Scritti filosofici
 9788841893951

Table of contents :
Frontespizio......Page 3
Colophon......Page 4
Indice del volume......Page 5
Introduzione......Page 7
Nota biografica......Page 54
Nota bibliografica......Page 58
I. Studi per la fondazione delle Scienze dello Spirito......Page 77
1. La connessione strutturale psichica......Page 78
2. La connessione strutturale del sapere......Page 100
3. La delimitazione delle scienze dello spirito......Page 145
II. La costruzione del mondo storico nelle Scienze dello Spirito......Page 154
1. Delimitazione delle scienze dello spirito......Page 155
2. La diversità della costruzione nelle scienze della natura e nelle scienze dello spirito (Orientamento storico)......Page 165
3. Principi generali intorno alla connessione delle scienze dello spirito......Page 197
III. Progetto di continuazione per la costruzione del mondo storico nelle Scienze dello Spirito. Abbozzi di una critica della ragione storica......Page 276
1. “Erleben” espressione e comprensione......Page 277
2. La conoscenza della connessione storico-universale......Page 335
IV. L’Essenza della filosofia......Page 380
Introduzione......Page 381
1. Procedimento storico per la determinazione dell’essenza della filosofia......Page 389
2. L’essenza della filosofia intesa in base alla sua posizione nel mondo spirituale......Page 415
V. La coscienza storica e le visioni del mondo......Page 464
1. Il compito......Page 465
2. Fondazione storica e psicologica......Page 471
3. Arte, religione e filosofia come forme della visione del mondo e della vita......Page 488
4. Storia dello sviluppo delle visioni della vita e del mondo......Page 504
5. Soluzione del conflitto tra ogni forma di visione della vita e del mondo e la coscienza storica......Page 529
VI. I tipi di visione del mondo e la loro formazione nei sistemi metafisici......Page 539
Introduzione sul conflitto tra i sistemi......Page 540
1. Vita e visione del mondo......Page 543
2. I tipi di visione del mondo nella religione, nella poesia e nella metafisica......Page 552
3. Il naturalismo......Page 566
4. L’idealismo della libertà......Page 573
5. L’idealismo oggettivo......Page 578
Indice dei nomi......Page 587
Indice delle tavole......Page 599

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CLASSICI DELLA FILOSOFIA COLLEZIONE FONDATA DA

NICOLA ABBAGNANO DIRETTA DA

TULLIO GREGORY

Wilhelm Dilthey SCRITTI FILOSOFICI A cura di PIETRO ROSSI

UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE TORINESE

© De Agostini Libri S.p.A. - Novara 2013 UTET www.utetlibri.it www.deagostini.it ISBN: 978-88-418-9395-1 Prima edizione eBook: Marzo 2013 © 2004 Unione Tipografico-Editrice Torinese corso Raffaello, 28 - 10125 Torino Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma e con alcun mezzo, elettronico, meccanico o in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta dall’Editore. Le riproduzioni per finalità di carattere professionale, economico o commerciale, o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org. La casa editrice resta a disposizione per ogni eventuale adempimento riguardante i diritti d’autore degli apparati critici, introduzione e traduzione del testo qui riprodotto.

INDICE DEL VOLUME Introduzione Nota biografica Nota bibliografica I. STUDI PER LA FONDAZIONE DELLE SCIENZE DELLO SPIRITO 1. La connessione strutturale psichica 2. La connessione strutturale del sapere 3. La delimitazione delle scienze dello spirito II. LA COSTRUZIONE DEL MONDO STORICO NELLE SCIENZE DELLO SPIRITO 1. Delimitazione delle scienze dello spirito 2. La diversità della costruzione nelle scienze della natura e nelle scienze dello spirito (Orientamento storico) 3. Principi generali intorno alla connessione delle scienze dello spirito III. PROGETTO DI CONTINUAZIONE PER LA COSTRUZIONE DEL MONDO STORICO NELLE SCIENZE DELLO SPIRITO. ABBOZZI DI UNA CRITICA DELLA RAGIONE STORICA 1. “Erleben” espressione e comprensione 2. La conoscenza della connessione storico-universale IV. L’ESSENZA DELLA FILOSOFIA Introduzione 1. Procedimento storico per la determinazione dell’essenza della filosofia 2. L’essenza della filosofia intesa in base alla sua posizione nel mondo spirituale V. LA COSCIENZA STORICA E LE VISIONI DEL MONDO 1. Il compito 2. Fondazione storica e psicologica 3. Arte, religione e filosofia come forme della visione del mondo e della vita 4. Storia dello sviluppo delle visioni della vita e del mondo 5.

Soluzione del conflitto tra ogni forma di visione della vita e del

mondo e la coscienza storica VI. I TIPI DI VISIONE DEL MONDO E LA LORO FORMAZIONE NEI SISTEMI METAFISICI Introduzione sul conflitto tra i sistemi 1. Vita e visione del mondo 2. I tipi di visione del mondo nella religione, nella poesia e nella metafisica 3. Il naturalismo 4. L’idealismo della libertà 5. L’idealismo oggettivo Indice dei nomi Indice delle tavole

INTRODUZIONE

I. La filosofia dà i suoi frutti a tutte le età. Vi sono filosofi precoci, le cui idee fondamentali risalgono agli anni giovanili, filosofi che hanno elaborato le loro prospettive o i loro “sistemi” fin dall’inizio e che si sono limitati, in seguito, a svilupparli in forma più o meno compiuta. Vi sono invece filosofi che soltanto in età avanzata sono pervenuti a definire in modo preciso la loro impostazione teorica e a pubblicare le loro opere maggiori, quelle per le quali occupano un posto nella storia della filosofia. Alla seconda categoria appartiene senza dubbio Kant, che pubblicò la Critica della ragion pura quando aveva cinquantasette anni, e le altre due Critiche quando era più che sessantenne — per non parlare poi dei saggi più tardi, e tuttavia anch’essi importanti, scritti quando aveva passato i settanta. Dilthey rientra in questa medesima categoria. La prima, anzi l’unica opera di carattere dichiaratamente teorico da lui pubblicata in vita, l’Einleitung in die Geisteswissenschaften (o, a voler essere precisi, il primo volume di quest’opera, comprendente due dei cinque libri previsti), apparve nel 1883, quando egli compiva cinquant’anni ed era da poco approdato a Berlino, quale successore di Hermann Lotze. Ma i suoi scritti più importanti sono di parecchi anni successivi; risalgono all’ultimo periodo della sua vita, cioè al periodo tra il 1905 e il 1911, quando Dilthey aveva raggiunto il traguardo dei settant’anni e, ritiratosi dall’insegnamento, poteva ormai dedicare gran parte della propria attività alle sue ricerche (e presentarle alle adunanze dell’Accademia prussiana delle Scienze). Soltanto alcuni di questi scritti, poi, furono pubblicati durante la sua vita; la maggior parte ha visto la luce soltanto qualche decennio dopo, nell’edizione delle opere complete avviata, nel 1914, da allievi come Bernhard Grothuysen, Georg Misch e Herman Nohl (e ripresa soltanto nel secondo dopoguerra, a partire dal ’58). Che la produzione diltheyana di maggior rilievo sia quella dell’ultimo periodo, se non addirittura dell’ultimo decennio, è innegabile; eppure sarebbe fuorviante affermare che Dilthey abbia maturato la propria impostazione filosofica soltanto in tarda età. Parecchie delle idee che hanno ispirato il suo pensiero — e, in parte, anche il suo lavoro storiografico — risalgono agli anni della gioventù, e si ritrovano, sebbene enunciate in forma programmatica, nelle lettere e nel diario giovanile, che la figlia Clara pubblicò nel 1933, a oltre vent’anni dalla morte del padre (nel centenario della sua nascita). Essa stessa ricorda come, passeggiando a Grunewald, il vecchio Dilthey ebbe a dichiarare che «tutta la sua opera era propriamente soltanto una realizzazione del pensiero e dei progetti della sua gioventù». Si tratta probabilmente di

un’esagerazione, come spesso avviene nelle testimonianze autobiografiche; ma queste parole racchiudono un buon nucleo di verità. A leggere le pagine del diario o le lettere che Dilthey scrisse dal 1852 — non ancora ventenne, quindi, quando stava per recarsi a Heidelberg per iniziare gli studi universitari — al 1870, l’anno in cui, ormai professore a Kiel, diede alle stampe il primo volume di una fondamentale biografia di Schleiermacher destinata anch’essa a rimanere incompiuta, s’incontrano molte prospettive che, rielaborate, ricorrono negli scritti della maturità e ancora dell’ultimo periodo. Ciò che emerge da quegli scritti è, in primo luogo, un’atmosfera culturale in cui Dilthey rimarrà sempre immerso: l’atmosfera della cultura tedesca da Lessing all’età di Goethe. La prima delle lettere raccolte in Der junge Dilthey contiene espressioni entusiastiche nei confronti di Goethe, al quale viene attribuito il merito di essere riuscito a «conciliare l’ideale con la vita», cercando «l’ideale eterno nella vita». E uno degli autori che maggiore influenza ebbe sulla formazione di Dilthey è lo storico liberale Georg Gottfried Gervinus, allievo dell’illuminista Johann Georg Schlosser, e autore di una Geschichte der poetischen Nationalliteratur der Deutschen che presentava un quadro della storia letteraria tedesca in chiave politico-ideologica, non molto diversa da quella che qualche decennio dopo Francesco De Sanctis adotterà per esporre le vicende della letteratura italiana. L’interesse per la cultura tedesca s’incontrava con l’educazione religiosa ricevuta dal padre pastore protestante, che si proponeva di avviare il giovane Wilhelm alla carriera ecclesiastica, e con forti interessi estetici, orientati verso la musica seisettecentesca tedesca, in particolare verso la musica religiosa, ereditati dalla madre. Religione, arte, musica si presentavano, agli occhi di Dilthey, come componenti di una cultura che aveva le sue radici nel Cristianesimo riformato, e che arrivava fino all’età di Goethe, alla filosofia idealistica e alla scuola storica tedesca. Non c’era traccia, in questa visione, come non ci sarà nell’interpretazione che Dilthey ne darà nei decenni successivi, della contrapposizione polemica in virtù della quale la cultura romantica aveva cercato di liberarsi dall’eredità dell’Aufklärung. Quando nel semestre estivo del 1852 si iscrisse alla Facoltà teologica dell’Università di Heidelberg, dopo aver abbandonato l’originario proposito di dedicarsi a studi giuridici, Dilthey si trovò immerso in un ambiente accademico culturalmente conservatore, ostile all’orientamento razionalistico della scuola teologica di Tübingen che faceva capo a Ferdinand Christian Baur. I suoi maestri erano, tutto sommato — prescindendo da Karl Ullmann,

allievo di Hegel e di Schleiermacher, che cercava di realizzare una “mediazione” tra Cristianesimo e ricerca storica di carattere scientifico — figure di secondo piano, legate alle direttive della chiesa del Baden. Ma nella Facoltà filosofica egli incontrò il prediletto Gervinus, e insieme a lui un giovane libero docente di filosofia, Kuno Fischer, il quale aveva pubblicato in quello stesso anno il System der Logik und Metaphysik oder Wissenschaftslehre, che riproponeva la tesi hegeliana della stretta unità tra indagine logica e metafisica, e il primo volume (dedicato a Cartesio) di una monumentale Geschichte der neueren Philosophie. Cominciò a maturare in questo periodo, insieme all’insoddisfazione verso le posizioni della “teologia della mediazione”, l’interesse per la filosofia e per la sua storia; e molti anni più tardi Dilthey attribuirà proprio a Fischer il merito di aver esercitato su di lui un’«influenza decisiva» nell’avviarlo alla filosofia. Perciò quando, nell’estate del ’53, l’accusa di panteismo mossa a Fischer, con l’appoggio del teologo Daniel Schenkel, condusse al suo allontanamento, e anche Gervinus — malvisto proprio per il suo liberalismo — subì la medesima sorte, il giovane Dilthey decise di sottrarsi all’atmosfera soffocante di Heidelberg per completare altrove i suoi studi. E scelse Berlino, dove rimarrà, quasi senza interruzioni, fino al 1867. L’università fondata sulle rive della Sprea dai riformatori dello stato prussiano, nel pieno delle guerre napoleoniche, con il contributo di personalità come Wilhelm von Humboldt, Fichte e Schleiermacher, rispondeva a un preciso progetto di egemonia culturale; e ben presto soppiantò le università più antiche, diventando l’agognata “stazione di arrivo” dei professori tedeschi. Il governo favorì una politica di reclutamento ad ampio raggio, cosicché l’ateneo di Unter den Linden poteva offrire, per quanto riguarda il corpo docente, il meglio disponibile in tutti, o quasi, i campi del sapere. Anche nella Facoltà teologica, pur estranea al razionalismo della scuola di Tübingen, regnava un clima ben diverso dal conservatorismo di Heidelberg: una forte impronta vi aveva lasciato non tanto Hegel quanto piuttosto Schleiermacher, che vi aveva insegnato dal 1810 al ’34. Tra i docenti della facoltà Dilthey trovava in primo luogo Karl Immanuel Nitzsch, che pur senza essere stato allievo diretto di Schleiermacher si era avvicinato alla sua concezione della teologia, ed era approdato alla cattedra berlinese dopo oltre due decenni trascorsi a Bonn; e vi incontrava pure August Detlev Christian Twesten, allievo e successore di Schleiermacher, un onesto esegeta del testo biblico della cui superficialità egli non mancò di rendersi ben presto conto. Più di loro,

però, agirono sulla formazione di Dilthey altri professori dei quali poté seguire le lezioni nella Facoltà filosofica: il filologo classico August Böckh, il geografo Karl Ritter, il linguista Jacob Grimm, e soprattutto lo storico Leopold von Ranke. Berlino era infatti diventata, nel corso dei decenni precedenti, il centro della scuola storica tedesca. Dal 1810 al ’42 aveva insegnato nella Facoltà giuridica Friedrich Karl von Savigny, poi divenuto ministro per la riforma legislativa della Prussia, che nel ’14 aveva dato alle stampe il “manifesto” dello storicismo giuridico, Vom Beruf unserer Zeit für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft. Böckh vi era giunto da Heidelberg l’anno seguente; Ritter — l’autore della Erdkunde, amico di Hegel che della sua opera si era largamente avvalso nelle lezioni sulla filosofia della storia — vi era approdato nel ’20; Grimm, l’infaticabile studioso della letteratura e delle tradizioni popolari tedesche, vi era stato chiamato da Göttingen nel 1841; mentre Ranke vi insegnava dal 1837, per poi essere nominato nel ’41 da Federico Guglielmo IV storico ufficiale della Prussia. Si trattava di studiosi appartenenti a una medesima generazione, nati a fine Settecento (il più anziano, Ritter, nel ’79, il più giovane, Ranke, nel ’95), nel pieno della loro stagione produttiva: poco dopo l’arrivo di Dilthey, nel 1854, i fratelli Grimm davano alle stampe il primo volume del grande Deutsches Wörterbuch, mentre Ranke teneva il celebre corso dedicato alle Epochen der neueren Geschichte. Ma, soprattutto, li univano presupposti metodologici comuni, anche se applicati a campi di ricerca diversi, e in primo luogo la convinzione che lo studio storico costituisse la via di accesso indispensabile alla conoscenza dell’uomo e del mondo umano. Questa convinzione sarà fatta propria da Dilthey, e da molti suoi coetanei che con lui frequentarono, a metà del secolo, le lezioni dei maestri berlinesi. Nella Facoltà filosofica Dilthey incontrò anche colui che sarebbe diventato il suo maestro di filosofia, il suo Doktorvater, Friedrich Adolph Trendelenburg. Dopo la morte di Hegel, avvenuta nel 1831, la filosofia aveva attraversato a Berlino un periodo di eclissi. I suoi allievi più anziani, Georg Andreas Gabler e Leopold von Henning, non erano certamente in grado di raccoglierne l’eredità; e la spaccatura che verso la fine del decennio venne a determinarsi all’interno della scuola ebbe come conseguenza che a Berlino si concentrassero i modesti esponenti della “destra” hegeliana, mentre i pericolosi rappresentanti della “sinistra”, impegnati per lo più in una critica della religione non priva di

implicazioni politiche, vennero messi del tutto in disparte e costretti a cercare altri lidi. Il tentativo di Federico Guglielmo IV, salito al trono nel 1840, di chiamare da Monaco Schelling — divenuto il simbolo della “reazione” filosofica — si concluse con un fallimento. L’età dei grandi sistemi dell’idealismo tedesco si era ormai conclusa; e lo stesso ruolo dominante assunto dagli esponenti della scuola storica ne costituiva la prova. La filosofia si avviava a diventare storia, a trasformarsi in storia della filosofia. Così nel 1837 giungeva a Berlino Trendelenburg, il quale aveva sì frequentato le lezioni di Hegel e di Schleiermacher ma si era poi dedicato soprattutto allo studio della logica aristotelica e, più generalmente, della storia della logica. Per alcuni decenni egli divenne la figura principale della filosofia berlinese, occupando più volte la carica di decano della Facoltà filosofica e di rettore, ed entrando anche a far parte dell’Accademia delle Scienze, le cui porte erano rimaste chiuse a Hegel per la tenace opposizione di Schleiermacher e di Savigny. Quando Dilthey, pur affascinato dai maestri della scuola storica, scelse infine di dedicarsi allo studio della filosofia, Trendelenburg lo prese sotto la sua protezione. E con lui Dilthey conseguì nel 1864 dapprima il dottorato, con una dissertazione dal titolo De principiis ethices Schleiermacheri, e poi l’abilitazione con un lavoro di argomento teorico, il Versuch einer Analyse des moralischen Bewuβtseins. Quest’ultimo rifletteva il mutamento di interessi di Trendelenburg, che dalla logica si era volto allo studio del diritto naturale e del suo fondamento etico, nonché l’esigenza di fare i conti con l’impostazione dell’etica kantiana; mentre la prima esprimeva la scelta di quello che era ormai diventato, da qualche tempo, l’“autore” di Dilthey, quello a cui dedicherà anni di fatica. Così, dopo oltre un decennio di studio, al giovane Dilthey si apriva la strada dell’insegnamento universitario; e infatti nel ’67 veniva chiamato a Basilea, prima tappa di un itinerario che avrebbe poi dovuto ricondurlo, parecchi anni dopo, all’ateneo berlinese.

II. La scelta in favore della filosofia non fu, in realtà, facile. Lo dimostra il programma che ancora nel 1860 Dilthey affidava a una pagina del diario. Egli si proponeva infatti di dedicare le proprie forze da una parte alla stesura di «una storia della visione cristiana del mondo in Occidente», dall’altra alla «indagine critica dello spirito filosofico e religioso (poetico)» che ponesse in luce la genesi storica dei diversi sistemi; e ciò allo scopo di pervenire a «una nuova critica della ragion pura sulla base della nostra visione filosoficostorica del mondo». Era un programma indubbiamente ambizioso, che aveva

un’evidente finalità speculativa, ma che doveva realizzarsi sul terreno storico. E infatti per molti anni Dilthey si dedicò allo studio del Cristianesimo primitivo, dei rapporti tra fede cristiana e neoplatonismo, dello sviluppo della teologia dalla prima patristica ad Agostino, quasi a cercare un terreno d’incontro tra i suoi originari interessi storico-religiosi e la lezione di Trendelenburg storico del pensiero antico. Ben presto insorsero le difficoltà, e con esse la lamentela per le innumerevoli pagine informi che era costretto a leggere, tanto da indurlo a confessare, già nel ’58, che «ci si deve sempre consolare della noiosità dei particolari con l’interesse infinito del tutto». Con l’andare degli anni il programma gli si rivelò quello che era: un programma irrealizzabile. A spostare il campo di ricerca dalla tarda antichità a un periodo ben più vicino fu però una circostanza accidentale. Dopo la morte di Schleiermacher il genero, Ludwig Jonas, diacono nella Nicolaikirche, si era impegnato nel lavoro di edizione dell’ingente materiale inedito che il teologo berlinese aveva lasciato, in particolare del suo epistolario, e nel ’58 ne aveva pubblicato i primi due volumi. Jonas invitò Dilthey a collaborare all’impresa, e questi cominciò a occuparsi di Schleiermacher con un articolo apparso pochi mesi dopo (sotto pseudonimo) in una rivista letteraria, i «Westermanns Illustrierte Deutsche Monatshefte», e poi con un saggio rimasto inedito sull’ermeneutica schleiermacheriana, scritto nel ’60. Morto precocemente Jonas nel ’59, Dilthey ne continuò il lavoro proseguendo la pubblicazione delle lettere di Schleiermacher, con due grossi volumi apparsi nel ’61 e nel ’63, ma soprattutto dedicandosi alla stesura di una biografia condotta sulla base del materiale documentario a disposizione, il Leben Schleiermachers, il cui primo volume apparve tra il 1867 e il ’70 (il secondo volume sarà pubblicato postumo, e soltanto nel 1966). La scelta di questo nuovo tema di ricerca è significativa sotto molti aspetti. In primo luogo essa rivela la nascente predilezione di Dilthey per la biografia, cioè per un tipo d’indagine che metteva il pensiero dell’autore in rapporto con le vicende della vita e, per il tramite di queste, con l’ambiente culturale circostante. Parecchi dei saggi di questo periodo, ma anche lavori ben più complessi condotti nei decenni successivi, fino alla Jugendgeschichte Hegels del 1905, sono dedicati a singole figure studiate appunto in questa prospettiva. Ciò consentiva a Dilthey di ricondurre le formulazioni dottrinali, fossero esse filosofiche o teologiche, alla visione del mondo di un’epoca, e di analizzarle come espressione individuale di una concezione della realtà comune anche

agli altri esponenti di quell’epoca. Considerato da questo punto di vista, Schleiermacher gli appariva una figura centrale nella storia della speculazione cristiana. Nelle pagine introduttive della biografia egli scriveva infatti: «Io narro la vita dell’uomo che nella storia della religiosità europea, dopo la sua trasformazione da parte dell’Illuminismo e di colui che l’ha completato, Kant, occupa fino a questo giorno il posto più importante. In lui si compì il grande Erlebnis di una religiosità che scaturisce dalla profondità della nostra relazicne con l’universo; del tutto indipendente da ogni fede irrigidita nel dogma, nella filosofia, nelle regole morali, l’anima coglie attraverso le azioni del mondo sulla vita interiore l’invisibile connessione delle cose, e ciò soltanto è per lui religione. Egli ha lottato per conquistare un posto entro la Chiesa protestante, attraverso una lunga attività ecclesiastica e religiosa, per questo Erlebnis della sua gioventù; poiché solo in quest’ambito la religiosità poteva configurarsi come la libera opera della persona, nello sviluppo della devozione riformata». Queste frasi non contenevano soltanto un giudizio sull’importanza dell’autore; comportavano anche valutazioni di più ampia portata, in primo luogo sul terreno religioso. Dilthey prendeva posizione in favore di una religiosità personale, libera da vincoli dogmatici e istituzionali, e indicava in essa l’eredità permanente della Riforma protestante. Era questo un rifiuto esplicito dell’insegnamento teologico ricevuto a Heidelberg; ma era anche una scelta a favore di Schleiermacher contro la concezione hegeliana della religione e della sua storia, accolta invece da Baur e, in generale, dalla scuola di Tübingen. A dire il vero, il giovane Dilthey non aveva mai manifestato grande simpatia per il pensiero hegeliano, tanto da affermare, in una pagina del diario del ’59, che «la configurazione razionale del mondo si rivela come un’illusione nella natura e nella storia», e da respingere nettamente una concezione del processo storico fondata su una «dialettica la quale si compie attraverso una triade di momenti che progredisce in modo lineare». La scelta a favore di Schleiermacher non era però priva di riserve. Già alla fine degli anni Cinquanta, riferendosi all’ermeneutica schleiermacheriana, Dilthey ne sottolineava l’unilateralità. Se da un lato egli respingeva la «considerazione di un’opera come espressione di un’idea prodotta dalla dialettica universale», dall’altro criticava anche la riduzione della teologia a filologia e la prospettiva estetizzante che gli sembrava derivare, in Schleiermacher, dalla considerazione dell’oggetto storico in termini di «individualità», di un «tutto concluso nella sua peculiare composizione, nella sua peculiare forma interna». E faceva valere, nei confronti del proprio autore, l’esigenza di tener conto

della «continuità» storica, della «connessione» che emerge dalla storia del Cristianesimo come di altri processi storici. Era un’esigenza di storicizzazione della vita religiosa analoga a quella che aveva ispirato l’opera di Baur — al quale ancora più tardi attribuirà il merito di aver realizzato «la comprensione del Cristianesimo nella totalità della storia» — e degli altri esponenti della scuola di Tübingen. In questa presa di posizione, non sempre chiara, agiva l’insegnamento dei maestri della scuola storica che Dilthey aveva ascoltato pochi anni prima, e soprattutto quello di Ranke. Tra Hegel e Schleiermacher egli andava in cerca di una terza via, in grado di connettere il valore dell’individualità — sia l’individualità personale degli individui sia quella dei singoli avvenimenti — e la ricerca di connessioni più ampie, in rapporto alle quali l’individuo storico acquista il proprio significato. E la trovava appunto nella scuola storica. Ma anche qui con una riserva, o almeno con un implicito distacco dai suoi presupposti teorici e soprattutto dal suo atteggiamento di rottura nei confronti della cultura settecentesca. Non c’è traccia, in Dilthey, della nozione di “spirito del popolo” che Savigny aveva assunto come fondamento teorico della concezione del diritto e della rivendicazione della specificità delle tradizioni giuridiche nazionali; né egli condivideva la polemica contro la ricerca di leggi storiche, rintracciabili attraverso la comparazione di eventi e di processi. Fin dagli anni del ginnasio (corrispondente, com’è noto, al nostro liceo) il suo entusiasmo si rivolgeva a Lessing come a Goethe; e prima ancora di trasferirsi a Berlino aveva recepito, attraverso la mediazione di Gervinus, la lezione della scuola di Göttingen. L’erede della scuola storica si sentiva anche l’erede della storiografia settecentesca; e non a caso, molti decenni dopo, affiancherà allo studio della cultura romantica e dei rapporti di questa con l’idealismo un’aperta rivalutazione dell’Illuminismo e del suo contributo alla scoperta del mondo storico. Tutto ciò induceva Dilthey, nel corso degli anni Sessanta, ad allargare il proprio campo di ricerca. Già nel 1858 aveva pubblicato un saggio su Hamann, il “mago del Nord”, e due anni dopo un altro per il giubileo di Nitzsch; ad essi farà seguito — in un clima politico contrassegnato dal declino degli ideali nazionali-liberali dell’assemblea di Francoforte e dal crescente successo della politica di Bismarck — una serie di articoli sui «Preuβische Jahrbücher», su Schlosser, sulla Kultur der Renaissance in Italien di Jacob Burckhardt; ma soprattutto venivano alla luce i saggi dedicati ad alcuni grandi storici tedeschi come Adam Müller, Niebuhr e ancora Schlosser, o anche a storici inglesi come

Macauley e Gibbon. Per questa strada Dilthey andava elaborando il programma filosofico della maturità: quello — come scriveva in una pagina del diario del 1860 — di «comprendere l’uomo come un essere essenzialmente storico, la cui esistenza si realizza soltanto nella comunità». Cinque anni dopo questo programma si sarebbe precisato attraverso l’esclusione di qualsiasi principio metafisico come fondamento esplicativo del processo storico: un’esclusione che si rivolgeva in primo luogo, ma non solamente, contro la filosofia della storia hegeliana. «L’essenza della storia è lo stesso movimento storico, e se si vuol chiamare scopo questa essenza, esso soltanto è lo scopo della storia… Che cosa si chiama movimento storico? Il lavorare di una generazione per la successiva, il concretarsi dell’individuo in rapporti sociali ricchi di contenuto, per cui egli lavora».

III. Nel 1867, all’indomani della guerra vittoriosa contro l’Austria che segnò l’affermazione dell’egemonia prussiana nel mondo germanico, Dilthey lasciava Berlino per Basilea, chiamato alla cattedra di filosofia di quella università. E la prolusione con la quale inaugurò la propria carriera di professore gli offrì l’occasione di delineare un panorama del «movimento poetico e filosofico in Germania dal 1770 al 1800», ma nello stesso tempo di definire la propria posizione rispetto alla critica kantiana. Dilthey non si era mai occupato ex professo di Kant, anche se ne aveva intrapreso giovanissimo la lettura, entusiasmandosi per le lezioni di logica che aveva trovato nella biblioteca paterna, e se nelle pagine del diario s’incontrano frequenti riferimenti, espliciti e impliciti, al filosofo di Königsberg. Ma il richiamo a Kant rientrava adesso in un clima filosofico nuovo. La polemica antiidealistica non soltanto di Herbart e di Schopenhauer, ma anche di autori minori come Friedrich Eduard Beneke (che, fatto privare da Hegel della venia legendi, poté ritornare a insegnare a Berlino solo dopo la sua morte) o come gli storici della filosofia Karl Fortlage e Friedrich Überweg, si accompagnava a una diffusa ripresa della filosofia kantiana. E proprio nel 1860 quel Fischer che era stato il primo maestro di filosofia di Dilthey aveva pubblicato una monografia su Kant, che segnava l’inizio del “ritorno a Kant” e del movimento neocriticistico. Lo avevano seguito — muovendo da interessi e punti di vista diversi — Eduard Zeller, nella prolusione tenuta a Heidelberg nel ’62, Otto Liebmann in Kant und die Epigonen del ’65, Friedrich Albert Lange nella Geschichte des Materialismus del ’66. Il confronto con Kant s’imponeva quindi

anche a chi, come Dilthey, non era propriamente, né mai diventerà, un neokantiano. Egli aveva intrapreso questo confronto nella dissertazione di dottorato, dove aveva sì accettato la tesi del carattere incondizionato dell’imperativo etico, ma aveva al tempo stesso criticato l’antitesi tra forma e contenuto della moralità, affermando che «né la ragione pratica né la sensazione, isolate l’una dall’altra, possono costituire il fondamento della sintesi del volere». Nella prolusione di Basilea Dilthey mostrava di condividere la tesi della centralità di Kant nella filosofia tedesca (e non soltanto tedesca), propria dei sostenitori del nascente movimento neocriticistico. A Kant attribuiva il merito di aver stabilito una volta per sempre, «per tutti i tempi», «il problema fondamentale della filosofia», e di aver indicato nella fondazione critica «il compito universale della filosofia, in virtù del quale essa è scienza delle scienze, teoria della scienza, il nesso unitario delle ricerche positive particolari». Anzi, egli si spingeva fino ad affermare, facendo propria la parola d’ordine del “ritorno a Kant”, che «la filosofia deve, al di là di Hegel, Schelling e Fichte, richiamarsi a Kant». Ma a questa dichiarazione si accompagnava una riserva sostanziale. Dilthey non soltanto si rifiutava di considerare i sistemi filosofici post-kantiani «come una catena di aberrazioni», ma riteneva che lo «studio storico» consentisse di riconoscerne, al di là delle carenze della loro «giustificazione logico-metafisica», «il significato universale». Il riconoscimento dell’importanza della filosofia successiva a Kant passava quindi, per Dilthey, attraverso la loro storicizzazione: il che voleva dire che occorreva metterla in rapporto con il movimento della cultura tedesca tra Sette e Ottocento, un movimento non soltanto filosofico ma anche letterario (e religioso), al cui sviluppo avevano dato il loro contributo tre diverse generazioni. In questa prospettiva i sistemi filosofici post-kantiani erano presentati come la realizzazione, sul piano logico e metafisico, di una concezione del mondo elaborata da Lessing, Schiller e soprattutto Goethe. Perciò Dilthey definiva il compito attuale della filosofia nel «proseguire il cammino critico di Kant, nel fondare una scienza empirica dello spirito umano in cooperazione con gli studiosi di altri campi», allo scopo di approdare alla conoscenza delle leggi «che governano i fenomeni sociali, intellettuali, morali»; ma lo faceva in esplicita continuità con il movimento della cultura tedesca. La stessa efficacia pratica della filosofia veniva così condizionata dalla sua capacità di «dischiudere l’interiorità dell’uomo», conosciuta nella sua connessione.

Questa indicazione presentava due aspetti. Per un verso, essa segnava l’abbandono del programma giovanile di una storia della visione cristiana del mondo e la sua sostituzione con un programma più limitato, indirizzato all’analisi della storia dello spirito tedesco tra Illuminismo, romanticismo e idealismo post-kantiano. Per l’altro verso, essa rappresentava il tentativo di connettere, o di conciliare, due termini difficilmente compatibili: la critica kantiana e la concezione romantica della natura, orientata in senso più o meno dichiaratamente panteistico. Dilthey poteva così assumere la filosofia critica come termine di riferimento del proprio lavoro teorico, pur senza accogliere i presupposti a cui Kant l’aveva ancorata, e far valere, in particolare, la necessità del rapporto tra la filosofia e le scienze. Ma proprio quest’ultima affermazione chiamava in causa un altro orientamento filosofico estraneo, come origine, alla tradizione culturale tedesca, ma che si affacciava ormai sulla sua scena filosofica: il positivismo. Le opere principali che ne avevano esposto i princìpi erano abbastanza recenti, e risalivano agli anni della fanciullezza, al massimo della giovinezza, di Dilthey. Comte aveva pubblicato il Cours de philosophie positive tra il 1830 e il ’42; e la produzione filosofica di Spencer era cominciata all’inizio del decennio successivo, che si era concluso, nel ’59, con l’Origin of Species di Darwin. Se in Germania le teorie sociologiche di Comte non avevano avuto molto successo, anche perché si scontravano con una ben consolidata tradizione di studio storico delle istituzioni e dei processi sociali, le dottrine evoluzionistiche si andavano invece diffondendo largamente tra gli scienziati. E sul terreno del positivismo si sviluppava in quei decenni soprattutto la psicologia scientifica, cioè una psicologia orientata verso la ricerca delle “leggi” del pensiero e, più in generale, delle connessioni tra fenomeni psichici e fenomeni fisiologici. Già nel 1860-61 Theodor Fechner aveva pubblicato i Grundzüge der Psychophysik, dove veniva avanzata l’ipotesi di un costante “parallelismo” tra i due ordini di fenomeni, che però non doveva comportare alcuna riduzione dello studio della coscienza ai processi corporei. Su questa strada si era mosso anche un fisiologo come Hermann von Helmholtz, nell’analisi sia delle sensazioni visive che di quelle uditive, riconoscendo il carattere peculiare dell’attività della coscienza nei confronti degli stimoli che le provengono dal mondo circostante; e si muoverà ancora Wilhelm Wundt, l’iniziatore di una psicologia di carattere sperimentale, nei Grundzüge der physiologischen Psychologie del 1873-74. Altri, però, riprendendo la teoria darwiniana, si orientavano verso una versione materialistica del positivismo: così l’anatomista e biologo Ernst

Haeckel, autore nel ’68 di una Natürliche Schöpfungsgeschichte che ebbe larga risonanza, in cui si tentava di combinare Lamarck e Darwin con la filosofia della natura di Goethe, e il filosofo Eugen Dühring, che già nel 1865 aveva pubblicato la Natürliche Dialektik che sarà oggetto della critica di Friedrich Engels. Nei confronti del positivismo materialistico Dilthey assumeva un atteggiamento di netto rifiuto. Ma anche la teoria del “parallelismo psicofisico” e il progetto wundtiano di una psicologia come ricerca sperimentale non riscuotevano affatto la sua simpatia. L’esigenza di una «scienza empirica dei fenomeni spirituali», che compare nella prolusione di Basilea, era ben lungi dal significare un richiamo alla tradizione dell’empirismo, anche se più tardi, nel Leben Schleiermachers, egli non mancherà di avvertire il pericolo di un «isolamento» del pensiero filosofico tedesco nei confronti «di questo movimento anglo-francese». Più complesso era l’atteggiamento nei confronti del System of Logic di John Stuart Mill, un’opera che — pubblicata nel 1843 — aveva avuto larga risonanza anche in Germania, e di cui Dilthey riconosceva pienamente l’importanza. Ma il riconoscimento non impediva la contrapposizione. Già nel ’67 quello di Mill gli sembrava un «empirismo dogmatico pieno di pregiudizi», a causa della «mancanza di formazione storica», e contro di esso Dilthey non esitava ad affermare che un procedimento realmente empirico poteva nascere soltanto sul terreno della filosofia tedesca. Qualche anno più tardi, nel 1875, egli rimprovererà a Mill, ma anche allo stesso Helmholtz, «la rinuncia della scienza alla conoscenza del trascendente», alla quale contrapporrà il bisogno di un «approfondimento nella realtà sottratto alla lotta con il trascendente». Empirismo e positivismo si presentavano infatti, agli occhi di Dilthey, come momenti di una medesima tradizione, alternativa a quella della cultura tedesca — di una tradizione più fedele alle proprie radici gnoseologiche in Inghilterra, più incline al materialismo in Francia. Il richiamo a Kant, e il provvisorio accostamento al nascente movimento neocriticistico che si può cogliere nella prolusione di Basilea, si collegano strettamente alla presa di posizione critica nei confronti del positivismo. E questa aveva la sua motivazione nel riduzionismo che a Dilthey sembrava inficiare la stessa logica milliana, con la proposta di un procedimento comune, nella sua struttura metodologica, a tutte le scienze. Ciò che egli intendeva rivendicare era infatti la peculiarità delle discipline sorte sul tronco della scuola storica — e, prima di

essa, già nel Settecento tedesco — rispetto alle moral sciences di Mill, e quindi la necessità di una critica diversa, ma parallela, a quella kantiana. Come i fatti della coscienza (e i processi storici, intessuti di vita spirituale) sono irriducibili alla realtà naturale, così le discipline che ad essi si riferiscono sono irriducibili al modello metodologico delle scienze della natura, a cui guardavano invece gli esponenti del positivismo. Ma questo era stato anche il modello di scienza al quale Kant si era riferito nella Critica della ragion pura, in particolare nella “Analitica trascendentale”: occorreva quindi per un verso ampliare l’orizzonte dell’indagine critica, per l’altro verso impostarla su una base differente, più rispondente al nuovo compito che il riconoscimento della peculiarità delle scienze dello spirito imponeva. Parecchi anni intercorrono tra la prolusione di Basilea e il saggio Über das Studium der Geschichte der Wissenschaften vom Menschen, der Gesellschaft und dem Staat, pubblicato nel 1875, in cui questo programma trova la sua prima formulazione. Comte e Mill diventano qui per Dilthey obiettivi polemici espliciti. Di Comte egli criticava lo schema di sviluppo delle scienze formulato nel Cours de philosophie positive, che dall’astronomia metteva capo alla nuova scienza della società, alla sociologia; o più precisamente criticava la sua estensione alle «scienze dell’uomo, della società e della storia» che Comte aveva risolto in una scienza onnicomprensiva dei fenomeni sociali, negando al tempo stesso validità conoscitiva alla psicologia. Dilthey non nega infatti che quello schema possa valere per le scienze della natura, né contesta il rapporto di dipendenza logica che Comte aveva posto a base della loro successione storica: egli rifiuta la sua applicabilità a un diverso ambito scientifico. E su questa base egli perveniva ad affermare l’eterogeneità della «costituzione logica» dei due gruppi di discipline, e di conseguenza anche del loro sviluppo: nelle «scienze dell’uomo, della società e della storia» non si ha quel processo di trasmissione ininterrotta dei risultati acquisiti che è proprio delle scienze della natura, ma si ha piuttosto un processo che comporta la possibilità della perdita e della riconquista, in epoche successive, delle verità da esse scoperte. Più radicale è la critica rivolta a Mill, il quale «riconosce pienamente l’autonomia dei fondamenti esplicativi delle scienze dello spirito, ma subordina troppo i loro metodi allo schema che ha tratto dallo studio delle scienze della natura». Dilthey respingeva infatti il tentativo di «adattamento» dei metodi delle scienze della natura all’ambito delle scienze dello spirito, riprendendo dalla scuola storica tedesca — significativo è soprattutto il

riferimento a Wilhelm Roscher, il fondatore della scuola storica di economia — una concezione “globale” della società, refrattaria alla pretesa di una «deduzione psicologica» dei suoi diversi aspetti. Anzi, egli sottolineava l’impossibilità di disgiungere l’analisi della società e dello stato dalla considerazione degli individui, e la correlazione che sussiste tra le modalità di relazione tra di questi e i sistemi che costituiscono la società. La conclusione di Dilthey era perciò che le «unità» della vita sociale, alle quali questi sistemi possono venir ricondotti, «sono individui, totalità psico-fisiche, di cui ognuno è differente da ogni altro, di cui ognuno costituisce un mondo». Da questo rapporto, e non da una presunta analogia con i fenomeni naturali, occorre partire per determinare la struttura metodologica delle scienze dello spirito. Si profilava in tal modo una distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito fondata sulla diversità del loro oggetto. Contro la negazione comtiana della validità dell’introspezione Dilthey non soltanto rivendicava la possibilità di «riprodurre in noi, fino a un certo punto, nella rappresentazione» i fenomeni sociali, «sulla base della percezione interna», ma affermava che «questo nostro mondo è la società, non la natura». La differenza tra i due gruppi di discipline veniva così riconcotta, in ultima analisi, all’appartenenza dell’uomo al mondo storico-sociale, e alla sua estraneità alla natura: un’impostazione che assumerà un rilievo centrale nel primo libro della Einleitung in die Geisteswissenschaften.

IV. Nel 1882 Dilthey faceva ritorno a Berlino, dopo essersi trasferito da Basilea a Kiel e poi a Breslavia, dove aveva stretto amicizia con l’erede di una grande famiglia della nobiltà tedesca, il conte Paul Yorck von Wartenburg, con il quale intratterrà un intenso scambio epistolare (pubblicato nel 1923). Dieci anni prima la successione del suo maestro Trendelenburg era andata a uno storico della filosofia antica, Zeller, che era stato anche uno dei protagonisti del “ritorno a Kant”. Nel 1880 Zeller aveva chiamato accanto a sé Hermann Lotze, l’autore del Mikrokosmos, per lunghi anni professore a Göttingen, sulla cattedra che era stata di Herbart. Ma l’anno dopo Lotze inaspettatamente moriva, spianando la strada per il ritorno di Dilthey all’università in cui si era formato, e dove insegnerà per oltre due decenni, fino al 1906. E nell’87 Dilthey entrerà anche a far parte dell’Accademia prussiana delle Scienze, di cui diventerà uno dei membri più influenti e le cui “memorie” ospiteranno molti dei suoi saggi più importanti. Nel 1883 Dilthey pubblicava il primo volume dell’Einleitung in die

Geisteswissenschaften. Lo aveva scritto in breve tempo — sospinto anche da motivi accademici, in vista della chiamata a Berlino — interrompendo il lavoro in vista del secondo volume del Leben Schleiermachers. Già nel corso degli anni Settanta Dilthey appare impegnato nel definire la propria posizione in riferimento da un lato alla scuola storica tedesca, dall’altro a Kant e al movimento neocriticistico: lo comprova l’ampio materiale pubblicato postumo, nel 1977, nel volume XIX delle Gesammelte Schriften. Sempre più chiaro si delineava, in quel periodo, il compito di una critica della “ragione storica”, vale a dire di un’indagine rivolta a mostrare la validità oggettiva di quelle che ormai, con una designazione riassuntiva, egli chiamava le scienze dello spirito. Nella prefazione al volume Dilthey dichiarava infatti che il suo voleva essere un tentativo di «giustificare filosoficamente il principio della scuola storica e il lavoro delle scienze particolari da essa oggi determinate in tutta la loro estensione». E ciò lo conduceva a riferirsi a Kant, ma anche a prendere le distanze dal modo in cui questi aveva costruito il soggetto conoscente, riducendolo, al pari di quanto avevano fatto Locke e Hume, a una ragione intesa come «pura attività di pensiero». Nella Critica della ragion pura Kant aveva offerto una fondazione delle scienze della natura, sul modello della fisica newtoniana; non aveva però preso in considerazione — né avrebbe potuto farlo, dato che esse si erano sviluppate successivamente — l’universo conoscitivo delle scienze storico-sociali. Da ciò la necessità di una nuova critica, in qualche misura complementare e parallela a quella kantiana, ma anche impostata su altra base. L’estensione dell’indagine critica a un nuovo ambito scientifico richiede, per necessità di cose, un diverso tipo di fondazione; richiede soprattutto il riferimento non più a una ragione “pura”, bensì all’«uomo intero» come «essere che vuole, che sente, che rappresenta». Su questo sfondo l’Einleitung in die Geisteswissenschaften si muoveva in tre direzioni diverse. Il primo passo da compiere era, evidentemente, quello di mostrare l’irriducibilità delle scienze dello spirito alle scienze della natura, cioè di determinare le caratteristiche dalle quali discende la loro autonomia. Il secondo era quello di fornire una mappa, per quanto sommaria, di questo gruppo di discipline e dei loro rapporti: una specie di “enciclopedia” delle scienze dello spirito, sulla traccia dei tentativi già compiuti dalla scuola storica tedesca. Il terzo passo, decisivo, era quello della “fondazione” vera e propria, di una fondazione svincolata dai presupposti kantiani ma altrettanto capace di garantire la validità oggettiva delle scienze dello spirito: un passo al quale

avrebbero dovuto essere dedicati gli ultimi due libri dell’opera, ma le cui premesse erano già presenti nel volume dell’83. A queste tre direzioni di analisi si accompagnava, nel secondo libro dell’opera, la determinazione del processo che ha condotto alla nascita delle scienze dello spirito, attraverso un progressivo distacco dal tronco della metafisica, anzi attraverso l’«emancipazione» da essa — comune, questa sì, anche alle scienze della natura. La dimostrazione dell’autonomia delle scienze dello spirito riprendeva la conclusione accennata nel saggio del ’75. L’uomo è irriducibile alla natura; pur essendone condizionato, trova nella propria autocoscienza «una sovranità del volere, una responsabilità delle sue azioni, una capacità di sottoporre tutto al pensiero e di opporsi a tutto nella libertà della sua persona, mediante cui si distingue da tutta la natura»: in altri termini, coglie se stesso come imperium in imperio — secondo l’espressione spinoziana — e acquista coscienza della libertà costitutiva del suo essere. Il riconoscimento dell’autonomia delle scienze dello spirito rimandava così a una differenza tra processi «interni» e processi «esterni» di cui l’uomo diventa consapevole «nella profondità e totalità dell’autocoscienza umana». E infatti Dilthey faceva qui ricorso a una nozione prima non tematizzata, alla nozione di Erlebnis, dell’«esperienza vissuta» (così il termine viene di solito tradotto, in mancanza di un preciso equivalente italiano) nella sua immediatezza. A differenza dalle scienze della natura, le scienze dello spirito si riferiscono a un ambito di esperienza «che ha la sua origine autonoma e il suo materiale nell’Erlebnis interiore». La distinzione tra i due gruppi di discipline veniva a configurarsi quindi come una distinzione su base oggettiva, fondata sul diverso rapporto tra il soggetto conoscente e il suo oggetto. A questo primo criterio distintivo ne corrispondeva un altro, di carattere più propriamente gnoseologico. Dilthey non soltanto distingueva tra esperienza (Erfahrung) ed Erlebnis, ma si richiamava pure alla distinzione lockiana tra sensazione e riflessione. Non già che egli negasse la possibilità di rapporti tra i due ordini di processi, quelli esterni e quelli interni, e quindi tra le conoscenze prodotte rispettivamente dalle scienze della natura e dalle scienze dello spirito; al contrario, egli riconosceva che molti aspetti dell’attività umana sono condizionati da processi naturali, e che le scienze dello spirito non possono prescindere dai risultati delle scienze della natura. Ma ciò non poteva metterne in questione, a suo parere, la specificità, la

diversa struttura metodologica. Questa specificità trovava un’espressione emblematica nell’antitesi tra spiegazione e comprensione, come procedimenti peculiari rispettivamente delle scienze della natura e delle scienze dello spirito. «I fatti della società ci sono comprensibili dall’interno, possiamo riprodurli fino a un certo punto in noi, sulla base dell’osservazione dei nostri propri stati … Invece la natura è per noi muta … La natura ci è estranea. Infatti essa è per noi soltanto qualcosa di esterno, non già di interno. La società è il nostro mondo. Noi viviamo in essa il gioco delle azioni reciproche, in tutta la forza del nostro intero essere, poiché percepiamo in noi stessi dall’interno, con un vivente tumulto, gli stati e le forze su cui si costruisce il suo sistema». Le scienze della natura hanno come scopo la spiegazione dei processi colti nella rappresentazione; e per spiegazione Dilthey — non diversamente da Kant e anche dal positivismo — intende la spiegazione causale, la determinazione dei rapporti tra cause ed effetti empiricamente accertati, che possono essere enunciati in forma di leggi necessarie. Le scienze dello spirito non spiegano, ma “comprendono”: il loro procedimento peculiare è appunto il Verstehen, la comprensione. Non si trattava, in realtà, di una tesi nuova, e neppure di un nuovo concetto. Già vari anni prima, nel Grundriss der Historik pubblicato nel 1858, se ne era avvalso Johann Gustav Droysen, lo storico dell’Ellenismo e poi della politica prussiana, per caratterizzare il metodo della ricerca storica. Egli aveva collegato la distinzione tra natura e storia a quella delle forme kantiane dello spazio e del tempo, affermando la peculiarità della dimensione temporale, cioè della successione, nella storia intesa come il mondo etico proprio dell’uomo. Su questa base Droysen aveva definito il metodo della ricerca storica come un «comprendere indagando», come una comprensione che dev’essere disciplinata dall’impiego dell’euristica, della critica e dell’interpretazione. Anche per lui l’atto della comprensione consisteva in una «intuizione immediata», nell’immergersi di un’anima in un’altra anima, che consente di cogliere l’interiorità altrui. Per quanto nell’Einleitung in die Geisteswissenschaften Droysen non sia mai menzionato — il che è piuttosto sorprendente — non c’è dubbio che Dilthey conoscesse il Grundriss der Historik, non fosse altro per il fatto che proprio l’anno prima ne era apparsa la terza edizione. Meno interessato alla metodica storica, e più in generale a quella dimensione della “ricerca” che tanto stava a cuore a Droysen, egli ne condivideva però il ricorso alla comprensione come concetto-chiave per

definire il compito della storiografia, e lo trasferiva all’insieme delle scienze dello spirito. Su un punto, però, Dilthey si differenziava dalla prospettiva dello storico dell’Ellenismo. Le scienze dello spirito non sono riducibili alla determinazione dei fenomeni nella loro individualità; in esse la ricerca individualizzante coesiste con la ricerca di uniformità, se non addirittura di “leggi”. La storiografia fa parte dell’edificio delle scienze dello spirito, ma non lo esaurisce: questo era stato, del resto, un postulato della scuola storica tedesca, che si era proposta di stabilire analogie e correlazioni tra lo sviluppo dei diversi popoli e dei vari campi della società. I compiti delle scienze dello spirito sono non soltanto quello di «cogliere ciò che vi è di singolare, di individuale nella realtà storico-sociale», ma anche quello di «conoscere le uniformità operanti nella sua formazione» e quello di «stabilire fini e regole della sua ulteriore configurazione». A questi tre compiti corrispondono, per Dilthey, tre diversi tipi o «classi» di enunciati. I primi «esprimono un reale che è dato nella percezione» e «contengono l’elemento storico della conoscenza»; i secondi «sviluppano il comportamento uniforme dei contenuti parziali di questa realtà, separati in virtù dell’astrazione» e «costituiscono il suo elemento teorico»; gli ultimi «esprimono giudizi di valore e regole», e ne rappresentano quindi l’«elemento pratico». Non soltanto, quindi, le scienze dello spirito non sono puramente descrittive, ma in esse rientrano, al pari della storiografia, le scienze «sistematiche» orientate alla ricerca di uniformità. Proprio questa compresenza era il punto di avvio per delineare una “enciclopedia” delle scienze dello spirito. Il criterio di cui Dilthey si avvaleva era duplice: da una parte il criterio oggettivo costituito dalla distinzione tra l’individuo e i sistemi della vita sociale, dall’altra un criterio più propriamente metodologico, rappresentato dalla distinzione tra ricerca individualizzante e ricerca di uniformità. Che la società si costruisca sulla base delle «unità di vita», cioè degli individui nella loro esistenza psicofisica, era una tesi già avanzata — come si è visto — nel saggio del ’75; e Dilthey la riprendeva qui quasi con le medesime parole, per poi definire l’individuo come il Grundkörper, l’elemento fondamentale, della storia, e quindi come «punto di incrocio di una pluralità di sistemi che si specializzano sempre più nel corso del progredire della civiltà». Ma essa gli serviva ora non tanto per respingere la pretesa di ricondurre la vita sociale a un qualche principio sovraindividuale, come lo “spirito” hegeliano o anche lo “spirito del popolo” della scuola storica, quanto per distinguere le discipline che si occupano

dell’individuo da quelle che hanno per oggetto i sistemi che nascono dalla loro cooperazione. Dilthey poteva così indicare da un lato nella biografia la disciplina che studia l’individuo, anzi un individuo, nella sua singolarità, dall’altro nella psicologia (e nell’antropologia) le scienze sistematiche delle «unità di vita psico-fisiche». Più complessa era invece la distinzione a livello di formazioni sociali. Se la ricerca individualizzante veniva a coincidere, ovviamente, con la storiografia, le scienze sistematiche dello spirito erano distinte in base alla diversità di struttura riscontrabile nei sistemi. Da una parte vi sono infatti i sistemi di cultura — religione, arte, filosofia, scienza — che nascono da una concordanza di scopi in una molteplicità di individui, e la partecipazione ai quali ha una base volontaria; dall’altra vi sono invece quelli che Dilthey chiama i «sistemi di organizzazione esterna della società» — famiglia, istituzioni sociali di vario genere, la chiesa e soprattutto lo stato — che consistono in rapporti di dominio e di subordinazione e che presentano sempre un elemento coercitivo. In mezzo ad essi si colloca il diritto, che partecipa alle caratteristiche di entrambi i tipi di sistemi. In questa maniera Dilthey riportava a un quadro complessivo le discipline sviluppate dalla scuola storica, cercando di definirne le relazioni reciproche. Non si trattava però soltanto di uno sforzo di sistemazione. La determinazione dell’“enciclopedia” delle scienze dello spirito si accompagnava con l’affermazione della loro inevitabile particolarità: sorta in virtù dell’«isolamento» di un aspetto particolare dell’ambito dei fenomeni spirituali, «ogni scienza particolare dello spirito conosce la realtà storico-sociale solo relativamente, in quanto ha coscienza della propria relazione con le altre scienze dello spirito». La pretesa di coglierla nella sua totalità — una pretesa comune alla filosofia della storia come alla sociologia nella sua versione comtiana — è una pretesa insostenibile; né l’una né l’altra sono vere scienze, e il compito che si propongono è insolubile. Hegel (ma, prima ancora di lui, la teologia cristiana della storia a partire da Agostino) e Comte venivano così accomunati in un medesimo rifiuto. A base dell’edificio delle scienze dello spirito c’è dunque un’analisi delle diverse dimensioni e dei diversi aspetti della realtà storico-sociale che ne costituisce l’oggetto complessivo. Indagine critica e analisi della struttura del mondo umano venivano, in sostanza, a coincidere. Kant aveva derivato i princìpi dell’intelletto dalla tavola delle categorie, concepite come i modi di organizzazione del dato empirico propri dell’intelletto conoscente; per Dilthey, invece, le categorie di cui si servono le scienze dello spirito non sono date a

priori, ma dipendono dal loro stesso oggetto. Non vi sono quindi strutture conoscitive applicabili a tutti gli oggetti, che costituiscano la forma permanente della conoscenza. Ma, una volta abbandonato l’originario piano trascendentale dell’indagine critica, anche il progetto di fondazione delle scienze dello spirito si presentava più arduo. E a Dilthey non rimaneva altro che rimandare al completamento futuro dell’opera. Ma questo non si diede mai, nonostante i ripetuti tentativi documentati dalla pubblicazione postuma dei suoi manoscritti. In seguito Dilthey passerà a interessarsi di poetica, di estetica, di etica, di pedagogia; e quando ritornerà ai temi affrontati nell’Einleitung in die Geisteswissenschaften cercherà altre strade, che dalla proposta di una fondazione psicologica lo condurranno infine all’analisi del processo di “costruzione del mondo storico”.

V. Per parecchi anni, dopo il 1883, Dilthey s’impegnò nella stesura del secondo volume dell’Einleitung in die Geisteswissenschaften. Del resto, già prima egli aveva accumulato molto materiale che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto servirgli a tale scopo: ne è documento la cosiddetta Breslauer Ausarbeitung, un manoscritto che risale all’ultimo periodo dell’insegnamento a Breslavia. Esso mostra il crescente distacco di Dilthey dal movimento neocriticistico e dallo stesso Kant. Quelle di Kant gli apparivano infatti «aperte astrazioni», incapaci di cogliere la realtà del contenuto della coscienza. La sua critica si rivolgeva soprattutto contro la «separazione delle facoltà dell’anima» che sta a base della divisione fra le tre “critiche”, e contro la tesi dell’apriorità delle categorie. Nei confronti della prima egli faceva valere la fondamentale unità della coscienza, l’inseparabilità del processo conoscitivo dal sentire e dal volere dell’uomo; e al neocriticismo rimproverava di trascurare, a vantaggio della teoria della conoscenza, «l’unica realtà del sistema kantiano, la descrizione della volontà». Contro la seconda egli non esitava ad affermare che l’elemento a priori della conoscenza, postulato da Kant, è «rigido e morto», mentre «le condizioni reali della coscienza… sono un processo storico vivente, costituiscono uno sviluppo, hanno la loro storia, e il corso di questa storia è un adattamento alla molteplicità delle esperienze, conosciuta induttivamente in maniera sempre più precisa». Non si trattava più soltanto di porre in luce, come nel primo libro dell’Einleitung in die Geisteswissenschaften, la limitazione della critica kantiana alle scienze della natura; Dilthey ne metteva qui in questione, in termini ben più espliciti,

l’impianto stesso. Il risultato era una diversa concezione della filosofia, intesa non già come teoria della conoscenza — secondo l’orientamento prevalente nel neocriticismo — ma come «auto-riflessione», cioè come «analisi dell’intero contenuto e della connessione dei fatti della coscienza». «Autoriflessione, in antitesi alla teoria della conoscenza»: tale diventava il programma filosofico di Dilthey, destinato a sfociare, attraverso l’identificazione tra la coscienza e la vita, in una «filosofia della vita». La realizzazione di questo programma fu però molto laboriosa. Nel 1893, a dieci anni dalla pubblicazione del primo volume dell’Einleitung in die Geisteswissenschaften, Dilthey rielaborava il piano del secondo, che avrebbe dovuto ora comprendere non più tre ma quattro libri. Il terzo libro, di carattere storico al pari di quello che lo precedeva, doveva prendere in esame «lo stadio delle scienze empiriche e della teoria della conoscenza», con particolare riguardo al problema delle scienze dello spirito; il quarto doveva essere dedicato alla «fondazione della conoscenza» in generale; il quinto doveva riguardare «il pensiero, le sue leggi e le sue forme», nonché «la sua relazione con la realtà»; il sesto, infine, doveva riferirsi più specificamente alla «conoscenza della realtà spirituale» e «alla connessione delle scienze dello spirito». Ma anche in questa nuova versione (e nonostante che Dilthey vi dedicasse gran parte dei corsi berlinesi) il programma non si realizzò; di esso sono sopravvissuti abbozzi, ripensamenti, trattazioni parziali, a testimonianza di uno sforzo ininterrotto ma incapace di mettere capo a un risultato conclusivo. All’inizio degli anni Novanta, dopo un lungo periodo di gestazione, Dilthey prese a utilizzare in altra forma il materiale accumulato, quasi a riconoscere il fallimento del progetto originario. Se il contenuto del terzo libro fu in gran parte trasferito nei saggi storici su Auffassung und Analyse des Menschen im 15. und 16. Jahrhundert e Das natürliche System der Geisteswissenschaften im 17. Jahrhundert, quello dei libri successivi costituì la base di una serie di saggi a cui è consegnato il pensiero diltheyano degli anni Novanta. Il distacco dal neocriticismo comportava delle difficoltà, connesse soprattutto all’accettazione, da parte di Dilthey, del principio di “fenomenicità”, ossia dell’assunto che il nostro conoscere ha come oggetto soltanto fenomeni, e non le cose in sé. Si trattava di un problema implicito nella teoria della conoscenza di Kant, ripreso, e reso esplicito, dall’idealismo post-kantiano e poi ancora da Schopenhauer. Se l’oggetto del conoscere

sottostà alle condizioni della coscienza, come possiamo essere certi — così esso veniva riformulato da Dilthey — della realtà del mondo esterno? e come sorge la nostra fede in questa realtà? Convinto dell’impossibilità di una risposta soddisfacente sul terreno gnoseologico Dilthey cercava un’altra strada, e la trovava nell’analisi non della conoscenza ma della volontà. Egli partiva dalla constatazione, di stampo tipicamente kantiano, che «tutto ciò che esiste per me sta sotto la condizione più generale di essere un fatto della mia coscienza» e che «l’oggetto, la cosa, esiste solo per una coscienza e in una coscienza». Sul terreno conoscitivo è quindi impossibile andare al di là della coscienza; ma l’esperienza del volere ci rende consapevoli del fatto che il nostro impulso incontra una resistenza, e che questa proviene dal di fuori. In questa maniera sorge la consapevolezza, anzi la certezza, della realtà del mondo esterno, e della presenza in esso di altri individui strutturalmente analoghi al soggetto conoscente. Una tale analisi rimandava però a una teoria della coscienza in generale, che doveva essere offerta dalla psicologia. A questa disciplina Dilthey aveva dedicato una lunga serie di corsi, fino a quando la chiamata di Carl Stumpf a Berlino nel ’94 non gli consentirà di lasciare al più giovane collega il compito di insegnarla. All’impostazione espositiva dei primi corsi egli aveva gradualmente sostituito un atteggiamento critico non tanto nei confronti della psicologia sperimentale, quanto piuttosto verso la riduzione della vita psichica a una serie di elementi, cioè verso la teoria associazionistica. Soprattutto nelle lezioni tenute a Berlino egli aveva posto l’accento sulla necessità per un verso di considerare le funzioni del rappresentare, del sentire e del volere non già come funzioni separate ma come «differenze ultime … nell’atteggiamento dell’anima», per l’altro verso di concepire la sensazione «non come un elemento sussistente di per sé» ma come «contenuto parziale di una percezione complessiva». Quella che Dilthey si proponeva era una psicologia in grado di abbracciare la vita psichica nella sua totalità, che muovesse da questa per analizzarla nei suoi molteplici aspetti; era, in altri termini, una psicologia puramente descrittiva. In questa direzione si era già mosso Franz Brentano dopo la pubblicazione, nel 1874, della Psychologie vom empirischen Standpunkt, un’opera che Dilthey aveva letto con attenzione e che egli menziona già nelle lezioni di Breslavia. Per Brentano, però, la descrizione doveva porre in luce il carattere intenzionale della coscienza, il suo riferirsi a un oggetto che si pone al di là della coscienza stessa; ed egli aveva proceduto a una classificazione dei fenomeni psichici che aveva la sua base nella diversa

modalità della relazione di intenzionalità. Per Dilthey la coscienza rappresentava invece una realtà unitaria, non suscettibile di esser divisa in “parti”, ma anche una realtà intrascendibile. E nel saggio Erfahren und Denken, apparso nel 1892, egli affermava infatti l’impossibilità per la conoscenza di risalire al di là della vita, qual è data nella coscienza e nelle connessioni che la costituiscono. Il testo centrale degli anni Novanta è rappresentato dalle Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie del 1894, che riprendono il problema della fondazione delle scienze dello spirito proponendone una fondazione psicologica. Già nelle lezioni berlinesi del 1885-86 Dilthey aveva attribuito alla psicologia «il compito di costituire il fondamento delle scienze particolari dello spirito», e l’aveva giustificato in base all’analogia tra gli atomi e gli individui, «gli atomi della vita, della società» — un’analogia che trovava però il suo limite non soltanto nel fatto che questi non sono «una semplice ipotesi», bensì «ci sono dati nell’esperienza», ma soprattutto nella loro singolarità, che fa di ogni individuo «un valore per sé, non eguale ad alcun altro». Perché la psicologia potesse assolvere un compito del genere occorreva prendere le mosse da una descrizione della vita psichica; ma la psicologia che Dilthey si trovava di fronte gli sembrava inadeguata allo scopo. Occorreva una disciplina non pregiudicata da presupposti naturalistici, che non pretendesse cioè di «spiegare la costituzione del mondo psichico in base ai suoi elementi, alle sue forze e alle sue leggi, precisamente come la fisica e la chimica spiegano quella del mondo corporeo». La critica del riduzionismo positivistico si traduceva qui nel rifiuto della teoria associazionistica, di una psicologia orientata a “spiegare” i fenomeni della coscienza in base alla combinazione di elementi semplici, e quindi attraverso un procedimento “costruttivo”. L’insistenza sul carattere descrittivo della psicologia esprimeva la necessità di partire dalla totalità della vita psichica, non già dai suoi singoli elementi, “scomponendola” nelle sue diverse funzioni e nei suoi campi di attività. Da ciò la contrapposizione di una psicologia «descrittiva e analitica» (o, letteralmente, «scompositiva») alla psicologia «esplicativa e costruttiva». Se il rifiuto della spiegazione, anzi della spiegazione causale, riflette il più generale rifiuto del modello metodologico delle scienze della natura, la critica al procedimento costruttivo esprime l’esigenza di muovere da una considerazione complessiva della coscienza, dalla determinazione della sua struttura.

L’accesso a questa struttura è offerta, secondo Dilthey, dall’Erlebnis, dall’esperienza immediata che l’individuo ha di sé e dei propri stati nel loro mutamento e nel loro permanente riferimento all’io. Per questa via l’individuo si riconosce come «unità vivente», in rapporto con l’ambiente nel quale vive, che agisce su di lui e sul quale egli reagisce. La correlazione tra l’io e il mondo oggettivo è quindi la dimensione fondamentale della vita psichica, la sua prima determinazione strutturale. Ad essa se ne accompagna una seconda, costituita dalla compresenza, in ogni suo stato, di un contenuto rappresentativo, di una componente affettiva e di un impulso volitivo. Dilthey sostituiva la distinzione, di origine kantiana, fra tre distinte facoltà dell’uomo in una distinzione tra aspetti inseparabili della coscienza. Ciò gli consentiva di caratterizzare ogni stato psichico in termini di prevalenza di uno di questi tre aspetti, e di considerare la conoscenza, il sentimento e la volontà come “campi” della vita psichica tra loro distinti, ma anche in rapporto reciproco. L’ultima determinazione della vita psichica veniva così individuata nel rapporto delle parti al tutto, vale a dire nel suo carattere di «connessione di scopo». Essa è infatti non soltanto una «connessione strutturale» ma anche, al tempo stesso, una «connessione di scopo». Una psicologia di questo genere doveva rappresentare, nell’intenzione di Dilthey, la base della teoria della conoscenza, e più specificamente della fondazione delle scienze dello spirito. Se la conoscenza costituisce una sfera della vita psichica non isolabile (o isolabile solo in virtù di un procedimento analitico) dal sentimento e dalla volontà, allora una teoria della conoscenza separata diventava improponibile. La teoria della conoscenza deve avere il suo punto di partenza nell’analisi della vita psichica nella sua totalità; in altri termini, «la teoria della conoscenza è psicologia in movimento, che si dirige verso un fine determinato». Ciò vale per le scienze dello spirito ancor più che per le scienze della natura, in quanto in esse il legame con il sentire e con il volere è indubbiamente più forte, e soprattutto più intrinseco. Dilthey poteva perciò riprendere i risultati a cui era pervenuto nell’Einleitung in die Geisteswissenschaften, e ricondurli alla dicotomia fondamentale tra spiegazione e comprensione. E infatti nelle Ideen egli affermava che «noi spieghiamo la natura, mentre comprendiamo la vita psichica… La connessione vissuta è qui l’elemento primo, la distinzione dei suoi singoli elementi sopravviene in seguito. Ciò condiziona la grande differenza dei metodi con cui studiamo la vita psichica, la storia e la società, da quelli con cui è stata condotta innanzi la conoscenza della natura». La vita sociale assumeva le

medesime caratteristiche di totalità (e di connessione di scopo) attribuite alla vita psichica, e i metodi appropriati per la sua indagine erano perciò, in ultima analisi, i medesimi che servono per l’analisi dei fenomeni della coscienza.

VI. Le Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie segnano non tanto una svolta nel pensiero di Dilthey, quanto un significativo mutamento della sua collocazione nel panorama filosofico tedesco. Già l’anno precedente, quando si era trattato di chiamare nella facoltà berlinese uno psicologo, sulla cattedra lasciata vacante da Zeller, egli si era schierato a favore di Stumpf, allievo di Brentano e di Lotze, autore del volume Über den psychologischen Ursprung der Raumvorstellung (1873), sbarrando la strada a uno sperimentalista come Hermann Ebbinghaus. E proprio questi pubblicherà nel ’96, sulla «Zeitschrift für Psychologie und Physiologie der Sinnesorgane», un’aspra critica della psicologia descrittiva di Dilthey. Ma la rottura più importante si consumava su un altro versante, nei rapporti con quel movimento neocriticistico che si stava diffondendo in varie università tedesche, e che cominciava a dare frutti come i saggi di Wilhelm Windelband raccolti nei Präludien (1883) o il giovanile volume del suo allievo Heinrich Rickert, Der Gegenstand der Erkenntnis (1892), oppure come la “trilogia” di Hermann Cohen dedicata alla Kants Theorie der Erfahrung (1871), alla Kants Begründung der Ethik (1877) e alla Kants Begründung der Aesthetik (1889), e il suo volume sul principio del calcolo infinitesimale (1883), o ancora l’Einleitung in die Psychologie nach kritischer Methode (1888) di un altro più giovane “marburghiano”, Paul Natorp. Fu proprio Windelband a muovere un attacco frontale a Dilthey, nel discorso rettorale tenuto a Strasburgo (la città era divenuta tedesca dopo la guerra vittoriosa contro Napoleone III) a fine ’94. Windelband era stato anche lui, come il giovane Dilthey, allievo di Kuno Fischer, e sulla traccia del maestro si era orientato verso la storia della filosofia; nel 1878-80 aveva pubblicato una Geschichte der neueren Philosophie che inaugurava lo schema neocriticistico d’interpretazione del pensiero moderno presentando Kant come la sintesi tra razionalismo ed empirismo, e più di recente, nel 1889-92, una Geschichte der Philosophie che avrebbe avuto anch’essa largo successo. Ma nel corso degli anni Settanta Windelband si era impegnato pure a fornire una versione del kantismo in termini di filosofia dei valori. A differenza di altri neokantiani Windelband riteneva che la filosofia non s’identificasse con la

teoria della conoscenza, ma dovesse abbracciare tutti i campi dell’attività umana. Egli le attribuiva il compito di determinare i princìpi a priori che garantiscono la validità non soltanto della conoscenza, ma anche della moralità e dell’arte, e li concepiva come valori dotati di validità universale e necessaria. Egli distingueva così la validità normativa dei valori dalla validità empirica delle leggi naturali; i valori non possiedono un’esistenza di fatto, se non nella misura in cui trovano una realizzazione da parte dell’uomo: ciò che è loro proprio è il «dover essere». I valori si collocano infatti su un piano trascendente rispetto alla realtà empirica, e vengono a organizzarsi sistematicamente in quella che Windelband chiama la «coscienza normale». La filosofia ha come proprio oggetto questa coscienza, cioè i valori che stanno a base del conoscere, dell’agire e del sentire. Ciò comportava una netta distinzione tra filosofia e psicologia: su questo Windelband si trovava in sintonia con gli altri esponenti del movimento neocriticistico, mentre divergeva dalla posizione espressa da Dilthey nelle Ideen. Ma la sua critica partiva da più lontano, cioè dalla nozione stessa di scienze dello spirito, e dal criterio in base al quale esse venivano distinte dalle scienze della natura. Quella di Dilthey gli appariva infatti una distinzione su base metafisica, che riecheggiava quella cartesiana tra res extensa e res cogitans. Ad essa Windelband ne contrapponeva un’altra, fondata su un criterio puramente logico, che prescindeva da qualsiasi riferimento all’oggetto da conoscere: una distinzione che si riferiva all’orientamento del conoscere, non al suo oggetto. Da una parte vi sono discipline rivolte alla determinazione di leggi generali, cioè scienze che Windelband chiamava “nomotetiche”, dall’altra discipline rivolte a determinare la configurazione individuale di ogni avvenimento, cioè scienze “idiografiche”. Le prime sono appunto le scienze naturali, mentre le seconde sono le scienze storiche. Ogni fenomeno può quindi essere oggetto di scienza naturale, cioè venir studiato come caso particolare di una legge, oppure può essere oggetto di scienza storica, cioè venir studiato nella sua peculiare fisionomia. Anche il ruolo della psicologia risultava del tutto differente da quello attribuitole da Dilthey: lungi dal costituire la base delle scienze dello spirito, anch’essa — in quanto rivolta a stabilire leggi generali — è una scienza naturale. La risposta di Dilthey non si fece aspettare, e fu consegnata a un altro ampio saggio, i Beiträge zum Studium der Individualität, apparsi nel 1895-96. Egli manteneva ferma la distinzione tra scienze della natura e scienze dello

spirito, ma cercava di giustificare il nesso tra uniformità e individuazione, che nell’Einleitung in die Geisteswissenschaften erano stati concepiti come oggetto di due diverse forme di conoscenza della realtà storico-sociale. Dal suo antagonista Dilthey finiva per accogliere la tesi del primato dell’orientamento verso l’individualità nell’ambito delle scienze dello spirito; ma la trasferiva ancora una volta sul piano dell’oggetto, riportandola alla struttura della realtà a cui queste discipline si riferiscono. Così l’individualità veniva vista come un aspetto del mondo storico che si costituisce sulla base di uniformità, le quali ne rappresentano in qualche modo il “substrato” e, al tempo stesso, il legame con i processi naturali, sia con l’ambiente circostante sia con le condizioni della vita organica. Nella natura prevalgono infatti le uniformità, e le sue forme individuali non hanno un valore in sé né meritano quindi di essere oggetto d’indagine; nella realtà storico-sociale si afferma invece, in virtù del «gioco delle variazioni», l’individualità, ed essa rappresenta lo scopo ultimo del conoscere. Dilthey poteva quindi affermare che «mentre nella natura cerchiamo soltanto l’elemento della legge, nel mondo storico diventa invece oggetto di scienza il singolare». Anzi, lo studio delle uniformità, e quindi del condizionamento naturale, è in funzione della comprensione del singolare: un compito affidato alle scienze dello spirito, ma anche all’arte in quanto «organo di comprensione della vita». A tal fine Dilthey faceva ricorso a una nozione prediletta del suo maestro Trendelenburg, quella di tipo. Il passaggio dall’uniformità all’individuazione non è un passaggio diretto, ma è mediato appunto da una pluralità di forme fondamentali che «ricorrono sempre nel gioco delle variazioni», e che sono appunto «tipi» i quali, differenziandosi al loro interno, costituiscono la base dell’individualità. Di conseguenza, per poter pervenire alla comprensione dei fenomeni del mondo umano nella loro individualità, le scienze dello spirito devono determinarne i tipi, e collegare ogni fenomeno a un determinato tipo. Ed è proprio questo ciò che fa la storiografia, ma anche l’arte, il cui significato universalmente umano consiste appunto nella capacità di presentare personaggi o situazioni che hanno un valore tipico. La critica di Windelband conduceva Dilthey a trasferire la propria analisi dalla struttura della vita psichica a quella della realtà storico-sociale. Ma ciò aveva anche un risvolto gnoseologico, o più propriamente metodologico. La comprensione rimaneva sì legata all’Erlebnis, ma non coincideva più con la conoscenza immediata di sé, data nell’introspezione; essa veniva ora caratterizzata come il procedimento che consente di cogliere, per analogia,

l’interiorità di altri individui, fondato sulla possibilità di «riprodurre» la vita psichica altrui, risalendo ad essa da un insieme di segni visibili esterni. Nei Beiträge zum Studium der Individualität Dilthey finiva per affermare che «il riprodurre è appunto un rivivere», facendo dell’arte l’organo della comprensione degli altri, con la conseguenza di approfondire la distanza delle scienze dello spirito dalle scienze della natura. Rispetto a questo esito il saggio Die Entstehung der Hermeneutik, di pochi anni posteriore, segnava una correzione di rotta. Per salvaguardare il carattere scientifico della comprensione Dilthey si richiamava alla tradizione dell’ermeneutica dall’età ellenistica al primo Ottocento, fino a Schleiermacher, sottolineando la funzione delle regole tecniche nel processo di interpretazione e l’importanza della filologia. L’erede della scuola storica riconosceva sì il ruolo indispensabile della soggettività, ma faceva valere, ancora una volta, l’esigenza di «fondare teoricamente, contro la continua irruzione dell’arbitrio romantico e della soggettività scettica nel campo della storia, la validità universale dell’interpretazione su cui poggia ogni certezza della storia».

VII. Nel corso degli anni Novanta — abbandonato, o per lo meno accantonato, l’originario programma di una fondazione delle scienze dello spirito — Dilthey aveva dedicato gran parte del proprio lavoro alla storia della filosofia e della cultura moderna. Risalgono a questo periodo i saggi raccolti sotto il titolo Auffassung und Analyse des Menschen seit Renaissance und Reformation e quelli poi confluiti nel volume Das Erlebnis und die Dichtung (1905), e agli anni immediatamente successivi i tre studi su Leibniz und sein Zeitalter (1900), su Friedrich der Grosse und die deutsche Aufklärung (1901) e su Das achtzehnte Jahrhundert und die geschichtliche Welt (1901), nonché l’ampia trattazione dedicata al pensiero del giovane Hegel, Die Jugendgeschichte Hegels (1905-1906), preludio alla successiva edizione delle Theologischen Jugendschriften affidata a Nohl. Ma verso la fine della vita Dilthey ritornerà al giovanile progetto di una «critica della ragione storica» in una serie di saggi teorici che per un verso riprendono l’analisi della coscienza condotta nei corsi di psicologia e nelle Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, per l’altro la pongono in relazione con l’analisi della struttura della realtà storico-sociale intrapresa nel primo libro dell’Einleitung in die Geisteswissenschaften.

Tra la fine del 1904 e i primi del 1910 Dilthey presentava all’Accademia prussiana delle Scienze una serie di studi «sulla fondazione delle scienze dello spirito», soltanto in parte pubblicati negli Atti, che nel 1927 sono stati raccolti da Bernhard Groethuysen nel settimo volume delle Gesammelte Schriften. I primi tre avevano per oggetto la connessione strutturale psichica, la connessione strutturale del sapere e la delimitazione delle scienze dello spirito. L’intento di Dilthey era quello di ricondurre la teoria del sapere a un’analisi complessiva della vita psichica: come già nelle Ideen, infatti, questa viene concepirta come una totalità fornita di una propria struttura, all’interno della quale si possono distinguere atteggiamenti diversi che danno luogo ognuno a un campo specifico di attività. Se la teoria della coscienza è, nelle sue linee generali, la medesima, i suoi concetti presentano però delle novità rilevanti. E la prima riguarda una nozionechiave come quella di Erlebnis, che cessa di designare la vita psichica in generale per indicare invece un singolo stato di coscienza nella sua determinatezza temporale, mentre alla successione degli stati nella loro continuità temporale viene ora attribuito il nome di Erleben. In altri termini, l’Erlebnis diventava ora un momento dell’Erleben, e l’Erleben si configurava come la serie degli Erlebnisse, designando così la presenza immediata di uno stato cosciente all’io, la vita nella sua immediatezza, antecedente alla stessa antitesi tra soggetto e oggetto. Tuttavia Dilthey riteneva di poter introdurre nell’unità strutturale dell’Erlebnis — e quindi nello stesso Erleben — una distinzione tra due elementi, l’atto e il contenuto, e di derivare dalla diversità della loro relazione l’articolazione della vita psichica in tre campi o «sistemi». Tra questi Dilthey prestava particolare attenzione al «sistema» dell’«apprendere oggettuale», in cui la coscienza è rivolta a cogliere, cioè a «prendere» o ad «apprendere», un determinato «oggetto». Questo può essere sia interno sia esterno; può essere, in altri termini, uno stato o un processo psichico oppure una cosa data nella percezione. Nel primo caso l’atteggiamento è rivolto a mettere in luce le relazioni che intercorrono tra quello stato ed altri stati psichici; nel secondo, invece, esso muove dall’intuizione sensibile per produrre una rappresentazione totale dell’oggetto, sulla base di una pluralità di intuizioni particolari. Nel fare ciò esso si avvale di una serie di operazioni logiche, che sono applicabili a qualsiasi oggetto. Ma l’«apprendere oggettuale» perviene anche a delimitare una serie di ambiti di oggetti, e così si costituisce in discipline distinte ma connesse tra di loro: nasce

quindi, all’interno della connessione strutturale della vita psichica, la connessione del sapere, con la sua fondamentale duplicità di orientamento che dà luogo da un lato alle scienze della natura e dall’altro alle scienze dello spirito, nonché alle loro categorie specifiche. Dall’«apprendere oggettuale» si distinguono gli altri due «sistemi», quello della vita affettiva e quello dell’agire volontario. Ciò che contraddistingue il sentimento è la reazione affettiva dell’io a una situazione soggettiva o a un oggetto, è la sua «disposizione interiore»; mentre l’agire volontario è definito dall’orientamento verso uno scopo da realizzare. Se i tre atteggiamenti fondamentali della coscienza e i relativi campi sono distinti in virtù della diversa relazione tra atto e contenuto dell’Erlebnis, tra di essi sussiste anche un collegamento e, in qualche maniera, un ordine di successione. La rappresentazione dell’oggetto costituisce la base del sentire, e questo è a sua volta, in virtù della valutazione che viene data dell’oggetto, il fondamento del volere: il passaggio dalla sfera affettiva all’agire volontario avviene appunto attraverso la trasformazione del valore in uno scopo, sia esso positivo o negativo. Tra l’analisi condotta nelle Ideen e le Studien zur Grundlegung der Geisteswissenschaften si colloca la pubblicazione, nel 1900-1901, delle Logische Untersuchungen di Edmund Husserl, delle quali Dilthey aveva compreso subito l’importanza tanto da definirle come un’opera «che fa epoca nell’applicazione della descrizione ai fini della teoria della conoscenza», e alle quali aveva dedicato, l’anno successivo, un seminario. Nel saggio sulla connessione strutturale psichica egli attribuiva infatti a Husserl il merito di aver «creato una “fondazione strettamente descrittiva” della teoria del sapere come “fenomenologia del conoscere, e con ciò una nuova disciplina filosofica», cercando così di assimilare il metodo descrittivo husserliano alla «psicologia descrittiva e analitica» proposta nelle Ideen. E proprio da Husserl egli traeva la distinzione tra atto e contenuto, nonché il riconoscimento dela parziale trascendenza dell’oggetto rispetto al singolo Erlebnis, in quanto centro di riferimento comune a vari Erlebnisse. Ma questo non era l’unico elemento di derivazione husserliana che egli impiegava, e neppure il più importante. L’altro era rappresentato dal concetto di espressione, assunto come termine intermedio tra l’Erleben e la comprensione. Fin dal 1883 un problema sottostante all’analisi di Dilthey, anche se mai enunciato in forma esplicita, era stato quello di trovare un ponte tra soggettività e oggettività, tra l’immediatezza dell’Erlebnis e l’attività mediatrice del pensiero, e più in

generale tra la coscienza e la realtà storico-sociale. La tesi dell’intrascendibilità della vita enunciata in Erfahren und Denken, dove per vita s’intendeva la vita psichica, costituiva un impedimento al passaggio dall’uno all’altro termine. E invece ciò che stava a cuore a Dilthey era non tanto un’analisi della coscienza come tale, quanto un’analisi del mondo umano a cui l’esperienza vissuta doveva appunto fornire l’accesso. Il ricorso al concetto di espressione — già prima presente negli scritti diltheyani, ma mai tematizzato — si presentava ora come il ponte a lungo cercato. La vita psichica si manifesta in forme oggettive, diventa espressione, svincolandosi così dall’immediatezza dell’Erleben; ma al tempo stesso la relazione tra un Erlebnis e l’espressione corrispondente è una relazione vissuta immediatamente, che trova la propria evidenza in questa immediatezza. L’espressione è infatti espressione della vita, di una vita che per il suo tramite diviene da soggettiva oggettiva, da interiore esteriore, cioè percepibile da parte dell’esperienza sensibile. A questo manifestarsi dell’Erleben in forme oggettive fa però riscontro il ritorno dall’espressione alla coscienza, e questo è appunto il compito della comprensione. A fondamento della comprensione c’è infatti quello che Dilthey chiama il «riferimento retrospettivo» all’Erleben: la comprensione risale dall’espressione alla vita che si è manifestata in essa, e in tal modo ne coglie il significato. La comprensione è quindi comprensione del significato di un elemento oggettivo della realtà storico-sociale: il significato consiste appunto nel rapporto di questo elemento con il processo della vita che in esso si esprime, e perciò «è la categoria più comprensiva sotto cui si può cogliere la vita». Se nel’Einleitung in die Geisteswissenschaften il fondamento di queste discipline era cercato nell’Erlebnis, negli ultimi scritti di Dilthey esso viene individuato nel rapporto circolare tra Erleben, espressione e comprensione; e questo rapporto ha come suo correlato oggettivo la vita «come connessione che comprende il genere umano». Nella realtà storico-sociale tutto è espressione della vita — o, il che per Dilthey è lo stesso, dello spirito; e tutto può (e deve) essere ricondotto alla vita. Anche la comprensione veniva così ad assumere una dimensione intersoggettiva, configurandosi come «ritrovamento dell’io nel tu», fondato sulla fondamentale identità tra soggetto e oggetto che è propria delle scienze dello spirito. In virtù della comprensione «la vita coglie qui la vita»: la vita dello stesso individuo conoscente, ma anche e soprattutto la vita di altri individui, in virtù di un processo di «trasposizione interiore» che consente di penetrare nella personalità altrui e nei suoi stati psichici. La

comprensione si configura perciò come un ritorno alla soggettività dell’Erleben, mediato dal processo di «espressione» o di oggettivazione che dà origine alle forme visibili del mondo umano.

VIII. Su questa base avviene la costruzione del mondo storico da parte delle scienze dello spirito, che dà il titolo al principale dei saggi diltheyani di quest’ultimo periodo. L’analisi di Dilthey non è più indirizzata a una fondazione delle scienze dello spirito, ma è rivolta ad analizzare la struttura della realtà storico-sociale. E qui viene in primo piano la correlazione tra la vita e la storia. La storia non è altro che il prodotto del processo di oggettivazione della vita, è la vita stessa in quanto si è oggettivata. Com’è detto in Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften, «ciò che lo spirito immette oggi del proprio carattere nella sua manifestazione di vita, è domani, quando ci sta dinanzi, storia». Proprio questa correlazione consente di determinare la struttura della realtà storico-sociale sulla base della struttura della vita psichica. Come la vita è totalità, e le sue parti sussistono in funzione del tutto, così lo è anche la storia; anzi, il carattere di totalità inerisce agli stessi elementi che la costituiscono, dal singolo individuo all’insieme del processo storico. Per definire la struttura di questi elementi Dilthey fa ricorso a una nozione ancora assente nelle Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, ma che affonda le sue radici in questo testo: la nozione di Wirkungszusammenhang, di «connessione produttiva». Ogni elemento della realtà storico-sociale costituisce una «connessione» che, a differenza dell’oggetto delle scienze della natura, «produce valori e realizza scopi», cioè riveste un «carattere teleologico-immanente». Non è soltanto l’individuo che produce valori e che tende a realizzare, sulla base di questi, determinati scopi; la stessa cosa vale per le formazioni sovra-individuali di qualsiasi specie. Dilthey poteva quindi rifarsi alla distinzione tra sistemi di cultura e sistemi di organizzazione esterna della società, formulata nell’Einleitung in die Geisteswissenschaften, e presentare questi due tipi di sistemi come forme diverse di «connessioni produttive»; ma ad essi ne aggiungeva una terza, con l’intento di mettere in evidenza la dimensione diacronica della realtà storico-sociale: le epoche storiche. Sistemi di cultura, sistemi di organizzazione sociale, epoche storiche sono infatti contraddistinti dalla tendenza a realizzare scopi i quali sono comuni agli individui che ne fanno parte. Ma essi presentano anche un’altra caratteristica: quella

dell’autocentralità. «Al pari dell’individuo, anche ogni sistema di cultura e ogni comunità ha il suo centro entro di sé; in esso l’apprendimento della realtà, la valutazione e la produzione di beni sono collegati in un tutto unitario». Come il singolo individuo, così anche i diversi sistemi che nascono dall’azione reciproca tra gli individui, così anche le epoche storiche traggono da sé il loro significato, e il loro è quindi un «orizzonte chiuso». La critica della ragione storica si trasformava quindi in una teoria della storia, o meglio della storicità. Su questo terreno s’imponeva il confronto con Hegel, un filosofo rimasto estraneo alla formazione di Dilthey, e verso il quale fin da giovane egli aveva manifestato la propria avversione. Ancora nell’Einleitung in die Geisteswissenschaften egli aveva infatti respinto nettamente la filosofia della storia sia in linea generale sia nella versione hegeliana, qualificando lo “spirito” di Hegel «che nella storia perviene alla coscienza della sua libertà» come «un’essenza astratta che abbraccia il corso storico in un’astrazione incolore, un soggetto senza luogo e senza tempo». Ma la nozione della storia come oggettivazione della vita rendeva ora indispensabile metterne in luce affinità e differenze rispetto allo “spirito oggettivo” di Hegel. In Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften Dilthey ribadiva ancora una volta la distanza dal tentativo di Hegel affermando che «noi dobbiamo oggi muovere invece dalla realtà della vita, poiché nella vita agisce la totalità della connessione psichica», cioè «rifarci alla connessione strutturale delle unità viventi, che si continua nelle comunità», in luogo di «costringere lo spirito oggettivo entro una costruzione ideale». Il punto di partenza del processo di costruzione del mondo storico è rappresentato dall’individuo, anzi dagli individui e dalle loro relazioni, non da un’entità sovra-individuale. E pur accogliendo la nozione di «spirito oggettivo», Dilthey la connotava in maniera assai differente da Hegel. Non soltanto egli lasciava cadere la tripartizione tra spirito soggettivo, spirito oggettivo e spirito assoluto, ma riconduceva allo spirito oggettivo, in quanto sistemi di cultura, proprio quelle forme — arte, religione, filosofia — che Hegel aveva attribuito allo spirito assoluto. Lungi dal disporsi in una successione dialettica, i sistemi di cultura e i sistemi di organizzazione sociale venivano posti sullo stesso piano, in quanto prodotti del processo di oggettivazione della vita. Contemporaneamente veniva a cadere la distinzione tra l’ordine sistematico dello spirito e l’ordine temporale dello sviluppo dello “spirito del mondo”. Le epoche storiche abbracciano infatti le istituzioni politico-sociali al pari delle produzioni culturali, dando ad esse la propria impronta.

Non a caso l’analisi del mondo umano come connessione produttiva culmina nella trattazione di quel tipo particolare di connessioni che è rappresentato dalle epoche storiche. Dilthey sottolineava ancora una volta, come nella replica a Windelband nei Beiträge zum Studium der Individualität, la necessaria complementarità tra comprensione storica e scienze sistematiche dello spirito, le quali hanno consentito — a partire dal secolo XVIII — di scomporre il contenuto spirituale delle singole epoche «in connessioni particolari»; ma nello stesso tempo si richiamava al principio dello sviluppo fatto valere da Winckelmann, Möser e Herder, in base al quale è diventato possibile seguire il mutamento che contraddistingue ognuna di queste connessioni. E proprio questo principio offre, a suo parere, la base per coglierne il rapporto reciproco all’interno di ogni epoca. Com’è detto nelle pagine conclusive di Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften, il «significato per la storia» di ogni individuo sta «in questo suo rapporto con l’età». Ma ciò vale, ovviamente, anche per i suoi prodotti, e quindi per le forme che storicamente assumono i sistemi di cultura e i sistemi di organizzazione sociale. Ogni epoca storica ha infatti un proprio «orizzonte di vita», in quanto è caratterizzata da valori e scopi peculiari, diversi da quelli dell’epoca precedente come di quella successiva. E se essa racchiude pure da una parte tendenze che costituiscono l’eredità del passato, dall’altra tendenze che preparano l’avvento dell’età successiva, è anche vero che «questa contrapposizione rimane sul terreno dell’età o dell’epoca» e che «ciò che vi si oppone, ha però nel medesimo tempo la struttura dell’età stessa». L’individuo è sempre condizionato dall’appartenenza alla propria epoca; si riferisce sempre, positivamente o magari negativamente, ai suoi valori peculiari. Ogni agire s’inserisce nella connessione propria dell’epoca, nel suo «orizzonte», che determina il significato di tutte le manifestazioni che vi sono comprese; e questa è appunto «l’autocentralità delle età e delle epoche, in cui si risolve il problema del significato e del senso che possiamo trovare nella storia». Dilthey faceva proprio, spogliandolo delle sue implicazioni teologiche, il presupposto rankiano di un rapporto immediato delle singole epoche con la divinità, e lo estendeva a ogni elemento della realtà storicosociale. Siamo qui di fronte a prospettive nuove rispetto a quelle dell’Einleitung in die Geisteswissenschaften, e anche rispetto a quelle che s’incontrano negli scritti diltheyani degli anni Novanta. Non già una presunta svolta

“ermeneutica” — che alcuni, da Hans-Georg Gadamer a Manfred Riedel, hanno preteso di scorgere nel saggio del 1900 — bensì il passaggio a una teoria della storia, compiuto sul terreno del confronto con Hegel, sta a base dell’impostazione di Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften. Lo mostrano chiaramente le pagine dedicate al senso della storia. Il processo di produzione di valori e di scopi a cui dà luogo la cooperazione tra gli individui si colloca nell’orizzonte delle singole epoche; valori e scopi sono quindi prodotti storici, anche quando avanzano una pretesa di validità universale. È la vita storica a crearli, così come produce pure una pretesa del genere. Siamo indubbiamente di fronte a un’interpretazione relativistica del processo storico. E l’affermazione della relatività storica diventa esplicita nelle pagine incompiute del Plan der Fortsetzung che Dilthey scrisse alla fine, negli ultimi mesi di vita, per continuare il discorso avviato in Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften. Può darsi che in questa direzione abbia agito anche la presenza sempre più incombente di Nietzsche nel panorama culturale tedesco (lo Schopenhauer und Nietzsche di Georg Simmel, che tanto contribuì alla diffusione del pensiero nietzschiano, è del 1907, e certo Dilthey lo conosceva); ma resta il fatto che l’unica menzione di Nietzsche che compare in questi scritti è un riferimento critico, per rimproverargli come una «enorme illusione» la fiducia nell’introspezione, facendo dipendere da questa la sua incapacità di «cogliere il significato della storia», e per contrapporgli subito dopo Hegel. Ciò che stava a cuore al vecchio Dilthey non era del resto rovesciare la tavola dei valori, rivendicare i valori vitali contro i valori dello spirito, non fosse altro per il fatto che per lui vita e spirito coincidono. Egli si proponeva invece di giustificare l’equivalenza tra vita e storia; e a questo scopo andava in cerca della radice della storicità nell’individuo. In una pagina di Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften — resa celebre dal richiamo ad essa da parte di Martin Heidegger — si trova infatti asserito che la storia non può essere limitata «al cooperare degli uomini in vista di scopi comuni», e che «l’uomo singolo, nella sua esistenza individuale che poggia su se stessa, è un essere storico». Non soltanto l’individuo «è determinato dalla sua posizione nella linea del tempo, dal suo luogo nello spazio, dalla sua situazione nell’azione reciproca dei sistemi di cultura e delle comunità», ma al suo essere è intrinseco il carattere della temporalità. La sua vita è un processo temporale «limitato dalla nascita e dalla morte»; l’Erleben è la successione

degli Erlebnisse nel tempo; anche il processo di oggettivazione della vita avviene nel tempo. In fondo, l’attribuzione della storicità al singolo uomo trova il suo presupposto nella stessa corrispondenza tra la struttura della vita psichica e la struttura del mondo storico: se dev’esserci storia, il «carattere della storicità» deve trovarsi già nella vita di cui la storia è espressione. E infatti «la storia è solamente la vita, considerata dal punto di vista dell’intera umanità, la quale forma una connessione». I valori valgono sempre all’interno dell’orizzonte di una data epoca; i valori propri di un individuo, di un sistema di cultura o di un sistema di organizzazione sociale recano il carattere dell’epoca che li ha prodotti. Essi non possono essere ricondotti a un sistema di valori incondizionati, del tipo di quello vagheggiato dalla scuola neokantiana del Baden; meno che mai la loro successione può essere definita in termini di progresso. Com’è detto nel Plan der Fortsetzung, «anche qui non c’è alcun presupposto ulteriore su un qualsiasi agente unitario nella storia, sia esso un agente immanente o una condizione reale…». L’uomo è un essere finito, e finite sono le sue manifestazioni di vita, finito è ogni fenomeno storico: in questa consapevolezza Dilthey additava anzi «l’ultimo passo verso la liberazione dell’uomo». Da ciò egli deriva la «relatività di ogni fenomeno storico», concepita come il «riconoscimento dell’immanenza anche dei valori e delle norme che si presentano come incondizionati nella coscienza storica». Il rifiuto di una qualsiasi interpretazione metafisica del processo storico sfociava così nella negazione di un senso oggettivo della storia. «Noi non rechiamo nella vita nessun senso del mondo. Noi siamo aperti alla possibilità che senso e significato sorgano soltanto nell’uomo e nella sua storia. Ma non nell’uomo singolo, bensì nell’uomo storico, poiché l’uomo è un essere storico». Accanto e al di sopra delle singole connessioni produttive c’è però una connessione più ampia, coincidente con l’umanità stessa nel suo sviluppo; e questa prospettiva interagisce con la tesi della relatività di ogni manifestazione storica, facendo sì che essa trovi un limite nella «continuità della forza creatrice», vale a dire nella capacità produttiva dell’uomo. Comprendere un fenomeno storico, di qualsiasi specie, vuol sì dire collocarlo nell’orizzonte della sua epoca; ma le epoche si susseguono all’interno di una connessione che è lo stesso movimento storico, e devono essere comprese a loro volta in rapporto a tale connessione.

IX. Questa impostazione aveva conseguenze di rilievo sul modo di intendere i

sistemi di cultura e, in particolare, la filosofia. Essa comportava la necessità di determinare da un lato la modalità del rapporto con la vita, dall’altro la maniera in cui la storicità incide sulla struttura peculiare di questi sistemi. Arte, religione, filosofia erano state intese da Hegel come forme dello spirito assoluto, e la filosofia appunto come la sua forma suprema; una volta considerate invece come oggettivazioni dello spirito, relative al pari di tutte le altre, esse perdevano quel carattere di assolutezza che era stato loro attribuito. Si trattava, in altri termini, di ricondurle alla vita, anzi alla vita psichica di cui la storia riproduce, in sostanza, la struttura, ma mantenendo — questa era un’esigenza essenziale per Dilthey — la loro relazione reciproca. A tale scopo egli faceva ricorso a una nozione estranea al pensiero hegeliano, quella di Weltanschauung (di “intuizione della vita” o di “visione della vita”, come viene di solito tradotta), che aveva trovato larga diffusione nella cultura ottocentesca. Il termine era stato usato già da Kant, nella Critica del giudizio, ma poi soprattutto da Schleiermacher, che nelle Vorlesungen über Pädagogik del 1813 (pubblicate postume nel ’49) aveva concepito la visione del mondo come il luogo in cui le impressioni vengono unificate in una totalità compiuta, definendola come «il risultato della scienza speculativa della natura e della considerazione scientifica della storia», che «presuppone la suprema autoattività dello spirito umano». Lo stesso Dilthey aveva parlato, da giovane — come si è detto — di «visione filosofico-storica del mondo». Più di recente, in un libro popolare apparso nel 1890 che aveva avuto largo successo, Rudolf Eucken aveva esposto le «visioni della vita dei grandi pensatori», mentre Heinrich Gomperz aveva dedicato alla Weltanschauungslebre un’opera in due volumi, apparsa nel 1905-1908. Il termine di riferimento di Dilthey era soprattutto Schleiermacher; ma da lui se ne distaccava in un punto essenziale. Mentre per Schleiermacher la visione del mondo era il risultato ultimo di un processo di unificazione del sapere, per Dilthey costituiva piuttosto un punto di partenza, la radice comune di arte, religione e filosofia. O, meglio, la visione del mondo è il tramite per il quale l’immagine del mondo si traduce in forme oggettive, dando luogo ai sistemi di cultura. Ogni individuo possiede una propria immagine del mondo, un modo di considerare se stesso e la realtà circostante. Su questa base sorge — com’è detto nel saggio Das Wesen der Philosophie, pubblicato nel 1907 — la visione del mondo, vale a dire la «disposizione interiore dell’uomo di fronte alla connessione delle cose», sviluppata in una «esperienza universale sulla vita

stessa». Caratteristica fondamentale della visione del mondo è il fatto che trae origine dalla totalità della vita, e quindi si colloca al di qua della distinzione tra «apprendere oggettuale», sentimento e volontà; essa costituisce «una formazione spirituale che racchiude conoscenza del mondo, ideale, determinazione di regole e di scopi supremi». La visione del mondo contiene quindi un’immagine del mondo, una determinazione del “senso” della realtà, un principio etico. A ciò corrisponde la sua funzione, che è quella di fornire una risposta a ciò che Dilthey chiama «il mistero del mondo e della vita». Questa funzione è propria dell’arte, della religione e della filosofia, le quali hanno infatti «una forma fondamentale comune, che riporta alla struttura della vita psichica». Arte, religione e filosofia affrontano però il mistero del mondo e della vita in modi differenti. L’arte, e in particolare la poesia, esprime un’immagine del mondo in forma intuitiva; è l’espressione — o la traduzione — della visione del mondo in una materia sensibile. E se Dilthey riprende qui la formula dei Beiträge zum Studium der Individualität, qualificando la poesia come l’«organo della comprensione della vita», si preoccupa anche di rilevarne la distanza dal sapere scientifico, attribuendole il compito non già di «conoscere la realtà», ma «di mostrare la significatività dell’avvenimento, degli uomini e delle cose, insito nei rapporti della vita». Diverso è il carattere della religione, la quale cerca di risolvere il mistero del mondo e della vita sulla base di un «rapporto con l’invisibile», riportando la realtà a un principio incondizionato che si pone al di là dell’esperienza sensibile, in cui viene riposto il valore supremo e da cui vengono derivati scopi e regole della condotta umana. La filosofia, infine, è caratterizzata dall’aspirazione a una validità universale: la visione filosofica del mondo «è, a differenza di quella religiosa, universale e universalmente valida, e, a differenza di quella poetica, costituisce una potenza che vuol agire in senso riformatore sulla vita». Da ciò lo sforzo della filosofia di collegarsi con il sapere scientifico, e spesso, anzi, di presentarsi come scienza — con la differenza che essa non indaga un campo specifico, ma pretende di fornire una risposta “globale” al mistero del mondo e della vita. Negli ultimi anni di vita Dilthey ha formulato una dottrina della visione del mondo, e ne ha fornito un’esposizione — per quanto frammentaria — nei due saggi che compongono la cosiddetta Weltanschauungslehre, cioè in Das geschichtliche Bewusstsein e in Die Typen der Weltanschauung und ihre Ausbildung in den metaphysischen Systemen. Come già nel saggio Das Wesen

der Philosophie, egli si proponeva di porre in luce da una parte la fondamentale affinità tra le manifestazioni artistiche, religiose e filosofiche di un’epoca, in quanto fondate su una medesima visione del mondo, dall’altra la diversità della loro forma. Questo era stato, del resto, l’intento degli studi storici del decennio precedente, specialmente dei saggi confluiti in Das Erlebnis und die Dichtung; e questo era stato ancora l’intento della Jugendgeschichte Hegels, volta a mostrare l’emergere della filosofia hegeliana, negli scritti giovanili dell’autore, da una visione del mondo comune anche ai grandi poeti romantici, Hölderlin in primis. Nei saggi teorici, però, è l’altro versante della ricerca a prevalere: dato per acquisito il legame della filosofia con l’arte e la religione, Dilthey si preoccupava di individuare le alternative di soluzione del mistero del mondo e della vita ricorrenti nel corso della storia della filosofia. E a questo scopo si avvaleva di un concetto già impiegato dal suo maestro Trendelenburg, di cui egli stesso si era avvalso largamente, per esempio, in Die Einbildungskraft des Dichters. In un saggio del 1898, Die drei Grundformen der Systeme in der ersten Hälfte des 19. Jahrhunderts, Dilthey aveva delineato una tipologia delle visioni filosofiche del mondo, e nel far ciò si era richiamato alla distinzione di Trendelenburg tra materialismo, idealismo e filosofia dell’identità; Das Wesen der Philosophie e soprattutto Die Typen der Weltanschauungen riprendono questa direzione di ricerca, estendendola all’intera storia della filosofia. Le possibilità di soluzione che la filosofia ha offerto, ed è in grado di offrire, non sono indefinite, ma possono essere ricondotte ad alcuni tipi fondamentali, ricorrenti nel suo sviluppo storico. E ciò proprio perché anch’essa, al pari delle altre forme di visione del mondo, ha la propria base nella struttura della vita psichica. E come questa si articola in tre «sistemi», così anche i tipi di visione filosofica del mondo devono essere tre, ognuno contraddistinto dal prevalere di uno degli atteggiamenti della coscienza. L’uomo non può mai cogliere il mondo e la propria relazione con esso nell’insieme dei suoi aspetti; può concepirlo «soltanto sotto una delle categorie fondamentali» corrispondenti a questi atteggiamenti. Se la realtà viene considerata dal punto di vista dell’«apprendere oggettuale», cioè dei rapporti causali e delle leggi che li regolano, allora si hanno i sistemi di stampo materialistico o naturalistico; e il positivismo è appunto il prodotto del loro sviluppo. Se la realtà viene invece considerata dal punto di vista del sentimento, e quindi sulla base della categoria del valore, essa viene

considerata come la manifestazione di un principio incondizionato, e si hanno così i sistemi di quello che Dilthey chiama l’“idealismo oggettivo”. Se, infine, la realtà viene considerata dal punto di vista della volontà, in questo caso acquista un rilievo preminente la personalità dell’uomo nella sua indipendenza dal mondo esterno, e si hanno i sistemi dell’“idealismo della libertà”. Questi tre tipi di sistemi — i sistemi “metafisici” — danno luogo a una concatenazione storica di dottrine fornite sì di una propria individualità, ma apparentate tra di loro. La prima linea di sviluppo va da Democrito ed Epicuro a Hobbes, all’enciclopedismo settecentesco, al materialismo ottocentesco, fino alla dottrina positivistica. La seconda conduce da Eraclito e dallo Stoicismo antico fino a Spinoza, Shaftesbury, Goethe, Schelling, Schleiermacher e infine a Hegel. La terza muove da Platone e da gran parte della filosofia ellenisticoromana, e giunge — attraverso la speculazione cristiana — fino a Kant (soprattutto il Kant della “ragion pratica”), Fichte, Maine de Biran, Carlyle. Si è sovente dibattuto a quali di questi tipi si possa riportare la filosofia di Dilthey, o per lo meno a quale egli si sentisse vicino; ma è una discussione, tutto sommato, priva di senso. Ciò che egli intendeva offrire è piuttosto una “mappa” delle varie forme di visione filosofica del mondo, che ne mostrasse — al di là dell’aspirazione a una validità universale che esse avanzano — il carattere storico. Certamente, egli pone l’accento assai più sul ricorrere di certi tipi, sulla continuità che ne collega le forme particolari, che non sull’individualità di queste forme, lasciando in secondo piano quel legame di appartenenza all’epoca fatto valere, in linea generale, in Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften. Ma, quale che sia il modo in cui viene formulato, il condizionamento storico è per lui essenziale alla filosofia. Anzi, tra la coscienza storica e la pretesa di validità che i sistemi metafisici avanzano sussiste una contraddizione insuperabile. Com’è detto in Die Typen der Weltanschauung und ihre Ausbildung in den metaphysischen Systemen, proprio la coscienza storica pone in luce l’infondatezza di questa pretesa, distruggendo «la fede nella validità di qualsiasi filosofia che abbia voluto esprimere in modo rigoroso la connessione del mondo mediante una connessione concettuale». Oltre che fornire una tipologia dei sistemi, l’analisi di Dilthey voleva infatti mostrare «l’aspra contraddizione esistente tra la pretesa di validità universale di ogni sistema filosofico e l’anarchia storica di questi sistemi»; voleva cioè mostrare l’infondatezza comune a tutti i sistemi filosofici. Il riconoscimento della storicità della filosofia e delle sue forme metteva capo a una “filosofia della filosofia”, concepita come «auto-riflessione

storica della filosofia sopra se stessa».

X. Forse in questo rifiuto dei sistemi metafisici e della possibilità stessa di un sistema definitivo c’era anche un motivo autobiografico. La produzione filosofica di Dilthey (ma la stessa cosa si potrebbe dire anche di quella storiografica) è costituita, per la massima parte, da progetti, da tentativi interrotti e poi ripresi, da abbozzi, da testi incompiuti. La stessa preferenza per la forma del saggio — in netto contrasto con la predilezione per l’impianto pesantemente sistematico, comune alla maggior parte dei filosofi tedeschi del secolo XIX — rivela questa caratteristica strutturale del suo pensiero. E una conferma ulteriore ce la offre il fatto stesso che molti scritti di Dilthey abbiano visto la luce soltanto postumi, e che a tutt’oggi la loro pubblicazione non sia ancora conclusa. Il pensiero di Dilthey rappresenta tuttavia un crocevia nello sviluppo della filosofia tedesca tra Otto e Novecento. In esso s’intrecciano, come si è visto, motivi disparati e non sempre facilmente conciliabili, direzioni d’indagine in parte convergenti e in parte divergenti. Dilthey è in primo luogo un erede, forse il maggiore erede — sul terreno della filosofia — della scuola storica; ma anche da questa si è distaccato nel suo sforzo di considerarla un momento di un più ampio sviluppo dello “spirito tedesco”, legato alla cultura illuministica assai più di quanto essa ritenesse o volesse essere. Estranei gli erano i suoi princìpi teorici fondamentali, in primo luogo il concetto di “spirito del popolo” inteso come il principio metafisico sottostante allo sviluppo di un popolo, mentre ne apprezzava il contributo decisivo dato all’esplorazione e alla comprensione del mondo storico, nonché alla costituzione delle discipline sistematiche che ne studiano i vari aspetti e settori. Ma Dilthey è anche l’erede di Schleiermacher, il principale esponente della religiosità romantica, al quale dedicò uno studio prolungato. Questa eredità non gli impedì di prendere le distanze dalla fede protestante, in uno sforzo di storicizzazione analogo a quello compiuto nei riguardi della scuola storica, e soprattutto non gli impedì di lasciar cadere gli interessi teologici che erano stati prevalenti nel suo “autore”. Un altro filone centrale del pensiero di Dilthey, presente fin dagli anni Settanta ma venuto in primo piano nelle Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, è l’interesse per la coscienza, per la sua strutturazione, e quindi per l’analisi psicologica. La vita è per lui, in primo luogo, l’immediatezza dell’Erlebnis, che non richiede il ricorso ai processi osservativi dell’esperienza esterna e che non è esposta alla possibilità di errore

di questa. Quando, in un abbozzo anteriore al 1880, egli contrapponeva l’«empiria» all’«empirismo», il concetto di esperienza a cui si riferisce è quello di un «processo nella coscienza, mediante cui un reale si presenta alla coscienza», sia che si tratti di «una cosa esterna» o di «un fatto della vita psichica»; in entrambi i casi l’esperienza è definita in termini di coscienza. Per lungo tempo — lo comprova anche il testo dell’Einleitung in die Geisteswissenschaften — Dilthey sosterrà il primato dell’Erlebnis sull’esperienza, e quindi della conoscenza di sé, ottenuta attraverso l’introspezione, nei confronti della conoscenza del mondo esterno, compresi gli altri individui. Soltanto nell’ultimo periodo egli metterà da parte questa impostazione, giungendo ad affermare che «l’uomo si conosce soltanto nella storia, mai mediante l’introspezione». Il rapporto con la psicologia pervade gran parte della produzione filosofica diltheyana. Ma la sua è una psicologia sui generis, una psicologia filosofica (o, se si preferisce, una filosofia psicologica) la quale diverge nettamente dallo sviluppo della psicologia come scienza che si compie, in quegli stessi decenni, nei laboratori delle università tedesche. Anche l’insistenza sulla totalità, sull’irriducibilità del tutto alle parti e del suo primato nei loro confronti — che pure darà i suoi frutti nella psicologia della Gestalt — rimane un postulato estrinseco al lavoro della ricerca psicologica. Complesso è pure, come si è visto, il rapporto con il movimento neocriticistico, i cui esponenti Dilthey contribuì a tenere lontani dall’ateneo berlinese. Per lui la filosofia è sì indagine critica, ma non è soltanto né primariamente critica della conoscenza; soprattutto, però, l’indagine critica doveva, a suo parere, sottrarsi al piano trascendentale su cui Kant aveva preteso di svilupparla. Il “ritorno a Kant”, di cui almeno all’inizio condivideva l’intento, si accompagnava a un netto distacco dall’impostazione della Critica della ragion pura. E questo distacco era rappresentato dal nesso che egli si propose di instaurare, e che sempre mantenne, tra filosofia e psicologia. Questo era lo spartiacque che lo separava dal neocriticismo della scuola del Baden come da quello marburghese, ma anche dallo Husserl delle Logische Untersuchungen. Lo stesso richiamo a Husserl, che compare nelle Studien zur Grundlegung der Geisteswissenschaften, era frutto di un equivoco. Dilthey se ne rese conto tardivamente, tanto da qualificare, in una pagina del Plan der Fortsetzung, l’indagine condotta dalla «scuola di Brentano» come «scolastica psicologica» in quanto «essa crea delle entità astratte come forme di

atteggiamento, oggetto, contenuto, in base alle quali vuol comporre la vita» e da affermare che «l’estremo di questa posizione è rappresentato da Husserl». Della fenomenologia husserliana Dilthey aveva fatto un’utilizzazione strumentale, senza condividerne i presupposti; e ciò diventerà chiaro anche ai suoi occhi nel 1911, con la pubblicazione su «Logos» del saggio di Husserl Die Philosophie als strenge Wissenschaft, e con la polemica che veniva qui condotta in favore di una concezione della filosofia come “scienza rigorosa”, contro la sua riduzione a “visione del mondo”. Lo scambio di lettere intervenuto tra Dilthey e Husserl nel giugno-luglio di quell’anno sancirà il distacco definitivo tra le loro posizioni. Ma il pensiero di Dilthey costituisce un crocevia anche a parte post, per l’eredità che ha lasciato e per le diverse direzioni in cui è stato interpretato o anche frainteso. Ad esso si è richiamata dapprima la filosofia della vita; e del resto il rapporto tra la filosofia e la vita era stato uno dei temi centrali dell’epistolario tra Dilthey e l’amico Yorck von Wartenburg, fino alla morte di quest’ultimo intervenuta nel ’97. Ancora nel Plan der Fortsetzung Dilthey indicava nella vita «il fatto fondamentale che deve costituire il punto di partenza della filosofia»: si può quindi comprendere che proprio tra gli scolari diretti, soprattutto in Otto Friedrich Bollnow, potesse prevalere un’interpretazione del pensiero di Dilthey in termini di filosofia della vita che finiva per accostarlo a Bergson e all’ultimo Simmel, se non addirittura a Ludwig Klages. È vero che essi insistevano sull’impossibilità di ridurre la nozione diltheyana di vita a un significato biologico, e sulla sua limitazione all’ambito umano; ma la vita finiva per essere trasformata, soprattutto da parte di Bollnow, in un’entità metafisica. In questo senso Dilthey era stato oggetto di critica, fin dal 1920, da parte dell’allievo e successore di Windelband a Heidelberg, Heinrich Rickert. Più coerente, e anche più approfondito, fu il tentativo di Georg Misch di mettere a confronto la filosofia di Dilthey con la fenomenologia, andando al di là della condanna pronunciata da Husserl. Ma l’immagine di Dilthey filosofo della vita ebbe larga fortuna anche al di fuori della cultura tedesca, soprattutto in Spagna e nell’America latina. Vi contribuì in modo decisivo l’equivalenza formulata da José Ortega y Gasset tra “ragione storica” e “ragione vitale”, dove la dimensione storica e la stessa analisi del rapporto tra l’io e la “circostanza” finiva per passare in secondo piano rispetto al primato della vita rispetto alla ragione. Non tanto alla nozione di vita, quanto alla concezione diltheyana della

storicità si è richiamato invece Heidegger in Sein und Zeit. Già nei corsi universitari di Friburgo e ancora due anni prima della pubblicazione di quest’opera, in una serie di conferenze tenute a Kassel, egli aveva dedicato la propria attenzione a Dilthey; e lo aveva fatto con l’intento di presentare il pensiero diltheyano come uno sforzo di chiarificazione ontologica delle strutture della vita umana, nel quadro della quale la temporalità assumeva un ruolo centrale. Non la fondazione delle scienze dello spirito, bensì l’analisi della storicità come dimensione costitutiva del singolo diventava per lui il nucleo della speculazione di Dilthey. Procedendo in questa direzione egli recuperava, nel capitolo di Sein und Zeit dedicato al rapporto tra temporalità e storicità, proprio l’ultimo Dilthey, il Dilthey di Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften e del Plan der Fortsetzung. Si trattava, ovviamente, di una forzatura, anzi di un vero e proprio travisamento. Ed esso consentì anche di accreditare uno schema interpretativo dello sviluppo della filosofia tedesca contemporanea come passaggio dalla filosofia della vita alla filosofia dell’esistenza, che ebbe largo successo soprattutto ad opera di Fritz Heinemann in Neue Wege der Philosophie (1929). A quasi vent’anni dalla morte Dilthey diventava, se non il precursore, almeno la premessa necessaria dell’ontologia heideggeriana; e la teoria diltheyana della storicità finiva per saldarsi con la dottrina dell’“essere per la morte”. Più recente è stato il tentativo di rileggere Dilthey in funzione non più di Heidegger, bensì dell’ermeneutica gadameriana. Già nella maggiore opera di Hans-Georg Gadamer, Wahrheit und Methode (1960), l’utilizzazione del pensiero diltheyano in questa prospettiva risulta esplicita: pur rimproverandogli l’indulgenza verso il “metodo”, e la contraddizione tra il programma di fondare le scienze dello spirito nella loro autonomia e l’adozione del modello delle scienze della natura, Gadamer riportava Dilthey nell’alveo della tradizione romantica; e nel suo richiamo all’ermeneutica vedeva il momento in cui questa si trasforma, da disciplina filologica specifica, in organo del sapere storico. Strettamente collegato al progetto di un’ermeneutica universale formulato da Schleiermacher, Dilthey diventava un momento dello sviluppo dell’ermeneutica, di uno sviluppo che doveva mettere capo all’opera di Gadamer. Ma, in realtà, l’interesse di Dilthey per l’ermeneutica non era affatto limitato a quella romantica, né la sua teoria dell’interpretazione ne trascurava, o metteva in secondo piano, gli aspetti propriamente tecnico-metodici, come faceva invece Gadamer. Lo stesso

apprezzamento dell’ermeneutica schleiermacheriana, che compare ancora in Die Entstehung der Hermeneutik, non può essere ritenuto un segno di adesione ai suoi presupposti; tanto è vero che Dilthey indicava nel circolo ermeneutico una difficoltà, anzi «la difficoltà centrale di ogni tecnica interpretativa», e sottolineava la necessaria incompiutezza di ogni interpretazione di fronte all’«ineffabilità» dell’individuale. Come nel caso di Heidegger, anche in Gadamer e nei suoi molti continuatori il richiamo a Dilthey non era privo di un risvolto mistificatorio. Più fedele è la presentazione di Dilthey come esponente dello storicismo, anche se egli non si è mai servito di questo concetto per definire il proprio punto di vista, e se l’uso che ne è stato fatto a questo scopo da altri — a partire dal saggio di Husserl del 1911 — è prevalentemente polemico, o in ogni caso negativo. Del resto, com’è noto, il termine “storicismo” è quanto mai ambiguo, e il ricorso ad esso in chiave positiva offre una base interpretativa tutt’altro che univoca. Non c’è dubbio che, se quello di Dilthey è storicismo, esso non ha nulla in comune con le forme di storicismo sviluppatesi sulla base del richiamo all’idealismo o alla filosofia della storia di Hegel, che egli ha sempre esplicitamente respinto. Ma anche il suo rapporto con lo storicismo della scuola storica — sempre che sia lecito qualificarla con tale termine — presenta aspetti ambivalenti, di continuità ma anche di discontinuità. Se, e in quale misura, Dilthey possa essere identificato con le varie forme contemporanee di storicismo relativistico o di relativismo storico — come tendeva a fare, per esempio, Raymond Aron in un libro per vari aspetti fondamentale — dipende anche dal significato che si attribuisce a quest’ultima nozione: il che apre un discorso tutt’altro che semplice sul rapporto tra l’affermazione diltheyana della relatività storica di tutte le manifestazioni del mondo umano e la capacità liberatoria che Dilthey attribuiva alla coscienza storica. Dalla scuola storica egli ha tratto il riconoscimento dell’individualità di ogni epoca, sviluppandolo in una teoria che vede nelle epoche l’orizzonte dei valori, il “luogo” della loro produzione come l’orizzonte della loro validità. Ma, mentre altri dopo di lui intenderanno l’autocentralità in termini di chiusura e di impossibilità di comprensione reciproca, fino a vedere nella storia la successione di organismi autosufficienti, l’interesse di Dilthey è rimasto sempre rivolto ai nessi tra le epoche, ai processi di trasmissione culturale, alla conservazione dell’eredità del passato e alla sua trasformazione. Del resto, il suo pensiero ha rappresentato una delle direttrici attraverso cui la filosofia tra Otto e Novecento ha fatto i conti con il proprio passato, e ne

ha proposto un’interpretazione. Il nesso tra filosofia e storia, e più particolarmente tra costruzione teorica e storia della filosofia, non è estrinseco ma è invece essenziale ad esso. Nella filosofia Dilthey ha riconosciuto il prodotto di un’epoca, «il proprio tempo appreso con il pensiero» — e in questo sta, al di là di ogni contrapposizione, il suo legame profondo con Hegel. Ma, a differenza di Hegel, egli non riteneva che la filosofia potesse offrire un sapere assoluto, e che il processo storico della filosofia costituisse uno sviluppo progressivo verso la razionalità; al contrario, per Dilthey la filosofia non è se non una forma specifica di visione del mondo, anch’essa radicata nella vita, la cui aspirazione alla validità universale non può mai essere realizzata. Come ogni altro prodotto umano, anche la filosofia si muove nell’orizzonte di un’epoca, e non può trascenderlo se non in uno sforzo di comprensione delle altre epoche e dei valori da esse prodotti. Perciò la critica della ragione storica si presenta inevitabilmente come critica storica della ragione, essa stessa condizionata storicamente, e la sua lezione ultima risiede appunto nel riconoscimento di questa insuperabile storicità.

NOTA BIOGRAFICA 1833 Nasce il 19 novembre a Biebrich am Rhein, una cittadina sulla riva destra del Reno vicina a Wiesbaden, di fronte a Mainz, da una famiglia borghese: il padre Maximilian (1804-1867) era pastore evangelico, così come lo era stato il nonno paterno Samuel (1770-1832), mentre la madre Maria Laura Heuschkel (1810-1887) era figlia di un direttore d’orchestra alla corte del ducato di Nassau. Wilhelm è il primogenito della coppia; dopo di lui nasceranno un fratello, Karl (18391907), che diventerà professore di archeologia a Zurigo e poi a Göttingen, e una sorella, Lilli (1846-1920), che sposerà nel 1866 Hermann Usener, intimo amico di gioventù di Dilthey e in seguito professore di filologia classica a Bonn. 1847 Si iscrive al Gymnasium (corrispondente al nostro liceo) pubblico di Wiesbaden. 1852 Consegue la maturità a Wiesbaden, tenendo il 6 aprile il discorso ufficiale di congedo sull’influenza dell’antichità greca sulla gioventù. 1852 Abbandonato, probabilmente per l’influenza paterna, l’iniziale proposito di dedicarsi agli studi giuridici, si iscrive alla Facoltà teologica della Ruprecht-Karl-Universität di Heidelberg, dove rimarrà per tre semestri; oltre ai corsi di teologia segue anche corsi presso la Facoltà filosofica, dove incontra il giovane Privatdozent Kuno Fischer, suo primo maestro di filosofia. 1853 Dopo l’allontanamento dall’università dello storico Gervinus e di Kuno Fischer lascia Heidelberg trasferendosi a Berlino, dove si iscrive alla Facoltà teologica; ma frequenta anche le lezioni del filologo classico August Böckh, del geografo Karl Ritter, del linguista Jacob Grimm, dello storico Leopold von Ranke, nonché quelle del filosofo Adolf Trendelenburg. 1856 Conclude gli studi teologici superando il relativo esame; nella chiesa di Mosbach tiene la sua prima e unica predica, dopo di che rientra a Berlino per dedicarsi allo studio della filosofia. 1857 Sostiene l’esame di stato per l’insegnamento ginnasiale; insegna quindi al Französisches Gymnasium e poi allo Joachimsthalsches Gymnasium. 1858 Abbandonato l’insegnamento, comincia a esercitare l’attività di libero pubblicista, pubblicando un saggio su Hamann nella «Deutsche

Zeitschrift für christlische Wissenschaft»; ad esso faranno seguito numerosi articoli su vari periodici come i «Westermanns Illustrierte Deutsche Monatshefte» e i «Preuβische Jahrbücher», per lo più anonimi o siglati oppure pubblicati sotto uno pseudonimo (di solito Wilhelm Hoffner). 1859 Pubblica nei «Westermanns Illustrierte Deutsche Monatshefte», sotto pseudonimo, il suo primo saggio su Schleiermacher, e prepara una dissertazione sull’ermeneutica di questo autore. 1860 Presenta alla Schleiermacher-Stiftung lo studio sul sistema ermeneutico di Schleiermacher, che viene premiato con una somma doppia di quella prevista dal bando di concorso. 1861 Subentra a Ludwig Jonas, diacono nella Nicolaikirche e genero di Schleiermacher, morto nel 1859, nel lavoro di edizione delle sue opere; e in questo ambito pubblica il terzo volume dell’epistolario, Aus Schleiermachers Leben in Briefen. 1863 Pubblica il quarto volume dell’epistolario: da questo lavoro editoriale nasce il proposito di scrivere una biografia di Schleiermacher, sulla base dell’ampio materiale inedito a disposizione. 1864 Una malattia agli occhi lo costringe a interrompere lo studio dei Padri della Chiesa e dello sviluppo della concezione cristiana tra antichità e Medioevo, al quale si era dedicato negli anni precedenti. Nello stesso anno consegue, sotto la guida di Trendelenburg, dapprima il dottorato in filosofia, con la dissertazione De principiis ethices Schleiermacheri, e quindi l’abilitazione, con un lavoro dal titolo Versuch einer Analyse des moralischen Bewuβtseins. 1867 Comincia la pubblicazione del primo volume del Leben Schleiermachers. 1867 Viene chiamato all’Università di Basilea, dove tiene la prolusione sul tema Die dichterische und philosophische Bewegung in Deutschland 1770-1800. 1868 Si trasferisce all’Università di Kiel. Da novembre alla primavera successiva compie un lungo viaggio in Italia, per curarsi da una grave depressione, visitando Roma, Napoli, Capri, Ischia, Firenze e Milano. 1870 Giunge a termine la pubblicazione del primo volume del Leben Schleiermachers.

1871 È chiamato a insegnare all’Università di Breslavia; qui stringe amicizia con il conte Paul Yorck von Wartenburg, nipote del maresciallo Hans David Ludwig Yorck von Wartenburg, che aveva dato un contributo decisivo alla riorganizzazione dell’esercito prussiano dopo la pace di Tilsit del 1805 e alla successiva riscossa antinapoleonica. 1874 Si sposa con Katherina Püttman (1854-1932), figlia di un avvocato berlinese, dalla quale avrà un maschio e due femmine. 1875 Pubblica il saggio Über das Studium der Geschichte der Wissenschaften vom Menschen, der Gesellschaft und dem Staat. 1882 È chiamato a insegnare a Berlino, quale successore di Hermann Lotze, a fianco dello storico della filosofia antica Eduard Zeller. 1883 Pubblica il primo volume dell’Einleitung in die Geisteswissenschaften. 1887 Viene eletto membro dell’Accademia prussiana delle Scienze. 1890 Pubblica i Beiträge zur Lösung der Frage vom Ursprung unseres Glaubens an die Realität der Auβenwelt und seinem Recht. 1891 Comincia la pubblicazione di una serie di saggi sul pensiero del Rinascimento e della Riforma, che saranno poi raccolti sotto il titolo Weltanschauung und Analyse des Menschen seit Renaissance und Reformation. 1892 Pubblica il saggio Erfahren und Denken. 1894 Pubblica le Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie. 1895 Pubblica i Beiträge zum Studium der Individualität, replicando alla critica mossagli da Wilhelm Windelband nel discorso rettorale di Strasburgo dell’anno precedente. 1896 Riprende lo studio di Schleiermacher in vista della pubblicazione del secondo volume del Leben Sehleiermachers. 1897 Muore l’amico Paul Yorck von Wartenburg. 1900 Pubblica il saggio Die Entstehung der Hermeneutik. 1901 Pubblica il saggio Das achtzehnte Jahrbundert und die geschichtliche Welt. 1905 Pubblica lo studio sulla Jugendgeschichte Hegels e la raccolta

di saggi Das Erlebnis und die Dichtung. 1907 Pubblica il saggio Das Wesen der Philosophie. 1907 Con il semestre invernale 1907-1908 lascia l’insegnamento all’Università di Berlino. 1910 Pubblica il fondamentale saggio Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften. 1911 Pubblica il saggio Die Typen der Weltanschauung und ihre Ausbildung in den metaphysischen Systemen. 1911 Muore il 3 ottobre a Seis (Siusi), nell’allora Südtirol austriaco, dove si trovava in vacanza.

NOTA BIBLIOGRAFICA Scritti L’opera di Dilthey è stata in gran parte pubblicata nelle Gesammelte Schriften, di cui sono finora apparsi ventun volumi. La raccolta è stata promossa, pochi anni dopo la sua morte, dai principali allievi come Bernhard Groethuysen, Georg Misch e Herman Nohl, e dal 1914 al’36 ne sono apparsi, presso la casa editrice Teubner, undici volumi, e precisamente i volumi I-IX e XI-XII; essa è poi stata ripresa soltanto nel secondo dopoguerra, a partire dal 1958, presso l’editore Vandenhoeck & Ruprecht di Göttingen, che ha anche riedito più volte, in ristampa anastatica, i volumi precedenti. A partire dal volume XVIII la pubblicazione delle Gesammelte Schriften è curata da Karlfried Gründer e Frithjof Rodi. L’elenco dei volumi finora pubblicati è il seguente: Vol. I: Einleitung in die Geisteswissenschaften. Versuch einer Grundlegung für das Studium der Gesellschaft und der Geschichte, a cura di B. Groethuysen (1922) — riproduce il testo del volume dallo stesso titolo apparso presso Teubner nel 1883, che contiene i primi due libri dell’opera. Vol. II: Weltanschauung und Analyse des Menschen seit Renaissance und Reformation, a cura di G. Misch (1914) — raccoglie i saggi Weltanschauung und Analyse des Menschen im 15. und 16. Jahrhundert (1891-92), Das natürliche System der Geisteswissenschaften im 17. Jahrhundert (1892-93), Die Autonomie des Denkens, der konstruktive Rationalismus und der pantheistische Monismus nach ihrem Zusammenhang im 17. Jahrhundert (1893), Giordano Bruno (1893), Der entwicklungsgeschichtliche Pantheismus nach seinem geschichtlichen Zusammenhang mit den älteren pantheistischen Systemen (1900), Aus der Zeit der Spinoza-Studien Goethes (1894), Die Funktion der Anthropologie in der Kultur des 16. und 17. Jahrhunderts (1904). Vol. III: Studien zur Geschichte des deutschen Geistes, a cura di P. Ritter (1921) — raccoglie i saggi Leibniz und sein Zeitalter (1900), Friedrich der Grosse und die deutsche Aufklärung (1901), Das achtzehnte Jahrhundert und die geschichtliche Welt (1901), Anfänge der historischen Weltanschauung Niebuhrs (1911). Vol. IV: Die Jugendgeschichte Hegels und andere Abhandlungen zur Geschichte des deutschen Idealismus, a cura di H. Nohl (1921) — contiene,

oltre all’ampio saggio che dà il titolo al volume (1905-6), una serie di scritti su Kant, Schleiermacher, F. Chr. Baur, Ed. Zeller, J. W. Süvern, Thomas Carlyle, e — raccolti sotto il titolo generale Abhandlungen zur Geschichte des deutschen Idealismus — i saggi Die drei Grundformen der Systeme in der ersten Hälfte des 19. Jahrhunderts (1898) e Archive der Literatur in ihrer Bedeutung für das Studium der Geschichte der Philosophie (1889). Vol. V: Die geistige Welt. Einleitung in die Philosophie des Lebens,1. Abhandlungen zur Grundlegung der Geisteswissenschaften, a cura di G. Misch (1924) — raccoglie, dopo un’ampia premessa del curatore (pp. VIICXXVII), quattro scritti autobiografici, cioè la Vorrede dell’autore, il discorso da lui pronunciato in occasione del 70° compleanno (1903), l’Antrittsrede in der Akademie der Wissenschaften (1887), la prolusione di Basilea dal titolo Die dichterische und philosophische Bewegung in Deutschland 1770-1800, e i saggi seguenti: Über das Studium der Geschichte der Wissenschaften vom Menschen, der Gesellschaft und dem Staat (1875), Erfahren und Denken (1892), Beiträge zur Lösung der Frage vom Ursprung unseres Glaubens an die Realität der Auβenwelt und seinem Recht (1890), Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie (1894), Beiträge zum Studium der Individualität (1895-96), Die Entstehung der Hermeneutik (1900), Das Wesen der Philosophie (1907). Vol. VI: Die geistige Welt. Einleitung in die Philosophie des Lebens,2. Abhandlungen zur Poetik, Ethik und Pädagogik, a cura di G. Misch (1924)— raccoglie la dissertazione Versuch einer Analyse des moralischen Bewuβtseins (1864) e i saggi Über die Möglichkeit einer allgemeingültigen pädagogischen Wissenschaft (1888), Schulreform undSchulstuben (1890), Dichterische Einbildungskraft und Wahnsinn (1886), Die Einbildungskraft des Dichters. Bausteine für eine Poetik (1887), Die drei Epochen der modernen Ästhetik und ihre heutige Aufgabe (1892), Das Problem der Religion (1911), nonché i Fragmente zur Poetik (1907-8). Vol. VII: Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften, a cura di B. Groethuysen (1927) — raccoglie le Studien zur Grundlegung der Geisteswissenschaften (1905-10), il saggio Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften (1910) e il Plan der

Fortsetzung zum Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften. Vol. VIII: Weltanschauungslehre. Abhandlungen zur Philosophie der Philosophie, a cura di B. Groethuysen (1931) — raccoglie i due saggi Das geschichtliche Bewuβtsein und die Weltanschauungen e Die Typen der Weltanschauung und ihre Ausbildung in den metaphysischen Systemen, nonché una serie di frammenti sulla teoria della visione del mondo. Vol. IX: Pädagogik. Geschichte und Grundlinien des Systems, a cura di O. F. Bollnow (1934) — contiene la Geschichte der Pädagogik e le Grundlinien eines Systems der Pädagogik. Vol. X: System der Ethik, a cura di H. Nohl (1958) — contiene il corso dallo stesso titolo, tenuto nel 1890. Vol. XI: Vom Aufgang des geschichtlichen Bewuβtseins. Jugendaufsätze und Erinnerungen, a cura di E. Weniger (1936) — raccoglie i saggi su Johann Georg Hamann, Carl Immanuel Nitzsch, i Laienbriefe über einige weltliche Schriften, la recensione a Die Kultur der Renaissance in Italien di Jacob Burckhardt, cinque profili di Deutsche Geschichtsschreiber (Johannes von Müller, Niebuhr, Schlosser, Dahlmann, Raumer), la rassegna Literaturhistorische Arbeiten über das klassische Zeitalter unserer Dichtung, la recensione a Adolf Bastian, e inoltre le Erinnerungen an deutsche Geschichtsschreiber e le recensioni a Julian Schmitt, Wilhelm Scherer, Gustav Schmoller, Anna von Helmholtz. Vol. XII: Zur preussischen Geschichte, a cura di E. Weniger (1936) — raccoglie il saggio Schleiermachers politische Gesinnung und Wirksamkeit (1862) e la serie di saggi Die Reorganisatoren des preussischen Staates (Lorenz von Stein, Karl von Hardenberg, Wilhelm von Humboldt, Neithardt von Gneisenau, Gerhard Johann David Scharnhorst, la rivista «Preuβische Jahrbücher»), nonché l’ampio saggio Das allgemeine Landrecht. Vol. XIII: Leben Schleiermachers, suddiviso in due volumi, a cura di M. Redeker (1970) — il primo contiene la parte I (relativa al periodo 1768-1802) e il secondo la parte II (relativa al periodo 1803-1807), riproducendo il testo pubblicato nel 1867-70 a Berlin, presso Reimer (e ristampato in seconda edizione con aggiunte, a cura di H. Mulert, presso W. de Gruyter nel 1922). Vol. XIV: Leben Schleiermachers. Schleiermachers System als Philosophie

und Theologie, anch’esso suddiviso in due volumi, a cura di M. Redeker (1966) — il primo reca come titolo Schleiermachers System als Philosophie, e il secondo Schleiermachers System als Theologie. Vol. XV: Zur Geistesgeschichte des 19. Jahrhunderts. Portraits und biographische Skizzen. Quellenstudien und Literaturberichte zur Theologie und Philosophie im 19. Jahrhundert, a cura di U. Hermann — raccoglie, dopo una premessa editoriale alla continuazione delle Gesammelte Schriften, il saggio Archive für Literatur, una serie di profili biografici di Schleiermacher, Schlosser, Schopenhauer, Gibbon, Hölderlin, Tieck, Novalis, Fr. Überweg, Uhland, Schelling, Maometto, la principessa Galitzin, Wagner, Goethe e Corona Schröter, Heine, John Stuart Mill, Grote, Ribbeck, Emilie Zeller, Ed. Zeller, e ancora il giovanile saggio su Marcione e i Literaturberichte zur Philosophie des 19. Jahrhunderts. Vol. XVI: Zur Geistesgeschichte des 19. Jahrhunderts. Aufsätze und Rezensionen aus Zeitungen und Zeitschriften 1859-1874, a cura di U. Hermann (1974) — raccoglie saggi e recensioni apparsi su giornali e riviste negli anni dal 1859 al’74, a libri di argomento storico, letterario e artistico, filosofico e scientifico. Vol. XVII: Zur Geistesgeschichte des 19. Jahrhunderts. Aus “Wester-manns Monatsheften”: Literaturbriefe, Berichte zur Kunstgeschichte, verstreute Rezensionen 1867-1884, a cura di U. Hermann (1974) — raccoglie una serie di rassegne, per lo più di argomento letterario o storico-artistico, pubblicate sui «Westermanns Illustrierte Deutsche Monatshefte» nel periodo 1874-81, nonché varie recensioni sparse. Vol. XVIII: Die Wissenschaften vom Menschen, der Gesellschaft und der Geschichte. Vorarbeiten zur Einleitung in die Geisteswissenschaften (18651880), a cura di H. Johach e F. Rodi (1977) — raccoglie gli abbozzi e le stesure preliminari sia del saggio Über das Studium der Geschichte der Wissenschaften vom Menschen, der Gesellschaft und dem Staat sia del primo volume dell’Einleitung in die Geisteswissenschaften, nonché una prima versione della deskriptive Psychologie. Vol. XIX: Die Wissenschaften vom Menschen, der Gesellschaft und der Geschichte. Ausarbeitungen und Entwürfe zum zweiten Band der Einleitung in die Geisteswissenschaften (ca. 1870-1895), a cura di H. Johach e F. Rodi

(1982) — raccoglie gli abbozzi e le stesure preparatorie in vista del secondo volume dell’Einleitung in die Geisteswissenschaften, che risalgono in larga parte al periodo dal 1880 al 1890, e il piano complessivo dello stesso volume, noto con il nome di Berliner Entwurf (1893), nonché il testo su Leben und Erkennen (1892-93). Vol. XX: Logik und System der philosophischen Wissenschaften. Vorlesungen zur erkenntnistheoretischen Logik und Methodologie (1864-1903), a cura di H.-U. Lessing e F. Rodi (1990) — raccoglie le lezioni di logica e di teoria della conoscenza tenute a Berlino e a Basilea dal 1864 al’68, le lezioni berlinesi sull’introduzione alle scienze dello spirito del 1883, le lezioni berlinesi di logica del 1883-88, e infine le più tarde lezioni sulla sistematica della filosofia del 1899-1903. Vol. XXI: Psychologie als Erfahrungswissenschaft, 1. Vorlesungen zur Psychologie und Anthropologie (ca. 1875-1894), a cura ci G. van Kerckhoven e H.-U. Lessing (1997) — raccoglie le lezioni di psicologia e di antropologia tenute a Breslavia nel 1875-76, le lezioni berlinesi di psicologia del 1883-89 e le lezioni berlinesi sulle applicazioni della psicologia alla pedagogia del 1893-94. Vol. XXIII: Allgemeine Geschichte der Philosophie. Vorlesungen 1900-1905, a cura di G. Gebhardt e H.-U. Lessing (2000) — raccoglie le lezioni di storia della filosofia tenute a Berlino negli ultimi anni dell’insegnamento di Dilthey. Sono attualmente in preparazione gli ultimi sei volumi della raccolta. Il volume XXII, anch’esso a cura di G. van Kerckhoven e H.-U. Lessing, conterrà la seconda parte della Psychologie als Erfahrungswissenschaft, cioè i Manuskripte zur Genese der deskriptiven Psychologie (ca. 1880-1896), mentre il volume XXIV, a cura di G. Kühne-Bertram, sarà dedicato a Logik und Wert. Entwürfe und Ausarbeitungen zur Strukturpsychologie, Logik und Wertphilosophie (ca. 1905-1908); i volumi XXV e XXVI, entrambi a cura di G. Malsch, comprenderanno rispettivamente una serie di saggi dal titolo Dichter als Seher der Menschheit e i saggi raccolti in Das Erlebnis und die Dichtung; i volumi XXVII-XXIX, a cura di K. C. Köhnke, G. Köhne-Bertram e H.-U. Lessing, comprenderanno invece Briefe und Dokumente 1850-1911; infine il volume XXX conterrà Dokumente und Register. Rimangono al di fuori di questa raccolta vari altri volumi, e precisamente: Das Erlebnis und die Dichtung, Leipzig und Berlin, Teubner, 1905, 2a ed. 1907, 3a ed. 1910, con numerose ristampe successive presso

Vandenhoeck & Ruprecht. Von deutscher Dichtung und Musik. Aus den Studien zur Geschichte des deutschen Geistes, a cura di H. Nohl e G. Misch, Leipzig und Berlin, Teubner, 1933, 2a ed. Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1957. Diltheys Kant-Darstellung in seiner letzten Vorlesung über das System der Philosophie, in D. Bischoff, Wilhelm Diltheys geschichtliche Lebensphilosophie, Leipzig und Berlin, Teubner, 1935, pp. 46-63. Grundriss der allgemeinen Geschichte der Philosophie, a cura di H.-G. Gadamer, Frankfurt a.M., Klostermann, 1949. Die grosse Phantasiedichtung und andere Studien zur vergleichenden Literaturgeschichte, a cura di H. Nohl, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1954. Fragmente aus Wilhelm Diltheys Hegelwerk, a cura di F. Nicolin e O. Pöggeler, «Hegelstudien», I, 1961, pp. 103-34. Ad essi si aggiungono il diario giovanile e varie raccolte di lettere: Briefwechsel zwischen Wilhelm Dilthey und dem Grafen Paul Yorck von Wartenhurg (1877-1897), a cura di S. von der Schulenburg, Halle, Max Niemeyer, 1923, ristampa anast. Hildesheim-New York, G. Olms, 1974. Der junge Dilthey. Ein Lebensbild in Briefen und Tagebüchern (1852-1870), a cura di Clara Misch Dilthey, Leipzig, Teubner, 1933, 2a ed. Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1960. Briefe Wilhelm Diltheys an Bernhard und Luise Scholz (1859-1864), a cura di S. von der Schulenburg, «Sitzungsberichte der Preussischen Akademie der Wissenschaften», Philosophisch-historische Klasse, 1933, n. 10, pp. 416-71. Briefe Wilhelm Diltheys an Rudolf Haym (1861-1873), a cura di E. Weniger, «Abhandlungen der Preussischen Akademie der Wissenschaften», n. 9, Berlin, W. de Gruyter, 1936. Briefwechsel Dilthey-Husserl, a cura di W. Biemel, «Man and World», I, 1968, pp. 428-46. È attualmente in corso di pubblicazione una raccolta di Selected Works in traduzione inglese, a cura di R. A. Makkreel e F. Rodi, presso la Princeton University Press. Sono finora apparsi il volume I, Introduction to the Human Sciences (1989); il volume III, The Formation of the Historical World in the

Human Sciences (2003); il volume IV, Hermeneutics and the Study of History (1996); il volume V, Poetry and Experience (1985). Traduzioni italiane L’analisi dell’uomo e l’intuizione della natura dal Rinascimento al secolo XVIII, a cura di G. Sanna, Venezia, La Nuova Italia, 1927, 2 voll., ristampa anast. 1974. Esperienza vissuta e poesia, a cura di N. Accolti Gil Vitali, Milano, Istituto editoriale italiano, 1947, ried. Genova, Il Melangolo, 1999. Critica della ragione storica, a cura di Pietro Rossi, Torino, Einaudi, 1954. Il secolo XVIII e il mondo storico, trad. it. di F. Tedeschi Negri, a cura di Pietro Rossi, Milano, Edizioni di Comunità, 1967. Ermeneutica e religione, a cura di G. Morra, Bologna, Patron, 1970, ried. Milano, Rusconi, 1992. L’essenza della filosofia, a cura di G. Penati, Brescia, La Scuola, 1971. Introduzione alle scienze dello spirito [libro I], trad. it. di S. Bonarelli, Assisi-Roma, B. Carucci ed., 1972. Le origini dell’ermeneutica, a cura di M. Ravera, «Rivista di estetica», XVIII, 1973, pp. 5-33. L’etica di Schleiermacher, a cura di F. Bianco, Napoli, Guida, 1974. Introduzione alle scienze dello spirito, a cura di G. De Toni, Firenze, La Nuova Italia, 1974. Lo studio delle scienze umane, sociali e politiche, a cura di G. Cacciatore, Napoli, Morano, 1975. I tipi di intuizione del mondo e la loro elaborazione nei sistemi metafisici, in Lo storicismo tedesco, a cura di Pietro Rossi, Torino, UTET, 1977, pp. 213-63. P. YORCK VON WARTENBURG - W. DILTHEY, Carteggio 18771897, a cura di F. Donadio, Napoli, Guida, 1983. Per la fondazione delle scienze dello spirito. Scritti editi e inediti 18601896, a cura di A. Marini, Milano, F. Angeli, 1985. Storia della giovinezza di Hegel e Frammenti postumi, trad. it. di G. Cavallo Guzzo e A. Giugliano, a cura di G. Cacciatore e G. Cantillo, Napoli, Guida, 1986. II carteggio Dilthey-Husserl, in appendice a M. PASCHI, Dilthey: la mente e le cose, Pisa, ETS, 1988, pp. 145-55. Leibniz e il suo tempo, in W. DILTHEY - E. TROELTSCH, Leibniz e la sua

epoca, a cura di R. Bonito Oliva, Napoli, Guida, 1989, pp. 75-162. Estetica e poetica. Materiali editi e inediti (1886-1909), a cura di G. Matteucci, Milano, F. Angeli, 1992. Sistema di etica, a cura di G. Ciriello, Napoli, Guida, 1993. Il movimento poetico e filosofico in Germania tra il 1770 ed il 1800 (Prolusione di Basilea, 1867), a cura di G. Magnano San Lio, «Archivio di storia della cultura», XI, 1998, pp. 243-59. La dottrina delle visioni del mondo, a cura di G. Magnano San Lio, Napoli, Guida, 1998. Analisi della coscienza morale, a cura di G. Ciriello, Bari, Palomar, 2000. La disputa tra Kant e la censura: libertà di ricerca e problematica religiosa, in G. MAGNANO SAN LIO, Filosofia e storiografia. Fondamenti teorici e ricostruzione storica in Dilthey, Soveria Mannelli (Catanzaro), Rubbettino, 2000, pp. 305-34. Federico il Grande e l’Illuminismo tedesco, a cura di G. Magnano San Lio, Soveria Mannelli (Catanzaro), Rubbettino, 2003. Studi critici M. FRIESCHEISEN-KÖHLER, Wilhelm Dilthey als Philosoph, «Logos», III,1912, pp. 29-58. B. GROETHUYSEN, Wilhelm Dilthey, «Deutsche Rundschau», XXXIX,1913, pp. 69-92, 249-70, 283-304. G. MISCH, Die Idee der Lebensphilosophie in der Theorie der Geisteswissenschaften, «Kantstudien», XXXI, 1926, pp. 536-48. A. STEIN, Der Begriff des Geistes bei Dilthey, Tübingen, Mohr, 1913, 2a ed. con il titolo Der Begriff des Verstehens bei Dilthey, Tüibingen, Mohr, 1926. B. SCHAIDNAGL, Diltheys Verhältnis zur Geschichte, Berlin, FährmannVerlag, 1927. L. LANDGREBE, Wilhelm Diltheys Theorie der Geisteswissenschaften, Halle, Max Niemeyer, 1928. G. MISCH, Lebensphilosophie und Phänomenologie. Eine Auseinandersetzung der Dilthey’schen Richtung mit Heidegger und Husserl, Bonn, F. Cohen, 1930, 2a ed. Leipzig und Berlin, Teubner, 1931, 3a

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Frithjof Rodi, pubblica il «Dilthey-Jahrbuch für Philosophie und Geschichte der Geisteswissenschaften», di cui sono apparsi finora dodici volumi: un sommario completo dei contributi si trova nel volume XII, 1999-2000, pp. 33145. Dal 1987 anche la Dilthey Gesellschaft in Japan pubblica annualmente un fascicolo di Dilthey-Forsckung, contenente contributi di argomento diltheyano. Trattazioni più o meno estese del pensiero di Dilthey si trovano anche in opere di carattere più generale, tra le quali occorre menzionare almeno le seguenti: B. GROETHUYSEN, Introduction à la pensée allemande depuis Nietzsche, Paris, Stock, 1926. J. WACH, Die Typenlehre Trendelenburgs und ihr Einfluss auf Dilthey, Tubingen, Mohr, 1926. J. WACH, Das Verstehen. Grundzüge einer Geschichte der hermeneutischen Theorie im 19. Jahrhundert, Tübingen, Mohr, 1926-33, 3 voll. F. HEINEMANN, Neue Wege der Philosophie. Eine Einführung in die Philosophie der Geschichte, Leipzig, Verlag von Quelle und Meyer, 1929. F. KAUFMANN, Geschichtsphilosophie der Gegenwart, Berlin, Junker und Dünnhaupt, 1931. R. ARON, Essai sur la théorie de l’histoire dans l’Allemagne contemporaine, Paris, J. Vrin, 1938, 2a ed. con il titolo La philosophie critique de l’histoire. Essai sur une theorie allemande de l’histoire, Paris, J. Vrin, 1950. M. MANDELBAUM, The Problem of Historical Knowledge, New York, Liveright Publishing Company, 1938. C. ANTONI, Dallo storicismo alla sociologia, Firenze, Sansoni, 1939. F. ENGEL-JANOSI, The Growth of German Historicism, Baltimore, Johns Hopkins University Studies in Historical and Political Science, 1944. G. LUKÁCS, Die Zerstörung der Vernunft. Der Weg des Irrationalismus von Schelling zu Hitler, Berlin, Aufbau-Verlag, 1953, trad. it. di E. Arnaud con il titolo La distruzione della ragione, Torino, Einaudi, 1974. PIETRO ROSSI, LO storicismo tedesco contemporaneo, Torino, Einaudi, 1956, 2a ed. 1971, 3a ed. Milano, Edizioni di Comunità, 1994.

H. S. HUGHES, Consciousness and Society. The Reorientation of European Social Thought, 1890-1930, New York, A. A. Knopf, 1958, trad. it. di C. Costantini con il titolo Coscienza e società, Torino, Einaudi, 1967. PIETRO ROSSI, Storia e storicismo nella filosofia contemporanea, Milano, Lerici, 1960, 2a ed. Milano, Il Saggiatore, 1991. I. S. KON, Die Geschichtsphilosophie des 20. Jahrhunderts - Kritischer Abriss (trad. dal russo di W. Hoepp), Berlin, Akademie-Verlag, 1964. G. G. IGGERS, The German Conception of History. The National Tradition of Historical Thought from Herder to the Present, Middletown (Conn.), Wesleyan University Press, 1968, ed. tedesca ampliata con il titolo Deutsche Geschichtswissenschaft. Eine Kritik der traditionellen Geschichtsauf fassung von Herder bis zur Gegenwart, München, Deutscher Taschenbuch Verlag, 1971. H. SCHNÄDELBACH, Geschichtsphilosophie nach Hegel. Die Probleme des Historismus, Freiburg i.B.-München, Alber, 1974, trad. it. di G. Moretto con il titolo La filosofia della storia dopo Hegel: i problemi dello storicismo, Napoli, Morano, 1990. H. SCHNÄDELBACH, Philosophie in Deutschland 1831-1933, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1983. F. TESSITORE, Introduzione allo storicismo, Roma-Bari, Laterza, 1991. F. JAEGER - J. RÜSEN, Geschichte des Historismus. Eine Einführung, München, Beck, 1992. O. G. OEXLE, Geschichtswissenschaft im Zeichen des Historismus. Studien zu Problemgeschichten der Moderne, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1996. Lo storicismo e la sua storia. Temi, problemi, prospettive, a cura di G. Cacciatore, Milano, Guerini e Ass., 1997. Bibliografie Un elenco degli scritti di Dilthey fino al 1883, a cura di E. Weniger, si trova nel vol. XII delle Gesammelte Schriften, pp. 207-13. J. HENNIG, Lebensbegriff und Lebenskategorie. Studien zur Geschichte und Theorie der geisteswissenschaftlichen Begriffsbildung mit besonderer Berücksichtigung Wilhelm Diltheys. Miteiner Dilthey-Bibliographie, Aachen, Risse-Verlag, 1934, pp. 93-147.

W. DÌAZ DE CERIO RUIZ, Bibliografia de W. Dilthey, «Pensamiento», XXIV, 1968, pp. 195-258. U. HERRMANN, Bibliographie Wilhelm Diltheys: Quellen und Literatur, Wernheim/Bergstr.-Berlin-Basel, Beltz, 1969. Aggiornamenti successivi con il titolo Bibliographie der Dilthey-Literatur, a cura di H.-U. Lessing, si trovano nel «Dilthey-Jahrbuch fùr Philosophie und Geschichte der Geisteswissenschaften», vol. I, 1883, pp. 281-88; vol. II, 1984, pp. 351-58; vol. IV, 1985, pp. 275-84; vol. IX, 1994-95, pp. 348-59; vol. XII, 19992000, pp. 303-29. La bibliografia più ampia in lingua italiana si trova in F. BIANCO, Introduzione a Dilthey, cit., pp. 209-50. La presente edizione Questo volume raccoglie sei saggi che appartengono all’ultima fase della produzione di Dilthey: i primi tre contengono la formulazione ultima della «critica della ragione storica», mentre i successivi sono dedicati alla teoria della visione del mondo. Essi sono: le tre Studien zur Grundlegung der Geisteswissenschaften, presentate all’Accademia prussiana delle Scienze nelle sedute della Classe storicofilosofica del 22 dicembre 1904, del 23 marzo 1905, del 6 dicembre 1906 e nelle sedute plenarie del 2 marzo 1905, del 7 gennaio 1909, del 20 gennaio 1910, poi raccolte in Gesammelte Schriften, vol. VII, pp. 1-75; il saggio Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften, presentato all’Accademia prussiana delle Scienze nella seduta plenaria del 20 gennaio 1910 e pubblicato nelle «Abhandlungen» dell’Accademia, 1910, poi raccolto in Gesammelte Schriften, vol. VII, pp. 77188; il Plan der Fortsetzung zum Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften, manoscritto pubblicato in Gesammelte Schriften, vol. VII, pp. 189-291; il saggio Das Wesen der Philosophie, pubblicato nella raccolta Die Kultur der Gegenwart. Ihre Entwicklung und ihre Ziele, a cura di P. Hinneberg, parte I, sezione 6: Systematische Philosophie, Leipzig und Berlin, Teubner, 1907, pp. 1-71, e riprodotto in Gesammelte Schriften, vol. V, pp. 339-416; il saggio Das geschichtliche Bewuβtsein und die Weltanschauungen, manoscritto pubblicato in Gesammelte Schriften, vol. VIII, pp. 1-71;

il saggio Die Typen der Weltanschauung und ih re Ausbildung in den metaphysischen Systemen, pubblicato nel volume di vari autori Weltanschauung, Philosophie und Religion in Darstellungen, a cura di M. Frischeisen-Köhler, Berlin, Verlag Reichl und Co, 1911, pp. 1-51, e raccolto in Gesammelte Schriften, vol. VIII, pp. 73-118. Le Studien zur Grundlegung der Geisteswissenschaften, il saggio Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften, il Plan der Fortsetzung zum Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften e il saggio Das Wesen der Philosophie sono stati tradotti per la prima volta nel volume Critica della ragione storica, a cura di Pietro Rossi, Torino, Einaudi (“Biblioteca di cultura filosofica”), 1954,2a ed. 1969, ed. nei “reprints” 1982. Il saggio Die Typen der Weltanschauung und ihre Ausbildung in den metaphysischen Systemen è stato tradotto per la prima volta, a cura di S. Barbera e Pietro Rossi, nell’antologia Lo storicismo tedesco, a cura di Pietro Rossi, Torino, UTET (“Classici della filosofia”), 1977, pp. 213-63. Il saggio Das geschichtliche Bewuβtsein und die Weltanschauungen è stato invece tradotto qui ex novo. Per quanto riguarda gli altri saggi, la traduzione è stata accuratamente rivista e in parte modificata, anche per quanto riguarda alcune scelte terminologiche, ed è stata corredata di note informative. Le note di Dilthey sono contrassegnate da lettere, quelle del curatore da numeri.

I.

STUDI PER LA FONDAZIONE DELLE SCIENZE DELLO SPIRITO

1. LA CONNESSIONE STRUTTURALE PSICHICA Le scienze dello spirito formano una connessione conoscitiva, la quale mira a una conoscenza oggettuale e oggettiva della concatenazione degli Erlebnisse umani nel mondo storico-sociale dell’uomo. La storia delle scienze dello spirito mostra una lotta costante con le difficoltà che qui si presentano: esse vengono gradualmente superate entro certi limiti, e la ricerca si approssima, per quanto ancora da lontano, a questo fine che sta incessantemente dinanzi a ogni vero indagatore. L’indagine sulla possibilità di una tale conoscenza oggettuale e oggettiva costituisce il fondamento delle scienze dello spirito. Nelle pagine che seguono mi propongo di fornire alcuni contributi a una tale ricerca. Così come si presenta a noi nelle scienze dello spirito, il mondo storico dell’uomo non è, per così dire, una copia di una realtà che si trovi al di fuori di queste. Il conoscere non può produrre una realtà del genere; esso è, e rimane, legato ai mezzi suoi propri dell’intuizione, della comprensione e del pensiero concettuale. E le scienze dello spirito non si propongono neppure di produrre una copia siffatta. In esse ciò che è accaduto e ciò che accade, ciò che è singolare, accidentale, momentaneo, viene piuttosto ricondotto a una connessione di valore e di senso. La conoscenza nel suo progredire cerca di penetrare sempre più a fondo in questa connessione e di diventare sempre più oggettiva nel coglierla, senza però mai smarrire la propria essenza fondamentale, che consiste nel poter esperire ciò che è in connessioni astratte, in un nesso concettuale, sempre soltanto risentendo, ricostruendo, collegando, separando. Risulterà così che anche la rappresentazione storica di ciò che è una volta accaduto può accostarsi a una penetrazione del suo oggetto, nei limiti propri dei mezzi della comprensione e del pensiero, soltanto sul fondamento delle scienze analitiche che studiano le singole connessioni di scopo. Una siffatta conoscenza dei processi in cui si sviluppano le scienze dello spirito è al tempo stesso la condizione per comprendere la loro storia. In base ad essa si può riconoscere il rapporto delle scienze particolari dello spirito con la coesistenza e la successione dell’Erleben su cui queste sono fondate. In essa si scorge il cooperare in vista dello scopo di rendere comprensibile nella sua totalità la connessione di valore e di senso che sta a base di tale coesistenza e di tale successione dell’Erleben, e di rendere poi comprensibile, in base a tale connessione, ciò che è singolare. E al tempo stesso si capisce, muovendo da

tali fondamenti teorici, come la disposizione di coscienza e l’orizzonte di un’età costituiscano sempre il presupposto del fatto che questa età considera il mondo storico in una determinata maniera: le possibilità dei punti di vista del vedere storico vengono per così dire percorse nelle diverse epoche delle scienze dello spirito. E un’ultima cosa risulta chiara: lo sviluppo delle scienze dello spirito deve essere accompagnato dalla loro autoriflessione logica e gnoseologica, cioè dalla coscienza filosofica del modo in cui si costituisce, muovendo dall’Erleben di ciò che è accaduto, la connessione intuitivoconcettuale del mondo storico-sociale dell’uomo. Per la comprensione di questi e di altri processi nella storia delle scienze dello spirito spero che possano dimostrarsi utili le considerazioni seguenti. I. Compito, metodo e ordinamento della fondazione. 1. Il compito. Per la fondazione delle scienze dello spirito non è ovviamente possibile impiegare alcun procedimento diverso da quello che si impiega nella fondazione del sapere. Se vi fosse una teoria del sapere pervenuta a un riconoscimento universale, si tratterebbe qui soltanto di applicarla alle scienze dello spirito. Ma una teoria siffatta è una delle più giovani tra le discipline scientifiche: Kant per primo ha concepito il suo problema in termini generali, mentre il tentativo di Fichte di riassumere le soluzioni kantiane in una teoria complessiva si è rivelato prematuro e i diversi tentativi che si compiono oggi in questo campo appaiono tra loro inconciliabili come quelli compiuti nel campo della metafisica. Rimane così soltanto la possibilità di trarre fuori dall’ambito complessivo della fondazione filosofica una connessione di princìpi che soddisfi il compito di una fondazione delle scienze dello spirito. In questo stadio di sviluppo della teoria del sapere nessun tentativo può sottrarsi al pericolo dell’unilateralità. Il procedimento risulterà però tanto meno esposto ad esso quanto più il compito di questa teoria viene concepito in termini generali e quanto più compiutamente vengono impiegati tutti i mezzi per la sua soluzione. Proprio questo viene richiesto al tempo stesso dalla natura peculiare delle scienze dello spirito. La loro fondazione deve riferirsi a tutte le classi di sapere; essa deve estendersi al campo della conoscenza della realtà, della posizione dei valori come della determinazione degli scopi e della formulazione di regole. Le scienze particolari dello spirito si costituiscono in base al sapere relativo ai fatti, a verità universali valide, a valori, scopi e regole. E la vita storico-sociale dell’uomo procede di continuo dall’apprensione della realtà a determinazioni

di valore, e da queste alla posizione di scopi e alla formulazione di regole. Quando la storia rappresenta un processo storico, ciò avviene sempre mediante una selezione di ciò che è tramandato nelle fonti, e questa è continuamente determinata da una stima del valore dei fatti. Questo rapporto risulta ancora più chiaro nelle scienze che hanno per oggetto i singoli sistemi della cultura. La vita della società si articola in connessioni di scopo, e una connessione di scopo si realizza sempre in azioni che sono vincolate da regole. E invero queste scienze sistematiche dello spirito non sono soltanto teorie nelle quali beni, scopi e regole si presentano come fatti della realtà sociale; ma, come la teoria stessa è sorta dalla riflessione e dal dubbio sulle qualità di tale realtà, sulla valutazione della vita, sul sommo bene, sui diritti e sui doveri tramandati, così essa costituisce nel medesimo tempo il punto di passaggio per giungere al fine di ottenere determinazioni di scopo e norme per la regolamentazione della vita. L’economia politica ha il suo fondamento logico nella teoria del valore. La scienza giuridica deve procedere da particolari princìpi positivi di diritto alle regole e ai concetti generali del diritto che vi sono contenuti, e infine incontra i problemi che riguardano le relazioni tra valutazione, formulazione di regole e conoscenza della realtà in questo campo. È il fondamento dell’ordinamento giuridico da ricercare esclusivamente nella forza coercitiva dello stato? E se nel diritto devono avere un posto princìpi universalmente validi, hanno essi la propria fondazione in una regola vincolante immanente al volere oppure in una determinazione di valori oppure nella ragione? E le medesime questioni ricorrono nel campo della morale; anzi il concetto di un vincolo incondizionatamente valido del volere, che noi indichiamo come dovere, costituisce proprkmente il problema principale di questa scienza. Così la fondazione delle scienze dello spirito esige lo stesso allargamento a tutte le classi del sapere, che si richiede nella fondazione filosofica generale. Quest’ultima deve infatti estendersi a ogni campo in cui la coscienza abbia scosso il dominio dell’autorità e aspiri a pervenire, attraverso il punto di vista della riflessione e del dubbio, a un sapere valido. La fondazione filosofica deve in primo luogo giustificare il sapere nel campo dell’apprendere oggettuale1. Infatti, superata la coscienza ingenua di una realtà oggettuale e delle sue qualità, la conoscenza scientifica cerca di trarre dal dato sensibile un ordine oggettuale conforme a leggi, e alla fine sorge il problema di dimostrare la necessità oggettiva dei modi di procedere della conoscenza della realtà e dei risultati a cui essa perviene. Ma anche il nostro sapere relativo ai valori ha

bisogno di una tale fondazione. I valori vitali, che si presentano nel sentimento, vengono infatti sottoposti alla riflessione scientifica, e da questa sorge anche qui il compito di produrre un sapere oggettivamente necessario; e l’ideale di una sua compiutezza sarebbe raggiunto se la teoria assegnasse ai valori vitali il loro posto secondo un criterio preciso — l’antica tanto dibattuta questione, che si è configurata dapprima come la questione del sommo bene. Una fondazione siffatta non è meno necessaria, infine, per l’ambito della posizione di scopi e della formulazione di regole di quanto non lo sia per gli altri due campi. Infatti anche gli scopi che il volere si pone, al pari delle regole a cui si trova vincolato, quali ci provengono in primo luogo dalla tradizione dei costumi, della religione e del diritto positivo, vengono dissolti dalla riflessione, e lo spirito deve anche qui produrre da se stesso un sapere valido. La vita conduce ovunque a riflessioni su ciò che in essa è contenuto, e la riflessione al dubbio; e se la vita deve affermarsi nei confronti di questo, il pensiero può venirne a capo soltanto con un sapere valido.

Una pagina del manoscritto del secondo degli Studi per la fondazione delle scienze dello spirito (Berlino, Accademia prussiana delle Scienze, fascicolo C 95:23).

Su ciò poggia l’influenza del pensiero in tutti i modi di atteggiarsi della vita. Sempre combattuta dal sentimento vitale e dall’intuizione geniale, questa influenza riesce però a spuntarla: essa sorge dall’intima necessità di stabilire, nell’instabile mutamento delle percezioni sensibili, dei desideri e dei sentimenti, un punto saldo che renda possibile una condotta di vita costante e unitaria. Questo lavoro viene compiuto in tutte le forme di riflessione scientifica. Ma alla fine è la funzione della filosofia quella di condurre a compimento questa riflessione scientifica sulla vita mediante un’opera di connessione, di generalizzazione e di fondazione. Così il pensiero mantiene la sua funzione determinata nei confronti della vita. La vita, nel suo tranquillo fluire, produce di continuo realtà di ogni specie, e il dato molteplice viene da essa sospinto verso le coste del nostro piccolo io. Il medesimo mutamento consente di godere, nella nostra vita sentimentale e impulsiva, valori di ogni specie — valori vitali sensibili, valori religiosi, valori artistici. E nei mutevoli rapporti tra i bisogni e i mezzi per soddisfarli nasce il processo di posizione degli scopi: si costituiscono connessioni di scopo che attraversano l’intera società, abbracciando e determinando ogni suo elemento: leggi, disposizioni, prescrizioni religiose operano come forze coercitive e condizionano l’individuo. Spetta sempre al pensiero cogliere le relazioni che nella coscienza vi sono in e tra queste realtà della vita, procedendo dal singolare, dall’accidentale, dal momentaneo, pervenuto in tal modo a coscienza chiara e distinta, fino alla connessione necessaria e universale che vi è contenuta. Il pensiero può soltanto incrementare l’energia di questo processo di consapevolezza in rapporto alle realtà della vita: esso è legato da una costrizione interna a ciò che è immediatamente vissuto e a ciò che è dato. E la filosofia è soltanto l’energia suprema di questa presa di coscienza: come coscienza relativa a ogni coscienza e come sapere di ogni sapere. Così essa si pone infine il problema del vincolo del pensiero a forme e a regole, e dall’altro lato il problema della costrizione interna che lega il pensiero al dato. Questo è l’ultimo e supremo grado dell’autoriflessione filosofica. Se si assume il problema del sapere in questa estensione, allora la sua soluzione in una teoria del sapere potrà venir indicata come autoriflessione filosofica. E questa sarà anzitutto il compito esclusivo della parte fondamentale della filosofia; da tale fondazione derivano infatti l’enciclopedia delle scienze e la dottrina delle visioni del mondo, nelle quali si compie il lavoro dell’autoriflessione filosofica.

2. Il compito della teoria del sapere. La filosofia risolve dunque questo compito anzitutto in quanto fondazione o in quanto teoria del sapere. Il dato ci cui si avvale è costituito da tutti i processi di pensiero che mirano a produrre un sapere valido; e il suo compito consiste infine nel rispondere alla questione se e come sia possibile il sapere. Quando divento consapevole di ciò che intendo per sapere, esso viene a distinguersi dal puro e semplice rappresentare, supporre, chiedere o ritenere in virtù della coscienza con cui si presenta qui un certo contenuto: in questo è racchiusa infatti, come carattere più generale del sapere, una necessità oggettiva. In tale concetto di necessità oggettiva sono presenti due elementi, che rappresentano i punti di partenza della teoria del sapere. L’uno consiste nell’evidenza che inerisce ai processi di pensiero compiuti in maniera corretta, e l’altro è contenuto nel carattere di realtà intrinseco all’Erlebnis o nel carattere di datità che ci lega a una percezione esterna. 3. Il metodo di fondazione qui impiegato. Il metodo per risolvere questo compito consiste nel ritorno dalla connessione di scopo che è diretta alla produzione del sapere oggettivamente necessario nei suoi diversi campi alle condizioni alle quali sottostà il conseguimento di tale fine. Una siffatta analisi della connessione di scopo in cui dev’essere prodotto il sapere è differente da quella che viene compiuta nella psicologia. Lo psicologo indaga la connessione psichica sulla cui base sorgono i giudizi, viene enunciata la realtà e sono espresse verità universalmente valide; egli intende constatare come si configura questa connessione. Nel corso della sua scomposizione dei processi del pensiero l’origine dell’errore ha naturalmente posto al pari della sua eliminazione; il processo del conoscere non potrebbe infatti essere descritto né spiegato nella sua origine senza questi elementi intermedi dell’errore e della sua eliminazione. Così il suo punto di vista è, per un certo aspetto, il medesimo dello studioso delle scienze della natura. Entrambi vogliono soltanto vedere ciò che è, e non hanno nulla a che fare con ciò che dev’essere. Tra lo studioso delle scienze della natura e lo psicologo c’è però una differenza essenziale, una differenza condizionata appunto dalle proprietà del loro dato. La connessione strutturale psichica ha un carattere soggettivamente e immanentemente teleologico: con ciò intendo che in tale connessione strutturale, del cui concetto ci occuperemo in modo dettagliato, è riposta una tendenza verso un fine. Con questo non si è ancora detto nulla in

merito a una conformità oggettiva a uno scopo. Questo carattere soggettivamente e immanentemente teleologico dell’accadere è estraneo alla natura esterna in quanto tale. L’immanente teleologia oggettiva viene introdotta nel mondo organico, in quanto mondo fisico, soltanto come modo di apprensione tratto dalla vissuta esperienza psichica. Al contrario, un carattere soggettivamente e immanentemente teleologico è dato nelle forme di atteggiamento psichico come nelle loro relazioni strutturali all’interno della connessione psichica; esso è cioè contenuto nel nesso dei processi stessi. Entro l’apprendere oggettuale in quanto atteggiamento psichico fondamentale questo carattere della vita psichica, in virtù del quale nella struttura di essa è riposta una tendenza verso un finea, si fa valere nelle due forme principali dell’apprendere, in quella degli Erlebnisse e in quella degli oggetti esterni, così come nella successione delle forme di rappresentazione. Infatti le forme di rappresentazione sono legate come gradi in una connessione di scopo in modo tale che l’elemento oggettuale perviene in esse a una rappresentazione sempre più compiuta e cosciente, la quale corrisponde sempre meglio alle esigenze di apprensione della conoscenza oggettuale e consente sempre di più l’inserimento del singolo oggetto nella connessione complessiva data primariamente. Così ogni Erlebnis del nostro apprendimento oggettuale già contiene una tendenza a cogliere il mondo, che è fondata nella connessione complessiva della vita psichica. In tal modo nella vita psichica è già dato un principio di selezione in virtù del quale le rappresentazioni vengono preferite o respinte; e ciò in quanto esse vengono a inserirsi nella tendenza a cogliere l’oggetto nella sua connessione con il mondo, quale è data in via primaria nell’orizzonte sensibile dell’apprendere. Nella struttura psichica ha quindi il suo fondamento una connessione teleologica la quale è diretta a cogliere ciò che è oggettuale; essa viene poi elevata a chiara coscienza nella teoria del sapere. Ma la teoria del sapere non si accontenta di questo. Essa indaga ancora se le forme di atteggiamento presenti nella coscienza conseguono realmente il loro fine. I criteri da essa impiegati sono i princìpi supremi che esprimono in forma astratta l’atteggiamento a cui il pensiero è vincolato, se vuole effettivamente conseguire il proprio scopo. 4. Il punto di partenza di una descrizione dei processi nei quali sorge il sapere. Risulta dunque chiaro che il compito della dottrina della scienza può venire assolto soltanto sulla base di un’intuizione della connessione

psicologica nella quale cooperano empiricamente le operazioni a cui è legata la produzione del sapere. Da ciò deriva il seguente rapporto tra descrizione psicologica e teoria del sapere. Le astrazioni della teoria del sapere si riferiscono all’indietro agli Erlebnisse in cui il sapere si va costituendo in una duplice forma e attraverso gradi diversi: esse presuppongono la comprensione dei processi mediante i quali, sulla base delle percezioni, vengono attribuiti nomi, formati concetti e giudizi, e mediante i quali il pensiero progredisce gradualmente dal particolare, dall’accidentale, dal soggettivo, dal relativo, e quindi mescolato con errori, a ciò che è oggettivamente valido. Si può così constatare da vicino quale Erleben si abbia e venga designato concettualmente allorché parliamo del processo di percezione, dell’oggettività, della denominazione e del significato dei segni verbali, del giudizio e della sua evidenza, e della connessione scientifica. In questo senso ho posto in luce, nella prima edizione del volume sulle scienze dello spiritob e nel saggio sulla psicologia descrittivac, che la teoria del sapere richiede una relazione agli Erlebnisse del processo conoscitivo nei quali sorge il sapered, e che questi concetti psicologici preliminari possono essere soltanto la descrizione e la scomposizione di ciò che è contenuto nei processi conoscitivi immediatamente vissutie. Perciò in una tale rappresentazione descrittiva e scompositiva dei processi entro cui sorge il sapere mi sembra consistere un prossimo compito, di carattere preliminare, della teoria del saperef. Da punti di vista affini procedono ora le eccellenti indagini di Husserl, le quali hanno creato una «fondazione strettamente descrittiva» della teoria del sapere come «fenomenologia del conoscere», e con ciò una nuova disciplina filosofica2. Ho inoltre affermato che l’esigenza di validità rigorosa della teoria del sapere non può venir soddisfatta dalla sua relazione con queste descrizioni e scomposizioni. Nella descrizione viene infatti espresso solamente ciò che è contenuto nel processo di produzione del sapere. Come senza questa relazione non si può affatto comprendere la teoria, che pure è astratta da questi Erlebnisse e dai loro rapporti reciproci, come la questione della possibilità del sapere presuppone anche la risposta all’altra questione relativa al modo in cui percezioni, nomi, concetti, giudizi si riferiscono al compito di cogliere l’oggetto, così l’ideale di una tale descrizione fondativa consiste nell’esprimere anche realmente soltanto elementi di fatto e nel procurare per essi precise designazioni verbali. L’avvicinamento a questo ideale dipende dalla possibilità

di cogliere e di scomporre soltanto gli elementi e le relazioni tra di essi che sono contenuti nella vita psichica sviluppata dell’uomo storico, quali lo psicologo descrittivo li ritrova in se stesso. A tale scopo occorre procedere sempre oltre nell’esclusione dei concetti di funzioni della vita psichica, che proprio qui sono particolarmente pericolosi. Il lavoro in proposito è appena iniziato: solo gradualmente è possibile avvicinarsi a un’espressione precisa per gli stati, i processi e le connessioni di cui si tratta. E già qui risulta chiaro che il compito di una fondazione delle scienze dello spirito non potrà mai venir risolto in modo convincente per tutti coloro che ad esso collaborano. Per ora possiamo almeno soddisfare una condizione per la soluzione del problema. La descrizione dei processi che danno luogo al sapere dipende in parte anche dal fatto che il sapere venga compreso in tutti i suoi campi. E questa è anche la condizione a cui è legata la riuscita di una teoria del sapere. Così l’ideale del tentativo che segue consiste in uno sguardo proporzionale alle diverse connessioni del sapere; ed esso è possibile solamente in quanto viene indagata la struttura particolare delle grandi connessioni che sono condizionate dalle diverse forme di atteggiamento della vita psichica. In tale maniera si può porre la base di un procedimento comparativo nella teoria del sapere. Questo procedimento comparativo permette di condurre l’analisi delle forme logiche e delle leggi del pensiero fino al punto in cui l’apparenza di una subordinazione del materiale dell’esperienza sotto l’apriorità di forme e di leggi del pensiero svanisce del tutto. Ciò avviene col metodo seguente. Le operazioni del pensiero, che si compiono senza alcun riferimento all’Erlebnis e all’intuizione, possono venir rappresentate in operazioni elementari come il comparare, il collegare, il separare, il rapportare, le quali sono da considerarsi, per quanto riguarda il loro valore conoscitivo, come percezioni di grado superiore. E le forme e le leggi del pensiero discorsivo possono venir risolte, nei loro fondamenti di legittimità, nelle operazioni elementari, nella funzione immediatamente vissuta dei segni e nel contenuto degli Erlebnisse dell’intuire, del sentire, del volere, sul quale poggiano l’apprensione della realtà, l’attribuzione di valore, la determinazione di scopi e la posizione di regole nel loro insieme come nelle loro peculiarità formali e categoriali. Un tale procedimento può essere attuato in tutta purezza nel campo delle scienze dello spirito, e così è possibile, secondo tale metodo, fondare la validità oggettiva del sapere in questo ambito. Da ciò deriva che la descrizione deve andare oltre i limiti di quegli Erlebnisse che si presentano come un apprendere oggettuale. Infatti, se la

teoria che segue deve abbracciare parimenti il sapere nella conoscenza della realtà, nelle valutazioni, nelle posizioni di scopi e nella formulazione di regole, essa ha bisogno anche di un riferimento retrospettivo alla connessione in cui queste diverse operazioni psichiche sono reciprocamente collegate. Nella conoscenza della realtà sorge inoltre, legandosi con i processi conoscitivi in una peculiare struttura, la coscienza di norme a cui è vincolato il raggiungimento dello scopo conoscitivo. Nel medesimo tempo, però, dal carattere di datità degli oggetti esterni non si può escludere la relazione con l’atteggiamento del volere: di qui consegue ancora da un altro lato la dipendenza degli sviluppi astratti della teoria del sapere dalla connessione della vita psichica complessiva. Lo stesso risulta dalla scomposizione dei processi nei quali comprendiamo gli altri individui e le loro creazioni: questi processi sono fondamentali per le scienze dello spirito, ma si fondano essi stessi nella totalità della nostra vita psichicag. Da questo punto di vista ho sempre sottolineato in precedenza la necessità di concepire l’astratto pensiero scientifico nei suoi legami con la totalità psichicah. 5. Posizione di questa descrizione nell’insieme della fondazione. Una tale descrizione e scomposizione dei processi che si presentano nella connessione di scopo rivolta alla produzione di un sapere valido si muove del tutto entro i presupposti della coscienza empirica. In questa è presupposta la realtà di oggetti esterni e di altre persone, ed è pure implicito che il soggetto empirico è determinato dall’ambiente in cui vive, e reagisce a sua volta su di esso. Dal momento che la descrizione prende in esame e scompone questi rapporti come fatti di coscienza contenuti negli Erlebnisse, con ciò non si afferma naturalmente nulla sulla realtà del mondo esterno e di altre persone, oppure sull’oggettività delle relazioni di agire e patire: la teoria costruita sulla base della descrizione deve soltanto cercare di produrre una decisione in merito alla giustificazione dei presupposti contenuti nella coscienza empirica. Altrettanto ovvio è poi il fatto che gli Erlebnisse che vengono descritti e la loro connessione che viene mostrata devono essere qui considerati soltanto dal punto di vista richiesto dalla teoria della scienza. L’interesse principale risiede nelle relazioni in cui stanno tra di loro le varie operazioni, in cui poi queste operazioni dipendono dalle condizioni di coscienza e da elementi dati, e in cui infine i processi particolari che si presentano nella produzione del sapere sono condizionati da questa connessione. Infatti il carattere soggettivo e immanentemente teleologico della connessione psichica, in virtù del quale i suoi processi vengono a cooperare in operazioni e si afferma così la tendenza a

un fine, costituisce appunto il fondamento per la selezione, dal corso del pensiero, di un sapere valido relativo a realtà, valori o scopi. Riassumiamo il risultato di quanto si è detto sul posto che la descrizione occupa nell’ambito della fondazione. Essa fonda la teoria, e questa si riferisce all’indietro ad essa. Se la descrizione dei processi conoscitivi e la teoria del sapere debbano essere riferite l’una all’altra nelle singole parti della teoria, oppure se la descrizione complessiva debba essere anteposta alla teoria, è una questione di opportunità. La teoria stessa trae dalla descrizione del sapere entrambi i due contrassegni caratteristici, a cui è legata la validità di esso. Ogni sapere sottostà alle norme del pensiero. Nel medesimo tempo esso si riferisce, secondo queste norme del pensiero, a qualcosa di immediatamente vissuto o di dato, e la relazione del sapere al dato è propriamente quella di essere vincolato a questo. Ogni sapere sottostà, secondo il risultato della descrizione, alla regola suprema che esso è fondato, secondo le norme del pensiero, in ciò che è immediatamente vissuto o in ciò che è dato percettivamente. A partire da qui vengono a separarsi i due problemi principali della fondazione delle scienze dello spirito. Nel trattarli gli studi presenti sulla fondazione delle scienze dello spirito uniscono una teoria del sapere, poiché essi sono decisivi per la fondazione della possibilità di una conoscenza oggettiva. L’ulteriore determinazione di questi due problemi può venir ottenuta soltanto sulla base della descrizione. II. Concetti descrittivi preliminarii 1. La struttura psichica. Il corso empirico della vita psichica è costituito da processi; infatti ognuno dei nostri stati ha avuto un inizio nel tempo, muta in esso e svanirà anche in esso. E questo corso della vita costituisce uno sviluppo; poiché la cooperazione dei moti psichici è tale che essa suscita la tencenza a produrre una connessione psichica sempre più determinata, corrispondente alle condizioni della vita — per così dire una forma di tale connessione. E questa connessione acquisita è operante in ogni processo psichico: essa condiziona il sorgere e l’orientamento dell’attenzione, le appercezioni ne dipendono e la riproduzione delle rappresentazioni ne è determinata. Da questa connessione dipende parimenti il sorgere di sentimenti o di desideri, o l’origine di una decisione del volere. La descrizione psicologica si occupa soltanto dell’elemento fattuale presente in questi processi, mentre la spiegazione fisiologica o anche psicologica di una tale connessione psichica acquisita cade al di fuori del suo ambitoj.

