Anima Mundi. Scritti filosofici

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I millenni

© 202 I Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino Traduzioni di Raphael Ebgi www.einaudi.it ISBN

978-88-06-24963-2

Marsi/io Ficino

ANIMAMUNDI SCRITTI FILOSOFICI

A cura di Raphael Ebgi

Giulio Einaudi editore

MARSILIO FICINO: L'AMORE DEL PENSIERO

di Raphael Ebgi

r.

Ficino e l'Umanesimo filosofico .

La consapevolezza di vivere un'epoca di crisi segna il pen­ siero di Marsilio Ficino . Da questo dato occorre partire, per inquadrare il valore della sua filosofia e il ruolo da essa svolto nel quadro dell'Umanesimo italiano . Ficino giudica il suo un « secolo di ferro » . Esito di un lungo periodo di declino, che aveva coinvolto in primo luogo le istituzioni religiose, ormai in mano a uomini superstiziosi, incapaci di irradiare, nei loro gesti e nelle loro parole, autentica venerazione per « le cose sacre » , e anzi colpevoli di « lacerare la cosa sancta » . E poi la filosofia, « dono di Dio » , che aveva il compito di alimentare ogni forma di sapere, sia naturale che celeste, tenuta in ostag­ gio e profanata da ignoranti e ambiziosi' . Un 'lamento' non nuovo, questo, che fa correre la mente al proemio del primo libro delle Elegantie di Lorenzo Valla, all'invettiva li conte­ nuta contro i barbari del suo tempo, colpevoli di corrompere e lasciar morire la lingua latina, quel dono divino da cui fio­ riscono tutte le discipline. Diverse le risposte date dai due pensatori per fronteggia­ re la decadenza. Senza dubbio, però, Ficino era infiammato da quello stesso amore che animava anche il V alla - e con lui tutti i grandi umanisti italiani - per la voce di un'antichità lontana, per la sua parola, che entrambi sentivano viva, nella misura in cui riconoscevano in essa la potenza di riformare 1 Marsilio Ficino, De christiana religione, a cura di G. Bartolucci, Pisa 2 0 1 9 [De chri­ stiana religione], secondo proemio (in/ra, testo 2 5 ) . 2 Per l'edizione di riferimento di questo proemio vedi M . Regoliosi, Nel Cantiere del Valla. Elaborazione e montaggio delle (vedi anche Angelo Poliziano, Misce!lanies, 2 voli. , a cura di A. R. Dick e A. Cottrell, Cambridge [MA] 2020, vol. I, p. 484) . Per un commento a que­ ste parole cfr. V. Branca, Tra Ficino " Oifeo ispirato " e Poliziano "Ercole ironico ", in G . C . Garfagnini (a cura di) , Marsi/io Ficino e il ritorno di Platone. Studi e documenti, 2 voli . , Fi­ renze 1 986, vol . I I , pp. 459-75 . Per ulteriori paralleli tra Ficino e la figura di Orfeo, cfr. A. Buck, Der Orpheus-Mythos in der italienischen Renaissance, Krefeld 1 96 1 , pp. 1 7- 2 3 ; A. Voss, Orpheus Redivivus. The Musical Magie of Marsi/io Ficino, in M . J . B. Allen, V. Rees e M. Davies (a cura di) , Marsi/io Ficino: His Theology, His Philosophy, His Legacy, Leiden­ Boston-Kèiln 200 2 , pp. 2 2 7 -4 1 . .

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anelli di una medesima narrazione, in virtu del loro comune anelito a un sapere capace di unire realtà divine e realtà ter­ rene, storia sacra e storia profana. Da qui l' immagine, cele­ bre, dell' aurea catena dei sapienti, che nasceva con Zoroastro, e che risaliva, attraverso Mercurio Trismegisto, fino a Pla­ tone . Venerandi auctores, la cui segreta, antica amicizia era necessario ricordare, perché in essa erano custoditi speranze e segni di una futura pace teologica e filosofica, possibile an­ nuncio e preludio di un'età di pace universale . La filosofia del presente, per Marsilio, doveva rivelarsi all' altezza di quelle figure . E cosi doveva esserlo la cristianità. Perché Cristo, il suo insegnamento, la sua vita, rappresentavano il culmine e compimento di quella lunga tradizione . E per questo che la curiosità ficiniana per le divinità del pensiero pagano, l' atten­ zione filologica da lui riservata ai loro miti, risulta inscindibile da quella accordata alla parola evangelica, alle immagini della ' fantasia' apocalittica di Giovanni, e alla spiritualità paolina. Una filologia applicata alla teologia del passato, questa, cui era affidato, come vedremo, un altissimo compito: quello di liberare il pensiero dall"empietà' di ogni approccio intellet­ tualistico, da ogni pretesa di ridurlo a forme di ragionamen­ to astratte, trasformandolo invece in strumento in grado di mutare il proprio tempo, di porre fine all' epoca di ferro, e di inaugurare infine un secolo aureo . Per Ficino, alla discesa tra le antichità del tempo corrispon­ de una discesa nella nostra interiorità. Gli astri che misurano le vicissitudini dei secoli, che scandiscono vita e morte delle epoche storiche, misurano anche i ritmi della nostra vita in­ teriore . Nella distesa del cielo, nel suo ' volto ' , si specchia la fisionomia del nostro animo . Per questo dobbiamo avere cu­ ra di predisporre e ordinare le nostre stelle in modo che esse risultino l' una all ' altra favorevoli, cosi da rendere noi stes­ si una sede adatta ad accogliere i doni e la grazia del ' sole ' sopraceleste . E grazia, per Ficino, è altro nome di bellezza. Nelle opere di Platone e dei suoi ' discepoli ' , Marsilio aveva imparato che filosofia è anche e soprattutto questo: un farsi prossima dell' anima al bello . Approssimarsi che comporta, per l ' anima stessa, un processo di purificazione, premessa di

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un progressivo ritorno verso il suo originario statuto divino . Se la riforma del presente è resa possibile da un amore per la parola antica, è l ' amore per il bello a favorire una riforma dell' anima. Il segreto dell' erotica platonica, dei suoi misteri, assume cosi per Ficino un ruolo centrale . E attorno a eros si stringono alcuni dei grandi temi della sua riflessione : quel­ lo della magia, della poesia, della profezia e della preghiera. Si trova qui il fascino per un pensiero, come scriveva Euge­ nio Garin, che costantemente muove « al margine delle arti figurative, in un gran secolo d' arte » , che « intreccia poesia e filosofia » - e questo sin dalle sue giovanili passioni per il De rerum natura di Lucrezio e per il Dante poeta-theologus - , che si lascia sedurre dalla dimensione magica, che indaga il « poco frequentato mondo della fantasia » - nobilissima facoltà che permette all' uomo di dare espressione all 'invisibile, di creare immagini - vera funzione poetica - che connettano il piano degli enti materiali a quello delle forme ideaW. Ma si trovano anche qui, vorremmo aggiungere, gli aspetti piu spaesanti di quel pensiero e piu specificamente di quella antropologia . L'uomo ficiniano è « peregrino » su questa terra; la sua vita è cammino difficile, pericoloso ogni gradino verso il cielo . Persino la forza erotica che lo spinge a creare divine immagini ha in sé un elemento potenzialmente distruttivo . Perché eros, lo insegnava la sapienza antica, è impeto - mania - che muove si verso lo splendore delle forme, ma che affon­ da le radici nell ' informità dei primordi, e che per questo si trova sin dal principio mescolato a « tenebrosità di chaos »6 • L' anima, la cui natura per Ficino è materiata di desiderio, avverte in sé l ' ambiguità di questa forza . Ogni suo slancio creativo-contemplativo è fuoco che brucia attorno a un cuo­ re nero . Questa immagine trova la sua piu alta realizzazione nelle riflessioni ficiniane sulla melancolia, umore scuro, arido e denso come la terra, che consuma la vitalità dello spirito, che lo rende inquieto e attonito, ma che al contempo, proprio ' E. Garin, Il filosofo e il mago, in Id. (a cura di) , L 'uomo del Rinascimento, Roma­ Bari 1 988, pp. 1 67-202: r 8 5 . ' Marsilio Ficino, E/ libro dell'amore, a cura d i S . Niccoli, Firenze 1 987 [LdA], p . 1 79 [VII , 1 ] .

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in virtu di questa sua gravità, è in grado di far sprofondare la mente nei penetrali delle cose, di spingerla verso la loro es­ senza, e ancora oltre, attirandola in un ' furioso ' vortice, che la infiamma, e le dona accesso al divino'. L' uomo ficiniano non si pone dunque quale soggetto ben fondato, al centro di un universo a misura della sua ragione . Nessuna razionalità potrebbe infatti gettare luce sull' origine o sul fine della sua potenza di desiderare, né potrebbe ' curare ' la mania/melan­ colia che a quella potenza s ' accompagna . O meglio, per Fi­ cino, proprio la facultas rationalis, essendo essa stessa priva di ogni determinazione (non est ad aliquid unum determina­ ta), è ciò che permette all' uomo di elevarsi o di precipitare, di aprirsi all ' alto o al basso (sursum deorsumque vagare), ren­ dendolo creatura eccezionale rispetto all 'ordine e alle leggi del mondd . La capacità razionale non è dunque strumento di cui l' uomo si serve per stabilire la sua sovranità sul reale, ma è ciò che lo chiama al compito che a lui solo è dato, quel­ lo di /are il proprio destino . Sono questi i principali aspetti che verranno approfondi­ ti nelle pagine che seguono . Temi, occorre sottolinearlo, che permettono di meglio definire la portata della speculazione di Ficino, e, di conseguenza, di parte della stagione umanistica fiorentina, per lungo tempo sottovalutata, se non in ampia parte misconosciuta dagli studiosi. Certo, diversi interpreti hanno reagito contro coloro che hanno letto l 'Umanesimo, sulla scia di J acob Burckhardt, nei termini esclusivi di una stagione della rinascita delle arti, di un' epoca di eruditi e re­ tori, priva di « grandi pensatori veramente indipendenti »9, o contro chi ha considerato il pensiero umanistico come uno 7 Cfr. in/ra, parte terza, v. 8

Marsilio Ficino, Teologia platonica, a cura di E. Vitale, Milano 2 0I I, p. I I96 [XIII, 2]. Cfr. E . Cassirer, Ficino 's P!ace in Intellectual History, recensione a P. O. Kristeller, The Philosophy o/ Marsi/io Ficino, in «]ournal of the History of Ideas >>, IV ( I945), pp. 483-50 I (trad . it. in I d . , Dall'Umanesimo all'Illuminismo, a cura di P. O. Kristeller, Firenze I995); cfr. anche Id., Das Erkenntnisproblem in der Philosophie und Wissenschaft der neueren Zeit, 4 voli. , Leipzig-Berlin I92 2 (trad. i t. Storia della filosofia moderna, 4 voli. , Torino I952), vol. I , p . 74· Si pensi inoltre al giudizio espresso da E . R . Curtius, che riteneva la filosofia deli'Umanesimo , Neuere Arbeiten iiber den italienischen Huma­ nismus, in . In tal modo l'antologia, posta a fonda­ mento del linguaggio stesso, finisce per . Si tratta di

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è un definire per causas, l 'Uno-Bene, non avendo definizio­ ne, risulterà perciò inconoscibile, e sarà intuibile solo attra­ verso quel vestigio di Dio, che, nella nostra anima, si rivela nella forma di un « presentimento occulto » dell' esistenza di Dio stesso . Per Marsilio, proprio in questo sensus occultus è radicato l'innato desiderio che muove ognuno di noi verso ciò che è Uno e Bene . Per questo, quando l' anima dice « Uno », essa non ' nominerebbe ' il principio, ma esprimerebbe « il suo desiderio di portare alla luce il proprio uno, ossia il con­ cetto (conceptus) , per cosi dire, di quel Principio »33• Accan­ to a questo Platone dei misteri si trova l 'Aristotele physicus, maestro delle dottrine sulla natura34 • Anche alla sua scienza occorre essere ' iniziati ' 35 • E questo perché anche in essa, per Marsilio , sono individuabili aspetti sublimi, avendo Aristo­ tele trattato divine degli enti della natura. Ma si tratta pur sempre di un momento propedeutico rispetto all'ingresso nel tempio del vero sapere, quel luogo in cui, platonicamente, si giunge a trattare natura/iter (cioè in modo conforme alla loro natura) degli enti divini36 • E di ciò che supera ogni ente . Un regno teologico, questo, cui Aristotele non avrebbe avuto accesso, lui che mai sarebbe riuscito a oltrepass are il piano dell ' intelletto - dove vige identità tra uno, bene e essere - ,

un'affermazione assai curiosa, dal momento che a spingere Nicola d i Metone a comporre il suo testo fu proprio il timore che la metafisica di Proclo potesse costituire una minaccia al discorso trinitario; sulle possibili ragioni di questa scelta, vedi Monfasani, Marsi/io Ficino and the Plato-Aristotle Controversy cit . , pp. r 86-87 . " Ficino, Commento al «Parmenide» cit . , p. 2 2 2 . " Complesso e i n costante evoluzione è i l giudizio d i Ficino sulla dottrina aristotelica, perché accanto all'Aristotele 'fisico' , la cui filosofia svolge un ruolo introduttivo rispetto alla teologia platonica, si trova un Aristotele etico e 'scienziato' dell' anima, le cui posizioni risultano in molti casi armonizzabili con quelle di Platone; interessante l' ipotesi di Monfa­ sani (Marsi/io Ficino and the Plato-Aristotle Controversy ci t . , pp. r89 sgg . ) , secondo cui Fici­ no, dopo aver cercato, nelle opere giovanili, una via per l' accordo tra Platone e Aristotele, sarebbe in seguito ricorso a una > attraverso cui avvicinare Aristotele alla teologia platonica, con l'intento di del suo progetto filosofico: > . In genera­ le, sul tema cfr. F. Purnell Jr. , The Theme of Philosophic Concord and the Sources o/ Ficino's Platonism, in Garfagnini (a cura di), Marsi/io Ficino e il ritorno di Platone cit . , vol. I I , pp. 397-41 5 ; M. Vanhaelen, The Pico-Ficino Controversy: New Evidence in Ficino's Commentary on Plato's «Parmenides» , in >, IL (2009), pp. 3 0 1 -39. " Marsilio Ficino, Epistolae, Venezia 1 495 [Epistolae], cc. 1 90V- 1 9 r r. ,. Marsilio Ficino, Opera omnia, B ase! 1 576 [Opera omnia], p. 1 4 3 8 .

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per raggiungere il cuore stesso di Dio - dove la parola del sa­ piente deve cedere al silenzio37 • Al recupero di questo Aristotele perlopiu conciliabile con Platone, si accompagna, in Ficino, l ' attacco all ' esegesi avan­ zata da Averroè, colpevole di aver frainteso, principalmen­ te per via delle cattive traduzioni arabe a sua disposizione, le dottrine dello Stagirita. A causa di tale fraintendimento, dunque, Aristotele era divenuto il sostenitore della mortalità dell' anima individuale, aprendo cosi la via a temibili derive materialiste, in grado di minacciare non solo la tenuta psicolo­ gica di letterati e teologi38, ma anche la possibilità di ' salvare' i fondamenti della cristianità, e dunque i progetti di una rina­ scita e di una pace della cultura europea. Anche in questo caso, del resto, Ficino si fa erede di una scelta, quella contro Aver­ roè, che aveva segnato l ' alba dell' Umanesimo, in particolare con Petrarca, e che si ritrova poi al cuore della riflessione dei grandi platonici bizantini del Quattrocento, che esercitarono profonda influenza sul platonismo ficiniano, dal ' maledetto ' Gemisto Pletone al suo allievo, il cardinal Bessarione9 • An­ che in questo caso, dunque, ci troviamo di fronte a una linea filosofica in dialogo con il pensiero della tradizione umanisti­ ca, che riflette le lacerazioni proprie di quella cultura, e che a esse reagisce, cercando di disinnescare le contraddizioni tra le diverse scuole filosofiche e la cristianità che nella fase piu alta di quell ' epoca rischiavano di deflagrare, sul piano tanto religioso che politico40• Ed è proprio questa linea filosofica a " Ficino, Commento al «Parmenide» ci t . , p. r 2 5 .

38 Cfr. J . Hankins, Monstrous Melancholy: Ficino and the Physiological Causes o/ Athe­

ism, in S. Clucas, P. ] . Forshaw e V. Rees (a cura di) , Laus Platonici Phi!osophi: Marsi/io Fi­ cino and His Influence, Leiden-Boston 2 0 I I , pp. 25-43. 3 9 In proposito, ci limitiamo a rimandare a J . Monfasani, George o/ Trebizond: A Bio­ graphy and a 5tudy o/ His Rhetoric and Logic, Leiden 1 976; e l'introduzione di E. Del Sol­ dato a B asilio Bessarione, Contro il calunniatore di Platone, Roma 2 0 1 4 . 40 Come noto, la scelta ficiniana d i declinare i n questo modo i l rapporto tra Platone e Aristotele fu motivo di un confronto-scontro con l ' altro grande filosofo della Firenze lau­ renziana, Giovanni Pico della Mirandola . A non convincere Pico, infatti, è proprio l 'inter­ pretazione ' mistica ' di un Dio quale unità ineffabile e incomunicabile, che Ficino trovava espressa nel Parmenide. Innanzi tutto perché a suo avviso il testo platonico verteva su altro, e al piu era da considerare una esercitazione dialettica. In secondo luogo perché mai Platone avrebbe pensato il Dio come unità assolutamente astratta dalla realtà, al di fuori dell'orizzon­ te dell'essere. Anzi, scrive Pico, > , VI (2ooo), pp. 6r r - 1 7 . L'immagine del « rerum antiquarum innova ton» si trova invece in una lettera indirizzata a Giovanni Pannonio, inclusa nell'ottavo libro dell'episto­ lario (Epistolae, cc. 1 45V- r 46v) . In generale, sull'importanza anche 'psicologica ' dei temi astrologici nel pensiero e nella vita di Ficino, sarà sufficiente rimandare a R. Klibansky,

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Della famiglia di Ficino abbiamo poche notizie sicure . La madre, Alessandra di Nannoccio da Montevarchi, era appe­ na quindicenne quando nacque Marsilio . Di lei è nota una certa dimestichezza con il mondo dei fantasmi e dei sogni, qualità che le conferiva doti divinatorie . Lo confessa Ficino stesso, in una lettera in cui ricorda le due occasioni in cui Alessandra fu visitata nel sonno dalla madre, che le annun­ ciò in un caso la propria morte, nel secondo la morte di uno dei suoi figli . In un terzo sogno presagi poi che il marito sa­ rebbe caduto da cavallo, in quale luogo e in che modo ; cosa che si verificò come da lei previsto, sin nei minimi dettagli45 • Un ulteriore tratto del suo carattere è rivelato da un breve testo che Marsilio scrisse per la morte del fratello Anselmo; significativamente, è qui ancora uno spirito, quello dello stesso Anselmo, a invocare Alessandra, a consolarla per le sue afflizioni, e a definirla « dulcissima »46 • Il padre , Dietifeci d' Agnolo da Figline, fu invece medico . Il suo lavoro lo por­ tò a Firenze, piu precisamente all ' ospedale di Santa Maria Nuova, dove prese servizio nei primi mesi del 1 45447 • In cit­ tà ebbe modo di legarsi in particolare a Cosimo de ' Medici e alla sua potente famiglia, tanto da diventare « Medicibus apprime carus » , a credere alle parole di Giovanni C orsi48 • Dietifeci ebbe il merito di introdurre Marsilio alla medicina, in particolare alle dottrine di Galeno . Probabilmente coltivò

E. Panofsky e F. Saxl, Satumo e la melanconia, Torino r 983 (ed . or. Satum and Melancholy. Studies in the History o/ Natura! Philosophy, Religion and Art, London r 964) , pp. 240 sgg . , e a M . Meriam Bullard, I d . , The Inward Zodiac: A Development i n Ficino's Thou?,ht a n As­ trology, in di Platone, persino piu grande e pericoloso dei precedenti. Due testi, questo e il De voluptate, che sarebbe dunque interessante leggere e analizzare assieme. L'uno sembra infatti controcanto dell' altro. Per entrambi una linea connette Platone ed Epicuro; per entrambi questa linea si fa portatrice di un pensiero del piacere che innerva di sé la filosofia occidentale; per entrambi, infine, Aristotele è il rappresentante di una corrente diversa, alternativa (sebbene per Ficino sia accostabile e armonizzabile alla prima, per Giorgio no) . Eppure il giudizio espresso dalle due opere su questa vicenda della tradizione europea è opposto. Per il De voluptate essa in­ dica un percorso da seguire, per chiunque voglia giungere al piu alto grado di sapere; per le Comparationes invece essa è via di crisi, di rottura, di decadenza . 66 La dinamica t r a piacere e contemplazione è un aspetto, ancora poco studiato, che risulta però centrale per comprendere, fuori da ogni schematico e fuorviante dualismo tra « corpo>> e >, non solo il pensiero del giovane Ficino, ma piu in generale il platonismo rinascimentale, cfr. M. C acciari, Labirinto filosofico, Milano 2 0 1 4 , pp. 1 3 1 -3 5 . 6 7 Per questa lettera, e per i relativi problemi d i datazione, cfr. in/ra, testo 1 4 .

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determina in modo imprevedibile successo e fallimento delle nostre azioni . Non cosf però per chi « sopra a nostra natura cognosce » . Per il sommo bene, infatti, quel che a noi appare fortuito è invece frutto di ferrea « regola » , perché ogni acca­ dimento di quaggiu è come collegato con invisibili fili all'o­ rizzonte celeste . Fortuna, in altri termini, non sarebbe che estensione mondana dell' universale governo di Dio . La fonte di questa lezione platonica, come segnalato da Edgar Wind68, potrebbe essere un passo del quarto libro delle Leggi (7o9b) , dove si legge che « Dio controlla ogni vicissitudine monda­ na, e che tyche e kairos cooperano con Dio nel controllo degli affari umani » . Per questo pochissimi che entrano in conflit­ to con essa, per quanto « pazienti » e « magnanimi », possono uscire vincitori dallo scontro , e al costo di « intolerabile fa­ ticha et extremo sudore » , piu prudente invece « fare co ·llei pace o tregua » , conformando il nostro volere al suo, e, cosf facendo, seguire « volentieri » le invisibili « regole » dettate dalla provvidenza. Ma anche questo « governarsi bene » nelle cose di fortuna è impresa ardua; neppure Platone lo nascon­ deva, e anzi definiva un' arte (techne) quella di accompagnar­ si a tyche (Leges, 709b-c)69• Marsilio è ancora piu esigente, e scrive che per siglare l ' armistizio con la dea occorre che in noi s ' accordino tre elementi: potenza, sapienza e volontà'0 • Ficino prese presto a leggere gli eventi e i casi della sua vita come segni della potenza di fortuna-provvidenza . Con ogni probabilità, quello che ebbe maggior peso nel determinare il suo destino fu l' incontro con uno dei personaggi piu influenti della Firenze della sua gioventu, Cosimo de ' Medici . .. Cfr. E . Wind, P/atonie Tyranny and the Renaissance Fortuna. On Ficino 's Reading o/ Laws IV, 709a·712a (trad . it. Tiranf!ia platonica e fortuna rinascimentale, in Adelphiana, Milano 1 9 7 1 ) , in M. Meiss (a cura di), De artibus opuscula XL: Essays in Honor o/Erwin Panofsky, 2 voli. , New York 1 96 1 , vol. I, pp . 49 1 -96. 69 Certo, posto che Wind abbia visto giusto nel rintracciare nelle Leggi la fonte di que· sto testo ficiniano (ipotesi criticata per esempio da A. Perosa in F. W. Kent , A. Perosa, B . Preyer et a l . [a cura di] , L o Zibaldone di Giovanni Rucellai, II . A Fiorentine Patrician and His Palace, London 1 98 1 , pp. 97- 1 5 2 ; rist . in Id . , Studi di filologia umanistica. II. Quattrocento fiorentino, a cura di P. Viti, Roma 2ooo, pp. 59- 1 44 : 1 4 2 -44) , non vi è dubbio che Ficino leggesse il passo platonico in questione in maniera originale, dando alla provvidenza divina un ruolo centrale assente in Platone, come ben si comprende dall argumentu m ficiniano al quarto libro delle Leggi, cfr. Opera omnia, pp. 1 496-97 . 70 Su questa lettera, vedi anche C. Vasoli, Quattro lettere del Ficino sulla Fortuna, in , VII (2005) , pp. 3 1 -44. '

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3 · Progetti di riforma . In uno dei testi della maturità, Ficino defini Cosimo de ' Medici un « secondo padre » . Dal primo nacque, scrive, e fu introdotto alla medicina; d(;ll secondo rinacque e fu consa­ crato al « divino Platone » . E Marsilio stesso a far risalire al r 45 z l' anno delle loro prime frequentazioni71 • Data che sem­ bra però troppo precoce . Il primo dato certo che inserisce Ficino nella sfera di Cosimo è quello relativo alla lettura, da parte di quest ' ultimo, delle Institutiones ad platonicam disci­ plinam, opera composta dal giovane filosofo nel 1 456 , su in­ vito di Cristoforo Landino, andata però perduta. La reazione fu tiepida . Cosimo e Landino ne approvarono il contenuto, ma consigliarono di non pubblicare lo scritto . Bisognava es­ sere piu accurati nell' uso delle fonti e assieme piu ambiziosi; in altre parole, era necessario studiare i testi platonici senza mediazioni, attingendo alla loro sorgente originale . Marsilio avrebbe dunque dovuto non solo apprendere i rudime\lti del greco, ma padroneggiare con sicurezza quella lingua72 • E però a partire dal 1 462 che i rapporti tra i due si fecero piu stretti . Ficino aveva seguito il consiglio dei suoi lettori d ' eccezione , e trascorsi sei anni da quell' esperienza poteva ora finalmente inoltrarsi, con discreti risultati, negli scritti vergati in greco, anche in quelli piu oscuri, sia in prosa che in versi . L ' ostacolo principale che lo aveva tenuto lontano dalla magia della parola platonica stava cadendo . Ne rimaneva un altro . L ' inquietudi­ ne del padre Dietifeci, preoccupato per il futuro professiona­ le del figlio . Anche a questo pensò Cosimo, che s 'impegnò a sostenere il giovane filosofo nella sua vita di studioso . In un primo momento, infatti, mise a disposizione di Marsilio la bella villa medicea di Careggi; acquistò poi per lui e per la ma­ dre Alessandra una casa vicina all ' area dell'ospedale di S anta Maria Nuova. Nel 1 463 gli fece dono anche di un' altra casa e di un terreno a C areggi73 • E assieme alle abitazioni diede a 71

Lettere I, p. r 54· Cfr. Kristeller, Supplementum, vol. l , p. CLXIII . " Per gli atti notarili relativi alla donazione da parte di Cosimo de' Medici di queste 72

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Marsilio certi platonica volumina da far latini . Insomma, Co­ simo predispose tutto affinché Ficino potesse dedicarsi a ciò cui gli astri lo avevano destinato : far rinascere le cose antiche . La conoscenza del greco non risultava necessaria solamen­ te alla riscoperta delle opere di Platone, ma di una piu ampia tradizione cui essa avrebbe fatto capo . Già le fonti latine da lui studiate con cura alludevano a un' origine antica e ' orien­ tale ' dei misteri platonici . Un nome su tutti aveva catturato la sua attenzione, quello di Mercurio Trismegisto . Ficino fece la sua conoscenza in modo graduale . Da giovanissimo lo ave­ va creduto un discepolo di Platone, come testimonia l' explicit da lui copiato quando trascrisse, di sua mano, l ' Asclepius er­ metico74 . Qualche anno dopo, nel 1 458, è ormai consapevole della sua antichità: « lmperocché benché Mercurio molti se­ coli fussi innanzi a Platone in terra stato . . . »75 • Ciò che non era mai stato messo in discussione era invece l ' affinità tra le loro dottrine : « Pare veramente el mercuriale spirito nel pec­ to platonico transformato » . In questo modo, nel giro di po­ co tempo Marsilio giunge a ridisegnare la mappa geografica e cronologica del sapere . Ora è Mercurio , sapiente egizio, a essere il depositario degli arcani della conoscenza, mentre il greco Platone l' erede di questa remota tradizione . Due « lu­ mi », li definisce Ficino, che si riflettono nella notte del passa­ to, e la illuminano . Tra l 'uno e l ' altro non vi è però un vuoto : la luce della s apienza vive perché una catena di grandi figure è stata capace di accoglierla e di tramandarla. Orfeo, Aglao­ femo, Pitagora, Filolao, cui si aggiunge Zoroastro - destina­ to presto a figurare, negli scritti ficiniani, quale il piu antico teologo, precedente persino Mercurio, spostando, almeno due abitazioni, la prima risalente al 4 dicembre 1 462, la seconda al 18 aprile dell' anno suc­ cessivo, vedi Gentile, Niccoli e Viti (a cura di) , Marsi/io Ficino e il ritorno di Platone cit . , p p . 1 74-76, n n . 1 39 e 1 4 0 . Sulla tenuta d i Careggi vedi anche C . S . Celenza, Firenze, 1 8 aprile 1463 : Platone i n villa, in S . Luzzatto e G . Pedullà (a cura di) , Atlante della letteratura italiana, 3 voli . , Torino 2 0 1 0- 1 2 , vol . l , pp. 433-37. 74 Cfr. Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms 709, c . 1 2r: « Explicit Hermes Trismegi­ stus discipulus Platonis de natura divinationis et deorum >> . La locuzione >, IV ( r 984), pp. 555-84 (rist . in Id. , P!ato's Third Eye: 5tudies in Marsi/io Ficino 's Metaphysics and its 5ources, Aldershot 1 995). "' Come sottolineato da Hankins (P!ato cit . , vol . l , pp. 283-87), questa teoria dei ci­ cli di rinascita e declino della sapienza religiosa si sovrappone alla teoria secondo cui la

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in ogni declino, pensava Marsilio, è anche il segreto annun­ cio di un rinnovamento81 • Compresi dunque il 'ritmo ' di que­ sti cicli vicissitudinali, e le cause della decadenza, risultava possibile immaginare una rinascita, individuare il cammino che avrebbe provvidenzialmente portato a un nuovo secolo . Il_Platone di Ficino (e di Cosimo) nasce in questo conte­ sto. E il Platone erede dell' antica sapienza - la celebre prisca theologia; il Platone filosofo, che dietro ai suoi « serissimi gio­ chi » aveva mostrato non solo il percorso che richiama l ' anima al suo ' porto celeste ' , ma che aveva indicato come quella via non potesse esaurirsi in un astratto sapere contemplativo, in una fredda meditazione della mente ' sola' - perché ogni au­ tentico sapere è effusivo di sé, a immagine del bene divino, � dunque è rivolto agli altri, alla comunità e al suo benessere . E il Platone promotore di quelle leggi dell' amicizia, « le quali comandano che le cose siano comuni tra gli amici, affinché, eliminate la divisione e la causa della divisione e della mise­ ria, si possa conseguire concordia, unione e felicità »82 • Ma è anche il Platone profeta, che aveva previsto un ' età futura, storia si dividerebbe in due grandi momenti, quello dell '>, nel corso del quale Dio avrebbe concesso a pochi eletti di penetrare i suoi misteri e le sue leggi (Mosè, i pro· feti ebrei, Platone e gli altri prisci theologi) , e quello della > , inaugurato dall' avvento di Cristo, che aveva rivelato i segreti di Dio nella loro pienezza, rendendoli accessibili anche alle piu umili menti. In questo modo Ficino sarebbe riuscito a combinare >. 8 1 Difficile sottovalutare l' importanza, in questo movimento ciclico tra crisi e rinascita, del mito narrato da Platone nel Politico (268e- 274e) , ben noto a Ficino, secondo il quale la divinità, dopo aver abbandonato il timone del mondo, lasciando cosf muovere l'universo verso uno stato di disordine e decadenza, riprenderebbe poi a guidarlo nel momento in cui la crisi abbia raggiunto il suo punto piu critico; in proposito vedi Wind, P!atonie Tyranny ci t. 82 Cfr. infra, testo 23. Sarà opportuno ricordare qui l'intuizione di Arthur Field, se­ condo cui proprio il tema platonico dell' amore-amicizia, nella sua declinazione 'politica' , sarebbe da considerare una delle ragioni del profondo interesse suscitato dal pensiero di Platone tra i rappresentanti della > della Firenze del tempo; cfr. A. Field, The lntellectual Struggle far Florence: Humanists and the Beginnings o/ the Medici Regime: I420-I440, Oxford 20 1 7 , p. 2 7 2 : con la concezione dantesca - implicito richiamo alle parole con cui Dante, in Purgatorio, XXIV, 52-54, descrive a Bonagiunta Or­ bicciani il concetto centrale della poetica stilnovista: « l ' mi son un che, quando l Amor mi spira, noto, e a quel modo l ch'e' ditta dentro vo significando » .

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filosofia non dovesse essere relegata alla disciplina delle Scuo­ le, ma dovesse diffondersi anche tra i I 3]: « Magicam operar i non est aliud guam maritare mundum [l'operare ma­ gico non è altro che maritare il mondo] >> . '"' Vedi in proposito la breve Apologia pubblicata da Ficino in difesa del De vita, in Three Books, pp. 394-400 . 1 41 Di questa accusa, lanciata del resto dopo la morte di Ficino, dà notizia Girolamo Benivieni in una sua lettera del I 5 marzo I 5 I 4, cfr. P. O. Kristeller, Studies in Renaissance Thought and Letters, Roma I 956, pp. 1 7 I -7 2 ; S . Gentile, Pico e Ficino, in P. Viti (a cura di) , Pico, Poliziano e l'Umanesimo di fine Quattrocento, catalogo, Biblioteca Medicea Lau­ renziana, 4 novembre - 3I dicembre I 994, Firenze I 994, pp. I 27-47: I 4 7 ·

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[Alberto,] come si conviene a un giusto teologo, disapprova le pre­ ghiere e i suffumigi, cui certi uomini empi hanno fatto ricorso, nel fabbricare immagini, per invocare demoni. Non condanna tuttavia le figure, le lettere, le frasi impresse nelle immagini allo scopo di ot­ tenere un certo dono da una particolare figura celeste142•

Nonostante queste parole rassicuranti, in diverse occasio­ ni Marsilio sembra valicare i limiti da lui stesso imposti alla magia naturale . Le numerose riflessioni dedicate alle statue viventi, tra i piu spaesanti protagonisti della letteratura ma­ gica occidentale, ne rappresentano un significativo esempio . Il luogo fondativo di questa dottrina è un passo dell'A­

sclepius ermetico, in cui si narra della scoperta, da parte de­

gli antichi Egizi, « dell' arte di fare gli dèi » , ossia della tecni­ ca con cui evocare le anime di demoni e angeli e installarle nelle statue degli dèi « mediante sacri e divini misteri » . Le statue divenivano cosi animate e capaci di operare « il bene e il male »143• Celebre, e ben nota anche a Ficino, la condanna di sant ' Agostino, che attribuiva l' introduzione di quest ' arte a un « grande errore, alla mancanza di fede e all' allontana­ mento dello spirito dal culto religioso » . Ficino non prende apertamente le distanze da questa pratica144 • Anzi, pare par­ ticolarmente affascinato da simili automi in grado non so­ lo di veicolare forze astrali, ma come suggerito da Garin, di « afferrare l' anima e portarla entro le cose »145 • Possibilità che si fonda su una dottrina che potremmo dire delle segnature . L' anima del mondo, infatti, la grande mediatrice tra corpo e intelletto, contiene in sé tante « ragioni seminali » quante «idee » si trovano nella mente divina146 • Essa però non si li­ mita a fare da ricettacolo degli splendori sopramondani, ma ha il compito di segnare la materia con altrettante specie di quelle idee, di piantare cioè quei semi nella natura mondana . In una pagina straordinaria, Ficino giunge ad affermare che 1 42

Infra, testo 6o [III, 1 8 ] . Asclepius, 2 4 e 3 7 . 144 Agostino, D e civitate Dei, VIII, 2 3 . 145 E . Garin, L e "elezioni " e i l problema dell'astrologia, in E . Castelli (a cura d i ) , Uma­ nesimo e esoterismo, Padova 1 960 (rist. in Id . , Interpretazioni del Rinascimento, vol. I I . I9J0· ' 990, a cura e con un saggio di M. Ciliberto, Roma 2009, pp. 1 1 7-35: 1 2 1 ) . 1 46 Cfr. infra, testo 5 7 [ I I I , I ] . 143

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l' anima del mondo è come un mimo, capace di indoss are tut­ te le maschere e ogni figura, e di effigiare ogni volto, perché i tratti di ogni cosa intelligibile e mondana sono infusi natu­ ralmente in essa147 - versione cosmica, verrebbe da pensare, del leonardesco « ingegno del pittore » , luogo medio tra men­ te e mano, capace di trasmutarsi « nel colore di quella cosa ch' egli ha per abbietto » , e di empirsi di « tante similitudini . . . quante sono le cose che li sono contraposte »148 • L ' anima dunque può essere attirata d a enti materiali, e può penetrare in essi, ' dipingendo ' spiritualmente149 il suo aspetto su qualsiasi elemento della realtà mondana, proprio perché è essa stessa ad aver segnato la tela, ad aver nascosto in essa il proprio seme di vita. La produzione di statue trova qui il suo segreto, nella materia segnata e predisposta a comunicare con il cielo . Per questo, quella variante del mito di Prometeo, che vede nel titano una sorta di dio-artefice, capace di forgiare statue dal fango, e di animarle con il fuoco-luce celeste da lui rubato, si presta a significare il potere proprio della parte vi­ tale dell ' anima del mondo di modellare nella materia prima gli enti naturali. Il mondo stesso è un regno di statue anima­ te . Gli antenati di Mercurio Trismegisto, dunque, colmi di 1 47 Marsilio Ficino, Commentaries on Plato, 2 voli. , vol. I l . Parmenides, a cura di M. Vanhaelen, Cambridge (MA) - London 20 1 2 , p. 26o (questo fondamentale concetto dell'a­ nima del mondo quale ' mimo' si perde nell'edizione del testo latino cui facciamo qui riferi­ mento, dove alla lezione corretta universi mimum si sostituisce quella di universi minimum) . ,.,. Leonardo da Vinci, Trattato della pittura, in P. B arocchi (a cura di) , Scritti d'arte del Cinquecento, Milano-Napoli 1 97 1 , p. 1 290. Di grande fascino il tema del rapporto tra Ficino (e il suo circolo) e Leonardo (cfr. A. Asor Rosa, Storia europea della letteratura italiana, vol. I . L e origini e i l Rinascimento, Torino 200 1 [VI , 5] ; vedi anche supra, nota r r 2); per un' analisi di possibili analogie e differenze tra temi centrali della riflessione di questi autori, vedi A. Chastel, Arte e Umanesimo a Firenze al tempo di Lorenzo il Magnifico. Studi sul Rinascimen­ to e sull'Umanesimo platonjco, Torino 1 964 (ed. or. Art et Humanisme à Florence au temps de Laurent le Magnifique. Etudes sur la Renaissance et l'Humanisme platonicien, Paris 1 959), pp. 4 1 4 sgg . ; M . Kemp, «Ogni dipintore dipinge sé»: A Neoplatonic Echo in Leonardo's Art Theory?, in C. H . Clough (a cura di) , Cultura! Aspects o/ the Italian Renaissance. Essays in Honour of Pau! Oskar Kristeller, Manchester - New York 1 976, pp. 3 1 1 -2 3 (trad. i t. in Id., Lezioni dell'occhio. Leonardo da Vinci discepolo dell'esperienza, Milano 2004); K . Blatt, Le­ onardo da Vinci and « The Virgin o/ the Rocks» . One Painter, Two Vergins, Twenty-Five Years, Newcastle upon Tyne 2 0 1 7 , I l , vn; si vedano anche le riflessioni sul tema >, Marsilio Ficino e la sua «renovatio» , in S. Gentile e S. Toussaint (a cura di) , Marsilio Ficino. Fonti, testi, fortuna, atti del convegno internazionale, Firenze, r 0-3 ottobre 1 999, Roma 2oo6, pp. r - 2 3 : 2 2 .

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e proprio « inferno immaginario » . Cosi appare l 'escatologia di Ficino, una « vicenda di fantasmi per adulti » , che nasce da un complesso intreccio di elementi platonici e cristianP61 • L'uomo è in costante lotta tra queste due potenze fantasti­ che, l'una che conduce alla riforma della propria natura divina, l' altra che spinge a deformarla e a disgregarla162• Mai questo combattimento potrà dirsi compiuto . A nessun livello . E se coloro che hanno a che fare con il mondo visibile - gli uomini d' azione, gli uomini del piacere volgare, gli uomini di potere ­ si trovano a combattere contro temibili nemici in carne e ossa, ben piu pericolosi sono gli avversari che deve fronteggiare chi si sia lasciato alle spalle l 'orizzonte terreno e si sia inoltrato nelle terre dello spirito . Il mondo invisibile, infatti, per Fi­ cino, pullula di creature minacciose. Per questo, come scrive in una sua lettera, non è vero, come si potrebbe pensare, che piu si s ale nella scala dell ' essere, piu le tentazioni da affron161 Si tratta di una dottrina esposta da Ficino in particolare nel decimo capitolo del di­ ciottesimo libro della Teo�ogia platonica; in proposito, vedi R. Klein, L 'enfer de Ficin, in Id., La forme et l'inte/ligible. Ecrits sur la Renaissance et l'art moderne, Paris 1 970, pp. 89- 1 19; J . Lauster, Die Erlosungslehre Marsi/io Ficinos, Berlin - N e w York 1 998; T . Katinis, L 'inferno interpretato da Marsi/io Ficino. Lettura del capitolo x de/ libro XVIII della « Theologia plato­ nica» , in Colloquium philosophicum, , e che, una volta estinta, lascia « solo una nera fuliggine, che rende balordi e istupiditi »; cfr. Vasoli, Un «me­ dico» per i «sapienti» cit . , pp . x ozo-2 I . 1 67 Chastel, Marsi/e Ficin et l'art cit . , p . x 6 5 .

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l' imitazione la rende divina »168• Il gesto del pensiero-concen­ trazione, nel raccogliersi verso il centro delle cose, comporta una purificazione : dalle passioni dei sensi e dalle nuvole della fantasia (i. e. da tutto ciò che distrae e trascina l ' anima ver­ so la periferia) . Ma ciò non basta. La mente, resa cosi pura, non è ancora ' amica' del divino . Lo slancio conoscitivo non può renderla t ale, non affratella a Dio . Per ambire a tanto, vi è una sola via, quella di vivere a sua imitazione, farsi sua immagine . Ma in cosa, noi mortali, possiamo imitare ciò che appare per eccellenza inimitabile? Non certo nella sapienza, dato che il nostro sapere, sempre in dubbio, mai potrà pa­ reggiare quello di Dio . Non nella potenza, dato che la nostra natura, in/irma, mai potrà paragonarsi a chi è per definizione onnipotente. Quel che ci è dato è invece imitare la sua prov­ videnza. Se infatti Dio ha nascosto nei propri recessi il se­ greto del potere e del s apere, discorso diverso vale per la sua provvidenza, che è manifesta ovunque nell' universo . Questo rivelano i cieli e la terra, che il loro creatore si prende cura di loro, e di tutto ciò che in essi si trova, non importa quanto umile . Il nostro compito, dunque , è quello di comportarci in modo altrettanto provvidente nei confronti di tutte le real­ tà, e prenderei cura « in ogni luogo [de]gli altri uomini, come fossero fratelli >>'69• Solo cosi la nostra mente potrà accordarsi a quella divina, e operare in terra « come Dio » . Aspetto de­ cisivo, questo, che emerge con sempre piu forza nelle opere ficiniane della maturità. Il vero nome di filosofo non può es­ sere dato a chi non compia quest 'ultimo passo dell' itinera­ rio in divinis. Autentica filosofia è quella che non si ferma a una conoscenza fredda, ' concentrata' della causa, ma quella che induce a comportarsi a immagine della causa stessa. A essere cioè, come la causa prima, caldi ed effusivi, e rivolti all' altro, come scrive Marsilio nel bellissimo capitolo finale del suo Libro della luce, per illuminarlo del loro fuoco di giu­ stizia e sapere170• Esempio altissimo è offerto da figure come Apollonia di Tiana e Socrate - eccezionale esaltazione dell'u1 68 1 69 1 7°

lnfra, testo 8 7 . Ibid. Cfr. in/ra, testo 96.

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tilità civile dell'amor di quest ' ultimo si trova del resto già nel Commento ficiniano al Simposio ! 171 - , e come Cristo, « mae­ stro di vit a » in quanto « libro vivente della filosofia divina »172• Per Ficino, questa forma somma di interesse per gli altri, culmine di ogni autentica vita intellettuale, è indicata dal ter­ mine caritas. In un testo redatto nel 1 476, il De raptu Pauli, la charità, il « terzo » cielo cui è rapito Paolo, dopo il « primo » , rappresentato dalla fede, e il « secondo » , dalla speranza, è de­ scritta come un abbraccio con Dio, e un godimento dei suoi « pretiosissimi thesori ». Caritas è l ' amore nella sua forma p ili alta . La sua essenza è fuoco che cattura la mente al cielo . Co­ me successe a Elia, rapito su un carro infuocato, e come capi­ tò a S aulo sulla via di Damasco . Le fiamme di questo fuoco spirituale, a differenza di quelle del fuoco materiale, bruciano non per distruggere, bensi per donare nuova e piu alta vita. Da loro infatti si diffonde un calore che ha la qualità di « ri­ creare e generare tutte le cose » . Il mistero di quest ' opera di rigenerazione Ficino lo aveva fatto pronunciare, in una sua lettera, a Dio in persona: In modo simile, io, come il fuoco, illumino gli intelletti e accen­ do le volontà . Del resto, voi non potete diventare divini per il fatto di cercare, con la ragione soltanto, di afferrare la mia luce, ma per­ ché anelate al mio c alore con l ' ardore del volere (f!agrantia volendi ) . Riconoscete dunque quanto grande s i a l ' amore; i o infatti v i h o crea­ to con il mio amore e voi, con il vostro amore, ossia con l ' amore per me, vi ricreate in mem.

Potenza rigenerativa dell' amore, che segna la vera diffe­ renza tra l ' intelletto indagante e la flagrantia volendi - « l ' ar­ dore del volere »174• Se il pensiero-meditazione muove al mo­ do della terra, trascinando in basso, verso il centro di gravità m

LdA, pp. 2 1 7- 1 9 [VII , t6]. De christiana religione, p . 2 1 1 [XXIII]. m lnfra, testo 4 1 . 174 I l motivo della è centrale i n tutta l a riflessione ficiniana, e s i nu­ tre di spunti non solo paolini e platonici, ma anche ermetici (nel Corpus Hermeticum, infat­ ti, questo tema gioca un ruolo significativo; si pensi in particolare al tredicesimo trattato della raccolta, dal titolo De regeneratione et impositione si!entii, come recita la versione di questo testo approntata da Ficino, per la quale vedi Mercurio Trismegisto, Pimander sive de potestate et sapientia Dei, a cura di M. C ampanelli, Torino 20 1 1 [Pimander] , pp. 95- 1 0 2 ) . m

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delle cose, l ' amore-caritas, come il c alore del fuoco, è leggero, rivolto all' esterno, creativo . La mente di Ficino, riflettendo su questi elementi della

carità paolina, non poteva che correre alle pagine, celebri, del Simposio platonico, dove a esser e esaltato è proprio il ca­ rattere creatore di eros. Parallelo che rappresenta una delle

sovrapposizioni piu cariche di significato tra misteri plato­ nici e dottrina cristiana, che si trova espresso, nel modo piu chiaro, proprio in un passo del quarto capitolo del suo tardo commento all ' Epistola ai Romani, dove, dopo una lunga di­ gressione sul tema della caritas, della sua superiorità rispetto all ' intellezione, e della sua natura generativa, Ficino scrive : « Per questo il nostro Platone, nel Simposio, dice che la nostra mente, congiunta per mezzo dell ' amore con la mente divina, non solo contempla le stesse idee delle cose e le loro virtua­ lità, ma in sé le genera, dal momento che la forza d ' amore è unificante e generativa »175• Nello stesso capitolo, del resto, Ficino sancisce la ' traducibilità ' tra la caritas e la piu nobile delle forme di culto descritte da grandi platonici quali Giam­ blico e Porfirio , quella propria di coloro che si rivolgono al « padre » degli intelletti separati « con un' estasi della mente e con ineffabile affetto della volontà » . Religiosità neopla­ tonica spogliata di macchie di cultualità materiale, che qui, nel suo momento piu alto, accade ormai tutta in spirito . Del resto, le radici pagane della carità paolina affonderebbero in un passato ancora piu remoto, in un tempo che precede lo stesso Platone . Come si deduce da una significativa tra­ duzione . Quella con cui Ficino decide di rendere i termini greci pistis, aletheia, eros, che formano una triade decisiva della teologia caldaica176 (ossia della dottrina che Ficino pen­ sava risalire al piu antico dei prisci theologi, Zoroastro) , con

"' In/ra , testo 9 1 . Sulla convergenza del concetto di caritas con l'idea di eros platoni­ co, sarà sufficiente rimandare a C. Vasoli, Considerazioni sul > . 2 7 Diogene Laerzio, Vitae philosophorum, IX, 4 · "' Censorino, D e die natali liber, X V I ; ulteriore prova dell'interesse nutrito da Ficino per le riflessioni di Censorino sull' anima si trova in un passo del suo argomento al Carmide, vedi M. Vanhaelen, Marsi/e Ficin, traducteur et interprète du Charmide de Platon, in >, III (2oo r ) , pp. 2 3-52 : 5 1 . 29 Platone, Epistolae, I l , 3 1 2e.

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PARTE PRIMA . GLI ANNI DEL PIACERE

nella divina substantia, cioè potentia, sapientia et bonità30 • La potentia chiama lui et etiam e cristiani teologi el padre, la sapientia el figliuolo, la bonità lo spirito sancto. lmperocché 'l sapere divino dal suo potere è nato e la bonità d ' amenduni è a tutta la generatione delle creature spirata. La potentia di Dio è cagione secondo Mercurio efficente di qualunche crea­ tura. La sapientia è come uno immenso specchio, nel quale le similitudini di tutte le cose risplendono31 • E t come il pietore et ogn' altro artefice di tutte l ' opere che dimonstra nella sterio­ re materia, ha prima et poi le immagini nella mente formate, cosi di qualunche cosa produce la divina potentia, la sapientia ab eterno in sé forma l' exemplo32• I quali exempli Mercurio e Platone chiamano idee, Origene e Agostino verità eterne, Machomet et la teucra secta intentioni, alcuni teologi potentie attive, altri rationi formali, Cicerone intelligentie ingenitel\ Seneca semi eterni et incoationi34, Orfeo luce . Per la qual cosa gli exempli di tutte le cose eternalmente nella divina sapientia consistono . Onde la potentia a exemplo di sua sapientia e a "' Si tratta di un passo rilevante, che segna una discontinuità rispetto a un primo mo· mento in cui Ficino, come indicato da Gentile (Sulle prime traduzioni ci t . , p. 58) , pareva se­ guire una tradizione medievale (Burlaei Liber de vita cit . , p. 262) che voleva Ermete essere discepolo di Platone (cfr . l 'explicit della sua traduzione dell'Asclepius, portata a termine al­ cuni anni prima della stesura del Di Dio et anima, in cui si legge : , vedi Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms 709, c . r 2r) . " Asclepius, 34; cfr. supra, testo 6. Sulla significativa combinazione, in queste riflessio­ ni trinitarie, di fonti ermetiche e platoniche, vedi Gentile, In margine cit . , pp. 4 1 -48; Id. , Considerazioni attorno al Ficino e alla «prisca theologia» , in S . Caroti e V. Perrone Compagni (a cura di) , Nuovi maestri e antichi testi. Umanesimo e Rinascimento alle origini del pensiero moderno, atti del convegno internazionale di studi in onore di Cesare Vasoli, Mantova, r 3 dicembre 20 1 0 , Firenze 20 1 2 , pp. 57-7 2 : 65-67; Gentile e Gilly (a cura di), Marsi/io Fici­ no e il ritorno di Ermete cit . , pp. 2 3-5; Conti, Marsi/io Ficino tra Cristo e Socrate cit . , p. 68. 32 Immagine che pare tratta da Guglielmo di Conches (Glosae super Timaeum, ed. É . Jeauneau, Paris 1 965, pp. 9 8 sgg . ) come suggerito d a Gentile, In margine cit . , pp. 43-44. " Cicerone, De legibus, I , 30: > . Il termine in­ genite (appartenente alla tarda latinità) sostituisce, in Ficino, quello ciceroniano di incohatae. " Cfr. Seneca, Epistulae ad Lucilium , XC , 29: > . Il termine incoationi, tratto dal latino tardo (incohationes) , come suggerito da Tanturli, potrebbe essere fatto risalire alle incohatae intelligentiae del passo di Cicerone citato nella nota precedente. In ogni caso, sempre seguen­ do G. Tanturli (Osservazioni lessicali su opere volgari e bilingui di Marsi/io Ficino, in Id. , La cultura letteraria cit . , vol. I l , pp . 685-7 1 6 : 705-6), pare probabile che > . 0-

III . DIO , ANIMA , NATURA

fine di sua bontà crea il mondo . Perché secondo l' openione de ' prefati philosaphi Dio non ad altro fine volse el mondo creare se non per comunicare, impartire et diffundere la bontà sua per l 'universo . Adunque la potentia divina è cagione effi­ cente, la sapientia exemplo, la bonità fine d'ogni cosa creata. Queste tre parti tocca Platone nostro, padre di tutti e sapien­ ti, nelle proposte parole . Imperocché quando e' disse: « Circa il re del tutto tutte le cose consistono » , intese che nella sa­ pientia di Dio, la quale si chiama re, perché proprio è ufficio della sapientia reggere et ordinare, consistono eternalmente le nature, essentie, forme, exempli, idee, rationi, intentioni, intelligentie, verità eterne d ' ogni cosa prodocta. Aggiunse di poi : « Costui è cagione di tutti e beni » , significando la poten­ tia, la quale l ' universa platonica famiglia appella del mondo efficente cagione . E disse : « Di tutti e beni », acciocché nes­ suno intenda, il male da divina potentia procedere, siccome nella Repubblica di Platone si manifesta. Ultime aggiunse: «E affine di lui è ogni cos a » , intendendo la bonità divina, la quale egli medesimo nel libro della creatione del mondo di­ sputa essere quel fine, che ha mosso la potentia e sapientia sua alla productione mondana, e simile in suoi versi platonici discrive Boetio35 • Sicché Iddio secondo e nostri è essemplo, principio et fine d ' ogni natura, verità vita e via di qualun­ che cosa (cfr . Gv, 1 4 , 6), possiede essere vita et intelligentia. Et per manifestarti meglio e platonici sensi, parmi da di­ chiarare in brevità, in che modo Mercurio Egiptio la divini­ tà discriva. Imperocché benché Mercurio molti secoli fussi innanzi a Platone in terra stato, niente di meno sono questi due lumi in modo conformi che pare veramente el mercuria­ le spirito nel pecto platonico transformato . Disse adunque Mercurio : « (Gentile, Niccoli e Viti [a cura di] , Marsi/io Ficino e il ritorno di Platone ci t . , p. 78). Proprio in questa nota compare anche la genealogia di un Maometto 're degli Arabi' , tratta piu nello specifico dal De generatione Mahumet (tradotto da Hermannus Dalmata), in Machumetis Saracenorum principis, eiusque successorum vitae, a c doctrina, ipseque Alcoran, ex off. Ioannis Operini, B asileae r 54 3 circa, pp. 204 e 207 (si tratta di un testo incluso nella raccolta toletana) . Ficino menziona questa genealogia anche in De christiana religione, p. 207 [XXI]; p. 309 [XXXVII] e nella dedica a Clarice Orsini dei suoi volgarizzamenti della Oratione singulare di Agostino e del Salterio di David abreviato da Santo Hieronymo, cfr. in/ra, p. 450, nota 2 . In generale, su questi temi occorre rimandare ad A. M. Piemontese, Il Corano latino di Ficino e i corani arabi di Pico e Monchates, in >, XXXVI ( 1 996) , pp. 2 2 7 -7 3 .

III . DIO , ANIMA, NATURA

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el centro in tutti . Possiamo ancora questa parte in altro mo­ do interpetrare . Due cose circa la divinità consideriamo : pri­ ma la substantia di Dio et sua propria natura, secondo la virtu, perfectione et vigore che dalla divina natura si dissemina e include per l 'universo . La substantia di Dio è nominata da Mercurio circumferentia, la perfectione concessa et insita da lui nell ' altre cose è detta centro . l mperocché centro è un puncto solo finito et limitato, e la circumferentia è linea. Ogni linea come dimostrano e matematici, puncti infiniti in sé con­ tiene . Et conciosiacosacché intra il finito et infinito non è proportione né comperatione alcuna, seguita che la circum­ ferentia avanzi el centro in infinito e non vi sia comperatio­ ne . Et però essendo la divina natura immensa et infinita e la perfectione attribuita da lei alle cose sotto sé finite finita, rationevolmente per questa comperatione si chiama la divina substantia circumferentia e la perfectione da essa prodocta centro . E si come el centro è incluso nell' ambito circulare, e la circumferentia collocata nella sommità complecte et con­ tiene el centro, cosi la perfectione dirivata da Dio è nelle par­ ti del mondo interiori insita et ingenerata, e la substantia propria di Dio nella sommità celeste fuori d'ogni macula cor­ porale consiste et quasi come circumferentia abbraccia l ' uni­ verso e tutta la perfectione a loro donata contiene . El centro adunque divino è in ogni loco, cioè la virtu di Dio alle natu­ ra attribuita è in ogni minima particula dell ' universo; e la substantia di Dio la quale chiama circumferentia non è in lo­ co alcuno, perché non è inclusa in alcuno sito e corpo mon­ dano né spatio può occupare, ma vive fuor d ' ogni vinculo materiale et termino di loco sopra tutte le celeste spere, dif­ fundendo per l' universe nature sue virtu, siccome el sole ir­ radiando tutto di suo splendore piu o meno secondo la capa­ cità di chi riceve, come da Trismegisto, Platone et Proculo si disputa. Et come le linee che si deducono dalla circumferen­ tia al centro sono equali et simili, e partendosi da un puncto indivisibile della circumferentia divengono extense, lunghe e partibili : cosi la perfectione et potentia impressa da Dio in ogni parte è equale et pari et non piu può in uno loco che in un altro, et tutto quello che in esso Iddio è semplice unito individuo, nelle creature si riceve con diversità partitione

PARTE PRIMA . GLI ANNI DEL PIACERE

varietà e moltitudine e corporea qualitate . E benché la per­ fectione divina in ogni cosa sia equale, niente di meno non è equalmente ricevuta, come ancora un lume medesimo di sole equalmente agli occhi di tutti gli animanti si rappresenta, ma non è da loro equalmente ricevuto . Et però Giovanni Evan­ gelista dice : La vita divina era luce degli uomini, et questa luce

riluce nelle tenebre, et le tenebre non l'hanno compresa ( Gv,

r,

4-5) . Simile vuole Dionisio Ariopagita et Avendante et Pro­ colo che nella Platonica Theologia dice che Iddio è equalmen­ te a tutte le cose presente, ma le cose non sono tutte a uno modo presenti a lui48 • Et la fonte viva et exuberante è apta a dare a qualunche viene equal parte di suo liquore, ma non a uno modo tutti riportano, perché ciascuno secondo el suo gu­ sto che è in diversi vario la gusta e stima e tanto ne riporta, quanto è la capacità del vaso suo . Aggiungi alla detta expo­ sitione che Iddio contiene il tutto, et lui da nulla è contenu­ to, cioè tutta la perfectione dell'universo è in lui, ma non tutta la sua è nello universo . E tutta la perfectione del mon­ do è una particola della divina, et è tanta quella di Dio che rimane fuori della capacità delle creature, che tutta quella che è in esse, è uno puncto a rispecto di quella che rimane nel solo Iddio . Sicché la circumferentia di Dio non è in loco, perché sarebbe compreso tutto dalle cose nate, ma bene tan­ to di sua virtu quanto è uno centro, e nel tutto anche è il tut­ to . Ma sopra questo che è dato alle creature sopravanza di bontà divina tanto, che è a rispecto di questa come una linea a un puncto, cioè come lo infinito al finito, perché la linea ha puncti infiniti . Onde quello di Dio che è in tutto e il tutto, è centro, quello che resta fuori della capacità del tutto, è cir­ cumferentia . La predetta opinione de' mercuriali et platani48 Problematico stabilire se già nel 1 458, all 'epoca della stesura del Di Dio et anima, Ficino potesse aver accesso alla Theologia platonica di Proclo; ciò presupporrebbe una sua padronanza del greco molto precoce, o l ' accesso alla traduzione che Niccolò Cusano aveva domandato al Traversati, cfr. H . · D . Saffrey, Pietro Balbi et la première traduction latine de la « Théologie platonicienne» de Proclus, in P. Cockshaw, M . · C . Garand e P. Jodogne (a cu­ ra di), Miscellanea codicologica F. Masai dicata MCMLJCXIX, 2 voli. , Gand 1 979, vol. I I , pp. 425-37 (rist. in Id . , L 'héritage des anciens au Moyen Age et à la Renaissance, Paris 200 2 , pp. 1 89-202). Come mostrato da Gentile e Gilly (Marsi/io Ficino e il ritorno di Ermete cit . , p. 78), del resto, il probabile riferimento ficiniano è qui non a Theologia platonica, I , 2 2 (cui il passo parrebbe rinviare) , ma alla prop. 142 dell' Elementatio theologica, opera di Proclo che Ficino poteva aver letto, in quel periodo, nella traduzione latina di Moerbeke.

III . DIO , ANIMA, NATURA

79

ci philosaphi è in tucto quella che ' teologi cristiani defendo­ no . Aggiungono e cristiani questo che vogliono Iddio non solo per providentia e potestà essere in ogni parte, ma etiam per presentia e substantia per tutto consistere . Queste poche et brievi sententie della divina substantia al presente, amico mio, ti bastino . Perché è tempo già l' opinioni dell ' anima con brevità transcorrere, le quali sono tante diverse et varie, che chi piu ne ricerca , spesse volte p are che piu ne rimanga confuso. Di tutti e philosaphi nessuno disse l ' anima essere nulla se non Dicearco49 • Intra gli altri alcuni dissono l ' anima essere il cuore, altri il cerebro, Orfeo el fiato che per la bocca spiria­ mo50; et secondo questa opinione l ' anima molte volte per giorno perisce et da principio spirando si crea . E siodo poeta antiquissimo stimò ogni cosa di terra essere composta, e l ' a­ nima di vapore terrestre si puro et sottile generata, che come natura di vento agli occhi in niuno modo non possa apparire . Talete tutti i corpi pone animati et viventi et l' anima chiama una forza e vigore ne ' corpi ingenito, dante vita e movimen­ to51 . Anaxagora et Archelao dicono che tutti gli animali di caldo et umido sono composti, el caldo dell'umido nutrirsi et per tale nutrimento partorire stimano per le membra fa­ coltà di muoversi et di sentire, et questa potentia vita appel­ lano52. Anaximene vuole qualunche cosa d ' aerea substantia generarsi et dice che nella natura si truova una particula d ' a­ ria tanto stillata, risoluta et purificata, che sia impossibile piu sottigliarsi, et questa per sua mirabile sottilità si muova sempre nelle interiora de ' corpi, la quale appella anima . Pi­ tagora giudica che mediante el celeste moto pe ' razzi stelli­ feri si dissemini certe particule di substantia et materia cele­ ste ne ' corpi inferiori, le quali per loro excellentia muovino e corpi piu crassi, tardi, pigri et feculenti, et queste anime

49 Cicerone, Tusculanae disputationes, l, I I , 24. ,. Aristotele, De anima, 4 I ob [1, 5]; cfr. Tommaso d'Aquino, In Aristotelis librum De Ani­ ma commentarium, I, I 2 , I 3 ; Alberto Magno, De anima, I, 2, I 2 (ed. Borgnet, vol. V, p. I 74b) . " Aristotele, De anima, 405a [1, 2]; Alberto Magno, De anima, l, 2, 3 (ed. Borgnet, vol. V, p . I 44a); Diogene Laerzio, Vitae philosophorum, l, 2 4 . " Diogene Laerzio, Vitae philosophorum, I l , 9; I l , I 7 .

So

PARTE PRIMA . GLI ANNI DEL PIACERE

appella53 • Philolao Pitagorico, seguitando Ermete Pitagora et Platone , dice che pel velocissimo et ordinatissimo movimen­ to de ' cieli si genera uno suavissimo e divino suono nelle re­ gioni celesti . La quale melodia occultamente negli infimi cor­ pi si riflecte et riverbera . Et se truova molto rara e dissoluta e fluxibile materia, sanza alcuno fermamente trapassa, e ma­ teria troppo congelata dura et solida non penetra; ma se truo­ va corpo temperato et di natura di luce e di substantia cele­ ste participe, in questo la prefata melodia siccome materia a sé consimile e cognata si ferma e fissa risiede . E t perché ha in sé ragione ricevuta dalla divina mente onde è generata, essa con ragione e corpi in che è inclusa muove, et questa ce­ leste melodia et harmonia indissolubile anima è da Philolao nominata54• Et perché la cagione et natura dell' anima è di musici suoni, però dice che tanto siamo inclinati et tratti et rapiti a' suoni musici et suavi canti, perché a noi sono simili, et la natura un simile al suo simile amare induce . Empedocle Agrigentino tutte le cose disputa essere di quattro elementi fuoco aria acqua et terra commiste, e che da ciascuno ele­ mento per continua distillatione particole tanto sottili si le­ vano che invisibili già sono facte, et perché assottigliarsi piu non possono , sono indissolubili . Le quali in modo di vapori copulate et congiunte insieme creano uno tenuissimo et puro corpuscolo, il quale nel sangue del cuore infuso nominato è anima, tutte le parti corporali movente5 • Critia chiama ani­ ma el sangue per tutto il corpo disperso56• Alcuni discepoli di Critia dissono anima non essere sangue, ma uno certo caldo naturale che di sangue si ciba, come el caldo nella lucerna dell ' umido dell' olio si nutrica . Altri piu oltre procedendo dissono anima non essere sangue né caldo da s angue in alcun modo nato , ma una certa natura excellente piu che caldo, spirito nominata, in forma di luce nutrita da caldo et sangue, siccome il lume della lucerna di caldo e d ' olio si nutrisce . Hippo stima nascere dallo sperma et seme umano una acqua " Vedi Calcidio, In Timaeum commentarius, CC (ed . Waszink, p. 220). 54 Macrobio, In somnium Scipionis, l , ' 4 , r9. " Alberto Magno, De anima, l , 2 , 3 (ed . Borgnet, vol. V, p. r 44b) . 56 Aristotele, De anima, 405b [1, 2]; Macrobio, In somnium Scipionis, I, r 4 , r 9 ; Alber­ to Magno, De anima, I, 2, 3 (ed . Borgnet, vol. V, p. r 44a-b) .

III . DIO , ANIMA, NATURA

8r

in forma d i rugiada molto piu sottile e pura, e t questa per tutto il corpo imbibita chiama anima et vita57 • Almeone vuo­ le che dalla substantia del sole per vigore de ' suoi razzi ne ' terreni corpi si produca natura e forma al sole consimile, la quale sie anima, che si muova continuamente in quel modo et ordine ch ' el sole discorre8 • Heraclito Ephesio giudica l ' a­ nima foco tanto sottile et acuto et veloce che in un puncto di tempo possa dall' oriente al ponente trascorrere et sanza obstaculo alcuno ogni corpo trapassare59 • Xenophane tiene che l ' anima dallo spirito si dirivi, el quale è un corpo puris­ simo e lucidissimo di substantia di sangue et d ' aria dal cuore generato, e questa opinione ebbe Ippocrate Coo, principe de ' medici . Parmenide di fuoco e terra umida l ' anima com­ pone60, Prometeo il corpo di terra putrefacta e l ' anima di fuoco celeste61 . Zenone Eleate la fa composta di caldo freddo secco et umido , Xenophane di terra et acqua, Boeto d ' aria et di fuoco . Ipparco la nomina semplice fuoco62, Diogene Apolloniate aria in ultimo grado di subtilità ridocta6\ Hera­ clide luce dal sole ne ' corpi ingenita64 • Costui vuole ogni cor­ po essere pregno della luce del sole , ma perché uno è piu di­ sposto et assomigliato alla substantia celeste che un altro, però l' uno piu che l ' altro la predetta luce riceve, et quel che di lei assai è partecipe, si dice animato e vivente, e la sua lu­ ce s ' appella anima, el corpo terrestre al suo arbitrio exagi­ tante . Possidonio l ' anima voca idea, cioè divina et incorpo­ rale spetie . Critolao dice essere nata di quinta essentia inten­ dendo di substantia celeste, la quale è fuori d e ' quattro elementari corpi65 • Asclepiade uno consonante exercitio di " Aristotele, De anima, 405b (l, 2]; Alberto Magno, De anima, I, 2, 3 (ed. Borgnet, vol . V, p . 1 44a). " Aristotele, De anima, 405a-b [I, 2]; Diogene Laerzio, Vitae philosophorum, VIII, 5; Alberto Magno, De spiritu et respiratione, I , 1, 2 (ed . Borgnct, vol. IX, p. 2 1 6a) . 59 Cfr. Aristotele, De anima, 405a (l, 2]. 60 Macrobio, In somnium Scipionis, I , 1 4, 19. 61 Agostino, De civitate Dei, XVIII, 8 . 6 2 Macrobio, In somnium Scipionis, I, 1 4, 1 9 . " Aristotele, D e anima, 405a [1 , 2 ] ; Alberto Magno, D e anima, l , 2 , 3 (ed. Borgnet, vol. V, p. 1 4 3b) . 64 Macrobio, In somnium Scipionis, I , 1 4 , ' 9 · • • Ibid.

