Paolo, la Scrittura e la Legge. Antiche e nuove prospettive 8810410084, 9788810410080

I tre termini del titolo - Paolo Scrittura Legge - costituiscono il 'campo minato' dell'esegesi paolina,

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Paolo, la Scrittura e la Legge. Antiche e nuove prospettive
 8810410084, 9788810410080

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Collana 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49. 50. 51. 52. 53. 54. 55. 56. 57.

Studi biblici

J. Dupont , Teologia della Chiesa negli Atti degli apostoli P. Lapide, Leggere la Bibbia con un ebreo F.-E. Wilms, l miracoli nell'Antico Testamento Il Midrash Temurah� a cura di M. Perani J. Dupont, Le tre apocalissi sinottiche l. De la Potterie, Il mistero del cuore trafitto W. Egger� Metodologia del Nuovo Testamento · J. Darù, Principio del Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco S. Zedda� Teologia della salvezza nel Vangelo di Luca L. Gianantoni, La paternità apostolica di Paolo S. Zedda. Teologia della salvezza negli Atti degli apostoli A. Giglioli. L'uomo o il creato? M. Pesce, Le due fasi della predicazione di Paolo E. Boccara, Il peso della memoria L. Alonso Schokel - J.M. Bravo Arag6n, Appunti di ermeneutica Metodologia dell'Antico Testamento, a cura di H. Simian-Yofre F. Mann� Il giudaismo G. Cirignano- F. Montuschi, La personalità di Paolo F. Manns, La preghiera d'Israele al tempo di Gesù H. Simian-Yofre, Testi isaiani dell'Avvento M. Nobile, Ecclesiologia biblica L. Ballarini, Paolo e il dialogo Chiesa-Israele F. Manns, L'Israele di Dio A. Spreafico, La voce di Dio G. Crocetti, Questo è il mio corpo e lo offro per voi A. Rofé, La composizione del Pentateuco P. Lapide, Bibbia tradotta Bibbia tradita G. Cirignano - F. Montuschi, Marco. Un Vangelo di paura e di gioia P. Grelot, II mistero del Cristo nei Salmi B. Costacurta, II laccio spezzato G. lbba, La teologia di Qumran A. Wén in , Entrare nei Salmi B. Costacurta, Con la cetra e con la fionda J.P. Fokkelman, Come leggere un racconto biblico X. Léon-Dufour, Agire secondo il Vangelo Bibbia e storia, a cura di M. Hermans - P. Sauvage W. Binni - B. G. Bosc h i , Cristologia primitiva M. Remaud, Vangelo e tradizione rabbinica B.G. Boschi, Le origini della Chiesa A. Miranda./ sentimenti di Gesù W. Binni, La Chiesa nel Quarto Vangelo X. Léon - Dufour, Il Pane della vita A. Wénin, Il Sabato nella Bibbia B. Costacurta, Lo scettro e la spada Y. Simoens, //corpo sofferente: dall'uno all'altro Testamento F. Urso, La sofferenza educatrice nella Lettera agli Ebrei L. M azzinghi, Storia d'Israele dalle origini al periodo romano A. Pitta, Paolo, la Scrittura e la Legge

ANTONIO PITIA

PAOLO, LA SCRITTURA E LA LEGGE Antiche e nuove prospettive

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

Realizzazione editoriale: Prohemio editoriale srl, Frrenze

©

2008 Centro editoriale dehoniano via Nosadella, 6-40123 Bologna EDB®

ISBN 978-88-10-41008-0 Stampa: Tipografia Giammarioli, Frascati (RM) 2008

A Settimio Cipriani, ai colleghi e agli studenti della Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale che il Signore mi ha donato di conoscere e di stimare

Tommaso scese subito dalla cattedra per andare in­ contro all'Apostolo. Ma questi lo invitò a proseguire la sua lezione. Tommaso però gli chiese se aveva capito bene le sue Epistole e se le spiegava secondo il suo pensiero. E Paolo gli rispose: - Sì, bene, per quanto in questa vita un uomo possa sa­ pere: ma adesso voglio che tu venga con me perché ti porterò in un luogo dove ne avrai una intelligenza più chiara nella pienezza della verità ...

(R. SPIAZZI, S. 375)

Tommaso d'Aquino,

Roma 1974,374-

ABB REVIAZIONI E SIGLE

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The Anchor Bible Australian Biblica/ Review Association catholique française pour l'étude de la Bible Arbeiten zur Geschichte des.Antiken Judentums un d das U rchristentums Analecta Biblica Annali di storia dell'esegesi Antico Testamento Bonner biblische Beitrage Bibliotheca Ephemeridum Theologicarum Lo­ vaniensium Beitrage zur Historischen Theologie Biblica Biblica/ Interpretation Bulletin of the John Rylands University Library of Manchester Biblioteca Patristica Bibliotheca Sacra biblioteca teologica biblioteca di teologia contemporanea Biblioteca Teologica Napoletana Biblische Zeitschrift Beihefte zur Zeitschrift fiir die Neutestamentli­ che Wissenschaft Catholic Biblica[ Quarterly Compendia Rerum ludaicarum ad Novum Testamentum 7

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Commentario teologico del N uovo Testamento collana di testi patristici Dizionario di Spiritualità Biblico-Patristica Études Biblique Nouvelle Série Exegetical Commentary on the New Testament Europaische Hochsch ulschriften Estudios Biblicos The Evangelical Quarterly Expository Times Forschungen zur Religion und Literatur des Al­ ten und Neuen Testaments Festschriften, studi in onore, Studies in Honour, mélanges Grande lessico del Nuovo Testamento The Greek New Testament Herders Biblische Studien Harvard Theological Review Harvard Theological Studies Hebrew Union College Annua} The International Criticai Commentary Journal of the American Academy of Religion Journal of Biblica/ Literature Journal of Ecumenica/ Studies Journal ofJewish Studies Journal for the Study of Judaism Journal for the Study of the New Testament Joumal for the Study of the N ew Testament Sup­ plement Series lourna/ for the Study of the Old Testament Journal of Theological Studies Kerygma und Dogma Libri Biblici Nuovo Testamento Lectio Divina Library of N ew Testament Studies Louvain Studies Septuaginta Monographic Series of Benedectina Munchener theologische Zeitschrift N estle-Aland

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Testo Masoretico Tyndale Bulletin Texte und Studien zum antiken Judentum Theologische Zeitschrift Word Biblica) Commentary Wissenschaftliche Monographien zum Alten und Neuen Testament Westminster Theologi cal Journal Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen ·Testament Zeitschrift fUr die Neutestamentliche Wissenschaft

INTRODUZIONE

Sono lieto di consegnare alle stampe il contributo incentrato sul­ le complesse relazioni tra Paolo, la Scrittura e la Legge, in coinci­ denza con l'anno dedicato, nello stesso tempo, alla parola di Dio e al­ l'anniversario per il secondo millennio dalla nascita dell' Apostolo delle genti. L'ambito principale di riferimento del saggio è quello di alcune delle «grandi lettere» paoline (1 -2Cor, Gal e Rm, Fil), giacché è in quest'ambito, più che nelle lettere della sua prima (Col, Ef) e se­ conda tradizione (1 -2Tim, Tt), che risalta questo rapporto triangola­ re: un trinomio che può essere considerato come il campo più mina­ to dell'esegesi paolina. La tipologia scelta è diventata, con la new perspective provenien­ te dal mondo anglo-americano, ricca di apporti che hanno costretto a rivedere il classico ritratto di Paolo, di origine confessionale.1 Se­ gnaliamo in breve i principali ambiti delle nuove prospettive scaturi­ te dagli anni '70: il giudaismo come religione non del legalismo e set­ taria, bensì del nomismo del patto e universale; il common Judaism e i giudaismi; il movimento cristiano e i cristianismi; la separazione

1 L'espressione new perspective è stata coniata da J.D.G. Dunn nel 1982, a Man­ chester, in occasione della sua Manson Memoria/ Lecture. Per un recente bilancio sul­ la propria new perspective, cf. J.D.G. DuNN, «The New Perspective on Paul: whence, what, whither?», in In., The New Perspective on Pau/. Co/lected Essays, (WUN T 185), Ttibingen 2005, 1-88. Un'introduzione breve è offerta da M. B. THo MPSON , The New Per­ spective on Paul, (B 26), Cambridge 2002; e per quanto riguarda le principali critiche sulla «nuova prospettiva», cf. A.A. DAs, Pau/, the Law, and the Covenant, Peabody 2001 ; M. BACHMANN, «J.D.G. Dunn und die Neue Paidusperspektive», in TZ 63(2007), 25-43; S. WESTERHOM, «The "New Perspective" at 1\venty-Five», in Justification and Variegated Nomism. The Paradoxes of Pau/, by D.A. CARSON - P.T. O BRIEN - M.A. SEIFRID, Tiibingen-Grand Rapids 2004, II, 1-38. '

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delle vie tra giudaismo e cristianesimo; il contesto storico-sociale delle comunità paoline; il rhetorical criticism che segue la disposizio­ ne proposta dai trattati di retorica antica e la retorica letteraria che preferisce conferire priorità alla disposizione originale scelta da Pao­ lo nelle sue lettere; i diversi gradi di intertestualità tra le citazioni bi­ bliche, i contesti di partenza (l'AT) e quelli di approdo (Paolo e le sue comunità); l'inconsistenza e l'incoerenza contro la consistenza e la coerenza della Legge; il centro della teologia paolina e la sua ne­ gazione; la detronizzazione della giustificazione per la sola fide e il partecipazionismo dell'essere in Cristo; i diversi tentativi per «delu­ teranizzare» Paolo;2 la decostruzione e la ricostruzione della teolo­ gia degli avversari; la rilevanza e l'irrilevanza della Legge nell'etica paolina. Anche se si continua a parlare di «nuova prospettiva» al singola­ re, causata soprattutto da E.P. Sanders, con il suo Pau/ and Palesti· nian Judaism del 1977,3 per le diversificate revisioni in atto si do­ vrebbe optare a favore del New Perspectives; e fra queste andrebbe­ ro inclusi il rhetorical criticism, in seguito migliorato dalla «retorica letteraria», e l'intertestualità tra la Scrittura e l'epistolario paolina, che non sembrano rientrare negli attuali ambiti di ricerca di E.P. San­ ders e di J.D.G. Duno. Come si evince sono molti i versanti nei qua­ li incidono, i:r:t modo più o meno pertinente, le nuove prospettive, an­ che se a un vaglio critico non risultano del tutto tali, ma in diversi ambiti delle semplici rivisitazioni di quanto è stato déjà vu in duemi­ la anni di storia dell'interpretazione. Per frenare alcuni facili entu­ siasmi vale la pena ricordare Io scetticismo di chi ha detto che «non c'è nulla di nuovo sotto il sole». Nel corso del saggio cercheremo di cogliere le novità più consi­ stenti e quali conseguenze comportino su Paolo e sulla sua teologia,

2 Sembra che la formula «deluteranizzare Paolo» sia stata utilizzata, per la prima volta, da Watson, che condivide, per grandi linee, la «nuova prospettiva» iniziata con Sanders: «The process of "delutheranizing Paul" is already well under way» (F. WAT­ SON, Pau/, Judaism and the Genti/es: A Sociological Approach, [SNTS MS 56], Cam­ bridge 1 986, 18). 3 Per la traduzione italiana a cura di P. C. BoRI, cf. E.P. SANDERS, Paolo e il giudai­ smo palestinese. Studio comparativo su modelli di religione, (bt 21), Brescia 1986; cf. inoltre lo., Paolo, la legge e il popolo giudaico, (SB 86), Brescia 1989 (or. ingl. 1983); Io., Il giudaismo. Fede e prassi (63 a.C.-66 d. C.), Brescia 1999 (or. ingl. 1992).

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per offrire un bilancio di sintesi nelle conclusioni generali. Il seguen­ te saggio cerca di cogliere le relazioni tra il metodo storico-critico e la retorica letteraria, e si articola secondo la sequenza che procede dal generale al particolare: la formazione farisaica di Paolo (I), le re­ lazioni con gli avversari di origine cristiana (II), l'uso e l'importanza della Scrittura nelle sue lettere (III), la Legge nella Lettera ai Gala­ ti (IV), i forti e i deboli nelle comunità romane (V) e la loro relazio­ ne con la Legge nella Lettera ai Romani (VI). Poiché siamo ben consapevoli che si tratta di un campo in cui fit­ ta è la nebbia, in esergo abbiamo riportato la bella leggenda medie­ vale sui momenti finali dell'esistenza terrena di s. Tommaso d'Aqui­ no. Il dottore angelico è seduto in cattedra a Napoli, mentre sta in­ segnando a una moltitudine di studenti; entra in aula s. Paolo, Tom­ maso interrompe la lezione per andargli incontro e gli chiede se sta spiegando bene le sue lettere. Lungi da noi accostarci minimamente al grande teologo medievale, ma soltanto Paolo sa se le interpreta­ zioni offerte da due millenni di esegesi rispondono al suo pensiero e al suo dettato. A noi restano, fin quando ci troviamo in questo mon­ do, gli interrogativi sulle soluzioni proposte; ma sono proprio questi interrogativi che non affievoliscono il fascino di quanti continuano a dedicare gli anni della propria esistenza alle pagine indelebili del suo epistolario. Esprimo viva gratitudine ai professori e amici Vincenzo Pinto e Fiorenza Ciabburri per l'anticipata e perseverante lettura del volume. 29 giugno 2008 Festa dei ss. Pietro e Paolo

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I LA FORMAZIONE FARISAICA

l. INTRODUZIONE

Anche se nei vangeli si accenna diffusamente ai farisei, Paolo è l'u­ nico fariseo del quale ci sono pervenuti gli scritti e che, yantandosi del suo passato, si dichiara «secondo la Legge fariseo» (Fil 3,5}.1 Il Paolo degli Atti degli apostoli si definisce fariseo non soltanto rispetto al pro­ prio passato, prima dell'incontro con Cristo sulla strada dì Damasco, ma anche nell'ultimo tratto della sua esistenza: «Fratelli, io sono fari­ seo, figlio di farisei», dirà davanti al sinedrio di Gerusalemme, in occa­ sione della contesa sulla risurrezione tra sadducei e farisei (At 23,6). A sua volta, nella sua Autobiografia (2,12), Flavio G iuseppe ri­ corda: «A diciannove anni cominciai a sostenere la vita pubblica, aderendo alla scuola dei farisei, che si avvicina a quella che i greci chiamano stoica)).2 Torneremo sulla testimonianza di Flavio Giusep-

1 O l tre alle biografie, sull'origine farisaica di Paolo, c f. K. BERGER, «Jesus als Pha­ risaer und frtihe Christen als Pharisaer», in NT 30(1988), 23 1-262; L.J. LIETAERT PEER­ BOLTE, «>), utilizzato nelle forme participiali di Gal 1,15 (ho aphorisas, part. aoristo) e di Rm 1 , 1 (aphorismenos, part. perfetto), è possibile che evochi il parti­ cipio ebraico parfs o l'aramaico parfslperfSa ' e quindi la separazione dagli altri.10 Si prospettano così due accezioni contrastanti del termi­ ne: una denigratoria che definisce i farisei come settari e ipocriti, l'al­ tra elogiativa per la ricerca dell'ideale della santificazione, compiuta mediante la separazione dall'impurità.l1 Non è fortuito che Paolo, utilizzando il linguaggio della «Separazione» (aphorizein!phari­ saios) , lo intenda sempre con accezione positiva, in netto contrasto con gran parte della tradizione sinottica.1 2 La genericità con cui ripresenta il suo passato nel giudaismo do­ vrebbe tutelare dalla chimerica tendenza di voler riscontrare alcuni discorsi, o parti di essi, pronunciati in ambienti sinagogali da Paolo e trasferiti nelle sue lettere: è utopistico considerare la sezione di Rm

9 Il termi ne pharisaios è cosi distribuito nel NT: 30 volte in Matteo, 12 in Marco, 27 in Luca, 20 in G iovanni , 9 negli Atti deg li apo sto li e l in Paolo, per un totale di 99 frequenze; cf. l ampia analisi sul sostantivo di R. MEYER - H.F. WEISS, « Ph a ris ai os» , in GLNT, IX, 857-956 ripresa, in p r atica , da OvERMAN, «Kata nomon Pharisaios)), 180 193. Sui farisei nei vangeli, cf. R. FABRIS, «II gi uda ismo farisaico e la Chiesa di Matteo», in RSB 1 1 (1999), 107-128; JossA , «l farisei di Marco e Luca», 129- 148; G. GHIBERTI, «< farisei nel Vangelo di G iovann i » , in RSB 1 1 (1999), 149-170. 10 P ENNA, Vangelo e inculturazione, 322; A. PITTA, Lettera ai Romani. Nuova ver­ sione, introduzione e commento, (LB NT 6), Milano 22001 , 46, anche se resta il dato di fatto che il sostantivo compare soltanto in Fù 3,5 per le lettere paoline. 11 La stessa doppia valenza si riscontra a Qumran: di Fil 3,2 hanno, al­ meno nella presentazione che ne fa Paolo, alcuni tratti in comune con gli «agitatorh> della Galazia. Molto probabilmente si tratta di giudei che, pur avendo aderito a Cristo, continuano a osservare e a diffondere la pratica della circoncisione (cf. Gal 6,12; Fil 3,2) e le nor­ me giudaiche sul calendario (Gal 4,10), anche se non è detto che nel­ le due lettere siano presi di mira gli stessi oppositori.21 Comunque, in entrambi i casi è la «necessità>> delle situazioni che costringe Paolo a vantarsi del suo presente «in Cristo>> e del suo passato nel giudaismo farisaico. Vale la pena ricordare quanto riporterà Ermogene di Tarso

17 L'aoristo episteusamen di Gal 2,16 è di natura ingressiva, da rendere con «Co­ minciammo a credere», come in Rm 13,1 1. 18 Il fatto che Paolo non accenni alla sua origine e alla sua educazione in Gal l,1314 non significa che quella di Gall,13-2,21 non rappresenti una periautologia: questa non ha bisogno di essere completa per dirsi tale ! E Paolo sceglie di riferire soltanto gli avvenimenti che, spiegando la tesi di Gal l,11-12, illustrano l'origine divina del suo vangelo e del suo apostolato. 19 Sulla funzione periautologica di Gal 1 ,13-2,21 d. G. LvoNs, Pauline Autobio­ graphy. Toward a New Understanding, (SBL DS 73), Atlanta 1982, 123-176; A. PrrrA, Lettera ai Galati. Introduzione, versione e commento, (SOC 9 ) , Bologna 22000, 85-90. 20 Per la natura periautologica di Fil3,4b-16, cf. A. PnTA, Il paradosso della croce. Saggi di teologia paolina, Casale Monferrato 1998, 58; e in seguito con approfondi­ menti di rilievo, cf. S. BrTIASI, Gli esempi necessari per discernere. Il significato argo­ mentativo della struttura della Lettera ai Filippesi, (AnBib 153) , Roma 2003, 100-101 ; J.-N. ALETII, St Pau/ épitre aux Philippiens. lntroduction, traduction et commentaire, (ÉB NS 55), Paris 2005, 220-221; F. BIANCHINI, L'elogio di sé in Cristo. L'utilizzo della periautologia nel contesto di Fil3, 1-4,1, (AnBib 164 ) , Roma 2006,42-43. 21 Sulla questione degli avversari credenti, di origine giudaica, ci soffermeremo nel

c. II.

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nel suo trattato (metà del II sec. d.C.), Peri metodou, sulla periauto­ logia: «Benché il vantarsi sia offensivo e facilmente detestabile, ci so­ no tre modi per farlo senza offesa: generalizzazione del discorso, esi­ genza di necessità e cambiamento di persona».22 2. 1. Il giudaismo farisaico Come abbiamo rilevato, a proposito dell'intreccio narrativo di Gal 1,13-2,24 e di Fil 3 , 1b-4,1 , il primo tratto che accomuna le due sezioni è il passato di Paolo nel giudaismo: «Avete sentito, infatti, della mia condotta di un tempo nel giudaismo» (Gal 1,13a); «circon­ ciso l'ottavo giorno, della stirpe d'Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da ebrei, secondo la Legge fariseo» (Fil 3,5). A parte i riferi­ menti al genus o alla propria origine. presenti in Fil 3,5 e assenti in Gal l ,13, poiché in quest'ultimo caso Paolo preferisce esordire con la sua precedente condotta nel giudaismo, il primo momento delle due sequenze narrative permette di acquisire alcuni dati di rilievo sul passato che sta evocando. Se in Gal 1,13 si limita a richiamare, in termini generici, la sua condotta nel giudaismo, in Fil 3,5 specifica la sua appartenenza al fa­ riseismo. Tale connessione induce a riconoscere che con il sostantivo generico ioudaismos, attestato soltanto in Gal 1 ,13. 14 per tutto il NT, Paolo si riferisce non al sadduceismo, né ad altri movimenti politico­ religiosi, bensì soprattutto al fariseismo: la scuola di pensiero alla quale apparteneva prima della «rivelazione del Figlio di Dio» (Gal 1 ,15-16). La convergenza fra ioudaismos di Gal 1,12.14 e pharisaios di Fil 3,5 dovrebbe, comunque, escludere una sommaria assimilazio­ ne fra i due termini, per cui sarebbe indirizzata ai farisei qualsiasi af-

22 ERMOGENE DI TARSO, Peri metodou 441 . In particolare sulla «necessità» o la co- . strizione, come ragione e metodo pe r vantarsi senza suscitare l'invid ia degli ascolta­ tori , cf. quanto scrive Plinio il Giovane: «Sono stato infatti costretto a parlare della li­ beralità non solo dei miei avi ma anche della mia. Si tratta di un terreno pe ric ol oso e sdrucciolevole, anche se è la necessità che ti sospinge. Giacché, se perfino le lodi ri­ volte ad altri sono solitamente ascoltate con orecchie poco benevole, com'è difficile arrivare a non far apparire insopportabile un discorso nel quale si parla di sé e dei propri avi?» (PLINIO IL GIOVANE, Lettera ai familiari 1 ,8,5-6). Lo stesso Paolo rimpro­ vera i corinzi alla fine della sua periautologia in 2Cor 1 1 ,1-12,18 per averlo costretto a vantarsi, cadendo in una forma d'immoderazione (cf. 2Cor 12,11). Su quest'ulterio­ re forma di periautologia, cf. A. PITIA, «> (SACCHI, Storia del secondo tempio, 282). 30 E.P. SANDERS, Il giudaismo. Fede e prassi (63 a. C.-66 d.C.), Brescia 1999. 31 Vedi le riserve avanzate da M. HENGEL - R. DEINES, «E.P. Sander's "Common Judaism", Jews, and the Pharisees», in JTS 46( 1995 ) , 39-40 e da PENNA, «Che cosa si­ gnificava essere giudeo», 68. 32 La questione è stata affrontata, dal versante sociologico, da G. THEISSEN, «Ju­ dentum und Christentum bei Paulus. Sozialgeschichtliche Uberlegungen zu einem Be­ ginnenden Schisma>>, in Paulus und das Judentum, hrsg. HENGEL- HECKEL, 331 -356. 33 Per un ulteriore prospetto, cf. PENNA, «Che cosa significava essere giudeo», 7480, che passa in rassegna le proposte di E.P. Sanders, J.D.G. Dunn, W. Stegemann e di P.M. Casey. 34 S AN DE RS, Il giudaismo, 64-104.