La vita psichica del singolo, individualmente configurata, nel suo sviluppo costituisce la materia della ricerca psicologica, ma il fine prossimo di questa è la determinazione dell’elemento comune in questa vita psichica degli individui. Qui sottolineiamo una distinzione. Nella vita psichica sussistono delle regolarità che determinano la successione dei processi; a queste regolarità si riferisce la distinzione che occorre qui prendere in considerazione. Il tipo di relazione tra processi o momenti del medesimo processo è in un caso un momento caratteristico dell’Erlebnis stesso: così sorgono le impressioni dell’appartenenza reciproca e della vitalità nella connessione psichica. Le altre regolarità nella successione dei processi psichici non sono caratterizzate dalla possibilità di avere un’esperienza vissuta delle loro forme di connessione. L’elemento di congiunzione non può venir ritrovato nell’Erlebnis, e il suo essere condizionato viene inferito. Noi ci atteggiamo quindi in maniera analoga a quella in cui ci atteggiamo di fronte alla natura esterna: da ciò il carattere di non immediatamente vissuto, di esterno, proprio di queste connessioni. La scienza stabilisce le regolarità di quest’ultimo tipo separando certi processi particolari dal nesso dei processi e inferendone induttivamente delle regolarità. Associazione, riproduzione, appercezione costituiscono processi di questo genere. La regolarità che viene determinata in essi consiste in uniformità che corrispondono alle leggi dei mutamenti nella sfera della natura esterna. Infatti i fattori di diversa specie nello stato di coscienza presente possono condizionare lo stato di coscienza successivo anche quando si dispongono l’uno accanto all’altro, privi di connessione, come strati nella durata psichica (status conscientiae). Un’impressione che penetra dal di fuori in una situazione psichica presente, come qualcosa del tutto esterno a essa, interviene a mutarla. Caso, presenza reciproca, essere disposti accanto — questi rapporti si fanno valere nello stato di coscienza di un dato momento e nell’origine dei mutamenti psichici. E processi come la riproduzione e l’appercezione possono venir condizionati da tutti questi momenti dello stato di coscienza. Da queste uniformità si distingue un’altra specie di regolarità, che designo col nome di struttura psichica. Per struttura psichica intendo la disposizione in base alla quale, nella vita psichica sviluppata, fatti psichici di qualità differente sono regolarmente legati tra di loro da una relazione interna che può essere immediatamente vissutak. La relazione può collegare reciprocamente parti di

uno stato di coscienza o anche Erlebnisse che non sono contemporanei tra loro, o le forme di atteggiamento in essi contenutil. Queste regolarità sono quindi diverse dalle uniformità che si possono riscontrare nei mutamenti della vita psichica. Le uniformità sono regole che possono venir rintracciate nei mutamenti; ogni mutamento è così un caso che sta in un rapporto di subordinazione sotto un’uniformità. La struttura è invece una disposizione in cui certi fatti psichici sono tra loro connessi in virtù di una relazione interna; ognuno dei fatti così correlati costituisce una parte della connessione strutturale; la regolarità consiste qui nella relazione delle parti in un tutto. Là si tratta dunque del rapporto genetico in cui i mutamenti psichici dipendono l’uno dall’altro, qui si tratta invece delle relazioni interne che possono essere colte nella vita psichica sviluppata. La struttura è un complesso di rapporti in cui, in mezzo al mutamento dei processi, in mezzo all’accidentalità della coesistenza di elementi psichici e della successione di Erlebnisse psichici, le singole parti della connessione psichica sono collegate le une con le altre. Che cosa si debba intendere sotto queste determinazioni, diventa più chiaro dall’indicazione dei fatti psichici che mostrano tali relazioni interne. Gli elementi dell’oggettualità sensibile che si presenta nella vita psichica mutano di continuo secondo le influenze del mondo esterno, e da queste dipende la molteplicità data alla singola vita psichica. I rapporti che così sorgono tra di essi sono l’essere insieme, la separabilità, la distinzione, la somiglianza, l’identità, il tutto e le parti. Nell’Erlebnis psichico si presenta, al contrario, una relazione interna in cui questo contenuto sta con l’apprendere oggettuale o con i sentimenti o con un’aspirazione. È evidente che tale relazione interna è diversa in ognuno di questi casi. La relazione di una percezione con un oggetto, il dolore dinanzi a un avvenimento, l’aspirazione verso un bene — questi Erlebnisse contengono relazioni interne chiaramente diverse tra di loro. Ogni tipo di relazione costituisce inoltre, nel suo ambito, relazioni regolari tra Erlebnisse separati temporalmente; e infine tra gli stessi modi di relazione sussistono relazioni regolari, in virtù delle quali esse formano una connessione psichica. Io chiamo interne queste relazioni poiché esse sono fondate nell’atteggiamento psichico in quanto tale; tipo di relazione e forma di atteggiamento si corrispondono l’un l’altra. Una di queste relazioni interne è quella in cui, nell’apprendere oggettuale, un atteggiamento sta con un dato contenuto; o quella in cui, nella posizione di scopi, un atteggiamento sta con un dato contenuto quale rappresentazione dell’oggetto della posizione di uno

scopo. E relazioni interne tra gli Erlebnisse entro una forma di atteggiamento sono il rapporto del rappresentato con il rappresentante o del fondante con il fondato nell’apprendere oggettuale, oppure il rapporto di scopo e di mezzo, di decisione e di vincolo nell’atteggiamento del volere. Questo fatto della relazione interna, al pari della relazione ad essa sovraordinata dell’unità di un molteplice, è proprio esclusivamente della vita psichica: esso può soltanto venir sperimentato e indicato, non già venir definito. La teoria della struttura riguarda appunto queste relazioni interne, ed esse soltanto, non già i tentativi di una partizione della vita psichica in base a funzioni o forze o facoltà. Essa non afferma né contesta che si dia qualcosa del genere. Essa non pregiudica neppure la questione se la vita psichica venga a svilupparsi da un elemento più semplice alla ricchezza delle relazioni strutturali presenti nell’umanità o nell’individuo. Siffatti problemi si collocano completamente al di fuori del suo ambito. I processi psichici sono legati in virtù di queste relazioni in una connessione strutturale, e questa qualità strutturale della connessione psichica ha per conseguenza, come si mostrerà, che gli Erlebnisse cooperano a un effetto comune. Nella connessione strutturale non è certo presente una conformità allo scopo in senso oggettivo, ma un agire verso lo scopo orientato in vista di determinate situazioni della coscienza. Questi sono i concetti in base a cui viene qui provvisoriamente determinato ciò che si deve intendere per struttura psichica. La teoria della struttura mi sembra costituire una parte principale della psicologia descrittiva, e potrebbe venir sviluppata come un insieme autonomo e di ampia portata. In essa soprattutto risiede il fondamento delle scienze dello spirito. Infatti le relazioni interne da sviluppare, che costituiscono gli Erlebnisse, che poi sussistono tra gli elementi della serie di Erlebnisse all’interno di una forma di atteggiamento e che infine formano la connessione strutturale della vita psichica, nonché il rapporto in cui singole operazioni cooperano qui a formare una connessione soggettivamente teleologica, infine ancora la relazione di realtà, valori e scopi, al pari della relazione della struttura con lo sviluppo — tutto questo è determinante per l’intera costruzione delle scienze dello spirito. Ed è fondamentale anche per il concetto delle scienze dello spirito e per la loro delimitazione rispetto alle scienze della natura. Infatti la teoria della struttura già mostra che le scienze dello spirito hanno a che fare con una specie di dato di cui non c’è traccia nelle scienze della natura. Gli elementi di ciò che è oggettuale in senso sensibile rientrano

nello studio della vita psichica se considerati nella loro relazione con la connessione psichica; al contrario, i contenuti sensibili costituiscono, nella loro relazione con oggetti esterni, il mondo fisico. Questi contenuti non formano il mondo fisico, bensì questo è l’oggetto a cui riferiamo i contenuti sensibili nell’atteggiamento dell’apprendere. Ma le nostre intuizioni e i nostri concetti relativi al mondo fisico esprimono soltanto ciò che è di fatto dato in questi contenuti come qualità dell’oggetto. Le scienze della natura non hanno alcun rapporto con l’atteggiamento dell’apprendere oggettuale in cui esse sorgono. Le relazioni interne in cui i contenuti possono stare nell’Erlebnis psichico — atto, atteggiamento, connessione strutturale — sono oggetto esclusivamente delle scienze dello spirito: esse costituiscono il loro dominio. E questa struttura, al pari del modo in cui la connessione psichica è immediatamente vissuta in noi e compresa negli altri — già questi momenti bastano per fondare la natura particolare delle forme di procedimento logico impiegate nelle scienze dello spirito. Da ciò consegue che l’oggetto e il modo della datità decidono in merito al procedimento logico. Quali strumenti abbiamo ora per giungere a una concezione dei rapporti strutturali che non si presti a obiezioni? 2. L’apprendimento della struttura psichica. Con il sapere relativo alla connessione strutturale ci troviamo in una condizione peculiare. Nel linguaggio, nella comprensione di altre persone, nella letteratura, nelle espressioni del poeta o dello storico ci si presenta ovunque un sapere intorno a relazioni interne regolari. Io mi preoccupo per qualcosa, ho piacere di fare qualcosa, desidero il verificarsi di un avvenimento — questi e cento altri modi di dire contengono relazioni interne del genere. Io esprimo in queste parole uno stato interno, senza soffermarmi a riflettere su di esso. È sempre la relazione interna che viene qui a esprimersi. Analogamente, quando qualcuno mi parla così, comprendo subito anche che cosa avviene in lui. E i versi dei poeti, le narrazioni degli storici sono piene, fin dai primi tempi a cui si può risalire, prima di ogni riflessione psicologica, delle medesime espressioni. Mi chiedo perciò su quale base sia fondato tale sapere. L’elemento oggettuale, nella misura in cui consiste di contenuti sensibili, la contemporaneità o la successione in esso presente, i rapporti logici tra questi contenuti non possono essere fondamento di un sapere siffatto. Esso deve risultare infine fondato in qualche modo nell’Erlebnis che un tale atteggiamento comprende in sé — una gioia per qualcosa, un desiderio di qualcosa. Il sapere esiste, ed è legato senza riflessione alcuna all’Erleben; non

se ne può trovare nessun’altra origine e nessun altro fondamento all’infuori che nell’Erleben. Si tratta quindi di inferenze retrospettive dalle espressioni all’Erlebnis, non già di un interpretare dal di dentro. La necessità della relazione tra un determinato Erlebnis e la corrispondente espressione dell’elemento psichico viene vissuta immediatamente. È il difficile compito della psicologia della struttura quello di formulare giudizi che riproducano gli Erlebnisse strutturali con la coscienza dell’adeguazione che essi stanno in un rapporto di corrispondenza con determinati Erlebnisse. Come fondamento indispensabile servono a tale scopo le forme di espressione dell’elemento psichico, elaborate e raffinate nel corso di un lavoro millenario, che essa deve elaborare ulteriormente e formulare in modo generale, mostrando a sua volta l’adeguazione di queste forme di espressione agli Erlebnisse stessi. Diamo uno sguardo alle manifestazioni del movimento della vita e della letteratura in tutta la sua estensione. Pensiamo a un’arte ermeneutica che sia rivolta alla loro interpretazione: risulterà subito chiaro che ciò su cui questa ermeneutica di ogni movimento spirituale si fonda sono proprio le salde relazioni strutturali che si presentano regolarmente in tutte le manifestazioni della vita spiritualem. Ma, se è sicuro che il sapere relativo a queste relazioni strutturali si riferisce retrospettivamente al nostro Erleben, e rende d’altra parte possibile la nostra interpretazione di tutti i processi spirituali, altrettanto difficile è determinare il legame tra questo sapere e l’Erleben. Soltanto in limiti molto ristretti l’Erlebnis rimane infatti presente all’osservazione interna. Noi eleviamo l’Erlebnis a coscienza distinta in modo assai diverso, talvolta in questo e altre volte in quell’altro tratto della sua essenza. Noi distinguiamo nei ricordi; noi poniamo in luce nella comparazione relazioni interne regolari; noi le mettiamo a prova nella fantasia in una specie di esperimento psichico. Nell’espressione diretta dell’Erleben che sono riusciti a trovare i suoi virtuosi, ossia i grandi poeti e gli spiriti religiosi, noi possiamo coglierne l’intera ricchezza di contenuto. Quanto povera e misera sarebbe la nostra conoscenza psicologica dei sentimenti senza i grandi poeti, i quali hanno espresso tutta la molteplicità del sentire e hanno spesso posto in luce in maniera sorprendente le relazioni strutturali nell’universo dei sentimenti! Anche qui è di nuovo del tutto indifferente per una tale descrizione se io separo dal mio soggetto il libro di poesie di Goethe oppure la sua persona: la descrizione si occupa soltanto

dell’Erlehnis e non già di una persona nella quale esso ha luogo. Se questi problemi devono essere sviluppati, per lo psicologo si tratta sempre di procedere alla distinzione accurata di ciò che si deve intendere per Erleben, per auto-osservazione e per riflessione sugli Erlebnisse, e di ciò che è dato in queste diverse forme di connessione strutturale. Che cosa sia necessario dire a questo proposito ai fini della fondazione del sapere, può essere chiarito soltanto della considerazione delle singole forme di atteggiamento. 3. Le unità strutturali. Ogni Erlebnis contiene un contenuto. Per contenuto intendiamo qui non già le parti racchiuse in una totalità che le comprenda, le quali possano venir distinte nel pensiero da questa totalità. Così inteso, il contenuto sarebbe l’insieme di qualcosa di separabile, di compreso nell’Erlebnis come in un vaso che lo racchiude. Piuttosto si designa qui come contenuto soltanto una parte di ciò che si può distinguere nell’Erlebnis. Vi sono Erlebnisse in cui non c’è nulla da osservare al di fuori di uno stato psichico. Nei sentimenti di dolore fisico il bruciore o la puntura, localizzati, possono venir distinti dal sentire, ma nell’Erlebnis stesso sono indistinti, quindi tra di essi non c’è nessuna relazione interna; e una concezione dell’Erlebnis che prendesse qui il sentimento come un fastidio provocato dall’oggetto che brucia o che punge farebbe violenza al suo contenuto effettivo. Parimenti nella vita istintiva si presentano stati in cui nessuna rappresentazione di un oggetto è legata a un’aspirazione, e così anche qui nel contenuto di fatto non è racchiusa alcuna relazione interna tra l’atto e l’oggetto. Perciò non si può escludere la possibilità di Erlebnisse in cui non sia contenuta una relazione di un contenuto sensibile con un atto nel quale esso esiste per noi, o con un oggetto, oppure una relazione di un sentimento o di un’aspirazione con questo oggetton. Ciò si può ora sistemare come si vuole. Si può dire che questi Erlebnisse costituiscono il limite inferiore della nostra vita psichica, e che al di sopra di questi si costruiscono quegli Erlebnisse in cui, nel percepire o nel sentire o nel volere, è contenuto come qualcosa di distinguibile un atteggiamento di fronte a un contenuto al quale questo atteggiamento si riferisce. Per constatare l’unità strutturale negli Erlebnisse, che qui rappresenta il nostro oggetto, baste l’estesa presenza di relazioni interne tra

atto — prendendo il termine nel senso più ampio — e contenuto negli Erlebnisse. E che tali elementi di fatto sussistano nella misura più ampia non può venir posto in dubbio. Così l’oggetto è riferito, nell’Erlebnis della percezione esterna, a un contenuto sensibile in cui esso mi è dato. Ciò per cui provo dispiacere è legato con lo stesso sentimento di dispiacere. La rappresentazione dell’oggetto nella posizione di scopi è collegata con l’atteggiamento del volere che tende alla realizzazione dell’immagine dell’oggetto. Noi chiamiamo contenuto di un Erlebnis l’immagine visiva, l’armonia o il rumore, e da questo contenuto è distinto, e pur legato a esso, l’atteggiamento che suppone o afferma, che sente o desidera o vuole tale contenuto. Io rappresento, giudico, temo, odio, desidero: queste sono forme di atteggiamento, e sempre vi è un qualcosa a cui esse si riferiscono, così come ogni qualcosa, ogni determinatezza di contenuto esiste in questi Erlebnisse soltanto per un atteggiamento. Io osservo un colore, formulo su di esso un giudizio, esso mi rallegra, io desidero la sua presenza: con queste espressioni designo forme diverse di atteggiamento che si riferiscono allo stesso contenuto nell’Erlebnis. E parimenti lo stesso atteggiamento del giudizio può riferirsi, come al colore, anche ad altri oggetti. Così né le forme di atteggiamento decidono sulla presenza di contenuti, né i contenuti sul presentarsi di forme di atteggiamento: siamo quindi giustificati a distinguere tra di loro questi due elementi dell’Erlebnis. Nel mede simo tempo li troviamo però collegati nell’Erlebnis in un’unità strutturale. Infatti tra l’atto e il contenuto sussiste una relazione fondata nell’atteggiamento. Noi la chiamiamo relazione interna, poiché può essere immediatamente vissuta ed è fondata in una regolarità dell’atteggiamento. Così gli Erlebnisse si mostrano come unità strutturali, e sulla loro base si costruisce poi la struttura della vita psichica. Ora però nell’Erlebnis si presenta un altro importante punto di riferimento. Come lo stesso contenuto si riferisce agli oggetti, così sembra d’altro lato che debba riferirsi a un io che si atteggia. Questo secondo punto di riferimento non è affatto contenuto di regola nell’Erlebnis: quanto più l’orientamento verso l’oggettività prevale nell’apprendere o nel tendere, tanto meno nell’Erlebnis si può osservare un io che apprende oppure un io che tende. Quando Amleto soffre sul palcoscenico, nello spettatore il proprio io è lasciato da parte. Nell’aspirazione a compiere un lavoro io dimentico me

stesso in senso letterale. Questa relazione è sì sempre presente nel sentimento vitale in cui una situazione in rapporto all’ambiente viene sentita nel piacere o nel dispiacere, nell’odio o nell’amore. E quanto più decisamente il volere si contrappone al mondo nelle sue determinazioni di scopi, quanto più fortemente è avvertita la sua limitazione, tanto più decisa si presenta la relazione del suo atteggiamento sia con gli oggetti sia anche con ciò che si atteggia, che desidera o brama o vuole. Ma l’aggiungersi della rappresentazione dell’io in questi processi può essere interpretato psicologicamente in diversi modi. Se si perviene però dall’Erleben al punto di vista della riflessione, allora la relazione dell’atteggiamento con ciò che si atteggia diventa inevitabile. Proprio questo è richiesto al punto di vista della riflessione anche dall’impiego del concetto di relazione. Se nell’atteggiamento è contenuta una forma di relazione, allora la riflessione esige di pensare in più un io che stia in una determinata relazione con i molteplici contenuti o in molteplici relazioni con un determinato contenuto. Così, dal punto di vista dell’oggettivazione dell’Erlebnis e della riflessione su di esso, il nuovo Erlebnis viene posto in rapporto con la mia conoscenza di una connessione psichica nella quale rientra, insieme ad altri Erlebnisse, anche questo presente. Il nesso strutturale interno che sorge così grazie alla riflessione è quello della connessione psichica, dell’appartenenza del nuovo Erlebnis a questa connessione e infine di un atteggiamento di questa connessione psichica, in questo come in ogni altro Erlebnis, di fronte a un mondo oggettivo. Io chiamo questa connessione il mio io o il mio soggetto; questo sta in determinate relazioni con il modo oggettivo: io vedo oggetti, patisco da essi oppure voglio averli. Questa forma di espressione è per il pensiero oggettivo corretta anche quando, nel singolo Erlebnis, non si presenta affatto un io. 4. La connessione strutturale. Guardiamo ora alle relazioni che sussistono tra le unità strutturali apprese negli Erlebnisse. Noi troviamo in determinati Erlebnisse una relazione interna tra atto e contenuto: il carattere di questa relazione è un atteggiamento di fronte a un qualche contenuto. L’atteggiamento non sta qui in un rapporto soltanto temporale o logico con il contenuto. E neppure scorrono qui parallelamente soltanto, per così dire, diversi strati di fatti spirituali, come contenuti e forme di atteggiamento, nè si tratta soltanto di un rapporto logico che sorge dalla riflessione intorno a questi due elementi; ma tra di essi sussiste

la relazione interna che abbiamo designato come unità strutturale. Il rapporto di ciò che è separabile in una totalità, che costituisce questa relazione, è un rapporto sui generis; si presenta soltanto nella vita psichica. E infatti esso costituisce il caso più semplice di struttura psichicao. Nel medesimo tempo, però, tutti gli Erlebnisse in cui si ha lo stesso atteggiamento di fronte a certi contenuti non sono affini soltanto per questo, ma tra di essi si presentano anche relazioni che sono fondate nella natura delle forme di atteggiamento. Infine le stesse forme di atteggiamento stanno tra di loro in relazioni interne e formano così una totalità composta: in tale modo sorge il concetto di una connessione psichica strutturale. Qui si presenta un ulteriore singolare tratto della struttura. Questa intesse anche in sè il percepire, il sentire, il volere in connessioni, collegando diverse relazioni interne nella totalità di un processo o di uno stato. Il conoscere costituisce nello studioso una connessione di scopo: qui la relazione che chiamiamo volere è collegata con quella che designiamo come apprendere oggettuale nell’unità strutturale di un unico processo, e in questa intera connessione di scopo varie operazioni particolari cooperano per produrre stati che hanno in qualche modo nella coscienza un carattere di valore o di scopo. Questa struttura della connessione psichica mostra apparenti somiglianze con la struttura biologica. Se si seguono però queste somiglianze, si perviene soltanto a vaghe analogie. La verità è piuttosto che proprio in queste proprietà della vita psichica, in virtù delle quali essa costituisce una connessione strutturale, poggia la differenza tra ciò che ci è dato nell’Erlebnis come nella riflessione su di esso, e gli oggetti fisici che costruiamo sulla base dei complessi di dati sensibili. 5. I modi di relazione strutturale. La molteplicità del contenuto è illimitata: di esso si compone l’intero mondo oggettivo a cui ci riferiamo nel nostro atteggiamento. E anche ciò che indichiamo come atteggiamento di fronte a questi contenuti, si presenta indeterminato anzitutto nel numero. Il domandare, il ritenere, il supporre, l’affermare, il piacere, l’approvazione, il diletto e il suo contrario, il desiderare, il bramare, il volere sono modificazioni dell’atteggiamento psichico. Le sue differenze non possono essere derivate dal mutamento del contenuto a cui un atteggiamento si riferisce; lo stesso atteggiamento può infatti permanere nel mutamento del contenuto. Tra le modificazioni dell’atteggiamento sussistono

delle affinità. Ma, comparando queste modificazioni, si perviene a un rapporto analogo a quello che c’è tra l’apprendere oggettuale e il sentire: essi sono tra loro affini soltanto perchè costituiscono appunto un atteggiamento. E viene in luce anche che, nel mutamento delle condizioni esterne, una tale modificazione trapassa in un’altra. Quando scompaiono le circostanze da cui dipende la realizzazione di una brama, la brama può tradursi in un desiderio; e quando la relazione di un complesso di sensazioni con un oggetto si è mostrata errata, l’asserzione sull’oggetto si muta in dubbio o in questione. Un principio in grado di recare ordine in questa molteplicità dell’atteggiamento consiste soltanto nella distinzione dei modi di relazione interna o strutturale che possono venir rintracciati in essa. Occorre quindi applicare questo principio al contenuto psichico dato.

2. LA CONNESSIONE STRUTTURALE DEL SAPERE I. L’apprendere oggettuale Tre modi di relazione strutturale interna possono essere distinti nella connessione strutturale, e sono in questa legati tra di loro. Ognuno di questi modi costituisce un sistema nel quale gli Erlebnisse sono riuniti in una totalità in base alla forma delle relazioni strutturali; e ognuno esplica una funzione nella connessione psichica. Qui cerco soltanto di delimitare tra di loro queste forme di relazione strutturale e di descrivere quella che opera nel processo conoscitivo. L’analisi più precisa del sentire e del volere entra in gioco solamente in quanto si tratta di fondare le scienze dello spirito sulla psicologia descrittiva. 1. Delimitazione dell’apprendere oggettuale. Rappresentazioni, giudizi, sentimenti, desideri, atti del volere sono ovunque intrecciati tra di loro nella connessione psichica: questo è lo stato empirico della vita psichica. Un armonico legame di suoni produce un sentimento di piacevolezza; una percezione visiva s’inserisce ora in questo tranquillo godimento estetico, riproduce dei ricordi e così sorge un desiderio; questo viene poi, in base a un giudizio, represso dal timore delle conseguenze del soddisfacimento: così lo stato empirico della vita psichica mostra l’intreccio di processi che appartengono a tutte le classi di atteggiamento psichico. E le uniformità, che riscontriamo in questa connessione genetica dei processi psichici, si riferiscono al cooperare di questi molteplici fattori, i quali sono in tale maniera intrecciati tra di loro nella connessione psichica. Così la riproduzione delle nostre rappresentazioni si trova condizionata dall’interesse e dall’attenzione con cui sono accolte le impressioni e riprodotte le loro rappresentazioni, al pari che dal comporsi di queste rappresentazioni e dal numero delle loro ripetizioni. Attraverso questo multiforme intreccio di fattori di diverso genere nella connessione genetica dei processi che hanno luogo nella vita psichica passano modi differenti di relazione interna, e ognuno di essi è caratterizzato dal fatto che gli Erlebnisse che vi appartengono sono legati tra di loro in un sistema in virtù di tale relazione interna. Le relazioni all’interno di un tale sistema costituiscono una parte principale dei saldi rapporti fondamentali, e per così dire della struttura anatomica della connessione psichica sviluppata, secondo la sua salda regolare configurazione. Una di queste relazioni interne è quella che ha luogo tra percezioni, rappresentazioni ricordate, giudizi, nessi di giudizi

fino alla connessione sistematica del sapere. Qualsiasi cosa sia contenuta in questi Erlebnisse, ognuno di essi mostra un determinato modo di coscienza di un contenuto che designiamo come oggettualità, e il suo sistema è caratterizzato dal carattere unitario delle relazioni di unità strutturale costituite da queste forme di atteggiamento. Goethe ha espresso, con un alto grado di coscienza per così dire trascendentale, l’ideale di questo atteggiamento oggettuale e l’orientamento, contenuto nelle sue relazioni fondamentali, verso una concezione oggettiva del mondo. Che qui non vi sia soltanto un contenuto nell’Erlebnis, bensì un contenuto dato in un modo di coscienza, lo mostrano le sue modificazioni che distinguono tra di loro i diversi Erlebnisse di carattere oggettuale. Tali sono la datità che caratterizza la percezione, o l’assunzione di uno stato di fatto che si ha nella rappresentazione fantastica del pittore o del poeta, oppure la posizione di realtà nel giudizio. Quali che siano le differenze che possono sussistere, sotto il profilo psicologico, tra una rappresentazione fantastica e una percezione riferite al medesimo oggetto, il modo di coscienza in rapporto all’oggettualità, considerato strutturalmente, non è affatto diverso. Oggetti possono essere non soltanto il dato sensibile, ma anche i nostri Erlebnisse o contenuti parziali di ciò che in essi viene dato oppure somiglianze e relazioni. Il mondo è infatti soltanto l’insieme o l’ordine di ciò che è appreso negli oggetti, e a questo elemento oggettuale si riferiscono del pari i nostri sentimenti e il nostro volere. Noi designiamo ora la forma di coscienza in cui è presente il contenuto oggettuale con il nome di apprendere oggettuale. 2. La relazione tra Erleben e oggetto psichico. Ogni sapere relativo a oggetti psichici è fondato nell’Erleben. L’Erlebnis è anzitutto l’unità strutturale di forme di atteggiamento e contenuti. Il mio atteggiamento percettivo insieme alla sua relazione con l’oggetto costituisce un Erlebnis, al pari del mio sentimento di qualcosa o del mio volere qualcosa. L’Erleben è sempre cosciente di se stesso. E poiché l’Erleben è il fondamento legittimante dell’intera connessione del mio sapere relativo a oggetti psichici, io debbo scomporre l’Erleben in rapporto alla certezza in esso contenuta. Contenuti come un rosso o un blu, al pari dell’apprendere il rosso o il piacere che suscita, esistono per me. Questo esistere-per-me può venir indicato come esser-conscio o come Erleben — quando questo termine sia riferito non tanto al processo vitale medesimo quanto al suo modo d’essere. Per me esiste sia una qualità sensibile che si presenta nella rappresentazione sia un sentimento

di dolore o un’aspirazione, e così pure un rapporto matematico al pari della mia coscienza di essere vincolato da un contratto. L’espressione esistere-perme è già una riflessione sullo stato di fatto esistente, poiché qui esso è già determinato come appartenente a un io. Infatti la relazione di un Erlebnis con un io cui appartiene può essere cosciente come stato di fatto al pari della relazione di un complesso sensibile con un oggetto esterno. Ciò di cui ora parliamo non è però questo o quel contenuto nell’Erlebnis, bensì ciò che è comune a tutti, il fatto cioè che sono coscienti, che esistono per me. Ogni Erlebnis ha questo aspetto. Se nell’Erlebnis di un contenuto viene asserito che è un oggetto, esso implica pure ciò che gli è comune con ogni Erlebnis, cioè che questa asserzione sull’oggetto e sulle sue determinazioni di contenuto è appunto cosciente, ed esiste ed è presente come cosciente. Il rumore che un febbricitante riferisce a un oggetto dietro alle sue spalle costituisce un Erlebnis che è reale in tutte le sue parti, nell’aver luogo del rumore come nel suo riferirsi all’oggetto. E che la supposizione di un oggetto posto dietro al letto sia falsa non ha nulla a che fare con questa realtà del fatto di coscienza. Questa condizione generale sotto la quale sta tutto ciò che esiste per me, la coscienza o l’Erleben, deve esser contenuta nei modi del mio atteggiamento, altrimenti essi non sussisterebbero per me; ma questa coscienza è distinta dall’atteggiamento. Il dolore per qualcosa è immediatamente vissuto o esiste per me come atteggiamento, e altrettanto vale per la voglia di qualcosa. Del tutto indifferente è la maniera in cui tutto ciò si configura psicologicamente: la certezza dell’Erlebnis non ha bisogno di nessuna mediazione ulteriore, ed esso può quindi venir designato come immediatamente cosciente. Ogni asserzione su ciò che è immediatamente vissuto risulta oggettivamente vera se viene portata all’adeguazione con l’Erlebnis. Essa non esplicita la relazione dell’Erlebnis percettivo con gli oggetti mediante una determinazione della loro oggettività relativamente al contenuto, ma asserisce soltanto il sussistere dell’atteggiamento percettivo. E questo elemento di coscienza mi è dato come realtà. Così non può qui neppure sorgere la questione se lo stato di fatto a cui la coscienza si riferisce esista. Un sentimento è in quanto viene sentito, ed è tal quale viene sentito: la coscienza di esso e la sua qualità, il suo esser-dato e la sua realtà non sono differenti tra di loro. Esistere per noi, esser-dato-a-noi o essere-fatto-di-coscienza sono soltanto espressioni diverse per dire che un oggetto non si contrappone all’apprendere, ma che questo e il fatto che in esso

è dato sono la stessa cosa. Se voglio indicare questo come una consapevolezza, con ciò si deve però intendere che le relazioni di contenuti sensibili con un oggetto esistono per me in un tale divenire interiore al pari di un sentimento o di un’aspirazione; e l’espressione resta inadeguata, poiché si tratta piuttosto di un esser-dentro, e con essa non si fa nessuna supposizione su un atto in virtù del quale questa consapevolezza sia possibile. I problemi sollevati da Kant nella dottrina del senso interno non riguardano affatto questa realtà dei fatti di coscienza in quanto tali, ma si riferiscono alla questione se ciò che è dato in questo modo possa venir concepito come un prodotto e suddiviso in fattori. La nostra vita consiste nei processi che si presentano alla coscienza nel tempo, e ciò che può esserci dietro ad essi non è qualcosa che possa essere immediatamente vissuto, e quindi non è indispensabile per la fondazione di scienze che hanno il loro materiale in Erlebnisse i quali rivestono il carattere di processi o di avvenimenti. Per la realtà dei contenuti sensibili è indifferente il fatto che noi abbiamo nella coscienza questi contenuti sempre soltanto in relazione a un oggetto esterno, e che quindi essi esistano per noi soltanto in questa relazione: infatti, se i contenuti sensibili hanno realtà insieme a questo fatto di coscienza, essi l’hanno appunto come parti di questo fatto di coscienza, anche prescindendo da tale relazione. Se l’Erlebnis è reale come fatto di coscienza, lo è anche ogni parte in esso contenuta. E ogni rappresentazione, se compiuta correttamente, designa qualcosa di reale. Così la realtà del singolo Erlebnis viene qui elevata a un sapere oggettivamente valido nei concetti, nei giudizi e nelle connessioni psicologiche. La formazione di concetti che si riferisce all’Erleben è, nel suo sviluppo storico, fondata al tempo stesso nella comprensione, che è poi a sua volta fondata all’indietro nell’Erleben. Qui dobbiamo però prescindere da questa complicazione per chiarire il rapporto dell’Erleben con l’apprendere relativo alla connessione psichica. Nell’Erlebnis l’esseredentro e il contenuto che colgo interiormente sono la stessa cosa. Che cosa accade ora, quando presto attenzione a questo Erlebnis e quando mi chiedo che cosa c’è dentro di esso? Qui sta un secondo importante problema per la fondazione delle scienze dello spirito. Io sto sveglio di notte, mi preoccupo della possibilità di condurre a termine alla mia età i lavori iniziati e soffro profondamente per questa preoccupazione. Qui c’è una connessione strutturale della coscienza nella quale l’apprendere oggettuale

costituisce la base, e ad esso si riferisce una relazione interna di sentimenti sotto forma di preoccupazione e di sofferenza per l’elemento appreso oggettualmente: esso esiste per me come un complesso di fatti della mia coscienza. E questo accorgersi e ciò di cui mi accorgo sono la stessa cosa. Io posso ora prestare attenzione a questo fatto. Subentra un’osservazione interna, sia dell’Erlebnis oppure della sua esistenza ricordata, e così esso diventa mio oggetto. Ciò che io osservo e per il quale mi spiego l’oggetto in base al suo contenuto, è contenuto nell’Erlebnis stesso o mi rappresenta l’oggetto in quanto ricordo. In quanto tale l’oggetto è immanente all’Erlebnis. D’altra parte si compie una separazione dell’Erlebnis dall’oggetto, e questo gli diventa parzialmente trascendente3. E qui è decisivo il fatto che questa trascendenza parziale è fondata nell’Erlebnis stesso e nel rapporto dell’apprendere con esso. Prestando attenzione all’oggetto io porto a coscienza distinguente le relazioni strutturali che sussistono nello stato del sentire. Io le pongo in luce mediante le operazioni logiche elementari, le isolo, e identifico la relazione strutturale che c’è nell’Erlebnis presente con quella degli Erlebnisse precedenti. Nei singoli momenti successivi posso, mentre sto così, porre in luce singoli tratti dell’Erlebnis ai quali poi se ne aggiungono ancora altri. E distinguendo in tal modo queste relazioni immanenti all’Erlebnis, il mio apprendere l’Erlebnis stesso viene condotto, sulla base della struttura in esso contenuta, agli Erlebnisse che gli sono strutturalmente legati e che lo fondano. La rappresentazione dei miei manoscritti è il fondamento dell’apprendere il mio Erlebnis, e io la separo prestandovi attenzione. Dal sentimento di questo elemento oggettuale io separo, come sua base, il sentimento di stanchezza e quello della preoccupazione, che su di esso si fonda, per il completamento di questo manoscritto. Io traggo a coscienza, mediante un processo di distinzione, le relazioni strutturali di questi elementi; e proprio per la natura strutturale di questa unità dell’Erlebnis l’apprendere richiede che si proceda fino agli Erlebnisse, strutturalmente connessi tra di loro, che stanno a monte di essa. Io sono stanco di lavorare, conosco il contenuto del mio stipo ispezionandolo, mi preoccupo di ciò che rimane incompiuto e il cui compimento richiede da me ancora un lavoro imprevedibile. Tutto questo sopra, di e a, tutte queste relazioni di ciò che viene ricordato con ciò che è immediatamente vissuto, in breve queste relazioni strutturali interne devono essere apprese da me, che voglio ora cogliere in modo esaustivo l’Erlebnis

nella sua pienezza. E proprio per esaurirlo debbo ritornare indietro, nel nesso strutturale, ai ricordi di altri Erlebnisse. L’Erlebnis ricordato è trascendente alla coscienza, che vive nell’Erlebnis presente. Esso è qualcosa che sta al di là di quello. Esso non è qualcosa di posto come trascendente alla coscienza in generale, ma è posto come trascendente al momento presente di questa coscienza, riempito dall’Erlebnis. Questa trascendenza la chiamo una trascendenza per la coscienza nella sua vita immediata. Così il corso temporale e il ricordo che lo riassume costituiscono il fondamento oggettivo per il sorgere della coscienza della trascendenza dall’Erlebnis. E al tempo stesso sono sicuro della realtà oggettiva di questo elemento trascendente in virtù del rapporto strutturale in cui il ricordo si riferisce all’Erlebnis. Ancora un’altra cosa viene da me osservata nell’Erlebnis. Il procedere all’indietro dall’Erlebnis, attraverso le relazioni strutturali che si hanno in esso, fino alla connessione psichica, mi rivela come sua condizione una tendenza a esaurire l’inesauribilità dell’Erlebnis e a realizzare così l’equivalenza fra le asserzioni sull’Erlebnis e l’Erlebnis stesso. Questo fatto psicologico non è ulteriormente esplicabile. Un’energia psichica, la quale esegue gli atti necessari al raggiungimento dell’adeguazione, consiste soltanto nel fatto che il progredire regolare verso la qualità essenziale della struttura, in cui il contenuto di fatto degli Erlebnisse richiede all’indietro sempre nuovi elementi, produce un sentimento di soddisfazione se, e nella misura in cui, una tale pretesa viene soddisfatta. In questo processo non vi è nessun’altra specie di valore all’infuori di quello che è connesso con il soddisfacimento per l’atto che esaurisce l’Erlebnis; e non vi è neppure alcuna volizione, ma piuttosto un essere condotti a sempre nuovi elementi della connessione in virtù dello stesso contenuto di fatto e della soddisfazione che è contenuta nell’esaurirla. Il completamento dell’Erlebnis nella connessione psichica è fondato nella legalità del procedere oltre il contenuto dell’Erlebnis che viene colto di volta in volta; questo procedere ha la sua condizione nel contenuto di fatto, e a ogni suo passo è collegata una soddisfazione la quale risulta sempre annullata dall’insufficienza che deriva dall’inesauribilità dell’Erlebnis. E si mostrerà che dal contenuto di fatto della percezione ha parimenti luogo un procedere necessario degli atti verso un oggetto trascendente. In questo processo sorge dunque l’intuizione della connessione psichica; e

questa intuizione diventa oggetto dell’apprendere. L’Erlebnis è ora riferito alla connessione psichica di cui è parte: esso costituisce, per la coscienza che lo racchiude, una parte tra altre parti che formano una connessione. Ma la natura particolare dell’oggetto psichico non viene esaurita dal rapporto del singolo Erlebnis, in quanto parte, con la totalità della connessione psichica. Lo stato di fatto della struttura, dell’unità strutturale dell’Erlebnis fondata in un determinato atteggiamento, delle relazioni strutturali reciproche tra gli Erlebnisse, e infine delle relazioni strutturali delle forme di atteggiamento tra di loro, è l’elemento fondante nel formarsi dell’intuizione della connessione psichica. Infatti, se ci chiediamo che cosa s’intende quando parliamo di questa connessione, essa risulta, a differenza da una semplice somma o da un insieme di parti formanti un tutto, un’unità della vita psichica costituita da relazioni che vanno oltre i suoi elementi e che li collegano tutti, proprio come nel concetto di soggetto o di io è soltanto l’atteggiamento nei confronti di ciò che è oggettuale, vale a dire la relazione strutturale che c’è negli atti dell’Erlebnis e nei loro rapporti, che costituisce tale concetto. La connessione psichica è parzialmente trascendente, in quanto sempre vi è contenuto l’Erlebnis, ma è pure parzialmente trascendente soltanto per la coscienza nella sua immediatezza. Soltanto in virtù di un’astrazione abbiamo separato finora l’apprendere dell’Erlebnis mediante le operazioni logiche elementari dagli atti del pensiero discorsivo. Negli atti che tendono a realizzare l’esaurimento dell’Erlebnis. e che conducono alla costituzione della connessione psichica come un oggetto, sono infatti compresi la designazione, la formazione di concetti e il giudizio. La saldezza definitiva dell’oggetto viene conseguita soltanto nella sua posizione da parte del giudizio. E così l’altro aspetto del processo in cui una connessione psichica viene colta come oggetto è il passaggio a apprensioni dell’Erlebnis che recano il suo contenuto a un’espressione più adeguata, più salda e più precisa. Anche qui si presenta il duplice rapporto della rappresentazione adeguata degli Erlebnisse e, insieme, della trascendenza che sorge nell’apprendere. Il giudizio designa l’Erlebnis; esso costituisce una connessione rappresentativa, condizionata dalla natura dei segni, la quale si riferisce all’Erlebnis. In esso sono sempre contenuti elementi che esprimono determinazioni essenziali su ciò che è psichico. Già la semplice asserzione su un Erlebnis, che questa sofferenza sia insopportabile, contiene due

determinazioni essenziali del genere che vanno al di là del singolo Erlebnis e che, in quanto tali, sussistono dinanzi a me indipendentemente da questo Erlebnis. Ciò che viene designato nel giudizio è quindi uno stato di fatto, il quale risulta trascendente all ’Erlebnis e rinvia, nella forma della determinazione essenziale o della relazione tra determinazioni essenziali, a una connessione psichica. E queste determinazioni essenziali non sono riconducibili agli Erlebnisse in virtù di un’adeguazione. Esse tendono soltanto a esaurirli, a recarli a coscienza distinta, a riunirli insieme. L’oggetto di quell’apprendere, che è fondato negli Erlebnisse, cioè la vita psichica o il soggetto, viene rappresentato secondo diversi orientamenti di elaborazione concettuale. Ognuno di questi orientamenti è fondato nella natura di tale oggetto e nel modo in cui esso è dato. L’esigenza, contenuta nella coscienza, di un sapere oggettivamente valido e di scopi forniti di valore incondizionato condusse la scuola socratica a postulare un soggetto razionale immanente alla vita psichica, che soltanto potrebbe soddisfare questa esigenza. Con ciò ebbe inizio lo sviluppo della psicologia trascendentale. D’altra parte gli osservatori della vita umana, i poeti e gli storici composero un’essenza umana sulla base di certe possibilità di prestazione che essi rappresentano costituite da virtù e vizi in certi rapporti quantitativi, come l’arguzia, la perspicacia, la brama di potere, l’amor di patria, l’egoismo. In questo orientamento a comporre l’oggetto psichico sulla base di forze sorge in seguito la teoria delle funzioni psichiche, in modo tale che il cooperare teleologico delle forze alla prestazione complessiva della vita psichica viene appreso come un ulteriore stato di fatto nella connessione psichica. Questa forma di concezione psicologica si è sviluppata nella scuola psicologica tedesca, trovando i suoi classici rappresentanti in Tetens4 e in Kant. Se d’altro lato si forma il principio di una rigorosa connessione causale dei processi psichici, e i mutamenti psichici vengono spiegati in base alle uniformità dell’accadere psichico, sorge così un altro ordine di concetti psicologici. Oppure è possibile, come qui si cerca di fare, seguire le relazioni strutturali in cui gli Erlebnisse della vita psichica individuale sono collegati in una interna connessione teleologica. E accanto a tutti questi tentativi di una concezione su base concettuale della connessione psichica agisce sempre l’introspezione religiosa, la quale utilizza sì le rappresentazioni concettuali ma ricerca sempre nella vita psichica qualcosa di misterioso, per cui essa sta in un nesso reale con il divino. L’esperienza interna, il rapporto con Dio, l’allontanamento

dall’egoità sono gli Erlebnisse costitutivi di questa concezione del corso della vita e di questa oggettualizzazione del mondo interiore. Ognuna di queste forme di oggettualizzazione dell’Erlebnis coglie sempre un aspetto della realtà psichica; e ognuna ha sempre reso possibile a epoche intere di esprimere la vissuta realtà psichica in concetti e di ottenere, per mezzo di questi concetti, un’efficacia adeguata su di essa. Riassumiamo ora il rapporto tra l’Erleben e l’apprendere relativo a oggetti psichici. L’attenzione verso un elemento psichico, la sua osservazione, l’apprendere questo elemento nella connessione psichica, i giudizi su ciò che viene appreso e infine l’unità sistematica del sapere relativo alla connessione psichica — questi diversi modi di apprendere esprimono tutti, nella misura in cui possono venir fatti coincidere con gli Erlebnisse, una realtà. Infatti qui abbiamo ovunque a che fare soltanto con rappresentazioni di ciò che è immediatamente vissuto. Parimenti il concetto di connessione psichica designa una realtà nella misura in cui le rappresentazioni con cui esso viene costruito sono contenute nell’Erleben in un modo incontestabile. L’apprendere che è fondato nell’Erleben corrisponde a quello fondato nell’intuizione sensibile per il fatto di contenere la relazione a un oggetto; ma se ne distingue per un elemento che è determinante per la teoria e il metodo del sapere in questo campo: elementi, regolarità, forme di atteggiamento, relazioni strutturali interne sono contenuti nell’Erleben stesso. L’apprendere che si riferisce alla connessione psichica è un compito infinito al pari di quello che si riferisce agli oggetti esterni, ma esso consiste soltanto nel trovare ciò che è contenuto negli Erlebnisse. Così la realtà dell’oggetto psichico viene al tempo stesso sempre posseduta, e sempre si cerca di esplicitarla concettualmente. Il processo dell’apprendere contiene sempre in sé i due elementi: la soddisfazione fondata sull’identificazione di ciò che viene espresso nel concetto o è conforme al giudizio con gli Erlebnisse, e l’insoddisfazione per non poter esaurire gli Erlebnisse. Di conseguenza gli errori dell’apprendere psichico risiedono soprattutto nell’illusione di poter racchiudere in un determinato orientamento di formazione di concetti l’intero contenuto degli Erlebnisse. 3. La relazione tra l’intuire e gli oggetti sensibili. Da questo apprendere relativo alla connessione psichica si distingue l’apprendere relativo agli oggetti esterni. Come quello è caratterizzato dal suo

fondamento nell’Erleben e dalle proprietà di ciò che può venire immediatamente vissuto, così questo è caratterizzato dal suo fondamento nell’intuire sensibile e dalle sue proprietà essenziali. Essere-rappresentato, nel senso che c’è un contenuto, costituisce il suo modo di esistere per me, inseparabile da ciò che è intuito sensibilmente. Sentimenti o aspirazioni sono forme di atteggiamento che possono venir rappresentate come contenuti, mentre ciò che è intuito sensibilmente esiste soltanto come contenuto. Ciò che viene intuito sensibilmente comporta anche, prescindendo ora dall’illimitata molteplicità dei contenuti, differenze nel modo in cui i contenuti esistono per me. La libera rappresentazione di un colore o di un suono, il presentarsi di immagini visive indeterminate prima di addormentarsi, l’immagine fantastica di una vegetazione di dimensioni e di splendore cromatico che sorpassano la realtà, la percezione di un oggetto, la sua rappresentazione nel ricordo — questi sono gli elementi di una tale molteplicità. Due differenze emergono qui in maniera particolare. Ciò che viene intuito sensibilmente o è libera rappresentazione, come per esempio un colore, o è qualcosa di supposto nella fantasia, come quella foresta di piante, o è un dato che viene determinato dall’atto percettivo. D’altra parte ciò che viene intuito sensibilmente esiste dinanzi a me in relazione a un oggetto, come per esempio una particolare percezione della chiesa di Santo Stefano, o senza una tale relazione di un contenuto a un oggetto distinto da esso, come un colore o un suono che vengono rappresentati. Tra queste forme sussistono, nella molteplicità di ciò che può essere intuito sensibilmente, i rapporti seguenti, i quali sono importanti tanto per la distinzione delle forme di atteggiamento quanto per la teoria del sapere, poiché riguardano le relazioni, strutturalmente condizionate e di carattere teleologico, fondate nell’atteggiamento dell’apprendere sensibile. Entro tale molteplicità di ciò che è intuito sensibilmente la relazione tra l’atto, il dato intuitivo sensibile e l’oggetto costituisce un’unità strutturale. Questa relazione appare nel modo più chiaro quando si parte dal giudizio sensibile, in cui un elemento oggettuale viene determinato per mezzo del dato intuitivo-sensibile. L’elemento oggettuale deve quindi essere in qualche modo presente nella percezione in cui è dato. E così di fatto avviene. Io parto dalla percezione di un oggetto qualsiasi, per esempio di un albero. Ciò che di esso è effettivamente dato sono il tronco, parti di rami, le foglie, veduti da un particolare punto di vista. Io completo questa immagine particolare mediante rappresentazioni. Questo risultato dell’apprendere deriva

la sua unità dalla relazione al medesimo oggetto. Le forme più disparate di apprendere — l’intuizione, la designazione verbale, le rappresentazioni nei loro diversi gradi di vitalità e di pienezza — sono collegate in un sistema di relazioni interne. Noi chiamiamo il sistema complessivo di queste relazioni col nome di rappresentazione totale — intendendo naturalmente il termine “rappresentazione” nel suo senso più ampio. In questo sistema, come si è visto, soltanto una minima parte è data in modo puramente intuitivo: ciò che è dato in questo modo lo chiamiamo intuizione pura. Qui l’oggetto è dato nella stessa intuizione sensibile. E questo carattere di datità, che appartiene alla percezione sensibile, non è un contenuto che si aggiunga agli altri contenuti i quali formano ciò che è percepito come un contenuto intuitivo sensibile: esso indica piuttosto il modo in cui i contenuti intuitivi esistono per me nella percezione sensibile. Di fronte al puro carattere di datità univocamente determinata, che appartiene a questa intuizione pura, nelle rappresentazioni che si collegano con essa a formare la rappresentazione totale vi è spazio per un atteggiamento più libero. Il carattere di datità si spiega riflettendo sul fatto che l’oggetto ricorre in forme diverse di atteggiamento: così all’esistenza dell’oggetto della percezione si collegano, attraverso la riflessione, gli Erlebnisse che si hanno in rapporto ad esso nell’atteggiamento del volere: la resistenza, l’immodificbilità, la pressione del mondo esterno. Infatti ciò che viene percepito con il carattere della datità resiste, non può venir mutato, esercita una pressione sul soggetto. Da questi rapporti in cui stanno le percezioni deriva il carattere di necessità oggettiva con cui si pone, nei processi dell’apprendere oggettivo, il loro contenuto e quello di tutte le loro rappresentazioni. Così il carattere di datità, che è proprio della percezione sensibile, costituisce il fondamento della necessità di ogni asserzione su oggetti nell’ambito dell’apprendere sensibile. Quando il suo carattere di datità rinvia a qualcosa che non è essa stessa percezione, questa relazione è senza alcun contenuto, e l’ambito dell’apprendere, che sempre esige un qualcosa, un contenuto, si chiude nelle relazioni immanenti dei suoi elementi determinati nel contenuto. Dalla percezione si distingue la rappresentazione ricordata, la quale è una rappresentazione di qualcosa che è stato percepito. La copia ha carattere di rappresentazione in quanto l’oggetto viene riconosciuto nella rappresentazione ricordata. Qui una rappresentazione sussiste realmente sulla base di un riprodurre, e l’intera concezione del conoscere come un riprodurre risale al rapporto del ricordo con la percezione. Nel legame in cui gli elementi della connessione strutturale si riferiscono

l’uno all’altro nell’apprendere oggettivo un elemento importante è la distinzione della singola percezione dall’oggetto, e la sua relazione con esso. La singola percezione è qui legata all’oggetto per mezzo di una rappresentazione totale. Anche qui si tratta non già di un rapporto psicologico di carattere genetico, bensì di un rapporto di fondazione. Nell’esperienza la percezione reale s’incontra tanto poco quanto il passaggio alla relazione della percezione con un oggetto separato da essa. È tuttavia chiaro il vincolo logico che deriva dallo stato di fatto: ciò che c’è nell’esperienza può soltanto servire al chiarimento di questa coercizione. All’orizzonte del mare si presenta un oggetto: quando si avvicina, esso diventa più grande. Il colore dell’oggetto muta quando sorge la luna. Supponiamo che un isolano che ancora non abbia mai visto una nave metta in serie queste immagini. Esse sono differenti, ma la continuità che lega tra di loro i momenti di questa ininterrotta osservazione lo costringe a riferirle al medesimo oggetto. Questo processo deve soltanto illustrare come dalla coercizione delle singole esperienze concorrenti sorga l’esigenza di pensare in aggiunta qualcosa che non è dato in nessuna esperienza particolare. Questa rappresentazione totale implica una pluralità di percezioni particolari, ma si riferisce a un unico oggetto. Essa è intuitiva e tuttavia non può compiersi realmente in nessuna intuizione. Essa indica un compito: per risolvere questo compito e cogliere realmente l’oggetto designato, l’apprendere è sospinto in avanti verso sempre nuovi atti di rappresentazione. Nell’apprendere sensibile si ha dunque una relazione con l’oggetto, la quale si distingue dall’apprendere ciò che è psichico in un punto importante per la teoria del sapere e per la dottrina del metodo. L’oggetto è trascendente alla percezione, ogni singola percezione è inadeguata rispetto all’oggetto, e le rappresentazioni sono rivolte ad avvicinarsi all’oggetto. 4. La struttura degli Erlebnisse dell’apprendere. Nella struttura degli Erlebnisse dell’apprendere si possono così distinguere, in entrambi i campi, tre momenti. In essa è presente una relazione a un elemento oggettuale: in virtù di tale relazione questo può essere percepito, rappresentato fantasticamente o supposto, appreso nel giudizio. I modi di relazione strutturale fondati in queste diverse forme dell’apprendere possono essere rivolti ognuno al medesimo oggetto, oppure oggetti diversi possono stare nella medesima relazione strutturale in quanto oggetti percepiti, pensati o voluti. Il modo di relazione agli oggetti e gli oggetti possono mutare indipendentemente l’uno dagli altri. Io posso giudicare in merito a tutti gli oggetti possibili, e il medesimo oggetto può presentarsi, oltre che al mio

atteggiamento giudicante nei suoi confronti, anche nelle altre relazioni strutturali più diverse. Ma alla fine occorre distinguere il contenuto che è racchiuso nell’Erlebnis, e che costituisce la materia dell’orientamento verso l’oggetto, non soltanto dall’atteggiamento ma anche dall’orientamento verso l’oggetto. Solamente il contenuto rende possibile, per esempio come impressione sensibile complessiva di una casa, la relazione al particolare oggetto di una casa. Ma contenuti differenti vengono riferiti, in ore diverse della giornata, con un tempo diverso, da diversi punti di vista, al medesimo oggetto, cioè a questa determinata casa. E d’altra parte anche il medesimo contenuto di un’impressione notturna di tipo indeterminato consente un’interpretazione diversa, cioè può venir riferita a oggetti differenti. 5. Gli Erlebnisse dell’apprendere come unità strutturali e le loro interne relazioni reciproche. a) Tutti gli Erlebnisse che sono caratterizzati dall’apprendere oggettuale contengono relazioni interne reciproche. Queste relazioni strutturali attraversano tutti gli intrecci in cui sentimenti o intenzioni del volere sono collegati con l’apprendere oggettuale. E per quanto gli Erlebnisse dell’apprendere sussistano l’uno accanto all’altro e siano modificati dal mutare delle circostanze, interne o esterne, essi possono tuttavia essere connessi tra di loro mediante le relazioni che sono comuni ai processi dell’apprendere oggettuale. Queste relazioni li collegano tra di loro in una connessione di tipo peculiare. Impegnato in un processo di conoscenza, io vengo interrotto da una notizia, da una persona che entra o da un malessere fisico: ciò può durare a lungo, finché il processo di conoscenza in cui ero impegnato non viene da me ripreso: tuttavia tali Erlebnisse conoscitivi, pure assai distanti tra di loro, sono collegati come parti nella totalità della mia connessione conoscitiva. Questa è condizionata dal tipo di relazioni che si hanno nel sistema dell’apprendere oggettuale. Ad esse inerisce infatti la tendenza a estendersi per tutta la vita psichica. b) Le relazioni degli Erlebnisse all’interno dell’apprendere oggettuale si hanno tra i contenuti che compaiono in questi Erlebnisse. Esse sono comprese nello stato di fatto che è dato oggettualmente. Nello stato di fatto di due diverse intensità è dato insieme il grado d’intensità. Nei legami effettivi della qualità del colore con l’estensione è implicito che il colore non può venir rappresentato senza l’estensione. È pur vero che l’apprendere questo stato di fatto presuppone gli atti del collegare e del separare; però le relazioni

sussistono non già tra questi atti ma tra i contenuti di fatto. La validità delle relazioni in questione è indipendente dagli atti di coscienza in cui esse vengono apprese. Parimenti il sillogismo esprime soltanto relazioni logiche che sono fondate nell’elemento oggettuale, non già relazioni tra gli atti di pensiero: premesse e conclusione vi sono collegate in una connessione, la cui natura sta nella fondazione della conclusione mediante le premesse. Ma nel sillogismo gli atti non sono appresi come fondanti, in esso viene invece appreso uno stato di fatto. Nessuna coscienza di operazioni di pensiero da noi compiute accompagna l’apprendere oggettuale. Soltanto i contenuti e le loro relazioni gli sono presenti. Il procedimento che rappresenta la pluralità di elementi distinguibili, che si possono cogliere nel contenuto dell’apprendere oggettuale, mediante una pluralità di atti i quali si combinano per produrre la rappresentazione di un tutto coeso, va oltre lo stato di fatto che si può constatare descrittivamente: alla sua base stanno, come condizioni di coscienza, atti che corrispondono alle relazioni effettive. L’atto designa quindi la condizione di coscienza per il sapere relativo a una relazione di fatto. Una relazione strutturale suscettibile di essere mostrata si ha, nell’ambito dell’apprendere, soltanto tra l’atteggiamento e il contenuto che costituisce la materia per la determinazione dell’oggetto. Questa relazione strutturale determina ora in una duplice direzione un passaggio verso la comprensione dell’elemento oggettuale, in cui vengono determinate sempre maggiori relazioni entro ciò che è immediatamente vissuto e ciò che è intuito. In una direzione sta il procedere dell’apprendere un elemento oggettuale nella serie di rappresentazioni che devono esaurire ciò che è contenuto nell’Erleben e nell’intuire; nell’altra direzione sono collegati gli Erlebnisse che colgono le relazioni tra i diversi oggetti. Le relazioni tra gli Erlebnisse dell’apprendere sussistono anzitutto tra Erlebnisse in cui il medesimo oggetto esiste per noi in modi differenti. Intuizione, ricordo, rappresentazione totale, designazione verbale, subordinazione del particolare sotto l’universale, collegamento delle parti in un tutto, giudizio — queste sono tutte forme dell’apprendere: senza che l’oggetto venga a mutare, mutano il modo e la forma della coscienza in cui esso esiste per noi, quando si passa dall’intuizione al ricordo o al giudizio. L’orientamento comune verso il medesimo oggetto le collega in una connessione teleologica, nella quale hanno posto soltanto quegli Erlebnisse che compiono una funzione nell’orientamento a cogliere questo determinato

elemento oggettuale. Questo carattere teleologico, condizionato dall’orientamento a cogliere l’oggetto, si esprime poi ancora nel fatto che tutte le relazioni tra le forme di apprendere il medesimo elemento oggettuale sono caratterizzate dalla capacità di queste forme di acquistare la certezza del proprio valore di verità nell’identificazione di ciò che esse indicano con il dato intuitivo oppure immediatamente vissuto che sta a base di questo. L’espressione di questa certezza è la coscienza della convinzione. Essa rappresenta la consapevolezza della raggiunta adeguazione dell’atto conoscitivo con ciò che viene immediatamente vissuto oppure intuito. Così il giudizio corrisponde all’orientamento a cogliere l’oggetto quando è accompagnato dalla coscienza che ciò che viene in esso indicato è la cosa stessa; e la coscienza della convinzione, che accompagna il giudizio vero, è l’espressione dell’adeguazione immediata o mediata con la cosa stessa, che è data intuitivamente. Da questo carattere teleologico della connessione che qui si presenta è condizionato in modo esclusivo il procedere da un elemento all’altro al suo interno. Come si è visto, nello stato di fatto della materia dell’apprendimento data nell’Erlebnis e nell’intuizione, e nella sua relazione con l’oggetto, sta il fattore che spinge l’apprendere verso forme sempre più adeguate. Ognuna di queste forme deve, essendo riferita al medesimo oggetto, poter realizzare l’identificazione con le intuizioni o gli Erlebnisse in cui è data la materia occorrente per apprendere tale oggetto. E fin quando l’Erlebnis non è ancora esaurito, o l’oggettualità data parzialmente o in materia inadeguata nelle intuizioni particolari non è ancora pervenuta a un’enunciazione adeguata, in ciò che viene indicato e asserito c’è sempre un elemento di insoddisfazione, e questo promuove un’espressione più compiuta. Così penetriamo in una pienezza di relazioni degli Erlebnisse dell’apprendere, che sono fondate nella struttura di questi Erlebnisse e nelle relazioni strutturali delle forme di espressione, quali conseguono dal loro rapporto con il medesimo oggetto. Noi cerchiamo di chiarire la costruzione in cui si costituisce la connessione che ne deriva. Percezioni che riguardano il medesimo oggetto sono collegate tra di loro in una connessione teleologica, in quanto procedono verso un identico oggetto. Il rovescio o l’interno di un oggetto sono soltanto indicati di passaggio nella relazione di una percezione che non li contenga. E così questa percezione ne richiede altre che possano completare la materia per apprendere tale oggetto. In questo processo di completamento è già incluso il ricordo. Esso

sta, nella connessione dell’apprendere oggettuale, in un saldo rapporto con il fondamento intuitivo, in quanto la sua funzione è di rappresentare questo fondamento. Qui si mostra molto chiaramente la differenza tra l’apprendere l’Erlebnis del ricordo, il quale studia nelle sue uniformità il processo che sta a base di questo, e la considerazione del ricordo nella funzione che assolve nella connessione dell’apprendere, in base alla quale rappresenta ciò che è immediatamente vissuto oppure appreso. Sotto l’impressione e l’influenza dello stato d’animo il ricordo può assumere dal suo fondamento contenuti distinti — proprio qui hanno la loro base le immagini estetiche della fantasia — ma il ricordo che risiede in questa connessione teleologica volta a cogliere l’oggetto ha la tendenza a identificarsi con la materia intuita o vissuta dell’apprensione dell’oggetto. Che il ricordo compia la sua funzione nell’apprendere oggettuale risulta dalla possibilità di determinare la sua somiglianza con il fondamento percettivo dell’apprensione dell’oggetto. L’apprendere significativo, che si costruisce sopra quello intuitivo, si fonda nell’Erlebnis o nell’intuizione: esso costituisce un sistema di relazioni tra espressioni. Per espressione intendiamo «ogni discorso e ogni parte di discorso al pari di ogni segno essenzialmente dello stesso genere»p. E queste espressioni si distinguono dai segni di altra specie in quanto significano qualcosa. «Se ci poniamo sul terreno della descrizione psicologica, il concreto fenomeno dell’espressione dotata di senso si articola da una parte nel fenomeno fisico in cui l’espressione si costituisce nel suo aspetto fisico, e dall’altra negli atti che danno ad esso il significato ed eventualmente la pienezza intuitiva e in cui si costituisce la relazione a un’oggettualità espressa»q. In quanto l’espressione si riferisce in tal modo a una oggettualità, essa indica qualcosa; in quanto essa compie questa relazione in un’intuizione o in un Erlebnis presente o reso presente, è realizzata la relazione tra il nome e il denominato in un «riempimento di significato»r, e il fenomeno fisico dell’espressione e la sua relazione con un elemento oggettuale che viene indicato non costituiscono una mera congiunzione o una mera simultaneità, bensì un’unità interna. Il suo carattere deriva dal fatto che noi, mentre abbiamo un’esperienza vissuta della rappresentazione verbale, la viviamo non nella rappresentazione della parola, ma esclusivamente nel compimento del suo senso, del suo significatos. Il nostro interesse si volge all’oggetto designato; va dalla rappresentazione verbale intuitiva nella sua funzione all’oggetto e lo mostra. L’Erlebnis, che riferisce un nome a un oggetto, significa il nome, e realizza questa relazione in

modo compiuto attraverso un’intuizione corrispondente dando così luogo a un’unità interna, che è caratterizzata dalla forma di relazione riposta nell’essenza del significato. E nulla muta il fatto che esso sia composto da atti parziali e fondato in un’intuizione: esso costituisce un’unità strutturale. Ancor più complessa è l’unità strutturale nell’Erlebnis del giudizio. Qui ci si presenta di nuovo un rapporto che abbiamo già osservato. L’unità strutturata sussistente in un Erlebnis, che può venir scomposta in più momenti (atti parziali), è continuamente determinata da una relazione alla quale si subordinano le altre. Questa è, nell’Erlebnis del giudizio, la relazione dell’asserzione compiuta significativamente con l’elemento oggettuale che viene asserito. Guardiamo ora all’aspetto del giudizio per cui esso collega le parole in una proposizione. Qui ci si presenta una nuova relazione strutturale nella sfera dell’apprendere: quella che regola il connettersi delle parti del discorso nell’asserzione. Si tratta cioè della soluzione del problema che è stato definito come grammatica pura. La lingua «non ha meramente un fondamento fisiologico, psicologico e storico-culturale, ma ha anche un fondamento a priori. Esso riguarda le forme essenziali di significato e le leggi a priori della loro complessione, cioè della loro modificazione, e non si può pensare alcuna lingua che non sia essenzialmente condeterminata proprio da queste leggi»t. Il significato del discorso è vincolato alla legalità che sussiste qui; la sua violazione produce quindi un nonsenso. «Se noi diciamo un rotondo o, un uomo ed è e così via, non esistono significati che corrispondano a questi collegamenti come loro senso espresso»u. Qui c’è un esempio interessante del metodo atto a cogliere le relazioni interne in base alle forme esterne. Nel campo del significato domina una legalità a priori, «secondo cui tutte le forme possibili stanno in un rapporto di dipendenza sistematica da un piccolo numero di forme primitive, fissate in base a leggi esistenziali. Con questa legalità perviene a coscienza scientifica, dal momento che essa è a priori e puramente categoriale, un momento fondamentale e principale della costituzione della “ragione teoretica”»v. In questo orientamento degli Erlebnisse dell’apprendere, in base al quale essi tendono a cogliere e a esprimere un’oggettualità in forme sempre più adeguate, è però già contenuto il procedere dall’Erlebnis o dall’intuizione particolare verso il generale, in quanto lo stato di fatto può venir chiarito

soltanto mediante nomi, concetti, giudizi. Sia che il punto di arrivo consista nella determinazione di un fatto oppure di una regolarità, sempre la via verso questo punto passa attraverso il generale. In entrambi i casi la comprensione dell’oggetto si compie, e la tendenza verso di essa è attuata, solamente nella coscienza che si possiede, e si possiede del tutto, la cosa stessa. Ma già in questo orientamento è presente il procedere verso il generale, e questo richiede che si proceda dalle relazioni che si possono riscontrare nell’oggetto particolare a quelle che si hanno in connessioni oggettuali più ampie. Così un orientamento delle relazioni trapassa nell’altro. In quell’orientamento erano legati tra di loro gli Erlebnisse che tendono a cogliere lo stesso oggetto mediante forme diverse di rappresentazione e anche in modo sempre più adeguato; in questo sono collegati gli Erlebnisse che colgono relazioni tra gli oggetti mutevoli, sia nella medesima forma di apprendere sia mediante il collegamento di forme differenti. Così sorgono le relazioni più ampie che sono racchiuse nello stato di fatto dell’oggettualità. Esse risultano particolarmente chiare nei sistemi omogenei che rappresentano rapporti di spazio, di suono o di numerow. Ogni scienza si riferisce a un’oggettualità delimitabile e ha in questa la sua unità; e la connessione del campo della scienza dà ai princìpi del sapere la loro coerenza. La compiutezza di tutte le relazioni contenute in ciò che è immediatamente vissuto e in ciò che è intuito costituirebbe il concetto di mondo. In questo è implicita l’esigenza di esprimere tutto ciò che può essere immediatamente vissuto e intuito attraverso la connessione delle relazioni di fatto in esso contenute. E così si può infine dire che la relazione strutturale che consiste nella determinazione dell’oggetto mediante contenuti vissuti o dati produce il sistema delle relazioni oggettuali e si manifesta in queste, e che in virtù di tale relazione strutturale gli Erlebnisse di questa classe vengono collegati tra di loro in maniera sempre più estesa e più intrinseca. c) Riassumendo i momenti dell’apprendere oggettuale che abbiamo illustrato, siamo condotti a comprendere ciò che ora si presenta come essenza della conoscenza. Per sapere che cosa sia la conoscenza ci si deve chiedere che cosa si debba intendere con i suoi elementi, cioè con il percepire, le designazioni verbali, i giudizi, A questo si deve rispondere: ciò che intende colui che percepisce, che rappresenta, che giudica, quando egli compie questi atti. Chi ha un’esperienza vissuta è cosciente di ciò di cui ha esperienza vissuta. Questo tipo di certezza non rimanda a nulla che stia al di là da essa, ma poggia su se stessa. Se formiamo il concetto ideale teorico di una pura

intuizione, con questo è allora posta, in virtù del carattere di datità, una realtà che rimanda a ciò che costituisce questa datità, e che rende possibile la sua stabilità e la sua pressione. Ciò è da assumere in primo luogo come un dato di fatto; ma lo si deve rendere chiaro al fine di valutare correttamente le proprietà degli atti conoscitivi che si fondano su di esso. Ogni altro atto, che forma un elemento dell’apprendere oggettuale che si costruisce su questa base, designa, indica, significa il riferimento retrospettivo a ciò che è immediatamente vissuto o al puro intuire. Esso designa, significa, indica un oggetto che viene appreso sul fondamento di ciò che è contenuto nell’Erleben e nell’intuire. L’oggetto è immanente all’Erleben, mentre nell’intuire che ricade di fatto sotto il nostro apprendere l’oggetto è ciò a cui si riferiscono le intuizioni particolari nel loro concorrere. Gli atti dell’apprensione sono in primo luogo operazioni logiche elementari: trovare uniformità, distinguere, determinare gradi, collegare, separare, la parte e il tutto nel loro rapporto di compresenza e di unione, essere-separabile dall’ambiente, infine l’apprendere rapporti di fatto. Queste operazioni elementari possono venir compiute al di là di ogni designazione mediante parole o mediante segni di altra specie; sono percezioni di secondo grado ed esprimono soltanto uno stato di fatto. Questo presenta infatti, entro l’intuire, una peculiarità degna di nota. Le operazioni elementari apportano stati di fatto. E questi non esistono per me come fatti di coscienza, ma si presentano come realtà indipendenti dalla coscienza: in quanto tali, ad essi inerisce qualcosa di indipendente dal mutamento che si compie nel corso della coscienza, un proprio modo di universalità. Come una qualità di suono rimane sempre eguale a se stessa sebbene i suoni trapassino l’uno nell’altro, così anche la distanza tra due suoni in quanto tale rimane un elemento di fatto che è sempre il medesimo nel mutare psichico degli Erlebnisse musicali. Questi stati di fatto sono determinazioni essenziali, e in quanto tali sono fondamentali per la conoscenza, nella misura in cui questa significa qualcosa di più che un presentarsi o un essere insieme entro la coscienza. Che al di sopra degli stati di fatto sensibili vi sia, nell’apprendere ciò che è immediatamente vissuto, qualcosa di analogo come valore o come scopo, ciò risulta già nelle semplici forme di asserzione che qualcosa sia bello o buono — non soltanto per me ma in generale — come qualcosa che in esse viene indicato, e per cui restano da cercare le basi. 6. La tendenza, contenuta nella struttura dell’apprendere, alla

connessione sistematica e la sua realizzazione nella scienza. Nell’apprendere oggettuale è quindi presente, secondo la natura degli stessi stati di fatto che si danno nell’Erleben e nell’intuire, l’esigenza di istituire ovunque relazioni tra tutto ciò che può essere immediatamente vissuto e percepito. E nella struttura dell’apprendere è nel medesimo tempo presente un principio unitario, che produce questa connessione e contiene in sé la garanzia della sua validità. Il percepire, la formazione della rappresentazione di un oggetto in cui le singole immagini percettive sono collegate tra di loro in un modo così determinante che un oggetto particolare risulta da essa definito nel contenuto, la subordinazione del particolare sotto l’universale, la subordinazione di specie sotto un genere, il collegamento delle parti in un tutto, gli atti di designazione e il giudizio che sorge sulla loro base nelle sue varie forme, i collegamenti dei giudizi fino alla connessione sistematica di un campo di conoscenza — tutti questi atti mostrano un carattere comune: essi stanno in un rapporto di essererappresentato e di rappresentare. Ogni elemento di questa connessione è rappresentato da un altro, e l’elemento successivo in questa connessione è una rappresentazione del precedente. Così la rappresentazione dell’oggetto rappresenta i contenuti percettivi ai quali si riferisce; e la rappresentazione generale rappresenta quelle particolari. Il legame dei segni caratteristici di un concetto rappresenta le rappresentazioni individuali che rientrano nell’ambito del concetto, e infine la connessione conoscitiva, che abbraccia un campo oggettuale, rappresenta l’insieme delle percezioni che sono riferite a questi oggetti. L’intera psicologia di questa connessione dell’apprendere oggettuale ha come proprio centro questo concetto del rappresentare e come proprio compito principale quello di illustrare tale concetto. È chiaro che in questo concetto sono comprese modificazioni molto diverse di atteggiamento, e che la scoperta di queste modificazioni è un lavoro tanto difficile quanto complicato. Infatti la singola rappresentazione ricordata rappresenta la percezione in un senso differente da quello in cui il giudizio rappresenta il contenuto intuitivo o immediatamente vissuto. Un Erlebnis, che sta in rapporto di rappresentazione con uno o più Erlebnisse che lo condizionano, è fondato in questi ultimi. Con ciò non è però indicata la relazione genetica degli Erlebnisse tra di loro. Essere-fondato non vuol dire qui essere condizionato geneticamente, ma designa piuttosto il

rapporto tra l’atto che fonda e l’atto che è fondato, per cui quello contiene la giustificazione di questo. Appare qui che il rapporto del fondare non riguarda gli atti, bensì ciò che è contenuto negli atti. Così al rapporto tra ciò che è rappresentato e ciò che è rappresentante corrisponde il rapporto tra il fondante e il fondato. Il giudizio percettivo ha il suo fondamento o la sua giustificazione in uno o più atti percettivi, i quali sono rappresentati dal giudizio. Tra tutti gli Erlebnisse in questione sussiste quindi lo stesso rapporto, per cui gli uni sono rappresentati in altri e li fondano. In ogni Erlebnis, il quale contiene una rappresentazione e ne è fondato, è quindi contenuto il rapporto con Erlebnisse che sono in esso rappresentati e che lo fondano. E inoltre tutti gli Erlebnisse, che contengono un essererappresentato, un fondare, un rappresentare, un essere-fondato, sono legati tra di loro in una connessione dall’omogeneità dell’atteggiamento presente in questi Erlebnisse e dalle relazioni poste in questo atteggiamento. Le forme di atteggiamento determinano il modo di questa connessione e contengono nel medesimo tempo l’elemento del loro collegamento in una totalità. In queste relazioni sono contenuti i rapporti permanenti che stanno a base dell’apprendere oggettuale. È questo il saldo terreno sul quale si accende e si spegne la luce mutevole della coscienza momentanea. II. Il possesso oggettivo A) Il sentire. La presente connessione richiede ora un esame provvisorio di alcuni princìpi riguardanti la struttura del sentire e del volere. Si tratta infatti soltanto di preparare la considerazione comparativa necessaria per la teoria del sapere, cioè di svincolare la logica e inoltre l’interà teoria del sapere dalla sua relazione preponderante con la conoscenza della realtà, e di configurare i princìpi logici e metodologici in maniera tale che essi si riferiscano tanto alla conoscenza della realtà quanto alla determinazione dei valori, tanto alla posizione di scopi quanto alla formulazione di regole. Perciò le operazioni elementari, che precedono il pensiero discorsivo, devono esser comprese in tutti questi diversi campi nel loro rapporto con le operazioni discorsive. Mediante questa considerazione comparativa risulta poi quali condizioni proprie della connessione strutturale dell’apprendere oggettuale, del sentire e del volere, siano determinanti per le forme logiche. È il concetto di struttura applicabile alla vita del sentimento? Esso lo è in

quanto gli Erlebnisse del sentimento sono unità strutturali, e nel rapporto di questi Erlebnisse di sentimento compaiono relazioni strutturali, e in quanto l’insieme di queste relazioni assolve nella connessione psichica una funzione che ha un rapporto strutturale, nella teleologia della connessione psichica immanente al soggetto, con le operazioni dell’apprendere oggettuale e del volere. Su questa base risulterà allora che i rapporti strutturali del sentimento costituiscono un campo delimitabile nei riguardi sia dell’apprendere sia del volere. In tal modo questo campo, con le determinazioni di valore che in esso si presentano, può essere additato, nella prospettiva della logica e della teoria del sapere, come uno dei tre campi a cui devono riferirsi tutte le determinazioni logiche e metodologiche di carattere generale. 1. Delimitazione degli Erlebnisse del sentire. In primo luogo occorre determinare il carattere comune di quegli Erlebnisse che vengono ovunque designati, secondo l’uso linguistico, come sentimenti. Quando si passa da qualcuna delle forme dell’apprendere oggettuale al sentimento, appare subito che non c’è nessuna possibilità di comparare il sentimento con esse. Udire, vedere, toccare possiedono una tale comparabilità tra di loro; il giudizio su un oggetto visto è comparabile con la percezione; ma quando accosto il sentimento a queste forme di conoscenza, allora non trovo più alcuna possibilità di comparazione. La psicologia descrittiva, la quale coglie soltanto ciò che è nella vita psichica sviluppata, trova quindi nel sentimento un ambito di fatti psichici i cui elementi sono sì ovunque intrecciati con il fatto dell’apprendere e del volere, ma che si presentano, ovunque appaiono, incomparabili con questi. Io posso ben trovare punti di possibile comparazione tra il percepire sensibile, il sentimento sensibile e il desiderio sensibile; essi consistono nella comunanza dei contenuti rintracciabili nelle varie forme di atteggiamento: ma le forme di atteggiamento stesse non sono comparabili. La distinzione che viene così immediatamente vissuta separa il sentire sia dall’apprendere oggettuale sia dal volere. Essa appare all’analisi in primo luogo per il fatto che nel sentimento si trova un’antitesi che si designa di solito come l’antitesi tra piacere e dolore. I sentimenti costituiscono una molteplicità che mostra differenze intensive e qualitative. Essi possono venir ordinati in una serie di intensità: da un lato, in direzione positiva, si succedono i gradi di intensità del piacere, del gradimento e dell’approvazione, dall’altro, in direzione negativa, si succedono

i diversi gradi del dolore, del dispiacere e della disapprovazione. Come differenze qualitative si indicano nei sentimenti il piacere e il dolore in stretto senso, l’approvazione e la disapprovazione, il gradimento e il dispiacere. Determiniamo in base a questa caratteristica i limiti del sentimento e delimitiamo così provvisoriamente in base ad essa un ambito proprio della vita del sentire. I sentimenti sono intrecciati con gli Erlebnisse intellettuali come con quelli del volere, e la loro presenza in questi si estende talmente che si potrebbe parlare di una onnipresenza dei sentimenti nella vita psichica. L’attenzione è guidata dall’interesse, ma questo è una partecipazione affettiva che sorge dalla situazione e dal rapporto con l’oggetto. Anche le manifestazioni di arguzia e di perspicacia, anche le combinazioni sorprendenti sono accompagnate da sentimenti di piacere. E quando nell’atteggiamento del volere si presenta una tensione o un arresto, questi stati del volere suscitano un atteggiamento di dolore; al contrario, il successo è accompagnato dal piacere. Si ha invece un doppio senso della parola quando si parla del sentimento di somiglianza o del sentimento della realtà. Qui è il carattere comune della consapevolezza che condiziona il duplice uso del termine “sentimento”. Affermazione e negazione, dubbio e certezza non sono in sé né piacevoli né dolorosi. Nel risolvere questioni di ogni specie c’è una gioia pura e semplice. E del pari nella sfera del volere la consapevolezza, la coscienza del legame del mio volere con l’esecuzione di un’azione mediante un atto nel quale mi sono impegnato, non è connesso di per sé con un sentimento di piacere o di dolore, anche se facilmente dalla connessione della vita si aggiunge un tale sentimento di dolore, di limitazione. Vi è pure una coscienza di un atteggiamento del volere che è molto simile al sentimento, che si collega anche col sentimento ma che non è sentimento. Espresso in termini generali, vi è un’interiorità di stato d’animo che è assai simile al sentimento e che può collegarsi con il sentimento, ma che non può venir concepita come sentimento. E come qui la consapevolezza non è abbastanza distinta dal sentimento, così agli Erlebnisse con cui viene compreso qualcun altro, sia reale oppure immaginato, si dovrà rifiutare perché troppo stretta la qualifica del risentire: si tratta piuttosto di un rivivere, in cui l’intera connessione psichica di un’esistenza estranea viene colta muovendo dal dato particolare. 2. Il carattere generale dell’atteggiamento nell’Erleben del sentire. Occorre ora porre in luce che l’ambito così delimitato dei sentimenti mostra, in tutti i suoi Erlebnisse, il medesimo atteggiamento e le medesime

qualità strutturali, mentre l’inserimento di altri Erlebnisse non caratterizzati dal piacere o dal dolore esclude la determinazione di unità strutturali, di relazioni strutturali e della funzione teleologica proprie del campo così delimitato. Il carattere di struttura in questo campo è condizionato da un tratto fondamentale nell’atteggiamento del sentire, che può soltanto essere indicato ed espresso in forma di immagine, non però definito. Nell’apprendere oggettuale l’Erlebnis contiene un orientamento verso l’oggetto, e i diversi Erlebnisse sono legati da tale tendenza a cogliere l’oggetto. L’Erlebnis della volontà mostra un orientamento verso un fiat, verso la realizzazione di un elemento di fatto, sia nel singolo Erlebnis sia nelle relazioni reciproche tra gli Erlebnisse. Ma che cosa troviamo ora negli Erlebnisse del sentire? Attività e orientamento sono esclusi da questo campo; non soltanto nel sentimento della situazione, ma anche nel sentimento oggettuale, è presente soltanto, come modo di atteggiamento, lo stato d’animo: uno stato d’animo che è legato con l’apprendere oggetti dati o che è fondato sulla situazione del soggetto. Come questo stato d’animo sia condizionato dagli oggetti esterni o dalla situazione del soggetto, va perduto, in questo atteggiamento per così dire inverso, nella profondità del soggetto. La parte che i fatti oggettivi dell’esperienza empirica hanno in questo stato d’animo viene a perdersi nel modo in cui essa trapassa nello stato d’animo complessivo. Ogni stato d’animo del sentire esprime soltanto l’inafferrabile atteggiamento della stessa profondità del soggetto di fronte alle sue situazioni e agli oggetti. Perciò nel mondo del sentimento è dato un carattere strutturale che si distingue del tutto da quello presente nelle altre due sfere. Esso si fa valere sia nell’unità strutturale dell’Erlebnis del sentimento sia nelle relazioni strutturali reciproche dei vari Erlebnisse del sentimento. Ne consegue che gli elementi che costituiscono gli Erlebnisse di questa classe sono subordinati all’elemento strutturale principale, il quale viene immediatamente vissuto come sentimento. La situazione viene vissuta nel sentimento, gli oggetti vengono assaporati e goduti nel sentimento. Tutti gli Erlebnisse del sentimento sono eguali in questo; e quando essi dominano nell’animo, ogni rapporto della vita e ogni oggetto e ogni individualità altrui sembra esserci per venire goduto, sofferto e assaporato. Per trovare nel proprio Erlebnis la molteplicità del mondo del sentire che così sorge ci si deve rifare ai poeti, i quali ci insegnano a rintracciare in noi ciò che altrimenti passerebbe

inosservato sotto la pressione della vita: tutto il peso della felicità e della sofferenza della terra, lo schiudersi dell’animo impegnato nelle occupazioni oggettive, il parlare di voci dalla natura. La struttura del sentimento consiste quindi in questo ritorno dagli oggetti all’atteggiamento. Questo riferimento retrospettivo, quando si viene a godere e a soffrire anche in vibrazioni sommesse, è la disposizione dell’animo. Ma, nella misura in cui il soggetto constata i saldi rapporti di oggetti e di uomini con se stesso, per mezzo delle rappresentazioni di Erlebnisse di sentimento passati, e costruisce per così dire un sistema delle sue relazioni di sentire con le cose, gli individui, le comunità, fino all’umanità intera, vivendo non in un atteggiamento teoretico o pratico ma entro questi saldi rapporti, allora questo atteggiamento di vita si può chiamare animo. Questo poggia in tal modo sul ricordo, che rappresenta gli Erlebnisse del sentimento e pone tali rappresentazioni in relazioni ordinate con le cose, le persone, le comunità. Così sorge una graduale concentrazione dell’animo attraverso il ricordo, la fedeltà, la solidità delle relazioni di sentire della vita fino all’ingenuo o anche consapevole e voluto isolamento degli Erlebnisse del sentimento in semplici disposizioni d’animo che esprimono qualcosa di momentaneo. In ciò consiste la costituzione della vita che vuole assaporare tutto ciò che il mondo contiene, ogni cosa per sé e ogni cosa nel momento. Ne risulta che la struttura del sentimento rende possibile un sistema di relazioni mediante rappresentazioni, il quale procede verso oggetti identici di svariati Erlebnisse del sentimento. Da tali rapporti consegue pure che il sentimento, quale è dato nell’Erlebnis, si presenta in una grande molteplicità di qualità. Queste determinatezze qualitative sono strettamente legate nell’Erleben stesso con le situazioni e gli oggetti a cui si riferisce. Muovendo dalle spiegazioni della psicologia genetica e da un procedimento analitico che individua ciò che può venir separato o isolato tentativamente nel sentimento, noi distinguiamo qui una forma di considerazione che ha per oggetto soltanto la funzione dei sentimenti nella connessione strutturale psichica. Così considerato, il sentimento non costituisce un sistema, ma la sua funzione consiste nel rendere l’universo oggetto di una simpatia che tutto lo comprende, nel godere e nel soffrire della sua armonia e delle sue dissonanze, nel porre l’individuo in relazioni di sentire con le cose, le persone e le comunità, nel determinare salde relazioni oggettive tra stati di fatto generali e il sentimento estetico o etico. Così si costruisce, sulla base del sentimento, un atteggiamento concettuale e giudicante nelle valutazioni; e l’efficacia di queste

valutazioni si estende tanto alla formazione delle visioni del mondo quanto alla determinazione dei valori. Sorgono in questo modo tre forme di valore: i valori vitali fondati sui sentimenti situazionali, i valori dinamici che si riferiscono all’ambiente condizionante della situazione, e i valori propri di oggetti e di persone, che i sentimenti degli oggetti esprimono con il giudizio e in forma concettuale. L’elemento oggettivo nei valori è il risultato di salde relazioni nel sentimento oggettuale. Il principio dello stato di fatto nella morale. L’aspetto oggettuale nell’estetica5. 3. L’unità strutturale dell’Erlebnis del sentire. Gli atti dell’apprendere oggettuale costituiscono il fondamento del sentimento. Qualsiasi atto che appartenga a questo apprendere può essere una base del genere; e il rapporto tra soggetto e mondo oggettuale, che sorge in questi atti come schema generale per l’apprendere, diventa fondamento oggettivo del nostro sentire come del nostro volere. L’Erlebnis del sentimento è un atteggiamento del sentire nei riguardi di situazioni oppure di oggetti dati oppure rappresentati come possibili o come immaginati. I sentimenti corporei e le disposizioni d’animo prive di oggetto costituiscono il limite inferiore dell’unità strutturale negli Erlebnisse del sentimento. Entrambi sono sentimenti, poiché possiedono la peculiare caratteristica dell’antitesi interna di piacere e di dolore. E come essi recano in sé questa antitesi, così nessun foro e nessun morso e nessuna puntura localizzati nel proprio corpo possono andar separati dal piacere e dal dolore. Ma nessun atteggiamento di fronte a questo contenuto è racchiuso manifestamente in essi. E noi distinguiamo le sensazioni localizzate dal sentimento solamente se questo si pone al centro dell’attenzione. Al contrario, la sofferenza fisica può disporsi a uno strato inferiore della vita psichica accanto a un altro atteggiamento: la sensibilità di basso livello che gli è propria può ben venir sopportata con una straordinaria forza di sofferenza, come nell’eccitazione della volontà in battaglia non si avvertono le ferite. Anche le disposizioni d’animo prive di oggetto formano di regola soltanto il sostrato di un altro atteggiamento, al pari delle luci e delle ombre prodotte da un astro nascosto dietro le nubi. Al di là di questi limiti l’Erlebnis del sentimento è un’unità strutturale in cui lo stato del sentire è unito strutturalmente, secondo la natura dell’atteggiamento del sentimento, con il possesso o la rappresentazione di una

situazione del soggetto o con la percezione e rappresentazione di un oggetto. L’oggetto varia qui indipendentemente dall’atteggiamento del sentimento; e anche questo atteggiamento può presentare molteplici variazioni di fronte allo stesso oggetto. Quando l’ascoltatore coglie un tema concepito nella fantasia, quando egli segue il modo in cui esso è percorso in situazioni sonore, strumenti, ritmi, modalità di suono differenti, e quando si trova al tempo stesso animato da un corrispondente mutare di sentimenti, allora ciò che viene appreso o ricordato come oggetto è chiaramente separabile dal sentimento. Il mutamento delle immagini sonore non coincide con il mutamento dei sentimenti: la variazione in quelle immagini e la variazione nel sentimento risultano diverse tra di loro, la differenza vissuta diventa ancora più chiara nella riflessione; le immagini sonore e i sentimenti non sono disposti nella coscienza come due strati sovrapposti, ma l’elemento decisivo e caratteristico consiste proprio nel fatto che essi stanno tra di loro in una relazione interna. Questa relazione è un atteggiamento di fronte a quelle immagini sonore. Non si ha neppure un rapporto di associazione, in cui un sentimento stia con un contenuto percepito o rappresentato. Un piacere esiste soltanto insieme a un contenuto del quale mi rallegro. Questo rapporto è espresso linguisticamente dicendo che mi rallegro di qualcosa o ho piacere di qualcosa, che un avvenimento che mi riguarda mi rallegra o mi dispiace. Anche qui si presenta quindi un atteggiamento, allo stesso modo che nel giudizio su un oggetto o nel volere un oggetto assunto come scopo. Così nei sentimenti l’atteggiamento e l’oggetto variano indipendentemente l’uno dall’altro, e quindi sono idealmente separabili; ma non possono sussistere realmente l’uno senza l’altro. Nel modo in cui essi sono collegati si possono però mostrare delle differenze. Proprio il modo in cui i sentimenti sono legati a situazioni o a oggetti produce in questa sfera del processo inverso, nella profondità della soggettività, differenze di struttura peculiari. Dall’apprendere oggettuale è derivato lo schema del soggetto e del mondo oggettuale, e ad esso corrisponde la distinzione fondamentale dei sentimenti in sentimenti situazionali e in sentimenti relativi a un oggetto. I sentimenti situazionali hanno come loro fondamento intuitivo il soggetto nei suoi rapporti con oggetti e con persone. Ma questi sono qui solamente indiretti, in quanto determinano modificazioni dello stato d’animo soggettivo, cioè in quanto sono causa di sentimenti. Sorgono così il sentimento del successo, la coscienza lieta della forza, il sentimento della pressione delle circostanze e

dell’impotenza di fronte al mondo, l’odio, la paura, la riconoscenza. I sentimenti relativi a un oggetto sono invece collegati dalla nostra situazione con l’apprensione degli oggetti. Gli uni sono prodotti dai contenuti sensibili, dalle loro relazioni, dalle semplici percezioni senza una relazione con l’oggetto, oppure da oggetti sensibili; gli altri sorgono dall’interpretazione dei fenomeni sensibili negli esseri viventi, la quale si compie nel rivivere o nella comprensione. Il grado di comprensione dipende dall’affinità della connessione strutturale psichicax. Esso si riferisce all’Erleben o a un suo equivalente. Erroneamente questo rivivere viene concepito come un ri-sentire; infatti in questi processi entra in gioco l’intera vitalità delle nostre forme di atteggiamento. E dal rivivere si possono poi distinguere i sentimenti che scaturiscono dall’apprensione che si realizza di una vita altrui: gioia condivisa, compassione, disprezzo, ammirazione, stupore. Essi si sviluppano nella misura in cui l’interpretazione delle manifestazioni di altri esseri viventi va al di là del loro stato d’animo momentaneo, che si esprime in un grido o in un gesto, fino a penetrare tutta la vitalità altrui. In questa connessione si mescolano in vario modo due specie di Erlebnisse del sentimento, le quali devono però esser ben distinte. Una parte di questi Erlebnisse è costituita dai sentimenti rivissuti dell’altro soggetto, i quali si presentano come un elemento peculiare del processo di comprensione. E un altro elemento dell’Erlebnis, diverso da quello, è il sentimento che si riferisce al sentimento rivissuto dell’altra persona, come la gioia condivisa o la compassione. Noi li troviamo distinti tra di loro nella sfera che è la più efficace per attuare l’interpretazione di un’interiorità: nell’apprensione della musica strumentale, in cui attraverso l’interpretazione vengono a esprimersi, collegati agli effetti sensibili del suono e del nesso sonoro che si danno nelle melodie e nelle loro connessioni, nei ritmi e nell’armonia, i processi di un’altra interiorità. Qui i sentimenti così suscitati costituiscono un ambito di disposizione interiore che accompagna l’oggettualità sensibile: mai altrove la partecipazione del sentimento al rivivere risulta così indipendente. Invece, con la sostituzione dell’oggettualità musicale da parte della connessione del corso della realtà vengono esclusi i sentimenti che si riferiscono a questi sentimenti. Nessuno avrà compassione di Beethoven per l’espressione della sofferenza in uno dei suoi adagio, e nessuno potrà gioire con lui della serena esultanza di un allegro di Haydn. Affine all’interpretazione dell’oggettualità inerente ai suoni è

l’interpretazione della natura. L’empatia nella natura è l’interpretazione sentimentale di essa, che sente ciò che in essa è affine in base alla disposizione d’animo di chi contempla. E il sentimento che se ne ottiene è la reazione che si ha di fronte all’interpretazione già compiuta di un fenomeno naturale, per esempio del mare luccicante o del bosco oscuro, fondata sulla nostra disposizione d’animo. Anche qui il sentimento relativo all’oggetto non è legato ad alcun sentimento che si riferisca a sentimenti. Entrambi i modi di sentimento, quelli contenuti nel rivivere e i sentimenti che si riferiscono al sentimenti di un altro, si trovano invece mescolati nel lettore di un romanzo o nello spettatore di una tragedia, poiché qui il rivivere i processi che si hanno in Mignon o in Giulietta si collega alla compassione per la loro sofferenza. Come stato di fatto comune entro il mondo del sentimento appare in primo luogo una peculiare gradualità di rapporti di soggettività e di oggettività. Qui si mostrano all’opera condizioni che sono riposte nella profondità della connessione psichica. Il sentimento è per così dire l’organo per l’apprensione della nostra come dell’altrui individualità, mediante l’empatia nella natura di qualità peculiari che nessun sapere può attingere. In esso sembra schiudersi la profondità inaccessibile al sapere. Sulla base dell’apprendere oggettuale si compie per così dire una svolta verso questa profondità. Quello determinava l’oggetto muovendo dal sentimento, spingendo in avanti per raggiungerlo; i sentimenti misurano, in mezzo all’azione reciproca tra il nostro io e gli oggetti, la forza del nostro io, la pressione del mondo e l’energia delle persone intorno a noi. Prendiamo ora in esame la natura del sentimento relativo all’oggetto. L’elemento oggettuale possiede, nel giudizio su questi sentimenti, gli attributi della bellezza, del significato e del valore. Noi godiamo, nell’approvazione del nostro io e nel compiacimento di noi stessi, di qualità della nostra persona che danno alla nostra propria esistenza valore, significato, bellezza, e in questo modo sorge l’autovalutazione. La stessa trasformazione del compiacimento o dell’approvazione in una qualità dell’oggetto si ha nel giudizio relativo a un oggetto sensibile o a un’altra persona: questa rosa è bella, il permanere di Socrate in carcere era cosa buona. E all’unità strutturale del sentimento relativo all’oggetto corrisponde quindi il giudizio, con una pretesa di validità fondata sull’oggetto. I sentimenti situazionali contengono un’altra specie di relazione strutturale. Essa procederà di qui. Hegel parla del «sordo tessere dello spirito

in sé»6, nel quale esso sarebbe materia per se stesso e avrebbe anche l’intera materia del suo sapere entro di sé. Così Albrecht Ritschl7 designa il sentimento come «la funzione spirituale in cui l’io è presso di sé». E nello stesso senso l’antitesi presente nell’atteggiamento del sentimento viene riportata da sempre alla promozione o all’impedimento della vita. Sentimenti relativi all’oggetto e sentimenti situazionali mostrano la loro specificità anche nel fatto che essi sono separabili gli uni dagli altri pure dove vengono a collegarsi. 4. Le relazioni strutturali reciproche dei sentimenti. Noi troviamo i vari sentimenti intrecciati ovunque nella connessione psichica. Essi si presentano nella connessione del pensiero oggettuale sotto forma di dispiacere per il fallimento, di sentimento di tensione nel corso del lavoro spirituale o di soddisfazione per la conoscenza raggiunta; accompagnano il mutamento e le relazioni delle nostre rappresentazioni al pari delle situazioni del nostro io; attraversano la tessitura dell’atteggiamento del nostro volere come dispiacere per il desiderio insoddisfatto, come gioia dell’agire, come tensione spiacevole durante questo o come soddisfazione per il mutamento prodotto nel mondo oggettuale o nei nostri propri stati. Essi sono collegati in questa connessione, in modo determinante, con un altro atteggiamento. I sentimenti che così sorgono non hanno nessuna relazione interna tra di loro. Ma anche dove l’atteggiamento proprio di essi determina la composizione dell’Erlebnis, gli Erlebnisse del sentimento non sembrano essere tra loro in rapporti ben definiti: tra di essi non sussiste nessun rapporto del genere di quello della rappresentazione o di quello di mezzo e scopo, ma essi appaiono e scompaiono come la luce che si accende e si spegne sulle onde. Essi sono distinti dall’apprendere oggettuale e dall’atteggiamento del volere per il fatto che in questi gli Erlebnisse sono collegati tra di loro in un ordine regolare, mentre le relazioni reciproche dei sentimenti nel corso di un affetto o di una passione appaiono irregolari e accidentali: una differenza che dà in ogni caso a questo modo di atteggiamento un carattere particolare. Relazioni tra i sentimenti si hanno solamente nella misura in cui il loro rapporto è mediato da rappresentazioni. Nella direzione della profondità un sentimento può suscitare, mediante la sua rappresentazione, un sentimento relativo a un sentimento: un sentimento del genere è anzitutto la compassione per la propria sofferenza, la gioia per il proprio stato di felicità. Sofferenza e felicità devono qui venir tradotte in rappresentazioni, se devono dare vita a un sentimento ad esse relativo. E la compassione su di sé non è la ripetizione

della sofferenza, bensì un sentimento struggente, commovente, del tutto diverso anche dai violenti dolori fisici o dal dolore per una perdita mortale. Il sentimento gioioso della propria forza produce l’orgoglio di sé. E anche qui il sentimento e il sentimento relativo al sentimento sono assai differenti per carattere. Proprio questo rivela l’aspetto strutturale di tale relazione. Alquanto più complicata, e tuttavia in ogni caso indubbiamente suscettibile di essere mostrata di fatto, è la relazione strutturale tra il ri-sentire un sentimento altrui e la compassione o la gioia condivisa. I casi più semplici si hanno quando una forte espressione di sentimento viene ri-sentita da me: allora la compassione per la sofferenza altrui non è una ripetizione indebolita di quella sofferenza né di questo ri-sentire, ma sta in una relazione strutturale con i processi del risentire. In molti casi il godere dell’altrui disgrazia, la gelosia, l’invidia sorgono, come ci rivela chiaramente l’auto-osservazione, in modo tale che la felicità altrui produce una diminuzione della stima di sé e questa diminuzione suscita a sua volta, mediante rappresentazioni e giudizi, il sentimento dell’invidia verso chi è felice; e parimenti in modo che nel godere dell’altrui disgrazia il rivivere l’infelicità di un altro produce, mediante l’accrescimento della stima di sé, la gioia per l’infelicità altrui. Se un altro scolaro viene punito, il giovane si rallegra della propria pelle intatta. Le relazioni possono anche collegare Erlebnisse ben più distanti. Il favore fatto da un altro viene sentito come gradito, e suscita forse, attraverso la somma di piccoli favori, il sentimento della riconoscenza. Anche qui appartiene alla natura della relazione strutturale che il godimento del favore non si ripete in forma di gioia, legato all’orientamento verso la causa di esso, ma nasce invece un nuovo sentimento di specie particolare. Da essa deriva che nuovi elementi possono essergli aggiunti, quasi come a una conseguenza un’altra. Una sofferenza altrui produce la compassione verso di essa; la forza con cui la sento può suscitare, se ne soffro troppo profondamente, una compassione nei miei confronti. Dalla relazione contenuta nei sentimenti relativi a sentimenti si distingue l’altra, che indichiamo con il nome di trasposizione. Quando la parte di un oggetto ha prodotto un sentimento di dispiacere. questo può estendersi all’oggetto intero. Il sentimento spiacevole, prodotto dall’annuncio di una cattiva notizia, può venir esteso all’intera persona da cui procede questo atto particolare. 5. Il sistema delle relazioni reciproche dei sentimenti in quanto delimitato nei confronti delle relazioni dell’apprendere oggettuale e del

volere. Questo complesso dei sentimenti è delimitato come un tutto collegato in un sistema mediante relazioni strutturali. E invero la delimitazione nei confronti dell’apprendere oggettuale non può soggiacere ad alcun dubbio sul terreno della pura descrizione. La struttura di questi due sistemi ci è apparsa completamente differente. Assai più difficile è la delimitazione di questa connessione strutturale dei sentimenti nei confronti di quella del volere. Anche qui non ci chiediamo se il volere sia una funzione indipendente, ma vogliamo soltanto stabilire, nel contesto di questa descrizione, se per la sua struttura esso sia distinto dal sentimento. Come l’atteggiamento del sentimento è distinto da quello dell’apprendere oggettuale, così può esserlo anche dall’atteggiamento del volere. Condizione e fondamento del sentimento è un qualsiasi processo dell’apprendere oggettuale. Parimenti l’apprendere oggettuale e insieme ad esso il sentire costituiscono il fondamento dell’atteggiamento del volere. Nell’Erlebnis dei valori si fonda la posizione di scopi: si ha così una connessione interna che procede dal sentimento, attraverso l’impulso e il desiderio, fino al volere. Si potrebbe quindi supporre che il sentimento sia soltanto la prima di quelle forme di atteggiamento che raggiungono la loro forma ultima nella decisione del volere e nell’agire rivolto a uno scopo. In tale maniera si fa valere la continuità in cui sentimenti, affetti, desideri sono talmente legati da apparire soltanto come forme e gradi del medesimo atteggiamento. La medesima antitesi, che si presenta nel piacere e nel dolore, sembra prolungarsi nel desiderio e nell’opposizione. Ma questa continuità si fa valere egualmente al confine tra la sensazione e il sentimento. Qui come là essa consiste nel fatto che una delle funzioni ha il suo fondamento nell’altra, il sentimento nella sensazione e il volere nel sentimento, e che su questa base, mettendo in azione al minimo la funzione costruita su di essa, la sua prestazione aumenta. E l’antitesi di piacere e dispiacere, di cercare e di rifuggire, è soltanto ancora il fondamento per la posizione di scopi. Ogni decisione del volere è come tale, anche quando il suo contenuto è costituito dal rifuggire, positiva. La tendenza alla realizzazione di un oggetto dell’impulso, del desiderio o del volere separa nettamente questo atteggiamento da quello del sentimento. Nell’atteggiamento del volere si presenta, sul sostrato del sentimento, qualcosa che non può venir derivato da questo né comparato con esso. Due motivi mi sembrano parlare in maniera cogente a favore della separazione dell’atteggiamento del sentimento da quello del volere. C’è un

vasto ambito di sentimenti che non suscitano alcun impulso all’agire: sono quei sentimenti di cui si compone il godimento artistico. Ciò deriva dal fatto che gli oggetti di questi sentimenti sono tratti dalla connessione della realtà nella quale il nostro volere s’inserisce. Processi che altrimenti ci spingerebbero all’agire, non ci disturbano nel nostro atteggiamento privo di volere. Altrettanto importante è il fatto che da ciò che qui rivivo, dalle persone o dai destini che qui si presentano, non mi viene nessun impedimento del volere e nessuna pressione. Fin quando indugio nella regione dell’arte, la pressione della realtà è esclusa dal mio animo. Ciò che si vede sul palcoscenico può al massimo, anche nel caso di un estremo realismo, provocare una persona incolta alla reazione soltanto nel caso che scambi l’apparenza artistica con la realtà. La forma più compiuta di questi effetti del sentimento, a cui il volere è estraneo, si ha nella musica, poiché qui sono semplici creazioni fantastiche, come temi e melodie, a produrre i sentimenti. Come queste traggono dalla mimica dell’espressione la loro relazione più forte con la vita sentimentale dell’uomo, così anche tali temi o ritmi sono nel discorso soltanto ombre dell’espressione, sollevate alla legalità delle relazioni tra i suoni e in tal modo trasfigurate in pura bellezza. Esse sono così liberate dal contenuto del volere proprio della vita reale. Perciò l’espressione più forte della volontà in tensione, quale ci si presenta in una sinfonia di Beethoven, non ci spinge a una resistenza e non esercita una pressione su di noi. L’espressione di una volontà potente, libera da ogni contenuto, assurta alla legalità dei rapporti sonori e trasfigurata mediante questi, ci spinge solamente a una comprensione delle forme dell’atteggiamento del volere, dalla quale il volere è assente. E ciò non è conseguenza del fatto che in tal modo vengano prodotti sentimenti gradevoli ma deboli. Vi sono effetti artistici di una forza tale che possono venir soverchiati soltanto da poche specie di piacere. La possibilità propria della musica vocale di far agire contemporaneamente su di noi oggetti della massima efficacia sentimentale, e di renderci quindi consapevoli della ricchezza della vita stessa, come accade per esempio nella grande scena del ballo del Don Giovanni, oppure dove Bach nelle sue cantate fa confluire la sublime tranquilla serietà di effetti trascendenti e la inquieta chiara mobilità dell’anima che spera e che ha paura, produce un sentimento di beatitudine talmente intenso e forte da suscitare il massimo dei possibili effetti sentimentali. Non è una mancanza di forza del sentimento né esiste un ostacolo qualsiasi che impedisca a questo sentimento di trasformarsi in volere; ma sembra piuttosto che vi siano condizioni nelle quali i nostri sentimenti non

hanno nessuna tendenza a suscitare processi di volontà e azioni. Vi sono però anche altre forme di sentimenti forti, affini a quelle che producono le opere d’arte, e che parimenti non danno di regola origine ad alcun volere: soprattutto il sentimento della natura costituisce un caso del genere. E così pure il godimento di una gioia sociale nello spettatore di feste e di giochi non produce nessuna tendenza a parteciparvi, per quanto grande sia la forza di questo godimento. 6. Appendice: il compimento della teleologia interna della connessione strutturale dei sentimenti in formazioni oggettive. La teleologia immanente del corso del sentimento trova il suo compimento nella creazione e nell’Erleben di formazioni oggettive. Le influenze del mondo esterno sembrano intervenire in modo sempre più disturbante nella legalità del corso del sentimento. Se noi ci sentiamo tutt’uno con la natura, nella natura stessa ci appaiono però elementi che tendono alla distruzione di tale unità. Ci sembra che nella natura vi sia qualcosa di estraneo, che non possiamo mai realizzare del tutto in conformità al sentimento, una legalità che non ha nulla a che fare con la legalità del corso del nostro sentimento. Si presenta così alla coscienza l’abisso che ci separa dalla natura. Ma non soltanto nella natura, bensì anche in noi stessi vi sono elementi che distruggono l’armonia. Mentre ci abbandoniamo alla natura sorgono in noi dei ricordi, si svegliano sentimenti che non sono nella natura ma che appartengono solamente al nostro proprio io. Noi pensiamo d’un tratto a un’offesa che ci è stata arrecata e ne siamo indignati; pensiamo ad avvenimenti futuri; sorgono speranze e timori. Che cosa sa di tutto ciò la natura, la quale riposa tranquilla nel crepuscolo mentre noi ci tormentiamo con i nostri pensieri? L’uomo nella sua egoità diventa estraneo alla natura, l’unità è distrutta. Come queste contraddizioni tra la sua egoità e l’oggettività data spingono l’uomo a trovare la forma superiore di unità del valore, così d’altro lato egli cerca, creando nella sua fantasia nuove formazioni oggettive, di istituire l’unità all’interno delle sue disposizioni d’animo. Vengono in tal modo create opere d’arte, in cui è eliminata la divergenza tra la legalità interiore del sentimento e la legalità esterna. Il dato intuitivo viene colto in nuove forme, in nuovi tipi di legalità, e queste forme rendono per la prima volta possibile la concatenazione con un complesso unitario o con un corso unitario del sentimento. Soltanto qui si rivelano a noi compiutamente le relazioni strutturali tra i sentimenti. I sentimenti si susseguono, nella considerazione artistica, in relazioni strutturali interne conformi a leggi,

formando insieme un tutto. Questa totalità possiamo viverla immediatamente in una situazione del sentire, nell’insieme dei nostri diversi Erlebnisse, e tutti i vari sentimenti, tra loro internamente collegati, s’intrecciano in un risultato complessivo, in una disposizione d’animo totale. Spesso anche risuona, come per esempio nella musica, una determinata situazione del sentire che ora viene completamente vissuta in una successione finché poi alla fine ritorna la medesima situazione del sentire, pervenuta però a piena coscienza solo attraversando stadi differenti. Si potrebbe parlare di una lontana analogia con il processo della conoscenza soltanto per il fatto che il sentimento totale trova la sua realizzazione nei suoi stadi particolari, e che diventa un tutto in cui ha trovato modo di attuarsi completamente. Sono le variazioni di un medesimo tema nella musica, il ritorno o la compiuta elaborazione di tale tema alla fine, che costituiscono l’espressione per questo contenuto di fatto. Ciò che è già implicito in un sentimento complessivo, viene reso esplicitamente consapevole in una successione conforme a leggi, per trasformarsi poi in un’unità superiore. Così in genere il compito dell’arte pare consistere nel recare a una distinta esperienza vissuta le unità strutturali del sentimento presenti o riposte in ogni uomo. Il più potente dei mezzi impiegati a tale scopo è il contrasto. Altri sentimenti sembrano voler premere contro la situazione del sentire data, eppure da ognuna di queste lotte la situazione del sentire emerge più pura, più consapevole. Nella vita del sentimento c’è forse una legge secondo cui un sentimento totale può pervenire a piena coscienza e trovare la sua realizzazione soltanto nella lotta con altri sentimenti. Di qui possiamo gettare uno sguardo nella teleologia della vita del sentimento. Nel sentimento estetico mezzo e scopo non stanno di fronte come elementi estranei; non c’è un mezzo di per sé indifferente rispetto a uno scopo valido. Lo scopo è appunto la stessa totalità strutturata. E questa non è qualcosa di astratto, un concetto oppure un’elaborazione categoriale di elementi in sé disparati, ma ci è data nel suo insieme in un Erlebnis, e viene realizzata in una connessione strutturale di elementi emozionali presenti al medesimo tempo. Allo studioso di estetica si pone ora la questione del modo in cui una totalità data intuitivamente debba configurarsi affinché i sentimenti prodotti possano stare tra di loro in un’unità strutturale. Se non vi fosse alcuna relazione interna tra intuizione e sentimento, l’arte non sarebbe possibile. Ogni arte presuppone necessariamente certe uniformità nelle relazioni interne tra sentimento e intuizione. È cioè necessario che situazioni del sentire eguali

stiano, nelle medesime circostanze, in una relazione strutturale con affinità presenti nell’intuizione. Nell’arte vi sono quindi certe uniformità come il ritmo, la variazione di un medesimo tema, del medesimo motivo li neare, la simmetria, le quali in varie forme esplicano e recano a coscienza le affinità tra le situazioni del sentire. Se la legalità interna del corso delle disposizioni interiori trova così il suo compimento nell’arte, il compito dell’uomo era ciononostante quello di dare forma al corso delle sue reazioni affettive in un’unità più compiuta, in un’unità affettivamente in sé conclusa. La storia ci mostra le fatiche sempre rinnovate dell’uomo per stilizzarsi. Egli non crede di poter dare forma unitaria all’insieme delle sue reazioni affettive: soltanto nell’unità di una grande passione egli potrebbe pervenire all’unità. Tutto ciò che è piccolo, che è piccino, dev’essere lasciato cadere. E tuttavia l’uomo non può acquietarsi nella negazione delle sue reazioni affettive in favore di una passione; la complicata molteplicità delle sue reazioni affettive spinge, nella sua totalità, a dare ad essa una forma unitaria. Sentimenti e situazioni del sentire d’altra specie sono recati alla coscienza dell’umanità ad opera dei grandi artisti, e spingono l’uomo a cercare una nuova unità affettiva sulla base di elementi affettivi di altro genere. Si costituiscono tipi affettivi di epoche intere e di interi popoli; e contemporaneamente l’individuo tende a realizzare l’unità affettiva che gli è propria. Sul fondamento di questa unificazione emozionale le forme di espressione affettiva pervengono a una loro determinata configurazione. Nell’arte figurativa, nello stile della commedia, nella vita di società degli uomini sorge, come espressione dell’unità affettiva, una certa unitarietà dei movimenti esterni. Il sistema strutturale dei sentimenti di valore trova infine il suo compimento in certi sistemi oggettivi e universali di valori. Il mondo intero viene concepito da un punto di vista unitario. Esso è buono o cattivo, o in esso vi sono un principio buono e un principio cattivo; oppure all’interno del mondo vengono posti in luce certi elementi designati come buoni o come cattivi, e tutto il resto viene valutato in riferimento a questi elementi; o ancora si creano formazioni trascendenti, che sole conferiscono al mondo terreno il suo valore. Sorgono grandiose situazioni unitarie del sentire, come il pessimismo o l’ottimismo, le quali assumono un’intonazione particolare, secondo il loro legame interno con le differenti reazioni dell’egoità. Può trattarsi di un pessimismo disperato, o adirato, o mesto e tranquillo, o dolorosamente compassionevole. Ma anche qui l’uomo non può trovare la sua

soddisfazione limitandosi a un unico grande sentimento di valore, anche qui la totalità dei sentimenti di valore spinge a un’elaborazione unitaria. L’uomo va in cerca di connessioni oggettive di valore nelle quali possano trovare espressione, nei loro diversi gradi e nelle loro sfumature, la molteplicità dei suoi sentimenti di valore, la sua approvazione e la sua disapprovazione, il suo sentimento del bello e del brutto, del bene e del male, e tutti gli altri sentimenti di valore. Qui stanno infatti le connessioni di scopo che derivano dall’atteggiamento del volere, le quali dànno ai valori la loro unità sistematica e completano oggettivamente la connessione strutturale interna dei sentimenti di valore. B) Il volere8. 1. L’ambito dei suoi Erlebnisse. Per volere intendo una determinata forma di atteggiamento che si presenta in una grande molteplicità di Erlebnisse, e dalla quale sorge una connessione di determinati Erlebnisse. In questi Erlebnisse diventiamo consapevoli di un’intenzione alla realizzazione di un stato di fatto, la quale non è comparabile con i rapporti del rappresentare e del fondare nell’apprendere oggettuale, oppure con la gioia e con il dolore per qualcosa nel sentimento. Al pari di quelle due forme di atteggiamento, anche il volere implica una relazione con un qualche contenuto; e questo contenuto è l’elemento oggettuale che viene voluto: il processo si riferisce a tale elemento. Esso costituisce un atteggiamento; ma il modo particolare di questo atteggiamento può soltanto essere vissuto immediatamente, non già venir rappresentato in concetti. Se io dico che esso rappresenta un’intenzione, un orientamento verso la realizzazione di un oggetto, un agire come causa, oppure se dico che in esso è racchiuso uno scopo da realizzare, con ciò indico appunto questo atteggiamento indefinibile; indico che esso si riferisce a un qualche contenuto nel modo determinato della tendenza alla realizzazione, e applico per designare questo atteggiamento categorie che hanno la loro origine appunto nel volere. Se nell’Erlebnis poniamo in luce questo tratto, che come tale non si presenta mai di per sé in un Erlebnis, esso può venir indicato come un’operazione, come una componente della connessione psichica. Dove il volere si presenta come costitutivo dell’Erlebnis, esso è sempre riferito a un qualche contenuto che deve venir realizzato, e perciò lo indichiamo come un atteggiamento. Esso si presenta in una successione di stati, la quale è determinata dal progredire della differenziazione. Questi stati sono l’impulso,

la tendenza, la decisione, la connessione del volere. Ma dato che tale intenzione si verifica in certe circostanze, e si presenta nel cooperare degli individui, sorgono anche ulteriori stati che sono da essa condizionati e che devono essere imputati al medesimo atteggiamento. Le circostanze in cui il volere si presenta in una qualche forma possono impedire l’intenzione che vi è contenuta; allora si presenta la coscienza di una resistenza, viene esercitata una pressione da parte del mondo esterno. Questo impedimento non suscita in tutti i casi un dispiacere, spesso ci si lascia disturbare volentieri nel proprio lavoro, e sempre la consapevolezza di questo impedimento è diversa dal sentimento di dispiacere che ne deriva. Dal cooperare degli individui nasce poi un rapporto particolare, in quanto dal contratto o dalla promessa o dalla natura della relazione stessa nasce un vincolo della volontà, che costringe a certe azioni o le proibisce. È perciò indifferente per la nostra trattazione il modo in cui l’impedimento esterno e il vincolo interno vengono colti psicologicamente. Secondo un uso linguistico molto diffuso la consapevolezza di queste modificazioni dell’atteggiamento del volere viene designata come sentimento: la coscienza di questo impedimento o di questo vincolo viene detta il suo sentimento. Senza dubbio a queste modificazioni dell’atteggiamento del volere è spesso mescolata una sensazione di dispiacere: l’impedimento viene avvertito dolorosamente, e il vincolo, comportando una limitazione, produce dispiacere. Ma non ogni impedimento né ogni vincolo vengono sentiti come una pressione tormentosa o come una limitazione. C’è anzi una felicità della limitazione. Nel vincolo della vita in base a regole precise c’è, di fronte all’arbitrarietà, un elemento di soddisfazione. E la consapevolezza dell’impedimento e del vincolo dev’essere tenuta distinta dai sentimenti spiacevoli che vi si mescolano. Questi non si riferiscono direttamente all’elemento oggettuale che serve di impedimento o all’obbligazione che vincola, ma si riferiscono invece all’impedimento, al vincolo. È sufficiente qui stabilire che nella connessione delle relazioni essi occupano un posto importante, il quale si fonda nell’atteggiamento del volere. Tutti questi modi di Erlebnisse che abbiamo distinto formano infatti una connessione, che indichiamo come una connessione del volere. Essi sono elementi di un tutto nel quale occupano un posto determinato. Ogni Erlebnis del genere sta con la connessione del volere in una relazione la cui natura è determinata dal peculiare atteggiamento del volere. Erlebnisse che distano anni possono essere legati tra di loro da queste relazioni. Michelangelo costruisce la chiesa di San Pietro; ma si verificano lunghe

interruzioni, e altri progetti si frappongono. Al di là di questi intervalli innumerevoli atti di volere stanno però in relazione tra di loro in virtù di tale intenzione. La posizione di scopi ha per conseguenza la decisione sui mezzi, altri mezzi vengono richiesti per attuare tali mezzi, si presentano impedimenti, subentrano i vincoli dovuti ad accordi presi: un tutto quanto mai complicato, in cui gli atti particolari sono condizionati per anni da un’intenzione, e attraverso di essi passano i modi di relazione che sono condizionati dalla natura dell’atteggiamento del volere. Sentimento, percezioni, riflessioni vi si inseriscono ovunque. Le determinazioni del volere continuano ad agire nelle rappresentazioni di esso, in rappresentazioni le quali non sono atti volitivi ma posseggono soltanto la capacità di rappresentare o di produrre il volere. Così ci si presenta di nuovo una connessione strutturale la quale si estende attraverso i processi della vita psichica che sorgono e scompaiono, condizionati in molteplici modi dall’esterno o dall’interno: una salda armatura o un sistema di relazioni, un sistema ordinato, che consegue dalla natura dell’atteggiamento. Per penetrare la natura di questo sistema noi dobbiamo analizzare in maniera più precisa questi Erlebnisse. 2. Analisi del volere. La forma del volere, in cui gli elementi del processo sono più chiaramente distinguibili, si presenta quando esso è diretto alla realizzazione di un mutamento esterno, e compie a questo fine una scelta consapevole di scopi e di mezzi. Nella connessione della vita è in primo luogo sempre richiesto un elemento contenuto nella situazione presente, il quale si fa valere come bisogno ed è fondato su disposizioni durature come impulsi, desideri permanenti, passioni; infatti anche l’efficacia di norme etiche dell’agire è legata alla sua materia. Il corso della vita produce, dall’esterno o dall’interno, occasioni che agiscono sulle condizioni contenute in tali disposizioni. E in queste è poi racchiuso il passaggio a rappresentazioni di uno stato da realizzare, che sta in rapporto con quelle disposizioni. Se chiamiamo questo stato da raggiungere col nome di scopo, ciò che allora è voluto in questo scopo è una soddisfazione di qualche tipo, e lo stato futuro è in fondo soltanto il mezzo necessario per tale soddisfazione. Qui occorre sottolineare, come elemento importante, che una tale soddisfazione è, in rapporto agli oggetti che servono da mezzi, qualcosa di universale. Essa può venir cercata in quanto un determinato oggetto suscita sentimenti di piacere o in quanto la disposizione stessa va in cerca di oggetti per la sua soddisfazione. La possibilità di

sentimenti positivi, contenuta nell’oggetto, costituisce il valore di questo per il soggetto. E poiché si offrono diversi oggetti, e il ricordo conserva i precedenti anche quando si presentano i successivi, poiché possono farsi valere diversi bisogni l’uno dopo l’altro, e permane la coscienza di quelli di prima mentre già s’impongono i successivi, così sorge in noi una competizione tra le varie rappresentazioni di scopi. A ciò si deve aggiungere, trattandosi pur sempre della produzione di uno stato futuro, della messa in atto di un mutamento che deve servire come mezzo di soddisfazione, che gli altri aspetti in esso contenuti, le reazioni da essi derivanti alla vita sentimentale e impulsiva, possono entrare in competizione, in quanto valori negativi, con i valori positivi che sono contenuti nel mutamento. Abbastanza spesso non so se alla fine sarò del tutto contento di un mutamento fortemente desiderato come mezzo di soddisfazione. Lo stesso rapporto sussiste tra la mia vita sentimentale e impulsiva e le rappresentazioni di oggetti che sono suscitate dalla concatenazione causale della vita: come percezioni di oggetti esterni, come pensieri relativi al presentarsi di stati futuri, esso può essere sicuro oppure dubbio. Quando si offrono tante possibilità di produrre mutamenti interni o esterni per soddisfare le spinte contenute nella connessione acquisita dalla mia vita psichica, e quando queste possibilità vengono recate alla coscienza, allora sorge la scelta; e questa si compie nei processi della riflessione, che collega tra di loro i rapporti causali e l’apprezzamento dei valori. Qui si fa valere la differenza dell’atto della valutazione da quello della scelta o della preferenza. La valutazione non contiene ancora in sé la necessità di porsi in un dato momento uno scopo determinato. Il volere presuppone la possibilità rappresentata di realizzazione di un processo esterno o interno, e la scelta che in esso ha luogo, la quale pone fine alla competizione delle rappresentazioni di scopo, fa risaltare in modo particolare il carattere di attività autonoma o di spontaneità che è contenuto nel volere, Le riflessioni sono per loro natura prive di un termine; ma la decisione pone fine ad esse quando si vuole, attraverso la riflessione, che si agisca. Noi chiamiamo motivo quell’elemento che opera in maniera determinante nella decisione. L’esecuzione della decisione ha il suo schema anzitutto nella connessione causale tra mezzi e scopi, qual è contenuta nella realtà, in base al criterio della constatazione già compiuta che lo scopo è realizzabile, implicita già nelle riflessioni intorno alla scelta. Naturalmente essa soggiace allora a tutte le

modificazioni dei rapporti che subentrano nel tempo. Queste possono condurre alla sospensione dell’esecuzione, o possono consigliare la scelta di mezzi diversi da quelli previsti. Le ulteriori proprietà che la connessione assume nella sfera del volere sono determinate in primo luogo dal fatto che essa produce connessioni di scopo le quali vengono realizzate in una comunità. Anche l’organizzazione esterna della società può essere qui considerata anzitutto in quanto racchiude siffatte connessioni di scopo. Così il volere si manifesta nella comunità. Ciò è possibile solamente in quanto nel volere c’è, non appena si esce dalla singola persona, un rapporto di determinare e di essere-determinato, di comandare e di obbedire. Il comando non è di per sé sottoposto a nessuna ratio; esso può agire in maniera del tutto particolare, sulla base di motivi non trasferibili da una persona ad altre, per mezzo della possibilità di coercizione data nella connessione causale. Questo fondamentale rapporto del comandare e dell’obbedire rende possibile l’organizzazione esterna della società e culmina nel diritto coercitivo dello stato. Le connessioni di scopo devono però avere un altro fondamento per la possibilità della cooperazione; e questo consiste nel fatto che lo scopo, il quale può venir attuato soltanto nell’agire in comune, può sorreggersi sulla comunanza della natura umana e specialmente su quelle proprietà che stanno in tutti a base della medesima posizione di scopi. In ogni posizione di scopi si sviluppa quindi un uomo distinto dall’individuo empirico, e da esso isolabile, il quale corrisponde all’atteggiamento rivolto verso lo scopo. Nella sfera del volere sorge in tal modo la connessione seguente. Già ogni soddisfazione sta in rapporto con lo stato da realizzare, che essa persegue, come qualcosa di più generale. Quando il volere si prefigge come scopo un mutamento, questo scopo è l’elemento particolare rispetto all’elemento generale del proposito, rispetto a una soddisfazione. Perciò il volere rivolto alla soddisfazione può venir concepito come una regola, la quale è fondata nel soggetto e alla quale sottostanno i vari mutamenti possibili che producono la soddisfazione; così pure il mezzo, che rende possibile un’intera serie di soddisfazioni, può essere concepito come una regola a cui sottostanno questi casi particolari. Nasce qui l’insieme di quelle regole che il soggetto si pone per condurre una vita soddisfatta. Tali regole presuppongono i bisogni empirici di questo soggetto, presuppongono cioè la tipica connessione causale in cui esso si trova, e determinano oggetti e mezzi che vi sono posti. Queste sono le regole di prudenza e di vita.

Ma la soddisfazione del soggetto, considerato nella sua totalità, poggia su un rapporto di valori che è riposto nella sua vitalità. Questa valutazione è in primo luogo individuale, e si compie nell’esperienza di vita del soggetto. La connessione di scopo poggia però sulla scambiabilità delle determinazioni di valore tra gli individui. Così è sorto, come si è visto, il compito di un sistema generale dei valori. Disposizioni, leggi, regole si costituiscono anzitutto sul fondamento della comunanza, quale si è sviluppata in un ambito qualsiasi. Essa rende possibile una concordanza nelle determinazioni di valore, e da questa derivano poi il diritto consuetudinario, il costume, la tecnica artistica, e via dicendo. Se vien meno questa comunanza, sorge allora il bisogno di un sistema razionale, l’ideale di poter derivare dall’ordine razionale delle determinazioni di valore alcune norme, e da queste infine l’ordinamento delle prescrizioni, delle regole, delle disposizioni, delle leggi. Nasce così il sistema naturale della regolamentazione della vita. In esso la norma suprema sarebbe quella data in generale nella posizione di scopi all’interno della comunità: la legge etica kantiana. E quindi si dovrebbero definire per ogni singolo campo delle norme, in quanto esse sono poste sulla base dello scopo particolare in conformità ai rapporti di valore. 3. Il fondamento del volere nell’apprendere oggettuale e nel sentimento. Gli atti oggettivanti formano il fondamento comune prima del sentire e poi del volere. Infatti l’atteggiamento del volere racchiude in sé un oggetto che viene desiderato o voluto o concepito come scopo, oppure racchiude in sé un vincolo interno o una determinazione esterna da parte di qualcosa. Anche qui si ha un caso-limite. 4. Delimitazione del volere dal sentire. Ne risulta che nell’Erlebnis del volere è presente una forma di atteggiamento. Anche qui si ha infatti una relazione della connessione psichica nell’Erlebnis con un elemento oggettuale; anche qui si presenta certamente nell’Erlebnis del volere un’istanza contro la relazione regolare con un oggetto, qual è quella che abbiamo visto nell’Erlebnis del sentire. Non sempre noi siamo consapevoli, nell’impulso e nella tendenza, di una determinata oggettualità a cui essi sarebbero orientati. Ciò indica però anzitutto che tale elemento oggettuale è indeterminato. Ognuno vive in un’inquietudine pressante che è rivolta verso il mutamento, e questa spinta è sempre diretta a un nuovo stato, senza che questo sia determinato in una

precisa rappresentazione del fine. E come un sentimento può perdurare anche se non ci si rende più conto della situazione soggettiva o degli oggetti esterni che l’hanno prodotto, poiché un altro Erlebnis si è impadronito di noi, così anche l’inquietudine interiore che tende all’indeterminato o la tensione provocata dall’orientamento verso uno scopo persistono nelle sensazioni o nei sentimenti ad esse collegati, che rappresentano tale tendenza, senza che questa perduri. E invero l’atteggiamento del volere è distinto tanto da quello dell’apprendere oggettuale quanto da quello del sentire. Sentimento e volere devono venir concepiti come atteggiamenti differenti, non già come elementi del medesimo atteggiamento. Io ho addotto i motivi in proposito. Nella seconda alternativa il sentimento dovrebbe tradursi in volere dopo aver raggiunto una forza sufficiente, cioè quando fosse superata per così dire la soglia di intensità occorrente per il suo risolversi nel volere e non sopraggiungesse nessun impedimento dall’esterno. Ma una molteplicità di sentimenti forti offre qui la prova in contrario. E d’altra parte il fondamento del volere dovrebbe risiedere sempre in un sentimento, o in una rappresentazione di esso in rappresentazioni di valore; e anche questo non avviene. L’azione non si presenta sempre nella connessione dell’aspirazione a un bene, ma può anche essere il risultato di un vincolo imposto al volere. Se ho promesso, debbo anche fare e mi decido a fare. Se qui formo il concetto di un valore di fedeltà, di affidabilità ecc., che mi determina, queste virtù possono essere definite soltanto in base al rapporto interno in cui il volere si trova legato e riconosce questo vincolo come cogente. Se questo sia connesso con la natura della personalità, è una questione insolubile, e riguarda l’interpretazione di uno stato di cose, non già la sua fondazione. Infatti il dovere che qui mi appare non può mai venir derivato da un essere. L’imperativo categorico di Kant contiene soltanto la condizione logica sotto cui è possibile una legislazione morale: non vi è però contenuto il dovere stesso, che costringe alla legislazione morale. Ma si perde di vista la natura della legislazione morale quando si abbozza un codice di doveri, che concepisce l’amore verso Dio o l’amore verso l’uomo o l’aspirazione alla perfezione come vincolanti al pari del vincolo presente in un’obbligazione e la veracità e l’onestà che si fondano su di essa. La violazione di questi ultimi esclude inevitabilmente l’uomo dalla cooperazione con altri uomini in un ordinamento di vita in comune. La violazione dei cosiddetti doveri dell’amore

esclude dalla sfera della simpatia, e quella dei cosiddetti doveri di perfezione esclude dalla comune aspirazione alla perfezione. Questi doveri hanno una dignità del tutto diversa. E il punto di partenza di ogni sana etica è contenuto in questa differenza. 5. L’unità strutturale dell’atteggiamento del volere. Il limite inferiore è costruito dagli Erlebnisse in cui un dispiacere privo di oggetto è congiunto all’aspirazione a liberarsene, oppure si presenta una semplice qualità di piacere senza oggetto. Il sentimento della mancanza di cibo è collegato con una tensione e con un’aspirazione: la sfera degli impulsi, dello struggimento privo di oggetto. Qui vi sono soltanto fatti, non c’è nessuna spiegazione psicologica in base a un’energia o a un piacere. Al di sopra di questa sfera si costituiscono le unità strutturali separate. Esse sono caratterizzate dalla relazione interna dell’atto in cui si costituisce l’intuizione dell’oggetto o il giudizio, dell’atto della relazione di questo con il sentimento e dell’atto dell’aspirazione. L’atto è una mera designazione dell’elemento psichico in cui viene realizzata una relazione. Questi diversi atti formano un’unità strutturale secondo la legge del legame tra le forme di atteggiamento, e possono quindi implicare fin dall’inizio la duplicità della liberazione dall’impedimento o dalla pressione e della realizzazione di unità di piacere. 6. I gradi dell’unità strutturale nell’Erlebnis e le relazioni reciproche tra gli Erlebnisse. a) La relazione strutturale inferiore consiste nel fatto che un soggetto presente o ricordato produce una reazione del sentire e questa trapassa nell’atteggiamento del volere. Struggimento, aspirazione, desiderio, brama: qui predomina l’offrirsi da sé degli oggetti e l’ingenuità irriflessa e la mancanza di connessione. b) Si presentano anche giudizi in quanto determinazioni dell’elemento oggettuale. Vengono ponderate le possibilità di soddisfacimento piacevole e accertata la possibilità di realizzare la soddisfazione oggettiva: questo è il volere in senso stretto. L’affinità di questo grado con il giudizio è fondata nella sua dipendenza dal giudizio. c) Approvazione e disapprovazione, in quanto risultato della determinazione di valore, diventano i motivi dell’agire: l’agire etico in senso stretto. Relazioni reciproche di questi Erlebnisse:

a) nella direzione della successione delle unità strutturali, in cui i gradi inferiori condizionano quelli superiori. Nello stesso tempo la certezza della decisione e la sua correttezza per la persona data consiste nella possibilità di adeguazione (verificazione) mediante gli Erlebnisse del sentimento. Nascono parecchi errori, in quanto vengono sostituiti Erlebnisse di sentimento altrui, atti di approvazione e di disapprovazione, e così via. b) Collegamento degli Erlebnisse secondo le relazioni racchiuse nello stato di fatto del volere riferito a oggetti: 1) scopo e mezzo; 2) comandare e obbedire; 3) le forme di vincolo: a) mediante un atto comune a due persone; b) mediante una decisione del proprio volere. Estensione del vincolo nel corso della vita: a) mediante un lavoro compiuto che si riferisce all’oggetto; b) mediante i rapporti con altre persone; c) mediante la disposizione riposta nella decisione del volere. Questi legami attraversano la vita intera, da una parte come suoi sostegni e dall’altra come impedimenti alla vita. 7. Il sistema degli Erlebnisse nell’atteggiamento volontario9.

3. LA DELIMITAZIONE DELLE SCIENZE DELLO SPIRITO10 Negli ultimi decenni si sono avuti dibattiti interessanti sulla natura delle scienze dello spirito e in particolare della storia. Come le scienze dello spirito possono essere delimitate nei confronti delle scienze della natura? In che cosa risiede l’essenza della storia e la sua differenza dalle altre discipline? Si può conseguire un sapere storico oggettivo? Senza intervenire polemicamente sui punti di vista che si sono contrapposti in questi dibattiti, presento qui alcune considerazioni dedicate alle medesime questioni. 1. Comincio con la questione del modo in cui potrebbe esser delimitata, rispetto alle scienze della natura, un’altra classe di scienze, sia che per esse si scelga l’espressione “scienze dello spirito” oppure “scienze della cultura”. La risposta a questa domanda non è di pertinenza della speculazione; essa ha il suo saldo fondamento in un grande fatto. Accanto alle scienze della natura si è sviluppato un gruppo di conoscenze scaturite dai compiti della vita stessa, le quali sono unite tra di loro da un’affinità e da una fondazione reciproca. Queste scienze sono la storia, l’economia politica, le scienze del diritto e dello stato, la scienza della religione, lo studio della letteratura e della poesia, dell’arte e della musica, la visione filosofica del mondo, al pari della teoria e della conoscenza del corso storico. Ma in che cosa consiste la loro affinità? Io cerco di riandare a un elemento ultimo che esse hanno in comune tra di loro. Tutte queste scienze si riferiscono agli uomini, ai loro rapporti reciproci e ai loro rapporti con la natura esterna. Io prescindo anzitutto da ogni considerazione di teoria della conoscenza sul valore di realtà di questo elemento che si presenta nell’esperienza. Una tale considerazione può venir avanzata soltanto più tardi: infatti concetti come quelli di realtà e di oggettività possono venir presi in considerazione, per quanto concerne la loro validità nelle scienze dello spirito, solamente sulla base di lavori analitici preparatori. Ma che cosa c’è di comune a tutte queste scienze nella relazione agli uomini, ai loro rapporti reciproci e ai loro rapporti con la natura esterna? Esse sono tutte fondate nell’Erleben, nelle espressioni degli Erlebnisse e nella comprensione di queste espressioni. Ciò che è immediatamente vissuto e la comprensione di ogni specie di espressione degli Erlebnisse stanno a base di tutti i giudizi, i concetti, le conoscenze peculiari delle scienze dello spirito. Sorge così un nesso di sapere in cui ciò che è immediatamente vissuto, ciò che viene compreso e le sue rappresentazioni sono connessi tra di loro nel pensiero concettuale, e questo nesso ritorna

appunto nell’intero gruppo di scienze che formano il “fatto” a cui si riferisce la teoria delle scienze dello spirito. Tutte le proprietà, che sono correttamente poste in rilievo come costitutive dell’essenza di tali discipline, derivano da questa loro essenza comune: così il rapporto particolare in cui, all’interno di questo gruppo, il singolare, l’individuale sta con le uniformità generali, nonché il rapporto particolare in cui la connessione causale si trova qui con i valori che in essa si realizzano. Ma ancor più chiaramente ne risulta che tutti i concettiguida con cui questo gruppo di scienze opera sono diversi da quelli corrispondenti della conoscenza naturale. In esse la realtà ha un senso differente che nella nostra conoscenza della natura, quando viene predicata con riferimento agli oggetti fisici di questa. Le categorie che sono contenute in ciò che è immediatamente vissuto e in ciò che è compreso, e che rendono possibile la loro rappresentazione scientifica, sono differenti. L’oggettività del sapere, a cui qui si aspira, ha un senso diverso; i metodi per accostarsi all’ideale dell’oggettività del sapere mostrano differenze essenziali rispetto a quelli con cui ci avviciniamo alla conoscenza naturale. Così questo gruppo di scienze costituisce un dominio proprio, che sottostà a proprie leggi fondate sulla natura di ciò che può venir immediatamente vissuto, espresso e compreso. Illustro ora questa determinazione concettuale. L’accadere compiuto e in sé concluso, chiaramente delimitato, che è contenuto in ogni parte della storia come in ogni concetto delle scienze dello spirito, è il corso della vita. Esso forma una connessione delimitata dalla nascita e dalla morte. Alla percezione esterna esso appare nel permanere della persona durante il suo periodo di vita: a questo permanere spetta la proprietà di un’esistenza ininterrotta. Ma, indipendentemente da questo, c’è una connessione che può venir immediatamente vissuta, e che collega i momenti del corso della vita dalla nascita alla morte. Una decisione produce un’azione che si estende per molti anni; questi sono spesso interrotti per lungo tempo da processi vitali di tutt’altra specie; ma senza che subentri una nuova risoluzione nella medesima direzione, la decisione conduce all’azione. Il lavoro che si compie su una connessione di idee può esser separato da lunghi spazi di tempo, e tuttavia in un tempo molto remoto c’è un compito che viene ripreso. Un progetto di vita sussiste senza che debba esserci un nuovo esame di esso, e collega decisioni, azioni, resistenza, desideri, speranze di diversa specie. In breve, vi sono connessioni che collegano in unità, indipendentemente dalla successione nel tempo e dalle relazioni dirette di condizionamento, le parti del corso della vita.

Così l’unità del corso della vita viene immediatamente vissuta e ha la sua certezza in questi Erlebnisse. 2. Nel corso della vita è contenuta la determinazione della sua temporalità; il termine “corso” designa appunto soltanto questo. Il tempo non è solamente una linea costituita da parti equivalenti, un sistema di rapporti, di successione, contemporaneità, durata. Se noi pensiamo il tempo prescindendo da ciò che lo riempie, le sue parti sono equivalenti l’una con l’altra. In questa continuità anche la parte più piccola è lineare, è un decorso; un «è» non si trova neppure nella parte più piccola. Ma il tempo concreto consiste piuttosto nel procedere incessante del presente, in cui il presente diviene sempre passato e il futuro diviene presente. Il presente è il riempimento di un momento temporale da parte di una realtà, è l’Erlebnis in antitesi al suo ricordo, oppure al desiderare, allo sperare, all’attendere, al temere qualcosa che può venir immediatamente vissuto nel futuro. Questo riempimento da parte di una realtà è ciò che sussiste continuamente e sempre nel procedere del tempo, mentre ciò che costituisce il contenuto dell’Erleben muta di continuo. Questo progressivo riempimento da parte di una realtà nella linea del tempo, che costituisce il carattere del presente in antitesi alla rappresentazione di ciò che è stato o che sarà immediatamente vissuto, questo costante affondare del presente all’in dietro in un passato e nel diventare presente di ciò che abbiamo appunto atteso, voluto, temuto, e che era soltanto nella regione di ciò che è rappresentato — questo è il carattere del tempo reale. L’espressione di questo carattere è il fatto che noi viviamo sempre nel presente, e in esso è pure racchiusa la costante corruttibilità della nostra vita. In tale procedere del riempimento del momento temporale da parte di una realtà consiste inoltre il fatto che il presente prosegue ed esiste sempre senza rottura e senza strappo entro la successione degli Erlebnisse, quando non si interrompe, come nel sonno o in stati affini, la loro continuità. Soltanto in questa successione risiede il riempimento del tempo, e quindi la pienezza della vita. La nave della nostra vita è per così dire portata da una corrente che di continuo la sospinge innanzi, e il presente è sempre là dove noi viviamo, soffriamo, vogliamo, ricordiamo su queste onde, in breve dove abbiamo esperienza vissuta nella pienezza della nostra realtà. Ma noi procediamo continuamente con questa corrente, e nello stesso momento in cui il futuro diventa un presente, questo già sprofonda nel passato. Possiamo sempre avvertire la differenza tra l’Erlebnis al quale inerisce anche l’esperienza del ricordo o dell’aspettativa di

un futuro, o della volontà di realizzarlo, e le rappresentazioni di qualcosa che è passato o che deve venire, le quali si presentano nell’Erlebnis. Il carattere del nostro corso di vita consiste eternamente nelle relazioni tra presente, passato e futuro. Ma poiché il presente non è mai, ma anche la più piccola parte del continuo procedere nel tempo racchiude in sé il presente e il ricordo di ciò che fu appunto presente, ne risulta che del presente in quanto tale non può mai esserci esperienza. A ciò si aggiunga che la connessione di ciò che è ricordato con il presente, il permanere della realtà determinata qualitativamente, l’agire del passato come una forza nel presente, conferisce a ciò che viene ricordato un proprio carattere di presenza. Ciò che costituisce nel fluire del tempo un’unità di Erlebnis, in quanto ha un significato unitario nel corso della vita, è l’unità più piccola che possiamo designare come Erlebnis. Il nostro uso linguistico designa però come Erlebnis anche ogni più ampia unità ideale di parti della vita che abbia un significato per il corso della vita, applicando tale concetto anche là dove i momenti sono separati da processi che li interrompono. 3. Ci troviamo così di fronte alla categoria di significato. La relazione in essa contenuta determina e articola l’apprensione del corso della nostra vita; essa costituisce però anche il punto di vista da cui penetriamo e rappresentiamo la simultaneità e la successione di diversi corsi di vita nella storia, ponendo in luce ciò che in essi è significativo e dando forma a ogni avvenimento in base al suo significato. Essa è, in termini del tutto generali, la categoria peculiare della vita e del mondo storico; essa è intrinseca alla vita in quanto costituisce la relazione che sussiste tra le sue parti, e fin dove si estende la vita questa relazione risiede al suo interno e la rende rappresentabile. Io possiedo la connessione peculare della mia vita secondo la natura del tempo solamente in quanto mi rammento del suo corso: una lunga serie di processi agisce insieme nel mio ricordo, e nessuno è riproducibile di per sé. Già nella memoria si compie una selezione, e il principio di questa selezione risiede nel significato che i singoli Erlebnisse avevano per comprendere la connessione del corso della mia vita quando erano passati, che conservavano nell’apprezzamento di epoche successive o anche, allorché il ricordo era ancora recente, che ricevevano da una nuova concezione della connessione della mia vita; e ora, quando vi ripenso, anche di ciò che è ancora riproducibile da parte mia occupa un posto nella connessione della mia vita

solamente quanto possiede un significato per questa, quale ora la considero. Proprio in virtù di questa mia odierna concezione della vita ogni sua parte dotata di significato mantiene, alla luce di tale concezione, la forma in cui è ora concepita da me. Essa ne trae il riferimento ad altre parti significative; appartiene a una connessione determinata dalle relazioni dei momenti significativi della vita con l’interpretazione che ne fornisco oggi. Questi riferimenti di significato costituiscono l’Erlebnis presente e lo compenetrano. In occasione di una rinnovata visita di qualche persona che è importante per me questo Erlebnis acquista la sua pienezza sulla base del contenuto significativo degli incontri precedenti: allora i vecchi Erlebnisse si sono riuniti in un’unità più forte che sorge dal suo riferimento al presente. Io posso allora avere il sentimento di non esser mai stato separato da tale persona, tanto è intimo e peculiare questo riferimento. Io ho ripetutamente visitato una galleria; sulla base di ciò che è stato per me significativo nasce ora, quale che sia stata la distanza temporale che separa la visita odierna dalla precedente, l’interà pienezza dell’Erlebnis artistico di oggi. L’espressione di questo è l’autobiografia, la quale è un’interpretazione della vita nella sua misteriosa unione di caso, destino e carattere. Dove noi guardiamo, la nostra coscienza lavora a padroneggiare la vita. Noi soffriamo per il nostro destino come per il nostro essere, e così questi ci costringono ad accordarci con essi comprendendoli. Il passato ci alletta misterioso a conoscere l’intreccio di significato dei suoi momenti; ma la sua interpretazione resta sempre insoddisfacente. Noi non possiamo mai padroneggiare quello che chiamiamo caso: ciò che è diventato significativo per la nostra vita come stupendo o come terribile, sembra sempre ripresentarsi attraverso la porta del caso. La medesima relazione tra il significato dei singoli Erlebnisse e il senso dell’intero corso della vita domina nella poesia. Essa domina però in una libertà del tutto nuova, poiché la fantasia dà qui forma agli avvenimenti in base alla coscienza del loro significato per la vita, separandoli dalla coercizione della realtà. Il canto eroico nasce in quanto da una relazione significativa, che designiamo col nome di motivo, un elemento storico trapassa nella rappresentazione della sua significatività; allora tutto ciò che nell’avvenimento non costituisce un elemento necessario per la rappresentazione del suo significato svanisce. L’epopea eroica è uno stato superiore di aggregazione, in cui i canti eroici appartenenti a una grande

connessione raggiungono, in virtù della relazione dei loro motivi con una connessione di significato che li comprende, una dignità superiore per la penetrazione del significato della vita. Un grado ancora superiore nell’interpretazione della vita è costituito dall’epopea cavalleresca. E di nuovo una forma ulteriore di interpretazione si presenta nel dramma. Qui si ha, specialmente nella tragedia, un rapporto di concentrazione per giungere a una più profonda interpretazione della vita. Anche nell’arte figurativa predomina il medesimo rapporto del significato dell’elemento particolare con la comprensione della connessione di un Erlebnis. Proprio qui poggia, in tutti i campi, la connessione reciproca delle arti in un’epoca, la comprensione acquisita in base al significato dell’elemento particolare e la tecnica che da essa dipende. Infatti l’arte figurativa si distingue dalla fotografia o dalla riproduzione in cera per il fatto di recare a comprensione il carattere di ciò che è significativo. Nella molteplicità degli Erlebnisse momentanei in cui viene raffigurato un paesaggio o un interno o un viso umano, la comprensione degli elementi significativi muta continuamente; e quella che si ha non è mai una rappresentazione oggettiva, ma è un legame vitale. Un bosco nel crepuscolo si pone possente e quasi terribile di fronte a chi lo contempla; le case nella valle, con le loro luci tranquille, suscitano l’impressione di una quiete familiare, in quanto ciò deriva dal legame della vita con esse. Le immagini della vita di una persona sono condizionate in vario modo dal legame con essa. E ciò emerge tanto più forte nell’immagine figurativa, in cui la comprensione di un processo costituisce il punto centrale. Tutti i mutamenti che l’arte figurativa subisce nel suo corso non cambiano nulla in questo rapporto, per il quale ogni opera di arte figurativa dà origine, mediante la relazione di significato tra le sue parti, alla comprensione di qualcosa che si presenta nello spazio: soltanto il modo di questa relazione è diverso… a. Si veda il mio saggio Über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, «Sitzungsberichte der königlich Preussischen Akademie der Wissenschaften», 1894, pp. 69 sgg. [ora in Gesammelte Schriften, vol. V, pp. 207 sgg., trad. it. di A. Marini nel volume Per la fondazione delle scienze dello spirito. Scritti editi e inediti 1860-1896, Milano, F. Angeli, 1985, pp. 414 sgg.]. b. Si veda l’Einleitung in die Geisteswissenschaften, Berlin-Leipzig, Teubner, vol. I, 1883, pp. XVIIXVIII [ora in Gesammelte Schriften, vol. I, p. XVIII, trad. it. di G. A. De Toni con il titolo Introduzione alle scienze dello spirito, Firenze, La Nuova Italia, 1974, p. 9]. c. Si veda il saggio Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, p. 8 [ora in Gesammelte Schriften, vol. V, p. 146, trad. it. cit., p. 357].

d. Si veda il saggio Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, p. 10 [ora in Gesammelte Schriften, vol. V, p. 147, trad. it. cit., p. 358]. e. Ibidem. f. Ibidem. g. Si veda il mio saggio Die Entstehung der Hermeneutik, apparso nelle Philosophische Abhandlungen. Christoph Sigwart zu seinem 70. Geburtstag 28. März gewidmet, Tübingen, Mohr, 1900, pp. 185-202 [ora in Gesammelte Schriften, vol. V, pp. 317-31, trad. it. di G. Morra nel volume Ermeneutica e religione, Milano, Rusconi, 1992, pp. 75-113]. h. Si veda l’Einleitung in die Geisteswissenschaften, pp. XVII-XVIII [ora in Gesammelte Schriften, vol. I, p. XVIII, trad. it. cit., p. 9]. i. Questa parte descrittiva dell’indagine costituisce una ripresa del punto di vista adottato nei miei lavori precedenti, che erano rivolti a fondare la possibilità di una conoscenza oggettiva della realtà e in particolare, all’interno di questa conoscenza, la possibilità di cogliere oggettivamente la realtà psichica. In quel contesto mi basavo, in antitesi alla dottrina idealistica della ragione, non già su un elemento a priori dell’intelletto teoretico o della ragione pratica, che avrebbe il suo fondamento in un io puro, ma sulle relazioni strutturali contenute nella connessione psichica, quali possono venir poste in luce. Questa connessione strutturale «forma il sostrato del processo conoscitivo» (Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, p. 13 [ora in Gesammelte Schriften, vol. V, p. 151, trad. it. cit., p. 362]). La prima forma di questa struttura è stata individuata nella «relazione interna dei diversi aspetti di un atteggiamento» (ivi, p. 66 [ora in Gesammelte Schriften, vol. V. p. 204, trad. it. cit., p. 411]). La seconda forma di struttura è la relazione interna che lega tra di loro Erlebnisse separati all’interno di un atteggiamento: ad esempio percezioni, rappresentazioni oggetto di ricordo e processi di pensiero vincolati al linguaggio (ibidem). La terza forma consiste nella relazione interna delle forme di atteggiamento tra di loro, entro la connessione psichica (ivi, p. 67 [ora in Gesammelte Schriften, vol. V, p. 204, trad. it. cit., p. 411]). Nel cercare qui di procedere a questa fondazione di una teoria della conoscenza realistica o criticamente oggettiva, debbo una volta per tutte riconoscere il mio debito verso le Logische Untersuchungen di Husserl (1900-1901), un’opera di fondamentale importanza per l’impiego della descrizione ai fini della teoria della conoscenza. j. Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, pp. 39 sgg. [ora in Gesammelte Schriften, vol. V, p. 177 sgg., trad. it. cit., pp. 386 sgg.]. k. Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, p. 66 [ora in Gesammelte Schriften, vol. V, p. 204, trad. it. cit., p. 411]. l. Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, pp. 66 sgg., pp. 68 sgg. [ora in Gesammelte Schriften, vol. V, pp. 204 sgg., 207 sgg., trad. it. cit, pp. 411 sgg., 414 sgg.]. m. Si veda il mio saggio Die Entstehung der Hermeneutik, cit. [ora in Gesammelte Schriften, vol. V, pp. 317-31, trad. it. cit., pp. 75-113]. n. Queste frasi vogliono soltanto escludere le questioni quanto mai difficili che derivano dalla subordinazione dei fatti che abbiamo illustrato al concetto di atteggiamento; infatti il concetto di struttura qui sviluppato è del tutto indipendente dalla risposta a tali questioni. In particolare, non mi sembra importante per la fondazione gnoseologica il fatto che una più precisa indagine psicologica di carattere descrittivo respinga tale subordinazione o, se l’ammette, il modo in cui essa ordina il suo contenuto di fatto. o. Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, p. 66 [ora in Gesammelte Sehriften, vol. V, p. 204, trad. it. cit., p. 411]. p. E. HUSSERL, Logische Untersuchungen, vol. II, p. 30 [ora in Husserliana, vol. XIX/2, 1984, p. 37,

trad. it. di G. Piana con il titolo Ricerche logiche, Milano, Il Saggiatore, 1968, vol. I, p. 298]. q. E. HUSSERL, Logische Untersuchungen, vol. II, p. 37 [ora in Husserliana, vol. XIX/2, pp. 43-44, trad. it. cit., vol. I, p. 304]. r. E. HUSSERL, Logische Untersuchungen, vol. II, p. 38 [ora in Husserliana, vol. XIX/2, p. 44, trad. it. cit., vol. I, p. 305]. s. E. HUSSERL, Logische Untersuchungen, vol. II, p. 39 [ora in Husserliana, vol. XIX/2, p. 46, trad. it. cit., vol. I, p. 306]. t. E. HUSSERL, Logische Untersuchungen, vol. II, p. 319 [ora in Husserliana, vol. XIX/2, pp. 346-46, trad. it. cit., vol. II, p. 116]. u. E. HUSSERL, Logische Untersuchungen, vol. II, p. 312 [ora in Husserliana, vol. XIX/2, p. 334, trad. it. cit., vol. II, p. 116]. v. E. HUSSERL, Logische Untersuchungen, vol. II, p. 640? [ora in Husserliana, vol. XIX/2, p. 697, trad. it. cit., vol. II, pp. 469-70 — ma il riferimento, aggiunto a margine di una copia del testo, è verosimilmente errato]. w. Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, p. 44 [ora in Gesammelte Schriften, vol. V, p. 172, trad. it. cit., pp. 381-82]. x. Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, p. 60 [= Gesammelte Schriften, vol. V, p. 198, trad. it. cit., pp. 405-6]. 1. Con «apprendere oggettuale» si traduce qui l’espressione gegenständliches Auffassen, che Dilthey impiega per designare l’atteggiamento (e il sistema) del conoscere in quanto distinto — sul modello della tripartizione kantiana ripresa dal movimento neocriticistico — dal sentire e dal volere. In realtà, Auffassen è un termine di difficile traduzione, in quanto indica per un verso l’atto o il processo attraverso cui si «prende» o, meglio, si «coglie» un dato oggetto, per l’altro verso il processo del «concepire» un oggetto o una realtà, a cui si collega il significato consueto di Auffassung, reso di solito con «concezione» (per esempio in termini composti come Weltauffassung, «concezione del mondo»). Dilthey trae l’espressione dalle Logische Untersuchungen di Husserl, intendendo Auffassen — e talvolta anche Auffassung — nella prima accezione. Si è preferito rendere Auffassen con «apprendere» anziché con «prensione» (equivalenza adottata dal traduttore italiano di Husserl), in conformità al carattere di infinito sostantivato del termine tedesco; e di conseguenza Auffassung è stata tradotta, quando ha un significato equivalente, con «apprensione» (mentre in altri contesti è resa, di solito, con «concezione»). 2. Il riferimento è, ovviamente, alle Logische Untersuchungen, apparse in due volumi nel 1900-1901 presso l’editore Max Niemeyer di Halle (l’opera è ora riprodotta nei volumi XVIII e XIX degli Husserliana. Gesammelte Werke, The Hague M. Nijhoff, a cura rispettivamente di E. Holenstein e di U. Panzer). Dilthey, che ne aveva subito riconosciuto l’importanza, dedicò ad esse un seminario nel 1902, e ne riprende qui alcuni concetti fondamentali. Ciò non comporta tuttavia propriamente un’adesione alla fenomenologia husserliana; comporta piuttosto l’utilizzazione di alcuni suoi risultati, e anche della sua terminologia, nel contesto di un’analisi che si richiama a quella intrapresa, nel decennio precedente, nelle Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie. 3. Nel seno stesso dell’Erleben, che è presenza immediata alla coscienza, si afferma un aspetto di trascendenza parziale, in quanto il riferimento oggettivo dell’Erlebnis non può venir esaurito da esso, ma implica un rapporto con altri Erlebnisse passati attraverso il ricordo. La trascendenza si fonda quindi sulla temporalità stessa dell’Erleben, in quanto costituito da una serie di stati legati tra di loro da una continuità e da relazioni strutturali. 4. Johann Nikolaus Tetens (1736-1807), professore di filosofia e poi di matematica a Kiel, in seguito consigliere di giustizia e direttore delle finanze a Copenhagen, fu uno degli esponenti di spicco della scolastica wolffiana, sulla quale innestò il richiamo all’empirismo di Locke. I suoi scritti principali sono i

Gedanken über einige Ursachen, warum in der Metaphysik nur wenige ausgemachte Wahrheiten sind (1760), l’Abhandlung von den vorzüglichsten Beweisen des Daseins Gottes (1761), la Commentatio de principio minimi (1769), l’Abhandlung über den Ursprung der Sprache und der Schrift (1772), Über die allgemeine spekulative Philosophie (1775), i Philosophische Versuche über die menschliche Natur und ihre Entwicklung (1776). 5. Il testo è chiaramente incompiuto: si tratta qui di semplici appunti per una trattazione che Dilthey non ha svolto. 6. La frase di Hegel è tratta dalla Phanomenologie des Geistes, VI, B: Der sich entfremdete Geist. Die Bildung (ed. a cura di J. Hoffmeister, Hamburg, Felix Meiner, 1952, p. 408, trad. it. di E. De Negri con il titolo Fenomenologia dello spirito, Firenze, La Nuova Italia, 1933-36, 2a ed. 1960, vol. II, p. 117). Il passo citato è, più esattamente: «quel sordo inconscio tessere dello spirito in lui stesso»; nel medesimo paragrafo — dedicato alla “verità del rischiaramento” — l’immagine del «tessere dello spirito» ricorre altre volte. Essa sarà ripresa anche nella Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse, § 400. 7. Albrecht Ritschl (1822-1889), teologo tedesco allievo di Ferdinand Christian Baur, fu uno dei maggiori esponenti della scuola di Tübingen; fu professore di teologia a Bonn dal 1852 al ’64, e successivamente a Göttingen: le principali tra le sue opere sono Die Entstehung der alt-katholischen Kirche (1850), Die christliche Lehre von der Rechtfertigung und Versöhnung (1870-74), la Geschichte des Pietismus (1880-86), Theologie und Metaphysik (1881). 8. Questa parte consta di due diversi frammenti, di cui il primo comprende i primi due paragrafi, e il secondo i rimanenti: da ciò il carattere di incompiutezza che in molti luoghi essa riveste. 9. Manca la trattazione dell’argomento. 10. Quella che viene qui tradotta è la terza redazione del saggio, anch’essa incompiuta, che risale al 1909 (le due redazioni precedenti sono pubblicate in appendice alle Gesammelte Schriften, vol. VII, pp. 304-23): i suoi risultati confluiranno nella prima parte del saggio seguente, cioè in Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften, che riprende il tema della delimitazione delle scienze dello spirito dalle scienze della natura.

II. LA COSTRUZIONE DEL MONDO STORICO NELLE SCIENZE DELLO SPIRITO

1. DELIMITAZIONE DELLE SCIENZE DELLO SPIRITO Occorre delimitare provvisoriamente le scienze dello spirito dalle scienze della natura sulla base di caratteristiche sicure. Negli ultimi decenni si sono avuti interessanti dibattiti sulle scienze della natura e sulle scienze dello spirito, e in particolare sulla storia: senza entrare in merito alle prospettive che si sono contrapposte in questi dibattiti, compirò qui un tentativo, da esse divergente, volto a riconoscere l’essenza delle scienze dello spirito e a delimitarle rispetto alle scienze della natura. La comprensione compiuta della distinzione avverrà soltanto nel prosieguo dell’indagine. 1. Procedo dallo stato di fatto più ampio che costituisce il solido fondamento di ogni ragionamento intorno alle scienze dello spirito. Accanto alle scienze della natura si è sviluppato in modo naturale, dai compiti stessi della vita, un gruppo di discipline che sono legate tra di loro dalla comunanza dell’oggetto. Queste discipline sono la storia, l’economia politica, le scienze del diritto e dello stato, la scienza della religione, lo studio della letteratura e della poesia, dell’arte figurativa e della musica, delle visioni del mondo e dei sistemi filosofici, e infine la psicologia. Tutte queste scienze si riferiscono al medesimo grande fatto: il genere umano. Esse descrivono e narrano, giudicano, formano concetti e teorie in relazione a questo fatto. Ciò che si cerca di separare come fisico e come psichico, è in questo stato di fatto non separato, in quanto esso contiene la connessione vivente di entrambi. Noi stessi siamo natura, e la natura opera in noi, inconsciamente, con impulsi oscuri; gli stati di coscienza si esprimono continuamente in gesti, in atteggiamenti del volto, in parole, e hanno la loro oggettività in istituzioni, stati, chiese, istituti scientifici: la storia si muove proprio in queste connessioni. Ciò non esclude naturalmente che le scienze dello spirito, quando i loro scopi lo richiedano, si servano della distinzione tra fisico e psichico. Ma esse devono essere consapevoli che stanno allora lavorando con astrazioni, non con entità, e che queste astrazioni valgono soltanto nei limiti del punto di vista da cui sono elaborate. Voglio qui presentare il punto di vista da cui la fondazione che segue distingue tra psichico e fisico, e che determina il senso in cui impiego tali espressioni. Il dato più prossimo è costituito dagli Erlebnisse. Questi stanno però, come ho già prima cercato di mostrarea, in una connessione che permane nell’intero corso della vita in mezzo a tutti i mutamenti; in base ad essa sorge ciò che ho prima descritto come la

connessione acquisita della vita psichica; essa comprende le nostre rappresentazioni, le nostre determinazioni di valore, i nostri scopi, e sussiste come nesso di questi elementib. In ognuno di questi la connessione acquisita sussiste in legami propri, in rapporti di rappresentazioni, in commisurazioni di valori, nell’ordine degli scopi. Noi possediamo questa connessione, essa opera costantemente in noi; le rappresentazioni e gli stati compresi entro la coscienza sono orientati in base ad essa, le nostre impressioni sono appercepite in virtù sua, essa regola i nostri affetti: così essa esiste sempre ed è sempre operante, anche senza che ne siamo coscienti. Io non saprei che cosa si potrebbe obiettare quando nell’uomo viene astrattamente isolata questa connessione di Erlebnisse entro il corso della vita e quando essa viene assunta, come elemento psichico, a soggetto logico di giudizi e di argomentazioni teoretiche. La formazione di questo concetto si giustifica in quanto l’elemento in esso isolato rende possibili, come soggetto logico, giudizi e teorie che sono necessari nelle scienze dello spirito. Altrettanto legittimo è il concetto di fisico. Nell’Erlebnis si presentano sensazioni, impressioni, immagini: gli oggetti fisici sono ciò che viene posto a loro base per scopi pratici, e mediante la cui posizione possono venir costruite le impressioni. Entrambi i concetti possono essere applicati solamente quando siamo coscienti del fatto che essi sono soltanto astratti dall’esistenza dell’uomo: essi non indicano realtà piene, ma sono soltanto astrazioni costruite in maniera legittima.

Pagina iniziale del saggio La costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito.

I soggetti delle asserzioni nelle scienze che abbiamo detto sono di diversa estensione — sono individui, famiglie, gruppi composti, nazioni, epoche, movimenti storici o serie di sviluppo, organizzazioni sociali, sistemi di cultura e altre sezioni parziali tratte dal complesso dell’umanità — e infine questa stessa. Tutti possono essere oggetto di narrazione, essi possono venir descritti, su di essi si possono formulare delle teorie. Sempre però si riferiscono al medesimo fatto: all’umanità o alla realtà storico-sociale dell’uomo. E così sorge anzitutto la possibilità di determinare questo gruppo di scienze sulla base della loro comune relazione allo stesso fatto, all’umanità, e di delimitarle nei confronti delle scienze della natura. Da questa comune relazione deriva inoltre un rapporto di fondazione reciproca delle asserzioni sui soggetti logici contenuti nell’ambito dell’«umanità». Entrambe le grandi classi che fanno parte di tali scienze, cioè lo studio della storia fino alla descrizione dello stato odierno della società e le discipline sistematiche dello spirito, si riferiscono in ogni luogo l’una all’altra e formano così una salda connessione. 2. Questa determinazione concettuale delle scienze dello spirito contiene sì asserzioni corrette intorno ad esse, ma non ne esaurisce l’essenza. Noi dobbiamo cercare il tipo di relazione che nelle scienze dello spirito sussiste con lo stato di fatto dell’umanità; soltanto così può venir stabilito con precisione il loro oggetto. Infatti è chiaro che le scienze dello spirito e le scienze della natura non possono essere distinte logicamente in maniera corretta come due classi diverse in base ai due ambiti fattuali che le costituiscono. Anche la fisiologia studia un aspetto dell’uomo, eppure è una scienza della natura. Ilfondamento della distinzione tra le due classi non può quindi risiedere negli stati di fatto in sé e per sé. Le scienze dello spirito devono riferirsi all’aspetto fisico dell’uomo in modo diverso che non all’aspetto psichico; e così avviene di fatto. Nelle scienze a cui ci riferiamo opera una tendenza che è fondata oggettivamente. Lo studio della lingua include in sé sia la fisiologia degli organi del linguaggio sia la dottrina del significato delle parole e del senso delle proposizioni. Il processo di una guerra moderna comprende tanto gli effetti chimici della polvere da sparo quanto le qualità morali dei soldati che stanno entro la nube di questa polvere. Ma nella natura del gruppo di discipline di cui stiamo trattando c’è una tendenza, sempre più accentuata nel loro progredire, per cui l’aspetto fisico del processo viene retrocesso al semplice ruolo di condizioni, di mezzi di intendimento. È l’orientamento all’osservazione di sé, il procedere della comprensione dall’esterno all’interno.

Questa tendenza impiega ogni manifestazione della vita per la penetrazione dell’interiorità da cui essa scaturisce: lo vediamo nella storia del lavoro economico, degli insediamenti, delle guerre, della fondazione degli stati. Questi fatti riempiono la nostra anima di grandi immagini, ci istruiscono sul mondo storico che ci circonda; ma, soprattutto, in questi racconti ci commuove ciò che è inaccessibile ai sensi, ciò che può venir soltanto vissuto immediatamente, da cui sono sorti i processi esterni, che è immanente ad essi e su cui essi influiscono. E questa tendenza non poggia su una forma di considerazione estrinseca alla vita, ma è fondata nella vita stessa. In ciò che può essere vissuto immediatamente è infatti contenuto ogni valore della vita, e intorno a questo ruota tutto il fragore esteriore della storia. Qui si presentano scopi di cui la natura non sa nulla: la volontà appresta lo sviluppo, la formazione. E in questo mondo spirituale che si muove in noi in modo creativo, responsabile, sovrano, soltanto in esso la vita ha il suo valore, il suo scopo e il suo significato. Si potrebbe dire che in tutti i lavori scientifici si fanno valere due grandi tendenze. L’uomo si trova determinato dalla natura. Questa racchiude gli scarsi processi psichici che si presentano qua e là: considerati da tale punto di vista, essi appaiono come interpolazioni nel grande insieme del mondo fisico. Nel medesimo tempo la rappresentazione del mondo che poggia sull’estensione spaziale è la sede originaria di ogni conoscenza di uniformità, e noi dobbiamo fin dall’inizio fare i conti anche con queste. Noi ci appropriamo di questo mondo fisico attraverso lo studio delle sue leggi. Queste possono venir trovate solamente in quanto il carattere immediatamente vissuto delle nostre impressioni della natura, e della connessione in cui stiamo con essa dato che noi stessi siamo natura, e il sentimento vivente in cui la godiamo, retrocede sempre più nei confronti del suo apprendere astratto in base alle relazioni di spazio, tempo, massa, movimento. Tutti questi elementi cooperano nel senso che l’uomo esclude se stesso per costruire, sulla base delle sue impressioni, questo grande oggetto che è la natura come un ordine conforme a leggi. Essa diventa allora per l’uomo il centro della realtà. Ma l’uomo si volge poi da essa indietro verso la vita, verso se stesso. Questo ritorno dell’uomo all’Erlebnis in virtù del quale la natura esiste per lui, alla vita in cui soltanto si presentano significato, valore e scopo, costituisce l’altra grande tendenza che determina il lavoro scientifico. Sorge così un secondo centro: tutto ciò che l’umanità incontra, che essa crea e che essa fa, i

sistemi di scopo in cui essa si esplica, le organizzazioni esterne della società in cui gli individui si riuniscono — tutto ciò acquista qui un’unità. Da ciò che è dato sensibilmente nella storia umana la comprensione risale all’indietro a ciò che non cade sotto i sensi, e che tuttavia si manifesta e si esprime in questo elemento esterno. E come quella prima tendenza mira ad apprendere con i propri metodi la stessa connessione psichica nel linguaggio del pensiero scientifico-natualistico e sotto i suoi concetti, e quindi quasi a estraniarsi, così questa seconda si esprime nel riferimento retrospettivo del corso sensibile esterno che appare nell’accadere umano a qualcosa che non cade sotto i sensi, nel riflettere su ciò che si manifesta in questo corso esterno. La storia mostra come le scienze relative all’uomo procedono in un costante avvicinamento al fine ulteriore di una riflessione dell’uomo su se stesso. Anche questa tendenza penetra, al di là del mondo umano, nella natura stessa, mirando a rendere intelligibile questa, che può essere soltanto costruita e non compresa, mediante concetti fondati nella connessione psichica, come è accaduto in Fichte, Schelling, Hegel,Schopenhauer, Fechner1, Lotze2 e nei loro seguaci, e a captare il suo senso che non si lascia mai conoscere. A questo punto si rivela a noi il senso della coppia concettuale esternointerno, e il diritto di applicare questi concetti. Essi indicano la relazione che nella comprensione sussiste tra i fenomeni sensibili esterni della vita e ciò che li ha prodotti, che si manifesta in essa. Questo rapporto di esterno e interno c’è soltanto fin dove arriva la comprensione, così come il rapporto dei fenomeni con ciò con cui essi vengono costruiti esiste soltanto fin dove arriva la conoscenza della natura. 3. Ora giungiamo al punto in cui viene in luce una più precisa determinazione dell’essenza e della connessione del gruppo di discipline da cui abbiamo preso le mosse. Noi abbiamo in primo luogo distinto l’umanità dalla natura organica che le è prossima e anche, più in basso, dalla natura inorganica: si trattava di una distinzione di parti entro la totalità della terra. Queste parti formano dei gradi, e l’umanità può essere delimitata, nei confronti dell’esistenza animale, come il grado in cui si presentano il concetto, la valutazione, la realizzazione di scopi, la responsabilità, la coscienza del significato della vita. Noi determiniamo allora la proprietà più generale, che è comune al nostro gruppo di discipline, nel fatto che esso ha un riferimento comune all’uomo, all’umanità: su ciò si fonda la connessione di queste scienze. Noi abbiamo poi considerato la

particolare natura di questo riferimento che sussiste tra il fatto dell’uomo, dell’umanità, e siffatte scienze. Questo elemento di fatto non può venir indicato semplicemente come l’oggetto comune di queste discipline. Il loro oggetto sorge piuttosto solamente in virtù di un atteggiamento particolare di fronte all’umanità, che però non può venir introdotto in esse dall’esterno ma è fondato nella loro essenza. Sia che si tratti di stati, di chiese, di istituzioni, di costumi, di libri, di opere d’arte, questi elementi contengono sempre, al pari dell’uomo stesso, il riferimento di un aspetto sensibile esterno a un aspetto sottratto ai sensi, e perciò interno. Occorre quindi determinare questo elemento interno. Qui un errore comune per il nostro sapere relativo a questo aspetto interno è quello di introdurre il corso psichico della vita, la psicologia. Cercherò di chiarire questo errore mediante le considerazioni seguenti. L’apparato di libri giuridici, di giudici, di persone che fanno processi, di accusati, come lo si può vedere in un tempo determinato e in un luogo determinato, costituisce anzitutto l’espressione di un sistema di scopo di disposizioni giuridiche in virtù del quale tale apparato agisce. Questa connessione di scopo è volta a vincolare dall’esterno le volontà in una maniera univoca, che attua le condizioni coercitive realizzabili per la perfezione dei rapporti della vita e delimita le sfere di potenza degli individui nella loro relazione reciproca, con le cose e con la volontà comune. La forma del diritto deve perciò consistere di imperativi dietro ai quali sta il potere di una comunità che cerca di imporli. Così la comprensione storica del diritto, quale esso sussiste entro una siffatta comunità in un’epoca determinata, sta nel ritorno da quell’apparato esterno alla sistematica spirituale degli imperativi giuridici prodotta dalla volontà comune, e da essa attraversata, la quale ha la sua esistenza esterna in quell’apparato. In questo senso Jhering3 ha trattato dello spirito del diritto romano. La comprensione di questo spirito non costituisce una conoscenza psicologica; è un ritorno a una formazione spirituale dotata di una propria struttura e di una propria legalità. Su questo riposa la scienza giuridica, dall’interpretazione di un passo del Corpus iuris fino alla conoscenza del diritto romano e alla comparazione dei diritti tra di loro. Perciò il suo oggetto non coincide con gli elementi e i dati di fatto esterni mediante cui e in cui il diritto si esplica: essi sono oggetto della scienza giuridica solamente nella misura in cui realizzano il diritto. La cattura del delinquente, le malattie dei testimoni e l’apparato dell’esecuzione appartengono, in quanto tali, alla patologia e alla scienza tecnica.

