Salmi 8870167836, 9788870167832

James L. Mays affronta i 150 Salmi in un singolo volume, analizzando approfonditamente quel-li più importanti per la tra

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Italian Pages 528 [523] Year 2010

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Salmi
 8870167836, 9788870167832

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James Luther Mays

SALMI Edizione italiana a cura di Franco Ronchi

Claudiana

-

Torino

www.claudiana.it - [email protected]

James Luther Mays, professore emerito di Ebraico e Antico Testamento allo Union Theo­ logical Seminary della Virginia, è uno dei curatori della Collana Stru­ menti - Commentari.

Questo volume è stato pubblicato con il contributo dell'8%o della Chiesa evangelica valdese (Unione delle chiese valdesi e metodiste) cui va il nostro ringraziamento.

Scheda bibliografica CIP Mays, L. James.

Salmi l James L. Mays ; a cura dì Franco Ronchi Torino : Claudìana, 2010 528 p. ; 24 cm. - (Strumenti) ISBN 978-88-7016-783-2

l. Bibbia. Antico Testamento. Salmi - Commenti

223.207 (CDD 22.)

ISBN 978-88-7016-783-2 Titolo originale: Psalms © John Knox Press, Louisville, Kentucky, 1994

Per la traduzione italiana: © Claudiana srl, 2010 Via San Pio V 15-10125 Torino Tel. 011.668.98.04 Fax 011.65.75.42 e-mail: [email protected] sito internet: www.claudiana.it Tutti i diritti riservati - Printed in Italy -

Ristampe:

16 15 14 13 12 11 10

l 2 3 4 5

Copertina: Umberto Stagnaro Stampa: Multimedia Soc. Coop. a r.I., Giugliano (Na)

Sommario dell'opera

Prefazione ai Commentari Abbreviazioni e sigle Prefazione Introduzione

7 9 11 17

Libro primo Salmi 1 - 41

57

Libro secondo Salmi 42 - 72

197

Libro terzo Salmi 73-89

269

Libro quarto Salmi 90 - 106

321

Libro quinto Salmi 107 - 150

379

5

Indice dei nomi

495 499

Indice dei testi citati

502

Bibliografia

Prefazione ai Commentari

Progettando questa serie all'interno della Collana «Strumenti»-il cui nome costituisce di per sé un programma editoriale- ci si è interrogati sul­ la necessità di pubblicare commentari biblici e su quale genere di commen­ tario proporre ai lettori italiani. Nel corso del tempo si sono susseguite numerose Collane di commen­ ti alla Bibbia, tutte fortemente segnate dall'autore, dall'epoca e dallo stato della ricerca esegetico-teologica. Per !imitarci all'ultimo secolo e all'ambito protestante - di cui bene o male siamo tutti figli-nello studio della Bibbia vanno ricordate le due grandi correnti, progressivamente allontanatesi in una dicotomia assai perniciosa per la vita della chiesa: quella che potrem­ mo definire biblicistica e quella dell'esegesi storico-critica. Ambedue hanno generato commentari legati alla lettera del testo o alle ricerche esegetiche e storiche, concentrandosi in particolare l'una sull'elaborazione dei dati bibli­ ci e sul messaggio, la pietà e la spiritualità, l'altra su un'analisi puntuale di singoli versetti o termini, nello sforzo di comprenderne il senso all'interno del contesto storico e di renderlo attuale. La nuova concezione della serie di commentari che qui proponiamo na­ sce in ambienti di lingua inglese, in particolare nordamericani, con l'intento di conciliare la grande tradizione dell'esegesi storico-critica con una pro­ posta biblica-ma non biblicistica- capace di parlare alla spiritualità e alla sensibilità dei credenti del nostro tempo, e di integrare gli aspetti più pro­ priamente teologici e omiletici articolando una riflessione di teologia bibli­ ca fortemente ancorata al testo della Bibbia. Tenta cioè di non disperdere i tesori di conoscenza storica ed esegetica, e al tempo stesso di rendere rico­ noscibili le diverse impostazioni teologiche dei singoli libri biblici in mo­ do da valorizzarle e non ridurle a un denominatore comune, forzandole in

7

Salmi

appiattimento teologico illegittimo. L'unità nella diversità, infatti, non chiesa ma anche una carat­ teristica dei libri biblici. Questa serie di commentari, di fatto saggi esegetici, propone ai letto­ ri un'interpretazione- nel senso pieno del termine- dei libri della Bibbia. Un'interpretazione che coinvolge un testo, un interprete e un destinatario. In questo caso il testo coincide con ciò che è scritto nella Bibbia, intesa come letteratura del tempo «dei profeti e degli apostoli» che continua a informare, ispirare e guidare la vita di fede. Gli interpreti sono studiosi che cercano di dar vita a un'interpretazione al tempo stesso fedele al testo e utile alla chiesa. I destinatari sono quanti insegnano, predicano e studiano la Bibbia in seno alla comunità di fede: docenti, ministri, pastori, sacerdoti e studenti. li commento non propone una sua nuova versione del testo in esame, ma lascia al lettore la possibilità di seguire il ragionamento sulla sua perso­ nale versione della Bibbia, integrandola solo dove è strettamente necessario con piccole varianti che aiutano a comprendere il significato pieno dell'ori­ ginale ebraico o greco. Il commento a ciascun testo biblico è stato articolato in base alle sue specificità nonché a quelle della sua esegesi, identificando passi di varia estensione considerati come unità dotate di senso compiuto, anziché procedendo versetto per versetto. Si è inoltre considerato che i libri biblici differiscono, oltre che per carat­ tere, contenuto e stile, per le modalità di utilizzo nella liturgia, nella dottri­ na e nella devozione della chiesa. Nel decidere approccio, taglio interpre­ tativo e ampiezza del commento di ciascun libro, si è quindi tenuto conto delle peculiarità dei singoli testi e della loro funzione nella chiesa, consen­ tendo a ciascun autore di elaborare lo schema più adatto alla propria in­ terpretazione. Questo nell'intento di dar vita a un commentario a tutta la Bibbia che al tempo stesso spieghi e applichi alla quotidianità un'interpre­ tazione relativa non solo al significato ma anche alla significatività dei testi biblici. Ogni commentario riflette l'approccio individuale dell'autore e la sua interpretazione della chiesa e del mondo: è una lettura del testo dei cui stimoli quanti lavorano all'interpretazione della Bibbia nella chiesa hanno vitale bisogno. un

è soltanto un'esigenza sempre più sentita nella

Domenico Tomasetto Curatore della serie «Commentari»

8

Abbreviazioni e sigle

B.Conc. B.Ger. GLAT

GLNT

NJPS

NJV N.Riv.

=

=

=

=

=

=

::;

La Bibbia concordata, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1968 La Bibbia di Gerusalemme, ed. italiana (web) Grande lessico dell'Antico Testamento, a cura di G.J. Botterweck, H. Ringgren, ed. it. a cura di A. Catastini e R. Contini, Brescia, Pai­ deia, 1988 ss. Grande lessico del Nuovo Testamento, a cura di G. Kittel, G. Frie­ drich, Brescia, Paideia Editrice, 1965-1992

New Version of the Jewish Publication Society New Jerusalem Bible La Sacra Bibbia, Nuova Riveduta sui testi originali, Ginevra­ Torino, Società Biblica di Ginevra, 20037

NRSV

REB RNAB

=

=

=

RSV TEV

=

VANNINI

=

VRL

=

Vulgata

=

New Revised Standard Version Revised English Bible Revised New American Bible Revised Standard Version Today's English Version MARTIN LUTERO, Prefazioni alla Bibbia, a cura e con un saggio di Marco Vannini, Genova, Marietti, 1987 La Sacra Bibbia, ossia L'Antico e il Nuovo Testamento, versione rive­ duta in testo originale dal dott. Giovanni Luzzi, Roma, Libreria Sacre Scritture, 1950 Biblia Sacra Iuxta Vulgatam Versionem, Roma, Società biblica bri­ tannica e forestiera, 2000.

Le sigle dei libri della Bibbia sono quelle usate in questa serie di commen­

tari. 9

AVVERTENZA

Annotazioni, riferimenti e citazioni che nell'originale si trovano nel corpo del testo vengono riportati in calce. Le note del traduttore e curatore so­ no segnalate, ove necessario, con [N.d.C.] o semplicemente con [ ], mentre i riferimenti a opere in italiano sono tutti del curatore. Le opere contenute nella Bibliografia sono citate solitamente con il solo nome dell'autore; ove necessario anche con parte del titolo dell'opera.

Prefazione

I salmi hanno una doppia identità: sono Scrittura e liturgia; costituisco­ no un libro della Bibbia e si trovano negli innari e libri di culto e preghie­ ra in uso nelle nostre comunità. Quando li si considera in una prospettiva storica, ecco apparire una terza identità: essi sono la poesia liturgica del­ l'Israele antico, testi con una loro storia di composizione e uso prima di di­ ventare Scrittura. Un commentario della serie Interpretation deve tener conto di tutte e tre le identità, il che sicuramente non agevola il compito del commentatore. Il tentativo di interpretare i salmi restando consapevoli della dimensione profonda della loro identità spiega alcuni aspetti del presente commenta­ rio e della sua stesura. Quando si commentano singoli salmi, si presta maggior attenzione alla lingua e alla forma letteraria che a problemi legati al loro originario conte­ sto sociale e storico. La lingua e la forma letteraria costituiscono il testo che si è conservato ed è questo testo che è stato usato, riletto e tradotto quale salmo. I problemi legati alla critica dei generi letterari e quelli storici sono secondari e non primari. Ho cercato, invece, di interpretare il linguaggio del testo inquadrandolo nel vocabolario del libro dei Salmi e, in seconda battuta, dell'Antico Testamento in generale. ll primo obiettivo che il commento si è proposto è stato quello di chiedere che cosa questo specifico testo dell'Anti­ co Testamento, letto nel suo contesto letterario e canonico, dica, da un lato, circa Dio e il suo rapporto con gli esseri umani e, dall'altro, circa la situazio­ ne critica e la promessa della vita umana davanti alla realtà di Dio. Studiando alcuni salmi particolari, ho consultato frequentemente i Mi­ drash 'Phillim, Agostino d'Ippona, Neale e Littledale, Lutero e Calvino, Spurgeon e Karl Barth. Anche se non ho citato regolarmente le fonti da cui

11

Salmi

ho attinto, tutti i succitati autori mi hanno aiutato moltissimo a conservare una sensibilità per la salmodia storica. Alcune volte essi mi hanno portato a scoprire dimensioni di un salmo il significato delle quali si è dimostrato ripetutamente rilevante. I lettori si accorgeranno che il commentario non segue uno schema uni­ forme. Alcuni salmi ricevono una notevole attenzione, altri sono trattati più brevemente. Questa difformità nel commento non è fortuita, ma rappresen­ ta il risultato di due preoccupazioni circa l'utilizzo e l'utilità del commen­ tario. La prima preoccupazione è stata quella di mantenere il commentario entro i limiti di un solo volume. Infatti, per la sua lunghezza e complessità, al Salterio sono ormai dedicati abitualmente più volumi; ma il vantaggio di un'opera in un unico volume, quindi più accessibile e pratica, per i lettori ai quali questa serie è destinata, è evidente. La seconda preoccupazione è stata quella di comporre un commentario scritto tenendo conto delle priorità derivanti dall'uso e dallo studio dei Sal­ mi nella chiesa. Seguendo tali priorità, a molti salmi ho dedicato un'espo­ sizione più tecnica e approfondita; in altri casi ho invece preferito un' espo­ sizione descrittiva più concisa. I salmi che sono trattati più estesamente rientrano nei seguenti gruppi, che spesso si sovrappongono: a) salmi che occupano un posto importante nella tradizione e nella pratica liturgica; b) salmi che sono usati nel Nuovo Testamento, specialmente nella sua cri­ stologia; c) salmi che hanno avuto una funzione importante nella teologia della chiesa; d) salmi particolarmente rilevanti per la teologia del Salterio e salmi la cui interpretazione aiuta a formulare una teologia della lode, della preghiera e della spiritualità; e) salmi che illustrano i tipi e le funzioni dei salmi in generale; f) salmi la cui collocazione e natura è di aiuto per capire la composizione e la struttura del libro dei Salmi nel suo aspetto di conte­ sto interpretativo. Essendo chiaramente orientato a usare i salmi quali Scrittura e liturgia, il commentario è stato scritto cercando di entrare in sintonia empatica con essi e anche con un senso di riconoscenza verso quei testi. Si lascia volentie­ ri ad altri, invece, praticare un'ermeneutica del sospetto e della critica ideo­ logica. Qualunque limite, manchevolezza o errore possa macchiare questo commentario spero non sia dovuto a mancanza di riverenza per il ruolo che i salmi hanno avuto nella vita del giudaismo e del cristianesimo. Le citazioni bibliche seguono il testo della New Revised Standard Version (NRSV)1. Le citazioni che si allontanano dal testo della NRSV sono dovute

1 Nella serie italiana dei commentari la versione biblica di riferimento è la Nuova Ri­ veduta, 20037 (N.Riv.), il cui testo viene normalmente riprodotto. Si potrà ricorrere anche ad altre traduzioni, come la Riveduta (= Nuova Diodati, 1925) di Giovanni Luzzi (VRL), o a quella propria dell'Autore, indicandola con (MAYs) dopo la citazione. Solo in casi par­ ticolari si indicherà la traduzione usata con la relativa sigla.

12

Prefazione

al presente autore, se non diversamente indicato. Anche altre versioni sono state consultate costantemente: la nuova versione della Jewish Publication Society (NJPS), la Revised English Bible (REB) e, dopo la sua pubblicazio­ ne, anche la versione riveduta del Salterio nella Revised New American Bible (RNAB). Tutte queste versioni hanno spesso fornito utili soluzioni linguisti­ che e scelte terminologiche per interpretare e tradurre il testo ebraico. Mary Will Mays ha controllato chiarezza e accuratezza del manoscritto, rivedendolo più e più volte con rara e ammirevole assiduità. Con indefes­ sa abilità professionale Sally Hicks ha trasformato il manoscritto in datti­ loscritto; le discussioni circa il modo di procedere nell'impresa di trasfor­ mazione sono state intervallate da indimenticabili conversazioni su pelle­ rossa, giardini e avventure di pesca. Patrick Miller, mio collega e coeditore della serie Interpretation per l'Antico Testamento, mi ha aiutato nel lavoro non solo a livello di consiglio editoriale, ma ancor più nella sua qualità di interprete dei salmi. Infine, un grazie va anche ai miei studenti la cui partecipazione al semi­ nario annuale sui salmi dell'Union Theological Seminary della Virginia ha dato vita a un ininterrotto festival gioioso e illuminante. Questo volume è dedicato ad alcuni di loro in rappresentanza di tutti quanti.

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Al Conclave e a tutti gli altri che sedettero per studiare insieme al seminario annuale sui salmi presso l'Union Theological Seminary della Virginia negli anni 1957-1994 Quant'è buono e quant'è piacevole quando fratelli nel patto siedono insieme, uniti[ ... ] poiché ivi il Signore ha ordinato la benedizione della vita eterna. (Sal. 133)

Introduzione

1. L'importanza dei salmi È mia opinione che nelle parole di questo libro sia inclusa e contenuta tut­

ta quanta la vita dell'uomo, tanto la sua condotta spirituale fondamentale

quanto i sentimenti e pensieri occasionati. Nulla di quanto si possa trova­ re nella vita umana vi è omesso1.

n Salterio [ ...] a ragione potrebbe chiamarsi una piccola Bibbia, in cui è presente, nella maniera più breve e più bella, tutto quello che sta nell'in­ tera Bibbia, fatto e pronto come un elegante enchiridion o manuale2• Nel libro dei Salmi, dice Calvino, «non manca nulla di ciò che riguarda la conoscenza della salvezza etema»3.

n Salterio occupa un posto unico nelle Sacre Scritture . È Parola di Dio e, tranne poche eccezioni, anche preghiera degli uomini4•

1.1 Queste testimonianze celebrano in maniera notevole e inequivoca­ bile la grande rilevanza dei salmi, la quale è dovuta, come si nota esplicita­ mente, all'ampiezza delloro contenuto. I salmi, dicono quei testimoni, ab-

ATANASIO (295-373), Ad Milrcellinum. Seconda prefazione al Salterio, 1528 (=VANNINI, p. 20). 3 Giovanni CALVINO (1509-64), Commento al libro dei Salmi, p. xxxix. 4 D. BoNHOEFFER (1906-45), Vita comune. Il libro di preghiera del la Bibbia, Brescia, Edi­ trice Queriniana, 199�, p. 35. 1

2 Martin LUTERO (1483-1546),

17

Salmi

bracciano la complessità della vita umana, la varietà di temi ed esperienze che s'incontra nella Bibbia, gli elementi della soteriologia e la dimensione bidirezionale della comunicazione tra Dio ed essere umano. Le citazioni suddette, provenienti da autori diversi di epoche storiche diverse, testimo­ niano l'immensa importanza dei salmi per il pensiero, il culto e il compor­ tamento cristiano. È assolutamente impossibile ridurre l'influenza dei salmi a una formulazione sommaria che renda loro giustizia. Tutto quello che si può fare è accennare brevemente alle funzioni che i salmi hanno svolto in alcuni aspetti importanti della fede e della vita cristiana. 1.2 I salmi e l'Antico Testamento. Il libro dei Salmi è un compendio virtua­ le di temi e argomenti che si trovano nel resto dell'Antico Testamento: le meravigliose opere di Dio nel creato, giudizio e salvezza, la storia d'Israele, la Legge di vita, la Città Santa e la Presenza in essa, il Messia davidico pas­ sato e futuro, l' ammonimento a guardarsi dalla malvagità e l'esortazione a essere giusti, la maestà e tragedia della condizione umana, il regno di Dio eterno e presente e futuro: tutto ciò si ritrova nei salmi. Qui si ha un som­ mario del resto della prima parte del canone cristiano e prospettive che si aprono su tutte le sue parti. Nel loro uso comune e costante, i salmi costi­ tuiscono uno dei modi più importanti nei quali l'Antico Testamento è co­ nosciuto nella chiesa. 1.3 I salmi e il Nuovo Testamento. Il Salterio e il suo gemello profetico, Isaia, sono i due libri dell'Antico Testamento più citati nel Nuovo. La frequenza dell'uso dei salmi evidenzia il ruolo essenziale che il Salterio ha negli scritti e nel pensiero del Nuovo Testamento. I salmi hanno una parte determinante soprattutto nella cristologia, dove costituiscono il contesto biblico primario per i titoli attribuiti a Gesù. Nei racconti evangelici del suo battesimo Gesù è riconosciuto con una citazione del Sal. 2 (>). A tale uso si è conformata anche la N Riv. Cfr., per esempio, Sal. 1,6: (N.Riv.) e >; J. Alberto SoGGIN, Introduzione all'Antico Testamen­ to (OCR 14), 4a ed., Brescia, Paideia, 19874, pp. 100-112, in part. 101 s., 104 ss., e R. R.EN­ DTORFF, Introduzione all'Antico Testamento, Torino, Claudiana, 2001 3, pp. 140-147, in part. pp. 146 s. [N.d.C.].

22

Introduzione

3: metafora); «percuotere la guancia e spezzare 7: espressione idiomatica); «miriadi di nemici» (v. 6: iperbole; anche vv l e 2: «molti»). n Sal. l esemplifica le similitudini («Come»: vv 3 e 4). La notevole frequenza con la quale queste figure retoriche (semantiche, gio: «Dio è uno scudo>> (v.

i denti» (v. .

.

logiche, di costruzione o di ritmo) si incontrano nei salmi dice all'interpre­ te qualcosa d'importante: i salmi non vanno letti in senso letterale, quasi che il loro linguaggio fosse esclusivamente o piattamente denotativo . Come nella poesia in generale, il linguaggio dei salmi è inconsueto ed evocativo. Chi li legge deve farlo con paziente sensibilità, a tentoni, essendo consape­ vole della qualità intenzionale, polivalente del linguaggio. Salmi

3,5 è un

riferimento esplicito alla pratica cultuale dell'incubazione in un santuario o è, invece, un risveglio di fiducia espresso in termini di un comportamen­ to ipotetico? Un commento particolareggiato delle dimensioni poetiche del salmo ri­ chiede una descrizione analitica non indifferente e spesso risulta riduttivo.

In questo commentario non si cerca molto di battere questa strada, mentre si è preferito interpretare in una maniera che sia costantemente sensibile alla qualità poetica dei salmi11•

2.4 Come tutti gli altri salmi, anche il Sal. 3 è una composizione, vale a dire un pezzo letterario scritto come unità coesa per servire a uno scopo o a una funzione specifica.

Le proposizioni del salmo, i suoi stichi e piedi sono

reciprocamente interrelati quali parti di un tutto.

n suo pensiero o conte­

nuto è disposto in una struttura; lo stile e il contenuto indicano la funzione per servire alla quale il salmo è stato concepito. Per l'interprete è importan­ te capire che cosa un salmo fa e come lo fa. n Sal.

3 è composto per servire da preghiera: usa vocativi per invocare il 1.3.7); si rivolge direttamente al Signore nella maggior parte dei

Signore (vv.

versi: è la voce di una persona in grave difficoltà che invoca il Signore perché

lo aiuti. Essendo preghiera, il Sal. 3 è un esempio di una delle tre funzioni ge­ nerali della poesia dei salmi: preghiera, lode e ammaestramento. La maggior parte dei salmi ha una sola di tali funzioni, ma in alcuni casi il salmo ne ha

più di una. n primo emistichio del v.

8 può essere letto come lode: preghie­

ra, lode e ammaestramento sono spesso legati insieme nei salmi in maniere rilevanti. Per questo loro aspetto di funzione sociale specifica rivolta alla col­

lettività e agli individui, i salmi si differenziano da gran parte della poesia moderna. La poesia dei salmi non ha mai una funzione puramente estetica né adempie il suo scopo semplicemente essendo poesia.

La poesia dei salmi

è nata ed esiste ancora oggi per essere usata nella comunità religiosa e a suo beneficio, adempiendo così lo scopo per il quale è stata composta.

11

Si può trovare un aiuto specifico per la valutazione e l'analisi della poesia dei sal­

mi in D.L. PETERSEN e H.R. KENT, Interpreting Hebrew Poetry, e in MILLER, Interpreting the Psalms, cap. 3.

23

Salmi La coesione del Sal.

3, la sua unità di composizione letteraria, è data da

elementi funzionali e retorici. Essa è un'unità coesa nella sua funzione di preghiera. I suoi versi, presi singolarmente o a versetti, hanno un loro ruo­ lo in quanto parti della preghiera intera. I

vv. 1-2

descrivono la difficoltà

che costituisce la ragione e la necessità della preghiera. I vv. 3-6 affermano la fiducia che è alla base della preghiera .

n v. 7 è la supplica perché il Si­ n v. 8 conclu­

gnore, la fiducia nel quale viene ribadita, soccorra l'orante.

de il salmo e la preghiera con una lode e l'augurio che il Signore benedica

il proprio popolo . La coesione di questa struttura funzionale è rafforzata dall'utilizzo di espedienti retorici: ripetizioni, riferimenti interni, ritmo. Il motivo dei «molti» lega insieme, ripetendosi, i primi tre emistichi

(vv. 1-2)

e riecheggia poi di nuovo nelle espressioni > (Sal. 16,2); «Il SIGNORE è il mio pastore, nulla mi mancherà» (Sal. 23,1).

vezza: «Di' all'anima mia: Io sono la tua salvezza>> (Sal.

7.

L'uso dei salmi e del commentario

Che cos'è un salmo? Riguardo all 'uso dei salmi la risposta deve esse­ re duplice poiché i salmi hanno una duplice identità: essi sono, da

un lato,

Scrittura, un libro nel canone di scritti che compongono la Bibbia. I salmi, quindi, possono e dovrebbero essere usati in tutti i modi nei quali viene usata la Scrittura. Dall'altro, essi sono anche liturgia, testi usati nel servizio che la chiesa rende a Dio con il culto. L'uso dei salmi ha raggiunto la mas­ sima efficacia quando le due identità sono rimaste unite. Quando l'inter­ pretazione dei salmi in quanto Scrittura ha informato, corretto e arricchito

il loro uso liturgico e quando il loro uso come liturgia ha fornito all'inter­

pretazione un contesto vitale e uno scopo vivo, allora i salmi hanno dato, e daranno ancora, il meglio di sé. La lunga tradizione di uso dei salmi nella chiesa crea molte e varie oppor­ tunità e necessità per l'interpretazione dei salmi. L'opinione, talvolta soste­ nuta, che i salmi siano adatti alla preghiera e alla lode ma non alla predica­ zione è semplicemente contraddetta dall'esempio pratico di grandi predica­ tori e teologi dalla prima età cristiana fino al presente. I salmi offrono anche molte possibilità per l'insegnamento e lo studio della Bibbia in una varietà di contesti importanti per la vita della fede. Interpretare i salmi mediante la predicazione e l'insegnamento risulta, probabilmente, molto efficace se \"iene pianificato in relazione a qualche uso dei salmi nel calendario delle occasioni e consuetudini osservate nella comunità dell'interprete. Le propo­ ste presentate più avanti indicano alcune possibilità di utilizzo dei salmi in tali circostanze. Ogni proposta prevede l'utilizzo di un gruppo di salmi che possono fornire il testo o i testi per la circostanza di turno. Naturalmente, la selezione segue la tradizione nel caso di salmi per le domeniche e periodi e giorni particolari del calendario ecclesiastico cristiano. Altre selezioni sono suggerite dall'autore del corrunentario. Il corrunento a molti dei salmi rac­ comandati in questa sede è stato scritto proprio con l'intenzione di fornire un aiuto per le circostanze pratiche di cui si sta parlando51.

51

Per la predicazione e l'insegnamento dei salmi risulta particolarmente valido il li­

bro di McCANN, A Theological Introduction to the Book of Psalms: The Psa/ms as Torah.

53

Salmi 7.1 Salmi per periodi e giorni particolari del calendario cristiano. Nella tradi­ zione liturgica ci sono salmi destinati a essere usati ogni anno in determi­ nati giorni e in determinate ricorrenze. Alcuni di questi salmi sono molto più vicini di altri passi della Scrittura all'occasione per la quale sono previ­ sti. Studiando, l'interprete può trovare il significato del rapporto tra testo e circostanza. In che modo il salmo parla di quell'occasione e a chi la osser­ va? In che modo quella circostanza interpreta il salmo ora che ne costitui­ sce il contesto? I Sal. 96; 97 e 98 per la Vigilia e per il giorno di Natale; Sal. 72 per l'Epifania; Sal. 29 per il battesimo di Gesù, Epifania I; Sal 51 per la prima di Quaresima; i Sal. 22 e 31 per la domenica delle Palme e il Venerdì Santo; Sal. 116 per il Giovedì Santo; Sal. 118 per la domenica di Pasqua; Sal. 110 per l'Ascensione; Sal. 104 per la Pentecoste. 7.2 I salmi per la domenica. n ciclo triennale di salmi previsto per il culto domenicale offre un'occasione per lo studio biblico e per la predicazione che informa e approfondisce il loro uso sia come inni sia come lezioni e respon­ sori. Le comunità, come le classi e i cori, hanno bisogno di essere aiutate per riuscire a usare veramente bene i salmi. n ciclo triennale copre la maggior parte del Salterio e gli interpreti possono trarre anch'essi giovamento dal­ l'uso del ciclo previsto, imparando a conoscere meglio il Salterio mediante lo studio e le letture devozionali infrasettimanali. I salmi indicati per le do­ meniche sono segnalati nei calendari e nei manuali liturgici. 7.3 Salmi e inni. I salmi svolgono una funzione importante negli inni di lode e preghiera cantati nelle chiese. Essi vengono usati in varie maniere: come canti in versi e come salmodie con antifona. I motivi e i temi dei salmi sono presenti in quasi tutti gli inni Un sistema per migliorare la conoscenza e l'apprezzamento dei salmi è quello di studiare quale e quanta sia la ma­ teria dei salmi che è stata utilizzata per la composizione degli inni cristiani. Qui si dovrà scoprire quali siano stati i processi di rilettura e rinarrazione coinvolti nella trasposizione della materia dei salmi nell'innologia cristiana. In questa ricerca si potranno imparare cose importanti circa l'appropriazio­ ne generale dei salmi da parte della chiesa che li ha resi così letteratura cri­ stiana. Alcuni esempi: Sal 46 nell'inno di Lutero La forte rocca è il mio Signor; Sal. 98 nell'inno di Isaac Watts Joy to the World!; Sal. 72 nell'altro inno di l. Watts, Jesus Shall Reign; Sal. 103 nell'inno di Henry Lyte, Praise, My Soul, the King of Heaven; Sal. 148 nel Cantico delle creature di Francesco d'Assisi, pre­ sente in vari adattamenti negli innari in uso. Scorrendo l'indice dell'innario sarà facile individuare altri inni tratti da salmi52 • .

52 I salmi sono largamente utilizzati nell Innario cristiano (Torino, Claudiana, 2000), sia nei «Testi per il culto pubblico>> (pp. 8-30: Sal. 23; 28; 51; 95; 98; 100) sia nella sezio­ ne innologica (> inni 1-30, pp. 45-95: Sal. 6; 8; 23; 24; 25; 33; 36; 42; 47; 62; 65; 66; 67; 68; 74; 77; 81; 86; 92; 95; 98; 104; 105; 111; 116; 118; 134; 136; 138; 150). Inoltre, anche molti altri inni si ispirano ai sahni suddetti e ad altri ancora (per esempio, Sal. 27; 34; 39; 102 ecc.) [N.d.C]. '

=

54

Introduzione 7.4 I salmi e la teologia della lode. Si è scritto e meditato ben poco sull'atto e sul significato della lode in sé che incontriamo nei salmi, ma il materiale per una riflessione teologica sulla lode è contenuto nei salmi stessi. Si cominci commentando i Sal. 117; 113; 100 e 33. Si usino poi le indicazioni orientati­ ve suggerite dallo studio attento di quei salmi per studiare altri inni di lo­ de del Salterio. Si esaminino la sequenza da Sal. 145 a Sal. 150 e gli inni che celebrano la sovranità del Signore (Sal. 47; 93; 95 - 99). 7.5 I salmi e una teologia della preghiera. Nella struttura e nel contenuto delle preghiere incluse nel Salterio si possono trovare una concezione della preghiera e una guida per la pratica della preghiera. Si legga il commento ai Sal. 13; 86; 25; 34; 39; 130; 30 e 116. Riflettere sull'esperienza di recitare un salmo quale propria preghiera può portare a conoscenze e a considerazioni circa la pratica della preghiera. Un altro sistema usato da sempre nella storia dell'interpretazione cristiana è quello di confrontare un salmo di preghiera con il Padre nostro e di vedere quali richieste della preghiera di Gesù si tro­ vino anche nei salmi e come siano state espresse in questi ultimi53• 7.6 I salmi e la disciplina spirituale. n Salterio è sempre stato una risorsa primaria del nutrimento dello spirito. I credenti si ritrovano nei salmi e me­ diante essi nelle loro parole trovano le proprie per esprimere bisogni, diffi­ coltà e gratitudine, dalla loro lettura trovano aiuto e conforto per vivere di essi. Per imparare a leggerli in questa prospettiva e per tale uso può tornare utile il commento sui salmi seguenti. Per la meditazione su chi e che cosa siamo al cospetto di Dio, vedi i Sal. 8; 49; 90; 139. Per Dio il creatore, colui che provvede e salva, vedi i Sal. 104 e 103. Per salmi di fiducia in Dio, nostro bisogno e nostro aiuto, vedi i Sal. 16; 23; 27; 36; 42 - 43; 62; 63; 73. Esercitarsi a usare e imparare i salmi in questa maniera è una buona preparazione al loro uso nella cura pastorale54• 53 Anche per Lutero, salmi e Padre nostro si richiamano l'un l'altro. M. LUTERO, Terza prefazione al Salterio (1545): «Inoltre [il Salterio] ci insegna e consola anche nella preghiera,

ed è richiamato dal Padre Nostro - come questo richiama quello - in modo che si può ben comprendere l'uno dall'altro, giacché concordano mirabilmente. [ . ] Chi guarderà un po' seriamente il Salterio e il Padre Nostro darà subito congedo alle preghierine de­ vote, e dirà: Qui non vi è niente del succo, della forza, dell'ardore e del fuoco che io trovo nel Salterio; qui [nei libretti di preghiera e devozione] tutto mi sembra troppo freddo e duro [ . . . ] Che il nostro amato Signore, dopo averci dato e insegnato il Salterio e il Padre Nostro, ci conceda anche lo spirito di preghiera e la grazia, perché noi preghiamo con gioia e fede sincera, con forza e senza intermissione; perché ne abbiamo bisogno. Così egli ha ordinato e vuole avere da noi. A Lui sia lode, onore e ringraziamento in eterno. Amen» (= VANNINI, pp. 26-27) [N.d.C]. 54 La sezione [N.d.C.]. .

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Salmo 1: Diletto nella Legge Il libro dei Salmi si apre con una beatitudine: non con una preghiera o un inno, ma con un'affermazione circa l'esistenza umana. Qui, sulla soglia del Salterio, ci viene chiesto di riflettere su questo insegnamento: il modo in cui la vita viene vissuta è determinante per il suo esito. Questa beatitudine iniziale serve anche da introduzione al libro dei Salmi. Non è certo un caso che essa costituisca il primo salmo, giacché esso sta al primo posto proprio per invitare immediatamente il lettore a leggere e utilizzare l'intero libro quale guida per una vita benedetta. Il primo salmo introduce una serie di temi che ricorrono con frequenza nel libro e hanno un ruolo fondamentale nella sua teologia. Così il salmo richiede un'interpretazione che si sviluppa su due livelli: in primo luogo, quale salmo in sé; in secondo luogo, quale primo salmo del Salterio, cioè nel suo rapporto con l'intera collezione. l. Il Sal. l ha la forma di una beatitudine complessa. La forma è costi­ tuita dalla formula «Beato chi . . . », seguita da una parola o da una frase che denota un certo carattere o un tipo di condotta, per esempio: «Beato chi si rifugia in lui» (34,8). Qui, nel Sal. l, la beatitudine fondamentale è: «Beato colui il cui diletto è nella Legge del SIGNORE» (v. 2). Uno dei modi per ana­ lizzare l'elaborazione di tale affermazione centrale è quello di fare atten­ zione allo schema di antitesi che articola il salmo. Il v. l dice ciò che i beati non fanno e il v. 2 ciò che invece fanno . Il v. 3 usa una lunga similitudine e una breve affermazione per descrivere l'esito positivo della vita dei beati. Il v. 4 usa una breve similitudine antitetica, mentre i vv. 5-6 usano una lunga

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dichiarazione conclusiva per descrivere il fallimento della vita dell'empio. Dietro a questo schema che articola la struttura letteraria c'è la coppia anti­ tetica giusto l empio, sebbene il testo non parli di «giusti» prima del versetto finale, perché il salmo è impostato in modo da sottolineare ciò che è fonda­ mentale per il giusto: l'impegno costante nella Legge del Signore.

È questo

lo scopo centrale del salmo: raccomandare una gioiosa e costante sollecitu­

dine per la Legge del Signore. «Beato» è la traduzione tradizionale del ter­ mine che caratterizza formalmente il detto; alcune traduzioni contempora­ nee preferiscono usare il termine «felice» per distinguere questo genere di detti da dichiarazioni di benedizione che invocano l'opera benefica di Dio su persone e gruppi. Nelle benedizioni, il termine tecnico ebraico è nelle beatitudini

baruk, 'ashre. La differenza principale è che la benedizione evoca

il sostegno benefico di Dio per la vita, mentre la beatitudine indica e loda la condotta e l'individuo che gode della beatitudine stessa. Questa beatitudine iniziale è seguita da altre disseminate per tutto il Sal­ terio. La prossima arriva alla fine del Sal.

2 e, con la presente, forma un'in­

clusione che lega insieme i due salmi, venendo così a costituire una duplice introduzione a tutto

il libro. In totale, nel Salterio ci sono venticinque detti

di questo genere, mentre i Proverbi, tanto per dare un'idea, ne contengono solo otto. Sembra che la beatitudine fosse un genere letterario diffuso nella produzione poetica postesilica dei salmi. Oggetto delle beatitudini dei sal­ mi è la vita religiosa, la devozione praticata o goduta. Le beatitudini racco­ mandano tanto l'ubbidienza quanto la fiducia. La loro presenza nei salmi è una prova dello scopo didascalico che caratterizza la poesia salmodica nel­ la sua storia seriore. La prima beatitudine induce il lettore a ritenere tutto il libro un manuale di vita e raccomanda un tipo di condotta che usi il Sal­ terio in quella visuale. 2. La condotta che il salmo raccomanda è una costante meditazione sul­ la «Legge»

(torah) del Signore, una riflessione che deriva dalla gioia che se

ne trae e dall'interesse che si prova per essa. Il significato fondamentale del termine

torah è «istruzione», non già codice di norme legali e precetti. I co­ torah perché ammaestrano. Il termine

mandamenti e gli statuti sono detti

torah è usato in varie maniere nell'Antico Testamento, dove può denotare i più diversi enunciati relativi alla fede e alla condotta, dagli oracoli profetici (ls.

1,10) a una versione del libro del Deuteronomio (Deut. 31,24). Nel nostro «torah del SIGNORE» è usata in senso lato per indicare

passo, l'espressione

l'intero corpo della tradizione mediante la quale si impartiscono a Israele le istruzioni circa la via e la volontà del Signore. Il nostro salmista conosce la

torah nella sua forma scritta, una Scrittura che si può leggere e assimi­ 1,8). È da questa torah scritta che si può ottenere la sapien­ za per vivere la vita; essa è la fonte dalla quale si può apprendere il modo lare (cfr. Gios.

di agire e la volontà del Signore e custodire in cuore quanto si è imparato, così che quell'insegnamento plasmi la struttura della coscienza (Sal.

40,9; 37,31). È per questa ragione che la torah è fonte di diletto, non perché essa

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Salmo 1 : Diletto nella Legge sia uno strumento disponibile con il quale ci si possa giustificare da soli, il materiale per un programma di training autogeno che porti alla propria giustificazione, bensì perché, attraverso essa, il Signore raggiunge, tocca e plasma l'anima umana. Per questo salmo la torah è un mezzo di grazia. Il profeta Geremia afferma: «Benedetto l'uomo che confida nel SIGNORE [ . . . ] poiché egli è come un albero piantato vicino all'acqua» (Ger. 17,7-8). Quan­ do il Sal. l sostituisce «chi confida nel SIGNORE» con «colui [ . . ] il cui diletto è nella Legge del SIGNORE», non lo fa certo per sostituire alla fiducia nel Si­ gnore la fiducia nella Legge e in se stessi. li salmista si affida alla torah qua­ le disciplina per imparare ad affidare la propria vita al Signore. Il salmo è il prototipo di quella devozione biblica che è parte dell'eredità del giudai­ smo e del cristianesimo. Nella sua funzione di introduzione al libro dei Salmi, il Sal. l invita il let­ tore ad aspettarsi e a ricevere dai salmi torah, in altre parole a leggerli come Scrittura. Procedendo, il lettore del libro dei Salmi incontrerà altri due gran­ di testimoni di questa devozione della torah: Sal. 19 e Sal. 119. Disseminati nei salmi ci sono ricorrenti riferimenti alla torah, alle sue forme ed elementi costitutivi, i quali mostrano in quale misura essa sia fondamentale per la religiosità che il Salterio rappresenta e alimenta. In effetti, il Sal. l vuole che si legga come «istruzione» tutto ciò che segue: istruzione per la preghiera, per il rendimento di lode, per il comportamento di Dio verso noi e il nostro in ubbidienza a Dio. Dandogli una struttura analoga a quella dei primi cin­ que libri del canone biblico, che la tradizione giudaica chiama «la Torah», la divisione del libro dei Salmi nei cinque «libri» che lo compongono espri­ me, evidentemente, la medesima valutazione del Salterio1• .

3. Gli antagonisti di coloro la cui vita è guidata dall'ammaestramento del Signore sono chiamati empi o iniqui o 11Ullvagi. I salmi usano la coppia di opposti «empi/ giusti» a fini pedagogici. I termini rappresentano categorie distintive che funzionano da semplici opposti, senza che ci sia una grada­ zione tra i due estremi né ambiguità alcuna nell'una o nell'altra categoria. La natura categorica dei termini non implica, però, che il loro uso denoti una giustizia morale o un'empietà assoluta. L'elemento discriminante che determina l'appartenenza a una o all'altra delle due categorie è di natura teologica: si tratta del rapporto tra un sistema di vita e il Signore e nella teo­ logia dei salmi la vita che si vive o è nel giusto con Dio o non lo è. Non c'è alcuna sfumatura: non esiste né «un parzialmente giusto» né «un po' mal­ vagio». Il fine della vita e il modo in cui si vive confermano o negano la di­ vinità sovrana del Signore? Per la religiosità del Sal. l, ispirata alla torah, il problema centrale è che cosa guida la vita che si vive: se la preoccupazione e la ricerca della rivelazione del Signore plasma e guida la vita, allora chi

1 Cfr. J.L. MAvs, The Piace of the Torah Psalms in the Psalter, pp. 3-12.

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vive così è sulla strada giusta. Ciò che negli empi è male è il fatto di offrire una possibilità alternativa: ciò che consigliano, il sentiero che percorrono e la loro posizione sono cosa loro, non di Dio. La direzione che danno alla vita che vivono è espressione della loro peccaminosità e del loro cinismo. Essi hanno torto proprio nella loro autonomia e quelli che sono guidati dal­ la loro propria torah sono in errore rispetto alla torah del Signore (cfr. Giob. 21,14). Il salmo non incita quanti sono devoti alla torah del Signore a ritirar­ si dalla società e ad andare a rinchiudersi in un ghetto per potersi difende­ re. Ciò che si deve evitare non sono gli empi, ma la loro influenza e l'effet­ to che essi hanno sulla vita. Gesù ha mangiato con i peccatori, ma non ne ha seguito la via. Il salmista conosce bene il potere della socializzazione e quindi mette in guardia dalla corruzione che essa comporta. I termini «empio» e «giusto>> sono elementi importanti del vocabolario dei salmi e vengono usati per caratterizzare individui e gruppi. L'elemen­ to discriminante in questione può variare, ma il criterio base che rimane costante è la risposta, giusta o sbagliata, alla realtà e alla rivelazione del governo sovrano del Signore sulle faccende umane. Nei salmi, gli empi svolgono tre funzioni principali: l) la loro natura e le loro azioni sono de­ scritte affinché servano da ammonimento a non vivere una vita che sia in conflitto con la volontà del Signore e forniscano, al contempo, uno sfondo di contrasto che faccia risaltare il profilo dei giusti (per esempio, Sal. 5,46.9-10); 2) essi tormentano gli umili, accusano gli innocenti e minano la fi­ ducia dei fedeli: così facendo, essi costituiscono quel pericolo angoscioso dal quale il salmista implora di essere liberato (per esempio, Sal. 3,7; 10,2; 11,2); 3) Nel loro aspetto collettivo, di gruppo, essi minacciano il popo­ lo del Signore e mettono in dubbio il corso della divina provvidenza (per esempio, Sal. 9,5-6.17). In tutti i loro ruoli gli empi rappresentano l'incon­ gruenza che esiste nel mondo umano tra la volontà di Dio e quella degli esseri umani. Il modo in cui i salmi parlano di costoro sembra semplificare quelle che potrebbero essere considerate questioni complesse e ambigue, ma la necessità che la fede riconosca la tragica e disastrosa disparità tra Dio e gli esseri umani dà a questo tipo di discorso una base rilevante nel rapporto di Dio col mondo.

4. Il Sal. l insegna che la vita è un viaggio attraverso il tempo: vivere si­ gnifica scegliere un percorso particolare per l'esistenza. Il salmo usa la gran­ de metafora biblica della «via», una strada o un sentiero che si segue. No­ nostante tutta l'individualità che le singole vite esprimono, in ultima analisi non ci sono che due vie da seguire per il nostro viaggio: la via dei giusti e la via degli empi (v. 6). La prima via porta a una vita realizzata descritta con la similitudine favorita dell'albero che produce frutto (v. 3). Questa via è inse­ rita nella provvidenza di Dio (v. 6a) affinché segue la direzione indicata con la torah del Signore. L'appagamento della vita non è tanto una ricompensa quanto piuttosto il risultato del collegamento della vita con la fonte dì vi­ ta. La seconda strada è, in realtà, un'illusione: non ha più consistenza della

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Salmo 2: Questo è mio figlio pula che il vento soffia via (v. 4) e non ha alcun futuro tra i giusti, ai quali il Dio che veglia sulla vita umana dà, nel giudizio finale, ragione. Gli empi hanno il loro fondamento e la loro destinazione in se stessi, una strada non collegata alla fonte di vita. Quella via finirà in perdizione. Che i lettori in­ tendano e si chiedano su quale sentiero stanno camminando. Il primo salmo insegna senza riserve che ogni strada ha il suo destino specifico: è un'affermazione che viene dalla fede, non il frutto dell'espe­ rienza. Si incontrerà la medesima affermazione ripetuta in altri punti del Salterio (per esempio, Sal. 37), ma presentata sotto molti altri aspetti. Le preghiere testimoniano che i giusti vanno incontro all'afflizione più che al­ l'appagamento; alcuni salmi lottano con l'enigma della prosperità e del po­ tere dei malvagi (per esempio, Sal. 73); qualche altro si accorge che, a cau­ sa della peccaminosità della condizione umana, soltanto il perdono di Dio può dare la forza per vivere (per esempio, Sal. 130). Quasi certamente il v. 5 fu interpretato alla luce dell'escatologia apocalittica di tipo danielico (cfr. Dan. 7 e 12), cioè quale riferimento a un giudizio che, di là di questa vita, avrebbe reso giustizia ai giusti. Nondimeno, per quanto precisata in tutte le suddette maniere, la dottrina continua a esistere e riecheggia anche nel Nuovo Testamento, nelle parole di un altro Maestro che usa beatitudini e avverte che l'esito della vita dipende dal farsi guidare da questa torah (Mt. 5 7): «Beati - dice - quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Le. 11,28). -

Salmo 2: Questo è mio figlio Il secondo salmo è abbinato al primo, formando così un'introduzione gemina al Salterio. Il Sal. l considera l'individuo che si trova ad affronta­ re il problema della malvagità nella società; la sua risposta per la fede è che l'istruzione del Signore è la guida che conduce a una vita realizzata. Il Sal. 2 tratta, invece, la questione della comunità di fede che deve affronta­ re i problemi di una storia fatta da nazioni che lottano per il potere; il suo messaggio per la fede è l'annuncio del Messia al quale Dio consegnerà le nazioni affinché le governi. Il Sal. 2 è un discorso poetico pronunciato dal Messia. Questo salmo è l'unico testo in tutto l'Antico Testamento che par­ li del re, Messia e figlio di Dio, in un unico testo: tre titoli tanto importanti per la presentazione di Gesù nei vangeli. L'esposizione del Sal. 2 può ser­ vire da introduzione ad altri salmi che parlano del re di Dio (Sal. 18; 20; 21; 45; 72; 89; 110; 144). Dopo aver esaminato il salmo stesso, se ne prenderan­ no in considerazione Sitz im Leben e uso nella religione d'Israele, teologia, ruolo e significato nel contesto del libro dei Salmi e, infine, il suo uso come Scrittura nel Nuovo Testamento.

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1. Struttura. Il Sal. 2 è formato da quattro parti facilmente distinguibili. La prima parte (vv. 1-3) è un'apostrofe in forma di lunga domanda retorica, nella quale si esprime stupore per la ribellione delle nazioni e dei loro re al dominio del Signore e del suo unto. Una citazione drammatizza le loro se­ grete intenzioni. La seconda parte (vv. 4-6) descrive la derisione e l'ira con la quale il Signore, il sovrano celeste, risponde ai ribelli. Una citazione an­ nuncia le misure prese dal re del cielo per far fronte alla rivolta dei re della terra: il Signore ha insediato il suo re sul proprio monte santo. Nella terza parte (vv. 7-9) il re proclama il contenuto del decreto che fissa la sua identi­ tà e i possedimenti che il Signore gli ha concesso. Egli è stato reso figlio del Signore che gli ha fatto da padre proprio quel giorno e gli ha promesso il dominio universale e il potere per ottenerlo. Infine, nella quarta parte (vv. 10-12), i re della terra vengono invitati a sottomettersi al potere regale del Signore: questa sottomissione è offerta quale unica alternativa alla sua ira punitiva, la quale si abbatte su chiunque ne sfidi la sovranità. Il salmo si conclude con una beatitudine che loda quelli che si rifugiano nel Signore. Il tema del salmo risulta evidente dalla struttura: in tutte e quattro le parti si tratta del rapporto tra il regno del Signore e i regni della terra con i loro re. Il salmo tratta il problema del potere: dove risiede, in ultima ana­ lisi, il potere di controllare le potenze che operano nella storia del mondo? Il salmo annuncia che la risposta a tale interrogativo è data con il Messia, il figlio di Dio, al quale il sovrano del cielo ha conferito il diritto e dato il po­ tere di governare il mondo.

2. Il contesto della religione d'Israele. La tesi stupefacente e radicale del sal­ mo fa sorgere l'interrogativo circa la figura centrale della quale si parla: chi era in Israele il figlio di Dio al quale il Signore dell'universo conferisce il dominio mondiale? Come era usato questo salmo e chi parlava in esso? Gli studiosi dell'Antico Testamento concordano che il salmo sia stato compo­ sto per essere usato da un re di Giuda della dinastia di Davide in occasio­ ne della sua intronizzazione. Il Sal. 2 è, quindi, un salmo regale, cioè uno di quei salmi il cui testo indica chiaramente che essi riguardano rituali e cerimonie per il re. Il Sal. 2 è il primo di una serie di salmi che riguardano le cerimonie dell'ascesa al trono di un re o forse una festa che commemo­ rava tale evento (Sal. 110; 72; 101). Sappiamo bene noi stessi, ancora oggi, quanto siano importanti le procedure con le quali si collocano persone in posti di potere: presidenti, deputati, senatori, vescovi e papi, giudici, ret­ tori universitari, primari ospedalieri ecc. Tali avvenimenti e le cerimonie che li accompagnano sono i discendenti storici dell'intronizzazione dei re nel mondo antico. In quel mondo e in quella cultura, il re era il vertice del­ la piramide del potere. Egli godeva di un rapporto particolare con le divi­ nità ed era attraverso tale loro rapporto con il re che gli dèi si occupavano del popolo o si comportavano con la nazione in determinate maniere. Al re competevano la difesa, la giustizia e il benessere della nazione (cfr. Sal. 72). Egli era il canale attraverso il quale fluiva il potere. Il linguaggio e i ri-

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Salmo 2: Questo è mio figlio tuali dell'insediamento di un re sul trono rispecchiavano tale ideologia mo­ narchica e si basavano su di essa. Linguaggio e rituali erano stati adottati e adattati per la cerimonia sacra che ruotava attorno al re nel Tempio di Ge­ rusalemme contemporaneamente all'adozione e allo sviluppo della monar­ chia in Israele. Molti elementi contenuti nel nostro salmo hanno riscontro in tratti specifici del rituale e della liturgia regale delle nazioni circostanti, specialmente nelle cerimonie in uso in Egitto. Che il re fosse creato o scelto dalla divinità, ricevesse nomi, titoli e identità particolari in atti sacri, gli si concedesse il dominio universale e fosse dotato della prodezza necessaria a imporlo sulle nazioni e a difenderlo dall'attacco dei nemici sono nozioni che costituiscono il bagaglio classico dell'ideologia espressa nella letteratu­ ra regale dell'antico Oriente2• Interpretando il Sal. 2 e i salmi regali affini, è bene ricordare che questo modo di credere e parlare del re aveva una collocazione sociale specifica nella quale esso aveva un significato e una funzione. ll tema di questo gene­ re di salmi è il rapporto tra Dio e il re, anzi, a dire il vero, il tema è più Dio che il re. Si tratta di un linguaggio omologico, con formule fisse, poetico e ideale, che trascende l'esistenza e la storia umana. Non è il linguaggio del­ la politica in senso stretto, degli atti politici concreti e del governo, e non è nemmeno un linguaggio individuale o biografico. Israele aveva anche altre concezioni della monarchia e del re e altri modi per parlame: questi e quelle si trovano nella narrativa, nel corpo delle leggi e nella profezia. Il linguag­ gio tecnico e le formule standardizzate che ricorrono nei salmi servivano a esprimere la fede in ciò che il Signore, il Dio d'Israele, stava facendo me­ diante lo strumento della monarchia davidica. Tema dei salmi regali è tale ufficio o funzione, non l'individuo o la specifica situazione storica. 3. La teologia dell'ufficio monarchico. Il Sal. 2 sembra destinato a fungere da proclamazione pubblica del re davanti al popolo radunatosi per l'incorona­ zione. In essa il re dichiarava la rilevanza della propria regalità per le altre nazioni e i loro sovrani. Sebbene si concluda rivolgendosi retoricamente a questi altri sovrani, il nostro salmo rappresenta un'interpretazione dell'uf­ ficio del re a beneficio della sua corte e del suo popolo. L'affermazione fondamentale è che l'intronizzazione del re è un atto di­ vino. L'intera procedura della sua designazione e ascesa al trono non era che una sacra rappresentazione della scelta compiuta dal Signore che lo ave­ va stabilito sul proprio monte santo3• I due titoli - «il suo Unto» e «mio Fi­ glio» - simboleggiano l'elezione divina. Quello dell'unzione era un rituale di designazione e dotazione: con un como sacro un rappresentante di Dio

2 Cfr. 0. I> era il titolo reale principale; lo si trova sia nelle parti narrative sia nei salmi5 • «Tu sei mio Figlio» (v. 7) è l'unico esempio nel Salterio di «Figlio>> usa­ to quale titolo del re davidico: esso rappresenta il riscontro della promessa profetica fatta a Davide in II Sam. 7,14: «Io sarò per lui un padre ed egli mi sarà figlio>>6• Nel Sal. 2 il re riferisce il contenuto di un decreto o protocol­ lo che probabilmente gli era stato letto o consegnato precedentemente nel corso della cerimonia. n decreto interpreta i rituali dell'intronizzazione nel senso di una «generazione» divina del re quale figlio di Dio: «In quanto ac­ cade oggi io sono diventato tuo padre e tu mio figlio>>. La filiazione è creata mediante un atto di diritto sacro: la sua realtà è un'identità e una condizione di particolari diritti e doveri verso Dio analoga ai particolari diritti e doveri che nella cultura d'Israele un figlio aveva rispetto al padre. n decreto divino offre anche al re la concessione del dominio universa­ le. La promessa che il re davidico potrà spezzare e frantumare le nazioni rientra nel linguaggio regale convenzionale che denota il potere di regnare. Ovviamente, la concessione divina di un dominio mondiale ai re di Giuda sta in abissale contrasto con la realtà storica. Al culmine della sua potenza l'impero davidico poteva essere considerato l'inizio del compimento del­ la promessa, ma anche al momento del suo massimo splendore non pote­ va certamente gareggiare con gli imperi dell'epoca. n discorso del salmo si sviluppa sul piano teologico, non su quello della storia. Il problema che pervade il salmo è quello del potere ultimo nell'universo. n salmo si basa sulla fede che il Signore che troneggia in cielo sia il potere ultimo. Il domi­ nio del figlio deve essere analogo alla sovranità del padre. Questa analogia tra il re celeste e il re unto è un tratto importante dei salmi regali. Il re uma­ no non è sullo stesso piano del sovrano celeste, né è una sola cosa con lui, ma per certi aspetti gli corrisponde. Così l'intronizzazione dell'unto costi­ tuisce una dichiarazione che «il SIGNORE regna>> nel pieno di una storia le cui potenze lo negano. 4. Il contesto del libro. Seconda tavola del dittico introduttivo del Salte­ rio, il Sal. 2 individua temi che attraversano l'intero libro dei Salmi e vi in­ dirizza l'attenzione del lettore. Vediamo e ascoltiamo Dio nelle vesti che gli vengono date nei salmi: il sovrano che troneggia nei cieli. La regalità è la metafora teologica più efficace per descrivere tale figura nella sua vasti-

4 In ebraico mashiach, che in greco viene traslitterato Messias o tradotto christos. 5 Per esempio, I Sam. 10,1; 12,3; Sal. 18,50; 20,6. 6 Se ne ha in riecheggiamento in I Cr. 17,13; 22,10; 28,6.

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Salmo 2: Questo è mio figlio tà; un monte reso santo dalla sua scelta e un reggente designato mediante l'unzione rappresentano il suo dominio nel mondo. Tutte le nazioni e tutti i popoli con i loro sovrani sono parte di tale dominio. Le preghiere, gli inni e le poesie del libro sono tutti salmi del regno di Dio. Le nazioni compaiono nelle vesti di nemici, il ruolo che esse ricoprono frequentemente nei salmi. La loro ribellione contro il Signore e il suo Unto trascende una data occasione cultuale o storica, diventando un'interpreta­ zione di tutta quanta la storia che prescinde dalla venuta del regno di Dio sulla terra. Ogni nazione, popolo, gruppo e organizzazione che possiede e usa il potere in maniera autonoma, indipendentemente dalla sovranità del Signore, si trova, da un punto di vista teologico, in stato di aperta ribellio­ ne, oggetto dell'ira divina, lo zelo di Dio per la propria sovranità. A questi ribelli viene offerta un'opzione migliore: servire il Signore. L'ultimo versetto del Sal. 2 è un ammaestramento rivolto ai lettori che devono vivere la tensione del "non ancora" in mezzo ai pericoli e alle mi­ nacce delle potenze all'opera nel mondo. Essi sono esposti alla tentazione dello spavento e dello scoraggiamento, alla tentazione di credere che quel­ le potenze siano l'unica realtà, correndo persino il pericolo di sottomettere e affidare la propria vita agli scopi perseguiti da quelle potenze. La parola diretta a costoro è: «Beati tutti coloro che si rifugiano in lui». «Rifugiarsi nel SIGNORE» è una delle espressioni più importanti per la pietà alimentata dai salmi. In senso letterale essa significa cercare un riparo o un luogo protetto; in senso traslato essa appartiene al vocabolario della fiducia usato nel Sal­ terio, l'atto di rivolgersi alla salvezza del Signore facendo affidamento su di essa7• Qui, nell'introduzione al Salterio, la beatitudine preannuncia tut­ te le preghiere che seguiranno, a cominciare da Sal. 3, e fu probabilmente aggiunta al Sal. 2 proprio a tale scopo. Le preghiere costituiscono la litur­ gia di quanti si rifugiano nel Signore in mezzo a tutte le potenze del mon­ do che minacciano il cammino di quelli che cercano di vivere secondo le regole di Dio8 . È evidente la distanza che per quelli che formavano e usavano il Salterio separava l'ideale del salmo dalla realtà empirica. I re di Giuda non avevano mantenuto fede al loro mandato di governare conformemente alla volon­ tà regale del Signore. I profeti si erano sforzati in tutti i modi per far capire quella lezione. Invece di affermare la sovranità del Signore sulle nazioni, i re d'Israele erano stati ripetutamente sconfitti. Alla fine si arrivò a un tem­ po nel quale non ci fu più né re né discendente di Davide né Unto. ll salmo poté essere letto alla luce della predizione profetica di un discendente di Davide di là da venire: essere letto, cioè, quale promessa escatologica, non

7 Cfr. il commento a Sal. 7,1. 8 Per il genere letterario della , cfr. Sal. l, vedi sopra, pp. 57 s.

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quale rituale regio. Il genere letterario del Sal. 2 e degli altri sahni regali af­ fuù fu rivisto e modificato mediante l'inclusione in un libro della Scrittura. Essi furono conservati perché si credeva ancora nella promessa divina con­ tenuta in essi e si aveva ancora fiducia nella rivelazione, in essi espressa, del modo in cui Dio agiva ed era presente nel mondo. È possibile inoltre che questi sahni siano stati letti in un'ottica corporata e democratizzante, cioè con il convincimento che la fedeltà di Dio nei con­ fronti di Davide e le promesse divine fattegli fossero ancora valide per la comunità dei credenti. In fondo, il benessere e il destino del popolo erano stati sempre legati alle vicende e alla vita del re. Nella letteratura prodotta durante l'esilio e nel periodo postesilico si colgono forti indizi della convin­ zione che il nucleo fedele d'Israele avesse preso il posto del re assente nei piani di Dio per le nazioni e la storia9• Probabilmente, coloro che leggevano i salmi non ritenevano che le due letture fossero alternative in senso assoluto. Di fatto, né il Salterio né l'Antico Testamento indicano esplicitamente quale delle due opzioni di lettura fosse, in ultima analisi, quella ortodossa. 5. n Sal. 2 nel Nuovo Testamento. Nella cristologia, ecclesiologia ed esca­ tologia del Nuovo Testamento ci sono due elementi del Sal. 2 che hanno un'importanza particolare: la designazione, da parte di Dio stesso, del re quale figlio di Dio e l'opposizione delle nazioni e dei loro sovrani al regno del Signore e del suo Unto. La dichiarazione fatta da Dio stesso al re dicendogli «tu sei mio Figlio» diventa nel Nuovo Testamento l'affermazione centrale per descrivere il rap­ porto di Gesù con Dio. Nell'Antico Testamento, «re>> e «Unto>> sono titoli più frequenti e importanti di «figlio>>, ma nel Nuovo Testamento è proprio quest'ultimo che balza in primo piano quale denotazione primaria di quel­ lo che Dio ha scelto perché rappresenti il suo regno nel mondo. Più di ogni altro titolo, «figlio>> evidenzia la corrispondenza tra il sovrano celeste e la persona del suo reggente umano. Nel Nuovo Testamento la scena di tale dichiarazione è l'evento rivelatorio, momenti nei quali viene svelato il rap­ porto tra Gesù e Dio. La dichiarazione risuona al battesimo di Gesù (Mc. 1,11 e l l) e alla trasfigurazione (Mc. 9,7 e l l; II Pie. 1,17); rappresenta il si­ gnificato della risurrezione di Gesù (At. 13,33; Rom. 1,4); è l'affermazione principale fatta da Dio a e circa Gesù (Ebr. 1,5; 5,5). n salmo non ci dice come Gesù di Nazareth adempirà tale ufficio: questa è una sorpresa riservata ai vangeli. Nella vita di Gesù il linguaggio politico e militare del salmo viene trasformato in una modalità evangelica, ma il salmo insiste che è proprio questa persona, con la sua predicazione, il suo insegnamento e le sue gua-

9 Cfr., per esempio, la figura del servo del Signore in Is. 40 55, il passaggio ad al­ tri della promessa e della vocazione davidica in Is. 55, i santi dell'Altissimo in Dan. 7, i fedeli che ottengono la vittoria sulle nazioni nel Sal. 149 e l'incoronazione dell'uma­ nità nel Sal. 8. -

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Salmo 3: I miei nemici sono molti rigioni, con la sua morte e risurrezione, che costituisce la risposta sovrana di Dio a ogni centro di potere e a ogni uso del potere che non tenga conto della volontà sovrana di Dio. n salmo insiste sulla rilevanza universale per la storia umana della filiazione di Gesù. In At. 4,23-31 si usa la prima strofe del Sal. 2 per interpretare l'ostilità di governanti e popoli a Gesù, l'Unto di Dio, e dare motivo di coraggio alla neonata chiesa di fronte alle minacce provenienti dalle autorità giudaiche: il salmo mostrava agli apostoli che l'ostilità dei poteri non era un motivo per disperare. Al contrario, proprio l'ostilità costituiva il contesto giusto e adatto per la loro predicazione, perché colui che Dio stesso aveva dichiara­ to proprio «figlio» rappresentava la risposta divina all'ostilità delle potenze di questo mondo. Così essi, alla fine, «annunziavano la parola di Dio con franchezza» (At. 4,31c). Predicare il figlio di Dio è una missione concepita proprio per una situazione di conflitto10• Nell'Apocalisse lo scenario del salmo è letto, complessivamente, nell'ot­ tica di una profezia escatologica il cui adempimento rientra nella fine del­ la storia. È allora che la guerra delle potenze della terra contro Dio e il suo Unto raggiungerà l'apice (Apoc. 11,18; 19,19), ed è in quel momento culmi­ nante che colui che è il Re dei re e il Signore dei signori otterrà la vittoria e governerà le nazioni con una verga di ferro (Apoc. 19,11 .16). Allora il cielo annuncerà che la storia è giunta al traguardo raggiungendo il suo obiettivo, poiché ora «il regno del mondo è passato al nostro Signore e al suo Cristo ed egli regnerà nei secoli dei secoli» (Apoc. 11,15b). I cristiani delle origini vivevano nel tempo intermedio tra il «già» del Messia e il «non ancora» del suo dominio sui re e le nazioni che li perseguitavano. n salmo assicurava loro che il dominio del Cristo sarebbe arrivato con una vittoria che sareb­ be stata anche la loro vittoria (Apoc. 2,26-29), dando così loro una ragione per restare fedeli. Quando il Gesù risorto annunciò alla sua corte riunita che «ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra. Perciò andate e fate discepoli fra tutte le nazioni» (Mt. 28,18 s.), quello che ascoltiamo non è che la versione cristiana della concessione fatta al re messianico dell'Antico Testamento: «Chiedime­ lo: e io ti darò in eredità le nazioni» (Sal. 2,8).

Salmo 3: I miei nemici sono molti Dopo la doppia introduzione (Sal. l e 2) si ode la voce della preghiera: una voce che suonerà dominante nei primi due terzi del Salterio che è, pri-

10

Cfr. il commento di LUTERo, vol. 12, 5 ss.

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Libro primo - Salmi l 41 -

ma di ogni altra cosa, un libro di preghiera. Per lo più si tratta di preghiere che invocano aiuto e parlano in prima persona11• Il nostro salmo è un esem­ pio breve e tipico di tali preghiere. 1. La preghiera inizia invocando il nome del Signore e descrivendo la

1-2).

difficoltà che occasiona la preghiera stessa (vv.

Essa ribadisce la fidu­

cia nel Signore, protettore dell' orante, fonte della sua dignità e della fiducia che questi nutre in lui (v. 3), lui che risponde davvero alle sue preghiere (v. 4)1 2 . La preghiera descrive il comportamento dell'orante, effetto concreto di tale fiducia sincera: egli riesce a dormire tranquillamente (v.

aver paura pur tra mille nemici e difficoltà (v.

6).

5) e a non

Egli rivolge al Signore

una doppia richiesta: che gli risponda e intervenga in suo soccorso (v. 7a) . La richiesta è accompagnata e corroborata da una lode al Signore, colui che rimprovera e neutralizza i nemici malvagi (v.

7b).

La preghiera si chiude

con una breve formulazione teologica che proclama che la salvezza appar­ tiene al Signore e con l'invocazione della benedizione del Signore su tutto il popolo del Signore (v.

8).

2. Per chi è stata composta questa preghiera? Tutti gli elementi della sua struttura e molte delle sue espressioni sono tipici di questo genere di pre­ ghiere. La sua caratteristica individuale è data dalla disposizione degli ele­ menti strutturali e dallo sviluppo dei motivi. La descrizione della situazione difficile indica una persona circondata da un'ostilità schiacciante. La triplice

ripetizione del motivo dei «molti» nei primi due versi crea l'atmosfera. Il

linguaggio usato non presuppone necessariamente una crisi militare, com'è suggerito dalla soprascritta. Dire che il Signore è «uno scudo» significa ri­ correre a una metafora convenzionale per affermare che Dio è il protettore dell'orante (cfr., per esempio, Sal.

7,10; 18,2; 28,7); il riferimento a «miriadi»

di nemici13 non è che un'iperbole per professare la fiducia dell'orante nel Signore.

Chi prega è semplicemente un credente nel Signore che si trova ad

affrontare un'ostilità minacciosa, ma resta fiducioso: la preghiera è la voce di quella fiducia nel Signore. La preghiera è stata composta per conferire quell'identità e il suo linguaggio a tutti quelli della comunità religiosa che erano come assediati dall'ostilità generale.

11

Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.2. Al v. 4 si incontra, per la prima volta nel Salterio, il termine tecnico selah, che sem­ bra (la cosa è incerta) indicare una pausa, per la 'lettura o il canto. Ma non solo, come insegna Lutero: ]>> (M. LUTERO, Il Padre nostro spie­ gato ai semplici laici, introduzione, versione e note a cura di Valdo Vinay, Torino, Clau­ diana, 1995, p. 11) [N d C ]. 1 3 La traduzione è comunque incerta. 12

.

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.

.

Salmo 3: I miei nemici sono molti 3. n prmto teologico saliente della preghiera è che molti affermano che per l'arante «non c'è più salvezza presso Dio» (v. 2). Tutta la struttura della preghiera ruota attorno a questo giudizio devastante, dal quale si può evin­ cere il vero significato dell'ostilità. L'affermazione di fiducia nega la validi­ tà di quel giudizio e le richieste sono semplicemente rma supplica rivolta a Dio perché lo smentisca. La formula omologica «al SIGNORE appartiene la salvezza» confuta quella sentenza ostile. La vita quotidiana è accompagnata da esperienze dell'ostilità altrui e questo tipo di esperienza attraversa tutta la gamma di sfere nelle quali la vita viene vissuta. Si incontra opposizione nella sfera familiare, nel vicinato, sul lavoro, nei gruppi politici, nelle co­ munità nazionali e religiose. Fu così in Israele ed è così in tutte le società. Chirmque o tutto ciò che mette in pericolo o danneggia il lato economico o la gioia della vita o lo spazio vitale o il diritto di vivere è nn nemico, rma presenza ostile. La preghiera, però, non è stata scritta e recepita per favorire la tendenza umana a lamentarsi, a compiangersi e a gettare ogni colpa sugli altri. Non è stata scritta per essere la litania di nn paranoico. L'ostilità assu­ me molte forme, ma l'avversione di cui si parla in questa preghiera trascen­ de l'inimicizia quale forma di conflitto tra esseri umani. In ultima analisi, a ben guardare, essa riguarda nn attacco mosso contro Dio. n presupposto o il suggerimento o la pretesa che in Dio non ci sia aiuto per nn' altra persona non è soltanto nn attacco contro il prossimo, ma è rma supposizione, arro­ gante e limitativa, nei confronti di Dio. È per questa ragione che i nemici del salmista vengono definiti «empi»14• Nel nostro salmo non si spiega il significato specifico dell'accusa dei nemici. «Non c'è più salvezza per lui presso Dio» potrebbe significare semplicemente che la situazione critica in cui si trova il salmista non presenta vie di scampo. Potrebbe anche essere il giudizio beffardo e cinico di rmo schernitore: il Dio di questo pio illuso non sarà di alcrm aiuto nelle difficoltà in cui questi si dibatte. Potrebbe anche es­ sere nn' accusa rivolta al salmista: egli non ha alcrm diritto d'invocare Dio e di aspettarsi il suo aiuto; Dio potrebbe certo aiutarlo, ma per una ragione non detta il salmista è indegno di rivolgersi a Dio e il Signore non lo aiuterà. Qualrmque possa essere il significato specifico della frase, essa vuoi dire, in ultima analisi, che l' orante è senza Dio e, quindi, senza speranza. Questa è la vera difficoltà soggiacente all'emergenza concreta: l'ostilità l'ha portata in superficie e messa in luce. In rma situazione di questo genere, nel mon­ do religioso dell'Antico Testamento c'erano solo due possibilità: o i nemici avevano ragione o il salmista aveva diritto a sperare. Soltanto Dio poteva decidere e svelare la verità. «Non c'è più salvezza per lui presso Dio» è nn' arma pericolosa e letale contro l'anima, poiché trova nel cuore alleati in ogni minimo dubbio, nel-

14

Cfr. Sal. l, vedi sopra, pp. 59 s.

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l'ansietà e nel senso di colpa. Contro tale arma non ci sono né ragionamen­ ti né consigli né procedure in grado di neutralizzarla con sicurezza. Si può solo credere alla sua verità o credere in Dio. n salmo è composto per da­ re coraggio alla fede e permetterle di parlare. La preghiera invoca il nome del Signore e mette chi la usa nella situazione di esprimersi direttamente, in prima persona; essa richiama l'appartenenza dell' orante alla comunità eletta e chiama il Signore «mio Dio». Essa parla dell'esperienza della prov­ vida protezione e cura divina avuta in passato (v. 3), ricorda la tranquillità che deriva dal confidare nel Signore invece di temere l'ostilità degli uomini (vv. 6-7). Essa recita l'articolo di fede che «al SIGNORE appartiene la salvezza» per ricordare all'afffitto che non c'è difficoltà insolubile e che nessuna osti­ lità umana può limitare il soccorso divino. n salmo incoraggia e sostiene la fede in tutte queste maniere, invitando l'angosciato a pregare, a compiere l'atto di fede definitivo davanti agli assalti contro l'anima. 4. La preghiera ha un titolo, una soprascritta che identifica orante e si­ tuazione. Qui la preghiera è classificata come «salmo», il primo di molti salmi davidici e uno dei tredici che vengono ambientati nella storia biblica di Davide15• Il salmo viene collegato alla circostanza della fuga di Davide davanti al figlio Absalom, una storia che viene narrata in II Sam. 15. Lo seri­ ba esperto nella Scrittura che fece il collegamento tra il salmo e l'episodio della storia di Davide aveva rilevato in essi molte somiglianze: Davide era assediato da un gran numero di ribelli (II Sam. 15,13), aveva trascorso una notte piena di pericoli (Il Sam. 17,22), ma nonostante ciò si preoccupava per il benessere del popolo (II Sam. 15,14). Forse lo scriba aveva visto nelle maledizioni scagliate da Shimei contro Davide (II Sam. 16,5-14) una forma del commento sarcastico ostile «non c'è più salvezza per lui presso Dio». Questo conoscitore delle Scritture aveva davanti a sé un salmo attribuito a Davide e le somiglianze suddette lo avevano convinto che questo punto della storia di Davide fosse proprio lo scenario più adatto al salmo. Tra la storia e il salmo esistono, però, incongruenze. Il tenore della preghiera non è conforme all'atteggiamento di Davide verso Absalom e i suoi alleati. Non c'è nulla nella storia che possa far pensare che Davide ritenesse che per lui non ci fosse più salvezza presso Dio. Ai tempi di Davide, e prima dell'edi­ ficazione del Tempio, Gerusalemme non era considerata il «monte santo» eletto dal Signore. Queste differenze impediscono di considerare storico il collegamento tra preghiera e storia. La nozione moderna di storia criti­ ca non rientrava nel mondo intellettuale dell'antico scriba compilatore che operava con una sorta di esegesi interna della Bibbia, un metodo ermeneu­ tico che interpretava la Scrittura con la Scrittura. Lo scriba era all'opera in un'epoca nella quale i salmi erano ormai considerati Scrittura e, quindi, il

15 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 3.5

70

e

3.6; 4.5.

Salmo 3: I miei nemici sono molti luogo appropriato dove trovare risposte a interrogativi del tipo «quand'è che Davide disse questa preghiera?» doveva necessariamente essere nella storia biblica di Davide. Invece di darci un'informazione storica, la rispo­ sta dello scriba invita il lettore a setacciare la storia della rivolta di Absalom quale contesto euristico del salmo. Nell'esperienza di Davide, tradito da un membro diletto della propria famiglia; nella sua umiliazione davanti agli astanti, che l'osservavano; nella sua angosciosa preoccupazione di riuscire, in quella situazione, a limitare i danni: in tutto ciò l'interprete può scoprire illustrazioni narrative di situazioni difficili come quella nella quale il salmo funge da preghiera. Tali scoperte aprono il salmo ad altri collegamenti con l'esperienza personale e collettiva. La riflessione euristica conduce a sugge­ stioni teologiche, pastorali e orniletiche, non a conclusioni storiche; spinge a cercare in profondità collegamenti tra la nostra propria storia e il salmo. Nel cristianesimo delle origini, alcuni interpreti del salmo notarono che la via dolorosa di Davide lo aveva condotto oltre il torrente Chidron (II Sam. 15,23), salendo poi per il Monte degli Ulivi (Il Sam. 15,30). Questi particola­ ri fecero ricordare loro colui del quale, nell'Antico Testamento, il re Davide era il tipo e la cui via dolorosa aveva seguito il medesimo percorso in mezzo a molti nemici1 6• Essi videro nel salmo l'espressione della sua Passione, il linguaggio del tradimento e dell'umiliazione di cui era stato vittima. Essi furono portati a riflettere come si fosse comportato con i suoi nemici e furo­ no aiutati a capire in quale ottica il salmo sarebbe potuto diventare la loro preghiera. Per quel che riguarda il genere e la funzione, le altre soprascritte narrative nel Salterio sono simili a quella appena esaminata: scambiate per notizie storiche, esse provocano perplessità; prese quale licenza e invito a una riflessione euristica, portano a scoperte che conferiscono concretezza al linguaggio liturgico del salmo, rendendolo così utilizzabile. 5. La collocazione del Sal. 3 con la sua soprascritta subito dopo i due sal­ introduttivi e all'inizio di una lunga serie di salmi di preghiera, stimola il lettore del libro in determinate maniere. Le preghiere costituiscono la ri­ sposta che la fede è portata a dare alla beatitudine del Sal. 2,12: «Beati tutti quelli che si rifugiano in lui>P, un tema, questo del rifugio, che ricorrerà ripetutamente nelle preghiere, risultando la loro metafora preferita per in­ dicare la fiducia in Dio (vedi Sal. 7,1). ll «Davide» che nel Sal. 2 è chiamato «Figlio di Dio» e al quale qui, nel Sal. 3, sono offerte in eredità le nazioni, fugge, umiliato, davanti all'ostilità del proprio figlio diletto. Tale contrasto evidenzia l'assoluta umanità di questo «Figlio di Dio», il cui cammino pas­ sa attraverso l'ostilità di chi mette in dubbio la rivelazione fattagli da Dio. Infine, a tutti quelli che affidano la loro vita alla guida della torah e sperami

16 17

Cfr. J.M. NEALE, A. LITrLEDALE, Commentary, vol. l, pp. 104 ss. N.Riv e VRL: . [Cfr. VRL e N.Riv. (in nota): «di poco inferiore agli angeli>>.] cfr.

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Libro primo - Salmi l 41 -

un suo dominio; la sua natura è fatta di rapporti e il genere umano è noto per ciò che è se viene capito secondo tale modello reticolare di relazioni. Il salmista che ha composto l'inno pensava agli esseri umani nella medesi­ ma maniera in cui lo fanno Gen.

1,26-28 e 2,19-20. Il linguaggio del salmo

è più vicino al primo passo e non è escluso che il poeta avesse in mente proprio tale testo e stesse componendo un inno su un testo della Scrittura. Ciò che il salmista ha aggiunto è la descrizione dell'essere umano nell' otti­ ca di una struttura monarchica, visualizzando il concetto di «dominio» in termini di teologia regale e interpretando la nozione di «immagine di Dio» mediante il processo di ordinazione e intronizzazione. La somiglianza è data da un'analogia nella struttura di potere della monarchia. Dio ha sta­ bilito il proprio dominio sul Caos e generato la creazione; al genere umano è stata data la capacità e la vocazione di dominare altri animali e di creare la civiltà. Nella cultura monarchica dell'antico Vicino Oriente esiste uno sfondo per questo modo di pensare. Una quantità di iscrizioni regie egi­ zie e mesopotamiche parlano del re quale «immagine» della divinità per poter rappresentare l'analogia tra il dominio del re e quello della divinità e lo stretto rapporto esistente tra i due termini39. Basandosi sull'autorità del passo di Genesi,

il salmista ha dato all'intera stirpe umana lo status di

re: «Il genere umano è il plenipotenziario di

YHWH, il suo sostituto»40•

Ciò fa sorgere un problema circa una seconda figura che nei salmi ha uno status regale nella piramide divina del potere:

il re davidico unto che è

tanto vicino a Dio da poter esser chiamato «figlio di Dio»41. Gli attributi ca­ ratteristici della regalità (splendore, gloria, onore) sono usati nei salmi per Dio, per il re e per l'umanità per denotare

una figura regale. Al re davidico

viene dato il dominio sulle nazioni; al genere umano sulle creature viventi. Il problema per il primo è costituito dal caos della storia, per il secondo dal caos della selvatichezza. Nel salterio, questi due "re" sono presenti fianco a

fianco: come va inteso il rapporto tra i due? La teoria della "democratizza­

zione" suggerisce che la dignità venne trasferita a tutto il popolo il giorno che in Israele non ci

fu più la figura di un re.

Tuttavia, questa spiegazione

non rende giustizia alla posizione eminente che il re unto ha nel Salterio. Il problema viene forse affrontato soltanto nel Nuovo Testamento?

3. La definizione dell'essere umano quale reggente terreno del re celeste è accompagnata e preceduta da un interrogativo la cui formulazione è mol­ to importante. Il salmo non pone la domanda in termini assoluti chiedendo:

«Che cos'è l'uomo?». L'interrogativo è invece formulato con riserva: «Che

cos'è l'essere umano perché tu, o SIGNORE, lo ricordi e lo visiti?>>. I due verbi

39 Cfr. LEVENSON, Creation, pp. 112 ss. 114. 41 Cfr. il commento al Sal. 2. 40 lvi, p.

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Salmo 8:

Tu hai

dato loro il dominio

biblici «ricordare» e «visitare» sono usati per indicare la reazione divina alla finitezza e alla fallibilità umana; denotano, cioè, l'attenzione necessaria che Dio presta ai mortali42• L'uomo oggetto dell'interrogativo del salmo non è, quindi, l'uomo in sé, bensì l'uomo ricordato e visitato da Dio, il mortale del quale Dio «ha memoria» (VRL) e cura. Essendo un israelita e appartenen­ do al popolo del patto di Dio, l'autore del salmo ha una conoscenza diret­ ta di tale esistenza mortale; la sua domanda non è limitata a Israele, bensì riguarda l'intera razza umana. Egli crede e presume che Dio ricordi e visiti ogni essere umano, che l'esperienza che Israele ha fatto con Dio rappresen­ ti la verità circa il modo in cui Dio si comporta con tutti gli esseri umani. Finitezza, fallibilità e dipendenza assoluta sono caratteristiche strutturali dell'esistenza umana e, in una forma o nell'altra, esplicitamente religiosa o meno, si manifestano in un'esperienza che è, in qualche maniera, un segno del totalmente Altro. Il salmista inquadra, quindi, il «problema uomo» con le riserve suddette per mostrare che tale problema sorge dalla conoscenza del rapporto di Dio con l'uomo che fu concessa a Israele. «L'uomo diventa oggetto di conoscenza teologica in virtù del fatto che il suo rapporto con Dio ci è rivelato nella Parola di Dio»43 • In realtà, nessuno chiede chi sia l'uomo in maniera assoluta, senza un preciso quadro di riferimento. La filosofia e le scienze pongono l'interro­ gativo nel quadro dei loro interessi specifici e dei dati in loro possesso: che cosa è la specie umana poiché ha la capacità di ragionare, strutture fisiche simili a quelle di certi animali, si crea il proprio habitat ecc.? Queste sono tutte forme importanti di quell'interrogativo e portano a conoscenze note­ voli. n salmista, però, insisterebbe sul fatto che l'essere umano non è capito completamente e definitivamente se si prescinde dalla forma che l'interro­ gativo ha nel nostro salmo. Nel salmo, la domanda non rappresenta un invito a ragionare filosofi­ camente o a compiere ricerche scientifiche. In tutti i passi dell'Antico Testa­ mento, incluso il presente, nei quali il Sal. 8 appare, scopo del salmo è rico­ noscere la finitezza di un essere umano, la sua scarsa importanza e i suoi limiti44• n riconoscimento della pochezza umana è scaturito qui dalla con­ templazione dell'immensa profondità del cielo notturno con la sua luna e le sue miriadi di stelle misteriose, un'esperienza che è stata testimoniata da gente di svariate epoche e luoghi diversi. L'esperienza, però, non è quella di «perdersi nel cosmo»; è, invece, l'esperienza di un timore reverenziale e di meraviglia per la maestà mirabile di Dio che può fare e ha fatto di que­ sto misero mortale un reggente regale. La domanda sull'uomo è posta nel salmo allo scopo perseguito dall'inno: celebrare il Signore. ·

42 VRL e N.Riv. rendono perciò «visitare>> K. BAR1H, III / 2, p. 19.

43 44

con «ne prenda cura>>.

