Anima e scrittura. Prospettive culturali per Federigo Tozzi 8871660552

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Anima e scrittura. Prospettive culturali per Federigo Tozzi
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE FACOLTA DI LETTERE E FILOSOFIA QUADERNI ALDO PALAZZESCHI 3

La Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze intende onorare la memoria e la patria sollecitudine di Aldo Palazzeschi, che l’ha costituita erede delle sue carte e delle sue fortune ed esecutrice della sua volontà, come per l’addietro col conferimento di borse di studio e più di recente con premi ai suoi migliori allievi nel campo delle discipline care allo scrittore, la letteratura italiana intesa nella sua più ampia accezione e la lingua (o le lingue) in cui s'è espressa, con una nuova e parallela iniziativa: l'istituzione di una collana intitolata «Quaderni Aldo Palazzeschi», nella quale accogliere i risultati più degni raggiunti in dette discipline, conforme all’esplicita designazione del testamento, dai giovani usciti da questa Facoltà, che del lascito sono gli effettivi destinatari.

I «Quaderni» pubblicheranno studi critici, indagini storiche, edizioni, commenti ai testi, giudicati meritevoli dalla

Commissione appositamente costituita e da questa proposti alla Facoltà.

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Anima e scrittura Prospettive culturali per Federigo Tozzi

Le Lettere

Copyright ©1991 BECasa Editrice Le Lettere -Firenze ISBN 88 7166 055 2

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AVVERTENZA Per i testi tozziani si rinvia all'edizione completa delle Opere, a cura di G. Tozzi, edite da Vallecchi e tuttora in

corso di pubblicazione. Rispettivamente, secondo la cronologia di stampa: I romzanzi, 1961; Il teatro, 1970; Adele, 1979; Cose e Persone, 1981; Le poesie, 1981; Novale, 1984; Le novelle, 1988?, 2 voll.; Carteggio con Giuliotti, 1988.

Per i saggi critici si è fatto ricorso alla raccolta postuma Realtà di ieri e di oggi, Alpes, Milano 1928 (ristampa anastatica Amadeus, Treviso 1989), ad eccezione degli interventi antologizzati nel Meridiano delle Opere di Tozzi, a

cura di M. Marchi, Mondadori, Milano 1987, edizione alla

quale si rimanda nei casi specifici per la maggiore attendibilità filologica dei testi ivi riprodotti.

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ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

La questione della componente culturale nella scrittura di Tozzi è stata per lungo tempo risolta in termini critici sostanzialmente riduttivi, volti ad esaltare la genialità istintiva dell’autore a tutto detrimento dell’ipotesi di una consapevole gestazione testuale. Ricompotre il quadro della sua formazione letteraria, spirituale e scientifica, talora

persino nei risvolti nozionistici, consentirà dunque di attribuire alla nota rabdomanzia tematica e stilistica dello scrittore una giusta dimensione; di restituire significato a quelle pagine che, nei casi più favorevoli, sono state consegnate in maniera semplicistica alla categoria del visionario, quando non dell’artisticamente mancato: in conclusione di riconoscere in Tozzi un narratore culturalmente avveduto. Una corretta diacronia nella ricostruzione delle letture tozziane richiederebbe di prendere innanzitutto in esame l’antichità greca e latina, di solito alla base della formazione di un letterato. La disastrata carriera scolastica di Tozzi impone tuttavia, se non una deroga al principio, almeno un ridimensionamento dell’interesse, dovuto alla

reale consistenza dell’apporto classico nella cultura lettera; ria dello scrittore ed alle circostanze di apprendimento, come sempre fondate sull’applicazione autodidattica 4 posteriori. Dopo l'abbandono definitivo dei corsi regolari, il giovane Tozzi intraprese un serio programma di studi umanistici ripartendo dalla classicità ed applicandosi su gram-

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ANIMA E SCRITTURA

matiche e storie letterarie, con l’aiuto di quel prete a cui la

madre lo aveva affidato già in anni precedenti'. La sua biblioteca personale si arricchisce di volumi preziosi ed utili, come la Prosodia latina del Belli e la Letteratura

romana del Ramorino, in parallelo con il versante greco, per la conoscenza del quale Tozzi fa uso di una Antologia latina di autori greci, del Manuale di letteratura greca di

Vitelli e Mazzoni e di altri testi di carattere generale. Nel frattempo, anche le consultazioni presso la Biblioteca Co-

munale si moltiplicano, segnalando Catullo, Lucrezio, Virgilio, Orazio, Cicerone, Ovidio e Stazio nelle versioni ori-

ginali?.

1 Nella lettera di Novale dell’1 gennaio 1908 (pp. 199-204), Tozzi ripercorre le tappe della sua carriera scolastica: dal ginnasio, frequentato presso il Seminario Arcivescovile, all’iscrizione all'Istituto di Belle

Arti, fino agli anni delle Scuole Tecniche. Dopo l’allontanamento dal Seminario, a metà del terzo anno di ginnasio, il giovane Tozzi fu messo dalla madre «a ripetizione da quel prete da cui ho imparato il latino tre anni fa». ? Cfr. nel catalogo della Mostra documentaria organizzata nella primavera del 1984 a Firenze (Federigo Tozzi - Mostra di documenti, a cura di M. Marchi, con la collaborazione di G. Tozzi, Tip. C. Mori, Firenze 1984), la scheda n. 37 relativa ad un elenco-inventario autografo dei libri posseduti da Tozzi presumibilmente verso il 1907. ? Cfr. P. Cesarini, Tutti gli anni di Tozzi, Editori del Grifo, Montepulciano 1982, p. 86 (elenco delle letture effettuate nel biennio 1905-1906). In particolare, sulle Odi di Orazio lo scrittore consultò il commento latino di Pomponio Porfirione; lesse inoltre il Carme secolare. L’esemplare delle Odi ed Epodi esposto nella citata Mostra docu-

mentaria tradisce la diligenza dello studioso che puntualmente annota costruzioni e traduzioni, glossando i versi con postille linguistiche e metriche (cfr. Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., scheda n. 38, n:

43, e scheda n. 37 relativamente ad una traduzione delle satire di Orazio). Fra i libri di Tozzi troviamo ancora: «Ovidio. Le trasformazioni»; «Semintendi. Ovidio (3 voll.); Ovidio. Metamorfosi (Vannucci); Ovidio. Opere complete (Lipsia)»; «Lucrezio. Della natura delle cose»;

ASPETTI

DELLA

FORMAZIONE

LETTERARIA

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Sempre guidato da personali esigenze creative, negli anni delle prime prove di scrittura Tozzi si avvale della tradizione consòlidata per nobilitare la sua versificazione, come un qualsiasi altro esordiente di pari ambizioni ed altrettanto sfornito di mezzi. Non sfuggirà ad esempio il fatto che, se nella Zamzpogna verde è possibile ascrivere al manierismo dannunziano l’esaltazione panica e naturalistica di molti versi, in maniera altrettanto evidente nella raccolta persiste anche un afflato bucolico, esplicitamente dichiarato fin dall’Invocazione: «O Pane, dammi una zam-

pogna / alla quale nessuno pose bocca»*. Il sostrato dell’idillio virgiliano agisce nella sezione Il riso di Marsia attraverso le inconfondibili presenze di satiri e ninfe che si muovono sull’onda musicale degli zufoli campestri. Il sonetto Poesia buccolica è in questo senso un compendio delle più tipiche atmosfere del genere pastorale, in seguito riproposte anche nella lirica I/ satiretto’, nella variante dell'amore non corrisposto. Meno vincolate al modello delle egloghe — ma solo occasionalmente ispirate alla loro scenografia — risultano invece le seguenti quartine di Specchi d’acqua, rielaborazione originale di temi d’occasione: Del tempo dentro la siringa fievole il satiretto soffia ora indolente;

e il suono, che singhiozza, giunge debole alla mia giovinezza, di repente.

«Catullo, Tibullo, Properzio (con traduz. francese)». Infine i classici del teatro: «Terenzio. Commedie»; «Terenzio. Commedie (trad. antica), 2

voll.»; «Sofocle. Tragedie»; «Eschilo. Tragedie»; «Licofrone. Cassandra» (ivi, pp. 42-3, riprodotto secondo le sottolineature autografe). ‘La zampogna verde, in Le poesie, p. 15. Tanto le Bucoliche di Virgilio che gli Idilli di Teocrito, Bione e Mosco posseduti da Tozzi (cfr. l’elenco-inventario citato).

? Poesia buccolica e Il satiretto, ivi, pp. 52 e 69.

furono tra i libri

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ANIMA

E SCRITTURA

Le memorie interpongonsi benevole, con le lampade in fila tutte spente; e il suono pare quasi dilettevole. Io non mi avvedo più che sempre mente!*.

Virgilio fu senz'altro ben noto a Tozzi, che contava fra i suoi libri le Bucoliche e varie edizioni dell’Ereide, di cui una contenente anche le Georgiche. Enea e il suo cantore erano stati inoltre ricordati nella lirica giovanile A Rorza,

dove il mito funzionava insieme ad una serie di altri motivi tipici della produzione celebrativa”. Quanto poi al poeta vate che guida attraverso le esperienze dell’umana sensibilità ed oltre, in una realtà avvolta nel mistero, il recupero

di questo ulteriore aspetto della fisionomia poetica virgiliana si compie con la frequentazione assidua della Comzmedia dantesca.

Dantismo di Tozzi

Tra le numerose espressioni dell’autobiografismo tozziano, la contessina Giulia della novella Gli olivi, di là dalle

accentuate differenze rispetto ai travestimenti più noti del suo autore, è prototipo di un orientamento culturale parte-

cipato da Tozzi soprattutto nel sessennio di Castagneto. Queste le coordinate essenziali:

.. ella si era fatta una coltura quasi esclusivamente dei secoli XII e XIV. Non aveva voluto più leggere gli altri scrittori! Si capisce bene che questa specialità volontaria produceva ° Specchi d’acqua, ivi, p. 96. ® «Ma come un verso eroico di Vergilio / è la campagna tua, / o

eterno impero di bellezza. / (...) /Ascolta: Enea percuote i remi / sopra l’acque del mare. / Ma quante vele stanno intorno a lui! / Egli non viene solo» (Quadernetto - A Roma, ivi, pp. 7 e 9).

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

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gli effetti sul suo carattere mistico e ostinato. Si potevano ritrovare, nei suoi conversari, gli echi straordinari di quei poeti amorosi e violenti, di quell’infinito estetico. Ed ella se ne compiaceva?.

Senza far proprio l’oltranzismo del personaggio, anche nella cultura tozziana il Medioevo toscano e laico rappresenta una componente fondamentale, per la sintonia che si instaura con la lezione dei rimatori e dei novellieri antichi in virtù di un’elezione artistica da partecipare solo a chi possegga un fondo affine di sensibilità lirica”. Ecco allora che negli anni di massima dedizione alla letteratura duetrecentesca l’amicizia con Giuliotti si gioca interamente sul piano delle aspirazioni letterarie, condividendo e talvolta alimentando una passione sopra le altre, quella per la poesia di Dante. Dalla ricostruzione del rapporto Tozzi-Giuliotti attraverso il fitto carteggio che intercorse tra i due, la componente dantesca emerge in tutta la sua evidenza poetica e ideologica. Spesso è proprio ricorrendo all’allettante prospettiva di una lectura Dantis che Tozzi cerca di far leva sulla pigrizia dell'amico, inamovibile da Greve così come il liutaio fiorentino Belacqua —- emblema stesso dell’indolenza atavica —- lo fu dalla sua bottega!°. Dantescamente

8 Gli olivi, in Le novelle, vol. I, p. 165.

? Sul rilievo della tradizione medievale nella narrativa tozziana cfr. G. Lui, Tozzi: il romanzo dei «misteriosi atti nostri», introduz. a F.

Tozzi, Opere, a cura di M. Marchi, Mondadori, Milano 1987, pp. IxXXXII. 10 Scrive Tozzi all’amico verso la fine del novembre 1911: «Perciò,

dai un calcio a qualche sedia, mettiti il pastrano e da Firenze vieni qua. Sarà una settimana rivoluzionante. Imagina che ripassata di poeti, specie del nostro Dante! Rivedremo insieme tutte le nostre indimenticabili pitture, urleremo un poco insieme» (Carteggio con Giuliotti, p. 36; precedentemente pubblicata tra le Leztere inedite di Federigo Tozzi, in

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ANIMA E SCRITTURA

Tozzi sbeffeggia Giuliotti, ed altrettanto dantescamente

quest’ultimo risponde alle sue provocazioni ribattezzan-

dolo «Moco», forse dal verso «che di saver ver” voi ho

men d’un moco» di un sonetto a Dante da Maiano". Gli endecasillabi dell’Alighieri corrono come sottile fil rouge in tutta la corrispondenza, pronti ad emergere qualora una citazione si riveli particolarmente adatta a sintetizzare un pensiero oppure a creare una similitudine oltremodo espressiva. A distanza di alcuni giorni, una lettera giuliottiana e una tozziana richiamano entrambe luoghi diversi della Comedia: Giuliotti fa uso del proverbiale «e questo sia suggel ch’ogni’omo sganni» — sia pure con qualche variante dovuta alla citazione mnemonica — per dirimere la questione di una «papera storico-geografica» com-

«Campo di Marte», n. 4, 15 settembre 1938, con data 1913). L’invito non venne accolto, e per di più tra i due intercorse un breve silenzio epistolare che lasciò Tozzi nel dubbio: farsene meraviglia, «oppur lo

modo usato t'ha repriso»? (Purgatorio, IV, 126, sulla pigrizia di Belacqua. Cartolina illustrata, Siena 19-12-1911, ora in Carteggio con GiuLiotti, p. 41). Sulle componenti del Carteggio cfr. anche A. BENEVENTO, Il «Carteggio con Giuliotti» di Tozzi, in «Otto/Novecento», a. XIII, n. 5, settembre-ottobre 1989. t! Cfr. D. ALIGHIERI, Rizze, a cura di G. Contini, Einaudi, Torino 1980, p. 8. L’ipotesi del riferimento dantesco è stata avanzata da

Glauco Tozzi. La missiva di Giuliotti reca il timbro postale 5-5-1912 (Carteggio con Giuliotti, pp. 72-3). Letteralmente il “moco” è il piccolo seme di una leguminosa, e perciò fino a tutto il Trecento indicò, per traslato, una cosa di scarso valore. Il senso dell’appellativo usato da Giuliotti potrebbe tuttavia essere diverso (ma altrettanto in linea con le

cadenze del carteggio) se anziché considerare il luogo delle Rirze, si spostasse l’attenzione su un sonetto di Cecco Angiolieri, di cui la prima quartina recita: «Io potrei così star senz'amore / come la soddomia tollar a Moco / o come Ciampolin gavazzatore / potesse vivar tollendol’ el gioco». I commentatori individuano un «Moco di Messer Pietro Tolomei» che fu tra i degni amici del poeta (cfr. D. GruLIoTTI, Le rime di Cecco Angiolieri, Giuntini Bentivoglio, Siena 1914, pa22):

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

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messa nella lirica Così nel mio parlar voglio esser aspro, e alfine corretta’; Tozzi, dal canto suo, poco oltre dichiara sibillinamente di sentirsi addosso una cappa più pesante di quella infernale degli ipocriti, forse al solo pensiero di

incontrare i collaboratori dell’«Eroica» (dopo gli iniziali entusiasmi, era infatti subentrata una crisi con Cozzani e il

resto della redazione ligure)!. In questa fase dell’elaborazione di una poetica originale il dantismo è esibito dai due autori in maniera tutt'altro che discreta, per culminare negli estremi giuliottiani del prestito tout court, come appunto nel caso della ricordata Così nel mio parlar..., il cui titolo è un’evidente citazione dalla celeberrima canzone CIII di Dante". Le successive vicende redazionali, dall'abbandono del-

l’«Eroica» all’intermezzo del modesto «San Giorgio», fino all’ideazione della «Torre», registrano contempora!2 Nella lettera da Greve del 17-7-1912 Giuliotti scrive: «Sapevo di aver commesso la papera storico-geografica; tanto è vero che, due o tre giorni dopo che ricevetti l’Eroica, mandando a Coselschi lo strisciolino famoso col verso corretto, lo avvertivo che nella lirica vi era un errore, dovuto alla mia labile memoria, ma non gli dicevo dove, e lo

esortavo tuttavia, a trovarlo. / E questa fia suggel che ogni uomo sganni» (Carteggio con Giuliotti, p. 101). Il verso dantesco è tratto da Inferno, XIX, 21. Quanto allo «strisciolino», si trattò di un rimedio

escogitato all’ultimo momento per correggere una ripetizione di verso, dovuta alla distrazione giuliottiana (cfr. ivî, cartolina postale del 22-6-1912 e nota 1, pp. 85-6). 13 La lettera è stata datata da Glauco Tozzi tra il 27 e il 30 luglio 1912, in base al suo contenuto. Tozzi scriveva: «Credi che, senza alcuna

ostilità, l’idea di appaiarmi con certa gente mi mette addosso una cappa più greve di quelle infernali» (ivi, pp. 106-7). L'occasione dell'incontro era fornita dall’inaugurazione della Prima Esposizione Internazionale di Xilografia che si sarebbe tenuta a Levanto il 4 agosto 1912, ed a cui anche Tozzi e Giuliotti erano stati invitati (cfr. ivi, pp. 103 e ss.). 14 Cfr. D. ALIGHIERI, Rizze, cit. La lirica CIII (n. 46 nell’edizione

citata, alle pp. 165-71) prende appunto dal primo verso il titolo Così nel mio parlar voglio esser aspro.

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ANIMA E SCRITTURA

neamente l’ininterrotto approfondimento del sistema artistico di Dante, celebrato e riproposto proprio nella rivista diretta insieme da Tozzi e Giuliotti. Undici mesi di attente valutazioni presiedono alla fondazione di un periodico che assume il modello dantesco sia in termini letterari che ideologici, facendone l'elemento di distinzione rispetto ad un clima culturale genericamente dannunziano'. «Non “sesto” come nel limbo, ma primissimo tra il “senno” di ogni tempo era allora Dante per noi» '°, scriverà in seguito Giuliotti ricordando la militanza de «La Torre»; e la priorità assegnata al trecentista nei manifesti giuliottiani dipendeva in gran parte dal riconoscimento nel suo pensiero di elementi teorici su cui costruire una nuova realtà intellettuale e, perché no, politica: Scriverò, dopo, un articolo dal titolo: Poesia Cattolica — annun-

cia Giuliotti nel gennaio 1913 —. Sentirai che labbrata a quei pagliacci dei signori Claudel e Peguy! Poesia cattolica, maschia, grandiosa, può farsi; ma la faremo noi italiani, italiana e dantesca, contro tutti i suini (preti e

massoni) per la ricostruzione del gran Tempio, sulla pietra romana eterna’.

Una poesia cattolica e dantesca che sia l’anima di un nuovo impero, risorto dalle ceneri dell’aquila romana e della croce: è in sintesi il programma presentato nell’articolo La nostra fede, di matrice chiaramente giuliottiana: !’ L’idea della fondazione di una nuova rivista è formulata per la prima volta nella tozziana del 5-1-1913 (Carteggio con Givuliotti, pp. 177-78). Per l'uscita del primo numero de «La Torre» bisognerà comunque aspettare il 6 novembre e seguire l'evoluzione del progetto lettera dopo lettera. 10 Lettere inedite di Federigo Tozzi, in «Campo di Marte», cit. ! Cartolina postale di Giuliotti con timbro 24-1-1913, in Carteg-

gio con Giuliotti, pp. 194-95.

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

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Di qua l'Imperatore, di là il Papa: in alto, concordemente, le lor sacre mani intrecciate e, sotto al sublime arco dantesco, rincana-

late le genti. Ecco la nostra Utopia!

