Il mistero del Cristo nei Salmi 8810407393

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Il mistero del Cristo nei Salmi
 8810407393

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Per parlare del Cristo e mostrare che è da lui che viene la salvezza, gli autori del Nuovo Testamento e i padri della Chiesa attingono di continuo dall'An­ tico Testamento e ne rinnovano completamente la lettura. Questo è vero, in particolare, per il libro dei Salmi, il libro dell'Antico Testamento più citato nel Nuovo, commentato assiduamente dai padri, di­ ventato una delle basi della preghiera e della medi­ tazione della Chiesa. l'opera di Pierre (jrelot è un'indagine sulle diffe­ renti letture dei salmi citati nel Nuovo Testamento e su un certo numero dei loro commenti cristiani. Es­ sa contribuisce ad aprire l'esegesi e la teologia mo­ derne alla questione dei "diversi significati della Scrittura". PIERRE GRELOT è nato 11el 1917. Laureato in teologia e in lettere ha insegnato sacra Scrittura all'lnstitut catholique di Parigi. Membro della Pontificia commissione biblica, è senz'altro uno dei massimi esperti, a livello mondiale, di Bibbia e cristianesimo delle origini. Autore di numerosi testi pubblicati presso le maggiori editrici cattoliche francesi, è uno dei migliori conoscitori attuali della lingua aramaica. Le sue opere sono tradotte in tutto il mondo.

ISBN 88-10-40739-3

1 111 11 1111111 111 1 111 11 9I�JIJID�IJII �����!I MISTERO DEL CRISTO EDIZIONI DEHONIANE BOLO� Euro 27,70(Iva Compresa)

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Studi biblici

S.A. Panimolle, Il discorso di Pietro all'assemblea apostolica 1: Il concilio di Gerusalemme II: Parola, fede e Spirito III: Legge e Grazia F. Lambiasi, L'autenticità storica dei V angeli M . McNamara, l Targum e il Nuovo Testamento C.K. Barrett, La prima lettera ai Corinti L. Monloubou, La preghiera secondo Luca L. Alonso Schokel, Trenta salmi: poesia e preghiera P. Grelot, l Canti del Servo del Signore Dupont, Teologia della Chiesa negli Atti degli apostoli P. Lapide, Leggere la Bibbia con un ebreo F.-E. Wilms, l miracoli nell'Antico Testamento Il Midrash Temurah, a cura di M. Perani J. Dupont, Le tre apocalissi sinottiche l. De la Potterie, Il mistero del cuore trafitto W. Egger, Metodologia del Nuovo Testamento J. Darù, Principio del Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco S. Zedda, Teologia della salvezza nel Vangelo di Luca L. Gianantoni, La paternità apostolica di Paolo S. Zedda, Teologia della salvezza negli Atti degli apostoli A. Giglioli, L 'uomo o il creato? M. Pesce, Le due fasi della predicazione di Paolo E. Boccara, Il peso della memoria L. Alonso Schokel J .M. Bravo Arag6n, Appunti di ermeneutica Metodologia dell'Antico Testamento, a cura di H. Simian-Yofre F. Manns, Il giudaismo G. Cirignano F. Montuschi, La personalità di Paolo F. Manns, La preghiera d'Israele al tempo di Gesù H. Simian- Yofre, Testi isaiani dell'A vvento M. Nobile, Ecclesiologia biblica L. Ballarini, Paolo e il dialogo Chiesa-Israele F. Manns, L'Israele di Dio A. Spreafico, La voce di Dio G. Crocetti, Questo è il mio corpo e lo offro per voi A. Rofé, La composizione del Pentateuco P. Lapide, Bibbia tradotta Bibbia tradita G. Cirignano- F. Montuschi, Marco. Un Vangelo di paura e di gioia P. Grelot, Il mistero del Cristo nei Salmi

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PIERRE GRELOT

IL MISTERO DEL CRISTO NEI SALMI

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

Titolo originale: Le mystère du Christ dans les Psaumes Traduzione dal francese: Giuseppe Cestari



1998 Editions Desclée, Paris

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2000 Centro editoriale dehoniano via Nosadella, 6 - 40123 Bologna

ISBN 88-10-40739-3 Stampa: Grafiche Dehoniane, Bologna 2000

ABBREVIAZIONI

ANVA BJ CCG CCIF CSEL DBS DEB DJD EB EWNT GCS HUCA JCC LD LXX NRT PG PL RB RSR SB SCh S. Th. TM TOB

Avhandlinger i norske Videnskapsakademie (Osio) Bible de Jérusalem [Bibbia di Gerusalemme] Corpus di Berlino proseguito a Vienna ( GCS) Centre Catholique des lntellectuels Français Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum Dictionnaire de la Bible: Supplément Dictionnaire Encyclopédique de la Bible Documents of Judaean Desert Etudes bibliques Exegetisches Worterbuch zum Neuen Testament Die griechischen christlichen Schriftsteller Hebrew Union College Annua/ International Critica/ Commentary Lectio divina (collezione) Bible grecque des Septante Nouvelle Revue Théologique Patrologie grecque di MIGNE Patrologie latine di MIGNE Revue biblique Recherches de science religieuse Sources bibliques Sources chrétiennes (collezione) Summa Theologica di san ToMMASO n'AQUINO Testo masoretico Traduction oecuménique de la Bible =

Testi di Qumran: per l'edizione di questi testi, l'abbreviazione JQ in­ dica la Grotta l, ecc. 5

PRESENTAZIONE

1. Pierre Grelot ha già scritto due opere per la collezione «Jésus et Jésus-Christ», da me diretta: L'Espérance juive à l'heure de Jésus [La speranza· ebraica al tempo di Gesù, tr. it. di L. Bacchiarello, Boria, Roma 1981 ], poi Dieu, le Père de Jésus-Christ. La prima esa­ mina in tutta la sua ricca diversità l'ambiente ebraico in cui Gesù nac­ que e annunciò il vangelo, nell'attesa che la fede cristiana ricono­ scesse in lui il Cristo, il Signore, il Figlio di Dio. Con tale opera si ri­ mane in un contesto ebraico, anche se l'obiettivo dell'autore si è mo­ dificato. In una prospettiva nel contempo nettamente ristretta quanto all'ampiezza del campo esplorato, ma ancora più nettamente centrata sulla questione cristologica in quanto tale, si tratta nella fat­ tispecie di vedere come si è formato il linguaggio della teologia cri­ stiana che ha presentato Gesù alla fede dei suoi fedeli. Tale linguaggio, infatti, non proviene dagli ambienti .ellenistici, almeno per le sue espressioni essenziali: esso proviene dai libri santi ai quali il giudaismo del tempo legava la sua fede, con una reinter­ pretazione che lo porta ai li miti delle sue possibilità. Reinterpreta­ zione, o «rilettura»: il giudaismo precristiano aveva già dato avvio a questa operazione per più di un testo sacro. Pierre Grelot, del resto, ne aveva esaminato un caso importante nel suo libro Les Poèmes du Serviteur: De la lecture critique à l'herméneutique (Editions du Cerf, Paris 1981). Qui intraprende la stessa operazione per i Salmi, libro essenziale per la preghiera ebraica, diventato poi quello della pre­ ghiera cristiana. Il punto di partenza dello studio è una constatazione assai sem­ plice: fin dal Nuovo Testamento, non solo vediamo Gesù pregare con i Salmi come tutti gli ebrei del suo tempo, ma l'annuncio del

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«vangelo di Gesù Cristo», riprende con frequenza dei testi di salmi per porre in evidenza il mistero della sua persona e della sua fun­ zione redentrice. 2. Non basta tuttavia limitarsi a questa constatazione: occorre comprenderne la motivazione. A tale scopo, il primo approccio deve collocarsi a livello della letteralità originale. Senza addentrarsi in di­ scussioni critiche interminabili, l'autore esamina in primo luogo, così come venne composto in vista della liturgia ebraica celebrata nel tempio di Gerusalemme, ciascuno dei salmi citati nei testi propria­ mente «cristologici» del Nuoto Testamento. Se la composizione dei testi fu antica (anteriore alla deportazione della élite giudaica in Ba­ bilonia), il fatto che essi siano stati ripresi nella liturgia del «secondo tempio», ha potuto già esigerne una «rilettura», che l'adattasse alle nuove circostanze della vita ebraica. A maggior ragione, la tradu­ zione greca del Salterio nella comunità ebraica di Alessandria, nel III secolo prima della nostra era, ne ha comportato una nuova inter­ pretazione che poteva all'occorrenza modificarne la letteralità. È proprio in tale quadro che Gesù stesso e quindi la Chiesa pri­ mitiva, hanno operato una nuova «rilettura» dei testi per farne una preghiera adattata alle prospettive evangeliche. Le citazioni o ri­ prese implicite che si possono rilevare nel Nuovo Testamento con­ sentono di comprenderne i princìpi fondamentali. Ma la «rilettura>> cristiana non si fermò lì. Dopo l'epoca che pos­ siamo grosso modo qualificare come «apostolica>>, le Chiese locali disseminate nel mondo greco-romano hanno continuato la stessa operazione per fare dei Salmi la loro peculiare preghiera, parallela­ mente al giudaismo che li leggeva - e li pregava - nella prospettiva della sua fedeltà alla Torah. 3. Per questo l'autore, per ciascuno dei salmi selezionati in fun­ zione del loro riutilizzo nel Nuovo Testamento, intraprende una ri­ cerca che concerne propriamente la teologia e la preghiera cristiana. Egli rilegge a tal fine i padri della Chiesa, soffermandosi dapprima sui riferimenti occasionali che è possibile rinvenire in essi fin dal II secolo, quindi nelle omelie e nei commenti che sono dedicati agli stessi salmi, tanto nell'oriente greco che nell'occidente latino, nel IV e V secolo. Le raccolte di patrologia forniscono allora i materiali ne­ cessari per comprendere il ruolo che il Salterio ha potuto svolgere -

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e continua a svolgere - nella preghiera dei cristiani e nella riflessione teologica sul Cristo Gesù. La collezione di testi così realizzata non ambisce ad essere com­ pleta. L'autore, del resto, non ha cercato di «commentare i commen­ tari» che i padri hanno innestato sulla lettura dei salmi così selezio­ nati! Ai padri della Chiesa ha tuttavia allegato, per concludere, al­ cune citazioni del commentario del Salterio, cui san Tommaso aveva posto mano e che la morte non gli consentì di portare a termine. Lo spirito insomma è lo stesso di quello che presiede agli sviluppi dei padri della Chiesa: commento teologico, anteriore alle preoccupa­ zioni della critica biblica ... La critica ben condotta non dovrebbe precludere ai moderni di fare a loro volta questa «rilettura» dei Salmi che può consentire loro di trovare in essa l'abbozzo del mistero del Cristo sotto taluni dei suoi aspetti essenziali. Questo, in ogni caso, è l'orientamento del la­ voro dell'autore. Seguendolo, siamo perciò persuasi di meglio perce­ pire come oggi sia possibile «pregare i Salmi». 4. Una precisazione va tuttavia evidenziata: in questo libro non viene preso in esame tutto il Salterio, ma unicamente quei testi che sono stati ripresi sotto un'angolatura «cristologica» nel Nuovo Te­ stamento. Se la prospettiva è perciò ristretta a un obiettivo preciso, offre comunque un mezzo importante per comprendere perlomeno due dati essenziali, al tempo stesso cristologici e cristiani. Da una parte, essa esalta per così dire il valore dell'unità dei due Testamenti: l'An­ tico non fu soltanto la preparazione storica del Nuovo, ma gli ha for­ nito una parte del linguaggio di cui aveva bisogno per annunciare il vangelo di Gesù Cristo comprendendo il significato della sua per­ sona e dei suoi atti, della sua croce e della sua risurrezione. Dall'al­ tra, tale prospettiva manifesta bene, per parte sua, che l'unità sia della fede che della speranza dell'uno e dell'altro Testamento si rea­ lizza attorno alla figura e alla missione, all'opera e alla funzione di Gesù l'ebreo, che i cristiani riconoscono come Gesù il Cristo. Joseph Doré arcivescovo di Strasburgo

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INTRODUZIONE

L'attuale indagine non mira ad arricchire lo studio critico del Salterio per i poemi che in essa sono presi in esame, né a costituire un trattato completo di cristologia. Muove soltanto da una constata­ zione che ogni lettore del Nuovo Testamento può fare: molti versetti di salmi vi sono ripresi. Ad essi vien dato un significato adattato alla presentazione del mistero del Cristo, vale a dire agli aspetti essen­ ziali della sua esistenza, dal suo ingresso nel mondo fino alla sua morte, quindi al suo passaggio nella gloria del Padre con la sua risur­ rezione e alla sua attuale azione per la salvezza degli uomini. Certa­ mente, il Salterio non è l'unico libro del Primo Testamento che for­ nisca dei testimonia scritturistici e un linguaggio preadattato ali' e­ spressione della cristologia. Si potrebbe compiere un 'indagine ana­ loga in più di una raccolta profetica: Isaia, Michea od Osea nei testi evangelici, Ezechiele e Daniele nell'Apocalisse, e tante altre frasi staccate dai loro contesti primitivi per entrare nei libri più diversi. Le edizioni critiche del Nuovo Testamento forniscono al riguardo utili repertori: in essi le citazioni formali si affiancano a espressioni ripr�­ poste o a semplici parallelismi verbali. Ispirati dai testi del Nuovo Testamento, i padri non hanno esitato ad ampliarne ulteriormente i dati per presentare, con l'apporto del metodo esegetico che la loro cultura ad essi forniva, il «senso cristiano dell'Antico Testamento». 1

1 Ho affrontato tempo fa questo problema nel mio libro: Sens chrétien de /'An­ cien Testament (Desclée, Paris 1962), che non era una «teologia dell'Antico Testa­

mento», né un'esposizione sistematica sui «significati della Scrittura», ma un «saggio ·di teologia dogmatica».

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Il quadro culturale nel quale viviamo ci porta spesso a trala­ sciare, nelle loro opere, ciò che consideriamo come degli adatta­ menti testuali senza fondamento nel significato che chiamiamo «let­ terale>>: quello che i nostri metodi critici ci consentono di stabilire,2 o perlomeno quello che ogni esegeta ritiene come probabile. E inoltre, quante discussioni tra esegeti competenti sulla data e la portata ori­ ginale di certi salmi che il Nuovo Testamento ha applicato a Gesù Cristo! C'è forse bisogno di citare qui i Salmi 2,45 e 109[110]? Sono salmi regali anteriori all'esilio, o salmi composti dopo l'esilio per ali­ mentare una speranza volta verso il futuro Messia? La domanda non può essere elusa, quando ritroviamo tali salmi nel Nuovo Testa­ mento per presentare il Cristo Gesù in quanto Scrittura «portata a compimento». Anziché eluderla, tale domanda va affrontata con de­ cisione. Tutti questi testi hanno avuto, all'epoca della loro composi­ zione, un significato che corrispondeva al loro contesto storico e cul­ turale. È del tutto escluso che li si possa liquidare col pretesto che hanno «annunciato il Cristo». In che modo l'hanno annunciato o preparato nella fede israelitica e giudaica, o l'hanno prefigurato a modo loro abbozzando certi tratti del suo mistero futuro? Po­ tremmo forse dimenticare lo sviluppo della rivelazione in Israele e nel giudaismo postesilico, con le caratteristiche tappe segnate dal crollo delle istituzioni israelitiche nel 587 prima della nostra era,3 quindi la restaurazione postesilica che focalizzò decisamente lo sguardo dei credenti su un avvenire diversamente evocato? Più 2 Questa nozione critica del «Significato letterale», determinato dall'intenzione esplicita degli autori di scrivere nell'ambiente in cui si trovavano. non corrisponde alla definizione del sensus litteralis presso i padri o anche in san Tommaso: essi leggono la «lettera», dei testi in funzione dell'insieme della Scrittura e cercano nei libri del Primo

Testamento gli abbozzi della rivelazione attuatasi nel N uovo. Ho presentato altrove una riflessione sullo statuto teologico del significato «letterale» com'è inteso dalla cri­ tica bibl ica (cf. La Bible, Parole de Dieu, Desclée, Paris 1965, 333-367). Basterebbe oggi estendere tale esposto ai diversi aspetti della critica e alle varie operazioni che vi si possono col1egare. Ma, nel caso specifico, non presenta interesse alcuno, tranne per lo stud io del linguaggio simbolico che troviamo in entrambi i Testamenti. 3 Sul piano politico, sarebbe più esatto parlare qui del crollo del regno di Giuda e della sua capitale Gerusalemme. Il regno d'Israele e la sua capitale, Samaria, annessi dall'Assiria nel 722, non hanno lasciato la stessa traccia nei libri biblici: le dinastie che vi si succedettero non erano portatrici della stessa speranza religiosa di quella che si collegava alla dinastia di Davide. Nel Salterio, il Salmo 44(4 5 ) è forse l'unico residuo di una liturgia regale giunta dal regno del Nord: la celebrazione del matrimonio del re con una « figlia di Tiro>> (Sal 44(45],14) non sembra corrispondere alle consuetudini del regno del Sud. La parentesi di Atalia (2Re 1 1,1-20), sposa di loram (cf. 2Re

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tardi, la crisi dell'epoca greca (168-164) portava a una instaurazione in le correnti di pensiero e i partiti religiosi. È in quest'ultimo quadro che Gesù è nato, che ha predicato, che è stato messo a morte, che è entrato nel > (con il termine aramaico bar!). Basta rimaneggiare le due ultime parole, che si suppongono inscritte a margine, prima del verbo gilu: nassequ beraglayw = «baciate i suoi piedi», gesto di sot­ tomissione compiuto dai vinti davanti al sovrano. Al v. 6, il verbo «introniz­ zare» rende l'ebraico che significa «installare», «insediare»: la consacrazione regale ha luogo sul monte Sion, dove il Tempio è costruito fin dal regno di Salomone.

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STRUTIURA LETIERARIA DEL TESTO

Così come si presenta, il testo si divide chiaramente in quattro strofe (vv. 1-3; 4-6; 7-9 e 10-12). L'ultima frase è un'aggiunta. Per l'e­ secuzione del salmo nel corso di una solenne liturgia, si può facil­ mente immaginare la ripartizione dei suoi versetti tra parecchi ese­ cutori. La strofa III (vv. 7-9) è chiaramente un «a solo» dove il re in persona, o il suo portavoce, «enuncia il decreto divino» che lo inse­ dia nelle sue funzioni. Le strofe I e II (vv. 1-3 e 4-6) costituiscono un preludio a questa dichiarazione regale. 23

a) Strofa l. La strofa I presenta la scena del mondo ribelle «con­ tro JHWH e contro il suo Unto», il re da lui scelto per ricevere dalle sue mani un dominio universale. In questo quadro generale, il v. 3 si stacca come l'espressione del programma elaborato dalle «nazioni» (goylm) e dalle «plebaglie» (Fummim ), che hanno alla loro testa i «re della terra» e i «governanti» (rozenim). L'estensione universale di questa ribellione si intende in funzione del quadro geografico nel quale il popolo di Israele accede alla storia. Poiché il Dio d'Israele è ritenuto, da coloro che credono in lui, come «l'Unico», la terra intera è suo dominio: il re, che egli istituisce nel suo popolo come deposita­ rio dei suoi poteri, riceve dunque da lui, con la sua consacrazione, un'autorità virtuale su tutti i popoli del mondo. È in funzione dell'u­ niversalità della sua autorità che il v. 2b mostra governanti e re in at­ teggiamento di rivolta «contro JHWH e contro il suo Unto>>. Il v. 3 enuncia il loro progetto, insistendo sull'associazione di Dio e del suo Unto nel possesso della sua stessa autorità: si tratta di «spezzare i loro ceppi» e di «gettar via le loro catene [o il loro giogo]». Dal punto di vista dell'esecuzione corale, si può immaginare che i vv. 1 -2 e 4-5 siano cantati da due piccoli cori incaricati del «recita­ tivo», mentre il v. 3 viene affidato a un coro più potente che pro­ clama la rivolta delle nazioni e delle plebaglie. b) Strofa Il. Troviamo allora una seconda strofa, dove il recita­ tivo prosegue nella sua descrizione, mostrando, di fronte ai ribelli, il Signore che di costoro si fa beffe. Poi scoppia la collera di Dio (v. 5) in una dichiarazione «assolo» (v. 6). A questa assicurazione giunta dall'alto, il re risponde prendendo egli stesso la parola. Il suo canto «assolo» annuncia il tenore del decreto divino che definisce la sua condizione, ricordando la sua dichiarazione enunciata da Dio nel v. 6. Ma, questa volta, la parola divina si spinge più lontano nella presentazione della condizione regale. c) Strofa III. Poiché la parola di Dio realizza quanto afferma, il re sa che, con la sua consacrazione, è diventato il figlio adottivo di Dio stesso: il momento della consacrazione è stato il momento in cui Dio l'ha «generato», comunicandogli qualcosa della sua personale sacralità (v. 7bc). Di conseguenza, poiché Dio è il padrone di tutte le nazioni che ha creato, è sufficiente che il suo «figlio adottivo» gliele chieda per riceverle in eredità (v. 8). La prospettiva aperta da questa 24

promessa non si realizzerà tuttavia automaticamente: costituito da Dio come il signore virtuale del mondo intero, il re dovrà farne la conquista (v. 9). Ci troviamo in un oriente dove ogni anno, al ter­ mine dell'inverno e del contemporaneo periodo delle piogge (2Sam 1 1,1 ), i re partono per la guerra con lo scopo di ampliare il dominio della loro sovranità. Il re consacrato da Dio, e costituito come «fi­ glio» suo, intraprenderà dunque la campagna bellica necessaria al­ l'instaurazione del suo impero. Egli sa (vv. 1-3) che tutti i re della terra sono insorti contro di lui per spezzare i propri ceppi. Ma lui, forte della potenza divina, li spezzerà con uno «scettro di ferro», li schianterà «come un orcio di vasaio» (v. 9). È il re in persona che enuncia questa prospettiva di vittoria fondata su una promessa di­ vina e descritta in termini realistici per l'orientale. d) Strofa W. Resta da trarre una lezione da questo quadro, nel contempo grandioso per il re, che ne è l'eroe, e terrificante per i suoi nemici reali o possibili. Il cambiamento di soggetto� che passa dalla promessa di vittoria alla lezione di saggezza, è segnato dall�avverbio abituale: «E ora... ». Colui che parla si rivolge così a tutti i sovrani e governanti del mondo: «Cercate di capire ! Istruitevi! » (v. 10). La le­ zione non ha di mira la persona del re che Dio ha investito di un si­ mile potere: adesso è del Signore stesso che si tratta. È lui che biso­ gna servire, davanti a lui si devono compiere i gesti di prostrazione e di omaggio (v. 1 1). Il timore e il tremore devono colpire tutti. Ma poiché non si può proprio «baciare i piedi» di Dio in quanto tale­ ammesso che il restauro del testo sia esatto - l'omaggio così manife­ stato si realizza davanti all'uomo che gli è ligio: il re consacrato da lui su Sion, il suo monte santo (v. 6). Questo consiglio di saggezza, enunciato in un «assolo» da un cantore, sarà accolto dai sovrani e dai governanti del mondo? Non lo si può sapere in anticipo. Ma sarebbe un rischio non seguir lo: la collera divina divamperebbe improvvisa e li farebbe perire (v. 12). 3. PORTATA RELIGIOSA DEL TESTO Così si presenta l'insieme del testo. È profondamente radicato nei due ambiti che la situazione di Israele, popolo di JHWH, collega strettamente tra loro: da una parte, la vocazione religiosa del popolo dell'alleanza nella misura in cui è compresa al tempo dei re, e, dal25

l'altra, i soprassalti della vita politica nell'antico oriente. Paragonato ai grandi imperi d'Egitto o assiro-babilonese, Israele non è che un piccolissimo popolo, circondato da vicini di identica statura: Edom, Moab, gli ammoniti, i regni aramei, le città fenicie e filistee ... Ma il Dio d'Israele, l'Unico, il Creatore, regna sull'intero universo: è il Si­ gnore di tutti i governanti del mondo. Come non ne accorderebbe il possesso o la sovranità a colui che egli ha scelto per stabilirlo su «Sion, [il suo] monte santo»? La vocazione .provvidenziale del mo­ narca, discendente di Davide, che ha la sua sede a Gerusalemme, non è allora di dominare il mondo e di assicurare in tal modo il rico­ noscimento universale del regno di Dio di Israele?3 C'è qui evidente­ mente una confusione radicale tra due piani: quello del regno di Dio e quello della potenza garantita alla nazione israelita in un mondo contrassegnato dalla forza delle armi, dalla conquista degli imperi, dalla ribellione dei popoli oppressi, dall'annientamento delle armate nemiche. Nell'ora in cui un poeta di corte, o un cantore del tempio, com­ pone questo cantico per la consacrazione regale, il popolo di Israele, i suoi re e i suoi sacerdoti, la sua liturgia istituzionale, non vedono più lontano nella rivelazione del disegno di Dio. L'avvenire politico della nazione si sovrappone ali' estensione del regno di Dio come se le due realtà si confondessero. Il cammino della rivelazione verso un futuro indefinibile si piega alle esigenze della mentalità del tempo. La consacrazione regale fa nascere un sogno di avvenire, per cui la speranza e le illusioni si intrecciano e si confondono. Speranza: la fi­ liazione adottiva del re sorto da Davide che troneggia su Sion, «monte santo» di Dio, ne è la garanzia. Illusioni: il successo immagi­ nato di un'impresa di conquista e di dominio universale, come se Dio stesso si ponesse al servizio della potenza regale e del suo domi­ nio politico in un impero universale.4 L'avvenire provvederà a con-

3 Sotto questo aspetto, JHWH è il Dio nazionale d'Israele come Marduk lo è di Babilonia. Ma l'affermazione della sua unicità comporta il suo potere sul mondo in­ tero. L'ambiguità della situazione, in cui il Dio unico è quello di un popolo partico­ lare, depositario delle sue promesse, non è ancora dissipata. 4 Si misura nel contempo l'errore che ogni lettura «letteralista» della Bibbia comporta: si dovrà arrivare al fallimento radicale della monarchia israelitica nelle sue ambizioni politiche perché la fede di Israele rinvii in un avvenire impreciso la realiz­ zazione della promessa divina evocata nel salmo.