Cfr. Sal. 144,3-4; Giob. 7,17; 15,14.

85

Libro primo - Salmi l 41 -

4. Definire la specie umana usando come metafora la funzione di reg­ gente regale significa che la vocazione e il ruolo sono elementi costitutivi dell'identità teologica della specie. Questa concezione ha implicazioni rile­ vanti e solleva problemi complessi. a. Il governo del regno del Signore nel mondo si estende oltre il re mes­ sianico e il popolo del patto fino a includere l'umanità nel suo complesso. Ognuno è coinvolto nel regno di Dio. Essere umano significa essere ordi­ nato e insediato in una posizione che comporta diritti e responsabilità nella sfera della sovranità divina. Dio non si è limitato a crearci; Dio ci ha resi sia raffigurazione sia rappresentanti del regno del Signore per le altre creature. Lo status è legato al ruolo in sé, non a individui o a gruppi, e il compito può essere portato a termine soltanto se si è una cosa sola con il tutto ed essere assolto, in ultima analisi, soltanto dalla specie intera. b. n dominio umano include gli animali domestici e selvatici, gli uccelli e i pesci. L'elencazione intende includere tutte le creature viventi. Questa definizione della sfera del dominio umano rispecchia le lotte della prima umanità per addomesticare e controllare, per convivere con la selvatichezza del mondo e viveme usandola; descrive anche tutto l'impegno umano per fare ciò che gli altri animali non possono fare né fanno: dare ordine e forma a ciò che già esiste, trasformandolo in un habitat. Gli animali dipendono da un habitat; gli esseri umani dipendono dalla loro capacità di crearne uno. n potere e la responsabilità connessi a questa capacità sono interpretati dal salmo come poteri e doveri di una reggenza conferita al genere umano nel mondo. n salmo invita a considerare tutta l'opera civilizzatrice della spe­ cie umana un onore e una gloria conferitile da Dio e, quindi, a vedervi una ragione e un tema per la lode di Dio. c. Nel pensiero dell'epoca del salmo, la regalità aveva una dimensione ideale e normativa. n dominio comportava una linea di responsabilità: la gloria apparteneva al sovrano, ma il potere doveva essere esercitato a be­ neficio dei sudditi45• Nel salmo, inoltre, il dominio dell'uomo è sia analogo sia subordinato al dominio del creatore. Gli esseri umani devono usare il loro potere sulle creature in modo da servire agli scopi e all'opera del loro sovrano. La legittimità di tale potere umano dipende da quella corrispon­ denza e da quella subordinazione. Nella visione del salmo, la civilizzazione deve essere un vasto progetto di servizio. d. ll salmo non si sofferma sul se e sul come l'uomo abbia eseguito il compito affidatogli. Come il salmo sul re unto, così il nostro salmo focaliz­ za solo la carica in questione, lasciando fuori campo le caratteristiche di chi la occupa. Il salmo canta la lode di Dio dal punto di vista primordiale dello scopo originario di Dio, proprio come Gen. l e 2. Ciò conferisce al salmo una

45

86

Cfr. in particolare il commento al Sal. 72.

Salmi 9 e 10: Non permettere che i mortali trionfino! dimensione protologica e, quindi, un potenziale escatologico. La sua visio­ ne della dignità regale della razza umana è totalmente teocentrica, ma nella sua storia l'umanità ha espletato il suo mandato regale con una mentalità

antropocentrica. n dominio è stato trasformato in dominazione, il governo è degenerato in rovinoso sfruttamento, la subordinazione agli scopi di Dio

è diventata un assoggettamento alla peccaminosità umana. Le creature sof­ frono. Quanti leggono e cantano questo salmo devono ricordare che nella Bibbia questa parola sulla loro vocazione di esseri umani è accompagna­ ta da ben altre parole circa la loro natura e la loro reale opera. Essi devono condividere la meraviglia e l'esuberanza del salmo davanti alla maestà di Dio, ma devono anche conoscere il timore e tremore davanti alla differenza abissale tra quella visione dell'umanità e la realtà della civiltà umana46• 5. Nel Nuovo Testamento la comprensione dell'essere umano è cristo­ centrica. La sua concezione è plasmata dal fatto che Gesù Cristo, il nuovo Adamo che si è identificato con la razza umana e la rappresenta nella pro­ pria persona, è risorto dai morti ascendendo, esaltato, alla gloria e all'onore.

TI Sal. 8 venne interpretato alla luce di Cristo. Il potenziale escatologico del salmo trovò così espressione chiara e piena. L'interrogativo circa il rapporto tra la funzione del re unto e il dominio regale della razza umana ricevette qui una risposta:

«Al presente non vediamo ancora che tutte le cose gli [

=

all'uomo] siano sottoposte», scrive la Lettera agli Ebrei, «però [ . . . ] vediamo Gesù» (Ebr.

2,5-9). È

mediante il regno di Dio in Cristo e mediante Cristo

che, alla fine, tutte le cose saranno rese soggette alla sovranità di Dio.

Me­

diante Cristo si è compiuto il perfetto adeguamento del dominio umano alla volontà di Dio47• Così i cristiani, quando lodano il Signore con questo inno, lo faranno in pentimento e speranza, ricordando che «la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio» (Rom.

8,19).

Salmi 9 e 10: Non permettere che i mortali trionfino! TI Sal. 9 e il Sal. 10 sono, insieme, un canto del popolo di Dio che vive in mezzo alle afflizioni della storia, continuando a credere nel regno di Dio. Sebbene

il canto sia diviso in due parti nei manoscritti ebraici e nella mag­

gior parte delle traduzioni moderne, nella versione greca dei LXX e nelle tra-

46 Per una disamina esauriente del dominio umano sul mondo animale e una rifles­ sione sui problemi connessi, cfr. K. BARTII, m; 4, pp. 348-356. [Cfr. anche le pagine che Frank CRUSEMANN, La torà. Teologia e storia sociale della legge nell'Antico Testamento, Bre­ scia, Paideia, 2008, dedica a Desacralizzazione e certezza del diritto. Protezione della natura e degli animali (pp. 324-330).] 47 Cfr. I Cor. 15,20-28; Ef. 1,16-23.

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Salmi l 41 -

duzioni che ne dipendono esso appare come un unico sahno48• Gli elementi che uniscono le due parti dell'unico canto sono numerosi: unite, esse forma­ no un sahno acrostico49 e ogni secondo verso inizia con una lettera dell'al­ fabeto ebraico, seguendone l'ordine tradizionale50. Sebbene lo schema alfa­ betico sia interrotto a metà alfabeto, quando vengono saltate alcune lettere, è comunque palese, come risulta dalla maggior parte dei versi, che si tratti

di una composizione acrostica.

Inoltre ci sono motivi ed espressioni comuni

alle due parti e uno schema compositivo studiato per il loro insieme. 1.

Genere e collocazione. n carme lascia alquanto perplessi quando ci si

avvicina a esso aspettandoci di leggere uno dei soliti salmi classici. Esso appare, invece,

una

successione di versi quasi senza costrutto, con temi e

funzioni che si alternano secondo uno schema arbitrario, condizionato for­ se dalla logica esterna della struttura fissa dell'alfabeto. È così che alcuni lo

hanno giudicato, ma l'autore aveva invece un suo progetto preciso per l'in­ tera composizione e un'organizzazione della materia studiata per realizza­

re lo scopo che si era prefisso. Egli ha usato i modelli letterari e il linguag­ gio delle preghiere individuali

di

soccorso, del canto

di

ringraziamento e

inoltre, sia pure in maniera ridotta, anche quelli dell'inno di lode. La chiave principale per capire il disegno compositivo è riconoscere che l'autore usa una figura retorica di pensiero, la prosopopea: la comunità viene personifi­ cata e rivestita del ruolo degli «umili, miseri o modesti»

( 'am)51• n ruolo del

nemico empio è assegnato, invece, alle nazioni. Un confronto con i modelli letterari, la tematica e i ruoli in una preghiera individuale di soccorso come Sal.

7 aiuterà a vedere che cosa stia succedendo qui nei Sal. 9 - 10:

si tratta

di una drammatizzazione liturgica. La situazione che la composizione ris­ pecchia è quella della comunità postesilica dei fedeli la cui vita è oppressa e minacciata dalle condizioni e dagli avvenimenti provocati dalla serie di popoli che l'hanno dominata. Lo schema acrostico viene usato, come sem­ bra esserlo tutte le volte che appare nel Salterio, quale espediente per sin­ tetizzare e facilitare la comprensione. 2.

Struttura e linguaggio. n Sal. 9 si apre con il linguaggio tipico del can­

to di ringraziamento e con la formula di ringraziamento per la liberazione (cfr. Sal.

138,1). n

cantore porta, quale offerta, la celebrazione delle opere

meravigliose del Signore: non di un atto soltanto, quindi, ma di tutti

(9,1-

48 Così nella Vulgata, nella quale, come nella LXX, la numerazione non coincide con quella delle traduzioni moderne della Bibbia, essendo scalata di un numero (Sal . 10 Vulgata Sal. 11 nelle nostre Bibbie, e così via). La B.Ger. segue la LXX e la Vulgata nel­ l'unire i due salmi [N.d.C]. 49 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.6.2. 50 Va ricordato che, come le altre lingue semitiche, anche l'ebraico ha un alfabeto esclusivamente consonantico (cioè senza vocali), con 22 lettere [N.d.C.]. 5 1 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 6.18 e n. 8. La NRSV traduce qui >: guardano solo «alle brame del proprio cuore>> e sono zelanti solo per ciò che conviene loro

(10,3). In secondo luogo, quando perseguono il proprio (10,5-

obiettivo, sono possedute da un senso di successo e di invulnerabilità

6) . In terzo luogo, quando le nazioni portano avanti la loro visione del pro� prio destino manifesto, esse si comportano da oppressori con nazioni più povere e con i deboli in seno alla loro propria popolazione

(10,2.7-10).

In

quarto luogo, in tutto ciò che fanno, esse sono secolari in massimo grado: non pensano minimamente di dover rendere conto a Dio del loro operato

(9,17; 10,3-4.11.13). Gli unici giudizi dei quali si occupano sono i giudizi ri­ solti con l'attuazione della propria politica. In quinto luogo, le nazioni so­ no soltanto : per due volte, in punti nevralgici della preghiera, il salrnista usa per le nazioni un termine che connota la mortalità, fallibilità e fragilità dell'essere umano

('enosh: 9,19-20; 10,18). In quanto 'enosh, le na­

zioni sono «della terra>>, creature, parte della creazione, totalmente umane, sotto nessun punto di vista divine. Come gli uomini, le nazioni passano e sono dimenticate (9 ,5-6). Ecco che cosa esse non sanno, così procedono tron­ fie sulla terra come se possedessero quella stabilità che appartiene soltanto al regno del Signore

(10,5-6; 10,16).

Israele aveva imparato dai profeti e dall'esperienza dell'esilio che tut­ to ciò era stato vero per esso in quanto nazione. Quando il Signore si fece conoscere nel giudizio, Israele arrivò a conoscere se stesso e a riconoscere l'empietà delle nazioni che dimenticano Dio.

91

Libro primo - Salmi l - 41 6. La supplica. In nome di se stessa in quanto umile e in nome degli umi­ li con i quali le è stato insegnato di identificarsi, la comunità pronuncia la supplica: «Ergiti, o SIGNORE!» (9,19-20; 10,12). Questa supplica ripete un'an­ tica formula che si usava rivolgere all'arca quando, anticamente, la si porta­ va in battaglia contro i nemici del popolo, alla testa delle truppe d'Israele. Adesso la comunità usa quell'antica formula per invocare l'intervento di Dio nel mondo. La comunità degli umili vuole che le nazioni capiscano di essere soltanto 'enosh, imparino a provare il timore del Signore. Essa vuole essere liberata dalla tirannia dell' «uomo che è fatto di terra» (10,18). Essa vuole che le nazioni scoprano che i loro schemi, le loro strategie e le loro pratiche sono autodistruttive ( 10,2; 9,15-16). Essa, con tutti gli umili e i mo­ desti, vuole vivere in un paese e in un mondo dal quale è scomparso per sempre ogni nazionalismo arrogante (9,17; 10,16). Essa vuole vivere in un mondo determinato dalla giustizia del regno di Dio: «Non lasciare che 'eno­ sh prevalga! >>, «venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà». Fa' che tutte le nazioni vivano come gli umili, in solidale identificazione con essi.

Salmo 11: Fuggire o avere fiducia? Quando i giusti sono minacciati dal potere degli empi, quale via di sal­ vezza sceglieranno: la fuga o la fede? Il Sal. 11 è un canto di fiducia che ri­ sponde a quella domanda56. La dichiarazione iniziale - «nel SIGNORE prendo rifugio» (v. la) - è il tema di tutto il salmo. Il Dio del salmista è considerato protezione e aiuto. n resto del salmo è un'esposizione particolareggiata di quella professione di fede57• l. Le circostanze nelle quali il salmo deve essere cantato sono delineate in versi tipicamente pieni di metafore e immagini (v. lb-3). Il cantore si ri­ volge a un «voi>> indefinito, a un gruppo di persone che ha valutato la situa­ zione e quello che si debba fare in tale circostanza. n testo ebraico di questi primi versetti è di interpretazione incerta: non è chiaro come si debbano leggere e fin dove arrivi la citazione del parere delle persone che consiglia­ no il salmista. Comunque sia, le traduzioni correnti (NRSV, NJV) possono essere considerate una base attendibile per l'interpretazione. Non è nean­ che essenziale perdere tempo a ipotizzare chi siano questi . Lo scopo della citazione è, in ogni caso, puramente retorico e propone una soluzione

56 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.2.1 sui canti di fiducia, e 6.17 per il tema «giusti ed empi». 57 Per la dichiarazione omologica, cfr. il commento a Sal. 7,1 .

92

Salmo 11: Fuggire o avere fiducia? che non è accettabile da quanti prendono rifugio nel Signore. Il pericolo che gli empi costituiscono per i giusti è descritto con la metafora di un arciere in agguato che, nascosto, scocca nell'oscurità le sue frecce contro i retti di cuore. Poi, cambiando immagine (mentre si continua a citare le parole dei se non «fuggire come un uccello stanato che si allontana con un disperato battito d'ali, cer­ cando rifugio nel folto di un bosco di montagna>> (v. lb)? Nel suo comples­ so, la citazione propone un'opzione di condotta in tempi di difficoltà e di anarchia: abbandonare lo spazio pubblico e desistere da un'azione sociale conforme alle regole della giustizia. 2. Il resto del salmo espone una risposta diversa alla domanda. Che cosa possono fare i giusti quando gli empi sono potenti e le basi della vita sono minate? Essi possono restare fedeli alla visione del Signore quale giudice giusto58 e rendere il Signore fondamento della loro vita. I vv. 4-7 delineano i punti principali dell'insegnamento tradizionale. a. Il Signore regna su tutti dalla dimora del suo Tempio celeste e da quella posizione trascendente scruta e valuta la condotta esteriore e i pensieri intimi di tutti gli esseri umani59. b. Il Signore è giusto. La giustizia non è semplicemente una caratteristica accidentale o esteriore o semplicemente una norma per la vita umana. La giustizia appartiene intrinsecamente alla persona stessa del Signore quale elemento essenziale dell'identità di Dio. c. Il Signore si oppone agli empi ed è dalla parte dei giusti. Tale linea di comportamento esprime l'identità stessa di Dio. In quanto linea politi­ ca del sovrano dell'universo, tale comportamento contrario agli uni e favorevole agli altri rappresenta la base assoluta per la condotta e l'esi­ to della vita60 • d. Il Signore agirà punendo l'empietà e rendendo giustizia ai giusti con il favore della sua presenza. Molti salmi pregano proprio perché tale giu-

58 Per il Signore quale giusto giudice, cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 6.7. 59 Cfr. Sal. 7,6-8.11; 9,7-8; I Tess. 2,4; Apoc. 2,23. 60 Cfr. il commento a Sal. 5,4-7.

93

Libro primo

-

Salmi l 41 -

stizia venga resa, mentre altri, come il nostro, sperano che, alla fine, la giustizia dei giusti venga dimostrata. «Carboni ardenti e zolfo» (v. 6) quali strumenti di giudizio richiamano alla memoria la storia delle città maledette di Sodoma e Gomorra (Gen. 19). Se i giusti non possono intraprendere alcuna azione che abbia una pos­ sibilità di riuscita, stante il potere e il pericolo dell'empietà, possono però rendere testimonianza al giusto giudice di tutti nelle cui mani è riposto il giudizio e l'esito di ogni vita. Questa confessione è un'azione e spesso con­ duce a un'azione che altrimenti non verrebbe mai intrapresa. L'esempio classico è offerto dal profeta Geremia61 •

Salmo 12: Non ci sono più fedeli Il Sal. 12 è una preghiera che invoca dal Signore soccorso e salvezza (v.

l) in un'epoca nella quale l'empietà trionfa nella società. Il mondo sembra

popolato soltanto da empi che sono dappertutto (v. 8). Il salmo comincia lamentando la scomparsa dei fedeli dal novero degli esseri umani (v. l) e si chiude lamentando che sulla razza umana regni incontrastata la bassezza (v. 8), due affermazioni iperboliche circa il livello morale della popolazione mondiale in generale. L'empietà prevalente nella società viene misurata con il metro del lin­ guaggio: i punti di riferimento sono labbra, lingua e cuore (vv. 2-4). Il lin­ guaggio esprime il carattere. Ipocriti, gente dal cuore doppio, mentono e in­ gannano (v. 2); gli arroganti confidano nel loro linguaggio quale strumento del proprio potere: quando parlano delle proprie opere, lo fanno imitando la lode dei grandi atti di Dio e pervertono la confessione di fede «il SIGNORE è con noi», trasformandola nel vanto del proprio eloquio: «Le nostre labbra sono con noi>> (vv. 3-4). Il discorso ingannevole e sicuro di sé è come l'an­ nuncio pubblicitario di una condotta e di una natura umana che ignorano Dio e assoggettano il prossimo alle spietate mire dell'egoismo. Quando la fedeltà svanisce e l'empietà cresce, i poveri e i bisognosi soffrono: sono ab­ bandonati senza sostegno e senza difesa (v. 5). Al v. 5 la preghiera diventa profezia e si cita un oracolo del Signore qua­ le professione di fiducia che il Signore agirà e salverà poveri e bisognosi. L'oracolo esprime la natura e la condotta del Signore con la stessa sicurez­ za con la quale i discorsi degli empi rivelano la loro natura. Il Signore è un Dio che presta ascolto al povero e al bisognoso quando essi gridano a lui: Israele lo ha imparato quando era oppresso, schiavo, in Egitto; la Legge lo

61

94

Cfr. Ger. 11,20; 12,3; 17,10; 20,12.

Salmo 13: Signore, fino a quando? ha insegnato (per esempio, Es. 22,21-24), i profeti lo hanno proclamato (per esempio, Is. 3,13-15). Il salmista contrappone quell'oracolo al linguaggio de­ gli empi: la parola del Signore è pura, cioè vera e attendibile (v. 6). Di quando in quando i profeti hanno lamentato l'empietà generale della loro società62 e Gesù si rattristava per la generazione empia e adultera nella quale era nato e operava63 . In epoche come queste i fedeli si rifugiano nel Signore con la preghiera e hanno fiducia nelle promesse del Signore. Con­ trariamente a tutto ciò che li circonda, essi rendono la preghiera e la profe­ zia il linguaggio che li identifica.

Salmo 13: Signore, fino a quando? Il Sal. 13 è la più breve di tutte le preghiere di soccorso del Salterio. No­ nostante la sua brevità, il salmo è virtualmente un paradigma degli elementi essenziali delle preghiere di questo genere64 • Hermann Gunkel lo ha definito un campionario esemplare dei lamenti di un individuo. A causa di questa sua tipicità, il Sal. 13 è stato spesso usato per illustrare gli elementi costitu­ tivi di questo genere di salmi e può anche fornire un'introduzione alle loro dimensioni teologiche fondamentali. l. «SIGNORE! » esclama la preghiera, invocando il nome del Signore. La preghiera non è una meditazione assorta o una riflessione interiore, ben­ sì un discorso diretto: il salmo parla a Dio usando il nome che Dio ha co­ municato al proprio popolo quando gli si è rivelato. Il nome conferisce la possibilità e la promessa della preghiera. La preghiera è già una risposta fondata sulla grazia della conoscenza di Dio data mediante parole e opere. Nessuna delle difficoltà della vita, e neanche l'esperienza dell'assenza di Dio, annulla il privilegio della fede di parlare direttamente a Dio con la fi­ ducia di venire ascoltati. La preghiera nasce perché Dio ha preso per primo l'iniziativa di far nascere la fede. 2. La descrizione del problema (vv. 1-2) occupa versi di lunghezza de­ crescente e intensità crescente legati tra loro dall'interrogativo martellante > (Ger. 11,20; 17,10; Sal. 7,9).]

105

Libro primo - Salmi 1 - 41 za

divina mantiene i fedeli sul sentiero della vita, essi ricevono molto più della mera continuazione dell'esistenza: essi ricevono la gioia e le delizie della presenza di Dio. Per il salmista, la vita significa la capacità di godere della presenza di Dio90•

2. Ci sono due elementi del salmo che hanno da sempre calamitato l'at­ tenzione dei lettori. Il primo è il modo in cui il Signore riempie l'orizzonte personale del salmista. Pur nella loro varietà, ognuno dei versi della pre­ ghiera non fa che modulare un unico concetto: «Per me il SIGNORE è tut­ to». Il Signore è il mio padrone, il mio Dio, il mio destino, il mio consiglie­ re, il Tu che mi sta di fronte, la mia sicurezza; tutto ciò è racchiuso nella breve confessione: «Il SIGNORE è la mia vita». Ecco perché il salmista ha la certezza della vita: è il focalizzarsi su Dio, l'assorbimento in Dio, questa identità con Dio, il Signore che è fonte di vita, che dà alla fede un appiglio sicuro sulla vita. Il secondo elemento è il modo in cui la confessione «non ho bene alcu­ no all'infuori di te» (v. 2b) riecheggia in tutto il salmo con i suoi riferimenti a «luoghi deliziosi», a «una bella eredità», a «gioie a sazietà», a «delizie in eterno». Il salmo trabocca di gioia nel Signore. Vita e gioia si tengono per mano; la vita scorre piena nella gioia. Dove la morte non è più una minac­ cia, la vita è finalmente libera di essere vissuta in completa felicità alla pre­ senza di Dio, il solo che può salvare dalla Sheol. Entrambi gli elementi vertono sul tema della vita. È quindi comprensibile che ciò che nel salmo ha attirato maggiormente l'attenzione degli interpreti sia stata la certezza categorica con la quale il salmista afferma che il Signo­ re non lo abbandonerà alla Sheol, ma gli mostrerà il sentiero della vita. Che cosa vuoi dire quell'asserzione senza riserve? Il suo significato dipende da chi recita il salmo e dalla situazione in cui ciò avviene. La si può intendere come la preghiera di un israelita che, minacciato da una morte prematura, si rifugia presso il Signore nel Tempio. Potrebbe anche essere la preghie­ ra di un Israele personificato che, finito l'esilio, ha imparato che il Signore non avrebbe abbandonato il proprio popolo alla morte (Ez. 37)91• Il salmo può essere anche letto considerandolo la preghiera generale dei fedeli che, pur senza una dottrina della risurrezione o della vita eterna per spiegare come, nondimeno confidano con una tale assoluta certezza che il Signore li custodirà da non poter immaginare un futuro diverso da una vita vissuta alla presenza di Dio. Il linguaggio del salmo fa un passo decisivo verso un rapporto ininterrotto tra il Signore e la vita92•

90 Cfr. l'analisi di tale concezione della morte nel commento al Sal. 6. 91 Si ricordi anche l'Israele personificato di Lam. 3 che proprio nel momento in cui

ha perso ogni cosa impara a dire: >. So­ stanzialmente così anche N.Riv. e B.Ger. Diversa la B.Conc.: [N.d.C. ]. 00 Un esempio classico d'incubazione è considerato spesso il sogno di Giacobbe nar­ rato in Gen. 28,10-19. Nei Mito di Aqhatu, uno dei testi di Ras Shamra, Danilu offre sacri­ fici per sette giorni e trascorre una notte nel Tempio; qui, durante l'incubazione (sonno nel Tempio) viene informato che avrà un figlio (Aqhatu) grazie all'intercessione di Baal. L'incubazione era nota anche in Grecia dove era legata particolarmente al culto di Ascle­ pio/Esculapio che operava guarigioni miracolose in questa maniera [N.d.C.]. 97

108

Salmo 18: Tu mi hai fatto capo delle nazioni quanto il salmo è una lode del Dio che agisce e opera. Nel salmo, l'azione di Dio non è una nozione astratta: il Signore agisce specificamente in favore del suo re unto che è minacciato dalla morte e dai nemici; egli agisce libe­ rando e salvando, cioè con un intervento efficace che è, allo stesso tempo, la dimostrazione che il Signore è veramente il Dio della storia (vv. 50.3031). L'azione di Dio è ciò che il Signore fa per provare la realtà del regno di Dio. n Sal. 18 è il seguito del Sal. 2, dove il Signore stabilisce il re unto qua­ le rappresentante reggente del regno di Dio e gli promette il dominio sulle nazioni. n Sal. 18 è la testimonianza resa dal re unto che il Signore ha man­ tenuto la sua promessa nel momento del più tremendo pericolo. Anche i Sal. 20 e 21 testimoniano il sostegno dato da Dio al re. La struttura base del salmo è composta dagli elementi di un canto di lode per la liberazione avvenuta101• Dopo la lode introduttiva (vv. 1-3), il salmo racconta una situazione difficile del passato (vv. 4-5) per la quale si invocò il Signore (v. 6) che rispose liberando (vv. 16-19). n salmo loda il Signore per quella salvezza (vv. 31-42). Questa struttura primaria è stata poi rielaborata con altri elementi, tanto da rendere il Sal. 18 uno dei più lunghi di tutto il Salterio. La descrizione di una teofania drammatizza la risposta di Dio (vv. 7-15); descrizioni della giustizia del re (vv. 20-24) e della perfezione di Dio (vv. 25-30) si aggiungono alla lode e ai ringraziamenti per la salvezza, inter­ pretata qui come una vittoria che segnava l'inizio del dominio sulle nazioni (vv. 43-48). Un voto di lode al Signore tra le nazioni (vv. 49-50) conclude la lunga parte dedicata alle lodi di Dio. In questa complessità della struttura e della tematica si deve probabilmente vedere il risultato di diverse fasi di elaborazione subite dal salmo nella sua forma attuale. La natura imponente del salmo indica l'importanza del suo argomento: la salvezza divina della dinastia davidica quale dimostrazione della realtà del regno di Dio era un tema cruciale per la fede dei salmisti. Per l'interpretazione è importante in­ dividuare la funzione e il nesso delle molte parti che costituiscono la com­ posizione nella sua attuale interezza.

1. La lode introduttiva (vv. 1-3). Il primo verso dichiara tema e scopo di tutta la composizione con un'apostrofe diretta: «Io ti esalto, o SIGNORE, mia forza»102• Chiamare il Signore «mia forza» anticipa i vv. 31-42 dove il Messia attribuisce il proprio valore in battaglia alla preparazione divina e alle virtù di cui Dio l'ha dotato (cfr. «forza» ai vv. 32 e 39). Il v. 2 espande la frase «mia forza» formulando una lode omologica con l'elenco di predicati divini più lungo di tutto il Salterio. Tali predicati sono formati, per la maggior parte, da metafore che vertono sul Signore quale elargitore di protezione e sono tutti caratterizzati dall'aggettivo possessivo «mio», in modo tale che la lo-

101

Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.3. Traducendo con una emendazione probabile del verbo ebraico. [VRL e N.Riv., B.Conc. e B.Ger. leggono invece tutte, con la Vulgata, .] 102

109

Libro primo - Salmi l - 41 ro ripetizione mette in risalto la dipendenza della persona del salmista dal­ la persona di Dio. La metafora «mia roccia» (che rende due diversi termini ebraici) è la più frequente che si incontra nei salmi e in altre composizioni poetiche. n senso metaforico sembra dovuto alla natura salda e forte del­ la roccia quale sostegno. Come si evince da alcuni passi del Deuteronomio (32,4.30-31 .37), si definisce «roccia» una divinità che fornisce rifugio a quanti le appartengono103 • n v. 3 espone la situazione umana nella quale viene pro­ nunciata la confessione di fiducia, l'appello lanciato al Signore nell'ora del pericolo perché salvi dai nemici. Nel salmo, il nemico non ha una precisa identità storica o sociale: ciò che importa è che si tratta di forze che minac­ ciano l'esistenza di chi, nel salmo, chiama il Signore . Così VRL e N.Riv. (v. 2) hanno una tautologia (« . . . mia rocca . . . mia fortezza . . . mia rupe>>), mentre la Vulgata (Sal. 1 7,2) interpreta («firma­ mentum meum . . . refugium meum . . . meus adiutor>>) e la traduzione pacelliana, più ligia al testo ebraico, legge: «Domine, petra mea, arx mea . . . rupes mea>>. Traducendo con «rocca(forte)>>, soprattutto nel Cantico di Mosè, si accentua l'aspetto della protezione a spese dei concetti di solidità, stabilità, fermezza, costanza che nell'Antico Testamento sono una caratteristica importante del Signore, più antica e meno aleatoria dell'idea di «fortezza>> [N.d.C.). 104 Vedi il commento a Sal. 116,3; cfr. Giona 2,6-7. 105 Vedi il commento al Sal. 93. 106 Cfr. O. l>, e la presenza di questo modello letterario nel nostro salmo sottolinea che l'individuo che lo recita porta nella sua esistenza e nel suo destino la rivendicazione della sovranità di Dio nella storia. 3. La lode del Signore (vv. 20-30). n racconto dell'avvenuta salvezza è se­ guito, com'è usuale, dalla lode del Signore. La lode trae le conseguenze dall'esperienza e rende testimonianza a ciò che questa rivela circa il Signo­ re. È quanto avviene in questo brano, ma in maniera alquanto strana: il re inizia affermando che la salvezza è stata la ricompensa per la sua giustizia. Tale affermazione, però, va letta alla luce del versetto precedente: «Mi li­ berò perché mi gradisce» (v. 19) 108 • I vv. 20-24 sono un'esposizione di quel­ l'affermazione, una pericope contraddistinta dal tema: «Il SIGNORE mi ha ricompensato [v. 24: «pagato»] secondo la mia giustizia>> (vv. 20.24). La li­ berazione divina è stata una prova del favore di Dio, del suo gradimento del re. Ciò che il re afferma non è né un vanto né la tronfia rivendicazione di una propria giustizia: è, invece, la confessione di essere stato fedele alla giustizia nella quale lo aveva posto l'elezione divina che lo aveva chiama­ to al trono. Il re non aveva creato quella giustizia, ma era vissuto in essa e secondo essa. Egli ha tenuto fede alla vocazione a re, al compito di incar­ nare la Legge del re divino. Tale ideale è particolarmente importante nella tradizione deuteronomica 109 • Nella successiva pericope di lode, il re testimonia la verità teologica ge­ nerale, della quale la propria salvezza non era stata che un esempio (vv. 25-

107 Cfr. Sal. 29; 50,2-3; 68,7-8; 77,16-20; 97,2-5; 144,5-8. 1 08 Cfr. anche Sal. 22,8; 47,11-12. 109 Cfr. Gios. 1,7; 23,6; Deut. 17,19-20.

111

Libro p rimo - Salmi l 41 -

27), e confessa che cosa essa significhi per la propria vocazione (vv. 28-29). L'esclamazione conclusiva (v. 30) formula il tema di tutta la sezione: «Que­ sto Dio - la sua via è perfetta»110• n termine «perfetto» (ebraico: tamim) si­ gnifica «intero, integro, tutto d'un pezzo>>. Chi è tamim ha una condotta li­ neare, coerente, costante, affidabile. Dio è perfetto perché ciò che Dio dice è confermato da ciò che fa: è lo scudo di quanti si rifugiano in lui, che gli sono fedeli e ne fanno la volontà111• La perfezione del Signore risulta dal comportamento che ha verso gli esseri umani, comportamento coerente al­ la propria rivelazione di sé. n Signore è leale con il leale, libera gli umili e miseri ('ani) che hanno fiducia in lui; per contro, annienta i perversi e abbat­ te i superbi. n Signore è luce e forza del re che è, a sua volta, tamim («inte­ gro, puro>>, vv 23.25), ubbidiente e fiducioso. È importante capire che nella teologia di questa lode ponderata l'obbedienza e la fiducia non sono due momenti separati, ma vengono concepite come una cosa sola, un aspetto unico della condotta umana nei confronti di Dio. L'obbedienza è fiducia e la fiducia è obbedienza: entrambe una sola medesima cosa, nella leale fe­ deltà al Signore. .

4. La vittoria del Messia (vv. 31-50). La seconda parte del salmo è compo­ sta sul modello dei canti di vittoria che lodano il Signore perché guida il re di trionfo in trionfo (v. 50). Essa inizia con un'esclamazione che esalta il Si­ gnore, divinità salvatrice senza pari (v. 31). Continua poi confessando che il Signore ha dotato il re di valore guerriero e gli ha dato il proprio sostegno (vv 32-36), consentendogli così di sbaragliare i nemici in battaglia (vv 3742). Le vittorie del re hanno sparso il terrore nei suoi confronti tra le nazioni, inducendole a sottomettersi a lui (vv 43-45). Così il re loda il Signore, il Dio vivente che fa tutte queste cose (vv. 46-48), e fa voto di esaltare il Signore tra le nazioni (vv 49-50). Il canto ha alla base una teologia del «Messia vit­ torioso» che comporta i seguenti elementi concomitanti. a. La forza, grazie alla quale il Messia ottiene la vittoria, proviene da Dio. Per due volte egli ripete che Dio lo ha «recinto di forza>> (vv. 32.39). Il Dio la cui via è perfetta (v. 30) ha reso perfetta la via del Messia: il che significa che Dio, la cui condotta corrisponde alla sua natura, ha reso il re messiani­ co capace di agire in urta maniera che corrisponde alla sua vocazione. Un re deve vincere la battaglia. Soccombere al nemico comporta la dissoluzio­ ne del suo regno. b. Nell'Antico Testamet;tto è del tutto insolito presentare il re, e non Dio, come colui che affronta i n"mici. Il re insegue i nemici, impotenti a resister­ gli, e li sgomina definitivam�nte. Essi sono terrorizzati e si arrendono al solo sentime il nome. Non si parla di un esercito, ma solo del re: soltanto la sua .

.

.

.

110 La medesima sentenza teologica è il tema del grande Cantico di Mosè che con­ clude il Deuteronomio; cfr. Deut. 32�4 . 111 Cfr. Prov. 30,5.

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Salmo 18: Tu mi hai fatto capo delle nazioni figura di prode guerriero dotato di valore divino è messa perfettamente a fuoco (vv. 37-38.42.44-45). È in queste inquadrature che la figura del re sem­ bra tanto bellicosa ed esagerata. Tale raffigurazione, però, è usuale nell'ico­ nografia regale e nell'epigrafia delle monarchie dell'epoca, particolarmente nell'iconografia egiziana112• Subordinando tutta la scena alla sola figura del re in primo piano, l'artista esprimeva la credenza comune che nella persona del re fosse concentrato un potere invincibile. L'uso di questo tipo di raffi­ gurazione nell'autoritratto del re davidico serve ad accentuare il ruolo del Messia eletto nella guerra tra il regno del Signore e i regni del mondo. Que­ sto accorgimento tecnico evita che la figura del Messia sia completamente oscurata dall'azione di Dio; esso rispecchia altresì il fatto storico che nel­ l'Israele antico la monarchia sorse in un'epoca di crisi dovuta agli attacchi di altre nazioni (Giudici, I Samuele). c. La vittoria del re sui nemici lo rende «capo delle nazioni». Gli effetti del­ la vittoria vanno oltre i suoi nemici ed estendono il suo dominio su popoli sconosciuti e stranieri che si sottomettono a lui per il solo fatto di aver sen­ tito parlare di lui (vv. 43-45). Nell'antico Vicino Oriente l'egemonia ideale di un re andava oltre i limiti della sfera di potere della divinità della quale il re era il reggente e rappresentante. Conformemente a tale concezione diffusa in quei tempi e luoghi, e anche con un non celato intento polemico, il salmo ve­ de nella vittoria del re davidico la manifestazione della sovranità del Signore sulle nazioni. La vittoria del Messia è considerata l'avvento del regno di Dio nel mondo. In effetti, il distico iniziale del canto di vittoria imposta il tema ri­ vendicando la divinità esclusiva del Signore, perché il Dio d'Israele è lui solo la Roccia, l'unico Dio che salva il suo popolo e il suo re. È la stessa rivendi­ cazione che il grande profeta esilico usa quale argomento teologico principe per affermare la sovranità esclusiva del Dio d'Israele nella storia113.

5. È impossibile trovare una collocazione storica definitiva del nostro sal­ mo, una qualche vittoria ottenuta da un re di Giuda che potrebbe giustificar­ ne il linguaggio. Questo salmo, in realtà, non parla solo di una data vittoria: esso racconta un trionfo supremo con il quale colui che è stato scelto e pre­ parato per essere il paladino del Signore sconfigge i suoi nemici in maniera talmente decisiva che le nazioni lo riconoscono proprio capo, ponendo così fine al caos della storia (cfr. Sal. 2,1-3). Come gli altri salmi che parlano del­ l'Unto di Dio, anche il nostro parla in termini di ideale e di realtà ultima114 . Se il salmo è stato usato, nella sua forma attuale o in quella precedente, per lodare Dio in occasione di qualche battaglia vinta, allora esso considerava quelle occasioni particolari anticipazioni provvisorie di una consumazione trascendente e assoluta. Esso rendeva rilevanti quei trionfi limitati ed effi­ meri a motivo di ciò che essi rappresentavano e anticipavano. 112 Cfr. O. KEEL, op. cit., pp. 291-308. Cfr. Is. 44,8; 45,21. 114 Si noti, però, l'eccezione angosciosa

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del Sal. 89.

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Questo carattere «mitico» del salmo lo rende intrinsecamente profetico: finita la monarchia e sparito da Giuda ogni re, il salmo sarebbe stato letto quale profezia di una vittoria a venire. Il riferimento conclusivo a «Davide e la sua discendenza in eterno» (v. 50) venne a significare che la promes­ sa di un regno eterno fatta da Dio a Davide era parte della proiezione del salmo verso il futuro. Il profeta dell'esilio annunciava che le promesse di­ vine fatte a Davide erano state trasferite alla comunità dei credenti e si ha l'impressione che il Deutero-Isaia abbia citato il v. 43 del nostro salmo115. Il Sal. 149 si basa sul convincimento che il compito di essere lo strumen­ to di Dio per sconfiggere l'ostilità delle nazioni appartenga ora all'intero popolo di Dio116• 6. Nell'Antico Testamento questo canto di lode per la liberazione e la vit­ toria ha una diversa collocazione. Una versione lievemente diversa appare nella storia di Davide, in un cantico che il re rivolse al Signore verso la fine della sua vita (II Sam. 22). In questa collocazione il canto di ringraziamento per una sola liberazione diventa un'interpretazione teologica di tutte le vol­ te che Davide scampò ai nemici e di tutte le battaglie che combatté. La na­ tura trascendente del cantico è evidenziata dal contesto narrativo. Ci fu un giorno, racconta l'introduzione narrativa al cantico di azioni di grazie, nel quale il Signore aveva liberato Davide dalla mano di tutti i suoi nemici. La liberazione da tutti i nemici è una speranza escatologica del popolo di Dio. Questa speranza si realizzò un giorno nella vita di Davide. Il cantico legge la ripetuta esperienza di liberazione vissuta da Davide quale paradigma e tipo di ciò che mediante il seme di Davide Dio compirà un giorno per tutti i servi del Signore. Prescindendo dai termini tipici «per il direttore del coro, di Davide, il servo del SIGNORE», la soprascritta del Sal. 18 era stata composta per inserire il canto in II Samuele. Da un lato essa è un'introduzione narra­ tiva similare a quelle di Deut. 31,30; Es. 15,1 e Num. 21,27, dall'altro ha una forma diversa dai riferimenti narrativi che si leggono nelle soprascritte di altri undici salmi. Mentre queste ultime usano episodi della vita di Davide per illustrare l'ambientazione dei rispettivi salmi, la soprascritta del Sal. 18 usa le imprese compiute da Davide quali tipo e segno della consumazione della quale il salmo parla117. Nell'interpretazione cristiana tradizionale del Sal. 18, Davide è conside­ rato un tipo di Cristo. Il salmo è la voce di una persona che si trova nelle mani della morte e grida a Dio, che lo libera. Liberandolo, Dio dimostra la sua propria giustizia e rivela la perfezione del proprio comportamento. La liberazione è una vittoria che rende la persona liberata re e Signore di tutte le nazioni. I cristiani hanno visto la realizzazione di questo scenario nella

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Cfr. ls. 55,3-5. Per tale aspetto, cfr. il commento al Sal. 2, vedi sopra, pp. 64 ss. 117 Per le soprascritte dei salmi, cfr. il Sal. 3, vedi sopra, pp. 70 s. 116

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Salmo 19: La meditazione del mio cuore morte, risurrezione e ascensione di Gesù Cristo. Il linguaggio militare del salmo diventa un mezzo per testimoniare il Christus Vietar, trionfatore su morte, peccato e Satana. In Cristo, discendente di Davide, si compie il trion­ fo decisivo della salvezza.

Salmo 19: La meditazione del mio cuore «SIGNORE, mia roccia e mio redentore» sono le ultime parole del Sal. 19. Lungo la via che lo porterà a quella conclusione omologica, il salmo parla della testimonianza che la creazione rende al creatore (vv. 1-6), dell'incom­ parabile valore della Legge del Signore (vv 7-10) e del bisogno umano del perdono e della protezione di Dio (vv. 11-13). Per comprendere la devozione e la fiducia espresse nella confessione conclusiva è necessario che il lettore mediti su tutte e tre quelle tappe del percorso del salmo, e renda tutte e tre le riflessioni parole del suo cuore. Il salmo è spesso usato come due testi di­ stinti, uno per la liturgia (v. 1-6) e uno per gli inni (vv 7-14). Alcuni studiosi hanno espresso dubbi circa l'unità letteraria del salmo, ma sebbene le tre fasi suddette siano alquanto diverse tra di loro per tema e stile, pure esse sono unite nell'intenzione dell'autore che voleva comporre un salmo che risul­ tasse un'offerta accettabile per la «mia roccia e mio redentore». .

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l. È abbastanza semplice riassumere la prima parte del salmo: il mondo testimonia di Dio, la creazione manifesta la gloria del suo creatore. Tutta­ via, l'autore è un poeta che non si occupa di proposizioni enunciative, pre­ ferendo offrire la visione di una personificazione poetica fantasiosa basata sulla nozione, non insolita nel pensiero biblico, che ogni cosa creata abbia la capacità delle creature di riconoscere il proprio creatore. Tale nozione è esplicita, per esempio, nel racconto della creazione tramandato nella Ge­ nesi, quando tutte le cose sono ordinate dalla parola di Dio, oppure nelle profezie del Deutero-Isaia (Is. 40 - 55). I cieli, dice il salmo, fanno ciò che fa la comunità con i suoi inni di lode: la comunità enumera le potenti opere di Dio e le proclama gloria di Dio (vedi Sal. 29); i cieli fanno la medesima co­ sa, poiché sono opera della mano di Dio: nella loro meravigliosa bellezza e vastità, essi sono la lode di Dio. Giorno e notte sono creazione di Dio (Gen. 1): il giorno parla al giorno, la notte comunica conoscenza alla notte; tutto avviene in una riecheggiante antifona corale. Non si ode nulla : né frasi né parole né voci, eppure la loro voce riempie tutto il mondo intero. Tutto è quanto mai misterioso e meraviglioso. Il visibile diventa vocale, vedere si­ gnifica udire. L'immaginazione viene a trovarsi in mezzo a un concerto in­ finito cantato dall'universo alla gloria di Dio. Il sole è un esempio di questa gloria: Dio ha posto il sole sotto la volta del cielo; esso sorge come uno sposo dal talamo nuziale la prima notte di

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nozze e segue il proprio percorso attraverso il cielo come un atleta che cor­ re con gioia la sua corsa. n suo calore raggiunge ogni cosa che è nel mondo, risvegliando, suscitando e sostenendo la vita. A questo punto del salmo si presentano un pericolo e un interrogativo. Il pericolo è che il poeta venga frainteso e la gloria venga scambiata per Dio stesso, che il mondo venga considerato divino. La coscienza estetica e la devozione per la natura vogliono fermarsi a questo punto e riconoscere Dio nella natura. Nel salmo, però, non c'è traccia alcuna di panteismo, non c'è alcuna religione della natura. Alcuni indizi suggeriscono che il poeta abbia conosciuto e utilizzato tradizioni poetiche e innologiche di altre reli­ gioni del Vicino Oriente che celebravano il dio sole. Ma il nostro poeta tie­ ne creatore e creature ben distinti: la creazione viene trasferita dalla sponda del divino a quella della comunità; non è divina, ma loda ciò che è divino. Il salmo è un testimone che confuta chi pratica il culto della natura e chi trova Dio nella natura. n problema che i teologi solitamente sollevano studiando questo salmo è se esso parli davvero di «rivelazione naturale». Questa voce dell'universo che può essere vista, ma non udita, è visibile a tutti? Tutti possono sentire, e sentono effettivamente tutti, la musica delle sfere celesti che lodano Dio? Si deve sapere che esiste un creatore prima di cogliere la lode di Dio nel crea­ to? L'apostolo Paolo ha scritto: «Infatti le sue [= di Dio] qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo» (Rom. 1,20). L'inno di Joseph Addison ispirato al Sal. 19 dice che, sebbene le sfere radiose del cielo non abbiano voce, «all 'orecchio della ragio­ ne esse tutte gioiscono ed emettono una voce gloriosa, cantando in perpetuo, mentre risplendono: La mano che ci ha fatte è divina». n salmo non risponde esplicitamente a tale interrogativo. Forse c'è un indizio nel nome ebraico El usato per indicare Dio al v. 1: il termine 'el denota Dio quale padre e creato­ re di ogni cosa. È sotto quell'aspetto di «eterna potenza e divinità», per dirla con Paolo, che l'Essere lodato dalla creazione può essere conosciuto. Ciò che invece il salmo fa effettivamente è far seguire a questa prima fase la seconda, invitando quindi il lettore a pensare le due parti insieme. E i col­ legamenti tra esse non mancano certo. n creatore dell'universo è il Signore che dà la torah: dietro alla Legge c'è l'autorità del creatore (Sal. 93,5). L'in­ segnamento dato al popolo del Signore insieme con il patto viene collocato in un contesto universale: riguarda tutti e ciascuno. Proprio come il calore del sole giova a ogni vita, così la torah dona e arricchisce la vita. I cieli non hanno voce, ma la torah del Signore è parola multiforme. La creazione non «parla, ma il SIGNORE ha parlato nella torah118• 2. La seconda parte del salmo è un passo poetico, composto con grande maestria, che esalta le virtù, i benefici e la desiderabilità della torah del Si-

118 Per altri esempi della sequenza creazione-Legge, cfr. Sal. 119,89-96 e 147,15-20.

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Salmo 19: La meditazione del mio cuore gnore119• Qui si apprende perché il Sal. 1 parli del «diletto nella torah» (v. 2). In questa sezione ci sono sei versetti simili con una struttura analoga: una proposizione il cui soggetto è un sinonimo di torah e il cui predicato nomi­ na una qualità della torah; la principale è seguita da una breve coordinata che aggiunge un beneficio o un'altra qualità del soggetto della principale. La sezione è completata da due proposizioni comparative che lodano la de­ siderabilità della torah stimandola superiore a quella della ricchezza o dei cibi più delicati. Lo stile di questa seconda parte somiglia a quello poeti­ co dei Proverbi quando lodano ed esaltano la Sapienza che comincia con il timore del Signore120. La base teologica di questa descrizione della torah è l'identificazione del patto del Sinai e del suo insegnamento con la Sapien­ za, mediante la quale Israele deve vivere e trovare la vita121• I termini usa­ ti come sinonimi di torah formano un elenco piuttosto vario che menziona elementi che il poeta considerava il tramite dell'insegnamento del Signore. Quattro dei sei termini sono al singolare, gli altri due al plurale, il che sug­ gerisce che per il salmista la torah è un'entità comprensiva, presente anche in precetti particolari e in norme legali. Nel loro complesso, i predicati so­ no quelli usati per indicare le qualità di ciò che è giusto, giusto in rapporto al Signore. Si noti come il v. 9 si concluda con questa affermazione: «Tutti quanti sono giusti». La giustizia è insita nella torah e la giustizia delle per­ sone dipende da essa. Le prime quattro proposizioni coordinate elencano i benefici della torah: essa conferisce vita, sapienza e gioia. Non è certamente esagerato dire che il salmo considera la torah del Si­ gnore una rivelazione mediante la quale il Signore ravviva, arricchisce e guida la vita umana; è il tramite divino della giustizia per gli esseri uma­ ni. Chiaramente, il poeta non pensa che la torah sia la lettera che uccide (II Cor. 3,6) o la Legge che condanna (Rom. 3,19 s.). Per Calvino «questi titoli ed elogi con i quali [il salmista] esalta la dignità e l'eccellenza della Legge non andrebbero d'accordo con i Dieci comandamenti da soli» e conclude che il salmo parla «dell'intero corpo dottrinale che forma la vera religione e la vera pietà»122• Nella storia dell'interpretazione cristiana si è costante­ mente ritenuto che il salmo si riferisse al contenuto e alla funzione dell'in­ tera Scrittura. E qui sorge un altro interrogativo: la giustizia può venire me­ diante la sola torah anche se il termine si riferisce all'intero insegnamento della Scrittura? Per vagliare tale interrogativo è necessario leggere la terza parte del salmo. 3. La terza parte del salmo è una preghiera di soccorso rivolta a Dio. Nella preghiera, il salmista riconosce di non poter essere giusto mediante 119 Di solito si traduce torah con > per la fine e lo completa con un'invocazione omologica 126. Grazie al movimento progressivo e all'unità del salmo, quanti lo leggono e cantano imparano che è solo mediante la salvezza di Dio che sono possibili la gioia nel creato e l'osservanza della torah. 4. Con una rara identificazione il compositore dice che cosa sia questo salmo e a che cosa serva (v. 14): il salmista lo definisce «parole della mia bocca e meditazione del mio cuore>>; esso è stato composto per essere reci­ tato ad alta voce in un atto di culto. Le parole esprimono la meditazione del cuore, la riflessione della sede della coscienza nella quale nascono i pensie­ ri. Mediante le parole il cuore acquista la voce e l'io viene offerto a Dio. La preghiera ha lo stesso scopo di un sacrificio: vuole «essere gradito, benac­ cetto>>, secondo l'espressione tecnica per indicare il sacrificio idoneo a essere immolato a Dio nel Tempio. Nel culto del Tempio, i sacrifici erano offerti per cercare il perdono di Dio e restaurare il rapporto con luP 27• Nell'intenzione del salmista, questa preghiera poetica è un sacrificio di questo tipo.

1 23 Cfr. Ez. 3,15-21; 33,1-9. 124 Vedi Lev. 4 - 5; Num. 15. 125 ll linguaggio del v. 13 riecheggia quello di Gen. 4,7. 1 26 Per i termini usati, cfr. Sal. 18,1-2. 1 27 Cfr. Lev. 4 - 5; Num. 15,22-31 .

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Salmo 20: Signore, salva il re!

Salmo 20: Signore, salva il re! La pratica di pregare per sovrani, presidenti e governatori è una tradizio­ ne antica e duratura. Questo tipo di preghiere esprime la profonda consa­ pevolezza di un popolo che il suo destino è legato al successo di chi è stato investito del potere per il bene dell'intera collettività. Il Sal. 20 è una pre­ ghiera di questo genere e si conclude con la supplica «O SIGNORE, salva il re!» (v. 9) 1 28• Come i Sal. 18 e 21, anche il nostro fu composto per le cerimo­ nie e le funzioni religiose riguardanti la carica del re quale capo dell'eserci­ to e difensore della nazione129• l. Il tema generale del salmo è dichiarato già nel primo emistichio: «Che il SIGNORE ti risponda» ed è ripetuto nell'ultimo emistichio del salmo: «Che il SIGNORE ci risponda>> (v. 9b). La prima parte del salmo è una lunga sup­ plica nella quale la comunità esprime il desiderio che le preghiere del re, recitate nel Tempio di Sion e accompagnate da sacrifici, siano esaudite (vv. 1-5). Poi un rappresentante della comunità proclama la fiducia che, avendo il re pregato e avendo il popolo unito le proprie preghiere alle sue, il Signore risponderà con potenti atti di salvezza, venendo in aiuto del suo unto (vv. 6-8). Il salmo si chiude con la comunità che rivolge direttamente a Dio la sua preghiera per la salvezza del re e supplica di essere ascoltata (v. 9). Il re e il popolo che chiamano il Signore «mio Dio>> hanno il diritto di invocare il Signore in tempo di pericolo e il privilegio della promessa che il Signore gli risponderà. n salmo è una liturgia nella quale il popolo sostiene le pre­ ghiere del re, aggiungendovi la propria intercessione per lui.

2. La teologia del salmo è racchiusa in nuce nel grido omologico «la sal­ vezza appartiene al SIGNORE>> (3,8). Ogni verso presuppone, esprime e con­ fessa il fermo convincimento che il Signore libererà coloro che lo invocano. Tale fiducia è espressa soprattutto ricorrendo al teologumeno del «nome del SIGNORE>> (vv. 1 .5.7) 1 30• È al «nome>> che ci si appella, è il «nome>> che si confessa e celebra, il «nome>> quale manifestazione del Dio che lo porta. Il nome non solo identifica Dio, ma ne diventa anche l'identità. li nome rac­ chiude in sé la presenza, il potere e la persona di Dio. Giacobbe defuù il Si­ gnore «il Dio che mi esaudì nell'ora dell'angoscia>> (Gen. 35,3). Quella ca­ ratteristica è la realtà presente nel nome al quale la comunità d'Israele af­ fida il re e se stessa.

128 La NRSV traduce: «da' al re la vittoria!>> [come la versione pacelliana: , di fronte alla Vulgata: ]. 129 Vedi il commento al Sal. 2. 130 Vedi il commento a Sal. 8,1.9.

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L'importanza del re nel salmo è evidente: egli è l'Unto del Signore1 3 1; è la figura centrale sulla quale si concentra l'intercessione del popolo e per le cui preghiere il popolo invoca l'esaudimento divino. È la sua salvezza dal pericolo e la sua vittoria sulla minaccia che farà gioire il popolo, coinvolto nella speranza della sua salvezza. Tuttavia, nella teologia del salmo il re non è colui che salva, bensì quello che viene salvato. La vittoria liberatrice sarà opera di Dio. Questa impostazione della preghiera era un antidoto liturgico contro la tentazione in cui cadono quei popoli che credono di poter conferire potere a una persona affinché provveda alla loro sicurezza e al loro succes­ so. Quando, spinti dalla paura dei filistei, gli israeliti insistettero per avere un re, dissero a Samuele di aver bisogno di un re per governarli, marciare alla loro testa e combattere le loro battaglie (l Sam. 8,20). Nella tradizione primaria d'Israele, però, questi erano precisamente i ruoli del Signore. Secoli più tardi, quando i babilonesi ebbero raso al suolo Gerusalemme e portato il suo re in esilio, il vate delle Lamentazioni piangeva la perdita del «soffio delle nostre narici, l'Unto del SIGNORE [ . . . ] colui del quale dicevamo: Alla sua ombra noi vivremo tra le nazioni» (Lam. 4,20). Nella teologia dei salmi, però, il Signore è la vita d'Israele ed è alla sua ombra che il popolo viveva protetto. n re non poteva essere in alcun modo, né di per sé né autonoma­ mente, base e oggetto della fiducia d'Israele: quanto accadeva in lui e me­ diante lui doveva essere la volontà e l'opera di Dio e avrebbe dovuto con­ fermare il popolo nella sua fiducia nel Signore e solo nel Signore. Un'altra espressione di questa teologia sono il rifiuto di dipendere da carri e cavalli da guerra e l'impegno dichiarato di invocare il nome del Si­ gnore. Nel mondo d'Israele, cavalli e carri da guerra erano le armi più mici­ diali della potenza militare di un re. I sovrani dell'Egitto e della Mesopota­ mia si facevano ritrarre su carri da guerra o a cavallo per esaltare la propria potenza bellica 132 . Cominciando con Davide e Salomone, i quali decisero di introdurre soldati di professione e carri da guerra, i re d'Israele e di Giuda furono tentati di prendere il destino della nazione nelle proprie mani, au­ mentando la propria potenza militare. Tuttavia, l'antica tradizione di fede d'Israele ricordava che Israele aveva conquistato il paese senza carri e senza cavalli: nel nome del Signore, Davide aveva persino ucciso Goliat con una fionda133 ! Non si può dire che la teologia fosse pacifista, ma sicuramente era antimilitarista: essa voleva esercitare un'influenza concreta sulla politi­ ca nazionale, come voleva fare Isaia, cercando di convincere il re Ezechia a dargli ascolto134• In nome di questa teologia la Legge deuteronomica pose limiti al rafforzamento dell'apparato militare (Deut. 17,16). I salmi ripetono che la fiducia nelle armi è in contraddizione con la fede nel Signore135. 131

Vedi il Sal. 2.

132 Cfr. O. KEEL, op. 133 I Sam. 17,45-47. 134

135

120

cit., pp. 237 240 -

.

Cfr. Is. 31,1-3; 30,15 s.; cfr. Zac. 4,6. Cfr. Sal. 33,16-19; 44,3.6-7; 147,10-11.

Salmo 21: Il re confida nel Signore 3. È interessante notare come con la sua interpunzione del v. 9 il Testo Masoretico abbia spostato la prospettiva del salmo facendolo diventare una preghiera puramente comunitaria. L'ebraico recita: «O SIGNORE, concedi vit­ toria! Possa il re [= Dio] risponderei quando invochiamo» (NJPS). Questa lettura mette in risalto che il vero re

è il Signore. Lo spostamento potrebbe

rappresentare un'interpretazione di tendenza democratica che rivendica per il popolo i diritti e i privilegi dell'Unto136• In quanto Scrittura, il salmo insegna alla chiesa a pregare per quelli che detengono

il potere delle loro cariche pubbliche, perché essi dipendono, n salmo mette anche in guardia dal trasforma­ re la nostra dipendenza dalla loro funzione politica in quella fiducia che è come noi tutti, dal Signore.

dovuta solo a Dio. Inoltre, esso ci avverte di non permettere che il fascino che i governanti esercitano in virtù della forza militare ci faccia sostenere politiche basate sulla fiducia nella potenza militare. In quanto liturgia, il salmo ci conduce nella strana situazione di prega­ re per la vittoria liberatrice del nostro Messia al quale

è stata già concessa,

per amor nostro, la vittoria sul peccato e la morte. Noi celebriamo il culto e preghiamo mentre la fine non è ancora giunta, fino a «quando egli conse­ gnerà il regno nelle mani di Dio Padre, dopo che avrà ridotto a nulla ogni principato, ogni potestà e ogni potenza»

(I Cor. 15,24). Per mezzo del salmo

possiamo unire le nostre preghiere alle intercessioni di Cristo per noi, spe­ rando nella consumazione di questa vittoria e anticipandola.

Salmo 21: Il re confida nel Signore Il Sal. 21

è il terzo di una serie di salmi che celebrano, in maniere diverse,

la dipendenza del re dalla forza del Signore137• Questo tema è formulato nel primo e nell'ultimo verso del salmo, formando così un'inclusione che

ab­

braccia il corpo della composizione (vv. 1 . 13). La prima parte del salmo loda

il Signore per tutti i benefici che il re trae dalla forza del Signore (vv. 1-6), e si chiude con una dichiarazione circa la base del rapporto che intercorre tra Dio e il re (v.

7). La seconda parte è diretta al re; esprime la fiducia che nella

lotta contro i nemici avrà per alleata l'ira del Signore, così che il re riuscirà sicuramente a sconfiggerli (vv. 8-12). Il salmo si chiude con la comunità che esulta cantando le lodi della forza e della potenza del Signore (v.

13).

Il salmo potrebbe essere stato composto per essere recitato nel corso del­ le cerimonie legate all'intronizzazione (vedi il v.

3) o per rituali che celebra-

1 36 Cfr. il Sal. 2, vedi sopra, pp. 64 ss. 137 Vedi i Sal. 18 e 20.

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vano e rinnovavano il regno di un re138• Come negli altri salmi, per il re lo scopo teologico del Sal. 21 è quello di subordinare il re umano a quello di­ vino. Tutto ciò che il re è, ha e fa proviene da Dio. La persona regale è causa e ragione per lodare Dio, confidare e sperare in lui. Secondo l'ideale della monarchia rispecchiato nei salmi, al re era stato concesso in misura eccezionale il privilegio e il potere della preghiera. Go­ dendo di un rapporto filiale con Dio, il re poteva chiedere e sperare di veni­ re esaudito. Ma ciò che egli riceveva da Dio doveva chiederlo: nessuno dei suoi doni e nessuna delle sue doti erano insite nella sua persona. n re era il modello del posto indispensabile che la preghiera occupa nel rapporto del­ l'essere umano con Dio. Se si cerca la radice del Padre nostro nell'Antico Testamento, la si trova nella figura del re1 39 • I termini generici usati per denotare i benefici concessi al re sono «bene­ dizioni» (vv. 3.6) e «soccorso» (vv. 1 .5). La benedizione è l'effetto vivifican­ te della presenza e del favore del Signore; il soccorso è la liberazione dai nemici. I benefici specifici elencati nel salmo sono la corona, una vita pie­ namente realizzata e la maestà gloriosa che spetta a un sovrano il cui Dio è al suo fianco quando i nemici si fanno minacciosi. È interessante riflettere su questo elenco alla luce della storia di Salomone in I Re 3,3-15. Quando a Salomone fu concesso il diritto di chiedere ciò che volesse, il successore di Davide non chiese né lunga vita né ricchezze né onori né vittoria sui nemici, bensì «un cuore intelligente per amministrare la giustizia [ . . . ] e discernere il bene dal male». La storia biblica attribuisce il valore maggiore a una dote che era direttamente al servizio di Dio e del popolo 140• n v. 7 insegna che il rapporto del re con l'Altissimo è basato sulla fiducia nella benevolenza divina (l)esed). È in virtù della fiducia che il re prega per la forza del Signore e agisce poi vigorosamente con essa. Il re deve essere sicuro che il Signore resterà fedele all'elezione del suo Unto e alle promes­ se fattegli. L'importanza decisiva della fiducia da parte del re è illustrata efficacemente dall'episodio del confronto tra Isaia e Acaz, terrorizzato dal­ l' alleanza stretta dalla Siria con il regno d'Israele per deporlo e mettere sul trono di Giuda il figlio di Tabeel. Isaia gli disse: . Acaz doveva affidarsi al Dio che lo aveva eletto e messo sul trono, altrimenti avrebbe interrotto il suo rapporto con la forza di Dio141. Acaz, il re unto, rispose al profeta: «Non chiederò nulla, non ten­ terò il SIGNORE>>, una risposta che rivela la perdita totale di ogni fiducia. Nel periodo postmonarchico, leggendo questo salmo come Scrittura, gli israeliti fedeli vi avrebbero trovato l'insegnamento che benedizione e salvezza vengono mediante la preghiera di quanti hanno fiducia nella co-

138 Per il ruolo del re cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 6.11. 139 Cfr. Sal. 2,7-8; 18,6; 20,4-5; vedi Mc. 11,23-34; Le. 11,5-13. 140 Cfr. Sal. 72 e 101. 141 Cfr. Is. 7,1-17; vedi i vv. 2.4.9.12.

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Salmo 22: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? stante benevolenza del Signore. Nella descrizione del re, la chiesa ha visto un modello e un tipo realizzatisi nel Cristo, il quale visse in perfetta dipen­ denza e fiducia e le cui preghiere furono esaudite con la vittoria sul pecca­ to e la morte.

Salmo 22: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Quando i vangeli narrano la storia della Passione di Gesù, la trama del­ la storia viene tessuta usando preghiere bibliche. Entrando nello specifico, il Sal. 22 è la principale fonte dell'Antico Testamento alla quale gli evange­ listi hanno attinto per descrivere, e quindi interpretare, il culmine del mi­ nistero di Gesù. I fatti statistici sono questi: tredici (o, forse, diciassette) testi dell'Antico Testamento compaiono nella storia della Passione narrata dai vangeli. In al­ cuni casi si tratta di citazioni dirette, in altri di allusioni. Dei tredici testi, otto vengono dal Salterio: cinque dal Sal. 22, due dal Sal. 69, una dal Sal. 31. Tutti e tre questi salmi sono preghiere di soccorso di uno che soffre, sono cioè, se­ condo la classificazione corrente dei generi letterari, «lamenti individuali». Il nesso più noto tra il Sal. 22 e la storia della Passione è l'urlo strazian­ te di Gesù Eloì, Eloì, lamà sabactàni?, una citazione del verso iniziale del nostro salmo142• La presenza del Sal. 22 nella storia della Passione non si limita,però, alle prime parole: nella tradizione del tempo, citare le prime pa­ role di un testo era un modo per segnalare un passo intero. Inoltre, anche altri elementi della descrizione dell'esperienza del salmista contenuti nel salmo ritornano nella narrazione evangelica143• Proprio le esperienze del­ l' orante che sono ricordate nel salmo diventano parte dello scenario della Passione di Gesù. Così i vangeli stabiliscono un collegamento non solo tra le preghiere di Gesù e il salmo, bensì anche tra la persona di Gesù e la per­ sona che descrive se stessa nel salmo. Secondo la maniera di pensare del giudaismo del tempo, uno dei modi principali per capire il significato del­ l'esperienza presente era quello di inquadrarla e descriverla nei termini di una tradizione ormai affermata. È quanto pare succeda con l'associazione della storia della Passione con il salmo. Dato lo stretto legame del Sal. 22 con Gesù, nella chiesa delle origini in­ valse l'abitudine di considerare il testo del salmo parole di Gesù, trasferen-

Cfr. Mc. 15,34; Mt. 27,46. Sal. 22,7 = Mc. 15,29; Mt. 27,39 - v. 8 15,24; Mt. 27,35; Le. 23,34; Giov. 19,24. 142 143

=

Mt. 27,43 - v. 15

=

Giov.

19,28 - v. 18

=

Mc.

123

Libro primo - Salmi

l

-

41

do, quindi, quest'ultimo completamente in un contesto cristologico. Tale trasposizione comporta una lettura del salmo alla luce di Gesù. Il rapporto canonico tra storia della Passione e Sal. 22 invita, però, anche a capire Gesù alla luce del salmo, cioè a considerarlo attraverso la forma e il linguaggio di questa preghiera. Scegliendo questa seconda opzione, il lettore segui­ rebbe l'esempio degli apostoli e degli evangelisti che hanno usato il salmo quale contesto ermeneutico. Potrebbe darsi che, applicando tale metodo, si riesca a cogliere qualcosa circa il Cristo e la preghiera, e anche circa il loro mutuo rapporto, che potrebbe invece sfuggire guardando le cose da un'al­ tra prospettiva. Il genere letterario del salmo. Si può cominciare constatando che il Sal. 22 è una «preghiera di soccorso>> e ha molte caratteristiche in comune con pre­ ghiere di questo genere144. Quale sia il suo scopo di fondo risulta dalle richie­ ste a Dio affinché liberi l'orante da difficoltà che mettono in pericolo la sua vita (vv 11 .19-21). La difficoltà è descritta, come in alcune delle preghiere di questo tipo, secondo uno schema che prende in considerazione tre diversi rapporti: quello con Dio, quello con gli altri e quello con se stessi. L'orante sente mancare la cura provvidenziale di Dio (vv 1-2); gli altri lo respingo­ no (vv 6-8) e lo attaccano (vv. 12-13.16-18); sotto il peso del problema egli sente scemare il proprio vigore vitale (vv 14-15). La preghiera riafferma la fiducia del salmista nel Signore (vv 3-5.9-10). Invece che con il solito voto di lode o con la promessa di lodare Dio in futuro, questo salmo si conclu­ de con un lungo inno (vv. 22-31). Il Sal. 22 ha in comune con altre preghie­ re di soccorso non solo terminologia e tematica, bensì anche caratteristiche strutturali. Come gli altri salmi del suo genere, il Sal. 22 è stato composto per l'uso liturgico. La voce che risuona in esso non è quella di una precisa figura storica vissuta in una data epoca, bensì quella di un caso individua­ le in una situazione tipica. Il linguaggio del salmo fu studiato per dare una collocazione poetica e liturgica a individui, per fornire una preghiera para­ digmatica nel caso di una particolare sofferenza e di determinati bisogni. Usare il salmo significava collocarsi nel suo paradigma. È quanto Gesù fa, innanzitutto, lanciando a Dio l'urlo angoscioso con il quale comincia a recitare il salmo. Egli si unisce all'innumerevole compa­ gnia degli afflitti e nella propria sofferenza diventa uno di loro. Pregando la loro stessa preghiera, egli manifesta la propria totale identificazione con loro. Egli dà a tutti i suoi seguaci che sono afflitti il permesso e l'incoraggia­ mento di pregare per chiedere aiuto. Egli mostra che la fede include anche esporre a Dio la parte peggiore della vita: «Nei giorni della sua carne, con alte grida e con lacrime, egli offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte ed è stato esaudito per la sua pietà>> (Ebr. 5,7). .

.

.

.

.

144 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.2.

124

Salmo 22: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Classificare il Sal. 22 tra le preghiere di soccorso non è, però, che il pri­ mo passo per individuare la natura del salmo. Basta una semplice lettura del testo per sentire subito la differenza con gli altri salmi della medesima categoria, per avvertire uno sviluppo del genere letterario che lo porta fino ai suoi limiti estremi per poi, infine, trascenderli. Nel salmo si percepisce un'intensità e un'estensione che spinge verso le possibilità estreme conte­ nute nell'evento delineato nel salmo: una persona afflitta invoca, nella sua impotenza e debolezza, Dio e loda poi Dio per l'aiuto concesso. Questa di­ latazione estrema dell'evento tipico è stata notata nei secoli da interpreti di ogni età. Calvino notò come il salmo andasse di molto oltre qualsiasi espe­ rienza della vita di Davide: «Dal tenore dell'intera composizione si capisce che Davide non si riferisce qui a una sola persecuzione, ma mette insieme tutte le persecuzioni che ha patito sotto Saul»145• A sua volta, Franz Delitzsch conviene che in questo salmo «Davide discende, con il suo lamento, in un abisso che è oltre l'abisso della sua afflizione e si innalza, con le sue speran­ ze, a un'altezza che è oltre l'altezza della ricompensa per le sue afflizioni»146• Naturalmente esiste la possibilità che tali opinioni circa la portata del salmo siano suggerite dalla sua associazione con la morte di Gesù. Tuttavia, se si esamina attentamente il salmo nel contesto di altre preghiere di soccorso, risulta evidente che l'intensità e l'estensione sono dovute alla composizione del salmo, sono un dato di fatto che si trova lì, nel testo stesso. La struttura del salmo. Il salmo è composto utilizzando lo strumento stili­ stico della ripetizione ovvero del raddoppiamento. Nella disposizione del testo, dal vocativo iniziale a tutta la struttura del salmo, si incontra costan­ temente una duplicità di elementi. La stessa composizione totale del salmo è duplice: è costituita, infatti, da una preghiera di soccorso (vv. 1-21) e da un canto di lode per l'aiuto ottenuto (vv. 22-31). Questi due generi letterari e gli atti che essi esprimono sono distinti, come sembra logico, considerato che le situazioni che li hanno occasionati sono diverse. Nel nostro salmo, invece, i due generi sono congiunti a formare un tutt'uno, come se le due azioni, la preghiera e la lode, e le due situazioni, l'afflizione e la salvezza, dovessero essere incluse in un unico arco semantico per esprimere quanto sta accadendo. La preghiera si svolge in due cicli (vv. 1-11 e 12-19), ciascuno dei quali termina con la supplica «non allontanarti» (vv. 11 e 19). Ciascuno dei due cicli è formato da una duplice alternanza di elementi. Il primo ciclo è com­ posto di due lamenti sulle difficoltà del salrnista (vv. 1-2 e 6-8), ciascuno dei quali è seguito da dichiarazioni di fiducia in Dio adeguate e corrisponden­ ti al lamento relativo (vv. 3-5 e 9-10). Anche il secondo ciclo è formato da due lamenti (vv. 12-15 e 16-18), ciascuno con una descrizione di forze be-

145 G. CALVINO, op. cit., vol. l, p. 357. 146 F. DELITZSCH, Psalms, vol. l, p. 306.

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Libro primo - Salmi l - 41 stiali che circondano il salmista (vv. 12-13 e 16), seguita da una descrizione della prossimità della morte che avanza inesorabile e minacciosa (vv. 14-15 e 17-18). La seconda supplica (vv. 19-21) intensifica la prima (v. 11) con tri­ plici ripetizioni. Anche il canto di lode è composto di due parti (vv. 22-26 e 27-31). La prima è un inno composto nello stile della prima persona singolare («io ti loderò») che mette in primo piano la comunità che celebra, insieme con il salmista, la propria liberazione. Questo inno è formato da un invito alla lo­ de (vv. 22-23), dall'argomento della lode e dal perché si debba lodare Dio (vv. 24-26). La seconda parte amplia la cerchia della lode dalla comunità all'intera umanità, a tutte le nazioni (v. 27), ai forti e ai moribondi (v. 29) e persino a chi non è ancora nato (vv. 30-31). Ascoltare o leggere il salmo significa trovarsi davanti a una testimonian­ za che include l'assenza e l'azione di Dio in una configurazione di afflizione fino alla morte e di salvezza che riporta alla vita. La figura le cui preghiere e le cui lodi sono ascoltate passa attraverso un rovesciamento radicale di rapporti: dapprima viene schernito e respinto a causa della sua dipendenza da Dio; poi viene a trovarsi in compagnia di gente che esulta insieme con lui proprio perché dipende da Dio; in una prima fase viene circondato da forze del male la cui minaccia ha preso il posto della potente presenza di Dio; subito dopo, ecco l'occasione per celebrare l'universale ed eterna so­ vranità di Dio. Ciò che accade in questo salmo è, in sostanza, una delle tan­ te esperienze attraverso le quali l'israelita credente era passato pregando nella tribolazione, usando preghiere di soccorso e poi, più tardi, a salvezza avvenuta, lodando Dio insieme con la sua comunità. Qui, i due momenti sono uniti, intensificati e ingranditi in uno scenario che rivela come la com­ binazione delle fasi alterne della sorte sia il modo nel quale Dio manifesta e svela il suo regno universale ed eterno.

L'identità dell'«io» che nel salmo prega e loda. In questa composizione ac­ curatamente studiata, ciascuna delle quattro parti (le due della preghiera e le due della lode) offre un contributo importante per delineare l'identi­ tà della figura che altrimenti è nota soltanto attraverso il tipico linguaggio poetico e liturgico del salmo. D'altra parte, questo «io» nebuloso giunge al lettore nelle vesti di un personaggio generico, uno qualunque dei fedeli in difficoltà che invoca Dio, uno tra quella moltitudine di fedeli per i quali le preghiere di soccorso sono state scritte. Guardando meglio, però, il lettore si accorge che quella figura non è poi del tutto anonima, ma rappresenta un caso particolare del tipo generale. Ognuna delle parti del salmo contri­ buisce in maniere tipiche e specifiche a tracciare il profilo di questa identi­ tà prototipica. Vv. 1-11 . Nel complesso, la prima parte è una elaborazione del grido di apertura, un'esposizione della miseria e del mistero contenuto in quell'in­ terrogativo urlato: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». I vv.

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Salmo 22: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? 3-5 e 9-10 chiariscono che cosa voglia dire «Dio mio>>. Considerare il Signo­ re «Dio mio» comporta, prima di tutto, l'appartenenza a una comunità, per la quale il centro di tutta la realtà è «il Santo» che siede, re, sul trono nel Tempio celeste e terreno (cfr. Sal. 99) e i cui atti di salvezza costituiscono il contenuto degli inni di lode cantati da Israele. Dire «Dio mio» significa con­ dividere il significato e la tradizione dei «nostri antenati», i quali, in tempi di angoscia, hanno avuto fiducia e invocato Dio e sono stati salvati; signi­ fica, quindi, credere che quell'esperienza sia per me la verità circa Dio. È importante per la definizione dell'identità dell' «io» del salmo che si stabi­ lisca così presto, già all'inizio della preghiera, che il regno di Dio e il con­ testo comunitario costituiscono gli elementi della sua situazione; elementi che poi, in ordine inverso, saranno i temi della lode che descrive la rilevan­ za della sua salvezza. Dire «Dio mio» comporta anche una precisa esperienza del tutto perso­ nale. Questo rapporto individuale è descritto mediante metafore che raffi­ gurano Dio nel ruolo di un padre umano che accoglie nelle mani il piccolo che esce dal grembo materno, lo appoggia sul petto della madre affinché sia nutrito e poi provvede a fargli avere un ambiente di benessere e sicurez­ za nel quale vivere la sua vita. È la testimonianza di tutta una vita vissuta dipendendo da Dio. Si noti che facendo valere il suo diritto di dire «Dio mio», la figura che prega e invoca non parla delle proprie azioni, natura o status, ma soltanto di Dio e di ciò che Dio ha fatto. Ed è lì che si nasconde il dolore. Le dichiarazioni riguardanti Dio sono confessioni di fede dell'or ante, sue professioni di fiducia in Dio. Tuttavia, nella preghiera esse servono anche da lamento e protesta, fanno da sfondo di contrasto alla situazione presente nella quale quell' «io» si trova. I padri hanno invocato l'aiuto di Dio e sono stati salvati; ma lui grida giorno e not­ te senza ricevere risposta (v. 2). Tutta la sua vita egli l'ha vissuta godendo della «delizia» del Signore, ma ora egli non ha più dignità di uomo, agli occhi degli altri non è più una persona: lo disprezzano per le sue difficoltà, lo scherniscono perché dipende dal suo Dio (vv. 6-8). Ciò che Dio ha fat­ to nella storia della salvezza con e per il suo popolo, provvedendo ai suoi santi, qui, nella vita di quest'uomo, non funziona. Dio è il problema cen­ trale di questa figura, il focolaio del suo dolore. Quest'alternanza nel sal­ mo di descrizioni dell'afflizione e di affermazioni circa il comportamento di Dio, esprime la contraddizione che lacera l'anima quando si rompe l'unità tra fede ed esperienza. L' «io» del salmo può parlare teologicamente di tale frattura soltanto in termini di «abbandono»: Dio si è allontanato da lui. La figura nebulosa dell'orante è una persona le cui difficoltà fanno mettere in discussione la storia della salvezza del popolo di Dio e la provvidenza di Dio per i suoi fedeli.

Vv. 12-21. La seconda parte del salmo sviluppa il tema «l'angoscia è vi­ cina» che è annunciato alla fine della prima parte (v. 11). Usando il motivo dell' «accerchiamento» (vv. 12 e 16), il salmo descrive che cosa è «vicino»

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Salmi l 41 -

pronto a occupare lo spazio lasciato vacante dall'«allontanamento» di Dio, dalla sua «lontananza». La figura dell'«io» viene descritta come quella di una persona assediata e prossima a essere uccisa da una masnada di mal­ fattori, un gruppo sociale unito soltanto dalla comune voglia di nuocere. Le metafore animali sono usate per esprimere brutalità e pericolosità147. Leoni e bufali sono coppie figurate convenzionali per esprimere la massima po­ tenza bestiale. L'immagine dei cani e cacciatori (vv. 16 e 20) richiama quella della preda indifesa, destinata alla morte. L'identità dei malfattori è nasco­ sta dalle maschere bestiali che indossano. Forse le metafore danno a questi nemici un carattere demoniaco148; le metafore li dipingono bestiali, potenti, drammatizzando con grande intensità la situazione disperata, mortale nella quale si trova il personaggio del «salmista». Alternandole al lamento sui malfattori, il personaggio descrive la pro­ pria situazione in due scene che hanno in comune l'avvicinarsi della mor­ te: i suoi segni sono già evidenti nel suo corpo (vv. 14-15) e nel ghigno di quelli che lo attorniano, osservandolo nell'attesa dell'istante fatale (vv. 1718). Paradossalmente, proprio mentre discende nel regno della morte (v. 15), egli sperimenta l'attività del suo Dio lontano: il potere sovrano di Dio è misteriosamente mischiato con le forze che lo spingono fuori dalla sfe­ ra dei viventi. La supplica, insolitamente diffusa (vv. 19-20), chiude la pre­ ghiera. Il v. 19 ripete la supplica tematica che Dio ponga termine alla sua assenza e invoca la salvezza, la liberazione dalle potenze che circondano il «salmista>>, elencandole in ordine inverso: cacciatori, cani, leoni, bufali (vv. 20-21). L'effetto complessivo così creato è di un montaggio di immagi­ ni mutevoli che evocano violenza e una morte che rimane sempre sfocata, così che risulta impossibile individuame l'orrore e limitarlo a una qualche sofferenza specifica. Si ha, invece, l'impressione del terrore di un'anarchia cosmica le cui conseguenze ricadano su una sola persona: una visione di quanto accade quando il male supera le limitazioni normali della natura umana a causa dell'assenza della salvezza e provvidenza di Dio che lo li­ mitano e frenano.

