Problemi filosofici in Marsilio Ficino

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Problemi filosofici in Marsilio Ficino

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PROBLEMI FILOSOFICI IN MARSILIO FICINO

PUBBLICAZIONI DELL'ISTITUTO DI FILOSOFIA dell'Università di Genova Colle~ione

diretta da M. F. Sciacca

VI

MICHELE SCHIAVONE

PROBLEMI FILOSOFICI IN

MARSILIO FICINO

MARZORATl • EDITORE MILANO /

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

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copyright 1957 by Marzorati • editore, Milano

S~ompoto

ia IIGlia • Printed in lealy

Tip. U. Allegretti di Campi • Via Orti 2 • Milano

A te, più cara del sogno più caro, mentre la banalità del quotidiano si fa per tua grazia umile voce di poesia, nel nome della nostra concorde speranza.

INDICE

Introduzione

I

CAP. I - La concezione della realtà .

I

7

CAP. II - La concezione dell'Assoluto .

I

CA.P. III - Le linee generali della gnoseologia :ficiniana .

2 59

Indice alfabetico dei nomi ' .

325

9I

INTRODUZIONE Ritengo opportuno premettere al mio lavoro una nota orientatrice ed esplicativa intornç> a quei canoni criteriologici che ne costituiscono e fondano la metodologia. E ciò coll'intento di offrire in modo chiaramente ostensivo quella tematica speculativa che dona luce ad una ricerca storica e ne fonda, infine, la stessa integrale, genuina storicità. Intendo, cioè, dichiarare di avere condotto un'analisi dell'aspetto essenzialmente metafisico del Ficino, cercando di coglierne il significato storico peculiare in rapporto alla concezione dell'essere greco-medievale, da un lato, e a quella del pensiero moderno, dall'altro lato. Nei riguardi dell'oggetto della mia ricerca, tale strumento metodologico non solo torna a giovamento per la sua intrinseca virtù esplicativa e semplifìcatrice dei problemi, così come per una qualsiasi ricerca storica su un qualsiasi pensatore o sistema, ma sorge altresì con la maggiore opportunità a dipanare il groviglio inquietante di una grave difficoltà pregiudiziale. È noto infatti quanto sia apportatore di sgomento e perplessità l'accingersi allo studio della tematica filosofica dei pensatori dell'Umanesimo per quella sterminata loro mole erudita e letteraria in cui è seppellito qua e colà il filone speculativo, e per la mistione dell'elemento e del problema filosofici con appelli parenetici di contenuto moralistico, e apparato filologico e spunti di sapore libresco e complessi nozionali empirici, scientifici, fantastici; e per quell'unione, insomma, di letteratura, religione e superstizione che costituisce la cultura umanistica e da cui si staglia,

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Introduzione

non senza aporie e contrasti, l'affermazione ed il dominio del pensiero. Gli studi sulla filosofia di questa età - tornati recentemente in onore ed in voga grazie ai contributi di grande valore scientifico dati da un gruppo di studiosi tra cui primeggia Eugenio Garin - sono ora inclini a superare sia la teoria della assoluta novità e radicalità dell'Umanesimo e Rinascimento, teoria propria della stonografia del secolo scorso e dei primi anni dell'attuale, sia quella théorie de la connessité rivelatasi in molti punti discutibile ed unilaterale. E mano a mano che questa epoca gloriosa viene più a fondo esaminata in quella che è la sua peculiarità di significato, proporzionalmente si riaffacciano, o talora sorgono come nuovi, inquietanti problemi esegetici o interpretativi verso cui le_ categorie storiche del passato risultano inadatte o parziali. E ciò, appunto, per la difficoltà intrinseca di cogliere al di sotto delle sovrastrutture, quelle idee ispiratrici, che, calate e quasi sepolte in una asistematicità disordinata e rapsodica, costituiscono tuttavia un'interiore, seppur celato e non facilmente avvertibile, sistema. Marsilio Ficino, in particolare, è uomo del suo tempo, e del suo tempo ha pregi e difetti, non ultimo la dispersione dei concetti filosofici nell'intrico di una sterminata erudizione e nell'aporia di un oceano di pseudoproblemi, di retorica, di orpelli letterari e libreschi. Nè è possibile per una sufficiente intelligenza del suo pensiero limitarsi all'esposizione sistematica - invero non poco disordinata e non vergine di divagazioni ed interessi alieni - della Theologia platonica o di qualche altro degli scritti filosofici, poichè, lungi da ogni facile compiacenza al paradosso, è necessario affermare che il vero ~icino filosofo si ricupera assai più in filoni rapsodici, occasionati e disparati di grande forza speculativa, sparpagliati nell'Epistolario o in scritti non dichiaratamente filosofici, di quanto non si possa ritrovarlo nelle accademiche disquisizioni di tante pagine della Theologia. Orbene, il metodo storiografico suddetto, assunto in simile circostanza, risulta certo efficace in quanto permette la reductio ad unum del coacervo del molteplice, ponendo e ricreando non solo l'ordine logico della problematica (van-