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traddire tale sogno per ricollocare al suo vero posto l'ambizione che una simile vocazione divina potrebbe nutrire. Sì, il re discendente da Davide è di certo figlio adottivo di Dio, «generato» simbolicamente per ricevere questo titolo nel momento della sua consacrazione. Ma Dio è al suo servizio, o invece è il re al servizio di Dio? Non bisogna invertire la rispettiva importanza dei due ordini di cose. Le promesse divine sono sempre al condizionale: i re d 'Israele e di Giuda Io di­ menticheranno. Allora la prospettiva dischiusa da questo salmo di consacrazione porterà al fallimento. Nel 587, la regalità giudaica in­ staurata a Gerusalemme dopo Davide avrà fine. Il salmo, invece, re­ sterà nelle memorie: verrà pienamente raccolto per essere cantato di nuovo nella liturgia del tempio. Che significato assumerà allora? II. La

rilettura giudaica del Salmo 2

l. LA LITURGIA DOPO

L'ESILIO

Dopo la restaurazione del tempio nel 520-515, il culto riprende sul suo antico sito: sacrifici, oblazioni, olocausti ecc. Il calendario dell'anno liturgico viene riorganizzato. Tutta questa liturgia non si svolge ovviamente in silenzio. Già dal tempo di Davide, il re aveva destinato una parte dei «levi ti» al canto corale, stando alla tradizione raccolta in 1Cr 23,25-26. Dopo il ritorno dall'esilio, i cantori vengono riorganizzati in tre «gilde»,5 quelle di Asaf, di Eman e di Idutun, che lCr 16,37.41 fa risalire all'epoca dello stesso Davide. I nomi dei tre eponimi delle gilde ricompaiono occasionalmente anche nel Salte­ rio: Asaf dodici volte segnatamente nella piccola raccolta dei Salmi 72[73] - 82[83); Eman una volta (Sal 87[88],1 ); ldutun due volte (Sal 38(39],1 e 61[62],1). È tra essi che si devono cercare i musicisti e gli esecutori dei canti. Il loro numero è sufficiente per attribuire un po­ sto distinto ai cori e ai solisti. La costituzione progressiva dei cinque libri di salmi non può ovviamente essere ristabilita in modo cronolo­ gico. Ma è chiaro che il Salmo 2 è il canto iniziale di un Libro l, glo­ balmente attribuito a Davide, tranne i Salmi 2 e 32[33]. È noto che il

t.. 2,

5

Vedere H. 259-260.

DE

VAux, Les lnstitutions de l'Ancien Testament, Cerf, Paris 1958,

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Salmo l è fuori schema nella sua qualità di apertura della raccolta fi­ nale, com'è altresì noto che il Salmo 150 lo conclude con una dosso­ logia. È interessante notare che il Salmo 2 è precisamente un cantico «regale», come dopo di esso, i Salmi 17[18]; 19[20] ; 20[21 ], trala­ sciando i salmi attribuiti fittiziamente a Davide e inseriti nel corso delle sue avventure.6 La composizione dei Salmi 17[18] (riprodotto in 2Sam 22); 19[20] e 20[21 ], all'epoca regale, non può facilmente es­ sere appartata: i Salmi 19[20] e 20[21] menzionano esplicitamente il re. Questo fatto depone a favore della composizione del Salmo 2 in epoca regale, secondo la posizione che è stata adottata più sopra. Ma la restaurazione del tempio e la ripresa del culto dopo l'esilio hanno richiesto la ricostruzione di una raccolta di canti liturgici affidati alla diligenza dei cantori. Qual era, in queste condizioni, il significato che si poteva ricono­ scere a un canto composto per la consacrazione dei re? Il progetto di una restaurazione della monarchia ci fu certamente verso l'inizio del regno di Dario I, quando Zorobabele, figlio di Sealtiel [Salatiel per Mt 1 ,12 e Le 3,27], discendente del re loiachin che era stato depor­ tato in Babilonia, fu inviato come governatore nella provincia di Giudea dall'amministrazione persiana. 7 Traccia di questa speranza l'abbiamo nel libro di Aggeo, che presenta Zorobabele come !'«a­ nello sigillo>> di Dio (Ag 2,23), durante il secondo anno di Dario (os­ sia verso la fine del 520). L'abbiamo soprattutto nel libro di Zacca­ ria, dove Dio promette di introdurre in Giuda il suo servo «Germo­ glio» (Zc 3,8; 6,12 con allusione a Ger 23,5), conferendogli le insegne regali (Zc 6,13). Il progetto fallì, perché non venne appoggiato dal­ l'amministrazione persiana. Ignoriamo come si concluse la carriera di Zorobabele:8 non è più menzionato nel libro di Esdra al momento della dedicazione del secondo tempio e della grande Pasqua del 515 6 I titoli dei salmi non sono storici. Gli «editori» accostano volentieri i testi delle diverse circostanze della vita di Davide, conosciuta dai libri di Samuele. 7 Il punto di vista delle autorità persiane consisteva nel ristabilire l'ordine abo­ lito dali� autorità babilonesi, senza tuttavia restituire l'indipendenza politica agli Stati di cui avevano acquisito la protezione. La «nazione» ebraica ritrovava così il suo cen­ tro in Giudea. La presenza di un funzionario ufficiale con mandato di amministra­ zione persiano, ma discendente, dall'antica dinastia regale, non aveva nulla di strano. Ma la restaurazione della monarchia locale non entrava nel piano dei persiani. 8 Ho avanzato al riguardo un 'ipotesi per determinare l'identità storica del perso­ naggio che il «messaggio di consolazione» chiama il «Servo di JHWH». Si tratterebbe di Zorobabele, e il canto di Is 52,13--53,12 si riferirebbe allo scacco finale da lui subito

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(Esd 6,14-22). La Giudea non fu che un modesto «cantone» nella sa­ trapia di Transeufratene, il cui capoluogo era a Damasco; ma costitui­ va il centro nazionale di tutti i giudei dell'impero. L'amministrazione riconosceva loro una larga autonomia culturale, istituzionale e giuri­ dica, attorno al sommo sacerdote addetto al servizio del tempio di Gerusalemme. Non poteva quindi più trattarsi, come prima dell'esi­ lio di una liturgia di consacrazione regale. Il Salmo 2 non poteva dun­ que essere conservato, se non per alimentare una speranza di futuro. Sarebbe eccessivo asserire che in tal modo diventava un salmo «messianico». La speranza di vedere un giorno, in un avvenire im­ preciso, restaurata in Giudea l'antica monarchia legata alla discen­ denza di Davide, certamente esisteva. Ma si poteva già parlare di un «Messia», cioè del re ideale che sarebbe stato consacrato dall'un­ zione per compiere in pienezza le promesse legate all'antica dina­ stia? Sarebbe stato come proiettare sulle concezioni di un tempo in­ certo un 'idea precisa che si affermerà solo progressivamente. In ogni caso, la ripresa del vecchio canto di consacrazione poteva fin da quel momento alimentare, neUe menti e nei cuori, un sogno di avvenire che si fondava saldamente su promesse divine attinte dai profeti (cf. 2Sam 7 ,12-1 6; Sal 88[89],21-38). La loro interruzione provvisoria du­ rante la grande prova dell'esilio (Sal 88(89],39-52) non impediva loro di sussistere per porre, all'orizzonte di un avvenire ancora indeciso, la speranza di una restaurazione di cui il Salmo 2 forniva in anticipo il quadro. 2. LA VERSIONE GRECA DEL S ALMO 2 Il libro dei Salmi fu probabilmente tradotto in greco abbastanza presto, dopo che la versione della Legge venne riconosciuta con il suo carattere ufficiale di legge nazionale per tutti i giudei di Egitto.9 Si era circa nel III secolo prima deUa nostra era. Il testo ebraico alla

e alla sua morte. Si tratta solo di un 'ipotesi, che avrebbe perlomeno il vantaggio di non fare del Servo un personaggio immaginario che personificherebbe un gruppo im­ preciso: il piccolo resto di giusti cui l'insieme del popolo dovrebbe la sua salvezza. In proposito si veda il mio libro: Les Poèmes du Serviteur: de la lecture critique à l'hermé­ neutique ( «Lectio divina» 103), Cerf, Paris 1981, 67-73. 9 Gli imperi eredi di Alessandro ripristinarono la consuetudine derivata dal de­ creto di Ciro (538), che riconosceva agli ebrei la loro autonomia in materia di legge nazionale. È quanto accadde in Egitto sotto la dinastia dei Lagidi. La traduzione

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base può così attestare una recensione dei Salmi più antica di quella che venne fissata dai dottori di Jabne (gr. Jamnia) verso la fine del I secolo della nostra era, ma per il Salmo 2 è senza importanza. Non è d'altronde escluso che i traduttori abbiano talvolta parafrasato il te­ sto per adattarlo alla preghiera delle sinagoghe istituite in un paese ellenistico. Si deve vedere caso per caso. In linea di massima, i tempi dei verbi greci interpretano letteralmente le forme dei verbi ebraici. 10 Si arriva così al seguente testo: 1 Perché

le nazioni hanno rumoreggiato, e i popoli hanno meditato cose vane? 2 I re della terra sono balzati su e i governanti si sono riuniti insieme contro il SIGNORE e contro il suo Unto.

[Pausa musicale] 3 «Spezziamo i loro ceppi

e gettiamo via da noi il loro giogo!».

4 Colui che dimora nei ci�li riderà di loro e il SIGNORE se ne farà beffe. 5 Allora parlerà loro nella sua collera e nel suo furore li spaventerà.

greca del Pentateuco fu eseguita probabilmente sotto Tolomeo II (285-246), perché i giudici di lingua greca avessero sottomano il testo della «Legge degli ebrei», nei casi di processo. Le comunità ebraiche se ne giovarono: la lessero in lingua greca nei loro luoghi di preghiera. Seguì la traduzione degli altri libri. Quella dei salmi era tanto più necessaria in quanto essi costituivano il testo ufficiale della preghiera nelle assemblee, in un tempo in cui la conoscenza della lingua nazionale, l'ebraico, stava declinando nelle colonie locali. Non è possibile fissare una data precisa, ma la seconda metà del III secolo e un 'ipotesi ragionevole. 10 I verbi dell'ebraico non indicano il tempo, ma il carattere compiuto o incom­ piuto dell'azione indicata dalla radice del verbo. Il verbo greco, in epoca ellenistica, combina l'indicazione dell'aspetto e del tempo. Tenendo conto di tutto questo, i tra­ duttori hanno preso l'abitudine di rendere il verbo ebraico «compiuto» (qa�al) con un aoristo, e il verbo «incompiuto» (yiqtol) con un futuro, giacché il presente greco corri­ sponde generalmente a un participio ebraico. Questi princìpi generali sono verificabili nel caso del Salmo 2. Ma una traduzione letteraria del salmo ebraico in una lingua moderna inviterebbe a una maggiore duttilità in funzione dei diversi contesti (vedere ad esempio la Bible de Jérusalem o quella di Osty) .

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6

Quanto a me, sono stato insediato come re su Sion, il suo monte santo, 7 proclamando il decreto del SIGNORE:

Il SIGNORE mi ha detto: «Tu sei mio figlio, io stesso, oggi, ti ho generato. 8 Chiedimi e ti darò delle nazioni per tua eredità, e per tuo possesso le estremità della terra: 9_ Tu le condurrai con un bastone di ferro, tu le spezzerai come un orcio di vasaio». 10

E ora, sovrani, cercate di capire! Istruitevi, voi tutti che giudicate la terra! 11 Servite il SIGNORE con timore e rallegratevi di lui con tremore! 12 Accogliete la lezione di paura: che il SIGNORE non si [irriti e che voi non deviate dalla via della giustizia. Quando la sua collera avvampa prontamente, Beati coloro che si saranno fidati di lui!

Questa versione greca è fedele nel suo insieme. L'indicazione di una pausa musicale (dùipsalma) dopo il v. 2 non esiste (sèlal)) nell'e­ braico del TM. I vv. 1-5 sono tradotti letteralmente. Ma l'inizio del v. 7 intro­ duce un participio che collega lo stico al precedente versetto. Il v. 6 modifica notevolmente il testo: invece di una dichiarazione di Dio che intronizza il suo re sul suo monte santo, è il re che prende la pa­ rola e dichiara che è stato insediato in tale dignità. Il senso generale è identico, ma l'accento è posto con più forza sulla persona del re ­ quale re? - che dichiarerà lui stesso il decreto divino cui deve la sua dignità. Poiché questa versione del testo antico è stilata in un'epoca in cui non ci sono più re a Gerusalemme, non può trattarsi se non del re futuro, cui si collega la speranza del giudaismo restaurato non solo in Giudea, ma anche in tutti i luoghi della dispersione. La forma del suo regno e l'universalità del suo potere restano quelle evocate dal testo ebraico. La filiazione adottiva ricevuta da Dio, come compi­ mento della promessa ricevuta da Davide, è confermata (v. 7bc) . 31

Lo stesso si può dire per l'estensione della sua «eredità» (v. 8); ma in epoca ellenistica, l'orizzonte del giudaismo si è certamente di­ latato. Prima dell'esilio, dietro le «nazioni» di riferimento si pote­ vano scorgere i piccoli regni che circondavano Israele. Ma ormai le «nazioni» (éthne) e i «popoli» (lao l) , menzionati come sinonimi nel v. 1 , possono avere un'estensione virtualmente universale. Codesto re dell'avvenire è sperato con fede. Nel v. 9, la lettura del consonan­ tismo ebraico TR�M è fatta diversamente: invece del TM frocem, «tu le spezzerai», il traduttore legge tir�em, dal verbo rifiih, «pascere». Ciò consente di mostrare il re futuro sotto i tratti del pastore davi­ dico evocato in Ez 34,3. La stessa parola ebraica sebèt designa pari­ menti lo «scettro» regale e il «bastone» del pastore. Il contesto resta aspro, poiché il re potrà spezzare i suoi avversari come un orcio di vasaio (v. 9b). Ma il tema del re-pastore è comunque introdotto nel testo. I vv. lO e 11 sono tradotti letteralmente in funzione di un ebraico identico al TM attuale. Ma l'inizio del v. 12, che fa giustamente diffi­ coltà nell'ebraico, dà luogo a una parafrasi. Sembra che il verbo nas­ sequ sia letto con i radicali NS" o eventualmente NSQ. Nel seguito, bar è sostituito dal termine paideias per invitare i re e i giudici (o i governanti) a «ricevere la lezione>> implicita nel testo precedente. Di conseguenza, f"obedu dèrèk (in consonantismo T'BDW DRK) è pa­ rafrasato giocando sul duplice senso possibile del verbo 'iibad: «pe­ rire» o «errare >> fuori strada (con un prefisso min che sembra un'ag­ giunta al TM) . La via in questione è qualificata di conseguenza come dikaia: «la giusta via», da cui devierebbero le autorità terrene. Suc­ cessivamente, la particella ebraica kt non è più presa in senso cau­ sale, ma in senso temporale, per collegare lo stico 12c alla «beatitu­ dine» finale dove il verbo l}iisah, «cercare rifugio» [in un protettore] è correttamente inteso. Si ha così un ultimo distico (v. 12cd) che l'e­ braico non prevedeva. Questo adattamento greco del salmo è evidentemente orientato verso l'avvenire, verso «il seguito dei giorni», inteso in un senso che non cerca ancora di evocare il dramma finale della storia umana, la «fine dei giorni». 1 1 Il testo è così testimone della speranza giudaica, verso il III secolo, nelle diverse contrade della diaspora.

alla

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11 Questo slittamento del significato legato a be-'al}"rtt ha-yiimim, dell'«avvenire» «fine dei giorni» si farà man mano che la prospettiva apocalittica diventerà più

3. LA SPERANZA NELLA CORRENTE FARISAICA È alla corrente farisiaca che si devono attribuire i Salmi di Salo­ mone. 12 Là loro composizione si può collocare tra gli ultimi anni di Alessandro Janneo (morto nel 76) e l'anno 50. L'intervento di Pom­ peo a Gerusalemme ha sconvolto la situazione, nel 63, per fare della Giudea un protettorato di Roma. In tali condizioni, il duplice aspet­ to religioso e politico del Salmo 2 assume tutta la sua attualità. Il Sal­ mo 17 di Salomone si chiude con un pressante appello alla venuta del re, figlio di Davide, che ormai può essere chiamato il «Messia». L'eco dei diversi testi, profetici e altri, che fondavano la speranza messianica, si fa sentire in tutta la sua finale ( vv. 21-46), che è un tes­ suto di reminescenze. Se questi salmi, come suppongono certi com­ mentatori, sono stati composti per essere cantati in ebraico nelle as­ semblee sinagogali, 1 3 si toccano, per così dire, assai da vicino le con­ cezioni messianiche di quell'epoca. Attualmente, non si conoscono i testi, se non attraverso le loro traduzioni greca e siriaca: è un motivo di più per scorgervi l'espressione della speranza messianica in un tempo vicino al Nuovo Testamento. Ecco alcuni versetti del Salmo 17 di Salomone che riprendono implicitamente talune espressioni mutuate dal Salmo 2. Dopo una supplica che apre il brano, leggiamo: 21

Vedi, Signore, e suscita per essi il loro re, figlio di Davide nel tempo che tu sai, o Dio, perché egli regni su Israele, tuo servo ...

forte nella speranza ebraica. Il fatto è realizzato nel libro di Daniele, che conosce la c>. Un altro testo frammentario (4Q 246), variamente interpretato dai commentatori, concerne con probabilità anche questo re inviato da Dio al suo popolo al tempo della grande prova.1 8 Ma questa volta non compaiono né il titolo di re né quello di Messia: probabilmente sono stati coinvolti nelle lacune della colonna I. Resta soltanto un ti­ tolo che proviene da 2Sam 7,14, dal Salmo 2,7 o dal Salmo 88[89],27. Dopo l'evocazione di una «angoscia che ci sarà sulla terra» e di «una grande carneficina nelle province» (col. 1,4-5), cui segue una men­ zione enigmatica del «re di Assur» e dell' «Egitto» (1,6), soprag­ giunge un personaggio, probabilmente un re, che «tutti» i popoli «serviranno»: lui, sarà chiamato «figlio del grande Dio» e verrà designato col suo nome. 1 Sarà detto «figlio di Dio» e lo si chiamerà «figlio dell'Altissimo».

9E

II

Il seguito evoca la spaventosa dominazione delle «nazioni sulla terra... »:

finché si erga il popolo di Dio e finché la Spada si rilassi. 5 Il suo regno sarà un regno eterno e tutte le sue vie saranno in verità. Egli giudicherà 6 la terra con verità e ciascuno farà la pace. 4

•••

17 PuEcu, La

Croyance. . . , 579; GRELOT, L'Espérance. .. , 84. Questa apocalissi aramaica attribuita a uno Pseudo-Daniele è presentata e tra­ dotta integralmente da E. PuECH in RB 99(1992), 98-131 . Vedere il passo citato in GRELOT, L 'Espérance.. . , 90s, sotto il titolo: «L'apocalypse du Fils de Dieu» (coli. 1,4-9, e 11,1-9). In La Croyance. . . , 570-572, PuEcH cita soltanto coll. 11,4-9 e 111,1. 18

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L'evocazione prosegue fino alla riga 9. Il termine «Unto» o «Messia» non è attestato sui frammenti che restano, ma il titolo di «figlio di Dio» richiama il testo del Sal 2,7bc: «Il SIGNORE mi ha detto: "Tu sei mio Figlio; sono io che oggi ti ho generato"». Si tratta della filiazione adottiva, accordata da Dio al Messia che stabilirà la pace nel mondo. Questo punto essenziale è confermato per altri testi messianici dei profeti: rileva una certa lettura del Salmo in un parti­ colare gruppo del giudaismo del tempo.

III. Le riletture del Nuovo Testamento

È normale che questo salmo, riletto dai giudei come uno scritto che evocava il Messia futuro, sia stato ripreso con predilezione dai predicatori e dagli scrittori del Nuovo Testamento. 19 In realtà, tre passi interessano in particolare questi autori a titolo di testimonia messianici, ma sotto aspetti diversi: i vv. 1-2, che evocano la rivolta delle nazioni contro Dio e il suo Messia, si applicano benissimo al dramma della passione di Gesù; il v. 7, che parla della filiazione di­ vina, concerne il Cristo in gloria; i vv. 8-9 servono a descrivere il suo dominio sulle nazioni. Si rileva inoltre qualche riproposta di vocabo­ lario del salmo tradotto in greco. È principalmente il fatto di .Luca negli Atti degli apostoli, con due citazioni esplicite della Settanta, della Lettera agli Ebrei, che cita due volte lo stesso versetto; e del­ l' Apocalisse che moltiplica le allusioni al salmo. 1.

GLI ATII DEGLI APOSTOLI

a) Il dramma della passione. Gli apostoli Pietro e Giovanni sono stati arrestati dalla polizia del tempio e sono comparsi davanti al si­ nedrio (At 4,1 -22). Rimessi in libertà, raggiungono la comunità dei

19 Mi astengo qui dal rilevare le osservazioni dei commentatori i quali menzio­ nano tutti l'interesse di queste citazioni per la spiegazione degli Atti. Ma il punto di vista qui adottato è diverso: si tratta di vedere come gli autori del Nuovo Testamento re interpretano un salmo di cui leggono il testo nella sua traduzione greca, almeno per Luca e l'autore della Lettera agli Ebrei.

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credenti, i quali pertanto rendono grazie al Dio creatore (At 4,23-30). Ora, questa preghiera assume la forma di un commento della Scrit· tura, poiché cita esplicitamente20 il Salmo 2,1-2: «25 Tu che per mezzo dello Spirito Santo dicesti per bocca del nostro padre, il tuo servo Davide: Perché le nazioni hanno rumoreggiato e i popoli hanno meditato cose vane? 26 I re della terra sono insorti e i governanti si sono riuniti insieme contro il SIGNORE e contro il suo Cristo. 27 Infatti, davvero si sono riuniti in questa città contro il tuo santo servo Gesù che tu hai unto, Erode e Ponzio Pilato con le nazioni e i popoli d'Israele, 28 per compiere ciò che la tua mano e la tua volontà ave­ vano previsto che sarebbe avvenuto ... ». •••

L'interpretazione degli avvenimenti della passione è dunque for­ nita dalla lettura del salmo, ormai dedicato alla persona di Gesù. Non viene detto in questo salmo che il Messia ( = il Cristo) è il «Servo» di Dio, ma la lettura cristiana proietta implicitamente sul suo testo un titolo che proviene dall'oracolo del libro di Isaia dedi­ cato al Servo sofferente (Is 52,13-53,13): i discorsi degli Atti vi fanno altre allusioni, riprendendo lo stesso titolo per applicarlo a Gesù (At 3,13.26; 4,30). Si vece nel contempo come il Nuovo Testamento co­ struisca il suo linguaggio per tradurre la sua cristologia accostando i testi che concernevano implicitamente Gesù. 21 Si resta per il mo­ mento nell'interpretazione religiosa di un avvenimento storico, di cui tutti gli abitanti di Gerusalemme potrebbero dare testimonianza. Solo che, vedendo le cose dall'esterno, costoro non ne conoscono il vero senso. In realtà, il rifiuto di Gesù da parte delle autorità giudai·

20 La traduzione citata corrisponde esattamente al testo della Settllnta: esso è ve­ rificabile nelle parole messe in corsivo. 21 È esattamente questo sovrappiù di significato che costituisce il «senso plena­ rio» del testo del Primo Testamento. Vedere P. GRELOT, La Bible, Parole de Dieu, Desclée, Paris 1965, 368-391, per la teoria di questo senso rafforzata da qualche esempio.

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che e la sua condanna da parte del potere romano hanno scatenato la rivolta delle nazioni e dei popoli contro Dio e contro il suo Messia. L'allusione alla messianicità di Gesù è implicita nell'impiego del verbo «ungere» (ékhrisas, accanto a Kristos). Tuttavia, l'identifica­ zione delle nazioni e dei popoli è più artificiosa. Ponzio Pilato rap­ presenta certamente le «nazioni» non giudaiche, ma soltanto Luca ha parlato di Erode nel suo racconto della passione (Le 23,8-12) per trovare qui un'allusione ai «popoli d'Israele». È sorprendente che, in questo contesto, le autorità giudaiche non siano nominate in modo esplicito, anche se svolgono un ruolo nel racconto della passione in Luca (Le 23,1 -5.13.18.21-23.25b). Comunque sia, per l'evangelista questo dramma finale dell'esi­ stenza di Gesù non era un incidente imprevisto. Accostandolo al testo del Salmo 2, indica in esso il compimento del disegno miste­ rioso di Dio stesso, che «la sua mano e la sua volontà>> avevano de­ terminato in anticipo.22 Dopo questa riflessione sulle minacce pro­ nunciate dalle autorità contro gli inviati di Gesù, divenuto Cristo in gloria, la comunità chiede soltanto a Dio di proseguire nell'annun­ cio della sua parola (At 4,29) con i segni che l'accompagnano (v. 30). Il fatto della passione lascia dunque intatto quello della ri.. surrezione di Gesù e la salvezza che egli porta agli uomini. È · su questa base che il titolo di Messia ( = Cristo, in greco) può essergli ormai attribuito con allusione al Salmo 2,2c (cf. Gv 1 ,41 ; Ap 1 1 ,15, dove si parla del «regno di Dio e del suo Cristo»). L'allusione ai «re della terra» in Ap 17,18 e 19,19 farà altresì riferimento allo stesso Salmo 2,2, soprattutto in Ap 19,19 dove i loro eserciti saranno asso­ ciati alla bestia per guerreggiare contro il «Verbo di Dio» (1 9,1 3). Nessuna di queste immagini è impiegata a caso: esse hanno come sfondo reminiscenze scritturistiche. b) La filiazione divina del Cristo risorto. In At 4,25s il titolo di Cristo è applicato a Gesù nel momento della sua passione; ma si tratta di una «rilettura» dell'avvenimento nella luce della sua risur­ rezione dai morti. In At 13,32-33, l'allusione a questa glorificazione finale è assai più diretta: « Noi vi annunciamo la buona novella che .••

22 Per questo il testo del salmo ispirato da Dio conteneva queste parole éhe tro­ vano la loro applicazione nel dramma della passione.