Salvo poi aggiungere tra parentesi: (E ovvio che noi miriamo più alto del bersaglio, per colpire nel centro; è ovvio che noi sciogliamo l’albero che è stato piegato fino a terra e lo rovesciamo tutto dall’altra parte, perché ritorni

diritto)!8,

Per evidenziare la presenza di Dante quale nume tute!* La nostra fede, in «La Torre», a. I, n. 1, 1913. Sul nucleo

dantesco del progetto politico della rivista Giuliotti tornerà anche in Penne pennelli e scalpelli, Vallecchi, Firenze 1942, soprattutto per riba-

dire l'autonomia della «Torre» rispetto al programma del Partito Nazionalista di coeva costituzione, al quale in più occasioni la redazione senese era stata, per così dire, affiliata (cfr. nel Carteggio con Giuliotti la

tozziana del 14-11-1913, pp. 264-65, in cui si cita una rassegna stampa in merito alla «Torre» con titoli del tipo: La necessità del boia proclamata dai nazionalisti di Siena; La necessità del boia proclamata dai nazionalisti di Siena che non amano il Quirinale). Tornando a Giuliotti, egli distingue l’attività dei due “movimenti”: «Già era sorto, in quel tempo, come iniziale reazione alla cresciuta invadenza demagogica, il Partito Nazionalista. Lo aveva fondato, come è noto, Enrico Corradini con pochi altri, ma la loro idea politica (così almeno ci pareva) non osava oltrepassare i confini geografici della patria. Noi, invece, credevamo, con Dante, che l’Italia, da Roma doppiamente sacra, dovesse ancora far dono della sua luce alle genti». Quanto all’utopia politica della «Torre», la sua infondatezza risulta ovvia considerando la situazione

italiana dopo la disintegrazione del sistema giolittiano (anche in seguito all’impresa libica), alle soglie della Guerra mondiale. Sulla paternità del manifesto La nostra fede non esistono comunque dubbi: essa è da attribuire esclusivamente a Giuliotti, come del resto la maggior parte degli interventi di carattere politico; mentre la collaborazione di Tozzi

alla rivista riguarderà la realizzazione pratica del foglio (rapporti con la tipografia, impaginazione, consegna delle copie ai rivenditori, cottispondenza), alcuni trafiletti polemici e qualche intervento letterario (cfr. più avanti il capitolo dedicato all’esperienza torriana).

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| ANIMA E SCRITTURA

lare della rivista, idue direttori avevano inoltre pensato di inserire nella testata — probabilmente in luogo del definitivo sottotitolo «Organo della reazione spirituale italiana» - un endecasillabo della Corzzzedia che compendiasse lo spirito della battaglia culturale intrapresa. Non altra destinazione risulterebbe infatti appropriata ai versi che Tozzi annota nella cartolina postale del 3-10-1913', sollecitando Giuliotti a sceglierne uno, magari vagliando anche un passo del Convivio sul quale erano stati presi accordi in precedenza. I diversi motti riassumono le istanze ideologi-

che della redazione sia che agiscano come esaltazione velleitaria della militanza intellettuale, sia che rivendichino

da una parte la funzione nobilitante dell’antico, e dall’altra il precorrimento dell’immediato futuro a cui «La Torre» avrebbe inteso spalancare le porte. Accanto alla forza che spira da un «tanto voler sopra voler mi venne» (Purg., XXVII, 121), sullo stesso piano dell’attivismo a oltranza si colloca anche un «e fe’ di sé la vendetta egli [sic] stesso» (Inf., XII, 69); mentre l’espressiva simbologia della testata

risulterebbe amplificata dal verso «sta come torre fermo [sic] che non crolla» (Purg., V, 14) e ipoteticamente glossata con un «e ciò non fia [sic] d’onor poco argomento» (Par, XVII, 135). Quanto all’aderenza della «Torre» rispetto alla contemporaneità, Tozzi e Giuliotti sapevano

bene il suo essere «per modo tutto fuor del modern [sic] uso» (Purg., XVI, 42); ma ciò non portava che a sottolineare con maggior vigore la rinnovata energia di un pro-

gramma grazie al quale si poteva ben asserire «tempo futuro m'è già nel cospetto» (Purg., XXIII, 98)”. Vale la pena di passare in rassegna queste indicazioni tozziane, non foss’altro che per rendersi conto della rime-

!° Carteggio con Giuliotti, pp. 241-42. 20 Ibid.

ASPETTI

DELLA

FORMAZIONE

LETTERARIA

di

ditazione a cui il materiale della Divina Commedia doveva essere stato sottoposto per dar luogo a scelte così mirate e precise. Non solo Tozzi spazia liberamente attraverso le tre cantiche del poema, ma attinge anche ad altre opere pur di fornire un blasone di aulicità alla rivista. Propone quindi a Giuliotti di sostituire ad un «poco scelto bene verso di Dante, quest’altre sue parole che sono a pag. 72 del suo Epistolario curato dal Passerini»: Non etenim ad arbores extirpandas valet ipsa ramorum incisio, quin iterum multiplicius virulentes ramificent, quousque radices incolumes fuerint, ut praebeant alimentum”.

La collocazione ipotizzata per il passo è piuttosto incerta;

esso è tratto dalla lettera VII all’imperatore Arrigo, ed è una metafora “arborea” di quell’inutile forma di repressione delle rivolte che sacrifica soltanto i “rami minori” ribelli, senza intaccare minimamente

le “radici” del dis-

senso: in definitiva un auspicio affinché l’azione della «Torre» possa filtrare nel tessuto sociale. L’intenso lavoro teorico della vigilia colse alfine nel segno, riuscendo a sprigionare un vigore di chiara marca dantesca che non dispiacque affatto ai sostenitori del progetto, stando per esempio a questo entusiastico giudizio espresso da Paolieri in una lettera a Giuliotti: Il programma della Torre è tal cosa che mi ha sbalordito. Dal “De Monarchia” e da certe lettere di Dante in poi non mi era mai accaduto di trovarmi sotto gli occhi una simile prosa!??

21 Ivi, pp. 240-41 (lettera del 2-10-1913). Tozzi possedeva l’esemplare citato delle lettere dantesche (ed. Sansoni, 1910).

22 Ivi, p. 262, nota 3 (lettera datata dal timbro postale Impruneta 6-11-1913).

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ANIMA E SCRITTURA

La meditazione intima di Tozzi continuava tuttavia a sintonizzarsi sulle cadenze di un altro Dante, quello privato della Vita Nuova, funzionale per lo scrittore più che per il polemista. La dinamica della passione amorosa è ripercorsa in quest’opera attraverso l'ascolto dei moti interiori e degli eventi premonitori che decantano la sensibilità del poeta in un’atmosfera di sfumata e suggestiva sospensione, anche quando le emozioni sembrano essere più violente. Si pensi alla descrizione del sogno che introduce il sonetto A ciascun’alma presa e gentil core e all’iterato, insi-

stente uso di quel «mi parea» che Tozzi adotterà fin da Barche capovolte, analogo nel valore espressivo sebbene aggiornato linguisticamente. Nelle lettere di Novale si assiste inoltre per la prima volta alla trasposizione della figura femminile (Emma nel caso specifico) in una sorta di salvifica Beatrice: Non era il tuo essere che doveva sospingermi ancora verso l’alto? Verso un’altezza apparsa al mio spirito, per la quale m’era parso di camminare fino ad allora fra gli sterpi d’una bassura? (...) Io studiavo allora Dante. Ed esso, forse, era la mia realtà. Io

amavo le sue parole. Io mi empivo di esse. Non volevo altro. Non volevo nessuna voce reale. Non volevo nessuno. In esso il mio spirito si esaltava. Ma quando ricordarmi di alcun contatto, il tuo solo, perché esso solo, era pronto con un invito”.

ascoltare ascoltare io volevo è stato il

Lo stesso modello presiede alla definizione del personaggio di Chiara nel poema in prosa Paolo*. Il sistema 2 Novale, p. 150 (lettera del 12 settembre 1907). 2 Per «Chiara novella Beatrice» cfr. M. MarcHI, I/ padre di Tozzi, in AA. VV,, Per Tozzi, a cura di C. Fini, Editori Riuniti, Roma 1985, p. 339. La donna angelicata, esemplata sulla Beatrice dantesca, è uno dei

modelli per i primi personaggi femminili tozziani. Il caso di Ghìsola presenta alcune particolarità, in quanto pur non possedendo dal punto

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DELLA

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dantesco appare tivisitato in un’ottica estetizzante da cui scaturiscono movimenti simbolici in stretta analogia con il gusto preraffaellita: una concordanza che non sorprende ricordando che un’edizione della Vita Nuova con illustrazioni di Dante Gabriele Rossetti è ancora conservata nella biblioteca di Castagneto”. Anche la componente musicale

di vista caratteriale gli attributi dell’entità salvifica (semmai l’opposto),

ella finisce tuttavia per rivestirsene nell’immaginario di Pietro, secondo quanto già Borgese notava nella sua lettura di Con gli occhi chiusi (cfr. G. A. BoRrcEse, Tempo di edificare, Treves, Milano 1923, p. 28). Un

legame tra il personaggio di Ghìsola e la Divina Commedia ha rintracciato anche Franco Ferrucci, richiamandosi alla Ghisolabella di Inferro,

XVIII, la bolognese che fece «la voglia del Marchese» d’Este e con la quale la contadina di Poggio a’ Meli rivela qualche consonanza per la sua sensualità ambigua e provocatoria (ma la dannazione di Pietro è del tutto novecentesca rispetto alla condanna eterna di Venedico Caccianemico). Sempre secondo Ferrucci, l’ispirazione dantesca agisce anche nella scelta dei nomi degli assalariati e dei personaggi de // podere, dove Bubbolo,

Chiocciolino,

Picciolo, Ciambella

e Moschino

emergono

come «presenze malebolgiche in un universo rurale e toscano» (F. FerrUCCI, Tozzi e la poetica degli occhi chiusi, in «Studi novecenteschi», a. IX, n. 24, dicembre 1982, p. 214). 25 Da uno spunto di D. G. Rossetti, non senza la mediazione della Chimera dannunziana (cfr. Le due Beatrici), sembrano ispirati anche

questi versi della lirica Ad una signorina nella Zampogna verde, in Le poesie, p. 37: «E se le mie parole fosser conte, / io loderei le Vostre belle dita, / che a dare alcuna grazia sono pronte / come una Vergin preraffaellita». Le varie edizioni delle opere di Dante possedute da Tozzi sono indicate nel più volte citato elenco-inventario del catalogo Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., pp. 42-3: «Dante. Vita Nuova e

Convito (Sonzogno)»; «Dante. Commedia (Passerini) 3 voll.; Dante. Vita Nuova (Milano)»; «Dante. Vita Nuova con le illustr. del Rossetti; Dante. Commedia (Camerini); Darte. Commedia (Milano)»; «Dante.

Commedia (Cesari) 3 voll.», più le Postille a Dante del Tasso. Abbiamo inoltre notizia dal Cesarini di letture precoci della Divina Commedia presso la Biblioteca Comunale verso il 1898, con successivi ritorni negli anni 1900-1903

e 1904-1905. In particolare, in quest’ultimo biennio

Tozzi passò in rassegna una serie di commentatori danteschi, antichi e

ANIMA E SCRITTURA

24

(suprema espressione artistica secondo i canoni poetici del simbolismo), a prescindere da quella che fu l’effettiva consistenza della cultura di Tozzi in materia, rientra più volte tra gli espedienti usati per creare nuove metafore narrative. Ancor più la musicalità domina nella versificazione, e dalle ripetute associazioni alogiche tra poesia dantesca e sensazioni sonore, presenti nelle confessioni epistolari tozziane, appare evidente che proprio la sensibilità uditiva doveva essere tenuta in esercizio e sollecitata dalla lettura del trecentista. Il 16 marzo 1907, dopo aver scritto ad Emma di essersi «dato tutto a Dante», Tozzi prosegue: Compongo molta musica originalissima. Ma, ohimè, tutto nasce e muore nella mia mente. Mentre ch’io scrivevo il principio di questa pagina (ed è ciò che m'ha fatto ricordare di parlartene) ho pensato un zo0tiv0 bellissimo. Qualcosa di simile a un pianto. Oh, com’ora ritorna! E bello molto. (...) Ho letto due terzine di Dante, che ho dinanzi, ed ho provato scoraggiamento. Sento da vero qualcosa e lo capisco, o è un'illusione? M’è venuto a mente: Pianger di doglia, e sospirar d’angoscia... Sono per piangere. E ancora, a distanza di anni, nella lettera a Giuliotti del 3-1-1912:

moderni: Benvenuto da Imola, Boccaccio, Scartazzini, Petrarca, De Sanctis, Tommaseo, D’Ovidio, Ferrazzi, Fraticelli, Carducci, Del Lungo, Novati, Zambrini, Gorra (cfr. P. CESARINI, Tutti gli anni di Tozzi,

cit., p. 86). In un così ampio piano di studi non poteva mancare il Dante

in Siena dell’Aquarone (ivi, p. 87); ed è sempre Cesarini a dare notizia

della consultazione di «quell’assoluta curiosità che è il Quadriregio, sorta di viaggio iniziatico dell’uomo verso Dio che a imitazione pedisse-

qua di Dante, compose all’inizio del Quattrocento il vescovo folignate

Federigo Frezzi» (ivi, p. 58). 26 Novale, pp. 85-6.

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DELLA

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Vorrei ridere di me, ma non ho voglia: non mi riesce più a lavorare. Ma sono come in una stupefazione estatica, biascicando involontariamente tutte le parole di Dante che leggemmo

insieme. Talvolta, mi sposta da questo stato mentale, quasi fastidioso e insopportabile, come un motivo che è più lontano dei gloriosi endecasillabi. Ma non posso lavorare, non posso!??.

Le immagini di Dante davvero poetiche racchiudono un’energia musicale quintessenziata; le soluzioni ritmiche che ne derivano sono tanto grandiose da produrre un’eco significativa e durevole, secondo quanto Tozzi esprime nel brano che segue, tratto dalla recensione alla raccolta di

versi I viali d’oro di Francesco Chiesa: Il più grande poeta musicale è, senza dubbio, l’Alighieri; ogni suo canto mi lascia, confusamente o nettamente, una im-

pronta sinfonica. Quando ho dimenticato le parole e i versi, una indeterminabile superficie musicale resta nello spirito: sì che ogni rima è come se fosse stata la ripetizione e la variazione di una nota, i cui impeti persistono e si intensificano. Ma quante poesie contemporanee non sembrano d’argilla? Tutte le parole sono dure e grevi. Se anche alcuna imagine le abbella, essa sta lì come una cosa opaca e inutile?,

L’intuizione del fenomeno associativo rima-nota, con

tutto ciò che esso comporta sul piano in questo caso dissimulato

della teoria letteraria, ha ascendenze

di natura

psicologica. Se la musica è il linguaggio dell’intraducibile, in connessione diretta con l’inconscio, le modulazioni del

verso lirico sono altrettanti segnali che emergono da un fondo oscuro: la poesia (quella di Dante ix primis) si fa

2? Carteggio con Giuliotti, p. 47. 28 F, Tozzi, Francesco Chiesa, in «Il Nuovo Giornale», 27 gennaio 1911 (ora in A. Rossi, Dittico tozziano. Filologia, lingua, critica e poesta,

in «Poliorama», n. 3, dicembre 1984, pp. 75-6).

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ANIMA E SCRITTURA

dunque carico di inimmaginabili risvolti conoscitivi, guadagnandosi pieno diritto di cittadinanza nel quadro dei

riferimenti culturali di Tozzi. Può anche darsi che, alla

maniera di Andrea Sperelli, l’Erminio Toti poeta della novella tozziana cerchi nella Divina Commedia ispirazione per i suoi versi”; è certo però che le motivazioni di Adele lettrice del poema dantesco sono piuttosto di ordine spirituale, nell'accezione gnoseologica che questa categoria assume nella riflessione dello scrittore. Non trovando

in alcun libro cattolico una preghiera degna della soavità e della bellezza intuite nella Grazia divina, la religiosità di Adele si rivolge ai canti del Paradiso come ai soli in grado di esprimere la verità eterna’, omologando Dante alle scritture mistiche, in un processo che sembra riproporre quello di Tozzi stesso per il quale — si ricordi — la Comrzedia ebbe anche valenza iniziatica”!. Accanto al Dante teorico di un modello politicointellettuale, così come rivisitato nella «Torre», acquistano

pertanto credibilità le ipotesi di un secondo livello del dantismo tozziano, di carattere prettamente autobiografico, ed anche di un terzo livello in stretta attinenza con la 2° Cfr. Il poeta, in Le novelle, vol. II, p. 524. 3° Cfr. Adele, pp. 15-6. ?! «Al ritorno della religione contribuirono varie suggestioni. Met-

tiamo nel gruppo anche i lontani germi lasciati dalla fanciullezza, visto che tutto quanto è legato al ricordo della madre ebbe per Tozzi un gran peso. Ma le più prossime, dopo il risveglio segnato dall’innamoramento, arrivarono da Emma, da Giuliotti, dalle letture di Dante e dei mistici e dalla necessità di recuperare un qualcosa di trascendente cui ancorarsi» (P. Cesarini, Tutti gli anni di Tozzi, cit., p. 138). I luoghi di Novale in cui si fa riferimento esplicito a letture di Dante sono vari. La lettera del 16 maggio 1907 riporta: «Ho ancora indecisamente la dolcezza della lettura di ieri. Qualche cosa del Paradiso di Dante. L'hai letto?» (p. 99). Nella già citata del 12 settembre 1907 (p. 151), Tozzi specifica inoltre che la sua applicazione è ora rivolta ai canti in cui compare san Tommaso (Paradiso, X, XI, XII, XIII e XVI).

ASPETTI

DELLA

FORMAZIONE

LETTERARIA

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vocazione letteraria dello scrittore, che trova nell’opera dell’Alighieri un precedente etico oltre che artistico. Lo studio della Divina Commedia continua infatti anche in anni in cui l’esercizio versificatorio si è ormai arreso alla vena natrativa, ma non per questo cessa di promuovere la meditazione tozziana che sembra ora spostarsi dal dato tecnico-compositivo alla moralità della materia. Può succedere che un appunto rapido e sintetico riesca ad introdurre nel sistema di una scrittura assai più agevolmente di un’ampia trattazione: «I più grandi sentimenti di D[ante] — si trova annotato in un taccuino del 1914 -: Farinata,

Cavalcanti, Francesca, sono in principio. Cacciaguida è in vece un’esaltazione di sé stesso»? Distinte le inclinazioni narcisistiche dal lecito amor proprio, la sensibilità dello scrittore è attratta dalla celebrazione degli alti moti dell’anima e predilige proprio quei casi umani dove più a fondo è sceso lo scavo psicologico del poeta. La fatalità della passione ed il conformarsi della volontà alle sue leggi: Francesca è una chiave di lettura del tormento amoroso. Farinata e Cavalcante interpretano invece due nature opposte, l’una magnanima e fiera, l’altra sensibile e irrequieta. E come sempre l’individuazione preferenziale dei temi ha origine dalla coordinazione del gusto letterario

con l’esigenza di conoscere i segreti meccanismi dell’agire: Dante è stato in questo un maestro dalla cui lezione — Tozzi ne è convinto — chiunque voglia far arte non può prescindere. Letteratura e progetti editoriali Con le liriche della Zamzpogna verde e di Specchi d’acqua, 3? Cose e Persone, p. 364. Per la datazione del taccuino cfr. le

Notizie in appendice al volume, p. 524.

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ANIMA E SCRITTURA

con il poema La città della Vergine, il sospetto che l’approfondimento tozziano della poesia due-trecentesca assuma risvolti propedeutici alla versificazione diventa una certezza. Accanto al Dante delle petrose e della Vita Nuova,

si collocano le rime di Guittone, del Guinizzelli, di Cino e del Cavalcanti, affrontate con l’ausilio di manuali e storie

letterarie, dizionari di lingue romanze e persino una grammatica provenzale, insieme a studi sulla poetica dei siciliani”. Numerose inoltre le attestazioni di lettura del Petrarca, e in un’occasione anche del fiorentino Matteo Frescobaldi, anticipatore dei modi del canzoniere petrarchesco”. Alla centralità degli autori fin qui citati si oppone la dimensione periferica di quelli raccolti nell’Antologia d’an# Le indicazioni di lettura provengono ancora una volta dagli elenchi di Cesarini (Tutti gli anni di Tozzi, cit., p. 58: «Cino da Pistoia (lesse anche lo studio dedicatogli dal Carducci), con Guido Cavalcanti»; p. 86: «le lettere di Guittone d'Arezzo e, di nuovo, le Rirze di Cino») e dal catalogo della Mostra documentaria di Firenze («Ciro. Poesie (manoscritte); Antologia della Lirica antica; Ritmica e metrica

razionale italiana del Murari»). Preziosissima inoltre la nota di L. ANDERSON, Tozzi's Readings 1901-1918, in «Modern Languages Notes», vol. 105, n. 1, january 1990, pp. 119-37, sempre sulle letture di Tozzi presso la Biblioteca Comunale, ma questa volta, diversamente da Cesarini, ricostruite attraverso i registri di prestito anziché di consultazione. Quanto ai riferimenti testuali tozziani, si veda ad esempio la poesia Nor delle ninfe imagini sbiadite, in Le poesie, p. 113, significativamente

introdotta dal cavalcantiano «E fatta a modo di soavitade»; oppure certe cadenze delle liriche indirizzate alla «signorina» della Zamzpogna verde: «In vece io chiedo Voi, che siete viva; / chiedo le vostre mani musicali / e la bocca dolcissima e giuliva, // che fa pensare ai sogni provenzali / dell'amore devoto, che saliva / dall'anima nei grandi madrigali» (ivi, p. 38). 2 Cfr. P. CesarInI, Tutti gli anni di Tozzi, cit., p. 86, relativamente

alla lettura del Petrarca e di Matteo Frescobaldi agli Intronati. Nell’elenco-inventario figura inoltre un esemplare delle Rimze del Petrarca.