Introduzione

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taggio d'altronde raggiunto nello studio su qualunque pensatore), ma anche offrendo con rigoroso processo inventivo l'ordine secondo (o primo in senso cronologico) dei singoli nuclei concettuali, risult~ndo così vero artefice di analisi e di sintesi, teso al conseguimento esplicito di quella unità che è si presente nel sistema (il Ficino è filosofo tout courl !) ma tuttavia oscura e celata a guisa di fiaccola sotto il moggio. Fedele quindi a questo strumento metodologico, il mio criterio-guida si svolgerà nella scomposizione analitica delle tesi ficiniane in con.cetti e nel loro rapportarsi a quel concetto onnicondizionante che è il concetto di realtà, seguendo cosi le linee principali del sistema. Persuaso di attingere in tal modo l'anima della filosofia ficiniana sul piano della metafisica generale, mi sarà allora possibile affrontare gli ardui ed inquietanti problemi - a lungo dibattuti e sovente mal posti - che occupano e preoccupano gli . studiosi dell'Umanesimo: ossia le questioni del platonismo, dell'immanentismo e della modernità di Marsilio Ficino. Ed ecco rivelarsi chiaramente la finalità del mio lavoro: cogliere il significato storico della teoresi ficiniana - intesa come tipica espressione dello spirito umanistico - nel SUC? inserirsi tra la programmata rinascita del mondo classico e l'incubazione del mondo moderno, e rilevare il nuovo e l'antico che l'accompagna, e fissare se nuove od antiche ne sono la vita e la ragione. In tal senso vorrei invocare a movente teleologico della mia ricerca la considerazione dell'argomento sotto il tema dell'alternativa realismo classico-fenomenismo (o meglio gnoseologismo) moderno; onde puntualizzare la storicità del discorso nel più ampio e semantico degli orizzonti. Devo comunque precisare di aver accolto le categorie storiografiche suddette nel significato più vicino alla consuetudine. E cioè: per realismo intendo l'attributo essenziale della filosofia greca e scolastica in quanto volta ad affermare la priorità della metafisica sulla gnoseologia mediante una semantizzazione dell'essere alla luce della 7tcxpoua(cx dell'intelligibile. In tal modo il realismo non si oppone per nulla all'idealismo ma ne precorre incoativamente e inizialmente (solo incoa-