82

PARTE PRIMA . GLI ANNI DEL PIACERE

tutti i sensi . Aristoxeno pruova per esempli musici come da varie voci insieme confuse di tutte una melodia risulta, cosi da tutti elementi omori et membri si diriva uno vigore che presta movimento et vita a tutto el corpo, chiamando questa consonantia et concordia anima66 • Zenone Antipatro et Pos­ sidonio pongono uno spirito caldo e velocissimo, simile all' a­ ria suprema al foco propinqua, immixto et infuso per l 'uni­ verso . Questo ne ' corpi s anza vita chiamano natura et in quelli che vivono anima, dante alle piante vita, alle bestie vita e senso, all 'uomo vita e senso et intellecto. Questo ca­ lore dicono risedere maxime nelle regioni del cuore . Et se­ condo che scrive Crisippo di Z enone discendente, come el ragno stando nel mezzo della tela mediante le fila della ragna sente qualunche cosa la stremità tocca, cosi l' anima nel core residente mediante e sensi e spiriti come suoi ambasciadori e nuntii qualunche cosa pe' sensi externi si riceve conosce67 • Panetio Peripatetico e V arrone philosapho Romano in que­ sta forma difiniscono : anima è aria per bocca ricevuta, rifrac­ ta nel polmone, nel cor temperata, per il corpo in vene et ar­ terie diffusa, a' membri secondo loro dispositione vita et senso prestante68 • Leucippo e Democrito dicono, el mondo et qualunche cosa in esso consiste essere generata di certi corpi minuti in modo che nessuno vedere li possa, quasi in quella forma che appariscono e bruscoli ne ' razzi del sole, quando per qualche buca in casa trapassano . I quali chiama­ no atomi, de ' quali alcuni sono piu o meno tondi o minuti, triangulari o piramidali o vero quadrati69 • Di quelli che sono in rotundità perfecta e minutissimi et di natura apta a mate­ ria di foco produrre, stimano l ' anima nostra composta, la quale si minuisce et accresce continuo pel nostro espirare continuo e respirare . Epicuro Metrodoro Hermarco Menece et Lucretio Romano similmente disputano gli atomi essere 66 Cicerone, Tuscufanae disputationes, l, r o , r 9 ; I, r r , 2 4 . 6 7 Calcidio, In Timaeum commentarius, CCXX (ed . Waszink, p. 2 3 3 ) . 6 8 Lattanzio, De opificio Dei, XVII (in questo passo, tradotto quasi alla lettera qui da Ficino, si fa riferimento soltanto a Varrone) . 69 Cfr. Cicerone, De natura deorum, l , 24, 66; Lattanzio, Divinae institutiones, III, ' 7 , 23-26. In queste fonti però non s i trova mezione del fatto che gli atomi possano assumere figura 'piramidale' o ' quadrata ' ; vedi in proposito Platone, Timaeus, 54d sgg .

III . DIO , ANIMA , NATURA

principio et origine d ' ogni cosa nata et l ' anima di quegli ato­ mi che creano foco aria acqua et terra in extrema subtilità e perfectione constituti, et questa è per tutto il corpo sparsa. Di poi nel cuore pongono una genera tione d ' atomi tanto piu sottili che quegli di chi è l ' anima facta quanto l ' anima piu sottile è ch ' el corpo, et questi atomi cordiali non sono di tal natura che passino alcuno de ' quattro elementi comporre per cagione di strema loro subtilità et acume, sicché fanno una natura et essentia quinta oltre a quelle che tra' quattro ele­ menti sono connumerate, della quale sia nata la mente, in­ tellecto et ragione nella sede del cuore sopra ogn ' altra parte regnante0 • Et di questa essentia similmente stimano essere gli Dii i quali fuori dell' ardenti mura celesti consistono71 • Alexandro Peripatetico et Galieno vogliono che di quattro qualità cioè caldo freddo secco et umido risulti di tutte una, la quale non sia alcuna di queste quattro memorate, ma un' al­ tra della mistione di tutte nata, et questa chiamano comples­ sione naturale, la quale nata da' soli elementi dà essere et 7° Cfr. Lucrezio, De rerum natura, I I I , 269-8 2 . In questi versi, alcuni dei quali citati da Ficino anche in un passo del De quatuor sectis philosophorum (vedi infra, p . 9 1 ) , Lucre­ zio afferma che l' anima è composta da fuoco, aria, vento e da un quarto elemento, che non ha nome (nominis expers), ma che si nasconde nell' intimo del nostro corpo, quasi « anima dell' anima >>, ed è formato da atomi minuti. Qui però Marsilio parla non di un quarto, bensi di un quinto elemento, la mente, formata da sottilissimi e velocissimi atomi, probabile me­ moria di quella quinta natura evocata da Cicerone ( Tuscu!anae disputationes, I, Io, 2 2 ) in riferimento alla 'mente' aristotelica: , XII (20o6) pp. 525·35· 86 Cfr. C alcidio, In Timaeum commentarius, CXLIV (ed . Waszink, pp. 1 82-83). 87 Cfr. Macrobio, In somnium Scipionis, I , 1 4 , 1 4 . 88 Virgilio, Aeneis, V I , 724- 2 7 .

III . DIO , ANIMA, NATURA

Aristotele di Stagira, discepolo di Platone, istitui la setta peripatetica, cosi chiamata dall' atto di passeggiare9• Aristotele ritiene che Dio sia causa prima, eterna, immobile, incorporea, e che tuttavia si ponga come principio del moto di tutti gli altri enti . Ritiene anche che il mondo sia stato e sarà in perpetuo , punto su cui certamente discorda da Platone, che ritenne il mondo essere si di durata eterna, ma formato . In questo modo Platone attribui un principio a questa macchina del mondo ne­ gandole però una fine, mentre Aristotele negò a questo mon­ do sia un inizio che una fine . Per Aristotele, inoltre, l ' anima dell' uomo è una natura semplice, razionale e incorporea, che perfeziona e muove il corpo cui è congiunta. Ma se l' anima sia immortale o destinata alla morte, questo non lo spiega a sufficienza. Perciò alcuni fra i peripatetici pensano che Ari­ stotele abbia sostenuto che tale anima sia eterna e divina, altri invece, forse non in numero minore, hanno interpretato il loro maestro in modo tale da mostrare come, a suo parere, l' ani­ ma fosse destinata a morire col corpo . I peripatetici credono che il sommo bene consista nella perfetta azione della virtu . Dal momento poi che senza i vantaggi del corpo e della fortuna nessuno può agire perfettamente, essi ritengono che l' uomo necessiti di beni tanto numerosi e tanto significativi, sia del corpo che della fortuna, da poter condurre una vita al­ lo stesso tempo modesta e decorosa90• E poiché Platone, nella Repubblica, riteneva necessario il possesso di quelle facoltà grazie a cui siamo in grado di condurre una vita modesta91 , Aristotele, a sua volta, nel suo libro della Repubblica , dice che l' uomo può condurre una vita allo stesso tempo modesta 89 Cfr. Isidoro di Siviglia, Etymologiae, VIII, 6, 1 3 · 90 Cfr. Leonardo Bruni, Vita di Cicerone, i n Id. , Opere letterarie e politiche, a cura di P. Viti, Torino 1 996, pp. 446-47 : « Ab his liberaliter simul et modeste vitam ducebat cum romanis et grecis doctissimis viris quos domi semper habebat [Per questi beni conduceva una vita allo stesso tempo decorosa e modesta, insieme con dottissimi uomini greci e roma­ ni che sempre teneva in casa] >>. 91 Prima di tradurla lui stesso, Ficino poteva leggere la Repubblica, quando ancora non conosceva di greco, nella versione latina di Uberto Decembrio (con la collaborazio­ ne di Manuele Crisolora) ; un'altra versione latina di questo testo, a opera di Pier Candido Decembrio e Antonio Cassarino, non sembra essere stata utilizata da Ficino; in proposito vedi ] . Hankins, Some Remarks on the History and Character of Ficino 's Translation of Pla­ to, in Garfagnini (a cura di), Marsi/io Ficino e il ritorno di Platone cit . , vol . I, pp. 287-304; Id . , P!ato cit . , vol . II, pp. 47 1 - 7 2 .

PARTE PRIMA . GLI ANNI DEL PIACERE

e misera, e che per questo si deve aggiungere che può vivere modestamente, ma anche decorosamente . Per questo Aristo­ tele definisce « felice » (beatum) colui che, possedendo beni modesti, agisce in modo perfettamente virtuoso nel corso di tutta la sua vita. Zenone di Cizio, principe degli stoici, ritiene che Dio sia un certo fuoco sottilissimo ed eterno, sparso in tutti i corpi, che genera per forza divina tutte le cose e che guida con sa­ pientissima mente ciò che ha creato92 • Segue che il mondo è nato ed è destinato a finire, e che le anime degli uomini sono state generate dalla stessa natura di cui anche Dio consiste, e che sono destinate a morire non appena si separano dalle dimore del corpo93• Il sommo e solo bene è l'onesto, il turpe è il solo e sommo male . I vantaggi del corpo e della fortuna non si devono considerare in alcun modo beni, poiché essi si trovano sia nei buoni che nei malvagi, e non rendono buono l'uomo cui si accompagnano . Per la stessa ragione non ritiene si debbano definire mali gli svantaggi . Ritiene inoltre che le virtu siano tra loro pari e uguali, poiché tutte perfette - e ciò che è perfetto non può ricevere qualcosa in piu o in meno . Le virtu inoltre sono l'una all ' altra connesse, in modo tale che l'uomo che ne abbia una possieda di necessità tutte le altre; ma chi di quella sia manchevole non può averne nessun' altra. Epicuro ateniese, invece, da cui discesero coloro che sono chiamati epicurei, non ha spiegato a sufficienza che cosa sia Dio . S embra infatti immaginarlo come un essere vivente di grande vastità, di figura umana (humana imago) , a tal punto tenue e splendido da osare definirlo corporeo . Per questo gli epicurei sono soliti sostenere che Dio non è corpo, ma quasi corpo, come dicessero : si, Dio è corpo, e tuttavia è a tal pun­ to superiore, per potenza e purezza, rispetto agli altri corpi, che comparato a questi pare incorporeo94 • Questo essere vi­ vente abita fuori di tutti i mondi, è eterno, sapientissimo e felicissimo . E non agisce, non amministra, non è afflitto da nulla - perché tutte queste cose comportano fatica, ma gli 92 Cicerone, De natura deorum, I l , 57; Diogene Laerzio, Vitae philosophorum, VII, 147 e 1 56 . " Diogene Laerzio, Vitae philosophorum, V I I , x 56; Agostino, Contra academicos, I I I , 1 7 . " Cicerone, D e natura deorum, I , x 8 - x 9 , 48-49; 26- 2 7 , 74-75.

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epicurei ritengono che Dio, in quanto sommamente felice, viva in perpetua tranquillità, libero da fatica e da affanni95 • Cosf stabilisce Lucrezio C aro, nobilissimo epicureo, con que­ sti versi, in cui dice : Infatti ogni natura divina per sé deve fruire di un' esistenza immortale in suprema quiete distaccata dalle nostre vicende e immensamente remota. E sente da ogni dolore, immune da pericoli, possente in sé delle proprie forze, per nulla bisognosa, di noi, non si commuove ai nostri meriti né è presa dall' ira96 •

Gli epicurei credono che i primordi di tutto ciò che è con­ sistano in certi corpuscoli, tanto piccoli da non poter essere né visti né divisi . Questi, di numero infinito, volteggiano (voli­ tare) con moto perpetuo in un luogo vuoto e immenso, e alla fine, quando si uniscono, in virtu di fortuiti scontri, fabbri­ cano il mondo e tutte le cose che si trovano in esso . Quando invece si dissolvono distruggono questo e creano quello . Ri­ tengono inoltre che lo spazio sia vuoto e immenso, e che in esso vi siano innumerevoli mondi, alcuni simili a questo no­ stro, altri dissimili . Ed ecco che questi si formano, quelli si dissolvono, mondi che tramontano e risorgono, secondo un'e­ terna vicissitudine . Sostengono che il nostro animo sia com­ posto di fuoco, aria e vento e, in aggiunta, di quella natura di cui è fatto Dio97 • Cosa che Lucrezio esprime in questi versi: Cosi il calore e l ' aria e il cieco potere del vento misti fra loro creano una sola materia e quella mobile forza che da sé divide fra essi l ' inizio del movimento, e da cui prima sorge il moto sensitivo attraverso gli organi . Infatti davvero nel profondo si cela questa sottesa natura, e non v'è nulla piu interno di essa nel nostro corpo98 •

Credono anche che l ' anima sia nata con il corpo e che con esso perisca, e che il sommo bene sia il piacere (voluptas) , non quello che si trova nel movimento del corpo e nella dolcezza dei sensi, perché esso è sempre misto al dolore e non possiede 9' Cfr. ibid. , I, 1 9, 5 1 ; vedi anche Diogene Laerzio, Vitae phifosophorum, X, 97; Seneca, De beneficiis, IV, 4 , 1 . •• Lucrezio, De rerum natura, I I , 646-5 1 . " In proposito, vedi supra, nota 70. • • Lucrezio, De rerum natura, I I I , 269-74.

PARTE PRIMA . GLI ANNI DEL PIACERE

alcuna stabilità, ma quello che proviene dalla migliore dispo­ sizione del corpo, che definiscono « indolenza » e che si rag­ giunge con la tranquillità dell' animo99 • Questo, mio Clemente, è quanto mi avevi chiesto riguardo alle quattro scuole . Mi sono qui dilungato forse piu di quanto avresti voluto . Data la dignità degli argomenti trattati, pe­ rò, a me questo discorso sembra piu breve del conveniente . Ho tuttavia ritenuto di dover assecondare il tuo desiderio, e di certo so che, per la rapidità del tuo ingegno , hai molto cara la brevità. Fine dell' opuscolo di Marsilio Ficino sulle quattro sette dei filosofi .

II.

Dialogo teologico tra Dio e l'anima100 •

Marsilio Ficino saluta il suo diletto confilosofo Michele Mer­ cati di San Miniatd01 • Spesso abbiamo filosofato assieme su questioni morali e naturali, mio amato Michele, piu spesso su questioni divine . Tu eri solito dire, ricordo , che ciò che pertiene alla morale si deve conseguire con la pratica, le cose naturali si devono ricercare con la ragione, le divine sono da domandare a Dio con la preghiera. Ho letto poi, nel nostro Platone, che le cose divine sono rivelate a motivo di una purezza di vita, piuttosto che insegnate con dottrina e parole102• Cosi, mentre riflette­ vo, con attenzione, su tutto ciò, una profonda tristezza ha cominciato ad afferrarmi l ' animo, privo ormai com ' ero della fiducia nella ragione, e non potendo ancora confidare nella rivelazione . Di qui è nato un certo dialogo tra l ' anima e Dio .

99 Si tratta di un compendio della teoria del piacere epicurea che Ficino ha esposto in dettaglio negli ultimi capitoli del De vo!uptate, cfr. supra, pp . 5 1 -6 1 . 100 Per il testo di riferimento, vedi Lettere I, pp. 1 2- 1 6 [I, 4]. Una prima versione vol­ gare di questa lettera, cosi come di tutte quelle da noi tratte dall 'epistolario ficiniano, si trova in Delle divine lettere del gran Marsi/io Ficino, 2 voli. , tradotte per Felice Figliucci, ap­ presso Gabriel Giolito de Ferrari, Venezia 1 546-48 (rist . a cura di S. Gentile, Roma 2oo i ) . 101 Su Michele Mercati, amico di Ficino, vedi supra, p. 7, nota 1 . 102 Platone, Episto!ae, VII, 34 1 c-344c; Phaedo, 65a-67b.

III . DIO , ANIMA , NATURA

93

Ascoltalo, se vuoi, per quanto io ti ritenga piu adatto di me a interloquire con Dio .

DIO O anima mia, misera, perché tanto dolore? Poni fine, figlia, alle lacrime ! Ecco, io, tuo padre, ti sono vicino; qui è la tua medicina e salvezza. ANIMA Oh, se solo il padre mio potesse accostarsi a me ! Ah, se credessi di poter ottenere un dono tanto grande, per la gioia andrei in estasi ! Ma ora non vedo come ciò possa accadere . Colui che mi è soltanto vicino non può essere il mio sommo padre, perché il sommo padre, artefice della natura, come credo, mi ha generato come a sé piu intima della natura stessa. Ma neppure può esserlo colui che si trova soltanto dentro di me, perché il mio sommo padre è maggiore di me, ma chi è in me è certamente di me piu piccolo . Ignoro in che modp qualcuno possa al contempo essere dentro e fuori di me . E questo, o forestiero, chiunque tu sia, è questo quel che mi affligge profondamente, io che senza il padre mio non voglio vivere, e che dispero di poterlo trovare . DIO Poni fine, figlia, alle lacrime; figlia, non ti affliggere; non è un forestiero che ti parla, ma un familiare, qualcu­ no che ti è amico piu di quanto tu non sia amica a te stes­ sa. Ti sono vicino e al contempo sono in te; ti sono vici­ no perché sono in te, e sono in te perché tu sei in me, e se tu non fossi in me, non saresti in te, anzi, non saresti affatto103 • Poni fine, figlia, alle lacrime, ecco chi ti ha ge­ nerato ; quel padre che, per dimensioni, è la piu piccola di tutte le cose, ma per virtu è la piu grande . E poiché è piccolissimo, è dentro ogni cosa, e poiché è immenso non è contenuto da nessuna . Ecco io ti sono vicino , dentro e fuori di te: io sono grandissima piccolezza, e piccolissima grandezza. Ecco, dico - forse non lo vedi? - io ricolmo, penetro e contengo cielo e terra. Io colmo, e non sono col­ mato, poiché sono la pienezza stessa. Io penetro e non so­ no penetrato, poiché sono la potenza stessa di penetrare . 103

Cfr. Agostino, Con/essiones, l, 2, 2 .

94

PARTE PRIMA . GLI ANNI DEL PIACERE

Io contengo e non sono contenuto, poiché sono la capa­ cità stessa di contenere . Non sono colmato, per non esse­ re bisognoso, poiché sono l' abbondanza stessa. Non so­ no penetrato, per non rinunciare a essere, poiché io sono l ' essere stesso . Non sono da nulla contenuto, cosf da non rinunciare a essere Dio, io che sono la stessa infinità. Ec­ co - forse non lo vedi? - io entro in ogni cosa, e non mi mescolo con alcuna, cosf da poter esser superiore a tutto, io che sono la stessa eccellenza. Oltrepasso tutte le cose, ma non sono lontano, cosf da poter entrare in tutte le co­ se e, con questo, al contempo unirle, poiché sono l ' unione stessa, quell 'unione da cui tutte le cose sono prodotte, e grazie a cui esse stanno; quell' unione che tutti desiderano . Per quale motivo disperi di trovare chi ti ha generata, in­ sensata? Non è difficile trovare dove io sia, poiché ogni cosa è in me, e ogni cosa da me proviene, ed è preservata, sempre e ovunque, io che m ' ingrandisco con virtu infini­ ta, per un infinito intervallo . Piuttosto, bisogna dire che non si trova luogo in cui io non sia; poiché in virtu mia questo stesso « dove » (ubi) è e deve essere detto sempre « ovunque » (ubique) ; attraverso me, che sono guida e lu­ ce, fa e cerca una qualsiasi cosa chiunque faccia o cerchi in qualunque luogo . Non si desidera mai se non il bene, nulla mai si ritrova se non il vero ; io sono ogni bene, io sono ogni vero . Cerca il mio volto e vivrai; ma non agitarti per raggiungermi, poi­ ché sono la stessa stabilità; non distrarti tra molte cose per afferrarmi, poiché sono l' unità stessa. Arresta ogni movi­ mento, raccogli il molteplice , subito raggiungerai me , che da tempo ti ho raggiunto . ANIMA Ohi, tanto velocemente (hui, tam cito) 104 mi abbando­ ni, mia salvezza? Per quale motivo tanto repentinamente lasci tua figlia assetata? Prosegui, non fermarti; prosegui, ti prego, venerabile nume; parla piu apertamente, ti sup­ plico , per la tua maestà, se vuoi - ah, fa' che tu voglia! dimmi piu apertamente dunque, perché so che lo vuoi, , ... Locuzione tratta da Terenzio, Andria, 474·

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che cosa non sei, padre mio, cosi che io possa resuscitare, e dimmi che cosa sei, mio padre, cosi che io possa vivere . Figlia, chi ti ha generato non ha natura di corpo . Quan­ to piu obbedisci a tuo padre , tanto piu diverrai migliore; quanto piu ti opponi al corpo, tanto piu sarai eccellente . E bene per te essere con il padre, male essere con il cor­ po . Non ti ha generato una qualche anima, o anima, altri­ menti non potresti pensare nulla di superiore all' anima, e tu ti arresteresti alla mutabilità dell' anima e non potre­ sti aspirare a una natura pienamente stabile . Non ti creò un qualche intelletto molteplice, altrimenti non potresti conseguire la somma semplicità e ti basterebbe l ' aver rag­ giunto lo stesso intelletto . Ora, però, tu, comprendendo e amando, ascendi alla stessa vita, alla stessa essenza, allo stesso essere assoluto al di sopra di ogni intelletto; e non ti basta l 'intelligenza, se non puoi intendere bene e ciò che è bene . Senza dubbio ti è sufficiente il bene in sé. Infatti, per nessun' altra ragione tu cerchi una qualunque cosa, se non perché è buona. Il bene in sé, dunque, è il tuo crea­ tore, o anima; non il buon corpo, né la buona anima, non il buon intelletto, ma il buon bene , per il fatto che esso consiste in sé stesso ed è infinito, oltre i limiti del sogget­ to, e ti accorda vita infinita, di secolo in secolo, o almeno da un certo inizio fino all' eternità. Desideri forse vedere il volto del bene ? Guarda il mondo intero , ricolmo della luce del sole; guarda la luce nella materia del mondo, ricol­ ma di tutte le forme di ogni cosa e volubile; sottrai la ma­ teria, lascia il resto : ottieni cosi l' anima, luce incorporea, onniforme, mutevole . Togli da qui la capacità di mutare, ed ecco che ottieni l ' intelletto angelico, luce incorporea, onniforme, immutabile; leva da qui la diversità, per cui ogni forma è diversa dalla luce, ed è infusa nella luce da un altro luogo, in modo che l' essenza della luce e di ogni sua forma sia la medesima - quella stessa luce si forma da sé, e forma ogni cosa per mezzo delle sue forme; tale luce riluce in modo infinito, poiché riluce per sua natura, né si corrompe o affievolisce per mescolanza con altro; essa è in tutte le cose poiché non è in alcuna; e non è in alcu-

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na in senso proprio, poiché rifulge ugualmente in tutte le cose, vive da sé, e dona vita a tutto, dal momento che la sua ombra è la luce stessa del sole; essa sola vivifica le co­ se corporee; percepisce ogni cosa ed elargisce percezione, dato che la sua ombra risveglia, in tutti, tutti i sensi; ama infine le singole cose, dato che tutte le singole co�e sono massimamente sue . Cos ' è dunque la luce del sole? E l ' om­ bra di Dio . Che cos ' è Dio? Dio è il sole del sole . La luce del sole è Dio nel corpo del mondo, Dio è la luce del sole sopra gli intelletti angelici . Tale è la mia ombra, o anima, da essere la cosa piu bella fra tutti gli enti corporei . Quale credi che sia la mia luce? Se la mia ombra riluce tanto, con quale fulgore splenderà la mia luce? Ami la luce, ovunque, su ogni cosa, anzi, ami solo la luce? Ama me solo, o anima, la sola luce, l' infinita luce . Me, dico io, ama me in modo infinito : risplenderai allora e ti diletterai infinitamente . ANIMA Cosa meravigliosa, che oltrepassa la stessa meraviglia! Quale insolito fuoco mi consuma ora? quale nuovo sole, e da dove risplende su di me? quale mai spirito, e da dove, stimola e allieta le mie viscere in modo tanto dolce, e le morde e sfiora, e le stimola e titilla?105 quale amara dolcezza è questa?106 cosa posso pensare? quale amara dolcezza mi scioglie cosi profondamente e lacera! a suo paragone, do­ po averle assaggiate, anche le cose piu dolci mi sembrano amare ! quale dolce amarezza, me, dilaniata, ricongiunge e reintegra, e rende dolce anche le cose amarissime ! quale necessaria volontà è questa, per cui non posso non volere il bene stesso , e posso evitare e differire qualsiasi altra cosa, ma non questo desiderio di bene ! Infatti, se anche volessi evitarlo, tenterò di farlo solo perché giudico che lo stesso evitarlo sia bene . E quanto è volontaria una simile neces­ sità - nulla essendo piu volontario del bene, per il quale 105 Passo di grande interesse, perché costruito con elementi del lessico del piacere lu­ creziano-epicureo (vedi in proposito supra, pp. 53-54), riferiti però al « fuoco >> che riscalda l'anima che inizia a percepire il divino (segno di una presa di distanza, da parte di Ficino, rispetto all'eterodossia che emergeva nei suoi scritti piu precoci) . 106 La locuzione « dolce-amaro >>, che nella tradizione greca è attribuita a eros (vedi LdA , p. 40 [II, 8]) è qui utilizzata per descrivere l'incontro con il Dio cristiano, quasi a prefi­ gurare quella convergenza tra eros e caritas che diventerà uno dei tratti piu rilevanti della successiva riflessione ficiniana.

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voglio tutte le cose, anzi ciò che è in tutte le cose, ovun­ que, e cosi voglio, che per di piu io voglia non poter non volere ! Quanto viva è questa morte (e chi potrebbe pen­ sarlo?) per cui muoio in me e vivo in Dio, per cui muoio della morte e vivo della vita, vivo per la vita e gioisco per la gioia. O piacere (voluptas) superiore ai sensi, o letizia (lae­ titia) superiore all' animo, o gioia (gaudium) superiore alla mente107 • Senza dubbio ora sono posta fuori della mente, ma non per questo sono folle, giacché sono sopra la men­ te; deliro, san presa da un folle delirio, ma non precipito, pioiché sono portata in alto . Ora mi abbandono ovunque a una gioia sconfinata, tuttavia non mi disperdo, poiché Dio, l ' unità delle unità, mi congiunge a me medesima, e mi unisce a sé. Esultate, dunque, ora con me, voi tutti, la cui esultanza è in Dio . Dio mi si è fatto incontro, il Dio dell ' universo mi ha abbracciato, il Dio degli dèi è ora pe­ netrato nelle mie viscere, Dio ormai mi nutre tutta; colui che mi ha generato mi rigenera; colui che ha generato l ' a­ nima la riforma in un angelo, e la converte in Dio . Come dunque ti potrei ringraziare, o grazia delle grazie? Tu stes­ sa insegnami, grazia delle grazie, insegnamelo, ti prego, e concedimelo; sia infine resa grazia a te, Dio . Fine .

107 La distinzione tra queste tre forme di piacere si trova nel primo capitolo del De volup­ tate (supra, p. 27) dove, in riferimento alla dottrina platonica, il (voluptas) è attribui­ to propriamente ai sensi, la > (laetitia) alla ragione, la « gioia>> (gaudium) alla mente.

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Trattato su Dio, natura e arte108•

Inizio del Trattato su Dio, natura e arte di Marsilio . L' ordine di tutti gli enti consiste in un triplice livello : nella potenza vi è infatti qualcosa di supremo, qualcosa di infimo e ci sono elementi intermedi . Dio rappresenta un estremo; è primo in prestanza ed è atto purissimo, privo di qualsiasi potenza. A esso, come all' altro estremo, corrisponde la mate­ ria prima, pura potenza priva di ogni atto . Essa può ricevere tutte le forme non avendone alcuna per natura, mentre Dio elargisce ogni forma che ha in sé. Tutte le forme che la ylec (sic) può ricevere, Dio può darle . Tutte le cose che sono nel­ la yle secondo la potenza passiva, si trovano in Dio secondo la potenza attiva. La potenza della materia sarebbe vana, in­ fatti, se non potesse essere ridotta all ' atto, dato che nessuna potenza si fa atto da sé stessa. Qualsiasi cosa intermedia tra Dio e la yle abbraccia in sé tanto la potenza quanto l' atto . Poiché Dio e la materia sono gli estremi, e poiché Dio è atto e la materia è potenza, ciascuno dei due è scisso dall' altro, mentre gli enti intermedi sono formati da entrambi. L ' uo­ mo, infatti, e tutti gli altri enti della natura, hanno tanto at­ to quanta potenza. Quanto piu qualche cosa è vicina a Dio, tanto piu è in atto e manca di potenza. Quanto piu qualcosa dista dal cielo e dal primo motore, tanto piu è mescolata con la potenza. Quel che è piu vicino al sommo, infatti, è piu per1 08 Questo breve trattatello, steso da un giovanissimo Ficino, è preservato nel codex Palagi 1 99 della Biblioteca Moreniana di Firenze (vedi supra, p. 7 , nota r ) , ed è stato pub­ blicato da Kristeller, The Scholastic Background cit . , pp. 283-86. Si tratta di un testo in cui si riscontrano interessanti idee che verranno poi sviluppate ed elaborate da Ficino in sue oper� piu mature (ibid. , p. 268) , ma che è stato perlopiu trascurato dalla letteratura seconda­ ria. E lo stesso Kristeller ad averne offerto la migliore descrizione, cfr. ibid. , p. 265: . Il riferimento all' artista, al suo fare, a ' immagine' di Dio, oltre a rappresentare la prima riflessione ficiniana sul tema, costituisce un capitolo di rilievo della riflessione estetica dell'Umanesimo italiano. In generale, sul rapporto tra Ficino e arte, oltre al celebre A. Chastel, Marsi/e Ficin et l'art, Genève 1 954 (trad. it. Mar­ si/io Ficino e l'arte, Torino 2002), ci limitiamo a ricordare P. Castelli, La metafora della pit­ tura nell'opera di Marsi/io Ficino, in Gentile e Toussaint (a cura di) , Marsi/io Ficino cit . , pp. 2 1 5-39; Toussaint , «My Friend Ficino» cit.

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fetto di quel che ne è piu distante; cosf, quel che è piu vicino all ' atto puro è maggiormente in atto di quel che è piu vicino alla materia, la quale è potenza. La vicinanza infatti è causa dell' influsso del superiore . Che Dio contenga in sé tutte le cose che noi possiamo af­ ferrare con lo sguardo lo prova in sommo grado il fatto che l ' arte imita la natura, e questa imita Dio . Come dunque qual­ cosa appare nell ' arte, cosf anche in qualche modo possiamo intenderla in Dio . L ' artefice, infatti, quando vuole produr­ re qualcosa di esterno a sé, non può essere padrone di tale concetto, se prima non si formi, nella mente, un esemplare e un' idea di esso. Dunque, qualsiasi prodotto dell ' arte appare prima essere, per similitudine, nell' artefice . Anche nel fonda­ mento della natura, cioè nella materia prima, tutte le forme naturali sono in potenza, giacché se non fossero H in poten­ za, mai la potenza della materia si muoverebbe verso la loro attualizzazione, dal momento che il movimento è passaggio dalla potenza all ' atto . La materia si muove infatti verso tut­ te le forme successivamente e secondo un tempo infinito . La potenza dunque include tutte le cose . Essa per sé stessa non può passare all' atto, ma se non passasse all ' atto, allora s areb­ be vana, poiché la sua potenza non sarebbe soddisfatta. Dato che Dio nulla fa invano, e nessun ente naturale presenta tanti atti quante potenze ha in sé la materia - ed è per questo che da nessuna causa naturale può essere soddisfatta tanta poten­ za - , occorre porre al di sopra della natura un atto perfettis­ simo, tanto che sia in atto al modo in cui queste cose sono in potenza, affinché da ogni parte si corrisponda, e nulla causi di cui presso di sé non abbia similitudine, cosf come vediamo nell' artefice, il quale causa tutte le cose, e dunque possiede la similitudine di tutte le cose . Questa somiglianza non può essere accidentale, dal mo­ mento che in Dio nulla può esistere di accidentale . Dunque è sostanza. La sostanza di Dio poi è tutte le cose in sé per atto puro e semplicissimo, mentre qualsiasi cosa, in natura, vediamo che è mista di atto e potenza. Anche le pietre, il le­ gno, il ferro, sebbene abbiano in sé ogni statua in potenza, e hanno la potenza di tutte le forme accidentali, tuttavia se la mente dell' artista non si accostasse loro formandole, perché

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ha in sé in atto queste forme, esse non si potrebbero produrre dalla materia, ma la materia delle cose artificiali rimarrebbe senza dubbio sempre informe . Cosi benché la yle, grembo di tutte forme naturali, le ab­ bia in sé secondo una potenza infinita e insaziabile, tuttavia mai nessuna forma naturale si mostrerebbe in essa a noi, se la mente infinita del Dio eterno, simile a tutte le cose, per sua potenza, non accorresse in aiuto a tanto appetito della materia, e la materia giacesse informe, incolore, intangibi­ le, senza qualità, senza quantità, priva di ogni forma, nuda. Dio, dunque, la natura e l' arte tengono tra di loro que­ sto ordine, tale per cui uno predispone la materia all' altro : Dio alla natura, la natura all ' arte . La materia della natura è la yle, quella dell ' arte un composto naturale di materia e for­ ma. Il composto naturale contiene tutte le opere in potenza, l' artefice le contiene tutte in atto; la materia prima contiene tutte le cose naturali in potenza, Dio tutte le cose naturali sempre in atto . E sebbene in Dio tutto è uno e lo stesso, dato che è semplicissimo e indivisibile, tuttavia, causa la materia naturale, ogni cosa agli occhi dell' uomo riluce come diversa. Ogni distinzione proviene dalla materia. Per questo, le co­ se che sono al contempo nella materia e nella forma, se sono semplici in una, nell' altra sono diverse . Cosi, le stesse cose che, a causa della materia, noi vediamo, nella natura, come composte e distinte, le immaginiamo, in Dio , in virtu del suo mancare di materia, come semplici e identiche . La stessa cosa si può osservare nell' arte, che segue la natu­ ra e Dio . Ogni figura, infatti, impressa nella cera e nel legno si distingue per luogo , nel tempo e per ordine, a causa della materia dentro la quale è immersa . Quando però si trovava nella mente dell ' artefice, priva di materia, non occupava né luogo né spazio alcuno; modellata nello spazio semplice della mente, infatti, non sembra in alcun modo distinta nell' artefice . Quelle stesse cose che nella mente dell'uomo non si distan­ ziano localmente, non occupano un luogo, e sono per questo in qualche modo uno, estrinsecate in una materia esteriore, e impresse da mani e strumenti, divengono subito differenti per specie, luogo e figura. Dobbiamo pensare che lo stesso av­ venga riguardo al motore primo, escluso il fatto che quelli che

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nella mente dell' artista sono accidenti, in Dio sono sostanze, dato che non possono trovarsi in lui accidenti . E come l' ar­ tefice è simile, per via della mente e dell ' immaginazione, alle cose artificiali, cosf Dio nella sua sostanza appare simile agli enti naturali . Si aggiunga questo : ciò che l ' artefice modella in sé in compagnia del tempo, Dio stesso, che esiste fuori di ogni misura di tempo, in atto, sempre con il suo sguardo e la sua presenza lo raccoglie, e conosce sé stesso e tutte le altre cose attraverso di sé. Ogni cognizione infatti in fondo è per similitudine . E Dio è simile a tutte le cose . Discerne dunque ogni cosa rivolgendo lo sguardo su sé stesso, e contemplan­ do la similitudine e l' origine di tutte le cose . Cosa che non si può affermare delle intelligenze, né dell' intelletto umano . Le intelligenze, certo, si conoscono attraverso sé, poiché, nel contemplare la loro sostanza si comprendono in modo perfet­ to, mentre non possono conoscere attraverso la loro sostanza le cose naturali, che sono poste fuori di loro, dato che la loro sostanza in alcun modo è simile a tutte le cose. Conoscono però tutte le cose, ma non per sé, bensf per altro, ossia per la suprema scienza concessa loro da Dio . Le intelligenze infat­ ti sono riempite di specie e di forme, per mezzo delle quali possono comprendere tutte le cose . L ' intelletto umano, invece, non conosce né sé stesso, né le altre cose per sé, ma tutto indaga per altro , dato che, ac­ cogliendo realtà esterne ai sensi, giudica gli oggetti esterni attraverso una forma ricevuta, che differisce in tutto da essi; a partire da tali oggetti esterni, attraverso questa forma rice­ vuta, l' intelletto, riflesso in sé stesso, indaga la sua sostanza e le sue possibilità. Ne consegue che esiste un triplice ordine di intelletti: quello divino, che si definisce « solo » , perché non si può trovare nul­ la di simile, o pari a esso - colui che non ha compagno infatti è solo . Segue l'intelletto dell ' intelligenza, definito « puro », perché è completamente separato dalla materia . E quel che non ammette mescolanza di diverse essenze è senza dubbio puro . In terzo luogo l' intelletto umano, che si è soliti defini­ re (a opera di Girolamo Pasqualini, e dedicata ad Angelo Manetti), preservata nello stesso gruppo di fogli manoscritti in cui è tramandata la traduzione del De quatuor sectis philosophorum (cfr. supra, p. 87, nota 8o) . Per l'edizione di questo volgarizzamento vedi Polcri, Una sconosciuta corrispondenza ci t . , pp. 67-77. ' Platone, Gorgias, 5 o 6e (cfr. Platonis Gorgias cit . , p. 31 1 ) . ' Tale definizione è tratta alla lettera d a Cicerone, D e inventione, I I , 5 3 , 1 59 .

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davvero, e per lungo tempo, è chiamato « abito » dai peripa­ tetici, che definiscono abito una qualità o forma che sorge da una consuetudine radicata, ormai del tutto interiorizzata. D a qui, dunque, risulta chiaro che, in Platone, « l ' orna­ mento familiare » indica quel che gli altri chiamano « abito » . E se quell ' ornamento dell' anima è « proprio », come potreb­ be non essere conforme alla natura dell ' anima? Infatti si di­ ce « proprio », di una cosa, ciò che con quella cosa rivela una certa naturale affinità. Ma quel che è affine è necessario che sia anche simile, e, per questo, è necessario che sia conforme a ciò a cui è affine e simile . Cosi Platone quando dice « pro­ prio » , e gli altri filosofi, quando dicono « conforme » , sem­ brano intendere lo stesso . « Dovere » , del resto, non indica forse, per peripatetici e stoici, quel che Platone chiama « decoro »? Secondo l' opinione degli stoici, infatti, il dovere è di due tipi : uno relativo, l ' al­ tro perfetto4• Certamente, nell' universo delle azioni umane, alcune sono dette turpi altre oneste. Ve ne sono però altre ancora che stanno fra queste due, e che non sono né oneste né turpi5 • Loro definiscono ciò che è turpe « contro il dove­ re » , ciò che è onesto « dovere assoluto e perfetto » . Dividono però le azioni intermedie in due parti . Alcune infatti sono tali da sembrare senza un fine, come quando qualcuno, in un momento di ozio, agita le dita o canta tra sé e sé, senza pre­ stare attenzione a quel che fa. Non considerano simili azio­ ni né un dovere né contro il dovere . Vi sono però certe altre azioni che pur non dovendosi definire propriamente oneste, risultano tuttavia tali da poter fornire una plausibile ragione del perché siano state intraprese. Di questo tipo sono l' eser­ citare parti del corpo, o il mangiare e il bere . Tali azioni, in­ fatti, non sono di per sé contro il dovere, né tali da meritare la gloria e la lode che spetta all ' onestà. Tuttavia, chi opera cosi può fornire, a chi lo domandi, una ragione plausibile del perché lo faccia. Per esempio, una persona potrebbe rispon­ dere che deve mangiare e bere per sopravvivere, ed esercitare certe parti del corpo per rimanere in salute. Queste azioni, ' Cicerone, De officiis, I, 3 , 8. 5 Cfr. Aulo Gellio, Noctes Atticae, XII, 5, 7 ·

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dal momento che si compiono secondo ragione e si avvicina­ no moltissimo alla natura dell'onestà, si chiamano « doveri » . Ora, i doveri che sono intermedi tra l e azioni oneste e quel­ le turpi sono definiti « relativi » . Cosi, quel che si compie in modo tale che si possa dare una giustificazione plausibile del perché sia stato fatto è un « dovere relativo »6 • Definiscono poi « dovere perfetto » quel che possiede una forma perfetta d'onestà, come per esempio moderare le passioni dell ' anima, venerare Dio, morire per la patria. Dal momento però che due sono i generi dei doveri, quello che è posto nella defini­ zione della virtu è da intendersi il dovere perfetto . I doveri relativi, infatti, procedono anche da coloro che sono sprov­ visti di virtu, mentre i doveri perfetti solamente da chi gode del suo possesso . Per questo motivo, proprio della virtu non è il dovere relativo ma quello perfetto . Quello che è menzio­ nato nella definizione della virtu è cosi da intendersi del do­ vere perfetto . Ritengono poi che il dovere perfetto e l' onesto siano la medesima cosa. Ma anche l ' onesto e il decoro sono una e la stessa cosa . Cosi il decoro , che compare nella definizione di Platone, non indica altro che il dovere degli stoici . Da ciò ri­ sulta il loro accordo sulla definizione di virtu . I peripatetici e gli stoici, acuti interpreti di Platone , a partire dalle parole dello stesso Platone hanno poi stabilito due generi di virtu morali: le prime moderano le affezioni e le azioni personali, le altre portano ad agire nel migliore dei modi verso coloro cui ci relazioniamo nelle nostre azioni o nel corso di tutta la vita. I platonici chiamano il primo gene­ re « moderazione » , il secondo « sobrietà » . Ritengono che la continenza, la costanza, la temperanza, la pazienza, la perse­ veranza, la fortezza e la magnanimità siano comprese sotto il genere della moderazione, e che sotto l' altro genere siano comprese lealtà, innocenza, giustizia, amicizia, benevolenza, liberalità e magnificenza. Se qualcuno volesse accostare questi due generi tra loro, deve ricordarsi quel che Aristotele scrive nel secondo e nel quinto libro dell' Etica . Nel secondo infatti

6 Cfr. Cicerone, De officiis, I, 3 , 8.

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afferma che « le virtu sorgono attorno a ciò che è difficile >/, ma nel quinto dice che è compito piu difficile comportarsi bene verso gli altri, che verso sé stessi8• Ne segue che le virtu che riguardano la vita comune sono degne di maggiori lodi di quelle che, in precedenza, abbiamo detto riguardare i co­ stumi personali. Per questo Aristotele, sempre nel quinto, afferma: L ' uomo peggiore non è colui che usa la malvagità verso sé stesso, ma verso gli altri, mentre l' uomo migliore non è colui che usa la virtu verso sé stesso, ma verso gli altri9 •

Nessuno dunque, sano di mente, dubiterà che le virtu del secondo genere siano migliori di quelle del primo . Qualcu­ no però potrebbe nutrire dubbi su quale sia la migliore tra le virtu comprese nel secondo genere . Io, se vedo bene, riten­ go che la magnificenza sia la migliore . Per mostrarlo in modo chiaro dovremo ora esporre le loro definizioni . Un corretto giudizio, infatti, come sostiene Platone, si basa sulla defini­ zione di ciò di cui si tratta. L ' innocenza, dunque, per cominciare dalla prima, è la pu­ rezza stessa dell' anima, costante e semplice, che non è spinta a nuocere né per sua volontà né per impulso esterno . Que­ sta è la definizione data da Socrate. Ma i peripatetici, con i quali, in proposito, Cicerone sembra accordarsi, definisco­ no innocenza la volontà ferma dell' anima di non nuocere a nessund0, a meno che qualcuno non sia provocato da un' in­ giustizia11 . Dall'innocenza sorge la giustizia, che è affezione della volontà umana, ,secondo gli stoici, di dare a ciascuno ciò che gli è dovuto . E perché non vogliamo nuocere a nes­ suno, infatti, che diamo a ognuno quel che gli è dovuto . Ma il fondamento della giustizia è la lealtà, ossia la costanza e la verità nelle parole e nei patti . Non è infatti possibile che qualcuno dia a ciascuno il suo se non mantiene le promesse, cosa che si fa per lealtà . La lealtà, assieme alla giustizia, de7 Cfr. Aristotele, Ethica Nicomachea, r ro5a [II, 3]. 8 Cfr. ibid. r r 3oa [V, r]. 9 Ibid. 1° Cicerone, Tuscu!anae disputationes, I I I , 8, r 6 . 1 1 Cicerone, De officiis, I, 7, 20 .

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riva dall' innocenza. Alla giustizia seguono liberalit à e ma­ gnificenza . Infatti, quando quell' affezione della mente nella quale abbiamo posto la giustizia si riversa piu profusamente, essa mostra agli uomini non solo quel che le leggi comanda­ no, ma anche ciò che comanda l' affetto dell ' umanità . Scatu­ riscono allora dalla stessa fonte dell' umanità la beneficenza, la liberalità e la magnificenza. Tali virtu differiscono tra lo­ ro in questo: la prima soccorre per mezzo del consiglio, dello studio, delle parole, delle azioni e delle capacità, le altre due riguardano maggiormente il dare e il ricevere denaro . Vi è pe­ rò questa differenza tra liberalità e magnificenza: la liberalità è virtu che conserva la misura nelle spese private e piccole; la magnificenza, d ' altra parte, come dice lo stesso termine, riguarda spese pubbliche e ingenti . L ' amicizia poi è una con­ solidata affezione della mente, per cui due persone si amano reciprocamente in virtu dell ' onestà. Essa nasce ora da tutte le virtu, ora da quelle che soprattutto riguardano l ' altro . Ma la piu nobile di tutte queste virtu è la magnificenza, come si può in primo luogo intuire dal fatto che, benché le restanti virtu riguardino soltanto cose piccole, o cose grandi e piccole assieme, la magnificenza è l ' unica a consistere in opere pub­ bliche, ampie e divine . Inoltre, se il carattere proprio delle virtu è quello di con­ servare la comunità del genere umano, certamente la magni­ ficenza sarà la piu efficace di tutte, la quale ricerca con for­ za non solo il benessere privato, ma in misura ben maggiore anche quello pubblico . L' abbiamo infatti posta circa le spese pubbliche, con cui soccorriamo le città e i popoli. E se dobbia­ mo ritenere, come afferma Aristotele nel primo dell' Etica1Z, che il bene, quanto piu è abbondante, tanto piu è divino, nessuno deve dubitare che la magnificenza, che riguarda ciò che è comune, e che per questo è assolutamente divina, sia la piu nobile di tutte le virtu . Anzi, se quelle virtu che sono in sommo grado conformi alla natura sono le virtu piu alte, questa, essendo tale, sarà certamente virtu eccellentissima . Che essa sia in sommo grado conforme alla natura risulta 1 2 Aristotele, Ethica Nicomachea, 1 094b [1, 2].

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chiaro da due cose. Primo : nulla vi è di piu adatto alla salvez­ za di molti uomini e al bene comune - che è quanto la natura desidera con forza e sopra tutto . Secondo : la magnificenza ottiene, fra tutte le cose umane, gli onori piu ampi, una lode immortale e la gloria. Ma la vera gloria rientra nel novero di quelle cose che la natura su tutto desidera. Inoltre, se il pro­ prio della virtu è renderei simili a Dio, la magnificenza, che piu di tutte le virtu proprie dei costumi ci fa simili al divino, sarà senz ' altro piu perfetta e divina delle altre . Chi conside­ ri poi la natura delle virtu e della divinità riconoscerà facil­ mente come noi, grazie a questa virtu, siamo fatti similissi­ mi a Dio . La moderazione e la temperanza infatti frenano e reprimono le passioni, la fermezza, la pazienza, la perseve­ ranza e la fortezza affrontano i pericoli, scacciano le paure e sopportano i dolori . Ora, dal momento che « dalla natura di Dio » , come affer­ ma Platone nella lettera a Dionisio, « ogni piacere e dolore so­ no sequestrati »1\ quale bisogno avrà Dio di queste virtu, con cui vengono temperate simili passioni? Avrà forse bisogno di innocenza, lui che non può nuocere a nessuno? o di lealtà e giustizia, lui che non ha stretto patti e che non ha rapporto con noi? sarà forse Dio legato agli uomini da amicizia, che non manca certo d ' affezione, e che è tra pari, tra chi si conosce ed è legato da mutua familiarità? Ma Dio manca di ogni af­ fezione . Tra lui e gli uomini vi è immensa distanza. Nessuno conosce Dio , nessuno ha mai parlato con lui, nessuno è mai stato suo amico . Come dice Platone, infatti, « nessun dio si mescola con gli uomini »14• Nessuno del resto potrebbe dire che a Dio sia propria la liberalità, la quale consiste in piccole cose . Quale virtu , dunque, fra tutte, se non la magnificenza, potrà essere propria a Dio? Dio infatti - e questo è il compi­ to di questa virtu - ci accorda doni sublimi, pubblici, comu­ ni e divini, secondo la dignità di ciascuno, e non tollera che qualcuno sia privo di lui . Di conseguenza, dal momento che questa sola, fra tali virtu, conviene alla divinità, chi potreb­ be negare che la magnificenza ci rende similissimi a Dio, e " Passo platonico citato anche nel De voluptate, cfr. supra, p. 39, nota 68. 14 Platone, Convivium, 203a; in proposito vedi anche Apuleio, De dea Socratis, I I I .

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che per questo sia la piu nobile tra tutte le virtu annoverate in precedenza? Cicerone, nel De oratore, descrive alcuni suoi compiti con queste parole : Che c ' è di altrettanto regale, nobile, munifico del prestare soc­ corso ai supplici, del risollevare gli afflitti, del salvare delle vite, del liberare gli uomini dalla servitu, del sottrarre all ' esilio?15•

Ma di quante lodi la giudica degna risulta chiaro da quella orazione che pronunciò a Cesare in difesa di Quinto Ligario : Gli uomini - dice - non sono mai cosi prossimi a un dio di quan­ do salvano altri uomini'•.

Nulla vi è di piu grande che tu possa fare con la tua for­ tuna, né di migliore che tu voglia desiderare con la tua na­ tura, che salvare il maggior numero possibile di persone . Ma quanto detto sin qui sia sufficiente . Sono forse stato troppo prolisso in questa orazione, so­ prattutto su questioni che anche tu conosci perfettamente e che non consistono tanto in parole, quanto in azioni. Ma pronunciando un discorso sulle lodi della magnificenza, che certo è cosa grande, mi è sembrato necessario ricorrere a un'o­ razione piu lunga, cosi da esprimerne con piu abbondanza la potenza e dignità . Ti saluto, sapendo che la natura ti ha concesso di essere uomo e gli studi liberali di essere eloquente, mentre la filo­ sofia, se, come hai cominciato, ti diletterai dei suoi studi, ti concederà di diventare come Dio . Fine . r0

" Cicerone, De oratore, I, 8, 3 2 . 1 6 Cicerone, Pro Quinto Ligario, XII, 38.

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Lettera a Giovanni Rucellai " .

Pistola d i Marsilio Fecino a Giovanni Rucellai clarissimo . Tu mi domandi se l ' uomo può rimuovere o in altro modo remediare alle cose future et maxime a quelle che si chiama­ no fortuite . Et certamente in questa materia l ' animo mio è quasi in diverse sententie diviso . Imperò che , quando con­ sidero la confusa vita del misero volgo, truovo che a' futuri casi non pens ano gli stolti, et se pens ano non provegono a' ripari, o pure se si sforzano di porre rimedii o nulla o pocho giovano , si che in questa considerazione l ' animo pare che mi dica la fortuna essere sanza riparo ; ma quando dall ' altra parte mi rivolgo nella mente l' opere di Giovanni Rucellai e d ' alcuni altri, a' quali la prudentia è regola ne ' loro effetti, veggo le chose venture essere antevedute e alle vedute po­ sto riparo , et in questa cogitazione lo ' ntelletto mi giudica el contrario di quello che nella prima considerazione mi di­ ceva. Quest a tale diversità di poi mi parebbe da ridurre in quest a prima conclusione , che a' colpi fortuiti non resiste l' uomo né la natura humana, ma l ' uomo prudente et huma­ na prudentia. Di qui si procede in una altra meditazione, nella quale veggiamo molti huomini di pari disiderare, equalmente affa­ ticarsi et exercitarsi con simili modi et instrumenti externi 17 Per il testo, abbiamo seguito l 'edizione pubblicata in A. Perosa (a cura di), Giovanni Rucellai ed il suo Zibaldone, vol . I. «> . In diversi codici (per esempio mss Laur. Redi qo, Magi. VIII I 370, Mare. I tal. XI, Pal . Parma 306, Capitolare Verona CCCXC I ) , infatti, essa si trova collocata tra l ' Epistola dell'appetito a Leonardo di Tane Pagni ( 2 5 marzo I 46o) e l ' Epistola della morte d'Anselmo ( I 9 ottobre I 462). Secondo Cesare Vasoli (Quattro lettere del Ficino ci t . , p. 35), ; articolo importante, questo del Vasoli, perché mo­ stra la successiva evoluzione della riflessione ficiniana sul tema della fortuna. Il testo venne pubblicato per la prima volta, sebbene solo parzialmente, da A. Warburg, Francesco Sassettis letzwillige Verfugung, Leipzig I 907, pp. I 49-50 (ristampato poi integralmente in A. Warburg, Gesammelte Schriften I, a cura di G. Bing e F. Rougemont, Leipzig-Berlin I 9 3 2 , pp. I 47· I 48), e in seguito da Kristeller, Supplementum, vol . II, pp. I 69-7 3 · Al tema della fortuna, al centro di questa missiva, Ficino non ha mai dedicato un trattato, sebbene, in seguito, vi sia tornato in alcune importanti lettere, su cui vedi l ' articolo di Vasoli citato in questa nota.

IV . VIRTU E FORTUNA

III

per aquistare questa prudentia, la quale abiamo di sopra posta per regola della vita humana et per riparo contro alla fortuna; et niente di meno non pari né equalmente né in simile modo conseguitare o possedere o usare deta prudenza . Per la qual cosa sono mosso a dire che lla prudentia non è t anto aquisto d' uomo quanto è dono di natura, onde forse parebbe che non porre rimedio a' casi l'uomo ma la prudentia humana, non la prudentia da opere humane acquistata ma da natura data. Dopo questo procediamo piu oltre, dicendo che la natu­ ra è qualità inanimata, dalla cui radice nasce inclinazione a' movimenti et dalla cui regola procede ne ' movimenti ordi­ ne dell' uno a l ' altro et di tutti al certo et propinquo fine et dell ' uno fine particulare a l' altro fine et di tutti e' fini proprii al fine comune a tucti, in tucti per partecipatione presente, da tucti per purità d ' essentia separato . Ma perché moto or­ dinario è opera di vita e ordine di moto è opera d ' intellecto et fine dell' ordine è opera di bontà, seguita che Ila natura né in se consiste né da se dipende né per se adopera, essendo la sua radice inanimata, la sua regola nuda d ' intellecto, la sua essenzia dalla prima bontà per molti gradi rimata. Adunque conviene riducere la natura ad uno fondamento intellectuale, ad uno fonte vitale, ad uno principio di bontà, o vero ad una bontà principale dove sia sustanzia intelligente, vivente et bona, o vero intellecto, vita, bonità, o vero intellecto vitale, vita intellectiva, bonità intelligibile et vivente, o vero unità, principio di bene, fonte di vita, fondamento d' intellecto . Dal principio sia il fine, dalla fonte transcorra el movimento del fine, dal fondamento nasca la proportione e ordine de ' moti intra sé et in tucti e' moti ad fine et in tutti e' fini ad uno fi­ ne comune, el quale per necessità è prima bontà, fonte di vi­ ta, origine d ' intellecto . Per la quale cagione vedi che questa substanzia circularmente da ssé principiando in sé finisce, et tutti e' movimenti per circulo ritornano al centro donde si mosseno alla circunferentia. Per questo processo platonicho puoi conchiudere che Ila prudentia humana sia dono non di natura semplicemente, ma molto piu del principio, fonte et origine della natura. Et perché intra l ' agente et patiente debba essere conforme pro­ portione, la natura muove quello che in noi è naturale, et

112

PARTE PRIMA . GLI ANNI DEL PIACERE

il principio della natura muove quello che in noi è vitale et intellectuale et boniforme . Da due fondamenti adunque di­ pende la prudentia dell' uomo, dalla natura corporea in uso come da instrumento, e da principio divino in radice come da primo agente . Di qui si comprende che colui che è prin­ cipio delli effecti presenti, preteriti et futuri lui medesimo è quello che è principio della moderatione nelle cose presenti, della remeditatione nelle preterite, della prudentia nelle fu­ ture . Adunque l 'uomo prudente à potestà contro alla fortu­ na ma con quella chiosa che gli dette quello sapiente8: Non haberes hanc potestatem, nisi data esset desuper (Cv, 1 9 , n )19• Ora chi mi domandassi che cosa sia fortuna et che riparo dia contro di lei : alla prima questione rispondo, che fortuna è uno advenimento di cosa, la quale benché advenga fuori dell' ordine che comunemente da noi si conosce e desidera, niente di meno è secondo ordine conosciuto et voluto di chi sopra a nostra natura cognosce et vuole; sf che quello che per rispecto di noi si chiama fortuna e caso, si può chiamare fato rispecto della natura universale et providentia rispecto del principio intellectuale et regola per rispecto del sommo bene . Alla seconda questione rispondo, che 'l modo da go­ vernarsi bene nelle cose che ad vengono per l' ordine fortuito , fatale et legale è insegnato da quel medesimo ch ' è principio di tale ordine, et tale sapere è anchora in questo ordine ase­ gnato, sf che non inpedisce né rimuove ma seguita et finisce l' universale governo . Tenendo queste cose di sopra tractate ci acosteremo al­ la segreta et divina mente di Platone , nostro principe de ' philosophi , et finiremo la pistola in questa morale senten­ tia20: che buono è combattere colla fortuna coll ' arme della 18

Sulla figura di Cristo quale sapiente, vedi supra, p . IO, nota I I .

19 .

IV . VIRTU E FORTUNA

1 13

prudentia21 , pazientia et magnanimità; meglio è ritrarsi et fugire di t al guerra, della quale pochissimi ànno victoria et quelli pochi con intollerabile faticha et extremo sudore ; op­ timo è fare co·llei o pace o tregua, conformando la voluntà nostra colla sua e andare volentieri dov ' ella acenna, acciò ch ' ella per forza non tiri22 • Tucto questo faremo se s ' acor­ derà in noi potentia, sapientia et voluntà.

21 Come sottolineato da Perosa, la prudentia, vista come virtu che piu di tutte è capace di fronteggiare fortuna, è perno dell' intera lettera - una prudenza che derivava « da due fondamenti: la natura corporea "in uso come da strumento" e il principio divino "in radice come da primo agente" >>, cfr. Vasoli, Quattro lettere del Ficino cit . , p. 36. Del resto, il te­ ma della prudenza viene toccato anche in altri scritti del giovane Ficino, cfr. per esempio supra, p. I r . Sarà interessante notare come proprio la prudenza, unita all'industria, fosse elogiata da Leon Battista Alberti in una delle sue piu celebri Intercenali, quella dedicata a « fato e fortuna >> , cfr. Leon Battista Alberti, Intercenales, a cura di F. Bacchelli e L. D'A­ scia, Bologna 200 3 . 22 Tema stoico del >, che è preferibile seguire di propria volontà, piuttosto che esserne trascinati, vedi Seneca, Epistulae ad Lucilium, CVI I , I I .

Ficino e i pittori del suo tempo

2. Antonio del Pollaiolo, Ercole e Anteo, tempera grassa su tavola, 1470-75.

In una lettera indirizzata al veneziano Pietro Molin nel 1482, Ficino racconta di un suo incontro con Antonio del Pollaiolo, da lui definito«pictor et sculptor insignis», e dell'eccezionale abilità da lui dimostrata in quell'occasione di di­ pingere volti con le parole, e di scolpire sentimenti nell'animo di chi lo ascol­ tava. Si tratta di una rarissima menzione, negli scritti di Ficino, di un artista del suo tempo. Antonio, in effetti, di volti ne immortalò molti, in opere che gli diedero fama tra i contemporanei, e che ispirarono versi di questo tenore: «Antonio fonde nel bronzo volti che respirano l e modella nella molle terra vivide figure» (Ugolino Verino). Ma Antonio fu molto piu di un 'ritrattista'. Tanto che nel suo genio, come ha scritto Pavel Muratov (Immagini dell'Italia, vol. I, Milano 2019), sarebbe possibile rintracciare il «prototipo spirituale dell'artista quattrocentesco nel suo massimo rigoglio», per il suo essere scul­ tore, orafo, disegnatore, originale pittore, per la sua «illimitata e temeraria curiosità», per la vitalità che tende al massimo le sue figure, animandole di una forza che raggiunge il momento di intensità maggiore nella ferocia della battaglia, dello scontro corpo a corpo. Si pensi all'incisione che raffigura la Battaglia di dieci uomini nudi, opera firmata con orgoglio dall'autore, o alla tavoletta qui presentata dell' Ercole e Anteo, oggi agli Uffizi, reinterpretazio­ ne da parte dello stesso Antonio di una sua grande tela andata perduta, che Vasari descriveva cosi: un Ercole che«scoppia Anteo, figura bellissima, nella quale propriamente si vede la forza nello strignere», con muscoli e nervi«tut­ ti raccolti per far crepare Anteo», mentre , XX [20 I 4] , pp. 2 5 - 3 3 ) . Ben piu ricco d i quello dei suoi precedenti è però l'elenco qui fornito da Mar­ silio Ficino; da questa lettera, in seguito, il cancelliere fiorentino Bartolomeo Scala trarrà ispirazione per il discorso sull'eternità delle leggi che nel suo De legibus et iudiciis farà pro­ nunciare a Bernardo Machiavelli . Da questo discorso, con ogni probabilità, trasse spunto lo stesso Niccolò Machiavelli, figlio di Bernardo, per la sua celebre riflessione di Discorsi, I, I I , . " Della christiana religione, c c . fiiir-fivv. ••

I riferimenti alle parole delle sibille qui citate vengono da Lattanzio, Divinae insti­

tutiones, IV, 6, 40



I versetti del libro dei Proverbi sono citati anche ibid. , I V , 6 , 6 .

II . PIETAS ET SAPIENTIA

ordine dell' opere di Christo et della morte . Dice cosi: « S arà resurrectione de ' morti, corso veloce ne ' zoppi, el sordo udi­ rà, e ciechi vedranno, parleranno e muti »41 • Questo tracto etiam Isaias in tale modo : Confortatevi mane perdute, o gino­

chi deboli consolatevi, voi che siete di pocho animo non temete non vi spaventate el Signor nostro ritribuirà el giudicio, lui ver­ rà et /aracci salvi. Alhora gli ochi de ' ciechi s 'apriranno et gli orechi de ' sordi udiranno, alhora salterà el zoppo come cerbio, la lingua de ' mutoli sarà liberata perché l'aqua è ropta nel di­ serto et il rivolo nella terra che sete pativa (Is, 35, 3-6) ; questo significa el tempo del baptesimo . Ma seguiamo le cose che Lactantio raunò dalle sybille. « Con cinque pani et due pesci satierà nel diserto cinquemila persone et ricogliendo le reli­ quie empierà dodici cophini in speranza di molti »42; « dome­ rà e venti colle parole, anderà diligentemente per mare co ' piedi di pace, et con grande fede calcandolo »43; « correrà per l' onde, curerà le malattie degl 'huomini, susciterà e morti, leverà da' molti e dolori, tutto farà con le parole qualunche infermità curando »44; « sarà miserabile, ignominioso, brutto per dare speranza a' miseri »45; « perverrà nelle inique mani degl' infedeli, daranno a Dio le ceffate con scelerate mani, et colla bocca impura sputeranno sputi velenosi, costui sempli­ cemente porgerà el dosso sancto alle percosse »46 ; « et riceven­ do pugna tacerà in modo che nessuno conoscerà ch ' el verbo sia questo et donde venga che parli a' morti, sarà con corona di spine coronato »47; « per cibo gli dectono fiele et per bere aceto . Questa mensa di crudeltà dimostreranno »48; « o gen­ te stolta non conoscesti il tuo Idio che nelle mente de' mor­ tali giuoco faceva , ma coronastilo di spine et fiele terribil gli mescolasti »49; « el velo del tempio dividerassi et di mezo

41

Ibid. , Ibid. , ., Ibid. , 44 Ibid. , 45 Ibid. , 46 Ibid. , 4 7 Ibid. , .. Ibid. , 4 9 Ibid. , 42

IV, IV, IV, IV, IV, IV, IV, IV, IV,

I5, r 5, I 5, 15, r6, r8, r8, r8, r8,

15. r 8. 24. 25.

17. r5. r7. 19. 20.

PARTE SECONDA . FIRENZE ATENE

giorno farà nocte tenebrosa molto per tre hore »50; « finirà el fato della morte in tre giorni finito el suo somno . Dipoi risu­ scitando da morte a luce verrà primo mostrando el principio di resurrectione a' convertiti »51 ; « quando queste cose facte saranno sarà consumata tutta la legge in lui »52• Dice altrove la sibilla che « la generatione de ' celestiali Iudei fia beata »5\ che vuoi dire e Giudei che s' accostorno a Christo sopra gl' altri furon beati . Aggiunse la Herit[r]ea: « Diranno la sybilla esse­ re stolta et mendace. Ma adempiute che queste cose saranno si ricorderanno di me, nessuno piu mi chiamerà mendace es­ sendo propheta del grande ldio »5 4 • Adduce Aurelio Austino molti versi della sybilla Herit[r]ea translatati in lingua latina, e quali vide in greco appresso Piacciano proconsulo, huomo per doctrina molto clarissimo. Ne' principii de' decti versi era uno certo ordine di lectere che queste dignissime parole et ornatissime quivi si leggevano : « Giesu Cristo figliuol di Dio salvatore »55 • In questi versi si discrive la resurrectione de ' corpi, la mutatione de' secoli, l' advenimento di Dio a giu­ dicare, e sempiterni premii et supplicii dell ' anime . Tali cose in gran parte etiamdio appresso Mercurio Trismegisto si leg­ gono . El nostro Platone, essendo domandato quanto tempo ne ' suoi precepti gl' huomini fermare dovessino, cosi rispose : « lnfino a tanto che in terra aparisca uno piu sacro, el quale apra la fonte della verità a tutti et in fine tutti lo seguino »56 • IV, I 9 , 5 · IV, I 9 , I O . IV, I 7 , 4· IV, 20, I I . IV, I 5 , 29. " Agostino, De civitate Dei, XVI I I , 2 3 , I . 56 Enea di Gaza, De immortalitate animae, in Aeneas Gazaeus et Zacharias Mityle­ naeus , De immortalitate animae et mundi consummatione, a cura di J . -F. Boissonade, Paris I 8 36, pp. 474, 5 I O . Il testo di Enea fu tradotto in latino da Ambrogio Traversari; versio­ ne che >, ma che fu > , XXXVI . 2 [ 1 980], pp. 9 2 3 -4 1 ; 1 040-69 : 1 040-4 1 ) ; ma vedi anche P. Orvieto, Contributi ad un commento al «Canzoniere» laurenziano: la canzone VII e la ballata, in >, IV ( 1 98 2 ) , pp. 7 3- 1 5 1 : 1 06·7 . 7 Per alcuni esempi di questa comune metafora, impiegata tra gli altri da Seneca, Plutar­ co e Macrobio, vedi E. M. Rust, Ex angulis secretisque librorum: Reading, Writing, and Using Miscellaneous Knowledge in the «Noctes Atticae» , tesi di dottorato, University of Southern California, 2009, pp. 1 96-203.

III . POETI PLATONICI

1 79

nimento . E tanta piu è l ' avidità con cui si rimpinzano del dolcissimo liquore delle Muse, quanta piu è l ' amarezza che si accumula nel loro cuore . Questa è forse quella che i latini chiamano « bile » , i Greci « melancolia » , una malattia, come dimostra Aristotele, propria di chi è troppo assorbito dallo studio . Per questa ragione S alomone definisce « gravosissi­ ma » la vita del sapiente, e aggiunge che l' afflizione è compa­ gna della conoscenza8 • Cosa diremo allora contro queste pa­ role d ' Aristotele : « L ' albero della conoscenza ha radici amare ma frutti dolcissimi »?9• A lui certo concederemo questo, ma aggiungeremo : quei frutti sono pesche, che sotto la dolcez­ za custodiscono un nocciolo amaro . Che dunque? dovremo forse detestare le Muse? Ci guardiamo bene dal pensare che dal fonte dell ' ambrosia e del nettare celeste sgorghino rivoli infernali e amari . Noi infatti lodiamo un appropriato ricorso alle Muse, tanto quanto critichiamo un loro abuso10 • Ma chi soprattutto abusa delle Muse, se non colui che segue le loro vestigia in modo temerario e inopportuno, o chi le mescola, con imprudenza, alla Venere volgare, o ancora chi le separa da Apollo, loro guida? Non raggiungono la scienza gli uomini da poco, ignoranti, che si affannano per ottenere la sapienza in modo sciocco . Le C amene non cantano felicemente, ma restano in silenzio , o stridono, là dove a sollecitarle è il figlio petulante di Venere . Non danza con grazia il coro delle Pie­ ridi, anzi zoppica e vacilla, quando è lontano Apollo, guida del coro . E certo chi confida di ricevere la luce del sole senza l' aiuto del sole, a ragione precipita nelle tenebre, senza sol­ levarsi verso la luce. Allo stesso modo chi investiga questo o quel vero lontano dalla somma verità, non s ' imbatte di cer­ to nel vero, ma nel falso . Chi va cercando il superno nettare



Cfr. Ecc!. , I , I 8 .

9 Diogene Laerzio,

Vitae philosophorum, V, I 8 . L'idea che delle Muse si possa abusare, e cosi produrre poesia da condannare, si ri­ trova in epoca umanistica, in particolare in un passo del commento del Boccaccio alla Com­ media (Esposizioni sopra la Commedia, I, esp. litt. , 1 08 - u ) dove questa riflessione sulle Mu­ se è condotta a partire dall'interpretazione di un celebre testo di Boezio, De consolatione philosophiae, I, I , 7 - 1 1 , in cui viene proposta una distinzione tra Muse filosofiche e Muse poetiche (queste ultime considerate >) . Testo boeziano che Ficino poteva certo avere in mente nel corso della stesura di questa lettera. 10

! 80

PARTE SECONDA . FIRENZE ATENE

nella palude stigia finisce in verità per bere il fiele dell' opi­ nione sotto l'ombra del miele della conoscenza .

32.