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

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tichi scrittori senesi, sebbene con l’eccezione di qualche testimonianza di autentico interesse artistico fra tanto materiale documentario: si trattava di rispolverare la tradizione municipale, anche in vista di alcune iniziative editoriali coeve alle quali Tozzi e Giuliotti intendevano partecipare. L’editore Giuntini Bentivoglio aveva infatti allo studio la realizzazione di una collana di classici senesi; ma

degli impegni assunti a livello di accordo verbale solo l’Antologia tozziana andrà in porto”, mentre non si farà più menzione delle annunciate edizioni degli Asserzpri dell’Agazzari e dei Conti morali di anonimo senese”. A> Nonostante il travagliato lavoro di reperimento e trascrizione dei testi, finalmente sul finire del 1912 Tozzi poteva comunicare a Giuliotti di avere pronta per le stampe la «maledetta Antologia». La definizione è contenuta nella cartolina postale dell’11-11-1912 (Carteggio con Giuliotti, p. 127); la notizia della conclusione del lavoro si trova

invece nella lettera del [23]-12-1912 (ivi, p. 168). 36 L’annuncio era stato dato da Giuliotti nell’articolo pubblicato in due parti sul «San Giorgio», a. I, nn. 1 e 2, 1 e 30 dicembre 1912. Giuntini Bentivoglio aveva inaugurato la collana dei classici con il primo volume delle Lettere di santa Caterina in preziosa veste editoriale, corredata da una xilografia in stile rinascimentale di Ferruccio Pasqui e da numerose riproduzioni di dipinti e stampe. La prefazione era stata affidata al marchese Piero Misciattelli, esperto della tradizione mistica senese, ed il testo si avvaleva delle note critiche del Tommaseo.

A questo primo volume secondo il piano dell’opera ne sarebbero seguiti altri quattro; e intanto, all’apparire delle Lettere, Giuliotti annunciava «in corso di stampa, oltre alla seconda edizione del fortunatis-

simo libro di Piero Misciattelli “I mistici senesi” e ad un “Fausto Sozzini” del Prof. Antonio Mazzei e al “Diario senese” di Girolamo Gigli a cura del Mazzei stesso; un’“Antologia di antichi scritti senesi”, dall’origini fino a Santa Caterina, nonché “Gli Assempri di Fra Filippo da Siena e i Conti morali di Anonimo senese”, l’una e gli altri affidati a Federigo Tozzi che, per me, sicuramente è, che, per il pubblico sarà (non appena si riveli con una grande cosa che io conosco) un fortissimo ed originalissimo poeta. E, come ciò non bastasse, sono in preparazione Cronache, Laudi, Prose e Rime senesi, tra le quali i “sonetti di Cecco

Angiolieri e di Folgore da S. Geminiano” e cioè a dire di due singolaris-

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ANIMA E SCRITTURA

nalogamente, anche il progetto di Giuliotti riguardo a Folgore da San Gimignano non avrà seguito, e per i tipi della casa editrice usciranno soltanto le Rirze di Cecco Angiolieri”. A complicare il già movimentato quadro delle collaborazioni editoriali, intervengono frattanto due ulteriori progetti dell'editore Angelo Fortunato Formiggini: il primo relativo ad una nuova collana di lirici del Duecento e del Trecento, non necessariamente senesi; il secondo da identi-

ficare con i più fortunati «Classici del Ridere». Gli scambi epistolari intercorsi con Formiggini e Giuliotti sul finire del 1912 testimoniano la proposta da parte di Tozzi di curare una che ecc. che)

raccolta di umoristi noti e anonimi del 200 e 300. Oltre all’Angiolieri, a Folgore, a Cene, al Tedaldi, al Faitinelli (per i quali mi varrei, razionalmente, di edizioni diplomati-

metterei alla luce anche quel che si trova nei nostri mi-

gliori canzonieri; come Cod. Vat. 3793, Cod. Vat. 3214; Cod. Casanatense; Cod. barberino 3953; Chigiano 418; Laurenziano-

Rediano ecc. - Con note; e quando sia possibile, con postille biografiche.

simi tipi rappresentativi della prima metà del secolo XIV, confinati, sino ad oggi, nei codici e nelle edizioni diplomatiche delle biblioteche e appena rammentati nelle storie letterarie e perciò al pubblico...». Sempre all’epoca dell’Antologia, Tozzi aveva proposto a Papini, per la collezione «Scrittori nostri», un volumetto di laudi inedite di Anonimo del Trecento ed un poemetto di Pietro di Viviano da Strove che Rossi identifica con La bella Camilla, ambedue mai usciti (cfr. Dittico tozziano..., cit., p. 61 e Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., scheda n.

109, p.82).

” Carteggio con Giuliotti, lettera del 12-10-1912, p. 120 e la giuliottiana datata novembre 1912, con la relativa nota 2 (ivi, p. 133). ? La lettera è riportata nel saggio di R. CREMANTE, Federigo Tozzi e

Angelo Fortunato Formiggini, in AA.VV., Studi di filologia e critica offerti dagli allievi a Lanfranco Caretti, Salerno, Roma 1985, vol. II, p. 688.

ASPETTI

DELLA

FORMAZIONE

LETTERARIA

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Anche quest’iniziativa tozziana era comunque destinata a non avere seguito, per motivi che l’editore così riassume: I lirici 2/300 non potrei prender impegni ché il Casini per primo si raccomandò che lasciassi a lui questo tema [appunto la raccolta di sonetti giocosi da tutti i codici]?.

Si dovrà attendere il 1915 per vedere edita una raccolta di testi umoristici per la cura di Tozzi. L’antologia delle Mascherate e strambotti della Congrega dei Rozzi di Siena è anch’essa inizialmente pensata per la serie dei classici del Formiggini, e per questo lavoro era stato tra l’altro richiesto un compenso superiore alla normale retribuzione, date le difficoltà di reperimento dei testi. In se-

guito tuttavia all’allentarsi dei rapporti di collaborazione con questo editore, il volume verrà offerto qualche tempo dopo a Giuntini Bentivoglio. Gli illustri precedenti dei dilettanti della Congrega dei Rozzi sono da riconoscere nei poeti giocosi dell’epoca di Dante, verso i quali è noto l'apprezzamento di Tozzi‘. Ne fornisce diffusa testimonianza la Prefazione all’Antologia d’antichi scrittori senesi che si occupa, tra gli altri, proprio

?? Carteggio con Giuliotti, p. 148, nota 1. Tozzi peraltro non si dimostrò molto convinto delle asserzioni del Formiggini, scrivendo a Giuliotti in data 5-12-1912: «... quella raccolta di sonetti giocosi da tutti i codici la fa fare a Tomm. Casini perché, dice lui, il Casini gliela

aveva chiesta prima di me e gli si raccomanda. Ci credi che il Casini avesse proprio pensato così?» (ivi, p. 152). Quanto all’identità del citato Casini, Glauco Tozzi lo identifica con il dantista Tommaso (ibid.,

nota 3); comunque non c’è traccia di un volume di poeti giocosi da lui curato neppure nei «Classici del Ridere», e dunque anche questa progettata edizione dovette essere annullata. 40 Cfr. Critica costruttiva, in F. Tozzi, Opere, cit., pp. 1294-95, e Dugentisti, in Realtà di ieri e di oggi, pp. 136 e 140.

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ANIMA E SCRITTURA

di quegli artisti che «riuniscono le migliori energie lettera-

rie sul principio», interpreti di una maniera vivace e con-

creta in cui trovano libera espressione gli umori popolari alla radice di un’intera tradizione. Non è certo per ragioni promozionali che Tozzi rende omaggio a Bindo Bonichi, Cecco Angiolieri e Folgore da San Gimignano; con ottima scelta di misura critica evita anzi qualsiasi profusione in riconoscimenti esagerati, concentrandosi piuttosto su quegli aspetti che potevano meglio rappresentare una lezione di stile anche per i moderni. Del resto l’ottica attualizzante

non gli impedisce di evidenziare i limiti comunicativi ad esempio del Bonichi, sebbene sia consapevole del fatto che il valore di quella poesia vada cercato altrove, nella sostanziale originalità delle immagini, capaci di restituire il pensiero astratto secondo la lezione dei più grandi scrittori medievali. Dell’Angiolieri viene sottolineata la sapienza nelle cadenze liriche, a parziale rettifica di un’iconografia di tradi-

zione che lo vuole unicamente archetipo di un mauditismo pronto a sconfinare nella degenerazione degli istinti e nel vituperium. In lui Tozzi riconosce il poeta della «carnalità resa trasparente e spasmodica e dolce», estraneo alla «spiritualità divenuta filosofica» degli stilnovisti, ma pur sempre capace di versi leggiadri e delicati sotto la cui apparente giocondità si nasconde un fitto strato di dolore e scetticismo. «Onde mi credo che il sognar sia vano; / recita una quartina del sonetto tozziano dedicato a Cecco — e quello che la vita mai non ebbe, / dentro le palme schiuse della mano / inutilmente poi si aspetterebbe»*. Forse per questo fondo comune di pessimismo e disillusione, ma anche di autentica e schietta umanità,

a Cecco deve essere dispiaciuto di non aver più scambiato so'! La zampogna verde - A Cecco Angiolieri, in Le poesie, p. 75.

ASPETTI

DELLA

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netti con Dante Alighieri; il quale, al contrario di quelli che rimasero dentro il dolce stil novo, s'imbevve anche di popolanità; ed il suo genio se ne servì per la poesia dell’Inferno*.

Sofferenza e color popolare sono note comuni anche alle canzoni di un minore come il Saviozzo, in quella parte più elevata della sua produzione poetica che con l’etichetta di «disperate» accolse Le infastidite labbra, di precoce lettura tozziana (nonostante sia poi un componimento alla Vergine a confluire nell’Antologia d’antichi scrittori senesi, alla voce Simone di Ser Dino”).

«Ma quegli che supera il Bonichi e l’Angiolieri — continua Tozzi ancora nella Prefazione — e per me, sovente,

anche quelli del dolce stile è Folgore da San Gemignano». Bandite le filosofie, le astrazioni, le idealità sentimentali,

Folgore fa uso della facoltà artistico-descrittiva con un realismo che Tozzi rivendica alla tradizione toscana, e che

in un certo senso istituzionalizza molte pagine del novecentista e molti suoi versi, tutti quelli almeno in cui agiscono gli stessi «elementi lirici indigeni» che alimentano le folgoriane corone di sonetti dei mesi e dei giorni. Autoctono per eccellenza, il poema La città della Vergine denuncia i forti debiti del suo autore verso il patrimonio lessicale e rappresentativo dei precursori medievali *: il simbolismo

4 F. Tozzi, Prefazione a Antologia d’antichi scrittori senesi, Giuntini Bentivoglio, Siena 1913, pp. vIn-Ix. 4 Cfr. P. Cesarini, Tutti gli anni di Tozzi, cit., p. 86 e F. Tozzi, Antologia d’antichi scrittori senesi, cit., pp. 340-42. 44 Nell’ampio e puntuale intervento Dittico tozziano..., cit., Rossi

analizza la componente medievale nella scrittura di Tozzi. Da un manoscritto recuperato nell’Archivio Formiggini risulta questo sommario autoritratto dell’autore della Città della Vergine: «Il giovanissimo Tozzi, dalla sua Maremma trapiantato dentro Siena, ha ricevuto in sé la deli-

cata bellezza epica che è speciale a questa città del medio evo; e nei suoi versi, fusi nell’innato ardore maremmano, si modellano le immagini di

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ANIMA E SCRITTURA

latita nelle quartine tozziane, per lasciare spazio ad una descrittività che si compiace dei referenti antichi, siano essi poeti come Folgore o cronisti come l'anonimo storico della battaglia di Montaperti, il Compagni o il Villani*. una poesia originale che è talvolta rudissima, e talvolta assomiglia al sorriso di Matteo di Giovanni o alla fragilità del Sassetta. Così dalla sua sensualità è sbocciato il purissimo fiore di un misticismo bello di sincerità e di forza. Ne’ suoi canti epici, si alternano visioni crudeli e impeti di umiltà, e talvolta vi si indovinano la nostalgia dei silenzi maremmani,

tra gli scopeti e il mare, tra le rocche mozzate e le montagne del galestro. Il Tozzi dunque viene innanzi con una manifestazione epica, dentro la quale i versi amorosi e di esaltamento spirituale sono come le venature del marmo. Egli ha come rinnovellata la materia adoperata, mettendola a contatto della nostra anima esasperatamente moderna» (p. 69). Il materiale di tradizione si rinnova al contatto con la sensibilità moderna: la via è quella dello stile, in merito al quale Luigi Baldacci chiama in causa la nozione di «primitivismo», correttamente inteso come categoria estetica ed espressiva piuttosto che nel significato antropologico-culturale proposto da Debenedetti (cfr. L. BALDACCI, Tozzi e la lezione di Giacomo Debenedetti, in «Nuovi Argomenti», n. 23, lugliosettembre 1987, p. 62).

° Nell’Antologia d’antichi scrittori senesi sono raccolti vari brani tratti da cronache di anonimi. Quella della Battaglia di Montaperti era stata consultata da Tozzi già in anni giovanili alla Biblioteca Comunale (cfr. P. CesaRINI, Tutti gli anni di Tozzi, cit., p. 37). Di proprietà dello

scrittore risultano inoltre la Cronica del Compagni e quella del Villani in 7 volumi, oltre ad un’edizione de L'intelligenza, attribuita al Compa-

gni nel taccuino tozziano (cfr. Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., pp. 42-3). «Recenti indagini nelle biblioteche senesi — notava Luti in occasione del Convegno Tozzi in America del 1985 - hanno messo in luce la puntuale utilizzazione da parte di Tozzi di un vasto materiale documentario,

soprattutto negli anni della Città della Vergine; dalle

Cronache senesi dei muratoriani Rerum italicarum scriptores annotate diligentemente e largamente sfruttate, al testo anonimo La battaglia di Montaperti pubblicato sul “Propugnatore”, dalla Cronica di autore anonimo, letta da Tozzi nel codice Barci della Biblioteca Comunale degli Intronati, al Diario senese di Girolamo Gigli» (G. LutI, Tradizione e invenzione nell'opera di Tozzi, in AA.VV., Tozzi in America, a cura di L. Fontanella, Bulzoni, Roma 1986, p. 20).

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

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Procedendo su questa linea, qualche anno più tardi Tozzi giungerà a compendiare storiografia e lirica in un saggio dedicato alle prime poesie italiane di guerra, dove i serventesi politici sono riscoperti accanto alle laudi mistiche e alle ballate d’amore, a integrazione di un quadro culturale che registra una parimenti intensa fioritura di rime tanto sotto la protezione del potere legalizzato quanto nell’anarchia delle contese civili e intercomunali. Il discrimine fondamentale è segnato dal decennio 1260-1270, con l’aspra lotta tra Siena e Firenze che vede schierati attorno alle due fazioni dei guelfi e dei ghibellini i «cantori di guerra»: Guittone fu guelfo, e così Monte Andrea e Chiaro Davanzati, sebbene il primo fosse infatuato della ragione politica e il secondo, piuttosto, la subisse. Il partito imperiale si andava però riorganizzando con il suo seguito di sostenitori: ...Lambertuccio Frescobaldi è ghibellino, con Orlanduccio e con Schiatta di Albizzo. Mentre dalla parte guelfa di Monte Andrea, è Palamidesse e altri poeti anonimi che si picchiavano a sonetti quando non c’era da adoprare la spada o lo stiletto*°.

La poesia popolare scaturita dal frangente bellico dimostra una profondità etica superiore a molta della produzione lirica di quel Duecento che, con l’eccezione dei soliti senesi, si immerse nella ricerca stilistica avviata da Guit-

tone e metodicamente perpetrata dai suoi seguaci. Occupandosi di Tozzi critico, Sebastiano Martelli notava tuttavia come lontana dal criterio storiografico romantico, principale fautore di un’iconografia medievalistica di ingenuo populismo, la sensibilità tozziana avesse comunque còlto nelle esercitazioni ritmico-estetiche dei guittoniani uno 4 Le prime poesie italiane di guerra, in Realtà di ieri e di oggi, Pack da

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ANIMA E SCRITTURA

snodo decisivo nel passaggio dalla lirica provenzaleggiante

a quella prettamente toscana, riconoscendo loro, se non

doti di schietta moralità, quantomeno le caratteristiche di una vera e propria «prima scuola letteraria»‘”. In linea con la riflessione sul Medioevo procede anche l’assorbimento da parte di Tozzi dei dati linguistici e stilistici propri di quella tradizione. Il processo segue modalità che Ciccuto ha definito «archeologiche» nel senso benjaminiano del termine, in base al quale «lo studio dei singoli frammenti del passato, al di là dell’idea di continuità della storia, “guidato com'è dall’oggetto e non da un contesto a priori sistematizzato in un’idea di totalità, diventa sempre

un reagente di estraniazione rispetto al presente”»*. Di questo vive anche lo sguardo di Tozzi sul passato, attento agli effetti ma in una prospettiva tutta novecentesca, confermata dall’analisi testuale che non di rado rivela esecuzioni originali di alcuni stilemi tipici della prosa delle origini‘. Del resto si è già insistito sulla predilezione dello 47 S. MARTELLI, Tozzi critico, in AA.VV., Tozzi in America, cit.,

p. 180.

48 Cfr. M. Ciccuto, Federigo Tozzi lettore dei classici medievali, in AA.VV., Per Tozzi, cit., p. 181. 4° Ivi, pp. 190-94. Ciccuto rintraccia nella prosa tozziana una serie

di fenomeni fonetici e stilistici mediati dalla tradizione medievale. Ad esempio gli adattamenti con epitesi toscana dei forestierismi; certi co-

strutti insoliti come quelli prolettici o le forme dei verba tizendi; l’uso non concordato nel numero del soggetto con il suo verbo, la ripresa di voci lessicali arcaiche o tipicamente senesi ed altro. La conclusione di Ciccuto si riassume nel riconoscimento in Tozzi di una propensione «non verso una scrittura chiaroscurale di stampo gotico (...), ma piuttosto verso il piacere del frammentario e del paratattico, per cui ad apparire perfettamente intelligibili sono il momento, non la durata, i fantasmi del discorso ad alta condensazione dove possono dominare

l’asindeto e l’anacoluto, “figures de l’interruption et du court-circuit”, e dove l'intensa cura formale (...) mostra che una parte notevole dell’estetica tozziana si fonda così su un’artigianale diacronia quale difesa con-

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

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scrittore per i primi testi prosastici in volgare, così come

nel saggio critico Dugentisti risulta a chiare lettere dalla loro superiore valutazione rispetto ai coevi esperimenti lirici’. Tale apprezzamento si estende anche alla produzione letteraria del secolo successivo, scorsa nelle più elevate risultanze poetiche a fianco di sondaggi in campo narrativo tutt'altro che inconsistenti (stando di nuovo alle testimonianze della biblioteca di Castagneto ed ai progetti dello scrittore’). Una vera e propria questione di politica editoriale favorì il ripensamento tozziano del Sacchetti e del Sermini novellieri, in conseguenza di un «accomodamento» trovato con Formiggini per la pubblicazione della Città della Vergine, nel quale si prevedeva una «gentile» collaborazione a due volumi dei «Classici del Ridere» in cambio della riduzione da 500 a 200 lire dei contributi per le spese di stampa del poema. L’accordo era il risultato di una lunga contrattazione epistolare che, tra realtà e invenzione, Tozzi così commenta: E se il mercanteggiare su ciò che ho avuto di più puro mi nausea, non vuol dire che io non scriva più; anzi le assicuro che

questa lotta aspra è per me il primo movimento che trae fuori la mia anima (...). Tra la sua risposta e il freddo che io ho perché non ho da scaldarmi, io taglio più a fondo la mia anima. E se nel viso sento come un scoppio di pianto, dentro dovento più

tro la Storia, come sull’articolazione del tono e non su una qualsiasi idea di sviluppo». 50 Dugentisti, in Realtà di ieri e di oggi, in particolare alle pp. 136-37.

31 Diamo indicazione dei volumi di prosatori medievali posseduti da Tozzi, così come risultano dall’elenco-inventario più volte citato: «Boccaccio. Monumenti; Boccaccio. Decamerone (4 voll.) Silvestri; Sacchetti. Novelle (2 voll.); Novellino (2 voll.); Latini. Storia del mondo; Latini. Libro delle Bestie; Boccaccio. Ninfale; Boccaccio. Commento (3 voll.)».