Nota sui vv. 16 e 21. Nel testo di questa parte del salmo ci sono due punti nei quali le incertezze testuali hanno avuto un ruolo notevole per l'inter­ pretazione ed è, quindi, opportuno notarle esplicitamente. Nel Testo Ma­ soretico il v. 16c legge: «le mie mani e i miei piedi come un leone». La NJPS segue il Testo Masoretico e traduce: «[Essi sbranano] le mie mani e i miei piedi come un leone», così che il v. 16c risulta la continuazione dell'imma­ gine della caccia di v. 16ab. La RSV segue la versione greca della LXX149 e 1 47 Una metafora così estesa è un caso unico nel Salterio. La similitudine «come un leone» è usata per denotare nemici in Sal. 7,2 e 10,9-10. 1 48 Nelle religioni del Vicino Oriente, dèi e demoni appaiono sovente sotto sembian­ ze animali [N.d.C.]. 149 Così anche Vulgata, VRL, N.Riv., B.Ger. e B.Conc., che comunque in nota fa rife­ rimento al Testo Masoretico.

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Salmo 22: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? traduce: «Mi hanno forato mani e piedi», una lezione che i primi interpreti cristiani collegarono con la crocifissione di Gesù. Il fatto che questa lezione non sia riflessa nell'uso del Sal. 22 nei vangeli potrebbe significare che essa fosse sconosciuta a quelli che formarono la tradizione della Passione di Ge­ sù150 . La NRSV traduce invece: «le mani e i piedi mi si sono rattrappiti». Il secondo passo problematico è il v. 21 che ha alla fine un'aggiunta che lascia perplessi, un verbo che normalmente significherebbe «tu mi rispondi/tu mi hai risposto>>. Una volta ancora la RSV segue la versione della LXX con «la mia anima (afflitta)», una traduzione in armonia con il contesto151. Altri studiosi scorgono nel testo ebraico un segnale liturgico dell'inserimento, tra il v. 21 e il v. 22, di un oracolo di salvezza. Nessuno dei due problemi può essere risolto con certezza. Vv. 22-26. Con la terza parte il salmo passa dalla preghiera di soccorso alla lode per il soccorso ricevuto, da un genere poetico a un altro. Il Sitz im Leben del linguaggio di questa terza parte è il culto di ringraziamento nel quale una persona, la cui preghiera di soccorso è stata esaudita, si reca al Tempio insieme con quanti gioiscono del suo ritorno all'antica condizio­ ne, compie il necessario per sciogliere i voti fatti nella preghiera e prov­ vede a un banchetto sacrificale per i familiari e gli amici che sono con lui e, infine, canta un inno di lode e ringraziamento per la propria salvezza. Quello che sentiamo ai vv. 22-26 è appunto il suo canto, i cui riferimenti al culto e ai suoi rituali sono trasparenti152. Ora per l'ignoto protagonista tutto è cambiato: non più la condizione di abbandono, ma il suo grido ha ricevuto una risposta (v. 24); invece della derisione sprezzante della gente e della minaccia dei malfattori adesso egli ha intorno a sé una comunità di fratelli nella fede e nella lode; invece dei lamenti per la morte che si avvi-

150 n fatto che nessun vangelo descriva dettagliatamente il modo della crocifissione di Gesù è sempre stato per gli interpreti motivo di meraviglia, anche se è probabile che l'omissione sia dovuta, tra l'altro, alla conoscenza diretta che i primi lettori avevano di tale tipo di esecuzione. Pur non essendo improbabile che Gesù sia stato inchiodato, e non legato mani e piedi, alla croce (cfr. Giov. 20,25, che non parla però dei piedi, e il possibile accenno in Col. 2,14), sicuramente la tradizione iconografica della crocifissione è stata influenzata dall'interpretazione cristiana del Sal. 22,16 LXX, più in linea con la devozione medievale della compassione per le sofferenze di Cristo. Nella crocifissione di Karlsruhe (metà xv sec.) Gesù appare prima legato e poi inchiodato alla croce, che è distesa in terra. Comunque, altro motivo di meraviglia per gli interpreti, per i vangeli e per la più antica interpretazione cristiana, il Sal. 22,18 era molto più importante del v. 16 LXX. Nei primi tempi della chiesa la via crucis non era la via della sofferenza, bensì un cammino trionfale; la croce era il segno della vittoria di Dio, un patibulum triumphale (Ambrogio). Nelle figure del «sarcofago del trionfo della croce» (N sec.) la croce è parte della maiestas Christi [N.d.C]. 1 51 La N.Riv. segue l a VRL: «Tu mi risponderai liberandomi [ . . . ]», mentre la B.Conc. traduce: . 152 Vedi il commento ai Sal. 30 e 118.

129

Libro primo - Salmi l - 41 cina inesorabile, ecco che ora può offrire ai suoi confratelli un augurio di vita eterna (v.

26).

Ascoltando l'inno impariamo due cose circa la figura del protagoni­ sta: prima di tutto, il gruppo che celebra la sua liberazione insieme a lui ha un'identità teologica spirituale. Essi non sono semplicemente familiari, amici e vicini di casa, una comunità costruita su rapporti naturali e occa­ sionali; essi sono invece «fratelli» (v.

22) in senso religioso. Tutte le diverse

apposizioni, semplici o composte, usate nell'inno, indicano questa comu­ nione fraterna: «timorati del SIGNORE>> (v. 26), «gli umili»

(vv 23.25), «ricercatori del SIGNORE» .

('aniwim, NRSV: «afflitti» o >); e la gente, fatta di vigorosi e di moribondi, alla quale viene predicato l'evangelo del regno di Dio. Ascolta­ to da questi posti e in questi ruoli, il salmo può portare agli ascoltatori una nuova e rinnovata comprensione di ciò che la sua interpretazione da parte di Gesù significa per lui e per chi legge o ascolta. 1. Il fatto che Gesù, figlio di Dio, usi la preghiera e passi per l'esperienza descritta nel salmo ha un effetto sulla sofferenza che ne cambia l'aspetto per quanti credono in lui: essa diventa qualcosa che Gesù ha conosciuto diret­ tamente nel suo aspetto tipico peggiore. Il cambiamento non è qualcosa di empirico, bensì qualcosa di sperimentale. Si è in grado di cogliere le dimen­ sioni del cambiamento se si riesce a immaginare noi stessi che pensiamo alla sofferenza solo come qualcosa dalla quale Dio è assente o che Dio infligge alla gente. Sapere che «lui c'è passato>> non dà una spiegazione definitiva o metafisica della sofferenza, ma dà a noi una nuova prospettiva, una nuova esperienza e una nuova posizione rispetto a essa. 2. Il salmo unisce preghiera e lode, terminologia della sofferenza e lin­ guaggio laudativo, in un unico arco continuo, come per dire che una realtà non può essere capita separata dall'altra. Le possibilità racchiuse in questa morte non sono viste prescindendo dalla lode e l'esultanza ha la sua base e la sua causa nell'identità e nella condotta di quello che muore. Nella sua unità, il salmo ricorda ai credenti che i momenti della storia della Passio­ ne e della Settimana santa non vanno isolati né nella fede né nella liturgia. Quei periodi sono, piuttosto, prospettive dalle quali considerare il tutto. Il

159 Is. 42,1-4; 49,1-6; 52,13 - 53,12.

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Salmo 22: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? mistero e il significato sono che è il Signore vivente che racconta la propria morte ed è colui che è stato crocifisso che vive. 3. Nella sua unità il salmo fornisce uno scenario per una riflessione sul­ la rilevanza della morte e risurrezione di Gesù, scenario che è diverso dai modelli tradizionali del sacrificio, della prova e del combattimento. a. Il salmo interpreta la passione e risurrezione di Gesù come una teo­ dicea per quanti affidano il loro canunino al Signore. I racconti dei vangeli fanno capire chiaramente che Gesù patì e morì come uno degli «umili». Nei salmi è la morte di uno che confida nel Signore a sollevare il problema di Dio ed è la sua salvezza che porta a riconoscere che Dio «non ha disprezzato né sdegnato l'afflizione del sofferente» (v. 24; una possibilità sommamente concreta per la gente dell'Antico Testamento e per quella di oggi). La rea­ lizzazione dello scenario del salmo vissuta da Gesù include l'afflizione fino alla morte e porta a sapere che qualunque cosa possa significare l'angoscia provocata dal conflitto tra fede ed esperienza, essa non significa certo che Dio abbia respinto quelli che gridano a lui. Per gli umili, la Passione e risur­ rezione di Gesù sono una giustificazione del Dio nel quale essi confidano e una dimostrazione che la loro fiducia non era malriposta. b. Il salmo interpreta la passione e risurrezione di Gesù come un invito al mondo (nel senso più ampio del termine) a credere nel regno del Signore. Nel salmo ci si aspetta che tutta la gente di ogni nazione, condizione ed epoca si volga al Signore lodando la sua sovranità per aver operato liberando l'af­ flitto morente. Non è chiaro come il salmista abbia inteso quella speranza. n Deutero-Isaia proclamava che la liberazione divina d'Israele che languiva a morte nell'esilio sarebbe stata una rivelazione del regno del Signore per tutte le nazioni. Nel salmo, la morte è descritta quale esperienza concreta di una triplice perdita: di vitalità, di solidarietà sociale e di Dio. Era chiaro che !ad­ dove la morte apponeva il suo sigillo definitivo su quella triplice esperienza, vissuta proprio da quanti si identificavano con il Signore, lì si segnava un punto a sfavore della sovranità di Dio, limitandola. La vita e la sua perdita è una realtà che unisce tutte le genti in ogni nazione, cultura ed epoca. Tutti quanti affrontano e, alla fine, provano la triplice perdita: della vitalità fisica, della possibilità che la famiglia e gli amici possano confortare e dare sollie­ vo, di un consapevole rapporto con il potere cosmico che crea e mantiene l'esistenza. Nella passione di Gesù tutte e tre le perdite sono vissute ed egli muore. Ma la sua risurrezione è un segnale lanciato a tutti quelli che temono e provano la triplice perdita, un segnale che annuncia che adesso la morte stessa è stata inclusa nella sfera della sovranità del Dio di Gesù, il Messia. Si tratta di una notizia di estrema, assoluta importanza per tutta l'umanità.

4. n salmo suggerisce di considerare la Cena del Signore il rendimento di grazie degli «umili». Essa è l'eucarestia istituita e spiegata da uno che era un «umile» e alla quale partecipano gli «umili». Ciò fa sorgere l'interrogativo: chi pensiamo di essere quando ci avviciniamo alla tavola del Signore? E ci

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avviciniamo a essa da «umili»? n termine «umile» denota quanti conduco­ no la vita dipendendo da Dio; indica un'identità costituita da una presa di posizione personale, mentale e volitiva, nei riguardi del «mondo». Non è un'identità definita secondo parametri economici o religiosi o istituzionali; le sue caratteristiche possono essere viste nella vita terrena di Gesù: Dio al centro di ogni cosa, preghiera, gratitudine, ubbidienza, empatia e pazienza con gli altri. Per tutto ciò, le beatitudini si dimostrano rilevanti e il salmo rivela che esse sono un'istruzione dataci per riuscire a giudicare la nostra identità quando ci avviciniamo alla Mensa del Signore.

Salmo 23: Il Signore è il mio pastore l. Il Sal. 23 si apre con una metafora: «il SIGNORE è il mio pastore». In una metafora si dice che qualcosa è un'altra cosa che essa non è in senso ovvio e letterale160• Un termine usato metaforicamente apporta tutto ciò che es­ so denota e connota nell'uso ordinario alla spiegazione di ciò al quale es­ so è riferito. Una metafora usata a fini teologici è una questione molto se­ ria, poiché essa non è semplicemente una similitudine, cioè non si limita a descrivere con un paragone, bensì identifica mediante un'equazione. Una metafora diventa l'immagine come la quale e mediante la quale qualcosa o qualcuno viene conosciuto e capito. La metafora trasmette un contenuto più ricco e parla con maggior forza di quanto possa fare il linguaggio di­ scorsivo; essa è anche meno precisa e limitata di quest'ultimo. La metafora attinge a esperienze diverse e sollecita l'immaginazione: è pertanto plastica nel significato e polisemica per natura. L'affermazione metaforica iniziale segnala che l'intero salmo è composto in linguaggio metaforico. Questa è una tra le ragioni della sua forza e lon­ gevità poetica quale poesia di fede. È anche la ragione per la quale quegli interpreti, i quali ne cercano il significato originario o la spiegazione esatta o pongono domande interpretative in termini di aut-aut, ricevono dal testo

1 60 La metafora è un traslato, una figura retorica che trasferisce il nome di una cosa a un'altra cosa, secondo un rapporto non reversibile di analogia. Ma l'aspetto più impor­ tante è ilfunzionamento della metafora. Infatti, la metafora è uno strumento di conoscenza additiva e non sostitutiva; mostra cioè qualcosa che ancora non si conosceva circa il sog­ getto logico della metafora (qui: «il SIGNORE è il mio pastore»). La metafora «viva>> è una metafora che permette di ricavare e far emergere significati e aspetti nuovi della realtà proprio grazie alla e alla «innovazione>> semantica. Con il suo slancio, l'immaginazione usa simbolicamente immagini e significati usuali, riuscendo così a illu­ minare nuove dimensioni trascendenti nelle quali è possibile pensare e riconoscere, su­ perando schemi concettuali fissi, altri aspetti della realtà e il senso della vita [N.d.C.].

134

Salmo 23:

Il

Signore è il mio pastore

soltanto risposte ambigue. I verbi ebraici vanno tradotti con un presente o con un futuro? Cioè: il salmo è un'affermazione circa l'esperienza presen­ te o esprime solo una speranza? L'immagine del pastore è l'immagine do­ minante che regge il tutto o è l'immagine del padrone di casa che accoglie l'ospite introdotta nei vv 5-6 o è l'immagine della guida, introdotta anche nei vv 3b-4? Nei vv 5-6 il poema si riferisce a una situazione istituziona­ le che è il Sitz im Leben liturgico per il quale il salmo fu composto oppure si tratta sempre e solo di immagini, la cui vera ambientazione è soltanto la vita spirituale del salmista? E il soggetto che parla e dice «miO» è un indi­ viduo o una collettività, una personalità corporativa? È natura specifica del linguaggio metaforico permettere queste domande senza concedere alcuna risposta univoca che consenta di controllare la lettura del salmo. .

.

.

2. La composizione del salmo non è, in pratica, che l'esposizione del verso iniziale. Il primo verso contiene una proposizione enunciativa affermativa e una negativa. Quella affermativa stabilisce un rapporto tra il Signore e il salmista mediante la metafora del «pastore». È proprio questa affermazione metaforica che, intesa in senso abbastanza ampio, controlla le immagini di tutta la composizione. L'enunciativa negativa è una dichiarazione del sal­ mista circa se stesso. In essa ricorre il verbo «mancare» nel senso assoluto di «non avere» 161 : il verbo transitivo è usato qui senza oggetto. Il salmista elencherà nel resto del salmo ciò che non gli manca. Nella cultura d'Israele, il termine «pastore» aveva un contenuto seman­ tico ricco e complesso. Naturalmente, il comportamento di pecore e pasto­ ri era familiare a tutti. I doveri primari del lavoro di pastore erano provve­ dere al gregge e proteggerlo. n pastore pasceva il gregge, lo guidava per la giusta via durante gli spostamenti, teneva lontano i predatori, tutte attività pastorizie descritte nel salmo. Era responsabile delle pecore e doveva ren­ dere conto del loro benessere e della loro sicurezza. L'idea del pastore di uomini, però, apre uno scenario tradizionale che è molto più ampio dell'at­ tività pastorizia in senso stretto. Nell'antico Vicino Oriente il ruolo e il titolo di pastore erano usati per indicare la funzione dei capi verso la gente o il popolo loro affidato. «Pa­ store», usato come titolo, venne ad assumere specifiche connotazioni rega­ li. Dèi e re erano chiamati pastori dei loro popoli. Entrambi sono descritti e raffigurati con una mazza in mano (verga) e con il pastorale (lungo bastone dal manico ricurvo), insegna della loro dignità. In tutta la letteratura bibli­ ca, narrativa poetica e profetica, il Signore è chiamato il pastore d'Israele,

1 61 L'Autore preferisce usare il verbo to lack = , invece del ver­ bo usato dalla NRSV, to want = > fosse anche il titolo di Gesù. In Giov. 10,11 Gesù dice esplicitamen­ te: «> delle loro anime (l Pie. 2,25; 5,4). Nella rilettura cristiana del sal­ mo, Gesù, il pastore al posto di Davide, è colui che ristora le nostre anime, ci guida sui sentieri di giustizia, ci accompagna attraverso i pericoli, appa­ recchia la santa Cena davanti a noi, al cospetto del peccato e della morte, e ci viene dietro, con grazia e amore, tutti i giorni della nostra vita. Il Sal. 23 ha avuto un posto fisso nella liturgia dei culti funebri, una si­ tuazione veramente adatta al suo impiego. Esso comunica alla comunità commoventi parole di fiducia da pronunciare davanti al nemico che non è ancora annientato (I Cor. 15,26). La recitazione del salmo prepara all'imma­ gine escatologica che lo riecheggia, la figura dell'agnello diventato re e pa­ store che guida i redenti ad acque viventi. È qui che il senso assoluto della frase «non mi manca» è pienamente realizzato (Apoc. 7,15-17).

Salmo 24: Il re di gloria Il tema del Sal. 24 è la regalità del Signore. Il salmo è composto di tre parti distinte, ciascuna con il proprio tema e genere letterario. Tutte e tre le parti, però, parlano del dominio sovrano del Signore, e ciascuna costituisce il testo per un atto liturgico di identificazione. Le identificazioni sono tutte affermazioni teologiche d'importanza centrale. 1. La prima parte del salmo (vv. 1-2) individua il «padrone>> del mondo. Dal punto di vista formale, si tratta di una dichiarazione omologica della sovranità del Dio d'Israele. Nel testo ebraico la prima parola del salmo è un'espressione preposizionale che denota possesso: «Del SIGNORE è la terra». Per la fede del salmo quella semplice asserzione rappresenta il fatto più im­ portante riguardo alla realtà. La dichiarazione riguarda ogni cosa nel mon­ do e ognuno che vive sulla terra. Poiché gli abitanti del mondo dipendono da esso per la loro esistenza, anch'essi sono inclusi nella «proprietà>> del Si­ gnore. La professione di fede afferma che il mondo è proprietà del Signore perché esso è opera sua ed egli l'ha «fondato sui mari e stabilito sui fiumi>> (v. 2). Per la descrizione si ricorre al linguaggio della creazione: il mondo è il prodotto di un potere ordinatore che dal Caos informe e instabile trae

138

Salmo 24: ll re di gloria nn'esistenza stabile e solida. In questa concezione il mondo è il risultato di rma vittoria irresistibile, di rma conquista che è terminata, ma non è mai, semplicemente, nn fatto definitivamente compiuto. Nella cosmologia del­ l'antico Vicino Oriente mari e fiumi sono nomi che denotano il Caos insta­ bile, che è sempre lì, in agguato, nella sua ostilità verso il mondo ordinato; mondo che esiste perché il Signore è e ne resta il sovrano. Vedere il mondo significa vedere l'evidenza del regno del Signore. Vivere nel mondo signi­ fica dipendere dal regno del Signore. La professione di fede ha rma frmzione polemica. Dichiarare che il Signore è il padrone assoluto significa negare volutamente che qualcrm altro lo sia. Nella cultura d'Israele tale negazione era diretta contro qualsiasi divinità, per esempio Marduk, per la quale in Babilonia si avanzava la medesima pretesa di possesso sovrano. Allo stesso tempo essa relativizzava le pretese di regnanti e conquistatori umani che tendevano sempre ad assolutizzare il loro possesso di parti della terra. Spetta alla comunità che la professa dire che cosa nel mondo moderno sia escluso da tale confessione di fede. Essa esclude qualsiasi scientismo che ritiene il mondo essere semplicemente il risultato di cause inspiegabili e senza scopo. Essa mette in questione ogni tendenza degli esseri umani ad assolutizzare la proprietà. A chi si pensa che appartenga, in pratica e gestionalmente, il mondo? A nn cartello mutevo­ le di nazioni? Allo Stato? Alle multinazionali? A chirmque ha i capitali per acquistarsi il diritto a possedeme nn angolo? La confessione di fede limita qualsiasi risposta immaginabile a tali interrogativi.

2. La seconda parte del salmo (vv. 3-6) individua la comunità che rende quella professione di fede. Si tratta della comunità di quelli che cercano la presenza del padrone del mondo (v. 6; cfr. NJPS). Qui il salmo usa il model­ lo letterario delle istruzioni per l'accesso a nn tempio per far capire che co­ sa significhi essere quelli che cercano il Padrone. Il modello dell'istruzione prevede rma domanda (v. 3), rma risposta (v. 4), rma promessa (v. 5) e rma conferma (v. 6). Il Sal. 15 è nn esempio tipico di questo genere usato quale unità letteraria indipendente 172 • Il monte del Signore è il Monte Sion, sul quale si erge il Tempio. Il mon­ te è «santo» perché è stato scelto dal Signore per essere il luogo nel quale la presenza del Padrone sarebbe stata accessibile per quanti vivono in esso173 . La santità di nn luogo in mezzo al mondo crea nn problema, poiché ciò che è stato reso santo è separato da ogni altra cosa a causa della sua identifica­ zione con Dio; deve, cioè, essere separato da tutto ciò che è ostile a Dio e si oppone a lui. Diventa, così, necessario porre il problema di quelli che si

1 72 Quanto segue presuppone la conoscenza del commento al Sal. 15. Se ne consiglia, pertanto, la lettura prima di procedere con l'esposizione del Sal. 24. 173 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 6.10, e il commento ai Sal. 48 e 132.

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Libro primo - Salmi l 41 -

trovano nel luogo sacro. Nella cultura religiosa d'Israele la questione pote­ va essere chiarita in termini di puro e impuro, e con l'osservanza di riti di purificazione che permettevano di risolvere il problema dell'impurità ri­ tuale (Lev. 11 - 15). Invece di porre la questione in questi termini, il nostro salmo risponde con una descrizione delle caratteristiche di chi avrà acces­ so al luogo santo. Gli aggettivi «pulito» e «puro» non appartengono al vocabolario del­ la purificazione rituale dell'Antico Testamento; sono termini dell'etica. Le mani pulite sono quelle innocenti, che non hanno commesso torti a danno del prossimo. Il cuore puro è quello che pensa e vuole soltanto essere leale e fedele verso il Signore174• Quelli che non levano l'animo a ciò che è falso sono fedeli al vero Dio e alla verità175• Chi «non giura col proposito d'in­ gannare» è fedele al suo prossimo. Le quattro caratteristiche formano due coppie e caratterizzano chi è fedele verso Dio e verso il prossimo. Queste qualità caratteriali non costituiscono una lista di controllo alla quale devono rispondere e corrispondere in maniera rigidamente legalistica i fedeli che vogliono accedere al santuario per il culto; si tratta, piuttosto, di istruzioni che vanno lette quale parte della liturgia del culto. In questa maniera esse rispecchiano la teologia della comunità; abbozzano una sorta di identikit del «giusto», cioè di chi è adatto e corretto per i rapporti immediati e più vicini. Le voci dell'elenco liturgico descrivono una vita esemplare, una vita disciplinata dalla confessione che il Signore è il Padrone, il legittimo Pro­ prietario di ogni cosa, inclusi chi pronuncia quella professione di fede e il suo prossimo, una vita orientata verso la venuta del re di gloria. In Israele ci si recava al Tempio per cercarvi benedizione e giustizia. Così il v. 5 prosegue con l'istruzione liturgica sottolineando che è il giusto che ri­ ceve da Dio benedizione e giustizia176. La benedizione è il dono divino che provvede alle necessità e al mantenimento della vita. La giustizia è il dono divino dell'accettazione dell'uomo nel rapporto con Dio e del rinnovo di tale rapporto, il dono che rende possibile e promuove la giustizia dell'uo­ mo nella sua vita. In tutto ciò c'è un movimento circolare molto importante: tutto comincia con il creatore che dona la vita e stabilisce un rapporto, ma sono quelli che rispondono praticando la rettitudine nella vita che ricevono un rinnovo del rapporto e una conferma da parte di Dio. In questo modo i giusti evitano che si interrompa quel movimento circolare iniziato da Dio. Il v. 6 non fa che ribadire il concetto del versetto precedente: soltanto chi viene al luogo santo da giusto cerca veramente la presenza di Dio; in caso

174 Cfr. Sal. 73,1; Mt. 5,8. 175 Così la NRSV, seguendo la LXX;

NJPS traduce: «chi non ha giurato il falso per la Mia vita», probabilmente interpretando il testo alla luce del terzo comandamento. [VRL, N.Riv., B.Conc.: chi non giura con intento ingannevole.] 1 76 NRSV: «[ . . . ] benedizione e conferma della sua giustizia>>.

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Salmo 24: il re di gloria contrario, il culto è vano e inutile. Naturalmente, i profeti e Gesù dicono «Amen!>> a queste parole del salmo177• 3. La terza parte del salmo (vv. 7-10) individua il re di gloria. L'identifi­ cazione segue il modello di una liturgia di accesso: c'è una richiesta di am­ missione, una domanda circa chi chiede di accedere e una proclamazione del nome dell'ammesso (cfr. Sal. 118,19-21). La liturgia viene ripetuta per poter mettere maggiormente in risalto ed elaborare l'identità dell'ammes­ so. È questo lo scopo ovvio della sua recitazione. La liturgia dichiara che il re di gloria è il potente guerriero, il Signore degli eserciti. La rilevanza di questa identificazione, che è formalmente una cerimonia di ammissione, dipende dalla comprensione degli attributi e dei titoli e dal rapporto reci­ proco tra loro. Si richiede il permesso di accesso per «il re di gloria», un titolo che non appare in nessun'altra pagina dell'Antico Testamento. Il suo significato è comunque chiaro se si ha presente il Sal. 29, nel quale si usa (29,3) il titolo equivalente «Dio di gloria» e «gloria» è il termine tematico. Il Sal. 29 descri­ ve il Signore quale guerriero divino che ha conquistato un dominio eterno sull'Oceano primordiale in virtù della potenza che manifesta nel temporale. La risposta dell'esercito celeste alla proclamazione della sua sovranità e del suo potere è rappresentata dal grido liturgico (Sal. 29,1-2.9). Nel Sal. 24 la liturgia alle porte presuppone la proclamazione del regno del Si­ gnore conquistato fondando la terra su mari e fiumi, sottomessi con la sua potenza. Il Signore si presenta ai portoni che sono sia le porte eterne che immettono nella sua reggia celeste sia gli ingressi ai cortili del suo Tempio sul Monte Sion. Chiede di entrare perché si riconosca la sua gloria. Le domande circa l'identità del re di gloria sono un espediente liturgico per collegare questo titolo generico con un nome e con un titolo che appar­ tengono specificamente ed esclusivamente al Dio d'Israele. La prima risposta rivendica per il Signore il ruolo e i diritti del guerriero divino. La creazio­ ne è stata una battaglia e la vittoria del Signore ha rivelato la sua gloriosa regalità. La seconda risposta rivendica per il Signore degli eserciti il rango di re di gloria. Il titolo «SIGNORE degli eserciti>> o «Dio degli eserciti>> è il no­ me del Dio d'Israele che troneggia (Is. 6,5), è il titolo che il Signore porta in quanto sovrano residente nella reggia di Sion (Sal. 84,1.3), colui il cui pote­ re rende la città di Dio una rocca inespugnabile dai nemici178 • li titolo fa ri­ ferimento alle schiere che circondano il trono celeste del Signore, lo lodano e consultano ed eseguono le sue decisioni di sovrano del mondo179 . In Sal. 89,5-14 si può leggere una lunga descrizione del Signore degli eserciti nel-

177 Cfr. Am. 5,21-24 e Mt. 5,21 . 1 78 Cfr. Sal. 46,7.11; 48,4-8. 179 Cfr., per esempio, Sal. 29,1-2; 82,1; 89,6-7.

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la quale sono presenti tutti gli elementi teologici del Sal. 24. Per i vv. 3-6 è particolarmente importante che giustizia, rettitudine, amore costante e fe­ deltà siano considerate caratteristiche del regno del Signore degli eserciti. Ciò spiega la necessità che chi desideri accedere al luogo della sua presenza regale abbia le qualità caratteriali del giusto180• L'occasione per eseguire questa liturgia dell'accesso nella vita religiosa d'Israele potrebbe essere stata una processione che portava l'arca nei cortili interni del Tempio durante una festa che celebrava il regno del Signore. Il nome «SIGNORE degli eserciti» era strettamente collegato con l'arca, il sim­ bolo dell'identità e della presenza del Signore. Quando l'arca entrava nel­ le porte del Tempio, l'ingresso ripeteva drammaticamente la scena finale di un modello narrativo che nella cultura religiosa del mondo antico ave­ va una grande rilevanza. Sia in Mesopotamia sia a Canaan la divinità che aveva ottenuto la vittoria sull'Oceano primordiale aveva diritto al trono e a una reggia-tempio che ne simboleggiava la sovranità. Creazione, regno e Tempio erano strettamente collegati. L'ingresso dell'arca era la rappresen­ tazione drammatica dell'identità del Signore, sovrano assoluto del mondo. La liturgia dell'accesso (vv. 7-10) è la versione drammatica della confessio­ ne di fede che apre il Sal. 24 (vv. 1-2)181.

4. Le tre parti del salmo riguardano tre elementi centrali: fede, vita e cul­ to. Il Sal. 24 dà agli abitanti della terra una confessione di fede con la qua­ le possiamo riconoscere come il mondo sia nato e a chi noi apparteniamo. Nel mondo, l'esistenza è possibile perché il mondo esiste. E il mondo esiste perché la volontà e l'opera del Signore hanno prevalso contro il Caos della non-esistenza per far nascere un ordine benefico e favorevole alla vita. La creazione è una vittoria del nostro Dio della quale noi beneficiamo costan­ temente. La confessione di fede esige una vita che sia essa stessa ordinata dalla sovranità dalla quale dipende. Il salmo ci insegna nei termini più semplici com'è quella vita: è una vita che, in ciò che pensa e fa, è fedele verso Dio e verso il prossimo. Soltanto una vita vissuta in tale maniera rispecchia la natura del sovrano al qua­ le essa appartiene ed è conforme a essa. Come la creazione, anche quel­ la vita è ordinata dalla volontà e dall'opera del Signore così da essere es­ sa stessa parte di quel sistema che crea la vita di tutti. È una vita fondata e resa stabile dalla benedizione e dalla giustizia del Signore in mezzo al caos del male. Il Sal. 24 annuncia anche che il Signore «viene» da noi: il Signore sta alla porta e bussa (Apoc. 3,20); è venuto per essere presente con noi e per noi. Egli viene da vincitore del caos del non-essere e così è in grado anche di pre­ valere sul caos del male. Questa è una buona notizia. Se egli non fosse lì per 180 Per tale aspetto, cfr. in part. T.N.D. METIINGER, pp. 181 In proposito cfr. F.M. CRoss, pp. 91-111 .

142

123-157.

Salmo 25: Signore, ammaestrami! noi con la sua benedizione e la sua giustizia, non sapremmo dove andare e a chi rivolgerei per trovare l'aiuto che ci consenta di dare forza alla nostra vita e rimetterla in ordine. La nostra esistenza dipende dalla sua creazione; la nostra benedizione e la nostra giustizia dipendono dalla sua venuta.

n tema dell'Avvento ha suggerito la collocazione e l'uso del Sal. 24 nel

calendario liturgico cristiano. Il salmo è stato associato per lungo tempo alla celebrazione dell'Ascensione di Gesù. Usato in tale occasione esso raffigura Cristo, vincitore del peccato e della morte, che entra nel regno celeste pas­

sando per le porte eterne, per regnare, re di gloria, alla destra di Dio. Nei lezionari contemporanei

il salmo è usato per il periodo dell'Avvento e per

la Domenica delle Palme, celebrando l'ingresso di Gesù a Gerusalemme. In queste occasioni

il salmo rivela il mistero del figlio di Maria: il bambino è il re di gloria. L'uomo che entra nella Città santa soltanto per essere rifiutato e messo a morte è il re di gloria nel

nato nella mangiatoia di una stalla

suo nascondimento. In lui Dio viene a noi e per noi, per portarci benedi­ zione e giustizia.

Salmo 25: Signore, ammaestrami! L'inizio, la fine e la struttura del Sal.

25 sono le chiavi principali per co­

gliere la natura del salmo. n salmo si apre con una profonda descrizione della preghiera: «A te, o Signore, io elevo l'anima mia» (v.

1)182. In Israele si

pregava sollevando le mani con le braccia tese in un chiaro gesto di suppli­ ca. La mimica rappresenta la preghiera come un atto nel quale le persone sorreggono la propria identità consapevole, la propria vita, con mani stese verso Dio per significare che la loro vita dipende completamente e soltanto dall'aiuto di Dio. Nel linguaggio figurato del Salterio, l'espressione

è sino­ 2), «mi rifugio in te» (v. 20) e «ti aspetto» (vv. 3-5.21)183. Nel salmo, lo stile predominante è quello della preghiera indivi­ duale di soccorso184• Esso è formato soprattutto da suppliche (vv. 2-7.11.1622) e da dichiarazioni di fiducia (vv. 1-2a.15). La metafora di apertura defi­ nisce tutta la composizione un'elevazione dell'anima a Dio. TI Sal. 25 è una preghiera che dice: «In mezzo a tutte le difficoltà e le angosce della vita [vv. 17.18.22], io pongo la mia speranza in te e in te solo, o Dio». nimica di «in te confido» (v.

182 183

Cfr. Sal. 86,4; 143,8.

Seguendo il Testo Masoretico e la Vulgata; VRL, N.Riv., B.Conc., B.Ger. interpre­ tano, con la versione pacelliana: . B.Ger.: ]. La NRSV ha: «l'amicizia del SIGNORE>>. 1 Il termine inglese covenant love denota l'amore che viene dalla fedeltà al patto. VRL, N.Riv., B.Conc. leggono «bontà/ grazia/benignità e verità>>, A proposito della cop-



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temere il Signore e osservare il patto è quello che la preghiera chiede che venga insegnato. Il rapporto dialettico tra ciò che Dio insegna e ciò che gli esseri umani fanno è creato dalla necessità di tenere insieme tutto quello che la preghiera dice circa l'ammaestramento che esso chiede. La dialetti­ ca è voluta, è un modo per arrivare alla verità della preghiera. Ciò che si chiede viene anche dato. Si sa già ciò che è necessario, ma la conoscenza si attua concretamente nel momento in cui si chiede.

3. L'insegnamento è richiesto quale dono di salvezza. Insieme con la sup­ plica di essere liberati dalle trappole che il mondo dispone per il credente (v. 15) e di ricevere il perdono del peccato, la preghiera chiede al Signore di guidare la nostra vita sulle sue vie. n Sal. 25 è uno dei salmi che vede chiara­ mente che la torah del Signore, la sua «istruzione» per quelli che lo temono, è parte dell'opera salvifica di Dio e completa la salvezza della liberazione e giustificazione con la santificazione193• Quelli che sono liberati dall'affli­ zione e i cui peccati sono stati perdonati hanno pur sempre bisogno di es­ sere guidati nella vita. n salmo insegnava a Israele di chiedere la grazia e la salvezza donate nella torah. Esso insegna alla chiesa a pregare affinché lo Spirito santo porti nelle nostre vite non soltanto la forza e la misericordia di Dio, ma anche l'insegnamento di come dobbiamo vivere mediante la co­ noscenza di come Dio si comporta con noi.

Salmo 26: Giudicami, o Signore! «Rendimi giustizia, SIGNORE, poiché sono giusto!»: ecco il tema del no­ stro salmo. La preghiera è scritta per gente che ha bisogno del «giudizio» di Dio: ecco l'occasione esistenziale della preghiera. n tema sembra teolo­ gicamente erroneo e l'occasione improbabile. Chi si dichiara giusto e prega perché si dimostri la sua giustizia contraddice quanto abbiamo imparato da Gesù e da Paolo. Una preghiera così somiglia a quella evangelica del fariseo (Le. 18,11 s.) ed è contraria alla dottrina paolina che (Rom. 3,23). Certo è incredibilmente arrogante pregare Dio perché indaghi

pia ; REB: «sostieni la mia causa>> [VRL, N.Riv., B.Conc., B.Ger.: ; Vulgata: , ma la versio­ ne pacelliana: ] . 195 VRL: >, egli li abbatterà e non li alzerà (v. 5)214. Dopo le suppliche per ottenere ascolto e soccorso, il salmo benedice il Si­ gnore con un inno di ringraziamento che celebra il Signore perché ha ascol­ tato (v. 6) e soccorso (v. 7) l'orante. La lode sembra presupporre che si sia avuta una risposta e l'aiuto richiesto sia giunto. Ai vv. 8 e 9 l'orizzonte della preghiera si amplia, fino a includere il po­ polo del Signore e il re, l'Unto del Signore. Si loda il Signore il cui potere supremo è la forza disponibile per il suo popolo215, e i cui atti di salvezza sono il rifugio del re davidico che regna quale Messia eletto e rappresen­ tante della sovranità divina216• Segue una intercessione per la salvezza del popolo del Signore, supplicato perché lo pascoli e sostenga, come un pasto­ re si prende cura del suo gregge217. La liberazione dell'individuo che prega il salmo sembra essere collegata con la sicurezza e la benedizione del re e del popolo. Il salmo potrebbe essere stato composto per essere recitato dal re o da un suo rappresentante, ma è altrettanto possibile che un individuo includa la preoccupazione per il proprio popolo e il suo re nella lode di rin­ graziamento a Dio per averlo esaudito, oppure, con la stessa percentuale di possibilità, che una preghiera individuale sia stata sviluppata per l'uso co-

211

Cfr. il commento al Sal. 26. Cfr. Ger. 9,8 e Sal. 5,9. 213 Cfr. Sal. 10,3-4; 14,1-2; 54,3; 64,8-9 e Is. 5,12. 214 È il linguaggio usato in Ger. 20,4-6; 42,10; 45,4; 1,10. 21 5 Cfr. Sal. 29,10-11. 216 Per l'Unto, cfr. il commento al Sal. 2, vedi sopra, pp. 63 s. 217 Le immagini usate somigliano a quelle del Sal. 23 e di ls. 40,9-11 . 212

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Salmo 29: ll Dio di gloria munitario. In ogni caso, il salmo unisce insieme l'orante, l'Unto e il popolo del Signore in quella inscindibile unità che rientra negli scopi di Dio.

Salmo 29: Il Dio di gloria Il Sal. 29 è una dossologia dell'Antico Testamento che loda il Signore, so­ vrano dell'universo. I temi del salmo sono il regno, la potenza e la gloria. 1. Il salmo è un inno di lode composto dei soliti elementi: un invito im­ perioso alla lode (vv. 1-2) e il corpo o contenuto della lode (vv. 3-10); il verso conclusivo è una preghiera basata sulla lode (v. 11). Tuttavia, all'infuori di ciò, l'inno presenta ben poco di tipico del generea cui appartiene218. L'esor­ tazione è diretta a esseri divini e non umani: sono i primi che devono ren­ dere al Signore la gloria e la potenza che il nome del Signore rappresenta. La gloria è attribuita con la proclamazione della potenza «della voce del SI­ GNORE» (vv. 3-4) illustrata con sette suoi effetti potenti ( vv. 5-9). La procla­ mazione si trasforma nella descrizione di un violento temporale (vv. 3 e 7) proveniente dal mare che si abbatte sulle montagne della costa, flagellando le loro foreste e arrivando a sconvolgere anche il deserto di là delle monta­ gne. La proclamazione raggiunge l'acme con la dichiarazione che il Signore troneggia sul diluvio, re in eterno (v. 10). La dichiarazione precisa il signifi­ cato della proclamazione; la tempesta è la gloria, la manifestazione del po­ tente dominio del Signore. La preghiera conclusiva invoca quella potenza vedendovi una benedizione divina che crea pace per il popolo del Signore. In questi undici versetti c'è molto che ha bisogno di essere spiegato. 2. L'inno fu presumibilmente composto per essere eseguito dalla comu­ nità riunita nel Tempio o per essa. Tuttavia, tranne l'ultimo versetto, l'inno guarda verso la sfera celeste e immagina la reggia cosmica di Dio. Lì il Si­ gnore troneggia quale sovrano dell'universo. n suo trono poggia sul dilu­ vio, l'Oceano cosmico che nella cosmologia dell'antico Oriente si pensava circondasse la terra. Attorno al trono ci sono le schiere celesti, gli esseri di­ vini che formano la corte e il consiglio celeste219. L'inno ha presente la sce­ na descritta più diffusamente in altri passi della Bibbia220. L'appello iniziale alle schiere celesti affinché glorifichino il Signore è un espediente liturgico che permette all'assemblea di culto di formulare la propria lode conforme-

2 18 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.5.4. 21 9 Cfr. Sal. 89,7; 103,19-21; 148,1-2. 22° Cfr.

Sal. 89,5-14; 97,1-5; Is. 6; Apoc. 4,1-11.

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mente a quanto è giusto e prescritto nel tempio-reggia celeste. Le dossolo­ gie della comunità corrispondono alle dossologie del cielo221 •

3. L'inno è una dossologia. n motivo tematico strutturale è il termine «gloria»: esso compare nell'invito iniziale (vv. 1-2) e al principio (v. 3) e fine (v. 9) della proclamazione della voce del Signore. ll termine «gloria» è usa­ to in due sensi correlati. Primo, «gloria» è un termine che riassume gli at­ tributi del Signore re. n Signore è chiamato «Dio di gloria» (v. 3), un titolo unico che rappresenta una variante dell'epiteto «re di gloria»222 . La forza e il potere, lo splendore santo e la maestà del Signore sono la sua gloria. Se­ condo, «gloria» è un termine teofanico, la manifestazione della regalità di­ vina del Signore nel mondo. I sette modi nei quali la voce del Signore viene proclamata descrivono ed evocano la teofania del Dio di gloria223. L'inno fa capire tutto ciò molto chiaramente quando, nella conclusione della procla­ mazione, racconta che ognuno nel Tempio, sia nella reggia celeste sia nel santuario terreno, esclama «gloria», riconoscendo ciò che la proclamazione vuole dire (v. 9). 4. I fenomeni usati per descrivere la voce del Signore sono quelli meteo­ rologici: tempesta con tuoni, lampi, fulmini e vento. La voce è un frastuono più che parole, ma non è soltanto rumore. La voce del Signore è il mezzo efficace che produce ogni effetto descritto nella proclamazione: è udita, vi­ sta e sentita. Il salmo usa la voce in senso metonimico per trasmettere l'idea della persona e della potenza del Signore; è l'oggetto tematico di una de­ scrizione della teofania, un'apparizione di Dio nel mondo. Di solito, le de­ scrizioni di teofanie vengono usate nel Salterio e nei profeti per raffigurare l'apparizione del Signore e il suo intervento nelle faccende umane per sal­ vare e giudicare224• Nel nostro salmo lo scopo è unicamente quello di evo­ care la potenza e la maestà del Signore, il sovrano dell'universo. Nel mon­ do d'Israele c'era una ben precisa ragione per utilizzare l'immagine della tempesta nelle raffigurazioni della manifestazione del Signore225: nel mi­ to religioso dell'epoca la tempesta era un mezzo espressivo convenzionale della teofania, in particolare per descrivere l'apparizione del Dio guerriero che conquistava il dominio su altre divinità e sul mondo. Tale fenomeno meteorologico era associato, in particolare, con la divinità cananea Baal, la cui voce, si diceva, poteva essere udita nel tuono226• Così, la proclamazio­ ne della voce del Signore aveva una funzione polemica. Il nome del Dio

221 Si noti che nella versione dei vv. 1-2 usata nel Sal. 96,7-9 l'esortazione è diretta alle . 222 Cfr. Sal. 24,7-10. 223 Cfr. Apoc. 10,3-4. 224 Cfr. il commento al Sal. 18, par. 2. 225 Per altri casi cfr. i Sal. 18,7-15; 68,4.8.33; 77,16-18; 97,1-5; 104,3-4. 226 Cfr. F.M. CROSS, pp. 147 ss., e J. DAY, pp. 57 ss.

156

Salmo 29: Il Dio di gloria d'Israele appare in diciotto dei ventitré stichi del salmo per significare, con la martellante ripetizione, che è il Signore, e nessun'altra divinità, che go­ verna il mondo con la propria potenza. Mentre nel mito cananeo l'Oceano e i fiumi erano gli avversari di Baal nella lotta per il trono, nel salmo le ac­ que potenti e il diluvio sono semplicemente soggetti al potere del Signore, puri simboli del suo regno etemo227• La proclamazione della voce del Signore è, quindi, un espediente lette­ rario e teologico studiato per essere una dossologia. ll salmo non indica a lettori e ascoltatori una qualche manifestazione meteorologica e dice: «An­ date e siate stupiti e sopraffatti da tuoni e fulmini». Nell'economia dell'in­ no, l'evocazione poetica di un uragano composta sul tema della voce del Signore soddisfa l'invito iniziale alla dossologia e prepara la comunità cul­ tuale alla preghiera conclusiva. Questa impostazione stilistica è una testi­ monianza di quanto l'esperienza dossologica rivesta un'importanza urgen­ te per la condizione umana. L'esistenza ha una necessità subconscia di un qualche tipo di estàsi: non l'estasi del possesso, dell'invasamento, dell'es­ sere asservito e usato da un altro, bensì l'estasi della rivelazione di un al­ tro che è ciò che noi non siamo, l'estasi del confronto con un altro nell'aura del cui potere troviamo possibilità che non sono nostre. Si tratta di una ne­ cessità pericolosa, perché nel mondo del divertimento e della politica può portarci a occupare il nostro spirito con un'emozione vacua o ad affidare noi stessi a sedicenti zeloti di moda o a idolatrare l'uno o l'altro dei poteri che operano nella nostra società. Ma è un bisogno inestinguibile. La possi­ bilità meravigliosa che si apre nel culto è un uso di tempo, spazio e suono per creare la situazione dossologica nella quale si emette un . ] 248 Così anche M. Lutero: cfr. Sal. 25, n. 11 [N.d.C. ].

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Libro primo - Salmi l 41 -

lui per richiamare la giusta visione di colui al quale esso si rivolge. Il Signore è «mio Dio, mia roccia, mia fortezza, mio baluardo, mio rifugio» (vv. 14.34) perché, con l'iniziativa della sua grazia, egli mi ha reclamato mediante l'elezione e il patto. Egli mostra la propria giustizia (v. l) con la redenzione dei suoi eletti (v. 5)249 e con la sua benignità (l)esed: vv. 7.16.21) e con la fe­ deltà verso i suoi. Egli avvolge nell'immensa bontà della sua provvidenza quelli che gli affidano la propria vita (vv. 19-20). La fedeltà di Dio crea un popolo fedele (v. 23) - una cosa va con l'altra e ne dipende -, un popolo che può pregare e vivere nella fiducia della fede. L'autore della seconda Lettera a Timoteo era a conoscenza di tutto ciò quando scriveva: «So in chi ho cre­ duto, e sono convinto che egli ha il potere di custodire il mio deposito fino a quel giorno» (ll Trm. 1,12b ) .

3. Tra tutte le espressioni ormai familiari per indicare la fiducia in Dio, ce

ne sono due che si trovano unicamente in questa preghiera. Una è la frase già citata: «Nelle tue mani rimetto il mio spirito» (v. 5). Poiché nel Vangelo di Luca queste parole sono le ultime mormorate dalle labbra di Gesù prima di spirare (Le. 23,46) e nel libro degli Atti degli apostoli le ultime parole mor­ morate dal protomartire Stefat}O mentre lo lapidavano sono simili a queste (At. 7,59)250, attraverso i secoli quell'affermazione di fiducia è stata usata dai credenti quale preghiera di addio alla vita di chi muore nella fede: nel novero di costoro ci sono, per esempio, Policarpo, Bernardo di Chiaravalle e Lutero251• La dichiarazione divenne un'intensa liturgia personale del mo­ ribondo per acconsentire, in fiducia, al ritorno del suo spirito al Dio che lo aveva dato. Tuttavia, in ebraico e nel contesto del Sal. 31 la frase significa, più o meno, «affido la mia vita al tuo volere sovrano»; è, in sostanza, una confessione esistenziale di massima impotenza, di dipendenza totale, di fi­ ducia illimitata; un modo per dire, nel momento dell'afflizione, «Decidi tu, Dio, ciò che sarà di me; io sono pronto ad accettare la tua decisione». L'altra espressione esclusiva del nostro salmo è una variante per dire so­ stanzialmente la medesima cosa. «I miei tempi sono in mano tua» (v. 15) non significa che dipende da Dio quanto a lungo vivremo, ma che il nostro desti­ no (le occasioni quando accadono le cose che determinano la nostra vita) è nelle mani di Dio252• Queste sono affermazioni che appartengono tanto alla

249

Come ben sapevano anche il profeta Isaia (ls. 40 - 55) e l'apostolo Paolo. Nelle due opere di Luca si crea volutamente una sovrapposizione perfetta tra il kyrios del Sal. 31, il SIGNORE, e il kyrios Gesù. Cfr. quanto detto nell'Introduzione, n. 5 250

[N.d.C].

251 Cfr. l'elenco completo nell'indice di R.E.

252

PRoTIIERo, The Psalms in Human Life.

VRL, N.Riv., B.Conc., B.Ger. traducono: , un'espressione che sem­ bra riferirsi piuttosto alla lunghezza della vita (cfr. Sal. 23,6c: . È un appello e una guida alla confes­ sione di peccato. l. Il salmo esalta la beatitudine del peccatore perdonato. Nel salmo ci sono molte beatitudini, più che in qualsiasi altro libro della Bibbia. Nel te­ sto non c'è nulla che autorizzi a classificarle in ordine di importanza: sono tutte alla pari e tutte insieme formano un mosaico che raffigura il benessere della vita vissuta secondo i principi e gli ordini stabiliti di Dio. Ogni beati­ tudine raccomanda un aspetto di quel benessere, presentandolo desidera­ bile e raggiungibile. Tuttavia, il Sal. 32 dà l'impressione di aver imparato

257 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.3. 258 Per il genere letterario dei macarismi, cfr. il commento al Sal. 259 Cfr. Esd. 9; Ne. 9; Dan. 9. 260 Cfr. Rom. 4,6-8.

166

l, pp. 57 s.

Salmo 32: Confesserò le mie trasgressioni dai profeti che il perdono

di Dio è il primo e principale fondamento della

vita del popolo di Dio261• L'intensità e l'insistenza della doppia beatitudine e delle triple categorie sinonimiche (quelli la cui trasgressione ta, il cui peccato

è espiato,

è perdona­

ai quali il Signore non imputa la colpa) metto­

no in risalto, in maniera assolutamente particolare, il perdono del peccato. Calvino osservò che tutto ciò che in altre beatitudini la Scrittura dice circa la beatitudine dipende da quella che

è raccomandata in questo salmo,

«la

libera grazia di Dio con la quale egli ci riconcilia con se stesso»262• Questa

è, naturalmente,

una valutazione di ciò che nella vita ha veramente valo­

re, un giudizio che contraddice l'opinione corrente di ciò che rende felici. Crederanno ciò soltanto quelli

ai quali viene insegnato quanto il salmista e

l'apostolo hanno imparato dal giudizio e dalla grazia di Dio. 2. Il salmo mette in rilievo l'importanza cruciale della confessione di pec­

cato.

È il percorso umano per arrivare alla remissione del peccato. L'opera

di Dio

è il perdono

del peccatore e noi non riconosciamo la sua grazia se

non ci presentiamo a lui come peccatori. a. Nell'Antico Testamento, il salmo dichiara esplicitamente che la con­ fessione di peccato rientra, in particolare, nella preghiera e, in generale, nel rapporto con Dio. Qui si corregge l'antico schema di gridare a Dio quando si è nel bisogno o nel pericolo263, si precisa la nozione di ravvedimento qua­ le semplice ritorno a Dio dopo l'infedeltà. Ci deve essere una confessione di peccato. Il grido alzato a Dio nell'ora della difficoltà deve cominciare con il pentimento.

È in questo modo che tutti quelli che sono devoti al patto de­

vono pregare (v.

8);

questa

è la maniera nella

zione del giudizio di Dio devono pregare (vv.

quale quanti provano l'affli­

3-4).

b. Il salmo mette in contrapposizione il «finché ho taciuto» del v.

il «non ho taciuto . . . ho ammesso» del v.

3 con

5. li contrasto tra silenzio e parola

è correlato all'esperienza generale di quanto accade tra gli esseri umani. Se uno ha fatto un torto alla moglie, a un genitore, a un amico, a un vicino di casa - cioè a qualcuno con il quale si

è consapevolmente in rapporto - e ri­ è là, in parole, disponibile perché lo si possa trattare, allora il torto trattenuto e fiuta di ammetterlo, di dare espressione verbale al torto così che esso

protetto comincia a diventare parte dell'identità della persona: fa male, in­ durisce, umilia. Questa esperienza appartiene alla vita sia delle identità col­ lettive sia dei singoli individui. Laddove Dio

è l'altro, il silenzio è frutto di

caparbio orgoglio o di uno spirito reso muto dalla paura di essere scoperto.

È il comportamento tenuto da Adamo quando si nascose dalla presenza di Dio. Quando si tace, ogni afflizione e ogni problema assume la forma del

261 Cfr., per esempio, Is. 40,2; 55,6-7. 262 G. CALVINO, vol. l, p. 526. 263 Per esempio, Sal. 107,17-22.

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Libro primo

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Salmi l

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41

giudizio di Dio: «Giorno e notte la tua mano si appesantiva su di me» (v. 4). Peggio ancora, il silenzio significa il rifiuto della grazia. c. La confessione di peccato deve essere detta a Dio. n rimorso segreto, l'autoanalisi psicologica, segni e sensi di colpa non sono una confessione. Si deve rompere il silenzio in presenza dell'altro. Con un'ulteriore serie di tre dichiarazioni sinonimiche il salmo ribadisce che la confessione avviene sol­ tanto quando è espressa in parole dette all'altro: «Davanti a te ho ammesso [ . . . ] non ho nascosto [ . . . ] ho detto: Confesserò al SIGNORE [ . ]>> (v. 5). L'uni­ tà inscindibile è: «Io confesso - tu perdoni». Alla base di questa successione necessaria c'è il ruolo della fede. La confessione è il bussare che fa aprire la porta, la ricerca che trova, la richiesta che riceve. La confessione di peccato a Dio è una confessione di fede in Dio. È l'atto della fiducia che Dio è un Dio che mantiene fede al patto (v. 10b). Significa parlare di Dio e anche del no­ stro io. Se diciamo di essere senza peccato, non solo inganniamo noi stessi, ma rendiamo un bugiardo proprio chi è fedele e giusto e perdonerà i nostri peccati264• La fede non è come un cavallo o un mulo senza intelligenza (v. 9); la fede capisce che noi siamo peccatori e che Dio è benigno. .

.

3. n salmo avverte che la confessione di peccato deve essere fatta one­ stamente. La seconda beatitudine del salmo precisa: «Beato l'uomo [ . . . ] nel cui animo non c'è inganno» (v. 2). Dato che la confessione di peccato è l'at­ to di un peccatore, può essere peccaminosa. Dio non viene ingannato, ma il peccatore può ingannare se stesso. Commentando questo salmo, Agostino avverte per ben tre volte: «Non pretendere di avere diritto al regno a mo­ tivo della tua propria giustizia né il diritto a peccare a motivo della grazia di Dio»265. n che vuol dire: non trasformare la confessione di peccato in un'opera della tua giustizia né nella facile presunzione del perdono di Dio. Entrambe le opinioni sono ingannevoli. Agostino, Lutero, Calvino e Barth seguono Paolo266 e nella loro interpretazione del Sal. 32 non si stancano mai di insistere che la confessione di peccato non è in alcun modo e da nessun punto di vista un'opera della nostra giustizia: è fede, fede nuda che non si ammanta di alcuna giustizia propria. La giustizia ricevuta con il perdono viene perché «il Signore non imputa l'iniquità» (v. 2). D'altra parte la pratica del pentimento può diventare una questione di routine, una prassi irrilevan­ te, vuota, priva di sincera serietà, che non vuole alcuna santificazione, una pretesa che dà per scontata la misericordia di Dio, l'opinione di una grazia a buon mercato. «n sacrificio accettabile a Dio è uno spirito contrito» (Sal. 51,17). Per il cristiano, la cura contro l'inganno viene dal tener presente il Cristo crocifisso, giudizio sul nostro peccato e perdono di esso.

264 Cfr. I Giov. 1,8-10. 265 AGOSTINO, in St. Augustine on

266

168

Cfr. Rom. 4,7-8.

the Psalms, Sal. 30, pp. 62-64.

Salmo 33: Esultate, o giusti, nel Signore!

Salmo 33: Esultate, o giusti, nel Signore! Il Sal. 33 è un inno di lode con uno scopo specifico: celebra il Signore, colui nel quale i giusti possono riporre la loro fiducia e la loro speranza. Lo scopo è evidente nello stile piuttosto didattico della maggior parte dell'in­ no (vv. 6-19) e nella conclusione, dove troviamo una professione di fiducia (vv. 20-21) e una preghiera (v. 22). n salmo celebra il Dio nel quale i giusti confidano, e la loro giustizia è che confidano nel Signore. Allo stesso tem­ po, il salmo insegna e incoraggia ad avere fiducia e speranza, definendo il Signore colui nel quale si può confidare. 1. Il salmo comincia seguendo il modello dell'inno con l'imperativo esor­ tativo267. I vv. 1-3 sono una prolungata chiamata alla lode, mentre i vv. 4-5 dichiarano motivazione e contenuto della lode. La lode viene sviluppata ed estesa nei vv 6-19 ricorrendo a una varietà di stili e di temi. n Signore è lodato quale Dio del cielo e della terra (vv. 6-9), delle nazioni e dei popoli (vv. 10-12), degli esseri umani (vv. 13-15) e, infine, di quelli che lo temono (vv 16-19). Poi, in chiusura, i giusti che temono il Signore affermano la pro­ pria fiducia in lui (vv. 20-21) e pregano che l'amore e la fedeltà del Signore dimostrino che la loro speranza non fu vana (v. 22). n numero dei versi poetici è uguale al numero delle lettere dell'alfabe­ to ebraico. La cosa non è sicuramente fortuita, bensì rispecchia l'intenzione del poeta. È un indizio che il salmo intendeva essere altrettanto completo ed esauriente nell'esporre la sua materia dell'alfabeto nell'elencare le sue lettere. Tale preoccupazione di completezza si manifesta anche in altri mo­ di, per esempio nella maniera in cui nei vv. 1-5 i termini sono compilati e nella descrizione sommaria delle quattro sfere sulle quali si esercita la so­ vranità del Signore, descrizione che costituisce il corpo dell'inno . n salmo è un inno composto per celebrare Dio e insegnare come sia, come agisca e come operi il Dio che viene lodato. .

.

2. Nella chiamata alla lode (vv. 1-3) si usa quasi tutto il vocabolario del culto con accompagnamento musicale. Secondo l'ordine canonico dei sal­ mi, questo è il primo riferimento all'uso di strumenti musicali e così, in un commentario tradizionale, questa è l'occasione offerta dal testo per una di­ scussione sull 'opportunità e la validità dell'uso di strumenti musicali nel culto. Nella storia della cultura, la musica era, in origine, una esecuzione sacra. Ai giorni nostri, il problema di decidere se certi generi musicali creati fuori della sfera religiosa siano appropriati al culto tormenta spesso gli ad­ detti alla liturgia. Per il salmista e il suo mondo, fu la lode che fece nascere

267 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.5.4.

169

Libro primo - Salmi l - 41 la musica, la formò e la controllò. Dove ciò si può verificare in maniera au­ tentica, la musica, di tutti i generi, è la forma più sublime e completa di lo­ de. Per quelli che sono giusti con il Signore, un inno di lode è «conveniente» (v. 1)268• Qui c'è, implicita, una teologia della musica: essa deve essere una lode autentica del Signore, offerta da quelli che sono giusti con il Signore. Il perché e il chi sono gli aspetti cruciali. Nella motivazione della lode si ha nuovamente una sovrabbondanza di termini, cinque delle parole più usate per descrivere il comportamen­ to del Signore: rettitudine, fedeltà, giustizia, equità, benignità269• Qui i ter­ mini suddetti sono riferiti alla parola e all'opera del Signore, due cose che vanno insieme, come mostra il v. 6, dove l'opera è compiuta dalla parola. n salmista pensa in termini teologici della parola quale strumento perfetto del Signore nelle sue opere. Nella scaletta delle caratteristiche della parola e dell'opera del Signore la benignità occupa l'ultimo posto. La terra, dice l'inno, è piena dello l)esed del Signore270•

3. Quest'ultima affermazione è il perno sul quale ruota il salmo. Il resto del salmo ne esporrà il significato. n Signore è Dio su tutto, l'unico sovrano di ogni sfera della realtà: mondo, nazioni, umanità e la comunità di quel­ li che temono il Signore. Così i giusti che vivono nel mondo in mezzo alle nazioni, comunità che ha bisogno di salvezza, confidano nello l)esed del Si­ gnore e pregano per esso. Il Signore è Dio del mondo, creatore dei cieli (v. 6) e della terra (v. 9). Quelli e questa sono opera della sua parola, il risultato del suo ordine. Egli ha relegato gli Oceani primordiali nella sede loro assegnata (v. 7; cfr. 24,2). Il poeta pensa avendo Gen. l in mente. Abitare nel mondo significa vive­ re e muoversi ed esistere nella sfera della parola di Dio. L'unico modo per conoscere veramente il mondo è temere il Signore, cioè avere per Dio il Si­ gnore. n salmo non considera il mondo in sé e di per sé una rivelazione del Signore né è, in alcun modo, espressione di una teologia naturale271 • Al contrario, esso chiama tutti a temere il Signore quale Dio, alla luce della ri­ velazione di Dio a Israele (v. 8). Il Signore è Dio sopra le nazioni (vv. 10-12). Nazioni e popoli mettono in atto politiche e progetti che guidano la loro partecipazione in quella che noi moderni chiamiamo storia. I loro piani sono espressione del loro senso della propria identità, del proprio destino e della propria potenza. L'inter­ rogativo di quale «consiglio» prevalga è, in fondo, semplicemente la que-

268 N RSV: «si addice» [= VRL, N.Riv.]; NJPS: «è adatto» [B.Conc. : «SÌ conviene>>]. Cfr. Sal. 147,1. 269 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 6.8. 270 Non della gloria del Signore, come in ls. 6,3. 271 C fr. il Sal. 19 e relativo commento.

170

Salmo 33: Esultate, o giusti, nel Signore! stione di quale potere dovrà governare il mondo. Nel corso di crisi specifi­ che della storia d'Israele, Isaia e altri profeti appartenenti alla sua tradizione dichiararono che il consiglio e i piani del Signore avrebbero prevalso272. n salmista dice che rientra nel modo di agire del Signore vanificare il disegno delle nazioni che si propongono di rendere se stesse il centro del mondo e di disporre dei popoli della terra per i propri fini. La chiave per capire che cosa sta succedendo nella storia va trovata in quella «nazione» il cui Dio è il Signore, perché il Signore l'ha scelta quale proprio possesso. Una tale nazione non ha né un proprio consiglio né propri disegni, ma mette in atto un piano che serve la sovranità del Signore. Nessuna nazione può decide­ re da sé di ricoprire quel ruolo b�sato sul proprio senso del destino o della propria natura. Il ruolo stesso deve dipendere dall'elezione di Dio che ha scelto proprio quel preciso popolo affinché il gruppo sociale fosse possedu­ to in toto, compresi i suoi scopi e piani, dal Signore. Per Israele il problema era se «il Signore è in verità il nostro Dio». È l'interrogativo che deve porsi ogni comunità eletta che vive nella storia. Il Signore è Dio sugli esseri umani (vv. 1 3 1 5 ). Egli ha creato la loro mente e capisce che cosa fanno. Dal suo punto di osservazione il trono celeste - egli «vede» tutti gli esseri umani, un modo di dire mitopoietico per ricordare che la conoscenza del Signore abbraccia ogni persona273• In altri testi questa sorveglianza onnisciente esercitata da Dio comporta re­ sponsabilità, ammonimento, conforto. Nel nostro salmo, essa è dichiarata semplicemente come un dato di fatto della divinità del Signore. Che Dio esiste significa che ogni vita umana è conosciuta: in ultima analisi, non c'è né isolamento né segreto. Si loda il Signore, lui che ha la nostra vita sem­ pre davanti agli occhi. Il Signore è il Dio della salvezza (vv. 16-19).Quando la morte incombe e la vita è in gioco, si pone la questione del soccorso. Il salmista conosce la proclamazione di Isaia (45,20-25): solo il Signore salva, perché lui solo è Dio. Il salmista conferma questo principio contrapponendo l'inutilità di dipendere dalle risorse umane più potenti in assoluto alla cura che il Si­ gnore ha per quelli che lo temono. Il problema non è se uno faccia o meno tutto il possibile per affrontare le minacce, bensì, piuttosto, in chi o in che cosa si riponga la massima fiducia e l'estrema speranza. L'espressione che il salmista usa per indicare di avere il Signore per Dio è «temere il SIGNo­ RE)); il che, a sua volta, significa rendere la sua benevolenza nostra estre­ ma speranza. -

-

4. La riflessione sulla speranza e la salvezza sfocia nell'asserzione con­ clusiva della speranza nello besed del Signore e della preghiera per il suo

272 Cfr. Is. 8,10; 46,10. 273 Cfr. Sal. 11,4; 14,2; 102,20.

171

Libro primo - Salmi l

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l)esed (vv. 20-22). Il salmo guida così quanti lodano il Signore quale Dio alla confessione di fiducia e alla supplica che conferma quella lode in un atteg­ giamento di vita composto di fiducia e speranza. Nel suo insieme, il salmo esprime in parole la visione teologica della real­ tà che appartiene alla comunità che celebra il culto. Il nostro modo norma­ le di pensare divide il mondo in sfere separate, ciascuna con le sue distinte caratteristiche e leggi. Pensiamo in termini di natura, di storia, di psicologia individuale, di religione. Dietro alle varie dimensioni della nostra realtà il salmo vede l'unica, vera, comprensiva realtà del Signore sovrano che è Dio e, essendo Dio, include e controlla tutte quelle dimensioni.

Salmo 34: Provate e vedete! Per molti aspetti il Sal. 34 è un gemello del Sal. 25. Sono entrambi poemi acrostici, i cui versi cominciano con lettere dell'alfabeto ebraico, seguendo­ ne l'ordine consolidato. Entrambi omettono la lettera waw ed entrambi ag­ giungono alla fine un verso per completare il numero delle lettere, venti­ due. Il Sal. 25 usa il modello letterario liturgico della preghiera di soccorso, mentre il Sal. 34 usa il modello del ringraziamento per l'aiuto concesso274• Nonostante questa differenza complementare, in entrambi i salmi predo­ mina la funzione didascalica. Nel Sal. 34 il motivo della testimonianza resa ad altri con il canto di ringraziamento è stato sviluppato in un ammaestra­ mento. Il salmo è un ringraziamento in termini generali che impartisce un insegnamento nella teologia di entrambe le fasi della preghiera dei salmi: il grido di soccorso e la lode che esprime gratitudine per l'aiuto concesso. Il Sal. 34 dà l'impressione di essere un carme composto «come un atto isti­ tuzionalizzato, regolare di rendimento di grazie al SIGNORE»275. Il dotto scriba che esaminò puntigliosamente i due libri di Samuele per scovare punti di contatto tra la vita di Davide e il nostro salmo, individuò un rapporto tra il v. 8 e una parola in I Sam. 21,13 che nella traduzione non si può riconoscere. Nella storia di Samuele, il re in questione si chiama Achis, mentre nel titolo del nostro salmo è chiamato Abimelec276• Il salmo si apre con un'invocazione di lode da parte del salmista e della comunità degli «umili», quelli che vivono confidando nel Signore e da lui dipendono (vv. 1-3). Il racconto della liberazione occupa il v. 4, mentre le

274 Per il canto di ringraziamento e i poemi acrostici, cfr. l'Introduzione, vedi sopra, rispettivamente 5.3 e 5.6.2. 275 E.S. GERSTENBERGER, Psalms, p. 147. 276 Cfr. il commento al Sal. 3, pp. 70 s.

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Salmo 34: Provate e vedete! implicazioni della salvezza sono esposte nei vv. 4-10 in forma di esortazio­ ni, dichiarazioni e di una beatitudine. Poi un invito esplicito a imparare il timore del Signore (v. 11) è seguito da un ammaestramento circa il timore di Dio (vv. 12-14) e il rapporto tra timore del Signore, preghiera e liberazio­ ne (vv 15-22). In questo salmo le due sfere e funzioni di liturgia e istruzione sono as­ sociate in una maniera che influisce su entrambe. Importanti precisazioni sulla concezione della preghiera sono fatte mediante l'introduzione di temi e preoccupazioni che riguardano piuttosto i maestri di sapienza e i profeti. A loro volta, i temi e le preoccupazioni sono condizionati dall'ambito litur­ gico nel quale sono collocati. .

1. Al v. 11 un maestro esorta i «figli», cioè i suoi discepoli, ad ascoltare il suo insegnamento, specificandone il tema: «il timore del SIGNORE». Prosegue poi (vv 12-14) con una lezione di argomento etico. n problema che affronta è come si possa soddisfare il desiderio di vivere. La risposta suona: prati­ cando il timore del Signore. In termini concreti: si eviti il male, nelle parole e nelle azioni, e si faccia il bene, ricercando la pace o il benessere degli al­ tri. Tale comportamento, si sottintende, porterà a una vita lunga e piena di soddisfazioni. Qui stile, tematica, questione, ammaestramento e promessa sono tutti elementi caratteristici del libro dei Proverbi e delle istruzioni in esso contenute277• Qui il salmo espone la sapienza circa il modo in cui le co­ se funzionano; quanti desiderano la vita devono conoscerla. .

2. A questo insegnamento si affianca un altro modo di parlare del timore del Signore, un modo nel quale si usano verbo e participio anziché un so­ stantivo (vv. 7 e 9). Quelli che temono il Signore vengono indicati con una terminologia diversa che appartiene soprattutto al vocabolario della litur­ gia: essi sono «i giusti» (vv. 15.17.19.21), «gli umili» (v. 6), «quelli che si ri­ fugiano nel SIGNORE» (vv. 8.22). In tutti questi versetti il tema è la preghiera; il problema da affrontare sono le afflizioni e le difficoltà che tormentano la vita (vv. 6.17.19); la soluzione è gridare al Signore, una soluzione presenta­ ta come modello nel racconto del v. 4 e ripetutamente raccomandata (vv 56.10.15.17-18). n risultato promesso è la liberazione del Signore (vv. 17-20). Qui il salmo espone la fede nell'efficacia della preghiera e nel Dio che ne garantisce l'efficacia (vv. 15.17.6 in particolare). .

3. L'interazione ermeneutica tra le due forme di istruzione conferisce una dimensione etica alla prassi liturgica. Non basta essere semplicemente quelli che nel bisogno gridano al Signore quando si trovano nei guai. Sono i timorati di Dio che hanno reso già prima il Signore fondamento e guida della condotta di vita attorno alla quale l'angelo del Signore si attenda a lo-

277 Cfr., per esempio, Prov. 1,7.8.29; 3,1-2; 4,1 .

173

Libro primo - Salmi 1 - 41 ro protezione (v. 7). In questo modo il salmo assume la medesima posizio­ ne dei profeti circa il culto d'Israele. Rivolgersi al Signore supplicandolo non va separato dall'amare il bene, detestare il male e cercare lo shalom278• «Non chiunque mi dice: Signore, Signore [ . . . ] ma chi fa la volontà del Pa­ dre mio» (Mt. 7,21).

4. D'altra parte l'interazione ermeneutica evita che la verità dell'inse­ gnamento etico venga intesa in una maniera semplicistica, meccanica e dogmatica. Non è assolutamente vero che quelli che fanno il bene viva­ no anche bene, senza problemi; non lo è certo in alcun senso immediato e semplice. Il salmo non lo nasconde, anzi lo dichiara chiaramente: «Molte sono le afflizioni del giusto>> (v. 19a). Quanti hanno imparato il timore del Signore non sono certamente esenti da difficoltà insuperabili. La vita etica deve essere vissuta come la vita di preghiera. Il Signore è vicino a quelli che hanno il cuore spezzato e lo spirito affranto, a quelli che sanno di non potercela fare ad aiutarsi da soli o a basare la loro vita sul modo in cui vi­ vono (v. 18)279 . 5. n salmo tiene le due dimensioni unite insieme ritenendole essenziali entrambe alla fede biblica. Non si può rinunciare a nessuna delle due, per­ ché Dio è santo e ama. È vero che evitare il male e fare il bene favorisce la vita. È vero che il Signore libera i giusti che lo invocano in tutte le loro affli­ zioni. Merito e necessità, ricompensa e salvezza sono strutture del rappor­ to tra Dio e gli esseri umani. La fede vive in termini di entrambe le realtà, senza mai raggiungere una posizione di facile equilibrio e lascia che sia Dio a occuparsi di tutto ciò. Il versetto del salmo che negli anni ha più attratto l'attenzione è l'esor­ tazione del v. 8a: «Gustate e vedete che il SIGNORE è buono>> (VRL)280. Il verbo «assaggiare>> è usato qui nel senso di «scoprire direttamente, fa­ cendo la prova>>. Che significa questa ammonizione insolita e ardita? Nel contesto del salmo non può essere che una proposta di mettere alla prova la ricerca della pace e la pratica della preghiera quale modo per aprire la vita al dono della vita che il Signore ci fa mediante la sua ricompensa e la sua salvezza.

278 Cfr. il v. 14 e Am. 5,15. 279 Cfr. anche Sal. 51,17; Is. 57,15; 61,1. 280 L'ìnglese ha taste ; la N .Riv. ha un più generico che è >. Per quest'ultimo argomento e per la terminologia teologica italiana ivi usata (corporamento, corporato, corporalità, corporazione, corporativo), cfr. J.D.G. DuNN, La teolo a dell'apostolo Paolo, Brescia, Paideia, 1999, in part. pp. 78-84 testo e note.] 1 F. DELITZSCH, op. cit., vol. 2, pp. 66 s. 1° 11

f

200

Salmo 44: Per amor tuo siamo messi a morte 1. La preghiera comincia ricordando la storia della salvezza (vv. 1-3); se­ guono poi una confessione di fede (v. 4) e una dichiarazione di fiducia (vv. 5-8). Dopodiché, con un improvviso contrasto, arriva la descrizione di una situazione attuale di sconfitta (vv. 9-12) e umiliazione (vv. 13-16). Con una dichiarazione di fedeltà, il salmista declina ogni responsabilità per il disastro (vv. 17-22). Suppliche e lamentele rivolte al Signore (vv. 24-25) chiudono la preghiera. La preghiera è composta in stile corporato («noi»); il passaggio dal «noi» all'«io» in alcuni punti (vv. 4.6.15) potrebbe rispecchiare la voce di chi esegue la preghiera per la comunità oppure, più probabilmente, rap­ presenta semplicemente una personificazione abituale dell'assemblea.

2. n ricordo della storia della salvezza è autenticato quale conoscenza personale della comunità acquisita dai racconti dei padri, gli autorevoli cu­ stodi della tradizione nella comunità13• n ricordo riguarda la conquista del paese fatta da Israele, l'avvenimento che diede a questo popolo una sede e una continuità nella storia. L'impresa è definita un'«opera» di Dio e il rac­ conto è formulato in maniera tale da mettere in risalto che fu Dio ad agire e non Israele. L'unica ragione per la quale Dio decise di dare il paese a Israe­ le fu una sua libera e sovrana decisione di favorirli (v. 3). Le nazioni furo­ no espropriate e Israele venne piantato per crescere e diffondersi nel paese come una vite con i suoi tralci14. La dichiarazione di fiducia della comunità è formulata come appropria­ zione personale dell'evento ricordato. La comunità agisce e vive sulla base della propria fiducia che quella memoria contenga la verità circa Dio. Tro­ vandosi ad affrontare le nazioni, la comunità fa affidamento sul Signore e lo loda. I fedeli si riconoscono servi del Signore e si affidano al soccorso salvifi­ co di Dio. Essi confessano: «Tu sei mio re e mio Dio, tu che ordini gli eventi salvifici per Giacobbe>> (v. 4)15• Dietro a questa confessione di fede c'è, pro­ babilmente, l'antica teologia che il Signore assunse il ruolo di re su Israele mediante le vittorie con le quali il paese fu conquistato16. La memoria del passato e la confessione nel presente sono modi per attualizzare e attivare la realtà del loro contenuto, un'invocazione liturgica dell'opera di Dio che è talmente in contrasto, amaro e sconcertante, con la realtà presente. 3. La preghiera descrive anche il presente quale opera del Dio d'Israele (vv. 9-16). In sei versi poetici il «tu» di Dio è la prima parola del verso e il 13 Cfr. Sal. 78,3: Giud. 6,13; Deut. 6,20-25. 14 Cfr. Es. 15,17; Sal. 80,9- 1 2. n vocabolario e la teologia sono simili a quanto si trova nel Deuteronomio, per esempio Deut. 7 e 9. 15 Seguendo il testo della LXX con NRSV. Cfr. Sal. 5,2; 68,24; 74,12: 84,3. [Simile la

VRL: «Tu [ . . . ] ordina la salvezza di Giacobbe>>; N.Riv.: > e il v. 3 risulta poco perspicuo. Meglio, ma solo nel primo stico, B.Conc. («Dio, nelle sue torri, si fa conoscere come rocca>>). Decisamente migliore B.Ger.: «Dio, nei suoi baluardi, è apparso fortezza inespugnabile>> [N.d.C.]. 59 Ciò che avevano sentito dire e ora hanno visto con i loro occhi è, probabilmente, l'imponente cittadella della città, rappresentazione del Signore, bastione e fortezza (ve­ di vv. 12-14 e il Sal. 46). 60 Cioè, nei suoi potenti atti salvifici, per conservare il proprio regno e difendere il proprio reame.

213

Libro secondo - Salmi 42

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72

Dio che sarà per sempre la guida della comunità61. n canto sembra desti­ nato all'uso di pellegrini, affluiti in città probabilmente in occasione della festa di autunno, quando stavano davanti al Tempio preparandosi per una processione che avrebbe fatto il giro attorno alla città. n salmo aiuterebbe quelli che lo cantavano a vedere Gerusalemme come non avrebbero potuto fare senza la fede e la visione che esso ispirava.

2. Il salmo rivela che la città umana è la Città di Dio. L'ubicazione geo­ grafica è, naturalmente, quella di Gerusalemme, l'antica cittadella gebusea che Davide aveva espugnato, facendone poi la propria capitale, così che divenne nota con il nome di «città di Davide». Per il salmo, però, il luo­ go politico è il luogo teologico ed è di quest'ultima identità che esso parla, usando un vocabolario che non corrisponde alla realtà fisica e politica di Gerusalemme. n basso crinale collinare sul quale è ubicata Gerusalemme diventa, nel linguaggio del salmo, una montagna santa, bella nella sua tor­ reggiante altezza che la rende visibile da tutto il mondo, là, al centro della terra62. Essa è chiamata Monte Sion, non Gerusalemme; non è ubicata nel paesaggio collinare della Giudea, bensì «sulla vetta dello Zafon» (v. 2b)63• Gerusalemme non è «la città di Davide>>, bensì la capitale del «Gran Re>>, il Dio Altissimo, che regna sopra tutti gli altri re, dèi ed esseri umani, ed è lui che ha stabilito e ora preserva la città. Con tutto questo linguaggio con­ traddittorio il salmo sta rivelando quell'altra identità che Gerusalemme ac­ quisì quando l'arca del Signore fu trasferita entro le sue mura64• Nelle re­ ligioni dei popoli coevi a Israele, «il luogo>> degli dèi, il posto dove essi si riunivano e da dove il dio supremo governava, era una montagna cosmica di questo tipo, immaginata con i termini usati nel salmo. Avendo il Signore scelto Gerusalemme quale luogo dove avrebbero dimorata l'arca e il nome, la comunità cultuale sa che questo posto ha acquistato l'identità e il ruolo di «città del Gran Re>>.

61

Come nel Sal. 23. Ovviamente, la visione teologica si esprime con le categorie dell'antica concezio­ ne della terra piatta [N. d.C.]. 63 Zafon è il nome della montagna cosmica dove El e Baal, secondo la mitologia ca­ nanea, esercitavano il loro potere sovrano. Intendiamo così, giustamente, con la NJPS, invece del «lontano nord>> della NRSV [anche di VRL, N.Riv., B.Conc., Vulgata (giustifi­ cata; la scoperta dei testi di Ugarit è degli anni 1929 ss.; inoltre, in ebraico saphon signi­ fica >, mentre B.Conc. interpreta: «traendomi dallo Sheoh> e la B.Ger.: «mi strapperà dalla mano della morte>>]. 71 Cfr. Gen. 5,24; II Re 2,3.5 e il commento a Sal. 16,10-11 e Sal. 73,24. 72 Cfr. Mt. 6,21.24; Mc. 10,23. 73 K. BAKIH, op. cit., vol. III / 2, p. 621 . 74 Per esempio, Sal. 96; 98.