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a quattro coordinate fondamentali: il monoteismo (Dio è uno}, l'e­ lezione (popolo dell'alleanza e terra promessa), l'alleanza concen­ trata sulla Tòrah e la Terra rapportata al suo tempio. 35 Dal versante religioso F. Manns considera come «anima)) del giudaismo il tempio, la Legge e il dono della terra;36 e da uno sociologico, E. W. Stege­ mann e W. Stegemann hanno elencato il monoteismo, l'elezione, la Torah, il tempio, la sinagoga e la famiglia.37 Infine P. M. Casey inclu­ de otto caratteri identificativi del medio giudaismo: l'etnicità, la Scrittura, il monoteismo, la circoncisione, l'osservanza del sabato, le leggi alimentari, le leggi di purità e le principali celebrazioni.38 Sen­ za voler moltiplicare le ipotesi credo che alla centralità del mono­ teismo andrebbero aggiunti l 'uso variegato delle Scritture, la Torah e il culto con diversi paradigmi. Per quanto riguarda le correnti del cristianesimo, si dovrebbe quantomeno riconoscere che con Gesù di Nazaret s'innesta il pro­ cesso che porterà alla separazione delle vie,39 dopo il 70 d.C.: tra i fat­ tori principali è opportuno collocare la sua «pretesa)) messianicità,40 altrimenti diventa impossibile stabilire la motivazione principale che lo ha condotto alla pena capitale della crocifissione. Il dato di fatto che il «culto di Cristo)) si sia sviluppato agli albori del movimento cri­ stiano si spiega soltanto per la relazione con questo fattore della ge­ suologia.41 A sua volta, l'apporto decisivo e originale di Paolo verte

35 J.D.G. DuNN, The Partings of the Ways between Christianity and Judaism and their Significance for the Character of Christianity, London-Philadelphia 1991, 18-36. 36 M AN N S , Il giudaismo, 28. 37 E.W. STEGEMANN - W. STEOEMANN, Storia sociale del cristianesimo primitivo. Gli inizi nel giudaismo e le comunità cristiane nel mondo mediterraneo, Bologna 1998. 38 P.M. CASEY, From Jewish Prophet to Gentile God. The Origins and Development ofNew Testament Christology, Louisville 1991, 12. 39 S. GuuARRO 0PORTO - E. MiouEL PERicAs, «II cristianesimo nascente: delimita­ zione cronologica, fonti e metodologia», in ASE 21 (2004)2, 478; PENNA, «Che cosa si­ gnificava essere giudeo», 87. 40 Contro alcune tendenze della «terza ricerca» orientate a porre in discussione la 4> sui quali va dibattendo gran parte dell'e­ segesi contemporanea e che, a ben vedere, risultano più intercomu­ nicanti di quanto si pensi. Altrettanto importante è il suo contributo sulla manifesta stauro­ logia o sulla centralità della croce nel suo vangelo, accennata in mo­ do implicito nei frammenti pre-paolini di 1 Cor 11 ,23-25; 15,3-5; Gal 1,5; Rm 1,3-4; 3,25 e nel cosiddetto «inno» di Fil 2,5-1 1, dal quale bi­ sognerebbe espungere l'aggiunta «morte di croce» (v. 8b) di fattura paolina. Il diffuso riferimento alle precedenti tradizioni cristiane, nelle lettere paoline, dimostra quanto sia infondata la ricostruzione che considera Paolo, e non Gesù di N azaret, come «inventore» del cristianesimo. Comunque, tra le notevoli acquisizioni che derivano dalla deci­ frazione del movimento cristiano all'interno del giudaismo, è fonda­ mentale segnalare, da una parte, l'uso delle Scritture d'Israele, che impedirà alle comunità cristiane di intraprendere il percorso del marcionismo, e, dall'altra, il radicato monoteismo che permette di ac­ cogliere la novità della «signoria» di Dio ( Rm 4,8), di Gesù Cristo (Fil 2, 11) e dello Spirito (2Cor 3,17) , senza mai porre in discussione l'unicità di Dio (1 Cor 8,6).44 Forse, senza la matrice giudaica, il mo­ vimento cristiano delle origini avrebbe professato l'inutilità delle Scritture d'Israele e la fede in una triplice divinità di stampo religio­ nistico; il che non è poco per la storia successiva del cristianesimo! Si più antico, Brescia 2006, 37). In precedenza, cf. C. PERROT, Gesù Cristo e Signore dei primi cristiani. Una cristologia esegetica, Roma 2000 . 42 Fra i sostenitori della centralità della giustificazione nell'esegesi contempora­ nea, cf. S. WESTERHOLM, /srael's Law an d the Church s Faith: Pau/ an d his Recent ln­ terpreters, Grand Rapids 1 988; M.A. SEIFRID, lustification by Faith: The Origin and De­ velopment of a Centrai Pauline Theme, (NTS 68), Leiden 1 992. 43 Si deve ad A. SCHWEITZER, Die Mistik des Aposte/s Paulus, TUbingen 1930, la cen­ tralità del partecipazionistico «essere in Cristo», inteso come cratere pfi:ncipale della teologia paolina, su cui s'innesteranno i contributi di K. STENDHAL, Pau/ among Jews and Genti/es, Philadelphia 1976; E.P. SANDERS, Paolo e il giudaismo palestinese. Studio comparativo su modelli di religione, (btc 21 ), Brescia 1986; J.D.G. DuNN, «The New Per8pective on Paul)), in BJRL 65(1982)2, 95-122; e di WATSON, Pau/, Judaism and Genti/es. 44 Per questo le proposizioni di l Cor 8,6; 12,4-6; 2Cor l ,21-22; 13,13; Gal 4,6; Rm l ,34 si caratterizzano per l'implicita e non esplicita connotazione trinitaria; spetterà ai se­ coli successivi sviluppare le relazioni sulla natura e le processioni della Trinità cristiana.

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deve al suo radicato monoteismo il fatto che il Paolo delle Haupt­ briefe attribuisca soltanto a Dio il sostantivo theos (compresa la di­ scussa dossologia di Rm 9,5) e non a Gesù Cristo, né allo Spirito, sen­ za negare la «signoria» dell'uno e dell'altro. Soltanto quando la se­ parazione delle strade tra giudaismo e cristianesimo comincerà a di­ ventare più consistente, la tradizione paolina inizierà a definire, ex­ pressis verbis, Gesù Cristo come «nostro grande Dio e salvatore» (1Tm 2,13- 14). Pertanto anche se la «distinzione in Dio fra sostanza (unica) e persone (tre) suppone una filosofia greca (e non semitica) molto ela­ borata>>, come precisa M.-E. Boismard,45 appartiene alle formulazio­ ni citate l'implicito orizzonte «trinitario», senza il quale la successiva formulazione del dogma può essere comodamente attribuita - come di fatto è stata ritenuta tale - a una matrice religionistica che non ha nulla a che vedere con il cristianesimo delle origini. Al contrario è sull'azione carismatica, ministeriale e attuativa dello Spirito, del Si­ gnore (Gesù Cristo) e di Dio «che opera tutto in tutti» (lCor 12,46), che le prime comunità cristiane hanno potuto continuare a pro­ fessare la loro fede monoteistica. Prima del dogma si trova l'azione trinitaria, con tutte le variazioni relazionali delle sequenze attestate nell'epistolario paolina, che è qualcosa di più di una semplice for­ mulazione «temaria».46 Dal versante delle fonti letterarie, la compresenza di diverse cor­ renti nel giudaismo del secondo tempio impedisce di definire gli scritti di riferimento: i Salmi di Salomone sembrano vicini sia al fari­ seismo sia alla corrente apocalittica; e lo stesso vale per 4Esdra e per 4Maccabei. Tale complessità dovrebbe indurre ad abbandonare i ten­ tativi orientati a reperire alcuni scritti propriamente farisaici: pur­ troppo l'unico fariseo di cui abbiamo gli scritti resta, sino a oggi, Pao­ lo di Tarso! Al massimo si può ipotizzare la presenza di influenze fa­ risaiche su 2Mac, sui Salmi di Salomone, sullo pseudo-filoniano Li­ ber antiquitatum biblicarum, su 2Baruc, sul Targum Neofiti, sino al trattato Abot della Mishna.41

45 M.-E. BoiSMARD, All'alba del cristianesimo. Prima della nascita dei dogmi, Ca­ sale Monferrato 2000 , 141 . 46 Così invece BOISMARD, All'alba del cristianesimo, 150. 47 Le relazioni sistemiche fra queste fonti e il fariseismo prima del 70 sono poste in risalto da G. BoccACCINI, «Esiste una letteratura farisaica?)), in RSB 1 1 (1999)2, 23-

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Sul versante delle polemiche con i farisei, forse non si è dato mol­ to rilievo a 4QPesher Naum che in diverse proposizioni allude al loro movimento: «La sua interpretazione si riferisce a Demetrio, re di Ya­ van che volle entrare in Gerusalemme su consiglio di coloro che cer­ cano interpretazioni facili» (4QpNah fr. 3-4, col. 1). L'allusione prose­ gue con il paragrafo dedicato ad Alessandro lanneo che fece crocifig­ gere ottocento farisei che avevano tramato nei suoi confronti: La sua interpretazione si riferisce al leone furioso (7) [che riempi la sua tana con una moltitudine di cadaveri, eseguen­ do ven ]dette contro i cercatori di interpretazioni facili, che appese uomini vivi (8) [all'albero, commettendo un abominio che non si commetteva] in Israele dall'antichità, poiché è ter­ ribile per l'appeso vivo all'albero (4QpNah fr. col 1).48

Con tutte le complessità e le diversificazioni segnalate, la corri­ spondenza tra Gal 1,13 e Fil 3,5 permette di pensare al fariseismo co­ me a una delle correnti più rappresentative del giudaismo nel I se­ colo d.C.,49 mentre dovrebbe essere rettificato lo scetticismo di chi, per le difficoltà segnalate, giunge a svalutarne la consistenza nel pe­ riodo erodiano. 50 Su questo versante è indicativa la testimonianza di Flavio Giuseppe: «Delle altre due [scuole] , prima nominate, una è quella dei farisei; essi godono fama d'interpretare esattamente le leggi, costituiscono la scuola più importante».51 Secondo lo stesso storico, i farisei «hanno così grande influenza sulla folla che, anche se

41. Cf. inoltre HENGEL, «Paolo prima della conversione», 66 che considera come pro­ venienti dalla «sfera farisea» il Baruc siriano e 4Esdra. 48 Per la traduzione e le note di commento sui riferimenti ai farisei in 4QpNah, cf. F. GARCfA MARTfNEZ - C. MARTONE (edd.), Testi di Qumran, Brescia 1996, 327-328; per un commento dettagliato cf. D. FLUSSER, «Pharisees, Sadducees, and Essenes in Pesher Nahum», in lo., Judaism of the Second Tempie, 214-257. 49 Così L.H. FELDMAN, Jew and Gentile in the Ancient World: Attitudes and lnte­ raction from Alexander to Justinian, Princeton 1993, 39. 50 D. GooDBLATI, «The Piace of Pharisees in First Century Judaism: The State of the Debate», in JSJ 20(1989), 29. 51 FLAVIO GIUSEPPE, Guerra giudaica 2,8,14. Per l'autorevolezza della testimonian­ za di Flavio Giuseppe sul fariseismo, cf. HENGEL, Il Paolo precristiano, 121; S. MA SON , Flavius Josephus on the Pharisees. A Composition-Critical Study, Leiden 1991 , 372; ScHAFER, «Die vorrabbinische Pharisaismus», 132-171, con una sinossi dei passi dedi­ cati dallo storico ai farisei (pp. 171-172); E. SCHORER, Storia delpopolo giudaico al tem­ po di Gesù Cristo, Brescia 1987, II, 484.

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dicono qualcosa contro il re e contro il sommo sacerdote, subito ven­ gono creduti». 52 Per quanto riguarda la portata dell'espressione «Secondo la Leg­ ge fariseo» (Fil 3,5), rileviamo anzitutto che l'appartenenza di Paolo al fariseismo è più consistente di quella di Flavio Giuseppe, riporta­ ta nell'Autobiografia (2,12), e che abbiamo richiamato nell'Introdu­ zione. Di per sé lo storico non sostiene, al contrario di Paolo, di es­ sere stato «fariseo», bensì che è stato educato alla scuola dei farisei, in un periodo della sua formazione giovanile. Di fatto, nello stesso contesto dell'Autobiografia, ricorda di aver frequentato anche le al­ tre scuole più in vista nel suo tempo, riconoscendo però di non iden­ tificarsi con alcuna di esse: Giunto intorno ai sedici anni, volli fare esperienza delle ten­ denze dottrinali esistenti presso di noi, che sono tre come ho avuto più volte modo di dire, e cioè la prima dei farisei, la se­ conda dei ·sadducei e la terza degli esseni; avrei potuto sce­ gliere la migliore, così pensavo, solo se le avessi conosciute tutte a fondo. Le praticai infatti tutte e tre, applicandomi se­ riamente e sottoponendomi a non poche fatiche; giudicando tuttavia insufficiente per me l'esperienza fattavi, e venuto a sapere che nel deserto viveva un tale di nome Banno [ . . . ] di­ venni suo emulo (FLAVIO

GIUSEPPE, Autobiografia 3,12).

Il ricordo citato dimostra che, a differenza di Paolo, Flavio Giu­ seppe considera come «insufficiente l'esperienza fatta» nelle tre principali scuole di pensiero giudaiche del tempo, per cui alcuni stu­ diosi tendono giustamente a relativizzare l'appartenenza di Flavio Giuseppe al fariseismo. 53 In verità qualcuno ritiene infondata anche l'asserzione di Fil 3,5, considerando Paolo non come fariseo, bensì come rappresentante ed emissario dei sadducei,54 ma con scarso fon­ damento storico poiché l'ipotesi si basa soltanto sulle annotazioni di

52 FLAVIO GrusEPPE, Antichità giudaiche 13,10,5. «Per questi [insegnamenti] hanno [i farisei] un reale ed estremamente autorevole influsso presso il popolo; e tutte le pre­ ghiere e i sacri riti del culto divino sono eseguiti in modo conforme alle loro disposi­ zioni» (18,1,3). 53 MASON, Flavius Josephus, 374 e con buona pace di J. MuRPHY-O'CoNNOR, Vita di Paolo, Brescia 2003, 74, che invece ne evidenzia l'appartenenza. 54 H. MACCOBY, The Mythmaker. Paul and the Invention of Christianity, London 1 986, 59.

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At 9,1-2.21, in cui Luca racconta che · Paolo «chiese al sommo sacer­ dote [ . . . ] lettere per le sinagoghe di Damasco». Piuttosto è bene da­ re credito a quanto lo stesso Luca riferisce sull'origine farisaica di Paolo: «Essi [i giudei] sanno pure da tempo, se vogliono rendere te­ stimonianza che, come fariseo, sono vissuto nella scuola più esigente della nostra religione» (At 26,5). Nel tentativo di specificare ulteriormente i caratteri dell'identità farisaica di Paolo, si è pensato a una sua frequentazione della scuola di Hillel o di quella di Shammai. Così mentre alcuni, dando credito al suo discepolato presso Gamaliele I (At 22,3), ritengono che Pao­ lo fosse un hillelita,55 per cui avrebbe abbracciato la corrente pro­ gressista del fariseismo, altri si orientano, in base al rigore che tra­ spare dal modo di affrontare le questioni etiche delle sue comunità, verso un'appartenenza alla corrente conservatrice di Shammai.56 A parte il presunto rigidismo di Paolo in questioni etiche, su cui ci sof­ fermeremo nel c. V, a proposito dell'attenzione che conferisce ai «de­ boli» nella sezione di Rm 14,1-15,13, da una parte la distinzione è semplicemente teorica o di «lana caprina» , come ha ben precisato M. Hengel,57 dall'altra assume i connotati di una retroproiezione inde­ bita e di un'assimilazione poco attenta agli sviluppi storici tra il fari­ seismo prima del 70 e il rabbinismo successivo. 58 La netta separazio­ ne fra la scuola di Hillel e quella di Shammai risente di una bipola­ rizzazione del rabbinismo nel II secolo e non del fariseismo prece­ dente, che non si presenta così ideologizzato. 59 Per questo non man­ ca chi, come J. Sievers, preferisce non comprendere Hillel e Shammai tra i dodici farisei che elenca in base al NT e al corpus di Flavio Giu-

55 J. JEREMIAS, «Paulus als Hillelit», in Neotestamentica et Semitica, by E.E. ELLIS ­ E. WILcox, FS M. Black, Edinburgh 1969, 88-94; e in seguito MuRPHY-O'CoNNOR, Vita di Paolo, 75. Sulle relazioni halakiche tra il Gamaliele delle fonti rabbiniche e Paolo, cf. B.D. CHILTON - J. NEUSNER, «Paul and Gamaliel», in /n Quest ofthe Historical Pha­ risees, by J. NEUSNER - B.D. CHILTON, Waco 2007, 175-223. 56 H. HùBNER, La Legge in Paolo. Contributo allo sviluppo della teologia paolina, ( SB 109) , Brescia 1995, 40-41; N.T. WRIGHT, The New Testament and the People of God, London-Minneapolis 1992, I, 201 -202. 57 HENGEL, Il Paolo precristiano, 87. 58 Da questo tipo di retroproiezione pone in guardia PENNA, Vangelo e incultura­ zione, 313-3 14. 59 Cosi opportunamente J. BECKER, Paolo, l'apostolo dei popoli, Brescia 1996, 4950; D.F. CRAFFERT, «The Pauline Movement and the First-Century Judaism: A Fra­ mework for Transforming the Issue», in Neot 27(1993), 247.

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seppe, poiché nella stessa letteratura rabbinica non sono mai defini­ ti come «farisei», né tantomeno come «rabbini» .60 Pertanto ritenia­ mo opportuno non andare oltre l 'identità farisaica di Paolo, senza procedere verso ulteriori specificazioni rispetto alla sua frequenta­ zione dell'una o dell'altra scuola. Circa la diffusione del fariseismo nella diaspora giudaica, il passo di At 23,6 sembra attestarne la presenza a Tarso di Cilicia: «lo sono fariseo, figlio di farisei. . >> . Tuttavia, la proposizione è valutata in mo­ do alquanto scettico dal versante storiografico, poiché è noto che il fariseismo si è affermato in Palestina, con una prevalente concentra­ zione a Gerusalemme, mentre non ci sono pervenute testimonianze sulla sua estensione oltre i confini della terra d'lsraele.61 Se l'asser­ zione lucana è spiegata dal punto di vista retorico, in quanto intende semplicemente asserire che Paolo appartiene a pieno titolo al movi­ mento farisaico,62 non è necessario ipotizzare la presenza del movi­ mento farisaico a Tarso, la città natale di Paolo, a meno che non si dia credito alla notizia, riportata da Girolamo, che considera Giscala co­ me suo paese natale. 63 Ma a prescindere dalle in congruenze che ri­ saltano dal confronto fra le due attestazioni di Girolamo, in tal caso non si comprende perché Luca avrebbe dovuto localizzare la nasci­ ta di Paolo a Tarso, mentre sarebbe nato in Palestina. In realtà sulla .

60 SIEVERS, «Chi erano i farisei?», 56-66. Di avviso contrario è MANNS, Il giudaismo, 158, che colloca Hillel e Shammai tra i farisei prima del 70. 61 M. GooDMAN, «Il proselitismo ebraico nel I secolo», in Giudei fra pagani e cri­ stiani, tr. 0RTELLO, 91; MuRPHY-O'CoNNOR, Vita di Paolo, 78. La questione è lasciata aperta da J.C. LENTZ JR., Luke 's Portrait ofPau/, (SNTS MS 77), Cambridge 1993, 5456, ma. sino a oggi, con nessuna acquisizione storica tranne la discussa formulazione di Mt 23,15 su una missione dei farisei al di fuori della Palestina. 62 Sulla funzione retorica più che storica di At 23,6, cf. MuRPHY-O'CoNNOR, Vita di Paolo, 78-79. Più che alludere a una famiglia di matrice farisaica, sulla quale non ci è pervenuto alcun dato, l'espressione «fariseo da farisei» sembra sottolineare piuttosto la piena adesione di Paolo al fariseismo, ben diversa da quella transitoria di Flavio Giuseppe. 63 «Abbiamo sentito questa storia. Si dice che i genitori dell'apostolo Paolo ve­ nissero da Giscala, regione della Giudea, e che, quando l'intera provincia fu devasta­ ta da Roma e i giudei si furono sparpagliati per tutto il mondo, si fossero trasferiti a Tarso, città della Cilicia» (GIROLAMO, In Epistolam ad Philemon: PL 26,617). Cf. an­ che la ripresa della notizia in Girolamo: «L'apostolo Paolo, che prima si chiamava Saulo, non annoverato tra i dodici apostoli, proveniva dalla tribù di Beniamino e da Giscala, città della Giudea; occupata questa dai romani, con i suoi genitori si trasferì a Tarso di Cilicia» (GIROLAMO, Gli uomini illustri 5,1, a cura di A. CERASA-CASTALDO, (BP 12), Bologna 22008, 81 -82).

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famiglia di Paolo non abbiamo alcuna notizia, tranne che proviene dalla tribù di Beniamino (Fi1 3,5): ignoriamo quando e perché si stan­ ziò a Tarso, abbandonando la madrepatria, come acquistò il privile­ gio della cittadinanza romana e quale fosse il livello economico rag­ giunto in diaspora. Per questo non è possibile accertare in che modo i parenti di Paolo avrebbero potuto proseguire nella frequentazione del movimento farisaico in diaspora. Comunque, almeno per quanto riguarda Paolo, sembra che sin dalla giovinezza sia giunto a Gerusa­ lemme e abbia aderito al movimento farisaico, frequentando la scuo­ la di Gamaliele 1.64 2.2. Persecutore della Chiesa

Il secondo dato che accomuna i tratti autobiografici di Gal l e di Fil 3 riguarda la persecuzione attuata da Paolo in passato contro la Chiesa: «Come oltremisura perseguitavo la Chiesa di Dio e cercavo di distruggerla» (Ga1 1, 13b);65 «quanto a zelo persecutore della Chie­ sa» (Fil 3,6). Già nell'accenno autobiografico di lCor 15,9 aveva ri­ cordato la sua persecuzione nei confronti dell'incipiente movimento cristiano: «E non sono degno neppure di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio».66 Dal confronto tra Gal l ,14 e Fil 3,6 risalta il diverso orientamento dello zelo di Paolo: men­ tre nel primo caso si professa «Zelante nei confronti delle tradizioni dei padri» , nel secondo è «quanto a zelo, persecutore della Chiesa». A ben vedere le due formulazioni sono rapportate fra loro quando si riconosce la «Chiesa di Dio» non come espressione di una religio­ ne autonoma, già adulta e separata, bensì come movimento interno

64 M. HENGEL, La storiografia protocristiana, (SB 73), Brescia 1985, 1 12; MuRPHY­ O'CoNNOR, Vita di Paolo, 74-75; A.J. SALDARINI, Pharisees, Scribes and Sadducees in Palestinian Society. A Sociological Approach, Edinburgh 1989, 137-138; STEMBERGER, Farisei, 149. 65 L'imperfetto eportoun è da intendere con valore de conatu o di desiderio e quin­ di corrispondente non a «distruggevo» bensì a «cercavo di distruggere» o «di estirpa­ re». Cf. F. BLASS - A. DEBRUNNER F. REHKOPF, Grammatica del greco del NT, Brescia 1982, 407. 66 Per la formula «Chiesa di Dio», oltre ai passi citati, cf. 1Cor 1,2; 10,32; 2Cor 1,1; lTm 3,15; anche At 20,28: l'espressione non designa un luogo bensì, come la «sinago­ ga», l'assemblea delle persone. -

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allo stesso giudaismo e, per questo, osteggiato per la «fede» (Gal 1 ,23) nel Messia crocifisso. Così l 'insistenza di Paolo sul proprio zelo nei confronti delle tra­ dizioni paterne sembra richiamare il modello di Pincas, che aveva uc­ ciso un giudeo e la sua donna di origine pagana (Nm 25 ,7-15). In di­ verse fonti del giudaismo del secondo tempio Pincas sarà scelto co­ me modello di adesione alla Legge proprio a causa del suo zelo. Co­ sì è descritto lo zelo di Mattatia, all'inizio della rivolta maccabaica: «Egli agiva per zelo verso la Legge come aveva fatto Pincas con Zambri, figlio di Salom. La voce di Mattatia tuonò nella città: "Chiunque ha zelo per la Legge . . . "» (1Mac 2,26-27).67 Anche il Sal 106,30-3 1 esalta i meriti di Pincas, in vista della sua salvezza finale, attualizzando l 'importante accreditamento della giustizia divina nei confronti di Abramo (Gen 15,6) : « . . . E gli fu computato a giustizia». Per quanto riguarda la persecuzione di Paolo nei confronti del­ l'incipiente movimento cristiano o di quella che definisce la «Chiesa di Dio» (1Cor 15,9; Gal 1,13),68 specificando in seguito che allude al­ le «Chiese della Giudea che sono in Cristo» (Gal 1,23; cf. anche l'uso del plurale «Chiese di Dio che sono nella Giudea» in 1Ts 2,14), alcu­ ni studiosi tendono a minimizzarne la portata, sostenendo che, da una parte, l'opposizione di Paolo non include l 'uso della violenza e, dal­ l'altra, che «il ritratto di un Paolo persecutore della Chiesa, come tra­ spare in At 7-9, sembra [ . ] falsato».69 In realtà, anche se i verbi diokein («perseguitare») e porthein («rovesciare», «estirpare») utiliz­ zati nei passi citati possono non alludere all'uso della violenza, quan­ tomeno designano tentativi di opposizione manifesta nei confronti della «Chiesa di Dio>>. Ma quanto orienta verso una persecuzione tutt'altro che pacifica o semplicemente ideologica del Paolo fariseo contro i credenti in Cristo sono gli accenni alle avversità affrontate in seguito, da lui stesso, per Cristo:70 le percosse subite per il vangelo e . .