Argomento allo «Ione» di Platone11•

Argomento di Marsilio Ficino fiorentino allo Ione di Platone, a Lorenzo de ' Medici. Il nostro Platone, ottimo Lorenzo, nel Fedro definisce il furore una « alienazione della mente » (mentis alienatio) . Am­ mette poi due generi di alienazione, una che dipende da ma­ lattia, l ' altra da Dio . Chiama follia (insania) la prima, furore divino (juror divinus) la seconda12• La follia abbassa l' uomo al rango di un bruto . Per mezzo del divino furore, invece, egli si erge al di sopra della natura umana e si converte a Dio . Il furore divino è perciò una certa illustrazione (illustratio) dell ' anima razionale, attraverso la quale Dio afferra l ' ani­ ma, precipitata dal cielo sulla terra, per riportarla dalla ter­ ra al cielo . La caduta dell' anima dall' uno - principio di tutte le cose - fino al corpo, passa per quattro gradi, e cioè per la mente, la ragione, l'opinione e la natura. Dal momento che nell' intero ordine delle cose esistono sei gradi, il sommo dei quali è l ' uno stesso, il piu basso il corpo, ed essendo essi di­ visi dai quattro gradi di cui abbiamo detto, è necessario che qualsiasi ente che cade dal primo all' ultimo passi attraverso di essi. L ' uno stesso, limite e misura di tutte le cose, manca di infinità e molteplicità; la mente è già molteplicità, ma sta­ bile ed eterna; la ragione è invece molteplicità mobile, ma finita, l' opinione è molteplicità mobile e infinita, ma è unita

1 1 Ficino tradusse lo Ione platonico tra il luglio del I 464 e il I aprile del q66, data­ zione che pare valida anche per il presente Argomento (a seguire l'ipotesi di Kristeller, se­ condo cui gli Argumenta ai dialoghi sarebbero stati via via stesi di seguito alla traduzione delle singole opere); in proposito cfr. M . ] . B. Allen, The Soul as Rhapsode: Marsi/io Ficino's Interpretation ofPlato's «Iom> , in O'Malley, Izbicki e Christianson (a cura di), Humanity and Divinity cit . , pp. I 2 5-48: I 2 7 ; In Phaedrum, In Ionem, pp. 2 2 4 - 2 5 . Per il testo di riferimen­ to vedi Platone, Opera, cc. 59r-6or (Opera omnia, pp. I 28 I -84) . Per il testo latino abbiamo fatto riferimento a In Phaedrum, In Ionem, pp. I 95-207 . Ripresentiamo qui la traduzione pubblicata in Ebgi (a cura di), Umanisti italiani ci t . , pp. 305- I 1 . Su questo testo ficiniano, basterà rimandare a P. Megna, Lo «lane» platonico nella Firenze medicea, Messina I 999· 1 2 Platone, Phaedrus, 265a. 0

III . POETI PLATONICI

in una sostanza e in un punto; e cosi è la natura, con la diffe­ renza che essa si diffonde per i punti del corpo; il corpo poi possiede un' infinita molteplicità, soggetta al movimento, ed è diviso in sostanze, in punti e momenti. La nostra anima osserva tutte queste cose, attraverso esse discende, attraverso esse risale . In quanto nasce dallo stes­ so uno, principio di tutte le cose, l' anima acquista una certa unità, la quale unisce tutta la sua essenza, le sue potenze e le sue operazioni; da essa e verso di essa procedono tutte le altre cose che si trovano nell ' anima, al modo delle linee di un cer­ chio, che provengono dal centro e al centro si dirigono . Non solo le parti dell' anima sono unite tra loro e a tutta l ' anima, ma tutta l' anima è unita allo stesso uno, causa di tutte le cose . Dipendendo dalla mente divina, essa contempla stabilmente le idee di tutte le cose attraverso la mente . In quanto guarda sé stessa, considera le ragioni universali delle cose, e procede per argomentazioni dai principi alle conclusioni . In quanto osser­ va il corpo, concepisce e passa in rassegna le forme particolari delle cose in movimento . In quanto inclina verso la materia, si serve della natura, come di uno strumento con il quale uni­ sce, muove e forma la materia; da qui hanno origine le genera­ zioni, le crescite e i loro contrari . Vedi dunque come l ' anima cada dall'uno, che è sopra l' eternità, nell ' eterna molteplicità, dall ' eternità nel tempo, dal tempo nel luogo e nella materia. Per questo essa, come discende per quattro gradi, è neces­ sario che per quattro gradi risalga. Il furore divino è la forza che innalza al cielo . Esistono quattro specie di divino furo­ re . Il primo è il furore poetico, il secondo quello dei misteri, il terzo quello profetico, il quarto quello erotico . La poesia è elargita dalle Muse, i misteri da B acco, la profezia da Apol­ lo , l' amore da Venere13• Di certo l' anima non è in grado di tornare all' uno se non viene resa essa stessa uno; essa è di­ venuta molteplice, poiché è caduta nel corpo e si è distratta in diverse operazioni, perdendosi tra le singole cose; di con­ seguenza le sue parti superiori è come dormissero, e quelle inferiori dominano sulle altre . Le prime sono indebolite dal

PARTE SECONDA . FIRENZE ATENE

torpore, le seconde sono perturbate, e tutta l' anima è discor­ dia e disarmonia. In primo luogo è dunque necessario il furore poetico; esso risveglia, attraverso i toni musicali, le parti che dormono, addolcisce attraverso un' armonica soavità quel­ le turbate, temperando le varie parti dell ' anima . Ma questo non è sufficiente . Nell ' anima infatti si trova ancora molte­ plicità. Sopraggiunge allora il mistero, il quale, per mezzo di sacrifici, delle purificazioni e di ogni culto riservato agli dèi, fa tendere tutte le parti dell' anima verso la mente; una volta ricondotte le sue singole parti alla sola mente, essa è resa un certo uno-tutto dai molti che era. In terzo luogo è necessario un altro furore, che riconduca la mente a quell' unità che è la parte superiore dell' anima . Questo è compito che adempie Apollo, per mezzo del vaticinio, giacché l' anima, quando si eleva all ' unità sopra la mente, prevede le cose future . Infi­ ne, quando l ' anima è fatta uno - quell' uno, dico, che si trova nell' essenza stessa dell' anima - non le rimane che convertirsi subito verso l 'uno che è sopra l' essenza: ciò compie la Venere celeste per mezzo dell' amore, ovvero mediante il desiderio per la divina bellezza e l' ardore per il bene4• Perciò il primo furore tempera disarmonie e dissonanze , il secondo rende uno-tutto le parti temperate, il terzo porta all' uno-tutto che è sopra le parti, il quarto conduce a quell 'u­ no, che è sopra l'essenza e sopra al tutto . Il primo distingue il cavallo buono, cioè la ragione e l' opinione, da quello malvagio, cioè dalla fantasia confusa e dalla natura; il secondo sottomette il cavallo malvagio al buono e il cavallo buono all' auriga, cioè alla mente; il terzo dirige l ' auriga verso il suo vertice, cioè all' unità , che è l' apice della mente; infine il quarto converte il vertice dell' auriga al vertice di tutte le cose, dove l' auriga riposa beato e dove sistema i cavalli nella mangiatoia, cioè la bellezza divina, e offre loro ambrosia e nettare, cioè la visio­ ne della bellezza e la gioia che proviene dalla visione . Queste sono le opere dei quattro furori, dei quali Platone parla, in termini generali, nel Fedro . Nel Convivio invece egli tratta, nello specifico , dell' ultimo, quello erotico15• 14 C f r . supra, p p . LXXVI-LXXVII. " Per mezzo del divino furore . . . quello erotico] cfr. LdA, pp. 2 1 1 - 1 5 [VI I , 1 3- 1 4] .

III . POETI PLATONICI

Nello Ione si occupa del primo, cioè del furore poetico, che nel Fedro definisce in questi termini : Il furore è una certa possessione (occupatio) che proviene dalle Muse, il quale, occupata un' anima delicata (fenis) e insuperabile (in­ superabilis) , la desta e la scuote per mezzo di canti e di un' altra forma di poesia a istruire il genere umano16 •

« Possessione » indica il ratto dell ' anima e la conversione al volere delle Muse. Dice poi « delicata » , quasi a significare « agile » , « plasmabile dalle Muse » ; infatti, se non è cosi pre­ parata, non può essere posseduta. E ancora « insuperabile » poiché, una volta rapita, essa supera ogni cosa e da nessuna delle realtà inferiori può essere contaminata o superata; il fu­ rore desta dal sonno del corpo alla veglia della mente, dalle tenebre dell' ignoranza alla luce, dalla morte alla vita, dalla dimenticanza letea al ricordo delle cose divine; esso richia­ ma, scuote, stimola e infiamma a esprimere in poesia quelle cose che contempla e presagisce . Dopo questa definizione, Platone aggiunge: colui che si accosti alle porte della poesia senza il furore delle Muse è vuo­ to, e vuoto è il suo canto, come se la poesia fosse tale da non potersi ottenere senza il sommo favore del Dio17 • Lo stesso dice nello Ione, opera in cui spiega da dove provenga que­ sto furore e per quali gradi discenda18 • Nel quarto libro delle Leggi, invece, afferma che Dio, la fortuna e l ' arte governano tutte le cose umane9• Di conseguenza la poesia o è dono di Dio, o frutto di un caso della fortuna, o opera dell' arte . So­ crate indaga assieme al rapsodo Ione quale di queste opzioni si debba considerare vera. « Rapsodo » significa qui recitato­ re, interprete e cantore . Ione interpretava i canti di Omero e suonava la lira in pubblico , e la sua disposizione era tale da renderlo incapace di esporre altro poeta, che pur mostras­ se la stessa eloquenza d ' Omero, mentre di Omero spiegava rapidamente ogni parola. Dunque, o Ione espone in manie­ ra fortuita ciò che Omero scrive, o per arte, o per afflato 16 Platone, 17 C f r . 18 Cfr. 19 Cfr.

Phaedrus, 245a. ibid. Platone, Ion, 533d-536d. Platone, Leges, IV, 709b.

PARTE SECONDA . FIRENZE ATENE

divino . Non in maniera fortuita, poiché non interpreta ogni cosa, ma solo poche, e senza continuità e ordine . Non per arte, poiché chiunque sia in pieno possesso di un' arte è in grado di dominare qualsiasi cosa rientri nell' ambito di quell ' arte . Ora, giacché sotto lo stesso genere della poetica rientrano tanto i poemi di E siodo e degli altri poeti, quanto quelli di Omero (particolarmente i versi che trattano dello stesso argomento) , il fatto che Ione sappia illustrare solamente i versi di Omero porta a concludere che egli non interpreti per mezzo dell' ar­ te. Resta cosi l' afflato divino . Da ciò risulta chiaro come Ione, l ' interprete del poeta, al pari di molti altri rapiti in modo simile, interpreti la poesia composta dai poeti per divino istinto . E se la mente umana non riesce a intendere la poesia altrui, tanto meno riuscirà a inventarla. Per questo né Omero , né alcun altro autentico poeta può poetare senza afflato celeste, cosa che qui Socrate dimostra anche con altri argomenti . E in primo luogo cosi: i poeti trattano di ogni arte e di ogni scienza, ma è impossibile apprenderle tutte per mezzo dello studio, se è vero che risul­ ta difficilissimo apprenderne in parte anche solo una . I poeti dunque non si esprimono per mezzo di un talento umano, ma per divina ispirazione . Prova ne è il fatto che moltissimi vati, svanito l ' impeto del furore, quasi non comprendono quan­ to da loro stessi scritto, mentre nello stato di furore aveva­ no trattato con competenza di ogni singola arte (cosa che i rispettivi esperti di queste arti possono verificare leggendo i loro versi) . Vediamo poi spesso un uomo rozzo e inetto ri­ uscire d ' improvviso in buon poeta e cantare qualcosa di ma­ gnifico e divino; ma compiere grandi opere in un istante non è proprio della mente umana, ma di una mente divinamente ispirata. In tal modo Dio mostra che questa conoscenza viene infusa per sua volontà, come attesta il fatto che spesso rapi­ sce certi uomini inetti piuttosto che raffinati, e preferisce i folli ai prudenti; lo fa affinché non si pensi che queste opere siano frutto di abilità e industria umana, come accadrebbe se si servisse di uomini perspicaci e prudenti . Non provenendo né dalla fortuna né dall ' arte , dunque, la poesia viene concessa dal Dio e dalle Muse . Quando Platone dice « Dio » , intende Apollo; quando dice « Muse », intende

III . POETI PLATONICI

le anime delle sfere del mondo . Giove è la mente di Dio , da questa proviene Apollo, la mente dell ' anima del mondo, e l ' anima di tutto il mondo, e le anime delle otto sfere celesti, chiamate le nove Muse, poiché mentre esse muovono i cieli in modo armonico, partoriscono una musica melodiosa distri­ buita in nove suoni (gli otto toni delle sfere e il loro comune accordo) . Le nove sirene che cantano a Dio producono que­ sto concerto20 • Ecco quali sono i gradi per i quali quel furo­ re discende : Giove rapisce Apollo, Apollo illumina le Muse, le Muse svegliano e agitano le anime delicate e insuperabili dei vati; i vati ispirati ispirano i loro interpreti, gli interpreti scuotono i loro ascoltatori . Diverse anime, però , vengono rapite da differenti Muse, poiché diverse anime sono attribuite a diverse sfere e stelle, come Platone insegna nel Timed1 • La musa Calliope è la vo­ ce che risulta dall' accordo di tutte le voci delle sfere; Urania, cosi chiamata per la sua dignità, è la voce del cielo stellato, Polimnia, per la memoria delle gesta antiche, che è data da Saturno, e per la complessione secca e fredda, è la voce di Saturno; Tersicore, in quanto è salutare al coro degli uomi­ ni, è la voce di Giove; Clio , per il suo desiderio di gloria, è la voce di Marte; Melpomene, poiché è il principio regolatore dell' intero mondo , è la voce del Sole; Erato, per l ' amore, è la voce di Venere; Euterpe, per la sua capacità di portare un nobile decoro nelle cose gravi, è la voce di Mercurio, Talia, per il vigore che nutre ogni cosa, è la voce della Luna22• Apol­ lo del pari è l ' anima del Sole, la sua lira è il corpo del Sole, le quattro corde i suoi quattro movimenti, quello annuale, quello mensile, quello giornaliero, quello obliquo . Le sue quattro voci, quella acuta (neates) , quella grave (hypates) , e le due intermedie (doriones geminiY\ sono i quattro triplici 2° Cfr. Macrobio, In somnium 2 1 Platone, Timaeus, 4 1 d-e.

Scipionis, II, 3, 1 - 3 .

22 Sul parallelismo tra le Muse e le sfere celesti, vedi anche Ficino, Teologia platonica cit . , pp. 284-85 [IV, 1 ] ; per un' analisi di questo passo, cfr. R. Ebgi, s. v. Muse, in Busi e Ebgi, Giovanni Pico della Mirandola cit . , pp . 1 7 3-86. 21 Con i primi due termini , che si trovano sia in Platone (Respublica, IV, 443d) che in un Inno or/ico (XXXIV, 1 7 - 1 8) , Marsilio fa riferimento alle due tonalità, quella grave e quella acuta, della lira orfica; i doriones gemini indicano invece la tonalità media della stes­ sa, cfr. Ficino, De musica, in Lettere I, p. 1 6 1 [I, 92]; Id. , Epistola de rationibus musicae ad Dominicum Benivienium, in Kristeller, Supplementum, vol. I, pp. 5 1 -5 2 .

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PARTE SECONDA . FIRENZE ATENE

raggruppamenti dei segni zodiacali, dai quali derivano le quattro qualità delle stagioni . C alliope ispirò Orfeo, Urania Museo, Clio Omero, Polimnia Pindaro, Erato S affo, Mel­ pomene Tamiri, Tersicore Esiodo, Talia Virgilio, Euterpe Ovidio , mentre chi rapi Lino è lo stesso Dio che ora agita te, ottimo Lorenzo . Si tratta cioè di Apollo, che offri al tuo avo Cosimo il vaticinio, a tuo padre Piero l ' arco e i rimedi, infine a te la lira e i canti .

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El libro dell'amore 24•

Ove si conchiude tutte le cose decte con la opinione di Guido Cavalcanti philosopho . [VII , r ] Finalmente C ristophoro Marsupino, huomo humanissimo, avendo nel disputare ad rappresentare la persona d' Alcibiade, con queste parole ad me si volse . Marsilio Fecino, io mi rallegro molto della fami­ glia del tuo Giovanni, la quale intra molti cavalieri, in doc­ trina e opere clarissimi, partori Guido philosopho, diligente tutore della patria sua e nelle sottigliezze di loica25 nel suo seculo superiore a tutti . Costui seguitò l ' amore socratico in parole e in costumi, costui con suoi versi brievemente chiuse ciò che da voi d ' amore è decto . Phedro toccò l ' origine d ' a­ more quando disse che del chaos nacque; Pausania l ' amore già nato in due spetie divise, celeste e vulgare; Eriximaco la sua amplitudine dichiarò, quando mostrò che le due spetie d ' amore in tutte le cose si ritruovano; Aristofane dichiarò quello che faccia in qualunque cosa la presentia di Cupidi­ ne6 tanto amplissimo, mostrando per costui gli huomini, che prima erano divisi, rifarsi interi; Agatone tractò quanto sia 24 In questa antologia, abbiamo tratto i passi del volgarizzamento del commento fici­ niano al Convivio di Platone dall'edizione a cura di S. Niccoli, LdA (per il testo qui pre­ sentato, vedi pp. 1 77-79) . La stesura dell'originale latino di questa influente opera risale al 1 469; il volgarizzamento, dello stesso Ficino, è di poco successivo. La prima edizione a stampa di quest 'ultimo risale però solo al r 544 (Sopra lo Amore o ver' Convito di Platone, Neri Dortelata, Firenze) . " Cfr. quanto affermato, a proposito del C avalcanti, da Poli ziano nella sua epistola prefatoria alla raccolta Aragonese ( 1 476-n) : > . " Nella versione latina, i l nome > è sostituito da un piu generico > .

III . POETI PLATONICI

la virtu e potentia sua, dimostrando che solo questo fa beati gli huomini; Socrate finalmente, ammaestrato da Diotima, ridusse in somma che cosa sia questo amore, e quale e onde nato, quante parte egli abbia, ad che fini si dirizzi e quanto vaglia. Guido C avalcante, philosopho, tutte queste cose arti­ ficiosamente chiuse ne ' sua versi. C ome pe 'l razzd7 del sole lo specchio in uno certo modo percosso risplende, e la lana ad sé propinqua, per quella reflexione di splendore, infiam­ ma, cosi vuoi Guido che la parte dell ' anima, chiamata da·llui obscura fantasia e memoria, come uno specchio sia percossa dalla imagine della bellezza, che tiene el luogo del sole, co­ me da uno certo razzo entrato per gli occhi, e sia percossa in modo che ella per la decta imagine un' altra imagine da sé si fabrichi, quasi come splendore della prima imagine, pe 'l quale splendore la potentia dello appetire non altrimenti s ' ac­ cenda che la decta lana, e accesa ami28 • Aggiugne nel suo par­ lare che questo primo amore, acceso nell' appetito del senso, si crea dalla forma del corpo per gli occhi compresa, ma dice che quella forma non si imprime nella fantasia in quel modo che è nella materia del corpo , ma sanza materia, nondimeno 27 La lezione > si trova in due manoscritti, il Magi. VII 1 208 e il Ricc . r 1 4 2 . 28

Passo che parrebbe dipendere dal Commento dello Pseudo - Egidio Colonna, vedi Fenzi, La canzone d'amore cit . , pp . 1 97-98 [§§ 34-36] (ma vedi anche ibid. , p. 2 2 2 ) : « 34· Poi dice: vien da veduta forma che ssi 'ntende: Et in questa parte dimostra l ' autore la ca­ gione prossima de lo amore, e questa cagione è dentro. Ov'è da sapere che la generatione dell' amore à molti exempli nelle cose naturali, ma spetialmente è molto simile a la gene­ ratione del fuoco quando si genera dal sole e da lo specchio, ne la quale generatione sono quattro cose . La prima è lo sole. La seconda è lo raggio lo quale dal sole procede e fere ne lo specchio. La terza è lo splendore lo qual nasce da lo specchio illuminato. La quarta è la cosa la quale riceve lo splendore e nella quale si genera il fuoco, e questa quarta cosa di sua complessione conviene che ssia molto atta e disposta ad incendio, come lino overo panno o altro simile. 3 5 · A queste quattro cose dette sono simile quattro altre cose. Le quali sono, quando si genera l ' amore, inprimamente la cosa ch'è conosciuta e sentita per lo sentimen­ to e spetialmente per lo vedere, la qual cosa fu detto di sopra, che sta in luogo del sole . Poi è l'imagine della detta cosa, la quale imagine entra a l ' anima per la potenza visiva e pren­ de dimoranza in quella parte dell' anima dove sta memoria, la quale parte è detta fantasia overo imaginativa perciò che riceve e conserva la imagine delle cose di fuori . Dopo questa imagine ch'è detta, la quale è come raggio del detto sole, anche è una forma spirituale la quale nasce de la detta imagine, e questa forma è come splendore la qual si lieva dalla det­ ta potenzia come di specchio illuminato. 36. Questa forma spirituale è il piacimento della prima cosa, il quale piacimento obumbra come uno splendore quella potenza dell' anima la quale è detta appetito concupiscibile, et in questo appetito per virtu di questo splendore si genera l 'amore. Onde ben dice l' autore: venne da veduta/orma che ssi 'ntende, cioè da isguar­ data e contemplata e reconsiderata imagine della cosa prima, la quale la sguarda l' animo e considerala e usala come fosse la verace cosa la cui imagine è >> .

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PARTE SECONDA . FIRENZE ATENE

in tal modo ch 'ella sia imagine d ' un certo huomo posto in certo luogo sotto certo tempo; e che da questa imagine su­ bito riluce nella mente un' altra spetie, la quale non è piu si­ militudine d ' uno particolare corpo humano, come era nella fantasia, ma è ragione comune e diffinitione equalmente di tutta la generatione humana . Adunque si come dalla fanta­ sia, poi che ha presa la imagine del corpo, nasce nello appeti­ to del senso, servo del corpo, l' amore inclinato a' sensi, cosi da questa spetie della mente e ragione comune, come remo­ tissima dal corpo , nasce nella volontà un altro amore, molto dalla compagnia del corpo alieno . El primo amore pose nella voluptà, el secondo nella contemplatione, e stima che il primo intorno alla particolare forma d ' uno corpo si rivolga, e che il secondo si dirizzi circa la universale pulchritudine di tutta la generatione humana, e che questi due amori nell' uomo in­ tra loro combattino : el primo tira in giu alla vita voluptuosa e bestiale, el secondo in su alla vita angelica e contemplati­ va c ' innalza; el primo è pieno di passione e in molte genti si truova, el secondo è sanza perturba tione e è in pochi2� . Que­ sto philosopho ancora mescolò nella crea tione dell' amore una certa tenebrosità di chaos, la quale di sopra voi avete posta, quando disse l ' obscura fantasia illuminarsi, e della mixtione di quella obscurità e di questo lume nascere l' amore0 • Ancora la prima sua origine pone nella bellezza delle cose divine, la seconda nella bellezza de ' corpi, imperò che quando ne ' suoi versi dice « sole » e « razzo » , pe 'l sole intende la luce di Dio, pe 'l razzo la forma de ' corpi. E vuole che il fine dell ' amore risponda al suo principio , in modo che l' instincto d ' amore fa cadere alcuni infino al tacto del corpo , e alcuni fa salire infi­ no alla visione di Dio .

" Nella versione latina seguono queste parole, assenti nel testo volgare: >. w Nella versione latina seguono queste parole, assenti nel testo volgare : > .

III . POETI PLATONICI

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Apologo sulla coronazione di Dante31•

Firenze lungo tempo dolente, ma finalmente lieta, somma­ mente si congratula col suo poeta Danthe nel fine di due secoli risuscitato, et restituto nella patria sua, et gloriosamente già coronato . O Dante mio, nel tempo ch ' eri posto nello iniquo exilio predicesti nel tuo poema sacro32, quando la pietà vincessi la crudeltà, la quale ti serrava fuori del tuo ovilel\ allhora tor­ neresti in patria molto piu ornato che prima, et nello excelso tempio del B aptista prenderesti degnamente la corona poeti­ ca34 . Non fu invano questo tuo prevedere5 • Ma perché dal pa­ radiso sommo predicesti questo, però con verità lo predicesti. Conciò sia che 'l tuo padre Apollo ad misericordia commos­ so del lungo exilio tuo et pianto mio, commisse a Mercurio in questi tempi, che subito volassi nella mente pia del divino poeta Christophoro Landino, et trasformato nell' imagine del suo volto usassi la miracolosa virga ad renderti la vita, et l' alie anchora ad riportarti in patria tua36, et oltra questo l ' apolli" Si tratta di uno scritto da considerare appartenente al genere dell ' apologo, le cui versioni latina e volgare (quella qui riportata, di cui si ignora l ' autore, sebbene sia stata pri­ ma avanzata l'ipotesi di attribuzione a Landino, per poi propendere per lo stesso Ficino) sono inserite nel proemio di Cristoforo Landino al suo monumentale commento alla Divi­ na Commedia, dato alle stampe a Firenze nel r 48 r . Per l'edizione di riferimento di questo testo vedi Landino, Comento sopra la «Comedia» cit . , vol. l, pp. 268-70. Il testo latino è incluso anche nel sesto libro dell'epistolario ficiniano, Epistolae, c. r 29v (Opera omnia, p. 84o) , dove compare con il seguente titolo: > .

PARTE SECONDA . FIRENZE ATENE

bene . Questo è quello - or non vedete voi - questo è quello che tucte le creature apetiscono, perché tucte sono da·llui. Et però tucte per lui perfecte si fanno, in quanto a· llui s ' a­ costano . C ertamente non possiamo per altro modo acostar­ ci a esso bene, che per l ' amore del bene . Perché questa è la conditione del bene, cioè essere amato et la conditione della cosa amabile è d ' esser buona. Quello che per noi molto si fa è questo che, esso facto che noi amiamo esso bene, subito a esso ci acostiamo . Perché l' amore è un certo bene proximo al sommo bene, imperò che l' amore è la fiamma del predec­ to bene . Ove la fiamma del bene sommo piu arde, ivi la luce di quel medesimo piu chiaramente riluce . Che· cci bisogna prolungare piu qui el sermone? Se Iddio è esso bene et luce di decto bene et amore di questo bene rilu­ cente, amiamo, o amici miei, amiamo sommamente, vi prie­ go, sopra tucte le cose el bene rilucente et la luce benigna. Et cosi faccenda non solamente ameremo el nostro Dio, ma oltra questo amando el fruiremo, perché Dio è esso amore, esso amore è Dio . Adunque sopra tucto riscaldianci di colui, sanza el caldo del quale nulla si scalda! Acciò che riluciamo di sua benigna luce, sanza la quale nessuna cosa riluce ! Orsu, amici miei, fermianci in costui, che in nessuno modo si muta et veramente fermi saremo . Serviamo solo al Signore re di tucti, el quale a nessuno altro serve, et cosi faccenda non ser­ viremo ad alcuno , ma saremo signori di tucti . Fruiamo costui se si può in modo alcuno; puossi bene, pure che noi vogliamo, perché si fruisce volendo et fruendo si vuole; fruiamo, dico, costui che lui solo trabocca per l ' inmenso , et solo in questo modo c ' empieremo in tucto, solo in questo modo sentiremo letitia vera et piena . Perché dove regna el bene sanza difec­ to, ivi si sente el piacere sanza dolore , ivi si comprehende el gaudio interamente pieno .

IV . DE MISERIA HOMINIS

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SERMONE TERZ010• C olui che à sete di vino, la sete spe­ gne col vino , et t anto piu la spegne, quanto piu ne beie . S e · ll ' inmagine del vino a costui che à t al sete si monstra all ' occhio, o vero al pensiero, tale imagine non gli spegne la sete ma l ' accende, perché la natura della imagine è allectare, la natura della substantia è nutrire . Adunque l ' inmagine del vino tanto nutrica la sete, quanto esso vino nutrica el seti­ bundo . E questo ci mostra la pena di Tantalo, anzi cel mo­ stra la propria nostra pena'\ imperò che Tantali tucti siamo . Tucti naturalmente disideriamo bere e veri beni, tucti bea­ ma l ' inmagini di decti beni in sognio . Et mentre che a piena bocca beamo l ' onde del fiume Letheo12, in questo mezo col­ la sommità delle labbra quasi gustiamo una certa gocciolina del nectare et della ambrosia13• Onde continuamente come miseri Tantali siamo dalla insatiabil sete tormentati . Se noi usufructassimo tali cose, quali per natura la mente apetisce, certamente, usufructando o in tucto o almeno in grandissima parte, l' animo qualche volta s ' empierebbe . Ma perché quanto piu usiamo le cose temporali, tanto piu l' apetito dell' animo s ' accende, assai si manifesta che· lla mente non richiede pro­ prio le cose temporali, che · ssono certe imagini delle etherne 10 Si tratta della versione volgare, con alcune modifiche, di un'epistola indirizzata a Lorenzo de' Medici, parte del terzo libro dell'epistolario ficiniano, cfr. Episto!ae, cc. 78v79r (Opera omnia, p. 749). Questo il titolo dell'epistola: > . " Alla c. 8v del ms Ricc . z684, sul margine sinistro, si legge qui: Riccardo Angelieri d 'Anghiari, Oliviero Arduini e Antonio Serafico, contenuta nel primo libro dell'epistolario, cfr. Lettere I, pp. I I O- I I [l, 57] . 18 Cfr. supra, nota 1 6 .

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PARTE SECONDA . FIRENZE ATENE

quanto cosi viviamo, anzi quanto cosi moriamo, tanto tempo noi essere miseri, quasi se potessimo altro ricorre che quel­ lo che seminiamo . El fructo della stoltitia è la miseria, per­ ché troppo stoltamente pasciamo el corpo et l' animo dimen­ tichiamo ; quello diventa grasso et robusto et questo magro et debole . Di qui viene che all' animo, per la sua deboleza et poco vigore , le cose corporali paiano grandi et forti; quelle che grandi stima, grandemente disidera; quelle che giudica forti, teme oltramodo - il perché come misero parte dall' ar­ dore della cupidità parte dal timore è oppresso . Nutriamo, per Dio, et accresciamo con alimenti spirituali lo spirito , ac­ ciò che, facto quando che sia potente et forte, lasciando le cose corporali indrieto come minime, in nessuna parte per l' impeto del corpo dal suo stato si muova. S aliamo nell ' alta cogitatione della mente, lasciando el basso loto del corpo . Al­ lora vederemo le divine cose piu dipresso, et le humane assai discosto; quelle parranno maggiori che non solieno, queste minori . Per la qual cosa noi diligenti in quelle, negligenti in queste, né piu stolti s areno né ancora miseri, ma sapienti per certo et già beati . SERMONE SEXT019• Aristotile le quistioni della natura delle cose introdusse, io al presente apresso di voi muovo le quistio­ ni della natura degli uomini . Deh, ditemi, per qual cagione si gloriano gli huomini d ' essere rationali et niente di meno ad caso vivono , desiderano et temono molte cose, imprima che bene sappino se quelle debbono temere o domandare o in con­ trario, ad le cose etherne et inmense le brevissime et minime antepongono ? et perché all ' uomo ubidire non vogliono , né fare quello che il sapiente loro comanda, et ad le bestie et a' vitii niente di manco volentieri servono? et perché agli altri c'ingegnamo di comandare, non comandando a noi medesimi? et perché, per la volontà del dominare , ogni giorno caggiamo in servitu et isforzianci di conseguitare le degnità piu presto che di quelle farci degni? et oltre a questo , veggendo noi le bestie dalle bestie non potersi rectamente, s anza custodia •• Si tratta della versione volgare di un'epistola indirizzata da Ficino a Cristoforo Lan­ dino, contenuta nel primo libro dell'epistolario ficiniano, cfr. Lettere I, pp. r 1 4 - r 5 [ 1 , 59] .

IV. DE MISERIA HOMINIS

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de l'huomo, regiere, in che modo arbitriamo noi gli uomini da l ' huomo, s anza il consiglio et adiuto di Dio, potere feli­ cemente governarsi?20 che fa noi in tanta superflua copia di cose ramaricosi et poveri? che fa che ad molti habbiamo in­ vidia, essendo la conditione de ' mortali degna di misericor­ dia? perché de ' beni si facilmente ci dimentichiamo et non mai de ' mali, et, con ciò sia che contrarii co ' contrarii si cac­ cino, per qual cagione e mali co ' mali tentiamo curare? per­ ché molte volte speriamo alla gloria per infamia pervenire? La virtu negli altri amiriamo, ma noi di parere maravigliosi piu presto che d ' essere ci sforziamo . Dispiaceci l' altrui vitio, et non pensiamo in che modo noi non dispiaciamo a noi et agli altri. Chiudiamo gli orecchi al vero , et alla bugia gli apriamo . Che dirò di quegli i quali, d ' amore o d ' alcuna persona o d ' al­ tra cosa presi, loro stessi hanno in odio, abandonano sé per aquistare un altro? o stolti, o miseri, non possendo per altro mezo che per voi stessi le cose aliene conseguitare, perché et in che modo, havendo perdute le proprie, dell' altrui vi fa­ rete possessori? perché da lunga cercate e beni, o peregrini, essendovi quegli dapresso, anzi dentro in voi? Maravigliarmi di questo molte volte soglio, con quale ragione sempre una morte sola temiamo, cioè quella che la fine è di morire, et le continove morti non già mai; sanza dubbio in qualunque momento di tempo la tempera del corpo si varia et la passa­ ta vita finisce1 • Finalmente, come mi pare, le virtu in dimo­ stratione, i vitii in facto exercitiamo, però, quanto per noi si possa, falsamente felici et veramente miseri divegniamo . Queste cose rise Democrito , queste pianse Eraclito22, curare le volse Socrate, curare le può Iddio . O quanto misero anima­ le è l'uomo, se già qualche volta non vola sopra ad l ' huomo, cioè racomandi sé stesso a- Ddio, Iddio ami per Idio e l ' altre cose a fine di Dio ! Questa è l ' unica solutione delle quistioni preposte et riposo de ' mali .

2° Cfr. Platone, Politicus, 2 7 r e (per l'epitome ficiniana a questo dialogo vedi supra, testo 26) . 21 Cfr. Seneca, Epistulae ad Lucilium, I I I , 24, 1 9-20. 22 Cfr. supra, nota r 6 .

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PARTE SECONDA . FIRENZE ATENE

SERMONE SEPTIM023 • C onsiderate, am1c1 m1e1, quanto perversamente viviamo . Quale è quello che facilmente com­ piaccia in cosa alcuna agli uomini infami al tucto et dissolu­ ti? Niente di meno speriamo essere compiaciuti in qualunque hora da Dio, mentre che dissolutamente viviamo . Ah, stolti et troppo ingiusti ! Quando ci sforziamo mutare Iddio et non mutare el modo de ' costumi . Studiamo persuadere agli altri el bene, nollo persuadendo a noi medesimi giamai . Portiamo el bene im bocca, el male nel pecto . Parlando spesso delle virtu facciamo come la lira, la quale sonando ad altri el proprio suo­ no nonn· ode . Siamo simili a tristi medici, e quali la sanità che promectono agli altri, a· ssé medesimi non danno . Prestatemi se vi piace, amici miei, gli orecchi alquanto , insegnerovvi san­ za prezo in questi tre versi tre arti: l' arte oratoria et musica et geometria. Persuadete el bene a voi medesimi, quanto diside­ rate persuaderlo agli altri; temperate e movimenti dell' animo; misurate le forze vostre et le faccende . Parravvi forse questo al presente troppo difficile, ma per certo non sarà molto diffi­ cile, se tanto disiderate d'essere quanto di parere, et con tanta avidità studiate ben vivere con quanta vi sforzate di vivere4 • SERMONE ocTAV025 • Ditemi se mai ridete l ' aroganza de­ gli huomini, la quale io spesso dileggio, ma piacci a Dio che cosi bene la schifi come riprehendo . Veggiamo che e fanciulli non veggono el consiglio de ' vecchi, e rustici non possono le 2 ' Si tratta del volgarizzamento di un' epistola indirizzata a Panezio Pandozzi, conte­ nuta nel primo libro dell'epistolario, cfr. Lettere I, p. 1 26 [I, 69] , con il titolo: .

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PARTE SECONDA . FIRENZE ATENE

humana né dipendere dalla forza del corso celeste, ma inte­ ramente divina et da una certa superceleste potentia. Quello che con necessaria pruova si conchiude, certamente con vera scientia si comprehende . Adunque colui el quale per tale ra­ gione crederrà alla predecta legge, arà la scientia madre del­ la fede et arà la fede dalla scientia confirmata . L ' uomo che queste cose non considera, sé medesimo non può considerare . Et chi, in qualunque modo, le considera ma non crede, nulla crede . Non so quello che gli altri elegghino , io, per me, piu presto eleggo di credere divinamente che humanamente sa­ pere . Perché la fede divina è molto piu certa che · lla scientia humana, quella fede per vera scientia sempre si conferma. Ma questa scientia degli huomini spesso , per la incredulità et dubbio , vagilla. Adunque, acciò che noi credere possiamo qualche vero, già diamo modo di credere a quella verità som­ ma la quale , perché non riceve ignorantia et falsità alcuna, vede tucti et nessuno inganna . Oltra questo, acciò che noi possiamo qualche bene sperare, facciamo pensiero di sperare nel sommo bene , el quale, perché né fa alcuna cosa di male né patisce alcuna parte della iniustitia, però non inganna chi spera in lui né abandona mai chi l ' ama. Spetialmente per­ ché colui allo sperare c ' inlumina et all ' amare c ' infiamma . Imperò che el movimento che fa la mente inverso el sommo bene non può altronde che da esso sommo bene dipende­ re, né per altro modo in lui riflectersi che da esso dipenda.

36. Consilio contro la pestilentia33• Proemio . La carità inverso la patria mia mi muove a scrivere qualche consiglio contro la pestilentia, et accioché ogni persona thoscana la intenda et possi con esso medica­ re, pretermetterò le disputationi sottili et lunghe et etiamdio " Il Consilio contro la pestilentia è opera composta da Ficino in occasione della terribile epidemia di peste che colpi Firenze tra il 1 478 e il 1 479; in proposito cfr. G. Tanturli, Co­ dici di Antonio Manetti e ricette del Ficino, in « Rinascimento >>, XXIX ( 1 980), pp. 3 1 3-26. L'editio princeps risale al 1481 (San I acopo di Ripoli, Firenze) ; questo è il testo su cui si ba­ sa l'edizione a cura di T. Katinis, Consilio, pp . 1 59-209. Da questo lavoro riportiamo qui, con alcuni accorgimenti, il proemio (p. 1 59), il primo capitolo (pp. 1 59-60) e il ventitreesi­ mo, quello finale (pp. 207-9) .

IV . DE MISERIA HOMINIS

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scriverrò in lingua thoscana . Basti sapere che qualunque co­ sa io aproverrò, benché per brevità non narri molto, niente di meno è approvata con molte ragioni et auctorità di tutti e doctori antichi e moderni, et sperientie di molti et spetial­ mente del nostro padre maestro Ficino medico singolare; il quale la maggiore parte degli morbati sanava. Preghiamo Id­ dio, donatore della vita et rivelatore delle medicine vere et salutifere, che · cci riveli sufficienti rimedii contro alla peste et conservi a noi el dono suo vitale, ad sua laude et gloria.

Che chosa è pestilentia . [I] La pestilentia è uno vapore velenoso concreato nell' aria, inimico dello spirito vitale34; inimico dico non per qualità elementale, ma per proprietà specifica; si come è amica la tiriaca, la quale non è proprio amica perché sia calda o fredda o secca o humida, ma perché in tucta la compositione sua risulta una forma proportionata alla forma dello spirito vitale . Cosi quello vapore pestilente non proprio per calidità, frigidità, siccità, humidità è inimico, ma perché la proportione sua è quasi apuncto contraria alla proportione nella quale consiste lo spirito vitale del cuore . E t come in terra nascono continuamente veleni, cosi nascie qualche volta questo velenoso vapore nell ' aria, ma non è si potente perché è piu sparto; non si può fermare nell' aria pu­ ra, perché tale aria è conforme allo spirito, et come il fuoco perché per sua potentia non piglia mixtione, cioè mescolanza d' altra natura, però non si putrefà, cosi l' aria pura, non ha­ vendo mixtione, non ha putrefactione . Item lo decto veleno­ so vapore non si apicca in corpo humano, se non v ' è homori apti alla febbre, che sono homori disposti a putrefarsi et ad infiamarsi; se lo spirito vitale è piu debole che lui, lo spiri­ to lo fugge come suo contrario; se è piu potente, lo rimuove dassé; però bisognia correggiere l ' aria, purgare gli humori et fortificare il chuore . Nota che, per intendere rectamente, 34 Significativo il fatto che Ficino apra il suo trattato evidenziando la connessione tra la peste e lo spirito, elemento essenziale dell'antropologia ficiniana, che tanta parte gioca anche nel grande testo medico·filosofico completato nel 1 489, i Tre libri della vita (cfr. in/ra, testo 57 [III, I ] ) . Si tratta di un aspetto analizzato da T. Katinis, in Consilio, pp. 96· 1 08; ma vedi anche il quarto capitolo dell'introduzione a questa antologia e la bibliografia li indicata.

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PARTE SECONDA . FIRENZE ATENE

quando dico quello vapore essere velenoso, tu non creda sia proprio veleno secondo la forma et tucta natura sua, perché tutti gli huomini infermerebbono, ma è di qualità da diven­ tare facilmente veleno, et diventa veleno proprio quando nel corpo humano per esso si putrefanno et ribollono gli homo­ ri in certo grado . Il che fa comunemente nel terzo giorno et qualche volta prima, maxime ove habbondono homori super­ flui, spetialmente sangue et collera; et quando inveleniscie, piglia natura di calcina o d ' arsenico, et gli effecti suoi sono putrefare et rodere et ardere didrento et di fuori; però bi­ sognia sempre resistere a questi tre effecti, maxime drento.

Fuggi presto et dilungi et torna tardi. [XXI I I] Io t'ò ser­ bata nel fine del libro la dicharatione delle regole principali in questa materia, cioè che tu fugga le conversationi, maxi­ me a digiuno, et quando conversi, stia discosto dal conpagnio due braccia almeno et alluogo aperto; et quando è di sospec­ to, stia etiam piu dilungi almeno sei braccia et allo scoperto et fa' che 'l vento non venga da·llui inverso te; intra te et lui sia sole, fuoco, odori o vento che soffi inverso lui . La mensa et el lecto et luoghi strecti et molti fiati insieme sono di gram pericholo . Ancora ti dichiaro che ove è procinto di mura o case continuate, multiplica la contagione . Sopra tucto fuggi dal luogo pestilentiale presto et dilungi et torna tardi . Pre­ sto dico : ipso facto che appariscono e segni di peste, che sono l' aria quando escie fuori del suo naturale di tale luogo, pen­ dendo inverso caldo et humido et nebbie et nugoli spessi et polverii et venti grossi tiepidi, come è avenuto in questi tem­ pi preteriti; ancora quando l' acque et campi fumigano spesso et rendono odore non buono; e pesci non hanno buono sapo­ re et odore et abondano animali nati di putrefactione, fun­ gacci et herbaccie puzole; e fructi della terra et animali sono insipidi et conservonsi poco ; e vini diventono torbidi; molti animali di terra et aria da esso luogo si dilungono; nascono infermità di febbri inusitate, continue, nascoste, furiose, fal­ laci, con afanno di pecto, cadimento di polso et farnetico et orine torbide, scorticamenti di palato et d ' intestine, rossori d' occhi, migniatti, vaiuoli et rosolie et sconciature di donne

IV . DE MISERIA HOMINIS

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assai, ire et risse rabbiose et guerre crudeli, miraculi di natu­ ra o di Dio molto nuovi . Nell ' anno innanzi al proximo pre­ terito, cioè nell' anno MCCCCLXXVII , nelle feste di N atale, le reliquie di san Piero apostolo, di nuovo trovate in Volterra, dimostrarono in uno mese dieci stupendi miracoli, manife­ sti a tucto el populo; onde io predissi a piu fiorentini : crede­ te a Marsilio Ficino, che s ' apparecchia extrema tribulatione di guerra et di peste35 • Dipoi, el sequente aprile, addf XXVI, nacque la crudeltà della ferocie ghuerra, piu che mai fussi, poi l' agosto nacque la peste, tale quale non fu già piu di cen­ to anni . Questi et simili sono segni di peste propinqua . Al­ lora fuggi in prima che sia el primo de ' dodici milia segnati, imperò che se aspecti tanto ne sia segniati molti, etiam se tu non sarai segniato in decto luogo, quando ti partirai, sarai forse segniato poco poi, per due modi : o perché già harai pre­ so qualche contagiane dagli amorbati, o perché harai preso la qualità di quella aria si a poco a poco che ti sarà facta qua­ si familiare per qualche tempo, in modo che la natura non insurgerà contra a essa, né essa contra la natura, ma andan­ do tu con essa all ' aria aliena, fuggendo, quando harai presa l ' altra aria, non ti sarà piu familiare la prima, però la natura insurgerà contra essa et essa contra la natura, onde nascie el morbo . Ancora ti dico che fugga dilungi cioè in luogo che né persona né cose di tale luogo pervenga a te, et sia luogo ave non si oda né suono né romore alcuno del luogo morbato, et che vi sia monti alti in mezo che inpedischino 'l vapore ve­ lenoso, o per vento che di là soffi o pure per dilatatione et amplificatione, non vi aggiungha . C onsidera che luogo ave fuggi non si convenga con pestilente, in modo che sia simile in caldo, freddo, secco, humido, nebbie, piove, venti . Pon­ ti in luogo che quando soffia vento caldo et humido, non ti vengha dal luogo morbato et che le nebbie di decto luogo non

" Lo stesso episodio dei miracoli avvenuti a Volterra al passaggio delle reliquie di san Pietro nel N atale del 1 47 7 , quale annuncio di imminenti sconvolgimenti, viene raccontato da Ficino in un passo della Teologia platonica (cfr. in/ra, testo 53), e in una nota lettera a papa Sisto IV, inserita nel sesto libro dell'epistolario (Epistolae, cc. I qv- r 1 5v). In entrambi questi casi, però, il computo dei miracoli è di dodici, e non di dieci . In generale, l 'intreccio tra profezia e flagelli risulterà centrale anche nei testi piu maturi dedicati al tema profeti­ co, cfr. in/ra, parte quinta, n .

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PARTE SECONDA . FIRENZE ATENE

si dilatino insino ad te et che· ile piove non si muovino di là. Sappi che l ' ascendente d ' una città o castello morbato spesso distende la peste in tucti e luoghi da principio sottoposti a quella et che hanno conformità con decto ascendente . Ter­ tio ti dico : torna tardi, perché per poca infectione che resti, basta a maculare subito quelli che per tempo se ne sono facti alieni. Però chi dopo 'l fuggire spesso visita el luogo pesti­ lente, incorre piu pericolo, che chi vi sta fermo con cautela, perché mal sopporta la natura el nuovo et subito accidente, et altra questo rimane la mala qualità per lungo tempo, come disopra dicemmo, nelle mura, legniami, panni et cetera . In­ quanto alla qualità dell ' aria, basta tre mesi, el quale spatio è una delle quarte dell' anno , in modo che ove nessuno per tre mesi è morbato, l' aria s ' intende purghata; purché sia cautis­ simo del tocchare l' altre cose che tengono piu el veleno che l ' aria, si come le mura della fornace tengono piu el caldo che le legnie; ma usando le purificationi altre volte decte, la per­ sona si purifica in quatordici giorni, l' abita tione, legniami et cetera in ventuno , e panni in ventocto . In questi tempi tieni et porta vasi separati da bere et mangiare et panni di lecto, almeno lenzuola, et se non puoi, lava almeno le decte cose o tu le profumma. La cavalcatura et pecunia et ogni bestia et masseritia ti può serbare el veleno, se non se' molto cauto . Conchiudendo, preghiamo Iddio, donatore della vita et rive­ latore delle medicine vere et salutifere, che ·cci rivelli suffi­ cienti rimedii contra la peste et conservici el dono suo vitale ad sua laude et gloria . Amen .

Parte terza Eros filosofico

L' età della rinascita del platonismo, iniziata nel 1 463 e culminata nel 1 484 - anno dell ' edizione ficiniana di tutti i dialoghi platonici dedicata a Lorenzo de' Medici - , è anche l' epoca in ç_ui la filosofia torna a riflettere sulla sua dimensione erotica ed estetica. E in particolare nel Commento al «Convivio» ( 1 469), testo tra i piu celebri e destinati ad avere maggiore influsso sulla cultura del suo tempo, che Ficino pone a tema questi aspetti . Eros torna qui a rivelare le sue origini celesti, la sua potenza metamorfi­ ca, la sua spaesante relazione con la morte, e la sua natura di furore (che lo rende affine al fuoco della caritas cristiana) capace di innalzare l' anima fino al divino, di ricrearla e di farla generativa. I passi che raccogliamo nella prima sezione illustrano i molti volti di questo demone . Un percor­ so completato dalle riflessioni di Ficino sull' amicizia, concetto che assu­ me un ruolo chiave all' interno delle sue indagini sull ' amore, e che viene approfondito in epistole di grande valore anche letterario . Nella seconda sezione si trovano invece i lineamenti fondamentali della filosofia ficiniana del bello . Un bello che è luce che risplende nei corpi, e che li circonda, come un' aura di grazia, capace di risvegliare nell' uomo un desiderio che conduce in sfere di bellezza via via piu alte. Un bello, dunque, che è invito a non arrestare mai la ricerca, a non fermarsi alla superficie, ma a scendere (o salire) lungo i molti strati della realtà. Un bello, infine, che proprio per questo è da contemplare e meditare, anche nella sua di­ mensione terrena. Come dimostrano certe lettere in cui Ficino si sofferma sul potere delle immagini belle di racchiudere scintille celesti, e di colpire e trasformare il nostro sguardo e il nostro pensiero . Contro ogni astrat­ to dualismo di corpo e anima, e contro ogni forma di contemptus mundi. Estetica ed erotica conducono sulla soglia dei misteri teologici e meta­ fisici. Nella terza e nella quarta sezione presentiamo scritti in cui Ficino si confronta con alcuni di questi arcani . In primo luogo quello dell ' im­ mortalità e della resurrezione . Della prospettiva cioè che la nostra anima, straniera su questa terra, abbia accesso a una dimensione ultraterrena, perpetua. E che un' anima capace di tornare a splendere nel cielo non pos­ sa essere lasciata sola, senza un corpo a sé conforme, e che quindi anche i corpi siano destinati a tornare, a rinascere, nella forma di corpi glorio­ si, di luce, e a entrare nell' anima, come scrive Ficino , per accompagnarla nel suo destino di eternità.

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PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

In secondo luogo il mistero dei nomi. Sono tra i testi piu difficili quelli in cui Ficino tenta di scendere nell ' abisso delle parole, e di tocca­ re la loro origine, l' essenza di cui sono immagini, e che , conosciuta, do­ na al sapiente una potenza meravigliosa. Una scienza altissima, quella dei nomi, trasmessa di mente in mente dai grandi profeti, venerata da sapienti e filosofi greci, e giunta a compimento nella figura di Gesu, ca­ pace, per perfetta e pura comprensione del piu elevato dei nomi sacri, il Tetragrammaton, di compiere straordinari miracoli .

I

Misteri d'amore

3 7 · El libro dell'amore. Della origine dell'Amore'. [l, 3] Orfeo nell ' Argonautica, imitando la teologia di Mercurio Trismegistd, quando cantò de ' principii delle cose alla presentia di Chirone e degli He­ roi, cioè huomini angelici, pose el chaos innanzi al mondo e dinanzi a S aturno, Giove e gli altri iddiP . Nel seno d ' esso chaos collocò l 'Amore, dicendo Amore essere « antiquissimo, per sé medesimo perfecto, di gran consiglio » . Hesiodo nella sua Theologia4, e Parmenide pictagoreo nel libro Della natu­ ra\ e Acusileo poeta6, con Horfeo e Mercurio s ' accordano . Platone nel Thimeo similmente descrive el chaos e in quel­ lo pone l ' Amore' , e questo medesimo nel Convivio racconta Phedrd . E platonici chiamano el caos el mondo sanza forme, e dicono el mondo essere caos di forme dipinto . Tre mondi pongono, tre ancora saranno e caossi. Prima che tutte le co­ se è Iddio auctore di tutte, el quale noi esso Bene chiamia1 LdA , pp . I 0 - 1 4 [I, 3]; p. I O I [V, r o] ; pp. I o2-4 [V, u]; pp. 1 26-30 [VI , 7]. Si tratta di una selezione di passi tratti dal Commento al «Convivio» ficiniano in cui la discussione verte principalmente sul tema delle origini e della nascita del dio Amore. 2 Mercurio Trismegisto, Pimander, I, 4-6. ' Orphei argonautica, 42 I -3 I , in Orphica, a cura di G . Hermann, Lipsiae I 8o5, p. 528. Cfr. anche ibid, 7 - I 6 , p. 5 1 5 · Le Argonautiche oifiche vennero tradotte per la prima volta in latino da Leodrisio Crivelli, allievo di Francesco Filelfo e protetto di Pio I I . Tale versio­ ne è databile agli ultimi anni del pontificato dello stesso Pio I I ; in proposito vedi F. Vian, Leodrisio Crivelli traducteur des Argonautiques Orphiques, in « Revue d' Histoire cles Textes >>, XVI ( I 988), pp. 63-8 2 . • Esiodo, Theogonia, r r 5 sgg. ' Platone, Convivium, I 78b; Aristotele, Metaphysica, 984b2 3 ; vedi anche Alberto Magno, Metaphysica, I, 3, I I (ed. Borgnet, pp. 53a-54a) . ' Platone, Convivium, r 78b. 7 Platone, Timaeus, 30a. 8 Platone, Convivium, I 78b-c.

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PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

mo . Iddio imprima crea la mente angelica, dipoi l ' anima del mondo come vuole Platone, ultimamente el corpo dello uni­ verso10. E sso sommo Iddio non si chiama mondo, perché el mondo significa ornamento di molte cose composto, e lui al tutto semplice intendere si debbe . Ma esso Iddio affermiamo essere di tutti e mondi principio e fine . La mente angelica è il primo mondo facto da Dio, el secondo è l' anima dell' uni­ verso, el terzo è tutto questo edificio el quale noi veggiamo . Certamente in questi tre mondi ancora tre caos si conside­ rano . In principio Iddio crea la substantia della mente ange­ lica, la quale noi ancora essentia nominiamo . Questa nel pri­ mo momento della sua creatione è sanza forme e tenebrosa, ma perché ella è nata da· Ddio per uno certo appetito innato a Dio suo principio si volge; voltandosi a· Ddio dal suo razzo è illustrata, e per lo splendore di quel razzo s ' accende l ' ap­ petito suo; acceso tutto a · Ddio s ' accosta; accostandosi piglia le forme, imperò che Iddio, che tutto può, nella mente che a· llui s ' accosta scolpisce le nature di tutte le cose che si cre­ ano . In quella adunque spiritualmente si dipingono tutte le cose che in questo mondo sono . Quivi le spere de' cieli e degli elementi, quivi le stelle, qui­ vi le nature de ' vapori, le forme delle pietre, de' metalli, delle piante e degli animali si generano . Queste spetie di tutte le cose, da divino aiuto in quella superna mente concepute, esse­ re le idee non dubitiamo; e quella forma e idea de ' cieli spes­ se volte iddio Cielo chiamiamo, e la forma del primo pianeta Saturno, e del secondo Giove, e similmente si procede ne ' pianeti che seguitano . Ancora quella idea di questo elemento del fuoco si chiama iddio Vulcano , quella dell' aria Giunone, dell ' acqua Nettunno, e della terra Plutone . Per la qual cosa tutti gl' iddii assegnati a certe parti del mondo inferiore sono le idee di queste parti in quella mente superna adunate . Ma innanzi che la mente angelica da Dio perfettamente ricevessi le idee a · llui s ' accostò; e prima che a·llui s ' accostassi era già d ' accostarsi acceso l' appetito suo; e prima che il suo appeti­ to s ' accendessi aveva il divino razzo ricevuto; e prima che di 9 Platone, 1° Cfr. In

Timaeus, 36d-e. Philebum, p . 305.

I. MISTERI D ' AMORE

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tale splendore fussi capace, l ' appetito suo naturale a Dio suo principio già s ' era rivolto; e innanzi che a lui si rivolgessi era la sua essentia sanza forme e tenebrosa, la quale essentia, per ancora di forme privata, vogliamo che caos certamente sia. E ' l suo primo voltamento a· Ddio è el nascimento d ' Amore, la infusione del razzo è cibo d 'Amore, lo incendio che ne se­ guita crescimento d ' Amore si chiama, l ' accostarsi a· Ddio è l' impeto d 'Amore; la sua forma tione è perfectione d ' Amore, e lo adunamento di tutte le forme e idee e Latini chiamano « mondo », e' Greci cosmon , che ornamento significa11 • La gra­ tia di questo mondo e di questo ornamento è la bellezza, alla quale subitamente che quello Amore fu nato tirò e condus­ sevi la mente angelica, la quale essendo brutta per suo mez­ zo bella divenne . Però tale è la conditione d 'Amore, ch' egli rapisce le cose alla bellezza e le brutte alle belle congiugne . Chi dubiterà adunque che l ' Amore non seguiti subitamen­ te el chaos, e prima sia che il mondo e che tutti gl' iddei che sono alle parti del mondo distribuiti, considerato che quello appetito della mente sia innanzi alla sua formatione, e nella mente formata naschino gl' iddei e il mondo? Meritamente adunque fu costui da Orfeo « antiquissimo » chiamato . Oltre a questo « per sé medesimo perfecto » , quasi voglia dire che a sé medesimo dia perfectione . Imperò che pare che quel primo instinto della mente per sua natura la sua perfectione attinga da Dio, e quella dia al­ la mente che di quivi piglia sue forme, e similmente faccia agl ' iddii che di quivi si generano . Ancora lo chiamò « di gran consiglio » , e ragionevolmente, con ciò sia che la s apientia onde propriamente deriva ogni consiglio alla angelica mente è attribuita, perché quella per amore inverso Iddio voltatasi per lo ineffabile suo razzo risplendette . Non altrimenti si dirizza la mente inverso Iddio che inver­ so el lume del sole l ' occhio si faccia. L ' occhio prima guarda, dipoi non altro che · lume del sole è quello che vede, terzo nel lume del sole e colori e le figure delle cose comprende. Il per­ ché l ' occhio, primamente obscuro e informe, ad similitudine 11

Cfr. Platone, Gorgias, 507e-5o8a.

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PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

di caos ama el lume mentre che ei guarda, e guardando piglia e razzi del sole, e quegli ricevendo de' colori e delle figure delle cose si forma. E si come quella mente subito ch ' ell' è sanza l e forme nata, s i volge a Dio , e quivi si forma, simil­ mente l ' anima del mondo inverso la mente e Iddio, di quivi generata, si rivolta; e benché imprima ella sia caos e nuda di forme, nondimeno inverso l' angelica mente per amore diriz­ zatasi, pigliando le forme mondo diventa. Né altrimenti la materia di questo mondo per lo innato amore difacto inverso l' anima si dirizzò, e a lei tractabile si dispose. E benché ella nel suo principio sanza ornamento di forme fussi caos non formato, nondimeno per mezzo di tale amore ricevette dalla anima l' ornamento di tutte le forme che in questo mondo si veggono , il perché di caos mondo è divenuta. Tre adunqu ' e mondi, tre e caos si considerano . Finalmente in tutti l ' amo­ re accompagna el chaos e va innanzi al mondo; desta le cose che dormono, le tenebrose illumina, dà vita alle cose morte, forma le non formate, e dà perfectione alle imperfecte . Del­ le quali laude quasi nessuna maggiore si può dire o pensare .

Che l'Amore è piu antico e piu giovane che gl'altri idii. [V, 10] Ma innanzi che io facci fine, o optimi viri, salverò tre questioni che nascono nella disputatione d ' Agatone . Prima si dimanda per che cagione Phedro disse l 'Amore piu antico che S aturno e Giove, e Agatone disse piu giovane . Secondariamente, quel­ lo che appresso Platone significa el regno della necessità e lo imperio dell ' Amore . Terzio, quali iddii quali arti, regnante l 'Amore, hanno trovate . El Padre del tutto Iddio, per amo­ re di propagare el seme suo , e per benignità di provedere, ha generato le menti sue ministre , le quali muovono el pianeta di S aturno e Giove e degli altri; queste menti, subito che da Dio sono nate , riconoscendo el Padre loro l ' amano . Quello amore da che sono le menti generate diciamo essere piu an­ tico di loro, e quello amore, col quale le menti create ama­ no el loro creatore, diciamo essere piu giovane che le menti . Oltr ' a questo, la mente angelica non riceve dal Padre le idee del pianeta di S aturno e degli altri, se prima non si rivol­ ta inverso la faccia di Dio per naturale amore . Dipoi la me-

I. MISTERI D ' AMORE

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desima mente, avendo ricevute le idee, con piu ardore ama el dono di Dio . Cosi adunque la dilectione dell' angelo inverso Iddio, in uno modo è piu antica che le idee, che si chiamano iddii, e in uno altro modo è piu giovane . Si che l 'Amore è principio e fine, e è el primo degli iddii e l ' ultimo . [V, r r ] Ma acciò che salviamo la seconda questione, e ' si dice che l ' Amore re­ gna innanzi alla necessità, perché lo Amore divino a tutte le cose nate da lui ha dato origine . Nel quale nessuna violentia di necessità si pone, perché non avendo sopr ' ad sé cosa alcuna egli adopera in qualunque cosa, non constretto, ma per libera volontà. E la mente angelica che seguita lui, per la semenza di Dio necessariamente germina . E cosi, colui per amor produ­ ce, costei per necessità procede; quivi incomincia el dominio dell' Amore, e qui el dominio della necessità. Questa mente, benché nascendo dalla somma bontà di Dio sia buona, nien­ tedimeno , perché procede fuori di Dio, necessariamente de­ genera dalla infinita perfectione del Padre, perché l ' effecto non riceve mai tutta la bontà di sua cagione12• In questa ne­ cess aria processione e degeneratione dello effecto consiste lo imperio della necessità. Ma la mente , subito come è nata, come dicemmo , ama el suo Auctore, e in questo acto resurge el regno d ' Amore, perché questa inverso Iddio per amor si leva, e Iddio quella, inverso lui rivoltata per amore, illumina . Ancora di nuovo qui sottentra la potentia della necessità, con ciò sia che quel lume che da Dio discende non si riceva dalla mente in tanta chiarezza con quanta da Dio è data; perché la mente, per sua natura, è quasi tenebrosa, e non riceve se non secondo la sua capacità naturale . E però , per la violentia del­ la natura ricevente, quel lume piu obscuro diventa. A questa necessità succede di nuovo el principato dell' Amore, perché quella mente, accesa per questo primo splendore di Dio , piu ardentemente in lui si volta, e invitata da questa scintilla di lume desidera tutta la possessione del lume . Di qui Dio, per la

Che l'amore regna innanzi alla necessità .

1 2 Concetto platonico su cui Ficino insiste molto, e che viene ricondotto, già in una pagina del suo Di Dio et Anima (cfr. supra, p. 78), a Dionigi Areopagita, a Proclo e al Liberde causis.

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PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

benignità di sua providentia, oltre a quel primo lume natura­ le, dona ancora el lume divino . E cosf le potentie dell' Amore e della necessità subcedono scambievolmente l ' una all' altra . La qual successione nelle cose divine s 'intende secondo ordi­ ne di natura, nelle cose naturali secondo intervallo di tempo, in modo che l 'Amore sia el primo di tutti e l'ultimo . E come abbiamo detto dell' angelo, cosf dobbiamo intendere dell' a­ nimo e dell ' altre opere di Dio, quanto a questi dua imperii. Per la qual cosa se noi parliamo absolutamente, egli è piu antico lo imperio dell'Amore che della necessità, perché quel­ lo comincia in Dio, e questo nelle cose create . Ma quando parliamo delle cose create, la potentia della necessità è pri­ ma che il regno d 'Amore; con ciò sia che le cose prima per necessità procedono , e procedendo degenerano, ch ' elle si volghino con amore inverso Iddio . Orpheo cantò questi dua imperii in due hymni : lo imperio della necessità nello Ymno della nocte, cosi dicendo : La forte necessità a tutte le cose signoreggial};

el regno dell' Amore cantò cosf nello Ymno di Venere: Tu comandi a' tre fati e tutte le cose generi'4•

Divinamente Orpheo pose due regni, e fece comparatio­ ne fra loro, e alla necessità antepose l' Amore quando disse questo comandare a' tre fati, ne ' quali la necessità consiste.

Del nascimento d 'Amore. [VI , 7] Ma già è tempo di ri­ tornare alla nostra Diotima, con ciò sia dunque che costei dicessi, per le cagione che noi abbiamo decte, Amore essere nel numero de ' dimoni, la sua origine in questo modo dimo­ strò a Socrate : Essendo a convito nel natale di Venere, Poro , figliuolo di Consi­ glio , ebbro , ché aveva beuta nectare, si congiunse con Penia nell ' orto di Giove , della quale coniunctione nacque Amore15• " Inni or/ici, a cura d i G . Ricciardelli, Milano 2ooo, p p . r 6 · q [III, I I ] . Ibid. , pp. 1 44·45 [LV, 5] . " Platone, Convivium, 203b. Per l 'esegesi ficiniana di tale passo, oggetto di questo capitolo, occorre tenere presente l'influente interpretazione offerta da Platino, Enneades, I I I , 5, 9· Il fatto che Ficino, in preparazione della stesura del suo De amore, avesse studiato "

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« Nel natale d i Venere » , ciò è quando l a mente dell' angelo e l' anima del mondo, le quali noi per la ragione decta chiamia­ mo Venere, nascevano dalla somma maestà di Dio, « gl 'iddii erano a convito » , cioè Cielo, S aturno e Giove si pascevano già de' proprii loro beni. Però che quando la intelligentia nell' angelo e la virtu del generare nell' anima del mondo, le quali propriamente noi chiamiamo due Veneri, venivano ad luce, già era quel som­ mo iddio el quale e' chiamano Cielo, era ancora l ' essentia e la vita nell' angelo, le quali noi chiamiamo S aturno e Giove, e similmente era nell' anima del mondo la cognitione delle cose superne e l' agitatione de ' corpi celesti, e quali ancora chiamiamo S aturno e Giove . « Poro » e « Penia » significa­ no abbondanza e povertà. Poro « figliuolo di Consiglio » è la scintilla del sommo Iddio; certamente Iddio si chiama Con­ siglio, e fonte di consiglio, perché è verità e bontà di tutte le cose, per lo splendore del quale ogni consiglio diventa vero, ad conseguitare la bontà del quale si dirizza ogni consiglid6• « L ' orto di Giove » s ' intende la fecundità dell' angelica vita, nella quale quando descende « Poro » , cioè el razzo di Dio, congiunto con « Penia » , cioè congiunto con la povertà che prima era nello angelo, crea l'Amore . L' angelo imprima per esso iddio è e vive; in quanto ad queste due cose, essentia e con particolare attenzione il quinto capitolo della terza Enneade è dimostrato dagli appunti e note di suo pugno contenuti nel ms 92 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, cc. I J 4r­ I I 5r, dedicati proprio a tale sezione dell'opera plotiniana (sebbene non nello specifico al mito della nascita di Eros) . 16 L'idea di un'identificazione tra Dio e la figura platonica del ' Consiglio' poteva cer­ to essere stata favorita dalla lettura di una pagina del commento al Timeo di Proclo, dove si trova un'interpretazione dei « consigli della Notte >> orfici come fonte piu alta della sa­ pienza. In ogni caso, questa prospettiva apriva la via a paralleli fra la tradizione filosofica greca e il mondo dei misteri ebraici e cristiani. Sarà Pico della Mirandola, in un passo del suo Commento alla «Canzone de amore» di Beni vieni, a esplicitarli, con un esempio estre­ mo, per ripetere le parole di E. Wind, di « syncretic boldness », Porus Consilii Filius (Notes an the Orphic 'Counsels of Night') , in L 'opera e il pensiero di Giovanni Pico della Mirandola nella storia dell'Umanesimo, convegno internazionale, Mirandola, I j - I 8 settembre I 963, 2 voli. , Firenze I 965, vol . I l , pp. I 97-205. Riportiamo qui il testo di Pico : « Resta a di­ chiarare perché Poro è chiamato figliuolo del Consiglio . Essendo Poro l ' affluenzia di esse idee proveniente dal vero Iddio, è chiamato figliuolo del Consiglio da Platone, imitatore delle sacre lettere degli Ebrei, nelle quali esso Dio è chiamato dal medesimo nome [cfr. Is, 9, 5; Sap, 8, 1 4] , onde dice Dionisio Areopagita Gesu Cristo essere chiamato Angelo del Consiglio e ora nunzio d' Iddio [cfr. Pseudo-Dionigi, De coelesti hierarchia, IV, 4] , non in­ tendendo per il Consiglio altro che il primo Iddio », Commento alla «Canzone de amore» cit . , p. 5 I 3 [Il, 2 1 ] .

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PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

vita, si chiama S aturno e Giove; ha ancora la potentia del­ lo intendere, la quale, secondo el nostro giudicio, si chiama Venere . Questa tale potentia, se da Dio non è illuminata, è per sua natura informe e obscura, si come è la virtu dell' oc­ chio innanzi che a · llui venga el lume del sole . Questa obscu­ rità crediamo che sia Penia, quasi povertà e mancamento di lume . Ma quella virtu dello intendere, per uno suo certo in­ stincto naturale voltatasi verso el Padre suo, da· llui piglia el razzo divino, che è Poro e abbondantia, nel quale non altri­ menti che in uno certo seme s ' inchiuggono le cagioni di tutte le cose; per le fiamme di questo razzo s ' accende quel naturale instincto . Questo incendio e questo ardore, che nasce della obscurità di prima e della scintilla che vi sopraggiugne , è l'A­ more nato di povertà e di ricchezza. « Nell ' orto di Giove », ciò è generato sotto l ' ombra della vita, con ciò sia che subi­ to dopo el vigore della vita gli nasce ardentissimo desiderio d ' intendere . Ma perché inducono eglino Poro essere « ebbro di nectare » ? Perché trabocca per la rugiada della vivacità di­ vina. Ma perché è l 'Amore in parte ricco e in parte povero? Perché noi non usiamo desiderare quelle cose le quali intera­ mente sono in nostra possessione, né quelle ancora delle quali noi al tutto manchiamo . E veduto che ciascuno cerca quella cosa che gli manca, colui che interamente essa cosa possiede a che proposito cercherebbe piu oltre ? E dato che nessuno desideri quelle cose delle quali egli non ha alcuna cognitione, è necessario che noi abbiamo in qualche modo notitia di quel­ la cosa che noi amiamo . Né anche è abastanza avere qualche notitia, però che molte cose che ci sono note sogliamo avere in odio, ma bisogna ancora che noi stimiamo quella doverci essere cosa utile e gioconda. Né anche pare che questo c ' in­ duca a una grande benivolentia, se noi prima non giudichia­ mo facilmente potere conseguitare quello che noi pensavamo essere giocondo . Qualunque adunque ama qualche cosa, quel­ la interamente certo non possiede, nientedimeno la conosce con la cogitatione dell ' animo e quella giudica gioconda, e ha speranza di potere conseguitarla. Questa cognitione, giudicio, speranza è quasi una presente anticipatione del bene assente, imperò che non desidererebbe se essa cosa non gli piacessi, né gli piacerebbe se di lei non avesse qualche s aggio .