219

Libro secondo - Salmi 42

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72

La convocazione è già avvenuta e il processo sta per cominciare. Il Signore ha già parlato ed è già apparso (vv. 1-2) e, mentre il salmo viene letto, sta organizzando il processo. n giudice è presentato in maniere che evidenzia­ no la sua divinità, potenza e autorità. Una tema di nomi identifica il giudi­ ce: egli è El, Elohim e il Signore (YHWH), la cui autorità va da un estremo al­ l'altro dell'orizzonte della terra (v. 1). La sede del suo governo è Sion, dalla bellezza perfetta75• Egli appare in una luce sfolgorante (hopia')16, nella forma di una teofania i cui elementi sono fuoco e tempesta (vv. 2-3). Egli è il Dio che è apparso al Sinai (Es. 19) e dopo nei momenti critici, quando il suo po­ polo si trovava nel bisogno77• I cieli annunciano: «Ecco, arriva il giudice» e presenta il Signore come colui che rimette le cose a posto (v. 6). Come usciere, cancelliere e testimoni per il processo il Signore chiama cie­ lo e terra (vv. 4.1.6). Nell'antico Vicino Oriente venivano invocati elenchi di divinità perché fossero testimoni degli accordi e dei trattati siglati da un giu­ ramento e li facessero rispettare. Nella drammatizzazione teologica dell' azio­ ne giudiziaria intentata dal Signore contro Israele per inosservanza del patto, cielo e terra sono personificazioni cosmiche che sostituiscono le divinità78• n Signore convoca, quali convenuti e imputati, quelli «che hanno fatto con me un patto mediante il sacrificio» (v. 5). L'effetto di questa identifica­ zione è la parificazione di quelli che stanno ascoltando il salmo all'assemblea d'Israele al Sinai (cfr. Es. 24,3-8). Essi sono gli basidim del Signore, quelli la cui identità e la cui vita sono determinate dal patto che essi hanno fatto con il Signore79• Essere un basid significa considerarsi un suddito del Signore al­ le condizioni stabilite dal patto. I termini del patto sono espressi in statuti (v. 6) e «parole» (v. 17)80• n patto appartiene alla vita liturgica degli basidim che ne recitano le norme e promettono solennemente obbedienza alle sue condizioni (v. 16). Partecipando al culto d'Israele gli basidim sono entrati nel rapporto istituito al Sinai. 2. L'arringa d'accusa (vv. 7-23). L'introduzione ha preparato il discorso del Signore. L'atto centrale della sua venuta è il discorso; il Signore viene per rompere il silenzio circa ciò che è sbagliato nella vita del suo popolo (vv. 1 .3.21). Il discorso è un'arringa che elenca i capi di accusa a carico de75 Su Sion la sua bellezza e la sua importanza quale Città di Dio cfr. il commento al Sal. 48 e al Sal. 84. 76 Cfr. Deut. 33,2; Sal. 80,1; 94,1 . 77 Per la descrizione della teofania, cfr. il commento al Sal. 18. 78 Cfr. Deut. 32,1; Is. 1,2; Mich. 6,1-2. 79 NRSV: [in linea con Vulgata (), versione pacelliana («Congregate mihi sanctos meos>>) e MAvs: l;lasidim. ll latino sanctus non va inteso nel senso cristiano di «santo>>, ma nel si­ gnificato che ha nel latino non ecclesiastico: «pio, puro, onesto, leale, virtuoso>>, quindi fedele al patto, l;lasid o, alla greca, «asideo>> ]. 80 Cioè i comandamenti, cfr. Es. 20,1 [daba r, «parola, cosa, notizia, minaccia>> prende il suo preciso valore semantico da chi la pronuncia; la parola del .re è un «ordine>>, del Signore un «comandamento», una «promessa>> o una «beatitudine>>].

220

Salmo 50: Possa Dio giudicare il suo popolo gli imputati; qui il giudice funge anche da pubblico ministero. I termini che caratterizzano la perorazione sono «testimoniare contro di voi» (v. 7) e «ac­ cusarvi e chiamarvi in giudizio» (v. 21). L'importanza teologica e liturgica del discorso divino e, quindi, di tutto il salmo, è svelata al v. 21: la pazienza di Dio verso il proprio popolo, la sopportazione del Signore nonostante i malintesi e l'infedeltà del popolo potrebbero portare a una terribile conclu­ sione. La comunità potrebbe fare il medesimo gravissimo errore: pensare, se non lo fanno già, che il Signore sia uno come loro. Che errore mostruoso proiettare la propria immagine su Dio e considerare quella la realtà assolu­ ta secondo la quale vivere, invece di prendere la rivelazione di Dio e il pat­ to quale metro per determinare la vita! È per questa ragione che Dio deve rompere il silenzio davanti a un errore tanto mastodontico. Dio deve essere giudice. È in gioco la giustizia di Dio. Ciò è quanto avviene, liturgicamente e teologicamente, mediante il salmo. Come i comandamenti, così la pero­ razione è diretta a un semplice «tu», così che il popolo e ogni singolo suo appartenente è apostrofato direttamente e personalmente. 3. Il giudizio sul culto (vv. 7-1 5). L'accusa riguardante il culto non signifi­ ca un rifiuto del sacrificio in sé; la pratica del sacrificio e gli olocausti sono esplicitamente esclusi dai capi d'imputazione (v. 18). Il problema è che il sa­ crificio è capito e usato male. Se un sacrificio è offerto a Dio come un dono che viene «dalla tua casa» e «dai tuoi ovili» (v. 9), ed è offerto come aliena­ zione, cioè come il trasferimento del diritto di proprietà su quella vittima da noi a Dio, allora quel sacrificio è rifiutato, perché un sacrificio così inteso nega che Dio sia il creatore e il possessore di ogni cosa (vv. 9-11; cfr. Sal. 24,12). Se il sacrificio è presentato a Dio come qualcosa di cui Dio ha bisogno, per avere la quale egli dipende dagli uomini che gliela portano, ecco nega­ ta, allora, la sovranità assoluta di Dio (vv. 12-13). Le domande sarcastiche circa la fame di Dio che va saziata con i sacrifici rappresentano un violento attacco contro quel culto che pensa che Dio sia simile a chi sacrifica. Il culto deve consistere di due elementi: primo, il sacrificio deve essere offerto qua­ le atto di lode riconoscente; la lode può persino servire da sacrificio di rin­ graziamento, la todah. I voti fatti a Dio vanno sciolti con il ringraziamento e solo con il ringraziamento; è esclusa qualsiasi alienazione di proprietà in pagamento (vv. 14.23a). Secondo, in tempo di crisi si devono fare preghiere di soccorso. La gente deve dipendere da Dio e non avere in alcun modo la pretesa che Dio dipenda da essa. Sono la preghiera e il ringraziamento che onorano Dio (vv. 15 e 23), poiché «un sacrificio di ringraziamento è più ca­ ro a Dio di tutti gli altri sacrifici; questi ultimi, infatti, sono offerti soltanto a causa di trasgressioni»81 •

81 Midrash 'Phillim, vol. l, p. 470. Per altre precisazioni e interpretazioni dei sacrifici nel Salterio, vedi Sal. 40,6-8; 51,16-19; 69,30-31. Per alcune riflessioni sul sacrificio nel­ l'Antico Testamento, vedi K. BARTii, op. cit., IV /l, pp. 277 ss.

221

Libro secondo - Salmi 42 - 72 4. La condanna della condotta (vv. 1 6-22). L'incriminazione per la condotta riprovevole comincia con una formula introduttiva: «Dio ha detto all' em­ pio»82. La formula non significa che le accuse che seguono siano dirette a un gruppo diverso dal popolo o a un gruppo specifico in seno al popolo.

n

salmo continua a usare lo stile del discorso diretto alla comunità conside­ rata come un singolo individuo. La categoria dell' «empio» è quella appro­

priata per una comunità nella quale si verificano le trasgressioni denuncia­ te. L'accusa suona così: c'è una diversità tra la confessione di obbedienza (v.

16)

e la condotta effettiva (v.

1 7),

tra ciò che si afferma di fare e ciò che

realmente si fa. Gli imputati recitano gli statuti e ignorano i comandamen­

ti;

confessano ubbidienza al patto e ne rifiutano la disciplina. Chi è mem­

bro del patto deve, però, attenersi alle regole del patto. I discepoli devo­ no osservare la disciplina.

I servi di Dio devono sottomettere al controllo I capi di

dell'impegno l'innata caparbietà e il congenito egoismo umano.

accusa elencano la trasgressione dei comandamenti che vietano il furto, l'adulterio e la falsa testimonianza

(vv. 18-20).

L'elenco intende essere sol­

tanto una esemplificazione, un'illustrazione, non un quadro completo. Le imputazioni sono, comunque, sufficientemente serie. Le perversioni del­ l'etica del patto nel campo della proprietà, del sesso e del linguaggio cor­ rompono una società83•

5. Conclusione. Il Sal. 50 rappresenta un tipo e uno stile di discorso simile a quello usato dai profeti84• Tuttavia, dove i profeti avrebbero concluso l' ac­

cusa con un tipico annuncio di giudizio e castigo, il nostro salmo si chiude con un monito e un insegnamento (vv.

22-23). Certo, esso minaccia una pu­ il pas­

nizione85, ma alla fine offre una via diversa: l'equivoco deve cedere

so alla comprensione, il comportamento deve prendere la direzione giusta. Se si presta ascolto all'arringa accusatrice, Dio salverà invece di punire. Ta­ le differenza indica la natura liturgica e omiletica del salmo. «Il Salmo è un'attualizzazione della teofania cultuale deve consultare quando

del Sinai»86; è

50

il manuale che il profeta

il silenzio di Dio deve essere rotto perché

si fraintende il culto e si rifiuta la disciplina. n Sal. 50 è il primo dei salmi di Asaf, una collezione che mostra l'influenza della tradizione teologica alla quale appartengono i profeti Osea e Geremia e

il libro del

Deuteronomio.

Questo gruppo di salmi è caratterizzato dall'influenza profonda del patto

82 Secondo molti commentatori si tratterebbe di una glossa interpretativa. 83 Per denunce profetiche simili che elencano i comandamenti violati vedendovi altrettanti capi d'imputazione a carico della collettività, cfr. Os. 4,1-3 e Ger. 7,1-15. 84 Cfr., per esempio, Is. 4,13-15.

85 Cfr. il v. 22b con Os. 5,14. 86 0. KEEL, op. cìt., p. 225.

222

Salmo 51: Ho peccato! del Sinai con le sue condizioni essenziali, dal traviamento collettivo e dalla via da seguire per arrivare alla restaurazione, da uno stile profetico87. Questo salmo può e deve essere ascoltato nella liturgia della chiesa per­ ché la comunità cristiana è stata incorporata nel popolo del Signore da un patto fatto mediante il sacrificio di Gesù il Messia (Mc. 14,24). Dov'è quella comunità il cui culto riflette perfettamente la sovranità e la grazia di Dio? Dov'è quella comunità di fede che ama la disciplina del discepolato talmen­ te da osservare i comandamenti e trasformare in amore per Dio il desiderio di possedere, gli impulsi sessuali e la facoltà di parola? Se il giudizio di Dio non viene proclamato nella chiesa, allora lo proclamerà il cielo (v. 6).

Salmo 51: Ho peccato! La dichiarazione fondamentale che ricorre in tutte le preghiere peniten­ ziali dell'Antico Testamento è la semplice confessione di peccato: «Ho pec­ cato» 88 . Il Sal. 51 rappresenta la più ampia esposizione di quella dichiarazio­ ne che si trova nella Bibbia. Lutero osservò che chiunque sia stato il primo a chiamarlo un salmo penitenziale «sapeva il fatto suo [ . ] Qui la dottrina del vero pentimento viene esposta sotto i nostri occhi»89 • Probabilmente è vero che, come si afferma, il Sal. 51 è quello che è stato recitato completamente o parzialmente, nel culto o nella devozione privata, più spesso di qualsiasi altro brano della Scrittura. È stato usato come salmo penitenziale90, come salmo adatto a introdurre la Quaresima, quale inno in versione metrica e come regolare preghiera di confessione di peccato91 , come fonte per senten­ ze liturgiche e quale testo per riflessioni sulla dottrina cristiana92• A causa di questo uso vario e continuo, il salmo ha avuto un'influenza incalcolabile sulla teologia e pratica della fede cristiana. .

.

1. Quanto alle sue caratteristiche formali, il Sal. 51 è una preghiera di soccorso individuale, ma rappresenta un caso molto sviluppato e insolito di questo genere letterario93 . La preghiera è scritta, chiaramente, per una per­ sona in difficoltà, ma la descrizione della difficoltà stessa non appare qua-

87 Cfr. H.P. NASUTI, Tradition History, pp. 127-135. 88 E.S. GERSTENBERGER, op. cit., vol. 14/1, p. 213.

89 M. LUTERO, op. cit., vol. 12, pp. 304-305. 90 È il quarto dei sette tradizionali salmi penitenziali; cfr. il Sal. 6. 91 [Cfr. Innario cristiano cit., p. 11, e inno n. 188.] 92 Cfr., per esempio, M. LUTERO, op. cit., vol. 12, pp. 303 ss.; G. CALVINO, op. cit., vol. 2 281 ss.; K. BARIH, op. cit., vol. IV /l, pp. 578 ss. 93 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.2. ,

223

Libro secondo

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Salmi 42

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72

le componente separata. Mancano anche lagnanze e proteste contro altri o contro Dio. La difficoltà è tutta e solo l'io peccaminoso. Le suppliche condizionano tutta la struttura; la preghiera si apre, continua e si chiude come richiesta e supplica costante. Altri elementi tipici del gene­ re ricorrenti nel nostro salmo sono sempre collegati a suppliche. Le richieste dei vv. 1-2 sono motivate dai vv 3-6 che offrono ragioni per la preghiera e motivazioni per la risposta di Dio. Il problema dell'orante è descritto tutto in queste motivazioni94• Le suppliche riprendono al v. 7 e continuano fino al v. 12 per concludersi al v. 13 con una promessa di rendere testimonianza alle vie di Dio. I vv. 14-15 invocano una liberazione che ridia voce alla lode di Dio, mentre la ragione di quella richiesta è data ai vv. 16-17. Una inter­ cessione a favore di Sion chiude la serie di suppliche (v. 18): la richiesta è spiegata con l'anticipazione di una ripresa di sacrifici accettabili (v. 19). Nel complesso, il salmo è una preghiera di ininterrotta intensità ed elo­ quenza. Il tema è dichiarato in apertura: «Sii benigno verso di me, o Dio)); il resto del salmo sviluppa questa invocazione fondamentale. .

2. Secondo la soprascritta, il salmo sarebbe una preghiera fatta da Davi­ de dopo che il profeta Nathan gli ebbe messo davanti il suo peccato nella storia con Betsabea95. Il dotto scriba, che trovò un'ambientazione per il sal­ mo nella storia di Davide, aveva individuato un nesso verbale tra il v. 4 e n Sam. 11,27 e 12,1396• La soprascritta ha fornito la base per l'interpretazione del salmo quale espressione dell'esperienza personale di Davide e del suo pentimento. Tale approccio ha prodotto letture commoventi e profonde del salmo, venendosi però a trovare sempre, soprattutto in epoca moderna, in una certa tensione con l'uso liturgico del salmo per la penitenza generale, collettiva e individuale. In realtà, nel salmo ci sono molti elementi che suggeriscono una compo­ sizione durante o dopo l'esilio; inoltre, esso era usato in Israele quale pre­ ghiera penitenziale generale. n salmo potrebbe essere il risultato di un no­ tevole sviluppo; i vv 16-17 e 18-19 sono spesso considerati ampliamenti di una preghiera individuale di soccorso. Ma la sua storia potrebbe anche es­ sere più complessa e non limitata a due soli ampliamenti. Nella forma che il salmo ha attualmente, linguaggio e pensiero sono in linea con quelli di Geremia, Ezechiele, Deutero e Trito-Isaia (Is. 40 66). n salmo legge come una anticipazione delle promesse di un nuovo cuore e di un nuovo spirito delle quali parlano Geremia ed Ezechiele97, o di una risposta a esse. Inter­ pretati in tale contesto, alcuni dei punti più ostici della preghiera risulte.

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Il v. 6 rimane molto oscuro. 95 Cfr. II Sam. 11 12. 96 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 3.5, e il commento al Sal. 3, vedi sopra, pp . 70 s. 97 Ger. 24,7; 31,33; 32,39-40; Ez. 36,25 ss. 94

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224

Salmo 51 : Ho peccato! ranno teologicamente più comprensibili, e i vv 18-19 costituiranno una con­ clusione appropriata piuttosto che un'aggiunta eterogenea o, addirittura, contraddittoria. La preghiera chiede un lavacro e una purificazione da ogni trasgressione, iniquità e peccato commesso (vv 1-2.9). n salmo potrebbe es­ sere stato composto a uso della comunità, e degli individui in quanto parte di essa, in occasione del Giorno dell'Espiazione (cfr. Lev. 16,30). Inquadra­ re il salmo come preghlera composta per la comunità, e per gli individui in quanto identici con la comunità, ha importanti conseguenze per la sua in­ terpretazione e per il suo uso liturgico. .

.

3. La confessione di peccato è basata sulla grazia di Dio. «Sii benevo­ lo»98 sono le prime parole del salmo. La supplica si appella alla grazia di Dio, alla sua benignità, al suo l)esed e alla sua immensa misericordia (v. 1). La preghlera non è puramente un'espressione del rimorso umano o della preoccupazione per il fallimento e la colpa; essa guarda oltre se stessa a Dio e si afferra alle meravigliose possibilità della grazia di Dio. La confessione di peccato è già sulla via verso la giustificazione, perché è, prima di ogni altra cosa, una risposta alla grazia. È l'atto con il quale noi uomini ricono­ sciamo che cosa siamo al cospetto di Dio e che cosa Dio è per noi. Noi sia­ mo peccatori, Dio è benevolo. Gesù raccontò di un uomo che se ne tornò a casa giustificato perché aveva pregato: . In tut­ te queste traduzioni prevale l'interpretazione penitenziale di stampo medievale, dove l'appello alla pietà è un segnale di paura, non di fede: «In verità si pensava molto di più alla punizione e a come evitarla, piuttosto che al peccato in sé>>, A, HARNACK, Storia del Dogma. Un compendio, Theologica 5, Torino, Claudiana, 2006, p. 351]. 99 Anche qui l a N.Riv. legge: «Abbi pietà d i me>>, fedele all'imprecisione commessa in Sal. 51,1 (indicato a margine). Già meglio VRL: , men­ tre B.Conc. segue felicemente la Vulgata: «O Dio, sii propizio a me peccatore>>, «Deus, propitius esto mihi peccatori>>. ll verbo greco usato è hilaskomai, chiaramente legato alla grazia di Dio sotto gli aspetti della riconciliazione («sii riconciliato con me peccatore>>) e dell'espiazione del peccato compiuta da Cristo (Ebr. 2,17). L'aggettivo hileos significa «benevolo>> e nel N.T. è usato solo per Dio [N.d.C.].

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n v. 4 può dare l'impressione di confessare un atto che offende Dio, ma non ha ripercussioni su alcun essere umano. Tuttavia, nell'Antico Testamen­ to l'idea che si potrebbe peccare senza nuocere al prossimo è assolutamen­ te inconcepibile. Persino l'idolatria, che potrebbe sembrare una questione che riguarda soltanto il rapporto di una persona con Dio, per l'Antico Te­ stamento è un problema che nuoce gravemente alla propria società. L'An­ tico Testamento conosce peccati nascosti e peccati non intenzionali, ma non conosce peccati privati che non riguardino né tocchino gli altri. Quando Davide riconobbe il proprio errore nella faccenda di Betsabea, disse: «Ho peccato contro il SIGNORE» (Il Sam. 12,13). Con queste parole egli non vole­ va dire di non aver fatto alcun torto a Uriah e a Betsabea: il suo adulterio e il suo omicidio, ecco il suo peccato contro il Signore. Egli parlò così perché era stato il Signore a metterlo in dubbio. Il Sal. 51 si rivolge al Signore e ri­ guarda il rapporto con Dio. Con la sua espressione incisiva ed esclusiva il v. 4 è un modo per dire che se non fosse per il rapporto di Dio con ogni atto umano, non ci sarebbe peccato. n peccato è essenzialmente una categoria teologica. È Dio e Dio solo che, con la sua condotta e la sua volontà quali criteri per gli atti umani, rivela questi come peccato. Lo stico parallelo (v. 4b) indica chiaramente in dìrezione di tale comprensione, fornendo una specie di definizione del peccato: «ciò che è male agli occhi tuoi». Ciò che rende significativo e necessario parlare del peccato è questa tutela divina della vita umana. Quando non c'è da fare i conti con la tutela di Dio, il les­ sico del peccato diventa insignificante e atrofico. Mediante la predicazione dei profeti e l'esperienza dell'esilio, Israele seppe infine, e in maniera più profonda e intensa, di trovarsi sotto il giudi­ zio di Dio. È la voce di quella conoscenza che dice: «Così sei giusto quan­ do sentenzi e corretto quando giudichi» (NJPS). I cristiani conoscono anche mediante la croce quanto sia vera quell'ammissione. Il giudizio di Dio sul peccatore è l'inizio della salvezza dal peccato. 5. La preghiera non confessa semplicemente uno o più peccati, bensì la peccaminosità; essa riguarda la condizione dell'io, non soltanto la respon­ sabilità di una specifica trasgressione. Nella prima supplica del salmo si utilizza tutto il vocabolario dell'Antico Testamento che riguarda il peccato (trasgressione, iniquità, peccato) e tutti i termini sono usati sia al singola­ re sia al plurale (vv. 1-2.3.9), come se la confessione fosse una confessione generale di peccato che volesse essere onnicomprensiva. n v. 14 («liberami dallo spargimento di sangue», NRSV) sembra menzionare un peccato par­ ticolare, ma in questo contesto il termine ebraico dammin indica per esten­ sione la «colpa», in senso lato100. È in tale contesto che va letto quel v. 5 che

100 Cfr. Is. 4,4; Ez. 18,13; 22,1-16; Os. 12,14; si noti che tutti questi passi si riferiscono a Israele quale realtà collettiva.

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Salmo 51: Ho peccato! lascia perplessi molti con il suo riferimento al concepimento peccaminoso e alla nascita nell'iniquità. Nella storia dell'etica e della dottrina cristiana il versetto è stato considerato un'affermazione generica circa il sesso e la con­ dizione umana più che una specifica confessione di peccato. n v. 5 è stato utilizzato per sostenere teorie circa il peccato quale eredità biologica e cau­ sale e circa la procreazione umana come un atto necessariamente peccami­ noso. Simili teorie sembrano inconcepibili anche per il pensiero dell'Anti­ co Testamento: Gen. 2 3 insegna che gli esseri umani furono peccaminosi sin dall'inizio. Nell'Antico Testamento c'è una quantità, sia pur limitata, di testi sparsi che dicono che tutti peccano e non ci sono giusti agli occhi di Dio101• Il v. 5 è sicuramente una maniera per confessare non una trasgres­ sione specifica, bensì una vita intera condizionata dal peccato sin dalla sua origine; un modo per dire non semplicemente che ho peccato, bensì che so­ no un peccatore nella mia stessa esistenza. Il mio problema non è soltanto il bisogno di essere perdonato per un peccato specifico, bensì la liberazione dalla condizione peccaminosa del mio io. Una confessione in questo senso prepara alle suppliche dei vv. 10 e 14. I paralleli più vicini al v. 5, con i suoi riferimenti alla madre e alla nascita quale inizio del peccato, si trovano nei profeti dell'esilio. Tre volte Ezechiele raccontò una versione della storia d'Israele che cominciò con il peccato102 e in tono accusatorio disse: «La tua origine e la tua nascita appartengono al paese dei cananei; tuo padre era un amoreo e tua madre una ittita» (Ez. 16,3). Il Deutero-Isaia disse d'Israele: «Il tuo primo padre peccò» (Is. 43,27) e «sin dalla nascita tu sei stato chiamato un ribelle» (Is. 48,8); infine usa an­ che la parola «madre» quale metafora per Israele (Is. 50,1). Questi profeti dell'esilio sembrano essersi resi conto che il problema del rapporto d'Israe­ le con il Signore non era un'aberrazione dei tempi immediatamente pre­ cedenti l'esilio o un problema del comportamento dei suoi re. Il problema risaliva al primo passo del lungo cammino percorso dal Signore insieme a Israele. Il popolo del Signore fu peccaminoso sin dalla nascita. Il v. 5 potreb­ be essere benissimo una confessione ispirata da quella visione o intuizione profetica, una dichiarazione circa il popolo e basata sull'esperienza del po­ polo con il Signore. n v. 5 è un indizio di come la testimonianza biblica sia arrivata a capire quale fosse realmente la condizione umana: non median­ te l'esperienza umana in generale né mediante le conclusioni indipenden­ ti della ragione umana, bensì mediante quel «conosci te stesso>> al quale si arriva per il giudizio e la salvezza di Dio. La confessione di peccato è, innanzitutto, l'atto del popolo di Dio e la dottrina della condizione umana che si legge nel salmo è una riflessione su -

101 102

Cfr. Gen. 6,5.12; Sal. 143,2; Giob. 14,4; 15,14-16; 25,4. Cfr. Ez. 16; 20; 23.

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tutta l'umanità fatta in quella prospettiva. A questo punto, il salmo esclude di fatto una comprensione individualistica ed episodica del contenuto della penitenza. li pentimento o ravvedimento riguarda ciò che io sono, non solo qualcosa che io ho fatto, ed è un'espressione di ciò che sono. La confessione di peccato ha sempre una dimensione corporativa. Quando uno dice «io» nella confessione di peccato, il pronome è usato implicando una identità con la comunità e con tutta l'umanità. Nella confessione di peccato io sono Israele e Adamo. I peccati di tutti mi riguardano perché sono l'espressione della peccaminosità che mi condiziona. Per essere effettiva, la confessione comunitaria di peccato deve essere basata sul suo carattere unitario e sulla sua natura rappresentativa che la collega con tutta l'umanità. 6. La confessione di peccato chiede non solo il perdono, ma anche il rin­ novamento. Il salmo guida il penitente a chiedere non solo la giustificazione, ma anche la santificazione. Questo scopo della preghiera corrisponde alla sua confessione di peccaminosità e trova la sua espressione principale al v. 10: «0 Dio, creami un cuore puro e rinnova in me uno spirito ben saldo» . È importante capire esattamente che cosa si chieda qui e come il versetto sia correlato con altre parti del salmo. a. Molte preghiere di soccorso dicono: «Cambia la mia situazione così che io possa lodarti». Il nostro salmo dice: «Cambiami, il problema sono io». «Creare» (bara') è un verbo che nell'Antico Testamento ha sempre e so­ lo Dio per soggetto. «Creare» significa far esistere ciò che prima non c'era. La profezia di Isaia 40 - 66 usa il verbo «creare» parlando dell'azione salvi­ fica di Dio che trasforma ciò che già è in modo tale che ciò che ne risulta è diverso da prima103. «Rinnovare», un sinonimo di «creare», conferma quel significato nel nostro passo. I sinonimi «cuore» e «spirito» non sono sem­ plici denotazioni di parti di una persona, bensì indicano il tramite median­ te il quale l'io si esprime. Nel vocabolario biblico, ciò che si dice del cuore e dello spirito caratterizza la condizione e l'orientamento della vita di una persona. Ciò che la preghiera chiede è un cuore puro e uno spirito saldo. La terminologia della purificazione è usata qui e in tutta la preghiera come l'usavano i profeti, cioè in un senso più personale e spirituale che rituale e fisico. Ciò che è impuro è avverso a Dio. Un cuore puro significherebbe una mente e una volontà aperte per Dio, orientate verso Dio. Uno spirito saldo sarebbe una mente e una volontà ferme e costanti nei riguardi di Dio, pron­ te alla lode (Sal. 57,8), fedeli al patto di Dio (Sal. 78,37) e fiduciosi in lui in tempi duri (Sal. 112,7). b. La supplica del v. 10 illustra l'uso pesante di linguaggio rituale nella preghiera. Se Dio dovesse occuparsi soltanto del peccato del salmista (can­ cellarlo, nascondere il suo volto da esso, liberare il salmista dalla sua col-

103 Cfr. Is. 41,20; 45,8; 65,17.18.

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Salmo 51: Ho peccato! pa), ciò lascerebbe la persona stessa, il suo io, immutata. I verbi rituali (la­ vare, pulire, purificare) forniscono un modo per parlare dell'azione diretta di Dio sulla persona, preparando la creazione o il rinnovamento. Quei verbi potrebbero indicare che il salmo considera il clero del Tempio il tramite at­ traverso il quale Dio opera per creare il cuore puro. Tuttavia, ciò è vero sol­ tanto se Dio opera in esso e mediante esso. L'uso di Dio quale soggetto dei verbi «lavare, pulire, purificare» è singolare; testi paragonabili ricorrono nei profeti dell'esilio e si riferiscono all'azione salvifica di Dio sul popolo104• È addirittura più strano che lo Spirito santo di Dio sia ancora con il peccato­ re: impuro e santo si escludono a vicenda. Eppure, lo Spirito santo rimane con il peccatore e deve essere considerato la presenza e il potere di Dio che sono già all'opera per creare il cuore puro che la preghiera chiede105• c. Cuore/ spirito appaiono nella preghiera anche in una maniera diversa. Al v. 17 il salmo dichiara che Dio accetta come un sacrificio lo spirito rotto e il cuore contrito. Spirito rotto e cuore contrito sono metafore che si riferi­ scono alla mente e alla volontà rese umili dal giudizio pronunciato da Dio sul peccatore106• n cuore rotto dice a Dio: «lo sono tuo, non mio; mente e vo­ lontà sono tue». Il salmo stesso è la liturgia del cuore spezzato. Il v. 16 non comporta, probabilmente, un rifiuto assoluto del sacrificio in sé; si tratta, piuttosto, di un modo per dire che il sacrificio non è ciò che Dio vuole dal peccatore107• Comunque sia, il sacrificio di animali quale modo essenzia­ le di occuparsi della propria peccaminosità è sicuramente relativizzato. Il profeta che parla in ls. 66,1-4 annuncia che Dio considera e accetta il cuore contrito/lo spirito rotto più che il sacrificio108• d. La supplica che Dio voglia mostrare la sua regale buona volontà verso Gerusalemme ricostruendone le mura (v. 18) corrisponde a quella che Dio crei un cuore puro e rinnovi uno spirito saldo. La restaurazione della Città di Dio completa il rinnovamento del popolo di Dio. Entrambi i momenti devono essere opera di Dio con la quale Dio porta il popolo al rinnovamen­ to, passando per il giudizio, dopo averlo liberato dal peccato. È nella città restaurata, abitata dai puri di cuore, che i sacrifici giusti, il culto rituale di Dio, potranno essere ripresi. Sotto tutti questi aspetti, il salmo mantiene insieme ciò che deve essere tenuto assieme. Esso ammaestra e guida il ravvedimento verso la pienezza della giustificazione e della santificazione. Il salmo vuole che ci rendiamo conto del profondo rapporto esistente tra i nostri peccati e la nostra peccami-

104 Cfr. Ger. 33,8; Ez. 24,13; 36,25.33; 37,23; Mal. 3,3. 105

Si noti che l'unica altra occorrenza di >) e di patientia (= ), un'altra sfumatura colta da Mays nell'ebraico.] 1 63 In ebraico, questa appropriazione è molto più sentita e accentuata, anche foneti­ camente, dalla serie di suffissi nominali tonici -i, come battersi il petto dopo ogni predi­ cato: ecc. [N.d. C.]. 164 Cfr., per esempio, Deut. 32,4; Es. 15,2. [Anche qui è importante ricordare che Si­ gnore indica un , come quando noi cristiani diciamo «Signore>>, o an­ che , e pensiamo a Gesù.]

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Libro secondo - Salmi 42 - 72 d'lsraele165, professata in inni e preghiere166. L'individuo riceve questa vita omologica ed entra in essa in quanto membro del popolo di Dio e la mette in pratica nella liturgia e nella fedeltà da membro della comunità cultuale. E l'individuo testimonia di aver visto confermata, nella propria vita, quel­ la confessione di fede: è quanto avviene nel nostro salmo. I vari predicati sono tutte espressioni che descrivono il Signore quale fonte, fondamento e futuro della vita. Le due descrizioni degli esseri umani e della loro condotta (vv. 3-4 e 9-10) sono introdotte per valorizzare maggiormente le confessioni di fede. Nella società umana regnano ostilità e inganno. Alla fine dei conti gli esseri umani sono insignificanti e caduchi. Gli sforzi per assicurarsi la vita accumulando cose, sono inutili, anche quando sono violenti o hanno successo167. C'è una sola fonte, un solo fondamento e un solo futuro per la vita, uno solo: «Con­ fida in lui in ogni tempo, o popolo!». 4. Usando una formula numerica («una volta [ . . . ] due volte» «due vol­ te», v. 11), il salmo enuncia un'affermazione teologica basata sulla rivela­ zione. Non si dice esattamente come Dio abbia parlato, ma l'oracolo divino dice chiaramente due cose: «Il potere appartiene a Dio e a te, mio Signore, appartiene un amore fedele» . Nel Tempio, tali caratteristiche sono attribui­ te con tale frequenza al Signore per lodarlo che è possibile che l'esperienza cultuale sia stata il tramite dell'oracolo di Dio168. Qui tali attributi sono im­ portanti perché convalidano la fiducia: il potere significa che Dio può «ri­ compensare un uomo secondo quel che fa» e l'amore fedele significa che Dio vuole farlo (v. 12). Dio dimostrerà la ragione di quelli che confidano in lui e frantumerà le illusioni di quelli che ripongono la propria fiducia nella forza e nella violenza umane169. =

5. Nella maggior parte dei suoi versi, il Sal. 62 è composto nello stile ap­ propriato alla professione di fede di una persona e alla sua testimonianza personale, oltre che all'istruzione di altri. Tuttavia, nell'ultimo versetto (v. 12) lo stile passa al discorso diretto, rivolgendosi al «mio Signore»; esso in-

165 Mays indica con il termine congregation (in Italia sempre tradotto con >: il creatore «controlla>> che tutto sia a posto e proceda secondo la sua disposizione. André sembra riferire il passo alla Terra promessa e alla sua fertilità (= abbondanza di acqua), ma potrebbe trattarsi di un'interpretazione del traduttore dal tedesco].

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Salmo 66: Come sono tremende le tue opere dimora celeste di Dio186• Questa raffigurazione immaginosa di Dio quale dispensatore di fertilità somiglia alquanto alle descrizioni di Baal, il dio del­ le tempeste di Canaan, il quale, vincendo le potenze del Caos, fece ritorna­ re la pioggia sulla terra, ridandole così la fertilità perduta187. È probabile che nel bagaglio mentale del salmo ci sia un nesso tra il potere di Dio sulle montagne e i mari (vv. 6-7) e il suo ruolo di dispensatore di fertilità. Nella fede d'Israele, il Dio del Tempio santo di Sion è l'unico e solo Dio dal quale proviene ogni cosa buona.

4. Il Sal. 65 è usato spesso nei culti al tempo della mietitura e nel Gior­ no del Ringraziamento, osservato annualmente negli Usa il quarto giovedì di novembre. Letto e cantato188 in tali occasioni, il salmo fornisce gli spunti giusti. Esso indirizza l'attenzione prima di tutto a Dio, lasciando da parte ogni preoccupazione circa la fortuna di questo mondo. Il salmo insiste che il ringraziamento è un lavoro teologico il cui oggetto è Dio e non noi stessi; esso stila l'ordine corretto delle priorità e comincia con Dio che risponde alle nostre preghiere e perdona i nostri peccati; esso guida la comunità ad anda­ re prima di tutto a Dio proprio nei momenti del bisogno e del fallimento. Il salmo è un antidoto per la vanità di chi è compiaciuto di sé e si congratula tra sé e sé. Il salmo colloca il ringraziamento in un contesto cosmico, mette a nudo e frantuma la propensione a esaltare la nostra identità nazionale; le­ ga la comunità a gente dei luoghi più lontani che gioisce anch'essa nel mi­ rare i segni della bellezza e bontà della creazione. Questo salmo ci dà il lin­ guaggio per celebrare, in maniera poetica e personale, la nostra dipenden­ za dalla buona terra e dai suoi prodotti. Esso trascende la nostra abitudine, ormai invalsa e crescente, di pensare la produttività in termini tecnologici, permettendoci di parlare a colui dal cui dono di una terra fertile dipendo­ no, ancora oggi, tutta la nostra scienza e tutte le nostre economie. Tutto ciò, messo insieme, costituisce il ringraziamento, come dovrebbe essere.

Salmo 66: Come sono tremende le tue opere Il Sal. 66 è un cantico che celebra le opere di Dio compiute a favore del popolo di Dio. Ecco scopo e tema che rendono la composizione unitaria. Il salmo è formato da due generi letterari: un inno di lode (vv. 1-12) e un can­ tico di ringraziamento (vv. 13-20)189• L'inno presenta uno stile collettivo, co-

186

Vedi il commento a Sal. 46,4. Cfr. o. I>: nel sacro coesistono il momento tremendum e il momentofascinans, l'aspetto terrificante e l'aspetto ammaliante (M. MAS­ un

SENZIO,

in: G. FILORAMO, M. MAssENZIO, M. RAVERI, P. ScARPI, Manuale di storia delle reli­ gioni, Bari, Laterza, 1998, p. 475). Il paradosso biblico, invece, è costituito da una diversa

«coincidenza di opposti>>: per la fede biblica, atti tremendi e atti salvifici di Dio non solo coesistono, ma coincidono; è questa tensione positiva che porta alla lode, all'adorazione e al servizio di Dio, e non «all'ebbrezza (dionisiaca) e allo smarrimento>> (ibid.)]. 1 91 Cfr. Le. 5,1-11. 1 92 H.-J. KRAus, Psalms 60-150, ad loc. NRSV: «l tuoi nemici curveranno la schiena/si fa­

ranno piccoli [per la paura]>>.

193 Si confronti questa prima strofe con Apoc. 15,3-4, dove il «cantico di Mosè [ . . . ] e il cantico dell'Agnello>> celebra le «grandi e meravigliose opere>> del Signore , al quale «tutte le nazioni verranno e adoreranno>>.

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Salmo 66: Come sono tremende le tue opere La seconda strofe (vv. 5-7) invita le nazioni: «Venite e ammirate le opere di Dio». La sfida somiglia a quella del Sal. 46,8, dove le opere di Dio sono visibili nell' autodistruttività e futilità della guerra, considerata una mani­ festazione del potere umano. Nel nostro salmo l'opera tremenda di Dio è costituta dall'esodo dall'Egitto e dall'evento mirabile del Mar dei Giunchi: «Egli trasformò il mare [yamJ in terra asciutta; il fiume [naharJ lo traversa­ rono a piedi» (v. 6). n fatto non fu soltanto un miracolo. Yam e Nahar sono i nomi delle potenze cosmiche personificate che nell'antico mito cananeo dell'ascesa di Baal al trono divino e al dominio sulla natura il dio Baal ave­ va sconfitto e sottomesso. Il salmista attinge a quel mito arcaico per parlare dell'evento salvifico primario della storia d'Israele, rivelazione del domi­ nio del Signore sulle nazioni. L'inno ricorda (vv. 6-7) l'esultanza che esplo­ se «là>> tra il popolo nel canto trionfale d'Israele (Es. 15) che esalta la rivela­ zione che è il Signore colui che regna in eterno sugli dèi e sulle nazioni194• La comunità ricorda quella gioia incontenibile come una celebrazione alla quale ha partecipato anch'essa. Il culto trascende il tempo e la comunità che canta il salmo diventa parte del popolo stupito ed esultante uscito libe­ ro dall'Egitto. Nella medesima maniera i cristiani cantano il negro spiritual Eri là quando hanno crocefisso il mio Signore?. Questa deve essere la risposta a come le nazioni dovranno venire e vedere le opere di Dio: le opere sono rese presenti dalla lode della comunità, divengono percepibili nella loro rappresentazione liturgica. Nella terza strofe (vv. 8-12), la comunità racconta direttamente alle genti del mondo ciò che Dio ha fatto per essa. Dio l'ha fatta passare per un perio­ do di sottomissione a esseri puramente umani ('enosh, v. 12), per un tempo di prova e purificazione come l'argento nel crogiuolo (v. 10). La terminolo­ gia usata per descrivere la sofferenza della comunità è simile a quella usata dai profeti per descrivere le afflizioni dell'esilio195• Il travaglio corporativo della comunità è descritto mediante queste figure affinché sia assolutamen­ te chiaro che la sua umiliazione non è in contraddizione con la realtà del re­ gno del «nostro Dio». Al contrario, Dio l'ha accompagnata in questa fase di raffinamento e le ha dato vita in abbondanza (vv. 9 e 12b): «Tu ci hai tratti fuori [ . . . }>> (v. 12) è espressione che appartiene alla terminologia dell'esodo; viene usata per significare che il primo esodo si è ripetuto, ma in maniera diversa e inattesa; potenze umane e cosmiche hanno cercato di estingue­ re la comunità, ma Dio l'ha condotta a nuova vita. Notando questo motivo tematico ricorrente, la versione greca della LXX ha chiamato il Sal. 66 «un canto della risurrezione>> t%.

194 Cfr. Es. 15,11 .14.17-18. 195 Per la metafora della saggiatura e raffinamento mediante fusione nel crogiuolo, cfr. Is. 48,10; Ger. 9,7; Zac. 13,9; Mal. 3,3; Ez. 12,13 e 17,20 usa la metafora della rete; Is. 43,2: ; meno lineare, ma più pregnante e fedele all'originale è Mays: «A Dio, il SIGNORE, appartiene sfuggire alla morte>>. Non «preservare>> (VRL, N.Riv.), quindi. ma «sfuggire, evadere>>. La B.Conc. traduce a senso: e la B.Ger.: [N.d.C.] . 209 John Knox (1513-72), il riformatore scozzese che il 17 agosto 1560 fece adottare dal Parlamento una confessione di fede riformata, la Confessio scotica, composta, sulla falsariga della Confessione gallicana del 1559, dallo stesso Knox e da cinque suoi collabo­ ratori in soli quattro giorni [N.d.C.]. 21° Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.2. 211 Cfr. il commento a questo salmo.

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Salmo 69: Per amor tuo ho sopportato il disonore l. Il salmo ha due parti. La prima parte (vv. 1-29) si apre e chiude con una supplica di salvezza (vv l e 29) ed è articolata in richieste (vv. la.6. 13-18.2228) alternate a descrizioni del problema che servono da motivazione alle richieste che chiedono una risposta (vv. lb-5.7-12.19-21.26). Il problema che affligge l'orante è duplice. Il salmista si trova, impotente a uscime, in una situazione difficile e opprimente descritta con metafore riferite al potere e alla sfera della morte (vv 1-2.14-15). Prigioniero di questa situazione peri­ colosa, egli viene deriso e insultato da quelli che lo disonorano senza mo­ tivo (vv. 4.6-12.19-21). Le suppliche chiedono che Dio liberi il salmista da entrambi i problemi che lo angustiano. I vv 22-28 invocano con particolare veemenza l'ira di Dio su quanti lo fanno vergognare. Il tema del rimprove­ ro (vergogna, insulti, disonore) è messo molto chiaramente in primo piano (vv 6.7.9.10-12.19-21). La seconda parte del salmo somiglia moltissimo alla seconda parte del Sal. 22. Vi leggiamo la promessa di lode che verrà offerta per la salvezza ottenuta, una lode che servirà da incoraggiamento per gli op­ pressi, perché sarà una testimonianza che il Signore ascolta i bisognosi (vv 30-33). Segue poi un inno profetico in lode del Signore che ristabilirà Sion e Giuda perché siano un'eredità per i servi del Signore (vv 34-36). .

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2. Com'è tipico del genere, la preghiera non offre alcun indizio sicuro circa l'identità di una qualche persona storica per la quale il salmo è stato scritto. Ma nella descrizione che l'or ante fa di se stesso emergono alcuni trat­ ti che, messi insieme, permettono di tracciare un profilo liturgico-teologico di una identità. È questo identikit che è stato tanto provocante e stimolante per la riflessione e l'interpretazione. I caratteri identificativi del personag­ gio sono i seguenti. a. Il salmista confessa di essere un servo del Signore (v. 17) e un uomo umile, misero (v. 29; ebr. 'am); pertanto egli è uno dei servi del Signore (v. 35) e uno degli umili (v. 32) il futuro dei quali è in gioco nella sua salvezza. b. Egli fa parte di un gruppo che è stato punito da Dio (v. 26)212• I vv. 4b e 5 celano forse la ragione dell'afflizione lamentata dal salmista? Il v.4 b è difficilmente una sua negazione letterale di essere un ladro; è piuttosto una dichiarazione idiomatica di innocenza riguardo alle offese che riceve da al­ tri. Il v. 5 è aperto a due letture: o è un'ulteriore dichiarazione di innocen­ za () o vuoi dire che qualunque sciocchezza egli possa aver commesso, Dio la conosce; ma essa non può essere, in alcun caso, un motivo che giustifica l'odio di quelli che vogliono distruggerlo (v. 4).

212 Nel testo ebraico, il v. 26 ha sia un'espressione al singolare («colui che tu hai casti­ gato>>), sia una al plurale («quelli che tu hai ferito»). [La VRL segue fedelmente l'ebrai­ co, mentre la N.Riv. usa un «chi» ambiguo, che si legge però come un singolare, che è la scelta anche della versione pacelliana. La Vulgata legge invece: > i quali egli ha scelto di essere. Ma, nella massima, quella conseguenza è solo implicita, non esplicita, e verrà svelata soltanto alla fine del salmo.

3. Il maestro ammette che l'ignoranza di quella implicazione ha qua­ si distrutto a poco a poco la sua vita (v. 2) e lo ha trasformato in un bruto, una bestia stupida dimentica della presenza di Dio per essa (vv. 21-22). Il

3 Per questa analisi e le sue implicazioni, cfr. J.C. McCANN,

Psalm 73, pp. 49 ss. l'Introduzione, vedii sopra, 5.3. 5 ll medesimo problema è affrontato in maniera un po' diversa nei Sal. 37 e 49. Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.6. 6 Così NJPS [Vulgata, VRL, N.Riv.]. La NRSV, con la maggior parte delle versioni moderne [anche B.Conc., B.Ger., versione pacelliana] traduce «con i giusti>>, adeguando il testo ebraico, che pure è estremamente ben attestato con la lezione , per otte­ nere un migliore parallelismo []. 7 Cfr. Sal. 24,4; Mt. 5,8. 4 Cfr.

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Salmo 73: Beati i puri di cuore problema che lo ha portato quasi alla rovina è stato la vita piena di succes­ so e priva di difficoltà degli empi vanagloriosi: «Ho visto - confessa - lo shalom degli empi» (v. 3). La descrizione che egli fa della loro vita piena e prospera, della loro arrogante sicurezza di sé, della loro influenza sociale è una vignetta verbale di gente la cui esistenza è la negazione del principio religioso che «Dio conosce la via dei giusti, ma la via degli empi va in per­ dizione>> (vv. 4-13; cfr. v. l e Sal. 1,6). Ciò che egli aveva visto prometteva di diventare una realtà per lui, la verità di come stanno realmente le cose. Questa convinzione lo portò a invidiare, mise in questione la sua stessa fe­ deltà (v. 13): egli era afflitto, mentre gli empi si godevano la vita (v. 14). La loro buona vita era forse l'unica bontà esistente? La loro prosperità era forse il vero e unico shalom? La loro negazione vivente della bontà di Dio verso i puri di cuore metteva forse in questione anche Dio stesso? Giobbe aveva lottato con il problema dell'afflizione del giusto; questo maestro lotta con il problema dello shalom degli empi. 4. La difficoltà del dilemma intimo del maestro era duplice. Primo, se avesse trasformato i suoi interrogativi in affermazioni, ammettendo in un lamento pubblico che la sua fedeltà era invano e le sue afflizioni erano una negazione della bontà di Dio, egli avrebbe tradito «la cerchia dei tuoi figli>> (v. 15). «Figli di Dio - un'espressione che nell'Antico Testamento appare raramente - è una metafora per indicare Israele, il popolo di Dio che a Dio guarda e da lui dipende come i figli dal loro genitore8. Il maestro conosce una cerchia di fedeli, alla quale appartiene anch'egli, i quali pensano di es­ sere figli di Dio in questo senso. La sua solidarietà con loro e responsabili­ tà per loro è il primo freno che gli impedisce di esternare pubblicamente il proprio cinismo. Queste persone formano, probabilmente, la comunità per la quale egli ha composto la propria confessione. Con questo esercizio di autocontrollo egli insegna a tutti quelli che hanno il compito di ammaestra­ re i fedeli che i propri dubbi personali, per quanto angosciosi, non vanno trasformati automaticamente in lezioni per la comunità. I legami del mae­ stro con il suo gruppo gli hanno chiuso quella porta. Secondo, il maestro non riuscì a vincere la propria perplessità né l'amarezza e l'invidia conco­ mitante con la sola forza del ragionamento (v. 16). Egli si sforzò di rifletterei su e di considerare a fondo il problema, ma l'unico risultato di tanta fatica fu una stanchezza inquieta. Anche quella porta gli fu chiusa. Ammettendo il proprio fallimento, egli mette in guardia dal cercare la verità di fede nel lavorio indipendente della mente umana. La ragione non è in grado di di­ panare l'esperienza per fornire la ragione per credere. 5. Costretto dalla responsabilità verso i figli di Dio e scoraggiato dall'in­ capacità di spiegare la propria esperienza alla luce della sua conoscenza

8 Cfr. Deut. 14,1; Sap. 2,18; 5,5; vedi Mt. 5,9.45.

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Libro terzo - Salmi 73 - 89 teologica, il maestro entrò nel santuario di Dio portando con sé il proprio problema. Lì egli si soffermò a considerare e meditare sul destino degli em­ pi (v. 17). I vv. 18-20 raccontano che cosa egli capì: gli empi non hanno un posto permanente nel mondo del quale Dio è sovrano. Considerati dal pun­ to di vista della loro fine, gli empi sono irreali, sono un brutto sogno. Deve essere evidente che la convinzione che gli empi non abbiano un futuro non era certo un'idea nuova per il nostro salmista, poiché nella tradizione del­ la sapienza teologica essa costituisce un elemento strutturale9. Tuttavia, da solo, schiacciato da quanto vedeva e viveva, non poteva «capirlo» (v. 16). Non riusciva a «capirlo» per il cuore pieno di amarezza e i sentimenti pa­ ralizzati (vv. 21-22). Qui «capire» non significa altro che la conoscenza della fede. Il mistero di come la sua incomprensione si fosse trasformata in com­ prensione sta in ciò che egli ha trovato nel santuario di Dio. Il suo segno è lo stile omologico della sua descrizione di quale fine attenda gli empi. Dio è il soggetto, Dio è quello che agisce (v. 18). 6. Entrando nel santuario, il maestro era entrato nella sfera della poten­ te presenza di Dio. La possibilità della Presenza era il ministero e il miste­ ro del santuario, del luogo nel quale Dio aveva scelto di essere per i puri di cuore d'Israele1 0• La realtà di Dio inondò il suo cuore divenendo la consa­ pevolezza per la quale egli capì se stesso e la propria esperienza. L'incer­ tezza dell'esperienza divenne la certezza della fede. La certezza che egli ri­ cevette non era soltanto la credenza nella dottrina che gli empi periranno; essa era, piuttosto, la certezza che Dio fosse il suo Dio. La presenza di Dio trascese il momento della sua visita nel santuario e diventò la verità di tutta la sua esistenza. Il maestro parla della sua conoscenza in una litania fatta di affermative che ripetono l'espressione «con te»11• Anche al tempo della sua ignoranza egli era «con Dio». Anche per tutto il tempo della sua confusione e agitazione egli è rimasto costantemente «con Dio» (v. 22) che gli aveva af­ ferrato la destra per sostenerlo (v. 23)12 . «Con Dio» egli non desidera altro; il corso della sua vita è guidato da Dio, il suo futuro è affidato alla cura di Dio. Quando la sua vita finirà, Dio lo «riceverà» in gloria (v. 24)1 3• Egli non deve dipendere né dal corpo né dalla mente, poiché ha imparato che l'uno e l'altra possono venirgli meno. Egli si affida completamente alla fiducia: Dio è la roccia della sua mente e la sua parte nella vita, in eterno (v. 26). Egli

9 Cfr., per esempio, Sal. 1,4-6; 11,4-7; 37,9.20.

10 Per l'importanza della Presenza nella concezione del Tempio nel Salterio, cfr. Sal. 26,8; 27,4; 43,3; 65,4 e Sal, 84. 11 Nelle traduzioni, una parte di queste ripetizioni si perde. Per esempio al v. 22 invece che «con te» la NRSV ha «verso di te» [così anche VRL; N.Riv.: «di fronte a te>>]; al v. 25 la NRSV traduce: [VRL, N.Riv.: «non desidero che te>>). 12 In ebraico i verbi sono al passato; la NRSV usa il presente [come VRL, N.Riv.: «resto con te ( . . . ) mi hai preso ( . . . }»]. 13 Per l'espressione «tu mi riceverai>> cfr. il commento a Sal. 49,15.

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Salmo 74: Ricordati della tua comunità! non desidera altro né ha bisogno di altro che di Dio (v. 25): «Lascia perdere beni e cose simili, cioè questa vita mortale; essi possono uccidere il corpo, ma la verità di Dio perdura ancora» (LurnRo). 7. La massima del v. l, allora, è vera. Dio è buono con i puri di cuore. Tuttavia, con la testimonianza della sua confessione a Dio il maestro for­ nisce un modo diverso per coglierne la verità. La bontà di Dio non è spie­ gata dallo shalom degli empi né è negata dall'afflizione patita dai puri di cuore. L'infelicità, la sofferenza assoluta, è essere «lontani da Dio» (v. 27). Lo shalom eterno consiste nell'essere «vicini a Dio» (v. 28). La bontà di Dio è la natura intima di Dio. Dio è buono con i puri di cuore proprio perché è il loro Dio14•

Salmo 74: Ricordati della tua comunità! l. n Sal. 74 è una preghiera collettiva di soccorso15• Molto probabilmen­ te venne composto per essere eseguito durante servizi religiosi di lutto in memoria della distruzione del Tempio di Gerusalemme durante il perio­ do dell'esilio. Sembra che funzioni di questo genere siano state celebrate periodicamente tra le rovine del Tempio16, la cui distruzione è rispecchiata dai vv 3-7. n salmo è tripartito. La prima parte (vv 1-11) si apre e chiude con la­ menti per il ripudio di Dio (vv 1.10-11); alle suppliche perché Dio si ricordi della sua comunità e del suo Tempio (vv 2-3) segue una descrizione della distruzione del Tempio (vv 3b-8) e dell'assenza di qualsiasi comunicazio­ ne con Dio (v. 9). La seconda parte è un inno di lode (vv 12-17) basato sulla confessione dell'antica regalità di Dio manifestata in atti di salvezza com­ piuti nel mondo (v. 12); le opere divine sono enumerate nei vv. 13-17. La terza parte è formata da una serie insistente di suppliche (vv 18-23) affin­ ché Dio agisca per dimostrare la gloria del proprio nome e confutare così i commenti sarcastici e gli insulti del nemico, e liberare dall'oppressione il popolo del suo patto. .

.

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2. n salmo offre un'interpretazione intensamente teologica delle difficol­ tà disperate nelle quali Israele fu lasciato dopo la caduta di Gerusalemme. Le fondamenta e le istituzioni della religione d'Israele erano state demolite. Continuare a praticare la religione tradizionale d'Israele deve essere sem-

14 Si legga Rom. 8,18-39.

15 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.4. 16 Cfr. Ger. 41,4-5; Zac. 7,1-3; 8,18-19.

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Libro terzo

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Salmi 73 89 -

brata ai superstiti una cosa senza capo né coda. Tuttavia, questo salmo

è

una preghiera che parla di Dio e del popolo e della sua istituzione religio­ sa centrale in una maniera che mostra la tenace vitalità della fede d'Israele nel Signore nel momento peggiore della sua storia.

è rivolta è identificato ed evocato nella con­ 13-17). L'unica prima persona singolare che appare in tutto il salmo è il predicato «mio re»17 usato nella confessione (v. 12) per mostrare il rapporto intimo diretto e personale degli oranti con colui che è ed è stato re «dai tempi antichi». Il contenuto del tito­ lo di «re» è indicato nell'espressione appositiva «quello che compie le opere Il Dio al quale la preghiera

fessione (v.

12)

e nell'inno che la spiega (vv.

salvifiche nel mondo» . Esse sono la rivelazione e la realtà della regalità che appartiene a Dio. Il commento alla confessione è articolato dall'insistente ri­ petizione del pronome e soggetto verbale «tu», con il risultato che l'identità

di colui al quale ci si rivolge viene descritta insistentemente e progressiva­ mente. La regalità di Dio nella sua pienezza operante deve essere evocata così che quel «tu», destinatario dell'interpretazione della confessione, sia presente nella realtà della sua persona. Si dice a Dio

chi egli sia per titolo e

per la realtà che esso significa e lo si fa non soltanto per mantenere l'identità di Dio davanti alla consapevolezza di quelli che pregano, ma anche per ri­ cordare a Dio stesso quella sua identità che, dal punto di vista umano della comunità, non è manifesta nel mondo. Il racconto delle opere salvifiche fonde insieme storia e mito. Esso attinge a un modello narrativo diffuso nella mitologia dell'antico Vicino Oriente e all'esperienza con il Signore vissuta da Israele nelle prime fasi della sua sto­ ria. L'intreccio narrativo storico-mitico parla, senza soluzione di continuità, della vittoria divina sul Caos primordiale e dell'ordine stabilito nel mondo, del passaggio del Mar Rosso e delle peregrinazioni d'Israele nel deserto. Nel mito, un dio diventa re conquistando il dominio sul Caos primevo nella sua forma di Oceano (mari e fiumi), dell'acqua che assume la forma drammatica del dragone, del Leviathan dalle sette teste. Assoggettata l'acqua del Caos, se ne fissano i confini, l'ordine è stabilito, avviene la creazione nel senso del­ l' antico Vicino Oriente. Il dio istituisce il proprio regno stabilendo l'ordine del mondo e costruisce un palazzo quale reggia e residenza regale. Questa storia riflette uno dei modi fondamentali nei quali gli antichi concepivano il mondo. Israele si servì di motivi, sequenze e figure di tale storia modu­ lando il tutto secondo le esigenze della propria liturgia e gli scopi della pro­ pria teologia18• I vv. 13a e 15 si riferiscono forse al passaggio aperto da Dio nel Mar Rosso, all'acqua fatta sgorgare per Israele nel deserto, al Giordano

17 Cosi anche VRL (), B. Conc. e versione pacelliana per esempio, leggono il plurale («nostro re»)

N.Riv.,

1 8 La storia è usata anche altrove nel Salterio: dr. Sal. 77,17; 89,9-11; 93; 104,5-11; 114. Per i profeti, cfr. Is. 51,9-11.

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Salmo 74: Ricordati della tua comunità! prosciugato perché il popolo potesse passare il fiume a piede asciutto. La recitazione passa poi direttamente all'attività ordinatrice di Dio dalla quale vengono delimitati e distinti giorno e notte, sole e luna, terra e mare, esta­ te e inverno. La storia della salvezza e il processo della creazione non sono pensati separatamente: tutte queste azioni sono «opere salvifiche». Non è esatto dire che il mito è stato storicizzato o che la storia è stata mitizzata, poiché entrambe le dimensioni sono necessarie. Il mito scopre le dimensio­ ni cosmiche di certi avvenimenti storici; il riferimento storico fornisce con­ cretizzazioni e rivelazioni di profondità universale ed etema19• 3. Il perché di questa particolare recitazione degli «atti salvifici» risulta evidente quando si guarda al modo nel quale la comunità descrive se stes­ sa e al contenuto del suo lamento: quelli che pregano si definiscono > del Signore (vv 13 e 19). La via del Signore è «in santità». La santità è l'attributo fondamentale .

.

46 NRSV: «mi addolora profondamente»; NJPS: . [VRL e N.Riv.: «la mia afflizione sta in questo»; B.Conc.: (v. 20) con Es. 15,13. 49 Cfr. il commento a Sal. 93; 74; 114; e F.M. CROSS, vp. cit., p. 136. 50 F. STOLZ, Psalmen im nachkultischen Raum, Zurigo, Theologischer Verlag, 1983, pp. 31-34, circa la posizione di questo salmo.

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Libro terzo

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Salmi 73 89 -

L'inno ricopre anche la funzione della supplica che manca e anche quel­ la del , cioè sono incomprensibili. =

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Salmo 78: Affinché la prossima generazione lo sappia

Salmo 78: Affinché la prossima generazione lo sappia n Sal. 78 è la voce di un maestro. Esso è in larga parte in stile narrativo, il racconto della storia di come il Signore si è comportato con Israele. Da questo punto di vista somiglia ad altri salmi56 con i quali forma, proprio per questa caratteristica comune, un gruppo che è spesso classificato con l'etichetta «Salmi storici)). 1. I cosiddetti «Salmi storici>> recitano tutti una versione della storia che narra le origini più remote d'Israele, quella che si legge nella Bibbia dal li­ bro della Genesi ai libri di Samuele, vale a dire da Abraamo a Davide. Tut­ tavia, sebbene i salmi in questione sembrino basarsi sulla storia così com'è raccontata nei suddetti libri, ciascuna versione si dimostra selettiva e di­ stintiva per il modo in cui narra quell'unica storia. Le diverse versioni so­ no una istruttiva illustrazione dell'ingegnosità creativa usata nel plasmare il materiale delle tradizioni del passato d'Israele. La peculiarità di ciascu­ na versione deriva dallo scopo del suo racconto specifico. Ogni racconto è composto per trarre una lezione dalla tradizione. Questi salmi sono dida­ scalici nel senso più ampio del termine. Lo stile scelto da ciascun salmo per presentare la propria storia può variare dalla torah all'inno alla preghiera, fermo restando lo scopo centrale: informare, correggere, alimentare la fede della comunità in seno alla quale ciascuno veniva eseguito. Naturalmente, chiamarli «Salmi storici)> può dar luogo a equivoci: i loro compositori non intendevano né operare da «storici)) né presentare «la storia>> nel senso che i termini hanno nella storiografia moderna. Questo salmi sono interessa­ ti al passato e alla sua attinenza con il presente e con il futuro. Il passato è il passato ricordato, non quello ricercato57• È un passato di tradizioni cir­ ca eventi con una dimensione omologica molto pronunciata: eventi vissuti concretamente e raccontati come interazioni del Dio d'Israele con la volon­ tà e il comportamento d'Israele. Per questi salmisti l'azione e la volontà di Dio sono elementi essenziali della realtà. Qualsiasi racconto dell'esperien­ za passata che escludesse Dio quale protagonista sarebbe stato riduttivo e irrilevante58.

56 Sal. 105; 106 e 136. 57 È interessante come questa formulazione di Mays, acuta nella sua semplicità e biblicamente corretta, trovi conferma nel modo in cui J.D.G. DuNN imposta in maniera nuova, biblicamente corretta anch'essa, il problema della storia evangelica di Gesù e la problematica del cosiddetto «Gesù storico>>: il Gesù dei vangeli è il Gesù ricordato, non quello ricercato. Del suddetto autore cfr. il vol. l de Gli albori del cristianesimo: la memoria di Gesù, 1: Fede e Gesù storico Brescia, Paideia, 2006 [N.d.C.]. 58 Per i ) che per diventare (termine che in greco si­ gnifica ) deve sviluppare un nucleo narrativo o descrittivo. La traduzio­ ne con nel Sal. 78,2 risente del suo utilizzo in Mt. 13,35. Altri preferirebbero rendere mashal con [N.d.C.]. 60 Cfr. l'analisi del Sal. 78 d i R.J. CLIFFORD, p p . 127-129.

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Salmo 78: Affinché la prossima generazione lo sappia d'Israele (vv. 17-20), la conseguente ira di Dio e la punizione divina (vv. 2131 ) La sequenza si chiude con un racconto sommario di costante fallimento, punizione, falso pentimento e perdono unito alla moderazione di Dio, me­ more della finitezza e caducità del popolo (vv. 32-39). La seconda sequenza comincia con un lamento di transizione per il fallimento della generazione del deserto che non ha risposto alla potenza del Signore manifestata dai se­ gni e prodigi avvenuti in Egitto; al lamento segue una rassegna della guida divina nel deserto e della salvezza miracolosa al mare; si arriva, infine, alla fase centrale dell'occupazione del paese e dell'insediamento nel territorio sacro di Dio, conquistato cacciando altre popolazioni per creare un posto per Israele (vv. 40-55). La narrazione continua con Israele che tradisce il Signore proprio nel paese che questi gli aveva dato (vv. 56-58}, attingendo poi alla storia della perdita dell'arca (l Sam. 4) per raccontare come il Signore abbia ripudiato Israele abbandonando al nemico il santuario della sua presenza a Silo, l'arca, simbolo della sua potenza, e il popolo che era la sua eredità (vv. 59-64). Questo punto morto fu superato, dice il salmo, dalla riapparizione del Signore nelle vesti di guerriero divino per sconfiggere i suoi nemici, so­ stituire il santuario di Silo con Gerusalemme e il suo Tempio, dimora di Dio tra gli uomini, eleggere Davide a pastore d'Israele (vv. 65-72). .

3. n discorso è una testimonianza eloquente dell'importanza decisiva della tradizione nella religione biblica. n suo presupposto fondamentale è che ri­ cordare e narrare sono essenziali per l'esistenza del popolo di Dio. L'oratore considera il popolo di Dio una famiglia la cui identità e spirito sono conser­ vati attraverso le generazioni, perché i genitori raccontano ai figli la storia di come essi sono diventati il popolo del Signore. Il salmista chiama la sua tradizione «le lodi del Signore e la sua potenza e le meraviglie che egli ha operato» (v. 4)61 . Con i potenti atti di Dio sono associate inseparabilmente le responsabilità che essi comportano, i comandamenti e gli statuti (vv. 7 e 56) che, insieme, costituiscono il patto o statuto e la torah che esso stabilisce (vv. 5 e 10). Scopo della tradizione è educare un popolo che ripone la propria fi­ ducia in Dio e osserva i suoi comandamenti (v. 7). È per questa ragione che il salmo deve essere più di una semplice narrazione: questa necessità che i genitori ricordino per amore dei figli porta a cantare lodi che rivelano la fi­ ducia del cuore e l'obbedienza che manifesta la dedizione dell'anima. 4. Questo insegnamento narra certamente le potenti opere di Dio (vv. 12-16.43-55), ma ogni racconto prepara il terreno per la presentazione di un fallimento specifico d'Israele, così l'ammaestramento utilizza questi ca­ si quali esempi negativi di ciò che gli ascoltatori non devono imitare, «per non essere come i loro antenati» (v. 8a). La torah dell'oratore, proprio come la forma canonica della storia istitutiva d'Israele, include la risposta del po-

61

Così NJPS [VRL, N.Riv.].

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Libro terzo - Salmi 73 89 -

polo. La via di Dio e la via degli antenati (in ebraico: «padri») sono intrec­ ciate insieme. Il popolo di Dio è istruito non solo da ciò che Dio ha fatto e detto, ma anche da ciò che i padri e le madri nella fede hanno fatto e det­ to. La torah biblica del Pentateuco e dei quattro vangeli è composta in quel modo. L'oratore usa esempi di fallimento degli antenati. C'è dell'ironia in questo: quelli che hanno trasmesso la tradizione sono anche venuti meno a essa. Ogni generazione dovrà tener conto del fatto che la storia parla non solo di fallimenti, ma anche di fedeltà. 5. I due casi di fallimento messi in particolare rilievo illustrano perico­ li che minacciano sempre il popolo del Signore. Il salmista potrebbe averli selezionati perché particolarmente rilevanti per i suoi ascoltatori e la loro situazione; tuttavia si tratta di errori di fede che rappresentano un perico­ lo per ogni generazione. Il primo errore fu di desiderare e chiedere più di quanto avessero ricevuto. Nel deserto, gli antenati resero il proprio desi­ derio metro della loro necessità e si domandarono se il Signore fosse vera­ mente capace di «imbandire una mensa nel deserto» (vv. 18-20). li secondo errore fu di praticare il culto negli alti luoghi, cioè nei santuari degli dèi di Canaan: una volta stabilitisi nel paese, gli antenati cominciarono a chiede­ re salvezza e benedizione ad altri dèi oltre che al Signore. L'oratore usa un vocabolario ricco per valutare entrambi gli errori frutto della stessa pianta. La condotta denunciata ha un nome: peccato; significa venir meno all'impe­ gno preso, deludere Dio (vv. 1 7-32). Significa ribellione: essere recalcitranti nei confronti di quelli verso i quali si è responsabili (vv. 17.40.56). Significa mettere Dio alla prova, mettere in dubbio il potere di Dio (vv. 18.41 .56). Si­ gnifica non credere nel Signore, non aver fiducia soltanto nel Signore, non credere che per loro lui solo sia in tutto e per tutto Dio (vv. 8.22.32.37.42). Significa non osservare il patto e le sue istruzioni (vv. 10.37.56). Significa dimenticare il Signore, non ricordare le opere potenti che egli ha compiuto a loro favore (vv. 7.11.35). Il salmista usa questo ampio vocabolario per far capire bene la sua lezione: chi vuole più della salvezza e della benedizione che Dio elargisce e chi cerca salvezza e benedizione non presso il Signore, bensì altrove, chiaramente non si affida al redentore e alla sua redenzione. 6. L'oratore parla anche dell'ira di Dio in maniera atta a istruire i suoi ascoltatori. In entrambi i casi esemplari di peccato la punizione corrispon­ de alla mancanza. In entrambi gli esempi, ma in maniera piuttosto diver­ sa, si dimostra la realtà e giustizia del potere del Signore, loro Dio. Per la generazione del deserto, proprio la concessione della benedizione che essa bramava e chiedeva divenne il momento e il mezzo dell'ira di Dio contro di loro. Quando la generazione che si era insediata nel paese divenne infede­ le a Dio, la cui potenza l'aveva liberata dai nemici, il Signore l'abbandonò al potere degli avversari. La lezione tratta dal secondo esempio dell'ira di Dio è particolarmente minacciosa e sinistra. Ripudiando totalmente Israele il Signore annulla e dissolve proprio la manifestazione della sua sovranità

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Salmo 78: Affinché la prossima generazione lo sappia nel mondo, conquistata affrancando un popolo perché fosse suo possesso, facendo insediare questo suo popolo nella propria montagna sacra e dimo­ rando in mezzo a esso mediante il simbolo del suo potere, l'arca custodita nel santuario di Silo.

n Signore è sovrano ed è libero di abbandonare persi­

no le conquiste e le istituzioni che rappresentano la sua sovranità. n Signore non si identifica con il suo monte santo, con la sua dimora in mezzo ai mor­ tali, con la sua arca della potenza e della gloria, e nemmeno con il proprio popolo. Alcuni profeti dell'vm e vrr secolo a.C. avevano dovuto predicare quella stessa lezione

ai regni d'Israele e di Giuda.

7. Tuttavia, il punto finale dell'insegnamento impartito dal salmista non

riguarda l'ira di Dio. La parola è «giudizio>>, ma non è l'ultima parola. L'ulti­

ma parola è il trionfo della grazia. n popolo sbaglia, ma il fallimento del po­ polo non è il fallimento di Dio. Dio prevale sull'infedeltà. Nel primo esempio lo fa perdonando. La punizione non cura la peccaminosità; al massimo pro­ voca un pentimento temporaneo ed effimero. Israele peccò ripetutamente, ma la pietà di Dio pone un limite all'ira divina.

n perdono di Dio crea uno

spazio affinché Israele possa esistere al suo cospetto da peccatore: non per­ ché esso sia il popolo del Signore, ma semplicemente perché la sua natura mortale suscita la pietà divina (v.

39). n perdono dovuto alla misericordia

è ciò che fa ancora girare la ruota della storia di Dio con gli esseri umani.

Se si sa ciò, si sa che non c'è spazio né per presunzione né per orgoglio nei confronti di Dio. Gli esseri umani stanno al suo cospetto come «carne>>. Nel secondo esempio, il Signore tratta il proprio popolo ribelle e punito con una ripetizione ed estensione del dramma salvifico originario.

n Signore appa­

re ancora una volta nelle vesti del guerriero divino per sbaragliare i nemici che opprimono il suo popolo. Tuttavia, le cose non tornano così, sempli­ cemente, a essere come prima. Efraim non è più il luogo dove la sovranità divina è manifestata: adesso Giuda è stato scelto e ha preso

il suo posto; il

monte Sion diventa il luogo di un nuovo Tempio che rappresenta la vittoria del Signore su

chi si opponeva alla sua deità e al suo dominio, nello stesso

modo in cui cieli e terra sono opera della vittoria del Signore sul Caos. Con una seconda scelta sovrana, il Signore rende un pecoraio, Davide, pastore del popolo del Signore.

n pastore divino, che aveva guidato Israele nel de­ il suo

serto, sceglie un essere umano quale pastore in seconda per guidare

popolo nel paese. Questo Davide, suo servo, dice l'ultimo versetto del sal­ mo, aveva ciò che mancava a Israele: un cuore integro e giudizio sapiente.

È per queste sue caratteristiche che egli può essere e sarà pastore e guida

d'Israele. Per far continuare la storia del Signore e del suo popolo, oltre al

perdono, la grazia provvede anche all'elezione di Sion quale sede del Tem­ pio e di Davide a re pastore. 8. Chiaramente, il maestro che parla nel salmo attribuisce un'importanza

immensa al Tempio di Gerusalemme e al re davi dico. Sion e Davide sono due istituzioni della sovranità divina per far fronte all'infedeltà d'Israele verso

289

Libro terzo - Salmi 73 - 89 la sua roccia e il suo redentore. Celebrando il culto nel Tempio, Israele si ri­ corderà le opere mirabili del suo Dio. Sotto il regno di Davide, Israele sarà guidato sui sentieri della fiducia e dell'obbedienza. La lezione insegnata con il linguaggio usato dal maestro nel nostro salmo potrebbe aver avuto l'am­ bientazione storica adeguata durante la riforma di Giosia o, più probabil­ mente, durante la riforma di Ezechia62, due periodi di riforma religiosa nei quali si diede grande importanza a Sion e alla monarchia davidica, ritenute istituzioni indispensabili al rinnovo del rapporto d'Israele con il Signore. I profeti d'Israele sollevarono interrogativi penetranti circa il Tempio con il suo culto e il carattere dei re davidici di loro diretta conoscenza. Nell'An­ tico Testamento la ricerca di una Sion, che ricordasse veramente la roccia e il redentore d'Israele, e di un re davidico, la cui natura lo rendesse davvero una guida fedele del gregge a lui affidato, non ebbe alcun esito positivo.

Salmo 79: Dov'è il tuo Dio? Il Sal. 79 è una preghiera del popolo del Signore che si trova in una si­ tuazione molto grave63• l. Il salmo è composto in larga parte di lamenti che descrivono il proble­ ma e di suppliche di soccorso. Si inizia con una serie di lamenti che seguono lo schema «essi/esse-noi-tu». La sequenza descrive come le nazioni (esse) abbiano oltraggiato Dio e afflitto il popolo di Dio (vv. 1-3), l'umiliazione del popolo di Dio (noi, v. 4) e la continua ira di Dio che non dà requie al suo po­ polo (tu, v. 5). Ai lamenti segue una serie analoga di suppliche accompagna­ te dalle ragioni per le quali esse dovrebbero essere accolte ed esaudite. Le suppliche implorano Dio di spostare l'ira dal suo popolo alle nazioni (esse, vv. 6-7), di trattare l'iniquità del suo popolo con pietà (noi, v. 8) e di salvare il proprio popolo con un atto di perdono (tu, v. 9). Culmine e tema teologico del salmo è il grido: «Perché le nazioni direbbero: "Dov'è il loro Dio?"» (v. lOa). Il grido conduce a una nuova, triplice sequenza di suppliche: perché Dio faccia conoscere alle nazioni che il suo popolo sarà vendicato (v. 10b); perché Dio risponda al gemito degli afflitti (v. 11); perché Dio reagisca alle offese fattegli dagli altri (v. 12). Questa triplice sequenza si chiude con una

62 Per Giosia [re di Giuda, seconda metà del

vn

secolo; la riforma è del 620 a.C. ca]

cfr. II Re 22 - 23; per Ezechia [re di Giuda, 727-698 a.C.: > (Il Padre nostro, p. 45) [N.d.C.].

302

Salmo 83: I nemici di Dio

Salmo 83: I nemici di Dio n Sal. 83 è una preghiera del popolo di Dio quando i nemici tramano la sua eliminazione. Per la preghiera il complotto è una congiura per usurpa­ re quel luogo sulla terra che appartiene in maniera particolare al Signore di tutto il mondo103.

1. n salmo è formato semplicemente da suppliche e da una descrizione del problema che occasiona le suppliche stesse. Esso si apre con una triplice richiesta che nella crisi in atto Dio non si defili (v. 1). Segue una descrizione sommaria della crisi in parola: si riferisce a Dio ciò che i suoi nemici stanno facendo (vv 2-5) e chi essi siano (vv. 6-8). Dio non deve restare inerte, per­ ché i suoi nemici sono in piedi, pronti ad assalire il suo popolo, e sono nu­ merosi. Una serie di suppliche sollecita poi l'intervento divino che risolverà la crisi. Un primo gruppo di suppliche implora Dio di fare adesso ciò che fece in passato in situazioni analoghe (vv 9-12). Un secondo gruppo invoca una vittoria divina raffigurata con similitudini di distruzione (vv 13-14), con motivi tematici della potenza del guerriero divino e dio della tempesta (v. 15) e con immagini di sconfitta (vv 16-17). La supplica finale e culminante dice che cosa significherà quella vittoria: con essa Dio farà sapere che quel­ l'Unico, il cui nome è il Signore, è l'Altissimo su tutta la terra (v. 18). .

.

.

.

2. L'elenco di nazioni e popoli dei vv 6 8 enumera uno dopo l'altro e per nome i nemici che si sono alleati contro Israele (v. 5). Nelle preghiere dei salmi non si è soliti dare un nome ai nemici. Qui l'elenco di piccoli Stati e gruppi tribali confinanti con Israele si chiude con il nome di una grande potenza imperiale: l'Assiria. Quando fu che questi regni e queste tribù for­ marono una lega contro Israele sostenuta dall'Assiria? Gli studiosi hanno indicato date anche molto diverse sparse lungo l'arco di tempo che va dal periodo del dominio assiro nel Vicino Oriente fino agli ultimi tempi della storia di Giuda. Persino il nome dell'Assiria non è un indizio decisivo, poi­ ché quel nome, come quello di Babilonia, fu usato come cifra per indicare il grande nemico che esercita il suo potere nel mondo104• L'elenco è proba­ bilmente più una combinazione di nomi selezionati per scopi liturgici che una raccolta di dati storici. Parlare di una crisi tipica e ricorrente che ap­ partiene alla storia d'Israele, del pericolo di essere invasi e spazzati via da altri popoli, non è che retorica poetica. La descrizione di nemici che si agi­ tano tumultuanti (v. 2), tramando congiunti a danno del popolo del Signo­ re (v. 3), somiglia molto al quadro dell'ostilità generale con il quale si apre il Sal. 2 (vv. 1-3). .

1 03 1 04

-

Per la preghiera di soccorso collettiva cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.4. Cfr., per esempio, Esd. 6,22; Lam. 5,6; Zac. 10,10.

303

Libro terzo Salmi 73 89 -

-

3. La preghiera si propone lo scopo di indurre il Signore a intervenire per proteggere l'esistenza d'Israele. Essa espone il pericolo della nazione al Signore come una crisi alla quale il Signore stesso deve far fronte. La nazio­ ne d'Israele è il popolo di proprietà del Signore, quello che tra tutti i popoli della terra «egli custodisce gelosamente» (v. 3)105 . Così la congiura per eli­ minarlo dalla storia e per cancellare persino la memoria del nome d'Israele rappresenta un assalto contro l'azione e l'opera del Signore nel mondo. n loro piano rende queste nazioni nemici di Dio. La preghiera ricorda ciò che Dio aveva fatto in passato, quando altri generali e altri re si erano propo­ sti di prendere possesso dei «pascoli di Dio» (vv. 9-12)106• In quelle antiche, classiche battaglie Dio aveva difeso il paese che egli aveva rivendicato per il proprio popolo da altre nazioni e genti che cercavano di appropriarsene. L'esistenza e il posto d'Israele nella geografia e nella storia fu ed è la rivela­ zione del Signore di essere l'Altissimo su tutta la terra (vv. 16 e 18). Sono in gioco il nome del Signore e i suoi diritti sulla storia. Credendo e sperando che tutto ciò sia vero, la preghiera chiede al Signore di confermare l'opera compiuta in passato e manifestare il proprio dominio nel presente. 4. Parlare dei «nemici di Dio» significa ricorrere al vocabolario della con­ cezione del Signore quale divino guerriero che nella battaglia della creazio­ ne trionfa sulle forze primordiali del Caos e vince la battaglia della salvez­ za per liberare il proprio popolo107. Naturalmente, è azzardato e pericoloso per il popolo di Dio considerare quanti lo minacciano eo ipso nemici di Dio e invocare la vendetta di Dio su di loro. Simili preghiere possono facilmen­ te diventare un linguaggio di comodo, una cieca ideologia. I profeti ricor­ darono ripetutamente e insistentemente a Israele come proprio esso potes­ se diventare, e difatti lo divenne, il vero ostacolo alla venuta del regno di Dio nel mondo. Per Israele, l'integrità di una simile preghiera dipendeva dall'integrità della sua vita di popolo del Signore. L'apostolo Paolo ricordò alla prima chiesa che «mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo» (Rom. 5,10). Tuttavia, lo scandalo di Dio che ha eletto un popolo specifico, coinvolgendosi così in una storia spe­ cifica, significa inevitabilmente che il cammino di Dio nel mondo incontra forze ostili che gli si oppongono. Per la chiesa delle origini, i nemici erano «le forze spirituali della malvagità che sono nei luoghi celesti» (Ef. 6,12). n

105 Oppure: «gli è sommamente caro>>. NRSV: [così anche N.Riv. contro la VRL: ; B.Conc., B.Ger., versione pacelliana: ; Vulgata: ]. 1 06 TI documento letterario di questa memoria è contenuto in Giud. 4 - 8. [: così anche B.Ger.; VRL, N.Riv., B.Conc.: ; Vulgata: i versione pacelliana: .] 107 Le fonti di questo vocabolario fuori del Salterio sono Es. 15 e Deut. 32. Per i salmi cfr. Sal. 66,3; 68,1 .21; 74,4.18.23; 89,10. In tutti questi contesti il problema teologico è la dimostrazione che il Signore è veramente il re dell'universo e del mondo.

