Tronchetti sul complesso delle “Terme a mare”

tura di vecchi e mal documentati scavi, 9 ma spesso non sono stati supportati (per reale impossibilità di operare) da nuove indagini sul terreno tali da fornire basi di valutazione oggettiva per gli infiniti problemi aperti. Va inoltre tenuto presente che quanto si è potuto nel passato indagare dei centri urbani antichi ha riguardato solo in minima parte le realtà architettoniche di età ellenistica, poiché esse vennero per lo più fagocitate e seppellite da un fastoso panorama monumentale di età imperiale eletto a naturale bersaglio delle attenzioni e degli studi. Questa forte deficienza conoscitiva, accumulatasi per decenni e concentrata proprio sulle testimonianze del periodo storico che qui maggiormente interessa, è solo recentemente mitigata dalla ripresa di indagini archeologiche stratigrafiche in vari siti 10 e da finalmente sistematiche, pur se ancora isolate, analisi e sintesi sull’architettura e l’urbanistica della Sardegna romana. 11 L’età ellenistica in Sardegna ci appare in sintesi come un periodo “difficile” per la documentazione archeologica, e architettonica in particolare, nel quale solo alcuni indicatori, pur non del tutto indifferenti, possono essere tratti. 2. L’età della dominazione punica Per tutta la prima età ellenistica, ossia tra l’ultimo quarto del iv sec. a.C. e la fine del iii sec. a.C., la Sardegna ricade sotto il controllo di Cartagine e, dalla documentazione disponibile relativa alla cultura materiale, alle testimonianze artistiche e ai documenti architettonici, ci appare come una delle regioni mediterranee più tenacemente impermeabili a quella ubiquitaria diffusione della cultura ellenica che caratterizza invece specificatamente il periodo nel resto del mondo antico. L’origine di questa prevalente autarchia culturale può forse essere riconosciuto in quel fenomeno di mancata colonizzazione 12 che fece dell’isola uno dei pochissimi contesti mediterranei occidentali che, pur interessati da fervidi contatti con il mondo greco, 13 non conobbero la stabilizzazione di siti codi Nora (Tronchetti 1985c). Altri esempi di attenzione per le realtà architettoniche romane sono gli studi di Tronchetti 1985a e Tronchetti 1985b su singoli monumenti di Nora (domus “dell’atrio tetrastilo” e “tempio romano”), il volume di Cossu, Nieddu 1998, sugli impianti rustici e termali rurali dell’isola, i contributi di Mazzuccato-Mezzolani-Morigi 1999 e Idili 2001 sulle infrastrutture idriche di Tharros. Recenti sono gli interventi sull’anfiteatro di Cagliari (Pala 2002), sull’acquedotto romano di Olbia (Sanciu 2004) e sulle terme “n. 1” di Tharros (Morigi 2004). 9 Come nel caso degli ottimi lavori di Angiolillo 1985 e Angiolillo 1986-1987 su complessi archeologici cagliaritani già indagati in precedenza (cfr. infra). 10 Dal 1990 sono state riprese le indagini a Nora con primi esiti editoriali in : Ricerche su Nora i 2000 ; Ricerche su Nora ii 2003 ; Nora 2003 ; Nora. Area C 2003. Dal 2000 sono state avviate anche campagne sistematiche presso il sito di Neapolis presso Oristano. Dal 1993 i lavori sono ripresi a Tharros : sintesi in Progetto Tharros 1997 ; Tharros nomen 1999 ; Rivista di Studi fenici, 3-4 (1975-1976), 6-15 (1978-1987), 17 (1989), 19 (1991), 21-24 (1993-1996). 11 Emblematici della forte ripresa di interessi sulle città e l’architettura romane di Sardegna sono i lavori di Colavitti 2003, dedicato interamente a Cagliari, e Ghiotto 2004a, che offre una prima assai esauriente panoramica a largo respiro sulle architetture dell’isola in età romana. 12 Un ampio profilo delle presenze emporiche e delle aspirazioni di colonizzazione delle isole occidentali (Sardegna e Corsica) da parte dei Greci è presentato in Ronconi 1999. 13 Di cui sono vivace testimonianza le numerose e articolate memorie mitico-letterarie sulla frequentazione dell’isola da parte di eroi e popoli greci (da Aristeo a Iolao, da Eracle a Dedalo), evidente trasfigurazione leggendaria di innegabili episodi di contatti e scambi, soprattutto di natura commerciale, tra mondo ellenico e sardo che affondano le radici nelle navigazioni micenee e si protraggono per tutto il i millennio a.C. ; tra le altre (Sil. xii, 355-370 ; Diod. iv, 29-30 ; iv, 82 ; v, 15) si vedano la lunga digressione di Pausania sulla Sardegna preromana (Paus. x, 17). Vedi inoltre Nicosia 1981 e l’elenco analitico delle fonti in Mastino 1980 e Perra 1993, pp. 11-67,

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jacopo bonetto regioni nel campo dell’architettura, in cui si colgono, tra iv e iii loniali in grado di funzionare da poli di irradiazione di flussi sec. a.C., solo echi lontani di esperienze altrove mature. culturali diversi da quelli della tradizione fenicio-punica legata Significativa in questo senso è l’evoluzione del grande sanal mondo cartaginese. tuario punico di Antas dedicato al dio punico Sid, ripreso sucLe stesse difficoltà di penetrazione e consolidamento nell’isocessivamente da Sardus Pater, divinità di cui si ricorda pure la di elementi allogeni si erano fatte sentire anche nei confronti una dedica delfica. 6 Sebbene recenti indagini abbiano messo in delle aspirazioni italiche di ingresso stabile nell’isola all’inizio discussione molte delle ricostruzioni un tempo accettate, come del iv sec. a.C., quando un tentativo di colonizzazione di gruppi quelle relative alla presenza dell’ampio recinto (68 m di lato) laziali ed etruschi presso quella che Tolemeo chiama Pheronia già dalla fase punica, 7 sembra che la ristrutturazione che inpolis 2 (nel nord-est dell’isola) fallì in breve tempo (378/7 a.C., o 3 teressò l’edificio intorno al 300 a.C. portò alla conservazione 386 a.C. secondo la cronologia liviana). della struttura del piccolo sacello di circa 8 x 15 m nelle forme Il regime sostanzialmente monopolistico e protezionista assunte all’origine, verso il 500 a.C. ; l’unica novità introdotta con cui Cartagine controllava la Sardegna trova un eloquente nella ristrutturazione di età ellenistica sembra essere costituita riflesso, alle soglie dell’età ellenistica, nel ben noto trattato del dalla ripartizione dello spazio interno in vestibolo, cella e pe348 a.C. con Roma, che sanciva una limitazione assai netta dei netrale e dall’applicazione di forme decorative come la trabearapporti esterni dell’isola diversi da quelli intrattenuti con la zione a gola egizia e le architetture applicate di ordine dorico metropoli africana in termini addirittura più restrittivi di quelli derivate dall’eclettismo cartaginese originato dai rapporti della del trattato del 509 a.C. 4 Il testo, riferito da Polibio, 5 stabiliva metropoli africana con il mondo greco e con l’Egitto tolemaiche i Romani non potevano commerciare nell’isola né fondarvi co. 8 città, né ancora sostarvi se non per approvvigionamenti e per La stessa adozione di partiture decorative di ascendenza elleriparazioni rapide delle navi naufragate. nistico-cartaginese su forme monumentali puniche si ripropone In questo quadro storico in cui l’isola conosce un dialogo quanel periodo (fine del iv o inizio del iii sec. a.C.) a Tharros per la si esclusivo con Cartagine, è facile cogliere una certa “distanza” realizzazione dell’imponente edificio detto “tempio delle semidel mondo sardo dal coevo panorama ellenizzato di molte altre colonne doriche”. 9 Qui si osserva l’uso di schemi architettonici dichiaratamente punico-orientali (grande basamento ricavato con taglio della roccia, altare a cielo aperto, metrologia di derivazione fenicia) 10 e la contemporanea adozione, per la decorazione dei prospetti, di elementi decorativi ellenistici, come i kymatia ionici e soprattutto le semicolonne scanalate e le paraste dotate di capitelli dorici ; ma i tratti di origine orientale si ripropongono anche nel partito decorativo con i semicapitelli eolicociprioti o le cornici a gola egizia. È significativo che dal iv sec. in poi molti di questi motivi si ritrovino costantemente ripetuti nel panorama assai ricco delle stele funerarie e di altri manufatti, anche figurati, provenienti dai tofet o da depositi votivi di varie città puniche del sud-ovest dell’isola (Sulci, Nora e Tharros soprattutto), la cui composizione attinge in forma vistosamente eclettica da repertori della koine greco-ellenistica, dal mondo cipriota e dal contesto egizio. 11 Tutto ciò sembra dimostrare che in un contesto da sempre aperto alle relazioni mediterranee esistevano già dalla fine del iv sec. – e non poteva essere altrimenti – un’ottima conoscenza e una larga diffusione di motivi architettonici greci, e più in generale del Mediterraneo orientale ; ma le evidenze archeologiche sembrano indicare che tali motivi, pur assorbiti e tradotti nel campo della decorazione architettonica o figurata, restavano intenzionalmente a margine della progettazione delle forme monumentali. 1

3. Dopo il 238 a.C. : tradizioni puniche e contatti italici Fig. 1. Ricostruzione del “tempio delle semicolonne doriche” di Tharros (da Perra 1998). oltre al panorama di Zucca 1997 ; inoltre l’importante contributo di Fonti classiche e Sardegna 1998 con il ricco repertorio bibliografico a pp. 53-54. 1 La tradizione mitografica attribuisce a popolazioni greche alcune fondazioni coloniali in Sardegna, ma l’unico centro per il quale si possa definire una reale collocazione resta Olbia, fondata da Iolao e dai Tespiesi secondo Pausania (x, 17, 4) ; se fino a pochi anni fa solo pochi indizi archeologici potevano supportare questa possibilità di una frequentazione del sito prima della fondazione cartaginese del iv sec. a.C., ultimamente vari indicatori segnalano presenze greche arcaiche di consistenza non più trascurabile : vedi soprattutto D’Oriano 1996 e D’Oriano 1997 con bibl. I più recenti dati su Olbia arcaica sono in D’Oriano 2005. 2 Ptol. iii, 3, 4. 3 La fonte che riferisce l’episodio è Diodoro Siculo (Diod. xv, 27, 4) ; su questa complessa vicenda vedi Torelli 1981, con altra bibliografia, D’Oriano 1985 e alcu4 ne note di Meloni 1988, p. 452. Pol. iii, 22, 8. 5 Pol. iii, 24, 3-11. Vedi Meloni 1988, p. 452.