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Considerato adunque che gli amanti abbino i n parte quel ch ' e ' desiderano e in parte no, non sanza proposito si dice l' amore essere mixto d ' una certa povertà e ricchezza . Per questa cagione quella superna Venere, accesa per essa prima gustatione del razzo divino, e per amore transportata alla intera plenitudine di tutto el lume, per questo isforzo acco­ standosi ella piu efficacemente al Padre suo, subito risplende sommamente pe 'l pienissimo splendore di quello . E quelle ragioni di tutte le cose, le quali prima erano in quel razzo che noi chiamiamo Poro confuse e implicate, già in quella poten­ tia di Venere accostandosi, piu chiare e piu distincte riluco­ nd7 . E quella proportione quasi che ha l' agnolo a· Ddio, ha ancora l' anima del mondo all' angelo e a· Ddio, perché que­ sta, riflectandosi alle cose superiori, similmente da quelle ri­ cevendo el razzo s ' accende, e accendendosi genera l ' amore mixto d ' abbondanza e carestia . Di qui, adornata della forma di tutte le cose, allo exemplo di quelle muove e cieli, e con la sua potentia di generare genera simili forme a quelle nella materia degli elementi . E qui di nuovo veggiamo ancora due Veneri : l ' una è la forza di questa anima di conoscere le cose superiori, l' altra è la forza sua di procreare le cose inferiori . La prima non è propria dell ' anima ma è una imitatione della contempla tione angelica, la seconda è proprio dell' anima, e però qualunque volta noi pognamo una V enere nell ' anima in­ tendiamo la sua forza naturale, la quale è sua propria Venere, e quando ve ne pognamo due intendiamo che l ' una sia comu­ ne etiandio all' angelo, e l' altra sia proprio dell' anima. Siena adunque due Venere nell' anima, la prima celeste, la seconda vulgare , amendua abbino l' amore : la celeste abbi l' amore a cogitare la divina bellezza, la vulgare abbi l' amore a generare la bellezza medesima nella materia del mondo , perché qua­ le ornamento quella vede tale questa vuole, secondo el suo potere, dare alla macchine18 del mondo . Anzi l ' una e l ' altra 17 Nella redazione latina si trova qui il gioco tra i concetti di > ed > (>) , che P. R. Blum (Marsilio Ficino, Ober die Liebe oder Platons Gastmahl, Hamburg 2 0 1 4 , p. 1 99) ha messo in relazione a Cusano, De docta ignorantia, I , 2 2 ; I I , 3 e 9· " > sarebbe qui un singolare uscente in -e, >, cfr. LdA , p. 1 29, nota 4 ·

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è trasportata a generare la bellezza, ma ciascuna nel modo suo : la celeste Venere si sforza di ripignere in sé medesima, con la intelligentia sua, la expressa similitudine delle cose su­ periori; la volgare si sforza nella mondana materia parturire la bellezza delle cose divine, che è in lei conceputa per l ' ab­ bondanza de ' semi divini . El primo amore chiamiamo alcuna volta iddio, perché egli si dirizza alle substanze divine, ma el piu delle volte lo chiamiamo demonio, perché gli è in mezzo tra la povertà e l ' abbondanza . El secondo amore chiamiamo sempre demonio perché e' pare ch ' egli abbia un certo affecto inverso el corpo, col quale egli è inclinevole inverso la pro­ vincia inferiore del mondo, e questo affecto è alieno da Dio e conveniente alla natura de ' demoni .

38. E/ libro dell'amore. Che conforta allo amore e disputa dell'amor semplice e dello scambievole19• [II, 8] Ma voi o amici conforto e priego che con tutte le forze abbracciate lo amore, che è s anza dubbio cosa divina. E non vi sbigottisca quello che d ' un certo aman­ te disse Platone, el quale veggendo uno amante disse « quello amatore è uno animo nel proprio corpo morto, nel corpo d ' al­ tri vivo »20• Né ancora vi sbigottisca quello che della amara e miserabile sorte degli amanti canta Orpheo21 • Queste cose co­ me s ' abbino ad intendere, e come si possa rimediare, io ve 'l dirò, ma priegovi che diligentemente m ' ascoltiate . Platone chiama l ' amore amaro2Z, e non s anza cagione , perché qualunque ama amando muore; e Orpheo chiamò

19 In questo capitolo del Commento al «Convivio» (LdA , pp. 39-43) a emergere è l'a­ spetto propriamente ' estatico' e rigenerativo della potenza d' amore; tema che viene appro­ fondito anche nei tre testi dell' antologia successivi a questo . 20 Definizione dell' amore volgare che si trova anche nella giovanile lettera del Ficino De divino furore (cfr. supra, pp. 20-2 1 ) , e nella Vita P�tonis presente nel quarto libro dell'e­ pistolario (Episto�e, c . 9or) . Come notato da Gentile, In margine ci t . , pp . 50-5 1 , essa non si trova in alcuno dei dialoghi platonici, mentre compare nella Vita P�tonis di Guarino Gua­ rini, risalente al 1 4 30 , per cui vedi Plutarco, Vitae illustrium virorum, a cura di Giovanni Antonio C ampano, Roma 1 470. 2 1 Orphei argonautica (ed . Hermann) cit . , 866-69 e 876-85, pp. 54 1 -4 2 . 22 C fr. Platone, Philebus, 47d-e.

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l' amore uno pomo dolce amaro23 : essendo lo amore volonta­ ria morte, in quanto è morte è cosa amara, in quanto volon­ taria è dolce. Muore amando qualunque ama, perché el suo pensiero, dimenticando sé, nella persona amata si rivolge . Se egli non pensa di sé, certamente non pens a in sé, e però tale ammo non adopera in sé medesimo , con ciò sia che la principale opera tione dell' animo sia el pensare . C olui che non adopera in sé, non è in sé, perché queste due cose, cioè l'essere e l ' operare, insieme si ragguagliano : non è l ' essere sanza l ' operare, l ' operare non excede l ' essere; non adopera alcuno dove e' non è e dovunque egli è adopera . Adunque non è in sé l ' animo dello amante da poi che in sé non opera. S ' egli non è in sé, ancora non vive in sé medesimo ; chi non vive è morto e però è morto in sé qualunque ama, o vi v ' e­ gli almeno in altri . S anza dubio due sono le spetie d ' amo­ re, l ' uno è semplice, l ' altro è reciproco . L ' amore semplice è dove l ' amato non ama l ' amante; quivi in tutto l ' amatore è morto, perché non vive in sé, come mostrammo , e non vive nello amato essendo da lui sprezzato . Adunque dove vive? Viv ' egli in aria, o in acqua, o in fuoco, o in terra o in corpo di bruto? No, perché l ' animo humano non vive in altro cor­ po che humano . Vive forse in qualche altro corpo di perso­ na non amata? Né qui ancora, imperò che se non vive dove vehementemente vivere desidera, molto meno viverà altro­ ve . Adunque in nessuno luogo vive chi ama altrui e non è da altrui amato, e però interamente è morto el non amato amante, e mai non risuscita, se già la indegnatione no 'l fa risuscitare . Ma dove l ' amato nello amore risponde , l ' amatore al­ men che sia nello amato vive . Qui cosa maravigliosa advie­ ne quando due insieme s ' amano : costui in colui e colui in costui viv e . Costoro fanno a c ambio insieme e ciascuno

2 3 Orphica, a cura di E . Abel, Lipsiae-Pragae 1 885, fr. 3 1 6, p. 2 7 2 . L 'immagine di un amore > dovette particolarmente interessare Ficino, che nel ms 92 della Bi­ blioteca Riccardiana di Firenze (in cui è raccolta una silloge di testi dedicati ali' amore ap­ prontata da Marsilio, con ogni probabilità, in funzione proprio della stesura del Commento al «Convivio» , vedi Gentile e Gilly (a cura di) , Marsi/io Ficino e il ritorno di Ermete cit . , p. 69, n . 45), alla c . 1 08v, appunta un passaggio dall' Ero e Leandro di Museo, in cui compare il verso in cui il pungolo d' amore è definito appunto glykypikron.

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dà sé ad altri per altri ricevere . E in che modo e' di e no sé medesimi si vede , perché sé dimenticano ; ma come ricevi­ no altri non è si chiaro , perché chi non ha sé, molto meno può altri possedere . Anzi l ' uno e l' altro ha sé medesimo, e ha altrui, perché questo ha sé ma in colui, colui possiede sé ma in costui . Cer­ tamente mentre che io amo te amante me, io in te cogitan­ te di me ritruovo me, e me da me medesimo sprezzato in te conservante racquisto ; quel medesimo in me tu fai . Questo ancora mi pare maraviglioso: imperò che io, da poi che me medesimo perdetti, se per te mi racquisto, per te ho me . Se per te io ho me, io ho te prima e piu che me , e sono piu ad te che a me propinquo, con ciò sia che io non m ' accosto a me per altro mezzo che per te . In questo la virtu di Cupidine dalla forza di Marte è differente : perché lo imperio a l ' amore cosi sono differenti . Lo ' mperadore per sé altri possiede, l ' amatore per altri ripiglia sé, e l ' uno e l ' altro degli amanti di lungi si fa da sé e propinquo ad altri, e in sé morto in altri risuscita . Una solamente è la morte nell ' amore reciproco, le resurretioni sono due; perché chi ama muore una volta in sé quando si lascia, risuscita subito nello amato quando l ' amato lo rice­ ve con ardente pensiero, risuscita ancora quando lui nello amato finalmente si riconosce e non dubita sé essere ama­ to. O felice morte alla quale seguitano due vite ! O maravi­ glioso contraete nel quale l' uomo dà sé per altri, e ha altri, e sé non lascia! O inestimabile guadagno quando due in tal modo uno divengono , che ciascheduno de ' dua per uno solo diventa due , e come raddoppiato , colui che una vita aveva, intercedente una morte, ha già due vite; imperò che colui che essendo una volta morto due volte resurge , sanza dubbio per una vita due vite e per sé uno due sé acquista. Manife­ stamente nell ' amore reciproco giustissima vendetta si vede . L'omicidiale si de' punire di morte; e chi negherà colui che è amato essere micidiale , con ciò sia cosa che l ' anima dallo amante seperi? E chi negherà lui similmente morire, quando lui ama similmente l ' amante? Questa è restitutione molto debita, quando costui a colui, e colui a costui rende l' anima che già tolse . L ' uno e l' altro amando dà la sua, e riamando

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per la sua restituisce l ' anima d ' altri; per la qual cosa per ra­ gione debba riamare qualunque è amato, e chi non ama l ' a­ mante è in colpa d ' omicidio, anzi è ladro, omicidiale e sa­ crilego . La pecunia dal corpo è posseduta, e ' l corpo dall ' a­ nimo; adunque chi rapisce l ' animo dal quale e il corpo e la pecunia si possiede, costui rapisce insieme l ' animo, el corpo e la pecunia, il perché come ladro , omicidiale e s acrilego si debba a tre morti condannare, e come infame e impio può sanza pena da ciascuno essere ucciso ; se già lui medesimo spontaneamente non adempie la legge, e questo è ch' egli ami l' amante suo ; e cosi faccenda egli con quello che una vol­ ta è morto similmente una volta muore, e con colui che due volte risuscita lui due volte ancora risuscita. Per le ragioni predecte abbiamo dimostro l ' amato dovere riamare l' aman­ te suo . Di nuovo non solamente dovere, ma essere costrecto cosi si mostra. L ' amore nasce da similitudine; la similitudi­ ne è una certa qualità medesima in piu subiecti, si che se io sono simile ad te, tu per necessità se' simile a me; e però la medesima similitudine che constrigne me ch ' io t ' ami, con­ strigne te a me amare . Oltr ' a questo l ' amatore sé toglie a sé e all ' amato si dà, e cosi diventa cosa dell' amato ; l ' amato adunque ha cura di costui come di cosa sua, perché a ciascu­ no sono le sue cose care . Aggiugnesi che l' amante scolpisce la figura dello amato nel suo animo . Doventa adunque l ' animo dell' amante uno certo spec­ chio nel quale riluce la imagine dell ' amato, il perché l' amato quando riconosce sé nello amante, è constrecto ad lui amare4•

" Si trova qui, nella prima edizione a stampa di questo volgarizzamento (risalente al 1 544, vedi supra, p. 1 86, nota 24) il seguente passo, presente anche nell 'originale latino: , IV ( 2 0 J 7 ) , pp. 3 3 -5 1 . 0

II . DEL BELLO , O DELLA GRAZIA

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le altre cose sono fatte belle . Occorre infatti riferire gli enti particolari all' universale che è nei particolari, e l 'universa­ le che è nei particolari all' universale che si trova al di sopra dei singoli enti. Giacché i singoli uomini belli sono resi belli da una forma comune a ogni individuo; ma la forma comune ai molti uomini belli è impressa dall ' aspetto (species) divino, come un carattere (character) impresso da un sigillo, poiché l' intera moltitudine è ricondotta all' uno che è nel moltepli­ ce, e l' uno che è nel molteplice all' uno che è al di sopra del molteplice . Per questo, dal momento che le cose belle sono molte, occorre che ogni singolo ente sia bello in virtu di una bellezza comune a tutti, che è insita in tutti, e che la bellez­ za, che è in tutti gli enti, come è in altro, e non in sé stessa, cosi dipenda da altro e non da sé stessa. Platone definisce « bello » (pulchrum) ognuno dei singoli enti belli; definisce « bellezza » (pulchritudo) la forma che è in tutti gli enti, « bello in sé » (pulchrum ipsum) l ' aspetto (spe­ cies) e l ' idea (idea) sopra tutti gli enti . Il primo è percepito dai sensi e dall' opinione, il secondo lo pensa la ragione, il terzo lo intuisce la mente . Ippia, interrogato, offre tre definizioni basate sul senso e sull ' opinione . Socrate, dopo aver confu­ tato le definizioni di Ippia, ne offre a sua volta tre, due ba­ sate sulla ragione, una sulla mente . Il sofista infatti procede per mezzo del senso e dell' opinione, il filosofo piuttosto per mezzo della ragione e della mente . Per prima cosa, Ippia risponde che il bello in sé è una bel­ la fanciulla. Che ciò sia falso lo mostra il fatto che non tutte le cose belle sono tali per una fanciulla. Del resto la fanciulla risulta bella se comparata ai bruti, appare invece brutta se pa­ ragonata agli dèi . Per questo non sembra essere piu bella che brutta. In secondo luogo Ippia risponde, in modo analogo, che il bello è una certa altra cosa tratta da singoli enti belli; sarebbe infatti l'oro, per mezzo di cui tutte le cose sono rese belle, il bello in sé. Socrate rigetta tale argomento mostrando come l ' oro renda si bello tutto ciò a cui conviene, ma renda brutte le altre cose; dunque l ' oro non rende belle le cose in assoluto, ma quando conviene a esse. Di conseguenza esso non orna le cose per sua virtu, ma per altro; del resto, non è solo con l ' oro che si ornano le cose, ma anche con argento e

PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

avorio, e con altri materiali . In terzo luogo porta un altro ar­ gomento, anch' esso piu specifico che generale . Il bello, dice, è godere di salute fisica, essere ricchi, onorati, morire vec­ chi, essere seppelliti dai figli, seppellire i genitori . Questo è chiaramente falso , poiché, escluso l ' uomo, le altre cose non da ciò sono rese belle; inoltre, queste cose, per gli uomini, sono forse belle, ma sono turpi per gli dèi e per i loro figli, giacché ai loro genitori non è dato morire . C onfutati questi argomenti relativi ai singoli enti corpo­ rei che Ippia ha addotto sulla base del senso e dell' opinio­ ne, Socrate, tendendo ormai a cose piu alte, introduce non quel che il senso offre all' opinione, ma quel che la ragione porge a essa. lnnanzitutto chiama il bello « decoro » (decor) , cosa che è molto piu incorporea di qualsiasi altro bello mate­ riale e piu comune . Ma confuta cosf una tale definizione . O il decoro garantisce al bello soltanto l ' apparire, o garantisce tanto l ' apparire che l ' essere . Nel primo caso, il decoro è un inganno riguardo al bello e non è certo il bello in sé. La vera bellezza, infatti, rende belle le cose, come la vera grandezza le rende grandi, anche se esse non appaiono tali . Se dici vero il secondo caso, diresti il falso . Perché se il bello in sé, ogni volta che dona l ' essere, concedesse anche l' apparire, allora tutte le cose che sono belle, in quanto sono tali, cosf anche apparirebbero a tutti . Che ciò sia falso ce lo mostrano le contese e le controversie riguardo le cose belle . E spone in secondo luogo l ' altro argomento offerto all ' o­ pinione dalla ragione, per cui bello è l ' utile . L ' utilità è qual­ cosa di incorporeo e comune a molti. Non fa meraviglia che il pensiero s ' inganni attorno al decoro e all ' utile . Il decoro , infatti, è l ' ordine di una parte rispetto a un' altra e delle parti rispetto al tutto, mentre l ' u tile è l ' ordine di un certo tutto rispetto a un altro tutto . L ' ordine sembra dunque rappre­ sentare il bello . Per questo uno può facilmente scambiare il decoro e l ' utile per il bello . Risulta dunque che il deco­ ro non è il bello; si mostra poi cosf che nemmeno l ' u tile lo sia . L ' utile è ciò che ha la potenza di fare qualcos a . Potenza dunque è altro nome dell 'utilità . Ogni volta che operiamo , operiamo per mezzo di una potenza; capita però spesso che facciamo cose malvagie . La potenza e l ' utilità, per questo,

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sono spesso caus a di male . Ma il bello non è mai causa di male . Per questo non è vero che qualunque forma di utilità, in assoluto, corrisponda al bello . Qualcuno però obietterà che vi corrisponde almeno quella che favorisce il bene . Ed ecco come rispondere a una simile obiezione . Per il fatto che vantaggioso è ciò che tende al bene, ciò che è vantag­ gioso produce il bene, ma ciò che genera qualcosa è altro da ciò che è generato - per questo altro è il vantaggioso, altro il bene . Il bello è identico al vantaggioso; dunque il bello e il bene sono differenti . Il bello non s arebbe cosi bene, né il bene s arebbe bello , il che è assurdo . Infine, confutati gli errori dei sensi, dell' opinione e della riflessione, la mente detta alla ragione che il bello è una certa grazia, la quale muove e attrae l ' anima attraverso la mente, la vista e l ' udito. Cosa che certo si ricava in parte dalla chiusa di questo dialogo, in parte dal Fedro2 e dal Convivio3• Sacra­ te indaga la ragione per cui vi sia questa grazia, e con quale nome si deve chiamarla; non espone tuttavia al vanaglorioso sofista ciò che ha rivelato a Fedro e ad Agatone, che erano si ignoranti, ma che riconoscevano la loro ignoranza ed erano pronti a imparare . Di certo la bellezza è grazia, non rispetto al senso, poiché non converrebbe alla mente, ma spettereb­ be a tutti gli altri sensi, come all' udito e alla vista. Non lo è neppure rispetto alla mente, poiché essa sfuggirebbe allora agli occhi e alle orecchie . E ancora non rispetto al piacere, che non si trova solamente nell' udito e nella vista, ma in tut­ ti i sensi . Non rispetto all'udito solamente, perché in tal caso non sarebbe conforme alla mente e alla vista. Non rispetto alla vista, giacché farebbe cosi difetto alla mente e all ' udito . Non rispetto all' udito e alla vista insieme, poiché allora bel­ lezza si troverebbe nell' unione di vista e di udito . La bellezza non è in alcuna di queste potenze prese separatamente l ' una dall ' altra. Noi riteniamo invece che tale grazia sia colta da tutte e tre quelle potenze dell' anima, e che sia presente nei loro tre rispettivi oggetti . Socrate aggiunge quindi che i pia­ ceri della mente, della vista e dell' udito sono belli soprattut' Platone, Phaedrus, 2 5oc-e. ' Platone, Convivium, z r oa sgg.

PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

to per il fatto che sono i piaceri piu innocenti e i migliori. Se tu intendessi « migliori » nel senso di « vantaggiosi » , allora ri­ cadresti nella precedente equivocità: il vantaggioso genera il bene, dunque è causa del bene; causa ed effetto sono diversi, dunque altro è il vantaggioso, altro il bene; di conseguenza, altro sarà il bello e altro il bene, e il bello non s arà bene, né il bene s arà bello . Se invece li ritieni « migliori » nel senso di integri, semplici, spirituali, risplendenti e vitali, come oserei dire, allora sei nel vero . Il bello infatti è null' altro se non lo splendore del sommo bene, che rifulge in ciò che è percepito dagli occhi, dalle orecchie, dalla mente, e che converte attra­ verso di essi la vista, l 'udito e la mente allo stesso bene . Ne consegue dunque che la bellezza è un circolo di luce divina, che emana dal bene, dimora nel bene, ed è perpetuamente rivolto al bene per mezzo del bene . Socrate ha rivelato que­ sto mistero , che affermava di aver appreso dalla sibilla Dio­ t} ma, non ai sofisti, ma ai discepoli . Che cos ' è il bene in sé? E l' uno, principio di tutte le cose , atto puro, attQ che vivifi­ ca tutto ciò che segue . Che cos ' è il bello in sé? E l' atto che dona vita, che scaturisce dalla prima fonte dei beni . Esso in primo luogo decora con l ' ordine infinito delle idee la mente divina; ricolma poi i numi e le menti che seguono con la se­ rie delle ragioni; in terzo luogo orna le anime con numerosi discorsi; in quarto luogo orna le nature con semi; infine orna la materia con forme . Di certo il sole genera i corpi visibili e gli occhi con i qua­ li vedere; infonde negli occhi, affinché vedano , uno spirito lucente; dipinge i corpi con colori, affinché siano visti; tut­ tavia, per vedere non bastano il raggio specifico degli occhi e gli specifici colori dei corpi; occorre che la luce, l ' unità su­ periore ai molti, da cui molte e specifiche luci sono distribui­ te negli occhi e nei corpi, sopraggiunga, li illumini, li risvegli e doni loro forza. Allo stesso modo l' atto primo, ossia Dio, generando le cose, ha elargito a ciascuna l ' aspetto (species) e l' atto - tale atto è però debole e non ha potenza di operare, perché ricevuto da un soggetto passivo ; ma l' unica luce per­ petua e invisibile del sole divino assiste, dona vita, nutre, ri­ sveglia, ricolma e dona forza a tutti gli enti . In proposito Or­ feo, in modo divino, ha scritto che « conforta tutte le cose e

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spande sé sopra tutte »4 • E in quanto è atto di tutte le cose e le fortifica si chiama « bene » ; in quanto le vivifica, le mitiga, le addolcisce e le risveglia si dice « bello »; in quanto attrae quelle tre potenze dell' anima verso gli oggetti conoscibili si chiama « bellezz a » ; in quanto nella potenza conoscitiva con­ giunge quella alla cosa conosciuta si chiama « verit à » ; infine, in quanto è bene, crea, regge e ricolma le cose; in quanto è bello le illumina e infonde grazia5 • Ma tutte le cose devono essere predisposte ad accogliere la grazia del fulgore divino : i corpi con la proporzione, che consiste nell ' ordine , nella misura e nel bell ' aspetto (species) ; le voci con l' armonia, che si ottiene dai numeri e dagli inter­ valli; i doveri con rettitudine di costumi che miri a un fine buono; le discipline con disposizione all ' oggetto vero; l' ani­ ma con purezza, attraverso un rifiuto delle realtà piu basse e una conversione verso quelle celesti, e la mente per mezzo di uno sguardo rivolto al bene in sé. Il raggio della bellezza divina penetra gradualmente attraverso tutte queste cose; in­ torno al corpo essa rifulge abbondante, in modo uniforme, soggetta allo spazio e al movimento; intorno alle voci rifulge nell ' armonia, fuori dello spazio, ma dispersa nel movimento; intorno ai doveri, alle discipline e all ' anima rifulge nel mo­ vimento, ma sussiste nel principio vitale; intorno alla mente rifulge al di sopra del movimento, splendendo nell 'eterna se­ rie delle idee ; rifulge infine intorno al bene in sé, puro atto, introducendo vita e grazia in ogni cosa. Ti prego di leggere queste cose con attenzione, Piero de' Medici, tu , uomo su tutti illustre . Potrai cosi riconoscere la meravigliosa bellezza della tua mente, e ti accorgerai quanto intimamente tu sia prossimo a quel bello di cui qui si discute .

' Cfr. Epistolae, c. 1 8ov. 5 Di certo il sole . . . infonde grazia] cfr. LdA,

pp.

1 46-47 [II, 2].

PARTE TERZA. EROS FILOSOFICO

46. E/ libro dell'amore 6•

Come Cupidine si dipigne, e per quali parti dell'anima si co­ nosce la bellezza e generasi l'amore. [V, 2] Dopo questo, Aga­

tane lungamente narra quante cose si richieggono alla bella apparenza dello idio Cupidine, e dice cosi: Cupidine è giovane , tenero, dextro , concordante e splendido' .

A noi s ' appartiene dire quello che conferiscono queste parti alla bellezza, e poi dichiarare in che modo allo idio Cu­ pidine s ' appartenghino . Gli huomini hanno ragione e senso . La ragione per sé medesima comprende le ragioni incorporali di tutte le cose. El senso pe ' cinque sentimenti del suo corpo sente le imagini e qualità de' corpi, e colori per gli occhi, per gli orecchi le voci, gli odori pe 'l naso, per la lingua e sapori, pe' nervi le qualità semplici degli elementi, come è caldo, fred­ do e simili . Si che, quanto apartiene al nostro proposito, sei potentie dell' anima alla cognitione s ' attribuiscono : ragione, viso, audito, odorato, gusto e tacto . La ragione s ' assomiglia a Dio, el viso al fuoco, l' audito all' aria, l 'odorato a' vapori, el gusto all ' acqua, el tacto alla terra. Perché la ragione va cer­ cando cose celesti, e non ha propria sedia in alcuno membro del corpo, si come la divinità non si rinchiude in alcuna parte del mondo . El viso, cioè la virtu del vedere, è collocato nella supprema parte del corpo, come el fuoco nella somma parte del mondo, e per la natura sua piglia el lume, che è proprio del fuoco . L' audito non altrimenti seguita el viso che l' aria pura seguiti el fuoco, e attigne le voci che si generano nell' aria rotta e per mezzo dell' aria entrano negli orecchi. L 'odorato è asse­ gnato all ' aria caliginosa e a' vapori mescolati d ' aria e d ' acqua, perché egli è posto tra gli orecchi e la lingua come tra l' aria e l' acqua, e comprende facilmente e ama assai que ' vapori che nascono per la mixtione dell ' aria e dell ' acqua, quali sono gli odori dell ' erbe, fiori e pomi suavissimi al naso. Chi dubite­ rà assimigliare el gusto all' acqua, el quale succede all' odorato come a una aria grossa, e nuota sempre nel liquore della sci' Il testo è tratto da LdA , pp. n·8o. 7 Platone, Convivium, r 96a.

II . DEL BELLO , O DELLA GRAZIA

liva, e dilectasi molto nel bere e ne' sapori umidi? Chi dubi­ terà ancora assegnare el tacto alla terra, con ciò sia che per tutte le parti del corpo, che è terreno, sia el tacto, e ne' ner­ vi, che sono molto terreni, s ' adempia el toccare, e facilmente apprenda le cose che hanno solidità e pondo, che dalla terra procede? Di qui adviene ch' el tacto, gusto e odorato sento­ no solamente le cose che sono loro proxime, e sentendo mol­ to patiscono, benché l' odorato apprenda cose piu remote che gusto e tacto . Ma l' audito apprende ancora cose piu remote, e non è tanto offeso; el viso ancora piu di lungi adopera, e fa in momento quello che l' audito in tempo, perché prima si ve­ de el baleno che s ' oda el tuono . La ragione piglia le cose re­ motissime, perché non solamente le cose che sono nel mondo e presenti com 'el senso, ma etiandio quelle che sono sopr' al cielo, e quelle che furono e saranno apprende . Per queste co­ se può essere manifesto che di quelle sei forze dell' anima tre n' apartengono al corpo e alla materia, come è tacto, gusto e odorato; e tre s ' appartengono allo spirito, e questo è ragio­ ne, viso e audito . E però quelle tre che declinano piu al cor­ po, convengono piu col corpo che con l' animo, e quelle cose che sono da·lloro comprese, con ciò sia che muovino el corpo conveniente a·lloro, a mala pena pervengono infino all' anima, e come cose poco simili a·llei, poco le piacciono . Ma l' altre tre, che sono remotissime dalla materia, convengono molto piu con l' anima, e pigliano quelle cose che poco muovono el corpo e l' animo muovono molto . Certamente gli odori, sapo­ ri, caldo e simili qualità fanno al corpo giovamento o nocu­ mento grande; ma all' admiratione e giudicio dell' animo poco fanno, e mezzanamente da quello sono desiderate . Ma la ra­ gione della incorporale verità, colori, figure, voci, muovono poco e apena el corpo, ma assottigliano l' animo a ricercare, e il desiderio suo ad sé rapiscono . El cibo dell' animo è la veri­ tà; ad trovar questa giovano gli occhi, e ad impararla gli orec­ chi; e però quelle cose che s ' appartengono alla ragione, viso e audito, l' animo desidera a fine di sé medesimo, come proprio nutrimento; e quelle cose che muovono gli altri sensi sono piu tosto necessarie a conforto, nutritione e generatione del corpo . Adunque l' animo cerca queste, non per cagione di sé, ma d ' altri, cioè del corpo . E noi diciamo gli huomini amare

PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

quelle cose le quali ad fine di loro desiderano; quelle che per fine d ' altri, non diciamo propriamente amare . Meritamente adunque vogliamo che l' amore !ìolamente alle scientie, figu­ re e voci s ' appartenga. E però quella gratia solamente che si truova in questi tre obiecti, cioè nella virtu dell' animo, figu­ re e voci, perché molto provoca l ' animo si chiama callos, cioè provocatione, da uno verbo che dice caleo, che vuoi dire pro­ voco, e callos in greco significa in latino bellezza8 • Grato è a noi el vero e optimo costume dell' animo, grata ci è la spetio­ sa figura del corpo, grata la consonanza delle voci; e perché queste tre cose l' animo, come a·llui accomodate e quasi incor­ porali, di piu prezzo assai stima che l ' altre tre, però è conve­ niente che lui queste piu avidamente ricerchi, con piu ardore abbracci, con piu vehemenza si maravigli . E questa gratia di virtu, o figura, o voce che chiama l' animo ad sé rapisce per mezzo della ragione, viso e audito, rectamente si chiama bellez­ za. Queste sono quelle tre gratie delle quali cosi parlò Orfeo : Splendore , viridità e letitia abbondante' .

Orfeo chiama splendore quella gratia e bellezza dell' ani­ mo, la quale nella chiarezza delle scientie a costumi splende; e chiama viridità, cioe verdezza, la suavità della figura e del colore, perché questa maxime nella verde gioventu fiorisce; e chiama letitia quel sincero , utile, e continuo dilecto che ci porge la musica. 47 .

Lettera a Sigismondo della Stufa10•

Consolatoria per la morte di qualcuno . Marsilio Ficino consola Sigismondo della Stufa . Se ciascuno di noi è soprattutto ciò che in noi si trova di sommo, che permane sempre identico, e con cui comprendia­ mo noi stessi, di certo l ' uomo non è che la sua anima, mentre ' Gioco di parole che Ficino aveva trovato in Proclo, Theologia platonica, I , 24 e in Ermia di Alessandria, In Platonis «Phaedrum» scholia cit . , p. 1 3 . ' Inni oifici cit. , pp. 1 58-59 [LX, 3]. 10 Per il testo latino abbiamo fatto riferimento a Lettere I, p. 38 [ 1 , J 4] . Per un' anali­ si (e traduzione inglese) di questo testo, vedi Toussaint, «My Friend Ficino» cit . , p. 1 6 2 .

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II . DEL BELLO , O DELLA GRAZIA

il corpo è ombra dell ' uomo . Chiunque deliri fino al punto di pensare che l ' ombra dell' uomo sia l ' uomo, questi, misero, è destinato a sciogliersi in lacrime, come Narciso . S metterai di piangere, Sigismondo, quando smetterai di cercare la tua Al­ biera - Albizia - nella nera sua ombra, e prenderai a seguirla nella sua bianca luce . La ritroverai allora tanto piu bella di com' era, quanto piu lei sarà lontana dalla sua ombra sfigura­ ta. Ritirati, ti prego, nella tua anima . Qui possiederai la sua bellissima anima, a te carissima. Anzi, ritirati dalla tua ani­ ma in Dio; li contemplerai la bellissima idea con cui il divi­ no artefice creò la tua Albiera. E di quanto è piu bella nella forma del suo creatore che in sé stessa, tanto piu beatamente potrai qui abbracciarla. S aluti. Firenze,

r0

agosto 1 473

48 . Lettera a Lorenzo di Pier/rancesco de ' Medici 11 • La fortuna prospera nel fato, la vera felicità nella virtu . Marsilio Ficino saluta Lorenzo de' Medici il Giovane . Il mio immenso amore per te, egregio Lorenzo, m ' impone già da tempo di offrirti immensi doni . Il contemplatore ce­ leste nulla giudica piu immenso, fra gli enti visibili, del cie­ lo . Dunque, se il cielo stesso ti potrò oggi porgere, Lorenzo , quale sarà il suo prezzo ? Ma non vorrei ora discutere di ciò , perché l ' amore, nato dalle grazie, tutte le cose offre e riceve gratuitamente, e non vi può essere qualcosa, sotto il cielo, che bilanci il valore del cielo stesso . Dicono gli astrologi che è nato piu fortunato di tutti colui al quale il fato ha disposto armonicamente i segni celesti, in 11 Per il testo latino abbiamo fatto riferimento a Epistolae, cc. r r ov- r I I r (Opera om­ nia, pp. 805-6) . Si tratta di una celebre lettera, analizzata e tradotta da E . Gombrich, che la data al 1 477-78, e che la pone in relazione alla Primavera di Botticelli nel suo noto artico­ lo Botticelli's Mythologies: A Study in the Neoplatonic Symbolism o/ His Circle, in , VIII ( 1 945), pp. 7-6o; per una riflessione piu recente, vedi U. Troger, Marsi/io Ficino Selbstdarstellung: Untersuchungen zu seinem Episto­ larium, Berlin-Boston 2 o r 6 , pp. 2 1 8-26; Toussaint, «My Friend Ficino» cit . , pp. r 6 2 -6 3 .

2 54

PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

modo che la Luna in primo luogo non si trovi in aspetto ne­ gativo con M arte e S aturno, e che sia in aspetto favorevole con il Sole, con Giove, con Mercurio e con Venere . Quanto gli astrologi considerano fortunato colui al quale il fato ha disposto con favore i corpi celesti, tanto i teologi considera­ no felice colui che in modo simile abbia temperato sé stesso . Ma tu dirai che questa è cosa troppo grande . Grande, certo, ma tu incamminati fiducioso, nobile Lorenzo; colui che ti ha fatto è piu grande del cielo, e tu stesso ti farai piu grande del cielo, non appena inizierai a far ciò . Non dobbiamo cerca­ re queste cose fuori di noi, perché tutto il cielo è in noi - e nostri sono l ' ardore del fuoco e un' origine celeste. In primo luogo, cosa mai indica in noi la Luna, se non il movimento continuo di anima e di corpo? Marte indica invece la rapidi­ tà, S aturno la lentezza; il Sole Dio, Giove la legge, Mercurio la ragione, Venere l 'umanità . Preparati, allora, nobile adolescente, e assieme a m e pre­ disponi il tuo cielo nel seguente modo . La tua Luna, ossia il movimento continuo dell ' anima e del corpo, eviti l' eccessiva rapidità di Marte come la lentezza di S aturno - esamini cioè le singole cose in modo tempestivo e al momento opportu­ no, e non si affretti piu di come si conviene , né procrastini troppo a lungo . Inoltre questa tua Luna osservi di continuo il Sole , vale a dire Dio stesso, dal quale riceve sempre raggi vi­ vificanti, affinché tu possa venerare ovunque, e su ogni altra cosa, colui dal quale ricevi ciò per cui tu stesso sei da venera­ re . Osservi attentamente anche Giove, ossia le leggi divine e umane, che mai è lecito trasgredire, poiché allontanarsi dal­ le leggi su cui si fondano tutte le cose è null' altro che morte . Che la Luna diriga poi lo sguardo verso Mercurio, ossia ver­ so il consiglio, la ragione e la conoscenza . E non intraprenda nulla senza consiglio dei saggi, né dica o faccia alcunché di cui non possa dare un' attendibile ragione . Giudichi un uomo privo di conoscenze e di educazione letteraria come cieco e muto . Infine fissi l ' occhio su Venere, cioè sull ' umanità . Da essa è esortata a ricordare che nulla di grande possediamo sulla terra, se non possediamo gli uomini stessi [i. e. noi stes­ si] , per il cui beneficio tutte le cose terrene sono state create . Gli uomini non si lasciano afferrare da altra esca che non sia

II . DEL BELLO , O DELLA GRAZIA

255

Humanitas. B ada di non disprezzare Humanitas, ritenendola nata dalla terra (humus) . Humanitas è infatti una ninfa dal

bellissimo corpo, di origine celeste, amata sopra tutti dall ' e­ tereo Dio, poiché la sua anima e il suo spirito sono « amore » e « carit à » ; i suoi occhi sono « maestà » e « magnanimità » ; le sue mani « liberalità » e « magnificenza » ; i suoi piedi « genti­ lezza » e « misura » ; infine la sua figura intera è « temperanza » e « onestà » , « decoro » e « splendore » . O forma eccellente, o bello spettacolo ! Mio Lorenzo, una ninfa tanto nobile è stata posta tutta in tuo potere . Se ti unirai a lei in matrimonio, e la dirai tua, renderà dolci tutti i tuoi anni, e ti darà bellissima prole . Infine, per riassumere, se riuscirai a temperare cosf in te stesso, con saggezza, tanto i segni che i doni celesti, fuggirai lontano da tutte le minacce dei fati, e senza dubbio vivrai vita felice, sotto divini auspici .

49 ·

Febo e Lucilia 12•

Apologo. I turbamenti di Lucilia, cioè dell'anima, quando si allontana da Febo, cioè da Dio . Dei molti precetti che Febo, luce della vita e inventore della medicina che dona vita, diede un tempo a Lucilia, sua figlia, il principale fu quello di non allontanarsi mai dal suo fianco, perché fuori, ad attenderla, vi erano molte e gravissime malattie . Dapprima Lucilia, co­ me costretta dalla durezza dell'incombente inverno, obbediva ai comandi paterni . C ol passare del tempo, però, confidando nella prosperità di una piacevole primavera, prese ad allon­ tanarsi dalle dimore paterne, e a vagabondare qua e là, con piu libertà, nei bei giardini della vezzosa Venere, e per i prati 12

Si tratta di uno degli apologi ficiniani di carattere mitologico che già Gombrich

(Botticelli 's Mythologies cit. ) aveva detto « trascurati>> dalla letteratura moderna. Indirizza­ to a Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, la sua data di composizione è stata fissata dallo stesso Gombrich al 1 48 r (ibid. , p. 39). Per un' analisi di questo testo vedi } . B. Wadsworth, Marsi/io Ficino 's Fable o/ Phoebus and Lucilia and Botticelli 's «Primavera» , in « Aquila >>, III ( r 976) pp. r 90-2oo; T. W. Reeser, Redressing Ficino, Redeeming Desire: Symphorien Champier's «La ne/ des dames vertueuses» , in L. C . Seifert e R. M. Wilkin (a cura di), Men and Women Making Friends in Early Modem France, London - New York 20 1 5 , pp. 8 r -98. Per il testo latino abbiamo fatto riferimento a Epistolae, c. 1 34r [apol. VI] (Opera omnia, pp. 848-49) .

PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

dipinti. Lf, rapita da quelle dolci amenità, e dalla bellezza e dal soave odore dei fiori, tesseva per sé non solo ghirlande e corone, ma anche vesti fatte tutte d ' edera, di mirto, di gigli, di rose, di viole e di altre piante. Cominciò a gustare i dolci e teneri frutti che coglieva; prese poi presto a ingurgitarli a piene mani13• Fattasi ormai superba per la nuova acconciatu­ ra, dimentica del padre, e divenuta fanciulla vanissima e fie­ ra, si spinse a entrare nelle vicine città. Ma ecco che serpenti nascosti tra l ' erba iniziarono a mordere i piedi della fanciulla danzante; ecco che api, che ronzavano attorno ai suoi fiori e alle sue ghirlande, le pungevano collo, guance e mani, mentre il ventre, gonfio per l' eccessivo e nocivo cibo, la tormenta­ va con dolori lancinanti . L ' ingrata Lucilia, che sedotta dagli allettamenti del piacere aveva trascurato il padre medico, fu cosf costretta, per il fortissimo dolore, a ritornare a casa, e a riconoscere il padre , e a implorarne cosf l' aiuto : Ahimè, Febo , padre mio, soccorri Lucilia, ti prego affrettati, cle­ mentissimo padre, aiuta la tua figliola, che ora muore senza il tuo aiuto .

Ma Febo rispose : Per cosa, vana Flora, invochi me, tuo padre ? Smettila, sfrontata, smettila, io non sono tuo padre , vanissima Flora , vattene da qui, vai dalla tua Venere, profana Flora, vattene subito, lontano14•

Lucilia, supplichevole, insistette e implorò Febo con molte preghiere, che lui quella fanciulla alla quale solo aveva dato la vita, lui solo la salvasse dalla morte; promise anche che mai piu in futuro avrebbe trascurato gli ordini e i consigli pater­ ni . Allora il padre, indulgente, la rimproverò e ammonf cosf: Non m ' impegnerò a curarti prima che tu abbia deposto questi ar­ tifici e ornamenti venerei . Impara ora, temeraria, impara , mentre er­ ri lontana dalle dimore del padre, quanto lungo e intenso dolore co­ sti tanto breve e leggero piacere; impara quanto fiele arrechi un poco di miele , ogni volta che tu disprezzi le prescrizioni del vero medico .

" Plauto, Curculio, I, 2, 1 28 . 14 Significativa q u i la trasformazione di > in >, aspetto sottolineato da V. Rees, Seeing and the Unseen: Marsi/io Ficino and the Visua! Arts, in B. Hub e S. Kodera (a cura di), Iconology, Neoplatonism, and the Arts in the Renaissance, New York - Abingdon 202 I , pp. 62-76.

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50.

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El libro dell'amore15•

[V, 4] La Divina potentia supereminente allo universo, agl' angeli e agli animi da·llui creati clementemente infonde, sf come a suoi fi­ gliuoli, quel suo razzo, nel quale è virtu feconda ad qualunque cosa creare . Questo razzo divino in questi, come piu propinqui a Dio, dipigne l' ordine di tutto el mondo molto piu expres­ samente che nella materia mondana; per la qual cosa questa pictura del mondo, la quale noi veggiamo tutta, negl ' angeli e negli animi è piu expressa che innanzi agli occhi . In quegli è la figura di qualunque spera, del sole, luna e stelle, degli elementi, pietre, arbori e animali . Queste picture si chiama­ no negli angeli assemplari e idee, negli animi ragioni e noti­ tie, nella materia del mondo imagini e forme . Queste picture sono chiare nel mondo, piu chiare nell ' animo, e chiarissime sono nell' angelo . Adunque uno medesimo volto di Dio rilu­ ce in tre specchi posti per ordine : nell' angelo, nell' animo, e nel corpo mondano ; nel primo, come piu propinquo, in modo chiarissimo; nel secondo, come piu remoto, men chiaro; nel terzo, come remotissimo , in modo molto obscuro . Dipoi la sancta mente dell' angelo, perché non è da ministerio di cor­ po impedita, in sé medesima si riflecte, dove vede quel vol­ to di Dio nel suo seno scolpito, e veggendolo si maraviglia, e maravigliandosi con grande avidità a quello sempre s ' uni­ sce . E noi chiamiamo la bellezza quella gratia del volto divi­ no, e lo amore chiamiamo l' avidità dello angelo, per la quale s ' invischia in tutto al volto divino . Iddio volessi, amici miei, che questo ancora advenisse a noi ! Ma l' animo nostro , crea­ to con questa conditione, che si circundi da corpo terreno, al ministerio corporale declina, dalla quale inclinatione gra­ vato, mette in oblio el thesoro che nel suo pecto è nascose . Dipoi che nel corpo terreno è involto, lungo tempo all ' uso

Che la bellezza è lo splendore del volto di Dio .

" LdA , pp. 85-87 [V, 4]; pp. 1 66-68 [VI, 1 7] . In questi due passi Ficino esalta la bel­ lezza quale raggio che proviene direttamente dal volto divino, vera !ux perpetua con cui Dio forma l'universo intero e le sue diverse creature. Emerge qui la concezione secondo la quale le idee, cosi come le ragioni dell' anima e le 'forme' del mondo, non siano che il frut­ to di una straordinaria specie di 'divina' pittura di luce.

PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

del corpo serve, e ad questa opera sempre accomoda el senso, e accomodavi ancora la ragione piu spesso ch' e non debbe . Di qui ad viene che l ' animo non risguarda la luce del volto divino, che in lui sempre splende, prima che el corpo sia già adulto e la ragione sia desta, con la quale consideri el volto di Dio che manifestamente agli occhi nella machina del mondo riluce. Per la qual consideratione s ' innalza a riguardare quel volto di Dio che dentro all' animo risplende, e perché el volto del padre è a' figliuoli grato, è necessario ch' el volto del Pa­ dre Iddio agli animi sia gratissimo . Lo splendore e la gratia di questo volto, o nell' angelo, o nell ' animo, o nella materia mondana che si sia, si debbe chiamare universale bellezza, e l ' appetito che si rivolge inverso quella è universale amore . E noi non dubitiamo questa bellezza essere incorporale, perché nell ' angelo e nello animo questa non essere corpo è manifesto, e ne' corpi ancora questa essere incorporale mo­ stràmo di sopra. E al presente di qui lo possiamo intendere, che l ' occhio non vede altro che lume di sole, perché le figure e' colori de ' corpi non si veggono mai se non da·llume illustra­ ti, e essi non vengono con la loro materia all ' occhio ; e pure necessario pare questi dovere essere negli occhi, acciò che da­ gli occhi siena veduti . Uno adunque lume di sole, dipinto di colori e figure di tutti e corpi in che percuote, si rappresenta agli occhi; gli occhi per lo aiuto d ' uno lor certo razzo natu­ rale pigliano el lume del sole cosi dipinto, e, poi che l 'han­ no preso, veggono esso lume e tutte le dipinture che in esso sono . Il perché tutto questo ordine del mondo che si vede, si piglia dagli occhi non in quel modo che gli è nella materia de ' corpi, ma in quel modo che gli è nella luce la quale è negli occhi infusa. E perché egli è in quella luce separato già dalla materia, necessariamente è s anza corpo . E questo di qui ma­ nifestamente si vede perché esso lume non può essere corpo, con ciò sia che in uno momento da oriente a occidente qua­ si tutto el mondo riempie, e penetri da ogni parte el corpo dell' aria e dell ' acqua sanza offensione alcuna, e spandendo­ si sopra cose putride non si macchia . Queste candidoni alla natura del corpo non si convengono, perché el corpo non in momento , ma in tempo si muove, e uno corpo non penetra l ' altro sanza dissipatione o dell'uno o dell' altro, o d ' amen-

II . DEL BELLO , O DELLA GRAZIA

2 59

duni . E due corpi insieme misti, con scambievole contagiane si turbano, e questo veggiamo nella confusione dell' acqua e del vino , del fuoco e della terra. Con ciò sia adunque che el lume del sole sia incorporale, ciò che egli riceve riceve secondo el modo suo. E però e colori e le figure de' corpi in modo spiritale riceve . E nel modo me­ desimo lui ricevuto dagli occhi si vede; onde nasce che tutto l' ornamento di questo mondo, che è el terzo volto di Dio, per la luce del sole incorporale afferisce sé incorporale agli occhi .

Quale comparatione è tra la bellezza di Dio, angelo, anima e corpo . [VI , 1 7] La medesima comparatione che è tra co­ storo è ancora tra le forme loro . La forma del corpo consiste nella compositione di molte parti, è strecta dal luogo, casca per tempo; la spetie dell' anima patisce variatione di tempo e contiene moltitudine di parti, ma non è da termini di luogo strecta; la spetie dell ' angelo ha solo el numero sanza le due altre passioni; ma la spetie di Dio nessuna delle decte cose patisce . Tu vedi la forma del corpo : dimmi, desideri tu oltr ' ad que­ sto la spetie dell ' animo vedere? Lieva, col pensiero tuo, alla forma corporale quel peso della materia che sotto vi giace, lieva e termini del luogo, lasciavi el resto : tu hai già la spetie dell ' animo trovata . Vuo ' tu ancora trovare la spetie dell ' an­ gelo? Lieva oltr' ad questo da quella forma non solamente gli spatii locali, ma etiandio el temporale progresso, ritieni la compositione multiplice : subito l ' arai trovata. Vuo ' tu la bel­ lezza di Dio vedere? Lieva oltre ad questo quella multiplice compositione di forme, lasciavi la forma in tutto semplice : subito la spetie di Dio ti fia presente . Ma tu mi dirai : « Or che mi resta egli al presente levate via le tre cose decte? » , e io ad te risponderò te essere ignorante, se la bellezza altro che luce essere credessi. La bellezza di tutti e corpi è questo lume del sole che tu vedi macchiato delle tre decte cose, cioè di moltitudine di forme, perché lo vedi di molti colori e figu­ re dipinto, di spatio locale, di temporale mutatione . Lieva via la sedia che questo lume ha nella materia, in modo che fuori del luogo ritenga l ' altre due parti: tale è apunto la bellezza

z6o

PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

della anima . Lieva ancora di qui la mutatione del tempo, la­ sciavi el resto, e resteratti uno lume chiarissimo sanza luogo e movimento , ma sarà scolpito delle ragioni di tutte le cose : questo è lo angelo, questa è la bellezza dell ' angelo . Leva via finalmente quel numero di diverse idee, lascia una semplice e pura luce ad similitudine di quella luce che si sta nella ruo­ ta del sole, e non si sparge fuori : qui comprendi quasi la bel­ lezza di Dio, la quale l ' altre bellezze almeno tanto supera, quanto quella luce del sole che si sta in sé medesima pura, una, inviolata, supera lo splendore del sole el quale per l ' a­ ria nebulosa è disperso, diviso, maculato e obscurato . Adun­ que el fonte di tutta la bellezza è Iddio, Iddio è il fonte di tutto l ' amore . Considera che il lume del sole nella acqua è come ombra a rispecto del piu chiaro lume del sole nell ' aria, lo splendore che è nell' aria è una ombra a rispecto di quello che è nel fuoco, el fulgore che è nel fuoco è ombra alla luce del sole che nella ruota sua riluce: la medesima comparatio­ ne è intra quelle quattro bellezze del corpo, animo, angelo, Dio . Iddio non è mai ingannato in modo che ami l ' ombra di sua bellezza nell ' angelo e dimentichi la sua bellezza propria e vera, e ancora l' angelo non è mai preso dalla bellezza dell' a­ nima la quale è ombra di lui, in modo che badando a que­ sta sua ombra abbandoni la propria sua figura; ma sf l' anima nostra, la qual cosa è da dolersene molto perché è origine di tutta la miseria nostra . L' anima, dico, sola, è tanto lusingata dalla forma corporale che manda in oblivione la propria spetie, e dimenticando sé medesima seguita ardentemente la forma del corpo , la quale è ombra della spetie dell' anima. Di qui seguita quel crude­ lissimo fato di Narcisso che canta Orphed6, di qui seguita la miserabile calamità degli huomini . « N arcisso adoloscente », cioè l' animo dell' uomo temerario e ignorante, « non guarda el volto suo » , che s ' intende che egli non considera la propria substantia e virtu sua, « ma l ' ombra sua nell' aqua seguita e sforzasi d ' abbracciarla », cioè bada intorno alla bellezza che vede nel corpo fragile, corrente come acqua, la quale è ombra 16

Orphica (ed . Abel) cit . , fr.

3 1 5 , pp. 2 7 2 · 7 3 ;

Platino, Enneades, I, 6, 8; V, 8,

2.

II . DEL BELLO , O DELLA GRAZIA

dell' animo . « Lascia la sua figura e l'ombra mai non piglia » , perché l ' animo seguitando e l corpo sé medesimo disprezza e per l ' uso corporale non s ' empie, perché egli non appetisce in verità el corpo ma desidera, come N arcisso, la sua spetie pro­ pria, allectato dalla forma corporale la quale è imagine della spetie sua, e perché non si advede di questo errore, deside­ rando una cosa e seguitandone un' altra non può mai empiere el desiderio suo, e però « si distilla in lagrime » . C ioè l ' animo, poi che è caduto fuor di sé e tuffato nel corpo, da mortali tur­ bationi è tormentato e macchiato dalle macule corporali qua­ si affoga e muore, perché già apparisce corpo piu tosto che animd'. Onde Diotima, volendo che Socrate schifassi questa morte, lo ridusse dal corpo all' animo , dall' animo all' angelo, dall' angelo a· Ddio .

5r .

Lettera a Giovanni CavalcantP8•

La verità di Dio è splendore, bellezza, amore . L ' impegno principale del divino Platone, come indicano il Parmenide e l' Epinomide, fu quello di mostrare come l 'Uno sia il principio di tutte le cose . Lui, in modo piu proprio, lo chiamava « Uno in sé » . Sosteneva poi che una fosse la verità di tutte le cose, cioè la luce di questo Uno in sé, i. e. di Dio, infusa in tutte le menti e in tutte le forme . Una luce che dona forme alle menti e unisce le menti alle forme . Chiunque s ' im­ pegni nella filosofia platonica deve dunque venerare l ' unica verità, ossia l' unico raggio di Dio . Un raggio che attraversa gli angeli, le anime, i cieli e le altre realtà. Il suo splendore rifulge in ogni ente particolare, come abbiamo spiegato nel De amore, in base alla natura di ciascuna cosa, e ha nome di grazia e bellezza19 • Dove rifulge con piu forza attrae a sé chi lo guarda, incita chi medita, rapisce e s ' impossessa di chi si 17 Su questa lettura ficiniana del mito di N arciso, vedi M . Gindhart, Ndrkissos - Narcis­ sus - Nar:ziss: Reflexionen und Brechungen eines Mythos, in C . Bertelsmeier-Kierst (a cura di) , Das diskursive Erbe Europas. Antike und Antikerezeption, Frankfurt a. M. 2oo8 , pp. 25-62 : 4 r -4 2 . 18 Per il testo latino abbiamo fatto riferimento a Lettere I, pp. 8o-8 r [l, 4 r ] . " Cfr. LdA , p . 9 3 [V, 6] .

PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

avvicina a esso, lo costringe a venerare quello splendore sopra ogni cosa, come un nume, e a dedicarsi a null' altro se non a attenerlo, deposta ormai la precedente natura. Da qui risulta chiaro per quale motivo l' amante non s ' ac­ contenti di vedere e toccare l ' amato , e talvolta esclami: « Non so cos ' abbia quest'uomo per farmi ardere d' amore, e non capi­ sco cosa io desideri » . Da ciò risulta che l ' anima è fatta ardere da un fulgore divino, che risplende in un bell ' uomo , come in uno specchio, e da ciò è segretamente rapita, ed è trascinata in alto, come da un amo, cosi da diventare Dio . Si deve considerare folle e misero chi s 'immerga con il tatto nel fango, mentre è chiamato da Dio, per mezzo della vista, alle realtà piu sublimi, e avendo potuto da uomo farsi Dio, contemplando la divina bellezza attraverso quella uma­ na, si riduce da uomo a bestia, preferendo la forma corporea e umbratile alla bellezza spirituale e vera.

III

Immortalità e resurrezione

52 .

Argomento al «Pedone» di Platone' .

I l nostro libro Sulla religione dimostra, cosa sufficiente­ mente nota di per sé, che la vita di Cristo è l'idea della virtu nella sua interezza\ mentre l ' ottavo libro delle nostre lettere prova che la vita di Socrate è un 'immagine della vita cristia­ na, o quantomeno una sua ombra, e conferma l ' antico testa­ mento per mezzo di Platone, il nuovo per mezzo di Socrate' . Se qualcuno nutre dubbi riguardo la validità di questa ana­ logia socratica, legga Senofonte, Platone e coloro che hanno tramandato per iscritto le parole e le azioni di Socrate - ma in particolare il Gorgia, l'Apologia , il Critone e il Pedone di Platone . Di seguito, dunque, percorreremo l ' argomento al Pedone di buon passo, anzi, d ' un balzo . Ci sembra infatti di aver esposto a sufficienza i suoi misteri nella Teologia . Rac­ comanderemo come prima cosa di non stupirsi del fatto che Socrate, tra le argomentazioni relative all' immortalità dell ' a1 Per la presente traduzione di ampie sezioni di questo testo abbiamo fatto riferimento a Platone, Opera, cc. 1 74r- 1 75V (Opera omnia, pp. 1 390-95). Composto tra il 1 466 e il 1 46869, anni in cui va collocata la traduzione ficiniana del Fedone (vedi E. Berti, Marsi/io Ficino e il testo greco del «Fedone» di Platone, in J. Hamesse [a cura di], Les traducteurs au travail. Leurs manuscrits et leurs méthodes, atti del convegno internazionale, Erice, 30 settembre - 6 ottobre 1 999, Turnhout 200 1 , pp. 349-42 5 : 355), questo argomento venne senz' altro rivi­ sto a ridosso della pubblicazione del Platone latino del 1 484 (o a stampa in corso), come testimonia il riferimento, nelle battute iniziali dell' argomento stesso, a lettere contenute nell 'ottavo libro dell'epistolario (cfr. infra, nota 3 ) . In proposito vedi Gentile, Introduzione ci t . , pp. L-LI; Conti, Marsi/io Ficino tra Cristo e Socrate ci t . ; ma vedi anche P. O. Kristeller, Studies in Renaissance Thought and Letters, Roma 1 99 3 , vol. I I I , pp. I 3 5-46. 2 Cfr. Della christiana religione, c . cviiv [XXIII] cfr. anche ibid. , cc . mviiiv-nir [XXXII]. ' Riferimento a due epistole, note con il titolo di Concordia Mosis et Platonis e Con/ir­ matio christianorum per socratica, presenti una di seguito all' altra nell 'ottavo libro dell'e­ pistolario ficiniano, senza data, ma riconducibili a un periodo compreso tra la fine del 1 483 e il principio del 1 484; in proposito vedi Conti, Marsi/io Ficino tra Cristo e Socrate ci t . , pp . 6o-6 I .

PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

nima, abbia tralasciato proprio quella in cui confida nel Fedro, e cioè che l ' anima è principio del movimento\ da cui segue che l ' anima si muove da sé e in modo perpetuo, e che vive in eterno . Socrate decide di ometterla perché tale argomentazio­ ne non riguarda noi nello specifico, ma è comune alle realtà celesti e alle anime demoniche . Nel Pedone, invece, vengono indagati gli argomenti a noi piu propri. Ma veniamo ora a una brevissima analisi della disposizione del dialogo . Merita in primo luogo osservare come Socrate consoli me­ ravigliosamente i suoi amici, che proprio nel giorno in cui lui avrebbe bevuto il veleno si erano recati in carcere per salu­ tarlo e come a consolarlo . E poi quanto religiosamente egli osservi i precetti ricevuti nei sogni, quasi fossero oracoli, e come ponga speciale cura nel non tralasciare nulla dei divini comandi . In terzo luogo è da tenere bene a mente che gli uo­ mini si trovano sotto la costante tutela del Dio, e non è loro concesso andarsene, se non quando il Dio ha deciso . In quarto luogo, occorre fare grande attenzione a cosa Socrate deside­ ri per sé, là dove dice di sperare, con la morte, di andarsene presso uomini buoni e presso altre buone divinità - sebbene sia certo in realtà di andare presso buone divinità, piu che presso buoni uomini . Innanzitutto , quando dice : « Altre di­ vinità, molto buone », indica che oltre alle anime delle sfe­ re esistono menti angeliche piu sublimi delle sfere . Socrate spera che anche le nostre anime possano un giorno diventare loro compagne . Non osa tuttavia asserirlo, perché a molti sa­ pienti sembrava che l ' anima si dovesse tenere contenta, se un giorno potesse essere accolta tra le anime celesti . Il vero dub­ bio sorge però a proposito di quelli che lui definisce « uomini buoni » . Non osa infatti affermare che le anime degli uomini siano buone per la stessa ragione per cui aveva definito buo­ ni gli dèi . Dopo queste cose, per consolare sé stesso e i suoi amici, sotto la maschera del filosofo, dice : Dal momento che ogni sforzo del filosofo mira a una separazione dal corpo, e che grazie a essa si perfeziona ogni giorno , non solo non

4 Platone, Phaedrus, 245c-246a.

III. IMMORTALITÀ E RESURREZIONE deve temere affatto quella separazione dal corpo che avviene con la morte, ma deve desiderarla con grandissima speranza e gioia' .

Mostra subito dopo come in due modi il filosofo separi l' anima dal corpo : in primo luogo la separa dalle passioni at­ traverso la purificazione della disciplina morale; in secondo luogo la separa dai sensi e dalla stessa immaginazione attra­ verso l ' esercizio contemplativo . I sapienti medici fanno ri­ corso a una duplice purgazione, prima infatti mitigano, poi dissolvono - loro che sanno che non è sufficiente mitigare, né è sicuro dissolvere prima di mitigare . Analogamente, per i filosofi prima viene la purificazione morale, come a mitigare, poiché essa non può estirpare le malattie interiori dell ' imma­ ginazione, i. e. gli inganni. Segue la purificazione speculatri­ ce (speculatrix) , la quale, per quanto è in suo potere, dissipa prima o dopo le nuvole dell' immaginazione6 • Ma non è sicuro accostarsi al compito della speculazione prima di aver attra­ versato il fuoco della purificazione morale, giacché qualcuno, infetto dalle malattie dei vizi, potrebbe cosi ricorrere all ' acu­ me della speculazione per difendere ingiustizia ed empietà. Conclude per questo che il filosofo separa l ' apice della mente (acies mentis) dai corpi, nella misura in cui lo congiunge alle ragioni incorporee e alle idee . Ma dopo aver enumerato i molti inconvenienti che dal corpo provengono all ' anima, ha soggiunto che il peggiore dei mali è quell' errore per mezzo del quale l' immaginazione di­ strae di frequente la mente , mentre s ' innalza verso le realtà incorporee , con certe immagini dei corpi, e spinge a pensare in modo per cosi dire corporeo . Dopo queste cose, e per il fatto che l' anima non può rag­ giungere, mentre è congiunta al corpo, la verità delle realtà separate - verità che l' anima desidera per natura - , deduce, per disgiunzione, che o non l' acquisterà mai, o soltanto do­ po la morte . Ora, non è logico dire che non l' acquisterà mai, perché ogni mente di continuo la desidera. C ondanna cosi coloro che definiscono la temperanza una rinuncia di picco' Platone, Phaedo, 67e-68a. ' Sulla connessione tra > e >, cfr. L. G . Westerink, Ficino's Marginai Notes an Olympiodorus in «Riccardi Greek Ms 3 7» , in > , XXIV ( r 968), pp. 35 ! -79' 366.

PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

la dimora di una terra di questo genere è simile al paradiso terrestre di Mose5 • Descrive poi i fiumi che scorrono sottoterra, da cui sono nutrite le anime . Chiunque interpreti questi fiumi sulla base della dottrina degli umori del corpo e delle passioni dell' ani­ ma che ci affliggono in questa vita si avvicina al vero , e però non afferra tutta la verità . Platone infatti, tanto qui quanto nella Repubblica, indica che i premi delle virtu e le punizioni dei vizi sono soprattutto relativi all ' altra vita. L ' Acheronte, fiume che scorre sotto terra, è luogo purgatorio ; a esso ap­ partengono affanno e afflizione . Corrisponde all ' aria e alla parte meridionale del mondo . Il Flegetonte corrisponde al fuoco e all' oriente, sua è la potenza di punire per mezzo del calore, e punisce il fervore dell' ira e della brama. Lo S tige e il Cocito corrispondono alla terra e all' occidente e punisco­ no l' odio con lutto e lacrime . L ' unica differenza tra loro è che lo S tige è detto « scaturente » (exoriens) , il C ocito invece « procedente » (progrediens) . Ritiene poi che il Tartaro occupi la posizione piu profonda dell ' inferno, nella quale sono pu­ niti i piu scellerati, non per essere guariti, ma per essere d ' e­ sempio , come leggiamo qui, ma anche nella Repubblica e nel Gorgia . Alcuni aggiungono che anche l' Oceano è in qualche modo correlato a questi fiumi, corrispondendo all' acqua e al settentrione . In esso si potrebbe riconoscere il potere di di­ stinguere e di definire . Tu però , quanto è detto dei fiumi, riferiscilo soprattutto ai demoni e ai numi che puniscono i malvagi in questi modi . Di certo, esistono peccati facili da curare, quelli cioè che non si sono ancora irrigiditi in un abito . Difficili da curare inve­ ce sono quelli che un abito lo hanno ormai generato, ma che nondimeno sono ancora commessi con una certa ripugnanza della ragione e con pentimento da parte dei peccatori . Sono invece del tutto insanabili quelli il cui abito abbia scacciato ripugnanza e pentimento . I primi sono purgati nell ' Acheron­ te; i secondi, se inclinano verso i primi, sono puniti nel Fie" Anche per questo raffronto, vedi una delle note marginali di Ficino al commento al

Fedone di Damascio: >, cfr. ibid.

III . IMMORTALITÀ E RESURREZIONE

2 73

getonte, se verso i terzi nello Stige e nel Cocito . I terzi infine vengono scagliati nel Tartaro, da dove, come dice Platone, « non ritorneranno mai piu » . Preferisco al momento tralascia­ re le diverse spiegazioni di altri interpreti . Le anime possono essere oppresse non soltanto per mezzo di un' immaginazione disgraziatamente tormentata dai demoni, ma anche attraver­ so certi corpi aerei, definiti « veicoli » e « navicule » . Platone distingue poi i premi nel seguente modo : le anime che hanno vissuto in modo giusto e santo senza la filosofia, avendo ac­ cesso a quelle nobilissime regioni della terra descritte in pre­ cedenza, dimorano li in corpi sottilissimi e spirituali . Quelle che se si sono dedicate alla filosofia civile dimorano in cielo rivestite di corpi luminosi e celesti . Ma quelle che sono sta­ te perfettamente purificate da una perfetta filosofia, volano nella sede sopraceleste, dove prive di corpo vivono per l ' e­ ternità, come afferma Platone16 • Non spiegherò qui, e lo faccio di proposito, su quali basi alcuni diano ragione di ciò . Porfirio e Giamblico , certo , di­ cono che le anime perfettamente ristabilite in Dio mai piu cadono17, e questo corrisponde, in modo congruo, al destino di quelle anime che si ritiene mai emergeranno dal Tartaro . Per quanto, se davvero cosf fosse, non si darebbero infiniti cicli, e i cicli del tempo sembrerebbero essere in funzione di una qualche forma di purificazione . Socrate infine afferma di essere in debito di un gallo sacro ad Asclepio , e ordina, con grande scrupolo, di renderglielo . Gli antichi sacrificavano al medico Esculapio, figlio di Febo, un gallo, araldo del giorno e del sole - e cioè si dicevano de­ bitori del « giorno » , ossia della luce della vita, nei confronti della divina benevolenza, che è cura di ogni morbo , e che è chiamata figlia della divina provvidenza. Socrate, in prece­ denza, aveva ordinato di cercare un medico simile, curatore delle malattie dell ' anima. E come fossero ormai liberi dalla malattia del dubbio e della paura, ordina di rendere al Dio 16 Per quanto esposto in questo paragrafo vedi anche Ficino, Teologia platonica cit . , pp . r 886-94 [XVII I , ro). 17 Su questi aspetti della psicologia di Platino e Giamblico rinviamo a S . Fellina, Mo­

delli di episteme neoplatonica nella Firenze del '4oo: le gnoseologie di Giovanni Pico della Mi­ randola e di Marsi/io Ficino, Firenze 20 1 4 .

274

PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

un ringraziamento e un s acrificio . Gli oracoli degli antichi in­ segnano inoltre che le anime, mentre fanno ritorno in cielo, intonano a Febo un peana, ossia un canto di trionfo . Socrate dunque adempie il suo voto al Dio, cosi da poter nuovamen­ te risalire alla celeste patria, cantando con gioia un peana18•

53·

Teologia platonica19•

Sui corpi dei beati. [XVII I , 9] All' anima pura conven­ gono due tipi di felicità. La prima, di cui abbiamo discus­ so in precedenza, viene dall ' anima stessa. La seconda viene dal corpo; i platonici la concepiscono in questo modo - ed è preferibile in proposito ricorrere a un esempio . Il tuo occhio è rotondo, trasparente, limpido , dotato di movimento velocissimo, di mirabile acutezza; esso vede il mio occhio e si riflette nel mio occhio; disegna in sé stesso le affezioni particolari della tua anima, le trasmette al mio occhio, e attraverso il mio occhio riceve a sua volta le mie affezioni . I celebri carri delle anime, in sé stessi e tra loro, fanno lo stesso . Ognuno di loro, infatti, è tutto occhio . Es­ si in tutte le cose si comportano pressappoco come vediamo comportarsi gli occhi . Come gli occhi essi sono rotondi, acu­ ti, limpidi, velocissimi e abbracciano con lo sguardo tutte le cose, in ogni direzione, con estrema facilità. Essi manifesta­ no le affezioni e i pensieri delle loro anime, e li indicano con estrema facilità alle altre anime, come con un cenno . Rice­ vono anche da quelle, in modo simile, segni delle affezioni e 18 Sul simbolismo del gallo vedi R . Ebgi, s. v. Gallo, in Busi e Ebgi, Giovanni Pico del­ la Mirandola cit . , pp. 1 1 4-2 3 . " L a Teologia platonica è l a grande opera cui Ficino lavorò tra i l 1 469 e i l 1 474, e che diede alle stampe nel 1 48 2 per i tipi di Antonio di Bartolommeo Miscomini. Negli Opera omnia ficiniani si trova alle pp. 78-424 . L'edizione di riferimento del testo latino, a cura di

J . Hankins e W. Bowen, con traduzione inglese di M . J . B . Allen e J. Warden, si trova pub­ blicata nei 6 voli. di P/atonie Theology . Una parziale traduzione italiana fu edita in Marsi­ Ho Ficino, Teologia platonica, 2 voli. , a cura di M. Schiavone, Bologna 1 965; una versione completa si trova ora in Ficino, Teologia platonica (ed. Vitale) cit. Ricordiamo anche l'im­ portante edizione francese, con testo a fronte: Marsilio Ficino, Théologie p!atonicienne de l'immortalité des ames, 3 voli. , a cura di R. Marcel, Paris 1 964. Il testo che qui presentia­ mo nella nostra traduzione è il nono capitolo del diciottesimo libro; per il testo latino, vedi P/atonie Theology, vol. VI, pp. 1 64-78.