ANIMA E SCRITTURA

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grande e meno volgare. Scusi, sa; mi pareva di scrivere una novella”?.

La postilla finale è rivelatrice: ancora una volta è di scena la battaglia privata dell’individuo contro le incomprensioni degli altri e gli ostacoli frapposti dal sistema. Il curatore editoriale si è lasciato prendere la mano dallo scrittore ed è alfine costretto a rivelare le sue vere intenzioni, come

al solito di ordine narrativo. E necessario comunque mantenere un livello di professionalità e del resto, pur avendo

manifestato i propri dubbi circa la fortuna di un’operazione volta al rilancio degli antichi scrittori umoristici («L’idea sua mi pare letterariamente magnifica; quantunque io non creda che l’Italia intellettuale d’oggi sia psicologicamente disposta a leggere una raccolta simile: voglio dire non per il genere scelto da lei, ma perché mi sembra che i nostri classici siano letti e gustati soltanto dai pochi competenti; e gli altri non li trovino più confacenti al proprio gusto»”), Tozzi aveva già optato per la collaborazione ai «Classici del Ridere». Tra le proposte rivolte all’editore figurano una serie di novellieri senesi scarsamente divulgati che spaziano dal Trecento al Cinquecento: nell’ordine sono elencati Gentile Sermini,

Pietro

Fortini,

Bernardo

Ilicini,

Giustiniano

Nelli, Scipione Bargagli, Alessandro Bandiera, Girolamo Sozzini, e la rosa dei candidati si allarga a quanti altri

compaiono nei Novellieri italiani in verso di Giambattista Passano”. La scelta, com’è noto, cadrà sul Sacchetti e sul

?è Carteggio con Giuliotti, p. 147, nota 1. ” Lettera di Tozzi a Formiggini, pubblicata da Rossi nell’appendice documentaria al saggio Dittico tozziano..., cit., pp. 72-6 (parzialfa in R. CREMANTE, Federigo Tozzi e Angelo Fortunato Formig-

gini, cit.). CD.

ASPETTI

DELLA

FORMAZIONE

LETTERARIA

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Sermini, ma in un primo tempo avrebbe dovuto contemplare anche Pietro Fortini”, se non fossero intervenute alcune difficoltà nel reperimento dell’edizione delle sue novelle nella «Biblioteca Grassoccia» (Firenze 1886), in

seguito alle quali Tozzi si indirizzò verso ulteriori proposte di ristampa che ebbero per oggetto le opere burlesche del Berni, del Della Casa, del Varchi, del Mauro, del Bini, del Molza, del Dolce, del Firenzuola, del Martelli, dell’Aretino ed altri, secondo l’edizione di Londra 1724. Ed an-

cora le «rime diverse in gran parte burlesche e satiriche, fra le quali molte del Saccenti», tratte da una raccolta manoscritta contenente

anche aneddoti storici; le rime,

poco interessanti in verità, di Gambino d'Arezzo, poeta del XIV secolo; le facezie del Piovano Arlotto; la traduzione del Liber facetiarum del Poggio; il Novellino di Masuccio Salernitano; le opere di Pietro Aretino e del Pulci, tra cui la Catrina; le stanze e le rime rusticali del Doni e del Simeoni, del Bracciolini, del Baldovini e del Clasio, ed

infine la Nencia da Barberino e la Beca da Dicomano*. La risposta dell’editore non si fece attendere: Per il Pulci e per l’Aretino che sono i nomi più cospicui di quelli da lei propostimi sono a posto già. Se i nostri amori non si fisseranno altrimenti potremo tenere per lei e il Pievano Arlotto e il Poggio i quali dovranno

5 A proposito del Fortini, si veda la cartolina di Formiggini a Tozzi, datata Genova 7-12-1912, in cui l’editore così specifica i propri intenti: «Lei ha preso un granchio. Non pensavo affatto ad edizioni critiche. Per compensare le quali ci vorrebbero compensi mai inferiori a L. 500 e spesso superiori a L. 1000. Si tratta di trovare buone edizioni e di riprodurle ben corrette e ben punteggiate e ben xilografate, e non eruditamente prefazionate con genialità». E poi suggerisce: «Ma prenda il Fortini, perbacco. Ne attendo il testo domani... E gli altri due?» (Carteggio con Giuliotti, p. 155, nota 1). 56 Cfr. A. Rossi, Dittico tozziano..., cit., p. 74.

ANIMA E SCRITTURA

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certo figurare nella collezione. O tenere per lei il Sermini che è senese e che perciò deve esserle particolarmente caro e di sua particolare competenza”.

Tozzi raccolse il suggerimento, comunicando tempestivamente la decisione a Giuliotti: Hai combinato nessun classico con il Formiggini? O che cosa aspetti, che sia sempre più difficile trovargliene uno che non sia stato scelto anche da altri? Io gli ho già scelto le novelle del Sacchetti, ed ora mi butto su quelle del Sermini. Egli dà, come sai, 150 lire per classico”.

Le attenzioni del curatore si fissano dunque sui due novellieri, per le edizioni dei quali Tozzi inizia con lo scrivere entrambi i saggi introduttivi alle raccolte. In particolare quello sul Sermini, di cui si erano perse le tracce, recentemente ha visto la luce grazie ad una riproposta di Glauco Tozzi”; mentre la prefazione al Sacchetti era già stata a suo tempo inserita in Realtà di ieri e di oggi. Analogamente all’intervento su san Bernardino, nel saggio sul Sacchetti l’accento è posto sul rapporto stilemorale, dominante tanto nella scrittura del novelliere che nelle parole del predicatore. Da qui il proposito di rivalutare l’uso sacchettiano della clausola etica a chiusura del racconto che, seppure inutile sul piano estetico, ha tuttavia la funzione di rendere esplicito il messaggio dell’uomo seriamente determinato a gridare «quel che gli altri si

?” Lettera al Formiggini del 12-12-1912, in Carteggio con Giuliotti, pp. 155-56, nota 1.

® Ivi, p. 161.

°° G. Tozzi (a cura di), Gentile Sermini: una prefazione inedita di Federigo Tozzi, in «Nuova Antologia», a. CXXV, fasc. 1274, aprilegiugno 1990, pp. 348-54.

ASPETTI

DELLA

FORMAZIONE

LETTERARIA

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contentavano silenziosamente di pensare su certe corruzioni per le quali il misticismo ingenuo si piegò; dileguando il tempò, nel quale si era maturato il genio dell’Alighieri»°. Forte di letture sistematiche del Novellino e soprattutto del Decazzeron, Tozzi può evidenziare con sicurezza i caratteri specifici delle raccolte in esame. Si astiene peraltro dall’istituire qualsiasi paragone fra il Trecento novelle e la coeva produzione fiorentina, insostenibile non tanto per limiti estetici, quanto piuttosto per le ascendenze arcaiche che si rintracciano negli aneddoti, quasi barzellette, del Sacchetti, assai diversi per esempio dal modello

boccaccesco. Nelle sue novelle il Sacchetti utilizza la personale esperienza del mondo come se si trattasse di un affilato strumento pet mettere a nudo l’uomo nei suoi risvolti più segreti, per «fare la psicologia di tanta gente, come per mezzo di un taglio a traverso: psicologia non alterata o elaborata virtuosamente»®. In questa operazione lo scrittore è in primo luogo guidato dal retaggio di una cultura davvero popolare, vissuta e respirata a dispetto delle nobili origini nei viaggi e nei soggiorni in giro per l’Italia. La vitalità dell’«ultimo trecentista» consiste dunque nell’aver saputo letterarizzare dei tipi umani vividi ed autentici; un risultato mancato invece dalla novellistica del

Sermini, interamente giocata su figure tratteggiate in maniera pressoché uniforme, per il costante dominio dell’aspetto lubrico che finisce per contrariare il lettore fino alla nausea delle situazioni scabrose®. La veridicità del personaggio narrativo è preoccupazione costante di Tozzi, soprattutto quando lui stesso si trovi a rivestire i panni di narratore. Veridicità e non veroo Franco Sacchetti, in Realtà di ieri e di oggi, pp. 160-61.

61 Ivi, p. 147.

a

la;

6 Cfr. G. Tozzi (a cura di), Gentile Sermini: una prefazione inedita di Federigo Tozzi, cit., pp. 351 e ss.

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ANIMA E SCRITTURA

simiglianza, ché anzi egli rifiuta il demiurgico ordinamento dei fatti secondo una pseudo-realtà, per lasciar irrompere nello spazio della scrittura le istanze alogiche della vita profonda. La dimensione visionaria propria di molti protagonisti di novelle tozziane non contraddice peraltro l'impianto saldamente realistico del racconto, poco propenso agli aggetti metafisici e giocato piuttosto sul terreno del contingente esterno e interno all’uomo. In questo la lezione degli scrittori medievali si rivela attivamente

presente, sostenendo

Tozzi nella costruzione fat-

tuale delle sue storie ed ancor più nella loro coloritura stilistico-lessicale. Convincono, a tale proposito, i risultati dell'analisi condotta da Tellini sui lasciti dei trecentisti nella novellistica tozziana, particolarmente evidenti nell’incidenza dei procedimenti di personificazione di valori astratti, oltre che di solidificazione dei passaggi logici at-

5 A questo proposito ricordiamo la celeberrima dichiarazione rilasciata dallo stesso Tozzi all’«Italia che scrive», agosto-ottobre 1919, per la rubrica Confidenze degli autori: «A qualcuno il mio primo romanzo Con gli occhi chiusi non è parso un romanzo; perché io invece di fare molto agevolmente l’istrione, menando i miei personaggi per quelle fila che sono reputate indispensabili a un buon romanziere, voglio lasciare inalterati, così come sono e si presentano in una qualunque porzione di realtà guardata, tutti gli elementi della vita. E il mio romanzo Cor gli occhi chiusi ne è il primo caso inventato da me in Italia; senza avere avuto bisogno di imparare niente dagli stranieri» (ora in Cose e Persone, pp. 332-33). Relativamente all’intreccio del racconto tozziano, Luigi Reina scrive che esso «è solitamente suggerito a Tozzi dall’empirico approfondimento delle componenti contraddittorie della vita che dialettizzano il reale ora dialogicamente disponendosi entro i microcosmi rappresentati, ora sussumendo un infratesto psicologico o socioambientale il quale pertiene geneticamente o al mondo dello scrittore o al gruppo. In ogni caso l'ascendente precipuo sembra essere di natura realistica o etica» (L. REINA, Tozzi tra novella e racconto, in AA.VV., Tozzi in America, Cit; PED:

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

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traverso una dialettica ora oppositiva, ora giustappositiva, sempre votata a conferire fisicità alla scrittura. Un desiderio del tutto emozionale può dunque diventare cifra di una poetica: si vorrebbero «toccare le parole», come il figlio bambino a cui sono dedicate le prose riunite sotto il titolo Le cicale, quasi un pendant del più noto bestiario Treves 1917, In quegli stessi anni senesi (la data di pubblicazione della plaguette su «La fonte» di Catania, 12 giugno 1917, non tragga in inganno: secondo Glauco Tozzi la stesura risalirebbe alla fine del sessennio di Castagneto), Tozzi metteva mano alle narrazioni brevi di Bestie con l’intenzione di sperimentare nuove forme compositive, forse i generi letterari del futuro. Le dichiarazioni rese all’«Italia che scrive» all’indomani della pubblicazione del volume non lasciano dubbi circa la piena consapevolezza dello scrittore di aver innovato l’esperienza letteraria attraverso un giusto equilibrio di lirismo e realismo: Per mezzo di Bestie io ho inteso di dare un libro sinteticamente lirico, con uno stile capace di definire il valore schietto d’ogni vocabolo adoprato, anche per allontanarmi da quella deplorevole sciatteria e incompetenza che non fa onore almeno ai nove decimi degli scrittori odierni. E ho cambiato la solita mentalità, con la quale ora sono concepite parecchie cose della nostra letteratura”.

La polemica è diretta contro i novellieri dalla facile abilità acquisita con il mestiere ma non sostenuta da alcuna 6 Cfr. G. TELLINI, La tela di fumo. Saggio su Tozzi novelliere, Nistri-Lischi, Pisa 1972, pp. 82-6. 6 «Mentre io telefono, tu stringi il filo perché vorresti toccare le parole. Anch'io vorrei, qualche volta, toccare le parole che ascolto» (Le cicale, in Cose e Persone, p. 321). 7 F, Tozzi, Rec. a Bestie, in «L'Italia che scrive», aprile 1918 (ora in Cose e Persone, pp. 331-32).

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ANIMA E SCRITTURA

vera originalità artistica, per cui i loro personaggi finiscono per essere «soltanto apparenze sommarie senza nessuna consistenza. Invece perché la novella resista, ed abbia la sua ragione di esistere, si deve molto badare di non contentarsi dei soliti schemi troppo scialbi e insignificanti». La proposta tozziana tiene conto delle esigenze affabulatrici del genere e promuove la trama quale mezzo per arginare i potenziali sconfinamenti emotivi a cui l'abbandono alla vena intima - all’epoca sempre più frequente tra i giovani scrittori - poteva dar luogo. Per resistere al tempo, per lasciare una traccia nella storia della letteratura, la novella

deve comunque rappresentare qualcosa di più di un semplice episodio o di uno sfogo dei sentimenti: l’idea è quella di veri e propri «studi» delle figure, fatti con «profondità di osservazioni» pet produrre «documenti psicologici della realtà umana e sociale». Le parole, come cose, inte-

ressano dunque non tanto nella loro molteplicità di senso, quanto in quello ultimo e profondo che si rivela con immediatezza nei termini dotati di maggiore spessore fisico. Da qui muove la tendenza al lessico regionale, corrotto in misura minore dall’uso, e di cui Tozzi aveva potuto trovare un vasto campionario nella produzione poetica della Congrega dei Rozzi di Siena. Secondo quanto scrive Rossi, la curiosità per i testi popolareggianti e caricaturali degli artigiani non letterati che diedero vita. all'associazione senese derivò allo scrittore dalla combinazione di due fattori convergenti, il primo certo, l’altro supposto: la lettura dei volumi dell’erudito Curzio Mazzi (1882) sulla poesia rusticana e villanesca dei Rozzi, frutto dello spoglio delle opere presenti nelle biblioteche di Siena e Firenze e centrate sull’attività delle accademie; e forse la consultazione del catalogo dell’Ilari sul fondo manoscritti degli Intronati, che nel vo® Ibid.

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lume dedicato alle «belle lettere» ha una sezione riservata a questo tipo di poesia. Nonostante le difficoltà di comprensione che obbligavano il curatore ad una trascrizione dei componimenti «vocabolario alla mano», la genuinità beffarda delle mascherate e degli strambotti meritava di essere riproposta: Tutto il sentimento e lo spirito di questa poesia — scrive Tozzi nell’Introduzione alla raccolta - ha bisogno della parola, che è goffamente bella o astutamente ridicola. E, così, le frasi diventano quasi altrettante trovate, che velano lo scherzo, ma

col piacere di scoprirlo subito. È uno stile che s’attiene alla parlata, con movenze naturalissime e caratteristiche; dove è quasi riconoscibile l'atteggiamento della voce. È così imitata, con beffa, l’ingenuità popolaresca e contadinesca che i primi versi di molte ottave s'impongono subito, anche se non concludono troppo e quasi ripetono cose somiglianti tra sé. L’imaginazione si sviluppa nelle ricerche del sottinteso combinato in modo che le cose più sudicie e lascive fanno ridere e non scandalizzano nessuno. Non sguaiatezza oscena, dunque, che possa offendere; ma risonanze sicure di quella fedele schiettezza modesta e umile ad arte, che ha l’aria di non accorgersi di niente”!

Se in superficie la produzione dei Rozzi poteva essere liquidata con un generico riconoscimento di rustica ironicità, ciò che invece attraeva la curiosità dello scrittore era

il meccanismo delle situazioni comiche, le quali si reggono

5? Cfr. A. Rossi, Dittico tozziano..., cit., p. 71. 70 «Per le Mascherate dei Rozzi, duro una fatica immensa trattan-

dosi di trascrivere codici e di annotare tutte le parole del dialetto senese. Parole che né meno io conosco, senza dizionarii manoscritti del

500 e del 600!» (ivi, p. 73). 7 F, Tozzi, Introduzione a Mascherate e strambotti della Congrega dei Rozzi di Siena, Giuntini Bentivoglio, Siena 1915, p. 7.

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ANIMA E SCRITTURA

su un uso popolarescamente espressivo della parola, riproposta anche nel testo scritto con i movimenti tipici della parlata. Mascherate e strambotti offrivano dunque lo stesso tipo di diletto che Tozzi traeva dalla lettura del Decameron, qualche volta eseguita ad alta voce nell’intimità delle serate in famiglia, per il piacere di modulare una lingua incomparabile per freschezza e spontaneità quale quella del Boccaccio”. Non insisteremo sugli spunti creativi (da altri già segnalati e discussi?) direttamente derivati dalla raccolta trecentesca in fase di elaborazione di almeno due pièces tozziane: Le due mogli, tratta dalla novella 8 dell'VIII giornata, e l’atto unico L’uva, ispirato alla no-

vella 2 della VII giornata. Basti sottolineare che la suggestione della comicità boccaccesca, con le sue allegrie sincere e le sue profonde verità, si rivelava potente nel commediografo in cerca di modelli dalla sicura riuscita scenica. Tali dovettero anche sembrargli Le cere del Lasca dato che La Pippa, la commedia tozziana in assoluto più tormentata nella genesi e negli esiti, nasceva come riduzione teatrale della novella 10, IT. Nel segnalare questo ulteriore accertan

: : : J ps «A proposito del Boccaccio — scrive Glauco Tozzi - mi ricordo di aver sentito leggere, da mio padre a mia madre, suoi brani. Siccome non capivo chiedevo spiegazioni. Ma mia madre mi imponeva di tacere, perché ero “troppo piccolo” per capire. Mio padre finiva in genere quelle letture con una gran risata; mentre mia madre si contentava di sorridere. Quando, molto tempo dopo, ho conosciuto le commedie boccaccesche” di mio padre (...), le ho accostate, come origine, a quelle schiette allegrie e ammirazioni». Questa testimonianza è apparsa in «Il Tempo» del 20 ottobre 1963. 4 Cfr. Notizie, a cura di G. Tozzi, nel volume I/ teatro, pp. 690 e ss.

Fra gli interventi sull’attività teatrale tozziana segnaliamo: G. MANACORDA, I/ teatro di Tozzi, in AA.VV. Per Tozzi, cit., pp. 86-96; In., Motivi ibseniani nel teatro di Tozzi e P. Frassica, Tozzi commediografo,

in AA.VV., Tozzi in America, cit., pp. 163-74 e 149-62; A. BENEVENTO, Sul teatro di Federigo Tozzi, in «Critica letteraria», n. 22, 1979, pp. 146-59.

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DELLA

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LETTERARIA

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mento nell’ambito del sistema letterario del padre, Glauco Tozzi esclude qualsiasi contaminazione del lavoro con alcuni racconti di medesima ispirazione rispetto a questo del Grazzini, quali la novella IX dei Ragionamenti del Firenzuola, la XIV del Fortini e la XXXVII di Giovan Battista

Casti. Si tratta in ogni caso di autori presenti fra le letture tozziane, a volte anche con più opere conservate nella biblioteca di Castagneto: del Firenzuola, ad esempio, oltre al testo citato resta anche L’asizo d’oro; del Casti, insieme

alle novelle, Gli anizzali parlanti. Le fonti più volte citate per la bibliografia di formazione dello scrittore attestano ancora una conoscenza delle vite del Cellini e di Michelangelo; di opere del Machiavelli, del Campanella, di Galileo, del Gravina e del Vico; infine dei lirici più eminenti del XV, XVI e XVII secolo, dal Poliziano al Magnifico, al Sannazaro, al Chiabrera, al

Tassoni, oltre all’Ariosto e al Tasso. Non sempre tuttavia è corretto consegnare nomi e titoli alla memoria documentaria, come semplici funzioni di un incremento naturale e dovuto delle nozioni storico-letterarie. Può infatti succedere di rintracciare echi laurenziani, nemmeno

tanto ve-

lati, in insospettabili sestine di un manoscritto rimasto nel cassetto durante la vita del suo autore: Pur qualcosa è sempre triste benché rida la dolcezza, qualche cosa pur persiste silenziosa in giovinezza. Ma i pensieri son soavi

come quando tu mi amavi.

E fa l’alma una ballata che riempie di dolcezza; per amore l’ha pensata alla buona giovinezza

48

ANIMA E SCRITTURA

ch’ha i pensieri più soavi come quando tu m’amavi”'.