Eventi forieri di potenziali “rotture” ed innovazioni culturali si registrano a partire dall’inoltrato iii sec. a.C. e dalla prima guerra punica, quando Roma ottenne alcune vittorie militari notevoli, come nel caso dell’occupazione di Olbia da parte di Lucio Cornelio Scipione nel 259 a.C. o della vittoriosa battaglia navale di Sulci del 258 a.C. con relativo trionfo de Poenis et 6

Paus. x, 17, 1. Recenti indagini hanno dimostrato che le murature del recinto poggiano su livelli di macerie databili al ii-iii sec. d.C. ed hanno avanzato anche dubbi sulle strutture sottoposte al podio del tempio romano (Bernardini, Manfredi, Garbini 1997, 8 p. 105). Zucca 1989 e Perra 1998, scheda 9. 9 Su questo edificio si veda la prima edizione di Pesce 1961b ; inoltre Acquaro 1991 e Perra 1998, scheda 2. 10 L’unità di misura impiegata è il cubito fenicio piccolo di 0,46 m (Acquaro 1991). 11 Pesce 1961c, pp. 191-218. Ma per le problematiche dell’artigianato nell’ultima fase della dominazione punica vedi soprattutto Moscati 1992 con ampia bibl. 7

persistenze e innovazioni nelle architetture della sardegna ellenistica Sardeis. L’atto finale del progressivo ingresso di Roma in Sardegna si compie però nel 238 a.C., quando, con atto giudicato ingiustificato da Polibio, 2 i Romani pongono fine alla dominazione punica in Sardegna attraverso l’intervento del console Ti. Sempronio Gracco. Ma da subito, con le rivolte del 236, del 235, del 232, del 231, del 226, del 225 e del 216 a.C., forse ispirate da Cartagine, 3 appare chiaro che l’isola e l’elemento indigeno conservavano fortissimo il senso di una propria identità, non pronta a recepire senza sussulti l’elemento esterno. La renitenza ai nuovi contatti venne emblematicamente ribadita dalla ribellione del ricco latifondista Ampsicora, affiancato presto dalla rediviva Cartagine con un corpo di spedizione antiromano, che fu sedata definitivamente solo nel 215 4 e da altre rivolte che, maturate ancora nel pieno ii sec. (fino al 104 a.C.), furono regolarmente represse dai magistrati romani. Intanto però, nel 227 a.C., era avvenuto l’atto formale della costituzione della provincia di Sardinia et Corsica, in seguito al quale l’isola, come la Sicilia, iniziò ad essere retta da un pretore e ad essere sottoposta al pieno controllo economico e commerciale romano-italico. 5 Se naturalmente non si può attribuire a questo pur epocale mutamento amministrativo un ruolo diretto nelle trasformazioni culturali dell’isola, è certo che esso stimolò una serie di processi latori di novità significative per la regione. La Sardegna tornò ad essere al centro delle attenzioni dei mercatores italici, sicuramente già da prima attratti dalle ricchezze naturali del territorio sardo come si percepisce, pur indirettamente, dai citati fatti del 378-7/386 a.C. (colonizzazione di Pheronia) e dal trattato del 348 a.C. (divieto di commercio per i Romani nell’isola). La presenza di imprenditori italici e di publicani 6 attivi in Sardegna è documentata da una serie di testimonianze via via crescenti dalla fase repubblicana in poi ed è stata oggetto nel passato e di recente delle attenzioni di diversi autori, 7 tra cui, da ultima, A. M. Colavitti. 8 In questi studi si è evidenziato come essi furono pronti a subentrare con decisione alla componente punica per lo sfruttamento delle notevolissime risorse naturali, granarie e metallifere in primis, di cui l’isola era ricca e che avevano rappresentato il vero movente e la calamita principale per gli interessi cartaginesi verso l’isola. Interessantissima ed emblematica in questo senso è la nota dedica (da Falerii Novi), databile al ii sec. a.C., Iovei Iunonei Minervai da parte di alcuni Falesce quei in Sardinia sunt 9 (i quali donum dederunt), che fotografa in modo chiaro e netto queste presenze mercantili capaci di dare avvio a legami forti e stabili tra la penisola italica – forse l’area etrusca in particolare 10 – e la Sardegna. Tale ingresso dell’isola in nuovi e sicuramente stimolanti circuiti commerciali trova documenti archeologici di diverso valore e importanza, ma certo tali da comporre un quadro eloquente.

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Rispettivamente riferite da Zon. viii, 11, p. i 388 e Zon. viii, 12, p. i 389. Vari passi sugli episodi della conquista romana sono in Pol. i, 79-88. Per la sintesi storica vedi Meloni 1988, pp. 453-456. 3 Zon. viii, 18, p. i 401 e Zon. viii, 19, p. i 401. Meloni 1988, pp. 453-456. 4 Sulla vicenda di Ampsicora si veda la sintesi con commento e bibliografia di Meloni 1988, pp. 456-457 e Brizzi 2001. Le fonti sono : Liv. xxiii, 40,1 e 41, 7 ; Sil. xii, 342 sgg. 5 Solin. 5, 1 pp. 47-48 ; Liv. xxiii, 24, 4 ; Liv. xxxiii, 42, 8. 6 Documentati dalla famosa iscrizione trilingue di S. Nicolò Gerrei (cil i2, 2226 ; cil x, 7586 ; ils 1874 ; ig xiv, 608 ; cis i, 1, 143) che menziona un servo di una società preposta allo sfruttamento delle saline (Culasso Gastaldi 2000). 7 Vedi, tra i tanti : Meloni 1975, pp. 105-109 ; Angiolillo 1985 ; Zucca 1985, pp. 94-95 ; Zucca 1996, pp. 1487-1488. Alcune considerazioni sulla precoce (fine iii sec. a.C.) presenza di mercatores nell’area olbiese sono in D’Oriano, Pietra 2004, pp. 131-136. 8 Colavitti 1999. 9 cil i2, 364a = cil xi, 3078 = ils 3083 = illrp i, 192. 10 In qualche modo significativo appare che questi primi italici documentati in Sardegna siano originari di quei territori etruschi, e falisci in particolare, che già nei citati tentativi di colonizzazione sembrano aver giocato un ruolo centrale, a fianco di Roma, nella spinta verso la Sardegna (Torelli 1981, pp. 73-81) ; potrebbe trattarsi dell’indizio di una mai sopita attenzione verso la Sardegna di certi gruppi di mercanti e di certe aree della penisola che da sempre controllavano le vie d’acqua tra isole e continente. 2

Fig. 2. Stele punica dal tophet di Sulci (S. Antioco) con inserzione di motivi architettonici e figurati di derivazione greco-ellenistica (da Pesce 1961c).

Tra i tanti elementi, difficilmente riconducibili ad una sintesi immediata, si possono ricordare i relitti di imbarcazioni rinvenuti lungo le coste dell’isola con carichi di materiali proveniente dal continente 11 e la diffusa presenza nei contesti archeologici dell’isola di anfore “greco-italiche” (tra iii e ii sec. a.C.) e “Dressel 1” (tra ii e i sec. a.C.) che veicolavano vino etrusco e campano. 12 L’indice più diffuso dei flussi commerciali di età repubblicana è però rappresentato dalla ceramica a vernice nera sia del tipo prodotto dall’officina laziale des petites estampilles sia delle classi note come Campana A, diffusa nell’isola dal 200 a.C., e come Campana B (e B-oide), che si ritrova a partire dalla metà del ii sec., accompagnata talvolta dai contenitori a “pareti sottili” ; si tratta di merci d’importazione grazie alle quali si svilupparono anche produzioni di imitazione locale che modificarono a fondo il panorama della cultura materiale dell’isola. 13 Pur tuttavia, per tutto il ii sec. a.C. il fermento economico innescato dagli scambi commerciali non sembra determinare, come avvenne in altre zone del Mediterraneo occidentale e della penisola, un’apertura sicura e irreversibile del quadro culturale sardo a modelli e stili ellenistici mediati attraverso la componente italica. Si assiste infatti per tutto questo periodo, definito non a caso “punico-romano”, 14 ad un fenomeno tenace e ben documentato 11 Un esempio è il relitto della “Secca dei Berni” al largo di Villasimius nella Sardegna sud-orientale (Bartoloni, Marras 1989). 12 Vedi Zucca 1985, p. 95 con ampia sintesi bibliografica. 13 Il panorama più completo sulle produzioni fittili presenti in Sardegna (locali e importate) è quello di Tronchetti 1996 ; per un quadro sulle importazioni di materiale dall’Italia in Sardegna vedi anche Tronchetti 1995b, pp. 267-268. 14 Tronchetti 1995b, pp. 266-267.

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jacopo bonetto trova un noto esempio nel patrimonio di stele, utilizzate in ambito santuariale/funerario, recanti motivi decorativi di stampo chiaramente greco introdotti da artigiani africani impegnati in Sardegna tra iii e ii sec. a.C. 8 Per la penetrazione di motivi ellenistici nell’isola la mediazione cartaginese è stata spesso affiancata in sincretismi eclettici da quella italica, progressivamente più viva dall’inoltrato ii sec. a.C., 9 come hanno chiarito vari studi di A. M. Comella, 10 S. Angiolillo 11 e A. Campus. 12 Si portano frequentemente ad esempio per questi fervidi contatti le statue fittili della stipe votiva del tempio di Esculapio a Nora raffiguranti devoti, databili al ii sec. a.C., 13 e altri noti gruppi in terracotta da S. Margherita di Pula, 14 dalla laguna di S. Gilla a Cagliari, 15 da un modesto santuario dell’entroterra cagliaritano (Narcao), da S. Giuseppe di Padria 16 e da molti altri siti ancora, tutti inquadrabili tra iii e i sec. a.C. Ma non meno significativi sono manufatti di alto artigianato artistico quali la testa fittile dell’Eracle di Olbia dalla Sardegna settentrionale. 17 4. Le architetture del ii sec. a.C.