Introduzione

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tivamente e inizialmente in quanto manca la scoperta genuinamente moderna della soggettività) la conquista dell'identità mediata di essere e pensiero. Parimenti, per fenomenismo intendo l'attributo essenziale della filosofia moderna prekantiana, orientata, come essa è, alla gnoseologicizzazione della metafisica (la gnoseologia come condizione o prolegomeni alla metafisica) ed alla concezione di alterità e divorzio (almeno eidetico e non sempre funzionale) tra il piano antologico e quello logico. Sono note ormai da lungo tempo le tesi interpretative sulla filosofia moderna di Gustavo Bontad.ini; ed è quindi nota la figura storico-teoretica della presupposizione dualistica atta a categorizzare tutto il corso storico della filosofia occidentale dalla dissoluzione della Scolastica in poi (1). L'attributo fenomenistico viene appunto motivato ed illustrato in concreto dalle tesi bontadiniane come risultante ad un tempo e matrice (l'equa.Zione è, in un certo senso, reversibile) di una rigida concezione di alterità tra essere e pensiero, concezione presente ed operante in modo decisivo in tutti i pensatori dell'epoca moderna. Tuttavia, mentre di diritto il canone interpretativo del gnoseologismo o dualismo presupposto, in quanto ponente e caratterizzante lo stacco della mode~tà. dal mondo classico, conserva validità per ogni momento del processo; di fatto, al contrario, le analisi storiografiche del Bontadini hanno preso inizio solo da Cartesio e da Locke, trascurando, almeno fino ad ora, tutto il periodo umanistico e rinascimentale. Prendendo l'abbrivio da tale situazione, vorrei quindi studiare Marsilio Ficino - quale uno dei più tipici esponenti della filosofia umanistica - alla luce della tematica bontaCfr. G. BoNTADINI, Saggio di una metafisica dell'esperienza, Milano, 1938; Studi sull'Idealismo, Urbino, 1942; Studi sulla filosofia dell'età cartesiana, Brescia, 1948; Indagini di struttuya sullo gnoseologismo moderno, Brescia, 1952. Analoga, almeno nei presupposti speculativi, è la concezione storiografica dell'Olgiati. Cfr. F. OLGIATI, La filosofia cristiana e i suoi indirizzi storiografici, nel vol. Filosofi italiani contemporanei, a curà di M. F. SCIACCA, 1945; I fondamenti della filosofia classica, Milano, 1950. ( 1)

Int-roduzione

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diniana, (ferma restando, s'intende, la riserva di una prossimità e non di una completa adesione ad essa), ponendomi, cioè, dal punto di vista dell'alternativa realismo classicofenomenismo moderno, e tentando cosi di estendere anche all'epoca rinascenziale una intrinseca intelligibilità storica al :fine di una generale interpretazione storico-teoretica di tutta la storia della filosofia. Mi sembra inutile indugiare sulla motivazione di utilità e giovamento del suddetto proposito: basti solo considerare come sia irto di aporie la~are in ombra in una filosofia della storia della filosofia proprio l~ linea di confine, delicata ed aggrovigliata confluenza di nuovo ed antico, e scarto di taluni filoni e creazione di altri ed intricato, dovizioso, crogiuolo - insomma - di quella congerie, per necessità caotica, di esperienze, aneliti, sconvolgimenti che, dell'accadimento storico costituiscono il sangue e la linfa. Inoltre, se (dopo e grazie allo Hegel) possiamo teoretizzare la storia della filosofia riscattandone il valore ed il significato nell'amplesso inscind.ibile alla stessa pura esigenza speculativa; sembra, specie dal punto di vista del pensiero cattolico, giovevole ed opportuno voler fugare le ombre e· divellere l'incuria da una cosi rigogliosa e feconda zona di pensiero: anche e soprattutto perchè appare orripilante e blasfemo, laddove il mondo della storia è tutto gravido di significato e di ragione, apporre la taccia di non senso (sia pure implicita in un compromettente silenzio) a un momento del processo evolutivo in cui si inserisce la propria risoluzione teoretica. La presupposizione che è in Cartesio, che è in Hobbes, che è in Locke - sebbene il teorema gnoseologistico conservi appieno la sua intelligibilità anche senza una esplicazione genetica - credo acquisterebbe, nondimeno, una più vivace e non disdicevole coloritura se il periodo umanistico-rinascimentale nelle sue più significative figure di pensatori venisse giudicato, e relato dappoi, di fronte ai filosofi più propriamente moderni (a partire cioè dal razionalismo e dall'empirismo) sia come veicolo (non p~rlo in senso esegetico o almeno di esegesi materialmente intesa) di suggestioni e di complessi opinativi