Un esercizio di verseggiatura per provare l’abilità nel fraseggio lirico; così come,

su un

altro versante

creativo,

afferivano alla sfera delle curiosità teatrali le letture di Annibal Caro, del Metastasio, del Tasso e del Guarini, fino ad includere, spostandosi verso la contemporaneità, Goldoni, Cavallotti, Giacosa, Ferrari e forse anche Manzoni, letti alla Biblioteca Comunale.

Discorso a parte merita quest’ultimo per la diversa prospettiva, naturalmente da romanziere, con cui Tozzi guarda all’opera narrativa manzoniana. Una prima lettura dei Promessi Sposi, compiuta in anni giovanili su segnalazione di Annalena, non lo aveva certo entusiasmato: Non sono d’accordo con lei di porre i “Promessi Sposi” a corona della letteratura italiana - le scriveva in data 14 gennaio 1903 —perché in quel libro, all’infuori della prosa scritta bene, non ci trovo niente.

E poco più oltre, nel corso di una digressione sull’esaltante novellistica di Edgar Allan Poe, Tozzi si lanciava in un giudizio tanto lapidario quanto ingenuo: Poe è sublime. Oh! sì, altro che Manzoni col suo classicismo camuffato da romantico!”

L’ipercriticismo giovanile andrà progressivamente attenuandosi sulla base di una più matura e consapevole valutazione dell'esperienza manzoniana nel quadro della

'* Fascicoli, in Le poesie, p. 258. ? Novale, pp. 43-4.

ASPETTI

DELLA

FORMAZIONE

LETTERARIA

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nostra storia letteraria”, fino a ribaltare la stroncatura di

prima istanza in una riabilitazione in piena regola. Lasciatasi Siena alle spalle, lo scrittore medita anche l’abbanle della «rettorica smidollata toscana» in tutte le sue orme: Sì: abbasso Carducci, D’Annunzio! Noi possiamo, dobbiamo, dirlo; e mettere subito in esecuzione. Pascoli è il solo, molte volte, rispettabile; dopo, un bel pezzo, di Leopardi, di Manzoni,

di Verga”.

L’enfasi è quella tipica della corrispondenza con Giuliotti, ulteriormente amplificata dall’entusiasmo per il recente trasferimento romano; ma è comunque indicativa della nuova attenzione rivolta ad una serie di autori moderni che in qualche modo intervengono a modificare la poetica tozziana. Nel simbolismo pascoliano lo scrittore riconosce ad esempio un possibile modello per superare le estetiche del medievalismo e dell’estetismo che finora avevano sotteso alla sua elaborazione lirica; e nel corso degli anni la riflessione su Pascoli continuerà ad approfondirsi fino a concludere la sostanziale impossibilità per i poeti contemporanei di evitarne l’esperienza: Giovanni Pascoli è il punto più centrale della nostra lirica moderna. Potremo preferire grandezze maggiori e più remote, potremo non accettarlo tutto; ma sarebbe impossibile allonta-

76 A proposito della collocazione storico-letteraria del Manzoni, si veda un appunto significativo presente nel Taccuino IV (lo stesso dell’elenco-inventario dei libri posseduti, in Cose e Persone, p. 349), dove

Tozzi traccia la genealogia dei manzoniani attraverso un doppio ordine di affinità tra i vari letterati e Manzoni stesso. Da lui discendono: da una parte il Grossi, il Tommaseo e il Cantù; dall’altra il Pellico, il Berchet, il D'Azeglio, il Balbo, il Gioberti ed il Rosmini. " Carteggio con Giuliotti, lettera del 15-11-1915, p. 338.

50

ANIMA E SCRITTURA

narci da lui con una volontà imparziale e con una coscienza tranquilla”*.

È un giudizio di estrema acutezza non a caso pronunciato all'indomani della stagione delle avanguardie, allo sperimentalismo delle quali Tozzi implicitamente oppone una lirica compatta che affonda le proprie radici nella classicità:

Io credo in vece, che questi endecasillabi senza rima - quelli dei Poemi conviviali — siano, né più né meno, come dovevano essere.

Hanno ancora il tremito della nascita; e il loro mondo greco, forse sentito quasi come dai poeti latini ma ritrovato con intuizione di tranquillità italiana, possiede un paganesimo possibile e umano; il quale non è sentimento culturale come in Carducci, non sviluppo pittorico e rettorico come in D'Annunzio. Il Pa-

scoli aveva capito che l’uomo greco e latino è stato sempre eguale a noi. Perché egli l’ha visto nei suoi elementi eterni”?.

La consonanza con Pascoli non poteva dunque che stabilirsi per affinità nelle aspirazioni etiche e per un bisogno comune a entrambi di «avere sempre il senso di qualche verità»: tanto sotto l’egida di un laico sentire, che

dall’interno di un sistema religioso, per l’artista vige sempre l'impegno morale a dichiararsi sinceramente. Ecco perché al Pascoli non interessa affatto «convincere o discu-

tere come il Carducci»*°; nella sua dimensione prevalentemente egoica non c’è alcun spazio per le dimostrazioni, in quanto la realtà finisce sempre per essere rapportata al mondo interiore, nel tentativo di controllare la «paura morale» che il trauma della morte del padre gli aveva

î* Per un'antologia pascoliana, in Realtà di ieri e di oggi, p. 215. ?° [pi pa219;

#0 Ivi, p. 220.

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DELLA

FORMAZIONE

LETTERARIA

DU

lasciato in eredità. E nello psicologismo con cui Tozzi riassume la vicenda umana e artistica del Pascoli* emerge una nota autobiografica che rivela come l’adesione del critico sia motivata, oltre che da valutazioni estetiche, da

corrispondenze empatiche. Al contrario nelle pagine dedicate al Carducci, di là da una generica attestazione di valore, sarà difficile rintracciare una qualche forma di partecipazione nei confronti dei suoi esametri e pentametti, destinati a restringersi «sempre di più a se stessi, in una contrazione che, se non fredda di morte, sarà almeno silenziosa»*. Fanno eccezione una dozzina di odi dove giganteggia l’ispirazione dantesca e si esplicita in tutta la sua potenza la sapiente orchestrazione musicale carducciana; ma per il resto il poeta delle Odi barbare e di Juvenilia non corrisponde più alla spiritualità di chi come Tozzi prende sul serio la poesia e vuole che «i versi siano il cibo masticato dall’anima, non solo per diletto, ma specialmente per un bisogno morale»*. La linea etica dell’arte italiana finisce quindi per congiungere idealmente il Pascoli al Leopardi lirico dei canti, 81 «Quest'uomo, che non desiderò mai di vendicarsi ma né meno

di perdonare, sentiva che la sua tristezza inerme era ormai divenuta con l’andare del tempo soltanto una cosa che influiva sul suo temperamento intellettuale. E gliene restò un senso di paura morale, che gli faceva cercare in ogni sorta di fatti contemporanei o antichi (leggiamo Nel carcere di Ginevra e Alexandros) uno sdoppiamento che lo avviava sempre di più a spiegazioni religiose» (ivi, pp. 221-22). Sembrerebbe un tipico esempio di rimozione, che continua a produrre effetti sulla personalità artistica del Pascoli e inconsciamente lo spinge verso la verità della fede come unica possibilità di ricomposizione dell'unità dell’io. 82 Dopo il Carducci, in Realtà di ieri e di oggi, pp. 203-14. 8 Ivi, p. 212. Per correttezza si dovrà comunque rilevare che in anni giovanili Tozzi aveva apprezzato la poesia carducciana, una delle poche letture condivise con Emma, dalla quale peraltro fu indirizzato verso il poeta delle Odi barbare (cfr. Novale, p. 81 e anche pp. 100, 184, 205 ‘& 299):

DO

ANIMA E SCRITTURA

ed ancor più al «Leopardi moralista» delle Operette*, saltando tutto ciò che di retorico e di artificioso si frappone alle due esperienze e magari aggettando sulla poesia eroica del Foscolo. Gli spunti di riflessione tratti dall’opera leopardiana vanno in primo luogo ad agire sull’inquieta dimensione religiosa di Tozzi, per niente pacificata dalla conversione del 1913 che pure aveva attestato la fede come una conquista raggiunta. Sebbene laico, il «grandissimo e purissimo» Leopardi, con la sua concezione dolente ed eroica dell’esistenza, non poteva restare senza ascolto al cospetto di un convertito come Tozzi. La disposizione dello scrittore nei suoi confronti è anzi tale da provocare le accuse giuliottiane di semi-cristianità: Tu sei rimasto, con gli altri, sebbene infinitamente più alto, sull’altra sponda; non senti affatto il bisogno, o semi-cristiano, di buttarti a nuoto per passare il fiume.

Quanto al gobbo di Recanati (divinità intangibile!) ecco ciò che ne penso: Grande, fra i monocoli, vide tutto il male, ma non la radice del male. Perciò concluse, disperato, come tutti i pessimisti

senza Dio, che la vita è tragedia fosca e incomprensibile. Il povero gobbo (sia detto senza far torto al suo ingegno sciupato, ma non applaudo l’ingegno quando picchia nel vuoto ed è più nefasto dell’imbecillità) era più gobbo dentro che fuori.

Perciò non fa meraviglia che la concezione leopardiana della vita sia sghemba®. &

* Cfr. il saggio tozziano del 1918 I/ Leopardi moralista, in Realtà di

ieri e di oggi, p. 188: «Questa è poesia sublime, compatta enorme commenta Tozzi a proposito del Dialogo di Tristano e di un amico — che ci dà la sensazione dell’infinito». Da notare che uno dei caratteri fondamentali della prosa leopardiana è rappresentato, secondo Tozzi, dall’«asciuttezza trecentesca» del periodare, agevolata da una «grazia» nuova (p. 183). Lettera di inizio febbraio 1916, in Carteggio con Givuliotti, p. 350.

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

53.

Al consueto furore verbale ed asseverativo di Giuliotti, Tozzi risponde stabilendo un rapporto diretto tra

l’eticità dantesca - citata a modello dall’amico — e quella leopardiana, diverse nel segno ma tendenzialmente analoghe in valore assoluto: Io ho [sic] Pascal, ma penso lo stesso che il Leopardi non abbia mai bestemmiato; e che sia un piccolissimo Dante rimasto giù nell’inferno. In lui c’è il senso della divinità soltanto in forma negativa; e le sue invettive sembrano piuttosto quelle di un Dio che ha obliato se stesso. Non mi pare il cieco nato: mi pare uno che non ha avuto tempo di avvicinarsi abbastanza per vedere; ma ci sarebbe arrivato anche lui. Il suo pessimismo non è basso e non è ateismo: è dolore. E, dopo dieci anni più, avrebbe incontrato,

inevitabilmente,

Dio. Ammesso

questo, può pas-

sare. Tu stesso, nella Torre, dicesti che un poeta assolutamente ateo non può esistere*°.

La parabola leopardiana, così come sinteticamente tracciata in questa lettera, sembrerebbe anticipare il movimento di Tozzi stesso verso la conoscenza, tanto che è lecito chiedersi, con Ferruccio Ulivi, dove il pessimismo

tozziano sarebbe approdato se lo scrittore avesse spinto ancora oltre lo sguardo: sarebbe mai arrivato ad invocare la solidarietà umana contro la natura nemica? La risposta sembra essere fornita dal Podere e da Tre croci, dove il male che allo stesso modo inficia l’essenza di bestie, cose e

persone, e che condanna irrimediabilmente ogni forma di vita, «si diffonde in tutti gli aspetti dell’esistente al di fuori di quell’antitesi pessimistica di natura e di società umana su cui aveva fatto leva l’umanitario razionalismo di Leopardi»”. Il contatto più vero con il poeta si stabilirà allora 86 Lettera del 10-2-1916, ivi, p. 352. 87 Cfr. F. ULIVI, Federigo Tozzi, Mursia, Milano 1973?, p. 94.

54

ANIMA E SCRITTURA

sul medesimo fondo dolente dell’esistenza, sulla sofferenza assunta ad unica cifra delle cose create, sul dolore che

impedisce all’uomo di vedere Dio. AI titanismo leopardiano Tozzi affianca le note amare di uno scrittore toscano irriso dal destino quale fu Carlo Bini, «nato faceto e burlone; e in vece la sorte e la vita gli

cambiavano il sorriso in una contrazione nervosa». Al-

l’ingiustamente dimenticato autore del Manoscritto di un prigioniero è tributato un riconoscimento di stima letteraria che ha come fondamenti del giudizio estetico l’originalità ed il vigore della sua prosa, diretta risultanza dell’anarchia artistica che lo contraddistinse, dal momento

che

egli non fu né un classico né un romantico. Anche la scelta del Bini sembra riflettere una sorta di elezione artistica,

compiuta da Tozzi in riferimento alla propria esperienza, secondo quanto già notava Luti: è come se nel profilo tozziano del memorialista livornese lo scrittore tracciasse il percorso della propria conquista poetica, quasi un autoritratto scritto «per sfida o per scommessa», che finisce per rivelare in modo esplicito «la radice personale di un’aperta compromissione» nella digressione sui virtuosismi del paesaggista: Ma il Bini - scrive Tozzi — è anche uno dei nostri paesaggisti moderni che più s’avvicinano a quegli elementi psicologici che sembrano apparire solo a contatto con la natura; quando il nostro spirito quasi si completa e trova da se stesso un’esistenza più profonda; come se riuscisse ad esprimere per mezzo delle

cose sensibili certi sentimenti che in altro modo resterebbero non solo indefinibili ma anche senza espressione”. 5 Un dimenticato: Carlo Bini, in Realtà di ieri e di oggi, p. 195. ® G. Luti, Tradizione e invenzione nell'opera di Federigo Tozzi, City Pezoi °° Un dimenticato: Carlo Bini, in Realtà di ieri e di oggi, pp. 196-97.

:

ASPETTI

DELLA

FORMAZIONE

LETTERARIA

DI

Questo modo di concepire le rappresentazioni paesaggistiche è prima di tutto tozziano, qualunque sia il segno della delega che il narratore affida alla natura: può trattarsi di un'espressione simbolica del sentimento o di una sua amplificazione; oppure, secondo un’idea di Rossi, di una correzione dell’interiore «fondo emozionato con una sagace scansione geometrizzante» dell’esterno, manuale dell’Amiot alla mano”. Il dato certo resta in ogni caso la disposizione tozziana al discorso critico come momento di esplicitazione di una propria poetica, e in generale delle personali considerazioni sulla modernità della letteratura.

Estetismo e dannunzianesimo da «Paolo» a

«Gli egoisti»

Nella primavera del 1908, subito dopo la morte del padre, Tozzi consolida nel matrimonio la sua situazione affettiva e provvede all’amministrazione dell’eredità destreggiandosi, peraltro malamente, tra creditori effettivi e presunti. Si apre, com’è noto, un periodo del tutto nuovo nella vita dello scrittore, all'insegna di una stabilità economica piut-

tosto relativa, compensata tuttavia dal maggior tempo a disposizione per l’attività letteraria. La composizione di Paolo risale a questa fase iniziale del soggiorno a Castagneto, e sebbene il «poema in prosa» non costituisca in assoluto l’esordio narrativo tozziano,

rimane pur sempre il primo, organico tentativo in direzione del romanzo. Stando infatti alle indicazioni di No-

% A. Rossi, Tozzi: la forma del narrare, in AA.VV., Per Tozzi, cit., p.

122. Il riferimento di Rossi è inerente alla lettura del Trattato di geometria elementare di A. Amiot (cfr. anche p. 120).

56

ANIMA E SCRITTURA

vale”, in principio Tozzi si era provato nella misura breve del racconto; l’accenno poi ad alcuni aforismi, contenuto in una lettera alla fidanzata del settembre 1907”, ricon-

duce all’altra significativa esperienza giovanile, vero e proprio concentrato di spunti dell’autodidattismo ir progress dello scrittore, dalla Bibbia ai Principi di psicologia di James. Paolo si inserisce proprio qui, alla confluenza di creatività artistica ed approfondimento teorico del mistero che avvolge psiche e anima. I temi ed i ritmi poematici oscillano tra l’estetismo

mistico-sensuale dei modelli letterari accolti (D'Annunzio e Conti sopra gli altri), ed un riflettere cadenzato sulle letture filosofiche e scientifiche; il tutto in una continua -

trasposizione allegorica del reale, come unica possibilità espressiva di un personaggio così presentato: Egli non percepiva mai la realtà; ma i suoi pensieri sorgevano da ogni ricordo o da qualche sogno”.

In questa sua ostinata quanto eclettica applicazione, nell’incessante fluttuare del pensiero, Paolo si rivela più incline alle forme visionarie e criptiche della sapienzialità veterotestamentaria che a quelle serrate di un argomentato filosofare, e si tratta di una predilezione sintomatica che lo collega allo Zarathustra nietzscheano”.

°° Cfr. in particolare

le lettere

del periodo

gennaio-maggio

1908.

% Lettera in parte inedita, cfr. Cose e Persone alla sezione delle Notizie relative a Barche capovolte, pp. 478-79. % Paolo, in Cose e Persone, p. 423. ? Riguardo alla lettura di testi nietzscheani, finora soltanto ipotizzata, l'intervento di L. ANDERSON, Tozz?’s Readings, 1901-1918, cit., ha

fornito importanti precisazioni. Lo scrittore ebbe infatti in prestito per la prima volta nel 1905 un’opera di Nietzsche, Le voyageur et son ombre, Paris 1902, e ancora nello stesso mese di marzo Così parlò

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

57

Paolo autore-attore della sua tragedia: ciò non sembri un’arbitraria sovrapposizione di ruoli, un indebito spodestamento del narratore ufficiale, perché a ben guardare lo spazio che Tozzi si riserva all’interno del poema è minimo e totale ad un tempo. Dalle iniziali battute d’introduzione del protagonista, gli insetti in terza persona si riducono fino a semplici didascalie marginali, lasciando che la coscienza del soggetto fluisca liberamente sulla pagina. Le sue meditazioni sulla donna e su Dio, sull’arte e sull’anima

assumono pertanto sempre di più la forma di un journal intime senza date, dove l’io dissimulato dalla personalità di Paolo ricalca quello di Federigo stesso, che avvia così la serie dei suoi travestimenti letterari riassumendo e trasfigurando poeticamente la propria esperienza della vita, in una sorta di «ritratto dell’artista da giovane». Per eventuali conferme, torniamo ad uno dei motivi

più insistiti dell’opera: la percezione e rappresentazione del femminile. Nel suo intervento introduttivo ad una recente

edizione

di Pzolo*,

Marchi

ha evidenziato

lo

stretto legame che intercorre tra il poema e Novale, attraverso cui è possibile ricostruire, almeno nei fatti, il senso

degli oscuri disagi del protagonista. Dall’assimilazione della fidanzata alla divinità muove gran parte degli slanci devoti e dei rifiuti sui quali si articola il rapporto affettivo e la sua restituzione letteraria. Emma è pertanto il riferi-

Zarathustra, ‘lorino 1899, che trattenne per circa due settimane. In

maggio richiese Di là dal bene e dal male [sic], Torino 1902. A distanza di circa un anno, dal 21 febbraio al 6 marzo, Tozzi riprese la stessa edizione dello Zarathustra, e ancora vi tornò nel luglio 1907 e nel marzo 1913. Dal 25 novembre al 22 dicembre dello stesso 1913 troviamo infine registrato il prestito di La volonté de puissance, Paris 1903. % M, MarcHI, La vita apparsa, in F. Tozzi, Paolo, a cura di M.

Marchi, Taccuini di Barbablù, n. 11, Siena 1989, pp. 3-8.

58

ANIMA E SCRITTURA

mento epistolare di professioni di fede del tipo: «Adoro anche la tua carne come un’ostia»”, ma insieme ella ispira a Federigo un rancore sordo e doloroso, confessato solo nelle pagine segrete del diario: Io non posso godere di questo sole; sembra ch’esso mi respinga.

Penso alle violette che io ti colsi a Roma. Era un sole così. E tutto il mio amore sembra ancora avvolto in quella luce",

Nell’amore per Chiara invece le angosce del desiderio sembrano in qualche modo esorcizzate, anche se la donna miracolo, «bella come un salmo», resta pur sempre l’«in-

dizio della persistenza» e dunque di una realtà estranea alla natura contingente dell’uomo. «Quando abbracciamo una donna - si legge in Paolo — bisogna pensare che accettiamo una trasformazione»”; ma si tratta di un metamotfi-

smo a senso unico che si risolve con la sparizione del corpo di Chiara, quasi riassorbito tra le braccia dell'amante nei momenti di più casta esaltazione. L’antidoto estetistico della contemplazione e ri-creazione ha apparentemente la meglio sulle misteriose forze muliebri; al contrario di Pigmalione, Paolo desidererebbe così assistere al pietrificarsi della compagna in una bellissima statua offerta al suo sguardo straniante. Pur assommando dunque la sensualità della prima, sconvolgente passione (Ghìsola) e l’attrazione mistica del-

l’amore attuale, Chiara, in tal modo neutralizzata, è confi-

nata nello spazio di un voyeurismo che ha in sé tanto le premesse che gli esiti pulsionali: * Novale, p. 137. °%* Diari e taccuini. III, in Cose e Persone, pp. 347-48. 9 Paolo, ivi, p. 440.