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la promessa fatta ai padri si è compiuta, poiché Dio l'ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel salmo se­ condo: Tu sei mio Figlio, sono io che oggi ti ho generato (Sal 2,7bc)». Così la filiazione divina di Gesù è manifestata solennemente dalla sua risurrezione. Non è in quel momento che essa ha avuto inizio. Lo stesso testo del salmo era già inserito da Luca nella scena del battesimo di Gesù (Le 3,22). Ciò, del resto, non significava che tale filiazione comin­ ciava solo in quell'istante. Fin dal giorno in cui Gesù entrò nel tem­ pio all'età di dodici anni, Luca mostrava già che il fanciullo era assai consapevole della sua relazione intima con colui che chiamava «Pa­ dre mio» (Le 2,49). Ancora prima, nella scena dell'annunciazione, il messaggero divino rivelava a Maria che suo figlio sarebbe stato «Fi­ glio dell'Altissimo» (Le 1,32) e «sarebbe stato chiamato Figlio di Dio» (Le 1,35). La scena del battesimo altro non fa che evidenziare la coscienza di sé23 che, per Gesù, sta per schiudere il tempo della missione evangelica. I testi paralleli, ugualmente attenti alla venuta dello Spirito Santo che si posa su Gesù (Le 3,22a; Mc 1,10; Mt 3,16; Gv l ,33b ), presentano la voce divina sotto una forma più complessa: Dio chiama Gesù «Figlio mio prediletto» (Mc 1 ,1 1b; Mt 3,17). Ma l'espressione simbolica della filiazione ha essenzialmente origine dai testi regali del Primo Testamento: Sal 2,7 e, prima ancora, 2Sam 7,14 e Sal 88[89],27.24 23 La scena non costituisce una descrizione «obiettiva» di un fatto visto dall'esterno. La voce di Dio si rivolge direttamente a Gesù in un'esperienza interiore: «Tu sei il Figlio mio». In Marco, il carattere di esperienza interiore evocata dal rac­ conto è ancora più marcato. Mentre Gesù esce dalracqua, «vide aprirsi i cieli e lo Spi­ rito discendere su di lui come una colomba». Si veda il mio commento in Dieu, le Père de Jésus-Christ, Desclée, Paris 1994, 161-166. Si può, senza rammarico, lasciare alle menti positivistiche la preoccupazione di sapere in che modo i testi evangelici fon­ dano e giustificano la loro evocazione di questa esperienza interiore di Gesù. In realtà, esiste una stretta correlazione tra la scena dove il Padre parla al Figlio in occasione del suo battesimo da parte di Giovanni e il modo con cui Gesù si rivolge al Padre di­ cendo: «Abbà, Padre !» (Mc 14,36). Qui si osservano le due «voci» del dialogo inte­ riore che caratterizza Gesù. 24 Gli sforzi di comparatismo compiuti all'inizio di questo secolo, e spesso prose­ guiti da allora, non sarebbero senza interesse per sottolineare l'originalità della per­ sona di Gesù, se non fossero viziati da un principio ammesso a priori: dal momento che la filiazione divina di Gesù è stata affermata dapprima dall'apostolo Paolo nel suo insegnamento rivolto a dei greci, il tema deve provenire dalla contaminazione dell'e­ redità di Gesù l'ebreo con un ambiente ellenistico dove gli «uomini divini» non erano rari nei culti e nei miti pagani. Un tale ragionamento lascia deliberatamente da parte

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Tutto sta nel valutare l'esatta portata di tale espressione: in realtà fino a che profondità si spinge la relazione filiale di Gesù con Dio? Per saperlo, si deve esaminare il modo con cui egli si rivolge a Dio. Non dice, come nella preghiera giudaica: «Padre nostro», ma: «Abbà! Padre», con una familiarità che denota una totale intimità,25 cd egli parla di lui come del «Padre mio». Nel racconto del batte­ simo, in Marco e Matteo, la menzione del «Figlio prediletto» ri­ chiama incontestabilmente la relazione filiale di lsacco nei confronti di Abramo26 (Gen 22,2). Il Dio unico non ha sposa, ma la sua rela­ zione con l'uomo-Gesù implica la connaturalità e l'intimità di rela­ zione che esiste tra un padre e suo figlio sul piano umano.27 L'appli­ cazione a Gesù del Sal 2,7 è quindi, in Luca, la presentazione scrittu­ ristica di questa relazione che esiste dall'istante del concepimento di Gesù. La sua eccezionale manifestazione non si verifica tuttavia se non al termine della sua esistenza di uomo, dopo il dramma della passione: è al Cristo risorto, costituito nella gloria del Padre, che la parola di Dio a suo «figlio» è rivolta con la pienezza di significato.

il radicamento giudaico dell'esperienza personale di Gesù e della sua evocazione evangelica nelle Scritture dove si leggeva che Dio dice al Messia: «Tu sei mio figlio» (Sal 2,7). Ma, ovviamente, gli uomini che sono impregnati di questa mentalità e che praticano questo metodo non possono essere costretti a credere in Gesù Cristo con i ragionamenti della pura logica. La fede, in quanto relazione vivente con Dio nel Cri­ sto, non può che essere un atto libero: essa conduce a una certezza la cui obiettività è di un altro ordine, diverso da quello delle pure indagini storiche. 25 Si può vedere su questo punto, la bibliografia succinta indicata in GRELOT, Dieu, le Père de Jésus-Christ, 185, nota l. Questa bibliografia rinvia a quella di H.J. KuHN, art. «Abba», in EWNT, t. l, 1 -2. 26 Vedere G RELOT, Dieu, le Père de Jésus-Christ, 163. 27 L'obiezione dei musulmani alla filiazione divina di Gesù si basa sulla com­ prensione di questa filiazione in funzione della genitalità, secondo l'immagine della triade divina nell'Arabia, prima dell'islam: dio-padre, dea-madre e dio-figlio. Ma, pre­ cisamente, di ciò non si tratta: siamo di fronte a una modalità particolare di relazione tra Gesù e Dio, che egli chiama Abbà! Bisogna vedere fino a quale profondità si spinge questa relazione, chi comunica a Gesù la realtà divina del Padre. In l Gv 5,18, Gesù è qualificato come «generato (gennethùs) da Dio», espressione ripresa nel Credo di Nicea. Ma, in quest'ultimo caso, la portata del termine è precisata dall'altro termine che esso respinge: in latino «genitum non factum»; il Figlio non è una crea­ tura, riceve dal Padre la sua la sua propria natura. Ogni scambio di vedute su questo argomento con un musulmano dovrebbe partire dal modo con cui Gesù, nella sua pre­ ghiera, fa intravedere la modalità della sua relazione con Dio: qui ci si trova nell'am­ bito di una riflessione di ordine esistenziale e non in una speculazione astratta. Il ter­ mine «trinità» (faltlO dovrebbe d'altronde essere evitato nella riflessione, poiché è adoperato anche per designare la triade divina anteriore all'islam.

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D testo del salmo soccorre a una riflessione di fede che, in quanto tale, balbetterebbe in presenza del mistero. Altro non c'è da cercare in Luca e negli Atti a proposito di questo salmo. Altri libri invece, come si è accennato, traggono anch'essi ispirazione dal medesimo testo.

2. LA LEITERA AGLI EBREI

Questo discorso composto alla maniera alessandrina28 si apre con un solenne prologo (Eb 1,1-4 ). Vi si rilevano subito due allusioni al vocabolario Dio «in questi ultimi giorni, ha parlato a noi per mezzo di un Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose». Il titolo di Figlio figurava nel Salmo 2 al v. 7b, ed era seguito dalla seguente promessa: «Ti darò le nazioni in eredità>). Le reminiscenze sono ·sot­ tili, ma daranno luogo a una serie di testimonia scritturistici che oc­ cuperanno tutto il capitolo primo (Eb 1,5-14}. Fin dall'inizio, vi rile­ viamo la citazione testuale del Sal 2,7: «Tu sei mio Figlio; sono io che oggi ti ho generato», accompagnata dal suo sfondo biblico (2Sam 7,14). Non è codesto se non un testo tra altri, poiché tutta la Lettera fonda il suo esposto su testi interpretati per presentare la persona del Cristo Gesù. 3. L'APOCALISSE DI GIOVANNI Non si devono cercare in questo libro delle citazioni esplicite del Primo Testamento, ma il suo linguaggio è tessuto di allusioni e di formule che rinviano a testi debitamente interpretati.

a) La rivolta iniziale (Sal 2,2) lascia un'eco in due generi di testi. menzione dei «re della terra» ha senso esclusivamente in quanto allusione al Sal 2,2a: «l re della terra sono balzati su» (greco) o «in­ �rti» (ebraico) contro Dio e contro il suo Cristo. Ora, la loro menLa

21 Per la Lettera agli Ebrei rinvio il lettore alle opere di C. SPICQ ( «Etudes bibli­ ques�) e di A. VANHOYE (a partire da Situation du Christ... LD 58). Le presenti os­ servazioni non portano nulla di nuovo al di là di questi commenti; esse riguardano esclusivamente la riproposta di un versetto di salmo che ne accentua fortemente il si­ pificato.

42

zione in Ap 17,18 si spiega bene in questa prospettiva, poiché «la grande cìttà», persecutrice, esercita «la regalità su di essi»: · dietro l'allusione storica alla dominazione di Roma sentiamo l'eco del grande combattimento evocato nel v. 2 del salmo. Analogamente, in Ap 1 9,19, i re sono associati alla bestia nel combattimento contro il «Verbo di Dio>> (Ap 19,13) che sta per sterminarli. L'espressione è impiegata in questi due luoghi solo in maniera convenzionale con al­ lusione al salmo, che viene anch'esso trasferito nell'evocazione esca­ tologica dove l'Apocalisse si conclude. Questo combattimento è pre­ sentato, in Ap 1 1 ,15, come diretto «contro Dio [qui: nostro Signore] e contro il suo Cristo». L'allusione al Sal 2 ,2c è trasparente. b) Una citazione quasi esplicita del Sal 2,9 è introdotta alla fine del messaggio rivolto alla Chiesa di Tiatira: «Al vincitore, che perse­ vera sino alla fine nelle mie opere, darò autorità sopra le nazioni, ed egli le pascolerà con un bastone di ferro, e saranno frantumate come gli orci del vasaio» (Ap 2,26-27) . I vincitori del combattimento della fede parteciperanno dunque alla vittoria del Cristo: per evocarla, l'autore si ispira al Salmo letto nella Settanta,29 trasformando nel contempo la sua costruzione lette­ raria. È il Cristo vittorioso che fa partecipare i suoi al suo trionfo fi­ nale evocato in maniera convenzionale in base a una Scrittura la cui interpretazione cristologica è evidente. Lo stesso riferimento sotto una forma più breve serve, in Ap 12,5, ad evocare la vittoria dello stesso Cristo: primogenito della nuova umanità ( = la donna coro­ nata di stelle di Ap 12,1 ), egli deve «governare tutte le nazioni con uno scettro di ferro». Lo stesso riferimento ritorna in Ap 19,15, ma questa volta l'eroe della scena è il Verbo di Dio (v. 13), quando «dalla bocca gli esce una spada affilata per colpire con essa le genti>+ (v. 15, con allusione a ls 11,4).

29 Come si è visto sopra (pp. 21ss e 25ss), il testo consonantico dell'ebraico è am­ biguo. Ma la lettura di Sal 2,9 nell'Apocalisse è quella della Settanta (con il verbo poi· mainein, «condurre)) come un gregge). Quest'indizio non sarebbe in contrasto con l'i­ potesi di un originale ebraico dell'Apocalisse, purché la lettura del testo consonantico sia identica a quella della Settanta, e non a quella del TM.

43

c) L'associazione «timore e trepidazione» in 2Cor 7,15 ha solo una relazione verbale con il Sal 2,1 1: non evidenzieremmo questo parallelismo, se la lettura cristiana del Salmo 2 non fosse peraltro si­ cura nell'autore dell'Apocalisse.

Che cosa, alla fine, occorre ricordare di queste riproposte del Salmo 2 nel Nuovo Testamento? La lettura cristologica del salmo è sicura. Ma se il combattimento degli uomini ribelli a Gesù, Messia di Dio, non è riconosciuto storicamente se non nel dramma della pas­ sione, i diversi autori sono ugualmente attenti alla situazione del Cri­ sto risorto: egli ha ricevuto da Dio, su un piano tutt'altro che poli­ tico, una dignità regale che fa di lui l'instauratore del regno di Dio. In questa prospettiva, la rivolta delle potenze malvage - religiose e politiche - prosegue in seno alla storia dell'umanità. La sua conclu­ sione non può essere che la vittoria escatologica del Cristo in gloria, che farà partecipare i suoi fedeli al suo trionfo finale. Il linguaggio impiegato per evocare tutte queste realtà si situa evidentemente sul piano simbolico:30 il salmo regale primitivo fornisce i simboli neces­ sari a partire dalla di Girolamo per precisare in particolare il v. 12 del salmo.55 L'esegesi è cosi avviata verso la concezione moderna del senso lette­ rale, anche se siamo ancora lontani dalla critica letteraria e storica dei testi quale la concepiamo attualmente. SI

Op. cit.' 76. S. THOMAS AouiNATES, Quaestiones quodlibetales, a cura di R. PIAZZI, Torino­ Roma 1949, 145-148 (Quodlibet 1, q. 6). Ma anche il commento della Lettera ai Galati (a cura di R. CAI, 620s) e la Summa Theologica, la, q. l , artt. 9-10. Esposizione in P. GRELOT, La Bible, Parole de Dieu, Desclée, Paris 1965, 234-244. 53 Mi riferisco qui alla traduzione francese di J.E. STROOBANT DE SAJNT-ELOY, S. Thomas: Commentaire sur /es Psaumes, Le Cerf, Paris 1966. La citazione si trova a p. 45. 54 lbid., 47a. Ma Tommaso cita subito At 4,25 dove Davide è menzionato esplici­ tamente. In realtà, la spiegazione del Salmo 2 è perseguita in funzione dell'esegesi 52



storica che applica il salmo a Davide, ma anche dell'esegesi «mistica» (in realtà «alle­ gorica», secondo la terminologia di Tommaso, che non è più quella degli alessan­ drini� , per trovare nel salmo il mistero del Cristo. 5 La Volgata reca in questo versetto: « ... e che voi non periate fuori della retta via». La versione iuxta Hebraeos di Girolamo non ha il termine «retta». Tommaso commenta: «Infatti, finché l'uomo è nel mondo, si trova per così dire in stato di via (in via), perché se gli succede di cadere, può rialzarsi» (ibid. , 54a). Nella terminologia lo­ mistica, questa considerazione dipenderebbe dal senso morale o «tropologico». 49

La nostra indagine può fermarsi qui: nello stesso medioevo e nel prosieguo dei secoli, i commenti sarebbero troppo numerosi per co­ stituire l'oggetto di un'utile indagine. È sufficiente constatare che le riproposte del Salmo 2 nel Nuovo Testamento orientano ogni lettura che vuole essere teologica senza porre ostacolo ai primi sforzi di una lettura letterale e storica, nella misura in cui la cultura del tempo lo consente. Ma sarà necessario l'avvento della critica biblica perché questo tipo di attività possa essere svolto con rigore, pur rischiando di rendere più difficile quella lettura teologica che volesse entrare in un ambito specificamente cristiano.56 Solo una revisione della que­ stione classica dei significati della Scrittura lo consentirebbe oggi. Ma a che punto è, al riguardo, la nostra esegesi?

56 Osserviamo che, nel suo commento critico, H.J. KRAUS conclude rilevando le possibilità di lettura cristiana fondate sul Nuovo Testamento (Psalmen 1-59, 1 55s). Egli segnala le riflessioni di Bentzen, Gunkel, H. Schmidt, H. Gese, K. Barth, su que· sto punto preciso, e cita a piè di pagina le Enarrationes in Psalmos di AoosTINo (PL

36,71).

50

2 SALMO 8 Inno al Dio creatore

l.

D testo originale

L'esclamazione con cui si apre questo salmo, e che viene ripresa nella conclusione, ne determina il genere letterario. Si tratta di un inno ispirato dalla visione della creazione. A partire dalla grandezza della natura che lo circonda, l'uomo è rapito interiormente dalla grandezza del Creatore. Ma chi è l'uomo in questa creazione visibile e invisibile, e quale grandezza il Creatore gli ha conferito perché ab­ bia il dominio della stessa creazione? Si pensa subito alla riflessione di Pascal sul posto dell'uomo nella natura: «Cos'è l'uomo nell'infi­ nito?». 1 Tuttavia il pensiero del salmista non indugia su questa consi­ derazione: si volge invece verso Dio per celebrare la sua lode. Il te­ sto ebraico è abbastanza mal conservato nei vv. 2c e 3: occorre ten­ tare una restaurazione congetturale che porta a· traduzioni varie in tutti i commentatori? Qui sorvoliamo sul titolo dato al salmo dall'e­ ditore dell'epoca postesilica: «Al capo-coro. Sulla ghittea(?). Salmo di Davide», poiché tale indicazione nulla aggiunge alla compren­ sione del testo. Tenuto conto delle correzioni critiche e della disposi­ zione adottata per gli stichi, si propone la seguente traduzione: 2 JHWH, Signore nostro, quanto sublime è il tuo

nome su [tutta la terra!

1 La frase di B. PASCAL. nei stanza lunga sull'uomo.

Pensieri,

figura al termine di una riflessione abba­

51

I 3

II

Il tuo splendore è [proclamato] più alto dei cieli dalla bocca dei bimbi e dei lattanti. Tu hai affermato [la tua] forza a causa dei tuoi [avversari, per sottomettere nemico e ribelle.

Quando io vedo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, 5 Che cos'è un uomo perché di lui ti ricordi, e un figlio d'uomo perché di lui ti curi?

4

III 6 Di poco l 'hai fatto inferiore agli esseri divini e l'hai coronato di gloria e d'onore. 7 Tu l'hai fatto dominare sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi: W

8 pecore e buoi tutti insieme e anche le bestie dei campi, 9 uccelli dei cieli e pesci del mare, ciò che solca i sentieri delle acque... 10 J HWH

,

Signore nostro, quanto sublime è il tuo nome su [tutta la terra!

Note di critica testuale v. lb:

Il testo masoretico è incomprensibile e tutte le versioni lo leggono È sufficiente supporre che, mentre il brano veniva copiato, un resh aggiunto abbia sfigurato il verbo 'lstanneh ('STNH), «raccontare», al passivo. La particella cal assume allora il significato di «più alto di...», come nel Salmo 1 12[113),4: «La tua gloria è più alta de fai) i cieli». Il v. 3a si ricol­ lega allora a 2b (corretto). v. 3: Qui si devono dividere le parole diversa­ mente, aggiungendo un suffisso di seconda persona dopo la parola roz: «la tua forza», poi collegare fmaran sorreyka a ciò che precede. in modo diverso.

Il ritornello del salmo, posto ali 'inizio e ripreso alla fine, non en­ tra nel conteggio delle strofe: potrebbe essere ripetuto dopo ciascuna di esse. Si leggono quindi quattro strofe di quatto stichi (vv. 2b-3; 52

4-5; 6-7; 8-9). La quarta strofa esplicita il contenuto della terza. La correzione apportata al v. 2b consente di restaurare, con un signifi­ cato ragionevole, il primo distico della strofa l. Tale strofa e dedicata alla lode dello splendore (hod) di Dio, e la sua proclamazione non è fatta solo dagli adulti: essa esce dalla bocca dei bimbi e anche degli in­ fanti. Parallelamente a questo splendore, il Creatore manifesta, la sua forza (oz) riducendo al nulla chiunque osasse opporvisi. Dio appare così, come il re della sua creazione. Come il ritornello iniziale era can­ tato dal coro generale e la strofa I da un coro ristretto, la strofa II e af­ fidata a un solista con la sua formulazione in «io».2 Qui ha inizio una meditazione che, dalla grandezza di Dio, passa alla considerazione dell'uomo nella sua personale dignità. Il cantore lo paragona agli «esseri divini» Celohim) chiamati più comunemente angeli.3 È ad essi di poco inferiore poiché, nella creazione, ha rice­ vuto da Dio un dominio su tutte le cose. La proclamazione potrebbe essere fatta qui da un altro cantore solista. Ma c'è un cambiamento di voce nelle strofe III e IV, che procedono insieme. Nei vv. 8 e 9, l'e­ numerazione delle opere terrene di Dio è evidentemente molto ge­ nerale (cf. Gen 1,28b), come lo era anche quella delle sue opere cele­ sti nel v. 2.4 Lo stico 9b si concatena con la fine del v. 9a senza colle­ garsi ad esso grammaticalmente. Ma l'essenziale della meditazione del salmista risiede nel contrasto tra la piccolezza dell'uomo, da un lato, e, dall'altro, la funzione che il Creatore stesso gli ha affidato nella sua creazione. Qual è il significato di questa situazione e che ne risulta per l'atteggiamento che egli stesso deve assumere davanti a Dio? Questa risultante è la lode del «nome» di Dio5 con cui si apriva il salmo e che poi lo conclude (v. 10).

2 Naturalmente, questa ripartizione del testo tra un coro generale, un semi-coro un «a solo» è soltanto una congettura; ma ha il vantaggio di suggerire come il salmo potesse essere eseguito al tempo della sua composizione, con un'orchestrazione di vari strumenti (cf. Sal 150). 3 Circa quest'appellativo degli spiriti celesti, vedere anche Sal 96[97],7 e 1 37[138],1 . Si tratta degli esseri la cui attività consente a Dio di amministrare il mondo. Nel monoteismo pratico, cui è legata la rivelazione biblica, tali esseri hanno sostituito le . La stessa parti­ cella rende, nel v. 4a, il ki iniziale: «poiché vedrò i cieli ... ». Nel v. 6 gli «esseri divini» sono parafrasati con «gli angeli», inter­ pretazione teologica normale in questo contesto monoteistico che esclude radicalmente la molteplicità degli «dèi» ellenistici. Al v. 7, il verbo tasmil è un po' svigorito: «Tu l'hai stabilito sull'opera delle tue mani». Nel v. 9b l'espressione usata, al neutro plurale, non è certo maggiormente in sintonia con la menzione dei «pesci del mare» (al maschile plurale). Si tratta quindi di tutto ciò che percorre i sentieri delle acque. Il traduttore non aggiunge dunque alcuna nuova anno­ tazione a questa meditazione sulla grandezza dell'uomo nella crea­ zione di Dio. Assai più tardi, in epoca rabbinica, il Targum del Salmo 8 verrà esso pure tradotto con la stessa fedeltà globale al significato origi­ nale, mediante alcune leggere parafrasi: 1

54

JHWH Dio, nostro Signore! Quanto il tuo nome è innalzato e lodato su tutta la [terra, poiché tu hai posto il tuo splendore più in alto dei [cieli.

3 Con la bocca dei bambini e dei lattanti la tua forza si è

[affermata a causa delle tue molestie per annientare il nemico e (il ribelle. 4 Poiché vedo i tuoi cieli, opere delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, 5 Che cos'è il figlio deli 'uomo perché ti ricordi delle sue [opere6 e il figlio dell'uomo perché tu indaghi su di lui? 6 E tu l 'hai fatto un poco inferiore agli angeli, e tu l'hai coronato di gloria e di lode; 7 tu l'hai fatto dominare sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi: 8 pecore e buoi tutti insieme e anche le bestie dei campi, 9 gli uccelli del cielo e i pesci del mare, e il mostro marino ( = Leviatan) 1 che percorre i [sentieri del mare. 10 JHWH Dio, nostro Signore! Quanto il tuo nome è innalzato e lodato su tutta la [terra! È chiaro che questa lettura rabbinica, che spiega il salmo in quanto canto destinato alle riunioni sinagogali, segue l'ebraico in maniera pressappoco letterale, con qualche adattamento nei versetti dove il testo presenta delle difficoltà (v. 2b ). La generale concor­ danza tra la versione greca e la parafrasi aramaica indica la conti­ nuità di una lettura ebraica che nulla interrompe. Gli esseni di Qumran non ignorano la lode del Dio creatore, ma il modo con cui contemplano la sua opera li porta piuttosto a insi-

6 Qui la glossa del versetto trova uno sfondo nella teologia ebraica che insiste sulle «opere» dell'uomo come base del giudizio di Dio. Il verbo che segue (paqad) evoca giustamente questa «ispezione» che verrà a chiudere la storia. 7 Qui il testo ebraico evocava soltanto la generalità degli animali marini. Ma il mostro leggendario, noto nella mitologia di Ugarit (IOtan), è entrato, attraverso essa, nella letteratura biblica (Sal 73(74],14), fino a designare l'Avversario di Dio votato alla distruzione (ls 27,1).