304

Salmo 84: Quant'è amabile la tua dimora! profeta Giovanni vide il nemico incarnato nelle forze imperiali della perse­ cuzione romana (Apoc. 17 - 18). Non ci vuole molta fantasia per immagi­ nare l'orrore che gli ebrei sentono leggendo la dichiarazione dell'alleanza dell'odio: «Venite, spazziamoli via come nazione, e il nome d'Israele non

è disseminata di tentativi compiuti il popolo del Signore e nella sina­ goga e nella chiesa. Nel Salterio, il Sal. 83 è la preghiera del suo popolo, la cui esistenza è opera del suo regno e che lascia la vendetta a Dio108•

sia più ricordato! » . La storia moderna

da potenze secolarizzate di espropriare

Salmo 84: Quant'è amabile la tua dimora! Il Sal. 84 è sempre stato il favorito tra tutti i salmi che celebrano Sion e il suo Tempio, dimora di Dio. Il modo

in cui gioisce del luogo nel quale Dio

dimora e i paragoni e le esperienze usate per illustrare quella gioia rendo­ no il salmo un poema altamente espressivo. Nei secoli esso

è stato partico­

larmente aperto a interpretazioni e reinterpretazioni diverse. L'esuberante anticipazione del momento in cui si starà alla presenza di Dio e i riferimenti al viaggio (vv.

5-7) e all'ingresso nella casa di Dio (v. 10) suggeriscono che il

salmo fosse usato nelle processioni dai pellegrini che si recavano a Gerusa­

lemme. La richiesta che il re venga accolto (vv.

8-9) dimostra che la figura

reale era parte della processione e delle cerimonie del suo avvicinamento ai cortili del Tempio.

l. Dall'esclamazione iniziale fino alla beatitudine che lo conclude, il sal­

mo celebra le gioie procurate dal fatto che Dio dimori tra i mortali. Poiché il Tempio sul monte Sion era un luogo della presenza di Dio,

il forte desi­

derio di Dio prese la forma storica del pellegrinaggio. ll luogo della dimora di Dio è amato e ricercato perché l'anima anela a Dio. Il fascino del luogo

santo

è, innanzitutto, religioso, non estetico. Persino gli uccelli ritengono il salmo (v. 3).

che il Tempio sia un luogo desiderabile per nidificare, dice

I pellegrini, con il pensiero fisso alle strade maestre che conducono a Sion,

sembrano portare con sé le prime piogge, a mano a mano che avanzano, a

5-7)109• Un in qualsiasi altro

tappe forzate, verso Sion, per apparire là al cospetto di Dio (vv. solo giorno nei cortili del Tempio vale più di mille giorni luogo.

È preferibile stare sulla soglia della casa di Dio che essere accolto co­

modamente nella dimora degli empi (v.

10). Il salmo dà un valore inestima­

bile alla possibilità di trovarsi nel luogo della Presenza anche per un solo istante e nel modo meno vistoso.

108 Cfr. il Sal. 94. 109 Il testo di questi due versetti è notoriamente oscuro.

305

Libro terzo

-

Salmi 73

-

89

2. La maniera nella quale il salmo parla di Dio offre un indizio, almeno parziale, del perché quel posto specifico di Dio sia l'oggetto di tanto desi­ derio. Dio

è chiamato ben quattro volte con il titolo di «SIGNORE degli eser­ è associato in maniera particolare all'arca, il simbolo della

citi». L'epiteto

volontà del Signore di essere presente e insieme al proprio popolo110• Il Si­ gnore

è il Dio vivente, dove «vivente» non equivale a «vivo>>, l'antonimo

di «morto», bensì a «vivido»:

è il Dio che dà vita. Dio è sole, la fonte di vita; è scudo, il protettore della vita (v. 11). Dio dà grazia e gloria; nella vita il bene viene dal Signore. Egli è, dice il salmo «re mio e Dio mio» (v. 3b ), un

Dio

doppio titolo che, esplicitato, significa, all'incirca, «il potere sovrano del­ l'universo e il centro della mia vita personale, quello che rende tutte le cose coerenti per la vita che devo vivere». Avvicinarsi a un Dio così è

il summum bonum. Il pellegrinaggio al luogo di Dio è un simbolo profondo di ciò che è al centro e determina l'orientamento di tutta la vita111• 3.

Il

salmo contiene tre beatitudini dell'Antico Testamento (vv. 4.5.12).

A nch'esse ci mostrano la ragione per la quale si cerca Dio con un desiderio tanto ardente. Come i loro riscontri nel Nuovo Testamento, le sentenze che cominciano con «Beato chi ... » o «Felice chi ... » dichiarano che quelle vite che hanno al centro il regno di Dio e sono disciplinate dal regno di Dio sono quelle che hanno scelto la via della vita e del bene. Nel salmo, le beatitudini sono formulate come discorso diretto a Dio, così da assumere forma di lode. Queste beatitudini dicono, allora: «Tu sei quello che ordina il mondo in mo­ do tale che la beatitudine giunge a quelli che soggiornano nella tua dimora lodandoti ininterrottamente (v. 4), a quelli che trovano in te la forza di per­ correre la strada che porta a te (v. 5) e a quelli la cui vita è espressione della fiducia in te (v. 12)».

Il pellegrinaggio al luogo di Dio è un rituale d'ingresso

nella realtà e nella condizione della vita umana ordinate da Dio.

4. Come i Sal. 42 - 43, anche il Salmo 84 tiene uniti il desiderio ardente di Dio e la voglia di trovarsi in un luogo perché Dio lo ha reso un luogo del­ la Presenza. Questi due momenti significano che la fede deve assumere la forma di movimento, che si deve andare verso Dio. Per i cristiani, l'epoca in

cui l'arca e il Tempio erano segni visibili di una presenza invisibile di Dio a

Gerusalemme appartiene al tempo dell'Antico Testamento; ma ciò non si­

gnifica per noi che Dio non abbia un posto. Noi esistiamo nello spazio e nel

tempo. Come potrebbe Dio trattare con noi se non mediante lo spazio e il tempo, resi santi da una rivendicazione divina? Dio

è eterno, ma ha un suo

scadenzario con i tempi stabiliti. Dio dimora in cielo, ma ha un posto sul­

Ogni visita a una cattedrale o a una chiesa è, in senso profondo, un pellegrinaggio. Noi

la terra. Noi «andiamo» a Dio. o a un'assemblea di credenti

Cfr. il commento al Sal. 24. 111 Cfr. J. LEVENSON, Sinai and Zion, pp. 176-178.

no

306

Salmo 85: Egli parlerà di pace al suo popolo «andiamo», non solo per ragioni pratiche o personali; noi andiamo teologi­

I cristiani hanno letto e cantato il Sal . 84 e mediante esso lodato il

camente.

Dio al quale «andiamo» in maniere diverse. li salmo ha interpretato chiese e cappelle come «luoghi di dimora dell'amore di Dio, la dimora alla quale

il nostro cuore anela con l'ardente desiderio di vedere il nostro Dio»112• Esso è stato cantato anche vedendo la vita come un pellegrinaggio che conduce a stare definitivamente con Dio.

Salmo 85: Egli parlerà di pace al suo popolo 8-13) è stata usata quale salmo per è il tempo liturgico dell'Avvento: una promessa poetica e drammatica che > (Ger. 32,39). La preghiera non è soltanto una richiesta di vita, è la sottomissione della vita. n servo può essere servo di un solo padrone131. La preghiera è la voce della completa dedizione.

Salmo 87:

È nato a Sion!

n Sal. 87 canta Sion e il suo ruolo nella sovranità del Signore sul mon­ do132. n v. 7 suggerisce un possibile uso liturgico del salmo, una processio­ ne di fedeli guidata da cantori e danzatori che gioiscono in Sion, fonte del­ la loro benedizione e gioia. n salmo esprime due idee di fondo. La prima costituisce la premessa principale dei cantici di Sion: Sion è la città di Dio. La seconda è la particolare elaborazione di quella premessa che dà al Sal. 87 la sua nota teologica specifica: la città di Dio è la casa spirituale per un popolo che vive in tutte le nazioni. La combinazione delle due idee ha fatto del salmo un testo grazie al quale il popolo di Dio è stato in grado di dire, in molti tempi e luoghi diversi: Abbiamo una «città che ha fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio» (Ebr. 11,10).

l. La premessa basilare è esposta, in maniera concisa e cristallina, nei vv.

l e 2. Il Signore ha fondato la sua città a Sion e con il suo atto ha reso «san­

to>> il monte sul quale essa è posta. Sion, la città umana costruita dagli uo­ mini, divenne la città di Dio e giunse ad avere un ruolo specifico nei rappor­ ti di Dio con il mondo133. La ragione per la scelta di Sion fu «non il valore del luogo, bensì il libero amore di Dio>> 134. Dio preferì Sion a tutti gli altri santuari135 del territorio di Giacobbe-Israele. È l'amore inspiegabile di Dio,

mio cuore, affinché tema il tuo nome>>; versione pacelliana: «guida il mio cuore, affinché tema il tuo nome>>) . 131 Cfr. Mt. 6,19-34. 132 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 6.10. 133 Cfr. i Sal. 48 e 132. 134 Così CALVINO, op. cit., vol. III, p. 398. 135 NRSV: [anche VRL, N.Riv., B.Ger., B.Conc.: >] .

312

Salmo 87: È nato a Sion! che non ha altro motivo oltre la propria esistenza, che ha portato all'elezio­ ne d'Israele (Deut. 7,8} e alla scelta di Sion (Sal. 78,68-69} e che si esprimerà nell'elezione di ogni popolo, del mondo intero, in Gesù Cristo (Giov. 3,16}. La fede vede le cose che Dio ha scelto non soltanto in se stesse, ma alla lu­ ce di ciò che l'amore di Dio le ha rese. È per questa ragione che si cantano e dicono «cose gloriose» di Sion (v. 3). 2. I vv. 4-7 rivelano che ci sono cittadini della città di Dio residenti in tutte le nazioni del mondo. Nei versetti che seguono si descrive la visione profetica del Signore che registra anagraficamente i popoli (v. 6}. Al v. 4 il Signore parla e fa l'appello di tutti quelli che lo conoscono quale sovrano dell'universo. A sorpresa,!'appello comincia con i due nemici storici di Giu­ da: Rahab136 e Babilonia. ll tema, ripetuto tre volte, recita: rendono rispettivamente i termini inglesi righteousness e justice (che spesso traduciamo , intesa in senso giudiziale). Vale la pena di ricordare di nuovo qui come Lutero spieghi i due termini: dopo aver ricordato che nella Bibbia fjustice, che anche in inglese indica la e il dei gradi superiori di giudizio] significa ora l'ufficio del giudice (Sal. 7,7) ora il comandamento di Dio (Sal. 119,26) ora un diritto o una consuetudine (Es. 21,9), continua:> (vv. 46-48 e 49-51). La prima domanda riguarda il tempo. «Fino a quando>> significa: quanto du­ reranno ancora l'assenza di Dio e la sua ira? Se la benignità di Dio dura in etemo160, può l'ira divina durare per sempre? La supplica legata all'interro­ gativo chiede a Dio di ricordare la caducità dei mortali, del salmista e del­ la sua comunità. Dio non ha molto tempo a disposizione per mantenere la sua promessa: la morte fissa un limite a tutto il genere umano161. La secon­ da domanda riguarda lo spazio. «Dove>> sono le antiche opere della beni-

156 Cfr. il commento a Sal. 2,7. 157 Cfr. Col. 1,15-20; Ef. 3,8-12. 158 Cfr. anche Il Sam. 7,14-15 e Sal. 132,11-12. 159 Possibile conclusione suggerita nel v. 45. 160 Cfr. Sal. 117 e 118,1 (N.d.C.]. 161 Cfr. l'argomento della caducità umana usato nel Sal.

144,3-4; 90,5-6.10.

319

Libro terzo

-

Salmi

73 89 -

gnità del Signore promesse ai discendenti di Davide? La supplica relativa chiede a Dio di ricordare quale sia la condizione presente: solo derisioni e offese umilianti riservate dai nemici di Dio all'Unto del Signore. I nemici del re unto sono i nemici del regno di Dio. Il Dio la cui fedeltà rende stabile l'universo non renderà stabile

il trono di Davide?

6. Il salmo è un lamento del popolo composto per un'occasione nel­ la quale la continuità della dinastia di Davide era chiaramente in dubbio. L'individuo che eseguiva alla sua invocazione (vv. suo popolo.

il

lamento rappresentava

15-18)162•

il

popolo e dava voce

Nel fato del re era in gioco

il futuro del

In un certo senso, il salmo colloca il popolo laddove lo hanno

lasciato i due libri dei Re: con il destino del popolo e del suo re nelle mani dei nemici. Nella composizione del libro dei Salmi questo lamento è inseri­ to alla fine del terzo libro163. Esso forma

il riscontro al Sal. 2 che ricorda co­

me l'Unto sia, per decreto divino, la risposta di Dio al tumulto ostile delle nazioni e dà voce all'angoscia della fede per la disparità tra

il regno di Dio

e il destino del Messia. n patto di Dio inseriva organicamente il regno di Davide nella struttura eterna del regno

di Dio, ma il

cammino storico del

popolo lo aveva reso soggetto a tutte le vicissitudini e incertezze della sto­ ria umana.

n salmo non ha una soluzione del dilemma e può soltanto ap­

pellarsi alla fedeltà di Dio.

La scena ricordata nei vv. 38-45, la descrizione del Messia alla mercé dei suoi nemici, rifiutato e deriso, la sua vita abbreviata con la violenza, ha un altro riscontro nella Bibbia: questa volta nella storia evangelica della Pas­ sione. n salmo letto come Scrittura

il Giovedì santo è una potente testimo­

nianza che proprio il regno cosmico di Dio è coinvolto negli avvenimenti di quella giornata. Questa sua testimonianza fa capire con estrema chiarezza

quanto l'esito dipenda dalla fedeltà di Dio e quanto esso riveli, a sua vol­ ta, tale fedeltà.

162 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.4. 163

320

Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 4.5.

4 Libro quarto Salmi 90 - 106

Salmo 90: Insegnaci a contare i nostri giorni

n Sal. 90 ha una rilevanza liturgica e teologica insolita. Costituisce una lettura scelta tradizionalmente in occasione di funerali, di conseguenza è ascoltato regolarmente in un momento nel quale le nostre menti sono par­ ticolarmente aperte e sensibili a causa del dolore e del ricordo, forse anche della colpa e del rammarico. Questa è un'occasione nella quale è probabile essere portati a riflettere, più che in qualsiasi altro servizio religioso, sulla nostra condizione e. sul nostro destino personale. n salmo è interessato al rapporto tra Dio e il tempo e tra i mortali e il tempo e a ciò che questo può significare per il rapporto tra Dio e i mortali. A causa di questa sua tematica relativa al tempo, Dio e i mortali, il Sal. 90 ha sempre avuto un ruolo impor­ tante nella riflessione teologica. I teologi che si sono occupati del Sal. 90 sotto questo rispetto lo hanno regolarmente paragonato, e confuso, con Eccl. 3 e 5, con il risultato di portare fuori strada l'interpretazione del nostro salmo. 1. Il salmo ha tre parti, più una transizione tra la seconda e la terza par­ te. Esso inizia con due versi in stile innologico che si rivolgono al Signore d'Israele lodandolo per aver protetto il proprio popolo di generazione in generazione (v. l) e acclamandolo creatore, colui che era prima che il mon­ do fosse (v. 2). Poi il salmo confessa che la transitorietà dell'esistenza uma­ na e le difficoltà nella vita di quelli che recitano il salmo sono opera dell'ira di Dio (vv. 3-6 e 7-10)1. Il passaggio da questa confessione alle suppliche è

1 L'articolazione di questa sezione del salmo fa l'effetto di essere un'accumulazione più che un'argomentazione con un suo filo logico. Sarebbe, quindi, preferibile considera­ re il iniziale dei vv. 4.7 e 9 una funzionale enfatica più che una congiunzione.

321

Libro quarto - Salmi 90 - 106 costituito da una domanda retorica nella quale si afferma che soltanto il ti­ more di Dio riconosce che tale caducità e i problemi che affliggono la vita sono effetto dell'ira di Dio (v. 11), e si chiede a Dio di rendere i limiti speci­ fici posti alla vita una fonte di sapienza (v. 12). La preghiera si chiude con una serie di suppliche affinché Dio abbandoni l'ira e ritorni a occuparsi con benignità di quelli che pregano il salmo (vv. 13-17). Sebbene la struttura del salmo sia abbastanza chiara, risulta comunque difficile seguirne il pensiero dal principio alla fine e individuame la coerenza interna. Per farla breve, i vv. 3-12 trattano della tragica e difficile condizio­ ne della vita umana in generale e chiedono la sapienza necessaria per po­ ter vivere nelle condizioni fissate per la vita. I vv. 13-17 riguardano la storia d'Israele con il Signore e chiedono che si passi da un'epoca di afflizione e lacrime a un'epoca di soddisfazione e gioia. Con il primo brano sembra di essere in compagnia del Qohelet, con il secondo del Deutero-Isaia (Is. 40 55). Un cambiamento di epoche per il popolo di Dio che ha a che fare con il fatto dell'esperienza generale che la vita è tormentata e transeunte? Questa apparente incoerenza nel pensiero del salmo ha posto in dubbio la sua uni­ tà letteraria, la sua coerenza e la storia della sua composizione. Ciò nondimeno, il salmo è stato composto come unità e presenta carat­ teristiche che ci suggeriscono di considerarlo tale. Il suo stile è coerente dal principio alla fine; la voce è quella della comunità che si rivolge diretta­ mente al Signore; il salmo è composto come una preghiera di aiuto colletti­ va e le sue parti sembrano avere la funzione degli elementi di quel genere letterario2• L'introduzione in stile innologico serve a ravvivare la memoria di come Dio abbia agito in passato; essa fa valere la fiducia in Dio ed è un motivo perché Dio ascolti il lamento della comunità per la sofferenza che l'affligge nel presente. La confessione di caducità e difficoltà è la descrizione dell'afflizione dalla quale la comunità supplica di essere liberata. I versetti di transizione (vv. 11-12) sono effettivamente un elemento insolito in questo genere letterario. Espressioni e motivi tematici sono ripetuti in vari punti del salmo. Per esempio, le suppliche chiedono a Dio di essere il rifugio per tutte le generazioni, presenti e future (v. 16),come lo è stato per quelle del passato (v. l). Il verbo «ritornare» (shub) è usato per indicare il decreto divino che gli uomini muoiano (v. 3) e per la supplica della congregazione perché Dio ritorni a essere quello di prima (v. 13). «La mattina» [complemento di tempo determinato] è usato nel lamento (vv. 5-6) e nelle suppliche (v. 14). Si trovano anche altre correlazioni. Il tema del tempo è intessuto in tutta la trama del salmo in un modo tale da far capire che il tempo è il problema di fede del quale si occupa la teologia del salmo (vv. 1 .2.4.5.6.9.10.13.14.15). -

2 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra,

322

5.4.

Salmo 90: Insegnaci a contare i nostri giorni Tutti questi elementi unificanti suggeriscono all'interprete di cercare la coe­ renza e il significato nel modo in cui il salmo guida quelli che lo usano a parlare di se stessi a Dio. 2. L'introduzione innologica serve a identificare il Dio al quale la pre­ ghiera è diretta. Invoca Dio chiamandolo 'adonai (v. 1), il titolo che indica Dio quale Signore di un popolo, suo servo (cfr. v. 16). L'introduzione defi­ nisce il Signore d'Israele colui che agisce e colui che è, unendo così i due ruoli divini. Dio è il Signore della storia d'Israelè In ogni generazione Dio è stato «la dimora» del suo popolo, cioè la sua attenzione e protezione lo hanno preservato. La comunità lo sa dalla propria storia: se con fosse stato per l'aiuto di Dio, non ci sarebbe ora una comunità che prega nell'ora del­ la difficoltà. Dio è il Signore dell'universo. Egli è quel «Tu eterno» che era già lì quando i monti primordiali emersero e il mondo-terra fu creato per poggiare su di loro. L'essere di Dio precede tutto ciò che esiste ed è il re­ quisito indispensabile e il sovrano di tutto ciò che esiste. La comunità, for­ mata com'è di esseri umani, non ci sarebbe se non fosse stato per la crea­ zione, opera di Dio. Questi due ruoli sono direttamente rilevanti per le due identità della comunità che prega: essa si rivolge a Dio in preghiera come comunità di mortali (vv. 3-12) e come comunità di servi di Dio (vv. 13-17). L'introduzione del salmo unisce così l'eterno che si occupa dell'universo e dell'umanità e il Signore la cui sollecitudine è per un popolo specifico e per una storia particolare. La tensione che percorre tutto il salmo appare già nella dichiarazione teologica di apertura. La fede deve spesso credere, pensare e adorare nella tensione tra universale e particolare, tra il Creatore e il Salvatore, tra l'umanità e la comunità. 3.

La confessione dell'afflizione che la comunità deve patire comincia

(vv 3-6) lamentando la sorte tragica dell'essere umano (v. 3) sia come indi­ viduo ('enosh) sia come specie (bene 'adam), e continua (vv 7-10) con la co­ .

.

munità che parla di sé definendosi umanità mortale. Noi moriamo, dice; la nostra vita è effimera come lo è l'erba che la mattina è in fiore per inaridi­ re subito nella calura del giorno. Persino se i suoi membri sono tanto for­ tunati da raggiungere l'età matura dei settant'anni, o talvolta l'insolita età di ottant'anni, gli anni che sono stati loro concessi sono pieni di fatica e di guai. Gli anni scivolano via veloci e la vita finisce. I lamenti di questo tipo sono basati sull'esperienza della vita e sull'osservazione della vita altrui. In tempi bui e tristi questi lamenti trovano espressione spontanea, ma in tutti i tempi sono sulla soglia della coscienza umana. Per apprendere la loro verità non c'è bisogno di alcuna rivelazione . Parlando in questi termini, il salmo

3 Si ricordi la differenza dello stesso termine in carattere tondo (Signore = titolo o ruolo di Dio) e in maiuscoletto (SIGNORE = nome proprio, YHWH). Tale espediente rende il dettato un po' goffo [N.d.C.].

323

Libro quarto - Salmi 90 - 106 è aperto a tutti quanti quelli che si rendono conto della natura tragica della vita e si assume il compito di parlare per loro. È evidente che la comunità parla non solo perché i suoi membri condividono la condizione umana ge­ nerale, bensì anche tenendo conto della loro individualità. L'attenzione del salmo si focalizza più sui membri, uniti dalla loro natura mortale, che sulla comunità, nella sua identità corporativa. Nel lamento non si fa parola né di nemici che umiliano e opprimono il popolo né di una catastrofe che uni­ sce tutti nella sofferenza. n lamento riguarda la natura umana mortale che viene sentita e vissuta come afflizione. Mentre il tema del lamento appar­ tiene all'identità della comunità, composta da individui mortali, il modo in cui essa ne parla non vi appartiene. Nella loro comprensione della propria natura mortale i membri della comunità sono chiaramente il popolo del Signore. Dio è l'oggetto della loro descrizione della distretta; essi parlano della loro sorte mortale parlando di Dio. La morte non è considerata un fe­ nomeno naturale, la fine che deve venire per ogni essere vivente. La morte è opera di Dio, colpisce i figli degli uomini per comando divino. La fatica e le difficoltà della vita non sono semplice sfortuna, qualcosa di accidentale: sono effetto dell'ira di Dio. Nel suo corso, e nella sua fine, la comune vita umana viene vissuta sotto il segno dell'ira di Dio. Dio si è deciso a prende­ re in considerazione la colpa degli esseri umani e a trattarli da peccatori (v. 8). Il lamento si basa su una visione della condizione umana simile a quella della storia narrata in Gen. 3. «Tu fai ritornare i mortali in polvere» suona come le severe parole di Gen. 3,19. Questo modo di concepire la tragica con­ dizione della vita umana deriva dalla storia della comunità con il Signore: dalla sua esperienza della vita vissuta sotto il regno e il patto del Signore, essa ha imparato che cosa significhi il suo giudizio. Nella preghiera collet­ tiva tipica il lamento per l'ira di Dio si riferisce a un disastro specifico che ha colpito il popolo di Dio; nel nostro salmo, invece, il lamento è esteso e applicato a tutta la razza umana. Così la spiegazione teologica della condizione umana offerta dal salmo è che si tratta dell'ira di Dio provocata dalla peccaminosità umana. Per far capire bene il concetto, il lamento ricorre a tutta la terminologia pertinente: collera, furore, ira. L'ira di Dio è un simbolo linguistico per i limiti divini po­ sti alla resistenza umana contro la sovranità di Dio e per la pressione eserci­ tata dal Signore per far rispettare questa fiaccando quella. È qui che va cer­ cata, probabilmente, la spiegazione del rapporto tra il v. 3 e il v. 4: l'eternità appartiene alla divinità sovrana del Signore in quanto Dio (ebr. 'el, v. 2); la morte è il definitivo e finale «no» che nega qualsiasi pretesa di autonomia da parte umana. Il mortale viene fatto ritornare alla «polvere» (dakka')4, un

4 La forma nominale del verbo dk' (> è diretto, in realtà, agli orecchi del popolo di Dio per ridimen-

37 Cfr., per esempio, Es. 22,21-24; Deut. 24,17; Is. 1,17; Ger. 7,6; Zac. 7,10. 38 Diversi passi dei profeti post-esilici potrebbero riferirsi alla situazione sociale pre­

sup�osta dal salmo: cfr., per esempio, Is. 58 - 59; Mal. 3,5.13-15. 9 Si noti l'espressione plurale «nostro Dio» alla fine (v. 23).

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Salmo 94: Mia è la vendetta sionare qualsiasi anunirazione la gente possa provare per tale follia. Il rim­ provero è il riscontro della beatitudine che segue. 6. In secondo luogo, con una beatitudine il maestro indica la via della sapienza della fede (vv. 12-15)40. Lo stile di vita che ha un buon futuro è la vita disciplinata e istruita dalla legge del Signore. La disciplina e l'inse­ gnamento della legge del Signore forniscono una tranquilla sopportazione in tempi di avversità. La legge mantiene l'anima al sicuro dalla follia degli empi e alimenta fiducia nella fedeltà del Signore verso il suo popolo e nel ristabilimento finale della giustizia41•

7. In terzo luogo, il maestro testimonia la propria fede e la propria espe­ rienza (vv. 10-22)42• Il maestro stesso non ha alcuno al quale appoggiarsi tranne il Signore; egli stesso ha corso il pericolo di perdere la fiducia ed è stato sopraffatto dagli affanni . Egli può testimoniare che la benignità e il conforto del Signore gli hanno dato sostegno e tranquillità. Il Signore è di­ ventato la sua rocca e il suo rifugio, la protezione della sua anima davanti alla crudele ingiustizia che lo circonda da ogni parte43•

8. Questo intercessore e maestro aveva un ministero diverso da quello dei profeti che proclamavano il messaggio di giudizio del Signore contro le autorità e i ricchi che opprimevano gli umili e gli indifesi. Il problema del profeta e quello del salmista era il medesimo: l'ingiustizia che affliggeva il popolo del Signore. Il salmista, però, aveva una vocazione pastorale per rincuorare e sostenere quanti, nella loro vita di popolo di Dio, erano sco­ raggiati e feriti. Egli non li incitò all'odio e alla vendetta violenta. Al con­ trario, egli pregò per la vendetta del Signore e con la sua preghiera insegnò al popolo che la vendetta appartiene al Signore. Egli deve aver conosciuto la parola divina contenuta in Deut. 32,34-36. In una situazione e in un'epo­ ca diversa, egli cambiò questa parola in una supplica e istruzione per il po­ polo di Dio44•

40 Per le sentenze di beatitudine, cfr. il commento al Sal. l, vedi sopra, pp. 57 s. 4 1 Per la Legge quale fonte di aiuto in tempi difficili vedi, più di ogni altro testo, il

grande Sal. 119. 42 Per lo stile confessionale riflessivo quale metodo didattico, cfr. il Sal. 49 e il Sal. 73. 43 Per il Signore quale rifugio, cfr. il Sal. 91. 44 Si consideri l'uso della parola divina in Rom. 12,19 ed Ebr. 10,30.

337

Libro quarto - Salmi 90 - 106 Salmo 95: Non indurite i vostri cuori 1. Il Sal. 95 mette insieme un inno e un oracolo di Dio. Inizia con una lode (vv. 1-7a) e si chiude con un'esortazione ammonitrice (vv. 7b-11). Il modello innologico di base è usato due volte: invito a lodare (vv. 1-2) e il contenuto o le ragioni della lode (vv. 3-5); invito (v. 6) e motivazione (v. 7a). Poi, un ap­ pello ad ascoltare la voce di Dio (v. 7b) introduce un monito (formulato con lo stile della prima persona divina) a non ripetere il comportamento della generazione del deserto (vv. 8-11). La prima parte dell'inno rispecchia un gioioso canto processionale che introduce alla presenza di Dio (v. 2), la se­ conda l'atto della prostrazione (v. 6). L'oracolo divino si rivolge, allora, al­ la comunità che si inchina. La sequenza liturgica rispecchia i movimenti di sudditi ammessi alla presenza del loro sovrano, che si inchinano in segno di sottomissione e aspettano una dichiarazione del re pronunciata dall'alto del suo trono. In questo modo si capisce che anche questo salmo descrive e interpreta il regno del Signore. La teologia è chiara: il Signore è «il gran Re» perché è autore e reggitore dell'universo, e anche creatore e pastore del proprio popolo; perciò questo dovrebbe ascoltare la sua voce. Per la strut­ tura letteraria e per altri elementi, il Sal. 95 è simile al Sal. 50 e al Sal. 81, so­ prattutto a quest'ultimo45.

2. L'inno espone due sentenze teologiche fondamentali circa il Signore. La prima: il Signore è un Dio grande e un «gran Re» sopra tutti gli dèi (v. 3). La dottrina che il dio dell'Antico Testamento è grande e re tra gli dèi può sem­ brare incoerente con il monoteismo. Tuttavia, questa maniera di parlare di una divinità rientrava nella cultura politeistica nella quale Israele viveva e fu adottata per permettere alla fede di ragionare in quell'ambito culturale46• Nei pantheon dell'antico Vicino Oriente si credeva che un dio fosse supremo e governasse sugli altri dèi. La sua superiorità e il suo governo erano basati sulla sua opera di creatore47. I vv. 4 e 5 sono dichiarazioni totali e inclusive circa il rapporto del Signore con il mondo. In quanto creatore del mare e della terra ferma, il Signore è padrone di tutto il mondo e tutta la terra è in suo potere, dagli abissi più profondi alle vette più eccelse. In tutto il cosmo non c'è nemmeno un angolino che sia rimasto libero per altre potenze di­ vine indipendenti. Per quanti vivono nel mondo non c'è alcun bisogno di pensare o di rendere culto a un altro Dio. Questo modo di pensare circa il regno del Signore non è anacronistico. Noi esseri umani tendiamo inguari­ bilmente al politeismo. Così la teologia del salmo è una teologia della quale si deve tener conto in un mondo religiosamente pluralistico.

45 Cfr. il commento a entrambi i succitati salmi.

46

Cfr., per esempio, Es. 15,11; Sal. 96,4; 97,9; 136,2.

47 Cfr. Sal. 24,1-2.

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Salmo 95: Non indurite i vostri cuori 3. La seconda affermazione teologica fondamentale circa il Signore è sem­ plicemente questa: «Egli è il nostro Dio» (v. 7). La comunità che adora sa di appartenere al Signore, perché egli è «il nostro creatore». Il Signore l'ha fatta esistere, con l'elezione, il patto e gli atti salvifici, l'ha resa un gruppo sociale unico. L'immagine del pastore, usata per interpretare il rapporto tra Dio e il suo popolo, è molto più di una deliziosa metafora arcadica. La metafora è regale e riguarda il rapporto tra un re e i sudditi sui quali egli governa; l'immagine descrive il suo ruolo di capo e guida che provvede alle neces­ sità dei suoi governati e li protegge48• L'immagine è, dunque, un modo per parlare del Signore, re del proprio popolo. Il Signore regna su questo po­ polo non soltanto perché esso vive nel mondo, bensì ancor più perché esso gli deve l'esistenza. 4. Ciò che un popolo deve al suo re è «dare ascolto alla sua voce». Il v. 7b indica che cantare quest'inno e lodare il Signore chiamandolo «nostro Dio» solleva tale questione. È possibile che nella liturgia per la quale il nostro sal­ mo fu composto fosse prevista, finito l'inno, la lettura pubblica del Primo comandamento, la prima e fondamentale delle Dieci Parole del Signore: «Io sono il SIGNORE, Dio tuo, che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avrai altri dèi oltre a me» (Es. 20,2-3). Quando questa pa­ rola viene detta ad alta voce essa cambia il tempo in «oggi», l'opportunità presente di ascoltare la voce del Signore. La risposta giusta è fiducia nella «roccia della nostra salvezza» (v. 1), e non il dubbio o l'ansietà. È una fedel­ tà esclusiva quella che non riconosce alcun'altra divinità né altre potenze divine. Il Signore si comporta e agisce da pastore e sovrano; non affidarsi completamente al Signore re significa, per usare le parole del v. 10, essere «un popolo dal cuore traviato che non riconosce (nella vita) le mie vie».

5. Il comportamento d'Israele a Massa-Meribà49 è citato a mo' di avverti­ mento per ricordare come tale sviamento sia una possibilità reale per il po­ polo del Signore. Ciò che accadde nel deserto voleva «verificare [ . ] mette­ re alla prova» le effettive capacità del Signore (v. 9); in altre parole, mettere in dubbio che il Signore fosse veramente, hic et n une, il Dio dell'esodo che provvede al proprio popolo e rivendica un diritto esclusivo su di esso. A Massa, gli israeliti chiedevano acqua e lanciarono l'arrogante contestazio­ ne: «Il SIGNORE è in mezzo a noi, sì o no?» (Es. 17,7). Mettere Dio alla prova è una richiesta egoistica di segni e miracoli per me e noi nel presente, come se i segni e miracoli della creazione e della salvezza di Dio non fossero una ragione sufficiente per aver fiducia in lui e in lui solo50• Il Signore fu irrita­ to da un siffatto comportamento della generazione del deserto come lo è in . .

48 Cfr. Sal. 77,20; 78,52; 80,1; 100,3 e il commento al Sal. 23. 49 Cfr. Es. 17,1-7 e Num. 20,1-13 [anche Deut. 6,16; 9,22; 33,8].

50 Si guardi al contesto di Num. 14,22; Deut. 6,16 e a Sal. 78,18.41.56; 106,14.

339

Libro quarto - Salmi 90 - 106 ogni tempo se lo si provoca con il medesimo atteggiamento. Si tratta di un pericolo specifico per il popolo di Dio. La decisione indignata di Dio che la generazione del deserto non sarebbe entrata nel suo riposo si riferisce alla decisione divina di non permetterle di mettere piede nella terra promessa, la prevista meta e conclusione delle loro peregrinazioni. n passato è un am­ monimento per il presente. n fatto che la comunità che canta questo salmo si trovi fisicamente nel paese non significa che essa sia entrata, teologica­ mente ed esistenzialmente, nel riposo di Dio. Se essa non dà oggi ascolto alla sua voce, sarà ancora una comunità peregrinante nel deserto, errante nel cuore, senza conoscere le vie del Signore. 6. Gesù capì tutto ciò molto bene ed è con tale conoscenza che sconfig­ ge il diavolo (Mt. 4,1-11). Egli ignorò i miracoli, facendo affidamento, inve­ ce, sulla parola di Dio. Egli si rifiutò di mettere Dio alla prova o di adorare qualsiasi altro. Nel suo periodo nel deserto egli «conobbe le vie del Signo­ re». Ebrei 3,7 - 4,13 usa il Sal. 95 quale testo per un sermone che esorta la chiesa delle origini a «non abiurare il Dio vivente», così da poter portare a termine la propria peregrinazione nel deserto di questo mondo, entrando nel riposo di Dio. Nelle liturgie cristiane, il Sal. 95 è stato usato come invi­ tatorio, cioè un salmo che invita la comunità a un culto autentico51. Esso è, effettivamente, perfetto per tale uso. L'inno ricorda chi è Dio: il sovrano dell'universo e il pastore della chiesa; esso insegna, poi, che il vero culto è una vita devota, fiducia e obbedienza a questo Dio e a Dio soltanto.

Salmo 96: Dite fra le nazioni: «Il SIGNORE regna!» l. Il Sal. 96 proclama alle nazioni il regno del Signore. Si tratta, quindi, di un altro degli inni il cui oggetto è la proclamazione: «Il SIGNORE regna» (v. 10)52 • Si usa due volte la forma abituale dell'inno: un invito alla lode seguito dalla ragione o dal contenuto della lode (vv. 1-3 + 4-6 e 7-12 + 13). Il salmo ha un chiaro stampo evangelico. Cantare al Signore (3 volte) significa «an­ nunciare la sua salvezza» (v. 2b)53, proclamare la sua gloria e le sue opere mirabili (v. 3a), dire: «Il SIGNORE regna» (v. 10). Il pubblico al quale questo

51 Nella liturgia romana, il Sal. 95 (= 94, Vulgata) viene cantato a mattutino, al prin­ cipio dell'ufficio divino e comincia con l'invito a lodare Dio: «Venite, exultemus Domi� no!>>. 52 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 6.1.3. 53 Il verbo ebraico denota il compito dell'araldo che precede un vincitore per an­ nunciare l'esito vittorioso della battaglia a quelli che aspettano ansiosi a casa [come fece Filippide che corse da Maratona ad Atene per annunciare la vittoria di Milziade sui persiani].

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Salmo 96: Dite fra le nazioni: «Il SIGNORE regna!» evangelo si rivolge è costituito dalle nazioni e dai popoli d i tutta la terra, e il suo scopo è di distoglierli dai loro dèi e guidarli al Dio il cui regno signi­ fica stabilità per il mondo e giustizia per i suoi popoli (v. 10).

2. n salmo immagina il Signore come una presenza divina nella sua reggia-tempio. La presenza è mediata dagli attributi di gloria e maestà, di forza e bellezza. Questi attributi, si dice, sono davanti a lui, dove egli si trova (vv. 6.7.9). Il re non può essere visualizzato direttamente; lo si deve imma­ ginare pensando agli attributi suddetti. La risposta che l'inno si propone è una processione delle nazioni che entrano nei cortili del Signore recando il proprio tributo54 e rendendogli omaggio, osservando in tutto e per tutto il cerimoniale del giuramento di fedeltà di vassalli verso il loro re, il Signore, vero re del mondo (vv. 8 e 9). 3. La prima parte del salmo contrappone gli dèi delle nazioni all'identità sovrana del Signore. Dire «il SIGNORE regna» equivale a dire che gli dèi che le altre nazioni adorano non regnano. Nel mondo concettuale dell'antico Vicino Oriente si riteneva che le nazioni fossero complessi non solo politi­ ci, ma anche religiosi; ciascuna nazione aveva il proprio dio particolare per il quale essa vantava pretese. Pretendere che un dio fosse re era, di per sé, una pretesa universale che anticipava e frustrava le pretese regali di altre divinità55. Nel mondo antico, il problema di dio aveva due forme fonda­ mentali: «Quale dio è il tuo dio» e: «Quale dio governa gli altri». Israele ri­ spose al primo interrogativo con la teologia del patto del Sinai; al secondo con la teologia reale di Gerusalemme. Nella fede e nell'innologia d'Israele le due risposte si influenzarono e ampliarono reciprocamente, come avviene anche nel nostro salmo che dichiara due ragioni fondamentali per la riven­ dicazione del trono universale da parte del Signore. La prima è la salvezza sperimentata da Israele nelle potenti opere del Signore compiute in suo fa­ vore (vv. 2-3), opere prodigiose che avevano dimostrato in maniera tipica il potere del Signore contro le altre nazioni. La seconda è che il Signore è il creatore: egli ha fatto i cieli (v. 5) e la stessa stabilità del mondo è una mani­ festazione del suo ininterrotto dominio (v. 10). In confronto al Signore, gli dèi delle nazioni sono inefficienti, incapaci (v. 5)56•

54 Così la NJPS; NRSV: «offerte» [così anche VRL, N.Riv., B.Conc., B.Ger.; Vulgata e pacelliana: «sacrifici>>]. 55 Cfr. il Sal. 82 e relativo conunento. 56 La NRSV traduce , ma nel testo l'accento cade sulla funzione, non sulla forma [VRL, N.Riv., B.Conc. hanno «idoli vani>>; B.Ger.: «sono un nulla>>; Vulgata: «sono demòni>>; versione pacelliana: sunt figmenta, cioè «sono cose create>> (contrasto: Dio è creatore), ma si può tradurre anche «immagini, statue>> e «finzioni, menzogne, inven­ zioni>>, tutti concetti sicuramente biblici] .

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Libro quarto - Salmi 90 - 106 4. La seconda parte descrive quale prospettiva abbiano il mondo e i suoi popoli poiché il Signore regna. Il v. 10 espone la duplice rilevanza per il co­ smo e la società della dichiarazione centrale «il SIGNORE regna». In primo luogo, il mondo è saldo, la terra stabile, la casa dell'umanità affidabile. Non è necessario vivere nell'ansia. Così, proprio gli elementi del mondo stesso sono invitati a gioire davanti al Signore a motivo della stabilità che il suo potere garantisce (vv. 11-12). In secondo luogo, le questioni che riguardano il popolo saranno regolate secondo principi di equità. Storia e società non sono abbandonate all'arbitrio capriccioso di divinità volubili né alle decisio­ ni arbitrarie dei regnanti umani. Il Signore governerà, invece, con giustizia e fedeltà. Esiste un potere che mette le cose a posto, una potenza della qua­ le si può avere fiducia. Nel regno del Signore troverà risposta quell'antico desiderio che si agitava negli esseri umani sin da quando essi pensarono, per la prima volta, a un ordine e a un potere nel mondo e nella società, quel­ l'antico sogno di stabilità nella natura e di giustizia nella vita.

5. Quando dice «egli viene a governare la terra», a che cosa si riferisce il v. 1357? A un evento storico o liturgico o escatologico? Il linguaggio del sal­ mo e i suoi punti di contatto con altri testi dell'Antico Testamento indicano che per la fede dell'Antico Testamento queste alternative non si escludono a vicenda. Secondo I Cr. 16,23-33, il Sal. 96 è uno degli inni di lode cantati da Asaf e dai coristi della sua corporazione davanti all'arca, dopo che Da­ vide l'ebbe portata a Gerusalemme. La processione che portava l'arca del Signore rappresentò con quella liturgia drammatica la venuta del Signore che entra da re nella propria reggia-tempio58• La realtà che veniva interpre­ tata con l'atto liturgico era quella delle opere mirabili di salvezza, delle oc­ casioni storiche nelle quali Israele aveva vissuto concretamente l'interven­ to del Signore, momenti che Israele ricordava in una storia epica (Esodo, Giosuè, Giudici, Samuele) e nella poesia che celebrava la venuta del Signo­ re in una teofania59. Espressioni e frasi del Sal. 96 e dei Sal. 97 e 98 appaio­ no nella profezia dell'Isaia esilico60• Isaia considerava il ritorno degli esuli dalla cattività babilonese una rivelazione del Signore quale re e come una dimostrazione del suo dominio, una prova lampante di come gli dèi delle

57 preferito a (NRSV [e anche VRL, N.Riv., B.Conc., B.Ger., Vulgata; la versione pacelliana traduce (regere) al v. 13b.c. Giudicare è, comunque, una delle funzioni principali del re. La preferenza di Mays è funzionale agli elementi che vuole evidenziare nell'interpretazione e non sostanziale]). 58 Cfr. Sal. 24,7-10. 59 Cfr. Sal. 18; si noti la ripetizione del Sal. 29,1-2 nel Sal. 98,7-9. 60 Cfr. i vv. 11-13 con Is. 40,10; 44,23; 49,13; 55,12 [Deutero-Isaia] e anche con Is. 59,19 s.; 60,1; 62,11 [Trito-Isaia] .

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Salmo 97: TI regno di Dio e i giusti nazioni fossero nullità. Le «venute» passate del Signore hanno un futuro. La liturgia è memoria e anticipazione. n salmo colloca sempre quelli che lo cantano alla presenza del Signore che è venuto e reggerà la terra con giu­ stizia e fedeltà. 6. I cristiani hanno usato tradizionalmente il Sal. 96 la vigilia di Natale e a Natale. In quel contesto liturgico esso guarda in retrospettiva alla Natività e proletticamente alla seconda venuta di Cristo. n Cristo è venuto e verrà di nuovo. n salmo colloca l'evento di Cristo in continuità con le opere mirabili dell'Antico Testamento con le quali il Signore manifestò il proprio governo; inoltre, esso interpreta il Cristo quale dimostrazione del Signore che gli al­ tri dèi non sono che vanità. Mediante il Cristo, il Signore sta realizzando il proprio regno di giustizia e fedeltà tra le nazioni61 .

Salmo 97: Il regno di Dio e i giusti

n Sal. 97 appartiene al gruppo di inni che lodano il Signore, offrendo una spiegazione dell'annuncio: «>.

Salmo 98: Gioisci, o mondo! n Sal. 98 è il testo dell'Antico Testamento al quale Isaac Watts si è ispirato per il suo famoso inno di Natale ]oy to the World, the Lord is come! («Gioisci, o mondo! n SIGNORE è venuto!»)72• L'inno celebra la nascita di Gesù veden­ dovi la venuta del Signore per governare il mondo con verità e grazia. Es­ so usa il linguaggio e i temi del nostro salmo per dire che la Natività è un

69 Con si traduce il termine inglese righteousness e con «giudizio>> il ter­ mine inglese justice. La prima è una qualità morale, il secondo ne è l'applicazione giu­ diziaria pratica. L'uso di questi termini prescinde, quindi, dalla definizione teologica della giustizia di Dio e resta al livello pratico dell'ingiustizia e della perversione del diritto nella società in balia degli empi; è di questo che parlano i salnù [N.d.C]. 70 Cfr. il commento a Sal. 98,1-3.

71 Cfr. Is. 40,5,9-10; 42,17; 52,7-10. D famoso inno natalizio, con testo di Isaac Watts (1674-1748), considerato il padre dell'innologia protestante inglese, è generalmente cantato sull'aria Antiochia dal Messia di G.F. Haendel (1685-1759). 72

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Libro quarto - Salmi 90 - 106 evento del genere e della rilevanza proclamata nel salmo che annuncia la venuta del Dio Salvatore quale re del mondo73.

l. n Sal. 98 è un inno di lode imperativo tripartito, con ogni parte che prepara alla prossima. La prima parte (vv. 1-3) comincia con un invito ge­ nerale a lodare il Signore con il canto, perché il Signore ha fatto cose mira­ bili (v. la). Si elencano poi sommariamente i prodigi in parola; il Signore ha ottenuto una vittoria che ha mostrato la sua fedeltà a Israele e rivelato la sua giustizia a tutta la terra (vv. lb-3). La seconda parte (vv. 4-6) invita tutti gli abitanti della terra a unirsi, dopo quello che hanno visto, ai canti e alla musica che acclamano re il Signore. La terza parte (vv. 7-9) è un invito ancora più pressante e intenso rivolto a tutto ciò che esiste, il mare e la ter­ ra con ciò che li popola, i fiumi e i monti. Nulla e nessuno deve venir me­ no alla lode, poiché il Signore viene da re e giudicherà la terra con la stessa giustizia che ha dimostrato verso Israele, una giustizia che salva. Il salmo propone la prospettiva di un regno a venire nel quale il potere e la pratica di governo hanno per fine la salvezza. E questo è veramente un buon mo­ tivo perché il mondo gioisca! 2. Il tema della prima parte del salmo è la salvezza del Signore. Il termi­ ne ebraico che denota la salvezza ricorre in ciascuno dei tre versetti della prima parte74 • Chiaramente, il beneficiario di quella salvezza era stato Israe­ le; il salmo ricorda come il Signore avesse agito con benignità e fedeltà in favore del proprio popolo, Tuttavia, qui non è questo il punto saliente. n salmo usa un vocabolario ed espressioni che mettono in risalto più il Sal­ vatore e la sua salvezza che i salvati. La salvezza era fatta di «opere mirabi­ li», di «prodigi»: interventi divini che trascendevano ogni attesa umana e aprivano nuove possibilità. Serviva «un nuovo cantico», uno adatto a cele­ brare la nuova situazione creata da questi atti prodigiosi75• La salvezza era opera esclusiva del Signore, della sua mano destra e del braccio suo santo, espressioni che richiamano la figura del guerriero divino, la cui vittoria sui nemici manifestò il suo potere regale76• Scopo e promessa di questa vittoria furono una rivelazione per tutto il mondo. Il salmo non fa alcun riferimento

73 n Sal. 98 è, per così dire, un gemello del Sal. 96, che gli è simile: cfr. Sal. 98,1a con Sal. 96,1a; Sal. 98,7-9 con 96,11-13; si legga il commento al Sal. 96. 74 La NRSV traduce «vittoria>> [come la N.Riv., la versione pacelliana e altre al v. l. La Vulgata mantiene sempre il significato (verbo, aggettivo e sostantivo). n concetto di del Nuovo Testamento deriva più dalla LXX (che usa i termini greci sozii e slltèria) che dall'Antico Testamento (il verbo ebraico più frequente è js' che ha il senso più concreto di ) [N.d.C.] . 75 Cfr. il contesto dei Sal. 40,3; 144,9 e in particolare ls. 42,10. 76 Cfr. Sal. 89,10.13 e il commento sul loro contesto.

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Salmo 98: Gioisci, o mondo! a nemici; i vinti sono usciti totalmente di scena. Ciò che conta è il significato delle opere mirabili del Signore per tutto il mondo. 3. 1s. 52,7-10 è il riscontro profetico del nostro salmo. Il profeta usa il me­ desimo vocabolario e le stesse espressioni caratteristiche per annunciare che il ritorno degli esuli dalla cattività babilonese sarebbe una dimostrazione pubblica del regno del Signore: «Tutte le estremità della terra vedranno la salvezza del nostro Dio» (Is. 52,10b). Ciò che la profezia aveva previsto il salmo lo proclama. Sulla base di tale dichiarazione il salmo invita tutta la terra a unirsi alla gioia d'Israele nell'acclamare re il Signore. Il salmo crede e afferma che il Dio d'Israele aveva plasmato la storia particolare d'Israe­ le per stabilire e rivelare il proprio governo sulla storia universale. Questo convincimento è sorprendente e l'affermazione pretensiosa sembra una spa­ valderia teologica. Tuttavia, la convinzione di fondo aveva in Israele radici remote, antiche quanto l'inno di Es. 15 o Sal. 68 che celebravano l'esodo e la conquista del paese come manifestazione del regno eterno del Signore. Molto prima della liberazione e del ritorno degli esuli da Babilonia, alcuni in Israele avevano avuto l'ispirazione che le vittorie del Signore nella storia d'Israele fossero opera del Dio la cui vittoria sul Caos primordiale aveva portato alla creazione del mondo. La salvezza corrispondeva alla creazio­ ne e la continuava. Entrambe erano l'opera regale di colui che domina su ogni cosa. È per questa ragione che il nostro salmo include il mare, la terra, i fiumi e i monti nell'invito a lodare il Signore (vv. 7-8). Il salvatore d'Israe­ le è il creatore del mondo.

4. Salmisti e profeti consideravano l'esodo e il ritorno in patria degli esuli «venute>> del Signore in vicende umane77• Essi credevano che il mistero di quelle venute fosse il significato della storia. ll regno di Dio stava venen­ do mediante la salvezza. La giustizia del Signore dimostrata nella salvezza d'Israele era la chiave al futuro del mondo. Nel salmo stesso c'è, quindi, una tensione profetica; il suo tempo si trova nel mezzo di una storia disseminata di manifestazioni della regalità del Signore che preannunciano un regno di giustizia ed equità. I testimoni del Nuovo Testamento videro in Gesù una continuazione e il culmine di queste venute salvifiche. Riecheggiando nel Magnificat il v. 3 del nostro salmo, Maria chiamò il figlio nascituro un pro­ digio con il quale il Signore «ha ricordato la sua misericordia per Israele>> (Le. 1,54). Nell'evangelo di Gesù Cristo, Paolo vide la salvezza di Dio che rivela la giustizia di Dio alle nazioni (Rom. 1,15-17). I cristiani delle origi­ ni considerarono il salmo un inno che parlava di Cristo e lo cantavano per esprimere la propria gioia per aver trovato un re che portava salvezza an-

77 Cfr. il commento a Sal. 96,13

e anche Is. 40,10.

347

Libro quarto - Salmi 90 - 106 ziché oppressione e miseria. Quando Isaac Watts trasformò il salmo in un inno di Natale, egli fu guidato dalla Scrittura e dalla tradizione, e riuscì a farlo. L'inno Gioisci, o mondo! rispecchia e rinnova il significato che il salmo ha sempre avuto nella liturgia cristiana. Esso coglie e ripete l'esuberanza del genere umano e della natura riconoscendo ciò che sta avvenendo; in­ terpreta il Natale come un evento decisivo nel regno di Dio, qualcosa che cambia la storia per le nazioni. Esso conserva il legame che unisce salvezza e governo: «TI Salvatore regna».

Salmo 99: Il nostro Dio è santo ll Sal. 99 è un inno che loda il Signore che è re. Come i Sal. 93 e 97, esso si apre con il suo tema, la proclamazione che «il SIGNORE regna», dedicandosi poi a svolgere un'interpretazione del significato di quella formula78•

l. ll salmo ha una struttura complessa, articolata da ritornelli collegati tra di loro e ·divisa in due parti da un invito a glorificare il Dio d'Israele re­ candosi a adorarlo al luogo della sua presenza sulla terra (vv. 5 e 9). Ogni invito si chiude con una dichiarazione della santità del Signore, come ricorre anche alia fine del v. 3, dividendo così la prima parte in due sezioni con og­ getti distinti. L'oggetto della prima sezione (vv. 1-3) è il dominio regale del Signore su Sion e su tutti i popoli della terra. Essa si chiude con un appello generale a lodare il nome del Signore, nome che rappresenta la sua grande e maestosa identità. Oggetto della seconda sezione (vv. 4-5) è l'amore del Signore per la giustizia e il giudizio e il modo in cui egli compie questo e quella in Israele. L'ultima parte (vv. 6-9) loda il Signore, il Dio che risponde a quanti ne invocano il nome. Benché i vv. 1-3 presentino il Signore nella sua figura di sovrano di tutta la terra e di tutti i popoli del mondo, il resto del­ l'inno riguarda il rapporto del Signore con Giacobbe/Israele. Tutta questa parte dà l'impressione di essere un'esclamazione incredula e timorosa, che non riesce a capacitarsi che il Dio di tutti i popoli faccia giustizia e rispon­ da alle preghiere per questo popolo particolare al quale è stato permesso di chiamarlo «nostro Dio» (vv. 5.8.9). 2. La regalità del Signore è presentata con un linguaggio che indica Ge­ rusalemme quale capitale terrena e l'arca quale trono del re divino. n luogo della maestà regale del Signore è Sion (v. 2), la città di Dio posta sul monte

78 Cfr.

348

l'Introduzione, vedi sopra, 6.1.3.

Salmo 99: ll nostro Dio è santo suo santo (v. 9). Queste designazioni rendono Gerusalemme il centro di tutta la terra, il punto dal quale il re divino esercita il proprio potere sovrano79• Il simbolo della regalità del Signore è l'arca del Signore, che il salmo chiama trono con i cherubini sul quale siede il Signore (v. l) e sgabello per i suoi piedi (v. 5)80. L'arca rappresentava la presenza in mezzo a Israele del Signo­ re, il divino guerriero alla cui teofania la terra era scossa e i popoli tremava­ no (v. 1)81• A causa del suo ruolo nella più antica storia religiosa d'Israele, il rilievo dato all'arca anticipa sia la designazione del Signore quale «Dio nostro» nei ritornelli principali (vv. 5-9), sia l'oggetto della lode del salmo, il rapporto del Signore con Israele.

3. Il primo modo nel quale, secondo il salmo, il Signore aveva esercitato il proprio potere regale in Giacobbe82 era stato sostenere l'equità giudizia­ ria e mettere in atto giustizia e giudizio. In altri testi del Salterio si dice che giudizio e giustizia costituiscono proprio la base del trono del Signore83 . Nel vocabolario dei salmi, giustizia e giudizio sono gli attributi e gli atti di Dio nell'esercizio delle proprie funzioni di re e giudice per far osservare la propria regale volontà. Che i giudizi fossero salvifici o punitivi nei confronti d'Israele dipendeva dalla situazione del momento; tuttavia se ne evidenzia prevalentemente l'effetto positivo di restaurazione e redenzione84 • In Israe­ le l'esercizio regale del giudizio di Dio annunciava profeticamente il suo governo futuro del mondo85• 4. Il salmo indica anche un secondo modo in cui il Signore ha esercitato la propria funzione regale in Israele: egli ha risposto al grido di quelli che rap­ presentavano il suo popolo. Nell'ideologia regale dell'antico Vicino Orien­ te rientrava nell'esercizio etico della carica di re rispondere alle suppliche di sudditi indigenti e indifesi. Se il re ne sentiva il grido, era in obbligo di rispondere. Ovviamente, ideale e prassi non sempre collimavano; il salmo, però, loda il Signore, perché è un re che risponde davvero. Il salmista ri­ guarda al passato e nella tradizione storica d'Israele trova casi esemplari di gridi che hanno ricevuto una risposta. Mosè, Samuele, il sacerdote Aaronne furono gli intercessori originari in favore d'Israele in occasioni classiche di

79 Cfr. il commento al Sal. 48. 80

Per il trono, cfr. il commento a Sal. 80,1; per il poggiapiedi, cfr. Sal. 132,7 e I Cr.

28,2.

81

Cfr. Sal. 97,3-5. Cioè in Israele. Nel Salterio si usa spesso il nome alternativo Giacobbe. 83 Cfr., per esempio, Sal. 97,2; 89,14. 84 Cfr. il commento a Sal. 97,2 e 98,1-3. 85 Cfr., per esempio, Sal. 96,13 e 98,9. È in testi come questi che si può vedere nella teologia della regalità del Signore la base della proclamazione profetica del giudizio e della giustizia di Dio. 82

349

Libro quarto - Salmi 90 106 -

colpa collettiva86. ll Signore è lodato per aver risposto con il perdono e non solo per l'aiuto concesso nell'ora del bisogno. Perdonare la colpa è un eser­ cizio particolare della libertà sovrana di Dio87. Si dovrebbe notare che qui tutte le preghiere e i canti di ringraziamento per aver ricevuto una risposta divina nel Salterio sono collegati con la teologia della regalità di Dio. Nei salmi, grido e risposta sono argomento di preghiera88 e rientrano nell' am­ biente vitale di servi che si appellano al loro re. La risposta venuta dalla colonna di nuvola (v. 7a)89 non deve aver pronunciato un perdono incondi­ zionato, poiché i vv. 7b e 8b sono limitazioni che ammaestrano e mettono in guardia dal presumere che il perdono di Dio si ottenga facilmente e sia un fatto di routine90• La libertà di perdonare che Dio ha non nega l'importanza dell'obbedienza ai comandamenti di Dio (v. 7b ), né scusa gli individui dal­ le conseguenze delle loro cattive azioni (v. 8b). La prospettiva del perdono è legata al posto che hanno l'obbedienza e la responsabilità secondo il mo­ dello della grande auto-proclamazione del Signore in Es. 34,6-�1.

5. Il triplice ritornello suggerisce che l'intero salmo intende essere un'esposizione della santità del Signore. «Santo» è il termine che denota il numinoso, il mysterium tremendum che appartiene intrinsecamente alla divinità. Si tratta della qualità dinamica che pervade persone e cose recla­ mate e usate specificamente da una divinità92• Nelle sue tre parti, il salmo definisce e modifica il significato fondamentale del termine «santo». Il Si­ gnore è tre volte santo: nella suprema maestà, nel giudizio e nella respon­ sabilità. «Santo» diventa un concetto che significa più del numinoso tre­ mendo e fascinoso; quando è usato per lodare il Signore, quell'aggettivo assume connotazioni che il popolo del Signore è arrivato a mano a mano a conoscere facendo esperienza del suo governo. L'inno è una liturgia per la visione che Isaia ebbe nel Tempio quando sentì scuotersi le fondamen­ ta e i serafini cantare l'un l'altro «Santo, santo, santo» (Is. 6,1-5). Il profeta non guardò più la vita e il mondo nel medesimo modo dopo aver detto: «l miei occhi hanno visto il Re». Quando viene letto e cantato con apertura e immaginazione, il nostro salmo ha ancora il potere di evocare quella vi-

86

Cfr., per esempio, Ger. 15,1; Es. 17,1-11; 32,7-14; I Sam. 7,5-9; Num. 16,20-22. 87 Cfr., per esempio, Sal. 103,10-19; 130,4; Os. 11,8-9. 88 Cfr., per esempio, Sal. 3,4; 4,1; 5,2. 89 Per la colonna di nuvola quale luogo di oracoli, cfr. Es. 33,7-11; Num. 12,5; Deut. 31,15. [ (Il Padre nostro, p. 20) [N.d.C.]. 9 5 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.5.4.

351

Libro quarto - Salmi 90 - 106 to: «Lodate [di solito: ringraziate] il SIGNORE, perché egli è buono, perché la sua benignità dura in eterno»%. Ne risulta un salmo che trasporta esso stesso quelli che lo cantano o leggono alla presenza del Signore, affinché possano lodarlo. 1. n salmo caratterizza in tre modi importanti la lode che va offerta al Signore. n culto che il nostro salmo inaugura è di natura teopolitica. Gli imperativi del primo verso richiedono tutti atti previsti dal cerimoniale di avvicinamento a un re. Si «giungeva alla presenza» di un re entrando nelle sue vicinanze97; i sudditi e la corte salutavano l'apparizione del re con un grido di acclamazione. nell'Antico Testamento. Nella storia dell'esodo, è l'unica alternativa a continuare a servire il faraone98• Il Deute­ ronomio esorta ripetutamente Israele a servire il Signore invece di altre di­ vinità99. Entrambe queste accumulazioni del verbo coinvolgono un'alternativa: nel primo caso tra il Signore e un monarca umano; nel se­ condo tra il Signore e altri dèi. Servire il Signore significa vivere in un re­ gno e sotto un governo che escludono la schiavitù sotto regimi umani e la sottomissione al potere degli «dèi>>. Così, l'invito a rendere il culto è, allo stesso tempo, un appello a radu­ narsi ed essere il reame del Signore. Questa assemblea può essere detta re­ ligiosa perché il suo punto focale è un dio; ma i suoi simboli e i suoi rituali provengono dalla vita politica. Così l'assemblea si riunisce per riconosce­ re il luogo del potere che governa. Con i suoi rituali essa indica il potere al quale i presenti affidano e sottomettono la propria vita. Rendere il culto o adorare significa optare per una ritenendola quella decisiva. Questa opzione è, pertanto, l'atto sociale più rilevante che la gen­ te possa compiere. A Gerusalemme c'erano due edifici contigui: uno era la reggia-dimora del re umano; l'altro era il palazzo-dimora che rappresentava il re divino. Nella storia d'Israele si pose frequentemente l'interrogativo di quale delle due volontà governasse veramente. I profeti rappresentavano il re celeste nei confronti del re davidico, e la resistenza che essi incontrarono mostra che il culto nel tempio non diede sempre la risposta giusta. In epoca roma­ na, i primi cristiani dicevano nel loro culto in un impe­ ro che richiedeva ai propri sudditi di dire , e pagarono

96 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.5.3. 97 Si notino i vv. 2 e 4. 98 Cfr. Es. 3 12; 4,23; 7,16; 8,1; 10,26. 99 Cfr., per esempio, Deut. 7,4; 8,19; 11,16 ecc. ,

352

Salmo 100: Il Signore è Dio per questa scelta100• Poiché il culto è la direzione della fiducia e dell'obbe­ dienza a un potere la cui volontà e la cui azione fanno una differenza nel­ la vita, anche il culto è sempre un'attività con conseguenze politiche. Se il culto non fa alcuna differenza nel modo in cui quelli che vi partecipano si pongono nei confronti di altri poteri, ebbene, allora questo non è il culto che il Sal. 100 inaugura.

2. ll culto che il salmo inaugura ha uno scopo omologico: esso è un mo­ do per mettere in pratica la chiamata a «riconoscere che il SIGNORE è dio» (v. 3) 101 • Il v. 3 dichiara in termini omologici che cosa significa radunarsi qua­ le popolo che ha per re il Signore. Il culto è una dichiarazione pubblica che colui il cui nome è il Signore (ebr. YHWH) è veramente dio, l'unico dio, colui al quale appartiene esclusivamente il predicato «dio». Nel mondo d'Israele, una dichiarazione simile era polemica; significava che si negava a qualsiasi altra divinità di poter rivendicare per sé il predicato «dio>>. La forza polemi­ ca della dichiarazione è evidente nella storia della disfida tra Elia e i profeti di Baal sul monte Carmelo1 02 • Quando Baal non rispose ai suoi profeti e il Signore rispose alla preghiera di Elia consumando l'olocausto, l'assemblea che assisteva alla sfida cominciò a gridare: «> (I Re 18,39). Ai giorni d'Israele non ci si chiedeva «ma c'è un dio?», bensì «chi è dio?>>. In un senso profondo, sebbene culturalmente diverso, l'interrogativo reale è, ancora oggi, questo. Gli esseri umani sono intrinsecamente politeistici; il culto che fa il nome di dio è confessione di un solo dio. Nell'Antico Testamento il riconoscimento cognitivo del Signore avviene in risposta a un atto del Signore. n secondo e terzo stico del v. 3 spiegano, con metafore ben note, a quali atti il salmista pensa. «Egli ci ha fatti>> è un condensato della storia della salvezza d'Israele fatta di elezione, liberazio­ ne e alleanza, atti che portarono Israele a esistere quale popolo del Signo­ re, gregge che egli, suo pastore, conduce al pascolo. Questo riferimento al­ la creazione d'Israele, opera del Signore, fa capire chiaramente come viene inteso il termine «dio» usato nella dichiarazione: non come una definizione astratta, meramente concettuale, bensì in relazione con la realtà dell' espe­ rienza. n termine «Dio>> denota colui che crea la comunità e se ne prende cura, colui dal quale dipendiamo per la nostra esistenza e per la nostra vi­ ta di popolo di Dio.

100 Su questo aspetto, non privo di risvolti anche attuali, richiamato da Mays, con­ sigliamo la lettura di E. NOFFKE, Cristo contro Cesare. Come gli ebrei e i cristiani del I secolo risposero alla sfida dell'imperialismo romano, Torino, Claudiana, 2006; M.E. BoRING, Apoca­ lisse, Torino, Claudiana, 2008, in particolare l'Introduzione e note; C. PAPINI, Da vescovo di Roma a sovrano del mondo. L'irresistibile ascesa del papa romano al potere assoluto, Torino, Claudiana, 2009, in part. pp. 9-97 [N d C]. 101 Traduzione NJPS [VRL, N.Riv., B.Ger.]. 102 Cfr. I Re 18,20 ss. .

.

353

Libro quarto - Salmi 90 - 106 A questo punto è opportuno notare che, senza provare alcun imbarazzo, il salmo chiama tutta la terra a riconoscere quale re e Dio il Signore che ha

creato il proprio popolo e si prende cura di esso. n salmo può farlo, perché la rivelazione dell'identità del Signore (cosa ben diversa dalla consapevolezza del divino o di un dio) avviene nelle sue opere e parole in favore d'Israele. La dichiarazione «il SIGNORE è dio» si basa sulla storia della salvezza, non sulla rivelazione naturale. Tuttavia, si può inoltre notare che l'invito rivolto al mondo affinché si unisca al popolo di Dio nel culto e nella professione di fede indica che il salmista sa che il rapporto di Dio con Israele è la sua via

per raggiungere il mondo intero103•

3. n culto al quale il salmo dà inizio è gioioso. Tutti quelli che studiano il Sal. 100 notano l'esuberanza, l'entusiasmo e l'allegria che il suo linguag­ gio rappresenta e richiama; e tutti desiderano ardentemente che anche il loro culto abbia le medesime caratteristiche. L'invito a gioire non è l'esage­ razione di un imbonitore che decanta ciò che fa, bensì è un atto basato sul Dio al quale il salmo dedica le proprie lodi. In primo luogo, Dio è presente ed è possibile arrivare proprio fino alla presenza del Signore entrando per le sue porte e nei suoi cortili. Nell'ottica del salmo, il Signore è «lì», per pro­ pria scelta e concessione, nel modo più reale. n salmo testimonia l'impor­ tanza della «presenza» per un culto autentico e pieno di entusiasmo. Tale culto è la fremente anticipazione di essere alla presenza che è la base della gioia della lode. In secondo luogo, il Dio che è presente è il pastore del proprio popolo. D Signore è il salvatore. La situazione del culto è evangelica. La comunità si muove per arrivare alla presenza di colui che «è per noi». In terzo luogo, il Dio che è presente è «buono» (v. 5). L'aggettivo «buo­ no» è quanto il salmo presenta quale unica ragione della sua chiamata al culto. Il termine sembra troppo semplice e comune per essere la base di un simile scopo. Tuttavia, è proprio questa natura comune del termine che qui lo rende idoneo. In tutte le loro lingue, gli esseri umani organizzano le loro reazioni discriminanti a ciò che provano in ogni sfera della vita in base alla coppia «buono/cattivo», chiamando «buono» ciò che in ogni sfera specifi­ ca favorisce e migliora l'esistenza. Israele arrivò a conoscere in ogni sfera della vita che il suo dio è buono in senso assoluto: in tutte le sue parole e in tutti i suoi atti. Salmi 34,8 arriva al punto di dire: «Provate e vedrete che il SIGNORE è buono!». Con gli stichi successivi il v. 5 spiega che cosa significhi esattamente «buono» per il nostro salmo: significa la benignità eterna e la perpetua fedeltà del Signore; «buono» richiama il vocabolario dello l;zesed e della 'emunah, due termini con i quali i salmi parlano tanto frequentemente

103 Cfr. quanto si dice circa la storia particolare e le pretese universali nel commento al Sal. 11 7.

354

Salmo 101: La via dell'integrità della natura del Signore fatta conoscere nelle sue opere per e con Israele104• Il culto è gioia, perché, finché il tempo scorre, il futuro è governato dalla bontà e fedeltà del Signore. I due grandi principi del monoteismo radicale sono: «lo sono il Signore, tuo Dio; non avrai altri dèi all'infuori di me» e «Qualunque cosa egli sia, è buono». n secondo principio può essere formulato perché la fonte di tutte le cose e il potere per il quale esistono è buono»105• Il Sal. 100 è un inno che nella sua lode esprime questi due grandi motti: esso crea un culto che sa chi è Dio e perché viene celebrato.

Salmo 101: La via dell'integrità Martin Lutero chiamò il Sal. 101 «lo specchio di un monarca scritto da Davide». Esso è il canto di una persona la cui sfera di responsabilità si esten­ de ben oltre la propria «casa»106, fino a includere «la città del SIGNORE» e il paese tutto (v. 8). Il salmo fu composto per la cerimonia inaugurale del re o per una celebrazione della sua regalità107. Si tratta di una dichiarazione d'impegno a una condotta giusta che apparteneva all'ideale di un re1 08.

l. Il cantico si apre dichiarando il proprio tema: celebrare la lealtà (}Jesed) e la giustizia del Signore (v. l}. La lealtà di Dio verso la casa di Davide è base e sostegno proprio dell'esistenza del re109, ed è in virtù del dono del giudizio divino che il re è in grado di governare (Sal. 72,1): la sua giusti­ zia viene dal Signore, così egli deve cominciare con una lode che confes­ sa quella dipendenza quale fondamento del proprio impegno. Soltanto in quella dipendenza egli può promettere e, di fatto, promette di praticare la via dell'integrità. Egli non pronuncia neanche la promessa senza aggiun­ gere immediatamente la richiesta: «Quando verrai da me?», cioè quando sarà presente con lui nella lealtà e nel giudizio (v. 2a)1 1 0• n resto del salmo sviluppa la promessa con il re che s'impegna a praticare personalmente la via dell'innocenza (vv. 2b-4}, a sostenere quanti nel suo regno lo fanno an­ ch' essi e a opporsi a quanti, invece, non lo fanno (vv. S-8). 104 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 6.8. [Cfr. anche VANNINI, 105 H. RICHARD NIEBUHR, Radica/ Monotheism, pp. 37-38.

pp. 18-19.]

106 Cioè la reggia con i suoi occupanti, vv. 2 e 7. !07

Cfr. l'Introduzione, par. 6.11. il commento a Sal. 72,1-4.12-14; 45,4-7; 18,20-30. 109 Cfr. Sal. 21,7 e 18,50. 1 10 NRSV: ; B.Conc.: «Camminerò nella via dell'integrità quando mi si presenti>>; B.Ger.: «Agirò con saggezza nella via dell'innocenza: quando verrai a me?»; Vulgata: «Salmeggerò, e capirò nella via della perfezione quando verrai a me?»]. 108 Cfr.

355

Libro quarto - Salmi 90 - 106 2. Il termine morale che nel salmo organizza la serie di impegni presi dal re è il concetto ebraico che qui viene tradotto ora con «innocenza, irreprensi­ bilità» (vv. 2 e 6: tamim), ora con «integrità» (v. 2: tom) 111 • Il concetto si riferisce a ciò che è intero, completo, perfetto; se riguarda la condotta il gruppo ter­ minologico denota atti che sono coerenti e conformi relativamente ad alcuni valori fondamentali. Nel nostro caso questi valori di base sarebbero la lealtà e il giudizio del Signore112; la via dell'innocenza è la condotta caratteristica di quelli le cui motivazioni, scelte e azioni sono coerenti con la loro dipen­ denza dal Signore. Essi sono «i fedeli [al SIGNORE] del paese» (v. 6) 113•

3. Nell'elencazione delle qualità negative, l'antonimo principale della «integrità di cuore» è la «perversità di cuore» (v. 4)114, vale a dire una con­ dotta perversa, contraddittoria incoerente con qualsiasi impegno interiore. Qui tale condotta viene spiegata in termini sia generici (malvagità, empietà, ignobiltà) sia specifici (apostasia, maldicenza segreta, arroganza, inganno, menzogna). L'insistenza sul «cuore» fa capire che l'elencazione non è sol­ tanto una specifica lista di mali, ma qualcosa di più profondo che riguarda la natura stessa della persona, «le abitudini del cuore» dalle quali nasce la condotta. 4. Con il suo interesse per il carattere, il salmista cerca di arrivare all'idea­ le. Il re non s'impegna semplicemente a fare ciò che è legale e a opporsi a quanti agiscono illegalmente. n salmo costituisce un impegno solenne a svi­ luppare un carattere coerente con una moralità teologica e a praticare una vita che le sia conforme. Tale impegno, solenne come un voto, si assume la responsabilità non solo per mantenere la legge e l'ordine; esso promette di educare il carattere stesso mediante l'influenza e l'esempio della vita stessa del re e l'uso della sua autorità. Il salmo insegna che a quanti sono in autorità e guidano il popolo non basta vivere nella legalità e governare con i codici. Ciò che veramente determina l'effetto dell'opera di governo sui governati è il carattere del capo del governo e il carattere di quelli che formano il suo governo. Su questo punto il salmo si dimostra radicale, ma la storia è piena di esempi che dimostrano come esso abbia ragione. Il salmo insegna inol� tre che la condotta dipende dal carattere e il carattere è formato da impe-

11 1 Già le traduzioni citate alla nota precedente suggeriscono che i due termini sono perfettamente sinonimi: l'agg. tom significa «completo, perfetto»; come sost. tamim si­ gnifica «integrità, rettitudine»; come agg. [N.d.C.]. 11 2 Anche questi due termini vengono tradotti in modi vari e tutti legittimi: Mays: (justice); B.Ger.: ; VRL: . Per l'im­

portanza dell'identità dello 'ani, cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 6.18.

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Libro

quarto - Salmi 90 - 106

ghiera individuale è stata estesa e adattata all'uso collettivo; la comunità è presentata come una singola persona o rappresentata da un individuo; un

singolo individuo prega identificandosi con l'afflizione e le prospettive fu­ ture del popolo nel suo complesso. Dal punto di vista formale, il secondo filone può essere letto anche come una dichiarazione di fiducia (vv. 12-17), un voto di lode (vv. 18-22) e lode conclusiva (vv. 25-28); vale a dire, quindi, come parti di una normale preghiera di soccorso. L'unità della composizione è notevole. n motivo tematico del tempo at­ traversa tutto il salmo. n tema dei giorni che svaniscono apre e chiude la descrizione del problema (vv. 3 e 11) e viene ripreso ai vv. 23-24. Il regno eterno di Dio è posto due volte in diretto contrasto con il tempo effime­ ro del salmista (vv. 12 e 24b-27), come se in quel contrasto si trovasse una qualche soluzione dell'afflizione. Il salmo dichiara che è giunta l'ora che il Signore abbia pietà di Sion (v. 13). Il salmo guarda anche all'avvenire, quando le generazioni future, un popolo ancora increato, formato dai di­ scendenti dei servi del Signore, lo loderanno e dimoreranno in sicurezza (vv. 18-20 e 28). Inoltre, la preghiera dei desolati nel secondo filone (v. 17) corrisponde alla preghiera dell'afflitto nel primo (v. l) e quelli che sono destinati a morire (v. 20) corrispondono a quello che sta per morire a metà dei suoi giorni (v. 24). Chiaramente, l'afflitto del primo filone corrisponde in qualche modo alla popolazione desolata e misera di Sion nel secondo filone di pensiero.

2. Il problema teologico centrale del salmo è la rilevanza salvifica del tempo eterno del Signore per il tempo limitato degli umili. Il misero esem­ plifica la situazione tragica dell'uomo relegato nel tempo. Viviamo nel tempo; le nostre vite sono scandite dal tempo; abbiamo bisogno di tempo per vivere. C'è una tragica, commovente intensità nel modo in cui l'umi­ le parla dei «miei giorni» al v. 24. La vita degli esseri umani ha un cammi­ no previsto ed essi presumono di avere la forza e di possedere i giorni per vivere quel percorso fino in fondo. Tuttavia, il controllo umano del tempo è un'illusione. Due similitudini impietose rivelano la verità: «l miei giorni svaniscono come il fumo» (v. 3, NJPS). Pensiamo di avere tutti i giorni che ci servono, quando improvvisamente succede qualcosa che rende il con­ trollo del tempo simile al tentativo di afferrare il fumo. «l miei giorni sono come l'ombra della sera»: pensiamo di essere alla metà dei nostri giorni e, improvvisamente, siamo alla loro fine118• In un modo o nell'altro, tutti gli esseri umani arrivano a vedere l'illusione. Tuttavia, la conoscenza dell'esi­ stenza umana che il salmista possiede non si ferma a questa tragica verità 118 (Salvatore Quasimodo). Altrì traducono ìl v. n letteralmente:

>), come si dice in inglese, è, naturalmente, la qualità e l'attività del Signore che nei salmi viene celebrata sopra e oltre qualsiasi altra, essendo essa la bontà essenzia­ le del Signore127. La benignità è sia natura sia azione. Si può cercare di de­ finirla una disponibilità verso quelli con i quali si è in rapporto. Fare }.zesed significa fare del proprio meglio in un rapporto e vivere un rapporto al

123 NRSV: . [Nelle varie traduzioni, e anche all'interno di una medesima traduzione, tutto il viene usato, tranne spe­ cifiche eccezioni, quasi indifferentemente. Esemplifichiamo con la N.Riv.: Es. 34,6: ; Sal. 86,15: ; Sal. 103,8: ; Sal 145,8: .] 1 4 NRSV: «misericordioso>> [cfr. nota precedente]. 125 Cfr. Es. 34,6-7 e il contesto. 126 È citato nei Sal. 86,15 (e cfr. v. 5) e 145,8 (e cfr v. 9) e usato nei Sal 78,38-39; 99,8; 111,4. Vedi l'analisi in M. FISHBANE, Biblica! Interpretation, pp. 347·350. 1 27 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.5.3 e 6.8. .

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Salmo 103: L'infinita bontà del Signore meglio. È proprio per questa ragione che in una teologia, la quale pensa il rapporto di Dio con gli esseri umani in termini di creazione, elezione, pro­ messa e patto, il l)esed è estremamente importante. La benignità del Signo­ re, dice il salmo, è tanto abbondante da riempire tutto il tempo e tutto lo spazio; è grande tanto quanto i cieli sono alti al disopra della terra (v. 11) e dura quanto dura l'eternità (v. 17). L'attributo che nei salmi fa di solito coppia con la benignità (l)esed) è «fe­ deltà»1 28, ma in Es. 34,6 e in alcuni altri salmi, come qui nel nostro, il termi­ ne complementare è «compassione», che nel salmo ricorre come sostantivo, aggettivo e verbo129 . Nell'uso profano il termine si riferisce all'atteggiamen­ to e alla condotta di chi frena l'ira e agisce con benevolenza130• Nei salmi, la compassione del Signore, spesso associata con la bontà (besed), appare in contesti che riguardano il peccato umano, l'ira divina e il perdono risoluti­ vo di Dio131• ll paragone usato qui per spiegare la compassione è quello del comportamento di un padre verso i figli (v. 13). La collera di un padre per una mancanza o l'insuccesso o la disubbidienza di un figlio è una sfuriata, anche violenta, ma di breve durata e mai definitiva132• La compassione è un affetto che prevale sulla collera. Usata in funzione di complemento alla beni­ gnità, la compassione evidenzia e intensifica quella propensione al perdono, nonostante il peccato, che appartiene alla grande benignità di Dio.

3. Il salmo testimonia in due maniere l'opera di bontà e compassione del Signore. La prima è un elenco dei benefici per l'anima (vv. 2-5). Questi bene­ fici non sono atti o momenti separati, ma vanno visti uniti insieme, aspetti di un unico processo di redenzione. L'elenco descrive a grandi linee le fasi successive di un perdono che guarisce, redime la vita dalla minaccia del­ la morte e, così, adorna la vita di bontà e compassione, rendendo possibile sentire e vivere l'esistenza come un bene, con il risultato che la vita si rin­ nova. L'elenco riassume ciò che Israele chiedeva nelle preghiere di soccor­ so. Le voci dell'elenco rispecchiano i temi e i motivi di un canto di ringra­ ziamento. Tutto comincia con il perdono ed è basato sul perdono133• Questa elencazione dei benefici del Signore per l'anima non è composta come se

1 28 Cfr. il commento a Sal. 100,5 [ o «verità>>, cfr. Sal. 86,15. TI termine ebrai­ co 'emeth significa: e la decisione è lasciata all'interprete. Cfr. sopra, nota 123, p. 362, e VANNINI, pp. 18 s. La verità è ciò su cui si può contare; merce rara ai giorni nostri, quando la verità dipende dalla convenienza o dalla fedeltà ai finanziatori, non a Dio]. 129 Tutte espressioni della radice ebraica rchm [verbo racluim: «amare, avere miseri­ cordia/pietà di>>; sostantivo racluimim: (sede degli affetti; cfr. rechem, ), misericordia, compassione, affetto]. 130 Per esempio, un conquistatore (I Re 8,50); il re di Babilonia (Ger. 42,12). 131 Cfr., per esempio, Sal. 51,1; 77,7-10; 78,38-39; 102,13. 132 Cfr. Is. 49,15. 133 Per il rapporto tra perdono e guarigione, cfr. l'Excursus, vedi oltre, p. 185.