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

D9

Ella sia benedetta! Ma io non l’adoro se non nel mio spirito, se non come una pura sensazione che mi affascina. Basta una sua parola acciocché si produca una rappresentazione visiva %,

La capacità di guardare e di trasporre l’esistenza in immagini poetiche è la cifra in base a cui si compendiano meditazione e scrittura. Un pensiero dannunzianamente “imaginifico” come quello di Paolo non può che tradursi in similitudini e metafore, complicando il gioco dello spostamento semantico fino all’ambiguità estrema. Il senso dissimulato si apre ciò nonostante a qualche possibilità d’interpretazione, ma solo nei luoghi in cui la matrice letteraria appare più scoperta. Non è difficile ad esempio riconoscere nel ritratto dell’amico pittore Arturo, che vorrebbe dipingere il suono delle trombe, suggestioni del famoso principio di Walter Pater secondo cui «all art costantly aspires towards the condition of music». Un principio che al passaggio di secolo aveva trovato in Italia un divulgatore sensibile in Angelo Conti ed un abile illustratore nel D'Annunzio

del Fuoco,

allorché

con

Daniele

Glauro tracciava il profilo di un discepolo di Pater. Oltre al peso determinante di simili mediazioni culturali, anche l’ipotesi di un accostamento diretto di Tozzi all’estetismo inglese si presenta, se non accertabile, quantomeno plausibile (non a caso tra le fonti tozziane Marchi pensa a Wilde'"). La sensibilità di Paolo sembra tra l’altro corrispondere per certi aspetti a quella del Florian Deleal

100 Ipj, p. 425. 101 Cfr. M. MARCHI, La vita apparsa, cit., p. 7. Lo scrittore aveva del resto nella sua biblioteca una copia della Salomé, come risulta dall’elenco-inventario dei libri posseduti verso il 1907 (cfr. Federigo Tozzi Mostra di documenti, cit., pp. 42-3). E certa inoltre la lettura de La bible d’Amiens di John Ruskin nel 1906 (cfr. L. Anperson, Tozzi's Readings,

1901-1918, cit., p. 129).

60

ANIMA E SCRITTURA

di Pater, almeno nel fermo proposito di auto-osservazione da cui ha origine e motivazione anche il racconto del Child in the house. Ecco Florian: E avvenne che questa circostanza del suo sogno fosse proprio lo stimolo necessario per dare inizio a un certo progetto che egli aveva in animo, cioè di notare alcune cose nella storia del suo spirito - in quel processo di formazione mentale pel quale siamo, ciascuno di noi, quel che siamo!°.

Fd ecco Paolo:

Io sono un uomo sconosciuto a me stesso, del quale io devo studiare il profilo morale. E vedo la psiche di quest'uomo distendersi alla mia anima, e talvolta quella psiche è così dolce che sembra essersi rotta una vescica, che rinchiudeva le aure e il fresco di molte primavere. Ed essa è docilissima alla mia analisi!®,

Un clima culturale ampiamente diffuso a livello europeo è sufficiente a spiegare il comune interesse letterario per le dinamiche della coscienza; solo che, nel caso di Tozzi, psiche e analisi sono parole rivelatrici che introdu-

cono alla moderna prospettiva dello scrittore e ne fissano il discrimine rispetto ad esperienze ancora legate all’introspezione ottocentesca. Lo sguardo di Paolo, dell’esteta sensuale e contemplativo, si avvale infatti di accreditati supporti teorici, nel tentativo di ridurre il margine di aleatorietà della sua ricerca. E come avremo modo di rilevare meglio più avanti, la psicologia jamesiana, frequentata fin dal 1902, interviene ora a fondamento scientifico di una

102 W. PATER, Ritratti immaginari, a cura di M. Praz, Adelphi, Milano 1980, p. 185.

103 Paolo, in Cose e Persone, p. 424.

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

61

riflessione che non per questo rinuncia a divagare su considerazioni di ordine diverso. Argomento» privilegiato delle meditazioni di Paolo è Dio, ripetutamente presente nel flusso dei pensieri benché in termini pseudo-confessionali, dal momento che la divinità, per sua natura ineffabile, è invece qui mentalmente risolta in maniera analoga ad una qualunque altra forza in grado di dominare la materia vivente. Dio resta un arcano, còlto esclusivamente nel suo interagire con l’umanità, terribile e privo di mediazioni salvifiche: una volta accertato che la condizione dell’uomo riflette un pazzo che grida «alle sbarre della vita», Paolo si convince che solo trac-

ciando «le vie dell’impossibilità», quelle stesse tante volte intuite e mai rivelate, riuscirà a dirimere il mistero chiuso

dentro di sé. Nell’ora in cui le stelle riappaiono in cielo, si profila una soluzione all’itinerario terreno di questo primo protagonista tozziano: alla morte anonima, al decesso sterile che può cogliere chiunque nell’angoscia dell’estraneità, egli oppone la morte volontaria — «morendo se stesso», direbbe Blanchot —- per ribadire nel gesto estremo un’individualità unica e suprema. Quanto alla portata della componente dannunziana nella narrativa di Tozzi, il problema è ambiguamente controverso, dal momento che il confronto con la figura dominante la scena letteraria tra Otto e Novecento — il D’Annunzio esperto facitore in prosa e in poesia — costituisce uno dei terreni di prova per la modernità dello scrittore senese. La rappresentazione grafica dell’assunzione di D'Annunzio nella poetica tozziana si potrebbe rendere con una parabola scandita dalle fasi dell’iniziale idolatria giovanilistica, dell’uso pragmatico nell’elaborazione di una scrittura personale e infine del maturo distacco, non privo di strascichi polemici. «Ma com'è bello il d'Annunzio! — poteva ancora escla-

62

ANIMA E SCRITTURA

mare nel 1907 il giovane Tozzi pieno d’ammirazione Basta un periodo suo per far fiorire, sia pure poco per ora, il mio animo» !*. E che l’ombra del Vate si proiettasse sulle prime carte tozziane carica di speranze di gloria, lo documenta anche la spedizione ciclistica alla villa della Capponcina che Tozzi tentò all’inizio del 1909'. Un “pellegrinaggio” che non culmina nel desiderato incontro con D'Annunzio, e che forse per questo ebbe il merito di restituire il neo-scrittore alla propria originale ispirazione. Nessun manierismo, nessuna compromissione con i mo-

duli letterari è la page, salvo le tangenze direttamente scaturite dal ripensamento delle personali acquisizioni culturali, sempre ben comprese nei limiti di una poetica prima di tutto figlia dell’etbos. Quando nel 1918, a seguito dell’incidente editoriale con Treves causato dall’inoppottuna pubblicazione del saggio La beffa di Buccari'*, Tozzi volle riprendere in mano

la situazione per smorzare la tensione che si era

venuta a creare, lungi dal ritrattare si diede piuttosto a definire il senso di quel suo nuovo atteggiamento pole104 Novale, p. 96. !©° Cfr. M. MarcHI, D'Annunzio alla Capponcina (con un pretesto tozziano), in «Il Ponte», a. XLVI, n. 4, aprile 1990, pp. 108-10.

!°© L'intervento, dal taglio palesemente anti-dannunziano, costò com'è noto a Tozzi un rinvio nella pubblicazione di Con gli occhi chiusi presso Treves, che era anche l’editore di D’Annunzio. Questo il tono

della lettera inviata da Giovanni Beltrami a Tozzi in data 7 agosto 1918: «Io non discuto il suo articolo, ma faccio una questione di sentimento e di buon gusto. Le par proprio che sia indovinato il momento di venire fuori con una critica acerba dell’opera letteraria del D'Annunzio, mentre egli da quattro anni scrive col rischio della sua vita pagine di poesia immortale? Perché, caro Tozzi, non ha pensato a queste pagine, piuttosto che a quell’altre che a lei non piacciono, quando s'è seduto comodamente davanti al suo tavolino per far la critica al D'Annunzio?» (cfr. P. CesarINI, Tutti gli anni di Tozzi, cit., p. 209).

ASPETTI

DELLA

FORMAZIONE

LETTERARIA

63

mico nei confronti di D'Annunzio, colpito soprattutto nella veste di vessillo di una maniera deteriore quale il dannunzianesimo. Significativo che i seguenti giudizi siano apparsi nel saggio Giovanni Verga e noi: In Italia c’è la mania di ridurre ogni periodo di letteratura all’adorazione di una preferenza; che impedisce di riconoscere, senza pregiudizi e senza malintesi, anche altri valori; che dovrebbero, per un’ostinazione cieca, restare sacrificati. È stata una perversa e sciocca mania idolatra; una negazione continua e

sistematica di tutto ciò che non apparteneva a quel dato indirizzo di moda. E giù, di mano in mano, abbiamo veduto nascere e morire scuole e individui; che, sul momento, parevano desti-

nati alla successione della permanente priorità o, per lo meno, a un'esistenza molto avventurata. Abbiamo anche veduto deviazioni ripugnanti, che dovevano essere gli indici della nostra sensibilità; abbiamo assaggiato parecchie ribolliture mistiche e abbiamo riso di esaltazioni tragicomiche!”,

In altri termini, focalizzando gli eventi del sistema letterario Tozzi giunge a formulare una condanna aperta dei molteplici “ismi” di cui esso si fregia, tendenze accusate di operare un’indebita limitazione del gusto e soprattutto di agire in senso mistificante attraverso lo svuotamento dei contenuti, i quali progressivamente si riducono a manieristiche riproposte di valori in cui l’artisticità può al massimo consistere nel gioco della variatio stilistica. Anche se il discorso si mantiene alquanto generico, rinunciando a scendere nello specifico delle cause, il tono velatamente scettico e ironico finisce in qualche modo per segnalare il dubbio di fondo, vale a dire fino a che punto la «mania idolatra» sia spontanea nella cultura italiana, o se

non risulti piuttosto indotta da questioni di politica lette-

107 Giovanni Verga e noi, in F. Tozzi, Opere, cit., p. 1304.

ANIMA E SCRITTURA

64

raria - lèggi editoriale — particolarmente in età contemporanea!°.

Date le premesse, converrà dunque che il dibattito si sposti in campo etico, dal momento che come al solito per Tozzi la consistenza morale rappresenta il primo indice valido in arte. Si dovranno pertanto isolare le opere «sincere» da quelle «insincere», e le prime saranno attive nel dotare l’uomo di alte idealità; mentre le seconde, nella più felice delle ipotesi, potranno introdurre all’esperienza estetica. In caso contrario, dopo un frettoloso consumo privo di sedimentazione, finirarino per cadere nell’oblio. A questo grado dell’elaborazione critica tozziana è possibile trovare una collocazione pressoché definitiva anche per D'Annunzio, e non c’è dubbio che l’«Imaginifico» rappresenti il capostipite degli autori insinceri, colui che ha rinunciato per principio alla schiettezza compositiva, anche se resta pur sempre da preferire, in quella sua parziale mediocrità non priva di momenti di grandezza, alla mediocrità assoluta dei suoi imitatori. La creazione letteraria, quando sia condotta su calco autorevole e non nasca spontaneamente dall’inventività dell’autore, è soggetta ad insidie manieristiche, tanto più nefaste nel caso del dannunzianesimo in quanto il vizio dell’artificio è qui presente fin dalla formulazione poetica originaria. Tozzi non esita a denunciare le macroscopiche deformazioni a cui la pratica della maniera dannunziana può dar luogo: ... le più variopinte e ingenue scempiaggini, l’artificiosità mito«E quando gli italiani leggeranno quanto dovrebbero, impareranno a leggere e a capire che anche la loro letteratura contemporanea non è riducibile a quelle poche formule oltre le quali essi ignorano il rimanente. E allora anche la letteratura stessa, e per conseguenza anche la critica, non potranno più dipendere piuttosto da avventure arbitrarie e casuali che da una coscienza controllata con tutte quelle complessità maggiori o minori soltanto a prima vista» (707, p. 1308). 108

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

65

logica, le sonorità bolse, gli aggettivi posticci e imitati, il periodare pretenzioso, la lingua imparaticcia, le finzioni stilizzate, il

colorire di maniera, i soliti e comodi motivi ripetuti da pagina a pagina antipatici, sebbene rifatti con altre parole e con il tentativo di trovare un senso poetico, le immagini fiacche, monotone e inconsistenti, un ridicolo desiderio di gonfiare le gote e declaMare... >

Si tratta di alcune soltanto delle esasperazioni più comuni, agevolmente stigmatizzabili all’interno della falsa creatività di un Fausto Salvatori o nella retorica di un Sem Benelli, entrambi autori di «impiastricciature dell’arte dannunziana; alla quale è stata portata via la scorza più viva e più decente»! Non meno critico che con i due dannunziani «di imitazione», Tozzi si dimostra nei confronti dei dannunziani «di conseguenza», nonostante rico-

nosca che a volte in alcuni di loro si agita «una certa venuzza di originalità sommersa». Sfilano così sotto gli occhi del recensore impietoso il dannunziano «d’inversione» Marino Moretti, ovvero dell’umiltà come reagente al superomismo; il dannunziano «per corruzione» Guido Gozzano, estenuato e prostrato da un eccesso di lirismo, antieroicamente chiuso in uno scoraggiamento ed in una malattia che non hanno affatto «proporzioni e intenzioni

leopardiane»; il dannunziano «cretino ed elegante» Luciano Zuccoli; la dannunziana «per suggestione» Amalia Guglielminetti, con la sua sensualità spontanea, purtroppo «immobilizzata in schemi frivoli e erotici»; il dannunziano

«per necessità» Guido da Verona, prolifico produttore di

1° F, Tozzi, cartelle, compreso mente riprodotto di G. PAMPALONI,

I due dannunzianesimi, manoscritto mutilo di 23 nel taccuino n. XVI dell'archivio tozziano. Parzialin Cose e Persone, p. 403, e qui citato dall'intervento Tozzi critico, in AA.VV., Per Tozzi, cit., pp. 107-10.

110 Ivi, p. 108, anche per le citazioni che seguono.

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ANIMA E SCRITTURA

carta stampata ma non certo artistica; il dannunziano «per eccesso» Guido Notari, privo di scrupoli nella sua applicazione della lubricità sensuale del Vate, e per finire il dannunziano «per antitesi artificiale» Filippo Tommaso Marinetti il quale, pur avendo tentato una rivolta dall’interno attraverso l’esasperazione di quei moduli poetici, non è riuscito a liberare la parola nella tanto desiderata novità. La sarcastica tendenza al giudizio critico folgorante si attenua tuttavia di fronte all'opera dannunziana, della quale Tozzi non può non riconoscere gli innegabili aspetti positivi. Sul piano della politica culturale, lo scrittore aveva infatti piena coscienza del peso esercitato dal dannunzianesimo sia come modello di scrittura che come polo di aggregazione delle nuove energie creative. Non a caso negli anni senesi, con Giuliotti e Paolieri, aveva prestato la

sua collaborazione all’«Eroica» di La Spezia, rivista che assai efficacemente Debenedetti ebbe a definire «l’ultimo rifugio dei peccatori dannunziani». Sul numero uscito verso l’aprile del 1912, i redattori annunciavano tra l’altro: «... noi attendiamo di poter pubblicare il primo brano di “Parisina”, per la quale pubblicazione abbiamo la più chiara e ardente parola d’amore di Gabriele D’Annun-

zio...»!'!; progetto che non ebbe esito favorevole, almeno durante il periodo in cui Tozzi rimase in contatto con la rivista. Che il nome di D'Annunzio in quegli anni fosse comunque una garanzia di successo per ogni nuova impresa editoriale, risultava ben chiaro ai tre collaboratori toscani che già al verificarsi delle prime difficoltà dell’«Eroica» pensavano ad alternative potenziali all'eventuale sospensione del periodico spezzino. In data 9-4-1912, all'indomani di un incontro in redazione che aveva dato risultati quantomai incerti, Tozzi scriveva a Giuliotti: 111 Cfr. Carteggio con Giuliotti, p. 66, nota 3.

ASPETTI

DELLA

FORMAZIONE

LETTERARIA

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A voce ti dirò (secondo che mi pare) che nondimeno non dob-

biamo buttare dietro le spalle la combinazione ideata dal Paolieri, cioè di avere con un’altra rivista Gabriele D'Annunzio. Perché, se la rivista morisse, come è lecito trarre conclusione, non dobbiamo morire noi. E con tale Direttore non solo respireremmo più ampiamente, ma... praticamente saremmo subito imposti!!?,

Messa da parte anche questa soluzione, di lì a poco nascerà «La Torre», che del resto conserva qualcosa di dannunziano nei toni declamanti della polemica antidemocratica. Ma una volta conclusa la breve stagione dell’impegno militante, lo scrittore che ha già attraversato l’esperienza compositiva di Con gli occhi chiusi e che si appresta a portare a termine I/ podere, viene progressivamente riducendo il proprio favore alla poetica dannunziana. «D'Annunzio ha voluto essere l’unico personaggio delle sue minuzie psicologiche e verbali», ed in questo forse poteva ancora riscuotere le simpatie di Tozzi a patto che avesse perseguito con più insistenza la «storia di una qualunque verità interiore», piuttosto che affidarsi all’artificio, riducendo l’esercizio poetico ad una stanca ripetizione di pose letterarie!!?, A compensare la svalutazione del momento etico, interviene l'apprezzamento riservato a D'Annunzio per il suo ruolo di rivoluzionario sperimentatore delle forme, giocato con larghissimo successo sia in prosa che in poesia, fino a soddisfare con un’immediatezza nuova la sensibilità letteraria avendo potuto mettere nei giovani un insegnamento che ap-

punto, perché essenzialmente estetico, ci lascia poi liberi e ci

112 Ivi, pp. 63-4. 113 Cfr. La beffa di Buccari, in F. Tozzi, Opere, cit., p. 1289.

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ANIMA E SCRITTURA

suggerisce il mezzo di cercare a noi stessi una decisiva individualità. Ma il D'Annunzio è stato per la nostra consistenza e per la nostra serietà una indispensabile violazione; dopo la quale è stato opportuno provvedere da noi stessi !!*.

L’arte dannunziana si profila così in quella luce di trasgressione che per Tozzi resta il vero elemento della sua novità e della sua grandezza, tanto da poter individuare nella nostra storia letteraria un “prima” e un “dopo” D'Annunzio. L’«indispensabile violazione» si compie sul terreno della parola, accolta nel-sistema dannunziano per esservi “ribattezzata” ma non sempre “risemantizzata”: a volte anzi «l’effetto, sia pure abbagliante, è restato sterile e impersuasivo»!, ed in questi casi il surplus di significanza si è disperso in un gioco di corrispondenze sonore. Al contrario, nell’uso metaforico la parola è condotta agli estremi della sua dicibilità, e nella completa evidenza di questa scrittura finisce per perdere la funzione mediativa d’origine. Piero Bigongiari ha così chiarito la logica conclusione di un tale procedere: Con D'Annunzio in definitiva quella che si esaurisce è proprio la lingua poetica alta della tradizione letteraria: in assoluto nel crogiolo dell’onnipresenza linguistica dannunziana, proprio, e non altro, che la lingua poetica, ritenuta crocianamente un distinto privilegiato rispetto alla norma della comunicazione semiotica. Per cui anche, col sèma linguistico, si esaurisce il mito di una fantasia secolare, di una semanticità secolare tutta messa

alla prova, alla sua prova finale; di là nasce, e in opposizione a ogni mito, la condizione esistenziale del nuovo mito novecentesco, quello stesso della comunicazione che comunica se stessa e non più qualcosa di aprioristico a se stessa!!.