55

stere sulla miseria dell'uomo riferendosi ai capitoli 2-3 della Genesi. Così, in un inno che si rifà alla fraseologia iniziale del Salmo 8 (Inno XVIII,5-7, secondo la numerazione di Puech8), si legge: «Che cos'è dunque l'uomo? Non è che terra, tratto dall'argilla di vasaio e destinato di nuovo alla polvere, perché tu gli faccia comprendere simili meraviglie e gli faccia conoscere il tuo vero consiglio?». È evidente che l 'imitazione letteraria con cui si apre il testo non si risolve poi in una meditazione sulla grandezza dell'uomo. Al con­ trario: l'autore si stupisce che, nonostante la sua piccolezza evocata con un'allusione a Gen 3,19, Dio faccia conoscere i suoi disegni a lui, o perlomeno a quelli fra di loro che fanno parte della comunità di Qumran. Nessuna allusione all'escatologia o a qualche ricompensa d'oltretomba introduce una nota positiva in questa riflessione sul­ l 'uomo davanti a Dio. ID. Le letture del Nuovo Testamento

L'allusione all'opera della creazione in Rm 1 ,20 non contiene se non una fugace traccia del Salmo 8. Restano comunque due ripropo­ ste assai chiare dello stesso v. 7 in 1 Cor 15,27 ed Ef 1,22, una cita­ zione integrale dei vv. 5-7 della Settanta, in Eb 2,6-8, e un rinvio esplicito al v. 3 in Mt 21,16. Questo basta per mostrare che il salmo stesso fa parte dei testimonia classici, utilizzati nel Nuovo Testa­ mento per parlare del Cristo.9

8

Vedere il testo tradotto da PuECH, La Croyance des Esséniens en la vie future... , L'inno XVIII di Puech figura sotto il numero X,3-5, nelle traduzioni fondate sul­ l'editio princeps: così in J. CARMIGNAC, Les Textes de Qumran traduits et annotés, t. I, Letouzey, Paris 1961, 248-249, o in A. DuroNT-SOMMER, in Ecrits intertestamentaires, Paris, Gallimard 1987, 273. Il testo ebraico è facilmente accessibile nella raccolta di A.M. HABERMANN, The Scrol/s from de Judean Desert, Jérusalem 1959, 125 (il testo ebraico è vocalizzato) 9 Ricordiamo che, in maniera generale, il lettore è rinviato ai commentari classici dei libri del Nuovo Testamento senza precisi riferimenti. L'essenziale è l'esame dei te­ sti in quanto tali. 400.

.

56

l . LA CITAZIONE DI M ATIEO Il testo di Mt 21,16 non ha paralleli nei Vangeli di Marco e di Luca. Mc 1 1,18 e Le 19,47 non menzionano la discussione tra Gesù e le avtorità del tempio dopo l'espulsione dei venditori: sottolineano soltanto che le autorità, indignate, erano intenzionate a far perire Gesù. È dunque solo Matteo che qui introduce un dialogo dopo le acclamazioni dei fanciulli: «Osanna al figlio di Davide!»: «E gli dissero: "Non senti quello che dicono?". Gesù rispose loro: "Sì, non avete mai letto: Dalla bocca dei bambini e dei lattanti ti sei procurato una lode?" (Sal 8,3)». La citazione è mutuata dalla versione greca dei Settanti. Matteo è l'unico a menzionare i fanciulli (paidas ) che acclamano nel tempio. Le loro grida riprendono del resto quelle che si fecero sentire du­ rante l'ingresso di Gesù in Gerusalemme (Mt 21 ,9b). Pare quindi che qui l'evangelista ripeta intenzionalmente le prime parole dell'ac­ clamazione menzionata, con talune varianti, nei quattro Vangeli: fin dalla sua prima menzione (M t 21,9b ), Matteo dava d'altronde mag­ gior forza al testo che figura in Marco e in Giovanni: «Osanna!». In queste condizioni, è verosimile che il riferimento al Sa] 8,3 sia altresì un'aggiunta dell'evangelista. Spesso egli si compiace nel sottolineare in tal modo il compimento delle Scritture, sia evidenziandolo nel se­ guito del suo racconto, sia anche inserendolo nelle parole di Gesù. La corrispondenza tra Mt 21,9b e 21,15b lascia intendere che i fan­ ciulli ripetano nel tempio tutto ciò che la folla diceva nel momento dell'ingresso di Gesù a Gerusalemme: qui ne abbiamo un semplice riassunto. Ora, le acclamazioni della folla si concludevano con una citazione esplicita di Sal 1 17[1 18],26. 10 Ma c'è di più. Il ritornello ri­ preso dai fanciulli: «Osanna», figurava esplicitamente nel testo ('braico di Sal 1 18,25: « anna JHWH hosidh-na». La Settanta traduce la conclusione di questa esclamazione: « soson de». Ma Matteo, al pari degli altri evangelisti, non segue qui questa traduzione: trascrive '

.•.

10

Il Salmo 1 18(1 17 LXX] verrà esaminato più avanti a motivo delle riproposte di taluni versetti in un senso cristologico.

57

la supplica finale in greco. Ciò indica perlomeno un interessante raf­ fronto tra il Salmo 1 17[1 18), letto come messianico, e un versetto del Salmo 8. Si può fare un altro raffronto tra questo versetto e un testo tar­ divo della Bibbia greca. In Sap 10.21, a proposito delle acclamazioni rivolte a Dio dal suo popolo dopo la traversata del mar Rosso, l'au­ tore aggiunge: « ... perché la Sapienza aprì la bocca ai muti e rese elo­ quenti le lingue degli infanti». Questa amplificazione del testo dell'E­ sodo ritaglia un tema che ricompare nel Targum di questo libro e che rimane vicino a Sal 8,3. 1 1 Non stupirebbe che l'evangelista Mat­ teo, radicato nel giudaismo, ne abbia qualche conoscenza quando in­ serisce questo versetto di salmo come una testimonianza della Scrit­ tura nel suo racconto (Mt 21 ,15). In ogni modo, la menzione dei fan­ ciulli che acclamano Gesù e che l'evangelista accosta ai «bimbi» (ne­ pioi) del Salmo 8, ricorda la predilezione di Gesù per costoro: 12 è ad essi, ai «piccoli», che Dio rivela i suoi segreti (Mt 1 1 ,25). 2.

LE

CITAZIONI DELLE LETTERE PAOLINE

Nel corpus paolino è l o stesso v. 7 del salmo che serve a procla­ mare la grandezza del Cristo in gloria. a) // testo di l Cor 15,27. Questa citazione del Salmo 8 è inattesa. Il contesto concerne la risurrezione di Gesù, fondamento della spe­ ranza cristiana che ha come oggetto la nostra personale risurrezione. «Il Cristo si è risvegliato dai morti, primizia di coloro che si sono ad­ dormentati» (lCor 15,20). Una delle due rappresentazioni simboli­ che impiegate per evocare la morte e la risurrezione ci trasporta su­ bito al termine della storia umana, che è propriamente indescrivibile in termini realistici. Al momento della «Venuta» del Cristo in gloria, la sua «parusia>>, coloro che sono morti in lui «rivivranno» della sua vita nuova (lCor 15,22-23). Quindi sarà «la fine, quando il Cristo consegnerà la regalità al [suo] Dio e Padre, quando avrà ridotto al nulla ogni principato e ogni dominazione e potenza» (lCor 15,24). È 11 Su questo punto vedere l'articolo «Sagesse 10,21 et le Targoum de l'Exode», in Biblica 42(1961), 49-60. 12 Su questo argomento, vedere S. LÉGASSE, Jésus et l'enfant, Gabalda, Paris 1961 . Una bibliografia su questo termine viene offerta dallo stesso autore nell'art. Nl­ plos, in EWNT, t. 2, 1142s.

58

questo combattimento finale che l'Apocalisse di Giovanni evoca con forza (Ap 19,1 1-21 e 20,7-10). Paolo continua: «Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi» (Sal 1 09[1 10],1). L'ultimo nemico distrutto è la morte, poiché tutto [egli] ha posto sotto i suoi piedi (cf. Sal 8,7). Questa finale (l Cor 15,26-27a) accosta intenzionalmente due versetti di salmi. Il primo è direttamente messianico nella lettura giudaica del tempo (Sal 109[1 10]). Il secondo (Sal 8) applica al Cri­ sto in gloria l 'immagine del dominio dell'uomo su tutta la creazione, così come risultava dal grande quadro presentato dal capitolo 1 della Genesi. Questo accostamento non è artificioso: risulta logicamente dall'abituale presentazione degli «Ultimi tempi» come una nuova creazione: «Ecco che sto per creare nuovi cieli e nuova terra» (Is 65,17). Ora, il Cristo in gloria costituisce la primizia di questa nuova creazione: il termine «primizia» gli è stato appena attribuito (l Cor 1 5,23). Il contesto apocalittico in cui l'apostolo Paolo situa questa esaltazione del Cristo risorto lo mostra nel suo combattimento con­ tro i nemici dell'umanità. Nemici invisibili sono «i principati, le do­ minazioni e le potenze» (lCor 15,24b), tutte le forze del male. Ne­ mico visibile e sperimentato da tutti gli uomini è la morte (l Cor 1 5,26). Quando il Cristo avrà vinto la morte, non solo per conto suo personale, ma anche per tutti i suoi fratelli umani, allora «ogni cosa avrà posto sotto i suoi piedi». Il ravvicinam�nto tra Sal l09[1 10],1 e Sal 8,7 consente di evocare questo trionfo in termini scritturistici. Nel primo testo è il trionfo del Messia; nel secondo è quello dell'«Uomo nuovo» che realizza in pie­ nezza il disegno della prima creazione. 13 Ovviamente, a nulla serve ricordare il contesto del versetto che evocava il dominio della terra e degli esseri viventi da parte d eli 'uomo secondo il testo di Gen l ,28. Qui si tratta di una vittoria assai più totale, poiché «l'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte» (l Cor 15,26). In questo modo il significato del versetto del Salmo è notevolmente ampliato. Dal mo­ mento in cui viene trasferito nell'escatologia per evocare la vittoria finale del Cristo risorto, la sua letteralità si adatta a questo nuovo contesto. Passa dall'uomo in generale, personificato da colui che

13

Più esattamente, l Cor 15,45.47 oppone il «primo il Cristo, principio della nuova creazione.

uomo»,

uomo» Adamo, al «secondo

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che diede nascita al genere umano, ossia Adamo, a colui che assolse la funzione di «nuovo Adamo», cioè il Cristo in gloria. Nel primo si compì il disegno iniziale di Dio, disegno perturbato dal peccato. Nel secondo dunque il dominio dell'uomo su tutta la creazione, evocata poeticamente dal Salmo 8, si realizza in pienezza. b) Il testo della Lettera agli Efesini l,22. Il redattore di questa Let­ tera opera una sorta di sintesi della teologia paolina. Si ispira certa­ mente alla Lettera ai Colossesi, di cui può essere il redattore insieme all'apostolo prigioniero: 1 4 a Roma o a Cesarea, poco importa. Ma, co­ noscendo le altre grandi Lettere di Paolo, egli costruisce su tale base una presentazione generale del «mistero» di Cristo (Ef 3,4.9). In tale quadro, vediamo dispiegarsi «la straordinaria grandezza della potenza di Dio» (Ef 1,19) «che ha dispiegato nella persona del Cristo risuscitan­ dolo dai morti e facendolo sedere alla sua destra nei cieli (Sal 109[110],1), al di sopra di ogni principato, potenza, forza e domina­ zione (cf. 1Cor 15,24), non solo nel secolo presente, ma anche in quello futuro» (Ef 1 ,21). Ne consegue che ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi (cf. Sal 8,7) e che lo ha >) del salmista e alla sua discendenza, esse praticheranno questo servizio cultuale (vv. 30c e 31 a). In tal modo, la «giustizia» li­ beratrice di Dio7 verrà annunciata a tutte le generazioni, rammen­ tando la grazia che egli ha appena concesso. Così com'è, nonostante alcune difficoltà testuali, il salmo si inte­ gra molto bene nella liturgia del secondo tempio: si adatta a tutti quelli che potrebbero riprenderlo dopo aver fatto l'esperienza della situazione miserabile evocata qui con l'apporto di una moltitudine di metafore. Altri salmi fanno eco a situazioni difficili, ma questo è il salmo del «giusto sofferente» per eccellenza. D.

La lettun giudaica del Salmo 21[221

Occorre esaminare in primo luogo la versione greca del Salmo 22 per vedere come lo si comprendeva nel III-II secolo prima della nostra era. In linea di massima, essa segue l'ebraico parola per pa­ rola, ma il traduttore può avere sotto gli occhi un testo diverso e il suo modo di rendere l'ebraico può accentuare questo o quel tratto. La corrispondenza materiale dei verbi in forma compiuta con l'aori­ sto greco e in forma incompiuta con il futuro greco comunica un an­ damento diverso alla formulazione delle frasi. Rileviamo taluni esempi caratteristici:

7 Il significato del termine «giustizia)) che, riferito a Dio, procura la liberazione e la salvezza è passato nel Nuovo Testamento (Rm 3,21 .26; ecc.), ma è stato distorto nella teologia classica dopo sant'Anselmo, il quale ha pensato alla «giustizia vendica­ tiva)) del diritto romano. Il Salmo 21 [22],32 è un eccellente esempio della giustizia li­ beratrice di Dio.

89

Note di critica testuale v. 2b: «Lontano dalla mia salvezza (sono) le parole delle mie colpe» (letto: rgtotay). v. 3a: «Io griderò», «tu non ascolterai». v. 3b: L'ebr. da­ miyyah è mal letto o mal compreso: anoia «sciocchezza, follia» (seguito dalla Volgata). v. 4a: «Tu abiti nel santuario, lode d'Israele!». v. 13: «Dei vi­ telli» poi dei «tori grassi». v. 16a: «Mia forza» invece di «mia gola» (cor­ retto). v. 17c: «Hanno scavato». v. 18: I verbi sono all'aoristo (senso pas­ sato). v. 19: I verbi sono pure al passato per descrivere un fatto trascorso. v. 22b: Invece del bufalo, qui abbiamo l'ippopotamo con un solo corno. v. 25a: « .. La domanda del povero». v. 27c: «l loro cuori vivranno nei secoli dei secoli».8 v. 30a: «Tutti i ricchi della terra hanno mangiato e si sono pro­ stemati davanti a lui». =

.

Queste varianti di significato in alcuni casi particolari lasciano intatta la lettura generale del salmo. È compresa come una pre­ ghiera del giusto sofferente dall'autore del libro della Sapienza, quando imita il suo v. 9 (Sap 2,18-20). Ma è noto che alla stessa epoca il testo di Is 53 era applicato in un modo generale a tutti i giu­ sti sofferenti. Tuttavia, non si può quasi mai dire che il v. 27, nell'e­ braico o nel greco, sia «Un 'allusione al festino messianico prefigurato dal dono della manna» (BJ). Più semplicemente, c'è qui un'allusione ai pasti cultuali dell' avvenire in un 'istituzione giudaica solidamente costituita. m. La

lettura del Nuovo Testamento

Non stupisce che questo salmo del «giusto sofferente» sia stato riletto, all'epoca del Nuovo Testamento, pensando alla passione di Gesù. Questi è riconosciuto nella fede come l'unico cui questo titolo possa convenire. Ma c'è di più nella fattispecie: Gesù si è appro­ priato di questo titolo facendo della sua prima frase il grido lanciato sulla croce. ·

8

Qui la traduzione greca introduce effettivamente nel v. 27c una prospettiva di che si congiunge con la fede attestata tardivamente da Dn 12,2 e Sap 5,1-2. Sotto questo aspetto, la rilettura greca del salmo attesta un elemento nuovo che di­ pende dalla rivelazione, purché non si consideri questa versione, regolatrice della fede per gli ebrei di lingua greca, come una cattiva traduzione che ha occasionalmente introdotto dei controsensi nel testo primitivo.

vita eterna

90

l.

LA PREGHIERA DELLA CROCE

Nel Vangelo secondo Luca, Gesù «grida a gran voce» prima di spirare (Le 23,46). In Marco e Matteo, questo «grido a gran voce» ha un preciso contenuto: «Eloì, Eloì, lemà sebactàni?, che significa: Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). L'unica dif­ ferenza in Matteo è l'appellativo di Dio sotto la forma Elì. Dal che non si deve però concludere che, in Matteo, il nome di Dio sarebbe pronunciato in ebraico: la forma 'e/ la troviamo in taluni testi ara­ maici di Qumran,9 e il verbo finale è certamente aramaico nei due · evangelisti. È chiaro che si tratta della citazione del v. 2a tratto dal Salmo 21 [22]. Due interrogativi si pongono al riguardo: anzitutto se Gesù ab­ bia realmente pronunciato questa frase� o gli è stata attribuita dalla tradizione evangelica antica raccolta da Marco e Matteo; eppoi come si debba intendere questo «abbandono» da parte di Dio?; Per quanto concerne l'autenticità storica di questa frase, essa è negata dai critici che vedono nel «quadro» della croce una composizione letteraria pura e semplice. 10 D'altronde, un condannato alla croce, ha la possibilità di scelta tra due forme di morte: l'asfissia rapida, se si lascia appendere dai due polsi piagati, o il dolore acuto dello sforzo compiuto per riprendere fiato appoggiandosi sulle vive pia­ ghe dei suoi due piedi. Ma, in entrambi i casi, ha ancora la possibilità materiale di pronunciare una lunga frase? Soprattutto nel momento in cui la morte sta sopraggiungendo spietatamente? Una costruzione letteraria dovuta alla tradizione evangelica non è più verosimile? Essa interpreterebbe il «grido a gran voce» menzionato da Luca e che basta a se stesso. In breve, i sentimenti intimi di Gesù nel mo­ mento della sua morte sarebbero visti attraverso il Salmo 22, pre­ ghiera del «giusto sofferente». Sed contra: Gesù conosceva questo salmo a memoria, perché l'aveva cantato con la comunità nella sina­ goga. Ora, questo canto veniva allora eseguito in ebraico, e se c'era

9 Poiché il testo di Mt 27,46 dà a Dio il nome aramaico eli, ci si può chiedere se la variante così attestata non sia destinata a introdurre la riflessione delle persone che lo odono: «Costui chiama Elia!» (ebr. �eliyaha o �eliya). Ma la stessa riflessione figura anche in Mc 15,35. 10 Oso a malapena menzionare il commentario falsamente psicoanalitico di E. 0REWERMANN su Mc 15,20-47; ne ho fatto la critica altrove (cf. P. GRELOT, Réponse à Eugène Drewermann , Le Cerf, Paris 1994, 86-96).

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Targum per la lettura della Torah e dei Profeti, non ne esisteva per il testo dei Salmi: quello che viene letto attualmente nelle Bibbie rabbiniche e nelle edizioni critiche è stato composto tardivamente. Non ci sarebbe quindi alcuna ragione per citare questo versetto di salmo in aramaico e non in ebraico, se Gesù non l'avesse effettiva� mente pronunciato nella sua lingua materna: il dialetto aramaico di Galilea. Ciò indica che egli aveva integrato il salmo, o perlomeno quel tale versetto del Salmo 21 [22), alla sua preghiera più perso­ nale 11 e che gli restava un sufficiente coraggio per sopportare una sofferenza estrema, onde gridare, nel momento della morte, l'ap­ pello a Dio che aveva in cuore. Sarebbe assurdo immaginare che avrebbe così recitato l'intero salmo, compresa la conclusione che schiude una prospettiva di speranza. Ma che senso poteva avere, nella coscienza che egli aveva di sé, quell'interrogativo posto a Dio da un uomo che si sente «abbando� nato»? Effettivamente, è la sola preghiera di Gesù in cui egli non si rivolge a Dio chiamandolo: «Abbà! Padre ! », come nel Getsemani (Mc 14,36, dove il termine è conservato in aramaico). Ma precisa� mente, è il seguito esatto della preghiera del Getsemani dove Gesù sentiva «la paura, l'angoscia, la tristezza», davanti a questa necessità della morte (Mc 14,33�34). Adesso la morte è lì. Sul piano della sua sensibilità, Gesù altro non può fare che condividere l'angoscia di ogni uomo. Questa angoscia, egli la grida in un atto di preghiera: egli condivide il «perché» di ogni uomo confrontato con una morte in­ giusta alla quale Dio l'ha «abbandonato». Si immagina facilmente che quelle poche sillabe furono pronunciate in modo affannoso, in­ tervallate da respiri irregolari, in mezzo a un'indicibile sofferenza. Luca introduce a un certo punto una preghiera che presenta una to­ nalità del tutto diversa (Le 23,46): dovremo tomarci sopra a propoun

11 � certo che, nella sua preghiera personale a tu per tu con il �adre, Gesù prega in aramaico, sua lingua materna. La preghiera del Getsemani (Mc 14,36) si rivolge a Dio con il termine Abbà, conservato alla lettera da Marco, e tutte le altre preghiere di Gesù iniziano, in versione greca. con la traduzione di questa parola. Tranne la pre­ ghiera di angoscia pronunciata sulla croce, dove Gesù non introduce il termine «Pa­ dre» all'inizio dei Salmo 21 [22],2a. Questa eccezione costituisce una ragione di più per considerarlo autentico: se lo si fosse inventato, lo si sarebbe fatto iniziare con la parola «Padre!», come tutte le altre preghiere di Gesù. Ma qui l'appellativo «Dio mio» sottolinea maggiormente l'angoscia dell'abbandono provato: perché il Padre si e reso assente sul piano della sensibilità religiosa?

92

sito del Salmo 30(31]. Ma le due cose non sono contraddittorie: Marco e Matteo si soffermano su ciò che la sensibilità di Gesù espresse, Luca sulla disposizione della sua volontà deliberata, iden­ tica sulla croce a ciò che era nel Getsemani (Le 22,42 = Mc 14,36 = Mt 26,39.42). 2.

LA PASSIONE DI GESÙ LE'ITA ATI'RAVERSO

IL

SALMO 21 (22]

Non ci si deve meravigliare di vedere la tradizione evangelica evidenziare, nei suoi racconti della passione, tutti i tratti che pote­ vano presentarsi come un «compimento delle Scritture»: gli altri par­ ticolari, che potevano essere occasionalmente menzionati, 12 non ave­ vano lo stesso interesse. Il «razionalista medio», ritrovando questi tratti, è tentato di considerarli come inventati per la circostanza. Ma è esatto l 'opposto: i testi della Scrittura forniscono una griglia per de­ terminare i dettagli che è utile ricordare per comprendere Gesù. Ci si stupisce persino che il Sal 21 (22] o i Canti del Servo (particolar­ mente ls 53) non ne abbiano fatti ricordare di più. Nel presente caso, due passi del salmo suggeriscono dei tratti da L·videnziare. Dapprima le ingiurie rivolte ai condannati, secondo Sal 2 1 (22],8-9: così, sobriamente, in Mc 15,29-32 e Le 23,35, con precisa­ zioni ispirate dalla persona del suppliziato e non dal salmo; più diffu­ samente in Mt 27,39-43, che non esita a sottolineare il riferimento, citando testualmente Sal 21 (22],9 (Mt 27,43) mediante un'aggiunta che il salmo non poteva contenere («Ha detto: Sono figlio di Dio!»). Un secondo passo del salmo (Sal 21 (22],19) dà luogo a un'allu­ sione chiara nei tre Sinottici (Mc 15,24; Mt 27,35; Le 23,34) e Gio­ vanni lo cita esplicitamente adattandolo al contesto: «Si son divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte» (Gv 1 9,24). La scena si sviluppa in Giovanni conferendo un valore sim­ holico alla tunica senza cucitura. Naturalmente, il razionalista di turno scorge di nuovo qui una scena inventata dai narratori evange­ lici e dimentica che la divisione delle vesti di un condannato tra gli

12 L'interesse per questo genere di particolari nutre lo zelo consueto dei giornali­ che rispondono alla curiosità dei loro lettori. Ma gli autori dei libretti evangelici non sono dei giornalisti. Alla professione di questi ultimi va tutto il mio rispetto, ma nessuno si aspetterà da loro una «vita di Gesù» scritta con le loro abituali preoccupa­ zioni: sarebbe senza alcun interesse per la fede.