67 G.

BARBAGLIO, Gesù di Nazaret e Paolo. Confronto storico, Bologna 2006, 89;

PENNA, Vangelo e inculturazione, 309.

68 In Fil 3,6 si dice semplicemente «persecutore della Chiesa»; soltanto i codici F, 0282 e 629 riportano l'aggiunta theou per esplicitare la relazione della Chiesa con Dio e quindi in funzione di un miglioramento testuale. 69 LIETAERT PEERBOLTE, Paolo il missionario, 176-178. 70 Verso l'interpretazione ideologica della persecuzione del Paolo precristiano contro il movimento cristiano è orientata l'ipotesi di L.J. Lietaert Peerbolte, a propo-

G,

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il riferimento alle cinque volte in cui ha ricevuto i 39 colpi dai giudei (2Cor 1 1 ,23-24) denotano una persecuzione di carattere non soltanto ideologico nei confronti del movimento cristiano, bensì politico-reli­ gioso e comprensibile all'interno dello stesso giudaismo. Pertanto an­ che se la narrazione lucana di At 7-9 riflette i contrasti tra il giudai­ smo e il movimento cristiano, peggiorati dopo il 70 d.C., non andreb­ be liquidata con superficialità in fase di vaglio .storiografico, né per una pregiudiziale inattendibilità rispetto all'autobiografia paolina.71 2.3.

Le tradizioni dei padri e la Legge

Con il terzo dato di connessione tra Gal 1 ,14 e Fil 3,6 perveniamo alla seconda finalità della nostra analisi: la relazione tra Paolo, il giu­ daismo farisaico e la Legge mosaica. Così ricorda la sua osservanza delle tradizioni paterne e della Legge: «E progredivo nel giudaismo più di molti coetanei della mia generazione, perché ero eccessiva­ mente zelante rispetto alle tradizioni dei miei padri» (Gal 1 ,14); «se­ condo la Legge persecutore della Chiesa, quanto alla giustizia che de­ riva dalla Legge irreprensibile» (Fil 3,6b ) Le due proposizioni sono accomunate dal comportamento «zelante» (zelotes/zelos) e «irre­ prensibile» (amemtos) di Paolo per le tradizioni paterne e per la Leg­ ge mosaica. Che cosa intende con le «tradizioni dei padri» (si noti l'u­ so del plurale) che cita soltanto qui nelle sue lettere? Quando nel NT si parla di paradosis ci si riferisce, in genere, alla tradizione farisaica (Mc 7,3-13)72 oppure a quella delle prime comu.

sito della pistis che «una volta cercava di distruggere» (Gal 1,23): «Anche in questo caso non c'è accenno alla forza fisica usata contro i cristiani, ma semplicemente a un 'azione violenta contro la loro concezione». Sino a che punto è possibile «cercare di distruggere» ed «estirpare» la fede di qualcuno senza ricorrere a una persecuzio­ ne comunitaria e religiosa? E in che modo la pistis di Gal 1,23 si distingue da coloro che si definiscono non ancora come «Cristiani», ma semplicemente come credenti (cf. 1Cor 1 ,2 1 ) in Cristo?» (LIETAERT PEERBOLTE, Paolo il missionario, 178). 7 1 Mentre condividiamo l'osservazione di J. Murphy-O'Connor, per il quale «era nell'interesse artistico di Luca esagerare certi tratti negativi del persecutore Paolo per mettere maggiormente in rilievo il miracolo della sua conversione e il successo del suo apostolato» (MuRPHv-O'CoNNOR, Vita di Paolo, 87), non si può ignorare che, come ri­ conosce lo stesso autore, «il ricordo paolina della persecuzione serve a mostrare quan­ to sul serio egli prendesse il proprio essere giudeo» (p. 88). 72 Cf. inoltre Mc 7,3.5.8.9.13; Mt 15,2.

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nità paoline ( 1 Cor 1 1 ,2).73 Per il primo caso è tipica l'espressione si­ nottica paradosis ton presbyteron (Mt 15,2), mentre il sintagma pa­ trikon mou paradoseon è utilizzato soltanto in Gal 1 ,14 per il NT. Il collegamento tra la tradizione dei padri e il giudaismo farisaico è po­ sto in risalto nuovamente da Flavio Giuseppe, che lo ritiene come uno dei principali motivi di contrasto tra i farisei e i sadducei.74 Co­ sì annota nelle Antichità giudaiche: Ora desidero dimostrare che i farisei hanno trasmesso al po­ polo qualche legiferazione dalla successione dei padri

dosan . . . ek patron diadokes]

[pare­

che non è stata scritta nelle leg­

gi di Mosé ; e per questo il gruppo dei sadducei rifiuta queste cose, sostenendo che

è

necessario considerare valide soltanto

le legiferazioni scritte, mentre non bisogna conservare quelle che derivano dalla tradizione dei padri [ek paradoseos ton pa­ teron] (FLAVIO GIUSEPPE, Antichità giudaiche 13,10,6).

Lo storico tornerà a sottolineare questa caratteristica dei farisei: «Infatti c'era un gruppo che si vantava della sua aderenza alla tradi­ zione dei padri e che sosteneva l'osservanza delle leggi che la divi­ nità approva e tra questi uomini chiamati farisei . » (Antichità giu­ daiche 17 ,2,4).75 Secondo lo stesso Flavio Giuseppe, le tradizioni fa­ risaiche furono rifiutate da Giovanni Ircano, quando abbandonò il movimento per allearsi con i sadducei (13,10,6), ma tornarono in au­ ge sotto il regno di Salomé Alessandra, che governò grazie all'ap­ poggio incontrastato dei farisei (13,5,2). Sull'attendibilità della testimonianza di Flavio Giuseppe forse è bene precisare che la sua descrizione dei farisei, dei sadducei e degli esseni risulta spesso schematica, riduttiva e di parte, poiché si pro­ pone di presentare ai lettori gentili le diverse ramificazioni del giu­ daismo come le migliori scuole di filosofia del tempo, fra le quali ec­ celle il fariseismo, che pone sullo stesso piano degli stoici (Autobio. .

73 Cf. anche 2Ts 2,15; 3,6. 74 Sull'importanza delle tradizioni orali o paterne nel fariseismo, cf. A.l. BAUM• GARTEN, «The Pharisaic Paradosis», in HTR 80(1987), 63-77. 75 Cf. infine: «Questo Sirnone era un cittadino di Gerusalemme, di famiglia assai

illustre, appartenente alla cerchia dei farisei, i quali hanno fama di superare chiunque nell'esatta interpretazione delle leggi dei padri» (FLAVIO GIUSEPPE, Autobiografia 38,191).

35

grafia 2,12);76 e questo vale, in particolare, per le Antichità giudaiche. Di fatto anche gli esseni e i sadducei non potevano non appellarsi al­ la Legge mosaica senza ricorrere alle proprie tradizioni interpretati­ ve.77 Tuttavia non si può negare che il riferimento alla tradizione ora­ le caratterizza la corrente farisaica, per cui le espressioni «tradizioni dei padri)) o «tradizioni degli anziani» acquistano il timbro di formu­ le tecniche per designare la tradizione orale, da porre accanto alla Torah scritta. E per non ingenerare ulteriori fraintendimenti sulle fonti, è opportuno utilizzare la categoria della «tradizione)) orale e non quella della «Torah orale)>,78 poiché di una Torah orale s'inizia a parlare soltanto nella successiva letteratura rabbinica.79 A causa d eli 'importanza della tradizione nella scuola farisaica, i verbi paradidomi e paralambanein, che corrispondono ai semitici qbl e msr, designano la trasmissione della tradizione orale che sviluppa quanto è contenuto nella Tora h. Così inizia il noto trattato Aboth l ,l della Mishna: «Mosè ricevette la Legge dal Sinai e la trasmise a Gio­ suè; e Giosuè agli anziani; e gli anziani ai profeti; e i profeti la tra­ smisero agli uomini della grande assemblea)),80 In tale contesto si comprende l 'uso che Paolo fa degli stessi verbi sia per richiamare la prima evangelizzazione delle sue comunità (lCor 1 1 ,2), sia per evo­ care le parole di Gesù nell'ultima cena (lCor 1 1 ,23-25) e il kerygma primitivo della morte e risurrezione di Cristo (l Cor 15,3-5): «Io in­ fatti ho ricevuto [parelabon] dal Signore ciò che vi ho consegnato

76 Cf. MASON, Flavius Josephus, 374-375; STEMBE RGE R , Farisei, 89. Forse l'accosta­ mento che Flavio Giuseppe stabilisce tra la scuola farisaica e lo stoicismo si riferisce alla centralità che le due scuole dedicano all'etica e che, per lo stoicismo, aveva già sot­ tolineato Cicerone: «Nihil bonum nisi honestum, ut Stoici» (CICERONE, Tusculanae Di­ sputationes 5.30). 77 Cf. BAUMGARTEN, «The Pharisaic Paradosis», 66; J. NEUSNER, «The Rabbinic Tra­ dition About the Pharisees Before 70: The Problem of Oral Transmission», in JJS 22(1971), I l ; STEMBERGER, Farisei, 1 14. 711 Cf. invece BARBAG LI O, Gesù di Nazaret e Paolo, 91; P. LENHARDT, « À l'origine du mouvement pharisien, la tradition orale et la résurrection», in Le judaisme à l'aube de l'ère chrétienne, par P. ABADIE - J.-P. LÉMENON, XVIIIe congrès de l'ACFEB, Lyon, septembre 1999, Paris 2001 , 136, che, nonostante il tito]o del contributo, continua a parlare di Torah orale. 79 Cf. HENGEL - D EI NES , «Common Judaism», 29-35; K. MOLLER, «Beobachtungen zum verhaltnis von Torah und Halaka in fri.ihj udischen Quellen», in Jesus und das ju­ dische Gesetz, hrsg. l. BROER, Stuttgart 1992, 105-155; E. RIVKIN, «Defining the Phari­ sees: the Tannaitic Sources», in HUCA 40-41(1969-1970), 248. 80 Cf. BAUMGARTEN, «The Pharisaic Paradosis», 67-71.

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(paredoka]» (lCor 1 1 ,23); «infatti vi ho consegnato [paredoka] ciò che ho ricevuto [parelabon]» (lCor 15,3) . Per questo l'espressione apo tou kyriou non allude a quanto Paolo ha ricevuto direttamente dal Signore risorto, durante una visione post-pasquale, di cui non ab­ biamo alcuna traccia per le parole dell'ultima cena,81 bensì alla pa­ radosi delle prime comunità cristiane che risale sino al Gesù storico ed è stata trasmessa molto probabilmente nella comunità di Antio­ chia di Siria.82 In pratica è come se da (apo e non il solito para) Ge­ sù in persona Paolo avesse ricevuto la viva paradosi delle parole che ha consegnato ai corinzi, in occasione della prima evangelizzazione (5 1-52 d.C.) e che ribadisce durante la dettatura della l Cor (54-55 d.C.). Pertanto l'espressione «tradizione dei padri» (Gal 1,14) e il processo di trasmissione della fede cristiana attestano la presenza e la permanenza del modello farisaico neli' epistolario paolino. L'assimilazione farisaica tra la Torah scritta e la tradizione orale · diventerà fondamentale per la visione paolina della Legge, su cui avremo opportunità di soffermarci.83 Contro le distinzioni tra la «To­ rah come rivelazione» che permane e la «Torah come legislazione» che decade per i credenti in Cristo,84 è importante recuperare la vi-

81 C osì invece H. MACCOBY, «Paul and F. WATSON, «< Received from the Lord . . .

the Eucharist», in NTS 37(1991), 262-265 e Paul, Jesus and the Last Supper», in Jesus and Pau/ Reconnected. Fresh Pathways into an Old Debate, by T.D. STILL, Grand Ra­ pids-Cambridge 2007, l 03-124, ma senza alcun fondamento. L'unica visione e/o rive­ lazione del Signore, oltre a quella centrale della sua vocazione, a cui Paolo accenna nelle sue lettere� è quella di 2Cor 12,1 -10 per la quale non allude affatto alle parole di Gesù durante la cena. Per questo riteniamo improprio stabilire una connessione tra le due rivelazioni e sostenere, come fa invece F. Watson, che anche le parole durante la cena di 1 Cor 1 1 ,23-25 siano state trasmesse a Paolo direttamente dal Risorto. sz Fra i molti, cf. G. BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi. Introduzione, versione e commento, (SOC 16), Bologna 1995. 486-487; J.M. VAN CANGH, «L'évolution de la tra­ dition de la cène (Mc 12,22-26 et par.)», in Lectures et relectures, by J.-M. AuwERS ­ A.WÉNIN, FS P.-M. Bogaert, Leuven 1999, 257-285; X. LÉON-DUFOUR, Condividere il pane secondo il NT, Leumann 22005, 97-1 16. 83 Sull'importanza della Torah e delle tradizioni nelle relazioni comunitarie dei fa­ risei, cf. J. MAssoNNET, «Le pharisiens et le sens communautaire>>, in Le juda"isme à l'aube de l'ère chrétienne, par ABADIE - LÉMENON, 177-204, anche se le fonti utilizzate sono, in gran parte, talmudiche. 84 La prospettiva dualistica della Legge come rivelazione e come legislazione, proposta fra gli altri da B.L. MARTIN, Christ and the Law in Pau/, (NTS 62), Leiden 1989. 32-34, è stata spesso posta in discussione, ma è stata ripresa da s� R oMANELLO, «Paolo e la Legge. Prolegomeni a una riflessione organica», in RivB 54(2006), 352353.

37

sione olistica o globale della Torah nell'epistolario paolina. 85 La di­ stinzione non trova riscontri nel linguaggio di Paolo che, quando uti­ lizza il sostantivo nomos (con o senza l'articolo, cf. in particolare Gal 2,19; 4,21; Rm 3.21 ) , si riferisce in genere alla Legge giudaica, e rischia di causare una sorta di «canone nel canone» che la tradizione cristia­ na ha rigettato nei primi due secoli della sua formazione. La preoc­ cupazione per la quale una visione olistica della Legge mosaica im­ plicherebbe il riconoscimento delle sue «pretese salvifiche [ . . . ] con­ travvenendo però alla concezione escatologica dell'evento Cristo, al­ l'effettività del dono della giustificazione da lui - e solo da lui - arre­ cato»,86 non è presente almeno nella nostra visione olistica della Leg­ ge, poiché, come avremo opportunità di approfondire con i prossimi capitoli sulla Scrittura e la Legge, il credente non è tenuto a osserva­ re la Legge mosaica per il fatto che egli come e con Paolo deve con­ siderarsi «morto alla Legge» (Gal 2 ,20; Rm 7,1-6), così da vivere per Dio o per Cristo. La concezione unitaria della Legge mosaica vale so­ prattutto per sezioni complesse dell'epistolario paolina come Gal 2,15-21; 4,21-5,1 e Rm 1 ,18-3,20 e pone in discussione una separazio­ ne tra la Legge come rivelazione e la Legge in quanto legislazione, fi­ nendo con l'abrogare la seconda.87 A sua volta l'importanza della tra­ dizione orale, insieme alla Legge scritta, risalta per l'esegesi di Paolo e della sua libera modalità di citare l' AT, secondo alcune finalità ar­ gomentative proprie, che partono dall'evento della morte e risurre­ zione di Cristo per reinterpretare qualsiasi passo delle Scritture d'I­ sraele.88 Così le formulazioni «tradizioni dei miei padri» di Gal 1 ,14 e «tradizioni degli anziani» di Mt 15,2 risultano espressioni diverse per intendere la tradizione orale della Legge, nel solco tipico, anche se non esclusivo, del giudaismo farisaico. E forse è bene rilevare che il collegamento di queste tradizioni con i padri o con gli anziani non ri-

85 Così R. PENNA, l ritratti originali di Gesù Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia neotestamentaria, 2: Gli sviluppi, Cinisello Balsamo 1999, 179; L. THURÉN, Derhetori­ zing Pau!. A Dynamic Perspective on Pau/ Theology and the Law, (WUNT 124), TO­ bingen 2000, 109-1 10. 86 RoMANELLO, «Paolo e la Legge», 352. 87 Da q ue st o versante Romanello riconosce che «la Legge, proprio perché rivela­ zione divina, non è e non può essere abrogata» (ROMANELLO, «Paolo e la Legge», 345) , distanziandosi da coloro che la considerano abrogata proprio perché separata dalla sua natura rivelativa. 88 Dell'ermeneutica paolina sulla Scrittura ci occuperemo nel c. III.

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guarda soltanto gli antichi profeti, bensì anche i responsabili contem­ poranei della corrente farisaica, ai quali è riconosciuta l'autorevolez­ za nella trasmissione della tradizione orale della Legge. 89 Nei confronti di queste tradizioni Paolo si vanta del proprio «Ze­ lo» (Gal 1 ,14) e della sua «irreprensione» per la giustizia nella Leg­ ge (Fil 3,6): i due termini sono collegati fra loro e sono relazionati al sostantivo akribeia che Luca e Flavio Giuseppe utilizzano per de­ scrivere la dedizione dei farisei per la Legge e per le tradizioni ora­ li. Così il Paolo lucano ricorda la propria formazione farisaica in At 22,3: «Cresciuto in questa città ai piedi di Gamaliele, educato secon­ do la precisione della Legge dei padri». Purtroppo sul movimento fa­ risaico si è prodotta spesso una visione distorta, poiché si considera intransigente sull'osservanza della Legge. Invece, il termine akribeia e derivati indicano l'esatto contrario, vale a dire l'accurata capacità e la flessibilità nell'adattare la Legge e le tradizioni orali alle diverse situazioni della vita sociale e religiosa dei farisei. 90 A proposito di Flavio Giuseppe, è necessario precisare che egli utilizza la famiglia lessicale di akribeia per descrivere l' atteggiamen­ to dei farisei nei confronti della Legge, verso i legislatori greci (Con­ tro Apione 2,35) e per gli spartani (2,31). Nondimeno nei suoi scritti il sostantivo akribeia caratterizza la dedizione dei farisei nell'inter­ pretare la Legge: «A fianco di lei [Alessandra] crebbero in potenza i farisei, un gruppo di giudei in fama di superare gli altri nel rispetto della religione e nell'esatta interpretazione delle leggi [akribesteron aphegeisthai]» (Guerra giudaica 1 ,5,2). Dell'acribia o della dedizione costante dei farisei per la Legge e per le tradizioni orali Flavio Giu­ seppe tornerà a scrivere nella sua Guerra giudaica: «Essi godono d'in­ terpretare esattamente le leggi» (2,8,14); e aggiungerà nelle Antichità giudaiche: «Infatti c'è un gruppo di giudei che si vantava della sua particolare precisione alla tradizione dei padri» (17 ,2,4 ) Infine nella sua Autobiografia ricorderà: «I quali [farisei] hanno fama di superare chiunque nell'esatta interpretazione delle patrie leggi» (38,1 91). Quest'ultima presentazione positiva dei farisei è molto vicina a quella di Gal 1 , 14, in cui Paolo rapporta il suo zelo alle tradizioni dei padri, che abbiamo identificato con la tradizione orale della Legge. In .

89 90

BAUMGARTEN, «The Pharisaic Paradosis», 75-77. . Così opportunamente SIEVERS, «Chi erano i farisei?»,59; STEMBERGER, Farisei, 116. 39

verità già Nicola di Damasco (metà del I sec. a.C.-inizi dell'era cri­ stiana), di cui ci sono pervenuti soltanto diversi frammenti e che rap­ presenta la principale fonte a disposizione di Flavio Giuseppe sui fa­ risei,91 sosteneva che questi si vantavano oltremodo della loro preci­ sione nell'osservanza delle leggi pateme.92 L'elemento comune sul­ l'acribia dei farisei, riscontrato negli Atti degli apostoli e in Flavio Giuseppe, induce a considerarlo come un tratto caratteristico del fa­ riseismo,93 per cui anche dove non si parla esplicitamente di loro, co­ me in Antichità giudaiche (20,9,1 ), si può pensare alla loro scuola di pensiero: «Questi abitanti della città che erano considerati i più ra­ gionevoli ed erano precisi rispetto alla Legge furono offesi profonda­ mente per questo».94 Pertanto i termini «zelante» di Gal 1,14 e «irre­ prensibile» di Fil 3,6 esprimono l'acribia di Paolo e dei farisei nei con­ fronti della Legge e della relativa tradizione orale: in questione è non il rigidismo morale, bensì la dedizione etica del Paolo precristiano e dei farisei verso la Legge e per le tradizioni orali giudaiche.95 3.

CoNVERSIONE E/o vocAZIONE?

Alla luce di quanto sino a ora abbiamo prospettato, dal versante storico, come si spiega l'evento di Damasco, riportato da Luca nella triplice narrazione di At 9,1-19; 22,3-21; 26,2-23? Nella storia dell'in­ terpretazione, sulla svolta di Paolo sono state formulate tre prospet­ tive fondamentali: l) secondo l 'interpretazione tradizionale la sua è stata una con­ versione,96 con diversi modelli ipotizzabili;97 91 Sulle fonti per i frammenti delle opere di Nicola di Damasco, cf. ScHORER, Stodel popolo giudaico I, 56-61 . 92 Cf. BERGER, «Jesus als Pharisaer», 235; D. SCHWARTZ, «Josephus and Nicolaus on Pharisees», in JSJ 14(1983), 1 57-171. 93 BERGER, «Jesus», 235. 94 Così A.l. BAUMGARTEN, «The Name of the Pharisees», in JBL 103(1983), 41 1-428. . 95 HENGEL, Il Paolo precristiano, 1 13; MuRPHY-O 'CONNOR, Vita di Paolo, 74-75. 96 Cf. HENGEL, «Paolo prima della conversione», 76; A.F. SEGAL, Paul the Convert: The Apostolate and Apostasy ofSaul the Pharisee, New Haven 1990, 14; G. LoHFINK, La conversione di San Paolo, SB 4, Brescia 1969; S. SABUGAL, La conversione di San Pao­ lo. Esegesi e teologia, Roma 1992, con particolare attenzione alle narrazioni degli Atti. 97 Cf. i paradigmi proposti da R. PENNA, «Tre tipologie di conversione raccontate nell'antichità: Polemone di Atene, Izate dell' Adiabene, Paolo di Tarso», in lo., Vange­ lo e inculturazione, 275-296.

ria

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·

,

2) dagli anni '60 del secolo scorso si è andata affermando l'ipote­ si che si sia trattato piuttosto di una vocazione;98 3) più recente è l'ipotesi che attribuisce all'evento di Damasco sia il paradigma della conversione, sia quello della vocazione. 99 Anzitutto è bene riconoscere che le annotazioni autobiografiche sull'avvenimento sono scarse e per giunta sfocate: si riscontrano in 1 Cor 9,1 ; 15,8; 2Cor 4,6; Gal 1 ,15-16; Fil 3,4-8. Alcuni studiosi tendo­ no ad allargare il ventaglio dei riferimenti, includendo le pericopi di 1Ts 1 ,4-6; 2Cor 3,1-4,6 e Gal 3,1-5.100 In realtà si potrà notare come questi paragrafi non riguardano l'evento di Damasco, in senso stret­ to, bensì la comune esperienza dello Spirito che condividono i cre­ denti in Cristo. E soltanto in seconda battuta andrebbero valutate le descrizioni biografiche di Luca, che redige gli Atti dopo la distruzio­ ne del . secondo tempio. Dalle asserzioni autobiografiche risalta quanto segue: l } Il linguaggio scelto per descrivere l'evento di Damasco, di cui peraltro Paolo non indica mai la localizzazione, né la datazio­ ne, non è quello della conversione: non è utilizzato mai il sostanti-

98 Del 1976 è il breve ma decisivo saggio di

STENDHAL, Paul among Jews and

(tr. it. Torino 1995 con la Claudiana ed.), che comprende la nota conferen­ za dell'autore tenuta nel 1963-64, con il paragrafo «Cali rather than Conversion» (pp. 7-23). Sugli sviluppi della vocazione di Paolo, cf. K. EHRENSPERGER, Paul and Genti/es

the Dynamics of Power. Communication and lnteraction in the early Christian-Mo­ vement, (LNTS 325), London-New York 2007, 83-85; BECKER, Paolo, 77·83; C. DIETZFELBINGER, Die Berufung des Paulus als Ursprung seiner Theologie, (WMANT 58), Neukirchen-Vluyn 1 985, 43-50; K.O. SANDNES, Paul. One of the Prophets? A Contribution �o the Apostle 's Self· Understanding, (WUNT 2.43), Tu­

bingen 1991, 48-76.