Altrettanto accade con la scienza estetica. Dinanzi a me sta l’opera di un poeta: essa consiste di lettere, è stata composta da compositori e stampata mediante macchine. Ma la storia letteraria e la poetica hanno a che fare soltanto con il riferimento di questa connessione di parole che cade sotto i sensi a ciò che viene espresso attraverso di esse. E il punto decisivo consiste nel fatto che ciò non è costituito da processi interiori del poeta, ma è una connessione creata in questi ma da questi separabile. La connessione di un dramma riposa su una peculiare relazione di materia, disposizione d’animo poetica, motivo, favola e mezzi rappresentativi. Ognuno di questi elementi svolge una funzione nella struttura dell’opera; e queste funzioni sono legate tra di loro da una legge interna della poesia. Così l’oggetto, a cui la storia letteraria o la poetica si riferisce dapprima, è del tutto differente dai processi psichici che hanno luogo nel poeta o nei suoi lettori. Qui è realizzata una connessione spirituale che si presenta nel mondo sensibile e che noi intendiamo ritornando indietro da questo. Questi esempi illustrano ciò che costituisce l’oggetto delle scienze di cui si parla qui, dove è quindi fondata la loro essenza e come esse sono delimitate nei confronti delle scienze della natura. Anche queste hanno il loro oggetto non già nelle impressioni, quali si presentano negli Erlebnisse, bensì negli oggetti che il conoscere crea per rendere costruibili tali impressioni. Qui come là l’oggetto è creato in base alla legge degli elementi medesimi; e in ciò i due gruppi di discipline coincidono. La loro differenza consiste nella tendenza in cui viene formato il loro oggetto; consiste nel procedimento che costituisce ogni gruppo. Là nella comprensione sorge un oggetto spirituale, qui nel conoscere sorge l’oggetto fisico. E ora possiamo pronunciare anche la parola «scienze dello spirito». Il suo senso è ormai chiaro. Da quando è sorto, dopo il secolo XVIII, il bisogno di trovare un nome comune per questo gruppo di scienze, esse sono state designate come sciences morales o come scienze dello spirito o infine come scienze della cultura. Già questo mutamento di nomi mostra che nessuno di essi è del tutto appropriato a ciò che dev’essere designato. A questo punto occorre soltanto indicare il senso in cui io impiego qui tale espressione. Esso è il medesimo in cui Montesquieu ha parlato di spirito delle leggi, Hegel di spirito oggettivo o Jhering di spirito del diritto romano. Una comparazione dell’espressione con le altre finora impiegate per quanto riguarda la loro utilizzabilità sarà possibile soltanto in seguito. 4. Ora possiamo anche soddisfare l’ultima esigenza che ci pone la

determinazione dell’essenza delle scienze dello spirito. Noi possiamo ora delimitare le scienze dello spirito dalle scienze della natura mediante segni distintivi ben chiari. Esse poggiano sull’atteggiamento dello spirito che abbiamo illustrato, in base al quale l’oggetto delle scienze dello spirito viene formato in maniera diversa dalla conoscenza delle scienze della natura. L’umanità, qual è appresa nell’osservazione e nel conoscere, sarebbe per noi un fatto fisico, e in quanto tale sarebbe accessibile soltanto alla conoscenza delle scienze della natura. Essa diventa oggetto delle scienze dello spirito solo in quanto gli stati umani sono vissuti immediatamente, in quanto giungono a espressione nelle manifestazioni della vita e in quanto queste espressioni vengono comprese. Certo una tale connessione di vita, espressione e comprensione non racchiude soltanto i movimenti, i gesti del volto e le parole con cui gli uomini comunicano tra di loro, o le creazioni spirituali durevoli in cui la profondità del loro autore si rivela a chi le coglie, o le continue oggettivazioni dello spirito in formazioni sociali, mediante le quali la comunanza della natura umana traspare e continuamente diventa intuita e certa: anche l’unità psicofisica della vita è conosciuta in virtù dello stesso duplice rapporto di Erleben e comprensione, è consapevole di sé nel presente e si ritrova come qualcosa di passato nel ricordo; ma in quanto essa mira ad accertare e a penetrare i suoi stati, in quanto dirige l’attenzione verso se stessa, si fanno allora valere gli stretti limiti di tale metodo introspettivo di autoconoscenza: soltanto le sue azioni, le sue manifestazioni di vita, i loro effetti su altre, istruiscono l’uomo su di sé; così egli si conosce soltanto attraverso la comprensione. Ciò che siamo stati una volta, come ci siamo sviluppati e siamo diventati quello che siamo, possiamo saperlo soltanto in base al modo in cui abbiamo agito, ai progetti di vita che abbiamo formulato, al modo in cui abbiamo operato in una professione, da vecchie lettere scomparse, da giudizi su di noi che sono stati pronunciati molto tempo fa. In breve, è mediante il procedimento della comprensione che la vita viene illuminata nella sua profondità, e d’altra parte comprendiamo noi stessi e gli altri solamente trasponendo la nostra vita vissuta in ogni specie di espressione della propria e dell’altrui vita. La connessione di Erleben, espressione e comprensione è ovunque il procedimento specifico per cui l’umanità esiste per noi come oggetto delle scienze dello spirito. Le scienze dello spirito sono così fondate in questa connessione di vita, espressione e comprensione. Qui per la prima volta perveniamo a un chiaro segno distintivo, in base al quale può venir compiuta in modo definitivo la delimitazione delle scienze dello spirito. Una disciplina

appartiene alle scienze dello spirito solo quando il suo oggetto ci è accessibile mediante l’atteggiamento che è fondato sulla connessione di vita, espressione e comprensione. Da questa comune essenza delle discipline in questione derivano tutte le proprietà che, in quanto costitutive di questa essenza, sono state poste in luce nelle considerazioni relative alle scienze dello spirito o alle scienze della cultura o alla storia. Da ciò il particolare rapporto in cui qui l’irripetibile, il singolare, l’individuale sta con le uniformità generalic; da ciò il nesso che si ha qui tra le asserzioni sulla realtà, i giudizi di valore e i concetti di scopod. Inoltre: «la penetrazione del singolare e dell’individuale costituisce in esse uno scopo ultimo al pari dello sviluppo di uniformità astratte»e. Ma da ciò risulta ancora di più; risulta che tutti i concetti-guida con cui opera questo gruppo di discipline sono diversi da quelli corrispondenti impiegati nell’ambito della conoscenza naturale. È quindi in primo luogo, e soprattutto, la tendenza a ritornare dall’umanità, dallo spirito oggettivo che si è realizzato attraverso di essa, all’elemento creativo, valutante, attivo, auto-espressivo e autooggettivantesi, insieme alle conseguenze che ne derivano, che ci autorizza a designare col nome di scienze dello spirito le discipline in cui essa si esprime.

2. LA DIVERSITÀ DELLA COSTRUZIONE NELLE SCIENZE DELLA NATURA E NELLE SCIENZE DELLO SPIRITO (ORIENTAMENTO STORICO) 1. La costruzione del mondo storico si compie dunque nelle scienze dello spirito. Con tale espressione metaforica indico la connessione ideale in cui, estendendosi sulla base dell’Erleben e della comprensione in una serie di operazioni, il sapere oggettivo sul mondo storico ha la sua esistenza. Qual è ora la connessione in cui una teoria di questo genere è legata alle scienze che le sono più vicine? In primo luogo questa costruzione ideale del mondo spirituale e la conoscenza del corso storico, in cui il mondo spirituale si è gradualmente realizzato, si condizionano reciprocamente. Esse sono separate tra di loro, ma hanno il loro oggetto comune nel mondo spirituale: su ciò è fondata la loro relazione interna. Il corso in cui si è sviluppato il sapere relativo a questo mondo offre una guida per comprendere la sua costruzione ideale, e questa rende possibile una più profonda comprensione della storia delle scienze dello spirito. Il fondamento di una tale teoria è quindi l’analisi della struttura del sapere, delle forme del pensiero e dei metodi scientifici. Dalla teoria logica viene quindi tratto soltanto ciò di cui qui c’è bisogno. Questa teoria condurrebbe infatti la nostra indagine, fin dall’inizio, a dispute senza fine. Infine vi è ancora una relazione di questa dottrina della costruzione delle scienze dello spirito con la critica della facoltà conoscitiva. Soltanto quando ci si mette a illustrare questa relazione, risulta chiaro il pieno significato del nostro oggetto. La critica della conoscenza è, al pari della logica, analisi della connessione esistente delle scienze. Nella teoria della conoscenza l’analisi procede all’indietro, da questa connessione alle condizioni sotto cui la scienza è possibile. Ma qui si presenta un rapporto che è decisivo per lo sviluppo della teoria della conoscenza e per la sua situazione attuale. Le scienze della natura costituirono inizialmente l’oggetto a cui si riferiva questa analisi: il fatto che la conoscenza naturale si sia formata per prima è dipeso infatti dallo sviluppo delle scienze. Soltanto nel secolo scorso le scienze dello spirito sono entrate in uno stadio che ha reso possibile il loro impiego per la teoria della conoscenza. Da ciò deriva che lo studio della costruzione di queste due classi di discipline precede, in questo periodo, la fondazione gnoseologica complessiva; esso prepara, tanto nel suo complesso quanto nei punti particolari, la teoria della conoscenza complessiva. Esso sta sotto il punto di vista del problema della

conoscenza e lavora alla sua soluzione. 2. Quando i popoli europei dell’età moderna, pervenuti alla maggiore età nell’Umanesimo e nella Riforma, passarono — a partire dalla seconda metà del secolo XVI — dallo stadio della metafisica e della teologia a quello delle scienze empiriche autonome, questo passaggio si compì in maniera più compiuta che non nel secolo III a. C. nei popoli di lingua greca. Anche là la matematica, la meccanica, l’astronomia e la geografia matematica si separarono dalla logica e dalla metafisica, entrando a far parte di una connessione secondo un rapporto di dipendenza reciproca; ma in questa costruzione delle scienze della natura l’induzione e l’esperimento non ottennero ancora la loro vera posizione e il loro vero significato, e non si svilupparono ancora in tutta la loro fecondità. Solamente nelle città industriali e mercantili prive di schiavi delle nazioni moderne così come nelle corti, nelle accademie e nelle università dei loro grandi stati militari bisognosi di denaro, si svilupparono potentemente l’intervento intenzionale sulla natura, il lavoro meccanico, l’invenzione, la scoperta, l’esperimento; ed essi si collegarono con la costruzione matematica, dando così origine a un’analisi reale della natura. Attraverso la cooperazione di Keplero, Galilei, Bacone e Descartes si costituì dunque, nella prima metà del secolo XVII, la scienza matematica della natura come conoscenza dell’ordine della natura in base a leggi. Ed essa ha esplicato ancora nello stesso secolo, grazie a un numero sempre crescente di studiosi, tutta la sua capacità di azione. Essa ha costituito quindi l’oggetto prevalente dell’analisi compiuta dalla teoria della conoscenza della fine del secolo XVII e del secolo XVIII, a opera di Locke, Berkeley, Hume, d’Alembert, Lambert4 e Kant. La costruzione delle scienze della natura è determinata dal modo in cui è dato il loro oggetto, ossia la natura. Le immagini si presentano in continuo mutamento, e sono riferite a oggetti; questi oggetti riempiono e occupano la coscienza empirica, costituendo l’oggetto della scienza descrittiva della natura. Ma già la coscienza empirica osserva che le qualità sensibili che si presentano nelle immagini dipendono dal punto di vista da cui sono considerate, dalla loro distanza, dalla loro illuminazione. La fisica e la fisiologia mostrano sempre più chiaramente la fenomenicità di queste qualità sensibili. E così sorge il compito di concepire gli oggetti in modo tale che divengano intelligibili il mutamento dei fenomeni e le uniformità che si presentano sempre più chiaramente in questo mutamento. I concetti mediante i quali ciò avviene sono costruzioni strumentali che il pensiero crea a tale scopo. Così la

natura ci è estranea, è trascendente al soggetto che l’apprende, è avvicinata a questo in costruzioni strumentali per mezzo del dato fenomenico. Ma nel modo in cui la natura ci è data sono racchiusi al tempo stesso i mezzi necessari per sottoporla al pensiero e per renderla utilizzabile ai compiti della vita. L’articolazione dei sensi condiziona la comparabilità delle impressioni in ogni sistema di una molteplicità sensibile. Su ciò poggia la possibilità di un’analisi della natura. Negli ambiti particolari di fenomeni sensibili che sono collegati reciprocamente vi sono quindi regolarità nei rapporti di successione o nelle relazioni di contemporaneità. Quando a sostegno di queste regolarità vengono messi elementi non mutevoli dell’accadere, esse sono ricondotte a un ordine secondo leggi nella molteplicità pensata delle cose. Ma il compito diventa suscettibile di soluzione solamente in quanto alle regolarità nei fenomeni, che l’induzione e l’esperimento constatano, si aggiunge un’ulteriore qualità del dato. Ogni elemento fisico ha una grandezza, può essere calcolato, si estende nel tempo, contemporaneamente riempie per la maggior parte uno spazio e può essere misurato; nello spazio si presentano movimenti misurabili, e se i fenomeni dell’udito non racchiudono in sé l’estensione spaziale e il movimento, tuttavia questi possono venir posti a loro base, e a ciò conduce il nesso di forti impressioni uditive con l’osservazione degli spostamenti d’aria. Così la costruzione matematica e meccanica diventa il mezzo per ricondurre tutti i fenomeni sensibili, mediante ipotesi, a movimenti di elementi immutabili secondo leggi immutabili. Ogni espressione come elemento dell’accadere, qualcosa, fatto, sostanza, designa soltanto i soggetti logici trascendenti rispetto alla conoscenza, di cui vengono predicate relazioni legali, matematiche e meccaniche. Essi sono soltanto concetti-limite, un qualcosa che rende possibili le asserzioni delle scienze della natura, un punto di riferimento per tali asserzioni. Da ciò è determinata inoltre la struttura e la costruzione delle scienze della natura. Nella natura spazio e tempo sono dati come condizioni delle determinazioni qualitative e dei movimenti, e il movimento è poi la condizione generale per lo spostamento di particelle o per le oscillazioni dell’aria o dell’etere, che la chimica e la fisica pongono a base dei mutamenti. Questi rapporti hanno per conseguenza le relazioni delle varie discipline nella conoscenza naturale. Ognuna di queste scienze ha i suoi presupposti in quella precedente; essa sorge però in quanto tali presupposti sono applicati a un

nuovo campo di fatti e di relazioni in essi contenuti. Quest’ordine naturale delle scienze è stato per la prima volta stabilito, a quanto mi risulta, da Hobbes. L’oggetto della scienza naturale — Hobbes va oltre, com’è noto, e include in questa connessione anche le scienze dello spirito — sono per lui i corpi, e la loro qualità più fondamentale risiede nelle relazioni spaziali e numeriche che stabilisce la matematica. Da esse dipende la meccanica, e la fisica sorge in quanto la luce, il colore, il suono, il calore vengono spiegati in base ai movimenti delle particelle più piccole della materia. Questo è lo schema che è stato elaborato in corrispondenza al corso ulteriore del lavoro scientifico, e che è stato da Comte posto in relazione con la storia delle scienze. Quanto più la matematica ha dischiuso il campo illimitato di forme libere, tanto più essa supera sempre i confini del suo compito più prossimo, quello di fondare le scienze della natura; ma ciò nulla ha mutato nel rapporto contenuto negli oggetti stessi, secondo cui nella legalità delle grandezze spaziali e numeriche sono contenuti i presupposti della meccanica: attraverso i progressi della matematica si sono ampliate soltanto le possibilità di derivazione. Il medesimo rapporto sussiste tra la meccanica da un lato e la fisica e la chimica dall’altro. E anche dove si presenta il corpo vivente come un nuovo complesso di fatti, il suo studio ha la propria base nelle verità fisicochimiche. Ovunque si può perciò constatare la stessa costruzione delle scienze della natura secondo livelli successivi: ognuno di questi livelli costituisce un campo in sé concluso, ed è nel medesimo tempo sostenuto e condizionato dal livello ad esso sottostante. Dalla biologia in giù ogni scienza della natura racchiude in sé i rapporti legali che mostrano i livelli propri di scienze sottostanti, fino al più generale fondamento matematico, mentre in ogni scienza che sta al di sopra si aggiunge qualcosa che non era ancora contenuto nel livello scientifico precedente, un ambito di fatti ulteriore che si presenta come nuovo se considerato dal basso5. Dal gruppo delle scienze della natura, nelle quali pervengono a conoscenza le leggi naturali, si distingue l’altro gruppo di scienze che descrivono il mondo come qualcosa di singolare nella sua articolazione, che studiano la sua evoluzione nel corso temporale e impiegano le leggi naturali, acquisite nel primo gruppo, per la spiegazione della sua costituzione in base al presupposto di una disposizione originaria. Ma in quanto sorgono sulla base dell’accertamento, della determinazione matematica, della descrizione della costituzione effettiva e del corso storico, esse poggiano sul primo gruppo. Anche qui la ricerca naturale viene a dipendere dalla costruzione della

conoscenza di leggi naturali. Dal momento che la teoria della conoscenza aveva all’inizio il suo oggetto prevalente in questa costruzione delle scienze della natura, la connessione dei suoi problemi è sorta su tale base. Il soggetto pensante e gli oggetti sensibili che stanno di fronte ad esso sono separati tra di loro; gli oggetti sensibili hanno un carattere fenomenico, e in quanto la teoria della conoscenza rimane nel campo della conoscenza naturale, non può mai superare questo carattere fenomenico della realtà che le sta qui dinanzi. Nell’ordine secondo leggi, che le scienze della natura pongono a base dei fenomeni sensibili, le qualità sensibili sono rappresentate da forme del movimento che si riferiscono a queste qualità. E anche quando i fatti sensibili, con la cui assunzione e rappresentazione ha avuto inizio la conoscenza naturale, diventano oggetto della fisiologia comparata, nessuna indagine storico-evolutiva può far comprendere come una di queste operazioni sensibili trapassi nell’altra. Si può sì postulare una trasformazione della sensazione tattile in una sensazione uditiva o in una sensazione cromatica, ma essa non può in alcun modo venir rappresentata. Non esiste alcuna comprensione di questo mondo, e noi possiamo trasporre in essa valore, significato, senso soltanto in base a un’analogia con noi stessi, e solamente a partire da dove la vita psichica comincia a manifestarsi nel mondo organico. Dalla costruzione delle scienze della natura consegue quindi che le definizioni e gli assiomi che costituiscono il suo fondamento, il carattere di necessità che è loro proprio, e la legge causale acquistano qui un significato particolare per la teoria della conoscenza. E dal momento che la costruzione delle scienze della natura permetteva una duplice interpretazione, si sono qui sviluppati, preparate dagli orientamenti della teoria della conoscenza medioevale, due indirizzi della teoria della conoscenza, in ognuno dei quali sono state inseguite ulteriori possibilità. Gli assiomi su cui questa costruzione era fondata si sono combinati, nella prima di queste direzioni, con una logica la quale fondava la connessione di pensiero corretta su formule che hanno conseguito il maggior grado di astrazione dalla materia del pensiero. Le leggi e le forme del pensiero, queste astrazioni estreme, sono state concepite come l’elemento che sta a base della connessione del sapere: in questa direzione si pone la formulazione del principio di ragion sufficiente da parte di Leibniz. E la dottrina kantiana dell’a priori è sorta in quanto Kant ha raccolto tutto il suo materiale dalla

matematica e dalla logica, e ne ha cercato le condizioni nella coscienza. Da questa origine della sua dottrina risulta chiaramente che questo a priori indica in primo luogo un rapporto di fondazione. Logici importanti come Schleiermacher6, Lotze e Sigwart7 hanno semplificato e trasformato questa forma di considerazione: all’interno di questa sono nati, nella loro opera, tentativi di soluzione molto diversi. L’altra direzione ha un punto di partenza comune nelle uniformità che l’induzione e l’esperimento pongono in luce, e nelle predizioni e nella possibilità di utilizzazione che si fondano su di esse. All’interno di questa direzione sono state poi elaborate possibilità molto diverse, particolarmente in rapporto alla concezione dei fondamenti matematici e meccanici della conoscenza, da parte di Avenarius8, di Mach9, dei pragmatisti e di Poincaré10. Così anche questoorientamento della teoria della conoscenza si è dissolto in una molteplicità di assunzioni ipotetiche. 3. Come le scienze della natura si sono costituite in un rapido sviluppo nella prima metà del secolo XVII, così anche un periodo di limitata estensione, che abbraccia Wolf11, Humboldt12, Niebuhr13, Eichhorn14, Savigny15, Hegel e Schleiermacher, Bopp16 e Jacob Grimm17, è stato fondamentale per le scienze dello spirito. Noi dobbiamo cercare di penetrare la connessione interna di questo movimento. La sua grande funzione metodologica è consistita nella fondazione delle scienze dello spirito sulla base di complessi di fatti storicosociali. Esso ha reso possibile una nuova organizzazione delle scienze dello spirito, nella quale filologia, critica, storiografia, attuazazione del metodo comparativo nelle scienze sistematiche dello spirito e applicazione del principio dello sviluppo in tutti i campi del mondo spirituale hanno per la prima volta dato luogo a un rapporto interno reciproco. Il problema delle scienze dello spirito è così entrato in un nuovo stadio, e ogni passo che è stato e che deve ancora essere fatto per la soluzione di questo problema dipende dall’approfondimento in questa nuova connessione di fatto delle scienze dello spirito, nel cui ambito rientrano tutte le successive acquisizioni di queste discipline fino ad oggi. Lo sviluppo che dobbiamo dunque illustrare è stato preparato dal secolo XVIII. Allora è sorta la concezione storico-universale delle singole parti della storia. Le idee-guida dell’Illuminismo, che hanno per la prima volta introdotto nel corso storico una connessione scientificamente fondata, sono venute dalle scienze della natura: la solidarietà delle nazioni in mezzo alle loro lotte per il potere, il loro comune progresso fondato sulla validità universale delle verità

scientifiche, per cui queste si accrescono di continuo e per così dire si accumulano l’una dietro l’altra, infine il crescente dominio dello spirito umano sulla terra in virtù di questa conoscenza. Le grandi monarchie europee sono state considerate il saldo sostegno di questo progresso. E dato che sulla loro base si sono visti sviluppare insieme alle scienze l’industria, il commercio, il benessere, la civilizzazione, il gusto e l’arte, questo complesso di progressi è stato raccolto sotto il progresso della civiltà ed è stato seguito il movimento di questa, sono state descritte le sue epoche e poste delle sezioni nel suo corso, le sue singole parti sono state sottoposte a un’indagine separata e collegate tra di loro nella totalità di ogni epoca. Voltaire, Hume, Gibbon18 sono i rappresentanti tipici di questa nuova forma di considerazione. E quando nelle singole parti della civiltà si scorgeva la realizzazione di regole che potevano essere derivate dalla sua costruzione razionale, già si preparava gradualmente, a partire di qui, una concezione storica dei vari campi della civiltà. Infatti, concependo anzitutto ogni parte della civiltà come determinata da uno scopo e sottoposta a regole a cui è vincolato il conseguimento di questo scopo, l’Illuminismo è così pervenuto a vedere nelle epoche passate la realizzazione di tali regole. Arnold19, Semler20, Böhmer21 e la scuola del diritto ecclesiastico22, al pari di Lessing23, hanno indagato il Cristianesimo primitivo e la sua costituzione come il vero tipo della religiosità cristiana e dei suoi ordinamenti esterni, Winckelmann24 e Lessing hanno trovato realizzato in Grecia il loro ideale regolativo dell’arte e della poesia. Attraverso lo studio della persona morale vincolata dal dovere della perfezione, l’uomo si è presentato, nella psicologia e nella poesia, nella sua realtà irrazionale e individuale. E se nell’età illuministica l’idea del progresso poneva ad esso un fine determinabile razionalmente, se essa non consentiva agli stadi anteriori di questo cammino di farsi valere nella forma e nel valore ad essi propri, se il fine dello stato era posto da Schlözer25 nella formazione di grandi stati con un’amministrazione centralizzata e intensiva, volti alla cura del benessere e della civiltà, e da Kant nella comunità pacifica di stati che realizzano il diritto, se allo stesso modo, nei limiti degli ideali del tempo, la teologia naturale, Winckelmann e Lessing prescrivevano fini razionali ultimi anche alle altre grandi forze della civiltà, Herder26 ha proceduto a rivoluzionare questa storiografia guidata dal concetto di uno scopo razionale mediante il riconoscimento del valore autonomo che ogni nazione e ogni sua epoca realizzano. In questa maniera il secolo XVIII giungeva alla soglia della nuova epoca delle scienze dello spirito. Da Voltaire e Montesquieu, da Hume e

Gibbon, la strada conduce, attraverso Kant, Herder e Fichte, alla grande epoca in cui le scienze dello spirito hanno conquistato il loro posto a fianco delle scienze della natura. La Germania è stata il teatro di questa costituzione di una seconda connessione di discipline scientifiche. Questa terra di mezzo, di cultura interiore, aveva conservato operanti entro di sé, a partire dalla Riforma, le forze del passato europeo, la civiltà greca, il diritto romano, il Cristianesimo delle origini, come erano state raccolte insieme nel “maestro della Germania”, Melantone27. Così sul suolo tedesco poteva crescere la più compiuta, la più naturale comprensione di queste forze. Il periodo in cui ciò avvenne aveva dischiuso nella poesia, nella musica e nella filosofia profondità di vita a cui nessuna nazione era fino ad allora pervenuta. Tali epoche di fioritura della vita spirituale suscitano negli studiosi di storia una maggiore forza e molteplicità dell’Erleben, una capacità accresciuta di comprendere le più diverse forme dell’esistenza. Proprio il romanticismo, con cui la nuova scienza dello spirito stava in una relazione così stretta, e in primo luogo i due Schlegel28 e Novalis29, è giunto a elaborare, insieme a una nuova libertà della vita, anche la libertà di penetrare tutto ciò che gli era più estraneo. Negli Schlegel l’orizzonte del gusto e della comprensione si è esteso alla molteplicità delle creazioni linguistiche e letterarie: essi hanno dato luogo a una nuova concezione dell’opera letteraria mediante l’indagine della sua forma interna. Su questa idea di una forma interna, di composizione, poggiava la ricostruzione della connessione delle opere platoniche compiuta da Schleiermacher e quindi la comprensione, da lui acquisita per la prima volta, della forma interna delle lettere paoline30. In questa rigorosa considerazione formale risiedeva anche un nuovo strumento della critica storica. E proprio a partire da essa Schleiermacher ha studiato nella sua ermeneutica i processi della produzione letteraria e della comprensione, e Böckh31 li ha elaborati nella sua enciclopedia — un processo di grande importanza per lo sviluppo della dottrina del metodo, a causa del raccoglimento e della compiutezza della sua persona in senso kantiano, e tuttavia a essi affine per la spinta al godimento e alla comprensione della vita di ogni specie, per una filologia fondata su tale base, per la capacità di sperimentare i nuovi problemi delle scienze dello spirito, la cui tendenza era altrettanto sistematica quanto lo era l’abbozzo di un’enciclopedia in Friedrich von Schlegel32. E in stretta affinità spirituale con Wilhelm von Humboldt sta Wolf, che ha prodotto un nuovo ideale di filologia in virtù del quale questa, saldamente fondata sulla lingua,

comprende l’intera cultura di una nazione, per arrivare di qui a intendere le sue grandi creazioni spirituali. In questo senso sono stati filologi Niebuhr e Mommsen33, Böckh e Otfried Müller34, Jacob Grimm e Müllenhoff35, e da questo concetto rigoroso è venuta, per la scienza storica, una benedizione senza limiti. Così è sorta una conoscenza storica delle varie nazioni, fondata metodicamente, che abbraccia tutta la vita, ed è sorta la comprensione del loro posto nella storia in cui si è formata l’idea di nazionalità. Partendo di qui lo studio delle età più antiche a noi accessibili dei singoli popoli ha acquistato per la prima volta il suo vero significato. La loro forza creatrice, che agisce nella religione, nel costume e nel diritto, il loro riconducimento allo spirito collettivo, che in questi tempi si manifesta in piccoli corpi politici con una maggiore uniformità tra gli individui nelle creazioni comuni — queste sono state le grandi scoperte della scuola storica: esse hanno condizionato tutta la sua concezione dello sviluppo delle nazioni. E per le epoche piene di miti e di saghe la critica storica ha rappresentato il completamento necessario della comprensione. Anche qui la guida è stato Wolf. Indagando i poemi omerici, egli è pervenuto alla supposizione che la poesia epica greca sia sorta, prima della nascita dell’Iliade e dell’Odissea quali esse ci sono pervenute, nella tradizione orale e in seguito da piccoli canti: questo è stato l’inizio di una critica analitica della poesia epica nazionale. Sul cammino tracciato da Wolf, Niebuhr ha proceduto dalla critica della tradizione alla ricostruzione della più antica storia romana. All’ipotesi di canti antichi nel senso della critica omerica si è aggiunta in lui, come ulteriore principio per la spiegazione della tradizione, la dipendenza dei narratori dai partiti e l’incapacità delle epoche più tarde di comprendere i rapporti costituzionali più antichi: un principio di spiegazione di cui poi Christian Baur36, il grande critico della tradizione cristiana, ha fatto l’uso più proficuo. La critica di Niebuhr era così legata nel modo più stretto con la nuova costruzione della storia romana. Egli ha inteso le più antiche età di Roma sulla base della fondamentale intuizione di uno spirito collettivo nazionale operante nel costume, nel diritto, nella tradizione poetica della storia, il quale produce la struttura specifica del popolo in questione. Anche qui si è fatta valere l’influenza della vita sulla scienza storica. Agli strumenti filologici si è affiancata la sua conoscenza dell’economia, del diritto e della vita costituzionale, acquisita in posizioni importanti, e la comparazione con processi analoghi. L’intuizione della storia giuridica di Savigny, che ha trovato la propria espressione più forte nella sua

dottrina del diritto consuetudinario, procede dalle medesime intuizioni. «Ogni diritto sorge nel modo che l’uso linguistico prevalente designa come diritto consuetudinario». «Esso è prodotto prima dal costume e dalla fede popolare, in seguito dalla giurisprudenza; e quindi sempre da forze interne già operanti in maniera silenziosa, non dall’arbitrio di un legislatore»37. E su questo concordavano le grandi concezioni di Jacob Grimm sullo sviluppo dello spirito tedesco nella lingua, nel diritto e nella religione. Ne è derivata un’ulteriore scoperta di questa epoca. Il sistema naturale delle scienze dello spirito vedeva nella religione, nel diritto, nell’eticità, nell’arte, intesi nel senso dell’Illuminismo, un progresso da una barbarica assenza di regole a una connessione di scopo razionale, che è fondata sulla natura umana. Secondo questo sistema, infatti, alla natura umana ineriscono rapporti legali, rappresentabili in concetti precisi, che producono ovunque in modo uniforme le medesime caratteristiche fondamentali della vita economica, dell’ordine giuridico, della legge morale, della fede razionale, delle regole estetiche. Recandole alla coscienza e cercando di sottoporre ad esse la propria vita economica, giuridica, religiosa e artistica, l’umanità diventa maggiorenne e sempre più capace di dirigere il progresso della società da una prospettiva scientifica. Ma ciò che era riuscito nelle scienze naturali, cioè la costituzione di un sistema concettuale universalmente valido, doveva rivelarsi impossibile nelle scienze dello spirito. Si faceva infatti valere la diversa natura dell’oggetto nei due campi del sapere. Così questo sistema naturale crollava frantumandosi in direzioni differenti, le quali avevano però la medesima base scientifica — o la medesima mancanza di una base del genere. La grande epoca delle scienze dello spirito ha fatto valere, nella lotta con il sistema concettuale del secolo XVIII, il carattere storico delle scienze dell’economia, del diritto, della religione, dell’arte. Esse si sviluppano dalla forza creatrice delle nazioni. In tal modo è sorta una nuova intuizione della storia: le Reden über die Religion di Schleiermacher hanno per la prima volta scoperto, nell’ambito della religiosità, l’importanza della coscienza collettiva e del suo esprimersi nella comunicazione sorretta da tale coscienza. Su questa scoperta poggia la sua concezione del Cristianesimo primitivo, la sua critica dei Vangeli e la sua determinazione del soggetto della religiosità, delle formulazioni religiose e del dogma nella coscienza della comunità, che ha costituito il punto di vista della sua dottrina della fede. Noi sappiamo oraf come sia sorto, sotto l’influenza delle Reden über die Religion, il concetto hegeliano di coscienza collettiva

come portatore della storia, il cui procedere rende possibile il progresso storico. Non senza influenza da parte del movimento filosofico la scuola storica è pervenuta a un risultato affine, richiamandosi alle più antiche età dei popoli e trovando qui lo spirito collettivo nella sua opera creativa, che produce il patrimonio nazionale di costume, diritto, mito, poesia epica, e da cui è poi determinato l’intero sviluppo delle nazioni. Lingua, costume, costituzione, diritto — così Savigny ha formulato questa intuizione fondamentaleg — «non hanno alcuna esistenza separata, ma sono soltanto forze e attività particolari di uno stesso popolo, inseparabilmente legate nella natura». «Ciò che li connette in una totalità, è la comune convinzione del popolo». «Questa età giovanile dei popoli è povera di concetti, ma essa gode di una chiara coscienza dei propri stati e dei propri rapporti, li sente e li vive in maniera totale e compiuta». Questo «stato di cose chiaro, naturale, si conferma in modo eminente anche nel diritto privato», il cui corpo è costituito da «azioni simboliche in cui devono sorgere o tramontare rapporti giuridici». «La loro serietà e la loro dignità corrispondono alla significatività degli stessi rapporti giuridici». Esse costituiscono «la grammatica vera e propria del diritto in questo periodo». Lo sviluppo del diritto si compie in una connessione organica; «con il progredire della civiltà tutte le attività del popolo si separano sempre più, e tutto quanto veniva prima esercitato socialmente, compete ora ai singoli ceti»; sorge il ceto particolare dei giuristi; esso rappresenta il popolo nella sua funzione giuridica; l’elaborazione concettuale diventa ora lo strumento dello sviluppo giuridico: essa comprende princìpi direttivi fondamentali, cioè determinazioni in cui sono dati anche gli altri princìpi; sulla loro scoperta poggia il carattere scientifico della giurisprudenza, la quale diventa sempre più il fondamento del progredire del diritto attraverso la legislazione. Jacob Grimm ha mostrato un analogo sviluppo organico nella lingua. A partire di qui si è sviluppato con grande continuità lo studio delle nazioni e dei differenti aspetti della loro vita. Con questo grandioso sguardo della scuola storica si è congiunto in seguito un progresso metodologico della massima importanza. Dalla scuola aristotelica in poi l’elaborazione del metodo comparativo nella biologia delle piante e degli animali aveva costituito il punto di partenza per la sua applicazione nelle scienze dello spirito. Attraverso questo metodo la scienza politica è divenuta, nell’antichità, la più sviluppata tra le discipline che costituivano le scienze dello spirito. Avendo la scuola storica respinto la derivazione di verità generali nelle scienze dello spirito mediante il pensiero

costruttivo astratto, il metodo comparativo è divenuto per esse l’unico procedimento per giungere a verità di maggiore generalità. Essa ha applicato questo procedimento alla lingua, al mito, all’epica nazionale; e la comparazione del diritto romano con il diritto germanico, la cui scienza è sorta appunto allora, ha costituito il punto di partenza per l’elaborazione dello stesso metodo anche nel campo del diritto. Anche qui c’è un interessante rapporto con la contemporanea situazione della biologia. Cuvier38 è partito da un concetto di combinazione delle parti in un tipo animale, il quale gli ha consentito di costruire, dai resti degli animali del passato, la loro struttura. Niebuhr ha usato un procedimento simile, mentre Franz Bopp e Jacob Grimm hanno applicato il metodo comparativo al linguaggio proprio nello spirito dei grandi biologi. La tendenza, presente nei primi anni dell’attività di Humboldt, a penetrare nell’interiorità delle nazioni, è stata infine realizzata con gli strumenti dello studio comparativo del linguaggio. A questo orientamento si è poi collegato in Francia il grande studioso della vita dello stato, Tocqueville39: egli ha studiato, nello spirito di Aristotele, le funzioni, la connessione e lo sviluppo dei corpi politici. Una medesima forma di considerazione, che potrei dire quasi morfologica, pervade tutte queste generalizzazioni, e ha condotto a concetti che hanno una nuova profondità: le verità generali costituiscono, da questo punto di vista, non il fondamento ma il risultato ultimo delle scienze dello spirito. Il limite della scuola storica sta nel non aver istituito alcun rapporto con la storia universale. La storia universale di Johannes von Müller40, che si richiamava particolarmente alle Ideen di Herder, incompiute proprio su questo punto, rivelava la totale incapacità degli strumenti fin allora impiegati per la soluzione di questo compito. Qui si inseriva contemporaneamente alla scuola storica Hegel, operando nello stesso luogo in cui essa aveva il suo centro. Egli fu uno dei più grandi geni storici di tutti i tempi: nella quieta profondità della sua natura egli ha raccolto le grandi forze del mondo storico. Il tema da cui si sono sviluppate le sue intuizioni è stata la storia dello spirito religioso. La scuola storica aveva richiesto un procedimento filologicamente rigoroso e applicato il metodo comparativo; Hegel ha adottato un procedimento del tutto diverso. Sotto l’influenza dei suoi Erlebnisse metafisico-religiosi, in costante contatto con le fonti ma sempre ritornando da esse alla più profonda interiorità religiosa, egli ha scoperto uno sviluppo della religiosità in cui il livello inferiore della coscienza religiosa collettiva ne produce, in virtù delle forze che agiscono in esso, un altro superiore, nel quale

è tuttavia contenuto il precedente. Il secolo XVIII aveva cercato il progresso dell’umanità, prodotto dall’accrescimento della conoscenza della natura e dal dominio su di essa che ne deriva; Hegel coglie lo sviluppo dell’interiorità religiosa. Il secolo XVIII aveva riconosciuto in questo progresso delle scienze la solidarietà del genere umano; Hegel scopre, nel dominio della religiosità, una coscienza collettiva come soggetto dello sviluppo. I concetti con cui il secolo XVIII aveva inteso la storia dell’umanità si riferivano alla felicità, alla perfezione e a una statuizione di scopi razionali, che si orienta verso la realizzazione di questi fini; Hegel era d’accordo con esso nell’intenzione di esprimere l’esistenza umana nei suoi diversi aspetti mediante un sistema universalmente valido di concetti; ma, per quanto più negatrice di lui, neppure la scuola storica aveva combattuto la concezione razionalistica della realtà storica dell’uomo. Il sistema concettuale di cui Hegel andava in cerca non doveva formulare e regolare astrattamente gli aspetti della vita; egli mirava a una nuova connessione di concetti, nella quale lo sviluppo potesse venir concepito nella sua piena estensione. Egli ha esteso il suo procedimento al di là dello sviluppo religioso, fino a quello della metafisica, e da questa a tutti i campi della vita, assumendo a proprio oggetto l’intero dominio della storia. Egli ha cercato ovunque attività, svolgimento, e questo ha in ogni punto la sua essenza nelle relazioni dei concetti. La scienza storica trapassava così in filosofia. Questa trasformazione era possibile in quanto la speculazione tedesca dell’epoca aveva affrontato il problema del mondo spirituale. L’analisi di Kant aveva rintracciato nella profondità della coscienza forme dell’intelligenza come l’intuizione sensibile, le categorie, gli schemi dei concetti puri dell’intelletto, i concetti di riflessione, le idee teoretiche della ragione, la legge morale, il giudizio, e ne aveva determinato la struttura: ognuna di queste forme era, in fondo, attività. Ma tutto questo è emerso pienamente allorché Fichte ha fatto sorgere il mondo della coscienza nella posizione, nella contrapposizione e nella ricomposizione, trovandovi ovunque energia, progresso. E poiché la storia si realizza nella coscienza, in essa si deve ritrovare, secondo Hegel, lo stesso cooperare di attività che nel soggetto sovraindividuale rende possibile lo sviluppo attraverso la posizione, la contrapposizione e un’unità superiore. Così veniva posta la base per il compito di rappresentare concettualmente le forme della coscienza e di cogliere lo sviluppo dello spirito attraverso di esse come un sistema di relazioni concettuali. Una logica superiore alla logica dell’intelletto doveva rendere comprensibile questo sviluppo: essa è stata l’opera più difficile della sua vita. Il

filo conduttore per determinare la successione delle categorie egli l’ha preso da Kant, il grande scopritore dei diversi ordini di relazione, vorrei dire delle forme strutturali del sapere. La realizzazione di questa connessione di idee nella realtà aveva poi il suo punto culminante, per Hegel, nella storia universale. Così egli ha intellettualizzato il mondo storico. In antitesi alla scuola storica egli ha trovato la fondazione universalmente valida della scienza sistematica dello spirito nel sistema razionale che lo spirito realizza; più ancora, ha subordinato alla sistematica della ragione, con gli strumenti della sua logica superiore, tutto ciò che il razionalismo settecentesco aveva escluso dalla connessione della ragione in quanto esistenza individuale, in quanto forma particolare della vita, in quanto caso e arbitrio. Dalla cooperazione di tutti questi elementi ha preso le mosse la comprensione del mondo storico in Ranke41. Ranke fu un grande artista: sommessamente, continuamente, senza lotta è sorta in lui la sua intuizione della «storia universale ignota»42. Lo stato d’animo contemplativo di Goethe e il suo punto di vista artistico di fronte al mondo assumono in Ranke come oggetto la storia. Così egli vuole soltanto rappresentare ciò che è stato. In assoluta fedeltà e con una compiuta tecnica critica, di cui è debitore a Niebuhr, egli ha recato a espressione ciò che era contenuto negli archivi e nella letteratura. Questa natura artistica non ha alcun bisogno di risalire alla connessione dei fattori della storia che sta al di là degli avvenimenti, come avevano cercato di fare i grandi studiosi della scuola storica: essa temeva di perdere in queste profondità non soltanto la sua sicurezza, ma anche la sua gioia per la molteplicità dei fenomeni che si muovono alla luce del sole, come era accaduto a Niebuhr. Egli si arresta davanti all’analisi e al pensiero concettuale relativo alle connessioni che cooperano nella storia: questo è il limite della sua storiografia. Ancor meno gli piaceva lo scolorito ordinamento concettuale delle categorie storiche nella concezione hegeliana del mondo storico. «Che cosa ha più verità — così egli si esprimeva43 — che cosa ci conduce più vicini alla conoscenza dell’essere essenziale, seguire un’idea speculativa o cogliere gli stati dell’umanità, da cui sempre emerge in modo vivo la sensibilità in noi innata? Io sono per l’ultima via, perché è meno esposta all’errore». Questo è il primo carattere nuovo in Ranke: egli per primo ha posto compiutamente in luce che il fondamento di ogni sapere storico e un suo fine supremo è la rappresentazione della connessione singolare della storia — un fine almeno, poiché il limite di Ranke consiste nell’aver visto esclusivamente in questo il suo fine — senza tuttavia

condannare gli altri. Qui si separavano i diversi orientamenti. Nel suo stato d’animo poetico di fronte al mondo storico egli ha provato ed espresso nel modo più intenso il destino, la tragicità della vita, tutto lo splendore del mondo e l’alta stima di sé dell’agire. In questo intreccio della coscienza della vita propria della poesia con la storia egli è vicino a Erodoto, al suo modello Tucidide, a Johannes von Müller e a Carlyle44. Lo sguardo dall’alto sulla vita, che consente la sua visione completa, era necessariamente legato, in questa natura così prossima a Goethe, con la comprensione del mondo storico da un punto di vista che ne abbraccia la totalità. Il suo orizzonte era la storia universale; egli considerava ogni oggetto da questo punto di vista, in ciò concordando con l’intero sviluppo della storiografia da Voltaire fino a Hegel e a Niebuhr; tuttavia un altro tratto a lui proprio consisteva nel modo in cui egli ha acquisito dall’azione concorde e discorde delle nazioni nuove prospettive sulle relazioni tra aspirazioni alla potenza politica, sviluppo interno dello stato e cultura spirituale. Questo punto di vista storico-universale risale in lui alla sua gioventù: egli parla una volta della sua «vecchia intenzione di scoprire la trama della storia universale, cioè quel corso degli avvenimenti e degli sviluppi del nostro genere che dev’esser considerato come il suo contenuto proprio, come il suo centro e la sua essenza»45. La storia universale è rimasta l’oggetto prediletto delle sue lezioni; sempre gli è rimasta presente la connessione dei suoi lavori particolari, ed essa è stata anche l’oggetto dell’ultima opera, intrapresa a più di ottant’anni. L’artista che era in lui aspirava a rappresentare l’estensione sensibile dell’accadere; e poteva farlo solamente facendo valere la sua considerazione storico-universale in riferimento a un oggetto particolare. Sulla scelta di questo oggetto decideva poi non soltanto l’interesse con cui lo attraevano le relazioni degli ambasciatori veneziani, ma anche il suo senso per ciò che sta alla luce del sole e un tratto interiore di simpatia verso l’epoca riempita dall’aspirazione alla potenza di grandi stati e di princìpi importanti. «Quasi senza volerlo si è venuta componendo gradualmente ai miei occhi una storia dei momenti più importanti dell’età moderna; metterla in evidenza e scriverla sarà il compito della mia vita»46. Così l’oggetto della sua arte narrativa è divenuta la formazione degli stati moderni, la loro lotta per la potenza, la reazione di questa lotta sulla loro situazione interna, in una successione di storie nazionali. In queste opere si manifesta una volontà e una forza senza pari di oggettività storica. Il sentimento universale dei valori storici, la gioia per la

molteplicità dei fenomeni storici, la sensibilità in tutte le direzioni per ogni specie di vita, che animava Herder e che agiva in Johannes von Müller fino all’impotenza dello spirito contemplante di fronte alle forze storiche — questa singolare capacità dello spirito tedesco riempiva completamente Ranke. Egli ha lavorato non senza subire l’influenza di Hegel, ma soprattutto in contrapposizione a lui; ha elaborato ovunque strumenti di carattere puramente storico per raccogliere in una connessione storica oggettiva l’infinita ricchezza degli avvenimenti, senza però riportarla a una costruzione filosofica della storia. Qui si rivela il carattere fondamentale peculiare della sua storiografia: essa vuole cogliere la realtà quale essa è. Lo ispirava quel senso della realtà che solo può dar luogo a una costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito. Nessuno come Ranke ha rappresentato in maniera così riuscita, in antitesi alle pretese spesso avanzate dagli storici di agire direttamente sulla vita prendendo posizione nelle sue lotte, il carattere della storia come scienza oggettiva. Noi possiamo esercitare una vera azione sul presente soltanto se prescindiamo anzitutto da esso e ci innalziamo a una libera scienza oggettiva. Questo fine conduceva anche in Ranke all’elaborazione di ogni strumento della critica. Lo spirito di Niebuhr continuava a vivere in lui, come dimostra nel modo migliore l’appendice critica alla sua prima opera importante. Accanto a Ranke, altri due grandi storici di questa epoca hanno aperto nuove prospettive alla costruzione del mondo storico. Carlyle mostra la stessa incessante volontà di penetrare nella realtà, ma da un altro lato: egli cerca l’uomo storico, l’eroe. Mentre Ranke è tutto occhio, e vive nel mondo oggettivo, la storiografia di Carlyle affronta il problema della vita interiore; così queste due tendenze, al pari delle due tendenze della poesia, di cui una muove dall’oggettivo e l’altra dallo sviluppo della propria essenza, vengono a integrarsi. La lotta che Carlyle aveva sostenuto in sé, egli la trasferisce nella storia. Il suo romanzo filosofico di carattere autobiografico è quindi la chiave della sua storiografia. La sua genialità unilaterale, e del tutto singolare, era di specie intuitiva. Ogni grandezza sorge per lui dall’azione delle forze connettive e organizzatrici della fede e del lavoro: esse creano le forme esterne della società nella vita economica, nel diritto e nella costituzione. Le epoche in cui le forze connettive agiscono in maniera autonoma, sincera, unificante, egli le chiama età positive — una designazione in cui lo avevano preceduto i Fisiocratici. Dopo che le età positive hanno prodotto, sulla base della fede, un saldo complesso di istituzioni, il pensiero nel suo progredire dissolve questo contenuto, e irrompono le età negative. L’affinità di questa

intuizione fondamentale con la scuola storica tedesca e con la filosofia della storia di Schelling è innegabile. Ma lo spirito intuitivo di Carlyle esplica la sua forza maggiore soprattutto nell’applicazione di tali idee alla comprensione dei grandi uomini storici — di coloro che hanno dato forma alla vita e alla società sulla base della fede. Nessuno prima di lui ha letto così profondamente nelle loro anime: egli rende presente l’interiorità del loro volere in ognuno dei loro gesti, dei loro comportamenti, nel tono della loro lingua. Il poeta o il pensatore, il politico o il genio religioso non può essere compreso in base alle sue doti particolari, ma soltanto in base alla semplice capacità di unire e sottomettere gli uomini con una fede. In tutto questo si esprime chiaramente l’influenza di Fichte su di lui. Il terzo tra questi storici originali dell’epoca di Ranke è stato Tocqueville. Egli è la mente analitica tra gli studiosi di storia di questo periodo, il maggiore tra tutti gli analizzatori del mondo politico dopo Aristotele e Machiavelli. Mentre Ranke e la sua scuola sfruttano con precisione meticolosa gli archivi al fine di cogliere l’intreccio delle azioni diplomatiche che abbraccia l’Europa intera nell’età moderna, a Tocqueville gli archivi servono per un nuovo scopo. Egli vi cerca l’elemento permanente, ciò che è importante per la comprensione della struttura politica interna delle nazioni: la sua analisi è rivolta al cooperare delle varie funzioni in un moderno corpo politico, ed egli per primo ha utilizzato, con l’accuratezza e la meticolosità dell’anatomista sezionatore, ogni elemento della vita politica rimasto nella letteratura, negli archivi e nella vita stessa, ai fini dello studio di questi rapporti strutturali interni e permanenti. Egli ha fornito la prima analisi reale della democrazia americana. L’idea che in questa vi sia «il movimento», «la continua, irresistibile tendenza» a produrre un ordinamento democratico in tutti gli stati, è nata in lui dallo sviluppo della società nei diversi paesi. Questa sua idea ha trovato in seguito conferma dai processi che si sono compiuti in tutte le parti del mondo. Come storico genuino e come mente politica, egli non vedeva in questa tendenza della società né un progresso né qualcosa di dannoso sotto ogni riguardo. L’arte politica deve appunto fare i conti con essa, e adattare in ogni paese a questa tendenza della società l’ordinamento politico che le è conforme. E negli altri suoi libri Tocqueville ha penetrato per primo la connessione reale dell’ordinamento politico francese nel secolo XVIII e durante la Rivoluzione. Una scienza politica di questo genere permetteva pure applicazioni alla prassi politica. Particolarmente feconda si è dimostrata la sua rielaborazione del principio aristotelico secondo cui la sana costituzione di ogni stato poggia sul

giusto rapporto di prestazioni e di diritti, e il rovesciamento di tale rapporto, venendo a mutare i diritti in privilegi, deve provocarne la dissoluzione. Un’altra importante applicazione delle sue analisi alla prassi sta nella conoscenza dei pericoli di una esagerata centralizzazione e nella comprensione del vantaggio dell’autonomia e dell’auto-amministrazione. Così egli traeva dalla storia stessa generalizzazioni feconde, e da una nuova analisi delle realtà passate nasceva un nuovo più approfondito rapporto con quella presente. Si potrebbe dire che in tutto questo processo si è compiuto il sorgere della coscienza storica. Essa concepisce tutti i fenomeni del mondo spirituale come prodotti dello sviluppo storico. Sotto la sua influenza le scienze sistematiche dello spirito hanno trovato la loro base nella storia dello sviluppo e nel procedimento comparativo. Facendo dell’idea dello sviluppo il punto centrale delle scienze dello spirito, che stanno sotto lo schema del processo temporale, Hegel ha collegato mediante tale idea lo sguardo sul passato con il progredire verso il futuro, verso l’ideale. La storia ha così acquisito una nuova dignità. Fino al presente la coscienza storica così creata si è estesa, per merito di storici di rilievo, a campi e a problemi sempre nuovi, e ha trasformato le scienze della società. Questo importante sviluppo, in cui la tendenza a elaborare in maniera più pura e più rigorosa la conoscenza oggettiva del mondo spirituale, sia nelle scienze della società che nella storia, si è affermata nel contrasto con il dominio di aspirazioni politiche e sociali, non richiede qui alcuna illustrazione, poiché i suoi problemi sono quelli della stessa ricerca successiva. La teoria deve rappresentare in forma di concetti e fondare gnoseologicamente la connessione delle scienze dello spirito che si è costituita in questo modo. E se si muove da Ranke e si collega a lui la scuola storica, sorge un secondo problema. Nelle sue grandi opere storiche Ranke ripone il senso, il significato, il valore delle epoche e delle nazioni in queste medesime. Esse sono, per così dire, incentrate in se stesse. In queste opere la realtà storica non è mai commisurata a un valore incondizionato o a un principio fondamentale o a uno scopo. Se poi ci si chiede quale sia il rapporto interno che, nella successione di individuo, di comunanza e di comunità, rende possibile questa autocentralità della storia, s’inseriscono qui gli studi della scuola storica. Questo pensiero storico richiede esso stesso di venir fondato in una teoria della conoscenza e di venir illustrato in forma concettuale, non però di essere trasposto in qualcosa di trascendentale o di metafisico mediante una relazione qualsiasi a un elemento incondizionato e assoluto. 4. Così, dalla fine del secolo XVIII alla seconda metà del XIX, le scienze

dello spirito hanno gradualmente raggiunto, a partire dalla Germania, stabilendo la vera connessione dei loro compiti, lo stadio che ha reso possibile avvicinarsi al problema logico e gnoseologico. Si era infatti dischiuso il mondo storico come loro oggetto unitario, e la coscienza storica come atteggiamento unitario di fronte a tale mondo. Tutti i progressi ulteriori delle scienze dello spirito, per quanto importanti siano stati, hanno soltanto ampliato la connessione gradualmente acquisita a partire dall’età dell’Illuminismo, che poneva ogni ricerca storica particolare sotto il punto di vista della storia universale, fondando le scienze dello spirito sulla storia così intesa e collegando in un tutto filologia, critica, storiografia, metodi comparativi e storia dello sviluppo. In questo modo la storia diventava filosofica, acquistando una nuova dignità e importanza con Voltaire, Montesquieu, Kant, Herder, Schiller, Hegel, mentre la riflessione su di essa otteneva il suo fondamento, per opera della scuola storica, nella grande connessione che abbiamo illustrato. Da allora fino a oggi la teoria della storia ha utilizzato, lentamente e gradualmente, la comprensione che la scuola storica aveva realizzato di quella connessione, e noi stiamo ancora in mezzo alla soluzione di questo compito. Ma, quali che siano le posizioni assunte in questo processo, tutte sono orientate in base al grande fatto della nuova costruzione delle scienze dello spirito. Gli scritti sullo studio della storia avevano sempre accompagnato lo sviluppo della storiografia nell’età moderna, e il loro numero è cresciuto di continuo nei diversi paesi civili durante il periodo illuministico. In particolare, dalla fine del secolo XVII ha avuto inizio la lotta dello scetticismo contro tutti i tipi di sapere, ed essa si è rivolta anche contro la tradizione storica; da ciò sono derivati forti impulsi a una trattazione metodica. Accanto ai lavori che sono così sorti in vista della fondazione del sapere storico si sono fatte valere, nell’insegnamento universitario, le enciclopedie della scienza storica. Ma quale distanza c’è tra il tentativo di una teoria della storia compiuto da Wachsmuth47 nel 1820, al culmine della storiografia moderna, e il contemporaneo scritto di Humboldt48, animato dallo spirito della nuova storiografia! Qui c’è un confine netto. La nuova teoria della storia aveva naturalmente i suoi due punti di partenza nell’idealismo filosofico tedesco e nella rivoluzione avvenuta della scienza storica. Occorre ora muovere dal primo. Il problema di Kant era stato quello di rintracciare nel corso storico una connessione unitaria, «un processo regolare». Egli non indaga, nella

prospettiva della teoria della conoscenza, le condizioni della connessione che c’è nella scienza esistente; la sua questione è come sia possibile derivare a priori dalla legge morale, alla quale ogni agire è sottoposto, princìpi di comprensione del materiale storico. Il corso storico è una parte della grande connessione della natura; però questa non può venir sottoposta, a partire dal mondo organico in avanti, a una conoscenza del suo ordine in base a leggi causali, ma è accessibile soltanto alla considerazione teleologica. Così Kant nega la possibilità di rintracciare leggi causali nella società e nella storia, ma cerca invece di collegare i fini del progresso, che l’Illuminismo aveva riposto in generale nella perfezione, nella felicità, nello sviluppo delle nostre capacità, della nostra ragione e della civiltà, con l’a priori della legge morale, determinando così a priori il senso e il significato della connessione teleologica. In tal modo Kant ha compiuto però soltanto una trasposizione del dovere della perfezione, assunto nella scuola di Wolff49 a principio teleologico del progresso storico, nel suo a priori della legge morale. E anche l’antitesi wolffiana tra scienze empiriche e scienze filosofiche ritorna nell’antitesi tra la concezione empirica, antropologica del genere umano e la concezione a priori richiesta dalla ragione pratica. La considerazione teleologica della storia come progresso nello sviluppo di quelle disposizioni naturali che mirano all’uso della ragione, fino al dominio di questa in una società che amministra universalmente il diritto, fino a una «costituzione civile perfettamente regolata» come «compito supremo della natura per la specie umana», rappresenta il filo conduttore a priori mediante cui si può spiegare il gioco così confuso delle cose umane50. Più marcatamente che nell’«idea di una storia universale “limitata” dall’intenzione cosmopolitica» e, in questa sua delimitazione, dall’occasione, emerge in altri luoghi che la pacifica società giuridica, la quale deve superare i rapporti di potenza, ha la sua giustificazione dinanzi alla ragione nel fatto che essa costituisce uno stato di cose il quale procede dal riconoscimento del dovere; essa non sarebbe quindi un «bene meramente fisico», e grazie alla sua esistenza si compirebbe un «grande passo verso la moralità». L’importanza di Kant in questo campo consiste perciò in primo luogo nell’aver applicato alla storia il punto di vista filosofico trascendentale, qual è stato fondato da lui e da Fichte, e nell’aver inaugurato una concezione storica durevole, la cui natura è la determinazione di un criterio assoluto, fondato nell’essenza della ragione stessa, cioè di un elemento incondizionato in quanto valore o norma: essa ha la sua forza nell’indicare

all’agire la direzione determinata, che si giustifica in base alla sua tendenza etica, verso un saldo ideale, e nel valutare ogni parte della storia secondo il suo orientamento alla realizzazione di questo ideale. Da questo punto di vista di principio discendono ancora altre importanti determinazioni. Il dominio della ragione si attua soltanto nella specie. Questo fine non è però raggiunto mediante il pacifico cooperare degli individui. «L’uomo vuole concordia; ma la natura conosce meglio ciò che è bene per la sua specie: essa vuole discordia»51. Essa raggiunge la sua mèta proprio mediante il movimento delle passioni, dell’egoismo, dell’antagonismo delle forze. L’influenza delle idee di Kant si è incontrata con la disposizione e con il corso della vita di Friedrich Christian Schlosser52. Egli ha fatto valere nella sua storiografia questo punto di vista kantiano. Schlosser ha posto ogni lavoro storico particolare sotto il punto di vista della storia universale, sottoponendo la personalità storica a un rigido concetto morale e annullando così il senso dello splendore della vita storica e l’incanto individuale della grande personalità. La sua storiografia è perciò incapace di risolvere il dualismo che sussiste tra questo giudizio morale e il riconoscimento della tendenza amorale degli stati alla potenza e alla grandezza politica priva di scrupoli. Dato che Schlosser cercava, al pari di Kant, il punto centrale della storia nella cultura, la considerazione storico-culturale diventa la tendenza fondamentale della sua trattazione della storia, e la storia della vita spirituale è la parte più brillante dei suoi lavori: si può dire che su di essi poggia, nei suoi tratti fondamentali, l’esposizione della nostra letteratura nazionale nel secolo XVIII condotta da Gervinus53. Schlosser contrappone il valore della tranquilla, profonda interiorità a tutti gli sfarzi del mondo e — cosa più importante — la sua storia persegue soprattutto il fine di educare il suo popolo a una visione pratica della vitah. Il punto di vista trascendentale procede dal dato alle sue condizioni a priori. Anche Fichte lo sostiene, a differenza della filosofia della storia di Hegel: il fatto, l’elemento storico non può mai essere «metafisicizzato», l’abisso tra di esso e le idee non può venir colmato da una fantasia concettuale, l’incondizionato non può esser dissolto nel fluire della storia, come se costituisse una ideale connessione di questa ottenuta concettualmente. Le idee stanno, come gli astri, al di sopra di questo mondo, indicano all’uomo il cammino.

Da questo punto di vista Fichte ha realizzato, al di là di Kant, un progresso importante nella concezione della storia. Il suo sviluppo si è compiuto tra l’Illuminismo kantiano e la nascita della coscienza storica che abbiamo sopra delineato. Nel periodo che intercorre tra la catastrofe di Jena e l’inizio delle guerre di liberazione egli ha vissuto lo spostamento di tutti gli interessi dello spirito tedesco verso il mondo storico e lo stato. Nello stesso periodo si collocano nella scienza l’orientamento del romanticismo verso la storia, la costruzione storica di Schelling, la Phänomenologie des Geistes di Hegel e l’inizio della sua Wissenschaft der Logik. Tali furono le condizioni in cui Fichte ha concepito il problema della possibilità di comprendere la storia sulla base di un ordine ideale. Tuttavia egli si è posto altrettanto poco di Kant la questione gnoseologica del modo in cui è possibile la conoscenza della connessione storica che è contenuta nella scienza storica effettivamente esistente. Egli ha piuttosto sottoposto, fin dall’inizio, la somma degli avvenimenti storici al punto di vista valutativo a priori del suo principio morale, che costituisce l’idea fondamentale di tutte le sue indagini storicofilosofiche fino all’ultimo passo compiuto nella «deduzione dell’oggetto della storia umana»54. Da questo punto di vista la storia appare una connessione fondata dalla libera attività dell’io assoluto, che si esplica nello sviluppo temporale del genere umano, in cui si compie, in conformità al piano divino, l’«incivilimento dell’umanità»55. «Per il filosofo l’universo della ragione si sviluppa puramente dal pensiero in quanto tale»56. E «la filosofia è al suo termine» dove «è al suo termine ciò che è concepibile»57. Il filosofo della storia «va quindi in cerca, attraverso l’intera corrente del tempo, soltanto di dove, e si riferisce soltanto a dove l’umanità progredisce realmente rispetto al suo scopo, lasciando da parte e disdegnando tutto il resto»58. Così viene qui compiuta una scelta del materiale storico, e costruita una connessione, dal punto di vista di un valore incondizionato. Lo «storico empirico», cioè l’«annalista», procede invece dall’esistenza di fatto del presente59: egli cerca di cogliere nel modo più preciso possibile lo stato di cose presente e di scoprirne i presupposti nei fatti precedenti. Il suo compito è quello di raccogliere accuratamente i fatti storici, mostrando la loro successione e la loro connessione produttiva nel tempo. «La storia è mera empiria; essa ha da fornire soltanto dei fatti, e tutte le sue prove possono venir addotte soltanto in base ai fatti»60. Queste constatazioni dello storico servono alla deduzione filosofica non come prova, ma semplicemente come illustrazione. Soltanto

nell’ambito di queste due forme di procedimento può sussistere ciò che Fichte ha una volta designato come «logica della verità storica»61, e che non può quindi significare una consapevole analisi metodologica della scienza storica. Tuttavia si deve riconoscere che sulla strada della sua deduzione teleologica venivano in luce princìpi importanti. Egli separava la fisica, che ha come suo oggetto l’aspetto permanente e periodicamente ricorrente dell’esistenza, e la storia, il cui oggetto è il corso temporale. Questo corso è divenuto per lui, dal punto di vista della sua dottrina della scienza, uno sviluppo: anche il concetto hegeliano di sviluppo ha la sua origine in Fichtei. Già la dottrina della scienza teoretica e pratica voleva presentare la dialettica interna del movimento reale che procede dalla facoltà creatrice dell’io; voleva cioè seguire il moto degli avvenimenti nell’io e abbozzare una storia pragmatica dello spirito umano. Qui il concetto di sviluppo veniva trovato nelle determinazioni per cui nell’io tutto è attività, ogni attività comincia dall’interno e il suo compimento è la condizione dell’attività successiva. Nella deduzione del 1813 Fichte si affatica intorno alla medesima intuizione di una libera forza presente nell’io, in antitesi alla natura che è quieta e morta. La storia mostra una connessione teleologicamente necessaria, i cui singoli elementi sono prodotti dalla libertà e il cui punto di orientamento risiede nella legge morale. Ogni elemento di questa serie è un elemento fattuale, singolare, individuale. Il valore che Kant poneva nella persona, in quanto in essa si realizza la legge morale, si collocava, per Fichte come per Schleiermacher, nell’individualità; mentre la concezione razionalistica vedeva il valore della persona soltanto nel compimento della legge morale universale, cosicché l’individuo diventava per essa una mescolanza empirica e accidentale, Fichte univa invece più profondamente il significato di ciò che è individuale con il problema della storia: egli collegava il valore dell’individuale con l’orientamento verso lo scopo della specie mediante l’idea profonda che gli individui creatori colgono quello scopo sotto un nuovo aspetto fino allora celato, dandogli una nuova forma, e che in tal modo la loro esistenza individuale viene elevata a elemento dotato di valore della connessione della totalità storica. La natura eroica di Fichte, il compito dell’epoca e il suo problema storico si collegavano in una nuova valutazione dell’attività e dell’uomo attivo. Ma egli comprendeva al tempo stesso l’eroismo dell’uomo religioso, dell’artista e del pensatore. In ciò egli preparava Carlyle. L’elemento singolare e fattuale nella storia assumeva un nuovo significato, in quanto veniva concepito come prodotto della facoltà creatrice e della libertà; e concependo da questo punto di vista l’irrazionalità

del dato storico, egli doveva attribuire un valore all’irrazionale stesso secondo la sua essenza di attività libera, e secondo la sua relazione con la cultura e l’ordinamento etico. Accanto a queste teorie sulla storia, che facevano valere il punto di vista della filosofia trascendentale, nel medesimo periodo se ne sono sviluppate, sulla base di altri orientamenti, alcune che hanno poi assunto una validità permanente. Dal punto di vista della ricerca naturale sono nati in Francia e in Inghilterra vari lavori, di cui quelli francesi si fondavano prevalentemente sull’evoluzione dell’universo, sulla storia della terra, sull’origine delle piante e degli animali su di essa, e inoltre sull’affinità del tipo degli animali superiori con il tipo umano, infine sulla connessione legale della storia umana e sulla delineazione del progresso intellettuale e sociale nel corso di questa, mentre quelli inglesi hanno assunto come base la nuova psicologia associazionistica e le sue applicazioni alla società. Il loro svolgimento ulteriore in Comte e in Mill sarà illustrato in seguito. Un altro orientamento è rappresentato, nel medesimo periodo, dai monisti tedeschi, cioè da Schelling, Schleiermacher e Hegel, i quali hanno cercato di rendere il corso storico accessibile a una costruzione concettualej. A partire dagli anni Venti è seguito in Germania un periodo nel quale la scuola storica ha sviluppato la connessione del suo procedimento metodico, l’idealismo tedesco ha elaborato le sue diverse forme e il nesso tra i due movimenti ideali ha compenetrato tutta la letteratura delle scienze dello spirito. Allora dal grande movimento della stessa ricerca storica sono nati diversi scritti sulla teoria della storia. Come gli studi storici hanno variamente influenzato gli orientamenti filosofici, così all’inverso si manifestava una considerevole influenza della filosofia trascendentale di Hegel e Schleiermacher sugli storici. Essi si sono richiamati alla forza creativa operante nell’uomo, l’hanno individuata nello spirito collettivo e nelle comunità organizzate; hanno cercato, al di sopra della cooperazione tra le nazioni, una connessione della storia fondata nell’invisibile. Da ciò è sorto, nelle considerazioni generali di Humboldt, Gervinus, Droysen62 e altri, il concetto delle idee nella storia. Il celebre saggio di Humboldt sul compito dello storico63 procede dal principio filosofico-trascendentale che ciò che agisce nella storia universale si muove anche all’interno dell’uomo. Il punto di partenza di Humboldt si colloca nell’uomo singolo. L’epoca andava alla ricerca di una nuova cultura nella formazione della personalità; e dato che la trovava realizzata nel mondo

greco, allora sorgeva l’ideale dell’umanità greca; ma questo ha acquistato una nuova profondità, attraverso la filosofia trascendentale, nei suoi rappresentanti più importanti come Humboldt, Schiller, Hölderlin e Friedrich Schlegel nel suo primo periodo. Nella scuola leibniziana il valore autonomo della persona era stato definito come perfezione, nella scuola kantiana esso si presenta invece come dignità derivante dal carattere di scopo in sé della persona e nella scuola fichtiana come energia formativa: in ognuna di queste forme l’ideale implicava, sullo sfondo dell’esistenza individuale, una regolarità universalmente valida dell’essenza umana, della sua formazione e del suo scopo. Su ciò poggiava, in Humboldt come in Schleiermacher, la visione dell’unità trascendentale della natura umana in tutti gli individui, sulla quale si fondano le comunità organizzate e lo spirito collettivo che si individualizza nelle razze, nelle nazioni, nelle persone singole, e che agisce in queste forme come suprema forza formativa. E dato che la forza creativa di questa umanità realizzantesi nell’individuale veniva posta in relazione con l’invisibile, ne derivava la fede nella realizzazione dell’ideale intrinseco all’umanità attraverso la storia. «Il fine della storia può essere soltanto la realizzazione dell’idea da rappresentarsi da parte degli uomini, verso tutti i lati e in tutti i modi in cui la forma finita può collegarsi a tale idea»64. Da ciò derivava il concetto humboldtiano delle idee nella storia: esse sono forze creatrici, fondate sulla universale validità trascendentale della natura umana. Esse pervadono, così come la luce percorre l’atmosfera terrena, i bisogni, le passioni, l’apparenza del caso. Noi ne abbiamo esperienza nelle eterne idee originarie della bellezza, della verità e del giusto; esse danno nello stesso tempo al corso storico forza e finalità; si manifestano come tendenze che attraggono irresistibilmente le masse, come una produzione di forza che non può venir derivata, nella sua estensione e nella sua sublimità, dalle circostanze che l’accompagnano. Quando lo storico ha indagato la forma e le trasformazioni del suolo terrestre, i mutamenti del clima, la capacità spirituale e la mentalità delle nazioni, quelle ancor più particolari dei singoli individui, le influenze dell’arte e della scienza, le influenze profonde e assai diffuse delle istituzioni civili, rimane ancora un principio non visibile immediatamente, ma più potente, che fornisce impulso e direzione a quelle forze — le idee. Esse hanno il loro fondamento ultimo nel governo divino del mondo. Colui che agisce deve conformarsi alla tendenza contenuta nell’idea, per conseguire effetti storici positivi. Cogliere queste idee è anche il fine supremo dello storico. Come la libera imitazione dell’artista è diretta da idee, così anche lo storico

deve, al di là dell’operare delle forze finite nell’accadere, cogliere tali idee. Egli è l’artista che mostra negli avvenimenti questa connessione invisibile. Humboldt ha pubblicato il suo saggio all’inizio degli anni Venti, nel mezzo del grande movimento delle scienze dello spirito. E in quanto esprimeva i vari elementi che cooperavano in quel movimento, esso ha esercitato un’influenza straordinaria. Nel 1837 apparvero i Grundzüge der Historik di Gervinus, che fornivano un ampio panorama della letteratura storica, delle sue forme e dei suoi orientamenti: il loro nucleo consisteva però nella medesima disposizione storica e nella medesima visione fondamentale delle idee storiche, che «compenetrano in modo invisibile gli avvenimenti e i fenomeni esterni». La provvidenza si rivela in esse: coglierne l’essenza e l’azione è il compito proprio dello storico. Anche le concezioni di Ranke sulla storia, che si sono andate formando gradualmente di pari passo con i suoi lavori, sono ancora affini a quelle di Humboldt, ma colgono il movimento storico in maniera assai più vita e più vera. Le idee sono per lui le tendenze suscitate dalla situazione storica, «sono energie morali»65; sono sempre unilaterali, si incorporano nelle grandi personalità e agiscono per mezzo di loro: proprio al culmine della loro potenza si sviluppano le reazioni, ed esse sottostanno così al destino di ogni forza finita. Esse non possono venir espresse concettualmente, «ma si possono intuire e percepire»; noi abbiamo il sentimento della loro esistenza66. Dato che poi Ranke considera il corso della storia dal punto di vista del governo divino del mondo, esse diventano per lui i «pensieri di Dio nel mondo»67: in esse «risiede il mistero della storia universale»68. In consapevole antitesi con Ranke, e tuttavia a lui interiormente affine per il comune motivo idealistico dell’epoca, è poi apparsa nel 1868 la Historik di Droysen. Ancor più profondamente di Humboldt, Droysen è compenetrato dalla speculazione di quel periodo, dal concetto di idee che agiscono nella storia, dal principio di una teleologia esterna nella connessione storica, che produce il cosmo delle idee etiche. Egli sottopone la storia all’ordine etico delle cose; ciò si contrapponeva alla visione ingenua del corso reale del mondo, ed era l’espressione della fede nella incondizionata connessione ideale delle cose in Dio, In questi lavori sono contenute prospettive importanti: per primo Droysen ha impiegato la teoria ermeneutica di Schleiermacher e di Böckh ai fini della metodica. Ma una costruzione teorica delle scienze dello spirito non è stata

conseguita da questi studiosi. Humboldt vive nella coscienza della nuova profondità della scienza dello spirito tedesca, che rimanda alla validità universale dello spirito; così egli ha compreso per primo che lo storico, per quanto legato all’oggetto, crea tuttavia muovendo dalla propria interiorità; ha perciò riconosciuto la sua affinità con l’artista. E tutto quanto era stato elaborato nella ricerca storica, è in qualche modo racchiuso e riassunto in breve nel suo saggio. Ma anche qui gli è stata preclusa l’articolazione compiuta della sua profonda intuizione generale. Il motivo ultimo di ciò sta nel fatto che egli non ha impostato il problema della storia in rapporto con il compito di una teoria della conoscenza che la storia ci pone; una tale questione lo avrebbe condotto a un’indagine più ampia sulla costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito e quindi all’esame della possibilità di un sapere oggettivo in queste discipline. Il suo saggio ha per oggetto, alla fine, il modo in cui la storia appare e deve esser scritta in base ai presupposti della visione idealistica del mondo: la sua dottrina delle idee è l’esplicazione di questo punto di vista. Proprio l’arretratezza che deriva dalla mescolanza della fede religiosa e di una metafisica idealistica nella scienza storica è divenuta, per Humboldt e per gli studiosi di storia che lo hanno seguito, il punto centrale della concezione della storia. In luogo di prendere in esame i presupposti gnoseologici della scuola storica e quelli dell’idealismo, da Kant a Hegel, e di riconoscere quindi la loro inconciliabilità, essi hanno collegato acriticamente questi punti di vista. Essi non si sono resi conto della connessione tra le scienze dello spirito da poco costituite, il problema di una critica della ragione storica e la costruzione di un mondo storico nelle scienze dello spirito. Il compito successivo consisteva nel far valere di fronte alla storia una tale impostazione puramente gnoseologica e logica, separando da essa i tentativi di una costruzione filosofica del corso storico, quale l’avevano intrapresa Fichte con le sue cinque epoche e Hegel con i suoi gradi dello sviluppo. Quella impostazione doveva essere distinta da quella del filosofo della storia, allo scopo di definire in modo coerente le varie posizioni che il teorico della conoscenza e il logico possono assumere in questo campo. Dagli ultimi decenni del secolo scorso fino a oggi si sono sviluppati i diversi punti di vista volti a risolvere tale compito. Posizioni prima assunte si sono trasformate, e altre nuove sono emerse: se si guarda alla loro molteplicità, in esse si fa valere un’antitesi superiore. Si cercava la soluzione di tale compito muovendo dal nostro idealismo, quale si era costituito da Kant a Hegel, oppure si cercava la

connessione della storia nella realtà dello stesso mondo spirituale. A partire dalla prima posizione soprattutto due orientamenti si sono impegnati nella soluzione del compito che era condizionato dal movimento della speculazione tedesca. Il primo di essi poggiava su Kant e su Fichte. Il suo punto di partenza è la coscienza universale o sovra-individuale, nella quale il metodo trascendentale scopre qualcosa di incondizionato, ossia norme o valori. La determinazione di questo elemento incondizionato e del suo rapporto con la comprensione della storia è, nell’ambito di tale grande e influente scuola, assai diversa. I due presupposti ultimi, a cui era pervenuta l’analisi trascendentale di Kant, vale a dire il suo a priori teoretico e il suo a priori pratico, erano riuniti insieme, seguendo la strada di Fichte, in un elemento incondizionato unitario; e questo poteva venir concepito come norma, come idea o come valore. Il problema poteva essere quello di procedere alla costruzione del mondo spirituale muovendo da tale elemento a priori, oppure quello di trovare un principio di scelta e di connessione per l’ambito più limitato del corso storico individuale. Dinanzi a questo orientamento dell’idealismo tedesco il contributo geniale di Hegel alla storia è stato finora posto in secondo piano: la sua posizione metafisica è soggiaciuta alla critica rivoltale dalla teoria della conoscenza. Nelle scienze sistematiche dello spirito si è attuata invece fino ad oggi un’unione delle sue grandi idee con la ricerca positiva; e nella storiografia la sua influenza permane anche nella determinazione della disposizione dei gradi dello spirito. Ed è anche venuto il tempo in cui potrà esser apprezzato e valorizzato il suo tentativo di formare una connessione di concetti che possa dominare la corrente ininterrotta della storia. In antitesi a questa teoria è sorta ora una concezione che respinge ogni principio trascendentale e metafisico di comprensione del mondo storico. Essa nega il valore del metodo trascendentale e del metodo metafisico; e rifiuta ogni sapere relativo a un valore incondizionato, a una norma assolutamente valida, a un piano divino e a una connessione razionale fondata nell’assoluto. Riconoscendo così senza limitazione alcuna la relatività di ogni dato umano e storico, essa si assume il compito di conseguire, in base alla materia del dato, una conoscenza oggettiva della realtà spirituale e della connessione delle sue parti. Per la soluzione di questi compiti essa ha a disposizione soltanto la combinazione dei diversi tipi di dato e dei diversi tipi di procedimento. Nel gruppo che ha cercato di fondare teoricamente in maniera coerente questo punto di vista si sono naturalmente formati, al pari che nell’altro,

orientamenti molto differenti. Per lo più è stata determinante, per la diversità nella costruzione del mondo storico, un’antitesi che già aveva separato le scuole di Comte e di Mill. La connessione del mondo spirituale è data da una parte soltanto nell’esistenza psichica individuale e dall’altra nel corso storico e nelle condizioni sociali. E in quanto la ricerca combina in maniera diversa queste due specie di dati secondo la concezione che ha della loro importanza, da questa posizione deriva una molteplicità di procedimenti nella costruzione delle scienze dello spirito. Essa va da coloro che tendono a procedere senza alcuna psicologia fino a quelli che le attribuiscono nelle scienze dello spirito la posizione che la meccanica riveste nelle scienze della natura. Altre differenze si fanno valere nella fondazione gnoseologica e logica della costruzione, nell’elaborazione della psicologia o della scienza relativa alle unità viventi, nella determinazione delle regolarità che derivano dai rapporti sociali tra queste unità. E da tali differenze dipendono alla fine le molteplici soluzioni delle questioni ultime sulle leggi storiche e sociali, sul progresso, sull’ordine che sussiste nel corso storico. 5. Cerco ora di determinare il compito che, all’interno di questo movimento scientifico, si è posta l’indagine presente sulla costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito. Essa si collega al primo volume della mia Einleitung in die Geisteswissenschaften (1883). Questo lavoro procedeva dal compito di una critica della ragione storica. Esso si basava sul fatto delle scienze dello spirito, quale si presentava in particolare nella connessione di queste discipline creata dalla scuola storica, e ne ricercava la fondazione gnoseologica. In questa fondazione esso si opponeva all’intellettualismo allora dominante nella teoria della conoscenza. «L’indagine sia storica sia psicologica sull’uomo intero mi ha condotto a porre questo essere considerato nella molteplicità delle sue forze, questo essere volente, senziente, percipiente, a base anche della spiegazione della conoscenza e dei suoi concetti (come quelli di mondo esterno, tempo, sostanza, causa»k. I suoi punti di partenza erano quindi la vita e la comprensionel, il rapporto tra realtà, valore, scopo, contenuto nella vita; ed essa si è proposta di porre in luce la posizione autonoma delle scienze dello spirito nei confronti delle scienze della natura, di mostrare i tratti fondamentali della connessione logico-gnoseologica presente in questa compiuta totalità, e di far valere il significato della comprensione del singolare nella storia. Tento ora di giustificare in maniera più approfondita il punto di vista sostenuto nel mio libro, indagando a partire dal problema della teoria della conoscenza la costruzione del mondo storico nelle scienze dello

spirito. La connessione tra il problema della conoscenza e questa costruzione risiede nel fatto che l’analisi di tale costruzione conduce a un cooperare di funzioni, le quali diventano, in virtù di una tale analisi, accessibili all’indagine gnoseologica. Indico anzitutto brevemente la linea che deve condurre dalle considerazioni precedenti alla conoscenza di questa costruzione, per porre in luce già qui l’antitesi tra la costruzione delle scienze della natura e quella delle scienze dello spirito. Abbiamo descritto la situazione delle scienze dello spirito, quali si sono sviluppate nell’epoca della loro costituzione; si è inoltre mostrato come queste scienze siano fondate nell’Erleben e nella comprensione; partendo di qui si deve penetrare la loro costruzione, implicita nella loro autonoma costituzione da parte della scuola storica, e in questo modo viene in luce la completa diversità di questa costruzione rispetto alla costruzione delle scienze della natura. La configurazione autonoma della costruzione delle scienze dello spirito diventa così il tema principale di tutto questo lavoro. Essa procede dall’Erlebnis, di realtà in realtà; essa consiste in una penetrazione sempre più profonda nella realtà storica, un attingere sempre più da essa, un estendersi sempre più ampiamente al di sopra di essa. Non vi sono assunzioni ipotetiche che vogliano porre qualcosa a base del dato. Infatti la comprensione penetra nelle manifestazioni di vita altrui in virtù di una trasposizione che muove dalla pienezza dei propri Erlebnisse. La natura, abbiamo visto, è un elemento della storia solamente in quanto agisce su di essa e può esserne influenzata. Il dominio vero e proprio della storia è certo anch’esso esterno; i suoni che costituiscono il pezzo musicale, la tela su cui si è dipinto, l’aula giudiziaria in cui viene amministrato il diritto, la prigione in cui viene scontata la pena, traggono dalla natura soltanto il loro materiale; ogni operazione delle scienze dello spirito, intrapresa con tali elementi esteriori, ha invece a che fare soltanto con il senso e il significato che hanno tratto dall’agire dello spirito; essa serve alla comprensione, la quale coglie in essi questo significato, questo senso. E ora procediamo oltre ciò che abbiamo già illustrato. Questa comprensione non designa soltanto un atteggiamento metodologico peculiare che assumiamo di fronte a tali oggetti; non si tratta soltanto di una differenza tra scienze dello spirito e scienze della natura in merito alla posizione del soggetto di fronte all’oggetto, cioè di una forma di atteggiamento o di un metodo, ma il procedimento della comprensione è fondato oggettivamente nel fatto che l’elemento esterno, il quale costituisce il suo oggetto, si distingue completamente dall’oggetto delle scienze della

natura. In essi lo spirito si è oggettivato, si sono formati scopi e realizzati valori, e la comprensione coglie appunto questo elemento spirituale che è loro intrinseco: tra me ed essi sussiste un rapporto vitale. La loro conformità allo scopo è fondata nella mia posizione di scopi, la loro bellezza e la loro bontà nella mia determinazione di valori, la loro intelligibilità nel mio intelletto. Queste realtà, inoltre, non si presentano soltanto nel mio Erleben e nella mia comprensione: esse costituiscono la connessione del mondo rappresentativo in cui il dato esterno è collegato con il mio corso vitale: io vivo in questo mondo rappresentativo, e la sua validità oggettiva mi è garantita dal continuo scambio con l’Erleben e la comprensione degli altri; infine i concetti, i giudizi generali e le teorie generali non sono ipotesi su qualcosa a cui noi riferiamo le impressioni esterne, ma derivano dall’Erleben e dalla comprensione. E come in questo è sempre presente la totalità della nostra vita, così la sua pienezza risuona anche nelle proposizioni più astratte di tali scienze. In questo modo possiamo ora riassumere il rapporto tra le due classi di discipline e le differenze fondamentali della loro costruzione, quali sono state poste in luce finora. La natura è il substrato delle scienze dello spirito. La natura non è soltanto il palcoscenico della storia; i processi fisici, la necessità in essi insita e gli effetti che ne derivano, formano il substrato di tutti i rapporti, dell’agire e del subire, dell’azione e della reazione nel mondo storico, e il mondo fisico costituisce anche il materiale per l’intero dominio in cui lo spirito ha espresso i suoi scopi, i suoi valori, ossia la sua essenza: su questa base si innalza però la realtà in cui le scienze dello spirito penetrano sempre più profondamente da due lati — dall’Erleben dei propri stati e dalla comprensione dell’elemento spirituale oggettivato nel mondo esterno. È così data la distinzione tra due specie di scienze. Nella natura esterna la connessione sottostà ai fenomeni in un nesso di concetti astratti, mentre nel mondo spirituale la connessione è vissuta immediatamente e viene compresa. La connessione della natura è astratta, la connessione psichica e storica è vivente, piena di vita. Le scienze della natura integrano i fenomeni con un elemento concettuale; e se le proprietà del corpo organico e il principio di individuazione nel mondo organico si sono finora opposti a una tale penetrazione, tuttavia rimane ancor sempre in esse il postulato di una penetrazione siffatta, per la cui attuazione mancano solo elementi causali intermedi; il loro ideale è pur sempre che questi devono venir rintracciati, e sempre la concezione che vuole introdurre un nuovo principio esplicativo in questo livello intermedio tra la natura inorganica e lo spirito si scontrerà in un

conflitto non composto con questo ideale. Le scienze dello spirito istituiscono un ordine in quanto viceversa ritraducono dapprima e principalmente la realtà esterna storico-sociale dell’uomo, che si estende senza misura, nella vitalità spirituale da cui essa è scaturita. Là per spiegare l’individuazione si va in cerca di motivi ipotetici, qui invece se ne colgono immediatamente le cause nella vitalità. Da ciò deriva la posizione nei confronti della teoria della conoscenza che assumeranno le indagini seguenti sulla costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito. Il problema centrale della teoria della conoscenza riferita esclusivamente alle scienze della natura consiste nella fondazione delle verità astratte, del loro carattere di necessità e della legge causale, nonché nella relazione di certezza delle inferenze induttive con i loro fondamenti astratti. E dato che la teoria della conoscenza fondata sulle scienze della natura si è scissa nelle direzioni più diverse, in modo tale che a molti può sembrare che essa condivida il destino della metafisica, d’altra parte però già lo sguardo che abbiamo dato finora alla costruzione delle scienze dello spirito ha mostrato la grandissima diversità di posizione della conoscenza dell’oggetto in questo ambito: il progresso della teoria generale della conoscenza sembra quindi dipendere anzitutto dalla sua capacità di affrontare le scienze dello spirito. Ciò richiede però che partendo dal problema della teoria della conoscenza si passi a studiare la costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito; soltanto allora la teoria generale della conoscenza potrà essere sottoposta a revisione sulla base dei risultati di questo studio.

3. PRINCÌPI GENERALI INTORNO ALLA CONNESSIONE DELLE SCIENZE DELLO SPIRITO La fondazione delle scienze dello spirito deve assolvere tre diversi compiti. Essa determina il carattere generale della connessione in cui, sulla base del dato, sorge in questo campo un sapere universalmente valido: si tratta qui della struttura logica generale delle scienze dello spiritom. Occorre poi illustrare la costruzione del mondo spirituale nei suoi campi particolari, quale si compie nelle scienze dello spirito attraverso l’intreccio delle loro operazioni. Questo è il secondo compito, e nel corso della sua soluzione verrà gradualmente in luce, per astrazione dal loro stesso procedimento, la dottrina del metodo delle scienze dello spirito. Infine si cercherà quale sia il valore conoscitivo di queste operazioni delle scienze dello spirito e in quale misura sia possibile, mediante la loro cooperazione, un sapere oggettivo nell’ambito delle scienze dello spirito. Tra questi due ultimi compiti c’è una connessione interna piuttosto stretta. La distinzione delle varie operazioni rende possibile provarne il valore conoscitivo, e questo esame mostra in quale misura sia possibile, in virtù di esse, tradurre in sapere la realtà che è oggetto delle scienze dello spirito e la connessione reale in essa sussistente: in tale maniera si otterrà per il nostro campo un fondamento autonomo della teoria della conoscenza, e si apre la visione di una connessione generale della teoria della conoscenza, il cui punto di partenza risieda nelle scienze dello spirito. Il carattere generale della connessione nelle scienze dello spirito è dunque il nostro prossimo problema. Il punto di partenza è la dottrina della struttura dell’apprendere oggettuale in genere. Essa mostra in ogni apprendere una linea progressiva dal dato ai rapporti fondamentali della realtà, che dietro di quello si rivelano al pensiero concettuale. Le medesime forme di pensiero e le medesime classi di operazioni del pensiero, ad esse subordinate, rendono possibile nelle scienze della natura e nelle scienze dello spirito la connessione scientifica. Su questa base sorgono poi, nell’applicazione di quelle forme e di quelle operazioni del pensiero ai compiti particolari e sotto le condizioni particolari delle scienze dello spirito, i metodi specifici di queste. E poiché i compiti delle scienze suscitano i metodi per la loro soluzione, i singoli procedimenti costituiscono una connessione interna, condizionata dallo scopo del sapere. SEZIONE I. L’APPRENDERE OGGETTUALE

L’apprendere oggettuale costituisce un sistema di relazioni nel quale sono contenuti percezioni ed Erlebnisse, rappresentazioni del ricordo, giudizi, concetti, inferenze, insieme alle loro forme composte. A tutte queste operazioni nel sistema dell’apprendere oggettuale è comune la presenza soltanto di relazioni di fatto: così nel sillogismo sono presenti soltanto i contenuti e le loro relazioni, e non lo accompagna alcuna coscienza di operazioni del pensiero. Il procedimento che pone a base del dato, come sue condizioni di coscienza, atri particolari che vengono concepiti come corrispondenti alle relazioni di fatto, derivando dalla loro cooperazione la realtà dell’apprendere oggettuale, contiene un’ipotesi che non può mai essere verificata. I vari Erlebnisse all’interno di questo apprendere oggettuale sono elementi di una totalità che è determinata dalla connessione psichica. In questa connessione psichica la conoscenza oggettiva della realtà è la condizione per una esatta determinazione dei valori e per un agire conforme allo scopo. Così il percepire, il rappresentare, il giudicare, l’inferire sono operazioni che cooperano nella teleologia della connessione dell’apprendere, la quale assume poi il suo posto nella connessione della vita. 1. La prima operazione dell’apprendere oggettuale sul dato eleva a coscienza distinta ciò che in esso è contenuto, senza che si abbia un mutamento nella forma della datità. Io chiamo primaria questa operazione in quanto l’analisi che procede all’indietro a partire dal pensiero discorsivo non ritrova nessuna operazione più semplice. Essa si pone al di là del pensiero discorsivo, il quale è legato al linguaggio e si svolge nei giudizi; poiché gli oggetti, su cui si giudica, presuppongono già operazioni del pensiero. Comincio qui con l’operazione della comparazione. Io trovo il simile e il dissimile, colgo gradi di distinzione. Davanti a me stanno due foglioline di diverso colore grigio: si osserva la diversità e il grado di diversità nel colore non già in base a una riflessione sul dato ma come uno stato di fatto, poiché il colore stesso è uno stato di fatto del genere. Del pari distinguo, nella mia esperienza immediata, dei gradi di piacere, quando passo dal tocco di un suono determinato e della sua ottava a una completa armonia. Questa operazione del pensiero, con cui ha a che fare soltanto la logica, è semplice. E il suo risultato, in rapporto al suo valore di verità, non è diverso dal percepire un colore o un suono: qualcosa che esiste diventa percepibile. Identità e differenza non sono qualità delle cose come l’estensione o il colore: esse sorgono in quanto l’unità psichica reca alla coscienza rapporti che sono

contenuti nel dato. E dal momento che stabilire un’identità e stabilire differenze trovano soltanto ciò che è dato, così come sono dati l’estensione e il colore, essi costituiscono un analogo della percezione stessa; ma in quanto creano concetti di rapporti logici come quelli di identità, di differenza, di grado, di affinità, contenuti nella percezione ma non dati in questa, essi appartengono al pensiero. — Sulla base di questa operazione della comparazione sorge un’altra operazione. Quando separo due stati di fatto siamo, dal punto di vista logico — e non si tratta affatto di processi psicologici — di fronte a un’operazione del pensiero diversa dalla distinzione. Nel dato sono presenti separatamente due stati di fatto, e viene colta la loro estraneità. Così in un bosco una voce umana, il rumore del vento, il canto di un uccello vengono colti non soltanto come distinti tra di loro, ma anche come una pluralità. Quando un suono della stessa qualità, cioè della stessa altezza, dello stesso timbro, della stessa intensità e della stessa durata, ricorre una seconda volta in un altro punto del corso temporale, in questa seconda operazione del pensiero emerge la coscienza che il secondo suono è diverso dal primo. Un ulteriore rapporto viene colto in un secondo caso di separazione. In una foglia verde posso separare tra loro colore e forma, e allora ciò che sta insieme nell’unità dell’oggetto, e che non può venir separato realmente, diventa tuttavia separabile idealmente. Anche quando le condizioni preliminari di quest’operazione di separazione sono molto complesse, l’operazione stessa è tuttavia semplice. Essa è determinata, al pari della comparazione, dal contenuto di fatto che consente di cogliere. E qui si apre la prospettiva sul processo di astrazione, così importante per la costruzione della logica. La distinzione delle membra di un corpo inerisce alla realtà concreta del corpo; in ognuna delle sue parti si mantiene questa realtà concreta, ma quando estensione e colore vengono separati tra di loro, e il pensiero si volge al colore, da tale distinzione sorge allora l’operazione dell’astrazione: di ciò che è stato idealmente separato viene posto in evidenza un aspetto. L’unione di vari elementi distinti si può compiere soltanto sulla base di una relazione tra questi vari elementi. Noi cogliamo la situazione spaziale di elementi distinti, o gli intervalli in cui i processi si succedono temporalmente. Anche questo mettere in relazione e questo unire portano soltanto a coscienza rapporti che già sussistono; ma ciò avviene mediante operazioni del pensiero che hanno a base relazioni come quelle di spazio e di tempo, di agire e subire. Questo collegare è la condizione perché si costituisca l’intuizione del tempo.

Quando il battito di un orologio si sussegue varie volte di seguito, è presente soltanto il succedersi di queste impressioni, ma solo collegandole diventa possibile cogliere questa successione. Questo collegare dà luogo al rapporto logico di una totalità con le sue parti. Sulla base dei rapporti di separazione e della graduale differenza delle relazioni contenute nel sistema di suoni sorge, nel collegamento dei suoni, un elemento così condizionato che viene però in luce soltanto nel collegamento stesso, e cioè l’accordo o la melodia. Qui appare particolarmente chiaro come il collegare abbia luogo in ciò che è contenuto nell’Erlebnis della percezione e del ricordo, e come tuttavia in esso sorga qualcosa che non esisterebbe senza quel collegare. Noi ci troviamo qui ai limiti che conducono al di là della determinazione di ciò che è contenuto in tali rapporti, nella regione della libera fantasia. Questi esempi — e non si tratta di nulla di più — dimostrano che le operazioni elementari del pensiero spiegano il dato. Precedendo il pensiero discorsivo, esse ne contengono le premesse, in quanto nel trovare somiglianze si preparano la formazione dei giudizi e dei concetti generali e il procedimento comparativo, nel separare le astrazioni e il procedimento analitico, e infine nelle relazioni ogni specie di operazione sintetica. Così una connessione fondativa interna va dalle operazioni elementari del pensiero al pensiero discorsivo, dal cogliere il contenuto di fatto degli oggetti ai giudizi su di essi. Ciò che è percepito sensibilmente o immediatamente vissuto trapassa, in un grado ulteriore di coscienza, nella rappresentazione del ricordo. In essa si compie un’ulteriore operazione dell’apprendere oggettuale, a cui corrisponde un particolare rapporto della nuova formazione con il suo fondamento. Questo rapporto della rappresentazione del ricordo con ciò che è colto sensibilmente e con il contenuto dell’Erlebnis è un rapporto di riproduzione. Infatti la libera mobilità delle rappresentazioni è, nel campo dell’apprendere oggettuale, limitata dall’intenzione di adeguarsi alla realtà, e tutti i modi di formazione delle rappresentazioni sono determinati dall’orientamento verso la realtà. In questo orientamento sorgono rappresentazioni totali e rappresentazioni generali, preparando un nuovo grado di coscienza. Questo nuovo grado si presenta nel pensiero discorsivo. Il rapporto di riproduzione cede qui il posto a un’altra relazione entro l’apprendere oggettuale. Il pensiero discorsivo è legato all’espressione, in primo luogo al linguaggio. In ciò consiste la relazione dell’espressione con ciò che è espresso, mediante la quale dai movimenti degli organi del linguaggio e dalle rappresentazioni dei

loro prodotti sorgono le forme linguistiche. La relazione con ciò che in esse viene espresso costituisce la loro funzione. Esse hanno un significato come elementi della proposizione, mentre la proposizione medesima ha un senso. L’orientamento dell’apprendere va dalla parola e dalla proposizione all’oggetto che esse esprimono. Sorge così la relazione tra la proposizione grammaticale, o l’espressione effettuata mediante altri segni, e il giudizio che produce tutte le parti del pensiero discorsivo. Qual è ora il rapporto tra il dato o il contenuto rappresentativo, condizionato dalle precedenti operazioni degli Erlebnisse dell’apprendere, e il giudizio? In questo uno stato di fatto viene predicato di un oggetto: da ciò deriva che non si può qui parlare di una riproduzione del dato o del contenuto rappresentativo. Dalla connessione di pensiero procedo alla determinazione positiva del rapporto. Ogni giudizio è analiticamente contenuto in essa, e viene considerato come suo elemento. Nella connessione di pensiero dell’apprendere oggettuale ogni sua parte si riferisce, per il tramite della connessione in cui è inserito, al fatto di essere contenuto nella realtà. Questa è infatti la regola suprema a cui sottostà ogni giudizio: esso deve essere contenuto nel dato secondo le leggi formali del pensiero e secondo le forme del pensiero. Anche giudizi che esprimono proprietà o azioni di Zeus o di Amleto sono riferiti, nella connessione del pensiero, a un dato. Così tra il giudizio e le forme finora illustrate dell’apprendere oggettuale sorge un nuovo rapporto; ed esso mostra due aspetti. Questa duplicità è determinata dal fatto che il giudizio da una parte è fondato nel dato, ma dall’altra rende esplicito ciò che in questo è contenuto solo implicitamente, soltanto come qualcosa che può esserne inferito. Nella prima relazione sorge il rapporto di rappresentanza69: il giudizio rappresenta per mezzo di elementi del pensiero che soddisfano le esigenze di costanza, chiarezza, distinzione proprie del sapere, e mediante un’unione stabile con segni verbali, i contenuti di fatto che sono racchiusi nel dato. Considerati da un altro lato, i giudizi realizzano l’intenzione dell’apprendere oggettuale di avvicinarsi, a partire dal condizionato, dal particolare e dal mutevole, ai rapporti fondamentali della realtà. Il rapporto di rappresentanza si estende all’intera connessione del pensiero discorsivo nell’apprendere oggettuale, in quanto questo si compie mediante il giudicare. Il dato nella sua concreta intuitività e il mondo di rappresentazioni che lo riproduce vengono rappresentati, in ogni forma del pensiero discorsivo, da un sistema di relazioni tra elementi stabili del pensiero. E a ciò corrisponde,

nella direzione inversa, che nel ritorno all’oggetto questo conferma, verifica, nella pienezza della sua esistenza intuitiva, il giudizio o il concetto. Proprio per le scienze dello spirito è particolarmente importante che tutta la freschezza e tutta la potenza dell’Erlebnis ritornino poi direttamente, o nella direzione che va dalla comprensione all’Erleben, a quest’ultimo. Il rapporto di rappresentanza implica che, in determinati limiti, il dato e ciò che è pensato discorsivamente siano scambiabili. Se si sottopone ad analisi la connessione del pensiero discorsivo, in essa si presentano dei modi di relazione i quali ricorrono regolarmente indipendentemente dal mutare dei contenuti del pensiero e sussistono al tempo stesso in ogni luogo della connessione del pensiero, nonché in rapporto interno tra di loro. Queste forme del pensiero sono il giudizio, il concetto e il sillogismo; esse si presentano in ogni parte della connessione del pensiero discorsivo e ne formano l’intelaiatura. Ma anche le classi di operazioni del pensiero discorsivo che sono subordinate a queste forme elementari — la comparazione, l’analogia, l’induzione, la partizione, la definizione, e infine il nesso di fondazione — sono indipendenti dalla delimitazione dei singoli ambiti del pensiero, in particolare dalla delimitazione reciproca delle scienze della natura e delle scienze dello spirito. Esse si distinguono secondo i compiti dell’intera connessione del pensiero che la realtà pone secondo i suoi rapporti generali, mentre sono le forme particolari del metodo a esser condizionate dalle proprietà dei singoli ambiti. Alla regolarità di queste forme corrisponde la validità della loro prestazione concettuale, e di questa acquistiamo certezza mediante la coscienza dell’evidenza. E le proprietà più generali a cui è collegata in queste diverse forme tale validità, indipendente dal mutare degli oggetti e costante nel venire e nell’andare degli Erlebnisse del pensiero e dei loro soggetti, trovano la loro espressione nelle leggi del pensiero. Noi non abbiamo bisogno, quando passiamo dai giudizi di realtà ai giudizi necessari, di superare il rapporto di rappresentanza. Un assioma di geometria è necessario poiché esprime i rapporti fondamentali ovunque determinabili con l’analisi nell’intuizione spaziale, e parimenti il carattere di necessità delle leggi del pensiero è spiegato a sufficienza dal fatto che esse sono ovunque contenute analiticamente nella connessione del pensiero. Un metodo scientifico sorge in quanto le forme e le operazioni generali del pensiero vengono collegate in un tutto composto mediante lo scopo racchiuso nella soluzione di un determinato compito scientifico. Se si presentano

problemi simili al compito che ci si è proposto, allora il metodo applicato a un campo limitato si rivelerà fecondo anche per un campo più ampio. Spesso nello spirito del suo scopritore un metodo non è ancora legato alla coscienza del carattere logico e della sua estensione: questa coscienza si aggiunge soltanto in seguito. Dato che il concetto di metodo si è per secoli sviluppato particolarmente nell’uso linguistico degli scienziati naturali, anche il procedimento che tratta una questione di dettaglio, e che è quindi assai più complesso, può venir designato con il nome di metodo. Quando si imboccano vie differenti per la soluzione dello stesso problema, esse vengono differenziate come metodi diversi. Dove le forme di procedere di uno spirito inventivo mostrano proprietà comuni, la storia delle scienze parla di un metodo di Cuvier in paleontologia o di un metodo di Niebuhr nella critica storica. Con la dottrina del metodo entriamo nel campo in cui comincia a farsi valere il carattere particolare delle scienze dello spirito. Tutti gli Erlebnisse dell’apprendere oggettuale sono, entro la sua connessione teleologica, rivolti a cogliere ciò che è, vale a dire la realtà. Il sapere costituisce una serie graduale di operazioni: il dato viene spiegato nelle operazioni elementari del pensiero, riprodotto nelle rappresentazioni, e viene tradotto nel pensiero discorsivo e così rappresentato in modi differenti. Perciò la spiegazione del dato mediante le operazioni elementari del pensiero, la riproduzione nella rappresentazione ricordata e la rappresentanza nel pensiero discorsivo possono venir subordinate al più ampio concetto di rappresentazione70. Tempo e ricordo liberano l’apprendere dalla dipendenza dal dato e compiono una selezione di ciò che è significativo per l’apprendere; il particolare viene sottoposto agli scopi dell’apprendimento della realtà attraverso la relazione con il tutto e mediante la subordinazione sotto il generale; la variabilità del dato intuitivo viene elevata a rappresentazione universalmente valida in una relazione di concetti; e ciò che è concreto viene riportato, attraverso l’astrazione e il procedimento analitico, a serie uniformi le quali permettono asserzioni di regolarità, oppure penetrato nella sua articolazione attraverso un’opera di suddivisione. L’apprendere tende così a esaurire sempre di più ciò che è accessibile nel dato. 2. Gli Erlebnisse che appartengono all’apprendere oggettuale sono logicamente collegati in due direzioni. Nell’una gli Erlebnisse sono in rapporto reciproco in quanto cercano, come gradi nel processo di apprendimento del medesimo oggetto, di esaurirlo mediante ciò che è contenuto nell’Erleben o

nell’intuire, e nell’altra l’apprendimento collega un elemento di fatto con l’altro mediante le relazioni che vengono colte tra di loro. Là si ha un approfondimento nell’oggetto particolare e qui un’estensione universale: approfondimento ed estensione dipendono l’uno dall’altra. Intuizione, ricordo, rappresentazione totale, denominazione, giudizio, subordinazione del particolare all’universale, collegamento delle parti in un tutto — queste sono forme dell’apprendere: senza che l’oggetto debba mutare, cambia il modo della coscienza in cui esso esiste per noi, quando si passa dall’intuizione al ricordo o al giudizio. L’orientamento verso lo stesso oggetto, ad essi comune, le collega in una connessione teleologica, in cui hanno posto soltanto quegli Erlebnisse che compiono qualche operazione nella direzione di questo determinato elemento oggettuale. Da questo carattere teleologico della connessione, che qui si presenta, è condizionato il passaggio da un elemento all’altro all’interno di essa. E finché l’Erlebnis non è pienamente esaurito, o l’oggettività data parzialmente e unilateralmente nelle intuizioni particolari non è ancora pervenuta a un pieno apprendimento e a un’espressione compiuta, vi è sempre un elemento di insoddisfazione, e questo esige che si proceda oltre. Le percezioni che riguardano lo stesso oggetto sono legate tra di loro in una connessione teleologica, in quanto procedono riferendosi al medesimo oggetto. Così una particolare osservazione sensibile ne richiede sempre varie altre, le quali integrano l’apprendimento dell’oggetto. In questo processo d’integrazione è già necessario il ricordo, in quanto forma ulteriore dell’apprendere. Esso sta, entro la connessione dell’apprendere oggettuale, in un saldo rapporto con il fondamento intuitivo, cosicché ha la funzione di riprodurre e di ricordare questo fondamento, e quindi di mantenerlo utilizzabile per l’apprendere oggettuale. Qui si mostra assai chiaramente la distinzione tra l’apprendimento dell’Erlebnis del ricordo, il quale studia il processo che sta a suo fondamento nelle sue uniformità, e la nostra considerazione del ricordo in base alla sua funzione nella connessione dell’apprendere, secondo cui esso riproduce ciò che è immediatamente vissuto o appreso. Il ricordo può accogliere in sé, sotto un’impressione o sotto l’influenza di uno stato d’animo, molteplici contenuti distinti dal loro fondamento, e proprio qui hanno la loro origine le immagini estetiche della fantasia: ma il ricordo presente in tale connessione teleologica volta alla penetrazione dell’oggetto possiede l’orientamento verso l’identità con il contenuto intuitivo o vissuto dell’apprendere oggettuale. E che il ricordo abbia compiuto la sua funzione nell’apprendere oggettuale risulta dalla possibilità di

determinare la sua somiglianza con il fondamento percettivo dell’apprendimento dell’oggetto. In questo orientamento degli Erlebnisse conoscitivi verso un oggetto particolare è già dato il procedere verso qualcosa di sempre nuovo. I mutamenti nell’oggetto rimandano alla connessione produttiva in cui esso si trova, e poiché il contenuto di fatto può venir chiarito soltanto per mezzo di nomi, concetti, giudizi, è necessario un ulteriore passaggio dall’intuizione particolare all’universale. Se in questo primo orientamento si richiede quindi il passaggio alla totalità, all’elemento attivo, all’universale, a un compito del genere corrisponde il procedere dalle relazioni rintracciabili nel singolo oggetto a quelle che hanno luogo in connessioni oggettive di maggiori dimensioni. In tal modo il primo orientamento delle relazioni trapassa nel secondo. In quel primo orientamento erano legati tra di loro quegli Erlebnisse dell’apprendere che tendono a cogliere in maniera sempre più adeguata il medesimo oggetto mediante diverse forme di rappresentazione. Nel secondo sono invece collegati gli Erlebnisse che si estendono a oggetti sempre nuovi e che colgono le loro relazioni reciproche, sia nella stessa forma dell’apprendere sia attraverso l’unione di diverse sue forme. Sorgono cosÌ relazioni comprensive, le quali risultano particolarmente chiare nei sistemi omogenei che rappresentano rapporti di spazio, di suono o di numeron. Ogni scienza si riferisce a un’oggettualità suscettibile di delimitazione, in cui risiede la sua unità, e la connessione dell’ambito scientifico dà ai princìpi che esso racchiude la loro coerenza reciproca. Il completamento di tutte le relazioni contenute in ciò che è immediatamente vissuto o intuito costituirebbe il concetto di mondo: in esso si manifesta l’esigenza di esprimere tutto ciò che può venir immediatamente vissuto o intuito mediante la connessione delle relazioni del dato di fatto in esso contenute. Questo concetto di mondo è l’esplicazione dell’insieme che è dato in primo luogo nell’orizzonte spaziale. Spiegazione, riproduzione e rappresentanza sono gradi della relazione con il dato nei quali l’apprendere oggettuale si avvicina al concetto di mondo. Essi sono gradi, poiché in ognuna di queste posizioni dell’apprendere oggettuale quella precedente costituisce la base di quella successivao. SEZIONE II. LA STRUTTURA DELLE SCIENZE DELLO SPIRITO

In quanto questa connessione dell’apprendere oggettuale sottostà alle condizioni che sono contenute nelle scienze dello spirito, nasce la struttura particolare di queste discipline. Sulla base delle forme e delle operazioni

generali del pensiero si fanno qui valere compiti specifici, che trovano la loro soluzione nell’intreccio di metodi propri. Nell’elaborazione di queste forme di procedimento le scienze dello spirito sono state ovunque influenzate dalle scienze della natura; e poiché queste hanno elaborato prima i loro metodi, si è avuto in larga misura un loro adattamento ai compiti delle scienze dello spirito. Ciò risulta particolarmente evidente in due punti. I metodi comparativi che sono stati poi applicati in misura sempre maggiore alle scienze sistematiche dello spirito sono stati scoperti dapprima nella biologia, e i metodi sperimentali elaborati dall’astronomia e dalla fisiologia sono stati trasferiti alla psicologia, all’estetica e alla pedagogia. Ancora oggi, nel procedere alla soluzione di compiti particolari, lo studioso di psicologia, di pedagogia, di linguistica o di estetica si chiederà spesso se gli strumenti e i metodi scoperti nelle scienze della natura per la soluzione di problemi analoghi possano essere sfruttati nel proprio campo. Ma, nonostante tali punti particolari di contatto, la connessione delle forme di procedimento delle scienze dello spirito è, fin dall’inizio, diversa da quella delle scienze della natura. I. La vita e le scienze dello spirito Qui debbo occuparmi soltanto dei princìpi generali che sono decisivi per guardare alla connessione delle scienze dello spirito, poiché l’esposizione dei metodi rientra nella presentazione della costruzione delle scienze dello spirito. Due chiarimenti terminologici devono essere qui anticipati. Per unità della vita psichica intendo gli elementi del mondo storico-sociale; e con struttura psichica designo la connessione in cui, nelle unità della vita psichica, sono tra di loro legate operazioni diverse. 1. La vita. Le scienze dello spirito poggiano sul rapporto di Erlebnis, espressione e comprensione. Il loro sviluppo dipende quindi sia dall’approfondimento degli Erlebnisse sia dall’orientamento crescente a esaurire il loro contenuto, ed è al tempo stesso condizionato dall’estendersi della comprensione all’intera oggettivazione dello spirito e dalla capacità di cogliere in modo sempre più compiuto e metodico il contenuto spirituale delle diverse manifestazioni della vita. Il complesso di ciò che ci si rivela nell’Erleben e nella comprensione è la vita intesa come una connessione che abbraccia il genere umano. E quando per la prima volta ci troviamo di fronte a questo grande fatto, che per noi è il

punto di partenza non soltanto delle scienze dello spirito ma anche della filosofia, occorre ritornare al di qua della sua elaborazione scientifica e penetrare il fatto stesso nel suo stato grezzo. Infatti, dove la vita ci si presenta come uno stato di fatto proprio del mondo umano, noi incontriamo le determinazioni sue proprie nelle singole unità della vita, incontriamo rapporti vitali, presa di posizione, l’atteggiamento, l’azione sulle cose e sugli uomini e la sofferenza che ne deriva. Nello sfondo permanente da cui emergono le varie operazioni che abbiamo differenziato non c’è nulla che non contenga un rapporto vitale dell’io. Come tutto ha qui una posizione nei suoi confronti, altrettanto però la situazione dell’io muta continuamente secondo il rapporto che le cose e gli uomini hanno con esso. Non esiste nessun uomo e nessuna cosa che siano soltanto oggetti per me, e che non racchiudano una pressione o un vantaggio, il fine di una tendenza o un legame della volontà, un’importanza, un’esigenza di presa in considerazione, una vicinanza interna o una resistenza, una distanza e un’estraneità. Il rapporto vitale, sia esso limitato a un dato momento oppure durevole, fa sì che questi uomini e questi oggetti mi rechino felicità, amplino la mia esistenza, accrescano la mia forza, oppure vengano a limitare in questo rapporto lo spazio della mia esistenza, a esercitare una pressione su di me, a diminuire la mia forza. E ai predicati che le cose acquistano soltanto nel rapporto vitale con me corrisponde il mutare degli stati in me stesso che ne scaturisce. Su questo sfondo della vita emergono poi come tipi di atteggiamento, in innumerevoli sfumature che trapassano l’una nell’altra, l’apprendere oggettuale, la valutazione, la posizione di scopi. Essi sono collegati nel corso della vita in connessioni interne, le quali comprendono e determinano ogni attività e ogni sviluppo. Illustriamo tutto questo con il modo in cui il poeta lirico reca a espressione l’Erlebnis: egli muove da una situazione e ci fa vedere uomini e cose nel rapporto vitale con un io ideale, in cui la sua propria esistenza e, all’interno di essa, il corso dei suoi Erlebnisse vengono accentuate nella fantasia; e questo rapporto vitale determina ciò che il lirico genuino vede ed esprime degli uomini e delle cose e di se stesso. Parimenti il poeta epico può dire soltanto ciò che emerge in un rapporto di vita da lui raffigurato. Oppure, quando lo storico descrive situazioni e persone storiche, egli desterà l’impressione della vita reale quanto più ci fa vedere di questi rapporti vitali. Egli deve porre in luce le qualità degli uomini e delle cose che scaturiscono e agiscono in tali rapporti di vita — si potrebbe dire, deve dare alle persone, alle cose, ai processi, la forma e

la colorazione in cui essi hanno dato forma, dal punto di vista del rapporto vitale, a percezioni e a immagini ricordate presenti nella vita stessa. 2. L’esperienza della vita. L’apprendere oggettuale scorre nel tempo, e così in esso sono già contenute immagini rammemorate. E dato che con l’andar del tempo ciò che è immediatamente vissuto aumenta continuamente e si ritira sempre più sullo sfondo, sorge il ricordo del corso della propria vita. Parimenti si formano, sulla base della comprensione di altre persone, ricordi dei loro stati e immagini dell’esistenza delle diverse situazioni. E in tutti questi ricordi lo stato d’animo è sempre collegato con il suo ambiente di contenuti di fatto, di avvenimenti e di persone. Dalla generalizzazione di ciò che si presenta così insieme si costituisce l’esperienza della vita dell’individuo. Essa sorge in forme di procedimento che sono equivalenti a quelle dell’induzione. Il numero dei casi, in base ai quali questa induzione conclude, cresce di continuo nel corso della vita; e le generalizzazioni che si formano vengono continuamente corrette. La sicurezza che spetta all’esperienza personale della vita è distinta dalla validità universale di tipo scientifico: infatti queste generalizzazioni non sono compiute metodicamente, e non possono venir tradotte in formule rigorose. Il punto di vista individuale, che inerisce all’esperienza personale della vita, si corregge e si amplia nell’esperienza generale della vita. Con questa intendo i princìpi che si formano in una qualsiasi cerchia di persone in rapporto reciproco e che sono comuni ad esse. Si tratta di asserzioni sul corso della vita, di giudizi di valore, di regole della condotta di vita, di determinazioni di scopi e di beni. Il loro contrassegno sta nel fatto che esse sono creazioni della vita collettiva; ed esse riguardano tanto la vita dell’uomo singolo quanto la vita delle comunità. Sotto il primo aspetto, come costume, come consuetudine e, nella loro applicazione alla persona individuale, come opinione pubblica, esse esercitano, in virtù del prevalere del numero e del perdurare della comunità al di là della persona singola, un potere su di questa, sulla sua esperienza individuale della vita e sulla sua forza vitale, che sovrasta di regola la volontà di vita degli individui. La sicurezza di questa esperienza generale della vita è maggiore di quella personale, in quanto in essa i punti di vista individuali si equilibrano e cresce il numero dei casi che stanno a base dell’induzione. D’altra parte in questa esperienza generale si fa valere, in maniera ancor più forte che in quella individuale, l’incontrollabilità dell’origine del suo sapere dalla vita. 3. Differenze delle forme di atteggiamento nella vita e classi di

asserzioni nell’esperienza della vita. Nell’esperienza della vita si presentano ora diverse classi di asserzioni, le quali si rifanno a differenze di atteggiamento nella vita. Infatti la vita non è soltanto la fonte del sapere, considerata nel suo contenuto d’esperienza; le forme di atteggiamento tipiche dell’uomo condizionano pure le diverse classi di asserzioni. Qui si deve soltanto constatare provvisoriamente il fatto di questa relazione tra la diversità di atteggiamento della vita e le asserzioni dell’esperienza della vita. I diversi stati della vita sorgono nei rapporti di fatto della vita, che si presentano tra l’io da un lato e le cose e gli uomini dall’altro: situazioni differenziate dell’io, sentimenti di pressione o di incremento dell’esistenza, desiderio di un oggetto, timore o speranza. E come cose o uomini che esercitano una pretesa sull’io assumono uno spazio nella sua esistenza, come sono portatori di sollecitazioni o di impedimenti, oggetti di desiderio, di posizione di scopi, di distacco, così da questi rapporti vitali derivano d’altra parte le determinazioni ad essi relative, che si aggiungono all’apprendimento della realtà di uomini e di cose. Tutte queste determinazioni dell’io e degli oggetti o delle persone, quali scaturiscono dai rapporti vitali, vengono innalzate alla riflessione ed espresse nel linguaggio: così si presentano differenze sotto forma di asserzioni di realtà, desiderio, esclamazione, imperativo. Se si prendono ora in esame le espressioni che si riferiscono alle forme di atteggiamento, cioè alle varie prese di posizione dell’io nei confronti degli uomini e delle cose, risulta che esse rientrano in certe classi superiori. Esse determinano una realtà, valutano, designano una posizione di scopo, formulano una regola, esprimono il significato di un fatto all’interno della connessione più ampia in cui esso è inserito. Vengono inoltre in luce le relazioni tra queste forme di asserzione che sono contenute nell’esperienza della vita. Gli atti volti ad apprendere la realtà formano uno strato sul quale poggiano le valutazioni, e questo strato è a sua volta la base per le posizioni di scopo. Le forme di atteggiamento contenute nei rapporti vitali e i loro risultati vengono oggettivati nelle asserzioni che determinano queste forme in quanto stati di fatto; analogamente vengono rese indipendenti le predicazioni di uomini e di cose, che scaturiscono dai rapporti vitali. Questi stati di fatto vengono, nell’esperienza della vita, elevati a sapere universale mediante un procedimento equivalente all’induzione. Sorgono così le molteplici proposizioni che nella saggezza generalizzante del popolo e nella letteratura si

presentano sotto forma di proverbi, di regole di vita, di riflessioni sulle passioni, sui caratteri e sui valori della vita. Anche in queste ricorrono le differenze che si possono osservare nell’espressione delle nostre prese di posizione o delle nostre forme di atteggiamento. Nelle asserzioni dell’esperienza della vita si fanno valere ancora ulteriori differenze. Già nella vita medesima la conoscenza della realtà, la valutazione, la formulazione di regole, la posizione di scopi si sviluppano in gradi diversi, di cui ognuno ha a proprio presupposto l’altro. Nell’apprendimento oggettuale sono stati mostrati gradi del genere; ma essi sussistono parimenti nelle altre forme di atteggiamento. Così la valutazione dei valori di cose o di uomini presuppone che siano state determinate le possibilità di recare vantaggio o danno contenute negli oggetti, e una decisione diventa possibile soltanto attraverso la ponderazione del rapporto delle rappresentazioni di fine con la realtà e i mezzi, in essa dati, di realizzare queste rappresentazioni. 4. Le unità ideali come sostegni della vita e dell’esperienza della vita. Un’infinita ricchezza di vita si sviluppa nell’esistenza individuale delle varie persone in virtù dei loro rapporti con l’ambiente, gli altri uomini e le cose. Ma ogni individuo singolo è al tempo stesso un punto di incrocio di connessioni che attraversano gli individui e sussistono in essi, ma vanno al di là della loro vita e possiedono un’esistenza autonoma e un proprio sviluppo in virtù del contenuto, del valore, dello scopo che in essi si realizza. Sono cioè soggetti di carattere ideale. Ad essi è intrinseco qualche sapere intorno alla realtà; in essi si sviluppano punti di vista valutativi; in essi si realizzano scopi; per cui acquistano un significato nella connessione del mondo spirituale e lo affermano. Ciò avviene già in alcuni sistemi di cultura nei quali non c’è un’organizzazione che abbracci i suoi elementi, come avviene comunemente nell’arte e nella filosofia. Inoltre sorgono poi gruppi organizzati. Così la vita economica crea le sue consociazioni; nella scienza nascono centri per la realizzazione dei suoi compiti; le religioni danno vita, tra tutti i sistemi di cultura, alle organizzazioni più salde. Nella famiglia, nelle varie forme intermedie tra questa e lo stato, nello stato stesso si trova poi l’elaborazione più alta di una posizione unitaria di scopi all’interno di una comunità. Ogni unità organizzata di uno stato sviluppa una conoscenza di sé e delle regole, a cui è legata la sua permanenza, come della sua situazione nei confronti del tutto. Essa gode dei valori che si sono sviluppati nel suo grembo; essa realizza gli scopi che sono propri della sua essenza e che servono alla

conservazione e alla promozione della sua esistenza. Essa stessa è un bene dell’umanità, e realizza beni. Essa riveste un proprio significato nella connessione dell’umanità. Si raggiunge così il punto in cui la società e la storia si presentano al nostro sguardo. Sarebbe però erroneo voler limitare la storia al cooperare degli uomini in vista di scopi comuni. L’uomo singolo, nella sua esistenza individuale che poggia su se stessa, è un essere storico. Egli è determinato dalla sua posizione nella linea del tempo, dal suo luogo nello spazio, dalla sua situazione nell’azione reciproca dei sistemi di cultura e delle comunità. Lo storico deve quindi comprendere l’intera vita degli individui così come si manifesta in un determinato tempo e in un determinato luogo. È proprio l’intera connessione che va dagli individui, in quanto orientati verso lo sviluppo della propria esistenza, ai sistemi di cultura e alle comunità, e infine all’umanità, che costituisce la natura della società e della storia. I soggetti logici, a cui ci si riferisce nella storia, sono tanto individui singoli quanto comunità e connessioni. 5. L’emergere delle scienze dello spirito dalla vita degli individui e delle comunità. La vita, l’esperienza della vita e le scienze dello spirito stanno dunque in una costante connessione interna e in un costante scambio reciproco. Non già un procedimento concettuale costituisce il fondamento delle scienze dello spirito, bensì la consapevolezza di uno stato psichico nella sua totalità e il suo ritrovamento nel rivivere. La vita coglie qui la vita, e la forza con cui vengono compiute le due operazioni elementari delle scienze dello spirito è la condizione preliminare della loro compiutezza in ogni parte di esse. Così anche in questo punto si nota una differenza profonda tra le scienze della natura e le scienze dello spirito. In quelle la separazione del nostro rapporto con il mondo esterno sorge sulla base del pensiero naturalistico, le cui operazioni produttive sono esoteriche, mentre in queste si mantiene una connessione tra vita e scienza, in virtù della quale il lavoro di formazione del pensiero da parte della vita costituisce il fondamento della creazione scientifica. L’approfondimento in sé perviene nella vita, sotto certe circostanze, a una perfezione a cui non è pervenuto neppure Carlyle, e la comprensione degli altri viene qui condotta a un livello di virtuosismo che non ha raggiunto neppure Ranke. Là le grandi nature religiose, come Agostino e Pascal, sono i modelli eterni per l’esperienza che si nutre del proprio Erlebnis, qui nella comprensione delle altre persone, la corte e la politica

educano a un’arte che guarda al di là di ogni apparenza: un uomo di azione come Bismarck, al quale sono sempre presenti per sua natura, in ogni lettera che scrive e in ogni colloquio che conduce, i fini che egli si prefigge, non può venir eguagliato da nessun interprete di atti politici e da nessun critico di narrazioni storiche per ciò che riguarda l’arte di leggere le intenzioni dietro l’espressione. Tra la penetrazione di un dramma da parte di un ascoltatore di forte sensibilità poetica e la più eccellente analisi di storia letteraria non c’è, in parecchi casi, alcuna distanza. E anche l’elaborazione concettuale è costantemente determinata, nelle scienze della storia e della società, dalla vita medesima: mi riferisco alla connessione che conduce continuamente dalla vita, dall’elaborazione concettuale, passando per il destino, i caratteri, le passioni, i valori e gli scopi dell’esistenza, fino alla storia come disciplina scientifica. Nell’epoca in cui, in Francia, l’agire politico era fondato più sulla conoscenza degli uomini e delle personalità eminenti che su uno studio scientifico del diritto, dell’economia e dello stato, e la posizione nella vita di corte poggiava su tale arte, anche la forma letteraria delle memorie e degli scritti sui caratteri e sulle passioni è pervenuta a un culmine non più raggiunto in seguito, ed è stata coltivata da persone che erano scarsamente influenzate dallo studio scientifico della psicologia e della storia. Una connessione interna congiunge qui l’osservazione della società aristocratica, gli scrittori e i poeti che da essa imparano, i filosofi sistematici e gli storici scientifici che si formano sulla poesia e sulla letteratura. Si è visto, agli inizi della scienza politica presso i Greci, che lo sviluppo dei concetti relativi alle costituzioni e alle funzioni politiche sono sorte dalla stessa vita statale, e che nuove creazioni in questa hanno poi condotto a nuove teorie. Questo rapporto risulta particolarmente evidente negli stadi più antichi della scienza giuridica, sia presso i Romani sia presso i Germani. 6. La connessione delle scienze dello spirito con la vita e il loro compito di validità universale. Così il sorgere dalla vita e la connessione permanente con essa costituisce il primo tratto fondamentale della struttura delle scienze dello spirito; esse poggiano infatti sull’Erleben, sulla comprensione e sull’esperienza della vita. Questo rapporto immediato, in cui stanno tra di loro la vita e le scienze dello spirito, conduce in queste discipline a un conflitto tra le tendenze della vita e il loro fine scientifico. Dal momento che gli storici, gli economisti, i teorici del diritto pubblico, gli studiosi della religione sono inseriti nella vita, vogliono influenzarla. Essi sottopongono al loro giudizio persone storiche, movimenti di

massa, orientamenti, e questo giudizio è condizionato dalla loro individualità, dalla nazione a cui appartengono, dall’epoca in cui vivono. Anche quando credono di procedere senza presupposti, essi sono determinati da questo loro orizzonte: ogni analisi intrapresa sui concetti di una generazione passata mostra che in questi sono contenuti elementi i quali sono sorti dai presupposti dell’epoca. Al tempo stesso, però, in ogni scienza in quanto tale è contenuta l’esigenza della validità universale. Se devono esserci scienze dello spirito nel significato rigoroso del termine, esse devono porsi questo fine in maniera sempre più consapevole e più critica. Sul conflitto tra queste due tendenze si basa gran parte dei contrasti scientifici che si sono fatti valere, negli ultimi tempi, nella logica delle scienze dello spirito. Questo conflitto si manifesta nella maniera più forte entro la scienza storica: essa è diventata il punto centrale in questa discussione. La composizione di questo conflitto si ha soltanto nella costruzione delle scienze dello spirito; gli ulteriori princìpi generali sulla connessione delle scienze dello spirito già contengono il principio di tale composizione. Il risultato a cui siamo arrivati finora rimane. La vita e l’esperienza della vita sono le fonti sempre fresche della comprensione del mondo storico-sociale; la comprensione procede dalla vita verso sempre nuove profondità; soltanto nella reazione sulla vita e sulla società le scienze dello spirito pervengono al loro significato più alto, e questo significato si accresce continuamente. Ma la strada verso questo effetto deve passare attraverso l’oggettività della conoscenza scientifica. La coscienza di ciò era già operante nella grande epoca creativa delle scienze dello spirito. Dopo parecchie perturbazioni che si possono riscontrare nel corso del nostro sviluppo nazionale, ma anche nell’applicazione di un ideale culturale unilaterale a partire da Burckhardt71, noi siamo ora animati dall’aspirazione a elaborare questa oggettività delle scienze dello spirito in maniera sempre più priva di presupposti, più critica, più rigorosa. Io trovo il principio per la composizione del conflitto che si presenta in queste scienze nella comprensione del mondo storico come una connessione produttiva che è incentrata in se stessa, in quanto ogni connessione produttiva particolare in essa contenuta ha in sé il proprio centro, in virtù della posizione di valori e della realizzazione di valori, ma tutte sono congiunte strutturalmente in una totalità nella quale il senso della connessione del mondo storico-sociale scaturisce dalla significatività delle singole parti; cosicché ogni giudizio di valore e ogni posizione di scopi, che sia rivolta verso il futuro, devono essere fondati esclusivamente in questa connessione

strutturale. A tale principio ideale ci avviciniamo nei seguenti princìpi generali sulla connessione delle scienze dello spirito. II. Le forme di procedimento in cui è dato il mondo spirituale La connessione delle scienze dello spirito è determinata dal suo fondamento nell’Erleben e nella comprensione, e in entrambi si fanno subito valere differenze profonde rispetto alle scienze della natura, le quali danno un carattere proprio alla costruzione delle scienze dello spirito. 1. La linea delle rappresentazioni che procede dall’Erlebnis. Ogni immagine ottica è diversa da un’altra, che si riferisca al medesimo oggetto, per il punto di vista e per le condizioni dell’apprendimento. Queste immagini sono collegate in un sistema di relazioni interne in virtù dei vari modi di apprendere oggettuale. La rappresentazione totale, che sorge in tal modo dalla serie delle immagini secondo i rapporti fondamentali racchiusi nel contenuto di fatto, è qualcosa di rappresentato, di pensato in aggiunta. Gli Erlebnisse sono invece collegati tra di loro in un’unità vitale entro il corso del tempo; e ognuno di essi ha così il suo posto in un corso i cui elementi sono uniti reciprocamente nel ricordo. Non parlo qui ancora del problema della realtà di questi Erlebnisse, e tanto meno delle difficoltà che l’apprendimento di un Erlebnis comporta: basta che il modo in cui l’Erlebnis esiste per me sia del tutto diverso dal modo in cui stanno davanti a me le immagini. La coscienza di un Erlebnis e della sua qualità, il suo esistere-per-me e ciò che in esso esiste per me, sono la stessa cosa: l’Erlebnis non si contrappone come un oggetto a chi lo apprende, ma la sua esistenza per me non è distinta da ciò che in esso esiste per me. Non vi sono posti diversi nello spazio da cui possa venir visto ciò che esiste in esso; e punti di vista differenti, da cui può venir appreso, possono sorgere soltanto in seguito nella riflessione, e non incidono sul suo carattere di Erlebnis. Esso è sottratto alla relatività di ciò che è dato sensibilmente, in base alla quale le immagini si riferiscono a qualcosa di oggettuale soltanto nella relazione con ciò che dev’essere appreso, con la sua posizione nello spazio e con quanto sta in mezzo tra di esso e gli oggetti. Una linea diretta di rappresentazioni procede dall’Erlebnis fino all’ordine dei concetti in cui esso viene appreso pensando. Esso viene anzitutto illustrato mediante le operazioni elementari del pensiero. E qui hanno il loro proprio significato i ricordi, in cui esso viene quindi appreso. E che cosa accade quando l’Erlebnis diventa oggetto della mia riflessione? Io sto sveglio di notte, mi preoccupo della possibilità di condurre a termine nella mia vecchiaia i

lavori iniziati, rifletto su ciò che si può fare. In questo Erlebnis c’è una connessione strutturale della coscienza: un apprendere oggettuale costituisce il suo fondamento, su questo poggia una presa di posizione sotto forma di preoccupazione per e di sofferenza a causa dell’elemento soggettivamente appreso, come tendenza a andare al di là di esso. E tutto ciò esiste per me in questa sua connessione strutturale. Io reco questo stato a coscienza distinta, pongo in luce ciò che in esso è strutturalmente collegato, lo isolo: ma tutto ciò che così pongo in luce è contenuto nell’Erlebnis stesso e viene solamente illustrato. Il mio apprendimento dell’Erlebnis stesso viene però sviluppato, sulla base degli elementi in esso contenuti, in Erlebnisse che, sebbene separati da un lungo spazio di tempo, erano strutturalmente congiunti nel corso della vita con tali elementi: io ho coscienza dei miei lavori in virtù di una precedente rassegna, e con questo stanno in relazione, in un passato molto lontano, i processi in cui sono sorti questi lavori. Un altro elemento si rivolge verso il futuro; ciò che mi sta davanti richiederà ancora un lavoro incalcolabile da parte mia; io ne sono preoccupato e mi dispongo interiormente a tale operazione. Tutto questo sopra, di e a, tutte queste relazioni di ciò che è immediatamente vissuto con ciò che è ricordato e anche con il futuro, mi spinge — all’indietro e in avanti. Essere trascinato in questa serie poggia sull’esigenza di sempre nuovi elementi, richiesti dall’Erleben. A ciò può cooperare pure un interesse che deriva dalla forza emotiva dell’Erleben. È un essere trascinato, non già una volizione, tanto meno quell’astratta volontà di sapere a cui ci si è richiamati a partire dalla dialettica di Schleiermacher. Nella serie che ne deriva tanto il passato quanto il futuro, il possibile, sono trascendenti rispetto al momento riempito dell’Erlebnis: ma entrambi, il passato e il futuro, sono legati all’Erlebms in una serie che si articola in base a queste relazioni con una totalità. Ogni passato è collegato strutturalmente, in quanto riproduzione, a un Erlebnis trascorso, in quanto il suo ricordo implica un riconoscimento. Anche il possibile da venire è parimenti collegato con tale serie mediante l’ambito di possibilità da essa determinate. In questo processo sorge così l’intuizione della connessione psichica nel tempo, la quale costituisce il corso della vita. In questo corso ogni singolo Erlebnis è legato a una totalità. E tale connessione della vita non è una somma o un insieme di momenti successivi, ma è un’unità costituita da relazioni che congiungono tutte le parti. Muovendo dal presente noi percorriamo all’indietro una serie di ricordi fin dove il nostro piccolo io, debole e ancor privo di forma, si perde nel

crepuscolo, e ci spingiamo in avanti, muovendo da questo presente, verso possibilità che sono racchiuse in esso e che assumono dimensioni vaghe e ampie. Da ciò discende un risultato importante per la connessione delle scienze dello spirito. Gli elementi, le regolarità, le relazioni che costituiscono l’intuizione del corso della vita, sono contenuti tutti insieme nel corso della vita; e al sapere relativo al corso della vita spetta quindi lo stesso carattere di realtà proprio dell’Erlebnis. 2. Il rapporto di dipendenza reciproca nella comprensione. Se negli Erlebnisse cogliamo così la realtà della vita nella molteplicità dei suoi rapporti, ciò ci appare, in questa prospettiva, sempre soltanto come qualcosa di singolare, come la nostra propria vita, della quale siamo consapevoli nell’Erleben. Esso rimane un sapere relativo a qualcosa di singolo, e nessun strumento logico può superare la limitazione alla singolarità contenuta nella forma di esperienza dell’Erleben. Soltanto la comprensione toglie la limitazione dell’Erlebnis individuale, come d’altro lato conferisce agli Erlebnisse personali il carattere di esperienza della vita. Estendendosi a più uomini, a varie creazioni spirituali e a varie comunità, esso allarga l’orizzonte della vita individuale e apre nelle scienze dello spirito il cammino che reca, attraverso ciò che è comune, all’universale. La comprensione reciproca ci assicura del rapporto di comunanza che sussiste tra gli individui. Questi sono infatti legati tra di loro da una comunanza in cui sono congiunte appartenenza reciproca o connessione, uniformità o affinità. La stessa relazione di connessione e di uniformità attraversa tutte le cerchie del mondo umano. Questa comunanza si manifesta nell’identità della ragione, nella simpatia presente nella vita affettiva, nell’obbligazione reciproca del dovere e del diritto, accompagnata dalla coscienza del dover essere. La comunanza delle unità viventi è il punto di partenza di tutte le relazioni tra particolare e universale nelle scienze dello spirito. Una tale esperienza fondamentale della comunanza attraversa l’intero apprendimento del mondo spirituale, e in essa la coscienza dell’io unitario e la coscienza dell’omogeneità con gli altri, l’identità della natura umana e l’individualità sono collegate tra loro. Essa costituisce il presupposto della comprensione. Dall’interpretazione elementare, che richiede soltanto la conoscenza del significato delle parole e delle regolarità con cui esse sono legate in proposizioni dotate di senso, e

quindi la comunanza del linguaggio e del pensare, l’ambito di ciò che è comune si estende continuamente, rendendo possibile il processo di comprensione nella misura in cui il suo oggetto è costituito da nessi superiori di espressioni della vita. Dall’analisi della comprensione risulta però un secondo rapporto fondamentale, che è determinante per la struttura della connessione delle scienze dello spirito. Abbiamo visto che le verità delle scienze dello spirito poggiano sull’Erleben e sulla comprensione: ma d’altra parte la comprensione presuppone l’utilizzazione delle verità delle scienze dello spirito. Cerco di illustrarlo con un esempio. Il compito sia quello di comprendere Bismarck: una straordinaria quantità di lettere, di documenti, di narrazioni e di racconti su di lui costituisce il materiale che si riferisce al corso della sua vita. Lo storico deve estendere questo materiale per cogliere ciò che ha influito sul grande uomo di stato e ciò che egli ha prodotto. Anzi, fin quando dura il processo di comprensione, la delimitazione del materiale non è ancora mai conclusa. Già per riconoscere uomini, avvenimenti, situazioni come appartenenti a questa connessione produttiva egli ha bisogno di princìpi generali. E questi stanno anche a base della sua comprensione di Bismarck, estendendosi dalle qualità comuni dell’uomo alle qualità particolari di singole classi. Lo storico darà a Bismarck un posto tra gli uomini d’azione nella prospettiva della psicologia individuale, e seguirà in lui la combinazione specifica dei tratti ad essi comuni. Da un altro punto di vista egli ritroverà nella sovranità della sua natura, nell’abitudine a comandare e a dirigere, nell’inflessibilità del volere, le qualità fondamentali del nobile prussiano latifondista. E, in quanto la sua lunga vita ha occupato un determinato posto nel corso della storia prussiana, ecco di nuovo un altro gruppo di princìpi generali da cui sono determinati i tratti comuni agli uomini di questo tempo. L’enorme pressione che si esercitava, secondo la situazione dello stato, sulla consapevolezza politica produceva naturalmente le forme di reazione più diverse. La comprensione di queste richiede princìpi generali relativi alla pressione che una certa situazione esercita su una totalità politica e sui suoi membri, nonché sulle reazioni di questi. I gradi di sicurezza metodica nella comprensione dipendono dallo sviluppo delle verità generali mediante cui tale rapporto consegue la sua fondazione. Appare chiaro che questo grande uomo di azione, il quale ha tutte le sue radici nella Prussia e nel suo regno, dovrà sentire in modo particolare la pressione che si esercita su di essa dall’esterno. Egli deve perciò valutare le questioni interne della costituzione di questo stato principalmente dal punto di

vista della potenza dello stato. Essendo poi egli un punto d’incrocio di comunità quali lo stato, la religione, l’ordinamento giuridico, e avendo pure, come personalità storica, determinato e mosso in modo eminente una di queste comunità, e nel medesimo tempo agito in esse, tutto ciò richiede da parte dello storico una conoscenza generale relativa a queste forme di comunanza. In breve, la sua comprensione giungerà a compimento soltanto in virtù della relazione con l’insieme delle scienze dello spirito. Ogni relazione che dev’essere elaborata nella rappresentazione di questa personalità storica acquista la massima sicurezza ed evidenza possibile soltanto in quanto viene determinata per mezzo dei concetti scientifici relativi ai vari campi. E il rapporto di questi campi tra di loro è fondato infine su un’intuizione complessiva del mondo storico. Così il nostro esempio ci illustra la duplice relazione insita nella comprensione. La comprensione presuppone un Erleben, e l’Erlebnis diventa esperienza della vita solamente in quanto la comprensione conduce, dalla limitatezza e della soggettività dell’Erleben, nella regione del tutto e dell’universale. Inoltre la comprensione della singola personalità richiede come sua integrazione il sapere sistematico, come d’altra parte il sapere sistematico dipende dalla penetrazione vivente della singola unità vitale. La conoscenza della natura inorganica si compie in una costruzione scientifica nella quale il livello sottostante è sempre indipendente da quello che esso fonda; nelle scienze dello spirito tutto, a partire dal processo della comprensione, è invece determinato dal rapporto di dipendenza reciproca. A ciò corrisponde il corso storico di queste scienze. La storiografia è condizionata in ogni punto dalla conoscenza delle connessioni sistematiche che s’intrecciano nel corso storico, e la cui indagine accurata produce il progredire della comprensione storica. Tucidide si fondava sul sapere politico sorto nella prassi dei liberi stati greci, e sulle dottrine relative al diritto dello stato che si erano sviluppate nel periodo sofistico. Polibio ha riunito in sé tutta la saggezza politica dell’aristocrazia romana, che in questo tempo era al culmine del suo sviluppo sociale e spirituale, con lo studio delle opere politiche greche da Platone allo Stoicismo. L’unione della saggezza politica fiorentina e veneziana, sviluppatasi in una élite assai evoluta e animata da vivaci dibattiti politici, con il rinnovamento e la prosecuzione delle dottrine antiche ha reso possibile la storiografia di Machiavelli e di Guicciardini. La storiografia ecclesiastica di Eusebio72, dei sostenitori e degli avversari della Riforma, come Neander73 e Ritschl, era piena di concetti sistematici riguardanti il processo

religioso e il diritto ecclesiastico. E infine la fondazione della storiografia moderna nella scuola storica e in Hegel aveva alle spalle nell’un caso il legame della scienza giuridica moderna con le esperienze dell’età della rivoluzione e nell’altro tutta la sistematica delle scienze dello spirito sorte da poco. Quando Ranke sembra accostarsi alle cose con ingenua gioia di narratore, la sua storiografia può tuttavia venir compresa soltanto se si va dietro alle molteplici fonti di pensiero sistematico che si sono incontrate nella sua formazione. E avvicinandoci al presente questa dipendenza reciproca dell’elemento storico e dell’elemento sistematico cresce sempre di più. Proprio la critica storica, nei suoi lavori fondamentali, oltre a essere condizionata dallo sviluppo formale del metodo, è stata ogni volta dipendente dalla più profonda penetrazione delle connessioni sistematiche, dai progressi della grammatica, dallo studio della connessione del discorso, quale si è sviluppato dapprima nella retorica, poi dalla più recente concezione della poesia — come è diventato sempre più chiaro ad opera dei precursori di Wolf, che hanno derivato le loro conclusioni su Omero da una nuova poetica — e nello stesso Wolf dalla nuova cultura estetica, in Niebuhr da considerazioni economiche, giuridiche e politiche, in Schleiermacher dalla nuova filosofia che era congeniale con Platone, e in Baur dalla comprensione del processo in cui si sono formati i dogmi, così come l’avevano sviluppata Schleiermacher e Hegel. E viceversa il progresso nelle scienze sistematiche dello spirito è stato sempre condizionato dal procedere dell’Erleben verso nuove profondità, dall’ampliamento della comprensione in un più vasto ambito di manifestazioni della vita storica, dalla scoperta di fonti storiche fin allora ignote o dall’emergere di grandi masse di esperienze in nuove situazioni storiche. Lo dimostra già la formazione delle prime linee di una scienza politica nell’età dei Sofisti, di Platone e di Aristotele, così come l’origine di una retorica e di una poetica in quanto teoria della creazione spirituale nella medesima epoca. L’intreccio dell’Erleben con la comprensione di persone singole o di comunità come soggetti sovra-individuali è stata quindi sempre determinante nei grandi progressi delle scienze dello spirito. I geni dell’arte narrativa come Tucidide, Guicciardini, Gibbon, Macaulay74, Ranke producono anche nella loro limitazione opere storiche che valgono al di là del tempo; e nel complesso delle scienze dello spirito si attua quindi un progresso: la visione delle connessioni che cooperano nella storia viene gradualmente conquistata alla coscienza storica, la storiografia s’immerge nelle relazioni tra queste connessioni, le quali costituiscono una nazione, un’epoca, una linea di

sviluppo storico, e di qui si dischiudono poi profondità della vita, quali sono esistite nelle varie situazioni storiche, che vanno al di là di ogni comprensione precedente. Come potrebbe essere comparata quella passata con la comprensione che uno storico odierno ha di artisti, poeti, scrittori? 3. La spiegazione graduale delle manifestazioni della vita attraverso la costante azione reciproca delle due classi di scienze. Il rapporto di condizionamento reciproco ci appare dunque come il rapporto fondamentale tra l’Erleben e la comprensione. Più precisamente, esso viene a configurarsi come rapporto di spiegazione graduale nella costante azione reciproca tra le due classi di verità. L’oscurità dell’Erlebnis viene chiarita, gli errori derivanti dalla ristretta capacità di apprendimento del soggetto vengono corretti, l’Erlebnis stesso è ampliato e completato nella comprensione di altre persone, così come d’altra parte le altre persone vengono comprese per mezzo dei propri Erlebnisse. La comprensione allarga sempre più l’ambito del sapere storico mediante l’utilizzazione più intensa delle fonti, mediante il ritorno indietro nel passato finora non compreso, e infine mediante il progredire della storia medesima, che produce sempre nuovi avvenimenti estendendo così l’oggetto della comprensione. In questo procedere l’allargamento di ambito richiede sempre nuove verità generali per la penetrazione di questo mondo fatto di eventi singolari; e l’estendersi dell’orizzonte storico rende al tempo stesso possibile l’elaborazione di concetti sempre più generali e sempre più fecondi. Così nel lavoro delle scienze dello spirito si presenta, in ogni suo punto e in ogni epoca, una circolarità tra Erleben, comprensione e rappresentazione del mondo spirituale in concetti generali. E ogni grado di questo lavoro possiede un’unità interna nel suo apprendimento del mondo spirituale, in quanto la conoscenza storica del singolare e le verità generali si sviluppano in un’azione reciproca e quindi appartengono alla stessa unità dell’apprendimento. A ogni grado la comprensione del mondo spirituale è qualcosa di unitario e di omogeneo, dalla concezione del mondo spirituale al metodo della critica e dell’indagine particolare. Rivolgiamo qui ancora uno sguardo all’epoca in cui è sorta la coscienza storica moderna. Essa è stata realizzata quando l’elaborazione concettuale delle scienze sistematiche si è consapevolmente fondata sullo studio della vita storica, e la conoscenza del singolare è stata compenetrata consapevolmente dalle discipline sistematiche dell’economia politica, del diritto, dello stato,

della religione. A questo punto poteva allora sorgere la visione metodica della connessione delle scienze dello spirito: il medesimo mondo spirituale diventa, secondo la diversità del punto di vista da cui viene considerato, oggetto di due classi di scienze. La storia universale come connessione singolare, il cui oggetto è l’umanità, e il sistema delle scienze dello spirito, costituitesi in modo indipendente, che studiano l’uomo, il linguaggio, l’economia, lo stato, il diritto, la religione e l’arte, si integrano reciprocamente. Esse sono separate dal loro fine e dai metodi che questo determina, e al tempo stesso cooperano, nel loro costante legame, alla costruzione del sapere relativo al mondo spirituale. L’Erleben, il rivivere e le verità generali sono collegati dall’operazione fondamentale della comprensione. L’elaborazione concettuale non è fondata su norme o valori che si presentino al di là dell’apprendere oggettuale, ma sorge dal carattere che domina ogni pensiero concettuale, cioè dalla tendenza a porre in luce dal corso del divenire ciò che è stabile e durevole. Il metodo si muove così in una duplice direzione: nell’orientamento verso il singolare procede dalla parte al tutto e da questo di nuovo alla parte, e nell’orientamento verso il generale si ha la medesima azione reciproca tra di questo e il particolare. III. L’oggettivazione della vita 1. Se abbracciamo l’insieme di tutte le operazioni della comprensione, allora in essa si presenta, di fronte alla soggettività dell’Erlebnis, l’oggettivazione della vita. L’intuizione dell’oggettività della vita, e del suo manifestarsi in molteplici connessioni strutturali, diventa insieme all’Erlebnis il fondamento delle scienze dello spirito. L’individuo, le comunità e le opere in cui si sono trasposti la vita e lo spirito, costituiscono il dominio esterno dello spirito. Queste manifestazioni della vita, quali si presentano nel mondo esterno alla comprensione, sono per così dire inserite nella connessione della natura. Questa grande realtà esterna dello spirito ci circonda sempre: essa è una realizzazione dello spirito nel mondo sensibile, dall’espressione fuggevole fino al dominio secolare di una costituzione o di un testo giuridico. Ogni manifestazione particolare della vita rappresenta, nell’ambito di questo spirito oggettivo, un elemento comune. Ogni parola, ogni proposizione, ogni gesto e ogni formula di cortesia, ogni opera d’arte e ogni impresa storica sono comprensibili solamente in quanto un rapporto di comunanza unisce chi in essi si esprime con il soggetto comprendente; l’individuo vive, pensa e agisce di continuo in una sfera di comunanza, e solo in questa può comprendere.

Tutto ciò che viene compreso reca in sé, per così dire, il contrassegno di essere noto in base a questa comunanza. Noi viviamo in questa atmosfera; essa ci circonda costantemente, e noi siamo immersi in essa. Noi siamo ovunque a casa in questo mondo storico da noi compreso, ne intendiamo il senso e il significato, noi stessi siamo coinvolti in questi rapporti di comunanza. Il mutare delle manifestazioni della vita che agiscono su di noi ci richiede di continuo una nuova comprensione; ma nel medesimo tempo anche nella comprensione si ha, dal momento che ogni manifestazione della vita e la sua comprensione sono legate ad altre, un movimento in avanti che progredisce secondo i rapporti di affinità dal singolo individuo dato verso il tutto. E, crescendo le relazioni tra ciò che è affine, aumentano nel medesimo tempo le possibilità di generalizzazione che sono già racchiuse nella comunanza come una determinazione di ciò che viene compreso. Nella comprensione si fa valere anche un’ulteriore proprietà dell’oggettivazione della vita, che determina sia l’articolazione secondo affinità sia l’orientamento della generalizzazione. L’oggettivazione della vita contiene in sé una molteplicità di ordinamenti articolati. Dalla distinzione delle razze fino alla diversità delle forme di espressione e dei costumi in una stirpe, in una città, si ha un’articolazione di differenze spirituali condizionata su base naturale. Differenziazioni di tipo diverso si presentano nei sistemi di cultura, altre separano tra loro le epoche — in breve, molte linee che delimitano da qualche punto di vista ambiti di vita affine attraversano il mondo dello spirito oggettivo e s’incrociano in esso. La pienezza della vita si manifesta in innumerevoli sfumature, e viene compresa in base al ricorrere di tali differenze. Con l’idea dell’oggettivazione della vita noi perveniamo per la prima volta a gettare uno sguardo sull’essenza di ciò che è storico. Tutto è qui sorto dall’attività spirituale e reca quindi il carattere della storicità: anche nel mondo sensibile esso s’inserisce come prodotto della storia. Dalla distribuzione degli alberi in un parco, dalla disposizione delle case in una strada, dall’utensile appropriato dell’artigiano alla sentenza del tribunale, tutto è intorno a noi, in ogni ora, divenuto storicamente. Ciò che lo spirito immette oggi del proprio carattere nella sua manifestazione di vita, è domani, quando ci sta dinanzi, storia. Con il procedere del tempo noi siamo attorniati dalle rovine di Roma, da cattedrali, dai castelli della monarchia indipendente. La storia non è nulla di separato dalla vita, nulla di staccato dal presente a causa della distanza nel tempo.

Riassumiamo il risultato: le scienze dello spirito hanno, come loro datità complessiva, l’oggettivazione della vita. Ma in quanto l’oggettivazione della vita diventa per noi qualcosa di compreso, essa contiene sempre, in quanto tale, la relazione di ciò che è esterno con ciò che è interno. Perciò questa oggettivazione è ovunque legata nella comprensione all’Erleben in cui all’unità vitale si dischiude il suo contenuto, permettendo così ad essa di interpretare quello di tutte le altre. Se qui sono contenuti i dati delle scienze dello spirito, appare al tempo stesso che tutto ciò che è stabile, tutto ciò che è estraneo, essendo proprio delle immagini del mondo fisico, deve essere eliminato dal concetto del dato di questo campo. Tutto il dato è stato qui prodotto, e quindi è storico; viene compreso, e quindi contiene in sé un elemento comune; è noto in quanto è compreso, e contiene in sé un raggruppamento del molteplice, poiché già l’interpretazione del manifestarsi della vita nella comprensione più alta poggia su un raggruppamento del genere. Anche il procedimento di classificazione delle manifestazioni della vita è quindi già presente nei dati delle scienze dello spirito. E qui si completa il concetto delle scienze dello spirito. Il loro ambito si estende quanto la comprensione, e la comprensione ha il suo oggetto unitario nell’oggettivazione della vita. Così il concetto di scienza dello spirito è determinato, secondo l’ambito dei fenomeni che cadono sotto di essa, dall’oggettivazione della vita nel mondo esterno. Lo spirito comprende soltanto ciò che esso stesso ha creato. La natura, l’oggetto della scienza naturale, abbraccia la realtà prodotta indipendentemente dall’agire dello spirito. Tutto ciò in cui l’uomo ha impresso, agendo, la sua impronta, costituisce l’oggetto delle scienze dello spirito. E anche l’espressione «scienza dello spirito» riceve a questo punto la sua giustificazione. Si è discorso prima dello spirito delle leggi, del diritto, della costituzione. Ora possiamo dire che tutto ciò in cui lo spirito si è oggettivato, rientra nell’ambito delle scienze dello spirito. 2. Ho finora designato questa oggettivazione della vita anche con il nome di spirito oggettivo. Il termine è stato profondamente e felicemente coniato da Hegel. Devo però indicare anche con precisione il senso in cui lo uso, distinguendolo da quello che Hegel gli attribuisce. Tale distinzione riguarda tanto il posto sistematico del concetto quanto la sua finalità e il suo ambito. Nel sistema hegeliano il termine designa un grado nello sviluppo dello spirito: egli lo pone tra lo spirito soggettivo e lo spirito assoluto. Il concetto di spirito oggettivo ha perciò in lui il suo posto nella costruzione ideale dello

sviluppo dello spirito, la quale ha come substrato reale la sua realtà storica e le relazioni in essa sussistenti e si propone di comprenderla speculativamente, lasciando però dietro di sé le relazioni temporali, empiriche, storiche. L’idea, la quale nella natura si manifesta nel suo essere altro, si estrania da sé, e ritorna a se stessa nello spirito, sul fondamento di tale natura. Lo spirito del mondo riconquista se stesso nella sua pura idealità; esso realizza la propria libertà nel suo sviluppo. Come spirito soggettivo esso è la molteplicità degli spiriti individuali; e poiché in questa la volontà si realizza sulla base della conoscenza dello scopo razionale che si attua nel mondo, nello spirito individuale si compie il passaggio alla libertà. In tal modo è dato il fondamento per la filosofia dello spirito oggettivo. Questa mostra come la libera volontà razionale, e quindi in sé universale, viene a oggettivarsi in un mondo etico: «questa libertà, che ha la libertà per contenuto e scopo, è essa stessa in primo luogo soltanto concetto, principio dello spirito e del cuore, ed è destinata a svilupparsi in oggettività, in realtà giuridica, etica e religiosa come scientifica»p. Con ciò è dato lo sviluppo dallo spirito oggettivo allo spirito assoluto: «lo spirito oggettivo è l’idea assoluta, ma solo come idea che è in sé; e in quanto esso è con ciò sul terreno della finitudine, la sua vera razionalità conserva in sé l’aspetto dell’apparenza esterna»q. L’oggettivazione dello spirito si compie nel diritto, nella moralità e nell’eticità. L’eticità realizza la volontà razionale universale nella famiglia, nella società civile e nello stato; e lo stato realizza la sua essenza nella storia universale, in quanto realtà esterna dell’idea etica. In tal modo la costruzione ideale del mondo storico ha raggiunto il punto in cui i due gradi dello spirito, la volontà razionale universale del soggetto singolo e la sua oggettivazione nel mondo etico come sua superiore unità, rendono possibile l’ultimo e supremo grado: il sapere che lo spirito ha di se stesso come forza creatrice di ogni realtà nell’arte, nella religione e nella filosofia. «Lo spirito soggettivo e oggettivo devono esser considerati il cammino su cui si» costituisce la suprema realtà dello spirito, lo spirito assoluto75. Qual è stata la posizione e l’importanza storica di questo concetto dello spirito oggettivo, scoperto da Hegel? L’Illuminismo tedesco, profondamente disconosciuto, aveva posto in luce il significato dello stato come l’essere collettivo più ampio che realizza l’eticità intrinseca degli individui. Mai dopo i giorni dei Greci e dei Romani la comprensione dello stato e del diritto è stata

più fortemente e profondamente espressa come in Carmer, Svarez, Klein, Zedlitz, Herzberg, i massimi funzionari dello stato federiciano76. Questa visione dell’essenza e del valore dello stato si è unita in Hegel con le idee antiche di eticità e di stato, con la comprensione della realtà di tali idee nel mondo antico. In questo modo si è fatto valere il significato dei rapporti di comunanza nella storia. La scuola storica perveniva nello stesso tempo, sulla strada della ricerca storica, alla scoperta dello spirito collettivo, che Hegel aveva compiuto sulla base di una propria intuizione storico-metafisica. Anch’essa perveniva a una comprensione — che andava oltre i filosofi idealistici greci — dell’essenza della comunità, quale si manifesta nel costume, nello stato, nel diritto e nella fede, che non può venir derivata dal cooperare degli individui. Sorgeva così in Germania la coscienza storica. Hegel ha riassunto il risultato di tutto questo movimento in un solo concetto — nel concetto di spirito oggettivo. Ma i presupposti sui quali Hegel ha fondato questo concetto non possono più essere mantenuti oggi. Egli ha costruito le comunità sulla base della volontà razionale universale. Noi dobbiamo oggi muovere invece dalla realtà della vita, poiché nella vita agisce la totalità della connessione psichica. Hegel ha costruito metafisicamente; noi analizziamo il dato. E l’analisi attuale dell’esistenza umana ci riempie tutti del sentimento della fragilità, della potenza dell’impulso oscuro, della sofferenza derivante dalle tenebre e dalle illusioni, della finitudine presente in tutto ciò che è vita, anche dove da essa nascono le formazioni supreme della vita della comunità. Non possiamo quindi comprendere lo spirito oggettivo sulla base della ragione, ma dobbiamo ritornare indietro alla connessione strutturale delle unità viventi che si continua nelle comunità. E non possiamo inserire lo spirito oggettivo entro una costruzione ideale, ma dobbiamo piuttosto porre a base la sua realtà nella storia. Noi cerchiamo di comprenderla e di rappresentarla con concetti adeguati. Liberando così lo spirito oggettivo dalla sua fondazione unilaterale in una ragione universale, che esprimeva l’essenza dello spirito del mondo, e liberandolo anche dalla costruzione ideale, diventa allora possibile un nuovo concetto di esso: in questo concetto sono ricompresi il linguaggio, il costume, ogni specie di forma della vita e di stile di vita al pari della famiglia, della società civile, dello stato e del diritto. Così anche quello che Hegel ha distinto dallo spirito oggettivo come spirito assoluto — arte, religione e filosofia — rientra sotto questo concetto: proprio in esse l’individuo creatore si mostra nel medesimo tempo come rappresentante della comunanza spirituale, e proprio

nelle sue forme possenti lo spirito si oggettiva, e vi è riconosciuto. Questo spirito oggettivo contiene in sé un’articolazione che va dall’umanità fino ai tipi di estensione più limitata: in esso agisce quest’articolazione, cioè il principio di individuazione. E quando l’individuale perviene alla comprensione sulla base di ciò che è universalmente umano e attraverso la sua mediazione, si ha un rivivere della connessione interna che conduce dall’universalmente umano alla sua individuazione. Questo movimento viene colto nella riflessione, e la psicologia individuale delinea la teoria che fonda la possibilità dell’individuazioner. A base delle scienze sistematiche dello spirito sta pertanto lo stesso rapporto tra le uniformità, come loro fondamento, e l’individuazione che sorge in base ad esso, e quindi il rapporto tra teorie generali e procedimento comparativo. Le verità generali, quali possono esservi determinate a proposito della vita etica o della poesia, diventano così il fondamento per penetrare le differenze dell’ideale morale o dell’attività poetica. E in questo spirito oggettivo tutte le realtà del passato, in cui si sono formate le grandi forze totali della storia, sono diventate presente. L’individuo, in quanto portatore e rappresentante dei rapporti di comunanza che sono in lui intrecciati, gode e coglie la storia in cui essi sono sorti. Esso comprende la storia perché è egli stesso un essere storico. In un ultimo punto il concetto qui formulato di spirito oggettivo si distingue da quello di Hegel. Ponendo al posto della ragione universale di Hegel la vita nella sua totalità, l’Erlebnis, la comprensione, la connessione della vita storica, la forza dell’irrazionale in essa presente, sorge il problema della possibilità della scienza storica. Per Hegel questo problema non sussisteva: la sua metafisica, nella quale lo spirito del mondo, la natura come sua alienazione, lo spirito oggettivo come sua realizzazione e lo spirito assoluto fino alla filosofia come realizzazione del sapere di sé sono identici, si lascia alle spalle questo problema. Ma oggi occorre viceversa riconoscere il dato delle manifestazioni storiche della vita come il vero fondamento del sapere storico, e trovare un metodo per affrontare la questione di come sia possibile, sulla base di questo dato, un sapere universalmente valido relativo al mondo storico. IV. Il mondo spirituale come connessione produttiva Nell’Erleben e nella comprensione si apre quindi dinanzi a noi — attraverso l’oggettivazione della vita — il mondo spirituale. E il nostro compito dev’essere ora quello di determinare più da vicino nella sua essenza

questo mondo dello spirito, questo mondo storico e sociale, in quanto oggetto delle scienze dello spirito. Riassumiamo in primo luogo i risultati delle indagini precedenti relative alla connessione delle scienze dello spirito. Questa connessione poggia sul rapporto tra Erleben e comprensione, e da ciò derivano tre princìpi fondamentali. L’allargamento del nostro sapere intorno a ciò che è dato nell’Erleben si compie attraverso l’interpretazione delle oggettivazioni della vita, e questa interpretazione è a sua volta possibile soltanto sulla base della profondità soggettiva dell’Erleben. Così pure la comprensione del singolare è possibile soltanto mediante la presenza in esso della conoscenza del generale, e questa conoscenza ha a sua volta il proprio presupposto nella comprensione. Infine, la comprensione di una parte del corso storico raggiunge la propria compiutezza soltanto in virtù della relazione della parte con il tutto, e la visione storico-universale della totalità presuppone la comprensione delle parti che sono in essa congiunte. Viene così in luce la dipendenza reciproca in cui stanno tra di loro l’apprendimento di ogni particolare elemento di fatto delle scienze dello spirito nella totalità storico-sociale di cui quell’elemento fa parte, e la rappresentazione concettuale di questa totalità nelle scienze sistematiche dello spirito. E nel progresso delle scienze dello spirito si mostrano, in ogni punto del loro corso, l’azione reciproca dell’Erleben e della comprensione nell’apprendimento del mondo spirituale, la dipendenza reciproca della conoscenza del generale e della conoscenza del singolare, e infine la graduale spiegazione del mondo spirituale. Perciò noi le ritroviamo in tutte le operazioni delle scienze dello spirito. Esse formano, in termini del tutto generali, il substrato della loro struttura. Così noi dovremo riconoscere la dipendenza reciproca tra interpretazione, critica, collegamento delle fonti, e sintesi di una connessione storica. Un rapporto analogo si ha nella formazione dei concetti di soggetti come l’economia, il diritto, la filosofia, l’arte, la religione, che designano le connessioni produttive di diverse persone in un’operazione comune. Ogni volta che il pensiero scientifico intraprende un’elaborazione concettuale, la determinazione dei segni distintivi che costituiscono il concetto presuppone la determinazione degli stati di fatto che devono esser compresi nel concetto. E la determinazione e selezione di questi stati di fatto richiede segni distintivi in base ai quali constatarne l’appartenenza all’ambito del concetto. Per determinare il concetto di poesia debbo trarlo da quegli stati di fatto che costituiscono l’ambito di tale concetto,

e per constatare quali opere appartengano alla poesia debbo già possedere un segno distintivo sulla cui base l’opera può venir riconosciuta come opera poetica. Questo rapporto è quindi il carattere più generale della struttura delle scienze dello spirito. 1. Il carattere generale della connessione produttiva del mondo spirituale. Il compito che ne deriva consiste nell’apprendere il mondo spirituale come una connessione produttiva, cioè come una connessione che è contenuta nei suoi prodotti durevoli. Le scienze dello spirito hanno il loro oggetto in questa connessione produttiva e nelle sue creazioni. Esse analizzano tale connessione o la connessione logica, estetica, religiosa che si manifesta in salde formazioni e che ne caratterizza i vari tipi, o ancora la connessione presente in una costituzione o in un testo giuridico, che si riferisce poi alla connessione produttiva da cui essa è sorta. Questa connessione produttiva si distingue dalla connessione causale della natura per il fatto che, in conformità alla struttura della vita psichica, essa produce valori e realizza scopi. E invero non è un fatto occasionale che si manifesti qua e là, ma inerisce alla struttura stessa dello spirito che, nella sua connessione produttiva, questo produca valori e realizzi scopi sulla base dell’apprendimento. Questo carattere lo chiamo il carattere teleologicoimmanente delle connessioni produttive dello spirito. Con ciò intendo una connessione di operazioni che è fondata sulla struttura di una connessione produttiva. La vita storica crea: essa è continuamente attiva nella produzione di beni e di valori, e tutti i concetti relativi sono soltanto riflessi di questa sua attività. I portatori di questa costante creazione di valori e di beni nel mondo spirituale sono individui, comunità e sistemi di cultura in cui gli individui cooperano tra di loro. La cooperazione tra gli individui è determinata dal fatto che essi si sottopongono a regole e si prefiggono scopi in vista della realizzazione di valori. Così in ogni specie di questa cooperazione c’è un rapporto vitale, che inerisce all’essenza dell’uomo e lega tra di loro gli individui — quasi un nucleo che non si può cogliere psicologicamente, ma che si manifesta in ogni sistema siffatto di relazioni tra uomini. L’operare all’interno di esso è condizionato dalla connessione strutturale tra l’apprendimento, gli stati psichici che si esprimono nella determinazione di valori e quelli che consistono nella posizione di scopi, di beni e di norme. Una

tale connessione produttiva si ha in primo luogo negli individui. Essendo questi, poi, punti d’incrocio di diversi sistemi di relazioni, ognuno dei quali è un centro permanente di attività, in esso vengono a svilupparsi beni propri delle comunità e ordinamenti volti alla loro realizzazione secondo regole. E ad essi viene attribuita una specie di validità incondizionata. Ogni relazione permanente tra individui contiene perciò in sé uno sviluppo nel quale valori, regole e scopi vengono prodotti, portati alla coscienza e consolidati nel corso dei processi del pensiero. Questa creazione che si compie in individui, comunità, sistemi di cultura, nazioni, sotto le condizioni della natura che le offrono costantemente il suo materiale e il suo stimolo, perviene nelle scienze dello spirito alla riflessione su se stessa. In questa connessione strutturale si fonda poi il fatto che ogni unità spirituale ha il suo centro in se stessa. Al pari dell’individuo, anche ogni sistema di cultura e ogni comunità ha il suo centro entro di sé; in esso l’apprendimento della realtà, la valutazione e la produzione di beni sono collegati in un tutto unitario. Ma ora si presenta un nuovo rapporto fondamentale nella connessione produttiva che costituisce l’oggetto delle scienze dello spirito. I diversi portatori della creazione sono intrecciati in connessioni storico-sociali più ampie: nazioni, epoche, periodi storici. Così sorgono forme più complicate di connessione storica. I valori, gli scopi, i nessi che in esse si presentano, sorretti da individui, comunità, sistemi di relazioni, devono quindi essere considerati congiuntamente dallo storico. Essi devono essere comparati da lui, ponendo in luce l’elemento comune che è in essi presente e raccogliendo le diverse connessioni produttive in una sintesi. E qui dall’autocentralità, intrinseca a ogni unità storica, deriva un’altra forma di unità. Ciò che agisce contemporaneamente in un nesso reciproco, come individui e sistemi di cultura e comunità, sta in un continuo scambio spirituale e integra anzitutto la propria vita psichica con quella altrui: già le nazioni vivono più sovente in una maggiore chiusura reciproca e hanno perciò il loro orizzonte proprio; ma se considero un periodo come quello medievale, il suo orizzonte è separato da quello di periodi precedenti. Anche quando i risultati di questi periodi mantengono la loro influenza, essi vengono assimilati nel sistema del mondo medievale. Questo ha un orizzonte chiuso. E un’epoca è così incentrata in se stessa in un nuovo senso. Le singole persone dell’epoca hanno il criterio di misura del loro agire in un elemento comune. La disposizione delle connessioni produttive nella società dell’epoca presenta tratti simili. Le

relazioni dell’apprendere oggettuale mostrano in essa un’affinità intrinseca: il modo di sentire, la vita dell’animo, gli impulsi che ne derivano sono affini tra loro. E così anche la volontà si sceglie scopi uniformi, mira a beni analoghi e si trova vincolato in maniera analoga. È compito dell’analisi storica ritrovare negli scopi, nei valori, nei modi di pensare concreti la concordanza in un elemento comune che domina l’epoca. Proprio da questo elemento comune sono determinati anche i contrasti che qui si presentano. Così ogni azione, ogni pensiero, ogni creazione comune, in breve ogni parte di questa totalità storica acquista la propria significatività in virtù del suo rapporto con la totalità dell’epoca o dell’età. E quando lo storico giudica, egli stabilisce ciò che l’individuo ha compiuto in questa connessione, e anche in quale misura il suo sguardo e il suo agire sono andati eventualmente già oltre di essa. Il mondo storico come una totalità, questa totalità come una connessione produttiva, questa connessione produttiva come produttrice di valori e di scopi, in breve come creatrice, quindi la comprensione di questa totalità in base a se stessa, infine l’autocentralità dei valori e degli scopi nelle età, nelle epoche, nella storia universale — questi sono i punti di vista da cui deve essere concepita la connessione delle scienze dello spirito alla quale dobbiamo guardare. Così il rapporto immediato della vita, dei suoi valori e dei suoi scopi con l’oggetto storico viene gradualmente sostituito nella scienza, secondo la sua tendenza alla validità universale, dall’esperienza delle relazioni immanenti che sussistono nella connessione produttiva del mondo storico tra forza operante, valori, scopi, significato e senso. Soltanto su questo terreno della storia oggettiva potrebbe porsi il problema se e come siano possibili previsioni sul futuro e sull’inserimento della nostra vita nei fini comuni dell’umanità. L’apprendimento della connessione produttiva si forma in primo luogo in chi ne ha coscienza immediata, per il quale la successione degli stati di coscienza si sviluppa in relazioni strutturali. E questa connessione è poi ritrovata, attraverso la comprensione, negli altri individui. La forma fondamentale della connessione sorge così nell’individuo, riunendo il presente, il passato e le possibilità del futuro nel corso della vita. Questo corso si ripresenta poi nel corso storico, in cui sono inserite le unità della vita. In quanto da parte dello spettatore di un avvenimento vengono scorte connessioni più ampie o una narrazione le racconta, sorge quindi l’apprendimento degli avvenimenti storici. E dal momento che questi assumono un posto nel corso temporale, presupponendo in ogni punto l’influenza del passato e spingendo le loro conseguenze fin nel futuro, ogni

avvenimento implica un procedere ulteriore e il presente conduce in avanti verso il futuro. Altri modi di connessione sussistono in opere che, scisse dal loro autore, recano in sé la propria vita e la propria legge. Prima di penetrare nella connessione produttiva da cui sono sorte, noi cogliamo le connessioni presenti nell’opera compiuta. La connessione logica in cui sono legati tra di loro i princìpi giuridici che formano un libro di diritto nasce nella comprensione. Se leggiamo una commedia di Shakespeare, troviamo che gli elementi di un accadimento, collegati secondo i rapporti di tempo e di azione, sono qui recati secondo le leggi della composizione poetica a un’unità che li innalza, all’inizio e alla fine, al di fuori del corso dell’agire collegando le loro parti in una totalità. 2. La connessione produttiva come concetto fondamentale delle scienze dello spirito. Nelle scienze dello spirito noi cogliamo il mondo spirituale sotto forma di connessioni produttive che si formano nel corso temporale. L’agire, l’energia, il corso temporale, l’accadere sono quindi gli elementi che caratterizzano l’elaborazione concettuale delle scienze dello spirito. La funzione generale del concetto nella connessione delle scienze dello spirito è però indipendente da queste determinazioni di contenuto; essa esige determinatezza e costanza in tutti i giudizi. I caratteri di un concetto, il cui legame forma il suo contenuto, devono soddisfare alle medesime esigenze; e le asserzioni in cui i concetti sono congiunti non devono contenere contraddizioni né in sé né tra di loro. Questa validità indipendente dal corso temporale, che sussiste in tal modo nella connessione del pensiero e che determina la forma dei concetti, non ha nessun rapporto con il fatto che il contenuto dei concetti propri delle scienze dello spirito può rappresentare il corso temporale, l’agire, l’energia e l’accadere. Noi vediamo operante nella struttura dell’individuo una tendenza o una forza istintiva che si partecipa a tutte le forme più complesse del mondo spirituale. In questo mondo si presentano forze collettive che si fanno valere in una determinata direzione nella connessione storica. Tutti i concetti delle scienze dello spirito, in quanto rappresentano un elemento qualsiasi della connessione produttiva, contengono in sé questo carattere di processo, di corso, di accadere o di agire. E là dove le oggettivazioni della vita spirituale vengono analizzate come qualcosa di compiuto, quasi di stabile, resta sempre il compito ulteriore di cogliere la connessione produttiva in cui tali oggettivazioni sono sorte. I concetti delle scienze dello spirito sono quindi, in

larga misura, rappresentazioni fissate di un procedere, e costituiscono il solidificarsi nel pensiero di ciò che in sé è corso o direzione di movimento. Parimenti le scienze sistematiche dello spirito racchiudono il compito di un’elaborazione concettuale che esprime la tendenza immanente alla vita, la sua mutabilità e la sua inquietudine, ma soprattutto la posizione di scopi che in essa si realizza. E nelle scienze dello spirito, sia storiche sia sistematiche, sorge il compito ulteriore di dare alle relazioni una corrispondente elaborazione concettuale. È stato merito di Hegel aver cercato di esprimere nella sua logica l’incessante corrente dell’accadere. Ma fu un suo errore che tale esigenza gli sembrasse inconciliabile con il principio di contraddizione: contraddizioni non risolubili sorgono soltanto se si vuol spiegare il fatto del fluire della vita. E altrettanto erroneo è stato, ed è, giungere da tale presupposto al rifiuto dell’elaborazione concettuale sistematica in campo storico. Così nel metodo dialettico di Hegel la molteplicità della vita storica è venuta a irrigidirsi, e gli avversari dell’elaborazione concettuale sistematica in campo storico lasciano sprofondare in una profondità irrappresentabile della vita la molteplicità dell’esistenza. A questo punto si comprende l’intenzione più profonda di Fishte. Nel faticoso approfondirsi dell’io in se medesimo esso si ritrova non già come sostanza, essere, datità, ma come vita, attività, energia. In tale modo egli aveva già elaborato i concetti che esprimono l’energia del mondo storico. 3. Il procedimento di determinazione di connessioni produttive particolari. La connessione produttiva è in sé sempre complessa. Il punto di partenza per la sua determinazione è un’azione particolare, per la quale cerchiamo — procedendo all’indietro — gli elementi che l’hanno causata. Tra i molti fattori se ne possono determinare soltanto un numero limitato che abbia importanza per questa azione. Quando ricerchiamo per esempio l’intreccio delle cause del mutamento della nostra letteratura, nel corso del quale è stato superato l’Illuminismo, noi distinguiamo allora gruppi di cause, ci sforziamo di misurarne il peso, e delimitiamo in qualche modo lo sconfinato contesto causale secondo il significato dei suoi elementi e secondo i nostri scopi. Così poniamo in luce una connessione produttiva per spiegare il mutamento in questione. D’altra parte noi separiamo nella concreta connessione produttiva, in un’analisi metodica condotta da diversi punti di vista, le connessioni particolari; e su questa analisi poggia propriamente il progresso che si compie

sia nelle scienze sistematiche dello spirito sia nella storia. L’induzione, che determina fatti e nessi causali, la sintesi che con l’aiuto dell’induzione connette tra di loro le connessioni causali, l’analisi che distingue le singole connessioni produttive, la comparazione — in questi modi, o in modi equivalenti, si costituisce in prevalenza la nostra conoscenza della connessione produttiva. E noi applichiamo gli stessi metodi quando indaghiamo le creazioni permanenti scaturite da questa connessione produttiva — quadri, statue, drammi, sistemi filosofici, scritti religiosi, testi giuridici. La connessione in essi presente è diversa per carattere, ma anche qui l’analisi dell’opera nel suo insieme su base induttiva e la ricostruzione sintetica della totalità in base alla relazione delle sue parti, di nuovo su base induttiva, s’intrecciano tra di loro sotto una costante presenza di verità generali. Con questo orientamento del pensiero verso la connessione è collegato, nelle scienze dello spirito, l’altro orientamento che, procedendo dal particolare al generale e viceversa, indaga le regolarità che si presentano nelle connessioni produttive. Qui si fa valere il più ampio rapporto di dipendenza reciproca tra i modi di procedimento. Le generalizzazioni servono a formare delle connessioni, e l’analisi della concreta connessione universale in connessioni particolari è la strada più feconda per la scoperta di verità generali. Se si tiene però presente il procedimento rivolto alla determinazione di connessioni produttive nelle scienze dello spirito, viene in luce la grande differenza che lo separa da quello che ha reso possibili gli enormi successi delle scienze della natura. Le scienze della natura hanno a loro base la connessione spaziale dei fenomeni: la numerabilità e la misurabilità di ciò che si estende spazialmente o si muove nello spazio rendono possibile qui la scoperta di leggi generali esatte. Ma la connessione produttiva interna è solo aggiunta dal pensiero, e i suoi elementi ultimi non possono venir indicati. Invece, come abbiamo visto, le unità ultime del mondo storico sono date nell’Erleben e nella comprensione. Il loro carattere di unità è fondato sulla connessione strutturale in cui sono reciprocamente collegati l’apprendere oggettuale, i valori e la posizione di scopi. Noi abbiamo un’esperienza vissuta di questo carattere dell’unità vivente anche per il fatto che soltanto ciò che è posto nella sua propria volontà può essere uno scopo, che soltanto ciò che trova conferma di fronte al suo pensiero è vero, e che soltanto ciò che ha un rapporto positivo con il suo sentire ha valore per essa. Il correlato di questa unità vivente è il corpo che si muove e agisce in base a un impulso interno. Il

mondo storico-sociale dell’uomo è costituito da queste viventi unità psicofisiche: tale è il risultato sicuro dell’analisi. E anche la connessione produttiva di queste unità mostra poi qualità particolari che non sono esaurite dai rapporti di unità e di pluralità, di tutto e di parte, di composizione e di azione reciproca. Procediamo: l’unità vivente è una connessione produttiva che rispetto a quella della natura ha il vantaggio di essere vissuta immediatamente, le cui parti attive non possono venir misurate nella loro intensità ma soltanto valutate, e la cui individualità non può essere separata da ciò che costituisce la comunità umana, cosicché l’umanità è soltanto un tipo indeterminato. Perciò ogni stato particolare nella vita psichica costituisce una nuova posizione dell’intera unità vivente, un legame della sua totalità con le cose e con gli uomini; e poiché ogni manifestazione della vita che proceda da una comunità o che appartenga alla connessione produttiva di un sistema di cultura è il prodotto di varie unità viventi che cooperano tra di loro, gli elementi di queste formazioni composte rivestono un carattere corrispondente. Per quanto ogni processo psichico appartenente a tale totalità possa essere determinato dall’intenzione della connessione produttiva, tuttavia questo processo non lo è mai in maniera esclusiva. L’individuo, in cui tale processo si compie, s’inserisce come unità vivente nella connessione produttiva; e nella sua manifestazione esso agisce come un tutto. La natura è suddivisa, in virtù della differenziazione dei sensi ognuno dei quali racchiude un ambito di qualità omogenee, in sistemi diversi che sono omogenei al loro interno. Il medesimo oggetto, ad esempio una campana, è duro, di colore bronzeo, capace di produrre al rintocco un insieme di suoni; e ognuna delle sue proprietà occupa un posto in uno dei sistemi dell’apprendimento sensibile, senza che a noi sia data una connessione interna tra queste qualità. Nell’Erleben io esisto a me stesso come connessione. Ogni situazione mutata produce una nuova posizione della vita intera. Parimenti in ogni manifestazione della vita, che si presenta alla nostra comprensione, agisce sempre tutta la vita. Perciò né nell’Erleben né nella comprensione ci sono dati sistemi omogenei, che ci permettano di scoprire leggi del mutamento. La comunanza, l’affinità si apre a noi nella comprensione, e questo ci porta d’altro lato a cogliere innumerevoli sfumature di differenziazione, dalle grandi distinzioni tra razze, stirpi e popoli, all’infinita molteplicità degli individui. Perciò nelle scienze della natura domina la legge dei mutamenti, mentre nel mondo spirituale domina la comprensione dell’individualità, dalla persona singola all’individuo costituito

dall’umanità, nonché il procedimento comparativo, che si propone di ordinare concettualmente questa molteplicità individuale. Da questi rapporti discendono i limiti della conoscenza dello spirito in riferimento sia allo studio della psicologia sia alle discipline sistematiche, che dovranno essere illustrati in modo più dettagliato nella dottrina del metodo. Da un punto di vista generale è evidente che sia la psicologia sia le singole discipline sistematiche avranno un carattere prevalentemente descrittivo e analitico. E qui intervengono le mie precedenti considerazioni sul procedimento analitico nella psicologia e nelle scienze sistematiche dello spirito, a cui qui mi rifaccio nelle linee generalis. 4. La storia e la sua comprensione per mezzo delle scienze sistematiche dello spirito. La conoscenza propria delle scienze dello spirito si compie, come si è visto, nella dipendenza reciproca della storia e delle discipline sistematiche; e poiché l’intenzione della comprensione precede in ogni caso l’elaborazione concettuale, noi cominciamo con le proprietà generali del sapere storico. Il sapere storico. L’apprendimento della connessione produttiva costituita dalla storia sorge anzitutto da punti particolari in cui i resti del passato vengono collegati tra di loro nella comprensione, mediante la relazione con l’esperienza della vita; ciò che ci circonda da vicino diventa per noi il mezzo per comprendere ciò che sta lontano ed è passato. La condizione di questa interpretazione dei resti storici risiede nel carattere di persistenza nel tempo e di validità umana universale di ciò che noi vi immettiamo. Così noi trasponiamo la nostra conoscenza dei costumi, delle consuetudini, delle connessioni politiche, dei processi religiosi; e il presupposto ultimo di questa trasposizione è costituito sempre dalle connessioni che lo storico ha vissuto in se stesso. La cellula originaria del mondo storico è l’Erlebnis, nel quale il soggetto si trova nella connessione produttiva della vita con il suo ambiente. Questo ambiente agisce sul soggetto e ne subisce l’influenza: esso è composto dall’ambiente fisico e spirituale. In ogni parte del mondo storico vi è quindi la medesima connessione del corso di un accadere psichico in una connessione produttiva con un dato ambiente. Da ciò deriva il compito di valutare le influenze naturali sull’uomo e di determinare l’azione che su di lui esercita l’ambiente spirituale. Come la materia prima viene nell’industria sottoposta a diversi tipi di lavorazione, così anche i resti del passato vengono elevati a piena

comprensione storica mediante procedure diverse. La critica, l’interpretazione e il procedimento che reca unità nella comprensione di un processo storico si collegano tra di loro. L’aspetto caratteristico sta però anche qui nel fatto che non si ha una semplice fondazione di un’operazione sull’altra: la critica, l’interpretazione e il collegamento concettuale hanno compiti differenti; ma la soluzione di ognuno di questi compiti richiede continuamente prospettive ottenute per altre vie. Proprio questo rapporto ha però come conseguenza che la fondazione della connessione storica dipende sempre da un intreccio di operazioni che non può venir illustrato logicamente in modo compiuto, e che mai può giustificarsi di fronte allo scetticismo storico mediante prove incontestabili. Si pensi alle grandi scoperte di Niebuhr sull’antica storia romana. La sua critica è in ogni punto inseparabile dalla sua ricostruzione del corso effettivo. Egli ha dovuto stabilire come sia sorta la presente tradizione della più antica storia romana e quali conclusioni si possano trarre dalla sua origine per quanto riguarda il suo valore storico. Egli ha dovuto al tempo stesso cercare di trarre da un’argomentazione oggettiva i lineamenti fondamentali della storia reale. Questo procedimento metodico si muove senza dubbio in un circolo, qualora si applichino le regole di una dimostrazione rigorosa. E se Niebuhr si è contemporaneamente servito della conclusione analogica tratta da processi di sviluppo affini, la conoscenza di questi processi sottostà al medesimo circolo, e la conclusione analogica qui impiegata non dà nessuna certezza rigorosa. Perfino i resoconti contemporanei devono prima venir esaminati con riferimento alla concezione dell’autore, alla sua attendibilità, al suo rapporto con il processo in questione. E quanto più le narrazioni sono temporalmente distanti dall’avvenimento, tanto più si restringe la loro credibilità, se il valore degli elementi di una narrazione siffatta non può venir accertato mediante una riduzione ad altre più antiche e contemporanee agli avvenimenti stessi. La storia politica del mondo antico trova un terreno sicuro dove esistono dei documenti, e quella del mondo moderno dove sono conservati gli atti che costituiscono il corso di un avvenimento storico. La conoscenza sicura della storia politica ha avuto inizio soltanto con le raccolte critico-metodiche delle fonti e il libero accesso degli storici agli archivi. Ciò può arrestare completamente lo scetticismo storico di fronte ai fatti, e su tali fondamenti sicuri viene a costruirsi, con l’aiuto dell’analisi dei resoconti in base alle loro fonti e del controllo dei punti di vista degli autori, una ricostruzione che possiede probabilità storica e di cui soltanto menti spiritose ma non

scientifiche possono negare l’utilizzabilità. Questa ricostruzione non perviene certo a un sapere sicuro intorno ai motivi delle persone che agiscono, ma vi perviene per quanto riguarda le azioni e gli avvenimenti; e gli errori a cui sempre rimaniamo esposti per quanto riguarda i fatti particolari non mettono in dubbio l’insieme. In posizione assai più favorevole che nella comprensione del corso politico la storiografia si trova di fronte a fenomeni di massa, ma soprattutto quando ha dinanzi a sé opere artistiche o scientifiche che resistono all’analisi. I gradi della comprensione storica. La conquista graduale del materiale storico si compie attraverso diversi gradi, che penetrano sempre più nelle profondità della storia. Molteplici interessi spingono anzitutto alla narrazione di ciò che è accaduto. Viene qui soddisfatto anzitutto il bisogno originario di curiosità per le cose umane, in particolare per quelle della propria patria; e si fa insieme valere l’orgoglio nazionale e statale. Sorge così l’arte narrativa, il cui modello per ogni tempo rimane Erodoto. Ma poi viene in primo piano l’orientamento verso la spiegazione. La cultura ateniese nell’età di Tucidide ha per la prima volta offerto le condizioni indispensabili. Le azioni vengono derivate, mediante un’acuta osservazione, da motivi psicologici; le lotte di potenza tra gli stati, il loro corso e il loro esito vengono spiegati in base alle loro forze militari e politiche, e vengono studiati gli effetti delle costituzioni statali. E quando un grande pensatore politico come Tucidide spiega il passato in base al sobrio studio della connessione produttiva in esso presente, ne deriva contemporaneamente che la storia ammaestra anche sopra il futuro. Quando si è riconosciuto un corso antecedente e si è mostrata l’affinità con esso dei primi stadi di un processo è possibile, in virtù di una conclusione analogica, prevedere il ripresentarsi di un analogo corso ulteriore. Questa conclusione, sulla quale Tucidide ha fondato gli insegnamenti della storia per il futuro, è infatti di decisiva importanza per il pensiero politico. Come nelle scienze naturali, così anche nella storia una regolarità entro la connessione produttiva consente di formulare predizioni e di svolgere un’influenza fondata sul sapere. Se già il contemporaneo dei Sofisti aveva studiato le costituzioni come forze politiche, in Polibio si presenta una storiografia in cui la trasposizione metodica delle scienze sistematiche dello spirito alla spiegazione della connessione produttiva della storia permette di introdurre nel procedimento esplicativo l’azione di forze permanenti, quali sono la costituzione, l’organizzazione militare, le finanze. L’oggetto di Polibio era l’azione reciproca

degli stati che, dall’inizio della lotta tra Roma e Cartagine fino alla distruzione di Cartagine e di Corinto, hanno costituito per lo spirito europeo il mondo storico; egli ha quindi cercato di derivare dallo studio delle forze permanenti in essi presenti i processi politici particolari. Così il suo punto di vista diventa al tempo stesso storico-universale, in quanto egli riunisce in sé la cultura teoretica greca, lo studio della più raffinata politica e del sistema bellico della sua patria, con una conoscenza di Roma che poteva essere assicurata soltanto dal contatto con i maggiori uomini di stato del nuovo impero mondiale. E numerose forze spirituali agiscono nel tempo da Polibio fino a Machiavelli e a Guicciardini, in primo luogo l’approfondimento senza fine del soggetto in se medesimo e contemporaneamente l’allargamento dell’orizzonte storico; ma i due grandi storici italiani restano assolutamente affini a Polibio per quanto riguarda il loro procedimento. Un nuovo livello di storiografia è stato raggiunto soltanto nel secolo XVIII. Allora sono stati introdotti l’uno dopo l’altro due grandi princìpi, in quanto la concreta connessione produttiva, estratta come oggetto storico dal grande fluire della storia, è stata scomposta in connessioni particolari, come quelle del diritto, della religione, della poesia, comprese nell’unità di un’epoca. Ciò presupponeva che lo sguardo dello storico mirasse, al di là della storia politica, alla storia della civiltà, che in ogni campo della civiltà fosse già conosciuta, da parte delle scienze sistematiche dello spirito, la funzione che esso esercita, e che si fosse già formata una comprensione del cooperare di questi sistemi di cultura. La storiografia moderna ha avuto inizio nell’età di Voltaire. E in seguito è stato introdotto, a partire da Win-ckelmann, Justus Möser77 e Herder, un secondo principio, quello di sviluppo. Esso afferma che in una connessione produttiva storica è implicito, come nuova qualità fondamentale, che essa percorre — in virtù della sua essenza — una serie di mutamenti ognuno dei quali è possibile soltanto sulla base dei precedenti. Questi diversi gradi designano elementi che, una volta acquisiti, sono rimasti vitali nella storiografia. L’arte narrativa piena di gioia, la spiegazione acuta, l’applicazione ad essa del sapere sistematico, la scomposizione in connessioni produttive particolari e il principio dello sviluppo — tutti questi elementi sono venuti a sommarsi e a rafforzarsi reciprocamente. La separazione di una connessione produttiva dal punto di vista dell’oggetto storico. Sempre più chiaro ci appare il significato della scomposizione della concreta connessione produttiva e della sintesi scientifica delle connessioni

produttive particolari in essa contenute. Lo storico non segue all’infinito, partendo da un punto, il nesso degli avvenimenti in tutte le direzioni; nel’unità di un oggetto, che costituisce il tema dello storico, risiede piuttosto un principio di selezione che è dato insieme al compito di cogliere proprio questo oggetto. Infatti la trattazione dell’oggetto storico non richiede soltanto la sua separazione dall’estensione della concreta connessione produttiva, ma l’oggetto contiene al tempo stesso un principio di selezione. La caduta di Roma, la liberazione dell’Olanda, la Rivoluzione francese richiedono la selezione di processi e di connessioni che contengano le cause, tanto particolari quanto generali, della dissoluzione dell’Impero romano, della liberazione dell’Olanda, del compimento della rivoluzione, cioè le forze operanti in tutte le loro trasformazioni. Lo storico che lavora con connessioni produttive deve separarle e collegarle in maniera che chi è a conoscenza del dettaglio non perda nulla, poiché ogni particolare viene rappresentato nei forti tratti della connessione produttiva complessiva. In ciò non consiste soltanto la sua capacità rappresentativa, ma questa è piuttosto il risultato di un determinato modo di vedere. Quando si indagano queste robuste e profonde connessioni, anche qui appare che la loro penetrazione deriva dal legame tra il progredire della comprensione storica delle fonti con un apprendimento sempre maggiore delle connessioni della vita psichica. Se si coglie poi più da vicino il tipo di connessione produttiva che si presenta nei maggiori avvenimenti della storia, come l’origine del Cristianesimo o la Riforma o la Rivoluzione francese o le guerre di liberazione nazionale, la si può concepire come opera di una forza complessiva che abbatte, nella sua tendenza unitaria, tutti gli ostacoli. E si troverà sempre che in essa agiscono due tipi di forze. Le prime sono tensioni che risiedono nel sentimento di bisogni imperiosi e non soddisfatti dalla situazione data, in nostalgie di ogni specie, nell’accrescersi degli attriti e delle lotte, e insieme nella consapevolezza di un’insufficienza delle forze volte a difendere l’esistente. Le altre sono energie che spingono in avanti — cioè un volere e un potere e un credere positivo. Esse riposano sugli istinti robusti di molti, ma vengono illustrate e rafforzate da Erlebnisse di personalità importanti. E in quanto queste tendenze positive nascono dal passato per volgersi verso il futuro, esse sono creatrici: racchiudono in sé degli ideali, la loro forma è l’entusiasmo, e in questo è insita una forma peculiare di parteciparsi e di diffondersi. Da ciò deriviamo il principio generale che nella connessione produttiva dei

grandi avvenimenti storici i rapporti di pressione, tensione, sentimento di insufficienza dello stato esistente — vale a dire sentimenti di segno negativo e forme di rifiuto — costituiscono il fondamento per l’azione, che è sorretta da sentimenti positivi di valore, verso fini da raggiungere e determinazioni di scopo. Quando entrambi gli elementi cooperano, si verificano i grandi mutamenti di portata universale. Nella connessione produttiva l’agente vero e proprio è perciò costituito dagli stati psichici che si esprimono nel valore, nel bene e nello scopo, e tra i quali si devono considerare come forze operanti non soltanto gli orientamenti verso beni di cultura, ma anche la volontà di potenza, anche l’inclinazione a opprimere gli altri.