�• i

93

esecutori della sentenza era un'usanza costante nell'antichità. Tutta­ via, questo tratto è evidenziato soltanto a motivo della sua relazione col salmo: il quarto Vangelo lo indica esplicitamente. Al di fuori di qui, troviamo anche, nel Nuovo Testamento, delle espressioni significative che non avrebbero la stessa pregnanza se non fossero mutuate dal Salmo 21 [22]. In Le 18,7, gli eletti «gridano giorno e notte» davanti a Dio, come il Giusto del Salmo 21 (22],3. Il «leone che ruggisce» del v. 14 si ritrova in 1Pt 5,8 per caratterizzare il diavolo, e la «bocca del leone» di Sal 21 [22],22 ricompare in 2Tm 4,17. In Eb 2,12, è al Cristo in gloria che viene applicato il testo di Sal 21 (22],23: «Annunzierà il tuo nome ai miei fratelli», e Gesù parla dei credenti chiamandoli «miei fratelli» in Gv 20,17. Il «grido d'aiuto» del v. 25 riappare in qualche modo in Eb 5,7, accompagnato da la­ crime, in un contesto che evoca chiaramente la scena del Getsemani (Eb 5,7b ). La stessa Apocalisse mutua dal salmo alcune formule: «Coloro che temono Dio>> lo loderanno (Ap 19,5), come dice il v. 24; «il regno è del Signore» (Ap 12,10), come si dice al v. 29 del Salmo 21 [22). Tutto questo fa intravedere una rilettura evangelica del salmo in tutti i settori del Nuovo Testamento. Is 53 era la profezia del Servo sofferente; analogamente, il Salmo 22 è la preghiera del Cristo sofferente, ma la sua glorificazione gli consente poi di realizzarne la seconda parte: «Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli» (v. 23a). Il salmo entra perciò a pieno diritto nella liturgia della passione e della risurrezione del Cristo. IV. La

lettura del Salmo 21[22] nella Chiesa

Qui i testi sembrano davvero abbondare, ad iniziare dalla Lettera di Clemente Romano che cita Is 53 e il Salmo 21 [22] come evocazioni dirette della passione di Gesù 1 3 (J Clem. 16,3-16; 16,15-16 per Sal 21 ,7-9 LXX) e dalla Lettera di Barnaba 14 6,6a ( Sal 21 [22),17.19, in­ frammezzato con Sal 117[1 18],12a) e 5,13b (Sal 21 [22],21.17 infram­ mezzato con Sal 1 18(119],120). =

13 Annie JAUBERT, Clément de Rome: Epitre aux Corinthiens, in SCh 167, Cerf, Paris 1971, 126- 129 (cf. 43s). 14 P. PRIGENT - R. KRAFr, Epitre de Barnabé, in SCh 172, Cerf, Paris 1971, 119.

94

Naturalmente, GIUSTINO ne fa ampio uso nel suo Dialogo con Trifone per convincere il suo interlocutore giudeo dell'annuncio della passione di Gesù nelle Scritture (Dial. 98,2-5 dove si cita Sal 21,2-24 LXX; ma anche 100,1 e Sal 21[22],4 applicato alla risurre­ zione; 102,2 e Sal 21 [22],7; 102,1 e Sal 21 [22],10-16; 103,1 e Sal 21 [22],12-15; 104,1 e Sal 21 [22],16-19, ecc.). La via cosl aperta sarà seguita da tutti i commentatori patristici del salmo, letto nel testo greco o nella derivata versione latina. Così ATANASIO ed EsiCHIO (PG 27,131-140), EUSEBIO (PG 23,201 -216); ma manca Crisostomo. Tra i latini abbiamo TERTULLIANO nella sua opera Contro Marcione (111, 19,5). Ambrogio e Ilario sono assenti, ma AGOSTINO compone tre omelie sull'argomento (PL 36,1 67-182), senza contare parecchie riproposte occasionali su diversi altri Salmi e la Lettera 140 a Onorato. Il soggetto è classico e l'indagine non ne­ cessita di ulteriori approfondimenti. Va osservato che le minime parole del salmo sono allora appli­ cate al Cristo e alla sua Chiesa, ricorrendo ad allegorizzazioni, se è necessario, come si può vedere nel lungo commento di san ToMMASO ' o AQUINO. 15 Ad esempio, perché del Cristo si può dire: «La mia forza si è inaridita come un coccio» (v. 16 Volg. )? Perché il suo po­ tere miracoloso si inaridì al momento della passione: «Ha salvato a) .. tri, non può salvare se stesso! » (Mc 15,3 1 par.). Oppure: nella pas­ sione, «la potenza del Cristo si ritrasse per patire le sue soffe­ renze». 16 Non è questa un'esposizione di critica biblica: è una rifles­ sione di predicatore che si serve del salmo per fare comprendere de­ gli aspetti reali della passione di Gesù. E lo stesso Nuovo Testa­ mento ha dischiuso la via a questa meditazione religiosa di un testo assai significativo. In fin dei conti, resta una possibilità di lettura critica per questo testo preso nel suo senso letterale? La tradizione di un'esegesi teolo­ gica fondata sugli usi del Salmo 21 [22] nel N uovo Testamento pone, su questo punto, un problema spinoso. Tommaso, la cui riflessione sui significati della Scrittura ammette, in linea di massima, il predo­ minio del sensus litteralis, enuncia la seguente conclusione: «Benché

15 THOMAS o'AouiN, Commentaire sur les Psaumes, 255-278. 16 lbid. , 268a.

trad. frane. già citata,

95

questo salmo, in senso figurato, sia detto di Davide, deve special­ mente essere riferito al Cristo secondo il suo sensus litteralis. Nel si­ nodo di Toledo (589) , un certo Teodoro di Mopsuestia, che interpre­ tava letteralmente il salmo riferendolo a Davide, è stato condannato a causa di questo errore e di molti altri». 1 7 In realtà, le ricerche sul commentario dei Salmi di TEODORO DI MoPSUESTIA, composto quando aveva vent'anni, si sono protratte a lungo grazie ai lavori di moos. Devreesse che ne ha sintetizzato i ri­ sultati nel 1948. 18 Effettivamente, fidandosi dei titoli che, nel Salterio greco, attribuivano a Davide un grandissimo numero di salmi, Teo­ doro riconosceva come cristologici in senso letterale soltanto i Salmi 2; 8; 44 e 109. Il Salmo 21 [22] riguardava quindi direttamente Davide nell'episodio del tradimento di Assalonne. 19 Teodoro protestava al­ lora fortemente contro Origene e l'allegorismo degli alessandrini. Di qui l'odio violento di Cirillo e dei teologi di Alessandria, che doveva provocare più tardi una condanna di Teodoro nella vicenda dei «Tre capitoli»,20 sotto l'imperatore Giustiniano (maggio 553). Gli scritti di Teodoro, amico di san Giovanni Crisostomo, vennero quindi perse­ guiti e distrutti, salvo taluni frammenti greci, siriaci e latini. Il giudi­ zio di san Tommaso su Teodoro non si basa sulla conoscenza delle sue opere: è di seconda mano e, perciò, non comporta l'adesione. Ciò che invece bisognerebbe non dimenticare è che Teodoro an­ ticipava le preoccupazioni dei moderni a proposito del senso letterale diretto, sia nel greco, sia risalendo fino all'ebraico. Occorrerebbe pertanto invertire il principio posto da Tommaso d'Aquino. In senso letterale, inteso secondo la critica, il salmo si riferisce direttamente alla situazione e ai sentimenti del suo autore. Ma il Nuovo Testa­ mento invita a riconoscergli, al di là di questa dimensione storica che non si può negare, un senso plenario dopo che Gesù lo ha fatto pro­ prio e che il Nuovo Testamento ha riconosciuto in esso l'abbozzo della sua passione e della sua glorificazione finale. 17

18

lbid. ' 256b.

DEVREESSE, Essai sur Théodore de Mopsueste, Vatican 1948. Il saggio era stato preceduto da numerose ricerche testuali, tra le quali si ricorderà: lo., «Le comrnen­ taire de Théodore de Mopsueste sur les Psaumes», in RB 37(1928), 340-366, che se­ gnala tutta la bibliografia antecedente sulle fonti siriache e latine, senza contare lo studio delle catene greche dove certi testi sono attribuiti, talvolta a torto, a Teodoro. 19 DEVREESSE, Essai sur Théodore . , 70. 20 DEVREESSE, Essai sur Théodore , 216-242. . . ...

96

Forse tutto questo è solo una disputa lessicale. Riprendendo il principio di san Tommaso, si concluderà che «secondo il sensum fi­ guralem ( = figurativo)», il Salmo 21 [22] si riferisce a un giusto perse­ guitato, la cui situazione prefigurava quella del «Giusto sofferente» per eccellenza: il Cristo Gesù. Ma «secondo il suo senso plenario», il salmo si applica alla sua passione e al mistero della sua glorificazione che ingloba la vita della sua Chiesa. Ci si allinea così, da un lato, alle esigenze della lettura critica e, dall'altro, a quelle dell'interpreta­ zione teologica in seno alla rivelazione considerata nel suo insieme.

97

5

SALMO 30(31]

Un solo versetto del Salmo 31 (30 LXX] si ritrova nel Nuovo Te­ stamento per esprimere la preghiera di Gesù, e questo basta perché lo si esamini con cura. Nello stato attuale, il Salterio ebraico comporta tre parti che hanno potuto costituire in origine tre salmi indipendenti. La differenza relativa del loro ritmo poetico esalta un po' questa di­ stinzione. I vv. 2-9 costituiscono un canto di fiducia in Dio. Poi i vv. l 0-19 sviluppano la preghiera di un perseguitato. Con i vv. 20-25 si ri­ torna alla fiducia: potrebbe essere l'azione di grazie del precedente «povero>>, che Dio ha soccorso e liberato. Ma, comunque, la prima se­ zione è la sola che il Nuovo Testamento pone in relazione diretta con la persona di Gesù, eppoi, indirettamente, con quella del primo mar­ tire, Stefano. Si può certamente prolungare questa lettura ricordando che la Chiesa, corpo del Cristo, riprende la preghiera di Gesù appli­ candola a se stessa. L'insieme del testo, con i suoi tre successivi movi­ menti, diventa allora la preghiera dei suoi membri sofferenti. Poiché la lettura avviata qui si limita alla contemplazione del Cristo in pre­ ghiera, verrà riprodotto integralmente soltanto il primo dei tre movi­ menti: i vv. 2-9. Il titolo inserito in testa al salmo non è che un artificio editoriale: Al maestro del coro. Salmo di Davide. Gli antichi commen­ tatori cristiani si sono fondati su di esso per in q uadrarlo nella storia di Davide. Ma qui accantoneremo questa preoccupazione. l.

D

testo ebraico del Salmo 30[31]

In te, SIGNORE, ho trovato un riparo: che mai debba arrossire! Nella tua giustizia liberami 3 Porgi verso me il tuo orecchio, affrettati!

2

. 99

Sii per me una rupe fortificata un bastone per salvarmi ! 4 Sei infatti la mia roccia e il mio baluardo e per il tuo nome tu mi conduci e mi guidi. 5 Fammi uscire dalla rete che mi hanno teso, perché sei tu il mio rifugio. 6 Nella tua mano affido il mio spirito: tu mi hai riscattato, SIGNORE, Dio di fedeltà. 7 Tu

odi coloro che servono i vani idoli, ma io ho fiducia nel SIGNORE: 8 Esulterò e giubilerò per la tua misericordia.

Perché hai guardato la mia miseria, tu hai conosciuto le angosce della mia anima: 9 non mi hai consegnato nelle mani del nemico, hai guidato al largo i miei passi... Con il v. 10, ha inizio una seconda sezione del salmo, o un nuovo salmo: l'appello al soccorso di un perseguitato. Il ritmo dei versi, dal v. 10 al v. 19, è quello delle «lamentazioni», ma in un modo irrego­ lare. Dopo la descrizione della sofferenza presente (vv. 1 1-14), il sal­ mista esprimerà la sua fiducia in Dio (vv. 15-16}, poi tornerà alla sua richiesta di soccorso. Infine, in una terza sezione, o in un nuovo salmo, leggiamo un 'azione di grazie alla bontà di Dio che ha esau­ dito la supplica così enunciata (vv. 20-25). Certamente Gesù ha cantato questo salmo durante la sua esi­ stenza, nell'assemblea sinagogale. Ma ci si può fermare qui alla se­ zione di cui riprende un'espressione caratteristica per farne la sua preghiera personale. In quanto appello a Dio espresso da un uomo sofferente, perseguitato, il Salmo 30[3 1] appartiene a una categoria di preghiere ampiamente rappresentate nella raccolta ufficiale del giudaismo. Beaucamp 1 riconosce, nel suo inizio, «la formula rituale

1

100

BEAUCAMP, Le

Psautier, t.

l,

141-145.

di appello alla pietà di Dio»,2 con reminiscenze di Geremia (Ger 6,25; 20,3.10). Questo ricorso allo «stile antologico» denota una data di composizione relativamente tardiva. I vv. 10-14 + 20-25 costitui­ scono una «lamentazione» di stile classico; ma l'inizio (vv. 2-9) po­ trebbe bastare a se stesso. La preghiera di fiducia (vv. 2-4) giustifica un appello al soccotso (vv. 2c-3a + 5a): dietro di lui, si intravedono le manovre pericolose di certi avversari. L'uomo sofferente si appoggia sulla forza di Dio (vv. 3bc-4a) e sulla sua giustizia liberatrice (v. 2c). Alla fine, questa fiducia nella sua fedeltà (v. 6b) e nella sua miseri­ cordia (v. 8a: l},èsèd), fondata su una fede senza cedimenti nel Dio unico (v. 7), ottiene una liberazione dalle insidie tese da avversari in­ nominati e la fine dell'angoscia da essi causata (vv. 8-9). Le circostanze concrete che hanno occasionato la composizione del salmo restano imprecise: potrebbe dunque ripetersi in numerosi altri casi. Qui si conclude del resto con un'azione di grazie (vv. 8-9), che può facilmente adattarsi a tutte le angosce. È il caso più generale nelle preghiere di questo genere, composte per la recitazione litur­ gica. Ma si possono utilizzare anche nella recitazione privata: ac­ canto alla preghiera ufficiale del tempio e della sinagoga, esiste una «preghiera del cuore» che ogni giudeo recita come vuole, in funzione delle circostanze. II. La

rilettura giudaica del testo

l.

VERSIONE

LA

GRECA

Nell'insieme, la versione greca è fedele al testo ebraico. In parec­ chi versetti, talune varianti possono corrispondere a una recensione testuale diversa o a una differente lettura. È sufficiente segnalarlo qui senza dilungarsi oltre. Note di critica testuale v. 3: La «rupe fortificata» (lett. «rupe di forza») può essere intesa come una «rupe di rifugio». v. 4a: Il greco include un verbo supplementare ( «libe-

2

lbid., 143.

101

rami� ) , che l'ebraico ignora: «Affrettati a liberarmi� (exelésthai). v. 4b: l verbi sono al futuro: «Tu mi condurrai e mi guiderai». "· Sa: Il ,verbo nella forma non compiuta è inteso qui come un imperativo, ma il greco vi vede un futuro: «Tu mi farai uscire ... ». "· 6b: Il verbo è inteso al futuro: «Tu mi riscat­ terai». v. 7: I verbi nella forma non compiuta qui sono tradotti al presente, ma il greco li traduce all'aoristo (senso passato ) . v. Be: Il greco ha letto un verbo supplementare: «Tu hai salvato la mia anima dalle angosce». Tutte queste varianti di significato non modificano il senso generale della pre­ ghiera. La vecchia versione latina, conservata nella Volgata, riproduce nel­ l'insieme il senso del greco.

2. TESTI DI QUMRAN

Qui non possiamo segnalare se non, al più, le reminiscenze di espressioni che evidenziano una familiarità degli autori con il Salte­ rio. Cosi in JQH 17,32 (o 8,31): « . . .fino a questo giorno tu mi con­ duci», da accostare al Salmo 31 ,4.3 Si resta nel quadro della pre­ ghiera di fiducia, senza tener conto del contesto nel quale l'espres­ sione era adoperata. DI. Le letture del Nuovo Testamento

l . IL VANGELO SECONDO LUCA

Per presentare la morte di Gesù, Marco e Matteo ricordavano il grido d'angoscia che avrebbe sconvolto la sua sensibilità umana. Lo mostravano «mentre gridava a gran voce» ( eboesen phoni mégali: Mt 27,46; cf. Mc 15,34). Il grido riprendeva in aramaico il v. 2 del Salmo 21 [22]. Luca si sofferma su un altro aspetto dei sentimenti in­ timi che animavano Gesù agonizzante. Quali erano allora le disposi­ zioni profonde della sua volontà sempre sottomessa al Padre? Un te­ sto mutuato da un altro salmo le traduce: «Gesù, gridando (phoné­ sas) a gran voce disse: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spiri­ to"» (Le 23,46). Riconosciamo la formula del Salmo 31 [30 LXX],

3 PuECH, La Croyance des Esséniens en la vie future... , testo 4Q 521, citato aDa p. 633, riga 13, commento a p. 643.

102

6a: è riprodotta quasi alla lettera a partire dalla versione greca. Tut­ tavia, Gesù non si esprimeva in greco: l'aramaico di Galilea era la sua lingua materna. L'evangelista, basandosi su una tradizione che rimane inafferrabile, non può dunque operare se non un adatta­ mento approssimativo. Ci sono ugualmente due varianti caratteristiche tra questa parola di Gesù e il versetto del .Salmo 30[31]. Una di esse si capisce subito. Il testo ebraico comportava un verbo in forma non compiuta: beyatfkii ,apqid rul}i, «nella tua mano consegnerò (o consegno) il mio spirito». La versione greca ha inteso questo verbo al futuro: «Nelle tue mani consegnerò (parathésomai) il mio spirito». Luca im­ piega il verbo al presente, che conviene effettivamente alle circo­ stanze: « ... consegno (paratithemai, verbo al ••medio" nella maggio­ ranza dei manoscritti) il mio spirito». Eppure l'evangelista resta vi­ cino alla versione greca: «nelle tue mani», al plurale, contrariamente all'ebraico che qui ha il singolare. Ma poiché Gesù parlava in ara­ maico corrente, nel grido riportato da Marco e Matteo, si può sup­ porre che anche qui il testo fosse: bidiik, «nella tua mano», o bidayik/ bidak, «nelle tue mani». La differenza è minima, ed è normale che Luca abbia in testa il Salmo 30 in greco, che è già passato nella pre­ ghiera cristiana. Esiste un 'altra particolarità nella parola di Gesù: essa inizia con il vocativo: Pater, cioè in aramaico: Abbà, come nella preghiera del Getsemani in Marco:«Abbà - ho Pater» (Mc 14,36). È l'appellativo di Dio in tutte le preghiere intime di Gesù. Il Salmo 30[31] subisce perciò una notevole modifica. Nell'ebraico si parlava di JHWH, reso in greco da Kyrie (vv. 2 e 10). Gesù, nel racconto di Luca, riprende sì la formula tratta dal Salmo 30[31], ma la personalizza per come si ri­ volge a Dio. Ci si guarderà allora dall'attribuire al solo evangelista questo quadro della morte di Gesù in croce, che spira (exépneusen) conse­ gnando a Dio il suo «spirito», inteso qui come il principio interiore dei sentimenti. L'agonia di Gesù sulla croce è durata tre ore (Mt 27 ,45). Marco e Matteo riferiscono soltanto una parola: quella che traduce l'angoscia dove la sua sensibilità venne sommersa. Luca rife­ risce solo quella che lo mostra unito interiormente a Dio, di cui com­ pie l'incomprensibile volontà (cf. Le 22,42). È in queste condizioni che «consegna» il suo spirito tra le mani» del Padre. L'angoscia spe­ rimentata nel suo essere sensibile non era incompatibile con il fatto 103

di consegnare il suo spirito tra le mani del Padre: sono due aspetti di­ versi dell'essere che vengono rilevati in questi quadri contrastati.4 Lasciamo a chi vorrà il desiderio di attribuire a Luca la stesura di una «pittura edificante» dove Gesù pronuncia la parola che con­ viene, mentre non attribuisce neppure al centurione una professione di fede in Gesù «figlio di Dio». In Luca, il centurione «glorifica Dio» dicendo: «Veramente quest'uomo era giusto» (Le 23,47). Molte pa­ role affannose hanno potuto essere pronunciate durante quell'ago­ nia di tre ore: Luca riferisce solo quella che sottolinea il suo abban­ dono tra le mani del Padre. 2. LA MORTE DI STEFANO (At 7,55-60) È pure a Luca che dobbiamo il racconto della morte di Stefano. 5 L'evangelista può avere desunto le proprie informazioni da una buona tradizione proveniente dagli ambienti ellenistici; ma è lui che la mette in forma letteraria, non senza un intento di edificazione per spiegare com'è morto il primo «testimone» - o «martire» - ucciso per la sua fede nel Cristo Gesù. In realtà, egli ce lo mostra mentre fissa gli occhi al cielo e vede Gesù in gloria - il «Figlio dell'uomo» ­ «che sta alla destra di Dio» (At 7,55-56). Poi Stefano prega ripren­ dendo quasi alla lettera l'ultima preghiera di Gesù. Questa volta, però, essa non è più rivolta al Padre. Stefano dice: «Signore Gesù, accogli (déxai) il mio spirito» (At 7,59; cf. Le 23,46). Infine, come Gesù, egli domanda a Dio di perdonare ai suoi carnefici. Nel mo­ mento della crocifissione, Gesù diceva: «Padre, perdonati, perché non sanno quello che fanno» (Le 23,34 ). Analogamente, Stefano dice: «Signore, non imputar loro questo peccato» (At 7,60). La pre­ ghiera non è più indirizzata al «Signore Gesù», ma a Dio stesso, con l'appellativo di Kyrios, che traduce il nome divino JHWH nei Salmi. Stefano moribondo imita dunque Gesù moribondo. Luca si ispira alla tradizione collegata con la morte di Gesù per evocare quella del suo primo martire.

Cf. supra, 86s. la riflessione su Salmo 21 [22),2. Vedere i commentari di S. LÉGASSE, Stephanos: histoire et discours d'Etienne dans /es Actes des apotres (LD 147), Le Cerf, Paris 1992, 135-140 per la visione di Ste­ ·fano e 142-145 per le Ultima verba. 4 5

104

Un'allusione al Salmo 30(31],6 riaffiora in modo fuggevole nella preghiera rivolta al Signore Gesù. Luca scrive queste righe cin­ quanta o sessant'anni dopo gli avvenimenti: i loro tratti originari si sono fissati nelle memorie e nelle fantasie. Nel frattempo, però, le comunità cristiane si sono appropriate dei Salmi giunti dal giudai­ smo come fossero una raccolta abituale di preghiere. L'inserimento di Sal 30(31],6 nelle parole di Gesù in croce ha introdotto una nuova dimensione nell'intero salmo, per conferire una particolare tonalità alla preghiera dei cristiani perseguitati. Essi lo sono perché seguaci di Gesù: non devono pregare anche perché lo seguono riprendendo le parole che hanno nutrito la sua personale preghiera? In questo modo è aperta la via alla meditazione cristiana di tutto il Salterio. IV. Breve indagine nei commentatori

Poiché Luca, nel Vangelo e negli Atti, si riferisce esclusivamente al v. 6a del salmo, non è utile esaminare qui se non gli eventuali com­ mentari della prima sezione del salmo (vv. 2.:.9). Ora, negli autori greci, l 'indagine è assai deludente. La Lettera di Clemente non contiene che una citazione di Sal 30,19 LXX (J Clem. 1 5,5) e una possibile allusione a Sal 30(31],17 (JClem 60,3: semplice formula che ha altri paralleli). Non si ha né citazione, né allusione a Sal 30[31 ],6a nella Didaché, nella Lettera di Barnaba, in Giustino e Ireneo. Nulla in Eusebio, Atanasio e Crisostomo. Da parte latina, non esiste alcun commento a Sal 30(31] in Ilario e Ambrogio. AGOSTINO dà due enarrationes su Sal 30(31] ,2-9.6 La prima, rapi­ dissima, vede nel testo del salmo una preghiera del popolo riscattato dalla passione del Cristo, con un 'insistenza sulle parole: «redemisti me.. ».1 La seconda comprende due sermoni sul salmo. Il primo ser­ mone commenta i vv. 1-10 ed esso solo concerne quindi la citazione del salmo in Luca. Agostino presenta il v. 68 sotto forma di una me­ ditazione sul Cristo in croce che prega il Padre suo. Un richiamo di Sal 21 [22],17-19 e 21 (22],2 lo mostra abbandonato da Dio; ma il Pa.

6

7

8

Cf. PL 36, coli. 226-256, Enarratio in Psalmum /bid. , col. 227. lbid. , col. 237.

XXX.

105

dre «l'ha riscattato» prendendolo sotto la sua alta protezione. La prospettiva della risurrezione è introdotta per questa via indiretta nella preghiera della croce. Il secondo sermone commenta il seguito del salmo a partire dal v. 1 1 . Concerne di più la preghiera cristiana che quella dello stesso Cristo. Nel Commentario sul Sa/terio di ToMMASO o'AouiN0,9 il senso del testo nella prospettiva del salmista - Davide - non è perso di vi­ sta. Ma sul v. 610 il commentatore ricorda che il Cristo stesso ha pre­ gato questo versetto per darci l'esempio della speranza, in quanto capo della Chiesa: è grazie a lui che «Dio ci ha riscattato». In corso d'opera, il commentatore solleva talune questioni teologiche. Que­ sto salmo è una preghiera di speranza: in che modo Cristo ha potuto sperare, e qual era l'oggetto della sua speranza? La lettura del testo dà l 'impressione di trasmettere degli appunti di un corso di lezioni, presi da un buon allievo e rivisti dal professore: il corso di lezioni in­ compiuto è effettivamente dovuto a una reportatio di Rainaldo di Pi­ perno. Comprende soltanto i Salmi 1 -54 .1 1

9 THOMAS o'AouiN,

Commentaire

355b-359b. 10

11

106

Ibid. . 358a.

J.P.

ToRRELL,

lnitation

à

aur

les

Psaumes, trad. frane. già citata,

saint ThomtlS d'Aquin, Le Ced, Paris 1993, 497.