99 BARBAGLIO, Gesù di Nazaret e Paolo, 87-88; J. D. G DuNN, «Paul's Conversion: A Light to 1\ventieth-century Disputes», in lo., The New Perspective on Paul. Collected Essays, (WUNT 185), Tubingen 2005, 358; J.M. EVERTS, «Conversione e chiamata di Paolo», in Dizionario di Paolo e delle sue lettere, a cura di G.F. HAwrHORNE - R.P. MARTIN D.G. REm, Cinisello Balsamo 1999, 285-298; S. KIM, Paul and the New Per­ spective. Second Thoughts on the Origin of Paul's Gospel, Grand Rapids 2002, 1-84; LIETAERT PEERBOLTE, Paolo il missionario, 196; MuRPHY-O'CoNNOR, Vita di Paolo, 91102; P.T. O'BRIEN, «Was Paul Converted?», in Justification and Variegated Nomism, 2: The Paradoxes of Pau/, by D.A. CARSON P.T. O'BRIEN M.A. SEIFRID, Tiibingen­ Grand Rapids 2004, 361-391 ; F. PHIUP, The Origin of Pauline Pneumatology. The .

-

-

-

Eschatological Bestowal of the Spirit upon Genti/es in Judaism and in the early Deve­ lopment of Paul's Theology, (WUNT 2. 194), TObingen 2005, 166-203. 100 Cosi PHILIP, T_he Origin of Pauline Pneumatology, 168-173.

41

vo metanoia, né il verbo corrispondente metanoein ;1 0 1 lo stesso va­ le per il sostantivo epistrophe e per i verbi episthrephein e meta­ melomai.102 2) Il sostantivo epistrophen è hapax legomenon nel NT: compare soltanto in At 15�3 per accennare alla conversione dei gentili. Il ver­ bo corrispondente, epistrephein, è utilizzato 3 volte nelle lettere pao­ line (su 36 del NT): in l Ts 1,9 (per la conversione dei gentil_i di Tes­ salonica), in 2Cor 3,16, e in Gal 4,9 (per i gentili della Galazia). Per­ tanto soltanto in 2Cor 3,16 è riportato il verbo per il «ritorno» dei fi­ gli d' Israele, ma all'interno della citazione indiretta di Es 34,34. 1 03 3) Piuttosto nei passi autobiografici è attestato. in sincronia, il vo­ cabolario della > della sfera cultuale. E l'estensione della lo­ ro religiosità induce Flavio Giuseppe a elogiare il modo di vivere dei farisei, mentre biasima quello dei sadducei: «l farisei sono legati da scambievole amore e perseguono la concordia entro la com unità; i sadducei invece sono, anche fra loro, piuttosto aspri» ( Guerra giu­ daica 2,8,14). N o n è fortuito allora che Paolo trasferisca il linguaggio cultua­ le alla vita quotidiana del cristiano: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio viven­ te, santo e gradito a Dio, come vostro culto razionale» (Rm 12,1 ) . Di conseguenza i credenti in Crist� sono il «tempio» del Signore ( 1 Cor 3 , 1 6; 6, 1 9; 2Cor 6, 1 6), gli offerenti e l'offerta sacrificale: so­ no quanti offrono la loro esistenza come logike latreia, che abbia­ mo reso con «culto razionale» o «mentale» , riferendosi al centro del proprio sistema di pensiero. Anche la vi t a di Paolo e la fede dei credenti sono intese come libagione e sacrificio (Fil 2,17 -18) o, in generale, come , in Laurentianum 47(2006), 161185; S . C IPRIAN I , «Aspetti "liturgico-cultuali" nella lettera ai Filippesi», in Theologica, a cura di M.M. MoRFINO, F.S. S. Zedda, Casale Monferrato 1994, 219-234. 1 19 BECKER, Paolo, 51; HENGEL, Il Paolo precristiano, 91.

46

La 'aqedah di /sacco

4. 1.

La datazione e il contesto del LAB, prevenutoci nella versione la­ tina, sono discussi: mentre alcuni collocano lo scritto pseudo-filonia­ no prima del 70 d.C., 120 altri preferiscono datarlo dopo la distruzio­ ne del secondo tempio. 121 Sembra che, partendo dalla diffusa temati­ ca sul tempio, vi siano buone ragioni per optare a favore dell'una o dell'altra ipotesi. Coloro che propongono la datazione del LAB pri­ ma del 70 d.C. ne sottolineano l'influenza farisaica,122 anche se non vanno ignorati i motivi apocalittici, presenti nell'opera, né si può considerare come scritto propriamente farisaico.123 Nella storia della salvezza, raccontata dal LAB, è possibile rileva­ re che l'anonimo autore dedica uno spazio particolare alla 'aqedah di Isacco, riprendendo il theologoumenon per tre volte: in 18,5, 32,2-4 e 40,2.124 A queste citazioni esplicite bisogna aggiungere quella implici­ ta di LA B: «Una pecora destinata a essere uccisa può rispondere a colui che la sta uccidendo? Colui che uccide e colei che viene uccisa non taceranno? E spesso egli non è forse rattristato a causa di quel­ la?» (30,5).125 Il primo riferimento si riscontra in LAB durante la famosa nar­ razione �u B alaam; e il soggetto narrante è Dio stesso che così ricor­ da, in forma eziologica, il sacrificio di Isacco: «Gli chiesi suo figlio in olocausto e lo portò perché fosse disposto sull'altare, ma io lo resti­ tuii a suo padre e, poiché non oppose resistenza, la sua offerta di-

120

P. - M . BooAERT, «La datation du livre», in Pseudo-Philon. Les antiquités bibli­ par C. PERROT - P.-M. BoGAERT, (SC 130), Paris 1976, II, 66-74; C.T.R. HAYWARD, «The Sacrifice of Isaac and Jewish Polemic against Christianity» , in CBQ 52(1990), 301 ; F.J. MuRPHY, «The Material Option i n Pseudo - Philo» , in CBQ 57( 1995), 677; S. 0LYAN, >, 76, che cita come affermazioni esplicite sugli avversari 1Cor 3,21-22; 4,6-7.18-19; 9,4-4 e come allusioni 1Cor 3,5-9; 1 , 13-17; 2,1-5; 4,8-13; 1 5,8-11; 2,3-16. 10 A. PrrrA, La Seconda lettera ai Corinzi, Roma 2006, 17-31. PENNA,

57

l ) La 2Corinzi si presenta come lettera composita e non integra: rappresenta il frutto redazionale di due lettere confluite nell'attuale lettera canonica. t i 2) La prima è quella che denominiamo «lettera della riconcilia­ zione»: corrisponde ai capitoli di 2Cor 1 ,1-9,15 e da essa risalta il percorso di riconciliazione in atto tra Paolo e la comunità (cf. in par­ ticolare 2Cor 5,14-21; 6,1 -7,16) . 3) L a seconda possiamo definirla come l a «lettera polemica»: cor­ risponde ai càpitoli di 2Cor 10,1-13,13 in cui i rapporti tra Paolo e la comunità diventano nuovamente turbolenti, a causa degli avversari che si sono infiltrati nella comunità e gettano discredito sul suo apo­ stolato. . 4) Il redattore finale che ha unificato le due lettere nella 2Corin­ zi canonica, a causa dell'unità tematica generale, rappresentata dalle difese dell'apostolato di Paolo, ha rispettato la sequenza cronologica che vede prima la stesura e l 'invio della lettera della riconciliazione e quindi quello della lettera polemica. 5) Fra le due lettere non c'è, comunque, una notevole distanza cronologica, ma possono essere collocate tra l'inverno del 55 d.C. e la primavera del 56 d.C.: entrambe sono state inviate dalla Macedo­ nia e molto probabilmente da Filippi. 6) Se a Paolo fossero giunte le notizie infamanti, prima dell'invio della lettera della riconciliazione, non avrebbe esitato a riscriverla giacché fra le due lettere si riscontrano diversi elementi di disconti­ nuità: la natura differente delle accuse (cf. 2Cor 2,16-17; 4,1-6 per la lettera della riconciliazione; 2Cor 10,10; 12,11 per la lettera polemi­ ca); la modalità diversa con cui affronta la questione della colletta per i poveri di Gerusalemme (cf. 2Cor 8,1-9,15 per la lettera della ri­ conciliazione; 2Cor 12,16-18 per la lettera polemica); e il tono rap-

1 1 Fra coloro che propongono due lettere autonome, ma rispettose della sequen­ za che procede dalla lettera della riconciliazione (2Cor 1-9) a quella polemica (2Cor 10-13), cf. C.K. BARRETT, A Commentary on the Second Epistle to the Corinthians, New York-London 1973, 21 -36; D.A DESILVA, «Measuring Penultimate against Ulti­ mate Reality: An Investigation of the lntegrity and Argumentation of 2 Corinthians», in JSNT 52( 1 993), 41-70; V.P. FuRNISH, Il Corinthians, (AB 32A), New York 1984, 4448; R. P. MARTIN, 2 Corinthians, (WBC 40), Waco 1986, xlvi; J. MuRPHv-O'CoNNOR, Vi­ ta di Paolo, Brescia 2003. 288; M. THRALL, A Criticai and Exegetical Commentary on the Second Epistle to the Corinthians, (ICC), Edinburgh 1994, I, 48; H. WINDISCH, Der zweite Korintherbrief, Gottingen 1924, 1 1 -21. .

58

pacificante con i corinzi nella lettera della riconciliazione (2Cor 7,516), contro quello aggressivo anche nei loro confronti nella lettera polemica (cf. 2Cor 10,1-11 ).12 7) La questione dell'integrità o della natura composita della 2Co­ rinzi non infida la sua ispirazione, ma riguarda soltanto la sua for­ mazione storica: in quanto tale, la lettera appartiene alla «parola di Dio» quanto una lettera unitaria, come Romani o Galati. Anche l'identità degli avversari sembra differenziare le due let­ tere confluite nella 2Corinzi canonica.13 A parte l'anonimo offenso­ re, cui Paolo accenna in 2Cor 2,1 - 1 1 e in 7,5- 16, che l'ha costretto ad abbandonare la comunità e a inviare dalla Macedonia la perduta «lettera delle lacrime» (2Cor 2,4), sembra che nella lettera della ri­ conciliazione fronteggi oppositori di origine giudaica che lo accusa­ no di «mercanteggiare la parola di Dio» (v. 2,17). L'identità giudaica degli avversari risalta con la prima dimostrazione (vv. 3,1-4,6) del­ l'apologia paolina di 2Cor 2,14-7,4: sono coloro che «hanno la men­ te accecata e sui quali, sino a oggi, resta il velo sul volto, quando leg­ gono l'antica alleanza, giacché solo in Cristo esso è tolto di mezzo)) (vv. 3,14-15). Pertanto, da una parte, Paolo si propone di ristabilire la riconciliazione definitiva con tutti i destinatari della lettera, compre­ so l'offensore, e, dall'altra, si difende dalle accuse provenienti dai giudei che non hanno aderito al vangelo. In definitiva gli accenni agli avversari della lettera della riconciliazione sono rari e generici, come quelli indirizzati a «coloro che si perdono e ai quali il dio di questo 12

Sul genere retorico misto apologetico-polemico in 2Cor 10,1-13,13, cf. J.T. Frrz­ «Paul, the Ancient Epistolary Theorists, and 2Corinthians 10-13. The Purpo­ se and the Literary Genre of Pauline Letter>>, in Greek, Romans, and Christians, by D.L. BALCH - E. FERGUSON - W.A. MEEKS, FS A.J. Malherbe. Minne apolis 1990, 197200. A causa dello spessore polemico che attraversa la sezione di 2Cor 1 0-13 non ri­ teniamo che possa essere interpretata nella prospettiva della tradizione socratica con­ tro gli avversari che seguirebbero il modello sofista della verità, come invece cerca di dimostrare H.D. BETZ, Der Apostel Paulus und die sokratische Tradition, ( BHT 45), Ttibingen 1972. . 13 Sugli avversari della 2Corinzi in generale, cf. R. BIERINOER, «Die Gegner des Paulus im 2. Korintherbrief», in Studies on 2Corinthians, by R. BIERINGER - J. LAM­ BRECHT, (BETL 1 12), Leiden 1994, 181 -221 ; J. CARROU PÉREZ, «Los adversarios de san Pablo en 2Corintios>>, in EstB 57(1999), 163-187; G. FRIEDRICH, «Die Gegner des Pau­ lus im 2. Korintherbrief», in Abraham unser Vater, hrsg. O. BETZ - M. HENGEL - P. ScH­ MIDT, FS O. Michel, Leiden-Koln 1963, 181-215; N.H. TAYLOR, «Apostolic ldentity and the Conflicts in Corinthians and Galatians)), in Paul and his Opponents, by S.E. PoR­ TER, Leiden-Boston 2005, 99-128. GERALD,

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secolo ha accecato la mente incredula affinché non vedano lo splen­ dore della gloria del vangelo di Cristo che è immagine di Dio» (vv. 4,3-4) e agli «increduli>>, con i quali Paolo stabilisce un 'incompatibi­ lità per i «credenti» in Cristo (2Cor 6,14-7,4).14 Con la lettera polemica il prospetto degli avversari è destinato a mutare, insieme alle calunnie indirizzategli e al credito che hanno ri­ cevuto presso la comunità di Corinto.15 Di fatto l'orizzonte degli av­ versari nella «lettera polemica» di 2Cor 10-13 è più consistente poi­ ché, mentre con la lettera della riconciliazione si assiste a un pro­ gressivo recupero delle relazioni tra Paolo e i destinatari, con quel­ la polemica i corinzi non sono risparmiati dalle sue accuse; e fra questi occupano un posto particolare i «molti che hanno peccato in precedenza e che non si sono convertiti dall'impurità» (2Cor 12,20-1 3,2). Comunque, nel corso della nuova lettera l'attenzione di Paolo si concentra su coloro che, dall'esterno, si sono introdotti nel­ la comunità, come dimostrano l'uso del sintagma ho erchomenos (v. 1 1 ,4) e l'esempio genesiaco del serpente che sedusse Eva con la sua malizia (v. 1 1 ,3).16 Di questi sopravvenuti a Corinto possiamo sol­ tanto stabilire l'origine ebraica (v. 1 1 ,22), che sono credenti «in Cri­ sto» (v. 10,7) e >. In forma indiretta Paolo riporta il passo di Gen 15,6 per dimostrare che la figliolanza abramitica non si realizza con le «opere della Legge», bensì soltanto per la «fede in Cristo». L'identi­ ficazione della tesi principale in Gal 3,6-7 sposta l'accentuazione dal­ la centralità della giustificazione per le opere della Legge o per la fe­ de in Cristo (Gal 2, 16) a quella della giustificazione e della figliolan­ za abramitica che in Galati svolgono il ruolo prioritario.136 In que­ stione non è solo l'opposizione tra due percorsi della giustificazione ma, in positivo, la modalità per diventare figli di Abramo, poiché i Galati desiderano sottomettersi alla circoncisione per migliorare il livello della loro figliolanza abramitica e divina. Per quanto riguarda la Lettera ai Romani, sembra ormai acquisi­ ta la collocazione della citazione di Ab 2,4 nella tesi principale di Rm 1 ,16-17 (v. 17).137 La citazione di Ab 2,4, già utilizzata in Gal 3,1 1 , ma in funzione di quella di Gen 15,6 - mentre adesso si verifica il con­ trario - occupa la posizione preminente in Romani, poiché permette a Paolo di dimostrare che l'unica fede dalla quale deriva la vita del giusto è quella > (Rm 14,20-21). In questo prospetto diventa rilevante la posizione di Paolo sulla Legge, aggravata dalla diffamazione� diffusa nelle comunità romane, sul suo antinomismo (Rm 3,8): se non dimostrerà che la Legge e le regole di purità alimentari non influiscono affatto sulla giustificazio­ ne, che si realizza soltanto per grazia e con l'adesione per la fede a Cristo, la partita con i deboli è persa. Nello stesso tempo se non sarà in grado di dimostrare che la Legge, nonostante la sua incapacità sal­ vifica, non è abrogata, si verificherà la vittoria dei forti. La comples­ sità della situazione creatasi nelle comunità romane esige una ripre­ sentazione del vangelo di Paolo: ma la partita sarà quanto mai com­ plessa, ben più difficile di quella che lo ha visto fronteggiare la si­ tuazione della Galazia. 6. CONCLUSIONE

Il conflitto tra i forti e i deboli è reale e non fittizio, né tantomeno tipico o teorico, come se fosse semplicemente mutuato dalla contesa sugli idolotiti verificatasi a Corinto: dalla sezione di 1Cor 8-10 Paolo ha tratto soltanto alcune tipologie e argomentazioni, ma ha reimpo­ stato in modo del tutto diverso la risposta per le comunità domesti­ che romane. Se, tra l'altro, all'inizio del postscriptum epistolare Paolo torna sull'ammonimento vicendevole dei destinatari (Rm 15,14), vuoi dire che la contesa non è tipica, né esemplare, bensì reale.52 Ai forti e ai deboli non si può applicare la distinzione etnica tra giudeo-cristiani e gentilo-cristiani o quella sociale ed economica tra

52 Forse è opportuno porre in guardia dall'abuso dei modelli retorici di cui si ser­ vono diversi commentatori delle lettere paoline. La Lettera ai Romani resta tale per cui bisogna prima conferire priorità all 'epistolografia e alla tipologia epistolare anti­ ca e quindi alla dispositio retorica. Per questo le notizie epistolari sulla situazione di Paolo prima d'intraprendere il viaggio verso Gerusalemme, in Rm 15,14-16,24, non possono essere incasellate in una forzata peroratio, come invece sostiene JEWEIT, Ro­ mans, 900, senza negare che anche in questa sezione non mancano elementi retorici.

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potentes e inferiores né, tantomeno, quella tra due gruppi separati, in­ vitati a raggiungere l'unità intorno al vangelo paolina: lo scandalo è imminente e Paolo teme che, per ragioni di purità alimentari, alcuni fratelli siano indotti ad abbandonare la loro comunità domestica. Non sappiamo neanche le proporzioni quantitative dei due fronti, per cui sia possibile sostenere una dominanza di forti e una mino­ ranza di deboli o l'inverso. Purtroppo questi interrogativi sono desti­ nati a restare irrisolti, anche se siamo pervenuti agli importanti ri­ sultati sulla contestualizzazione romana dell'esortazione paolina e sulla rilevanza della Legge per distinguere i forti dai deboli. Spesso a Paolo si applica un 'intransigenza morale a tutto campo, trasferita dall'appartenenza al fariseismo a quella dell'essere in Cri­ sto. A parte la visione errata del rigidismo etico che si è spesso attri­ buita al movimento farisaico,53 il caso di Rm 14-15 presenta un vol­ to tutt'altro che intransigente di Paolo: di uno che condivide la si­ tuazione dei deboli, pur appartenendo ai forti nella fede. In questa situazione sembra più legittimo attribuirgli l'allocuzione con cui i membri della comunità di Qumran definivano i farisei e su cui ci sia­ mo soffermati nel c. 1: sono considerati come gli uomini dalle «inter­ pretazioni facili» (4QpNah fr. 3-4, col . 1). Anche questa rientra, mol­ to probabilmente, in una connotazione emica che cambia in dipen­ denza dei contesti culturali e religiosi in cui è utilizzata: chi è consi­ derato rigido nei vangeli è ritenuto tassista a Qumran . Ma entriamo nel vivo del conflitto tra i forti e i deboli, che vede in gioco la Legge e le norme di purità alimentari.

53 Vedi sopra

il c. l.

179

VI I FORTI, I DEB OLI E LA LEGGE

l.

INTRODUZIONE

Forse fra le tante nuove prospettive che sono state avanzate sul­ la Lettera ai Romani neli 'ultimo trentennio, due approcci sembrano resistere alle intemperie: quello storico e quello retorico-letterario. Prima di essere interpretata dal versante teologico, con le diverse im­ plicazioni confessionali, la lettera andrebbe valutata nel contesto storico-sociale delle comunità a cui è indirizzata1 e in quello argo­ mentativo di Paolo.2 Se a una prima indagine della lettera risalta che, per quanto riguarda la Legge, il prospetto deleterio di Galati sembra mutare in modo decisivo, qualche fattore storico e argomentativo deve essere subentrato. 3 All'inizio della nostra analisi valga l'esempio emblematico della circoncisione: in Galati essa è strenuamente combattuta, sino a in1 Come annota K.P. Donfried: «Any study of Romans should proceed on the ini­ tial assumption that this letter was written by Paul to deal with a concrete situation in Rome» (K.P. DoNFRJED, «False Presuppositions in the Study of �omans», in lo., The Roman Debate, Revised and Expanded Edition, Edinburgh 21991 , 103-104); cf. inoltre W.S. CAMPBELL, «Romans III as a Key to the Structure and Thought of the Letter>>, in The Roman Debate, by DoNFRIED, 25 1 -264. 2 L'analisi retorico-letteraria su Romani si è imposta nel 1997 e nel 1998 con i con­ tributi di J.-N. ALEITI, La Lettera ai Romani e la giustizia di Dio, Roma 1 997; lo., lsrael et la Loi dans la Lettre aux Romains, (LD 173}, Paris 1998. L'ultimo commentario che interpreta in chiave retorica la lettera è quello di R. JEWETI, Romans: A Commentary, Minneapolis 2007, ma con un'universalizzazione retorica che assorbe anche le sezioni epistolografiche della lettera, poiché l'autore considera le parti protocollari di Rm 1,17 (il praescriptum) e di Rm 1 5,14-16,27 (il postscriptum) come exordium e peroratio, mentre andrebbero distinte dal corpus epistolare di Rm 1,8-15,13. 3 Su alcuni dati di discontinuità fra le due lettere, cf. G. BARBAGLIO, Gesù di Naza­ ret e Paolo. Confronto storico, Bologna 2006, 285.

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durre Paolo a sostenere che, se i destinatari si fanno circoncidere, Cristo non servirà (ophelesei) a nulla (Gal 5,3-4); invece in Romani non esita a riconoscerne l'utilità (opheleia), sotto ogni aspetto (Rm 3,1), e nel caso di Abramo costituisce il sigillo della giustificazione che deriva daHa fede (Rm 4,1 1 ). Come possono stare insieme due as­ serzioni contrastanti come queste? Sarà sufficiente sciogliere un no­ do così centrale sulla Legge ricorrendo soltanto al motivo del conte­ sto letterario nel quale si trovano le due proposizioni? E il metodo retorico-letterario è in grado di risolvere il dilemma o si dovrà alza­ re bandiera bianca e riconoscere che sulla Legge Paolo entra in vi­ stose contraddizioni? Nel capitolo precedente abbiamo accennato che, molto probabil­ mente, il conflitto tra i forti e i deboli di Rm 14,1-15,13 non rappre­ senta una semplice ripresa di lCor 8,1-10,30, bensì è reale e, in quan­ to tale, si riflette inevitabilmente sulla questione della Legge: cer­ chiamo ora di dimostrare su quali aspetti della Legge incide la con­ tesa.4 Lo scacco dichiarato nei confronti della Legge in Galati5 è de­ finitivo oppure si deve, in gran parte, al contesto gentile dei destina­ tari che, provenendo dal politeismo, desiderano sottomettersi alla circoncisione, così da progredire nell 'adesione a Cristo? Perché in

4 Sull a Legge in Romani , oltre ai commentari e ai contributi generali, cf. AKIO Iro,

«Nomos (ton) ergon and Nomos pisteos. The Pauline Rhetoric and Theology of No­ mos)), in NT 45(2003), 259-264; J.-N. ALETII, «Fe de e Legge in Romani>>, in lo. , La Let­ tera ai Romani, 71-144; Io., «La Loi mosa'ique en Romains», in In., lsrael et la Loi, 267294; R. BERGMEIER, «D as Gesetz im Romerbrief», in Das Gesetz im Romerbrief und andere Studien zum Neuen Testament, (WUNT 121), Tiibingen 2000, 31·102; B. BYR­ NE, «The Problem of Nomos and the Relationsh ip with Judaism in Romans)), in CBQ 62(2000), 294-309; A.A. DAs, Pau/, the Law, and the Covenant, Peabody 2001, 192-265; J.D.G. DuNN, «The New Perspective on Paul: Paul and the Law», in The Roman De­ bate, by DoNFRIED, 299-308; H. HOBNER, La Legge in Paolo. Contributo allo sviluppo della teologia paolina, ( SB 109), Brescia 1995, 89-260; R. LIEBERS, Das Gesetz als Evan­ gelium. Untersuchungen zur Gesetzkritik des Paulus, Ztirich 1989, 41-5 1 , 64-91 , 1241 69; C.M . PATE The Reverse ofthe Curse: Pau/, Wisdom, and the Law, (WUNT 2.114), ,

TUbingen 2000, 232-276; A. PrrrA, «Un conflitto in atto: la Legge nella Lettera ai Ro­ mani», in RivBib 49(2001 ), 257-282; E.P. SANDERS, Paolo, la Legge e il popolo giudai­ co, ( SB 86), Brescia 1989, 67-98, 122-143, 203-223; M.A. SEIFRID, «Natura} Revelation and the Purpose of the Law in Ro mans», in TynB 49(1998), 1 15-129; F. THIELMAN,

From Plight to Solution: A Jewish Framework for Understanding Paul's View of the Law in Galatians and Romans, (NTS 61), Leiden 1 989, 87-1 16; N.T. WRIGHT, «The Law in Romans 2», in Pau/ (znd the Mosaic Law, by J.D.G. DUNN, (WUNT 89), Ttibingen 1996, 131-150. s Vedi sopra il c. IV.