Introduzione

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intorno all'antico generati dalla peculiare recezione rinascenziale della classicità; sià insieme ed anzitutto come matrice feconda di una nuova concezione del reale di cui si debba stab.ilire la parentela o la divergenza con quella dualistico-fenomenistica vertente sull'alterità essere-pensiero. Cosi, forse, in luogo di veder nascere ex abrupto lo gnoseologismo moderno già fornito di un maturo ed affinato senso critico (quale è nei fondatori delle correnti empiristica e razionalistica), si potrebbero di contro coglierne gli antecedenti logici e la genesi ide~ale e gli spunti incoativi; e tastare cosi più da vicino il polso alla dissoluzione (lel mondo classico e prestare più attentamente lo sguardo alla semeiotica del parto del nuovo mondo. Di centrale interesse mi sembra inoltre l'estendere le tesi interpretative suddette del processo storico della filosofia moderna al periodo rinascenziale ; e ciò anche perchè è ormai concezione d'arrivo, già saldamente acquisita e radicalmente fondata nella storiografia neoclassica (1 ) l'idea dell'unità (unità dinamica, di sviluppo, s'intende) tra pensiero greco e pensiero medievale; onde risulta che il luogo comune di derivazione manualistica, secondo cui il sorgere della modernità nell'Umanesimo e Rinascimento è reso possibile dalla forza maieutica del grande ritorno ai classici (attuante cosi una fUÌ1zione catartica, liberatrice rispetto al Medioevo), è metro storiografico tale da involgere una notevole, intrinseca aporia. Tutto il fenomeno della recezione della classicità e della concomitante creazione del nuovo mondo si trasfigura allora alla luce della concezione storica sopraesposta in una accezione assai peculiare implicante un riesame attento di tutti i canoni, di ogni Standpunkt vigenti nella consuetudine CfY. in particolare la magistrale storia della filosofia greca del Mazzantini: C. MAzzANTINI, La filosofia nel filosofare umano, Storia del pensiero antico, Torino, 1949, passim. Benchè si possa e (1)

si debba fare qualche riserva a riguardo di quella eccessiva concordia e affinità sostenuta dal Mazzantini tra pensiero greco e pensiero cristiano che minaccia di precludere la comprensione della originale e profonda scoperta cristiana del soggetto, dello spirito, della persona.

Introduzione

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e nel manualismo. Cosicchè la tesi della continuità (e basti fare il nome del Dopsch) (l) mediata e trasposta in sede di storiografia filosofica come unità intrinseca e sostanziale tra l'Antichità ed il Medioevo, ed infine soppesata e votata al crivello dell'interpretazione proposta della filosofia moderna, è sì cosa da involgere problemi gravosi ma è pure, tuttavia, incentivo e via allo scoprire aperture inusitate e poliedriche. Poichè solo verificando equivalenze e distonie tra la concezione del reale propria dei pensatori dell'Umanesimo e Rinascimento e quella tipica dualistico-fenomenistica (dall'empirismo e razionalismo in poi), è possibile in sede di storia della filosofia - ossia in sede di storia tout court - asserire una parola seria a proposito di continuità o di contrasti e di ogni altro proplema di categorizzazione speculativa dell'epoca . • Esplicando nella debita misura i fugaci accenni presentati, si dovrebbe ancor insistere, a difesa della metodologia assunta, sulla necessità di determinare la valenza del classico e del moderno e la loro legge di proporzione associativa nella filosofia rinascenziale : il dilemma dello storico è ancora tutto qui: si tratta di vino vecchio nella botte nuova o di vino nuovo nella botte vecchia? N è mette conto di prestar orecchio al biascicare uggioso, gravido di vuoto e di retorica, che qualche laloforo con troppo dispendio ha seminato. Sono ormai avviluppati di chiassosa vacuità anche quei temi ed attributi di ( 1 ). La .squalifica del concetto di ente come interpretazione determinativa del reale appare qui chiara col mettere innanzi esempi di realt~ che, pur depotenziate, sono sempre reali quali ad esempio la materia o la privazione e tuttavia non definibili col concetto di ente. Quando si ricolleghi poi tutto ciò con le altre già citate affermazioni ficiniane secondo le quali l' ~ssoluto non è passibile dell'investitura della categoria dell'ente bensi solo di quella dell'unità, allora appare chiaramente il distacco radicale di Marsilio Ficino dalla tradizione classica per la negazione in lui manifesta della trascendentalità dell'ente. Infatti questo concetto non abbraccia ogni zona e ogni momento della realtà, escludendo appunto i due vertici di essa: l'Assoluto ed il grado più infimo, la materia; mentre, d'altro canto, l'attribuzione del carattere di trascendentalità è concessa all'unitas come > ( 2). (l) Ibid., pag. 1764.