III .

IMMORTALITÀ E RESURREZIONE

2 75

dei pensieri altrui . Non solo essi possono vedere ovunque, da lontano, e in modo acutissimo, ma possono anche sentire . Allo stesso modo tutte le stelle e i demoni modulano agevolmente voci facili da udire, e come lassu i sensi sono privi di passio­ ne, cosi è anche per le voci, che sono certamente di specie e genere diversi dalle nostre . Questa è l ' opinione di Plotino20 e di Ermia21 . Avicenna conferma questa dottrina platonica nella Metafisica, mostrando che l ' anima, priva di contatto con il corpo, in cielo, si serve, come fosse il suo, di una sorta di strumento celeste, ricevuto dal corpo del cielo, attraverso cui essa esercita la funzione dell'immaginazione2 • Avicenna sostiene infatti che l ' anima intellettuale, per Platone, sia su­ periore, per dignità e potenza naturale, alla massa universale dei corpi . Infine, quei carri, colmati dal traboccante splen­ dore delle loro menti, risplendono in modo meraviglioso, e l 'intero cielo è loro accessibile, come fossero raggi . Secondo l 'opinione di molti platonici, essi brillano soprattutto nella via lattea, non diversamente dalle stelle3• Per questo gli an­ tichi poeti dicevano che in cielo risplendevano nuove stelle quando le anime felici ritornavano in volo verso gli dèi cele­ sti . Ma questo è quel che pensano loro . Si aggiunga che i seguaci di Zoroastro, di Pitagora e di Platone, e soprattutto Plotino24 e Proclo25, sostengono che un giorno, se le medesime cause faranno ritorno, certamen­ te ritorneranno anche i medesimi uomini, in numero uguale . Platone, nel Politico, scrive che dopo il corso presente e fata­ le del mondo le anime degli uomini, sotto il comando di Dio, e da lui incitate, accoglieranno i corpi che avevano dismesso in questo corso, cosi che, come i corpi umani sono un tempo precipitati sulla terra sotto il potere del fato, allo stesso mo­ do, sotto il comando della provvidenza divina, essi potranno risorgere dalla terra, e rivivere26 • Questi misteri degli antichi 20

Cfr. Platino, Enneades, IV,

21 Cfr . Ermia di Alessandria,

3,

r8.

In Platonis «Phaedrum» scholia cit . , p p . 68-69 .

22 Avicenna,

Metaphysica, IX, 7 · " Vedi per esempio Macrobio, In somnium Scipionis, I , 1 2 , 24 Platino, Enneades, V , 7 , r . " Proclo, In Parmenidem, I I I , 824-25. 2 6 Platone, Politicus, 27od- 2 7 r b .

3;

X V , r -7 .

PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

filosofi non discordano molto dai misteri degli Ebrei e dei cristiani, e sono confermati anche dai maomettani - dato che è dottrina comune a queste tre leggi che il movimento, in sé, non possa essere autentico fine, poiché sempre fluisce da un punto a un altro . Del resto, proprio il fatto di tendere verso altro è assolutamente incompatibile con il concetto di fine, e in particolare di fine ultimo . Perciò il sommo e ultimo fine dell' universo, che il mondo prima o poi deve raggiungere ­ poiché anche le singole cose, che hanno minore importanza rispetto al mondo, conseguono un giorno un loro fine parti­ colare - , non sarà movimento, ma una condizione di quiete . La quiete, infatti, è piu perfetta del movimento, ed è in fun­ zione della quiete che le singole cose si muovono . Inoltre il corpo del mondo, in quello stato, in quanto compiutissimo, sarà bellissimo . Una volta compiuto quel corso del cielo, per mezzo del quale tutte le cose sono prodotte, nulla piu si ge­ nera, ma i singoli corpi degli uomini, da cui in precedenza tutte le cose si generavano, risorgeranno dalla terra per co­ mando di Dio . Essi fondano in primo luogo tale dottrina della resurrezio­ ne sull ' autorità divina. Dio infatti l ' ha spesso predetta per bocca dei profeti e degli apostoli - del resto sono molti, in diverse epoche, coloro che sono stati resuscitati. Per di piu santi uomini, anche defunti, hanno compiuto miracoli, e ogni giorno continuano a compierli . Tralascio altri esempi, perché innumerevoli, ma ricordo come ai nostri tempi, nel dicembre e gennaio del 1 47 7 , certe reliquie di Pietro apostolo, ritrova­ te nella città di Volterra, abbiano prodotto dodici miracoli, straordinari e manifesti a tutto il popolo27 • Tutte queste co­ se, e altre simili, sono prove della resurrezione, al punto che Avicenna, nella Metafisica, afferma che si deve credere all ' au­ torità divina quando dà per certa la resurrezione8 • Benché Avicenna non porti alcuna prova di una cosa tanto impor­ tante, tuttavia i teologi cristiani, per convincerci, ricorrono alle seguenti argomentazioni .

27 Cfr.

supra, p. 2 I I , nota 3 5 · " Avicenna, Metaphysica, IX,



III. IMMORTALITÀ E RESURREZIONE

277

Prima ragione29• Dato che l' anima e il corpo umano for­ mano un composto naturale, e che per un naturale istinto l' anima provvede al corpo, risulta chiaro che l ' anima non è unita al corpo solo in virtu dell' ordine universale, ma anche secondo l ' ordine della sua natura. Da ciò consegue che è con­ tro l ' ordine tanto dell' universo quanto della propria natura che l' anima permanga separata dal corpo . Dopo la morte del corpo, però, le anime permangono in eterno . Ora, siccome ciò che è contro natura non può essere eterno, ne segue che le anime riacquisteranno prima o dopo i loro corpi . Seconda ragione. Le singole anime inclinano naturalmen­ te verso un singolo corpo, per vivificarlo e governarlo . Cosi richiede la natura e la provvidenza di una vita collocata tra eternità e tempo, che inclina per natura in parte verso le cose eterne, in parte verso quelle temporali . L'inclinazione naturale però rimane, dato che la natura sempre rimane . Per questo le anime, separate dai corpi, inclineranno sempre naturalmente verso di essi . Ma un' inclinazione e una propensione naturali non possono rimanere sempre insoddisfatte. Questo infatti è assolutamente incompatibile con l ' ordine universale . Dun­ que le anime, un giorno, riacquisteranno i loro stessi corpi, verso cui sempre inclinano secondo natura. Terza ragione. L ' anima è una parte della specie umana, l' altra è il corpo . Disgiunta dal corpo, dunque, l' anima, nel­ la misura in cui è anima, è imperfetta, come imperfetta è ogni parte che si trova fuori di quel tutto che è destinata a costituire . Per questo mai la sua appetizione naturale sarà in quiete. Nessun' anima sarà felice, a meno che non sia ricon­ dotta - o speri di essere ricondotta - al suo tutto, una volta riacquistato il suo corpo . Quarta ragione. È necessario che vi siano premi per le virtu, punizioni per i vizi . Posto che essi non sono accordati 29 Questa prima ragione ha come punto di riferimento fondamentale Tommaso d'A· quino, Summa contra Genti/es, IV, 7 9 , r o .

PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

in questa vita, lo devono essere nell' altra30 • Ma il corpo par­ tecipa, assieme all ' anima, delle virtu e dei vizi. Dunque, al fine di partecipare anch' esso dei premi e delle punizioni con l' anima, il corpo viene restituito, alla fine, all' anima. E non deve sembrare assurdo che le anime, abbandonato il loro abito naturale, vi faranno nuovamente ritorno, dato che i pianeti lasciano i loro domicili naturali, per farvi poi ritorno, e che spesso anche le particelle degli elementi, espulse fuori del lo­ ro proprio sito, a lungo separate da esso, vi tendano però co­ stantemente, e infine vi facciano ritorno . Non è difficile per la potenza infinita di Dio, presente ovunque e che tutto ha creato dal nulla, ricombinare un giorno i corpi che sono stati dissolti negli elementi a partire dai restanti elementi . Ma lo stesso corpo verrà ricomposto, poiché la forma sarà la stessa di un tempo, cioè l' anima; e cosi sarà anche la materia pri­ ma, eterna, che è identico sostrato di tutte le cose, e infine la stessa estensione indeterminata, che s ' accompagna alla mate­ ria. Si dice del resto che qui, in questa vita, ognuno abbia lo stesso corpo, dall' infanzia alla vecchiaia, benché senza posa fluisca via e rifluisca31 • Il corpo, però , risorgerà pienamente immortale . Perché Dio, in principio, ha temperato l ' ordine delle cose in modo tale che all' anima razionale, che è eterna vita e forma naturale del corpo, fosse conforme la sua stessa materia, cioè il corpo, in tal senso, ossia che attraverso l' ani­ ma stessa, che vive in eterno e desidera naturalmente dar vita eterna, il corpo, in modo simile, possa vivere eternamente. Una simile potenza è un bene del tutto conforme all' ordine dell' universo . Dunque, quando Dio , che ha creato il corpo in principio e l ' ha creato in modo che possa vivere in eterno quando , dico, lo ricreerà, realizzerà senza dubbio la cosa piu di tutte conveniente, al fine di non rendere vana, in eterno, una potenza tanto buona e conforme all' universo. Inoltre quella nuova creazione (recreatio) , che Dio mette in opera una volta cessato il movimento del mondo, e che è stabilita in funzione di una quiete piu perfetta, sarà diretta verso qualcosa di stabile; per questo il corpo continuerà a vi"' Cfr. ibid. , IV, 89, r - 3 . n

Ibid. , I V , S o , r -3 .

III. IMMORTALITÀ E RESURREZIONE

2 79

vere congiunto all ' anima. E ancora, l 'intenzione della natu­ ra, nel generare, tende perlomeno a perpetuare la specie, co­ sa che è stata concessa in sorte da Dio stesso, in cui fiorisce la prima radice dell ' eternità . Per questo l' intenzione di Dio, nel rigenerare, si dirige verso qualcosa di perpetuo, molto piu che alla natura. Dio dunque ricreerà l ' uomo incorruttibile, non soltanto nella specie (a tal fine infatti poteva bastare la generazione ordinaria) , ma anche eterno nel numero, e non solo in relazione all' anima (giacché essa era eterna anche in precedenza) , ma persino in relazione al corpo . Si aggiunga a queste cose che nella generazione quotidia­ na l' anima entra nel corpo già fatto; in quella rigenerazione, di contro, è il corpo a entrare nell' anima. Per cui, come l ' at­ tuale vita del composto umano segue la condizione del cor­ po corruttibile, cosi la vita futura del composto conseguirà a sua volta la condizione dell' anima immortale , in modo che alla fine la privazione cessi di essere il suo abito, almeno per la specie piu perfetta tra le realtà naturali, e la morte, come debolissima, cosi dicono i profeti, sia assorbita dalla vita32• I corpi poi risorgono, cosi che gli eterni premi e punizioni siano accordati anche ai corpi, secondo i meriti, in perpetuo . Dunque risorgeranno eterni . Aggiungi anche che sono resu­ scitati affinché le anime non rimangano sempre imperfette . Dunque, poiché in questo caso si ha di mira soprattutto la perfezione dell' anima, il corpo sarà restituito in un modo che s' addica all' anima33 • Ora, all' anima eterna si addice un corpo eterno - e tale era il corpo, come testimoniano anche le S acre Scritture, che le era stato attribuito sin dal principio delle cose. Un simile dono, temporaneamente interrotto a causa di un moto disordinato, sarà restaurato alla fine da Dio, che ordinerà l 'universo in modo tale che esso risulti il migliore . Ora, che l' abito naturale dell' uomo, in principio, fosse tale, lo prova il fatto che quanto l'uomo è piu perfetto dei bruti, tanto piu facilmente, piu perfettamente e piu spesso deve po­ ter conseguire il suo fine che i bruti il loro. Nella condizione " 1 Cor, 1 5 , 54-55; cfr. anche Sal, 23, 4; 68, 18; 1 0 7 , 1 4 - 1 6 ; Is, 25, 8; vedi anche Tom­ maso, Summa contra Genti/es, IV, 8 2 , 5-6. " Cfr. Tommaso d'Aquino, Summa contra Genti/es, IV, 85, 1-4.

z8o

PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

presente capita però il contrario . Da qui risulta chiaro che la piu alta difficoltà incontrata dagli uomini nel loro cammi­ no verso la felicità dipende propriamente dal fatto che essi si sono allontanati dalla loro originaria disposizione, e che potranno raggiungerla con estrema facilità soltanto quando saranno stati ristabiliti nel loro abito originario . Questa dot­ trina sembra certamente essere, fra tutte, la piu conforme ai misteri di Zoroastro, di Mercurio, di Platone e dei poeti che hanno cantato l ' età dell ' oro34 • Ma torniamo ora alla resurrezione . In breve è la poten­ za di Dio , immensa , a essere causa efficiente della resurre­ zione . È molto conveniente, dunque, che la stessa infinità di vita, la quale resuscita i morti, li faccia vivere in eterno, liberi dalla morte . Perché soltanto una vita eterna per l ' av­ venire sembra convenire a un tanto grande miracolo, quello cioè della rinascita. In virtu di ciò , Dio onnipotente rende i corpi a tal punto sottomessi alle loro anime che la vita eterna dell' anima trabocca eternamente anche nel corpo. E questo si addice naturalmente anche alla nobilissima forma di con­ tro alla materia che le è soggetta, ed è conforme in sommo grado all' ordine della natura. D ' altronde , come insegnano i teologi, è assai conforme all' ordine dei meriti anche il fatto che i corpi siano congiunti pienamente, e non solo secondo la vita, alle anime degli uomini, che sono vita, ma anche alle anime pure , in accordo con le loro azioni e qualità, proprio come quelle anime sono congiunte a Dio . Perciò l ' intellet­ to, colmo della luce divina, e la volontà, ricolma per questo di una letizia e potenza incomparabili, rivers ano nel corpo un mirabile splendore e una straordinaria capacità di movi­ mento, cosi che al modo in cui quelle anime sono elevate al­ la luminosità e alla potenza delle menti celesti, i corpi siano elevati alla luminosità e alla potenza dei corpi celesti . E non deve sembrare incredibile che il corpo umano, molto simile per natura e in virtu della sua temperanza al cielo, quando si riveste nuovamente di una forma celeste, sorta di dono, subito venga elevato verso la regione celeste, trascinato dall' anima,

" In proposito vedi supra, parte seconda,

m.

III. IMMORTALITÀ E RESURREZIONE

sostenuta a sua volta dall' infinita potenza di Dio - la quale ora, qui sulla terra, separata da Dio, connette, sostiene ed ele­ va il corpo a dispetto della natura dei suoi elementi, ma che allora, congiunta con il Dio sopraceleste, può anche sollevare questo corpo con sé verso la sublime regione dell' etere . Nel penetrare l' etere, quel purissimo corpo non lo danneggia, né viene danneggiato , ormai fatto etereo in potenza e qualità.

54·

Della christiana religione.

[XXX] Non havete ar­ dire di neghare gli altri miracoli di C hristo perché furono facti spesso et molti et in presentia del popolo et per molti si cantan, ma neghate la resurrectione perché non fu nota a tutto el popolo, benché molti di quella parlassino . Pur vede­ te questa essere confermata da Ioseph36 • H or non s apete voi che non era lecito ch ' el corpo di Giesu dopo la resurrection

Della resurrectione di Christo35•

" Riportiamo qui un paragrafo, che lo stesso Ficino ha cosi intitolato, tratto dal trente­ simo capitolo del Della christiana religione, c. miiiirv. Per la versione latina, vedi De christia­ na religione, p. 274 [XXX, I 20-40] . Sarà opportuno segnalare anche Della christiana religio­ ne, c. Iiiiirv, per un passo in cui Ficino riporta diverse testimonianze bibliche relative alla resurrezione di Cristo, che trascriviamo qui di seguito (per la corrispettiva versione latina vedi De christiana religione, p. 252 [XXVII, 945-64]) : > . ' 6 Cfr. Eusebio d i Cesarea, Historia ecclesiastica, I , I I , 8 . Si tratta d i u n riferimento al celebre Testimonium flavianum (Flavio Giuseppe, Antiquitates Iudaicae, XVIII, 63), dove si trova un accenno alla resurrezione di Gesu . L'autenticità del testo fu messa in questio­ ne già da Giuseppe Scaligero ( I 540- I 6o9) , ed è tema dibattuto tutt'oggi; in proposito ci li­ mitiamo a rimandare a M. Vinzent, 01/ener Anfang: Die Entstehung des Christentums im 2 . ]ahrhundert, Freiburg i. B . 2 0 I 9 , p p . 83 sgg .

282

PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

facto inmortale et divino si manifestassi agli ochi di qualun­ que mortale, ma solamente di coloro che sommamente ero­ no ordinati testimoni dal sommo et perfecto Idio a tutti gli altri? Vidono Giesu risuscitato da morte spesso moltissime persone quaranta di et non solo gli apostoli et e discepoli, ma etiamdio piu che cinquecento persone insieme congrega­ te . Questo testimonia Paolo appostalo dicendo molti di co­ loro ancora mentre che scriveva questo essere in vita37 • Et che risuscitasse Giesu non solamente coloro appruovon, ma etiamdio mille migliaia d ' huomini giudei et gentili, e quali come coloro solo per la gloria di Christo publichamente et con ignominia uccisi afferirono lor medesimi a certa et acer­ bissima morte . Adunque è vana quella vostra historia fincta, la qual dice che e discepoli di Christo occultarono el corpo di Christo in uno orto, el quale fu trovato secondo voi da mini­ stri mandati dal pontefice . O imprudenti, o huomini al tutto vani ! Se voi trovasti quel corpo come dite, per qual cagione non lo sospendesti voi in piaza a luogo manifesto, se voi de­ sideravi spegnere la sua leggie? Perché se havessi facto que­ sto, subito tutti abbandonato harebbono la setta nazarena.

" Cfr. r Cor,

15,

6.

IV

Il regno dei nomi

55·

Commento al «Filebo» di Platone1•

Disposizione delle parole del testo e della vita felice e di Ve­ nere e della reverenza verso gli dèi. [X] Dal momento che So­

crate, in questo dialogo, viene a sminuire il piacere, e avendo dato Filebo al piacere il nome di Venere, Socrate si affretta per prima cosa a fare atto di espiazione, per timore nei con­ fronti del nome della dèa, come conviene a un uomo devo­ to. L ' espiazione è la restituzione di una santità soppressa. La santità è il culto delle realtà divine, come nell' Eutidemo2• Socrate aveva peccato contro il nome di un dio; per questo si purifica di fronte a Protarco, cosf che Protarco lo possa scu­ sare di fronte agli altri uomini. Annuncia poi loro di venera­ re sia la dea che il nome della dea. E ha a tal punto paura di peccare contro i nomi divini, che nessun altro timore, non importa da cosa suscitato, può destare simile orrore . Questo è il limite estremo del piu grande timore, nel senso che nulla può essere temuto piu profondamente . Socrate si dice cosf pronto a chiamarla con il nome che a lei piu piace, purché sia dato udire quelli che sono i suoi veri 1 Ficino stese la prima redazione del suo Commento al «Filebo» nella seconda metà del 1 469. Esistono però una seconda versione, contenuta nel ms Plut. 2 1 , 8 della Biblioteca Lau­ renziana di Firenze (risalente al 28 febbraio 1 49 I ) , e una versione finale, inclusa nell'editio princeps dei Commentaria in P!atonem del 1 496, che presentano diverse aggiunte e varianti rispetto alle precedenti. Per il testo latino abbiamo fatto riferimento all'edizione critica a cura di M . J . B . Allen, In Philebum, pp. I 3 3-45 [X-XIII]. Con un carattere minore abbiamo riportato la nostra traduzione dei passi che compaiono solo a partire dalla seconda redazione, e che quindi risultano aggiunte posteriori . In particolare, l 'ultimo paragrafo, in cui viene ri­ cordato il Contra Celsum di Origene, opera tradotta in latino da Cristoforo Persona e pubbli­ cata a Roma nel I 48 I , fu composto dopo questa data, ma prima del 1 4 8 2 , anno in cui Ficino completò il suo Argumentum in «Cratylum» , dove compare un rimando proprio a questo passo del commento al Filebo; in proposito, vedi Bacchelli, Giovanni Pico e Pier Leone ci t . , p. 39· 2 Possibile che il riferimento sia qui in realtà a Platone, Euthydemus, I 3b.

PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

nomi, come « Ciprogene a » , « Citerea » , « Filommede a »3 • Al momento però dubita che « piacere » sia un suo nome, poi­ ché Venere, in quanto dea, è semplice, mentre il piacere in­ dica varie e molteplici cose, tra cui non vi è la dea Venere, come credeva Filebo - ancora giovane e seguace di Eudosso e Aristippo, che Lucrezio, filosofo epicureo, aveva seguito, lui che dice : Madre della stirpe d ' Enea, sommo piacere d 'uomini e dèi Alma Venere, che sotto gli astri che trascorrono in cielo popoli il mare ricco di navi, le terre ricche di messi, che solo per te nasce ogni forma di vita nel mondo e, nata, può vedere la luce del sole4 •

Su Venere e gli dèi. Sui nomi degli dèi e sulla reverenza che a loro spetta . [Xl] Tre cose occorre chiedersi a questo pun­ to : quale nume è per Platone Venere? da dove sorge l ' errore di coloro che hanno dato a Venere il nome di « piacere » ? per quale motivo occorre riverire i nomi degli dèi? Senz ' altro Orfeo, la cui teologia Platone ha seguito, nel libro degli Inni chiama « Cielo » , che molti dicono « Celio », « principio di tutto e di tutto fine »5 • Anche Platone sostiene che questo sia il primo Dio - ma non il cielo a noi visibile, che, nel Timeo, considera generato6, bensi il principio primo del cielo e di tutte le cose . Nelle Lettere afferma che tutte le cose circondano tale re, e che tutte le cose sono per suo favo­ re, e che esso è la causa di tutte le cose buone . Anche nella Repubblica lo definiva « il sole del mondo superiore »8 • Asse­ risce che suo figlio è S aturno, mente divina sorta immediata­ mente da Dio, che Porfirio chiama « ragione » o « verbo di Dio padre >/. Platone definisce questa mente, nel Timeo, « creatri­ ce del mondo » e « padre degli dèi »10, e nel Politico « Crono », ' Esiodo, Theogonia, r 98-2oo. De rerum natura, I , r - 5 . ' Inni or/ici cit . , pp. r 8 - r 9 [IV, 2]; cfr. Kristeller, Supplementum, vol. I I , p p . 87 e 97 6 Cfr. Platone, Timaeus, 28b-29a. 7 Platone, Epistolae, II, 3 1 2e. 8 Platone, Respublica, VI, 509a-b . ' Come suggerito da Allen, In Philebum, p. 540, il probabile riferimento è qui alle pa­ role di Porfirio riportate da Agostino, De civitate Dei, X, 2 3 . 1 0 Platone, Timaeus, 48a. 4 Lucrezio,

IV . IL REGNO DEI NOMI

cioè S aturno, « re della città eterna » , « colui che converte le anime » , « colui che fa risorgere tutte le cose »u . Nel quarto delle Leggi dice che contiene principio, fine e mezzo di tutte le cose, e che nel suo aggirarsi dispone le cose particolari se­ condo la loro natura12• Anche nel Protagora la definisce « cle­ mente datrice delle leggi divine e umane »13; nelle Lettere poi « padre » e « signore »1 4 • Uno spirito vivente viene accordato da questa divina mente alla macchina universale del mondo, che aleggia sulle acque (Gn, r , z ) , cioè sopra la materia fluida del mondo . Nel Timeo Platone chiama questo spirito « ani­ ma del mondo »1\ nel decimo della Repubblica « necessità »16, nel Politico « fato »17, nelle Leggi « legge delle stelle » e « vita razionale del mondo »18, nelle Lettere « guida delle cose pas­ sate, presenti e future »19, nel Fedro « Giove, il sovrano che sta in cielo, conducendo il carro alato »20; in questo libro dirà che tale anima del mondo è « mente » , « sapienza che governa ogni cos a » , « regina del cielo e della terra » , « Giove » , in cui si trovano intelletto regale e anima regale . Si considerano nell' anima senz ' altro tre potenze: una per cui essa aderisce sempre al bene in sé, primo principio delle cose; la seconda grazie a cui fissa la bellezza della mente divi­ na; la terza per cui dispiega le forme delle cose nella materia. La prima potenza prende il nome di « Giove » , la seconda di « Ve nere celeste » , la terza di « Ve nere inferiore » . Per questo Platone, nel Convivio , introduce due Veneri, madri di due amori . La prima, figlia del Cielo e senza madre; la seconda, generata da Giove e Dione1 • Dalla prima nascono nobili amo­ ri, dalla seconda amori volgari . Dato che la ragione dell ' ani­ ma è rivolta alla bellezza (decor) della mente divina, essa la 1 1 Platone,

Politicus, 269a sgg . Leges, IV, 7 r 5e-7 r 6a . " Platone, Protagoras, 3 2 2c-d. 14 Platone, Epistolae, VI, 3 2 3d. " Platone, Timaeus, 3ob. 16 Platone, Respublica, X, 6 r 6c . 17 Platone, Politicus, 2 7 2 e . 18 Platone, Leges, X, 897c. 19 Platone, Epistolae, V I , 3 2 3d. 20 Platone, Phaedrus, 246e. 21 Cfr. Platone, Convivium, r 8od-e. 12 Cfr. Platone,

286

PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

fissa, la venera e molto si diletta in quella. La conversione e la conoscenza sono chiamate « Venere celeste » . E certo la venerazione è « divino amore » , « dilezione » , « gioia superna », « vero piacere » (vera voluptas) . La Venere celeste si accompa­ gna per questo a un simile amore e piacere . Anzi, la potenza di quest ' anima, protesa a muovere i corpi, desidera modella­ re belle forme nella materia del mondo . Perciò, come la pri­ ma aspira a contemplare la bellezza delle specie divine, cosf la seconda si volge al modello delle realtà superiori per gene­ rare la bellezza delle forme corporee . Per questo tale parte dell ' anima è definit a «V enere »; il suo sforzo nel generare è detto « amore » ; la quiete nell' appagamento della generazio­ ne è detta « piacere » (voluptas) . Cosi tu hai due Veneri, due amori, due piaceri . La Venere superiore, poiché non si cura della materia, è detta da Platone senza madre. La Venere inferiore dipende invece da Giove, ossia dalla parte superiore dell ' anima che abbiamo chiamato « Giove » , e da una madre, Dione, perché è rivolta alla materia. Perciò negli uomini esistono due amo­ ri, due piaceri e anche due generazioni, in parte relativi alla specie divina, in parte alla forma corporea. Quel che Esiodo afferma riguardo a Venere nella sua Teo­ gonia quando dice che S aturno aveva castrato Celio e getta­ to i testicoli in mare, e che da essi, e dall 'ondeggiante spuma era nata Venere2 - si deve intendere forse in relazione alla sua capacità di generare ogni cosa, una fecondità che riposa latente nel primo principio del tutto . La mente divina l ' as­ sorbe e la dispiega in primo luogo in sé stessa, poi la diffonde nell ' anima e nella materia . Essa è poi chiamata « mare » per via del movimento, del tempo e dell'umore generativo . L ' a­ nima, non appena si colma di tale fecondità, nella sua conver­ sione verso le realtà superiori produce in sé stessa la bellezza intelligibile; nel convertirsi verso le realtà inferiori genera la bellezza (decor) delle forme sensibili nella materia. Per via di una simile conversione verso la bellezza, del resto, e del­ la generazione della bellezza, l' anima è chiamata « Venere » . -

22

Cfr. Esiodo, Theogonia, 1 78-2o6.

IV . IL REGNO DEI NOMI

E poiché in ogni aspetto del bello, come in ogni forma di generazione di bellezza, si trova piacere, e ogni generazione proviene dall' anima che è chiamata « Venere » , molti hanno ritenuto che Venere fosse il piacere stesso . Analogamente il piacere , da una parte nella riflessione dà vita a un' azione quasi perpetua, dall ' altra nel nutrimento fa sf che l' indi­ viduo si mantenga in vita a lungo, mentre nella generazione rende la specie eterna, trasforma l' amante nell ' amato, e genera tutte le cose dell ' arte e della natura. Tali opere sono divine, per questo il piacere è considerato un dio . Aggiungi questo : poiché ogni cosa desidera il piacere come fine , e dunque come principio, e cerca di volgersi verso di lui , per questo lo definiscono un dio , mentre lo chiamano Venere perché è compagno della bellezza.

Socrate, però, sul punto di attaccare il piacere, ha temuto il nome di Venere, e non ha voluto dare alla dea il nome di piacere . Il nome, certo, come Platone afferma nel Cratilo, è una potenza della cosa stessa, concepita in primo luogo dalla mente, poi articolata nella voce, infine indicata dalle lettere . Ma la potenza di una cosa divina è essa stessa divina. Poiché nei nomi divini si trova una potenza divina, dobbiamo vene­ radi persino piu dei templi e delle statue degli dèi . Si ritrova infatti una piu chiara immagine di Dio in una creazione della mente, che in una qualsiasi opera artigianale o artistica. Pla­ tone nel Cratilo sostiene che i primi e piu autentici nomi di Dio si trovino presso le menti dei numi celesti, da cui Dio è concepito nel modo piu chiaro . Il secondo ordine di nomi si ritrova nei demoni, il terzo nelle anime degli uomini . Ritie­ ne che questi nomi siano stati rivelati da antichi e santissimi uomini, o ispirati da Dio, o istruiti dalla luce della mente . Per questo i nomi di Dio sono come immagini e raggi di Dio stesso, che penetrano attraverso i celesti, gli eroi e le anime degli uomini . Ora, chiunque ammiri il sole venera anche la lu­ ce del sole, e cosi occorre venerare anche Dio, i raggi di Dio, le potenze e le immagini nascoste nel significato dei nomi . Per questo nel Fedro Platone presenta Socrate rapito dal de­ mone, dal momento che ha peccato contro amore, il nome di un dio23 • E nell 'undicesimo delle Leggi vuole che siano tenuti " Platone, Phaedrus,

2 34d.

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PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

per sacrileghi coloro che contaminano con falsità e spergiu­ ri i nomi degli dèi, e che essi vengano impunemente uccisi a bastonate, non importa da chi, e comanda che sia tenuto per traditore delle leggi chi non punisca lo spergiuro, pur essendo tenuto a farld4 • Anche nel Parmenide, dopo aver comparato tutte le realtà al Dio-Uno, non ha ritenuto che i suoi nomi fossero da disdegnare; in essi infatti sono nascosti mirabili doni di Dio . Dionigi Areopagita, a sua imitazione, ha inda­ gato tutti i misteri della teologia nei nomi divini . Origene, nel libro Contro Celso, afferma che in certi nomi sacri si trova una meravigliosa potenza, che non si troverebbe in essi se venis­ sero alterati25 • Per questo non devono essere mutati . Per tale ragione gli Ebrei ponevano una miracolosa potenza nel Tetragrammaton. Paolo : Gli diede il nome che è al di sopra di ogni nome (Fil, 2 , 9) . E Virgilio : « Come chiamarti, fanciulla? »26 • Omero dice che molte realtà hanno nomi diversi presso i celesti e presso di noi" . Paolo : La parola di Dio è viva (Eb, 4, 1 2 ) . Anche Plotino e Proclo hanno trattato queste co­ se . E Paolo : Quanto piu eccellente è il nome che ha ereditato (Eb, r , 4) .

Esiste una virtu viva nei nomi, in particolare nei nomi divini. [XII] Paolo, non senza grande mistero, accorda tutte le azio­ ni del vivente alla parola divina: penetrare spirito, anima e corpo ; discernere i pensieri e gli affetti; vedere e ascoltare tutte le cose. Al modo in cui Dio stesso è come presente nel­ le sue parole, anche quando pronunciate attraverso i profe­ ti, cosi l' acume della mente si trova nella concezione di un nome, anche quando esso si presenta fuori della mente, nel­ la stessa immaginazione . Nota che la potenza naturale della cosa giunge attraverso i sensi all' immaginazione, e attraverso l 'immaginazione alla mente , per mezzo di cui è concepita ed è inclusa in un nome , come vita e intelligenza si trovano in un corpo . Nota anche che la divina potenza giunge per mezzo delle menti superiori alla nostra, da cui è concepita e nomi­ nata con un nome vivo - e tanto piu vivo dei nomi dei corpi, quanto il moto che giunge a noi dalle realtà superiori è piu potente. In noi, dico, quando ci facciamo piu simili a Dio, 24 Probabile riferimento a Platone, 2 5 Origene , Contra Celsum, V, 4 5 ·

26 Virgilio, Aeneis, I, 3 2 7 . 27 Cfr. Platone, Cratylus, 3 9 1 d .

Leges, X, 907d sgg .

IV . IL REGNO DEI NOMI

ossia, quando distogliamo la mente dalle realtà inferiori. E una potenza cosi grande della divinità si mantiene nei nomi, cosi che anche gli uomini piu distanti da Dio, e malvagi, pos­ sono operare meraviglie con tali nomi. Infine, se fosse lecito, vorrei ricordare quanta potenza si trovi nelle cinque parole del sacramento - tralascio quell' eresia secondo cui Giovanni si sarebbe trasformato in Cristo, con queste parole : Donna, ecco_ il tuo figlio, e tu, ecco tua madre (Gv, I 9 , 2 6- 2 7 ) . E cosi confermata l' opinione secondo l a quale molti nomi sono stati scoperti a partire dalla stessa proprietà delle cose. Per quale motivo tutti chiamano Dio con quattro lettere? Gli Ebrei con quattro vocali, he, ho, ha, hi, gli Egizi lo defi­ niscono Theuth, i Persiani Syre, i magi Orsi, da cui Oromasi, i Greci Theos, noi Dio (Deus) , gli Arabi A lla , M aometto Abgdi 28• Noi ancora abbiamo ricevuto il nome Gesti da Ga­ briele, nel cui nome etc . (cfr. Mt, I , 2o-2 I ; Le, I , 3 1 ; At, 4 , 7 ) . Certamente popoli tanto diversi non avrebbero potuto accor­ darsi sul nome del Dio ignoto se non per ispirazione divina. E se lo ricevettero da Adamo, lo ricevettero per divina ispi­ razione, piuttosto che in altro modo . Gli Ebrei dicono che con quel nome si possono compiere tutti i miracoli, se pronunciato in modo corretto - ma pronun­ ciarlo è la cosa piu difficile di tutte, e occorre un miracolo per farlo . Credo che Dio lo abbia reso a tal punto difficile, per far si che nessuno possa pronunciarlo, e compiere cosi miracoli, se non è Dio a proclamarlo attraverso di lui, come attraver­ so una tromba - e questo dimostra come Gesu sia stato piu di tutti caro a Dio , lui che aveva compiuto miracoli per aver pronunciato in modo corretto questo nome, come gli stessi Ebrei ammettono . Loro lo pronunciano Elohim, i Greci ricor­ rono a un nome quadrilittere . Dio distribuisce tutte le cose in quattro : essenza, essere, potenza, azione . Le realtà celesti in quattro triplicità, le realtà sotto il cielo in quattro elemen­ ti . Per questo ha voluto essere modellato da quattro lettere . 28 Passo che elabora quanto Ficino aveva appuntato in una nota manoscritta alla sua traduzione della Expositio rerum mathematicarum di Teone di Smirne, risalente a prima del 1 464, cfr. Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms Vat. Lat. 4530, c . r 46r: > .

PARTE TERZA . EROS FILOSOFICO

56. Argomento al «Cratilo» di Platon�9• Sulla giusta ragione dei nomi. La sapienza platonica rivolge sempre lo sguardo alle realtà eccelse, mai però disdegna quelle umili. E tuttavia la scienza dei veri nomi non è certo umile, bensi eccelsa, e lo è in particolare la scienza dei nomi divini . I sapienti ebrei la considerarono tanto importante da ante­ porla non solo a tutte le scienze, ma anche alla legge scritta, e affermarono che essa fu trasmessa da Dio ai patriarchi e a Mosè - a Mosè, dico, che stava per vergarla non per iscritto, ma nelle menti dei santi, ossia nelle menti dei profeti che ven­ nero dopo di lui . Questi, a loro volta, trasmisero la sapienza dei nomi divini nelle menti dei molti che li seguirono in lunga serie0• Affermarono anche che in virtu della potenza di que­ sti nomi i loro antenati hanno compiuto opere meravigliose e che hanno incluso alcuni di questi nomi nei loro scritti, mol­ ti sparsi però qua e là e oscuri . E se qualcuno li conoscesse, li riunisse e li pronunciasse in modo perfetto, e con la stessa purezza di mente con cui vennero trasmessi, costui potrebbe compiere cose meravigliose - specialmente con il primo no­ me di Dio , che si compone, in modo meraviglioso, di quattro lettere soltanto, tutte vocali, e che per questo da nessuno, certo, a meno che non sia divinamente ispirato, può essere correttamente pronunciato . Sono cosi costretti ad ammette­ re che Gesu, da loro chiamato ' Nazareno ' , sia stato di natura divina, poiché confessano che lui, grazie a un' autentica com­ prensione e perfetta pronuncia di questo nome quadrilittere (Tetragrammaton) , abbia compiuto miracoli - ma di questo ab­ biamo parlato a sufficienza nel nostro libro Della religione31 • 29 La redazione finale di questo importante e lungo argumentum risale al 1 48 2 , cfr. Bacchelli, Giovanni Pico e Pier Leone cit . , p . 39· Per la presente traduzione di ampie sezio­ ni di questo testo abbiamo fatto riferimento a Platone, Opera, cc. 107r- 1 o8v (Opera omnia, pp. 1 309- 1 4) . Non priva di imprecisioni la trascrizione a opera di K . W. Percival, Ficino's «Cratylus» Commentary. A Transcription and Edition, in >, XIV ( 1 99 1 ) , pp. 1 86-9 3 . ,. G . Bartolucci, Marsi/io Ficino, Yohanan Alemanno e la «scientia divinum nominum» , in « Rinascimento >> , XLVIII ( zoo8), pp. 1 37-63. H Cfr. Della christiana religione, c. fviiv [XXVII]. « leremias: Ecco e di vengono dice

el Signore et susciterò la giusta stirpe di David et regnerò el re, et sarà sapiente et farà el giudi­ cio et la giustitia in terra (Ger, 2 3 , 5) . Di pocho poi aggiugne: Et questo è el nome col quale

IV . IL REGNO DEI NOMI

Anche Origene, nel libro Contro Celso, dopo aver preso in esame la meravigliosa potenza dei nomi divini e delle pre­ ghiere, dice che in tutti i sacri nomi si nasconde una mirabile potenza. Per questo, essi non si devono tradurre dall' ebraico in altra lingua, ma occorre conservarli nei loro stessi caratte­ ri (characteres)32• Infatti, al modo cui la vita si conserva in un corpo composto in un determinato modo, mentre svanisce se il corpo è composto in modo diverso, o se viene mutato, cosf, a loro avviso, una virtu vitale si trova nei nomi divini composti in modo divino . Del resto, come Mercurio Trisme­ gisto ha fin da principio insegnato, e cosf tempo dopo Plotino e Giamblico, è in qualche modo possibile che demoni siano rinchiusi in statue modellate secondo una determinata dispo­ sizione33 . Qualità divine sono poi ripartite in parole tempe­ rate secondo una certa analogia celeste, e questo per volere di Dio, cosf che ogni qualvolta la situazione lo richieda, sia possibile invocare in modo debito l ' aiuto divino . Dicono che ciò fu fatto dallo stesso Febo e da Pitagora - loro che, cosf si tramanda, curarono in modo meraviglioso malattie dell' anima el chiameranno el nostro signore giusto (Ger, 2 3 , 6), ove in hebreo si dice stirpe di David, in caldeo dice Messia. Quando dice el propheta: ecco e di vengono, dimostra sanza lungo in­ dugio dopo il tempo dilecto Ieremia dover venire el Messia, questo sarebbe falso se ancor dovesse venire. Oltra questo dichiara el Messia dovere essere Iddio, perché dove la tran­ slation nostra dice " Signore " , gli Ebrei hanno quel nome Thetragamathon, cioè di quattro lectere, el quale sopra gli altri nomi di Dio e in tanta venera tione appresso di loro, che non si conviene a creatura alcuna contradire, del qual lungamente disputa Moysè Egyptio nel libro della Directione. Onde Habba giudeo, nel libro Thren, ove si dimanda qual sia el no­ me del Messia, risponde : "Adonay, cioè signore è el nome suo " . Ponendo qui vi quel nome mirabile thetragamathon et adducendo quello decto di Ieremia : Questo è el nome, col quale il chiameranno el nostro signor giusto (Ger, 2 3 , 6). Non si debbe dire chiameranno, perché cosi c 'insegna la translation caldea et ancora e septantadue interpretri >> . Questa riflessione ficiniana è un compendio di un passo di Pablo de S anta Maria (Paolo di Burgos) , Scruti­ nium Scripturarum, Ulrich Han, Roma (non dopo l' u aprile) 1 47 1 , cc. riir-rivr [X, 6] . Cfr. anche Della christiana religione, c . miiir [XXX] : « Finalmente, come altra volta dixi el fine di questa disciplina sanctissima manifestamente dichiara che Christo et suoi discepoli non per magica ma per divinità feciono miracoli. Havete un libro della vita di Giesu Nazareno nel quale si leggie che Giesu tra gli altri miracoli che quivi molti si narrano etiamdio risu­ scitò el morto perché solo sapeva rectamente pronuntiare quello nome proprio di Dio, che appresso di voi sopra gli altri è venerando, e perché è composto solo di quattro lettere et quelle sono vocali con grandissima difficultà si pronuntia ha questo suono Hiehovahi, che significa fu, è et sarà » . Su questo passo, in cui si trova un interessante riferimento alle Tho­ ledot Yeshu, e una precoce riflessione di tono cabbalistico sul significato del tetragramma, vedi G. Bartolucci, Per una fonte cabalistica del / . Nessuno infine creda d i attingere, i n u n certo momento, in una particolare specie di materia, tutti i doni dall' anima, quanto piuttosto, nel tempo opportuno, soltanto i doni del seme da cui una tale specie è cresciuta, e dei semi conformi. Perciò la persona che si è servita soltanto di mezzi umani non cerca di ottenere per sé le doti proprie dei pesci e degli uccelli, ma doti umane o a queste simili. Quando però si serve di ciò che è proprio a una certa stella o demone, subisce l' influsso proprio di quella stella e di quel demone, come un legno pre­ parato con zolfo ad accogliere una fiamma ovunque presen­ te . E lo subisce non solo attraverso i raggi della stella e del demone, ma anche attraverso l' anima del mondo, ovunque presente, nella quale opera la ragione di ogni stella e demo­ ne, sia come seme, al fine di generare, sia come esemplare, al fine di conoscere . Tale anima, infatti, secondo i platonici piu antichi, ha edi­ ficato in cielo, per mezzo delle sue ragioni, oltre alle stelle, figure4 e sezioni di figure (che sono figure esse stesse) , e ha segnato in tutte queste figure proprietà peculiari. Cosi, nelle stelle, e nelle figure, nelle sezioni di figure, nelle proprietà sono contenute tutte le specie delle realtà inferiori e le loro proprietà. Ha poi posto quarantotto figure universali - do­ dici nello zodiaco, trentasei fuori di esso5• Ne ha anche po­ ste nello zodiaco trentasei, secondo il numero delle facies, e ancora trecentosessanta, secondo il numero dei gradi, dato 2 Psello, Expositio in Oracula Chaldaica, in Oracles chaldai"ques, a cura di É . des Places, Paris I 97 I , pp. J 70·7 I [ I I 33 a4-b5]; pp. I 86-95 [ I I 49 a 1 0-b u ] ; in proposito vedi R. Ebgi s . v. Iynges, in Busi e Ebgi, Giovanni Pico della Mirandola ci t . , pp. I 50-58. ' Sinesio, De somniis, I 3 2C3·4· Ficino tradusse questo testo intorno al I 488; il passo relativo agli adescamenti dei maghi (le iynges in greco, che Marsilio traduce illices mago­ rum) dovette particolarmente colpirlo, come risulta dalla seguente chiosa, posta dallo stesso Marsilio a margine di questo paragrafo, nel manoscritto che contiene il testo greco del De somniis; vedi Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms 76, c. I 65v: « lllices et illicia magorum sunt tractus rerum mutui ex congruitate naturae tum communius in universo tum proprie in quibusdam. Sicut enim alia significantur ab aliis ita alia alliciuntur ab aliis >> . In propo­ sito, cfr. Toussaint, L 'individuo estatico cit. 4 Cfr. Platino, Enneades, IV, 3 , I O . 5 Cfr. Tolomeo, Almagestum, i n I d . , Opera, I , 2 (ed . J . L. Heiberg, Leipzig I 898, pp. 7-8) .

310

PARTE QUARTA . IL TEMPO DELLA MAGIA

che in qualunque grado vi sono molte stelle, da cui H sono formate immagini . Analogamente ha suddiviso le immagini fuori dello zodiaco in molte figure, secondo il numero delle facies e dei gradi. Ha stabilito infine certe conformazioni e proporzioni tra queste immagini universali e altre immagini universali - conformazioni e proporzioni che sono anch' esse immagini . Simili figure possiedono però una loro continuità in virtu dei raggi delle loro stelle, diretti l' uno verso l ' altro per una loro proprietà peculiare . Da queste forme ordinatissime dipendono le forme delle realtà inferiori, che sono da esse ordinate . Ma anche le forme celesti, pur tra loro disgiunte, procedono da ragioni dell ' a­ nima tra loro congiunte e , pur essendo in qualche modo mu­ tevoli, procedono però da ragioni stabili . Ma queste ragioni, nella misura in cui non comprendono sé stesse, si riducono a forme presenti nella mente - in quella di un vivente, o in una mente piu nobile - le quali comprendono sé stesse . Es­ se, in quanto molteplici, sono ricondotte all' uno semplicissi­ mo e al bene, come le figure celesti sono ricondotte al polo . Ma torniamo all' anima . Quando l ' anima genera le forme e le potenze speciali delle realtà inferiori, essa opera per mez­ zo delle proprie ragioni specifiche, con il sostegno delle stelle e delle forme celesti . Ma le doti singole degli individui, che spesso si trovano in alcuni tanto meravigliose quanto lo sono solitamente nelle specie, le offre in modo simile, attraverso le ragioni seminali, non tanto con il sostegno delle forme e delle figure celesti, quanto in base alla posizione delle stelle e alla conformazione dei moti e degli aspetti dei pianeti, sia tra di loro , sia rispetto alle stelle poste piu in alto dei pianeti . La nostra anima, oltre alle forze proprie delle membra, di­ spiega in tutto il corpo la comune virtu della vita, soprattut­ to attraverso il cuore, quasi fonte del fuoco prossimo all' ani­ ma. Analogamente l ' anima del mondo, che ovunque prospe­ ra, specialmente grazie al sole diffonde in tutte le direzioni la sua virtu di vita universale . Per questo collocano l 'intera anima, in noi e nel mondo, in ognuna delle membra, ma in particolare nel cuore e nel sole6 • ' Cfr. infra,

testo 95

[VI].

I. ANIMA MUNDI

311

Ricordati però sempre che come la virtu della nostra anima si diffonde, attraverso lo spirito, nelle membra, cosi la virtu dell' anima del mondo si dispiega in tutte le cose sotto l ' ani­ ma del mondo attraverso la quintessenza, che circola ovun­ que, come lo spirito nel corpo del mondo, e che infonde tale virtu soprattutto a ciò che ha assorbito in gran copia un si­ mile spirito . Questa quintessenza può essere assorbita in noi sempre di piu, se si riuscirà a separarla dagli altri elementi, o almeno a utilizzare con frequenza le realtà in cui essa si tro­ va in abbondanza, specialmente nella sua forma piu pura come il vino scelto, lo zucchero, il balsamo, l ' oro, le pietre preziose, i mirobalani, ciò che ha un soavissimo profumo o che risplende, ma in particolare le cose che, in una sostanza sottile, possiedono una qualità calda, umida e chiara - e cioè, oltre il vino, lo zucchero bianchissimo, soprattutto se vi avrai aggiunto oro e odore di cannella e di rose . Inoltre, come gli alimenti da noi ingeriti in modo appropriato, sebbene non siano per sé vivi, sono restituiti alla forma della nostra vita per mezzo del nostro spirito, cosi anche i nostri corpi, dispo­ sti in modo appropriato nei riguardi del corpo e dello spiri­ to del mondo (per mezzo delle realtà del mondo e del nostro spirito) , assorbono quanto piu possibile dalla vita del mondo . Se tu desideri che un alimento assuma, piu che altre, la forma del tuo cervello, del fegato o dello stomaco, mangia, per quanto puoi, un alimento simile, ossia cervello, fegato, stomaco di animali non troppo dissimili dalla natura uma­ na. Se vuoi che il tuo corpo e il tuo spirito possano assumere virtu da una delle membra del mondo, per esempio dal sole, cerca quelle cose, tra i metalli e le pietre, che siano sopra le altre solari, e piu ancora tra le piante, e ancora di piu tra gli animali e in massimo grado tra gli uomini, perché non vi è dubbio che le realtà piu simili ti giovano maggiormente . Tali cose devono essere applicate all ' esterno e assunte, per quanto possibile, all ' interno, specialmente nel giorno e nell ' ora del sole, e con il sole che regna nella figura del cielo . Sono solari, fra le pietre e i fiori, tutti gli enti chiamati « eliotropi »', poi-

7 Cfr. Proclo,

De sacrificio et magia (Opera omnia,

p.

1 928).

3I2

PARTE QUARTA . IL TEMPO DELLA MAGIA

ché si rivolgono al sole, e del pari l ' oro, l ' orpimento e i colori aurei, il crisolito, il carbonchio, la mirra, l ' incenso, il museo, l ' ambra, il balsamo, il miele biondo, il calamo aromatico , lo zafferano, lo spigonardo, la cannella, il legno d' aloe e i restan­ ti aromi; e cosi l ' ariete, il falco, il gallo, il cigno, il leone, la cantaride, il coccodrillo, gli uomini biondi, i ricciuti, spesso i calvi e i magnanimi . Le cose ora menzionate possono essere adattate in parte ai cibi, in parte agli unguenti e ai suffumi­ gi, in parte alla consuetudine . Occorre sentire e pensare con frequenza queste cose e, soprattutto, amarle; occorre anche procurarsi moltissima luce . Se credi che il ventre manchi del nutrimento del fegato, porta a esso la potenza del fegato stesso, vuoi con frizioni, vuoi con nutrimenti conformi al fegato, quali la cicoria, l ' in­ divia, lo spodio, l' agrimonia, l' epatica, i fegati . In modo ana­ logo , affinché Giove non abbandoni il tuo corpo, esercitalo nel giorno e nell ' ora e sotto il regno di Giove, e fai ricorso al contempo a ciò che è gioviale : argento, giacinto, topazio, co­ rallo , cristallo, berillio, spodio , zaffiro, colori sul verde e ae­ rei, vino , zucchero, miele bianco·, e a pensieri e affetti molto gioviali, cioè fermi, equi, religiosi e conformi alle leggi . Fre­ quenta poi uomini dello stesso tipo : sanguigni, belli, venera­ bili . Ma ricorda che occorre : mocscolare, a quelle prime cose elencate, che sono fredde , l ' oro; il vino , la menta, il croco, la cannella e il doronico . Gli animali gioviali sono poi l ' agnello , il pavone , l ' aquila e il giovenco . In che modo la virtu di Venere venga attratta dalle tor­ tore, dalle colombe, dalle motacille e da altre cose, il pudore non mi permette di mostrarlo .

I.

ANIMA MUNDI

58. Commento alle «Enneadi» di Plotino8•

La duplice anima del mondo, le due Veneri, i due amori che non sono passioni, ma realtà esistenti 9• [III , 5, 2] Vedendo che l 'intelligenza, in noi, si perfeziona nella misura in cui l ' atto di conoscere e l'oggetto conosciuto sono separati dalla materia e dalle sue condizioni, è lecito congetturare che il primo in­ telletto, in sé, sia in massimo grado estraneo alla materia. Si può inoltre congetturare che l ' anima intellettuale, da H subi­ to generata, e dunque principalmente intellettuale, non possa associarsi alla materia nella forma comune di un composto . Essa infatti è in parte intelletto, ma in sé anima. Però, la vi­ ta che da H subito nasce, in quanto è in parte anima, ma in sé natura, può ormai aggregarsi alla materia. Per questo chiamiamo « prima Venere » quell' anima in­ tellettuale nel mondo; si chiami invece « seconda Venere » la vita da li pienamente infusa nel mondo . In entrambe vi­ ge perpetuo amore, che s ' accende attorno alla bellezza della mente divina; nella prima, al fine di generare in sé una simile bellezza; nella seconda, al fine di manifestare la bellezza, per quanto possibile, nella materia. Plotino crede, in accordo con Platone, che l' anima intellettuale del mondo, allorché opera intimamente attorno a Dio, conoscendolo e desiderandolo, 8 Ficino cominciò la stesura del suo monumentale commento alle Enneadi di Platino nel I 486, dopo aver completato la traduzione della medesima opera iniziata, su sollecita· zione di Giovanni Pico della Mirandola, due anni prima (cfr . Opera omnia, p. 1 53 7 ) . Una prima redazione del commento alla seconda Enneade e dei primi due trattati fu completata nel giugno del 1 48 7 . Tra il 1 488 e il 1 489 l' ambizioso progetto venne messo da parte. In questo periodo, infatti, Ficino decise di dedicarsi alla traduzione di una serie di opere di altri filosofi della scuola platonica, dal De mysteriis di Giamblico al De sacrificio et magia di Proclo, dal De somniis di Sinesio al testo sui demoni attribuito a Psello . Marsilio ripre­ se a lavorare al commento plotiniano nell'estate del 1 489, per portarlo a termine nell 'a­ gosto del 1 490, vedi Kristeller, Supplementum, vol . I, pp. cxxvn sgg . La prima edizione a stampa è del 7 maggio del 1 4 9 2 , per i tipi di Antonio Miscomini . Manca a oggi un'e­ dizione critica e una traduzione integrale di quest' opera. Un importante passo in questa direzione è il lavoro di edizione del testo latino e traduzione inglese dedicato al terzo e al quarto libro delle Enneadi, a opera di S . Gersh , On Plotinus. A questi volumi abbiamo fatto riferimento per il testo latino su cui è basata la presente traduzione . In particolare, per i capitoli che presentiamo in questa sezione, di grande rilievo per l 'esposizione della dottrina della duplice anima del mondo, vedi ibid. , vol . I I , pp. 1 4 - 1 6 [II I , 5, 2]; pp . 1 8-20 [III, 5 , 3]; pp. 38o-86 [IV, 3 , 1 0] . ' I n generale, per una riflessione sul tema dell'anima del mondo nel commento ficiniano a Platino, vedi A. Ingegno, Cosmologia e filosofia nelpensiero di Giordano Bruno, Firenze 1 978.

314

PARTE QUARTA . IL TEMPO DELLA MAGIA

concepisca in sé stessa qualcosa non di immaginario, ma di naturale e sussistente, imitando qui (come credo) il mistero della Trinità cristiana. Ritiene poi che al modo in cui brilla­ re e ardere sono due aspetti distinti nel fuoco, ma sono uno nel sole, cosf conoscere e amare, nella potenza razionale, so­ no diversi, ma sono un unico atto nella sostanza intellettuale . Un simile atto, nell' anima del mondo, è intimo, riguarda ciò che è intimo, ed è efficacissimo, ragione per cui da qui, presso l' anima, si forma una prole conforme a t ale atto . Ta­ le prole, poiché nata dall' intelligenza, è per questo in certo modo intelligibile; poiché procede dall' amore ha in sé qual­ cosa delle cose d' amore, anzi, è lo stesso amore sussistente10 prodotto da un atto d ' amore . Infatti, dal momento che là lo stesso è esistere e agire, senza dubbio, in virtu di questo in­ timo agire, a essere prodotta è una forma intima di esistenza. In essa, l ' essenza del prodotto è la stessa di quella del pro­ ducente . Con una differenza, ossia che in un caso essa è ge­ nerante, nell' altro invece è generata. Vi è inoltre una diffe­ renza che tocca la relazione, se è vero che una tale esistenza amatoria è l ' essenza stessa dell' amante e dell ' amato . Altra differenza è che nell' esistenza che genera si colloca la stessa visione del bello, nell' esistenza generata il piacere (voluptas) relativo al bello .

Conferma di quanto detto sopra . [I I I , 5 , 3] Noterai poi che il mondo deve avere due anime; una in qualche modo separata, che presiede al corpo, come un demiurgo (arti/ex) , l a seconda invece congi\:lnta a esso, l a quale è presente nel corpo, come sua forma. E necessario che l' anima separata sia presente, sia perché un ente simile scaturisce immediatamen­ te dal puro intelletto, sia perché un demiurgo di natura mi­ sta non ha il pieno governo della sua opera. Inoltre, occorre che l ' anima si trovi nel mondo, e che sia a esso congiunta, sia perché la prima anima è dotata della potenza di genera­ re quest ' anima da sé, sia perché occorre che il mondo sia un 10 I l concetto di > (amor subsistens) proviene dal lessico trinitario adottato dalla tradizione scolastica; cfr. per esempio Tommaso d'Aquino, Summa theolo­

gia e, I,

43,

2.

I.

ANIMA MUNDI

composto perfettissimo . Per questo è necessario che il mon­ do abbia una forma perfettissima della sua materia, cioè una forma vivente e sensibile . Del resto, l 'unità, nel mondo, non deriva propriamente dall' unione tra anima intellettuale e ma­ teria, come vuole Platino , poiché l' intelligenza, per mezzo di azione e passione, muove in senso opposto rispetto alla ma­ teria. Allo stesso modo ritiene che non ci possa essere unità in noi, se mai in noi l ' anima intellettuale non comunica con il corpo per via delle passioni proprie del corpo, né il corpo comunica con l' anima per via d�lle azioni che propriamente si addicono a una simile anima. E lecito tuttavia dire che l ' a­ nima intellettuale è mondana nel mondo, ed è umana in noi, e che tra essa e il vivente si formi un'unità, poiché dall' incon­ tro tra il suo influsso e la materia sorge un vivente sensibile, in cui essa ispira continuamente vita - una vita destinata a svanire qualora venisse meno il suo spirito . Ricorda perciò che questa duplice anima nel mondo corrisponde alle due Ve­ neri, accompagnate da una simile coppia di amori . Ricorda anche che l ' amore, in questa seconda anima del mondo, non soltanto genera l ' intera bellezza nella materia del mondo at­ traverso la forza generativa, ma alza anche lo sguardo verso la forma divina, e incita, per quanto può, verso quella me­ desima forma sia il mondo, sia le cose che sono nel mondo, attraverso l' attiva potenza dell' immaginazione .

Sulla discesa dell'anima, Dioniso, Giove, i cicli delle vite, l'ordine del mondo, l'armonia dell'universo . [IV, 3 , r o] Qui Platino chiama « Dioniso » la natura stessa, cioè la potenza ve­ getativa dell' anima del mondo, le cui membra sono le ragio­ ni seminali delle cose presenti nella natura. Queste membra, quando procedono come per via di generazione nella mate­ ria, una volta che qui siano state ulteriormente separate dai titani (i. e. i demoni che presiedono alla genitura) , sembrano fatte a pezzi come le membra di Osiride (i. e. la provvidenza elargitrice di vita) dilaniate da Tifone (i. e. la guida dei de­ moni che favoriscono la nascita) . Le anime che vivono nel mondo divino, dunque , per mez­ zo dell' immaginazione, che in loro occupava l'ultimo grado,

316

PARTE QUARTA . IL TEMPO DELLA MAGIA

hanno talvolta intravvisto le forme che giacciono nella materia del mondo (i. e. le immagini di Dioniso e delle sue membra) . Le hanno intravviste nella materia, come in uno specchio, fissandole forse con sguardo rivolto alla natura, e poi con lo sguardo abbassato verso la materia. L 'immaginazione si volge cosf in quella direzione, ed ecco che subito la ragione si scosta dall' intelletto, non solo guardando, ma amando entrambe . Un simile amore rappresenta il principio della discesa, e, dopo la caduta, è anche la causa della permanenza, dato che questa regione ha bisogno dell ' assidua attenzione della nostra ragio­ ne . Ma l ' intelletto - lui che non è sfiorato da un simile affet­ to - è nel frattempo rimasto immobile nel mondo superiore . La benevolenza di Giove ha stabilito che i cicli temporali, in questa vita gravosa, fossero piu brevi, mentre lunghi nella vita presso i celesti, lunghissimi infine presso gli enti supremi . Le nostre anime, talvolta, fanno ritorno al grado dell ' anima del mondo, da dove contemplano la sua provvidenza comune, e la imitano , comandando facilmente al loro corpo e alla loro regione . Inoltre l' anima del mondo, come un Apollo cosmi­ co, canta nella natura e suona la lira in cielo . Nella natura, il dispiegarsi delle ragioni di tutte le cose, nei tempi stabiliti, e la loro universale rivoluzione formano un concerto composto da molti canti e melodie . C osf in cielo l ' eterna disposizione delle stelle e dei movimenti è melodia apollinea , ordinata alla perpetua concordia di quel canto . Se uno osservasse con at­ tenzione la modulazione continua di tale canto, subito rico­ noscerebbe in essa suoni celesti, e, per dir meglio, già quasi li ascolterebbe . Le nostre anime adattano i loro passi, tanto nel corso della discesa, quanto nella loro permanenza e poi nell ' ascesa, al suono e al canto del mondo, quasi ballassero in concorde gioia . Dal momento che esse provengono dal mede­ simo padre da cui sono generate anche l' anima del mondo e le sue sorelle, e poiché dimorano nella sua regione, senza dubbio danzano al suo canto e suono - non costrette, ma di loro pro­ pria volontà - , e, mondane loro stesse, tentano di imitare in modo naturale e volontario l ' ordine del mondo . Ne consegue che si potrebbe congetturare, attraverso enti celesti, il modo di procedere delle realtà umane (sebbene non ovunque come attraverso cause, ma almeno come attraverso segni) , e questo ,

I.

ANIMA MUNDI

in particolare, poiché la forma della natura universale11 e del cielo contiene, secondo una ragione esemplare, tutte le cose che accadono nel mondo, che siano guidate da quella forma, da loro stesse, o da altre realtà, non importa in che modo . Ma le anime dimorano talvolta fuori del corpo celeste, tal­ volta nel puro corpo del cielo, altre volte sotto il cielo . Nella misura in cui l ' anima assume un diverso abito al suo interno, essa assume anche una diversa figura all ' esterno . Per questo talvolta giunge in un uomo celeste, talvolta in uno aereo , altre ancora in uno terreno, e qui di nuovo, nella misura in cui si allontana di piu o di meno da una simile condizione, pervie­ ne in un uomo divino, in uno umano o in uno ferino . C erto, noi correggiamo di solito cosi le parole di Platino, perché i platonici non trovano accettabile che l' anima razionale possa diventare forma del corpo di un bovino o di un suino . Que­ sto, però , neppure Platino doveva concederlo, dal momento che aveva stabilito che il mutamento, nell' anima, si origina dall ' immaginazione, giacché essa nella sua essenza non può mutare specie . Si ammetteva invece l ' idea secondo cui esi­ stono tanti intelletti nella specie umana quante anime . Non sembra discordare del tutto da Giamblico la dottrina secon­ do cui il nostro intelletto se ne rimanga beato nelle realtà divine, una volta che la potenza razionale sia caduta a terra, ormai oltremodo immiserita12; Porfirio, invece, discepolo di Platino, la rigetta13; Proclo la critica, affermando che la po­ tenza della mente beatissima presso Dio sarà tanto elevata da trattenere una potenza a sé contigua e una ragione a sé del tutto simile , nella misura in cui essa stessa non sia caduta, e a patto che in questa vita non vada a commettere pecca­ ti. Non sembra però concordare sul fatto che lo stomaco sia l'organo piu debole , fino a quando il fegato è il piu robusto14• Porfirio aggiunge che la caduta dell' anima non ha avu­ to origine dall ' immaginazione o dalla natura, ma dall ' intel-

1 1 Sul concetto di > , X ( 2 0 1 8 ) , pp. 1 - 1 58; cfr. anche M. Stefani, Marsi/io Ficino e la demonologia ebraica. Su due marginalia nel codice Vallicellianus F 20, in , XXIV ( 2 0 1 9) , pp. 62 5-30. Un'ulteriore riflessione ficiniana sull'utilizzo delle immagini simboliche nella tradizione sapienziale egizia si trova in un' an­ notazione a Platino, Enneades, V, 8, 6, per cui vedi Opera omnia, p. 1 768.

3 40

PARTE QUARTA . IL TEMPO DELLA MAGIA

per simboli, e gli dèi esplicano la verità delle idee in immagini manifeste. Vedendo che tutti gli enti superiori provano piacere per ciò che vi è di simile a loro nelle realtà inferiori, e deside­ rando cosi colmarli con quanto è bene, secondo le loro forze, attraverso l' imitazione, essi offrono, per quanto possibile, un modo di agire conveniente agli enti superiori, introducendo occulti misteri nei simboli manifesti . Nell'interpretarli, trala­ scia le voci e afferra il significato . Quando nei loro culti dico­ no « fango » intendi questo corpo del mondo, e la materia, e la virtu generativa che è li insita e che è come agitata e in un flusso costante; intendi anche la causa principale, stabilita co­ me fondamento degli elementi e delle virtu elementali . Dun­ que, lo stesso Dio, essendo causa della generazione e di tutta la natura, e di tutte le virtu che sono insite negli elementi, nel­ la misura in cui sovrasta tutte le cose, lui che è immateriale, indivisibile, immobile e ingenerato, che è tutto da sé stesso e tutto in sé stesso, precede e conduce tutte queste cose, abbrac­ ciandole tutte in sé. Per il fatto che abbraccia tutte le cose, e conferisce qualcosa di suo agli enti mondani, Dio rifulge per loro tramite . Ma poiché sovrasta tutte le cose, risplende come separato da tutti gli enti del mondo, procedendo nelle altezze da sé solo . Lo conferma il simbolo successivo, che raffigura Dio seduto sul loto, i. e. su una pianta, a indicare che Dio su­ pereccede, in virtu della sua sovranità, il fango del mondo, e non lo tocca, quando governa, ma esercita una sovranità in­ tellettuale ed empirea. Tutto nel loto è infatti rotondo, tanto i suoi frutti quanto le sue foglie, a indicare cosi l' azione cir­ colare della mente che si comporta sempre allo stesso modo . Dio , dunque, sussiste in sé stesso, al di sopra di questa attività, superando una simile sovranità, santo e veneran­ do, e riposando pienamente in sé stesso, cosa che è indicata dall ' atto di sedersi . Analogamente, quando introducono Dio quale nocchiero, indicano con ciò la sovranità che governa il mondo; infatti, al modo in cui il nocchiero al timone, come separato, con minimi spostamenti regge e dirige la nave , cosi Dio , sopra il mondo, produce le cause primarie dei movimen­ ti a partire dai primi principi della natura. Poiché tutte le parti del cielo, i segni dello zodiaco, ogni movimento dell'universo, lo stesso tempo secondo cui si muo-

II . IL MONDO DELLE IMMAGINI

34 1

ve il mondo, e infine l' insieme degli enti contenuti nel tutto accolgono le potenze che emanano dal Sole - alcune intreccia­ te a queste cose, altre invece superiori a tale commistione -, per questo il modo simbolico della significazione rappresen­ ta anche queste potenze. Esso mostra con parole che il Sole si configura in accordo con i segni dello zodiaco, e che le sue forme variano a seconda delle ore . Dimostra, al contempo, il suo immutabile trasmettersi ovunque tutt'intero e nello stes­ so istante . Ma poiché le cose che lo ricevono si rivolgono in diversi modi attorno all ' indivisibile dono di Dio, e ricevono dal Sole potenze multiformi, a seconda della loro specifica natura e dei loro movimenti, per questa ragione la dottrina simbolica vuole avvicinarsi, per mezzo dei molteplici doni, al Dio-Uno, e aderire, attraverso le multiformi potenze, al­ la potenza unica di Dio . Per questo dice che esso è uno e il medesimo, ma prevede in coloro che lo ricevono mutamenti di forme e di configurazioni . Dice per questo che quello va­ ria secondo i segni dello zodiaco e secondo le ore, quasi che tali mutamenti variassero attorno a Dio a seconda dei diver­ si ricettacoli cui essi ricorrono nelle preghiere a lui rivolte . Gli Egizi non soltanto nelle loro visioni degli dèi, ma anche nelle preghiere piu comuni, che hanno un simile significato, si approssimano agli dèi che devono supplicare per mezzo di questa dottrina simbolica e mistica.

62 . Commento alle «Enneadi» di Plotino22• Sulla connessione di questo mondo con il mondo superiore, su Prometeo e sulle statue parlanti. [IV, 3 , 12] Anime dimo­

rano all' interno delle sfere del mondo . Da queste esse ricevo­ no doni vitali . Attraverso tali anime, e attraverso le qualità

22 Per il testo su cui si basa la presente traduzione, vedi On Plotinus, vol . I I , pp. 390392 . Questo passo, come il capitolo del De vita che lo segue, affrontano il suggestivo e am­ biguo tema dell' animazione delle statue; per uno studio in proposito vedi M . J . B. Allen, To Gaze upon the Face of God Again: Philosophic Statuary, Pygmalion and Marsi/io Ficino, in , XLVIII (20o8) , pp. 1 2 3-36. Una specifica analisi, rapida ma efficace, dei testi da noi qui tradotti, si trova in S. Gersh, Marsi/io Ficino as Commenta/or an Plotinus: Some Case Studies, in Id. (a cura di) , Plotinus' Legacy. The Transformation ofPlatonism from the Renaissance to the Modern Era, Cambridge 2 0 1 9 , pp. 1 9-43: 36-4 1 .