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una lettera (Galati) la Legge è trattata in modo così nefasto, sino a rasentarne l'abrogazione, mentre nell'altra (Romani) si assiste a una trattazione quantomeno più equilibrata, anche se forse più comples­ sa?6 Non è sufficiente ricorrere al paradigma dell'Entwicklung o del­ lo sviluppo nel pensiero paolino tra una lettera e l'altra?7 Si vede co­ me gli interrogativi sono tanti e non intendiamo affrontare la tipolo­ gia della Legge con tutte le sue sfaccettature in Romani; altri lo han­ no fatto prima e meglio di noi!8 Limiteremo l'attenzione alle conse­ guenze che derivano dal conflitto tra i forti e i deboli sulla Legge. 2. UNA CONCESSIONE PER l DEBOLI? Durante il symposium di Durham del 1994, J.M.G. Barclay ha cer­ cato di spiegare l'interrogativo di Rm 3,31 sull'abrogatio Legis, imme­ diatamente rigettato, alla luce di Rm 14,1-15,13, dov'è affrontata la questione halakica sulle regole di purità alimentari, nella comunione di mensa tra i forti e i deboli.9 Tuttavia Barclay conclude il suo contri­ buto evocando il noto timeo Danaos et dona ferentes per un cavallo di Troia immesso, in modo subdolo, fra le comunità romane.10 Per que­ sto, anche se Paolo non intende dichiararne expressis verbis l'abroga­ zione, in buona sostanza la Legge è fuori gioco anche in Romani. A prima vista l'interpretazione di Barclay sembra pertinente: il conflitto tra i forti e i deboli è affrontato nella sezione esortativa di Rm 12,1-15,13 e per giunta nella parte conclusiva, come se si trat­ tasse di un'appendice o qua lcosa di secondario nell'economia della lettera. La scarsa rilevanza di Rm 14,1-15,13 sarebbe confermata dal fatto che in essa non si riscontrano i sostantivi nomos ed entolet1 e

6 Contrasto ben evidenziato fra gli altri da R.H. BELL, The lrrevocable Cali of God. An lnquiry into Paul's Theology of Israel, (WUNT 184), Tiibingen 2005, 206. 7 U. WILCKENS, ((Zur Entwicklung des paulinischen Gesetzesverstandnis», in NTS 28( 1982), 154-190. 8 Di grande spessore è la trattazione sulla Legge nel complesso tessuto argomen­ tativo di Romani, compiuta da Aletti. nei contributi citati sopra. , 9 J.M.G. BARCLAY, «"Do we Undermine the Law?. », in Pau/ and the Mosaic Law, by DUNN, 287-308. 1 0 BARCLAY, «"Do we Undermine the Law?"», 308. 11 Per questo B. Byrne liquida con poche battute le relazioni tra la Legge e il con­ flitto tra i forti e i deboli in Romani: «And the tolerance issue aired at length in Rom

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che, per inverso, in Rm 1,1-13,14 Paolo non parla mai dei forti e dei deboli. In realtà riteniamo che il rapporto tra Rm 3,3 1 e 14,1-15,13 prospetti un esito diverso: ci troviamo di fronte a un caso tipico in cui la carenza terminologica non corrisponde alla mancanza della so­ stanza e che attesta ancora la scarsa attenzione esegetica per le se­ zioni esortative rispetto a quella, di gran lunga maggiore, per le par­ ti kerygmatiche delle lettere paoline: due tendenze che purtroppo caratterizzano molti contributi sulle lettere di Paolo. Eppure il caso di Rm 14,1-15,13 è un'eccezione di rilievo che la­ scia pensare! Ci troviamo nell'ultima parte del corpus epistolare di Romani, poiché con la ripresa della tipologia epistolare in Rm 15,14, inizia l'ampio postscriptum di Rm 15,14-16,17: la difficile partita ve­ ra e propria della lettera si chiude con Rm 14,1-15,13. Per il suo in­ treccio argomentativo si può rilevare che, mentre le paraclesi episto­ lari di Paolo sono caratterizzate dalla raccolta di raccomandazioni brevi e concernenti diverse relazioni interne ed esterne delle comu­ nità di destinazione, come quella di Rm 12,1-13,14, anche se sono tutt'altro che disorganiche,12 la sezione di Rm 14,1-15,13 risponde a una tematica unitaria e ben articolata, secondo il seguente prospetto retorico-letterario: l) La propositio specifica sull'accoglienza dei deboli nella fede (14,1). 2) La probatio a sostegno della posizione di Paolo (1 4,2-15,6): a) il servizio dei deboli e dei forti per il Signore (vv. 2-12); b) lo scandalo del fratello (vv. 13-23); a') Cristo modello per i forti (15,1-6). 3) La peroratio finale sull'accoglienza reciproca (15,7-13). Come al solito il bandolo della matassa è rappresentato dalla proposiiio di Rm 14,1: Paolo chiede ai destinatari di accogliere i de-

14: 1-15: 1 2 is not resolved in term of freedom from the Law)) (BYRNE, «The Problem of Nomos», 295). Se la questione non è risolta nella sezione con la libertà dalla Leg­ ge, qualche motivazione dovrà esserci. E la ragione principale si trova, come vedremo, nella sezione di Rm 5,1--8,39. 12 Si vedano le esortazioni epistolari di 1Ts 4,1-5,22; 2Ts 3,1-15; 2Cor 1 2,19-13,10; Gal 5,13-6,10; Fil 4,2-9. Circa le caratteristiche della paraclesi epistolare, cf. A. PrrrA, «Relazioni tra esortazione morale e kerygma paolino», in Io., Il paradosso della ero.:. ce. Saggi di teologia. paolina, Casale Monferrato 1 998, 348-374. 184

boli nella fede, senza creare divisioni con discussioni deleterie. La te­ si da dimostrare è rivolta ai forti delle comunità domestiche di Ro­ ma anche se, dalla prosecuzione dell'esortazione, si coglie che inten­ de coinvolgere anche i deboli (v. 2).13 La probatio di Rm 14,2-15,6 presenta, in modo ordinato, tre fasi: la casistica, valutata per il rapporto con il Signore Dio e/o Gesù Cri­ sto (a = 14,2-12); la chiave per risolvere la contesa, alla ricerca della via da percorrere per i due fronti (b = 14,13-23); e la soluzione del conflitto, con l'esempio causale di Cristo da seguire (a' = 15,1-6). Il modello circolare delle dimostrazioni è diffuso n eli' epistolario pao­ lino: l'esempio più noto concerne il dibattito sui carismi e i ministeri in lCor 12,1-30 (a), risolto in 1Cor 14,1 -40 (a'), con la mediazione de ll elogium sull'agape in lCor 12,31-13,13 (b). Infine la peroratio (15,7- 13) è incentrata sulla lode che i giudei (o la circoncisione) e i gentili (o le nazioni) innalzano al Signore, poiché Cristo divenne servo della circoncisione e i gentili diano gloria a Dio per la sua misericordia. Se si preferisce utilizzare la disposizione rab­ binica, abbiamo a che fare con una J;zatima che conclude un'omelia si­ nagogale, analoga a quella di Rm 4,23-25, anche se più ampia.14 Sul­ la funzione della perorazione finale, non limitata soltanto all'esorta­ zione di Rm 14,1-15,6, ma capace di abbracciare l'intero contenuto della lettera, torneremo alla fine deli' analisi. Nel corso dell'esortazione è originale anche l'appello alla Scrit­ tura: si procede dalla citazione diretta di Is 45,23b in Rm 14,1 1, a quella del Sal 68,10 (LXX) in Rm 15,3, sino al crescendo della cate­ na di citazioni riportate in Rm 15,9b-12, 15 mentre nelle altre sezioni esortative paoline il riferimento alla Scrittura tende bruscamente a scarseggiare, rispetto ali 'uso diffuso nelle sezioni kerygmatiche delle '

1 3 Com'è tipico di una propositio, descritta dai trattati di retorica e dal modo di presentar la di Paolo, in Rm 14,1 si riscontrano tutti gli elementi previsti: è breve, chia· ra e concisa, genera l'argomentazione seguente e si distingue dai vv. 2-6, dedicati alla casistica delle opzioni dei forti e dei deboli, con cui Paolo entra in medias res. 1 4 Sulla /:ultima di Rm 4,23·25, cf. l·N. Aletti: «Si, à la fin de Rm 4, la peroratio (une l;latima, semblable à. celle des midrashim) était aussi brève, c'était pour que la secon­ de macro-unité constituée par Rm 5-8 puisse immédiatement démarrer, en s'ap­ puyant sur les acquis de Rm 1-4» (ALEITI, lsrael et la Loi, 20). 15 Come abbiamo rilevato nel c. III soltanto in Rm 15,7-13 si riscontra un excerp· tum o una catena di quattro citazioni bibliche in una sezione paracletica conclusiva dell'epistolario paolino.

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quattro Hauptbriefe. Tuttavia, per non ingenerare confusioni, è im­ portante richiamare quanto abbiamo cercato di dimostrare sul rap­ porto tra la Scrittura e l 'etica paolina:16 nell'esortazione di Rm 14,1-15,13 il ruolo principale è svolto da ·Gesù Cristo, il Signore che è morto per forti e deboli (Rm 14,15),17 dallo Spirito (Rm 14,17; 15,13) e dall'amore vicendevole (Rm 14,15),18 mentre la Scrittura non è citata per fondare le regole di purità alimentari. Come si spie­ gano l' organicità delle dimostrazioni e la crescente presenza del­ l'auctoritas biblica in un'esortazione conclusiva come questa?

2.1. La diffamazione di Rm 3,8 Dopo aver ripercorso, per grandi linee, l'intreccio argomentativo e richiamato gli esiti a cui siamo pervenuti nei capitoli precedenti, soffermiamoci sulla diceria a cui si accenna in Rm 3,8 e che prefe­ riamo tradurre alla fine del paragrafo. Sull'identikit dei diffamatori di Paolo, in Romani, sono emblematiche le proposte di tre autori. In ordine cronologico, nel 1977 W.S. Campbell ha sostenuto l'ipotesi per un solo «partito>> di origine etnico-cristiana;19 nel 1985 I.J. Canales ha avanzato l'ipotesi per un duplice fronte: uno giudeo-cristiano per Rm 3,8 e l'altro etnico-cristiano per Rm 6,1 ;20 e nel 1991 R. Penna si è orientato per un unico fronte giudeo-cristiano. 21 Le ipotesi sono di­ verse poiché. come per gli avversari cristiani di origine giudaica,22 Paolo li lascia nell'anonimato, anche se non certamente per una sor­ ta di damnatio memoriae, poiché da tutta la Lettera ai Romani non traspare il tono battagliero della lettera polemica (2Cor 10-13), di Galati e di Fil 3. Per questo l'uso del termine «diffamatori» è con-

16

Vedi sopra il c. III. Cf. inoltre la rilevanza cristologica in Rm 14,8.9.1 1 . 14; 15,3.5.6.7.8. 1 8 Sull'importanza delragape per fondare l'orientamento etico dei forti e dei de­ boli, cf. T. SùDING, Das Liebesgebot bei Paulus. Die Mahnung zur Agape im Rahmen der paulinischen Ethik, Miinster 1 995, 259-260. 1 9 CAMPBELL, «Romans III», 261 -262. 20 I.J. CANALES, «Paul's Accusers in Romans 3:8 and 6:1», in EvQ 57(1985), 237245. 2 1 R. PENNA� «l diffamatori di Paolo in Rom 3,8», in Io., L'apostolo Paolo. Studi di esegesi e teologia, Cinisello Balsamo 1991 , 1 35-149. 22 Vedi sopra il c. II. 17

1 86

venzionale, derivato dalla presenza del verbo blasphemoumetha in Rm 3,8: il caso è ben diverso dai «Superapostoli)) di 2Cor 1 1 ,5, dagli agitatori (tarassontes) di Gal l ,7 (cf. anche Gal 5,10 ) e dai «Cattivi operai)) di Fil 3,2. Comunque, a parte la genericità con cui Paolo al­ lude ad alcuni (tines) che lo diffamano a Roma, le tre ipotesi sono ac­ comunate dalle relazioni che gli autori citati stabiliscono tra Rm 3,8 e 6,1-7,6, in particolare con lo stile della diatriba che caratterizza le domande di Rm 6, 1-3.15 e 7,1 .23 In realtà con le prime due domande diatribiche sulle opportunità di restare nel peccato, affinché abbon­ di la grazia (Rm 6,1 ) , e di peccare perché i credenti non si trovano sotto la Legge, ma sotto la grazia (Rm 6,1 5), emerge ben poco sull'i­ dentità dei diffamatori. A riguardo è bene precisare che è tipico dello stile diatribico vi­ vacizzare il discorso con domande e risposte brevi, e con l 'interpel­ lanza rivolta a un interlocutore fittizio.24 Per questo non è pertinen­ te sostenere che questo stile non abbia alcuna incidenza sugli ascol­ tatori; soltanto rende più difficile stabilire il retroterra della loro identità, confermato dal fatto che ognuno dei tre studiosi citati si muove in direzioni diverse. Così la domanda retorica di Rm 6,3 per­ mette di riconoscere che i destinatari sono stati battezzati in Cristo Gesù e nella sua morte, mentre quella di Rm 7 ,l apre un fondamen­ tale spiraglio sulla conoscenza che gli adelphoi hanno del nomos, che non sembra quello civile o greco-romano, bensì corrisponde alla Legge mosaica.25 Comunque la convergenza dei dati segnalati orien­ ta verso la maggior consistenza dell'ipotesi di Penna rispetto a quel­ la di Canales e di Campbell. Inoltre le tre domande retoriche, a cui bisogna aggiungere quella di Rm 7,7 sull'assurda identificazione tra la Legge e il peccato, get­ tano luce sui generici ta kaka e ta agatha di Rm 3,8: la definizione delle cose cattive e di quelle buone, che è di natura generale, parte dall'antinomismo nei confronti della Legge per giungere all'affer­ mazione della grazia, compiuta da Dio in Cristo. A conferma che si

23 a. in particolare PENNA, «I diffamatori», 144; Io., Lettera ai Romani. Introdu­ zione, versione e commento, (SOC 6), Bologna 2004, I, 283. 24 Sull'uso della diatriba in Romani, cf. S.K. STOWERS, The Diatribe and Paul's Let­ ter to the Romans, (SBL DS 57), Ann Arbor 1981; T. ScHMELLER, Pau/us und die «Dia­ tribe». Eine Stilinterpretation, Mtinster 1987, 225-405. 25 Fra i tanti cf. JEWETT, Romans, 430.

187

tratta di una reale diffamazione, non riconducibile soltanto allo stile della diatriba che caratterizza il p ar agrafo di Rm 3,1-8, in cui è col­ loca t a, è indicativo che Paolo non uti1izzi mai le formule ta kaka e ta agatha nelle sue lettere, con l'eccezione della citazione di Is 52,7 in Rm 10,1 5.26 D'altro canto si riconoscerà che la domanda di Rm 3,7, sul perché «se la mia menzogna fa crescere la verità di Dio sono giu­ dicato peccatore)>, non trova risposta nella successiva domanda reto­ rica di Rm 3,8. Comunque non ost ante le convergenze che accomunano le tre ipotesi, resta difficile stabilire, in base a Rm 6,1-7,7 se i diffamatori siano credenti di origine giudaica e quale sia la loro proporzione ri­ spetto agli altri membri delle comunità romane. 27 Soltanto in Rm 1 6,17-20 si accenna ad alcuni sobillatori che cercano di traviare il cuore dei semplici, ma diversi studiosi considerano il passo come in­ terpolato. 28 A ben vedere per quest'ultimo paragrafo, che riteniamo paolina, 29 è p referibi l e pensare più a una strategia preventiva che a un nuovo fronte di opposizione al vangelo di Paolo nelle comunità romane: il tono e il linguaggio sono analoghi a quelli di Fil 3,1-19, mentre la diceria di Rm 3,8 è reale e non retorica, né tantomeno pre­ ventiva.30

26 Stranamente JEWEIT, Romans, 25 1 , mentre nota l'originalità del «motto» che non sembra paolino, nel suo commento riduce la formula di Rm 3,8 al dialogo con l'in­ terlocutore fittizio di Rm 3,7. Se la diffamazione, più che la bestemmia, poiché non è rivolta a Dio bensì a Paolo stesso, è reale, non può essere risucchiata semplicemente nello stile della diatriba. 27 Obiezione già mossa da S. Légasse: «R. Penna [ . . . ] voit ici des judéo-chrétiens, mauvais disciples de l'apòtre et qui auraient été plus pauliniens que Paul lui-m!me. Les preuves dans ce sens sont légères» (S. L�GASSE, L'épitre de Pau/ aux Romains, [LO Commentaires 10] , Paris 2002, 236). 28 Fra quanti continuano a sostenere la post-paolinicità di Rm 16.17-20, cf. M-É. BoiSMARD, >, in RB 107(2000 ) , 548-557, che collega i versi alla redazio�e originaria della Lettera agli Efesini; V. MoRA, ((Romains 16,1720 et la Lettre aux Ephésiens», in RB 107(2000 ) , 541 -547, che però è in disaccordo con l 'ipotesi di Boismard. 29 La paolinicità di Rm 16,17-20 è condivisa da J.A. FrrzMYER, Lettera ai Romani. Commentario critico-teologico, Casale Monferrato 1 998, 880; D.J. Moo , The Epistle to the Romans, (NICNT), Grand Rapids 1996, 928; T. R. SCHREINER, Romans, (ECNT 6), Grand Rapids 1998, 801; U. WILCKENS, Der Brief an die Romer, (EKK), Neukirchen­ VIuyn 21987, III, 139- 140. Per ulteriori approfondimenti cf. A. PIITA, Lettera ai Roma­ ni. Nuova versione, introduzione e commento, (LB NT 6), Milano 22001, 523-526. 30 Si veda in particolare la ripresa del motivo dedicato alla koilia o al ventre in Rm 16,18 e in Fil 3,19.

1 88

Dal versante stilistico, la proposizione di Rm 3,8 è analoga a quel­ la di 2Cor 10,10 in cui è utilizzato il verbo phesin, anche se in que­ st'ultimo caso si tratta più di una calunnia esterna che di una diffa­ mazione interna, sorta nelle comunità domestiche di Corinto: il pha­ sin di Rm 3,8 richiama il phesin di 2Cor 10,10; e al modo indefinito con cui Paolo tratta i tines di 2Cor 10,10-12 corrisponde gli «alcuni» di Rm 3,8. Ci troviamo di fronte agli unici casi in cui, nelle sue lette­ re, Paolo cede, per un istante, la parola ai suoi diversi avversari per ri­ portare la loro opinione, mentre altrove li lascia nell'anonimato e non descrive mai la loro concezione del vangelo. Com'è possibile che la calunnia di 2Cor 10,10 sia affrontata, in modo dettagliato, nella lette­ ra polemica di 2Cor 10--1 331 mentre la diceria di Rm 3,8 cada prati­ camente nel vacuum, senza essere più ripresa nel corso della lettera? 2.2. La diffamazione, i forti e i deboli

Riteniamo che la diffamazione di Rm 3,8 non sia tanto collegata alle domande diatribiche di Rm 6,1-7,7 quanto alla sezio�e di Rm 14,1-15,13 che le conferisce tutta la sua consistenza, come dimostra­ no alcune prime riprese lessicali. Anzitutto il verbo blasphemein è utilizzato soltanto 3 volte in Romani: Rm 2,24; 3,8 e 14,16. Le tre fre­ quenze sono accomunate dal contesto etico del bene e del male che determina la bestemmia del nome di Dio e la diffamazione di Pao­ lo32 e quella dei deboli e dei forti. Thttavia, mentre nel primo caso è in questione la bestemmia nei confronti di Dio, nel secondo e nel ter­ zo si tratta di diffamazione per Paolo e per i partiti romani. I due va­ lori semiotici del verbo blasphemein, per quanto siano collegabili fra loro, andrebbero distinti:33 peraltro l'espressione > , «costituire», «confermare» , «istituire», (3,1 1 ).67 Circa la natura concessiva delle regole di purità alimentari, è fon­ damentale cercare di cogliere la funzione della complessa pagina di

64 PATE , The Reverse of the Curse, 260-277. Purtroppo la visione abrogativa della Legge nell'epistolario paolino perdura sino al recente contributo di D. JAFFÉ, Il Tal­ mud e le origini ebraiche del cristianesimo. Gesù, Paolo e i giudeo-cristiani, Milano 2008 (or. frane. 2007), 159. 65 A. GIENiusz, «Rom 7,1-6: Look of Imagination? Function of the Passage in the Argumentation of Rom 6,1-7,6», in Bib 74(1993), 389-400 . 66 R. PENNA, Lettera ai Romani. Introduzione, versione, commento, Bologna 2006, . Il, 71. 67 Sulla stessa traiettoria proseguono il trattato Sanhedrin 12,9 della Tosefta e il tannaitico Sifre a Numeri 1 1 2, analizzati da JAFFÉ, Il Talmud e le origini ebraiche del cristianesimo, 160-163.

198

Rm 7,7-25 incentrata sul nomos: la Legge non è peccato (v. 7), bensì è santa (v. 12), spirituale (v. 14), bella (v. 16), di Dio (v. 22), come il comandamento è santo, giusto, buono (v. 12) e per la vita (v. lO). Tan­ te affermazioni così positive sulla Legge e sul comandamento - con­ tro quanti separano la Legge come rivelazione da quella come nor­ mativa - non si riscontrano in tutto l'epistolario paolino, al punto che hanno indotto alcuni studiosi a sostenere una vera e propria con­ traddizione sulla visione che Paolo presenta della Legge. 68 La pro­ posta sulle concessiones alla Legge in Rm 7,7-25 è stata avanzata, per la prima volta, da R. Penna durante l'internazionale Colloquium paulinum, svoltosi a Roma nel 1992: «Queste qualifiche si spiegano piuttosto secondo la figura retorica della concessione, la quale con­ cede all'avversario una parte di ragione, ma quasi sorvolandovi, per concentrarsi più diffusamente su altri aspetti dell'argomentazio­ ne».69 Per definire la concessio di Rm 7,12.14.16 Penna riprende quanto scrive H. Lausberg: «La concessio si riferisce così a cose di poco valore e si avvicina all'ironia».70 Dunque, per non cedere a una retractatio sulla Legge, Paolo passerebbe alla concessio. Cerchiamo di chiarire la funzione di una concessio non tanto in base alla linguistica contemporanea,7 1 bensì a com'era concepita nei trattati di retorica antica e quindi nel contesto culturale del I secolo. Così è descritta da Cornificio nello scritto pseudo-ciceroniano Rhe­ torica ad Herennium:

"68 a. in particolare H. RAISANEN, Pau[ and the Law, (WUNT 29), TUbingen 2 1987 , 142. 69 Per la pubblicazione del 1993, cf. R. PENNA, «Legge e libertà nel pensiero di Pao­ lo», in The Truth of the Gospel (Galatians 1:1-4:1 1), by J. LAMB RECHT, (MSB 12), Ro­ ma 1993, 253; lo., l ritratti originali di Gesù Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia neo­

testamentaria, 2: Gli sviluppi, Cinisello Balsamo 1 999, 176. In seguito l'ipotesi è stata ripresa, per essere applicata soltanto a Rm 7,14, da ALETTI , /srael et la Loi, 1 47, e al­ l'intero paragrafo di Rm 7,7-25, da S. RoMANELLO, Una legge buofUl ma impotente. Analisi retorico-letteraria di Rm 7, 7-25 nel suo contesto, (RivBSup 35), Bologna 1999, 208-2 1 1 ; cf. inoltre lo., «Rom 7,7-25 and the Impotence of the Law. A Fresh Look at a Much-Debated Topic Using Literary-Rhetorical Analysis», in Bib 84(2003), 522-529. 70 H. LAUSBERG, Elementi di Retorica, Bologna 1969, 243; PENNA, «Legge e libertà>>, 253, nota 14. 7 1 Stranamente nessuno degli autori che ricorrono alla concessio per interpretare Rm 7,7-25 si accosta ai trattati di retorica antica, mentre una loro consultazione sa­ rebbe stata chiarificante per le obiezioni che ho mosso alle concessiones di Rm 7.