Fig. 3. Testa fittile di stampo ellenistico dal deposito di S. Gilla presso Cagliari (da Campus 1997).

di conservazione e addirittura rivitalizzazione 1 delle tradizioni culturali puniche, che sembrano formare una barriera efficace e per molti versi poco permeabile ad aliti di innovazione esterna. 2 La documentazione epigrafica mostra come la lingua e l’onomastica punica si conservino solidamente non solo fino alla metà (o seconda metà) del i sec. a.C., quando si data un’iscrizione bilingue di Sulci, 3 ma addirittura fino al ii-iii sec. d.C., epoca a cui riporta un altro testo da Bithia 4 ancora in lingua neo-punica che menziona cariche e istituzioni di ascendenza cartaginese, come i sufeti e il popolo del centro sardo. Questo prevalere e perdurare del vitale elemento punico in un quadro politico ormai de iure romano lascia peraltro trasparire una visibile “immersione” 5 di alcune esperienze culturali isolane nel patrimonio ellenistico filtrato attraverso Cartagine ; esso si riscontra palesemente nei prodotti di un artigianato artistico su cui S. Moscati, 6 che lo definiva “colto”, e altri autori 7 hanno più volte riflettuto e che 1 In un contributo assai importante S. F. Bondì ha notato giustamente « l’inadeguatezza di ogni valutazione che consideri gli aspetti della cultura punica nella Sardegna di quest’epoca nei termini semplicistici della persistenza, dell’eredità o addirittura della sopravvivenza, … » ed ha invece sottolineato la vitalità della stessa cultura punica per tutto il periodo che va dal iii al i sec. a.C. (Bondì 1990, p. 457). 2 Alle sopravvivenze indigene e puniche nel periodo della dominazione romana in Africa e in Sardegna è stato dedicato il vii incontro di studio sull’Africa romana : vedi Mastino 1990. Fondamentali sono molti dei contributi contenuti in questa raccolta di studi e fondamentale, per gli stessi temi, è il saggio di Moscati 1992 sull’artigianato nella Sardegna punico-romana. 3 cil i2, 2225 e x, 7513 ; Guzzo Amadasi 1967, pp. 129-131 ; Zucca 1996, pp. 14661468. Il testo è ripreso in esame da Cenerini c.s., pp. 42-45. 4 Guzzo Amadasi 1967, pp. 133-136. 5 L’espressione è di Moscati 1992, pp. 101. 6 In particolare, Moscati 1992 e Bartoloni-Bondì-Moscati 1997, pp. 104-105 (con l’ampia bibliografia in calce al volume). 7 Per esempio, recentemente, Campus 1997.

Per molti versi più problematico è il tentativo di cogliere la portata dei mutamenti intervenuti nella fase medio-ellenistica, coincidente con l’ingresso di Roma in Sardegna, nel campo dell’architettura. È certo che anche nell’ambito delle pratiche e dei modi costruttivi si colgono i riflessi della matrice ellenistica, comune al mondo africano e alla penisola italica, grazie alle testimonianze di numerosi pezzi architettonici, tra cui spiccano alcuni capitelli dorici, tuscanici, ionici diagonali (anche figurati) provenienti da vari centri dell’isola. 18 Tuttavia già dall’analisi di tali documenti si noterà come essi, a differenza di quanto avviene per i manufatti artistici e i motivi architettonici impiegati a scopo decorativo, sembrino comparire e trovare adeguata diffusione solo in un orizzonte cronologico piuttosto avanzato della romanizzazione ; dall’ottimo catalogo della decorazione architettonica sarda curato da G. Nieddu si evidenzia infatti che, a parte una modesta percentuale di pezzi riferibili alla fase di iii-ii sec. a.C. (come forse i capitelli ionici diagonali da Nora), le presenze si facciano consistenti non prima della fine del ii sec. a.C. e certamente dal i sec. a.C. ; tra l’altro è stato giustamente notato come « spicca in tale contesto la completa assenza di capitelli corinzi normali fino alla prima età augustea ». 19 Se si svolge lo sguardo al panorama delle realtà monumentali, già ad una fugace analisi emerge l’impressione di una certa lentezza e incertezza nella diffusione delle tipologie architettoniche di matrice ellenistico-italica ; sembra infatti intuirsi che, dopo il 238 a.C., la componente punica risulti ancora predominante e le testimonianze riferibili alla cultura architettonica romana restino per molto tempo piuttosto isolate, umbratili e largamente impercettibili. 20 8

Moscati 1986. Su questi problemi di contatto e aperture differenziate della Sardegna agli altri contesti mediterranei vedi Nieddu 1992, pp. 9-10. 10 Comella 1992 studia alcune matrici fittili raffiguranti teste femminili ornate da gioielli la cui matrice tipologica è dichiaratamente tarantina. 11 12 Angiolillo 1987, pp. 201-205. Campus 1997. 13 L’edizione di questi reperti si deve a Pesce 1956. Commenti più recenti e un’accurata analisi stilistica sono in Angiolillo 1985, pp. 104-106 e Angiolillo 1987, pp. 201-205. Per le statue norensi raffronti per il trattamento del volto e per la pettinatura sono stati istituiti con esemplari di una stipe dell’Isola tiberina a Roma (vedi Pensabene, Rizzo, Roghi, Talamo 1980, in part. p. 81, n. 41, tav. 13 e p. 161, n. 264 per la specifica iconografia dell’offerente in corta tunica). 14 Angiolillo 1987, pp. 203-204. 15 Moscati, Uberti, Bartoloni 1991 e Moscati 1992, pp. 33-41. 16 Campus 1997 con bibl. prec. 17 Su questi prodotti della zona nord dell’isola vedi le note e la bibliografia di D’Oriano 1997, pp. 140-141 ; Gualandi 1996 per la testa di Eracle databile al ii sec. a.C. 18 Nieddu 1981-1985, ripreso e integrato da Angiolillo 1987, pp. 95-98 ; catalogo e sintesi in Nieddu 1992. 19 Nieddu 1992, p. 15 e in generale pp. 13-16 per la fase repubblicana. 20 Si veda a questo proposito Bartoloni-Bondì-Moscati 1997, pp. 102-103. 9

persistenze e innovazioni nelle architetture della sardegna ellenistica 261 Sono riscontrabili probabili indizi e prove certe di mutamenti dei quadri urbani, ma non è certo che essi siano conseguenti all’avvio del processo di romanizzazione piuttosto che a normali dinamiche interne ai centri ; un esempio di tal genere è rappresentato dalle trasformazioni planimetriche e funzionali (in senso artigianale) che subisce, all’alba del ii sec. a.C., il quartiere fenicio e punico riportato alla luce al di sotto della pavimentazione del foro di Nora. 1 E probabilmente al ii sec., ma non prima del secondo quarto o della metà, l’area urbanizzata di Cagliari sembra subire una traslazione dai margini della Laguna di S. Gilla verso la sede della città moderna. 2 Ma per tutto il lunghissimo periodo che va dalla fine del iii sec. a.C. alla metà del i sec. a.C. il paesaggio monumentale dell’isola non sembra essere toccato in forme qualitative o quantitative diffuse dalle nuove correnti di cultura architettonica che solcano Fig. 4. Statue di offerenti dalla stipe votiva del tempio di Eshmun/Esculapio a Nora (da Pesce 1961c). il Mediterraneo. Il primo accento va posto sulla modestia numerica degli interventi che la letteratura enumera : entro il pur ampio periodo di tempo indicato si collocano infatti abitualmente, Per la sua straordinaria fisionomia monumentale, il complescon un certo grado di sicurezza, appena tre principali complessi : so religioso riportato alla luce a Cagliari tra il 1938 e il 1941 in il santuario di via Malta a Cagliari, il complesso sull’altura del adiacenza a via Malta è stato oggetto di molte attenzioni, che Fortino a Sulci e il tempietto “K” a Tharros. 3 hanno individuato in esso l’elemento più significativo dei rapporti culturali che legano l’isola alla penisola dopo la conquista 1 L’insieme di edifici, solo in parte scavato, è stato rimesso in luce tra il 1997 e il romana. La sua lettura costituisce, in effetti, una via di passaggio 2000 dal gruppo di ricerca dell’Università di Padova che opera nella Missione congiunta di cui fanno parte anche gli atenei di Genova, Pisa, Viterbo e Milano, sotto la direzione della Soprintendenza di Cagliari (C. Tronchetti) ; l’impianto fu realizzato nel corso del vi sec. a.C. con probabile funzione pubblica (stoccaggio di derrate). Vedi Bonetto, Ghiotto, Novello 2000 ; Bonetto, Oggiano 2004 ; Bonetto, Ghiotto, Novello 2005 e Bonetto, Ghiotto, Novello 2005. 2 Colavitti 2003, pp. 71-76. 3 Più incerti e meno documentati altri contesti : entro il generico quadro del iii

secolo a.C. è collocata la realizzazione di un thesaurus riportato in luce sotto la chiesa del quartiere di Marina a Cagliari (Mureddu 2002 e Pinna 2002). In esso sono ravvisate assonanze con simili manufatti realizzati in Italia centrale e meridionale ; ancora “circa” al iii sec. a.C. è riferito un recinto templare in blocchi squadrati con portico perimetrale visto lungo Largo Carlo Felice a Cagliari (Barreca 1958-1959, pp. 741-743).

Fig. 5. Pianta del santuario di via Malta a Cagliari redatta al termine dello scavo (da « Notizie Scavi », 1949).