34 2

PARTE QUARTA . IL TEMPO DELLA MAGIA

dell ' anima, come per intermediari, le sfere ricevono in sorte doni intellettuali provenienti dai singoli intelletti, guide del­ le loro anime; attraverso questi, poi, ottengono alcuni divi­ ni doni che provengono dalle stesse idee della mente divina (come credono Platino e Giamblico)23, alle quali gli intelletti sono inseparabilmente congiunti . Non vi è cosi da meravi­ gliarsi del fatto che quel mondo divino sia ovunque infuso in questo mondo . Porrai poi attenzione a una certa naturale provvidenza che regna nella parte vitale dell ' anima del mondo sotto il nome di Prometeo, il quale modellò dal « fango » , ossia dalla materia prima, « statue » , ossia enti naturali . Essa è in parte intrecciata a quest ' opera, in parte ne è sciolta. Qui non vi è spazio per Epimeteo, l' avventatezza. Osserverai ancora come negli enti naturali si trovino non solo le potenze dell' anima, ma anche certe qualità intellettuali e divine, e che tali numi trasmettono tutti qualcosa a quest' opera - intendo non solo al suo insieme , ma anche a ogni parte . Qui Platino, evocando le statue artificiali che hanno ri­ cevuto una voce, allude in particolare a quei maghi che co­ struivano statue parlanti, nelle quali, a parlare , non era una qualche anima delle statue, e neppure le stelle, ma demoni guidati dalla medesima stella sotto il cui governo le statue erano state fabbricate . Ritengo anche che in quel fanciul­ lo (puer) , figlio del re, che parlò nel giorno della sua nascita (come testimonia Haly, il quale dice di essere stato presente in quel momento) , non fu una congiunzione di quattro pia­ neti in concorso nel suo oroscopo a formare la parola, e non fu neppure l' anima dell 'infante a dar vita alle parole e alla profezia riguardo la calamità che si abbatté poco dopo sul re­ gno del padre . Credo piuttosto che un demone abbia parlato in quell ' occasione . E intendo un demone mercuriale, poiché nell'oroscopo, nell ' ottavo grado della Bilancia, che è il termi­ ne di Mercurio, Mercurio stesso si dice fosse congiunto con Venere, Giove e Marte .

" Giamblico, De mysteriis, I,

19.

II . IL MONDO DELLE IMMAGINI

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63 . De vita .

Sulla virtu delle immagini e delle medicine acquisite dal cie­ lo secondo gli antichi 24• [II I , 1 3] Tolomeo, nel Centiloquio,

dice che le effigi delle realtà inferiori sono soggette ai volti celesti, e che gli antichi sapienti erano soliti fabbricare certe immagini, quando i pianeti, in cielo , facevano il loro ingresso infacies a loro simili - facies che sono come modelli delle realtà inferiori25 • Cosa che Haly conferma, dicendo che è possibile modellare un' immagine efficace del serpente quando la Luna entra nel serpente celeste, o lo guarda in modo favorevole6 • Analogamente, si modella un'efficace effige dello scorpione quando la Luna entra nel segno dello Scorpione, e questo segno occupa uno dei quattro angoli . C iò , dice, veniva fatto in Egitto ai suoi tempi, come lui stesso verificò di persona, " Per il testo su cui si basa la presente traduzione, vedi Three Books, pp. 304-8 . Un'a­ nalisi di queste pagine si trova in B. P. Copenhaver, Iamblichus, Synesius, and the Cha!daean Oracles in Marsi/io Ficino's ; vedi anche On Dionysius, vol. I, pp. 52-54. " Pseudo-Tolomeo, Centi!oquium, IX. 26 Riferimento al commento al Centiloquium dello Pseudo - 'Ali ibn Riçlwan, vedi To­ lomeo, Centi!oquium cum commento Ha!y, Venetiis 1 484, ad !oc.

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PARTE QUARTA . IL TEMPO DELLA MAGIA

quel giorno in cui, lui presente, venne impressa nell ' incenso una figura, per mezzo di un sigillo raffigurante uno scorpio­ ne ricavato da una pietra bezoae7; l ' incenso venne poi fatto bere alla persona che era stata punta da uno scorpione, la quale guari all' istante . Che ciò possa essere fatto non senza vantaggio lo afferma il medico Hahamed, e lo conferma Se­ rapione8. Inoltre Haly narra che un sapiente a lui noto, con simile procedimento, aveva modellato immagini in grado di muoversi, come quella che leggiamo fu fabbricata, non so in che modo , da Archita29 • Anche Trismegisto dice che gli Egizi erano soliti produrre simili immagini con certe materie co­ smiche, ed inserirvi, nel momento propizio , anime di demo­ ni, e l ' anima del suo avo Mercurio; cosi discesero in statue anche l ' anima di un certo Febo, e quella di Iside e Osiride, per giovare o per nuocere agli uominP0 • Questo è un racconto simile a quello di Prometeo, che per mezzo di una statua di fango aveva rubato vita e luce cele­ ste31 . Inoltre i magi, seguaci di Zoroastro , usavano una trot­ tola aurea per evocare lo spirito da Ecate, su cui incidevano characteres di enti celesti e in cui incastonavano uno zaffiro ; essa veniva poi fatta roteare con un certo staffile fatto di cuoio di toro, mentre loro pronunciavano formule magiche32• Ma tralascio volentieri gli incantesimi, che anche il platonico Psello rigetta e deride'3 • Persino gli Ebrei cresciuti in Egit­ to impararono a costruire un vitello d ' oro, come ritengono i loro astrologi, al fine di catturare il favore di Venere e della Luna contro l' influsso dello Scorpione e di Marte, ostile agli 27 È Ficino stesso, in un capitolo successivo di quest'opera ( Three Books, p. 326 (III, I 6]), a illustrare il significato del nome di questa pietra gioviale: « Bezaar, id est a morte liberans (Bezoar, ossia "che libera dalla morte"] >>; vedi anche Consilio, p. I 7 2 . 28 Cfr. Pseudo-Serapione, Liber aggregatus in medicinis simplicibus, Venetiis I 550, capitolo 386. 29 Aula Gellio, Noctes Atticae, X, I 2 . "' Asclepius, I X e Xl. " Sull'importanza della figura di Prometeo nel contesto della discussione sull'anima­ zione delle statue, e piu in generale sui diversi significati che essa assume nel pensiero di Ficino, vedi Allen, Promethean Dialectic ci t . " Cfr. Psello, Expositio i n Oracula Caldaica, 1 1 33a5-8, in Oracles chaldaiques cit . , p . I 7 I . Su questa pratica, vedi S . I . Johnston, Hekate Soteira: A Study of Hekate's Role i n the Chaldean Oracles and Related Literature, Atlanta I 990. " Psello, De daemonibus, 4-7 (Opera omnia, p. I 94 I ) .

II . IL MONDO DELLE IMMAGINI

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Ebrei . Porfirio, nell ' epistola ad Anebo , testimonia della po­ tenza delle immagini, e aggiunge che demoni aerei erano so­ liti insinuarvisi d ' un tratto, per mezzo di determinati vapori che esalano da appropriati suffumigi34 • Giamblico conferma che nei materiali naturalmente conformi agli enti celesti, che sono stati raccolti nel momento opportuno e conveniente, e riuniti da diversi luoghi, è possibile accogliere forze ed ef­ fetti non solo celesti, ma anche demonici e divini35• Lo stesso dicono Procld6 e Sinesio37 • Di certo, quelle meravigliose terapie proposte da medici esperti di astrologia, per mezzo di farmaci composti da mol­ ti ingredienti (come polveri, liquori, unguenti ed elettuari) , sembrano avere in loro una spiegazione piu plausibile e ovvia rispetto alle immagini, vuoi perché polveri, liquori, unguenti ed elettuari, confezionati nel momento opportuno, ricevono influssi celesti piu agevolmente e rapidamente rispetto a ma­ teriali piu duri, di cui le immagini sono di solito fatte, vuoi perché, ormai ricevuti gli influssi celesti, sono da noi assun­ ti per via interna e assimilati (o almeno, quando applicati da fuori, aderiscono di piu e alla fine riescono a penetrare) ; vuoi perché le immagini sono fabbricate solo con un elemento , o con pochissimi, mentre i farmaci possono essere preparati con moltissimi elementi, secondo il giudizio di chi li confe­ ziona . Come se tu potessi riunire tutte assieme le cento qua­ lità del Sole e di Giove che conosci (che poniamo siano spar­ se su cento piante e animali, o su cose simili) , e comporle in una forma, in cui ti sembrerà di possedere quasi tutto il Sole e Giove . Tu sai certamente che la natura inferiore non può ottenere tutte assieme le forze della natura superiore, ragio­ ne per cui esse sono disperse presso di noi in molte nature, e possono essere riunite piu agevolmente attraverso le opera­ zioni dei medici che non attraverso le immagini . Similmente, le immagini preparate con il legno hanno poca virtu . Il legno , infatti, è troppo duro per ottenere facilmente Giamblico, De mysteriis, I I I , 23-29. " Ibid. , V, 12 e 23. 3 6 Proclo, De sacrificio et magia (Opera omnia, pp. 1 928-29) . " Sinesio, De insomniis, 1 3 2-33 ( Opera omnia, p. 1 969) .

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3 46

PARTE QUARTA . IL TEMPO DELLA MAGIA

l'influsso celeste, e una volta ricevuto fatica a trattenerlo . Inol­ tre, poco dopo essere stato strappato dalle viscere della madre terra perde praticamente tutto il vigore della vita del mondo e si trasmuta con facilità in un' altra qualità. Le pietruzze e i metalli, sebbene sembrino troppo duri per accogliere il do­ no celeste, tuttavia, una volta ottenuto, lo trattengono piu a lungo (cosa confermata da Giamblico)38 • Per la loro durezza, infatti, mantengono per lunghissimo tempo dopo l' estrazio­ ne le vestigia e i doni della vita del mondo, da loro posseduti quando erano attaccati alla terra. Per questo motivo sono giq­ dicati materie atte a ottenere e mantenere le cose celesti . E anche probabile quanto ho detto nel libro precedente, cioè che sotto terra non possano formarsi enti di tanta bellezza, se non con uno sforzo enorme del cielo, e che la virtu una volta in loro cosi impressa permane a lungo . Il cielo infatti si è da­ to a lungo da fare per amalgamarli e coagularli . Dal momen­ to che tu non puoi facilmente comporre molte cose di questo genere, sei costretto a indagare con cura quale metallo, fra gli altri, abbia particolare potere nell ' ordine di una qualche stella, e quale pietra sia la piu elevata in quell' ordine, in mo­ do tale da poter almeno comprendere, per quanto possibile, a partire dalla realtà somma di un intero genere e ordine, le restanti, e assumere cosi, da un simile ricettacolo, le realtà celesti a questo conformi - per esempio, nell' ordine solare, sotto l' uomo febeo, sono l ' astore e il gallo a occupare il grado sommo tra gli animali; tra le piante sono il balsamo e l ' alloro; tra i metalli l ' oro; tra le pietre il carbonchio e la pantaura39; tra gli elementi l' aria torrida (giacché il fuoco è considerato di Marte) . I nostri consigli per accrescere l'influsso del Sole, di Giove o di Venere, li intendiamo in senso generale; non valgono tuttavia per chi presenti, nella propria genitura, uno di questi pianeti quale portatore di morte .

38 Dettaglio, questo, che non si trova nel De mysteriis, ma che si ritrova invece nella parafrasi ficiniana di questo testo, vedi Opera omnia, p. 1 887. 39 Si tratta di una pietra solare, che Apollonia di Tiana avrebbe trovato tra gli Indiani (Three Books, I I I , 1 5), e che sarebbe dotata della qualità di attrarre a sé altre pietre (Filo­ strato, Vita Apollonii, III, 46).

III

Sui demoni

64 . Apologo su Giovanni Pico della Mirandola 1 • Apologo di Marsi/io Ficino sul ratto della ninfa Margherita a opera dell'eroe Pico . Pico, eroe bello e dalla mente d ' oro,

nato da Mercurio e Venere, si sforzò con coraggio, e in mo­ do pio, di strappare la ninfa Margherita, di nobile aspetto, figlia di Apollo e di Venere, dalle mani degli uomini . Le nin­ fe infatti, come sai, per legge divina vanno spose agli eroi, non agli uomini . Ma nel frattempo Marte, distruttore delle

1 Per il testo latino di riferimento, vedi Kristeller, Supplementum, vol. I, p. 56; rifles­ sioni su questo apologo si trovano in D. C an timori, Umanesimo e religione nel Rinascimen· to, Torino 1 975, pp. 1 5 1 -53 · Il testo è costruito attorno all'episodio del , composto entro il 1 489) . Tesi pichiana e lettera del Ficino sono testi che andrebbero dunque letti assieme. Altri elementi a soste­ gno di questo comune interesse, e di un comune lavoro sulla demonologia neoplatonica da parte dei due filosofi, sono stati messi in luce da Gentile, Pico e Ficino cit. , pp. 1 42-45, n. 5 1 ; Toussaint, L 'individuo estatico cit . , p. 359; M. Vanhaelen, L 'entreprise de traduction et

d'exégèse de Ficin dans les années I486-I489: Démons et prophétie à l'aube de l'ère savonaro­ lienne, in , XI (20 1 8) , pp. 6 1 -76; Id. , Pier/eone da Spoleto: médecin, philosophe et cabbaliste, ibid. , pp. 77-92 . Sulla base della sua collocazione nell'epistolario ficiniano, la lettera potrebbe collocarsi attorno al 1 490.

IV

Fatalia

70.

Commento alle «Enneadi» di Platino .

[II I , r , 8] Comune opinione dei filosofi riguardo al fato è che esista una certa necessità, introdotta nelle cose dal convenire delle cause corporee . Dal momento che il movimento dei corpi ha origine dali ' anima e l' ordine delle forme corporee dali' in tel­ letto, a ragione riteniamo che l' anima intellettuale sia natu­ ralmente libera dalla necessità che è di solito introdotta dal movimento e dall' ordine dei corpi, o dalla loro serie . Essa è tanto libera dai vincoli del fato da essere addirittura il prin­ cipio dello stesso fato - dato che il fato è la serie dei corpi, e questa serie dipende dall' anima intellettuale . Intendo cioè che dall' anima dell 'universo dipende in generale la serie uni­ versale, mentre dalle altre anime, provviste di una simile in­ telligenza, dipende una serie che in un luogo procede senz 'or­ dine, in un altro in modo determinato . Sono dunque due, nel fato , i generi delle cause: le cause psichiche (animalia) , quasi principi del fato (i. e. le anime che si occupano di gui­ dare i corpi) , e le cause corporee, le quali, per cosi dire, ab­ bracciano il fato . Vi è poi un triplice ordine : quello di tutti i corpi in re­ lazione al primo corpo; quello delle anime in relazione alla prima anima; quello dei corpi in relazione alle anime, e per mezzo delle anime in relazione alla prima anima, per mezzo

L 'anima è sopra ilfato, nelfato, e sotto ilfato' .

1 Per il testo latino di riferimento, vedi On Plotinus, vol . I , pp. 44-56. Tuttora valida rimane la discussione sul tema del ' fato' in M. Heitzman, La libertà e il fato nella filoso­ fia di Marsi/io Ficino, in 3] : « Qui noverit modum illuminationis superiorum su per media intelliget idem significare et platonicos per congregationem animarum in Monte Ida et hebreos per animarum congregationem in Monte Synao in auditione legis [Chi conosce il modo dell'il­ luminazione delle cose superiori sulle cose medie, capirà che lo stesso indicano i platonici attraverso la congregazione delle anime sul monte Ida e gli Ebrei attraverso la congrega· zio ne sul monte Sinai per ascoltare la legge] » . 1 7 Su questo passo, vedi i n particolare Bartolucci, Vera religio c it . , p p . r 1 5 sgg .

IV . FATALIA

mettendoli in un sacco assieme a una vipera18• E come è stato fatto in modo che un genere innocuo di animali, facilmente preda degli altri, si moltiplicasse in maniera facilissima, cosi è stato previsto che un genere di animali pestifero si ripro­ ducesse nel modo piu difficile .

Che è necessario ci siano diversi gradi delle cose; che la prov­ videnza ordina i singoli enti con la regolarità di una proporzione geometrica; che ilfato è al servizio della provvidenza; sul libero arbitrio . [III, 3, 5] La provvidenza non gioisce per una ugua­

glianza aritmetica, ma geometrica. Questa è propria della giu­ stizia, per mezzo della quale la prudenza civile governa casa, città e regno . Prudenza che Platino aveva comparato alla divina provvidenza. L' aveva in modo simile comparata alla poesia, alla musica e infine, spesso e volentieri, alla natura vegetativa, che governa un animale o una pianta. La natura è infatti lo strumento della provvidenza. Grazie a questo paragone insegna che al modo in cui un qualsiasi animale è regolato da un'unica natura presente tanto nelle membra inferiori quanto in quelle superiori, cosi anche questo animale mondano è retto da un'u­ nica provvidenza presente ovunque nelle sue singole parti . Osserverai che le singole parti del mondo, come le mem­ bra dell' animale, possiedono certe potenze e azioni sopra la loro condizione comune; analogamente, in ogni animale certe parti, causa una natura comune, comunicano con altre parti in virtu di senso e passione, e lo fanno tanto facilmente quanto facilmente i singoli enti, in questo animale mondano , si tro­ vano in simpatia e si accordano l' uno con l ' altro come mem­ bra, per via della comunione dell ' unica natura - e questo non vale solo per quelli che si trovano vicini, ma anche per quelli che distano moltissimo tra loro . C ome infatti movimento e affezione dalla testa giungono in un istante ai piedi, cosi av­ viene dal punto piu alto del mondo verso le realtà piu basse . Platino chiama dato » quella vita seminale del mondo, per mezzo della cui forma questo tutto è un vivente . Il suo dispiegarsi si presenta come una serie di cause e di movimen18

Riferimento alle Pandette di Giustiniano , vedi Digestum, lib. XLVII I , tit. IX, 8.

PARTE QUARTA . IL TEMPO DELLA MAGIA

ti celesti; in proposito il firmamento viene talvolta chiamato

Atropo, la volubile regione dei pianeti Cloto, mentre Lachesi

ciò che da H si trasmette, attraverso le sorti, sotto la Luna19 • Questa universale distribuzione e disposizione delle cose ovunque nell 'universo è la provvidenza . E si chiama « prov­ videnza» poiché dipende dalla mente e agisce in ogni luogo per cenno della mente, ma prende anche il nome di « fato » allorché procede attraverso la natura vegetati va dell' anima e attraverso gli enti celesti . Tutte le cose, dunque, che avven­ gono fatalmente, sono provvidenziali, benché la provvidenza realizzi molte cose che eccedono i limiti del fato, ossia tutte le cose relative agli enti intellettuali, e quelle cose che, in mo­ do analogo, le stesse sostanze intellettuali producono . Il fato dipende dalla provvidenza non diversamente da come il ca­ lore dipende dalla luce, là dove ciò che è prodotto dal calore è prodotto anche dalla luce, ma non viceversa. Si nascondo­ no infatti nella luce meravigliose potenze che non sono pre­ senti nel calore . Analogamente lo spirito dipende dall' anima, e nulla compie senza l' anima, mentre l' anima qualcosa può compiere senza lo spirito .

73·

Lettera a Giovanni Pannonio20•

La divina provvidenza ha stabilito che le cose antiche verranno rinnovate . Se tu avessi compreso i nostri scritti, che tu dici di aver letto, non nutriresti dubbi sulla ragione per cui questa no­ stra renovatio degli antichi assecondi la divina provvidenza. 19 S u l significato allegorico delle tre Parche, vedi R. Ebgi, s. v . Le Tre Parche, i n Busi e Ebgi, Giovanni Pico della Mirandola cit . , pp. 274-8 3 . 20 Per il testo latino su cui si basa la presente traduzione, vedi Epistolae, cc. 145V- r 46v (Opera omnia, pp. 87 1 -7 2 ) . Questa missiva è di grande importanza per comprendere l' idea maturata da Ficino relativa alla provvidenzialità della sua missione di restauratore della dottrina platonica, e a come l' astrologia si limitasse a fornire strumenti per intendere tale disegno della provvidenza, non le sue cause. Su questi aspetti, cosf come sulla stretta rela­ zione di quanto scritto nella presente lettera con il contenuto del celebre proemio ficiniano al commento alle Enneadi di Platino, composto pochi anni dopo, vedi Gentile, Introduzio­ ne cit . , pp. xxxv-xxxviii. Per un' analisi, accompagnata da una versione inglese, di questa lettera, vedi Allen, Synoptic Art cit . , pp. r 4 - r 6 .

IV . FATALIA

In primo luogo non dobbiamo pretendere perfetta cono­ scenza delle dottrine cristiane da coloro che vissero prima dell' avvento di Cristo . Non dobbiamo neppure supporre che gli ingegni acuti e in certo modo filosofici abbiano potuto es­ sere attratti e condotti, passo dopo passo, alla perfetta reli­ gione se non da un' esca filosofica . Gli ingegni acuti, infatti, s i affidano solamente alla ragio­ ne, e quando la trovano in un filosofo religioso, sono pronti ad ammettere volentieri la religione in generale . Cosi educati, piu facilmente si elevano a una specie migliore di religione . Perciò non senza la divina provvidenza, che vuole richiamare meravigliosamente a sé tutti gli enti, in base all' ingegno pro­ prio di ognuno, accadde un tempo che una pia filosofia fosse nata, a sé consona, presso i Persiani sotto Zoroastro e pres­ so gli Egizi sotto Mercurio . Essa venne poi svezzata presso i Traci sotto Orfeo e Aglaofemo, e divenne adolescente , sotto Pitagora, presso i Greci e gli Italici. Fu infine resa pienamen­ te matura sotto il divino Platone , in Atene . Era antico costume dei teologi nascondere i divini miste­ ri dietro numeri matematici e figure, e dietro finzioni poeti­ che . Platino spogliò da questi veli la teologia. Primo e solo, come testimoniano Porfirio e Proda , penetrò per divina ispi­ razione gli arcani degli antichi . Ma in virtu dell ' incredibile concisione dello stile, della grande abbondanza di dottrine e della profondità dei significati, Platino necessita non solo di una traduzione, ma anche di commentari . Mi sono sforzato, fino ad ora, di tradurre ed esporre gli antichi teologi; adesso invece m' impegno quotidianamente sui libri di Platino . So­ no stato destinato dal cielo a questo lavoro, proprio come fui destinato agli altri . Cosf che portando alla luce tale teologia i poeti possano smettere di cantare nelle loro favole, in modo empio, le azioni e i misteri della pietà, e i peripatetici, ossia tutti i filosofi, siano ammoniti a non considerare la religio­ ne come favola da vecchiette . Tutta la terra ormai occupata dai peripatetici è divisa perlopiu in due sette, l ' alessandri­ na e l ' averroista. I primi ritengono che il nostro intelletto sia mortale , i secondi sostengono che sia unico . Entrambe, allo stesso modo, distruggono tutta la religione dalle fonda­ menta. Ma se qualcuno crede che una tanto diffusa empietà,

3 86

PARTE QUARTA . IL TEMPO DELLA MAGIA

cosf difesa da sottili ingegni, possa essere cancellata da una sola e semplice predicazione della fede, costui sarà smenti­ to apertamente. Qui occorre una ben piu grande potenza, e cioè divini miracoli, manifesti ovunque, o almeno una reli­ gione filosofica, che verrà di piu buon grado ascoltata dai fi­ losofi, e che a un certo punto li persuaderà. Piace alla divina provvidenza, in questi tempi, confermare il genere della sua religione con autorità e ragioni filosofiche, fino a quando, al momento stabilito, essa confermerà a tutte le genti la veris­ sima specie della religione, come un tempo è accaduto, con miracoli manifesti21 • Ma perché tu, nel tentativo di ricondurre al fato la causa della nostra opera, ti sei preoccupato della mia nascita? Non nego che in quella figura - ossia in Saturno ascendente in Acquario, con il Sole e Mercurio nella nona casa del cielo , e con tutti i pianeti in aspetto con questa casa - , sia indica­ to un innovatore delle cose antiche , ma nego che ne sia la causa22• Anche tu, se leggerai con attenzione la mia epistola sulla stella dei magF3 e quel che abbiamo detto , in modo si­ mile, nella nostra Teologia2\ e ancora i libri di Platino che trattano di questo argomento , che ho tradotto, comprende­ rai con chiarezza che i compiti delle anime in vista del be­ ne comune dipendono principalmente dalle menti superne, ministre del sommo Dio , come dalle loro cause generali e prime . Essi derivano anche dalle decisioni degli uomini, co­ me da cause specifiche e ultime, là dove gli uomini si con­ formano alle realtà superiori . Sono poi indicati dalle figure e dai movimenti celesti, quasi strumenti delle menti divine . Imparerai inoltre che il fato, ossia la serie delle cause cele­ sti, è al servizio della divina provvidenza . Le nostre anime sono però giudicate soprattutto libere quando si accordano con la divina volontà . 21 Il testo della lettera, fino a qui, si ritrova, con poche variazioni, nel proemio di Fi­ cino alla sua traduzione delle Enneadi, cfr. Plotino, Opera, p. 1 537. 22 Sull'interessante questione del genetliaco ficiniano, e delle diverse versioni da lui date nel corso degli anni, vedi Pompeo Faracovi, L 'oroscopo di Ficino cit . , pp. 6 1 1 - 1 7 . " Cfr. Marsilio Ficino, Predicationes, a cura d i D . Conti, Torino 2 0 1 4 , pp. 6 1 -68; in proposito vedi S. M. Buhler, Marsi/io Ficino 's cui Ficino fa qui riferimento, sostenitori di dottrine sui demoni che mo· strerebbero affinità con quelle dei pensa tori platonici, si potrebbe pensare , come già indica· to da Allen in una nota di commento a questo passo (cfr. On Dionysius, vol . I , p . 484, nota 2 3 2 ) , ad Atenagora, Legatio pro christianis, XXV, r , e a Origene, Contra Celsum, IV, 9 2 .

l . SUL MALE

tutte quelle malvagie, ossia tutte le cose del nostro mondo, dipendano dal primo demone divenuto malvagio . Platino, con Platone, crede che la materia sia l' origine dei mali in genera­ le, mentre pensa che l' origine dei nostri mali particolari sia l' inclinazione dell' anima verso la materia, sia che tale inclina­ zione nasca da essa stessa, sia che diveniamo piu inclini a essa per istigazione di demoni4 • L 'origine dei mali sia dunque la materia, o un mutamento che coinvolge i demoni o le anime, posto che questo non sia il principio efficiente, ma deficiente (deficiens) dei mali . La materia, in sé, non è propriamente né bene né male . Non è bene, giacché bene è ciò in virtu di cui una cosa è o è prodotta, ma nulla è in virtu della materia (essa è infatti ciò che vi è di piu basso) . Analogamente non è male, provenendo essa dal bene, ed essendo avida di bene . Il suo nome piu proprio è « necessario » , dal momento che essa esi­ ste soltanto in virtu di altri, ed è necessario cominciamento . Sembra dunque che il « necessario » si trovi in una posizione intermedia tra bene e male .

Il male non ha causa efficiente, e non è lui stesso causa effi­ ciente, né esiste qualcosa che sia male nella sua stessa essenza. Del pari, in che modo del male si dice che sia non ente, in che modo lo si dice del primo bene. [CXXXIV] Poiché l' inten­

zione naturale di tutto ciò che agisce è generare, per quan­ to possibile, qualcosa di simile a sé, e poiché quanto piu una qualsiasi causa partecipa della bontà, tanto piu può generare qualcosa di simile a sé, ne segue che lo stesso bene , con gran­ dissima facilità, può e desidera generare cose a sé simili . Il male è ciò che vi è di piu dissimile dal bene e si oppone a esso . Il male dunque non proviene dal bene . E nemmeno produce o genera alcunché . Il produrre, infatti, e il conservare sono prerogative del bene stesso; non possono dunque essere pre­ rogativa anche del male, che si oppone al bene - anzi, la pre­ rogativa del male è contraria a quella del bene, ed è quella di distruggere . Il male dunque non è causa efficiente di alcunché . ' Platone, Theaetetus, 1 76a; Id . , Politicus, 2 7 3b-d. ' Quanto a Piotino, vedi supra, testo 66.

416

PARTE QUINTA . CRISTIANITÀ E PRESAGI DELLA FINE

Da qui dipende il fatto che il male non proviene dal male, come da causa efficiente, e neppure dallo stesso primo be­ ne, né da alcun bene particolare . Infatti, qualsiasi cosa, non importa quale, raggiunge la sua massima potenza generativa quando si trova in sommo grado bene nella sua natura. La ragione della generazione e della creazione è dunque la bon­ tà stessa. Per questo, dato che ogni ente, per la ragione per cui è un bene agisce traendo fuori da sé effetti naturali, ne consegue che produce qualcosa di bene . Il male dunque non proviene dal bene in quanto bene . Per questo, dal momen­ to che il male non è dal bene, né proviene dal male come da causa efficiente, e che nemmeno opera qualcosa al modo di una causa efficiente, giustamente non è né causa efficiente, né l' effetto di una causa efficiente . Inoltre, ogni cosa, quale è nella sua essenza, tale è nella sua interezza, e viceversa, proprio come ciò che è per essen­ za caldo, è caldo nella sua interezza. Cosi, se immaginiamo qualcosa che è in sé stesso male, cioè male secondo la sua essenza, esso sarà anche completamente male, e viceversa. Ma ciò non può essere per essenza male - poiché l' essere, in quanto bene, risulta naturalmente desiderabile per tutte le cose - , dunque non è interamente male - anzi, nessuna cosa può essere interamente male . Infatti, dal momento che il ma­ le indica un difetto o un danno, dove immaginiamo un male integrale, li nessuna traccia rimarrà dell' essenza. Non esiste perciò qualcosa che sia nella sua essenza male . Per questo, ciò che si definisce male, non importa in che modo, è nel suo stesso essere un bene, mentre è male per accidente, ossia per una mancanza, nella misura in cui viene a mancare di quel bene che ne favorirebbe l ' esserci. Per questo il desiderio naturale di tutti gli enti e di tutto ciò che agisce tende al bene, sia come al principio che muove il desiderio, sia come al fine nel quale il desiderio trova pa­ ce . Nessun appetito, dunque, inclina al male in ragione del suo essere male . Cosi a sua volta il male , in quanto male , non può disporsi al bene . Per questo, se immaginiamo qualcosa che sia nella sua es­ senza male, ciò, in quanto totalmente contrario al bene, non potrà desiderare il bene, al modo in cui la siccità stessa non

I.

SUL MALE

desidera l ' umidità, che la distruggerebbe - sebbene sia vero che una cosa in cui ogni umore si è seccato, ma che prima era umida, desidera tornare alla precedente condizione di umidi­ tà. Proprio per questa ragione una cosa che sia per natura un bene, ma che è divenuta male causa una qualche mancanza, desidera il bene . Non è dunque ledto immaginare qualcosa che sia essenzialmente un male, perché t4;tto ciò che rientra nell' ordine dell ' essenza desidera il bene . E frutto di fantasia un ente che non possa desiderare il bene . Che tutte le cose, spinte dal desiderio, si convertano al bene, è per noi prova del fatto che tutte le cose siano sorte dal bene, e che per questo il bene è superiore all' ente universale, in particolare poiché non si desidera l ' essere in sua sola ragione, ma in ragione del bene . Del resto, al modo in cui ciò che è superiore agli enti corporei non è corpo, ma migliore dell' intero genere corpo­ reo, cosi ciò che è superiore agli enti non è ente, ma superio­ re a tutto ciò che è . Quando diciamo che è non ente, subito quel che diciamo non ente è anche ente; risolviamo cioè quella negazione in un' affermazione mentale, dicendo che tale non ente è supe­ riore all' ente, ed è il principio e la fine di ogni ente . Di contro , però, quando abbiamo predicato il non ente del male, lo abbiamo risolto in una negazione, cioè in una man­ canza d ' essere . Ma il male non si deve definire ente, perché ciò che lo rende ente è quel che lo renderebbe anche male; e se è cosi, non può essere interamente male . A sua volta, non deve dirsi non ente, cioè semplicemente estraneo a ogni condizione dell' ente; in tal caso infatti non danneggerebbe alcunché, né sarebbe male per nessuno . Inoltre, non possiamo porre il non ente in alcun luogo , a meno di porlo nello stesso bene, in quanto Dio non è ente, ma causa di ogni ente, ed è a tutto superiore . Infine, lo stesso bene non solo è superiore all' ente (non importa quanto eccel­ so) , ma è anche piu eccelso di ogni non ente, se mai si suppon­ ga, in qualunque modo, che il non ente sia superiore all' ente . Ma il male, come abbiamo detto, non si trova in alcun en­ te nella misura in cui è ente; altrimenti sarebbe per questa ragione un bene, e da desiderare . E non può avere come fon­ damento ciò che si definisce puro nulla; infatti il nulla non

418

PARTE QUINTA . CRISTIANITÀ E PRESAGI DELLA FINE

può essere dipinto come male, ossia come opposto a qualcosa, e nemmeno come manchevole . Esso però ha a fondamento un certo ente e anzi un bene, in cui si verifica un venir meno dello star bene . Una simile mancanza sembra discordare piu dal nulla che dal bene; s ' appoggia infatti a un bene, come a un certo sostegno, non al nulla. E poiché si crede che il male inerisca sempre a qualcosa d ' altro, mentre quel che si pensa come nulla non lo si immagina cosi, e l' inerenza è certo estra­ nea alla sostanza, proprio per questo è meglio ritenere che il male si definisca come una certa condizione diversa dalla so­ stanza, piuttosto che come nulla. Vi è un altro argomento che indica come il male discordi dal bene - e similmente dall' essenza - piu di quanto non ne discordi il nulla. Tu intendi cosi la cosa : il male può danneg­ giare il bene e l' essenza, ma quel che viene dipinto come pu­ ro nulla non può danneggiare alcunché . Proclo concorda con tale argomento nel libro Sul male5•

Nell'angelo non vi è male, cioè una qualche mancanza del bene, poiché è la piu chiara immagine del primo bene. [CLII]

Se, nel dire « male » , tu pensi di affermare qualcosa che si tro­ va nell' ordine delle cose, ti sbagli . Qualsiasi cosa sia, infat­ ti, provenendo dal bene, è necessario che sia un bene . Mai dunque può esistere un simile male . Se invece con il termine « male » ti riferisci a una negazione, a una privazione, o a una mancanza propria di un certo bene, sebbene in tal caso tu possa riconoscere in qualche luogo qualcosa di male, tuttavia mai puoi perlo nell' angelo . I platonici stabiliscono un quadru­ plice ordine in qualsiasi natura. Nel primo grado pongono la stessa natura in sé impartecipabile, come, per esempio, la lu­ ce nel sole . Nel secondo, la natura partecipata, ma in modo perfetto, cioè sempre nello stesso modo, come la luce infusa nelle stelle dal sole . In terzo luogo la natura partecipata ma in modo imperfetto, e ciò in due modi: infatti o è sempre, ma non sempre allo stesso modo, come la luce del sole confe­ rita alla luna, o non è allo stesso modo, né è sempre, come la ' Proclo, De malorum substantia, III,

7;

IX,

ro.

I.

SUL MALE

luce del sole nell' aria. È assolutamente necessario procede­ re ovunque attraverso questi gradi . Anche la natura, infatti, procede verso i suoi confini in modo graduale, attraverso ele­ menti intermedi; la causa è che la potenza efficiente produce effetti simili a sé, prima di quelli dissimili . Il bene dunque è partecipato dal primo bene agli angeli, come la luce è partecipata dal sole alle stelle; ed essendo nel primo e piu vicino grado di partecipazione, si dona piena­ mente, senza mancanza, dunque senza male . Quando però si diffonde verso le realtà inferiori, capita si mescoli con un che di tenebroso, e viene meno in due modi, quale qualcu­ no potrebbe trovare in qualunque modo nella luna o come la luce nell ' aria . Secondo l a dottrina platonica, l a natura angelica, cioè in­ tellettuale, nella sua purezza è come lo splendore che avvolge la luce divina, che manifesta in modo intelligibile i penetra­ li di quella luce alle anime intellettuali, mentre il sole divi­ no riluce, nel modo piu manifesto , nell' angelo, come in uno specchio purissimo . In tutto ciò farai attenzione a questi due vocaboli, al contempo dionisiani e platonici, e cioè theoeideia e agathotypia . Con il primo viene designata la luce e la spe­ cie divina . Con il secondo la divina figura. L ' apostolo Paolo, nel proemio dell ' Epistola agli Ebrei, pone queste due cose, in sommo grado, nel verbo di Dio, cioè nel suo intimo concet­ to . Dionigi li attribuisce all' angelo come in secondo grado . Il quale, sebbene non abbia ricevuto da Dio tanta divinità quanta ne possiede lo stesso Dio, o quanta lui stesso ne può, se vuole, riversare, tuttavia ne possiede tanta quanta l' ordine delle cose può sopportare, e quanta Dio ha decretato .

Quale sia il male nell'anima . [C LX] Dal momento che la somma provvidenza di tutte le cose si trova nello stesso bene, principio di tutte le cose, ne consegue che gli angeli e le anime, che dipendono da esso in modo piu prossimo, eser­ citano una forma di provvidenza naturale nei riguardi delle realtà inferiori. Ma gli angeli provvedono muovendo, le ani­ me invece lo fanno in primo luogo vivificando, poi elargen­ do consigli . Dal momento che questo dono della provviden-

4 20

PARTE QUINTA . CRISTIANITÀ E PRESAGI DELLA FINE

za, nella sua interezza, viene dal bene ed è a imitazione del bene, esso è senza dubbio buono . Per l' anima, dunque, non è male il suo approssimarsi alle cose malvagie, cioè inferiori, cosi da beneficiarle in modo naturale o volontario . Al modo in cui l' aria notturna si definisce tenebrosa non poiché sopraggiunga qualcosa di nuovo, o poiché perda la sua natura, ma perché le manca la luce del sole (che rende lumi­ noso un ente per sé tenebroso) , cosi l ' anima e il demone si definiscono malvagi non per il fatto che perdano qualcosa di naturale, o perché facciano proprio qualcosa di estraneo, ma poiché viene meno il benefico dono di Dio e non rispettano l' ordine che conduce solitamente a ciò che è bene . Il dono del bene rende buono, con la sua presenza, quel che diversa­ mente in sua assenza cadrebbe nel male .

Lettera a Giovan Vettori o Soderini e a Francesco Cattani da Diacceto6 •

77.

Nessuno può estirpare del tutto i cattivi pensieri . Marsilio Ficino fiorentino saluta cordialmente Giovan V et­ torio Soderini e Francesco Diacceto, suoi confilosofi . Voi chiedete il significato di queste parole evangeliche : È 1 7 , 8) . Senz ' al­ tro non significano nulla di diverso da quanto afferma Pla­ tone : « < mali non si possono interamente estirpare »7, bensi

ben necessario che avvengan degli scandali (Mt,

6 Per il testo latino abbiamo fatto riferimento a Epistolae, cc. r 87rv ( Opera omnia, pp. 945·46) . Su Giovan Vettorio Soderini ( 1 460- 1 5 28), uomo di buona formazione classica, che divenne professore di diritto e che giunse a ricoprire importanti cariche pubbliche a Firen­ ze, vedi R. Zaccaria, s. v. Soderini, Giovan Vettorio, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma 2 0 1 8 , vol . XC I I I , pp. 64-67 , dove viene riportata anche la notizia della presenza di Giovan Vettorio, i1 3 r agosto 1 494, tra i membri della commissione (composta, tra gli altri , da Ficino) >; in proposito vedi S. Fellina, Alla scuola di Marsi/io Ficino. Il pensiero filosofico di Francesco Cattani da Diacceto, Pisa 2 0 1 7 . C atta­ ni dedicò la prima redazione del suo De pulchro (opera ultimata, pare, prima del 1 499) , in cui compare anche una nota lode al maestro Ficino , proprio a Giovan Vettorio Soderini. 7 Platone, Theaetetus, 1 75a.

l.

SUL MALE

42 1

si rivolgono di necessità in questa regione . Tralascio ora di quanti mali siano causa, per noi, il fato, la natura, la fortuna, gli elementi, gli uomini e gli animali . Essi sono di certo piu gravi di quelli che noi, con imprudenza, possiamo arrecare a noi stessi . Non deve però stupire che gli uomini d ' azione, o quelli schiavi dei piaceri, siano oppressi da innumerevoli ma­ li, proprio perché si sottomettono d ' ogni parte al fato e alla fortuna e si gettano di frequente, quasi di loro volontà, nel mare delle passioni. Non deve invece mai smettere di mera­ vigliare il fatto che pure gli uomini dediti completamente alla vita contemplativa, lontani da una vita voluttuosa e attiva, siano agitati da passioni . Loro, infatti, che sembrano essersi sottratti alle cause delle inquietudini, sono però spesso tor­ mentati da piu gravi preoccupazioni di quelle che affliggono il voluttuoso o l'uomo d ' azione . C erto, i contemplatori, di­ sprezzando le cose degli uomini, si consacrano vuoi alla reli­ gione e alla santità, vuoi alla filosofia, eppure in entrambi i casi, desiderosi di evitare C ariddi, incappano in Scilla. E que­ sto perché i santi, in fuga dai deliri e dalle vanità dei mortali, s ' imbattono in demoni tentatori . Per loro, infatti, il combat­ timento non è contro sangue e carne, dice l' apostolo Paolo, ma contro gli spiriti malvagi, tiranni dell'aria tenebrosa (E/, 6, I 2) . I santi, dunque, messi alla prova d a Dio , si trovano vessati da demoni . Che dire però dei filosofi? Non è forse vero che, dopo essersi allontanati dalle occupazioni di Giove e dai di­ letti di Venere, incorrono spesso nei tedi e nelle afflizioni di Saturno e si ritrovano melancolici? Male profondo, questo, che Democrito, Platone e Aristotele8 ritengono colpire tutti gli ingegni piu elevati, a tal punto che essi sembrano soffrire le pene che il contemplatore Prometeo pati sul monte C au­ caso9. I contemplatori, cosf, affrontano spesso affanni tanto piu gravi dell 'uomo attivo e del voluttuoso, quanto piu po­ tenti sono i tormentatori (vexatores) in cui si imbattono . Per questo, se persino simili uomini, ritenuti piu di tutti in gra8 Per la dottrina della genialità dei melancolici, con i riferimenti in nota ai passi di Pla­ tone, Democrito e Aristotele in proposito , vedi supra, testo 74 [I, 5] . ' L'immagine del Prometeo contemp!ator dipende con ogni probabilità da un passo di sant 'Agostino , in cui Prometeo stesso è descritto quale > , cfr.

De civitate Dei, XVIII, 8, 5 ·

42 2

PARTE QUINTA . CRISTIANITÀ E PRESAGI DELLA FINE

do di sfuggire ai mali, soffrono di frequente mali gravissimi, nessuno certo potrà confidare che i mortali possano evitare tali insidie . Vi è però una differenza, forse, e cioè che i mali dei primi a poco a poco peggiorano sempre di piu; quanto ai secondi, invece, se persistono con s aggezza e costanza nel loro inten­ to, alla fine, con l' aiuto di Dio, quelli che seminano con lacri­

me, mieteranno con canti di gioia. Ben va piangendo colui che porta il seme da spargere, ma tornerò con canti di gioia quando porterà i suoi covoni (Sal, r z6, 5-6) . Ho ritenuto utile, miei dilettissimi confilosofi, ricordarvi queste cose, affinché non crediate di poter gustare le dolcezze della filosofia prive di amarezza, né, d' altra parte, disperiate che la stessa amarez­ za, con l' aiuto di Dio, a un certo momento possa convertirsi in dolcezza, come spesso la natura fa con i frutti . State be­ ne, e perseverate nella contemplazione, al modo in cui avete cominciato, con prudenza e costanza . 2 7 settembre 1 49 2 .

7 8 . Commento al «Sofista» di Platone10• Quadruplice divisione delle arti. [VIII] Il sofista è un ani­ male variegato e difficile da afferrare . L ' arte diairetica è du­ plice : una separa il simile dal simile, l ' al tra il peggiore dal mi­ gliore . Ques t ' ultima è per ciò detta « purgatoria » . Anch ' essa è duplice : una purga il corpo, l' altra l' anima. Quella relativa al corpo purga il corpo animato o quello inanimato . Nel pri­ mo caso è detta ginnastica, medicina e arte di fare il bagno; 10 È probabile che Ficino abbia composto il suo commento al Sofista (o, meglio le sue distinctiones et summae capitum in Sophista) prima dell 'estate del 1 494, vedi Kristeller, Sup­ plementum, vol . I, p. cxx . Il testo fu stampato nell ' editio princeps dei Commentario in Pla­ tonem di Ficino (Firenze 1 496) , alle cc . 53r-59r; nell 'edizione degli Opera omnia del 1 576

si trova alle pp. 1 2 84-94. L'edizione critica del testo latino, con traduzione inglese, è stata pubblicata da Alle n, In Sophistam . Dei quarantotto capitoli di cui è composto il commento, presentiamo qui in traduzione italiana la sezione che comprende i capitoli ottavo-quindi­ cesimo, dove il tema del male viene declinato in due modi: da una parte con un' analisi dei due tipi di infermità che affliggono l' anima: ignorantia e improbitas; dall' altra con spunti sul tema della falsità, di cui un esempio è offerto dall ' abilità del sofista di produrre imma­ gini fallaci degli enti veri .

l.

SUL MALE

nel secondo è detta arte del lavandaia e simili. Se purifica l' anima è detta disciplina razionale .

L 'ignoranza è simile alla deformità, la malvagità alla ma­ lattia . [IX] Come nel corpo il male è duplice - deformità

nelle membra esterne e malattia negli umori - , cosi due so­ no le specie di malvagità nell' anima: nella parte cognitiva è l' ignoranza, bruttezza in tutto simile a una deformità, nella parte affettiva è la disonestà, simile a una malattia . E come, riguardo al corpo, rimedio alla deformità è la ginnastica e ri­ medio alla malattia è la medicina, cosi riguardo all' anima ri­ medio all' ignoranza è lo studio e rimedio alla disonestà è la pena giudiziaria.

L 'ignoranza è duplice. [X] L' ignoranza è duplice . Una è di tipo semplice, l' altra è doppia - quando cioè qualcuno che non sa crede di sapere, cosa che prende il nome di stupidità. Alla prima si oppone l' educazione nel campo delle arti, alla seconda la disciplina confutatoria. Tale disciplina è dupli­ ce: la prima educa e ammonisce con leggerezza, la seconda è una punizione e accusa severa contro coloro che non sanno di non sapere . Il sofista assomiglia a un simile confutatore, ma occorre fare attenzione a questa somiglianza, perché è molto ingannevole . Le sei definizioni del sofista . [XI] Prima definizione del sofista: « cacciatore mercenario di ricchi giovani » . Seconda: « mercante di dottrine dell' anima » . Terza: « trafficante delle dottrine dell' anima » . Quarta: « commerciante delle sue in­ venzioni relative all' apprendimento » . Quinta: « disputatore e finto litigante » . Sesta: « purgatore dell' anima» - cosi appa­ re quando sembra estirpare le opinioni che sono d' ostacolo all' apprendimento . Professione del sofista . [XII] Il sofista fa professione di praticare e insegnare l' arte di discutere, con la quale ribalta il giudizio su ogni cosa .

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PARTE QUINTA . CRISTIANITÀ E PRESAGI DELLA FINE

Il sofista si affida all'opinione, non alla conoscenza . [XIII] Il sofista, dal momento che discute su tutto con forza e inse­ gna a tutti senza distinzione, sembra sapere ogni cosa . Posto però che non possa sapere tutto, sarà piuttosto in possesso di un' opinione su tutto, che di una conoscenza .

Descrizione del sofista . [XIV] I l sofista è u n prestigiatore e imitatore, capace di dipingere con le parole fallaci immagini di tutte le cose vere; in questo modo inganna le orecchie de­ gli inesperti, come un pittore e uno scultore sommo, imitan­ do certi animali, inganna da lontano gli occhi dei fanciulli . Ma gli esperti, come guardando da vicino, si accorgono degli errori di entrambi . [XV] E sistono due specie di imitazioni . La prima che mira a qualcosa di vero e, propo­ nendosi di usare la cosa vera come modello, produce simili­ tudini, come fa il pittore e come fanno altri . La seconda in­ vece, pur non avendo ancora visto la cosa vera, si sforza di fabbricare sue immagini; macchina cosi fantasmi, che posso­ no sembrare simili al vero, ma che in realtà non lo sono . Qui si deve porre il sofista11 •

Due specie di imitazioni.

11 L' accenno all' arte del sofista presente in questo capitolo è da affiancare a quanto detto da Ficino in due capitoli della sezione finale del commento (In Sophistam, pp. 2692 7 1 ) , che riportiamo qui in traduzione : > .

I.

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Commento all'«Epistola ai Romani» di san Paolo12•

Del giudizio divino; della retribuzione secondo le opere; della pena eterna; dei gradi delle colpe. [XII] Ma col tuo cuore duro e ostinato tu ti ammassi un tesoro di collera per il giorno dell'ira e della rivelazione della giustizia giudicatrice di Dio (Rm, z , 5) . Come Dio converte i mali in bene per coloro che soppor­ tano e per i penitenti, cosi stabilisce che i beni siano con­ vertiti in male per coloro che abus ano della sopportazione divina. Poiché dunque non sono piegati alla penitenza dalla magnanimità divina, costoro accumulano su di loro una ven­ detta piu aspra da subire nel giorno del divino giudizio per i peccatori. Il giudizio divino è duplice: uno univers ale, che avverrà alla fine dei tempi, per tutti, l' altro particolare, per ciascuno, che avrà inizio alla fine della vita presente . In que­ sto versetto sembra si faccia riferimento a entrambi i giudi­ zi, e che entrambi si faranno chiari « nel giorno [dell ' ira] » e « con la rivelazione » . « Nel giorno [dell' ira] », poiché di fronte al divino giudice, anche lui chiamato sole della giustizia (Ml, 4, z ) , le singole cose si mostreranno in modo chiaro; « con la rivelazione » , poiché i marchi di tutti i peccati si fanno chia­ ri anche nell' anima, come fossero li impressi col fuoco . Del sole il divino Orfeo dice : « Tu vedi dentro tutte le cose, tut­ te le cose dentro ascolti, e tutte distribuisci »13; e Socrate, nel

12 Fu a partire dalle lezioni pubbliche su testi paolini tenute nel capitolo della catte­ drale di Firenze, a partire dal I 497. che Ficino progettò un commento all 'intero corpus del­ le epistole di Paolo . Di questo ambizioso disegno, l' ultimo della vita del Ficino, ci rimane un incompleto commento all ' Epistola ai Romani (il testo si interrompe a Rm, 5 , I 2), da cui abbiamo selezionato, e tradotto in questa sezione, due capitoli . Per il testo latino su cui si basa la presente traduzione vedi In epistolas Pauli, pp. 78-8 I [XII]; 82-88 [XI I I ] . Rinvia­ mo all'Introduzione di D. Conti, curatore di questo lavoro, per uno studio dettagliato del commento ficiniano; molti dei riferimenti relativi alle fonti utilizzate da Ficino in questi passi sono tratti dall'edizione citata. Per un migliore inquadramento degli interessi e dello studio ficiniano del testo evangelico, e nello specifico degli scritti di Paolo, sarà opportuno ricordare che il ms 426 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, in cui è contenuto il Nuo­ vo Testamento (cc. I r r-2o r v) , presenta proprio all ' altezza delle epistole paoline il maggior numero di postille, e che il ms 85, sempre della Biblioteca Riccardiana di Firenze, in cui si trova il testo greco delle epistole, presenta segni , cfr. ibid. Il, I , 2 [ I 97l .

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PARTE QUINTA . CRISTIANITÀ E PRESAGI DELLA FINE

mo luogo descrive le colpe, poi aggiunge le pene . Le colpe sono in particolare tre : la prima è la superbia, che lotta con ostinazione contro Dio; la seconda è la diffidenza, che non acquiesce all' autorità della divina verità; terza è la fiducia, che si perdona ogni malvagità . Vengono poi descritte quat­ tro pene : sdegno, ira, tribolazione, angoscia23• Nota in primo luogo con quanto buon criterio Paolo ritiene che i premi so­ no retribuiti dallo stesso Dio, ma non parla dei supplizi . In­ fatti quando dice sdegno etc . , si deve intendere : « queste cose saranno inflitte ai peccatori » , e non: « queste cose vengono attribuite da Dio » . M a per tornare al primo argomento, non s arà forse vero che un anziano, venerando , si potrà risentire, e a ragione, con un fanciullo, suo servo, che non voglia eseguire alcun suo or­ dine, se prima questo servo non avrà richiesto con insistenza in ogni cosa la ragionevolezza di ognuno di quegli ordini, la quale ragionevolezza non spetta a lui indagare, e che non può intendere, in particolare se il servo, ostinato, si oppone sem­ pre al signore, che lo esorta a una vita piu onesta, con parole e atti, immergendosi invece completamente nelle malvagità?24• Paolo qui inveisce contro uomini simili a questo servo, che si oppongono sempre a Dio . E i primi sono quelli che, umili e sottomessi di propria volontà a Dio, hanno agito con one­ stà, ossia sulla base dei precetti di Dio, con somma pazienza; i secondi, invece, per la loro superbia, eguagliandosi in qual­ che modo a Dio, è come lo portassero a giudizio , litigando con lui su ogni singola cosa, e in questa superba e ostinata lotta non si sottomettono alla verità divina, ma traggono in controversia e tentano di discutere qualsiasi cosa che da que­ sta verità sia ispirata nelle menti, o rivelata dai s acri profeti e dottori che predicano pubblicamente i comandi divini, e vogliono non solo ficcare i loro occhi mortali e deboli nei di­ vini misteri e negli abissi angelici, ma persino afferrarli, per cosi dire, con le loro impure mani . " Anche per questi passaggi su « colpe >> e « pene >>, cfr. ibid. I l , I , 2 [ 1 98·99] . In riferimento a questa parabola del servo e del vecchio padrone si potrebbe riman­ dare a Le, 1 2 , 47, passo citato da Tommaso d'Aquino nel suo commento al versetto dell ' Epi­ stola ai Romani illustrato qui da Ficino, cfr. Super Romanos, I l , I , 2 [203]. 24

I.

SUL MALE

43 1

H anno stabilito che altrimenti non potranno discutere tali cose . E ancora si oppongono con ostinazione alla divina bontà, che li chiama a sé non solo con ispirazioni e dottrine, ma anche con un gran numero di benefici, allontanandosi molto da Dio . Una simile ostinazione Mosè maledice con queste parole :

Mentre vivo ancora in mezzo a voi, siete stati ribelli contro il Signore, quanto piu lo sarete dopo la mia morte! (Dt, 3 1 , 2 7) . Costoro non peccano di certo per debolezza o ignoranza, ma per superbia e malignità, e avendo perpetrato questi peccati in un altro peccato, come abbiamo detto, incorrono subito in una forma di giusto supplizio . E questo peccato è tale per cui coloro che non hanno voluto accordarsi e obbedire alla verità e bontà divine finiscono per servire la malignità diabolica, e per accogliere in modo temerario e con leggerezza quel che la stessa malvagità gli offre o per suggestione di demoni, o per eresia, o con l' esempio di uomini al servizio di demoni, o per incitamento dei sensi; per questo, riposta la fiducia in cieche guide, cadono ovunque miserevolmente . Platone, nel Filebo, condanna una simile pertinace ostinazione, impugna­ trice (impugnatrix) della verità2S, e corregge, nel decimo delle Leggi, chi contrasta la divina e benefica religione26 • Descrive inoltre cosi, nel quarto delle Leggi, l' umile obbedienza a Dio e la superba ostinazione contro Dio : Chi vuole essere felice , sottomettendo la sua cervice al giogo del divino giudizio, lo segue umile e onesto, chi invece per la superbia rifiuta il giogo divino e alza la testa, quasi non abbisognasse di gui­ da, ma potesse essere guida sufficiente di sé stesso e degli altri, viene abbandonato infine da Dio, e mancando di esso, in breve con giu­ sto giudizio subisce pene condegne . I nfatti ha sovvertito sé stesso, i suoi e la patria" .

Ma è tempo di tornare alle parole di Paolo . Un simile sde­ gno, dice, incombe sui peccatori, vale a dire una divina cen­ sura. Questo sdegno gli antichi vati hanno chiamato Nemesi, punitrice dei superbi . Dice inoltre che l ' ira incombe su di " Platone, Philebus, 48c sgg . Platone, Leges, X, 907d sgg . " Ibid. , IV, 7 r 6a-b. 26

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PARTE QUINTA . CRISTIANITÀ E PRESAGI DELLA FINE

loro , cioè la vendetta che deriva dal divino sdegno, i. e. dal­ la sua censura. Completamente abbandonati da Dio, infatti, vengono abbandonati all ' ira delle furie dei demoni malvagi. Da qui anche gli antichi poeti hanno cantato le furie negli in­ ferF8, e Platone, nel decimo della Repubblica, dice che, negli inferi, demoni di fuoco tormentano con furore i peccatori29 • Paolo aveva posto in primo luogo la tribolazione, cioè la tor­ tura dell' anima, poi del corpo . Aggiunse infine l' angoscia, os­ sia l ' estrema oppressione nella quale i malvagi perdono ogni speranza di s alvezza e di uscita dai mali. Gli improbi subi­ scono queste avversità e supplizi anche nella vita presente, ma in quella futura ne faranno piena esperienza.

In ogni anima dell'uomo che opera il male, sul giudeo prima, e sul greco . Ha detto ogni, per comprendere sia i gentili che gli Ebrei . Ha detto anima, cosi che tu comprenda che tut­

te le cose buone, come tutte le cose malvagie, anche legate al corpo, e quelle fortuite, vengono a noi dalla bontà o dalla malvagità dell' anima. Questo ha insegnato Mosè nel Genesi 30, questo Platone ha sostenuto nel Carmide31 , in accordo con Mosè : « Qualora l' anima sia stata perfetta, anche il corpo sa­ rà immortale » . Dice : che opera il male, opponendosi a quello che aveva detto in precedenza : perseveranza dell'azione onesta . Intende dunque questo : quando opera il male con perseve­ ranza; perché qualora peccasse in modo lieve, non subirebbe tanto gravi supplizi . Sul giudeo prima, e sul greco . Annovera sempre i Giudei per primi, tanto in relazione ai mali, quanto in relazione ai beni, poiché, dal momento che in virtu delle leggi e dei profeti avrebbero dovuto maggiormente osservare la volontà divina, giustamente avrebbero dovuto osservare per primi e in modo particolare, e poiché mancavano di una scusa piu di tutti nell'essere meno osservanti, sembravano 28 Cfr. per esempio, Orphei argonautica (ed . Hermann) cit . , 972-8 2 , p. 545; Virgilio, Aeneis, VI, 374-75; 570-7 2 ; Ovidio, Metamorphoses, IV, 4 5 1 - 5 1 r . 29 Platone, Respublica, X , 6 r 5e-6 r 6a. "' Cfr. Gn, 3· " Cfr. Platone, Charmides, 1 57a; si tratta di un passo che per Ficino rivestiva parti­

colare importanza, dal momento che lo ricorda in numerose occasioni nelle sue opere pre­ cedenti; in proposito vedi R . Ebgi, Marsi/io Ficino e il ritorno della medicina sacra, in C . Moreschini (a cura di) , L a medicina allo specchio del sacro. Incontro e confronti tra scienza e religione, Brescia 2020, pp. 287-306.

I.

SUL MALE

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degni d i piu severo supplizio . Infatti avrebbero dovuto per primi osservare e dare esempi agli altri, e accogliere per pri­ mi la salvezza. I loro privilegi, dunque, vogliono essere primi in entrambi i casi . C on ciò intendo che devono essere i primi nell' accogliere i doveri e la salvezza; e i primi ancora nei mali e nei supplizi, nel caso non la ottengano .

II

Profezia

8 o . Lettera a Giovanni Cavalcanti 1 • Perché l a provvidenza permette le avversità; dei vaticini e dei rimedi contro i mali . Marsilio Ficino fiorentino saluta il suo amicissimo Giovan­ ni C avalcanti . Spesso i platonici si chiedono per quale motivo la provvi­ denza divina permetta che gli uomini, tanto i giusti quanto gli ingiusti, siano tormentati da innumerevoli mali . Essi so­ no soliti rispondere, in modo sommario, che in primo luogo i mortali non s anno se questi siano mali o beni, giacché le cose degli uomini sono ombre, i loro pensieri sogni . Questo è il significato delle parole del profeta: Tutto è vanità (Ecc!, I , 2 ; I 2 , 8 ) ; Ogni uomo è mendace (Sal, I I 6 , I I ) . Dicono ancora, per quanto ciò lo si dia per scontato, che quanto sembra ma­ le, in qualche modo è male, e, infine, che è lo stesso sommo bene a permettere il male, e questo a fin di bene, perché le difficoltà e le avversità purificano il vizio curabile, mentre puniscono quello incurabile . Là riluce il bene della purifica­ zione, qui quello della giustizia. Nelle avversità, poi, gli uo­ mini buoni si distinguono dai malvagi, si esercitano e sono messi alla prova. Questo esame e la fermezza sono senz ' altro cose buone . Occorre inoltre considerare con attenzione quel 1 Per il testo latino di riferimento, vedi Epistolae, cc. 1 96r- 1 97r (Opera omnia, pp. 96 1 963) . Ripresentiamo qui, con poche variazioni, la traduzione pubblicata i n Ebgi (a cura di) , Umanisti italiani cit . , pp . 52 1 -26. Come è stato notato, questa lettera, datata 1 2 dicembre 1494, in cui si trova un' esaltazione della figura di Savonarola e del suo ruolo provvidenzia­

le per la salvezza di Firenze, segue di solo due giorni la decima delle prediche di Girolamo sul profeta Aggeo, in cui il frate sembra ricorrere a immagini del repertorio ficiniano, salvo poi, nella predica seguente ( 1 2 dicembre), attaccare in modo implicito proprio l ' atteggia­ mento degli intellettuali del cenacolo laurenziano, cfr . , in proposito, Vanhaelen, Ficino 's Commentary cit . , pp. 2 I 1 - 1 3 .

II. PROFEZIA

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che Platone dice, nel Fedro, a proposito della velenos a astu­ zia del demone malvagio : « Un demone, sin dal principio, ha mescolato un momento di piacere a molti vizi »2• C osi affer­ ma Socrate per avvisare che l' occupazione principale dei de­ moni malvagi è quella di trattenere piu a lungo le anime in questo loro esilio, lontane dalla patria celeste, dimentiche del superno Padre, e di farle qui indugiare per mezzo di lusinghe e godimenti terreni, che seducono le anime al pari del filtro della venefica Circe, o dei canti soporiferi delle sirene, im­ pedendo, o quantomeno ritardando il loro ritorno alla patria celeste . Contro queste insidie demoniache, la benefica provvi­ denza divina ha stabilito che a questi dolci e mortiferi s apori se ne mescolassero di amari, cosi che non finissimo cattura­ ti, come pesci all' amo, da un tale piacere (che Timeo chiama « esca dei mali »3) . I platonici, soprattutto Plotino4 e Sinesid, ritengono questa, in gran parte, la ragione per cui la divina provvidenza ha voluto che le anime, su questa terra, fossero tormentate da cosi grandi e numerosi sconvolgimenti . A que­ sto mira Platone, nel dialogo Sulla scienza, con quelle parole - consone al Vangelo - che ho già avuto modo di scriverti, o mio amatissimo Giovanni, e anche brevemente di spiegarti : Teodoro , non è possibile che i mali vengano estirpati del tutto, perché vi è sempre qualcosa di contrapposto al bene; ora, dal momen­ to che i mali non possono avere sede tra gli dèi, di necessità essi si aggirano tra le cose mortali, quaggiu , nel nostro mondo. Per questo dobbiamo sforzarci di fuggire, da qui a lassu, al piu presto . Fuggire da qui significa rendersi simili a Dio, secondo le proprie possibilità; a renderei simili a Dio sono la giustizia, la santità unita alla sapienza• .

Platone dichiara queste cose; noi meditiamo la fuga da qui verso Dio soprattutto per fuggire i mali che quaggiu, di neces­ sità, si abbattono su di noi, cosi da conseguire, da questo male passeggero, un bene sempiterno . Nessun uomo, se non colpito da una malattia, conosce o si rivolge a un medico, cosi come a nessun marinaio è dato ammirare l' abilità del comandante, 2

' ' ' 6

Cfr. Platone, Phaedrus, 2 4oa-b. Platone, Timaeus, 69d . Cfr . Platino, Enneades, IV, 8, 5 · Cfr . Sinesio, D e somniis, VIII. Platone, Theaetetus, q6a-b.

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PARTE QUINTA . CRISTIANITÀ E PRESAGI DELLA FINE

fino a quando la nave non affronti il mare in tempesta. I mor­ tali infatti sono tanto stolti da riconoscere il bene solo quando paragonato al male, e sono tanto ingrati da non onorare Dio, da cui provengono tutti i beni, se non quando sono oppressi dal male. Ora, dal momento che sono tormentati da mali e da frequenti sconvolgimenti, essi sono spinti a rifugiarsi in Dio, quale medico e soccorritore . Sono anche portati a comprende­ re che la loro patria non è la terra, dove vivono tra continue angosce e mai trovano pace, bensf il cielo . Ora, per spiegare il motivo per cui Dio permetta i mali e le avversità non si può trovare ragione piu valida di quella evangelica, la quale ci in­ segna che i ciechi e gli storpi nascono per mostrare agli uomini la meravigliosa potenza e bontà di Dio, la quale cura quei mali che per gli uomini risultano incurabili - proprio come la som­ ma grandezza di un medico o di un comandante viene messa alla prova da malattie e tempeste eccezionali . Accade spesso, dunque, che gli uomini, sia in privato sia in pubblico, siano circondati da difficoltà tanto gravi da far sembrare chiusa ogni via d 'uscita, e da far perdere ogni speranza di salvezza; ecco allora che la bontà e la potenza divina, ascoltando i suoi figli che la pregano con umiltà, distende dal cielo una mano, e af­ ferma che solo Dio può salvarci dalle piu grandi disgrazie . A piu chiara riprova di ciò, essa predice, attraverso un profeta, grandi pericoli assai prima che essi avvengano . Compito del medico, quand ' anche non possa curare il paziente, è quello di offrire in ogni caso un pronostico; il medico divino, invece, può entrambe le cose . Ora, benché di ciò si potrebbero citare numerosi esempi, già a tutti noti, tratti dalle S acre Scritture, io vorrei, come mia abitudine, soffermarmi su cose meno co­ nosciute, confermando per quanto posso i misteri cristiani per mezzo di quelli platonici . Ascolta dunque, mio Giovanni, tu che sei sia cultore di cose divine, sia studioso di dottrine pla­ toniche, con quali parole Socrate, nel Convivio, corrobora la risoluzione divina relativa alle cure dei mali umani e ai profeti: La sacerdotessa Diotima, profetessa ed esperta di cose divine, profetizzò agli Ateniesi l ' imminente peste . Essa, tramite sacrifici, ottenne di ritardare per dieci anni l' epidemia' . 7

Platone, Convivium, 2 01 d .

II . PROFEZIA

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E cosi scrive nel Fedro : E se dicessimo della Sibilla, e di tutti gli altri che avvalendosi della mantica predicendo molte cose a molti, li indirizzarono sulla giusta via per il futuro , ci dilungheremmo nel dire cose che sono note a tutti' .

Poco dopo aggiunge : Gli antichi attestavano che la mantica proviene da un furore di­ vino , ed è di gran lunga migliore dell' assennatezza del sapere umano . Ma anche nel caso in cui malattie e affanni terribili, frutto dell' indi­ gnazione divina, e che dipendono da antiche colpe, minaccino i mor­ tali, il furore divino, sorgendo e predicendo il futuro in quelli in cui deve operare, trovò una via di scampo, rifugiandosi nella preghiera e nella venerazione degli dèi . E quindi, procurando purificazioni e iniziazioni, rese libero chi ne fosse in possesso, per il presente e per il futuro, avendo trovato una liberazione da tutti i mali presenti per chi era in stato di mania ed invasato nel modo dovuto' .

Inoltre, nel primo libro delle Leggi scrive cosi: Epimenide Cretese, uomo divino, dieci anni prima delle guerre persiane, guidato da un oracolo divino , giunse ad Atene per compie­ re alcuni sacrifici prescritti dall 'oracolo . Siccome trovò gli Ateniesi preoccupati dall ' avanzata persiana, egli profetizzò che prima di die­ ci anni i Persiani non avrebbero messo piede in Atene, e che quando pure fossero arrivati, se ne sarebbero dovuti andare senza realizzare alcuno dei loro progetti di conquista'" .

Platone considera tale uomo il piu sapiente di tutti, ben­ ché spesso sia stato considerato stoltissimo dal volgo . Perciò nel Fedro scrive, in modo mirabile : Chi si serve in modo retto di tali reminiscenze, in quanto è sem­ pre iniziato a misteri perfetti, diventa, lui solo, veramente perfetto. Però , in quanto si allontana dalle occupazioni umane e si rivolge al divino, viene accusato dai piu di essere uscito di senno . Ma sfugge ai piu che egli, invece, è invasato da un dio " .

Platone, dopo aver esaltato la sapienza del profeta e del sacerdote posseduto dal divino sopra quella umana, descrive una certa mente infiammata dall ' amore divino, in condizione d ' estasi erotica; egli antepone questo furore e questa aliena' Platone, Phaedrus, 244b. ' Ibid. , 244d-e. 1 0 Platone, Leges, l, 642d-e. 1 1 Platone, Phaedrus, 249c-d.