La separazione delle connessioni produttive nella storia mediante il procedimento analitico. I sistemi di cultura. Da ciò risulta che già la determinazione dell’oggetto di un’opera storica comporta una selezione degli avvenimenti e delle connessioni. Ma la storia racchiude un sistema ordinato in base al quale la sua concreta connessione produttiva consiste di campi particolari isolabili, in cui vengono compiute operazioni separate, cosicché i processi che si svolgono negli individui in riferimento a una comune operazione costituiscono una connessione produttiva unitaria e omogenea. Questo rapporto è già stato da me illustrato in precedenzat: su di esso poggia l’elaborazione concettuale mediante cui diventano conoscibili, nella scienza storica, connessioni di carattere generale. L’analisi e l’isolamento mediante cui queste connessioni produttive vengono poste in luce è quindi il procedimento decisivo che l’analisi logica delle scienze dello spirito deve prendere in esame. Appare subito evidente l’affinità di tale analisi con quella in cui viene scoperta la connessione strutturale dell’unità della vita psichica. Le connessioni produttive più semplici e più omogenee che compiono una funzione culturale sono l’educazione, la vita economica, il diritto, le funzioni politiche, le religioni, la socialità, l’arte, la filosofia, la scienza. Prendo ora in esame le proprietà di un sistema siffatto. In esso si compie un’operazione. Così il diritto realizza le condizioni coercitive per la perfezione dei rapporti della vita. La poesia ha la sua essenza nell’espressione di ciò che è immediatamente vissuto e nella rappresentazione dell’oggettivazione della vita, in maniera tale che l’avvenimento isolato dal poeta si presenta ricco di effetti nel suo significato per la totalità della vita. In questa operazione gli individui sono legati tra di loro. I processi particolari che hanno luogo in essi si riferiscono alla connessione produttiva costituita da tale operazione e le appartengono. Così questi processi sono elementi di una connessione che realizza l’operazione. Le regole del testo giuridico, il processo in cui le parti avverse discutono, dinanzi a un tribunale, intorno a un’eredità, secondo le regole di quel testo, la decisione del tribunale e la sua esecuzione costituiscono una lunga serie di processi psichici particolari; essi sono distribuiti tra persone diverse e s’intrecciano gli uni con gli altri, per risolvere infine il compito contenuto nel diritto in riferimento a un determinato rapporto della vita. Il compimento della funzione poetica è collegato in misura molto

maggiore nel processo unitario che avviene nell’animo del poeta; ma nessun poeta è il creatore esclusivo della sua opera: egli riceve un avvenimento dalla saga, si trova davanti la forma epica in cui lo traduce in poesia, studia l’efficacia di scene particolari nei suoi predecessori, impiega una misura metrica, deriva la sua concezione del significato della vita dalla coscienza popolare o da individui eminenti, ha bisogno di ascoltatori che godano accogliendo l’impressione dei suoi versi e realizzando così il suo sogno di influenza. La funzione del diritto, della poesia o di un altro sistema di scopi della cultura si attua perciò in una connessione produttiva che è costituita da determinati processi, collegati da tale operazione, i quali si compiono in certi individui. Nella connessione produttiva di un sistema di cultura si fa valere una seconda proprietà. Il giudice, oltre a esplicare la sua funzione nell’ordinamento giuridico, è inserito anche in varie altre connessioni produttive; egli agisce nell’interesse della sua famiglia, deve compiere operazioni economiche, esercita le sue funzioni politiche, forse scrive pure dei versi. Perciò gli individui nella loro totalità non sono legati tra di loro in tale connessione produttiva, ma in mezzo alla molteplicità dei rapporti produttivi sono reciprocamente uniti soltanto quei processi che appartengono a un determinato sistema, e l’individuo è inserito in diverse connessioni produttive. La connessione produttiva di un tale sistema di cultura si realizza in virtù di una posizione differenziata dei suoi membri. La solida impalcatura di ognuno di essi è formata da persone in cui i processi, che servono a tale funzione, costituiscono l’occupazione principale della loro vita, sia per inclinazione sia per il fatto che all’inclinazione si congiunge la professione. Tra di esse emergono poi le persone che incorporano in sé, per così dire, l’intenzione verso tale funzione, e che l’unione di talento e di professione rende rappresentanti di questo sistema di cultura. E infine i portatori veri e propri della creazione in un tale campo sono le nature produttive — i fondatori delle religioni, gli scopritori di una nuova visione filosofica del mondo, gli inventori scientifici. Così in una connessione produttiva siffatta si ha un intreccio: le tensioni accumulate in un vasto ambito spingono verso il soddisfacimento del bisogno; l’energia produttiva trova la strada nella quale si compie tale soddisfacimento o suscita l’idea creatrice che spinge in avanti la società, infine si aggiungono quelli che la sviluppano e poi i molti che la ricevono. Procedendo nell’analisi, ognuno di questi sistemi di cultura, che realizza

una funzione, attua in essa un valore comune a tutti coloro che sono orientati verso tale funzione. Ciò di cui l’individuo ha bisogno, e che però non può mai realizzare, gli proviene dall’agire della totalità: un valore complessivo creato in comune, a cui egli può partecipare. L’individuo ha bisogno della sicurezza della sua vita, della sua proprietà, della sua cerchia familiare; ma soltanto una forza indipendente della comunità soddisfa il suo bisogno stabilendo regole coercitive per la vita comune, le quali rendono possibile la protezione di questi beni. L’individuo soffre, nei tempi primitivi, sotto la pressione di forze incontrollabili che lo circondano, di forze che stanno al di là dell’ambito ristretto di attività della sua stirpe o del suo popolo; ma una diminuzione di questa pressione gliela dà soltanto la creazione della fede a opera dello spirito collettivo. In ogni sistema di cultura siffatto dalla natura della funzione a cui è indirizzata la connessione produttiva deriva un ordinamento dei valori; questo viene creato nel lavoro comune compiuto in vista di tale funzione; sorgono oggettivazioni della vita in cui il lavoro si è condensato; e sorgono organizzazioni che servono alla realizzazione delle varie operazioni nei sistemi di cultura — testi giuridici, opere filosofiche, poesie. Il bene che la funzione doveva realizzare ora esiste, e sarà sempre più perfezionato. Le parti di una tale connessione produttiva acquistano una significatività nel loro rapporto con la totalità in quanto portatrice di valori e di scopi. In primo luogo le parti del corso della vita hanno un significato in base al loro rapporto con la vita, con i suoi valori e con i suoi scopi, con lo spazio che qualcosa occupa in essa. E poi gli avvenimenti storici diventano significativi in quanto sono elementi di una connessione produttiva, cooperando insieme ad altre parti alla realizzazione di valori e di scopi propri della totalità. Mentre noi ci troviamo confusi dinanzi alla complessa connessione dell’accadere storico, senza poter percepire in esso né una struttura né regolarità né uno sviluppo, ogni connessione produttiva, che realizza una funzione culturale, mostra una propria struttura. Se concepiamo la filosofia come una connessione produttiva del genere, essa si presenta anzitutto come una molteplicità di operazioni: innalzamento delle visioni del mondo a validità universale, riflessione del sapere su se stesso, relazione della nostra attività orientata verso uno scopo e del sapere pratico con la connessione della conoscenza, spirito critico sempre presente nell’intera cultura, lavoro di collegamento e di fondazione. La ricerca storica mostra però che abbiamo qui ovunque a che fare con funzioni che si presentano sotto certe condizioni storiche, ma che in ultima analisi sono fondate su una funzione unitaria

propria della filosofia. Essa è una riflessione universale che procede continuamente verso le generalizzazioni supreme e le fondazioni ultime. La struttura della filosofia sta quindi nel rapporto di questo suo carattere fondamentale con le funzioni particolari che compie in base alle condizioni temporali. Così la metafisica si sviluppa sempre nella connessione interna tra vita, esperienza della vita e visione del mondo. E dal momento che la tendenza alla stabilità, che in noi lotta continuamente con l’accidentalità della nostra esistenza, non trova alcuna soddisfazione permanente nelle forme religiose e poetiche di visione del mondo, sorge allora il tentativo di elevare la visione del mondo a sapere universalmente valido. Inoltre nella connessione produttiva di un sistema di cultura si può ogni volta rintracciare un’articolazione in forme particolari. Ogni sistema di cultura ha uno sviluppo che si compie sulla base della sua funzione, della sua struttura, della sua regolarità. Mentre nel corso concreto dell’accadere non si può trovare nessuna legge di sviluppo, la sua analisi in connessioni produttive particolari e omogenee dischiude lo sguardo sulla successione di stati determinati dall’interno, che si presuppongono l’un l’altro in maniera che dallo strato sottostante ne emerge ogni volta uno superiore, e che procedono a una crescente differenziazione e integrazione. Le organizzazioni esterne e l’insieme politico: le nazioni organizzate politicamente. a) Sulla base dell’articolazione naturale dell’umanità e dei processi storici si sviluppano ora gli stati del mondo civile, ognuno dei quali riunisce in sé le connessioni produttive dei sistemi di cultura, e soprattutto le nazioni organizzate in forma statale. L’analisi si limita qui a questa forma tipica dell’organizzazione politica attuale. Ognuno di questi stati è un’organizzazione composta da varie comunità. La coesione delle comunità in esso congiunte è la potenza sovrana della stato, al di sopra della quale non esiste nessun’altra istanza. E chi potrebbe negare che il senso della storia, fondato nella vita, venga a manifestarsi tanto nella volontà di potenza che riempie questi stati, nel bisogno di dominio verso l’interno e verso l’esterno, quanto nei sistemi di cultura? E a tutto questo aspetto di brutalità, di terribilità, di distruzione, che è contenuto nella volontà di potenza, a tutta la pressione e la coercizione intrinseche al rapporto di dominio e di obbedienza, non è forse legata la coscienza della comunità, dell’appartenenza reciproca, la partecipazione piena di gioia alla potenza dell’insieme politico, tutti Erlebnisse che rientrano tra i valori umani più alti?

Il lamento sulla brutalità della potenza dello stato è strano: infatti, come ha visto Kant, il compito più difficile del genere umano risiede proprio nel fatto che la volontà individuale e la sua tendenza a estendere la propria sfera di potenza e di godimento dev’essere tenuta a freno dalla volontà collettiva e dalla coercizione che essa esercita, e inoltre che, in caso di loro conflitto, per essa la decisione consiste soltanto nella guerra, e anche all’interno la stessa coercizione resta l’ultima istanza. Sul terreno di questa volontà di potenza, intrinseca all’organizzazione politica, sorgono le condizioni che rendono possibili in generale i sistemi di cultura. Così si presenta qui una struttura complessa, nella quale i rapporti di forza e le relazioni dei sistemi di scopo sono collegati in un’unità superiore. In essa la comunanza sorge in primo luogo dall’azione reciproca dei sistemi di cultura. Cerco ora di illustrare tutto questo rifacendomi, a tale scopo, alla più antica società germanica a noi accessibile, quale ce la descrivono Cesare e Tacito. Qui la vita economica, lo stato e il diritto sono legati alla lingua, al mito, alla religiosità e alla poesia proprio come in ogni epoca successiva: tra le qualità dei campi particolari della vita sussiste un’azione reciproca che pervade la totalità in un dato tempo. Così, all’epoca della Germania di Tacito, dallo spirito guerriero si è sviluppata la poesia eroica che già glorificava nei suoi canti Arminio78, e questa poesia reagiva a sua volta rafforzando lo spirito guerriero. Da questo spirito guerriero è sorta pure l’inumanità nella sfera religiosa, come mostrano il sacrificio dei prigionieri e l’esposizione dei loro cadaveri in luoghi sacri. Proprio il medesimo spirito influiva sulla posizione del dio della guerra nel mondo degli dèi, e da ciò derivava di nuovo una reazione sul sentimento bellico. Così si costituisce una corrispondenza tra i diversi campi della vita, la quale è così forte che dallo stato di uno di essi possiamo compiere un’inferenza sullo stato di un altro. Ma quest’azione reciproca non spiega compiutamente i rapporti di comunanza che collegano tra di loro le diverse operazioni di una nazione. Che tra economia, guerra, costituzione, diritto, linguaggio, mito, religiosità e poesia vi sia in questa epoca una straordinaria concordanza e armonia, non deriva dal fatto che una qualsiasi funzione fondamentale, sia essa anche la vita economica o l’attività bellica, abbia condizionato le altre. Il fatto non può venir considerato neppure semplicemente come prodotto dell’azione reciproca dei diversi campi nella loro situazione in quel dato periodo. Per esprimerci in termini generali, quali che siano le influenze derivanti dalla forza e dalle proprietà di certe operazioni, tuttavia l’affinità che unisce tra di loro i diversi campi della vita

all’interno di una nazione deriva prevalentemente da una profondità comune che nessuna descrizione può esaurire. Essa esiste per noi soltanto nelle manifestazioni della vita che scaturiscono da tale profondità e che la esprimono. È l’uomo, appartenente a una certa nazione in una data epoca, che immette in ogni manifestazione della vita in un determinato campo della civiltà qualcosa della peculiarità della sua essenza; infatti, come abbiamo visto, i momenti della vita degli individui, collegati nella connessione della funzione, non procedono da essa esclusivamente, ma l’uomo intero agisce sempre in ognuna delle sue attività e partecipa quindi ad esse le proprie qualità. E poiché l’organizzazione statale comprende in sé diverse comunità fin giù alla famiglia, l’ambito della vita nazionale comprende inoltre connessioni minori, cioè comunità che hanno i loro propri movimenti, e tutte queste connessioni produttive s’incrociano nei singoli individui. Più ancora: lo stato attrae a sé l’attività che si svolge nei sistemi di cultura; e la Prussia di Federico è l’esempio tipico di un tale estremo incremento di intensità e di estensione dell’influenza statale. Accanto alle forze indipendenti, che continuano a operare nei sistemi di cultura, agiscono in essi anche le attività che procedono dallo stato; e nei processi appartenenti a una tale totalità dello stato l’attività autonoma e il condizionamento da parte della totalità sono sempre collegati tra loro. b) Il movimento proprio di ogni cerchia particolare in questa grande connessione produttiva è determinato dall’orientamento a compiere la sua funzione. Questa forza produttiva ha in sé la duplicità della tensione e di un’energia positiva rivolta alla posizione di scopi: tutte le connessioni produttive concordano in ciò, ma ognuna di esse ha la sua struttura peculiare, la quale dipende dalla funzione che compie. La struttura di un sistema di cultura, in cui si realizza una connessione articolata di operazioni, in cui i processi degli individui vengono mossi da tale connessione, in cui lo sviluppo dei valori, dei beni, delle regole, degli scopi è determinato dall’essenza immanente di questa funzione, è quanto mai differente da quella propria della connessione produttiva di un’organizzazione politica, poiché in questa non esiste una tale legge di sviluppo immanente consistente in una funzione, i fini mutano in generale secondo la natura delle organizzazioni, la macchina è per così dire analoga a quella impiegata per un altro compito, vengono risolti l’uno accanto all’altro compiti del tutto eterogenei e realizzati valori appartenenti a classi completamente differenti. Da una tale scomposizione del mondo storico in connessioni produttive

particolari risulta una conclusione, che ci fornisce l’orientamento per l’ulteriore soluzione del problema contenuto nel mondo storico. La conoscenza del significato e del senso del mondo storico è stata spesso ottenuta, per esempio da Hegel o da Comte, mediante la determinazione di una direzione generale nel movimento della storia universale. Si tratta di un’operazione che riunisce il cooperare di elementi diversi in una visione indeterminata. In realtà è emerso che il movimento storico si compie nelle connessioni produttive particolari; e inoltre è apparso chiaro che tutta l’impostazione indirizzata a individuare un fine della storia è assolutamente unilaterale. Il senso manifesto della storia deve essere cercato anzitutto in ciò che è sempre presente, in ciò che ricorre sempre nelle relazioni strutturali, nelle connessioni produttive, nella formazione di valori e di scopi entro di esse, nell’ordine interno in cui stanno tra di loro — dalla struttura della vita individuale fino all’ultima più comprensiva unità: questo è il senso che la storia ha sempre e ovunque, che poggia sulla struttura dell’esistenza individuale e che si manifesta nella struttura delle connessioni produttive composte entro l’oggettivazione della vita. Questa regolarità ha determinato anche lo sviluppo passato, e ad essa è sottoposto il futuro. L’analisi della costruzione del mondo spirituale avrà soprattutto il compito di mostrare tali regolarità nella struttura del mondo storico. In tal modo si liquida pure la concezione che ha visto il compito della storia nel progredire da valori, obbligazioni, norme, beni relativi ad altri incondizionati: con essa passeremmo dall’ambito delle scienze empiriche all’ambito della speculazione. Infatti la storia ha sì conoscenza di posizioni di un elemento incondizionato sotto forma di valore, di norma o di bene. Posizioni del genere si presentano sempre in essa — sia come date nella volontà divina, sia come date in un concetto razionale di perfezione, in una connessione teleologica del mondo, in una norma universalmente valida del nostro agire, fondata su una filosofia trascendentale. Ma l’esperienza storica conosce soltanto i processi, per essa così importanti, che sono a base di queste posizioni; di per sé non sa nulla della loro validità universale. Seguendo il corso in cui si elaborano tali valori, beni o norme incondizionate, essa osserva per diversi di essi il modo in cui la vita li ha prodotti; la posizione incondizionata è stata però possibile soltanto in virtù della limitazione dell’orizzonte temporale. Essa guarda di là alla totalità della vita nella pienezza delle sue manifestazioni storiche; osserva la disputa mai appianata che si svolge tra queste posizioni incondizionate. La questione se la

subordinazione a un elemento incondizionato siffatto, che è appunto un fatto storico, debba essere ricondotta in maniera logicamente cogente a una condizione universale, non limitata temporalmente, insita nell’uomo, oppure sia da considerare come prodotto della storia, conduce alle profondità ultime della filosofia trascendentale, le quali stanno al di là dell’ambito dell’esperienza storica e a cui neppure la filosofia è in grado di strappare una risposta sicura. E se anche tale questione fosse decisa nel primo senso, ciò non potrebbe essere utile allo storico per la selezione, la comprensione, la scoperta di qualche connessione, qualora non si potesse determinare il contenuto di tale elemento incondizionato. Così l’intervento della speculazione nel campo di esperienza dello storico difficilmente potrà avere successo. Lo storico non può rinunciare al tentativo di comprendere la storia in base a se stessa, cioè sulla base dell’analisi delle varie connessioni produttive. c) Così una nazione organizzata in forma statale può essere concepita come un’unità strutturale individualmente determinata di connessioni produttive. Il carattere comune delle nazioni organizzate in forma statale poggia sulle regolarità presenti nella forma di movimento delle connessioni produttive, nelle loro relazioni reciproche e, poiché esse sono creatrici di valori e di scopi, nel rapporto tra connessione produttiva, produzione di valori, posizione di scopi e connessione di significato all’interno di un’organizzazione politica. Ognuna di queste connessioni produttive è incentrata in se stessa in un modo particolare, e su ciò è fondata la regola interna del suo sviluppo. Sulla base di tali regolarità, che attraversano tutte le nazioni organizzate in forma statale, si elevano le loro configurazioni individuali, le quali lottano e cooperano nella storia per la loro vita e per la loro validità. In ogni nazione organizzata in forma statale l’analisi — e questa soltanto, non già la storia dell’origine delle nazioni, rientra in tale connessione — distingue vari elementi. Tra gli individui che essa comprende, i quali stanno tra di loro in un rapporto di azione reciproca, esiste una comunanza di carattere e di manifestazioni della vita; essi hanno coscienza di questa comunanza e dell’appartenenza reciproca che riposa su questa; in essi vive perciò un orientamento a perfezionare tale appartenenza reciproca. Questi elementi comuni possono venir constatati negli individui singoli, ma pervadono e caratterizzano anche tutte le connessioni esistenti all’interno della nazione. L’analisi mostra inoltre in ogni nazione un nesso di connessioni produttive particolari. La potenza esterna e interna dello stato fa della nazione un’unità che opera in forma autonoma. All’interno di questa unità si

sovrappongono vari gruppi sociali, e ognuno di essi costituisce una connessione produttiva relativamente indipendente. I sistemi culturali, che si estendono al di là della singola nazione, entrano in rapporto con altre connessioni produttive, e sono modificati dagli elementi comuni che pervadono l’intero popolo; la forza della loro azione è accresciuta dai gruppi che nascono in base al loro orientamento in vista di una determinata funzione. Sorge così la complessa struttura della nazione organizzata in forma statale. Ad essa corrisponde una nuova autocentralità di questa totalità. In essa viene vissuto un valore per tutti; l’agire degli individui ha in questo un fine comune. La sua unità si oggettiva nella letteratura, nei costumi, nell’ordinamento giuridico e negli organi della volontà collettiva; ed essa si manifesta pure nella connessione dello sviluppo nazionale. Vengo ora a illustrare in alcuni punti principali la cooperazione dei diversi elementi che fanno parte di una totalità organizzata in forma statale, quali sono stati determinati, nella vita nazionale di una certa epoca. A tale scopo mi rifaccio ai Germani dell’età di Tacito. Quando Tacito scriveva, il fondamento della vita germanica era ancor sempre l’unione della guerra con lo sfruttamento del terreno, della caccia con l’allevamento del bestiame e con l’agricoltura. Il contenimento della diffusione delle stirpi germaniche ha accelerato il corso naturale verso l’insediamento stabile, e la Germania è divenuta un paese agricolo. Da questo rapporto con il suolo e il terreno nella caccia, nell’allevamento del bestiame e nell’agricoltura è derivato il legame dei Germani di allora con la terra e con ciò che cresce e vive su di essa. E tale vicinanza è il primo elemento decisivo per la vita spirituale dei Germani in questa epoca. Altrettanto chiara è l’influenza dell’altro fattore sociale di questa epoca, che abbiamo già menzionato, cioè dello spirito guerriero delle stirpi germaniche, sulla vita politica, sugli ordinamenti sociali e sulla cultura intellettuale del tempo. I compiti della guerra compenetravano tutti i settori della vita; si facevano valere nel rapporto delle famiglie con l’ordinamento militare, nelle centurie; incidevano sulla posizione dei capi e dei prìncipi. Dallo spirito guerriero è sorto poi anche il sistema del seguito, che è stato importante per lo sviluppo militare e politico. Circondano il principe, come suo seguito, uomini liberi che costituiscono la sua consociazione domestica militare. Soltanto la guerra poteva nutrire questo seguito. Esso era legato quindi al principe dal più saldo rapporto di fedeltà, da un rapporto che si presenta in tutta la sua bellezza propriamente germanica nel canto eroico e nell’epica popolare. Dalla guerra è poi sorto il regno militare di un Marbod79.

Frontespizio del volume delle «Abhandlungen» dell’Accademia prussiana delle scienze (Classe storicofilosofica) del 1910, che contiene il saggio La costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito.

A questi fattori si aggiunge l’individualità dello spirito nazionale. I suoi elementi comuni si fanno valere nel risultato delle connessioni produttive. Lo spirito guerriero, che le stirpi germaniche di quest’epoca hanno in comune con gli stadi primitivi di altri popoli, mostra tuttavia presso di esse una forza e un carattere particolare. Il valore della vita delle singole persone è riposto nelle loro qualità belliche. Da Tacito appare quasi che i migliori di essi vivevano in modo realmente completo soltanto in guerra; la cura della casa, del focolare e del campo era lasciata alle donne e agli individui inabili alla guerra. Un carattere peculiare spinge questi Germani ad agire nella totalità del loro essere e a mettersi in gioco senza riserve. Il loro agire non è determinato e limitato da una posizione razionale di scopi; in esso c’è una sovrabbondanza di energia che va al di là dello scopo, c’è qualcosa di irrazionale. Nella loro passione inesausta e indomabile essi mettono in gioco fino alla fine la loro persona e la loro libertà. Nella battaglia si rallegrano del pericolo; dopo la lotta cadono in una quiete indolente. Il loro mito e la loro saga eroica sono totalmente pervasi da questo carattere ingenuo, inconscio, che ripone il valore e il piacere maggiore dell’esistenza non già nella serena visione del mondo propria dei Greci, non già nella razionale determinazione di scopi propria dei Romani, ma nella manifestazione illimitata della forza in quanto tale, nello scuotimento, nell’estensione, nell’innalzamento della personalità che ne deriva. Questo tratto, che trova la sua espressione più alta nella gioia della lotta, esercita la sua influenza sull’intero sviluppo dei nostri ordinamenti politici e della nostra vita spirituale. L’ultimo tra gli elementi che una determinata totalità nazionale contiene, e che determinano il suo sviluppo, risiede nell’inserimento dei gruppi particolari minori nella totalità politica, quale essa sorge in virtù dei rapporti di dominio e di obbedienza e dei rapporti di comunità compresi in una volontà statale sovrana. Così in Germania vengono a susseguirsi il regno popolare in piccole comunità dalla struttura differenziata in modo incompleto, poi, sulla base della crescente divisione del lavoro, l’articolazione professionale, la distinzione dei ceti in una totalità nazionale legata in modo poco stretto, la formazione della signoria indipendente con la sua intensiva ed estesa attività statale negli stati territoriali, che gradualmente riduce in polvere, tra i diritti degli individui e la volontà di potenza dei sovrani, l’articolazione in base alla professione e ai ceti, e infine il progredire di questi stati verso un continuo ampliamento dei diritti individuali, dei diritti della comunità popolare nel sistema rappresentativo, in conformità a ordinamenti democratici, e d’altra parte la

subordinazione dei diritti principeschi all’impero nazionale. Se si ha presente questo sviluppo, appare allora che esso è ovunque condizionato in duplice modo: da un lato esso dipende dal rapporto mutevole delle forze entro il sistema statale, dall’altro è condizionato dai fattori dello sviluppo interno del singolo stato, che noi abbiamo ripercorso. Così risulta chiara la possibilità di sottoporre ad analisi la connessione produttiva che condiziona i momenti particolari dello sviluppo di una nazione e il suo sviluppo complessivo, e di scomporla nei suoi fattori. Le regolarità presenti nella struttura della totalità politica determinano le situazioni della totalità e i suoi mutamenti. Negli ordinamenti di questa totalità si sovrappongono per così dire strati successivi, di cui il successivo presuppone il precedente, come abbiamo visto nei mutamenti dell’organizzazione politica. Ognuno di questi strati mostra un ordinamento interno in cui le connessioni produttive, a partire dall’individuo, formano valori, realizzano scopi, raccolgono beni, sviluppano regole di condotta. I portatori e i fini di tali operazioni sono però differenti. Sorge così il problema della relazione interna tra tutte queste operazioni, dalla quale esse traggono il loro significato. Pertanto l’analisi della connessione logica delle scienze dello spirito ci conduce davanti a un compito ulteriore, sulla cui soluzione getterà luce, attraverso il collegamento dei metodi da esse impiegati, la costruzione delle scienze dello spirito. Età ed epoche. In un determinato periodo di tempo si possono così porre in luce analiticamente connessioni produttive particolari e mostrare i momenti di sviluppo che vi sono contenuti, determinando inoltre le relazioni che uniscono queste connessioni in una totalità strutturale e gli elementi comuni presenti nelle parti di un insieme politico: in tale maniera siamo pure in grado di comprendere, mediante il riferimento alle connessioni produttive, l’altro aspetto del mondo storico, cioè la linea del corso temporale e dei mutamenti che esso racchiude come una totalità continua e tuttavia separabile in sezioni temporali. Ciò che caratterizza in primo luogo le generazioni, le età, le epocheu, sono grandi tendenze dominanti che le pervadono. Ciò che le caratterizza è la concentrazione dell’intera cultura di un tale periodo in se stessa, in maniera tale che nella determinazione di valori, nella posizione di scopi, nelle regole di vita dell’epoca risiede il criterio di giudizio, di valutazione e di apprezzamento delle persone e degli orientamenti che conferisce a una determinata epoca il suo carattere. L’individuo,

l’orientamento, la comunità acquistano il proprio significato in questa totalità sulla base del loro rapporto interno con lo spirito del tempo. E poiché ogni individuo è inserito in un tale periodo, ne deriva pure che il suo significato per la storia consiste in questo suo rapporto con l’età. Quelle persone che procedono vigorosamente innanzi in un certo periodo sono le guide dell’età, i suoi rappresentanti. In questo senso si parla di spirito di un’epoca, per esempio dello spirito del Medioevo o dell’Illuminismo. Da ciò risulta pure che ognuna di tali epoche trova una delimitazione in un orizzonte di vita. Con ciò intendo la delimitazione per cui gli uomini di un’età vivono in rapporto al suo pensiero, al suo modo di sentire, alla sua volontà. In essa c’è un rapporto tra vita, legami vitali, esperienza della vita e formazione concettuale che mantiene e congiunge gli individui in un determinato ambito di modificazioni dell’apprendere, della formazione di valori e della posizione di scopi. Elementi inevitabili prevalgono qui sugli individui particolari. Accanto alla grande tendenza dominante che pervade un’intera età, dando ad essa il suo carattere, ve ne sono altre che le si contrappongono. Esse si sforzano di conservare l’antico, osservano le conseguenze dannose dell’unilateralità dello spirito del tempo e si rivolgono contro di questo; se invece si presenta qualcosa di creativo e di nuovo, che sorge da un diverso sentimento della vita, allora comincia entro questo periodo il movimento destinato a produrre una nuova epoca. Ogni contrapposizione rimane quindi sul terreno dell’età o dell’epoca; ciò che vi si oppone ha nel medesimo tempo la struttura di quella stessa epoca. In questo elemento creativo ha allora inizio un nuovo rapporto di vita, di legami vitali, di esperienza della vita e di formazione concettuale. Così i rapporti di significato che sussistono in un certo periodo tra le forze storiche sono fondati in quella relazione reciproca degli elementi comuni e delle connessioni produttive, che possono venir designati con il nome di tendenze, correnti, movimenti. Soltanto muovendo da esse si perviene al problema più complicato di determinare analiticamente la connessione strutturale di un’età o di un periodo. Illustrerò il problema considerando l’Illuminismo tedesco dal punto di vista di questa connessione interna. Infatti, compiendo l’analisi di un’età anzitutto in una nazione particolare, si viene a semplificare il compito. La scienza si era costituita nel secolo XVII. Dalla scoperta di un ordine della natura in base a leggi e dall’applicazione di questa conoscenza causale al

dominio sulla natura era sorta la fiducia dello spirito in un progredire regolare della conoscenza. In questo lavoro di indagine le nazioni civili erano unite tra loro. Così è sorta l’idea di un’umanità unificata nel progresso. Si formò l’ideale di un dominio della ragione sulla società; e questo ispirò le forze migliori; esse erano quindi congiunte in uno scopo comune, lavoravano con gli stessi metodi, attendevano dal progresso del sapere il miglioramento dell’intero ordinamento sociale. L’antico edificio alla cui costruzione avevano cooperato il dominio della chiesa, i rapporti feudali, il dispotismo illimitato, i capricci dei princìpi, l’inganno pretesco — edificio che i tempi avevano sempre trasformato e che sempre richiedeva nuovi restauri — doveva ora venir mutato in una costruzione conforme allo scopo, chiara e simmetrica. Questa è l’unità interna in cui la vita spirituale degli individui, la scienza, la religione, la filosofia e l’arte sono legate in una totalità nella connessione europea dell’Illuminismo. Questa unità si compì in modo differente nei vari paesi, configurandosi in maniera particolarmente felice e salda in Germania. Qui un orientamento generale si fece valere nella sua più alta vita spirituale. Se ci si volge all’indietro, si può trovare in Germania, a partire da Freidank80, la tendenza a subordinare consapevolmente la vita a salde regole; e se si volesse designarle come morali, ciò equivarrebbe a sottoporre il fenomeno a un punto di vista unilaterale e a determinarne l’ambito in modo troppo ristretto. La serietà dei popoli nordici è congiunta con un sottile bisogno di riflessione che nasce da un orientamento verso l’interiorità della vita e che è senza dubbio connesso con le situazioni politiche. Come nell’immobilità della vita statale le clausole giuridiche, i privilegi, gli accordi ostacolano il libero movimento della vita, così anche nell’individuo il sentimento dell’obbligo risulta più forte di quello della libera posizione di scopi. Nel godimento della vita si scorge sempre qualcosa di illecito. I potenti lo usurpano per sé, ma in esso c’è qualcosa che mette in crisi la loro coscienza. Così nella filosofia tedesca del secolo XVIII vi è un tratto fondamentale che unisce tra di loro Leibniz, Thomasius81, Wolff, Lessing, Federico il Grande, Kant e innumerevoli altri minori. Questa tendenza all’obbligazione e al dovere era stata promossa dallo sviluppo del Luteranesimo e della sua morale a partire da Melantone. Essa era favorita dall’articolazione della società in base al concetto di professione e di ufficio, che Lutero aveva introdotto nell’età moderna. E dato che nell’Illuminismo si accresceva la tendenza all’autonomia della persona, la perfezione diventava dovere: nella ragione vi è una legge naturale dello spirito, che esige

dall’individuo la realizzazione della perfezione in sé e negli altri. Questa esigenza è dovere: un dovere che non è imposto dalla divinità, ma che deriva dalla legge della nostra propria natura e può essere stabilito mediante motivi razionali. Soltanto in seguito la regola razionale può venir riferita al fondamento delle cose. Questa è la dottrina di Wolff, che si richiama indietro a Pufendorf82, Leibniz, Thomasius, e che conduce in avanti fino a Kant. Essa ha riempito tutta la letteratura dell’Illuminismo tedesco. In questa dottrina risiede il legame che unisce i Tedeschi dell’Illuminismo con quelli del secolo XVII, producendo in quest’epoca uno spirito unitario che pervade l’intera nazione come qualcosa di imponderabile, ovunque modificato e tuttavia sempre identico. Esso costituisce una determinazione del valore della vita che sta a base della connessione vitale dell’Illuminismo tedesco. Il nuovo schema di movimento dell’anima verso il suo valore supremo è fondato nel carattere razionale dell’uomo. La singola persona realizza il suo scopo in quanto, divenuta maggiorenne in virtù di motivi razionali, realizza in sé il dominio della ragione sulle passioni, e questo dominio della ragione si manifesta come perfezione. E dato che la ragione è universalmente valida e comune a tutti, e la perfezione della totalità in base alla ragione è superiore alla perfezione dell’individuo — nel senso che la perfezione di tutti ha un valore superiore a quella di una persona — cosicché sorge qui l’obbligo supremo in virtù del quale l’individuo è legato al bene della totalità, ne deriva la determinazione più precisa di questo principio come il principio della perfezione di tutti gli individui, che viene raggiunta mediante il progresso della totalità. Questo principio dell’Illuminismo non ha la sua base nel puro pensiero, e il suo dominio non poggia su di questo; ma in esso pervengono a un’espressione astratta tutti i valori della vita di cui hanno esperienza gli uomini dell’Illuminismo. Per queste menti, soprattutto Wolff, la perfezione diventa quindi, in modo abbastanza strano, un dovere, la tendenza verso di essa diventa una legge vincolante per l’individuo, e infine la divinità diventa per Wolff e i suoi allievi oggetto di doveri i quali hanno il loro centro di riferimento nella tendenza alla perfezione. La medesima esperienza della vita, in cui sono fondate queste idee, può venir studiata nel modo migliore in Leibniz. Essa poggia sull’Erlebnis della felicità dello sviluppo. E questo grande pensatore, come poi anche Lessing, ripone nel progredire stesso la suprema felicità dell’uomo, in quanto essa non può mai essergli assicurata dal contenuto del momento. E che tale progredire non si riferisca a questo o a quello scopo particolare, bensì allo sviluppo della persona individuale,

comprendendo e collegando tutto ciò che vi è in essa, Leibniz per primo lo esprime così mediante il suo Erleben. Questo Erlebnis è stato ovunque preparato dal fatto che nell’infelicità della vita nazionale l’individuo veniva spinto sempre verso se stesso, e indirizzato ai compiti culturali comuni. Come Leibniz lo aveva enunciato, così esso agì dappertutto. E con i concetti di valore che nascono dalla vita stessa, che Leibniz accoglieva, è determinato al tempo stesso il compito che egli poneva alla sua filosofia, cioè quello di derivare il significato della vita e il senso del mondo dalla connessione dei valori individuali dell’esistenza. Così nell’età dell’Illuminismo una connessione unitaria conduce dalla forma della vita all’esperienza della vita, dagli Erlebnisse in essa contenuti alla loro rappresentazione in concetti di valore, in imperativi del dovere, in determinazioni di scopo, nella coscienza del significato della vita e del senso del mondo. In questa connessione cresce ora la coscienza che tale epoca ha di sé, e nel progredire verso formule astratte queste acquistano, in virtù della dimostrazione razionale, un carattere assoluto; vengono formulati valori, obbligazioni, doveri, beni incondizionati, mentre proprio qui lo storico percepisce chiaramente la loro origine dalla vita stessa. Se nella riflessione dell’individuo sulla vita troviamo in Germania una tencenza alla sua configurazione razionale, una tendenza analoga si sviluppa qui contemporaneamente nella vita statale, sulla base delle condizioni particolari della connessione produttiva della vita politica. Nello sviluppo europeo dell’età moderna l’attività dello stato è diventata, nei diversi campi della cultura, sempre più pervasiva. Il centro di organizzazione di tutti i rapporti di potenza risiede ora nella burocrazia, nella classe militare, nelle istituzioni finanziarie, e l’attività dello stato diventa una forza propulsiva del movimento culturale. Su questo processo influiscono ovunque la lotta reciproca dei grandi stati per la potenza e per l’estensione, e il bisogno interno di trasformare in una totalità unitaria le parti messe insieme attraverso le guerre e le successioni ereditarie. L’unità degli stati moderni si concentra nel monarca, nella sua burocrazia e nel suo esercito. Essi devono pervenire a una più salda articolazione dei loro organi e a un’utilizzazione più intensiva delle loro forze. Ma questa diventa possibile soltanto con una più razionale condotta degli affari; il progresso politico non avviene spontaneamente, ma è prodotto. Ogni attività dell’insieme è determinata da una posizione razionale di scopi. Questo insieme include sempre in sé vari compiti culturali — il sistema scolastico, la scienza, e anche, dov’era possibile,

la vita ecclesiastica. I prìncipi rappresentano in sé non solo l’unità, ma anche l’orientamento culturale di tutto lo stato. Le libere forze irrazionali della fedeltà della persona alla persona vengono sostituite da altre calcolabili e operanti in modo sicuro. Così anche nella vita statale si attua la relazione di forze che conferisce all’età dell’Illuminismo la sua unità. A ciò di cui lo stato ha bisogno, ossia l’ordine razionale della vita e lo sfruttamento razionale della natura, viene incontro il movimento scientifico fondato nel secolo XVII, e questo trova a sua volta nello stato l’organo necessario per sottoporre a una regolamentazione razionale tutti i settori della vita, dall’impresa economica alle regole del buon gusto nelle arti. Nessun paese era come la Germania politicamente preparato a questa relazione interna, nella quale consisteva l’essenza dell’Illuminismo. I suoi stati minori dipendevano dallo sviluppo della cultura, e la Prussia anche dalla promozione delle forze spirituali necessarie alla lotta per il potere. In nessun altro luogo fu così sviluppata la circolazione delle forze religiose e scientifiche, dalla vita delle comunità protestanti al sistema scolastico e alle università, da queste allo sviluppo del pensiero religioso presso il clero e alle idee giuridiche presso i giuristi, e poi di nuovo giù giù fino al popolo. Nell’Illuminismo tedesco cooperano quindi forze di origine assai diversa, e connessioni produttive colte in stadi molto diversi del loro sviluppo. Mentre l’unità dello spirito dell’Illuminismo si realizza nella scienza e nella riflessione filosofica come nella vita sociale, essa si attua al tempo stesso attraverso l’efficacia di questo spirito in tutti i singoli campi della vita spirituale. Nello sviluppo del diritto ne troviamo in Germania un esempio interessante nell’origine della più compiuta legislazione dell’epoca, il diritto territoriale. A Halle si forma un orientamento autonomo del diritto naturale e della relativa giurisprudenza, che sorge dallo spirito dello stato prussiano. Thomasius, Wolff, Böhmer e molti altri minori diffondono dappertutto, con i loro scritti, la concezione del diritto propria di questa scuola. Essi formano i funzionari che sono adatti, per l’unità e il carattere nazionale del loro orientamento spirituale, a condurre a termine l’impresa, a lungo bloccata, di dare alla Prussia un corpo di leggi. Sotto l’influenza di questo diritto naturale stanno il re, che promuove questa impresa, e i ministri e i consiglieri che la eseguono. La medesima connessione interna si trova nel movimento religioso dell’età illuministica. Anche qui viene in luce la peculiare duplicità dell’Illuminismo tedesco: esso è nello stesso tempo polemico e costruttivo. La storia ecclesiastica, il diritto naturale e il diritto ecclesiastico cooperano nel

Protestantesimo tedesco a formare una visione del Cristianesimo primitivo che in Böhmer, Semler, Lessing, Pfaff83 diventa la forza produttiva di un nuovo ideale di religiosità e di ordinamento della chiesa. E anche qui si compie la circolazione delle idee che dalla carenza dello stato presente e in base alla potenza positiva delle nuove idee universali conduce, attraverso le scuole e le università che sono indipendenti dal potere dell’ortodossia ecclesiastica e che stanno in rapporto con lo spirito scientifico, alla formazione del singolo sacerdote che fa valere nella città o nella campagna un Cristianesimo illuminato, affine allo spirito dell’epoca. La religiosità cristiana non ha mai esercitato in nessun altro tempo come nell’Illuminismo tedesco un’influenza così schietta, così coerente, così orientata verso le supreme idee morali e religiose, e nel medesimo tempo tanto all’unisono con il teismo cristiano. Nuovi valori religiosi di enorme portata si sono allora formati nella vita ecclesiastica e religiosa. Anche la poesia tedesca dell’epoca è determinata dalla rivoluzione dei valori e degli scopi che si compie nell’età dell’Illuminismo. Negli stati indipendenti tedeschi l’Illuminismo incide sulla creazione poetica. Muovendo dalla Francia, anche in Germania la prosa moderna si forma nel rapporto con la società colta. Ai generi poetici vengono assegnate le loro regole, e queste disciplinano la forma superiore di arte fantastica di Shakespeare e di Cervantes in componimenti poetici articolati in maniera rigorosamente logica. L’ideale di questa poesia diventa l’uomo determinato dall’idea della perfezione e del rischiaramento; e la sua visione del mondo è la fede nell’ordinamento teleologico del mondo a partire dalla natura. L’espressione diretta di questo ideale e di questa visione del mondo diventa la poesia didattica; ad essa si collegano l’idillio e l’elegia. Il carattere tragico della vita non viene compreso: la commedia, il dramma e soprattutto il romanzo diventano la suprema espressione poetica dell’epoca, e acquistano una struttura corrispondente: un realismo guidato da idee ottimistiche compenetra tutte le opere poetiche. Questa connessione unitaria, nella quale si esprime nei diversi campi della vita l’orientamento dominante dell’Illuminismo tedesco, non determina però tutti gli uomini che appartengono a questa età; e anche là dove essa acquista influenza, trova spesso accanto a sé altre forze. Le resistenze dell’età precedente si fanno valere. Particolarmente efficaci sono le forze che si ricollegano a situazioni e a idee antiche, cercando però di dare loro una nuova forma. Nella sfera religiosa è così emerso il Pietismo84. Esso è stato la più robusta

tra le forze in cui l’antico ha assunto forme nuove. Esso è affine all’Illuminismo nella crescente indifferenza per tutte le forme ecclesiastiche esteriori e nell’esigenza di tolleranza, ma soprattutto nel fatto che cerca un semplice, chiaro fondamento di legittimità per la fede al di là della tradizione e dell’autorità, che la critica ha seppellito. Questo fondamento risiede nel contatto con Dio e nell’esperienza religiosa fondata su di questa. Soltanto il convertito comprende la Bibbia: a lui si rivela la parola divina che gli è partecipata in essa; egli è in grado di fare, per così dire, delle scoperte nell’ambito del Cristianesimo. La tolleranza del Pietismo risiede nel riconoscimento di ogni fede cristiana fondata sulla conversione: il Pietista risvegliato in essa deve completare la propria esperienza religiosa mediante le storie di conversioni altrui. E così vediamo che il Pietismo rientra nel grande movimento individualistico, in quanto procede oltre il Luteranesimo escludendo la chiesa dal processo interiore della persona. Ma nel medesimo tempo esso si contrappone all’Illuminismo per la sua consonanza con la fiducia di Lutero nell’esperienza religiosa che nasce dal contatto con Dio. Il Pietismo si ritrova poi in un rapporto interno con la perfezione raggiunta dalla nostra musica religiosa in Johann Sebastian Bach. Certo, Bach non era pietista, ma i canti dell’anima cristiana, che accompagnano la rappresentazione della vita di Cristo85, mostrano già di per sé in maniera esauriente la sua connessione con la soggettiva interiorità religiosa, che era venuta in luce nel movimento pietistico. Questo stesso orientamento verso l’esistente si è manifestato nei confronti delle tendenze politiche del governo illuminato. Esso era rivolto al mantenimento del regno e dei privilegi di ceto nei singoli stati, e al mantenimento degli antichi diritti. Ma anche queste tendenze pervengono alla loro più alta coscienza e alla loro fondazione attraverso lo studio della letteratura illuministica relativa alla teoria dello stato, e le proposte di Schlosser e di Möser cercano anche di soddisfare i nuovi bisogni e lo spirito dell’Illuminismo. Le idee politiche dell’Illuminismo dovevano circondare Möser quando egli sviluppava, sulla base delle condizioni del presente, la sua comprensione di esse e le sue tendenze pratiche. Ma la relazione interna degli orientamenti che hanno determinato i contrasti e la variabilità di un tale periodo può essere compresa compiutamente, sull’esempio dell’Illuminismo tedesco, solamente quando si determinano gli elementi che, all’interno del suo orientamento fondamentale, rendono possibile una svolta verso il futuro. Proprio l’orientamento

illuministico verso ciò che è regolare ha suscitato in diversi campi un’immersione nelle situazioni storiche nelle quali sembrava essersi realizzata la regola. Così nel Cristianesimo primitivo si ritrovava il tipo di una religiosità più libera, e questa rafforzava in Thomasius, in Böhmer e in Semler la tendenza al suo studio. Le regole che la critica contemporanea stabiliva nell’arte erano rafforzate dall’approfondimento del tipo dell’arte antica, e questo era il punto di vista dal quale Winckelmann e Lessing illustravano l’una con le altre l’arte dell’antichità e le leggi della creazione artistica. Un altro elemento della svolta verso i compiti del futuro stava nel fatto che la penetrazione della persona singola conduceva a porre l’accento sull’individualità della creazione e del genio. Se ci chiediamo poi come, in mezzo al corso degli accadimenti che circonda la Germania e procede dando luogo a mutamenti ininterrotti e continui, si possa delimitare una tale unità, la risposta è anzitutto questa: che ogni connessione produttiva reca in sé la sua legge, e che in virtù di tale legge le sue epoche sono del tutto diverse da quelle delle altre. Così la musica ha un movimento proprio, in base al quale lo stile religioso che scaturiva dalla massima potenza dell’Erlebnis cristiano raggiungeva il suo culmine con Bach e con Händel nel medesimo periodo in cui l’Illuminismo era già la tendenza dominante in Germania. E nella stessa epoca in cui sorgono le opere più importanti di Lessing nasce il nuovo movimento creatore dello Sturm und Drang, che segna l’inizio dell’epoca successiva nella letteratura. E se ci chiediamo inoltre quali siano i legami che istituiscono un’unità tra le diverse connessioni produttive, la risposta è questa: essa non è un’unità che possa venir espressa da un unico pensiero fondamentale, ma piuttosto una connessione tra le tendenze della vita medesima, che si costituisce nel suo corso. Nel corso storico si possono delimitare periodi nei quali, dalla costituzione della vita fino alle idee supreme, un’unità spirituale si forma, raggiunge il suo culmine e si dissolve di nuovo. In ognuno di questi periodi vi è una struttura interna che esso ha in comune con gli altri, la quale determina la connessione delle parti del tutto, il corso e le modificazioni nelle sue tendenze: noi vedremo in seguito a che cosa può servire il metodo della comparazione per una tale comprensione della struttura. — Nell’efficacia costante dei rapporti strutturali generali si è rivelato anzitutto il significato e il senso della storia. Nel modo in cui questi prevalgono in ogni punto e in ogni età, determinando la vita dell’uomo, risiede in primo luogo il senso del mondo spirituale. Il compito è

ora quello di studiare sistematicamente dal basso le regolarità che costituiscono la struttura della connessione produttiva nei portatori di questa, a partire dall’individuo. In quale misura queste leggi strutturali rendano possibile formulare asserzioni sul futuro, lo si può determinare soltanto se si è posto questo fondamento. L’aspetto immutabile e regolare dei processi storici è il primo oggetto di studio, e da ciò dipende la risposta a tutte le questioni sul progresso nella storia, sulla direzione in cui si muove l’umanità. — La struttura di una determinata età è quindi apparsa come una connessione delle connessioni particolari e dei movimenti particolari all’interno del grande complesso produttivo di tale età. In base a elementi quanto mai molteplici e mutevoli viene a costituirsi una totalità più complicata; e questa determina il significato che riveste tutto ciò che agisce nell’epoca. Quando lo spirito di una tale età è nato da dolori e dissonanze, allora ogni individuo ha il suo significato in esso e in virtù di esso. Da questa connessione sono determinati soprattutto i grandi uomini storici. La loro creazione non si muove verso ciò che è storicamente lontano, ma assume i suoi fini dai valori e dalla connessione di significato dell’età medesima. L’energia produttiva di una nazione in un determinato periodo trae la sua forza maggiore proprio dal fatto che gli uomini di quell’età sono confinati entro il suo orizzonte; il loro lavoro serve alla realizzazione di ciò che costituisce l’orientamento fondamentale dell’epoca. Così essi diventano i suoi rappresentanti. Tutto in un’età acquista il suo significato dalla relazione con l’energia che dà ad essa il suo orientamento fondamentale. Essa si esprime nella pietra, sulla tela, nelle azioni o nelle parole; si oggettiva nella costituzione e nella legislazione delle nazioni. Pieno di essa, lo storico penetra le epoche passate, e il filosofo cerca di interpretare sulla sua base il senso del mondo. Tutte le manifestazioni dell’energia che determina l’epoca sono imparentate tra di loro. Qui nasce il compito dell’analisi, di riconoscere cioè nelle diverse manifestazioni della vita l’unità della determinazione di valore e dell’orientamento verso uno scopo. E dato che le manifestazioni di vita di questo orientamento spingono verso valori e scopi assoluti, si chiude il cerchio in cui sono racchiusi gli uomini di questa età; in esso sono infatti contenuti pure gli orientamenti contrapposti. Abbiamo visto come l’età imprima la propria impronta anche su di essi e come l’orientamento dominante ostacoli il loro libero sviluppo. Così l’intera connessione produttiva dell’epoca è determinata in forma immanente dal nesso della vita, del mondo affettivo, della formazione di valori e delle relative idee di scopo. Storico è ogni agire

che si inserisca in questa connessione: essa costituisce l’orizzonte dell’età, e da essa è determinato infine il significato di ogni parte in questo sistema dell’epoca. Ciò costituisce l’autocentralità delle età e delle epoche, in cui si risolve il problema del significato e del senso nella storia. Ogni età contiene in sé il riferimento retrospettivo all’età precedente, la continuazione delle forze che si sono sviluppate in quella, ma nel medesimo tempo è già presente in essa la tendenza creativa che prepara l’età successiva. Come essa è sorta dall’insufficienza dell’età che la precede, così reca in sé i limiti, le tensioni e la sofferenza che preparano l’età a venire. E poiché ogni forma della vita storica è finita, deve esservi contenuta una mescolanza di forza gioiosa e di pressione, di allargamento dell’esistenza e di ristrettezza della vita, di soddisfacimento e di bisogno. Il culmine degli effetti del suo orientamento fondamentale è breve; e da un’età all’altra si trasmette la fame di ogni specie di soddisfacimento, una fame che non può mai essere saziata. Qualsiasi cosa possa risultarci in merito al rapporto reciproco delle età e dei periodi storici in riferimento alla crescente complessità della struttura della vita storica, è proprio della natura finita di tutte le forme della storia che esse siano affette dall’intristirsi dell’esistenza e dalla servitù, da una brama insoddisfatta; e questo soprattutto in quanto i rapporti di potenza non possono essere eliminati dalla vita associata di esseri psicofisici. Come lo stato indipendente dell’età illuministica produceva le guerre di gabinetto e lo sfruttamento dei sudditi per il godimento della corte, al pari della tendenza allo sviluppo razionale delle forze, così ogni altro ordinamento dei rapporti di potenza contiene anch’esso una siffatta duplicità di effetti. E il senso della storia può essere cercato soltanto nel rapporto di significato di tutte le forze che sono collegate nella connessione delle età. L’elaborazione sistematica delle connessioni produttive e dei rapporti di comunanza. Dato che la comprensione della storia si attua mediante l’applicazione ad essa delle scienze sistematiche dello spirito, l’illustrazione precedente della connessione logica della storia ha già chiarito i tratti generali della sistematica delle scienze dello spirito. Infatti l’elaborazione sistematica delle connessioni produttive che sono state poste in luce nella storia ha come proprio fine la scoperta dell’essenza proprio di queste connessioni produttive. Per ora mi limito a sottolineare, anticipandoli, i seguenti tre punti di vista per l’elaborazione sistematica. Lo studio della società poggia sull’analisi delle connessioni produttive

contenute nella storia. Quest’analisi procede dal concreto all’astratto, dallo studio scientifico dell’articolazione naturale dell’umanità e dei popoli alla distinzione delle scienze particolari della cultura e alla separazione degli ambiti dell’organizzazione esterna della societàv. Ogni sistema di cultura forma una connessione produttiva che poggia su rapporti di comunanza; dato che la connessione compie una funzione, essa ha un carattere teleologico. Ma qui si presenta una difficoltà che è propria dell’elaborazione concettuale di queste scienze. Gli individui che cooperano in una tale funzione appartengono alla connessione soltanto nei processi in cui agiscono in vista della sua realizzazione, e tuttavia agiscono in questi processi con tutto il loro essere, cosicché non è mai possibile costruire un ambito del genere in base allo scopo della funzione, ma accanto all’energia orientata verso tali funzioni agiscono piuttosto sempre, in quell’ambito, anche gli altri aspetti della natura umana; si fa cioè valere la sua variabilità storica. Qui sta il problema logico fondamentale della scienza dei sistemi di cultura; e vedremo come per la sua soluzione si siano formati e combattuti metodi differenti. A questa difficoltà si aggiunge un limite inerente all’elaborazione concettuale delle scienze dello spirito. Esso deriva dal fatto che le connessioni produttive realizzano funzioni e hanno un carattere teleologico. L’elaborazione concettuale non è perciò qui una semplice generalizzazione che ricavi l’elemento comune dalla serie dei casi singoli. Il concetto esprime un tipo, e sorge nel procedimento comparativo. Per esempio, io cerco di determinare il concetto di scienza. Sotto di esso rientra ogni connessione rivolta a ottenere una conoscenza. Tuttavia tra i libri dedicati a lavori scientifici vi è molto di infruttuoso, molto di illogico, di erroneo: ciò contraddice all’intenzione orientata verso la loro funzione. L’elaborazione concettuale pone in luce quei tratti in cui è realizzata la funzione di una tale connessione: questo è il compito di una dottrina della scienza. Oppure, se voglio determinare il concetto di poesia, anche qui si ha una costruzione concettuale a cui non tutti i versi possono venir subordinati. La molteplicità dei fenomeni in un ambito siffatto si raggruppa intorno a un punto centrale, costituito dal caso ideale in cui la funzione è realizzata in modo compiuto. La discussione intorno alla connessione generale delle scienze dello spirito è pertanto conclusa. L’analisi seguente della costruzione delle scienze dello spirito illustrerà i metodi particolari in cui si realizza la connessione logica generale. 1. Gustav Theodor Fechner (1801-1887), filosofo e psicologo tedesco, fu professore prima di fisica e poi di filosofia a Lipsia; a lui si deve la più compiuta formulazione della teoria del parallelismo psico-

fisico, ossia della corrispondenza tra fenomeni mentali e fenomeni corporei considerati come due aspetti della medesima realtà. La sua opera principale è costituita appunto dagli Elemente der Psychophysik, apparsi nel 1860, nei quali è enunciata la cosiddetta legge di Weber-Fechner, secondo la quale l’intensità di una sensazione è proporzionale al logaritmo dello stimolo. 2. Rudolph Hermann Lotze (1817-1831), filosofo tedesco, dopo aver studiato filosofia e medicina a Lipsia fu chiamato a insegnare a Göttingen nel’44, come successore di Herbart; nel 1881 divenne professore a Berlino. Fu il maggiore esponente dello spiritualismo tedesco di metà Ottocento. Tra le sue numerose opere le principali sono la Metaphysik (1841), la Logik (1843), la Medicinische Psychologie oder Physiologie der Seele (1852), e soprattutto il Mikrokosmos. Ideen zur Naturgeschichte und Geschichte der Menschheit (1856-64) e il System der Philosophie (1874-79); ad esse si aggiungono i saggi raccolti nell’edizione postuma delle Kleine Schriften (1885-91). 3. Rudolf von Jhering (1818-1892), giurista tedesco, si formò a Heidelberg, Monaco, Göttingen e Berlino; nominato nel 1845 professore a Basilea, insegnò in seguito a Rostock, Kiel, Giessen, Vienna e infine a Göttingen. È stato uno dei primi sostenitori di una considerazione sociologica del diritto, in antitesi alla “giurisprudenza concettuale”: le sue opere principali sono Der Geist des römischen Rechts (1852-65), Der Zweck im Recht (1877-83) e Der Kampf ums Recht (1872). 4. Johann Heinrich Lambert (1728-1777) studiò teologia, ma anche astronomia e matematica, dando importanti contributi sia alla fotometria sia alla trigonometria (a lui si deve la dimostrazione che π è un numero irrazionale). La sua attività coprì campi diversi: in ambito scientifico pubblicò la Photometria, sive de mensura et gradibus luminis, colorum et umbrae (1760) e i Beiträge zum Gebrauche der Mathematik und deren Anwendungen (1765-72). Importante è anche il suo contributo alla teoria della conoscenza e all’ontologia, rappresentato dai Kosmologische Briefe über die Errichtung des Weltbaues (1761) e soprattutto dal Neues Organon, oder Gedanken über die Erforschungen und Bezeichnungen des Wahren (1764), nonché dai due volumi postumi delle Logische und philosophische Abhandlungen (178287). 5. Dilthey riprende — come aveva già fatto nel saggio Über das Studium der Geschichte der Wissenschaften vom Menschen, der Gesellschaft und dem Staat (1875) — lo schema di sviluppo del sapere scientifico delineato da Auguste Comte nel Cours de philosophie positive (1832-42), secondo il quale ogni scienza presuppone il sistema di leggi della scienza precedente, procedendo su tale base alla determinazione delle leggi proprie del livello di fenomeni che ne costituisce l’oggetto; e di Comte accoglie anche la classificazione delle diverse scienze secondo un ordine che è insieme logico e storico. Dallo schema di sviluppo comtiano egli si distacca però in quanto ritiene che esso valga esclusivamente per le scienze della natura, e non sia invece applicabile alle scienze dello spirito. 6. Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher (1768-1834), teologo protestante e filosofo tedesco, studiò dapprima al seminario di Barby e poi a Halle; dopo alcuni anni trascorsi come precettore privato e predicatore nella Prussia orientale si trasferì a Berlino, dove conobbe Friedrich Schlegel e cominciò a collaborare ad «Athenäum», la rivista del gruppo romantico. In seguito fu professore a Halle, e dal 1810 nella neonata università di Berlino, alla cui fondazione diede un contributo importante: qui insegnò nella facoltà teologica dal 1810 alla morte. I suoi scritti principali sono i discorsi Uber die Religion (1799), i Monologe (1800), le Grundlinien einer Kritik der bisherigen Sittenlehre (1803), la Kurze Darstellung des theologischen Studiums (1811), Der christliche Glauben nach den Grundsätzen der evangelischen Kirche (1821-22), Über den Unterschied zwischen Naturgesetz und Sittengesetz (1825). Dopo la morte apparvero postumi i corsi tenuti a Berlino, tra cui Hermeneutik und Kritik, mit besonderer Beziehung auf das Neue Testament (1838), la Dialektik (1839), l’Ästhetik (1842). — Di lui Dilthey cominciò a occuparsi nella dissertazione De principiis ethices Schleiermacheri (1864), per poi intraprenderne una biografia, Das Leben Schleiermachers, il cui primo volume apparve nel 1870: un secondo volume è stato pubblicato

postumo nel 1966. 7. Christoph Sigwart (1830-1904), teologo e filosofo tedesco, fu allievo di Ferdinand Christian Baur; dopo aver insegnato a lungo teologia al seminario di Blaubeuren, nel’62 divenne professore di filosofia a Tübingen: scrisse, tra l’altro, una Logik in due volumi (1873-78) e le Vorfragen der Ethik (1886). 8. Richard Avenarius (1843-1896) studiò a Lipsia diventando poi professore di filosofia a Zurigo; insieme a Mach è il maggiore esponente dell’empirio-criticismo. Le sue opere più importanti sono la Philosophie als Denken der Welt gemäβ dem Prinzip des kleinsten Kraftmasses (1876), la Kritik der reinen Erfahrung (1888-90) e Der menschliche Weltbegriff (1891). 9. Ernst Mach (1838-1916) studiò matematica, fisica e filosofia a Vienna, diventando nel 1864 professore di matematica e poi di fisica a Graz; dal’67 al’95 insegnò a Praga, trasferendosi quindi a Vienna come professore di Storia e teoria delle scienze. È autore di opere sia di filosofia che di storia della scienza, tra cui Die Geschichte und die Wurzel des Satzes von Erhaltung der Arbeit (1872), Die Mechanik in ihrer Entwicklung historisch-kritisch dargestellt (1883), i Beiträge zur Analyse der Empfindungen (1886), Die Prinzipien der Wärmelehre (1896) e infine Erkenntnis und Irrtum (1896). Il suo pensiero ha rappresentato un termine di riferimento importante per i filosofi del Circolo di Vienna, che al suo nome intitolarono nel 1929 la propria associazione. 10. Jules-Henri Poincaré (1854-1912) si formò all’École polytechnique di Parigi, diventando nel 1879 professore di matematica a Caen e nell’81 a Parigi. Dopo essersi occupato all’inizio di matematica e di meccanica, si dedicò alla filosofia della scienza. Le sue opere principali in ambito filosofico sono La science et l’hypothèse (1902), La valeur de la science (1905), Science et méthode (1908); ma fu autore anche di un importante trattato in tre volumi su Les méthodes nouvelles de la mécanique céleste (189299). 11. Friedrich August Wolf (1759-1824), pedagogista e filologo tedesco, fu professore a Halle dal 1783 al 1807. Pubblicò la Geschichte der römischen Literatur (1787), i Prolegomena ad Homerum (1794), una Enzyklopädie der Philologie apparsa postuma (1830), nonché diversi altri volumi di argomento classicistico o pedagogico: la sua interpretazione di Omero, che ne fa il semplice raccoglitore di tradizioni trasmesse oralmente, occupa un posto importante nella storia della critica omerica. 12. Wilhelm von Humboldt (1767-1835) studiò dapprima a Göttingen e poi a Parigi; nel 1794 si trasferì a Jena, che era allora il maggior centro culturale della Germania, per poi fare ritorno nella capitale francese. Dal 1802 al 1809 fu a Roma come ambasciatore della Prussia presso la Santa Sede; in seguito diresse per un decennio, presso il Ministero degli Interni prussiano, la sezione dei culti e della pubblica istruzione, contribuendo alla fondazione dell’Università di Berlino. Entrato in conflitto con il cancelliere Hardenberg, nel 1820 si ritirò nel castello di Tegel, dedicandosi interamente agli studi. È autore di numerosi scritti di teoria politica, di teoria della storia, di antropologia: tra questi i principali sono le Ideen uber Staatsverfassung (1791), Über die Gesetze der Entwicklung der menschlichen Kräfte (1791), Über Religion (1791), la Theorie der Bildung des Menschen (1793), Uber das Studium des Altertums und des Griechischen insbesondere (1793), Plan einer vergleichenden Anthropologie (1895), Über den Geist des Menschen (1797), Latium und Hellas oder Betrachtungen uber das klassische Altertum (1806), Über den Charakter der Griechen (1807), le Betrachtungen über die Weltgeschichte (1814), le Betrachtungen uber die bewegenden Ursache in der Weltgeschichte (1818), über die Aufgabe des Geschichtsschreibers (1821). Ma il suo contributo più importante è probabilmente quello dato alla linguistica con la pubblicazione di Über die Kawisprache auf der Insel Java (1836), che reca come introduzione il fondamentale saggio Über die Verschiedenheit des menschlichen Sprachbaues und ihren Einfluβ auf die geistige Entwicklung des Menschengeschlechts. 13. Barthold Georg Niebuhr (1776-1831), storico tedesco (ma nato a Copenhagen), dopo aver studiato a Kiel e viaggiato a lungo in Inghilterra si diede alla carriera amministrativa; diresse dapprima la banca delle colonie danese per poi passare, nel 1806, al servizio della Prussia, impegnandosi nella

riorganizzazione del sistema finanziario prussiano. Dopo il 1810, pur continuando ad assumere incarichi diplomatici (dal’16 al’23 fu, tra l’altro, ambasciatore a Roma), si dedicò prevalentemente a studi di storia antica; negli ultimi anni insegnò a Bonn. È autore di una fondamentale Römische Geschichte (1811-32), impostata sulla base di una critica sistematica delle fonti che mise capo alla radicale svalutazione delle testimonianze antiche sulla storia romana; ad essa si affiancano numerose serie di lezioni pubblicate postume. 14. Karl Friedrich Eichhorn (1781-1854), giurista e storico del diritto tedesco, insegnò a Francorforte sull’Oder, a Berlino e a Göttingen; esponente della scuola storica, fondò nel 1815, insieme a Savigny e a Johann Friedrich Göschen, la «Zeitschrift für geschichtliche Rechtswissenschaft»: la sua opera principale è la Deutsche Staats- und Rechtsgeschichte (1808-23). 15. Friedrich Karl von Savigny (1779-1861), giurista e storico del diritto tedesco, dopo aver intrapreso la carriera accademica a Marburgo e a Landshut divenne nel 1810 professore a Berlino; dal’42 al’48 coprì la carica di ministro per la riforma legislativa della Prussia sotto Federico Guglielmo IV. Avversario dei progetti di codificazione, in nome della specificità delle tradizioni giuridiche nazionali, fu il fondatore della scuola storica tedesca: il suo saggio del 1814, Vom Beruf unserer Zeit für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft ne costituì infatti il “manifesto”. Fondamentali sono, tra le sue opere, Das Recht des Besitzes (1803), la Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter (1815-31), il System des heutigen römischen Rechts (1840-51) e Das Obligationenrecht (1851-53); importanti sono però anche i cinque volumi delle Vermischte Schriften (1850). 16. Franz Bopp (1791-1867), filologo tedesco, fu tra i primi a dedicarsi allo studio del sanscrito, ponendo le basi di una linguistica comparata delle lingue indo-europee; nel 1821 fu chiamato a insegnare sanscrito a Berlino. La sua opera principale è la Vergleichende Grammatik des Sanskrit, Zend, Griechischen, Lateinischen, Litthauischen, Altslavischen, Gothischen, und Deutschen (1833-52). 17. Jacob Grimm (1785-1863), filologo e studioso della letteratura popolare, si dedicò — insieme al fratello minore Wilhelm — alla riscoperta e alla pubblicazione del patrimonio letterario germanico medievale, con particolare riguardo alle favole e ai racconti popolari. Dopo essere stato bibliotecario a Kassel insegnò dal 1830 al’37 a Göttingen, e dal 1841 a Berlino. Pubblicò la prima importante grammatica tedesca (1819-22), nella quale è enunciata la legge della corrispondenza dei suoni in lingue apparentate geneticamente, nota con il nome di “legge di Grimm”; insieme al fratello curò le edizioni dei Kinder- und Hausmärchen (1812-15), dell’Edda (1815) e di numerosi altri testi della letteratura popolare del Medioevo. 18. Edward Gibbon (1737-1794), storico inglese, studiò a Oxford e in seguito trascorse vari anni viaggiando tra Svizzera, Francia e Italia, ed entrando in stretti rapporti con l’ambiente dei philosopbes; rientrato in patria intraprese per qualche tempo la carriera parlamentare. Ma soprattutto si impegnò nella stesura della History of the Decline and Fall of Roman Empire (1776-88), uno dei capolavori della storiografia illuministica. 19. Gottfried Arnold (1666-1714), teologo protestante tedesco, è un esponente del movimento pietistico, con forti connotazioni mistiche. Formatosi a Wittenberg, insegnò per breve tempo a Giessen, diventando in seguito predicatore alla corte di Sassonia e, nel 1702, storico ufficiale della Prussia. La sua opera più importante è la Unparteiische Kirchen- und Ketzerhistorie (1699-1700). 20. Johann Salomo Semler (1725-1791), teologo protestante tedesco, si formò a Halle, dove nel 1752 divenne professore di teologia. Autore delle Vorbereitungen zur theologischen Hermeneutik (1760-69), della Institutio brevior ad liberalem eruditionem theologicam (1765-66), dell’Apparatus ad liberalem Novi Testamenti interpretationem (1769), delle Asketische Vorlesungen zur Beförderung einer vernünftigen Anwendung der christlichen Religion (1722) e di altre opere, sostenne — in polemica con il Pietismo — una teologia liberale, fondata sulla distinzione della parola divina dalla parola della Bibbia. 21. Justus Henning Böhmer (1674-1749), giurista tedesco, studiò a Jena e a Halle, diventando quindi

professore in quest’ultima università. Si dedicò allo studio del diritto civile e soprattutto del diritto ecclesiastico: particolare rilievo rivestono, nella sua produzione, i cinque volumi dello Jus ecclesiasticum Protestantium (1714-37), che hanno posto le basi di un diritto ecclesiastico fondato sul richiamo ai princìpi evangelici. 22. Dilthey si riferisce in primo luogo a Böhmer, ma anche ad altri giuristi settecenteschi come il di lui figlio Georg Ludwig Böhmer (1715-1797), professore a Gòttingen, che cercò di ricondurre il diritto ecclesiastico a un fondamento giusnaturalistico, e il più giovane Georg Walter Vincent von Wiese (17691824), che insegnò a Gera. 23. Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781) è la figura centrale della cosiddetta Aufklärung, cioè della cultura illuministica tedesca. Studiò a Lipsia frequentando corsi di teologia, di filosofia e di medicina; ma ben presto cominciò a interessarsi di teatro, sia come autore sia come critico. Trasferitosi a Berlino nel 1748, entrò in rapporto con Voltaire allora ospite di Federico II; visse poi a Breslavia dal 1760 al’65, a Amburgo dal 1767 al’70, e in seguito a Wolfenbüttel come bibliotecario del duca di Hannover. È autore di commedie come Die Juden e Der Freigeist (1749), di tre libri di Fabeln (1759), di opere drammatiche come la Minna von Barnhelm (1767), Emilia Galotti (1772) e Nathan der Weise (1779) nonché di scritti critici come il Laokoon, oder uber die Grenzen der Dichtkunst und der Malerei (1766) e la raccolta di recensioni dal titolo Hamburgische Dramaturgie (1767-69). Ritornato negli ultimi anni di vita agli studi filosofici, pubblicò in forma anonima (nel 1774-78) i «frammenti» postumi in cui il teologo Hermann Samuel Reimarus si era proposto di storicizzare la religione ebraica e la stessa figura di Cristo; nel 1780 apparve il saggio Die Erziehung des Menschengeschlechts, che presenta la storia come la realizzazione di un piano provvidenziale inteso all’educazione dell’umanità. 24. Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), archeologo e storico dell’arte tedesco, studiò a Berlino, Halle e Jena; dapprima bibliotecario a Nöthnitz, presso Dresda, nel 1755 si trasferì a Roma dove fu prima bibliotecario del cardinale Albani, poi prefetto delle antichità. Autore della Geschichte der Kunst des Altertums (1764) e di varie altre opere, fu il maggior teorico del classicismo settecentesco: la sua dottrina del bello ebbe larga influenza sull’estetica di fine Settecento e della prima metà dell’Ottocento. 25. August Ludwig von Schlözer (1735-1809), storico tedesco, si formò a Göttingen studiando teologia e lingue orientali; visse quindi tra Stoccolma e Uppsala, dove scrisse in svedese una storia del commercio e della navigazione apparsa nel’58, e in seguito in Russia, insegnando dal 1764 al’69 all’Accademia di Pietroburgo; rientrato in Germania, fu professore a Göttingen. Si impegnò soprattutto nella stesura di una storia universale di ispirazione illuministica, pubblicando la Vorstellung der Universalgeschichte (1772) e la più ampia Weltgeschichte (1785-89); tra le altre sue opere sono importanti anche Neu verändertes Russland (1768) e la Allgemeine Geschichte von dem Norden (1771). 26. Johann Gottfried Herder (1744-1803) è il maggiore protagonista della stagione culturale tedesca che segnò il trapasso dall’Illuminismo al romanticismo. Studiò a Königsberg, frequentando tra l’altro le lezioni di Kant, ma subì al tempo stesso l’influenza del “mago del Nord”, Johann Georg Hamann. Dopo essere stato predicatore a Riga si recò a Parigi, poi ad Amburgo, dove conobbe Lessing, e a Strasburgo, dove entrò in rapporto con il giovane Goethe; e con lui partecipò al movimento dello Sturm und Drang. Nel 1775 si stabilì a Weimar, dove fu predicatore di corte e poi sovrintendente generale. La sua amplissima produzione comprende saggi di critica letteraria e artistica come i Fragmente über die neuere deutsche Literatur (1767), i Kritische Wäider (1767), Von deutscher Art und Kunst (1773), e un saggio di linguistica dal titolo Abhandlung über den Ursprung der Sprache (1771), ma anche scritti più propriamente filosofici: tra questi Auch eine Philosophie der Geschichte zur Bildung der Menschheit (1774), la Älteste Urkunde des Menschengeschlechts (1774-76), le Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit (1784-91), i Brief e zur Beförderung der Humanität (1793-97) e Vernunft und Sprache (1799). 27. Philipp Schwarzerd detto Melantone (1497-1560) fu il maggiore teologo della Riforma protestante.

Formatosi a Tübingen, divenne nel 1518 professore di ebraico e di greco a Wittenberg; l’anno dopo aderì alla predicazione di Lutero dedicandosi a studi di teologia: nel 1530 redasse la Confessio fidei Augustana, il testo programmatico del Luteranesimo. Ebbe una parte di primo piano nelle dispute religiose e nei tentativi infruttuosi di conciliazione tra Cattolicesimo e Protestantesimo, e dopo la morte di Lutero guidò il fronte protestante; ma s’impegnò attivamente anche nella riforma degli studi, contribuendo alla riorganizzazione delle università di Wittenberg, di cui fu rettore, di Lipsia e di Heidelberg. È autore di numerose opere teologiche, tra cui particolarmente importanti sono i Loci communes rerum theologicarum (1521) e il Corpus doctrinae Christianae (1560); ma scrisse anche di dialettica, di politica e di educazione. 28. Dilthey si riferisce ai fratelli Schlegel, August Wilhelm (1767-1845) e Friedrich (1772-1829). 29. Friedrich Leopold von Hardenberg, detto Novalis (1772-1801), è uno dei maggiori poeti romantici tedeschi. Dopo aver studiato a Jena, Lipsia e Wittenberg, collaborò ad «Athenäum», su cui pubblicò gli Hymnen an die Nacht (1800). La sua produzione poetica è rappresentata inoltre da Die Lehrlinge zu Sais, dai Geistige Lieder e dall’incompiuto Heinrich von Ofterdingen; ad essi si affianca il saggio Die Christenheit, oder Europa (1800). 30. Dilthey si riferisce all’edizione e traduzione dei dialoghi di Platone curata da Schleiermacher, che apparve nel 1804-10, e ai suoi lavori di ermeneutica neo-testamentaria. 31. Philipp August Böckh (1785-1867), filologo tedesco, allievo di Friedrich August Wolf, insegnò a Heidelberg e poi, a partire dal 1811, a Berlino; studiò in particolare la lirica e la metrica greca, curando tra l’altro l’edizione di Pindaro e dell’Antigone di Sofocle, e dando inizio al Corpus Inscriptionum Graecorum. Le sue opere principali sono Die Staatshaushaltung der Athener (1817), le Metrologische Untersuchungen uber Gewichte, Münzfüsse und Masse des Alterthums (1838), le Untersuchungen über das kosmische System des Platon (1852), le Epigraphisch-chronologische Studien (1856). Particolare importanza rivestono le lezioni sulla Encyklopädie und Methodologie der philologischen Wissenschaften, pubblicate postume. 32. Friedrich von Schlegel (1722-1829) fu, insieme al fratello maggiore Wilhelm, l’animatore del nascente movimento romantico. Dopo aver studiato a Göttingen si stabilì nel 1796 a Jena, per trasferirsi l’anno seguente a Berlino dove diede vita alla rivista «Athenäum». Convertitosi al Cattolicesimo, si recò a Parigi dedicandosi allo studio del sanscrito; tra il 1808 e il ’18 visse a Vienna collaborando con Metternich e tenendo corsi sulla storia moderna, sulla storia della letteratura e sulla filosofia della storia. Al periodo romantico appartengono il saggio Uber das Studium der griechischen Poesie (1797), i Kritische Fragmente (1797), la Geschichte der Poesie der Griechen und Römer (1798), il romanzo Lucinde (1799), il Gespräch über die Poesie (1800), mentre il saggio Über die Sprache und Weisheit der Indier (1808) rappresenta il risultato del soggiorno parigino e della riflessione condotta sulla cultura indiana. Raccolgono invece le lezioni viennesi la Geschichte der alten und neuen Literatur (1815), le Ansichten und Ideen von der christlichen Kunst (1823), la Philosophie des Lebens (1828) e la Philosophie der Geschichte (1829). 33. Theodor Mommsen (1817-1903), giurista e storico tedesco, studiò a Kiel dedicandosi alla storia antica. Professore di diritto civile a Lipsia nel 1848, fu costretto poco dopo a dimettersi per aver protestato contro il colpo di stato anti-rivoluzionario; si trasferì quindi a Zurigo, ma nel ’54 passò a Breslau e nel’58 fu chiamato a insegnare storia antica a Berlino. Nel 1902 gli fu assegnato il Premio Nobel per la letteratura. Le principali tra le sue opere sono la Römische Geschichte (1854-56), il Römisches Staatsrecht (1874-75), Die römischen Provinzen von Caesar bis Diocletian (1884), il Römisches Strafrecht (1899); ma importanti sono anche Die römische Chronologie bis auf Caesar (1858), la Geschichte des römischen Münzwesens (1860), nonché i saggi raccolti nelle Römische Forschungen (186479) e nei postumi Reden und Aufsätze (1905). Gran parte della sua attività di studioso fu rivolta alla

ricerca e alla raccolta sistematica delle iscrizioni romane e italiche: a partire dal’54 curò il Corpus inscriptionum latinarum, intraprendendone la pubblicazione nel’63. Fu anche editore di numerosi testi latini, tra cui i Digesta di Giustiniano e il Codex Theodosianus; promosse varie altre grandi iniziative editoriali, tra cui i Monumenta Germaniae historica. 34. Karl Otfried Müller (1797-1840), filologo tedesco, divenne nel 1819 professore di letteratura antica a Göttingen; ritiratosi nel’39, si trasferì in Grecia organizzando scavi archeologici ad Atene e a Delfi. Le sue opere principali sono la Geschichte hellenischer Stämme und Städte (1820), Die Dorier (1824), i Prolegomena zu einer wissenschaftlichen Mythologie (1825), lo Handbuch der Archäologie der Kunst (1830), i Denkmäler der alten Kunst (1832), la History of Literature of Ancient Greece (1840). 35. Karl Victor Müllenhoff (1818-1887), storico e archeologo tedesco, professore a Kiel dal 1846 e poi a Berlino dal’58, si dedicò allo studio dell’antica cultura germanica: la sua opera più importante è la Deutsche Altertumskunde, in cinque volumi (1870-1900), che era stata preceduta dall’edizione critica dei Denkmäler deutscher Poesie und Prosa aus dem 8.-12. Jahrhundert (1864). 36. Ferdinand Christian Baur (1792-1860), storico e teologo tedesco, è il maggiore esponente dell’atteggiamento razionalistico nella storiografia religiosa della prima metà dell’Ottocento. Dopo aver studiato al seminario di Blaubeuren e poi a Tübingen, divenne nel 1826 professore in questa università, dedicandosi soprattutto alla storia del dogma. È autore di Das manichäische Religionssystem (1831), di Die christliche Gnosis oder die christliche Religionsphilosophie in ihrer geschichtlichen Entwicklung (1835), del Lehrbuch der christlichen Dogmengeschichte (1837), di Paulus der Apostel Jesu Christi (1845), di Die Epochen der kirchlichen Geschichtsschreibung (1852-55) e di numerose altre opere, tra cui le postume Vorlesungen über die christliche Dogmengeschichte (1865-67). 37. F. K. VON SAVIGNY, Vom Beruf unserer Zeit für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, Heidelberg, Mohr und Zimmer, 1814, 3a ed. Freiburg i.B., 1892, pp. 8-9, trad. it. di F. De Marini con il titolo La vocazione del nostro tempo per la legislazione e la giurisprudenza, nel volume Savigny. Antologia di scritti giuridici, Bologna, Il Mulino, 1980, pp. 50-51. 38. Georges-Léopold-Chrétien-Fréderic Dagobert barone di Cuvier (1769-1832), naturalista francese, si dedicò a studi di zoologia, con particolare riguardo all’analisi della struttura dei molluschi e dei pesci, e di paleontologia. È autore del Tableau élémentaire de l’histoire naturelle (1798), delle Leçons d’anatomie comparée (1800), delle Recherches sur les ossements fossiles des quadrupèdes (1812), de Le règne animal distribué après son organisation (1817) e di numerose altre opere. Le sue indagini hanno aperto la strada all’esplorazione degli animali fossili. 39. Alexis Charles Henri Maurice Clérel de Tocqueville (1805-1859), dopo aver intrapreso una carriera amministrativa a Versailles, entrò in politica diventando deputato nel 1839 e ministro degli Esteri nel’49; avversò l’ascesa al potere di Napoleone III. Un viaggio ufficiale negli Stati Uniti, compiuto nel’31, diede origine al rapporto Du système pénitentiaire au États-Unis et de son application en France (1832) e più tardi alla sue opera principale, De la démocratie en Amérique (1835-40), che ebbe larga risonanza. Negli ultimi anni di vita, ritiratosi a vita privata, attese alla stesura de L’ancien régime et la révolution, il cui primo volume apparve nel 1856. 40. Johannes von Müller (1752-1809), storico svizzero, bibliotecario a Mainz dal 1786, e dal 1800 bibliotecario-capo a Vienna, passò nel 1807 al servizio di Napoleone, diventando segretario di stato del regno di Westfalia. Negli anni Settanta scrisse una Allgemeine Geschichte, apparsa postuma nel 1810; in seguito pubblicò Die Reisen der Päpste (1782) e la Geschichte der Schweizer (1786-1805), che rimane la sua opera principale. 41. Leopold von Ranke (1795-1886), storico tedesco, dopo aver studiato a Halle e a Berlino entrò al servizio del governo prussiano; nel 1837 divenne professore a Berlino, e nel’41 fu nominato da Federico

Guglielmo IV storico ufficiale della Prussia. Tra le sue opere, frutto di un lavoro sistematico condotto nei principali archivi europei, le più importanti sono la Geschichte der romanischen und germanischen Völker von 1494 bis 1535 (1824) seguita dalla celebre dissertazione Zur Kritik neuerer Geschichtsschreiber, Fürsten und Völker von Südeuropa im 16. Und 17. Jahrhundert (1827), Die römischen Päpste, ihre Kirche und ihr Staat im 16. und 17. Jahrhundert (1834-36), la Deutsche Geschichte im Zeitalter der Reformation (1839-47). La sua attività storiografica culmina nelle conferenze dedicate alle Epochen der neueren Geschichte (1854) e nella Weltgeschichte (1883-85), rimasta incompleta. 42. La citazione è tratta dalla lettera del 16 aprile 1828 al fratello Heinrich, pubblicata in Sämmtliche Werke, vol. LIII-LIV: Zur eigenen Lebensgeschichte, Leipzig, Duncker & Humblot, 1890, p. 195 (e riprodotta in Das Briefwerk, a cura di W. P. Fuchs, Hamburg, Hoffmann & Campe, 1949, p. 155). 43. La citazione è tratta dalla lettera del febbraio 1827 al fratello Heinrich, pubblicata in Sämmtliche Werke, vol. LIII-LIV, cit., pp. 163-64 (e riprodotta in Das Briefwerk, cit., pp. 104-5). 44. Thomas Carlyle (1795-1881), storico e filosofo romantico inglese, autore del Sartor Resartus (183334), della History of the French Revolution (1838), di On Heroes, Hero-Worship, and the Heroic in History (1841) e di varie altre opere, contribuì in misura rilevante all’introduzione dell’idealismo tedesco, in particolare del pensiero di Schelling, nella cultura inglese. La sua concezione della storia mette in risalto l’importanza decisiva degli “eroi”. 45. La citazione è tratta dalla lettera del novembre 1826, pubblicata in Sämmtliche Werke, vol. LIIILIV, cit., p. 162 (e riprodotta in Das Briefwerk, cit., p. 90). 46. La citazione è tratta dalla lettera dell’aprile 1830, pubblicata in Sämmtliche Werke, vol. LIII-LIV, cit., p. 233 (e riprodotta in Das Briefwerk, cit., p. 208). 47. Wilhelm Wachsmuth (1787-1866), filologo e storico tedesco, dopo aver studiato teologia a Halle divenne professore nel 1820 a Kiel; nel ’25 si trasferì a Lipsia. Le sue opere principali sono il Grundriss der allgemeinen Geschichte der Völker und Staaten (1826), la Geschichte Frankreichs im Revolutionszeitalter (1840), la Geschichte deutscher Nationalität (1860-62). 48. Dilthey si riferisce qui allo scritto di Wilhelm von Humboldt dal titolo Über die Aufgabe des Geschichtsschreibers, apparso appunto nel 1821. 49. Christian Wolff (1679-1754), filosofo tedesco, è il principale rappresentante dell’Illuminismo di derivazione leibniziana. Formatosi a Jena e a Lipsia, divenne nel 1706 professore di matematica (e poi anche di fisica) a Halle: la sua prolusione sulla filosofia morale dei Cinesi, tenuta nel ’21, diede origine a un’accusa di ateismo nei suoi confronti, costringendolo a rifugiarsi a Marburgo; ma nel 1840 Federico II lo richiamò a Halle. È autore di numerosi manuali scientifici e di opere filosofiche come la Philosophia rationalis, sive logica methodo scientifico pertractata (1728), la Philosophia prima sive Ontologia (1729), la Cosmologia generalis (1731), la Psychologia empirica (1732), la Psychologia rationalis (1734), la Theologia naturalis (1736-37), la Philosophia practica universalis (1738-39), lo Ius naturae methodo scientifico pertractatum (1740-48), lo Ius gentium (1749), le Institutiones iuris naturae (1750), la Philosophia moralis sive Ethica (1750-53) e l’Oeconomica (1750). Il suo lavoro di sistemazione del sapere filosofico ebbe larga influenza nella cultura tedesca del Settecento, e ad esso si richiamerà anche Kant. 50. Dilthey si riferisce qui al saggio kantiano Idee zu einer allgemeinen Geschichte in weltbürgerlicher Absicht, apparso nella «Berlinische Monatsschrift», IV, 1784, pp. 385-411 (se ne veda la traduzione negli Scritti di storia, politica e diritto, a cura di F. Gonnelli, Roma-Bari, Laterza, pp. 29-44, in particolare p. 34). 51. Ibidem. 52. Friedrich Christoph Schlosser (1776-1861) studiò a Göttingen, insegnando quindi dapprima al ginnasio di Francoforte e poi, dal 1817, all’Università di Heidelberg; erede della scuola storica di

Göttingen, è autore di numerose opere storiche, dalla Geschichte der bilderstürmenden Laiser des oströmischen Reiches (1812) alla Weltgeschichte in zusammenhängender Darstellung (1816-24), in quattro volumi, alla Geschichte des 18. Jahrhunderts (1823), poi rielaborata con il titolo di Geschichte des 18. Jahrhunderts und des 19. bis zum Sturz des französischen Kaiserreichs mit besonderer Rücksicht auf geistige Bildung (1836-49), e alla Weltgeschichte für das deutsche Volk (1844-56), di carattere divulgativo. 53. Georg Gottfried Gervinus (1805-1871), storico tedesco, divenne nel 1835 professore a Göttingen, ma due anni dopo fu destituito avendo protestato contro la violazione della costituzione da parte del sovrano; nel ’44 fu chiamato a Heidelberg, dove fondò la «Deutsche Zeitung», periodico di orientamento nazionale-liberale. Tra le sue opere le più importanti sono la Geschichte derpoetischen Nationalliteratur der Deutschen (1835-42), un’ampia monografia su Shakespeare (1849-52) e la Geschichte des neunzehnten Jahrhunderts (1854-60). 54. La citazione è tratta dalla Staatslehre, oder über das Verhältnis des Urstaates zum Vernunftreiche, in Sämtliche Werke, a cura di I. H. Fichte, Berlin, Veit & Comp., 1845-46, vol. IV, p. 460. 55. Questa e le successive citazioni di Fichte sono tratte dai Grundzüge des gegenwärtigen Zeitalters: l’espressione citata si trova nella lezione 9, in Samtliche Werke cit., vol. VII, p. 138, trad. it. di A. Carrano con il titolo I tratti fondamentali dell’epoca presente, Milano, Guerrini e Associati, 1999, p. 238 (dove però si parla, più precisamente, di «incivilimento del genere umano»). 56. Grundzüge des gegenwärtigen Zeitalters, lezione 7, in Samtliche Werke cit., vol. VII, p. 106, trad. it. cit., p. 198. 57. Grundzüge des gegenwärtigen Zeitalters, lezione 9, in Samtliche Werke cit., vol. VII, p. 136, trad. it. cit., pp. 235-36. 58. Grundzüge des gegenwärtigen Zeitalters, lezione 9, in Samtliche Werke cit., vol. VII, p. 140, trad. it. cit., p. 240. 59. Ibidem. 60. Grundzüge des gegenwärtigen Zeitalters, lezione 9, in Sämtliche Werke cit., vol. VII, p. 136, trad. it. cit., p. 236. 61. Grundzüge des gegenwärtigen Zeitalters, lezione 7, in Sämtliche Werke cit., vol. VII, p. 107, trad. it. cit., p. 200. 62. Johann Gustav Droysen (1808-1884), storico tedesco, dal 1835 al ’40 professore di filologia classica a Berlino, insegnò in seguito a Kiel e a Jena: deputato dello Schleswig-Holstein al parlamento di Francoforte e segretario del comitato per la costituzione, abbandonò in seguito il suo originario liberalismo per diventare fervente sostenitore dell’unificazione della Germania sotto l’egida prussiana; nel ’59 fu chiamato a insegnare a Berlino. Si occupò di storia antica, pubblicando una biografia di Alessandro il Grande (1833), la Geschichte der Nachfolger Alexanders (1836) e la Geschichte der Bildung des hellenistischen Staatensystems (1843), poi confluiti, in seconda edizione, nella fondamentale Geschichte des Hellenismus (1877-78); ma scrisse anche varie opere di storia moderna, tra cui le Vorlesungen uber die Freiheitskriege (1846), Das Leben des Feldmarschalls Grafen Yorck von Wartenburg (1851-52) e la Geschichte der preussischen Politik (1855-86); ad essi si aggiunge il Grundriss der Historik (1858), cioè il sommario delle lezioni di teoria della storia pubblicate postume. 63. Dilthey si riferisce nuovamente al saggio dal titolo Uber die Aufgabe des Geschichtsschreibers (1821). 64. W. VON HUMBOLDT, Über die Aufgabe des Geschichtsschreibers, in Gesammelte Schriften, a cura di A. Leitzmann, Berlin, Behr, 1903-36, vol. IV, p. 55, trad. it. di G. Moretto nel volume II compito dello storico, a cura di F. Tessitore, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1980, p. 139. 65. L. VON RANKE, Philosophisches Gespräch, in Sämmtliche Werke, vol. IL-L: Zur Geschichte

Deutschlands und Frankreichs im 19. Jahrhundert, Leipzig, Duncker & Humblot, 1887, P. 327 66. L. VON RANKE, Die grossen Mächte, in Sämmtliche Werke, vol. XXIV: Abhandlungen und Versuche, Leipzig, Duncker & Humblot, 1872, p. 39, trad. it. di M. A. Giampaolo con il titolo Le grandi potenze, Firenze, Sansoni, 1954, p. 50. 67. L. VON RANKE, Philosophisches Gespräch, in Sämmtliche Werke, vol. IL-L, cit., p. 329. 68. L. VON RANKE, Die grossen Mächie, in Sämmtliche Werke, vol. XXIV, cit., p. 40, trad. it. cit., p. 50. 69. Il termine tedesco è qui Vertretung, il cui significato è quello di “stare al posto di” (e infatti nel linguaggio politico la Vertretung designa appunto la rappresentanza parlamentare); esso non ha alcun rapporto con Vorstellung, che viene tradotto con “rappresentazione” (in senso gnoseologico). L’ambiguità che ne può nascere soprattutto per quanto riguarda il verbo corrispondente, vertreten,è purtroppo inevitabile. 70. All’ambiguità che risulta nella traduzione dall’impiego dei termini Vorstellung (“rappresentazione”) e Vertretung (“rappresentanza”) si aggiunge qui il ricorso a un altro termine, di origine latina anziché germanica, cioè Repräsentation, con cui Dilthey intende designare un processo complessivo che abbraccia sia la rappresentazione riprodotta nel ricordo, ossia rammemorata, sia la trasposizione del contenuto rappresentativo — in virtù della “rappresentanza” che ne danno i concetti — nel pensiero discorsivo. Al di fuori di questa sezione il termine Repräsentation non viene più utilizzato. 71. Jacob Burckhardt (1818-1897), storico svizzero, autore di Die Zeit Constantins des Grossen (1853), di Die Cultur der Renaissance in Italien (1860) e di una postuma Griechische Kulturgeschichte (18981902), nonché di varie altre opere, è uno dei maggiori esponenti della storiografia post-romantica; il suo libro sulla civiltà del Rinascimento ha rinnovato l’interpretazione di questo periodo storico. Le sue idee sulla storia sono esposte nel corso di lezioni Über das Studium der Geschichte, pubblicato postumo col titolo Weltgeschichtliche Betrachtungen (1905). 72. Eusebio di Cesarea (265-339), padre della Chiesa ispirato dal neoplatonismo, autore del Chronicon, della Historia ecclesiastica, della Praeparatio evangelica, della Demonstratio evangelica, del De ecclesiastica theologia e di vari altri scritti, è una delle fonti principali per la storia del Cristianesimo primitivo. Scrisse parecchi pamphlets di polemica anti-pagana, e prese parte alla controversia tra Ario e Alessandro sull’interpretazione della Trinità. 73. Johann August Wilhelm Neander (1789-1850), storico della chiesa e teologo tedesco, allievo di Schleiermacher, divenne professore a Heidelberg nel 1812, e l’anno dopo a Berlino; è autore di diversi volumi sull’imperatore Giuliano, su Bernardo di Chiaravalle, su Giovanni Crisostomo, su Tertulliano, nonché di una Allgemeine Geschichte der christlichen Religion und Kirche (1825-45) rimasta incompiuta. 74. Thomas Babington Macaulay (1800-1859), uomo politico e storico inglese, autore della History of England from the Accession of James II (1849-61), nonché di numerosi Essays e Biographical Essays, recò nella sua storiografia un’impostazione liberale: Dilthey si riferisce qui soprattutto alle sue grandi qualità narrative. 75. G. W. F. HEGEL, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, parte III, § 553, trad. it. cit., p. 412. 76. Johann Heinrich Casimir barone von Carmer (1720-1801), fu dal 1779 al 1795 gran cancelliere e presidente della Commissione legislativa dello stato prussiano; sotto la sua direzione fu pubblicato, nel 1780-81, il primo volume del Corpus iuris Friedericianum. — Karl Gottlieb Svarez (1746-1798) collaborò alla redazione del codice prussiano. — Ernst Ferdinand Klein (1744-1810), an eh’egli collaboratore di Carmer nella redazione del codice prussiano, autore dei Grundsätze des gemeinen deutschen peinlichen Rechts (1799) e di numerose altre opere giuridiche, soprattutto di carattere penalistico. — Karl Abraham barone von Zedlitz (1731-1793), ministro di Federico II, ebbe gran parte nella riforma del sistema

scolastico prussiano. — Ewald Herzberg (1725-1795), ministro sotto il regno di Federico II, autore del Mémoire raisonné con cui il sovrano cercò di giustificare nel 1756 l’invasione della Sassonia, che diede inizio alla Guerra dei Sette anni. 77. Justus Möser (1720-1794), storico tedesco, avvocato e ministro nel principato vescovile di Osnabrück, autore della Osnabrückische Geschichte (1768-1824) e di altre opere, è uno dei maggiori esponenti della reazione anti-illuministica nel pensiero tedesco della seconda metà del Settecento. La sua impostazione storiografica, fondata sull’esaltazione della struttura feudale e patrimoniale della vecchia Germania e quindi orientata in senso fortemente conservatore, costituisce un importante momento preparatorio dello storicismo romantico. 78. Arminio (17 a. C.-21 d. C.), principe dei Cherusci, nel 9 d. C. sconfisse le legioni romane, guidate da Quintilio Varo, nella foresta di Teutoburgo, e in seguito guidò la resistenza germanica contro l’invasore, costringendo i Romani ad abbandonare la frontiera dell’Elba per ritirarsi sul Reno. La sua figura fu esaltata come quella del primo eroe nazionale tedesco. 79. Marbod, principe dei Marcomammi, contemporaneo e avversario di Arminio. 80. Freidank, nome o (più probabilmente) pseudonimo di un poeta didattico tedesco della prima metà del secolo XIII, che seguì Federico II in Palestina: il suo poema Bescheidenheit (pubblicato nel 1508) ebbe larga fortuna. 81. Christian Thomasius (1655-1728), giurista e filosofo tedesco, fu professore a Lipsia e poi a Halle: autore di tre libri Institutionum iurisprudentiae divinae (1688), della Introductio in philosophiam rationalem (1701), dei Fundamenta iuris naturae et gentium (1705) e di numerose altre opere soprattutto di etica, è uno dei maggiori esponenti della scuola del diritto naturale alla fine del Seicento: la sua opera si ispira in larga misura all’insegnamento di Pufendorf. 82. Samuel von Pufendorf (1632-1694), giurista e filosofo tedesco, studiò a Lipsia e a Jena, entrando poi al servizio del governo svedese; dopo un breve soggiorno in Olanda e poi nel Palatinato, divenne nel 1670 professore di diritto internazionale e naturale nella neonata università di Lund; nel 1686, infine, si trasferì a Berlino in qualità di storico ufficiale alla corte di Brandeburgo. Autore dei De iure naturae et gentium libri octo (1672), dei De officio hominis et civis iuxta legem naturalem libri duo (1673) e di Eris scandica (1686), nonché di varie altre opere di argomento storico e giuridico, è la maggiore figura del giusnaturalismo di fine Seicento. 83. Christoph Matthäus Pfaff (1686-1760), teologo protestante tedesco, autore delle Institutiones theologiae dogmaticae et moralis (1719), del De origine iuris ecclesiastici (1719), delle Institutiones iuris ecclesiastici (1727) e di varie altre opere, fu uno dei maggiori rappresentanti della dottrina teologica della prima metà del Settecento. 84. Il Pietismo è un movimento religioso sorto in Germania nella seconda metà del Seicento, ad opera di Philip Jacob Spener (1635-1705), che — richiamandosi alla tradizione della mistica tedesca medioevale — fondò a Francoforte i collegia pietatis, piccoli gruppi impegnati nello studio del Nuovo Testamento e nell’approfondimento della propria esperienza interiore. I Pia desideria (1675), il testo principale di Spener, enunciano il programma del Pietismo, orientato verso una «religione del cuore», cioè verso religiosità di carattere sentimentale che si contrappone all’ortodossia luterana. Esso è stato ripreso a Halle da August Hermann Francke (1663-1727) e poi dal suo discepolo, il conte Nicolaus Zinzendorf (1700-1760). Il Pietismo ebbe larga influenza sulla letteratura e soprattutto sulla musica tedesca del Sei e Settecento; e se ne può trovare una forte traccia anche nell’etica kantiana. 85. Dilthey si riferisce qui, in particolare, agli Oratori e alle due Passioni di Bach, la Passione secondo Matteo e la Passione secondo Giovanni. a. Cfr. Studien zur Grundlegung der Geisteswissenschaften, I [ora in Gesammelte Schriften, vol. VII, pp. II sgg.: cfr. pp. 83 sgg. di questo volume]. b. Sulla connessione acquisita della vita psichica cfr. Dichterische Einbildungskraft und Wahnsinn

(1886), pp. 13 sgg. [ora in Gesammelte Schriften, vol. VI, pp. 90-102, trad. it. di G. Matteucci nel volume Estetica e poetica. Materiale editi e inediti (1896-1909), Milano, F. Angeli, 1992, pp. 63-76]; Die Einbildungskraft des Dichters, nei Philosophische Aufsätze. Eduard Zeller zu seinem 70. fünfzigjährigen Doctorjubiläum gewidmet, Leipzig, Teubner, 1887, pp. 355 sgg., 388 sgg. [ora in Gesammelte Schriften, vol. VI, pp. 103-241, trad. it. nel volume Estetica e poetica, cit., pp. 77-224]; Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie (1894), PP. 80 sgg. [ora in Gesammelte Schriften, vol. VI, pp. 142 sgg., 167 sgg., e vol. V, pp. 217 sgg., trad. it. cit., pp. 423 sgg.]. c. Einleitung in die Geisteswissenschaften, p. 33 [ora in Gesammelte Schriften, vol. I, p. 26, trad. it. di G. A. De Toni con il titolo Introduzione alle scienze dello spirito, Firenze, La Nuova Italia, 1974, p. 43]. d. Einleitung in die Geisteswissenschaften, pp. 33-34 [ora in Gesammelte Schriften, vol. I, pp. 26-27, trad. it. cit., pp. 43-44]. e. Einleitung in die Geisteswissenschaften, p. 33 [ora in Gesammelte Schriften, vol. I, p. 26, trad. it. cit., p. 44]. f. Si veda la mia Jugendgeschichte Hegels, pubblicata nelle «Abhandlungen der königlich Preussischen Akademie der Wissenschaften», 1905, pp. 1-212 [ora in Gesammelte Scbriften, vol. IV, pp. 1187, trad. it. di G. Cavallo Guzzo nel volume Storia della giovinezza di Hegel e Frammenti postumi, Napoli, Guida, 1986, pp. 11-262]. g. F. K. VON SAVIGNY, Vom Beruf unserer Zeit für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, pp. 5 sgg. [trad. it. cit., pp. 47-49]. h. Su questo punto rimando inoltre al mio saggio su Schlosser, pubblicato nei «Preußische Jahrbücher», IX, 1862, pp. 373-433 [ora in Gesammelte Schriften, vol. IX, pp. 104-64]. i. Si veda la mia Jugendgeschichte Hegels, p. 54 [ora in Gesammelte Schriften, vol. IV, p. 49, trad. it. cit., pp. 81-82]. j. Si veda pp. 26 sgg. di questo saggio [ora in Gesammelte Schriften, vol. VII, pp. 99 sgg.: cfr. in questo volume, pp. 184 sgg.], nonché la mia Jugendgeschichte Hegels, citata sopra. k. Einleitung in die Geisteswissenschaften, Prefazione, p. XVII [ora in Gesammelte Schriften, vol. I, p. XVIII, trad. it. cit., p. 9]. l. Einleitung in die Geisteswissenschaften, pp. 10 e 136-37 [ora in Gesammelte Schriften, vol. I, pp. 8-9 e 108-109, trad. it. cit., pp. 21-22 e 144-46]. m. Si veda il saggio Studien zur Grundlegung der Geisteswissenschaften, nei «Sitzungsberichte der königlich Preussischen Akademie der Wissenschaften», 1905, pp. 332 sgg. [ora in Gesammelte Schriften, vol. VII, pp. 11 sgg.: cfr. in questo volume, pp. 82 sgg.]. n. Si veda Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, “Sitzungsberichte der königlich Preussischen Akademie der Wissenschaften”, 1894, p. 1352 [ora in Gesammelte Schriften, vol. V, p. 132, trad. it. cit., p. 391]. o. Di qui si apre lo sguardo anche sul compito logico di riduzione delle forme del pensiero discorsivo a forme di espressione dei rapporti presenti nel dato, così come vengono posti in luce attraverso le operazioni elementari del pensiero. Dai fatti contenuti nel campo dell’apprendere sensibile noi siamo condotti a considerare l’immanenza dell’ordine nella materia della nostra esperienza sensibile, e la distinzione della materia delle impressioni dalle forme di collegamento si rivela un mero strumento di astrazione. Il principio di identità afferma che ogni posizione è valida indipendentemente dal posto variabile che essa occupa nella connessione del pensiero e dal mutamento che ha luogo nei soggetti delle asserzioni; e il principio di contraddizione ha a suo fondamento quello di identità. Al principio di identità si aggiunge in esso la negazione; questa è soltanto il rifiuto di un’assunzione che si presenta in noi o al di fuori di noi, e si riferisce sempre a un’asserzione già formulata, sia questa contenuta in un atto cosciente del pensiero o in un’altra forma. Il principio di identità attribuisce alla posizione una

validità costante; perciò viene esclusa l’eliminazione di tale posizione. Noi non possiamo al tempo stesso affermarla e negarla, in quanto viene alla coscienza il rapporto di contraddizione. Se dichiaro falso il giudizio negativo, io rifiuto di eliminare la proposizione, e ne risulta confermata l’asserzione affermativa: il principio del terzo escluso esprime questo stato di cose. Così le leggi del pensiero non indicano alcuna condizione a priori per il nostro pensiero; e i rapporti che sono contenuti nella comparazione, nella separazione, nell’astrazione, nella relazione, si ritrovano poi nelle operazioni del pensiero discorsivo come nelle categorie formali di cui si parlerà in seguito. L’assunzione che il giudizio presupponga il subentrare del rapporto categoriale tra cosa e proprietà non è necessario, poiché esso può venir compreso sulla base della relazione tra l’oggetto e ciò che è predicato da esso. p. G. W. F. HEGEL, Werke, vol. VII, parte II (1845), p. 375 [Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, parte III, § 482, trad. it. con il titolo Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, vol. III: Filosofia dello spirito, a cura di A. Bosi, Torino, Utet, 2000, p. 352]. q. G. W. F. HEGEL, Werke, vol. VII, parte II, p. 376 [Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, parte III, § 483, trad. it. cit., p. 353]. r. Cfr. il mio saggio Beiträge zum Studium der Individualität, «Sitzungsberichte der königlich Preussischen Akademie der Wissenschaften», 1896, pp. 295-335 [ora in Gesammelte Schriften, vol. V, pp. 241-316, trad. it. cit., pp. 447-515]. s. Cfr. Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psyetologie, «Sitzungsberichte der königlich Preussischen Akademie der Wissenschaften», 1894, pp. 1309-1407 [ora in Gesammelte Schriften, vol. V, pp. 139-237, trad. it. cit., pp. 351-446]. Si vedano inoltre le Studien zur Grundlegung der Geisteswissenschaften: Erste Studie, «Sitzungsberichte» cit., 1905, vol. II, pp. 322-43 [ora in Gesammelte Schriften, vol. VII, pp. 3-23: cfr. in questo volume, pp. 73-96], l’Einleitung in die Geisteswissenschaften, e inoltre C. SIGWART, Logik, Tübingen, Mohr, 1873-78, 3a ed. 1904, vol. II, pp. 633 sgg. t. Cfr. Einleitung in die Geisteswissenschaften, pp. 52 sgg. [ora in Gesammelte Schriften, vol. I, pp. 42 sgg., trad. it. cit., pp. 62 sgg.] u. Già nel 1865, nel saggio su Novalis [ora in Erlebnis und Dichtung] ho illustrato e impiegato il concetto storico di generazione, usandolo più ampiamente nel primo volume del Leben Schleiermachers e poi, nel 1875, nel saggio Über das Studium der Geschichte der Wissenschaften vom Menschen, der Gesellschaft und dem Staat [ora in Gesammelte Schriften, vol. V, pp. 31-73, trad. it. di G. Cacciatore con il titolo Lo studio delle scienze umane, sociali e politiche, Napoli, Morano, 1975], sviluppandolo insieme ai concetti ad esso collegati. Una più precisa determinazione dei concetti di “continuità storica”, “movimento storico”, “generazione”, “età”, “epoca” è possibile soltanto nell’esposizione della costruzione delle scienze dello spirito. v. Ciò è trattato più ampiamente nell’Einleitung in die Geisteswissenschaften, pp. 44 sgg. [ora in Gesammelte Schriften, vol. I, pp. 35 sgg., trad. it. cit., pp. 54 sgg.].

III. PROGETTO DI CONTINUAZIONE PER LA COSTRUZIONE DEL MONDO STORICO NELLE SCIENZE DELLO SPIRITO Abbozzi di una critica della ragione storica

1. “ERLEBEN” ESPRESSIONE E COMPRENSIONE I. L’ERLEBEN E L’AUTOBIOGRAFIA 1. Il compito di una critica della ragione storica. La connessione del mondo spirituale si apre nel soggetto, ed è il movimento dello spirito fino alla determinazione della connessione di significato di questo mondo che collega tra di loro i processi logici particolari. Così da una parte questo mondo spirituale è la creazione del soggetto che lo apprende, ma dall’altra il movimento dello spirito è rivolto a conseguire in esso un sapere oggettivo. Ci troviamo quindi di fronte al problema del modo in cui la costruzione del mondo spirituale renda possibile nel soggetto una conoscenza della realtà spirituale. Ho designato già prima questo compito come il compito di una critica della ragione storica. Esso può venir risolto soltanto se si distinguono le funzioni particolari che cooperano nel creare questa connessione, e se si può quindi indicare quale parte ognuna di esse ha nella costruzione del corso storico entro il mondo spirituale e nella scoperta della sua sistematica. Il procedimento deve mostrare in quale misura possano essere risolte le difficoltà contenute nella dipendenza reciproca delle verità; esso deriverà gradualmente dall’esperienza il principio reale dell’apprendere che si compie nelle scienze dello spirito. La comprensione è un ritrovamento dell’io nel tu; lo spirito si ritrova in gradi sempre superiori di connessione; e questa identità dello spirito nell’io, nel tu, in ogni soggetto di una comunità, in ogni sistema di cultura, infine nella totalità dello spirito e nella storia universale, rende possibile il cooperare delle diverse funzioni nelle scienze dello spirito. Il soggetto del sapere è qui identico con il suo oggetto, e questo è il medesimo in tutti i gradi della sua oggettivazione. Quando attraverso questo procedimento viene riconosciuta l’oggettività del mondo spirituale creato nel soggetto, si pone la questione della misura in cui ciò può contribuire alla soluzione del problema della conoscenza in generale. Kant muoveva dai fondamenti che la logica formale e la matematica offrono per la trattazione del problema della conoscenza. All’epoca di Kant la logica formale vedeva nelle ultime astrazioni logiche, nelle leggi del pensiero e nelle forme del pensiero, la base logica ultima della fondatezza di tutti i principi scientifici: le leggi del pensiero e le forme del pensiero, ma soprattutto il giudizio nel quale sono date le categorie, contenevano per lui le condizioni della conoscenza. Egli ha ampliato queste condizioni con quelle che, secondo lui, rendono possibile la matematica. La grandezza della sua impresa risiede in un’analisi compiuta del

sapere matematico e del sapere delle scienze naturali. La questione è però questa: se sia possibile, nell’ambito dei suoi concetti, una teoria della conoscenza storica, che egli non ci ha dato. 2. Consapevolezza, realtà, tempo. Io parto qui da ciò che prima ho detto sulla vita e sull’Erlebnis. Il compito è ora di mostrare la realtà di ciò che viene appreso nell’Erleben; e poiché si tratta del valore oggettivo delle categorie del mondo spirituale, le quali procedono dall’Erleben, premetto un’osservazione sul senso in cui viene qui usato il termine “categorie”. Nei predicati che applichiamo agli oggetti sono contenuti certi modi di apprendere: io chiamo categorie i concetti che designano questi modi. Ognuno di essi racchiude in sé una regola di relazione. Le categorie formano in sé connessioni sistematiche, e le categorie supreme indicano i punti di vista più alti dell’apprendimento della realtà. Ogni categoria di questo genere designa poi un proprio mondo di predicamenti. Le categorie formali sono modi di asserzione intorno a una qualsiasi realtà. Tra le categorie reali se ne presentano invece alcune che hanno la loro origine nell’apprendimento del mondo spirituale, anche se trovano poi applicazione, trasformandosi, all’intera realtà. Nell’Erleben sorgono predicati generali della connessione vissuta in un determinato individuo; ma in quanto essi vengono impiegati nella comprensione alle oggettivazioni della vita e a tutti i soggetti di un’asserzione all’interno delle scienze dello spirito, viene allora a estendersi l’ambito della loro validità, finché risulta che ovunque c’è vita spirituale, ad essa competono la connessione produttiva, la forza, il valore, e via dicendo. Questi predicati generali acquistano così la dignità di categorie del mondo spirituale Nella vita è contenuta come sua prima determinazione categoriale, fondamentale rispetto a tutte le altre, la temporalità. Ciò emerge già nell’espressione “corso della vita”. Il tempo esiste per noi in virtù dell’unità comprensiva della nostra coscienza. Alla vita e agli oggetti esterni che vi si presentano sono comuni i rapporti di contemporaneità, successione, distanza temporale, durata, mutamento. A partire da essi sono state sviluppate, sulla base della scienza matematica della natura, le relazioni astratte che Kant ha posto a fondamento della sua dottrina della fenomenicità del tempo. Questo ambito di rapporti racchiude ma non esaurisce l’Erlebnis del tempo, in cui il suo concetto trova la sua massima pienezza. Qui si ha esperienza del tempo come dell’incessante procedere del presente, in cui il

presente diventa sempre passato e il futuro diventa presente. Il presente è il riempimento di un momento del tempo con una realtà, è la realtà in antitesi al ricordo o alle rappresentazioni del futuro che sorgono nel desiderio, nell’attesa, nella speranza, nel timore, nel volere. Questo riempimento con una realtà, ossia il presente, sussiste sempre, mentre ciò che costituisce il contenuto dell’Erleben muta di continuo. Le rappresentazioni nelle quali noi possediamo il passato e il futuro esistono soltanto per chi vive nel presente. Il presente esiste sempre, e non esiste nulla che non scaturisca in esso. La navicella della nostra vita è per così dire portata da una corrente che la spinge continuamente, e il presente è sempre e ovunque là dove noi siamo su queste onde, dove noi soffriamo, ricordiamo o speriamo, cioè dove noi viviamo nella pienezza della nostra realtà. Ma noi avanziamo incessantemente in questa corrente, e nello stesso momento in cui il futuro diventa presente, questo si sprofonda già nel passato. Così le parti del tempo riempito non sono differenti tra di loro soltanto qualitativamente, ma, se guardiamo dal presente indietro verso il passato e avanti verso il futuro, ogni parte del fluire del tempo riveste, prescindendo da ciò che in esso si presenta, un diverso carattere. Indietro sta la serie delle immagini del ricordo, disposte secondo il valore per la coscienza e la partecipazione affettiva: come una serie di case o di alberi si perde in lontananza, diventa più piccola, così in questa linea del ricordo va diminuendo il grado di freschezza del ricordo, finché le immagini si perdono all’orizzonte nell’oscurità. E quanti più elementi stanno davanti tra la pienezza del presente e un momento nel futuro — stati d’animo, processi esterni, mezzi, scopi — tanto più si accumulano le possibilità del corso, e tanto più indeterminata e nebulosa diventa l’immagine di questo futuro. Quando guardiamo indietro al passato, noi ci comportiamo passivamente; esso è immutabile: invano l’uomo che ne è determinato cerca di scuoterselo di dosso, sognando come avrebbe potuto essere altrimenti. Di fronte al futuro noi ci comportiamo invece attivamente, liberamente. Qui a fianco della categoria della realtà, propria del presente, sorge quella della possibilità. Noi ci sentiamo in possesso di infinite possibilità. Così questo Erlebnis del tempo determina in tutte le direzioni il contenuto della nostra vita. Perciò anche la dottrina della mera idealità del tempo non ha alcun senso nelle scienze dello spirito. Infatti essa potrebbe voler dire soltanto che dietro alla vita stessa, con il suo guardare verso il passato dipendente dal corso del tempo e dalla temporalità, con il suo protendersi pieno di desiderio, attivo e libero verso il futuro, con il suo disperarsi per le necessità che ne emergono, con i suoi sforzi e il suo lavoro e i

suoi scopi rivolti al futuro, con la formazione e lo sviluppo che il corso temporale della vita racchiude — se ne starebbe, come sua condizione, un regno delle ombre dell’atemporalità, un qualcosa che non viene vissuto. In questa nostra vita sta però la realtà a cui si riferiscono le scienze dello spirito. Le antinomie che il pensiero trova nell’Erlebnis del tempo derivano dalla sua impenetrabilità per la conoscenza. La minima parte del procedere del tempo racchiude ancora in sé un corso temporale. Il presente non è mai: ciò che noi viviamo immediatamente come presente, racchiude in sé sempre il ricordo di ciò che era poco prima presente1. Tra l’altro l’agire del passato come forza nel presente, il suo significato per questo, partecipa a ciò che viene ricordato un carattere di presenza in virtù del quale esso viene inserito nel presente stesso. Ciò che costituisce così nel fluire del tempo un’unità nella presenza, in quanto possiede un significato unitario, è l’unità minima che possiamo designare come Erlebnis. E noi chiamiamo poi anche Erlebnis anche ogni unità più ampia di parti della vita collegate da un significato comune per il suo corso, sia pure quando le parti siano separate tra di loro da processi che le interrompono. L’Erleben è un decorso nel tempo in cui ogni stato, prima di diventare un oggetto distinto, viene a mutare, in quanto il momento successivo si costruisce sempre sul precedente, e in cui ogni elemento — non ancora appreso — diventa passato. Questo appare poi come ricordo, che ha la libertà di estendersi. L’osservazione però distrugge l’Erleben. E così non c’è nulla di più strano che il modo di connessione che conosciamo come un pezzo del corso della vita; di saldo resta sempre soltanto il fatto che la relazione strutturale costituisce la sua forma. E se si volesse ora cercare di vivere immediatamente, con una qualche specie di sforzo, il fluire della vita medesima, quando appare la riva ed esso, secondo Eraclito, sembra sempre il medesimo e tuttavia non lo è mai, molteplice e uno, si ricadrebbe sotto la legge della vita, secondo cui ogni momento della vita che viene osservato, per quanto si rafforzi la coscienza del fluire, è il momento ricordato, e non più il fluire; infatti esso è fissato mediante l’attenzione che conserva ciò che in sé fluisce. E quindi noi non possiamo penetrare l’essenza di questa vita: ciò che il giovinetto di Sais2 svela è forma e non vita. Questo deve venir tenuto presente per comprendere ora le categorie che sorgono dalla vita stessa. Questa qualità del tempo reale ha per conseguenza che il corso temporale non può essere, in senso stretto, vissuto immediatamente. La presenza del

passato sostituisce in noi l’Erleben immediato. Quando vogliamo osservare il tempo, l’osservazione lo distrugge fissandolo mediante l’attenzione; essa trattiene ciò che fluisce in forma stabile, rende stabile ciò che diviene. Ciò di cui abbiamo esperienza vissuta sono mutamenti di ciò che era poco prima, e il fatto che si compiono questi mutamenti di ciò che era. Ma noi non abbiamo esperienza vissuta del fluire stesso. Noi abbiamo esperienza vissuta di una permanenza in quanto ritorniamo a ciò che abbiamo visto e udito poco prima, e ce lo ritroviamo ancora. Noi abbiamo esperienza vissuta di un mutamento quando alcune qualità particolari presenti in un complesso sono divenute altre; e anche quando ci rivolgiamo in noi stessi a ciò che ha durata e mutamenti, nulla si modifica nella consapevolezza del proprio io. E nulla di diverso avviene nell’introspezione. Il corso della vita consiste di parti, consiste di Erlebnisse che stanno tra di loro in una connessione interna. Ogni Erlebnis particolare è riferito a un io, di cui è parte; e in virtù della sua struttura è collegato con altre parti in una connessione. In tutto ciò che è spirituale noi troviamo una connessione; cosicché la connessione costituisce una categoria che sorge dalla vita medesima. Noi apprendiamo la connessione in virtù dell’unità della coscienza. Questa è la condizione a cui sottostà ogni apprendere; ma è chiaro che l’esserci di una connessione non potrebbe derivare dal mero fatto che all’unità della coscienza è data una molteplicità di Erlebnisse. La connessione della vita ci è data solamente in quanto la vita stessa è una connessione strutturale in cui gli Erlebnisse stanno in relazioni di cui si può avere esperienza vissuta. Questa connessione viene appresa sotto una categoria comprensiva, che è una forma di asserzione su ogni realtà — il rapporto del tutto con le parti. La vita spirituale sorge sul terreno della vita fisica; essa è inserita nell’evoluzione come il suo grado più alto sulla terra. La scienza naturale pone in luce le condizioni nelle quali essa sorge, scoprendo nei fenomeni fisici un ordine conforme a leggi. Tra i corpi dati fenomenicamente si trova il corpo umano, e ad esso l’Erleben è qui collegato in una maniera che non può essere illustrata ulteriormente. Ma con l’Erleben noi entriamo dal mondo dei fenomeni fisici nel dominio della realtà spirituale. Esso è l’oggetto delle scienze dello spirito, e la riflessione su queste discipline e il loro valore conoscitivo sono del tutto indipendenti dallo studio delle condizioni fisiche. Nel cooperare dell’Erleben, della comprensione di altre persone, della comprensione storica dei rapporti di comunanza in quanto soggetti dell’azione

storica, infine dello spirito oggettivo, nasce la conoscenza del mondo spirituale. L’Erleben è il presupposto ultimo di tutto questo, e pertanto ci chiediamo quale funzione esso compia. L’Erleben racchiude in sé le operazioni elementari del pensiero: ho indicato questo come la sua intellettualità. Esse si presentano con il progredire della coscienza. Il mutamento di uno stato di cose interno diventa così la coscienza della distinzione; e in ciò che muta viene appreso isolatamente un certo elemento. Dall’Erleben derivano i giudizi su ciò che è immediatamente vissuto, e in cui questo diventa oggettivo. È superfluo illustrare il modo in cui soltanto dall’Erleben deriviamo la nostra conoscenza di ogni elemento spirituale. Un sentimento, del quale non abbiamo esperienza vissuta, non possiamo ritrovarlo in un altro. Ma per la formazione delle scienze dello spirito è decisivo che noi possiamo attribuire al soggetto, che nella sua limitazione corporea include la possibilità di Erlebnisse, dei predicati generali, degli attributi tratti dal nostro Erleben, i quali contengono in sé il punto di partenza per le categorie proprie delle scienze dello spirito. Le categorie formali derivano, come abbiamo visto, dalle operazioni elementari del pensiero. Esse sono concetti che rappresentano, mediante queste operazioni elementari, ciò che può essere appreso: sono concetti come quelli di unità, pluralità, identità, differenza, grado, relazione. Esse sono quindi attributi della realtà intera. 3. La connessione della vita. Un nuovo tratto della vita diventa ora visibile: esso è condizionato dal carattere, che abbiamo già illustrato, della sua temporalità, ma procede oltre di esso. Noi ci atteggiamo di fronte alla vita, tanto alla propria vita quanto a quella altrui, in modo da comprenderla. E questo atteggiamento si compie attraverso categorie sue proprie, le quali sono estranee alla conoscenza naturale in quanto tale. Quando la conoscenza naturale ha bisogno del concetto di scopo per i primi gradi della vita umana nel mondo organico, essa trae questa categoria dalla vita umana. Le categorie formali sono espressioni astratte che indicano i procedimenti logici della distinzione, dell’identità, dell’apprendimento dei gradi della distinzione, del collegamento e della separazione. Esse sono per così dire un esperire di grado superiore, che constata soltanto ma non costruisce a priori. Esse si presentano già nel nostro pensiero primario e si fanno quindi valere egualmente nel nostro pensiero discorsivo, vincolato a segni, soltanto a un

grado più alto. Esse sono le condizioni formali tanto della comprensione quanto del conoscere, sia delle scienze dello spirito sia delle scienze della natura. Le categorie reali non sono però mai, nelle scienze dello spirito, le medesime che si trovano nelle scienze della natura. Non mi occupo dei problemi che si riferiscono all’origine di queste categorie: qui si tratta soltanto della loro validità. Nessuna categoria reale può, per il fatto di valere nella scienza naturale, pretendere una validità per le scienze dello spirito. Se si trasferisce nelle scienze dello spirito il procedimento espresso astrattamente in quella, ne derivano quegli sconfinamenti del pensiero naturalistico che sono altrettanto riprovevoli di quanto lo è la trasposizione della connessione spirituale nella natura, da cui è scaturita la filosofia della natura di Schelling e di Hegel. Nel mondo storico non c’è alcuna causalità in senso naturalistico, poiché una causa intesa nel senso di questa causalità comporta il fatto di produrre necessariamente effetti secondo leggi; mentre la storia conosce soltanto i rapporti del fare e del patire, di azione e di reazione. E poco importa che una futura scienza naturale possa elaborare in nuovi concetti il concetto di sostanze come portatrici dell’accadere o il concetto di forze come il loro operare: tutte queste formazioni concettuali proprie della conoscenza naturale sono irrilevanti per le scienze dello spirito. I soggetti delle asserzioni sul mondo storico, dal corso individuale della vita fino al corso dell’umanità, designano soltanto un determinato modo di connessione in un qualche ambito. E se la categoria formale del rapporto del tutto con le parti è comune a questa connessione e alla connessione dello spazio, del tempo, della natura organizzata, soltanto nel dominio delle scienze dello spirito essa acquista, sulla base dell’essenza della vita e del procedimento della comprensione ad essa corrispondente, un proprio senso, il senso di una connessione nella quale le parti sono collegate tra di loro. Perciò anche qui, per il carattere evolutivo della realtà che cade sotto la nostra esperienza, la vita organica può venir considerata come un momento di passaggio tra la natura inorganica e il mondo storico, e quindi come uno stadio preliminare di quest’ultimo. Ma qual è questo senso proprio in cui le parti della vita umana sono collegate in una totalità? quali sono le categorie con cui noi cerchiamo di impadronirci, comprendendola, di questa totalità? Io guardo alle autobiografie, che sono l’espressione più diretta della riflessione sulla vita. Agostino, Rousseau, Goethe costituiscono le sue tipiche

forme storiche. Come questi scrittori colgono la connessione delle diverse parti del corso della propria vita? Agostino è tutto rivolto alla connessione della sua esistenza con Dio: il suo scritto3 è nel medesimo tempo meditazione religiosa, preghiera e narrazione. Questa narrazione ha il suo fine nell’avvenimento della sua conversione, e ogni processo anteriore è soltanto una stazione sul cammino che conduce a tale fine, in cui si compie l’intenzione della provvidenza riguardo a quest’uomo. Nessun godimento sensibile, nessun entusiasmo filosofico, nessuna gioia da retore per lo splendore del discorso e nessun rapporto della vita ha per lui un valore autonomo. In tutto egli sente il contenuto positivo della vita stranamente mescolato con l’aspirazione verso quel rapporto trascendente; tutto era prima transitorietà, e soltanto con la conversione è nata una relazione eterna e priva di sofferenza. Così la comprensione della sua vita si compie nella relazione delle sue parti in vista della realizzazione di un valore assoluto, di un bene supremo incondizionato, e in questa relazione sorge, agli occhi di chi guarda indietro, la coscienza del significato di ogni precedente momento della vita. Egli trova nella sua vita non già uno sviluppo, bensì una preparazione al distacco da ogni contenuto transitorio. — Rousseau! Il suo rapporto con la propria vita nelle Confessions4 può essere colto soltanto in base alle medesime categorie di significato, valore, senso, scopo. Tutta la Francia era piena di voci sul suo matrimonio, sul suo passato. In feconda solitudine egli avvertiva l’incessante lavorio dei suoi nemici contro di lui, con un atteggiamento da misantropo che arrivava alla mania di persecuzione. Quando egli guardava indietro nel ricordo, si vedeva sospinto fuori dall’ordine rigorosamente calvinistico della sua casa, e poi, procedendo sotto l’impulso di un oscuro spirito di avventura alla manifestazione della grandezza che viveva in lui, insudiciato su questa via da tutto il fango della strada, costretto ad accontentarsi di ogni specie di vitto cattivo, privo di forza dinanzi al dominio del mondo nobiliare e degli spiriti eletti intorno a lui. Ma, nonostante ciò che egli aveva fatto e subito e nonostante ciò che anche in lui c’era di corrotto, egli si sentiva un’anima illustre, magnanima, piena di umanità, in ciò conforme all’ideale del suo tempo. Questo egli voleva porre dinanzi agli occhi del mondo: egli voleva far valere il diritto della sua esistenza spirituale, mostrandola proprio quale essa era. Anche qui il corso dei processi esterni di una vita subisce un’interpretazione: si cerca una connessione che non consiste soltanto nella mera relazione di causa ed effetto. Se si vuole esprimerla, si dispone solamente di termini come valore, scopo, senso, significato. Se

guardiamo più da vicino, l’interpretazione si compie mediante un nesso reciproco di queste categorie. Rousseau vuole soprattutto far riconoscere il diritto della sua esistenza individuale. Qui è contenuta una nuova visione delle infinite possibilità di realizzazione dei valori della vita, e in base a questa visione si configura il rapporto delle categorie sotto cui viene da lui compresa a vita. — E ora Goethe. In Dichtung una Wahrheit5 egli si atteggia in modo universalmente storico di fronte alla propria esistenza. Egli si vede del tutto in connessione con il movimento letterario della sua epoca: egli ha il sentimento tranquillo e superbo della propria posizione al suo interno. Così, al vecchio che guarda indietro, ogni momento della sua vita appare significativo in duplice senso: come pienezza goduta della vita e come forza che agisce nella connessione della vita. Egli sente ogni momento presente, a Lipsia, a Strasburgo, a Francoforte, riempito e determinato dal passato, e nello stesso tempo estendentesi alla formazione del futuro, — il che vuol però dire come sviluppo. Qui noi penetriamo più profondamente nelle relazioni che sussistono tra le categorie come strumenti di comprensione della vita. Il senso della vita sta nel suo formarsi, nello sviluppo; e a partire da qui viene determinato in un modo peculiare il significato dei momenti della vita, il quale costituisce nel medesimo tempo il valore vissuto proprio del momento e la sua forza operante. Ogni vita ha un proprio senso. Esso risiede in una connessione significativa, nella quale ogni momento che può essere ricordato possiede un proprio valore, ma ha al tempo stesso nella connessione del ricordo una relazione con il senso della totalità. Questo senso dell’esistenza individuale è del tutto singolare, non risolvibile da parte del conoscere, e rappresenta a suo modo, come una monade di Leibniz, l’universo storico. 4. L’autobiografia. L’autobiografia è la forma più alta e più istruttiva in cui ci viene incontro la comprensione della vita. Qui un corso di vita costituisce l’elemento esterno, il fenomeno sensibile, da cui la comprensione si spinge a ciò che ha prodotto questo corso all’interno di un determinato ambiente. E colui che comprende questo corso della vita è identico con colui che lo ha prodotto. Da ciò deriva una particolare intimità della comprensione. Il medesimo uomo che cerca la connessione nella storia della sua vita, ha già costituito in tutto ciò che ha sentito come i valori della sua vita, realizzato come suoi scopi, proposto come progetto di vita, in tutto ciò che egli ha appreso guardando indietro come suo sviluppo e guardando avanti come la formazione della sua vita e il bene

supremo di essa — in tutto questo ha già costituito da vari punti di vista una connessione della propria vita che deve ora venir espressa. Egli ha isolato e accentuato nel ricordo i momenti della sua vita che ha avvertito come significativi, e lasciato gli altri sprofondarsi nell’oblio; il futuro ha poi corretto le illusioni del momento sul suo significato. Così i compiti ulteriori per la comprensione e la rappresentazione della connessione storica sono qui già parzialmente risolti dalla vita stessa. Le unità sono formate nelle concezioni di Erlebnisse nei quali il presente e il passato sono tenuti insieme da un significato comune. Tra questi Erlebnisse, quelli che rivestono una dignità particolare per sé e per la connessione della vita vengono conservati nel ricordo e sottratti al fluire senza fine dell’accadere e dell’oblio; e nella vita stessa si è venuta formando una connessione, sulla base di punti di vista diversi, con continui spostamenti. In questo modo anche il lavoro della rappresentazione storica è già parzialmente compiuto dalla vita stessa. Le unità sono costituite come Erlebnisse; dalla loro indefinita, smisurata pluralità si prepara una selezione di ciò che è degno di essere rappresentato. E tra questi elementi viene vista una connessione che certamente non può essere e non vuol essere una semplice copia del corso reale della vita di tanti anni, poiché si tratta appunto di una comprensione, ma che tuttavia esprime ciò che una vita individuale conosce della connessione in essa presente. E qui ci avviciniamo alle radici di ogni apprendere storico. L’autobiografia è soltanto l’auto-riflessione dell’uomo sul corso della propria vita, recata a espressione letteraria. Una tale auto-riflessione si rinnova però in un qualche grado in ogni individuo: essa è sempre presente, e si manifesta in forme sempre nuove. Essa è presente nei versi di Solone come nelle meditazioni del filosofo stoico, nelle meditazioni del santo, nella filosofia della vita dell’età moderna. Essa soltanto rende possibile lo sguardo storico. La forza e l’ampiezza della propria vita, al pari dell’energia della riflessione su di essa, costituiscono il fondamento dello sguardo storico. Essa sola può dare una seconda vita alle ombre esangui del passato. Il suo nesso con un bisogno illimitato di dedicarsi a un’esistenza estranea, di annullare in questa il proprio io, è ciò che forma il grande storico. Che cosa è allora che costituisce, nella considerazione del corso della propria vita, la connessione in virtù della quale noi colleghiamo le sue varie parti in una totalità in cui la vita giunge a essere compresa? Alle categorie generali del pensiero si sono aggiunte, nella comprensione della vita, quelle di valore, di scopo e di significato, e sotto di esse stavano concetti assai ampi

come quelli di formazione e di sviluppo della vita. La diversità di queste categorie è condizionata anzitutto dal punto di vista da cui viene appreso il corso della vita nel tempo. Rivolgendoci indietro nel ricordo, noi penetriamo la connessione degli elementi passati del corso della vita sotto la categoria del loro significato. Quando viviamo nel presente, il quale è riempito di realtà, noi avvertiamo nel sentimento il valore positivo o negativo di queste realtà; e quando ci orientiamo verso il futuro, da questo atteggiamento sorge la categoria di scopo. Noi interpretiamo la vita come realizzazione di uno scopo più alto al quale si subordinano tutti gli scopi particolari, come la realizzazione di un bene supremo. Nessuna di queste categorie può venir subordinata a un’altra, poiché ognuna di esse rende accessibile alla comprensione, da un punto di vista diverso, la pienezza della vita. Esse sono quindi incomparabili tra di loro. Una differenza si fa tuttavia valere nel loro rapporto con la comprensione del corso della vita. I valori propri, dei quali si ha esperienza nell’Erlebnis del presente e soltanto in esso, costituiscono il dato esperibile primario, ma se ne stanno pure separati gli uni dagli altri. Ognuno sorge infatti nel legame del soggetto con un oggetto ad esso presente in un presente. (Diversamente ci comportiamo invece quando poniamo uno scopo, in vista della rappresentazione di un oggetto che dev’essere realizzato). Pertanto i valori propri del presente immediatamente vissuto stanno separati tra di loro; essi possono soltanto venir comparati tra loro, cioè valutati. Ciò che viene generalmente designato come valore, designa soltanto relazioni con i valori propri. Se noi attribuiamo a un oggetto un valore oggettivo, ciò vuol dire soltanto che in relazione ad esso si può avere un’esperienza vissuta di valori diversi; se noi gli attribuiamo un valore produttivo, esso viene designato soltanto come capace di rendere possibile il presentarsi di un valore in un luogo successivo del corso temporale. Tutte queste sono solamente relazioni logiche, nelle quali può entrare il valore immediatamente vissuto nel presente. Così la vita appare, dal punto di vista del valore, come una pienezza infinita di valori esistenziali positivi e negativi; è come un caos di armonie e di dissonanze. Ognuna di esse è una formazione sonora che riempie un presente; ma esse non hanno tra di loro alcun rapporto musicale. La categoria dello scopo o del bene, che coglie la vita dal punto di vista dell’orientamento verso il futuro, presuppone quella del valore. E neppure in base ad essa si può costruire la connessione della vita, in quanto le relazioni reciproche degli scopi sono soltanto quelle di possibilità, di scelta, di subordinazione. Soltanto la

categoria del significato supera il mero accostamento, la mera subordinazione delle parti della vita. E dato che la storia è ricordo, e a questo ricordo appartiene la categoria del significato, questa costituisce appunto la categoria più peculiare del pensiero storico. Occorre perciò anzitutto svilupparla nella sua graduale elaborazione. 5. Appendice intorno alla connessione della vita. E qui sorge, in connessione con le categorie del fare e del patire, la categoria di forza. Fare e patire sono, come abbiamo detto, la base del principio di causalità nelle scienze della natura, quale viene sviluppato nella sua forma rigorosa dalla meccanicaa. Nelle scienze della natura la forza è un concetto ipotetico: se viene ammessa la sua validità, esso viene determinato dal principio di causalità. Nelle scienze dello spirito esso è invece l’espressione categoriale per indicare qualcosa di cui abbiamo esperienza vissuta. Esso sorge quando ci rivolgiamo al futuro, e ciò accade in modi assai diversi: nei sogni di felicità futura, nel gioco della fantasia con le possibilità, nel dubbio e nel timore. Raccogliamo però questa vana estensione della nostra esistenza in una punta acuta: in mezzo a tali possibilità noi ci decidiamo a realizzare una di esse. La rappresentazione di scopo, che ora si presenta, contiene un elemento nuovo, che non esisteva ancora nell’ambito della realtà e che deve inserirsi in essa: ciò di cui qui si tratta è — prescindendo del tutto da ogni teoria sulla volontà — una tensione che lo psicologo potrà interpretare fisicamente, una tendenza verso un termine finale, ma anche l’origine di un’intenzione alla realizzazione di qualcosa che non c’era ancora in alcuna realtà, una scelta tra possibilità e un’intenzione all’attuazione di una determinata rappresentazione di fine, una scelta dei mezzi per la sua esecuzione e questa esecuzione stessa. Quando la connessione della vita compie tutto questo, noi la indichiamo con il nome di forza. È questo un concetto decisivo per le scienze dello spirito! Fin dove esse arrivano, noi abbiamo sempre a che fare con una totalità, con una connessione. Ovunque è qui contenuto come qualcosa di ovvio un insieme di situazioni; ma quando la storia cerca di comprendere e di esprimere i mutamenti, ciò avviene mediante concetti che esprimono energie, direzioni di movimento, trasformazioni delle forze storiche. Quanto più i concetti storici assumono questo carattere, tanto meglio essi esprimeranno la natura del loro oggetto. Ciò che nella fissazione dell’oggetto nel concetto gli conferisce il carattere di una validità indipendente dal tempo, appartiene soltanto alla sua forma logica. Ma qui si tratta di formare concetti che esprimano la libertà

della vita e della storia. Hobbes diceva spesso che la vita è continuo movimento. Leibniz e Wolff lo esprimono dicendo che la felicità consiste, per l’individuo come per le comunità, nella coscienza del progredire. Tutte queste categorie della vita e della storia sono forme di asserzione che ottengono un’applicazione generale nel campo delle scienze dello spirito — se non sempre nelle asserzioni su ciò di cui abbiamo esperienza vissuta, certamente nel loro sviluppo mediante altre operazioni. Esse sorgono dall’Erleben stesso. Esse non sono modi di formulazione che si aggiungono ad esso; ma le forme strutturali della vita medesima nel suo corso temporale si esprimono in queste categorie sulla base delle operazioni formali, fondate nell’unità della coscienza. E qual è il soggetto di tali categorie entro la sfera degli Erlebnisse? Esso è anzitutto il corso della vita che si svolge in un corpo e che si distingue da ciò che sta al di fuori — da ciò che non è immediatamente vissuto, da ciò che è estraneo — nei rapporti di intenzione e di ostacolo, di pressione del mondo esterno. Esso acquista però le sue determinazioni più precise dai predicati che abbiamo prima illustrati; e tutte le nostre asserzioni già nella sfera dell’Erleben, già in quanto hanno il loro oggetto nel corso della vita ed esprimono, in conformità alla natura dell’asserzione, predicati che si riferiscono a questo corso, sono anzitutto predicamenti di questa determinata connessione della vita. Essi acquistano un carattere comune e generale in quanto hanno a loro sfondo lo spirito oggettivo e a loro costante correlato l’apprendimento di altre persone. La comprensione del proprio corso di vita si compie però in un ultimo gruppo di categorie, che si distingue essenzialmente da quelle precedenti. Le categorie di quel gruppo stavano in rapporti di affinità con quelle della conoscenza naturale; mentre ora se ne presentano altre con le quali nelle scienze della natura non c’è nulla di comparabile. La comprensione e l’interpretazione della propria vita percorre una lunga serie di gradi; e la sua esplicazione più compiuta è data dall’autobiografia. Qui l’io coglie il corso della sua vita in maniera da recare alla coscienza i substrati umani e le relazioni storiche in cui esso è intrecciato. Così alla fine l’autobiografia può ampliarsi in un quadro storico; e soltanto il fatto che questo è sorretto dall’Erleben, rendendo intelligibile in base a questa profondità il proprio io e le sue relazioni con il mondo, dà ad esso i suoi limiti ma anche il suo significato. La riflessione di un uomo su se stesso rimane il suo punto di orientamento e la sua base. II. LA COMPRENSIONE DELLE ALTRE PERSONE E DELLE LORO MANIFESTAZIONI DI

VITA.

La comprensione e l’interpretazione costituiscono il metodo dominante nelle scienze dello spirito. Tutte le funzioni si uniscono in esso, in quanto racchiude in sé tutte le verità delle scienze dello spirito. A ogni punto la comprensione ci rivela un mondo. Sulla base dell’Erleben e della comprensione di se stesso, e nella loro costante relazione reciproca, si forma la comprensione delle manifestazioni di vita altrui e delle altre persone. Anche qui si tratta non già di una costruzione logica o di un’analisi psicologica, ma di un’analisi orientata verso una teoria della scienza. Si deve cioè determinare l’apporto della comprensione degli altri al sapere storico. 1. Le manifestazioni della vita. Il dato è qui costituito sempre da manifestazioni della vita. Presentandosi nel mondo sensibile, esse sono l’espressione di qualcosa di spirituale, e ci rendono quindi possibile conoscerlo. Per manifestazione della vita intendo non soltanto le espressioni che indicano o significano qualcosa, ma anche quelle che, pur senza una tale intenzione, essendo espressione di qualcosa di spirituale ce lo rendono comprensibile. Il modo e l’apporto della comprensione sono diversi a seconda delle classi di manifestazioni della vita. La prima di queste classi è costituita da concetti, giudizi e forme maggiori del pensiero. In quanto elementi della scienza, separati dall’Erlebnis in cui sono sorti, essi hanno un carattere fondamentale comune nella loro adeguatezza alla norma logica. Questo consiste nella loro identità, indipendentemente dal posto che occupano nella connessione di pensiero in cui si presentano. Il giudizio enuncia la validità di un contenuto di pensiero indipendentemente dal mutare del suo presentarsi, dalla diversità dei tempi o delle persone: proprio qui sta anche il senso del principio di identità. Così il giudizio è il medesimo in chi lo esprime e in chi lo comprende; esso rimane immutato, come in un trasporto, dal possesso di chi lo enuncia al possesso di chi lo comprende. Ciò determina, per ogni connessione di pensiero logicamente compiuta, il carattere specifico della comprensione. La comprensione è qui rivolta al mero contenuto di pensiero, e questo è sempre eguale a se stesso in ogni connessione; così la comprensione è qui più compiuta che non in riferimento a ogni altra manifestazione della vita. Nello stesso tempo, però, non dice nulla, a chi l’apprende, sulle sue relazioni con lo sfondo oscuro e la pienezza della vita psichica. Qui non si ha alcuna

indicazione sugli elementi particolari della vita da cui è scaturito, e proprio dal suo carattere specifico consegue il fatto che esso non implica alcuna pretesa di ritornare alla connessione psichica. Un’altra classe di manifestazioni della vita è costituita dalle azioni. Un’azione non sorge dall’intento della comunicazione; ma questa vi è data secondo il rapporto in cui essa sta con uno scopo. Il legame dell’azione con un elemento spirituale, che viene a esprimersi in essa, è regolare, e consente delle supposizioni probabili a proposito di questa. Ma è assolutamente necessario distinguere la situazione della vita psichica condizionata dalle circostanze, che produce l’azione e di cui questa è espressione, dalla connessione stessa in cui tale situazione è fondata. L’agire conduce dalla pienezza della vita verso l’unilateralità, in virtù della potenza di un movente decisivo; e per quanto possa essere ponderato, esprime soltanto una parte del nostro essere, annullando delle possibilità che erano contenute in questo essere. Così anche l’azione si distacca dallo sfondo della connessione della vita. E senza la spiegazione del modo in cui si congiungono le circostanze, lo scopo, il mezzo e la connessione della vita, essa non consente alcuna determinazione completa dell’elemento interno da cui è sorta. Tutt’altro avviene con l’espressione dell’Erlebnis! Tra di essa, la vita dalla quale procede e la comprensione che produce sussiste una relazione peculiare. L’espressione può infatti contenere, della connessione psichica, più di quanto possa scorgere una qualsiasi introspezione: essa lo fa emergere da profondità che la coscienza non può illuminare. Ma nel medesimo tempo è nella natura dell’espressione dell’Erlebnis che la relazione tra di essa e l’elemento spirituale che vi è espresso possa venir posta a base della comprensione soltanto con molte riserve. Essa cade non sotto un giudizio di vero o di falso, ma sotto un giudizio di inverosimiglianza e di verosimiglianza. Infatti finzione, menzogna, illusione attraversano qui la relazione tra l’espressione e l’elemento spirituale che vi è espresso. Si fa così valere una distinzione importante, sulla quale poggia il significato più alto a cui può sollevarsi l’espressione dell’Erlebnis nelle scienze dello spirito. Ciò che deriva dalla vita quotidiana, sta sotto la potenza dei suoi interessi. Ciò che nella sua interpretazione dipende anche dall’ora, cade continuamente sotto la transitorietà. Che nella lotta degli interessi pratici ogni espressione possa ingannare, e che anche l’interpretazione muti col mutare della nostra posizione, costituisce un grave pericolo. Ma quando nelle grandi opere un elemento spirituale si separa dal suo creatore, poeta o artista o

letterato, allora entriamo in un campo in cui l’illusione ha fine. Nessuna opera d’arte veramente grande può voler rispecchiare un contenuto spirituale estraneo al suo autore, secondo i rapporti qui dominanti, che si svilupperanno in seguito; anzi essa non vuole dire nulla del suo autore. Veritiera in sé, essa se ne sta fissa, visibile, permanente, e in tal modo diventa possibile una sua comprensione sicura adeguata all’arte. Così ai confini tra il sapere e l’agire sorge un ambito nel quale la vita si apre a una profondità che non è accessibile né all’osservazione né alla riflessione né alla teoria. 2. Le forme elementari della comprensione. La comprensione si sviluppa in primo luogo negli interessi della vita pratica. Qui le persone dipendono dal rapporto reciproco, devono diventare comprensibili l’una all’altra: ognuna deve sapere ciò che l’altra vuole. Sorgono così anzitutto le forme elementari della comprensione: esse sono simili a lettere la cui composizione rende possibile le sue forme superiori. Tra queste forme elementari prendo l’interpretazione di una particolare manifestazione della vita. Essa può venir formulata logicamente con un ragionamento analogico, il quale è mediato dalla relazione regolare tra di essa e ciò che in essa viene espresso. E in ognuna delle classi che abbiamo indicato la singola manifestazione della vita è aperta a una tale interpretazione. Una serie di lettere composte in parole, che formano una proposizione, esprime un’asserzione. L’aspetto del volto ci indica gioia o dolore. Gli atti elementari, di cui si compongono le azioni complesse, come sollevare un oggetto o lasciar cadere un martello o tagliare un pezzo di legno mediante una sega, ci indicano la presenza di certi scopi. In questa comprensione elementare non si trova quindi un ritorno all’intera connessione della vita, che costituisce il soggetto permanente delle manifestazioni di vita; e nulla sappiamo di un ragionamento in cui esso si sia prodotto. Il rapporto fondamentale su cui poggia il processo della comprensione elementare è quello dell’espressione con ciò che in essa viene espresso. La comprensione elementare non è un’inferenza dall’effetto alla causa. E neppure possiamo concepirlo, in maniera più cauta, come un procedimento che ritorna dall’effetto dato a un qualche pezzo della connessione della vita che renda possibile tale effetto. Certamente quest’ultimo rapporto è sempre racchiuso nel contenuto di fatto, e così il passaggio da quello a questo sta sempre, per così dire, davanti alla porta; ma senza però entrarvi. E ciò che è così collegato è unito reciprocamente in un modo peculiare. Qui si fa valere nella forma più elementare il rapporto tra le manifestazioni

della vita e l’elemento spirituale che prevale in ogni comprensione, secondo cui il suo legame con l’elemento che vi si esprime traspone in questo il fine, e tuttavia le manifestazioni date sensibilmente non si sprofondano in ciò che è spirituale. Come i due elementi, per esempio i gesti e lo spavento, non sussistano tra loro separatamente l’uno accanto all’altro, ma costituiscano un’unità, è fondato in questo rapporto fondamentale dell’espressione con l’elemento spirituale. A ciò si aggiunge però il carattere specifico di tutte le forme elementari della comprensione, di cui dobbiamo ora parlare. 3. Lo spirito oggettivo e la comprensione elementare. Ho illustrato il significato dello spirito oggettivo per la possibilità della conoscenza nelle scienze dello spirito. Per spirito oggettivo intendo le forme molteplici in cui la comunanza che sussiste tra gli individui si è oggettivata nel mondo sensibile. In questo spirito oggettivo il passato diventa per noi un presente durevole e costante. Il suo ambito va dallo stile della vita e dalle forme di rapporto fino alla connessione degli scopi che la società si è formati, al costume, al diritto, allo stato, alla religione, all’arte, alle scienze e alla filosofia. Infatti anche l’opera del genio rappresenta una comunanza di idee, di vita interiore, di ideale, in un dato tempo e in un dato ambiente. Da questo mondo dello spirito oggettivo il nostro io trae il suo nutrimento fin dalla prima infanzia: esso è anche il mezzo in cui si compie la comprensione delle altre persone e delle loro manifestazioni di vita. Infatti tutto ciò in cui lo spirito si è oggettivato contiene un elemento comune all’io e al tu. Ogni luogo in cui siano stati piantati degli alberi, ogni stanza in cui siano ordinate delle sedie, diventa per noi comprensibile fin dall’infanzia in quanto la posizione di scopi da parte dell’uomo, l’opera ordinatrice e la determinazione di valori hanno assegnato a ogni luogo e a ogni oggetto il suo posto nella camera. Il bambino cresce all’interno di un ordine e di un costume familiare, che egli ha comuni con altri membri della famiglia, e la disposizione della madre viene da lui accolta insieme con essi. Prima di imparare a parlare egli è già immerso completamente nei rapporti di comunanza. Ed egli impara a comprendere i segni e gli aspetti del volto, i movimenti e le esclamazioni, le parole e le frasi solamente perché se li trova di fronte sempre identici e con la medesima relazione con ciò che essi significano ed esprimono. Così l’individuo si orienta nel mondo dello spirito oggettivo. Da ciò deriva pure una conseguenza importante per il processo di comprensione. La manifestazione della vita, che l’individuo apprende, lo è di regola non già come una manifestazione particolare, ma come una

manifestazione riempita per così dire da un sapere relativo a questi rapporti di comunanza e da una relazione in essi implicita con un elemento interiore. Questo inserimento della singola manifestazione della vita in un elemento comune viene agevolata dal fatto che lo spirito oggettivo contiene in sé un ordinamento articolato. Esso comprende connessioni omogenee particolari, come il diritto o la religione, le quali hanno una struttura salda e regolare. Così nel diritto civile gli imperativi espressi nei paragrafi delle leggi, che devono assicurare alla realizzazione di un rapporto di vita il maggior grado possibile di perfezione, sono collegati con un ordinamento processuale, con tribunali e con istituzioni indirizzate ad attuarne le decisioni. All’interno di questa connessione vi è una molteplicità di differenze tipiche. Le manifestazioni particolari della vita, che si presentano al soggetto della comprensione, possono essere apprese come appartenenti a una sfera comune, a un tipo. E così l’integrazione dell’elemento spirituale appartenente alla manifestazione della vita è data, in base alla relazione tra le manifestazioni della vita e l’elemento spirituale che sussiste all’interno di questa comunanza, insieme al suo inserimento in qualcosa di comune. Una proposizione è comprensibile in virtù della comunanza che sussiste in una comunità linguistica per quanto riguarda sia il significato delle parole e delle forme di flessione sia il senso dell’articolazione sintattica. La condotta stabilita in una determinata cerchia culturale rende possibile che parole di saluto o inchini vengano a designare, nella loro gradualità, una determinata posizione spirituale nei confronti di altre persone, e siano compresi come tali. L’artigianato ha sviluppato nei diversi paesi un determinato procedimento e determinati strumenti per l’attuazione di uno scopo, e in base ad essi possiamo comprendere tale scopo quando l’artigiano usa un martello o una sega. Ovunque la relazione tra la manifestazione della vita e l’elemento spirituale viene qui stabilita in virtù di un ordinamento in una certa comunità. E così si spiega perché essa è presente nell’apprendimento della singola manifestazione della vita e perché, senza un procedimento di inferenza consapevole sulla base del rapporto tra l’espressione e ciò che viene espresso, entrambi gli elementi del processo sono fusi in unità nella comprensione. Se cerchiamo una costruzione logica per la comprensione elementare, allora dalla comunanza in cui è data una connessione tra l’espressione e ciò che viene espresso si può inferire in ogni caso particolare questa connessione; e della manifestazione della vita si può predicare, in virtù di tale comunanza, che essa è l’espressione di qualcosa di spirituale. Qui si ha perciò un

ragionamento analogico nel quale al soggetto viene attribuito con probabilità, per mezzo della serie limitata di casi contenuti nella comunanza, un certo predicato. La dottrina qui esposta della differenza tra le forme elementari e le forme superiori della comprensione giustifica la consueta distinzione dell’interpretazione pragmatica dall’interpretazione storica, riconducendo la differenza a un rapporto tra le forme elementari e quelle più complesse che ha luogo nella comprensione stessa. 4. Le forme superiori della comprensione. Il passaggio dalle forme elementari della comprensione a quelle superiori è già racchiuso nelle prime. Quanto maggiore diventa la distanza interna tra una data manifestazione della vita e colui che la comprende, tanto più spesso sorgono delle incertezze: si cerca appunto di superarle. Un primo passaggio alle forme superiori della comprensione deriva dal fatto che la comprensione procede dalla connessione normale della manifestazione della vita e dall’elemento spirituale che in essa si esprime. Quando nel risultato della comprensione si presenta una difficoltà interna o una contraddizione con quanto è già noto, colui che comprende è condotto a compiere una verifica. Egli si rammenta dei casi in cui non si è avuto il normale rapporto tra manifestazione della vita ed elemento interno. Una tale divergenza è già presente nei casi in cui noi sottraiamo i nostri stati interiori, le nostre idee e le nostre intenzioni allo sguardo di estranei mediante un portamento impenetrabile o mediante il silenzio. Qui l’assenza di una manifestazione visibile della vita viene interpretata in modo sbagliato dall’osservatore. Ma in non pochi casi dobbiamo tenere conto del fatto che c’è anche l’intenzione di ingannarci: aspetto del volto, gesti e parole contraddicono l’elemento interno. Così sorge in vario modo il compito di porre in luce altre manifestazioni di vita o di rifarsi all’intera connessione della vita, per raggiungere una decisione sul nostro dubbio. Dai rapporti della vita pratica nascono però anche esigenze autonome di giudicare il carattere e le capacità del singolo individuo. Noi teniamo conto continuamente di interpretazioni di singoli gesti, aspetti del volto, azioni orientate a un certo scopo o di loro raggruppamenti; esse si compiono in ragionamenti analogici, ma la nostra comprensione procede oltre: commercio e rapporti, vita sociale, professione e famiglia ci insegnano a penetrare l’interiorità degli uomini che ci circondano, per stabilire quanto si possa contare su di loro. Qui il rapporto tra l’espressione e ciò che viene espresso

trapassa nel rapporto tra la molteplicità delle manifestazioni della vita di un’altra persona e la connessione interna che sta alla sua base. Ciò conduce a tener conto anche del mutare delle circostanze. Qui si ha pure un’induzione da particolari manifestazioni della vita alla totalità della sua connessione. Il presupposto dell’induzione è la conoscenza della vita psichica e delle sue relazioni con l’ambiente e con le circostanze. Essendo limitata la serie delle manifestazioni della vita e indeterminata la connessione che le fonda, il suo risultato può aspirare soltanto a un carattere di probabilità. E quando da esso si inferisce qualcosa sull’agire in circostanze nuove dell’unità vitale che viene compresa, la conclusione deduttiva costruita in base a uno sguardo induttivo su una connessione psichica può costituire soltanto un’aspettativa o una possibilità. Il procedere da una connessione psichica, a cui spetta soltanto una probabilità, attraverso il presentarsi di nuove circostanze, al modo in cui essa reagirà a queste, può dar luogo soltanto a un’aspettativa, ma non può produrre alcuna certezza. Il presupposto stesso è però suscettibile di un’elaborazione ulteriore, come si mostrerà tra poco; ma risulterà pure che esso non può venir elevato a certezza. Non tutte le forme superiori della comprensione poggiano però sul rapporto fondamentale di ciò che è prodotto con il soggetto che lo produce. Appare chiaro che una tale supposizione non riguarda soltanto le forme elementari della comprensione; anche una parte assai rilevante delle forme superiori è fondata sul rapporto tra l’espressione e ciò che viene espresso. La comprensione di creazioni spirituali è in molti casi rivolta soltanto alla connessione in cui le singole parti di un’opera, essendo apprese successivamente, formano una totalità. Dato che la comprensione reca l’apporto maggiore alla nostra conoscenza del mondo spirituale, è della massima importanza che questa sua forma venga fatta valere nella sua autonomia. Quando viene rappresentato un dramma, non soltanto lo spettatore incolto vive totalmente nell’azione, senza pensare all’autore dell’opera, ma anche chi è letterariamente colto può sottostare completamente a ciò che accade sulla scena. La sua comprensione si orienta quindi verso la connessione dell’azione, i caratteri delle persone e l’intreccio dei momenti che determinano il mutare del destino. Soltanto allora egli godrà della piena realtà del segmento di vita che gli viene presentato; e soltanto allora si compirà in lui il processo della comprensione e del rivivere, quale ha voluto suscitarlo il poeta. E nell’intero ambito di una tale comprensione delle creazioni spirituali domina esclusivamente il rapporto tra le espressioni e il mondo spirituale che

vi è espresso. Soltanto quando lo spettatore si rende conto del modo in cui ciò che egli ha poco prima accolto come un pezzo di realtà sia sorto artisticamente e intenzionalmente nella mente del poeta, la comprensione retta da questo rapporto di un complesso di manifestazioni della vita con ciò che vi è espresso trapassa nella comprensione in cui domina il rapporto tra una creazione e il creatore. Se raccogliamo tutte queste forme della comprensione superiore, il loro carattere comune consiste nel fatto che esse recano a comprensione in un ragionamento induttivo, partendo da manifestazioni date, la connessione di una totalità. E il rapporto fondamentale che qui determina il procedere dall’esterno all’interno, o è in primo luogo quello tra l’espressione e ciò che viene espresso, oppure è prevalentemente quello del prodotto con il soggetto che lo produce. Il procedimento riposa sulla comprensione elementare, la quale rende per così dire accessibili gli elementi per la ricostruzione. Ma esso si distingue dalla comprensione elementare per un ulteriore carattere, che rende compiutamente visibile la natura della comprensione superiore. La comprensione ha sempre per suo oggetto un elemento singolare. E nelle sue forme superiori essa inferisce, sulla base del collegamento induttivo di ciò che è dato in un’opera o in una vita, la connessione presente in un’opera o in una persona, in un rapporto vitale. Ma nell’analisi dell’Erleben e della comprensione di noi stessi è risultato che nel mondo spirituale il singolare è un valore in sé, anzi l’unico valore in sé che possiamo determinare in modo indubitabile. Pertanto esso ci interessa non soltanto come un caso di ciò che è umano in generale, ma come una totalità individuale. Questo interessamento assume, in forme nobili o cattive, volgari o stolide, un posto rilevante nella nostra vita, indipendentemente dall’interesse pratico che ci costringe continuamente a fare conto su altri uomini. Il mistero della persona stimola a compiere tentativi di comprensione sempre nuovi e sempre più profondi. E in questa comprensione si apre il dominio degli individui, il quale abbraccia gli uomini e le loro creazioni. In ciò consiste la funzione più specifica della comprensione per le scienze dello spirito. Lo spirito oggettivo e la forza dell’individuo determinano insieme il mondo spirituale. La storia poggia sulla comprensione di entrambi. Noi comprendiamo però gli individui in virtù della loro affinità reciproca, dei rapporti di comunanza che esistono tra di loro. Questo procedimento presuppone la connessione di ciò che è generalmente umano con l’individuazione, la quale si estende sulla sua base nella molteplicità delle

esistenze spirituali, e in esso risolviamo praticamente il compito di vivere per così dire dall’interno questo passaggio all’individuazione. Il materiale per la soluzione di questo compito è formato dai dati particolari, quali li raccoglie l’induzione: ognuno di essi è un elemento individuale, e in questo modo viene colto nel processo. Esso contiene pertanto un elemento che rende possibile la penetrazione della determinatezza individuale della totalità. Il presupposto del procedimento assume però forme sempre più sviluppate attraverso l’approfondimento nell’individuo e la comparazione di questo con altri, e così il lavoro della comprensione conduce verso profondità sempre maggiori del mondo spirituale. Come lo spirito oggettivo contiene in sé un ordine articolato in tipi, così anche nell’umanità è contenuto per così dire un sistema ordinato che conduce dalla regolarità e dalla struttura presente in ciò che è generalmente umano ai tipi in virtù dei quali la comprensione apprende gli individui. Se si muove dal fatto che questi non si distinguono per differenze qualitative ma per un’accentuazione dei singoli elementi, quale che sia il modo di esprimerle psicologicamente, allora il loro principio interno di individuazione risiede in essa. E se fosse possibile rendere per così dire efficaci nell’atto della comprensione sia il mutamento della vita psichica e della sua situazione nel corso delle circostanze come principio esterno di individuazione, sia la variazione provocata dalla diversa accentuazione degli elementi strutturali come principio interno, allora la comprensione degli uomini, delle opere poetiche e letterarie costituirebbe una via di accesso al maggiore mistero della vita. E tale è infatti il caso. Per penetrarlo noi dobbiamo tener presente ciò che nella comprensione non è accessibile ad alcuna rappresentazione mediante formule logiche — e qui può trattarsi soltanto di una rappresentazione schematica e simbolica. 5. Trasposizione6, riprodurre, rivivere. La posizione che la comprensione superiore assume di fronte al suo oggetto è determinata dal compito di ritrovare nel dato una connessione della vita. Ciò è possibile solamente in quanto la connessione che consiste nel proprio Erleben, e di cui si ha esperienza in innumerevoli casi, è sempre già presente con tutte le possibilità in essa racchiuse. Questa costituzione inerente al compito della comprensione la chiamiamo trasposizione, sia in un uomo sia in un’opera. Infatti ogni verso di una poesia viene trasformato di nuovo, mediante tale connessione interna, nell’Erlebnis da cui la poesia procede. Le possibilità contenute nell’anima vengono suscitate dalle parole esterne apprese mediante le operazioni elementari della comprensione. L’anima procede per le

vie consuete per le quali una volta ha già goduto e patito, subito e agito in situazioni di vita affini. Innumerevoli strade sono aperte nel passato e nei sogni del futuro; dalle parole lette procedono innumerevoli movimenti del pensiero. Già in quanto la poesia indica la situazione esterna, ciò favorisce il fatto che le parole del poeta suscitino una disposizione d’animo ad essa appropriata. Anche qui si fa valere il rapporto già menzionato, per il quale le espressioni dell’Erleben contengono di più, e quindi anche evocano di più di quanto c’è nella coscienza del poeta o dell’artista. Quando dalla posizione del compito della comprensione deriva la presenza della propria connessione psichica immediatamente vissuta, lo si indica come il trasferimento del proprio io in un dato complesso di manifestazioni della vita. Sulla base di questa trasposizione7 sorge ora la forma più alta in cui la totalità della vita psichica agisce nella comprensione: il riprodurre o il rivivere. La comprensione è di per sé un’operazione inversa rispetto al corso della produzione. Un vivere insieme8 compiuto è legato al fatto che la comprensione proceda sulla medesima linea dell’accadere. Esso avanza, procedendo continuamente, con il corso stesso della vita. Il processo di trasposizione viene così a estendersi. Il rivivere è la creazione nella linea dell’accadere. Così noi procediamo in avanti con la storia, con un avvenimento in una terra lontana o con qualcosa che accade nell’animo di un uomo che ci sia vicino. La compiutezza del rivivere è raggiunta quando l’avvenimento è attraversato dalla coscienza del poeta, dell’artista o dello storico, quando viene fissato in un’opera ed è presente in forma durevole dinanzi a noi. La poesia lirica rende così possibile, nella successione dei suoi versi, rivivere una connessione di Erlebnisse: non quella reale che animava il poeta, ma quella che, sulla sua base, il poeta pone in bocca a una persona ideale. La successione delle scene in un’opera teatrale rende possibile riviverne le parti in base al corso della vita delle persone che vi si presentano. La narrazione del romanziere o dello storico, che segue il corso storico, produce in noi un rivivere. Il trionfo del rivivere avviene quando in esso i frammenti di un processo vengono integrati in maniera tale che crediamo di avere davanti a noi una continuità. Ma in che cosa consiste questo rivivere? Il processo ci interessa qui soltanto nella sua funzione, e non deve esserne data una spiegazione psicologica. Perciò noi non illustriamo neppure il rapporto di questo concetto con quelli di sentire insieme9 e di empatia, sebbene la loro connessione sia evidente in quanto il sentire insieme rafforza l’energia del rivivere. Noi

abbiamo presente l’importante funzione di questo rivivere per la nostra possibilità di appropriarci del mondo spirituale. Essa poggia su due elementi. Ogni rappresentazione viva di un ambiente e di una situazione esterna suscita in noi il rivivere; e la fantasia può rafforzare o diminuire il peso delle forme di atteggiamento, delle forze, dei sentimenti, delle tendenze, degli orientamenti ideali contenuti nella nostra propria connessione di vita, e riprodurre così ogni vita psichica altrui. Si apre il palcoscenico: appare Riccardo, e un’anima penetrante può, seguendo le sue parole, i suoi gesti e i suoi movimenti, rivivere qualcosa che sta al di fuori di ogni possibilità della sua vita reale. Il bosco fantastico in As you like it ci traspone in una disposizione d’animo, la quale ci consente di riprodurre ogni eccentricità10. E in questo rivivere sta una parte importante dell’acquisizione di cose spirituali di cui siamo debitori allo storico e al poeta. Il corso della vita produce in ogni uomo una costante determinazione, nella quale vengono limitate le possibilità che sono in lui contenute. La configurazione del suo essere determina sempre lo sviluppo ulteriore di ciascuno. In breve, egli avverte sempre, sia che consideri il modo in cui si definisce la sua situazione oppure la forma della sua connessione di vita acquisita, che la cerchia di nuove prospettive sulla vita e sulle modificazioni interne dell’esistenza personale è limitata. La comprensione gli apre un ulteriore ambito di possibilità, le quali non erano presenti nella determinazione della sua vita reale. La possibilità di avere nella mia propria esistenza un’esperienza vissuta di stati religiosi, è per me come per la maggior parte degli uomini d’oggi molto ristretta. Ma quando io scorro le lettere e gli scritti di Lutero, i resoconti dei suoi contemporanei, i documenti dei colloqui religiosi e dei concili come dei suoi rapporti ufficiali, io vivo un processo religioso di tale forza erompente, di tale energia, che nella vita e nella morte si pone al di là di ogni possibilità di Erlebnis per un uomo dei nostri giorni. Io posso però riviverlo. Io mi traspongo in quelle circostanze: tutto in esse spinge verso uno sviluppo così straordinario della vita religiosa dell’animo. Io vedo nei monasteri una tecnica di comunicazione con il mondo invisibile, che dà alle anime dei monaci un costante orientamento dello sguardo verso le cose trascendenti: le controversie teologiche diventano qui questioni di esistenza interiore. Io vedo come ciò che viene in tal modo elaborato nei monasteri si estende nel mondo laico attraverso innumerevoli canali — pulpiti, confessionali, cattedre, scritti; e osservo come concili e movimenti religiosi abbiano ovunque diffuso la dottrina della chiesa invisibile e del sacerdozio universale, e come essa entri in

rapporto con la liberazione della personalità nella vita mondana; come tutto ciò che viene conquistato nella solitudine delle celle e nelle lotte delle forze ora descritte si affermi nei confronti della chiesa. Il Cristianesimo come forza capace di dare forma alla vita stessa nella famiglia, nella professione, nei rapporti politici — questa è una potenza nuova che viene incontro allo spirito del tempo nelle città e ovunque venga compiuto un lavoro di ordine superiore, in Hans Sachs11 o in Dürer12. Dato che Lutero si pone alla testa di questo movimento, noi possiamo avere esperienza vissuta del suo sviluppo sulla base di una connessione che conduce da ciò che è generalmente umano alla sfera religiosa e da questa, attraverso le sue determinazioni storiche, fino alla sua individualità. E così questo processo ci dischiude un mondo religioso che è presente in lui e nei suoi compagni dei primi tempi della Riforma, e che allarga il nostro orizzonte verso possibilità di vita che soltanto in questo modo ci diventano accessibili. L’uomo determinato dall’interno può quindi vivere nell’immaginazione varie altre esistenze. Dinanzi alla limitatezza imposta dalle circostanze si aprono a lui altre bellezze del mondo e altre contrade della vita, che egli non può mai raggiungere. Per esprimerci in termini generali, l’uomo vincolato e determinato dalla realtà della vita viene a liberarsi non soltanto attraverso l’arte — come si è già detto più volte — ma anche attraverso la comprensione di ciò che è storico. E quest’azione della storia, che i suoi più moderni detrattori non hanno visto, viene ampliata e approfondita nei gradi ulteriori della coscienza storica. 6. L’interpretazione13. Quanto risulta chiaro, nel riprodurre e nel rivivere ciò che è estraneo e passato, che la comprensione riposa su una particolare genialità personale! Ma poiché un suo compito importante e permanente sta nell’essere fondamento della scienza storica, la genialità personale diventa una tecnica, e questa si sviluppa con lo sviluppo della coscienza storica. Essa è vincolata dal fatto che dinanzi alla comprensione stanno manifestazioni della vita fissate in maniera durevole, di modo che questa comprensione può sempre rifarsi di nuovo a esse. La comprensione tecnicamente sviluppata di manifestazioni della vita fissate in maniera durevole è qui detto interpretazione. Dato che la vita spirituale trova soltanto nella lingua la sua espressione compiuta, esaustiva, che rende possibile un apprendere oggettivo, l’interpretazione giunge al suo culmine in riferimento ai resti dell’esistenza umana contenuti nello scritto. Questa arte è la base della filologia; e la scienza di quest’arte è l’ermeneutica. Con l’interpretazione dei resti a noi pervenuti è internamente e

necessariamente collegata la loro critica. Essa sorge dalle difficoltà che offre l’interpretazione, conducendo così alla ripulitura dei testi, al rifiuto di documenti, di opere, di tradizioni. L’interpretazione e la critica hanno nel corso storico sviluppato sempre nuovi strumenti per la soluzione del loro compito, così come l’indagine della conoscenza naturale ha proceduto a raffinare i suoi esperimenti. La loro trasmissione da una generazione all’altra di filologi e di storici poggia prevalentemente sul contatto personale dei grandi studiosi e sulla tradizione dei loro lavori. Nulla nell’ambito delle scienze appare così condizionato personalmente e così vincolato al contatto personale come questa arte filologica. Quando l’ermeneutica ne ha stabilito le regole, ciò è accaduto nel senso di una fase storica che ha tentato di imporre una regolamentazione in ogni campo, e a questa regolamentazione ermeneutica corrispondevano teorie della creazione artistica che concepivano anche questa come un fare che può essere retto da regole. Nel grande periodo del sorgere della coscienza storica in Germania questa regolamentazione ermeneutica è stata sostituita, a opera di Friedrich von Schlegel, Schleiermacher e Böckh, da una dottrina ideale che fonda la nuova più profonda comprensione su un’intuizione della creazione spirituale resa possibile da Fichte e impiegata da Schlegel nel suo abbozzo di una scienza della critica14. Su questa nuova intuizione del creare poggia l’ardito principio di Schleiermacher, che occorre comprendere un autore meglio di quanto si sia egli stesso compreso. In questo paradosso c’è una verità che è suscettibile di una fondazione psicologica. Oggi l’ermeneutica si presenta in una connessione che assegna alle scienze dello spirito un nuovo significativo compito. Essa ha sempre difeso la certezza della comprensione di fronte alla scepsi storica e all’arbitrio soggettivo, dapprima lottando contro l’interpretazione allegorica, poi giustificando contro lo scetticismo del Concilio di Trento nei confronti della comprensibilità autonoma degli scritti biblici questa grande dottrina protestante, e di nuovo fondando teoricamente contro ogni dubbio il fecondo progredire delle scienze filologiche e storiche in Schlegel, Schleiermacher e Boeckh. Nel presente l’ermeneutica deve cercare un rapporto con il compito generale della teoria della conoscenza, che è quello di porre in luce la possibilità di una conoscenza della connessione del mondo storico e di trovare i mezzi per la sua realizzazione. Il significato fondamentale della comprensione è stato chiarito; ora occorre, partendo dalle forme logiche della comprensione, determinare il grado di validità universale che essa può conseguire. Il punto di partenza per stabilire il valore di realtà delle asserzioni delle

scienze dello spirito può essere trovato nel carattere dell’Erleben, che è consapevolezza di una realtà. Quando l’Erleben viene elevato a coscienza più distinta nelle operazioni elementari del pensiero, queste si riferiscono soltanto a rapporti che sono contenuti nell’Erlebnis. Il pensiero discorsivo rappresenta ciò che è contenuto nell’Erleben. La comprensione poggia in primo luogo sulla relazione, contenuta in ogni Erlebnis caratterizzato come comprensione, dell’espressione con ciò che viene in essa espresso: di questa relazione si può avere esperienza vissuta nella sua peculiarità che la differenzia da tutte le altre. E dato che noi oltrepassiamo l’ambito ristretto dell’Erleben solo mediante l’interpretazione delle manifestazioni della vita, è risultata chiara la funzione centrale della comprensione per la costruzione delle scienze dello spirito. È però risultato chiaro anche che essa non può venir intesa come una semplice operazione del pensiero: trasposizione, riprodurre, rivivere — questi fatti rimandavano alla totalità della vita psichica che agisce in questo processo. Esso è qui connesso con l’Erleben stesso, che è appunto soltanto una consapevolezza dell’intera realtà psichica in una situazione data. Così in ogni comprensione c’è un elemento irrazionale, qual è la vita medesima; esso non può venir rappresentato da alcuna formula di operazioni logiche. E una certezza ultima, per quanto del tutto soggettiva, che è presente in questo rivivere, non può essere sostituita da alcuna dimostrazione del valore conoscitivo delle inferenze in cui può essere rappresentato il processo di comprensione. Questi sono i limiti posti alla trattazione logica della comprensione dalla natura di quest’ultima. Mentre vediamo che le leggi del pensiero e le forme del pensiero hanno validità in ogni parte della scienza, e che c’è pure un’ampia affinità nei metodi, in conformità alla posizione del conoscere di fronte alla realtà, con la comprensione giungiamo a forme di procedimento che non hanno alcuna analogia con i metodi delle scienze della natura. Esse poggiano infatti sul rapporto delle manifestazioni della vita con un elemento interno che perviene all’espressione. Dal procedimento concettuale della comprensione si distingue anzitutto il lavoro preliminare di carattere grammaticale e storico, che serve soltanto a trasporre — rispetto al passato, a ciò che è lontano spazialmente o linguisticamente estraneo — nella situazione di un lettore appartenente al tempo e all’ambiente dell’autore chi è rivolto alla comprensione di un

elemento che gli sta di fronte. Nelle forme elementari della comprensione, da un certo numero di casi nei quali in una serie di manifestazioni della vita tra loro affini si è espresso un elemento spirituale che mostra un’affinità corrispondente, si inferisce che la medesima relazione ha luogo anche in un ulteriore caso analogo. Dal ricorrere dello stesso significato di una parola, di un gesto, di un’azione esterna, si inferisce il suo significato in un nuovo caso. Ma si osserva subito quanto poco utile sia di per sé un tale schema inferenziale. In realtà, come abbiamo visto, le manifestazioni della vita sono per noi al tempo stesso rappresentazioni di un elemento generale; noi compiamo l’inferenza subordinandole a un tipo di gesti o di azioni, a un ambito di usi linguistici. Nell’inferenza dal particolare al particolare è presente una relazione a un elemento comune, che è rappresentato in ognuno di questi casi. E tale rapporto diventa ancor più chiaro quando si perviene a inferire un nuovo caso non già in base al rapporto di una serie di manifestazioni particolari della vita con l’elemento psichico di cui esse sono espressione, ma quando l’oggetto del ragionamento analogico è costituito da stati di fatto individuali più complessi. Così dal legame regolare di determinate proprietà in un carattere complesso inferiamo che non mancherà, qualora questo legame si presenti in un nuovo caso, un tratto non ancora osservato in esso. Sulla base della stessa inferenza noi attribuiamo uno scritto mistico, scoperto di recente o che dev’essere collocato cronologicamente, a un determinato ambiente mistico in un determinato tempo. Ma in una tale inferenza c’è già la tendenza a derivare dai casi particolari il modo in cui le varie parti di questo insieme sono collegate tra di loro, e a fondare così più profondamente il nuovo caso. Così in realtà il ragionamento analogico trapassa nel ragionamento induttivo, mediante l’applicazione a un nuovo caso. La delimitazione di questi due modi d’inferenza nel processo di comprensione ha soltanto una validità relativa. E, soprattutto, nel nuovo caso, a cui l’inferenza si riferisce, la giustificazione si dà soltanto in un grado ben delimitato di aspettativa — un grado sul quale non può esservi alcuna regola generale, e che può esser stimato soltanto in base alle circostanze che sono ovunque diverse. È compito di una logica delle scienze dello spirito trovare regole per una tale stima. Il procedimento della comprensione fondato su questa base può quindi venir inteso come induzione. E questa induzione rientra nella classe in cui da una serie incompleta di casi viene derivata non già una legge generale ma una struttura, un sistema coerente, che collega i vari casi come parti a una totalità.