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jacopo bonetto cuni rocchi di colonne (forse originariamente stuccate) trovati obbligata per capire la cultura architettonica del periodo nella ad ovest di esso verso il “recinto”. 3 L’edificio in alzato doveva regione, anche perché ritengo che le ottime analisi del complesoccupare uno spazio di 8,61 x 14,43 m. Il podio, dell’altezza di so già condotte possano subire alcune proposte di integrazione 3,5 m, era preceduto da una scalinata di accesso di circa dieci tali forse da rimodulare per alcuni particolari la lettura delle regradini. Questa scalinata veniva a collegarsi tramite una platea lazioni tra l’isola e il mondo italico. lastricata (Fig. 5 : “B”) all’asse centrale di un doppio muro curEsso venne riportato parzialmente in luce nel 1938 nella zona vilineo (Fig. 5 : “E”) che terrazzava la parte alta del complescentrale della città antica, oggi posta a monte di Piazza del Carso e la separava idealmente e fisicamente dal settore inferiore. mine (e del Palazzo delle Poste su di essa prospiciente) tra le In questo venne riportata in luce una gradinata ad andamento curvilineo (Fig. 5 : “G”), “arieggiante” la cavea di un teatro, composta da gradini di calcare di Bonaria talvolta conservati e talvolta leggibili nei piani di posa loro funzionali ; tredici furono i livelli gradinati identificati con sicurezza. Non fu invece possibile condurre l’indagine là dove si poteva trovare una struttura di tipo scenico su cui a lungo Mingazzini argomentò. Lo scavo del complesso e la sua pubblicazione lasciarono irrisolti vari problemi, alcuni dei quali mai più toccati, altri invece già affrontati con successo. Uno di questi era costituito dalla dedicazione del santuario. Nello studio più accurato successivo all’edizione del 1949, S. Angiolillo propose convincentemente di vedere nel santuario di via Malta a Cagliari una sede del culto di Venere e Adone, cui rimanderebbero soprattutto i rinvenimenti cospicui di corallo e diversi altri particolari. Per il ritrovamento di una statua isiaca è stata più volte ricordata anche una probabile assimilazione (tramite interpretatio) del culto di Venere con quello di questa dea, il cui marito Osidride vanta una tradizione di vicende mitiche molto somiglianti a quelle di Adone. 4 Per il resto, due mi sembrano gli aspetti della pur approfondita lettura del complesso cagliaritano sui quali sia possibile operare qualche riflessione ulteriore per riaprire il dibattito : l’articolazione planimetrica e la cronologia. Nel quadro planimetrico fornito dallo scavatore un particolare su cui ci si può soffermare è quello che P. Mingazzini lesse come “recinto” dell’area sacra, ossia un muro rimesso in luce nei settori a nord e a ovest del tempio e che venne (convincentemente) ipotizzato come presente anche sul lato est. Di esso furono visti alcuni filari originariamente posti a vista e ben lisciati sulla faccia e alcune assise con la faccia solo sbozzata originariamente sottoposte al piano di spiccato. Fig. 6. Immagine del “muro di recinzione” dell’area santuariale con le Sulla testa di questo presunto muro di recinzione vennero trobasi attiche di colonne in lavagna nera ad esso sovrapposte quattro basi attiche di colonne (Fig. 5 “d” ; interasse di 1,4 vate (da Colavitti 2003). m), 5 che P. Mingazzini ritenne non in posizione originaria. Tale convinzione, più volte espressa, non venne motivata in alcun vie Malta e Maddalena. Le indagini proseguirono nel periodo modo in un primo passo della relazione. 6 Più avanti nel testo, 1938-1941 a cura di D. Levi (per brevissimo tempo) e di P. Minlo scavatore ritenne i fusti in tramezzario non originariamente gazzini, che ne propose una prima e più completa edizione nelle associati alle basi in lavagna nera per la differenza nel materiale 1 Notizie degli Scavi del 1949. impiegato ; si può notare invece, come è già stato fatto, 7 che tale Secondo lo studioso, l’area sacra era circondata da un grande distinzione di materiale tra fusto e base si riscontra in altri casi e “muro di cinta” (Fig. 5 : “D”) in blocchi di calcare locale che non denota necessariamente rimaneggiamenti dell’elemento arracchiudeva uno spazio largo 43 m e della lunghezza variabile chitettonico. Mingazzini sostenne inoltre che le colonne non potra 120 e 80 m, a seconda dell’interpretazione di alcuni rinvenitevano trovarsi in posizione originaria, ritenendo illogica la loro menti effettuati in zona nel 1886. L’orientamento da NNE a SSO dislocazione “su un muro di cinta in pendio”, ma non si curò seguiva quello della pendenza naturale del terreno e non sembra di dimostrare il presupposto fondamentale di tale affermazione, 2 fosse legato ad alcuna prassi rituale. Dello spazio circondato la funzione di peribolos della struttura muraria in appunto ossia dal “peribolo”, tutta la parte alta era occupata da un’area che, questione. Inoltre lo scavatore notò (acutamente) che il livello secondo l’ipotesi di P. Mingazzini, era tenuta a giardino ; in essa superiore del muro non veniva ad abbassarsi progressivamente si trovava un pozzo per l’acqua sorgiva (Fig. 5 : “F”), all’interno con la linea del pendio, soluzione assolutamente obbligata nel del quale vennero recuperati numerosi materiali fittili che sono caso si fosse trattato di un muro di recinzione, ma manteneva la risultati importanti per lo studio cronologico e funzionale del complesso. Al centro di questo settore superiore trovava posto l’edificio templare (Fig. 5 : “A”) ; di esso vennero viste le fondazioni in blocchi di calcare locale uniti a secco a formare una platea di 15,75 x 10,75 m ; solo un corso dell’alzato era conservato, e per tratti limitati, mentre non dovevano appartenere all’edificio al1 2

Vedi Mingazzini 1949, Mingazzini 1952 e Mingazzini 1986. Mingazzini 1949, p. 217.

3 A questa conclusione giunge lo stesso Mingazzini 1950, p. 216 (« Tutto quindi fa supporre che i due rulli qui rinvenuti abbiano fatto gruppo con i rulli del muro D »), pur contraddicendo alcune sue stesse affermazioni dello stesso passo della relazione (« Che il tempio fosse adorno di colonne è reso quasi sicuro da due rulli di colonne rinvenuti nella zona fra il muro di cinta D e la platea del tempio »). 4 Angiolillo 1985-1986, pp. 72-75. 5 Mingazzini 1949, fig. 7 e Colavitti 2003, fig. 30c. 6 Mingazzini 1949, p. 217. 7 Angiolillo 1986-1987, pp. 59-62 e in part. nota 11, dove si richiamano esempi di Pietrabbondante e Cagliari (villa di Tigellio).

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Fig. 8. Moneta dei sufeti di Cagliari con la raffigurazione del tempio di Venere (da Grant 1946).

Fig. 7. In nero pianta del santuario di via Malta a Cagliari secondo P. Mingazzini e, in tratteggio e in grigio la proposta di ricostruzione del triportico posto a circondare l’area sacra (elaborato da Pesce 1961c).

medesima quota con l’elevarsi progressivo del numero di assise di alzato. Per spiegare questo fatto postulava una “decapitazione” del muro alla medesima quota e forniva come indizio di tale demolizione il fatto che i due soli filari di alzato conservati nel settore a monte sarebbero stati troppo pochi “per il muro di cinta di un santuario” ; ma così ancora utilizzava come elemento indiziario la presunta funzione di recinto del muro che costituiva invece l’obbiettivo della dimostrazione. 1 Acquisendo invece i dati di scavo nella loro oggettività, si è indotti a ritenere il muro “di recinzione” originariamente concluso sulla cresta lungo un’identica linea di quota e destinato a 1 Mingazzini 1949, p. 222 ; del tutto insignificante a livello interpretativo è la presenza di solchi carrai sulla testa del presunto muro di recinzione, la cui presenza è indipendente dalla funzione originaria del muro e dalla presenza delle colonne.

costituire una sostruzione per sostenere “qualcosa”, eventualità suggerita dallo stesso Mingazzini ma dallo stesso frettolosamente liquidata ed abbandonata. La presenza delle basi di colonne, la cui posizione in situ fin dall’origine non ha alcun argomento contrario, impone di credere che tale muro rappresentasse il limite dell’area sacra scoperta e assieme la base dei sostegni verticali liberi di un portico leggermente sopraelevato rispetto al piano dell’area racchiusa. Tale portico poteva bordare l’area sacra da un solo lato, ma più verosimilmente poteva assumere le forme canoniche di un triportico esteso a recintare lo spazio in cui era compreso il tempio. La possibile presenza del portico può trovare un altro elemento di sostegno nella posizione di una strada riportata in luce nel corso degli scavi oltre i limiti settentrionali dello spazio santuariale ; essa è posta ad una distanza dal “muro di recinzione” 2 che sembra eccessiva se questo viene letto come tale, ma perfettamente comprensibile invece se pensiamo all’esistenza di un’area porticata tale da colmare l’ampio spazio libero tra “recinto” e asse viario. Il triportico che viene così ricostruito poteva arrestarsi verso sud poco oltre il settore posto a quota più elevata, là dove il muro di sostruzione si arrestava. Esso venne trovato interrotto 3,75 m a sud del punto di congiunzione con il muro di terrazzamento emicliclico, punto in cui poteva trovarsi, come suggerisce P. Mingazzini, un’apertura che dall’esterno conduceva all’area santuariale. Oltre che suggerita dalle evidenze archeologiche, la soluzione del triportico posto a circondare l’area sacra sembra anche perfettamente integrarsi nel panorama degli schemi santuariali molto diffusi in tutto il Mediterraneo ellenistico (dal iv al i sec. a.C.), che presentano con regolarità non trascurabile le aree sacre contornate da porticati realizzati ad avvolgere lo scenario architettonico templare. I primi e più vicini esempi di questa tendenza progettuale architettonica sono ovviamente quelli del celebre gruppo di santuari italici in cui il complesso di via Malta, per la maggior parte degli studiosi, è sembrato adeguatamente inserirsi sulla base di una serie di particolari già importanti, come la frontalità e l’assialità, il criterio ascensionale di percorrenza e l’associazione di cavea teatroide con edificio templare. Superfluo appare qui ritornare su queste realizzazioni laziali, assai ben note e studiate ; 3 solo se ne ricorderanno gli esempi di Gabii dedicato a Giunone, di Praeneste dedicato a Fortuna Primigenia, di Tibur dedicato a Ercole, che sembrano condividere con il complesso in questione un maggior numero di elementi indicativi. La presenza caratterizzante in questi complessi (in particolare Gabii e Tivoli) del triportico posto a circondare lo spazio in cui è racchiuso il tempio rende ovviamente plausibile che una simile articolazione fosse presente anche nel caso del complesso sardo. 4 2 4

3 Mingazzini 1949, p. 236. Si rimanda in generale a Coarelli 1987. Per la possibile presenza del triportico attorno all’area sacra di via Malta po-

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Fig. 9. Il complesso monumentale sull’altura di Sulci (S. Antioco) (da Tronchetti 1989).