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fosse il racconto di un individuo particolare: le proposizioni relative e il fre­ quente ricorso a «tutto l tutti» la rendono una caratterizzazione del Signore. I profeti avevano usato il vocabolario della malattia e della guarigione per interpretare il modo in cui il Signore si comporta con l'Israele peccamino­ so134; l'anima invitata a lodare il Signore è quella di ogni singolo israelita e quella del popolo nel suo insieme. La seconda testimonianza parla delle vie del Signore fatte conoscere a Mosè e al popolo d'Israele (v. 7). Quando Israele era «oppresso» in Egitto, il Signore l'aveva liberato dagli oppressori medianti giusti atti di giudizio (v. 6), rivelando così per tutte le età come egli agisca con gli oppressi. Quando Israele peccò nel deserto nell'episodio del vitello d'oro, gli israeliti impara­ rono che il comportamento di Dio verso loro che avevano peccato era ba­ sato sulla sua benignità e compassione (v. 8). n Signore non conservò l'ira, altrimenti essi non sarebbero sopravvissuti (v. 9). Essi possono realmente affermare: «Egli non ci ha trattati secondo i nostri peccati né ci ha castigati secondo le nostre colpe» (v. 10)135. La storia del comportamento del popo­ lo del Signore durante il viaggio nel deserto è una storia della bontà e del­ la compassione del Signore. n linguaggio usato dal salmista fa capire che i suoi pensieri non si limitano alla storia della fondazione d'Israele, poiché in diversi punti il linguaggio corrisponde a quello del profeta di Is. 40 66136• Per il salmista, le vie del Signore rivelate a Mosè sono confermate e rinno­ vate nella restaurazione dopo l'esilio. Nella lode del salmo non si riflette solo l'esilio, ma anche il ritorno dall'esilio. -

4. Per tre volte il salmo ricorda che la benignità e la compassione di Dio sono per «quelli che lo temono» (vv. 11.13.17). Nel Salterio, l'espressione «quelli che temono il Signore» è usata, insieme con altre (i giusti, i fedeli, i servi del Signore), per indicare quelli che cercano di rendere il Signore la lo­ ro unica e decisiva stella polare per orientare la propria vita137. n timore del Signore è semplicemente venerazione praticata con fiducia e obbedienza. n nesso che il salmo stabilisce tra la benignità di Dio e quelli che lo temono implica forse che costoro si meritano e guadagnano quella con la loro devo­ zione? A questo interrogativo il salmo dà una duplice risposta. Quelli che cantano questo salmo sanno di essere peccatori perdonati. Essi non sono oggetto della bontà divina perché temono il Signore; essi temono il Signo­ re perché sono stati perdonati138. L'unica cosa che reclamano per se stessi è 134 Cfr., per esempio, Is. 57,14-21; Ger. 16,4; 14,18. 1 35 Traducendo con la NJPS i verbi al passato. [Così anche la VRL e la Vulgata, men­ tre la versione pacelliana, N.Riv. e B.Conc. hanno i verbi al presente.] 136 Cfr. il v. 5 con Is. 40,31; il v. 9 con Is. 57,16; il v. 11 con Is. 55,9; i vv. 15-16 con Is. 40,6-8. 137 Cfr., per esempio, Sal. 25,12.14; 31,19; 34,9; 85,9, e cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 6.17. 138 Cfr. il commento a Sal. 130,4: «Presso di te c'è perdono, così che tu sia temuto>>.

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Salmo 103: L'infinita bontà del Signore la più umile di tutti: «Siamo polvere», dicono139, «e quando tratta con noi, Dio si ricorda la nostra natura» (v. 14). Essendo peccatori perdonati, però, essi sanno anche che la realtà del loro timore del Signore è importante. Es­ si non devono peccare affinché la grazia di Dio possa sovrabbondare140 • Al contrario, essi devono osservare il patto del Signore ricordando di fare ciò che i suoi comandamenti esigono (vv. 17 -18). Essi devono sì ricordare la be­ nignità, ma anche il patto, l'evangelo e anche la legge. Per la vita della fede sono essenziali entrambe le cose.

5. Perché il salmo si chiude con la proclamazione del regno cosmico uni­ versale del Signore (v. 19) e invitando tutta la corte celeste e tutte le opere del Signore a unirsi alla lode umana di quelli che temono il Signore (vv. 2022)? Nel salmo ci sono punti di contatto che suggeriscono una spiegazio­ ne. La bontà del Signore può essere tanto grande quanto i cieli sono alti al di sopra della terra, perché il trono del Signore è stabilito nei cieli (vv. 11 e 19). Il Signore può allontanare da noi le nostre trasgressioni tanto quanto l'oriente è lontano dall'occidente, perché il suo regno si estende su tutto (vv. 12 e 19). Questi sono tutti modi per esprimere poeticamente uno dei pun­ ti fondamentali della teologia dei salmi: la salvezza del Signore è la mani­ festazione del regno del Signore nel mondo14 1. La grazia del Signore è un potere supremo della grazia. Gli angeli e gli eserciti e le opere del Signore sono collegati con i timorati del Signore dalla ripetizione del verbo «fare» (ebr. 'asah): gli angeli e le schiere che fanno la parola e la volontà del Signore si uniscono al coro umano di quelli che fanno (praticano) i comandamenti del Signore. Dovrebbe esserci, e c'è, grande gioia e lode in cielo tra i "faci­ tori" nel regno di Dio perché sulla terra ci sono "facitori" che confermano l'amore del Signore con la propria obbedienza1 42 •

6. «Perché le meraviglie che ha operate, dovrebber'esser taciute ed obliate?» ci chiede in un inno Isaac Watts. L'esortazione rivolta all'anima che apre il no­ stro salmo mette in guardia dal pericolo di dimenticare. n salmo è un modo meraviglioso per ricordare e per i peccatori non c'è niente di più importante da ricordare, in vita e in morte, del sommo potere della grazia divina.

1 39

140 A questo proposito si dimostra utile l'argomentazione di Paolo in Rom. 5,18 -

Allusione a Gen. 2,7; cfr. Sal. 90,3-6.

6,23.

1 41 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 6.5. Si noti in che modo il tema del dominio regale del Signore è collegato con la salvezza di Sion nel Sal. 102,12-22. 1 42 Ricordando che i timorati del Signore sono peccatori perdonati, si può pensare alle parole di Gesù: (Le. 15,7 e 10) [N.d.C]. . .

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Salmo 104: Il Signore Dio ha fatto tutte queste cose n Sal. 104 loda il Signore che ha creato il mondo e provvede a tutte le creature che vi vivono. n salmo è una visione poetica del mondo e di ciò che noi moderni chiamiamo «natura», considerati opera del Signore. La gen­ te di oggi considera il mondo e parla di esso e delle forme di vita presenti sulla terra da vari punti di vista: scientifico, economico, estetico, ricreativo. n Sal. 104 lo fa dal punto di vista e con il linguaggio adatto alla fede. Per quelli che vivono per fede, il punto di vista e il linguaggio del salmo preci­ sa e chiarisce gli altri modi di pensare e parlare. Effettivamente, inteso nei termini della sua cultura, il salmo include quei vari aspetti: lo scientifico, l'economico, l'estetico e persino il ricreativo: il verbo «giocare, divertirsi» appare al v. 26 143 . 1. n Sal. 104 si apre e chiude con la medesima esortazione del salmista a se stesso che apre e chiude il Sal. 103: «Anima mia, benedici il SIGNORE». In tutto il Salterio questa frase appare unicamente in questi due salmi che ri­ sultano, quindi, accoppiati dalla sua ripetizione. Il primo salmo parla della grande benignità del Signore; il secondo delle innumerevoli creature create e mantenute dalla sapienza del Signore. Presa nel suo insieme, la coppia di salmi loda il Signore che perdona e il creatore che provvede; entrambi con­ siderano floro temi espressioni della regalità del Signore144• Un'interpretazione tradizionale e molto comune del Sal. 104 lo considera una versione poetica di Gen. l. In effetti, tra questi due capitoli della Bibbia ci sono molti punti di contatto, sia nel vocabolario sia nel pensiero. Entrambi sono sicuramente espressione della medesima teologia del creatore e della creazione, ma i tentativi di analizzare il salmo in base alla struttura dello schema ebdomadario di Gen. l portano a notevoli forzature. Il salmo è una composizione lirica esuberante e legge come se fosse una versione poetica del giudizio sulla propria opera che Dio dà ripetutamente in Gen. 1: «E Dio vide che ciò era buono». Il salmo è così pieno di meraviglia e gioia per ciò che Dio ha fatto: la gioia del salmista e la gioia di Dio. Ci sono somiglianze interessanti tra questo salmo e antiche fonti egi­ ziane. Il poeta potrebbe aver conosciuto e utilizzato gli Onomastica (elen­ chi cosmologici)145 e tradizioni laudative degli dèi creatori contenute in

143 La NRSV traduce con il verbo to sport, «divertirsi, giocare». 1 44 Cfr. Sal. 103,19-21; Sal. 104,1-4. 1 45 Più esattamente, gli Onomastica sono scritti enciclopedici redatti da scribi a sco­ po anuninistrativo, storico e, soprattutto, didattico. I:Onomasticon o «dizionario» più completo, se non il p iù antico, è quello di Amenope, uno scriba di libri sacri. Cfr. O. BERLEV et al., L'uomo egiziano, a cura di S. Donadoni, Bari, Laterza, 1990, indice s.v. (vv l e 33) e il salmo «la mia meditazione» (v. 33). Questi e altri elementi nel salmo indicano che esso è la composizione di un poeta eclettico che opera con sti­ li e temi di varia provenienza per esprimere la propria visione di Dio. Tut­ tavia, questi materiali appartengono alla tradizione comune e sia la forma del salmo sia la sua presenza nel Salterio mostrano che era destinato per la lode e lo studio della collettività. .

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3. La prima parte del corpo dell'inno (vv. lb-9) presenta il Signore nelle vesti di creatore sovrano: all'acclamazione iniziale della sua grandezza (v. lb) segue un'esposizione di quella grandezza. I vv. lc-9 sono composti secondo uno schema mitico dell'attività divina che era in uso da tempo e molto noto in tutto l'antico Vicino Oriente. Nelle sue varie espressioni, il mito narrava sostanzialmente come il mondo venne all'esistenza quando gli dèi lottaro­ no per la supremazia, finché uno emerse su tutti, conquistò il trono e con la sua vittoria riuscì ad assicurare stabilità e ordine al mondo. Il vocabolario e gli elementi del mito rispecchiano il modo in cui i popoli antichi dell'area culturale nella quale viveva anche Israele comprendevano e interpretavano

1 46 Cfr. ANET, pp. 370-371 . [Per l'inno al sole di Echnaton Amenophis IV, dr. in­ troduzione al testo e trad. italiana in W. BEYERLIN, ap. cit., pp. 44-54, dove si evidenziano in dettaglio parallelismi (e differenze) con il Sal. 104.] 147 Per tali questioni, cfr. J. LEVENSON, Creation, pp. 53-65. =

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Libro quarto - Salmi 90 - 106 l'esistenza del mondo: quando un dio conseguì la vittoria che gli consegnò scettro e regno, fu allora che il mondo venne all'esistenza148. Nei vv. lc-9 si ha un adattamento dello schema mitico agli scopi teolo­ gici d'Israele. La sequenza in questa parte del salmo segue la falsariga del mito. n Signore è presentato come una divinità regale (v. lb) che ha la luce stessa per veste (v. 2a); egli costruisce la propria reggia sulle acque, segno visibile del suo dominio su di esse (vv. 2b e 3a); esce, poi, dalla reggia come un guerriero che va in battaglia: il temporale è il suo carro (v. 3bc), i venti e i fulmini le sue coorti (v. 4); combatte e sottomette l'oceano primordiale149, sul quale poi, a dimostrazione della propria superiore potenza, stabilisce la terra scacciandone le acque (vv. 5 e 7) che la ricoprivano (v. 6), così da far emergere monti e valli (v. 8); le acque vengono poi confinate in luoghi stabi­ liti dai quali non sarebbero più uscite per ricoprire la terraferma (v. 9)150• Nell'adattamento teologico, gli altri dèi scompaiono; la vittoria che sta­ bilisce la saldezza della terra è permanente e non ha bisogno di essere ri­ petuta in un ciclo annuale o in tempi di crisi; la creazione che ne risulta è unificata antologicamente, senza lasciare spazio ad alcun dualismo cosmi­ co. Persino il Leviatan, il mostro del Caos della tradizione mitica, diventa una creatura addomesticata del Signore! Le immagini del mito sono utiliz­ zate per collegare la creazione con il regno del Signore. «ll Signore regna» e .

150 Nella NJPS lo schema è ancora più evidente. 151 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 6.1-4.

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Salmo 104: TI Signore Dio ha fatto tutte queste cose re sembrano potersi ridurre alle seguenti: l'acqua (vv. 10-11 .13.16), il cibo (vv. 10-15 e anche 27), l'habitat (vv. 12.17-18) e i ritmi del tempo (vv. 19-23). Tutte queste cose sono il risultato dell' «opera» intenzionale del Signore per dare alle creature quanto è necessario, utile e buono per la loro vita. La rassegna è il frutto di un tipo di conoscenza basata sull'osservazione di dove e come le creature vivono, una conoscenza che rispecchia l'appren­ dimento empirico praticato nella cultura dell'antico Vicino Oriente. Tale conoscenza è strutturata secondo un senso ecologico basilare dell'interdi­ pendenza delle cose: l'acqua, la topologia, il ritmo delle stagioni e quello della notte e del giorno formano un ecosistema intricato nel quale le crea­ ture vivono. Tuttavia, nel salmo la conoscenza non è meramente profana e tecnica: è teologica e assume la forma di una lode a Dio piena di meravi­ glia. Ciò che nella visione moderna del mondo è stato distinto e separato, con conseguenze per la motivazione e la condotta che sono state viste solo di recente, nella visione del salmo è invece tenuto insieme: conoscenza del mondo e conoscenza di Dio. Intervenire nel corso dell'acqua, nell'habitat di uccelli e animali, nella topografia della terra significa rompere un intricato ecosistema divino nel quale è integrata la stessa vita umana. È veramente notevole con quale immediatezza spontanea e senza riser­ ve la specie umana viene considerata qui semplicemente una delle creature che dipendono dalla provvidenza di Dio. Nella schiera delle creature, l'Honw sapiens (vv. 14-15 e 23) è semplicemente un altro tipo di creatura che vive sulla terra nell'habitat che essa offre1 52. Nel Sal. 104 non c'è il minimo indizio di una pretesa antropocentrica: lodando il creatore, l'essere umano si considera semplicemente una delle creature mantenute dalla provviden­ za di Dio. La fede nel creatore insegna che, rispetto all'esistenza nel mondo e alla dipendenza da esso per la vita, noi siamo uno tra i molti: «Il SIGNORE Dio li ha creati tutti».

5. La terza parte del corpo dell'inno (vv. 24-30) ha due osservazioni ri­ guardanti le creature che sembrano riassumere la panoramica precedente. La prima è un'esclamazione di stupore per il gran numero di creature che il Signore ha creato con sapienza (v. 24). L'elenco di creature dei vv. 1Q-23 è solo un inizio che non può essere completato. L'accento è posto su «tutte». Per quanto numerose possano essere queste creature, il Signore Dio le ha fatte tutte. È proprio per insistere su questo fatto che vengono menzionate persino le creature del mare, il regno delle navi nel quale fa le sue capriole il Leviatan, il grande mostro marino (vv. 25-26). Il Signore ha persino for­ mato quel misterioso e potente abitante degli abissi marini chiamato Le­ viatan153. Ciò che il poeta vuole fare è ricondurre ogni essere vivente, non

ria.

152 ll Sal. 8 presenta una valutazione diversa da questa, anche se non contradditto­

1 53 Cfr. Giob. 3,8; 41,25; Is. 27,1.

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importa quanto l'uno o l'altro apparisse strano o terribile alla fantasia degli uomini del suo tempo, nell'ambito di un'unica categoria, quella delle «ope­ re del Signore». La sua visione è il risultato della teologia monoteistica del­ la creazione in Israele. La categoria cara al salmista comporta una visione e una valutazione delle cose viventi che solitamente non è prevista dalla nostra categoria della «natura». Per il salmista, il mondo della natura, con tutta la sua varietà e complessità, è una manifestazione della sapienza del Signore. La sapienza appartiene all'abilità dell'artigiano e dell'amministra­ tore. Nell'esistenza e nel comportamento di tutte le cose viventi, il salmista contempla l'opera del Signore che crea la vita e provvede per la vita. Per questa fede, la natura è, prima di ogni altra cosa, una ragione per irmalzare una lode gioiosa, una lode che insegna che ogni uso della natura dovrebbe essere fatto con spirito di riverenza verso il creatore. La seconda osservazione riconosce che per il cibo (vv. 27-28) e per la vi­ ta stessa (vv. 29-30) tutte le creature dipendono assolutamente dal Signore. Alimentarsi con i prodotti dell'ambiente è il dono di Dio. n ritmo di vita e morte e l'apparizione di una nuova vita è l'effetto del rapporto tra l' «alito» (ruach) delle creature e !'«alito» (ruach) del Signore. La concezione che sog­ giace a questi versetti è che ciò che anima le creature è il soffio vivificante di Dio (cfr. Gen. 2,7). Tuttavia, il poeta sta molto attento a non identificare la ruach della creatura umana con la ruach divina: il respiro della creatura è dato e tolto da Dio. D'altra parte, il soffio di Dio è mandato da Dio per creare creature viventi e per rirmovare la terra con la vita. Quando si verifica una nuova creazione e appare la vita, la ruach del Signore è all'opera. 6. n salmo si chiude con una serie di auguri e voti che sono tutti modi nei quali il poeta risponde e si affida al Dio descritto nell'irma a lui diretto. Il salmista vuole che la gloria del Signore duri in eterno (v. 31), e richiama subito dopo (v. 32), legandolo a tale augurio, il motivo della teofania del di­ vino guerriero che colloca la terra sulle sue fondamenta così che non sia più scossa, motivo già usato precedentemente nell'irma (vv. 3-8). Egli si augura che il Signore stesso gioisca delle sue opere (v. 31b), così che il canto con il quale lo loderà tutta la vita accompagni la gioia divina. Egli si augura che questo salmo, la sua meditazione, sia un sacrificio gradito al Signore (v. 34) offerto al posto di un sacrificio cruento154• L'augurio che gli empi spariscano dalla terra (v. 35) sembra concludere un irmo adorabile con una nota stridente. Tuttavia, tale desiderio è assolu­ tamente in linea con la visione che il salmo ha del mondo, perché gli empi non rientrano in quella concezione. Eppure, essi sono lì, nel mondo. Essi vivono nel mondo del Signore e godono della sua provvidenza come tutte le altre creature. Dio fa piovere sul giusto e sull'ingiusto (Mt. 5,45). Nella

154 Cfr. il commento al Sal. 19, vedi sopra, p. 118.

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Salmo 104: TI Signore Dio ha fatto tutte queste cose loro vita, però, gli empi si oppongono alla sovranità di Dio, negano di di­ pendere da lui, insultano e opprimono quelli che lodano il Signore. Così il salmista desidera che essi non ci siano, in modo che la risposta delle creatu­ re al loro creatore possa essere totale e ininterrotta. Si noti che il salmo non dice come ciò potrebbe avvenire, il che ci lascia con un problema notevole, e con varie possibilità. Il salmo si limita a esprimere la convinzione, propria della fede biblica, che quelli che considerano il mondo una creazione e se stessi creature, non possono lodare il creatore e convivere tranquillamente con l'empietà, propria o altrui. Il salmo si chiude con il primo «Alleluia!» che si trova nel Salterio. Come si potrebbe trovare una collocazione più adatta?

7. Il salmo ci offre un modo per parlare a Dio del mondo, di parlame co­ me creazione e provvidenza per ogni cosa vivente. Esso ci pone alla presen­ za dell'Unico al quale si deve parlare se si vuole cogliere, con il cuore e con il linguaggio, la verità più profonda circa il mondo. Esso ci pone, inoltre, al posto che ci spetta in quanto una delle molte cose viventi fatte dal Signore e totalmente dipendenti da lui per la vita. Quando discutiamo del mondo con qualcuno, di solito la nostra prospet­ tiva è differente; lo consideriamo nelle diverse identità che assumiamo: di scienziati, operatori immobiliari, economisti, artisti, sportivi ecc.; ne pen­ siamo, cioè, in base ai valori e agli scopi che appartengono a tali identità. In questo modo, però, ne abbiamo una visione frammentaria; ci immagi­ niamo autonomi, distinti dal mondo e diversi dalle sue altre creature, au­ torizzati a disporre di queste e di quello, senza dovere rendere conto ad alcuna persona trascendente. Pian piano stiamo imparando che, alla fine, danneggiamo noi stessi, viviamo alienati da ciò a cui apparteniamo e sia­ mo una minaccia per il futuro della vita stessa. Tuttavia, non riusciamo a uscire dalla gabbia del punto di vista della nostra identità attuale, a meno di imparare a parlare del mondo a Dio. Una cosa che si può fare soltanto con il linguaggio della lode. Lodare Dio pone noi con le nostre identità as­ sunte in un posto molto diverso e ci schiude prospettive possibili solo dal suo punto di vista. Il Sal. 104 è il salmo usato tradizionalmente a Pentecoste e lo è stato sin dagli albori del cristianesimo. La cosa sembra alquanto anomala, poiché la Pentecoste cristiana è la celebrazione del dono dello Spirito santo alla chie­ sa, in adempimento della profezia di Gioele155• Il Sal. 104 parla di creazione e provvidenza, mentre la Pentecoste riguarda la donazione escatologica del potere del Cristo risorto fatta alla chiesa. Inizialmente si stabilì un rappor­ to tra salmo ed effusione dello Spirito, perché il v. 30 parla di Dio che man­ da la sua ruach, un termine che fu tradotto in greco con pneuma, «spirito».

155 Cfr. At. 2 e Gioele 2,28-32.

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Libro quarto - Salmi 90 - 106 L'antifona usata durante la lettura del salmo a Pentecoste recita: «SIGNORE, invia il tuo Spirito e rinnova la faccia della terra», concentrando così l' atten­ zione interpretativa su quel versetto. L'anomalia apparente, però, stabilisce un rapporto teologico forte e importante. Quando viene letto a Pentecoste, il Sal. 104 accosta il dono divino della nostra vita fisica al dono divino del­ la nostra vita spirituale. Entrambe sono opera dello Spirito di Dio. n nesso tra salmo e occasione insegna che l'ispirazione dello Spirito santo comple­ ta la nostra vita di creature e ci porta alla vera esistenza per la quale siamo creati. Siamo due volte creazione di Dio156• Lo Spirito di Dio è fonte di vita in ogni senso che la parola «vita» può avere.

Salmo 105: Il potere della promessa

n Sal. 105 propone un'unica spiegazione per la storia della nascita d'Israele. Tutta la storia, dalle migrazioni di Abraamo fino all'insediamento d'Israele nel paese di Canaan, è basata sulla promessa del Signore di dare il paese ad Abraamo. n salmo loda il Signore, il cui potere si manifestò nelle mirabili opere e negli atti di giudizio che compongono quella storia. l. Il salmo è occupato in massima parte da una lunga versione della sto­ ria della fondazione d'Israele (vv. 12-44). Sotto questo aspetto, il salmo so­ miglia ai Sal. 78; 106; 136157• La versione contenuta nel salmo dipende dalle narrazioni che si possono leggere nei libri della Genesi e dell'Esodo. n sal­ mo, però, non si limita a riportare quelle storie, bensì opera selezionando studiatamente il materiale e plasmandolo abilmente, così da ottenere un racconto che serve agli scopi che si era prefissati. In questa narrazione c'è un unico attore, il Signore, che dimostra il suo potere operando per salva­ re e preservare Israele. Diversamente dal Sal. 78 o dal Sal. 106, le azioni e reazioni d'Israele non sono incluse. Nella scelta redazionale del Salterio, i Sal. 105 e 106 formano una coppia tematica, come visto per i Sal. 103 e 104. Il Sal. 105 racconta come Dio, con le sue opere potenti, si sia ricordato del­ la promessa fatta ad Abraamo. n Sal. 106 narra come Israele, peccando co­ stantemente, non si sia ricordato delle opere potenti del Signore. Il Sal. 105 invita alla fiducia, il Sal. 106 al ravvedimento.

156 Si noti che Sal. 51,10 usa i verbi del nostro v. 30 («creare l rinnovare>>) per parlare della rigenerazione del peccatore compiuta da Dio. Nella visione della valle dissemi­ nata di ossa secche, Ezechiele descrisse la restaurazione del popolo di Dio come una ri-creazione operata dallo Spirito di Dio (Ez. 37,1-14). 157 Per i cosiddetti «salmi storici», cfr. il commento al Sal. 78, vedi sopra, pp. 286 s.

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Salmo 105: Il potere della promessa 2. Dal punto di vista della forma e della funzione il Sal. 105 è un inno di lode. I primi quindici versetti appaiono nell'antologia di inni che rappre­ sentano i cantici di lode assegnati da Davide agli asafiti158• I vv. 1-6 sono un lungo invito alla lode, della quale i vv. 12-45 costituiscono il contenuto. Nel corpo della lode, i vv 7-11 espongono il tema introduttivo, tema che al v. 11 è indicato come una citazione diretta della promessa pronunciata da Dio di dare ad Abraamo il paese. La narrazione che segue (vv 12-45) espone come il Signore si sia ricordato della promessa fatta ad Abraamo (vv. 42 e 8-11) e lo fa ricapitolando le tappe salienti delle origini d'Israele: gli antichi padri erranti di paese in paese (vv. 12-15); Giuseppe in Egitto (vv. 16-22); il sog­ giorno d'Israele in Egitto (vv. 23-25); i segni e le meraviglie operate contro l'Egitto (vv. 26-36); l'esodo e gli interventi provvidi di Dio nel deserto (vv. 39-41); infine, un sommario conclusivo della partenza gioiosa dall'Egitto e del dono del paese (vv 43-45). Il versetto finale (v. 45) rivela che il Signore aveva uno scopo per mantenere il proprio impegno fino alla fine: la crea­ zione di un popolo «che osservasse i suoi statuti e ubbidisse alle sue leg­ gi». Questa dichiarazione, posta come un sigillo a chiusura del salmo, con la sua posizione mostra di avere, nonostante la sua brevità, una rilevanza importante nella teologia del salmo. .

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3. n salmo considera Israele un popolo che deve la sua identità e il suo destino agli antenati, Abraamo, !sacco e Giacobbe; si rivolge, infatti, alla comunità apostrofandola con un «voi, figli di Abraamo, discendenza di Giacobbe» (v. 6). L'identità d'Israele quale popolo del Signore (vv. 24.25.43) affonda le radici nel rapporto del Signore con questi tre patriarchi. A tale rapporto di Dio con i patriarchi e il popolo si fa ripetuto riferimento con una coppia di termini - «servo» ed «eletto» - che si spiegano reciprocamen­ te (vv. 6.20.25.26.42.43). Nella cultura d'Israele, il termine denotava una persona appartenente a un'altra persona; egli era identificato, mante­ nuto e protetto dalla persona a cui apparteneva e faceva ciò che faceva nel contesto di quel rapporto di appartenenza. L'associazione dei due termini - servo ed eletto - significa che gli antenati e i loro discendenti entrarono in questo tipo di rapporto con il Signore per iniziativa sovrana del Signore. n popolo d'Israele divenne servo del Signore perché il Signore lo aveva scelto eleggendo Abraamo. Con l'elezione di Abraamo, Isacco e Giacobbe, Dio non aveva scelto singoli individui, bensì un popolo in tutte le sue generazioni. L'elezione non fu un fatto episodico; fu l'inizio di un'epopea che sarebbe durata per tutti i secoli a venire. n termine «Servi>> è talmente importante per determinare l'identità del popolo del Signore che il salmista osa farli chiamare dal Signore stesso «i miei unti>> e «i miei profeti» (v. 15)1 59 • 158 Cfr. I Cr. 16. 159 In Israele, re e profeti erano i > [N.d.C.]. . .

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Salmo 108: Su Edom getterò il mio sandalo Il salmo insegna in tutti questi modi alla comunità e ai suoi membri a capire di essere proprio loro i redenti. Più e prima di ogni altra cosa, essi sono i peccatori e i deboli al cui grido di soccorso Dio ha risposto con il suo l)esed. Noi siamo gli affamati e assetati che sono stati nutriti, i prigionieri che sono stati liberati, i peccatori meritevoli di morte che sono stati graziati con il dono della vita. A noi, pavidi davanti ai terrori dell'esistenza, è stata donata speranza. ·

Salmo 108: Su Edom getterò il mio sandalo 1. n Sal. 108 è composto di materiale che si trova in altri due salmi. I vv. 1-5 corrispondono a Sal. 57,7-11 e i vv 6-13 a Sal. 60,5-12. n Sal. 57 e il Sal. 60 sembrano costituire un contesto più antico per il materiale che hanno in comune con il nostro salmo. La parte che il Sal. 108 ha in comune con il Sal. 57 proviene dalla seconda parte di quel salmo, mentre il materiale prove­ niente dal Sal. 60 comprende l'ultimo versetto della prima e tutta quanta la seconda parte del salmo14. .

2. Il salmo composto combinando il materiale preso dai due salmi sud­ detti ha una sua struttura letteraria con divisioni che nascondono la su­ tura tra le due fonti. Il salmo comincia come un inno individuale di lode che, in mezzo alle nazioni, canta ed esalta il Signore il cui amore tenace è più alto dei cieli (vv. 1-4). Segue una supplica che implora Dio di manife­ stare quella esaltazione e di rispondere salvando i suoi diletti (vv. 5-6). A questo punto è evidente che l'individuo è una figura rappresentativa che parla con la comunità nazionale e per essa. La risposta sollecitata nella supplica viene data sotto forma di oracolo divino nel quale il Signore di­ chiara il proprio dominio sopra il territorio e i popoli che, almeno in larga parte, erano compresi nei confini dell'antico regno di Davide15. Il salmo si chiude come una preghiera collettiva di soccorso, con un lamento per l'incapacità di tradurre in realtà la rivendicazione dell'oracolo (vv 10-11), al quale seguono una supplica affinché Dio aiuti (v. 12) e una dichiarazio­ ne di fiducia in Dio (v. 13). .

14 Cfr. il commento ai Sal. 57 e 60.

15 L'impero di Davide e Salomone (1000 ca-924 a.C.) incluse, come tributarie o accor­ pate nell'impero, quasi tutte le nazioni limitrofe: Soba, Damasco, Arcob, Ammon, Moab, Edom, Amalek, Filistia, oltre a, Israele e Giuda. Per la breve durata di un secolo, appro­ fittando della debolezza dei grandi imperi, Israele fu quindi un potente impero esteso da Kadesh fino al confine con il Sinai, dritto fino al Mar Rosso, poi su fino a Cazar-Enan e da qui fino a Kadesh, al confine con la Fenicia alleata [N.d.C.].

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Libro quinto

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Salmi 107 - 150

3. n salmo è una preghiera del popolo di Dio composta e usata in un mo­ mento della sua storia, dopo aver capito che soltanto Dio può stabilire il regno di Dio nel mondo. Ogni aiuto umano è inutile. Dio solo può portare a com­ pimento le sue promesse. n v. lO contiene probabilmente la chiave per capire quale fosse l'interesse e quale lo scopo del salmo. Esso potrebbe riflettere il conflitto irrisolto della comunità postesilica con Edom, il cui comportamento sleale e traditore aveva contribuito alla caduta di Gerusalemme (586 a.C ) 16 .



Salmo 109: Essi maledicono, ma Tu benedici 1. Il Sal. 109 contiene le imprecazioni più violente di tutto il Salterio. Questa preghiera di soccorso, composta nello stile della prima persona sin­ golare, si apre con una supplica perché Dio risponda (v. la), motivata con il resoconto dell'attività di accusatori che attaccano il salmista senza una ragione (vv. lb-5). n centro della preghiera è occupato da una maledizio­ ne molto estesa e articolata (vv. 6-20). Essa è composta di una invocazione perché quanto segue sia la storia di un disastro che comincia con un pro­ cesso senza speranza, procede di male in peggio e raggiunge l'acme con l'eliminazione totale della famiglia stessa di colui che non fa besed e spinge alla morte i poveri e i bisognosi; pertanto la maledizione dovrebbe essere la sorte di chi ama maledire invece di benedire. Alla lunga maledizione segue una seconda supplica (v. 21), motivata dalla descrizione del salmista quale «povero e bisognoso» (vv. 22-25), e a questa una terza (vv. 26-29). Infine, il salmo si chiude con una promessa di lode (vv. 30-31).

2. La preghiera presuppone una situazione nella quale un innocente è sottoposto a un processo capitale che può spegnere la sua vita, in senso let­ terale o sociale (vv. 6 e 31)17. L'innocente è circondato da «accusatori» (vv. 20.25.29)18• Nello svolgimento del processo essi mentono a suo danno e gli augurano rovina anziché fortuna (vv. 2-3.17.28). La preghiera si aspetta dal Signore una risposta di benedizione che lo salvi, stabilisca la sua innocenza e faccia ricadere sul capo degli accusatori le maledizioni augurategli (vv. 20 e 28). Osservando che la maledizione è diretta a un individuo e non a un 16 Cfr. il libro di Abdia e il commento al Sal. 137.

1 7 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.2.2.

18 n termine non significa , bensì testimo­ ni ostili o falsi. [Queste figure erano particolarmente importanti e pericolose, dato il sistema giudiziario e le procedure vigenti in Israele. La Bibbia condanna perciò seve­

ramente e ripetutamente i testimoni falsi, corrotti e ostili - oltre che i giudici corrotti o compiacenti.]

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Salmo 109: Essi maledicono, ma Tu benedici gruppo (il testo usa il singolare, «egli» e non «essi»), alcuni interpreti consi­ derano i vv. 6-19 la citazione della maledizione pronunciata dagli «accusa­ tori» contro il salmista19 • Per questo commentatore si tratta, invece, di una maledizione convenzionale e stereotipata diretta a ciascuno degli accusatori, un caso della tipica preghiera contro i nemici che devono cadere loro stessi nella trappola preparata per il salmista20• In ogni caso, l'altra interpretazio­ ne non rende più facile né elimina il problema teologico della maledizione: il salmista prega che essa ricada sulla testa degli accusatori, indipendente­ mente da chi l'abbia pronunciata nel salmo (v. 20). Il ricorso alla contro-maledizione da parte di quelli che nel salmo prega­ no è un aspetto del problema più ampio dei nemici e delle preghiere con­ tro di loro. 3. Questo salmo è basato del tutto sulla teologia del Signore che dimo­ stra f:zesed al suo servo (v. 28) quando questi è «povero e bisognoso» (vv. 16.22.31)21• Il salmista ha «fatto» (mostrato) f:zesed ai suoi accusatori, agendo con amore per il loro bene (vv. 4-5), mentre quelli non hanno contraccam­ biato il suo f:zesed (v. 16). Egli deve dipendere dallo l:zesed del Signore che per sua natura mostra l:zesed ai poveri e bisognosi (vv. 21-26). Minacciato dalle maledizioni degli uomini, il salmista cerca la benedizione di Dio. L'orante crede che, in ultima analisi, maledizione e benedizione sono in potere del Signore. I nemici possono maledire, ma è Dio che decide su chi debba ri­ cadere la parola della rovina. Il Signore può benedire in luogo della male­ dizione umana22• Forse è qui che il salmo tocca nella maniera più chiara un tema teologico profondo della Scrittura: a dispetto della propensione umana a maledire, il Signore vuole benedireZJ. Giuda si oppose a colui mediante il quale Dio benedice tutto il mondo e per quella ragione At. 1,20 vede nel suo destino l'adempimento della ma­ ledizione del salmo24 .

19 Intende così la NRSV. [Per questa interpretazione basterebbe aggiungere un «dico­ no>> dopo il v. 5 (che però non c'è). Altri propendono per l'espunzione dell'intero brano (vv. 6-19), per ragioni ideologiche, senza appiglio nella tradizione del testo.] 20 Cfr., per esempio, Sal. 10,2. 21 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 6.16. 22 Vedi la storia di Balaam in Num. 22 - 24. 23 Cfr. Gen. 12,1-3 e testi correlati. 24 Cfr. il v. 8 con A t. 1,20.

385 .

Libro quinto - Salmi 107 - 150 Salmo 110: Siedi alla mia destra Usando il Simbolo apostolico per professare la propria fede, la chiesa ri­ pete ogni volta «Credo in Gesù Cristo [ . . . 1 il quale [ . . . 1 siede alla destra di Dio». In questa affermazione si usa una metafora spaziale per parlare del­ l'identità e del ruolo di Gesù rispetto a Dio. Queste parole rappresentano anche la massima approssimazione con la quale la chiesa può rispondere alla domanda di dove si trovi adesso Gesù. Il posto che questa espressio­ ne occupa nelle confessioni di fede è basato sulla ripetuta citazione di Sal. 110,1 nel Nuovo Testamento25. Queste citazioni, insieme con altre e con ri­ ferimenti allusivi, rendono il Sal . 110 il salmo più usato nel Nuovo Testa­ mento e utilizzato unicamente in funzione cristologica. Nella chiesa delle origini il Salmo 110 era considerato il testo messianico per eccellenza. Lu­ tero lo considerava «il salmo principale per trattare del nostro caro Signore Gesù Cristo»26• L'importanza del Sal. 110 nella cristologia tradizionale sol­ leva l'interrogativo di che cosa ci sia in questo testo dell'Antico Testamento da rendere il salmo tanto rilevante. 1. Leggere il salmo come profezia messianica è un approccio basato sul­ lo scopo per il quale il testo fu scritto. Per stile e contenuto esso è simile a oracoli dei profeti. Il salmo ha due parti, ciascuna delle quali si apre con una formula usata dai profeti per introdurre un oracolo divino: «Il SIGNo­ RE dice» (v. l) e «Il SIGNORE ha giurato» (v. 4). A ogni formula introduttiva segue un oracolo formulato nello stile della prima persona divina, una ca­ ratteristica del discorso profetico. Ogni oracolo divino è seguito dalla di­ chiarazione del disegno che il Signore ha per il destinatario dell'oracolo (vv. 2 e 5-6); ancora una volta, stile e contenuto sono tipici della profezia27• La soprascritta definisce la composizione «un salmo»; esso potrebbe essere benissimo un poema cantato in una cerimonia liturgica da uno dei profeti cantori che formavano il personale templare fisso. Il salmo è «messianico» in uno dei sensi che il termine può avere quan­ do si tratta di testi dell'Antico Testamento. Il destinatario è un re davidico che il salmo chiama «mio signore» perché il profeta è un servo del re, un suddito e un funzionario del seguito reale. Il Sal. 110 ha molti tratti in co­ mune con il Sal. 2 ed è uno dei vari salmi composti per essere usati nei ri­ tuali relativi ai re di Giuda28• Nell'Antico Testamento, il re davidico era la

25 Cfr. Mt. 22,44; Mc. 14,62; 16,19; Le. 22,69; At. 2,34-35; 7,55; Rom. 8,34; Ef. 1,20; CoL 3,1; Ebr. 1,3.13; 8,1; 10,12; I Pie. 3,22. 26 M . LurERO, vol. XIII, p. 228. 27 I vv. 3 e 7 sono oscuri. Il v. 3 perché testo e significato sono incerti; il v. 7 perché non è chiaro di chi e di che cosa si stia parlando. 28 L'esposizione che segue presuppone la lettura del commento al Sal. 2.

386

Salmo 110: Siedi alla mia destra figura principale a essere chiamata «il messia», cioè quello la cui cerimonia d'investitura prevedeva l'unzione. n primo oracolo divino (v. l) è un'istru­ zione per assumere al trono e tutto il salmo fu probabilmente composto per essere usato nelle cerimonie inaugurali di un re al momento della sua intronizzazione.

2. n salmo, quindi, serviva da testo per l'intronizzazione di un monarca. Nella cultura nella quale esso era usato, l'ufficio di re era più di una carica, più di una semplice posizione nella gerarchia del potere: era una condizio­ ne nell'ordine stesso delle cose che dotava una persona d'identità e di po­ teri. La persona veniva dotata dell'identità della carica. Le cose esoteriche e talvolta violente dette nel nostro salmo sono il linguaggio cultuale tradizio­ nale ed esprimono i modi in cui la monarchia era intesa in Giuda. Si tratta, in realtà, di un adattamento ad uso d'Israele di ciò che si diceva ai re nelle nazioni limitrofe quando se ne celebrava l'intronizzazione. Gli oracoli divi­ ni che si leggono ai vv. l e 4 sono le parole principali con le quali Dio con­ ferisce, mediante i profeti, l'ufficio regale. Chiunque sedesse alla destra di un re in occasioni formali occupava il rango immediatamente dopo il suo e veniva considerato il funzionario dotato del potere di rappresentare il re e di mettere in atto la sua linea di governo. n v. l è l'autorizzazione data a un Davidide di assumere quella posizione in rapporto al sovrano divino. Nel rituale concreto, egli era forse invitato a sedersi su un trono alla destra del­ l'arca, il simbolo sacro del re divino in persona. L'ordinazione sacerdotale (v. 4) è parte dell'insediamento del re. Nelle tradizioni monarchiche osser­ vate in Canaan il re era il principale mediatore tra Dio e popolo. Melchise­ dek, l'antico predecessore dei Davididi sul trono di Salem, com'era chiamata anticamente Gerusalemme, era un re sacerdote29• Questo secondo oracolo è un'ordinazione permanente e irrevocabile per essere colui che si avvicina a Dio a nome del popolo, una funzione che rientra tra quelle del re. Le dichiarazioni dei vv. 2 e 5-6 sono promesse che sviluppano il tema 35• 3. È su questo sfondo che si deve capire l'uso cristologico del Sal. 110 nel Nuovo Testamento. In una storia narrata nei vangeli sinottici36 Gesù usa il v. l in una maniera che fa presumere che sia lui sia i suoi contempo­ ranei ritenessero che gli oracoli del Sal. 110 riguardassero il Messia. I passi del Nuovo Testamento citati all'inizio del commento e che parlano di Gesù seduto alla destra di Dio, usano le parole «siedi alla mia destra» come una specie di codice per parlare dell'esito del ministero di Gesù. L'espressione ricorre alla comprensione cosmica ed escatologica del salmo per definire l'«adesso» cristologico. Mentre le parole e gli atti di Gesù, la sua vita morte e risurrezione appartengono al passato, il suo posto alla destra di Dio ap­ partiene al presente. È questa «posizione» presente di Gesù che mantiene il suo passato in rapporto con la vita del credente che continua. In I Cor. 15,25 Paolo usa la frase «finché io non abbia reso i tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi» (v. l) per delineare l'orizzonte escatologico del presente cristologico.

35

Cfr. J.L. MAYs, 'In a Vision': The Portrayal of the Messiah in the Psalms, p . 6. Mt. 22,41-45 e //.

36 Cfr.

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Libro quinto - Salmi 107 - 150 Paolo individua «i nemici» in «ogni principato, ogni potestà e ogni poten­ za», l'ultimo dei quali a essere sottomesso «sarà la morte» I Cor. 15,24-26). Usando il v. 4, la Lettera agli Ebrei coglie nel giusto quando distingue il sa­ cerdozio di Aaronne da quello di Gesù, perché il sacerdozio di Gesù è un sacerdozio messianico e regale, è il sacerdozio del Figlio37• Il sacerdote dal quale i credenti dipendono è il Messia che sta alla destra di Dio. Il Nuovo Testamento usa il linguaggio del salmo per parlare della vera identità e del ruolo di Gesù nel regno di Dio a venire. Esso usa il salmo nel medesimo modo in cui la chiesa userà più tardi il linguaggio antologico della filosofia. Non stupisce, quindi, che il Sal. 110 sia stato oggetto di dispute durante la controversia ariana e in altre occasioni simili.

4. li Sal. 110 è stato usato ampiamente nella liturgia del giorno dell'Ascen­ sione di nostro Signore. Esso pone quella celebrazione, come ogni profes­ sione di fede che nostro Signore «sali al cielo, siede alla destra di Dio», nella prospettiva della testimonianza dell'Antico Testamento all'ufficio che Ge­ sù occupa. La visione poetica e profetica del Sal. 110 riesce a farci vedere l'intronizzazione di Gesù alla destra di Dio come la grande realtà teologica del presente cristologico. Il Gesù crocifisso e risorto è stato > o an­ che «fatti, opere e simili che destano meraviglia, ammirazione>>. Altre traduzioni possono essere: (), (). Si evita, invece, specialmente nell'Antico Testamento, , termine caro alla religiosità popolare, ma che nell'uso corrente poco ha a che fare con i di Gesù [N.d.C.]. 43 Cfr. Es. 3,20; 34,10. 44 Cfr. Es. 34,6 e il commento al Sal. 103,8. 45 Cfr. Es. 16; Num. 11. 46 Cfr., per esempio, Deut. 4,21; cfr. Sal. 2,8. 47 Cfr. NJPS e REB; la NRSV traduce i nomi come aggettivi (), ren­ dendoli attributi dell'opera del Signore. [Così anche la versione pacelliana: Opera . . . fidelia et iusta. Per la traduzione in VRL e N. Riv. (Vulgata: >. B.Ger. traduce: «Principio della saggezza è il timore del SIGNORE, l saggio è colui che gli è fedele», dove «gli>> si riferisce probabilmente a «prin­ cipio>>, ma potrebbe anche riferirsi a «SIGNORE>>, rendendo così la fedeltà un sinonimo di . Inoltre, alcuni interpreti fanno finire il salmo con il v. 9, un'ipotesi che Mays rifiuta [N.d.C. ].

393

Libro quinto - Salmi 107 - 150 il timore del Signore significa i precetti, il motivo per praticarli e la loro os­ servanza51. Il salmista appartiene alla cerchia di quelli che credono che la sapienza venga dallo studio e dall'osservanza della torah, l'istruzione del Si­ gnore52. Per questa cerchia la sapienza non significa soltanto distillare l' espe­ rienza per trame consigli per una prudente condotta di vita. La sapienza comincia, invece, con la conoscenza del Signore e con l'obbedienza ai suoi comandamenti. È l'istruzione del Signore, non l'insegnamento dei sapien­ ti, che produce la «buona conoscenza». n v. l del Sal. 112 è la continuazione diretta della conclusione del Sal. 111. Così, considerato il contesto nel quale si trova, il principio didattico parla in maniera molto profonda delle ope­ re del Signore. Per il nostro salmista, la sapienza non è semplice prudenza, per quanto questa possa essere sagace e utile, né è una teoria circa il signi­ ficato del mondo, una spiegazione di che cosa esso sia e di come funzioni. La sapienza deriva ed è data dalle duplici opere di Dio.

4. L'espressione · «timore del SIGNORE» non appare prima della fine del salmo, ma essa è, di fatto, il nome della pietà che il salmo celebra. Si tratta di una lode offerta «con tutto il cuore» (v. 1), perché è solo il cuore indiviso che teme veramente il Signore53. n salmo è ambientato nella comunità che è «il convegno dei probi», di quelli che temono il Signore e che, essendo ta­ li, ricevono ancora il loro pane quotidiano come la manna data a Israele nel deserto (vv. 1-5). Loro diletto principale nella vita sono le opere del Signo­ re ed essi le «studiano»54. n salmista sembra conoscere le opere del Signore attraverso una Scrittura che può essere studiata. Che cosa si debba impara­ re costituisce una dimensione importante del salmo stesso. L'opera del Si­ gnore è onore e maestà, gli attributi di un sovrano55. n Signore è benigno e misericordioso (v. 4). Il Signore si ricorda eternamente del suo patto di pro­ messa e ordina il suo patto di precetti in perpetuo (vv. 5 e 9). Il suo nome è santo e tremendo (v. 9). Lo studio delle opere del Signore alimenta nel cuo­ re il timore del Signore. In questa pietà, Scrittura, studio e lode si fondono, si plasmano e si rafforzano vicendevolmente. Questa lode dura in eterno, come la giustizia del Signore (vv. 3 e 10).

51 Cfr. «timore del SIGNORE>> in Sal. 52 Cfr. il commento ai Sal. l e 19.

19,9.

Cfr. Sal. 86,11-12. «Studiare>> è una traduzione del verbo ebraico darash («investigare, cercare, chie­ dere» [da qui anche il Midrash, un tipo di interpretazione biblica praticato soprattutto dai rabbi] ); per l'uso del verbo darash con statuti, leggi e precetti come oggetto, cfr. Sal. 119,45.94.155; I Cr. 28,8; Esd. 7,10. Cfr. anche il Sal. l con l'encomio di quelli «il cui dilet­ to è nella torah del SIGNORE e su quella torah meditano giorno e notte>> (v. 2). 55 Cfr. Sal. 45,3; 96,6; 145,5. 53

54

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Salmo 112: ll diletto nei comandamenti del Signore Salmo 112: Il diletto nei comandamenti del Signore Il Sal. 112 si apre con un «Alleluia!» e una beatihtdine, combinando co­ sì, sin dall'inizio, il genere laudativo con quello didascalico. Questa osser­ vazione è una chiave importante per interpretare la nahtra e il significato del salmo. Il Sal. 112 corrisponde al Sal. 111 in modo tale da far vedere in esso un gemello e una continuazione di quest'ultimo, un'altra indicazione per i suoi interpreti56. l. Il rapporto tra il Sal 112 e il Sal. 111 è palese e stretto; la loro struttura esteriore è simile, essendo entrambi salmi acrostici o alfabetici con venti­ due stichi la cui lettera iniziale segue l'ordine dell'alfabeto ebraico. Gli stichi contengono generalmente tre parole ebraiche semplici o composte. Parole, espressioni e persino una proposizione intera del Sal. 111 sono ripehtte nel Sal. 112. «La sua giustizia dura in eterno» (111,3) ricorre due volte nel Sal. 112 (vv. 3 e 9); ma mentre nel Sal. 111 la frase è riferita al Signore, nel Sal. 112 essa è riferita al timorato di Dio: un indizio preziosissimo per capire in che direzione vadano le ripetizioni57. .

2. Il Sal. 112 prende il tema del gemello. Il Sal. 111 termina con la senten­ za: «Il timore del SIGNORE è il principio della sapienza»; il Sal. 112 si apre ri­ spondendo: «Beato l'uomo che teme il SIGNORE». Il Sal. 111 è una lode cantata dagli uomini retti che temono il Signore; il Sal. 112 descrive come il timore del Signore funzioni nella vita dei probi. La descrizione segue un modello appropriato al tema; il salmo è composto come una beatihtdine ampliata, il detto «beato l'uomo che . . . », il cui scopo caratteristico è encomiare e inco­ raggiare un certo tipo di condotta58• La beatihtdine introduttiva (v. l) defi­ nisce quelli che temono il Signore «quelli che si dilettano grandemente nei suoi comandamenti». Costoro sono gli stessi giusti che nel Sal. 111 trovano il loro diletto nelle opere del Signore (v. 2) e osservano i suoi precetti (v. 10). Il resto del Sal. 112 espone il termine gratulatoria «beato» elencando i modi nei quali la vita degli uomini retti è benedetta. Persino dove il salmo sem­ bra parlare di una condotta che merita la benedizione anziché della bene­ dizione stessa, esso considera, comunque, la condotta una benedizione che viene dal diletto nei comandamenti. Che gli uomini giusti siano pietosi e misericordiosi (v. 4), prestino denaro con generosità e agiscano con giusti­ zia (v. 5) e siano generosi con i poveri sono httte caratteristiche e azioni che vengono con la gioia nei comandamenti, benedizioni che arricchiscono la 56

L'analisi che segue presuppone la conoscenza del commento al Sal. 111 .

57 Cfr. Sal. 112,1a con 111,5a.l0a; Sal. 112,1b con 111,2b; Sal. 112,2b.4a con lll,lb; Sal.

112,4b con 111,4b; Sal. 112,5b con ll1,7a; Sal. 112,6b con 111,4a; Sal. 112,7b con lll,la; Sal. 112,8a con lll,Sa; Sal. 112,9a con lll,Sa. 58 Per il genere letterario della beatitudine, cfr. il commento al Sal . l, vedi sopra, pp.

57 s.

395

Libro quinto

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Salmi 107 - 150

vita a causa di ciò che costituisce il centro della vita. L'ultimo verso (v. 10) contrasta condotta e sorte degli empi con quelle dei giusti. Gli empi vedo­ no nella benedizione dei giusti un rimprovero per la loro follia e per il loro rifiuto di vivere nel timore del Signore. Il Sal. 112 ha elementi fondamentali in comune con il Sal. 1: entrambi sono una beatitudine ampliata, elogiano il diletto nella Legge, descrivono la benedizione degli uomini probi e contrap­ pongono la transitorietà degli empi alla permanenza certa dei giusti. 3. La dipendenza del Sal. 112 dal Sal. 111 è un segnale letterario che es­ so è stato studiato per essere letto, interpretato e usato in rapporto con il precedente, un rapporto che determina in maniera importante l'interpre­ tazione del Sal. 112. a) Dal Sal. 111 si sa che il diletto nei comandamenti del Signore è una di­ mensione del diletto che si ha nelle opere del Signore. Il Sal. 111 mantiene strettamente unite l'opera del Signore che ha fondato il suo popolo e la sua opera che ha stabilito i suoi comandamenti. Così i comandamenti non sono considerati precetti legalistici, bensì sono la parola del salvatore d'Israele. Ecco perché i giusti possono gioire e gioiscono in essi. Essi sono un tramite del rapporto del Signore con gli uomini retti. Mediante i comandamenti il Signore rivela e conferisce il dono della sapienza che produce la vita. I co­ mandamenti sono grazia, non soma. b) Il Sal. 112 compila un elenco sorprendente di asserzioni riguardanti la prosperità e le buone azioni di quelli che trovano diletto nei comandamenti. Tali affermazioni risultano ancora più sorprendenti quando sono confron­ tate con ciò che si dice riguardo al Signore nel Sal. 111 . Nel Sal. 112 i giusti vengono descritti con la terminologia che nel Sal. 111 è usata per lodare il Signore: la loro giustizia dura in eterno come quella del Signore; come que­ sti, essi sono pietosi e misericordiosi, operano con giustizia, elargiscono. Co­ me il Signore, anch'essi, con le loro opere e la loro azione, hanno fatto cose memorabili. Come l'opera del Signore è onore e maestà, così il como del giusto è esaltato nell'onore59. Questa correlazione tra la lode del Signore e l'encomio degli uomini retti è il modo che ha scelto il salmo per insegnare che le opere del Signore possono e dovrebbero plasmare la vita dei giusti. Questo parallelismo nelle espressioni non significa affatto che si pretenda presuntuosamente che i giusti agiscano bene e facciano il bene in maniera indipendente e autonoma. Esso vuole comunicare, piuttosto, che, con il loro timore del Signore, i giusti entrano nelle opere del Signore che agisce sulla loro vita e opera in loro e mediante loro. La loro bontà è devozione. c) Di per sé, fuori dell'attuale contesto, il Sal. 112 è un poema sapienzia­ le con finalità didascaliche. Potrebbe benissimo essere collocato nel libro dei Proverbi. Tuttavia, esso è stato chiaramente composto dal medesimo

59 Vedi sopra l'elenco delle ripetizioni, pp.

396

391 s.

Salmo 113: Chi è simile al Signore nostro Dio! autore del Sal. 111 o, come minimo, per esserne il complemento. Fa coppia con un inno di lode ed è fornito di un «Alleluia!» iniziale. In questo modo il suo genere letterario e il suo scopo sono stati modificati. Il nostro salmi­ sta è tanto profondamente convinto che le opere di Dio prendano corpo nella vita dei giusti, che per lui elogiarli significa anche lodare Dio. Questa convinzione teologica è una ragione importante che spiega perché i salmi didascalici siano stati inclusi nel Salterio e perché essi vengano usati come salmi di lode60.

Salmo 113: Chi è simile al Signore nostro Dio! Il Sal. 113 è un inno di lode composto come una dichiarazione simme­ trica della maestà e della misericordia del Signore. Dopo un invito alla lo­ de (vv. 1-3), il corpo dell'inno descrive la sublimità (vv. 4-6) e la condiscen­ denza (vv. 7-9) del «SIGNORE, Dio nostro». Nel testo ebraico il salmo si apre e chiude con un «Alleluia!».

l. La chiamata alla lode contiene elementi di una teologia della lode. Per prima cosa, chiamati a lodare sono i «servi del SIGNORE», cioè quelli che so­ no stati reclamati da chi li ha scelti e che rispondono chiamando il Signore «Dio nostro». Il servizio principale che devono svolgere è lodare il Signore e per questa ragione il loro culto è chiamato «servizio». In secondo luogo, il modo in cui Dio è presente per la comunità è [N.d.C.].

398

Salmo 114: ll passato e il presente nella liturgia della Pasqua ebraica e si può facilmente vedere perché il Sal. 113 costituisce una ouverture appropriata alla celebrazione dell'esodo. In quel contesto è Israele stesso che è povero e debole e stimolato dai profeti: esso può pensare che Sion sia la madre sterile che ha bisogno dell'aiuto del Signore (Is. 54,1). Il Dio che usa la propria superiorità per aiutare gli umili, che interviene nelle situazioni ingessate della società e della famiglia per creare possibilità nuove e sorprendenti, è precisamente il Dio che viene lo­ dato a Pasqua. Il Sal. 113 sarebbe stato il primo cantato da Gesù e dai disce­ poli celebrando la loro ultima cena, con profonde implicazioni per l'occa­ sione e le sue conseguenze.

5. Nel commentario tradizionale, il Sal. 113 è stato interpretato come un legame che univa Anna e Maria e ciò non senza una buona ragione intra­ testuale. Il salmo contiene sia espressioni sia motivi tematici che appaiono in I Sam. 266• Lo stesso dicasi per il Magnifica t di Maria: piena di gioia per il bambino che ha in seno, ella loda il Dio il cui potere è espresso in una com­ passione che capovolge gli estremi fissi dell'ordine umano67. Per l'apostolo Paolo è chiaro che questo Dio incomparabile è all'opera nell'incarnazione (Fil. 2,6-8) e nella creazione della chiesa (I Cor. 1,26-29).

Salmo 114: Il passato e il presente Il Sal. 114 narra come fu che il Signore divenne la Presenza santa in mez­ zo a Israele e, allo stesso tempo, come fu che il Dio sovrano di tutta la ter­ ra ebbe quale sua proprietà personale proprio questo particolare popolo. Il salmo è, quindi, una sorta di eziologia poetica della situazione presuppo­ sta da tutti i salmi.

1. Il salmo fa tutto ciò in soli otto versi con stichi composti in un paralleli­ smo sinonimico quasi perfetto. I versi sono accoppiati a due a due. La prima coppia (vv. 1-2) collega l'esodo di Israele dall'Egitto con Giuda che diven­ ne il luogo dove il Dio d'Israele ha il suo Tempio, simbolo del suo dominio su Israele. La descrizione dell'esodo come processione rende il Tempio in Giuda il culmine dell'evento. La seconda coppia (vv. 3-4) racconta l'effetto dell'esodo d'Israele sulle strutture stesse del mondo: il mare e il fiume Gior­ dano fuggirono come se fossero stati sconfitti in battaglia; le montagne e le colline si agitarono e saltarono nervosi come pecore spaventate. La terza coppia (vv. 5-6) cambia la narrazione in interrogativi che chiedono perché

66

Cfr. in part. i vv. 2.4-8.

67 Cfr. Le. 1,46-55.

399

Libro quinto - Salmi 107 - 150 tutto ciò succeda. Che cosa c'era nell'esodo di Israele che provocava simili reazioni? Le domande preparano lo sfondo per l'ultima coppia di versi (vv. 7-8) nella quale la risposta viene data sotto forma di un invito imperioso al mondo stesso. n Signore, il Dio di Giacobbe che trasforma la roccia in ac­ qua, era presente nell'esodo di Israele. È quella Presenza che mare e fiume, montagne e colline «videro». Così, che la terra stessa tremi al cospetto della Presenza, padrona del Tempio di Giuda! Nonostante la serietà della materia, il tono del salmo è esuberante, quasi giocoso. In esso si coglie un'aria di celebrazione e vittoria. Per stile e formato il Sal. 114 non è come i soliti inni di lode. L'invito a reagire alla presenza del Signore è l'unico tratto innodico che lo accomuna agli inni normali. I primi sei versi dicono soltanto ciò che Israele fece e divenne e ciò che mari, fiume, monti e colline fecero. Non si parla di prodigi divini. I pronomi del v. 2 non hanno un antecedente, a meno che l' «Alleluia!» che chiude il Sal. 113 non appartenga, in posizione iniziale, al Sal. 114, una possibilità verosimile68• n salmo è composto in modo da creare suspense circa il significato di quello che racconta, finché, alla fine, la suspense è risolta. La strategia compositiva indica che ciò che viene narrato e la Presenza formano un tutt'uno inscin­ dibile. n v. 8, con i suoi riferimenti ai prodigi della storia dell'esodo, ritor­ na persino alla memoria richiamata dalla narrazione. Il salmo è destinato a occasioni nelle quali il collegamento tra storia e Presenza è della massima importanza. Il salmo rievoca quel legame con allusioni, motivi tematici e artifici retorici in una maniera che soltanto la poesia è capace di ottenere. 2. È indubbio che il salmo si riferisca alla storia della nascita d'Israele. La partenza dall'Egitto e l'insediamento nel paese segnano il principio e la conclusione di quella storia (vv. 1-2). Il recesso delle acque del Mar Rosso e il blocco di quelle del Giordano sono appaiati come eventi corrispondenti (vv. 3 e 5)69• La fornitura di acqua nel deserto è ricordata come illustrazio­ ne della provvidenza divina durante il viaggio del popolo nel deserto di Sin (v. 8)1°. Ma la storia degli avvenimenti della genesi d'Israele è ricapito­ lata in una maniera che ricorda anche un altro scenario, lo schema fonda­ mentale del mito cosmogonico dell'antico Vicino Oriente. Nelle sue varie versioni, il guerriero divino affronta in combattimento le forze primordiali ostili (che talora sono presentate come «mare e fiume»), trionfa e conqui­ sta vittoriosamente la montagna sacra sulla quale egli edifica poi un tem­ pio che rappresenta il suo dominio. Il nostro salmo tratteggia l'epica della fondazione di Israele come una versione di quello scenario71, le allusioni al 68 Così Vulgata, versione pacelliana, B.Ger. Al v. 2 VRL e N.Riv. esplicitano il pronome riferendolo al Signore [N.d.C.] . 69 Cfr. [Es. 14 e] Gios. 4,23-24. 7° Cfr. Es. 17,6 e Num. 20,10. 71 Per utilizzi differenti del medesimo scenario cfr. Sal. 77,11-20; Es. 15,1-18; Abac. 3,2-15, e cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 6.2.

400

Salmo 115: Dov'è il loro Dio? quale svelano il significato rivelatorio della storia: i suoi eventi costituiva­ no una teofania, una manifestazione del Dio del cosmo che combatteva nel mondo per stabilire il popolo e il posto che rappresenta il suo dominio. Ciò che mare e fiume «videro» era la presenza del guerriero divino. La reazio­ ne delle montagne e dei colli è un elemento tipico dei racconti di teofanie72. La Presenza nel Tempio in Giuda è quella del Dio sovrano dell'universo. Il Dio di Giacobbe è il sovrano del mondo73• 3. Secondo nello Hallel, la raccolta di salmi cantati in occasione delle feste gioiose del giudaismo e nella celebrazione della Pasqua ebraica74, il Sal. 114 aveva una funzione importante di raccordo tra luogo e partecipanti da una parte e significato e speranza dall'altra. Esso ricorda al popolo celebrante che esso è arrivato dove è e a essere quello che è grazie all'auto-manifesta­ zione del Dio che regna su tutti i popoli e su tutte le età. La sua storia ap­ partiene alla trama del regno di Dio a venire. La chiesa ha letto e cantato il salmo alla luce di ciò che è avvenuto in Giuda e Israele mediante Gesù Cri­ sto. Essa vede nella morte e risurrezione di Gesù ancora un'altra e culmi­ nante teofania del governo divino nel quale la Presenza assume un nuovo rapporto con il popolo e il luogo.

Salmo 115: Dov'è il loro Dio? Il Sal. 115 è un salmo per la comunità che si trova in mezzo a un mondo di nazioni che confidano negli dèi che esse stesse hanno creato.

l. Pur contenendo stili e generi diversi, il salmo ha una unità letteraria e teologica chiara. Comincia come preghiera fatta di supplica (v. 1), lamento (v. 2) e di una dichiarazione di fiducia nel Dio d'Israele (v. 3). In un'epoca nella quale le nazioni si facevano beffe delle capacità del loro Dio, la comu­ nità implora il Signore perché glorifichi se stesso e confessa la propria fede nella sua illimitata sovranità. La comunità contrattacca con una polemica contro gli idoli che le nazioni si sono fatte con le proprie mani e nei qua­ li esse confidano (vv. 4-8). Con una triplice esortazione si ricorda a Israele, ai sacerdoti della classe di Aaronne e a tutti quelli che temono il Signore75 di avere fiducia nel Signore, loro scudo e aiuto (vv. 9-11) . Si promette una

72 Cfr., per esempio, Sal. 18,7; 29,6 e Giud. 5,5. 73 Cfr. la presenza della divinità sovrana al centro della lode del mondo nei Sal. 96,1113; 97,4; 98,4; 29,1-11. 74 Cfr. il commento al Sal. 113, vedi sopra, pp. 398 s. 75 Le tre categorie non si escludono reciprocamente.

401

Libro quinto

-

Salmi 107 - 150

benedizione sopra i sacerdoti d'Israele e sopra i pii (vv. 12-13) e la s'invoca dal Signore, creatore del cielo e della terra (vv. 14-15). Infine, la comunità conclude lodando il Signore, sovrano del cielo e della terra (v. 16), e para­ gonandosi, per contrasto, ai morti che non lodano il Signore (v. 17), mentre essa gli offre una lode viva e senza fine (v. 18). I mutamenti di stile nel di­ scorso potrebbero indicare che il salmo fu composto come liturgia, ma tut­ to il testo potrebbe essere recitato da una voce che parla per la comunità e a essa. L' «Alleluia» finale mostra che il salmo è stato incluso nel Salterio come salmo di lode.

2. Tutto il salmo ruota attorno al problema di fede indicato al v. 2. Le na­ zioni dicono: «Dov'è il loro Dio?>>. «Le nazioni>> sono i popoli il cui potere e i cui progetti sembrano determinare la storia; sono forme dell'organizza­ zione sociale umana che non servono il Signore. Talvolta, con i loro strata­ gemmi e sempre con la loro stessa esistenza, esse mettono in questione la fiducia nel Dio d'Israele76. La domanda beffarda delle nazioni è un com­ mento sarcastico che rientra nella retorica della guerra e del conflitto socia­ le quale espediente degli avversari per minare la fiducia dei loro opposi­ tori nel loro dio77• La forma del lamento al v. 2 dà l'impressione di riferirsi a una difficoltà permanente della comunità. n ruolo apparentemente insi­ gnificante che essa aveva nel mondo delle nazioni era una sorgente di dub­ bi angosciosi e la comunità era tentata di misurare il suo Dio con il metro della propria irrilevanza e inadeguatezza. Se la comunità fa così, però, essa diventa un popolo che, in un certo senso, si fa un dio a propria immagine e somiglianza: è questo il grande pericolo della religione che il salmo ha di mira. È per questa ragione che la supplica iniziale chiede a Dio di agire per amore di se stesso: «Al tuo nome dà gloria!>>. «Noi siamo il popolo>>, dice la comunità, «la cui identità e il cui destino sono definiti dalla nostra fidu­ cia in te e tu sei messo in dubbio! Se nella tua benignità e fedeltà vuoi fare qualcosa per noi, allora dà gloria a te stesso, rivelati il sovrano che sei! Non 76 Per quale contesto ostile alla fede, cfr. il commento ai Sal. 2 e 9 - 10. 77 Cfr. Sal. 79,10 e 42,3.10; anche il commento al Sal. 42, vedi sopra, p. 198. [ll tenta­

tivo di staccare un popolo o una città dai suoi dèi per indebolime la resistenza non è una prerogativa dell'antico Vicino Oriente, ma è un espediente noto anche nelle civiltà classiche, per antichissima influenza delle religioni orientali. Una differenza evidente di mentalità è questa: mentre in Oriente si agisce sul popolo per allontanarlo dai suoi dèi, in Occidente si agisce sugli dèi per farli allontanare dal loro popolo. Assediando una città, i romani cercavano di corromperne le divinità, offrendo loro, se avessero accetta­ to di abbandonare il proprio popolo per trasferirsi a Roma, maggiori onori, sacrifici più abbondanti, templi e giochi a loro dedicati. Si tratta della evocatio, una formula ritua­ le di antichissima origine (forse ittita), che il comandante romano doveva pronuncia­ re davanti alla città assediata dalle sue truppe. Dando per scontata l'accettazione della ghiotta offerta, alla evocatio seguivano sacrifici, la consultazione aruspicina e, infine, la exsecratio nei confronti della città nemica e dei suoi eserciti. Tolta la protezione divina al nemico, la parola passava poi alle armi, senza timore che le divinità dei vinti si ven­ dicassero su Roma.]

402

Salmo 115: Dov'è il loro Dio? per noi, ma per amore di te stesso». n salmo sa che la gloria del suo Dio è il primo e più profondo bisogno.

3. n salmo guida la congregazione in una liturgia di parola e ascolto che

affronta in tre modi la sua grave difficoltà. polemica contro «i loro idoli»

In primo luogo, il salmo è una

(vv. 4-8). L'irridente elenco di organi che non

funzionano è semplicemente un commento satirico su ciò che è evidente. Il loro idolo non può far niente: è impotente, un inganno . La polemica consi­ dera gli idoli divinità vere e proprie nelle quali le nazioni confidano (v.

8).

Tale punto di vista rientra fra le strategie della polemica, ma non è in alcun modo una descrizione accurata e onesta delle religioni delle nazioni limitro­ fe d'Israele per le quali le immagini scolpite o fuse erano rappresentazioni simboliche della persona e della presenza delle loro divinità78•

In realtà, la

caricatura è basata sul pregiudizio intransigente e irriducibile della religione

d'Israele riguardo all'uso di qualsiasi cosa fatta da mano umana (v. 4) qua­ le mezzo della mente e dello spirito per entrare in rapporto con Dio. Come può ciò che gli esseri umani fanno rappresentare a buon diritto «il fattore di cielo e terra»? La polemica crede, inoltre, che gli dèi rappresentati dalle im­ magini siano altrettanto impotenti e irreali delle loro copie79• L'analisi che troviamo al v.

8 tocca

una verità profonda: quelli che ripongono la propria

fiducia in ciò che essi hanno fatto diventano come le cose in cui essi confi­ dano.

Se

l'opera umana determina i limiti fino ai quali la fiducia può spin­

gersi, allora quelli che hanno fiducia sono necessariamente costretti a eser­ citarla limitatamente alle possibilità che essi stessi si creano e al potere del proprio potenziale. Infine, è importante ricordare che nel salmo la polemica

è una liturgia mirata all'ascolto della comunità80. Il suo scopo è di ammo­

nire e correggere la comunità stessa sostenendo l'osservanza dei primi due

comandamenti. La tentazione di avere forme di fede che plasmano le pro­ prie rappresentazioni di Dio non è mai assente dalla religione, persino da quella della comunità. La comunità ha bisogno di imparare nella liturgia un linguaggio che ridimensioni, sfatandoli, gli dèi che ci facciamo.

4. In secondo luogo, il salmo guida la comunità a parlare del suo Dio in

una maniera capace di esprimere efficacemente l'assoluta differenza del Si­ gnore dagli dèi fatti dai poteri umani. Il salmo usa il termine «cieli» in una maniera simbolica che trasforma il senso spaziale in significato teologico. Per rispondere alla derisione delle nazioni, il salmo insegna alla comunità a dire: «Il nostro Dio è nei cieli; tutto ciò che vuole, egli lo fa

['asah]» (v. 3). La

risposta è quasi un dogma nel quale il cielo non indica tanto qualcosa che

78 Cfr. J. LEVENSON, Sinai and Zion, pp. 109 s.; G. VON RAo, vol. II, p. 219. 79 Si noti questo aspetto della polemica contro gli idoli in Is. 40 - 55; per esempio, 44,9-20 e 45,16-17. 80 Si noti l'uso di questa polemica in Sal. 135,15-18.

403

Libro quinto - Salmi 107 - 150 sta sopra in contrasto a qualcos'altro che sta sotto, quanto, piuttosto, una sfera di sovranità assoluta. n posto significa potere. L'azione del Signore, ciò che egli fa ('asah), è soltanto una questione di volontà: un contrasto as­ soluto con idoli fatti ('asah) da mani umane i quali non possono far niente. Per evitare che si possa immaginare che Dio si trova, furono fatti da Dio. n Signore è relato a tutto ciò che esi­ ste, ma lo trascende; il Signore trascende perfino l'opera della sua sovra­ nità nel mondo. n v. 16 porta avanti questa linea di pensiero. I cieli sono i cieli che appartengono al Signore perché egli li ha fatti. Il dono della terra che il Signore ha fatto agli esseri umani è, per così dire, la voltura o conces­ sione di una proprietà appartenente alla sovranità del Signore. La terra, il regno nel quale gli esseri umani manifestano la loro volontà e agiscono, è un'istituzione del governo del Signore nel senso in cui ne parla il Sal. 8. n salmo suggerisce così a quelli che lo recitano di cogliere la grande ironia di qualsiasi denigrazione del loro Dio: proprio la capacità delle nazioni di farsi degli dèi e di sminuire il Dio della comunità è un potenziale concesso dal . Che si creda o non si creda, ogni cosa esiste e si muove entro il regno del Signore.

5. In terzo luogo, il salmo chiama la comunità a vivere secondo la co­ noscenza di Dio che è stata data nella storia della salvezza. Esso esorta la comunità ad avere fiducia nel Signore che è sempre stato «loro aiuto e scu­ do>> nella lunga storia della loro vita in mezzo alle nazioni (vv. 9-11)82• La comunità deve ricordarsi che il Signore ha sempre «ricordato>> Israele ed essa può essere certa, nella lode e nella preghiera, che il Signore la benedi­ rà facendola . La promessa fatta ad Abraamo è sempre valida! n potere mediante il quale la comunità deve e può vivere in mezzo alle na­ zioni è il potere della promessa. La comunità sarà sostenuta dalla benedi­ zione della promessa.

81 La formula ricorre spesso: cfr., per esempio, Sal.

121,2; 124,8; 134,3 e anche Gen.

82 L'espressione «aiuto e scudo» appartiene al vocabolario della protezione usato dal salmo; per «scudo», cfr. Sal. 3,3; per «aiuto>>, cfr. il Sal. 121.

14,19.22.

404

Salmo 116: Che potrò ricambiare al Signore? Il Sal. 115 appartiene alla raccolta di salmi usati nella liturgia delle feste gioiose e della Pasqua ebraica83• Sarà un sicuro stimolo per l'immaginazio­ ne dell'interprete pensare che questo salmo sia stato cantato, insieme con gli altri salmi dell'Hallel, da Gesù e dai suoi discepoli a conclusione della loro ultima celebrazione della Pasqua84•

Salmo 116: Che potrò ricambiare al Signore?

l. Il Sal. 116 è un cantico di ringraziamento85, la lode di uno la cui pre­ ghiera di soccorso è stata esaudita. La parte centrale del cantico è un raccon­ to di salvezza. In una situazione critica del passato, quando si era trovato in un pericolo mortale (vv. 3.10.11), il salmista aveva pregato (v. 4); il Signore lo sentì e soccorse (vv. 1 .2.6.8.16). Nella preghiera erano stati pronunciati voti di sacrificio e lode; così, ora, colui che è stato salvato viene al tempio a portare il suo sacrificio (vv. 13-14.17-19) e cantare questo salmo per rin­ graziare il Signore (vv. 8 e 16) e rendere testimonianza della sua bontà (vv. 5.6.9.15) al popolo del Signore. 2. Nella Bibbia greca e nella Vulgata il Sal. 116 è suddiviso in due sal­ mi. I vv. 2-9 costituiscono il loro Sal. 114 e i vv. 10-19 il loro Sal. 115. Anche nella pratica liturgica parti del salmo sono state usate separatamente. C'è, comunque, un disegno letterario che unisce il cantico. Si sente che manca qualcosa di essenziale quando l'esecuzione del salmo comincia, per esem­ pio, con la domanda: «Che potrò ricambiare al SIGNORE per tutti i benefi­ ci che mi ha fatto?» (v. 12). Il salmo ha una struttura tripartita86 • La ripeti­ zione ai vv. 113b-14 e 17b-18, che è quasi un ritornello, segna la fine della seconda e della terza parte. Il v. 7 è una conclusione corrispondente della prima parte. Questa rara esortazione a se stesso a tornare al suo riposo è, probabilmente, una dichiarazione retorica dell'intenzione di visitare il tem­ pio, la sfera dove la presenza di Dio dà sollievo e sicurezza. Ogni parte si conclude, così, con la dichiarazione di un atto che viene compiuto dal sal­ mista: egli va alla casa del Signore (v. 7); offre una libazione, «il calice del-

83

Cfr. il commento al Sal. 113, vedi sopra, pp. 398 s. Cfr. Mt. 26,30 = Mc. 14,26: [N.d.C.]. &5 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.3. [Nell'Innario cristiano cit. il Sal. 116 può essere cantato con le note dell'inno n. 25, ripreso da un innario ginevrino del 1562, usato quasi sicuramente anche da G. Calvino ] 86 Così L.C. ALLEN et al. 84

'

.

405

Libro quinto - Salmi 107 - 150 la salvezza» (v. 13)87; offre il sacrificio di ringraziamento (v. 17). Ogni parte è introdotta da un racconto di salvezza unito a dichiarazioni di lode con le quali forma un chiasmo. Ai vv 1-2 lo schema del chiasmo è il seguente: lode-racconto-racconto-lode; ai vv. 8-9 lo schema è evidente nei motivi te­ matici di morte-piede che inciampa-cammino-vita; ai vv 15-16 il chiasmo è formato da morte-servo-servo-salvezza. Il ricorso al chiasmo assolve la propria funzione mettendo in evidenza i racconti della salvezza (vv 1b-2a. 8.16b). Tutti gli elementi del racconto di salvezza (problema, preghiera, ri­ sposta, risultato) sono presenti soltanto nella prima parte e ciò spiega la sua importanza per le altre due. .

.

.

3. Non si precisa quale fosse l'afflizione che occasionò la preghiera per l'aiuto di Dio; se ne indicano, invece, le caratteristiche. Per gli scopi del can­ tico di ringraziamento poco importa quali fossero i particolari clinici o so­ ciali: il salmo non diagnostica né registra, bensì interpreta e dà significato. Esso usa un vocabolario che rende l'esperienza in termini del rapporto del­ l'anima con Dio. ll termine tematico è «morte»: parola terribile, definitiva, usata in tutte e tre le parti del salmo (vv 3.8.15). Il salmo parla della morte in una maniera particolare che ricorre in numerose preghiere di soccorso e in molti salmi di ringraziamento. Questo modo di parlare della morte ha due aspetti che nel nostro salmo sono presenti entrambi. In primo luogo, morte e Sheol sono considerate equivalenti per metoni­ mia: il fenomeno e il regno della morte vengono usati come sinonimi (vv. 3.8.16b). La condizione di essere morti e la dimora dei morti sono conside­ rate insieme una sfera di potere che invade il regno dei viventi e ostacola la vita. Quando l'afflizione con le sue lacrime o l'angoscia con i suoi ostacoli afferrano una persona viva, questa è già entrata nella sfera e nel potere della morte. I vivi non sono morti, ma la morte ne condiziona già la vita. Parlando della morte in questo modo, i salmi esprimono la natura mortale dell'uo­ mo che viene svelata da un problema grave. Essi assegnano all'afflizione la categoria definitiva della morte per rivelare la possibilità che essa evoca: la possibilità di non esserci. I salmi possono, allora, parlare dell'aiuto di Dio in termini di affrancamento dalla morte, di salvezza dalla sua sfera e dal suo potere, di liberazione della vita88. In Sal. 88,3-7 c'è un esempio eloquente dell'uso interpretativo del linguaggio della morte89• Assegnando il bisogno alla categoria della morte e l'aiuto divino a quella della vita, la preghiera ri­ vela che cosa sia sempre in gioco nella dipendenza umana da Dio. In secondo luogo, morte e Sheol sono considerate una condizione e un luogo che è oltre qualsiasi rapporto possibile con Dio. I morti non sono rag.

87 Cfr. la libazione in Num. 28,7. 88 Cfr. Sal. 30,3; 33,19; 49,15; 56,13; 86,13; 89,48. 89 Vedi il commento ai Sal. 30 e 88.

406

Salmo 116: Che potrò ricambiare al Signore? giunti dalla bontà di Dio e nella Sheol non risuonano canti di ringraziamen­ to. Morte e Sheol sono usate in maniera fenomenologica per descrivere la definitiva impotenza dei morti più che in maniera interpretativa per rileva­ re la caducità dei viventi90• Questo modo di parlare della morte è presente al v. 15: la morte dei fedeli è «costosa» o «molto grave» per il Signore, per­ ché quando essi muoiono, la loro lode si spegne e la loro testimonianza nel paese dei viventi per Dio è persa. C'è una chiara contraddizione tra questi due modi di considerare la morte e di parlarne. Se Dio libera i suoi fedeli dal potere della morte, come può essere che il regno della morte sia oltre l'aiuto di Dio? n salmo è un cantico dell'Antico Testamento e come tale ce­ lebra la liberazione della vita dai lacci della morte; tuttavia esso è aperto anche a una diversa lettura che verrà fuori a suo tempo, una lettura nella quale esso parla della salvezza dalla morte finale.