6 SALMO 33[34] (brani)

Il Salmo 33[34] è un salmo alfabetico di carattere sapienziale: ogni versetto di due stichi inizia con una lettera dell'alfabeto ebraico. Ci sono tuttavia, in questo sistema, due irregolarità: la let­ tera waw non è rappresentata, e la finale comporta un distico supple­ mentare che non appartiene più alla serie alfabetica. 1 Naturalmente� una forma letteraria di questo genere non facilita molto lo sviluppo logico per l'esposizione delle idee: ogni strofa di due versi giustap­ pone dei princìpi generali che espongono la felicità dei giusti. Per questo la Prima lettera di Pietro in un'occasione allude a una di que­ ste strofe (vv. 8-9 ripresi in 1Pt 2,3), poi cita lungamente i vv. 13-17 ( l Pt 3,10-12), in un contesto di omelia battesimale seguita da un'esortazione alla vita cristiana. Non si tratta direttamente di una riflessione sulla persona del Cristo Gesù. Solo il Vangelo secondo Giovanni, trova il mezzo di adattare al suo caso un versetto che con­ cerneva la protezione accordata da Dio al giusto: Gesù in croce non fu il Giusto per eccellenza? La citazione dell'intero salmo nel suo te­ sto primitivo qui non sarebbe necessaria, ma occorre comprendere il contesto nel quale l'evangelista ha attinto tale citazione. Si citerà quindi il testo a partire dalla strofa lamed, che sembra aprire una se­ conda parte nello sviluppo dell'intero salmo. La sua attribuzione a Davide che fugge davanti ad Abimelech (titolo del v. 1) ed evidente=

1 Vedere su questo punto le posizioni assunte dai commentatori. H.J. KRAus (Neukirchen 1 978, 417) si limita a segnalarlo. Così pure E. Beaucamp, R. Toumay, A. Deissler, ecc. Per il concatenamento logico del testo, si suggerisce altresì la possibilità di invertire i vv. 16 e 17 (dove due lettere dell'alfabeto sono invertite); ma l'ipotesi non è certa.

107

mente fittizia. Il genere «alfabetico» denota d'altronde una data tar­ diva, e i temi trattati sotto forma di aforismi apparentano il salmo alla lettura sapienziale. I.

D testo del Salmo 33[34]

Si tratta di un inno di lode: «Benedirò JHWH in ogni tempo, nella mia bocca sempre la sua lode» (v. 2) . Questa lode ha dei motivi che Gesù stesso ha potuto far suoi nella preghiera personale. Ci­ tiamo solamente la strofa ripresa nella Prima lettera di Pietro:

Het Tet

L'angelo di JHWH si accampa2 attorno ai suoi fedeli e li libera. 9 Gustate e vedete quanto JHWH è buono: beato l'uomo che in lui si rifugia!

8

L'apostolo riprende il v. 8 rivolgendosi a dei neobattezzati: «Come bambini appena nati, bramate il purissimo latte della Parola [ ], se perlomeno avete gustato quant'è buono il Signore! » (1Pt 2,2-3). Le menzioni ripetute del Cristo Gesù all'inizio di questo di­ scorso (1Pt 1,3.7.11.13.19) indicano che egli è presente al pensiero del predicatore, nel momento in cui invoca in termini biblici quella «dolcezza» di Dio di cui parlava il salmo.3 È nella seconda parte del salmo che il testo riapparirà con forza nel Nuovo Testamento. Le sue riproposte sar�nno segnalate dall'uso del corsivo: ...

·

Lamed Mem

1 2 Venite, figli, ascoltatemi ! v'insegnerò il timore di JHWH. 13 Chi è l'uomo che desidera la vita, che ama i giorni dove si vede la felicità?

2 L'autore riprende qui un'antica rappresentazione che personifica l'aiuto dato da Dio ai suoi fedeli (menzione frequente dell'angelo di JHWH nei libri della Torah). 3 La definizione dell'esperienza cristiana legata al battesimo con l'aiuto di un'e­ spressione tratta dall'esperienza di fede nel giudaismo mostra la continuità esisten­ ziale dall'una all'altra. Intanto, la venuta di Cristo non ha fatto che approfondire la re­ lazione personale tra i credenti e Dio.

108

Nun Samech Ain Pe

14 Preserva la tua lingua dal male e le tue labbra dalle parole subdole! 15 Sta ' lontano dal male e fa' il bene, cerca la pace e persegui/a! 16

Gli occhi di JHWH sono sui giusti, i suoi orecchi alle loro grida di aiuto. 1 7 Il volto di JHWH contro i malfattori per cancellare dalla terra la loro memoria.

Sade

1 8 Quando gridano, JHWH li ascolta

Kof

19 JHWH è vicino ai cuori infranti

li salva da tutte le loro angosce. e salva gli spiriti contriti.

Res Sin

Numerose sono le sventure del giusto, ma da tutte JHWH lo libera: 21 preserva tutte le sue ossa, neppure uno sarà spezzato.

20

Il salmo ebraico comporta ancora una strofa. Qui ci soffermiamo specialmente su quelle strofe che hanno costituito l'oggetto di una meditazione nel Nuovo Testamento. Lo sviluppo del pensiero ri­ mane assai vago, come capita spesso quando si tratta di testi sapien­ ziali. Si ha una sequela di aforismi che proclamano la felicità dei giu­ sti e il castigo che attende i «malfattori» (lett.: «coloro che fanno il male»: v. 17). La natura della «vita» e della «felicità» promesse non viene precisata. Man mano che la questione dell'aldilà si chiarirà du­ rante gli ultimi secoli del Primo Testamento, la prospettiva della vita e della felicità eterne in una «vita con Dio» potrà insinuarsi nella let­ teralità del testo senza modificarne le parole. Ma l'essenziale è con­ statare qui il modo con cui il saggio, cui dobbiamo il salmo, schiuda ai suoi «figli» la via della vera felicità. Questa è legata a ciò che egli chiama «il timore di Dio» (v. 12). Questo timore non è la paura: que­ sta sarebbe legata al giudizio divino che minaccia tutti i «malfattori» (v. 17). Si tratta dell'atteggiamento religioso e del rispetto profondo che l'uomo pio prova e adotta davanti al proprio Creatore. Ciò lo porta a una condotta pratica che «evita il male e fa il bene» (v. 15a) 109

in tutti i campi dell'esistenza. I comandamenti del decalogo non sono citati in quanto tali, perché il pensiero si volge piuttosto verso le virtù da praticare. L'uomo pio così evocato può perciò contare sulla protezione di Dio. L'angelo di Dio «Si accampa attorno ai suoi fedeli» (v. 8), e Dio ascolta gli appelli di coloro che sono alle prese con la prova: gli angosciati (v. 18b ) , i cuori infranti, gli spiriti contriti (v. 19 ) . I giusti non sono sottratti alle sventure, ma Dio li libera da esse (v. 20). Si vede dunque che questo salmo di saggezza invita alla fiducia in Dio. Esso caratterizza la spiritualità del giudaismo nascente, nel corso dell'epoca persiana, piuttosto che nell'epoca ellenistica. II. La lettura giudaica del Salmo 33[34]

Non bisogna dunque attendersi una trasformazione importante del testo nella sua traduzione greca. Effettivamente, quest'ultima è, nel suo insieme, assai letterale. Vi rileviamo, di sfuggita, alcune equi­ valenze. Ad esempio, nel v. 8, l'angelo del Signore non si accampa attorno a quelli che temono Dio, ma «si schiera in ordine di batta­ glia)) (parembalei, al futuro) attorno ad essi. Al v. 20, «numerose sono le sventure dei giusti», al plurale: ma il senso generale resta lo stesso. Nel v. 21, «il Signore preserva tutte le loro ossa, e nessuna di esse sarà spezzata». Si potrebbero probabilmente trovare espres­ sioni parallele per ciascun versetto nella letteratura giudaica di stile sapienziale. Ma non dobbiamo dimenticare l'oggetto della presente indagine: il modo con cui i vv. 20-21 vengono ripresi dal Nuovo Te­ stamento in un quadro cristologico. DI. La riproposta di Sal 33[34],21 nel Nuovo Testamento

La citazione dei vv. 9a e 13-17 nella Prima lettera di Pietro è stata segnalata sopra. L'allusione di 1Pt 2,3 riprende Sal 34,9 nel greco della Senanta, abbreviandolo. Quanto alla ripresa dei vv. 1 3-17a, essa li adatta ponendo il testo alla terza persona, ma, a parte questo, segue esattamente il greco. Le cose si presentano in modo assai diverso per la ripresa del v. 21b in Gv 19,36. E dopo la morte di Gesù che le guardie della croce, 1 10

vedendo che la morte ha compiuto la sua opera, si astengono dallo spezzargli le gambe, mentre una di esse gli trafigge il costato da dove sgorga sangue e acqua. L'evangelista commenta questi due fatti rile­ vando che, con ciò, due Scritture si sono compiute.4 Per il primo caso, spiega: «Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrit­ tura: Non gli sarà spezzato alcun osso» (Gv 19,36). Leggiamo nella versione greca di Sal 34,21 : «Kyrios phyldssei panta tà osta auton, hèn ex auton ou syntribésetai». Ma qui leggiamo: «ostoan ou syntribesetai autou». L'identità del verbo al passivo accompagnato dalla nega­ zione assicura la relazione. La differenza si spiega se ci si richiama al testo di Es 12,46 relativo all'agnello pasquale: «ostoun ou syntripsete ap 'autou», «non ne spezzerete alcun osso». L'evangelista opera una combinazione dei due testi. Ho proposto altrove una spiegazione per questo fatto letterario.5 Se ne incontrano di simili, ma in ebraico, nelle omelie rabbiniche fondate su testi della Torah. 6 L'autore delle omelie prende come punto di partenza uno dei Ketubim, e cita, strada facendo, questo o quel testo preso dai Profeti. Non esita a spiegare il testo della Torah con l'uno o l'altro di essi combinandoli abilmente. Dietro la cita­ zione di Gv 19,36, si intravede così un'omelia cristiana fondata sulla lettura di Es 12, che ricorda il rituale dell'agnello pasquale. Il Cristo immolato sulla croce non è forse l'Agnello della nuova Pasqua? Paolo aveva richiamato questo principio della fede cristiana in un te­ sto caratteristico che ricordava Es 12,21: «Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! » (1Cor 5,7b ). Il quarto Vangelo opera un accosta­ mento simile tra il Cristo che muore in croce e l'agnello pasquale, ri­ levando un tratto caratteristico della scena che evoca. Era scritto: «Non ne spezzerete alcun osso» (Es 12,46). Ma perché mettere in scena degli operatori («Voi») ai quali verrebbe proibito di spezzare anche un solo osso della vittima? La vittima non è più l'agnello della

4 La seconda Scrittura è quella di Zc 12,10, pure citata in Ap l ,7. Ma è citata se­ condo la versione di Teodozione. 5 Vedere P. GRELOT, >. Resta di sicuro la speranza che il salmo formula con forza (v. 6bc): «Spera in Dio!». E Gesù, in questa notte di fede, risponde con forza: «Sì, lo loderò ancora, lui la sal­ vezza del mio volto e il mio Dio». Ma ciò nulla toglie alla durezza del suo vuoto interiore. È l'unica volta in cui Gesù chiede al suo piccolo gruppo di amici di vegliare con lui (Mt 26,38b ) , poi di vegliare e di pregare «per non cadere in tentazione» (Mt 26,41 a). Riconosciamo qui l'eco diretta della preghiera che ha loro insegnata, stando alla re138

censione di Matteo (Mt 6,13a). Ma in questa prova della tentazione (peirasmos: lo stesso termine designa entrambe le cose), non si trova forse Gesù, immerso egli stesso, per il momento, senza tuttavia dare alcun segno di debolezza? Così la lettura integrale del salmo, perlomeno nella sua prima se­ quenza (vv. 2-6), chiarisce a modo suo ciò che accade nell'anima di Gesù nel corso di quella lotta interiore (agonia) che deve attraver­ sare per accettare con risolutezza la volontà incomprensibile del Pa­ dre: quella che segnerà lo scacco umano della sua missione in quanto annunciatore del vangelo, questa «buona novella del regno di Dio». Giuda è uscito nel corso delrultima cena per « fare ciò che doveva fare». L'arresto di Gesù, provocato, da chi ha concordato il segnale, è imminente. «Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio» (Sal 41 [42],6). Sì, ma quando, e come? 2.

L'ANGOSCIA DI GESù SECONDO GIOVANNI

(12,23-33)

Il quarto evangelista non racconta la scena del Getsemani, ma nel momento in cui Gesù verrà arrestato, lo mostrerà invece nel­ ratto di dominare la situazione con una straordinaria padronanza degli avvenimenti (Gv 18,4-1 1 ). Nell'ultimo confronto di Gesù con una folla anonima, Giovanni ha introdotto un dialogo misterioso tra Gesù e il Padre. La riflessione con cui tale dialogo s'instaura non lega secondo logica con quanto precede, anche se Gesù vi prevede già la propria morte:

«23 "È giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. 24 In verità, in verità vi dico, a meno che* il chicco di grano che cade in terra non muoia, rimane solo; se invece muore, pro­ duce molto frutto. 25 Chi ama se stesso* [in questa vita], si perde, e chi si perde in questo mondo, guadagna se stesso per la vita eterna [v. 26]. 27 Ora l'anima mia è turbata. Che dirò? Padre, salvanti da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! 28 Padre, glorifica il tuo nome! ''. Venne allora una 139

voce dal cielo: "L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò! ". La folla dunque, che era presente e aveva udito, diceva che c'era stato un tuono*. Altri dicevano: "Un angelo gli ha par­ lato". 30 Gesù prese la parola e disse: "Questa voce non è ve­ nuta per me, ma per voi. 31 Ora è il giudizio di questo mondo, ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori.* 32 E io, una volta elevato da terra, attirerò tutti a me". 33 Questo di­ ceva per indicare di che genere di morte stava per morire» (Gv 12,23-33).

29

Note di critica testuale v. 24a: «A meno che ... » eàn me ( «Se ... non muore ... »). v. 2S: «Se stesso», lett. «la sua anima» (in questa vita); l'assenza di pronome riflessivo nelle lingue semitiche o nel greco da esse contaminato, viene supplita con il ricorso al termine «anima» che designa la persona («in questa vita»: ag­ giunta esplicativa). v. 29: Nell'ebraico, il plurale di qol designa i colpi . al tuono (Es 9,23; cf. al singolare Sal 28(29],7). La scena presuppone un colpo di tuono che tal uni interpretano come la voce di un angelo. v. 31: «Gettato fuori» o «gettato in basso», secondo la lezione greca adottata. =

=

Sarebbe troppo lungo commentare tutta la scena. Il tema dell'e­ levazione del Figlio dell'uomo designa al tempo stesso l'elevazione in croce e l'elevazione in gloria: nella prospettiva giovanne.a le due cose si congiungono. La «voce» che parla a Gesù è intimamente con­ nessa alla sua esperienza interiore: 1 è la risposta del Padre alla pre­ ghiera che Gesù gli rivolge. Ma i vv. 27-28a sono l'esatto parallelo della scena del Getsemani nei Sinottici. Per questo il «turbamento» di Gesù è parallelo all'angoscia evocata da Marco e Matteo. Ora, il verbo impiegato si ritrova nello stesso Salmo 41 [42]: Gv 12,27: «Nun he psykhé mou tetaraktai». Sal 41 (42],7: «he psykhé mou étarakhthe>>

1 Si può dire qui della «voce» che si rivolge a Gesù come di quella che è presen­ tata dal racconto del battesimo di Gesù secondo Marco: è Gesù che vede i cieli aprirsi e lo Spirito discendere su di lui come una colomba: «E si sentì una voce dal cielo: Tu sei il Figlio mio prediletto» (Mc 1,10-1 1). Si tratta dunque dell'esperienza interiore di Gesù nella sua relazione con il Padre. Analogamente, qui. la voce del cielo risponde alla preghiera di Gesù rivolta al Padre: «Padre, glorifica il tuo nome!». Solo Gesù comprende ciò che il Padre gli dice.

140

(cf. Sal 41 [42),6a: «ti syntatrasseis me» ). Nel quarto Vangelo, l'e­ spressione dell'angoscia di Gesù suppone, da parte sua, la ripresa di un versetto tratto dallo stesso salmo: il ritornello lo riprende sotto una forma composta che ne rafforza il significato (tarassein «tur­ bare»; syntarassein «tormentare»). In entrambi i casi, il turba­ mento di Gesù si trova collocato in una preghiera il cui salmo ne dà la formulazione. Nell'ebraico è lo stesso verbo che s'incontra nei vv. 6 e 7. Gesù non pregava in greco ma, per la sua preghiera personale usava l'aramaico. Benché il Targum dei Salmi sia tardivo, si può os­ servare che lo stesso verbo 'itmakket ricompare nei vv. 6 e 7 per desi­ gnare il turbamento interiore. Il parallelo tra Gv 12,27 e la scena del Getsemani ne viene rafforzato. Si è cosi certi della lettura evangelica di questo salmo. =

=

m. Le

letture patristiche del salmo

I padri greci e latini hanno rilevato il rapporto tra l'angoscia di Gesù, nel Getsemani o nel discorso riferito da Giovanni, e la fonnu­ lazione della tristezza del salmista? L'indagine, al riguardo, si rivela deludente. Nessun riferimento troviamo al Salmo 42[41 LXX] nella Lettera di Clemente, nella cosiddetta Lettera di Barnaba. Nell'Adversus haereses,2 IRENEO cita una volta il Salmo 42[41 LXX], ma lo fa per notare, stando al v. 2, il . v. 21b: Questo versetto è accentuato da due verbi all'incompiuto, prima persona, che ven­ gono trasportati qui dove sono al loro posto.

Possiamo chiudere qui con le citazioni, non senza notare la mol­ teplicità di testi che vengono ripresi nel N uovo Testamento (qui in corsivo). Tuttavia, non hanno tutte la stessa importanza e il loro rap­ porto col mistero di Cristo non è identico. Nell'evocazione delle pene subite dall'uomo sofferente (vv. 8-13), un versetto si stacca per precisare la causa delle persecuzioni: il v. 10a. È proprio questo ver­ setto che viene ripreso nel Vangelo secondo Giovanni, per spiegare il motivo della condotta di Gesù nell'episodio in cui lo si vede cac­ ciare i mercanti del tempio (Gv 2,17). Ma è il suo immediato seguito (v. 10b) che san Paolo cita espressamente per evocare le difficoltà in­ contrate da Gesù: «Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma come sta scritto: gli insulti di coloro che ti insultano sono caduti sopra di me» (Rm 15,3). Questo ricorso a un versetto del Salmo 68[69] mo­ stra dunque che, assai presto, il salmo è stato letto come un testo che annunciava in anticipo e sofferenze del Cristo perseguitato. Benché il v. 21 , rimaneggiato per lo spostamento di due termini fuori contesto, non venga citato· nel Nuovo Testamento, è chiaro che i suoi stichi c e d si applicherebbero benissimo alle circostanze della passione: non mancherà di farlo la liturgia posteriore. Ma è il v. 22 che attira di più l'attenzione dei quattro evangelisti. L'episodio rife­ rito in Mc 15,23 e 36, in Mt 27,34 e 48, in Le 23,36 e in Gv 19,28 coin­ cide troppo bene con la finale di questo v. 22 perché l'incontro tra fatto e testo non venga sottolineato. In Marco e Matteo, il fatto è d'altronde sdoppiato: vi è dapprima il vino misto a mirra che i soldati offrono al condannato alla croce per calmare le sue sofferenze, ma Gesù si rifiuta di berlo; poi c'è la spugna che uno di essi immerge nell'aceto per poi porgergliela in cima a una canna. I quattro Vangeli riferiscono il fatto e Giovanni lo colloca dopo un grido di Gesù: «Ho 175

sete» (Gv 19,28-29). Secondo Giovanni, Gesù ingerisce qualche goc­ cia di quella bevanda acida di cui facevano uso i soldati romani. 1 Non c'è alcun motivo per ritenere che l'uno o l'altro episodio sia stato in­ ventato per evidenziare il «compimento» del testo del salmo. Que­ sto, d'altronde, non è citato in modo esplicito. La presentazione del vino misto a mirra faceva parte del costume nel caso delle crocifis­ sioni, e Gesù si rifiuta di berne! Quanto al racconto dell'acqua mista ad aceto che serviva per dissetare i soldati, esso coincide esatta­ mente con la narrazione evangelica di Giovanni, e le sue varianti se­ condo le tradizioni indicano che qui si tratta di un ricordo global­ mente certo, ma diversificato nei particolari. In ogni modo, la tradi­ zione evangelica ha conservato di preferenza i tratti, presi sul vivo, che confermavano le Scritture:2 questo era uno di essi, e le donne che stavano ad osservare da lontano (Mt 26,55-56; cf. Mc 15,40; Le 23,55; Gv 19,25) avevano potuto notarlo e riferirlo a cose avvenute. Bisogna abbandonare i racconti evangelici per trovare la ripro­ posizione intenzionale dei vv. 23-25.26. Per il v. 26, è Luca che lo cita nel libro degli Atti, per giustificare la sostituzione dell'apostolo che ha tradito (At 1 ,20). Il testo è vicino alla versione greca classica, ma la sua letteralità è adattata da Luca alla circostanza che lo richiama: «Che il suo accampamento diventi deserto (con épaulis in entrambi i lati), e che lì non vi sia più alcun abitante! ». Citazione ad sensum, ap­ plicata d'altronde simbolicamente alla carica di apostolo che Giuda aveva occupato. Infine è in Rm 11 ,9s che Paolo cita la Settanta dei vv. 23-24, mo­ dificando leggermente il v. 23a, cambiando l'ordine delle parole nel v. 23b e, soprattutto, trovando un'applicazione imprevista per gli ap­ pelli del salmista alla giustizia divina. Non si tratta più della passione di Gesù, ma del destino storico del popolo ebraico nello svolgimento del disegno di Dio. È un fatto che, da parte delle sue autorità e in una parte assai importante dei suoi membri, quel popolo non ha ac­ colto il vangelo.

1 Si tratta della posca, miscuglio di acqua e aceto, nota a Plauto e a Plinio il Vecchio. 2 L'esecuzione della sentenza e poi dell'agonia di Gesù in croce durano dall'ora terza alla nona (Mc 1 5,25.33). Di tutto questo è stato ricordato soltanto un piccolo nu­ mero di fatti significativi. Le preoccupazioni di evidenziare il compimento delle Scrit­ ture ha svolto un ruolo importante in tale scelta. ·

176

Paolo riflette su questo fatto che le Scritture, a suo avviso, la­ sciano prevedere. Il capitolo 10 della Lettera accumula dei testi per mostrarne il compimento nella situazione presente (Rm 10,5-21 : una dozzina di testi). Dio non ha ripudiato il suo popolo (Rm 1 1 ,2), ma ha fatto operare la «legge del resto» (Rm 1 1 ,4) nel disegno di Dio. Quanto agli altri, li ha in qualche modo accecati (Rm 1 1 ,8, citando due testi), e ha applicato la sanzione che Sal 68,23-24 LXX annun­ ciava. Rimaniamo di certo nel quadro di una riflessione sul mistero di Cristo. Non si tratta più del Cristo sofferente durante la sua pas­ sione, ma del Cristo glorioso annunciato dal vangelo: la fede in lui è rifiutata dalla massa giudaica che rimane avvinta alla sua tradizione legale. Non si tratta di un castigo, ma l'apostolo constata il dramma, non senza concludere più avanti con una parola di speranza che pro­ spetta la salvezza di tutto Israele: qui ancora, la Scrittura viene a fon­ dare il suo modo di vedere (Rm 1 1,26, citando ls 59,20s; Ger 31 ,33 e ls 27,9 LXX). Se ci si attiene al Salmo 68[69], si constata che la sua reinterpretazione cristiana comprende parecchi aspetti del mistero del Cristo sofferente e poi glorioso. È sufficiente perché la rilettura che ne faranno i padri della Chiesa lo applichi al Cristo nella sua to­ talità. 3. NOTA CRITICA SULL 'ORIGINE DEL SALMO La presentazione appena fatta parte da un'ipotesi critica che non è universalmente ammessa. L'esistenza di due «lamentazioni indivi­ duali» primitive, riunite nel salmo attuale, è presupposta da Tournay e Beaucamp; ma commentatori come Deissler e Kraus non vi fanno allusione. Era pratico fare qui questa distinzione per preparare le ri­ letture del salmo nel Nuovo Testamento. Ma si deve constatare che, fin dalla formazione del Salterio ebraico, tutto si trovava riunito in una preghiera unica la cui conclusione (qui non tradotta) fa intrave­ dere la data di composizione. Si legge infatti nel v. 36: «... Dio infatti salverà Sion e ricostruirà le città di Giuda: vi abiteranno e ne avranno il possesso ... ». Siamo dunque dopo il ritorno dall'esilio; ma la ricostruzione del paese non è compiuta e la «salvezza» di Sion, la città del tempio, pare ancora assai precaria. L'autore, o i due autori e colui che ha assemblato i due testi, fanno eco parecchie volte ai testi del libro di Geremia. L'appello alla giustizia divina adotta più di una volta un tono violento nei vv. 23-29: 177

siamo ancora lontanissimi dal vangelo. La parte conclusiva proclama tuttavia la superiorità del cantico di azione di grazie sui sacrifici di animali: ritroviamo qui il tono di Sal 39[40],9 e 50[ 51 ),18. È l'epoca in cui il culto rinasce nella Terra Santa, ma il tempio è ricostruito (anni 520-515)? Ad ogni modo, il testo, fissato in quell'epoca nel suo insieme, ha potuto essere ritoccato nel momento dell'edizione finale del Salterio (IV secolo?). La versione greca ne conosceva l'essen­ ziale sotto la sua forma attuale, salvo varianti di secondaria impor­ tanza. L'essenziale era vedere come si preparava da lontano una let­ tura cristiana che senza introdurvi il Messia, leggerà nella sua fili­ grana l'abbozzo del mistero del Cristo Gesù in parecchi aspetti es­ senziali. D. Le letture patristiche del Salmo 68[69]

1. I PADRI GRECI

Il riferimento a Sal 68[69],22 ha inizio con la Lettera di BarnabaJ 7,3 e col Vangelo di Pietro4 16. Si tratta di evocare il racconto della passione ricorrendo a Mc 15,23.36 e Mt 27,34.48. Ma i due autori combinano sistematicamente insieme le parole impiegate nel greco di Sal 68,22a.22b: sulla croce, a Gesù viene dato da bere fiele (kho­ len) e aceto (oxos). Ora, il testo del Salmo 68[69] parlava di fiele sol­ tanto a proposito degli alimenti, per rendere l'ebraico ro's che desi­ gna del veleno o un cibo assai amaro. Giustino non cita il salmo. IRENEO non si limita a riprodurre il testo di At 1,16-17 che giusti­ fica la sostituzione di Giuda con un richiamo a Sal 68,26 LXX. Si ri­ ferisce esplicitamente allo stesso salmo (v. 27), per dire che i carne­ fici di Gesù «hanno aggiunto dolore aUe [sue) ferite».5 È chiaro che,

3

128s.