L’altra questione relativa al santuario su cui ci si intende soffermare è costituita dal suo inquadramento cronologico, per il quale credo sia ancora possibile leggere i dati disponibili, anche se molti non risolutivi, e riesaminare le soluzioni fino ad ora proposte, non tanto per proporne di nuove e decisive, ma almeno per riaprire il dibattito su un argomento forse considerato negli ultimi anni troppo sbrigativamente scevro da problemi e possibili alternative. Le iniziali proposte, fornite dallo stesso scavatore, orientavano la datazione di primo utilizzo del complesso all’inizio del iii sec. a.C., termine cronologico più alto del materiale rinvenuto durante lo scavo e perciò in realtà valido solo come termine post quem ; inoltre, secondo lo scavatore, il complesso presentava caratteri tipicamente “fenici” o “punici” per alcuni elementi (“giardino, pozzo con sorgente, muro di cinta, tempietto isolato nel mezzo”) 1 assolutamente non propri di un orizzonte esclusivamente semitico-orientale, ma pertinenti invece ad una comune matrice ellenistica. L’opinione dello scavatore venne in parte ripresa, pur se modificata leggermente, da H. Kähler, che ne faceva una realizzazione successiva al 238 a.C. 2 Ma una pronta revisione delle peculiarità architettoniche e dei materiali recuperati avevano già condotto J. A. Hanson nel 1959 a ribassare i termini di impianto del complesso al tardo iii sec. o agli inizi del ii sec. a.C. e a ricontestualizzare il santuario entro la realtà progettuale romano-italica di epoca repubblicana, paragonando le fabbriche cagliaritane ai ben noti santuari italici strutturati secondo l’associazione teatro-tempio. 3 L’idea di una realtà di tradizione punica dalla cronologia alta (iii sec. a.C.) venne ripresa ancora da L. Crema, 4 G. Pesce 5 e da F. Barreca, 6 mentre la linea interpretativa di J. A. Hanson è stata riaffermata, con ragioni che ritengo da accogliere, da una serie di altri studiosi (tra cui W. Johannowsky, M. Torelli, R. J. A. Wilson), 7 le cui posizioni sono ben riassunte da S. Angiolillo in vari contributi degli anni ’80 del secolo scorso. 8 Questa studiosa, nel ribadire le posizioni di J. A. Hanson, si allinea tra l’altro all’autore anglosassone per quanto riguarda la cronologia (inizi ii sec. o genericamente trebbero rivelarsi molto importanti, in termini di raffronto, anche le notizie date da F. Barreca (Barreca 1958-1959 ; Colavitti 2003, p. 56, n. 129) relativamente ad uno scavo condotto sempre a Cagliari e nelle immediate vicinanze del complesso in questione ; presso i lati di Largo Carlo Felice (area della Banca nazionale del Lavoro) fu infatti identificata, sebbene mai edita in modo puntuale, un’altra area santuariale, attribuita approssimativamente al III sec. a.C., dotata di un muro di recinzione e di un porticato attorno allo spazio sacro centrale. 1 Mingazzini 1949, pp. 223-224 e Mingazzini 1986, pp. 172-173. 2 3 Kähler 1978, p. 245. Hanson 1959, pp. 32-33. 4 5 Crema 1959, pp. 49 e 93. Pesce 1961a, pp. 9-10. 6 Barreca 1961, p. 33. 7 Johannowsky 1969-1979, p. 458 ; Torelli 1977, p. 545 ; Wilson 1980-1981, p. 222 ; Manconi-Pianu 1981, p. 21. 8 Angiolillo 1985 ; Angiolillo 1986-1987, pp. 59-64.

Fig. 10. Frammento di monumento con fregio dorico da Cagliari, via xx settembre (da Angiolillo 1985).

ii sec. a.C.) 9 e l’ambito culturale (quello medio-italico) in cui andrebbero ricercate le matrici tipologiche e architettoniche del complesso sardo. 10 Credo sia necessario in primo luogo rivedere gli elementi indiziari che hanno condotto ad orientare la datazione verso il ii sec. a.C. J. Hanson richiamò la data della costituzione della provincia come termine di riferimento ; W. Johannowsky parlò genericamente della seconda metà del ii sec. a.C. “anche a giudicare dalla ceramica”, 11 mentre altre volte la datazione generalmente accettata è stata proposta per “il materiale rinvenuto”, 12 senza ulteriori specificazioni, e per “considerazioni di carattere architettonico che lo avvicinano agli impianti connessi a santuari dell’area medio-italica”. 13 La cronologia al ii sec. a.C. costituisce quindi un’ipotesi di per sé valida, ma non fondata su prove o indizi archeologici concreti, quanto principalmente su raffronti architettonici con realtà di ambito italico. Uguali incertezze documentarie sostengono l’ipotesi di abbandono del complesso negli anni immediatamente successivi la costituzione del municipio cagliaritano, intorno alla metà del i sec. a.C., quando è stata proposta una dismissione dell’area santuariale in quanto il complesso « non fu più considerato consono al nuovo status della città ». 14 In realtà l’origine dei problemi legati alla definizione dell’excursus cronologico in cui porre la vita e la fine del complesso sono legati alla poco dettagliata documentazione di sca9

Angiolillo 1986-1987, p. 63 ; Angiolillo 1987, p. 81. Più recentemente A. M. Colavitti ha ribadito una generica cronologia al ii sec. a.C. ed ha richiamato l’attenzione su un pezzo di coppa in vernice nera, trovata nel pozzo, utilizzata come supporto di dedica di un fedele e databile tra la metà del ii e la metà del i sec. a.C. (Colavitti 1998, p. 40 e nota 76). 11 Johannowsky 1969-1970, p. 458. 12 13 Angiolillo 1987, p. 81. Colavitti 2003, p. 53. 14 Angiolillo 1985, p. 107 e Angiolillo 1986-1987, p. 78. L’autrice collega il supposto declino del santuario con l’emergere di nuovi ceti « che sentono ormai “diversi” i prodotti artistici, pur intrisi di cultura italica, espressi in una fase di transizione tra l’antico dominio punico e quello romano ». Sulla stessa linea Ibba 1999, 141. 10

persistenze e innovazioni nelle architetture della sardegna ellenistica 265 vo e ad una lacunosa contestualizzazione del pur numeroso e significativo materiale archeologico raccolto all’interno della mal nota sequenza stratigrafico-strutturale. Il materiale, diligentemente elencato nella relazione di P. Mingazzini, venne rinvenuto in due ambiti distinti : a) “nell’interno del pozzo F” e b) “nel resto del santuario”. Per quanto riguarda il pozzo, decisiva è la credibile constatazione della presenza di due fasi strutturali distinte dello stesso, 1 delle quali solo la seconda appare legata alla vita del complesso santuariale nelle forme monumentali note ; la prima risulta invece precedente ad esso e ciò lascia intuire la possibile presenza di un più antico luogo di culto, dall’articolazione ignota, che già utilizzava il pozzo stesso. Il copioso materiale fittile recuperato all’interno della canna (vasellame, matrici, bracieri e altro) si data genericamente tra la fine del iii e la metà del i sec. a.C., 2 ma non venne suddiviso secondo livelli di giacitura e non è dato di comprendere, quindi, se si trattasse di un riempimento caotico di obliterazione del pozzo o di scarichi progressivi, tali da scandire le fasi di frequentazione dell’area sacra. In ogni caso, il suo excursus dovrebbe stare ad indicare con sicurezza un sicuro segmento cronologico di frequentazione del luogo di culto. E la presenza di materiale di iii sec. a.C. ribadisce l’ipotesi, fino ad ora non considerata, dell’esistenza di forme di devozione nella zona già in quest’epoca, continuate e integrate nel quadro moFig. 11. Pianta del foro di Nora realizzato alla metà del i sec. a.C. numentale del complesso, sicuramente successivo. Se così si ac(elaborazione I. Cerato). cetta l’idea di una fase di frequentazione precedente a quella cui appartengono le evidenze architettoniche, la datazione del matevo abbia interessato ampiamente gli strati di impianto (e forse riale del pozzo perde valore indicativo per il loro inquadramento solo quelli) è anche suggerita dal fatto che la platea dell’edificio cronologico potendosi riferire anche a tali più antiche presenze. templare venne rasata al livello della fondazione e “quasi nulla La ceramica recuperata “nel resto del santuario” potrebbe fosse rimasto dell’alzato”. 6 Se quindi dobbiamo ammettere che invece offrire dati assai importanti, se non fosse stata raccolta almeno una parte consistente del materiale trovato “nel resto del senza attenzione (almeno dichiarata) alla relazione con strutture santuario” possa essere stato raccolto entro i livelli riportati per e sequenze stratigrafiche. Forse qualche elemento di riflessione la realizzazione del complesso, i reperti più tardi (i sec. a.C.) può però essere egualmente recuperato dalla relazione : « Per potrebbero essere considerati dei comodi termini post quem e quanto riguarda la cronologia del monumento, nessuna luce ci potrebbero contribuire a posticipare di molto la datazione delle può venire dal monumento stesso, a causa della scarsezza dei realtà monumentali del santuario. È chiaro però che, in assenza monumenti congeneri con i quali paragonarlo. Fortunatamente di resoconti stratigrafici chiari, occorre usare massima prudenza gli oggetti mobili ci permettono di chiudere la vita della zona nel maneggiare i dati di scavo e non appare possibile al momendel santuario entro limiti abbastanza precisi. Benché, infatti, si to portare tale ragionamento alle estreme conseguenze trasforsia giunti sino al vergine solo in quattro punti – sopra ed atmandolo in reale strumento di datazione. torno le due platee del tempio, addosso al muro di cinta, sopra Un’altra spia di determinazione cronologica del quadro moed attorno al pozzo ed infine il pozzo stesso – e benché il terrenumentale del santuario potrebbe ricavarsi, pur con molta cauno non presenti alcuna stratigrafia, tuttora il materiale raccolto tela, dall’osservazione del profilo delle basi attiche che, secondo con ogni cura ed esaminato frustolo per frustolo, presenta una la ricostruzione proposta, dovevano sostenere il portico posto a omogeneità così compatta, da permettere di asserire che praticacircondare l’area sacra ; 7 la forma e la sequenza delle modanamente nessuna vita si svolse in questo sito prima dell’inizio del ture sembra infatti rimandare alla scansione delle ben note basi iii secolo e nessuna dopo la metà del i. I frammenti, infatti, che delle colonne del tempio rotondo di Ercole “Olivario” al Foro troviamo anteriori e posteriori a quelle due date, sono appena Boario 8 o dei templi dell’acropoli di Tivoli, 9 collocati tra la metà una dozzina, dinanzi a più di quattro casse di cocci contenuti e la fine del ii sec. a.C. o agli inizi del secolo successivo. entro quei limiti cronologici, ... ». 3 Nel rianalizzare questo testo Ancora un altro spunto per la cronologia del complesso può (e alcune foto edite) 4 appare chiaro che lo scavo si approfonoffrire un documento numismatico più volte chiamato in caudì in quattro punti fino al terreno sterile senza incontrare evisa in passato, ma forse non sufficientemente stimato per il suo denti differenziazioni stratigrafiche e intaccando evidentemente potenziale informativo. Si tratta di una moneta, già edita da C. i depositi connessi alla fondazione delle realtà strutturali del Albizzati nel 1926-1927, 10 che reca al dritto due teste accollate a complesso ; tanto che presso l’angolo nord-ovest dell’area sacra destra e la leggenda aristo mutumbal ricoce suf ; al rovescio venne visto un lacerto di pavimento in cementizio scassato che si trova un tempio tetrastilo con leggenda veneris kar. 11 Sulla indizia un approfondimento dello scavo certamente al di sotbase dell’immagine del rovescio della moneta, lo stesso C. Alto degli antichi piani d’uso ; 5 inoltre l’impressione che lo scabizzati, prima delle decisive scoperte del 1939-1941, ipotizzava l’esistenza a Cagliari di un tempio dedicato a Venere Astarte e 1 Mingazzini 1949, pp. 219-220 e fig. 4. Il pozzo si compone di una parte inferiogià lo identificava, pur in via congetturale, nei resti scoperti in re scavata nella roccia non rivestita e di una parte superiore ottenuta con 4 filari di conci (più un ultimo concio che costituisce la bocca). La parte alta è ritenuta coeva alla sistemazione monumentale dell’area, quando si rese necessario rialzare il più antico livello della bocca del pozzo ; l’esistenza di una prima fase distinta è suggerita dalla presenza dei segni delle corde sulle pareti in roccia che sono incompatibili con l’imboccatura lapidea centrale. 2 Oltre all’elenco prodotto da Mingazzini 1949, pp. 239-274, si vedano le edizioni di lotti di materiale da parte di Comella 1986 e Ibba 1999. 3 4 Mingazzini 1949, p. 224. Mingazzini 1949, figg. 1-3. 5 Mingazzini 1949, p. 235.