199

La concessio è quan do l'imputato chiede che gli si perdoni. Essa si divide in giustificazione e deprecazione. La giustifica­ zio ne è quando rimputato dice di non averlo fatto intenzio­ nalmente. Essa si divide in imprudenza, caso, necessità [ ]. La deprecazione è quando l'imputato confessa sia di aver mancato, sia di averlo fatto intenzionalmente e, tuttavia, chie­ . . .

de che ne abbiano pietà (CoRNIFICio, Rhetorica ad Heren­

nium

1 ,24).72

concessione rientra nel contesto forense reale o fittizio, l ' interlocutore viene giustificato o condannato e purificato di fronte allo stato di colpevolezza.73 Se per Rm

Così la

durante il quale quindi

7,7-25 si può delineare un contesto forense artificiale, in quanto su­ bentra lo stile della diatriba che pervade il paragrafo, si dovrebbe ri­ conoscere che non

ci

troviamo di fronte a un caso di giustificazione,

né tantomeno di deprecazione. In tal caso l'io formulerebbe un'i­ stanza di auto-deprecazione o di auto-giustificazione e così riusci­ rebbe a trovare una via d'uscita dal proprio conflitto, senza ricorre­ re alla necessità dell 'intervento divino.74 In realtà da una parte l'io non realizza alcun percorso che lo giustifichi, né si auto-penalizza, con il riconoscimento della colpa, affinché gli venga dimezzata o condonata la pena. In tutte le proposizioni del paragrafo l'io non esprime mai, ad esempio, l'invocazione del Sal

50:

«Pietà di me, o

Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella

il

72 «Concessio est, cum consulto negat se reus fecisse. Ea dividitur in purgationem et precationem. Purgatio est, cum consulto negat se reus fecisse. Ea dividitur in irn­ prudentiam, fortunam, necessitatem [ . . . ) Deprecatio est, cum et peccasse se et con­ sulto fecisse confitetur, et tamen postulat, ut sui misereantur». In pratica la stessa de­ finizione della concessio si riscontra in Cicerone: «Concessio est cum reus non id quod factum est defendit, sed ut ignoscatur postulat. Haec in duas partes dividitur, purga­ tionem et deprecationem. Purgatio est cum factum conceditur, culpa removetur. Haec partes habet tres, imprudentiam, casum, necessitatem. Deprecatio est cum et peccas­ se et consulto peccasse reus se confitetur et tamen ut ignoscatur postulat; quod genus perraro potest accidere» (CICERONE, De Jnventione 1,15). 73 Più conforme alla cognizione antica è la definizione che Aletti formula della concessio soltanto per Rm 7,14 e non per l'intera pericope di Rm 7,7-25: «La conces­ sio n'est pas équivalente à la correctio, car elle vise moins à corriger, à précise, qu à re­ connaitre le point de vue de l'interlocuteur (réel ou fictif), mais (en général) pour en montrer aussitot les limites et, comme dit Fontanier, pour en tirer un plus grand avan­ tage» (ALEITI, Israel et la Loi, 147). 74 L'interlocuzione con l'io di Rm 7,7-25 è posta ben in risalto da J.-N. ALETI1, ((Rm 7.7-25 encore une fois: enjeux et propositions», in NTS 48(2002), 359. .

'

200

mio peccato» (v. 3). Egli non riconosce neanche che il suo peccato è rivolto contro Dio, poiché quest'ultimo è talmente oggettivato da rappresentare una potenza dominante, una Machtkraft sulla Legge e sull'io. Pertanto riteniamo che le dichiarazioni positive sulla Legge e sul comandamento in Rm 7,7-25 non siano affatto delle concessiones, ma siano reali e comprensibili soltanto nel conflitto tra la Legge e l'io, da una parte, e il peccato, dall'altra.75 Per riscontrare una reale concessio nei confronti del proprio interlocutore bisogna giungere sino alla tradizione paolina di l Tm l ,8-9: «Sappiamo che la Legge è buona, purché se ne faccia un uso legittimo, nella convinzione che la Legge ilon è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, gli empi e i peccatori». Ma ormai siamo oltre la situazione conflittuale di Ro­ mani: il Paolo delle grandi lettere non avrebbe mai sostenuto un'af­ fermazione del genere, di fronte ai deboli che continuano a osserva­ re le regole di purità alimentari.76 Piuttosto le dichiarazioni positive sulla Legge in Romani si spiegano neli' ottica dell' epanortosi o della correctio: la Legge è buona e santa, ma io compio non il bene che vo­ glio, bensì il male che non voglio.77 In tal modo la correctio non infi­ cia la natura positiva della Legge, bensì riguarda il peccato che la strumentalizza e l'io colto nell'incapacità di liberarsi dal suo dram­ ma. L'argomentazione di Rm 7,7-25 non si risolve con una retracta­ tio, né tantomeno con un'onnipresente concessio, bensì riconoscen­ do l'acrasia o l'impotenza dell'io (v. l9). Da questa impotenza non li­ bera la Legge che, anzi, peggiora la situazione, poiché diventa uno strumento inerme nelle grinfie del peccato, ma soltanto Dio per mez­ zo di Gesù Cristo (Rm 7 ,25), che ha inviato suo Figlio in un'espres­ sione visibile della carne del peccato e, in vista del peccato, ha con­ dannato il peccato nella carne (Rm 8,3). Si potrà continuare a discu­ tere sull'identità dell'io di Rm 7,7-25, ma le dichiarazioni positive

75

Circa la portata reale delle asserzioni positive sulla Legge in Rm 7, cf. H. LICH­

TENBERGER, «Paulus und das Gesetz», in Paulus und das antike Judentum, hrsg. M. HENG EL U. HECKEL, (WUNT 58), TObingen 1991, 362-368. -

76 Altrove

abbiamo riconosciuto in questo slittamento una delle ragioni principa­

li sulla natura apocrifa della l Timoteo; cf. A. PITIA, «Paolo dopo e al di là di Paolo: il paolinismo nelle Pastorali», in Il deposito della fede. Timoteo e Tito, a cura di G. De VIRGILIO, Bologna 1998, 47. n Le co"ectiones di Rrn 7,7-25 sono state poste ben in risalto da ALETTI, Israel et la Loi, 146-147.

201

sulla Legge non si spiegano con le concessiones attribuite alla Legge. Che cosa allora, se non sono concessiones, né ritrattazioni? 5.1. Il tragico in

Rm

7, 7-25, i forti e i deboli

La tipologia che attraversa la dimostrazione di Rm 7,7-25 è quel­ la dell'acrasia o dell'impotenza:78 al centro della scena si trova l'im­ potenza dell'io che, nonostante conosca e riconosca il bene della Legge, non si trova nella condizione di attuarlo. La tipologia è diffu­ sa fra i tragediografi (da Euripide a Seneca)79 e nella filosofia elleni­ stica;80 il «video meliora proboque, deteriora sequor» di Ovidio è di­ ventato proverbiale.81 Per questo l'abbondante ripresa dell'acrasia in Rm 7,14-25 merita di essere interpretata in chiave tragica. Prima di rileggere il paragrafo nell'orizzonte del tragico è impor­ tante chiarire le differenze tra la > ( Lettere a Luci/io 92,1 1-13).1 10 In modo analogo, di fronte a Cristo e al percorso della giustifica­ zione, che si realizza soltanto con la grazia e mediante la fede in lui, per Paolo sono diventate indifferenti la circoncisione e l'incirconci­ sione, il puro o l'impuro, la presenza e l'assenza della Legge. Tuttavia è importante precisare che l'opzione per l'adiaphoron della Legge non si colloca a livello abrogativo, altrimenti i forti sarebbero abili­ tati a condannare i deboli e questi ultimi verrebbero esortati da Pao­ lo a diventare forti, bensì in rapporto a Cristo. Da questo versante è sintomatica la strumentalizzazione che H. Raisanen compie nei con­ fronti dell'adiaphoron paolina: un'indifferenza che relega Paolo nel­ l'angolo delle contraddizioni fl1 1 Tantomeno l'adiaphoron sulla Leg-

pone di confermare le tesi di Raisanen circa le autocontraddizioni di Paolo sulla Legge in Galati. 109 Sull'uso delradiaphoron nell'epistolario paolino, cf. W. DEMING, «Paul and In­ different lbings», in Pau/ in the Greco-roman World, by J.P. S AMPLEY , Harrisburg 2003, 384-403. 1 1° Cf. inoltre SENECA, De Providentia 5,6,1-2. Su un'analoga traiettoria si colloca l'adiaphoron paolino di Fil 4,1 1-13 in cui ciò che conta è Cristo che rende forte Paolo di fronte alla ricchezza e alla povertà, diventate ormai indifferenti. 111 Per una critica serrata alla visione paolina della Legge di Raisanen, cf. la mo­ nografia di T.E. VAN SPANJE, lnconsistency in Paul? A Critique of the Work of Heikki

210

ge scaturisce da una scelta diplomatica di Paolo, per assumere le di­ stanze dai nomisti e dagli antinomisti, bensì dal fatto che essa diven­ ta tale a causa della morte di Cristo e dei credenti nei suoi confron­ ti: soltanto chi è morto alla Legge (Rm 7,5-6), persino per mezzo del­ la Legge (Gal 2,1 9), può considerarla come indifferente, che si os­ servi o meno: «Chi pensa al giorno, pensa al Signore; e chi mangia, mangia per il Signore; infatti rende grazie a Dio; e chi non mangia, . non mangia per il Signore e rende grazie a Dio>> (Rm 14,6). Se l'a­ diaphoron sulle leggi di purità è sostenibile è perché i deboli posso­ no continuare a osservare le regole di purità e i forti a non conside­ rarle, a condizione che per tutti valga la giustificazione, quale com­ ponente essenziale del «regno di Dio», e il non cedere alla reciproca condanna. 7. l

FORTI, I DEBOLI E L'INCIAMPO D 'ISRAELE

Dopo aver analizzato le tipologie del giudizio, del vivere e del morire di Cristo e del servizio che i credenti offrono al Signore, sof­ fermiamoci sulla quarta categoria che relaziona la parte centrale del­ la probatio (Rm 14,13-23) a Rm 9,30-10,4: quella dello scandalo, del­ l'inciampo e della caduta. Anzitutto il sostantivo proskomma è uti­ lizzato nella lettera soltanto in Rm 9,32-33 e 14,13.20; anche il verbo proskoptein si trova solo in Rm 9,32 e 14,21 . La stessa connessione si verifica per il sostantivo skandalon: è introdotto in Rm 9,33 per es­ sere ripreso in 14, 13. Infine il verbo piptein compare esclusivamente in Rm 1 1 ,1 1 .22 e 14,4. Dobbiamo riconoscere che tante connessioni lessicali tra Rm 1 ,18-1 1 ,36 e 14,1 -15,1 3 non si riscontrano in nes­ sun'altra relazione tra sezioni kerygmatiche e paracletiche dell'epi­ stolario paolino; e sono tutt'altro che fortuite o forzate ! In Rm 14,13.20 Paolo esprime il fondato timore che, per questio­ ni di purità alimentari, si determini lo scandalo, l'inciampo e la ca­ duta del fratello. La situazione delle comunità romane è barcollante

Riiisiinen, (WUNT 2. 1 10), TUbingen 1 996, che con acribia dimostra come, in realtà, sia inconsistente la concezione che Raisanen ha di Paolo, incentrata su l confronto t ra as­ serzioni avulse d al loro contesto argomentativo (si vedano le conclusioni a pp. 249-253 riportate da van Spanje ) .

21 1

e teme che ingeneri una vera e propria apostasia: «Per il propno Si­ gnore egli [il domestico] si regge o cade; ma si reggerà! Infatti il Si­ gnore è capace di farcelo stare>> (Rm 14,4). Tuttavia per impedire che qualcuno dei due partiti si trovi di fronte allo scandalo, inciampi e ca­ da, Paolo deve dimostrare, da una parte, che la Legge è giusta e per la giustizia, dall'altra, che non giustifica affatto. Nel caso in cui la considerasse abrogata determinerebbe l'apostasia dei deboli; nel ca­ so in cui giustificasse si troverebbe di fronte all'abbandono dei forti: comunque si verificherebbero conseguenze disastrose per le comu­ nità domestiche di Roma. Come si vede la posta in gioco è molto alta e non è affatto teori­ ca, come potrebbe sembrare a prima vista. Così la dimostrazione di Rm 9,30-- 1 0,2 1 ha la funzione fondamentale di spiegare che Israele non ha raggiunto la Legge, ma è inciampato poiché ha cercato di sta­ bilire la propria giustizia senza sottomettersi a quella di Dio, per la quale «telos della Legge è Cristo, per la giustizia di chiunque crede>>, come recita la tesi principale della sezione in Rm 1 0,4. Se la Legge non ha alcuna intenzione giustificante è perché è giunta al suo telos in Cristo. Sulla nota crux interpretum sono state delineate tre opzio­ ni fondamentali: l) Cristo è la cessazione della Legge ; 11 2 2) Cristo è il fine della Legge ; 1 13 3) Cristo è, nello stesso tempo, la cessazione e il fine della Leg­ ge. t t4

-. 1 12 R .H. BELL, Provoked to Jealousy. The Origin and Purpose ofJealousy Moti! in Romans 9-11 , (WUNT 2.62), TUbin gen 1994, 189� 1 90; A. LINDEMANN, «Die Gerech­ tigkeit aus dem Gesetz. Erwagung zur Auslegung und zur Textgeschichte von Rom 10 ,5» ,_ in ZNW 73(1982), 242; B.L. MARTIN, Christ and the Law in Pau/, (NTS 62), Lei� den 1989, 134; RArsANEN, Pau/ and the Law, 1 75; F. REFOULÉ, >.117 L'ipotesi verrebbe avvalorata dal passato di Paolo, prima dell'incontro di Damasco: «Secondo la giustizia nella Legge divenuto irreprensibile» (Fil 3,6). Decisa è stata la reazione di chi esclude qualsiasi intenzione giustificante della Legge in Roma­ ni.1 18 A riguardo si dovrebbe distinguere anzitutto la fase precristia­ na di Paolo da quella della sua fede in Cristo e la modalità con cui è intesa la Legge nelle diverse correnti giudaiche del tempo. Da que­ st'ultimo versante è illuminante l'epilogo della «lettera halakica» in cui abbiamo riscontrato il sintagma «Opere della Legge», utilizzato da Paolo. 1 19 Così si conclude 4QMMT C 31-32: «E ti sarà contato in giustizia quanto tu fai ciò che è retto e buono di fronte a lui per il tuo bene (32] e quello d'Israele».120 Presso la comunità di Qumran l'os1 16 Cf. l'uso di nomothesia in 2Mac 6,23; 4Mac 5,35; 17,16. Sul privilegio della Leg­ ge fra i doni irrevocabili di Dio al suo popolo, cf. BELL, The lrrevocable Cali, 205-296. 1 17 R. PENNA, «Come interpretare la "giustizia della Legge" in Rom 8,4», in Atti del VI Simposio di Tarso su s. Paolo apostolo, a cura di L. PADOVESE, Roma 2000, 25-46; In., «"Il dikaioma della Legge". Semantica e retorica di una discussa espressione pao­ lina», in La Lettera ai Romani. Esegesi e Teologia, a cura di V. SciPPA, (BTN 24) , Na­ poli 2003, 51 -82, che rende il genitivo to dikaioma tou nomou (Rm 8,4 ) con «l'intento giustificante della Legge». 1 18 A LETTI, «La giustificazione», 45-48. 1 1 9 Vedi sopra il c. IV dedicato al costrutto «opere della Legge». 120 F. GARCtA MAR11NEZ - C. MARTONE ( edd. ) , Testi di Qumran, Brescia 1996, 176.

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servanza delle «opere della Legge» apre all'orizzonte escatologico «della fine del tempo» in cui la giustizia compiuta dali 'uomo diven­ ta condizione per l'attribuzione di quella divina. Dunque, in termini di paralleli, è possibile che in alcune correnti giudaiche la Legge as­ suma una funzione giustificante. Thttavia questa è esclusa in modo categorico in tutto l'epistolario paolino e non soltanto nella Lettera ai Romani. Si può notare che il verbo dikaioun non è mai attribuito . da Paolo alla Legge, ma sempre e soltanto a Dio;1 21 e in Gal 3,21 ha sostenuto che la Legge non fu data perché capace di «Vivificare», al­ trimenti da essa sarebbe giunta la giustizia. Una cosa è sostenere che la Legge e il comandamento sono per la vita (Rm 7,10), un'altra che «vivificano», 1 22 una che sono giusti (Rm 7 ,12), l'altra che giustifica­ no: l'azione vivificante e quella giustificante non rientrano nelle fun­ zioni della Legge, ma sono attribuite soltanto all' azione gratuita di Dio, in Cristo, per mezzo dello Spirito (Rm 3,21-22; 8, 1 -2) . Pertanto se nell'ipotesi per le concessiones di Rm 7,7-25 si toglie, di fatto, quanto è della Legge, con quella giustificante le si conferisce troppo, sino a rendere possibile l'asservimento dello Spirito di Cristo alla Legge, 1 23 e non l'inverso. 8. LE

CATEGORIE

ETICHE

DI ROMANI

Abbiamo rilevato che le «Cose cattive» e le «cose buone», citate nella diffamazione di Rm 3,8, hanno a che fare con la Legge, ma non 1 21 lCor 6, 1 1 ; Gal 2,16; 3,1 1 .24; 5,4; Rm 2,13; 3,20.24.26.28; 4,2.5; 5,1 .9; 6,7; 8,30.33;

Tt 3,7.

122 Così invece THURÉN, Derhetorizing Pau/, 1 12-1 13, che attribuisce alla Legge in Rm 7, l O la capacità di vivificare. 1 23 Così invece DUNN, The Theology of Paul, 646-647; E. LoHSE, «Ho nomos tou pneumatos tes zoes. Exegetische Anmerkungen zu Rom 8,2», in lo., Neues Testament und christliche Existenz, Ttibingen 1973, 279-287; HOBNER, La Legge, 250; MARTIN, Christ, 30. 1 1 1-1 12; C.F.D. MouLE, «"Justification" in its Relation to the Condition ka­ ta pneuma ( Rom. 8: 1 -1 1 )», in Battesimo e giustificazione in Rom 6 e 8, a cura di L. DE LoRENZI, ( MSB 2), Roma 1974, 177-1 87; P. OsTEN-SACKEN, Die Heiligkeit der Tora. Studien zum Gesetz bei Paulus, Mtinchen 1989, 13-33; E.J. ScHNABEL, Law and Wi­ sdom from Ben Sira to Pau/: A Tradition Historical Enquiry into the Relation of Law, Wisdom and Ethic, (WUNT 2.16), Ttibingen 1985, 288-289; WILCKENS, Der Brief an die Romer, II, 122-123; N.T. WRIGHT, «The Vindication of the Law: Narrative Analy­ sis and Romans 8,1-1 1», in Io., The Climax of the Covenant. Christ and the Law in Pauline Theology, Edinburgh 1991. 209-214.

215

si riducono al suo ambito, in quanto coinvolgono un prospetto gene­ rale delle relazioni umane con ilbene e il male. Se nella Lettera ai Ro­ mani è interpretata senza ancoraggio storico, si ha l 'impressione che Paolo stia disquisendo, in astratto, sul bene e il male. In realtà, ha an­ cora di mira il bene compiuto dalle comunità romane, ossia l' adesio­ ne a Cristo, che è morto per i forti e i deboli, rendendoli «fratelli» nel­ la fede (Rm 14,15-16). Per questo prima delle categorie etniche, tra giudei e gentili, non soltanto la sezione dedicata alla rivelazione della collera (Rm 1,18--3,20), 124 ma l'intera lettera è attraversata dalla ten­ sione sul compiere il bene o il male. Cerchiamo di schematizzare la di­ namica argomentativa che vede le tensioni tra il bene e il male: l) Rm 1,19-31: 2) Rm 1 ,32:

3) Rm 2,1-5: 4) Rm 2,17-24:

5) Rm 3,1-8: 6) Rm 3,9-18: 7) Rm 5,12-21: 8) Rm 6,1-14:

9) Rm 6,15-23: 10) Rm 7,7-25:

1 1 ) Rm 9,6-13: 1 2) Rm 12,9-16: 13) Rm 12,17-18: 14) Rm 15) Rm 16) Rm 17 ) Rm 18) Rm

12,19-21: 13,8-10: 14.13-23:

compiere il male approvare criticare il male fare il male fare il male (peccato) tutti fanno il male abbondanza del male (pecCato) restare nel male (peccato) poter fare il male (peccato) fare il male non fare il male aborrire il male non rendere male per male non farsi vincere dal male non operare il male il male per chi inciampa

15,14-21:

.. _______

16,17-20:

immuni dal male

---·------

chi fa il male non fare il bene insegnare il bene in vista del bene (grazia) nessuno fa il bene sovrabbondanza del bene (grazia) per il bene (la grazia) anche se sotto il bene (la grazia) .conoscere il bene (la Leg ge) non fare il bene attaccarsi al bene fare il bene

vincere con il bene operare il bene non diffamare il bene colmi di bene saggi per il bene

Quanto determina la variegata elencazione del male-peccato e del bene-grazia non è una riflessione teorica sul bene e sul male, ben­ sì l'insorgere della calunnia rivolta a Paolo dai diffamatori di com­ piere il male affinché ne derivi il bene (Rm 3,8) che, collegata alla 124 ALET11, La Lettera ai Romani, 78-79.

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contesa tra i forti e i deboli, pone l'enorme interrogativo su come realizzare il bene ed evitare il male. In pratica qual è la dynamis che permette non solo di dire, ma anche di compiere il bene verso tutti? Per questo, in tutta la carrellata delle relazioni tra il bene e il male, manca una categoria fondamentale: quella di chi dice il bene e fa il bene. La categoria ottimistica non è mai descritta in Romani, ma è prescritta e quindi · sperata nella sezione esortativa, quale conse­ guenza della dynamis del vangelo, accolto dai destinatari. Per questo l'Apostolo riparte ab imis: il «Vangelo di Dio» annun­ cia la potenza dello Spirito che, secondo il frammento pre-paolino di Rm 1,3b-4a, ha costituito il Figlio di Dio dalla risurrezione dei mor­ ti, per cui Paolo non si vergogna, anzi si vanta, esplicitando la litote di Rm 1,16, del vangelo, definito come «potenza di Dio per chiunque crede». In questa ricerca della dynamis che permetta di dire e di compiere il bene e non il male, la Legge è fuori gioco perché, pur in­ dicando ciò che è bene e male - e nella scansione riportata è collo­ cata nella categoria del bene (Rm 7,7-25) - non è nelle condizioni di conferire tale forza.125 Spesso si sostiene che, alla luce dell'incapacità umana di compie­ re il bene, l'antropologia paolina sia pessimistica; in realtà la proble­ matica che è costretto ad affrontare non è di natura antropologica, bensì soteriologica: soltanto Cristo, con la sua morte redentiva, libe­ r.a sia il giudeo sia il greco dall'incapacità di fare il bene. Nel caso in cui i forti e i deboli giungessero alla separazione definitiva, tutto il bene compiuto sino a ora risulterebbe persino diffamato (Rm 14,16) e in definitiva si trasformerebbe in male.

125 In PrrrA , Lettera ai Romani, 279, ho sostenuto che l'«io» di Rm 7,7-25 andreb­ be letto in continuità con le categorie etiche di Rm 1,18-3,20 e in particolare con il «tu» di Rm 2,17-24. Nel suo contributo ALETII, «Rm 7,7-25», 359, ha obiettato che, in realtà, mentre in Rm 1 , 1 8-3,20 si tratta di chi ha voluto fare il male e l'ha fatto, l'io di Rm 7,7-25 desidera fare il bene ma compie il male. Inoltre se in Rm 1 ,18-3,20 Paolo considera la condizione dell'umanità peccatrice con le categorie giudaiche, in Rm 7,725 subentra lo sguardo di chi, da credente, valuta la situazione dell 'umanità senza Cri­ sto. A parte che almeno il paragrafo di Rm 2,17-24 non contempla la situazione di chi .:vuole>> fare il male e lo compie, bensì quella di chi conosce il bene ma compie il ma­ le, andrebbe segnalato che non tutto ciò che è dimostrato in Rm 2 rientra nelle cate­ gorie giudaiche distinte da quelle cristiane: rimane il giudizio finale in cui «Dio giudi­ cherà i segreti degli uomini secondo il mio vangelo per mezzo di Cristo Gesù» (v. 16) che dimostra come la categoria del giudizio finale sia tutt'altro che estranea al vange­ lo di Paolo e come i due paragrafi siano meno distanti di quanto si possa pensare.