Le induzioni di questa specie sono comuni alle scienze della natura e alle scienze dello spirito. Mediante un’induzione siffatta Keplero ha scoperto l’orbita ellittica del pianeta Marte. E come viene qui utilizzata un’intuizione geometrica, la quale derivava da osservazioni e da calcoli una semplice regolarità matematica, così anche ogni procedimento di prova impiegato nel processo della comprensione deve collegare le parole a un senso e il senso dei singoli elementi di una totalità alla sua struttura. La serie delle parole è qui data, ma ognuna di esse è determinata-indeterminata; ognuna racchiude in sé una variabilità di significato. I mezzi di relazione sintattica reciproca tra quelle parole sono anch’essi polivalenti in determinati limiti: sorge così il senso, in quanto l’elemento indeterminato viene determinato mediante la costruzione. E del pari il valore di composizione degli elementi della totalità costituiti da proposizioni è polivalente in determinati limiti, e viene stabilito in base alla totalità. Proprio questo determinare elementi indeterminati-determinati… Aggiunte 1. La comprensione musicale. Nell’Erleben non possiamo cogliere il nostro proprio io né nella forma del suo effondersi né nella profondità di ciò che racchiude. Infatti esso s’innalza, al pari di un’isola, dalle profondità inaccessibili del piccolo ambito della vita cosciente. Ma l’espressione sorge da queste profondità; essa è creativa. In tal modo la vita stessa ci diventa accessibile nella comprensione, accessibile attraverso una riproduzione del processo creativo. Certamente davanti a noi abbiamo soltanto un’opera; e per durare questa dev’essere fissata in una parte qualsiasi dello spazio: in note, in lettere, in un fonogramma oppure, originariamente, in un ricordo; ma ciò che viene fissato è una rappresentazione ideale di un processo, di una connessione musicale o poetica immediatamente vissuta. E che cosa abbiamo dinanzi? Le parti di una totalità che si sviluppano in avanti nel tempo. Ma in ogni parte agisce ciò che chiamiamo una tendenza. Un suono segue a un altro, e si presenta insieme ad esso secondo le leggi del nostro sistema di suoni; ma all’interno di questo vi sono infinite possibilità, e i suoni procedono nella direzione di una di queste in maniera tale che i precedenti sono condizionati dai successivi. Gli elementi ascendenti di una melodia sarebbero all’incirca paralleli; poiché l’elemento che precede condiziona sì il successivo, ma negli ultimi momenti di una delle melodie ascendenti di un’opera di Händel c’è al tempo stesso il fondamento della prima. E parimenti la linea discendente mira alla conclusione, ne è condizionata e a sua volta la condiziona. Ovunque c’è una libera possibilità;

mai questo condizionamento comporta una necessità: è come una libera intesa di forme che tendono l’una verso l’altra e che si allontanano di nuovo. Noi non sapevamo nulla del perché un secondo momento vien dietro al primo proprio in questo modo, con questa nuova sfumatura armonica o modificato in questa variazione, ornata con questa figura. Il dover essere-così non è una necessità, bensì è la realizzazione di un valore estetico; e non si può pensare che ciò che segue in un determinato punto non avrebbe potuto presentarsi in altra maniera. Anche qui c’è una tendenza, inerente all’attività creatrice, verso ciò che la riflessione chiama bello o sublime. Andiamo avanti! La comprensione poggia sul fatto che ciò che è passato viene conservato nel ricordo, e penetra nell’intuizione di ciò che segue. L’oggetto dello studio storico della musica non è il processo psichico che viene cercato dietro il suono, non è l’elemento psicologico, ma è invece l’elemento oggettuale, vale a dire la connessione di suoni che si presenta nella fantasia, in quanto espressione. Il compito è quindi quello di trovare comparativamente — poiché si tratta di una scienza comparativa — i mezzi sonori che producono i singoli effetti. Anche la musica è, in un senso più ampio, espressione di un Erlebnis. L’Erlebnis designa qui ogni specie di collegamento di Erlebnisse particolari nel presente e nel ricordo, l’espressione di un processo fantastico nel quale l’Erlebnis si manifesta nel mondo dei suoni quale si è sviluppato storicamente, in cui tutti i mezzi espressivi si sono congiunti nella continuità storica della tradizione. In questa creazione fantastica non c’è nessuna formazione ritmica, nessuna melodia, che non parli di ciò che viene immediatamente vissuto, però tutto è più che espressione. Infatti questo mondo musicale, con le sue infinite possibilità di bellezze sonore e dei relativi significati, sussiste sempre, progredisce sempre storicamente, è suscettibile di uno sviluppo senza fine, e il musicista vive in esso, non già nel suo sentimento. La storia della musica non potrebbe mai dirci qualcosa sul modo in cui l’Erlebnis si traduce in musica. Proprio questa è la prestazione più alta della musica: che quanto in un’anima musicale si presenta oscuro, indeterminato, spesso non percepibile dal proprio io, trova senza proporselo un’espressione cristallina nella formazione musicale. Non c’è alcuna duplicità di Erlebnis e di musica, nessun doppio mondo, nessuna trasposizione dall’uno all’altro. Il genio è appunto la vita nella sfera dei suoni, come se soltanto questa esistesse, un oblio di ogni destino e di ogni sofferenza in questo mondo di suoni, e in

modo tale che tutto questo vi è racchiuso dentro. E neppure c’è una strada determinata che vada dall’Erleben alla musica. Chi sente in sé la musica, nella sua esperienza vissuta — come qualcosa di ricordato, immagini svolazzanti, disposizioni d’animo indeterminate di un tempo che si presentano dentro di esse, in mezzo ai rapimenti del creare — può prendere le mosse una volta da un’invenzione ritmica, un’altra da una successione armonica, oppure di nuovo dall’Erleben. In tutto il mondo dell’arte la creazione musicale è quella più rigidamente vincolata a regole tecniche, ed è la più libera nel moto psichico. In questo sopra e sotto c’è però il luogo di ogni attività creativa, e nel medesimo tempo il mistero, che non può mai essere svelato completamente, relativo al modo in cui le successioni dei suoni, i ritmi significano qualcosa che non sono essi stessi. Non si tratta di un rapporto psicologico tra stati psichici e la loro rappresentazione nella fantasia: chi cerca questo incorre in errore. Si tratta piuttosto di un rapporto tra un’opera musicale oggettiva e le sue parti, in quanto creazione fantastica, con ciò che essa stessa significa interiormente in ogni melodia, con ciò che dice all’ascoltatore in merito a un elemento psichico che sussiste in base alle relazioni tra ritmo, melodia, rapporti armonici e l’impressione di un elemento psichico che ne parla. Non già i rapporti psichici, bensì i rapporti musicali costituiscono l’oggetto dello studio di un genio musicale, della sua opera e della sua teoria. Le vie dell’artista sono infinite. Il rapporto di un’opera musicale con ciò che essa esprime per l’ascoltatore, e che da lui si esprime verso di essa, è determinato, comprensibile e rappresentabile. Noi parliamo dell’interpretazione di un’opera musicale attraverso il direttore d’orchestra o un artista che la esegue. Interpretazione è un qualsiasi rapporto con un’opera musicale: il suo oggetto è qualcosa di oggettuale. Ciò che agisce psicologicamente nell’artista può essere un movimento dalla musica all’Erlebnis o da questo alla musica, o l’uno e l’altro alternativamente; e ciò che nell’anima sta alla sua base non ha bisogno di essere oggetto di esperienza vissuta, anzi per lo più non lo è per l’artista. Esso si muove inavvertitamente nell’oscurità dell’anima, e soltanto nell’opera si esprime in maniera completa il rapporto dinamico che esisteva in queste profondità. Noi possiamo leggerla soltanto in base ad esso. Infatti il valore della musica consiste appunto nell’essere un’espressione di ciò che agiva nell’animo dell’artista, nell’oggettivarlo. Questo contenuto messo insieme, preso insieme in qualità, nel corso del tempo, nella forma del movimento, viene analizzato nell’opera musicale e recato a coscienza distinta come un rapporto di ritmo, successione di suoni e armonia, come un rapporto di

bellezza sonora e di espressione. Il primo rapporto è il mondo dei suoni con le sue possibilità espressive e le sue possibilità di bellezza, quali si sono sviluppate nella storia della musica, che sono state recepite dal musicista fin dall’infanzia; è ciò che per lui esiste sempre, in cui si trasforma tutto quanto gli si fa incontro, in cui egli penetra dalle profondità della vita, per esprimere ciò che vi era dentro: destino, sofferenza e beatitudine esistono, per l’artista, soprattutto nelle sue melodie. Qui il ricordo si fa di nuovo valere come qualcosa che produce il significato. Il peso della vita è troppo forte per consentire libero sfogo alla fantasia. Ma il risuonare del passato, il sognarlo costituiscono la materia eterea, lontana dal peso terreno, da cui scaturiscono le forme leggere della musica. Sono i vari aspetti della vita che si esprimono in forma di ritmo, di melodia, di armonia, come forme del processo, del salire e dello scendere della disposizione dell’animo, come qualcosa di ininterrotto e di permanente, come la dimensione profonda della vita psichica che riposa sull’armonia. I fondamenti esistenti della storia della musica dovrebbero essere integrati da una teoria del significato musicale. Questa è l’elemento intermedio che collega le altre parti teoriche della scienza della musica con la creazione e, procedendo all’indietro, con la vita dell’artista, con lo sviluppo delle scuole musicali — un sistema di relazioni tra le une e le altre: è la sede del vero e proprio mistero della fantasia musicale. Facciamo qualche esempio. Nel primo finale del Don Giovanni15 risuonano ritmi non soltanto di velocità diversa, ma anche di diversa misura. L’effetto che ne risulta è che sembrano riuniti aspetti del tutto differenti della vita umana, come il piacere della danza e via dicendo, in maniera da esprimere la molteplicità del mondo. Proprio questo è, in generale, l’effetto della musica, la quale poggia sulla possibilità di far agire contemporaneamente, l’una accanto all’altra, persone diverse o soggetti musicali diversi come cori ecc., mentre la poesia è vincolata al dialogo. Su ciò riposa il carattere per così dire metafisico della musica. Oppure prendiamo un’aria di Händel, nella quale si ripete più volte una semplice successione di suoni in tutte le direzioni. Sorge così nel ricordo un tutto che si può abbracciare d’un colpo; un’onda montante del genere diventa espressione di forza. Ma la stessa cosa poggia alla fine sul fatto che il ricordo raccoglie insieme, a causa della sua semplicità, una successione temporale. Prendiamo una corale, nata da un canto popolare. La semplice connessione del canto, che esprime in maniera assai decisa un processo affettivo, si presenta sotto condizioni nuove. Il lento movimento uniforme dei

suoni, la successione armonica sorretta dal suono di fondo dell’organo, producono, in mezzo al mutare dei sentimenti, la relazione con un oggetto che si eleva al di sopra di questo mutamento. Ciò che in questo modo diventa suscettibile di espressione è per così dire il rapporto religioso, la relazione con il sovrasensibile nel tempo, del finito con l’infinito. Oppure si prenda, nella cantata di Bach, il discorso dell’anima che trema con il salvatore. Da un lato i suoni inquieti, rapidi, che si susseguono con forti intervalli, con toni alti, con gorgheggi, significano un certo tipo psichico; dall’altro i suoni profondi, tranquilli, che si susseguono per lo più da vicino in una lenta successione, congiunti con schemi di suono rasserenanti, esprimono il tipo spirituale del redentore. Nessuno può nutrire dubbi su questi significati. Il significato musicale si sviluppa in due direzioni opposte. Da un lato si sviluppa come espressione di una successione poetica, e quindi, con un oggetto determinato, nella direzione dell’interpretazione di un contenuto oggettualizzato in virtù della parola. Nella musica strumentale non c’è alcun oggetto determinato, ma vi è soltanto un oggetto senza fine, cioè indeterminato. Questo è però dato solamente nella vita stessa. La musica strumentale nelle sue forme più alte ha quindi come proprio oggetto la vita stessa. Un genio musicale come Bach è stimolato da ogni suono in natura, anzi da ogni gesto, da ogni rumore indefinito, a produrre forme musicali corrispondenti, a produrre per così dire temi di movimento i quali rivestono un carattere generale che parla della vita. Qui si vede che la musica di programma è la morte della vera musica strumentale. 2. L’ Erleben e la comprensione. Da questa esposizione risulta che i diversi tipi di apprendimento — chiarimento, riproduzione, rappresentazione in forma di operazioni discorsive — costituiscono, nel loro insieme, un metodo rivolto a cogliere e ad esaurire l’Erlebnis. Dato che l’Erleben è inaccessibile, e il pensiero non può procedere al di là di esso, dato che la conoscenza stessa sorge soltanto in seno ad esso, dato che la coscienza dell’Erleben si approfondisce sempre con questo, un compito del genere appare infinito, non soltanto nel senso che richiede sempre ulteriori operazioni scientifiche, ma anche nel senso che è per sua natura insolubile. Ma ora si aggiunge la comprensione, che rappresenta un compito altrettanto originario, pur presupponendo come metodo l’Erleben. Si costituiscono così due aspetti del procedimento logico che s’intrecciano l’uno con l’altro.

3. Metodi di comprensione. All’uomo che vive nella quotidianità il passato si presenta tanto più eterogeneo e indifferente quanto più è lontano. I suoi resti ci stanno dinanzi come qualcosa di cui si è strappata la connessione con noi. Qui si fa valere il procedimento della comprensione, che lo studioso ha costantemente impiegato nella vita stessa. 1) Descrizione di questo procedimento16. Esperienza di noi stessi; ma noi non comprendiamo noi stessi. In noi tutto si presenta sì come ovvio, ma d’altra parte non possediamo alcun criterio nei nostri riguardi. Solamente ciò che misuriamo in base al criterio di noi stessi acquista determinate dimensioni e delimitazioni. Può l’io misurarsi in base ad altri? Come comprendiamo ciò che ci è estraneo? Quanto più uno è dotato, tante più possibilità possiede. Esse si sono fatte valere nel corso della sua vita, e sono ancora presenti nel ricordo. Quanto più a lungo dura la vita, tanto più esse sono ricche di contenuto. La capacità di comprendere tutto con l’età, il genio della comprensione. 2) Forma della comprensione è un’induzione che dalle particolarità in parte determinate da noi deriva una connessione che determina il tutto. 4. L’ermeneutica. L’interpretazione17 sarebbe impossibile se le manifestazioni della vita ci fossero del tutto estranee; e non sarebbe necessaria se in esse non vi fosse nulla di estraneo. Essa si colloca quindi tra questi due estremi. L’interpretazione è richiesta ovunque c’è qualcosa di estraneo, di cui l’arte della comprensione deve appropriarsi. L’interpretazione che viene compiuta di per se stessa, senza scopi pratici esteriori, si presenta già nel discorso. Ogni discorso significativo richiede che le espressioni dell’interlocutore siano portate a una connessione interna che non è data dall’esterno nelle sue parole. E con quanta maggior precisione conosciamo l’interlocutore, tanto più il procedere nascosto nella sua partecipazione al discorso stimola ad andare in cerca dei suoi motivi. E il celebre interprete dei dialoghi platonici18 sottolinea esplicitamente quale valore abbia, per l’interpretazione degli scritti, l’essersi esercitato preliminarmente in una tale interpretazione della parola parlata. A ciò si ricollega poi l’interpretazione dei discorsi in un dibattito; essi vengono però compresi soltanto se si riesce a intendere, in base alla connessione del dibattito, il punto di vista dal quale un oratore affronta l’argomento secondo il suo interesse di parte, a spiegare gli accenni, a valutarne i limiti e la forza in

rapporto a questo argomento sulla base della sua individualità. L’esigenza di Wolf, cioè che le idee dello scrittore possano essere rintracciate in maniera necessaria da parte dell’arte ermeneutica, è irrealizzabile già nella critica testuale e nella comprensione verbale. La connessione delle idee, il configurarsi degli accenni dipende però dal modo di cogliere la loro combinazione individuale. Tenerne conto è l’elemento che Schleiermacher ha introdotto per primo nell’ermeneutica. Ma essa è divinatoria, e non offre mai una certezza dimostrativa. L’interpretazione grammaticale si serve continuamente della comparazione, mediante cui le parole vengono determinate ecc.; essa opera con ciò che è eguale nella lingua. L’interpretazione psicologica deve collegare continuamente la divinazione di ciò che è individuale con l’inserimento dell’opera nel suo genere. Ma qui si tratta di stabilire quale posto uno scrittore occupi nello sviluppo di questo genere. Quanto più lunga è la sua formazione, tanto più egli contribuisce al genere con la sua individualità; gli occorre una maggiore forza individuale. Ma se egli si mette all’opera dopo che il suo genere è ormai compiuto, questo lo favorisce, lo spinge in avanti. Divinazione e comparazioni sono collegate tra di loro in un continuo temporale. Noi non possiamo mai sottrarci, in riferimento all’individuale, a un procedimento comparativo. 5. I limiti della comprensione. I limiti della comprensione risiedono anche nel modo in cui l’oggetto è dato. Una poesia costituisce una connessione interna; ma noi possiamo cogliere tale connessione, per quanto essa non sia temporale, soltanto nella successione della lettura o dell’ascolto nel tempo. Quando leggo un dramma, è come se avessi a che fare con la vita stessa: vado avanti, e il passato perde la sua chiarezza e la sua determinatezza; così si oscurano le scene. Principio fondamentale è che ottengo uno sguardo unitario sulle varie scene soltanto se mi attengo alla connessione, ma poi possiedo solo uno scheletro. Mi avvicino all’intuizione della totalità soltanto accogliendola nel ricordo, in modo che siano riuniti tutti gli elementi della connessione. La comprensione diventa perciò un processo intellettuale estremamente faticoso, che non può mai essere realizzato completamente. Quando la vita è trascorsa, non rimane nient’altro che il suo ricordo; e dal momento che anche questo è legato alla sopravvivenza degli individui, ed è quindi qualcosa di fuggevole…19. Il modo di apprendere questi residui del passato è ovunque il medesimo: la

comprensione; diverso è soltanto il tipo di comprensione. Comune a tutti i tipi è il movimento che dall’apprendimento di parti indeterminate-determinate si dirige verso il tentativo di cogliere il senso della totalità, alternandosi con il tentativo di determinare più saldamente le parti in base a questo senso. Ed è un fallimento se le singole parti non si lasciano comprendere così. Ciò ci costringe a una nuova determinazione del senso che possa bastare anche nei loro confronti. Questo tentativo procede fin quando non è esaurito tutto il senso contenuto nelle manifestazioni di vita. La natura più autentica della comprensione risiede nel fatto che qui non viene posta a base l’immagine come una realtà esterna, così come nella conoscenza della natura avviene con qualcosa che può essere determinato in modo preciso. Nella conoscenza della natura l’immagine è posta alla base come una quantità ben precisa, che si presenta nell’intuizione; e in base alle immagini si costruisce l’oggetto come qualcosa di permanente, che consente di spiegare il cambiamento delle immagini. Rapporto delle operazioni nella comprensione in base alla relazione dell’esterno con l’interno, del tutto con le parti ecc.20. Un elemento determinato-indeterminato, uno sforzo di determinazione, senza mai arrivare alla fine, uno scambio tra la parte e il tutto. III. LE CATEGORIE DELLA VITA 1. La vita. Io guardo al mondo umano. In esso si presentano i poeti; esso è il loro oggetto vero e proprio; in esso si compiono gli avvenimenti che il poeta rappresenta; in esso gli appaiono i tratti che danno significatività all’avvenimento. Così io trovo che il grande mistero del poeta, il quale costruisce al di sopra della vita una nuova realtà che ci scuote al pari della vita stessa, allargando ed elevando l’anima, può venir risolto soltanto se si illustrano le relazioni di questo mondo umano e delle sue proprietà fondamentali con la poesia. Soltanto così può nascere anche una teoria che faccia della storia della poesia una scienza storica. La vita è la connessione delle azioni reciproche tra persone che hanno luogo nelle condizioni del mondo esterno, considerata nell’indipendenza di tale connessione dal mutare dei tempi e dei luoghi. Io impiego tale termine nelle scienze dello spirito limitatamente al mondo umano; esso è qui determinato dall’ambito in cui viene usato, e non è esposto ad alcun fraintendimento. La vita consiste nell’azione reciproca delle unità viventi. Infatti il corso psicofisico, che per il nostro apprendimento comincia e finisce

nel tempo, forma dal di fuori per l’osservatore, in virtù dell’identità del corpo fenomenico in cui tale corso si compie, qualcosa di identico con sé; ma nello stesso tempo questo corso è caratterizzato dal fatto singolare che ogni sua parte è collegata con le altre parti nella coscienza mediante un caratteristico Erlebnis di continuità, di connessione e di identità di ciò che si sussegue. Nelle scienze dello spirito l’espressione “azione reciproca” non designa un rapporto che il pensiero può stabilire nella natura, che sarebbe una parte della causalità, poiché la causalità naturale implica sempre il principio causa aequat effectum; essa designa piuttosto un Erlebnis, e questo può venir espresso mediante il rapporto di impulso e resistenza, pressione, consapevolezza dell’esser sospinto, della gioia per altre persone, e via dicendo. L’impulso indica qui naturalmente non una forza di spontaneità, di causalità, postulata in una qualche teoria esplicativa di carattere psicologico, ma soltanto lo stato di fatto immediatamente vissuto che è fondato nell’unità della vita, per il quale noi abbiamo l’esperienza di un’intenzione a mettere in atto processi di coscienza rivolti a un effetto esterno. Così sorgono gli Erlebnisse che sono espressi in generale sotto forma di azione reciproca di persone diverse tra di loro. La vita è quindi la connessione in cui queste azioni reciproche sottostanno alle condizioni della connessione degli oggetti naturali, i quali sono subordinati alla legge della causalità e abbracciano anche una sfera del processo psichico che si compie nei corpi. Questa vita è sempre e ovunque determinata spazialmente e temporalmente — cioè, per così dire, localizzata nell’ordine spazio-temporale dei processi che avvengono nelle unità della vita. Ma se si pone in luce ciò che ha luogo ovunque e sempre nella sfera del mondo umano e che, in quanto tale, rende possibile l’accadere spazialmente e temporalmente determinato, non mediante un’astrazione da quest’ultimo, bensì in un’intuizione che conduce da questa totalità considerata nelle sue proprietà eguali sempre e ovunque a quelle differenziate spazialmente e temporalmente, allora sorge il concetto di vita, il quale contiene il fondamento di tutte le forme e di tutti i sistemi particolari che in essa si presentano, nonché del nostro Erleben e della nostra comprensione, delle espressioni e della loro considerazione comparativa. In questa vita ci stupisce una sua proprietà fondamentale, di cui soltanto qui abbiamo esperienza, e di cui non abbiamo invece esperienza nella natura e negli stessi oggetti naturali che si designano come esseri viventi o organici. 2. L’Erlebnis.

La vita sta in un rapporto strettissimo con la pienezza del tempo. Il suo carattere complessivo, cioè il rapporto di corruttibilità che ad essa inerisce, e il fatto che forma nel medesimo tempo una connessione e ha qui un’unità (l’io), è determinato dal tempo. Nel tempo la vita esiste nel rapporto delle parti con un tutto, cioè con una connessione di esse. Allo stesso modo è dato ciò che è rivissuto nella comprensione. La vita e ciò che è rivissuto hanno un particolare rapporto delle parti con il tutto: esso è il rapporto di significato delle parti per il tutto. Ciò appare nella maniera più chiara nel ricordo. In ogni rapporto della vita, in cui la nostra totalità si trova di fronte a se stessa o agli altri, sempre le parti hanno una significatività per il tutto. Io guardo un paesaggio e lo apprendo: qui dev’essere esclusa anzitutto l’ipotesi che questo sia non un rapporto della vita, ma un rapporto di mero apprendimento. Perciò non si può chiamare immagine un tale Erlebnis momentaneo in rapporto al paesaggio: scelgo il termine «impressione». In fondo mi sono date soltanto impressioni di questo genere, non un io separato da esse e neppure qualcosa di cui vi sarebbe impressione; questo lo costruisco in aggiunta. Nota. Vorrei però sottolineare che il significato è collegato alla totalità del soggetto che apprende. Generalizzando l’espressione in modo che essa sia identica con ogni relazione che il soggetto coglie tra le parti e il tutto, e in modo da comprendervi anche l’oggetto del processo di pensiero o piuttosto la relazione delle parti nel pensiero oggettuale o nella posizione di scopi, e di conseguenza anche la rappresentazione generale che costruisce le singole immagini, il significato viene a designare nient’altro che l’appartenenza a una totalità; e in questa totalità viene meno il mistero della vita, cioè il mistero relativo al modo in cui una totalità può possedere una realtà organica o psichica. Il presente, considerato dal punto di vista psicologico, è un corso temporale la cui estensione è da noi riassunta come un’unità. Noi riuniamo con il carattere del presente ciò che, per la sua continuità, non è per noi separabile. Esso è un momento della vita di cui si può avere esperienza vissuta. E inoltre noi riassumiamo come Erlebnis ciò che è collegato in una connessione strutturale nel ricordo, anche quando esso è distinto temporalmente nell’Erleben.

Il principio dell’Erlebnis è infatti questo: che tutto ciò che esiste per noi, esiste soltanto come tale se dato nel presente. Anche se un Erlebnis è passato, esso esiste per noi solamente in quanto è dato in un Erlebnis presente. Rispetto al principio di coscienza, questo è più generale (e più compiuto), poiché abbraccia anche l’irreale. Come ulteriore caratterizzazione, l’Erlebnis è un essere qualitativo, cioè una realtà che non può venir definita dalla consapevolezza, ma che arriva anche a ciò che non viene posseduto distintamente (ma si può proprio dire «posseduto»?). L’Erlebnis di un elemento esterno o del mondo esterno esiste per me in modo simile, in un modo in cui ciò che non viene appreso può soltanto venir inferito (cioè, il mio Erlebnis contiene anche ciò che non è osservato, e io posso chiarirlo). Infatti, ciò che la mia intuizione (prendendo la parola nel suo senso più ampio) abbraccia, e di cui una parte viene posta in luce e appercepita in virtù della sua significatività, si distingue poi dai processi spirituali che non vengono appercepiti. Questo è ciò che chiamiamo io, e in questo consiste il duplice rapporto per cui io sono e io ho. Come ulteriore prova, l’Erlebnis contiene al tempo stesso come realtà la connessione strutturale della vita, cioè una localizzazione spazio-temporale che si estende dal presente; in questa c’è poi una connessione strutturale in virtù della quale agisce una posizione di scopi che vi è contenuta. Quando gli Erlebnisse vengono ricordati, il modo nel quale essi continuano ad agire sul presente risulta diverso (dinamicamente) rispetto agli Erlebnisse che sono del tutto passati. Nel primo caso viene a presentarsi di nuovo il sentimento come tale, nell’altro la rappresentazione di sentimenti, e soltanto nel presente c’è un sentimento di questa rappresentazione di sentimenti. L’Erleben e l’Erlebnis non sono separati l’uno dall’altro; essi sono varianti per esprimere la stessa cosa. Distinti rispetto all’Erlebnis, ci sono dati nell’appercezione dei giudizi: io sono triste, io ho la percezione di una morte o ne ho notizia. In ciò è contenuta la duplice tendenza delle asserzioni che esprimono la realtà data. 3. L’apprendimento della durata nella comprensione. Nell’introspezione, la quale è rivolta al proprio Erleben, noi non possiamo cogliere l’avanzare del corso psichico, poiché ogni fissazione mantiene e dà a

ciò che viene fissato una certa durata. Ma anche qui il rapporto di Erleben, espressione e comprensione rende possibile la soluzione: noi cogliamo l’espressione del fare e la viviamo immediatamente. Il procedere del tempo lascia dietro di noi sempre più del passato e si inoltra nel futuro. Il grande problema, se l’accadere psichico sia un mero svolgersi di qualcosa oppure sia attività, si risolve in quanto cerchiamo l’espressione del corso là dove si manifesta l’orientamento verso ciò che viene appreso. Anche il procedere nel tempo e l’addizione psichica del passato non bastano: si deve cercare un’espressione che possa scorrere nel tempo e che non sia disturbata dall’esterno. Tale è ad esempio la musica strumentale: comunque sia sorta, si ha un corso nel quale il creatore guarda alla sua connessione nel tempo da una nota all’altra. Qui c’è un orientamento, un fare che muove verso una realizzazione, un procedere dell’attività psichica stessa, un condizionamento da parte del passato e una presenza di diverse possibilità, un’esplicazione che è nel medesimo tempo un creare. 4. Il significato. Diventa ora visibile un nuovo tratto della vita, il quale è condizionato dal tempo ma procede oltre come qualcosa di nuovo. La vita viene compresa nella sua essenza propria mediante categorie estranee alla conoscenza della natura. Anche qui il momento decisivo consiste nel fatto che queste categorie non sono applicate a priori alla vita come qualcosa di estraneo ad essa, ma ineriscono all’essenza della vita stessa. L’atteggiamento che in esse perviene a un’espressione astratta è il punto di partenza esclusivo della comprensione della vita, poiché la vita stessa esiste soltanto in questo determinato modo di relazioni di un tutto con le sue parti. E quando noi poniamo in luce astrattamente queste relazioni come categorie, in questo stesso procedimento è implicito che il loro numero non può venir delimitato e che il loro rapporto non può venir recato a una forma logica. Tali categorie sono quelle di significato, valore, scopo, sviluppo, ideale. Ma tutte le altre dipendono dal fatto che la connessione del corso della vita può essere appreso soltanto mediante la categoria del significato delle singole parti della vita rispetto alla comprensione della totalità, e che ogni segmento della vita dell’umanità può venir inteso soltanto in questo modo. Il significato è la categoria più comprensiva sotto cui si può cogliere la vita. La variabilità è propria degli oggetti che costruiamo nella conoscenza naturale quanto lo è della vita, che diventa consapevole di sé nelle sue determinazioni. Ma soltanto nella vita il presente racchiude la

rappresentazione del passato nel ricordo e la rappresentazione del futuro nella fantasia, che insegue le sue possibilità, e nell’attività, che si pone scopi scegliendo tra queste possibilità. Così il presente è pieno di cose passate e reca in sé il futuro: questo è il senso del termine «sviluppo» nelle scienze dello spirito. Esso non vuol dire che si possa applicare alla vita dell’individuo o della nazione o dell’umanità il concetto di uno scopo che si realizza in essa; questa sarebbe una forma di considerazione che va oltre l’oggetto, e che si potrebbe anche respingere. Questo concetto designa soltanto il rapporto intrinseco alla vita. Con questo concetto è dato al tempo stesso il concetto di formazione. La formazione è una proprietà generale della vita. Se guardiamo in essa più profondamente, troviamo la formazione anche nelle anime più povere. Noi la vediamo nel modo più distinto là dove grandi uomini hanno un destino storico; ma nessuna vita è così misera da non racchiudere nel suo corso una formazione. Quando la struttura e la connessione acquisita della vita psichica fondata su di essa formano una costanza della vita, entro cui appaiono mutamenti e si manifesta la transitorietà, il corso della vita nel tempo diventa, secondo i rapporti che abbiamo indicato, una formazione. Ma un tale concetto può presentarsi soltanto se cogliamo la vita sotto la categoria di significato. La categoria di significato designa il rapporto delle parti della vita con la totalità, che è fondato nell’essenza della vita. Noi possediamo questa connessione soltanto in virtù del ricordo, nel quale possiamo guardare al corso passato della vita. Perciò il significato si fa valere come la forma di apprendimento della vita. Noi cogliamo il significato di un momento del passato: esso è significativo in quanto vi è riposto, mediante l’agire o mediante un avvenimento esterno, un vincolo per il futuro; o in quanto vi è stato formulato il progetto di una futura condotta della vita; o in quanto un tale progetto viene portato a realizzazione. Oppure è significativo per la vita intera in quanto si è compiuto l’inserimento dell’individuo nella vita, nella quale la sua essenza più propria ha agito sulla formazione dell’umanità. In tutti questi e in altri casi il singolo momento acquista un significato in virtù della sua connessione con la totalità, in virtù della relazione tra passato e futuro, tra esistenza individuale e umanità. Ma in che cosa consiste il modo specifico di questa relazione tra parte e tutto all’interno della vita? Essa è una relazione che non può mai venir compiuta interamente. Si dovrebbe attendere la fine del corso della vita, e soltanto nell’ora della morte si potrebbe guardare la totalità in base a cui stabilire la relazione delle sue parti. Si dovrebbe attendere la fine della storia per possedere il materiale

completo per la determinazione del suo significato. D’altra parte la totalità esiste per noi solamente in quanto può venir compresa attraverso le sue parti. La comprensione oscilla sempre tra i due modi di considerazione; e continuamente muta il nostro apprendimento del significato della vita. Ogni progetto di vita è l’espressione di un modo di intendere il suo significato: ciò che noi poniamo nel futuro come scopo condiziona la determinazione del significato del passato, e la formazione della vita, nella sua realizzazione, acquista un criterio attraverso la stima del significato di ciò che viene ricordato. Come le parole hanno un significato in virtù del quale designano qualcosa, o come le proposizioni hanno un senso che noi costruiamo, così in base al significato determinato-indeterminato delle parti della vita può essere costruita la sua connessione. Il significato è il modo particolare di relazione che, all’interno della vita, le sue parti hanno con il tutto. Noi conosciamo questo significato, come quello delle parole in una proposizione, mediante ricordi e possibilità del futuro. L’essenza delle relazioni di significato risiede nei rapporti che, nel processo temporale, la formazione di un corso di vita contiene sulla base della struttura della vita, nelle condizioni date dell’ambiente. Ma che cosa è ora che costituisce, nella considerazione del proprio corso di vita, la connessione mediante la quale colleghiamo le sue singole parti in una totalità in cui la vita perviene alla comprensione? L’Erlebnis è un’unità, le cui parti sono collegate da un significato comune. Il narratore agisce ponendo in luce gli elementi importanti di un certo corso. Lo storico designa degli uomini come importanti e degli orientamenti di vita come significativi; e in una determinata influenza di un’opera o di un uomo sulle sorti generali riconosce il suo significato. Le parti del corso di una vita hanno un determinato significato per la sua totalità: in breve, la categoria di significato possiede in modo manifesto una connessione particolarmente stretta con la comprensione, che dobbiamo ora cercare di cogliere. Ogni manifestazione della vita ha un significato, in quanto come segno esprime qualcosa, e come espressione rimanda a qualcosa che appartiene alla vita. La vita stessa non significa nient’altro. In essa non c’è alcuna separazione sulla quale si fondi la possibilità che significhi alcunché al di fuori di se stessa. Quando poniamo in luce mediante concetti qualcosa di essa, questi servono anzitutto a descrivere la singolarità della vita. Questi concetti generali servono pure a esprimere una comprensione della vita. Qui vi è soltanto un

libero rapporto tra un presupposto e il procedere da esso a un elemento che vi si ricollega: l’elemento nuovo non deriva formalmente dal presupposto. Piuttosto la comprensione avanza da un tratto già colto a un elemento nuovo che può essere compreso in base a quello. Il rapporto interno è racchiuso nella possibilità di riprodurre, di rivivere. Questo è il metodo generale non appena la comprensione abbandona la sfera delle parole e del loro senso, e non cerca un senso dei segni, ma piuttosto il senso molto più profondo di una manifestazione della vita: è il metodo accennato per la prima volta da Fichte. La vita è come una melodia nella quale non si presentano però dei suoni come espressione delle realtà intrinseche alla vita. La melodia risiede piuttosto nella vita stessa. 1) Il caso più semplice nel quale il significato si presenta è la comprensione di una proposizione. Le singole parole hanno ognuna un significato, e dal loro collegamento viene derivato il senso della proposizione. Il procedimento consiste quindi nel trarre dal significato delle singole parole la comprensione della proposizione. Si ha infatti un’azione reciproca tra il tutto e le parti, in virtù delle quali si va oltre l’indeterminatezza del senso, cioè oltre le sue diverse possibilità e oltre le singole parole. 2) Il medesimo rapporto esiste tra le parti e il tutto di un corso della vita, e anche qui la comprensione del tutto, cioè del senso della vita, è tratta dal significato delle sue parti. 3) Questo rapporto tra significato e senso si ha pure in riferimento al corso della vita: gli avvenimenti particolari che lo costituiscono, presentandosi nel mondo sensibile, hanno — come le parole di una proposizione — un rapporto con qualcosa che essi significano. Per mezzo di questo rapporto ogni singolo Erlebnis è assunto come significativo da una totalità. E come le parole sono collegate nella proposizione in vista della sua comprensione, così dalla connessione di questi Erlebnisse deriva il significato del corso della vita. Altrettanto avviene con la storia. 4) Così questo concetto di significato si è sviluppato soltanto in riferimento al procedimento della comprensione. Esso contiene soltanto una relazione di un elemento esterno, che cade sotto i sensi, con un elemento interno di cui esso è espressione. La relazione è però essenzialmente differente da quella grammaticale. L’espressione dell’elemento interno nelle parti della vita è qualcosa di diverso dalla designazione verbale. 5) Con i termini “significato”, “comprensione”, “senso” del corso della vita o della storia non vogliamo indicare nulla al di fuori di tale riferimento, cioè

di questa relazione, contenuta nella comprensione, degli avvenimenti con una connessione interna in base a cui essi vengono compresi. 6) Ciò che noi cerchiamo è il modo di connessione che è proprio della vita stessa; e noi lo cerchiamo a partire dai suoi avvenimenti particolari. In ognuno degli avvenimenti utilizzabile per tale connessione dev’essere contenuto qualcosa del significato della vita; altrimenti questo non potrebbe sorgere dalla loro connessione. Come la scienza naturale ha per così dire il suo schematismo generale in concetti nei quali viene rappresentata la causalità che domina nel mondo fisico, e ha la sua dottrina del metodo nel procedimento indirizzato a conoscerla, così qui abbiamo accesso alle categorie della vita, alle loro relazioni reciproche, al loro schematismo e ai metodi per coglierle. Là noi abbiamo però a che fare con una connessione astratta, che è del tutto trasparente nella sua natura logica; qui noi dobbiamo invece comprendere la connessione della vita stessa, che non può mai essere interamente accessibile al conoscere. Noi comprendiamo la vita soltanto in un continuo accostamento; ed è nella natura della comprensione e nella natura della vita che questa ci mostri aspetti assai diversi, secondo i diversi punti di vista da cui viene colto il suo corso temporale. Nel ricordo (quando ricordiamo) si presenta anzitutto la categoria del significato. Ogni presente è pieno di realtà; ma a questa noi attribuiamo un valore positivo o negativo. E quando ci rivolgiamo verso il futuro, sorgono le categorie di scopo, di ideale, di formazione della vita. Il mistero della vita sta ora nella possibilità che in essa venga realizzato uno scopo supremo, al quale siano subordinati tutti gli scopi particolari. Si realizza un bene supremo, che dev’essere determinato da ideali; si realizza una formazione. Ognuno di questi concetti abbraccia la vita intera dal suo punto di vista; e quindi ha il carattere di una categoria mediante cui essa viene compresa. Pertanto nessuna di queste categorie può venir subordinata alle altre, poiché ognuna rende la totalità della vita accessibile alla comprensione da un altro punto di vista. Esse sono quindi incomparabili tra di loro. Tuttavia una distinzione si fa valere. I valori propri del presente immediatamente vissuto si presentano separati l’uno dall’altro, e sono soltanto comparabili. La vita appare, da questo punto di vista del valore, come una pienezza infinita di valori esistenziali positivi e negativi, una pienezza ci valori propri. Essa è un caos di armonie e di dissonanze, in cui le dissonanze non si risolvono però nelle armonie. Nessun suono, che riempia un presente, ha un rapporto musicale con un altro anteriore o successivo. E anche la relazione tra valori

propri e valori produttivi pone soltanto rapporti causali, il cui carattere meccanico non raggiunge le profondità della vita. Le categorie che apprendono la vita dal punto di vista della tendenza verso il futuro presuppongono quella del valore; esse si distinguono in base alle diverse possibilità di penetrare nel futuro. Soltanto nella relazione del significato dei processi della vita con la comprensione e con il senso della sua totalità la connessione, contenuta nella vita stessa, perviene a una rappresentazione adeguata. Soltanto in questa regione è superato, nella categoria stessa, il mero accostamento, la mera subordinazione. Così gli atteggiamenti categoriali del valore e dello scopo vengono assunti nella connessione totale della comprensione della vita come suoi aspetti particolari. 5. Il significato e la struttura. 1) La connessione dell’Erleben nella sua concreta realtà risiede nella categoria di significato. Questa è l’unità che raccoglie nel ricordo il corso di ciò che è immediatamente vissuto o rivissuto: il suo significato non sta in un punto unitario al di là dell’Erlebnis, ma è contenuto in questi Erlebnisse, costituendo la loro connessione. Questa connessione è pertanto una forma di relazione o categoria contenuta nella natura di tutto ciò di cui si può avere esperienza vissuta, e perciò propria di esso. In che cosa consista il significato della vita, che un certo individuo, io o un altro o una nazione, vive immediatamente, non è determinato in modo univoco dal fatto che vi sia un significato del genere. La sua presenza è sempre avvertita da chi ricorda come una relazione di ciò che può venir immediatamente vissuto. Soltanto all’ultimo momento di una vita si può trarre una conclusione sul suo significato, e questa può presentarsi soltanto al suo termine o in qualcuno che riviva tale vita. La vita di Lutero acquista così il suo significato come connessione di tutti i processi concreti che si compiono nella scoperta e nell’imposizione della nuova religiosità. Questa forma una parte nella più ampia connessione della realtà concreta anteriore e successiva: in ciò sta il suo significato dal punto di vista storico. Si può però cercare questo significato nei valori positivi della vita, ecc.; poiché esso sta in rapporto con il sentimento soggettivo. 2) Da ciò risulta che il significato non coincide né con i valori né con la loro connessione in una vita. 3) Mentre il significato è la categoria che esprime la connessione indivisa

della vita, la categoria di struttura deriva dall’analisi dell’elemento vivente che in essa ricorre. L’analisi in questo senso cerca soltanto ciò che è contenuto in questo elemento ricorrente, e non trova nulla di diverso. Ciò che vi è contenuto è un elemento separato, e il suo concetto ha validità soltanto se vi è collegata sempre la coscienza della connessione della vita in cui è racchiusa. Fin dove può arrivare una tale analisi? Alla psicologia atomistica, propria delle scienze della natura, ha fatto seguito la scuola di Brentano21, la quale è una scolastica psicologica. Infatti essa crea delle entità astratte come forme di atteggiamento, oggetto, contenuto, in base alle quali vuol comporre la vita. L’estremo di questa posizione è rappresentato da Husserl22. In contrasto con questo sta la totalità della vita. La struttura è appunto la connessione di questa totalità, condizionata dai legami reali con il mondo esterno. La forma di atteggiamento è soltanto uno di tali legami. Il sentimento o la volontà sono soltanto concetti che valgono a riprodurre la parte corrispondente della vita. 6. Significato, significatività, valore. 1) Ogni pezzo del mondo oggettivo, che sia legato nell’interpretazione alla vita e che si estenda in tutta l’oggettivazione della vita nelle sue manifestazioni, costituisce una totalità che ha parti, ed è esso stesso una parte della totalità, poiché appartiene alla connessione della realtà che ovunque si articola in parti e che a sua volta rientra in una connessione di realtà più ampia. Perciò esso è, in questo duplice riferimento, significativo in quanto elemento della totalità più ampia. Questo è il marchio che la vita comunica a tutto ciò che è immediatamente vissuto e rivissuto. Infatti nell’Erleben vi è una presa di posizione, un atteggiamento di fronte a tutti i singoli rapporti della vita che in esso si presentano, come l’esistenza economica o l’amicizia o il mondo invisibile. Essa costituisce una connessione produttiva condizionata da questa posizione interna. Nella vita vi sono relazioni con tutto ciò nei cui confronti essa prende posizione, e in questo consiste un atteggiamento: tali sono l’estraneità, il ritiro da un rapporto della vita, la separazione, l’amore, il ritiro in se stesso, l’aspirazione in una direzione, la contrapposizione, il bisogno che qualcosa esista, la sua postulazione, la venerazione, la forma, l’assenza di forma, la contraddizione della vita con l’oggettività, l’impotenza della vita di fronte a ciò che è oggettivo, la volontà di eliminare ciò che è insopportabile nell’oggettivazione presente e di ricondurre quindi la vita al godimento di se stessa, l’ideale, la memoria, la separazione, l’unificazione. Nella connessione stessa della vita sono contenuti il dolore per la

finitudine, la tendenza alla sua eliminazione, la tendenza alla realizzazione e all’oggettivazione, la negazione dei confini esistenti e la loro eliminazione, la separazione e il collegamento. Predicamenti tratti dalla vita sono la profanità, la povertà, la bellezza della vita, la libertà, il modo di vivere, la connessione, lo sviluppo, la logica interna, la dialettica interna. In essa si presentano le antitesi tra aldiquà e aldilà, tra trascendenza e immanenza, e la loro conciliazione. 2) Attraverso i nessi che ne derivano viene stabilita la significatività delle singole parti della vita. La significatività è la determinatezza del significato di una parte per il tutto, che sorge sulla base della connessione produttiva. Essa si presenta nell’atteggiamento della vita di fronte alla connessione produttiva come un rapporto dei suoi elementi, che arriva oltre l’Erlebnis del conseguire e connette gli elementi in un ordine indipendente dal conseguire. Il conseguire costituisce tutto ciò che si presenta nella vita. Questa contiene infatti, per colui che l’apprende, soltanto ciò che è stato conseguito, poiché l’azione dell’io è ignota. Ma l’atteggiamento, la posizione è ciò che di più profondo il modo di conseguire pone mediante la vita; e tutti i concetti che sono stati qui sviluppati sono concetti della vita contenuti nella vita stessa. In ogni unità della vita e in ogni periodo essi assumono una nuova connessione. Essi partecipano la loro colorazione a tutto ciò che esiste per la vita. I rapporti spaziali come largo, ampio, alto, basso, racchiudono così un’aggiunta derivante dall’atteggiamento; e lo stesso avviene per il tempo… 3) Secondo questi rapporti viene prodotta nella riflessione antropologica, nell’arte, nella storia e nella filosofia, una connessione in cui viene sempre innalzato a coscienza soltanto ciò che è contenuto nella vita. La prima cosa è la riflessione antropologica, la cui connessione poggia su connessioni produttive come la passione, e così via; essa delinea i loro tipi ed esprime la significatività di tali connessioni nella totalità della vita. Dato che la considerazione della propria vita coopera con quella delle altre persone, con l’Erleben e la comprensione del proprio io, con la comprensione delle altre persone, con la conoscenza degli uomini, vengono a formarsi delle generalizzazioni nelle quali si esprimono in modo nuovo il valore, il significato e lo scopo della vita. Esse costituiscono uno strato peculiare, che sta in mezzo tra la vita stessa e l’arte o la rappresentazione della storia universale, dando origine a una letteratura quasi illimitata. La questione è qui di vedere come le categorie storiche mediano in essa la comprensione.

Quando si limita il nostro studio dell’uomo alla scienza psicologica, quale si è venuta oggi costituendo, il processo storico di questo studio non vi corrisponde. Si è cercato un punto di partenza per questo studio da lati assai diversi; ma la maggiore antitesi che sussiste in tale ambito è l’antitesi tra quella che io ho designato una volta come psicologia del contenuto e che si può chiamare anche psicologia concreta o antropologia, e la vera e propria scienza psicologica. Questa antropologia è ancora vicina alle questioni relative al significato della vita e al suo valore, proprio in quanto se ne sta molto vicina alla vita concreta. Da ciò derivano i tentativi di distinguere nei vari corsi della vita un certo tipo e certi gradi, in cui questi realizzano sotto un tipo determinato la significatività della vita. Si tratta del tipo neoplatonico, del tipo mistico del Medioevo, dei gradi spinoziani: in tutti questi schemi si ha una realizzazione del significato della vita. La poesia ha a proprio fondamento la connessione produttiva della vita, l’accadimento. Ogni opera poetica è collegata in qualche modo a un accadimento immediatamente vissuto o che dev’essere compreso. Essa gli dà forma elevando a significatività le sue parti nella fantasia, secondo il suo carattere proprio di libera immaginazione. Tutto ciò che viene detto sull’atteggiamento della vita costituisce la poesia, ed essa esprime con forza soltanto questo nesso con la vita medesima. Ogni cosa racchiude pertanto, attraverso la relazione con l’atteggiamento della vita, una colorazione che deriva da essa: ampiezza, altezza, lontananza. Il passato e il presente non sono mere determinazioni della realtà, ma il poeta ripristina con il suo rivivere il nesso con la vita, che è retrocesso nel corso dello sviluppo intellettuale e dell’interesse pratico. 4) La significatività che il fatto ottiene come determinatezza dell’elemento significativo in base al tutto, è un nesso vitale e non una rapporto intellettuale, non un’introduzione della ragione o del pensiero nella parte dell’accadimento. La significatività è tratta fuori dalla vita stessa. Se si indica come senso di una totalità della vita la connessione che risulta dal significato delle parti, allora l’opera poetica esprime, mediante la libera creazione della connessione significativa, il senso della vita: l’accadimento diviene simbolo della vita. A partire dalla riflessione antropologica tutto è chiarificazione, esplicazione della vita stessa, e così lo è anche la poesia. Ciò che è contenuto nella profondità della vita, e che è inaccessibile all’osservazione e al ragionamento, viene recato alla luce da queste. Così nel poeta sorge

l’impressione dell’ispirazione. Il limite della poesia sta nel fatto che in essa non c’è alcun metodo per comprendere la vita: i fenomeni non vengono ordinati in una connessione. La sua forza risiede nel rapporto diretto dell’accadimento con la vita, per cui esso diventa una sua espressione immediata, e nella libera creazione, che la significatività vista di qui esprime intuitivamente negli avvenimenti stessi. Il dominio della vita, concepito come la sua oggettivazione nel corso del tempo e come la sua costruzione secondo i rapporti del tempo e del conseguimento, costituisce la storia. Essa è una totalità mai compiuta. Lo storico dà forma al suo corso, alla connessione produttiva, in base a ciò che è contenuto nelle fonti, a ciò che è accaduto. Egli è sempre vincolato al compito di innalzare a coscienza la realtà di questo corso. Il significato della parte risulta quindi determinato dal suo rapporto con il tutto, considerando però questo tutto come oggettivazione della vita e intendendolo in base a questo nesso. 7. I valori. Un ampio dominio di valori si estende come fatto della nostra vita spirituale. Questo fatto designa una relazione della propria vita con oggetti il cui carattere si esprime appunto nella loro determinazione di valore. Il valore non è quindi, in primo luogo, un prodotto della formazione concettuale al servizio del pensiero oggettuale. Esso può diventarlo in quanto questo prodotto da un lato rappresenta l’atteggiamento e dall’altro entra in relazioni oggettuali. Lo stesso avviene con la stima dei valori. Anch’essa appartiene a un atteggiamento indipendente dall’apprendere oggettuale. In questo senso dobbiamo interpretare l’espressione «sentimento di valore». Il valore è l’espressione astratta per l’atteggiamento che abbiamo indicato. Di regola si cerca di derivare i valori su base psicologica: ciò corrisponde al procedimento generale di deduzione psicologica. Questo metodo è però discutibile, poiché allora che cosa sia il valore, e quali rapporti di derivazione vengano stabiliti tra i valori, viene a dipendere da un punto di partenza psicologico. Altrettanto erronea è la derivazione trascendentale, che contrappone valori incondizionati a valori condizionati. Il procedimento deve anche qui essere inverso: occorre partire dall’espressione in cui è contenuta ogni determinazione di valore, e appropriarsi di ognuna di queste. Soltanto allora ci si può interrogare sull’atteggiamento relativo. Nella vita stessa compaiono e scompaiono, in immagini mutevoli, atteggiamento positivo e atteggiamento negativo, piacere, compiacimento,

approvazione, soddisfazione; e oggetti costruiti durevolmente diventano portatori del contenuto del ricordo che si presenta così nei sentimenti, e questi rappresentano possibilità molteplici di stati d’animo. Il pensiero separa l’insieme di queste possibilità di influenzare l’animo dall’oggetto stesso, e le riferisce a questo; sorgono così l’intuizione e il concetto del valore. E dato che il valore racchiude sempre in sé questa particolare relazione con il soggetto che può essere influenzato, la quale è separata dalle proprietà che costituiscono la realtà dell’oggetto, esso assume una posizione particolare differenziandosi da queste proprietà. Con la vita stessa si accrescono le molteplici possibilità dell’oggetto di esercitare un’influenza sull’animo. E sempre più il ricordo prevale in queste forme sull’affezione presente. Il valore si distingue in maniera sempre più indipendente da ogni apparire e scomparire dell’affezione. Questo concetto può racchiudere in sé, nel caso di oggetti che permangono, il semplice insieme di possibilità passate. E dal rapporto pratico in cui la volontà valuta dei valori in vista di una determinazione di scopi discende la stima comparativa dei valori, nella quale il valore acquista una relazione con il futuro, in quanto bene o in quanto scopo. In tal modo esso acquista una nuova autonomia concettuale: i suoi vari momenti vengono raccolti in una stima complessiva, in una formazione articolata; ed essi continuano a sussistere in questa nuova autonomia anche privi di relazione con la volontà. Questa è la funzione dell’Erlehen per lo sviluppo graduale del concetto di valore. Occorre sottolineare ancora una volta che si tratta di una distinzione di funzione in un procedimento analitico, non già in una successione temporale. Nella riflessione, nell’approfondirsi dell’“io” in se stesso, sorge la possibilità ulteriore che l’“io” stesso diventi oggetto a sé, e in quanto tale portatore di possibilità di godere di se stesso e di diventare oggetto di godimento per altri. In quest’ultima relazione esso non si comporta in maniera diversa da quella degli oggetti a cui inerisce la possibilità di essere goduti, senza però poter dire se essi stessi godono di quello che sono e di quello che compiono. Ma quando l’essere, che può venir variamente influenzato, diventa oggetto a se stesso, in quanto subentra il sentimento di sé che abbraccia tutto ciò che esso produce e tutto ciò che esso gode per questo produrre, allora sorge il concetto del tutto peculiare del valore autonomo della persona, mediante il quale questa si separa da tutto ciò di cui non conosciamo un tale godimento di se stesso. In questo senso il Rinascimento ha elaborato il concetto di monade, nel quale erano uniti la cosa, il godimento, il valore, la perfezione; e Leibniz ha

riempito la filosofia e la letteratura tedesca di questo concetto, e del robusto sentimento che esso comporta. Un altro tipo di funzione nello sviluppo del concetto di valore lo assolve la comprensione. Qui l’elemento primario, che può venir sperimentato nella propria vita, è la forza con cui questo individuo ci influenza, E dato che la comprensione ricostruisce questo individuo estraneo, si ha allora un’ulteriore separazione dell’intuizione e del concetto del valore dalle affezioni dell’animo. Infatti queste vengono non soltanto riprodotte, ma riferite a un soggetto estraneo. Ne consegue allora che si possono cogliere con molta maggior chiarezza le relazioni tra le possibilità di esercitare un’influenza e il sentimento di sé del soggetto che vive in queste possibilità. Il valore proprio della persona si presenta tutto nell’oggettualità esterna, si mostra in tutte le sue relazioni con il mondo circostante in una tranquilla oggettività. Resta un solo limite, che soltanto la lontananza storica può eliminare. In una comprensione siffatta si mescolano ancora il confronto con se stesso, il compiacimento di sé, l’invidia, la gelosia, la sofferenza sotto la forza estranea; e manca il criterio che è offerto alla valutazione dallo sguardo sul passato. Il valore è una designazione oggettuale mediante un concetto. In esso si è spenta la vita; ma esso non ha perduto tuttavia la sua relazione con la vita. Quando però viene formato il concetto di valore, esso diventa, in virtù del nesso con la vita, una forza, poiché abbraccia ciò che nella vita è separato, oscuro e fluido. E quando nella storia si ritrovano i valori, e nei documenti le intuizioni di valore come espressioni della vita, essi riacquistano qui, nel rivivere la loro relazione con la vita, ciò che in essi era contenuto. 8. Il tutto e le sue parti. Questa vita, che scorre nel tempo o si distingue in esseri che esistono l’uno accanto all’altro nello spazio, è articolata categorialmente in base al rapporto tra il tutto e le sue parti. La storia come realizzazione della vita nel corso del tempo e nella contemporaneità costituisce, considerata categorialmente, un’ulteriore articolazione in questa relazione delle parti con il tutto. Non è come se vi fossero degli oggetti in una stanza e venissero appresi da una persona che entra; in questo caso essi si trovano in rapporto reciproco soltanto in virtù del legame con una persona o con una vita a cui appartengono, altrimenti potrebbero essere portati fuori della stanza: nessun legame li unisce l’uno con l’altro. Come diversamente stanno le cose nel corso della storia! Nella conoscenza naturale ogni forma è un risultato equivalente di masse che si muovono, ma il movimento e la massa e la loro relazione in base a leggi non

sottostanno al tempo. Invece la vita possiede in ogni sua forma una relazione interna come parte rispetto al tutto, cosicché questa forma non è mai equivalente, e via dicendo. Questa appartenenza reciproca si mostra in legami di vita assai differenti, e in ognuno di questi in maniera diversa. 9. Sviluppo, essenza e altre categorie. Qui sorgono due nuove categorie. La vita e il corso della vita costituiscono una connessione. Nella costante acquisizione di nuovi Erlebnisse sulla base di quelli più vecchi si forma quella che chiamo connessione psichica acquisita, con le sue varie forme. La natura di questo processo ha come conseguenza la durata e la continuità della connessione in mezzo ai mutamenti. Io designo questo stato di fatto, che si può riscontrare in qualsiasi vita spirituale, mediante la categoria dell’essenza. L’essenza ha però al suo lato opposto il mutamento continuo. In ciò è già implicito che il mutamento, il quale abbraccia anche le influenze dall’esterno sulla connessione unitaria della vita, è al tempo stesso determinato da questa. Sorge così il carattere di ogni corso della vita, che occorre cogliere in maniera impregiudicata. Noi dobbiamo lasciar cadere tutti i teoremi relativi a uno sviluppo che progredisca gradualmente. Qual è il corso che si presenta ovunque? La determinatezza dell’esistenza individuale, di ogni suo stato particolare, comporta limiti che sono diversi da quelli spaziali. La natura di questo concetto ha la sua base nell’elemento spirituale. L’esistenza singola è individualità. Da questa limitazione deriva un patimento, e deriva pure una tendenza a superarla. Ciò costituisce il carattere tragico della finitudine, e insieme l’impulso a procedere oltre di essa. La limitazione si manifesta all’esterno sotto forma di pressione del mondo sul soggetto. Essa può diventare così forte, per la potenza dei rapporti e per la natura dell’animo, da ostacolare il progredire. Ma nella maggior parte dei casi la natura della finitudine agisce anche qui nel senso di superare la pressione esercitata dalla nuova situazione, dagli altri rapporti con gli uomini. E dato che ogni nuovo stato di cose reca con sé lo stesso carattere finito, anche in esso sorge la medesima volontà di potenza che deriva dal condizionamento, la medesima volontà di libertà interiore che risulta dal limite interno. Tutto è però tenuto insieme dalla forza interna e dal limite interno che discendono dalla determinatezza dell’esistenza individuale e dalla durata della connessione acquisita che ne deriva. In tutto questo corso opera la medesima essenza; in tutto è quindi presente la medesima limitazione delle possibilità e

tuttavia una libertà di scelta tra di esse, insieme al bel sentimento di poter andare avanti e di realizzare nuove possibilità della propria esistenza. Questa connessione determinata dall’interno nel corso della vita, che promuove l’incessante passaggio a nuovi mutamenti, la chiamo sviluppo. Questo concetto è del tutto diverso dalle fantasie speculative di un procedere verso gradi sempre più alti. E tuttavia esso contiene in sé un accrescimento di chiarezza, di differenziazione nel soggetto, e così via. Ma senza la realizzazione di un significato superiore il corso della vita può rimanere legato al fondamento naturale di una crescita vegetale, di un culmine e di un declino tra la nascita e la morte, come nelle regioni inferiori della vita. Esso può tanto inclinare presto al-l’indietro quanto procedere in avanti fino alla fine. IV. LA BIOGRAFIA 1. Il carattere scientifico della biografia. Sul carattere scientifico della biografia le opinioni degli storici sono divise. La questione se debba rientrare nella scienza storica come parte di questa, o se le spetti accanto alla scienza storica un posto autonomo nella connessione delle scienze dello spirito, è in ultima analisi una questione terminologica; infatti la risposta a essa dipende dal senso che si dà all’espressione “scienza storica”. All’origine di ogni discussione sulla biografia sta però un problema di teoria della conoscenza e di carattere metodologico: è possibile la biografia come soluzione universalmente valida di un compito scientifico? Io muovo da questo presupposto: che l’oggetto della storia ci è dato nell’insieme delle oggettivazioni della vita, e che le manifestazioni dello spirito, dal gesto passeggero e dalla parola fuggitiva alle intramontabili opere poetiche, all’ordinamento che abbiamo dato alla natura e a noi stessi, alle disposizioni giuridiche e alle costituzioni sotto cui viviamo, sono inserite nella connessione della natura. Esse costituiscono la realtà esterna dello spirito. I documenti, su cui in prevalenza poggia una biografia, consistono di resti che sono sopravvissuti come espressione ed effetto di una personalità. Tra questi assumono naturalmente un posto particolare le sue lettere e i resoconti ad essa relativi. Il compito del biografo è quello di comprendere, in base a questi documenti, la connessione produttiva in cui un individuo è determinato dal suo ambiente e reagisce a questo. Ogni storia deve cogliere una connessione produttiva; e lo storico penetra più profondamente nella struttura del mondo storico distinguendo tra le singole connessioni e studiando la loro vita. La

religione, l’arte, lo stato, le organizzazioni politiche e religiose costituiscono queste connessioni, le quali attraversano ovunque la storia. La più originaria di esse è il corso della vita di un individuo nell’ambiente dal quale esso riceve influenze e al quale reagisce. Già nel ricordo dell’individuo è dato questo rapporto tra il suo corso di vita, le condizioni relative e le sue azioni: noi abbiamo qui la fonte originaria della storia, e qui sorgono infatti le categorie specificamente storiche. Dato che il corso della vita è tenuto insieme dalla coscienza dell’identità nella sua successione, tutti i momenti della vita hanno il loro fondamento in questa categoria dell’identità. Ciò che è discreto viene collegato in una continuità; seguendo la linea dei ricordi dalla piccola visione degli anni dell’infanzia, che vive nell’attimo, fino all’uomo che si afferma di fronte al mondo nella sua salda interiorità, raccolta in sé, noi riferiamo il corso delle azioni e delle reazioni a qualcosa che si forma e che si sviluppa, in qualche modo determinato dall’interno. I processi esterni, che agiscono su questo io, hanno per esso un valore produttivo; e i singoli stati di questo io, al pari delle influenze su di esso, hanno un significato nel loro rapporto con il corso della vita e con ciò che si viene formando entro di questo. L’espressione letteraria di questa riflessione dell’individuo sul corso della sua vita è l’autobiografia. Ma quando tale riflessione sul proprio corso di vita viene trasposta alla comprensione di un’esistenza altrui, allora sorge la biografia come forma letteraria di comprensione della vita di altri individui. Ogni vita può venir descritta, sia la più piccola che la più potente, sia quella quotidiana che quella straordinaria; e un interesse a farlo può nascere da punti di vista molto diversi. La famiglia conserva i suoi ricordi, la giustizia penale e le sue teorie possono tramandare la vita di un delinquente, la patologia psichica quella di un anormale. Ogni elemento umano diventa per noi un documento che ci rende presente qualcuna delle infinite possibilità della nostra esistenza. Ma l’uomo storico, alla cui esistenza sono collegate azioni durevoli, è degno, in un senso più alto, di sopravvivere nella biografia come opera d’arte. E tra questi attireranno l’attenzione del biografo particolarmente coloro le cui azioni sono scaturite da profondità difficilmente comprensibili dell’esistenza umana, e che perciò consentono uno sguardo più profondo sulla vita umana e sulle sue configurazioni individuali. Come si potrebbe mai negare che la biografia sia di così grande importanza per la comprensione della grande connessione del mondo storico! È proprio il rapporto tra la profondità della natura umana e la connessione universale della vita storica nella sua estensione ad agire in ogni punto della

storia. Qui risiede la connessione originaria tra la vita stessa e la storia. Diventa così più urgente il nostro problema: è possibile la biografia? Il corso della vita di una personalità storica rappresenta una connessione produttiva in cui l’individuo subisce influenze dal mondo storico, si forma sotto di esse e reagisce a sua volta su questo mondo storico. È la sfera stessa della connessione del mondo da cui derivano le influenze e che riceve dall’individuo influenze le quali la continuano a formarla. La possibilità della biografia come impresa scientifica riposa proprio sul fatto che l’individuo non si trova di fronte a un gioco illimitato di forze nel mondo storico: la sfera in cui vive è lo stato, la religione, la scienza — in breve, un proprio sistema della vita o una connessione di diversi sistemi del genere. La struttura interna di questa connessione è ciò che trae a sé l’individuo, e che lo forma determinando la direzione del suo agire: dalle possibilità che sono contenute, in un dato momento storico, in questa struttura interna procedono le varie operazioni storiche. Se si guarda alla vita di Schleiermacher, la sua biografia sembra risolversi nella molteplicità del suo agire. Ma uno studio più ravvicinato mostra che la grande importanza di questa personalità consiste appunto nella sua connessione interna, che tiene insieme il suo agire nella religiosità, nella filosofia, nella critica, nell’interpretazione di Platone e dell’apostolo Paolo, nella chiesa e nello stato. Una forza peculiare dell’Erleben e della comprensione, una tranquilla riflessività che, seppure in mezzo alla vita e all’agire, si pone al di sopra di esso e lo oggettiva, e che è fondata sul continuo dominio di una coscienza superiore nell’anima, la quale la innalza al di sopra del destino, della sofferenza e del corso del mondo… 2. La biografia come opera d’arte. L’autobiografia è una comprensione di se stessi. L’oggetto è qui la vita come corso vitale di un individuo; e qui l’Erleben costituisce il costante fondamento diretto della comprensione in vista della determinazione del senso di questa vita individuale. l’Erleben possiede, in quanto continuo presente che viene avanzando, gli elementi di una connessione nella quale le singole parti si presentano in una connessione psichica acquisita. Nello stesso tempo nuove parti possono venir vissute come attive insieme a elementi ricordati in una connessione. Questa connessione produttiva non si presenta di per sé come un sistema di azioni, ma in ogni agire che procede dal presente c’è la coscienza di un protendersi verso certi scopi. Questi formano una connessione produttiva, poiché anche gli appetiti racchiudono in sé degli scopi.

Così la connessione produttiva viene immediatamente vissuta in primo luogo come realizzazione di scopi, almeno per quella parte che si trova maggiormente sul proscenio della coscienza: oggetti, mutamenti, Erlebnisse sono subordinati ad essa come mezzi. Dagli scopi nasce il progetto di vita, come una connessione di scopi tra di loro e con i mezzi. Tutto ciò presuppone nel presente, che fa progetti, una coscienza del valore che integra il presente mediante la serie del passato con i suoi godimenti, le sue illusioni ecc. Così a questo apprendere categoriale viene incontro l’apprendimento del significato, che si è formato nel passato. In esso c’è la relazione di un avvenimento esterno particolare con un elemento interno, e questo consiste nella connessione reciproca degli avvenimenti, la quale non è formata dal suo elemento ultimo ma si dispone intorno a un punto centrale a cui ogni cosa esterna si riferisce come a qualcosa di interno. Questa è la serie infinita di azioni che possiede un senso; e ciò soltanto crea unità. La comprensione si compie in base a tutti gli eventi esterni. Questi sono completi fino alla morte, e trovano un limite materiale soltanto in ciò che si è conservato. In questo consiste la sua superiorità rispetto all’autobiografia. Quest’ultima può utilizzare ai fini della comprensione le manifestazioni in cui sono contenuti il progetto e la coscienza del significato. Alcune lettere mostrano dove questo individuo trova il valore della sua situazione; altre dove ripone il significato delle varie parti del suo passato. Si costituisce così una connessione che conduce alla comprensione: una certa dote si sviluppa diventando cosciente di sé; circostanze, errori e passioni la disperdono, oppure un ambiente felice rafforza la sua potenza; altri compiti subentrano dall’esterno e la conducono oltre di sé nel bene o nel male, e così via. Rimane però ovunque il vantaggio che un dato corso di vita conserva nel suo contenuto la relazione di ciò che è esterno con un elemento interno, con il significato di una vita. Le testimonianze stesse esprimono questa relazione, come avviene nella nota confessione di Goethe (si veda in proposito il mio saggio23), e chi l’osservatore si trova già davanti la coscienza dell’azione storica, dei suoi limiti ecc. Le lettere mostrano la costituzione momentanea della vita; ma sono influenzate dal fatto di essere dirette al destinatario, Esse mostrano dei rapporti di vita; ma ognuno di questi è visto soltanto da una parte. Ma se la vita, divenuta completa o addirittura storica, può essere finalmente apprezzata nel suo significato, ciò è possibile solamente in quanto la connessione con il passato, con ciò che agisce nell’ambiente, con ciò che viene prodotto per il

futuro può venir stabilita attraverso l’interpretazione dei documenti esistenti. Questi documenti mostrano l’individuo come un centro di azioni che egli subisce ed esercita. Ma il suo significato nella connessione storica può venir determinato soltanto se si riesce a ottenere una connessione generale che si può staccare da questo individuo. La biografia come opera d’arte non può quindi risolvere il suo compito senza procedere fino alla storia dell’epoca. In questo modo si compie però un mutamento del punto di vista. Il limite dell’interpretazione di un individuo consiste nel fatto che questo, essendo un centro per se stesso, viene assunto come tale anche dal biografo. La biografia come opera d’arte deve invece trovare il punto di vista in cui si apra l’orizzonte della storia universale e questo individuo resti tuttavia al centro di una connessione produttiva e significativa: un compito che ogni biografia può risolvere solo per approssimazione. Essa deve da un lato mostrare la connessione oggettivamente nella molteplicità delle sue forze, nella loro determinatezza storica, nel valore di queste determinatezze, nella loro connessione di significato; dev’esserci sempre la coscienza di una mancanza di limiti che si estende da ogni parte, e tuttavia il punto di riferimento dev’essere posto in questo individuo. Da ciò risulta che la forma artistica della biografia può venir applicata soltanto a personalità storiche. Soltanto in queste c’è infatti la forza necessaria per costituire un tale centro. La difficoltà di far valere per così dire questo duplice punto di vista della biografia non può mai essere superata completamente. Il posto della biografia nella storiografia ha mostrato uno straordinario incremento. Essa è stata preparata dal romanzo; e forse è stato Carlyle il primo a concepirla nel suo pieno significato. Essa poggia sul fatto che il problema maggiore venuto in luce nello sviluppo della scuola storica fino a Ranke consiste nel rapporto della vita nella sua onnilateralità con la storiografia: esso deve mantenere la vita nella sua totalità. Tutte le questioni ultime sul valore della storia trovano alla fine la loro soluzione nel fatto che l’uomo si riconosce in essa. Noi non cogliamo la natura umana attraverso l’introspezione. Questa è stata l’enorme illusione di Nietzsche, per cui egli non ha potuto cogliere neppure il significato della storia. Il compito più ampio che così si presenta alla storia è contenuto implicitamente in Hegel. Ci si accostava maggiormente a esso quando si studiava la vita relativamente astorica dei popoli primitivi, in cui si assiste alla ripetizione uniforme dello stesso contenuto di vita. Esso costituisce quasi il fondamento naturale di ogni storia. Lo stesso avviene

quando le più alte personalità umane richiedono una nuova forma di studio, la quale rende comprensibili da un altro lato i limiti dell’umanità. Tra i due poli si pone lo studio dei costumi. La biografia di Carlyle, la comprensione di una singola totalità culturale che Jakob Burckhardt ha cercato muovendo dai suoi fondamenti, le descrizioni dei costumi che ci offre Macaulay ne costituiscono i punti di partenza (insieme ai fratelli Grimm). Questo è il fondamento su cui la biografia come opera d’arte ha acquistato un nuovo significato e un nuovo contenuto. Ma proprio qui sta il suo limite. I movimenti generali attraversano l’individuo come un punto di passaggio; e noi dobbiamo cercare nuovi fondamenti per la comprensione di movimenti che non hanno luogo entro l’individuo, al fine di poterli comprendere. La biografia non racchiude di per sé la possibilità di costituirsi come opera d’arte scientifica. Vi sono nuove categorie, nuove configurazioni e nuove forme della vita, a cui noi dobbiamo rivolgerci e che non si presentano nella vita individuale medesima. L’individuo è soltanto il punto d’incrocio di sistemi di cultura e di organizzazioni in cui la sua esistenza è intessuta: come possiamo comprenderli muovendo da lui?

2 LA CONOSCENZA DELLA CONNESSIONE STORICO-UNIVERSALE PREMESSA 1. La storia. Nell’autobiografia svaniscono le relazioni ben definite24: noi abbandoniamo il fluire del corso della vita, e dinanzi a noi si apre il mare sconfinato. 1) Permane qui la diversità dei punti di vista del valore, del significato, dello scopo, ma muta il tipo di combinazione. 2) Il soggetto nel quale e per il quale esiste il significato della vita è diventato problematico. È soltanto una fortuna per gli individui (Lotze)? 3) Se s’introduce un soggetto, un soggetto singolo, una persona ecc., allora sorge ogni volta un punto di vista particolare dal quale si coglie il significato, il senso ecc.: si veda in merito Simmel25. Falsa conseguenza di diverse verità. Ma questi diversi punti di vista pervengono all’oggettività proprio nella storia universale, per mezzo delle scienze sistematiche. L’intuitività della storia: esterno e interno, contemporaneità, successione. A ciò si aggiunge il problema dell’esposizione, che equivale al rendere intuitivo il corso temporale di una serie che può essere suddivisa all’infinito. Si ha esperienza vissuta, sebbene non la si abbia… La storia ci rende liberi, innalzandoci al di sopra della condizionatezza del punto di vista significativo che sorge dal corso della nostra vita. Ma al tempo stesso il significato risulta qui più incerto. La riflessione sulla vita ci rende profondi, la storia ci rende liberi. Ma andando per questo ampio mare portiamo con noi gli strumenti di orientamento che si ottengono mediante l’Erleben, la comprensione, l’autobiografia, l’opera d’arte biografica. Sono le categorie storiche che scaturiscono qui dalla riflessione sulla vita, come mezzi concettuali per il suo apprendimento. Nella comprensione è già data la categoria del tutto: il corso del tempo, il corso della vita consiste nel rapporto delle parti con il tutto. Nella biografia sorge poi la categoria dell’esistenza particolare determinata qualitativamente. E in quanto l’esistenza particolare è condizionata dall’esterno e reagisce verso l’esterno, sono così date le categorie dell’agire e del subire. Ogni determinata esistenza particolare nella storia costituisce una forza, e sta al tempo stesso in un rapporto di azione reciproca con altre forze. E poiché l’esistenza particolare si svolge nel corso della vita, poiché nei suoi

diversi momenti la limitazione che proviamo suscita sofferenza, pressione, movimento verso un altro stato che le è per il momento più appropriato, poiché trova la sua felicità in questo movimento, e forse la sua felicità consiste in questo stesso movimento, e così in ogni stato essa si conserva e al tempo stesso viene a mutare, la legge che in essa agisce costituisce la regola interna di tali mutamenti, e ciò che viene di volta in volta raggiunto determina internamente il futuro: in questo modo sorgono le categorie storiche dell’essenza e dello sviluppo. L’essenza designa qui soltanto la permanenza nel mutamento, e lo sviluppo designa soltanto la forma del processo determinata dalla legge di una crescente connessione acquisita. L’Erlebnis o l’apprendimento del singolo uomo non ci dà alcuna notizia di uno sviluppo inteso come progresso. 2. Il nuovo compito. Guardiamo all’indietro. Tra le categorie che sono particolarmente rilevanti per le scienze dello spirito sussiste una connessione internab. Le loro relazioni reciproche formano questa connessione, mediante la quale l’esistenza particolare qualitativamente determinata, cioè l’individuo, diventa oggetto di comprensione. In queste relazioni cogliamo ora la connessione in cui la comprensione penetra una data realtà nel suo significato: essa è un’esistenza particolare qualitativamente determinata. Questa mostra ovunque, a partire dall’espressione fino al soggetto di tutte le espressioni, un rapporto del tutto con le parti; e ciò costituisce una connessione. La connessione è struttura; e da essa derivano l’essenza e lo sviluppo. E applicando questa relazione esistente in ogni essere particolare a tutte le sue espressioni date, sorge la comprensione di questo individuo sotto le categorie di valore, significato, scopo. In questa comprensione esso viene ricostruito, per mezzo dei concetti che abbiamo indicato, come una connessione spirituale… PRIMO PROGETTO DI CONTINUAZIONE I. La struttura delle formazioni storiche Quando ci troviamo di fronte alle formazioni storiche noi scopriamo in esse empiricamente un’unità e una connessione, in virtù delle quali esse diventano oggetti di un ordine più ampio. Ogni formazione agisce nella connessione storica attraverso una forza ad essa inerente. Essa ha la sua propria essenza, e in essa si compie uno sviluppo, il quale reca con sé una nuova legge che va oltre lo sviluppo individuale. In questo modo sorgono nuovi compiti: com’è possibile una loro rigorosa delimitazione mediante concetti? il

circolo dell’elaborazione concettuale; quale svolgimento hanno le categorie e i concetti già impiegati per l’esistenza individuale? com’è possibile qui una conoscenza oggettiva? 1. Accesso alla storia universale. Passando ora alla storia si pone, come primo problema, quello del rapporto tra la vita e la storia: a ciò conduce il cammino che abbiamo imboccato. In ogni punto dell’estensione spaziale e temporale della storia è presente un’anima vivente, attiva, provvista di forze formative, sensibile a ogni influenza. Ogni documento di prim’ordine è espressione di un’anima del genere. Che questi documenti siano così rari per un presente qualsiasi, è la conseguenza della selezione che la storia come ricordo intraprende nella massa di ciò che è stato scritto. Essa trasforma in polvere, cenere e stracci tutto ciò che non ha significato. Qui si presenta di nuovo questa categoria. In fondo tutto possiede significato, poiché, come espressione di un cuore umano che batte e che palpita, permette di guardare ciò che, in un dato presente, costituiva una possibilità di un Erlebnis. Si tratta infatti di andare in cerca dell’anima stessa, così com’è vincolata in ogni momento, nelle condizioni di un presente e di uno spazio, a determinate possibilità — un caso tra le possibilità sconfinate che il corso storico produce. Se guardiamo agli storici, essi hanno tutti — sotto il concetto della rappresentazione di un’età quale si presenta in certi uomini — un rapporto con la grande massa sommersa nel ricordo umano. Macaulay e alcuni altri autori inglesi si avvicinano di più a questo problema. 2. La connessione logica nelle scienze dello spirito. Il punto di partenza è costituito dall’Erleben. Ma esso è una connessione strutturale, e in ogni rappresentazione della vita da parte delle scienze dello spirito è sempre presente questa connessione vitale. Essa esiste quando io intraprendo una narrazione, leggo di un fatto storico, rifletto su una connessione concettuale quale quella economica di lavoro o di valore, o quella giuridica di codice, o quella politica di una costituzione. Sempre si trova in essa questa connessione vitale, la quale produce la sua comprensione, e le rappresentazioni la richiamano alla mente; al tempo stesso nel nostro apprendimento agisce sempre il fluire del tempo, che attraversa ogni realtà umana. Esso è il medesimo nel mondo storico come lo è in me stesso, che considero tale mondo. Ed è un’abilità dello spirito quella di poterlo contrarre e accelerare, e di possedere tuttavia la misura della durata nel corso del tempo.

Così il drammaturgo ci fa passare davanti in poche ore, in un ordine temporale ideale, ciò che è invece durato anni.

Dilthey agli inizi del secolo. Ritratto a olio di Reinhold Lepsius, amico del filosofo (1904) (già alla Nationalgalerie di Berlino, ma andato perduto durante la Seconda guerra mondiale; la fotografia è dovuta alla cortesia del professor M. Rainer Lepsius).

3. Il mondo storico e il significato. Le categorie storiche del valore e dello scopo sorgono sulla base dell’Erleben; ma il significato compare già nella vita immediata del soggetto che rivolge indietro lo sguardo nel processo della sua comprensione, e ha così collegata con sé una connessione come forma categoriale. Nella misura in cui nella storia si presentano delle connessioni, viene da noi impiegato semplicemente il concetto di significato. Occorre applicare il concetto di significato per l’intera estensione della realtà. Ovunque la vita è passata e perviene a comprensione, là vi è storia; e dove c’è storia, nella sua molteplicità c’è significato. Esso c’è dove un individuo rappresenta qualcosa di più comprensivo, in quanto lo racchiude in sé e lo lascia vedere per così dire compiutamente nel fenomeno particolare. Esso è presente dove un determinato mutamento della connessione si presenta attraverso un avvenimento o una persona o una comunità (poiché nella storia non si dà mai come somma un mero insieme di conseguenze). 4. Il valore e la storia. 1) Anche nel mondo storico rimane la relazione dei valori con il continuo lampeggiare, con la forte illuminazione e con lo sparire dell’affettazione negli animi: anche qui nessun valore ha realtà, se non si collega con questi. Si presenta qui una infinita sconcertante molteplicità, un orizzonte infinito, simile a quello che ci appare di sera guardando una grande città straniera, le cui luci si accendono e si rafforzano e poi scompaiono per poi perdersi in una lontananza che non riusciamo più a vedere. Ma tutto questo chiarore e questo sfavillio appartengono a un mondo oggettuale che ci è del tutto estraneo, lontano da noi nello spazio e nel tempo. In tal modo il concetto di intuizione e il concetto di valore si sviluppano nel senso storico. La vita dei singoli individui è conclusa, e il loro valore proprio può venir ora guardato nella sua totalità. Si presenta così una nuova stima dei valori, che non ha più nulla a che fare con l’atteggiamento pratico. Il criterio dei maggiori valori propri di cui siamo consapevoli è dato dalla linea graduale che procede dagli uomini medi in avanti; e quanto più l’occhio penetra all’indietro nel passato, tanto più questi valori sono lontani e oggettivi — poiché l’azione della distanza storica è la medesima che viene prodotta dalla distanza delle persone nell’opera d’arte. E così scompare anche la possibilità di comparare il nostro destino e il nostro valore con questo elemento storico. 2) In questa molteplicità dei valori storici si presenta anzitutto la differenza tra le cose, che sono soltanto valori di utilità, e i valori di per sé o

valori propri, che sono collegati con la coscienza di se stessi. Questi valori costituiscono il materiale del mondo storico. Essi sono simili a suoni da cui procede il tessuto delle melodie dell’universo spirituale. Ognuno di essi assume in questo tessuto un posto determinato, in virtù del rapporto in cui sta con altri valori; ma non possiede soltanto le determinatezze del suono in intensità, altezza, ampiezza, bensì è, come individuo, qualcosa di indefinibile e di singolare non soltanto nel rapporto in cui si trova, ma nella sua stessa essenza. La vita è la pienezza, la molteplicità, l’azione reciproca di ciò che è uniforme nell’esperienza vissuta di questi individui. Essa è per la sua materia identica con la storia. In ogni punto della storia c’è vita, e la storia poggia sulla vita di ogni specie nei suoi più diversi rapporti. La storia è soltanto la vita concepita dal punto di vista dell’intera umanità, la quale forma una connessione. Questi individui, i quali come valori in sé formano la vita e la storia, con i loro scopi e il loro significato, sono in primo luogo forze attive, forze consapevoli piene di valori, che si riferiscono ai valori di utilità delle cose, che si formano degli scopi. E così il mondo storico è riempito di scopi, e costituisce appunto — preso nella sua pura molteplicità di forze — un mondo riempito di scopi. E anche gli scopi percorrono uno sviluppo, a partire dal punto in cui un soggetto guarda al futuro e pondera i valori e si decide sui beni. Anche qui il presentarsi degli scopi entro il dominio spirituale si distingue dal processo in cui lo scopo viene posto dal soggetto; essi diventano autonome forze attive entro questo dominio. Qui si trova l’altro fenomeno, cioè che essi agiscono senza diventare coscienti, e per una vasta estensione. Nel mondo storico le passioni e gli stati d’animo agiscono restando legati all’interiorità della persona; diversamente avviene con lo scopo. 5. L’Erleben, la comprensione, la connessione produttiva. L’Erleben e la comprensione si presentano a prima vista in modo da formare una connessione. Noi comprendiamo solo ciò che è connessione. La connessione e la comprensione si corrispondono l’una con l’altra. Questa connessione è una connessione produttiva. Nell’unità della vita psichica, nella storia, nei sistemi di cultura e nelle organizzazioni, tutto si trova in continuo mutamento, e questi mutamenti sono prodotti da un elemento attivo, sia che tale rapporto abbia luogo in un individuo in virtù della sua struttura, oppure in stati di fatto più complessi. Che una connessione

produttiva possa avere il carattere di una teleologia immanente non cambia nulla; infatti questa è soltanto una forma dell’agire. Nella storia e nella società esiste ovunque il rapporto tra il tutto e le parti, e la forma dell’agire nel mondo storico è determinata in base ad esso. In tal modo incontriamo gli elementi primi, le cui parti non sono autonome in quanto non possono funzionare senza la relazione con il tutto. Mentre i corpi organici sono in questo senso anch’essi totalità, le cui parti non funzionano in maniera autonoma ma svolgono la funzione costitutiva della loro essenza soltanto nel loro rapporto con il tutto, le unità psicofisiche umane costituiscono totalità in un senso particolare. Singolare è ogni dato, sia esso organico, inorganico o spirituale. Anche il fatto che noi riusciamo, pensando e riflettendo, a cogliere il processo psicofisico, aggiunge ad esso un altro contrassegno, ma non indica compiutamente ciò che caratterizza tale connessione. La connessione psichica è qui una connessione strutturale: è una connessione produttiva in cui l’elemento produttivo permane come fatto psichico ed è riferito all’elemento prodotto. Questa connessione si estende fino ai rapporti del pensiero con l’apprendimento del dato, della determinazione di valori con questo apprendimento, della posizione di scopi con la determinazione di valori, e all’interno di ognuna di queste sfere fino alle relazioni particolari che la costituiscono. Tutta questa connessione di relazioni agisce teleologicamente in vista della creazione di valori e della realizzazione di beni e di scopi. Tra i valori ha un posto particolare il valore proprio della persona: il suo carattere risiede nel fatto che l’unità vivente gode di certe proprietà e ha un sentimento di sé che si riferisce ad esse; e dato che queste proprietà sono legate a un nucleo individuale fondato sulla connessione della persona, il valore proprio è individuale. Esso poggia sempre sulla particolare connessione di questa persona singolare, in virtù della quale essa è come è, e si sente e si gode in tale modo. Questo rapporto si accresce in base alla stima degli altri. Così l’individuo ha il suo centro in se stesso. D’altra parte, però, ogni comunità sviluppa dei valori, ogni movimento storico ha la medesima intenzione e la medesima influenza, di modo che nella situazione storicosociale sorge il rapporto per cui il valore proprio, il senso della propria esistenza conferisce significato ai singoli processi psichici, e a sua volta l’unità psicofisica acquista un significato per la totalità soprattutto nella connessione di scopo. Tale connessione di significato è quella che viene colta dallo storico: essa non viene valutata di nuovo ma viene riconosciuta come realtà; e come tale implica una sua significatività, un interesse dell’individuo, una

connessione reciproca di momenti significativi, ossia un’articolazione nel corso temporale. 6. La connessione storica. Hegel si pose il problema di cercare una connessione di concetti con cui elevare a coscienza la connessione storica, identica sia per la metafisica, sia per la filosofia della natura, sia per le scienze dello spirito. Tali sono i gradi ideali dello spirito, in cui l’io si riconosce come spirito, si oggettiva nel mondo esterno e acquista coscienza di sé come spirito assoluto. In ciò consiste l’intellettualizzazione della storia. Essa non viene soltanto riconosciuta nei concetti, ma questi concetti costituiscono la sua essenza: su ciò poggia la loro conoscenza adeguata. Così lo spirito e la storia vengono svelati, perdendo ogni mistero. Quanto è differente la posizione dello storico vero e proprio nei confronti della storia! Ma anche questa non si esaurisce nella descrizione della molteplicità individuale dei fenomeni storici: se vi fosse soltanto una descrizione del genere, non vi sarebbe alcuna conoscenza di essi. Gli individui in quanto tali sono infatti separati l’uno dall’altro. L’essenza più profonda della storia, per cui essa oggettiva lo spirito della comunità, rimarrebbe incompresa. Nella comprensione di un prodotto storico come espressione di un elemento interno non è contenuta un’identità logica, ma è contenuto il rapporto peculiare di un’identità tra i diversi individui. Questi individui non vengono compresi in base alla loro eguaglianza, poiché soltanto i concetti sono eguali tra di loro e possono quindi venir trasposti Essi vengono compresi in quanto l’individuo ha entro certi limiti delle possibilità di rivivere, in base alle espressioni e alle azioni di un individuo del tutto diverso, i suoi stati e i suoi processi interiori come qualcosa che gli appartiene intimamente. Esso ha cioè in sé delle possibilità di andare al di là di ciò che può realizzare come sua propria vita. Noi viviamo tutti nelle certezze acquisite che sono divenute abituali della nostra essenza. Ma dove c’è appunto la coscienza della libertà, in noi sussistono varie possibilità della vita per quanto riguarda il ricordo e la volontà rivolta verso il futuro, forse anche in una vitalità che non giunge mai ad attuarsi saldamente, di modo che la nostra fantasia va al di là di ciò che noi possiamo vivere immediatamente o realizzare nel nostro io. 7. Lo scetticismo storico. 1) Non può avere significato o valore nulla di cui non si dia comprensione. Un albero non può mai avere un significato.

La teoria della storia di Simmel26, secondo cui l’elaborazione della storia sarebbe necessaria perché non se ne possono prendere in esame tutte le parti, è erronea, dato che un gran numero di parti può essere rappresentato in maniera riassuntiva. In una storia dei mutamenti intercorsi nel mondo non mi imbatto mai, nella selezione, in un momento che ecc.27; in ciò consiste la differenza della storia degli oggetti naturali rispetto a quella degli oggetti umani. La giustificazione principale degli scettici in ambito storico è che la connessione produttiva, la quale agisce in base a motivi, sarebbe problematica; infatti l’individuo conoscerebbe i suoi motivi soltanto in maniera molto problematica, e gli altri potrebbero penetrarli meno ancora. In quale maniera l’interesse personale, l’ambizione, il bisogno di potenza, la vanità contribuiscano alle azioni decisive, si può stabilirlo soltanto in misura limitata. Perfino le espressioni verbali o epistolari in merito rimangono dubbie. Ma proprio qui sta il campo vero e proprio di ciò che i conoscitori di uomini e la gente di mondo considerano come la vera storia. Soprattutto i Francesi fanno valere la loro perspicacia, la loro superiorità sulle cose e sugli uomini, ponendo a base di grandi effetti motivi piccoli ed egoistici. A ciò essi sono abituati dal metodo pragmatico che va dietro alla relazione tra motivo, azione ed effetto, quando non applicano una teoria politica o una valutazione delle forze politico-militari. Proprio da questo deriva la ricerca dei motivi e l’intento riduttivo dei mémoires. Nello spirito francese c’è alla fine una perspicacia relativamente ai motivi personali, al denaro, alla posizione sociale, per la quale risulta incomprensibile la conformità al dovere dei Tedeschi, determinata dalle cose stesse, e quindi la loro ingenuità nei riguardi degli scopi personali. Natura della storiografia pragmatica, la quale va in cerca della connessione produttiva, ma entro i limiti della connessione tra motivo, azione ed effetto storico. Tipico è il cosiddetto moralismo di Schlosser, il quale è uno storico pragmatico del genere con l’aggiunta dell’intento riduttivo francese, ma sulla base di una valutazione morale. 2) Lo scetticismo storico può essere superato soltanto se il metodo non ha bisogno di tener conto della determinazione di motivi. 3) Lo scetticismo storico viene superato soltanto quando al posto del raffinamento psicologico subentra la comprensione di formazioni spirituali. Queste si presentano come una realtà oggettivata esterna, e possono quindi diventare oggetto di una comprensione a regola d’arte. 4) Esse si distinguono in tre classi. Il grado maggiore di certezza lo

possiede la comprensione nel campo dell’interpretazione dello spirito scientifico: interscambiabilità. Un secondo grado lo hanno i prodotti della saggezza della vita, della religione, dell’arte, della filosofia: essi sono in parte espressione della propria connessione di vita, in parte rappresentano una connessione di vita. Il terzo caso, il più difficile, è costituito dall’ambito dell’agire e della posizione di scopi. Il rapporto tra la posizione di scopi, il ritrovamento di mezzi e l’agire è razionale e trasparente, ma non lo sono affatto i motivi che determinano le posizioni di scopi. Le azioni che hanno un’influenza generale, destinate a diventare storiche, non sono accompagnate dalla coscienza dei loro motivi. Esse stanno sì in una chiara connessione con le necessità oggettive inerenti ai sistemi di scopi e alle organizzazioni esterne; ma i loro motivi sono del tutto indifferenti per quanto riguarda gli effetti: esse dipendono soltanto dalle rappresentazioni di scopi e dalle possibilità dei mezzi. Le scienze sistematiche dello spirito, che si riferiscono al mondo dell’agire, costituiscono dunque il fondamento di una sicura comprensione di questo mondo. Qui il metodo della comprensione si complica, accogliendo in sé la comparazione ecc. 8. La possibilità di una conoscenza oggettiva nelle scienze dello spirito. Il problema della possibilità di una conoscenza oggettiva nelle scienze dello spirito ci riporta alla questione del modo in cui essa può essere realizzata nella storia. Come è possibile la storia? In questa impostazione viene presupposto un concetto di storia. Noi abbiamo visto che questo concetto è dipendente da quello di vita: la vita storica è una parte della vita in generale. E questa è tutto ciò che è dato nell’Erleben e nella comprensione. La vita in questo senso si estende a tutto l’ambito dello spirito oggettivo, nella misura in cui è accessibile mediante l’Erleben. La vita è il fatto fondamentale che deve costituire il punto di partenza della filosofia: essa è ciò che ci è noto dall’interno, è ciò dietro a cui non si può ritornare. La vita non può esser portata dinanzi al tribunale della ragione. La vita è storica in quanto viene colta nel suo avanzare nel tempo e nella connessione produttiva che ne deriva: la possibilità di ciò risiede nella riproduzione di questo corso in un ricordo che non si riferisca a un elemento singolo ma riproduca la connessione stessa e i suoi stadi. Ciò che il ricordo compie nell’apprendere il corso stesso della vita, viene realizzato nella storia per mezzo delle manifestazioni che lo spirito oggettivo racchiude, attraverso la connessione conforme a tale procedere e a tale produrre. Questa è la storia.

La prima condizione per la costruzione del mondo storico sta quindi nel purificare i ricordi confusi e spesso alterati che il genere umano ha di se stesso mediante la critica, la quale è correlata con l’interpretazione. Perciò la scienza fondamentale della storia è la filologia nel suo senso formale, come studio scientifico delle lingue in cui la tradizione è depositata, come raccolta del retaggio dell’umanità precedente, come sua purificazione dagli errori che vi sono contenuti, come ordinamento cronologico e come combinazione che pone questi documenti in relazioni interne. La filologia in questo senso non è uno strumento dello storico, ma designa un primo ambito di impiego dei suoi procedimenti. L’oggettività della storia è possibile soltanto quando, tra i molteplici punti di vista da cui può essere compiuta la connessione della sua totalità e possono essere distinti gli elementi che essa richiede, si raggiunge un punto di vista che coglie questa connessione stessa così come ha avuto luogo. Introduco in primo luogo il concetto di significato. La connessione della storia è quella della vita stessa, in quanto questa produce una connessione nelle condizioni del suo ambiente naturale: un elemento che appartiene alla connessione della totalità possiede un significato in riferimento a questa totalità, in quanto realizza un rapporto con questa totalità che è contenuto nella vita. Infatti dal rapporto del tutto con la parte non discende che la parte abbia un significato per il tutto. Qui siamo, a quel che sembra, dinanzi a un mistero insolubile. Noi dobbiamo costruire il tutto in base alle parti, e nel tutto deve esserci tuttavia l’elemento in virtù del quale viene attribuito un significato e che assegna su tale base alla parte il suo posto. Abbiamo già visto che qui vi è ciò che pone in moto il lavoro storico, e che questo si sviluppa nella dipendenza reciproca delle determinazioni ottenute, e quindi del tutto e della parte. Che cosa sia la vita, deve insegnarlo la storia. E questa dipende dalla vita, di cui essa costituisce il corso nel tempo, e ha perciò il suo contenuto nella vita. Per sfuggire a questo circolo vi sarebbe una via di uscita semplice qualora vi fossero norme, scopi o valori incondizionati in cui la considerazione e la comprensione storica avessero un criterio. La storia stessa realizza valori la cui validità scaturisce dall’esplicazione dei rapporti contenuti nella vita. Di questo genere sono l’obbligazione che poggia sul contratto, e il riconoscimento della dignità e del valore presenti in ogni individuo considerato come uomo. Queste verità sono universalmente valide, poiché rendono possibile una regolamentazione in ogni punto del

mondo storico. 2. La struttura di ogni connessione storica Il problema della storia è il seguente: come può, dove un io è separato dagli altri io e dove si ha soltanto l’azione reciproca di varie forze, sorgere da questi individui un soggetto che agisce e patisce come un io? Sistemi di cultura, orientamenti, movimenti, organizzazioni costituiscono rapporti di comunanza del genere, cioè totalità complesse in cui gli individui cooperano in modo diverso come loro parti. 1) A proposito della natura di questa cooperazione considerata nei suoi vari modi, la prima differenza sta nel fatto che gli individui non entrano mai in alcuno di questi intrecci come totalità, ma soltanto con una parte di se stessi. 2) Questi rapporti di comunanza sono tutti distinti tra di loro, e la loro connessione è differente da quella dell’io anzitutto per il modo in cui vi si presentano tempo e spazio. Essi hanno uno spazio per estendersi; un numero sempre maggiore di persone viene accolta in essi in un ambito sempre più vasto. Essi possono saltare gli spazi intermedi, gli individui che sono così collegati possono essere anche separati tra di loro; gli individui possono formare una connessione per così dire attraverso spazi intermedi. Essi si estendono parimenti attraverso lunghi periodi di tempo, e ogni connessione del genere ha a propria disposizione, per il suo svolgimento, tempi lunghi, addirittura illimitati. Il tempo, con la sua intrinseca forza formativa, può quindi esercitare su di essi la sua opera in modo tranquillo e tuttavia forte. 3) In quanto connessione in cui cooperano gli individui che ne sono divenuti parte, essi possono essere comparati alla connessione psichica; anch’essi non sono dati come sostanze, poiché qui come là le parti cooperano invece in base a una legge propria. E, diversamente dal mondo inorganico, questa connessione non è data soltanto dall’esterno, e quindi alla fine misteriosamente, ma è in qualche modo immediatamente vissuta. Ma il modo in cui se ne ha esperienza vissuta è ben diverso. Essa può agire come coscienza, condividere con altre persone la medesima sensazione fondamentale, avere in comune lo stesso scopo, essere sottoposta insieme a una direzione; sempre c’è la medesima coscienza in cui gli individui corrispondono tra di loro. Qui si fanno valere anche le medesime categorie che sono proprie di ogni connessione psichica: c’è il rapporto di un tutto con le sue parti, e questa è la prima determinazione del modo in cui le connessioni psichiche esistono al pari di quelle storiche. Ma nello stesso tempo si deve

stabilire la differenza che si presenta in questo rapporto. Ogni connessione siffatta ha una struttura, in base alla quale le sue parti formano una totalità. Il tipo di questa struttura è diverso da quello della connessione psichica. Ma anche all’interno della connessione storica vi sono differenze che devono essere determinate. Da ciò discende il diritto della critica della ragione storica a trasporre il concetto di struttura a queste formazioni. Ogni individuo costituisce una forza particolare. Qual è il rapporto in cui determinati aspetti o parti di individui diversi, tra loro omogenei, cooperano a formare una forza complessiva? Ciò presuppone che in queste parti omogenee degli individui sia costitutivamente contenuta una connessione. 4) Dato che le parti omogenee recano in sé, nella loro connessione con la vita delle singole persone, l’orientamento verso qualcosa che dev’essere realizzato nel futuro, una tale connessione storica realizza qualcosa che è nel futuro. Pertanto la categoria di scopo può venir trasposta dall’essere individuale a una connessione del genere, sebbene in un senso assai diverso e, rispetto all’essere individuale, anche trasformato. 5) Ancora più difficile è stabilire in quale senso una connessione storica sia produttrice di valori. 6) In ogni connessione che si forma nel tempo vi è un ricordo del proprio corso. Il corso è la proprietà fondamentale di ogni connessione storica, e un corso psichico racchiude in qualche grado, nei suoi stadi, il ricordo: da ciò la categoria di significato. 3. I soggetti delle asserzioni storiche Nuovi soggetti si aggiungono ora all’esistenza particolare. In quale senso si possono intendere? su che cosa poggia il diritto di considerarli portatori di asserzioni? Origine della coscienza della connessione e della comunità attraverso la storia. Se la comunità è un soggetto, nasce l’esigenza di stabilire che cosa di nuovo si veda, da questo punto di vista, del mondo spirituale, e quindi in primo luogo la questione: come una comunità del genere diventa un soggetto in grado di agire in maniera unitaria al pari di un individuo? A ciò contribuiscono il passato, la cooperazione nel presente e il futuro. Qui si vede come la storia, della cui utilità si è tanto discusso, agisca in modo produttivo — in quanto coscienza che le comunità possiedono della loro storia, in quanto ricordo del corso della loro vita — sulla vita in comune

dell’umanità. Quando studiamo la storia delle comunità, dobbiamo pensare al fatto che è questa storia, come memoria dell’umanità, a dar forma alle comunità. E viceversa la coscienza della comunità crea, in base al sentimento dell’unità, gli eroi della stirpe, i fondatori degli stati, i fondatori delle religioni. Quanto maggiore è la potenza del nostro rapporto con il passato, tanto più forte è la trasposizione dell’unità del corso della nostra propria vita alla vita in comune degli individui in forme di comunità. 4. I soggetti storici concreti di razza, popolo ecc.28. 5. I sistemi di cultura Il circolo della loro determinazione. In che cosa consiste la loro unità? La loro connessione interna. Rapporto tra sistemi di cultura e organizzazioni. Essi possono venir separati l’uno dall’altro soltanto nell’astrazione. L’ermeneutica dell’organizzazione sistematica. Anche a proposito delle organizzazioni è necessario procedere, come per le opere individuali, a un’interpretazione rigorosa a regola d’arte. Non si tratta però di una spiegazione delle organizzazioni in base ai loro inizi, volta a ricondurle alle cause che le hanno prodotte. La lotta tra le scuole attraversa la spiegazione razionale o psicologica o storica. Nella misura in cui è possibile, essa presuppone l’ermeneutica delle singole organizzazioni e la comparazione delle organizzazioni affini; ma rimane pur sempre una questione trascendente. L’ermeneutica è qui possibile perché tra il popolo e lo stato, tra il credente e la chiesa, tra la vita scientifica e l’università sussiste una relazione in base alla quale uno spirito comune, una forma di vita unitaria trovano una connessione strutturale in cui si esprimono. C’è qui dunque un rapporto delle parti con il tutto, in virtù del quale le parti traggono il loro significato dal tutto e il tutto acquista un senso in base alle parti; queste categorie dell’interpretazione hanno il loro correlato nella connessione strutturale dell’organizzazione, secondo la quale quest’ultima realizza teleologicamente uno scopo. Ma in che cosa consiste l’elemento specifico della struttura delle organizzazioni e delle categorie impiegate per la loro comprensione? La mera esistenza di un’organizzazione in quanto tale non ha alcun valore. Allo scopo corrisponde, nella connessione strutturale, la funzione ecc. 6. La vita economica 7. Il diritto e la sua organizzazione nella comunità

8. L’articolazione della società 9. Costume, ethos e ideale di vita 10. La religione e la sua organizzazione La religiosità. Tra tutti gli Erlebnisse su cui è fondata l’oggettivazione e l’organizzazione dello spirito, la religiosità occupa un posto particolare, centrale. Lo mostra la storia; ma ciò risulta pure dall’osservazione antropologica. Ci troviamo qui alla radice in cui l’Erleben e la comprensione del poeta, dell’artista, dell’uomo religioso e del filosofo sono reciprocamente connessi. In tutti questi sorgono …29, formati/e in base alle esperienze della vita, che procedono al di là di questa. E ogni volta l’elemento che conduce al di là della vita è racchiuso nella vita stessa. La caratteristica propria della religiosità consiste nel fatto che la vita vissuta entra in relazione con l’invisibile: questo agisce, come nella vita stessa, su di essa e in essa. Ma questa relazione nasce dalla realtà dell’esperienza della vita, quale si presenta accresciuta nei grandi individui religiosi. Nel genio religioso non era presente un sogno dell’aldilà in anime piene di sentimento; piuttosto è la vita stessa, esperita nella sua natura, vera, forte nella sua durezza, generalmente composta in modo così strano da sofferenza e felicità, la quale indica qualcosa che penetra dall’esterno, venendo dalla propria profondità, estranea a questa, come se provenisse da luoghi invisibili. Nessuno sforzo artistico può illuminare, in queste nature nient’affatto artistiche, la pressione della vita, della realtà, che grava su ogni esistenza. La morte accompagna come un’ombra ogni momento della vita di Calvino. Per il Protestante dietro l’esperienza della beatitudine nella fede, in virtù dell’elezione divina, sta sempre l’idea terribile che trae origine dalla dannazione senza motivo delle altre anime. E fare di sé lo strumento di Dio può offrire una quiete interiore alle nature attive. Ma i contemplativi, i pacifici cercano, nell’età della Riforma, un’altra strada. E con quanta maggior forza un uomo vive nel proprio essere, e si è separato dall’attività del mondo, dagli intrecci mondani, tanto più lo atterriscono le voragini presenti in ognuno di noi: egli si sente solitario e separato dagli altri uomini. Egli vorrebbe superare la separazione da essi. Così egli conduce la vita stessa, nella sua essenza fondamentale, in alto, in dentro, in basso fino all’invisibile, per unificare con sé le anime nell’amore e nella comprensione. Ma la cosa decisiva è che nel genio religioso non c’è alcuna concessione alla superficialità della vita di quaggiù, alla quotidiana dimenticanza di ciò

che viene ricordato e del futuro, né alla fuga nella fantasia. E non ci si accontenta neppure della manifestazione di una forza mondana, che racchiude anch’essa una dimenticanza della morte e della salvezza dell’anima. 1) Ora, che sempre gli oggetti religiosi siano un presupposto dell’Erlebnis e la religione sia quindi inserita nella tradizione…30. 2) Se questa è interrotta, allora il significato della vita, l’emergere degli scopi verso l’invisibile, il completamento dei valori resta racchiuso nella natura dell’Erleben e della comprensione. La religione scaturisce dal rapporto con l’invisibile. Ma questo rapporto accompagna la formazione della persona in un’unità che è soddisfatta di sé (beatitudine), e soltanto questa è la realtà. Le parti di questa formazione, che sono vissute immediatamente nell’esperienza religiosa31. I suoi Erlebnisse non sono soltanto di carattere dottrinale, ma neppure nascono soltanto dall’animo; essi sorgono in persone che realizzano a proprio modo il compito della vita. Pertanto i tentativi di proporsi degli scopi, le illusioni relative ai valori che si realizzano in essi, la scoperta di nuovi valori, la determinazione del significato dei rapporti vitali costituiscono ovunque il fondamento della forma determinata di una religione. È difficile conoscere che cosa sia la religione, poiché tutte le sue forme di espressione e i prodotti durevoli in cui si offre allo studio sotto forma di dogma, di fede, di superstizione, di arte religiosa, di visione religiosa del mondo, hanno bisogno di un’interpretazione che colga i movimenti dell’anima che stanno dietro di essa. 1) Tutto ciò che la vita e il suo correlato, ossia il mondo, contengono in forma oggettuale, può essere oggetto di attribuzione di un valore religioso. 2) L’attribuzione di un valore religioso non è però mai qualcosa di originario. Un valore religioso non è mai, com’è un valore vitale ecc., un concetto di valore del tutto indipendente. Esso presuppone piuttosto delle esperienze all’interno dell’attribuzione di un valore che — sulla base di una determinata tonalità o colorazione della vita dell’animo — mettono l’accento sulla pressione del mondo circostante (Pascal), sull’impossibilità di superarlo inserendosi in esso, sulla sua irrealtà, fragilità, corruttibilità, incomprensibilità, e dall’altro lato, positivamente, un bisogno di stabilità del mondo, di possibilità di fiducia, di pace. Tutto questo non è ancora una disposizione d’animo di carattere religioso. Infatti una disposizione dell’animo è religiosa soltanto quando il mezzo per costituire in maniera adeguata il mondo affettivo sulla base di questi sentimenti è rintracciato nell’invisibile. Così sorge

anzitutto il concetto del bisogno religioso, e più propriamente del bisogno che trova il suo soddisfacimento nella religione. Dove esso non precede la religione, o non diventa condizionante come elemento costitutivo nella vita religiosa dell’animo, la religione è soltanto tradizione, consuetudine. E ogni natura religiosa trova in qualche modo la forza di pervenire alle sue concezioni originali nella costituzione dell’animo che condiziona la valutazione della vita. 11. L’arte 12. Le scienze 13. La visione del mondo e la filosofia 1. L’interpretazione dei sistemi filosofici. 1) Il caso più semplice è quello in cui si dispone di un testo fondamentale. Il problema è costituito dal rapporto dell’esposizione sistematica con il significato delle parti, il valore proprio delle verità ecc.; e lo strumento consiste nella storia dello sviluppo. 2) Platone e Leibniz: la comprensione del senso degli scritti e del rapporto del loro significato con il tutto presuppone, trattandosi di parti non adattate al tutto, una storia del loro sviluppo, che permetta di valutare il significato dei singoli scritti in rapporto alla totalità. 2. Le scienze dello spirito e una filosofia della vita. 1) Nell’intelletto e nell’impulso è presente un’aspirazione intrinseca alla vita psichica. La manifestazione di questa aspirazione è gioia. 2) La struttura della vita psichica agisce in modo teleologico, cioè in base all’aspirazione a uno sviluppo ulteriore. 3) Un soddisfacimento durevole, indipendente dalla vita personale, nasce soltanto nella coincidenza tra questa aspirazione e le grandi forme oggettive che assicurano un soddisfacimento. 4) Questa connessione della vita sottostà alla condizione della rettitudine e della morale; e questa condizione consiste nell’essere consapevoli del dovere di osservanza dell’obbligazione reciproca. Le indagini trascendentali sul suo carattere a priori sono prive di risultato. Il pensiero filosofico contemporaneo ha sete e fame di vita: esso vuole il ritorno all’incremento della gioia di vivere, all’arte e così via. 3. La connessione della storia della metafisica e della religione con la civiltà. Scienza comparativa della civiltà.

1) Una civiltà ha il suo contrassegno nella capacità di raggiungere, sorretta da organizzazioni date, un culmine duraturo in cui i singoli sistemi sono collegati tra di loro in una struttura armonica, a cui poi segue, sulla base di condizioni da indagare, la sua dissoluzione. Non si deve separare il contenuto dalla forma in cui tale struttura armonica perviene al suo culmine. Concetti vitali come quelli di legame, di ufficio, di rappresentazione artistica della vita in base alla proporzione, in base a luci e ombre, il godimento della sequenza dei suoni nella melodia e nell’armonia, la relazione tragica tra carattere, azione, colpa e destino contengono tutti una qualche elaborazione dei contenuti della vita. Teoria di questa elaborazione. I contenuti, ossia le realtà o le qualità, vengono colti nella vita stessa in base al loro significato; e tale comprensione si esprime nell’arte ecc. Qual è ora questa relazione? 2) Nel punto più alto, da cui si deve sempre partire (questo è il punto di vista metodico più importante), si è sviluppata una posizione della coscienza nella quale i valori, il significato, il senso della vita hanno trovato — in base alla relazione tra gli elementi della civiltà — una determinata espressione, conforme alla loro struttura. Essi si esprimono nella poesia, nella religione, nella filosofia, in una connessione interna della riflessione antropologica con le formazioni costruite su tale base. In questa connessione sono collegati l’uno con l’altro il sentimento del presente, il ricordo e il futuro; essa racchiude un senso nel ricordo, il sentimento della vita come sentimento dei valori nel presente, e un ideale (il bene). La delimitazione di ogni civiltà suscita già al suo culmine la richiesta di un futuro. 14. La connessione delle organizzazioni nello stato 15. Le nazioni come portatrici della potenza, della civiltà ecc. 16. L’umanità e la storia universale Azione reciproca tra le nazioni; movimenti spirituali; epoche La rivoluzione. I mutamenti che si presentano nel mondo storico possono venir distinti in base a certi tipi fondamentali. Essi possono essere colti in quanto si presentano in un ambito più ristretto all’interno di un sistema di cultura oppure contemporaneamente nel sistema di cultura e nell’organizzazione di una particolare nazione, oppure in una totalità più ampia, ed entro i diversi aspetti della sua vita. Essi possono d’altra parte essere colti in quanto si estendono per uno spazio di tempo maggiore o minore. Queste diverse forme di

apprendimento sono condizionate dalla natura del movimento che noi cogliamo: questo si estende in ambiti di diversa estensione, e si realizza in periodi di tempo diversi. Ma si deve penetrare il diverso modo di un tale movimento unitario per renderne comprensibile l’estensione spaziale e temporale. E qui si fa nuovamente valere in primo luogo il fatto che la separazione è possibile solo in quanto un’unità di significato congiunge la serie dei mutamenti. Infatti tutti i mutamenti sono di per sé collegati causalmente tra di loro alla stessa maniera; sotto il profilo causale la fondazione dell’Impero tedesco o la Rivoluzione francese non sono delimitati rispetto a quanto è avvenuto prima o poi nell’ambito di fenomeni corrispondente. Ma un raggruppamento del genere non è possibile neppure in base ai contenuti e alle loro relazioni puramente oggettive. Per risolvere la questione prenderò le mosse dai sistemi di mutamento che si possono designare col nome di rivoluzioni. La loro caratteristica comune consiste nel fatto che un movimento a lungo impedito spezza improvvisamente gli ordinamenti giuridici dati, estendendosi in virtù della sua forza estrinseca in ambiti vasti. E qui si distinguono ancora le rivoluzioni in cui gli interessi che sono stati repressi sono congiunti con una massa di idee raccolta da tempo, in virtù della quale queste rivoluzioni acquistano un proprio specifico significato. Esse arrivano cioè, nei loro effetti, non solamente fin dove gli interessi in quanto tali sono tra loro affini e collegati, ma agiscono oltre tale limite come realizzazione di una massa di idee e di ideali. Di tale natura sono i due enormi fenomeni rappresentati dalla Riforma e dalla Rivoluzione francese. La realizzazione delle idee in quanto tale agisce a largo raggio, dove non è per così dire latente alcun interesse affine. Il loro significato non è quindi esaurito dalle conseguenze di fatto entro l’ambito degli interessi da cui hanno preso le mosse. In entrambi i casi la loro esplosione è preceduta da un lato da una massa di idee che si è sviluppata lentamente, dall’altro da un lungo impedimento all’interno di un’organizzazione. La potenza di questa organizzazione reprime le tendenze al mutamento che vi sono racchiuse: là è stata l’organizzazione della chiesa e qui quella dello stato. Quando poi scoppia la rivoluzione, questa viene a far parte, entro un ricco sviluppo culturale, di un determinato sistema, e s’impadronisce degli spiriti in maniera esclusiva, cosicché gli altri interessi indietreggiano, e tutti gli interessi

che…32. 17. Teoria della storia 1. Lo spirito come prodotto di interiorizzazione e la sua oggettivazione nella storia. 1) L’errore di Hegel è stato quello di aver costruito i gradi dello spirito in modo immanente, mentre essi derivano dalla cooperazione di questo elemento con la situazione storica. Già nella sua stessa interiorità concettuale lo spirito è il prodotto del movimento legale del mondo sociale. 2) Da ciò discende la loro intrinseca affinità. 3) L’oggettivazione è l’altro grande problema della scienza storica. Essa si compie: a) nell’espressione, in quanto arte e letteratura libera; b) nella rappresentazione concettuale; c) nelle organizzazioni in cui il mutamento acquista durata e un’efficacia regolata, ordinata, continuativa, incessante; d) nel diritto: il diritto è l’insieme delle regole coercitive da cui sono determinate le azioni esterne. In esso viene quindi a oggettivarsi la concezione dei valori di cui la società ha bisogno, della loro gradazione nel diritto penale ecc., e la forma regolare condizionata dalla vita economica e sociale, e così via; e) l’oggettivazione nel sistema dell’insegnamento: esso occupa una posizione particolare, in quanto qui viene prodotto nell’educando, in base a un dato ideale di vita, una certa condizione, ad opera dell’educatore e del sistema. Non si tratta di azioni, bensì di qualcosa che poi, quando la formazione è compiuta, permane sotto forma di abito; e infatti nella classe dell’educatore vive l’ideale di una data epoca, di un popolo. Questo ideale non può venir presentato razionalmente; viene realizzato solamente mediante l’arte dell’educatore; f) l’oggettivazione nelle organizzazioni ecclesiastiche: ciò che viene oggettivato è quel che si sviluppa nel rapporto con l’invisibile, vale a dire un’esperienza religiosa dalla quale sorgono i dogmi e le forme del rapporto religioso. Riassunto: la ricerca storica deve quindi esporre da un lato il processo di interiorizzazione a partire dal mondo storico dato, sulla base dei gradi precedenti, dall’altro il processo di esteriorizzazione. 2. La forza trainante nella storia. Questo problema compare per la prima volta nel primo periodo di Hegel;

ma qui manca la giustificazione e l’attuazione psicologica. In una situazione culturale c’è sempre qualcosa di insoddisfatto; così sorge la spinta ad andare al di là di essa. 3. La comprensione storico-universale. Essa ha come suo presupposto l’autobiografia, la biografia, la storia delle nazioni, dei sistemi di cultura, delle organizzazioni. Ognuna di queste storie ha un proprio centro al quale si rapportano i processi, e ha quindi valori, scopi, una significatività che derivano da tale rapporto. La possibilità di avvicinarsi a una storia universale oggettiva poggia sulla relazione reciproca di questi elementi. Ciò dev’essere mostrato soprattutto in base alla storia della storiografia, laddove questa perviene alla riflessione su se stessa. La prima cesura è rappresentata da Tucidide. Egli considera il suo oggetto come una connessione produttiva nella quale l’arte della guerra, l’arte della condotta interna ed esterna dello stato, la cultura, la politica, le lotte costituzionali cooperano alla decisione sulla supremazia in Grecia. In conformità anche alla concezione di Eduard Meyer33, che vede in Tucidide il proprio ideale, egli costruisce all’indietro, partendo dal punto raggiunto in ultimo, la serie delle cause che hanno determinato questo stato di cose finale. In esso risiede il principio di selezione e di elaborazione (la tendenza di sviluppo), e nei punti importanti e decisivi i discorsi contengono — come se fossero monologhi nel grande dramma — l’insieme delle motivazioni. Lo stesso vale per le relazioni degli ambasciatori. La cesura successiva si trova in Polibio. Qui il pensiero relativo all’organizzazione politica si collega con il pragmatismo di Tucidide. Il significato dei singoli momenti è determinato dalle relazioni tra l’organizzazione politica di Roma, il suo dominio mondiale e il peso … per conseguirlo. Raramente uno storico ha potuto dare un’unità di significato così salda a una materia così universale. La teoria della storia universale del Medioevo non può essere desunta semplicemente da Ottone di Frisinga34. Già Dante va oltre, mostrando il proprio legame con Tommaso. Il suo fondamento è il rapporto tra Dio e la connessione di scopo del mondo, posto dalla teologia-filosofia. Qui è stato per la prima volta stabilito il principio di una connessione storico-universale, ed essa viene concepita come una connessione di significato o di scopo. A questa connessione viene ricondotta, per quanto riguarda lo stato, l’intera dottrina aristotelica, al pari di quella dell’Impero romano e di quella del regno di Dio,

in maniera da dar vita a una connessione sistematica completa. In questo modo il pensiero intorno alla storia universale entra però in uno stadio superiore. La sua carenza consiste però nel fatto che questa teoria è fondata su una metafisica religiosa, e include in sé i sistemi di cultura di entrambe le organizzazioni. Un ulteriore stato di aggregazione del pensiero storico nasce quando vengono gradualmente sviluppate: a) la teoria delle costituzioni e del rapporto interno tra costituzione e potenza dell’organizzazione (Machiavelli e Guicciardini); b) lo studio delle connessioni di scopo (che comporta una crescente differenziazione tra di esse e il sistema naturale), mentre la cultura viene concepita dapprima come il fiorire delle arti e della letteratura, poi come la direzione dello sviluppo religioso, infine come progresso delle scienze e come solidarietà; c) lo svolgimento delle nazioni intese come portatrici della storia e le loro relazioni reciproche (ad opera della scuola storica). Lo stato più elevato di aggregazione del pensiero storico poggia ora sulla comprensione della relazione reciproca di questi elementi separati analiticamente e sviluppati sul piano teoretico. La connessione produttiva che sorge nella coesistenza e nella successione dell’accadere umano non costituisce la storia universale. Facciamo un esempio: in questa connessione produttiva non si dovrebbe tralasciare il numero e la bravura dei figli di Lutero o di Schiller, e se si applica il concetto di valore alla vita di entrambi, allora questi fatti dovrebbero essere riconosciuti come dotati di un valore rilevante. 4. Appendice sulla storia della storiografia. Inserire nei singoli passi quanto segue: 1) Il punto di partenza dell’idea di progresso sta nell’Erlebnis storico del progresso delle scienze e del dominio sulla natura. Questo Erlebnis dovette sorgere dapprima all’epoca delle scoperte geografiche. Il rapporto con l’antichità venne capovolto d’un colpo: si procede al di là di essa. Tutto il sapere di quei giorni appare opera di nani; le forme fanno posto alle leggi, le leggi ecc.35. In Bacone questo Erlebnis storico è stato elevato a coscienza filosofica. Ai suoi occhi gli antichi, considerati storicamente, sembrano costituire la giovinezza fanciullesca dell’umanità; mentre i suoi contemporanei sono i veri antichi che hanno ampliato le esperienze, eliminato i pregiudizi e tradotto la generalizzazione in legge. Suo effetto nei diversi paesi: Leibniz. In quale misura tutto questo appare recepito nel sentimento della vita

dell’epoca? e in quale misura viene a mutare la coscienza storica? Non vi è alcun ponte. Si realizza la rottura del rapporto con il passato. Descartes dice: «qui sta la mia biblioteca!». 2) Un ulteriore Erlebnis storico del progresso è dato dal rischiaramento in ambito religioso. Non si è fatta qui soltanto l’esperienza negativa della dissoluzione dell’antica fede, ma si è affermato al tempo stesso, in maniera positiva, un nuovo contenuto della fede: uno sviluppo del Cristianesimo. Leibniz è il primo pensatore in cui si è compiuto questo ampliamento della coscienza storica. Il documento di esso è la sua introduzione alla teodicea36; ma altre testimonianze si trovano nella corrispondenza con Bossuet37 e i dotti cattolici. Egli dichiara insufficiente qualsiasi richiamo alla Bibbia o anche alla confessione cattolica. A ciò corrisponde — come ho mostrato — la dissoluzione del dogma della giustificazione: Lessing. In Leibniz al progresso nel sistema culturale della conoscenza della natura si affianca quindi il progresso nel sistema della religiosità. È impossibile guardare all’anima di Leibniz: egli non ha mai avuto rapporti con la sua profondità. Egli viveva nell’oggettività del mondo, considerato nella sua molteplice legalità. Egli avrebbe difeso come una semplice possibilità i suoi tentativi di giustificare i dogmi. Ciò che egli viveva religiosamente entro di sé, era collegato con l’Illuminismo — era qualcosa di nuovo. Qui stava però il limite di quell’epoca. Uno spirito libero, il quale aveva a che fare con i minuscoli stati di Hannover e del Brandenburgo, non poteva scorgere in essi, a confronto dell’antichità, avendo davanti agli occhi l’impero mondiale di Roma, uno stadio superiore di sviluppo. Nel sentimento della vita di Leibniz si manifesta ripetutamente in espressioni accidentali, come in un sistema, la convinzione che vita vuol dire essere attivi, progredire, e che la felicità è il sentimento di questo progredire. Già Hobbes, che egli aveva studiato così a fondo, ha enunciato lo stesso principio. Esso agiva sempre in lui insieme con la grande coscienza del mondo nella sua molteplice legalità: Leibniz trovava la sua esistenza nel loro legame. Così la coscienza di se stesso coincideva con la coscienza del progresso e dello sviluppo. Ma il mondo stesso, questo insieme di monadi che si sviluppano, rimaneva per lui, secondo la metafisica del tempo, qualcosa di sottratto, in virtù di una connessione legale, al corso del tempo. 3) Due avvenimenti hanno tolto di mezzo i limiti che erano di impedimento al concetto di un sviluppo onnicomprensivo, che stava per così dire da lungo tempo davanti alle porte della coscienza storica: la lotta per

l’indipendenza nord-americana e, due decenni dopo, la Rivoluzione francese. Si è così compiuto un progresso rispetto a tutto il passato in un nuovo ambito dello spirito, il più importante, quello della realizzazione delle idee nell’economia, nel diritto e nello stato. L’umanità era pervenuta alla coscienza delle sue forze interne. Il diritto naturale fu realizzato nell’America settentrionale, e tutto l’insieme delle idee moderne nella Rivoluzione francese. Veniva così in luce che il movimento che procede dalle idee superiori alle forme maggiori della vita non ha alcun limite. Schlözer con il suo disprezzo verso i minuscoli stati greci ecc.38 18. Natura del sistema: finalità del libro I. Il rapporto tra scienze della natura e scienze dello spirito. Considerando ora insieme queste determinazioni delle scienze dello spirito, risulta alla fine chiaramente la differenza fondamentale tra scienze della natura e scienze dello spirito per quanto riguarda il loro metodo, la loro forza e i loro limiti. Le scienze della natura consistono in asserzioni accertate con esattezza, tra le quali c’è un rapporto d’integrazione rispetto alla totalità del mondo fisico. Il progresso che si compie tra le proposizioni risiede qui o nell’estensione dell’ambito di questo mondo o nell’universalità della sua conoscenza; non consiste però mai nella correzione del fondamento delle verità prima acquisite da parte di verità successive. Le prime verità sono piuttosto ipotetiche al minimo grado in quanto costituiscono le espressioni più approssimate di un certo fatto; quanto più cresce l’universalità, tanto maggiore è in esso l’elemento ipotetico. Si tratta sempre di proposizioni che esprimono uno stato di cose. Il loro fondamento, che precede la scienza stessa della natura, è costituito dalle immagini che si presentano ai sensi e che, in quanto tali, sono chiare e distinte, e dalla costruzione, comprovabile logicamente, delle rappresentazioni generali in base ad esse. L’espressione della rappresentazione generale nel pensiero è l’oggetto. A questo punto si può vedere quanto la rappresentazione generale e l’oggetto del pensiero siano prossimi tra loro. Lo scienziato naturale assume la realtà dell’oggetto, quale gli è dato nella resistenza ecc., senza bisogno di provarla. Quando si innalza a coscienza critica, egli designa l’oggetto in riferimento alla sua presenza sensibile come fenomeno, e ogni derivazione da questo mantiene sempre un carattere fenomenico. Così il compito naturale dello scienziato non è tanto l’apprendimento di leggi, ma è piuttosto: 1) quello di enunciare uno stato di fatto delimitandolo in qualche modo, per esempio l’orbita di Marte; 2) ma proprio questo compito

conduce a cercarne la soluzione attraverso l’analisi, cogliendo la legalità di ciò che è omogeneo; 3) e infine a ricavarne una sintesi. Le scienze dello spirito, al contrario ecc.39 2. La posizione dello studio delle scienze dello spirito e della loro teoria nei confronti dei problemi del presente. Noi non perveniamo alla vita attraverso il sistema, ma partiamo dall’analisi della vita. Questo problema ha come propria realtà l’intera estensione del mondo storico-sociale in tutta l’intensità del sapere antropologico. Questo problema si presenta a fianco della conoscenza delle scienze della natura. Il rapporto tra scienze della natura e scienze dello spirito non è né un rapporto tra realtà diverse né un rapporto tra metodi diversi. Da entrambi i gruppi di discipline, presi insieme, nasce la questione filosofica del comportamento di vita realizzabile che può derivare dalla verità della vita così concepita. La risposta dipende dal considerare insieme le scienze della natura e le scienze dello spirito. Il mio libro non può, se vuol raggiungere un risultato per il presente, rinunciare a una considerazione del genere. Ma ciò richiede soltanto una discussione di principio, e non ha nulla a che fare con un sistema. Ogni sistema presuppone la completezza e l’oggettività della logica e della teoria della conoscenza. Rimane perciò soltanto, come in Leibniz, un procedimento combinatorio: ma allora il sistema è un’ipotesi. Tutti i sistemi più recenti forniscono soltanto la prova conclusiva del fatto che un pensatore ha realizzato, sollevandosi al di sopra di ciò che è immediatamente vissuto, una buona completezza di occupazioni. Ma essi non agiscono più sulla vita. SECONDO PROGETTO DI CONTINUAZIONE I. Il problema della storia 1. L’uomo storico. a) Il significato delle scienze dello spirito e della loro teoria può consistere anzitutto solamente nel fatto che esse ci aiutano in ciò che noi dobbiamo fare nel mondo, in ciò che possiamo fare di noi, in ciò che possiamo cominciare a fare con il mondo e questo con noi. La risposta a tali questioni presuppone che la scienza della natura crei con le sue categorie un mondo e la scienza dello spirito un altro mondo. Ma lo spirito non può permanere nella loro dualità. I sistemi filosofici cercano di

superarla, ma invano! Ciò dipende dal fatto che a partire da Descartes essi costruiscono la natura e in base ad essa determinano l’essenza dello spirito. Questo può allora costituire per essi soltanto una connessione di funzioni o una connessione di parti in base a leggi. In entrambi i casi si presenta una falsa separazione tra contenuto e forma dello spirito. I contenuti sono l’elemento accidentale che è penetrato da esso. Ma lo spirito è un essere storico, cioè è riempito del ricordo dell’intero genere umano che vive in esso in forme abbreviate, e può esserne riempito perché appunto ha potuto produrlo da sé. Oppure prendiamo le mosse da noi, dopo Kant da un io ecc. E anche qui non perveniamo all’uomo come essere storico, che possiede appunto un contenuto. Questi sistemi non ci sono di alcuna utilità. Ciò di cui abbiamo bisogno è di cogliere in noi la relazione interna di questi due mondi. Quando passiamo attraverso le mutevoli visioni del mondo, ci sentiamo subito come natura, oscuri, pieni di istinti, legati alla terra, e così via. Il problema della storia è pertanto il seguente: come può la comprensione cogliere i fenomeni storici? come può l’intelligenza impossessarsi in questo ambito dei suoi oggetti? Il rapporto è completamente diverso di quello che si trova nella conoscenza della natura: la consapevolezza. Le grandi formazioni storiche dello spirito sono presenti in noi come se fossero piccoli spiriti… b) Com’è possibile il sapere storico? Comprensione: la trasposizione del soggetto nell’oggetto che in essa si compie non è da intendersi semplicemente come un riempimento del dato da parte dell’interiorità, mediato dalla loro affinità. Il problema fondamentale è il seguente: Come i piccoli spiriti siano forme abbreviate di contenuti… Essi si riempiono di contenuto nella storia. Qui essi sono nella loro grandezza naturale; ma il problema è più profondo. Indipendentemente dalla loro provenienza, nella vita del soggetto agiscono storicamente categorie sociali come quelle di obbligazione reciproca, di dovere, di diritto, di organizzazione. In esse sono presenti contenuti, nei quali soltanto hanno un’esistenza. Così si realizza qui l’esigenza che le forme non siano separate dai contenuti. Eliminazione di questa falsa antitesi: queste categorie, queste forme, questi concetti sono realizzati in grande nel mondo oggettuale della storia. Inizio. — Il mondo storico esiste sempre, e l’individuo non lo considera

soltanto dall’esterno, ma è intrecciato in esso; né è possibile scindere queste relazioni. Ciò che rimarrebbe sarebbe soltanto la condizione inafferrabile dalla quale si dovrebbero derivare, astratte dal corso storico, le condizioni necessarie di questo corso in tutte le età insieme con il dato: problema insolubile al pari di quello della possibilità della conoscenza prima o indipendentemente dal conoscere stesso. Noi siamo esseri storici prima di essere osservatori della storia, e soltanto perché siamo quelli diventiamo questi. Lo spirito oggettivo. — Tutte le scienze dello spirito poggiano sullo studio della storia trascorsa fino a ciò che sussiste nel presente, in quanto limite di ciò che rientra nella nostra esperienza relativa all’oggetto costituito dall’umanità. In esso viene abbracciato ciò che può venir immediatamente vissuto, compreso e tratto fuori dal passato nella coscienza. In tutto questo noi cerchiamo l’uomo, e anche la psicologia è soltanto una ricerca dell’uomo in ciò che viene immediatamente vissuto e compreso, nelle espressioni e nelle azioni che ne derivano. Perciò ho indicato come compito fondamentale di ogni riflessione sulle scienze dello spirito quello di una critica della ragione storica. Occorre che la ragione storica risolva il compito che non è ancora rientrato nell’orizzonte della critica della ragione di Kant, il cui problema egli ha determinato anzitutto in riferimento ad Aristotele: la conoscenza si compie per lui nel giudizio… Noi dobbiamo uscire dall’aria pura e raffinata della critica della ragione kantiana per adeguarci alla natura del tutto differente degli oggetti storici. Qui si presentano le questioni seguenti: io ho un’esperienza vissuta delle mie situazioni e sono intessuto nelle azioni reciproche della società come un punto d’incrocio dei suoi diversi sistemi. Questi sono sorti dalla stessa natura umana che vivo in me e che comprendo negli altri. La lingua in cui penso è sorta nel tempo, i miei concetti si sono formati in esso: io sono, fino alla profondità non più penetrabile del mio io, un essere storico. In tal modo si presenta il primo importante elemento per la soluzione del problema conoscitivo della storia: la prima condizione di possibilità della scienza storica risiede nel fatto che io stesso sono un essere storico, e che colui che indaga la storia è il medesimo che fa la storia. I giudizi sintetici universalmente validi della storia sono così possibili. Ma i principi della scienza storica non possono essere formulati in principi astratti che esprimano equivalenze, poiché, in conformità alla natura del loro oggetto, devono poggiare su rapporti fondati nell’Erleben. Nell’Erleben vi è la totalità del nostro essere, che riproduciamo nella

comprensione. Qui è dato in primo luogo il principio dell’affinità reciproca tra gli individui. 2. Il concetto storico. L’uomo si conosce soltanto nella storia, mai mediante l’introspezione. In fondo noi tutti lo cerchiamo nella storia. Oppure noi andiamo oltre, e in essa cerchiamo anche l’elemento umano quale si manifesta nella religione, ecc. Noi vogliamo sapere che cosa esso sia. Se vi fosse una scienza dell’uomo, questa sarebbe l’antropologia, che vuole comprendere la totalità degli Erlebnisse in base alla loro connessione strutturale. L’uomo singolo realizza sempre una sola possibilità del suo sviluppo, che poteva sempre assumere un’altra direzione in base all’orientamento della sua volontà. L’uomo in generale esiste per noi solo sotto la condizione di certe possibilità realizzate. Anche nei sistemi di cultura noi cerchiamo una struttura determinata antropologicamente, nella quale si realizza un x; noi lo chiamiamo essenza, ma questa è soltanto una parola per indicare un procedimento spirituale che costituisce una connessione concettuale in questo ambito. Anche qui non vengono esaurite le possibilità in questo ambito. L’orizzonte si allarga. Anzi, anche quando lo storico ha dinanzi a sé un materiale limitato, mille fili lo conducono sempre più oltre nel dominio sconfinato di tutti i ricordi del genere umano. La storiografia comincia in quanto, muovendo all’indietro dal presente e dal proprio stato, si rappresenta ciò che ancora quasi vive nel ricordo della generazione presente; ciò costituisce un ricordo ancora in senso proprio. Oppure degli annali registrano, procedendo negli anni, ciò che è appunto accaduto. Col procedere della storia lo sguardo si allarga al di là del proprio stato, e una parte sempre più vasta del passato rientra in questo regno dei morti della memoria. Di tutto ciò è rimasta l’espressione dopo che la vita stessa è trascorsa, sia sotto forma di espressione diretta, con la quale certe anime hanno manifestato ciò che erano, sia sotto forma di narrazioni relative ad azioni e a situazioni di individui, di comunità e di stati E lo storico se ne sta in mezzo a tutto questo ammasso di resti di cose passate, di manifestazioni di anime in fatti, parole, suoni, immagini — di anime che da tempo non sono più. Come deve egli evocarle? Tutto il suo lavoro diretto a tal fine consiste nell’interpretazione dei resti conservati. Si pensi a un uomo che non abbia alcuna memoria del proprio passato, ma che pensi o agisca soltanto in base a ciò che questo passato ha prodotto in lui, senza esser consapevole di alcuna sua parte: questa sarebbe anche la situazione delle nazioni, delle comunità, dell’umanità stessa se non si riuscisse

a integrare i resti, a interpretare le espressioni, a riportare la narrazione dei fatti dal loro isolamento alla connessione in cui sono sorti. Tutto questo è interpretazione, ossia un’arte ermeneutica. Il problema è ora di stabilire quale forma questa assuma quando è completamente staccata dall’esistenza individuale, quando si devono formulare asserzioni su soggetti che costituiscono in qualche senso connessioni di persone, cioè sistemi di cultura, nazioni o stati. Anzitutto occorre un metodo per ritrovare, laddove non è data una delimitazione che si fonda sull’unità di vita personale, delimitazioni rigorose in questa sconfinata azione reciproca di esistenze individuali. È come se si dovessero tracciare linee e disegnare figure che rimangono ferme nella corrente continua di un fiume. Tra questa realtà e l’intelletto non sembra possibile alcun rapporto di apprendimento, poiché il concetto separa ciò che è legato nel fluire della vita; esso rappresenta qualcosa che vale indipendentemente dalla mente che lo ha formulato, e quindi universalmente e per sempre. Il fluire della vita è però ovunque soltanto singolare, e ogni sua onda sorge e scompare. Questa difficoltà costituisce, dopo che Hegel ha per la prima volta contrapposto la conoscenza intellettuale, che era caratteristica dell’Illuminismo, all’essenza del mondo storico dell’uomo, il problema peculiare del metodo storico. Ma questo problema è risolubile: non abbiamo bisogno di rifugiarci nell’intuizione e di rinunciare ai concetti, ma dobbiamo invece rielaborare i concetti storici e psicologici. È stata un’intuizione geniale di Fichte aver formulato concetti del genere per la vita psichica, e in generale per lo spirito, mettendo l’energia al posto della sostanza, e ponendo le attività dello spirito in relazione con quelle precedenti e in antitesi con quelle contemporanee, in modo che venga a delinearsi un progredire che diventa possibile in virtù del tempo, dell’energia che in questo opera e dell’unità che si differenzia. Ma la sua impresa è stata soltanto quella di offrire questo schema di dinamica psichica, mentre la sua realizzazione si richiamava a concetti kantiani anziché alla realtà. Herbart40 e Hegel non sono pervenuti all’aria aperta del mondo storico reale. Tuttavia ciò è stato l’inizio di una rivoluzione di tutto il pensiero relativo al mondo storico, in una connessione interna che scaturisce nella maniera più chiara nel Romanticismo, prima con Niebuhr e poi con Hegel e con Ranke — in breve, con la nascita della storiografia moderna. Noi possiamo liberarci dalla confusione concettuale, con cui quest’antitesi tra la realtà storica e la conoscenza intellettuale mediante concetti fondati sul principio di identità riempiva quell’epoca, tenendo

presente la natura stessa dei concetti storici. Il loro carattere logico è l’indipendenza dell’asserzione dal soggetto in cui si presentano come dal momento in cui essa ha avuto luogo: in tal modo la loro validità è indipendente dal luogo e dal tempo in senso psicologico. Il loro contenuto è invece l’accadere, un corso di qualsiasi specie; l’asserzione è indipendente dal tempo, ma ciò che viene espresso è un processo che si svolge nel tempo. Mi spingo oltre: non tutti i concetti storici risultano correttamente formulati da questo punto di vista; soltanto nella misura in cui lo sono, possono occupare un posto nell’apprendimento del mondo storico. Al tempo stesso, però, i concetti esistenti devono spesso venir rielaborati in modo tale che in essi possa essere espresso ciò che è mutevole, ciò che è dinamico. In fondo il problema è simile a quello della matematica superiore, che cerca di dominare i mutamenti della natura. Ogni parte della storia, ad esempio un’età, non può venir colta mediante concetti che esprimano qualcosa di stabile in essa, cioè in un sistema di relazioni tra qualità definite, quali sarebbero state per l’età illuministica l’autonomia nello stato o il rischiaramento nel mondo spirituale. In tal modo non si coglie in primo luogo la natura distintiva del tempo, ma si tratta piuttosto di un sistema di relazioni le cui parti sono dinamiche, e quindi mostrano continui mutamenti qualitativi nell’azione reciproca. Infatti le relazioni medesime, poggiando sull’azione reciproca tra forze, sono mutevoli, cioè ognuna di esse racchiude in sé una regola di mutamento. Se applico tutto questo al periodo dell’Illuminismo, ne risulta che l’ordine sociale che era esistito fino al termine del secolo XVI e all’inizio del XVII diventa impossibile poiché i contrasti tra gli interessi particolari della nobiltà, dei ceti e del governo, nonché quelli tra gli interessi delle province tra di loro e in rapporto all’insieme, non consentivano in Germania il sorgere di una volontà statale unitaria, di una cura comune per la totalità e di un continuo perseguimento dello scopo statale. Diverse sono invece le epoche nelle quali si manifesta in Inghilterra, in Francia e in Italia, la medesima insufficienza dell’esistenza politica. Essa diventava insopportabile verso l’esterno, poiché l’aspirazione alla potenza in questi stati in concorrenza tra di loro si manifestava assai diversamente che in qualsiasi epoca precedente. Essi erano sorti l’uno accanto all’altro; l’eredità e la guerra avevano prevalentemente condizionato la loro forma. Né essi erano legati tra di loro da una letteratura unitaria e da una lingua comune sviluppatasi entro di questa. Una letteratura, e una lingua, del genere la creò per la prima volta Dante per quanto riguarda gli Italiani. In tal modo sorse l’aspirazione all’unità

nazionale, ma essa non trovò alcuna possibilità di soddisfacimento, data la situazione delle forze, nella politica contrastante dei tiranni e delle repubbliche. Le cose sono andate altrimenti dapprima in Inghilterra, dove c’era una letteratura unitaria, e poi in Francia. In Germania l’elemento decisivo è stata la terribile pressione che grandi stati quali la monarchia universale spagnola e la potenza francese hanno esercitato su un paese che è stato in tal modo costretto a cercare la sua unità nazionale. Sorge ora la questione del modo in cui una connessione che non è prodotta in quanto tale da una mente, che non è immediatamente vissuta né può essere ricondotta all’Erlebnis di una persona, può formarsi nello storico in base alle sue espressioni e alle asserzioni relative ad esse. Ciò presuppone la possibilità di formare soggetti logici che non siano soggetti psicologici. Devono quindi esserci strumenti per delimitarli e un fondamento di legittimità per concepirli come unità o come una connessione. Noi cerchiamo l’anima: questo è l’ultimo punto a cui siamo pervenuti dopo un lungo sviluppo della storiografia. E qui sorge il grosso problema: certamente tutto è azione reciproca tra unità psichiche, ma per quale via noi troviamo un’anima dove non c’è anima individuale? Il fondamento più profondo è la vita e ciò che da essa procede, il raggiungimento della vitalità e, per così dire, la melodia della vita psichica nel suo sciogliersi da ogni regola rigida. Nel secolo XVIII si compie un trapasso anzitutto dalla vita dell’anima alla psicologia. 2. Le nazioni. 1. La storia nazionale. Il soggetto che vive immediatamente l’unità, il significato dei processi esterni — come qualcosa di significativo, di fornito di valore in rapporto a un elemento interno — o lo scopo, non esiste qui allo stesso modo che nell’individuo; e nel medesimo tempo non è lo stesso soggetto che ha esperienza vissuta e che apprende: anche quando ne fa parte, l’individuo sta invece di fronte al popolo come uno spettatore. Pertanto la comprensione conseguita per mezzo delle categorie che sono proprie all’individuo è differente. La questione di come si debba definire il soggetto “popolo” o “nazione” in quanto realtà — una questione del tutto diversa da quella relativa al modo in cui il soggetto è vissuto — può essere chiarita soltanto tenendo presente che i concetti stessi e la loro delimitazione sono storicamente relativi. L’unità del

soggetto “popolo” varia completamente in base agli elementi che lo costituiscono. Quando si è compiuta l’unità tedesca, che è stata poi attuata politicamente sotto Ludovico?41 Nel Medioevo l’unità linguistica è soltanto relativa, a causa della diversità dei dialetti presenti nelle varie stirpi. Per nazione s’intende un saldo legame economico, sociale, politico tra le sue varie parti. Ma questa è appunto la relazione tra l’unità del soggetto, che poggia su elementi reali, con la coscienza dell’appartenenza comune, con la coscienza nazionale, con il sentimento nazionale, su cui riposa alla fine l’unità del soggetto. Questa coscienza di un’appartenenza comune è condizionata dai medesimi elementi che si fanno valere da sé nella coscienza dell’individuo. Gli Erlebnisse vengono sentiti come se riguardassero tutti: ciò vale anche all’interno di una connessione di scopo, per esempio di un’organizzazione religiosa. Ma questo sentimento comune si trova soltanto in una determinata classe di Erlebnisse. In una nazione tutti i tipi di Erlebnisse comuni stanno in un rapporto consapevole con la comunità nazionale. E questa comunità si riferisce a tutti gli aspetti della vita degli individui che ne fanno parte. Ne deriva che ogni forte Erlebnis è vissuto come un mutamento di valore della comunità. La stessa coscienza di un’appartenenza comune si fa valere però anche nel fatto che vengono appresi scopi i quali appartengono a questa connessione nazionale. Tutti questi individui, che perseguono i loro propri scopi, ognuno per sé, spesso in concorrenza tra di loro, oppure perseguono gli scopi della famiglia o di altri gruppi, hanno al tempo stesso un ambito di scopi comuni nella connessione nazionale. In questo ambito essi agiscono come un singolo soggetto. Essi realizzano, nella coscienza dell’appartenenza comune, lo scopo che loro prescrive la connessione nazionale. Anzi, in questa totalità si forma la coscienza di un bene che è attualmente per essa il bene supremo. Ciò accade sotto l’influenza di una disposizione d’animo complessiva o sotto la guida di un grande uomo, come all’epoca di Lutero o di Bismarck. Allora l’appartenenza comune viene sentita nella posizione di scopi comuni; e i processi esterni, i destini e le azioni vengono misurati in base allo scopo che costituisce l’elemento interno della vita della nazione. Dato che nessuna nazione pensa alla propria morte, i progetti e gli scopi hanno qui un posto del tutto diverso che nella vita dell’individuo. Essi hanno sempre soltanto un rapporto temporale, relativo, con l’interiorità della nazione. Questa è capace di possibilità illimitate.

Così anche ogni sua configurazione è transitoria. E sempre è davanti alla porta l’integrazione di un determinato orientamento formativo con l’antitesi che deriva dalla coscienza dell’insoddisfazione. Così qui anche il concetto di sviluppo acquista un senso molto più ampio, ma più indeterminato. Le uniformità che l’antropologia collega alla relazione tra passione, illusione, ragione o idea o dominio su se stessi, svaniscono qui completamente. Ogni generazione dimentica le esperienze di quelle precedenti. Questi fatti bastano tuttavia per trarne una conseguenza decisiva. I filosofi si pongono il problema se il fine di ogni singolo uomo non risieda in lui stesso, se il valore della vita non si realizzi sempre soltanto nell’esistenza individuale. In questa impostazione si ha un superamento di ogni esperienza, il trapasso a una vuota metafisica della storia; e il mio rifiuto della filosofia della storia vuol dire appunto che né questa affermazione né quella, ad essa contrapposta, di un fine di sviluppo determinabile delle nazioni o dell’umanità ha valore scientifico. La realtà sono gli Erlebnisse comuni di una nazione, gli scopi e i ricordi comuni. Essi costituiscono una posizione di scopi da parte degli individui ecc., nei quali questi sono determinati da un’appartenenza comune. È una semplice ovvietà che tutto questo avvenga nei singoli individui. E altrettanto ovvio è che il soddisfacimento per lo scopo realizzato, la coscienza della comunanza dell’Erlebnis, il fatto di esserne sostenuti, l’essere pieni di ricordi comuni può aver luogo soltanto negli individui. Ma da ciò non discende che quanto avviene negli individui sussista soltanto per il loro soddisfacimento. Il fatto è piuttosto che l’individuo vuole gli scopi nazionali come se fossero suoi, ha esperienza degli Erlebnisse nazionali come se fossero suoi, avverte i ricordi di tali Erlebnisse come se fossero suoi, è riempito e sostenuto da essi. Non si può risalire, mediante un problematico ragionamento psicologico, oltre questa realtà, che consiste appunto nella coscienza del valore, del significato, dello scopo, del bene. Come avvenga che noi troviamo il significato della vita proprio qui, come nella realizzazione di un significato il cui soggetto è il corso della nostra propria vita, non ci è dato in quanto realtà. Rientra tra i numerosi sconfinamenti della psicologia esplicativa il suo impegnarsi in tentativi privi di scopo a questo proposito. Essi si collocano nella medesima linea di quelli che, in luogo di descrivere l’Erlebnis religioso quale ce lo mostra la storia, fanno derivare dalla debolezza del proprio Erleben religioso delle ipotesi che lo riportano all’egoismo e al soddisfacimento

personale. Ma analoghi sconfinamenti, anch’essi da respingere, si hanno quando si formano ipotesi positive in merito a una relazione della coscienza personale con un’unità reale che si innalza al di sopra di essa, sia che questa unità venga determinata mediante la psicologia dei popoli oppure su base trascendente. Queste ipotesi sono altrettanto inammissibili di quelle che asseriscono un agire reale della divinità nella coscienza individuale. L’inferenza dalla constatazione dei fatti della coscienza di un’appartenenza comune e della validità universale del pensiero e del dover essere a un soggetto sovra-empirico, che si manifesterebbe nella coscienza individuale, segna il punto di svolta della speculazione kantiana verso un metodo costruttivo trascendentale. Questo metodo pone alla base dei fatti della connessione, dell’appartenenza comune, della scambiabilità di posto dei concetti, di un legame vincolante, una connessione reale che dovrebbe spiegare tali condizioni. La creazione di questo metodo trascendentale è la morte della storia, poiché esclude appunto lo sforzo di penetrare con concetti storici fecondi nelle realtà date. Parimenti da respingere è lo sconfinamento che pone a base delle appartenenze comuni di carattere storico dei soggetti reali in un senso qualsiasi, in luogo di assumerli, in quanto soggetti logici, come portatori di asserzioni differenti da quelle della psicologia individuale. Herbart, che per primo ha concepito l’idea della ricerca di rapporti legali nelle comunità, diversi da quelli presenti nell’anima individuale, era ben lontano da un’assunzione siffatta. 2. La connessione dello spirito tedesco42. 1) Sotto il profilo politico: connessione con il Medioevo da parte di Lutero. L’ufficio, l’articolazione professionale nella città e nella campagna… Affinità con Federico il Grande. Antitesi rispetto alla Francia e all’Italia: il concetto romano del potere; la polis e i cittadini come corpo sovrano. 2) Proprio nella Germania protestante si forma così la coscienza dell’ufficio, dell’obbligo, di un compito oggettivo. Ogni impiegato di un’impresa industriale, fino all’impiegato delle ferrovie, è sostenuto da un determinato dovere d’ufficio. Origine di una tale compagine amministrativa: anche le città si subordinano ad essa. In ciò consiste la potenza propria dello spirito tedesco: anche qui Lutero è portatore della tradizione. Antitesi: le corporazioni dei comuni, dei parlamenti come organi autonomi, gli appaltatori di imposte con il loro ceto di funzionari, ma tutto sotto il concetto del potere regio.

3) L’arte che nasce dalla forza e non dalla bellezza, le forme legate e in sé concluse, la musica che scaturisce dalla profondità, il pensiero che muove dalla totalità. Antitesi: lo spirito razionale francese. Esso trova un’espressione brillante nel secolo XV, mentre in Germania la filosofia della vita borghese non riesce ad esprimersi. Le grandi controcorrenti che si avvicinano maggiormente allo spirito tedesco, come nel Giansenismo. 4) Da Lutero e da Zwingli43 una linea conduce all’espressione della personalità unitaria (Diderot44 ne rappresenta il tipo francese), la costruzione della nostra vita spirituale dal Luteranesimo fino ad oggi, in uno sviluppo unitario. 3. Le epoche. Il problema è ora di stabilire quale sia l’ordine delle categorie mediante le quali diventa possibile la conoscenza di una grande connessione storica, ossia quali concetti si conformano al nuovo oggetto, in quale misura servono anche qui di guida i concetti di valore, significato, scopo ecc. che sono stati ottenuti in rapporto agli individui, e infine come si può realizzare in questo ambito più esteso di giudizi, che non hanno più come oggetti le persone singole, un avvicinamento alla conoscenza oggettiva. 1) I nuovi soggetti di asserzioni. Essi esprimono una realtà: metodo per la loro delimitazione, ora in base alle scienze dello spirito. Altre classi di soggetti: movimenti, epoche. 2) Concetto di struttura: la struttura di un’epoca storica. Esempio: i Germani prima delle migrazioni dei popoli. Cerco un accesso nel composito fenomeno dell’Illuminismo tedesco… Nessun’epoca è così semplice da cogliere. Il metodo è sempre quello di formare concetti che rappresentino l’essenza ad essa propria. La serie dei fatti deve rientrare sotto ognuno di questi concetti, e nessuno deve contrapporsi ad essi. Quando essi abbracciano la totalità dell’epoca, li chiamiamo categorie storiche. Esse stanno con l’ambito ristretto di questa epoca nello stesso rapporto in cui le categorie generali della vita stanno, ovunque e sempre, con questa. Esse costituiscono una connessione che esprime la connessione della vita stessa. Esse sorgono mediante l’intuizione. Uno dei problemi più profondi consiste nella relazione in cui le disposizioni d’animo si condizionano e si completano all’interno di una nazione. Così è avvenuto nel secolo XVI per il realismo, la satira, il grottesco, la forza della fantasia; e nel secolo XVII per il realismo, il sentimento tragico

della vita, la critica e la satira. 4. Il progresso. Quando si parla di storia, il presupposto della comprensione storica sta nel fatto che vi sia un significato dei momenti storici e un senso del corso storico. Secondo questo presupposto, anche se lo scopo della sua esistenza risiede nell’individuo stesso, nella storia dovrebbe tuttavia esserci nel medesimo tempo un progredire della felicità individuale e dell’estendersi della felicità a molti. Questa è insomma la concezione dei moderni storici inglesi. Ma tale concezione va al di là di se stessa. Anche se qui l’accrescimento della vita individuale di generazione in generazione è concepito come un’azione quasi meccanica di accumulazione di valori, viene presupposto un modo di azione nella cui natura è insito un accrescimento. Proprio in questa maniera agisce nella storia un rapporto in virtù del quale il suo corso ha un senso; infatti questo termine designa soltanto il presupposto in base al quale il corso storico può essere compreso, ma non comporta un’affermazione qualsiasi su qualche forza distinguibile dal modo di agire stesso, la quale possa conferire alle varie parti del corso il loro significato come se fosse un’essenza immanente a questo corso. In ciò risiede soltanto la condizione sotto cui la storia può venir compresa; il suo prodotto e il suo risultato è la storia universale. Ma anche qui non c’è alcun presupposto ulteriore su un qualche agente unitario nella storia, sia esso un agente immanente oppure una condizione reale, che possa essere sviluppato nella filosofia della storia come provvidenza o come scopo immanente o come forza di formazione storica. 5. La connessione storica universale 1. La via dalla fatticità all’ideale, in cui l’accadere acquista una connessione. Le epoche sono differenti l’una dall’altra nella loro struttura. Ad esempio, il Medioevo contiene una connessione di idee affini che dominano nei suoi vari campi, quali le idee di fedeltà nel feudalesimo, la successione di Cristo come principio di obbedienza, il cui contenuto è costituito dalla trascendenza dello spirito rispetto alla natura in virtù dell’abnegazione, la successione teleologica di gradi nella scienza. Ma si deve riconoscere che lo sfondo di queste idee è la violenza, la quale non può essere superata da questo mondo superiorità. E le cose stanno ovunque così. La fatticità della razza, dello spazio e dei rapporti di potere costituisce ovunque la base che non può mai essere

spiritualizzata. È stato un sogno di Hegel credere che le epoche siano un grado dello sviluppo della ragione: rappresentare un’età implica sempre un chiaro sguardo su questa fatticità. Ma c’è tuttavia una connessione interna, la quale conduce dai rapporti condizionanti, dalla fatticità, dalla lotta dei poteri allo sviluppo di ideali. 1) Ogni situazione data in questa serie infinita produce un mutamento, poiché i bisogni che trasformano le energie esistenti in attività non possono mai venir soddisfatti, e la fame di ogni specie di soddisfacimento non può mai venir saziata. 2) Ogni forma della vita storica è finita, e contiene perciò un insieme di forza gioiosa e di pressione, di estensione dell’esistenza e di ristrettezza della vita, di soddisfazione e di penuria, che provoca parimenti tensioni di forza e una nuova distribuzione; di qui derivano di continuo altre azioni. Insomma, soltanto in pochi punti della vita storica c’è un temporaneo stato di quiete, le cui cause sono diverse — equilibrio, forze opposte ecc. La storia è movimento. 3) Anche nello stesso procedere c’è però una felicità, poiché in esso si risolve la tensione e si realizza l’ideale. Tra la morta necessità di fatto e la più alta vita spirituale sta il continuo sviluppo dell’organizzazione, dell’istituzione, dell’impiego regolato della forza. L’intelletto crea, per così dire, meccanismi che servono al soddisfacimento dei bisogni, perfezionandoli di continuo. Lo scopo che l’intelletto pone produce questi meccanismi: essi possono essere tanto ferrovie quanto armate, tanto fabbriche quanto miglioramenti costituzionali. Essi costituiscono l’ambito proprio dell’intelletto, il quale cerca mezzi per certi scopi e calcola gli effetti come le cause. Qui si mostra una combinazione che rivela propriamente l’essenza della storia. Il suo fondamento è la fatticità irrazionale, da cui derivano da un lato il diffondersi della tensione fino ai meccanismi e dall’altro la differenziazione in nazioni, in costumi, in forme di pensiero, fino all’elemento individuale su cui poggia poi la vera e propria storia spirituale. 2. Realtà, valori, cultura. Gli avvenimenti diventano significativi nella misura in cui vengono riferiti a una connessione per la quale essi lo sono. Se formo un concetto di connessione di valore che, in quanto sovra-individuale, è fondato su base trascendentale — poiché trascendentale è ogni determinazione che ha la sua base nel sovra-individuale — allora sorge la questione se sia possibile un tale

procedimento, anche se si intendessero soltanto punti di riferimento formali di carattere incondizionato per ciò che è empirico. Ma se si lascia da parte la fondazione mediante la filosofia trascendentale, non c’è più alcun metodo per stabilire norme, valori o scopi incondizionati: ve ne sono soltanto di quelli che avanzano la pretesa a una validità incondizionata, ma che, per la loro origine, sono inficiati dalla relatività. Noi attribuiamo invece di fatto un significato a qualsiasi connessione di tipo reale o ideale, in rapporto alla quale un uomo o un avvenimento acquista questo carattere. Quando prendo un posto nella connessione produttiva in quanto tale, come fa Meyer, e lo valuto in conformità al presente, dovrei però avere prima un criterio che serva a determinare ciò che è significativo nel presente, perché altrimenti sarebbe significativo tutto ciò che ha agito causalmente sull’infinita serie delle situazioni presenti. E una cosa almeno è chiara: che io trovo significativo nel presente ciò che è fecondo per il futuro, per la mia azione in esso, per il progredire della società verso tale futuro. Qui vedo nel modo più chiaro, nella mia posizione pratica, che, se voglio regolare il futuro, io parto da giudizi universalmente valici su ciò che dev’essere realizzato. Il presente contiene non già situazioni ma processi e connessioni produttive, e questi racchiudono anche il procedere verso il futuro di qualcosa che può venir prodotto. La frase di Bismarck, secondo cui egli sarebbe stato collocato dalla sua religione e dal suo stato in una posizione nella quale il servizio di tale stato era più importante di ogni compito culturale, aveva per lui una validità universale in virtù del suo fondamento religioso. Da ciò deriva che noi dobbiamo assumere tale rapporto anche per quanto riguarda il passato. In un’età si sviluppano norme, valori, scopi universali, in rapporto ai quali dev’essere anzitutto compreso il significato delle azioni. Se questi debbano venir stabiliti soltanto in una limitazione o incondizionatamente, è una differenza ulteriore. Sembra che anche in una stessa nazione esista un antagonismo a proposito dei valori. In questa maniera si perviene in profondità al principio che lo sviluppo di tali idee si muove entro contrapposizioni (Kant, Hegel) che sono contenute, e vengono formulate, nel corso della formazione delle istituzioni, e che la loro relazione reciproca rende sempre di nuovo possibile una posizione più ampia e più libera. Anzitutto non vi sono valori che valgano per tutte le nazioni. Nell’Impero romano si è sviluppata una concezione aristocratica dell’umanità come portatrice dell’humanitas; nel Cristianesimo l’umanità è divenuta soggetto di valore; e questa concezione si è poi trasformata nell’Illuminismo.