Come è noto, per la Scolastica, al contrario, il concetto di ente è sommamente atto a definire Dio. Riporto due testi preziosi sotto tale rispetto. Il primo è di S. Tommaso in una delle sue opere giovanili. Il secondo di un rappresentante della scolastica non aristotelica, Alessandro di Hales. Alla questione « Utrum esse proprie dicatur de Deo )) S. Tommaso risponde: « Respondeo dicendum quod qui est, maxime est proprium nomen Dei inter alia nomina. Et ratio huius potest esse quadruplex: prima sumitur ex littera ex verbis Hieronymi secundum perfectionem divini esse. Illud enim est perfe~tum cuius nibil est extra ipsum. Esse autem nostrum habet aliquid sui extra se: deest enim aliquid quod jam de ipso praeteriit, et quod futurum est. Sed in divino esse nihil praeteriit nec futurum est, et ideo totum esse suum habet perfectum et propter hoc sibi proprie respectu aliorum convenit esse. Secunda ratio sumitur ex verbis Damasceni... qui dici t quod qui est significat esse indeterminate et non quid est; et quia in statu viae hoc tantum de ipso cognoscimus quia est et non quid est nisi per negationem, et non possumus nominare nisi secundum quod cognoscimus: ideo propriissime nominatur a nobis qui est. Tertia ratio sumitur ex verbis Dionysii qui dicit quod esse inter omnes alias divinae bonitatis participationes, sicut vivere et intelligere et hujusmodi, primum est et ( 2)

La concezione della realtà

Tuttavia, nonostante tali precisazioni, il rapporto enteuno è ancor lungi dall'essere esplicitato e presente in modo manifesto. E, primamente, non sembra suggerire la lettera della definizione ficiniana una certa equivocità del reale duplicato in due zone distinte e nazionalmente incommunicabili? D'altro canto la stessa postulazione del principio dell'unità a guisa di lemma nella costituzione intrinseca del relarsi degli enti - e quindi ad un certo momento dell'esse simpliciter, dell'essere tout court -, sembra escludere recisamente tale supposizione. Resta allora da vedere il rapporto ens-unum alla luce della linea prospettica classica dei trascendentali {1).

quasi principium aliorum, praehabens in .se omnia praedicta secundum quendam modum unita; et ita etiam Deus est principium divinum et omnia sunt unum in ipso. Quarta ratio potest sumi ex verbis Avicennae ... in hunc modum: quod, cum in omni quod est sit considerare quidditatem suam, per quam subsistit in natura determinata et esse suum per quod dicitur de eo quod est in actu, hoc nomen re8 imponitur rei e quidditate sua secundum Avicennam ... hoc nomen qui est vel ens imponitur ab ipso actu essendi. Cum autem ita sit quod in qualibet re creata essentia sua differat a su~ esse res illa proprie denominatur a quidditate sua et non ab actu essendi ... In Deo autem ipsum esse suum est sua quidditas, et ideo nomen quod sumitur ab esse proprie nominat ipsum, et est proprium nomen eius ,. (THOM. AQUIN, I n quatuor lilwos Sententiarum, l. I, d. VIII, q. I, a. 1). « Sed tamen adhuc obiicitur quia ens et qui est significant in omnimoda absolutione; ergo significant praeter intentionem causalitatis efficientis vel finalis. Quod concedendum est et dicendum quod qui est simpliciter est primum nomen... Divinum enim esse potest considerati secundum se ut absolute: et sic consideratur ut infinitus pelagus sive abyssus divinae essentialitatis et hoc modo proprie significatur nomine, qui est )) (ALEXANDER H.ALENSIS, Summa Theologica, ed. Quaracchi, t. I, n. 352, pagg. 522-523). ( 1 ) Molto interessante è quanto afferma su tal problema Pico della Mirandola: «Verissima ergo sententia est quattuor esse quae omnia ambiunt, ens, unum, verum et bonum si ita accipiantur ut illonun negationes sint nibil, divisum, falsum et malum ... Quattuor haec ... aliter sunt in Deo, aliter in his quae sunt post Deum, quandoquidem haec Deus habet a se, alia habent ab eo. Videamus primo quomodo insunt rebus creatis. Omnia quae sunt post Deum habent causam efficientem, exemplarem et finalem. Ab ipso enim, per ipsum

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Capitolo I

Marsilio Ficino è anche qui non poco oscuro pur nell'apparente semplicità ed ortodossia delle sue definizioni (1). Dissertando sui trascendentali: unum, verum, bonum, infatti, cosi egli si esprime nella sua argomentazione : > ( 1 ). (1)

Ibid., pag. 1097.