4. n cantico si apre con una dichiarazione di amore per il Signore (v. 1). Essa attira l'attenzione perché è unica in tutto il Salterio; l'unico parallelo diretto, l'inizio del Sal. 18, il maestoso salmo si ringraziamento, usa, però, un verbo diverso. Tuttavia, nessun'altra dichiarazione risponde altrettan­ to giustamente alla salvezza dalla morte. In effetti, quell' «io amo il SIGNo­ RE», posto lì come tema introduttivo, definisce subito tutto il cantico una dichiarazione d'amore. Il salmo dice quale forma prenda l'amore grato. Per prima cosa, l'amore «invoca il nome del SIGNORE». Chi ama chiama l'ama­ to per nome. L'espressione stereotipata è usata per la preghiera (v. 4) e per la lode (vv. 13 e 17). Pronunciare il nome significa invocare la persona e la presenza dell'altro; farlo equivale a una confessione di appartenenza91. In secondo luogo, l'amore si acquieta nell'amato (v. 7). L'anima liberata dal­ l'afflizione e dall'angoscia va dove si trova l'amato, per ripararsi, da allora in poi, nella protezione di Dio. In terzo luogo, l'amore vive sempre come se fosse alla presenza dell'amato (v. 9): il Signore è tenuto sempre presente al­ la memoria e alla volontà92• In quarto luogo, l'amore scioglie sempre i voti fatti all'amato (vv. 14 e 18): le promesse fatte sono promesse mantenute. La fedeltà nel mantenere le promesse lega il salvato al salvatore. Le promes­ se sono mantenute pubblicamente, «alla presenza di tutto il popolo del SI­ GNORE» (v. 14b), una testimonianza di amore verso colui che è amato93• In quinto luogo, l'amore serve l'amato: il servo è una persona la cui vita è de­ terminata dall'appartenenza a un'altra persona94. «Sì, o SIGNORE, io sono il

90 Cfr. Sal. 6,5; 30,9; 115,17 e il commento a Sal. 88,10-13.

91 Cfr. Sal. 79,6; 80,18.

92

Cfr. Sal. 16,8.

93 Per i voti e la loro funzione nella lode, cfr. l'esposizione di C. WESTERMANN, Praise and Lament, pp. 75-78. 94 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 6.16.

407

Libro quinto

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Salmi 107 - 150

tuo servo, sono tuo servo, figlio della tua serva» (v. 16; cfr. Sal. 86,16), è una dichiarazione di fedeltà e devozione, incondizionate ed eterne.

5. Sebbene il Sal. 116 sia stato composto per essere usato da un indivi­ duo in celebrazioni di ringraziamento, con il passare del tempo venne ad assumere un ruolo liturgico in funzioni religiose pubbliche. n testo del sal­ mo richiedeva una celebrazione il cui rituale prevedesse una coppa e un sacrificio. Due occasioni, per di più strettamente collegate, soddisfacevano tali requisiti. La prima fu la celebrazione della Pasqua ebraica. Il Sal. 116 è il quarto della serie di salmi («l'Hallel egiziano») che si leggevano durante la consumazione del pasto pasquale95• Secondo la Mishna%, durante que­ sto pasto si sollevavano e benedicevano, secondo un determinato ordine, quattro calici che fornivano un riferimento rituale al «calice della salvezza» (v. 13). La recitazione dei salmi era introdotta da un rendimento di grazie al Signore, che «ci ha portati dalla schiavitù alla libertà, dal dolore alla gioia, dal lutto a un giorno di grande festa, dall'oscurità a una grande luce e dal servaggio alla redenzione»97, Con una simile introduzione, il linguaggio risulta trasformato in ringraziamento per la salvezza celebrata con la festa di Pasqua. Il salmo diventa il ringraziamento di ogni partecipante alla Pa­ squa che in questo modo riconosce che nella salvezza dell'esodo ognuno è stato salvato. La seconda occasione fu la Cena del Signore. Nello sviluppo della pras­ si liturgica cristiana il Sal. 116 fu usato nella celebrazione eucaristica, più specificamente e sempre insieme con la Cena celebrata il Giovedì santo. L'apostolo Paolo chiamò il calice eucaristico «il calice della benedizione che noi benediciamo», un'espressione associata con il calice della Pasqua nella tradizione ebraica98, Mediante la morte e risurrezione di Gesù Cristo la Pasqua ebraica fu trasformata nell'eucarestia e il Sal. 116 fu riletto quale ringraziamento per la promessa della vita data nella salvezza di Gesù dal­ la morte. Il salmo diventa la voce di Gesù e della comunità: il primo forni­ sce il calice e il sacrificio, mediante i quali la seconda è unita a lui nella sua morte e risurrezione.

95 Cfr. il commento al Sal. 113, vedi sopra, pp. 398 s. % Cfr. Pesa1;im 10,1-9. 97 98

Pesa1;im 10,5.

Cfr. I Cor. 10,16. [L'apostolo precisa poi che il calice della libazione che viene be­ nedetto è «la comunione con il sangue di Cristo>>.]

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Salmo 117: Voi, nazioni tutte, lodate il Signore! Salmo 117: Voi, nazioni tutte, lodate il Signore! l. Questo è il salmo più breve di tutti. È piccolo, ma pensa in grande. Il piccolo inno è stato, per così dire, appena promosso dalla prima, elemen­ tare classe innologica, quella dell'«Alleluia!», che già fa un passo da gigan­ te sulla via dello sviluppo, immaginandosi un culto che abbraccia tutta la popolazione del globo: le nazioni e i loro numerosi popoli sono invitati a lodare il Signore. n Sal. 117 è composto sul modello dell'inno imperativo di lode99 ed è lungo quel che basta per poter usare entrambi gli elementi di questo genere innologico: l'invito a lodare (v. 1), e motivazione e contenuto della lode stessa (v. 2). 2. Ci si aspetta che la lode del Signore sia un fatto che riguarda il popolo di Dio, ma nel Sal. 117 l'invito a lodare è indirizzato a tutto un elenco di pos­ sibili partecipanti. Il Sal. 148 mette insieme virtualmente l'intera lista in un unico salmo e l'elenco include letteralmente il mondo e tutti i suoi abitanti. Nel nostro salmo la lista degli invitati include tutte le nazioni e tutti i po­ poli della storia del mondo. Ciò dice qualcosa di fondamentale circa la lode del Signore: essa non è completa, non è quella che dovrebbe e deve essere, finché tutti gli abitanti della terra non sono coinvolti nella fede e nella gioia dell'inno. Finché la risposta della lode non si alza da ogni popolo della terra, il Signore non è riconosciuto quale unico e solo Dio. Fino a quel momento, le parole del mondo non corrisponderanno alla realtà del mondo; inoltre, le nazioni del mondo non avranno trovato il centro di aggregazione, il punto focale dei valori e della vita. Esse resteranno quello che sono ora: caotiche, guerreggianti, disastrose, confuse, artefici della propria distruzione; conti­ nueranno a essere così, finché non ascolteranno l'invito e troveranno, oltre se stesse, il potere che unisce nella verità e nella gioia. L'invito alle nazioni ha una portata che giunge fino all'orizzonte escatologico, quando naziona­ lità e razza saranno comprese e sanate in un'unità più ampia che può esse­ re costituita soltanto dalla fede espressa nella lode di Dio. 3. Perché mai le nazioni dovrebbero lodare il Signore? n salmo e quanti lo cantano danno una risposta sorprendente, che non sembra proprio una ragione appropriata a quelli cui è diretto l'invito. Altri salmi offrono mo­ tivazioni diverse. Salmi 86,9, per esempio, dice che il Signore è il creatore delle nazioni. Ma nel Sal. 117 la base teologica dell'invito è la salvezza, non la creazione. La bontà (l:zesed) e la fedeltà ('emet) del Signore sono termini del vocabolario soteriologico del popolo di Dio che li usa per parlare della salvezza sperimentata in passato e della speranza in quella futura. Nel suo

99 Cfr.

l'Introduzione, vedi sopra, 5.5.2.

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Libro quinto - Salmi 107 - 150 rapporto con noi la fedeltà di Dio alla sua elezione e al suo patto ha preval­ so sulla nostra fragilità e peccaminosità. Il suo /:lesed ha trionfato. Il trionfo della fedeltà del Signore verso noi è la verità circa il nostro futuro, perché la fedeltà del Signore è una verità eterna circa lui. In quella salvezza e in quella speranza le nazioni possono vedere la rivelazione di Dio. Questo trionfo di Dio nella salvezza del suo popolo è la medesima ragione che viene data al mondo in salmi come il Sal. 98, nella profezia di Is. 40 - SS.,e nell'evangelo missionario dell'apostolo Paolo100•

4. Quando recitano e cantano questo salmo, i cristiani ricordano a se stessi che la lode di Dio è completa soltanto quando essi intendono lodarlo di concerto con ogni popolo. Ed essi rendono testimonianza al mondo del trionfo della grazia su se stessi, nella fervida speranza che le nazioni - sia la propria sia quelle altrui - scorgeranno in quel trionfo l'opera di colui il cui essere è il centro che guarisce e sostiene. Il Sal. 117 è il salmo per ogni domenica, ma è particolarmente appropriato per la celebrazione della Do­ menica mondiale della comunione101•

Salmo 118: Colui che viene nel nome del Signore Il Sal. 118 riguarda l'avvento di Colui che viene nel nome del Signore. Colui che viene fa l'affermazione più meravigliosa: «Non morirò, anzi vi­ vrò» (v. 17a). Il festeggiamento perché il Signore non lo consegnò alla morte è celebrato come il giorno che il Signore ha fatto. In virtù di quella libera­ zione, il popolo del Signore rinnova la professione di fede: il Signore è Dio. Chi è costui? Il salmo stesso ci indica la sua identità solo con un interro­ gativo. Per trovare un nome, l'interpretazione dovrà prima andare avanti ed esaminare scrupolosamente tutto il testo per individuare occasioni nel quale il salmo fu usato. 118 è composto di due parti (vv. 5-18 e 19-28) inquadrate da due di lode (vv. 1-4 e 29). Inizia con un inno imperativo tipizzato, usato in lodi generiche di ringraziamento per il Signore (v. 1)102• L'imperativo dell. Il Sal.

inni

100 In Rom. 15,11 Paolo cita il Sal. 117 come testimonianza scritturale per esporre il profcosito di Dio in Gesù Cristo; si noti Rom. 15,8 e 9. 01 Nella Domenica mondiale della comunione - officiata la prima domenica di o� bre - si celebra l'unità in Cristo, il Principe della Pace, in mezzo al mondo che i cristiani sono chiamati a servire, un mondo sempre più bisognoso di pace. Introdotta nel 1936 dalla chiesa presbiteriana statunitense e oggi celebrata in tutte le chiese del National Coundl of Churches (Consiglio nazionale delle Chiese negli Stati Uniti), la giornata ha assunto rilevanza e profondità di significato nuove in un mondo dove la globalizzazi� ne mette spesso a rischio la pace e la giustizia. 102 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.5.3, e il commento al Sal. 136.

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Salmo 118: Colui che viene nel nome del Signore l'inno continua in una triplice litania di invito indirizzato a Israele, ai sa­ cerdoti e ai timorati di Dio affinché dicano: «La sua bontà dura in eterno» (vv. 2-4)103• n salmo si chiude ripetendo la formula laudativa iniziale (v. 28). Questo struttura dà una prima definizione della composizione intera: essa è un «rendimento di grazie» al Signore per la bontà della sua grazia (/:lesed). Il termine «bontà» (/:lesed) non è usato nel corpo del salmo, ma ciò che vi si narra è introdotto dallo schema e costituisce la dimostrazione dello /:lesed del Signore che richiede il ringraziamento di tutto quanto il popolo. Nella prima parte, una singola persona loda il Signore rendendo la sua testimonianza al popolo riunito per il culto. Il tema della testimonianza è dichiarato al v. 5: chi canta il salmo si era trovato in difficoltà e aveva invo­ cato il soccorso del Signore; il Signore rispose e lo salvò. Il breve racconto di salvezza è la caratteristica tipica dell'inno individuale di ringraziamento104• Elementi della narrazione ricorrono ai vv. 13 e 18. Questa parte è suddivisa in tre sezioni, ciascuna delle quali testimonia il significato e l'effetto della salvezza operata dal Signore. Le sezioni sono tenute insieme da ripetizioni e da un intreccio di motivi tematici. Le due paia di distici (vv. 6-9) contrastano la fiducia riposta nel Signore o con la minaccia o con l'aiuto che viene dal­ l'uomo. Il motivo dell'«uomo>> lega insieme le due coppie di distici, mentre il nome del Signore, presente in ciascun verso, collega il v. 5 con i distici. La seconda sezione (vv. 10-14) comincia con tre versi simili che mettono in evi­ denza il motivo del «nome del SIGNORE>>. Il motivo individua la vera sorgen­ te di potenza che mette il celebrante in condizione di resistere alla potenza delle nazioni circostanti, un motivo che porta avanti la nota del confronto per contrasto tra le potenze umane e il Signore. I vv. 13-14 ribadiscono ul­ teriormente che la sopravvivenza e la forza del celebrante furono dovute al Signore che, liberandolo, divenne la sua salvezza. La terza sezione (vv. 1518) riprende il motivo della «salvezza>> dal v. 14 con «canti di salvezza>>105 e ripete tre volte il canto. n motivo ricorrente del canto è «la destra del SIGNo­ RE>>, un'altra espressione per parlare della potenza del Signore esercitata tra gli esseri umani e le nazioni. Il tema della «morte>> appare nei vv. 17-18 con la funzione di descrivere indirettamente la vera dimensione della salvezza, così che esso significa vita e lode del Signore in contrasto con la morte. La seconda parte (vv. 19-28) presenta un'alternanza di voci, ora l'indivi­ duale ora la collettiva, e una successione di tipi di discorso. Inizia con una richiesta di ammissione (v. 19) che introduce, finalmente, il motivo tema­ tico del «rendimento di grazie>>, ripreso dall'inquadratura iniziale. Il tema 1 03 I tre gruppi menzionati comprendono tutto il popolo che partecipa al culto, come nei Sal. 115,9-13 e 135,19-20. 1 04 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.3.1. 105 NRSV: e non ) in poi, traducono con > 124. Il secondo punto sul quale ha sempre insistito l'interpretazione della chiesa sono stati i vv. 22-24 che rappresentano Pasqua come il giorno per celebrare l'opera di Dio che ha trasformato la pietra scartata nella pietra an­ golare principale. Questi versetti insegnano alla chiesa che il Cristo risorto è il Gesù crocifisso, e ci mettono in guardia dal separare la Pasqua dal suo contesto nella Passione di nostro Signore. Non è stata certo la libera scelta e l'approvazione della società umana a stabilire che il Crocifisso fosse fonda­ mento e pietra angolare del regno venturo di Dio, bensì l'opera di Dio che lo risuscitò dai morti (At. 4,11). Egli è presente nel mondo come colui che è contraddetto e rifiutato da tutto ciò che gli uomini fanno per costruire il proprio mondo. li Cristo risorto non è il Cristo accettabile; al contrario, egli ci chiama, in tutti i modi nei quali egli è diverso da noi, alle trasformazioni del ravvedimento che rispondono all'opera di Dio in lui. Commentando il

1 23 La domenica, la dies Dominica, cioè «il giorno del Signore» (Apoc. 1,10; Didachè 14,1), corrisponde al «primo giorno della settimana>> (l Cor. 16,2; At. 20,7), quello in cui Gesù risorse (Mt. 28,1 e l!). Per la chiesa delle origini, la domenica era essenzialmente la festa della risurrezione di Gesù Cristo. Nella famosa Lettera di Plinio all'imperato­ re Traiano si legge che i cristiani «avevano l'abitudine di riunirsi in un giorno stabilito, prima dell'alba>>, proprio come indicato in Mt. 28,1. Cfr. M.E. BoRING, Apocalisse, Torino, Claudiana, 2008, pp. 30 ss. e 101 [N.d.C.] . 124 G. CALVINO, op . cit., vol. IV, p . 325.

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Libro quinto - Salmi 107 - 150 v. 22, Lutero osservò che nella storia del vangelo la gente si adirava e con­ dannava Gesù perché non sapeva come usarlo e continuò: «Oggi le cose non sono diverse. La pietra è scartata e resta lì, rifiutata. [ . . . ] I costruttori lo fanno ex officio, perché devono stare attenti a che il loro edificio non abbia crepe, squarci o deturpazioni» 125 • La cosa meravigliosa è che quegli che i nostri istinti umani e la nostra sapienza rifiutano, Dio lo ha nondimeno reso la pietra angolare principale, nonostante noi e per la nostra salvezza.

Salmo 119: La tua parola nel mio cuore

Dio è il maestro (vv. 33-39). La creazione è l'aula scolastica (vv 89-91.73); gli alunni sono i servi di Dio (vv. 17.23.124 s.); la lezione è la «Legge» di Dio (vv 97-100). Imparare è la via della vita (vv. 9-16). Questa è la fede e la visio­ ne del salmo più lungo del Salterio. Per tema e modo di vedere il Sal. 119 è la continuazione dei Sal. l e 19. Come il Sal. l, esso conosce il diletto della Legge del Signore e l'importanza di studiarla costantemente. Come il Sal. 19, esso conosce il valore inestimabile della Legge che in tutte le sue forme si dimostra un potere che arricchisce la vita. Tuttavia, nella sua architettura, il Sal. 119 ha portato il tema ai limiti dell'espressione letteraria. .

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1. Il Sal. 119 è strutturato secondo un modello formale alfabetico, che se­ gue le ventidue lettere dell'alfabeto ebraico, e da un vocabolario tematico di otto lemmi. Il poema presenta ventidue strofe, una per ogni lettera del­ l' alfabeto, e ogni strofe è composta di otto versi e la prima parola di ogni verso comincia per la stessa lettera dell'alfabeto che caratterizza la strofe126• Ciascun verso contiene uno degli otto termini tematici; alcune poche va­ riazioni mostrano una certa libertà di composizione 1 27. Gli otto lemmi del vocabolario tematico sono: «Legge», «precetti», «statuti», «comandamen­ ti», «decreti», «parola», «ordinanze», «promessa»1 28 • Tuttavia, anche per i lemmi tematici ci sono alcune variazioni1 29 • A quanto sembra, il poeta era a conoscenza di otto termini principali usati nella tradizione autorevole per nominare la materia che egli voleva trattare. Così egli usò tutte le lettere

125 M. LUTERO, op. cit., vol. XIV, p. 97. 126 Per esempio, gli otto versi della strofe 'alef iniziano tutti per 'alef; gli otto della strofe beth per beth, e così via fino a tau. [Per esempio, nella traduzione della N.Riv. il Sal. 119 ha 22 x 8 176 versetti di due emistichi ciascuno.] 127 Per esempio, nei vv 15.16.48.160 ci sono due degli otto vocaboli tematici; nel v. 122 nessuno. 128 'La NRSV traduce così i termini ebraici in questione [ma non tutte le traduzioni sono costanti nel tradurli né tutte li traducono in maniera esattamente equivalente]. 129 Per esempio, «vie>> ai vv 3 e 37; «sentieri>> al v. 15; al v. 90. =

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Salmo 119: La tua parola nel mio cuore dell'alfabeto per segnalare l'idea di completezza e l'intero vocabolario uf­ ficiale per rappresentare la completezza. In ebraico il poema risulta avere 167 versi organizzati in una struttura letteraria imponente che unisce una lapidaria semplicità a una variazione costante. All'interno del controllo della struttura formale, la medesima cosa è detta in 167 modi diversi, con una progressione che si muove attraverso tutto l'alfabeto senza mai spostarsi dal suo oggetto singolo. Si è detto che il Sal. 119 è noioso e artificiale. Tali giudizi non colgono l'effetto estetico e psicologico di tale associazione tra ripetizione e variazione. Nell'intenzione del compositore il poema dovrebbe essere letto a voce alta a se stessi o ad altri, così che le ripetizioni guidino l'ascolto e le variazioni incantino l'im­ maginazione. Esso stabilisce un punto focale di contemplazione e suscita quella disposizione alla concentrazione e alla deferenza essenziali alla me­ ditazione. Nell'uso liturgico e devozionale si legge soltanto parte del sal­ mo, solitamente un'unica strofe. Dato il modo nel quale le strofe sono com­ poste, ognuna può rappresentare il tutto; tuttavia, il tutto è necessario per raggiungere l'effetto di completezza. 2. Il vocabolario tematico è usato in maniera volutamente astratta. Non si specifica a che cosa i termini si riferiscano né che cosa il loro contenuto implichi o richieda. n primo e più frequente termine ricorrente nel salmo è «Legge» (torah), ma sarebbe meglio tradurlo > che accom­ pagna ogni presenza dei termini tematici mette in risalto, con imperterrita insistenza, che ciò che importa è l'uso che Dio fa di questi veicoli linguisti­ ci per comunicare la sua volontà. L'affermazione stupefacente che ogni co­ sa perfetta ha un limite, ma il comandamento del Signore ha un'estensione infinita (v. 96) riguarda proprio quel significato del vocabolario tematico. È comunque chiaro che il salmo non celebra l'estensione illimitata dell'istru­ zione del Signore, bensì l'ampiezza del suo contenuto. 3. La torah, quindi, è il teologumeno centrale. Essa ha un valore che su­ pera tutto il resto, perché in tutte le sue forme la torah è il mezzo di comu­ nicazione del Signore. Nella comprensione che il salmo ha del modo in cui Dio si comporta, torah è il mezzo mediante il quale il Signore tratta con gli

134 Cfr. anche i vv. 76.81.107.116.123. 135 L'ebraico ha mishpatim, (Vulgata: iudicia; pacelliana: decreta). Per esem­ plificare che cosa succede nelle traduzioni, ecco come alcune rendono il v. 13b: « [ . . . ] tutti i giudizi della tua bocca>> (VRL, N.Riv., B.Ger.); (B.Conc.); e il v. 88b: «et custodiam testimonia oris tui>> (Vulgata); «et custodiam praescripta oris tui>> (pacelliana); (VRL, N.Riv.); (B.Conc.); «e osserverò le parole della tua bocca>> (B.Ger.). L'interpretazione più ampia suggerita da Mays potrebbe esse­ re supportata dal fatto che mishpatim sono i giudizi giudiziari emessi secondo il diritto sacro consuetudinario, cioè come rivelazione tramandata, l'humus dal quale nacque la Turah. Per questa problematica specifica cfr. F. CRùSEMANN, La torà, indici alle voci e ai capitoli relativi [N.d.C].

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Salmo 119: La tua parola nel mio cuore uomini e questi con il Signore. Ciò che nel Salterio gli inni e le preghiere dicono abitualmente del Signore, qui viene detto di tutte le forme della to­ rah. In esse si trovano i prodigi del Signore (vv 18 e 27), esse sono motivo e contenuto di lode (vv 62.164.171) e impararle è un mezzo per lodare il Signore (v. 7). Esse sono fonte di consolazione nelle difficoltà e una difesa dalla vergogna (vv 50 e 31). Il salmista ama i comandamenti del Signore (vv. 47 e 113), spera nelle sue ordinanze (vv 43 e 49)136 e desidera ardente­ mente i suoi comandamenti (v. 131). Egli ha fiducia nella parola di Dio (v. 42) e crede nei suoi comandamenti (v. 66). La parola eterna fa da riscontro al Signore eterno (v. 89). Tutto ciò che il Signore è e ha fatto è presente nella torah e mediante essa. Chi osserva i suoi decreti lo cerca con tutto il cuore (v. 2). Esaltando la torah, il salmista vuole in realtà magnificare il Signore. Egli è arrivato a questa conoscenza: chi si occupa dell'insegnamento ha a che fare con il maestro. .

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4. La voce che parla nel salmo è quella di una consapevolezza plasmata da molte influenze, tutte bibliche. Il salmista conosce e pensa con la teolo­ gia e il vocabolario del Deuteronomio. L'impulso centrale della religiosità del salmista è l'intensa esortazione ad amare il Signore osservando e inse­ gnando le sue parole (Deut. 6,1-9). Il salmista risente, però, anche di altre influenze: Geremia, Isaia e Proverbi sono libri che hanno influito sulla sua composizione137• Nel Sal. 119 appaiono tutti gli stili dei generi principali usati nel Salterio. Prevalgono sugli altri gli elementi della preghiera individuale di soccorso: la maggior parte del salmo è composta di suppliche, descrizio­ ni di difficoltà con se stessi e altri, affermazioni di fiducia, voti di lode. Ma non è tutto: il salmo comincia con beatitudini e usa massime didascaliche, testimonianze di gratitudine e inni di lode. Dal punto di vista letterario, il nostro salmo è un montaggio di generi letterari diversi. Il risultato finale non è, però, una pallida imitazione dei generi utilizzati. Il salmista non si limita a copiare: egli ha assorbito e metabolizzato le sue fonti con una pietà sincera e profonda, una devozione per la Scrittura nella cui creatività quelle fonti sono entrate a far parte. Quella pietà biblica occupa talmente la men­ te e guida a tal punto il pensiero e la vita del salmista che egli può parlare di se stesso soltanto nel quadro di essa. Il salmo è la voce di un supplice, di un testimone e di un maestro; con esso si può pregare, da esso si può esse­ re convertiti e da esso si può imparare. 5. Essendo preghiera, testimonianza e insegnamento, il Sal. 119 è il clas­ sico testo della fede per la quale la Scrittura è una forma della parola di Dio. Esso fissa alcuni punti che si dimostrano decisivi per la pietà biblica, tra i quali notiamo i seguenti.

136 Mays rende abitualmente con «ordinanze, decreti>> i «giudizi» [N.d.C.]. 137 Queste influenze si riflettono visibilmente in vari versi del salmo; per esempio cfr. il v. 84 con Ger. 15,15; il v. 176 con Is. 53,6; il v. 4 con Prov. 3,13-18.

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Libro quinto - Salmi 107 - 150 a) L'istruzione di Dio è importante in tutte le sue forme perché è di Dio e soltanto perché e nella misura in cui la parola di Dio è data mediante quelle forme. L'istruzione non ha mai una realtà indipendente, non esiste da sola. Nel salmo non è mai un oggetto isolato. n salmo parla a Dio del rapporto del salmista con Dio e del rapporto di Dio con i suoi servi e si parla della parola di Dio soltanto in quel contesto. n salmo esclude sia una idolatria della Bibbia sia una fede che non dipenda dalla parola di Dio. b) La parola di Dio esige sia obbedienza sia fede. L'ascolto giusto è una fede che ubbidisce e un'obbedienza che crede: entrambe le cose insieme, come se fosse un'unica risposta. Ascoltare significa scegliere la via della fe­ deltà (v. 30). Ascoltare significa anche avere una ragione per avere fiducia e speranza (vv. 41 e 42). La parola comanda (v. 4) e la parola promette (vv. 81 e 82). La parola non ammette alcuna devozione che assuma la forma di legalismo e alcuna pietà che assuma la forma di fideismo. c) La parola di Dio viene data, ma non è mai posseduta. Essendo l'istru­ zione di Dio, essa non è mai proprietà di nessuno indipendentemente dall'in­ segnamento di Dio. Essa è là, oggettivamente disponibile, in tutte le forme della comunicazione di Dio; ma deve essere cercata e studiata costantemen­ te in preghiera perché possa essere insegnata, imparata con l'aiuto di Dio e si possa ricevere il dono di capirla (cfr., per esempio, vv. 12. 18.26.125). La devozione per la Scrittura è una fede che chiede di capire (v. 66). Ogni ver­ so del salmo presume che la parola venga data senza mai attribuire alcuna importanza alla sicurezza umana di averla in forma scritta o fissa. d) L'istruzione proviene da Dio, ma deve diventare parte del servo di Dio. Deve essere raccolta nel granaio del cuore, cioè nella mente e nella mentalità con le quali si pensa e si vuole (v. 11). Il cuore stesso deve essere convertito da ogni altro pensiero (v. 36). La parola è ragione e opportunità affinché il cuore umano sia indiviso (vv. 2.10.34.58.69.145).

Salmi 120 - 134: I canti delle ascese l. I Sal. 120 - 1 34 recano tutti la soprascritta «un canto delle ascese». n tito­ lo che distingue questi quindici salmi li fa apparire una raccolta ben definita inserita nel Salterio. L'esistenza di questo gruppo, apparentemente omoge­ neo nella sua utilizzazione, solleva la questione della sua natura e del suo scopo. Nei salmi ci sono elementi comuni che unificano la raccolta? Nell'or­ dine di successione nel quale sono raccolti ci sono segni di una sistemazione studiata e significativa? Nella sua unità, la raccolta serviva a qualche scopo religioso? La $Oprascritta offre una chiave alla loro interpretazione? 2. La teoria circa il significato del titolo più verosimile e maggiormente accettata è che l' «ascesa>> o «salita>> si riferisca al viaggio fatto dai pellegri-

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Salmo 120 - 134: I canti delle ascese ni per recarsi alle tre grandi feste annuali celebrate a Gerusalemme (Deut. 16,16). Il verbo «salire, ascendere» è usato in uno di questi salmi (Sal. 122,4), e anche altrove138, per parlare del viaggio a Gerusalemme. Secondo questa teoria, che va per la maggiore, i salmi sono una collezione a uso dei pellegrini che li cantavano o lungo il viaggio o in processioni durante una festa139. 3. La raccolta è unificata da alcuni elementi ricorrenti che ben si adattano all'uso dei salmi da parte di pellegrini. a) Il gruppo presenta salmi che sono più brevi dei salmi tipici, fatta eccezione per il Sal. 132 che sembra avere una funzione particolare nella raccolta. b) I nomi Gerusalemme e Sion ricorro­ no con eccezionale frequenza, 12 volte in otto dei salmi, e «casa del SIGNo­ RE» in due degli otto, con una possibile allusione in un altro (Sal. 127,1). c) Il nome «Israele» è usato con una frequenza atipica per il resto del Salterio, nove volte per indicare la compagnia di persone che i salmi in parola ri­ guardano. In alcuni di loro lo stile individuale si alterna a quello collettivo, così che il canto è adatto per individui che fanno parte di un gruppo e per una compagnia fatta di persone che si riuniscono anche come individui140• d) Le espressioni liturgiche sono frequenti: benedizioni di prosperità e pace (Sal. 125,5; 128,5.6; 134,3); inviti alla confessione e alla speranza (Sal. 124,1; 129,1; 130,7; 131,3); termini omologici (Sal. 121,2; 124,8; 134,3). e) C'è un de­ ciso interesse per il tema della benedizione e del suo vocabolario141.

4. La raccolta contiene una varietà di generi letterari. Nel gruppo manca una coerenza stilistica o un genere predominante142• La collezione dà l'im­ pressione di essere formata con parti già esistenti messe insieme e talora adattate per lo scopo specifico della raccolta che sembra riflettere le preoc­ cupazioni e gli interessi della vita quotidiana che potrebbero occupare la mente dei comuni pellegrini143.

138 Cfr., per esempio, SaL 24,3; I Re 12,28; Is. 2,3; Mt. 20,17; Le. 2,42. 139 Letteralmente, la soprascritta recita «canto delle salite» o > appare in entrambi. Il resto del salmo usa lo stile del discorso diretto con la seconda persona singolare, mentre il motivo ricor­ rente (ben sei volte) è «proteggere». La dichiarazione tematica di fiducia, «il mio aiuto viene dal SIGNORE>>, viene sviluppata, quindi, con una serie di assicurazioni che «il SIGNORE è il tuo custode>>, «colui che ti protegge>>. L'in­ certezza circa il significato preciso di > e il «noi» si alternano, rendendo così anche il nostro salmo adatto a essere recitato da un individuo quale parte di un gruppo. .

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2. Nell'ordine di successione di questi canti di pellegrinaggio il Sal. 122 serve da canto di arrivo. Il v. 2 vede il gruppo di pellegrini già dentro le porte di Geru�alemme e ciascuno di loro ricorda la gioia immensa mentre si invitano reciprocamente a salire in pellegrinaggio alla casa del Signore (v. 1)168• L'anticipazione spaziale e liturgica della vicinanza alla Presenza di Dio trasforma il pellegrinaggio in un cammino di gioia, dal primo all'ulti­ mo passo169 .

3. La seconda parte del salmo è tutta una lode di Gerusalemme, con di­ chiarazioni riguardanti la città del genere di quelle che si leggono nei sal­ mi di Sion1 70• Gerusalemme viene lodata per tre ragioni: prima, è un luogo di rifugio, «una città costruita compatta e solida>> (v. 3, REB), le cui mura e le cui torri (v. 7) sono una promessa di protezione e si ergono simboli visi­ bili del rifugio concesso a quanti hanno fiducia nel Signore 1 71• Lodare Sion perché è un rifugio solido e sicuro contro le potenze ostili, cosmiche e na­ zionali, è un elemento caratteristico dei canti di Sion172• Seconda, Gerusa-

1 67 Cfr. sopra il corrunento a Sal . 120 - 134. 1 68 Per la forma convenzionale dell'invito a visitare un tempio, cfr. I Sam. 11,14; Is. 2,3; Ger. 31,6. 1 69 Cfr. Sal. 84,5-7. 1 70 Cfr. Sal. 46; 48; 76; 84; 87. 1 71 Cfr. Sal. 125,1-2. 172 Cfr. Sal. 46,5-6; 48,4-8; 76,1-6.

430

Salmo 122: La p ace di Gerusalemme lemme è un luogo di lode. Le tribù del Signore sono sempre salite alla città in pellegrinaggio in occasione delle grandi feste annuali «per rendere gra­ zie al nome del SIGNORE» (v. 4). Effettivamente, la prassi era autorizzata e richiesta dalla legge del Libro del patto (v. 4b)173• La norma di lodare il Si­ gnore in comune e in un unico luogo riuniva le tribù in un'unica comunità di fede, nella quale tutti si sapevano fratelli e sorelle e vicini (v. 8)174• Il pel­ legrinaggio è un viaggio verso l'unità nel Signore175• Terza e ultima ragio­ ne, Gerusalemme è una sede di giustizia, civile penale e religiosa (v. 5) 1 76• I «troni di giudizio» sono le istituzioni giudiziarie, le corti di giustizia, che erano state stabilite a Gerusalemme dalla monarchia davidica; per questa ragione i profeti ritenevano la città particolarmente responsabile per l'am­ ministrazione della giustizia in Israele177. La stagione dei pellegrinaggi era, probabilmente, un'occasione per presentare ai magistrati del re, e ai loro successori nel periodo postesilico, le cause che non erano state risolte nei tribunali locali. La pace della società civile dipendeva dall' amministrazio­ ne della giustizia e dalla certezza del diritto. Il pellegrinaggio è un viaggio in cerca di giustizia.

4. Nella terza parte del salmo, il cantore invita la comitiva di pellegrini a invocare la pace su Gerusalemme: devono informarsi sulla pace di Geru­ salemme (v. 6a), come se Gerusalemme fosse stata una persona che veniva salutata da ogni pellegrino con la tradizionale formula di saluto: «C'è sha­ lom con te [+ nome]?» 1 78• Il saluto di pace si estende dal v. 6b al v. 9; la sua ripetizione in forme diverse sviluppa che cosa implica la pace di Gerusa­ lemme e chi riguarda. Il salmo tocca aspetti dello shalom che riguarderan­ no la maggior parte degli altri «Canti delle ascese». La pace che i pellegrini augurano a Gerusalemme è una tranquillità non turbata da conflitti sociali

173

Cfr., per esempio, Es. 23,14-17.

174 In realtà, come si può vedere al v. 8, la presenza delle > al v. 6b [come la VRL, mentre la N.Riv. ha «vivere tranquilli>> e la B.Conc. «godano la pace>>] e «sicurezza•• al v. 7b [come RConc.; VRL e N.Riv. «tranquillità••]. 180 Cfr. il commento al Sal. 120,5-7. 181 Cfr. Sal. 125; 126; 129 182 Cfr. Sal. 133. 183 Cfr. Sal. 35,27. 1 84 Le. 19,41-44 . '

.

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Salmo 123: li re di grazia Salmo 123: Il re di grazia Il Sal. 123 è il quarto della raccolta dei «Canti delle ascese»185• Per la pri­ ma volta nella raccolta, il pellegrino parla direttamente al Signore. n canto è una preghiera.

1. La preghiera è composta di due parti. La prima è una dichiarazione di fiducia (vv. 1-2); la seconda una supplica (v. 3a) giustificata con la descri­ zione del problema (vv. 3b-4). Questi elementi indicano che il salmo è una preghiera di soccorso186• La combinazione di «io» e «noi» rende il salmo idoneo a essere usato da un individuo che parla in quanto membro di un gruppo. Nella prima parte del salmo la dichiarazione base di fiducia (v. l) viene sviluppata con una doppia similitudine. Il tutto è legato insieme dal motivo degli «occhi alzati verso» che compare in ogni verso del poema. La proposizione conclusiva usa il verbo «essere benevolo, misericordioso»187, che diventa poi la duplice supplica con la quale si apre la seconda parte. Il tema della motivazione della supplica ovvero la descrizione del problema è «il disprezzo», «lo scherno».

2. Nel contesto dei «Canti delle salite» questa preghiera ha la funzione di spiegare il significato del pellegrinaggio. I pellegrini sono arrivati a Ge­ rusalemme e si trovano entro le porte della città (Sal. 122,2); la loro prima parola rivolta al Signore è una preghiera perché sia benevolo verso di lo­ ro. Il pellegrinaggio è una svolta dalle parole di disprezzo e di scherno del mondo perché essi hanno fiducia in colui che è benevolo e misericordioso e al quale essi ubbidiscono. I pellegrini lamentano di aver subìto disprezzo in abbondanza da parte degli arroganti e di non poterne più dello scherno dei benestanti. Il linguaggio usato ai vv. 3-4 è generico e non consente di in­ dividuare le circostanze sociali e storiche nelle quali vivevano i pellegrini. Il problema cui si allude è forse che i fedeli erano derisi perché confidavano nel Signore (come nel Sal. 31,18) oppure che i conquistatori di turno scher­ nivano un Israele umiliato e indebolito (come nel Sal. 44,13-16)? n testo po­ trebbe riferirsi a una o all'altra come a entrambe le situazioni. Comunque stiano le cose, lo scherno era una sfida alla loro fede formulata con l'insul­ to: «Dov'è il tuo/vostro Dio?»188. Per tutta risposta a quella domanda ir­ ridente, i pellegrini alzano gli occhi verso Colui che troneggia nei cieli, un gesto che è, insieme, implorazione e confessione di dipendenza. I pellegrini alzano lo sguardo da un mondo che mette in dubbio il loro dio al Dio che

185 Cfr. sopra il commento a Sal.

1 86

120 - 134.

Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.2. 187 La NRSV preferisce >195, nella formu­ la di lode «benedetto sia il SIGNORE>> (v. 6) e nella dichiarazione omologica che chiude il salmo (v. 8). Dal punto di vista della struttura, il Sal. 124 è una composizione tripartita: al ricordo di una liberazione avvenuta in passato (vv. 1-5) seguono una lode per la liberazione (vv. 6-7) e una dichiarazione corporativa di fiducia nel Signore (v. 8). La prima parte usa la ripetizione degli elementi sintattici di una proposizione condizionale: una protasi con «se>> (2 volte), un'apodosi con «allora>> (3 volte) e due proposizioni temporali («quando>>), una nella protasi e una nell'apodosi. Al v. 7 abbiamo un chia­ smo: «scampata-laccio-laccio-scampati>>. Le immagini usate nel linguaggio figurato sono: le acque travolgenti (3 volte nei vv. 4-5), l'uccello che sfugge al laccio degli uccellatori (v. 7). 2. n pericolo al quale Israele è scampato è descritto soltanto con immagini e una similitudine. Le acque che inghiottono o travolgono sono un'imma­ gine frequentemente usata per il pericolo che minaccia un individuo o una collettività; l'immagine richiama il senso di una forza irresistibile davanti alla quale si è impotenti196. La figura di un laccio spezzato (v. 7) rappresen­ ta forse Babilonia sconfitta, dalla quale gli esuli ritornarono? La memoria non è stata richiamata per raccontare che cosa accadde, ma per dramma­ tizzare l'imponenza del pericolo e come si sia sfuggiti per un pelo alla mor­ te. Un'espressione contenuta al v. 2 offre un indizio importante per capire la natura del pericolo: «Quando gli uomini [' adam] si levarono contro di noi>>197. n termine 'adam è usato qui come nel Sal. 10,19-20: è un nome col-

1 94 Cfr. sopra il commento a Sal. 120 - 134. 1 95 Cfr. Sal. 129,1 . 1 % Cfr., per esempio, Sal. 18,16; 69,1-2; 144,7; ls.

8,7-8.

197 Così Mays [e VRL, B.Conc., Vulgata ecc.]. NRSV: «Quando i nostri nemici ci at­ taccarono>> [N.Riv.: indica l'inizio di un'azione, ostile o meno secondo il contesto. Quando si chiede a Dio di «alzarsi>> gli si chiede di agire, di intervenire. Qui si potrebbe tradurre : «Quando gli uomini si mossero contro di noi>>].

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lettivo che denota il nemico d'Israele, le nazioni nella loro umanità. I nemici sono «uomo», al contrario del Signore. Il pericolo era del tipo e del genere di quelli che pongono il popolo del Signore davanti alla scelta fondamen­ tale dell'esistenza nella storia: la scelta tra riporre la propria fiducia in Dio o nell'uomo quale potere decisivo. «Se non fosse stato il SIGNORE che fu per noi . . . !»: ecco che cosa i pellegrini devono e possono dire quale verità cir­ ca se stessi. Essi hanno imparato, e lo confessano qui, che il popolo di Dio non può vivere puramente da «uomo», perché altrimenti le potenze uma­ ne che lo circondano lo inghiottiranno nella storia che l' «uomo» fa. Questa è la verità negativa che i pellegrini conoscono198• 3. Perciò i pellegrini dichiarano: «Il nostro aiuto è nel nome del SIGNORE che ha fatto il cielo e la terra»; questa è la verità positiva che essi sanno, il significato omologico della loro memoria corale. Pregando avevano invo­ cato il nome del Signore e Colui il cui nome essi avevano gridato li aveva soccorsi. L'epiteto «creatore di cielo e terra» segnala con forza la distinzione assoluta tra il Signore e le forze della società e della storia chiamate «uomo». Il popolo del Signore è un corpo sociale scelto e costituito dal Signore e vive nella storia fatta dall'«uomo» grazie all'aiuto di «chi ha fatto i cieli e la ter­ ra». Nella liturgia concepita da Giovanni Calvino per le comunità di Stra­ sburgo e Ginevra, il culto si apriva con queste parole: «Il nostro aiuto è nel nome del Signore che ha fatto cielo e terra». Il Riformatore ginevrino scelse questa dichiarazione iniziale perché aveva capito che essa diceva la verità circa la comunità raccolta per il culto nel modo migliore e più conciso199•

Salmo 125: Come il monte di Sion Il Sal. 125 è il sesto dei «Canti delle ascese»200• In questo salmo Gerusa� lemme, la destinazione dei pellegrini, diventa un simbolo del rapporto del Signore con i fedeli. l. Il salmo si apre con una doppia affermazione positiva riguardante la protezione del Signore per quelli che confidano in lui (vv. 1-2). La formula­ zione è chiastica: rapporto con il Signore-paragone-paragone-rapporto con il Signore. Il salmista usa il luogo (il monte di Sion, Gerusalemme) per in­ segnare quale protezione il Signore dia a Israele. Poi il pericolo che rende necessaria la protezione divina viene identificato per via negativa con l'as-

1 98 Cfr. il commento a Sal. 118,6-9 e 56,2-3.10-11 .

199 Per il v. 8, cfr. il commento al Sal. 121, vedi sopra, pp. 427 ss. 200 Per un'introduzione all'intera raccolta cfr. sopra il commento a Sal. 120 - 134.

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Salmo 125: Come il monte di Sion sicurazione che il potere dell'empietà non prevarrà sui giusti (v. 3)201 • Una doppia supplica, una in favore dei buoni (v. 4) e una contro gli empi (v. 5), fa il paio con le precedenti affermazioni circa i giusti e i malvagi. Il canto prega per ciò che prima ha insegnato: esso insegna fiducia e prega per quel­ li la cui fiducia è sincera di cuore. Un invito liturgico perché la pace sia su Israele chiude la composizioneWZ. 2. L'argomento del salmo è il comportamento del Signore verso i giusti e verso gli iniqui. Questa è una delle molte e varie espressioni ricorrenti nel Salterio dell'unica e fondamentale convinzione che il destino e il benesse­ re dei giusti dipenda dal regno del Signore203• Nel nostro salmo quelli che confidano nel Signore, il popolo del Signore, i giusti, i buoni, i retti di cuore e Israele sono tutti termini equivalenti. Essi costituiscono il tema e l'unità del salmo. Il fatto che siano usati come equivalenti rivela anche un convin­ cimento per quel che riguarda Israele. L'elenco di nomi dice che l'Israele che è veramente il popolo del Signore è composto di quelli che sono giu­ sti, buoni, retti di cuore e che affidano la propria vita al Signore, in fede e ubbidienza. Che il salmo sia veramente un salmo di pellegrinaggio risulta evidente quando si nota come usi la topografia e l'ambientazione geogra­ fica del monte di Sion e di Gerusalemme quali immagini del Signore, rifu­ gio sicuro e stabile per quelli che confidano in lui. Proprio come il monte di Sion non sarà mai smosso a causa del suo rapporto con il Signore, così anche i giusti non vacilleranno grazie al loro rapporto con il Signore204• Il pellegrinaggio è la rappresentazione concreta della fiducia. n salmo pensa a Israele in questa maniera: un popolo pellegrino.

3. Il v. 3 si preoccupa di un pericolo che potrebbe incombere sul pellegri­ no Israele, cioè che «lo scettro dell'empietà» potrebbe «rimanere sull'eredità dei giusti» e indurre i giusti a fare il male. Con la sua allusività, il linguag­ gio del salmo si fa qui eccitante. «Lo scettro dell'empietà» si riferisce al do­ minio straniero o al prevalere dell'inganno e dell'ingiustizia nella società? «L'eredità dei giusti» si riferisce al paese205? Oppure vuole indicare le con­ dizioni di vita date ai giusti dalla provvidenza di Dio? Nascosta in questa nebulosità c'è la consapevolezza che il male dominante diffonda corruzione. La rettitudine dei giusti che vivono la vita dipende dalla bontà del Signore. La duplice preghiera chiede che il Signore confermi e implementi le scelte che gli esseri umani fanno: bene per i buoni e che quelli che scelgono le vie

201 Si preferisce tradurre la particella ebraica ki con «sicuramente» (REB [B.Conc.: (NRSV [VRL]). 202 Cfr. Sal. 128,6. 203 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 6.17. 204 Cfr. Sal. 46,5; 16,8; 21,7; 62,2.6; 112,6. Cfr. il commento al Sal. 15, vedi sopra, pp. 102 s. 205 Cfr. l'uso del termine goral per indicare la porzione del paese di Canaan assegnato dalle sorti a ciascuna tribù quando Israele si insediò nel paese (Gios. 15,1; 17,1).

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Libro quinto - Salmi 107 - 150 dell'inganno proseguano il cammino con i malfattori. La benedizione fina­ le dice qual è il tema del salmo: lo shalom d'Israele. Lo shalom del popolo di Dio è, insieme, prosperità e rettitudine, unite dalla loro interdipendenza. Ed entrambe dipendono dal Signore.

Salmo 126: Ristabiliscici, o Signore! Il Sal. 126 è il settimo dei «Canti delle ascese»206• È la voce di pellegrini andati a Gerusalemme per ricordare la restaurazione di Sion e chiedere il rinnovamento del popolo del Signore. l. La struttura letteraria del salmo è caratterizzata dal ricorso a ripeti­ zioni che sono correlate tra loro. Il salmo ha due parti, ciascuna introdotta da un verso che usa l'espressione «ristora le fortune» e da una similitudine (vv. l e 4). Nella prima parte l'avverbio «allora» (2 volte) collega i versi di v. 2 con il «quando» iniziale (v. 1). La frase «il SIGNORE ha fatto cose grandio­ se» (2 volte) lega il v. 3 alla fine del v. 2. Nella seconda parte, il pianto e la gioia sono correlati con semina e raccolto (2 volte, vv. 5-6). Nel complesso del salmo termini indicanti gioia e risa ricorrono cinque volte, dando così al salmo il suo tono emotivo dominante. Il salmo parla della gioia ricorda­ ta e di quella anticipata. In entrambi i casi la gioia è opera del Signore: nel primo caso con la restaurazione di Sion, nel secondo mediante il rinnova­ mento di quelli che cantano il salmo.

2. «Ristora le fortune» è una traduzione di un'espressione ebraica idio­ matica che è difficile riuscire a rendere in inglese. Si tratta di un termine tecnico, un modo di dire stereotipato che si incontra soprattutto nei detti profetici, nei quali viene usato per indicare un cambiamento radicale dalle condizioni provocate dall'ira divina a quelle dovute alla grazia di Dio. La locuzione significa, in sostanza, il ripristino di una situazione precedente­ mente esistente tra Dio e il popolo207. La formula è usata nei salmi con il medesimo significato208• La memoria della restaurazione di Sion potrebbe

Cfr. sopra il commento a Sal. 120 - 134. Cfr., per esempio, Am. 9,14; Gioele 3,1; Ger. 29,14; Sof. 2,7. [L'A. si riferisce al gio­ co di parole tra shub sh'bUt «volgere nel proprio contrario» e shilb sh'blt o >228, andrebbe letto insieme con il precedente Sal. 127. L'argomento di entrambi è, infatti, la benedizione del lavoro produttivo e della famiglia feconda. Può servire da canto dei pellegrini in virtù del suo orientamento verso Sion nei verset­ ti finali.

1. Il salmo è composto di due parti. La prima (vv. 1- 4) è racchiusa tra af­ fermazioni impersonali generiche circa «chi teme il SIGNORE». Inquadrate da quelle dichiarazioni, seguono, in discorso diretto («tu>>), assicurazioni di un lavoro pieno di soddisfazioni (v. 2) e di una prole numerosa (v. 3). I vv. l e 4 formano un sottogruppo unito dalla formula «beato chi» che apre il primo e chiude il secondo. Il v. 3 presenta due versi a struttura analoga, ciascuno contenente una similitudine nel secondo emistichio. Con l' «ecco, così>> iniziale il v. 4 dichiara che la buona sorte dei vv. 1-3 è frutto della be-

224 Cfr. I Re 3,1-2; II Cr. 8,1-6. 225

Cfr. Sal. 78,69; 102,16; 147,2; 28,5; 89,4. Cfr. II Sam. 7,27 e 13. 227 Cfr. Sal. 60,5; 108,6; Ger. 11,15; Deut. 33,12. 228 Per la raccolta, cfr. sopra il commento a Sal. 120 - 134. 22h

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Salmo 128: La benedizione dei timorati di Dio nedizione del Signore. Mentre la prima parte si apre con una beatitudine229, la seconda inizia con una benedizione (v. Sa) nella quale la benedizione ri­ servata a chi teme il Signore (v. 4) è pronunciata su ogni pellegrino. La be­ nedizione viene ampliata con auguri presi dalla terminologia usata nella prima parte del canto («bene» e «figli»). Il salmo si chiude con una benedi­ zione su tutto Israele230• 2. La benedizione di Dio è quella valorizzazione della vita che le permette di realizzarsi. Tale concezione risulta evidente dal modo in cui questo sal­ mo parla dei due aspetti fondamentali della vita umana. I mortali lavorano, ma è la benedizione di Dio che porta l'opera a compimento e rende la fatica fonte di soddisfazione. I mortali si sposano, ma nascita e crescita dei figli sono frutto della benedizione di Dio. Mettendo la formula della beatitudi­ ne (vv. la e 2b) e quella della benedizione (vv. 4 e Sa) in parallelo, il salmo presume che tutto ciò che rende la vita buona è effetto della benedizione divina. Senza benedizione la vita è incompleta, frustrata231•

3 . Essendo Sion il luogo della Presenza, i pellegrini portano con sé i bi­ sogni e le speranze della vita di ogni giorno. Nei «Canti delle ascese», Ge­ rusalemme ha un ruolo centrale per quel che riguarda la concezione teo­ logica della benedizione. Dio ha benedetto Sion perché è il luogo che sulla terra rappresenta il suo regno, è la sede scelta con decreto sovrano da Dio per la concessione della benedizione: il Signore benedice da Sion (v. S)232• Poiché vengono a Gerusalemme per ricevere la benedizione del Signore, i pellegrini non sono individui autonomi isolati: la loro vita è legata a Sion, la loro speranza di benedizione è vincolata al bene di Gerusalemme (v. S) 233• In maniera simile, anche la vita dei cristiani è legata a Cristo, mediante il quale «Dio ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale» (Ef. 1,3).

4. Questo canto, come gli altri della raccolta, parla della benedizione del Signore in una maniera che fa capire con chiarezza che non è semplicemen­ te una questione di un rituale legato al luogo e alla celebrazione: la benedi­ zione del Signore è per quelli che temono il Signore (vv. l e 4). C'è una con­ cordanza tra il modo in cui si vive e il modo in cui la vita viene arricchita. Comportarsi bene e fare il bene sono interdipendenti. Camminare nelle vie del Signore costituisce un'apertura alla benedizione del Signore234• Lo spi­ rito del pellegrinaggio comporta sempre camminare nelle vie del Signore.

229 Cfr. il commento al Sal. l, vedi sopra, pp. 59 s. 230 Cfr. Sal. 125,5. 231 Cfr. Sal. 129,5-8. 232 Cfr. Sal. 132,15; 133,3; 134,3. 233 Cfr. nel commento al Sal. 122,6-9 (vedi sopra, pp. 431 s.) il commento alla preghie­

ra per il bene e la pace di Gerusalemme. 234 Cfr. Sal. 125,4; 115,13; 24,5; I Pie. 3,8-12.

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Salmo 129: Molte volte mi hanno attaccato n Sal. 129 è il decimo dei «Canti delle ascese»235• Il salmo richiama alla me­ moria i pericoli del passato, quando il popolo di Dio è stato salvato, e prega perché l'ostilità presente e quella futura non abbiano mai il sopravvento.

l. n salmo è composto nello stile della prima persona singolare («io») ed è la voce di un individuo. Un appello liturgico nel primo verso fa capire che l'individuo è una personificazione d'Israele (v. 1b)236• Il popolo del Signore in pellegrinaggio verso Sion è esortato a ricordare il corso della sua vita di popolo (vv. 1-4) e a pregare per la città alla quale sono giunti (vv. 5-8). La ri­ petizione della frase di apertura nei primi due versi (vv. 1-2) mette in risalto come la storia d'Israele sia sempre stata segnata da conflitti. Persino prima di raggiungere l'età adulta, cioè prima di diventare una nazione, Israele aveva già subìto assalti ostili. Dall'età di Abraamo e di Mosè fino a Esdra e Neemia, Israele ha subìto attacchi. La figura di un aratro che traccia i solchi richiama le ferite patite dal corpo collettivo del popolo (v. 3)237• «La storia d'Israele è tutta una storia di passione»238• Eppure Israele è sopravvissuto e ora, cantando questo canto, i pellegrini ricordano il fatto (v. 2b) e l'autore (v. 4) della loro salvezza. n Signore è «giusto>> (v. 4) perché con i suoi atti si è opposto agli empi. L'immagine delle «corde degli empi» può continuare quella degli «aratori» del versetto precedente239•

2. Empi sono quanti odiano Sion. Sion è la residenza eletta del Signore, il luogo che rappresenta il regno del Signore nel mondo240• La pace e la be­ nedizione dei pellegrini sono legate al bene di Gerusalemme241. Così, essi pregano che ai nemici di Sion vada tutto storto (v. 5). La preghiera ricor­ re alla similitudine dell'erba che mette radici nella terra che ricopre il tetto delle case, ma si secca senza aver raggiunto un minimo di sviluppo: nean­ che un mannello che possa riempire la mano del mietitore; figurarsi, poi, se arriva a formare un covone (vv. 6-7)! Vedendo quel misero raccolto, nes­ sun passante si congratulerebbe con il mietitore e con il compagno addet­ to a legare i covoni dicendo loro: «Che la benedizione del SIGNORE sia su di voi!>> (v. 8a)242• La benedizione finale (v. 8b) può essere semplicemente un

235

Per questa raccolta cfr. sopra il commento a Sal. 120 - 134. Cfr. anche Sal. 124,1 e 118,2-4. 237 Cfr. Is. 1,6; 51,23. 238 H.-J. KRAus, Psalms 60 - 1 50, p. 462. 239 Le «corde>> simboleggiano il controllo politico esercitato da governanti non sottopo­ sti al dominio del Signore (Sal. 2,3) i quali vengono, perciò, considerati «empi>> (Sal. 9,1517). Per forma, argomento e scopo la prima parte del salmo è un omologo del Sal. 124. 240 Cfr. Sal. 122; 48. 241 Cfr. Sal. 122,6-9; 126,1-3; 128,5. 242 Cfr. Ruth 2,4. 236

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Salmo 130: Dagli abissi grido a te! parallelo alla precedente243 oppure è, più probabilmente, una conclusione liturgica del salmo, una invocazione di benedizione che i pellegrini si scam­ biano reciprocamente244. 3. Il pellegrinaggio del popolo del Signore è sostenuto dal ricordo del­ l'aiuto dato dal Signore e continua pregando per la vittoria del regno del Signore.

Salmo 130: Dagli abissi grido a te! Il Sal. 130 è l'undicesimo dei «Canti delle ascese»245. Nella storia della vita spirituale della chiesa il salmo ha un posto notevole, anche per il nome con il quale divenne noto, De Profundis, dalle sue prime parole nella versio­ ne latina. n titolo stesso ne indicava l'utilità per tutti quelli che sentivano di essere negli abissi dell'esistenza. È uno dei sette salmi penitenziali che venivano usati nelle funzioni religiose e nella discipline del pentimento. Lutero lo chiamò «un vero maestro e dottore della Scrittura», il suo modo per dire che il salmo insegna la verità elementare dell'evangelo. Il pome­ riggio che precedette l'esperienza di Aldersgate che trasformò la sua vita, John Wesley246 aveva ascoltato il canto di questo salmo. Questi preceden­ ti raccomandano il salmo quale espressione concisa, ma potente, del tema che costituisce il cuore della Scrittura: la condizione tragica dell'uomo e la sua dipendenza dalla grazia divina. l. n salmo è composto sul modello della preghiera di soccorso indivi­ duale247. n modello è rivisitato ampiamente per creare un canto di preghiera adatto a un'occasione nella quale gli individui e la loro comunità religiosa si fondono in un'identità unica. Una voce singola parla insieme con la comuni­ tà, per essa e a essa. n canto ha quattro parti che sono unificate da elementi di collegamento. n canto si apre con suppliche perché il Signore ascolti (vv. 1-2). Segue poi, invece dell'abituale racconto del problema di una persona specifica, una dichiarazione circa il rapporto tra gli esseri umani peccatori e il Signore che perdona (vv. 3-4). Ai vv. 5-6 il salmo inserisce una professione di fede presentandola come un'attesa del Signore piena di desiderio e spe-

243 Come fa intendere la punteggiatura della NRSV [e di VRL, N.Riv., pacelliana, B.Ger.]. 244 Cfr. NJPS e Sal. 118,26. [Benedizione di chiusura anche per Vulgata, B.Conc.] 245 Per la raccolta dei «Canti delle ascese>> [o «Canti delle salite>>, (B.Ger.)], cfr. sopra il commento a Sal. 120 - 134. 246 John Wesley (1705-91), il fondatore del metodismo, chiamato anche il Riformato­ re del xvm secolo (N.d.C.]. 247 Per questo genere letterario cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.2. 1 .

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ranza. Tale attesa è paragonata a quella delle sentinelle che aspettano il mat­ tino, una similitudine che ripete il primo verbo del v. 3: i pellegrini «stanno all'erta» per il Signore che, invece, non «sta all'erta»248 per le iniquità. Nei versetti finali, il salmo passa dal discorso diretto al Signore all'esortazione rivolta alla comunità religiosa affinché essa speri nella redenzione del Si­ gnore (vv. 7-8). Il tema delle iniquità del v. 3 ritorna esplicitato: si tratta di tutte le iniquità d'Israele (v. 8). Anche l'affermazione «il perdono è presso di te» (v. 4) viene ripresa ed esplicitata con la doppia formulazione del v. 7: «Presso il SIGNORE è la benignità» e «la redenzione abbonda presso di lui». Questi collegamenti mostrano che il tema del canto è la speranza del per­ donq che il Signore concederà, dimostrandosi benigno e redimendo Israele da tutte le sue iniquità. 2. ll salmo capisce la situazione umana. Si vive la vita sempre con il peri­ colo incombente degli «abissi» e anche con l'esperienza degli «abissi». Il ter­ mine «profondità» o «abissi» è una metafora, un'abbreviazione dell' espres­ sione «abissi/profondità del mare»249• Il termine richiama associazioni co­ me annegare, essere travolto e sommerso, essere risucchiato in basso dalle acque abissali (dei problemi e delle angosce)250• Essere nelle «profondità abissali» significa trovarsi dove la morte regna e non c'è più la vita con le sue possibilità e la sua forza, dove l'unica parola vera circa l'esistenza è il grido «sono perduto» (Lam. 3,54-55). Nel nostro salmo, le «profondità» so­ no chiaramente collegate all'iniquità, quelle che appartengono a ogni vita umana (v. 3) e, più specificamente, tutte quelle di cui la comunità della fe­ de si è macchiata e porta la colpa (v. 8). La condizione tragica dell'uomo è quella situazione, complessa e sfaccettata, creata dall'iniquità presente nel­ la vita di individui, comunità e società. Non si tratta soltanto di colpa: è il torrente del male e delle sue conseguenze che trascina via la vita con acque turbolenti e travolgenti che non lasciano scampo, a meno di una redenzio­ ne liberatrice e salvatrice. 3. Il salmo si basa su una teologia fondamentale che viene formulata con­ trapponendo un'ipotesi sbagliata circa Dio, con le sue conseguenze per la situazione umana (v. 3), alla verità circa il Signore, con le sue conseguenze per la comunità della fede (v. 4). L'errore è quello di ritenere che il Signore sia un dio il cui rapporto primario con il genere umano consista nel tener d'occhio e registrare le iniquità dell'uomo. Se le cose stessero così, non ci sa­ rebbe speranza per nessuno, neanche per quelli che sono considerati giusti per la loro fede e fedeltà. Se Dio si comportasse così, nessuno potrebbe so-

248 Così l'ebraico. NRSV: [VRL: ; N.Riv.: ; B.Conc.: «conserva il ricordo>> (= pacelliana); Vulgata: «farai attenzione»]. 249 Cfr. Is. 51,10; Ez. 27,34. 250 Cfr. il contesto nel Sal. 69,2 e 15; Giona 2,2-3.5-6.

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Salmo 130: Dagli

abissi grido a te!

pravvivere. Le «profondità abissali >> sarebbero, allora, l'unica prospettiva25 1 . La verità che il canto conosce e insegna è che «il perdono è presso il SIGNo­ RE»252 Queste parole significano che l'autorità di perdonare e l'inclinazione a perdonare appartengono al Signore. n peccato è sostanzialmente una que­ stione di rapporto con il Signore che è il solo, nella sua sovrana divinità, ad avere il diritto di perdonare, scegliendo di trattare i peccatori benignamen­ te253. Ecco la verità che è insita nella natura dell'iniquità e della sovranità di Dio. Che si deve dipendere dalla predisposizione del Signore al perdo­ no è una lezione che è stata imparata dal modo in cui Dio si è comportato con Israele, particolarmente nell'esperienza dell'esilio254. La conseguenza di questa verità per quelli che la credono è che essi «temono il SIGNORE». Essi possono vivere da «timorati del SIGNORE», cioè come persone che conside­ rano la realtà più grande in assoluto l'autorità e l'inclinazione del Signore a perdonare, e basano quindi, senza riserve, la loro vita su Dio. .

4. n salmo fornisce un atteggiamento a quanti temono il Signore e si tro­ vano nelle profondità dell'abisso: un atteggiamento di attesa del Signore e di speranza in lui, uno dei modi nei quali il timore del Signore diventa un comportamento concreto255. L'uso teologico della coppia terminologica «attesa/speranza» è una peculiarità del libro di Isaia e del Salterio. I due verbi «attendere» e «sperare» sono sinonimi256 usati per parlare della fidu­ cia considerandola un'attività che deve tener conto del tempo e, di fatto, ne tiene conto; un atteggiamento di perseveranza che sopporta il presente an­ ticipando la conferma futura. «L'attesa del SIGNORE» appartiene a un tempo di tribolazione nel quale è stata proclamata una parola profetica di salvez­ za257 o pronunciata una promessa divina di misericordia258. «Attendere il SIGNORE» è l'atto di una fiducia che trae forza e coraggio dalla certezza di ciò che deve ancora venire259, che trova la voce per una preghiera che non si fa scoraggiare260 • n Sal 130 è tutto un'attesa del Signore. .

5.

Il salmo dichiara la certezza di una redenzione completa e definitiva.

n Signore, che ha autorità e potere di manifestare benignità e misericor­

dia (l:zesed) con l'opera della redenzione, completerà la propria sovranità

25 1 Per la confessione che non ci sono giusti al cospetto del Signore, vedi il commen­ to a Sal. 143,2. 252 In ebraico il perdono ha l'articolo determinativo, come lo ha anche la benignità o misericordia al v. 7. 253 Cfr. Es. 33,19; Mc. 2,1-12. 254 Cfr. il commento al Sal. 103. 255 Cfr. Sal. 33,18-22. 256 Cfr. Is. 51,5. 257 Cfr. Is. 8,17; 25,9; 26,8; 33,2; 40,31; 49,23; 60,90; Lam. 3,24-26. 258 Cfr. Sal. 25,3.5.21; 119,43.74.81 .114.147. 259 Cfr. Sal. 31,24; 27,14. 260 Cfr. Sal. 40,1; 69,3.6; Ger. 14,22.

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Libro quinto

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redimendo Israele da tutte le sue iniquità. Tale messaggio ha una portata escatologica insolita per l'Antico Testamento. Salmi 25,22 chiede a Dio di liberare «Israele da tutte le sue tribolazioni>>, una preghiera che con la sua somiglianza con la dichiarazione del nostro salmo ci ricorda che la reden­ zione include la liberazione non soltanto dalla colpa, ma anche da tutta la ragnatela degli effetti del peccato che imprigiona e paralizza la vita. n per­ dono divino sarà adempiuto con la libertà che appartiene ai figli di Dio. L'Antico Testamento non dice quando e come tutto ciò avverrà, ma è con la speranza di tale evento che viene compiuto ogni pellegrinaggio nelle pro­ fondità abissali.

Salmo 131: L'anima mia, come un bimbo

n Sal. 131 è il dodicesimo dei «Canti delle ascese»261 • Esso ha per tema la fiducia nel Signore e si chiude con l'esortazione: «O Israele, spera nel SI­ GNORE, ora e sempre>> (v. 3). Per entrambi questi aspetti è simile al Sal. 130 e ne è l'omologo. l. Il salmo è composto come voce di un individuo in un contesto comu­ nitario. La sua parte principale è costituita dalla testimonianza all'atteg­ giamento religioso di una persona (vv. 1-2), ma la fine è un'esortazione che raccomanda quell'atteggiamento a tutto Israele (v. 3). La fiducia nel Signo­ re di un pellegrino è presentata a tutto il gruppo di pellegrini. I primi due versetti contrappongono l'io che è orgoglioso e arrogante all'anima che è tranquilla e paziente, illustrata con la similitudine del bambino svezzato che riposa sul seno della madre. n v. 2 è preparazione e interpretazione del v. 3. La perla di questo canto, breve e semplice, è l'uso che esso fa della toc­ cante immagine del bimbo e della madre per richiamare la realtà personale e psicologica dell'espressione teologica (l Sam. 17,12). Betlemme si trova a circa 8 km a sud, Kiriat-learim circa 13 km a ovest di Gerusalemme [N.d.C. ] . 271 Da notare come le espressioni dei vv 8-9 corrispondano a quelle dei vv 14 e 16. .

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Salmo 132:

Davide e Sion

in realtà, piuttosto complessa. Essa è un appello al Signore perché non ri­ pudi la monarchia davidica, tenendo presente il ruolo avuto da Davide nel trovare un «luogo» per il Signore; alla supplica segue immediatamente la risposta: il Signore non cambierà la sua decisione di mantenere la dinastia reale di Davide, poiché il Signore ha scelto Sion e «là» egli farà germogliare il «como» e terrà accesa la «lampada» per il suo Unto.

3. Nella teologia del regno di Dio del Salterio, Sion e il re unto sono argo­ menti di fondamentale importanza. Ci sono salmi dedicati espressamente a Sion e al Messia272• Il Sal. 89 è l'unico altro salmo che descrive sommaria­ mente i termini della scelta di Davide effettuata dal Signore; esso dedica una parte allo stabilimento perpetuo della dinastia di Davide e alle condizioni fissate dalla legge perché ciò avvenga273• Nel Sal. 89 e in II Sam. 7 l'impe­ gno divino verso la dinastia di Davide è irrevocabile; i re davidici saranno puniti se non osserveranno il patto, ma la fedeltà di Dio non sarà revocata. Nel nostro salmo l'osservanza del patto è una condizione della permanenza del trono di Davide (v. 12). Tra tutti i salmi che esaltano Sion quale dimora del Signore, il Sal. 132 è l'unico che accenni agli eventi storici che portarono la città al suo ruolo nell'ambito del rapporto del Signore con Israele e con il mondo. La prima parte del nostro salmo è una versione liturgica della sto­ ria del trasferimento dell'arca del Signore da Kiriat-Iearim a Gerusalemme compiuto da Davide. «L'abbiamo trovata nei campi di Iaar» (v. 6) è note­ volmente simile alle parole del Signore nel Sal. 89,20: «Ho trovato Davide, mio servo»; in entrambi i casi si indica un punto di inizio storico. L'unico altro testo nel Salterio che collega così strettamente l'elezione divina di Da­ vide e di Sion è la lunga lezione insegnata nel Sal. 78. Alla fine del salmo (78,67-72) si afferma che la duplice scelta di Davide e di Sion costituì l'isti­ tuzione salvifica mediante la quale il Signore supera la storia peccaminosa del suo popolo. Tuttavia, è soltanto nel Sal. 132 che Davide è un attore co­ me nella storia del libro di Samuele. Qui Davide prende l'iniziativa e fa un voto; eppure il testo dice che l'azione di Davide è dovuta al desiderio e alla scelta del Signore. L'iniziativa umana è misteriosamente convergente con il desiderio divino. L'impegno umano per trovare un posto per la Presenza assume la forma della scelta divina di un posto per la Presenza.

4. Nel contesto dei «Salmi delle salite», il Sal. 132 può avere due funzio­ ni. Per prima cosa, esso dichiara la ragione teologica per la quale Sion è la città «alla quale salgono le tribù del SIGNORE» (Sal. 122,4). Il Signore si alzò per andare a questa città, al «luogo del suo riposo» (Sal. 132,8). I pellegrini seguono il Signore per andare dove anch'egli è andato. «Luogo di riposo» è un termine peculiare a questo salmo per indicare Sion. Esso significa de272 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 6.10-11 e il commento ai salmi ivi indicati. anche II Sam. 7,4-17 e il commento al Sal. 89, vedi sopra, pp. 317 ss.

273 Sal. 89,29-37; cfr.

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Libro quinto - Salmi 107 - 150 stinazione, meta del viaggio; «trovare un luogo di riposo» significa arriva­ re a casa274• Poiché per il Signore la città di Sion è tutto questo, anche per i pellegrini essa è destinazione, culmine, arrivare a casa275• Poiché il Signore ha reso Sion il luogo della benedizione (vv. 15-16; cfr. Sal. 133,3), i pellegri­ ni vi si recano chiedendo le provviste e il pane, la salvezza e la gioia che si trovano nella Presenza. Il salmo dice che la benedizione è un dono di Dio ed essi vengono per riceverlo. In secondo luogo, il salmo serve ai pellegrini da liturgia di preghiera e promessa. Esso dà la chiara impressione di appartenere a un'epoca quan­ do sul trono di Giuda non c'era un successore di Davide. Sion c'è, ma l'Un­ to del Signore no. Eppure Sion c'è: esiste quale luogo della Presenza grazie all'impegno generoso e totale di Davide. È interessante notare che la ver­ sione della preghiera pronunciata da Salomone all'inaugurazione del Tem­ pio, riportata in II Cr. 6, si chiude con una citazione di Sal. 132,8-11276• La preghiera del successore di Davide supplica il Signore affinché il Tempio sia un luogo di preghiera efficace e la citazione del salmo, basa la richiesta sul trasferimento dell'arca e sul ruolo avuto da Davide in questo provvedi­ mento. Una volta ancora, un luogo e una persona. Sion senza un Messia è una negazione del legame indissolubile tra Davide e Gerusalemme. Luogo e persona sono una cosa sola come rappresentazione e manifestazione del regno di Dio277• Il salmo presuppone quello stretto legame e ragiona tenen­ dolo presente. Il Signore, dice, non revocherà il giuramento fatto a Davide (v. 11) «poiché il SIGNORE ha scelto Sion, l'ha desiderata per sua dimora» (v. 13). La convergenza tra il servizio di Davide e il desiderio del Signore si­ gnifica che Sion è eternamente una richiesta rivolta al Signore in favore di Davide. Così il salmo è, nelle sue due parti, voce di preghiera e proclama­ zione di speranza. Nel salmo, i pellegrini sentono affermare che là, in Sion, ci saranno - parola del Signore - un como e una lampada per Davide. 5. Quando il salmo è letto nel contesto del canone della Scrittura, la sup­ plica iniziale attira l'attenzione. La supplica si richiama alle 'unnot di Da­ vide. Il termine ebraico contiene l'idea di «umiliazione, afflizione». Con un occhio al contesto (vv. 3-5), la NJPS traduce «la sua grande abnegazione»278•

274 Cfr. Sal. 84,3; Lam. 1,3.

275 Cfr. Sal. 84. 276 Cfr. II Cr. 6,41-42. 277 Cfr. Sal. 2,6. 278 VRL e N.Riv. traducono il termine (qui e in I Cr. 22,14) con ; B.Conc. con qui e «fatica>> in I Cr. 22,14; B.Ger. con «le sue prove>> qui e «in mezzo alle angosce>> in l Cr. La Vulgata ha qui , ma >. Cfr., per esempio, Sal. 23,5; 82,10; 141,5. 284 Cfr. Es. 29,7; 30,22-32; Lev. 29,7. [I sacerdoti della linea di Aaronne avevano l'esclu­ siva dell'olio dell'unzione e indossavano vesti particolari che li distinguevano dagli al­ tri leviti (Es. 28 - 29). ll v. 2 si riferisce a tale usanza, che cessò dopo l'esilio. Nel secondo Tempio i discendenti di Aaronne furono esonerati dalle vere funzioni di culto.] 283

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Salmo 134: Sia benedetto il Signore e sia tu benedetto Dio è all'opera, costruendo una famiglia che trascende tutte le barriere esi­ stenti e istituite che separano, riducendo la vita.

Salmo 134: Sia benedetto il Signore e sia tu benedetto Il Sal. 134 è il quindicesimo e ultimo dei «Canti delle ascese»285• Come se si trovassero in un rapporto reciproco, esso coordina la benedizione in­ vocata dalla comunità sul Signore con la benedizione che il Signore fa scen­ dere sul proprio popolo. l. Il Sal. 134 è il piu breve di una raccolta di salmi brevi. Il suo tema, la benedizione, appare in tre dei quattro versi che lo compongono. Il salmo presenta due momenti liturgici. Il primo è un invito alla benedizione diretto ai servi del Signore che si apre e chiude con l'imperativo «benedite il SIGNo­ RE!» (vv. 1-2). Il secondo è una benedizione pronunciata su un individuo (v. 3). È impossibile assegnare con certezza l'invito e la benedizione a gruppi o a funzionari templari specifici. I servi del Signore che stanno nella casa del Signore potrebbero essere leviti286. Salmi 135,1-2 usa espressioni simili, ma altrettanto indefinite. Si parla di «servi del SIGNORE» in inviti generali a loda­ re il Signore e nei salmi l'espressione è usata per indicare l'Israele fedele287. Alcune traduzioni preferiscono pensare che si tratti del personale profes­ sionale addetto al Tempio e alle funzioni normalmente previste dal rituale ufficiale288. La benedizione del v. 3 può essere una benedizione sacerdota­ le289. Salmi 129,8 sottintende che persone di passaggio si scambiano bene­ dizioni, ma forse la precisazione «da Sion» è un punto a favore dell'ipotesi che si tratti proprio di una benedizione sacerdotale. Il salmo si trova adesso in un'ambientazione letteraria più che liturgica e in tale contesto costituisce un'ottima conclusione dei «Canti delle ascese». Esso ricapitola i principali punti d'interesse della raccolta e dichiara lo scopo del pellegrinaggio a Sion: lodare il Signore e ricevere la benedizione dal Signore290•

285

Per la raccolta, vedi sopra il commento a Sal. 120 - 134. Cfr. Deut. 10,8. 287 Cfr., per esempio, Sal. 113,1; 135,14; 90,13; 102,14. 288 NJPS: ; REB: . [VRL, N.Riv.: ; B.Conc., B.Ger.: «durante le notti>>; la Vulgata aggiunge un emistichio e ha una punteggiatura diversa: il potere del Signore che renderà la tua vita soddisfacente.

Salmo 135: Il popolo che Dio crea n Sal. 135 è un inno di lode che ha chiari nessi verbali con il suo contesto letterario. Come il Sal. 134 esso si rivolge ai «servi del SIGNORE che stanno nella casa del SIGNORE» (vv 1-2; cfr. Sal. 134,1) e come quello presenta il te­ ma della benedizione in Sion e da Sion (vv 19-21; cfr. Sal. 134,3). n Sal. 135 loda il Signore che è il Dio al di sopra di tutti gli dèi (v. 5), una nota che ri­ suona nel Sal. 136 (vv 2-3), dove (vv 10-22) si incontra anche la ripetizione del sommario della storia d'Israele già usato nel nostro salmo (vv. 8-12). In coppia, i salmi di lode 135 e 136 fanno da riscontro ai Sal. 111 - 118, ripren­ dendo il loro «Alleluia!» e «Rendete grazie al SIGNORE» dopo l'intervallo della preghiera per la Legge del Signore (Sal. 119) e le voci dei pellegrini che risuonano nella raccolta dei «Canti delle ascese» (Sal. 120 - 134). .

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l. Il Sal. 135 non è soltanto un inno di lode dal punto di vista del model­ lo letterario; il suo compositore lo ha fornito generosamente di espressioni di lode. Esso è racchiuso tra due «Alleluia!», il classico grido liturgico291• L'apertura è quella di un inno imperativo292, con un invito diretto ai servi del Signore affinché lodino il suo nome, poiché il Signore è buono e il suo nome è amabile (vv 1-3). Al centro del salmo il nome del Signore è lodato in discorso diretto (v. 13) e alla fine c'è un appello rivolto a Israele, ai suoi sacerdoti e a tutti quelli che temono il Signore a benedire il Signore (vv. 1920), seguito, come nei fuochi d'artificio, da una forte esplosione conclusi­ va: un alto grido finale che esorta la comunità che vive in Sion a invocare la benedizione su Colui che dimora in Gerusalemme (v. 21). Il corpo del sal­ mo con il contenuto della lode è racchiuso tra le due sezioni imperative ed .

29 1 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.5.2. Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.5.4.

292

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Salmo 135:

ll popolo

che Dio crea

è diviso in due parti dalla lode del nome del Signore in discorso diretto (v. 13). La struttura e il pensiero di questa parte centrale sono piuttosto com­ plessi. Due temi distinti sono contenuti in due proposizioni coordinate (vv. 4-5) rette dalla sezione imperativa iniziale. n primo tema è il rapporto par­ ticolare del Signore con Israele, il secondo la superiorità del Signore rispet­ to a tutti gli dèi. n primo tema sembra essere svolto dal racconto sommario della storia della nascita d'Israele (vv. 8-12) e dalla proposizione collega­ ta alla lode centrale (v. 14). n secondo tema è sviluppato con dichiarazioni circa la sovranità incondizionata e assoluta del Signore (v. 6) e il suo con­ trollo sulle tempeste (v. 7), ed è ripreso più avanti con la polemica contro gli idoli e quanti confidano in essi (vv. 15-18). Il materiale dei due temi è intrecciato così da servire, nel complesso, a un unico scopo: evidenziare il contrasto tra il Signore con il suo popolo, da un lato, e le nazioni con i loro dèi, dall'altro. Con il v. 6 si apre il motivo tematico di ciò che il Signore fa: il v. 7 dice ciò che egli fa nei cieli e i vv. 8-12 ciò che egli ha fatto sulla terra. Poi i vv. 15-18 raccontano, al contrario, quello che gli dèi delle nazioni non possono fare. n Signore ha scelto Israele perché fosse il suo popolo parti­ colare (v. 4) e lo ha stabilito nel mondo delle nazioni (v. 12); per portare a termine tale operazione, il Signore ha sconfitto molte nazioni e i loro re po­ tenti (vv. 8-11). n Signore ha fatto Israele, mentre sono le nazioni che fanno i loro dèi (v. 15)293• 2. Per realizzare il suo progetto, il compositore del salmo ha usato al­ cuni testi classici presi da contesti rilevanti. La lode «eterna» del nome del Signore (v. 13) è una riformulazione di quanto il Signore dice circa il pro­ prio nome in Es. 3,15. Al versetto successivo (v. 14), l'assicurazione che il Signore renderà giustizia al proprio popolo cita il culmine del Cantico di Mosè, là dove questi parla di come il Signore manterrà il suo rapporto con Israele in mezzo alle nazioni e ai loro dèi (Deut. 32,36). n v. 4 usa il voca­ bolario di Mosè quando parla d'Israele quale popolo eletto del Signore, il suo «tesoro particolare>>; il contesto originario parla del Signore che spazza via le nazioni i cui dèi Israele deve evitare (Deut. 7; cfr. 7,6 ed Es. 19,5). La confessione personale della grandezza del Signore che supera tutti gli al­ tri dèi e tutti gli idoli (v. 5)294 richiama i salmi che celebrano il regno del Si­ gnore295. Il v. 7b appare altrove nell'Antico Testamento, nel contesto di una contrapposizione tra il Dio d'Israele e gli dèi delle nazioni2%. Per la polemi­ ca contro gli dèi delle nazioni, il salmista ha utilizzato Sal. 115,3-8 e posto la sua espressione tematica circa la sovranità del Signore al v. 6, spostando

293 Si noti il modo nel quale i termini «servi>>, «popolo>>, «nazioni>> e i nomi propri ven�ono usati per mettere in risalto il contrasto di fondo. 4 Qui il verbo è usato nel senso di «riconoscere>>. 295 Cfr. Sal. 95,3; 96,4.5; 97,7.9. 296 Cfr. Ger. 10,13; 51,16.