La storia è essa stessa la forza produttiva delle determinazioni di valore, degli ideali e degli scopi a cui viene commisurato il significato di uomini e di avvenimenti. In tale processo questo rapporto mostra un duplice orientamento, verso le epoche o verso il progresso dell’umanità. 3. Il problema del valore nella storia. Si dice che così sorga soltanto la coscienza della relatività nella storia. Senza dubbio la relatività è propria di ogni fenomeno storico per fatto che esso è finito. Ma già nella relazione del finito con l’assoluto risiede…45. In altri termini, ciò che viene espresso nelle categorie storiche appartiene soltanto al movimento storico come suo elemento? Il che vuol dire: nella storia è presente qualcosa che ha valore solamente in quanto sorge, agisce e tramonta in questa connessione? ed è possibile per caso una determinazione di valori separata da questo corso? L’ultimo problema di una critica della ragione storica in questa direzione è il seguente. Ovunque nella storia c’è formazione e selezione nella ricerca della connessione interna, ovunque c’è un progresso secondo i rapporti di finitudine, dolore, forza, antitesi, accumulazione, che lega una parte della storia con le altre, e la forza, il valore, il significato e lo scopo sono ovunque gli elementi a cui inerisce la connessione storica. Ma la connessione di cui abbiamo esperienza, il valore, il significato, lo scopo, quali essi vengono colti nell’esperienza, costituiscono l’ultima parola dello storico? La strada che imbocco è determinata dai seguenti principi: 1) il concetto di valore deriva dalla vita; 2) il criterio di ogni giudizio risiede nei concetti relativi di valore, di significato e di scopo, propri di una nazione e di un’epoca; 3) si pone perciò il compito di illustrare come questi si siano ampliati in qualcosa di assoluto; 4) ciò vuol dire, insomma, il pieno riconoscimento dell’immanenza anche dei valori e delle norme che si presentano come incondizionati nella coscienza storica. 4. Conclusione. La coscienza storica della finitudine di ogni fenomeno storico, di ogni situazione umana o sociale, la coscienza della relatività di ogni specie di fede è l’ultimo passo verso la liberazione dell’uomo. Con esso l’uomo perviene alla sovranità di strappare a ogni Erlebnis il suo contenuto e di darsi a questo completamente, come se non ci fosse alcun sistema filosofico o religioso che

possa vincolarlo. La vita si libera dalla conoscenza concettuale; lo spirito diventa sovrano rispetto a tutte le ragnatele del pensiero dogmatico. Ogni bellezza, ogni santità, ogni sacrificio, rivissuti e interpretati, dischiudono delle prospettive che rivelano una realtà. E così pure accogliamo in noi tutto ciò che c’è di malvagio, di terribile, di odioso, riconoscendo che occupa un posto nel mondo e che racchiude in sé una realtà, la quale dev’essere giustificata nella connessione del mondo: qualcosa su cui non ci si può illudere. E di fronte alla relatività si fa valere, come fatto storico essenziale, la continuità della forza creatrice. Così dall’Erleben, dalla comprensione, dalla poesia e dalla storia sorge una visione della vita, la quale esiste sempre in e con questa. La riflessione la eleva soltanto a distinzione e a chiarezza analitica. La considerazione teleologica del mondo e della vita viene riconosciuta come una metafisica che poggia su una visione unilaterale, non arbitraria ma parziale, della vita, e la dottrina di un valore oggettivo della vita come una metafisica che va al di là di ogni possibile esperienza. Ma noi abbiamo esperienza di una connessione della vita e della storia, in cui ogni parte ha un significato. Come le lettere di una parola, la vita e la storia hanno un senso; e come una particella o una coniugazione, nella vita e nella storia vi sono momenti sintattici che hanno un significato. Ogni uomo procede alla sua ricerca. In passato si è cercato di penetrare la vita partendo dal mondo; ma esiste soltanto la via che dall’interpretazione della vita conduce al mondo. E la vita esiste soltanto nell’Erleben, nella comprensione e nell’apprendimento della storia. Noi non rechiamo nella vita nessun senso del mondo. Noi siamo aperti alla possibilità che senso e significato sorgano soltanto nell’uomo e nella sua storia. Ma non nell’uomo singolo, bensì nell’uomo storico, poiché l’uomo è un essere storico.

1. Dilthey intende qui sottolineare, attraverso il riferimento costante del presente al passato e al futuro, l’impossibilità di ridurre la temporalità alla puntualità della presenza: il tempo è continuità di passato, presente e futuro, è cioè relazione strutturale tra i suoi vari momenti nella successione degli Erlebnisse. 2. Dilthey si riferisce qui all’incompiuto romanzo filosofico di NOVALIS, Die Lehrlinge zu Sais, scritto nel 1798, e ambientato nella città egiziana sul delta del Nilo, che fu per oltre un secolo (tra il VII e il VI secolo a. C.) capitale dell’Egitto: una traduzione italiana del testo, a cura di E. Lander e P. Montanari, con il titolo I discepoli di Sais, è apparsa presso Mazzotta nel 1985 (nuova trad. con testo a fronte a cura di A. Reale, Milano, Bompiani, 2001). 3. Si tratta delle Confessiones, la maggiore (insieme al De civitate Dei) tra le opere di Agostino, scritta tra il 397 e il 401, quando l’autore era ormai assurto alla cattedra episcopale di Ippona, che offre il racconto dei suoi anni giovanili fino alla conversione alla fede cristiana. 4. Redatte a partire dal 1765, quando Rousseau aveva già pubblicato le sue opere maggiori, le Confessions furono pubblicate postume nel 1782, quattro anni dopo la morte dell’autore. 5. Dilthey si riferisce qui allo scritto autobiografico dal titolo Aus meinem Leben. Dichtung und Wahrheit, composto nel 1809-14 e completato nel 1830, che offre una narrazione degli anni giovanili di Goethe fino al 1775: agli occhi dell’autore la sua vita si presenta come un tutto coerente, come una “poesia” che ne esprime la “verità” intima, il significato sottostante alla successione degli eventi. 6. Con «trasposizione» si traduce qui l’infinito sostantivato Hineinversetzen, composto da Versetzen (= trasporre o trasferire) e il prefisso hinein (= entro), con cui Dilthey vuole indicare il procedimento mediante il quale il soggetto comprendente penetra nella vita altrui, attraverso le espressioni in cui questa si è oggettivata, per riprodurne e riviverne gli stati d’animo; il sostantivo Übertragung viene invece reso, a scopo di differenziazione, con «trasferimento». Del resto la sinonimia tra Hineinversetzen (o anche Sichhineinversetzen) e Transposition è chiaramente confermata nel secondo capoverso di questo stesso paragrafo. 7. Il testo reca: dieses Hineinversetzens, dieser Transposition, che sono — come si è detto — sinonimi; un’analoga equivalenza ricorre poche righe dopo. 8. Con «vivere insieme» si traduce qui letteralmente l’infinito sostantivato Mitleben, composto dal verbo leben (= vivere) e dalla preposizione mit (= con). 9. In mancanza di un preciso equivalente italiano l’infinito sostantivato Mitfühlen, composto dal verbo fühlen (= sentire) e dalla preposizione mit (= con) viene qui reso letteralmente con «sentire insieme», mentre Einfühlung viene tradotto, secondo un uso ormai consolidato, con «empatia», ricalcato sull’inglese empathy. Il «sentire insieme» è quello del soggetto della comprensione e dell’individuo a cui la comprensione si riferisce. 10. Il riferimento è a due drammi di Shakespeare, il Richard III o il Richard II (il testo non consente di precisare quale) e la commedia As you like it — che risalgono entrambi all’ultimo decennio del Cinquecento. 11. Hans Sachs (1494-1576), poeta e autore drammatico nato a Norimberga, fu probabilmente il maggiore, e certo il più prolifico, dei «maestri cantori» tedeschi del secolo XVI; aderì alla Riforma protestante scrivendo nel 1523 un poema allegorico dal titolo Die Wittenbergisch Nachtigall, nel quale prese posizione a favore di Lutero. 12. Albrecht Dürer (1471-1528) è il maggiore pittore tedesco tra tardo Gotico e Rinascimento. Nato e formatosi a Norimberga, si perfezionò lavorando a Colmar e a Basilea, poi a Strasburgo; dopo aver fatto ritorno nel 1494 alla città natale, viaggiò a lungo nell’Italia settentrionale, venendo a contatto con la scuola di Mantegna, e più tardi anche in Olanda. Fu autore di scritti teorici sulla prospettiva e sulle proporzioni del corpo umano, nonché di un trattato sulla fortificazione.

13. Il testo tedesco reca: die Auslegung oder Interpretation, termini che sono del tutto sinonimi. 14. Il riferimento è generico; ma probabilmente Dilthey allude soprattutto al Gespräch über die Poesie, che Friedrich von Schlegel pubblicò nel 1799 sulla rivista «Athenäurn», l’organo del movimento romantico tedesco. 15. Opera di Mozart, composta e rappresentata per la prima volta nel 1787. 16. Qui e nelle frasi successive il discorso di Dilthey assume spesso un carattere ellittico, riducendosi talvolta a una serie di appunti in vista di una trattazione che non ci è offerta. 17. Anche in questo contesto Dilthey utilizza, senza alcuna distinzione, i due termini Auslegung e Interpretation. 18. Allusione a Schleiermacher, editore e traduttore — come si è detto — dei dialoghi di Platone. 19. La frase è incompleta. 20. Anche qui, come nella frase successiva, il discorso di Dilthey diventa ellittico. 21. Franz Brentano (1838-1917), ordinato sacerdote cattolico nel 1864 e poi costretto a lasciare l’abito per aver messo in questione il dogma dell’infallibilità pontificia, fu professore di filosofia a Vienna dal 1874 al 1880; nel ’96 si trasferì a Firenze, da dove — dopo essere stato internato allo scoppio della guerra — trovò infine riparo a Zurigo. Le sue opere principali sono la Psychologie vom empirischen Standpunkt (1874), Vom Ursprung sittlicher Erkenntnis (1889) e Von der Klassification der psychischen Phänomene (1911). 22. L’atteggiamento di Dilthey nei confronti di Husserl appare qui nettamente mutato rispetto al richiamo positivo che caratterizza i saggi degli anni precedenti, soprattutto le Studien zur Grundlegung der Geisteswissenschaften, scritte dopo la pubblicazione delle Logische Untersuchungen. In questo breve cenno c’è probabilmente la traccia della polemica anti-psicologistica condotta da Husserl nel saggio Die Philosophie als strenge Wissenschaft, e dello scambio di lettere seguito ad esso (cfr. il Briefwechsel Dilthey-Husserl, a cura di W. Biemel, apparso in «Man and World», I, 1968, pp. 428-46, trad. it. in appendice al volume di M. PASCHI, Dilthey: la mente e le cose, Pisa, ETS, 1988, pp. 145-55). 23. Dilthey si riferisce probabilmente al saggio Goethe und die dichterische Phantasie, raccolto in Das Erlebnis und die Dichtung, Leipzig, Teubner, 1905, pp. 159-248, trad. it. di N. Accolti Gil Vitali con il titolo Esperienza vissuta e poesia, Milano, Istituto editoriale italiano, 1947, ried. Genova, Il Melangolo, 1999, pp. 175-268. 24. In questo come nel successivo paragrafo Dilthey procede per lo più in modo ellittico, limitandosi a indicare i punti di una trattazione che il testo non offre. 25. Georg Simmel (1858-1918), sociologo e filosofo tedesco, si formò a Berlino conseguendo il dottorato nel 1881 e abilitandosi nell’84; nel 1901 vi diventò professore straordinario, pervenendo all’ordinariato soltanto nel 1914, a Strasburgo. Le sue opere principali sono Die Probleme der Geschichtsphilosophie (1892), l’Einleitung in die Moralwissenschaft (1992-93), la Philosophie des Geldes (1900), la Soziologie: Untersuchungen über die Formen der Vergesellschaftung (1908), gli Hauptprobleme der Philosophie (1910), Philosophische Kultur (1911), Der Konflikt der modernen Kultur (1918), la Lebensphilosophie (1918), Vom Wesen des historischen Verstehens (1918). 26. Dilthey si riferisce qui a Die Probleme der Geschichtsphilosophie, ma forse non alla prima edizione del 1892, bensì alla seconda o alla terza, apparse rispettivamente nel 1905 e nel 1907. 27. La frase è incompleta. 28. Il testo non offre una trattazione del tema; anche nei successivi paragrafi del “primo progetto” Dilthey si limita spesso a indicare sommariamente i punti che intendeva affrontare. 29. La frase è incompleta: si potrebbe forse integrarla con «immagini del mondo». 30. La frase è incompleta. 31. Anche questa frase è incompleta, e di difficile interpretazione.

32. La frase (e il paragrafo) s’interrompe a questo punto. 33. Eduard Meyer (1855-1930), storico tedesco, divenne nel 1885 professore di storia antica a Breslavia, per poi trasferirsi nell’89 a Halle e nel 1902 a Berlino. Scrisse una monumentale Geschichte des Altertums (1884-1902), nonché altri importanti volumi sulla cronologia dell’antico Egitto, su Casars Monarchie und das Prinzipat des Pompejus (1918), su Ursprung und Anfänge des Christentums (1921-23). Dilthey si riferisce qui alla tesi sostenuta in Zur Theorie und Methodik der Geschichte, Halle, Max Niemeyer, 1902. 34. Ottone di Frisinga (1114?-1158), figlio del margravio d’Austria Leopoldo III, monaco circestense e poi vescovo della città bavarese di Frisinga, è autore della Chronica seu Historia de duabus civitatibus, iniziata nel 1143, il cui stesso titolo rivela l’ispirazione agostiniana. A lui si debbono anche i primi due libri delle Gesta Federici I imperatoris. 35. La frase è incompleta; e tutto il discorso condotto in questo paragrafo non va al di là di una serie di appunti. 36. Dilthey si riferisce agli Essais sur la théodicée, pubblicati nel 1710. 37. Jacques-Benigne Bossuet (1627-1704), ecclesiastico francese, dopo essere stato educato a Parigi nel collegio gesuitico di Navarra fu ordinato sacerdote nel 1652, e poi incaricato da Luigi XIV di provvedere all’educazione del delfino, per il quale scrisse il Discours sur l’histoire universelle (1681), al quale si affiancano il Traité de la connaissance de Dieu et de soi-même e La politique tirée de l’Écriture sainte; celebri sono però soprattutto le sue orazioni, soprattutto le orazioni funebri. Divenuto nel 1681 vescovo di Meaux, fu coinvolto nella disputa tra Luigi XIV e il pontefice per la supremazia sulla Chiesa di Francia, sostenendo la posizione gallicana, seppure da un punto di vista che puntava a un compromesso con il papato. La sua opera più importante è l’Histoire des variations des églises protestantes (1688). 38. La frase è incompleta. 39. Anche questa frase è incompleta, così come quelle precedenti sono spesso ellittiche. 40. Johann Friedrich Herbart (1776-1841), filosofo tedesco, studiò a Jena seguendo le lezioni di Fichte; fu poi precettore privato in Svizzera, dove conobbe Pestalozzi e ne apprezzò le teorie pedagogiche; nel 1805 divenne professore a Göttingen e tre anni dopo passò a insegnare a Königsberg, sulla cattedra che era stata di Kant, facendo infine ritorno a Göttingen nel ’33. Estraneo al clima idealistico dominante, s’impegnò in una revisione del kantismo in chiave realistica; ma si occupò anche di pedagogia e soprattutto di psicologia, disciplina alla quale cercò di dare un’impostazione scientifica. Le sue opere principali sono l’Allgemeine Pädagogik aus dem Zweck der Erziehung abgeleitet (1806), Hauptpunkte der Metaphysik (1808), Hauptpunkte der Logik (1808), la Allgemeine praktische Philosophie (1808), il Lehrbuch zur Einleitung in die Philosophie (1813), il Lehrbuch zur Psychologie (1816), la Psychologie als Wissenschaft (1824-25), la Allgemeine Metaphysik nebst den Anfängen der philosophischen Naturlehre (1828-29) e la Kurze Enzyklopädie der Philosophie (1831). 41. Dilthey si riferisce a Ludovico IV il Bavaro (1287-1347), divenuto re di Germania nel 1314 e incoronato imperatore nel 1328, che riuscì a unificare sotto il proprio dominio i vari territori della Germania, impegnandosi in ripetuti scontri con Rodolfo di Asburgo e altri principi tedeschi oltre che con il papato. 42. L’intero paragrafo contiene soltanto un elenco di punti da trattare. 43. Huldrych Zwingli (1484-1531) è, insieme a Lutero e a Calvino, l’altro grande esponente del movimento protestante. Educato tra Vienna e Basilea, fu dal 1506 al ’16 parroco in un paese svizzero, Glarona; e in quel periodo approfondì lo studio del Nuovo Testamento, ma si dedicò anche alla lettura di autori classici e rinascimentali. Ritiratosi nell’abbazia benedettina di Einsiedeln, divenne poi predicatore nella Grossmünsterkirche di Zurigo, propugnando una riforma della Chiesa vicina a quella di Lutero e impegnandosi nelle dispute teologiche. La sua azione ebbe vasta risonanza non soltanto a Zurigo, ma anche in altre città della Svizzera tedesca, dando così luogo a un’alleanza in funzione anticattolica su posizioni moderate. Ma la coalizione dei cantoni cattolici riuscì a sconfiggere quelli protestanti nella

battaglia di Kappel; e Zwingli, catturato, fu condannato a morte come eretico. Tra le sue opere sono da menzionare Von göttlicher und menschlicher Gerechtigkeit (1523), De vera et falsa religione commentarius (1525), la Fidei ratio (1530) e la Christianae fidei expositio (pubblicata postuma nel 1536). 44. Denis Diderot (1713-1784) è tra le figure più eminenti dell’Illuminismo francese. A lui si deve la maggiore impresa collettiva del secolo, cioè la pubblicazione—insieme a d’Alembert—della Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts e des métiers, in diciassette grossi volumi in quarto, cui ne seguirono undici di tavole e cinque di supplementi. Numerosi sono i suoi saggi filosofici, ma anche gli scritti di politica e di economia, nonché i Salons (1759-81), resoconti critici delle esposizioni parigine di pittura e di scultura. Dopo essersi accostato alla cerchia del barone d’Holbach, con il quale collaborò nella pubblicazione di opere clandestine di orientamento materialistico, si recò nel 1773-74 a Pietroburgo, ospite di Caterina II che acquistò la sua biblioteca. 45. La frase è incompleta. a. A questo proposito si veda l’Einleitung in die Geisteswissenschaften, pp. 509 sgg. [ora in Gesammelte Schriften, vol. I, pp. 399 sgg., trad. it. cit., pp. 511 sgg.] b. Si veda la mia Jugendgeschichte Hegels [in Gesammelte Schriften, vol. IV, cit.].

IV. L’ESSENZA DELLA FILOSOFIA

INTRODUZIONE Noi siamo soliti raccogliere sotto la rappresentazione generale di filosofia certi prodotti spirituali, che nel corso della storia sono sorti in gran numero presso le diverse nazioni. Quando esprimiamo poi in una formula astratta ciò che vi è di comune in quei fenomeni particolari indicati dall’uso linguistico come filosofia o come filosofici, allora sorge il concetto della filosofia. Questo concetto giungerebbe alla forma più compiuta qualora rappresentasse in maniera adeguata l’essenza della filosofia: un siffatto concetto di essenza dovrebbe esprimere la legge di formazione che agisce all’origine di ogni singolo sistema filosofico, in modo da derivarne i rapporti di affinità tra i fatti particolari ad esso subordinati. Una soluzione di questo compito ideale è possibile soltanto in base al presupposto che in quanto indichiamo come filosofia o come filosofico sia contenuto anche realmente un tale elemento universale, in maniera che una legge di formazione agisca in tutti questi casi particolari e una connessione interna racchiuda quindi l’intero campo a cui si riferisce questa denominazione. E ogni volta che si è parlato di essenza della filosofia, questa è stata l’assunzione. Con il nome di filosofia si designa allora un oggetto generale, presupponendo dietro i fatti particolari una connessione spirituale come fondamento unitario e necessario dei singoli fenomeni empirici della filosofia, come regola dei loro mutamenti e come principio ordinatore che articola la loro molteplicità. Si può parlare di un’essenza della filosofia in questo preciso senso? Ciò non risulta affatto ovvio: il termine “filosofia” o “filosofico” ha significati così diversi nel tempo e nello spazio, e così diversamente configurate sono le formazioni spirituali che vengono designate dai loro autori con questo nome, che potrebbe sembrare che le diverse epoche abbiano applicato il bel nome di filosofia, coniato dai Greci, a formazioni spirituali sempre differenti. Infatti gli uni intendono per filosofia la fondazione delle scienze particolari; altri ampliano questo concetto di filosofia aggiungendo a una tale fondazione il compito di derivare da essa la connessione delle scienze particolari; oppure la filosofia viene limitata alla connessione delle scienze particolari; poi ancora la filosofia viene definita come la scienza dello spirito, la scienza dell’esperienza interna; infine con essa s’intende la chiarificazione della condotta della vita o la scienza dei valori universalmente validi. Dov’è il legame interno che congiunge tra di loro versioni così diverse del concetto di filosofia, e forme così molteplici di essa — dov’è l’essenza unitaria della filosofia? Se un tale

legame non può essere trovato, allora abbiamo a che fare soltanto con funzioni diverse che si presentano, nel mutare delle condizioni storiche, come un bisogno della cultura, e che recano una designazione comune soltanto esteriormente, e per i casi storici della denominazione — e quindi si hanno filosofie, ma non una filosofia. Anche la storia della filosofia non possiede più allora alcuna unità interna necessaria. Essa riceve continuamente un contenuto diverso e un ambito diverso a opera dei singoli storici, secondo il concetto che questi se ne formano in connessione ai loro propri sistemi. Uno può rappresentare questa storia come il progredire verso una fondazione sempre più approfondita delle scienze particolari, un altro come la progressiva riflessione dello spirito su se stesso, un altro ancora come la crescente chiarificazione scientifica dell’esperienza della vita o dei valori della vita. Per decidere in quale modo parlare di un’essenza della filosofia noi dobbiamo volgerci dalle determinazioni concettuali dei singoli filosofi all’effettiva realtà storica della filosofia: questa ci offre il materiale per la conoscenza di ciò che è filosofia; il risultato di tale procedimento induttivo può allora essere compreso più profondamente nella sua conformità a una legge. Mediante quale metodo si può risolvere il compito di determinare in base alla realtà storica l’essenza della filosofia? Si tratta qui di un problema metodologico più generale delle scienze dello spirito. I soggetti di tutte le loro asserzioni sono le unità di vita individuali in rapporto reciproco nella società. Queste sono anzitutto le singole persone: movimenti espressivi, parole, azioni sono le loro manifestazioni. E il compito delle scienze dello spirito è quello di riviverle e di coglierle con il pensiero. La connessione psichica che si esprime in queste manifestazioni rende possibile mostrare in esse un elemento ricorrente in modo tipico e ricondurre i singoli momenti della vita alla connessione delle sue fasi e infine a quella dell’unità vitale. Gli individui non esistono però isolati, ma sono collegati tra di loro in famiglie, in gruppi complessi, in nazioni, in epoche, alla fine nell’umanità stessa. La finalità presente in queste organizzazioni singolari consente le forme di apprendere tipiche delle scienze dello spirito. Tuttavia nessun concetto esaurisce il contenuto di queste unità individuali; la molteplicità di ciò che in esse è dato intuitivamente può piuttosto essere soltanto vissuta, compresa e descritta. E anche il loro intreccio nel corso storico è qualcosa di singolare e inesauribile da parte del pensiero. Non per questo le configurazioni e i collegamenti di ciò che è singolare sono però arbitrari: tra di essi non ce n’è nessuno che non sia espressione della vissuta unità strutturale della vita individuale e sociale. Non

c’è nessuna narrazione di uno stato di fatto per quanto semplice che non cerchi al tempo stesso di renderlo comprensibile, subordinandolo a rappresentazioni o concetti generali di funzioni psichiche; non ce n’è nessuna che non congiunga integrandolo ciò che cade isolato sotto l’osservazione, sulla base delle rappresentazioni o dei concetti generali a disposizione, in una connessione, quale ce la offre il proprio Erleben; non ce n’è nessuna che non unisca attraverso un lavoro di selezione e di collegamento, secondo le esperienze attingibili di valori vitali, di valori produttivi, di scopi, i singoli elementi in qualcosa che sia fornito di significato, di senso. Nel metodo delle scienze dello spirito si ha la costante azione reciproca tra Erlebnis e concetto. I concetti delle scienze dello spirito trovano il loro riempimento nel rivivere connessioni strutturali, sia individuali che collettive, come d’altra parte il rivivere immediato viene innalzato, per mezzo delle forme universali del pensiero, a conoscenza scientifica. Quando queste due funzioni della coscienza delle scienze dello spirito giungono a compimento, allora noi cogliamo ciò che vi è di essenziale nello sviluppo umano. In questa coscienza non dev’esserci alcun concetto che non si sia formato nell’intera pienezza del rivivere storico, non dev’esserci alcun elemento universale che non sia espressione essenziale di una realtà storica. Nazioni, epoche, serie di sviluppo storiche — in queste configurazioni non domina il libero arbitrio, ma noi cerchiamo, vincolati alla necessità di riviverle, di chiarire in esse ciò che vi è di essenziale negli uomini e nei popoli. Si fraintende quindi completamente l’interesse che l’uomo pensante ha nei confronti del mondo storico quando si considera la formazione di concetti nel suo ambito solamente come uno strumento per riprodurre e rappresentare il singolare quale esso è; al di là di ogni riproduzione e stilizzazione dell’elemento fattuale e singolare il pensiero vuole pervenire alla conoscenza di ciò che è essenziale e necessario; vuol comprendere la connessione strutturale della vita individuale e della vita sociale. Noi acquisiamo potere sulla vita sociale in quanto cogliamo e utilizziamo la sua regolarità e la sua connessione. La forma logica in cui queste regolarità si esprimono è costruita da proposizioni in cui i soggetti sono universali al pari dei predicati. Ai molteplici concetti generali di soggetti che assolvono questo compito nelle scienze dello spirito appartengono anche concetti come filosofia, arte, religione, diritto, economia. Il loro carattere è condizionato dal fatto che essi non esprimono soltanto un contenuto di fatto presente in una pluralità di soggetti, e perciò un elemento uniforme e generale che ricorre in questi, ma

anche una connessione interna in cui le diverse persone sono collegate tra di loro in virtù di questo contenuto. Così il termine “religione” designa non soltanto un fatto generale, cioè una relazione vivente della connessione psichica con forze invisibili, ma indica al tempo stesso una connessione comunitaria in cui gli individui sono collegati nel compiere atti religiosi, e in cui essi occupano una posizione differenziata rispetto alle funzioni religiose. Pertanto negli individui a cui sono riferite la religione, la filosofia o l’arte, quegli elementi indicano un duplice rapporto: essi stanno come il particolare sotto un universale, come casi sotto una regola, ma sono pure connessi tra di loro, in base questa regola, come parti in una totalità. Il fondamento di questo risulterà in seguito dall’esame della duplice direzione della formazione dei concetti psicologici. La funzione di questi concetti generali nelle scienze dello spirito è molto importante. In esse la determinazione di regolarità è infatti possibile, al pari che nelle scienze della natura, in quanto possiamo isolare, dal complicato tessuto costituito dal mondo storico-sociale dell’uomo, connessioni particolari in cui si possono poi mostrare delle uniformità, una struttura interna e uno sviluppo. L’analisi della complessa realtà data empiricamente è, anche nelle scienze dello spirito, il primo passo verso le grandi scoperte. In questo compito sono di aiuto anzitutto rappresentazioni generali in cui quelle connessioni, il cui presentarsi è ogni volta caratterizzato da tratti comuni, sono già distinte e quindi, una volta isolate dalla complessa realtà, accostate l’una all’altra. Nella misura in cui le delimitazioni mediante rappresentazioni generali sono compiute correttamente, i soggetti generali di asserzioni che vengono così alla luce diventano il sostegno di un ambito concluso di verità feconde. E già a questo livello si formano, per designare ciò che è espresso in tali rappresentazioni generali, termini come religione, arte, filosofia, scienza, economia, diritto.

Pagina iniziale del saggio L’essenza della filosofia, apparso nella raccolta Die Kultur der Gegenwart, a cura di P. Hinneberg, vol. 1/6 (1907).

Il pensiero scientifico ha a suo fondamento lo schematismo già racchiuso in queste rappresentazioni generali. Ma esso deve prima giustificare la sua legittimità. Infatti è pericoloso per le scienze dello spirito accogliere tali rappresentazioni generali, poiché la scoperta di uniformità e di un’articolazione dipende dal fatto che in esse si esprima realmente anche un contenuto unitario. Il fine della formazione di concetti in questo campo è pertanto quello di trovare l’essenza delle cose che era già determinante nella rappresentazione generale e nella denominazione, e in base a questo correggere la rappresentazione indeterminata, forse erronea, determinandola in maniera più precisa. Questo è il compito che ci è posto anche in riferimento al concetto e all’essenza della filosofia. Come si potrà però determinare più da vicino il procedimento con cui pervenire in modo sicuro dalla rappresentazione generale e dalla denominazione al concetto della cosa? La formazione dei concetti sembra cadere in un circolo: il concetto di filosofia, proprio come quello di arte o di religiosità o di diritto, può esser trovato solamente derivando dagli elementi di fatto che lo formano le relazioni tra le caratteristiche che costituiscono il concetto. Qui si presuppone già una decisione sui fatti psichici che si devono indicare come filosofia. Questa decisione potrebbe però essere presa dal pensiero soltanto se fosse già in possesso delle caratteristiche sufficienti per determinare negli elementi di fatto il carattere della filosofia. Così, a quanto sembra, occorre già sapere che cosa sia la filosofia, quando si comincia a formare questo concetto in base ai fatti. La questione metodologica sarebbe certamente subito risolta se questi concetti potessero venir derivati da verità più generali, poiché allora le inferenze tratte dai singoli elementi di fatto servirebbero soltanto come integrazione. E questa è stata l’opinione di molti filosofi, soprattutto nella scuola speculativa tedesca. Ma fin quando questi non possano intendersi su una derivazione universalmente valida, o ottenere un riconoscimento universale per un’intuizione, si dovrà restare sul piano delle inferenze che cercano di scoprire con metodo empirico il contenuto di fatto unitario dei vari elementi — cioè la legalità genetica che si manifesta nei fenomeni della filosofia. Questo procedimento deve assumere il presupposto che dietro alla denominazione che si trova dinanzi vi sia un contenuto di fatto unitario, cosicché il pensiero non proceda infruttuosamente quando muove dall’ambito designato con i termini “filosofia” o “filosofico”. E la validità di questo presupposto dev’essere comprovata mediante la ricerca stessa. Essa trae dagli

elementi di fatto designati con quel nome un concetto di essenza, e questo deve poi rendere possibile l’attribuzione del nome a tali elementi. Ora, nella sfera di concetti come quelli di filosofia, religione, arte, scienza, vi sono sempre due punti di partenza: l’affinità degli elementi di fatto particolari e la connessione in cui essi sono collegati. E poiché la natura particolare di ognuno di questi concetti generali risulta utile per la differenziazione del metodo, nel nostro caso si presenta inoltre il vantaggio specifico che la filosofia è pervenuta molto presto alla coscienza della propria attività. Si presenta così una grande molteplicità di tentativi di determinazione concettuale, come il nostro procedimento si propone di ottenerli; ed essi sono l’espressione di ciò che i vari filosofi, determinati da una data situazione culturale e guidati dal proprio sistema, hanno considerato come filosofia; perciò queste definizioni sono forme abbreviate per indicare ciò che è caratteristico di una forma storica della filosofia. Essi aprono lo sguardo sulla dialettica interna in cui la filosofia ha percorso le possibilità della propria posizione nella connessione della cultura. Ognuna di queste possibilità deve essere resa feconda per la determinazione del concetto di filosofia. Il circolo insito nel procedimento di determinazione del concetto di filosofia non può essere evitato. Vi è effettivamente una grande incertezza in merito ai limiti entro cui attribuire a certi sistemi il nome di filosofia e a certi lavori l’indicazione di filosofico. Questa incertezza può essere superata soltanto quando si riesca a stabilire determinazioni sicure, quand’anche insufficienti, della filosofia, e da queste si pervenga, mediante nuove forme di procedimento, a accertamenti ulteriori che esauriscano gradualmente il contenuto del concetto di filosofia. Il metodo può pure essere soltanto quello di delimitare in maniera più precisa, mediante forme particolari di procedimento ognuna delle quali non garantisce di per sé una soluzione universalmente valida e compiuta del compito, quindi passo per passo, i tratti essenziali della filosofia, di circoscrivere rigorosamente l’ambito dei contenuti di fatto che cadono sotto di esso e di derivare alla fine dalla vita concreta della filosofia il motivo per cui restano dei campi-limite che non permettono una determinazione più esatta del suo ambito. Si deve dapprima cercare di stabilire un contenuto di fatto comune in quei sistemi in cui si compie per ognuno la formazione della rappresentazione generale di filosofia. Si può allora utilizzare l’altro aspetto che il concetto offre, l’appartenenza del sistema a una connessione, per verificare il risultato e per integrarlo con un esame più approfondito. Con ciò è dato allora il fondamento per indagare la posizione

dei tratti essenziali della filosofia che sono stati così ottenuti rispetto alla connessione strutturale dell’individuo e della società, per intendere la filosofia come una funzione vitale nell’individuo e nella società, e per collegare quindi i suoi tratti in un concetto di essenza, in base al quale si possa comprendere il rapporto dei vari sistemi con la funzione della filosofia, mettere al loro posto i concetti sistematici della filosofia e rendere più chiari i limiti fluidi del suo ambito. Questa è la strada che dobbiamo percorrere.

1. PROCEDIMENTO STORICO PER LA DETERMINAZIONE DELL’ESSENZA DELLA FILOSOFIA I. Prime determinazioni in merito al contenuto generale Vi sono sistemi filosofici che hanno dato più di tutti gli altri la loro impronta alla coscienza dell’umanità, e in base ai quali ci si è orientati di continuo su ciò che è la filosofia. Democrito, Platone, Aristotele, Descartes, Spinoza, Leibniz, Locke, Hume, Kant, Fichte, Hegel, Comte hanno creato sistemi del genere. Essi mostrano tratti comuni, e da questi il pensiero ricava un criterio per racchiudere anche altri sistemi nell’ambito della filosofia. Anzitutto si possono stabilire in essi tratti di natura formale. Poco importa quale oggetto i singoli sistemi abbiano o quale metodo seguano: a differenza dalle scienze particolari, essi sono fondati sull’intero ambito della coscienza in quanto vita, esperienza, scienze empiriche, e cercano così di risolvere il loro compito. Esse recano il carattere dell’universalità. A questo corrisponde l’aspirazione a collegare ciò che è isolato, a istituire una connessione e a estenderla senza riguardo ai limiti delle scienze particolari. L’altro tratto formale della filosofia consiste nella pretesa di un sapere universalmente valido, alla quale è legata l’aspirazione a risalire nello sforzo di fondazione finché non sia raggiunto il punto ultimo per la fondazione della filosofia. A chi penetra comparativamente i sistemi classici di filosofia si presenta anche un’intuizione dell’appartenenza reciproca del loro contenuto. Le autotestimonianze dei filosofi sulla loro attività, che ben meritavano di essere raccolte, mostrano anzitutto che la giovinezza di tutti i pensatori è pervasa dalla lotta con il mistero della vita e del mondo, e come il loro rapporto con il problema del mondo si faccia valere a proprio modo in ognuno dei sistemi, e come le proprietà formali dei filosofi rivelino un legame segreto con l’orientamento più intimo a consolidare e a formare la personalità, ad affermare la sovranità del volere, a quella qualità intellettuale che vuol innalzare alla coscienza ogni agire e non lasciare nulla nell’oscurità di un semplice atteggiamento che non sia consapevole di sé. II. Derivazione storica dei tratti essenziali della filosofia dalla connessione dei sistemi Ha ora inizio un procedimento che consente di guardare più profondamente nella connessione interna di questi tratti, chiarendo le differenze delle determinazioni concettuali della filosofia, assegnando a ognuna di queste formule il loro posto storico e determinando con maggior

precisione l’ambito di tale concetto. Nel concetto di filosofia c’è non soltanto un contenuto di fatto generale ma anche una connessione di questo contenuto — una connessione storica. I filosofi si volgono anzitutto direttamente al mistero del mondo e della vita, e di qui derivano i concetti che essi formano intorno alla filosofia: ogni posizione che lo spirito filosofico occupa nel suo corso ulteriore si riferisce a questo problema fondamentale, ogni lavoro filosofico vitale sorge in questa continuità, e il passato della filosofia agisce in ogni singolo pensatore in modo tale che egli è determinato nella sua nuova posizione, anche quando dubita di poter risolvere il grande mistero, da questo passato. Così tutte le posizioni della coscienza filosofica, e tutte le determinazioni concettuali della filosofia in cui esse si esprimono, costituiscono una connessione storica. 1. Origine del nome in Grecia, e che cosa vi era designato con questo nome. La connessione profonda, e ricca di relazioni, tra religiosità, arte e filosofia, in cui vissero gli orientali, si tradusse presso i Greci in funzioni differenziate di queste tre forme di creazione spirituale. Il loro spirito chiaro, consapevole di sé, sciolse la filosofia dal vincolo della religiosità e dalla simbolica profetica di forme di poesia appa rentate con la filosofia o la religiosità. La loro plastica forza intuitiva condusse alla formazione separata di vari generi di creazioni spirituali. Così presso i Greci sorse al tempo stesso la filosofia, il suo concetto e l’espressione φιλοσοφία. Come σοφóς indicato da Erodoto ogni individuo che emerge nell’attività spirituale più elevata; e il nome σοφιστής viene da lui attribuito a Socrate, a Protagora1 e agli altri filosofi più antichi, mentre Senofonte lo usa per i filosofi della natura. La parola composta φιλοσοφεῖν indica anzitutto, nell’uso linguistico dei tempi di Erodoto e di Tucidide, l’amore per la saggezza e la ricerca di essa, cioè il nuovo atteggiamento dello spirito greco. Con questa parola i Greci designano infatti la ricerca della verità per amore della verità stessa — in base a un valore indipendente da ogni applicazione pratica. Così, in Erodoto, Creso dice a Solone, in quella tipica rappresentazione del contrasto della volontà orientale di potenza con il nuovo ethos greco, di aver sentito che egli φιλοσοφέων ha pellegrinato per molte terre ϑεωρίης εἵνεϰεν — un chiarimento di “filosofando”. La stessa espressione usa poi Tucidide nell’orazione funebre di Pericle, per esprimere un tratto fondamentale dello spirito ateniese di allora. A espressione tecnica per un determinato ambito di attività spirituale la parola «filosofia» è stata elevata per la prima volta nella scuola socratica: la

tradizione che l’attribuisce a Protagora dev’essere ricondotta all’ambiente socratico-platonico. E il concetto di filosofia nella scuola socratico-platonica mostra una duplicità degna di nota. La filosofia è per Socrate non già saggezza, ma l’amore per la saggezza e la sua ricerca; poiché la saggezza stessa se la sono riservata gli dèi. La coscienza critica che in Socrate e, più profondamente, in Platone fonda il sapere, gli pone al tempo stesso dei limiti. Platone è il primo che, seguendo indicazioni più antiche, in particolare di Eraclito, ha recato alla coscienza l’essenza del filosofare. Partendo dalle esperienze del proprio genio filosofico, egli descrive l’impulso filosofico e il suo sviluppo in sapere filosofico. Ogni grande vita sorge dall’entusiasmo, che è fondato nella natura superiore dell’uomo: essendo noi racchiusi nel mondo sensibile, questa natura superiore si manifesta in una aspirazione infinita. L’eros filosofico procede dall’amore per le belle forme, attraverso vari gradi, fino alla conoscenza delle idee. Il nostro sapere resta però anche a questo grado più alto solamente un’ipotesi, e se questa ha per oggetto le essenze immutabili, che sono realizzate nella realtà, non perviene alla connessione originaria che si estende dal bene supremo alle cose particolari, nelle quali noi intuiamo l’eterno. In questa grande aspirazione, che il nostro sapere non soddisfa mai, stava il punto di partenza di un rapporto interno della filosofia con la religiosità, che vive nella pienezza del divino. L’altro elemento che la filosofia implica secondo il concetto socraticoplatonico, indica la sua funzione positiva. La sua penetrazione ha avuto un’influenza ancor più universale. Filosofia significa l’orientamento verso il sapere — il sapere inteso nella sua forma più rigorosa, cioè come scienza. Validità universale, determinatezza, riferimento ai fondamenti di tutte le assunzioni, sono stati qui per la prima volta posti in luce come esigenza di ogni sapere. Occorreva porre fine all’incessante gioco chimerico delle ipotesi metafisiche come allo scetticismo illuministico; e così la riflessione filosofica si estese, tanto in Socrate quanto nei primi dialoghi di Platone, all’intero ambito del sapere, in consapevole antitesi alla sua limitazione alla conoscenza della realtà, comprendendo parimenti la determinazione dei valori, delle regole e degli scopi. In questa concezione è riposto un senso sorprendente: la filosofia è la riflessione che innalza alla coscienza, e perciò a sapere universalmente valido, ogni agire umano. Essa è l’auto-riflessione dello spirito nella forma del pensiero concettuale. L’agire del guerriero, dell’uomo di stato, del poeta e del religioso può giungere a compiutezza solamente se il sapere relativo a questo agire guida la prassi. E poiché ogni agire richiede la determinazione di scopi,

ma lo scopo ultimo consiste nell’eudaimonía, così il sapere relativo all’eudaimonía, agli scopi che si fondano su di essa e ai mezzi che questa esige, è l’elemento più forte in noi, e nessuna forza di oscuri istinti e di passioni può spuntarla quando il sapere mostra che l’eudaimonía viene impedita da queste oscure potenze. Soltanto il dominio del sapere può elevare l’individuo alla libertà e la società alla eudaimonía che le è propria. Sul fondamento di questo concetto socratico di filosofia i dialoghi socratici di Platone si proposero una soluzione dei problemi della vita. E proprio perché la vita, con il suo impulso verso l’eudaimonía, con la potenza propria della virtù in cui essa si realizza, non poteva essere elevata a sapere universalmente valido, questi dialoghi dovevano concludere negativamente. La contraddizione nella scuola socratica era insolubile, e in modo profondo ed esatto l’Apologia platonica unisce nella persona di Socrate un duplice elemento: da un lato come egli persegue il compito della validità universale del sapere e dall’altro che il suo risultato è tuttavia il nonsapere. Questo concetto della filosofia, per cui essa aspira a elevare al sapere l’essere, i valori, i beni, gli scopi, le virtù, e ha così a suo oggetto il vero, il bello e il buono, costituisce il primo risultato della riflessione della filosofia su se stessa: questa ha esercitato un’influenza smisurata, e in essa era contenuto il nucleo del vero concetto di essenza della filosofia. Il concetto socratico-platonico di filosofia agisce pure in Aristotele nel modo in cui egli ne dà una suddivisione. La filosofia si distingue per lui in scienza teoretica, scienza poietica e scienza pratica; essa è teoretica quando il suo principio e il suo fine è il conoscere, poietica quando il suo principio è riposto nella facoltà artistica e il suo fine in un’opera da produrre, e pratica quando il suo principio è la volontà e il suo fine l’azione in quanto tale. E la filosofia poietica comprende non soltanto la teoria dell’arte, ma ogni sapere di carattere tecnico che abbia il suo scopo non già nell’energia della persona, ma nella produzione di un’opera esterna. Ma Aristotele non ha realmente articolato la sua filosofia in base a questa suddivisione platonica. Con lui si faceva valere un concetto differente di essa. La filosofia non è il progresso supremo della personalità e cella società umana attraverso il sapere; essa aspira al sapere di per se stesso: l’atteggiamento filosofico è per lui caratterizzato da un’impostazione teoretica. Come la realtà mutevole, e tuttavia conforme alla ragione, è fondata sul pensiero immutabile e beato della divinità, che non ha nessuno scopo e nessun oggetto al di fuori di sé, così la più alta tra queste realtà mutevoli, la ragione umana, trova la sua

funzione suprema nell’atteggiamento teoretico, come quello più perfetto e il più felice per l’uomo: ma questo è per lui la filosofia, poiché fonda e abbraccia tutte le scienze. Essa crea una teoria del sapere come fondamento di ogni specie di lavoro scientifico, e il suo centro è una scienza universale dell’essere, la filosofia prima, per indicare la quale si formò poi nella scuola il termine “metafisica” sulla concezione teleologica del mondo costituita in base a questa filosofia prima si fonda infine la connessione delle scienze, che dalla conoscenza della natura perviene, attraverso la dottrina dell’uomo, alla determinazione dello scopo ultimo degli individui e della società. Il nuovo principio aristotelico dello scopo che agisce come causa rende possibile sottoporre al pensiero anche il mutare della realtà data empiricamente. Sorge così il nuovo concetto della filosofia: in quanto unità della scienza essa rispecchia concettualmente la connessione oggettiva della realtà, che dalla conoscenza di Dio giunge fino alla conoscenza della determinazione degli scopi nell’uomo. Alla subordinazione in Grecia delle scienze particolari alla filosofia corrispondeva l’organizzazione delle scuole filosofiche. Queste non erano soltanto centri di discussione sui princìpi, ma anche laboratori di ricerca positiva. In poche generazioni un gran numero di scienze della natura e di scienze dello spirito venne a costituirsi in queste scuole. C’è un buon motivo per ritenere che già prima di Platone un qualche ordinamento e la continuità nella disciplina e nel lavoro comune abbia collegato non soltanto i Pitagorici, ma anche gli scolari di altri pensatori più antichi con questi e tra di loro. Nella chiara luce della storia più attestata si presentano poi l’Accademia e la scuola peripatetica come associazioni costituite giuridicamente, in cui l’unità del fondamentale pensiero filosofico teneva insieme le singole scienze e la passione della pura conoscenza della verità conferiva vita e relazione con la totalità a ogni lavoro positivo: un modello mai più raggiunto di forza creatrice di un’organizzazione del genere. La scuola di Platone è stata per un certo periodo il centro della ricerca matematica e astronomica; ma il più cospicuo lavoro scientifico svolto in un tempo così limitato e in un solo posto è stato compiuto dagli allievi di Aristotele. I princìpi fondamentali della struttura teleologica e dello sviluppo, i metodi di descrizione, di scomposizione e di comparazione hanno condotto in questa scuola alla costituzione delle scienze descrittive e analitiche della natura, come pure della politica e della dottrina dell’arte. In questa organizzazione delle scuole filosofiche il concetto greco della

filosofia come scienza complessiva ha trovato la sua espressione più alta. Ciò è avvenuto in quanto nell’essenza della filosofia si faceva valere l’aspetto per cui un compito comune congiunge coloro che filosofano in una funzione comune. Infatti, ovunque il medesimo insieme di scopi ricorre in un certo numero di persone, esso connette tra di loro gli individui. A ciò si aggiunge, nella filosofia, la forza di collegamento che è insita nella sua tendenza all’universalità e alla validità universale. La direzione unitaria del lavoro scientifico, che ha trovato il suo maggiore sviluppo nella scuola aristotelica, venne meno come l’impero di Alessandro. Le scienze particolari acquistarono la loro autonomia; e si ruppe il nesso che le aveva tenute insieme. I successori di Alessandro fondarono, al di fuori delle scuole filosofiche, istituzioni che servivano all’esercizio particolare delle scienze. In ciò consisteva un primo elemento che assegnò un posto diverso alla filosofia. Le scienze particolari presero gradualmente possesso dell’intero dominio del reale, in un processo che si è ripresentato poi nell’età moderna e che anche oggi non è ancora giunto a conclusione. Quando la filosofia aveva recato alla maturità un qualche ambito di ricerca, questo si separò dal legame con essa. Ciò è accaduto dapprima con le scienze della natura. Nell’età moderna questo processo di differenziazione è proceduto: la scienza generale del diritto divenne autonoma a partire da Ugo Grozio2 e la teoria comparativa dello stato a partire da Montesquieu; e oggi tra gli psicologi si fa valere l’aspirazione all’emancipazione della loro disciplina, e dato che la scienza generale delle religioni, della scienza dell’arte, della pedagogia, della scienza sociale si fondano sullo studio dei fatti storici e sulla psicologia, anche la loro posizione nei confronti della filosofia diventa problematica. Questo spostamento crescente nei rapporti di potenza all’interno del territorio del sapere poneva per così dire dal di fuori alla filosofia il compito di una nuova delimitazione del suo ambito. Ma anche nel suo sviluppo interno vi erano elementi che hanno agito in misura assai più forte in questa direzione. Proprio dall’azione reciproca di quel fattore esterno con le forze che agiscono al suo interno è nato il mutamento di posizione della filosofia, che si sviluppa a partire dagli Scettici, dagli Epicurei e dagli Stoici fino agli scritti letterari di Cicerone, Lucrezio, Seneca, Epitteto3 e Marco Aurelio4. Nei nuovi rapporti di potenza nel campo del sapere si facevano valere il fallimento della conoscenza metafisica, la diffusione dello spirito scettico e una svolta verso l’interiorità, propria delle nazioni che stanno invecchiando: si sviluppò così la filosofia della vit a. Con essa compare una nuova posizione dello spirito

filosofico, che doveva essere della massima importanza per tutto l’avvenire. Era ancora tenuto fermo, in tutta la sua estensione, il problema dei grandi sistemi; ma la pretesa di una soluzione universalmente valida era avanzata in maniera sempre più debole. L’equilibrio tra i compiti particolari era diventato diverso; il problema della connessione del mondo si subordinava a quello del valore e dello scopo della vita; e nel sistema stoico romano, il più efficace che il mondo abbia visto, veniva in primo piano la potenza formatrice della personalità, propria della filosofia. La struttura della filosofia, la disposizione e il rapporto tra le sue parti, risultava differente. A questo mutamento nella posizione della filosofia corrispondeva anche il sorgere di nuove determinazioni concettuali. In questa svolta rappresentata da Cicerone la filosofia è «maestra di vita, inventrice delle leggi, ispiratrice di ogni virtù», e Seneca la definisce come la teoria e l’arte della retta condotta di vita. Ciò implica che essa sia una costituzione di vita, non una mera teoria, e per designarla si impiega volentieri il termine “saggezza”. Ma, se dal nuovo concetto della filosofia ci si rifà alla posizione che esprime, risulta che essa si è sviluppata in piena continuità dai grandi sistemi metafisici, e soltanto il suo problema si presenta sotto nuove condizioni. Per molti secoli la filosofia ha poi smarrito la sua vera essenza subordinandosi alla religione, quando questa discesa nell’inesplorabile profondità dell’essenza delle cose condusse alla religione il mondo che andava invecchiando; e la posizione che essa assunse di fronte al compito di una conoscenza universalmente valida, e i concetti di filosofia che in questo modo sorsero, non appartengono alla linea del puro sviluppo della sua essenza: se ne parlerà a proposito degli elementi di collegamento tra filosofia e religione. 2. Le forme della filosofia nell’età moderna, quali si sono espresse nei concetti ad essa relativi. Allorché dopo gli sforzi preparatori del Rinascimento, in cui un’arte e una letteratura secolarizzate e, collegata con queste, una libera filosofia della vita dominavano la cultura, le scienze della natura si costituirono definitivamente, e le scienze della società assunsero per la prima volta nel sistema naturale il carattere di una connessione sorretta da un’unica idea, allorché le scienze empiriche cominciarono a realizzare la conoscenza dell’universo in base ai propri metodi, sorse nel secolo XVII un nuovo rapporto tra le forze della cultura spirituale. Il coraggio di un sapere rigoroso universalmente valido e la trasformazione del mondo per opera sua hanno pervaso i popoli più evoluti, portando all’alleanza tra le scienze particolari e la filosofia. Esse si sono così

poste nella più netta antitesi nei confronti della religiosità e si sono lasciate dietro di sé l’arte, la letteratura, la filosofia della vita. A questo modo nelle nuove condizioni veniva attuato, in maniera ancor più consapevole e metodico, l’orientamento verso una conoscenza oggettiva del mondo con il carattere di validità universale che aveva dominato nei grandi sistemi dell’antichità. Venne così a mutare anche il carattere e il concetto della metafisica. Da una posizione ingenua verso il mondo essa aveva proceduto, attraverso il dubbio, fino alla comprensione consapevole del rapporto del pensiero con il mondo; e si separava dalle scienze particolari in virtù della coscienza del suo metodo specifico. Essa trova anche ora il suo proprio oggetto nell’essere, che non ci è dato come tale in nessuna scienza particolare; ma nell’esigenza di una rigorosa validità universale e in una progressiva autoriflessione sul procedimento metafisico sta un elemento distintivo del suo nuovo sviluppo. Quella esigenza la collega con le scienze matematiche della natura, mentre il carattere metodico dell’universalità e di fondazione ultima la separa da esse. Occorre perciò stabilire il procedimento che corrisponde a questa nuova coscienza metodologica. a) Il nuovo concetto di metafisica. Subito dopo la fondazione della meccanica Descartes impiegò il nuovo metodo costruttivo per la determinazione dell’essenza della filosofia. La prima caratteristica di questo metodo, nella sua antitesi rispetto alle scienze particolari, consisteva nell’impostazione più generale del problema e nel riferimento delle sue prime assunzioni a un principio supremo. Esso esprimeva i tratti fondamentali dell’essenza della filosofia solamente in modo più compiuto di qualsiasi altro in precedenza. Ma la sua geniale peculiarità risiedeva nel metodo di realizzazione. Le scienze matematiche della natura contengono in sé presupposti che stanno al di là dei campi specifici della matematica, della meccanica e dell’astronomia. Se si rappresentano questi presupposti in concetti e princìpi evidenti, e si coglie il fondamento della loro validità oggettiva, si può dar luogo in base ad esso a un procedimento costruttivo; soltanto a questo modo la concezione meccanica acquista la sua certezza e la possibilità di una più larga estensione. Descartes fece valere questo procedimento nei confronti di Galilei, scorgendo in ciò la superiorità del filosofo rispetto al fisico. Del medesimo procedimento costruttivo si servirono poi Hobbes e Spinoza. Proprio dalla sua applicazione alla realtà — di cui egli naturalmente presupponeva sempre le proprietà date — deriva in Spinoza il nuovo sistema panteistico dell’identità di spirito e di natura, che

costituisce un’interpretazione della realtà data nell’esperienza sulla base di semplici verità evidenti. In questa metafisica dell’identità è poi fondata la dottrina del nesso causale degli stati psichici, che conduce dalla schiavitù delle passioni fino alla libertà. Leibniz, infine, è andato più avanti di qualsiasi altro nell’attuazione di questo nuovo metodo filosofico. Fino alla sua morte egli si è impegnato nel lavoro erculeo di elaborare una nuova logica universale come fondamento del procedimento costruttivo. La delimitazione della filosofia in base al metodo si è quindi mantenuta, a partire dal secolo XVII, nei sistemi metafisici. Il metodo costruttivo di questi pensatori soccombette poi alla critica della conoscenza di Locke, Hume e Kant, anche se in Leibniz sussistono proprio le basi di una teoria del sapere che troveranno la loro piena comprensione soltanto in epoca più recente. L’inferenza dall’evidenza dei concetti e dei princìpi semplici alla loro validità oggettiva si rivelò insostenibile: le categorie della sostanza, della causalità e dello scopo furono ricondotte alle condizioni della coscienza conoscente. Se la certezza della matematica aveva garantito questo metodo filosofico costruttivo, Kant ha indicato nell’intuizione il fondamento distintivo dell’evidenza matematica. E anche il procedimento costruttivo delle scienze dello spirito, quale si presenta nel diritto e nella teologia naturale, si è mostrato incapace di render conto della pienezza del mondo storico nel pensiero e nell’agire politico. Occorreva quindi, se non si voleva addivenire al rifiuto di ogni metodo proprio della metafisica, rielaborare il suo procedimento. E proprio Kant, che ha abbattuto il metodo costruttivo della metafisica, ha scoperto i mezzi di una tale rielaborazione. Egli ha visto il carattere distintivo del suo lavoro critico — e in questo consisteva per lui il compito principale della filosofia, anzi il carattere distintivo della filosofia stessa — nel metodo che ha designato come trascendentale. L’edificio che egli pensava di erigere con i suoi mezzi doveva avere a fondamento le verità trovate in questo modo, e in tale accezione ha mantenuto il termine “metafisica”. Egli coglieva già il nuovo principio sul quale Schelling, Schleiermacher, Hegel, Schopenhauer, Fechner, Lotze hanno fondato la metafisica. In base alla grande prospettiva della nuova filosofia di Locke, di Hume e di Kant, fondata sulla teoria della conoscenza, il mondo esterno esiste per noi soltanto come fenomeno; la realtà è data (immediatamente secondo i pensatori inglesi, e secondo Kant sotto le condizioni della coscienza) nei fatti della coscienza. Ma questa realtà — ciò costituisce la novità decisiva del punto di

vista kantiano — costituisce una connessione psichica (spirituale), e ad essa si riferisce ogni connessione della realtà esterna. I concetti e i princìpi semplici, che la filosofia costruttiva aveva posto a base, sono perciò soltanto elementi di questa connessione, isolati dall’intelletto e formulati astrattamente. Da questa concezione di Kant è sorta la nuova metafisica tedesca; perciò i metafisici tedeschi, da Schelling a Schopenhauer, guardarono con avversione e disprezzo alla riflessione e all’intelletto, che con questi elementi astratti di una realtà vivente girano intorno alle sostanze, alle relazioni causali, agli scopi. Con il loro nuovo metodo, che prendeva le mosse dalla connessione psichica, essi poterono finalmente rendere giustizia alle scienze dello spirito, che erano state appiattite e impoverite impiegando quei concetti di riflessione. E proprio questa assunzione di una connessione spirituale trasformò il concetto di evoluzione, che era stato stabilito in base all’esperienza dell’universo, nella più feconda intuizione dello sviluppo. Tale è stato l’ultimo e più compiuto tentativo di sviluppare un metodo propriamente filosofico. Un tentativo di grandezza gigantesca! Ma anch’esso doveva fallire. È vero: nella coscienza risiede la possibilità di cogliere la connessione del mondo; e per lo meno alle operazioni formali con cui essa lo fa spetta il carattere di necessità. Ma anche questo metodo metafisico non trova il ponte che lo conduca dalla necessità come fatto della nostra coscienza alla validità oggettiva, e invano esso cerca un cammino che dalla connessione della coscienza lo porti a vedere che in questa ci è dato il nesso interno della realtà stessa. Così venivano in Germania messe alla prova, l’una dopo l’altra, le possibilità del metodo metafisico, e sempre con lo stesso risultato negativo. Tra di esse due hanno lottato per la supremazia durante il secolo XIX. Schelling, Schleiermacher, Hegel, Schopenhauer hanno preso le mosse dalla connessione della coscienza, e ognuno di essi ha scoperto, muovendo di qui, il suo principio dell’universo. Sulla base di Herbart, Lotze e Fechner sono partiti da ciò che è dato nella coscienza come un insieme di esperienze, e hanno cercato di mostrare che una conoscenza concettuale non contraddittoria di questo dato è possibile solamente riconducendo il mondo sensibile a fatti e a connessioni spirituali. Quelli procedevano da Kant e da Fichte, i quali avevano voluto elevare la filosofia a scienza universalmente valida; questi si richiamavano a Leibniz, per cui la spiegazione del mondo era stata soltanto un’ipotesi ben fondata. I più robusti speculativamente del primo orientamento, Schelling e Hegel, trovarono il loro punto di partenza nel principio di Fichte, secondo cui la connessione universalmente valida della coscienza, che si

manifesta nell’io empirico, produce quella dell’universo. Già questo principio costituiva una falsa interpretazione del fatto di coscienza; ma, poiché credevano di poter convertire la connessione da essi assunta nella coscienza, in quanto condizione del mondo che appare alla coscienza, nella connessione dell’universo stesso, e quindi l’io puro in fondamento del mondo, essi andavano oltre ogni possibile esperienza. In una dialettica incessante, dall’intuizione intellettuale di Fichte e di Schelling al metodo dialettico di Hegel, essi hanno invano cercato un procedimento che dimostrasse l’identità della connessione logica con la natura delle cose, della connessione presente nella coscienza con quella dell’universo. E in modo del tutto distruttivo agiva la contraddizione tra la connessione oggettiva del mondo, che essi trovavano in questo modo, e l’ordinamento dei fenomeni in base a leggi che le scienze empiriche avevano stabilito. Ma l’altra tendenza, i cui esponenti, sulla scia di Herbart, erano Lotze e Fechner, e che voleva elevare il dato a una conoscenza concettuale priva di contraddizioni mediante l’ipotesi di una connessione spirituale, cadeva in una dialettica interna non meno distruttiva. Il cammino dalla molteplicità del dato empirico alle madri di tutte le cose, attraverso concetti che non possono essere attestati da alcuna intuizione, li condusse in una notte nella quale si potevano trovare sia reali che monadi, sia la temporalità che l’intemporalità, sia una coscienza universale che un inconscio dal profondo significato. Essi accumularono ipotesi che non trovavano nessun saldo fondamento, ma anche nessuna resistenza nell’inaccessibile e nell’inesperibile: un complesso di ipotesi era qui altrettanto possibile di un altro. Come avrebbe potuto questa metafisica realizzare il suo compito di dare certezza e saldezza alla vita dell’individuo e della società nelle grandi crisi del secolo? E così è fallito anche quest’ultimo e più grandioso tentativo delle spirito umano di trovare nella differenza dal procedimento delle scienze empiriche un metodo filosofico, sul quale potesse venir fondata una metafisica. Non è possibile trarre a una comprensione più profonda il mondo dato nell’esperienza, la cui conoscenza è compito delle scienze particolari, mediante un metodo metafisico differente dal loro procedimento. b) Le nuove determinazioni non metafisiche dell’essenza della filosofia. La dialettica interna alla ricerca di un concetto di essenza della filosofia, nel quale si affermi il suo significato autonomo nei confronti delle scienze particolari, spinge verso altre possibilità. Se non si può trovare un metodo capace di assicurare alla metafisica il suo diritto all’esistenza accanto alle

scienze empiriche, la filosofia deve soddisfare per nuove strade il bisogno di universalità, di fondazione, di comprensione della realtà che è proprio dello spirito. Il punto di vista dello scetticismo dev’essere superato anche nella nuova situazione della ricerca. La filosofia va in cerca, procedendo a tentoni, di una nuova posizione della coscienza di fronte al dato, che sia adeguata alla situazione creata dalle scienze empiriche costituitesi di recente. E se non si può trovare un metodo che dia alla filosofia un oggetto suo proprio, un essere come la sostanza, o Dio, o l’anima, da cui si possano derivare i risultati delle scienze particolari, allora sorge anzitutto la possibilità di cercarne la fondazione nella teoria della conoscenza, muovendo dalla conoscenza oggettiva delle scienze particolari. Un ambito è infatti incontestabilmente proprio della filosofia. Quando le scienze particolari si sono distribuite tra di loro il dominio della realtà data e ognuna tratta un settore di essa, proprio in questo modo sorge un nuovo dominio, costituito da queste scienze stess e. Lo sguardo si volge dal reale al sapere su di esso, e trova qui un ambito che si pone al di là delle scienze particolari. Dopo essere entrato nell’orizzonte della riflessione umana, questo ambito è stato sempre riconosciuto come il dominio della filosofia — teoria delle teorie, logica, teoria della conoscenza. Se si prende questo ambito in tutta la sua estensione, diventa propria della filosofia l’intera dottrina della fondazione del sapere nel campo della conoscenza della realtà, della determinazione di valori, della posizione di scopi e di regole. Tutto l’insieme del sapere diventa così suo oggetto, e sotto di essa cadono le relazioni reciproche delle scienze particolari e il loro ordinamento interno, per cui ogni nuova scienza presuppone le precedenti e si costruisce al di sopra di queste con i fatti che appartengono al suo campo particolare. In base a questo punto di vista, proprio della teoria della conoscenza, cresce anche nelle scienze particolari lo spirito di fondazione e di connessione. Ad esso contribuisce l’esercizio cooperativo delle scienze particolari nelle università e nelle accademie, e in queste corporazioni la filosofia ha il suo compito e il suo significato nel tenere desto questo spirito. Il rappresentante classico di questo punto di vista proprio della teoria della conoscenza all’interno delle stesse scienze empiriche è Helmholtz5, il quale ha giustificato il diritto all’esistenza della filosofia accanto alle scienze particolari con il fatto che essa ha il suo oggetto specifico nel sapere. Alla filosofia resterebbe sempre il compito necessario «di indagare le fonti del nostro sapere e il grado della sua giustificazione»6. «La filosofia ha la sua grande importanza nell’ambito delle

scienze come dottrina delle fonti e delle attività del sapere, nel senso in cui l’hanno intesa Kant e, a quanto ho capito, il vecchio Fichte»7. Trasferita così la funzione essenziale della filosofia nella teoria della conoscenza, resta però la sua relazione con il suo problema fondamentale. La teoria della conoscenza aveva conseguito il suo massimo valore e il suo scopo ultimo proprio nella critica dell’intenzione di una conoscenza oggettiva della connessione e del fondamento del mondo: dal vano lavoro metafisico è sorta l’indagine sui limiti del sapere umano. E la teoria della conoscenza è pervenuta gradualmente, nel corso del suo sviluppo, alla posizione più universale della coscienza di fronte al suo dato, la quale esprime nella maniera più perfetta anche il nostro rapporto con il mistero della vita e del mondo. È quello che aveva assunto già Platone. La filosofia è la riflessione dello spirito sopra tutte le sue forme di atteggiamento, fino ai loro presupposti ultimi. Kant ha attribuito alla filosofia la medesima posizione di Platone. L’ampiezza del suo sguardo si mostra nel fatto che la sua critica e la sua fondazione del sapere si estendono alla conoscenza della realtà così come alla valutazione dei valori estetici, alla dimostrazione del principio teleologico di considerazione del mondo e alla fondazione universalmente valida delle regole etiche. E come ogni punto di vista filosofico tende progressivamente dalla concezione della realtà alla determinazione delle regole dell’agire, così anche questo punto di vista proprio della teoria della conoscenza produce sempre, nei suoi maggiori esponenti, l’orientamento verso l’efficacia pratica, riformatrice della filosofia e verso la sua forza formatrice della personalità. Già Kant spiega che il concetto di filosofia, secondo cui essa ha a suo scopo la compiutezza logica della conoscenza, è soltanto un concetto scolastico: «ma c’è ancora un concetto cosmico della filosofia, secondo cui essa è la scienza della relazione di ogni conoscenza con gli scopi essenziali della ragione umana»8. Occorre ora trovare, per usare il linguaggio di Kant, la connessione tra il concetto scolastico della filosofia e il suo concetto universale: a questa esigenza la scuola neokantiana contemporanea ha reso giustizia in lavori di rilievo. Un’altra posizione non metafisica della filosofia è sorta nella cerchia degli stessi scienziati. Essa si accontenta della descrizione concettuale del mondo fenomenico e della conferma del suo ordine legale, quale viene offerta nella verifica ottenuta mediante l’esperimento e dal presentarsi dell’effetto previsto in base alla teoria. Se la teoria della conoscenza muove dai risultati positivi delle scienze particolari, essa non può aggiungere ad essi nuove conoscenze di oggetti e non può scoprire entro la connessione dei loro fondamenti nessun

nuovo fondamento, per cui resta soltanto la possibilità di attenersi una volta per tutte al carattere positivo dei loro risultati, di trovare il punto fermo di cui va in cerca il nuovo filosofare nella loro autosufficienza, comprovata praticamente, per cogliere il dato, e di respingere come infruttuosa ogni riflessione sulla loro validità universale. E se si seguono le lunghe catene di ragionamento dei teorici della conoscenza, le difficoltà della formazione di concetti nel suo ambito, la disputa delle varie correnti gnoseologiche, vi sono motivi importanti per decidersi in favore di questa nuova posizione filosofica. La filosofia trasferisce così il suo centro nella coscienza della connessione logica delle scienze; e in questa nuova posizione sembra finalmente raggiungere, separandosi dalle ricerche di metafisica e di teoria della conoscenza, l’apprendimento oggettuale del mondo. Se le scienze empiriche indagano le varie parti o i vari aspetti della realtà, alla filosofia rimane il compito di conoscere la relazione interna tra le scienze particolari, in virtù della quale esse conoscono, nel loro insieme, tutta la realtà. Essa è allora enciclopedia delle scienze in un senso filosofico più alto. Le enciclopedie sono sorte nella tarda antichità, dopo il conseguimento dell’autonomia da parte delle scienze particolari. Il lavoro scolastico le ha promosse; ma c’era anche il bisogno di un inventario dei grandi lavori del mondo antico, e — ciò che qui ci importa — dopo le invasioni dei popoli nordici e con la costituzione, dopo la fine dell’Impero romano occidentale, degli stati romano-germanici sul terreno della civiltà antica e dei suoi strumenti, da Marziano Capella9 in poi questi lavori enciclopedici hanno mantenuto in piedi, sebbene in forma assai misera, l’idea antica di una riproduzione del mondo nelle scienze. Un tale concetto di enciclopedia è rappresentato nel modo più compiuto dalle tre grandi opere di Vincenzo di Beauvais10. Dal lavoro di inventariazione del sapere, proseguito per tutto il Medioevo, ha preso le mosse la moderna enciclopedia filosofica. La sua opera fondamentale è quella del cancelliere Bacone: dopo di lui l’enciclopedia ha cominciato a cercare consapevolmente il principio delle relazioni interne tra le scienze. Hobbes per primo lo scoprì nell’ordine naturale delle scienze, determinato dal rapporto secondo cui una è il presupposto dell’altra. In connessione con l’enciclopedia francese, d’Alembert11 e Turgot12 hanno poi sviluppato questo concetto della filosofia come scienza universale; e su questa base Comte ha infine presentato la filosofia positiva come il sistema delle relazioni interne delle scienze secondo la loro reciproca dipendenza sistematica e storica, fino alla sua conclusione nella sociologia. Da questo

punto di vista si è compiuta un’analisi metodologica delle scienze particolari. È stata indagata la struttura di ognuna di esse, sono stati stabiliti i presupposti che vi sono contenuti, e in questi è stato rintracciato il principio delle relazioni reciproche tra le scienze; si poteva così mostrare al tempo stesso come in questo procedere da scienza a scienza sorgano nuovi metodi: alla fine è stata promossa e determinata metodologicamente, come opera propria della filosofia, la sociologia. In tal modo si realizzava la tendenza, ad esse inerente con la distinzione delle scienze positive, a stabilirne la connessione sulla loro base, senza aggiungervi alcuna fondazione generale di teoria della conoscenza, cioè la filosofia positiva. Costituire la filosofia come connessione immanente della conoscenza oggettuale fu un tentativo molto importante. Come questa concezione positivistica della filosofia muove dal concetto rigoroso di un sapere universalmente valido, sviluppato nelle scienze matematiche della natura, così il suo ulteriore significato per il lavoro filosofico consiste nel far valere le pretese che ne scaturiscono e nel purificare le scienze da ogni aggiunta indimostrabile, proveniente da concezioni metafisiche. Già per questa antitesi interna nei confronti della metafisica la nuova posizione filosofica appare storicamente condizionata da essa. Ma è attraverso l’orientamento verso una concezione universale e universalmente valida del mondo che anche questo ramo della filosofia si ricollega al suo tronco. Questa seconda posizione non metafisica dello spirito filosofico si estende però assai oltre l’ambito del positivismo. Dato che, sovraordinando la conoscenza della natura ai fatti spirituali, viene a intromettersi in questo una visione del mondo, esso diventa una dottrina particolare all’interno di questa nuova posizione dello spirito filosofico. Noi troviamo la medesima posizione filosofica ampiamente diffusa anche senza questa aggiunta, e la troviamo rappresentata da molti ed eminenti studiosi nell’ambito delle scienze dello spirito. Particolarmente attiva essa si mostra nella scienza dello stato e del diritto. La concezione degli imperativi che si rivolgono nella legislazione agli appartenenti a uno stato può limitarsi all’interpretazione della volontà che si esprime in essi, alla loro analisi logica e alla loro spiegazione storica, senza rifarsi a princìpi universali, come per esempio un’idea della giustizia, che servano a fondare il diritto positivo e a comprovare la sua legalità. In questo atteggiamento sta una posizione filosofica apparentata al positivismo. Questa seconda posizione anti-metafisica della filosofia trova, in quanto concezione positivistica della realtà, i limiti della sua pur grande forza, soprattutto nella Francia odierna, nel fatto che l’atteggiamento fenomenistico

in essa implicito non può render conto della realtà della coscienza storica e dei valori della vita collettiva; e in quanto interpretazione positiva degli ordinamenti giuridici si mostra incapace di fondare ideali che possano guidare un’epoca rivolta alla trasformazione della società. Se l’orientamento verso la teoria della conoscenza cercava l’elemento distintivo della filosofia nella sua posizione metodologica, e se l’autoriflessione metodologica, l’aspirazione filosofica a presupposti ultimi trovava in essa il suo sviluppo ulteriore, il pensiero positivo ha cercato invece l’elemento caratteristico della filosofia nella sua funzione all’interno del sistema delle scienze, cosicché l’aspirazione della filosofia all’universalità si è mantenuta in esso: resta così ancora la possibilità che la filosofia cerchi il suo oggetto specifico in maniera da soddisfare la sua aspirazione a cogliere la realtà. Se i tentativi di penetrare per via metafisica nella realtà erano falliti, la realtà della coscienza come fatto è emersa tanto più forte nella sua importanza. Questa realtà ci è data nell’esperienza interna, e insieme ad essa ci è data la possibilità di conoscere più profondamente nella loro origine la molteplicità dei prodotti dello spirito umano, così come vengono penetrati dalle scienze dello spirito. L’esperienza interna è il punto di partenza della logica, delle teoria della conoscenza e di ogni dottrina che produca una visione unitaria del mondo, e su di essa poggiano la psicologia, l’estetica, l’etica e le discipline affini. L’intero ambito così circoscritto è sempre stato designato come filosofico: su questo contenuto di fatto si fonda quella visione dell’essenza della filosofia che la concepisce come scienza dell’esperienza interna o come scienza dello spirito, Questo punto di vista è stato sviluppato a partire dall’epoca in cui la psicologia, nel secolo XVIII, ha acquisito un fondamento empirico con la formazione della dottrina associazionistica, e ha aperto davanti a sé un ampio dominio di applicazioni feconde nella dottrina della conoscenza, nell’estetica e nell’etica. David Hume, nella sua opera principale sulla natura umana13, vede la vera filosofia nello studio dell’uomo fondato sull’esperienza. E dato che egli respinge la metafisica, fonda la teoria della conoscenza esclusivamente sulla nuova psicologia e al tempo stesso indica in questa i princìpi esplicativi delle scienze dello spirito, da ciò nasce una connessione delle scienze dello spirito che è basata sull’esperienza interna. Dopo la creazione delle scienze della natura, l’altro e maggiore compito dello spirito umano consiste in questa connessione, che ha il suo centro nella dottrina dell’uomo. Ad esso hanno poi dato il loro contributo Adam Smith, Bentham14, James Mill15, John Stuart Mill,

Bain16. John Stuart Mill, al pari di Hume, intende per filosofia «la conoscenza scientifica dell’uomo come un essere intellettuale, morale e sociale»17. In Germania, Beneke18 ha sostenuto lo stesso punto di vista, derivandolo dalla scuola inglese e scozzese, e rimanendo sotto l’influenza di Herbart soltanto nel modo di realizzarlo. In questo senso egli si esprime nella sua Grundlegung zur Physik der Sitten: «secondo la mia concezione, tutta la filosofia diventa scienza naturale dell’anima umana»19. Lo ispirava la grande verità che l’esperienza interna ci dischiude nella vita psichica una realtà compiuta, mentre il mondo sensibile esterno ci è dato solamente come fenomeno. Ed egli ha poi mostrato nella sua Pragmatische Psychologie che «tutto ciò che sta davanti a noi, come oggetto della nostra conoscenza, nella logica, nella morale, nell’estetica, nella filosofia della religione, perfino nella metafisica» può essere colto con chiarezza e profondità «quando lo concepiamo secondo le leggi fondamentali dello sviluppo psichico dell’uomo, quali vengono rappresentate nella loro connessione più generale dalla psicologia (teorica)»20. Tra i pensatori successivi, Theodor Lipps21 ha esplicitamente definito la filosofia, nei suoi Grundtatsachen des Seelenlebens, come scienza dello spirito o scienza dell’esperienza interna. Il grande merito di questi pensatori nella formazione delle scienze dello spirito è fuori dubbio. Soltanto dopo che è stata riconosciuta la posizione fondamentale della psicologia in questo ambito e che le nostre conoscenze psicologiche sono state applicate alle scienze particolari dello spirito, esse hanno cominciato a venire incontro alle esigenze di un sapere universalmente valido. Ma il nuovo punto di vista della filosofia come scienza dell’esperienza interna non ha potuto risolvere la questione della validità universale della conoscenza scientifica, e nella sua delimitazione non ha potuto neppure soddisfare il compito che il positivismo si è giustamente posto. Così anche Lipps è pervenuto a una nuova formulazione del suo punto di vista. In questa concezione della filosofia si fa valere un rapporto estremamente significativo di questa terza posizione non metafisica con i problemi metafisici della filosofia, che è confermato anche dalla denominazione e dal corso storico. Le scienze della natura traggono fuori dall’Erlebnis soltanto contenuti parziali, i quali possono servire alla determinazione dei mutamenti che hanno luogo nel mondo fisico da noi indipendente: così la conoscenza della natura ha a che fare soltanto con fenomeni della coscienza. L’oggetto delle scienze dello spirito è invece la realtà degli Erlebnisse che è data nell’esperienza interna.

Qui possediamo dunque una realtà immediatamente vissuta — certamente soltanto vissuta — cogliere la quale costituisce l’aspirazione senza fine della filosofia. Si vede quindi che anche questa determinazione concettuale della filosofia mantiene la connessione della sua essenza con il suo problema fondamentale originario. 3. Conclusione sull’essenza della filosofia. Un aspetto del risultato tratto dal contenuto storico è negativo. In ognuna delle determinazioni concettuali è apparso soltanto un elemento dell’essenza della filosofia: ognuna era solamente l’espressione di un punto di vista che la filosofia ha assunto in una certa fase del suo sviluppo. Essa esprimeva ciò che a uno o a più pensatori appariva dovesse e potesse essere, in una determinata situazione, la funzione della filosofia. E ognuna definisce come filosofia un particolare ambito di fenomeni, escludendo da questo gli altri fenomeni anch’essi designati con il termine “filosofia”. I grandi contrasti tra i vari punti di vista che si affrontano tra di loro con pari forza si esprimono nelle definizioni della filosofia. Essi si affermano l’uno di fronte all’altro con pari diritto; e la disputa può quindi essere appianata soltanto se si può rintracciare un punto di vista al di sopra delle parti in conflitto. Il punto di vista dal quale sono state proposte le determinazioni concettuali della filosofia che abbiamo illustrato era quindi quello del filosofo sistematico che, in base alla connessione del suo sistema, cerca di esprimere in una definizione quello che gli sembra il suo compito importante e suscettibile di soluzione. In ciò egli è indubbiamente nel suo pieno diritto: egli definisce allora la sua propria filosofia; non nega che nel corso della storia la filosofia si sia posta anche altri compiti, ma ritiene la loro soluzione impossibile o priva di valore, e quindi il lavoro della filosofia in merito ad essi gli appare un’illusione durata a lungo. Dato che il singolo filosofo è chiaramente consapevole di questo senso della sua determinazione, non può esserci alcun dubbio sul suo diritto di confinare la filosofia alla teoria della conoscenza o alle scienze che sono fondate sull’esperienza interna, oppure all’ordinamento sistematico delle scienze in cui esse realizzano la conoscenza. Il compito di una determinazione dell’essenza della filosofia, che chiarisca la sua denominazione e i concetti che i vari filosofi hanno formulato in merito, conduce necessariamente dal punto di vista sistematico al punto di vista storico, il che vuol dire determinare non ciò che per filosofia s’intende ora o qui, bensì ciò che costituisce sempre e ovunque il suo contenuto di fatto. Tutti i concetti particolari ad essa relativi si riferiscono soltanto a questo contenuto

di fatto universale, che dà conto della molteplicità di ciò che si è presentato come filosofia e delle differenze di queste concezioni. E proprio perché da questo punto di vista storico si comprende nella sua necessità la certezza di sé con cui i singoli sistemi si mostrano nella loro specificità e si pronunciano in merito alla filosofia, la sua superiorità appare chiara. Ogni soluzione dei problemi filosofici appartiene, considerata storicamente, a un presente e a una situazione in esso: l’uomo, questa creatura del tempo, trova la sicurezza della sua esistenza, fin quando agisce in esso, nel fatto di trarre fuori dal fluire del tempo ciò che crea come qualcosa di durevole: in questa parvenza egli crea con lieto coraggio e con pienezza di forza. Qui sta l’eterna contraddizione tra gli spiriti che creano e la coscienza storica. È naturale per quelli voler dimenticare il passato e non curarsi del meglio che può venire in futuro; questa vive invece nella connessione di tutti i tempi, assicurando a ogni creazione individuale la relatività e la transitorietà che è data insieme ad essa. Questa contraddizione è la sofferenza più propria, tacitamente sopportata, della filosofia contemporanea. Infatti nel filosofo d’oggi il proprio creare coincide con la coscienza storica, in quanto senza di essa la sua filosofia abbraccerebbe soltanto una frazione della realtà. Il suo creare deve avere coscienza di sé come di un elemento della connessione storica, in cui esso produce consapevolmente qualcosa di condizionato. Allora diventa possibile una soluzione di questa contraddizione, come risulterà chiaro in seguito: l’individuo può abbandonarsi tranquillamente alla potenza della coscienza storica e porre anche la sua opera quotidiana sotto il punto di vista della connessione storica, in cui l’essenza della filosofia si realizza nella molteplicità dei suoi fenomeni. Da questo punto di vista storico ogni concetto particolare della filosofia diventa un caso che rimanda alla legge di formazione implicita nel contenuto di fatto della filosofia. E se ognuna delle determinazioni concettuali della filosofia proposta dal punto di vista sistematico è in sé insostenibile, esse risultano però tutte importanti per la soluzione del problema dell’essenza della filosofia. Esse costituiscono una parte essenziale del contenuto di fatto storico dal quale noi possiamo inferirla. Per compiere questa inferenza noi mettiamo insieme tutti i dati empirici che sono stati presi in esame. Il nome di filosofia si è mostrato come distribuito in elementi della più diversa specie. Nell’essenza della filosofia si è manifestata una straordinaria variabilità, per cui essa si pone sempre nuovi compiti e si adatta alle diverse situazioni culturali, accogliendo certi problemi

come validi e poi di nuovo rigettandoli: in una certa fase della conoscenza le appaiono suscettibili di soluzione delle questioni che in seguito lascia cadere come insolubili. Ma sempre abbiamo visto agire in essa la medesima tendenza all’universalità, alla fondazione, il medesimo orientamento dello spirito verso la totalità del mondo dato. E sempre in essa lo sforzo metafisico di penetrare il nucleo di questa totalità si scontra con la pretesa positivistica alla validità universale del suo sapere. Questi sono i due aspetti che caratterizzano la sua essenza e che la contraddistinguono anche dai campi più strettamente affini della cultura. A differenza dalle scienze particolari, essa cerca la soluzione del mistero stesso del mondo e della vita; e a differenza dall’arte e dalla religione, vuol dare questa soluzione in modo universalmente valido. Questo è infatti il risultato principale che si ricava dai dati di fatto storici che abbiamo preso in esame: una connessione storica conseguente, in sé conclusa, conduce dalla conoscenza metafisica dei Greci, i quali hanno cercato di risolvere in maniera universalmente valida il grande mistero del mondo e della vita, fino ai positivisti o agli scettici più radicali dell’epoca presente; tutto ciò che è avvenuto nella filosofia è in qualche modo determinato da tale punto di partenza, dal suo problema fondamentale; sono state percorse tutte le possibilità in cui lo spirito umano può atteggiarsi nei confronti del mistero del mondo e della vita. In questa connessione storica la funzione di ogni particolare dottrina filosofica consiste nel realizzare una certa possibilità nelle condizioni date; ognuna ha espresso un tratto essenziale della filosofia, e l’ha mostrato al tempo stesso nella sua limitazione alla connessione teleologica da cui è condizionata — come parte di un tutto nel quale soltanto sta l’intera verità. Questo complesso fatto storico si spiega in quanto la filosofia costituisce una funzione nella connessione di scopo della società, che è determinata dalla funzione propria della filosofia. Dato che assolve la propria funzione nelle sue posizioni particolari, essa è condizionata dal suo rapporto con la totalità e insieme dalla situazione culturale in base al tempo, al luogo, ai rapporti di vita, alla personalità. Perciò non sopporta alcuna rigida delimitazione da parte di un determinato oggetto o di un determinato metodo. Questo contenuto oggettivo, che forma l’essenza della filosofia, unisce tutti i pensatori filosofi. Trova qui la sua spiegazione un tratto essenziale che è venuto in luce nei fenomeni della filosofia. Il termine “filosofia”, lo abbiamo visto, designa qualcosa di ricorrente in modo uniforme, che sussiste ovunque compare tale nome, ma al tempo stesso designa una connessione interna di coloro che ad essa partecipano. Se la filosofia è una funzione che svolge un

determinato compito nella società, essa pone in un rapporto interno coloro nei quali vive questo scopo. In questo modo i capi delle scuole filosofiche sono collegati con i loro scolari. Nelle accademie che sono sorte dopo la fondazione delle scienze particolari noi troviamo queste scienze sostenute nel loro lavoro comune, integrandosi l’una con l’altra, dall’idea dell’unità del sapere; e la coscienza di questa connessione si incorpora in nature filosofiche come quelle di Platone, Aristotele e Leibniz. Infine, nel corso del secolo XVIII anche le università sono diventate organizzazioni di lavoro scientifico in comune, in cui i maestri sono legati tra di loro e con gli scolari: e anche in esse spetta alla filosofia la funzione di mantenere viva la coscienza della fondazione, della connessione e del fine del sapere. Tutte queste organizzazioni sono comprese dalla connessione di scopo interna in cui, da Talete e da Pitagora in poi, un pensatore propone all’altro certi problemi e tramanda certe verità: le possibilità di soluzione vengono sviluppate entro tale successione, dando luogo alle diverse visioni del mondo. I grandi pensatori agiscono come forze attive su ogni età successiva. III. Gli anelli intermedi tra la filosofia e la religiosità, la letteratura e la poesia I sistemi dei grandi pensatori, nei quali la filosofia si presenta in primo luogo e indubitabilmente, e la connessione di questi sistemi nella storia ci hanno condotto a gettare uno sguardo sintetico sulla funzione della filosofia. Ma da questa funzione non si può trarre ancora nessuna conclusione sull’attribuzione dei termini “filosofia” e “filosofico”. Questi termini si estendono anche a fenomeni che non sono determinati in modo esclusivo da tale funzione della filosofia. Per spiegare questi fatti si deve allargare l’orizzonte di considerazione. L’affinità della filosofia con la religione, la letteratura e la poesia è stata sempre rilevata: il rapporto interno con il mistero del mondo e della vita è comune a tutte e tre. E i termini “filosofia” e “filosofico”, o le designazioni ad essi affini, sono stati perciò trasposti anche a elementi di fatto spirituali nell’ambito della religiosità, come a elementi dell’esperienza della vita, della condotta della vita, dell’attività letteraria e della poesia. Gli Apologisti greci designano senz’altro il Cristianesimo come filosofia. Secondo Giustino22, Cristo risolve definitivamente, in quanto ragione divina fattasi uomo, i problemi con cui i filosofi veritieri si sono scontrati. E secondo Minucio Felice23 la filosofia, che si compie nel Cristianesimo, consiste nelle verità eterne su Dio, sulla responsabilità e sull’immortalità dell’uomo, che

sono fondate nella ragione e possono venir dimostrate in base ad essa: i Cristiani sono oggi i (veri) filosofi, e i filosofi nei tempi pagani sono già stati cristiani. Un altro importante gruppo di pensatori cristiani designa il sapere che completa la fede con il nome di gnosi. La gnosi eretica si fonda sull’esperienza della potenza morale del Cristianesimo per liberare l’anima dalla sensibilità, e dà a questa esperienza un’interpretazione metafisica in forma di intuizioni storico-religiose. All’interno della Chiesa Clemente Alessandrino24 ha concepito la gnosi come fede cristiana elevata a sapere, attribuendo ad essa il diritto di interpretare il senso più alto delle sacre scritture. Nello scritto De principiis, il sistema compiuto della gnosi ecclesiastica, Origene25 la definisce come il procedimento che fornisce alle verità contenute nella tradizione degli Apostoli la sua giustificazione. E all’interno della contemporanea speculazione greco-romana un analogo anello intermedio si presenta nel neoplatonismo: infatti l’impulso filosofico trova qui il suo soddisfacimento ultimo nell’unificazione mistica con la divinità, e quindi nel processo religioso; perciò Porfirio26 scorge il motivo e la fine della filosofia nella salvezza dell’anima, e Proclo27 preferisce per la sua opera il nome di teologia a quello di filosofia. Gli strumenti speculativi con cui religione e filosofia vengono unificati internamente sono i medesimi in tutti questi sistemi. Il primo è la dottrina del logos: nell’unità divina ha il suo fondamento una forza che tende a parteciparsi, e da essa scaturiscono nella loro essenziale affinità le forme filosofiche e religiose di comunicazione. L’altro strumento è l’interpretazione allegorica, mediante cui l’elemento particolare e storico della fede religiosa e delle sacre scritture viene elevato a una visione universale del mondo. Nei medesimi sistemi impulso filosofico, fede religiosa, fondazione razionale e unificazione mistica con la divinità sono talmente legati tra loro che i processi religiosi e filosofici si presentano come momenti del medesimo sviluppo. In questa età di grande scontro tra religioni sorge infatti, dalla visione dello sviluppo di importanti personalità il nuovo principio creativo di un tipo di sviluppo universale delle anime superiori. Su di esso poggiano le forme più alte della mistica medievale, cosicché anche in esse si deve riconoscere non già una mera mescolanza di questi due ambiti, bensì una loro connessione interna psicologicamente assai profonda. Questo fenomeno spirituale ha avuto come conseguenza una oscillazione completa nella denominazione: ancora Jakob Böhme28 designa la sua opera come una filosofia sacra.

Se già tutti questi fatti mostrano la relazione interna tra religiosità e filosofia, essa diventa poi evidente per il fatto che la storia della filosofia non può escludere da sé questi anelli intermedi con la religiosità. Essi trovano il loro posto nel procedere dall’esperienza della vita alla coscienza psicologica della vita, così come nell’origine e nella formazione della visione della vita. Questo strato intermedio tra la religiosità e la filosofia costringe quindi a risalire, al di là dei tratti essenziali finora individuati, a connessioni di più ampia portata e di più profondo fondamento. La medesima necessità si presenta anche quando consideriamo le relazioni con l’esperienza della vita, la letteratura e la poesia, quali appaiono nella denominazione, nella formazione dei concetti e nella connessione storica. Coloro che, nella loro attività letteraria, cercano di pervenire a un punto di vista inattaccabile per esercitare un’influenza sul pubblico, s’incontrano su questa strada con coloro che procedono dalla ricerca filosofica e, disperando nel sistema, vogliono fondare ed esprimere più liberamente, più umanamente, il sapere relativo alla vita. Come rappresentante del primo gruppo si può considerare Lessing. La sua natura lo aveva fatto scrittore. Da giovane egli prese conoscenza dei sistemi filosofici, eppure non pensò di prendere partito nella loro disputa. Ma ognuno dei compiti, piccoli e grandi, che egli si poneva, lo costringeva a cercare saldi concetti e salde verità. Chi vuol condurre il pubblico deve egli stesso stare su una strada sicura: così egli fu portato da compiti limitati ad affrontare problemi di carattere sempre più generale. Senza compiere il lavoro sistematico del filosofo, egli risolse questi problemi in base alla forza del suo proprio essere, come il tempo lo aveva formato. Dalla vita stessa sorse in lui un ideale di vita; dalla filosofia circostante gli venne una dottrina deterministica, e gli uomini, che egli conosceva tanto bene, gliene offrirono una conferma; su questi fondamenti sorse poi, nei suoi studi teologici, una certa rappresentazione della forza divina in cui è fondata la connessione necessaria delle cose. Questi motivi, e altri affini, lo condussero a dare alle sue idee una struttura interna, che è sempre ancora molto diversa dai tratti essenziali della filosofia, quali sono stati illustrati. Eppure, nessuno esita a parlare di una filosofia di Lessing. Egli s’inserisce a un certo punto nella storia di questo ambito della vita, e vi reclama il suo posto. In tutti gli scrittori, di cui egli è esponente rappresentativo, noi abbiamo a che fare con uno strato intermedio che collega la filosofia con la letteratura. Al medesimo strato appartiene anche l’altro gruppo, che muove dalla

filosofia sistematica per approdare a una maniera soggettiva, priva di forma, di risolvere il mistero della vita e del mondo. Questo gruppo occupa un posto molto rilevante nella storia dello spirito umano. Soprattutto ogni volta che un’epoca del pensiero sistematico era giunta alla fine, che i valori di vita in essa validi non corrispondevano più alla mutata situazione dell’uomo, e la conoscenza concettuale del mondo, elaborata in maniera precisa e sottile, non poteva più rendere conto dei fatti nuovi di cui si aveva esperienza, tali pensatori si presentavano ad annunciare un nuovo giorno nella vita della filosofia. Di questo tipo erano quei filosofi della scuola stoica romana, che muovendo dalla filosofia dell’azione arrivarono a scrollarsi di dosso il peso della sistematica greca e a porre il proprio fine in una interpretazione più libera della vita. Marco Aurelio, che nei suoi dialoghi con se stesso ha trovato la forma più geniale di questo procedimento, scorge l’essenza della filosofia in una costituzione di vita in conformità alla quale il dio viene conservato nel nostro intimo, indipendente dalla violenza del mondo e puro della sua sporcizia. Ma questi pensatori trovavano un saldo sostegno per la loro considerazione della vita nella sistematica stoica, rimanendo ancora in un rapporto interno diretto con il movimento della filosofia che sottostava all’esigenza della validità universale. Essi hanno il loro posto in questa filosofia in quanto continuazione della dottrina della personalità costruita sulla base del panteismo deterministico: un orientamento che si è riaffermato nella filosofia tedesca del secolo XIX e che anche qui mostra, in virtù del carattere di tale dottrina, una forte tendenza a esprimersi in forme più libere. Ma ben più chiaramente si separa dalla filosofia con la sua pretesa di validità universale una serie di pensatori moderni. L’arte dell’esperienza e della condotta della vita ha prodotto nell’età del Rinascimento i suoi fiori più raffinati negli Essais di Montaigne29. Egli si lascia dietro le spalle la valutazione della vita propria della filosofia medievale e, ancor più decisamente di Marco Aurelio, rinuncia a ogni pretesa di fondazione e di validità universale. I suoi scritti vanno al di là dello studio dell’uomo soltanto in occasionali e brevi considerazioni; i suoi saggi costituiscono per lui la filosofia. Questa è infatti la forza formatrice del giudizio e dei costumi; in fondo la solidità e la sincerità sono la vera filosofia. E poiché Montaigne stesso designa la sua opera come filosofia, egli è insostituibile nel posto che occupa nella storia di questo ambito della vita. E così pure Carlyle, Emerson30, Ruskin31, Nietzsche, perfino Tolstòj e Maeterlinck32 hanno nel presente una qualche relazione con la filosofia sistematica; ma ancora più consapevolmente

ed energicamente di Montaigne se ne separano, e ancora più coerentemente hanno di conseguenza soppresso ogni legame con la filosofia come scienza. Tutti questi fenomeni, al pari della mistica, non costituiscono una torbida mescolanza della filosofia con un altro ambito della vita, ma in questa come in quelli viene a esprimersi uno sviluppo psichico. Cerchiamo di cogliere l’essenza di questa moderna filosofia della vita. Un suo aspetto è il modo in cui gradualmente s’indeboliscono le pretese metodiche di validità universale e di fondazione; il procedimento che dall’esperienza della vita trae una interpretazione della vita assume in questa gradualità forme sempre più libere, e aperçus vengono dedicati a una spiegazione della vita non metodica ma impressionante. Questa specie di letteratura è affine all’antica tecnica dei sofisti e dei retori, che Platone caccia così decisamente dall’ambito della filosofia, in quanto al posto della dimostrazione metodica subentra in essi la persuasione. E tuttavia una forte relazione interna congiunge alcuni di questi pensatori con lo stesso movimento filosofico. La loro tecnica di persuasione si unisce a una feconda serietà e a una grande veridicità. Il loro occhio rimane rivolto al mistero della vita, ma essi disperano di poterlo risolvere con una metafisica universalmente valida, sulla base di una teoria della connessione del mondo: la vita dev’essere interpretata in base a se stessa — questo è il grande principio che collega questi filosofi con l’esperienza del mondo e con la poesia. Da Schopenhauer in poi questo principio si è sviluppato in maniera sempre più ostile nei confronti della filosofia sistematica; ora esso forma il centro degli interessi della giovane generazione. In questi scritti si esprime un orientamento letterario di autentica grandezza e autonomo. Pretendendo per sé il nome stesso di filosofia essi preparano oggi, come fecero una volta i pensatori religiosi, nuovi sviluppi della filosofia sistematica. Infatti, dopo che la scienza universalmente valida della metafisica è andata distrutta per sempre, si deve trovare un metodo da essa indipendente per pervenire a decisioni in merito ai valori, agli scopi e alle regole della vita; e sulla base della psicologia descrittiva e analitica, la quale muove dalla struttura della vita psichica, si dovrà cercare all’interno di una scienza metodica una soluzione, anche se più modesta e meno dittatoriale, di questo compito che si sono posti i filosofi della vita contemporanei. Il complesso rapporto che si manifesta in questo strato tra religione, filosofia, esperienza della vita, poesia, ci costringe a richiamarci alle relazioni tra queste forze della cultura nella persona individuale e nella società. L’incertezza della delimitazione, che è fondata sulla variabilità delle

caratteristiche della filosofia e che rimanda alla determinazione concettuale della filosofia come funzione, può essere compresa soltanto se riandiamo alla connessione della vita nell’individuo e nella società, inserendo in essa la filosofia. Ciò avviene mediante l’applicazione di un nuovo procedimento.

2. L’ESSENZA DELLA FILOSOFIA INTESA IN BASE ALLA SUA POSIZIONE NEL MONDO SPIRITUALE Dai contenuti di fatto che recano il nome di filosofia, e dai concetti relativi ad essi che si sono formati nella storia della filosofia, sono stati finora derivati induttivamente i suoi tratti essenziali. Essi rimandavano a una funzione della filosofia come elemento uniforme nella società. E mediante questo elemento uniforme abbiamo visto che tutte le persone che filosofano sono congiunte nella connessione interna della storia della filosofia. La filosofia si è poi mostrata in molteplici forme intermedie nell’ambito della religione, della riflessione sulla vita, della letteratura, della poesia. Queste induzioni in base al contenuto storico acquisiscono la loro conferma e il loro legame con la conoscenza conclusiva dell’essenza della filosofia in quanto questa viene inserita nella connessione in cui assolve la sua funzione: così il suo concetto viene completato attraverso l’esposizione del suo rapporto con i concetti che gli sono sovraordinati e coordinati. I. L’inserimento della filosofia nella connessione della vita psichica, della società e della storia 1. La posizione nella struttura della vita psichica. Noi comprendiamo certi tratti dati storicamente soltanto in base all’interiorità della vita psichica. La scienza che descrive e analizza questa interiorità è la psicologia descrittiva, la quale coglie quindi per così dire dall’interno anche la funzione della filosofia nel mantenimento della vita spirituale e la determina nel suo rapporto con le funzioni spirituali ad essa più affini. In questo modo essa completa il concetto dell’essenza della filosofia. Infatti i concetti sotto i quali rientra quello della filosofia hanno come proprio contenuto la relazione interna delle caratteristiche che rappresentano, in base al possesso di ciò che è immediatamente vissuto e alla successiva comprensione di altri, una connessione reale; invece la scienza teorica della natura stabilisce soltanto le uniformità presenti nei fenomeni dati sensibilmente. Tutti i prodotti umani scaturiscono dalla vita psichica e dalle sue relazioni con il mondo esterno. Poiché la scienza cerca ovunque regolarità, anche lo studio dei prodotti spirituali deve muovere dalle regolarità della vita psichica. Queste sono di due specie. La vita psichica mostra uniformità che possono esser stabilite nei suoi mutamenti: nei loro confronti ci comportiamo allo stesso modo che di fronte alla natura esterna. La scienza le stabilisce

separando singoli processi da Erlebnisse composti e inferendo per via induttiva le loro regolarità: così noi conosciamo i processi di associazione, di riproduzione o di appercezione. Ogni mutamento è qui un caso che sta in un rapporto di subordinazione rispetto a queste uniformità. Esse costituiscono un aspetto del fondamento della spiegazione psicologica dei prodotti spirituali: i processi di formazione veri e propri, in cui le percezioni si trasformano in immagini fantastiche, contengono quindi una parte dei motivi di spiegazione del mito, della saga, della leggenda e della creazione artistica. I processi della vita psichica sono però collegati tra di loro ancora da un altro tipo di relazione: sono uniti come parti nella connessione della vita psichica. Questa connessione la chiamo struttura psichica: essa è la disposizione in base a cui fatti psichici di qualità differente sono collegati tra di loro nella vita psichica sviluppata in virtù di una relazione interna della quale si può avere un’esperienza vissuta. La forma fondamentale di questa connessione psichica è determinata dal fatto che ogni vita psichica si trova condizionata dal suo ambiente e agisce a sua volta su questo ambiente in conformità a certi scopi. Le sensazioni vengono suscitate dalla molteplicità delle cause esterne e le rappresentano: stimolati dal rapporto di queste cause con la nostra vita personale, quale si manifesta nel sentimento, noi rivolgiamo il nostro interesse a queste impressioni, noi appercepiamo, distinguiamo, colleghiamo, giudichiamo e compiamo inferenze: sotto l’azione dell’apprendere oggettuale sorgono, in base alla molteplicità dei sentimenti, valutazioni sempre più corrette del valore degli elementi della vita e delle cause esterne che influenzano questa vita personale e il sistema dei suoi impulsi; guidati da queste valutazioni noi modifichiamo la costituzione dell’ambiente attraverso azioni volontarie orientate in vista di certi scopi, o adattiamo ai nostri bisogni i processi della vita mediante l’attività interna del volere. Questa è la vita umana. E nella sua connessione sono intrecciati tra di loro, nella maniera più diversa, la percezione, il ricordo, il processo del pensiero, l’impulso, il sentimento, il desiderio, l’azione volontaria. Ogni Erlebnis, in quanto riempie un momento della nostra esistenza, risulta qualcosa di composto. La connessione strutturale psichica ha un carattere teleologico. Quando nel piacere e nel patire l’unità psichica ha esperienza di ciò che ha valore per essa, allora reagisce nell’attenzione, nella selezione delle impressioni e nella loro elaborazione, nell’aspirazione, nell’azione volontaria, nella scelta tra i fini, nella ricerca di mezzi per i suoi scopi. Già nell’apprendere oggettuale si fa così valere l’aspirazione a un fine: le

forme di rappresentazione di una qualsiasi realtà costituiscono i gradi di una connessione di scopo, in cui l’elemento oggettuale perviene a una rappresentazione sempre più compiuta e consapevole. Questa forma di atteggiamento, nella quale cogliamo ciò che è immediatamente vissuto e ciò che è dato, produce la nostra immagine del mondo, i nostri concetti di realtà, le scienze particolari in cui si suddivide la conoscenza di questa realtà — e quindi la connessione di scopo della conoscenza della realtà. L’impulso e il sentimento agiscono in ogni punto di questo processo. In essi risiede il centro della nostra struttura psichica; tutte le profondità del nostro essere ne sono mosse. Noi andiamo in cerca di una condizione del nostro sentimento della vita che faccia in qualche modo tacere i nostri desideri. La vita si trova coinvolta in un continuo approssimarsi a questo fine: ora sembra averlo raggiunto, ora se ne allontana di nuovo. Soltanto le esperienze che si succedono insegnano a ciascuno dove sta per lui ciò che è dotato di valore in modo durevole. Il compito principale della vita è per questo verso di pervenire, attraverso le illusioni, alla conoscenza di ciò che per noi vale veramente. Io chiamo esperienza della vita la connessione dei processi nella quale mettiamo alla prova i valori della vita e i valori delle cose. Essa presuppone la conoscenza di ciò che è, e quindi il nostro apprendere oggettuale: nei suoi riguardi le nostre azioni volontarie, il cui scopo più prossimo è di produrre mutamenti al di fuori o in noi stessi, possono nel medesimo tempo rappresentare mezzi per determinare i valori dei momenti della nostra vita e delle cose esterne, qualora il nostro interesse si rivolga a queste. Attraverso la conoscenza dell’uomo, la storia e la poesia, si estendono gli strumenti dell’esperienza della vita e il suo orizzonte. Anche in questo ambito la nostra vita può raggiungere la sua certezza soltanto innalzandosi a un sapere universalmente valido. Ma può questo rispondere alla questione relativa a ciò che vale incondizionatamente? Sulla coscienza dei valori della vita è poi fondata una terza e ultima connessione, nella quale cerchiamo, attraverso le nostre azioni volontarie, di guidare e di ordinare le cose, gli uomini, la società e noi stessi. Ne fanno parte scopi, beni, doveri, regole di vita, e tutto l’enorme lavoro del nostro agire pratico nel diritto, nell’economia, nella regolamentazione della società, nel dominio sulla natura. Anche in questo atteggiamento la coscienza procede verso forme sempre più elevate, e noi cerchiamo come forma ultima e suprema un agire fondato su un sapere universalmente valido; sorge così di nuovo la questione del modo in cui questo fine può venir raggiunto.

Un essere nel quale sia presente un’aspirazione verso fini in qualche modo rivolta verso i valori vitali presenti negli impulsi, e il quale si manifesti nella differenziazione delle funzioni e nella loro multiforme relazione interna a questo fine, deve svilupparsi: così dalla struttura della vita psichica deriva il suo sviluppo. Ogni momento e ogni epoca della nostra vita possiede un valore autonomo, in quanto le sue condizioni particolari rendono possibile un determinato modo di soddisfacimento e di realizzazione della nostra esistenza; nello stesso tempo, però, tutte le fasi della vita sono collegate tra di loro in uno sviluppo, in quanto noi tendiamo, nel procedere del tempo, a un’esplicazione sempre più ricca dei valori della vita, a una conformazione sempre più salda e più altamente elaborata della vita psichica. E anche qui viene di nuovo in luce lo stesso rapporto fondamentale tra vita e sapere: una condizione essenziale di una salda forma della nostra interiorità risiede nell’accrescimento della coscienza, nell’innalzarsi del nostro agire a un sapere valido e ben fondato. Questa connessione interna ci insegna come la funzione empiricamente stabilita della filosofia sia sorta con intrinseca necessità dalle proprietà fondamentali della vita psichica. Se ci si rappresenta un individuo del tutto isolato, e inoltre libero dai confini temporali della vita personale, in lui si avranno un apprendimento della realtà, un Erleben dei valori, una realizzazione di beni in base a regole della vita; in lui dovrà sorgere una riflessione sul suo agire, che troverà il proprio compimento soltanto in un sapere universalmente valido relativo ad esso; e siccome apprendimento della realtà, esperienza interna dei valori da parte del sentire e realizzazione di scopi vitali sono connessi tra di loro nelle profondità di questa struttura, egli aspirerà a cogliere questa connessione interna in un sapere universalmente valido. Ciò che è connesso nelle profondità della struttura — conoscenza del mondo, esperienza della vita, princìpi dell’agire — dev’essere recato a una qualche unificazione nella coscienza pensante. Così in questo individuo sorge la filosofia. La filosofia è inerente alla struttura dell’uomo: ognuno, in qualsiasi posto stia, si accosta ad essa, e ogni funzione umana tende a pervenire alla riflessione filosofica. 2. La struttura della società e la posizione della religione, dell’arte e della filosofia al suo interno. L’uomo singolo come essere isolato è una mera astrazione. Affinità di sangue, convivenza spaziale, azione reciproca nelle funzioni lavorative [nella concorrenza e nel lavoro in comune, nelle molteplici connessioni che derivano dal comune perseguimento di certi scopi]33, relazioni di dominio e di

obbedienza fanno dell’individuo un membro della società. E poiché questa società consiste di individui che hanno una struttura, in essa agiscono le medesime regolarità strutturali. La conformità soggettiva e immanente degli individui a uno scopo si esprime nella storia in forma di sviluppo. Le regolarità della vita psichica individuale si traducono in quelle della vita sociale. La differenziazione e la relazione superiore delle funzioni differenziate, che si hanno nell’individuo, assumono nella società forme più salde e più efficaci sotto forma di divisione del lavoro. Lo sviluppo diventa illimitato in virtù della concatenazione delle generazioni: i prodotti di ogni specie di lavoro si mantengono infatti come base per sempre nuove generazioni, e il lavoro spirituale si estende di continuo nello spazio, guidato dalla coscienza della solidarietà e del progresso; ne derivano così la continuità del lavoro sociale, la crescita dell’energia spirituale in esso impiegata e la crescente articolazione delle operazioni lavorative. Questi motivi razionali, che agiscono nella vita della società e che sono posti in luce dalla psicologia sociale, sottostanno a condizioni su cui riposa il carattere più proprio dell’esistenza storica; la razza, il clima, i rapporti della vita, lo sviluppo dei ceti e lo sviluppo politico, la specificità degli individui e dei loro gruppi danno a ogni prodotto spirituale il suo carattere particolare; ma in tutta questa molteplicità, dalla struttura sempre eguale della vita sorgono le medesime connessioni di scopo che indichiamo come sistemi di cultura, anche se in varie modificazioni storiche. La filosofia può ora essere determinata come uno di questi sistemi di cultura della società umana. Coloro nei quali è contenuta la funzione consistente nel porsi in rapporto, mediante concetti universalmente validi, con il mistero del mondo e della vita sono infatti collegati, nella coesistenza delle persone e nella successione delle generazioni, in una connessione di scopo. Si pone ora il compito di determinare il posto di questo sistema di cultura nell’economia della società. Nella conoscenza della realtà le esperienze delle generazioni si concatenano sulla base dell’uniformità del pensiero e dell’identità del mondo da noi indipendente. Estendendosi continuamente, essa si differenzia in un numero crescente di scienze particolari, e tuttavia resta una in virtù della relazione che tutte le congiunge con un’unica realtà e dell’esigenza, ad esse comune, della validità universale del loro sapere. Così la cultura del genere umano ha in queste scienze particolari il suo fondamento saldo, che le congiunge tutte e che le spinge tutte in avanti. A partire da questo grande sistema la cultura umana si estende fino

all’insieme di quei sistemi in cui si sono raccolte e differenziate le azioni volontarie. Anche le azioni volontarie degli individui sono collegate in modo da formare connessioni che permangono nel mutare delle generazioni. La regolarità nelle singole sfere dell’agire, l’identità della realtà a cui esso si riferisce, l’esigenza di un intreccio delle azioni in vista della realizzazione di certi scopi, danno luogo alle connessioni culturali della vita economica, del diritto e del dominio della natura. Tutto questo agire è pieno di valori vitali; la gioia, l’incremento della nostra esistenza consiste in queste attività stesse e viene ottenuto in base ad esse. Ma al di là di questa tensione della volontà c’è un godimento dei valori vitali e dei valori delle cose, in cui noi ci riposiamo da questa tensione: gioia della vita, socievolezza e festa, gioco e scherzo, questa è l’atmosfera in cui si sviluppa l’arte, il cui carattere proprio è di indugiare in una regione di libero gioco nella quale traspare al tempo stesso il significato della vita. Un certo pensiero romantico ha spesso sottolineato l’affinità tra religione, arte e filosofia. Il medesimo mistero del mondo e della vita sta di fronte alla poesia, alla religione e alla filosofia; un analogo rapporto con la connessione storicosociale della loro sfera di vita è presente nell’uomo religioso, nel poeta e nel filosofo: circondati da questa essi sono però isolati, e il loro creare si eleva al di sopra di ogni ordinamento in una regione in cui essi si trovano soli di fronte alle forze sempre attive delle cose — al di sopra di tutte le relazioni storiche, nel rapporto atemporale con ciò che sempre e ovunque produce la vita. Essi hanno paura dei legami con cui le vicende passate e gli ordinamenti vogliono avvolgere la loro attività creativa; essi odiano la strumentalizzazione della personalità da parte delle comunità, le quali misurano onore e valore dei loro membri secondo il loro bisogno. Così una differenza profonda separa il legame molto stretto che si ha nelle organizzazioni esterne, nei sistemi di scopo del sapere o in quelli dell’agire esterno dalla cooperazione che si realizza nelle connessioni culturali della religione, della poesia e della filosofia. Nel modo più libero si comportano però i poeti: anche le salde relazioni con la realtà si risolvono nel loro giocare con disposizioni interiori e con figure. Questi legami di comunanza tra religione, poesia e filosofia, in virtù dei quali esse sono collegate tra di loro e separate dagli altri campi della vita, poggiano esclusivamente sul fatto che qui è cancellata la tensione del volere verso scopi limitati: l’uomo si libera da questo vincolo al dato, a ciò che è determinato, riflettendo su se stesso e sulla connessione delle cose; è un conoscere che non ha questo o quel determinato oggetto, è un agire che non dev’essere compiuto

in un determinato luogo della connessione di scopo. L’indirizzarsi dello sguardo e dell’intenzione verso ciò che è separato, verso ciò che è determinato nello spazio e nel tempo, escluderebbe la totalità del nostro essere, la coscienza del nostro proprio valore e della nostra indipendenza dal nesso di causa ed effetto, dal legame al luogo e al tempo; e all’uomo non sarebbe aperto sempre il dominio della religione, della poesia e della filosofia, in cui egli si trova liberato da una tale limitatezza. Le visioni in cui egli qui vive devono sempre in qualche modo abbracciare le relazioni tra realtà, valore e ideale, scopo e regola. Visioni del mondo: infatti l’elemento creativo della religione consiste sempre nel concepire una connessione attiva a cui l’individuo si riferisce, la poesia è sempre rappresentazione di un accadimento colto nella sua significatività, mentre per la filosofia è evidente che il suo procedimento concettuale, sistematico, rientra nell’atteggiamento oggettuale. La poesia indugia nella regione del sentimento e dell’intuizione, poiché esclude da sé non soltanto ogni determinazione di scopo limitata, ma lo stesso atteggiamento del volere. Al contrario, la tremenda serietà della religione e della filosofia consiste nel fatto che esse colgono nella sua profondità oggettiva la connessione interna che, nella struttura della nostra anima, procede dall’apprendimento della realtà alla posizione di scopi, e su questa base vogliono configurare la vita stessa. Così esse diventano una riflessione responsabile sulla vita, che costituisce appunto questa totalità; diventano, nella buona coscienza della propria veridicità, forze gioiose e attive di configurazione della vita. Intimamente apparentate, quali esse sono, devono affrontarsi nella lotta per l’esistenza, proprio perché hanno la stessa intenzione di dar forma alla vita. Il profondo senso dell’animo e la validità universale del pensiero concettuale si scontrano qui tra di loro. Religione, arte e filosofia sono per così dire inserite nelle connessioni di scopo inesorabilmente salde delle scienze particolari e dei ordinamenti dell’agire sociale. Esse se ne stanno così, apparentate tra di loro e tuttavia estranee nel loro procedimento spirituale, nelle relazioni più sorprendenti. Occorre ora penetrare queste relazioni. Ciò riconduce al modo in cui nello spirito umano è presente la tendenza verso la visione del mondo, e in cui la filosofia cerca di fondarla in maniera universalmente valida. Allora si rivela anche l’altro aspetto della filosofia, cioè come dai concetti e dalle scienze sviluppati nella vita emerge in tutta la sua efficacia la funzione filosofica della generalizzazione e del collegamento. II La dottrina delle visioni del mondo: la religione e la poesia nelle

loro relazioni con la filosofia Religione, arte e filosofia hanno una forma fondamentale comune, la quale ci riporta alla struttura della vita psichica. In ogni momento della nostra esistenza c’è un rapporto della nostra vita personale con il mondo che ci circonda come una totalità intuitiva. Noi sentiamo noi stessi, il valore vitale del singolo momento e i valori produttivi delle cose su di noi, ma tutto questo in rapporto con il mondo oggettivo. Nel progredire della riflessione si mantiene il legame tra l’esperienza della vita e lo sviluppo dell’immagine del mondo: la valutazione della vita presuppone la conoscenza di ciò che è, e la realtà emerge tra le mutevoli illuminazioni della vita interiore. Nulla è più fuggevole, più morbido, più variabile della disposizione interiore dell’uomo di fronte alla connessione delle cose. Documenti di tale disposizione sono quelle poesie graziose che collegano l’espressione della vita interiore con un’immagine della natura. E continuamente mutano in noi, come ombre di nuvole che passano su un paesaggio, l’apprendimento e la valutazione della vita e del mondo. L’uomo religioso, l’artista, il filosofo si differenziano dagli uomini dozzinali, e anche dal genio di specie diversa, in quanto conservano questi momenti della vita nel ricordo, elevando a coscienza il loro contenuto e congiungendo le singole esperienze in un’esperienza universale della vita stessa. Perciò essi assolvono una funzione importante non soltanto per sé, ma anche per la società. Si formano quindi dappertutto interpretazioni della realtà: le visioni del mondo. Come una proposizione ha un senso o un significato e lo reca a espressione, così queste interpretazioni vorrebbero esprimere il senso e il significato del mondo! Ma quanto mutevoli queste interpretazioni sono già in ogni singolo individuo! Esse si modificano gradualmente o improvvisamente per effetto delle esperienze. Le epoche della vita umana percorrono in uno sviluppo tipico, come ha ben visto Goethe, diverse visioni del mondo. Il tempo e lo spazio condizionano la loro molteplicità. Le visioni della vita, l’espressione artistica di una comprensione del mondo, i dogmi religiosi, le formule dei filosofi ricoprono la terra come una vegetazione di forme innumerevoli. E tra di esse sembra esservi, come per le piante sul suolo, una lotta per l’esistenza e per lo spazio. Sorrette dalla grandezza unitaria della persona, alcune di esse acquisiscono potenza sugli uomini. I santi vogliono rivivere la vita e la morte di Cristo, una lunga serie di artisti vede l’uomo con gli occhi di Raffaello, l’idealismo kantiano della libertà trascina con sé Schiller e Fichte, anzi la maggior parte delle persone più influenti della generazione successiva. Viene

superato lo scivolare e l’oscillare dei processi psichici, l’elemento accidentale e particolare del contenuto dei momenti della vita, l’incertezza e la mutevolezza dell’apprendere, della valutazione e della posizione di scopi, ossia questa infelicità interna della coscienza ingenua, così erroneamente apprezzata da Rousseau o da Nietzsche. La semplice forma dell’atteggiamento religioso, artistico, filosofico, reca saldezza e tranquillità, e crea una connessione che congiunge il genio religioso con i fedeli, il maestro con gli scolari, la personalità filosofica con coloro che sottostanno alla sua influenza. Si spiega ora ciò che si deve intendere per mistero del mondo e della vita in quanto oggetto comune della religione, della filosofia e della poesia. Nella struttura della visione del mondo è sempre contenuta una relazione interna dell’esperienza della vita con l’immagine del mondo, una relazione dalla quale si può sempre derivare un ideale di vita. L’analisi delle formazioni superiori in queste tre sfere del creare, così come la relazione tra realtà, valore e determinazione volontaria in quanto struttura della vita psichica, ci conducono a questa prospettiva: la struttura della visione del mondo è una connessione nella quale vengono uniti elementi di diversa provenienza e di diverso carattere. La differenza fondamentale tra questi elementi riconduce alla differenziazione della vita psichica, che è stata indicata come la sua struttura. L’applicazione del nome di visione del mondo a una formazione spirituale che racchiude conoscenza del mondo, ideale, determinazione di regole e determinazione di uno scopo supremo, si giustifica per il fatto che in essa non è mai riposta l’intenzione verso determinate azioni, e quindi essa non include mai un determinato comportamento pratico. Il problema del rapporto della filosofia con la religione e la poesia può essere ricondotto alla questione delle relazioni che derivano dalla diversa struttura della visione del mondo in queste sue tre forme. Infatti esse entrano in relazioni interne solamente in quanto preparano o contengono una visione del mondo. Come il botanico ordina le piante in classi e indaga la legge del loro crescere, così chi analizza la filosofia deve cercare i tipi di visione del mondo e riconoscere nella loro formazione la conformità a una legge. Una tale considerazione comparativa innalza lo spirito umano al di sopra della fiducia, fondata sulla sua condizionatezza, di aver colto in una di queste visioni del mondo la verità stessa. Come l’oggettività del grande storico non intende dominare gli ideali delle singole età, così il filosofo deve concepire in modo storico-comparativo la stessa coscienza che sottopone a sé gli oggetti, e assumere un punto di vista superiore a tutti quegli oggetti. Allora si realizza in

lui la storicità della coscienza. La visione religiosa del mondo è per struttura diversa da quella poetica, e questa da quella filosofica. A ciò corrisponde una diversità nella disposizione dei tipi di visione del mondo all’interno di questi tre sistemi di cultura. E dalla differenza fondamentale della visione filosofica del mondo da quella religiosa e da quella poetica discende la possibilità del passaggio di una visione del mondo dalla forma religiosa o artistica a quella filosofica e viceversa. Il prevalere del passaggio verso la forma filosofica è fondato nella tendenza psichica a dare saldezza e connessione al proprio agire, il che viene conseguito soltanto nel pensiero universalmente valido. Sorgono così le questioni seguenti: in che cosa consiste il carattere specifico della struttura di queste diverse forme? secondo quali rapporti legali la visione religiosa o la visione artistica del mondo si trasformano in quella filosofica? Al termine di questa indagine ci accostiamo al problema generale, che non abbiamo qui lo spazio per trattare: la questione dei rapporti legali che determinano la variabilità della struttura e la molteplicità dei tipi di visione del mondo. Il metodo dev’essere anche qui quello di interrogare anzitutto l’esperienza storica, per poi inserire il contenuto di fatto che essa ci offre nella legalità psichica. 1. La visione religiosa del mondo e le sue relazioni con quella filosofica. Il concetto di religione appartiene alla stessa classe del concetto di filosofia. Esso designa in primo luogo un contenuto di fatto che ricorre in individui legati tra di loro socialmente come contenuto parziale della loro vita. E poiché questo contenuto di fatto pone in relazioni interne gli individui a cui appartiene in modo uniforme, e li collega in una connessione, il concetto di religione designa al tempo stesso una connessione che congiunge gli individui determinati religiosamente come elementi di una totalità. La determinazione concettuale sottostà qui alla medesima difficoltà che è venuta in luce in rapporto alla filosofia. L’ambito dei fatti religiosi dovrebbe essere stabilito in base alla denominazione e alla comune appartenenza, per poter derivare il concetto di essenza dai fatti che appartengono a tale ambito. A questo punto non si può prospettare un procedimento metodico che risolva le difficoltà, ma si possono solamente utilizzare i suoi risultati per l’analisi della visione religiosa del mondo. Una visione del mondo è religiosa in quanto ha la sua origine in una determinata forma di esperienza, la quale è fondata sul processo religioso. Ovunque si parli di religione, questa ha come sua caratteristica il rapporto con l’invisibile: esso si trova infatti tanto nei suoi stadi primitivi quanto in quelle

ramificazioni ultime del suo sviluppo in cui questo rapporto consiste soltanto nella relazione interna delle azioni con un ideale che supera ogni elemento empirico e che rende così possibile il rapporto religioso, oppure nell’atteggiamento dell’anima verso la connessione divina delle cose ad essa affine. In virtù di tale rapporto la religione si sviluppa, nella storia delle sue forme, in una connessione strutturale sempre più comprensiva e più compiutamente differenziata. L’atteggiamento in cui questo avviene, e che deve quindi contenere il fondamento da cui sorgono tutte le visioni religiose e il fondamento della conoscenza di ogni verità religiosa, è l’esperienza religiosa. Questa è una forma dell’esperienza della vita, ma ha il suo carattere specifico nel fatto di essere la riflessione che accompagna i processi del rapporto con l’invisibile. Se l’esperienza della vita è un’auto-riflessione — che si sviluppa negli Erlebnisse — sui valori vitali, sui valori produttivi delle cose e sugli scopi supremi e sulle regole più alte del nostro agire che ne derivano, l’elemento peculiare dell’esperienza religiosa consiste nel fatto che, dove la religiosità si innalza a piena coscienza, essa viene a sperimentare nel rapporto con l’invisibile il valore supremo e incondizionatamente valido, e nell’oggetto invisibile di questo rapporto il valore produttivo supremo incondizionatamente valido della vita, quello da cui deriva ogni felicità e ogni beatitudine: dal che discende pure che tutti gli scopi e le regole dell’agire devono essere determinati a partire da tale elemento invisibile. In questo modo è condizionato l’elemento distintivo della struttura della visione religiosa del mondo. Essa ha il suo centro nell’Erlebnis religioso in cui agisce la totalità della vita psichica: l’esperienza religiosa che si fonda su di esso determina ogni elemento della visione del mondo, e tutte le visioni relative alla connessione del mondo nascono, se le consideriamo isolatamente, da tale rapporto e devono perciò cogliere questa connessione come una forza che sta in relazione con la nostra vita, anzi come una forza psichica che sola può rendere possibile un rapporto siffatto. L’ideale della vita, per esempio l’ordinamento interno dei suoi valori, dev’essere determinato dal rapporto religioso; e da esso deve infine derivare la regola suprema delle relazioni reciproche tra gli uomini. Gli stadi e le forme in cui si manifesta la visione religiosa del mondo si distinguono in base al diverso modo in cui possono configurarsi questo rapporto religioso, l’esperienza religiosa e la coscienza di essa. Nella più antica religiosità a noi accessibile troviamo sempre collegate tra di loro una fede e una prassi: esse si presuppongono l’una con l’altra. Quale

che sia il modo in cui può essere sorta la fede in forze viventi che agiscono volontariamente intorno all’uomo, noi troviamo che lo svolgimento di questa fede, nella misura in cui possiamo stabilirlo nell’etnologia e nella storia, è determinato dalla maniera in cui gli oggetti religiosi acquistano forma in virtù dell’azione su di essi, e d’altro lato dalla maniera in cui la fede determina a sua volta il culto, in quanto soltanto in esso l’agire religioso consegue il suo fine. La religione è per i popoli primitivi la tecnica per influenzare ciò che non è afferrabile, ciò che non è accessibile al puro mutamento meccanico, per accogliere in sé le sue forze, per unificarsi con esso, per entrare con esso nel rapporto desiderato. Queste azioni religiose vengono compiute dal singolo individuo, dal capo o dallo stregone. Per eseguirle si forma così una classe professionale. All’inizio di ogni differenziazione delle professioni maschili sorge questo mestiere inquietante dello stregone, del guaritore o del sacerdote, un mestiere nient’affatto particolarmente rispettato, anzi considerato con un timore ora pieno di paura ora pieno di aspettative. Da esso si forma gradualmente un ceto ordinato, che diventa il portatore di tutti i rapporti religiosi, di una tecnica di azioni, espiazioni e purificazioni magiche, e che è il detentore del sapere fin quando non se ne separa una scienza autonoma. Esso deve mantenersi libero per il dio mediante determinate astinenze, deve proteggere il suo rapporto con l’invisibile mediante rinunce che lo separano, per santità e dignità, da tutte le altre persone: questo è il primo modo limitato in cui si prepara l’ideale religioso. A partire da tale rapporto con l’invisibile, rivolto al raggiungimento dei beni e all’allontanamento dei mali, e mediato da particolari persone, le idee religiose primitive si sviluppano all’interno di questo strato della religiosità. Esse poggiano sulla rappresentazione mitica e sulla sua interna legalità. Dalla originaria vitalità e totalità dell’uomo discende che, in tutti i suoi legami con il mondo esterno, egli ha esperienza delle manifestazioni di qualcosa che vive, e questo è il presupposto generale di un rapporto religioso. La tecnica delle azioni religiose doveva rafforzare questa forma di apprendimento. Per quanto soggettive, mutevoli, molteplici, queste esperienze presentavano pure, in ogni orda o in ogni tribù, delle uniformità prodotte dalla comunanza di esperienza religiosa, e acquistavano certezza in virtù della logica ad esse propria, che procedeva sulla base dell’analogia. Dove ancora non si presentava nessun confronto fornito di evidenza scientifica, una tale certezza di fede e l’accordo su di essa potevano formarsi assai più facilmente. Dove il sogno, la visione, gli stati nervosi anormali di ogni specie si introducevano come miracoli nella vita

quotidiana, la logica religiosa vi trovava un materiale di esperienza che era particolarmente adatto a comprovare le influenze dell’invisibile. La forza suggestiva dei contenuti della fede, la loro reciproca conferma, che procedeva in base alla medesima logica religiosa impiegata nella sua prima constatazione, e poi la sua attestazione per così dire sperimentale, che veniva dalla provata influenza di un feticcio o di una manipolazione dello stregone — proprio come oggi vediamo la forza di un’immagine votiva dimostrata dai malati, e fissata in masse di testimonianze nelle raffigurazioni e nei resoconti dei luoghi di pellegrinaggio — e infine le azioni dei maghi, degli oracoli, dei monaci, i movimenti violenti e i casi straordinari con apparizioni e rivelazioni evocate mediante digiuni, una musica rumorosa, ebbrezza di qualsiasi specie: tutto questo ha contribuito a rafforzare il tipo religioso di certezza. Ma la cosa essenziale era che, in questi primi stadi culturali a noi accessibili, la fede religiosa sviluppava, secondo la natura dell’uomo di allora e le sue condizioni di vita, le sue primitive idee religiose, poi ricorrenti allo stesso modo in ogni luogo, a partire da Erlebnisse efficaci, e ovunque eguali, della nascita, della morte, della malattia, del sogno, della pazzia. In ogni corpo vivente animato abita un secondo io, l’anima (pensata anche come pluralità di anime), che lo abbandona transitoriamente, si separa da esso nella morte ed è capace di molteplici azioni nella sua esistenza di ombra. Tutta la natura è animata da esseri simili a spiriti che influiscono sull’uomo, e che egli tende a propiziarsi mediante l’incantesimo, il sacrificio, il culto, la preghiera. Cielo, sole e astri sono sedi di forze divine. Qui si può soltanto accennare a un’altra classe di idee che sorge presso i popoli di livello inferiore, e che si riferisce all’origine dell’uomo o del mondo. Queste idee primitive costituiscono il fondamento della visione religiosa del mondo. Esse si trasformano, crescono insieme, e ogni mutamento nella situazione della cultura agisce su questo sviluppo. In questa graduale trasformazione della religiosità l’elemento decisivo per il progresso verso una visione del mondo consiste nel mutamento del rapporto con l’invisibile. Al di là del culto ufficiale con i suoi templi, i suoi sacrifici, le sue cerimonie, sorge un rapporto più libero, esoterico, dell’anima con il divino. In questo particolare rapporto con la divinità si costituisce una cerchia religiosamente più elevata, che si chiude o permette anche l’accesso. Il nuovo rapporto si fa valere nei misteri, nella vita degli eremiti, nella profezia. Nel genio religioso si manifesta la forza misteriosa della personalità, in virtù della quale essa abbraccia in sé la connessione del suo essere nella penetrazione del mondo,

nella valutazione della vita e nella formazione dei suoi ordinamenti. Le esperienze religiose e il loro deposito in forma di rappresentazioni entrano per così dire in uno stato di aggregazione. Il rapporto delle persone religiose con quelle che sottostanno alla loro influenza assume un’altra forma interna: non vengono provati o cercati effetti particolari, ma in questo rapporto interno entra la stessa connessione dell’anima. Queste grandi personalità cessano di stare sotto il potere di forze incomprensibili e oscure, di gioire e di soffrire per la segreta coscienza del loro abuso e della loro falsificazione. Il pericolo nascosto in questo nuovo e più puro rapporto è un altro, è l’aumento della coscienza di se stessi, che deriva dall’azione sui fedeli e che dal rapporto con l’invisibile riceve il carattere di una particolare relazione con esso. Tra le forze che procedono da questa, una delle più forti è la preparazione di una visione unitaria del mondo sulla base della relazione interna in cui entrano tutti gli elementi del rapporto religioso e tutti gli aspetti del suo oggetto. Ovunque le situazioni e i rapporti rendevano possibile uno sviluppo normale si è formata una visione religiosa del mondo, indipendentemente dal tempo che ha potuto richiedere questo mutamento nel rapporto con l’invisibile nei diversi luoghi in cui si è pervenuti ad esso, e dai gradi percorsi, anche se i nomi delle personalità religiose vengono dimenticati. La struttura e il contenuto della visione religiosa del mondo, quale si è formata in questo modo, sono determinati dal rapporto religioso e dall’esperienza che si costituisce in esso. Perciò le idee primitive fanno valere la loro forza, pur mutando continuamente, con una sorprendente tenacia. L’apprendimento del mondo, la valutazione, l’ideale della vita acquistano così nella sfera religiosa la loro forma e il loro colore peculiare. Nelle esperienze del rapporto religioso l’uomo si trova determinato da un elemento dinamico, che non può essere indagato né può venir dominato all’interno del nesso causale sensibile. Esso è volontario e psichico. Sorge così la forma fondamentale della concezione religiosa, quale si fa valere nel mito, nell’esercizio del culto, nell’adorazione di oggetti sensibili, nell’interpretazione allegorica degli scritti sacri. Il metodo di visione e di determinazione religiosa, fondato sulla fede dell’anima e sul culto degli astri, e sviluppato nel primitivo rapporto con l’invisibile, raggiunge qui una connessione interna corrispondente al grado della visione del mondo. L’intelletto non può comprendere, ma può soltanto scomporre le assunzioni contenute in questo modo di vedere. L’elemento singolare e visibile designa e significa qui qualcosa che è più di ciò in cui esso appare. Questo rapporto è differente dal

significato dei segni, dal pensare nel giudizio, dal simbolico nell’arte, e tuttavia è affine ad essi. Vi è qui una rappresentazione di carattere molto specifico: proprio in base al rapporto di ciò che è visibile con l’invisibile l’uno significa l’altro, ed è identico a esso. [Questo è il rapporto in cui l’immagine del mondo sta con la divinità. In ciò consiste la capacità d’influenza dell’invisibile]34. Ne risulta che, anche a questo grado del rapporto interno con l’invisibile, perdura il suo apparire entro l’elemento visibile particolare, il suo agire in esso, il manifestarsi del divino nelle persone e negli atti religiosi. E anche l’unificazione della divinità, che si collega con tale grado, ha potuto superare stabilmente questo tratto della concezione religiosa soltanto in una piccola parte di popoli e di religioni. La congiunzione delle forze divine in una forma suprema si è compiuta assai presto per varie vie. Questo processo si era imposto fin dall’anno 600 a. C. nei più importanti popoli dell’Oriente. L’unità dei nomi, il dominio del dio più forte confermato nella vittoria, l’unicità del sacro, l’eliminazione di ogni differenza nell’oggetto mistico religioso, la visione dell’ordine armonico degli astri — questi e altri punti di partenza, del tutto differenti tra di loro, hanno condotto alla dottrina di unico essere invisibile. E poiché nei secoli in cui si è compiuto presso i popoli orientali questo grande movimento, tra di essi vi è stata una circolazione molto intensa, non si può dubitare che questa abbia anche promosso la diffusione della maggiore idea di quei tempi. Ma ognuna di queste concezioni dell’unità che condiziona il mondo reca in sé il marchio della sua origine religiosa nelle caratteristiche del bene, dello sguardo preveggente della relazione con i bisogni umani. E nella maggior parte di esse il divino è circondato, secondo la categoria fondamentale della concezione religiosa, da forze che stanno nel mondo visibile, oppure deve apparire come dio sulla terra, combatte contro i poteri demoniaci, si manifesta in luoghi sacri o in miracoli, agisce negli atti del culto. Il linguaggio in cui si manifesta il rapporto religioso con il divino dev’essere ovunque sensibile-spirituale: simboli come la luce, la purezza, l’altezza, sono l’espressione dei valori presenti nell’essenza divina, di cui si ha esperienza nel sentimento. La forma reale più generale di apprendimento della connessione delle cose condizionata dal divino è la costituzione teleologica del mondo. Dietro il nesso degli oggetti esterni, in esso e al di sopra di esso sussiste una connessione spirituale nella quale la forza divina si esprime in conformità a uno scopo. A questo punto la visione religiosa del mondo trapassa in quella filosofica. Il pensiero metafisico è stato infatti determinato in modo prevalente, da Anassagora35 a Tommaso e a Duns Scoto, dal concetto

della connessione teleologica del mondo. Nel rapporto interno con l’invisibile la coscienza ingenua della vita subisce una svolta. Nel grado in cui lo sguardo del genio religioso è rivolto all’invisibile, e il suo animo si innalza al rapporto con esso, questa aspirazione assorbe tutti i valori del mondo, nella misura in cui non servono alla relazione con Dio. In questo modo sorgono l’ideale del santo e la tecnica dell’ascesi, la quale cerca di annientare ciò che vi è di transitorio, di concupiscibile, di sensibile nell’individuo. Il pensiero concettuale non è in grado di esprimere questa svolta dal sensibile al divino: nel linguaggio simbolico, che si estende attraverso religioni del tutto diverse, essa viene designata come rinascita, e il suo fine come la comunità di amore dell’anima umana con l’essenza divina. Nella sfera dell’azione volontaria e degli ordinamenti della vita sorge parimenti, dal rapporto religioso interno, un nuovo elemento che procede verso la consacrazione delle relazioni mondane. Tutti coloro che stanno in un rapporto religioso con la divinità sono per tale motivo collegati in una comunità, e questa è superiore a ogni altra nella misura in cui il valore della relazione religiosa sovrasta gli altri ordinamenti della vita. La profondità e la forza interna dei rapporti in questa comunità hanno trovato la loro peculiare espressione nel linguaggio simbolico della religione: coloro che sono uniti in comunità vengono designati come fratelli, e la loro relazione con la divinità viene indicata come l’essere figli di Dio. In base a questo carattere della visione religiosa del mondo se ne possono comprendere i tipi principali e le loro relazioni reciproche. Evoluzione dell’universo, immanenza della ragione universale nei legami della vita e nel corso della natura, un Uno-Tutto spirituale, al di là di ogni divisione, nel quale l’anima manifesta la propria essenza, la dualità tra l’ordine buono, puro, divino, e l’ordine demoniaco, il monoteismo etico della libertà — questi tipi fondamentali della visione religiosa del mondo colgono tutti il divino sul fondamento delle relazioni di valore che il rapporto religioso stabilisce tra l’umano e il divino, il sensibile e l’etico, l’unità e la pluralità, gli ordinamenti della vita e il bene religioso. In essi dobbiamo riconoscere gli stadi preliminari della visione filosofica del mondo; essi trapassano infatti nei tipi di filosofia. La religione, la mistica precedono la filosofia in tutti i popoli che sono progrediti, in parte o in tutto, fino alla filosofia. Questo mutamento è collegato con un altro più generale, che si compie nella forma della visione religiosa del mondo. Le rappresentazioni religiose entrano in un altro stato di aggregazione: la religione e la visione religiosa del

mondo si trasformano gradualmente — e infatti tutti questi mutamenti si compiono lentamente — nella forma del pensiero concettuale. Non già che la loro forma concettuale scacci quella intuitiva. Anche le forme inferiori del rapporto religioso sussistono accanto a quelle superiori: esse si mantengono in ogni religione più sviluppata formando i suoi strati inferiori. La magia nella procedura religiosa, la servitù sotto i sacerdoti provvisti di forza magica, la rozzissima fede sensibile nell’influenza di luoghi e di immagini religiose perdurano nelle medesime religioni, nella medesima confessione, accanto alla mistica più profonda, che si sviluppa sulla base dell’interiorità altamente progredita del rapporto religioso. Allo stesso modo il linguaggio figurato della simbolica religiosa conserva anch’esso la sua validità accanto alla formazione di concetti teologici. Se gli stadi del rapporto religioso si sono presentati come reciprocamente superiori e inferiori, un tale rapporto non sussiste però tra le molteplici modificazioni nella forma della visione religiosa del mondo. Alla natura degli Erlebnisse e delle esperienze religiose è inerente il fatto che essi aspiravano ad assicurarsi della propria validità oggettiva, e che tale fine poteva essere raggiunto soltanto nel pensiero concettuale. Ma da questo stesso lavoro concettuale veniva in luce la loro completa insufficienza dinanzi a una tale impresa. Questi processi possono venir studiati nel modo più approfondito nella religiosità indiana e in quella cristiana. Una trasformazione del genere si è attuata sia nella filosofia del Vedānta sia nella filosofia di Alberto36 e di Tommaso. In entrambe è però venuta in luce l’impossibilità di superare i limiti interni basati sul particolare atteggiamento religioso. Dallo specifico atteggiamento delle persone religiose, che aveva i suoi presupposti in un complesso di dogmi più antico, è sorta nel primo caso l’intuizione dello svincolarsi dalla catena di nascita, opere, ricompensa, trasmigrazione, attraverso il sapere con cui l’anima coglie la sua identità con Brahmā. Si è così sviluppata la contraddizione tra la temibile realtà in cui il dogma ha concepito il cerchio inevitabile tra gli agenti, il fare e la sofferenza, e il carattere apparente di tutto ciò che è diviso, che la dottrina metafisica richiedeva. Il Cristianesimo si è presentato dapprima in dogmi di primo grado: la creazione, il peccato originale, la rivelazione di Dio, la comunanza di Cristo con Dio, la redenzione, il sacrificio, l’espiazione. Questi simboli religiosi appartengono, al pari delle loro relazioni, a una regione del tutto diversa da quella dell’intelletto. Un bisogno interno ha però spinto a chiarire il contenuto di questi dogmi e a portare alla luce la visione delle cose umane e divine in essi

racchiusa. Si fa torto alla storia del Cristianesimo quando si considera la recezione dei teoremi della filosofia greco-romana soltanto come un destino esterno che gli sarebbe stato imposto dall’ambiente: essa era una necessità interna, inerente alle leggi di formazione della religiosità stessa. Una volta ricondotti i dogmi alle categorie della connessione del mondo, sorgono i dogmi di secondo grado: la dottrina degli attributi di Dio, della natura di Cristo, del processo della vita cristiana nell’uomo. E qui l’interiorità della religiosità cristiana sottostà a un tragico destino. Questi concetti isolano infatti gli elementi della vita, li contrappongono l’uno all’altro. Nasce così la disputa insolubile tra l’infinità di Dio e le sue proprietà, tra queste proprietà tra di loro, tra il divino e l’umano in Cristo, tra la libertà del volere e l’elezione mediante la grazia, tra la riconciliazione attraverso il sacrificio di Cristo e la nostra natura morale. La Scolastica si affatica invano intorno ad essi, il razionalismo scompone con essi il dogma, la mistica ritorna alle prime linee di una dottrina della certezza religiosa. Quando, da Alberto in poi, la Scolastica viene condotta a trasformare la visione religiosa del mondo in una visione filosofica, e a separare quest’ultima dalla sfera eterogenea dei dogmi positivi, essa non è in grado di superare i confini inerenti al rapporto cristiano con Dio: gli attributi divini rimangono incompatibili con la sua infinità, e la determinazione dell’uomo da parte di Dio resta incompatibile con la sua libertà. La medesima impossibilità di trasformare la visione religiosa nella visione filosofica del mondo è apparsa chiaramente ovunque sia stato fatto questo tentativo. La filosofia è sorta in Grecia, dove persone del tutto indipendenti si sono dedicate direttamente alla conoscenza del mondo in un sapere universalmente valido; ed è stata ripresa, nei popoli moderni, da studiosi che si sono posti lo stesso problema di una conoscenza del mondo prescindendo dagli ordinamenti ecclesiastici. Entrambe le volte essa è sorta in connessione con le scienze, e si è fondata sul costituirsi della conoscenza del mondo in una salda armatura di connessioni causali, in antitesi alle valutazioni del mondo formulate dalla religione. In essa si è fatto valere un mutato atteggiamento interno. Da questa analisi risulta in quali tratti la visione religiosa del mondo coincida con quella filosofica, e dove si distingua da essa. La struttura di entrambe è, nei suoi grandi tratti, la medesima. Qui come là si ha la stessa relazione tra apprendimento della realtà, produzione di valori, posizione di scopi e di regole, nonché la stessa connessione interna in cui la personalità si raccoglie in sé e si consolida. E nell’apprendere oggettuale è parimenti

contenuta la capacità di dare forma alla vita personale e agli ordinamenti sociali. Esse sono entrambe così vicine, l’una è così affine all’altra, così coincidente per quanto riguarda il campo che vogliono dominare, che devono ovunque scontrarsi tra di loro. Infatti il loro rapporto con il mistero del mondo e della vita, quale si presenta a entrambe, è completamente diverso — diverso come lo sono il rapporto religioso e l’ampia relazione con ogni tipo di realtà, diverso come lo sono l’esperienza religiosa, saldamente stabilita e sicura di sé, e un’esperienza della vita che riflette egualmente e in maniera neutrale su ogni agire interiore e su ogni atteggiamento. Da una parte il grande Erlebnis di un valore oggettivo incondizionato e infinito, al quale sono subordinati tutti i valori finiti, del valore vitale infinito del rapporto con questo oggetto invisibile, determina ogni apprendere oggettuale e l’intera posizione di scopi: la coscienza trascendente di un elemento spirituale è essa stessa soltanto la proiezione del massimo Erlebnis religioso in cui l’uomo coglie l’indipendenza della sua volontà da tutta la connessione della natura; e la colorazione di questa origine della visione religiosa del mondo si comunica a ogni suo tratto, cosicché la forma fondamentale del vedere e del determinare, che è data con essa, domina piena di mistero, temibile, insuperabile, in ogni formazione religiosa. Dall’altra parte si ha invece un tranquillo equilibrio nei modi di atteggiamento psichico, un riconoscimento di ciò che ognuno di essi produce, e quindi un’utilizzazione delle discipline particolari e una gioia dinanzi agli ordinamenti mondani, ma anche un lavoro senza fine per scoprire in tutto questo una connessione universalmente valida, e un’esperienza sempre crescente dei limiti del conoscere, dell’impossibilità di un nesso oggettivo di ciò che è dato nei diversi modi di atteggiamento — la rassegnazione. Sorgono così i rapporti storici tra questi due tipi di visione del mondo, quali sono stati stabiliti nella denominazione, nella determinazione concettuale e nel contenuto di fatto storico. La religiosità è soggettiva, è particolare negli Erlebnisse che la determinano; in essa c’è un elemento ineliminabile, altamente personale, che deve sembrare «una pazzia» a ogni individuo estraneo a tali Erlebnisse. Essa è e rimane legata ai limiti inerenti alla sua origine dall’esperienza religiosa unilaterale, storicamente e personalmente condizionata, alla forma interna della visione religiosa e all’orientamento verso il trascendente. Ma quando s’incontra, nel suo ambito culturale, con risultati scientifici, con il pensiero concettuale, con una formazione mondana, essa si rivela indifesa in tutta la sua forza interna, mostra i suoi limiti di fronte a ogni pretesa di comunicazione e di azione a

largo raggio. L’individuo religioso che ha una percezione abbastanza profonda per scorgere questi limiti e per soffrirne, deve cercare di superarli. La legge interna per cui le rappresentazioni generali possono giungere a compimento soltanto nel pensiero concettuale, costringe al medesimo percorso: la visione religiosa del mondo tende a trasformarsi in una visione filosofica. Ma l’altro aspetto di questo rapporto storico sta nel fatto che la visione religiosa del mondo, la sua rappresentazione concettuale e la sua fondazione hanno preparato in larga misura quella filosofica. Anzitutto, gli inizi di una fondazione del pensiero religioso sono stati molto fecondi per la filosofia; e quale che sia il modo di considerare l’autonomia di Agostino rispetto ai princìpi che sono giunti fino a Descartes, da lui ha preso le mosse la spinta verso il nuovo procedimento della teoria della conoscenza. Principi di tipo diverso passano dalla mistica a Cusano37, da Cusano a Bruno, mentre Descartes e Leibniz sono, per quanto riguarda la distinzione delle verità eterne dall’ordine dei fatti, comprensibile soltanto teleologicamente, influenzati da Alberto e da Tommaso. Inoltre risulta sempre di più in quale misura i concetti logici e metafisici degli Scolastici hanno influenzato Descartes, Spinoza e Leibniz. I tipi di visione religiosa del mondo stanno in relazioni molteplici con i tipi di visione filosofica. Il dualismo38 di un regno buono e di un regno cattivo, presente nella religiosità di Zarathustra, e che è poi passato nella religiosità giudaica e cristiana, è entrato in rapporto con la distinzione della realtà in forza formativa e materia, dando quindi al platonismo la sua peculiare colorazione. La dottrina dell’evoluzione, che dagli esseri divini inferiori conduce a quelli superiori, quale campare presso i Babilonesi e i Greci, ha preparato la dottrina dell’evoluzione del mondo. La dottrina cinese della connessione spirituale negli ordinamenti naturali e la dottrina indiana dell’apparenza e della sofferenza della molteplicità sensibile, e della verità e beatitudine dell’unità, costituiscono la preparazione di entrambi gli orientamenti in cui doveva svilupparsi l’idealismo oggettivo. Infine la dottrina israelitica e cristiana della trascendenza di un creatore divino ha preparato quel tipo di visione filosofica del mondo, che ha raggiunto la sua più ampia estensione nel mondo cristiano come in quello maomettano. Così tutti i tipi di visione religiosa del mondo hanno influito su quelli filosofici, e in essi risiede prevalentemente la base sia dell’idealismo oggettivo sia dell’idealismo della libertà. La gnosi ha creato lo schema delle più efficaci impostazioni panteistiche: lo scaturire del mondo nella sua molteplicità, la bellezza e la forza in esso presenti e insieme la sofferenza della finitudine e della

separatezza, il ritorno nell’unità divina; e i neoplatonici, Spinoza e Schopenhauer lo hanno sviluppato in una filosofia. E la visione del mondo del Cristianesimo, l’idealismo della libertà, ha sviluppato dapprima nella teologia problemi e soluzioni che hanno poi agito su Descartes come su Kant. Risulta perciò chiaro perché e in quali punti gli scrittori religiosi debbano trovare posto nella connessione storica della filosofia, e possano anche aspirare al nome di filosofi, e come tuttavia nessun scritto ispirato religiosamente possa pretendere una posizione nella connessione della filosofia, in cui le possibilità di soluzione universalmente valida dei problemi filosofici si sono sviluppate in un’interna conseguente dialettica. 2. La visione della vita dei poeti e la filosofia. Ogni arte pone in luce, in un oggetto singolare e limitato, relazioni che vanno al di là di esso e che gli conferiscono quindi un significato più generale. L’impressione di sublimità, che le figure di Michelangelo o le composizioni di Beethoven suscitano, deriva dal particolare carattere del significato riposto in tali formazioni, e questo presuppone una costituzione dell’anima che subordina a sé, come qualcosa di saldo, di forte, di sempre presente, di collegato, ciò che si accosta ad essa. Ma una sola arte è capace, con i suoi mezzi, di esprimere qualcosa di più di una tale costituzione. Tutte le altre arti sono legate alla presenza di un dato sensibile e trovano in questo la loro forza e i loro limiti, mentre soltanto la poesia governa liberamente nell’intero dominio della realtà e delle idee: essa dispone infatti nel linguaggio di uno strumento di espressione di tutto ciò che può presentarsi nell’anima dell’uomo — oggetti esterni, stati interiori, valori, determinazioni del volere — e in questo suo strumento espressivo del discorso è già implicita un’interpretazione del dato da parte del pensiero. Se nelle opere d’arte viene a esprimersi da qualche parte una visione del mondo, ciò ha luogo nella poesia. Io cerco di trattare le questioni che ne derivano in maniera che non ci sia bisogno di toccare le differenze tra il punto di vista estetico e il punto di vista psicologico. Tutte le opere poetiche, dal più fuggevole canto popolare all’Orestiade di Eschilo o al Faust di Goethe, concordano nel rappresentare un accadimento, prendendo questa parola in un senso in cui essa racchiude tutto ciò che può essere come ciò che è immediatamente vissuto, le esperienze proprie come quelle altrui, ciò che è stato tramandato al pari del presente. La rappresentazione dell’accadimento nella poesia è la parvenza irreale di una realtà, rivissuta e offerta al rivivere, tratta fuori dalla connessione della realtà e dalle relazioni che la nostra volontà e il nostro interesse hanno con questa.

Così essa non provoca nessuna reazione di fatto, e i processi che altrimenti ci spingerebbero ad agire non disturbano più l’atteggiamento privo di volontà dello spettatore; non ne deriva alcun impedimento del volere, alcuna pressione: fin quando qualcuno indugia nella regione dell’arte, ogni pressione della realtà resta assente dalla sua anima. Quando un Erlebnis è elevato in questo mondo della parvenza, i processi che provoca nel lettore o nell’ascoltatore non sono i medesimi che si avrebbero nelle persone che ne hanno un’esperienza vissuta. Per apprenderli in modo più preciso noi separiamo i processi del rivivere da quelli che accompagnano come effetti l’apprendimento dell’altrui vitalità: il processo nel quale comprendo i sentimenti e le tensioni del volere in Cordelia39 è diverso dall’ammirazione e dalla compassione che scaturiscono da questo rivivere. La pura comprensione di una narrazione o di uno spettacolo racchiude poi in sé processi che vanno al di là di quelli che avvengono in quelle persone. Il lettore di una narrazione poetica deve compiere in sé i processi di riferimento del soggetto al predicato, di una proposizione a una proposizione, dell’esterno all’interno, dei motivi agli atti e degli atti alle loro conseguenze, per poter trasporre le parole del racconto nell’immagine del processo e quest’ultimo in una connessione interna. Egli deve, per comprenderla, subordinare la realtà di fatto alle rappresentazioni e alle relazioni generali contenute nelle parole. E quanto più il lettore penetra in questo processo, tanto più i processi del ricordare, dell’appercepire, del riferirsi devono andare al di là di ciò che è espresso nella narrazione del poeta: a qualcosa che egli non ha detto, ma che forse ha voluto suscitare nel lettore proprio mediante ciò che ha espresso. Di questo gli importa forse di più che di quello che ha detto. Il lettore coglie, in ciò che è narrato, i tratti generali di un rapporto di vita, mediante i quali viene compresa la sua significatività. Nello stesso modo lo spettatore di un dramma integra ciò che vede e ascolta sul palcoscenico in una connessione che va al di là di questo; e nel modo in cui, nell’azione drammatica, gli atti umani soggiacciono al destino che procede al di sopra di essi, gli si svela un aspetto della vita. Egli si atteggia di fronte a ciò che vi accade come di fronte alla vita stessa; interpreta, inserisce il singolare nella sua connessione o, come caso particolare, in un contenuto di fatto generale. E senza che egli se ne accorga, il poeta lo guida, portandolo a creare, in base all’accadimento rappresentato, qualcosa che va oltre di esso. Risulta così che la poesia epica, al pari di quella drammatica, rappresenta un avvenimento al lettore, all’ascoltatore o allo spettatore in modo tale che ne venga compresa la significatività. Un avvenimento è infatti appreso come

significativo nella misura in cui ci rivela qualcosa della natura della vita. La poesia è l’organo della comprensione della vita, e il poeta un veggente che scopre il senso della vita. Qui s’incontrano la comprensione di colui che apprende e la creazione del poeta. In questo si compie infatti il misterioso processo per il quale la dura, angolosa materia prima di un Erlebnis viene riscaldata e colata in quella forma che lo fa apparire significativo a chi lo apprende. Shakespeare ha letto nel suo Plutarco le biografie di Cesare e di Bruto, e le congiunge nell’immagine del processo. In tal modo i caratteri di Cesare, di Bruto, di Cassio e di Antonio si illuminano reciprocamente; vi è una necessità nel modo in cui essi si atteggiano l’uno di fronte all’altro, e quando tra queste grandi personalità compaiono i volti della massa bramosa, priva di giudizio, servile, diventa chiaro quale dovrà essere la fine del conflitto in corso tra i protagonisti. Il poeta conosce Elisabetta, la natura regia di Enrico V e altri re di ogni specie; alla sua anima si presenta un tratto essenziale delle cose umane, che collega tutti i fatti narrati da Plutarco, e a cui il processo storico si subordina come un caso particolare: la vittoria della natura dominatrice priva di scrupoli, che padroneggia la realtà, sugli ideali repubblicani che non trovano più alcun repubblicano. Questo rapporto generale della vita viene da lui colto, sentito, generalizzato a motivo di una tragedia: poiché il motivo è appunto un rapporto di vita, appreso poeticamente nella sua significatività. E in questo motivo agisce una forza interna che adatta tra di loro i caratteri, i processi, le azioni, in maniera tale che quel tratto generale viene visto nella natura delle cose senza che il poeta lo esprima — o anche soltanto che possa esprimerlo. In ogni tratto generale della vita vi è infatti un rapporto con il significato della vita in generale, e quindi qualcosa di completamente imperscrutabile. È possibile ora rispondere alla questione relativa al modo in cui il poeta esprime una visione della vita o addirittura una visione del mondo. Ogni poesia lirica, epica o drammatica eleva un’esperienza particolare alla riflessione sulla sua significatività; e in questo si distingue dai prodotti d’intrattenimento. Essa ha tutti i mezzi per far apparire questa significatività senza esprimerla. E l’aspirazione a esprimere il significato dell’accadimento nella forma interna della poesia dev’essere assolutamente realizzata in ogni poesia. Di regola, poi, la poesia procede in qualche modo a dare anche un’espressione generale alla significatività di ciò che accade. Alcune delle poesie liriche e delle canzoni popolari più belle esprimono spesso semplicemente il sentimento del momento; ma l’effetto più profondo si ha

quando il sentimento del momento della vita si amplia in un procedere regolare e risuona nella coscienza della sua significatività: in Dante e in Goethe questo procedimento giunge fino al limite della poesia speculativa. Nelle narrazioni l’accadere sembra fermarsi improvvisamente e la luce del pensiero cade su di esso, oppure il dialogo illumina il significato di ciò che accade, come nelle sagge parole di Don Chisciotte, di Wilhelm Meister e di Lothario40. Nel dramma s’inserisce, in mezzo al suo corso impetuoso, la riflessione delle persone su di sé e su ciò che accade, liberando l’anima dello spettatore. Ma molte grandi poesie vanno ancora un passo oltre: nel dialogo, nel monologo o nel coro collegano le idee sulla vita, quali scaturiscono dagli avvenimenti, in una concezione complessiva e universale della vita. Ne sono esempi eminenti le tragedie greche, la Braut von Messina di Schiller41, l’Empedokles di Hölderlin42. La poesia abbandona invece il campo suo proprio tutte le volte in cui, allontanandosi dall’Erlebnis, intraprende a esprimere pensieri sulla natura delle cose. Sorge allora una forma intermedia tra la poesia e la filosofia, o una descrizione della natura, la cui efficacia è del tutto diversa da quella delle opere propriamente poetiche. Die Götter Griechenlands e gli Ideale di Schiller43, in quanto Erlebnisse interni che si succedono secondo la legalità del sentimento, costituiscono una vera profonda lirica, mentre altre famose composizioni poetiche di Lucrezio, di Haller44, di Schiller, appartengono al genere intermedio, poiché corredano un contenuto di pensiero con valori sentimentali e lo rivestono con immagini di fantasia. Questa forma intermedia ha giustificato la sua legittimità attraverso grandi effetti; ma non è pura poesia. Ogni poesia genuina è legata per il suo oggetto, il singolo Erlebnis, con ciò che il poeta sperimenta in sé, negli altri, in ogni specie di avvenimenti umani che gli sono tramandati. La fonte vivente da cui scaturisce la sua conoscenza della significatività di questi accadimenti è l’esperienza della vita. Questa significatività è molto più di un valore riconosciuto nell’accadimento. Infatti la connessione causale coincide, secondo la struttura della vita psichica, con il suo carattere teleologico, in virtù del quale in essa sussiste una tendenza alla produzione di valori vitali e un rapporto vitale con valori produttivi di ogni specie. Perciò il poeta crea in base all’esperienza della vita, e ne amplia il contenuto antecedente, ogni qual volta vede con maggiore acutezza di prima dei segni che indicano qualcosa di interiore, oppure osserva di nuovo una

mescolanza di tratti in un carattere o si accorge per la prima volta di un rapporto peculiare che consegue dalla natura di due caratteri, ossia ogni qual volta appare ai suoi occhi una sfumatura della vita. Da questi elementi si costruisce un mondo interiore. Ed egli segue la storia delle passioni e lo sviluppo di uomini delle specie più diverse; articola il mondo dei caratteri nella loro affinità, nella loro diversità e nei loro tipi. Tutto ciò perviene a una forma superiore più complessa quando egli coglie i tratti più generali presenti nella vita individuale o nella vita storico-sociale. Ma con ciò non si è ancora raggiunto il punto più alto della sua comprensione della vita. La sua opera sarà tanto più matura quanto più il motivo presente in un tale legame vitale potrà venir innalzato al rapporto con la connessione totale della vita: allora questa sarà vista nei suoi limiti, ma al tempo stesso nelle sue supreme relazioni ideali. Ogni grande poeta deve provare in sé questo processo, che conduce dalla forza unilaterale di Kabale und Liebe45 o dai primi frammenti del Faust46 al Wallenstein47 e alle tarde opere di Goethe. Questa riflessione sul significato della vita può trovare la sua fondazione compiuta nella conoscenza delle cose divine e umane, e la sua conclusione soltanto in un ideale di condotta della vita. In essa è presente la tendenza a una visione del mondo. A questo tratto interno cooperano nel poeta la dottrina della vita, la filosofia e le scienze che lo circondano. Per quanto egli possa accoglierne, l’origine della propria visione del mondo le conferisce una struttura propria. Essa non ha difficoltà ad accogliere in sé da tutte le parti e insaziabilmente ogni realtà, a differenza della visione religiosa del mondo. Il suo apprendimento oggettuale della natura e della connessione ultima delle cose è sempre orientato a penetrare nella significatività della vita, e proprio questa dà libertà e vitalità ai suoi ideali. Il filosofo è tanto più scientifico quanto più nettamente distingue i modi di atteggiamento e lascia da parte l’intuizione; il poeta crea invece a partire dalla totalità delle sue forze. Quando la disposizione e l’ambiente determinano un poeta a formare una visione del mondo, allora essa può venir ricavata dalla singola opera soltanto in misura limitata. Essa si fa valere qui nel modo più efficace non già nell’enunciazione diretta, che non è mai esaustiva, bensì nell’energia del legame della molteplicità nell’unità, delle parti in un tutto articolato. Fin nella melodia del verso, nel ritmo della successione dei sentimenti, la forma interna di ogni vera poesia è determinata dalla presa di coscienza del poeta e della sua epoca. I tipi di tecnica in ogni specie di poesia devono essere concepiti come l’espressione di differenze individuali e storiche nel modo di cogliere la vita.