Vedere Épttre de Barnabé, a cura di P. PRIGENT E R.A. KRAFr (SCh 172) 1971 .

4 M.G. MARA, Evangile de Pierre (SCh 201 ), 1973, 43s, e commento 129s. La commentatrice segnala che la stessa «bevanda di aceto e fiele» è attestata nel Perì Pashka di MELITONE DI SARDI (cf. SCh 1 23, 105) e in un'omelia pasquale nella tradi­ zione di Ippolito (SCh 27, 99). Si tratta dunque di un riferimento classico dove il v. 22 del Salmo 68[69] è citato in riassunto. s IRÉNÉE DE LYON, Contre les hérésies, III, 1 2,1 (SCh 211, 176s) e III, 22,2 (SCh 21 1 , 436).

178

in questo caso preciso, l'insieme del salmo costituisce l'oggetto di una lettura cristologica, poiché il v. 27 non era citato nel Nuovo Te­ stamento. Del resto, in un'altra serie di citazioni bibliche,6 lreneo menziona anche Sal 68,22 LXX combinando insieme le allusioni ai due testi di Mc 15,23.36, come nella Lettera di Barnaba e nel Vangelo di Pietro: è tutto il racconto della passione che viene così riassunto con l'aiuto delle Scritture. Il commento di ATANASI07 sul Salmo 68 LXX nella sua hypothe­ sis spiega subito che questo salmo « . . contiene una preghiera che ci viene dal Salvatore, pronunciata in funzione (ek prosopou) della sua umanità, e riferisce le cause per cui lo si è condotto alla morte di croce. Inoltre, racconta con chiarezza la sua passione, come anche le sventure che dovevano capitare agli ebrei dopo la sua passione ( . . ]. Quanto al fatto che il Salvatore ha presentato questa preghiera in funzione della sua natura di uomo, esso è indicato alla fine del salmo quando dice: "Il Signore ha esaudito i poveri e non ha disprezzato i suoi prigionieri" (Sal 68(69],34)».8 Si vede dunque che tutti i versetti sono riferiti a un annuncio ge­ nerale del mistero di Cristo, anche quelli che invocano il castigo di Dio sui persecutori (vv. 23-26.28-29). È incerto che Atanasio segua, su questo punto, la traduzione di Origene il cui commento omiletico è andato smarrito. EusEBIO DI CESAREA9 si impegna esattamente nella stessa dire­ zione: questo salmo anticipa il racconto della passione e annuncia il castigo riservato ai giudei. Come sempre, nel suo commento, Euse­ bio segnala le divergenze di traduzione che trova in Simmaco e Aquila, per meglio cogliere l'ebraico. Spiega agevolmente che i verbi al passato devono essere intesi al futuro ma è strano vederlo ci­ tare Giovanni introducendo nel .testo un termine tratto da Sal 68(69],22, dove i due stichi sono combinati insieme come nelle cita­ zioni della Lettera di Barnaba e del Vangelo di Pietro: « .. . Vi era li un vaso pieno d'aceto. Prendendo dunque una spugna imbevuta d'aceto con il fiele e ponendola su una canna di issopo, essi l'accostarono alla .

.

6

lbid. , IV, 33,12 (SCh 100, 835). ATANASIO 01 ALEssANDIRA, Exegetica: Expositiones in Psalmos, in PG 27, coli. 305-314. 8 Ibid., col. 305. 9 EusABIO m CEsAREA, Commentarla in Psalmos, in PG 23,721-768. 7

179

sua bocca» (Gv 19,29). Le due scene, distinte in Marco e Matteo, qui sono sovrapposte.1 0 Ma se Eusebio applica ai giudei le parole vendi­ cative del salmo (vv. 23-29), si guarda bene dal trarre delle conclu­ sioni che sarebbero tacciate come antiebraiche nella condotta che si addice ai cristiani: ricorda che Cristo ha prescritto di non rendere il male col male e di pregare persino per i nemici. 1 1 Constata soltanto che l'abitazione dei giudei vale a dire la loro città, è stata distrutta. 1 2 È nella logica dell'interpretazione cristologica del salmo; ma nessun testo del N uovo Testamento ha posto la rovina di Gerusalemme in relazione con la condanna a morte di Gesù: è un modo di vedere ti­ pico dei teologi del IV secolo. 2.

l

PADRI LATINI

ILARIO 01 Pom ERs 13 legge ovviamente il salmo come una pre­ ghiera del Cristo durante la sua passione. Ma deve risolvere più di un problema per giustificare tale lettera - sulla base di una Vetus la­ tina dipendente dalla Settanta, e di Aquila che egli consulta come un testimone dell'ebraico - senza mettere in questione il dogma di Ni­ cea, in un periodo in cui conduce una controversia abbastanza aspra contro gli ariani. Per spiegare che il Cristo si è visto «Sommergere dalle acque profonde» della passione (vv. 2-3), egli ricorre alla pre­ cisa dottrina dell'incarnazione, dove «la natura celeste [di Dio] si è svuotata di se stessa (haurienda fuit) , affinché annientatasi (exina­ niens: Fil 2,7) la forma di Dio, essa cadesse al livello della forma di schiavo e di uomo».14 Partendo da qui, è possibile intendere tutto il salmo come una profezia della passione. Se vi si legge: «Deus, tu scis insipientiam meam» (o Dio, conosci la mia follia), non è perché Cri­ sto sia stato peccatore, ma perché ha assunto «la follia della croce». 1 5 Tutto il commento ricorre così a un'interpretazione che è ormai tra­ dizionale, ma è posto a confronto con le necessità della controver­ sia antiariana. Naturalmente, il fatto che il v. 22 venga ripreso in

10 11 12 13 14

15

180

lbid., col. 750. Ibid., col. 752. Commentario dei vv. 26-29, coli. 753s. ILARIO m PoiTtERS, In Psalmos, in PL 9,469-489. lbid. , col. 472. lbid. , coll. 474s.

Mt 27,34 è messo in evidenza. 16 Successivamente, l 'appello al castigo dei nemici pone un problema al commentatore: nei vv. 27-29 si tratta del castigo dei giudei? In realtà, la conseguenza del loro rifiuto del Cristo non è identificata con la distruzione di Gerusalemme, ma con il fatto che non sono presentemente «concorporales et comparticipes Christi»,11 in un momento in cui l'intera creazione loda Dio a causa della nostra salvezza (vv. 33-35).18 Per finire, l'interpretazione figu­ rativa di Sion e delle città di Giuda consente di applicare il testo alla Chiesa, poiché Gerusalemme è il luogo in cui Cristo è risorto. 1 9 Come si vede, Ilario riesce ad aggirare le difficoltà del testo nella sua letteralità senza cadere in un antiebraismo aggressivo. AoosTINO dedica al Salmo 68[69] due sermoni (vv. 1 -15.16-37).20 Entra ovviamente anch'egli nella tradizione ricevuta. Di sicuro, è Cristo che parla: l'accostamento del v. 22 e del testo di Gv 1 9,28-30 ne stabilisce subito la certezza.2 1 Ma poi si deve trovare un signifi­ cato corretto a tutte le parole del testo. Ci sono casi in cui le espres­ sioni usate non consentono di attribuirle a Cristo, ad esempio nel v. 4 della vecchia versione latina: «i miei occhi hanno cessato di sperare nel mio Dio». Era il caso dei discepoli di Emmaus, prima che il Cri­ sto risorto avesse illuminato i loro occhi.22 Agostino non esita dun­ que a suddividere il testo in proposizioni particolari, relativamente indipendenti, per proporre spiegazioni che soddisfino in ogni caso la fede. Egli può così eliminare le difficoltà, relativamente numerose. Ad esempio, egli legge nel v. 22a: «e hanno messo (dederunt) del fiele nel cibo».23 Nel racconto della croce, si parla solo dell'aceto dato a Gesù dai soldati (Mt 27,34). Ma esiste un altro tipo di cibo, che Cristo ha mangiato celebrando la Pasqua con i suoi discepoli e di cui ha fatto il suo corpo. Ora se, ricevendo quel pane, formiamo al­ tresì un solo corpo, coloro che contraddicono su questo punto il van-

16

lbid., col. 481. 17 lbid. , col. 485. 18 lbid. , col. 487. 19 lbid. , col. 489. . 20 AoosnNo, Enarrationes in Psalmos, in PL 36,839-865. 21 lbid., col. 841. 22 lbid. , col. 847. 23 Jbid. , coli. 858s.

181

gelo disprezzando il Cristo che siede nei cieli non commettono forse peccato più grave di coloro che l'hanno perseguitato quaggiù?24 Risulta da questa riflessione, che si fonda sulla letteralità del te­ sto latino, una diatriba contro gli ebrei: essa riconosce nella distru­ zione di Gerusalemme il castigo di coloro che gridavano contro il Fi­ glio di Dio: «Crocifiggilo, crocifiggilo! » (Gv 19,6). A questo punto difficilmente l'oratore può essere seguito: il suo attaccamento alla letteralità latina, accompagnata da un gusto eccessivo per la retorica. gli fa trarre delle conclusioni che non conseguono in alcun modo dalla Scrittura correttamente intesa. La conclusione ecclesiale, nei vv. 3 1-37, ritrova un prolungato senso letterale grazie alle indica­ zioni della tipologia biblica. Nel frattempo però, non avendo il soste­ gno di un senso letterale accuratamente fissato, Agostino ha propo­ sto al suo uditorio una lettura del salmo in cui la rispettiva situazione della Chiesa e del giudaismo, alla sua epoca, è proiettata sui partico­ lari del salmo, con gli accenti di una polemica abusiva.25 Lo si deve constatare èon rammarico. È a partire da uno studio critico del senso letterale primitivo e dalla lettura greca compiuta dagli ebrei, poi dalla rilettura proposta nel Nuovo Testamento, che un'interpreta­ zione teologica dovrebbe essere intrapresa, non senza riconoscere al testo un senso «plenario», dove la fede cristiana si ritroverebbe in­ tatta.

24 lbid. , col. 859. Si tratta di commentare qui la pozione di fiele che viene data a Gesù: si constata ancora che i vv. 22a e 22b sono frammischiati nella spiegazione del salmo. 25 Questi attacchi contro gli ebrei nei sermoni di Agostino non sono soltanto temi tradizionali utilizzati dagli oratori cristiani. Possono spiegarsi anche con l'attività di cristiani giudaizzanti, in certe comunità della Numidia convertite all'ebraismo (cf. F. DECRET, Le Christianisme en Afrique du Nord ancienne, Le Seuil, Paris 1996, 1 97200, che segnala il proselitismo di quei giudaizzanti).

182

13 TRE SALMI REGALI

Gli esempi fin qui analizzati hanno mostrato a sufficienza il modo con cui la lettura cristiana dei Salmi li ha trasferiti sul piano della rivelazione evangelica, quando la loro letteralità lo consentiva. È il caso ovviamente degli antichi Salmi regali, che il giudaismo con­ temporaneo di Gesù rileggeva già applicandoli al Messia futuro. Il Nuovo Testamento ha spesso appoggiato questa nuova interpreta­ zione, quando le parole di Gesù, i testi evangelici, quelli delle Let­ tere o dell'Apocalisse, applicavano al mistero del Cristo questo o quel versetto di salmo o persino dei salmi interi, per trovare il lin­ guaggio adatto a tradurre questo o quello dei suoi aspetti. Lo ab­ biamo constatato nell'interpretazione cristiana del Salmo 2, per il quale gli Atti degli apostoli fornivano già una chiave di lettura deter­ minante. A partire da qui, i padri della Chiesa antica non hanno esitato a elaborare delle letture teologiche che applicavano al Cristo na­ scente, sofferente o glorioso tutte le parole di testi letti in greco o in latino. In una certa misura, ricorrevano cosi al senso letterale che possiamo qualificare come «plenario>> . Ma per un gran numero di particolari essi facevano appello al senso figurativo delle realtà bibli­ che, sia istituzionali, sia legate ad eventi particolari. Una volta orien­ tata in tale direzione, la loro lettura non esitava a servirsi delle ri­ sorse della loro cultura (allegoria alessandrina o theoria della scuola antiochena), per presentare simbolicamente i diversi aspetti del mi­ stero di Cristo, collegandoli a una «lettera» che, fatta alla maniera critica dei moderni, non permetteva più di rinvenirli direttamente. Era già il caso, ad esempio, del Salmo 44[45], epitalamo applicato al Cristo e alla Chiesa grazie ad alcuni artifizi estranei al nostro gusto. 183

Riconosciuti questi principi, individuate le loro applicazioni, non necessario rifare un 'indagine così lunga per gli altri testi regali rac­ chiusi nel Salterio attuale, in particolare i Salmi 71 [72]; 88(89]; 109(1 10]. Rinviando il lettore alle traduzioni classiche che tutte le Bibbie offrono, ci limiteremo qui a dare delle indicazioni generali e dei riferimenti perché il lettore possa compiere egli stesso l'opera di cui abbiamo abbozzato il metodo. Sarebbe di certo necessario che egli avesse sottomano in primo luogo la Bibbia ebraica o perlomeno la sua traduzione critica ricca di annotazioni, quindi il Salterio greco da cui dipendono le antiche traduzioni latine e che già conoscevano gli autori del Nuovo Testamento. Per i testi patristici, non potremmo che segnalame i riferimenti aprendo la via alle ricerche personali.

è

L

D

Salmo 72[71 LXX]

R. Tournay vede in questo salmo una composizione tardiva, po­ stesilica, che concerne direttamente il Messia futuro. 1 Questa opi­ nione è assai isolata tra i critici. La maggior parte dei commentatori vede in esso un salmo dell'epoca regale,2 composto per un'incorona­ zione o, perlomeno, per una festa alla quale il re partecipava. Riesce soltanto difficile precisare di che re si trattava. Ripreso dopo iJ ri­ torno dall'esilio, il salmo è stato applicato al re ideale dell'avvenire che sarà finalmente definito come il Messia. Il testo è stato ritoccato a tal fine, segnatamente con la trasformazione dei verbi di significato «ottativo» in verbi al futuro, e con aggiunte che è possibile ricono­ scere nei vv. 10 e 15a per le loro allusioni a Is 60,6. Forse la seconda parte del v. 17, che allarga la visione dell'avvenire a tutte le nazioni, è anch'essa un'aggiunta postesilica. In ogni caso, i vv. 18-1 9 costitui­ scono la dossologia finale del libro II del Salterio. Il testo di questo o quel verso ha potuto essere modificato per adattarsi a questa «rilet­ tura». Ma si esita sempre a proporre delle modifiche per ricomporre un preteso «originale».

1

Bible de Jérusalem, in fascicoli: Les Psaumes (1 964), 306, nota a. Così G. CASTELLINO; A. DEISSLER; H.J. KRAUS (Il, 925-938); E. BEAUCAMP (III, 1979, 185-194), sotto il titolo Investiture à Sion pour la conquete du pays (815). Il salmo risalirebbe. come data. a Davide, dopo la presa di Gerusalemme. Dopo Davide, non poteva essere granché utilizzato, tranne che per la consacrazione di un re (190). 2

184

Si può avanzare in ogni caso un suggerimento per chiarire questa «preghiera per il re». Lasciando da parte il titolo tardivo: «Per Salo­ mone», si potrebbe considerare il v. l come un ritornello ripreso dopo ogni strofa.3 Tralasciando le aggiunte tardive, si avrebbero così le seguenti strofe: - 1: vv. 2-4 - II: vv. 5-7 - III: vv. 8-9+ 1 1 - IV: vv. 12-14+ 15b - V: vv. 16-17ab. La riproposta del ritornello da parte di tutta la comunità dopo ogni strofa cantata da un coro, si capirebbe benissimo in una liturgia del tempio dove è presente il re di Giuda. Gli auspici formulati ver­ rebbero spostati al momento di una consacrazione? Comunque, dopo il ritorno dall'esilio, il testo non può più riguardare se non il re atteso nell'avvenire. Nella versione greca, tutti i verbi sono al futuro e i nomi di luoghi e di popoli sono attualizzati. Nel v. 9, �iy im è identificato ad aithio­ pes, ossia ai nubiani. Nel v. lOb, i re di Seba e di seba divengano i re degli arabi e di Saba. Nel v. 15a, l'oro di seba diventa l'oro dell'Ara­ bia. In questo modo, il salmo cantato nelle sinagoghe d'Egitto parla immediatamente all'immaginazione dei giudei del luogo: essi ricono­ scono dei popoli di cui si parla in quelle contrade. Anziché intraprendere uno studio critico del salmo ebraico nel suo testo originale e nelle sue ulteriori trasformazioni, esamineremo la sua versione greca come erano in grado di leggerla gli scrittori del Nuovo Testamento: 4 è in questa prospettiva che si potrà vedere quali reminiscenze essi hanno tratto per averne ispirazione nella loro presentazione del Cristo Gesù: 1 O Dio, dà il tuo giudizio al re

e la tua giustizia al figlio del re giudicare il tuo popolo con giustizia e i tuoi poveri con decisione!

2 per

·

3 Non trovo questo suggerimento in alcun commentario. Bisognerebbe ripren­ dere lo studio critico del testo per fame la dimostrazione, a titolo di ipotesi di lavoro, per spiegare la letteralità dell'ebraico. 4 Septuaginta di Gottingen, X, 199-201. Le note di critica testuale tengono conto della Vetus latina e del siriaco.

185

3 Le

montagne portino la pace al tuo popolo, e le colline, la giustizia! 4 Giudicherà i poveri del popolo salverà i figli degli indigenti e umilierà il calunniatore. E durerà con il sole e davanti alla luna per una generazione di [generazioni. 6 E scenderà come una pioggia su un vello e come gocce grondano sulla terra. 5

Nei suoi giorni si leverà la giustizia e una pienezza di pace finché la luna scompaia. 8 E dominerà da un mare a un altro mare, e dal fiume alle estremità della terra abitata.

7

Davanti a lui si prosterneranno i nubi, e i suoi nemici leccheranno la polvere. 10 Dei re di Tarsis e le isole porteranno doni, dei re degli arabi e di Saba presenteranno regali. 9

11

E tutti i re si prostreranno davanti a lui, tutte le nazioni lo serviranno. 12 Strapperà infatti il povero dalla mano del potente e il misero, che non ha avuto alcun difensore.

13 Avrà cura del povero e del misero e salverà l'anima [ la persona] dei miseri. 14 Riscatterà le loro persone dall'usura e dall'ingiustizia. e il loro nome sarà onorevole davanti a lui. =

15 Ed egli vivrà, e gli sarà dato oro d eU'Arabia e [le genti] pregheranno per lui sempre: tutto il giorno lo benediranno. 16 Vi sarà

un appoggio sulla terra dalla sommità dei monti il suo frutto sarà elevato al di sopra del Libano e, 'dalla città, fioriranno come l'erba della terra.

186

17

Il suo nome sia benedetto per tutti i secoli! Il suo nome durerà davanti al sole e tutte le tribù della terra in lui saranno benedette, tutte le nazioni lo proclameranno beato.

Tale è la rappresentazione, piena di speranza, del futuro Messia, all'epoca in cui gli autori del Nuovo Testamento leggono e cantano questo testo nelle assemblee sinagogali. Esistono evidentemente due modi possibili di comprenderlo. Uno rimane ancorato ali 'idea della monarchia politica, pur insistendo sull'esercizio della giustizia da parte del re ideale nel momento in cui esercita il giudizio sul suo po­ polo e sulle nazioni. Il Salmo 17, di Salomone,5 che non sembra ci­ tare esplicitamente il Salmo 71 [72], fa eco a questi temi, basandosi piuttosto sugli oracoli regali di Isaia. È chiaro che il messianismo re­ gale del Nuovo Testamento non riprende questa prospettiva per presentare il regno del Cristo in gloria o le sue anticipazioni simboli­ che. Ma possiamo rilevare alcuni testi che fanno eco a questo o quel versetto del Salmo 71 [72]. l. RIPROPOSTE DEL Nuovo TESTAMENTO

a) La gloria del Cristo risorto. La regalità di Cristo non è di que­ sto mondo, come quella del re che il Salmo 71 [72] evoca. Ma esi­ stono due tratti del poema che l'Apocalisse di Giovanni non esita a trasporre per evocare il Cristo in gloria. È in primo luogo, prima del suo ultimo «combattimento» (Ap 19,1 1-21), il suo ruolo di giusti­ ziere che realizza il grande giudizio con una sovrana giustizia. Il pro­ feta vede il cielo aperto e, su un cavallo bianco, colui che > è stato letto dabar dal greco, che traduce: «la parola maligna». v. 4c: Spostato dopo il v. 7, per completare il distico. v. 9a: Il suffisso della prima persona alla fine dello stico non garantisce la logica della frase; il greco ha letto, dopo l'ebraico: «perché tu, Signore, mia speranza . ». v. lSa: Il ritmo del testo cambia: abbiamo qui tre stichi di 2 + 2 accenti. ..

La dichiarazione iniziale, poi il successivo discorso sacerdotale e infine l'oracolo che chiude, costituiscono un invito alla fiducia totale in Dio.2 Si rivolgono a chiunque pronunci l'atto di fede espresso nel v. 2. Ogni credente può farlo suo. Anche Gesù è vissuto in questa di­ sposizione interiore.

2 Con ogni probabilità la composizione del salmo risale al tempo in cui il culto venne riorganizzato dopo l'esilio. Nell'ebraico, il testo è senza titolo. La versione greca ne aggiunge uno: «Lode di cantico. Di Davide».

201

Il. Le

letture del Nuovo Testamento

Gli unici passaggi ripresi nel Nuovo Testamento si trovano nei 1 1-13. Ma la loro riproposta è assai diversa nei tre passi che si possono addurre: dapprima Mt 4,6 e Le 4,10-1 1; successivamente Mc 1 , 14; infine Le 10,19.

vv.

l. LA TENTAZIONE DI GESÙ IN MATTEO E LUCA

Tre scene successive mostrano Gesù tentato da Satana. Ho pro­ posto altrove3 di intendere questa tentazione come un dialogo inte­ riore, in cui Gesù si vede suggerire, con insidiose fantasticherie, tre atti per i quali abuserebbe dei suoi poteri di «Figlio di Dio» (Mt 4,3.5 e par.). Nel primo caso, rinuncerebbe all'adorazione di Dio solo per ac­ quisire una regalità temporale (Mt 4,8-9 e par.). La seconda tenta­ zione secondo Matteo, o la terza secondo Luca, formula il ragiona­ mento del tentatore ricorrendo a Sal 90[91],1 1-12. Gesù si vede po­ sto sul pinnacolo del tempio, mentre Satana gli suggerisce: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché è detto: "Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo; e: essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non ab­ bia a urtare contro un sasso il tuo piede"». Il testo del salmo è citato dal greco. Nel Salmo 90[91] non si parlava di «Figlio di Dio». Ma è normale che, nel pensiero di Gesù, il salmo si applichi eminente­ mente a lui nella sua qualità di «Figlio di Dio».4 La tentazione non bara dunque con la letteralità del testo, che Gesù può effettivamente leggere come una espressione della sua totale fiducia nel Padre. Ma la sua filiazione non si manifesta con prodigi che attirano l'atten­ zione del pubblico. Egli annuncerà il regno di Dio, non l'esito posi­ tivo umano della propria opera. Il suggerimento che gli viene in

3 Les tentations de Jésus, in NRT (1995), 501-516. Presentazione riproposta rias­ suntivamente in Jésus de Nazareth, Christ et Seigneur, Le Cerf, Paris 1997, l, 120-126. 4 Naturalmente, Matteo e Luca costruiscono la loro narrazione dopo la risurre­ zione di Gesù, quando la sua qualità di «Figlio di Dio» è stata pienamente rivelata e costituisce una certezza di fede. La triplice citazione del Deuteronomio mostra che, dietro tale narrazione, ci sono probabilmente delle omelie cristiane sui cc. 6 e 8 di questo libro (cf. Homélies sur l'Ecriture à l'époque apostolique, Desclée, Paris 1989, 89-92).