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Mingazzini 1949, p. 215. Esse sono abbastanza ben visibili in immagini d’archivio : Colavitti 2003, fig. 8 30c. Rakob-Heilmeyer 1974, pp. 6-7. 9 10 Giuliani 1970, pp. 126-143. Albizzati 1926-1927, pp. 3-6. 11 Su questa emissione si veda la documentata analisi con storia degli studi di Sollai 1989, pp. 51-61. Successivamente Burnett-Amandry-Ripollès 1992, p. 163 in cui si propende nettamente per l’origine cagliaritana motivandola accuratamente. Inoltre Guido 2000, p. 76. 7

266 jacopo bonetto veniva a trovarsi avvicinato cronologicamente al caso gabino, quegli anni nella zona del Palazzo delle Poste, presso via Malriferito solitamente alla metà del ii sec. a.C., o a quelli preneta. Con convincenti motivazioni S. Angiolillo ha riaffrontato il stino, di Teano o di Pietrabbondante della fine del ii secolo 10 e tema ed ha riaffermato con maggiore convinzione il collegamenrisultava precedere nettamente un altro celebre esempio come to del tempio di Venere raffigurato sulla moneta con l’edificio sacro del santuario di via Malta. 1 L’ipotesi è condivisibile, come quello di Tivoli. praticamente accertata sembra ormai la datazione dell’emissioQuasi superfluo premettere che molto rischioso si profila ne ai primi decenni che seguono la metà del i sec. a.C., e cosotto il piano metodologico il principio comparativo a fini di munque anteriore al 27 a.C., 2 forse in relazione alla constitutio datazione, come potrebbe banalmente dimostrare il caso del del municipio in età cesariana o ottavianea. 3 Più incerto appare santuario spagnolo di Muniga, simile per impostazione ai comil significato della presenza dell’edificio sacro sul rovescio delplessi laziali ma realizzato in età flavia a notevolissima distanza l’emissione : è possibile che il tempio, già da tempo esistente, da quelli. 11 Ciononostante, se si accetta la rischiosa strada della sia stato rappresentato come simbolo eminente della città, ma comparazione, si dovrà pur ammettere che un complesso di amcredo non vada dimenticata la nota prassi di rappresentare in bito provinciale conservatore come quello cagliaritano si potrà più ragionevolmente collocare in orizzonti cronologici piuttoemissioni monetali, talvolta appositamente realizzate, complessi sto avanzati (o meglio ancora seguenti) rispetto a quelli di reapubblici da poco realizzati o ristrutturati. 4 Per questo va almeno valutata la realistica possibilità che, negli anni intorno alla metà lizzazione degli archetipi da cui dipende. 12 Tale logica sembra adeguata ad un sistema generalmente condiviso di trasmissione del i sec. a.C. e prossimi all’acquisizione della municipalità da parte di Cagliari, le monete dei sufeti celebrino un edificio e un dei modelli dal centro alla periferia e potrebbe, almeno in linea complesso religioso realizzato non troppo tempo addietro, o su teorica, far “scendere” la cronologia delle grandi architetture di cui forse da poco potevano essere stati eseguiti importanti invia Malta dalla posizione forse eccessivamente alta abitualmente terventi. In questo caso andrà anche tenuto presente il frequenaccettata. tissimo fenomeno, che già E. Gabba, M. Torelli ed altri hanno Così, pur senza poter giungere a fornire prospettive di inquaevidenziato, 5 del netto salto di qualità degli apprestamenti urbadramento cronologico certe e radicalmente alternative a quelle nistico-architettonici intervenuto in occasione delle elevazioni già note per il santuario di Cagliari, l’emergere di una serie di di status dei centri italici e provinciali e che proprio in Sardegna, indicatori forse non del tutto indifferenti induce a credere aua poche decine di chilometri da Cagliari, sembra trovare risconspicabile che il dibattito sulla sua datazione si riapra, magari alimentato dalle nuove indagini in corso sul materiale d’archivio e tri precisi. 6 In ogni caso, per lo studio della vita del santuario, riterrei la sui reperti, 13 al fine di valutare la possibilità di uno slittamento raffigurazione del tempio di via Malta su una moneta dell’inoldei tempi di realizzazione del complesso almeno verso la fine del trato i sec. a.C. un indizio tale da far cautamente dubitare delii sec. a.C. (o addirittura oltre), quando il progredito contatto l’idea che il santuario, posto tra l’altro in diretta contiguità con con il mondo italico e l’accresciuto grado di romanizzazione poil foro cittadino, abbia conosciuto un inesorabile declino e una trebbero meglio giustificare una realizzazione tanto dipendente dai contesti peninsulari. 14 sorta di abbandono nella seconda metà dello stesso secolo. Simili incertezze di inquadramento storico-cronologico si inUlteriori importanti spunti di discussione in merito alla contrano anche nel caso di un altro complesso santuariale, tradicronologia del santuario vengono dalla sua lettura comparata zionalmente considerato un esempio di architettura romana delcon gli esempi di grandi santuari realizzati nel tardo ellenismo. la fase repubblicana di Sardegna, identificato nel centro di Sulci Questo punto acquista particolare rilievo perché proprio sul (odierna S. Antioco) sito all’estremità sud occidentale dell’isola. confronto tipologico con similari monumenti la maggior parte In questo caso le evidenze sono di molto minore impatto rispetdegli studiosi sembra basare le ipotesi di datazione. Come si è to al caso cagliaritano, ma non poco significative. 15 Le ricerche, già detto, oltre ad una generica matrice culturale greco-elleni7 condotte sulle pendici nord del colle (già “acropoli” punica) stica, per il centro di culto di via Malta è sempre richiamata la stretta relazione tipologica con la serie di grandi complessi italici dove trovò sede il forte sabaudo, hanno ricostruito un percoreretti tra ii e i sec. a.C. Con questi divide moltissimi elemenso ascensionale formato da una rampa connessa ad un muro di terrazzamento di fronte al quale si estendeva una larga spianata. ti dell’articolazione architettonica, e pure sotto il profilo della committenza sono stati proposti parallelismi. Infatti anche per Più in alto, ma in evidente connessione con questa sistemazione, la realizzazione del santuario di via Malta sono citate possibili è stata rilevata la presenza di un tempio di forme italiche su podio partecipazioni dirette di imprenditori e mercatores italici, sebbecon pianta di uno pseudo-periptero sine postico, 16 di cui residuano nove colonne e lacerti di pavimentazione appartenenti a due fasi ne allo stato attuale nessun elemento leghi con certezza il caso cagliaritano ad atti di evergetismo. 8 Ma assai più complessa e dicostruttive. L’insieme delle evidenze sembra indicare un’articoscutibile, a mio avviso, è la relazione cronologica tra gli esempi lata opera monumentale su versante terrazzato che è stata fatta italici e quello sardo. Talvolta, privilegiando una cronologia alla risalire ancora una volta alle ben note esperienze monumentali fine del iii o all’inizio del ii sec., il caso di Cagliari era stato visto dei santuari a terrazze italici realizzati tra ii e i sec. a.C. Anche in questo caso le proposte di datazione si sono oriencome uno dei primi esempi di questa serie, se non addirittura il primo ; 9 in altri casi, pur abbassando la data al pieno ii sec. a.C., tate genericamente verso il ii sec. a.C., senza più dettagliate 1