14 Giovanni Verga e noi, ivi, pp. 1305-6. 15 La beffa di Buccari, ivi, p. 1291. 116 P. BIGONGIARI, D'Annunzio e la funzione della lingua, in Poesia

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

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Giunta all’estremo limite della desemantizzazione, la

parola deve necessariamente essere ri-creata. Nel caso di Tozzi si tratterà di asservirla alla ricerca del tutto privata — ed eticamente fondante - del mistero interiore, una marcia

d’avvicinamento che procede per accostamenti progressivi al fondo della sensibilità, senza mai giungere alla scoperta della verità ultima. Tradotto in termini di poetica, l’iter tozziano è la storia di una scrittura in cerca di sé, che

fruisce ai suoi esordi di un sistema consolidato quale quello messo a disposizione da D'Annunzio, sia pure attraverso la mediazione di altre fonti culturali, ora religiose,

ora scientifiche. L’ispirazione ascrivibile alla maniera del maestro abruzzese è stata attentamente valutata dalla critica tozziana,

con risultati di estrema precisione ed efficacia sia per quanto riguarda le appropriazioni lessicali!, che l’uso morfologico e sintattico di materiale segnatamente dannunziano!. In particolare, la vena lirica di Tozzi appare italiana del Novecento, Il Saggiatore, Milano 1978, pp. 34-5 (ora in La voce e il silenzio figurato, Severgnini, Milano 1986, pp. 73-87). 117 L’analisi condotta da Luti sul piano lessicale ha ad esempio evidenziato una derivazione dannunziana nell’uso di elementi coloristici in forma aggettivale del tipo glauco, cinereo, violaceo, cilestrino; di

alcune forme gergali come froge, galestro e diaccia; di certe parole chiave o delle accezioni etimologiche di termini come artefice, lutulento, occi-

dui; infine di recuperi arcaici lessicali e morfologici del tipo deità, astore, mercatante, bevere, parlari, doglia ecc. (cfr. G. LuTI, La cenere dei

sogni, Nistri-Lischi, Pisa 1973, pp. 175-91). 118 Analoga è anche la situazione relativamente all’uso morfologico-sintattico. Tellini ha segnalato nella novellistica di Tozzi alcune forme di marca chiaramente dannunziana, giustificate dalla necessità dello scrittore senese di dar vita ad una prosa personale che si saldasse con la tradizione letteraria. In questo senso niente poteva funzionare meglio del dannunzianesimo, al quale Tozzi però evita di adeguarsi con gli «ingenui entusiasmi di un imitatore inesperto». Si spiegano pertanto con la sentita esigenza di una «trasfigurazione della realtà comune»,

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ANIMA E SCRITTURA

molto spesso cadenzata sulla versificazione di D’Annun-

zio, a cominciare dall’emblematico titolo L'odore dei lauri

apposto alla sezione della Zamzpogna verde che accoglie alcuni componimenti apertamente ispirati dalla lettura delle Ciztà del silenzio. Solo che, rispetto all’artificiosità del D'Annunzio cantore d’ispirazione storico-patriottica, nella poetica tozziana la cultura medievale aveva sedimentato come elemento autoctono imprescindibile, sebbene le sue

risultanze più felici non si debbano certo ricercare in ami l bito versificatorio. A parziale rettifica di quanto, in anni ormai lontani, ha scritto Eurialo De Michelis a proposito del fallimento articon la necessità di evadere dalla «caratterizzazione contingente del concreto» i ricorsi all’aulicità di D'Annunzio, «non solo nell’insistenza

di minuzie grafiche divenute quasi obbligatorie (come l’uso della 77 scempia al posto della geminata: ferzina, imagine) o di talune forme preposizionali scisse (...), ma anche nell’uso dell’avverbio in -mzente inserito in posizione enfatica di rilievo (del tipo “la baciò nel volto, perdutamente”

[...]); nell’evidenza concessa al sostantivo in virtù del

sintagma art. indet. + sost. + agg. (una parte grande, [...], e si noti la mancanza di rilievo nell’attributo, tanto semanticamente dilatato da assolvere ad una pura funzione esornativa); nell'impiego all’interno della frase di parallelismi sul tipo sost. + agg. / sost. + agg. (“il sole dell’estate occidua illuminava un campo sbiadito” [...]); nel ricorso alla replicazione con rilancio enfatico di parola uguale, secondo un gusto caro anche alla poesia pascoliana (“È tornata la vita; la vita dolcissima ed eterna” [...]; nell'adozione del participio presente, con pieno valore verbale, in funzione di proposizione relativa (“una voce veriente da un poggio”) o di termini usati nell’accezione etimologica (“una eccitazione interiore che gli comzzzoveva i fianchi”); ricorrono inoltre mediazioni dal linguaggio della poesia, come nell’uso dell’accusativo alla greca (nudo fin quasi il gomito)...». Ulteriori indicazioni di Tellini valgono a definire ancora in senso dannunziano la predilezione pet un «gioco riflesso di analogie», spesso dotate di carattere metamorfico (es. «tutte le nuvole

parevano un volo di cigni lenti»). Sempre a D'Annunzio si ispira anche il ritmo melodico della pagina tozziana, generalmente a struttura isometrica (cfr. G. TELLINI, La tela di fumo, cit., pp. 149-56).

ASPETTI

DELLA FORMAZIONE

LETTERARIA

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stico della Città della Vergine!’, una lettura attualmente volta all’equo riconoscimento delle componenti culturali in gioco evidenzierà come la mancata riuscita del poema sia da attribuire solo in parte alla sovrammissione di accenti dannunziani ai motivi due-trecenteschi. In D’Annunzio ogni arcaismo è opera di erudizione e si pone in un’incolmabile posizione diacronica rispetto al presente lirico; là dove, al contrario, Tozzi recupera in chiave metastorica il linguaggio e le idealità del passato, dotandoli di quell'evidenza che resta mera patina medievistica nei componimenti dannunziani'°, Tra i maggiori limiti della Città della Vergine si dovrà semmai rilevare una troppo scoperta intenzionalità documentaria e celebrativa che insieme alle approssimazioni stilistiche impedisce di considerare il poemetto un’opera all’altezza del Tozzi narratore.

1! Ecco quanto scrive De Michelis a proposito delle esperienze liriche tozziane: «Il gusto, tutto dannunziano, dei modi e parole duetrecenteschi domina già nella Zarzpogna verde, e ancora nella Città della Vergine; e come nelle Canzoni d'oltremare, qui, prima che altri, è Dante

che [ne] fa le spese (...). Dedicatosi in quegli anni allo studio degli antichi, qualunque fosse l’animo ch’egli metteva in quello studio, tutto ciò che il Tozzi riusciva a ricavarne per la sua arte sono quegli accenti una volta di più dannunziani; tutte le sue letture diventano una cosa sola, in funzione dell’ultima lettura, D'Annunzio» (E. De MICHELIS, Saggio su Tozzi. Dal frammento al romanzo, La Nuova Italia, Firenze

1936, pp. 29-30). 120 Si ricordi quanto Tozzi scrive sul Medioevo nel saggio Dopo il Carducci: «E smettiamola con le buffonate contro il medio evo. Chi nega al medio evo la sua forza, magari forza tragica, non è un uomo, non ha anima (...). Non è possibile non sentire un brivido per i travolgimenti, quasi quotidiani, che si originavano l’uno dall’altro preparando le strade dell’arte italiana che è rimasta all’ammirazione eterna di tutto il mondo. Io dico: leggete, studiate; non nelle polpette universitarie; ma nei documenti e nei codici. Lasciate stare la storia scritta come quei motivi che si canticchiano; ma fate da voi stessi la storia cercandola dov'è» (in Realtà di ieri e di oggi, pp. 213-14).

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ANIMA E SCRITTURA

Suggestioni scoperte delle Landi dannunziane compaiono altresì di frequente nelle raccolte tozziane di versi: valgano per tutti le tre quartine della Pioggia autunnale nel bosco, quasi una “citazione” in endecasillabi della Pioggia nel pineto: Poi ch’io aspettavo ogni parola vostra, ogni goccia su l’anima batteva; e il bosco intorno, a modo di una chiostra,

il suo silenzio a intervalli schiudeva. Io vi coglievo tutti i ciclamini, per toccare così le vostre dita; ma la pioggia tremava sopra i pini, come ascosa tremava la mia vita. Ed il silenzio mi parea una soglia per l’indugio dell'anima dispersa; e vidi distaccarsi qualche foglia come una cosa mia che avessi persa!?.

In parallelo all’esercizio della versificazione, il Tozzi esordiente narratore aveva scelto una forma compositiva per il suo Paolo assai eloquente riguardo alle aspirazioni poematiche concepite sulla base di letture dannunziane. Nel «poema in prosa», tra le cifre più riconoscibili, spic-

121 Specchi d’acqua - Pioggia d q (44 autunnale nel bosco, in Le p poesie, p p. 111. Oltre ai prestiti dannunziani, comunque macroscopici, U. OLoBARDI, in Saggi su Tozzi e Pea, Vallerini, Pisa-Roma 1940, indicava tra le presenze della Zamzpogna verde anche Pascoli e Marradi. Accenti del D’Annunzio tra paradisiaco e alcionèo Ulivi ha riscontrato inoltre in Bestie, per alcune aperture ad una sensibilità estenuata, specie nei «ricordi delle classificazioni patologiche o di certi cupi enunciati simbolisti (“anche la bara è il giocattolo che si mette sotto terra”, “le cose

della stanza diventano pugnali che affondano nella mia anima: maniache che mi attendono”...)» (Federigo Tozzi, cit., p. 73).

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

3

cano l’allusività e l’evocatività di romanzi come Le vergini delle rocce o Il fuoco, in anni in cui la «prolissità minuta e voluttuosa» della scrittura del Vate — uso stilistico «quasi appiccicante, ma trasparente e con risonanze musicali che restano sospese tra il lettore e lo scrittore»! — appariva ancora un mezzo espressivo sufficientemente valido. La tentazione di «fare opera di bellezza e di poesia, prosa plastica e sinfonica, ricca d'immagini e di musiche», la

stessa che D’Annunzio confessava nella dedica del Trionfo della morte a Francesco Paolo Michetti!, sembra poter fare di Pgolo quell’ ideal libro di prosa moderno che — essendo vario di suoni e di ritmi come un poema, riunendo nel suo stile le più diverse virtù della parola scritta — armonizzasse tutte le varietà del conoscimento e tutte le varietà del mistero; alternasse le precisioni della scienza alle seduzioni del sogno; sembrasse non imitare ma continuare la Natura; libero dai vincoli della favola, portasse alfine in sé creata con tutti i mezzi dell’arte letteraria la particolar vita — sensuale sentimentale intellettuale — di un essere umano collocato nel centro della vita universa!.

Co-protagonista della scena esistenziale è Dio, tramite cui l’estetismo di Paolo si arricchisce di tonalità mistiche. Le due distinte matrici giungono a saldarsi nel segno di un nuovo reagente narrativo che Baldacci ha riconosciuto e indicato in Angelo Conti: ... il ritorno alla natura dell’estetismo contiano, la pura animalità dell'esperienza artistica, e al tempo stesso la natura che nell’arte si compie, si fondono con la psicologia del James al 122 La beffa di Buccari, in F. Tozzi, Opere, cit., p. 1290. 123 Cfr. la dedica del Trionfo della morte a Francesco Paolo Michetti, in G. D'ANNUNZIO, Prose di romanzi, Mondadori, Milano 1988, vol. I, p. 640.

124 Ivi, p. 639.

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ANIMA E SCRITTURA

punto della sua apertura funzionalistica, se è vero, come è vero, che alla base di entrambe quelle esperienze, che sembrano così lontane tra loro, c'è una rimeditazione dell’evoluzionismo darwiniano. Tozzi riesce mirabilmente a far confluire le due fonti nell’ermeticissimo poema in prosa che è Paolo, dove Dio è colui che, come in ogni esperienza mistica, ci consente di uscire da noi stessi, quindi di tornare alla natura, di essere la natura. E in questo l’estetismo di Paolo ha una radice autenticamente religiosa !??. Come «dottor mistico» nel Fuoco, vero e unico regista dell’ Allegoria dell’Autunno, Conti chiarisce che «soltanto

l’arte può ricondurre gli uomini all’unità. (...) l’opera d’arte non appare se non come la religione fatta sensibile sotto una forma vivente. Il drama è un rito», La dispersione nel panismo naturalistico attraverso l’arte si configura pertanto come un ritorno allo stato d’origine: Io non so distinguere tra arte e natura — confessa Paolo —. Tutto mi sembra operato dalle mani. Ma la natura eterna, che è sempre fresca e scrutabile sempre! V’è in essa una tranquillità che non finisce mai; si crederebbe di sognare, andando nei suoi recessi alati. Io l’ho gustata troppo intimamente, ed ora non la posso posporre più. Essa è stata, a lungo, il sangue divino al mio pensiero. E quando discendevo in lei tutte le scalee della possibilità, finché non avessi incontrato un essere ignoto alla mia anima (e forse alla natura stessa), mi sembrava di diventare immortale. (...)

Io non sapevo se la procella crollasse me o le rame; se la pioggia aumentasse la fonte o l’anima mia. Ed ho avuto tutte le voci, che si odono. (...)

12° L. BALDACCI, Itinerario del romanzo tozziano, in AA.VV., Per Tozzi, cit., pp. 14-5. 126 G. D'ANNUNZIO, Il fuoco, in Prose di romanzi, cit., 1989, vol. II,

pp. 294-95.

ASPETTI

DELLA

FORMAZIONE

LETTERARIA

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Io vorrei poter dipingere le tele dei ragni e certe ombre che si producono nelle ore in cui Pane diffonde la sua voce dentro tutte le cose. Il sole sembra in ascolto, e tutti gli insetti concorrono all’armonia dei suoni. Io ho steso le braccia avide alla gran luce! Allora tutti i campanili rossastri squillano, tutte le rondini volano !??.

Nella novellistica tozziana invece fin dagli esordi la lezione di D'Annunzio passa in secondo piano, scavalcata da esperienze narrative che procedono in direzione radicalmente moderna. La folgorante originalità e compiutezza di un pezzo precoce come I/ ciuchino (1908) smentisce l’ipotesi di un tracciato diacronico-evolutivo entro cui definire la misura breve di Tozzi, già allora pienamente attestata sui più alti livelli di espressività. Del dannunzianesimo restano comunque tracce più o meno evi-

denti nella riproposta di particolari motivi ed espedienti narrativi, di cui In campagna del 1910 offre un discreto campionario. Dal punto di vista tematico la novella si colloca nella consolidata tradizione del triangolo amoroso, ma la dedica a Francis Jammes suggerisce la matrice intimistica dell’ispirazione 8. I/ piacere e Le vergini delle rocce 127 Paolo, in Cose e Persone, pp. 435-36. 128 In campagna fu pubblicata in «Pagine libere», 15 settembre-1 ottobre 1910. Jammes ringraziò personalmente Tozzi dell’omaggio con una cartolina inviata da Orthez nel novembre successivo: «Monsieur Je vous remercie du grand honneur que vous m’avez fait en me dédiant cette oeuvre. F. Jammes» (Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., scheda n. 44, p. 44). Qualche mese prima Tozzi si era cimentato nella

versione di due liriche tratte dal jammesiano De l’Angelus de l’aube à l’Angelus du soir, che per iniziativa di Francesco Sapori videro la luce nel 1938-39 in un numero speciale de «La Phalange» dedicato al poeta francese, e si trattò di un contributo molto più che occasionale, conside-

rando la reale conoscenza tozziana della lirica di Jammes, magistralmente sfoderata nell’attacco a Gozzano sulla «Torre» (cfr. I due, in F. Tozzi, Opere, cit., pp. 1261-79).

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ANIMA

E SCRITTURA

affiorano inoltre alla memoria analizzando la costruzione dei personaggi e delle situazioni narrative: come per Claudio Cantelmo, anche le istanze del giovane protagonista tozziano sono di ordine matrimoniale, ed allo stesso modo

la sua scelta dovrà compiersi fra tre sorelle, delineate sul modello delle vergini di Trigento ma dotate di una coloritura paesana del tutto estranea alla trascendente Violante, alla generosa Anatolia ed alla candida Massimilla. La «freddezza verginale» di Teresa non incute affatto in Guglielmo il sacro rispetto che Claudio prova per Violante («È giusto ch’ella rimanga intatta — pensa l’eroe dannunziano —. Ella non potrebbe essere posseduta senza onta se non da un dio»); semmai può sfiorarlo qualche dubbio circa la disponibilità della donna prescelta: «E se non mi avesse amato più? Ma ciò è impossibile. Teresa ha veramente quella forza fatale delle vergini, che non le abbandona mai tosto che elle si siano concesse. Ma si concedono

le vergini?»0,

L’esito della transazione matrimoniale è poi originalmente tozziano: contro ogni aspettativa — a causa dell’insorgere di una reciproca sfiducia - Guglielmo e Teresa finiranno per sposarsi, e tutto sembrerà procedere per il meglio almeno fino alla fatale comparsa nella vita familiare di Margherita, ispiratrice di una passione che resta racchiusa tra le pagine di un diario strumentale quanto quello che nel Piacere ripercorreva le tappe dell'amore di Maria Ferres per Andrea Sperelli. Anche nella gravidanza di Teresa vige un pretesto dannunziano, per l’aperto fastidio che Guglielmo suo mal12° G. D'ANNUNZIO, Le vergini delle rocce, in Prose di romanzi, cit., vol. II, pp. 63-4. 150 In campagna, in Le novelle, vol. I, pp. 109-10.

ASPETTI DELLA FORMAZIONE

LETTERARIA

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grado ne prova e che, stante le diverse implicazioni, rievoca l’odio di Tullio Hermil verso l’“innocente”. Puntuale arriva infine la citazione diretta di un’opera di D’Annunzio con le Novelle della Pescara, ritenute da Teresa una lettura d’elezione e raccomandate in gran segreto alla suora sua corrispondente epistolare'”. E probabile che Tozzi abbia voluto qui accennare apertamente ad una delle più significative matrici di queste prime esperienze prosastiche, sospese tra sensualità panica e trasfigurazione sensi-

bile! Ulteriori suggestioni gli derivavano inoltre dalla tecnica ritrattistica deformante adottata dal D'Annunzio novelliere, con un gusto espressionistico dello sgradevole fisico che, come chiarisce Sandro Maxia, ritornerà anche nei Ricordi di un impiegato e in Con gli occhi chiusi'. La 13! La frequenza dei ritorni dannunziani

non deve comunque

trarre in inganno circa le reali intenzionalità di un Tozzi che, conviene

ricordarlo, contemporaneamente si dedicava a letture di carattere psicologico. A livello stilistico, nella novella In campagna è già in atto una ricerca espressiva che va oltre il tradizionale assetto narrativo: «... il congegno del racconto - spiega Ulivi a questo proposito — è a prospettive continuamente

diverse:

descrizione

ravvicinata,

descrizione

a

grandi tratti e “a campo lungo”, dialogo, con continue alternazioni sintattiche. Anche qui [come nelle novelle coeve] la notazione realistica è d’impronta ossessiva e allucinata; ma Tozzi si rende già conto degli esiti finali di questo modo di avvicinare le cose, e dal piano del reale stralunato vuol già passare a quello — com’egli stesso dice — dell’“allegoria interiore”, dei “simboli intrigati e compatti”; e i dati reali sono sovente prescelti al fine di foggiare gli elementi dei prossimi simboli dove il racconto finirà per coagularsi, provocando effetti di un’emblematica

frammentarietà»

(F.

ULIvI,

Federigo

Tozzi,

cit.,

D439 132 L’ipotesi è di LuTI

(La cenere dei sogni, cit., p. 171), che

inoltre rileva come la struttura narrativa delle prime novelle tozziane (Assunta, La madre, In campagna) sia sostanzialmente quella di poemetti in prosa di stile dannunziano.

133 Secondo Maxia in Con gli occhi chiusi, «a differenza di quanto accade nei Ricordi di un impiegato, la figura umana non appare come

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ANIMA

E SCRITTURA

deformazione animalistica dannunziana incide sul personaggio a livello comportamentale, in modo da trasfigurarne gli atti in direzione di una irrazionale bestialità. In questo senso, al ricordo delle grandi scene corali degli Idolatri o della Morte del Duca d’Ofena sembrerebbe ispirarsi anche il Tozzi dei Butteri di Maccarese'*, nella descri-

zione del progressivo accumularsi della rabbia dei mietitori, bloccata sul limite dell’esplosione in un sanguinoso e distruttivo tumulto. Solo che le stesse ragioni di parte che trasformano gli umili paesani abruzzesi in una folla cruenta e vendicativa non sembrano conservare altrettanto vigore nella Maremma tozziana, dove le rivendicazioni economiche e la giustizia sociale sono ancora principi di lotta troppo distanti, e per questo secondari, rispetto alla dimensione di vita individuale; tanto che il buttero Cor-

rado dovrà la propria salvezza all'imminente matrimonio con la figlia di un bracciante. Senza alcuna indulgenza per le forti tinte del verismo alla D'Annunzio, Tozzi riesce a

conservare un sentimento di intensa adesione alle cose e alla realtà; per questo la consonanza con le Novelle della Pescara si stabilisce piuttosto sulla base della loro «insuperata e cruda semplicità visiva», da celebrare come una

materiale onirico; qui l’intento è diverso, lo scrittore punta ad assimi-

lare tutta quella folla brulicante intorno al protagonista (assalariati, avventori, camerieri e sguatteri, carrettieri, mendicanti, ecc.) all’am-

biente fisico del quale fa parte. Per quanto icastici e variati, tutti questi ritratti e ritrattini hanno immancabilmente un elemento in comune,

consistente nel paragone animalesco. Tozzi qui ha presente quell’inesauribile bestiario contenuto nelle Novelle della Pescara del D’Annunzio, ma non dà mai nel pittoresco, tranne forse che nella scena dei

mendicanti, dove però la suggestione del modello doveva essere forte» (S. Maxta, Uomini e bestie nella narrativa di Federigo Tozzi, Liviana, Padova 1971, pp. 75-6).