202

mente si ricollegherebbe ai maneggi di Israele nel deserto, quando il popolo «mise Dio alla prova». La Scrittura ricorda con forza il prin­ cipio opposto: «Voi non metterete JHWH vostro Dio alla prova [ tenterete], come l'avete messo alla prova [ = tentato] a Massa» (cf. Es 17,1-7; Nm 20,2-13). Per le tre tentazioni, Gesù si riferisce in­ teriormente a chiare parole, del Deuteronomio che esprimono ai suoi occhi la volontà del Padre (Dt 5,9; 6,1 3.16; 8,3). Per tornare alla citazione del Salmo 90[91], non è essa a costi­ tuire di per sé una tentazione, ma l'uso che Gesù ne farebbe per porre la potenza di Dio e la protezione degli angeli al servizio di una gloria tutta umana. Il testo in quanto tale conserva il suo pieno va­ lore, purché venga colto nel preciso significato che il contesto e lo spirito del salmo gli conferivano. Non vi è dubbio che Gesù lo integri in questo modo alla sua preghiera, e ogni fedele del vangelo può fare altrettanto, sul suo esempio. =

2. LA TENTAZIONE DI GESÙ SECONDO MARCO

Qui, la relazione tra Vangelo e Salmo 90[91] è più sottile. Il testo di Marco dice brevemente: « . e rimase nel deserto quaranta giorni, tentato da Satana; stava con le fiere (therion), e gli angeli lo servi­ vano» (Mc 1 ,13). Questo breve riassunto comporta particolari enig­ matici: che faceva Gesù «con le fiere», in che modo «gli angeli lo ser­ vivano»? Sono state suggerite diverse ipotesi per render conto di questa scena. La principale consiste nel mostrare Gesù in un «paradiso ri­ trovato» : gli angeli sarebbero al suo servizio e la pace regnerebbe tra gli animali e lui, come in Is 1 1 ,6-9; 65,25. È esatto: tutti gli animali ci­ tati in questi testi sono «fiere», e la parabola degli animali riconciliati tra loro è un 'immagine del paradiso. È parimenti esatto che, in Gen 2,19, l'atto creatore di Dio menziona le fiere (tà theria). Ma nell'evo­ cazione parabolica del dramma delle origini, soltanto il serpente (ho ophis) tra le fiere gioca il ruolo del tentatore (Gen 3,1). Un'altra ipotesi, più logica, si fonda sul testo di Sal 90[91] 1 1-12 opposto a 90[91 ] ,13. Pur tentato da Satana, Gesù realizza nondi­ meno ciò che è evocato simbolicamente nel v. 13: «Camminerai sul leone e la vipera, schiaccerai il leoncino e il drago». Sono queste le fiere (theria) con le quali Gesù si vede messo a confronto: ma è per trionfare su di esse; e il suo trionfo comporta l'aiuto e il servizio degli .

.

203

angeli, quali sono descritti nei vv. 1 1-12. Il ricorso alle immagini del salmo non è incorporato qui al discorso del tentatore, come nei rac­ conti di Matteo e di Luca: è sullo sfondo dell'allusione alla tentazione stessa. Gesù, nel deserto, vive esistenzialmente la scena dipinta dal salmo: gli angeli lo servono ed egli trionfa delle tentazioni evocate dalle fiere (therfa) simboliche. Si comprende facilmente che questo riferimento enigmatico ai vv. 1 1-13 del Salmo 90[91] abbia fornito materiali per un'altra presentazione di una delle tre tentazioni di Gesù: gli sviluppi di Matteo e di Luca ne hanno invertito il senso, an­ che per il servizio degli angeli, che nei loro Vangeli diventano il punto di partenza di una suggestione diabolica. Marco è più semplice: si li­ mita a due allusioni significative a Sal 90[91],13, poi a 90(91],1 1-12. riassumendo una predicazione sulla tentazione di Cristo nel deserto. La tradizione raccolta da Matteo e Luca faceva eco a delle predica­ zioni sui capitoli 6 e 8 del Deuteronomio integrando l'allusione di Sal 90(91],1 1-12 in una di esse. Vedremo che Eusebio di Cesarea compie questo stesso accostamento tra Mc 1,13 e il Salmo 90(91 ]. 3. L'ALLUSIONE DI

Le

10,1g5

È al ritorno dalla missione dei settantadue discepoli che co­ gliamo questa loro riflessione: «Signore, anche i demoni ci sono sot­ tomessi» (Le 10,17). E Gesù: «Io vedevo Satana cadere dal cielo come folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare (patein) sopra i serpenti e gli scorpioni, e su ogni potenza del Nemico» ( 10,18-19). Le parole non sono identiche a quelle di Sal 90(91],13. anche se i termini aspfs e 6phis sono tra loro affini. Si può tuttavia ri­ levare che le «potenze del Nemico» assumono la forma di bestie de­ moniache: questo fatto era implicito nel testo, del salmo, contraria­ mente agli angeli dei vv. 11-12. Un a reminiscenza del Salmo 90[91] è quindi plausibile. È resa probabile per la parentela tra il verbo patein adoperato in Le 10,19 e il verbo katapatein in Sal 90,1 3b LXX. In ogni modo, la fauna demoniaca è una costruzione immaginifica che può comportare infinite varianti: le ritroviamo perfino in Victor 5

Per un esame più approfondito vedere il mio articolo « Étude critique de Luc

10,19», in RSR 69( 1 981), 87-100 (= La Parole de grdce: Études lucaniennes à la mé­ moire d'Augustin George, 87-100).

204

Hugo in l Ginn: « Quali scalpori infernali: orrida armata l Di vam­ piri e di draghi! ». Le «potenze del Nemico» hanno sempre ispirato i poeti e i pittori: questa fauna dalle variazioni infinite è più facile da rievocare delle potenze celesti e angeliche. .•.

m. Letture

patristicbe del Salmo 90[91]

1. . l

GRECI

PADRI

Fin dal II secolo, gli autori insistono sul potere di cacciare i de­ moni che Cristo ha dato ai suoi apostoli e alla Chiesa. GIUSTINO (Dialogo con Trifone 76,6)6 cita al riguardo il testo di Le 10,19 con una curiosa variante: «lo vi do il potere di camminare sopra (katapateln) i serpenti, gli scorpioni, le scolopendre( ! ), e su ogni potenza del nemico».7 Il verbo impiegato non è quello che leg­ giamo in Luca (patein epano), ma quello di Sal 90[91 ],13 (katapa­ tein), e le scolopendre vengono aggiunte all'enumerazione delle be­ stie simboliche. La citazione è più chiara in IRENEO che commenta Gen 3,16. 8 La posterità della donna, ossia «il Frutto del parto di Maria», mostra sufficiente forza per «calpestare (calcare katapatein) la testa del Nemico»: «È di lui che il profeta ha detto: Camminerai sull'aspide e sul basilisco, calpesterai (conculcabis katapatéseis) il leone e il drago». Il commento applica poi il testo al peccato che si erge contro l'uomo, all'impero della morte, al leone che rappresenta l'Anticristo, e infine «all'antico serpente», che è il diavolo e Satana secondo Ap 12,9. La lettura cristologica del salmo è dunque nitida. È degno di nota che, nonostante i testi evangelici che si riferi­ scono al Salmo 90[91], ATANASI09 proponga solo una lettura appli­ cata, a coloro che credono in Cristo e su di lui cercano appoggio. =

=

6 Vedere l'edizione G. ARCHAMBAULT (collez. Hemmer e Lejay), t. II, 8-11, testo ripreso in Justin martyr: Oeuvres complètes, a cura di MIGNE, s.d., 222. 7 Ho esaminato questa variante nell'articolo citato nella nota 5. Non si tratta delle scolopendre che vediamo abitualmente, ma di millepiedi, dal morso pericoloso, diffusi in oriente. 8 IRÉNÉE DE LvoN, Contre /es hérésies, I II, 23,7; testo latino e traduzione in SCh 21 1, 462-465, e la nota in SCh 210, 364-386. 9 Vedere le note di ATANASIO in PG 27,399-404 (Expositio in Psalmum XC) e coli. 1041-1046 (De titulis Psalmorum).

205

Ma EusEBIO DI CESAREA, 10 riferendosi ai testi evangelici, spiega a lungo che questa applicazione alla vita dei fedeli si basa in definitiva sulla vittoria del Cristo attestata in particolare da Mc 1 ,13: «In primo luogo - scrive Eusebio - il diavolo si decise di tentarlo con altre spe­ cie di spiriti. Per questo è detto: "E stava con le fiere" (Mc 1 ,13). Quali fiere? Sono subito indicate da quanto segue: "Camminerai sul­ l'aspide e sul basilisco, calpesterai il leone e il drago". A quanto . pare, ciò che viene significato con immagini e forme del genere sono forze del male diffuse nell'aria, i principati e le potestà, e i domina­ tori di questo mondo di tenebra (Ef 6,12) ... ». Dalla tentazione del Cristo nel deserto, il pensiero passa così su­ bito a quella che colpisce le membra del suo corpo. 1 1 E, a proposito del v. 12 del salmo, il commentatore non manca di rinviare al testo di Mt 4,5 che lo cita segnalando la vittoria del Cristo, per concludere: «Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco angeli gli si accostarono e lo ser­ vivano» (Mt 4,1 1 ). 1 2 La vittoria del Salvatore annuncia quella del suo corpo che è la Chiesa. 1 3

2. l PADRI LATINI Sant' AoosTINo ha lasciato due sermoni sul Salmo 90[91 ).14 Se­ gnala esplicitamente che la lettura del Vangelo appena fatta verteva sulla tentazione di Gesù secondo Matteo. Il secondo commento del salmo mostra dunque che esso ci concerne direttamente, purché ri­ corriamo a Cristo che è la fonte della nostra speranza. Il discorso è intessuto di riferimenti scritturistici desunti dai due Testamenti, ma il commento del racconto della · tentazione di Gesù secondo Matteo occupa un posto importante. 1 5 Anche il suo ritorno al testo del salmo (vv. 11-12),16 comporta un commento cristologico. Il v. 13 («Camminerai sulla vipera e il basilisco, e calpesterai il leone e il drago») riporta il predicatore alle sue cure pastorali: «Quale sia

10

PG 23,1 139-1 166. Ibid., col. 1156. 12 lbid., col. 1100. 13 lbid., col. 1164. 14 AoosTINO, Enarrationes in Psalmos, in PL 36,1 149·1 158 15 Sermone II, nn. 6-7, coll. 1164-1 166. 16 Ibid., coli. 1166-1168. 11

206

e

1 158-1170.

questo serpente, voi lo sapete; come la Chiesa lo calpesti, lei che non è vinta da lui perché conosce le sue astuzie ». E la riflessione sul leone e sul drago induce Agostino a glorificare la vittoria dei martiri citando l Pt 5,8. 1 7 Tutta la parte finale e dedicata alla speranza cristiana a propo­ sito dei vv. 14-16. Agostino, come predicatore del vangelo, non può accontentarsi delle indicazioni date in un senso «letterale» stretta­ mente inteso. Ma il suo metodo è diverso da quello di Eusebio di Ce­ sarea. Costui restava uno speculativo nella sua trasposizione cri­ stiana del salmo. Agostino è un pastore: pensa essenzialmente alle necessità spirituali dei fedeli di cui ha l'onere. Occorre perciò che la sua riflessione sulle Scritture, illuminata dal vangelo, porti a esorta­ zioni pratiche, che integrino la morale ai dati della fede. Egli non al­ legorizza come fa Origene; il suo interesse si concentra piuttosto sulla pienezza di significato di cui il vangelo ha caricato il testo del salmo cantato dall'assemblea che egli presiede. Il canto dello stesso salmo, nell'ufficio divino, non persegue forse lo stesso fine? ...

17

Ibid.,

col. 1 168.

207

15 SALMO 117[1 1 8]

Nella Chiesa, il Salmo 1 17[1 18] è diventato il salmo pasquale per eccellenza. Non è sorprendente, perché, al tempo di Gesù e degli apostoli, costituiva già la chiusura di un hallel pasquale, l' > ai loro disegni. Sì, «si sono radunati insieme in questa città contro il tuo santo servo Gesù, che hai unto come Cristo» (At 4,27), e l'hanno messo a morte. Ma pro264

prio la sua morte ha cambiato il volto delle cose. Che si può contro Dio? Dio trasforma la sua disfatta in un'altra sorta di vittoria. Immaginiamolo lassù, cioè nel mistero inaccessibile dove go­ verna i destini del mondo. Immaginiamo la sua risata davanti a una iniziativa destinata al fallimento, o la sua collera davanti a un vano tentativo che vorrebbe impedire al suo regno di sorgere. Certamente qu_esta non è che un'immagine umana, poiché la sua reazione è di al­ tro genere. Per colui che è «il Figlio», la morte non è la fine di tutto, ma un passaggio verso la gloria e la vittoria che l'accompagna: ri­ sorto dai morti ed «elevato al cielo dalla destra di Dio» (At 2,33), è «costituito sovrano da Dio su Sion suo monte santo» (Sal 2,6). Alla città terrena di Gerusalemme è ora succeduta la «Gerusalemme di lassù» (Gal 4,26). Lì, il Cristo è Re, condividendo la regalità divina, pur conservando i segni della sua morte come «Agnello immolato» (Ap 5,6). È dunque adesso che egli riceve «le nazioni in eredità e in dominio le estremità della terra» (Sal 2,8). Non per stroncarle, ma per farvi regnare l'Amore di cui è il depositario e il mediatore. «E ora, uomini, siate saggi», sia che siate del numero dei poveri o di quello dei re e dei governanti: siete tutti uguali davanti a questa proposta dell'Amore che si è rivelata in Gesù, Cristo e Signore, morto in croce e risorto. Il suo «servizio>> (Sal 2,1 1), sarà di un ge­ nere diverso di quello delle potenze terrene: la relazione con lui sarà l'ingresso nella logica dell 'Amore. Diversamente ... Ah, il caso di ri­ fiuto resta una possibilità per le libertà umane, perché in realtà Dio ha corso il rischio di questa libertà! Che succede allora? In che modo la libertà malvagia che ha rifiutato l'Amore sperimenta il faccia a faccia con il Signore? Essa vede dinanzi a sé un Signore «irato» (Sal 2,12), di cui paventa i castighi. Nella mia preghiera, segno della mia relazione con il Signore, mi sento invitato all 'amore in risposta all'A­ more; diversamente, non potrei provare che il timore del Giudice, del Re che mi «governerà con scettro di ferro» (Ap 19,15; cf. Sal 2,9). Ma il Re, di cui sono diventato «l'eredità» (Sal 2,8), mi si è rivelato nella sua passione sotto un'altra angolatura: egli è l'Amore che mi ha chiamato all'amore. D.

Lettura cristiana del Salmo 15[16]

Per l'inizio del salmo, non posso che ripetere a Dio e al suo Cri­ sto la preghiera che il salmista ha formulato: «Sei tu il mio Signore», 265

e, «Senza di te non ho alcun bene» (v. 2). Forse che attualmente mi trovo in una società che pratica l'idolatria come quella che evoca il salmista (v. 4)? L'idolatria non ha fatto che cambiare forma: mate­ rialismo della vita di ogni giorno, ricerca del piacere che i culti di un tempo sacralizzavano, culto del denaro esibito alla luce del sole. È qui che la falsa saggezza del mondo pone istintivamente la felicità. Il bene morale cui aspira la coscienza, l a ricerca spirituale del Dio vero: chi se ne dà pensiero nella folla con cui sto gomito a gomito? Non è sorprendente che il crimine e lo stupro siano sbandierati sui giornali e negli spettacoli: da loro ci guardiamo istintivamente solo quando vi intuiamo un pericolo per la tranquillità de li 'lo, prigio­ niero del proprio egoismo. Constatiamo che, nel suo insieme, il mondo non è teso al bene. Allora che cosa me ne sto a fare, io, in questo guazzabuglio uni­ versale? Un istinto interiore mi fa intravedere un'altra specie di gioia: quella connessa alla relazione intima con Dio, resa possibile dalla mediazione del Signore Gesù. Egli è e Dio è per me grazie a lui . - «mia parte di eredità e mio calice» (Sal 15[16],5). E qual è la «sorte» che egli mi garantisce al termine del mio passaggio quaggiù? Una sorte migliore di quella che tocca ai cercatori del denaro e del piacere ! La gioia del levita che scrisse un tempo questo salmo è di­ ventata la mia: «La sorte che mi è toccata è deliziosa; sì, è magnifica la mia eredità! » (v. 6). Di certo, nessuno può comprendere la qualità di questa gioia se non fa l'esperienza della relazione con Dio nel Cri­ sto. Esperienza tenebrosa, deludente per la sua oscurità, ma lumi­ nosa per la fonte da cui sgorga tale gioia: -

Questa fonte eterna è nascosta, ma so dove ha la sua sede, benché sia di notte. Questa fonte eterna è nascosta in quel pane vivo per darci la vita, benché sia di notte. Questa fonte eterna che desidero, la vedo in quel pane vivo, benché sia di notte.

San Giovanni della Croce 266

Debbo dunque entrare in questa notte oscura per sperimentare le delizie dell'eredità promessa: la via nell'oscurità della fede e la condizione di una gioia che non si lascia definire e di cui gli increduli non comprendono neppure la natura. Ma io, a cui Dio ne ha fatto la grazia, lo benedico persino nel mio sonno e nelle mie fantasticherie spontanee ( v. 7). Di giorno «ho il Signore davanti a me sempre» (v. 8). Il Cristo risorto e diventato il mio sostegno: non devo temere gli assalti del male. Certamente, di questo lo prego ripetendo la pre­ ghiera che ci ha insegnato: «Non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male». O «dal maligno», nascosto dietro ogni specie di tentazione ... Poco importa, poiché «il Signore sta alla mia destra» (v. 8b). Posso quindi vivere nella gioia: il mio cuore, i miei sentimenti più personali, lo stesso mio corpo di carne, condividono questa gioia intima poiché la grazia di Dio, giunta a me attraverso il Cristo, mi dà una «sicurezza» che non posso procurarmi da solo (v. 9). Vivendo in Cristo, posso guardare in faccia l'avvenire: Dio non farà per me ciò che ha fatto per lui? Signore «tu non abbandonerai la mia anima alla morte». Anche nella morte corporale, tu mi custodi­ rai dalla «seconda morte» (Ap 20,6). Nel più profondo degli inferni: l'inferno, la privazione della tua presenza ... Ma no, già presente in me nell'oscurità della fede, mi farai partecipare a ciò che hai realiz­ zato per il Cristo risorto: «Mi indicherai il sentiero della vita» (Sal 15(16),1 1a): non più la vita terrena che necessariamente ha termine, ma la vita eterna con il Cristo Gesù e in lui. Ciò che spero così, è una «gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra» (v. l l bc). «Ora, Signore, nell'oscurità della fede, ti vedo come in uno specchio, in enigma. Ma allora ti conoscerò faccia a faccia» (lCor 13,12). Il Cristo risorto mi dà questa speranza, poiché egli stesso ha sperimentato questo strappo definitivo dalle grinfie della morte. La mia relazione con te n eli' oscurità della fede suscita già in me l'amore. Per questo essa può essere colma di speranza: «dolcezza senza fine alla tua destra!». •

*

*

Che dire di più? Tutti i salmi possono essere riletti e pregati nel Cristo, poiché egli ne fece un'espressione della sua personale pre­ ghiera. Preghiera contemplativa, preghiera silenziosa, preghiera fin nello smarrimento della morte, dove la sua sensibilità sperimentava

267

l'angoscia di un Dio per così dire assente: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 21 [22] ,2). Ma la sua «volontà volente» conservava la disposizione interiore dell'abbandono tra le mani del Padre: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Le 23,46 Sal 30[31] ,6). =

268

INDICE

Abbreviazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Presentazione Introduzione

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Parte prima La triplice lettura dei Salmi 1.

Salmo 2

l. Il. III. IV.

UN SALMO PER LA CONSACRAZIONE DEL RE LA RILETIURA GIUDAICA DEL SALMO 2 . . . . . . . . . . . LE RILETIURE DEL Nuovo TESTAMENTO LA RJLEITURA DEL SALMO 2 NEI PADRI E NEI TEO. • • • • •

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LOGI CRISTIANI

2.

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Salmo 8. Inno al Dio creatore . . .. . .. . l. IL TESTO ORIGINALE II. LA LETTURA EBRAICA DEL SALMO 8. . . ............. III. LE LETTURE DEL Nuovo TESTAMENTO IV. LA LETTURA DEL SALMO 8 NELLA CHIESA . .. . .

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.....

......

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• • • • • • • • • • • •• • • . • • • . . • • • • •••••••••••••••

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••••. . • •

3.

Salmo 15[16] l. IL TESTO ORIGINALE DEL SALMO 15(16] . . . . . . . . . . . Il. LA LEITURA GIUDAICA DEL S ALMO 15(16] � .. III. I L SALMO 15[16] NEL Nuovo TESTAMENTO IV. LA MEDITAZIONE CRISTIANA SUL SALMO 15(16]

. . . . . . . . . . . . ....... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . .

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4.

Salmo 21[22] . . . ... . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. l. I L TESTO EBRAICO DEL SALMO 21 (22] . . . . . . . . . . . . . . . Il. LA LETIURA GIUDAICA DEL SALMO 21 (22] . . . . . . . III. LA LETIURA DEL Nuovo TESTAMENTO IV. LA LETTURA DEL SALMO 21 (22) NELLA CHIESA

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69 70 72 75 78 83 83 89 90 94 269

5.

Salmo 30[31] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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IL TESTO EBRAICO DEL SALMO 30(31 ] . . . . . . . . . . . . . . . I. · II. LA RILEITURA GIUDAICA DEL TESTO III. LE LETTURE DEL N UOVO TESTAMENTO

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IV.

6.

BREVE INDAGINE NEI COMMENTATORI

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l.

IL TESTO DEL SALMO 33(34] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . LA LETTURA GIUDAICA DEL SALMO 33(34] . . . .. . . . III. LA RIPROPOSTA DI SAL 33(34],21 NEL Nuovo TESTAMENTO IV. LA LETTURA CRISTIANA DEL SALMO 33(34] . . . . . . .

»

Il.

»

Salmo 39[40],2-12 . . . ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. .. . . . . . . . . . . . .

l.

LEITURA DEL SALMO PRIMITIVO

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Salmo 41[42]-42[43]

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.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ... . . . . . . . . . . . . . . . I. UNA CHIAVE DI LETTURA CRISTIANA II. LETTURA LETIERALE DEL SALMO 44(45] . . . . . . . . . . . III. LA RILETTURA GIUDAICA DEL SALMO 44(45] . . ... IV. RILETTURE PATRISTICHE Salmo 44[ 45]

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... . l. LETIURA CRITICA DEL TESTO (SAL 67[68],2-19) II. LETIURE GIUDAICHE DEL SALMO 67(68] ... . . . . . . . . III. AVVIO DI UN'ATTUALIZZAZIONE CRISTIANA IV. LA TRADIZIONE PATRISTICA Salmo 67[68]

. .... ....... .

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270

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. . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . LA PRIMA SEZIONE ( SAL 41 (42],2-6) .. . . . . . . . .. . . . . . .

. . . . . . .. . . . . . . . . . . . .

I. II. ECHI DEL TESTO NELLE PAROLE DI GESÙ III. LE LETTURE PATRISTICHE DEL SALMO

11.

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10.

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... . . . ..... I. IL TESTO EBRAICO (vv. 5-1 1 ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I I . LA LETTURA DEL Nuovo TESTAMENTO III. CoMMENTI PATRISTICI Salmo 40[ 41] . . . . .

• • • • . • • • • • • • •

9.

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II. LETTURA GIUDAICA DEL SALMO 39(40] . . . . . . . . . . . . . III. IL SALMO 39(40] NEL Nuovo TESTAMENTO IV. LETTURE CRISTIANE DEL SALMO 39(40] ... . . . . . . . . . . 8.

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Salmo 33[34] (brani) .... ..... . . . . . ...... . . . . . . . . . . . . . . ........

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7.

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99 99 101 102 105 107 108 1 10 1 10 1 12 115 115 119 120 123 129 130 131 132 135 136 137 141 143 143 144 148 150 157 159 162 163 165

1.2.

Salmo 68[ 69] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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l. DAL SALMO

PRIMITIVO AL NUOVO TESTAMENTO II. LE LETTURE PATRISTICHE DEL SALMO 68[69] . . . .

.

13.

Tre salmi regali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

l.

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IL SALMO 72[71 LXX] . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . ... . . . . . . II. IL SALMO 89[88 LXX] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . III. IL SALMO 1.10(109 LXX] . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14.

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Salmo 9tt [91] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

l. LETTURA CRITICA DEL TESTO II. LE LETTURE DEL Nuovo TESTAMENTO III. LETTURE PATRISTICHE DEL SALMO 90[91] . . . . .... . • • . . . • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

• • • • • • • • • • • • •

15.

Salmo 117[118] . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .... . . . .

l. IL TESTO DEL SALMO 1 17[1 18] . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . Il. ORIGINE E COMPOSIZIONE DEL SALMO 1 17[1 18)

.

.

III. LE RIPROPOSTE DEL Nuovo TESTAMENTO IV. LA LEITURA DEL SALMO 117[1 18] NEI PADRI DELLA CHIESA . • • • • • • • •

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171 171 178

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183 184 190 194

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Parte seconda

Conclusione di una indagine Introduzione. Teologia e metodo esegetico . . . . . . . . . . . . . . l.

.

Gesù, Cristo e Signore, visto attraverso i Salmi I

SALMI NELL'ESISTENZA DI GESÙ II. LE PAROLE E GLI AlTI DI GESÙ I.

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2.

La lettura cristiana del Salterio: dalla critica all'erm.enutica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

l.

D ALLO STUDIO CRITICO DEL SALTERIO A QUELLO DELLE «RILETTURE>>

ll. l

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PRINCÌPI DELL'ERMENEUTICA CRISTIANA

Conclusione

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........ . . . . . .... . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .................. .

l.

UNA RILETIURA DEL SALMO 2 . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . II. LETTURA CRISTIANA DEL SALMO 15[16] . . . . . . . . . . .

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