Angiolillo 1986-1987 e Angiolillo 1987, p. 82. Sintesi del problema in Sollai 1989, pp. 51-61. 3 L’ipotesi della relazione tra l’emissione monetale e l’elevazione di Cagliari a città di pieno diritto è stata sostenuta da diversi autori (Grant 1946, pp. 149-150 che proponeva una data al 38 a.C. ; Mastino 1985, pp. 70-71 ; Angiolillo 1986-1987, p. 66 ; Burnett-Amandry-Ripollès 1992, i, p. 163). 4 Price, Trell 1977, p. 66. 5 Gros, Torelli 1988, pp. 248-258 ; Gabba 1994. 6 Cfr. infra il caso del foro di Nora. 7 Johannowsky 1969-1970, p. 348. 8 In questo senso sembra da valutare con una certa prudenza l’affermazione, difficilmente dimostrabile allo stato attuale della documentazione, secondo cui il santuario sarebbe « l’esito di un investimento a scopo produttivo di alcuni gruppi imprenditoriali » (Colavitti 2003, p. 17). 9 Mingazzini 1986, p. 173 e Kähler 1958, p. 245. Boëthius-Ward-Perkins 2

1970, p. 138 pensano che il santuario di Cagliari inauguri la serie dei teatri-templi assieme all’esempio di Gabii. Wilson 1980-1981, p. 222 ipotizza una cronologia di “early second century b.C.”. 10 Gros 1987, pp. 73-75 e 86-92. 11 Coarelli 1996, pp. 501-514. 12 W. Johannowsky, con prudenza, indicava il ii sec. a.C. come momento di costruzione del santuario di via Malta, ma ammetteva la possibilità di datazioni più tarde alla luce dell’ambiente sardo “piuttosto conservatore” (Johannowsky 19691970, p. 458). 13 Vedi l’annunciata edizione completa dei materiali (Ibba 1999, p. 141). 14 A riflessioni simili giunge Ghiotto 2004a, pp. 36 e 51. 15 I primi dati sono in Tronchetti 1989, pp. 25-29. Un’altra presentazione del complesso si trova in Tronchetti 1995a, 109 con ulteriori precisazioni in Colavitti, Tronchetti 2000, passim ; infine Ghiotto 2004a, pp. 35-37. 16 Per l’assetto del colonnato, che non aderisce direttamente alle pareti della cella, l’edificio può forse essere meglio indicato come periptero sine postico.

persistenze e innovazioni nelle architetture della sardegna ellenistica 267 10 Satricum e Teano, ma il suo legame con la cultura architettospecificazioni. La grande spianata copre in effetti una necropoli nica italico-romana non sembra particolarmente evidente o più punica i cui materiali più tardi non superano la fine del iii sec. importante di quanto appaia il rimando a modelli punici. Anche a.C. e i reperti inglobati nel riempimento connesso al terrazin questo caso va poi osservato che la cronologia non si basa su zamento sembrano inquadrarsi nel ii sec. a.C. Pur osservando indiscutibili evidenze di scavo, ma su riferimenti e confronti di l’importanza di questi riferimenti, andrà cautamente osservato carattere stilistico e architettonico che hanno giustamente fatto che essi potrebbero anche costituire generici termini post quem proporre datazioni assai generiche e anche ragionevolmente rie lasciare aperta la possibilità di una cronologia più bassa, verso bassate verso il i sec. a.C. cui potrebbe orientare con maggiore concretezza lo studio dei pavimenti del tempio. Il più antico di essi è infatti costituito da 5. Persistenze e innovazioni nel tardo ellenismo un cementizio rosato con inserzione di tessere lapidee bianche a punteggiato regolare che venne già collocato da S. Angiolillo Così, da una pur rapida disamina delle testimonianze sull’architra la fine della Repubblica e gli inizi dell’impero. 2 In realtà nulla tettura sarda finora riferite ai primi tempi della presenza romaesclude che l’esempio sulcitano possa effettivamente collocarsi na nell’isola, sembra emergere, da un lato, una netta modestia in un momento precoce della romanizzazione, anche alla luce di quantitativa dei documenti assegnati al periodo e, dall’altro, l’intestimonianze di diffusione della tipologia generica del cemencertezza e, a tratti, la labilità delle basi di riferimento per l’attritizio in Italia, 3 e sporadicamente in Sardegna, 4 già nel iii-ii sec. buzione cronologica ; tutto ciò rende estremamente difficile una a.C. Tuttavia è pure vero che in età così antica sembra diffuso nitida valutazione del paesaggio architettonico di questo perioil tipo di cementizio a disposizione degli inserti lapidei del tutto do, ma alimenta anche seri dubbi sulla reale forza del processo irregolari (a volte con il simbolo di Tanit o con caduceo) 5 e che di trasformazione indotto da un pur innegabile (per altri aspetti) il tipo con inserzione di tessere a punteggiato regolare sembrefenomeno di incipiente romanizzazione. Soprattutto è emerso 6 7 rebbe diffondersi in fasi più avanzate, almeno in area sarda ; come per i pochi complessi architettonici noti esista almeno la inoltre studi anche recenti e ben documentati di F. Rinaldi sui possibilità di discutere eventuali slittamenti della loro datazione cementizi di alcuni centri della Sardegna meridionale hanno diverso la fine del ii o addirittura all’interno del i sec. a.C. Questo mostrato per questi rivestimenti un concentrarsi delle evidenze contribuirebbe soprattutto a “liberare” i monumenti indagati a partire dal i sec. a.C. e un protrarsi delle stesse per tutta la dall’innegabile isolamento 11 in cui oggi si trovano per una col8 tarda repubblica e fino all’età imperiale inoltrata. In sintesi mi locazione nel pieno ii secolo a.C., che non conosce altre partisembra che anche per il complesso sulcitano valgano le osservacolari evidenze, e a fare di essi tappe prolettiche d’avvio di quel zioni svolte per il santuario di via Malta a Cagliari : la possibilità floruit architettonico e monumentale di stampo romano-italico di una realizzazione entro l’ambito del ii sec. a.C. è certamente che tocca l’isola con ben più sostanziata evidenza nel corso del i credibile e basata su indizi di un certo peso, ma altre considesecolo a.C., e particolarmente nelle sue fasi avanzate. 12 razioni non marginali suggeriscono cautamente di considerare Da questo momento infatti il panorama architettonico di Sarla possibilità concreta di uno spostamento della datazione del degna subisce una sicura ed accelerata evoluzione verso la koine complesso almeno verso la fine del ii sec. a.C. se non agli inizi italica, attraverso l’adozione palese di modelli e formule del tardel i sec. a.C. do ellenismo mediati attraverso la penisola. L’ultimo esempio di architettura monumentale attribuita in Ne sono puntuali indicatori, tra i molti, alcune ben studiate bibliografia al ii sec. a.C. è il cosiddetto “Tempietto K” (o “temtestimonianze del linguaggio architettonico della tarda repubpietto distilo”), nell’area urbana di Tharros, congiunto ad una blica rifluito nell’isola, come i resti di un monumento con fregio sistemazione monumentale che prevedeva un porticato collegadorico rinvenuto reimpiegato a pezzi presso un impianto di fulto allo stesso edificio e un’ampia area recintata con blocchi di lonica a Cagliari. 13 Di esso si conservano tre blocchi : uno prearenaria. 9 L’edificio, distilo a pilastri con cella dotata sul fondo senta l’iscrizione c apsena c f heic heic est pollio ; un secondo di bancone, sembra trovare riscontri in alcuni modellini fittili da tre triglifi e tre metope decorate da fiore a sei petali, da patera 1

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Così Tronchetti 1989, p. 28 e Tronchetti 1995a, p. 109. La cronologia è condivisa da Colavitti 1999, p. 41. 2 Angiolillo 1981, n. 68, 69. Confronti abbastanza stringenti in altre località della Sardegna (Cagliari, Tharros e Padria) conducono in effetti a tali momenti cronologici : Angiolillo 1981, n. 93, 98 (Cagliari, casa del Tablino dipinto) ; n. 129, 140 (Tharros) ; n. 137, 163 (Padria) e commento in Rinaldi 2002, pp. 34-35. Va pur detto, come giustamente notato da Tronchetti 1995a, 109, che esiste una generica difficoltà di ancorare a cronologie precise la tipologie pavimentali del cementizio per le molteplici varianti locali o di schema decorativo, e soprattutto per la frequente assenza di correlate indagini stratigrafiche. 3 Vedi Grandi 2001 e Rinaldi 2002, pp. 28-29, soprattutto note 5-10 con ampia sintesi sugli studi relativi precedenti. Inoltre Mezzolani 2000 per il caso dei pavimenti di Tharros. 4 Per esempio in via Brenta a Cagliari (Scavo di via Brenta 1992, pp. 12-13, 3033, 37-53), dove i pavimenti sono datati in via stratigrafica al iii e al ii sec. a.C., e in via Trieste 105 (Mongiu 1987, pp. 62-63), dove i pavimenti sembrano databili al ii sec. a.C. 5 Vedi gli esempi citati alla nota precedente e quelli nella domus di via Po a Cagliari (Angiolillo 1981, n. 110, 105) e nella casa degli emblemi punici sempre a Cagliari (Angiolillo 1981, n. 113, 106) riferiti ad età repubblicana. 6 Vedi nota 116. 7 In contesti punici africani il cementizio con punteggiato regolare di tessere sembra documentato anche in fasi più antiche. 8 Rinaldi 2002 affronta il caso dei cementizi del centro di Nora, offrendo numerosi spunti sulla cronologia delle testimonianze e sulle forme della romanizzazione letta attraverso la documentazione archeologica. Se per i pavimenti norensi, alla luce di nuove datazioni su base stratigrafica e di confronti puntuali, l’autrice orienta la datazione all’ambito del i sec. a.C., si avanza, pur cautamente, la possibilità di « estendere la nuova cronologia […] ai cementizi di Tharros e Sulci » (Rinaldi 2002, p. 39). 9 Acquaro 1983, pp. 625-628 ; Acquaro, Finzi 1986, pp. 57-59 ; Zucca 1993, pp. 95-97 ; Ghiotto 2004a, pp. 38-39 con bibliografia completa.

ombelicata e da un motivo non decifrato ; un terzo due triglifi con una metopa e mezza oltre ad una cornice superiore a dentelli divisa dal fregio tramite una cornice modanata. Esso rimanda alla diffusa produzione italica di altari a pulvini o di naiskoi sostenuti da basi (dalla valenza onoraria o funeraria) 14 che trovano la loro massima diffusione nel i sec. a.C. tra le borghesie municipali e che seguono tali classi nelle loro migrazioni verso le aree periferiche del mondo romano. 15 Ma è soprattutto a livello degli assetti insediativi e urbanistici che nell’ultimo secolo avanti Cristo si coglie una netta accelerazione nel processo di trasformazione degli abitati con documenti di sicura attribuzione cronologica. 16