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PARTE QUINTA . CRISTIANITÀ E PRESAGI DELLA FINE

zione non solo alla saggezza umana, ma anche a tutti gli al­ tri doni divini . Qui chiaramente Platone conferma le parole dell ' apostolo : Ma di tutte la piu grande è la carità ( I Cor, I J , I 3) . Anche Avicenna, nel suo libro Delle cose divine12, concor­ da con Platone su molti aspetti relativi alla divina missione dei profeti e alle ragioni di tale missione . Tralasciamo per� queste lunghe digressioni e ritorniamo al nostro proposito . E certo degno di nota, come dice Platone, che Dio , indignato a causa di antiche colpe, abbia in qualche modo destinato ca­ lamità agli uomini . Si trova cosi confermato sia quel celebre oracolo divino, secondo cui le avversità giungono a causa dei peccati (Prv, I 2 , I J) , sia quanto ha detto Mosè, ovvero che ogni avversità che ci assale ha la sua origine nel peccato dei primi genitori13• E ancora Platone dice che Dio , preso da mi­ sericordia, ispira di frequente i profeti, perché ci predichino futuri flagelli, cosi che noi, messi sull ' avviso, facciamo ricor­ so a voti e a s acre preghiere - le quali, se compiute in modo giusto, riescono spesso a salvarci . Con queste parole, certo, pare confermare tutti i misteri della nostra Chiesa. Per farla finita con gli esempi, non è forse a causa delle nostre molte colpe che in quest'ultimo autunno, a Firenze, fu imminen­ te una rovina tale, che nessuna virtu umana avrebbe potuto evitare? e non fu forse la divina clemenza, molto indulgente verso i Fiorentini, a preannunciarci un simile evento quattro anni prima di quest ' autunno? e lo fece per mezzo del dome­ nicano Girolamo, uomo insigne per santità e sapienza, eletto per volere divino a tale compito . Non fu forse grazie a pre­ sagi e moniti divini da lui compiuti che riuscimmo a evita­ re miracolos amente, non per nostra virtu, ma per una virtu che supera la nostra speranza e il nostro giudizio, una sicura rovina, che pendeva minaccios a sulle nostre teste? Questo è

stato fatto dal Signore, una meraviglia ai nostri occhi (Sal, I I 8, 23) . Mio eccellente Giovanni, seguendo gli utili consigli di questo uomo, non resta ora a noi due, e a tutti i Fiorentini, 12

S i tratta della Metafisica di Avicenna, tradotta in latino a Toledo nel xn secolo, cfr. Avicenna, Liber de philosophia prima sive scientia divina, X, 2 · 3 · Ficino discute questo aspetto della dottrina avicenniana nella sua Teologia platonica cit . , pp. 1 3 54 sgg . [XIV, 9] . " Cfr. Gn, 3, 1 4 .

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II . PROFEZIA

che essere grati a Dio, il quale ci ha mostrato grande clemen­ za, e di chiamarlo a nome di tutti. Conferma, Dio, quanto hai

fatto per noi (Sal, 68, 29) .

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8 1 . Lettera a Giovanni Cavalcanti 14• Pia opinione di Platone sugli amici e sui nemici di Dio . Marsilio Ficino saluta Giovanni C avalcanti, amico unico . Ieri ho discusso con te e con tuo genero Gherardo Gianfi­ gliazzi, persona dabbene, su quale sia l'opinione di Platone, nel Filebo, riguardo gli amici e i nemici di Dio . Hai cosi vo­ luto che io mettessi per iscritto le parole di Platone e il mio commento di quel passo . Queste sono le parole di Platone: Un uomo giusto, devoto e buono non sarà forse amico del Dio? e l'ingiusto e l'improbo suo nemico? C erto è cosi. Ogni uomo poi è guidato da grande speranza . In ognuno di noi infatti vi sono parole interiori, che siamo soliti definire opinioni e speranze, e vi sono anche dipinti fantasmi . I nfatti ognuno può immaginare di possedere un ' im­ mensa ricchezza, vari piaceri in abbondanza, e di essere circondato da ogni dolcezza. E non dobbiamo forse dire che tali opinioni e immagi­ nazioni si rivelano perlopiu vere nel caso degli uomini buoni, poiché sono amici di dio, mentre spesso illusorie per i malvagi? Certo occorre ammetterlo . Anche - e soprattutto - negli uomini malvagi si trovano spesso foggiati godimenti, ma falsi . I malvagi gioiscono cosf il piu delle volte per piaceri falsi, mentre gli uomini buoni si nutrono di vere gioie". " Per il testo latino abbiamo fatto riferimento a Epistolae, c . I 97V (Opera omnia, pp. 963-64). Si tratta di una lettera divenuta importante perché considerata da D . Weinstein (Savonarola and Florence. Prophecy and Patriotism in the Renaissance, Princeton [NJ] I 970, p . 207) un primo, velato segno del mutamento di opinione nei riguardi di S avonarola, cui

Ma�silio fa�ebbe allusione, là dove, nella lettera, si riferisce agli uomini malvagi. Dello stesso avviso sono Vanhaelen, Ficino 's Commentary ci t . , pp. 2 Io- I I e L. Tromboni, Ficinian Tbe­ ories as a Rhetorical Device: The Case of Girolamo Savonarola, in A. Moudarres e C . Purdy Moudarres (a cura di) , New Worlds and Italian Renaissance. Contributions to the History of European Intellectual Culture, London-Leiden 2 0 I 2 , pp. 1 45-7 1 : 1 46. La tesi è invece messa in discussione da D. Conti, Introduzione, in In epistolas Pauli, pp. LXXII sgg . , che non trova nella missiva alcun riferimento specifico al tema della profezia, e che tende a escludere un repentino cambio di posizioni di Ficino, tale da portarlo a classificale S avonarola tra i mali homines meno di otto giorni dopo averlo esaltato quale figura provvidenziale per la salvezza di Firenze (vedi supra, testo 8 2 ) . Le a�gomentazioni di Conti sono convincenti, anche se oc­ corre sottolineare come il tema platonico degli « amici degli dèi » non può non richiamare il pa�allelo motivo biblico dell' amicizia che legherebbe Dio ai profeti, elemento che sembrerebbe aprire la via a un'interpretazione in chiave profetica delle questioni affrontate nella lettera. " Platone, Philebus, 39e-4oc .

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PARTE QUINTA . CRISTIANITÀ E PRESAGI DELLA FINE

Fin qui Platone. Segue ora il nostro commento. Per Platone l' uomo buono è colui che è in sé temperato, devoto verso Dio e giusto verso gli uomini . Una simile anima, in virtu della sua somiglianza con il divino, è piu di tutti amica di Dio; un' a­ nima malvagia, in virtu di dissomiglianza, è sua nemica. Per questo, dal momento che Dio muove da dentro, e ovunque provvede, certo le opinioni, le immaginazioni e le speranze degli uomini buoni di frequente risultano vere, false invece quelle dei malvagi . Del resto, entrambi meditano, desidera­ no e sperano certe gioie; gioie che per gli uomini buoni, qua­ si divini e veritieri, spesso si rivelano vere; false invece per i malvagi. I malvagi, infatti, come mentissero a loro stessi, di frequente vengono ingannati dall 'opinione, e spesso dipingo­ no falsi diletti . Ora, se questi, in quanto discordi dalla divi­ na verità, non dovrebbero vedere realizzate le loro speranze, eppure spesso, visti da fuori, sembrano riportare successi, è almeno vero che ciò non si verifica nel loro intimo ; essi dun­ que rimangono sempre inquieti dentro di sé, e si lamentano, e i loro piaceri sono simili ai falsi piaceri dei malati, dei so­ gnatori, dei folli . zo

dicembre 1 494

8 2 . Apologia contro Savonaro/a16• Apologia di Marsi/io Ficino a favore dei molti Fiorentini in­ gannati dall'Anticristo Girolamo di Ferrara, sommo degli ipo­ criti, al Collegio dei cardinali. So bene, venerandi sacerdoti,

che moltissimi, nel sacro Concilio, si sono meravigliati per il fatto che un ipocrita di Ferrara, per un intero quinquennio , abbia ingannato gran numero di Fiorentini, per altro uomini eruditi e d ' ingegno . A ragione si meravigliano, quando esa­ minano in che modo uno s olo sia riuscito a circuire cosi

16 Per il testo latino abbiamo fatto riferimento a Kristeller, Supplementum, vol. I I , pp. 76-79. Ripresentiamo qui la traduzione pubblicata in Ebgi (a cura di) , Umanisti italiani cit . , pp. 527-3 1 . La stesura dell'Apologia risale a u n periodo successivo alla condanna d i Savo­ narola ( 2 3 maggio 1 498) , sebbene non risulti possibile datarla con precisione; in proposito vedi P. Viti, Ficino, Platone e Savonarola, in Gentile e Toussaint (a cura di), Marsi/io Ficino. Fonti, testi, fortuna cit . , pp. 295- 3 1 8 : 295-96.

II . PROFEZIA

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numerosi e grandi uomini; ma non un essere mortale, bensf un demone astutissimo - ma che dico un demone, una schie­ ra di demoni - li afferrò con invisibili trappole e li ingannò con prodigiose macchinazioni . Certo, nessuno piu si stupisce, giacché tutti, in modo unanime, confessiamo che i primi ge­ nitori del genere umano, quasi figli di Dio, muniti di divina sapienza e virtu, posti in paradiso e istruiti dagli angeli, fu­ rono ingannati - anche loro, e in tali condizioni ! - da uno spirito diabolico . Dovrebbe allora meravigliare il fatto che i Fiorentini, in quel tempo particolarmente sventurati, fosse­ ro stati segretamente conquistati e sedotti da una schiera di demoni nascosta dietro volto d ' angelo ? Non si crede forse che anche l' Anticristo sedurrà molti uomini, e di grande sag­ gezza e onestà? Ci sono molte prove del fatto che Girolamo, il principe degli ipocriti, nel sedurci - e non solo tendendoci inganni, ma anche scuotendoci - , fosse guidato non tanto da spirito umano , ma diabolico : un' incomparabile astuzia, in questo Anticristo, era sempre vestita d' abiti virtuosi, mentre dissimulava l' errore, un animo insaziabile (vastus animus)17, una feroce audacia, una vana boria, una superbia luciferina, una sfacciata menzogna sostenuta con preghiere e giuramen­ ti, un volto, una voce e una parola che si abbatteva come fol­ gore, trascinando con forza, contro il proprio volere, chi lo ascoltava. Spesso infatti nel bel mezzo della discussione, in modo repentino, si metteva a gridare, s ' infiammava, canta­ va, si esaltava, non diversamente da quegli indemoniati e fu­ riosi che vengono di solito descritti dai poeti. Talvolta si spingeva persino a fare vaticini, contaminandoli con menzo­ gne, cosi da ingannare e mettere il popolo alle strette con grande facilità, con le sue predizioni, qualunque esse fossero, per venire infine confutato dalle sue stesse menzogne e ope­ re malvagie . Non è questo il momento opportuno per spie­ gare le ragioni per cui gli astrologi, assieme ai platonici, de­ dussero che S avonarola fosse influenzato da diversi, contra­ stanti e infausti influssi stellari. Per dirla in modo sommario, gli astrologi e i platonici congetturarono, sulla base di molti 1 7 Si tratta di una locuzione utilizzata da Sallustio per descrivere l' animo di Catilina, cfr. De Catilinae coniuratione, V, 5 ·

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PARTE QUINTA . CRISTIANITÀ E PRESAGI DELLA FINE

e contrari influssi stellari, e delle negative congiunzioni astra­ li, o perlomeno a partire da certi segni, che S avonarola - an­ zi, meglio, S evoNerola18 - fosse sotto il giogo di vari e mal­ vagi demoni. Ma sia che ne fosse soggetto per cause straor­ dinarie, o che fosse stato piuttosto lui stesso a sottomettersi agli spiriti malvagi, spinto dalla propria superbia e iniquità, una cosa è certa: diavoli e simili influenze maligne, riuniti a convegno nella sua anima diabolica come nella loro officina, esalavano un pestilenziale veleno che si diffondeva ovunque. Essi non infettarono e guastarono solo lui, ma colpirono an­ che quelli che gli si avvicinavano, e lo stesso popolo, che con­ fidava e credeva troppo nelle sue parole . Si dice che Apollo­ nio di Tiana avesse scoperto ed esorcizzato un simile perico­ lo, che minacciava gli Efesini, proveniente da uno squallido vecchio posseduto da spiriti maligni'9 • lo avevo osservato la stessa cosa, già da tempo, in questo Sevonerola, benché all'i­ nizio, riformata in modo repentino la Repubblica, mentre i Francesi spargevano terrore a Firenze, io stesso, assieme all 'inquieto popolo, fui spaventato da non so quale demone e per breve tempo caddi nell 'inganno . Subito però mi sono ravveduto, e nel corso degli ultimi tre anni ho messo sull' av­ viso molti dei miei conoscenti, privatamente ma spesso anche in pubblico (e non senza pericolo) , affinché essi potessero fuggire lontano da simile mostro velenoso, nato per la rovina di questo popolo . Tralascio poi le insurrezioni e le letali ini­ micizie scoppiate in città, la trascuratezza nella gestione del­ lo Stato, gli sprechi e i danni gravissimi che hanno trovato qui la loro origine . La cosa peggiore è senza dubbio il fatto che moltissimi in parte furono imbevuti della sua superbia ed eretica ostinazione, in parte, si potrebbe dire, furono re­ si folli e si ritrovarono storditi, come toccati da quel pesce che chiamano torpedine0, senza dubbio degno frutto di un tale seme diabolico . Del resto, sulla possibilità che ciò possa 1 8 Gioco di parole con cui Ficino identifica Savonarola con il saevus Nero, cioè l ' impe­ ratore Nerone che, secondo un' antica credenza, ricordata da Agostino e Girolamo, sarebbe tornato alla fine dei tempi nei panni dell' Anticristo; vedi R. De Maio, Riforme e miti nella Chiesa del Cinquecento, N apoli r 9 7 3 , p. 57; S . Meltzoff, Botticelli, Signore/li and Savona­ rota: « Theologia poetica» and Painting /rom Boccaccio to Poliziano, Firenze r 987, p. 30 r . •• Cfr. Filostrato, Vita Apollonii, IV, r o . 2° C f r . Plinio, Naturalis historia, IX, 67, I 4 3 ·

II . PROFEZIA

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accadere, e che sia di fatto già accaduto di frequente, abbia­ mo un autorevolissimo testimone, l' apostolo Paolo, che bia­ sima cosi i G alati: O Galati insensati, chi vi ha ammaliato per non credere alla verità (Gal, 3, 1 ) ?21 • Ritengo non sia senza grande mistero l' aggiunta: « per non credere alla verità » . In­ fatti, coloro che, affascinati dai seduttori, hanno acconsen­ tito in modo sconsiderato al falso , non solo sono stati in quel momento privati della luce della verità, ma sono divenuti piu diffidenti nell' accoglierla. Occorre esortare tutti quelli che prestano ascolto ai predicatori sacri, spesso esecrabili e fana­ tici, ad avere quel versetto del Vangelo sempre presente agli occhi e alle orecchie della mente : Guardatevi dai falsi profeti,

che vengono a voi con vesti di pecore, mentre internamente so­ no lupi rapaci. Dai loro frutti li conoscerete (Mt, 7, I 5- I 6) . Lo stesso Paolo ha concluso con queste parole l' intera questione nella Seconda epistola ai Corinzi: Poiché tali uomini sono apo­

stoli falsi, operai ingannevoli, che si trasformano in apostoli di Cristo. E non c 'è da meravigliarsene, poiché Satana stesso con­ tinua a trasformarsi in angelo di luce. Perciò non è nulla di gran­ de se anche i suoi ministri continuano a trasformarsi in ministri di giustizia. Ma la loro fine sarà secondo le loro opere (2 Cor, 2 ,

I 3 - I 5) . Anche io concludo l a mia breve apologia dicendo che nessuno si deve meravigliare se i Fiorentini, non dico tutti - infatti ormai molti hanno compreso la tirannica malvagità di S avonarola e, per cosi dire, dei suoi satelliti - ma certo molti, siano stati sedotti dalla sua diabolica frode e indotti in quella stessa malvagità per istigazione del demonio, giac­ ché a Firenze non si combatté solo contro un demone, ma, per usare le parole del Vangelo, contro una calamitosa legio­ ne di demoni22, la quale circondava S avonarola . Da questa peste poco tempo fa ci liberarono felicemente la divina cle­ menza, la provvidenza del sommo pontefice e la vostra co­ scienza, ispirata in modo celeste dal serafico Francesco2\ con 21 La seconda parte della citazione paolina >, non si trova nella Vulgata, la quale o omette il testo o ne presenta uno alternativo . 22 Cfr. Mc, 5 , 9· " Sul ruolo qui attribuito da Ficino a san Francesco nell' ispirare la presa di posizio­ ne anti-savonaroliana del collegio cardinalizio, vedi Viti, Ficino, Platone e Savonarola cit . , p p . 3 1 2- 1 4 .

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l' aiuto del nostro Collegio dei canonici della cattedrale e di alcuni illustri cittadini, amministratori della Repubblica, e in particolare di Giovanni C anacci, che ha lavorato assidua­ mente a questo fine4 • Giacché non abbiamo imbracciato le armi contro esseri celesti, come si dice avessero fatto, per difendere Troia, Enea e i suoi ignari commilitoni - tanto che dopo poterono esclamare : « Ahi, nulla possiamo sperare con gli dèi avversi! »25 • No, noi combattemmo contro gl' inferi e contro mostri del Tartaro per difendere la libertà di Firenze e della Chiesa di Roma, come fecero Orfeo per s alvare Euri­ dice ed Ercole per la gloria. Per questo, dopo la battaglia, dobbiamo innalzare questo canto : Dio è insorto e ha distrut­ to i suoi nemici nell ' Anticristo. Tutti coloro che odiarono Dio fuggirono dinnanzi al suo cospetto, dileguarono come dilegua il fumo [al vento] , come si scioglie la cera al fuoco ­ cosi morirono gli ipocriti e i peccatori superbi dinnanzi a Dio26 • Poiché l' onnipotente si oppone ai superbi, ma concede grazia agli umili : Egli ha operato potentemente col suo braccio, ha disperso i superbi, con Lucifero, nei pensieri del loro cuore (Le, 1 , 5 1 -5 2 ) . Dio spesso rinvia la punizione degli altri pec­ cati al giudizio finale, ma l' empia superbia, la piu grave di tutte le pestilenze, piu spesso giudica e punisce nel presente. E cosa potrebbe essere piu chiaro di questo miracolo ? Dio , finora molto indulgente, ha sopportato questo sacrilego per tutto il tempo in cui ha ingannato il popolo usando il nome e la croce di Cristo quasi fosse un prestigiatore; ma quando , per la prima volta, nel corso dell ' eucarestia, tentò di conta­ minare , in pubblico, lo stesso corpo di Cristo con l' esperi­ mento del fuocd7, Dio onnipotente, scuotendo il cielo con improvvisi temporali e tuoni e fulmini, denunciò questa su­ perba e troppo efferata empietà, spingendo il suo popolo a bruciare S avonarola in quello stesso fuoco . Perciò, dopo i " Esponente del partito anti-savonaroliano, fu allievo del Ficino; sui motivi che spinsero Marsilio a fare qui esplicitamente il suo nome, vedi ibid. , pp. 3 1 4- 1 5 . " Virgilio , Aeneis, II, 402 . 26 Cfr. Sal, 68, 2 - 3 . 21 A proposito dell' esperimento del fuoco del 7 aprile 1 498, vedi ] . Schnitzer, Savona­ rola. Ein Kulturbild aus der Zeit der Renaissance, 2 voli . , Mlinchen 1 9 2 4 , vol . I I , pp. 55-8 2 ; R. Ridolfi, Vita di Girolamo Savonarola, Firenze 1 98 1 (prima ed . Roma 1 95 2 ) , p p . 348-6o .

II . PROFEZIA

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ringraziamenti dovuti per primi a Dio, rendiamo grazie al sommo pontefice e al vostro sacro C ollegio, e a voi umilmen­ te raccomandiamo il popolo di Firenze e il Collegio cattedra­ le, devotissimo alla Chiesa romana.

83. Lettera ad Aldo Manuzio28• Marsilio Ficino Fiorentino, a d Aldo Romano . Ti ringrazio per la tua benevolenza e diligenza. Mi dispiace però di non poter ricambiare, in questi tempi, con altrettanta diligenza. Credo bene che i molti errori presenti in questi li­ bri siano colpa dei copisti. Dopo aver ricevuto le tue lettere, infatti, all ' inizio del Giamblico29 ho notato due errori, cosa che non mi sorprende, perché i codici che voi ora avete, io, occupato com ' ero dai commenti al Parmenide e a Dionigi30, non li ho potuti a quel tempo rivedere . Se ne occuparono al­ cuni miei familiari, assai negligenti, la cui negligenza ho però notato solo dopo averveli inviati . H o opportunamente ricevuto alcuni codici greci dai Me­ dici, ora difficilmente recuperabili o ritrovabili . Ritengo che il Sinesio sia particolarmente scorretto31 , non solo per colpa dei copisti e degli amici, ma poiché ho avuto un esemplare pieno di errori. Non so quindi in che modo tutte queste cose siano state edite, mentre ero occupatissimo in altre faccende . Nella pre"' Presentiamo qui la traduzione dell' importante lettera ad Aldo Manuzio, che risale al I0 luglio del I 497, in cui Ficino evoca la tragica situazione in cui si trovava all' epoca Fi­ renze, alle prese non solo con le lotte tra i seguaci e gli oppositori di Girolamo S avonarola, ma sconvolta dalla fame e dalla peste. La missiva fu pubblicata da Kristeller, Supplemen­ tum, vol . II, pp. 95-96; e riprodotta, con alcuni ritocchi, in Gentile, Introduzione cit . , pp. XLVII-XLVIII. Su questo testo vedi S. Pagliaroli, in Gentile (a cura di) , Sandra Botticelli cit. , vol . I , pp . I 46-4 7 , scheda 4 . 8 . 29 Riferimento alla parafrasi del D e mysteriis di Giamblico, che verrà stampata a Vene­ zia, da Manuzio, nel settembre dello stesso I 49 7 , vedi supra, p. 339, nota 2 1 . 30 Riferimento al Commento a l «Parmenide» platonico (per cui vedi in/ra, p . 470, nota 5), e alla traduzione e commento dei testi dello Pseudo - Dionigi Areopagita (per cui vedi supra, p. 4 I 3 , nota I ) . " Si tratta della traduzione del D e somniis d i Sinesio; u n a prima versione risale al I 488 ed è contenuta nel ms Ricc . 76. Una seconda versione compare invece nell ' aldina del I 497, stampata assieme al De mysteriis di Giamblico , ad altre traduzioni ficiniane e al gio­ vanile De voluptate.

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PARTE QUINTA . CRISTIANITÀ E PRESAGI DELLA FINE

sente situazione non posso occuparmene . A parte il fatto di essere malato, infatti, non posso vivere al sicuro, né in città né fuori, né recuperare i miei libri sparsi in città. Perché tre furie ormai vessano senza sosta la misera Firenze : la peste, la fame, i tumulti - e, cosa piu dolorosa di tutte, con le altre dis­ simulazioni dei mortali, una peste nascosta. Ho letto quel che hai emendato nel Sinesio; approvo l' emendazione . Ti affido cosi le altre cose e le rimetto al tuo giudizio . Infine, se me li manderai, correggerò i restanti quinternioni, per quanto mi sarà possibile, come ho fatto ora con uno, e quando l' intero lavoro sarà stampato inserirò un indice delle correzioni, da stampare in coda al volume, prima che gli stessi libri siano messi in vendita. State bene, e salutate e ringraziate da parte mia Girolamo Biondo32, zelante del mio nome .

84. Commento al «Fedro» di Platonf!3• Le specie degli amori, dei furori, degli oracoli. [XI I I] L ' a­ more è di tre tipi : incontinente, sobrio, divino . Il primo pre­ cipita l' anima nella forma del corpo; il secondo converte alla bellezza, ai costumi e alla sapienza dell' anima; il terzo richiama alla bellezza intelligibile e ideale . Socrate e Lisia hanno aper­ tamente biasimato il primo . Socrate ha segretamente lodato il secondo e sta per lodare il terzo . Sbaglia chi rigetti total­ mente l' amore . Sbaglia anche chi condanni l' amore inconti­ nente per il fatto che esso sia un furore o un' alienazione del­ la mente . Furore, infatti, è anche l' amore che fa uscire di sé l' anima rapita da Dio ed elevata sopra l'uomo . Questo furore è venerando , poiché viene da Dio e rende divini; è medicina " Editore fiorentino che fece stampare a Venezia la prima edizione in dodici volu­ mi delle lettere ficiniane l ' u marzo del 1 495; in proposito vedi Gentile, Introduzione cit . , pp. CCVI·CCXII . " Dopo la stesura del! ' argumentum al Fedro, che trovò spazio nel!' edizione delle opere platoniche del 1 484, Ficino tornò a lavorare su questo testo platonico negli ultimi anni della sua vita, offrendo una serie di summae capitum di varia lunghezza, in tutto cinquanta tre, che vennero pubblicate nell' edizione dei Commentario in Platonem del 1 496; negli Opera omnia ficiniani si trovano alle pp . 1 37 3·86. L'edizione critica dell'm:gumentum e delle summae, con una traduzione inglese, è stata curata da Allen, In Phaedrum, In Ionem. Offriamo qui in tra· duzione due di queste summae, in cui troviamo alcuni spunti ficiniani relativi allo statuto di « furore >> della profezia. Per il testo latino abbiamo fatto riferimento ibid. , pp. I I 2· I 8 .

II . PROFEZIA

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dei mali peggiori e causa dei beni piu grandi. Esso è dunque piu nobile della temperanza o prudenza umana, che non sono rimedio di mali, né sono causa di beni tanto grandi . Della definizione del furore e dell' ordine dei quattro furo­ ri ho parlato a sufficienza nello Ione34 e nel Convivio35• Nella Teologia poi ci siamo occupati a sufficienza, con Giamblico, delle profezie, degli oracoli e del potere dei sacrifici36 • B aste­ rà qui avere chiaro che Platone e i platonici ammettono aper­ tamente le profezie, gli oracoli, i miracoli e le espiazioni, e ritengono il furore divino di gran lunga superiore all'umana sapienza (come sostiene anche l' apostolo Paolo)37, e che la di­ vina profezia sia assolutamente da preferire ai presagi fatti ad arte dagli uomini. L ' oracolo di Dodona viene da Giove, l' oracolo di Delfi da Apollo . E ntrambi operavano per mezzo di demoni giovia­ li e febei, di uomini a loro simili e di strumenti conformi. A Dodona davano i responsi a una donna coronata con foglie di quercia38; a Delfi rispondevano a una su un tripode . So­ crate li ricorda entrambi come fossero tra loro simili . I n cie­ lo , infatti, Giove e il Sole sono pianeti in profondo accordo per la loro occulta potenza: il Sole è il principale ministro del demiurgo Giove, e la virtu illuminatrice si accompagna alla virtu demiurgica.

In che modo i quattro furori divini sono tra loro uniti. Gli dèi mondani. Le anime divine e umane. [XIV] Non a torto

Socrate , nel descrivere uno dei furori ne richiama in certo modo un qualsiasi altro . Tutti i furori sono infatti tra loro congiunti . Nel mondo intelligibile, per esempio, la virtu il­ luminatrice di Febo possiede la congiunta potenza di provo-

34 Cfr. supra, testo 3 2 . " Cfr. LdA , pp . 2 1 3- 1 5 [VI I , 1 4] . 36 Ficino, Teologia platonica cit . , X I I I , 4-5. " Cfr. 2 Cor, 1 2 , 1 -5 ; cfr. anche supra, pp . LXXIII-LXXV. " Sull' interessante figura qui evocata da Ficino di una sibilla coronata di foglie di quercia, variazione del passo platonico in cui si narra come a Dodona le prime parole pro­ fetiche fossero state pronunciate da una quercia (Phaedrus, 275b) , vedi M . J . B. Allen, The Sybil in Ficino's Oaktree, in >, XCV ( 1 980) , pp. 205- 1 0 (rist . in Id . , Plato's Third Eye cit . , terzo capitolo).

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PARTE QUINTA . CRISTIANITÀ E PRESAGI DELLA FINE

care e riscaldare propria di B acco . Nella potenza illumina­ trice prende vigore la potenza della profezia e della poesia; nella potenza provocatrice prende vigore la virtu dell' amore e delle preghiere . Nel cielo si verifica una simile unione, nel Sole e presso il Sole . La luce e il calore , infatti, si riferiscono ad Apollo e a B acco . Inoltre, la virtu solare , per mezzo di Mercurio , incita alle Muse, per mezzo di Venere all ' amore - in che modo poi indichi la profezia e il sacerdozio è que­ stione da lasciare agli astrologi . In noi infine intelligenza e volontà sono sorelle . All'intelligenza pertiene la profezia con la poesia; alla volontà la preghiera dei misteri con l' amore . Per questo spesso dalla profezia passiamo alle preghiere , e per mezzo delle preghiere conseguiamo spesso la profezia . In entrambi i casi cantiamo divini inni con le Muse, in en­ trambi i casi siamo incitati all ' amore; viceversa, amando con ardore profetiamo sempre molte cose divine, celebria­ mo con efficacia i misteri e cantiamo inni meravigliosi. Pla­ tone antepone una simile poesia in noi infusa in modo divi­ no persino alla filosofia, mentre bandisce la poesia umana lontano dalla città39 • La discussione da affrontare non riguarda solo l' anima ma anche tutte le realtà divine . Benché sembri cosa incredibile agli ostinati, la cosa risulta tuttavia credibile agli uomini di­ vini, ossia ai sapienti. La discussione verte soprattutto sull ' a­ nima divina e umana . Le anime divine sono o gli stessi dèi del mondo (i. e. le anime delle sfere e delle stelle) , o le anime che sempre si trovano al seguito di questi dèi (i. e. le anime sublimi, che guidano le sfere del mondo, ossia gli angeli, i demoni, gli eroi) . Definisco volentieri questi esseri viventi, in generale, « demonici » . Vengono poi le nostre anime, che talvolta si trovano al seguito degli dèi, talaltra no . I demo­ ni inferiori, se ve ne sono, appartengono a questa classe . La natura delle anime divine si palesa soprattutto attraverso le opere , la natura delle nostre anime attraverso i desideri, tan­ to per le realtà temporali, quanto per quelle eterne .

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Cfr. Platone, Respublica, I I I , 398a-b.

III

Preghiera e sacrificio

85 . Lettera a Lorenzo de ' Medici 1 • Sull' adorazione nelle Confessioni di Agostino . Colui a cui Dio è vicino è ovunque sicuro . Il signore è vi­ cino, dice D avide, a tutti quelli che lo invocano, a tutti quelli che lo invocano in verità (Sal, 1 45 , 1 8) . Invoca Dio in verità

solamente l'uomo sapiente e santo . E che tale fosse s ant 'A­ gostino non lo dubitiamo affatto2• Per questo, Lorenzo,

1 Per i l testo latino abbiamo fatto riferimento a Epistolae, c . r 66v ( Opera omnia, pp. 909- r o ) . 2 Questa lettera testimonia d i u n a continuità della riflessione ficiniana s u l tema della preghiera in sant'Agostino; in precedenza, infatti, sarà opportuno qui ricordarlo, Marsilio aveva reso in volgare l' agostiniana orazione singolare, tratta dal libro dei Soliloqui, volga­ rizzamento tramandato unicamente nel ms Ricc. r 6 2 2 , cc. r 4v- 2 r r. In questo manoscritto il testo di Agostino segue il volgarizzamento (di cui invece esistono altre copie), sempre opera del Ficino, del Salterio di David abreviato da Santo Hieronymo (cc. 3v- r 4r) . I due testi sono preceduti da una bellissima prefazione dedicata a Clarice Orsini (cc. r r-3v), edita da Kristeller, Supplementum, vol . I I , pp. r 85-87, in cui si tematizza il valore, per l' uomo, della preghiera. Per quanto di epoca piu recente rispetto ai testi di questa sezione (le due versioni e la dedi­ ca sembrano databili intorno al 1 47 7 , cfr. Gentile, Niccoli e Viti [a cura di] , Marsi/io Ficino e il ritorno di Platone ci t . , pp. 94-95, n. 7 2 ) , non pare fuori luogo riportare qui questo breve scritto in forma integrale: >, IV (2005), pp . 609- 29: 6 1 4 , il De sole può essere suddiviso in tre sezioni : il proemio e i primi due capitoli rappresenterebbero la parte introduttiva, i capitoli dal terzo all 'ottavo una trattazione del sole dal punto di vista « astrologico e naturale >>, dal nono al tredicesimo una discussione metafisica e teologica . Qui di seguito presentiamo in versione integrale la prima e la terza sezione, assieme al capitolo centrale, il sesto, della seconda.

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PARTE QUINTA . CRISTIANITÀ E PRESAGI DELLA FINE

nici, la cui traduzione ho tra le mani2, accoglie volentieri la similitudine tra il sole e Dio3 • Avendo ormai trascorso molte notti insonni su questo sole, come attorno a un lume, ho pensato di raccogliere, dall' inte­ ra opera, questo fiore sceltissimo, e dedicargli uno specifico compendio . Questo mistero sul sole, quasi dono di Febo, lo invio innanzitutto a te, alunno di Febo, guida delle Muse, e delle Muse patrono, a cui è dedicato anche tutto questo nuovo commento di Platone, cosi che da questa luce, sorta di luna, tu possa presagire come sarà l' intera opera platonica, sorta di sole . E se mai hai amato il mio Platone, ormai da molto tem­ po tuo, che tu, infiammato da questa luce, possa d ' ora in poi amarlo con piu ardore e abbracciare l' amato con tutta la mente .

Al lettore. Questo libro è allegorico ed anagogico, piuttosto che dogmatico . [l] Secondo una massima pitagorica, asso­

lutamente divina, magnanimo Piero, « non si può parlare, a luce spenta, di cose e misteri divini »4 • Con tali parole, come credo, quel sapiente non indicava solamente che non si de­ ve osare nulla, nelle cose divine, se non ciò che la stessa luce di Dio viene rivelando alle menti ispirate . Ma sembra anche ammonirci a non tentare di afferrare né di esprimere la lu­ ce occulta delle realtà divine senza compararla a questa luce visibile . Noi, dunque, da questa ci faremo prossimi a quella, secondo le nostre forze, e non tanto con ragionamenti, quan­ to con similitudini tratte dalla luce. Ma tu nel frattempo , let­ tore attentissimo - e spero anche assai indulgente verso di noi - memore di quel modo apollineo e quasi poetico che ci si lascia fare sotto la luce del sole, non esigere da noi cose piu severe, o delle asserzioni, come dicono i Greci, dogmatiche . Io ho promesso soltanto un'esercitazione allegorica ed anago­ gica degli ingegni, garante Febo, che ne è responsabile . Mai disputano le Muse con Apollo , ma cantano . Lo stesso Mer­ curio , inoltre, inventore delle disputazioni, se con S aturno e Giove tratta di argomenti severi, tuttavia assieme ad Apollo 2

Sulla traduzione e commento dei testi pseudo-dionisiani vedi supra, p. 4 1 3 , nota r . ' C fr. On Dionysius, vol . I , pp. 3 2 2 - 3 0 . • Giamblico, De vita pythagorica liber, XVI I I , 83 (ed . L. Deubner, Leipzig 1 9 37, p. 2 3 ) .

V . LODE AL SOLE

gioca, e non soltanto in modo appropriato, ma divino . Possa giocare anch' io, se solo ne sono capace, in modo non sciocco . Ora però facciamo venire alla luce questi nostri preludi sulla luce, non importa con quale risultato, con la propizia ispira­ zione di Dio, sommo bene .

In che modo la luce del sole sia simile allo stesso bene, cioè a Dio . [II] Nulla piu della luce richiama la natura del bene .

In primo luogo, la luce ci si mostra come la cosa piu pura ed eminente nell' ordine sensibile . In secondo luogo, essa si di­ lata piu facilmente di ogni altra cosa, e in modo piu ampio, in un istante . In terzo luogo, essa si diffonde su tutto senza arrecare danno , e tutto penetra, leggerissima e piacevolissi­ ma. In quarto luogo, essa si accompagna a un calore vitale, che nutre tutte le cose, e le genera e muove . In quinto luo­ go , mentre assiste e si trova in tutte le cose, al contempo da nessuna è guastata e con nulla si mescola. Analogamente, il bene in sé sovrasta l' intero ordine delle cose, si dilata con grande ampiezza, addolcisce e attrae a sé tutte le cose . Non costringe, ha per compagno amore , ovunque, sorta di calo­ re, da cui ciasqma cosa è da ogni parte adescata e riceve con gioia il bene . E presentissimo ovunque nei penetrali delle cose, ma non ha commercio con esse . Infine, come il bene stesso è inestimabile e ineffabile, cosi è la luce; fino ad ora, infatti, nessun filosofo l'ha definita . In tal modo, nulla vi è di piu chiaro della luce, e al contempo nulla sembra essere piu oscuro - come il bene, che è la cosa piu nota e del pari la piu sconosciuta. Per questo il platonico Giamblico si riduce infine a dire che la luce è un atto e una chiara immagine della divina intelligenza5, al modo in cui un raggio che scaturisce dalla vista è immagine della stessa vista; forse però la luce è la stessa vista dell ' anima celeste, o l' atto della visione teso verso le realtà esterne, che agisce da lontano, che non abbandona il cielo , ma è sempre nei suoi pressi, non mescolato con cose esterne, e che agisce vedendo e sfiorando . Noi siamo soliti definire la luce un vestigio della vita del mondo , che si offre ' Cfr. Giamblico , De mysteriis, I, 9·

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PARTE QUINTA . CRISTIANITÀ E PRESAGI DELLA FINE

agli occhi secondo una certa proporzione, sorta di spirito vi­ tale intermedio tra l' anima del mondo e il corpo . Ma di que­ sto abbiamo parlato a sufficienza nella nostra Teologia . Per tale motivo, quando ti sforzi di accertare l' esistenza di molte menti angeliche, sopra il cielo, quasi luci, e l' ordine che vi­ ge tra loro, e il loro rapporto con Dio, unico Padre delle luci ( Gc, I , I 7 ) , che bisogno hai di perderti in lunghe e tortuose ricerche? Alza gli occhi al cielo, ti prego, cittadino della pa­ tria celeste - quel cielo che Dio ha fatto ordinatissimo e visi­ bilissimo per mostrare in modo chiaro proprio questo . Subi­ to le realtà celesti, a te che alzi gli occhi, per mezzo dei raggi delle stelle, quasi espressioni e cenni dei suoi occhi, narrano

la gloria di Dio e l'opera delle sue mani annuncia ilfirmamento (Sal, I 8 , 2 ) . Il sole può invece indicarti lo stesso Dio . Il sole

ti offrirà segni . Chi oserebbe dire che il sole è falso? Le per­ fezioni invisibili di Dio, ossia i numi angelici, sono cosi rese visibili attraverso le stelle; attraverso il sole si manifesta in­ vece l' eterna virtu e divinità di Dio .

Lodi degli antichi al sole, e in che modo le potenze celesti si trovano tutte nel sole, e dal sole derivino . [VI] Per queste ra­

gioni Orfeo chiamava Apollo « occhio vivificante del cielo » . Quel che dirò qui per sommi capi è tratto dagli Inni or/ici:

Il sole è occhio eterno che vede tutte le cose, luce celeste supere­ minente che tempera le realtà celesti e mondane, che guida o trasci­ na l' armonico corso del mondo; signore del mondo , Giove immorta­ le, occhio del mondo che corre intorno a tutto, che ha il sigillo che plasma tutte le figure del mondo . La luna, gravida di stelle, la luna, regina delle stelle' .

Cosi Orfeo . Tra gli Egizi, nei templi di Minerva, si legge­ va quest ' aurea iscrizione : lo sono le cose che sono , che saranno , che furono . Nessuno mai sollevò il mio velo . Io ho partorito un frutto, ed è nato il sole' .

Da qui risulta chiaro come il sole sia prole, fiore, frutto di Minerva, ossia della divina intelligenza. Gli antichi teologi, 6 Inni otfici ci t . , pp. 26-29 [VI II]. 7 Plutarco, De Iside et Osiride, IX, 345c .

V . LODE AL SOLE

secondo lo stesso Proclo, dicevano che la giustizia, regina di tutte le cose, procede dal trono del sole, attraverso tutte le cose, tutte le cose dirigendo, come a dire che il sole stesso è reggitore di tutto . Giamblico espone cosf l' opinione de­ gli Egizi : « Qualsiasi cosa abbiamo di buono, lo abbiamo dal sole »8, ossia da lui soltanto, e se anche proviene da altro, è senza dubbio portato a perfezione dal sole, o d al sole per mezzo di altro . Del pari il sole è signore di tutte le potenze elementali, la luna è signora della generazione per virtu del sole . Per questo Albumasar dice che la vita si riversa su ogni cosa attraverso il sole e la luna9 • Mosè ritiene che il sole sia di giorno signore delle realtà celesti, e che la luna sia regina di notte, quasi sole notturno10• Tutti hanno collocato il sole, come signore, al centro del mondo, anche se in diverso modo . I C aldei lo hanno posto al centro dei pianeti, gli Egizi tra i due quinari del mondo, cosf da avere sopra di sé cinque pianeti, sotto la luna assieme ai quattro elementi . Ritengono però che sia stato posto dalla provvidenza piu vicino alla terra che al firmamento , cosf da nutrire, per mezzo del suo ardente spi­ rito e col fuoco, l'umore della luna, dell' aria, dell' acqua e la densa materia della terra. Stando a un' altra dottrina sarebbe la stessa prosperità dei pianeti a manifestare la sua centrali­ tà. Essa postula una disposizione dei pianeti rispetto al Sole tale per cui S aturno , Giove e Marte sorgono prima del Sole, Venere, Mercurio e la Luna dopo il Sole, quasi spronando il re, nel loro tragitto, verso il centro . Quando procedono di­ versamente risultano piu deboli . Tra questi, piu nobili sono poi giudicati quelli a cui il Sole, loro signore, ha ordinato di andare avanti . Ma torniamo ai sapienti. Gli antichi fisici definirono il Sole « cuore del cielo » ; Eraclito l'ha chiamato « fonte della luce celeste »11 • Moltissimi platonici hanno col­ locato l' anima del mondo nel Sole; essa, colmando l' intera sfera del Sole, per mezzo del suo globo quasi igneo, diffonde da H, come attraverso un cuore, i propri raggi, quasi spiriti, 8 9 10 11

Giamblico, De mysteriis, V I I , 3· Albumasar, Introductorium, IV, r . Mosè Maimonide, Mishneh Torah, I . Macrobio, In somnium Scipionis, I, 20, 3 ·

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per mezzo dei quali distribuisce vita, senso e moto nell' uni­ verso . Alla luce di ciò, forse, molti astrologi credono questo : al modo in cui solo Dio ci dona un' anima intellettuale, cosi la emette solo sotto l' influsso del Sole, cioè soltanto nel quarto mese dopo il conscepimento . Ma questa è cosa che riguarda loro . Certamente Mercurio, che indica il movimento della no­ stra mente, si allontana di poco dal Sole . S aturno, che indica la condizione della mente separata, si allontana pochissimo dall' eclittica. Inoltre, poiché Giove (grazie al suo S agittario) e M arte (grazie all'Ariete) , concordano con l' apollineo Leone, sono investiti di un compito di grande importanza, tanto da indicare, nel caso di Giove, la giustizia religiosa, le leggi civili e la prosperità, nel caso di Marte la magnanimità, la fortez­ za e la vittoria. La Luna, Venere e Mercurio sono chiamati compagni del Sole . La Luna per le frequenti congiunzioni e aspetti con il Sole, Venere e Mercurio , oltre che per la loro vicinanza, per il modo uniforme con cui procedono rispetto al Sole . Essi hanno cosi ottenuto il dominio dell' universale generazione; la Luna infatti, piu umida, nella congiunzione e in aspetto col Sole, ottenuto il calore vitale, fornisce alle realtà da generare un umore caldo e vivifico . Mercurio poi miscela tutte le parti, nelle realtà che si generano, in un ' ar­ moniosa proporzione . Venere infine aggiunge a una simile miscela forme misurate, grazia e letizia. Il Sole, certo, come distribuisce la luce, tutta in sé raccolta, attraverso le varie stelle, differenti tra loro per aspetto, cosi diffonde le multi­ formi virtu con multiforme luce . Da qui è possibile conget­ turare con chiarezza come nel Sole si trovino almeno tante virtu quante stelle esistono nei cieli .

Sole, statua di Dio. Comparazione tra il sole e Dio . [IX] Il nostro divino Platone, dopo aver contemplato a fondo tutto ciò , ha chiamato il sole « figlio visibile del bene »12• Ha rite­ nuto anche che il sole fosse la statua visibile di Dio , posta da Dio stesso in questo tempio del mondo per essere ammirata da chi la contempli, in ogni luogo e su tutte le altre cose . Gli 12

Platone, Respublica, 5o8b-c.

V . LODE AL SOLE

antichi, come dicono Platino e Platone, lo veneravano quale un Dio . I teologi dei gentili, un tempo, avevano collocato tut­ te le divinità pagane nel sole, come testimoniano Giamblicd\ Giuliand4 e Macrobid5• In breve, chiunque non veda che il sole è immagine e vicario di Dio nel mondo, costui di certo non ha mai fissato il cuore della notte, né mai ha osservato un' alba, né ha pensato a quanto il sole oltrepassi i sensi, e come in un istante doni nuova vita a ciò che, lontano da es­ so, è preso per morto . C ostui non si è nemmeno accorto dei doni del Sole che da solo realizza quanto non possono fare, assieme, tutte le stelle . Concludi dunque con i platonici e con Dionigi, che il Sole, o Febo, guida delle Muse, cioè dell 'intel­ ligenza, è l' immagine visibile di Dio . Anche Febe, la Luna, è immagine di Febo, come Febo è immagine di Dio . Come dice Ipparco, infatti, la Luna è specchio del Sole, la quale riflette verso di noi la luce che sopra di essa cade dal Sole . Non si deve qui tralasciare questo paragone platonico, da me ampiamente trattato in un altro testo . Cosi come il sole genera gli occhi e i colori, e fornisce agli occhi la capacità di vedere e ai colori quella di essere visti, congiungendoli poi grazie alla sua luce conciliatrice, cosf Dio si comporta con tutti gli intelletti e le realtà intelligibili . Lui stesso, infatti, genera le specie intelligibili delle cose e tutti gli intelletti, fornen­ do loro una potenza propria e naturale d' agire . Riversa poi tutt ' attorno, costantemente, una luce comune, con cui incita le potenze degli intelligibili e degli intelletti a una reciproca azione, unendoli nell ' agire . Platone la chiama « verità » nelle realtà conoscibili, « conoscenza » nelle menti . Ritiene inoltre che il bene in sé, ossia Dio, superi tutte queste cose almeno quanto il sole supera la luce, gli occhi e i colori. Ma quando Platone afferma che il sole supera ogni ente visibile, ha senza dubbio presagito un sole sopra quello corporeo, un sole incor" Cfr. Giamblico, De mysteriis, I, 9, 30. " Riferimento all' Orazione al sole Re di Giuliano l'Apostata, che Ficino aveva studiato attentamente; a lui attribuite sono le annotazioni a questo testo nel ms Ricc . 76 (la loro tra­ scrizione si trova in E. Garin, Studi sul platonismo medievale, Firenze 1 958, pp. 1 98-207) . L' Orazione di Giuliano sarà decisiva del resto anche per le riflessioni sulla metafisica sola­ re di Giovanni Pico della Mirandola, in proposito vedi R. Ebgi, s . v. Sole, Messia, in Busi e Ebgi, Giovanni Pico della Mirandola ci t . , pp. 3 28-40. " C fr. Macrobio, Saturnalia, I , 17, 2.

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poreo, ossia l'intelletto divino . Poiché è lecito s alire dall' im­ magine all ' esemplare in parte sottraendo ciò che è peggio, in parte aggiungendo quel che è meglio, tu togli al sole, cui Averroè aveva sottratto la materia16, ogni determinata quan­ tità, ma bada di lasciare con la luce la sua potenza, cosi che a rimanere sia una luce colma di meravigliosa potenza, non limitata da una determinata quantità, né da una qualche fi­ gura, e che sfiora per la sua diffusa presenza uno spazio im­ menso. E come eccedeva l' intelligenza, cosi ora oltrepassa in sé stessa l' acume degli occhi . Per questa ragione, certo, per quanto possibile, sembrerà che tu, partendo dal sole, abbia trovato Dio, che ha posto nel sole il suo tabernacolo (Sal, I 8, 6) . Infine, come nulla risulta piu estraneo alla luce divina che la materia informe, cosi nulla è piu diverso dalla luce del sole che la terra. Per questo i corpi nei quali forte è la qualità ter­ rena, essendo del tutto inadatti alla luce, non accolgono al­ cuna luce dentro di loro . E non perché la luce non abbia for­ za a sufficienza per penetrarli . Essa infatti, pur non potendo rischiarare all' interno la lana o un foglio, penetra però in un istante nel cristallo , cosa per altro difficilissima. Cosi la luce divina riluce anche nelle tenebre dell' anima, ma le tenebre non la comprendono (Gv, I , 5) . E non è forse anche in questo simi­ le a Dio - lui che nelle menti degli angeli e dei beati infonde prima la conoscenza delle cose divine poi l' amore? Quaggiu invece, nelle nostre anime, anime credenti, prima di elargire l' intelligenza delle realtà divine accende entrambi gli amori, quello che purifica e quello che converte . Cosi il sole illumi­ na pienamente, in un istante, le nature chiare e pure, come fossero già celesti, mentre prima riscalda, accende e assotti­ glia, poi illumina le materie opache e inadatte alla luce. Fatte cosi leggere e permeabili per luce e calore, ecco che talvolta le solleva verso le realtà sublimi . Per questo Apollo trafigge, purga, dissolve e solleva la massa di Pitone con le saette dei suoi raggi . Non ometteremo poi che al modo in cui speriamo che alla fine verrà il regno di Cristo, il quale, in virtu dello splendore traboccante del suo corpo, farà risuscitare i corpi 16

Cfr. Averroè, De substantia orbis, V.

V . LODE AL SOLE

dalla terra, cosi attendiamo ogni anno, dopo il letale inver­ no, che il Sole, regnante in Ariete, richiami subito alla vita e alla bellezza sia i semi delle cose, quasi morti nella terra, sia i tramortiti animali . Per questo si dice che Mercurio risvegli i dormienti con il suo caduceo, sorta di Acate del S ole' . Pla­ tone descrive una simile resurrezione nel Politico18•

Paragone del sole con la divinità Trinità, e i nove ordini degli angeli; e ancora sui nove numi nel sole e le nove Muse attorno al sole. [XI I] Nulla si trova nel mondo piu simile alla divina

Trinità del sole . Nell' unica sostanza del sole, infatti, si trova­ no tre cose tra loro distinte e unite . In primo luogo la stessa fecondità naturale del tutto nascosta ai nostri sensi; in secon­ do luogo la sua luce manifesta, che emana dalla fecondità, a sé sempre uguale; in terzo luogo la virtu calorifica, che pro­ viene da entrambe e a entrambe è pari . La fecondità indica il Padre; la luce, simile all' intelligenza, rappresenta il Figlio, concepito al modo dell' intelligenza; il calore rappresenta lo spirito d ' amore . I nostri teologi stabiliscono tre gerarchie di angeli attorno alla divina Trinità, ognuna delle quali contie­ ne tre ordini; la prima è consacrata al Padre, la seconda al Fi­ glio, la terza allo Spirito . In modo simile, anche attorno alla trinità solare troviamo un ternario e un novenario, dato che dalla stessa feconda natura del sole procedono verso tutte le cose tre fecondità naturali - la prima nella natura celeste, la seconda nella natura semplice degli elementi, la terza infine nella natura delle cose miste . E ancora, la vita, dal calore vi­ tale del sole, si propaga d ' ogni parte oltre le nature . Anch' es­ sa è triplice : la prima, ossia la vita vegetale, nelle piante; la seconda, sensibile e immobile, negli zoofiti; la terza, sensibi­ le e dotata di movimento, negli animali piu perfetti . Infine, dalla luce del sole derivano tre specie di fulgori, sia nel cielo che sotto il cielo : una luce candida, una rossa, una mista. Dal momento che la luce è in tutto simile alla cognizione, e qua­ si suo principio - in particolare della cognizione sensibile - , 1 7 Acate è compagno fedelissimo d i Enea, come Mercurio, secondo l ' analogia qui pro· posta da Ficino, è fedelissimo compagno del Sole. 18 Vedi supra, testo 26.

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alle tre specie di luci sembrano giustamente corrispondere tre generi di sensi . Alla luce rossa i sensi del tutto corporei, ovvero tatto e gusto; alla luce candida i sensi maggiormente incorporei, ossia l' immaginazione e la vista, alla luce mista i sensi intermedi tra quelli incorporei e quelli corporei, ossia l' udito e l' olfatto . Fino a qui, la luce del sole non si presenta soltaqto come immagine di tali realtà, ma anche come loro causa. E soltan­ to immagine però della pura intelligenza - al modo in cui, in­ fatti, la pura intelligenza opera in un istante, penetra le pro­ fondità e le rischiara, senza mescolarsi a nulla ed esistendo con le realtà sublimi, cosi la luce si dilata in tutte le cose in un istante, manifesta gli enti particolari, è indivisibile, tut­ ta intera ovunque e a nulla mescolata . E se la luce, dopo il tramonto del sole, svanisce in un istante, è perché se ne va in compagnia del suo Febo . Ora, dal momento che qui, non so in che modo, sotto questo Apollo, ci ritroviamo come po­ eti, sebbene di poco valore, ci sia lecito intrattenerci un po­ co sugli dèi superiori (per parlare al modo di Platone) , e poi sulle nove Muse. Gli antichi hanno fatto il sole dimora di divinità. Ora, noi contempliamo o la sua sostanza o le sue potenze . Nella sostan­ za contempliamo l' essenza, la vita e l' intelligenza . Seguendo loro, chiamiamo l' essenza « Cielo » , la vita « Re a » , l' intelli­ genza « S aturno » . Se in seguito ne contempliamo le potenze, chiameremo la sua fecondità « Giove » e « Giunone » , la sua luce « Apollo » e « Minerv a » , il suo calore « Venere » e « B ac­ co » . Gli antichi raffiguravano Febo e B acco, che dominano piu di tutti nel sole, sempre giovani, poiché chi sia in grado di ottenere e sfruttare a suo vantaggio la luce e il calore del sole nella piena purezza e proprietà con cui si danno nel so­ le, otterrà un' eterna giovinezza o una vita lunga centoventi anni solari . Ma passiamo ora da queste nove divinità interne al sole alle nove Muse, che dimorano attorno al sole . Cos ' al­ tro sono le nove Muse attorno a Febo se non i nove generi di divinità apollinee distribuite nelle nove sfere del mondo? Gli antichi conoscevano soltanto otto cieli; aggiungevano pe­ rò, sotto il fuoco celeste, una sorta di nono cielo, l' aere puro, celeste per qualità e movimento . Avevano poi disposto, in

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ogni sfera, spiriti divini, invisibili, destinati via via alle sin­ gole stelle . Proclo li chiama « angeli » , Giamblico « arcangeli » e « principati » . Quegli spiriti però che sono principalmente solari, i piu antichi li hanno chiamati « Muse » , presiedendo a tutte le scienze e soprattutto alla poesia, alla musica, alla medicina, alle purificazioni, agli oracoli e ai vaticini . Ma tor­ niamo al sole . Noi, sciocchi, ci perdiamo ad ammirare le piu piccole co­ se, basta che siano inconsuete e rare, ma ciechi e ingrati ab­ biamo smesso di meravigliarci per ciò che è abituale, anche se sommo . Nessuno infatti si meraviglia del fuoco, che arde come il cielo e come il sole, che è purissimo, senza mesco­ lanza, in perpetuo movimento, che riluce di lontano, che da piccolissimo si fa in un batter d' occhi immenso convertendo a sé tutte le cose . Nessuno ammira il sole quanto si convie­ ne - il sole, che supera in modo incomparabile tutte le cose, che è padre e reggitore di tutte le cose, che rallegra ciò che è triste, che dona vita a chi non è ancora vivo e riporta in vita chi è ormai morto . E se una volta sola all' anno « si aprisse la casa dell' onnipotente Olimpo »19, e d ' un tratto tanto splen­ dore si rendesse manifesto, tutti ammirerebbero oltremodo il sole soltanto, tutti lo adorerebbero supplichevolmente, co­ me fosse il sommo Dio, o almeno non dubiterebbero affatto della sua provenienza divina, e ogni giorno ringrazierebbe­ ro di cuore il Dio occulto, autore di un dono tanto grande . Dunque i platonici Giamblico e Giuliano20 ci invitano a immaginare una notte senza alcuna luce di luna e di stelle anch ' essa infatti è dono manifesto del sole - al fine di com­ prendere meglio cosa saremmo senza il sole, e quanto dob­ biamo a questo sole superno .

Il sole non si deve adorare come autore di tutte le cose21 • [XI I I] Socrate, nel corso di una campagna militare , rimase spesso all' aria aperta a contemplare il sole che sorgeva, atto" Virgilio, Aeneis, X , r . Giuliano, In Helium regem, Xl, 39· 21 Questo capitolo riproduce il testo di una lettera inviata da Ficino a Eberardo, duca del Wi.irttemberg, vedi Epistolae, cc. r 8 7 v r 88r [XI I , 2] . 20

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nito , fermo nello stesso posto, senza muovere un solo arto , con gli occhi sbarrati, come una statua, per s alutare il sole che faceva il suo ritorno22• I platonici, indotti da questi segni e da altri simili, diranno forse che Socrate, guidato sin da quando era fanciullo da un demone febeo, era solito venera­ re con grande cura lo stesso Febo , e che per questo motivo l' oracolo di Apollo lo aveva giudicato il piu s apiente di tut­ ti i Greci . Tralascerò al momento di discutere, a proposito del demone di Socrate, se si debba considerare un genio o un angelo23 • Questo però oso affermarlo : Socrate , nel corso di quell' estasi della mente, non ammirò questo sole, ma un altro . Ora, dal momento che di solito ad arrecare sorpresa è qualcosa di nuovo, e null ' altro , da dove deriverebbe tan­ to s tupore nell' ammirare questo sole, che Socrate vede ogni giorno, e di cui aveva già da tempo calcolato tutti i movimen­ ti e le potenze per via al contempo matematica e fisica? sole che lui, Platone ne è testimone, non chiamava primo Dio, ma figlio di Dio - e, sottolineo, non primo figlio di Dio , ma secondo e già visibile, giacché il primo figlio di Dio non è questo sole visibile ai nostri occhi, ma l' altro , di gran lun­ ga superiore, ossia il primo intelletto, che è contemplabile dal solo intelletto . Per questo Socrate, esortato dal sole ce­ leste, pres agito in esso il sole sopraceleste, contemplava la sua maestà con la piu alta attenzione , e ammirava attonito la bontà inafferrabile del padre di quel sole . Questi l' apo­ stolo Giacomo chiamava Padre delle luci - delle luci, dico , piu che celesti e celesti - dove non vi è variazione né ombra di cambiamento ( Gc, r , I 7) . Crede infatti che quelle realtà sopracelesti siano naturalmente mutevoli, e non dubita che molte realtà celesti in qualche modo si adombrino, e che le realtà sotto il cielo si adombrino ogni giorno . Per questo ritiene che ogni buon regalo (che sia cioè naturalmente in­ sito nella mente) , e ogni dono perfetto (che sia cioè soprag­ giunto dopo le qualità naturali) , non discenda da questo so­ le, o dalle stelle del mondo , ma da piu in alto , dallo stesso 22 Cfr. Platone, Convivium, 2 1 9e-2 zod; ma vedi anche Aulo Gellio, Noctes Atticae, II, I , I - J . 23 In proposito, vedi supra, p. 366.

V . LODE AL SOLE

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I , I 7) . C i eleviamo infatti al di là dei cieli, confidando nelle potenze dell ' intelligenza, come fos­ sero gradini di una scala, ricevute non dal cielo ma da sopra il cielo, e lf conosciamo, amiamo e onoriamo molte cose che sono piu nobili dei cieli, e sopra ogni cosa veneriamo lo stes­ so fabbro del cielo . Tuttavia, non potremmo comprendere o amare, con la nostra intelligenza, alcunché di incorporeo, piu alto del cielo , se la nostra intelligenza fosse soltanto di origine celeste . C osi, affinché nessuno, abbagliato dalla me­ raviglia del sole , della luna e delle stelle, finisse per ammi­ rarli e adorarli quali autori e padri dei doni intellettuali, ci ha s aggiamente ammonito del fatto che questo sole non è il principio dell ' universo . Al momento tralascerò le ragioni per cui affermiamo, nella nostra Teologia, che il principio dell' universo non si trova né nel corpo, né nell' anima, né nell' intelletto, ma in qualcosa di assolutamente piu eccelso, da cui il sole celeste dista moltis­ simo, al punto da essere ritenuto sua ombra, piuttosto che immagine . Riassumerò invece ora, in breve, gli argomenti toccati qui da Giacomo . Dal momento che la condizione di quiete, in quanto principio , guida e fine del movimento è piu perfetta di ogni movimento, di certo Dio stesso, principio, fi­ ne e guida di tutte le cose, non può essere in movimento . Ma il sole è sempre in movimento . Inoltre la virtu del principio, immensa, tocca con forza ogni cosa e non può mai essere fre­ nata. Ma la potenza del sole, agendo attraverso i suoi raggi, si trova ovunque ostacolata quando essi sono ostacolati, vien meno per l' opposizione della luna, è spesso trattenuta dalle nubi, viene respinta dalla densità della terra, e ancora s ' in­ debolisce per la distanza. Anzi, il sole stesso non è che una minima particella del mondo, che occupa una ristretta sede, ed è trascinato sempre di nuovo dalla sua sfera, ed è costante­ mente fatto girare dalla sfera superiore in direzione contraria all'impeto della propria sfera, è ostacolato dai segni e dalle stelle contrari, ed è talvolta indebolito da aspetti celesti, per cosi dire, negativi. Infine, il principio dell'universo si pren­ de cura di tutto, ovunque e sempre . Ma il sole non genera le sfere del mondo, né per virtu sua propria può rendere le cose fredde, umide, dense o simili - né tali potenze, ammesso che

Padre delle luci ( Gc,

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PARTE QUINTA . CRISTIANITÀ E PRESAGI DELLA FINE

ve ne siano in cielo, hanno alcuna origine nel sole . Del resto, benché il sole disti moltissimo dal creatore del mondo, tut­ tavia tutte le cose celesti sembrano riferirsi, in modo divino, all' unico sole, guida e misura del cielo - e questo affinché ci facciamo avvertiti che tutte le cose che sono in cielo, sotto il cielo e sopra il cielo devono essere ricondotte in modo simi­ le all ' unico principio di tutto . Riflettendo su ciò, giungiamo infine a venerare tale principio con lo stesso ossequio riser­ vato dagli enti celesti al sole .

Dello stato dei beati sotto la luce divina e dello stato dei miseri. [XVII] Il sole, nella superna Gerusalemme, come dice il profeta, è Dio che, ai suoi .veneratori in terra, in procinto di ritornare alla patria celeste, promette in modo indubitabile la luce della verità universale e la gioia piena in questa luce . T aie luce è promessa soprattutto ai sapienti, che insegnano agli altri uomini la giustizia. Risplenderanno - dice Daniele -

i saggi come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sem­ pre (Dn, r z , 3) . Non dice : « risplenderanno come il sole » . Il sole infatti è lassu lo stesso Dio . Lo splendore del firmamen­ to, invece, è quel candore dei cieli, tanto rarefatto da risul­ tare sempre nascosto ai nostri occhi . Poiché l ' intero fuoco riluce, molto piu riluce tutta la sostanza del cielo, persino là dove non ci sono stelle, sebbene lo faccia come un fuoco, da lontano, che sta consumando una materia tenuissima, a ma­ lapena visibile . Risplenderanno di un simile splendore quei sapienti che nel nostro mondo furono contenti nella sola con­ templazione . Ora, coloro che contemplarono le realtà divine e si consacrarono in seguito alla vita attiva, al fine di indur-

"' Per il testo latino abbiamo fatto riferimento all' editio princeps stampata da Antonio di Bartolommeo Miscomini agli inizi del 1 49 3 , dove questo trattatello compare assieme al De sole (vedi supra, nota r ) . Il capitolo da noi tradotto, il diciassettesimo, si trova alle cc. d7v-d8v. Una prima redazione del testo, intitolata Quid sit lumine, fu composta entro il r 0 novembre del 1 476, sebbene tra questa versione e quella data alle stampe s i notino forti discrepanze, tra cui l ' assenza del capitolo qui presentato.

V . LODE AL SOLE

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re altri uomini alla giustizia e alla sapienza, risplenderanno di una luce ancora piu intensa e visibile, come le stelle . I sa­ pienti, poiché non hanno amato e venerato null' altro che la luce - questa sola infatti cercano quando indagano qualsiasi verità - meritatamente ottengono i premi della luce; e colo­ ro che illuminano gli altri in eterno non a torto sono a loro volta illuminati da Dio , come dice, per sempre 25 • Come il premio dei devoti è una meravigliosa partecipa­ zione alla luce, cosi la punizione degli empi è proprio la pri­ vazione della luce . Anzi, lo stesso sole divino, che nutre in modo meraviglioso gli occhi sani e vigorosi dei devoti, offen­ de invece gli occhi malati degli empi, e incendia con fuoco la coscienza26 • La luce, non diversamente dal sole, procura pia­ cere in spazi aperti, mentre irrita quando è costretta in un luogo angusto . Ma volentieri torniamo ai beati . L ' aere illuminato , nel nostro mondo, è da tutti gradito , poiché del tutto affine allo spirito27 vitale e animale, e diletta nel mostrare una varietà di innumerevoli cose . Una luce piu gradita si trova negli spiriti del corpo ema­ nati dal sangue . Graditissima ai beati è la luce intima della mente; essa riem­ pie a tal punto la mente che da li subito trabocca nel corpo - nel corpo dico tanto celeste (per parlare in modo platonico) , proprio di ogni anima, quanto in quello umano, fatto ormai quasi celeste . Lassu, dunque, ognuno è tutto occhio, intera­ mente accessibile da ogni parte e lucente . Per questo i singo­ li, gettandosi tra loro raggi, vuoi della mente, vuoi del corpo oculare, s 'intendono l'un l' altro per mezzo di un semplicissimo cenno . Ognuno di essi risplende in ognuno degli altri con un mutuo getto di raggi . E Dio, come il sole fra le stelle, rifulgerà in tutti in modo tanto abbondante quanto gioioso .

" Simile esegesi di Dn, I 2 , 3, si ritrova in una lettera inviata da Marsilio Ficino a Mar­ tino Uranio, vedi Epistolae, cc. I 88ro. " Giovanni Scoto Eriugena, Il Prologo di Giovanni, a cura di M . Cristiani, Milano I 987, pp. I I sgg . (Patrologia latina, vol . CXXII, coli . 284-86) . Si tratta di un'opera ere· duta di Origene . 2 7 Nel testo dell ' editio princeps si legge qui spiritu, da correggere con spiritui.

Indici

INDICE DEI NOMI

Abba bar Kahana, 29I n. Abel, Eugenius, 2 2 7 n. Abriihiim ibn ' Ezrii, 328 e n. Abucaten Avenan, vedi Avendante. Acate, 487 e n. Accolti, Benedetto, I I 9 e n. Achille, 37 1 . Acidini, Cristina, tav. 7 . Acusilao, 2 I 7 . Adamo, I 2 5 n , 2 8 I n , 289. Adamson, Peter, I4I n. Ade, vedi Plutone. Adorno, Francesco, I65 n. Adrastea, I 4 5 . 3 2 4 . Agatone, I 86, 220 , 247, 2 5 0 . Aggeo, 434 n . Aglaofemo, XXXVI , I 5 0 , I 56, 239, 385. Agli, Pellegrino, 7 n, I 4 e n, I5, q , 25. Agostino, Aurelio, santo, xxvrr n, x x x e n, XXXVIII , LXIII e n, 44 e n, 45 n, 64 n, 65 n, 68, 7 2 e n, 8 I n, 85, 86 n, 90 n, 93 n, I 49 e n, I 5 I e n, I64 e n, 2 38 n, 284 n, 42I n, 427 n, 442 n, 449-5 1 , 452 n, tav. 9 · Agrippa, vedi sibilla (sibille) . Alberti, Leon Battista, XVIII n, XXVIII, 6 , I I 3 n, t a v . 3 · Alberto Magno, santo, I 5 n, 4 0 n, 64 n, 66 n, 79 n, 8o n, 8I n, 84 e n, 2 I 7 n. Vedi anche Pseudo - Alberto Magno . Albizzi, Albiera degli, 2 5 3 . Albizzi, Rinaldo degli, xxxix n. Albumasar (Abii Ma' shar al-Balkhi), 3 3 2 e n, 483 e n. Alcibiade, I 86. Alcinoo, 2 3 7 n, 239 n . Alcmeone d i Crotone, 65, 7 5 , 8 I , 85. Alessandra di Nannoccio da Montevarchi, XXIV, XXXV .

Alessandro di Afrodisia, 8 3 . Alessandro d i Hales, 70 n . Alessandro d i Mileto, 2 4 . Allen, Michael }. B . , VIII n, X V , XIX n, XXXVII n, XXXVIII n, XL n, LVIII n, LXI n, LXV n, LXVI n, LXVII n, LXXV n, LXXVI n, I 2 I n, I 39 n, I 8o n, I 99 n, 274 n, 283 n, 284 n,

3 3 9 n, 3 4 I n, 344 n, 384 n, 4 I 3 n, 4 1 4 n, 4 2 2 n, 446 n, 447 n, 470 n. Almeone, vedi Alcmeone di Crotone . Alopa, Lorenzo, 4 I 3 n. Ambrogio, santo, 86 n, 2 36 n. Amelio, 86. Ammiano Marcellino, I 45 n. Amore, XLVII n, LV, I86 e n, 2 I 7 e n, 2 I 92 24 , 2 28, 2 50, tav. 6. Anassagora, 40, 66, 79· Anassimandro, 7 5 · Anassimene, 65, 75, 79· Anchise, I 90 n. Anebo, 345· An/ione, 4 5 r . Angelieri d'Anghiari, Riccardo, 2 0 I n . Angelini, Annarita, LXIV n . angelo (angeli) , L II , LXIII, I 6o, I 70, 257, 26 1 , 370, 4 1 9, 420, 448. 487 , 489 : - arcangeli, I 90 , 489; - principati, 2 3 2 , 489; - serafini, 2 3 2 . Vedi anche Gabriele. Anteo, tav. 2 . Anticristo, 440, 44 I , 442 n, 444· Antipatro, 8 2 . Antiquario, Iacopo, I 7 2 e n, I 7 3 · Antistene, I 3 , 3 7 . Antonino d a Firenze, santo, LXI . Apollo, LXXVI, 25, 1 20 , 1 2 2 , I 27 , I 7 9 . I 8 1 , I 8 2 , I 84-86, 1 90, 236, 240, 255, 256, 269, 2 7 3 , 274, 29 I , 296, 297, 3 I 6 , 344, 347, 369 . 3 7 2 , 388, 389, 39 1 , 3 9 2 , 40 1 , 405, 407, 447. 448, 45 I , 480, 482 , 485, 486, 488, 490, tav. 5· Apollonia di Tiana, LXXII, 328, 346 n, 442, 4 5 3 . 454. 464 . Apuleio, XXVII n, 43, 67, 7 2 , I o8 n, I 5 I e n, 356 e n. Archelao, 79· Archimede, 338 e n. Archita di Taranto, 3 3 , 3 7 , 344· Arduini, Oliviero, 20I n. Argiropulo, Giovanni, I I 9 n . Argo, I 49. 4 0 5 .