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9. DALL'A FORTIORI ALL' HYSTERON-PRO TERON

Diversi studiosi annotano che il paragrafo di Rm 15,7-13, domi­ nato dan·excerptum di citazioni dirette dell' AT, non si riferisce sol­ tanto alla situazione dei forti e dei deboli di Rm 14,1-15,6, ma ri­ prende i tracciati che hanno attraversato la sezione kerygmatica del­ la lettera.126 Come abbiamo precisato, ci troviamo nella peroratio o nell'appello finale rivolto ai forti e ai deboli; nello stesso tempo, il pa­ ragrafo si sofferma sulla relazione tra la circoncisione o il popolo del Signore, che corrispondono ai giudei, e le nazioni, identificabili con i gentili. La duplice funzione della peroratio, non limitata a Rm 14-15, ma capace di sintetizzare con l' auctoritas indiscussa della Scrittura il percorso della lettera, assume i connotati di un'argomentazione a fortiori, mentre - come abbiamo rilevato nel capitolo precedente non permette di equiparare i forti con i gentili e i deboli con i giudei. Se l 'universalismo della salvezza (sia per il giudeo che per il greco) passa attraverso il particolarismo della priorità storica del giudeo (Rm 1 , 16-17), tanto più i forti e i deboli sono esortati ad accogliersi vicendevolmente. Il genius di Paolo, che si esprime nel corso della lettera, riguarda proprio questo dinamismo a fortiori che dal maggiore (giudeo-genti­ le, in Rm 1 ,16-1 1 ,36) giunge al minore (forte-debole, in Rm 14,1-15,6), per tornare al maggiore (il popolo del Signore e i gentili, in Rm 15,7-13). Senza quest 'ampia dinamica, la questione dei forti e dei deboli avrebbe irretito Paolo e il suo vangelo, portandolo in un vicolo cieco, attraverso il quale non avrebbe potuto prospettare una soluzione al conflitto, né sarebbe stato in grado di diradare le nubi che si addensavano sul suo presunto antinomismo. Nello stesso tempo, la contesa di Rm 14,1-15,13 costituisce il background e quindi il proteron che lo induce a non affrontare subi­ to il problema, bensì a ripensarlo dall'hysteron del suo vangelo sulla giustificazione per la fede, senza passare per la Legge e le sue opere. Naturalmente quanto definiamo hysteron riguarda soltanto il rap­ porto argomentativo delle due macro-sezioni e non le motivazioni: in pratica per comprendere il retroterra storico di Romani bisogna

1 26 Fra i tanti cf. H. BoERS, The Justification of the Genti/es. Paul's Letters to the Galatians and Romans, Peabody 1994, 140.

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partire dalla sezione finale di Rm 1 4-15; e per risolvere la tensione tra i forti e i deboli è importante ripercorrere le motivazioni soste­ nute in Rm 1-1 1 . Un'analoga relazione si pone tra l a prima parte della sezione esortativa (Rm 1 2 ,1-13,14) e la seconda (Rm 14,1-15,13). Se in Rm 1 2,1-13,14 il ruolo principale è svolto dal Signore Gesù Cristo (vv. 1 2 ,5. 1 1 ; 13,14), dallo Spirito (v. 12,1 1 ) e dall'agape (vv. 12,9; 13,10. 10), è perché su questo maggiore s'innesta il minore della soluzione nel­ la contesa tra i forti e i deboli, per cui l'etica paolina non si fonda sul­ la Legge mosaica, in prospettiva halakica, 127 bensì sul rapporto con Cristo ( vv. 1 4,9. 15.18; 15,3.5.6.7.8), con lo Spirito (v. 14,17) e sull'a­ more vicendevole fra i credenti (v. 14,15).

10. CONCLUSIONE Il percorso della Legge in Romani è un labirinto in cui è facile smarrirsi, con il consequenziale rischio che non si trovi alcuna via d'uscita. Riteniamo che il filo d'Arianna, da tenere ben saldo, sia quello che emerge dal conflitto tra i forti e i deboli in Rm 14,1-15,13. Per questo, come in Galati, anche se in situazioni diverse, la questio­ ne della Legge non esplode in Romani per trattazione astratta o teo­ rica, bensì a causa di una situazione concreta da affrontare e da ge­ stire.128 Per Paolo s'impone la scelta da quale parte stare: con i forti, giacché la giustificazione in Cristo ha reso obsolete le regole di pu­ rità giudaiche, o con i deboli che, giustificati in Cristo, continuano a osservar! e? Riassumiamo le motivazioni che abbiamo delineato e che coin­ volgono la visione paolina della Legge in Romani. Anzitutto con la Legge non si attua alcun percorso di giustificazione, ma si verifica soltanto l'universale condizione umana sottoposta al giudizio divino;

127 Al riguardo vedi sopra il paragrafo dedicato alla relazione tra la Scrittura e l'e­ tica paolina nel c. III. 128 Così invece B. Byrne, che scrive: «To sum the matter up: nomos does not seem to be a practical threat in the situation which Romans appears to address - as it cer­ tainly is in Galatians» (BYRNE, «The Problem of Nomos», 295); lo., «lnterpreting Ro­ mans Theologically in a Post- "New Perspective" Perspective», in HTR 94(2001), 227241.

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soltanto l'evento Cristo ha mutato, in modo paradossale e del tutto gratuito, il giudizio divino in giustificazione. Purtroppo i forti e i de­ boli rischiano di ricadere nella condizione di chi, nonostante sia sta­ to giustificato in Cristo, si apre alla condanna reciproca e a quella fi­ nale: un'ipotesi tutt'altro che remota, ma in agguato se qualcuno dei deboli o dei forti si perderà per questioni halakiche, che riguardano soprattutto il puro e l 'impuro durante la loro comunione di mensa. Con la morte di Cristo e dei credenti in lui, la Legge è diventata adiaphoron o indifferente, poiché non ha più alcuna forza su coloro che partecipano della morte di Cristo. I forti e i deboli corrono il pe­ ricolo di relativizzare non la Legge, bensì la morte di Cristo e la loro morte in lui. l positivi riconoscimenti sulla Legge non sono conces­ siones, bensì reali e comprensibili nell'ottica delle correctiones che l'io compie nei suoi confronti. Se si trattasse di concessiones sarebbe consequenziale considerare l'esortazione, rivolta ai forti e ai deboli, come concessione per non rischiare di perderli. L'inciampo, lo scandalo e la caduta d'Israele sono esemplari per la possibilità che si prospetta rispetto all'inciampo, allo scandalo e al­ la caduta dei forti e dei deboli. Contro tale opportunità Paolo so­ stiene la finalizzazione e l'adempimento in Cristo della Legge, to­ gliendo dal cammino dei deboli e dei forti la pietra d'inciampo, che è Cristo, nei confronti d'Israele. Al di fuori della relazione con Cri­ sto non c'è alcuna possibilità di dire e di compiere il bene, ma sol­ tanto la variegata situazione di chi, a titolo diverso, fa il male e non il bene. I destinatari della lettera sono in Cristo e non possono rica­ dere nel conflitto, aggravato dalla Legge, dell'idiosincrasia tra il be­ ne che si desidera e il male che si compie. La procedura che parte da Rm 14-15, per risalire alle motivazio­ ni di Rm 1-1 1, permette di cogliere che le dimostrazioni paoline sul­ la Legge in Romani sono tutt'altro che inconsistenti o contradditto­ rie: sono coerenti e consequenziali, perché partono tutte dall'univer­ sale giustificazione in Cristo per valutare le implicazioni sulla Legge. Per questo la visione paolina della Legge non è soltanto occasiona­ le,129 in dipendenza dei destinatari gentili della Galazia o di quelli già

129 Cf. invece G. Barbaglio: «L'occasionalità dei suoi scritti è pure l'occasionalità della sua teologia, legata strettamente alla sua contingenza» (G. BARBAGUO, La teolo­ gia di Paolo. Abbozzi in forma epistolare, Bologna 1999, 727).

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inseriti nel giudaismo romano, bensì interpella ogni situazione a par­ tire dalla potenza divina che si rivela nel vangelo di Dio. La costan­ te che abbiamo rilevato in Galati e in Romani è riscontrabile anche nella Lettera ai Filippesi, in un contesto preventivo rispetto alla pro­ paganda degli avversari di Paolo: «Affinché fossi trovato in lui (Cri­ sto] non possedendo una mia giustizia, quella della Legge, ma quel­ la per mezzo della fede di Cristo, la giustizia sulla fede» (Fil 3,9). Non si può negare che, con tutte le polisemie del sostantivo no­ mos in Romani, Paolo corra il rischio di essere frainteso, come di fatto è stato diffamato fra le comunità romane (Rm 3 ,8): cammina sul «filo del rasoio». Con la tradizione paolina, il conflitto sulla Leg­ ge è ormai risolto a suo detrimento; e questo rappresenta un decisi­ vo impulso verso la separazione delle vie tra il giudaismo e l 'inizia­ le movimento cristiano, che s'imporrà dopo la distruzione del se­ condo tempio. Infine, a causa della complessità della tipologia sulla Legge nell'epistolario paolino, è importante distinguere una lettera dall'altra, altrimenti è alto il rischio di fraintendere le diverse dimo­ strazioni. Abbiamo iniziato il capitolo richiamando i contributi che le nuo­ ve prospettive sulla visione storica e l'analisi retorico-letteraria stan­ no apportando all'interpretazione della Lettera ai Romani. Nel cor­ so deli ' analisi ci siamo resi conto che l 'una non può prescindere dal­ l'altra, pena la conseguenza che un'analisi meramente storica finisca con il portare il ricco messaggio della lettera nella strettoia conflit­ tuale tra i forti e i deboli, e una soltanto retorica renda il conflitto tra i forti e i deboli che si riflette sulla Legge. La convergenza dei due metodi è quanto mai fruttuosa e andrebbe più spesso declinata!

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CONCLUSIONI ANTICHE E NUOVE PROSPETIIVE A CONFRONTO

Il percorso compiuto su Paolo, la Scrittura e la Legge si è rivela­ to articolato e complesso; e mi auguro che il lettore non si sia smar­ rito nel ginepraio delle questioni che abbiamo dovuto affronta�e. Per facilitare la lettura, abbiamo ripreso nelle conclusioni di ogni capito­ lo gli esiti principali cui siamo pervenuti. Nelle conclusioni generali porremo l'attenzione su due versanti fondamentali: un bilancio del­ le «nuove prospettive)) che nell'ultimo trentennio sono state propo­ ste su Paolo e le sue lettere1 e una proiezione sulle conseguenze per la teologia paolina. Possiamo suddividere i versanti in cui si stanno verificando le nuove prospettive in tre ramificazioni: storiografica, metodologica e contenutistica, anche se è importante osservare che sono inscindibili, per le reciproche implicazioni.2 l. STORIA E SOCIOLOGIA DEL

NT

1.1. La new perspective e il medio giudaismo La svolta delle ricerche su Paolo è iniziata in ambito storico-reli­ gionistico, a proposito delle relazioni tra il giudaismo e il cristianesi­ mo delle origini, con il contributo di E.P. Sanders:3 il giudaismo non

1 Per favorire la lettura cronologica del bilancio sulle «nuove prospettive», segna­ leremo tra parentesi le date di pubblicazione dei contributi citati in precedenza. 2 Un analogo bilancio si può consultare in J.-N. ALEITI, «Où en sont les études sur St Paul? Enjeux et propositions», in RSR 90(2002), 329-352. 3 E.P. SANDERS, Paolo e il giudaismo palestinese. Studio comparativo su modelli di religione, (bt 21), Brescia 1986 (or. ingl. 1977) . Fra i principali sostenitori della propo-

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religione dei meriti e del particolarismo, contro il cristianesimo considerato come religione della grazia e dell'universalismo, ma en­ trambi condividono nel I secolo d.C. il covenantal nomism o il nomi­ smo del patto. Su questa categoria, Sanders innesta il common Ju­ daism o il giudaismo comune che unifica i diversi movimenti giudai­ ci. A Sanders si deve inoltre la dinamica che procede, nel sistema del pensiero paolino, dalla solution al plight o dalla soluzione cristologi­ ca alla «distretta» della situazione umana e la prospettiva che distin­ gue le condizioni per entrare da quelle richieste per rimanere nel po­ polo dell'alleanza. Quanto differenzia il giudaismo antico è sempli­ cemente il fatto che non è cristianesimo. Diversi assunti del prospetto delineato da Sanders e da quanti hanno accolto la sua visione del giudaismo e del cristianesimo delle origini sono stati fortemente contestati:4 non esiste un nomismo del patto che unifichi le diverse correnti del giudaismo secondo il mo­ dello religionistico scelto; e spesso Paolo procede non dalla soluzio­ ne al problema, bensì l'inverso.5 Comunque, con tutte le riserve se­ gnalate, bisogna dare merito a Sanders per aver mosso le acque sta­ gnanti sulle relazioni tra giudaismo e cristianesimo delle origini.6 è

1.2. Giudaismi e cristianismi?

La ricognizione in ambito storico prosegue con la frammentazio­ ne del medio giudaismo in diversi giudaismi e del cristianesimo in differenti cristianismi: 7 tra le forme più importanti di giudaismi sono

sta di Sanders, cf. N.T. WRIGHT, The Climax of the Covenant. Christ and the Law in Pauline Theology, Edinburgh 1991; B.W. LoNGENECKER, «"Defining the Faithful Cha­ racter of the Covenant Community". Galatians 2,15-21 and Beyond», in Paul and the Mosaic Law, by J.D.G. DuNN, (WUNT 89), Tubingen 1996, 75-97; J.D.G. DuNN, The Theology of Paul the Apostle, Edinburgh 1998. 4 Cf. T. EsKOLA, «Paul et le juda'isme du second Tempie. La sotériologie de Paul avant et après E.P. Sanders», in RSR 90(2002), 377-398. 5 F. THIELMAN, From Plight to Solution: A Jewish Framework for Understanding Paul's View of the Law in Galatians and Romans, (NTS 61), Leiden 1 989. 6 Riconoscimento attribuito anche da A. A. DAS, Paul, the Law, and the Covenant, Peabody 2001, 268-270, che ha espresso molte riserve nei confronti della new per­ spective inaugurata da Sanders. 7 G. BoccACCINI, Il medio giudaismo. Per una storia del pensiero giudaico tra il /Il secolo a.e. v. e il Il secolo e. v. , Genova 1993.

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stati identificati il fariseismo, l'essenismo, il sadduceismo, l'enochi­ smo, la corrente apocalittica e quella sapienziale; e tra le diverse for­ me di cristianismi vanno distinti il «cristianismo» di M atteo, di Gia­ como, di Pietro e quello di Paolo. Anche su quest'ipotesi si sono levate diverse obiezioni,8 poiché si perviene alla posizione opposta a quella di Sanders: che non ci sia un com1non Judaism è un conto, che non si possano delineare alcuni fondamenti che relazionano i diversi movimenti interni al giudaismo è un altro. Il monoteismo, la Scrittura, la Legge e il culto risultano va­ riamente modulati dalle diverse correnti giudaiche, compreso il mo­ vimento cristiano delle origini, ma restano pur sempre tratti fonda­ mentali che distinguono il giudaismo dalle altre religioni antiche. Per rendere l'idea di quanto sia poco appropriata questa nuova valuta­ zione storiografica, è come se tutte le nuove prospettive che stiamo presentando riguardino oggetti diversi di ricerca, mentre sono in­ centrate su Paolo e sul cristianesimo delle origini. 1.3. La separazione delle vie La terza nuova prospettiva storiografica concerne la separazione tra il giudaismo e il cristianesimo delle origini9 o il periodo in cui, uti­ lizzando una felice metafora proposta da A.F. Segai, i due figli di Rebecca sono andati ognuno per la sua strada.10 Alcuni studiosi giungono sino al II secolo d.C. inoltrato, altri optano per l'evento della distruzione del secondo tempio (70 d.C.), ma non manca chi sceglie come decisivo il livello gesuano del movimento cristiano del­ la vita del maestro di Galilea.11 L'esplosione del culto di Cristo, nei primi anni del movimento cri­ stiano, costringe a non sottovalutare la «pretesa messianica» di Ge-

8 P. SACCHI, Storia del secondo tempio. Israele tra VI secolo a. C. e I secolo d. C., To­ rino 1994; R. PENNA, Vangelo e inculturazione. Studi sul rapporto tra rivelazione e cul­ tura nel NT, Cinisello Balsamo 2001, 63-88. 9 J.D.G. DuNN, The Partings of the Ways between Christianity and Judaism and their Significanc:e for the Character of Christianity, Lon don-Philadelphia 1991. 10 A. F. SEGAL, Rebecca's Children: Judaism and Christianity in the Roman World, Cambridge 1986. 1 1 G. JossA, Giudei o cristiani? I seguaci di Gesù in cerca di una propria identità, ( SB 142), Brescia 2004.

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sù, né a porre in secondo piano la fede nella signoria del Messia cro­ cifisso attestata sin dalle prime generazioni cristiane.12 Comunque assume sempre più consistenza l'ipotesi che non intravede negli scritti del NT una chiara e definitiva separazione delle vie: questi so­ no di natura intragiudaica e non antigiudaica;13 e il processo di sepa­ razione delle vie, iniziato con Gesù di Nazaret, prosegue con Paolo, ma giunge alla sua svolta decisiva soltanto con la distruzione del se­ condo tempio. In particolare, si deve a Paolo l' assunto della giustifi­ cazione per la fede, senza il concorso delle opere della Legge, e l 'uso massiccio delle Scritture d'Israele in prospettiva cristologica ed ec­ clesiologica, conferendo un impulso di rilievo alla separazione delle vie tra il successivo giudaismo rabbinico e il cristianesimo. 1.4.

La sociologia del cristianesimo delle origini

Più o meno ancorati alle questioni storiche segnalate sono i nuo­ vi apporti sulla �ociologia del primo cristianesimo.14 Anche se a vol­ te si verifica l'imposizione di modelli sociologici moderni sulla Chie­ sa delle origini, i contributi fondati sulle fonti scritte e archeologiche restano fondamentali.15 Per le comunità paoline della diaspora si è giunti all'acquisizione che si tratta di Chiese domestiche, frequenta­ te da credenti in gran parte di estrazione umile (schiavi e liberti) e con pochissime adesioni di gentili benestanti: rari sono i casi di mem­ bri della classe senatoriale ed equestre. A causa della natura dome­ stica nelle comunità paoline, le donne svolgono funzioni di rilievo e non soltanto di servizio familiare.16

1 2 L.W. H u RTAD O, Signore Gesù Cristo. La venerazione di Gesù nel cristianesimo più antico, Brescia 2006 (or. ingl. 2003) . 13 K.P. DoNFRIED, «Rethinking Paul», in Bib(2006), 586, preferisce utilizzare le ca­ tegorie di «intramurale» e di «extramurale)). 1 4 G. THEISSEN, The Social Wor/d of Pauline Christianity, Edinburgh 1982; A.J. MALHERBE, Social Aspects ofearly Christianity, Philadelphia 21983; W. A. MEEKS, The Fir­ st Urban Christians. The Social World of the Apostle Pau/, New Haven-London 1983; E.W. STEGEMANN - W. STEGEMANN, Storia sociale del cristianesimo primitivo. Gli inizi nel giudaismo e le comunità cristiane nel mondo mediterraneo, Bologna 1998 (or. ted. 1995). 15 P. LAMPE, Die stadtromischen Christen in den ersten beiden Jahrhunderten: Un­ tersuchungen zur Sozialgeschichte, (WUNT 2. 18), Ttibingen 21989. 1 6 K. OsiEK M.Y. MAcDoNALD, Il ruolo delle donne nel cristianesimo delle origi­ ni. Indagine sulle Chiese domestiche, Cinisello Balsamo 2007. -

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In questa fase della domus ecclesia il cristianesimo delle origini presenta diversi collegamenti con i collegia o con le associazioni re­ ligiose minori, tollerate dalle autorità imperiali.17 Le assemblee dei credenti in Cristo sono caratterizzate dalla frequentazione della Scrittura, dalla frazione del pane e dalla condivisione della mensa tra giudei e gentili, tra i più agiati e i poveri, e tra forti e deboli. Se dall'epistolario paolino e dal resto del NT risaltano spesso questio­ ni sulle purità alimentari, vuol dire che la convivenza fra credenti di estrazione diversa era in fase di costruzione e non era acquisita. 2.

RETORICA E INTERTESTUALITÀ

2.1. Rhetorical criticism e retorica letteraria Con il contributo di H.D. Betz sulla Lettera ai Galati è iniziata, nella prima metà degli anni '70,18 l'analisi retorica dell'epistolario paolina che si sta sviluppando su due tracciati: quello che, partendo dai trattati di retorica antica, tende a riscontrare i modelli composi­ tivi della comunicazione paolina, 19 e quello che preferisce partire dall'originale disposizione delle stesse lettere, per identificare i di­ versi meccanismi di persuasione utilizzati da Paolo.20 La congiuntu­ ra tra epistolografia e retorica dovrebbe salvaguardare dall'imporre

1 7 R. PENNA, «Chiese domestiche e culti privati pagani alle origini nel cristianesi­ mo. Un confronto», in Io., Vangelo e inculturazione (2001 ), 746-770. 1 8 H.D. BETZ, «The Literary Composition and Function of Paul's Letter to the Ga­ latians», in NTS 21(1975), 353-379. 19 Per un utile manuale sul rhetorical criticism, cf. G A KENNEDY, NT e critica re­ torica, (SB 151), Brescia 2006 (or. ingl. 1984); per una sintesi bibliografica e critica del metodo esteso a tutta la Scrittura, cf. D.A. WATSON - A.J. HAUSER ( edd. ) , Rhetorical Criticism of the Bible. A Comprehensive Bibliography with Notes on History and Method, Leiden 1994. 20 1. N. ALETTI, «La présence d'un modèle rhétorique en Romains: son role et son importance», in Bib 71(1990), 1 -24 ; lo., «La dispositio rhétorique)), in NTS 38(1 992), 385-401; A. PrrrA, Disposizione e messaggio della Lettera ai Galati, (AnBib 131 ), Ro­ ma 1992; A GIENIVSZ, Romans 8:18-30. «Suffering Does not Th wa rt the Future Glory>> , Atlanta 1999; S. RoMANELLO, Una legge buona ma impotente. Ana/i.\·i retorico-lettera­ ria di Rm 7, 7-25 nel suo contesto, (RivBSup 35), Bologna 1999; F. B I ANCHINI, L'elogio di sé in Cristo. L'utilizzo della periautologia nel contesto di Fil 3, /-4, 1 , ( AnBib 164 ), Roma 2006; P. BASTA, Abramo in Romani 4. L'analogia dell'agire divino nella ricerca esegetica di Paolo, (AnBib 168), Roma 2007. .

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un canovaccio retorico precostituito alle lettere di Paolo: si tratta di lettere reali e non artificiali, 21 né diplomatiche, per cui non si posso­ no confondere i protocolli epistolari (praescriptum, corpus, post­ scriptum ) con le dispositiones retoriche (exordium, propositio, pro­ batio, peroratio ) . Ritengo che manchi, a tutt'oggi, un criterio condiviso sulle iden­ tificazioni delle propositiones principali e di quelle secondarie, no­ nostante la loro importanza nell'intreccio argomentativo di Paolo. In questo versante si confonde spesso il tema, che riguarda i contenuti, e la tesi di ciò che egli intende dimostrare. E purtroppo si è persa la relazione tra la fase dispositiva delle argomentazioni paoline e quel­ la elocutiva, rappresentata dall'uso delle molteplici figure retoriche, mentre nella retorica antica erano interrelazionate. In che modo una figura di pensiero o di parola incide sulla dispositio retorica e diven­ ta rivelativa per la sua identificazione? Comunque l'ancoraggio sto­ rico, sul contesto del mittente e dei destinatari, permette all 'analisi retorica di costruirsi su base solida. Su come la retorica letteraria non rappresenti soltanto una fase dell' ornatus o di puro abbellimento, ma veicoli implicazioni contenutistiche di rilievo, torneremo nelle con­ clusioni «teologiche)> del nostro bilancio. 2.2. Il mirror-reading e gli avversari credenti di origine giudaica Una delle principali conseguenze, causate dalla frammentazione del giudaismo e del cristianesimo delle origini, riguarda l'identità, l'origine e la teologia degli avversari di Paolo. L'interpretazione uni­ taria classica, che tendeva a considerare gli oppositori di Paolo come un solo partito che si sposta da una provincia all'altra dell'impero,22 è stata definitivamente posta in crisi, lasciando il posto a un orienta­ mento che si propone d'identificare, per ogni lettera, oppositori di­ versi.23 Poiché, sino a oggi, le uniche fonti pervenuteci sugli avversa-

21 Sull'epistolografia antica e paolina, cf. E.R. RICHARDS, Pau/ and First-Century Letter Writing. Secretary, Composition and Collection, Downers Grove 2004. 22 D. GEORGI, Die Gegner des Paulus im 2 Korintherbrief Studien zu religiOsen Propaganda in der Spiitantike, (WMANT 1 1), Neukirchen 1 964. 23 J.L. SUMNEY, Identify Paul's Opponents, (JSNT SS 1 0), Sheffield 1990.