Quando però sorge un corpo la cui anima è costituita da un legame vitale tratto fuori da un accadimento, la visione del mondo del poeta può apparire soltanto unilateralmente: essa è totale solo nel poeta stesso. Perciò la massima influenza dei poeti veramente grandi si ha solamente quando si procede fino alla connessione in cui stanno tra di loro i rapporti di vita interni alle varie opere. Quando alle prime robuste poesie di Goethe seguirono il Tasso e l’lphigenie48, esse esercitarono solo un’influenza ridotta su un numero limitato di persone; ma quando poi gli Schlegel e i loro amici romantici misero in luce la loro connessione interna in una concezione della vita e le relazioni dello stile con questa, l’influenza di Goethe si accrebbe. Ciò dimostra quanto poco giustificato sia il superficiale pregiudizio secondo cui l’influenza delle opere d’arte subirebbe danni dalla comprensione estetica o storico-letteraria. Le forme di visione poetica del mondo possiedono una molteplicità e una mobilità illimitate. Dall’azione reciproca di ciò che l’epoca trasmette al poeta con ciò che egli produce in base alla propria esperienza della vita, derivano dall’esterno legami e limiti rigorosi del suo pensiero. Ma la tendenza interna a interpretare la vita in base all’esperienza su di essa si scontra continuamente contro questi limiti. Anche quando un poeta riceve dal di fuori l’armatura sistematica del suo pensiero, come Dante, Calderón49 o Schiller, in lui non manca la capacità di trasformarla. E quanto più liberamente crea sulla base dell’esperienza della vita, tanto più egli sottostà alla potenza della vita stessa, che gli presenta sempre aspetti nuovi. Così la storia della poesia rivela le infinite possibilità di sentire e di osservare la vita, che sono contenute nella natura umana e nelle sue relazioni con il mondo. Il rapporto religioso che forma le comunità e crea la tradizione, e il carattere del pensiero filosofico che si manifesta nella continuità di una salda formazione di concetti, influenzano la delimitazione della visione del mondo in tipi precisi: il poeta è il vero uomo anche per il fatto che si abbandona liberamente all’azione della vita su di lui. Nell’uomo comune la riflessione sulla vita è troppo debole per poter pervenire a una posizione salda nella moderna anarchia delle visioni della vita: nel poeta l’azione dei diversi aspetti della vita è troppo forte, la sua sensibilità per le sfumature di essa è troppo grande perché un determinato tipo di visione del mondo possa in ogni tempo bastargli per ciò che la vita gli suggerisce. La storia della poesia mostra la crescente aspirazione e la crescente capacità di comprendere la vita in base a se stessa. L’influenza della visione religiosa del mondo sui poeti retrocede sempre più, sia nel singolo popolo sia nell’umanità, mentre l’influenza del pensiero scientifico è in continuo

aumento: la lotta reciproca tra le visioni del mondo diminuisce sempre più il potere di ognuna sugli animi; la forza della fantasia viene continuamente ridotta, nei popoli più civilizzati, dalla disciplina del pensiero. Così per i poeti diventa quasi una regola metodica interpretare senza pregiudizi la realtà delle cose. E ogni tendenza odierna della poesia cerca di assolvere questo compito soltanto in una maniera particolare. Da queste proprietà della visione poetica della vita e del mondo deriva il rapporto storico della poesia con la filosofia. La struttura delle visioni poetiche della vita è del tutto eterogenea rispetto all’articolazione della visione filosofica del mondo. Non può esserci alcun progresso regolare da quella a questa, poiché nella poesia non vi sono concetti che possano venir accolti e rielaborati. Tuttavia la poesia agisce sullo spirito filosofico. La poesia ha preparato la nascita della filosofia in Grecia e il suo rinnovamento nel Rinascimento. Da essa giunge ai filosofi un’influenza regolare, che dura continuamente. La poesia ha sviluppato nel proprio seno una considerazione oggettiva della connessione del mondo, che si è completamente liberata dalla relazione con gli interessi e l’utilità, preparando quindi l’atteggiamento filosofico: l’influenza esercitata da Omero dev’essere stata smisurata. La poesia ha costituito il modello per il libero movimento dello sguardo su tutta l’estensione della vita del mondo. Le sue intuizioni sull’uomo sono diventate materiale per l’analisi psicologica e non hanno potuto essere completamente esaurite da questa. Essa ha espresso l’ideale di un’umanità superiore in modo più libero, più sereno e più umano di come mai potesse fare la filosofia. La sua visione della vita e la sua visione del mondo hanno determinato la concezione di grandi filosofi. La nuova gioia di vita degli artisti rinascimentali è diventata, nella filosofia di Bruno, la dottrina dell’immanenza dei valori nel mondo. Il Faust di Goethe conteneva un nuovo concetto della capacità onnilaterale dell’uomo di procedere verso il tutto, intuendo godendo operando, e ha così agito, insieme all’ideale della scuola trascendentale, sull’orientamento della filosofia a elevare l’esistenza umana. I drammi storici di Schiller hanno esercitato una forte influenza sullo sviluppo della coscienza storica, e il panteismo poetico di Goethe ha preparato la formazione del panteismo filosofico. E quanto l’influenza della filosofia penetra ogni poesia! Essa si spinge fino al suo compito più intimo, quello di formare una visione della vita; le offre i suoi concetti pronti e i suoi tipi definiti di visione del mondo. Essa avvolge la poesia in maniera pericolosa, e tuttavia in modo che questa non può farne a meno. Euripide studia i Sofisti, Dante i pensatori

medievali e Aristotele, Racine viene da Port-Royal50, Diderot e Lessing dalla filosofia dell’Illuminismo, Goethe affonda le sue radici in Spinoza, e Schiller diventa discepolo di Kant. E se Shakespeare, Cervantes, Molière non si danno prigionieri a nessuna filosofia, tuttavia innumerevoli sottili influenze di dottrine filosofiche attraversano le loro opere, come strumenti indispensabili per determinare i vari aspetti della vita. III. La visione filosofica del mondo: il tentativo di innalzare la visione del mondo a validità universale La tendenza allo sviluppo di una visione della vita e di una visione del mondo congiunge quindi la religione, la poesia e la filosofia. La filosofia si è formata in queste relazioni storiche: fin dall’inizio ha agito in essa la tendenza verso una visione della vita e del mondo universalmente valida. Ovunque, in diversi luoghi della cultura orientale, ha avuto inizio lo sviluppo dalla visione religiosa del mondo alla filosofia, questa tendenza è rimasta predominante, e ha subordinato a sé ogni altro lavoro filosofico. Quando poi in Grecia è sorta la filosofia in senso pieno, già nell’antica scuola pitagorica e in Eraclito si è imposta la medesima tendenza ad abbracciare tutta l’esistenza in una visione del mondo. E l’intero sviluppo ulteriore della filosofia è stato dominato, per due millenni, dalla stessa aspirazione, fino all’epoca in cui, verso la fine del secolo XVII, sono apparsi l’uno dopo l’altro Locke, i Nouveaux essais di Leibniz e Berkeley. Essa ha certo dovuto lottare, in questa epoca, contro l’intelletto sensibile, la gente di mondo, gli studiosi positivi; ma era un’opposizione che si faceva valere per così dire dall’esterno contro la sua aspirazione. E lo scetticismo, sorto dall’interno della filosofia stessa, dalla riflessione sui modi di procedere e sulla portata del conoscere, aveva il suo centro proprio nel rapporto con lo stesso bisogno indistruttibile del nostro spirito; il carattere negativo dell’atteggiamento scettico di fronte a questo bisogno reca la colpa dell’irrealtà della sua posizione di coscienza. E abbiamo visto come, anche nei due secoli che hanno proseguito il lavoro di Locke, Leibniz e Berkeley, sia rimasto un rapporto interno con il problema di una visione del mondo universalmente valida. Proprio il maggiore dei pensatori di questi due secoli, Kant, è maggiormente determinato da tale rapporto. Questa posizione centrale della visione del mondo nella filosofia può essere stabilita anche in base al suo rapporto con le altre due forze storiche. Da esso risulta chiaro che la religiosità è vissuta in una lotta incessante con la filosofia, e che la poesia, la quale tanto ha dato ad essa e tanto ne ha ricevuto, poteva affermarsi solamente in una continua lotta interna contro le pretese di

dominio della concezione astratta della vita. Aveva forse ragione Hegel a sostenere che la religiosità e l’arte sono forme subordinate del manifestarsi dell’essenza della filosofia, destinate a trasformarsi sempre più nella forma superiore di coscienza propria della visione filosofica del mondo? La soluzione di questo problema dipende principalmente dalla possibilità che la volontà di pervenire a una visione del mondo scientificamente fondata raggiunga il suo fine. 1. La struttura della visione filosofica del mondo. La visione filosofica del mondo, quale sorge sotto l’influenza dell’orientamento verso una validità universale, dev’essere nella sua struttura essenzialmente diversa da quella religiosa e da quella poetica. Essa è, a differenza di quella religiosa, universale e universalmente valida; e, a differenza di quella poetica, costituisce una potenza che vuol agire in senso riformatore sulla vita. Essa si dispiega sul fondamento più ampio, rappresentato dalla coscienza empirica, dall’esperienza e dalle scienze empiriche, secondo le leggi di formazione che hanno la loro base nell’oggettivazione degli Erlebnisse nel pensiero concettuale. Dal momento che l’energia del pensiero discorsivo che formula giudizi, nel quale è contenuta ovunque la relazione dell’asserzione con un oggetto, si spinge in tutte le profondità degli Erlebnisse, l’intero mondo del sentimento e dell’azione volontaria viene oggettivato in concetti di valori e di loro relazioni, in regole che esprimono il vincolo della volontà. I tipi di oggetto che corrispondono alle forme di atteggiamento si presentano separati; e in ogni sfera determinata da un atteggiamento fondamentale si forma una connessione sistematica. I rapporti di fondazione, quali sussistono tra le asserzioni, richiedono un saldo criterio di evidenza per la conoscenza della realtà. Nella regione dei valori nasce su questa base il movimento del pensiero verso postulati di valori oggettivi, anzi verso l’esigenza di un valore incondizionato. E parimenti nel campo delle nostre azioni volontarie il pensiero si acquieta soltanto allorché è pervenuto a un sommo bene o a una regola suprema. Gli elementi che costituiscono la vita si distinguono così in sistemi attraverso l’universalizzazione dei concetti e la generalizzazione dei princìpi. La fondazione, in quanto forma del pensiero sistematico, concatena in ognuno di questi sistemi i suoi anelli concettuali in maniera sempre più trasparente e più compiuta. E i concetti supremi a cui questi sistemi pervengono — l’essere universale, il fondamento ultimo, il valore incondizionato, il sommo bene — si congiungono nel concetto di una

connessione teleologica del mondo, in cui la filosofia s’incontra con la religiosità e con il pensiero artistico. Sono sorti così, secondo leggi interne di formazione, i tratti fondamentali dello schema teleologico di concezione del mondo; e la permanenza di questo schema fino alla fine del Medioevo, insieme alla sua forza naturale fino ai giorni d’oggi, era fondata sull’oggetto stesso: su questa base, o in opposizione ad essa, si sono separate tra di loro le forme fondamentali della visione filosofica del mondo. Quando la visione del mondo è colta concettualmente, fondata e innalzata a validità universale, noi la chiamiamo metafisica. Essa si estende in una molteplicità di configurazioni. Individualità, circostanze, nazione, epoca producono sia nel poeta sia nel filosofo un numero indeterminato di sfumature di visione del mondo. Le possibilità che la struttura della nostra vita psichica ha di essere influenzata dal mondo sono infatti illimitate, e mutano pure continuamente i mezzi del pensiero, secondo la situazione dello spirito scientifico. Ma la continuità che unisce i processi del pensiero, e la consapevolezza che caratterizza la filosofia, hanno come conseguenza il fatto che una connessione interna collega i vari gruppi di sistemi, e che la comune appartenenza di diversi pensatori è da essi sentita così come viene in luce l’antitesi nei confronti di altri gruppi. In questo modo è sorta nella filosofia greca classica l’antitesi tra la metafisica teleologica, che ha rappresentato per così dire il suo sistema naturale, e la visione che limita la conoscenza del mondo alla comprensione della realtà secondo le relazioni di causa e di effetto. Essendosi poi fatto valere in tutta la sua importanza, dallo Stoicismo in poi, il problema della libertà, i sistemi dell’idealismo oggettivo, secondo cui il fondamento delle cose determina la connessione del mondo, si sono separati sempre più chiaramente da quelli dell’idealismo della libertà, nei quali l’Erlebnis della volontà libera viene determinato e proiettato nel fondamento stesso del mondo. Si sono quindi formati dei tipi fondamentali di metafisica, i quali hanno la radice nelle differenze decisive di visione del mondo. Essi abbracciano una grande molteplicità di visioni del mondo e di forme sistematiche. 2. Tipi di visione filosofica del mondo. Non si può qui prospettare l’induzione storica mediante la quale devono essere determinati questi tipi. Le caratteristiche empiriche da cui muove questa induzione risiedono nell’affinità interna dei sistemi metafisici, nel rapporto di trasformazione in base al quale un sistema condiziona l’altro, nella coscienza che i pensatori hanno della loro comune appartenenza e del loro

contrasto, ma soprattutto nella continuità storica in cui un tipo siffatto si costituisce sempre più chiaramente ed è fondato sempre più profondamente, nonché nell’influenza che deriva da sistemi tipici come quelli di Spinoza, Leibniz o Hegel, di Kant o Fichte, di d’Alembert o Hobbes o Comte. Tra tali tipi vi sono delle forme in cui queste visioni del mondo non sono ancora pervenute a una chiara separazione; altre forme potrebbero invece, sfidando la coerenza del pensiero, mantenere tutto l’insieme dei motivi metafisici; queste si mostrano però sempre infruttuose per lo sviluppo ulteriore della visione del mondo e inefficaci nella vita e nella letteratura, per quanto robuste possano essere nella loro complicata determinazione fondamentale o anche per i loro vantaggi tecnici. Dalla variopinta molteplicità di tali sfumature della visione del mondo emergono significativamente i loro tipi coerenti, puri e ricchi di influenza. Da Democrito, Lucrezio, Epicuro fino a Hobbes, da lui agli Enciclopedisti, al materialismo moderno, a Comte e ad Avenarius si può seguire, nonostante la grande diversità dei loro sistemi, una connessione che collega questi gruppi in un tipo unitario, la cui prima forma può essere designata come materialistica o naturalistica, e il cui sviluppo successivo conduce coerentemente, sotto le condizioni della coscienza critica, al positivismo nel senso di Comte. Eraclito, lo Stoicismo di stretta osservanza, Spinoza, Leibniz, Shaftesbury51, Goethe, Schelling, Schleiermacher, Hegel indicano le tappe dell’idealismo oggettivo. Platone, la filosofia della vita ellenistico-romana, rappresentata da Cicerone, la speculazione cristiana, Kant, Fichte, Maine de Biran52 e i pensatori francesi a lui affini, Carlyle costituiscono i gradi di sviluppo dell’idealismo della libertà. Dalla legalità interna ora illustrata, che agisce nella formazione dei sistemi metafisici, deriva il differenziarsi della metafisica in queste successioni di sistemi. Su tale sviluppo, e sulle modificazioni che in esso si presentano, agisce anzitutto il processo da noi illustrato, nel quale il rapporto con la realtà percorre determinate posizioni; così il positivismo si presentava prima come il caso più eminente dell’atteggiamento anti-metafisico che va in cerca di un saldo fondamento per il conoscere, mentre ora viene considerato nella sua totalità come trasformazione di una visione del mondo fondata, dal punto di vista della teoria della conoscenza, su questo procedimento. Allora lo sviluppo e la sfumatura dei tipi sono però condizionati dal corso in cui, sulla base delle relazioni tra valori, scopi e vincoli della volontà, i concetti ideali si sono sviluppati nell’umanità. La conoscenza della realtà ha il suo fondamento nello studio della natura,

poiché soltanto questo può imporre ai fatti un ordine in base a leggi. Nella connessione della conoscenza della realtà che ne deriva domina il concetto di causalità. Quando questo determina unilateralmente l’esperienza, non vi è più posto per i concetti di valore e di scopo. E poiché nella visione della realtà il mondo fisico prevale per estensione e per forza, in modo tale che le unità viventi spirituali appaiono soltanto come una specie di interpolazioni nel contesto del mondo fisico, poiché inoltre soltanto la conoscenza di questo mondo fisico possiede nella matematica e nell’esperimento gli strumenti per raggiungere il fine dell’apprendimento, una tale spiegazione del mondo assume la forma dell’interpretazione di ciò che è spirituale in base a questo mondo fisico. E quando poi viene riconosciuto, dal punto di vista critico, il carattere fenomenico del mondo fisico, il naturalismo e il materialismo si trasformano nel positivismo determinato dalla scienze della natura. Oppure la visione del mondo è determinata dalla forma di atteggiamento propria del sentimento. Essa sottostà al punto di vista dei valori delle cose, dei valori vitali, del significato e del senso del mondo: tutta la realtà appare allora come l’espressione di un elemento interno, e viene quindi concepita come il dispiegamento di una connessione psichica che agisce consapevolmente o inconsciamente. Questo punto di vista vede di conseguenza nel singolo soggetto agente — molteplice, separato, limitato — un qualcosa di divino ad esso immanente, che determina i fenomeni secondo il rapporto di causalità teleologica che si può rintracciare nella coscienza: nascono così l’idealismo oggettivo, il panenteismo o il panteismo. Quando però l’atteggiamento della volontà determina la concezione del mondo, allora sorge lo schema dell’indipendenza dello spirito dalla natura, ossia della sua trascendenza: nella sua proiezione nell’universo si costituiscono i concetti della personalità divina, della creazione, della sovranità della personalità rispetto al corso del mondo. Ognuna di queste visioni del mondo contiene, nella sfera dell’apprendere oggettuale, un legame tra conoscenza del mondo, valutazione della vita e princìpi dell’agire. La loro potenza consiste nel fatto che esse conferiscono un’unità interna alla personalità nelle sue diverse funzioni. E ognuna di esse possiede una forza di attrazione e una possibilità di sviluppo coerente in quanto coglie con il pensiero la vita nella multiformità del suo significato in base a uno dei nostri modi di atteggiamento, secondo la legge contenuta in questo. 3. L’insolubilità del compito: diminuzione del potere della metafisica. La metafisica si è diffusa in una smisurata ricchezza di forme di vita,

procedendo instancabile da una possibilità all’altra. Nessuna forma le basta, poiché essa la trasforma sempre in una nuova. Una segreta contraddizione interna, insita nella sua essenza stessa, si presenta di nuovo in ognuna delle sue formazioni e la costringe a lasciar cadere la forma data e a cercarne una nuova. La metafisica è infatti uno strano essere dal duplice aspetto. La sua aspirazione è la soluzione del mistero del mondo e della vita, e la sua forma è la validità universale. Con una faccia essa si rivolge alla religione e alla poesia, con l’altra alle scienze particolari. Essa non è di per sé una scienza nel senso delle scienze particolari, e neppure è arte o religione. Il presupposto sotto cui essa nasce è che nel mistero della vita ci sia un punto accessibile al pensiero rigoroso. Se esso esiste, come hanno ritenuto Aristotele, Spinoza, Hegel, Schopenhauer, allora la filosofia è qualcosa di più di qualsiasi religione e di qualsiasi arte, e anche qualcosa di più delle scienze particolari. Dove incontreremo questo punto in cui si collegano la conoscenza concettuale e il suo oggetto, il mistero del mondo, e in cui questa connessione singolare del mondo consente di osservare non soltanto regolarità particolari dell’accadere, ma diventa pensabile la sua essenza? Esso deve trovarsi al di là dell’ambito delle scienze particolari e al di là dei loro metodi. La metafisica deve innalzarsi al di sopra delle riflessioni dell’intelletto per trovare il suo proprio oggetto e il suo proprio metodo. I tentativi in questa direzione nella sfera della metafisica sono stati ormai compiuti, e si è mostrato ciò che vi è di insufficiente in essi. Non c’è qui bisogno di ripetere i motivi addotti a partire da Voltaire, Hume e Kant, i quali chiariscono il mutamento continuo dei sistemi metafisici e la loro incapacità di soddisfare le esigenze della scienza. Io metto in luce soltanto ciò che rientra in questo contesto. La conoscenza della realtà in base alle relazioni causali, l’Erleben del valore, del significato e del senso, e l’atteggiamento del volere, che contiene in sé lo scopo dell’azione volontaria e la regola del vincolo della volontà — queste sono le diverse forme di atteggiamento collegate nella struttura psichica. La loro relazione psichica esiste per noi nell’Erlebnis; essa rientra nei fatti ultimi a cui la coscienza può giungere. Il soggetto si atteggia in questa diversa maniera nei confronti degli oggetti, e non si può risalire al di là di questi fino a un loro fondamento. Le categorie di essere, causa, valore, scopo non possono essere ricondotte, in base alla loro provenienza da queste forme di atteggiamento, né l’una all’altra né a un principio superiore. Noi possiamo concepire il mondo soltanto sotto una delle categorie fondamentali; possiamo osservare per così dire sempre solamente un aspetto del nostro rapporto con

esso — non già l’intero rapporto, quale sarebbe determinato dalla connessione di queste categorie. Questo è il motivo primo dell’impossibilità della metafisica: se essa vuole imporsi, deve sempre o collegare internamente queste categorie mediante sofismi, oppure deve mutilare ciò che è contenuto nel nostro atteggiamento vivente. Un ulteriore limite del pensiero concettuale si mostra all’interno di ognuna di queste forme di atteggiamento. Noi non possiamo pensare nessuna causa ultima come un incondizionato che si aggiunga alla connessione condizionata dei processi: infatti la disposizione di una molteplicità i cui elementi stanno tra di loro in un rapporto uniforme resta essa stessa un mistero, e in base all’Uno immutabile non si può intendere né il mutamento né la pluralità. Noi non possiamo mai superare il carattere soggettivo e relativo delle determinazioni di valore, che deriva dalla loro origine nel sentimento: un valore incondizionato è un postulato, non già un concetto che possa essere riempito. Noi non possiamo indicare uno scopo supremo o incondizionato, poiché questo ha come presupposto la determinazione di un valore incondizionato, e la regola dell’agire, che è contenuta in modo universalmente valido nel vincolo reciproco delle volontà, non consente di derivarne gli scopi del singolo individuo o della società. Se nessuna metafisica può soddisfare le esigenze di una dimostrazione scientifica, resta tuttavia come punto fermo per la filosofia il rapporto del soggetto con il mondo, in virtù del quale ogni sua forma di atteggiamento esprime un aspetto del mondo. La filosofia non può cogliere il mondo nella sua essenza mediante un sistema metafisico, e dimostrare questa conoscenza in maniera universalmente valida; ma come in ogni seria poesia si dischiude un tratto della vita, quale non era stato visto prima, come la poesia ci rivela i diversi aspetti della vita in opere sempre nuove, come noi non possediamo in nessuna opera d’arte la visione totale della vita e tuttavia ci accostiamo a questa concezione totale per mezzo di esse, così nelle visioni del mondo tipiche della filosofia si presenta a noi un mondo quale esso appare quando una potente personalità filosofica sottopone a una di queste forme di atteggiamento le altre, subordinando alle categorie ad essa proprie le altre categorie. Dell’enorme lavoro dello spirito metafisico rimane così la coscienza storica, che lo ripete in sé e sperimenta in esso l’insondabile profondità del mondo. Non già la relatività di ogni visione del mondo è l’ultima parola dello spirito, che le ha tutte attraversate, bensì la sovranità dello spirito nei confronti di ognuna di esse, e al tempo stesso la coscienza positiva del fatto che nelle diverse forme di atteggiamento dello spirito esiste per noi l’unica

realtà del mondo. È compito della dottrina delle visioni del mondo illustrare metodicamente, in base all’analisi del corso storico della religiosità, della poesia e della metafisica, in antitesi al relativismo, il rapporto dello spirito umano con il mistero del mondo e della vita. IV. Filosofia e scienza Nel lavoro di fondazione e nel lavoro concettuale condotto dalla metafisica si sviluppa continuamente la riflessione sul pensiero stesso, sulle sue forme e sulle sue leggi. Vengono indagate le condizioni in cui noi conosciamo: l’assunzione che sussista una realtà indipendente da noi e che essa sia accessibile al nostro pensiero, la credenza che esistano e possano essere comprese persone al di fuori di noi, e infine il presupposto che al corso dei nostri stati interni nel tempo spetti una realtà e che gli Erlebnisse possano essere validamente rappresentati nel pensiero così come si riproducono nell’esperienza interna. La riflessione intorno ai processi in cui nasce la visione del mondo, e ai motivi che giustificano i suoi presupposti, accompagna la formazione della visione del mondo e si accresce continuamente nella lotta tra i sistemi metafisici. E nello stesso tempo dalla natura peculiare della visione filosofica del mondo sorge il suo rapporto con la cultura umana e con le sue connessioni di scopo. La cultura si è articolata, ai nostri occhi, secondo le relazioni interne tra la conoscenza del mondo, la vita, le esperienze dell’animo e gli ordinamenti pratici in cui gli ideali del nostro agire si realizzano. Qui si manifesta la connessione strutturale psichica, e proprio essa determina anche la visione filosofica del mondo. Così essa entra in rapporto con tutti gli aspetti della cultura. In quanto aspira a una validità universale, e va ovunque in cerca di giustificazione e di connessione, essa deve farsi valere in tutte le sfere della cultura, innalzando alla coscienza ciò che vi accade, giustificando, giudicando criticamente, collegando. Ma qui le viene incontro la riflessione che sorge nelle connessioni di scopo della cultura stessa. 1. Le funzioni della filosofia derivanti dalla tecnica concettuale nella vita della cultura. La riflessione dell’uomo intorno al proprio fare, e l’aspirazione a un sapere universalmente valido, non si è però sviluppata solamente nella visione del mondo. Prima che nascessero i filosofi, dall’attività politica era sorta la distinzione delle funzioni dello stato, la classificazione delle costituzioni; nella prassi dell’attività giuridica e del processo si erano formati i concetti

fondamentali dell’ordinamento giuridico civile e del diritto penale; le religioni avevano formulato dogmi, separati tra di loro e collegati reciprocamente; ed erano stati posti in luce i vari modi di esercizio dell’arte. Il procedere delle connessioni di scopo umane verso forme più complesse si compie infatti sotto la guida del pensiero concettuale. Si formano così certe funzioni della filosofia che portano avanti il pensiero sviluppatosi nei campi particolari della cultura. Come nessun limite rigido separa la metafisica religiosa da quella filosofica, così anche il pensiero tecnico trapassa in maniera continuativa nel pensiero filosofico. Lo spirito filosofico è caratterizzato ovunque da un’auto-riflessione universale e dalla capacità di formazione personale e di azione riformatrice che si fonda su di essa, e insieme dalla forte tendenza alla giustificazione e alla connessione che è presente nelle menti filosofiche. Una tale funzione della filosofia non è legata fin dall’inizio alla formazione della visione del mondo, e sussiste anche dove la metafisica non viene cercata o non viene riconosciuta. 2. La dottrina generale del sapere e la teoria dei singoli campi culturali. Dal carattere della filosofia come auto-riflessione dello spirito deriva quindi l’altro suo aspetto, che è sempre esistito insieme all’aspirazione verso una visione del mondo universalmente valida. Nella visione del mondo l’esperienza fondata sulle varie forme di atteggiamento viene collegata in un’unità oggettiva. Quando però queste forme, nelle loro relazioni, vengono innalzate a contenuti della coscienza, la quale indaga l’esperienza che sorge in esse, la sua legittimità viene messa alla prova: allora appare l’altro aspetto dell’auto-riflessione. Considerata da questo lato, la filosofia è la scienza fondamentale che ha a proprio oggetto la forma, la regola e la connessione di tutti i processi di pensiero determinati dallo scopo di produrre un sapere valido. In quanto logica, essa indaga le condizioni dell’evidenza che inerisce ai processi compiuti in modo corretto, e ciò in ogni campo in cui questi processi si presentano. In quanto teoria della conoscenza, essa risale dalla coscienza della realtà dell’Erlebnis e dalla datità oggettiva della percezione esterna ai fondamenti che giustificano questi presupposti del nostro conoscere. In quanto teoria del sapere, essa costituisce una scienza. Sulla base di questa sua importantissima funzione essa entra in relazione con le diverse sfere della cultura, e in ognuna di queste assume compiti di carattere particolare. Nella sfera della rappresentazione e della conoscenza del mondo essa entra in rapporto con le singole scienze, che producono le singole parti della

conoscenza del mondo. Questa sua funzione si collega da vicino alla logica e alla teoria della conoscenza, presentandosi come il lavoro fondamentale della filosofia. Essa illustra i procedimenti delle scienze particolari per mezzo della logica generale; pone in connessione con essa i concetti metodologici che sorgono nelle scienze; indaga i presupposti, i fini, i limiti del conoscere nelle scienze particolari; e applica i risultati così ottenuti al problema della struttura interna e delle connessioni tra i due grandi gruppi delle scienze della natura e delle scienze dello spirito. Nessun’altra delle sue relazioni con qualsiasi sistema di cultura è così chiara e distinta. Nessuna si è sviluppata con tanta coerenza sistematica; e quindi tra le determinazioni concettuali unilaterali della filosofia non ce n’è nessuna che sia così illuminante come quella secondo cui essa sarebbe la teoria delle teorie, la giustificazione e la connessione delle scienze particolari in vista della conoscenza della realtà. Meno evidente è il rapporto della filosofia con l’esperienza della vita. La vita è la relazione interna delle funzioni psichiche nella connessione della persona; l’esperienza della vita è la crescente riflessione sulla vita, mediante la quale ciò che vi è di relativo, di soggettivo, di accidentale, di isolato nelle forme elementari dell’agire orientato verso uno scopo viene innalzato alla comprensione di ciò che per noi è dotato di valore e conforme allo scopo. Che cosa significano nell’economia complessiva della nostra vita le passioni? quale valore ha il sacrificio in una vita intesa naturalmente? quale valore hanno la gloria o il riconoscimento esterno? Alla soluzione di siffatte questioni non contribuisce soltanto l’esperienza di vita individuale, ma questa si allarga all’esperienza che acquisisce la società. La società è il regolatore complessivo della vita affettiva e istintiva; nel diritto e nel costume essa pone alle passioni sregolate dei limiti che derivano dal bisogno della convivenza: mediante la divisione del lavoro, il matrimonio, la proprietà, essa crea le condizioni per l’ordinato soddisfacimento degli impulsi. Così essa libera da questo temibile dominio: la vita acquista spazio per i sentimenti più alti e per le più alte aspirazioni spirituali, e questi possono ottenere il sopravvento. L’esperienza della vita, che la società compie in questo lavoro, produce determinazioni sempre più appropriate dei valori vitali e dà ad essi, mediante l’opinione pubblica, una posizione saldamente regolata: in questa maniera la società produce da sé una scala di valori che condiziona poi il singolo. Su questo terreno della società si fanno valere le esperienze individuali della vita. Esse sorgono in modo diverso; e la loro base è data dagli Erlebnisse personali, nella misura in cui in essi emerge un valore. Altri insegnamenti noi riceviamo come

spettatori che osservano le passioni dell’uomo — le passioni che conducono fino alla sua rovina, e di conseguenza alla rovina del suo rapporto con altre persone — e la sofferenza che ne deriva. E noi integriamo queste esperienze di vita con la storia, che mostra a grandi tratti il destino degli uomini, e con la poesia: soprattutto questa rivela la tensione dolorosamente dolce della passione, la sua illusione, la liberazione da essa. Tutto coopera affinché l’uomo diventi più libero, e aperto alla rassegnazione e alla fortuna di dedicarsi ai grandi compiti oggettivi della vita. Non metodica, qual è all’inizio questa esperienza della vita, essa deve svilupparsi, per accorgersi della portata e dei limiti del suo procedimento, in una riflessione metodica che aspira a superare il carattere soggettivo della determinazione di valore. Così essa trapassa in filosofia. Tutte le tappe di questo cammino sono segnate da scritti che trattano di valori vitali, di caratteri, di temperamento, di condotta della vita. E come la poesia è un elemento importante nella formazione della dottrina dei temperamenti, dei caratteri e della condotta della vita, così questa lettura dell’anima degli uomini, questo peculiare apprezzamento dei valori delle cose, questa insaziabile volontà di comprendere, prepara una più consapevole penetrazione del significato della vita. Omero è il maestro degli scrittori che riflettono, e Euripide è loro allievo. Sulla stessa base si sviluppa ogni religiosità acquisita da ciascuno. Le esperienze relative alla vita, la forza paurosa del comprendere l’illusione inerente a tutti i beni della vita terrena, producono in ogni genio religioso la dedizione al mondo trascendente. L’Erlebnis religioso sarebbe vuoto e insulso se l’elevazione verso il divino non si compisse sulla base della miseria vissuta, dell’abiezione o per lo meno della miseria delle cose umane, delle divisioni e della sofferenza che queste comportano, presentandosi per così dire come un innalzarsi al di sopra di questo mondo corruttibile. Su questo cammino verso la solitudine hanno proceduto Buddha, Lao-tse e — come traspare da alcuni passi dei Vangeli — anche Cristo, mentre lo hanno seguito pure Agostino e Pascal. Insieme alle scienze e agli ordinamenti della vita storica, queste esperienze della vita costituiscono il fondamento reale della filosofia. Ciò che vi è di personale nei grandi filosofi poggia su di esse; il loro raffinamento e la loro giustificazione formano un elemento essenziale, e addirittura il più efficace, dei sistemi filosofici. Ciò appare particolarmente evidente in Platone, nello Stoicismo, in Spinoza, e in misura più limitata anche in Kant, per il lettore che colleghi la sua antropologia agli scritti precedenti. Così nella filosofia sorge il sistema dei valori vitali immanenti e quello dei

valori produttivi oggettivi: quelli ineriscono a uno stato dell’anima, questi appartengono a un elemento esterno che ha la capacità di produrre valori vitali. La filosofia ha infine, nella connessione della storia culturale, un rapporto con il mondo pratico, i suoi ideali e i suoi ordinamenti della vita. Essa è infatti riflessione sulla volontà, sulle sue regole, sui suoi scopi e i suoi beni. Questo rapporto ha trovato la sua espressione negli ordinamenti dell’economia, del diritto, dello stato, del dominio della natura, dell’eticità: soltanto in base a questi si può illustrare l’essenza dell’atteggiamento volontario. Il rapporto tra posizione dello scopo, vincolo e regola li attraversa tutti. Da ciò deriva il problema più profondo della filosofia in questo ambito: la grande questione se ogni regola etica possa essere derivata da scopi. La prospettiva a cui Kant si è sollevato con il suo imperativo categorico può essere perfezionata nel senso che nel mondo etico vi è soltanto un elemento incondizionato, cioè che il vincolo reciproco delle volontà in un contratto esplicito o nell’accettazione tacita dello stato di reciprocità ha per ogni coscienza una validità incondizionata; perciò la rettitudine, l’onestà, la fedeltà e la veridicità costituiscono la salda armatura del mondo morale; e ad essa sono subordinati tutti gli scopi e tutte le regole della vita, perfino il bene e l’aspirazione verso la perfezione — in una gerarchia del dovere che da ciò che è conforme al dovere procede fino all’esigenza morale del bene e della dedizione agli altri, e da questa all’esigenza del perfezionamento personale. L’analisi filosofica della coscienza morale, stabilendo l’ambito di validità degli ideali etici, e separando il carattere vincolante del dovere dalla variabilità degli scopi, determina le condizioni sotto le quali si costituiscono i sistemi di scopi all’interno della società. E poiché allora la filosofia ci permette di comprendere sulla base della struttura dell’individuo e della società la fattualità degli ordinamenti della vita, quali li descrivono e li analizzano le scienze dello spirito, e poiché essa deriva dal carattere teleologico di questi il loro sviluppo e le loro leggi di formazione, sottoponendo però tutte queste necessità alla legge suprema dei vincoli della volontà, essa diventa una forza interna che conduce all’accrescimento dell’uomo e allo sviluppo dei suoi ordinamenti di vita, ma al tempo stesso fornisce dei saldi criteri per questi ordinamenti nella regola etica e nelle realtà della vita. Guardiamo ancora una volta, a questo punto, alla visione filosofica della vita. Qui possiamo per la prima volta abbracciare l’intera estensione del suo fondamento. Emerge infatti il significato che l’esperienza della vita riveste per

la formazione della visione cel mondo. E infine appare come nei grandi ambiti condizionati cai modi dell’atteggiamento psichico siano contenuti problemi di importanza autonoma, i quali possono essere trattati del tutto indipendentemente dal loro posto nella visione del mondo. Dalle relazioni della filosofia con i diversi campi della vita umana deriva il suo diritto non soltanto a giustificare e a collegare il sapere relativo a questi campi, e le scienze particolari in cui il sapere si è consolidato, ma anche a studiarli in discipline filosofiche particolari come la filosofia del diritto, la filosofia della religione, la filosofia dell’arte. Non c’è da discutere sul fatto che ognuna di queste teorie debba venir creata in base ai contenuti storici e sociali che costituiscono l’ambito dell’arte o della religione, del diritto o dello stato, e che in quanto tale il loro lavoro coincide con il lavoro delle scienze particolari. è anche chiaro che ogni teoria filosofica del genere la quale, invece di creare in base al materiale stesso, si attiene a ciò che è offerto nelle scienze particolari e si limita a riesaminarlo qua e là, non possiede nessun diritto di esistere. Ma, per la limitatezza della forza umana, soltanto in rare eccezioni il singolo studioso potrà dominare la logica, la teoria della conoscenza e la psicologia in modo talmente sicuro che la teoria filosofica possa aggiungere qualcosa di nuovo, che non sia tratto appunto da queste. Una teoria filosofica separata di questo genere è giustificata sempre soltanto come qualcosa di provvisorio, che nasce dall’insufficienza della situazione presente. Al contrario, il compito di indagare le relazioni interne tra le scienze, da cui dipende la costituzione logica di ognuna di esse, rimarrà sempre una parte importante delle funzioni della filosofia. 3. Lo spirito filosofico nelle scienze e nella letteratura. L’influenza della metafisica è in continua diminuzione, mentre acquista continuamente peso la funzione della filosofia in base alla quale essa fonda e collega il pensiero che sorge nei singoli ambiti della cultura. L’importanza della filosofia positivistica di d’Alembert, Comte, Mill, Mach poggia su questo rapporto, cioè sul fatto che essa nasce dallo studio interno delle scienze particolari, prosegue il loro lavoro e si attiene ovunque al criterio del loro sapere universalmente valido. E in un altro ambito il pensiero filosofico di Carlyle o di Nietzsche è positivo proprio in quanto cerca di generalizzare e di giustificare le forme di atteggiamento contenute nell’esperienza della vita, ed elaborate dai poeti e dagli scrittori che si occupano della condotta della vita. È naturale che proprio in questo procedimento più libero la filosofia influenzi sempre di più l’intera vita spirituale dell’età moderna. Lo spirito metodico

rivolto a generalizzare e a collegare le scienze, che era determinante nella ricerca sulla natura di Galilei, Keplero e Newton, ha poi pervaso, sulla base dell’orientamento positivistico di d’Alembert e di Lagrange53, la ricerca naturalistica francese, e ha trovato una prosecuzione sul terreno della filosofia della natura e del criticismo kantiano in Ernst von Baer54, Robert Mayer55, Helmholtz e Hertz56. E proprio questo spirito filosofico si è fatto valere in particolare, a partire dai grandi teorici socialisti, nelle scienze particolari della società e della storia. È perciò caratteristico della situazione odierna della filosofia il fatto che le sue influenze più forti provengano non già dai sistemi, bensì per l’appunto da questo libero pensiero filosofico che penetra le scienze e l’intera letteratura. Infatti anche in quest’ultima un’influenza filosofica significativa proviene da scrittori come Tolstòj e Maeterlinck: il dramma, il romanzo e oggi anche la lirica sono diventati i portatori dei più forti impulsi filosofici. Lo spirito filosofico è presente ovunque un pensatore, libero dalla forma sistematica della filosofia, sottopone a prova ciò che nell’uomo si presenta isolatamente, oscuramente, sotto forma di istinto, di autorità o di fede; ovunque ricercatori dotati di coscienza metodica riconducono la loro scienza ai suoi fondamenti ultimi o la spingono a generalizzazioni che collegano e giustificano diverse scienze; ovunque valori vitali e ideali vengono sottoposti a un nuovo esame. Ciò che si presenta subordinato o in lotta all’interno di un’epoca o nel cuore di un uomo, dev’essere conciliato mediante il pensiero, ciò che è oscuro dev’essere chiarito, gli elementi che stanno immediatamente l’uno accanto all’altro devono essere mediati e posti in connessione. Questo spirito non lascia sussistere nessun sentimento di valore e nessuna aspirazione nella sua immediatezza, nessuna prescrizione e nessun sapere nel suo isolamento, e per ogni cosa che vale indaga quale sia il fondamento della sua validità. In questo senso il secolo XVIII si definiva a buon diritto il secolo filosofico: in virtù del dominio della ragione su ciò che è oscuro, istintivo, su ciò che in noi crea in modo inconscio, sullo sforzo di ricondurre ogni formazione storica alla sua origine e alla sua giustificazione. V. Il concetto di essenza della filosofia: sguardo sulla sua storia e sulla sua sistematica La filosofia si è presentata come un insieme di funzioni molto differenti, che vengono raccolte insieme nell’essenza della filosofia in virtù del loro collegamento regolare. Una funzione si riferisce sempre a una connessione teleologica, e indica un complesso di operazioni congiunte tra di loro che

vengono compiute all’interno di questa totalità. Il concetto non è preso per analogia dalla vita organica, né indica una disposizione o una facoltà originaria. Le funzioni della filosofia si riferiscono alla struttura teleologica del soggetto che fa filosofia e a quella della società. Si tratta di operazioni nelle quali la persona si rivolge a se stessa e nel medesimo tempo agisce all’esterno; in questo esse sono affini a quelle della religiosità e della poesia. La filosofia è quindi una funzione che sorge dal bisogno dello spirito individuale di riflettere sul proprio fare, di conformare internamente e di rendere saldo l’agire, di dare una salda forma alla propria relazione con la totalità della società umana, ed è al tempo stesso una funzione fondata sulla struttura della società, e necessaria alla perfezione della sua vita; in quanto tale è una funzione che si svolge in maniera uniforme in varie menti, collegandole in una connessione sociale e storica. In quest’ultimo senso essa costituisce un sistema di cultura. Infatti le caratteristiche di un tale sistema sono l’uniformità della funzione in ogni individuo che fa parte del sistema di cultura, e l’appartenenza reciproca degli individui in cui si svolge questa funzione. Quando questa appartenenza reciproca assume forme salde, in un sistema di cultura sorgono delle organizzazioni. Tra tutte le connessioni di scopi l’arte e k filosofia congiungono tra di loro gli individui in misura minore; poiché la funzione che l’artista o il filosofo compie non è condizionata da alcun tessuto della vita: la loro regione è quella della suprema libertà dello spirito. E se l’appartenenza del filosofo alle organizzazioni dell’università e dell’accademia rafforza la sua funzione per la società, il suo elemento vitale è, e rimane, la libertà del suo pensiero, che non può mai essere pregiudicata e dalla quale dipendono non soltanto il suo carattere filosofico, ma anche la fiducia nella sua incondizionata veridicità, e perciò la sua influenza. La proprietà più generale, che compete a tutte le funzioni della filosofia, è fondata sulla natura dell’apprendere oggettuale e del pensiero concettuale. Così intesa, la filosofia appare come la forma di pensiero più conseguente, più forte, più comprensiva; e non è separata dalla coscienza empirica da nessun confine netto. Dalla forma del pensiero concettuale discende che il giudicare procede verso generalizzazioni supreme, la formazione e la distinzione dei concetti verso un’architettonica con un culmine supremo, il riferimento verso una connessione onnicomprensiva e il lavoro di fondazione verso un principio ultimo. In questa attività il pensiero si riferisce all’oggetto comune di tutti gli atti di pensiero delle diverse persone, alla connessione della percezione sensibile a cui la pluralità delle cose si subordina nello spazio e la molteplicità

dei loro mutamenti e dei loro movimenti si subordina nel tempo — cioè al mondo. Tutti i sentimenti e tutte le azioni volontarie sono inseriti in questo mondo in virtù della determinazione spaziale dei corpi ad essi collegati e degli elementi dell’intuizione in essi intrecciati. Tutti i valori, gli scopi, i beni riposti in questi sentimenti o in queste azioni volontarie ne fanno parte: la vita umana è racchiusa in esso. E poiché il pensiero tende a esprimere e a unificare l’intero contenuto di intuizioni, di Erlebnisse, di valori e di scopi di cui ha esperienza vissuta e che gli è dato nella coscienza empirica, nell’esperienza e nelle scienze empiriche, esso procede dalla concatenazione delle cose e dai mutamenti nel mondo fino al concetto di mondo; per giustificarlo risale a un principio universale, a una causa universale; cerca di determinare il valore, il senso e il significato del mondo, e va in cerca di uno scopo universale. Ovunque questo procedimento di generalizzazione, di disposizione alla totalità, di giustificazione, che è sorretto dal sapere, si svincola dal bisogno particolare, dall’interesse limitato, esso trapassa in filosofia. E ovunque il soggetto, che nel suo fare si riferisce a questo mondo, si innalza nello stesso senso a riflettere su questo suo agire, questa riflessione è riflessione filosofica. La proprietà fondamentale di tutte le funzioni della filosofia è perciò il cammino dello spirito che procede al di là del suo vincolo all’interesse determinato, finito, limitato, sforzandosi di riportare ogni teoria sorta da un bisogno limitato a un’idea che la includa. Questo cammino del pensiero è fondato sulla sua legalità, e corrisponde a bisogni della natura umana che mal sopportano un’analisi precisa, cioè alla gioia del sapere, al bisogno di una salda posizione ultima dell’uomo nei confronti del mondo, all’aspirazione a superare il legame della vita con le sue condizioni limitate. Ogni atteggiamento psichico è alla ricerca di un punto fermo sottratto alla relatività. Questa funzione generale della filosofia si manifesta, nelle diverse condizioni della vita storica, in tutte le sue operazioni che abbiamo preso in esame. Dalle molteplici condizioni della vita sorgono funzioni particolari di grande energia: la formazione della visione del mondo in direzione della validità universale, la riflessione del sapere su se stesso, la relazione delle teorie che si costituiscono nelle singole connessioni di scopo con la connessione di ogni sapere, uno spirito di critica, di collegamento universale e di giustificazione che pervade l’intera cultura. Esse appaiono tutte come funzioni particolari che sono fondate sull’essenza unitaria della filosofia. Questa si adatta infatti a ogni posizione nello sviluppo della cultura e a tutte le condizioni della sua situazione storica. Così si spiega il continuo differenziarsi

delle sue funzioni, la flessibilità e la mobilità in cui essa ora si dispiega nell’ampiezza del sistema, ora fa valere tutta la sua forza in un singolo problema, trasferendo l’energia del suo lavoro in compiti sempre nuovi. Abbiamo raggiunto il limite in cui, dalla presentazione dell’essenza della filosofia, risulta illuminata retrospettivamente la sua storia e spiegata la sua connessione sistematica. La sua storia sarebbe compresa se in base alla connessione delle funzioni della filosofia si potesse cogliere l’ordine in cui, sotto le condizioni della cultura, i problemi sorgono l’uno accanto all’altro e l’uno dopo l’altro, e in cui vengono percorse le diverse possibilità di risolverli; se si descrivesse la progressiva riflessione del sapere su se stesso nelle sue fasi principali; se si seguisse la storia nel corso della quale le teorie che sorgono nelle connessioni di scopo della cultura vengono riferite, in virtù dello spirito filosofico che le abbraccia, alla connessione della conoscenza e sviluppate di conseguenza, nonché il modo in cui la filosofia crea nuove discipline nell’ambito delle scienze dello spirito e le affida poi alle scienze particolari; e se si mostrasse come in base alla disposizione di coscienza di un’epoca e al carattere delle nazioni si può penetrare la specifica configurazione che assumono le visioni filosofiche del mondo, e al tempo stesso il continuo procedere dei grandi tipi di queste visioni. In tale maniera la storia della filosofia tramanda al lavoro filosofico sistematico i tre problemi della fondazione, della giustificazione e della connessione delle scienze particolari, insieme al compito di far fronte al bisogno inarrestabile di una riflessione ultima sull’essere, sul fondamento, sul valore, sullo scopo e sulla loro connessione nella visione del mondo, quali che siano la forma e l’orientamento in cui questo compito viene assolto.

1. Protagora di Abdera, il maggiore rappresentante della Sofistica, vissuto nella seconda metà del secolo V a. C., elaborò una teoria sensistica della conoscenza e formulò il principio secondo cui «l’uomo è misura di tutte le cose», tradizionalmente interpretato (anche da Dilthey) in senso relativistico. 2. Hugs de Groot, latinizzato in Hugo Grotius (1583-1645), è il maggiore teorico moderno del diritto naturale. Dopo aver studiato diritto a Leida, consegui il titolo dottorale a Orléans; rientrato in patria intraprese la carriera di avvocato all’Aia, diventando nel 1607 procuratore generale degli stati di Olanda e della Frisia occidentale, e nel ’13 pensionano di Rotterdam. S’impegnò nelle controversie religiose, sostenendo il diritto d’intervento dell’autorità politica nella disciplina religiosa. Dopo il sinodo di Dordrecht (1618), che segnò la sconfitta dei partito arminiano, fu arrestato e condannato a vita, ma riuscì a fuggire a Parigi, dove scrisse la sua opera maggiore, il De iure belli ac pacis (1625); rientrato in Olanda nel 1631, dovette presto riprendere la vita dell’esilio rifugiandosi in Germania. Oltre a quell’opera scrisse saggi di diritto internazionale (tra cui il Mare liberum del 1609), di politica ecclesiastica e di argomento religioso. 3. Filosofo antico, probabilmente nato a Ierapoli, in Frigia, verso metà dei secolo I d. C., portato a Roma come schiavo durante il regno di Nerone e poi affrancato, si trasferi in seguito a Nicopoli, nell’Epiro, dove aprì una scuola; è autore di Diatribe e soprattutto di un Manuale di morale di

ispirazione stoica, in seguito conosciuto sotto il suo nome. 4. Marco Aurelio (121-180), figlio adottivo e successore (nel 161) di Antonino sul trono imperiale, è autore di uno scritto in dodici libri dal titolo A se stesso — reso anche come Pensieri o come Ricordi — di ispirazione stoica. 5. Hermann Ludwig Ferdinand von Helmholtz (1821-1894), fisiologo tedesco, studiò medicina a Berlino, impegnandosi quindi in ricerche di fisiologia e di ottica; insegnò fisiologia a Königsberg, Bonn e Heidelberg, e dal 1870 fu professore di fisica a Berlino. Le sue opere principali sono Über die Erhaltung der Kraft (1847), lo Handbuch der physiologischen Optik (1856-66), Die Lehre von den Tonempfindungen als psychologische Grundlage für die Theorie der Musik (1863); ad esse si aggiungono numerosi saggi raccolti nei Populäre wissenschaftliche Vorträge (1865-76), nelle Wissenschaftliche Abhandlungen (188295)e in Vorträge und Reden (1884). 6. La citazione è tratta dai Vorträge und Aufsätze,3a ed. dei Populären wissenschaftlichen Vorträge, Braunschweig, Vieweg, 1884, vol. 1, p. 368. 7. La citazione è tratta da una lettera al padre del 31 dicembre 1856, pubblicata (in parte) da L. Koenigsberger, Hermann von Helmholtz, Braunschweig, Vieweg, 1902-1903, vol. 1, p. 284. 8. La citazione è tratta dall’Architettonica della ragion pura (cap. III della Dottrina trascendentale del metodo) della Kritik der reinen Vernunft, A 838-39 (= B 866-67), trad. it. di P. Chiodi con il titolo Critica della ragion pura, Torino, UTET, 1967, p. 627. 9. Marziano Minneio Felice Capella, scrittore della tarda latinità vissuto tra il V e il VI secolo, avvocato di professione, è l’autore di nove libri De nuptiis Mercurii et philologiae, che espongono in forma sistematica l’enciclopedia delle sette arti liberali — opera priva di origi nalità, ma importante per la trasmissione del patrimonio culturale antico. 10. Vincenzo di Beauvais (circa 1190-circa 1264), monaco domenicano francese autore di opere enciclopediche che ebbero larga diffusione nel Medioevo: lo Speculum maius (che offre un compendio del sapere medioevale), lo Speculum naturale in trentadue libri, lo Speculum doctrinale in diciassette libri, lo Speculum historiale in trentun libri. 11. Jean Le Rond d’Alembert (1717-1783), matematico e filosofo francese, condiresse insieme a Diderot l’Enciclopédie fino al 1759, quando decise di ritirarsi da un’impresa che aveva incontrato molteplici ostacoli. Figura di primo piano del movimento illuministico, negli anni successivi divenne anche un personaggio ufficiale della cultura francese: membro dell’Académie française, fu eletto nel 1772 suo segretario perpetuo. I suoi scritti filosofici più importanti sono il Discours préliminare de l’Enciclopédie (1751), i Mélanges de philosophie, d’histoire et de littérature (1753), gli Éléments de philosophie (1759); ad essi si affiancano i sette volumi di Opuscules mathématiques (1761-80) e i numerosi «elogi» di accademici defunti. 12. Anne-Robert-Jacques Turgot (1727-1781), dopo aver intrapreso una carriera ecclesiastica, abbandonò nel ’51 lo stato sacerdotale e s’impegnò nella pubblica amministrazione, diventando nel 1761 intendente della généralité di Limoges. Collaboratore dell’Enciclopédie ed esponente dei gruppo fisiocratico, fu chiamato da Luigi XVI a reggere il ministero della Marina e poi quello delle Finanze, e in questa veste cercò di attuare una politica liberale, eliminando abusi e monopoli; ma il suo tentativo non ebbe successo, e nel 1776 si ritirò a vita privata. Importanti sono, oltre ai discorsi giovanili sull’idea di progresso, le Lettres sur la liberté du commerce des grains (1770). 13. Dilthey si riferisce al Treatise of Human Nature, pubblicato nel 1739-40. 14. Jeremy Bentham (1748-1832) è una delle figure di maggior rilievo del pensiero inglese tra Settecento e Ottocento. Avvocato, abbandonò la professione legale per dedicarsi a progetti di riforma della legislazione e a iniziative filantropiche. Amico di James Mill, fondò nel 1824 la «Westminster Review», organo del radicalismo inglese. Fu autore di numerose opere, tra cui A Fragment of

Government (1776), An Introduction to the Principles of Morals and Legislation (1789), The Rationale of Reward (1825), The Rationale of Punishment (1830), Constitutional Code (1830), Deontology, or the Science of Morality (1834). 15. James Mill (1773-1836), padre di John Stuart, funzionario della Compagnia delle Indie, svolse un’intensa attività pubblicistica in favore di inziative filantropiche. Fu amico di David Ricardo e di Bentham con il quale fondò la «Westminster Review»; scrisse gli Elements of Political Economy (1820), l’Analysis of the Phenomena of the Human Mind (1829) e l’Essay in Government, Jurisprudence, Liberty of the Press and Law of Nature (1839). 16. Alexander Bain (1818-1903), professore di filosofia naturale a Glasgow dal 1845 al ’60, poi di logica a Aberdeen, fondò nel 1876 la rivista «Mind»: le sue opere più importanti sono The Sens and the Intellect (1855), The Emotion and Will (1859), Mental and Moral Science (1868), Logic Deductive and Inductive as a Science (1870), Mind and Body (1872), nonché un’analisi critica del pensiero di John Stuart Mill (1882), al quale era stato legato in gioventù. 17. La citazione è tratta da Auguste Comte and Positivism, London, Trübner, 1865: il volume ora compreso in The Collected Works of John Stuart Mill, a cura di F. E. L. Priestley e J. M. Robson, TorontoLondon, Toronto University Press-Routledge & Kegan Press, vol. X: Essays On Ethics, Religion and Society,1969, p. 291, trad. it. di A. Dardanelli con il titolo Auguste Comte e il positivismo (con introd. di A. Pacchi), Milano, Unicopli, 1986, p. 65. 18. Friedrich Eduard Beneke (1798-1854), filosofo tedesco, fu libero docente a Berlino nel 1820, aspramente osteggiato da Hegel che s’impegnò per fargli togliere la venia legendi; in seguito divenne professore a Göttingen e infine a Berlino. Fu autore di vari volumi di ispirazione empiristica, tra cui la Erfahrungslehre als Grundlage allen Wissens in ihren Hauptzügen dargestellt (1820), la Neue Grundlegung der Metaphysik (1822), la Grundlegung zur Physik der Sitten (1822), il Lehrbuch der Logik als Kunstlehre des Denkens (1832), Kant und die philosophische Aufgahe unserer Zeit (1832), il Lehrbuch der Psychologie als Naturwissenschaft (1833), il System der Logik als Kunstlehre des Denkens (1845). 19. F. E. BENEKE, Grundlegung zur Physik der Sitten, Berlin und Posen, Mittler, 1822, p. x. 20. F. E. BENEKE, Pragmatische Psychologie oder Seelenlehre in der Anwendung auf das Leben, Berlin, Mittler, 1850, vol. I, p. 17. 21. Theodor Lipps (1851-1914), filosofo tedesco, fu professore a Bonn, a Breslavia e infine a Monaco. È autore di varie opere tra cui i Grundtatsachen des Seelenlebens (1883), le Psychologische Studien (1885), i Grundzüge der Logik (1893), Die ethischen Grundfragen (1899), Vom Fühlen, Wollen und Denken (1902), l’Ästhetik (1903-6) e Leitfaden der Psychologie (1903), Naturwissenschaft und Weltanschauung (1907), le Psychologische Untersuchungen (1907-12). A lui si deve la proposta di un’estetica fondata sul concetto di empatia (Einfühlung), che ebbe larga risonanza nel dibattito filosofico tedesco dei primi decenni del Novecento. 22. Giustino, nato a Flavia Neapolis (l’odierna Nablus) in Palestina, trasferitosi a Roma sotto Antonino il Pio, morto intorno al 165, è autore di due Apologie del Cristianesimo, che egli difese dalle accuse dei pagani. 23. Minucio Felice, vissuto tra il II e il III secolo (non si dispone di date più precise), avvocato a Roma durante il regno di Marco Aurelio, è autore di un’apologia del Cristianesimo in forma di dialogo, l’Octavius, volta a dimostrare la sostanziale continuità tra filosofia antica e fede cristiana. 24. Clemente Alessandrino, nato intorno al 150 e morto probabilmente prima del 215, è uno dei maggiori rappresentanti della Patristica greca: scrisse il Protrettico, il Pedagogo (in tre libri) e gli Stromata (in otto libri), che costituiscono la sua opera principale. 25. Origene, nato ad Alessandria intorno al 185 e morto in seguito alla persecuzione di Decio nel 253-

54, insegnò nella città natale coltivando l’interpretazione allegorica delle scritture, ma impegnandosi anche nel tentativo di fissarne il testo autentico. Dopo la rottura con il vescovo Demetrio, che lo aveva protetto all’inizio della carriera, si trasferì a Cesarea facendone un centro importante di studi religiosi. È autore di numerosi commenti a testi biblici (il Cantico dei cantici, il Vangelo di Matteo, il Vangelo di Giovanni, la Lettera ai Romani di Paolo), di omelie su libri del Vecchio Testamento e sul Vangelo di Luca, nonché di trattati filosoficoreligiosi come il De principiis, il Contra Celsum, il De oratione, l’Exortatio ad martyrium. 26. Porfirio, nato a Batanea in Siria intorno al 233-34, studiò ad Atene con Longino e a Roma con Plotino, del quale divenne discepolo; morì verso il 305. Scrisse una importante Vita di Plotino, e numerosi commenti a testi di Platone e di Aristotele, nonché un libro Contro i Cristiani. 27. Proclo, nato a Bisanzio nel 412, studiò ad Alessandria e poi ad Atene, dove entrò a far parte dell’Accademia platonica, che egli diresse per alcuni decenni; morì nel 485. È autore di numerose opere, fondamentali per l’illustrazione delle dottrine neoplatoniche: tra di esse gli Elementi di teologia, la Teologia platonica, i commenti ad alcuni dialoghi di Platone (al Parmenide, al Timeo, all’Alcibiade, alla Repubblica, al Cratilo) e al primo libro degli Elementi di Euclide, tre trattati sulla provvidenza, l’Arte ieratica e gli Oracoli caldaici. 28. Jakob Böhme (1575-1624) scrisse numerosi trattati di argomento mistico, da Aurora, oder die Morgenröte im Aufgang (1612) a Der Weg zu Christo (1624), nei quali Dio è concepito al tempo stesso come il tutto e il nulla, e il rapporto tra Dio e il mondo è definito, secondo lo schema neoplatonico, in termini non già di creazione ma piuttosto di generazione. 29. Michel Eyquem signore di Montaigne (1533-1592), educato a Bordeaux nel Collège de Guyenne, studiò filosofia e diritto a Tolosa diventando quindi, nel 1570, consigliere del parlamento di Bordeaux, e nella prima metà degli anni Ottanta sindaco di questa città. A partire dal 1571 scrisse gli Essais, la cui prima edizione apparve nel 1580; altre quattro edizioni, con successive aggiunte, apparvero durante la vita dell’autore, e l’ultima, definitiva, fu pubblicata postuma nel 1595. 30. Ralph Waldo Emerson (1803-1882), educato a Harvard, ordinato pastore a Boston nel ’29, abbandonò due anni dopo la carriera sacerdotale alla morte della moglie: è il maggiore esponente del “trascendentalismo” americano, una corrente di pensiero di ispirazione romantica che sosteneva, in opposizione all’ortodossia, una forma più libera di religiosità. Il suo primo scritto importante è Nature (1836), che riprende spunti rousseauiani; ad esso fecero seguito, rispettivamente nel ’41 e nel ’44, la prima e la seconda serie degli Essays, i Poems (1846), The Conduct of Life (1860). 31. John Ruskin (1819-1900), educato a Oxford, vi divenne professore nel 1870: è autore di importanti opere di critica d’arte come Modern Painters (1843-60) e The Stones of Venise (1851-53), nonché di numerosi scritti di critica della società industriale orientati in senso riformatore. 32. Maurice Maeterlinck (1862-1949), drammaturgo e poeta fiammingo, scrisse anche di filosofia, dedicando uno studio a Novalis e pubblicando una monografia sul misticismo, La sagesse et la destinée (1898); il suo libro più noto è La vie des abeilles (1901). 33. La frase tra parentesi quadre è un’aggiunta manoscritta apportata da Dilthey al testo a stampa. 34. La frase tra parentesi quadre è un’aggiunta manoscritta apportata da Dilthey al testo a stampa. 35. Anassagora di Clazomene (500 circa-428 a. C.), filosofo ionico, elaborò la teoria del nous, ossia dell’intelletto divino che regola la mescolanza degli elementi i quali costituiscono la realtà fisica, inserendo in essa un principio ordinatore: a questa dottrina si riferisce esplicitamente Socrate, nel Fedone platonico. 36. Si tratta di Alberto Magno (1200 circa-1280), monaco domenicano originario della Svevia, che dopo aver studiato a Padova e a Parigi organizzò, negli anni tra il 1248 e il ’54, il nuovo Studio generale di Colonia; eletto nel 1254 priore dell’ordine domenicano per la Germania, lasciò la carica tre anni dopo ritornando a insegnare a Colonia, ma nel ’60 fu nominato vescovo di Ratisbona. Incaricato da Urbano IV

di predicare la crociata, si stabilì prima a Würzburg, poi a Strasburgo e infine a Colonia. La sua opera comprende numerosi esposizioni e commenti di testi aristotelici, ma anche dello pseudo Dionigi, di Porfirio, di Boezio e di libri della Scrittura; è autore inoltre di vari trattati filosofici e di due Summae theologiae, frutto rispettivamente del giovanile insegnamento a Parigi e delle lezioni di Colonia. 37. Nikolaus Krebs, latinizzato in Nicolaus Cusanus (1401-1464), studiò diritto e filosofia a Heidelberg, Padova e Colonia; ordinato sacerdote, prese parte al Concilio di Basilea difendendo la tesi della supremazia papale; nel 1448 fu nominato cardinale, e nel ’50 principevescovo di Bressanone. Contribuì alla conoscenza del neoplatonismo e in particolare di Proclo, di cui recò da Costantinopoli la Theologia platonica. La sua opera principale è il De docta ignorantia (1440); ma importanti sono anche altri scritti come il De coniecturis (1442), il De Deo abscondito (1440-45), il De querendo Deo (1445), il De idiota (1450), il De visione Dei (1453), il De pace fidei (1453), il De beryllo (1458). 38. Il testo tedesco reca Realismus (in luogo di Dualismus), verosimilmente un errore di stampa. 39. Personaggio del King Lear di Shakespeare (una delle tre figlie del sovrano). 40. Dilthey allude al romanzo di Goethe Wilhelm Meisters Lehrjahre, scritto nel 1795-96: Lothario è appunto un personaggio di questo romanzo. 41. Die Braut von Messina, tragedia di Schiller scritta negli anni 1801-1803. 42. Der Tod des Empedokles, tragedia di Hölderlin ispirata al filosofo greco: la sua stesura, in tre successive redazioni, risale agli anni tra il 1798 e il 1800. 43. Die Götter Griechenlands e Das Ideal und das Leben sono due poesie di argomento filosofico di Schiller, scritte rispettivamente nel 1788 e nel 1795. 44. Albrecht von Haller (1708-1777), poeta e scienziato svizzero, studiò medicina a Tübingen ed esercitò la professione medica nella città natale, Berna; dal 1736 al ’53 insegnò a Göttingen, dirigendo le «Göttingische Gelehrte Anzeigen» e scrivendo numerosi trattati di anatomia, fisiologia e botanica; in seguito rientrò a Berna. Dilthey allude qui alla sua opera poetico-filosofica, rappresentata soprattutto dai poemi Gedanken über Vernunft, Aberglauben und Unglauben (1729), Über den Ursprung des Übels (1734) e Unvollkommenes Gedicht über die Euigkeit (1736). 45. Kabale und Liebe è il titolo di una tragedia giovanile di Schiller, scritta nel 1784. 46. Dilthey si riferisce alla redazione originaria del Faust, cioè al cosiddetto Urfaust. 47. Dilthey allude alla trilogia di tragedie di Schiller, scritte nell’ultimo decennio del secolo XVIII:Wallensteins Lager, Die Piccolomini, Wallensteins Tod. 48. Dilthey si riferisce a due ben note tragedie di Goethe, il Torquato Tasso (1790) e l’Iphigenie in Tauris (di tre anni precedente). 49. Pedro Calderón de la Barca (1600-1681) è uno dei maggiori poeti e drammaturghi spagnoli del Seicento: studiò ad Alcalá e poi a Salamanca, abbracciando la carriera ecclesiastica ma abbandonandola ben presto per entrare al servizio prima dei sovrani di Castiglia e poi del duca d’Alba. Una parte della sua produzione, che rappresenta storie di conversioni e di martiri, riprende la tradizione moralistica medievale e dà voce alla concezione cristiana della caduta dell’uomo nel peccato e della sua redenzione da parte di Cristo. 50. Port-Royal è il nome di un’abbazia cistercense nei dintorni di Parigi fondata all’inizio del Duecento, che verso la metà del secolo XVII divenne il centro di diffusione del giansenismo, movimento filosofico di ispirazione agostiniana colpito dalla condanna di Innocenzo X e Alessandro VII: ne fecero parte, oltre a Racine, anche Antoine Arnauld e Pierre Nicole, autori tra l’altro de La Logique ou l’art de penser (1662), più nota sotto il nome di «logica di Port-Royal», nonché Blaise Pascal, che vi aderì nel ’54. 51. Anthony Ashley Cooper conte di Shaftesbury (1671-1713) è uno dei principali rappresentanti del deismo; a lui si deve la formulazione della teoria del senso morale come base e criterio di valutazione del comportamento umano. È autore dell’Inquiry Concerning Virtue or Merit (1699), della Letter Concerning

Enthusiasm (1708), della Characteristics of Men, Manners, Opinions, and Times (1711) e di numerosi altri scritti. 52. François-Pierre Maine de Biran (1766-1824), autore dell’Essai sur les fondements de la psychologie (1812), del saggio Des rapports des sciences naturelles avec la psycologie (1813) e di numerosi altri scritti — tra cui il Journal intime, pubblicato postumo — è il capostipite dello spiritualismo francese dell’Ottocento: la sua opera esercitò una larga influenza sul pensiero spiritualistico, fin verso gli inizi del nuovo secolo. 53. Joseph Louis de Lagrange (1736-1813), matematico italiano, si dedicò soprattutto a studi di meccanica e di astronomia. Fu tra i fondatori dell’Accademia delle Scienze di Torino; nel 1776, su suggerimento di Eulero, Federico II lo chiamò all’Accademia di Berlino, dove rimase vent’anni, per poi trasferirsi a Parigi. Presidente della commissione per la riforma dei pesi e delle misure durante la rivoluzione, insegnò all’École polytechnique e poi chiamato da Napoleone a far parte del Senato. La sua opera principale è la Mécanique analytique (1788). 54. Karl Ernst von Baer (1792-1876), fisiologo tedesco originario dell’Estonia, studiò a Würzburg diventando poi direttore del Museo zoologico di Berlino; nel ’34 si trasferì a San Pietroburgo come bibliotecario dell’Accademia delle Scienze. Diede un contributo decisivo alla nascita dell’embriologia comparata, e poi alla teoria dell’evoluzione. I suoi scritti principali sono l’Epistola de ovo mammalium et hominis genesi (1827), Über die Entwickelungsgeschichte der Thiere (1828-37) e Die Entwicklung der Fische (1835). 55. Julius Robert von Mayer (1814-1878), fisico tedesco, dopo aver studiato medicina si impegnò in studi di fisiologia e di fisica; fu tra gli scopritori della prima legge della termodinamica, ma la sua priorità fu aspramente contestata, ed egli trascorse l’ultimo periodo della vita in un ospedale psichiatrico. I suoi scritti sono raccolti nel volume Die Mechanik der Wärme (1867) e nei Naturwissenschaftliche Vorträge (1871). 56. Heinrich Rudolf Hertz (1857-1894), fisico tedesco allievo di Helmholtz, insegnò dal 1885 al ’94 al Politecnico di Karlsruhe, per poi diventare professore a Bonn. Studioso di elettromagnetismo, diede il proprio nome alle “onde hertziane”.

V. LA COSCIENZA STORICA E LE VISIONI DEL MONDO

1. IL COMPITO I. L’antinomia tra la pretesa di validità universale di ogni visione della vita e del mondo e la coscienza storica Tra la coscienza storica del presente e ogni specie di metafisica come visione scientifica del mondo c’è un conflitto. Contro la validità oggettiva di ogni determinata visione del mondo agisce in maniera molto più forte di qualsiasi dimostrazione sistematica il fatto che si è storicamente sviluppato un numero illimitato di tali sistemi metafisici, che essi si sono esclusi e si sono combattuti l’un l’altro in ogni epoca nella quale sono esistiti, e che fino ad oggi non si è potuto addivenire a una decisione in proposito. Lo spirito scettico è nato, nell’età dell’Illuminismo greco, dalla lotta dei più antichi sistemi greci. E dopo che le campagne di Alessandro posero sotto gli occhi dei Greci la diversità dei costumi, delle religioni, delle visioni della vita e del mondo, e dopo che i regni dei diadochi mantennero il ricordo di queste differenti forme di vita, sorse lo scetticismo coerente. Questo ha coinvolto nelle sue operazioni distruttive anche i problemi teologici — il male e la teodicea, il conflitto tra personalità e perfezione in Dio, il fine etico dell’uomo; e le visioni metafisiche del mondo dello Stoicismo e dell’Epicureismo erano ben consapevoli del fatto che il movente della loro metafisica era riposto nell’intenzione, nell’orientamento verso un bene supremo implicito in questa. Proprio in questo orientamento era racchiuso inoltre il problema, posto a partire da Ippia1, di porre in luce, sotto forma di diritto naturale, ciò che vi è di comune nella molteplicità dei costumi, dei princìpi giuridici e nelle teologie. La scepsi, che si volgeva pure contro il sistema naturale, si scontrava senza effetto con il saldo presupposto di un unico tipo di natura umana in mezzo alla molteplicità storica delle forme di vita umana. Anche il sistema di fede dei nuovi popoli europei e la dogmatica filosofica sviluppatasi sulla sua base cominciò a essere sottoposta al dubbio dal momento in cui, alla corte di Federico II, gli Arabi islamici e i Cristiani misero a confronto le loro convinzioni, e in questo confronto venne coinvolta pure la metafisica greca e romana. Soltanto a partire da questo periodo venne riconosciuta l’indimostrabilità dei princìpi della precedente speculazione cristiana, differenti da quella araba e greca; sembrò così che si desse un patrimonio comune di convinzioni umane — il che era certamente un’idea del tutto errata; e spiriti più audaci si appoggiarono sulle notizie relative al sistema epicureo, per spingersi ancora assai oltre nel loro dubbio. E con il

successivo ampliarsi, di secolo in secolo, del panorama della distribuzione geografica delle forme di esistenza, dei costumi e dei modi di pensiero umani, fino a comprendere il globo intero, nella maggior parte degli uomini si venne diffondendo incessantemente un atteggiamento scettico nei confronti di ogni dogma; la forza della fede in un sapere trascendente diminuì di continuo nelle convinzioni dapprima degli studiosi e poi delle classi colte, infine anche nella massa dei lavoratori, e nessuna metafisica trascendente raggiunse più quel genere di autorità che aveva posseduto una volta quella di Platone o di Aristotele o di san Tommaso. Sembrò allora che rimanesse soltanto l’uomo come tipo saldo nel quale si realizza un determinato contenuto. Questo tipo di uomo aveva costituito il presupposto del pensiero romano e greco. Esso era il presupposto ultimo del Cristianesimo; il figlio dell’uomo, l’unificazione della divinità con questo tipo, il primo e il secondo Adamo lo implicavano. Venne così a consolidarsi un paradigma di uomo al quale dovevano essere commisurati tutti i fenomeni storici. Un paradigma del genere fu assunto a base della religione nel Cristianesimo, a base del diritto nella giurisprudenza romana, a base dell’arte nella creazione artistica dei Greci. E da tale presupposto fu sorretto il sistema naturale prodotto dal secolo XVII2. Esso era la prosecuzione del metodo dello Stoicismo e dei concetti fondamentali da esso derivati. Questo sistema, così come si diffuse dalla Francia e dall’Olanda, costituiva un insieme di princìpi che dovevano mettere in luce ciò che è dato con necessità nella natura dell’uomo. In tutte le differenze storiche erano contenute, secondo questo sistema naturale, certe forme di ordinamento sociale e giuridico, di fede e di eticità. Questo metodo, volto a derivare dalla comparazione delle forme storiche di vita un uomo naturale, doveva trovare, nella sfera intellettuale, la propria espressione naturale nell’assunzione stoica di concetti fondamentali che sono insiti nella natura umana. In base ad essi furono costruiti i diversi sistemi metafisici del secolo XVII. Questo sistema naturale fece posto, nel secolo XVIII, a un nuovo metodo che consisteva in un’analisi dei diversi aspetti della natura umana. Essa partì dall’Inghilterra, dove lo sguardo più libero sulle forme di vita, sui costumi e sui modi di pensiero stranieri e barbari si collegò con le teorie empiristiche; e fu recata in Francia da Voltaire e da Montesquieu, diventando il procedimento filosofico in uso in tutti i paesi civili. Essa dissolse il sistema naturale, e se anch’essa si appoggiava all’inizio su un tipo di natura umana, di cui le altre forme storiche sono deviazioni, ciò che lo costituiva era però molto ridotto; e in maniera corrispondente venne a

mutare la psicologia contenutistica del secolo XVII. Questa aveva posto a propria base un essere che si conserva, dotato di impulsi dal contenuto definito, che nel suo ambiente sviluppa in maniera necessaria affetti e rappresentazioni fondamentali. La psicologia dissolse ora le forme e i processi in virtù dei quali si realizzava questo sviluppo dell’uomo: diventarono così sempre più evidenti le possibilità illimitate di determinare questo contenuto stesso. Questa è la grande svolta in cui si è costituita la psicologia analitica e formale del secolo XVIII. Ma a base di essa rimaneva ancor sempre il tipo contemporaneo di uomo altamente sviluppato, proprio dell’uomo civile europeo. Questo tipo si esprime nel concetto di umanità del secolo XVIII. Ancora in Herder esso si trova in lotta con la nascente coscienza storica: la storia è la molteplicità sempre più estesa delle forme di vita umana, che è riposta nella forza genetica della natura umana e che perviene all’esistenza sotto l’influenza delle diverse condizioni di vita geografiche, climatiche e sociali. La teoria dello sviluppo ha poi tratto pienamente le conseguenze della coscienza storica. Noi troviamo il primo tentativo di una storia naturale di un aspetto dell’uomo nei lavori di Hume sulla storia della religione3. Essi si presentano dapprima isolati. La conoscenza dello sviluppo della terra, della successione di diverse forme di vita e della distribuzione delle razze su di essa, è stata acquisita da Buffon4 a Kant e a Lamarck5. Su un altro versante lo studio storico dei popoli civili si è realizzato in lavori di grande importanza, e che applicano ovunque, a partire da Winckelmann, Lessing e Herder, il principio dello sviluppo. Da ultimo, nello studio dei popoli primitivi è stato rintracciato, l’anello intermedio tra la teoria dello sviluppo propria delle scienze della natura e le conoscenze storico-evolutive orientate verso la cultura, la vita statale, la letteratura e l’arte dei popoli civili. In questo modo il principio dello sviluppo è diventato il punto di vista prevalente per la conoscenza dell’intero mondo naturale e umano. Il tipo di uomo si scioglie nel processo della storia. L’antinomia che deriva da questo punto di vista. Sorge così l’antinomia seguente. Alla variabilità delle forme di esistenza umana corrisponde la molteplicità dei modi di pensiero, dei sistemi religiosi, degli ideali etici e dei sistemi metafisici. Questo è un fatto storico. I sistemi filosofici mutano al pari dei costumi, delle religioni e delle costituzioni: essi appaiono come prodotti storicamente condizionati. Ciò che è condizionato da rapporti storici, è anche relativo nel suo valore. Ma l’oggetto della metafisica è la conoscenza oggettiva della connessione della realtà. Soltanto una tale

conoscenza oggettiva sembra consentire all’uomo una salda posizione nella realtà, e all’agire umano un fine oggettivo. Quest’antinomia non può essere risolta da una determinazione più limitata di ciò che ci sarebbe da aspettarsi dalla metafisica. Infatti la metafisica non può mai essere limitata nel suo ambito in maniera tale che questa connessione cada fuori nell’ignoto. Anche un sistema che abbia per oggetto soltanto le uniformità che si trovano nelle relazioni tra i fatti diventa metafisica solamente estendendo ipoteticamente queste relazioni all’intera realtà, traducendole in un sistema e affermando in modo positivo l’assenza di una connessione ideale all’interno della realtà. E per quanto riguarda il grado di certezza un sistema metafisico potrebbe sì venir concepito come una raccolta della conoscenza di un’epoca, e oggi c’è l’inclinazione a costituirlo in questa forma. Ma, in primo luogo, una tale raccolta non possiede la certezza di cui ha bisogno l’agire, e quindi una metafisica del genere è un’ombra inconsistente di ciò che era una volta la metafisica. Essa non è più in grado di assolvere la funzione di quest’ultima, cioè di offrire una salda posizione per il sentimento della vita e un fine sicuro dell’agire a coloro i quali si sono convinti dell’insostenibilità di dogmi religiosi e di ideali di vita. Essa può servire allo studioso per collegare sistematicamente l’insieme del sapere della propria epoca; ma temo che ciò appaia come una furbizia da scuola agli occhi del solitario che guarda verso le stelle e vorrebbe legare all’ignoto il valore della sua esistenza, il fine del suo agire. Ma anche tra questo fantasma impo tente e la coscienza storica perdura l’antinomia. Infatti l’assunzione della possibilità di un tale sistema poggia sull’appiattimento della coscienza storica. Il modo di collegare il sapere di un’epoca è condizionato dalla situazione della coscienza, e costituisce sempre la sua espressione soggettiva e transitoria; a base dell’ideale della vita e della visione del mondo c’è sempre una disposizione dell’animo, ed esse possiedono quindi una validità soltanto per l’ambito storico in cui questa prevale. Ce lo conferma il potere quasi illimitato della metafisica cristiana nel corso di molti secoli: essa era appunto fondata sulla disposizione dell’anima cristiana. Da ciò deriva la totale impossibilità di un sistema che colleghi in una conoscenza oggettiva anche soltanto il complesso del sapere di questa età. Esiste una soluzione di questa antinomia? Perché sia possibile, essa dev’essere prodotta appunto dall’autoriflessione storica. Essa deve assumere a proprio oggetto questi ideali umani e queste visioni del mondo. Essa deve scoprire, attraverso un procedimento analitico,

una struttura, una connessione, un’articolazione nella variopinta molteplicità dei sistemi. Nella misura in cui essa percorre il suo cammino fino al punto da incontrare un concetto di filosofia che consenta di spiegarne la storia, sorge la prospettiva di poter risolvere l’antinomia tra i risultati finora conseguiti dalla storia della filosofia e la precedente sistematica filosofica: allora il compito della filosofia potrebbe essere assolto in un qualche senso che soddisfi il nostro bisogno, e questa filosofia giungerebbe a intendersi con la coscienza storica. Il continuo mutamento dei sistemi non deve scoraggiarci. Lo scetticismo è frivolo oppure…6. Applicazione della coscienza storica alla filosofia e alla sua storia. II. La via per la soluzione Un’antinomia non può essere risolta sul terreno sul quale è sorta. Se non si può ottenere la soluzione sul terreno dei presupposti naturali a cui essa sottostà, il pensiero deve riandare indietro eliminando questi presupposti: così ha fatto Kant a proposito dello spazio, del tempo e della causalità. La soluzione consiste qui nella possibilità che la filosofia acquisisca la coscienza della connessione della molteplicità dei suoi sistemi con la vitalità: le visioni del mondo vengono superate! La soluzione consiste nel rintracciare, in maniera ancor più comprensiva che in Kant, un presupposto che stia al di là della disputa tra le visioni del mondo. Queste devono essere oggettivate e comprese nel loro legame con la vitalità nella quale sono fondate. La contraddizione reciproca delle visioni del mondo resta insolubile. Le visioni della vita e del mondo si trovano in contraddizione; nessuna può realmente venir dimostrata, anzi ognuna può essere confutata mostrando la sua insufficienza rispetto alla realtà, e le antinomie insite nella sua espressione intellettuale. Ma se attraverso un procedimento comparativo si estraggono dalla molteplicità delle visioni del mondo le loro forme principali, diventa possibile semplificare il problema. Ciò avviene appunto mediante un procedimento comparativo. Si mostra infatti che queste forme fondamentali esprimono gli aspetti della vitalità in riferimento al mondo che è posto in essa. Così nelle visioni della vita e del mondo è possibile riconoscere i simboli necessari dei diversi aspetti della vitalità nel loro legame, e via dicendo. Le contraddizioni sorgono quindi dall’assolutizzazione delle immagini oggettive del mondo nella coscienza scientifica. Questa assolutizzazione è ciò che di un sistema fa una metafisica. Se riportiamo questa assolutizzazione dell’immagine del mondo al legame

con la vitalità dell’io in cui essa è fondata, ne derivano le conseguenze seguenti: 1) Le antinomie oggettive nell’immagine scientifica del mondo vengono riconosciute, come aveva mostrato già Kant, come appartenenti soltanto alla simbolica dell’intuizione e dei concetti. Esse sono fondate sulla diversa origine delle funzioni della struttura. Esse risultano quindi ineliminabili nel concetto di mondo di per sé preso. Ma il suo fondamento risiede nella mera diversità delle funzioni della nostra struttura. In questa non c’è quindi alcuna contraddizione. 2) Le contraddizioni tra i sistemi ineriscono alla pluralità di aspetti della vitalità che si esprime nelle loro forme fondamentali. Qui la contraddizione è di nuovo soltanto tra le immagini scientifiche del mondo assolutizzate in forma oggettiva; ma se concepiamo queste forme principali come espressioni relative dei diversi aspetti della vitalità, tra questi c’è soltanto una diversità, ma non sussiste alcuna contraddizione. 3) La contraddizione tra la libera vitalità con cui l’arte esprime un ideale di vita, il vincolo affettivo della religiosità e la pura oggettività della metafisica consiste nel fatto che soltanto un procedimento può aver ragione. Ma essa si risolve se queste forme di procedimento vengono riconosciute come modi diversi di collegare le funzioni. Esse ci danno tutte insieme soltanto l’espressione completa della vitalità in una visione della vita e del mondo. Si mostra così il cammino da percorrere per risolvere il problema: a) lo studio storico portato fino al metodo della comparazione; b) la psicologia — da cui deriva c) il procedimento psicologico comparativo e la fondazione. In questa maniera sorge il metodo dell’interpretazione storica, della comparazione, della connessione psichica ecc. L’applicazione di questo metodo richiede un’ analisi psicologica dell’arte, della religione e della filosofia come portatrici della visione della vita e del mondo, condotta sulla base del corso psichico. Su di essa si fonda poi la ricerca delle forme principali presenti nelle varie epoche, l’esposizione delle antinomie che si hanno in ognuna di esse, del loro contrasto, della lotta tra religione, filosofia e arte, e via dicendo. Da ciò risulterà alla fine la soluzione.

2. FONDAZIONE STORICA E PSICOLOGICA I. Fondazione storica: la coscienza storica in quanto assume a suo oggetto la filosofia e in generale la visione della vita e del mondo È come se nella filosofia di questo secolo prevalesse un oscuro sentimento: soltanto se essa persegue fino in fondo lo studio del passato, la storia, che è stata finora la sua avversaria, può diventare il suo medico. Il primo collegamento tra le due si è compiuto nella filosofia trascendentale. La formazione della filosofia trascendentale in Germania non soltanto è contemporanea, ma sta in una connessione interna con lo sviluppo della coscienza storica. Le radici di entrambe si trovavano in Leibniz. La storia della filosofia, che si richiamava all’esposizione delle sette e delle opinioni sui singoli problemi, assomigliava a un antiquato gabinetto di minerali che si accontentava di collocare il materiale raccolto sotto le rubriche tradizionali. Così essa serviva a Bayle7 per dare una base al suo scetticismo. Altri la utilizzavano invece per scegliere e collegare ecletticamente dal deposito che era stato raccolto ciò che sembrava maggiormente sostenibile. La dimostrazione di uno sviluppo in una qualsiasi sua parte dipendeva dal fatto che ne venissero indagate le condizioni, e questa indagine richiedeva in tutti i campi la critica storica. Insieme a Winckelmann, Möser e Spittler8 hanno lavorato nello stesso periodo storici della filosofia come Meiners9 e Tennemann10, i quali aspiravano a un fine del genere, anche se con mezzi assai insoddisfacenti. La ricerca critica sull’epica omerica da parte di Friedrich August Wolf, e quella sulla storia romana da parte di Niebuhr, fu contemporanea alla fondazione della critica storica nel campo della filosofia greca effettuata da Schleiermacher. Le ricerche critiche furono poi proseguite, nel suo spirito, da uomini come Böckh, Krische11 e Karl Friedrich Herrmann12. Ma l’elemento creativo di questa critica tedesca della fine del secolo XVIII e dell’inizio del XIX consiste nel fatto che in tutti i campi essa disponeva, nelle leggi oggettive che governano nella parte corrispondente della cultura umana, di un criterio per procedere nell’indagine delle fonti, nella separazione di ciò che è genuino e nella sua disposizione storica; perciò essa era costruttiva e genialmente creativa, anzi era, in base allo spirito artistico del tempo, più costruttiva di quanto noi oggi la riteniamo. Muovendo da Platone, Hegel e lo Schelling del periodo più tardo procedettero alla comprensione di Aristotele, e Trendelenburg13, Bonitz14 e Spengel15 realizzarono anche una determinazione

critica e una nuova interpretazione delle fonti esistenti. Ma contemporaneamente a questa fondazione della critica storica si attuò l’unione della filosofia trascendentale con la coscienza storica sorta in Germania, sotto l’influenza inglese, in Winckelmann, Möser, Herder e nella scuola di Göttingen. I fratelli Schlegel e Schelling trovarono dapprima nell’idealismo trascendentale l’indicazione dei livelli regolari della coscienza, dati nell’attività autonoma dell’io. La costruzione della letteratura da parte di Friedrich Schlegel; August Wilhelm Schlegel16; la Phänomenologie des Geistes di Hegel17. Attraverso l’unione di questi due fattori diventò possibile un’esposizione storico-evolutiva della speculazione greca, così come ce l’hanno fornita Ritter18, Brandis19 e Zeller20. Lo sviluppo che la filosofia tedesca andava compiendo in quel medesimo periodo illuminava il cammino della filosofia greca ad essa affine; e dato che la filosofia trascendentale risaliva a ciò che vi è di creativo nell’uomo, mostrando le fasi della storia della coscienza nel processo dell’umanità, ognuno dei grandi sistemi greci divenne rappresentativo del cammino dello spirito umano. I Francesi, che a Parigi possedevano uno sterminato materiale di fonti per la filosofia del Medioevo, applicarono ad esso il metodo tedesco. E così l’intero ambito della filosofia europea fu gradualmente sottoposto a indagine, anche se con un approfondimento assai diverso; e ancor oggi noi ci troviamo in questo grande movimento. In fondo, il Rinascimento non è ancora compreso in questa continuità storico-universale; e già qui si coglie che il compito non è ancora del tutto realizzato: così pure la filosofia indiana e quella araba sono state indagate ed esposte soltanto a una prima vista — tutto è in divenire. Ma la cosa essenziale è appunto lo sguardo sullo sviluppo stesso. Ancora Herder possedeva nel concetto e nell’ideale dell’umanità un nucleo concluso della storia, e anche un fine. A ciò corrispondevanola poesia e la religiosità del tempo. Se si scioglie questo nucleo per così dire sostanziale dell’umanità, al suo posto non subentra la dottrina positivistica o materialistica dell’ambiente; ma l’elemento saldo, l’ideale diventa la legge, insita nella natura umana, del suo sviluppo, che coopera con le condizioni terrene. La realizzazione di questo principio in Kant, Ritter, Schleiermacher, Hegel ecc. dev’essere criticata nei particolari. La teoria dello sviluppo è un principio fecondo per la vita pratica, poiché porta la coscienza della volontà a innalzare l’uomo e la società a un livello superiore. La capacità di sviluppo dell’uomo, l’aspettativa di future forme di

vita umana più alte, questo è il possente respiro che spinge in avanti dopo la Rivoluzione francese. Essa sospinge così in una sfera ideale i concetti che vengono formati nella religione e nella filosofia. Essa rafforza invece l’incertezza della posizione della metafisica e della teoria della conoscenza. La teoria dello sviluppo è al tempo stesso collegata con l’universalismo, ossia con la coscienza terrena dell’uomo, in virtù della quale egli sa di essere sempre un elemento di questa grande connessione. La realizzazione degli scopi del genere umano si afferma quindi come fine dell’etica. Questa auto-riflessione storica dev’essere verificata mediante l’analisi della natura umana. Qui la legge fondamentale è che l’ampliamento dell’io, la sua elevazione, la sua oggettivazione comporta l’eternizzazione. Mediante questa trasformazione essa supera lo spirito scettico. Applichiamo ora tutto questo alla filosofia. Del tutto finita è ormai la sovranità del sistema particolare, che separa tutte le deviazioni dalla verità ad esso propria, considerandole come errori. Quale orgoglio c’è qui, agli occhi di chi guarda alla storia universale, in questa follia di pretendere il monopolio della verità! Questi grandi sacerdoti di una qualsiasi metafisica disconoscono completamente l’origine soggettiva, condizionata temporalmente e spazialmente, di ciascun sistema metafisico. Infatti tutto ciò che è fondato nella costituzione psichica della persona — religione o arte o metafisica — invano si ammanta della pretesa di validità oggettiva. La storia universale come giudizio universale21 mostra ogni sistema metafisico come qualcosa di relativo, di transitorio, di perituro. Ma da ciò consegue uno stupido scetticismo? deve il genere umano oscillare incessantemente tra la fede in un sistema e il dubbio? La medesima analisi che assume a proprio oggetto il passato del pensiero umano mostra la relatività di ogni singolo sistema, ma nello stesso tempo rende questi sistemi comprensibili in base alla natura dell’uomo e delle cose, indaga le leggi secondo cui essi si costituiscono, la struttura che è ad essi comune, le loro configurazioni principali, la legge di formazione e la forma interna di quest’ultime. Non dovrebbe tutto ciò gettare luce sul loro rapporto con la connessione oggettiva della realtà? Se questa connessione si sottrae alla nostra conoscenza diretta, non dovrebbero i suoi molteplici riflessi nelle menti più diverse che appartengono ai cieli e alle epoche più differenti essere in grado di darci qualche lume, proprio un qualche lume? Il filosofo trascendentale procede al di là dei concetti che ci formiamo intorno al reale, fino alle condizioni sotto le quali noi li pensiamo. L’analisi della storia della filosofia

risale dai sistemi al rapporto del pensiero con la realtà, quale essa si presenta dinanzi al filosofo trascendentale, ma lo studia chiamando in aiuto l’analisi storica, e lo indaga come un rapporto storico. Ma vediamo: la dialettica, che la storia attua nei sistemi, è ciò che li risolve l’uno nell’altro nella loro successione. Questa dialettica è all’opera a partire da Talete e da Pitagora, da Eraclito e da Parmenide: credi forse che essa si arresti davanti al tuo sistema? Tu dici che mi accadrà come a chiunque venuto prima di me, che io sottostò alla medesima legge del tempo a cui sono sottoposte le costituzioni, gli stati e le religioni. Io rispondo che una filosofia la quale ha coscienza della sua relatività, la quale riconosce la legge della finitudine e della soggettività a cui soggiace, è il vano divertimento del dotto: essa non assolve più la sua funzione. Se ogni sistema metafisico è relativo, se ricade sotto la dialettica della reciproca esclusione nella storia, allora lo spirito umano deve tentare di risalire ai rapporti conoscibili oggettivamente in cui la sistematica filosofica, nel suo sviluppo e nelle sue forme, sta con la natura umana, con gli oggetti che le sono dati, con i suoi ideali e i suoi scopi. Se le visioni della vita e del mondo variano e mutano, l’auto-riflessione storica, che la riflessione filosofica ha dietro di sé, deve ricercare nella vitalità umana e nei suoi nessi con ciò che ad essa resiste e con ciò che su di essa agisce il saldo fondamento di ogni storicità, della lotta tra le visioni del mondo. La filosofia deve oggettivarsi dinanzi a se stessa, come fatto storico umano.

Dilthey negli ultimi anni di vita (ritratto premesso a Das Erlebnis und die Dichtung, Lipsia, Teubner, 1913).

Ciò richiede che essa rechi alla coscienza, in tutta la sua ampiezza e profondità, la connessione nella quale rientra come fatto storico. Ogni filosofia creativa e geniale sorge all’interno di un ampio contesto umano; e in questo dev’essere compresa. È un compito che richiede quindi anzitutto il maggiore ampliamento possibile dell’orizzonte storico. Si può ottenerne un chiarimento proprio dall’origine della metafisica nel genere umano, che è ovunque connessa con la religione. La filosofia dovrebbe alla fine lasciar cadere la falsa avversione contro la teologia, frutto di collegamenti erronei di lunga data, per istituire il vero collegamento, che consiste nell’estensione dell’analisi storica all’intera connessione. Ma questa risiede nel fatto che entrambe producono, in base alla vitalità umana, una visione della vita e del mondo; e la stessa cosa vale per l’arte, in particolare per la poesia. Esse devono perciò corrispondersi tutte e tre l’una con l’altra. La coscienza storica si volge verso la profondità quando indaga le condizioni che producono la visione del mondo nella vitalità. Questa era, alla fine, l’intenzione di Kant. La conoscenza doveva diventare oggetto a se stessa, e dato che per lui la conoscenza consisteva soltanto in una verità necessaria e universalmente valida, il suo problema diventò quello della matematica, della scienza matematica della natura e della metafisica. La filosofia trascendentale posteriore ha formulato il concetto di un io creatore che produce, in gradi regolari, la coscienza del mondo; e questo concetto doveva necessariamente condurre a far scaturire da questa profondità, come gradi necessari, le visioni della vita e del mondo. Qui si hanno già la religione, l’arte, la filosofia nella loro unione22; occorre risalire ai loro moventi creativi. La fenomenologia di Hegel: ma essa procede dal rapporto di soggetto e oggetto. Perciò essa doveva concepire questo processo come un processo logico; e l’intera energia del sentimento, la potenza d’animo e di volontà della storia universale veniva quindi ricondotta alla struttura della dialettica delle idee. Perciò essa poteva soltanto risolvere la religiosità e l’arte in logica, le idee in princìpi concettuali. Così Strauss23 poteva anche credere che i dogmi periscano per i loro errori logici, come se questi non fossero presenti in ogni sistema metafisico… Noi dobbiamo proseguire l’opera di questa filosofia trascendentale. Durevole è il fatto che l’uomo è un contenuto, e che questo contenuto si sviluppa appunto sulla sua base. Ma il soggetto diventa un io, l’oggetto l’altro che esiste in primo luogo per la volontà.

II. Fondazione psicologica 1. I sistemi filosofici possono essere studiati nelle loro proprietà fondamentali e nella loro struttura soltanto se nella comparazione si tiene conto anche delle diverse forme di religiosità e di teologia e delle forme di arte. A queste tre manifestazioni dello spirito umano è comune il fatto di enunciare una visione della vita e del mondo. La posizione di una tale visione della vita e del mondo nella struttura dello spirito umano e nello sviluppo storico che questo ha prodotto non può essere dedotta psicologicamente. Infatti una psicologia esplicativa cade proprio sotto la problematica del mutare e della molteplicità dei sistemi filosofici. Ciò che viene ritenuto certo nella psicologia non è sufficiente per una spiegazione delle manifestazioni più profonde dello spirito umano. Soltanto dall’unione di una descrizione e di un’analisi psicologica con la scomposizione dei fatti storici c’è da aspettarsi, piuttosto, la fondazione di quella psicologia contenutistica che sola può rendere servizi reali alla storia. Illustriamolo con alcuni esempi. Lo studio dei maggiori fenomeni eroici della storia, il rivivere ciò che qui viene compiuto, le manifestazioni della capacità di sacrificarsi in vista di grandi scopi oggettivi rendono essi soli possibile, alla fine, la certezza della realtà della volontà che le analisi degli psicologi i quali lavorano nel loro ufficio o nel laboratorio psicologico non possono mai garantirci. Si può allora rivivere il modo in cui l’ampliamento dell’io attraverso l’assunzione di scopi oggettivi nella coscienza ha come conseguenza un aumento di forza, di tranquillità e di potenza della vita soggettiva: Spinoza, Leibniz, Schleiermacher e Hegel hanno espresso implicitamente questa legge empirica. Ma essa non si lascia spiegare. Tutta la nostra vita interiore gravita intorno alle connessioni in cui è inserita la nostra vita personale: questo rapporto empirico si manifesta sotto forma di simpatia, di senso dell’onore, di sicurezza della nostra vita affettiva in virtù del consenso, insomma, in mille maniere. Ma esso non si lascia spiegare. Che ogni interiorità cerchi espressione in un elemento esterno, creando così sempre dei simboli, ha sì una condizione nel nostro meccanismo riflesso, ma non può esserne derivato. 2. Tra questi fondamentali rapporti di contenuto della nostra vita psichica i più semplici sono quelli che ho designato come la struttura della vita psichica. Questa è condizionata infine dal rapporto del soggetto con l’ambiente nel quale si trova. Ho inoltre mostrato prima24 che questo ambiente, in quanto

mondo esterno, in quanto è qualcosa di distinto dall’io, di altro, di oggettivo, non esprime se non il rapporto di resistenza alla volontà, che è collegato alla molteplicità dei sensi. Qui non si ha alcuna dimostrazione della realtà del mondo esterno; una tale dimostrazione non è possibile in generale. Ma l’estraneità di un io e di qualcosa di esterno rispetto ad esso è comprovata come un fatto di esperienza al di là del quale il pensiero non può risalire, ma il quale contiene sempre e ovunque nella vita stessa questa che è la più originaria di tutte le relazioni. La vita personale si svolge nel rapporto con l’ambiente, recependo da esso e reagendo su di esso. La struttura della vita personale fa sì che proprio in questa influenza dall’esterno e in questa reazione l’unità della vita venga differenziandosi, e tuttavia resti sempre al tempo stesso connessa in questa differenziazione. E infatti l’esterno è sempre la totalità che agisce — l’immagine del mondo, l’intera potenza non dispiegata da cui si separa l’interesse personale; parimenti ogni scopo che noi perseguiamo è sempre separato, in virtù di una scelta e di una preferenza, dalla stessa connessione di valori di cui avvertiamo in qualche modo le gradazioni. Sempre il mondo esiste per noi, a un qualsiasi livello. Dato però che tutto questo meccanismo dell’osservare, del pensare e dell’agire viene sostenuto, nell’impulso e nel sentimento, soltanto in virtù della nostra vita personale, tutto nei gradi imperfetti di differenziazione sottostà al suo vincolo. La molla o il bilanciere appartengono all’orologio della nostra vita: senza di essi questa se ne starebbe in quiete. Spinoza ha ben ragione con la sua imaginatio. Ogni impressione contiene, insieme all’immagine, una determinatezza della vita affettiva e istintiva. A noi non è mai data semplicemente una vitalità interna o un mondo esterno, ma l’una e l’altra non soltanto vanno sempre insieme, ma stanno nel più vitale legame reciproco: soltanto lo sviluppo della formazione intellettuale scioglie progressivamente questa connessione. E mai se ne separa il nostro guardare, il nostro osservare e il nostro pensare. Dato che anche la scelta degli scopi è condizionata da questo legame, la stessa cosa vale per l’uomo che l’astrazione non ha ancora condotto, nella sfera del sapere e dell’attività professionale, a una separazione astratta di funzioni: il mondo — che Spinoza ha designato come un grado dell’imaginatio — è tutto insieme, nell’immagine, impressione del sentimento, determinazione di valore, oggetto di scopo. L’opera della storia è la differenziazione che produce al tempo stesso legami più complessi. La connessione acquisita della vita psichica contiene sempre legami superiori, più sottili, più complessi, in cui le singole funzioni si

sono separate in una sempre maggiore autonomia. 3. Da ciò risulta, come prima legge dello sviluppo della nostra aspirazione a inserirci pensando nel mondo, a innalzare la nostra vita alla coscienza — la quale è un tratto fondamentale in noi, non derivabile — che l’ideale di vita e la visione del mondo sono tra loro correlati, così come lo sono l’io e il mondo. Essi stanno in un legame interno che cerchiamo poi di innalzare alla coscienza. Una visione della vita e del mondo sorge come una totalità connessa; è espressione della vitalità. Il suo rapporto con la vita non è quello del pensiero con gli altri stati spirituali, ma è il rapporto della vita con la coscienza di ciò che l’uomo vive immediatamente, esperisce, vede, nella sua totalità, nel legame tra la vita personale e il mondo. Infatti il mondo come entità indipendente è una mera astrazione. L’oggetto esiste soltanto in rapporto al soggetto, come suo correlato. Ciò dev’essere riconosciuto. Dato però che il mondo non esiste per noi in virtù di un semplice atteggiamento rappresentativo, noi diciamo che l’oggettualità è il correlato dell’io. E poiché la totalità è sempre presente, anche se solo come un caos sensibile, e da questo vengono a separarsi il guardare, il percepire e il pensare, noi diciamo che il mondo è sempre soltanto il correlato dell’io. Questa presa di coscienza della vita come mondo sottostà sempre allo schema di un elemento esterno nel quale agisce la nostra vita personale, il nostro proprio essere psicologico, e di un elemento interno che si manifesta in ciò che è esterno — tale è sempre la forma del nostro apprendere: perciò noi viviamo sempre in mezzo a simboli. La nostra vitalità è inesplicabile, e altrettanto lo è il suo legame con il mondo: noi possediamo l’unità della nostra esistenza e del suo legame con il mondo sempre solamente nella connessione di coscienza della visione del mondo e del…25. 4. Noi cogliamo i legami tra l’io e il mondo contenuti nella nostra struttura, che sono decisivi per la comprensione della natura di una visione della vita e del mondo. L’io si manifesta in conformità alla sua struttura. Dato che esso è strutturato psicologicamente, sono qui date le funzioni in cui si differenzia la sua vitalità. Abbiamo mostrato prima come sorge una connessione teleologica nella quale l’io diventa fondamento di uno sviluppo. La molla di questo orologio è la struttura e la legalità della nostra vita istintiva e affettiva. Così

nell’io sorgono i legami elementari di questa vita istintivo-affettiva con qualcosa d’altro, ad esso esterno, dato nella vita della sensazione. Prendiamo sul serio l’affermazione che anche l’io non esiste mai senza qualcosa d’altro o senza il mondo, di fronte alla cui resistenza esso si trova, e soltanto in rapporto al quale esiste ogni determinatezza del sentire, ogni stato istintivo. Noi non conosciamo affatto una posizione nello spazio che esista prima della molteplicità celle sensazioni, o una capacità di vedere il colore blu prima di esserne affetto, in quanto la struttura perviene alla sensazione soltanto in base allo stimolo, e la natura della molteplicità degli stimoli nella vista e nel tatto appare soltanto come spazialità; allo stesso modo anche il sentimento e l’impulso sorgono soltanto nel legame con un altro: noi non sappiamo nulla di una struttura della vita istintiva anteriore alla molteplicità degli stimoli, poiché esse si presentano insieme. Così anche la molteplicità delle sensazioni e la realtà che è oggetto di sensazione, il sentimento e il valore affettivo di ciò che lo determina, l’impulso e l’oggetto dell’impulso vanno sempre insieme. E dal momento che questi legami particolari dell’io si separano dal caos delle sensazioni che si sviluppa diventando mondo, per configurarsi come qualcosa di reale, di determinato nel valore, di oggettualizzato nell’impulso, di oggetto di scopo tratto fuori da quel caos, dal momento che proprio questo reale tratto fuori viene valutato in base ai legami della struttura, e proprio ciò che è determinato nel valore diventa scopo, cosicché tutta la vitalità si fonde nei medesimi punti che abbiamo indicato proprio nella sua reazione a tutte queste determinazioni, l’altro o il mondo diventa in questi punti immagine, valore, oggetto d’impulso, oggetto di scopo. Esso riceve tutti i predicati che ne derivano: diventa il substrato (ciò che resiste, il molteplice della sensibilità, ciò che è riferito all’io) di tutti questi predicati, pieno di vitalità e di legami vitali. Se questo substrato fosse stato designato astrattamente come sostanza o come essere, i suoi predicati sarebbero indicati come attributi, accidenti, proprietà e attività. Questa è la rappresentazione primaria del mondo, che è quindi correlato dell’autocoscienza. Proprio in virtù del carattere teleologico della struttura sia l’io, dotato della coscienza di sé, sia la rappresentazione del mondo si sviluppano sempre, nel corso della vita, in un legame reciproco. Questo sviluppo è legato alla differenziazione delle funzioni. Nella misura in cui la vita personale è strutturata teleologicamente, alla coscienza della sua situazione si aggiunge quella della connessione interna delle sue determinazioni di valore e dei suoi fini: questo è il germe di ogni ideale di vita. Il lavoro interiore in cui la vita istintivo-affettiva viene regolata è la tecnica

morale-religiosa. L’immagine del mondo acquista quindi i tratti seguenti. Per quanto la resistenza, la pressione, i valori affettivi possano essere distribuiti in maniera multiforme, nell’orizzonte del nostro io, nella molteplicità delle sensazioni, per quanto gli oggetti possano venir separati in base al rapporto di coordinamento di un molteplice nel corso del mutamento, tutto ciò che ne viene tratto fuori è ordinato insieme esteriormente, e sempre più collegato internamente, nell’unità dello sguardo e del soggetto che lo apprende. Dato che soltanto come volontà noi abbiamo l’esperienza vissuta della resistenza, esso è per noi anzitutto qualcosa di volontario, che può venir dotato dei predicati della volontà; ma questi dipendono dalla relazione dei singoli oggetti con la volontà: infatti questa ha un rapporto soltanto con oggetti, non con la totalità del mondo. Il bene e il male diventano predicati di ciò che è utile e di ciò che è dannoso. Categorie di forza e di causa, di sostanza, di essenza. Le gradazioni di valore vengono attribuite alle singole parti del mondo in base alla relazione con il nostro io. In questi semplici legami risiedono molteplici possibilità di concezioni del mondo. 5. Lo sviluppo si realizzerà dunque nel modo seguente. Le funzioni sono collegate tra di loro nella struttura26. Lo sviluppo consiste in un duplice processo: da un lato nella differenziazione, nell’energico sviluppo delle singole funzioni che viene così messo in atto. Infatti la prima cosa nello sviluppo dell’umanità è che le funzioni della vita conseguono una libera potenza autonoma nella quale muoversi in piena autonomia, diventando consapevoli di ciò che sussiste in esse. La coscienza di ciò si manifesta in Nietzsche. L’esperienza vissuta se ne ha nei più possenti fenomeni unilaterali della storia, i quali vanno pericolosamente per la loro strada, andando incontro al proprio annientamento. L’aspetto dello sviluppo che completa il processo è rappresentato dai legami. — Parliamo ora del primo. La percezione degli oggetti serve alla vita istintiva già nell’animale; essa si differenzia nei diversi processi del pensiero; e prescindendo dal fatto che nella gioia per il pensiero e la sua evidenza, nella gioia per l’estendersi del pensiero verso gli oggetti vi sia una disposizione originaria — a favore di questa ipotesi parla la felicità del vedere, indipendente dalla vita personale — l’intelligenza che si occupa dell’immagine del mondo si svincola gradualmente, con maggiore autonomia, dalla vita istintiva e affettiva; così comincia il processo

di astrazione da ciò che all’immagine del mondo è dato nella relazione con la vita personale. Questa prima enorme astrazione si ebbe già quando gli antichi Greci abbracciarono con la vista una totalità vivente e l’analizzarono matematicamente, senza immischiare in questa considerazione spiriti buoni o cattivi. Noi seguiremo le fasi in cui questa differenziazione si compie ulteriormente. La prima condizione è — come si dovrà spiegare — che il nostro processo conoscitivo provi un piacere molteplice: in tal modo esso diventa un valore di per sù. È questo un processo che ha sempre luogo; ma esso si compie con particolare energia nelle scuole sacerdotali, poi nella consociazione pitagorica. A questo processo corrisponde la determinazione dell’immagine del mondo in base alle caratteristiche di una vitalità unitaria onnicomprensiva, nella quale si cancellano i poteri degli spiriti buoni e cattivi. E allora verrà il tempo in cui il pensiero, nell’adattarsi all’ordine oggettivo, si disfa anche di questa caratteristica: allora il mondo diventa per esso un meccanismo. Anche così l’ombra dell’essenza può ancora permanere nel mondo; la macchina può essere impiantata o diretta da una macchina divina. Di per sé la macchina è priva di essenza, priva di un io. Ma questa concezione contiene in sé la possibilità di realizzare gli scopi dell’uomo; proprio per il fatto che essa ha perduto il suo scopo e la sua essenza, proprio perché l’artigiano che ha stabilito i suoi scopi è per così dire scomparso, la macchina è ora lo strumento privo di un io nella mano dell’uomo. Così la concepivano i grandi matematici e fisici francesi nel secolo XVIII: come per l’imperatore romano tutto non è nient’altro che cose, anche qui l’universo si presenta come una cosa per la volontà armata della scienza. Questa concezione si trasferisce alla società stessa. Siamo ora nell’età del positivismo: il suo universo è un palcoscenico accidentalmente adatto per l’intelligenza in virtù del caso delle uniformità, e un materiale per la formazione della natura e della società. Dall’immagine del mondo vengono ora esclusi i predicati sensibili, poi lo spazio, infine le determinazioni fondamentali di ogni vitalità ad esso trasferiti: la sostanzialità, la forza e l’unità degli oggetti. È un processo che alla fine lascia soltanto il calcolo dei fenomeni. Ma lo stesso processo si ha soltanto nella coerenza di un pensiero che, rinunciando a cogliere l’essenza, fa del pensiero uno strumento di dominio. Ad esso si contrappone l’assolutizzazione dell’immagine del mondo in un universo al quale il pensiero, che gode del mondo, riconosce un valore autonomo del tutto svincolato dalla vita

personale: questa gli si offre. Allo stesso modo si svincola dalla struttura della vita psichica la disposizione interna, la struttura e lo sviluppo della vita istintivoaffettiva. Nella connessione naturale in cui la vita istintivo-affettiva è collegata con i valori di questo mondo, la cultura e la civilizzazione hanno formato un sistema di valori dell’esistenza nel quale la persona trova il proprio soddisfacimento. Qui l’uomo trascorre, nell’ambito naturale dei bisogni, dei valori e delle soddisfazioni, un’esistenza che riempie sempre di più l’io e il mondo nell’accrescimento di una felice attività. Ma anche qui si compie la dialettica storica della molteplicità e dell’opposizione insita nella struttura e nelle condizioni di esistenza. L’ordinamento economico e la vita sociale mostrano il loro duplice aspetto. Si dissolve l’articolazione che circonda l’uomo da ogni lato. Che cosa rimane? Solamente quando vengono avvertiti i limiti del nostro fare nasce la tecnica morale-religiosa che cerca di conseguire la beatitudine dell’animo mediante la regolamentazione, non già mediante il soddisfacimento. In questo sviluppo si isola, nell’uomo che gode, la sensibilità: egli regola la vita abbassando il pensiero e l’agire a strumenti accidentali e transitori della sensibilità dominante. I sentimenti superiori diventano i più sottili mezzi di godimento; il ricordo e l’aspettativa si trasformano in golosità. Oppure avviene una svolta opposta sul medesimo fondamento: si isola la religiosità dalle sue connessioni naturali. Questo è un possente processo storicouniversale, che si compie in tutti i ceti sacerdotali e in tutte le consociazioni monastiche, sede delle forme più profonde di beatitudine mistica. Qui s’incontra il sacerdote di Osiride, il Buddha, san Francesco, il mistico contemplativo; oppure s’incontra l’arte. Un terzo processo di differenziazione spingerà il volere verso uno sviluppo isolato e dominante. Anche qui si presentano forme diverse. La volontà si separa dalla sostanzialità della connessione di scopo in cui l’uomo è nato, in cui l’uomo naturale compie il ciclo della sua esistenza, quando questa connessione viene infranta o gli è diventata indifferente. Così la volontà che calcola si separa dal gruppo e diventa oggetto a se stessa: volontà dominatrice, volontà di potenza che vuole se stessa, la forma geniale della sua capacità di potenza. Un processo terribile! nulla è più ridicolo del fatto che un filosofo possa ammirare che esso diventi con noi uomini lo scopo vero e proprio della natura e il suo culmine! Così avviene con la tirannide, il sistema del potere imperiale romano, i condottieri e i princìpi del Rinascimento, l’ideale di

Machiavelli. E al polo opposto c’è la volontà che trova il proprio fine nella forma della sua legge: così nel caso degli Stoici, che lo ripongono nell’unità, nella rassegnazione, nella costanza e nell’atarassia della volontà, e di Kant, che assume come fine la legge stessa ecc. 6. Questa differenziazione e separazione delle funzioni dalla vitalità è l’unico aspetto continuamente attivo nello sviluppo della struttura. Ma è soltanto l’unico! D’altra parte, infatti, i legami contenuti nella struttura assumono forme sempre nuove all’interno della vitalità psicofisica. Sono propriamente queste forme di relazione a definire in primo luogo le leggi di sviluppo del contenuto psichico. Le loro trasformazioni racchiudono i motivi di spiegazione psicofisica dei più importanti fenomeni storici. I legami tra le funzioni e i processi o gli stati psichici che in esse si presentano sono anzitutto di carattere primario: essi costituiscono l’oggetto della psicologia elementare. A questo proposito occorre stabilire metodologicamente due punti. La conoscenza dello sviluppo storico ci costringe ad ammettere che la differenziazione tra i sensi, e all’interno di ogni senso nella loro molteplicità, il sorgere della memoria o della capacità di inferenza si sono compiuti gradualmente, in connessione con il raffinamento della struttura fisica. Questo fatto — poiché ben possiamo designarlo come tale — sembra gettare luce sulla differenziazione che si attua nella singola persona umana. Noi possiamo concedere agli studiosi della natura che quel processo è quasi sicuro, e che questo è senz’altro possibile; non possiamo però assolutamente procurarcene una rappresentazione o un concetto: l’intelletto non può risalire al di là della vitalità di cui costituisce una funzione. E a me sembra che proprio l’applicazione della teoria dell’evoluzione al mondo spirituale richieda energicamente che si elabori il concetto di una vitalità siffatta. La psicologia esplicativa doveva tutto ridurre — in Condillac27, nella scuola degli idéologues28, e ora nella maniera più conseguente in Spencer29 — a fatti primari omogenei, a sensazioni, rappresentazioni, urti o vibrazioni. Trasferendo così la teoria atomistica all’ambito spirituale, essa è caduta nella contraddizione di far sorgere, dalla combinazione di questi elementi, stati psichici che nella percezione interna sono del tutto diversi. Anche l’assunzione di una forza psichica unitaria non può cambiare nulla a questo riguardo se essa viene concepita come qualcosa di semplice, che si comporta in base a leggi meccaniche. Tutti questi tentativi di spiegazione si rivelano opposti al principio conoscitivo secondo cui la struttura contenuta nella vitalità è la

condizione del conoscere, e la conoscenza non può risalire al di là di essa. Si mostri pure una conoscenza qualsiasi che risolva l’una nell’altra le differenze funzionali. L’artificio della conoscenza naturale consiste nel porre alla base delle relazioni tra suoni, colori ecc. incomparabili tra di loro dei rapporti quantitativi, come differenziali di movimento e così via. Ma nessuna conoscenza naturale può darci una risoluzione reale di questi contenuti. Anche il principio delle qualità secondarie è soltanto un principio ausiliario di carattere ipotetico, al di là del quale sta un complesso di relazioni che non possiamo sciogliere. Le cose stanno precisamente allo stesso modo nella psicologia a proposito della relazione per la quale essa deve assumere le differenze strutturali come date, pur sapendo che queste non costituiscono l’elemento ultimo. Solo che, come aveva posto in luce già Kant, essa non possiede nei rapporti quantitativi il mezzo per riportarle per così dire a un unico piano. Kant lo ha assunto come invariabile; Herbart, Fechner e i teorici della psicofisica non hanno potuto cambiare nulla. Rimane qui una questione. Per quanto plausibili siano le critiche di coloro che lo ritengono impossibile, esse non sono però cogenti, dato che nessuna legge interna della nostra struttura ne implica l’impossibilità per tutti i tempi. Esplicativa in senso stretto non sarebbe però neppure una psicologia che istituisse realmente rapporti quantitativi tra i fatti psichici. Così ci rimarrà soltanto una psicologia descrittiva e analitica. In quanto psicologia elementare, essa ha come oggetto i legami tra le funzioni e i fatti psichici che in esse si presentano. Qui si fa valere un secondo limite della psicologia, che sembra almeno per ora insuperabile. Il rapporto dei singoli fatti psichici con l’unità psichica non può essere determinato. La trasposizione della concezione atomistica fallisce di fronte al principio posto da me, e poco dopo da James30: le immagini sottostanno a un processo di trasformazione. Dato che le sensazioni non compaiono mai isolatamente, ma sempre soltanto in immagini, cosicché è impossibile coglierle ognuna di per sé, e dato che per di più sono crescenti per intensità, decrescenti e variabili per qualità, si dovrebbero anzitutto determinare definitivamente delle unità costanti. Ma un secondo principio ci mostra che anche le immagini stanno sempre in relazione a una connessione, e così via. Ciò rimanda alla medesima regola della conoscenza: la molteplicità degli stati, delle immagini, dei concetti, dei rapporti logici è sempre data psichicamente nella percezione interna come se essa fosse sorretta da un’unità. Questa è appunto la vitalità psichica. Noi siamo in grado di averne

un’esperienza vissuta, ma non possiamo risalire oltre mediante concetti. Anche questo rapporto ha comprensibilmente il suo correlato nell’immagine del mondo e nei tentativi di una sua analisi concettuale. Qui possiamo renderci conto di tutto il lavoro metafisico che è stato speso per rendere comprensibile il rapporto degli elementi del mondo con la connessione in cui si trovano. Vani sono stati i tentativi di Democrito di concepire l’unità del mondo in base agli atomi! E troppo sofisticate le monadi di Leibniz, che, condizionate teleologi-camente, costituiscono una totalità senza un’azione reciproca difficile da concepire! Sempre nuovi sono, da Giordano Bruno a Lotze e a Fechner, i modi di penetrare nella forma di una coscienza ecc.31. Queste considerazioni mostrano in anticipo le medesime difficoltà che la vitalità psichica oppone allo sforzo di intenderle, e si ripetono di fronte al suo correlato, ossia al concetto di mondo: quando la metafisica lo separa dall’io e vuole concepirlo come qualcosa di indipendente, essa fallisce. Il suo destino potrebbe mettere in guardia la psicologia! Qui come là si tratta delle stesse difficoltà, delle stesse ambivalenze della vita, delle stesse antinomie del conoscere che presuppone la sua comprensibilità. Delineiamo dunque la psicologia elementare descrittivo-analitica. Io presuppongo la teoria della struttura che ho qui formulato ecc. Noi concepiamo una tale unità in situazioni diverse, sotto pressione, nel suo formarsi liberamente, e le funzioni della sua struttura per così dire accentuate in rapporti di forza diversi. Vengono così in luce le variazioni di cui la totalità è capace. E al tempo stesso cerchiamo di cogliere le trasformazioni che si presentano nel mutare delle circostanze, le quali costituiscono i legami elementari. Nella coscienza immediata la vita istintiva è anzitutto collegata più strettamente con l’auto-conservazione. Ma in noi i tratti simpatetici hanno ecc.32. L’ampliamento del nostro io, che nel sentimento abbraccia la natura e la società, in quanto ampliamento del sentimento è al tempo stesso elevazione del sentimento. III. Dei metodi per cogliere la storia delle visioni della vita e del mondo Dalle prospettive che abbiamo raggiunto in merito alla psicologia derivano, se si prende lo studio storico delle visioni della vita e del mondo così come si è sviluppato nelle storie della filosofia, dei dogmi e delle opere letterarie, alcune determinazioni relative ai metodi con i quali possiamo

accostarci alla loro interna connessione storica. Dal momento che la psicologia può cogliere i legami di contenuto ecc., essa è realmente in grado di promuovere lo studio storico. La psicologia dei popoli33 è stata una scommessa intelligente. Essa ha anche realmente chiarito, per molti versi, i processi storici, mostrando le forme psichiche in cui essi si compiono. Ma in ciò essa è fallita. La psicologia non è una scienza esplicativa; perciò il suo metodo non è il medesimo di quello impiegato nella scienza matematica della natura. Essa non può spiegare ecc. Il metodo può essere soltanto quello della ricerca di connessioni; la loro integrazione è l’interpretazione. Passaggio dal noto all’ignoto, cioè dai fatti storici alla connessione che sta dietro di essi, considerati nella loro legalità: a) connessioni; b) procedimento comparativo; c) interpretazione psicologica. Le visioni della vita e del mondo. Prima legge. La vitalità e la mutevole accentuazione dei principali momenti strutturali hanno come conseguenza che la visione della vita e del mondo si esprime sempre e ovunque in forma di antitesi. Il principio hegeliano secondo cui i sistemi filosofici sarebbero rappresentazioni delle epoche ha influenzato in misura rilevante le storie della filosofia; ma i fatti lo contraddicono. Seconda legge. Queste antitesi sorgono sempre su una base comune. Legge. La creazione di un grado e di una forma di vitalità spirituale, in cui quest’ultima si sia oggettivata, non comporta alcuna coscienza della sua origine. Così essa può diventare il portatore di un nuovo contenuto spirituale, e via dicendo. Per quanto riguarda la parola, è andata perduta la coscienza della sua origine da un’altra radice ecc.; e culti religiosi, santuari, forme di religione diventano portatori di nuove rappresentazioni…34. Nel linguaggio, nella religione, nella metafisica e nell’arte la totalità psichica si esprime attivamente nei suoi tre aspetti e in base ai suoi rapporti fondamentali.

3. ARTE, RELIGIONE E FILOSOFIA COME FORME DELLA VISIONE DEL MONDO E DELLA VITA I. L’arte come rappresentazione di una visione del mondo e cella vita Metodi di studio delle opere d’arte: la struttura di un’opera d’arte; le forme come unità di visione della vita e del mondo e di tecnica. L’arte è, rispetto alle visioni della vita e del mondo, la più neutrale tra tutte le forme che le conducono a rappresentarle. È un grosso errore collegare l’arte, come hanno fatto i romantici, con la religione, come se nelle sue manifestazioni più alte fosse ad essa congiunta nel suo contenuto…35. Noi troviamo le sue forme più semplici presso i popoli primitivi ecc. — I suoi tratti si presentano qui anzitutto con un estremo grado di variabilità: essa non è ancora separata dalla persona, il canto muta a ogni nuovo momento, la melodia cambia continuamente, e così pure la danza, e la pantomima viene prodotta sul momento. Il risultato è il legame con la persona, una costante variabilità, una molteplicità illimitata. Il processo del suo sviluppo consiste nella selezione, in una riflessione più continuativa che supera l’instabilità, nella separazione dal soggetto, che accresce la saldezza della forma. L’arte rappresenta anzitutto direttamente nel canto, in forma poetica e musicale, la vitalità. E questo è intuitivo, nella semplice oggettualizzazione della vitalità interna o nel più semplice linguaggio figurato della nostra vitalità, della successione dei suoni ecc.36. E in quanto poi si diffonde nei sogni di ciò che è più compiuto, nella fantasia di un amore corrisposto, in essa si formano i forti tratti particolari di un ideale di vita. I motivi per i quali il canto è stato la prima forma poetica — emergere della poesia epica nei Veda ecc.; oggettualizzazione dell’ideale di vita e della situazione circostante nel canto epico37. Dato che la poesia muove dalla vitalità e dall’uomo, l’immagine del mondo costituisce la cornice degli stati umani e la connessione del mondo il suo ordinamento. Analisi dell’arte. Le grandi situazioni storiche della coscienza si manifestano, nel corso del tempo e presso i vari popoli, nella costituzione psichica complessiva; e questa si esprime nell’intuizione della vita, condizionando nell’intelletto la visione del mondo e nella volontà l’ideale di vita. Ma questa costituzione complessiva governa anche gli artisti.

Anche nell’arte c’è, entro la sua storicità, una connessione costante di proprietà. Questa è determinata dal legame della fantasia con le proprietà oggettive del mondo, che per suo mezzo vengono elevate alla coscienza. Perciò l’arte ha da dire qualcosa che non può essere enunciato in nessun’altra forma di manifestazione della vita umana, ossia ciò che la fantasia vede. Questo è però il carattere tipico della fattualità particolare. Noi chiamiamo motivo una relazione con un elemento particolare, la quale riveste un carattere tipico. Noi chiamiamo materia di un artista la realtà particolare che è suscettibile di una trattazione del genere. Perciò la conoscenza storica della visione artistica della vita e del mondo propria di un’età è anche qui legata a un lavoro di scomposizione e di combinazione dei diversi fenomeni e campi tra loro contemporanei, alla comparazione e alla riproduzione psichica. La prova più sottile di una tale conoscenza si ha nella scoperta del legame tra la forma storica della fantasia e la tecnica. Tutto ciò che l’uomo può vedere nel mondo è sempre il legame della sua vitalità con le proprietà di questo, che egli non è in grado di cambiare. Egli è vincolato a queste relazioni in virtù della legge immutabile della propria situazione. Tutto ciò che egli scorge, sogna o pensa come questo mondo, è sempre questa relazione, e nient’altro. Il suo mondo non è un semplice prodotto della sua vitalità così come non è uno stato di fatto oggettivo: l’una cosa è tanto poco ammissibile quanto lo è l’altra. Perciò ogni interpretazione dei fenomeni che ci circondano dipende dalla differenziazione e dal collegamento delle funzioni che apprendono il mondo, ma d’altra parte dipende anche dal suo carattere oggettivo, che diventa così oggetto di apprendimento. Una tale relazione di funzioni ci fa vedere nel mondo qualcosa che altrimenti per noi non sarebbe visibile. Ma ciò che viene visto è, in quanto espressione di questa relazione, soltanto un simbolo della misteriosa connessione del mondo. Questa connessione stessa, nella sua oggettività, non ricade nella nostra coscienza. Da ciò risulta che nell’artista si presenta, esattamente come nell’uomo religioso o nel filosofo, qualcosa che è un simbolo della realtà. II. La religiosità Il metodo storico-religioso è soltanto l’applicazione del metodo storico in generale a un oggetto particolare. Connessione, comparazione, interpretazione psicologica: con questi mezzi esso procede da un dato storico di esperienza alla sua connessione in base a leggi, che non è data empiricamente.

Primo principio. L’analisi psicologica della religiosità mostra in primo luogo che essa, in quanto manifestazione della struttura ecc., non costituisce una connessione che possa venir spiegata in base a se stessa; tutti i mutamenti religiosi sono invece connessi con gli ideali che agiscono nella vita del popolo, con la coscienza della situazione della vita che si ottiene nella poesia ecc., con il grado di elaborazione che l’immagine del mondo ha raggiunto attraverso la riflessione e la formulazione di princìpi scientifici. Vita economica, costumi, arte, letteratura e scienze: anche i mutamenti religiosi si compiono in questa connessione. Secondo principio. Ma in questa connessione si forma una connessione di scopo indipendente: ad essa ha dato espressione in astratto la dialettica interna dei dogmi di Baur. Ritschl; Harnack38. La particolare natura della religiosità consente di determinare più da vicino il tipo di questa connessione: 1) vi sono per così dire radici verbali che sono comuni in un determinato ambito di religione; 2) questi ambiti di religione entrano in rapporto l’uno con l’altro; c’è quindi una storia comune delle religioni che ha il proprio oggetto nello sviluppo della religione, dei popoli cristiani, nel Buddhismo, nell’Islam ecc. Qui il Cattolicesimo è particolarmente istruttivo: universalità della sua recezione. La religiosità e la sua oggettualizzazione nella simbolica religiosa, nel dogma, nella teologia e nella speculazione religiosa. Prime rappresentazioni: la vitalità religiosa ha come suo correlato l’intuizione di forze divine. Come l’io esiste soltanto nel legame con l’oggetto o con il mondo, così il processo religioso esiste soltanto nel legame con la forza attiva divina, che viene sentita e vissuta immediatamente in questo legame. Ma ciò che viene vissuto è soltanto la presenza dell’ignoto, di ciò che non può essere controllato, che per così dire produce ancora effetti al di là degli oggetti prevedibili e conoscibili. Infatti l’uomo primitivo non sa nulla delle cause delle sue malattie, della follia ecc. La divinità o l’essere demoniaco è un soggetto aggiunto guardando a questi effetti, il quale sembra adatto a produrre tali effetti. Un soggetto rappresentabile, e quindi determinabile sensibilmente, viene così rappresentato, per mezzo del pensiero analogico, in

aggiunta agli effetti sentiti. Una realtà indipendente apparirà sempre, nel modo più energico, in una forma accessibile ai sensi. Pertanto ogni essere divino è un simbolo, e precisamente il portatore soggettivato di certi effetti. L’inclinazione alla personificazione è quindi inseparabile dal processo fantastico della religiosità. Nel mondo sensibile esiste soltanto un numero limitato di radici verbali, per così dire di simboli primari, che possano essere impiegati in questo modo. La metafora religiosa ecc. Attuazione dell’oggettualizzazione nei processi simbolici, metaforici: essi costituiscono per così dire i connettivi sintattici. Oggettualizzazioni Questi simboli devono essere accolti nella connessione dell’immagine del mondo. Quanto di pensiero concettuale è in essi presente, altrettanto dev’esserne impiegato per produrre una chiarificazione e un’analisi di questi simboli. A questo punto ha inizio un lavoro smisurato, che non raggiunge mai il suo fine, dei ceti sacerdotali di tutti i popoli. Nei simboli religiosi si ha per la prima volta esperienza della visione della vita e del mondo; e poiché non è stato l’intelletto a produrli, essi non possono neppure venir chiariti intellettualmente. Il tentativo di farlo produce le antinomie che lacerano e dissolvono la visione religiosa della vita e del mondo. Esse riposano sulla pluralità di aspetti o sull’ambivalenza di ogni prodotto di una rappresentazione religiosa per l’intelletto, in conformità alla vitalità in esso contenuta. Sorge così la dialettica interna del processo dogmatico entro ogni forma di religiosità che s’innalza all’oggettualità di una reale immagine del mondo. Questa dialettica ha risolto l’una nell’altra tutte le religioni. Nascono quindi, per arrestare questo processo, il tradizionalismo e la mistica. Ma poiché acriticamente non ne scoprono la base nella relazione tra Erlebnisse religiosi e rappresentazioni religiose, anch’essi si dimostrano impotenti. III. La filosofia come rappresentazione concettuale di una visione del mondo e della vita Introduzione. I sistemi. — Intendo mostrare che anche i sistemi filosofici, al pari delle religioni o delle opere d’arte, contengono una visione della vita e del mondo fondata non già sul pensiero concettuale, ma sulla vitalità delle persone che l’hanno prodotta. Ciò appare chiaro tutte le volte in cui un sistema viene considerato dal punto di vista storicoevolutivo. Ma dobbiamo al tempo stesso introdurre una forma di considerazione universale che fornisca questa prova,

in generale, per l’intera sistematica filosofica. In primo luogo, ogni sistema contiene presupposti indimostrabili; esso procede al di là del semplice collegamento di proposizioni dimostrate. Perfino il positivismo non contiene soltanto conoscenze proprie delle scienze della natura e le loro relazioni con la nostra conoscenza dei fenomeni psichici. Dal momento che i sistemi filosofici si propongono di offrire una rappresentazione totale del mondo, essi incorrono in antinomie che risultano inevitabili. Ad essi è stato sovente rimproverato di non tenerne conto, e di procedere in maniera impetuosa, a differenza della cautela delle scienze empiriche; ciò sarebbe del tutto inspiegabile se non fossero trascinati da una volontà così forte di esprimere una costituzione dell’animo, tale da non volersi lasciar sbarrare la strada dagli abissi delle antinomie. Il critico che segue un tale filosofo osserva facilmente quanto poco egli tenga conto della pluralità di aspetti delle cose. Anche questo sarebbe incomprensibile se il filosofo fosse guidato da una considerazione impregiudicata e razionale. La stessa cosa risulta in maniera positiva dal fatto che ogni filosofia concepisce il procedere dalla coscienza sensibile alla connessione delle cose come fornita di valore, e in ciò scorge una liberazione dell’anima. Nella semplice forma del pensiero filosofico si esprime, in una prospettiva del tutto generale, un determinato atteggiamento dell’animo. Questo è analogo all’atteggiamento religioso e a all’atteggiamento artistico. — Quanto più la nostra simpatia, cioè la nostra gioia per la connessione della vita si estende insieme alle parti del mondo, quanto più ci abbandoniamo all’oggettività, tanto più facilmente superiamo gli ostacoli racchiusi nella nostra situazione particolare, e il nostro sentimento della vita diventa più ampio: per questo gli antichi hanno sempre posto in primo piano, con grande ingenuità, il valore pratico dell’atteggiamento filosofico. La potenza della visione della vita e del mondo sull’animo. Prima legge. L’ampliamento dell’io, il suo abbandonarsi all’oggettività comporta per l’individuo anche un ampliamento di tutta la sua vitalità, la tranquillità nel mutare delle circostanze, la stabilità. La semplice forma dell’atteggiamento religioso, artistico o filosofico comporta quindi un accrescimento della vita individuale. Il concetto più generale di sistema filosofico e la sua struttura. La caratteristica distintiva del filosofo dovrebbe poter essere colta nel

modo più puro e più semplice all’epoca della prima formazione di una filosofia per sé stante. Eraclito e la scuola socratica la esprimono in piena coincidenza. Noi cerchiamo qui una formula la più generale possibile. Il filosofo eleva alla coscienza ciò che l’uomo, rappresentando e pensando, formando e agendo, fa del proprio ingenuo impulso innato; a lui è propria una specie di riflessione accresciuta. Ma ogni consapevolezza superiore si manifesta nel fatto che gli Erlebnisse e le esperienze vengono resi evidenti nelle loro parti e nelle loro relazioni. All’opera del filosofo è perciò indispensabile l’energia logica. Così in lui si sviluppa una coscienza logica accresciuta, la quale collega con chiarezza le operazioni istintive naturali. Egli mostra ovunque la riflessività di Epimeteo; e dalle conoscenze particolari dei fenomeni della natura nasce in lui il compito consapevole di cogliere la connessione di tutta la natura. Dai fini degli uomini e della società, dalle leggi etiche e dalle religioni sorgono i compiti consapevoli di cercare quello che è il sommo bene per il singolo individuo e la società, le regole supreme della vita personale e della vita politica, la loro connessione e il fondamento della loro legittimità. Egli reca ovunque il suo lavoro concettuale, la sua riflessione logica, la sua coscienza superiore, fondata sulla forza illuminante e autonomizzante del concetto. La coscienza logica che si estende alle intuizioni, agli ideali e ai beni oggettivi crea quindi una connessione logica, e questa cerca un sostegno e un fondamento di legittimità nelle radici delle cose. Da una tale coscienza che si volge liberamente in tutte le direzioni, pronta a sottomettere ogni cosa, sorge l’intenzione insita in essa di fondare autonomamente le proprie manifestazioni di vita sul potere dell’intelletto o della ragione; e nella potenza del pensiero logico esistono gli strumenti per realizzare questa impresa. La filosofia è quindi una qualità personale, una specie di carattere al quale si è in ogni tempo attribuito il compito di liberare l’animo dalla tradizione, dai dogmi, dai pregiudizi, dalla potenza degli affetti istintivi, perfino dal potere di ciò che ci limita dall’esterno. È una specie di energia logica e di coscienza superiore che viene applicata a tutto, cercando ovunque una connessione. La consapevolezza si esprime ovunque nella chiarificazione concettuale, nella trasformazione dell’intuizione in una connessione logica. Questo è anche il senso in cui ci serviamo, in linea del tutto generale, di tale parola. Si tratta di un atteggiamento filosofico che non contiene nulla della professione di un filosofo di mestiere. In ogni poeta che s’innalza a un ideale di vita e a una visione del mondo si trova, nonostante il fatto che questa sia espressa soltanto in una connessione di immagini, quale la nostra fantasia ce la presenta, un

pezzo di filosofia. Infatti lo sforzo di acquistare una coscienza della vita nella sua intera connessione, nel suo senso del tutto universale, è fondato sulla possibilità di fare di ogni fenomeno della vita l’oggetto di una riflessione accresciuta. Perciò il filosofo è nato allo stesso modo del poeta; propria del vero filosofo, come del vero poeta, è la genialità. Così il filosofo va verso la radice comune della vita anzitutto nella forza della sua intenzione originaria, in quanto la sua energia logica cerca di elevare a coscienza distinta e a connessione l’immagine del mondo, gli ideali e gli scopi che riempiono la sua epoca. In questa radice della vita e della realtà egli getta la luce del pensiero logico. La struttura di ogni sistema filosofico è condizionata da questo rapporto primario, per quanto le complicazioni del pensiero possano condurre avanti il filosofo. Sempre ciò che agisce in lui è questa energia logica, che va in cerca della connessione e delle radici della vita e della realtà. Dove essa non c’è, non esiste alcuna disposizione filosofica. Scetticismo, coscienza critica, auto-riflessione storica hanno sempre davanti a sé come oggetto, come propria vita, questo orientamento filosofico verso la connessione e l’unità della realtà. Questo costituisce, positivamente o negativamente, dogmaticamente o criticamente, il problema del filosofo. Per quanto scettico possa essere il risultato, egli è filosofo soltanto in virtù di questa energia logica che penetra nelle radici delle cose. Ciò che in questo modo nasce in lui è una formazione vivente: infatti, quando egli collega l’autocoscienza, il sentimento della nostra esistenza che è contenuto in essa, con il concetto di mondo e quest’ultimo con i fini pratici della persona e dell’umanità, è la connessione stessa della vita a dover essere elevata alla coscienza. La struttura di ogni sistema è pertanto per un verso il collegamento del concetto di mondo con l’ideale pratico, e per l’altro verso una ricerca volta in profondità dei fondamenti di legittimità, delle possibilità di conoscenza. Questa struttura si dispiega in Platone fino a dar luogo a una piena divisione di parti; ogni sistema successivo ha potuto solamente differenziare le varie parti di questa totalità vivente; ogni filosofia scettica o critica ha potuto soltanto riferire il proprio lavoro a questa connessione, che costituisce appunto la positività in essa presente: in tal modo essa partecipa a questa struttura, innalzandola per così dire a una potenza superiore. Questo essere vivente mostra una struttura al pari di un organismo; è anch’esso un individuo che appartiene a una classe; se deve avere la capacità di vivere dev’essere nutrito del sangue di un uomo, e sulla base di questa capacità di vivere gli è assegnata una durata limitata, una determinata potenza

con la quale farsi valere. Cerchiamo di penetrare più profondamente in questa struttura. In quanto totalità vivente, in quanto creazione di una persona in cui questa riversa tutto, i suoi concetti come i suoi ideali, quell’essere è sorretto da un’unica costituzione dell’animo, da un’unica disposizione fondamentale, la cui profondità e originalità decidono in primo luogo del suo destino. Mai, però, questa struttura ha trovato la sua espressione, in un sistema qualsiasi, in una dimostrazione logica coerente e in una connessione priva di lacune. I critici della scuola hegeliana congiungono perciò i vari sistemi in maniera da mostrare in ognuno una contraddizione che il sistema successivo risolverà. Ma non è questa la costituzione logica reale di un sistema. La critica può indicare piuttosto ogni volta la pluralità delle conseguenze che vi sono contenute. Già una semplice contraddizione, qual è quella implicita negli attributi di Spinoza o nella cosa in sé di Kant, può sempre venir risolta in una duplice direzione. Ma i sistemi sono, in generale, pervasi da contraddizioni e da falsi ragionamenti; essi hanno scelto un aspetto delle cose eliminando gli altri; hanno ridotto in silenzio la vitalità per mezzo di una forte volontà. Essi vivono in virtù dell’energia di un principio fondamentale e di una costituzione dell’animo che agisce al loro interno, malgrado la loro fragilità logica. È sorprendente che questo non abbia suscitato uno stupore più grande. Ma in luogo di vederlo senza pregiudizi, gli storici lo hanno per lo più celato dietro una mera successione o dietro collegamenti logici artificiosi ed esteriori. Noi dobbiamo cercarne la spiegazione nelle antinomie con cui ogni sistema combatte, nella pluralità di aspetti della realtà vivente, nell’anfibolia per la quale ogni vita può essere colta dalla riflessione in aspetti diversi. Penetriamo ancor più in profondità, cercando di cogliere il processo nel quale i sistemi sono sorti nei filosofi: questo processo deve anzi trovare la propria espressione nella loro struttura. Conosco ben poche autotestimonianze di filosofi relative a questo processo. Un passo di Schopenhauer sottolinea come il suo sistema si sia formato in un’unica concezione, allo stesso modo di un’opera d’arte, senza che egli ne fosse consapevole. Ritengo che egli abbia avuto dinanzi, come paradigma, la descrizione del genio che si trova al termine del System des transzendentalen Idealismus di Schelling39: ma essa valeva per il modo di produrre, non per la sua descrizione. Così è sorta la stessa filosofia della natura di Schelling, e anche il sistema di Eraclito. Ma la maggior parte dei sistemi, e proprio quelli più profondi, sono il risultato di atti di creazione quanto mai divergenti. Gli esempi più significativi sono offerti da

Spinoza, che ha preso le mosse da un panteismo vivente, e da Kant, il quale ha proceduto partendo dalla formulazione di una teoria meccanicistica, che aveva come presupposto un ordinamento teleologico, fino al suo idealismo della libertà. Le sintesi di vari princìpi centrali nascono proprio in quanto il punto di vista precedente diventa un elemento immanente del sistema successivo. Questi princìpi devono sempre essere spiegati storicamente, e in ogni tempo sono in essi presenti pericoli per la coerenza logica del sistema. Il concetto di perfezione, che dev’essere implicito nella pienezza della realtà, non va d’accordo con il meccanicismo del sistema spinoziano. La metafisica valida oggettivamente che Hegel ha tratto da Schelling non va d’accordo con la sua scoperta della dialettica storica. In tutta questa esposizione i sistemi filosofici sono stati considerati anzitutto come creazioni isolate. Si mostrerà in seguito che essi sono connessi con i movimenti religiosi proprio nella volontà di andare verso le radici delle cose — come ha visto per primo, molto in astratto, Schleiermacher. Parimenti essi si presentano connessi, nell’ideale della vita e nella produzione di valori, con la socievolezza, con l’arte e la letteratura. La costituzione dell’animo del filosofo si trova nelle più ampie connessioni della storia, in cui essa ottiene la propria determinatezza. E proprio la presenza di queste connessioni racchiude la conferma storica di ciò che è stato qui tratto dalla struttura dei sistemi. Le divisioni precedenti dei sistemi, ossia i rapporti logici tra i sistemi in base a punti di vista particolari. Abbiamo riconosciuto che un sistema è una specie di essere vivente, un organismo nutrito del sangue di un filosofo, e quindi capace di vivere, in lotta con altri sistemi. La biologia, che ha davanti a sé un complesso di esseri viventi, ha cominciato con tentativi di ordinamento compiuti mediante un lavoro di scomposizione e di comparazione; è andata in cerca di tipi, e soltanto in seguito è pervenuta, attraverso il loro ordinamento genealogico, a stabilire in maniera definitiva i rapporti reciproci tra queste forme di vita. La considerazione dei sistemi filosofici percorre una strada opposta. Questi sistemi sono dati nel corso storico; e il compito è stato dapprima quello di determinare la connessione dello sviluppo storico a cui essi appartengono. Ma il compito della conoscenza non è suscettibile di soluzione neppure da quest’unico punto di vista. Alla storia dobbiamo aggiungere la considerazione logica, la comparazione, l’analisi. La comparazione dei sistemi tra di loro ci presenta, tra i diversi punti di

vista contenuti nei vari aspetti della loro struttura, delle divisioni che sono in uso da lungo tempo. Al centro della struttura di un sistema sta la distinzione metafisica tra materialismo e spiritualismo, tra dualismo e monismo idealistico. E dietro di esse erano sorte inoltre le divisioni di carattere gnoseologico tra empirismo e razionalismo, tra dogmatismo e criticismo; e poi ancora le divisioni tra eudemonismo e idealismo morale, tra etica individuale ed etica sociale, e così via. Noi non ci proponiamo di completare qui queste distinzioni. È chiaro che ognuna di esse non assegna il sistema, preso nella sua totalità, a una data classe; a base della divisione sta un singolo aspetto della struttura del sistema, un elemento della totalità vivente. Tra di esse la divisione tra i vari punti di vista metafisici tocca il centro della struttura di ogni sistema metafisico; ma essa suddivide soltanto questa. Così dobbiamo distinguere questi sistemi, in quanto possibili varianti del punto di vista dogmatico, dai sistemi critici. Secondo un’ulteriore relazione naturale ogni sistema materialistico è empiristico e, per quanto riguarda la sua etica, eudemonistico. La stessa cosa vale per il panteismo, il teismo ecc.: è una specie di gioco combinatorio. In questa maniera si esauriscono le relazioni necessarie di questi elementi di divisione. Ciò costituisce una prova del fatto che non si può penetrare dall’esterno nei rapporti logici che sussistono strutturalmente tra i sistemi. Ma al tempo stesso già qui risulta che l’analisi e la comparazione, separate dalla storia dello sviluppo in cui i sistemi sono dati, possono costituire soltanto prospettive di orientamento provvisorie. Il principio più generale di sviluppo dei sistemi filosofici come principio di sviluppo ulteriore dei loro concetti. Dalla comparazione e classificazione di singole parti dei sistemi ci volgiamo ora al tentativo di analizzarli come totalità e di sottoporli a una trattazione comparativa. Ancor prima di procedere alla considerazione del loro contenuto, dai semplici rapporti logici i quali discendono dal concetto di sistemi come totalità che si propongono di conoscere concettualmente la connessione di realtà e vita, derivano determinate differenze strutturali tra i sistemi. I sistemi, in quanto costituiscono una specie di totalità viventi, combattono tra di loro così come fanno le creature viventi. All’osservatore superficiale tutta la loro storia può apparire come una lotta reciproca; quanto più risaliamo alle concezioni primitive, il loro brulicare ci sembra illimitato e indeterminato; e nella lotta per la potenza si compie una selezione. Le confuse fantasie delle

mitologie babilonesi o messicane svaniscono, e rimane soltanto ciò che può essere innalzato a un livello razionale; vengono formulate razionalmente delle semplici concezioni fondamentali; ma dal momento che queste si scontrano tra di loro con pari diritto, in questa lotta per l’esistenza sorgono forme più complesse che sono più utili per la spiegazione. Infatti la capacità di vita non è qui altro che la capacità di prestazione per la spiegazione del reale. Questa capacità di prestazione dipende però da due condizioni, dalla trasparenza logica priva di contraddizioni di una connessione e dalla sua capacità di spiegare il reale e di porre in moto, in maniera soddisfacente, ciò che agisce nel sentimento e nella volontà. Così in Platone si sono congiunte la teoria dell’essere e la teoria del divenire; il panteismo e la dottrina delle forme vengono recepiti dallo Stoicismo attraverso il concetto della forza individuale della cosa che si manifesta nella forma, dando luogo alla più alta combinazione etico-metafisica dell’antichità. I concetti cosmologici greci, i concetti romani di vita e i concetti religiosi orientali si sono uniti nella Patristica e nella filosofia medievale. Dopo che il secolo XVII aveva, per mezzo della dinamica, mostrato la capacità della teoria meccanica del mondo di spiegare il reale, fu messo da parte il pampsichismo dell’epoca precedente; e la teleologia antica, nella quale — secondo la formula aristotelica — scopo, forma e causa efficiente coincidevano, si trasformò nella nuova combinazione leibniziana tra visione meccanica e visione teleologica del mondo. Le formazioni filosofiche divennero sempre più comprensive e complicate. E la complicazione si accresce ancora allorché in questo sistema viene accolta anche la dottrina della libertà, e vengono congiunti panteismo e teismo, eudemonismo, etica sociale e assolutezza idealistica della legge etica. Lotze, Fechner, Renouvier40 ecc. sono i rappresentanti di questa sistematica estremamente complicata. Noi possiamo quindi stabilire la seguente regola generale: le visioni del mondo e della vita sono sorte da concezioni semplici, assumendo nel loro corso forme più complesse che aspirano ad abbracciare sempre di più i diversi aspetti del reale, così come li scopre progressivamente la scienza. Nei primi inizi prevale l’arbitrario, l’accidentale, l’umore dell’animo e della fantasia, ed esse assumono forme sempre più razionali; in seguito il numero delle possibilità si restringe continuamente, attraverso una specie di selezione; cosicché, secondo l’ipotesi biologica della scuola epicurea e di Diderot, da una molteplicità illimitata di formazioni arbitrarie nasce un numero sempre più limitato di classi di formazioni sempre più razionali e complesse.

E invero la visione della vita e del mondo ha percorso le seguenti fasi regolari: 1) i sistemi dogmatici; 2) la presa di coscienza delle attività umane, in particolare dei metodi filosofici, nella scuola socratica; 3) l’accrescimento di questa consapevolezza fino al metodo trascendentale (di cui lo scetticismo è una variante); 4) la regola, la legge e la forma delle visioni del mondo devono essere trovate mediante l’auto-riflessione storica. Il metodo descrittivo e il metodo comparativo; la fenomenologia della sistematica filosofica. Ne consegue che nel corso del tempo si ha, se consideriamo dapprima questa struttura da un punto di vista puramente formale, uno sviluppo regolare della struttura delle visioni della vita e del mondo umane e dei sistemi che le fissano in forma concettuale. Se poi si considera anche il modo in cui la visione del mondo è collegata in avanti e all’indietro nella struttura di un sistema, anche questa muta secondo una legge di sviluppo. La filosofia, considerata storicamente, è la coscienza che si sviluppa di ciò che l’uomo fa pensando, formando e agendo. Questa coscienza, in quanto visione del mondo, è quindi soltanto un caso di auto-riflessione filosofica. Ovunque essa si presenti c’è filosofia, qualsiasi forma e qualsiasi struttura assuma. La funzione della filosofia dev’essere derivata dalla legge fondamentale della struttura. L’individuo si presenta empiricamente come unità funzionale all’interno di un sistema; e questa unità è rintracciabile, secondo quanto ci attesta l’esperienza personale, in una specie di tensione nel sentimento e nell’impulso. Ogni totalità storica è costituita da individui; e quindi le medesime funzioni devono qui configurarsi sotto forma di connessioni di scopo più ampie. La società è tenuta insieme dalle forme di organizzazione esterna, che hanno il loro nucleo nella famiglia, e che vengono differenziandosi ecc. La struttura più semplice della filosofia è quella trovata da Platone. Ma proprio questo spirito di auto-riflessione spinge sempre più indietro verso i presupposti. Perciò il baricentro della sua struttura si sposta sempre più all’indietro verso le condizioni della coscienza. In questa auto-riflessione è insito un lavorio rivolto verso i presupposti della coscienza, rivolto in modo positivo e negativo, il quale spinge potentemente nelle sue profondità: una specie di lavoro sotterraneo, un’impresa tremenda, che è sospetta alla maggior parte degli uomini. La prima forma di progresso è perciò, nella filosofia, il ritrovamento di

tutti i problemi che la realtà racchiude, e delle loro relazioni, poi il graduale superamento e la presa di coscienza di ogni presupposto a cui sottostà il pensiero umano. Il compito di Platone è stato quello di porre in luce la soggettività dei sensi, lo spazio come fenomeno, le categorie come forme di coscienza ecc.41. L’odio contro la filosofia come operazione negativa dopo Protagora e Socrate. Infinità e imprevedibilità di questo processo. Esistono sempre muri che ci limitano: lo sforzo tumultuoso di liberarsene in Feuerbach42, Schopenhauer e Nietzsche; impossibilità di riuscirci, in quanto qui si urta appunto con la storicità della coscienza umana, che costituisce una sua proprietà fondamentale. Il compito positivo di portare alla coscienza i presupposti sotto cui l’uomo vive e pensa: Kant. La caratteristica della necessità e dell’universalità. Il positivismo e i rapporti di dipendenza puramente logici. Storia dello sviluppo: conoscenza dei sistemi e conoscenza strutturale. L’esposizione di un sistema è consistita finora prevalentemente nel tentativo di ricoprire con un aggiustamento logico le sue lacune e le sue contraddizioni. Ma se si coglie un sistema nella vitalità in cui esso sorge da una costituzione dell’animo, allora la storia del suo sviluppo mostra quante possibilità, quali falsi ragionamenti s’incontrano nello sforzo di gettare un ponte sulla strada, sulla pericolosa strada verso la trascendenza, e di risolvere le antinomie. Si esprime qui la fragilità di ogni sistematica. Nella scienza positiva questi falsi ragionamenti non ci sono, perché non ce n’è bisogno. Lo sviluppo progressivo nella storia della filosofia: critica delle concezioni dominanti. Questo progresso non consiste nell’avvicinarsi a una conoscenza assoluta, per esempio al sistema positivistico in uno stato di completamento — come ritiene oggi la maggior parte dei filosofi. E tuttavia esso non può venir mostrato in una maniera indipendente da ogni credenza sistematica. Esso consiste nella coscienza crescente che lo spirito umano, considerato nella sua totalità, acquista del proprio fare, dei suoi fini e dei suoi presupposti. Questo progresso non è soltanto un progresso della teoria della conoscenza, e neppure un passaggio attraverso la metafisica in virtù di una svolta verso di essa. L’auto-riflessione non costituisce il suo nucleo. L’io non è mai senza l’oggettualità, senza la realtà a noi esterna. La riflessione sull’io è quindi al tempo stesso l’osservazione condotta sul suo legame con una realtà esterna, sull’origine e sulla legittimità delle relative determinazioni. Perciò l’autoriflessione è di per sé sempre connessa con la riflessione sulle determinazioni

oggettive. Ma lo sviluppo delle visioni della vita e del mondo e l’autoriflessione storica che ne deriva va ancor più in profondità. In apparenza si trova una svariata molteplicità: cerchiamo di coglierne la connessione interna. 1. Il mondo dato come punto di partenza di ogni visione della vita e del mondo Nella vita psichica i prodotti pervengono alla coscienza, senza però essere consapevoli dell’agire della forza psichica che li ha prodotti; perciò l’oggettualità esterna sussiste senza la coscienza dei processi in cui si è formata. Questa oggettualità esterna reca i tratti della spazialità, di una totalità continua in cui gli oggetti sono separati come cose e collegati tra di loro nel fare e nel subire, della differenza tra essenza e accidentalità, della vitalità, della totalità. Tutto questo è dato senza che noi siamo consapevoli della sua origine. Manca quindi la coscienza del legame di queste determinazioni con la vitalità, il cui correlato è questa realtà esterna. 2. L’attività consapevole dello spirito e i gradi di questa consapevolezza La vitalità diventa consapevole del suo fare soltanto per mezzo del sentimento di uno sforzo o del lavoro che accompagna l’attenzione arbitraria, la scelta consapevole, lo sforzo di sottomettere gli impulsi. Poiché nell’attenzione, nella selezione ecc. si hanno vari gradi di energia e di resistenza ad essa, a questi devono corrispondere i gradi di consapevolezza dei processi. Ciò è stato negato assai spesso; e io lascio anche impregiudicato se i processi composti che si presentano a questo modo pervengano ai loro differenti gradi di consapevolezza attraverso i diversi rapporti che collegano atti psichici consapevoli e inconsapevoli, allo stesso modo in cui lo sforzo del pensiero e l’ispirazione, l’intenzione del poeta, si indirizza alla connessione di un’opera, collegando sotto questa influenza il sorgere involontario di singole parti. Questa ipotesi offre alla mia descrizione e alla mia analisi i medesimi servizi dei gradi di coscienza dei semplici atti. Noi conosciamo i processi primari che si riferiscono allo scopo di approfondire, per mezzo di una connessione che consente di spiegarli, l’unità delle sue parti, contenuta implicitamente nell’intuizione della totalità, soltanto in base ai resti dei loro prodotti storici come il linguaggio, il mito, la saga. Il problema di stabilire in quale misura vi cooperi un consapevole fare volontario, può essere risolto soltanto mediante inferenze da questi resti. Noi chiamiamo l’atto consapevole dell’arbitrio del proprio fare con il nome di invenzione. La questione è perciò in quale grado l’invenzione sia compresente in questi processi primari.

Panorama degli atti psichici che cooperano alla formazione dei processi primari e il problema di determinare quale sia la loro cooperazione. Sulla base delle radici vengono formate, mediante l’appercezione ecc., altre parole. Nella religione sono presenti il tropo, la metafora ecc. Gli studiosi che riconducono tutti questi processi a processi di appercezione, a mescolanze ecc., hanno qui un principio di agire inconsapevole. È fuori questione che questo principio sia operante; ma la sua estensione è problematica. In primo luogo, questa appercezione meccanica non è l’unico processo. Nelle immagini incontro delle metamorfosi: ciò costituisce piuttosto una specie di crescita organica, un dispiegamento e uno sviluppo delle immagini ecc. Per la connessione è la vitalità del tutto che la contiene implicitamente; essa viene posta in luce attraverso il rapporto tra interno ed esterno, ossia mediante l’empatia. Ci si chiede inoltre in quale misura gli atti consapevoli della comparazione e della subordinazione di ciò che è comparabile sotto una connessione vivente posseduta, e quindi il processo dell’invenzione, siano presenti in un campo solo ecc. Questi processi sarebbero analoghi a quelli artistici e a quelli scientifici. Tutti questi processi esistono nella vita psichica, e ci si chiede soltanto fin dove possiamo determinare la parte che hanno nel linguaggio, nel mito, nella saga e così via. Caratteristiche oggettive dei resti. Come caratteristiche della connessione che sorge nella religiosità noi troviamo oggettivamente la trasposizione di connessioni note all’ignoto e la sua soggettivazione o sostanzializzazione. Si tratta dei medesimi processi che agiscono nella formazione della metafisica. Di questo genere sono la forza che agisce volontariamente nelle cose, l’assunzione di un intelletto superiore nelle azioni istintive altrimenti incomprensibili, l’assunzione di una forza spirituale superiore negli astri. Ad essi si aggiunge l’interpretazione della vitalità attraverso la soggettivizzazione delle formazioni oggettive, che condiziona l’ipotesi di una sostanza imperitura e separabile presente in esse. A queste trasposizioni se ne aggiungono altre riguardanti le varie connessioni, come la spiegazione in base alla genera zione, alla famiglia, alla duplicità dei sessi, la spiegazione in base alla guerra o in base all’evoluzione, e via dicendo. Noi chiamiamo tutto questo con il nome di tropo, di metafora ecc. Caratteristiche soggettive nella tradizione. Le religioni attribuiscono a se stesse una validità oggettiva e concepiscono la propria origine come rivelazione, ispirazione ecc. Qui è racchiusa una duplicità di aspetti: l’affermazione di un processo, ma al tempo stesso anche

l’affermazione che in questo vi è qualcosa di non arbitrario e, per quanto grande possa essere il lavoro compiuto dal soggetto umano, qualcosa che avviene senza il suo contributo attivo. La forma di comunicazione della religione è contenuta soltanto nei canti ecc. Noi non possiamo ammettere che la sua produzione sia una semplice rappresentazione; perciò vi sono presenti anche l’entusiasmo, l’ispirazione ecc. La spiegazione di questi concetti risiede nel fatto che il soggetto religioso è consapevole del lavoro compiuto per cogliere ciò che è ignoto e incontrollabile nelle forze e nella loro connessione, ma al tempo stesso per cogliere come quelle ispirazioni gli siano venute senza il suo contributo attivo.

4. STORIA DELLO SVILUPPO DELLE VISIONI DELLA VITA E DEL MONDO I. Lo stadio primitivo Sensibilità e religiosità. La concezione sensibile-naturale del mondo e la religiosità sono state in tutti i tempi avversarie così aspre perché entrambe sono fondate sugli stati dell’autocoscienza immediata. Questa è l’antitesi più originaria nel costante antagonismo delle visioni della vita e del mondo. La visione sensibile-naturale della vita e del mondo e l’arte. Abbiamo riconosciuto che ogni forma della vita istintivo-affettiva deve produrre, in uno sviluppo naturale, una coscienza di sé e un ideale di vita; ed essa ha come proprio correlato una concezione del mondo che esiste sempre, in qualche maniera, come totalità; e la stessa cosa vale anche dal punto di vista della vita sensibile ecc. Questa dev’essere però concepita in modo non artificioso. L’amore, il sentimento eroico della vita, la volontà di potenza, la volontà del possesso e la gioia per il possesso, l’amicizia e la partecipazione alla felicità e alla potenza della stirpe — questi sono i sentimenti più forti dell’uomo sensibile naturale. Il loro innalzamento alla coscienza e la loro oggettualizzazione si compiono in primo luogo nell’arte. Le prime forme della visione umana della vita e del mondo sono la visione sensibile-naturale della vita e del mondo e la religiosità. Questa è la prima antitesi che si sviluppa in seno ad essa, e nelle antitesi acquista sempre una propria impronta a causa della pluralità di aspetti della vitalità e della diversa accentuazione dei suoi momenti strutturali. Questo fatto può venir studiato nel modo migliore in base ai resti dell’arte e della poesia presso i popoli primitivi e nelle civiltà antiche. Accanto ai canti magici si trovano sempre i canti d’amore ecc. La sensibilità ingenua si manifesta nel soddisfacimento della vita istintiva, nel gioco dei sentimenti. Ogni forma di gioco ne è espressione: la danza, il canto d’amore, la farsa ecc. Allo stadio primitivo la religiosità non è affatto in contraddizione con l’esistenza sensibile; anzi, ne costituisce una integrazione psicologicamente necessaria. E ai livelli inferiori di vita si ripresenta sempre questo rapporto. La religione è in primo luogo, negli stadi primitivi, il rapporto dell’io intero con tutti i suoi bisogni, la sua paura della vita, le immagini fantastiche che suscita l’oscurità dell’esistenza, rispetto al mondo circostante che non può

essere conosciuto né controllato. Piccola è ancora la sfera in cui la volontà dell’uomo sottomette a scopi gli oggetti della natura, e in cui la sua conoscenza è in grado di coglierli mediante relazioni causali. Quando l’abitante delle caverne ecc.43. Tutt’intorno a questo cerchio ristretto sta l’ignoto, ciò che non può essere controllato. L’oscurità guarda fisso a questo punto illuminato. E da questa oscurità i poteri inconoscibili e incontrollabili della natura scrutano come occhi di animali da preda. La loro forma è costituita dall’affetto e dalla tecnica magica volta a influenzare in qualche modo, con la preghiera o con la minaccia, ciò che è incontrollabile: una tecnica magica di stregoni, che viene spontaneamente impiegata a fianco della caccia o della pesca. Essa è necessaria così come è necessario all’uomo alleggerire o rompere la pressione di questo mondo esterno, illuminare il buio che lo circonda, chiarire le tenebre che circondano l’origine e il fine della sua esistenza. In questo modo sorgono le forme di rappresentazione, le forme di culto, le funzioni sacerdotali, tutte dominate dal medesimo carattere. Le forme di rappresentazione di tutti gli stadi primitivi di religione sono condizionate in primo luogo dal fatto che l’immagine del mondo viene unificata, muovendo dal caos sensibile, soltanto in legami imperfetti. Questa unità costituisce solamente lo sfondo inafferrabile da cui scaturiscono le forze. Tale inclinazione a separare dall’ignoto, secondo certi criteri, delle forze particolari come portatrici di effetti incomprensibili è in fondo ciò che è stato designato, e che ancor oggi viene designato, come feticismo: questo non è però di per sé una forma di religiosità primaria, ma ne costituisce soltanto un tratto fondamentale o una proprietà. Il secondo tratto fondamentale della religiosità primitiva consiste nell’inerenza dei sentimenti e delle rappresentazioni dell’ignoto, dell’incontrollabile che agisce, al fenomeno sensibile, agli oggetti dati sensibilmente. Non si ha ancora la separazione di una qualsiasi rappresentazione di forze dal dato sensibile. Gli oggetti o gli animali o le persone umane vengono considerati, in virtù di una specie di inversione del processo in cui la vita personale si rappresenta, si manifesta e agisce nelle membra e nei loro gesti e suoni, come portatori di forze straordinarie. E a tale stadio queste forze non devono stare in alcun rapporto con le proprietà visibili degli oggetti. Dato che nella vita del selvaggio l’umore, il caso, la spontaneità hanno un ruolo molto maggiore, la scelta dell’oggetto magico, stregonesco, demoniaco o divino non si compie in una maniera che possa essere raffigurata

in modo logico. Ciò che resiste, preme, fa danni, e che si dimostra parimenti di aiuto, viene sempre rappresentato allo stadio primitivo come dotato di una volontà di agire a questo scopo. E dev’essere rappresentato così: infatti ogni agire può essere concepito soltanto come manifestazione di una volontà o come connesso con una volontà. I medicamenti sono mezzi magici; nella follia si manifestano dei demoni; la sfortuna in guerra, che non si riesce a spiegare, richiede la supposizione di forze avverse che intervengano: le divinità di Omero sono appunto i residui di questo antichissimo modo di pensare, sono forme arretrate rispetto allo stadio di civiltà raggiunto. Sorgono così i predicati della divinità che reca aiuto e della divinità che reca sciagura. Quello che agisce è sempre la divinità o il demone. Nelle spade è nascosta una forza magica che dev’essere opera di un essere demoniaco; i massi o gli alberi presso i quali si è sacrificato con evidente efficacia vengono sempre più riempiti dalla fantasia di storie di forze magiche, e diventano sempre più la sede di qualcosa di demoniaco — come avviene ancor oggi, nella gente di campagna, nel caso degli antichissimi monti del calvario. E i campi di grano hanno in sé, quando sono pieni di chicchi, qualcosa di demoniaco che ne favorisce la crescita (le divinità momentanee di Usener44). Questi sono i tratti fondamentali di una religiosità primitiva. Essi sarebbero però molto incompleti se queste rappresentazioni del divino, del demoniaco e del magico relative al mondo non fossero collegate con le concezioni primitive che si riferiscono all’io. La fede negli antenati, nei morti e nelle anime è una credenza originaria, di cui sono state date spiegazioni insufficienti. Nel nostro contenuto psichico rientra anche un altro tratto, cioè che il sentimento della vita presente in noi può accettare la morte soltanto come un fatto esterno, ma non penetrarlo realmente. Di questa incomprensibilità della morte noi abbiamo esperienza a ogni notizia improvvisa di un decesso, quando non ci sono di aiuto le impressioni sensibili. In fondo la certezza con cui la viviamo poggia su questa incapacità di pensare alla vita che s’interrompe. L’uomo primitivo pensa quindi a sé come a un essere che continua a vivere ecc. Il collegamento di questa concezione della permanenza con la fede in demoni, in una divinità e nella magia è il punto nodale vero e proprio della religiosità primitiva, e questo punto di connessione tra l’io e il mondo rimane sempre l’elemento decisivo nella religiosità. Una religione sarà compresa sempre solo in base a questo punto di riferimento. Ciò non è stato di solito

considerato correttamente dagli studiosi della religione. Come la morte costituisce per la coscienza primitiva il maggiore di tutti i mali, l’oscurità che la circonda, il luogo del massimo terrore e del massimo spavento, così occorre adorare al più alto grado ogni forza di carattere demoniaco o divino che agevoli il destino dei morti; e ogni usanza che sia di conforto ai congiunti in questi frangenti è preziosa; si deve salvaguardare ogni relazione con i congiunti scomparsi. Culti, venerazioni ecc.: questi legami si trovano ancora nel Cattolicesimo per mezzo della dottrina del purgatorio ecc.45. Rappresentazioni della morte: principio di analogia. Straordinaria molteplicità di queste formazioni religiose, simili a licheni e muschio: il principio psicologico della loro formazione ecc. Il culto e il sacerdozio sono quindi misurati anzitutto in base agli effetti magici. Le istituzioni e i culti religiosi sono destinati a influenzare demoni, dèi ecc. mediante azioni religiose. Ciò avviene ancor oggi. Le rappresentazioni moderne della religione non possono essere trasposte su questo terreno. Leggi di formazione delle rappresentazioni di divinità, demoni e storie di divinità separate dalla percezione sensibile. Stadio agricolo. — Religione della stirpe, della città e del popolo. Lo stadio dell’agricoltura: regolarità. Il prevalere delle rappresentazioni sulle percezioni nella vita spirituale. 1) Separazione delle forze divine dalla visibilità: invisibili, ma capaci di apparire; 2) esse sono portatrici di funzioni regolari: con il procedere della vita verso l’articolazione economica e la divisione del lavoro, si hanno divinità anche in questo ambito; 3) il culto come azione: sacrificio, sacerdoti; 4) fede nell’immortalità; 5) le teologie del politeismo come ordinamenti esterni dei legami metaforici: Omero, l’Edda, la Finlandia ecc.; 6) la loro insufficienza. Differenze fondamentali. Baal e Astarte46 ecc.; Jahvè come dio di un’orda. Cause che hanno impedito a molti popoli di passare alla dottrina di un’unità divina. Presso i Greci è l’oggettualizzazione sensibile che scompone la divinità in immagini e in legami plastici. Il limite del pensiero greco sta nel non aver

potuto concepire la forza vivente ecc. Presso i Romani prevale la divisione in funzioni su base amministrativa ecc. II I popoli orientali I ceti sacerdotali dei grandi stati civili dell’Oriente e il monismo religioso. Due sono gli elementi che conducono il processo religioso verso uno sviluppo più elevato. Il primo è intellettuale, l’altro è — se così vogliamo chiamarlo — di carattere morale. Quello poggia sul ricorso al pensiero razionale, a ragionamenti complessi e a sentimenti ideali nei diversi processi. Questo scaturisce dalle profondità ultime della religiosità stessa: anzi, la religiosità in un senso più alto sorge soltanto sulla sua base. In esso risiede il punto di svolta vero e proprio della storia della religione. Ritenere che il monoteismo costituisca la svolta autentica ed esclusiva dello sviluppo religioso è una convinzione che nasce da un intellettualismo erroneo. Lo ha già riconosciuto lo spirito divinatorio che vive nelle Reden über die Religion47. 1. I ceti sacerdotali delle diverse religioni, le consociazioni religiose sviluppano dapprima dei concetti relativi a una vita ben accetta alle divinità. Questa si estende gradualmente, a partire dai sacrifici e dalle preghiere, a un intero ordinamento della vita che corrisponde ai sentimenti etici e sociali della società in cui essi vivono. Questo ordinamento della vita non è mai, in nessun luogo, creazione della religiosità; esso si sviluppa, nel grembo della società, dalle profondità della natura umana; ma ciò avviene ovunque, per quanto riguarda il fondamento della sua obbligatorietà, in connessione con un qualche concetto di affinità della natura umana, di un legame interno di questa e dei valori in essa prodotti con un ordine superiore in cui l’uomo è inserito. La proprietà degli armenti o le pietre divisorie sono sempre in qualche modo sacre, poiché esiste una qualche volontà divina,e vi sono divinità la cui funzione è quella di custodire i rapporti sociali. Da ciò deriva l’altro aspetto della religiosità, per cui le proprietà sociali ed etiche degne di venerazione da parte dell’uomo vengono poste sotto la protezione del volere di queste divinità. Nei ceti sacerdotali, nei misteri, nelle consociazioni religiose si sviluppa così l’esperienza che il superamento degli impulsi e degli affetti sensibili nella devota quiete dell’animo procura una beatitudine del tutto nuova, ed estranea alla precedente vita mondana. Non ci si può immaginare nulla di più forte dell’impressione con cui questa esperienza afferrato animi privilegiati. Nel

guscio protettivo di un agire magico sulla divinità si rafforza questo nucleo dolce e fine: la religiosità in senso stretto. Questa è la sede della tecnica sacerdotale — o che si sviluppa nei misteri — di purificazione, di beatitudine propria del rapporto religioso. Essa è stata l’educatrice dei popoli di allora verso un’eticità più raffinata. Ad essa era legata la beatitudine futura, e da essa si sviluppò quella profonda unione della liberazione dalla vita sensibile terrena con l’ascesa a una felicità trascendente. Ma dietro questa unione cresceva anche l’altra, cioè l’unione dell’abnegazione con la pace raggiunta già nell’aldiquà. Il genere umano si sviluppa per mezzo di un rapporto regolare secondo cui ciò che viene acquisito per una determinata connessione di scopo diventa utilizzabile per nuovi scopi: esso diventa elemento di un nuovo sviluppo. Questo rapporto sta alla base della costruzione sintetica dello sviluppo che Schelling ha delineato nel suo idealismo trascendentale. Esso è stato formulato in un ambito più ristretto da Wundt48 sotto forma di principio: i prodotti non recano in sé alcuna coscienza della loro origine, e in tal modo possono diventare portatori di nuove funzioni superiori. Applichiamo questo principio alla religiosità. La religiosità magica, i suoi culti, i suoi sacrifici, i suoi ceti sacerdotali, i suoi misteri e le sue consociazioni, l’enorme apparato in cui si sono sviluppati particolarmente nei grandi stati orientali, che sono stati la base di una civiltà superiore, costituiscono una tecnica eticoreligiosa, una coscienza della beatitudine raggiunta a quel modo, e danno a questa le forme esterne della sua configurazione separata dal mondo; così questo processo etico-religioso interiore può liberarsi dallo scopo di produrre effetti magici sull’agire delle divinità, e le forme di esistenza religiosa così create possono diventare portatrici di sviluppi interni rivolti verso il soggetto stesso, e trovare il loro fine nella sua beatitudine terrena e ultraterrena. L’uomo rinuncia a cambiare il suo destino esterno, e si crea un destino interiore. Si tratta di uno sviluppo che si è compiuto con enorme potenza nelle situazioni sociali di enorme pressione, nelle terribili monarchie dell’Oriente e poi di nuovo del Medioevo europeo, con una tremenda pressione che gravava sugli uomini e che si è sviluppata alla massima potenza. Quando Ranke ha visto nel processo religioso il nucleo della storia dei popoli orientali, ciò non era storicamente fondato: tuttavia qui sta la sua verità, considerata sotto l’aspetto religioso, e presto vedremo anche l’altro aspetto del medesimo processo, quello intellettuale. Il Libro dei morti e i misteri egizi, i… assiri, i… babilonesi e indiani49 sono le potenti testimonianze

di questo processo, più potenti delle piramidi, dei castelli dei re, e via dicendo: sono i terribili monumenti di una potenza senza limite. Essi possiedono infatti una grandezza intrinseca. Penetro nel chiostro di un monastero: dalla consociazione religiosa, asceticamente chiusa, scaturiscono i sentimenti religiosi di pace, di tranquilla estraneità al mondo, di libertà interiore dai rumorosi affetti del mondo, fin quando essi vengono alimentati dalle regole della clausura: una siffatta quiete e armonia interiore parla a noi simbolicamente da questi cortili e da questi chiostri monastici, e si comunica a noi con un potere irresistibile. Questi simboli sono più profondi del potere, della volontà di potenza di resistere senza limite, che contraddistinguono i borghi e i castelli dell’età micenea o di Firenze o della Germania ecc. Nascono così collegamenti di una potenza irresistibile, ma ciò soprattutto nel Cattolicesimo. Il culto magico, il sacrificio, hanno il loro nucleo nella messa; ne scaturisce la coscienza di un mondo soprasensibile che si abbassa, anzi di un mondo invocato dal basso. Un nudo processo astratto non sarebbe in grado di renderlo plausibile all’animo. Le maggiori creazioni dell’arte umana sono inseparabili dal culto e dalla sua magia. Esse sono simboli di queste potenti azioni e di questi potenti stati dell’animo. Le campane, le cattedrali romaniche e gotiche, l’arte della liturgia, il simbolo della messa; il cortile del monastero e i silenziosi chiostri monastici — quale mondo! così ai romantici poté sembrare che l’arte fosse capace di padroneggiare la realtà soltanto dove fosse simbolo della religiosità. E come nucleo dietro a tutta questa magia, a questa simbolica dell’arte, sta il processo profondo di compimento della trascendenza interiore, attraverso l’abnegazione, fino alla beatitudine trascendente. 2. Questo grande processo ha però un potente aspetto intellettuale. Ceti sacerdotali, astronomi ecc. Per mezzo del concetto così raggiunto di connessione e di unità del mondo si compie la trasformazione delle rappresentazioni religiose che ci presentano isolatamente l’agire di ciò che è ignoto, insondabile, incontrollabile, in direzione del monismo. Questo processo riveste, per la storia delle visioni della vita e del mondo nel genere umano, un’importanza altrettanto profonda di quanto quel processo religioso ne abbia per la religione: entrambi sono internamente connessi tra di loro. Anche qui il punto centrale per l’interpretazione storica consiste nel

rapporto tra l’io e il mondo, nella comunanza della trasformazione. È una stessa determinatezza della vitalità che produce le trasformazioni nei loro diversi aspetti. Nella religiosità egizia e indo-germanica la coscienza dell’unità, dell’affinità dello spirito umano con la divinità, che è già racchiusa nei miti, si manifesta nell’unità dell’immagine del mondo ecc.50. La metempsicosi costituisce invece un’invenzione per mettere in rapporto la nascita e la morte, collegandole con la vita del tutto. Oppure il dualismo che concepisce due regni, due luoghi trascendenti, e via dicendo. Lo sviluppo semitico: il dio dell’orda, il rapporto di servitù ecc. Le forme della religiosità monistica dell’Oriente sono condizionate dalle determinazioni affettive, insite nella religiosità, riguardo alla connessione del mondo. Erronea è la concezione della speculazione indiana, allorché essa viene separata da Deussen51 dal processo religioso, dalla preghiera, dalla meditazione religiosa, dalla concezione del destino dell’anima. Essa è invece sorretta da questi elementi. Relazione dell’arte, nei diversi popoli orientali, con la loro visione della vita e del mondo. Dato che le visioni della vita e del mondo di un’epoca si manifestano nell’arte, nella religiosità e nella filosofia in differenti forme di espressione, l’arte degli Assiri, degli Egizi ecc. deve poter essere concepita anche come espressione di questa visione della vita e del mondo. La simbolica che separa le forme dagli oggetti e dagli esseri viventi, organizzandoli in combinazioni inventate dalla fantasia, presso i popoli orientali. L’arte semitica, al tempo stesso naturalistica e fantastica. La grande statua in posizione seduta degli Egizi costituisce il primo tipo di una maestà che sovrasta ciò che è comune agli uomini. Nella sua rigida quiete, nelle mani posate sul corpo, non c’è forse la trascendenza della morte? Forme di dottrine religiose orientali dell’unità52. Tentativi di una speculazione concettuale che s’innalza a una connessione cosmica. Risoluzione di tutte queste forme attraverso la dialettica della storia dei dogmi, che reca alla coscienza le loro antinomie. Conclusione: le vaste rovine delle religioni orientali. Le antinomie particolari che nascono dal carattere affettivo-religioso del

concetto di Dio che sorge in questo modo. III. I popoli del Mediterraneo Sorge ora una metafisica separata dai fondamenti religiosi. Per metafisica intendiamo la forma di filosofia che tratta scientificamente della connessione del mondo concepita nella relazione con la vitalità, come se essa costituisse un’oggettività indipendente da questa vitalità. Un tale procedimento presuppone l’esistenza di una scienza. Esso considererà i legami — contenuti nell’immagine del mondo — di unità, di connessione, di sostanza in rapporto ai suoi accidenti, di essenza in rapporto al molteplice accidentale, come se questi concetti fossero espressioni di rapporti oggettivi che si presentano chiaramente all’intelletto. 1. I Greci Caratteristica generale. Nessun popolo poteva essere più adatto dei Greci a produrre una metafisica di questo genere. Essi avevano svincolato la matematica dal bisogno pratico e dai trastulli mistici; avevano liberato l’astronomia dai suoi originari legami con la fede religiosa. E sebbene anch’essi continuassero a considerare gli astri come dèi, erano attrezzati a sottoporre la stessa immagine del mondo a operazioni puramente scientifiche. Le proprietà fondamentali della metafisica greca poggiano su proprietà del popolo greco che possono venir studiate nella sua fede negli dèi, nella sua arte e nella sua scienza: infatti la vita spirituale di un popolo costituisce un’unità inseparabile. Nello spirito greco predomina la plasticità, l’oggettivazione, lo spirito geometrico. Esso coglie l’universo e le leggi della simmetria, della proporzione e della forma. La separazione della forma geometrica, che è stata attuata nella consociazione pitagorica, è stata la grande scuola dell’arte greca. La simmetria, l’armonia e la proporzione cercano un’espressione purissima nel tempio e nella disposizione delle sue colonne. Certamente Semper53 è molto vicino alla comprensione di questa architettura quando la spiega in base alla decorazione esterna, e quindi in base alla plasticità della forma in quanto tale. Ma il tempio è un’opera d’arte complessiva, e al pari di tutta la sua decorazione, anche la plastica è governata dal suo ordine geometrico. E un’opera d’arte complessiva è appunto il dramma greco, come ha giustamente riconosciuto Richard Wagner. Esso è un’azione costruita simmetricamente; i cori, paragonabili alle colonne del tempio, rappresentano in esso il mezzo di costruzione che collega le varie parti dell’azione. Così anche le persone non esistono in virtù delle loro passioni soggettive o del loro carattere; sono

inserite nell’azione simmetrica. L’azione stessa ha per oggetto l’instaurazione dell’ordine divino muovendo dalla confusione della vita. I discorsi sono disposti in maniera simmetrica e antitetica. Non già la passione, ma il pathos che trova la sua regola nel rapporto con le idee supreme, costituisce il culmine dell’azione. Le sue costruzioni plastiche più elevate, perfino il ritratto, aleggiano nell’aere di una quieta bellezza formale, non gravata da un lavoro concettuale: come se non ci fosse nessuna resistenza, nessuna dura realtà e nessuna lotta con essa. Il sorgere della figura dall’immagine del volto, la continuità presente in questa immagine, all’interno della quale gli oggetti si separano — questa è la concezione naturale del mondo, presa nel senso più ampio. L’orizzonte, la semisfera, la terra piana costituiscono le sue determinazioni naturali più prossime. Il clima e il carattere fecero sì che i Greci vivessero in accordo con esse. E presso i Greci si ebbe per la prima volta la separazione consapevole dell’elemento geometrico, la concezione delle figure come sue delimitazioni spaziali. La metafisica è sorta in quanto questa immagine del mondo come qualcosa di autonomo, di indipendente dal soggetto, è diventata oggetto di un’interpretazione scientifica sorretta dalla geometria. La metafisica si scinde ora dalla connessione religiosa. La separazione della speculazione dal suo fondamento religioso si è compiuta sulla base del processo di autonomizzazione della scienza in Grecia. In Grecia emerge subito, come in virtù di una legge interna, una suddivisione della metafisica nelle sue forme fondamentali, e ognuna nelle relazioni che hanno sempre fatto valere a partire da allora, ma nei limiti dello spirito greco. Esse hanno subito delle trasformazioni, ma tutti gli sviluppi successivi vi si ricollegano. Democrito e la metafisica della conoscenza della natura. Anche Democrito ha come base questa immagine del mondo. Gli atomi sono le forme fondamentali che si muovono nello spazio continuo. La loro concezione come punti di forza retrocede, in maniera che le forme del movimento vengono appunto descritte soltanto geometricamente. In Democrito il movimento scientifico è indirizzato, in contrapposizione a tutte le difficoltà del pensiero, verso la giustificazione della conoscenza della natura e verso la subordinazione dei fatti spirituali a tale conoscenza. Questo punto di vista lo chiamo metafisica della conoscenza della natura. La sua designazione come materialismo è corretta solamente per il fatto che gli atomi che costituiscono l’anima sono concepiti come fisici, e la loro combinazione

nella vita psichica si disperde dopo la morte… La sua designazione come positivismo è corretta in quanto il punto di vista della conoscenza della natura sottopone a sé i fatti spirituali; ma non è ancora presente la conoscenza del carattere fenomenico dei fenomeni naturali così come del carattere soggettivo delle rappresentazioni di causa e di sostanza, da cui è contrassegnato il positivismo storico. Il positivismo è soltanto la trasformazione critica della metafisica della conoscenza della natura. Come ognuno dei grandi sistemi tipici, anche questo è circondato da sistemi che scaturiscono dal medesimo motivo storico, ma che lo hanno elaborato in maniera meno pura: Anassagora, Ippocrate ecc. I risultati imperituri di questi grandi scienziati sono, di conseguenza, i princìpi della conoscenza della natura, che essi hanno elaborato insieme e che Democrito ha espresso nella forma più netta54. Principi del conoscere: il nesso causale, nulla viene dal nulla, carattere fenomenico del sensibile, subordinazione all’intelletto, sua posizione. Al contrario, i fondamenti stessi contengono le antinomie. Di queste se ne è vista una parte — quelle relative allo spazio e al movimento — ma non le antinomie implicite nel concetto di tempo, che non rientrano per così dire nella plasticità del mondo. I Greci si accontentano di risolverle mediante la successione dei periodi. La coscienza delle antinomie contenute nel fondamento di questo punto di vista è stata opera della dialettica eleatica e dello scetticismo sofistico. Esse sono basate sulla diversa provenienza degli elementi intuitivi dell’immagine del mondo — lo spazio, il movimento e l’esigenza dell’intelletto. Il pensiero matematico, che si dispiega nella plasticità del mondo e che analizza lo spazio, richiede una divisibilità illimitata, ma d’altra parte anche l’infinità. Il νάδτov fisico — lo spazio vuoto e le unità che agiscono l’una sull’altra, ma che richiedono una resistenza. Allora si fa valere l’insufficienza dei fondamenti racchiusi nell’intelletto. Il fondamento ultimo di spiegazione del monco è la fattualità, la pura fatticità. Ma questa, sorretta dal sentimento della vita, è il caso. L’io nella sua autonoma potenza diventa un’illusione, in quanto la sua unità e la sua saldezza non possono venir derivate dalle aggregazioni degli atomi che costituiscono l’anima. E quando Democrito distingue tra i valori dei vari beni, gli manca il principio per penetrare nella profondità della connessione del mondo, il quale potrebbe servire di base a una tale distinzione; in breve, l’immagine del mondo è separata, in questa metafisica, dal soggetto per il

quale essa esiste. Essa è suddivisa, in modo genuinamente greco, in unità plastiche, e per l’intelletto scientifico queste sono il sostegno dei processi di movimento. Il sentimento pieno della vita nega quindi, in questo sistema, l’esteriorizzazione della connessione del mondo. Alle antinomie implicite in questo sistema, alla sua insufficienza nei riguardi della pluralità degli aspetti della vita si aggiunge il contrasto insolubile con la religiosità e con il pensiero artistico. Invano è stato tenuto fermo il concetto indimostrabile degli dèi in quanto ideali religiosi; proprio queste concessioni agli oracoli ecc.55. Ancor meno lo straniero arrivato dalla Ionia poteva trovare comprensione nella città dei templi, delle statue di divinità, in vista dell’Acropoli con la sua schiera di statue, dove il teatro ecc. «Sono venuto ad Atene — dice Democrito — ma nessuno mi ha riconosciuto». In questa stessa città, dalla sua borghesia di antica fede, è sorto l’uomo che dall’auto-riflessione nella connessione vivente ecc. E Platone ecc. Platone e l’idealismo dell’entusiasmo e dell’idea. L’emergere della figura dall’immagine del volto, la continuità presente in questa immagine da cui si forma l’oggetto, costituisce il presupposto fondamentale anche di Platone, così come lo era di Democrito. Il mondo è l’insieme delle forme immaginate delle cose particolari, estratte dall’ἄπειϱoν. Platone è sui generis. Il suo è un idealismo oggettivo che nel mondo scorge un σύνδεσμoς di idee, ma che afferma al tempo stesso la trascendenza di questo mondo ideale, anzi la sua entità unica: questa è la posizione che connette concettualmente dualismo e monismo, trascendenza e immanenza, in una maniera che non è stata più possibile in seguito. Ciò ha accresciuto l’ampiezza della sua influenza. Che egli abbia potuto far questo, lo si può comprendere soltanto in base al tipo dello spirito greco. 1) Egli recepisce nel suo sistema il grande movimento religioso, attraverso la mediazione dei Pitagorici: il procedere graduale dello spirito dalla sensibilità come potenza vitale, come ideale e come visione del mondo, alla beatitudine in un mondo trascendente, nella sua duplicità di processo dell’animo e di processo intellettuale. Ma realizzando in forma storicosistematica il principio della filosofia socratica come riflessione su ogni vitalità psichica, egli coglie nella Sofistica la coerenza del punto di vista sensibile; scopre nel mondo della bellezza, nell’arte, nell’eros greco un grado superiore di questo processo — come lo è pure la religiosità; e anche nella metafisica si conserva, del grado precedente, il bene e il bello in quanto elemento del mondo intelligibile. Il suo principio è l’affinità dello spirito umano con il divino, e quindi l’aspirazione

ad esso ecc. 2) E tuttavia Platone stesso compie la separazione delle determinazioni relative al reale dalla vitalità sulla quale esse sono fondate. Ciò avviene per mezzo del ragionamento che stabilisce il fondamento durevole di legittimità dell’idealismo oggettivo. a) Indipendenza del pensiero dalla percezione, dell’eticità dal piacere. Affinità tra pensiero ed essere, tra visione della bellezza e idea, tra la volontà razionale e le idee che si possono rappresentare nel sensibile. Sul primo principio poggia la teoria della conoscenza, sul secondo il Simposio, sul terzo la Repubblica come scienza della realizzazione del giusto nel mondo sensibile. b) Le determinazioni che troviamo nel pensiero devono, secondo questo principio, coincidere con quelle dell’essere. Perciò il principio di una scienza dell’essere è determinato come il principio di una scienza autonoma = metafisica. Le antinomie presenti nella metafisica di Platone. L’antinomia più profonda della metafisica di Platone consiste nella separazione, inerente a ogni idealismo in quanto metafisica, del concetto metafisico di realtà e del legame di questa realtà buona e bella con l’io vivente, sul quale sono fondate queste proprietà dell’immagine del mondo. Questa è l’antinomia che sussiste in generale tra idealismo e metafisica. Essa è insolubile all’interno della metafisica, ma piuttosto la dissolve. L’antinomia successiva è quella tra il procedere graduale della religione, dell’arte ecc. e il mondo oggettivo. Il rapporto di Platone con l’idealismo della volontà. Per questo idealismo Platone è una fonte di vita continua. Ma egli intellettualizza la trascendenza. Per quanto egli pieghi questo idealismo, è al tempo stesso la fonte perenne di una tale curvatura. Le possibilità presenti nella concezione delle idee. Lo Stoicismo Lo Stoicismo è il terzo grande sistema dell’antichità. 2. La visione romana della vita e del mondo Che possa esistere una visione siffatta, senza produrre una filosofia originale, ma originale soltanto nei concetti relativi alla vita che si fanno valere in tutti i campi spirituali, è una prova del punto di vista fondamentale che viene qui prospettato. Alla posizione della volontà romana ecc.56. La sua caratteristica più sottile

è l’esteriorità della teleologia. Questa non può venir compresa fin quando non ci si rende conto che la natura deve diventare oggetto per la volontà di potenza. L’espressione di questo dev’essere cercata nella considerazione poetica della natura propria dei Romani. Nelle villae la natura viene trasformata in espressione e mezzo del lavoro e del godimento dell’uomo. Nella trasformazione della superficie agisce la poesia della coltivazione della terra, delle villae e degli orti. Essa è l’espressione suprema della capacità artistica romana. L’esercizio dell’arte e la poesia dei Romani si manifesta nella duplicità di aspetti della rappresentazione da un lato della vita bellica attiva e della sua connessione di scopo politica e dall’altro del godimento tranquillo. Infatti la tensione della volontà che si muove nella salda determinazione degli scopi, nel legame della volontà e nello sforzo che da essa procedono, ha il suo necessario completamento nel godimento, nella molle quiete del lusso. Ciò si sviluppa con il procedere della civiltà presso gli Spartani e i Romani, e si fa valere nella vita piena di pericolo dei soldati ecc. Ne derivano quindi, presso i Romani, la poesia della coltivazione dei campi, l’idillio, il simbolo di una beatitudine pastorale, la vita delle villae e il suo lusso, l’estrema raffinatezza di un’esistenza piacevole ricca di godimento. I rapporti di volontà nella lingua latina. Platone e Cicerone; l’assenza di intuitività: l’intuizione richiede il coordinamento57. Consideriamo ora questi due aspetti. La rappresentazione epica e drammatica della storia del tempo nelle imprese belliche e nella vita politica. Per mezzo della saga di Enea Virgilio innalza artificiosamente l’idea romana di potenza mondiale a una connessione di scopo divina. Il ritratto romano è espressione di potenza, quale si presenta nella raffigurazione dell’imperatore. La sua trattazione naturalistica è il mezzo per esprimere una realtà che non si può subordinare e costringere in alcun modo mediante l’intuizione estetica e il pensiero, ma che c’è senza che ci si possa far nulla. Essa resiste anche, come qualcosa di assolutamente duro e possente, all’aspirazione a subordinarla esteticamente a un tipo. Ogni innalzamento in una sfera ideale spinge lontano e al tempo stesso sublima, quasi rarefà. Queste realtà autonome oppongono una resistenza, e la loro volontà preme su ogni esistenza circostante, anche sullo spettatore. Da questa loro vivacità deriva una pressione. Il rinnovamento greco-romano della speculazione orientale e l’arte.