La concezione della realtà

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Ed anche il passo seguente che viepiù ribadisce la totale convertibilità del bonum nell' unum: (( ... ex bono entia omnia processisse, ideoque bonum esse universo ente superius. Praesertim cum esse non simpliciter appetatur, sed ratione boni. .. ita quod est super entia, non est ens, sed ente toto praestantius... Praeterea nusquam ponere possumus omnino non ens, nisi ponamus in ipso bono. Quatenus nullum Deus ens est, sed totius entis causa, totoque superius. Denique bonum ipsum non solum est altius ente quantttmlibèt excelso, sed etiam est sublimius quolibet non ente, si forte non ens fingatur quomodolibet ente superius » (1). Da tali luoghi - la cui preziosità al fine interpretativo mi pare giustifichi la lunga citazione - appare come la trascendentalità, strictu senso, è pertinente all'unum ed al bonum ma non più al verum. Infatti convertibili con l'essere e significanti il reale stesso sono propriamente l'unum ed il bonum che hanno anzi valore di sinonimi in quanto indifferentemente qualificano il principio della realtà, l' unum o bonum supra ens, laddove il verum rimane ancorato al piano dell'ente (ficinianamente inteso) ossia ad una zona o momento delimitato dell'essere e quindi non esaustivo (lascia al di fuori infatti sia Dio che la materia) (2). Abbiamo cosi guadagnato, giunti a questo punto del nostro procedere, un'ulteriore esplicitazione del concetto ficiniano di unità e cioè la medesimezza di unum e bonum nel senso preciso di principio primo del reale e cioè come unum supra ens. Conseguentemente: dal momento che il verum è limitato all'ente e non alla realtà simpliciter, l'uno come è al di là ed indipendente dall'ente sarà parimenti al di là ed indipendente dalla verità antologica ossia dal campo dell'intelligibile (3 ). A chiarire maggiormente, tuttavia, tale carattere del-

(1) Ibid., pag. I073· ( 1 ) Cfr. le analoghe conclusioni del Kristeller in op. cit., pag. 37 e cap. II, passim. ( 1 ) Tale rapporto all'intelligibile sarà comunque trattato nella sua maggiore ampiezza solo successivamente.

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Capitolo I

l'accezione ficiniana dell' unitas giovano i passi seguenti: > ( 1). Ma nel passo seguente, in cui si definisce ancora la funzionalità del rapporto Assoluto-condizionato, il concetto di unità risulta viepiù chiarito in tutta la sua estensione ontologica ed in tutto il suo contenuto semantico; ed ugualmente localizzata nella giusta misura è la natura dei trascendentali (sebbene sia chiamato in causa il verum in una equivoca e spuria formulazione tuttavia per ciò che si riferisce (1) Ibid., pag. 991. Ed ancora: « Necesse est non contraria, non duo quaedam, non unum aliquid in se ni.ultiplex, sed unum penitus simplicissimum principatum universi tenere ... Quia ipsum est summa unitas atque bonitas. Unio sane unitatis est ipsius et bonitatis officium. Ipsa namque bonitas dum se ipsam unam diffundit in omnia per processum distribuens videlicet singulis, et si non parem tamen quodammodo similem, bonitatem, invicemque amicam, dumque vicissim per infusum omnibus appetitunt boni, et invicem, et ad se unam omnia convocat, interim in unam seriem et actionem atque formam mirabiliter omnia colligit,. (Op., pag. 1078). C/Y. PROCLo. Elem. Theol., prop. 1 : 1tÀ~&er. xoct 't'Ò 1t'À-il&oc; -réf> ~v(· 't'eX 8è auvr.6v"t'oc xoct xor.vwvouv-r&: 1t'1) cill~­ Àor.c; et l-J.èV u1t' &llou auv&:ye:Tocr., èxervo 7tpÒ ocÙ't'wv ta't'r.v, et 8è ocÙ't'CÌ auv&:ytr. ~OCU't'rX, oÙx CÌV't'LXE:L't'OCL CÌÀÀ~Àor.c;• CÌV't'LX!Ll-J.tVOC ycìp OÙ ax.etv >> ( 2 ). Poichè il pensiero comprometterebbe la semplicità dell'Uno e introdurrebbe il molteplice: axet f.ll)Òè voe"i:v Èocu"t'Òv, ~yvotoc TrEPL cxù-ròv ~CJ"t'ett• ~ ycì.p &yvor.oc t-répou èSv-roc; y(ve't'oct, 6"t'ocv &ocTepov ciyvoT) &&."t'epov· -rò òè fJ.6vov ou-re: yr.v6>axet, OU"t'E 't"t ~x.er. &yvoe~, ev 8è òv auvòv cx&réi) où òe'i:-rcxt vo~aeooc; Èocu"t'ou » (6 ). In un'esasperata affermaèmx&LVOC VOU, CÌÀÀCÌ. vouc;