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il resto ai vv. 15-18, un espediente per mettere entrambe le parti del corpo del salmo sotto l'etichetta «gli dèi delle nazioni»297• Per il suo resoconto di ciò che il Signore ha fatto nel mondo il poeta ha usato una versione del Sal. 136,10-22 che mette in risalto, in maniera selettiva, la vittoria del Signore sulle altre nazioni; i loro nomi specifici vengono opposti al tema del nome del Signore. Così, l'interesse del salmo per la contrapposizione tra il Signo­ re con Israele, suo popolo, e le nazioni con le loro divinità risulta evidente non solo dalla struttura letteraria del testo, bensì anche dalla scelta dei testi citati e dal modo in cui essi vengono utilizzati. Il salmo ricorda e richiama tutti questi contesti, la cui rilevanza e la cui forza fluiscono nel linguaggio del salmo e nella sua esecuzione. 3. Il fatto che il Signore abbia eletto Israele è la dimostrazione che tutti gli dèi non sono che idoli: questa è la teologia del nostro salmo. Il Signore ha scelto un popolo perché fosse suo possesso personale, lo ha difeso dal­ le potenze del mondo e ha dato in eredità al proprio popolo il loro paese. Il Signore domina su tutto e su tutti e compie la propria sovrana volontà, ma il suo popolo è il suo possesso particolare e la sua storia è la chiave alla verità elementare circa l'universo, la chiave per capire chi regna in cielo e sulla terra. Dietro alla lode del Dio il cui intervento per liberare e stabilire il proprio popolo è manifesto nel temporale (vv. 7-12) c'è la tradizione del Signore nelle vesti del divino guerriero298, la cui vittoria è la rivelazione che «il SIGNORE regna». Tale è la grandezza del Signore celebrato in questo inno ed è solo su quella grandezza che il popolo del Signore fa affidamento. Al centro dell'inno spicca un'affermazione che riguarda il presente e il futuro: «Il SIGNORE renderà giustizia al suo popolo» (v. 14). Queste parole riconosco­ no che il popolo del Signore celebra ancora il suo culto in mezzo a governi potenti e opponendosi a dèi che sono il prodotto delle capacità umane. Non soltanto il passato del popolo del Signore deve essere opera del Signore, ma anche il suo futuro. I cristiani recitano e cantano il salmo consapevoli che la decisione del Signore di scegliersi un popolo perché fosse suo possesso particolare nel mondo illumina il significato della vocazione che hanno ri­ cevuto mediante Gesù Cristo299• Per noi, il contrasto tra il popolo che Dio crea e gli dèi che le nazioni fabbricano non è un problema risolto.

297 Cfr. il commento al Sal. 115. Cfr. il commento ai Sal. 68 e 11 4 . 299 Cfr. I Pie. 2,9 e Tito 2,14.

298

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Salmo 136: La bontà del Signore dura in eterno Salmo 136: La bontà del Signore dura in eterno Il Sal. 136 fa coppia con il Sal.135. Sono entrambi inni che lodano il Si­ gnore recitando le opere del Signore. Il Sal. 135 usa la narrazione per met­ tere in risalto la differenza tra il Signore con il suo popolo e le nazioni con i loro idoli. Il Sal. 136 usa il racconto per esporre la bontà del Signore300 . Dato che nel Sal. 136 il racconto costituisce il contenuto della lode, molto spes­ so il nostro salmo è classificato tra i salmi storici, insieme con i Sal. 78; 105; 106301. Tuttavia, la storia, così come appare in questi salmi, non è certo la ricostruzione critica del passato. Il Sal. 136 fa un uso liturgico della tradizio­ ne; l'interesse primario dell'inno è il modo nel quale il passato si ripercuote sul presente e plasma il futuro. Gli eventi ricordati vanno oltre quelli che vengono abitualmente registrati nei documenti storici perché manifestano l'identità del Signore la cui bontà abbraccia tutto quanto il tempo. l. TI salmo si apre con una breve formula laudativa: «Rendete grazie al SIGNORE, perché egli è buono, perché la sua benignità dura in eterno» (v. 1). Il verso può essere considerato a buon diritto una formula, perché il testo aveva chiaramente un'esistenza autonoma nel repertorio liturgico d'Israele dove era, appunto, un'espressione consolidata di ringraziamento. Nei libri delle Cronache l'uso della formula è associato alle corporazioni levitiche di cantori che, a quanto sembra, la cantavano quale formula iniziale fissa di lode in varie occasioni, e poteva essere anche usata in una litania, alla quale partecipava anche l'assemblea di culto302. La formula fu usata nella composizione di salmi quale elemento strutturale iniziale o conclusivo o an­ che come momento compositivo303• La formula ricalca il modello dell'inno imperativo di lode304• Lo schema è costituito da un invito al culto formu­ lato con un imperativo plurale sostenuto dalla congiunzione «poiché» che introduce una causale contenente il motivo e il contenuto della lode. Nel­ la formula la motivazione è costituita semplicemente dal predicato > .

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Salmo 136: La bontà del Signore dura in eterno al Signore un potere ineguagliabile e universale. La scelta dei prodigi ser­ ve poi a concretizzare questa potenza senza pari. Diversamente dagli altri salmi storici, il Sal. 136 include anche gli atti mirabili della creazione. I fatti della storia d'Israele sono scelti e formulati in maniera tale da illuminare la sovranità di «Colui che solo opera grandi meraviglie» (v. 4). La persona di Dio è resa con l'elencazione delle opere di Dio. Il nome prende contenuto e realtà mediante il collegamento con il mondo e la storia d'Israele. D'altro canto, il mondo e la storia del popolo di Dio diventano meravigliosi quan­ do sono considerati opera del Signore.

4. L'inno è strutturato in maniera tale che il racconto delle opere mera­ vigliose del Signore risulti anche una spiegazione del ritornello «perché la sua benignità (besed) dura in eterno» l;Iesed è la caratteristica e l'attività della disponibilità attendibile ad aiutare efficacemente: è l'attributo del Signore che nei salmi è più spesso oggetto della lode e al quale più frequentemente i salmisti si appellano307• Quando la narrazione collega gli atti mirabili con il ritornello, risulta evidente che lo besed è azione: le meraviglie sono una esecuzione, una realizzazione dello "Qesed. Le parti che raccontano la storia d'Israele dicono ogni volta come il potere di Dio sia stato utile a Israele; per esempio, quando il Signore colpì duramente l'Egitto, lo fece per far uscire il proprio popolo dal paese, dalla «casa di schiavitù»308• La storia d'Israele è una testimonianza resa allo besed del Signore che salva «Israele, suo ser­ vitore» (v. 22). Ma, dice la narrazione, persino la creazione manifesta la be­ nignità del Signore: cielo e terra, giorno e notte sono opera della bontà del Signore. Tutta la vita è vissuta e sostenuta dall'aiuto disponibile e attendi­ bile del Signore309• La creazione dell'universo e la salvezza del popolo di Dio sono, entrambe e unitamente, una storia di qesed. Lo qesed del Signore è eterno e riempie di sé tutto il tempo310 • .

5. La sezione finale è decisamente caratteristica, anzi unica nel suo ge­ nere, poiché conclude il racconto, ma estende la narrazione oltre la sequen­ za classica di creazione e storia della salvezza, elencando due momenti che corrispondono, in ordine inverso, alla duplice tematica ovvero alle due fa­ si tradizionali delle opere divine. I vv. 23-24 continuano la storia d'Israe­ le e qui, per la prima volta, la comunità che recita il salmo si presenta, fa­ cendo riferimento a se stessa. Le prove della benignità eterna del Signore continuano ancora e includono la vita della comunità, la quale testimonia che il Signore si è ricordato di lei e di tutti i suoi membri nell'ora della loro umiliazione, quando erano «giù ed esclusi», e li ha soccorsi, liberandoli dai

307 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.5.3 e 6.8. Cfr. il commento al Sal. 103, vedi so­ pra�p. 362 s. Cfr. i vv. 11 .14.16.21. 309 Cfr. il Sal. 104 e relativo commento. 310 Cfr. Sal. 36,5-9; 57,10; 119,64. ·

461

Libro quinto - Salmi 107 - 150 loro nemici

(vv. 23 s.)311• Queste considerazioni sembrano riecheggiare la che confessa di beneficiare dello hesed del

voce della comunità postesilica

Signore ai proprì tempi. La storìa classica viene continuamente aggiorna­

ta dalla comunità. La chiesa del Nuovo Testamento aggiungerà la propria testimonianza dell'opera della benignità di Dio. La benignità del Signore è

veramente eterna. n v. 25 fa da rìscontro all'opera divina della creazione. n Signore dà cibo a ogni carneJ12. Questa affermazione fa scendere la storia su

ogni desco e rende il racconto delle opere potenti del Signore un preludio a ogni benedizione pronunciata sul cibo che mangiamo. Qui si può capire chiaramente perché nostro Signore ci abbia insegnato a pregare per la ve­ nuta del regno di Dio e per il dono del pane quotidiano in quella sua breve preghiera313• Entrambi i momenti sono parti del continuum delle opere po­ tenti di Dio. Tutta la storia e ogni giorno della nostra vita quotidiana sono

contenuti nella storia della benignità eterna del Signore.

Salmo 137: Il canto delle due città Il Sal. 137 parla di Sion, ma non rientra tra i «Canti di Sion>> che sono

caratterizzati da grande gioia e fiducia nel Signore. In essi Gerusalemme è maestosa e inespugnabile, salda davanti a ogni attacco degli eserciti nemi­

ci314. Nel nostro salmo, invece, Gerusalemme è stata rasa al suolo e il salmo stesso

è pieno di ricordi amari e dolore insopportabile.

1. Diversamente da tutti gli altri salmi, il Sal. 137 si riferisce a luoghi,

tempi e avvenimenti precisi, indicando così una situazione storica specifi­

ca. n salmo guarda al passato: alla caduta di Gerusalemme, a Babilonia con

gli alleati di Edom, alla cattività babilonese e al soggiorno in terra straniera, all'esperienza di una popolazione incatenata e deportata. Nel salmo sembra

farsi sentire la voce degli esuli che sono ritornati in patria per vivere tra le rovine di Gerusalemme prima della ricostruzione. La memoria delle umi­

liazioni inflitte loro da Babilonia e subìte durante la cattività babilonese è

ancora fresca e il conto con gli edomiti traditori non

è stato ancora chiuso.

L'autore del salmo potrebbe essere stato uno dei musici del Tempio trascina­

to in esilio con strumenti e spartiti del repertorio musicale del Tempio. Lui stesso e altri leviti della corporazione dei musici templari sarebbero stati il bersaglio specifico del crudele senso dì umorismo dei loro aguzzini. 311 n verbo ripetuto è come un indice puntato ver­ so quel luogo in «terra straniera>> (v. 4, NJPS). «Là>> era un luogo dove Sion veniva ricordata nei culti di lacrime e lamento della comunità degli esuli che con le loro lacrime e cerimonie di lutto mantenevano viva la memoria di Gerusalemme. Il loro ricordo non era una semplice nostalgia personale, un desiderio di rivivere scene familiari e rivedere i luoghi abituali; era piutto­ sto una devozione castigata, una devozione che aveva avuto un suo prezzo. I carcerieri babilonesi schernivano i cantori chiedendo loro di eseguire uno

315 Cfr. Sal. 42,4-5; Lam. 3,19-21; Num. 11,4-6. 316 Cfr., per esempio, Sal. 25,7; 74,2; 109,14. 317

Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.4.

318 Cfr. sopra il commento a Sal. 120 - 134.

463

Libro quinto - Salmi 107 - 150 dei «canti di Sion»319• La richiesta era in realtà un insulto al Dio dei depor­ tati, simile alla domanda beffarda «Dov'è il vostro Dio?», già incontrata in altri salmi320• Aguzzini e prigionieri sapevano entrambi perfettamente che non era questione di musica, bensì di fede. A Babilonia non si potevano can­ tare inni di gioia; cantare canti gioiosi che celebrano la sovranità del Signore in una terra che rappresentava un'altra sovranità sarebbe stato tradimento. «Là» la voce della fede era voce di preghiera e lacrime321 • 4. Nella seconda parte del salmo l'attenzione si sposta sulla città di Geru­ salemme che viene apostrofata direttamente. Qui i cantori giurano di rinun­ ciare all'uso delle mani che suonano l'arpa e della lingua che canta i canti del Signore se non manterranno il giuramento di non dimenticare Gerusa­ lemme e di ricordarla. Hanno ricordato Sion in Babilonia, ricorderanno Sion in Sion. Essi non permetteranno ad alcuna gioia della vita né ad alcuna cir­ costanza, neanche a quella di essere nuovamente in patria, di far passare in secondo piano le loro lacrime e preghiere per la città il cui posto nel regno del Signore non è stato riconosciuto. Sion non è semplicemente il posto nel quale essi sono a proprio agio: essa è «la città del Gran re» (Sal. 48,1). I can­ tori sanno perfettamente che il problema non sta nel dove essi si trovano, bensì se il Signore regni veramente nel mondo nel quale vivono.

5. Nella terza parte del salmo l'attenzione si concentra sul Signore. Si in­ voca il nome del Signore e si prega. I cantori ricordano Gerusalemme rivol­ gendo al Signore un appello perché si ricordi di Gerusalemme vendicando­ ne la distruzione sugli alleati che, uniti, l'hanno distrutta: Edom e Babilo­ nia. Le beatitudini dei vv. 8 e 9 fungono, con il loro contenuto violento, da augurio. In breve, le preghiere sono una pura e semplice richiesta di casti­ go. Massacrare i bambini (v. 9) era un sistema militare occasionate al qua­ le si ricorreva quando lo scopo era quello di attuare una «pulizia etnica», cioè di eliminare radicalmente una popolazione322• Non c'è modo di elude­ re il dolore e l'ira viscerale che anima queste preghiere. Per essere valutate e spiegate esse rimandano ai libri di storia, ma non devono essere in alcun modo ridotte a un desiderio personale di vendetta crudele e selvaggia. I cantori pregano spinti dallo zelo per il Signore e per il luogo di dimora del Signore. Essi pregano nella convinzione che il regno del Signore debba ma­ nifestarsi nelle vicende di popoli e nazioni. In questa loro visione essi non sono soli, ma in compagnia di quei numerosi profeti che hanno invocato la

319 L'espressione va intesa in senso generico; è un riferimento agli inni in lode del Signore che venivano cantati nel Tempio di Gerusalemme, non certo a un genere inno­ dico:r,.ecifi.co. 3 Cfr. il comqtento ai Sal. 42 - 43, vedi sopra, p. 198. 321 Si ricordi la reazione di Neemia alle notizie circa le condizioni di Gerusalemme (Ne. 1,4). 322 Cfr. ll Re 8,12; Os. 10,14; Na. 3,10.

464

Salmo 138: Con tutto il mio cuore

punizione di Edom e Babilonia323• Qualunque siano le riserve giustificabili che possono indurci a omettere le loro preghiere dai nostri lezionari e libri di preghiera, esse non devono oscurare il problema che la loro passione e comprensione solleva nei confronti delle nostre. 6. Quando il loro canto fu conservato e usato come salmo, i nomi di Babi­ lonia e Gerusalemme stavano diventando simboli: Babilonia, della civiltà di questo mondo che non sa che il Signore regna; Gerusalemme, della città di Dio che è e sta venendo (Apoc. 18; 21). Il canto può stimolare e rinfocolare la nostra consapevolezza di quanto sia anomalo cantare i canti del Signore in una cultura aliena senza sentire la contraddizione tra le nostre parole e il nostro mondo. La fede non può mai dimenticare «Gerusalemme». La fe­ deltà ricorderà nel dolore e nella preghiera.

Salmo 138: Con tutto il mio cuore l. Il Sal. 138 è un inno di ringraziamento per la salvezza ottenuta cantato con tutto il cuore. Il salmo utilizza il modello del canto di ringraziamento individuale che si apre con l'espressione tipica di quel genere letterario - «ti rendo grazie, o SIGNORE» - ampliata con la frase pregnante presa dal Deute­ ronomio, «con tutto il mio cuore»324• Invece di un sacrificio, il cantore offre questo canto dopo essersi inchinato verso il Tempio per adorare il Signore. Il Tempio è detto «santo» perché è il luogo della Presenza (v. 2). Il racconto della liberazione, conciso nei suoi termini essenziali, «ho gridato-tu mi hai risposto», rende ragione della lode (v. 3). Poi una sezione innodica annuncia la speranza che tutti i re della terra si uniranno alla lode del salmista perché avranno conosciuto le vie del Signore (vv. 4-6). La parte finale è una dichia­ razione di fiducia nella costante liberazione del Signore. Il salmo si chiude con la supplica che alla fine la fiducia si dimostri ben riposta (vv. 7-8). 2. Sebbene composto nello stile della prima persona singolare, il salmo può essere considerato un canto di lode generale cantato dal popolo ri­ stabilito nel periodo postesilico e scritto sotto l'influenza dei profeti le cui parole sono raccolte in Is. 48 - 66325• Il salmo è il canto di una persona che parla per tutto il popolo o è la personificazione del popolo326• La salvezza

323 Per Babilonia cfr. Is. 47,1-15; Ger. 51,1-58. Per Edom: Is. 34,1-17; Ger. 49,7-22; Ez. 35,1-15; Abdia) . . 324 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.3. 325 Cfr. i commenti di A.F. KIRKPATRICK e H.-J. KRAus. 326 Cfr. Is. 12,1-6; 25,1 . 465

Libro quinto - Salmi 107 - 150 e il ristabilimento del popolo hanno esaltato il nome e la parola del Signore adempiendo le profezie di salvezza fatte nel nome del Signore (v. 2)327• In questo salmo i redenti compiono la loro vocazione di essere testimoni, al cospetto degli dèi e delle nazioni, della sovranità del Signore rivelata nella sua salvezza (vv. 1b-2)328• Quella rivelazione dovrebbe meritare e ottenere il riconoscimento dei re delle nazioni perché essi hanno udito gli oracoli pro­ nunciati dai profeti e che ora sono adempiuti (v. 4)329• La gloria del Signore è stata rivelata a tutti (v. 5)330 mediante i modi sorprendenti nei quali egli si comporta con il mondo. La sua salvezza è l'opera dell'Eccelso in favore de­ gli umili, del Potente in favore dei deboli (v. 6)331• Il popolo dei redenti con­ fessa al Signore di essere «l'opera delle tue mani» (v. 5)332. Considerandosi tali, i redenti si apprestano a vivere una vita di fiducia in mezzo ai pericoli della storia (v. 7), sapendo che il Signore porterà certamente a compimento ciò che ha cominciato in loro (v. 8). 3. Il salmo è, quindi, una guida sicura al significato e alla pratica del rin­ graziamento da parte dei redenti. Esso ci ricorda che la salvezza viene a noi come individui in una società e crea una società che può parlare, unita, come una persona sola. Esso insegna che la nostra salvezza non è, prima di tutto e soltanto, per il nostro bene, bensì è anche, e soprattutto, la rivelazione del regno di Dio a venire. Di ciò noi dobbiamo essere testimoni verso gli «dèi)) e i governanti del mondo. Il risultato della salvezza è una vita di fiducia e preghiera. Per i redenti, la vita continua con tutte le sue incertezze e i suoi pericoli; la salvezza di Dio dà loro ragione di sperare che Dio porterà sicu­ ramente a compimento ciò che ha cominciato con loro. Dice l'apostolo: «Ho questa fiducia: che colui che ha cominciato in voi un'opera buona, la con­ durrà a compimento il giorno di Gesù Cristo)) (Fil. 1,6).

Salmo 139: Tu mi conosci Il Sal. 139 è l'espressione più personale del monoteismo radicale del­ l'Antico Testamento rintracciabile nella Scrittura. Il salmo è un classico del­ la dogmatica biblica perché rappresenta l'esistenza umana, in tutte le sue

327 Cfr. Is 12,4; 41,26; 42,8; 45,23; 48,11.

328 Is. 43,9-10; 44,8; 41,21-24. .

329 Cfr. Is. 49,7; 52,15.

330 Cfr. Is. 40,5.

33 1 Cfr. Is. 40,9-11; 57,15; 66,1-2. Cfr. il commento a Sal. 113,5-9. 332 Cfr. Is. 60,21; 64,8.

466

Salmo 139: Tu mi conosci dimensioni, nell'ottica della conoscenza, presenza e potenza di Dio. Esso rispecchia una concezione dell'essere umano visto come circondato e rac­ chiuso nella realtà divina. Ancor più che della dogmatica, il salmo è un clas­ sico della devozione, perché, usato come preghiera, conferisce e alimenta la consapevolezza che il Signore è, per così dire, l'ambiente totale nel quale si svolge la vita. Esso insegna e confessa, nel modo più pieno, che «i miei giorni sono in mano tua» (Sal. 31,15). 1. n salmo è composto di due parti disuguali. Tra il v. 18 e il v. 19 c'è un netto e improvviso cambiamento di tono, contenuto e funzione. I vv. 1-18 hanno la funzione di lodare; lo scopo di questa parte più lunga è indicato dalla dichiarazione specifica «io ti celebro» (v. 14a), dalla caratterizzazione delle vie e delle opere del Signore con gli aggettivi «meravigliose» (vv. 16 e 14) e, più in generale, «innumerevoli». Tre sezioni narrano come l'esisten­ za del salmista sia totalmente contenuta da Dio. n Signore conosce tutto ciò che il salmista pensa e fa (vv. 1-6); il Signore gli è presente ovunque egli sia (vv. 7-12); il Signore gli era presente persino quando cominciava appena a esistere (vv 13-16). I vv. 17-18 completano la prima parte con un sommario che esprime stupore e meraviglia e una dichiarazione solenne: nessun inven­ tario della vita vissuta può andare oltre la verità che alla sua fine «io sono ancora con te». La funzione della seconda parte (vv. 19-24) è una preghiera che riguarda la presenza degli empi nel mondo (vv 19-22) e la possibilità che il male si annidi nel proprio io (vv. 23-24). Le due parti sono tenute as­ sieme da un'inclusione formata dalla ripetizione della dichiarazione inizia­ le - «SIGNORE, tu mi hai esaminato e mi conosci» - sotto forma di supplica: «Esaminami, Dio, e conosci il mio cuore» (vv. 2 e 23). Nonostante la forte transizione tra le due parti, il salmo è un'unità letteraria. .

.

2. La chiave ermeneutica principale per capire il Sal. 139 va trovata nel rapporto tra la dichiarazione iniziale e la supplica finale. Ciò che in aper­ tura il salmo confessa essere un dato di fatto, alla fine viene chiesto suppli­ cando il Signore. L'apostrofe iniziale e la richiesta finale formano una pa­ rentesi che abbraccia tutto il corpo del salmo, a indicare che tutto il resto non è che un solo, continuo svolgimento del loro unico tema e interesse. La preghiera non si allontana dal suo argomento iniziale per tomarvi, poi, soltanto alla fine. n salmo è un discorso indirizzato al Dio che scruta e co­ nosce l'essere umano. L'inclusione nella quale è racchiuso tutto il resto della composizione fis­ sa due punti circa il salmo. Primo, l'interesse del salmo riguarda il rappor­ to tra il salmista e Dio. La dichiarazione iniziale parla dell'io quale oggetto dell'attività di Dio e lo stesso fa tutto il resto del salmo. Dal vocativo ini­ ziale fino all'ultima parola, la preghiera parla di un'esistenza che è descrit­ ta in termini di attività di Dio. Essa descrive l'io alla luce dell'opera di Dio e l'opera e la persona di Dio quale contesto dell'io orante. Persino quando altri attori vengono, alla fine, chiamati in scena e descritti (vv. 19-22), essi

467

Libro quinto - Salmi 107 -

150

appaiono nella preghlera soltanto perché sono funzionali al discorso circa il rapporto del salmista con Dio. Ovviamente, si potrebbe sostenere che l'in­ teresse primario di tutti i salmi è il rapporto tra Dio e quanti usano i salmi per celebrare o pregare Dio. Tuttavia, nel Sal. 139 quel rapporto è l'unico e totale interesse; esso viene analizzato e svolto con una intensità e un'am­ piezza che vanno ben oltre quelle di qualsiasi altro salmo. Secondo, il salmo si concentra su una sola dimensione del rapporto tra Dio e gli esseri umani. «Tu mi conosci»: questo è il tema di tutta la compo­ sizione, giù fino alla supplica finale, «conoscimi così da potermi guidare». Il verbo «conoscere» e i suoi sinonimi ricorrono nei vv. 2-4 per fissare il te­ ma. Insieme con «esaminare» e «mettere alla prova», il verbo «conoscere» rientra nel vocabolario usato per descrivere l'attività del Signore nelle sue vesti di giudice divino che scruta e giudica il cuore dell'uomo333• Il riferi­ mento a tale aspetto dell'attività divina svolge una varietà di funzioni nella preghiera dell'Antico Testamento: nelle preghlere di soccorso, quale ragione per sollecitare l'intervento divino334; nelle professioni d'innocenza, di pec­ cato o di fiducia, come dichlarazione della propria coscienza di sé335• Nes­ suna di queste funzioni sembra adeguata a spiegare ciò che avviene nel Sal. 139. La preghiera della seconda parte è certamente correlata alla lode della prima parte. La supplica e le dichlarazioni concomitanti di identificazione con Dio dei vv. 19-22 sembrano studiate per mettere la maggior distanza possibile tra il salmista e gli empi; le dichlarazioni dipendono dal riconosci­ mento della totale conoscenza che Dio ha dell'esistenza del salmista. Tutto il testo ha la cadenza di una fede che si affida al fatto di essere conosciuta dal Signore, una conoscenza che include un giudizio su se stessa, una pre­ senza a se stessa e una creazione di se stessa. Il salmo è una conquista spi­ rituale che trascende i limiti e le funzioni dei generi abituali. 3. Le tre sezioni della prima parte del salmo sono una struttura lettera­ ria intessuta di pronomi personali di prima e seconda persona. In effetti, la sintassi di ogni verso contiene un «tu» o un «tuo» e un «io», un «me» o un «mio». Dio è il «Tu» rispetto all'Io del salmista336• Il salmista parla di se stes-

333 Cfr., per esempio, Sal. 11,4-7; Ger. 9,7; 17,10; Giob. 7,17-18; 13,9. 334 Cfr., per esempio, Sal. 69,19; Ger. 11,20; 15,15; 18,23. 335 Cfr., per esempio, Sal. 17,3; 26,2; 44,21; Ger. 12,3 (innocenza); Sal.

69,5; Es. 32,22 (peccato); Sal. 142,4 (fiducia) . 336 Riferimento alla concezione dialogica di Martin Buber (1878-1965) enunciata so­ prattutto nell'opera Io e tu (1923). Per Buber, il senso fondamentale dell'esistenza uma­ na è da rintracciarsi nel principio dialogico: nel rapporto Io-Tu dell'uomo con la realtà spirituale, con la natura e con il prossimo (mondo della relazione personale e della li­ bertà); nel rapporto contrapposto Io-Esso dell'uomo con il mondo dell'esperienza, del­ la causalità, degli altri visti come oggetti manipolabili. La concezione dialogica è molto usata sia in teologia sia in omiletica [N.d.C.].

468

Salmo 139:

Tu mi conosci

so, del suo Io, parlando a Dio e parla di Dio parlando da Io. Dio e l'Io del salmista sono l'oggetto, l'argomento indivisibile del linguaggio del salmo. Ciò che vi si dice di Dio non è un discorso astratto, concettuale circa Dio in sé e per sé. Non è un linguaggio ontologico sterilizzato circa l'essere di Dio quale realtà ultima. Il linguaggio è relazionale, ha a che fare con un Tu e un Io, Dio in rapporto con il salmista. Ciò che il salmista fa, dove egli va, il fatto che egli esiste sono momenti abbracciati tutti dalla conoscenza, presenza e potenza di Dio. Dio non è una sfera di esistenza passiva, «nella quale egli vive e si muove ed è»337, bensi uno che conosce, è presente, agisce: un riscon­ tro personale a ogni dimensione dell'esistenza del salmista come persona. Onniscienza, onnipresenza, onnipotenza sono usate spesso come termini esplicativi per le tre sezioni della prima parte del salmo. L'uso di tale termi­ nologia richiede però una certa prudenza, altrimenti la concettualizzazione diventa una nostra conoscenza di Dio che trascura il fatto che siamo noi a essere conosciuti, accompagnati, creati e sostenuti da Dio. La devozione e la confessione non devono essere ridotte a metafisica. Il salmista riconosce di non essere mai, in tutta la sua esistenza e in ogni suo aspetto, libero da Dio; ma il rapporto con Dio è descritto in maniera tale che il poeta non è mai né un prigioniero né una mera funzione del Tu divino. Il salmista è libero per Dio e rispetto a Dio. Dio è il limite della sua esisten­ za, eppure egli stesso è una persona reale nei confronti di Dio: responsabile, fronteggiato da un Tu, conosciuto. Dio è libero per il salmista e rispetto a lui. I movimenti del rapporto di Dio con il salmista trascendono la comprensio­ ne di questi. Egli sa di non sapere ciò che sa. Il suo sapere è ignoranza338, il risultato cui giunge è la meraviglia, la sua sola certezza è «io sono con te» (vv. 18.6.14). Non si deve dimenticare la preghiera nella seconda parte del salmo: nella preghiera il salmista si appella alla libertà di Dio affinché deci­ da e confessa la propria responsabilità. È rischioso usare solo la prima parte del salmo (vv. 1-18). Nel suo insieme, il salmo non rappresenta un testo per sostenere un certo determinismo divino e si oppone a qualsiasi teologia le­ siva della libertà di Dio o della responsabilità dell'essere umano.

4. La seconda parte del salmo (vv. 19-24) ha sempre posto agli interpre­ ti i problemi più difficili. Dopo diciotto versetti di profonda riflessione su Dio quale fondamento dell'esistenza, il salmo chiede, di punto in bianco, la morte degli empi e confessa di odiare a sua volta quelli che odiano Dio! I sentimenti violenti espressi nei vv. 19-22 sembrano talmente inconciliabili con il resto che alcuni studiosi li hanno ritenuti un'aggiunta rozza e talmen-

337 L'errore di Paolo ad Atene. [«Egli» è, evidentemente, «il salmista>>. Mays si riferi­ sce al discorso di Paolo nell'Areòpago (A t. 17,28) dove l'apostolo cita il poeta Arato di Cilicia (III sec. a.c.) [N.d.C.]. 338 Allusione alla docta ignorantia di Nicola Cusano (1401-64), con il pensiero del qua­ le il nostro salmo presenta alcune affinità [N.d.C.].

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Libro quinto

-

Salmi 107 - 150

te inaccettabili per la sensibilità religiosa da essere considerati abitualmente inadatti all'uso liturgico e teologico. Tuttavia, secondo i parametri mentali del mondo dei salmi, questa parte non è assolutamente incongruente con il resto; come non lo sono, per esempio, il desiderio fine del Sal.

di eliminare gli empi alla

104 e, nella calma manifestazione di fiducia del Sal. 23, il riferi­

mento ai nemici. Nella visione del mondo che i salmi condividono, gli em­ pi e le loro pericolose minacce a quanti basano la propria vita su Dio costi­ tuiscono una parte importante della realtà in mezzo alla quale la fede deve vivere. Parlare di loro in un discorso circa il proprio rapporto con Dio era

perfettamente congruente e lo era ancor più quando il tema era il rapporto con il Dio che scruta e giudica la vita di un credente. Probabilmente è un errore considerare il v.

19 una supplica reale diretta

contro una qualche minaccia specifica e individuabile. Stilisticamente, l'au­ gurio va

invece letto come una forma della descrizione dell'io del salmista

in rapporto con Dio e, quindi, in continuità con

il resto del salmo. La ter­

minologia usata per descrivere gli empi contiene termini e caratterizzazio­

ni ricorrenti comunemente nei salmi per denotare quelli che costituiscono

una minaccia per i giusti e per il loro rapporto con Dio. Il salmo non im­ plora aiuto; i malvagi non sembrano minacciare personalmente la vita del

salmista; piuttosto, vengono descritti come nemici di Dio. Quello

è il loro

vero pericolo! Essi sono parte della società nella quale il salmista vive, una parte che con la sua condotta morale e religiosa si oppone a Dio e lo ignora.

Per il salmista è impensabile essere caparbiamente un nemico di Dio, ma gli empi ci sono eccome, sono la personificazìone di uno stile di vita ben diver­ so dal timore del Signore; con la loro natura e il loro comportamento essi condizionano e mettono in pericolo l'intera società. Così il salmista, conclu­ dendo il suo discorso rivolto a Dio circa il proprio rapporto con lui, bada distanziarsi il più possibile dagli empi. I vv.

a

19-22 sono una sua identifica­

zione retorica di se stesso con Dio, per quel che riguarda gli empi. Parlare degli empi offre al salmista un altro modo ancora per descrivere la propria vita come un'esistenza vissuta completamente all 'interno della sfera della conoscenza di Dio, della sua attività e delle sue vie.

5. La prima, vera supplica si legge solo alla fine del salmo

(vv. 23-24): è

lunga soltanto due versi poetici, ma conferisce equilibrio teologico a tutta la composizione, facendo da contrappeso a tutto il resto. La supplica chie­ de a Dio di fare adesso e in futuro ciò che Dio ha fatto in passato: esaminare

e mettere alla prova il cuore e i pensieri del salmista per scoprire qualsiasi via che turbi

il suo rapporto con Dio, così che Dio possa condurlo per una

via diversa, la via eterna339. La via eterna

è l'esistenza che non è scossa né

339 Il v. 23, letto in una prospettiva o applicazione cristiana, ha ispirato l'inno n. 133 dell'Innario cristiano cit., ripreso dall'Innario riformato di Dagues, 1562 [N.d.C.]. 470

Salmo 140: Proteggimi dai violenti fatta finire come lo sarà quella degli empi. Il salmista vuole che Dio sia il suo giudice affinché possa essere il suo pastore. La sua esperienza di Dio e la sua fiducia in lui sono tali da non fargli temere un giudizio punitivo; co­ sì, invece, egli prega chiedendo di essere esaminato e messo alla prova per poter giungere a godere delle cure del suo pastore. Questa preghiera finale fuga ogni dubbio circa la confessione precedente, dimostrando chiaramen­ te che in essa non c'è ombra di alcuna pretesa di una giustizia propria. Nei vv. 23-24 il salmista non si protesta innocente né ammette la propria colpe­ volezza. La supplica è piuttosto la voce di una persona che è arrivata a co­ noscere il giudice e il pastore a tal punto da sapere di poter non desiderare altro che essere conosciuto da Dio. 6. In che modo il salmista è arrivato a conoscere se stesso come manife­ sta nella sua preghiera? Guardando a Dio, il creatore, il compositore del Sal. 8 trovò una risposta all'interrogativo meravigliato: «Che cos'è l'uomo per­ ché tu lo ricordi?» (v. 4a). Il compositore del Sal. 139 sembra aver meditato sulla visione del Signore quale giudice giusto che conosce, scruta e mette alla prova il cuore degli uomini. La composizione del salmo è costruita sul­ le conseguenze di quella visione per l'esistenza del salmista, conseguenze espresse in forma di lode e di preghiera. La visione di un Dio al quale non è celato alcun aspetto della propria vita sin dal concepimento può essere terrificante340; ma il salmo mostra, invece, che per quelli che non vogliono altro che essere guidati nella via eterna, quella visione di Dio ispira sapien­ za e fiducia. Una volta l'apostolo Paolo disse di se stesso: «Ora conosco in parte, ma allora [quando la perfezione sarà venuta] conoscerò pienamente, come sono stato anche perfettamente conosciuto» (I Cor. 13,12). Forse que­ sto salmo ha una conoscenza solo parziale, ma è una conoscenza che sa già di essere perfettamente conosciuta da Dio. È una preghiera che condurrà a quella conoscenza tutti quelli che la faranno propria.

Salmo 140: Proteggimi dai vio l enti Il Sal. 140 è una preghiera di soccorso formulata in prima persona singo­ lare (secondo lo stile «io» )341, composta di suppliche motivate da descrizio­ ni della difficoltà che angustia l' orante (vv. 1-5) e seguite da altre suppliche corroborate da dichiarazioni di fiducia (vv. 6-8), da auguri di sventure per i nemici (vv. 9-11) e da una professione conclusiva di fiducia (vv. 12-13).

340 Cfr., per esempio, Giobbe. [Cfr. il commento a Giob. 3 in J.G. }ANZEN, Giobbe, To­ rino, Claudiana, 2003, pp. 91 ss.] 341 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.2.

471

Libro quinto - Salmi La

107 - 150

supplica «proteggimi dagli uomini violenti», ripetuta due volte (vv.

l e 4), descrive la situazione generale. Si tratta di una violenza verbale (vv.

3 e 11); l'ostilità è definita con metafore: guerra (v. 2), serpenti (v. 3), caccia (v. 5). La teologia di base è formulata al v. 12: «li SIGNORE difenderà la cau­ sa dell'afflitto e renderà giustizia ai poveri>>. La preghiera è un appello ri­ volto a Dio, il giudice che opera con giustizia per proteggere i deboli dai violenti342• In Rom. 3,13 l'apostolo Paolo usò il v. 3 in una catena di citazioni del­ l'Antico Testamento composta per dimostrare che tutti sono sotto il pecca­ to. Tale uso indica che le descrizioni dell'empietà che appaiono nel Salterio e in altri testi biblici similari venivano ormai lette come descrizioni della condizione umana.

Salmo 141: La mia p reghiera sia come incenso Il Sal. 141 è una preghiera composta per quelli che, fuggendo dalle parole e dalle azioni degli empi che operano nel loro mondo (vv. 3-4), si rifugiano nel Signore (v. 8). n salmo è composto in larga parte di petizioni formulate in linguaggio stereotipato343• La descrizione del problema che occasiona la preghiera non fa supporre una minaccia personale diretta contro l' orante, come avviene invece in molte preghiere di soccorso. Il vero pericolo è co­ stituito, piuttosto, dal potere generale dell'empietà dilagante che seduce e intrappola i fedeli. li salmista invoca l'aiuto divino per combattere quel pe­ ricolo. Qui si ha una chiara confessione che la vita del fedele dipende dalla fedeltà di Dio. Il salmista chiede al Signore di accettare la sua preghiera e il gesto conco­ mitante della supplica (le mani levate al cielo) come se fossero l'incenso del sacrificio vespertino (v. 2). Questa richiesta sottintende forse la convinzione che la preghiera possa sostituire il sacrificio nel culto del Signore? Non si può dire con precisione che la richiesta presupponga una cosa del genere, ma essa non sembra implicare una spiritualizzazione del sacrificio. Al contra­ rio, chiedendo a Dio di accettare la preghiera così come accetta il sacrificio, la richiesta potrebbe esprimere fiducia nell'efficacia del sacrificio stesso. In questo testo non c'è contrapposizione alcrma tra parola e sacramento.

342

Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 6.7 e 18. Basta confrontare le traduzioni correnti per capire quanto sia incerto il testo dei vv. 5-7. 343

472

Salmo 142: Liberanti dalla prigione

Salmo 142: Liberami dalla p rigione l. n dotto scriba che cercava di scovare il rapporto tra la storia di Davide e il salmo trovò un episodio biografico adatto a esso nella situazione critica nella quale si trovava «Davide, quand'era nella caverna»344 • Si tratta forse della caverna di Adullam, nella quale Davide si era rifugiato fuggendo da Gat, rimanendo per un certo tempo lì da solo, solo con il suo Dio al quale pensare, parlare e pregare345 • Formalmente346, il salmo è una preghiera di soccorso che inizia invocando ascolto (vv 1-2) e dichiarandosi certa che il Signore conosca la situazione critica nella quale il salmista si trova (v. 3a). n salmo descrive poi il pericolo e la debolezza dell' orante davanti a esso (vv. 3b-4), prosegue con un'ulteriore dichiarazione di fiducia (v. 5) e chiude con varie suppliche di soccorso, corroborate dal riferimento alla situazione dif­ ficile e dall'anticipazione dell'intervento salvifico del Signore e della lode che gliene conseguirà (vv 6-7). .

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2. L' orante è tormentato da persecutori e nel pericolo si trova solo: nes­ sun essere umano gli offre un rifugio né gli è di conforto e di aiuto. Il rife­ rimento alla prigione o all'esilio (v. 7) è ambiguo. Nel contesto dell'Antico Testamento, l'espressione potrebbe indicare una situazione di custodia cau­ telare prima del processo o la prigionia dell'esilio oppure essere una me­ tafora per indicare una situazione difficile o anche i legami della morte347• L'ambiguità potrebbe non essere casuale, bensì studiata, permettendo, in questa maniera, un uso più ampio del salmo da parte di persone in situa­ zioni e condizioni diverse, reali o metaforiche, di prigionia in senso lato. n bisogno di liberazione assume molte forme. 3. La fede sulla quale la preghiera si basa è dichiarata al v. 5: «Tu sei il mio rifugio, la mia parte nella terra dei viventi». La preghiera afferma che l'attenzione, la cura e l'aiuto di Dio basteranno laddove gli esseri umani vengono meno348•

4. Chiamare il Signore «la mia parte nella terra dei viventi>> (v. 5) rappre­ senta un adattamento di un'antica tradizione circa i leviti. Quando il pae­ se venne suddiviso tra le varie tribù d'Israele, alla tribù di Levi non venne assegnato un proprio territorio; essa doveva servire l'arca e il tabernacolo

alla

344 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 3.5. 345 Cfr. i vv. 4-5 con l Sam. 22,1; per altri studiosi la soprascritta si riferirebbe invece

di En-Ghedi (l Sam. 24,3-4). �elonca Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.2.

347 Cfr. rispettivamente Num. 15,34; Is. 42,7; Sal. 88,8; Lam. 3,6-9. Le preghiere di soccorso sono viste spesso come un modo per cercare «rifugio>>

348

presso il Signore; cfr. il commento al Sal. 7,2. 358• 4. Se il v. 2 ha indotto a classificare il Sal. 143 tra i salmi penitenziali, co­ me fa, allora, l'intero salmo a fungere da testo per il pentimento? a) n salmista dice al Signore: «Tu sei il mio Dio>> (v. 10) e «io sono tuo ser­ vo» (vv. 2 e 12). Queste confessioni non si basano sull'iniziativa umana: esse parlano di identità create dall'elezione e dal patto. n pentimento si colloca nel quadro dei rapporti che Dio stesso ha creato. Sin dalle prime parole il salmo è una risposta alla grazia. b) La preghiera si appella alla fedeltà e alla giustizia di Dio (v. 1). La giustizia di Dio è la sua volontà e opera di mettere le cose a posto secondo la sua elezione e il suo patto, nonostante tutto ciò che li nega e li perverte. Questa è la giustizia di Dio della quale parlano ls. 40 - 55 e Paolo359. «Egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati>> (l Giov. 1,9). n pentimento guarda alla giustizia di Dio, soltanto alla sua giustizia. c) n salmo prega di non essere portato in giudizio, perché al cospetto di Dio nessun essere umano sarà trovato giusto. n salmo conosce la veri­ tà circa la condizione umana e così non parla di questo o quel peccato, ma della peccaminosità stessa. n pentimento è in regola a causa di ciò che sia­ mo, non semplicemente a causa di ciò che abbiamo fatto. Tuttavia, il salmo non conosce ancora un'altra verità: che nella sua giustizia Dio ha portato in giudizio, al nostro posto, Gesù Cristo. Adesso noi possiamo recitare il v. 2 sapendo di avere un'altra grande ragione per supplicare di non essere portati in giudizio. d) n pericolo e la situazione di necessità nella quale il salmo viene recita­ to sono dovuti a un avversario, a un nemico mortale la cui opera è tenebra e morte (vv. 3 e 7). Il salmo non dice il nome di questo nemico; non si tratta di una persona, bensì di una certa ostilità e opera; e questo nemico non è neanche uno solo, ma una pluralità (v. 12). La preghiera non viene fatta per un qualche peccato, ma perché l'assalto del nemico e la prospettiva della morte portano alla luce l'ingiustizia umana al cospetto di Dio. Ravvedersi significa volgersi a Dio per la salvezza, volgerei a lui dalle tenebre e dalla morte che sono il nostro destino di uomini. Pentirsi è un atto di speranza, stendere le mani per essere afferrati è la sete dell'anima (v. 6). e) La preghiera chiede: «Al mattino fammi udire la tua bontà [besed]>> (v. 8). Tale formulazione insolita è, in realtà, la richiesta di ricevere un oraco­ lo di salvezza, una parola della solidarietà del Signore con il peccatore che confida in lui. n ravvedimento consiste nel rivolgersi nuovamente all'evan­ gelo, la risposta al pericolo e alle tenebre del nostro mondo.

358 K. BAR1H, op. cit., ll/1, pp. 387-388. 359 Cfr. Is. 45,22-25 e Rom. 1,17.

476

Salmo 144: Pregare come Davide

j) La preghiera chiede: «Insegnami a fare la tua volontà» (vv. 10 e 8). La preghiera presuppone una concezione della salvezza che include l'aiuto divino per istruire, guidare e dirigere la vita, così che essa sia vissuta se­ condo la volontà di Dio. Oltre che nel perdono, il pentimento spera nella santificazione360•

Salmo 144: Pregare come Davide n Sal. 144 sembra essere una composizione destinata a essere recitata da un re

(vedi il v. 10) ed è stato spesso considerato uno dei canti regali scrit­ ti per essere usati in cerimonie riguardanti un re davidico361• Tuttavia, la presenza di materiali di genere diverso e il rapporto con altri salmi sem­ brano suggerire conclusioni differenti circa la composizione e la natura del nostro salmo. 1. Per stile e tema, il salmo si divide in due parti. La prima parte (vv 111) è composta nello stile della prima persona singolare e il problema per il quale si implora l'intervento divino è la liberazione dal potere straniero. La seconda parte (vv 12-15) usa invece la prima persona plurale e tratta delle benedizioni di un popolo che ha per Dio il Signore. La prima parte si apre con una solenne espressione liturgica di lode che benedice il Signore, difesa in guerra e rifugio nelle difficoltà (vv 1-2). La riflessione seguente sulla cu­ ra che il Signore ha per l'umanità caduca (vv 3-4) sembra intesa a corrobo­ rare la lode iniziale con la dichiarazione dell'indegnità di colui che invoca l'aiuto del Signore (vv 1-2)362• Una supplica più diffusa del solito implora il Signore a scendere dall'alto e liberare l'orante dal potere di gente straniera (vv 5-8). L'offerta di lode al Dio che salva i re davidici (vv 9-10) potrebbe fungere da voto di lode rafforzativo della supplica. Quest'ultima viene poi ripetuta in forma più breve (v. 11). La seconda parte del salmo è sostanzial­ mente un elenco di benedizioni: figli sani e figlie avvenenti (v. 12); campi fertili e greggi e armenti fecondi (vv 13 e 14a); sicurezza per la popolazione (v. 14b). L'elenco è chiuso da una duplice beatitudine per un popolo che è benedetto in maniera tanto grande perché suo Dio è il Signore (v. 15). Que­ sta seconda parte è goffamente unita alla prima da una particella relativa ebraica all'inizio del v. 12, un costrutto che potrebbe indicare che l'elenco .

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360

Cfr. Sal. 25,4-5; 40,8; I Tess. 2,1-8. 361 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 3.3 e 6.11. 362 Cfr. l'uso di questo pensiero nel Sal. 8,4 e Giob. 7,17.

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Libro quinto - Salmi 107 - 150

vada recitato come preghiera363• Tuttavia il fatto che le proposizioni dei vv. 12-14 non abbiamo verbi suggerisce la possibilità che il testo descriva la be­ nedizione presente (NJPS) o sia un augurio di speranza per il futuro (REB). La parte centrale del salmo è dominata dalle due suppliche, dando così alla composizione l'aspetto di una preghiera individuale di soccorso. Nonostan­ te ciò, la presenza e l'utilizzo degli elementi della lode e della benedizione rendono difficile trovare una classificazione soddisfacente tra i generi let­ terari tipici presenti nel Salterio. 2. Il Sal. 144 somiglia chiaramente al Sal. 18, il lungo salmo di ringra­ ziamento per la salvezza composto per essere usato nelle cerimonie dei re davidici. Inoltre i vv. 7-8 contengono materiale presente nel Sal. 8364• Nel nostro salmo appaiono anche alcuni versi del Sal. 33365• Evidentemente, il compositore del Sal. 144 utilizzò i Sal. 18 e 33 per comporre un salmo per il proprio tempo e la propria situazione. Un indizio per capire quale fosse tale situazione e perché il poeta abbia utilizzato proprio quei salmi può essere individuato nelle ripetute suppliche che ricorrono unicamente nel nostro salmo: l'espressione «acque potenti» nella prima supplica (v. 7), proveniente dal Sal. 18, viene sostituita, nella seconda supplica (v. 10), da «spada malva­ gia», immagine unica nel Salterio. Tuttavia, nei salmi il termine «spada» è usato metaforicamente per indicare le parole che gli empi maneggiano co­ me un'arma366, un significato supportato dalla frase ricorrente «dalla mano degli stranieri, la cui bocca dice menzogne e la cui destra giura il falso» (vv. 8 e 11). Il salmista scrisse in un'epoca nella quale il benessere del proprio popolo, il godimento delle benedizioni che il Signore elargiva su di esso367, era minacciato dalle maligne, ingannevoli notizie e dalle azioni traditrici di stranieri (ebr. lf!ne nekar). Nell'Antico Testamento, l'espressione, tanto al singolare quanto al plurale, ricorre altrove in materiale che riflette i rappor­ ti, spesso tesi, tra il popolo ebraico, nell'esilio e nel primo periodo postesili­ co, e la popolazione allogena che rappresentava un problema costante per i reduci dalla cattività babilonese368• Una collocazione probabile del salmo è l'epoca di Neemia. Oltre che nel nostro testo gli «allogeni» appaiono an­ che nel Sal. 18,44.45, dove si dice che il Signore diede a Davide la forza di

363 Così interpreta la NRSV. [Cfr. B.Conc., nota ad loc. per altre interpretazioni; per esempio la Vulgata, che riferisce l'elenco ai nemici e contrappone il loro benessere ma­ teriale e caduco alla beatitudine del popolo del Signore.] 364 Le corrispondenze tra il Sal. 144 e il Sal. 18 sono le seguenti: 144,1 e 18,1 .34; 144,2 e 18,2.47; 144,5 e 18,9; 144,6 e 18,14; 144,7 e 18,16.44.45. Il «Davide suo servo>> di Sal. 144,10 potrebbe rispecchiare la soprascritta del Sal. 18. 365 Cfr. Sal. 144,9 e Sal. 33,2b.3a; Sal. 144,15b e Sal. 33,12a. 366 Cfr. Sal. 57,4; 59,7; 64,3. 367 Cfr. Deut. 28,1-14. 368 Forma plurale: Ez. 44,7; Is. 56,6; 60,10; 61,5; 62,8. Forma singolare: Gen. 17,12; Es. 12,43; Lev. 22,25; Ez. 44,9; Ne. 9,2; Is. 56,3. [Cfr. B. LANG, nkr, GLAT V, coli. 872 ss.]

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Salmo

145: ll Signore è grande e degno di lode eccelsa

resistere agli stranieri. L'autore del Sal. 144 deve aver letto questi versetti come una promessa per i propri giorni; compose così un salmo di lode e di preghiera al Dio «che dà la vittoria ai re e libera il suo servo Davide» (v. 10) perché servisse da contesto a suppliche di liberazione dagli stranieri dei suoi giorni. Pregando con una nuova versione del Sal. 18, il compositore del Sal. 144 invocò nuovamente il Signore di fare per il proprio popolo ciò che il Signore aveva fatto per il suo servo Davide. 3. Questo salmo è quindi un esempio concreto che illustra la prassi di usare salmi per comporre inni e preghiere combinando materiali più antichi in una nuova composizione, creata per nuove necessità. In tale processo, i limiti formali dei modelli letterari tradizionali vengono trascesi e il mate­ riale utilizzato viene messo al servizio di nuovi e diversi scopi. La rivisita­ zione del contenuto dei salmi per comporre nuove preghiere e nuovi inni è una pratica che continua a essere utilizzata ancora oggi. In questa maniera la potenza e la bellezza del materiale salmodico continuano a dare un con­ tributo canonico al culto. Questo salmo è anche la prova dell'influenza del­ l'uso di salmi attribuiti a Davide per dare voce alla lode e alla preghiera del popolo. All'epoca in cui il Sal. 144 fu composto, tra i timorati del Signore era già una tradizione invalsa usare le preghiere di Davide come proprie. La tradizione rese possibile comporre un salmo per il popolo in forma di salmo di Davide. Il Sal. 144 è una preghiera nella quale il popolo prega co­ me Davide. H.-J. Kraus commenta: «ll mistero futuro di pregare "nel nome di Gesù" e di essere "in Cristo" è adombrato qui in contesti e presupposti dell'Antico Testamento»369.

Sal mo 145: Il Signore è grande e degno di l ode eccelsa Nella soprascritta il Sal. 145 è presentato quale canto di lode (ebr. f!!hillah) composto da Davide. È l'unico salmo che porti tale titolo. Il Talmud dimo­ strò l'alta stima in cui teneva il nostro salmo con queste parole: «Chiunque ripeta la �hillah di Davide tre volte al giorno può essere certo di essere un figlio del mondo avvenire»370. Il salmo ha sempre avuto un posto impor­ tante nella liturgia della chiesa. Nel Lezionario comune in uso oggi il salmo è usato quattro volte come salmo per il culto domenicale. La stima di cui go­ de il Sal. 145 è dovuta all'ampiezza della sua lode del Signore.

369 H.-J. KRAus, Psalms 60 - 150, p. 544 .

370 Talmud, Berakot 4b.

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Libro quinto - Salmi

107 - 150

1. Il nostro salmo è un poema acrostico e gli acrostici tendono alla mas­ sima completezza. Nel testo ebraico il salmo ha ventuno versi, ciascuno che comincia con una consonante, seguendo l'ordine dell'alfabeto ebraico371• Ovviamente, lo schema alfabetico impone all'autore necessarie limitazioni nella scelta delle parole e nella composizione dei versi; ma entro tali limiti il compositore del Sal. 145 ha creato un inno con una sua struttura lettera­ ria non strettamente condizionata dall'ordine alfabetico. Un'inclusione formata dalla ripetizione della frase «benedirò/benedi­ rà il tuo/suo nome in sempiterno>> (vv l e 21) dichiara lo scopo del salmo che loda il nome del Signore recitando gli attributi e gli atti che costituisco­ no la natura caratteristica del Signore. L'inno espone il contenuto del nome del Signore e il suo testo è il mezzo mediante il quale «Davide>> continuerà, attraverso la bocca di tutti quelli che lo usano, a lodare il Signore per ogni eternità. La lode si estende dalla prima lettera ('alej) all'ultima (tau) in blocchi composti di un'alternanza di dichiarazioni laudative e attributive. Le di­ chiarazioni laudative sono indirizzate direttamente al Signore, mentre le at­ tributive parlano del Signore; in questo modo il compositore ottiene anche un'alternanza di stili. I primi tre blocchi sono i vv 1-2 + 3; vv 4-7 + 8-9; vv 10-13a + 13b. Nel quarto blocco gli elementi sono capovolti, così che il sal­ mo termina con una dichiarazione laudativa (vv 14-20 + 21), mentre quel­ la attributiva si trova prima, al v. 1 7. Quest'ultima viene così a trovarsi al centro, tra una descrizione della provvidenza del Signore per tutti (vv 1416) e l'aiuto del Signore per quelli che gli appartengono, mentre agli empi toccherà la sorte contraria (vv. 18-20). Le dichiarazioni di lode si riferiscono alle caratteristiche e alle opere del Signore proprio come fanno le formu­ le attributive, con il risultato di avere un contenuto celebrativo distribuito attraverso tutto il salmo. Il termine «ogni/tutti>> è ripetuto sedici volte di­ stribuite in tutto l'inno, mettendo così in risalto l'illimitata estensione della lode del Signore e di ciò per il quale il Signore viene lodato. Per le sue pa­ role e i suoi atti, il Signore è lodato ogni giorno, per ogni eternità, da una generazione all'altra, da tutte le sue opere e da tutti i suoi fedeli. La ripeti­ zione raggiunge l'apice con la lode profetica dell'ultimo stico: «Ogni carne benedirà il suo santo nome in sempiterno>>. .

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2. Nel vocativo iniziale il salmo precisa l'aspetto sotto il quale il Signore viene lodato. ll salmo chiama il Signore «mio Dio, il Re>>372• Il tema del sal­ mo è la grandezza del Signore, il Re. «Grande è il SIGNORE e degno di esse-

371 Il verso che comincia con la lettera nun manca nella tractizione masoretica, ma è incluso nella maggior parte delle traduzioni come v. 13b essendo attestato da numerosi te­ stimoni testuali. [In particolare le antiche versioni: LXX, Peshitta, Latina di Girolamo.] 372 L'espressione appare unicamente qui; il testo ebraico non dice (NRSV) [= B.Conc. né (N.Riv.); Vulgata: ; NJPS: «i grandi>>. 381 Cfr. il commento al Sal. 121, vedi sopra, pp. 428 s. 382 Vedi il Sal. 121 e relativo commento. 383 Cfr., per esempio, la cecità e la fame usate per significare la condizione degli esu­ li in Is. 40 55. -

483

Libro quinto - Salmi 107 - 150 mire arroganti degli empi, egli non manterrebbe la fedeltà. In un mondo nel quale giusto e sbagliato non hanno alcun posto significativo nell'ordine dell'universo, non si potrebbe aver fiducia in niente e in nessuno384• La tentazione di riporre una fiducia assoluta per la salvezza in capi e istituzioni umane è perenne. Nel Sal. 146 la lode diventa una critica di una siffatta fiducia malriposta e una proclamazione dell'unico giusto modo di usare la fiducia: riporla nel Dio che «mantiene la fedeltà in eterno».

Salmo 147: Dio del cosmo, della comunità e della città Il Sal. 147 comincia lodando la lode stessa385• n Signore costituisce a tal punto il contenuto della lode che questa comincia a rispecchiare i suoi at­ tributi: in essa la sua bontà è manifesta; mediante essa chi la canta prova piacere per la soavità del Signore. Il salmo può essere letto come un ritratto verbale di quella soavità. 1. Il salmo presenta tre parti distinte, ciascuna delle quali è composta secondo il modello dell'inno imperativo, con un invito iniziale a lodare se­ guito dalla lode stessa386• La prima parte loda il Signore perché ristabilisce Israele (vv. 2-3), governa gli astri con potenza e sapienza (vv. 4-5) e rimette nel giusto ordine le condizioni degli esseri umani. La seconda parte ringra­ zia il Signore perché provvede il cibo per le sue creature (vv. 8-9) e preferi­ sce che il suo popolo dipenda da lui piuttosto che confidare nella propria potenza militare (vv. 10-11). La terza parte celebra il Signore perché prov­ vede sicurezza e benessere al suo popolo (vv. 13-14), controlla l'arrivo e la fine dell'inverno (vv. 15-18) e rivela i suoi statuti e decreti soltanto a Israe­ le (vv. 19-20). 2. Esaminando i vari elementi della lode, ci si accorge immediatamente che ciascuna parte dell'inno associa attività che riguardano solo la comu­ nità del popolo del Signore e fatti che riguardano il mondo più in genera­ le. n Signore ristabilisce popolo e città dopo l'esilio e conta il numero degli astri, dando a ciascuno il suo nome. I due tipi di attività sono messi l'uno accanto all'altro per creare quello che sembra un montaggio indiscrimina­ to. Tuttavia, dietro a questa mescolanza c'è uno scopo teologico. Qui ven-

384

Cfr. Sal. 145,20; 139,19; 104,35. Così NRSV, NJPS [VRL, N.Riv., B. Conc., B.Ger., Vulgata]. Il testo è tuttavia incer­ to e gli aggettivi «buono>> e «soave>> potrebbero essere predicati del Signore [così la ver­ sione pacelliana: «Laudate Dominum, quia bonus est ( . . . ) quia suavis est>>] e non della lode; cfr. Sal. 33,1 e 135,3. 386 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.5.4. 385

484

Salmo 147:

Dio del cosmo, della comunità e della città

gono uniti due tipi di esperienze: l'esperienza di come il mondo funziona e l'esperienza di come si è svolta la storia della comunità religiosa. Lo sco­ po del salmista non è di ridurre entrambe le esperienze al minimo comun denominatore della provvidenza generale. Lo scopo perseguito è lo stesso che vediamo attuato con tanta potenza in Is. 40 - 55: considerare entrambi i fattori l'esercizio di un'unica sovranità e creare una visione unificata di tutta la realtà387• In questa visione unificata le due sfere si plasmano e interpretano reci­ procamente. La storia della comunità di fede è una piccola parte della real­ tà, ma il potere che ne muove il corso è lo stesso che governa gli astri. D'al­ tra parte, i processi del mondo sono vasti, impersonali, indifferenti, ma la sovranità che è all'opera nel mondo è il Dio che salva e ama, è il Dio che Israele ha conosciuto nella propria storia388• Quando vengono considerati nell'ottica dell'unica sovranità, tanto il corso del mondo quanto la vita del­ la fede sono sentiti e vissuti in maniera diversa. 3. Il salmo è stato scritto per la comunità di Gerusalemme (v. 12) nel pe­ riodo della restaurazione dopo l'esilio (vv. 2-3 e 13-14). Il modo nel quale viene espressa quell'esperienza specifica dell'aiuto del Signore è un esem­ pio del modo in cui la teologia innodica che informa la lode d'Israele possa trasformare una ben precisa opera del Signore in una confessione generale. L'inno non dice, come farebbe una narrazione, che il Signore ha riedificato Sion e radunato i dispersi d'Israele, ma usando i participi rende quell'ope­ ra un'attività tipica, un aspetto del carattere del Signore. L'opera diventa un simbolo, un mezzo per conoscere Dio e una guida per ciò che ci si può aspettare da lui. Così Israele e poi, più tardi, la chiesa, può dire nella sua lode, attraverso gli anni, «il SIGNORE costruisce Gerusalemme» e dichiarare la propria certezza che il Signore non solo ha fondato la chiesa, ma la rista­ bilisce e la raccoglie quando passa attraverso la tribolazione.

4. Nella terza parte del salmo il poeta usa l'idea di «parola del SIGNORE)) per descrivere l'esercizio della sovranità di Dio. Nell'uso fattone dai profe­ ti, l'espressione «parola del SIGNORE)) è l'oracolo, cioè la comunicazione del pensiero, della volontà e della decisione del Signore. Il salmista ne parla, invece, come di un incaricato del governo di Dio con il compito di esegui­ re i suoi ordini (vv. 15 e 18). La parola è una forza attiva mediante la qua­ le il Signore si occupa del mondo e ha rapporti con esso. Qui l'idea non è molto lontana dalla concezione di parola incarnata nell'inviato di Dio, tan-

387 Si noti, per esempio, come il profeta metta in correlazione il governo del mondo e la storia della salvezza in passi come Is. 40,12-31; 45,18-25. 388 Si noti che il grido dei piccoli corvi (v. 9b) è visto in analogia con il grido d'Israele che invoca l'aiuto divino; vedi anche Le. 12,24.

485

Libro quinto

-

Salmi 107 - 150

to importante nel Nuovo Testamento. Ancora una volta il poeta riecheggia Is. 40 - 55389. La parola del Signore assume varie forme e ha diverse funzioni. Al v. 19 «parola» è il concetto che sintetizza gli statuti e le ordinanze divine. Le leg­ gi date a Israele quale rivelazione della volontà del Signore sono, nel com­ plesso, la parola mediante la quale egli ordina la vita del suo popolo. Per il salmista, la legge è il dono di Dio che distingue Israele da tutti gli altri po­ poli. Ciò che caratterizza e distingue il popolo di Dio è il dono della parola di Dìo390• Per Israele, la legge divenne la forma più importante della parola del Signore. Il vocabolario e il pensiero che informano il nostro salmo rie­ cheggiano Deut. 4,1-8. Per la chiesa, il Cristo e l'evangelo che lo proclama divennero la forma più importante della parola dì Dio. Entrambe le comu­ nità di fede lodano Dio e lo ringraziano per il dono della sua parola, perché è la parola che rende loro possibile vivere da popolo del Signore.

Salmo 148: Tutte le creature del nostro Dio e re Il Sal. 148 è il terzo del gruppo dei cinque «Salmi dell'Alleluia» che con­ cludono il libro dei Salmi391. Invero, il nostro salmo non solo si apre e chiude con un «Lodate il SIGNORE!», bensì, una volta emesso questo grido di lode, lo ripete continuamente. La ragione di questa struttura sembra trovarsi nello scopo del salmo: esso è un inno composto per invitare tutta la creazione e tutte le creature a unirsi alla lode del Signore. 1. Il salmo è diviso in due parte strutturate specularmente (vv. 1-6 e 7-14). Lo schema segue il modello dell'inno imperativo, un invito a lodare il Signo­ re e una motivazione della lode che collima con il contenuto di questa392• Il salmo si segnala per la proporzione osservata tra invito e contenuto. Nella prima parte, l'invito va dal v. l al v. Sa e la motivazione è dichiarata nei vv. Sb e 6. Nella seconda parte, l'invito copre i vv. 7-13a e la ragione è dichiara­ ta nei vv. 13b-14. Ogni sezione con l'invito si chiude con una proposizione iussiva riepilogativa: «Tutte queste cose lodino il nome del SIGNORE» (vv. Sa e 13a). Nella prima parte predomina la ripetizione di «lodatelo», accompa­ gnato da espressioni avverbiali e da vocativi. La seconda parte cambia e si limita a ripetere soltanto i vocativi. Nella prima parte, il Sal. 148 si avvicina

389

Cfr., per esempio, Is. 40,8; 55,10-11.

390 Cfr. Sal. l; 19; 119. 391 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.5.2. 392 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.5.4.

486

Salmo

148: Tutte le creature del nostro Dio e re

notevolmente alla struttura del Sal. 150 nel quale la chiamata imperativa alla lode occupa l'intera composizione. n libro dei Salmi volge alla conclu­ sione e l'appello alla lode si avvia verso il crescendo finale. 2. Le parti del Sal. 148 si basano sul tema di «cieli e terra». La prima parte riguarda la lode del Signore «dai cielh> (v. l) e la seconda «dal fondo della terra» (v. 7). n coro celeste include gli angeli e le schiere393, il sole, la luna e le stelle, persino i cieli più alti e le acque cosmiche sopra di essi. n coro ter­ restre è formato dai mostri marini con gli abissi che essi popolano, il tempo, le montagne, gli alberi, gli animali, i re e le nazioni, tutti i sessi e tutte le età. n motivo tematico «tutti» scandisce l'appello per sottolineare che l'elenco è inclusivo, rappresentativo di ogni cosa che esiste. Per lodare il Signore, il salmo intende chiamare a raccolta tutto quanto il regno dell'essere. Mentre i Sal. 96 e 98 si limitano a esortare tutto il mondo a riconoscere il regno del Signore con lode gioiosa, il nostro salmo estende l'invito al cosmo intero. La maestà regale del Signore «è al di sopra della terra e del cielo» (v. 13), e sol­ tanto la lode di tutto ciò che si trova in ambo i regni può rispondere e corri­ spondere al nome esaltato del Signore. «Voi tutte, creature del nostro Dio e Re, alzate la voce e cantate con noi "Alleluia!"» (Francesco di Assisi). 3. Il salmo loda il Signore, il sovrano che con l'autorità e la potenza della sua parola imperiosa ha creato tutto ciò che esiste e ordina ogni cosa secon­ do il proprio disegno (vv. 5 e 8). Per il salmo, «creazione» significa portare all'esistenza ciò che è e conservarlo al suo posto, senza farlo deviare dallo scopo originario394• A quanto sembra, tutto l'elenco rientra nella categoria della creazione. Il salmo è disseminato di echeggiamenti di Gen. 1,11 2,4 e potrebbe essere cantato come responsorio dopo la lettura del primo capitolo della Bibbia. Noi, esseri umani, che siamo interpellati nei vv. 11-12, dovrem­ mo riconoscere che siamo nell'elenco insieme con la creazione e le creature, creazione e creature noi stessi. Nel nostro obbligo di lodare il Signore, non siamo diversi da tutto il resto del creato né più delle altre creature. Il salmo si rivolge a tutte le cose e a ciascuno di noi, senza distinzioni: il suo appello a lodare il Signore ci rende tutti identici. Noi esseri umani siamo una cosa sola con tutti gli altri esseri nel nostro rapporto con Uno il cui nome soltan­ to viene esaltato e la cui maestà è al di sopra della terra e del cielo. -

4. Come faranno sole e luna, cieli e acque, tempeste e montagne, animali della terra, dell'acqua e del cielo a rispondere all'invito a lodare il Signore? Come possono tutte queste creature compiere il loro obbligo? Si potrebbe considerare l'appello loro rivolto una licenza poetica, ma questa spiega­ zione non renderebbe giustizia alla serietà teologica che ispira la gioia che

393 Cfr. Sal. 103,19�22. 394 Cfr. i vv. 5-6 e 8 con Sal. 33,6-9 e 104,5-9.

487

Libro quinto - Salmi

107 - 150

pervade l'inno . Forse i vv. 5-6 e 8 suggeriscono una risposta. Le luci celesti e il firmamento e le acque sono opera del comando del Signore ed essi so­ no mantenuti al loro posto e perseguono lo scopo loro assegnato dal suo potere. Il vento impetuoso adempie il comando divino essendo un vento impetuoso: la creazione e le creature lodano il Signore proprio essendo e fa­ cendo, esistendo e occupando il posto loro assegnato. Tuttavia, il v. 14 dice qualcosa di più riguardo a Israele, il popolo fedele del Signore: il Signore «ha innalzato un como al suo popolo« (v. 14)395• Il Signore ha dato ai suoi fedeli la lode quale dignità e potere; essi sono quelli che gli sono «vicini», che lo conoscono e possono pronunciare il suo nome celebrato. A loro è da­ ta la lode con la quale possono cantare la lode tacita di tutta la creazione. La lode è il loro posto e lo scopo loro assegnato. Nella lode del popolo del Signore, il nome che è la verità circa tutto l'universo viene pronunciato per conto e in nome di tutto il resto della creazione.

Salmo 149: La lode in bocca e una spada a due tagli in mano ll Sal. 149 è il quarto dei cinque «Salmi di Alleluia» che chiudono il Salte­ rio396. Come gli altri quattro salmi di questo gruppo, anche il Sal. 149 si apre e chiude con il grido liturgico «Lodate il SIGNORE!». L'elemento distintivo del nostro salmo riserva una sorpresa: sembra essere un canto di preparazione alla guerra santa mossa dal popolo del Signore contro le nazioni.

1. Il salmo è un inno imperativo di lodé97 composto di due parti. La pri­ ma parte segue lo schema innodico di un appello alla lode (vv. 1-3) rafforza­ to da una dichiarazione della ragione della lode, ovvero del suo contenuto (v. 4). Quando riprende nella seconda parte, l'appello è formulato con pro­ posizioni iussive (vv. 5-6) seguite da proposizioni finali con l'infinito che tracciano una linea d'azione, seguendo la quale i fedeli potranno rendere completa la loro lode (vv. 7-9a). La seconda parte si chiude con una spiega­ zione del senso dell'azione (v. 9b). Il termine «gloria» (}:zadar) della spiega­ zione fa riscontro al termine «gloria» (kabod) del v. 5, formando così un'in­ clusione che abbraccia la seconda parte e ne precisa il tema: la gloria dei fedeli. Mentre il Signore è presente, con il nome, titolo o pronome, in ogni

395 L'espressione è un modo di dire che indica la concessione di dignità e fama: cfr. Sal. 75,10; 92,10; 112,9. 3% Cfr. l'introduzione, vedi sopra, 5.5.2. 397 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 5.5.4.

488

Salmo 149: La lode in bocca e una spada a due tagli

in mano

stico della prima parte, i versi della seconda parte sono occupati dai fedeli.

Si deve riconoscere che la seconda parte

è veramente un elemento insolito

in un inno di lode del Signore.

2. L'inno loda

il Signore,

re dei figli di Sion (v.

2),

e la sua prima parte

somiglia, per molti aspetti, agli inni che hanno per tema il regno del Signo­ re398. Come i Sal.

96 e 98, esso si apre invitando a cantare al Signore un canto 95,6-7 il Signore è il Dio d'Israele perché ne è il creato­

nuovo. Come nel Sal.

re399. ll salmo è interessato proprio al rapporto della regalità del Signore con

è presente con tutta una il suo popolo, gli umili. Il Signore viene regolarmente identificato in rapporto con Israele: il Signore è creatore e re d'Israele, colui che si compiace nel proprio popolo e adorna di vittoria gli umili. Il v. 4 è la transizione che unisce le due parti del Israele. Persino nella prima parte del salmo Israele

serie di identificazioni: assemblea dei fedeli, figli di Sion,

salmo. Nella prima parte, il Signore è lodato perché ha investito il proprio

popolo con

il gradimento del suo

disegno regale; lo ha conferito a questi

umili che egli adornerà di una vittoria salvifica che manifesterà il proprio

regno. La seconda parte del salmo racconta che i fedeli saranno parte atti­ va in quella vittoria che segnerà la loro salvezza. Essi sono invitati a lodare il Signore e ad armarsi in preparazione del combattimento che farà la ven­ detta del Signore sulle nazioni. La vittoria che

il Signore concederà loro in

quella guerra sarà il loro ornamento, la loro gloria,

il loro onore.

3. Si noti che i fedeli compiranno la vendetta del Signore mediante una combinazione di lode e spada. Senza la lode la spada non servirebbe; può servire soltanto la spada che può essere sfoderata lodando

il

Signore. La

vendetta non è la loro vendetta; essi devono eseguire la sentenza che è sta­ ta pronunciata e, per così dire, passata in giudicato: «la sentenza scritta»,

dice efficacemente

il testo

ebraico. La vendetta del Signore

è

l'azione che

il Signore intraprende per mantenere e far valere

il proprio regno contro i suoi avversari400 • Nel Salterio, la vendetta del Signore è la dimostrazione del rapporto che egli ha con il proprio popolo che soffre sotto l'assalto del­ le nazioni401 e la dimostrazione che chi ha fiducia in lui contro le minacce e l'oppressione degli empi ha ragione (Sal.

94).

Nel nostro salmo l'interesse

è rivolto alla vendetta contro le nazioni e i loro sovrani. Nella terminologia e teologia del Salterio le nazioni e i loro governanti costituiscono l'opposi­ zione per antonomasia

al regno del Signore. Essi rappresentano sistemi di

governo nella storia che minacciano di dissolvere e travolgere la storia del

398 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 6.3. 399 Così anche Sal. 100,3. ll concetto deriva dall'antico principio che il creatore è anche il dominatore, il signore e padrone; cfr. il commento al Sal. 24, vedi sopra, pp. 138 s. 400 Cfr. il commento al Sal. 94, vedi sopra, p. 489. 40I Cfr. il Sal. 79 in part. i vv. 9-10.

489

Libro quinto - Salmi

107 - 150

popolo del Signore, il popolo che rappresenta e fa conoscere il suo regno402. Non si può sapere con sicurezza a quale fonte, se mai si tratta di una fonte, si riferisca il richiamo alla «sentenza scritta». Una fonte verosimile sono gli oracoli profetici contro le nazioni che parlano della vendetta del Signore più spesso di qualsiasi altra tradizione scritta. Se tale ipotesi è corretta, allora il salmo invita i fedeli a prepararsi a entrare in azione quando gli oracoli pro­ fetici si stanno compiendo.

4. Come alcuni altri inni che cantano il regno del Signore, anche il nostro salmo ha alcuni collegamenti illuminanti con le profezie di Is. 40 - 66. Si tratta delle profezie che parlano soprattutto della rivelazione divina del regno del Signore nel mondo attraverso la vittoriosa salvezza del suo popolo403• Più specificamente, in queste profezie il Signore promette di rendere Israele uno strumento a doppio taglio per annientare quelli che muovono guerra al popo­ lo del Signore e di adornare il proprio popolo con una vittoria apportatrice di salvezza404• Poiché assegna ai fedeli il ruolo di guerrieri che eseguono il giudizio del Signore sulle nazioni, il nostro inno può essere classificato tra le profezie che si leggono in Mich. 4,13 e Zac. 10,5 e 12,6. L'anticipazione di una guerra dei fedeli, che risolverà il conflitto tra i regni di questo mondo e il regno di Dio, conferisce al Sal. 149 una dimensione escatologica, qua­ si apocalittica405• La speranza di una vittoria sulle nazioni e sui popoli che lasci re e principi in catene, prigionieri ormai sottomessi, è una visione che trascende conflitti locali e guerre specifiche. Ispirato dai salmi e dalle pro­ fezie del regno a venire, questo salmista ha composto un inno che chiama i fedeli a una lode e a una militanza che serva alla sua venuta. È importante notare che i fedeli sono gli umili, i miseri (v. 4), sono quelli che nel Nuovo Testamento saranno chiamati «poveri in spirito», «mansueti» (Mt. 5,3.5). Qui sta succedendo qualcosa di meraviglioso: gli umili diventano i guer­ rieri che combattono per il regno ed ereditano la terra.

5. La collocazione attuale del Sal. 149 nel Salterio apre altre due prospet­ tive sulla sua interpretazione. In primo luogo, il salmo continua chiaramen­ te l'inno precedente. Salmi 148,14 chiama già Israele «popolo del SIGNORE», i suoi fedeli, e dice che il Signore ha innalzato per loro una lode che sarà la loro fama e la loro potenza. TI Sal. 149, che ne è la continuazione, è quella lo­ de e rivela come la lode possa essere per i fedeli onore e gloria. Nel Sal. 148,

402

Cfr. il commento a Sal. 9 - 10, vedi sopra, pp. 87 ss. Cfr., per esempio, Is. 40,1-11; 41,21-29; 52,7-10. 404 Cfr. rispettivamente ls. 41,11-16 e 55,5; 60,9. 405 Un chiaro esempio dello sviluppo di questa concezione apocalittica è la Regola iella guerra ritrovata in varie copie tra i manoscritti di Qumran, nota anche, più giorna­ listicamente, come Regola della Guerra dei figli della luce contro i figli delle tenebre: cfr. Testi ti Qumran, a cura di Fiorentino Garcia Martinez e Corrado Martone, Brescia, Paideia, 1996, pp. 196 ss. [N.d.C] 403

�90

Salmo 149: La lode in bocca e una spada a due tagli in mano

re, principi e tutti i popoli fanno parte del coro universale che loda il Signore (v. 11), mentre nel Sal. 149 essi sono le potenze che vanno abbattute in lode del Signore. I due salmi accostano le due immagini non riconciliate del re­ gno del Signore e delle nazioni che si leggono in entrambi i Testamenti: una di inclusione e una di conflitto. Entrambe le immagini gettano la luce della rivelazione sullo scopo e le vie del Signore. Essendo il penultimo salmo del Salterio, il Sal. 149 corrisponde alla collocazione del Sal. 2, il secondo salmo del libro. n Sal. 2 annuncia che il Signore reclamerà per il proprio dominio, mediante il suo re unto, i re e le nazioni. Nel Sal. 149 lo strumento umano è l'assemblea dei fedeli, che per il servizio che svolgono sembra essere un popolo messianico, mediante il quale il Signore porta a termine ciò che do­ veva essere la vocazione del re davidico406• Nell'Antico Testamento anche il rapporto tra i ruoli del Messia e del popolo nella venuta del regno è ancora ambiguo, ma viene lasciato così, a gettare luce su cose a venire. 6. Usato come inno407 e Scrittura, il Sal. 149 provoca anche due rispo­ ste che restano inconciliate. La sua chiamata alla guerra escatologica è, ov­ viamente, provocatoria. La chiamata è udita, e deve essere udita, con ap­ prensione, perché le guerre lanciate nel nome di Dio e i tentativi di forzare la venuta del regno, hanno provocato tragedie cruente. È interessante che l'espressione «assemblea dei fedeli» appaia in I Mac. 2,42 per indicare una fazione di «potenti guerrieri d'Israele» che aveva deciso di unirsi a Matta­ tia e ai suoi figli408• n salmo fu usato da Gaspare Sdoppio per infiammare i principi cattolici a partecipare alla guerra (religiosa) dei Trent'anni. Lo usò in tal senso anche Thomas Miintzer per scatenare la guerra dei Contadini409• L'ammonimento di Gesù è chiaro e resta valido: «Riponi la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada periranno di spada» (Mt. 26,52). D'altra parte il salmo chiede se i tentativi di bandire la posizione e le metafore della militanza dalla condotta e dal linguaggio dei fedeli non riconoscano il mondo nel quale la fedeltà esiste. n modo della militanza è stato trasformato dalla morte e risurrezione di Gesù e dall'istruzione da lui data di reclamare per lui le nazioni con la conversione e il battesimo (Mt. 28,19). Ma la fedeltà viene a trovarsi in conflitto con gli scopi delle nazioni e dei loro governanti. n fedele può sentire nel salmo la chiamata a sfode-

406

Cfr. il commento al Sal. 2, vedi sopra, pp. 64 ss. e cfr. Dan. 7,18.21.

407 NeU'Innario cristiano cit., Sal. 149,4 è interpretato nel contesto di un inno di Nata­

le (inno n. 75). Il Sal. 149 è l'unico dei cinque che conclude il Salterio.

4. Essendo l'ultimo del Salterio, il Sal. 150 ci dice qualcosa circa il libro. Esso porta a un culmine risonante il crescente predominio degli inni di lo­ de iniziato con gli inni al regno del Signore nell'ultimo decennio del secolo scorso419• Il libro che si era aperto con un encomio della Torah del Signore quale via di vita finisce qui con un invito a lodare il Signore quale degno modo di usare la vita. La corrispondenza tra il verbo «lodare>> (l)illel) tante volte ripetuto e il titolo ebraico del libro, «Lodù> (f!hillim), indica che quelli che diedero al libro il suo titolo ritenevano che esso contenesse le lodi del Signore offerte a tutti quelli che respirano. n libro è il linguaggio con il qua­ le la vita può dichiarare la propria dipendenza e obbligazione e gratitudine al Signore. Alleluia!

419 Cfr. l'Introduzione, vedi sopra, 4.4.

i94

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