In Oriente la religiosità, in quanto connessione dell’animo, trasferisce — nella speculazione da essa condizionata — il proprio carattere sentimentale alla divinità, e quindi la coscienza della sua pienezza infinita, il rapporto di emanazione58. A ciò si contrappone l’intellettualismo greco e l’essere sostanziale della divinità, che corrisponde ad esso. Il superamento di questa opposizione si compie nel neoplatonismo. La salda forma della realtà si risolve in una semplice fenomenicità; e in questa rientra, in antitesi alla rigida quiete dell’essere divino, l’intera successione delle sue manifestazioni. In particolare il logos e il pneuma sono essenzialmente irradiazioni dell’essere nella sua quiete, e ogni corporeità del logos nel suo manifestarsi può essere soltanto fenomeno (Platone, Aristotele, la gnosi, il neoplatonismo). Il logos si abbassa da questo mondo nel regno della fenomenicità, nel dominio delle ombre, e da qui muove la via della salvezza che deve condurre dall’assenza di quiete, dalla sofferenza del fenomeno, fino al silenzio. 3. La più antica arte cristiana L’ambito figurativo religioso della più antica arte cristiana ha il suo centro nel Cristo sofferente; a lui si collegano i martiri, i santi e Maria. Ognuna di queste figure è inserita, come immagine di culto, nell’architettonica delle chiese. Questa costituisce l’espressione del legame tra il mondo trascendente, che si manifesta nella sacralità propria della chiesa, e lo spazio per i credenti che vogliono avvicinarsi ad esso. L’immagine del culto è quindi l’espressione di questo elemento sovraterreno, quale si presenta quotidianamente nel sacrificio della messa. Il Cristo che si sacrifica e che soffre è quindi il principale oggetto originario del culto, che domina e trionfa nella chiesa. Ciò richiede che tutti i tratti della sofferenza, l’annullamento dell’elemento sensibile nel corpo crocifisso, il sangue delle sue ferite trovino espressione senza alcun riguardo per il gusto artistico. L’energia etica che si fa valere in san Bernardo e in san Francesco come trascendenza della volontà, e cioè come la sua assoluta capacità di negazione degli stimoli e delle forze del mondo, costituisce il risultato della vita monastica. Perciò sia nell’Impero bizantino sia in Occidente lo sviluppo dei vari tipi di arte cristiana, che si elevano al di sopra dell’immagine di culto, è legato alle influenze del monachesimo. Nello sviluppo dell’arte religiosa l’immagine di culto, il bassorilievo che offre una narrazione epica e il monumento funebre sono punti di partenza autonomi del tutto diversi. L’immagine di culto è in tutta la tradizione, a partire dai popoli orientali,

una figura concentrata in se stessa. Nell’arte bizantina questa figura si collega ai tipi precedenti di divinità, in conformità al dogma del carattere apparente della corporeità di Cristo; dal manifestarsi della divinità nella forma del Cristo deriva che l’ideale arti stico supremo è qui Cristo come dominatore del mondo. In maniera del tutto opposta lo sviluppo cattolico-romano muove dal sacrificio della messa, che costituisce il centro dell’intero culto in quanto atto trascendente della discesa miracolosa della divinità. Qui l’ideale supremo del culto è il Cristo che si sacrifica, e quindi il Cristo crocifisso. Esso esprime prevalentemente, all’inizio, la sofferenza fisica. In seguito, nel grande sviluppo artistico dei secoli XII e XIII, collegato con la mistica, in luogo della sofferenza fisica subentra ovunque l’espressione di un dolore spirituale congiunto con la sublimità sovrasensibile di questo dolore. Soltanto qui si è riusciti a creare, attraverso la costruzione ideale del volto, indipendentemente dal movimento momentaneo, ma soprattutto mediante il contrasto interno di una tranquillità e di un silenzio nella profondità dell’anima che vanno al di là del dolore, un tipo del Cristo. così nei bassorilievi della passione di Cristo all’esterno del duomo di santo Stefano59 il volto di Cristo presenta un’ossatura fortemente modellata — quella di un uomo ben capace, nonostante tutte le resistenze, di realizzare ciò che deve fare. L’altra immagine di culto è quella di Maria. Anch’essa procede anzitutto dalla raffigurazione della sofferenza; mentre gli idoli greci se ne stanno da sé, in questa immagine di culto è racchiuso un legame, un rapporto di vita, quello con il bambino Gesù. Essa presenta, fin dagli inizi, una profondità che scaturisce dalla natura stessa del Cristianesimo, nel quale le persone principali sono tra loro congiunte da un intimo legame vitale. Maria sta in un rapporto del genere con Cristo e Cristo con Dio; e la più elevata prestazione della vitalità umana, la dedizione, collega tra di loro le persone religiose. Sorge così quel legame che è pervenuto a espressione artistica soprattutto nelle immagini di Maria. Questa Maria divinizzata esprime nel legame con il bambino Gesù, nel bel mezzo della felicità materna, una coscienza sovrasensibile di tutta la sofferenza futura, poiché per lei, in quanto persona divina sovrasensibile, il tempo non esiste. Nello stesso periodo si è però sviluppata, nel bassorilievo e nei dipinti, l’arte narrativa dello scultore e del pittore, soprattutto in corrispondenza alle rappresentazioni delle stazioni del calvario, come quelle collocate ai lati esterni delle chiese che contengono l’epopea dei Vangeli, articolate nelle sue scene principali. Questa materia presenta due pregi artisticamente importanti.

Se prescindiamo dalle scene di addio raffigurate sui bassorilievi funebri, l’intera arte greca non conteneva una tale profondità vitale, cioè legami in grado di commuovere e di influenzare come quelli di Cristo, Maria e Giovanni. Questi legami trovano un’espressione suprema, in rapporto alla drammaticità del momento, nella crocifissione e nella deposizione. Tutta l’arte dal secolo XIII al secolo XVI si è impegnata nel porre in luce la tenerezza della relazione di Giovanni con la madre di Dio. Ma questi legami vengono espressi in maniera ancor più raffinata nel tema del distacco di Cristo da Maria, dove la sofferenza sorge di nuovo dalla coscienza atemporale di tutto un futuro di sacrifici: qui la disposizione fondamentale dell’animo è data non dal dolore fisico, ma dalla prospettiva trascendente del sacrificio e della separazione. Questo tema è trattato due volte nel bassorilievo della chiesa di santo Stefano. Il volto di Maria non è deformato da un dolore quasi fisico, ma riceve per così dire la sua forma dallo sguardo senza tempo verso il sacrificio imminente. Cristo è raffigurato nobilmente, e i suoi tratti sono incisi profondamente, elevandosi al di sopra della comune umanità; in questo modo acquistano una salda struttura interna. Egli si asciuga una lacrima dagli occhi. In tutte queste rappresentazioni il suo viso è maschio, fiducioso e di grande forza. Il secondo grande motivo che agisce in questa epopea è il contrasto della rozzezza umana, dell’astuzia volgare, rispetto alle persone sacre. Quest’antitesi rende possibile la trattazione drammatica della scena: essa è già realizzata nei bassorilievi della chiesa di santo Stefano, dove possenti cavalli e cavalieri muniti di corazza le conferiscono la massima espressività. I dipinti funebri acquistano per lo più la loro efficacia dal contrasto del sarcofago con la potenza di vita della persona che vi è scolpita: questo è il motivo fondamentale. Le opere del Medioevo possono essere comprese correttamente soltanto se le cogliamo nel loro legame con l’opera d’arte complessiva costituita dal duomo gotico. La chiesa di santo Stefano ne costituisce un esempio ammirevole, dato che ancor oggi essa è il centro del culto di una grande città cattolica. Vista dall’esterno, questa enorme massa di pietra appare come risolta in una spiritualità che tende verso il cielo: in essa tutto si solleva verso l’alto, come se non vi fosse nessuna resistenza della materia. Lo spiritualismo trascendente ha trovato qui un simbolo del tutto rispondente. E se questa impressione è ancora rafforzata, già all’esterno, da bassorilievi, statue e figure animali, l’immagine interna è completamente diversa. I possenti fasci di colonne sono animati ovunque dalla statue che vi sono inserite, al di sotto e al

di sopra delle quali l’architettura gotica si è sviluppata sorreggendole e ricoprendole. E anche i muri sono animati da dipinti, da statue e dalla decorazione architettonica. Il pulpito sta in una relazione architettonica con il fascio delle colonne su cui s’innalza, e da esso le figure di tre grandi predicatori si stagliano in una trattazione naturalistica quasi terrificante. IV. I popoli dell’Europa moderna e il loro nesso con l’Occidente 1. Il Medioevo La posizione dominante della Chiesa romana. 1) Il nucleo, che è indipendente dal Cattolicesimo60. 2) Paolo: il sacrificio che realizza la conciliazione con l’aspro e giusto dio degli Ebrei, davanti al quale nessuno è mai un giusto. Errore, Paolo non avrebbe mai prodotto questo, in Ritschl ecc.! L’idea di sacrificio diventa di nuovo, per opera sua, il centro anche della religiosità cristiana. Ma questa idea subisce al tempo stesso una generalizzazione in senso mistico. La rinuncia, la sofferenza sopportata con una sublimità trascendente del volere, garantiscono la trascendenza della persona che crede nei confronti del mondo sensibile in putrefazione. I simboli, le catacombe; la croce come simbolo. I martiri come garanzia permanente di questa esperienza. Sua espressione poetica è la letteratura delle leggende; espressione in forma di saga è la povertà dei primi Cristiani; espressione nella vita sono gli eremiti e il monachesimo. In tutto questo sta l’ampio sfondo storicamente leggendario e la base del Cattolicesimo romano. 3) La potenza del Cattolicesimo sugli animi viene cercata di regola, fino a oggi, in un elemento o in un paio di elementi: noi richiediamo appunto sempre motivi particolari. In realtà, essa poggia sul fatto che nell’Impero romano si sono raccolte tutte le forze attive della religiosità prodotte dal mondo antico. E proprio questa ricchezza, che abbraccia tutti gli aspetti della natura umana, agisce fin nella più piccola chiesa di villaggio. Poiché non è una corda singola che potrebbe spezzarsi; è un intreccio di corde più spesse e più sottili che non si può rompere. C’è in primo luogo la permanenza del magismo proprio della religiosità primitiva. Esso mantiene la sua forza fin quando la conoscenza delle leggi naturali e la critica storica non sono diventate predominanti nella massa, e fin quando non si sono sviluppati un più rigoroso sentimento morale e la sua applicazione alla connessione delle cose in Dio. Il primo processo si sta

gradualmente sviluppando nelle città e presso i lavoratori, mentre il secondo può già anche ora diminuire la potenza del magismo nella popolazione contadina. Il culto costituisce il centro di questo magismo inerente ai processi sacramentali. Il magismo della religiosità, che si manifesta nel servizio divino in quanto culto magico, deve sempre separare, nella struttura della casa di Dio, il luogo della trascendenza, l’altare e così via, dal luogo occupato dalla comunità. Esso deve quindi configurare questo luogo, con i mezzi del colore, dello splendore, dell’oro ecc. presenti nel mondo sensibile, come un simbolo della trascendenza, e parimenti configurare il culto ecc. Il mondo trascendente si abbassa, per mezzo delle azioni magiche del culto, fino all’altare, e da questo fino ai fedeli. In tal modo la trascendenza è maggiormente capace di risolvere in sé i sentimenti sensibili. Così nella Chiesa cattolica l’arte diventa l’organo della religiosità magica. Il correlato costante della religiosità magica è un ceto sacerdotale che ha la forza di produrre effetti magici. Da questo magismo sono però sorrette anche le più profonde esigenze del Cristianesimo, le quali sono fondate sulla coscienza della trascendenza e alla cui osservanza rimangono legati anche i soccorsi prestati dalla magia. Dal ceto sacerdotale nascono la vita da eremita e gli ordini monastici, che realizzano l’atteggiamento di abnegazione fondato sulla coscienza della trascendenza della volontà religiosa. Essi si formano in Oriente come in Occidente. A questo rapporto della volontà si unisce la via verso la visione di Dio formulata dai neoplatonici. L’esperienza — conseguita in connessione con il magismo — della beatitudine e della pace profonda, che deriva dalla separazione dal mondo, possiede una sua validità del tutto indipendentemente dal magismo legato ai sensi. Essa viene separata dalla sua origine. Ciò consente di raggiungere in san Bernardo e in san Francesco un superiore stadio eticoreligioso del Cristianesimo, in cui la pace con Dio si presenta come il fine ultimo della separazione dal mondo. Qui sta l’elemento che nel Medioevo ha prodotto gli effetti più alti, e da cui sono condizionati Dante, Giotto, i mistici, Wolfram61, Petrarca ecc. Una tale influenza è sorretta dai simboli artistici creati da questo superiore stadio di religiosità. La pace che dà la separazione dal mondo si esprime nel chiostro e nel giardino del monastero in un simbolo così possente, che forse agisce ancor oggi in maniera più penetrante della dura forza minacciosa che si trova negli antichi palazzi a forma di castello, come il

palazzo Strozzi e altri. Formazione della saga del Graal ecc. In ciò consiste il maggior potere che il Cattolicesimo esercita sugli animi profondi. 2. Il limite della concezione del mondo del Cattolicesimo e del Rinascimento Si è affermato spesso, e giustamente, che la prima lingua in cui il nuovo spirito parla in Italia, dove ogni cosa si esprime in gesti, è stata la pittura. Nasce ora la questione se Leonardo, Raffaello e Michelangelo siano e rimangano però le manifestazioni più alte di quest’arte italiana, e ciò per l’appunto nei loro quadri religiosi, nei quali starebbe l’elemento di novità a cui questi pittori hanno dato espressione. Gli antichi si muovono entro un ciclo di tipi di vita ben definiti. E da ciò dipendeva il fatto che questi tipi potevano innalzarsi, in un continuo sviluppo, verso una formazione sempre più matura. Nella pittura religiosa cristiana la bellezza costituisce il mezzo di rappresentazione di una costituzione trascendente dell’anima — con la quale intendo la separazione della volontà dai suoi moventi sensibili. Essa sta in un’opposizione interna con il mezzo espressivo della bellezza. Così anche le immagini di culto esprimono anzitutto proprio questo punto centrale del Cristianesimo, cioè la volontà di soffrire e di sacrificarsi, in forma di rappresentazioni crude prive di bellezza; e immagini del genere sono sempre le più vicine alla devozione cattolica. Dal momento che i grandi pittori che abbiamo menzionato godono pienamente della magnificenza della vita, sostenuti come sono dalla società del Rinascimento e dai modelli antichi, essi si volgono già nella scelta dei motivi verso argomenti che offrono per così dire punti di contatto tra queste due forme di atteggiamento così opposte. Ma ancor più importante è il modo in cui essi procedono, nel collegarle l’una con l’altra, al di là dei tipi di vita ben definiti degli antichi verso qualcosa di misto, verso una profondità impenetrabile. E proprio in questo apparire della costituzione trascendente dell’anima nel mezzo della bellezza sensibile risiede l’insondabilità che ci colpisce guardando questi quadri. In tal modo sono sorti due tipi supremi. L’oggetto prediletto dei pittori di quest’epoca è Maria. Ma in lei essi esprimono la misteriosa opposizione tra la madre e la vergine trascendente. Qui stava un compito che non poteva mai essere risolto del tutto, uno stimolo costante a tentativi senza limite. Si comprende come gli artisti di questo periodo non fossero mai stanchi di esprimere l’ineffabile in sempre nuove rappresentazioni. L’altro ideale è Cristo. Il Cristo sofferente, la vera e propria immagine di culto, retrocede rispetto alle immagini dei suoi vari stati o del suo trionfo

quale giudice del mondo. Questa profondità nasce dall’opposizione della trascendenza con la bellezza. La trascendenza è qui appunto la profondità della volontà che ha sacrificato tutto ciò che è sensibile e che va incontro al sacrificio della vita, o che l’ha dietro di sé; perciò lo circonda un alone di lontananza dal mondo e di estraneità al mondo: la superiorità rispetto a tutto ciò che è temporale e a ciò che lo muove. Ne è espressione la tranquillità del volto e dei movimenti, un colore pallido del viso, liberato per così dire dalle pulsazioni del sangue, il dominio degli occhi in cui l’interiorità vien fuori all’esterno, una bocca eloquente, ben delineata, che è però raccolta oppure tremante come espressione di una sofferenza passata e ormai vinta. Questi mezzi di rappresentazione sono vecchi; ma qui diventano strumenti espressivi in un mezzo di bellezza assoluta. In un tale collegamento, che in virtù dell’opposizione ad esso inerente perviene a qualcosa di misterioso, di impenetrabile, c’è di nuovo un compito infinito che spinge a cercarne la soluzione per le vie più diverse. Una via va da Leonardo alla sublimità che in Tiziano si presenta in forma di carattere aristocratico (le mani ecc.), come suprema aristocrazia dello spirito, ma con il misterioso intreccio di estraneità al mondo, di insensibilità negli occhi, di colore pallido, di quiete e via dicendo; e il giudice universale di Michelangelo, che possiede la trascendenza della volontà nella superiorità morale della legge etica divina che si è incarnata. Michelangelo risolve il problema supremo, quello di trovare un’espressione per la divinità. L’ideale di Zeus era per così dire quello di una suprema potenza fisica presentata come volontà indirizzata a uno scopo: egli domina e lotta, lotta e domina. L’idea della creazione costituisce appunto il superamento della connessione causale fisica nell’interiorità, che guarda e vuole senza incontrare resistenza: le immagini che le aleggiano intorno con schietta bontà ecc.62. Non un uomo al massimo della forza, bensì l’oggettualizzazione della saggezza e la mitezza che si abbassa graziosamente verso l’uomo in forma di un vecchio sublime, la cui bellezza personale reca in sé per così dire l’idea di tutta la bellezza del mondo. Cerca la connessione con il pensiero di Michelangelo su altri temi. E Leonardo? Il Michelangelo di Vasari63 a Graz non è l’espressione di un uomo sovrano nello sguardo artistico, come Raffaello rappresenta se stesso con gli occhi che guardano idealmente sull’estensione dei fenomeni: è la volontà sempre in lotta che ha dietro di sé il lavoro illimitato e la sofferenza dell’anima, che nelle profonde, grosse rughe del volto esprime la melanconia, la sofferenza e il lavoro passato, e nel fuoco anche degli anni tardi, che sembra consumarlo,

esprime una creazione incoercibile e una volontà di raffigurazione. La sovranità di quest’uomo consiste nel fatto che egli non intende riconoscere alcun confine alla propria ardente potenza creativa. Questo fuoco è espresso anche dai grandi occhi splendenti che si affissano in un’immagine ideale che si presenta davanti a loro, come se in essa vi fosse un grosso lavoro da padroneggiare. Una possente bruttezza. Tra i concetti quello di infinità s’innalza come il concetto di ciò che è perfetto; e questo è stato espresso dai maggiori pittori in una inesauribile profondità interiore64. Un altro progresso rispetto all’antichità consiste nel riferimento drammatico dei movimenti alla connessione di un’azione. I gesti espressivi degli antichi, nei quali c’era più che nel volto, tutto questo ripreso in ogni arte. La drammaticità di Leonardo. 3. Il limite della concezione del mondo del Cattolicesimo e la Riforma Il Cattolicesimo riconosce il processo religioso soltanto nella subordinazione al proprio organismo di potere, chiuso in linea di principio. L’approfondimento di questo processo nella vita monastica è quindi anch’esso vincolato alla subordinazione al potere papale: ne è espressione il voto dell’obbedienza. Perciò la sua concezione della vita rappresenta un’arbitraria limitazione della vitalità della nostra natura. Infatti il processo religioso può sacrificare l’intero mondo sensibile alla concezione trascendente della vita; ma la potenza autonoma della persona, il suo comportamento libero, creativo, nei confronti del mondo non appartiene a questo mondo sensibile. Proprio dal ceto dei monaci e dei sacerdoti è quindi sorta l’opposizione protestante. Essa voleva far valere ciò che il secolo XV aveva realizzato in tutti i campi. Questo grande secolo, che ha prodotto nelle città una nuova società borghese, voleva creare qualcosa di nuovo nel seno di questa società: un ordine intellettuale o artistico, religioso o sociale. Così la Freiheit eines Christenmenschen di Lutero65 è rivolta a produrre, sulla base della soggettività cristiana, un ordine ad essa appropriato, e quindi un regno di Dio inteso come regno della libertà. La contraddizione interna tra l’ordinamento ecclesiastico esistente e il rapporto di ogni fede con la vitalità interna che lo sorregge — una contraddizione che rimane insolubile nella religiosità cattolica — induce i Riformatori a procedere innanzi da una conseguenza all’altra, fino al superamento della religiosità cattolica. Soltanto nel corso di questo sviluppo Lutero trasse la conseguenza inevitabile, preparata nella concezione della vita del secolo XV, che

l’interiorità religiosa è in grado di produrre un nuovo ordine cristiano soltanto manifestandosi nella vita professionale. Lutero viene del tutto frainteso quando Ritschl fa di questa opposizione all’abnegazione in quanto principio del monachesimo, dell’idea cella santificazione religiosa del lavoro professionale, il suo principio fondamentale. Si doveva invece decidere se questo movimento doveva sgombrare realmente la strada dal significato magico del culto. Qui sta il motivo per il quale la disputa sull’eucarestia doveva assumere un’importanza decisiva. Lutero separò il processo magico dell’eucarestia dal sacerdote, ma non volle abbandonarlo. L’arte protestante è l’espressione di questa mutata posizione della coscienza: un’espressione molto più raffinata e eloquente di qualsiasi dogmatica. L’arte deve sottrarsi al rapporto interno con il culto. L’arte costituisce, in quanto è ancora arte religiosa, un’interpretazione della Bibbia, e questa interpretazione, rivolta alla fattualità dei processi più profondi, non sensibili e non traducibili in immagini, deve rinunciare all’estesa narrazione epica della leggenda religiosa, all’efficacia cultuale dell’immagine: un’interpretazione della Bibbia che abbia qualcosa di nuovo da dire può risiedere soltanto nella profondità non rappresentabile dei caratteri religiosi. Questa nuova arte protestante dovrà emergere piuttosto dalla contrapposizione, fondata sul culto, di un ideale mondo religioso nei confronti della realtà mondana. Essa si propone di cogliere ciò che è accaduto nella sua profondità psicologica, ponendolo in luce come qualcosa di reale in mezzo a tutte le altre realtà. così è nata l’arte religiosa protestante di Dürer e dei pittori olandesi. 4. Il limite della concezione della vita e del mondo della Cattolicità e l’età moderna nella letteratura ecc. La filosofia del Rinascimento. Si è sovente contestata la sua dipendenza dall’antichità, che io ho indagato in riferimento allo Stoicismo ecc. Suoi tratti comuni sono il pampsichismo, che permane anche dove viene meno la dottrina delle idee. I suoi concetti dominanti consistono nel tutto e nelle parti in esso contenute, riferite ad esso in virtù di una teleologia immanente, in luogo della subordinazione del particolare al generale. Questa è la nuova caratteristica che si presenta a partire da Cusano, nel quale è implicito il concetto panteistico dell’universo. La novità del Rinascimento vero e proprio è che il soggetto può esprimere indipendentemente la costituzione dell’anima in una visione della vita e del mondo che lo circonda come se fosse un’atmosfera. Ciò costituisce la

conseguenza del lavoro negativo che ha rovesciato la Scolastica e l’autorità, e della potenza autonoma positiva della persona. È una possibilità illimitata quella per cui la potenza autonoma del soggetto si manifesta in una visione indipendente della vita e del mondo. Il soggetto tende a esprimersi in essa nella pienezza della propria personalità. Per quanto riguarda la forma letteraria, il lavoro concettuale della Scolastica viene disprezzato, e questa semplice, quasi vuota possibilità ed energia si richiama ai diversi sistemi dell’antichità, in cui le diverse visioni della vita e del mondo ecc.66. Questa pienezza della persona contiene però tutta l’interiorità del Medioevo, e va in cerca di un nuovo ordinamento indipendente, in grado di avere un futuro, in mezzo a una società borghese in ascesa, nuova sotto il profilo economicosociale e rigogliosa di germogli — di un ordinamento economico-sociale o artistico o religioso o economico. Ciò che si aggiunge nel Rinascimento è in primo luogo questa aspettativa di un futuro del tutto nuovo, che corrisponda alle forze liberate della volontà: i preliminari sono contenuti negli antichi. Ma non ci si sente vincolati ad essi: Raffaello vuole trasformare Roma; Michelangelo reca in sé un mondo artistico del tutto nuovo; La città del sole di Campanella e i nuovi ideali politico-sociali e via dicendo. 5. La Controriforma Era stato il destino avverso del Papato il fatto che l’Italia, circondata dagli stati nazionali in via di formazione, si trovasse di fronte al compito di dar vita alla sua autonomia e unità nazionale: questo compito mondano doveva investire i papi, implicati in queste lotte dai loro possedimenti mondani. Per un momento essi pensarono di porsi alla testa degli stati italiani, ma in seguito lo stato della Chiesa fu messo in disparte dalle stesse grandi potenze cattoliche. Nel medesimo tempo le idee dei secoli XV e XVI hanno progressivamente indebolito l’energia religiosa degli ordini monastici che avevano mantenuto, in tutto il mondo cattolico, un’unità interna. Il processo di esteriorizzazione del Cattolicesimo in un’alleanza di sovrani fu quindi provocata dalla situazione storica prima che sorgesse la Riforma, ed è storicamente del tutto infondato attribuire a questa la svolta che si compì nel Cattolicesimo. Essa è stata però straordinariamente rafforzata dalla Riforma. Anche qui è molto istruttivo uno sguardo all’arte religiosa. Strappata dal legame con il nuovo movimento spirituale, questa cercò di conseguire i suoi effetti da una parte mediante l’accrescimento estremo degli effetti drammatici fino alla teatralità, dall’altra mediante un sentimentalismo eccessivo. Il

contrasto fra trascendenza e mondanità si espresse nella maniera più caratteristica in Spagna, nell’antitesi tra una rappresentazione naturalistica della realtà mondana e la rappresentazione oltremodo passionale, in forma crudele, del sacrificio della persona nelle immagini della croce, dei tormenti dei martiri, dei monaci in estasi. L’equilibrio di una costituzione interna dell’anima andò così perduto.

5. SOLUZIONE DEL CONFLITTO TRA OGNI FORMA DI VISIONE DELLA VITA E DEL MONDO E LA COSCIENZA STORICA Antinomie. 1) Ogni filosofia sorge nel confronto con questi due complessi di sapere umano. In quanto essa va in cerca di una conoscenza oggettiva della connessione del mondo, separandola dalla vitalità in cui questa è data, la chiamo metafisica. Come metafisica, essa deve trasferire nella connessione spazio-temporale del mondo oggettivo gli esseri viventi e la connessione che essi costituiscono, cercando i concetti dai quali sono condizionate le loro relazioni. 2) Tra questi due aspetti nascono, non appena vengono assunti come oggettivi e conoscibili, delle antinomie; e queste aumentano quando devono essere pensate congiuntamente. Ne deriva l’impossibilità di pensare insieme i fenomeni della vita e le uniformità della natura esterna. a) Unitas compositionis e connessione del tutto; b) Necessità e libertà. 3) Le insufficienze del procedimento di derivazione che, se vien tenuto fermo il postulato della derivazione, sfociano anch’esse in antinomie. Completare Du Bois-Reymond67: non costanza di fatti secondo la legge dello sviluppo. Dalla connessione meccanica non si può derivare la struttura della vitalità, dall’inconscio non si può derivare ciò che è cosciente, dalla necessità non si può derivare la coscienza della libertà, dalla connessione legale presente nelle uniformità non si può derivare alcun valore. Da queste insufficienze nascono i paralogismi. Con ciò non si devono intendere dei paralogismi accidentali, bensì dei paralogismi che sorgono necessariamente dall’esigenza dell’unità degli Erlebnisse e che sono quindi sempre ricorrenti. 4) Ulteriori antinomie che nascono dal collegamento tra le tre visioni del mondo. Antinomie metafisiche. Già nel concetto dell’unità assoluta c’è un’antinomia insolubile: essa viene sviluppata, in assonanza con il Parmenide di Platone, nel Bruno di Schelling68, e viene risolta soltanto in apparenza. L’antitesi dev’essere contenuta nell’unità: se io pongo un’unità che connette l’unità e l’antitesi, questo

processo va all’infinito. La vita è pluralità di aspetti, passaggio ad antitesi reali, conflitto di forze. Questa realtà, già espressa nel mito, è travisata e ridicolizzata nel principio della legittimità logica della contraddizione. Alla vita è intrinseco il processo di auto-divisione, di differenziazione: noi lo riconduciamo alla fine al soggetto e all’oggetto, ma anche questo è travisato intellettualisticamente. Ma per quanto la vita sia tutto questo, in essa è insieme presente la connessione: non già una connessione che nasce dalla tesi e dall’antitesi, dalla loro sintesi, ma una connessione originaria. Antitesi, contraddizione, anfibolia, tesi antitesi e sintesi sono concepite in base a punti di vista diversi, che si riferiscono tutti ai medesimi rapporti nel reale e nel pensiero concettuale. Il metodo di Hegel presuppone in fondo l’inaccessibilità della vita da parte del concetto. Anche il concetto di sviluppo contiene antinomie del genere. La parvenza di fare con questo concetto cose diverse, anzi di poterle risolvere formalmente, scaturisce soltanto dal fatto che in virtù del tempo diviene qualcosa che non c’è, che in esso risiedono tutte le possibilità. Noi possiamo descrivere i processi di evoluzione, ma non sappiamo come avvenga che dallo sforzo sorga qualcosa di superiore. La pluralità di aspetti di ogni realtà vivente in base ai diversi mezzi di apprenderlo. 1. Noi abbiamo esperienza vissuta e comprendiamo il vivente che è fuori di noi e in noi, oppure lo analizziamo con l’intelletto, o infine ci troviamo in rapporti di volontà con esso, in quanto è al fuori di noi. Soltanto in quest’ultimo caso si presentano unità in contrasto tra di loro, ognuna delle quali è separata dall’altra. Nel primo caso sono dati il significato e l’essenza. L’analisi condotta dall’intelletto trova però soltanto connessione, separazione e relazione tra gli elementi. Ma come tutto questo esista sempre per noi, non è mai dato in un’ unica forma di apprendimento: nessuna di esse è esaustiva. Noi possiamo sempre applicarne intenzionalmente alla conoscenza una sola, con la nostra volontà. Perciò il tutto, in quanto esiste fuori di noi, è impenetrabile, e in quanto è vissuto immediatamente dentro di noi, rimane incomprensibile. Noi sappiamo com’esso è e che cosa è; ma l’intelletto non lo coglie mai. Esso è insieme libero e necessario. Le unità della vita sono conformi allo scopo, e tuttavia devono essere suddivise in parti dall’intelletto,

ed essere ricomposte in base a queste parti. 2. Questa pluralità di aspetti ha come conseguenza che la sua interpretazione nella scienza si capovolge sempre; lascia sempre insoddisfatto uno di questi modi di apprendimento e si rigetta nell’altro. In tale maniera c’è di fatto, nel pensiero filosofico, una dialettica storica. In questa concezione da parte di Hegel è corretto dire che i concetti derivati dalle diverse forme di considerazione, assunti in senso logico, si escludono l’un l’altro. Ma è sbagliato ritenere che essi siano stati prodotti mediante atti logici; piuttosto, essi sono contenuti nella vitalità. La pluralità di aspetti degli ideali individuali e sociali. La medesima pluralità di aspetti emerge anche quando dai rapporti vitali si devono derivare dei fini. Infatti in questi rapporti vi sono sempre aspetti diversi, ognuno dei quali include la possibilità di progressi. Appare utile incrementare l’attività autonoma degli individui nella società: le riforme attuate in Prussia all’inizio del nostro secolo69 hanno consapevolmente perseguito una tale intenzione, e ottenuto molto. Ma può sembrare altrettanto utile diminuire le frizioni della vita personale e dell’attività autonoma rafforzando la connessione razionale presente nella società considerata come un tutto: la politica sociale di Federico il Grande e del socialismo del nostro secolo si è proposta questo fine. I signori feudali fantasticavano di un’articolazione originaria del corpo sociale, basata sui rapporti di potenza. Ogni ideale di tal genere contiene la possibilità di uno sviluppo unilaterale di forze. Si è così prodotta anche qui una specie di dialettica storica. I princìpi vanno in rovina, vengono quindi accolti princìpi opposti, e anche questi si rivelano fecondi soltanto per un certo tempo. Il fondamento del tragico. Il pensiero comporta un rapporto tra elementi, e ciò in antitesi al concetto della totalità della vita. Ma il tragico è che noi possiamo avere il concetto di vita soltanto in questa forma. Il pensiero come … essenza70; reciprocità di causa ed effetto. Qui sta pure la libertà. Anche nel tempo, infatti, c’è simultaneità nell’identità, e quindi il problema è lo stesso. — Anche qui la metafisica è soltanto interpretazione intellettuale71. 1. Ippia di Elide, sofista vissuto tra la seconda metà del secolo V e la prima del secolo IV a. C., si occupò di problemi matematici e astronomici, nonché di grammatica, di retorica e di dialettica. Dilthey

si riferisce qui alla distinzione tra le “leggi scritte”, proprie delle singole città, e le “leggi non scritte”, comuni a tutti gli uomini e aventi il loro fondamento nella natura. 2. Dilthey riprende qui, in forma riassuntiva, i risultati a cui era pervenuto nei saggi degli anni Novanta dedicati allo sviluppo della visione del mondo a partire dal Rinascimento e dalla Riforma, che sono stati raccolti nel secondo volume delle Gesammelte Schriften (1914), e in particolare nel saggio Das natürliche System der Geisteswissenschaften im 17.Jahrhundert, apparso originariamente nell’«Archiv für Geschichte der Philosophic», V, 1892, pp. 480-502, e VI, 1893, pp. 60-127,225-56, 347-79, 509-45, e quindi raccolto in Gesammelte Schriften, vol. II, pp. 902-45, trad. it. di G. Sanna in L’analisi dell’uomo e l’intuizione della natura dal Rinascimento al secolo XVIII, Venezia, La nuova Italia, 1927, vol. I, pp. 117311. 3. Dilthey si riferisce soprattutto al saggio The Natural History of Religion, apparso nel 1757. 4. Georges-Louis Leclerc de Buffon (1707-1788), naturalista francese, studiò diritto a Digione e matematica, medicina e botanica ad Angers; dopo viaggi in vari paesi europei, che lo misero in contatto con i maggiori circoli scientifici, si stabilì a Parigi dove nel ’39 assunse la carica di intendente del Giardino del re. A Parigi concepì e realizzò in gran parte il progetto di una “storia della natura”, che si proponeva di offrire una descrizione completa delle varie forme inorganiche e organiche, soprattutto di quelle animali, e dei loro rapporti. Di questa impresa, concepita in quarantaquattro volumi, egli pubblicò le prime quattro serie: la Histoire naturelle générale et particulière, in quindici volumi (1749-67); la Histoire naturelle des oiseaux, in nove volumi (1770-83); il Supplément à l’Histoire naturelle, in sette volumi (1774-89); la Histoire naturelle des minéraux (et traité de l’aimant), in cinque volumi (1783-88). Le serie successive — sugli ovipari e sui serpenti, sui pesci, sui cetacei — apparvero dopo la sua morte, a cura di B.-G.-É. De la Ville, conte di Lacépède. 5. Jean-Baptiste-Pierre-Antoine Monet de Lamarck (1744-1829), botanico e zoologo, francese, dopo aver lavorato all’Académie des Sciences e al Jardin du roi divenne, nel periodo rivoluzionario, professore al Museo di storia naturale di Parigi. Egli ha dato un contributo importante alla teoria dell’evoluzione, sostenendo la capacità di trasformazione delle specie biologiche in conseguenza del rapporto con l’ambiente, nonché la trasmissibilità dei caratteri acquisiti nel corso della trasformazione. Le sue opere principali sono il Système des animaux sans vertèbres (1801), le Recherches sur l’organisation des corps vivants (1802), la Philosophic zoologique (1809), l’Histoire naturelle des animaux sans vertèhres (1815-22) e il Système analytique des connaissances positives de l’homme (1820). 6. La frase è incompleta. 7. Pierre Bayle (1647-1706), educato dal padre alla religione calvinista si convertì al Cattolicesimo da cui ben presto abiurò; fu a lungo precettore privato a Ginevra, Rouen e Parigi; nel 1675 divenne professore di filosofia nell’Accademia protestante di Sedan, dove ebbe come collega il teologo Pierre Jurieu, per poi insegnare dall’81 nella “Scuola illustre” di Rotterdam. Nel 1682 pubblicò le Pensées diverses sur la comète (1682), e nel 1684 fondò le «Nouvelles de la Republique des lettres», un periodico letterario che ebbe larga diffusione. Dopo la revoca dell’editto di Nantes da parte di Luigi XIV si impegnò nella difesa della tolleranza, scrivendo il Commentaire philosophique sur ces paroles de Jesus Christ: “Contrains-les-d’entrer”, la cui pubblicazione segnò l’inizio di una lunga, aspra polemica con Jurieu. Destituito dall’insegnamento, si dedicò soprattutto alla stesura della sua opera maggiore, il celebre Dictionnaire hi-storique et critique (1695-97,2a ed. 1702), che fu una delle grandi fonti di ispirazione della cultura illuministica francese. 8. Ludwig Timotheus von Spitder (1752-1810), storico tedesco, insegnò a Tübingen dal 1779 al ’97, e dal 1806 fu ministro dell’Istruzione del principato del Württenberg: scrisse una storia del Württenberg (1783) e un’altra del principato di Hannover (1786), a cui fecero seguito il Grundriss der Geschichte der christlichen Kirch e (1782) e l’Entwurf der Geschichte der europäischen Staaten (1793). 9. Christoph Meiners (1747-1810), filosofo tedesco, si formò a Göttingen diventandovi inseguito

professore di filosofia. È autore di numerosi manuali, alcuni dei quali riguardano la storia delle religioni: alla storia della filosofia sono dedicati, in particolare, il Grundriss der Geschichte der Weltweisheit (1786) e la Allgemeine kritische Geschichte der ältern und neuern Ethik oder Lebens-wissenschaft (1800-1801), oltre a due precedenti monografie sullo Stoicismo e sul Neoplatonismo. 10. Wilhelm Gottlieb Tennemann (1761-1819), filosofo tedesco, studiò a Erfurt e a Jena, dove insegnò dal 1795 al 1804, anno in cui fu chiamato a Marburgo. Interessatosi dapprima alla filosofia antica, alla quale dedicò la sua prima monografia sulla nozione di immortalità in Socrate e poi un’opera in quattro volumi sul System der platonischen Philosophie (1792-95), nonché vari contributi minori su Platone e su Aristotele, scrisse una Geschichte der Philosophie la cui pubblicazione ebbe inizio nel 1798 e fu interrotta poi dalla morte dell’autore; ad esso si affianca il Grundriss der Geschichte der Philosophie (1812), che ebbe larga diffusione in tutta Europa. Tradusse anche in tedesco la prima “ricerca” di Hume e l’Essay on Human Understanding di Locke. 11. August Bernhard Krische (1809-1848), filologo classico tedesco, studiò e insegnò a Göttingen, occupandosi soprattutto di storia della filosofia antica, con particolare riguardo alla scuola pitagorica e a Cicerone. 12. Karl Friedrich Herrmann (1804-1855), filologo classico tedesco, fu professore a Göttingen a partire dal ’42: si dedicò soprattutto allo studio di Platone, pubblicando Geschichte und System der platonischen Philosophie (1839) e curando un’edizione dei dialoghi (1851-52), a cui fece seguito la postuma Culturgeschichte der Griechen und Römer (1857-58). 13. Friedrich Adolph Trendelenburg (1802-1872), filosofo e pedagogista tedesco, studiò a Kiel, a Lipsia e a Berlino, dove seguì le lezioni di Schleiermacher e di Hegel; nel 1837 divenne professore a Berlino. Si occupò principalmente di logica e di storia della logica, pubblicando le Logische Untersuchungen (1840), le Erläuterungen zu den Elementen der Aristotelischen Logik (1842) e la Geschichte der Kategorienlehre (1846); ma anche di filosofia giuridica, a cui è dedicato Das Naturrecht auf dem Grunde der Ethik (1860). — Fu lui ad avviare Dilthey allo studio della storia della filosofia, in particolare allo studio di Schleiermacher: sotto la sua guida Dilthey si addottorò con la dissertazione De principiis ethices Schleiermacheri e si abilitò quindi con il Versuch einer Analyse des moralischen Bewuβtseins (1864). 14. Hermann Bonitz (1814-1888), filologo tedesco, si occupò soprattutto di Aristotele, curando un’edizione del commento di Alessandro di Afrodisia (1847) e poi delle sue opere (1848-49), nonché il fondamentale Index Aristotelicus (1870); ma s’interessò anche di Platone, a cui è dedicato il volume Platonische Studien (1858-60). 15. Leonhard von Spengel (1803-1877), filologo classico tedesco, studiò a Lipsia e a Berlino, insegnando quindi al ginnasio di Monaco nel 1827 e diventando nel ’41 professore a Heidelberg, e nel ’47 a Monaco. Studiò in particolare Varrone, di cui pubblicò nel 1826 il De lingua latina, Filodemo, la Retorica e la Politica di Aristotele; ma si occupò anche — con edizioni e studi — di Isocrate, Demostene, Eudemio Rodio, Temistio. 16. August Wilhelm von Schlegel (1767-1865), fratello maggiore di Friedrich, studiò filosofia e teologia a Göttingen trasferendosi poi ad Amsterdam in qualità di precettore; dal 1795 al 1800 fu a Jena, insieme al fratello Friedrich, uno degli animatori del movimento romantico. Dopo il 1804 viaggiò a lungo in Europa; nel ’18 fu chiamato a Bonn a insegnarvi letteratura e storia dell’arte. Traduttore di Dante e di Shakespeare, si dedicò in seguito anche allo studio della lingua e della letteratura indiana. Nella sua ampia produzione sono particolarmente importanti i Brief e über Poesie, Silbenmass und Sprache (179596), le Vorlesungen über schöne Literatur undKunst (1801), le Vorlesungen über dramatische Kunst undhiteratur (1809-11) e le Réflexions sur l’étude des langues asiatiques (1832). 17. Il testo reca qui delle semplici annotazioni che Dilthey non ha sviluppato.

18. August Heinrich Ritter (1791-1869), filosofo tedesco, si formò a Halle e a Göttingen, e poi a Berlino; nel 1833 divenne professore a Kiel e nel ’37 a Göttingen. Le sue prime ricerche di storia della filosofia, condotte sotto la guida di Schleiermacher, hanno per oggetto il rapporto di Spinoza con Cartesio e le scuole filosofiche antiche. La sua opera più importante è la Geschichte der Philosophie, la cui prima parte (1829-34) riguarda la filosofia antica e quella cristiana, mentre la seconda 11841-53) va dalla Patristica a Kant; un’esposizione riassuntiva di quest’ultima in due volumi, estesa al pensiero postkantiano, fu pubblicata nel 1858. 19. Christian August Brandis (1790-1867), filologo tedesco, studiò a Kiel intraprendendo quindi la carriera universitaria a Berlino; insegnò a Bonn dal 1823 al ’37. Dopo aver collaborato all’edizione di Aristotele curata da Immanuel Bekker, pubblicò lo Handbuch der Geschichte der Griechisch-Römischen Philosophie (1835-66), in cinque volumi, e in seguilo la Geschichte der griechischen Philosophie und ihrer Nachwirkungen im Römischen Reiche (1862-64). 20. Eduard Zeller (1814-1908), filosofo tedesco, si formò a Tübingen e a Berlino; insegnò dapprima teologia a Berna e a Marburgo, e fu quindi chiamato a insegnare filosofia a Heidelberg nel ’62 e a Berlino nel ’72. Sostenitore della necessità di un “ritorno a Kant” dopo le deviazioni dell’idealismo, a cui è dedicato il saggio Uber Bedeutung und Aufgabe der Erkenntnistheorie (1862), si occupò soprattutto di storia della filosofia antica, pubblicando le Plaionische Studien (1839), Die Philosophie der Griechen in ihrer geschichtlichen Entwicklung dargestellt (1844-52) e il Grundriss der Geschichte der griechischen Philosophie (1883). 21. Allusione al noto detto di Schiller, ripreso da Hegel nel § 340 delle Grundlinien der Philosophie des Rechts. 22. Qui e nelle frasi successive il discorso di Dilthey assume spesso un carattere ellittico, riducendosi a una serie di appunti che, per essere compresi, esigono qualche pur minima integrazione. 23. David Friedrich Strauss (1808-1874) è uno dei principali esponenti della “sinistra hegeliana”: dopo aver studiato a Tübingen con Ferdinand Christian Baur seguì a Berlino le lezioni di Hegel e di Schleiermacher; n:. ’32 rientrò a Tübingen come ripetitore al seminario teologico, perdendo però il posto in seguito alla polemica suscitata dalla pubblicazione della sua opera principale, Das Leben Jesu (183536). Oltre a questa i suoi scritti principali sono Die christliche Glaubenslehre in ihrer geschichilichen Entwicklung (1840-41), Derpolitische und der theologische Liberalismus (1848), Der Cnristus des Glaubens und der Jesu der Geschichte (1865), Der alte und der neue Glaube (1872). 24. Dilthey si riferisce ai Beiträge zur Lösung der Frage vom Ursprung unseres Glaubens an die Realität der Auβenwelt undseinem Recht (1890), dove aveva sostenuto che la credenza nella realtà del mondo esterno non ha origine dalla conoscenza, ma è il risultato di un’esperienza volitiva, e più precisamente dell’esperienza dell’impulso e della resistenza che questo incontra nella sua realizzazione. Il saggio è raccolto in Gesammelte Schriften, vol. V, pp. 90-138, trad. it. di A. Marini nel volume Per la fondazione delle scienze dello spirito. Scritti editi e inediti 1860-1896, pp. 228-76. 25. La frase è incompleta. 26. Anche qui, come nel seguito del paragrafo, il discorso di Dilthey tende ad assumere un carattere ellittico che è di impedimento a una piena comprensione del testo e che talvolta richiede qualche integrazione. 27. Étienne Bonnot de Condillac (1714-1780), filosofo francese, ricevette un’educazione religiosa prima a Lione e poi a Parigi, dove si addottorò in teologia stringendo rapporti con il gruppo dei philosophes; dal 1758 al ’67 fu a Parma come precettore dell’infante Ferdinando di Borbone, e in questo periodo frequentò i circoli illuministici italiani; in seguito rientrò a Parigi, per poi trascorrere gli ultimi anni di vita nei pressi di Orléans. Le sue opere principali sono l’Essai sur l’origine de la connaissance humaine (1746), il Traité des systèmes (1749), il Traité des sensations (1754), il Traitù des animaux (1755),

la Logique, ou les premiers développements de l’art depenser (1780) e La langue des calculs (1798); ad esse si affianca il Cours d’études (1755), suddiviso in diversi trattati, frutto dell’insegnamento a Parma. 28. Il termine idéologues designa un indirizzo di pensiero sviluppatosi soprattutto in epoca rivoluzionaria e nel periodo napoleonico, che ha il suo esponente principale in Destutt de Tracy: richiamandosi a Condillac esso concepisce la filosofia soprattutto come analisi delle idee, cioè come analisi del sorgere, dello sviluppo e dell’organizzazione del patrimonio conoscitivo dell’uomo, ma nello stesso tempo tende a sottolineare il rapporto tra elemento fisico ed elemento intellettuale. 29. Herbert Spencer (1820-1903) è il maggiore esponente del positivismo evoluzionistico, che egli venne sviluppando a partire dalla lettura dei Principles of Geology di Charles Lyell. Ingegnere ferroviario e in seguito vice-direttore della rivista «Economist», scrisse numerose opere che — fin dal decennio precedente la pubblicazione dell’Origin of Species di Darwin, e indipendentemente da essa — proponevano una teoria onnicomprensiva dell’evoluzione: tra di esse la Social Statics (1851), The Principles of Psychology (1855), i tre volumi degli Essays, Scientific, Political, and Speculative (1858-74), The First Principles (1862), The Principles of Biology (1864-67), The Principles of Sociology (1876-96), The Principles of Ethics (1884-93), The Man versus the State (1884) e la postuma Autobiography (1904). 30. William James (1842-1910), psicologo e filosofo americano, è considerato — insieme a Charles Sanders Peirce — uno dei fondatori del movimento pragmatistico. Intraprese i suoi studi alla Harvard Medical School per poi seguire a Heidelberg le lezioni di Helmholtz e di Wundt; dopo aver insegnato fisiologia e anatomia, passò poi all’insegnamento della psicologia e della filosofia, che tenne fino al 1907. Numerose le sue opere, tra cui le più importanti sono The Principles of Psychology (1890), Psychology: Briefer Course (1892), The Will to Believe (1897), Human Immortality (1898), The Varieties of Religious Experience (1902), Pragmatism: a New Name for Some Old Ways of Thinking (1907), The Meaning of Truth (1909), A Pluralistic Universe (1909). 31. La frase è incompleta. 32. Anche questa frase è incompleta. 33. La “psicologia dei popoli” (Völkerpsychologie) è un orientamento di ricerca psicologica strettamente legato all’etnologia, inaugurato da Moritz Lazarus e Heinrich Steinthal, fondatori nel 1859 della «Zeitschrift für Völkerpsychologie und Sprachphilosophie». Esso è stato ripreso da Wilhelm Wundt nell’ultima sua grande opera, intitolata appunto Völkerpsychologie (1900-1909). 34. Anche questa frase è incompleta. 35. La frase è incompleta. 36. Anche questa frase è incompleta. 37. Dilthey si limita qui ad accennare, in forma ellittica, alle fasi successive della nascita dell’epica dal canto primitive. 38. Adolf von Harnack (1851-1930), teologo e storico del Cristianesimo tedesco, si formò a Lipsia dove iniziò anche la sua carriera accademica; in seguito divenne professore nel 1879 a Giessen, nell’86 a Marburgo e nell’89 a Berlino; dal 1902 al ’12 fu presidente del Congresso evangelico-sociale. La sua opera principale è il Lehrbuch der Dogmengeschichte (1886-90), in quattro volumi; importanti sono anche Das Mönchtum, seine Ideale und seine Geschichte (1881), Das apostolische Glaubensbekenntnis (1892), Das Wesen des Christentums (1900), Die Mission und Ausbreitung des Christentums in den ersten drei Jahrhunderten (1902), Entstehung und Entwicklung der Kirchenverfassung und des Kirchenrechts in den drei ersten Jahrhunderten (1910), nonché l’edizione degli scritti degli Apostoli. 39. Il riferimento è alla sesta sezione dell’opera, dedicata alla “deduzione di un organo generale della filosofia”, in cui viene teorizzato il rapporto tra il genio e l’opera d’arte. 40. Charles Renouvier (1815-1903), filosofo francese di orientamento neokantiano, studiò all’École polytechnique, partecipando quindi alla rivoluzione del ’48 e ritirandosi dalla vita politica dopo l’avvento al potere di Napoleone III; nel ’72 fondò la «Critique philosophique». Le sue opere più

importanti sono i quattro volumi degli Essais de critique générale (1854-64), La science de la morale (1869), il Traité de psychologie rationnelle d’après les principes du criticisme (1975), l’Uchronie (1876), la Philosophie analytique de l’histoire (1896-97), la Nouvelle Monadologie (1899); ma scrisse anche libri sul cartesianesimo, sulla metafisica di Schopenhauer e su Kant. 41. Ancora una volta il discorso di Dilthey risulta, in questa come nelle frasi successive, fortemente ellittico, e per poterlo comprendere occorre qualche minima integrazione; ciononostante non è chiaro se egli voglia attribuire a Platone la tesi della fenomenicità dello spazio e la concezione delle categorie come forme di coscienza, oppure se ci si trovi qui di fronte a una semplice elencazione. La lettura delle frasi successive farebbe propendere piuttosto per questa seconda alternativa. 42. Ludwig Feuerbach (1804-1872) è il maggiore esponente della «sinistra» hegeliana. Dopo aver studiato a Heidelberg, a Berlino (dove seguì le lezioni di Hegel) e a Erlangen, conseguì l’abilitazione in quest’ultima università; nel 1838 iniziò la collaborazione agli «Hallische Jahrbücher», l’organo dei «giovani hegeliani». Le sue opere principali sono Zur Kritik der Hegelschen Philosophie (1839), Das Wesen des Christentums (1841), i Grundsätze der Philosophie derZukunft (1843), Das Wesen der Religion (1846) e le Vorlesungen über das Wesen der Religion (1851). 43. La frase è incompleta. 44. Hermann Usener (1834-1905), filologo classico e storico delle religioni tedesco, divenne nel 1861 professore a Berna, nel ’63 a Greifswald e nel ’66 a Bonn. Studiò dapprima Epicuro e l’epicureismo, dedicandosi in seguito a ricerche comparative di carattere storicoreligioso: in questo ambito le sue opere principali sono le Religionsgeschichtliche Untersuchungen (1889-99), i Götternamen (1896), nonché i Vorträge und Aufsätze (1907) e i quattro volumi di Kleine Schriften (1912-14), entrambi apparsi postumi. — Dilthey si riferisce qui alla distinzione tra “divinità momentanee’ e “divinità particolari” (o funzionali), formulata da Usener. 45. In questa frase e nelle successive, fino al termine del capitolo, il discorso di Dilthey diventa di nuovo ellittico: una semplice serie di appunti per una trattazione mancata. 46. Si tratta di due divinità del Vicino Oriente antico, adorate in particolare dai Cananei, in concorrenza con lo Jahvè israelitico. 47. Allusione al testo di Schleiermacher apparso nel 1800. 48. Wilhelm Wundt (1832-1920), psicologo e filosofo tedesco, studiò a Tübingen, Heidelberg e poi a Berlino, dove si impegnò in ricerche di fisiologia; dal 1857 al ’74 insegnò fisiologia a Heidelberg, per poi trasferirsi a Lipsia dove fondò nel ’79 il primo istituto di psicologia sperimentale; negli ultimi anni si impegnò anche nell’elaborazione di un sistema di filosofia. Le sue opere più importanti sono i Beiträge zum Studium der Sinneswahrnehmung (1862), le Vorlesungen über die Menschen- und Tierseele (186364), i Grundzüge der psychologischen Psychologie (1873-74), la Logik (1880-83), l’Ethik (1886), il System der Philosophie (1889), il Grundriss der Psychologie (1896), l’Einleitung in die Philosophie (1901), la Völkerpsychologie (1900-1909) e Erlebtes und Erkanntes (1920). 49. Il testo di Dilthey presenta qui delle lacune. 50. Anche qui e nelle frasi successive il discorso di Dilthey si riduce a una serie di appunti destinati a costituire la base di una mancata trattazione. 51. Paul Deussen (1845-1887), filosofo tedesco, fu professore a Kiel a partire dal’87; dopo aver pubblicato gli Elemente der Metaphysik (1877), di ispirazione schopenhaueriana, si dedicò soprattutto allo studio del pensiero indiano. Le sue opere più importanti sono Das System der Vedānta (1883), Philosophie der Upanishad’s (1899), e soprattutto l’Allgemeine Geschichte der Philosophie (1894-1915), il cui primo volume è interamente dedicato alle filosofie orientali; ad esse si accompagnano le traduzioni delle Sūtra des Vedānta (1887) e dell’Upanishad (1897). 52. Tutto il paragrafo non contiene altro che una serie di appunti che dovevano servire di base alla trattazione del tema indicato nel titolo.

53. Gustav Semper (1803-1879), architetto e storico dell’arte tedesco, lavorò a Dresda e poi, costretto a emigrare dopo la rivoluzione del ’48, a Zurigo e a Vienna. La sua opera principale è Der Stil in den technischen und tektonischen Künsten (1860-63), volta a dimostrare il ruolo decisivo delle tecniche nella storia dell’arte. 54. Anche qui e nelle frasi successive il discorso di Dilthey si riduce a una serie di appunti destinati a costituire la base di una mancata trattazione. 55. Questa frase è incompleta, e così pure lo sono altre che seguono immediatamente. 56. Questa frase è incompleta; anche in seguito il discorso di Dilthey rimane spesso ellittico, e non sempre comprensibile. 57. Anche qui abbiamo soltanto una serie di appunti, per di più non del tutto trasparenti nel loro significato. 58. Il discorso di Dilthey rimane anche qui ellittico e di difficile comprensione, ma il suo senso complessivo è tuttavia abbastanza chiaro: il neoplatonismo rappresenta per lui il superamento dell’antitesi tra speculazione orientale e visione del mondo greca, realizzato attraverso la sostituzione dell’idea di un essere sostanziale distinto dal mondo con una concezione della realtà fondata su una “scala” che, attraverso successive emanazioni, dall’essere supremo conduce ai fenomeni, che sono appunto “ombre” dell’essere. 59. Dilthey si riferisce al duomo di Vienna, dedicato a santo Stefano. 60. Per tutto il paragrafo il discorso di Dilthey procede in maniera ellittica, e talvolta risulta poco comprensibile. 61. Wolfram von Eschenbach è uno dei maggiori poeti tedeschi del Medioevo: nato in Baviera da una famiglia di piccola nobiltà, vissuto al servizio di vari signori germanici e per un certo periodo anche in Turingia, al castello della Wartburg, è autore del Parzival (scritto probabilmente nel primo decennio del Duecento), che rielabora la leggenda del Graal e di re Artù, e del successivo poema Willehalm, dedicato alle gesta del crociato Guglielmo di Tolosa. 62. La frase è incompleta. 63. Giorgio Vasari (1511-1574), pittore, architetto e storico dell’arte italiano, si formò a Firenze alla scuola di Michelangelo, di Andrea del Sarto e di Baccio Bandinelli, e poi a Roma con Raffaello. La sua opera principale è Delle vite de’ più eccellenti pittori, scultori, ed architettori, pubblicata nel 1550 e poi in parte riscritta e ampliata nel ’68, di fondamentale importanza per la conoscenza dei primi secoli dell’arte italiana; essa reca in appendice il trattato Le tre arti del disegno, cioè architettura, pittura e scoltura. — L’indicazione di Dilthey è errata: a Graz non esiste alcun ritratto di Michelangelo dipinto da Vasari. 64. La frase è incompleta, e anche grammaticalmente scorretta; la traduzione è quindi congetturale. 65. Von der Freiheit eines Christenmenschen è il titolo di uno scritto di Lutero che risale al 1520, e che costituisce la traduzione del saggio in latino De libertate Christiana steso l’anno precedente, nel pieno dello scontro teologico con Leone X che metterà capo, nel ’21, alla scomunica comminata con la bolla Decet Romanum Pontificem e all’editto di Worms. 66. Anche questa frase è incompleta. 67. Emile Heinrich Du Bois-Reymond (1818-1896), fisiologo tedesco, insegnò all’Università di Berlino a partire dal ’55, e ne fu rettore nel 1869-70 e nel 1882-83. Si occupò soprattutto di elettro-fisiologia, ma scrisse anche saggi di carattere filosofico in difesa del metodo induttivo e del meccanicismo, nonché saggi storici su Voltaire, Lamettrie, Diderot, Leibniz, Goethe, Maupertuis, Helmholtz. Le sue opere più importanti sono le Untersuchungen über die tierische Elektrizität (1848-84), Über die Grenzen des Naturerkennens (1872), le Gesammelte Abhandlungen zur allgemeinen Muskel- und Nervenphysik (187577) e Die sieben Welträthsel (1880). 68. Il Bruno, oder Über das göttliche und natürliche Prinzip der Dinge è un dialogo filosofico di Schelling pubblicato nel 1802, due anni dopo il System des transzendentalen Idealismus. 69. Pur scrivendo nei primi anni del secolo XX, Dilthey si riferisce alle riforme del primo Ottocento.

70. La frase è incompleta. 71. Il testo è chiaramente incompiuto.

VI. I TIPI DI VISIONE DEL MONDO E LA LORO FORMAZIONE NEI SISTEMI METAFISICI

INTRODUZIONE: SUL CONFLITTO TRA I SISTEMI 1. Tra i motivi che danno sempre nuovo alimento allo scetticismo, l’anarchia dei sistemi filosofici è uno dei più efficaci. Tra la coscienza storica della loro sconfinata molteplicità e la pretesa di ognuno di essi alla validità universale esiste una contraddizione che sostiene lo spirito scettico in misura assai più forte di qualsiasi dimostrazione sistematica. Sconfinata, caotica, la molteplicità dei sistemi filosofici sta alle nostre spalle e si estende intorno a noi: in ogni tempo, fin da quando esistono, essi si sono esclusi e combattuti a vicenda. E non si intrawede alcuna speranza che si possa giungere a una decisione tra di essi. La storia della filosofia conferma questo effetto che il conflitto dei sistemi filosofici, delle intuizioni religiose e dei princìpi etici ha sull’incremento della scepsi. La lotta tra le spiegazioni del mondo del pensiero greco più antico ha favorito la filosofia del dubbio all’epoca dell’illuminismo greco. Quando le campagne di Alessandro e l’unione di popoli differenti in regni più grandi misero davanti agli occhi dei Greci le diversità dei costumi, delle religioni, delle visioni della vita e del mondo, si formarono le scuole scettiche, ed esse estesero le loro operazioni corrosive anche ai problemi della teologia — il male e la teodicea, il conflitto tra la personalità divina e la sua infinità e perfezione — e alle assunzioni concernenti il fine etico dell’uomo. Anche il sistema di credenze dei popoli europei moderni e la loro dogmatica filosofica furono seriamente scossi, nella loro universale validità, dal momento in cui — alla corte di Federico II Hohenstaufen — Maomettani e Cristiani confrontarono le loro convinzioni e nell’orizzonte del pensiero scolastico penetrò la filosofia di Averroè1 e di Aristotele. E quando l’antichità risorse, quando gli scrittori greci e romani furono compresi nei loro autentici motivi e l’epoca delle scoperte geografiche pervenne a conoscere in misura crescente la varietà dei climi, dei popoli e dei loro modi di pensare sul nostro pianeta, scomparve del tutto la fiducia degli uomini nelle credenze fin allora saldamente delimitate. Oggi i più diversi tipi di fede vengono accertati accuratamente dai viaggiatori; e noi registriamo e analizziamo i potenti, grandi fenomeni delle convinzioni religiose e metafisiche che si trovano presso i ceti sacerdotali dell’Oriente, nelle città-stato greche, nella civiltà araba. Noi guardiamo indietro alla smisurata distesa di rovine delle tradizioni religiose, delle affermazioni metafisiche, dei sistemi dimostrati: lo spirito umano ha cercato e saggiato, nel

corso di molti secoli, possibilità di ogni tipo per fondare scientificamente la connessione delle cose, per rappresentarla poeticamente o per annunciarla religiosamente; e la ricerca storica condotta con metodo critico indaga ogni frammento, ogni residuo di questo lungo lavoro compiuto dalla nostra specie. Ogni sistema esclude l’altro, lo confuta; e nessuno può essere dimostrato. Nelle fonti storiche non ci è dato trovare nulla di analogo al dialogo pacifico che caratterizza la Scuola d’Atene dipinta da Raffaello, espressione della tendenza eclettica di quel tempo. In tal modo la contraddizione tra la crescente coscienza storica e la pretesa delle filosofie a una validità universale è diventata sempre più aspra, e sempre più generale la disposizione alla curiosità dilettevole nei confronti di nuovi sistemi filosofici, quale che sia il pubblico che possono raccogliere intorno a sé e il tempo per cui possono trattenerlo. 2. Assai più in profondo delle conclusioni scettiche che muovono dal carattere antitetico delle opinioni umane vanno però i dubbi che sono sorti dalla progressiva formazione della coscienza storica. Un tipo di uomo compiuto, dotato di un contenuto spirituale determinato, costituiva il presupposto predominante del pensiero storico dei Greci e dei Romani. Esso stava alla base della dottrina cristiana del primo e del secondo Adamo, del figlio dell’uomo. Il sistema naturale del secolo XVI si reggeva ancora sul medesimo presupposto. Esso scoprì nel Cristianesimo un paradigma astratto e durevole di religione — la teologia naturale; dalla giurisprudenza romana astrasse la dottrina del diritto naturale e dalla produzione artistica greca un modello di gusto. Secondo questo sistema naturale, in ogni diversità storica erano contenute forme fondamentali, costanti e universali, di ordinamenti sociali e giuridici, di fede religiosa e di eticità. Il metodo di derivare dalla comparazione delle forme di vita storica un elemento comune, di estrarre dalla molteplicità dei costumi, dei princìpi giuridici e delle teologie, attraverso il concetto di un tipo supremo, un diritto naturale, una teologia naturale e una morale razionale — un procedimento che, a partire da Ippia, si era sviluppato attraverso lo Stoicismo e il pensiero romano — dominava ancora il secolo della filosofia costruttiva. La dissoluzione di questo sistema naturale ebbe inizio con lo spirito analitico del secolo XVIII. Esso prese l’avvio dall’Inghilterra, dove la più libera prospettiva su forme di vita, costumi e modi di pensare barbari e stranieri si è incontrata con le teorie empiristiche e con l’applicazione del metodo analitico alla teoria della conoscenza, alla morale, all’estetica. Con

Voltaire e Montesquieu questo spirito si trasferì poi in Francia. Hume e d’Alembert, Condillac e Destutt de Tracy2 videro nel fascio di impulsi e di associazioni — come essi concepivano l’uomo — possibilità sconfinate di far emergere le forme più svariate tra la diversità di clima, di costumi e di educazione. L’espressione classica di questa forma di considerazione storica furono la Natural History of Religion e i Dialogues concerning Natural Religion di Hume. E dai lavori di questo secolo XVIII è già scaturita l’idea dello sviluppo, che doveva poi dominare il secolo XIX. Da Buffon fino a Kant e a Lamarck venne acquisita la conoscenza dello sviluppo della terra, del succedersi su di essa di differenti forme di vita. D’altra parte si formava, in lavori di importanza decisiva, lo studio dei popoli civili; ed essi applicarono ovunque, a partire da Winckelman, Lessing e Herder, il principio dello sviluppo. Da ultimo, nello studio dei popoli primitivi si è trovato l’elemento intermedio tra la dottrina scientifica dello sviluppo e le conoscenze storicoevolutive fondate sulla vita statale, sulla religione, sul diritto, sui costumi, sul linguaggio, sulla poesia e sulla letteratura dei popoli. In tal modo il punto di vista storico-evolutivo poteva venir realizzato nello studio di tutto lo sviluppo naturale e storico dell’uomo, e il tipo “uomo” si risolveva in questo processo di sviluppo. La dottrina dello sviluppo sorta in questo modo è necessariamente legata alla conoscenza della relatività di ogni forma di vita storica. Di fronte allo sguardo che abbraccia la terra e tutto il passato svanisce la validità assoluta di qualsiasi singola forma di vita, di costituzione, di religione o di filosofia. Così la formazione della coscienza storica distrugge, ancora più radicalmente della vista della disputa tra i vari sistemi, la fede nella validità universale di qualsiasi filosofia che abbia voluto esprimere in modo cogente la connessione del mondo mediante una connessione di concetti. La filosofia deve cercare non già nel mondo ma nell’uomo la connessione interna delle proprie conoscenze. Comprendere la vita vissuta dell’uomo — questa è la volontà dell’uomo moderno. La molteplicità dei sistemi, che hanno cercato di cogliere la connessione del mondo, è in connessione manifesta con la vita; essa è una delle sue creazioni più importanti e più istruttive, e quindi la stessa formazione della coscienza storica, che ha compiuto un’opera così distruttiva rispetto ai grandi sistemi, dovrà esserci di aiuto per eliminare l’aspra contraddizione esistente tra la pretesa di validità universale di ogni sistema filosofico e l’anarchia storica di questi sistemi.

1. VITA E VISIONE DEL MONDO 1. La vita. La radice ultima della visione del mondo è la vita. Diffusa sulla terra in innumerevoli corsi di vita particolari, rivissuta in ogni individuo, saldamente assicurata nel risuonare del ricordo — dato che, in quanto mero attimo del presente, si sottrae all’osservazione — e d’altra parte afferrabile in tutta la sua profondità, così come essa si è oggettivata nelle sue manifestazioni, da parte della comprensione e dell’interpretazione, più compiutamente che in ogni consapevolezza e in ogni apprendimento del proprio Erlebnis, la vita si presenta a noi nel nostro sapere in innumerevoli forme, e mostra tuttavia ovunque gli stessi tratti comuni. Tra le sue diverse forme ne metto in rilievo una. Non spiego, non separo in parti; mi limito a descrivere lo stato di fatto che ognuno può osservare in se stesso. Ogni pensiero, ogni azione interna o esterna emerge come una punta raccolta e penetra avanti. Mi è però anche possibile vivere uno stato di quiete interiore; esso è sogno, gioco, distrazione, sguardo all’intorno e lieve agilità — come un sostrato della vita. In esso comprendo altri uomini e altre cose non soltanto come realtà che stanno in una connessione causale con me e tra di loro: da me si dipartono in ogni direzione legami vitali, io mi rapporto a uomini e a cose, prendo posizione nei loro confronti, soddisfo le loro esigenze verso di me e mi aspetto qualcosa da essi. Gli uni mi rendono felice, ampliano la mia esistenza, accrescono la mia forza; gli altri esercitano su di me una pressione e mi delimitano. E dove la determinatezza della singola tendenza che spinge in avanti lascia spazio all’uomo, egli nota e sente queste relazioni. L’amico è per lui una forza che innalza la sua esistenza, ogni membro della famiglia ha un posto determinato nella sua vita, e tutto quanto lo circonda viene da lui compreso come vita e come spirito che vi si sono oggettivati. La panca davanti alla porta di casa, l’albero ombroso, la casa e il giardino hanno in questa oggettivazione la loro essenza e il loro significato. In questo modo la vita di ogni individuo crea da sé il suo proprio mondo. 2. L’esperienza della vita. Dalla riflessione sulla vita sorge l’esperienza della vita. I singoli eventi, che il fascio di impulsi e di sentimenti richiama in noi all’atto del suo incontro con il mondo circostante e con il destino, vengono in essa raccolti in un sapere oggettuale e universale. Come la natura umana è sempre la medesima, così sono comuni a tutti anche i tratti fondamentali dell’esperienza della vita: la

transitorietà delle cose umane ed entro di essa la nostra forza di godere l’attimo; la tendenza delle nature forti o anche delle nature limitate a superare questa transitorietà mediante la costruzione di una solida impalcatura della loro esistenza, e l’insoddisfazione delle nature meno resistenti o più tormentate di fronte ad essa e la nostalgia per un elemento realmente duraturo in un mondo invisibile; la penetrante potenza delle passioni che, come un sogno, creano immagini fantastiche finché in esse si smarrisce l’illusione. Così l’esperienza della vita si forma in maniera diversa nei singoli individui. Il loro substrato comune è costituito in tutti dalle intuizioni della potenza del caso, della corruttibilità di tutto ciò che possediamo, amiamo o anche odiamo e temiamo, della costante presenza della morte, la quale determina onnipotente, per ognuno di noi, il significato e il senso della vita. Nella catena degli individui sorge l’esperienza universale della vita. Sulla base della ripetizione regolare delle singole esperienze si forma — nella coesistenza e nella successione degli uomini — una tradizione di espressioni, che col trascorrere del tempo acquistano una precisione e una sicurezza sempre maggiore. La loro sicurezza poggia sul numero sempre crescente dei casi da cui inferiamo, sulla loro subordinazione a generalizzazioni precedenti e su una continua verifica. Anche dove, nel caso singolo, i princìpi dell’esperienza della vita non vengono recati esplicitamente alla coscienza, essi agiscono su di noi. Tutto quanto ci domina sotto forma di costume, di consuetudine, di tradizione, è fondato su siffatte esperienze della vita. Ma sempre, nelle esperienze particolari come in quelle universali, il tipo di certezza e il carattere della sua formulazione è assolutamente differente dalla validità universale propria della scienza. Il pensiero scientifico può controllare il procedimento sul quale poggia la sua sicurezza, può formulare esattamente e fondare i suoi princìpi: la nascita del nostro sapere dalla vita non può essere controllato nello stesso modo, e non si possono proporre formule fisse per esprimerla. Tra queste esperienze della vita rientra anche il saldo sistema di relazioni entro cui l’identità dell’io è collegata con le altre persone e con gli oggetti esterni. La realtà di se stesso, delle persone estranee, delle cose intorno a noi, e le loro relazioni regolari costituiscono l’armatura dell’esperienza della vita e della coscienza empirica che in essa si forma. L’io, le persone, le cose circostanti possono essere designati come i fattori della coscienza empirica, ed essa ha la sua consistenza nelle relazioni reciproche di questi fattori. E quali che siano le procedure del pensiero filosofico in cui esso astrae dai singoli

fattori o dalle loro relazioni, questi rimangono i presupposti determinanti della vita stessa, indistruttibili al pari di essa e non modificabili da alcun pensiero, in quanto sono fondati nell’esperienza della vita di innumerevoli generazioni. Tra queste esperienze della vita, che fondano la realtà del mondo esterno e le mie relazioni con esso, le più importanti sono quelle che limitano la mia esistenza, che esercitano su di essa una pressione che non posso mettere da parte e che ostacolano le mie intenzioni in una maniera inattesa e non modificabile. L’insieme delle mie induzioni, la somma del mio sapere riposa su questi presupposti fondati nella coscienza empirica. 3. Il mistero della vita. Dalle mutevoli esperienze della vita emerge, per l’apprendere orientato verso la totalità, il volto della vita: un volto contraddittorio, vitalità e insieme legge, ragione e arbitrio, un volto che offre aspetti sempre nuovi, e pertanto chiaro forse nei particolari ma completamente misterioso nell’insieme. L’anima cerca di raccogliere in un complesso i legami vitali e le esperienze fondate su di questi, ma non vi riesce. Al centro di tutte le cose incomprensibili stanno la procreazione, la nascita, lo sviluppo e la morte. Il vivente sa della morte, e tuttavia non può comprenderla. Già dal primo sguardo a un morto, la morte risulta incomprensibile alla vita: su ciò poggia in primissimo luogo la nostra posizione di fronte al mondo come a qualcosa di altro, di estraneo e di pauroso. Nel fatto della morte vi è quindi una forza la quale costringe a rappresentazioni fantastiche che devono rendere comprensibile questo fatto; fede nei morti, culto degli antenati, culto dei trapassati producono le rappresentazioni fondamentali della fede religiosa e della metafisica. E l’estraneità della vita si accresce quando l’uomo sperimenta nella società e nella natura una lotta permanente, l’annientamento continuo di una creatura da parte di un’altra, la crudeltà di ciò che domina nella natura. Emergono strane contraddizioni che nell’esperienza della vita vengono sempre più fortemente alla coscienza e che non sono mai risolte: tra l’universale transitorietà e la nostra volontà di qualcosa di saldo, tra la potenza della natura e l’autonomia del nostro volere, tra la limitatezza di ogni cosa nello spazio e nel tempo e la nostra facoltà di oltrepassare ogni limite. Questi misteri hanno impegnato i sacerdoti egizi e babilonesi al pari della predicazione dei sacerdoti cristiani, Eraclito e Hegel, il Prometeo eschileo al pari del Faust di Goethe. 4. La legge di formazione delle visioni del mondo. Ogni grande impressione mostra all’uomo la vita sotto un aspetto

particolare; il mondo appare in una luce diversa; dal momento che queste esperienze si ripetono e si connettono, sorgono le nostre disposizioni interiori nei confronti della vita. La vita intera riceve una colorazione e un’interpretazione, nelle anime affettive o tormentate, in base a un legame vitale: sorgono così le disposizioni universali. Esse cambiano man mano che la vita mostra all’uomo aspetti sempre nuovi; ma nei diversi individui predominano, secondo la loro essenza propria, determinate disposizioni di vita. Gli uni si attaccano alle cose concrete, sensibili, e vivono nel godimento immediato; altri perseguono, attraverso il caso e il destino, grandi scopi che danno durata alla loro esistenza; vi sono nature gravi che non sopportano la transitorietà di ciò che amano e possiedono, e alle quali la vita appare quindi priva di valore e quasi intessuta di vanità e di sogni, oppure che cercano qualcosa di permanente al di là di questa terra. Tra le grandi disposizioni di vita le più universali sono l’ottimismo e il pessimismo. Essi si specificano però in sfumature molteplici. A chi lo contempla in qualità di spettatore, il mondo appare estraneo, uno spettacolo variopinto e fuggevole; a chi governa ordinatamente la propria vita secondo un progetto di vita, lo stesso mondo appare invece familiare, di casa: egli sta nel mondo a pie’ fermo e gli appartiene. Queste disposizioni di vita, le innumerevoli sfumature della posizione di fronte al mondo, costituiscono lo strato inferiore per la formazione delle visioni del mondo. In queste si compiono, sulla base delle esperienze di vita in cui agiscono i molteplici legami vitali degli individui nei confronti del mondo, i tentativi per risolvere il mistero della vita. E proprio nelle loro forme superiori si fa valere in modo particolare un procedimento: la comprensione di un dato incomprensibile mediante uno più chiaro. Ciò che è chiaro diventa mezzo di comprensione o fondamento di spiegazione di ciò che è incomprensibile. La scienza analizza, e quindi sulla base degli stati di fatto omogenei così isolati sviluppa le loro relazioni generali; religione, poesia e metafisica primitiva esprimono il significato e il senso della totalità. La scienza conosce, queste invece comprendono. Una tale interpretazione del mondo, che rende trasparente la sua essenza molteplice attraverso un’essenza più semplice, comincia già nel linguaggio, per svilupparsi poi nella metafora in quanto sostituzione di un’intuizione mediante un’altra affine che la rende in qualche senso più illuminante, nella personificazione che avvicina e rende comprensibile umanizzando, oppure attraverso ragionamenti analogici, che determinano il meno noto a partire dal più noto sulla base dell’affinità e così

si accostano ormai al pensiero scientifico. Ovunque la religione, il mito, la poesia e la metafisica primitiva cercano di rendere qualcosa intelligibile e capace di suscitare impressione, ciò avviene mediante il medesimo procedimento. 5. La struttura della visione del mondo. Tutte le visioni del mondo, quando si impegnano a fornire una soluzione compiuta del mistero della vita, contengono di regola la medesima struttura. Questa struttura è sempre una connessione in cui, sulla base di un’immagine del mondo, vengono decise le questioni relative al significato e al senso del mondo, e da ciò vengono derivati l’ideale, il sommo bene, i princìpi supremi della condotta della vita. Essa è determinata dalla legalità psichica in virtù della quale l’apprendimento della realtà nel corso della vita costituisce il sostegno per la valutazione delle situazioni e degli oggetti in base al piacere e al dispiacere, al gradevole e allo sgradevole, all’approvazione e alla disapprovazione; e questa valutazione della vita forma quindi a sua volta lo strato inferiore delle determinazioni della volontà. Il nostro comportamento passa regolarmente attraverso queste tre posizioni della coscienza, e la natura del tutto peculiare della vita psichica si fa valere nel fatto che in tale connessione produttiva persiste lo strato sottostante: le relazioni presenti negli atteggiamenti in base a cui io giudico gli oggetti, provo piacere di fronte ad essi e sono indirizzato alla realizzazione di qualcosa in essi, determinano la costruzione di questi diversi strati l’uno sull’altro, e costituiscono in tal modo la struttura delle formazioni in cui la connessione produttiva della vita psichica trova la propria espressione. La poesia lirica mostra nella forma più semplice questa connessione — una situazione, una successione di sentimenti da cui spesso scaturisce un desiderio, una tensione, un’azione. Ogni rapporto della vita si sviluppa verso una connessione in cui le medesime forme di atteggiamento sono strutturalmente congiunte. Così anche le visioni del mondo sono formazioni regolari in cui si esprime questa struttura della vita psichica. Il loro sostegno è sempre un’immagine del mondo; essa sorge dal nostro atteggiamento dell’apprendere quale si presenta nella successione regolare dei gradi del conoscere. Noi osserviamo processi interiori e oggetti esterni. Noi spieghiamo le percezioni che in questo modo sorgono rendendo in esse trasparenti, per mezzo delle operazioni elementari del pensiero, i rapporti fondamentali del reale; quando le percezioni svaniscono, esse vengono tuttavia riprodotte e ordinate nel nostro universo rappresentativo, che ci solleva al di sopra dell’accidentalità delle percezioni; la saldezza e la libertà

che lo spirito acquisisce a questo livello, il suo dominio sulla realtà giunge poi a compimento nella regione dei giudizi e dei concetti, dove la connessione e l’essenza del reale vengono colte in forma universalmente valida. Quando una visione del mondo giunge al suo pieno sviluppo, ciò avviene anzitutto, di regola, a questi gradi di conoscenza della realtà. A questo punto su di essa si costruisce un altro atteggiamento tipico, in un’analoga successione regolare di livelli. Nel sentimento di noi stessi godiamo il valore della nostra esistenza, attribuiamo a oggetti e a persone che ci circondano una capacità di influenza, in quanto elevano e ampliano la nostra esistenza; quindi determiniamo questi valori secondo le possibilità di recare utilità o danno che sono contenute negli oggetti, valutiamo tali possibilità e cerchiamo un criterio incondizionato per questa valutazione. In tal modo situazioni, persone e cose acquistano un significato in rapporto alla totalità della realtà, e questa ne riceve un senso. Percorrendo questi gradi nell’atteggiamento del sentire si forma per così dire un secondo strato nella struttura della visione del mondo; l’immagine del mondo diventa fondamento della vita e della comprensione del mondo. E in base alla medesima legalità della vita psichica, dall’apprezzamento della vita e dalla comprensione del mondo emerge uno stato supremo della coscienza: gli ideali, il sommo bene e i princìpi supremi in cui la visione del mondo ottiene la sua energia pratica — la punta, per così dire, con cui essa si apre un varco nella vita umana, nel mondo esterno e nelle profondità dell’anima. La visione del mondo si fa ora formatrice, plasmatrice, riformatrice! E anche questo stato supremo della visione del mondo si sviluppa attraverso diversi gradi. Dall’intenzione, dalla tensione, dalla tendenza si sviluppano le posizioni di scopo durevoli indirizzate alla realizzazione di una rappresentazione, il rapporto tra scopi e mezzi, la scelta tra gli scopi, la selezione dei mezzi e infine la connessione delle posizioni di scopo in un ordinamento supremo del nostro comportamento pratico — in un progetto complessivo di vita, in un sommo bene, in norme supreme dell’agire, in un ideale di formazione della vita personale e della società. Questa è la struttura della visione del mondo. Ciò che nel mistero della vita è confusamente contenuto come un fascio di compiti, viene qui elevato a una connessione consapevole e necessaria di problemi e di soluzioni. Questa progressione si svolge secondo gradi determinati in maniera regolare dall’interno: ne consegue che ogni visione del mondo ha uno sviluppo e nel corso di questo perviene all’esplicazione del suo contenuto; essa ottiene così gradualmente, nel corso del tempo, durata, saldezza e potenza: essa è un

prodotto della storia. 6. La molteplicità delle visioni del mondo. Le visioni del mondo si sviluppano sotto condizioni differenti. Il clima, le razze, le nazioni determinate attraverso la storia e la formazione degli stati, le delimitazioni temporalmente condizionate in base a epoche ed età, in cui le nazioni cooperano, si collegano alle condizioni specifiche che agiscono sul sorgere della molteplicità delle visioni del mondo. La vita che nasce in queste condizioni specificate ha moltissimi aspetti; lo stesso vale per l’uomo che apprende la vita. A queste differenze tipiche si aggiungono quelle delle singole individualità, del loro ambiente e della loro esperienza di vita. Come la terra è ricoperta di innumerevoli forme di esseri viventi, tra le quali ha luogo una lotta continua per l’esistenza e per lo spazio vitale, così nel mondo umano si sviluppano le forme di visione del mondo, contendendosi tra di loro il potere sull’anima. Si fa quindi valere un rapporto legale per cui l’anima, spinta dall’incessante mutamento delle impressioni e dei destini, nonché dalla potenza del mondo esterno, deve tendere a una saldezza interiore per potersi contrapporre a tutto ciò: essa viene condotta dal mutamento, dalla discontinuità, dallo scivolare e dal fluire della sua costituzione, delle sue visioni della vita, a valutazioni durevoli della vita e a fini definiti. Le visioni del mondo che promuovono la comprensione della vita, e che conducono a fini utili, si conservano e soppiantano quelle che meno rispondono a queste esigenze. Si compie così una selezione tra di esse. E nella successione delle generazioni le visioni del mondo più vitali si sviluppano verso una forma sempre più compiuta. Come nella molteplicità degli esseri organici opera la stessa struttura, così anche le visioni del mondo sono formate per così dire secondo il medesimo schema. Il profondo mistero della loro specificazione ha la sua base nella regolarità che la connessione teleologica della vita psichica imprime alla particolare struttura delle formazioni della visione del mondo. Al centro dell’apparente accidentalità di queste formazioni vi è, in ognuna di esse, una connessione di scopi che scaturisce dalla reciproca dipendenza delle questioni contenute nel mistero della vita, e in modo particolare dal rapporto costante tra immagine del mondo, valutazione della vita e fini della volontà. Una comune natura umana e un ordine dell’individuazione stanno in saldi legami vitali con la realtà; e quest’ultima è sempre e dovunque la stessa, la vita mostra sempre i medesimi aspetti.

In questa regolarità della struttura della visione del mondo e del suo differenziarsi in forme particolari si presenta un elemento imprevedibile: le variazioni della vita, il mutamento delle epoche, le trasformazioni della situazione scientifica, il genio delle nazioni e degli individui. In virtù di ciò cambia incessantemente l’interesse ai problemi, la potenza di determinate icee che sorgono dalla vita storica e che la dominano; nelle formazioni della visione del mondo si fanno valere, secondo il luogo storico che occupano, combinazioni sempre nuove di esperienza della vita, disposizioni interiori e pensieri sempre nuovi: esse sono irregolari nei loro elementi nonché nella forza e nel significato che questi assumono nel complesso. Tuttavia, a causa della legalità che opera nel profondo della struttura e della regolarità logica, esse non sono aggregati bensì formazioni. A questo punto, sottoponendo queste formazioni a un procedimento comparativo, risulta inoltre che esse si ordinano in gruppi all’interno dei quali sussiste una certa affinità. Come le lingue, le religioni, gli stati rivelano — in virtù del metodo comparativo — certi tipi, certe linee di sviluppo e regole di trasformazione, la stessa cosa si può mostrare anche per quanto riguarda le visioni del mondo. Questi tipi attraversano la singolarità storicamente condizionata delle formazioni particolari. Essi sono sempre condizionati dalla peculiarità propria dell’ambito in cui sorgono. Ma volerli derivare da questa peculiarità è stato un grave errore del metodo costruttivo. Soltanto il procedimento storico comparativo può accostarsi alla determinazione di questi tipi, delle loro variazioni, dei loro sviluppi e dei loro incroci. La ricerca deve pertanto tener sempre aperta, nei confronti dei suoi risultati, ogni possibilità di avanzamento. Ogni determinazione è solamente provvisoria. Essa è e rimane nient’altro che uno strumento per vedere in modo storicamente più profondo. E al procedimento storico comparativo si congiunge sempre la sua preparazione mediante la considerazione sistematica e l’interpretazione dell’elemento storico che da questa deriva. Anche questa interpretazione psicologica e storico-sistematica della realtà storica è esposta all’errore del pensiero costruttivo, che in ogni ambito vuol porre a base dell’ordinamento un rapporto semplice, come se fosse un impulso formativo in esso presente. Riassumiamo ora quanto è stato fin qui posto in luce in un principio, che la considerazione storica comparativa conferma in ogni punto. Le visioni del mondo non sono prodotti del pensiero; esse non nascono dalla mera volontà di conoscenza. L’apprendimento della realtà è certo un elemento importante, ma è soltanto un elemento. Esse scaturiscono dall’atteggiamento di vita,

dall’esperienza della vita, dalla struttura della nostra totalità psichica. L’elevazione della vita a coscienza nella conoscenza della realtà, nella valutazione della vita e nell’operazione della volontà è il lungo e difficile lavoro che l’umanità ha compiuto nello sviluppo delle intuizioni della vita. Questo principio della dottrina delle visioni del mondo riceve la sua conferma se guardiamo al corso della storia nel suo insieme; e da tale corso risulta pure confermata una conseguenza importante del nostro principio, che ci riporta al punto di partenza di questo saggio. La formazione delle visioni del mondo è determinata dalla volontà di rendere stabile l’immagine del mondo, la valutazione della vita, l’azione della volontà, che deriva dal carattere fondamentale, sopra illustrato, della successione di gradi dello sviluppo psichico. Sia la religione sia la filosofia cercano stabilità, efficacia, dominio, validità universale. Ma su questa via l’umanità non ha fatto un solo passo avanti. La lotta reciproca tra le visioni del mondo non è pervenuta ad alcuna decisione in nessuno dei suoi punti principali. Certamente la storia compie una selezione tra di esse, ma i grandi tipi permangono gli uni accanto agli altri autosufficienti, indimostrabili e indistruttibili. Essi non devono la loro origine ad alcuna dimostrazione, perché non possono essere dissolti da alcuna dimostrazione. I singoli gradi e le configurazioni specifiche di un tipo vengono sì confutate, ma la loro radice nella vita perdura, continua ad agire e produce sempre nuove formazioni.

2. I TIPI DI VISIONE DEL MONDO NELLA RELIGIONE, NELLA POESIA E NELLA METAFISICA Prendo le mosse da una distinzione tra le visioni del mondo che è condizionata dai campi della cultura in cui esse compaiono. II fondamento della cultura è costituito dall’economia, dalla convivenza sociale, dal diritto e dallo stato. In ciascun campo domina ovunque una divisione del lavoro in virtù della quale la singola persona assolve, in un determinato luogo storico del suo agire, una determinata funzione. Qui la volontà è impegnata nei compiti delimitati che le vengono assegnati dalla connessione teleologica di un dato campo. La scienza introduce in questa connessione pratica della vita, mediante la conoscenza, una regolamentazione razionale del lavoro; in questo modo sta in connessione strettissima con la prassi e, poiché anch’essa sottostà alla legge della divisione del lavoro, ogni scienziato si prefigge un compito limitato in un determinato campo e in un determinato punto del lavoro conoscitivo. Perfino la filosofia è sottoposta, in una parte dalle sue funzioni, a questa divisione del lavoro. Invece il genio religioso, poetico o metafisico vive in una regione in cui è sottratto al vincolo sociale, al lavoro racchiuso in compiti delimitati, alla subordinazione a ciò che può venir raggiunto entro i confini del tempo e della situazione storica. Ogni riguardo a un tale vincolo falsifica anzi la sua comprensione della vita, che deve porsi di fronte al dato in piena spontaneità e sovranità. Essa diventa non vera già a causa della limitazione della prospettiva, del riferimento a una situazione temporale — a causa di una tendenza qualsiasi. In questa regione della libertà sorgono e si sviluppano le visioni del mondo più dotate di valore e più potenti. Le visioni del mondo sono però distinte nel genio religioso, in quello artistico e in quello metafisico secondo la loro legge di formazione, la loro struttura e i loro tipi. 1. La vistone religiosa del mondo. Le visioni religiose del mondo scaturiscono da un particolare legame vitale dell’uomo. Al di là della realtà dominabile in cui l’uomo primitivo — in quanto guerriero, cacciatore, lavoratore e fruitore del suolo — produce con il suo agire fisico trasformazioni nel mondo esterno, in una razionale posizione di scopi, l’ambito di questo agire si estende fino all’inaccessibile, a ciò che non è attingibile da parte della conoscenza. E in quanto di qui gli sembrano procedere effetti che gli procurano la fortuna nella caccia, il successo nella

guerra, un buon raccolto, mentre nella malattia, nella follia, nella vecchiaia, nella morte, nella perdita della moglie, dei figli, del gregge, si scopre dipendente da qualcosa di sconosciuto, nasce allora la tecnica diretta a influenzare questa realtà incomprensibile, che non si può dominare mediante un’attività fisica, con le proprie preghiere, con le proprie offerte, con la propria subordinazione. Egli vorrebbe impadronirsi delle forze di esseri superiori, stabilire un buon rapporto con essi, unirsi ad essi. Le azioni rivolte a questo scopo costituiscono il culto originario. Nasce la professione dello stregone, del guaritore o del sacerdote; e allorché questo ceto si organizza sempre più saldamente, in esso si concentrano abilità, esperienze, sapere, e in esso si forma un modo di vita particolare che lo separa dagli altri membri della società. Nelle piccole comunità chiuse dell’orda e della tribù nasce così una tradizione di esperienza religiosa della vita, che si è sviluppata nel rapporto con gli esseri superiori, e di ordinamento spirituale della vita; e dalle pratiche del culto magico lo sviluppo di questa religiosità superstiziosa perviene a poco a poco al processo religioso, nel quale l’animo e la volontà dell’uomo vengono assoggettati, mediante una disciplina interiore, alla volontà divina. L’elemento decisivo risiede nel modo in cui le idee religiose primitive si sviluppano sulla base degli Erlebnisse, sempre e dovunque ricorrenti, della nascita, della morte, della malattia, dei sogni, della follia, di interventi malvagi o benefici dell’elemento demoniaco nel corso della vita, di strane commistioni di ordine nella natura — che comporta sempre un rapporto teleologico di colui che apprende nei confronti di essa — e infine del caso, della forza distruttiva e del conflitto. Il secondo io presente nell’uomo, le forze divine nel cielo, nel sole e negli astri, il demoniaco nella foresta, nella palude e nelle acque — queste rappresentazioni fondamentali, determinate da legami vitali, costituiscono i punti di partenza di una vita fantastica condizionata affettivamente, che viene alimentata da esperienze religiose sempre nuove. L’influenza dell’invisibile è la categoria fondamentale della vita religiosa elementare. Il pensiero analogico combina le idee religiose in dottrine concernenti l’origine del mondo e dell’uomo, e della provenienza dell’anima. L’influenza sulle cose e sugli uomini che scaturisce del soprasensibile conferisce loro un significato religioso. Queste cose e questi uomini sono sensibili, visibili, distruttibili, limitati, e tuttavia sono una sede di azioni divine o demoniache. Il mondo è pervaso da un rapporto religioso di cose e persone singole, concrete e finite, con l’invisibile, in virtù del quale il loro significato religioso è contenuto nell’influenza dell’invisibile celata in esse. Luoghi sacri,

persone sacre, immagini della divinità, simboli, sacramenti sono tutti casi particolari di questo rapporto: nella religione esso ha lo stesso significato che il simbolico possiede nell’arte e il concettuale nella metafisica. E la tradizione diventa, all’interno del rapporto religioso — proprio a causa dell’oscurità della sua origine — una potenza di eccezionale efficacia. Questo è il fondamento di tutto lo sviluppo religioso ulteriore. Mentre negli stadi primitivi agisce in prevalenza lo spirito della comunità, il passaggio verso gradi superiori — nei misteri, nella vita dell’eremita, nel profetismo — si compie in virtù del genio religioso. A influenze particolari tra l’uomo e gli esseri superiori subentra, nel genio religioso, un rapporto nei loro confronti dell’uomo nella sua totalità. Questa esperienza religiosa concentrata raccoglie quindi le idee religiose elementari in visioni religiose del mondo, le quali hanno la loro essenza nel fatto che qui l’interpretazione della realtà, la valutazione della vita e l’ideale pratico scaturiscono dal rapporto con l’invisibile. Esse sono contenute nel discorso figurato e nelle dottrine della fede; poggiano su una costituzione della vita; si sviluppano nella preghiera e nella meditazione. Tutte le formazioni tipiche di queste visioni religiose del mondo comportano, fin dal loro inizio, l’antitesi tra esseri benefici ed esseri malvagi, tra esistenza sensibile e mondo superiore. L’immanenza della religione universale negli ordinamenti della vita e nel corso della natura, l’Uno-Tutto spirituale che costituisce la verità, la connessione e il valore di tutte le cose particolari e a cui l’esistenza singola deve quindi fare ritorno, la volontà creatrice divina che produce il mondo e che crea gli uomini secondo la sua immagine o che sta in opposizione a un regno del male e per combatterlo prende al suo servizio i devoti — questi sono i tipi principali delle molteplici visioni religiose del mondo. E come fin dall’inizio il commercio con l’invisibile è separato dal lavoro e dal godimento negli ordinamenti dell’esistenza sociale terrena, così queste visioni religiose del mondo sono sempre in contrasto con la concezione mondana della vita. In questa si fa spesso valere, all’interno di tale antitesi, un naturalismo originario che trae la sua energia e la sua potenza proprio dal contrasto con le visioni religiose del mondo. Nelle epoche religiose troviamo quindi la lotta tra tipi diversi che mostrano una decisa affinità con quelli della metafisica. Il monoteismo giudaico-cristiano, la forma cinese e indiana di panenteismo e — in antitesi ad essi — l’impostazione della vita e il modo di pensare naturalistici sono i gradi

preliminari e i punti di partenza per l’ulteriore sviluppo della metafisica. Sempre, però, il commercio religioso con la sua magia, con le sue forze, le sue figure e i suoi luoghi di culto religiosi, con la scrittura del simbolismo religioso, costituisce il substrato delle visioni religiose del mondo, nello stesso modo in cui il popolo costituisce l’ampio strato inferiore della vita comunitaria della chiesa. In queste visioni del mondo si conserva sempre un nucleo oscuro, specificamente religioso, che il lavoro concettuale dei teologi non è mai in grado di chiarire e di giustificare. Mai può essere superata l’unilateralità di un’esperienza che scaturisce dal rapporto di preghiera, di sollecitazione, di sacrificio di sé con esseri superiori e che dai legami dell’anima con essi perviene a coglierne i predicati. Di qui sorge un rapporto per cui la visione religiosa del mondo è sì la preparazione di quella metafisica, ma non può mai risolversi completamente in quest’ultima. La dottrina giudaico-cristiana del dio puramente spirituale, che crea liberamente, e delle anime formate a sua immagine si è trasformata nell’idealismo monoteistico della libertà; le diverse forme della dottrina religiosa dell’Uno-Tutto hanno preparato il panenteismo metafisico; nella speculazione indiana, nei misteri e nella Gnosi si è sviluppato lo schema dell’emanazione del mondo multiforme dall’Uno e del ritorno ad esso, quale lo hanno elaborato i neoplatonici, Bruno, Spinoza e Schopenhauer. Altrettanto chiara è la connessione che dal monoteismo conduce alla teologia scolastica dei pensatori giudaici, arabi e cristiani, e da essa a Descartes, a Wolff, a Kant e ai filosofi dell’età della Restaurazione nel secolo XIX. Ma per quanto il lavoro concettuale della teologia nelle visioni religiose del mondo possa accostarle alla metafisica, la loro legge di formazione e la loro struttura le separano pur sempre dal pensiero metafisico. Il punto di vista unilaterale della costituzione religiosa della vita e della visione religiosa del mondo costituisce il loro confine. L’animo religioso è sempre, con le sue esperienze, nel giusto. Ma lo spirito nel suo progredire riconosce che il fissarsi dell’anima sul mondo sovrasensibile — questo prodotto storico della tecnica sacerdotale — manteneva in piedi l’idealismo, sia pure in virtù di una trasposizione artificiosa, e imponeva un disciplinamento della vita, sia pure con ascetica rigidità, ma anche che il procedere dello spirito nella storia deve cercare posizioni più libere nei confronti della vita e del mondo, le quali non devono essere vincolate a tradizioni che scaturiscono da oscure e discutibili origini.

Locandina dell’albergo Salegg a Seis (Siusi), in cui Dilthey morì il 3 ottobre 1911.

2. Le posizioni della visione del mondo nella poesia. Nella religione cose e uomini acquistavano la loro significatività in virtù della fede nella presenza in essi di un forza attiva sovrasensibile. La significatività dell’opera d’arte risiede nel fatto che un elemento singolare, un dato sensibile viene separato dal nesso dei rapporti di causa ed effetto ed elevato a espressione ideale dei legami vitali così come essi ci parlano con il colore e la forma, la simmetria e la proporzione, gli accordi dei suoni e il ritmo, il processo psichico e l’accadimento. C’è in tutto questo una tendenza a formare una visione del mondo? La creazione artistica non ha di per sé niente in comune con questa; ma il rapporto della costituzione della vita dell’artista con la sua opera ha qui dato luogo a una relazione secondaria tra opera d’arte e visione del mondo. L’arte si è sviluppata, in un primo momento, sotto l’influenza della religione. La materia sacra è il suo oggetto più prossimo; gli scopi della comunità religiosa si fanno valere nell’architettura e nella musica; in questa connessione l’arte ha elevato il contenuto della religiosità fino all’eternità in cui scompaiono i dogmi transitori, e da questo contenuto è scaturita la forma interna dell’arte più elevata — come mostrano l’epica religiosa di Giotto nella pittura, la grande architettura ecclesiastica e la musica di Bach e di Händel. Ciò che costituisce il cammino storico del rapporto dell’arte con le visioni del mondo è il fatto che la costituzione vitale dell’artista è pervenuta a una libera espressione in conformità a questo approfondimento religioso dell’arte. Ciò non dev’essere cercato nell’inserimento di una visione della vita nell’opera d’arte, bensì nella forma interna della formazione artistica. È stato compiuto uno sforzo considerevole per comprovare la presenza di tale elemento nella pittura e per mostrare l’influenza delle tipiche costituzioni di vita — da cui scaturiscono la visione naturalistica del mondo, quella eroica e quella panenteistica — sulla forma delle opere pittoriche. Un rapporto analogo si potrebbe mostrare anche nella creazione musicale. E quando artisti della potenza spirituale di un Michelangelo, di Beethoven, di Richard Wagner sono pervenuti, in virtù di un impulso interiore, alla formazione di una visione del mondo, questa contribuirà a rafforzare l’espressione della loro costituzione di vita nella forma artistica. Tra le arti, però, la poesia ha un rapporto particolare con la visione del mondo. Infatti il mezzo in cui essa agisce, il linguaggio, le consente un’espressione lirica e una rappresentazione epica o drammatica di tutto ciò che può venir visto, udito, vissuto. Io non tento qui di definire l’essenza e la

funzione della poesia. Svincolando un evento dal nesso dei legami della volontà, e trasformando la sua rappresentazione in questo mondo dell’apparenza in un’espressione della natura della vita, la poesia libera l’anima dal peso della realtà e nel medesimo tempo ne rivela ad essa il significato. Soddisfacendo la segreta aspirazione dell’uomo, imprigionato dal destino e dalle proprie decisioni nei confini di una vita determinata, ad attuare nella fantasia quelle possibilità di vita che non ha potuto realizzare, essa amplia l’io dell’uomo e l’orizzonte delle sue esperienze di vita. Essa gli apre lo sguardo verso un mondo più alto e più forte. In tutto questo si esprime però il rapporto fondamentale su cui poggia la poesia: la vita costituisce il suo punto di partenza; i legami vitali con gli uomini, le cose, la natura diventano il suo nucleo; nel bisogno di raccogliere le esperienze che scaturiscono dai legami vitali sorgono così le disposizioni universali della vita, e la connessione di ciò che è stato esperito nei singoli legami vitali è la coscienza poetica del significato della vita. Queste disposizioni universali stanno alla base del Libro di Giobbe e dei Salmi, dei cori della tragedia attica, dei sonetti di Dante e di Shakespeare, della grandiosa conclusione della Divina Commedia, della grande lirica di Goethe, di Schiller e dei romantici, nonché del Faust di Goethe, dei Nibelungen di Wagner e dell’Empedokles di Hölderlin. La poesia non vuole perciò conoscere la realtà così come fa la scienza, ma vuol mostrare la significatività dell’accadimento, degli uomini e delle cose, presente nei legami vitali; così il mistero della vita si concentra qui in una connessione interna di questi legami vitali, intessuta di uomini, di destini, di circostanze. In ogni grande epoca della poesia si compie di nuovo, secondo una successione regolare di gradi, il passaggio dalla fede e dai costumi circostanti, che si formano sulla base dell’universale esperienza di vita della comunità, al compito di rendere nuovamente comprensibile la vita in base ad essa stessa. Questa fu la via che ha condotto da Omero ai tragici attici, dalla fede cattolica non indipendente alla lirica e all’epica cavalleresca, dalla vita moderna a Schiller, Balzac, Ibsen. A questo passaggio corrisponde la successione delle forme poetiche nella quale dapprima si forma l’epica e quindi il dramma realizza la massima concentrazione, che elabora in una concezione della vita la connessione dei legami di azione, di carattere e di destino creati dalla vita, mentre il romanzo dispiega infine la sconfinata pienezza della vita ed esprime una coscienza del significato della vita. Ma concludiamo. L’emergere della poesia dalla vita la porta direttamente a

esprimere nell’accadimento una visione della vita. Questa nasce nel poeta dalla natura stessa della vita, concepita in base alla sua peculiare costituzione. Essa si sviluppa nella storia della poesia, in cui questa si avvicina a poco a poco al suo fine di comprendere la vita in base a se stessa, lasciando agire in piena libertà le grandi impressioni vitali. Pertanto la vita presenta alla poesia aspetti sempre nuovi. La poesia mostra le possibilità sconfinate di vedere la vita, di valutarla, di dare ad essa una nuova forma. L’accadimento diventa così simbolo, non però di un pensiero, bensì di una connessione guardata nella vita — guardata a partire dall’esperienza di vita del poeta. È così che Stendhal e Balzac vedono nella vita un tessuto — creato senza finalità alcuna dalla natura stessa, in virtù di un oscuro impulso — di illusioni, di passioni, di bellezza e di decadimento, in cui la volontà forte si acquista la vittoria; Goethe vi scorge invece una forza formatrice che riunisce in una connessione dotata di valore le formazioni organiche, lo sviluppo degli uomini e gli ordinamenti della società; Corneille e Schiller vedono in essa il teatro dell’agire eroico. Ognuna di queste costituzioni vitali corrisponde a una forma interna della poesia. Di qui ai grandi tipi di visione del mondo non c’è che un passo, e la connessione della letteratura con i movimenti filosofici conduce un Balzac, un Goethe, uno Schiller a questa perfezione suprema della comprensione della vita. In tal modo i tipi di visione poetica del mondo preparano quelli della metafisica, oppure trasmettono la loro influenza a tutta la società. 3. I tipi di visione del mondo nella metafisica. Tutti i fili del discorso s’intrecciano nella dottrina della struttura, dei tipi e dello sviluppo delle visioni del mondo nella metafisica. Riassumo i rapporti che sono qui decisivi. 1. Il processo complessivo della nascita e del consolidamento delle visioni del mondo spinge all’esigenza di elevarle a un sapere universalmente valido. Anche nei poeti di maggiore capacità di pensiero le grandi impressioni sembrano comunicare sempre alla vita una nuova luce: il cammino verso il consolidamento conduce al di là di questa. Nel nucleo delle religioni universali rimane qualcosa di bizzarro e di estremo, che scaturisce dai più accentuati Erlebnisse religiosi, dalla fissazione dell’anima nell’invisibile insita nella tecnica sacerdotale, e che è inaccessibile alla ragione. L’ortodossia si irrigidisce su di questo; la mistica e lo spiritualismo tentano di riportarlo indietro all’Erleben; il razionalismo vuole coglierlo concettualmente e si vede costretto a dissolverlo: così la volontà di dominio presente nelle religioni universali — che si era appoggiata all’esperienza interiore dei credenti, alla tradizione e

all’autorità — viene sostituita dall’esigenza della ragione di trasformare le visioni del mondo in conformità a sé e di fondare razionalmente la sua validità. Quando la visione del mondo viene così elevata a una connessione concettuale, quando questa viene fondata scientificamente, e si presenta così con la pretesa a una validità universale, allora nasce la metafisica. La storia mostra che, dovunque essa compaia, lo sviluppo religioso l’ha preparata, che la poesia la influenza e che la costituzione vitale delle nazioni, la loro valutazione della vita e i loro ideali agiscono su di essa. L’aspirazione a un sapere universalmente valido dà a questa nuova forma di visione del mondo una struttura peculiare. Chi potrebbe dire in quali punti la tendenza a conoscere, che agisce in tutte le connessioni di scopo della società, diventa scienza? Il sapere matematico e astronomico dei Babilonesi e degli Egizi si è svincolato dai compiti pratici e dal nesso con il ceto sacerdotale, diventando così autonomo, soltanto nelle colonie ioniche. E quando la ricerca ha assunto a proprio oggetto la totalità del mondo, la nascente filosofia e le scienze al loro sorgere ertrarono in una relazione strettissima. Matematica, astronomia, geografia diventarono mezzi di conoscenza del mondo. L’antico problema della soluzione del mistero della vita impegnò i Pitagorici o Eraclito così come aveva impegnato i sacerdoti orientali. E se la potenza avanzante delle scienze naturali fece del problema della spiegazione della natura il centro della filosofia nelle colonie, nel suo sviluppo ulteriore tutte le grandi questioni contenute nel mistero del mondo vennero discusse nelle scuole filosofiche, le quali erano appunto orientate verso la relazione interna tra conoscenza della realtà, direzione della vita e volontà negli individui e nella società, ossia verso la formazione di una visione del mondo. La struttura delle visioni del mondo nella metafisica è stata determinata anzitutto dalla loro connessione con la scienza. L’immagine sensibile del mondo fu trasformata in immagine astronomica; il mondo del sentimento e delle azioni volontarie fu oggettivato in concetti di valori, di beni, di scopi e di regole; l’esigenza di forma concettuale e di fondazione condusse gli indagatori del mistero del mondo a fare della logica e della teoria della conoscenza la loro prima base: il lavoro per risolverlo condusse dai dati di fatto condizionati e limitati a un essere universale, a una causa prima, a un sommo bene, a uno scopo ultimo; la metafisica divenne sistema e quest’ultimo procedette, attraverso l’elaborazione di rappresentazioni e di concetti insufficienti che si erano formati nella vita e nella scienza, a concetti ausiliari che oltrepassavano

tutte le esperienze. Al rapporto della metafisica con la scienza si aggiunse inoltre quello con la cultura mondana. Dato che la filosofia si trasmette allo spirito di ogni connessione di scopi presente nella cultura, essa ne riceve nuove forze e al tempo stesso le comunica l’energia del suo principio fondamentale. La filosofia consolida i procedimenti e il valore conoscitivo delle scienze; le esperienze non metodiche della vita e la letteratura che le riguarda vengono trasformate in una valutazione generale della vita; ed essa eleva a una connessione unitaria i concetti fondamentali del diritto, quali emergono dalla prassi del negozio giuridico; pone i princìpi relativi alle funzioni dello stato, alle forme di costituzione e alla loro successione, che sono sorti dalla tecnica della vita politica, in rapporto con i compiti supremi della società umana; intraprende a dimostrare i dogmi oppure, quando il loro nucleo oscuro risulta inaccessibile al pensiero concettuale, esercita su di esso la propria opera di distruzione storico-universale; razionalizza le forme e le regole della pratica artistica sulla base di uno scopo proprio all’arte: essa vuole imporre ovunque la direzione della società da parte del pensiero. Infine, un’ultima cosa. Ognuno di questi sistemi metafisici è condizionato dal posto che occupa nella storia della filosofia; esso dipende da una certa situazione di problemi ed è determinato dai concetti che ne scaturiscono. Sorge così la struttura di questi sistemi metafisici — la loro connessione logica e nel medesimo tempo la loro irregolarità condizionata in varia maniera, l’elemento rappresentativo che esprime in determinati sistemi una determinata situazione del pensiero scientifico, e nel medesimo tempo la sua singolarità. Pertanto ogni grande sistema metafisico diventa una totalità che irradia in molteplici direzioni, che illumina ogni parte della vita a cui appartiene. Un unico sistema metafisico universalmente valido: tale è la tendenza di tutto questo grande movimento. Il differenziarsi della metafisica che scaturisce dalle profondità della vita appare a questi pensatori come un’aggiunta accidentale e soggettiva, che dev’essere eliminata. L’enorme lavoro rivolto alla creazione di una connessione concettuale dimostrabile in maniera concorde — in cui si potrebbe allora risolvere metodicamente il mistero della vita — acquista un significato autonomo; nello sviluppo verso questo fine ogni sistema trova il suo posto in base alla situazione del lavoro concettuale. E il corso di questo lavoro si compie nei paesi civili dell’Europa, dapprima negli stati mediterranei e poi, a partire dal Rinascimento, negli stati romano-

germanici — in uno strato superiore che soltanto di tempo in tempo viene influenzato in questo lavoro dalla religiosità prevalente al di sotto di esso, e che cerca sempre più di sottrarsi a una tale influenza. 2. In questa connessione compaiono differenze tra i sistemi, le quali sono fondate sul carattere razionale del lavoro metafisico. Alcune indicano certi stadi del suo sviluppo, come quella tra dogmatismo e criticismo. Altre differenze attraversano l’intero processo: esse scaturiscono dallo sforzo della metafisica di rappresentare in una connessione unitaria quanto è contenuto nell’apprendimento della realtà, nella valutazione della vita e nella posizione di scopi; e il loro oggetto è costituito dalle possibilità di risolvere questi problemi principali. Se guardiamo ai fondamenti della metafisica, ci si presentano qui le antitesi tra empirismo e razionalismo, tra realismo e idealismo. L’elaborazione della realtà data viene compiuta sulla base degli opposti concetti dell’uno e dei molti, del divenire e dell’essere, della causalità e della teleologia, e a tutto ciò corrispondono le differenze nei sistemi. I punti di vista differenti dai quali viene concepito il rapporto tra il fondamento del mondo e il mondo, tra l’anima e il corpo, si esprimono nelle prospettive del deismo e del panteismo, del materialismo e dello spiritualismo. E dai problemi della filosofia pratica si producono altre differenze, tra cui voglio sottolineare quella tra l’eudemonismo — e il suo sviluppo nell’utilitarismo — e la dottrina di una regola incondizionata del mondo morale. Tutte queste differenze trovano il loro posto nei campi particolari della metafisica, e indicano le possibilità di sottomettere questi campi al pensiero razionale sulla base di concetti contrapposti. Tutte quante possono essere considerate, nel contesto di tale lavoro sistematico, come ipotesi in virtù delle quali lo spirito metafisico si avvicina a un sistema universamente valido. E così sono sorti infine i tentativi di classificare i sistemi metafisici da questo punto di vista. Alle contrapposizioni dei concetti, prevalenti in quelle differenze, corrisponde perciò nel modo più adeguato nella riflessione, la quale è fondata sulla natura di questa stessa elaborazione metafisica, una bipartizione di sistemi, con l’antitesi tra punto di vista realistico e idealistico, o un’altra analoga. A chi potrebbe sfuggire il significato che il lavoro concettuale della filosofia ha compiuto nei campi più diversi? Esso prepara le scienze indipendenti; essa riassume. Di questo ho già parlato prima dettagliatamente. Ma ciò che distingue l’attività metafisica dal lavoro delle scienze positive è la volontà di sottomettere ai metodi scientifici — che sono stati formati per i

singoli campi del sapere — la connessione dell’universo e della vita stessa. Nel riferimento all’incondizionato essa supera i limiti dei procedimenti propri delle scienze particolari. 3. A questo punto è possibile chiarire il principio fondamentale da cui ha preso le mosse in generale il nostro tentativo di una dottrina delle visioni del mondo, e che determina anche questo lavoro. La coscienza storica ci conduce al di là dell’orientamento dei metafisici verso un sistema unitario universalmente valido, al di là delle differenze da esso condizionate che separano i pensatori, e infine al di là del collegamento di queste differenze in forma di classificazioni. La coscienza storica assume a proprio oggetto il conflitto che di fatto esiste tra i sistemi nella loro costituzione complessiva. Essa considera queste costituzioni complessive in connessione con il corso delle religioni e della poesia. Essa mostra come tutto il lavoro concettuale della metafisica non abbia fatto un solo passo in avanti verso un sistema unitario. In tal modo l’antitesi tra i sistemi metafisici appare infine fondata sulla vita stessa, sull’esperienza della vita, sulle posizioni nei confronti del problema della vita. Su queste posizioni poggia la molteplicità dei sistemi e al tempo stesso la possibilità di distinguere al loro interno determinati tipi. Ognuno di questi tipi abbraccia conoscenza della realtà, valutazione della vita e posizione di scopi. Essi sono indipendenti dalla forma dell’antitesi in cui vengono risolti, in base a punti di vista contrapposti, i problemi fondamentali. L’essenza di questi tipi si manifesta chiaramente se si guarda ai grandi geni metafisici che hanno espresso la loro costituzione personale in sistemi concettuali con pretesa di validità. La loro tipica costituzione vitale è tutt’uno con il loro carattere. Essa si esprime nel loro ordinamento della vita; riempie ogni loro azione; si manifesta nel loro stile. E se i loro sistemi sono ovviamente condizionati callo stato dei concetti in cui vengono alla luce, tuttavia i loro concetti sono — considerati storicamente — soltanto strumenti ausiliari per la costruzione e la dimostrazione della loro visione del mondo. Spinoza comincia il suo trattato sulla via per arrivare alla conoscenza perfetta3 con l’esperienza di vita della nullità dei dolori e delle gioie, della paura e della speranza della vita quotidiana; prende la risoluzione di cercare il vero bene, che garantisce una gioia eterna, e risolve quindi questo compito nella sua Ethica attraverso il superamento della schiavitù verso le passioni nella conoscenza di Dio come fondamento immanente della molteplicità delle cose transeunti, e attraverso l’amore intellettuale infinito di Dio che procede da questa conoscenza, e in virtù del quale Dio, l’infinito, ama se stesso nello

spirito umano che è limitato. L’intero sviluppo di Fichte è l’espressione di una tipica costituzione dell’anima — dell’autonomia morale della persona di fronte alla natura e a tutto il corso del mondo; e così la sua parola ultima, con cui si chiude la grande azione volontaria di questa vita tempestosa, è l’ideale dell’uomo eroico, in cui la funzione suprema della natura umana — che si compie nella storia in quanto teatro della vita morale — è legata con l’ordinamento sovraterreno delle cose. E la smisurata influenza storica di Epicuro, che pure è rimasto intellettualmente molto al di sotto dei massimi pensatori, risiede nella pura chiarezza con cui egli ha espresso una tipica costituzione dell’anima. Essa consiste nella serena subordinazione dell’uomo alla connessione legale della natura e nel godimento gioioso, e tuttavia riflessivo, dei suoi doni. Così intesa, ogni genuina visione del mondo è un’intuizione che nasce dallo stare entro la vita stessa. Le giovanili annotazioni di Hegel, sorte dal contatto delle sue esperienze metafisico-religiose con l’interpretazione dei documenti del Cristianesimo primitivo4, costituiscono un esempio di siffatte intuizioni. Questo stare dentro la vita si compie nelle prese di posizione nei suoi confronti, nelle relazioni vitali. È questo anche il significato profondo del detto ardito, che il poeta sarebbe il vero uomo. A queste prese di posizione si dischiudono dunque certi aspetti del mondo. Non ci azzardiamo qui a continuare. Noi non conosciamo la legge di formazione secondo cui dalla vita scaturisce il differenziarsi dei sistemi metafisici. Se vogliamo accostarci alla comprensione dei tipi di visione del mondo, dobbiamo rivolgerci alla storia. E ciò che di essenziale la storia ha qui da insegnarci è la possibilità di cogliere la connessione tra vita e metafisica, il trasporsi all’interno della vita come centro di questi sistemi,la coscienza delle grandi connessioni dei sistemi che attraversano la storia, e in cui si trova un atteggiamento tipico — per quanto si voglia poi limitarli e suddividerli. Si tratta cioè di vedere in profondità a partire dalla vita, di seguire le grandi intenzioni della metafisica. È questo il senso nel quale proponiamo una distinzione di tre tipi principali. Per una distinzione del genere non c’è altro strumento che la comparazione storica. Il suo punto di partenza è che ogni mente metafisica si pone di fronte al mistero della vita da un determinato punto di vista, quasi dovesse dipanarne l’intrico: questo punto è condizionato dalla sua posizione rispetto alla vita, e in base ad esso si forma la struttura singolare del suo sistema. Possiamo quindi ordinare i sistemi in gruppi secondo il loro rapporto di dipendenza, di affinità, di attrazione o di repulsione reciproca. Ma qui si fa

valere una difficoltà sottostante a ogni comparazione storica. La comparazione, infatti, deve stabilire anticipatamente un criterio per la selezione dei tratti presenti in ciò che si compara, e questo criterio determina poi l’ulteriore procedimento. Pertanto ciò che qui propongo ha un carattere del tutto provvisorio. Il nucleo di questo può essere soltanto l’intuizione che è scaturita da una lunga consuetudine con i sistemi metafisici. La loro stessa sussunzione a una formula storica può avere un carattere solamente soggettivo. Rimane aperta la possibilità di disporre logicamente la cosa in modo diverso, unificando per esempio le due forme di idealismo oppure congiungendo l’idealismo con il naturalismo, oppure procedendo in altra maniera. Questa distinzione di tipi deve servire soltanto a vedere più profondamente nella storia, e ciò a partire dalla vita.

3. IL NATURALISMO 1. L’uomo si trova determinato dalla natura. Essa comprende il suo corpo al pari del mondo esterno. E proprio la situazione del proprio corpo, i potenti impulsi animali che lo scuotono, determinano il suo sentimento della vita. Quella visione e quella considerazione della vita che ne esauriscono il corso nel soddisfacimento degli impulsi animali e nella dipendenza dal mondo esterno, da cui traggono il loro nutrimento, sono vecchie come l’umanità stessa. Nella fame, nell’impulso sessuale, nella vecchiaia e nella morte l’uomo si vede sottoposto alle potenze demoniache della vita della natura. Egli stesso è natura. Eraclito e l’apostolo Paolo la raffigurano entrambi, con analoghe parole piene di disprezzo, come la concezione della vita propria della massa legata ai sensi. Essa è permanente; non c’è alcuna epoca in cui non abbia dominato una parte degli uomini. Anche ai tempi del più rigido dominio di un ceto sacerdotale orientale esisteva questa filosofia della vita dell’uomo sensibile; e anche mentre il Cattolicesimo reprimeva ogni espressione teorica di questo punto di vista si parlava molto di «Epicurei»; ciò che non poteva essere espresso in princìpi filosofici risuonava tuttavia nelle canzoni dei Provenzali, in parecchia poesia di corte tedesca, nelle epopee francesi e tedesche di Tristano. E proprio ciò che Platone descriveva come la vita di piacere e la dottrina edonistica dei proprietari terrieri e dei commercianti, si ripresenta ai nostri occhi come la filosofia della vita della gente di mondo del secolo XVIII. Al soddisfacimento dell’animalità si aggiunge un elemento nel quale l’uomo è maggiormente dipendente dal suo ambiente: la gioia per il proprio rango e il proprio onore. Alla base di questa concezione del mondo sta sempre il medesimo atteggiamento: la subordinazione della volontà alla vita animale degli impulsi che domina il corpo e alle sue relazioni con il mondo esterno. Il pensiero e l’attività teleologica da esso diretta sono qui al servizio di quest’animalità, si realizzano nel suo soddisfacimento. Questa costituzione della vita trova la sua espressione anzitutto in una parte considerevole della letteratura di tutti i popoli — a volte come forza intatta dell’animalità, più spesso in lotta con la visione religiosa del mondo. Il suo grido di battaglia è l’emancipazione della carne. In questo contrasto con il necessario e tuttavia tremendo disciplinamento dell’umanità da parte della religione risiede il diritto storico, relativo, di tale reazione di un’affermazione sempre risorgente e operante nella vita naturale. Quando questa costituzione

della vita diventa filosofia, allora sorge il naturalismo. Questo afferma teoricamente ciò che in essa è vita; il processo della natura è l’unica e intera realtà; al di fuori di esso non esiste nulla; la vita spirituale è distinta soltanto formalmente, in quanto coscienza, dalla natura fisica in base alle proprietà contenute in essa, e questa determinatezza della coscienza, vuota di contenuto, scaturisce dalla realtà fisica secondo una causalità naturale. La struttura del naturalismo — da Democrito a Hobbes e da questo al Système de la nature5 — è uniforme: il sensismo come teoria della conoscenza, il materialismo come metafisica e un duplice atteggiamento pratico — la volontà di godimento e la conciliazione con il corso prepotente ed estraneo del mondo, attuata attraverso la sottomissione ad esso nell’osservazione. La legittimità filosofica del naturalismo poggia su due proprietà fondamentali del mondo fisico. Come sono preponderanti all’interno della realtà data nella nostra esperienza l’estensione e la forza delle masse fisiche! Esse circondano come qualcosa di smisurato, che si estende continuamente, le rare manifestazioni spirituali; così considerate, queste appaiono interpolazioni nel grande testo dell’ordine fisico. Perciò l’uomo naturale, nella considerazione teorica di tali rapporti, deve trovarsi totalmente soggetto a quest’ordine. E al tempo stesso la natura è la sede originaria di ogni conoscenza di uniformità. Già le esperienze della vita quotidiana insegnano a stabilire queste uniformità e a contare su di esse; le scienze positive del mondo fisico si avvicinano, attraverso lo studio di queste uniformità, alla conoscenza della loro connessione legale. Così esse realizzano un ideale di conoscenza irraggiungibile da parte delle scienze dello spirito, fondate sull’Erleben e sulla comprensione. A questo punto, però, le difficoltà inerenti a questo punto di vista spingono il naturalismo, in una dialettica incessante, a versioni sempre nuove della sua posizione nei confronti del mondo e della vita. La materia da cui il naturalismo muove è un fenomeno della coscienza; in tal modo esso cade nel circolo vizioso di voler derivare da ciò che è dato solamente come fenomeno per la coscienza la coscienza stessa. È inoltre impossibile derivare dal movimento, che ci è dato come fenomeno della coscienza, la sensazione e il pensiero. L’incomparabilità di questi due fatti conduce — dopo che il problema si è rivelato insolubile nei più diversi tentativi compiuti dal materialismo antico fino al Système de la nature — alla tesi positivistica della corrispondenza tra fisico e spirituale. Anche questa è esposta a forti obiezioni. Infine, la morale del naturalismo originario si mostra incapace di spiegare lo

sviluppo della società. 2. Cominciamo con l’aspetto gnoseologico del naturalismo. Il naturalismo ha il suo fondamento gnoseologico nel sensismo. Con il termine "sensismo" intendo il riconducimento del processo della coscienza o delle sue operazioni all’esperienza sensibile esterna, e delle determinazioni di valore e di scopo al criterio valutativo contenuto nel piacere e del dispiacere sensibile. Il sensismo costituisce così l’espressione filosofica diretta della costituzione naturalistica dell’anima. È qui dato, fin dal suo porsi, il problema psico-genetico del naturalismo, quello di derivare dalle singole impressioni l’unità della vita psichica come una unitas compositionis. Il sensista non nega né il fatto dell’esperienza interna né il collegamento del dato da parte del pensiero, ma trova nell’ordine fisico il fondamento di ogni conoscenza della connessione legale della realtà, e le proprietà del pensiero diventano per lui, in maniera immediata o per il tramite di una teoria, una parte dell’esperienza sensibile. La prima teoria sensistica è stata elaborata da Protagora. Nella metafisica precedente la forza universale della ragione che agisce nel pensiero umano non era stata ancora separata dalle proprietà fisiche dell’uomo, dal processo di respirazione e dalle immagini dei sensi concepite come corporee. Protagora insegnò che la percezione nasce nella cooperazione di due movimenti, un movimento esterno e un movimento organico che ha luogo nell’uomo; dato che per lui la percezione e il pensiero erano inseparabili, egli derivò dalle percezioni che sorgono in questo modo l’intera vita dell’anima. Egli spiegò anche il piacere, il dispiacere e l’impulso sulla base della cooperazione dei due movimenti. Era dunque indubbiamente un sensista. Egli scoprì inoltre fin da allora, in base a questo punto di vista, le conseguenze fenomenistiche e relativistiche in esso implicite. La dottrina relativistica di Protagora considera ogni conoscenza, ogni posizione di valore e ogni determinazione di scopo come determinato dall’elemento puramente empirico dell’organizzazione umana; essa esclude quindi una comparabilità di queste operazioni con i processi esterni a cui esse si riferiscono. In tale maniera la conoscenza, la determinazione di valore e la posizione di scopo possiedono una validità soltanto relativa, cioè nella correlazione con questa organizzazione. È qui eliminato il legame tra il soggetto e il suo oggetto, presente nell’assunzione di un’identica ragione universale che agisce nell’universo, e che in quanto simile riconosce il simile. I’organizzazione sensibile mostra nel regno dell’animalità — che giunge fino all’uomo — le forme più diverse, e da ognuna di esse deve

sorgere un mondo del tutto differente. La fattualità meramente empirica dell’organizzazione sensibile, il fatto che ogni pensiero è vincolato ad essa e l’inserimento di questa organizzazione nella connessione fisica costituiscono il fondamento di tutte le dottrine relativistiche dell’antichità. Com’è possibile, sulla base di questi presupposti, un’esperienza e una scienza empirica? Questo era il problema successivo. Matematica, astronomia, geografia, biologia si sviluppavano continuamente, e la scepsi sensistica doveva rendere comprensibile la loro possibilità. Già il probabilismo di Carneade6 racchiudeva in sé la tendenza a istituire un equilibrio positivo tra i presupposti sensistici e le scienze empiriche. Nella sua scepsi la validità della coscienza viene trasposta dai rapporti (così conformi allo spirito greco) di riproduzione di una realtà esterna oggettiva da parte delle rappresentazioni, nella corrispondenza interna delle percezioni tra di loro e con i concetti in una connessione priva di contraddizioni. Nell’ideale della massima probabilità raggiungibile, nella distinzione dei suoi livelli, si perveniva a un punto di vista in base al quale si poteva contemporaneamente combattere la metafisica e assicurare al sapere empirico una misura, seppure modesta, di validità. Ma soltanto quando la grande epoca della fondazione della scienza matematica della natura riconobbe, nel secolo XVII, l’esistenza di un ordine della natura in base a leggi, il sensismo entrò nel suo ultimo decisivo periodo. La scienza naturale si era costituita come sapere empirico inattaccabile; e il sensismo era costretto a riconoscere questo fatto, a collegarsi ad esso e a superare le conseguenze scettiche dell’epoca precedente. Fu questa la grande impresa di David Hume. Egli stesso ha considerato la sua filosofia come una prosecuzione della scepsi accademica. E infatti in lui ricorrono i caratteri principali di questa scepsi: la fattualità meramente empirica della nostra organizzazione sensibile e del pensiero ad essa connesso; di qui l’eliminazione di ogni rapporto di riproduzione tra lo spirito che apprende e il mondo oggettivo, e quindi lo spostamento della conoscenza del mondo nella mera corrispondenza interna delle percezioni tra di loro e con i concetti. Ma questi princìpi acquistano nella sua analisi il loro sviluppo più fecondo: dalle regolarità dell’accadere nascono le abitudini di determinate associazioni; nella capacità di associazione ad esse inerenti risiede il fondamento esclusivo dei concetti di sostanza e di causalità. Ne discendono conseguenze che avrebbero costituito i fondamenti del positivismo. La connessione del mondo diventa, in virtù dei legami di sostanza e di causalità, l’effetto secondario dei fatti animali dell’abitudine e dell’associazione; la scienza empirica viene limitata alle

uniformità di coesistenza e di successione dei fenomeni, escludendo ogni sapere concernente le relazioni interne, l’essenza, la sostanza o la causalità; queste uniformità costituiscono precisamente l’oggetto del nostro sapere relativo ai fatti spirituali come ai fatti fisici: tutte le parti del mondo sono collegate in un’unica legalità. L’intimo spirito del sistema di David Hume è il sensismo; ma i suoi grandi risultati si sono svincolati, nella teoria positivistica della conoscenza di d’Alembert, dai presupposti metafisici. Il positivismo divenne un metodo, e nei confronti di questo punto di vista fenomenistico il naturalismo stesso fece valere — con Feuerbach, Moleschott7, Büchner8 — la «solare evidenza del sensibile», e con Comte la connessione dei fatti fisici tra di loro e la dipendenza dei fatti psichici da essi, così come insegnava la nuova fisiologia del cervello. 3. La metafisica del naturalismo ha trovato il suo fondamento meccanicistico nell’età successiva a Protagora. La spiegazione meccanicistica costituisce, in sé e per sé, un procedimento proprio delle scienze positive, e quindi è compatibile con visioni del mondo del tutto differenti: la metafisica meccanicistica sorge soltanto quando nella realtà non si riconosce nient’altro che il meccanismo, quando certi concetti che, per la conoscenza della natura, sono solo strumenti del suo procedimento vengono considerati come entità. Le cause dei movimenti vengono riposte nei singoli elementi materiali dell’universo, e a questi elementi vengono ricondotti, secondo un metodo qualsiasi, i fatti spirituali. Dalla natura viene espulsa quell’interiorità che la religione, il mito e la poesia vi avevano collocato: essa è diventata priva di anima, e da nessuna parte una connessione unitaria pone limiti alla sua interpretazione tecnica. Soltanto questo punto di vista permette di dare al naturalismo una rigorosa forma scientifica. Il suo problema diventa ora quello di derivare il mondo spirituale dalla disposizione meccanica delle parti corporee ordinate in base a leggi. Una letteratura sterminata si è proposta di risolvere questo compito. I suoi culmini sono il sistema epicureo e la splendida esposizione datane da Lucrezio; il teatro possente sistema di Hobbes, che concepì in modo coerente l’intero mondo spirituale dal punto di vista dell’impulso vitale da cui scaturisce la lotta degli individui, dei ceti e degli stati per la propria potenza; nella Francia del secolo XVIII il sistema della natura, che espresse nelle sue fredde formule il mistero degli uomini più miscredenti e dei libertini di tutti i tempi; e infine la

fanatica dottrina materialistica di Feuerbach, di Büchner, di Moleschott e dei loro compagni. La potenza di queste dottrine poggiava sul fatto che esse erano state costruite sul terreno della realtà esterna spaziale che cade sotto i sensi, accessibile al pensiero esatto delle scienze della natura. In nessun luogo esse contenevano un oscuro residuo di forze impenetrabili. Non c’era angolo in cui potesse celarsi un elemento spirituale autonomo o un elemento trascendente. Tutto era razionale e naturale. Infatti l’anima di questa metafisica materialistica è la lotta contro le potenze della religiosità e della metafisica spiritualistica con le loro oscurità. E la sua legittimità storica risiedeva nello sforzo di superare l’alleanza della chiesa con il dispotismo all’interno della società. In un tale ordinamento delle cose non c’è spazio alcuno per la considerazione del mondo dal punto di vista del valore e dello scopo. Valori e scopi sono qui ciechi prodotti del corso della natura, i quali hanno un interesse particolare soltanto per l’uomo, poiché l’uomo è per se stesso, in virtù della sua vita interiore, centro del mondo e tutto misura in conformità ai suoi sentimenti, alle sue aspirazioni, ai suoi fini. 4. L’ideale di vita del naturalismo doveva essere duplice, in conformità al suo duplice rapporto con il corso della natura. A causa della sua passione l’uomo è schiavo del corso della natura — ma uno schiavo che calcola con astuzia, e che si pone al di sopra di esso in virtù della potenza del pensiero. Già l’antichità ha sviluppato entrambi gli aspetti dell’ideale naturalistico. Il sensismo di Protagora aveva già in sé le condizioni dell’edonismo di Aristippo9. Per quest’ultimo, infatti, tanto le percezioni sensibili quanto i sentimenti e i desideri sorgono nei contatti dell’organizzazione sensibile con il mondo esterno; essi non possono quindi esprimere i valori oggettivi contenuti nella realtà, ma soltanto il rapporto in cui il soggetto, con il suo sentimento, si pone nei loro confronti. Da ciò Aristippo concludeva che il criterio e il fine del giusto agire risiedono esclusivamente nel piacere, inteso come il movimento migliore che abbia luogo nella nostra organizzazione sensibile. Il criterio e il fine dell’arte di vivere dev’essere ricercato nella connessione fisica della nostra animalità con la natura esterna, quale si palesa nei movimenti sensibili. La riflessione socratica diventa qui il gioco sovrano del pensiero formale che calcola i valori del piacere e che si eleva al di sopra delle convenzioni, cioè al di sopra degli ordinamenti oggettivi della vita. Ma nell’apprendimento visivo e

nel godimento estetico — che tanta importanza rivestiva per lo spirito greco — era insito un altro ideale, e anche questo si collocava nell’orizzonte di quella metafisica naturalistica che ha i suoi rappresentanti in Democrito, in Epicuro e in Lucrezio. A esso condussero le esperienze dell’impulso vitale. Si tratta della tranquillità d’animo che sorge in colui che accoglie in sé la connessione sempre salda e duratura dell’universo. Una tale costituzione dell’anima trovò la sua espressione nel poema didattico di Lucrezio. Egli viveva in sé la potenza liberatrice della grande visione cosmica, astronomica e geografica del mondo che la scienza greca aveva creato. L’universo smisurato e le sue leggi eterne, la nascita dei sistemi del mondo, la storia della terra che si copre di piante e di animali e che infine produce l’uomo — questa concezione gli consentì di osservare molto al di sotto di sé gli intrighi politici e le povere marionette divine adorate dal suo popolo. Perfino la vita dell’individuo, con la sua sete di godimento e di potere, la lotta delle esistenze particolari sul teatro dell’Impero romano si rimpiccioliva da questo punto di vista cosmico: «pio è chi guarda all’universo con spirito sereno». Già nell’antichità l’esperienza che, nel corso del mondo, compie l’uomo che desidera la felicità dei sensi aveva dissolto la rigidità della dottrina del piacere sensibile come fine della vita. Accanto a quello sensibile si era affermato il durevole piacere spirituale. Già allora la scuola epicurea si era proposta di risolvere — mediante l’assunzione di uno sviluppo progressivo — il compito decisivo di derivare la cultura, in tutta la sua ricchezza e grandezza, dai sentimenti del piacere e del dispiacere sensibile. Ma solamente l’epoca moderna approntò strumenti scientificamente validi per la spiegazione naturalistica dello sviluppo spirituale: la comprensione della vita spirituale in base al suo ambiente, la derivazione della vita economica dagli interessi dell’individuo, la derivazione della cultura superiore dal progresso economico, e infine la teoria dell’evoluzione, che permetteva di porre a base delle proprietà intellettuali e morali degli uomini l’accumularsi di trasformazioni minime avvenute nel corso di smisurati spazi di tempo. L’ideale naturalistico quale fu enunciato, al termine di un lungo sviluppo culturale, da Ludwig Feuerbach — l’ideale dell’uomo libero che in Dio, nell’immortalità e nell’ordinamento invisibile delle cose riconosce i fantasmi dei propri desideri — ha esercitato un’influenza potente sulle idee politiche, sulla letteratura e sulla poesia.

4. L’IDEALISMO DELLA LIBERTÀ Prendiamo nuovamente le mosse dal fatto dell’affinità tra un gran numero di sistemi che, essendo fondata su una costituzione di vita, su una posizione nei confronti del mondo, racchiude in sé la soluzione dei problemi inerenti al mistero della vita in una determinata tendenza, e in tal modo congiunge questi sistemi in un secondo tipo di visione del mondo. 1. L’idealismo della libertà è la creazione dello spirito ateniese. L’energia formatrice, plasmatrice, sovrana in esso presente diventa con Anassagora, Socrate, Platone e Aristotele principio di comprensione del mondo. Cicerone ha espresso con vigore il suo accordo, il suo sentimento di affinità con Socrate e tutta la scuola socratica della storia greca successiva. E i grandi apologisti e padri della Chiesa cristiana si trovano in un consapevole accordo sia con lo spirito socratico sia con la filosofia romana. La scuola scozzese poggia anch’essa completamente sull’orientamento di pensiero di Cicerone ed è nel medesimo tempo consapevole della propria comunanza con gli antichi scrittori cristiani. E proprio la coscienza di tale affinità collega a questi scrittori precedenti Kant e Jacobi10, Maine de Biran e i filosofi francesi a lui imparentati fino a Bergson11. La coscienza di questa affinità è accompagnata da un’aspra polemica dei rappresentanti di questo orientamento nei confronti del sistema naturalistico. La coscienza di una completa diversità dal naturalismo nella concezione della vita, nella visione del mondo e nell’ideale pervade fino alle punta delle dita ognuno di questi pensatori, e in modo particolarmente intenso i più profondi. Ma anche l’opposizione al panteismo fu resa sempre più consapevole da questo idealismo della personalità. Se il panteismo greco più antico si era distaccato dalla personificazione religiosa della divinità e dal rapporto personale con essa, Socrate si oppose poi nuovamente a questo panteismo, e la filosofia romana dominante insistette sulla propria affinità con Socrate. Anche la più antica filosofia cristiana si sente unita ai rappresentanti dell’idealismo della libertà e della personalità in antitesi al naturalismo come al panteismo. E la medesima posizione emerge nella lotta della più tarda filosofia cristiana contro l’idealismo oggettivo di Averroè. Essa si manifesta poi durante il Rinascimento nella lotta di Giordano Bruno contro ogni forma di filosofia cristiana, e di quest’ultima contro il nuovo panteismo bruniano. A partire da questo periodo essa prosegue poi nel conflitto tra Spinoza e ogni dottrina della

personalità o della libertà, o tra Leibniz e numerosi esponenti della dottrina della libertà, infine nelle lotte tra Kant, Fichte, Jacobi, Fries12 e Herbart da un lato, Schelling, Hegel e Schleiermacher dall’altro. Tutte le grandi polemiche filosofiche degli ultimi secoli hanno acquistato un carattere appassionato in virtù del legame in cui i conflitti che emanano da un problema stanno con le diverse visioni del mondo. La disputa di Bayle con Spinoza13 ha alla radice il bisogno di libertà nei confronti del determinismo. La disputa di Voltaire con Leibniz si richiama a una presa di posizione pratica della coscienza che muove dall’uomo, e che tende quindi in primo luogo a garantire la libertà contro la metafisica contemplativa fondata sull’intuizione dell’universo. Rousseau contrappone con enorme successo alle forme più diverse di naturalismo o di monismo una filosofia della personalità e della libertà. La discussione tra Jacobi e Schelling tocca i principali problemi che stanno di fronte all’idealismo oggettivo e alla filosofia della personalità; e mai è stata condotta una disputa più appassionata di questa. Anche la polemica di Herbart contro la filosofia monistica deriva la propria veemenza dal sentimento che le grandi verità del sistema teistico venivano poste in questione da questo monismo, mentre egli si ergeva contemporaneamente a difensore della visione cristiana del mondo, che nelle sue radici più profonde è teistica. L’asprezza con cui Fries e Apelt14 conducono la loro battaglia contro la speculazione monistica è condizionata in egual misura dall’odio verso la deformazione delle scienze sperimentali della natura compiuta da Schelling e da Hegel e dall’odio verso la dissoluzione del teismo cristiano sotto il manto di una difesa del Cristianesimo. 2. A questa coscienza di comunanza reciproca e di conflitto, che rispettivamente congiunge tra di loro i rappresentanti dell’idealismo della libertà e li separa sia dall’idealismo oggettivo sia dal naturalismo, corrisponde l’effettiva affinità tra i diversi sistemi di questo tipo. Il legame che in questi sistemi tiene insieme la visione del mondo, il metodo e la metafisica consiste nel fatto che l’atteggiamento, che con sovrana autosufficienza si contrappone a ogni datità, contiene in sé l’indipendenza di ciò che è spirituale da ogni datità del genere: lo spirito è consapevole della sua essenza in quanto distinta da ogni causalità fisica. Fichte ha visto con profonda penetrazione etica la connessione tra il carattere personale di un certo gruppo di pensatori e l’idealismo della libertà, in antitesi a ogni sistema della natura. Questa libera potenza dell’io si trova al tempo stesso collegata nel rapporto con altre persone non già fisicamente, bensì nella forma e nell’obbligazione morale; nasce così il

concetto di un regno di persone in cui gli individui sono vincolati da norme e tuttavia interiormente liberi. A queste premesse è poi congiunta in ogni tempo la relazione di individui liberi, vincolati interiormente dalla legge, responsabili, e del regno delle persone con una causa originaria assoluta, personale e libera. In base alla costituzione vitale ciò è fondato sul fatto che la spontanea e libera vitalità si scopre come una forza che determina altre persone secondo la loro libertà, ma nel medesimo tempo avverte immediatamente che in essa stessa altre persone sono divenute una forza da cui è determinata in modo corrispondente alla propria spontaneità. Così questa forma vivente di determinazione attiva e passiva diventa lo schema della connessione universale in generale: essa viene per così dire proiettata nella stessa connessione universale, la si ritrova in ogni rapporto in cui sta il soggetto del pensiero sistematico, fino al più comprensivo. In tal modo la divinità viene sottratta alla connessione della causalità fisica e concepita come qualcosa che la governa — come una proiezione della ragione che pone scopi, fornita di potenza autonoma nei confronti della datità. Anassagora e Aristotele hanno definito filosoficamente ed espresso con precisione questo concetto di divinità mediante il rapporto della divinità con la materia. Quest’idea di un dio personale acquista la sua formulazione metafisica più radicale nel concetto cristiano della creazione del mondo dal nulla, dal nonesistente; essa esprime infatti la trascendenza della divinità nei confronti della legge causale, che governa nel mondo naturale secondo la regola ex nihilo nihil. E questa trascendenza di Dio rispetto alla conoscenza del mondo, la quale connette le sue verità in base al principio di ragion sufficiente, viene poi giustificata criticamente da Kant: Dio esiste soltanto per la volontà, che lo richiede in virtù della sua libertà. 3. Sorge così la struttura comune a tutti i sistemi che rientrano in questo tipo di visione del mondo. Dal punto di vista della teoria della conoscenza questo tipo si fonderà, non appena diventa filosoficamente consapevole del suo presupposto, sui fatti della coscienza. Nella metafisica questa visione del mondo passa attraverso diverse forme. Essa compare dapprima nella filosofia attica come concezione della ragione formatrice, che plasma la materia in forma di mondo. La grande scoperta di un pensiero concettuale e di un volere morale indipendenti dalla connessione della natura, e della loro connessione con un ordine spirituale, costituisce in Platone il punto di partenza di questa concezione, e anche in Aristotele ne rimane il fondamento. Preparata dalla

nozione romana di volontà e dalla visione romana di un governo di Dio sul mondo, si forma nel Cristianesimo la seconda concezione, cioè la dottrina della creazione. Essa costruirà un mondo trascendente sulla base delle relazioni esperite nel comportamento volontario. I concetti di Dio propri della coscienza cristiana sono il rapporto del padre con i suoi figli, il contatto con Dio, la provvidenza come simbolo del governo del mondo, la giustizia, la misericordia. Un lungo cammino è stato poi percorso a partire di qui fino al supremo raffinamento di questa coscienza di Dio nella filosofia trascendentale tedesca. In un’asciutta ed eroica grandezza l’idealismo della libertà costruisce qui — come appare nel modo più compiuto in Schiller — il mondo soprasensibile che esiste soltanto per la volontà, poiché è posto in base al suo ideale di un’aspirazione infinita. 4. Questa visione del mondo possiede un fondamento universalmente valido nei fatti della coscienza. In quanto coscienza metafisica dell’uomo eroico, essa è indistruttibile: si rinnoverà sempre in ogni grande natura attiva. Essa non può tuttavia definire e fondare il suo principio scientificamente in maniera universalmente valida. Anche qui ha però di nuovo inizio una dialettica incessante che procede di possibilità in possibilità, ma che è incapace di pervenire a una soluzione del suo problema. La volontà che agisce, consapevole dei suoi scopi, nella famiglia, nel diritto e nello stato è stata sviluppata dal pensiero romano in concetti di vita, e questi sono stati alla fine ricondotti a una disposizione innata per la condotta della vita. In tal modo la sicurezza della condotta della vita poggiava su qualcosa di irraggiungibile e di indimostrabile. La regolarità degli ordinamenti della vita fu fondata su presupposti innatistici, che tuttavia potevano essere provati soltanto sulla base degli ordinamenti della vita, sulla base della corrispondenza tra i popoli. In questo modo la filosofia romana della vita fondò il suo idealismo della personalità. Su di esso la coscienza cristiana determinò come principio di tale punto di vista la trascendenza dello spirito, la sua indipendenza da tutti gli ordinamenti naturali. Ma questa è soltanto un’espressione simbolica delle esperienze della volontà nel sacrificio, nel superamento del nesso naturale della motivazione attraverso l’abbandono della vita, della forza di vivere in vista della realizzazione di un ordine soprasensibile. L’ideale del sacro vale come prova di se stesso, ma nessuna formula consente di elevarlo a coscienza logica. Kant e la filosofia trascendentale si proposero quindi di determinare e di fondare in maniera universalmente valida questa volontà ideale. Fu fatto

valere, di fronte al corso del mondo, un elemento indeterminato sotto forma di norma suprema e di valore supremo. Il tentativo fallì. Ma esso si rinnovò nell’idealismo personalistico francese, da Maine de Biran a Bergson, nella forma idealistica del pragmatismo quale si è presentata in James e nei pensatori a lui affini, e nella grande corrente della filosofia trascendentale tedesca. La sua potenza è indistruttibile; cambiano solamente le sue forme e i modi di dimostrazione. Questa potenza poggia su una costituzione di vita che prende le mosse dall’uomo che agisce e che esige una regola salda per la posizione di scopi. Schiller è il poeta di questo idealismo della libertà, così come Carlyle è il suo storico: Umiliato a servire un vile, Alcide viveva un tempo un’aspra dura vita in un’eterna guerra: contro l’Idra ebbe a lottare ed abbatté il leone, per liberar gli amici si gettò vivo dentro la barca del nocchiero dei morti. Ogni gravame, ogni tormento getta l’inganno della Dea implacata sulle docili spalle dell’odiato, finché finisce il suo cammino finché, spogliato il suo terreno involucro, il Dio fiammante sciogliesi dall’uomo e beve le sottili aure dell’etere. Lieto cel nuovo, insolito aleggiare si leva in alto, e la visione cupa della vita terrena, cade e cade15.

5 L’IDEALISMO OGGETTIVO Si presentano poi in gran massa, collegati tra loro, altri sistemi che divergono dai due tipi finora descritti. Essi formano la massa principale di ogni metafisica, si estendono per l’intera storia della filosofia, e il loro stretto rapporto con i grandi fenomeni affini della fede e dell’arte rimanda a una visione del mondo che attraversa le religioni, la concezione artistica e il pensiero metafisico. 1. Determiniamo l’ambito in cui questo tipo si presenta all’interno della metafisica. Proprio la massa centrale dei sistemi filosofici non può venir assegnata né al naturalismo né all’idealismo della libertà. Senofane16, Eraclito, Parmenide e i loro continuatori, il sistema stoico, Giordano Bruno, Spinoza, Shaftesbury, Herder, Goethe, Schelling, Hegel, Schopenhauer e Schleiermacher — tutti questi sistemi mostrano un tipo chiaramente comune, che diverge completamente dagli altri due che abbiamo già presentato. Essi sono legati tra di loro da un rapporto di dipendenza e dalla più marcata coscienza della loro affinità. Lo Stoicismo era consapevole della propria dipendenza da Eraclito; Giordano Bruno ha utilizzato in larga misura i concetti fondamentali degli Stoici; Spinoza è condizionato dallo Stoicismo e dal complesso di idee filosofiche che aveva come centro Giordano Bruno. In Leibniz la grande impostazione del Rinascimento trova, rispetto al rigido monismo spinoziano,la sua espressione più compiuta. Dopo la dissoluzione delle forme sostanziali, nel Rinascimento non viene più riconosciuta alcuna realtà in mezzo tra la connessione divina e le cose particolari: il mondo è l’esplicazione di Dio, che si è scomposto in esso nella forma di una molteplicità illimitata; ogni cosa particolare rispecchia dal suo posto l’universo. Questa è anche l’impostazione di Leibniz. Se la sua dipendenza dalla situazione intellettuale del tempo gli consente di concepire la divinità come un incividuo, la dipendenza dalla sua cultura teologica lo ha indotto a mettere in primo piano le relazioni con la teologia: il panenteismo rimane la sua visione fondamentale, e il nuovo grande principio del suo sistema è la concezione dell’universo come una totalità singolare in cui ogni parte è determinata dalla connessione ideale di significato del tutto. Questo principio è interamente determinato dalla questione del senso e del significato del mondo. Il suo parente più prossimo è Shaftesbury, influenzato sia dallo Stoicismo sia da Giordano Bruno. I grandi idealisti oggettivi tedeschi vivono

però nella sfera d’influenza di Leibniz, sono condizionati da Shaftesbury attraverso il movimento poetico tedesco, in particolare per il tramite di Goethe e di Herder; e la loro dipendenza da Spinoza, in parte diretta, in parte mediata dal precedente movimento letterario, è provata e può esser dimostrata in misura ancora più ampia. Questi sistemi costituiscono così una connessione storica altrettanto conclusa di quella del naturalismo e dell’idealismo della libertà. Essi hanno sempre espresso nel modo più deciso anche il loro contrasto nei confronti degli altri due tipi di visione del mondo. Con quanta durezza Eraclito giudica il materialismo della plebe! In quale netta antitesi lo Stoicismo si pone nei confronti del sensismo epicureo! Al tempo stesso, però, esso è ben consapevole, in quanto rinnova l’ilozoismo, del proprio distacco da Platone e da Aristotele. Giordano Bruno ha poi condotto, con una passionalità senza pari, la lotta contro ogni forma di visione cristiana del mondo e di ideale di vita cristiano. La stessa passionalità irrompe tra le catene delle dimostrazioni di Spinoza, in quelle aggiunte stilisticamente libere che erano state originariamente composte in forma autonoma, come effusioni della sua disposizione di vita. Schelling e Hegel indirizzano manifesti e pamphlets contro l’idealismo della libertà e in particolare contro Kant, Fichte e Jacobi, in quanto filosofi della riflessione. E, prescindendo dall’invettiva di Schopenhauer, la critica di Schleiermacher alla dottrina etica è fondamentalmente un unico grande scritto polemico contro l’etica sensistica e contro la limitante etica dualistica di Kant e di Fichte, in favore dell’idealismo oggettivo. Se il procedimento comparativo segue questi indizi, esso è in grado di riconoscere l’affinità degli elementi di questo gruppo così legati tra di loro, e una struttura ad essi comune, in virtù della quale sono riuniti a formare un medesimo tipo di visione del mondo. La connessione di princìpi che costituisce la struttura di questo tipo comprende una posizione gnoseologicometodologica della coscienza, una formula metafisica che contiene diverse possibilità di formazione di sistemi metafisici, e infine un principio di configurazione della vita. 2. La posizione gnoseologico-metodologica della coscienza nei confronti del mistero del mondo consisteva, nella prima delle tre visioni del mondo, nel procedere dalla conoscenza delle uniformità presenti nel mondo fisico a generalizzazioni che permettevano di subordinare a questa legalità meccanica

esterna anche i fatti spirituali. Per contro l’idealismo della libertà ha trovato nei fatti della coscienza il punto saldo per una soluzione universalmente valida del mistero del mondo; esso richiedeva l’esistenza e la possibilità di stabilire determinazioni universali della coscienza, non ulteriormente risolvibili, che con forza spontanea producono la formazione della vita e cella visione del mondo nella materia della realtà esterna. Il terzo tipo di atteggiamento gnoseologico-metodologico è del tutto differente da entrambi. Esso può venir rintracciato in egual misura in Eraclito come nello Stoicismo, in Giordano Bruno come in Spinoza e in Shaftesbury, in Schelling, Hegel, Schopenhauer e Schleiermacher. Esso è fondato infatti sulla costituzione di vita di questi pensatori. Diciamo che un atteggiamento è di tipo contemplativo, estetico o artistico quando in esso il soggetto si riposa, per così dire, dal lavoro conoscitivo delle scienze naturali e dall’agire che si sviluppa nella connessione dei nostri bisogni, degli scopi che ne derivano e della loro realizzazione nel mondo esterno. In questo atteggiamento contemplativo la vita del sentire, in cui la ricchezza della vita, il valore e la felicità dell’esistenza vengono avvertiti anzitutto in modo personale, si amplia in una specie di simpatia universale. In virtù di un tale ampliamento del nostro io nella simpatia universale noi riempiamo e animiamo la realtà intera mediante i valori che sentiamo, mediante l’agire in cui realizziamo la nostra vita, mediante le idee supreme del bello, del bene e del vero. Le disposizioni d’animo che la realtà suscita in noi, le ritroviamo in essa. E nella misura in cui estendiamo il nostro sentimento particolare della vita nella partecipazione alla totalità del mondo e avvertiamo la nostra affinità con tutte le manifestazioni del reale, la gioia della vita si rinsalda e cresce la coscienza della propria forza. È questa la costituzione dell’anima in cui l’individuo si sente tutt’uno con la connessione divina delle cose e quindi affine a qualsiasi altro elemento di questa connessione. Nessuno ha espresso questa costituzione dell’anima in modo più bello di Goethe. Egli loda la fortuna di poter «sentire e godere» la natura. … Né tu m’accordi appena il freddo stupore d’un ospite ma, come nel cuore a un amico, mi dai di fissare nel fondo del suo essere. Guidi davanti a me la schiera dei viventi e a riconoscere m’insegni i miei fratelli fra piante mute, in aria e in acqua17. Questa costituzione dell’animo trova la soluzione di tutte le dissonanze

della vita nell’armonia universale delle cose. Il sentimento tragico delle contraddizioni dell’esistenza, la disposizione pessimistica, l’umorismo che coglie realisticamente la limitatezza e l’angustia opprimente dei fenomeni, ma nella loro profondità scopre l’idealità vittoriosa del reale, sono soltanto gradini che conducono alla percezione di una connessione universale dell’esistenza e del valore. La forma di apprendere è nell’idealismo oggettivo sempre la medesima: non già l’ordinamento dei casi secondo rapporti di affinità o di uniformità, ma l’intuizione complessiva delle parti in un tutto, l’innalzamento della connessione della vita a connessione del mondo. Il primo tra i pensatori di questo tipo a riflettere sul suo procedimento filosofico fu — a quanto ne sappiamo — Eraclito. Egli ha elevato alla coscienza l’atteggiamento contemplativo e ha espresso la sua opposizione al pensiero personificante della fede, alla percezione sensibile — che, presa da sola, egli tiene in scarso conto — e alla cosmologia scientifica. Il filosofo fa oggetto della sua riflessione ciò che lo circonda da vicino, costantemente, giorno per giorno, dove egli ritrova dunque sempre le medesime cose. Essere presente a ciò che ci accade: con questa espressione viene genialmente raffigurata la profonda riflessione in virtù della quale i fenomeni del corso del mondo, ovvi agli occhi della massa, diventano invece per il filosofo autentico oggetto di stupore e di meditazione. In base a questo atteggiamento contemplativo Eraclito concepiva il corso del mondo come sempre identico, come il continuo fluire e la corruttibilità di ogni cosa, e come un ordinamento concettuale presente in ogni suo punto. In tal modo il sentimento tragico dell’avanzare incessante del tempo, in cui il presente è sempre e non è più, si risolve ai suoi occhi nella coscienza della regolarità dell’universo che permane in mezzo a tale fuga. Nello Stoicismo domina la medesima visione dell’universo come un tutto al quale le cose particolari si rapportano come parti, e nel quale esse vengono tenute insieme da una forza unitaria. Esso ha eliminato il rapporto di subordinazione dei fatti sotto unità concettuali astratte, che prevaleva in Platone e Aristotele; e in luogo della relazione logica del particolare con l’universale subentra, nel suo sistema, il rapporto organico di un tutto con i suoi elementi, cioè quella forma di apprendere che Kant ha posto in stretta relazione, come visione del finalismo immanente della realtà organica, con la forma dell’intuizione estetica. E dopo che erano scomparse la sillogistica e la sistematica scolastica, che avevano impiegato le forme sostanziali al servizio della teologia cristiana, per

la fondazione di un mondo trascendente, le medesime categorie della visione del mondo si sono presentate nel periodo di transizione dal Medioevo all’età moderna: l’intero e le sue parti, l’individualità di queste parti fino alle più piccole. Già in Nicola Cusano compare quella finissima concezione estetica dell’universo secondo cui la cosa particolare, in quanto contrazione del tutto, rispecchia in sé l’universo. Spinoza è il rappresentante di questa dottrina dell’universo come unità, e anche la visione leibniziana del mondo è scaturita — nonostante il suo concetto di Dio, fondato sulla monadologia e connesso con la sua tendenza teologica — da questa costituzione dell’anima. La piena consapevolezza gnoseologica di questo atteggiamento contemplativo si ha in Schelling, Schopenhauer e Schleiermacher. L’intuizione intellettuale di Schelling, l’atteggiamento estetico contemplativo, libero dal volere, di Schopenhauer — in cui il soggetto non va più in cerca delle relazioni reciproche delle cose in base al principio di ragion sufficiente, ma coglie nei fenomeni ciò che ne costituisce l’essenza — e infine la religione come intuizione e sentimento dell’universo nelle Reden di Schleiermacher: in queste diverse forme si esprimono soltanto i vari aspetti del medesimo atteggiamento, che è proprio di questo tipo di visione del mondo. 3. Da tale atteggiamento deriva la formula metafisica comune a tutta questa classe di sistemi. Tutti i fenomeni dell’universo presentano un duplice aspetto: da un lato, cioè nella percezione esterna, essi sono dati come oggetti sensibili e stanno, in quanto tali, in un nesso fisico; dall’altro recano in sé, considerati per così dire dall’interno, una connessione vitale di cui possiamo avere esperienza immediata nella nostra interiorità. Così questo principio può essere espresso anche come affinità di tutte le parti dell’universo con il fondamento divino e tra di loro. Esso corrisponde alla disposizione d’animo di una simpatia universale che nel reale, in ciò che si manifesta nello spazio, avverte ovunque la presenza della divinità. Questa coscienza di un’affinità è il carattere metafisico fondamentale comune alla religiosità degli Indiani, dei Greci e dei Germani; e da essa deriva, nella metafisica, l’immanenza di tutte le cose, in quanto parti di un tutto, in un fondamento unitario del mondo e di tutti i valori in una connessione di significato che costituisce il senso del mondo. La contemplazione, l’intuizione che nella propria vita rivive quella del tutto — quale che sia il modo di interpretarla — coglie nei fenomeni dati esternamente un’interna, vivente connessione divina. Dal medesimo atteggiamento sorge infine di regola la concezione deterministica; infatti il singolo individuo si

scopre qui determinato dal tutto, e la connessione dei fenomeni viene concepita come determinazione interna, quali che siano le caratteristiche che vengono ad essa altrimenti attribuite. 4. Ciò che è contenuto in questa formula dell’idealismo oggettivo come struttura della connessione del mondo, la religiosità, la poesia e la metafisica lo esprimono tutte soltanto in modo simbolico. Esso è assolutamente inconoscibile. La metafisica separa soltanto aspetti particolari dalla vitalità del soggetto, dalla connessione di vita della persona, proiettandoli nell’immensità come connessione del mondo. Ne scaturisce una nuova incessante dialettica che conduce di sistema in sistema finché, esaurite tutte le possibilità, viene riconosciuta l’insolubilità del problema. È questo fondamento del mondo volontà oppure ragione? Se lo determiniamo come pensiero, esso ha però bisogno di una volontà perché qualcosa sorga. Se lo si concepisce invece come volontà, essa presuppone un pensiero che ne determini lo scopo. Volontà e pensiero non si lasciano però ridurre l’uno all’altro. A questo punto la possibilità di pensare logicamente il fondamento del mondo si arresta, e rimane soltanto il rispecchiamento in esso della vita attraverso la mistica. Se si concepisce il fondamento del mondo in modo personale, questa metafora esige tuttavia che esso sia limitato da determinazioni concrete. Se invece si applica ad esso l’idea dell’infinito, allora scompaiono di nuovo tutte le sue determinazioni, e anche qui rimangono soltanto l’impenetrabile, l’inconcepibile, l’oscurità e la mistica. Se è fornito di coscienza, esso ricade sotto l’antitesi di soggetto e oggetto; d’altra parte non possiamo però concepire l’inconscio in modo tale che possa produrre da sé la coscienza come qualcosa di superiore; siamo nuovamente di fronte a qualcosa di inafferrabile. Non ci è possibile pensare come dall’unità del mondo possa nascere una molteplicità, dall’eterno qualcosa di mutevole: ciò è logicamente inconcepibile. Il rapporto tra essere e pensare, tra estensione e pensiero, non viene reso più comprensibile dalla parola magica dell’identità. Così, anche di questi sistemi metafisici rimane soltanto una costituzione dell’anima e una visione del mondo. Goethe ci ha dato l’espressione più alta di questa visione del mondo: Che sarebbe un Dio che agisse soltanto dall’esterno, facesse rotare intorno al dito l’universo! A Lui s’addice di muovere il mondo dall’interno, di albergare la Natura in Sé, Sé nella Natura,

così che il mondo, che in Lui vive, vibra ed è, mai senta mancanza della Sua forza, del suo spirito18.

1. Ibn Rushd, latinizzato in Averroè (1126-1198), è — insieme ad Avicenna — il maggiore esponente della filosofia araba medievale. Visse a Cordova, sotto la protezione del califfo Yusuf, dedicandosi al commento dell’opera di Aristotele; ma caduto in disgrazia per i dubbi sorti in merito alla sua ortodossia religiosa fu costretto a rifugiarsi prima in un paese dell’Andalusia, poi a Marrakesh. Oltre al grande commento di Aristotele, che divenne la fonte principale di conoscenza della filosofia aristotelica nel mondo europeo fin dal Duecento, scrisse diversi trattati, di cui particolarmente importante è la Destructio destructionis, scritto in difesa della filosofia contro la condanna che ne aveva pronunciato alGhazālī 2. Antoine-Louis-Claude Destutt de Tracy (1754-1836), filosofo francese, sviluppò la teoria della conoscenza di Condillac nell’“ideologia”, concepita come analisi delle facoltà e del processo di formazione e di combinazione delle idee. La sua opera principale è costituita dagli Eléments d’idéologie (1801-17). 3. Dilthey allude al Tractatus de intellectus emendatione, composto probabilmente intorno al 1660 (una datazione più precisa è impossibile) e pubblicato per la prima volta nel 1677, nell’edizione delle opere postume a cura di Lodewijk Meyer. 4. Il riferimento è ai cosiddetti «scritti teologici giovanili» di Hegel, in particolare al saggio Volksreligion und Christentum (che risale agli anni 1793-94), allo scritto Leben ]esu (1795) e soprattutto al successivo Die Positivität der christlichen Religion (1795-96), nonché all’ampia trattazione di Der Geist des Christentums und sein Schicksal (1798-1800): essi sono stati tradotti da N. Vaccaro e E. Mirri, con il titolo Scritti teologici giovanili, Napoli, Guida, 1972. Dilthey fu il primo a studiarli sistematicamente nella Jugendgeschichte Hegels e a promuoverne l’edizione, pubblicata nel 1907 a cura del suo allievo Hermann Nohl. 5. È il titolo dell’opera principale di Paul Heinrich Dietrich barone d’Holbach (1723-1789), pubblicata nel 1770, in cui sono sistematicamente esposti i princìpi del materialismo settecentesco. 6. Carneade (219-129 a. C), filosofo della Media Accademia. 7. Jakob Moleschott (1822-1893), biologo e fisiologo tedesco, autore della Physiologie des Stoffwechsels in Pflanzen und Tieren (1857) e di Der Kreislauf des Lebens (1852), è uno dei più noti esponenti del positivismo materialistico tedesco. 8. Ludwig Büchner (1824-1899), medico e filosofo tedesco, autore di Kraft und Stoff (1855), di Natur und Geist (1857), di Die Stellung des Menschen in der Natur (1869), di Der Fortschritt in Natur und Geschichte (1884), è un altro importante esponente del positivismo materialistico tedesco. 9. Aristippo di Cirene (435-366 a. C), filosofo socratico, fu il maggiore rappresentante dell’edonismo nel pensiero greco. 10. Friedrich Heinrich Jacobi (1743-1819), entrò a Ginevra in contatto con l’ambiente illuministico; rientrate in Germania nel 1763, si impegnò nello studio di Spinoza; dopo la rivoluzione lasciò Dusseldorf per ritirarsi nello Schleswig-Holstein e poi a Monaco, dove divenne presidente dell’Accademia bavarese delle Scienze. Fu autore di una serie di lettere polemiche contro Moses Mendelssohn, dal titolo Über die Lehre des Spinoza (1785), tradusse in tedesco Giordano Bruno, ed elaborò una “filosofia dell’identità” criticando sia Kant sia l’idealismo post-kantiano. È una figura centrale nel dibattito sullo spinozismo che caratterizza il pensiero tedesco verso la fine del secolo XVIII. 11. Henri-Louis Bergson (1859-1941) è il maggiore rappresentante dello spiritualismo francese tra Otto e Novecento. Formatosi all’École normale supérieure, vi insegnò per parecchi anni fin quando ru nominato professore al Collège de France. Le sue opere principali sono la tesi di dottorato dal titolo Essai sur les donnés immediats de la conscience (1889), Le rire (1900), Matière et mémoire (1896), L’évolution

créatrice (1907), Les deux sources de la morale et de la religion (1932), La pensée et le mouvant (1934). Il pensiero di Bergson ebbe larga risonanza anche fuori de: confini francesi: nel 1928 gli fu conferito il Premio Nobel per la letteratura. 12. Jakob Friedrich Fries (1773-1843), filosofo tedesco, studiò a Lipsia e a Jena; insegnò a Heidelberg a partire dal 1805; divenuto nel 1816 ordinario a Jena, fu privato della cattedra in seguito all’atteggiamento favorevole agli studenti assunto nei moti del ’17; ritornò a insegnarvi nel 1824. È autore di una Neue Kritik der Vernunft (1807) e di numerose altre opere, in cui è formulata un’interpretazione in chiave psicologica della filosofia kantiana. 13. Dilthey allude alla polemica che Bayle conduce nella voce «Spinoza» del Dictionnaire historique et critique. 14. Ernst Friedrich Apelt (1812-1859), allievo e continuatore di Fries, del cui pensiero diede un’esposizione nella Metaphysik (1857). 15. F. SCHILLER, Gedichte, Das Ideal und das Leben, vv. 131-46 (trad, it. di G. A. Alfero). 16. Senofane di Colofone, filosofo ionico vissuto tra la seconda metà del secolo VI e l’inizio del secolo V a. C., critico della concezione antropomorfica della divinità: alcune testimonianze, molto discusse, ne fanno il maestro di Parmenide e il fondatore della scuola eleatica. 17. W. GOETHE, Faust, vv. 3221-27 (trad. it. di F. Fortini). 18. W. GOETHE, Gott und Welt, proemio, vv. 1-6 (trad. it. di F. Amoroso).

INDICI

INDICE DEI NOMI* A Accolti Gil Vitali, Nicola. Agostino, Aurelio, santo. Albani, Gian Francesco, cardinale. Alberto Magno, santo. Alembert, Jean-Baptiste Le Rond d’. Alessandro di Afrodisia. Alessandro Magno. al-Ghazālī. Amoroso, Ferruccio. Anassagora di Clazomene. Andrea del Sarto. Antonino il Pio. Apelt, Ernst Friedrich. Aristippo di Cirene. Aristotele. Arminio. Arnauld, Antoine. Arnold, Gottfried. Aron, Raymond. Avenarius, Richard. Averroè. Avicenna.

B Bach, Johann Sebastian. Bacone, Francis. Baer, Karl Enst von. Bain, Alexander. Balzac, Honoré de. Bandinelli, Baccio. Baur, Ferdinand Christian. Bayle, Pierre. Beethoven, Ludwig van. Bekker, Immanuel. Beneke, Friedrich Eduard. Bentham, Jeremy.

Bergson, Henri-Louis. Berkeley, George. Bernardo di Chiaravalle, santo. Biemel, Walter. Bismarck, Otto von. Böokh, Philipp August. Boezio, Severino. Böhme, Jakob. Böhmer, Justus Henning. Bollnow, Otto Friedrich. Bonitz, Hermann. Bopp, Franz. Bosi, Alberto. Bossuet, Jacques-Benigne. Brandis, Christian August. Brentano, Franz. Bruno, Giordano. Bruto, Marco Giunio. Büchner, Ludwig. Buffon, Georges-Louis Leclerc de. Burckhardt, Jacob.

C Cacciatore, Giuseppe. Caldéron de la Barca, Pedro. Calvino, Giovanni. Campanella, Tommaso. Carlyle, Thomas. Carmer, Johann Heinrich Casimir, barone di. Carneade. Carrano, Antonio. Caterina II, imperatrice di Russia. Cavallo Guzzo, Giuliana. Cervantes Saavedra, Miguel de. Cesare, Gaio Giulio. Chiodi, Pietro. Cicerone, Marco Tullio. Clemente Alessandrino.

Cohen, Hermann. Comte, Auguste. Condillac, Étienne Bonnot de. Corneille, Pierre. Creso. Cusano, Nicolò (Krebs, Nikolaus). Cuvier, Georges-Léopold-Chrétien-Fréderic Dagobert, barone di.

D Dante Alighieri. Dardanelli, Amedeo. Darwin, Charles Robert. De la Ville B.-G.-E., conte di Lacépède. De Marini, Franca. De Negri, Enrico. De Sanctis, Francesco. De Toni, Gian Antonio. Decio. Demetrio, vescovo. Democrito. Demostene. Descartes, René. Destutt de Tracy, Antoine-Louis-Claude. Deussen, Paul. Diderot, Denis. Dilthey Misch, Clara. Dilthey, Karl. Dilthey, Lilli. Dilthey, Maximilian. Dilthey, Samuel. Droysen, Johann Gustav. Du Boys-Reymond, Emile Heinrich. Dühring, Eugen. Duns Scoto, Giovanni. Dürer, Albrecht.

E Ebbinghaus, Hermann. Eichhorn, Karl Friedrich.

Elisabetta I, regina d’Inghilterra. Emerson, Raph Waldo. Engels, Friedrich. Enrico V, re d’Inghilterra. Epicuro. Epitteto. Eraclito. Erodoto. Eschilo. Eucken, Rudolf. Euclide. Eudemo Rodio. Eulero (Euler, Leonhard). Euripide. Eusebio di Cesarea.

F Fechner, Gustav Theodor. Federico Guglielmo IV, re di Prussia. Federico II, re di Prussia. Ferdinando di Borbone. Feuerbach, Ludwig. Fichte, Immanuel Hermann. Fichte Johann Gottlieb. Filodemo di Gadara. Fischer, Kuno. Fortini, Franco. Fortlage, Karl. Francesco d’Assisi, santo. Francke, August Hermann. Freidank, poeta. Fries, Jakob Friedrich. Fuchs, Walther Peter.

G Gabler, Georg Andreas. Gadamer, Hans-Georg. Galilei, Galileo. Gervinus, Georg Gottfried.

Gibbon, Edward. Giotto. Giustino, santo. Goethe, Johann Wolfgang von. Gomperz, Heinrich. Gonnelli, Filippo. Göschen, Johann Friedrich. Grimm, Jacob. Grimm, Wilhelm. Grothuysen, Bernhard. Grotius, Hugo. Guglielmo di Tolosa. Guicciardini, Francesco.

H Haeckel, Ernst. Haller, Albrecht von. Hamann, Johann Georg. Händel, Georg Friedrich. Hardenberg, Karl August von. Harnack, Adolf von. Haydn, Franz Josef. Hegel, Georg Wilhelm Friedrich. Heidegger, Martin. Heinemann, Fritz. Helmholtz, Hermann Ludwig Ferdinand von. Henning, Leopold von. Herbart, Johann Friedrich. Herder, Johann Gottfried. Herrmann, Karl Friedrich. Hertz, Heinrich Rudolf. Herzberg, Ewald. Heuschkel, Maria Laura. Hobbes, Thomas. Hoffmeister, Johannes. Holbach, Paul Heinrich Dietrich, barone d’. Hölderlin, Johann Christian Friedrich. Holenstein, Elmar.

Humboldt, Wilhelm von. Hume, David. Husserl, Edmund.

I Ibsen, Henrik. Innocenzo X, papa. Ippia di Elide. Ippocrate. Isocrate.

J Jacobi, Friedrich Heinrich. James, William. Jhering, Rudolf von. Jonas, Ludwig. Jurieu, Pierre.

K Kant, Immanuel. Kepler, Johannes. Klages, Ludwig. Klein, Ernst Ferdinand. Koenigsberger, Leo. Krische, August Bernhard.

L Lagrange, Joseph-Louis de. Lamarck, Jean-Baptiste-Pierre-Antoine Monet de. Lambert, Johann Heinrich. Lamettrie, Julien Offroy de. Lander, Edgar. Lange, Friedrich Albert. Lazarus, Moritz. Leibniz, Gottfried Wilhelm. Leitzmann, Albert. Leonardo da Vinci. Leopoldo III d’Austria. Lessing, Gotthold Ephraim. Liebmann, Otto.

Lipps, Theodor. Locke, John. Longino, Cassio. Lotze, Rudolph Hermann. Lucrezio Caro, Tito. Ludovico IV il Bavaro, imperatore del Sacro Romano Impero. Luigi XIV, re di Francia. Luigi XVI, re di Francia. Lutero, Martino. Lyell, Charles.

M Macauley, Thomas Babington. Mach, Ernst. Machiavelli, Nicolò. Maeterlinck, Maurice. Maine de Biran, François-Pierre de. Mantegna, Andrea. Marbod, principe dei Marcomanni. Marco Aurelio, imperatore. Marini, Alfredo. Marziano Capella. Matteucci, G. Maupertuis, Pierre-Louis Moreau de. Meiners, Christoph. Melantone, Filippo (Philip Schwarzerd, detto). Mendelssohn, Moses. Metternich, Klemens Wenzel Lothar. Meyer, Eduard. Meyer, Lodewijk. Michelangelo Buonarroti. Mill, James. Mill, John Stuart. Minucio Felice, Marco. Mirri, Edoardo. Misch, Georg. Moleschott, Jakob. Molière (Jean-Baptiste Poquelin, detto).

Mommsen, Theodor. Montaigne, Michel Eyquem de. Montanari, Paolo. Montesquieu, Charles-Louis de Secondat, barone di la Brède e di. Morra, Gianfranco. Möser, Justus. Mozart, Wolfgang Amadeus. Müllenhoff, Karl Victor. Müller, Adam. Müller, Johannes von. Müller, Karl Otfried.

N Napoleone I Bonaparte. Napoleone III, imperatore dei francesi. Natorp, Paul. Neander, Johann August Wilhelm. Newton, Isaac. Nicole, Pierre. Niebuhr, Barthold Georg. Nietzsche, Friedrich. Nitzsch, Karl Immanuel. Nohl, Hermann. Novalis (Friedrich Leopold von Har-denberg).

O Omero. Origene. Ortega y Gasset, José. Ottone di Frisinga.

P Pacchi, Arrigo. Panzer, Ursula. Paolo, apostolo. Parmenide. Pascal, Blaise. Paschi, Manuela. Peirce, Charles Sanders. Pericle.

Pestalozzi, Johann Heinrich. Petrarca, Francesco. Pfaff, Christoph Matthäus. Pindaro Pitagora. Platone. Plotino. Plutarco. Poincaré, Jules-Henri. Polibio. Porfirio. Priestley, Francis Ethelbert Louis. Proclo. Protagora di Abdera. Pseudo Dionigi. Pufendorf, Samuel von. Püttmann, Katherina.

R Racine, Jean. Raffaello Sanzio. Ranke, Heinrich von. Ranke, Leopold von. Reale, Alberto. Reimarus, Hermann Samuel. Renouvier, Charles. Ricardo, David. Rickert, Heinrich. Riedel, Manfred. Ritschl, Albrecht. Ritter, August Heinrich. Ritter, Karl. Robson, John M. Rodolfo di Asburgo. Roscher, Wilhelm. Rousseau, Jean-Jacques. Ruskin, John.

S

Sachs, Hans. Sanna, Giovanni. Savigny, Friedrich Karl von. Schelling, Friedrich Wilhelm Joseph. Schenkel, Daniel. Schiller, Johann Christoph Friedrich. Schlegel, August Wilhelm. Schlegel, Friedrich. Schleiermacher, Friedrich Daniel Ernst. Schlosser, Friedrich Christoph. Schlosser, Johann Georg. Schlözer, August Ludwig von. Schopenhauer, Arthur. Semler, Johann. Semper, Gustav. Seneca, Lucio Anneo. Senofane di Colofone. Senofonte. Shaftesbury, Anthony Ashley Cooper, conte di. Shakespeare, William. Sigwart, Christoph. Simmel, Georg. Smith, Adam. Socrate. Sofocle. Solone. Spencer, Herbert. Spener, Philip Jacob. Spengel, Leonhard von. Spinoza, Baruch. Spittler, Ludwig Timotheus. Steinthal, Heinrich. Stendhal (Marie-Henri Beyle, detto). Strauss, David Friedrich. Stumpf, Carl. Svarez, Karl Gottlieb.

T

Tacito, Cornelio. Talete. Temistio. Tennemann, Wilhelm Gottlieb. Tessitore, Fulvio. Tetens, Johann Nikolaus. Thomasius, Christian. Tiziano Vecellio. Tocqueville, Alexis-Charles-Henri-Maurice Clérel de. Tolstoj, Lev Nikolaevič. Tommaso d’Aquino, santo. Trendelenburg, Friedrich Adolph. Tucidide. Turgot, Anne-Robert-Jacques. Twesten, August Detlev Christian.

U Überweg, Friedrich. Ullmann, Karl. Urbano IV, papa. Usener, Hermann.

V Vaccaro, Nicola. Varrone, Marco Terenzio. Vasari, Giorgio. Vincenzo di Beauvais. Virgilio Marone, Publio. Voltaire (François-Marie Arouet, detto).

W Wachsmuth, Wilhelm. Wagner, Richard. Wiese, Georg Walter Vincent von. Winckelmann, Johann Joachim. Windelband, Wilhelm. Wolf, Friedrich August. Wolff, Christian. Wolfram von Eschenbach. Wundt, Wilhelm.

Y Yorck von Wartenburg, Hans David Ludwig. Yorck von Wartenburg, Paul. Yusuf, califfo.

Z Zedlitz, Karl Abraham, barone di. Zeller, Eduard. Zinzendorf, Nicolaus. Zwingli, Huldrych.

* A cura di GABRIELLA PIAZZA.

INDICE DELLE TAVOLE Una pagina del manoscritto del secondo degli Studi per la fondazione delle scienze dello spirito Pagina iniziale de La costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito Frontespizio del volume delle «Abhandlungen» dell’Accademia prussiana delle Scienze contenente La costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito Dilthey agli inizi del secolo. Ritratto di R. Lepsius Pagina iniziale de L’essenza della filosofia Dilthey negli ultimi anni di vita Locandina dell’albergo Salegg a Seis (Siusi) in cui Dilthey morì