10 Staccioli 1968, pp. 47-48, n. 38, tav. xlv (Satricum) ; pp. 54-56, n. 47, tav. liv-lv (Teano). 11 L’“isolamento” dei complessi santuariali sardi attribuiti al ii sec. a.C. è già sottolineato da Nieddu 1992, p. 15. 12 Su questo periodo in generale vedi la sintesi di Ghiotto 2004a, pp. 200-201. 13 Angiolillo 1985, pp. 99-102. 14 L’esemplare sardo sembra possa interpretarsi come resto del sepolcro di un personaggio (Caius Apsena Cai filius Pollio) anche se, per la difficoltà di lettura del testo mutilo non si possono escludere menzioni di due personaggi. 15 Vedi Angiolillo 1985 e i confronti possibili con simili fregi di ambito norditalico in Cavalieri Manasse 1978, pp. 99-104. 16 Nel panorama poleografico una spia isolata ma assai indicativa della svolta (nel senso di “chiusura” con il passato punico) è costituita dalla crisi del fondamentale sito d’altura fenicio e punico di Monte Sirai, frequentato e ristrutturato fino alla fine del iii sec. a.C., ma abbandonato in modo subitaneo dagli anni attorno al 110 a.C. (Bartoloni 1997, p. 87 con bibl. prec.).

268 jacopo bonetto Nel quadro dell’urbanistica monumentale emblematico può italici. Infine, di qualche significato appare il riscontro tardo e essere il caso dell’evoluzione di Nora, 1 dove la ripresa degli scaisolato (fine del i sec. a.C.) di altre manifestazioni artistiche tipivi estensivi ha permesso di dimostrare che proprio (e solo) alla camente italiche come la ritrattistica. 13 metà del i sec. a.C., o immediatamente dopo, e comunque assai In quest’ottica interpretativa sembrano potersi innestare anprobabilmente in relazione alla costituzione del municipio, 2 il cora altri elementi, di maggiore e minore peso, emergenti dal centro si dota di un nuovo grandioso complesso pubblico, costipanorama culturale generale dell’isola. Una qualche riflessione tuito dalla piazza forense porticata con edificio templare e spazi può così forse stimolare lo studio dei tempi di diffusione nell’isoannessi, che viene a stravolgere e ad obliterare per sempre prela del codice scrittorio latino, che trova attestazione iniziale del cedenti quartieri del centro punico vissuti senza sussulti particotutto sporadica alla fine del iii e nel ii sec. a.C., 14 ma quasi esclulari per molti secoli. E negli anni immediatamente successivi si sivamente nell’ambito dell’instrumentum importato dall’Italia o colloca la realizzazione, a ridosso dell’area civica, dell’altrettanin collegamento ad attività commerciali gestite da imprenditori, to simbolico (in chiave romana) edificio teatrale. 3 come sembrerebbe nel caso della celebre iscrizione trilingue di Senza ampliare il discorso su questa fase evolutiva si può solo S. Nicolò Gerrei, 15 che, tuttavia, proprio recentemente è stata ricordare che allo stesso arco di tempo (seconda metà del i sec. assegnata con convincenti motivazioni al i sec. a.C. ; 16 invece, 4 a.C.) si ascrivono le modifiche dell’area sacra di Antas, le trasignificativamente, la specifica categoria di iscrizioni legate a sformazioni in forme romane del Tempio “delle semicolonne progetti di decoro urbano non sembrano comparire prima della doriche” di Tharros, 5 la costruzione del cosiddetto tempio temetà del i sec. a.C., o addirittura più tardi. 17 trastilo, dotato di capitelli corinzio-italici, nel medesimo centro Si tratta di elementi non sempre decisivi, ma tali certo da del golfo di Oristano, 6 il rinnovamento delle difese di Sulci, 7 la consolidare l’impressione netta di lunga e “serpeggiante” perrealizzazione della struttura templare (inedita) di Piazza Santa sistenza fino almeno al tardo ellenismo di elementi culturali puCroce a Olbia 8 ed altri interventi ancora. nici, che in molti ambiti, tra i quali certamente non fa eccezione Tuttavia anche in questo clima di palese rinnovamento del la cultura architettonica, rallentano e sfilacciano l’avanzare di linguaggio e dei codici architettonici la forza del passato e una schemi e moduli romano-italici. certa inerzia al cambiamento si colgono ancora in modo evidenMa tale impressione di una titubanza di fondo dell’isola già te. Lo stesso scavo del foro di Nora, ora citato come segno forcartaginese a raccogliere stimoli provenienti dall’Italia tra ii e te di cambiamento, ha tuttavia mostrato che sia nelle partizioni i sec. a.C. non è solo nostra (e di altri autori moderni), 18 ma spaziali del complesso monumentale, sia nella progettazione arsi insinuava già in qualche modo nel pensiero degli antichi e chitettonica, come anche nelle attività tecniche di cantiere, il siriguardava anche ambiti diversi da quelli della cultura matestema metrologico adottato fu ancora quello fenicio-punico del riale. La voce che colpisce in questo senso è quella di Marco cubito piccolo corrispondente a 0,46 m. 9 Tullio Cicerone, che, agendo da avvocato di parte nel delicato Se ne ricava, in estrema sintesi, un processo di ellenizzaziocontenzioso tra il suo cliente Marco Emilio Scauro e i Sardi, ne e romanizzazione della Sardegna non lineare ed omogeneo, asseriva (senza poter mentire su dati ufficiali davanti ad un trima fortemente dominato dalla complessità, in cui le innovazioni bunale) che alla meta del i sec. a.C. solo la Sardegna, tra tutte sono sempre associate e combinate con un radicamento tenace le province, non poteva vantare alcuna città libera e amica del della cultura punica, che “attarda” e rallenta l’ingresso di elepopolo romano. 19 menti allogeni con evidenza marcata nel campo dell’architettura. 10 Oltre a quanto già segnalato, ancora indicative in questo Bibliografia senso appaiono la lentezza e l’incertezza nella ricezione delle inAcquaro 1983 = E. Acquaro, Nuove ricerche a Tharros, in Atti del i novazioni tecnico-edilizie sviluppate in ambito laziale e italico, Congresso internazionale di studi fenici e punici (Atti Congresso Roma che solo nella tarda repubblica o nel primo impero si riscontrano 1979), iii, Roma, 1983, pp. 623-631. 11 nell’isola, o la presenza in tutta la Sardegna di un solo teatro Acquaro 1991 = E. Acquaro, Tharros tra Fenicia e Cartagine, in Atti del ii congresso internazionale di studi fenici e punici (Atti Congresso Roma (a Nora), edificio simbolo della cultura architettonica ellenistica 1987), iii, Roma, 1991, pp. 548-558. e romana ; sempre nell’ambito edificatorio, è interessante notaAcquaro 1995 = E. Acquaro, Il tempio di Sid ad Antas, in Carbonia e il re che non prima della fine del i sec. a.C. è nota l’adozione dei Sulcis. Archeologia e territorio, ed. V. Santoni, Oristano 1995, pp. 25312 rivestimenti in tessellato basati su moduli stilistici ellenistici e 256. 1

In generale per gli scavi nella città : Ricerche su Nora - i (anni 1990-1998) 2000 ; Ricerche su Nora - ii (anni 1990-1998) 2003 ; Nora 2003. Per il foro vedi Bonetto-Ghedini-Ghiotto 2003, Ghiotto 2004a, pp. 60-63 e Bonetto-Buonopane2 Ghiotto-Novello c.s. Bonetto 2002. 3 Bejor 2003 e Ghiotto 2004b, pp. 1223-1231. 4 In età augustea il vecchio sacello punico è trasformato in un edificio templare monumentale con scalinata frontale e peristasi secondo schemi mutuati dalla tradi5 zione ellenistica. Zucca 1993, pp. 93-94. 6 7 Zucca 1993, pp. 103-104. Colavitti, Tronchetti 2000. 8 Ghiotto 2004a, pp. 41-42. 9 Dal nuovo rilievo a scala 1 :50 dei resti del foro risulta che la larghezza dello spazio aperto corrisponde a 34,5 m., pari a 75 cubiti, mentre, secondo una delle ipotesi, la lunghezza dello stesso risulterebbe pari a 46 m., pari a 100 cubiti. Lo scavo del tempio, che prospetta sul foro dal lato settentrionale, ha dimostrato poi che tutta la progettazione è eseguita sulla base del cubito piccolo fenicio : le dimensioni globali sono di 40 x 20 cubiti (18,2/4 x 9,2 m) ; il pronao è di 13 cubiti (6 m) e la cella di 27 cubiti (12,4 m). Infine i grandi blocchi utilizzati per le fondazioni dello stesso edificio sembrano tagliati secondo le unità di misura preromane (vedi Bonetto-GhediniGhiotto 2003). 10 Nieddu 1992, p. 15 giunge a simili conclusioni e ad ulteriori riflessioni sulla “marginalità” dell’isola rispetto alla forte spinta di rinnovamento di altri contesti italici sostenuta dall’ascesa delle ricche borghesie municipali. 11 Ghiotto 2004a, pp. 16-17, 20-21, 211. 12 Vedi l’utile repertorio di Angiolillo 1981, pp. 218-229 e l’ulteriore commento di Angiolillo 1985, p. 102 e Angiolillo 1987, pp. 162-163, che cita il mosaico della fullonica di via xx settembre a Cagliari come “rarissimo caso” di esemplare musivo repubblicano.

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composto, in carattere fournier monotype, impresso e rilegato in italia dalla accademia editoriale ® , pisa · roma * Ottobre 2006 (cz2/fg13)

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B I B L I OT E C A DI «SIC ILIA ANTIQVA» c ollana di retta da ernesto de miro 1. Sicilia ellenistica, Consuetudo Italica. Alle origini dell’architettura ellenistica d’Occidente, Atti delle giornate di studio, Spoleto, 5-7 novembre 2004, a cura di Massimo Osanna e Mario Torelli, 2005, pp. 276.