INDICE DEI NOMI

Arimaspe, 239. Aristippo, 63 , 2 8 4 . Aristofane, I 8 6. Aristone di Chio, 66. Aristosseno, 8 2 .

Aristotele, x v , XVII, xx e n , XXI e n , xxv, 5 , I 5 n, 26 n , 3 5 e n , 39, 4 0 e n , 4 I , 4 2 e n, 43, 47-50, 66, 67 , 73, 74, 79 n, 8 o n, 8 I n, 8 3 n, 8 4, 8 5 e n, 86 n, 8 9, 90, I 06 e n, I 07 e n, I4I e n, I 65 n, I 79, 202, 2 I 7 n, 2 3 8 n, 27I e n, 356 e n, 392. Vedi anche Pseudo-Aristotele. Artemisia di C aria, tav. 9· Asclepiade, 8 I , 2 7 3 . Asor Rosa, Alberto, XLVII n, LXIV n. Aspasia, I 40 . Astrea, I 2 5 e n. Atanasio, 42 8 , 46 I n. Atenagora, 4I4 n . Ateneo di N aucrati, I 4 8 n.

Atlante, I 49· Atropo, 3 8 4 .

Attavanti, Attavante degli, 33 8 n, tav. I 6. Augusto, Gaio Giulio Cesare Ottaviano, imperatore romano, I 5 8 , I 67 . Avendante, 7 2 e n, 7 8 . Averroè (Abii 1-Wa!Id Mui).ammad ibn Rushd, detto) , XXI, I 5 , 45 e n, 46 n, 67 n, 7 3 , 74 n, 8 4, 8 5 e n, 4 8 6 e n. Avicenna (Abii Ali al-Husayn ibn Sina) , XXXIII, LXXVIII e n, 4 2 , 45 n, 67, I 4 I e n, 275 e n, 276 e n , 377 e n, 400 e n, 43 8 e n, 453, 454 n. Bacchelli, Franco, XXII n, LXXVII n, r r 3 n, I 20 n, 2 8 3 n, 290 n, 325 n, 372 n .

Bacco, 2 5 , I 8 I , 3 I 5, 3 I 6, 3 88 , 3 8 9, 40 I , 407 , 44 8 , 456, 4 BB . Bakker, Pau! J . J. M . , 74 n. Baldini, Baccio, tav. I4. Barbaro, Ermolao, I72 n, 24 I , 45I e n. Barbieri, Filippo, tav. I r .

Barocchi, Paola, LXIV n. Bartolucci, Guido, VII n, I 53 n, 290 n, 2 9 I n, 3 B I n, 3 B 2 n . Bausi, Francesco, L n, LXII n, I 20 n. Becchi, Gentile de' , tav. I5. Bembo, Bernardo, 235 e n, tav. B . Bembo, Pietro, LXIX n . Benci, famiglia, X L n . Benci, Amerigo de' , t a v . B . Benci, Ginevra de ' , tav . B . Benci, Tommaso de' , tav. 8 . Benivieni, Girolamo, L n, LXII n, 2 2 3 n. Bentini, Jadranka, tav. I 2 . Bertelsmeier-Kierst , Christa, 26 I n . Berti, Ernesto, XXVII n , 3 I n . Bertoldo d i Giovanni, tav . 7 ·

Bertozzi, Marco, XXII n, 3 3 2 n, tav. I 2 . Bessarione, Basilio, XXI e n. Bianca, Concetta, 6 3 n. Bianchi, Massimo, LXVII n. Bigi, Emilio, 45I n. B i!, D avid, 343 n . Bing, Gertrud, XXVI n, I I O n . Biondo, Girolamo, 446. Black, Robert, I I9 n. Blatt, Katy, LXIV n. Blum, Pau! Richard, 2 2 5 n . Boccaccio, Giovanni, I 7 9 n, t a v . 9· Bock, Gisela, XLVI n. Boeft, Jan den, 459 n. Boeto di Sidone, 65, 75, B r . Boezio, Severino, 69 e n , 7 3 e n, I 79 n, 292 n, 296 e n, 459 n. Boissonade, Jean-François, I 64 n . Bolzoni, Lina, LXIX n, t a v . 8 . Boninger, Lorenz, LVI n. Borghello, Giampaolo, XXVII n. Borgnet, Auguste, I 6 n, 79 n, 8o n, 8 I n, 2 I 7 n. Borsook, E ve, tav. I r . Botticelli, Sandra, XLVII, 253 n, tav. I , tav. 5, tav. 6 . Bowen, William, 274 n. Braccesi, Alessandro, I 7 7 e n, tav. 8 . Bracciolini, Poggio, xxvrn, 63 n, I 20 n. Branca, Vittore, VIII n. Bredekamp, Horst, tav. 6. Briguglia, Gianluca, XLIII n, I 2 3 n. Brown, Alison, I I 9 n, I 2 3 n . Brummer, Hans Henrik, t a v . 5· Bruni, Leonardo, XXXI, XLVII n, LXXV, 2 I n, 2 8 n, 29 n, 3I n, 33 n, 35 n, 8 9 n. Buck, August, VIII n. Buhler, Stephen M., 3 86 n. Buonaccorsi, Filippo, 370 e n, 37 1 . Buoninsegni, Giovambattista, I 7 7 e n , 3 88 n, 390 e n. Burckhardt, Jacob, xr. Buridano, Giovanni, 8 4. Burlaeus, vedi Burleigh, W alter. Burleigh, W alter, 32 n. Busi, Giulio, X L n, 29 n, 88 n, I 40 n, I 44 n, I B 5 n, 265 n, 274 n, 309 n, 3 I 9 n, 347 n, 3 B 4 n, 45 8 n, 477 n, tav. 7, tav. I r . Buttay-Jutier, Florence, tav. I 4 . Buzzetta, Flavia, 3 7 2 n . C acciari, Massimo, VIII n, XVI e n, XVIII n , XXII n , XXXIII n, XLVII n . C alcidio, XXVII n, 24 n, 40 n, 43, 66 n, 67, B o n, 8 2 n, 8B n . Calcondila, Demetrio, t a v . I 5 · Callimaco Esperiente, vedi Buonaccorsi, Fi­ lippo.

INDICE DEI NOMI

Calliope, vedi musa (Muse) . Cambini, Andrea, I 9 I n. Camene, I79· Camillo , Marco Furio, vm. Campanelli, Maurizio, LXXm n, I 49 n, I 5 I n. Campano, Giovanni Antonio, 204 n, 226 n. Canacci, Giovanni, 444· Canali, Luca, 8 n. Canigiani, Antonio, 26 e n, 87 n, I03. Canigiani, Giovanni, XXXI, 26 n, 62 e n. Cantimori, Delio, Lxxv n, 347 n. Capponi, Francesco, 62 e n. Capretti, Elena, tav. 3. Cardini, Roberto, 240 n. Carducci, Filippo, 235 e n. Cariddi, 394, 42 1 . C arlo VIII di V alois, re di Francia, LXXX . Carmody, Francis J . , 336 n. Carneade, I 2 I , I 2 2 . Caronda, I 27 Caroti, Stefano, 6 8 n. Casimiro IV I agellone, re di Polonia, 370 n. Cassarino, Antonio, 89 n. Cassirer, Ernst, XI n, XII n. Castelli, Enrico, L xm n, 370 n. Castelli, Patrizia, 98 n. Catanorchi, Olivia, xv n. Catilina, Lucio Sergio, 44 I n. Cattani, Andrea, 454 n. Cattani da Diacceto, Francesco, 420 e n. Cavalcanti, Giovanni, xxm n, LXXIX, I 2 I , I 39, I 86, 2 30 n , 235, 2 3 7 , 239, 240 n, 434 • 36, 438, 439· Cavalcanti, Guido, XLI, XLVIII, XLIX e n, L n, 1 1 7, I 86 e n, I 8 7 . Ceccherelli, Antonio, LXI n. Celenza, Christopher S . , XIV n, xv n, xxxvi n, I I 9 n. Cefio, 2 I 8 , 2 2 3 , 284-86, 294, 295, 488 . Censorino, 67 e n. Cerere, 3I9, 338. Cesare, Gaio Giulio, I 09. Cesarini Martinelli, Lucia, 240 n. Chastel, André, XVII n, xvm n, LXIV n, LXIX n, LXXI e n, 98 n, 333 n, 339 n, tav. 5, tav . 7 · Chellini, Giovanni, xxv . Chiesa, Paolo, XLI n. Chirone, 2 I 7 Christiansen, Keith, tav. 9 · Christianson, Gerald, I 5 I n, I 8o n. Christus, Petrus, tav. 8. Cicerone, Marco Tullio, 9 n, I I n, I 2 n, I 5 n, I7 n, 29 n, 37 n, 52 n, 59 n, 6o n, 63 n, 64 n, 65 n, 66 n, 67, 68 e n, 79 n, 82 n, 83 n, 86 n, 90 n, I03 n, I04 n, I05 n, 1 06 e n, I09 e n, 1 38 n, I 49 e n, 234 n, 239 n, 338 n, 396 n.

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Cielo, vedi Celio. Cigada, Piero, 26 n. Ciliberto, Michele, xv n, X V I e n, XXII n, Lxm n, 26 n, 297 n, 347 n. Ciprogena, vedi Venere. Circe, I 40, 405 e n, 435· Citerea, vedi Venere. Clark, John R . , XXVI n. Claudiano, Claudio, tav . 7 · Cleante, 65, 75· Clio, vedi musa (Muse) . Cloto, 384. Clough, Ceci! H., LXIV n. Clucas, Stephen, xxi n. Cockshaw, Pierre, 78 n. Colonna, Egidio, vedi Pseudo - Egidio Colonna. Comanducci, Rita Maria, 2 4 I n. Comi, Armando, I 44 n. Consiglio, 2 2 2 , 2 2 3 e n. Conte, Gian Biagio, 8 n. Conti, Daniele, xxvn n, Io n, 68 n, 263 n, 349 n, 386 n, 425 n, 439 n. Copenhaver, Brian P . , LIX n, LX e n, I 5 I n, 3 4 3 n . Corrias, Anna, LXVI n, 269 n . Corsi, Giovanni, XXIV. Corsini, Amerigo, 233 e n, 234, 2 3 5 . Corsini, Matteo, Lxxvn n. Costantino I (Flavio V alerio Aurelio Co­ stantino, detto), imperatore romano, I 58, I 59, I 6 2 . Cottrell, Alan, v m n . Couvreur, Pau!, LXXVI n . Crati/o, 2 9 9 , 300. Crimi, Giuseppe, 240 n. Crisippo, 65, 75, 82. Crisolora, Manuele, 89 n. Cristiani, Marta, 493 n. Cristo, vedi Gesu Cristo. Critolao, 8 I , 83 n. Crivelli, Leodrisio, 2 I 7 n. Crizia, Bo, I44· Cronico, Antonio, vedi Vinciguerra, Antonio. Crono, vedi Satumo. Cropper, Elizabeth, LIII n. Culianu, Ioan Petru, XL n. Cupido, vedi Amore. Curtius, Ernst Robert, XI n. Dalmata, Hermannus, vedi Ermanno di Carinzia. D 'Alverny, Marie-Thérèse, 7 2 n. Daly, Robert J . , 348 n. Damascio, 2 7 I n, 272 n. Damis, 453· Damone, 229 n, 234.

5 00

INDICE DEI NOMI

Daniele, 492 . Dante Alighieri, X, XIV n XVI, XLI e n, XLII e n, XLIII, XLIV , XLV , XLVI e n, XLVII e n, XLVIII, XLIX, I I 7 , 1 65 n, 1 67 n, I 7 I e n, 1 7 2 , r 89 e n, 1 90 e n. D' Ascia, Luca, r r 3 n. David Bi!, vedi Ibn B ilia, David. Davide, 1 77 , 2 36, 28r n, 290 n, 382, 429, 449, 450 e n, 468 . Davide di Dinant, XXVIII, 5, 66, 75 · David Iudaeus, vedi Avendante. Davie, Mark, r 9 r n. Davies, Martin, VIII n, XIX n, LXVII n, 1 99 n, 339 n. Decembrio, Pier C andido, 89 n. Decembrio, Uberto, 89 n. Del Garbo, Dino, L n . Della Stufa, Sigismondo, 252, 253. Della Torre, Arnaldo, 62 n, 1 9 1 n. Della Volpaia, Lorenzo, 338 e n. Del Nero, Bernardo, 1 3 7 e n, 1 53 n, 1 55, 1 7 1 , 2 30 n. Del Nero, Piero, 1 37 e n, I 55 · Del Prete, Antonella, ro n . Del Soldato, Eva, XXI n. Del Verme, Marcello, 144 n. De Maio, Romeo, 442 n. Democrito, xxxm, r o , r7, 40, 56, 6o, 63, 75, 82, r r8, 192 n, 1 99 e n, 20 1 , 203, 360, 396, 400, 42 r e n. De Pace, Anra, 299 n . Des Places, Edouard, 309 n. Deubner, Ludwig , 480 n. Diagora, 63. Diana, 338 e n, 404, 405, 485. Dicearco, 79Dick, Andrew R . , VIII n. Diels, Hermann, 399 n. Diodoro Siculo, r 2 7 n, 1 44 e n. Diogene di Apollonia, 65, 75, B r . Diogene Laerzio, XXVIII, r r n , r 3 n , 2 9 n, 34 n, 37 n, 59 n, 6o n, 63 n, 64 n, 65 n, 66 n, 70 n, 79 n, 8 r n, 90 n, 9 1 n, 1 27 n, r 56 n, 1 75, 1 78 n, 179 n, 192 n, 406 n.

Diane, 285, 286 . Dione, tiranno di Siracusa, 239. Dionigi, Ivano, 8 n. Dionigi, vedi Dionisio II. Dionigi Areopagita (per Pseudo - Dionigi Areopagita), 3 1 , 78, 2 2 1 n, 288, 414, 419,

456, 457 , 459, 466, 474, 479, 485. Vedi anche Pseudo - Dionigi Areopagita. Dionigi di Alicarnasso, r 58 n. Dionisio I I , tiranno di Siracusa, 67 , ro8. Dioniso, vedi Bacco. Dionisotti, C arlo, XLI n. Diotima, sacerdotessa di Mantinea, LXXIX,

r87, 436.

XLVII,

Discepoli, Girolamo, 1 34 n. Donati, S ilvia, 74 n. Donini, Pierluigi, 84 n.

Dracone, 1 27 . Eberardo V , duca del Wlirttemberg, 479 n, 489 n. Ebgi, Raphael, VIII n, XVII n, XXII n, XXVII n, LI n, LXXIX n, 1 7 n, 29 n, 36 n, 43 n, 83 n, 88 n, 1 2 3 n, 1 25 n, 140 n, 1 44 n, 1 49 n, r 65 n, r 8o n, r 8 5 n, 265 n, 274 n, 309 n, 3 1 9 n, 384 n, 432 n, 434 n, 440 n, 458 n, 477 n, 485 n, tav . r r . Ecate, 344Eco, vedi ninfa (ninfe) . Edelheit, Amos, r 56 n. Egeria, vedi ninfa (ninfe) . Eisler, Robert, tav. 5 · Elia, LXXIII, 2 32 n. Eliano, Claudio , r 27 n. Ellero, Diego, XLI n. Empedocle, r8, 40, 64, 75, Bo, 85, 86, 1 75,

'77· Enea, 1 90 n, 284, 37 1 , 3 8 7 , 4 8 7 n .

Enea di Gaza, X L n, r 64 n. Ennio, Quinto, 9 n. Epicarmo, H Epicuro, XXVIII-XXX, XXXII, XXXIII n, 5, IO, r r n, 1 4 n, 26 n, 29 n, 54 - 56, 58-6o, 63 ,

64, 8 2 , 90-

Epimenide,

LXXIX,

437 ·

Epimeteo, 342 . Eraclide Pontico, 8 r . Eraclito, r 8 , 49, 66, 7 5 , 8 r , 8 5 , 86, r r 8 , 1 77 , 1 99 n, 2oo, 2or , 203, 399 e n, 483. Erato, vedi musa (Muse) . Ercole, 444, 45 1 , tav. 2 . Erissimaco, r 86. Ermanno di C arinzia, 76 n. Ermarco, 6o e n, 63, 82. Ennete Trismegisto, vedi Mercurio Trismegisto. Ermia di Alessandria, LXXVI n, 145 n, 239 n, 252 n, 275 e n. Ermia di Atarneo, 473, 477· Erodoto, r 2 2 e n. Eros, vedi Amore.

Esculapio, 1 5 2 , 2 39, 273. Esiodo, xxxvn, 79, 85, 1 7 7 , r 84, r 86, 2 1 7 e n , 284 n , 286 e n . Eudosso, 284. Euforbo, 86 n . Eumolpo, r 56. Euridice, VIII n, 444, tav . 4 · Eusebio d i Cesarea, XXXIX n, 2 8 r n, 378 n, 464 n. Euterpe, vedi musa (Muse) . Eutidemo, 299.

50!

INDICE DEI NOMI

Faivre, Antoine, L I n . Fantoni, Marcello, LXXIX n . Farinella, Vincenzo, tav. 3 · Farmer, Stephen A., LV n , urn n , 72 n , 382 n . Fattori, Marta, LXVII n . Febe, vedi Diana. Febo, vedi Apollo. Federici Vescovini, Graziella, uv n. Federico da Montefeltro, duca di Urbino, 1 65 n. Fedice, 336.

Fedro, 1 86, 2 1 7, 2 20, 247 . Fellina, Simone, 273 n, 3 1 7 n, 420 n. Fenzi, Enrico, XLIX n, 187 n. Ferguson, Margaret W . , Lill n. Festo, Sesto Pompeo, 23 n. Ficino, Anselmo, XXIV . Ficino, Dietifeci d'Agnolo, XXIV, FieJd, Arthur, XXXIX n, 1 99 n. Figliucci, Felice, 92 n.

Gellio, Aulo, 14 n, 39 n, 54 n, 1 04 n, 1 58 n, 344 n, 490 n. Gentile, Sebastiano, x v , X V II n, XXIV n, XXVII n, XXVill n, XXX n, XXXII n, XXXVI n, XXXVII n, XLIT O, LXD n, LXVill n, LXXVI n, I I n, 1 7 n, r 8 n, 2 1 n, 26 n, 43 n, 63 n, 68 n, 69 n, 76 n, 78 n, 92 n, 98 n, 1 1 9 n, 1 49 n, 1 50 n, r 89 n, 1 9 1 n, 1 99 n, 2 26 n, 227 n, 2 30 n, 263 n, 347 n, 384 n, 425 n, 440 n, 445 n, 446 n, 449 n. Geremia, 290 n, 291 n. Geronimus, Dennis, tav. 3 · Gersh, Stephen, LXIX n , 3 I 3 n, 34I n . Gesu Cristo, IX , xxx, xxxix n, L , LXXIII, 9 n, I O n, 76, I I 2 n, I 28 n, 1 50, I 59-64, 223 n , 263 , 281 e n, 282, 289, 290, 291 n, 334,

385, 443, 444, 453, 461 , 464, 486, taV. I O.

xxxv .

Filebo, 283, 284. Filelfo, Francesco, 172 n, 2 1 7 n. Filolao, xxxvi, 15, Bo, 86, 1 50 . Filommedea, vedi Venere. Filone di Alessandria, 296 e n. Filostrato, 328 n, 346 n, 422 n, 453, 454 n. Fioravanti, Gianfranco, 1 64 n. Fiorentini, Agnolo, 1 5 3 n. Fiorentini, Lorenzo, 1 5 3 n . Fischer, Klaus-Dietrich, 32 5 n. Flamini, Francesco, 1 4 n. Flavio Giuseppe, 281 e n. Flora, 256 e n, tav. 6. Foà, Simona, 348 n. Fonzio, Bartolomeo, 76. Forlani Tempesti, Anna, tav. 3 . Forshaw, Peter J . , XXI n, 2 3 2 n. Fortini, Clemente, 87, 9 2 . Fortuna, XXXIII, XXXIV , tav. 1 3 . Franceschi, Lorenzo d i Domenico, 1 9 2 n . Francesco d'Assisi, santo, 4 4 3 e n . Fubini, Riccardo, X L n, tav. 7 · Furlan, Francesco, 1 7 1 n .

Gabriele, 1 20, 1 27 , 289. Vedi anche angelo (angeli) . Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, r 72 n. Galeno, XXIV , 83, 84 n, r r 9, 389, 399 n. Galland, Sébastien, 479 n. Galletti, Domenico, 1 99 n. Garand, Monique-Cécile, 78 n.

Garfagnini, Gian Carlo, VIII n, x x n, XLIII n, L n, LIX n, 89 n, r64 n, 244 n, 333 n, 370 n, tav. 1 5 . Garin, Eugenio, x e n , x v e n, XXII n , XXXII n, XLI n, L n, LI n, LV n, LXIII e n, LXVI, LXVII n, 230 n, 240 n, 479 n, 485 n, tav. 6.

ai-Ghaziiii (Abu Hiimid Muhammad Ibn . · Mul;lammad A� -rusi ai-Gh azziill) , I 4 I , 453, 454 n. Ghelardi, Maurizio, tav. 1 4 . Ghirlandaio, Domenico, tav. I I , tav. I 5· Ghisalberti, Alessandro, XLVI n. Giacomo il Minore, apostolo e santo, 490,

49 1 . Giamblico,

LVIII , LIX, LXV, LXXIV, 26 n, 67, 7 2 , 86, 2 0 5 n, 273 e n, 29 I , 292 n, 305, 3 I 3 n, 3 1 7 , 324 e n, 328 e n, 339 e n, 342 e n, 343 n, 345, 346, 347 n, 359 e n, 360 e n, 363 e n, 366 e n, 369 e n, 378 e n, 445 e n, 447, 454, 460 e n, 464 e n, 48 I e n, 483 e n, 485 e n, 489. Gianfigliazzi, Gherardo, 4 39· Gian Galeazzo Sforza, duca di Milano, I72 n. Giannetto, Nella, 235 n. Gieseler Greenbaum, Dorian, 362 n. Giglioni, Guido, 339 n. Gilly, Carlos, 63 n, 68 n, 78 n, 227 n. Gilson, Simon A., I 89 n. Gindhart, Marion, 26 r n. Giolito de' Ferrari, Gabriele, 92 n. Giona, 2 8 I n. Giorgio di Trebisonda, detto il Trapezun-

zio, XXXII n. Giotto di Bondone, XIV n. Giovanni XXII (Jacques Duèse) , papa, 85 n. Giovanni da Viterbo, I 38 n. Giovanni di Jandun, 85 e n. Giovanni Evangelista, apostolo e santo, IX,

78, 289, 4I I . e n, XL n, 1 3, 23-25, 66 e n, 7 3 , 88 e n, 1 20, 1 2 1 , 1 2 2 e n, r z6, I 27 , I 45, I 6 I , qo, I 7 2 , I85, 2 I 7 , 2 1 8, 220, 222-24, 2 3 I , 239, 254. 285, 286, 294> 295, 3 I 2 , 3 I 5 , 3 I 6, 3I9, 323-25, 334, 335> 338, 339 . 342, 345> 346, 366, 387, 388, 40 I , 403, 405-7, 42 I , 447, 458, 477, 480, 482-84, 488. XXVII, XXXVIII ,

Giove,

XXII

n,

XXIII

502

INDICE DEI NOMI

Giovenale, Decimo Giunio, 200 n. Giorgio, santo, tav. I 2 . Girolamo, Sofronio Eusebio, santo, 8 6 n, 450 n. Giugni, Bernardo, I I 9 . Giuliano l'Apostata (Flavio Claudio Giu­ liano, detto) , imperatore romano, xxn n, 296, 485 n, 489 e n. Giunone, 2 I 8 , 3 I 9 , 488 . Giustiniani, Andreolo, I 64 n. Giustiniano I (Flavio Pietro Sabbazio Giustiniano), imperatore d 'Oriente, 383 n. Glaucone, I46. Gombrich, Ernst , 253 n, 255 n, tav.6. Gouwens, Kenneth, I I 9 n. Grafton, Anthony, 64 n. Grassi, Ernesto, xn e n, xrn e n, xv, XVI, xxn n. Grazie, XLVlll , I 90 , 338, 39 I , tav. 6 . Greco, Raffaele, I 9 I n. Gregorio di Nazianzo (Gregorio Nazianzeno), santo, XIX n. Gregory, Tullio, 88 n. Griggio, Claudio, I64 n. Guarini, Guarino, 226 n. Guglielmo di Conches, xxvn n, xxx, 43 e n, 68 n, 69 n. Guglielmo di Moerbeke, 78 n. Guicciardini, I acopo di Piero, I9I e n. Guicciardini, Luigi, I 9 I . Guidi, Giovanni, I 2 I , I 2 2 . Guinizzelli, Guido, I 86 n . Guittone d'Arezzo, I 86 n. Gundel, Wilhelm, 336 n. Haas, Bruno, 244 n. Habba, vedi Abba bar Kahana. Hagen, Hermann, 23 n. Hahamed, 344 · Haly, vedi Pseudo - 'Ali ibn Ridwan. Hamesse, Jacqueline, 263 n. Hankins, James, XXI n, XXIV n, XXVII n, XXX n, xxxvrn n, XLI n, XLVII n, LXXXI n, 64 n, 89 n, I 27 n, I43 n, 274 n, 343 n, 454 n. Hasse, Dag Nikolaus, 1 4 I n, 454 n. Heiberg, Johan Ludvig, 309 n. Heidegger, Martin, XIV n. Heitzman, Marian, X I V n, 373 n. Henry, Tom, tav. I O . Herbig, Reinhard, tav . 5· Hermann, Gottfried, 2 I 7 n. Hidalgo-Serna, Emilio, XII n. Hirai, Hiro, 14I n. Hollander, Robert, XLVI n. Hope, Charles, tav. 1 5. Horne, Herbert P . , tav.5. Hough, Samue! J . , xxv n, 1 2 n. Howald, Kaspar, 1 4 3 n.

Hub, Berthold, 256 n. Hudry, Françoise, 70 n. Humanitas, vedi ninfa (ninfe) . Hus, Jan, 144 n. Huss, Bernhard, LVlll n . Hyeronimo, vedi Girolamo, Sofronio Eu­ sebio, santo. Iacopo del Sellaio, tav. 4· Ibn Bilia, David, 343 n. Idomeneo, 6o n. Idra, tav. 2. lerocle, 363 n. Ingegno, Alfonso, 313 n. lpparco, 81, 485. Ippia, 244-46. lppocrate, Io, 8 1 . Vedi anche Pseudo-lppocrate. lppone, 8o. Isaia, 195 n, 205, 429. Iside, 344· Isidoro di Siviglia, 66 n, 89 n. lsocrate, 455· I vani, Antonio, tav. 1 . Izbicki, Thomas M . , 1 5 1 n , 1 80 n. Jammy, Pietro, 66 n. Jandone, ve_di Giovanni di Jandun. Jeauneau, Edouard, 68 n. ]essen, Karl, 40 n. Jodogne, Pierre, 78 n. Johnston, Sarah Iles, 344 n. Jurdjevic, Mark, X L n, LXXXI n, 2 35 n, 348 n . Kaluza, Zénon, 70 n. Kant, lmmanuel, xv. Kanter, Laurence B., tav. 9 · Kaske, Caro! V . , xxvi n. Katinis, Teodoro, xxv n, LXIX n, 208 n, 209 n. Kemp, Martin, L V I n, L X I V n, tav. 8. Kent, Francis W., xxxrv n. al-Kindi, Abu Yusuf Ya'qub ibn Isi:Jaq, 72 n, 333 n. Klein, Robert, LXIX n. Klibansky, Raymond, xxrn n, 43 n. Knust , Hermann, 32 n. Kodera, Sergius, 256 n. Kohler, Friedrich W., 363 n. Kolloff, Eduard, tav. 1 4 . Knust, Hermann, 32 n. Kranz, Walther, 399 n. Kristeller, Pau! Oskar, X I n, xm e n, XIV n, xv e n, X V II e n, xvrn n, XXIV n, xxv e n, XXVI, XXXV n, LXII n, LXVII n, 7 n, 9 n, 1 2 n , 1 4 n , 1 5n, 1 7 n , 6 2 n , 87 n , 98 n , 1 03 n, uo n, 1 1 9 n, 1 25 n, 1 5 3 n, 1 7 7 n, 1 80 n, 1 85 n, 1 9 1 n, 244 n, 263 n, 284 n, 307 n,

INDICE DEI NOMI

3 1 3 n, 339 n, 347 n, 370 n, 4 1 3 n, 422 n, 425 n, 440 n, 445 n, 449 n, 470 n, 479 n. Kiihn, Cari Gottlob, 399 n. Kury, Gloria, tav. ro.

Lachesi, 384 . Landino, Cristoforo, xxxv, XLVm, LVI n, 85 n, r 89 e n, 202 n, tav. 8, tav. 1 5 . Landucci, Benedetto d i Luca, tav. r 6 . Lari, 390. Latini, Brunetto, r 38 n. Lattanzio, Firrniano, 8 n, 66 n, 82 n, 1 49 e n, 1 50 n, r 5 r e n, 1 58 e n, 1 59, r62 e n, r63, 477 n. Lauster, Jorg, Lxvn n, LXIX n. Lazzarelli, Ludovico, r 52 n. Lazzarin, F;rancesco, XIX n, Lvm n, 470 n. Lefèvre d'Etaples, Jacques, 1 5 1 n. Leonardo da Pistoia, r 5 r . Leonardo da Vinci, Lm n , LXIV n , tav. 8 . Leonardo d i Tone Pagni, r r o n. Leonducum, 3 7 2 . Lepri, V alentina, x v n . Leto, Pomponio, 370 n . Leucippo, 6o, 6 3 , 7 5 , 8 2 . Leye, Geraert v a n der, 1 49 n. Libero, vedi Bacco. Licurgo, 1 20, 1 2 1 , 1 2 2 e n, 1 27 . Ligario, Quinto, 109. Lino, 1 56, r n , r 86. Lippi, Filippo, tav. 4· Lisia, 446. Liv io, Tito, r 58 e n. Lokaj, Rodney J . , 86 n. Lorimer, William Laughton, 24 n. Lucano, Marco Anneo, 24 n, 66 e n. Lucarini, Carlo M., LXXVI n. Lucentini, Paolo, 70 n. Luci/ero, 444 · Luci/ia, 255, 256 e n. Lucrezio Caro, Tito, x , xxvm, L ll n, 5, 7 e n, 8 e n, 10 e n, I 1 e n, 14 n, 16 e n, 2 1 n , 2 6 n , 5 2 n , 5 3 , 54, 5 9 e n , 6o, 63, 6 4 e n, 65 n, 75, 8 2 , 83 n, 91 e n, 1 53 n, 206 n, 284 e n, tav. 3 , tav. 6, tav. 9 · Luosi, Giuseppe, 1 27 n. Luzzatto, Sergio, xxxvi n. Machiavelli, Bernardo, r 2o n, 372. Machiavelli, Niccolò, x v m n, LXXIX, 6, 1 20 n, 1 23 n, 1 37 n, tav. 3 · Macrobio, xxvn n, 19 n, 2 1 n, 22 n, 23 n, 40 n, 66 n, Bo n, Br n, 83 n, 88 n, 1 78 n, r85 n, 275 n, 459 n, 483 n, 485 e n. Maestro di Griselda, tav . 9 · Ma!er, Ida, vm n. Maimonide, Mosè (Mosheh ben Maymon) , 483 e n.

Malanima, Paolo, 2 35 n. Mallet , Michael, 191 n. Mamachi, Tommaso Maria, LXI n. Manetti, Angelo, 87 n, ro3 n, 1 78 . Manetti, Antonio, XLIX n, L n, r 7 r . Manuzio, Aldo, LXXXI, 2 6 n , 4 r r , 445 e n. Maometto (Mul;lammad), xxxn n, XXX!ll n, 76 e n, 1 20, 1 27, 289, 292, 450 n. Marassi, Massimo, x n n. Marcel, Raymond, XXIV n, 12 n, 274 n. Margherita, vedi Medici, Margherita de' . Maria Maddalena, tav. 9 · Marliani, Giovanni, 335· Marrasio, Giovanni, XLVll n. Marsuppini, Cristoforo, r 86. Marte, XX!ll , LIV, 1 7 2 , r 85, 2 2 8 , 254, 325, 334, 342, 344, 346-48, 483, 484. Martelli, Braccio, r6r n, 347 n, 348 e n. Martelli, Mario, 1 78 n, 240. Marullo Tarcaniota, Michele, tav. 3, tav. 15. Marzillo, Patrizia, Lvm n. Mausolo, tav. 9· Mecenate, Gaio Cilnio, 39 1 . Medici, dinastia, XL n , r r 7 , 1 58, 445· Medici, Cosimo de' , XXIV, XXXIV, x x x v e n, XXXVI, XXXVTI, XXXIX, XL e n, XLI e n, 1 1 7 , I I 9 e n, 149, 1 5 1 , 1 5 2 , 1 57 , r 86, 199 n, 244 n, 339 n, 389, tav. 5, tav. r6. Medici, Giovanni de' , xxv, 339 n, 4 1 3 n. Medici, Giuliano de' , 1 58, 240 n. Medici, Giuliano di Mariotto de' , 347 n. Medici, Lorenzo, de' , detto il Magnifico, XL e n, XLVI, 1 2 2 e n, 1 2 3 , 1 37, 1 39 n, 1 54, 1 55, 1 57, r8o, r86, 1 9 1 n, 197 n, 215, 240 n, 244 n, 348 n, 372, 388-9 r , 420 n, 449, 450 n, 451 n, tav. 5, tav. 6, tav. 7, tav. r6. Medici, Lorenzo di Pierfrancesco de' , LIV , 26 n, 253, 254, 255 n, tav. 5, tav. 6. Medici, Margherita de' , 347 e n. Medici, Nannina de' , tav. 14. Medici, Piero di Cosimo de' , XL, XLlll n, 1 57, r 86, 244 e n, 249, tav. 1 4 . Medici, Piero d i Lorenzo de' , 479, 480. Megna, Paola, r 8o n. Mehus, Lorenzo, XLVll n. Meiss, Millard, XXXIV n. Mela, Pomponio, 144 e n. Me/chisedec, 389. Melissa, 15 e n, 66, 470, 47 1 . Me!pomene, vedi musa (Muse) . Meltzoff, Stanley, 442 n. Memmio, 7· Meneceo, rr n, 58, 63, 82. Mengo da Faenza, 335 · Mercati, Michele, xxvm, 7 e n, 9 n, r 2 n, 92 e n, 244 n. Mercurio, XXIII, LIV, 1 27, 1 49, r85, r 89, 190, 2 3 1 , 254, 297, 298, 333, 335, 342, 344,

INDICE DEI NOMI

347, 386, 39 I , 392, 394, 400 e n, 404, 405 n, 407 , 448, 48o, 483, 484, 487 e n. Mercurio Trismegisto, IX, xxxiii, XXXVI e n, XU, XLII n, L , LXIV, LXXill n, 5, r8, 26 n, 29, 37, 38, 67, 68 e n, 69 e n, 70 n, 7 I , 75, 77, So, 85, I 20, I 2 I , I 27, I 49 e n, I 50 e n, I 5 I e n, I 5 2 , I 64, I 74, I 7 5 , 2 I 7 e n, 239, 28o, 29 I , 3 I 9, 343 n, 344, 385, 477· Meriam Bullard, Melissa, XXIV n. Meroi, Fabrizio, xxx n, LXXXI n, 454 n. Metrodoro, 6o, 63, 8 2 . Meyer, Ernst, 4 0 n . Meyer, Julius, tav. I 4 . Milanesi, Gaetano, tav. I 5 · Minerva, I 27, I 57, I 9o, 392, 3 9 3 , 405, 477, 482, 488 . Minio Paluello, Lorenzo, 24 n. Minasse, I I 9, I 20, I 27 . Miscomini, Antonio d i Bartolommeo, 274 n, 307 n, 3 I 3 n, 479 n, 492 n. Moerbeke, vedi Guglielmo di Moerbeke. Mojsisch, Burkhard, XXVI n. Molin, Pietro, tav. 2 . Monaci Castagno, Adele, 348 n. Monfasani, John, X I X n , xx n, 343 n. Montaigne, Miche! de, 400 n. Moreschini, Claudio, LXXVI n, 432 n. Mosco, I 7 7 . Mosè, xxxix n , I 2o, I 27, I 29, I 4 I , I49 . I 77, 272, 290, 29I n, 337, 38I , 43 1 , 4 3 2, 438. Moudarres, Andrea, 439 n. Muratov, Pavel, tav. 2. musa (Muse), 22, 2 3 , 25, 1 77·78, 1 7 9 e n, r 8 r , r84, I 85 , I90, 240, 39 1 -93 . 396, 448, 480, 485, 487-89: - Calliope, r 85, r 86; - Clio, r 85, r 86; - Erato, 1 85, r 86; - Euterpe, I 85, I 86 ; - Me!pomene, r85, I 86; - Polimnia, 1 85, r 86; - Talia, 1 85, I 86 ; - Tersicore, 185, r 86; - Urania, 1 85, r 86. Museo, I 56, I 77, r 86, 239· Najemy, John M . , I23 n. Naldi, Naldo, 240 e n, 24 I , tav. 8. Narciso, 253, 26o, 261 e n. Nauta, Lodi, 69 n. Nemesi, 43 1 . Neschke-Hentschke, Ada, 1 27 n , 143 n. Nesi, Giovanni, L , 1 65 n, tav. r . Nettuno, 2 I 8 , 3 2 3 . Niccoli, Ottavia, XL n. Niccoli, Sandra, x n, XXIV n, XXVII n, XXXVI n, I I n, 26 n, 76 n, I 86 n, 425 n, 449 n. Niccolini, Luigi di Bernardo, tav. 8.

Niccolini, Ottone, I 1 9 e n Niccolò Cusano, 78 n, 2 2 5 n. Niccolò di Lorenzo, 1 5 3 n. Niccolò Siculo, 24 n. Nicola di Merone, X I X n, xx n. Nicoli, Elena, 83 n. ninfa (ninfe) , XLVIII , 1 90: - Eco, 1 78; - Egeria, 1 20, 1 27; - Humanitas, 255. Notte, 2 2 3 n. Numa Pompi/io, LXXIX, 1 20, 1 27 , 1 56. Numenio, 86. Offerhaus, Johannes, tav . I r . Ogren, Brian, 2 3 2 n, 38 1 n. Olimpio, astrologo, 336. Olimpiodoro, 2 7 1 n. O'Malley, John W., 1 5 1 n, r 8o n. O 'Meara, Dominic J . , xxx n. Omero, X X II n, xxxvii, 67, r 66, 1 7 7 , r83, I 84, I 86, 288, 294, 353 n, 380 e n, 459 e n. Orazio Fiacco, Quinto, 13 n, 22 n. Orbicciani, Bonagiunta, XLVII n. Oreste, 229 n, 234. Orfeo, VIII e n, XXXVI, XLI , LXVIII, 66 e n, 68, 79, 1 26, 1 50, 1 56, I75, 177, r86, 2 1 7 , 222, 2 26, 239· 248, 252, 260, 284, 296, 298, 3 1 9, 357 . 385, 425, 444, 477 . 482 , tav. 4. Origene, XXXIII, XXXVIII, 68, 86 e n, 283 n, 288 e n, 29I e n, 293 n, 348 n, 381 n, 414 n, 493 n. Oromaso, I 27 . O 'Rourke Boyle, Marjorie, LIII n . Orsini, Clarice, 76 n , 449 n, 450 n . Orvieto, Paolo, 1 78 n . Osea, 281 n. Osiride, I 2o, 3 1 5, 344 · Ossola, Carlo, LII n. Ottaviano, vedi Augusto. Ovidio Nasone, Publio, r 86, 432 n. Pablo de Santa Maria, vedi Paolo di Burgos . Padovani, Serena, tav . 3 · Pagliaroli, Stefano, 445 n. Pallade, vedi Minerva. Palmieri, Matteo, I 2 2 n, 1 2 3 n, 1 38 n. Pan, XXVII n, 298, 455, 456, tav. 5 · Pandolfini, Priore, I 22 e n. Pandozzi, Panezio, 204 n. Panezio, 8 2 . Panichi, Nicola, 400 n. Pannonio, Giovanni, XXIII n, XXXVII n, 386. Panofsky, Erwin, X X I V n, tav. 3· Paolo, apostolo e santo, XXXVIII, X X X I X n, LXIX n, LXX , LXXIII, I9, I 7 I , I 89 n, 195 n, 205, 230 e n, 2 3 1 , 232 n, 243, 281 n, 282, 288, 294, 377, 4 I I , 4 I 9 , 4 2 1 , 425 e

INDICE DEI NOMI

n, 428-32, 443, 447, 457 , 46o, 46 r , 464, 465, 468, 475, tav. r o . Paolo II (Pietro Barbo), papa, XLIII n, 370 n . Paolo di Burgos, 2 9 1 n. Paolo Veneto (Paolo Nicoletti, detto) , xxv. parche, 386 n. Parmenide, 1 5 e n, 64 e n, 75, 8 r , 177, 2 1 7, 470, 47 1 , 475 · Parri, Ilaria, 70 n, 1 5 1 n. Pasqualini, Girolamo, 1 7 n, 87 n, 103 n. Pausania, r86. Pazzi, Antonio de' , r 2 2 n. Pazzi, Piero de' , xxv, xxviii, r 2 e n, r r 9 e n. Pease, Arthur Stanley, 66 n. Pedullà, Gabriele, xxxvi n. Pelagonio, 32 5 n.

Penia, 2 2 2-24. Percival, Keith W., 290 n. Perosa, Alessandro, xxv n, XXXIV n, r r o n, r r 2 n, r q n, 177 n, tav. 1 3 . Perrone Compagni, Vittoria, 6 8 n , 7 0 n. Persona, Cristoforo, 283 n. Petrarca, Francesco, X X I , 86 n, tav. 9 · Pettit, Philip, 8 n. Piaia, Gregorio, LXXIV n. Pico della Mirandola, Giovanni, xxi n, xxrr n, L n, LI n, LIT e n, LIII e n, LV n, LXII e n, 72 n, 1 44 n, 1 7 2 n, 2 2 3 n, 305, 3 1 3 n, 3 1 9 n, 3 3 7 , 3 3 8 n, 347 e n , 3 8 r n, 459 n, 464 n, 477 n, 485 n, tav. 7, tav. r 6 . Piemontese, Angelo Michele, 76 n.

Pieridi, ' 79· Pierleone da Spoleto, 372 e n, 413 n. Piero di Cosimo, tav. 3· Pietro, apostolo e santo, 2 r r e n, 276. Pietro d'Abano, 335 e n, 336 e n. Pilade, 229 n, 2 34·

Pimandro, 1 5 1 , 1 52 . Pindaro, r 86 . Pio II (Enea Silvio Piccolomini), papa, 2 1 7 n . Pirrone, XXXIII. Pisano, Lorenzo, XXXIX n. Pissavino, Paolo, XLI n. Pitagora, XXXVI, 9 n, 15, r 8 , 29, 34, 66, 7 1 , 79, 8o, 85, 8 6 e n , 1 50, 1 56, 1 75 , 1 77 , 192, 2 0 5 , 2 0 6 e n, 239, 2 4 0 n, 275, 291 , 292 n, 325, 385, 406. Pizia (Finzia), 229 n, 234.

Pizia, sacerdotessa di Del/i, r 2 2 . Platone, IX, xn , xv, XVIII , XIX, xx e n , XXI e n, XXVI, XXXI, XXXII e n, XXXITI e n, XXXIV e n, XXXV, XXXVI e n, XXXVII , XXXVIII , XXXIX e n, XL e n, XLI e n, XLII e n, XLVII e n, XLVITI , LII, LV e n, LVII, LXXV n, LXXVI, LXXXI, LXXXIII , 5, 9 n, 13 e n, 1 7 , r8 e n, 19 e n, 20 e n, 21 e n, 22 e n, 2 3 e n, 24 e n, 26 n, 27 e n, 28 e n, 29 e n, 30 e n, 3I e n, 32 e n, 33 e n, 34 e n, 35, 36 n, 38 n, 39 e n, 40

n, 43 e n, 44 e n, 62, 63, 66 e n, 67 e n, 68 e n, 69, 72 e n, 73 e n, 74, 77, 8o, 82 n, 83 n, 85, 86 e n, 87-89, 92 e n, ro3 e n, r o4-6, r o8 e n, 1 1 2 e n, r r8, 1 1 9, 1 20 e n, 1 26, 1 27 e n, 1 28, 1 29 e n, qo, 1 3 1 , 1 3 3 , 1 34 n, 1 36, 138 e n, 1 39 e n, 1 40, 1 4 1 e n, 143 e n, 1 45 e n, 1 46, 147 e n, 1 48 e n, 1 50 e n, 1 55, 1 56 e n, r64, r65 n, r 66, r68, r69 e n, 1 70 e n, q r , 174, 175 e n, 177 e n, 1 78 n, r 8o e n, r82, r83 e n, r 85 e n, r 86 n, 192 n, 203 n, 2 1 7 e n, 2 1 8 e n, 2 1 9 n, 220, 2 2 2 n, 223 n, 226 e n, 2 34 n, 238 e n, 239, 240 n, 244 e n, 245, 247 n, 250 n, 26 r , 263 e n, 264 n, 265 n, 266 e n, 267, 268 e n, 269, 270, 272, 273, 275 e n, 28o, 283 n, 284 e n, 285 e n, 286, 287 e n, 288 n, 292 e n, 293 e n, 294 e n, 295, 297 n, 299 n, 324 e n, 349, 350 e n, 352 e n, 356 e n, 363 e n, 371 e n, 374 e n, 385, 389, 390, 391 n, 392, 395, 396 e n, 400, 406 e n, 4 1 2 , 4 1 5 e n, 420 e n, 4 2 1 e n, 422, 426 e n, 428 e n, 431 e n, 432 e n, 435 e n, 436 n, 437 e n, 438, 439 e n, 440, 447, 448 e n, 453 n, 457, 458 e n, 460 e n, 46r e n, 463 e n, 465 e n, 472 e n, 473 e n, 477 e n, 479 e n, 480, 484 e n, 485, 488, 490 e n, tav. 8, tav. r6. Vedi anche Pseudo-Platone. Plauto, Tito Maccio, 256 n. Pletone, Giorgio Gemisto, XXI, XXII n, XXXII n, XXXIII n, XXXVII n, XXXIX n. Plinio Secondo, Gaio, detto Plinio il Vec­ chio, 8 n, r 53 n, r 58 n, 442 n. Platino, LVIII, L X , LXV , LXIX n, 67, 7 2 , 86, 2 2 2 n, 260 n, 269, 273 n, 275 e n, 288, 29 1 , 296, 305, 307, 309 n, 3 1 3 e n, 3 1 5 , 3 1 7 , 3 1 8 e n, 3 26-28, 3 3 6 , 3 3 9 n, 34 1 , 342, 343 n, 348, 356 e n, 360 e n, 36r e n, 362 e n, 363, 364 e n, 365, 366, 373, 375, 376 e n, 377, 38r e n, 382, 383, 384 n, 385, 386 e n, 4 1 3 n, 4 1 5 e n, 435 e n, 459 e n, 469 e n, 47 1 , 485, tav. r6. Pluta, Olaf, xxvi n. Plutarco, q8 n, 2 26 n, 360 e n, 392, 482 n.

Plutone,

LXVIII,

2 1 8, 295, 296, 3 1 9 .

Podolak, Pietro, 4 1 3 n . Poggetto, Bertrando del, XLII n . Polcri, Alessandro, 1 7 n, 87 n, 103 n . Polimnia, vedi musa (Muse) . Poliziano, Angelo, VIII n, r6 n, 62 n, 85 n, 1 7 2 n, r 86 n, 204 n, 240 n, 325 n, 338 n, tav. 1 5 . Pollaiolo, Antonio del, tav. 2 . Pollaiolo, Piero del, tav. r . Pollione, Gaio Asinio, ' 59· Pompeo Faracovi, Ornella, XXIII n, 386 n, 479 n. Pompi/io, vedi Numa Pompi/io. Pontone, Marzia, r64 n.

INDICE DEI NOMI

Porfirio, XXX, LVIII , LXXI, LXXIV , I5 n, 86, I 6 I e n, 273, 284 e n, 305, 3 I 7 e n, 3 I 8, 328, 3 36 e n, 345, 347 n, 348, 349 n, 352 n, 353 n, 355 n, 359 e n, 360 e n, 363 e n, 365 , 366 n, 369, 378 e n, 452 e n, 464. Poro, 2 2 2 , 2 2 3 e n, 2 24, 225 e n, 385. Posidonio, 65, 75, 8 I , 82. Potestà, Gian Luca, XL n. Preyer, Brenda, XXXIV n. Procaccioli, Paolo, L V I n. Proda, xx n, LVIII, 67 , 7 2 e n, 77, 78 e n, 86, I 45 n, 2 2 I n, 223 n, 252 n, 268, 275 e n, 288, 296, 305, 3I I n, 3 I 3 n, 3 I 7 e n, 345 e n, 36 I e n, 365 n, 385, 4 I 8 e n, 459 n, 473 n, 475 e n, 483, 489. Prometeo, L V I n, LXIV, LXV e n, L X X I , 8 I , I 20 e n , I 49, 34 I , 342, 344 e n , 4 2 I e n. Proserpina, 3 I 9 . Prosperi, Adriano, LXXV n. Protagora, 6 3. Pro t arco, 28 3 · Psello, 309 n, 3 I 3 n, 344 e n. Pseudo - Alberto Magno, LXII, 336 e n. Pseudo - 'Ali ibn Ridwan, 342, 343 e n, 344· Pseudo-Aristotele, 396 e n, 400 e n, 42 I e n. Pseudo - Dionigi Areopagita, XXXVIII , I 9 e n, 2 2 3 n, 294 e n, 4 r r , 4 I 3 e n, 445 e n. Pseudo - Egidio Colonna, XLIX, L n, I 87 n. Pseudo- I ppocrate, I o n. Pseudo-Platone, XL n, I 2 n, r r 9 n, I 2 5 e n, 244 n. Pseudo-Serapione, 344 e n. Pseudo - Timeo di Locri, LXIX n. Pseudo-Tolomeo, 3 36 e n, 343 e n. Purdy Moudarres, Christiana, 439 n. Purnell, Frederick jr., xx n, 343 n. Quarquagli, Cherubino, I 99 n. Quilligan, Maureen, LIII n. Quintiliano, Marco Fabio, 392 e n.

Romagnosi, Gian Domenico, 1 28 n. Rosenthai, Leon, tav. 6. Rosselli, Cosimo, tav. 3· Rossi, Albert L . , XLVI n. Rougemont, Fritz, I I O n. Ruben, Tanja, I43 n. Rucellai, Bernardo, 2 4 I e n, tav. I 4 . Rucellai, Giovanni, xxxiii, r r o, tav. I 3 , tav. I 4 . Rufina d i Aquileia, 333 n. Rust, Eleanor M., I78 n. Rlitten, Thomas, 200 n . Saffo, I 86. Saffrey, Henri-Dominique, 78 n, 339 n. Saiiustio Crispo, Gaio, 44I n.

Salomone, I 79, I 94· Salonino, Gaio Asinio, I 59· Samuele, 343 n. Sangaiio, Giuliano da, tav . 7. Saudelli, Lucia, 399 n . Saulo, LXXIII , tav. IO. Saturno, XXIII , X L n, XLV n, LIV ,

LXXI, 1 26, I 27 , I45, I 66, I 70, I 7 2 , I85, 2 I 7, 2 I 8, 220, 223, 224, 2 3 I , 254, 284 - 86, 294 . 295. 298, 323 - 25, 334 . 335 . 337 . 338, 366, 386, 394, 395, 400, 40 I , 405, 406, 42 I , 480, 483, 484, 488. Savino, Christina, 84 n.

Savonarola, Girolamo, L, LXXIX, LXXX, LXXXI e n, 390 n, 4 r r , 434 n, 438, 439 n, 440 e n, 44 I , 442 e n, 443, 444, 445 n. Saxl, Fritz, XXIV n. Scala, Bartolomeo, I 20 n. Scaligero, Giuseppe Giusto (Joseph-Juste Scaliger), 2 8 I n. Scapparone, Elisabetta, 454 n. Schiavone, Michele, 274 n. Schlebusch, Karl, 390 n. Schnitzer, Joseph, 444 n.

Scilla, 393, 42 1 . Rabassini, Andrea, 479 n. Radetti, Giorgio, 370 n.

Rea, 295, 488. Rees, Valery, VIII n, XIX n, XXI n, LXVII n, I 99 n, 2 3 2 n, 256 n, 339 n. Reeser, Todd W., 255 n. Regoliosi, Mariangela, VII n. Remedelli, Dionisio, LXI n. Reynaud, Jean-Robert, 479 n. Ricasoli, Bindaccio, L X X I , 452 e n, 457 · Ricci, Saverio, XVI n. Ricciardelli, Fabrizio, LXXIX n. Ricciardelli, Gabriella, 222 n . Ricklin, Thomas, XLIII n, LVIII n. Ridolfi, Roberto, 444 n. Rinuccio d'Arezzo, IO n. Ristori, Renzo, 233 n .

Scoto Eriugena, Giovanni, 493 n. Scutariota, Giovanni, 339 n. Seifert, Lewis C., 255 n .

Seme/e, 388. Seneca, Lucio Anneo, 8 n, 55 n, 65, 66 e n, 68 e n, 9I n, I I3 n, I 24 n, 178 n, 200 n, 203 n, 204 n, 233 n. Senocrate, 2 39· Senofane, I5 e n, 64 n, 65, 66 n, 75, 8 I , I77. Senofonte, 263 . Serafico, Antonio, XXIX , 7 n, 9 e n, I O n, 20I n. Serapide, 333 e n. Serapione (per Pseudo-Serapione), 377 e n, 400. Vedi anche Pseudo-Serapione. Servio Mario Onorato, 23 n, 66 n, I58 n, tav. 5·

INDICE DEI NOMI

Sesto Empirico, 360 n. Sforza, dinastia, 14 n. Shaw, Prudence, 1 7 1 n. Sheppard, Anne, LXXVI n. Shields, Emily Ledyard, 45 n. sibiffa (sibiffe) , LXXIX, 1 1 7 , 1 5 1 , 1 6 2: - Agrippa, tav. r r ; - Cumana, r 58-6 r ; - Eritrea, r 6 2 , r64. Signorelli, Luca, tav. 5, tav. 9, tav. ro. Silleno, 1 2 . Silone, 1 3 . Simeone, r 6 2 . Sinesio d i Cirene, LVIII n, LXV , 305, 309 e n, 3 1 3 n, 343 n, 345 e n, 435 e n, 445 n. Siorvanes, Lucas, 268 n. Siraisi, Nancy, 64 n. sirena (sirene) , r 85, 405, 435· Siriano, 475· Sisto I V (Francesco della Rovere), papa, 21 r n. Skinner, Quentin, XLVI n, 8 n, 1 38 n. Socrate, x x v , XLVII, LXX, LXXII , 9 n, 1 9 , 20, 2 5 , 30, 32-34, 38, 63, 7 3 , 103, ro6, 1 34, 1 40, 1 44, 145, r 83 , r 84, r87, 203, 2 2 2 , 2 3 9 , 244-48, 2 6 r , 2 6 3 , 2 6 4 , 2 6 9 , 2 7 3 , 2 7 4 , 2 8 3 , 286, 2 8 7 , 293, 297-300, 366, 391 n, 435 . 436, 446, 447 . 453 . 455 > 463 , 472, 489, 490 . Soderini, Giovan Vettorio, 420 e n. Salone, 1 20, 1 27 . Speusippo, 6 6 e n, 2 3 7 n, 2 4 0 n. Spontone, Ciro, 1 34 n, 1 4 3 n. Stausberg, Michael, 1 26 n. Stefani, Matteo, 339 n, 356 n. Stobeo, Giovanni, 1 5 2 n. Stratone di Lampsaco, 66. Strehlke, Cari Brandon, tav. 9·

Terracciano, Pasquale, LXIX n. Tersicore, vedi musa (Muse) . Thabit ibn Qurra' , 336 e n. Thebit Benthorad, vedi Thabit ibn Qurra' . Them, vedi Mercurio Trismegisto. Themis, vedi Temi. Theuth, 289, 292. Thilo, Georg, 2 3 n. Tiberio Claudio Nerone, imperatore roma­ no, r62 . Tifone, 3 1 5 . Timeo di Locri (per Pseudo - Timeo d i Locri) 144, 27 1 , 36 r , 369, 374, 435· Vedi anche Pseudo - Timeo di Locri. Tirinnanzi, Nicoletta, LVI n, 296 n. Titani, 3 1 5 . Tizio, 3 3 · Todd, Robert B . , 8 4 n . Tolomeo, Claudio, LXII n, 4 3 , 6 7 , 309 n . Vedi anche Pseudo-Tolomeo. Tommaso d'Aquino, santo, XXII n, LXI, 46 n, 66 n, 70 n, 79 n, 85, r o 2 n, r 6 5 n, 277 n, 279 n, 299 n, 3 1 4 n, 427 n, 429 n, 430 n, 454· Tornabuoni, Lucrezia, 450 n. Tornaquinci, Vincenzo, tav. r 6 . Toussaint, Stéphane, LIII n, LVI n, L X I n , LXVIII n, LXXV n, 1 7 n, 98 n, 2 3 2 n, 252 n , 253 n, 309 n, 339 n, 347 n, 440 n. Tranchedino, Nicodemo, 1 4 n. Traversari, Ambrogio, XL n, 29 n, 78 n, r64 n. Treveth, Nicola, 69 n. Tri:iger, Ursula, 253 n. Tromboni, Lorenza, 439 n. Tura, Cosmè, tav. 1 2 . Turnèbe, Adrien, 1 5 2 n .

Tabarroni, Andrea, X L I n. Talete, 66, 70, 79, 85. Talia, vedi musa (Muse) . Tamiri, r 86. Tanta/o, 197. Tanturli, Giuliano, L n, 1 7 n, 68 n, 208 n. Tarabochia Canavero, Alessandra, 2 4 1 n, 307 n. Taran, Leonardo, 66 n. Tarquinia il Superbo, r 58. Tat, 1 5 2 . Temi, 1 5 7 . Temistio, 67 . Teodoro, 435· Teodoro Ateo, 6o, 63, 86. Teofilatto di Bulgaria, 428 n. Teofrasto, 67, 354· Teone di Smirne, 289 n. Terenzio Afro, Publio, 94 n, 407 n.

Uranio, Martino, xxrn n, I I 9 n, 233 n, 493 n.

Ulisse, 37 1 , 405 n . Urania, vedi musa (Muse) . xxxvii

n, r 2 n,

Vacca, Giuseppe, xvi n. Valeria Massimo, 234 n. Valeria Sorano, Quinto, 1 56. V alla, Lorenzo, v ii , VIII , X V I n, X VIII n, 6 . V alari, famiglia, X L n, 3 4 8 n. Valori, Filippo, 235 e n, 307 n, 348, tav. r6. V alari, Niccolò, 348. Vanhaelen, Maude, xx n, LXIV n, LXXXI n, 67 n, 1 3 3 n, 269 n, 292 n, 347 n, 373 n, 434 n, 439 n, 470 n . V anni, Pietro, 1 99 n. V arrone, Marco Terenzio, 2 3 n, 32, 66 e n, 82 e n, 1 56, 1 58 . Vasari, Giorgio, tav. 1 5 . Vasoli, Cesare, XIV n , xv, xxvi n, xxxrv n, XLII n, XLIII n, XLV n, XLVI, XLVII n, XLVIII

INDICE DEI NOMI

n,

n, LXVI n, LXVID n, LXIX n, LXXI n, n, LXXVII n, LXXVIII n, 68 n, I I O n, I I 3 n, 143 n, 189 n, 370 n. Vegetti, Mario, XLI n, 143 n. Venere, xxm e n, uv, 25, 1 7 2 , 179, r 8 r , r82, 1 85, 222-24, 225 e n, 226, 229 n, 231, 232, U

LXXIV

234, 254-56, 283, 284, 286, 287, 3 1 2 , 325, 334, 335, 337, 338 e n, 342, 344, 346, 347, 389, 39 1 , 392, 400 e n, 40 1 , 403-7 , 42 1 , 448, 4 8 3, 4 8 4 , 488, tav. 5, tav. 6: - Humanitas, vedi ninfa (ninfe) ; - prima (celeste) , 1 26, 285, 3 1 3, 3 1 5; - seconda (inferiore) , 1 26, 285, 3 1 3, 3 1 5 . Venier, Matteo, 29 n . Verino, Ugolino, tav. 2 . Verrocchio, Andrea del, tav. 8 . Vespasiano da Bisticci, 1 1 9 n. Vespucci, Amerigo, 390 n. Vespucci, Giorgio Antonio, 388 n, 390 e n. Vesta, 1 20, 1 27 , 295, 3 1 9 , 338. Vian, Francis, 2 1 7 n. Vickers, Nancy ] . , LIII n. Vico, Giambattista, XIII . Vinciguerra, Antonio, 1 76 e n. Vinzent, Markus, 2 8 1 n. Virgilio Marone, Publio, XLII, 2 1 n, 2 3 n, 32 n, 33 n, 66 e n, 88 e n, 1 24 n, 1 58, 1 59 e n, r 6o , r 6 r e n, q r , r 86, 1 89 n, 288 e n, 387 e n, 397 n, 399 n, 432 n, 444 n, 474 n, 489 n, tav. r 1 . Viroli, Maurizio, XLVI n , LXXX n. Vitale, Errico, X I n. Viti, Paolo, XXIV n, XXVII n, XXXIV n, XXXVI n, LXII n, I I n, 26 n, 76 n, 89 n, 42 5 n, 440 n, 449 n, tav. 1 3 . Vitiello, Maria, 4 5 1 n . Vittorino, Mario, 7 0 n . Volpi, Franco, xrv n . Voss, Angela, VIII n .

Vulcano, 2 1 8 . Wadsworth, James B . , 2 5 5 n . Warburg , Aby, XXVI e n, r r o n, tav. 1 3 , tav. 1 4 . Warden, John, 2 7 4 n . Waszink, Jan Hendrik, 24 n. Weinstein, Donald, 439 n Westerink, Leendert Gerrit, 2 7 1 n, 428 n. White, Roger A., LXXVI n. Wilkin, Rebecca M., 255 n. Wind, Edgar, XXXIV e n, XXXIX n, 1 1 2 n, 223 n, 470 n, tav. 6 . Wirzsubski, Chaim, 459 n. Wolfson, Harry Austryn, 46 n. Wurm, Achim, XLVIII n. Zaccaria, Raffaella, 420 n. Zaccaria Scolastico, 1 64 n.

Zalmoxis, 1 20, 1 2 7 . Zefiro, tav. 6. Zenone di Cizio, 65, 66, 75, 82, 90, 19 2 n. Zenone di Elea, B r , 47 1 . Zilioli, Antonio, 1 7 3 e n. Zoroastro,

IX , XXXVI , XXXVII

n,

LXI, LXXIV,

1 20, 1 26, 1 50 n, 1 75 , 1 7 7 , 239, 275, 280, 292, 308, 344, 372, 385, 458, 477-

LXXIX,

INDICE

p. vrr LXXXill LXXXV

Marsi/io Ficino: l'amore del pensiero di Raphael Ebgi Nota al testo Abbreviazioni delle opere di Marsi/io Ficino piufrequentemente citate

Anima rnundi PARTE PRIMA 5

Gli anni del piacere

Nota introduttiva I.

U n circolo lucreziano

7

I . Lettera a Michele Mercati

9

2 . Lettera a d Antonio Serafico

9 I2

3 · Lettera ad Antonio Serafico

4· Lettera a Piero de' Pazzi 5 · Lettera a Pellegrino Agli 6.

Lettera ad anonimo

11 . Furor et voluptas

I7

7 . Epistola sul divino furore

26

8.

Il libro del piacere

m. Dio, anima, natura

62

9· Trattato di Dio et anima

87

IO. Le quattro sette dei filosofi

92

I r . Dialogo teologico tra Dio e l'anima

98

I 2. Trattato su Dio, natura e arte

510

INDICE

IV . Virtu e fortuna

I 3 . Delle virtu morali

p. I03

1 4 . Lettera a Giovanni Rucellai

I IO

PARTE SECONDA I I7

Firenze Atene

Nota introduttiva 1.

Platonismo e repubblicanesimo

I I9

I 5 . Lettera a Ottone Niccolini et al.

I2I

r 6. Lettera a Giovanni Cavalcanti

I 22

17. Lettera a Lorenzo de' Medici

I 25

I 8 . Argomento al Minasse, o sulla legge, di Platone

I 27

I 9 . Epitome al terzo libro delle Leggi di Platone

I 34

20. Argomento al nono libro della Repubblica di Platone

I 37

2 r . Lettera a Piero del Nero

I 39

2 2 . Argomento al Menesseno di Platone

143

2 3 . Argomento al quinto libro della Repubblica di Platone n.

Pietas et sapientia

I 49

24. Argomento al Pimandro di Mercurio Trismegisto

I 53

2 5. Della christiana religione

I 65

26. Epitome al Politico di Platone

I7I

2 7 . Proemio al volgarizzamento della Monarchia d i Dante

I72

28. Lettera a Iacopo Antiquario

I73

29. Lettera a d Antonio Zilioli m. Poeti platonici

I77

30. Lettera a d Alessandro Braccesi

I 78

3 I . Lettera ad Angelo Manetti

I 8o

3 2 . Argomento allo Ione di Platone

I 86

3 3 . El libro dell'amore

r 89

34· Apologo sulla coronazione di Dante IV . De miseria hominis

I9I

35· Sermoni morali

208

36. Consilio contro la pestilentia

INDICE

PARTE TERZA p. 2 1 5

Eros filosofico

Nota introduttiva 1.

Misteri d ' amore

217

3 7 · E l libro dell'amore

2 26

38. El libro dell'amore

2 30

39· Il rapimento di Paolo

233

40. Lettera ad Amerigo Corsini

235

41. Lettera a Filippo Carducci

237

4 2 . Lettera a Giovanni Cavalcanti

240

43· Lettera a Naldo Naldi

241

44· Lettera ai confilosofi e a Ermolao Barbaro 11 .

Del bello, o della grazia

244

45· Argomento all ' Ippia maggiore di Platone

250

46. El libro dell'amore

252

47 · Lettera a Sigismondo della Stufa

253

48 . Lettera a Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici

2 55

49· Febo e Lucilia

257

50. El libro dell'amore

26 r

5 1 . Lettera a Giovanni Cavalcanti m.

Immortalità e resurrezione 5 2 . Argomento al Fedone di Platone

263 274

53· Teologia platonica

28 r

54. Della christian a religione IV . Il regno dei nomi

283

55· Commento al Filebo di Platone

290

56. Argomento al Crati/o di Platone

PARTE QUARTA 305

Il tempo del/a magia

Nota introduttiva 1.

Anima mundi

307

57. De vita

313

5 8 . Commento alle Enneadi d i Platino

318

5 9 · Commento alle Enneadi d i Platino

512

INDICE

II .

Il mondo delle immagini 6o. De vita

p . 329

6 I . Parafrasi del De mysteriis di Giamblico

339 34 I

6 2 . Commento alle Enneadi di Plotino

343

6 3 . De vita m.

Sui demoni 64. Apologo su Giovanni Pico della Mirandola

347 348

65. Lettera a Braccio Martelli

356

66. Commento alle Enneadi di Plotino

362

67. Commento alle Enneadi di Plotino

370

68. Lettera a Filippo C allimaco

372

69. Lettera a Pierleone da Spoleto rv . Fatalia

373

70. Commento alle Enneadi di Plotino

378

7 I . Parafrasi del De mysteriis di Giamblico

38I

72. Commento alle Enneadi di Plotino

384

7 3 · Lettera a Giovanni Pannonio v.

Medicina del corpo, medicina dell' anima

388

74· De vita

400

75· De vita

PARTE QUINTA 4r r

Cristianità e presagi della fine

Nota introduttiva r.

Sul male

4I3

76. Commento a i Nomi divini di Dionigi Areopagita

420

7 7 . Lettera a Giovan Vettorio Soderini e a Francesco Cattani da Diacceto

42 2

78. Commento al So/ista d i Platone

4 25

79· Commento all'Epistola ai Romani di san Paolo II .

Profezia

434

8o. Lettera a Giovanni Cavalcanti

439

8 r . Lettera a Giovanni Cavalcanti

INDICE

p. 440

8 2 . Apologia contro Savonarola 8 3. Lettera ad Aldo Manuzio

445

84. Commento al Fedro di Platone m. Preghiera e sacrificio

449

85. Lettera a Lorenzo de' Medici

451

86. Lettera a Ermolao Barbaro

452

87. Lettera a Bindaccio Ricasoli

455

88. Commento al Fedro di Platone

456

89. Commento alla Teologia mistica di Dionigi Areopagita

457

90. Commento ai Nomi divini di Dionigi Areopagita

460

9 r . Commento all ' Epistola ai Romani di san Paolo IV . De Trinitate

466

9 2 . Commento ai Nomi divini di Dionigi Areopagita

470

93· Commento al Parmenide di Platone

475

94· Commento all'Epistola ai Romani di san Paolo v.

Lode al sole

479

95· Libro del sole

492

96. Libro della luce

497

Indice dei nomi

Stampato per conto della Casa editrice Einaudi presso ELCOGRAF S.p.A . - Stabilimento di Cles (Tn) nel mese di giugno 202 I

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Anno 3

4

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6

2021

2022

2023

2024