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ri sono le stesse lettere di Paolo, da queste bisogna cogliere il loro vangelo alternativo al suo. Nasce così la nuova prospettiva del mir­ ror-reading o dell'analisi speculare delle fonti,24 che ha portato a ri­ costruire la predicazione degli oppositori cristiani di origine giudai­ ca, a Corinto, in Galazia e a Filippi.2s Purtroppo i dati a disposizione sono talmente sfocati che rendo­ no arbitraria l'analisi speculare delle fonti: non tutto ciò che è detto da Paolo è, di fatto, negato dagli avversari, e l'inverso. L'anonimato con cui tratta i suoi detrattori e la sua tendenza a macroscopizzare le opposizioni rendono poco sostenibile l'analisi del mirror-reading, prova ne è il fatto che, in quest'ambito, ognuno dice tutto e il con­ trario di tutto! Comunque in questo versante si tende finalmente ad abbandonare la classica opposizione tra petrinismo e paolinismo, prima del 70 d.C., dovuta più a retroproiezioni confessionali che a reali schieramenti partitici o a cristianismi diversi. 2.3. Intertestualità tra Scrittura

e

comunità paoline

Un ulteriore ambito nel quale si segnalano nuove prospettive ri­ guarda quello dell'intertestualità tra i contesti delle citazioni dirette o tecniche, indirette ed evocative dell'AT e l'epistolario paolino.26 Di fatto le Scritture d'Israele svolgono un ruolo centrale nelle argo­ mentazioni paoline, di gran lunga superiore rispetto ai logia di Gesù, in un periodo che non vede ancora la redazione dei vangeli canoni­ ci, né quella di un NT che si distingua dali' AT. Una verifica deli 'intertestualità permette di segnalare che spesso si assiste a forzate convergenze metalettiche, giacché, di fatto, non

24 J.M.G. BARCLAY, «"Mirror-Reading" a Polemical Letter in Galatians as a Test Case», in JSNT 31(1987), 73-93. 25 B.H. BRINSMEAD, Galatians. Dialogica/ Response to Opponents, (SBL DS 65), Chico 1982; G.W. HANSEN, Abraham in Galatians. Epistolary and Rhetorical Context, (JSNT SS 29), Sheffield 1989. 26 R. B. HAYS, The Faith of Jesus Christ: An lnvestigation of the Narrative Sub­ structure of Galatians 3:1-4:11, (SBL DS 56), Chico 1983; C.K. STOCKHAUSEN, Mose's Veil and the Story ofthe New Covenant: The Exegetical Substructure of Il Cor. 3.1-4.6, (AnBib 116), Roma 1989; J.M. Scorr, Pau/ and the Nations. The Old Testament and Jewish Background of Paul's Mission to the Nations with Special Reference to the De­ stination of Galatians, (WUNT 84), Ttibingen 1995; F. WATSON, Pau/ and the Herme­ neutics of Faith, London-New York 2004.

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sono i contesti di partenza, bensì quelli di arrivo ad assumere il so­ pravvento nelle dimostrazioni paoline. Piuttosto sembra che Paolo tenda a riscrivere la Scrittura, collocandola in nuovi contesti argo­ mentativi, secondo la dinamica che procede dalla decontestualizza­ zione alla ricontestualizzazione. Gli excerpta delle citazioni dirette, tratte dall'AT, non sembrano ricavati da prontuari precostituiti, ma sono attribuibili a Paolo stesso e alla sua formazione farisaica. Sulla questione del «canone nel canone», che alcuni studiosi ipo­ tizzano per le modalità con cui Paolo utilizza la Scrittura,27 alcune nuove prospettive si dimostrano tutt'altro che tali: rispolverano l'o­ rientamento luterano classico. In realtà, non sembra che Paolo aves­ se cognizione di un «canone nel canone», m a considerasse tutta la Scrittura utile per l'insegnamento e per l'ammonimento dei creden­ ti. L'orizzonte ermeneutico in cui si muove è quello cristologico ed ecclesiologico, dinamizzato dall'azione profetica dello Spirito, che gli permette di riscrivere le Scritture d'Israele. 3. NUOVI

RITRATII

SU PAOLO

3.1. Conversione e/o vocazione? Le nuove prospettive non riguardano soltanto le ricostruzioni sto­ riche tra giudaismo e cristianesimo delle origini, né si fermano alle nuove metodologie, ma determinano ritratti nuovi su Paolo. Il primo evento della sua esistenza, sul quale si riflettono le nuove prospettive, è quello di Damasco: il classico modello della conversione è stato pri­ ma contestato,28 in modo radicale, per essere recuperato, nei contribu­ ti più recenti, in abbinamento con il paradigma de1la vocazione.29 Per chiarire la portata dell'avvenimento abbiamo distinto le attestazioni

27

E.P. SANDERS, Paolo, la legge e il popolo giudaico, (SB 86). Brescia 1989 (or. in­

gl. 1983).

28 K. STENDHAL, Pau! among Jews and Genti/es, Philadelphia 1976 (ed. or. 19631964 ) ; C. DIETZFELBINGER, Die Berufung des Paulus als Ursprung seiner Theologie, (WMANT 58), Neukirchen-Vluyn 1985. 29 S. KrM, Pau/ and the New Perspective. Second Thoughts on the Origin of Paul's Gospel, Grand Rapids 2002; F. PHILIP, The Origin of Pauline Pneumatology. The Eschatological Bestowal of the Spirit upon Genti/es in Judaism and in the early Deve­ lopment of Paul's Theology. (WUNT 2. 194), Ttibingen 2005.

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autobiografiche da quelle della tradizione paolina e degli Atti degli apostoli. In base al linguaggio e ai modelli utilizzati emerge la tenuta di quello profetico, pur con alcune riserve, che comprende la vocazio­ ne, la rivelazione e l'apostolato di Paolo, ma non quello della conver­ sione che, invece, risente ancora della netta separazione, prima del 70 d.C., tra giudaismo e cristianesimo. Soltanto con la tradizione paolina della l Timoteo inizia a comparire la categoria della conversione di Paolo. Comunque è con quest'evento che inizia il processo della de­ tronizzazione della Legge mosaica, mentre non sembra resistere alle critiche la new perspective che lo riduce all'incidente di Antiochia o al­ la situazione dell'ingresso dei gentili nel popolo dell'alleanza.30 La ricostruzione del medio giudaismo impone, nello stesso tem­ po, una ridefinizione del fariseismo: se in passato era considerato ac­ quisito il rapporto tra il fariseismo e il rabbinismo,31 la contempora­ nea ricerca storiografica tende a distinguerli e a utilizzare, con parsi­ monia, le fonti rabbiniche successive.32 Le poche fonti prevenuteci sul movimento giudaico permettono di riconoscerlo come incentra­ to sulla Legge e sulle tradizioni orali giudaiche, teso a offrire «inter­ pretazioni facili» (Qumran)33 e tutt'altro che rigide sulla Scrittura. Paolo, che resta, sino a oggi, "l'unico fariseo di cui ci sono pervenuti gli scritti, vi riversa, con l'adesione al movimento cristiano e con la sua predicazione, l'uso abbondante delle Scritture d' Israele. 3.2. Giustificazione e/o partecipazionismo?

La new perspective, iniziata con Sanàers, ha posto in crisi il crate­ re classico della giustificazione per la fede, senza le opere, a favore di quello «partecipazionistico» dei credenti alla morte e risurrezione di Cristo.34 Anzitutto si cerca di specificare che la questione della giu-

30

Così invece DuNN, The Theology of Pau/ (1998). NEUSNER, The Rabbinic Traditions About the Pharisees Before 70, 3 voli., Lei­ den 1971 . 32 J. SIEVERS, «Chi erano i farisei? Un nuovo approccio a un prob lema antico>>, in Nuova Umanità 12(1991 ); G. STEMBERGER, Farisei, sadducei, esseni. (SB 1 05), Brescia 1993 (or. ted. 1991 ). 33 D. FLUSSER, ludaism ofthe Second Tempie Period. Qumran and Apocalypticism, Grand Rapids-Cambridge 2007. 34 A. ScHWEITZER, Die Mistik des Apostels Paulus, Ttibingen 1930. 31 J.

23 1

stificazione non riguarda la fede contro le opere in generale, bensì la fede di/in Cristo contro le «Opere della legge».35 Di conseguenza queste non riguardano più la via della giustificazione, bensì gli iden­ tity markers o i marchi d'identità che separano i giudei dai gentili.36 Negli stessi ambienti riformati, ma anche in quelli di altre confes­ sioni, si sono levate critiche di protesta verso il riduzionismo socio­ logico attuato da questa nuova prospettiva: mentre si riconosce che la teologia della giustificazione non scaturisce in astratto, bensì emerge da situazioni epistolari e sociali concrete, non si può metter­ ne in discussione la centralità.37 Così da una parte ci si propone di «deluteranizzare» Paolo,38 dall'altra di , è un dato di fatto che il tracciato della gesuologia non svolge il ruolo centrale che gli si vorrebbe attribuire rispetto alla cri­ stologia paolina.� Nonostante i tentativi orientati ad ampliare l'e­ lenco,47 i logia di Gesù nell 'epistolario paolino sono ridotti e non as­ sumono la rilevanza delle citazioni dirette e indirette tratte dalle Scritture d'Israele. 3.5.

Simul justus et peccator o tragicità dell'io?

La drammatica pagina di Rm 7,7-25 è, da una parte, interpretata ancora secondo il paradigma luterano del simul justus et peccator,48 dall'altra� con l'analisi retorico-letteraria, s'impone l'ipotesi che vi legge la situazione dell'umanità senza Cristo, considerata da chi è stato giustificato per la fede in Cristo.49 La condizione umana che parte da Israele, prima e dopo il dono della Legge, coinvolge pro­ gressivamente Adamo e l'umanità intera, nella reiterata acrasia o nell'impotenza dell'io. Il tragico (e non la tragedia) offre una nuova prospettiva su li 'im­ portante pagina paolina: dal conflitto tra l'io e la Legge, da una par­ te, e il peccato, dall'altra, risalta la domanda tragica su come essere liberati dalla condizione d'impotenza. La soluzione proviene soltan­ to da Dio per mezzo di Gesù Cristo: colui che accoglie la domanda tragica e la fa propria con la morte del Figlio (Rm 8,3). Con la pro­ posta ermeneutica che interpreta Rm 7,7-25 in prospettiva tragica, non intendiamo affatto riproporre, in modo diverso, il classico con­ flitto del simul justus et peccator, bensì riconoscere che la novità del­ la giustificazione in Cristo implica la soluzione del tragico di Rm 7,7-

46 Più perentoria ma esagerata è la posizione di D.M. Neuhaus: «Le Jésus terre­ stre avec le récit de sa vie, comme celui des évangiles, est absent des lettres de Paul» (D.M. NEUHAUS, «À la rencontre de Paul. Connaìtre Paul aujourd'hui. Un changement de paradigme?>>, in RSR 90[2002), 359). 47 M. PESCE, Le parole dimenticate di Gesù, Milano 32004. 48 DuNN, Theology of Pau/ (1998); L. THURÉN, Derhetorizing Pau/. A Dynamic Perspective on Pau/ Theology and the Law, (WUNT 124), Ttibingen 2000. Anche da questo versante la new perspective proposta da Dunn è tutt'altro che nuova. 49 J.-N. ALETil, «Rm 7.7-25», in NTS 48(2002), 358-376. 234

25 in Rm 8,1-30, ma qualcosa di non risolto del tutto permane: resta il paradosso della croce e la lotta che prosegue anche per i credenti, tra lo Spirito e la carne.

3.6. Legge ed etica paolina Detronizzata nell'ambito della giustificazione, secondo una nuova prospettiva, la Legge svolgerebbe un ruolo di rilievo nel­ l'halaka o nelle scelte operative che Paolo propone alle sue comu­ nità. 50 Purtroppo in questo versante si confonde spesso l 'uso della Scrittura, diffuso in Rm 14-1 5, dalla funzione halakica della Legge mosaica. Abbiamo potuto rilevare che le esortazioni paoline sono fondate sulle relazioni con Cristo, con lo Spirito e con il comandamento del­ l'amore vicendevole, che determinano un modo nuovo d'interpreta­ re la Scrittura, e non sulla Legge mosaica che, pur se non è dichiara­ ta come abrogata, non svolge alcuna funzione halakica. In caso di­ verso la Legge, estromessa dal percorso della giustificazione in Cri­ sto, verrebbe reintegrata in quello etico, causando una collisione e una frattura tra kerygma ed etica paolina. 3. 7.

Esiste un centro della teologia paolina?

La frammentazione delle lettere paoline e l'atomizzazione de­ contestualizzata delle sue asserzioni sulla Legge hanno indotto a porre in discussione non soltanto l'organicità del suo pensiero, ma anche la pertinenza di un centro della sua teologia. 51 Contro il mo­ dello classico, cattolico e luterano che poneva, comunque, al centro

50 P.J. ToMSON, Paul and the Jewish Law: Halakha in the Letters of the Apostle to the Genti/es, (CRINT 3.1), Minneapolis 1 990 ; B.S. RosNER, Paul, Scripture and Ethic.v: A Study of l Corinthians 5-7, (AGJU 22), Leiden 1994; K. FINSTERBusnt. Dit· Thora als Lebensweisung fiir Heidenschristen: Studien zur Bedeutung der Thora fiir die pau­ linische Ethik, (SUNT 20), Gottingen 1996; M. BocKMUEHL, Jewi.vh Law in Gentile Churches. Halakha and the Beginning of Christian Public Ethics, Edinburgh 2000. st L'interrogativo è affrontato da J.D.G. DuNN, «Prolegomena to a Theology of Paul», in NTS 40(1994), 407-432 e da N. HowELL, «The Center of Pauline Theology», in BSac 151(1994), 50-70.

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della teologia paolina la giustificazione per la fede, in tutte le sue let­ tere, ha preso il sopravvento quello situazionale che considera ogni lettera in modo autonomo. 52 N on si può negare che, nelle sue lettere, Paolo non presenti una teologia organica, né tantomeno sistematica, ma questo non signifi­ ca che non sia possibile identificare alcuni vettori che le attraversa­ no e che, d'altro canto� permettono quantomeno di distinguere le let­ tere autoriali , o dalla paternità indiscussa, rispetto a quelle della pri­ ma e della seconda tradizione. La centralità del vangelo che in Cri­ sto riscontra il dato di focalizzazione,53 l'alternativa tra la giustifica­ zione per la fede e non mediante le opere della Legge, l'ingresso dei gentili nel popolo dell'alleanza, l'adempimento della Legge nel co­ mandamento dell'amore e la diffusa importanza che conferisce allo Spirito, rappresentano alcuni dei vettori costanti delle grandi lettere e impediscono di considerare come semplicemente situazionale il modo di argomentare di Paolo. Il fatto che affronti il conflitto tra i forti e i deboli, ripresentando ab imis la potenza del suo vangelo, di­ mostra che è riduttivo pensare ad argomentazioni dettate soltanto dalle situazioni epistolari delle sue comunità. Se la sua teologia non è organica, né caratterizzata da un semplice sviluppo del suo sistema di pensiero - e lo abbiamo rilevato a proposito della complessa que­ stione sulla Legge - non è neanche irretita dalle situazioni delle sue comunità. Più che «deluteranizzato» o «riluteranizzato», Paolo andrebbe «rigiudaizzato»,54 con tutte le tensioni e i conflitti con l'iniziale mo­ vimento cristiano, soprattutto nei confronti della Legge mosaica e delle halakot nelle diverse tradizioni giudaiche. In questo versante ri­ teniamo decisivo l'apporto della retorica letteraria, a condizione che sia fondata sul tessuto storico delle relazioni tra Paolo e le sue co­ munità e che non rischi di far volatilizzare gli ostacoli che incontra, altrimenti assisteremmo a un giustificato «deretoricizzare» Paolo.55

52 G. BARBAGLIO, La teologia di Paolo. Abbozzi in forma t;pistolare, Bologna 1999. 53 In questa direzione cf. J.-N. ALETII, Gesù Cristo: unità del Nuovo Testamento?

,

Roma 1995. 54 K.-W. NIEBUHR, Heidenapostel aus Israel: die jUdische Identitiit des Paulus nach ihre Darstellung in seinen Briefen, (WUNT 62), TUbingen 1992. 55 THURÉN, Derhetorizing Pau[ (2000 ) .

236

3.8.

Attualità di Paolo

Viviamo in un tempo in cui il tragico umano si è trasformato in nichilismo: sulla scena tragica del mondo contemporaneo non c'è più l'altare della divinità, chiamata sempre e comunque in causa nella tragedia antica, ma il nulla o l'assurdo. 56 Nondimeno, con tutti i tra­ visamenti compiuti nei confronti del cristianesimo, dove è posta la croce di Cristo si ripresentano quelle domande tragiche che in modo latente, eppure reale, continuano a cadenzare il cammino umano. Nella sua TeoDrammatica H. U. von Balthasar aveva ben intuito: A tale fine bisogna francamente superare anzitutto la moder­ na «anti-tragedia», dove si vanno urtando nient'altro che spa­ zi vuoti, disvalori, nonsensi e la libertà è messa in discussione. Superata non nel senso che l'uomo si sollevi dalle sue degra­ dazioni, ma che egli reincontri il mistero di quel Dio grande il cui amore non ebbe la possibilità di rispondere al Figlio che gridava a lui, abbandonato sulla croce: il mistero di un a colpa incomprensibile, ma ovunque presente tra il cielo e la terra. 57

Al di fuori e oltre la croce di Cristo è difficile cogliere il tragico della condizione umana, perché è insopportabile il paradosso della croce e alla tragedia non si torna! Per questo abbiamo trasformato la domanda tragica in fatalità o nell 'irreparabile disastro, e il vangelo in un vino dolce che non accetta di bere più nessuno. Se un'attualità si deve riconoscere a Paolo concerne proprio il paradossale congiungi­ mento tra il vangelo e il tragico, perché il suo è un «vangelo tragico» che accoglie, con profonda serietà, ogni domanda uman a e l'illumina con il «SÌ» che Dio ha detto a tutti in Cristo e il «DO» che ha rivolto, per amore, a se stesso. In fondo, bisognerebbe riscrivere la storia del tragico poiché, sul­ la scia di F. Nietzsche, si è pensato che il cristianesimo abbia, con il veleno dell'etica, inferto il colpo letale alla tragedia greca. E artefice di quest'eclissi fatale è considerato Paolo: « Che cos'è la morale ebrai­ ca, che cos'è la morale cristiana? Il caso defraudato della sua inno-

56 Cf. J.-L. NANCY, «Dopo la tragedia», in L'eredità della tragedia. Il «tragico» da Aristotele a oggi, a cura di A. GIANNAKOULAS S. THANOPULOS, Roma 2006, 31 -42. 57 H.U. voN BALTHASAR, TeoDrammatica, Milano 1980 (or. ted. 1973), I, 422-423. -

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cenza; l'infelicità contaminata con il concetto di "peccato"; lo stato di benessere come pericolo, come "tentazione"; il malessere fisiologico intossicato dal verme della coscienza».58 Appartiene al luogo comune della filos�fia e della critica letteraria contemporanea che dove c'è il tragico non c'è cristianesimo, e l'inverso: «Il cristianesimo esprime una concezione antitragica del mondo», sostiene G. Steiner.59 . Al contrario, riteniamo che con Paolo si assista a una delle forme più alte del tragico umano perché, da una parte, non c'è una sempli­ ce legge umana, posta in contrasto con la legge naturale, come quel­ la del legame di sangue che unisce Antigone a Polinice, nell'omoni­ ma tragedia di Sofocle, bensì la Legge divina, colta neli 'impossibilità di conferire la giustificazione, e l'acrasia umana che si trasforma in paradosso divino. La domanda tragica dell'uomo è accolta in Dio ed è rivoltata con una nuova domanda ancora più tragica che interroga, in profondità, l'animo umano:60 quella dell'amore di Dio e di Cristo che si rende visibile sulla croce, sino a richiedere di essere accolta o rifiutata. Asserisce bene S. Kierkegaard: «La comparsa di Cristo in un certo senso è la tragedia più profonda».61 In ambito letterario, forse si deve a F.M. Dostoevskij, con l fratelli Karamazov, e soprat­ tutto con il toccante capitolo dedicato al «Grande Inquisitore», aver rappresentato, con irraggiungibile profondità, il tragico conflitto tra il bene e il male, con la reiterata condanna di Cristo, nella prigione di Siviglia, per l'eccessivo spazio conferito alla libertà umana. A prima vista non sembra attuale il profondo rapporto che Pao­ lo esprime con il giudaismo e con la Legge mosaica: sono trascorsi

58 F. NJETZSCHE, L'anticristo. Maledizione del cristianesimo, Milano 162000 , 32. 59 G. STEINER, La morte della tragedia, Milano 21 999, 302. E nella stessa prospetti­ va cf. K. JASPERS, Del tragico, Milano 2000 , 25; S. NATOLI, L'esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale, Milano 1999 ; lo., La salvezza senza fede, Mi­ lano 2007. 60 Sul recupero del tragico in prospettiva cristiana, cf. anzitutto voN BALTHASAR, TeoDrammatica (or. ted. 1 973); oltre a N. FREY, «Il mythos dell'autunno: la tragedia», in Io., Anatomia della critica. Teoria dei modi, dei simboli, dei miti e dei generi lettera­ ri, Torino 1969, 275-297; M. DE U NAMUNO Del sentimento tragico della vita negli uomi­ ni e nei popoli, Casale Monferrato 22000 (or. spag. 1986); L. PAREYSON, «Pensiero er­ meneutico e pensiero tragico>>, in Essere libertà ambiguità, a cura di F. ToMATIS, Mila­ no 1998, 13-17; R. OrroNE, Il tragico come domanda. Una chiave della cultura occi­ dentale, Mi lano-Roma 1998. L'unico limite ascrivibile ai contributi che si propongono di riscoprire il tragico cristiano in chiave filosofico-teologica è non aver contemplato la tragicità di Rm 7 ,7 25. 61 S. KIERKEGAARD, Enten-Eller, Milano 31990, 23. ,

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duemila anni dall'evento Cristo e dalla progressiva separazione del­ le vie tra cristianesimo ed ebraismo; e fa comodo ad alcuni studiosi pensare a Paolo come a un convertito o a un apostata, ossia a uno che non ha più a che vedere con il giudaismo del suo tempo. Eppure non si è mai considerato l'uno né l'altro, ma apostolo per i gentili a favore d'Israele. Se a molti non fa problema l'ebraicità di Gesù di Nazaret - e gli apporti sulla «terza ricerca» lo stanno dimostrando continua a creare scandalo che un «ebreo da ebrei», e per giunta fa­ riseo (Fil 3,5), come Paolo, professi la sua fede nel Messia crocifis­ so.62 Thttavia resta possibile che un ebreo, raggiunto dall'irruzione del Risorto sulla sua strada, non si ritenga affatto un convertito, ben­ sì uno chiamato ad attestare la fede paradossale in Cristo con le stes­ se Scritture che lo hanno formato e con quella Legge che per anni ha osservato e può continuare a mettere in pratica, a condizione che non la consideri come condizione salvifica. A testimonianza di quanto fosse reale e percorribile questa pro­ spettiva chiudiamo il periglioso viaggio su Paolo, la Scrittura e la Legge con lo splendido epitaffio collocato sulla tomba del card . Aron Jean-Marie Lustiger. È un testamento che lascia pensare e che rende ancora possibile, nonostante le difficoltà, il dialogo tra ebrai­ smo e cristianesimo contemporaneo: Je suis né juif. J'ai reçu le nom de mon grand-père paterne!, Aron. Devenu chrétien par la foi et le bapteme, je suis demeuré juif comme le demeuraient les apòtres. J'ai pour saints patron Aron le Grand Pretre, saint Jean l'apòtre, saint Marie pleine de grace. Nommé 13ge archeveque de Paris par sa sainteté le pape Jean-Paul

II,

j 'ai été intronisé dans cette cathédrale ·

le 27 février

'

198 1 ,

puis j y a i exercé tout mon ministère. Passant, priez pour moi.

62 D. JAFFÉ, Il Talmud e le origini ebraiche del cristianesimo. Gesù, Paolo e i giu­ deo-cristiani, Milano 2008 (or. frane. 2007), 1 55.

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