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zione di trascendenza l'Uno si preserva dal pensiero in quanto si preserva dal molteplice: « Et &poc TroÀÀoc -r( èCJTt, Òe~ 1rpò 't'(;)v TtoìJ....(;)v !v e!voct. El oov .orò voouv 't't TrÀ~&oc;, òe"i: èv 't'Ci) f.l~ 7tÀ~3-er. -rò voe~v f.l~ e!vocr.. THv òè 't'OU't"O 't'Ò 7tp(;)'t'ov. 'Ev 't'O~c; uaupotc; &poc OCÙ"t'OU -rò voe~v XClL vouc; lCJ't'oct • (7 ). (( Oùòèv T ~ ... ' Ò 't"Ò ocycx'fl'OV , n 1 voer.v· ... ' , l'!"\"\ c , ouv oet ocu-r ou, y~p ea-rtv CXAAO otU't'OU 't'Ò cxycx.&6v ,. (8 ). « Et 8~ 't"OOJ"t'Cl òp&(;)c; Àéy&Tott, oùx av lx_or. x6>pcxv vo~­ aeooc; ~V't"LV«OUV 't"Ò CÌ.ycx&òv· &))..o yà.p Òe:'i: "t'{i) VOOU'ftt "t'Ò ocycx&òv (1) (2) (3) (4) (5) (') (1) (8)

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V, 3, I I, 29 e ss. V, 3. I2, 48 ss. V, 3, I3, 35 ss. V, 6, 2, I4 ss. V, 6, 4, I ss. VI, 9, 6, 42 ss. V, 6, 3, 20 ss. V, 6, 5, IO ss.

La concezione della realtà ELV!XL xetvcx

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Ben più numerosi passi si potrebbero citare a riguardo del problema suddètto ove appare nella sua luce gnoseologica, metafisica e teologica la soluzione plotiniana. Comunque, tale ne è il compendio: è necessario eliminare il pensiero dall'Uno poichè: 1) il pensiero implica un rapporto di soggetto ed oggetto, ossia una molteplicità; 2) il pensiero è funzione operativa del finito in quando esprime una fondamentale tendenza a trascendersi nel Bene; 3) il pensiero non è autosufficiente in quanto rivela indigenza antologica di compimento nella sua ricerca di un oggetto pensato;· 4) il pensiero presuppone un prima e un poi e, quindi, perfeziona, per ciò stesso, il pensante. Ora, dal momento che l'Uno, escludendo come tale ogni composizione, è semplice, incondizionato, assoluto e perfettissimo, ne deriva logicamente l'impossibilità della conoscenza nel principio. Eppure, altri passi, altrettanto numerosi ed espliciti, concludono ad un risultato completamente opposto. Ciò mostra una duplicità di motivi nella teoresi plotiniana. Plotino, infatti, avverte l'imprescindibilità di una coscienza dell'Uno, affermando: v61)atc; cxùToc;) )) (').

(( 'AÀÀCÌ 1tWç clTtÒ [ 't'OU"t'OUJ 't'OU V01)'t'OU o vouç; OuTwç· "t'Ò V01)'t'ÒV

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