14 Cfr. E. De MicHELIS, Saggio su Tozzi..., cit., p. 138.

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

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delle migliori risultanze dell’arte dannunziana, peraltro mai libera dalla fatica letteraria del labor limzae che ha spesso come esito la discutibile elaborazione di «falsi romanzi» !, | Allo stesso modo, anche le cadenze “notturne” e in-

time della Contemplazione della morte e della Leda senza cigno non convincono affatto, nel giudizio di Tozzi, circa la

sincerità di fondo dell’ispirazione confessionale del loro autore che, pur avendo abbandonato l’epica naturalistica tra sensuale ed edonistico delle esperienze romanzesche, è successivamente approdato ad un «misticismo intellettuale» che ha visto santa Caterina da Siena scavalcare senza alcuna giustificazione Nietzsche o Leonardo da Vinci, ed ha finito per votarsi ad uno pseudo-intimismo di cui è facile intuire il carattere artificioso!”. Prive dell’apprezzamento del critico letterario restano anche le opere del Vate-guerriero, addirittura definito, nel-

l’articolo del 1916 Spunti su la lirica attuale, pessimo cantore sebbene buon soldato (cfr. Appendice). Per lui l’occasione bellica non ha sortito l’unica risultanza plausibile, vale a dire l’umanizzazione del «parossismo panico» di un artista che ostinatamente insiste invece a proporsi prima di tutto in veste di esteta. 135 La beffa di Buccari, in F. Tozzi, Opere, cit., p. 1290. 136 «Perché è venuta la Leda senza cigno — scrive Tozzi a consuntivo

della parabola dannunziana — a mostrarci che il D'Annunzio ripeteva anche in questa nuova direzione un errore d’arte simile a quello della gonfiezza pagana. Il materiale ambiguamente mistico qui ha modificato, è vero, la sensualità; ma l’ha indebolita. E nelle descrizioni paesi-

stiche, che si dilungano con ogni sorta di cose che tornano alla memoria del nostro scrittore, si sentono le influenze dei più recenti lirici francesi. Il procedimento è lo stesso; e ne risulta una divergenza continua dalla sincerità, anche quando l’artificiosità è quasi giustificata da nuove intenzioni di pensiero. Insomma, è una decadenza sempre più visibile» (ivi, p. 1291).

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ANIMA E SCRITTURA

Il distacco dal «meriggio sgargiante» dell’arte dannunziana a questo punto può dunque dirsi pienamente consumato. «Purgatomi sollecitamente dal dannunzianesimo, come dal mal francioso, = dichiara Tozzi nel 1918 - i

miei occhi hanno acquistato la possibilità di vedere»! una dichiarazione di poetica piuttosto tarda, che peraltro sembrerebbe contraddetta dal carattere dell’ultima prova narrativa, Gli egoisti, dove accanto al dato scientifico della

definizione psicologica di Dario Gavinai e di Giulio Carraresi, Tozzi restituisce quel clima di estetismo dannunzianeggiante che era sembrato esaurito una volta per tutte nella fase giovanile. Nella sua attenta ricognizione dell’itinerario narrativo tozziano, Baldacci ha valutato questo recupero di modelli tipici degli esordi — dal dannunzianesimo alla cultura scientifica — nell'ottica di una reinterpretazione dell’autobiografismo, compiuta dallo scrittore in senso programmatico ed ideologico a seguito di un bisogno di confessione totale non più dilazionabile!*. L’antica tensione creativa si è ridotta alla funzione di «memoria pratica», e appare

157 Saggi di pedagogia, in Realtà di ieri e di oggi, p. 87. 138 Baldacci ha introdotto il tema delle componenti ideologiche degli Egoisti nell'intervento al Convegno di Siena del 1970 (Le illumzinazioni di Tozzi, ora in F. Tozzi, I romanzi, Vallecchi, Firenze 1973, pp. XLII-LXVII), ritornando successivamente sull’argomento in occasione del secondo Convegno senese, nel 1983, con una parziale revisione del

suo primo e più che positivo giudizio sul romanzo. Persiste comunque la convinzione che esista una «saldatura» di fondo con la poetica degli esordi narrativi, tra «dannunzianesimo

di grandezza» e «memoria di

certi dati scientifici caratterizzanti alcune manifestazioni estetiche e psico patologiche» (Itinerario del romanzo tozziano, cit., p. 4). Sempre a proposito degli Egoisti, anche il saggio di A. CavaLLi PASINI, «Gli egoisti» o la sintassi del possibile, in Il mistero retorico della scrittura,

Patron, Bologna 1984, pp. 81-109, si svolge sulla linea del recupero tematico delle opere giovanili di Tozzi.

ASPETTI

DELLA

FORMAZIONE

LETTERARIA

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condensata nelle descrizioni degli scorci di Roma o in quella inconfondibilmente dannunziana delle rose, così come nella definizione psicologica dei due amanti, sconosciuti a se stessi e presentati nella loro confusa interiorità secondo movenze già proprie di Adele e di Pietro Rosi. In questo senso, l’intuizione di Baldacci circa l’evidente saldatura tra Albertina e Adele!” introduce all’ancor più suggestiva ipotesi di una plausibile confluenza di materiale del primo romanzo

(del resto mutilo allo stato attuale)

nell’ultimo '*°, Proviamo con le attribuzioni: La mattina dopo non voleva incontrare nessuno; voleva stare chiusa per pensare a modo suo; finché, a poco a poco, riconobbe di essere come una volta. Ritrovò nella sua casa tutte le cose intatte come una volta; come se non le avesse lasciate

mai. Con un senso spiacevole, si ricordava di avere sonnecchiato in treno; affranta da una stanchezza che ora non capiva più. Destandosi nella sua camera, ebbe invece un piacere così tranquillo; che le pesò su la coscienza come una sbarra che le volesse impedire di aprire gli occhi. E pareva che la luce dell’alba facesse staccare le nuvole dalle montagne; dove s’erano posate tutta la notte. Volendo fare la prova di come si sarebbe sentita andò alla persiana; e la spinse con tutte e due le mani. La rosa, arrampicata al muro, gliela fece tornare a dietro; qualche rama sporse fin dentro il davanzale; ed altre rame, con la punta, entrarono tra le stecche della persiana e la fermarono. Fuori, non c’era nessuno; e la pioggia era sola sola sopra la campagna; era sola come lei", 139 Cfr. pp. 4-5.

L.

BaLpacci,

Itinerario

del

romanzo

tozziano,

cit.,

140 A detta dello stesso Tozzi, le fervide carte degli Egoisti potevano ricordare «certe pagine che mi venivano a Castagneto» (cfr. Nota ai testi, in F. Tozzi, Opere, cit., p. 1361). La citazione è tratta da una lettera ad Emma da Roma, datata 10 settembre 1917. 141 Gli egoisti, in I romanzi, pp. 487-88.

82

ANIMA E SCRITTURA

Questa è Albertina di ritorno nella casa paterna; ma

avrebbe potuto essere Adele in un interno senese, con i suoi straniamenti, con la sua assoluta incomprensione dei messaggi lanciati dalle cose: una rosa rampicante sul muro, oppure una cecca imbalsamata e un vaso di terracotta, senza nemmeno la necessità di mutare la scena, tanto il personaggio assomiglia sempre a se stesso.

Altri reagenti di tradizione: Verga e il regionalismo

Il rapporto della narrativa tozziana con la poetica del verismo ha per lungo tempo rappresentato una questione critica delicata e controversa. Ci voleva la lezione di Giacomo Debenedetti! per affrancare definitivamente Tozzi dalla attardata tradizione dei “descrittori dal vero” e collocarlo a pieno titolo nel nostro Novecento, riconoscendo in lui quella particolare forma di modernità che nasce dall’operare la deflagrazione degli schemi letterari consueti proprio dal loro interno. Ciò nonostante la lettura debenedettiana propendeva ancora verso il riconoscimento di un a-naturalismo istintivo piuttosto che di un antinaturalismo per via di cultura: come dire, Tozzi moderno suo malgrado. Fatta eccezione per Con gli occhi chiusi e Ricordi di un impiegato, valutare romanzi quali Il podere e Tre croci in chiave eminentemente psicologica, delegando ad implicazioni edipiche la responsabilità dei risultati letterari, rap-

142 Oltre al saggio dedicato a Con gli occhi chiusi, in «Aut-Aut», n. 78, novembre 1963, pp. 28-48, si vedano anche gli altri contributi debenedettiani sulla narrativa di Tozzi raccolti in Il rorzanzo del Novecento, Garzanti, Milano 1971, pp. 55-107 e 125-256. !4 Sulla lettura debenedettiana della narrativa di Tozzi cfr. L. BaLpacci, Tozzi e la lezione di Giacomo Debenedetti, cit., pp. 58-67.

ASPETTI

DELLA

FORMAZIONE

LETTERARIA

83

presentava senza dubbio un pronunciamento coraggioso e rivoluzionario, soprattutto alla luce delle componenti tematico-stilistiche: delle due opere, entrambe apparentemente costruite su un intreccio da tipico “romanzo della roba”, bloccato in un sistema compatto e scarsamente provvisto delle aperture centrifughe caratteristiche della prima maniera tozziana. Alcune delle antiche aporie logiche trovano comunque modo di inserirsi anche nel più tardo tessuto narrativo, come segnala ad esempio il ben noto uso atipico del punto e virgola, in grado da solo di scandire il racconto sul ritmo di una riflessione interiore che, nonostante la terza persona, non sembra affatto vo-

lersi attenere al canone dell’impersonalità'*. Data la spiccata tendenza dell’autore al presenzialismo nella sua opera (e non solo in termini di materia narrativa autobiografica), sorge l’esigenza di verificare quale sia stata realmente l’adesione di Tozzi alla poetica del naturalismo, o meglio il livello del suo coinvolgimento rispetto agli sviluppi che essa derivò sul piano nazionale, con l’esperienza di Verga e la fioritura dei diversi filoni regionalistici. Torniamo al saggio Giovanni Verga e noi, già introdotto a proposito delle compromissioni dannunziane dell’arte di Tozzi. Qui lo scrittore imposta il discorso intorno ai modelli letterari contemporanei attraverso l’opposizione del «movimento inappagato» (D’Annunzio) e del-

144 Anche uno stilema tipicamente impersonale come il discorso indiretto libero nell’uso tozziano perde la funzione che gli è propria in tutta la narrativa naturalista, e da espediente della registrazione oggettiva delle impressioni dei personaggi, si trasforma in strumento atto al sondaggio psicologico dell’io, nel tentativo di cogliere i movimenti della coscienza (cfr. a questo proposito il saggio di E. CANE, I/ discorso indiretto libero come strumento di analisi psicologica, in Il discorso indiretto libero nella narrativa italiana del Novecento, Silva, Milano 1969, pp. 17-30).

ANIMA E SCRITTURA

84

l’«istinto di chiarezza ottenuto» (Verga), due «forze equivalenti» che soccorrono «nell’alternative avvicendate della mobilità lirica e della giustificazione spontanea» !*. L'intervento tozziano comparve sul «Messaggero della Domenica» nel novembre del 1918, in anticipo di quasi due anni sulle celebrazioni dell’ottantesimo compleanno dello scrittore siciliano. Oltre a fornire valide indicazioni di poetica, esso si colloca dunque fra i primissimi, sporadici tentativi di recupero della lezione di Verga, all’indomani della temperie del “frammento” che aveva visto l’interesse letterario limitarsi al solo versante del lirismo intimo, a tutto detrimento dell'impianto narrativo di romanzo.

Con Giovanni Verga e noi Tozzi è ancora una voce

pressoché isolata, alla quale tuttavia di lì a poco farà eco una singolare iniziativa promossa attraverso le pagine del-

15 Giovanni Verga e noi, in F. Tozzi, Opere, cit., p. 1307. 14 Per le influenze del frammento vociano nella narrativa di Tozzi, si veda però quanto scrive Luti: «... sicuramente l’attività vo-

ciana di Papini e di Soffici dovette influire non poco sull’autore di Cor gli occhi chiusi; libri come Un uomo finito, o il Giornale di bordo e la Giostra dei sensi agirono senza dubbio sulle scelte stilistiche del Tozzi novelliere, prosatore d’arte e sperimentatore di nuove forme prosastiche. Ciò che invece Tozzi non condivise fu la svolta lacerbiana e futurista dei due fiorentini, considerata dal senese come mero artificio e abbandono interessato di un rapporto umanamente comunicativo» (Tozzi e la tradizione narrativa toscana, cit., p. 82). Preziose indicazioni sui rapporti di Tozzi con la cultura fiorentina delle avanguardie sono inoltre contenute in un precedente intervento lutiano, nel quale venivano sottolineate l’importanza della formazione in clima vociano dello scrittore e le evidenti suggestioni nell’andamento lirico-moraleggiante della sua pagina (cfr. G. LutI, L'esperienza di Federigo Tozzi, in Narrativa italiana dell’Otto-Novecento, Sansoni, Firenze 1964, in particolare le pp. 167-75). Sempre a questo proposito, si rimanda anche al capitolo dedicato alle relazioni del giovane Tozzi con la cultura del suo tempo, nella monografia tozziana di F. ULIvi, Federigo Tozzi, cit., pp. 14-32.

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

85

l'inserto verde del «Messaggero». In occasione dell’apertura stagionale della Compagnia del Teatro Mediterraneo all’Argentina di Roma, con la rappresentazione di Dal tuo al mio, un comitato di giovani scrittori indirizzava a Verga un appello per averlo personalmente presente alla serata inaugurale. Dopo un elogio dello stile verghiano, esaltato come «stile ideale», i firmatari proseguono: Vogliamo anzi essere audaci e dirvi che bisognava che sorgesse in Italia una gioventù rapace, colta e addestrata a tutti i segreti dell’arte, come a tutte le ricerche e astruserie, perché si creasse,

all’infuori di ogni pregiudizio di scuola, una mentalità, un gusto capaci di comprendere ed apprezzare le bellezze indimenticabili che Voi avete profuso nella vostra opera‘.

Il richiamo ai vantaggi di una formazione modernamente sperimentale, che proprio in virtù dei suoi trascorsi avanguardistici consentiva ora di valutare a pieno le altezze stilistiche della scrittura verghiana, non stupisce se si considera che il nucleo fondamentale dei “giovani” dell’appello era costituito dai futuri redattori de «La Ronda»!*. Al contrario, il recupero di Verga operato da Tozzi più che da istanze programmatiche di “ritorno all’ordine” muoveva da considerazioni di ordine etico-letterario del tutto private, in base alle quali il maestro siciliano si prospettava nel panorama culturale italiano con la stessa evidenza di «una di quelle montagne attorno alle quali girava la nostra strada priva di indicazioni», ed in lui si ritrova «tutto ciò 147 AA.VV., Per Giovanni Verga, in «Il Messaggero della Domenicaygra Lian M201:919) 148 Firmarono l’appello: Silvio D'Amico, Fausto Maria Martini, Giuseppe Meoni, Vincenzo Cardarelli, Antonio Baldini, Aurelio E. Saffi, Nicola Moscardelli, Bruno Barilli, Goffredo Bellonci, Eugenio Giovannetti, Ercole Luigi Morselli, Luigi Chiarelli, Rosso di San Se-

condo, Emilio Cecchi, Armando Spadini.

ANIMA E SCRITTURA

86

che il nostro popolo ha di più sano, di più vivo, di più spontaneo»

!.

Sul valore dell’esperienza di Verga lo scrittore andava riflettendo già da tempo, come dimostra tra l’altro una breve annotazione di commento a letture verghiane posta in chiusura di una lettera ad Emma dell’agosto 1917: «Tu di Verga hai certamente letto i primi libri; che hanno appunto quell’indole di cui mi parli. Ma devi leggere i Malavoglia e Don Candeloro e Compagni; e vedrai chi è Verga»! La scelta è sicura: non il Verga storico patriottico e neppure il Verga della passionalità mondana e scapigliata possono competere con l’artista che nasce dall’esperienza etica della scoperta dei “vinti”. Spingendosi oltre la prospettiva programmatica della prefazione a I Malavoglia, Tozzi coglieva dunque la vera essenza della nuova formulazione artistica, che non si esauriva nel me-

todo impersonale della registrazione e nella tecnica coralpopolare della resa cromatica, ma si proponeva piuttosto come testimonianza esistenziale di una coscienza. Ciò è ulteriormente attestato dal fatto che il dato verghiano per eccellenza rintracciabile nella narrativa di Tozzi — vale a

dire l’uso linguistico regionale — non si fonda su postulati teorici di impersonalità, ma al contrario su considerazioni di ordine funzionale, ai fini di un migliore risultato espressivo. «Chi non conosce abbastanza la lingua italiana — ebbe a dichiarare Tozzi in via del tutto generale - dovrebbe scrivere nel suo dialetto; o, per lo meno, articolare

la sua sintassi non ad orecchio, ma secondo le regole natu-

‘4° Giovanni Verga e noi, in F. Tozzi, Opere, cit., p. 1305. 1°° Cfr. Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., scheda n. 112, p. 83. Su Verga e Tozzi cfr. anche G. TELLINI, Verga verso il Novecento, in

«Il Ponte», 7169-73.

a. XXXIII,

n. 7, luglio 1977, in particolare le pp.

ASPETTI

DELLA

FORMAZIONE

LETTERARIA

87

rali del suo dialetto», Il risultato del resto non cambia in base alle modifiche della strumentazione, perché scrivere bene significa sostanzialmente «essere padrone della propria intelligenza e della propria sensibilità» '?, La ricerca di Tozzi procede pertanto verso una graduale conquista di equilibrio tra la «rettorica» del dialettalismo e l’italianizzazione ad oltranza conseguente l’adeguamento al monolinguismo dei cenacoli culturali dominanti, tanto fiorentini che romani. Il problema della lingua risulta di evidente centralità nella composizione di un romanzo come I/ podere, recuperato quasi per caso dopo un intervallo di tempo che segna la fine della stagione senese e l’integrazione dello scrittore nel clima letterario della capitale. Dalla corrispondenza che Tozzi intrattenne con la moglie durante la rielaborazione del lavoro — soprattutto il commento “a caldo” appena terminato il manoscritto — emerge una serie di valide notazioni di poetica, in particolare riguardo al definirsi della scrittura, messa a punto con l’utilizzo di «quel che c'è di più bello nel linguaggio dei contadini», allo scopo dichiarato di riprodurre la «spontaneità campagnola» che fin dalle prime duecento cartelle composte a Castagneto costituiva la linea essenziale dell’opera'!”. Eppure, nono-

151 Come leggo io, in F. Tozzi, Opere, cit., p. 1326. L’uso fortemente regionale della sua scrittura ha creato non pochi problemi di diffusione alla narrativa di Tozzi, come quando già nell’agosto del 1917 lo scrittore riferiva alla moglie di aver dovuto sfogliare presso la Biblio-

teca Nazionale «tutti i vocabolari per far vedere a quello di Milano, che pure è uomo d’ingegno e sa chi sono [Giovanni Beltrami] che certi vocaboli adoprati sono usatissimi, e così per certi modi di dire. Ma egli, non essendo toscano, e non avendo tempo di controllare da sé, aveva dubitato» (cfr. Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., scheda n. 112,

p. 83). 152 Come leggo io, in F. Tozzi, Opere, cit., p. 1326. 153 Cfr. le Notizie in appendice al volume I romanzi, p. 981.

88

ANIMA E SCRITTURA

stante queste possano sembrare professioni di fede verista, la pagina tozziana presenta una distanza inequivocabile rispetto al colore locale della tradizione campestre, per la sua intima implicazione con il mondo del narratore, dal quale deriva la capacità di convogliare una materia di per sé «asciutta e arida» entro forme «molli ed esuberanti» di vita!*. Se esiste un indice attendibile della riuscita artistica del Podere, in apparenza così ben inquadrabile nei canoni tematici del verismo, esso non può che consistere nell’abilità tozziana di decantare sulla pagina una concezione dei rapporti umani, della natura e dell’esistenza dell’individuo profondamente radicata nella storia personale dell’autore più che osservata nella realtà sociale, fino ad universalizzare le emozioni autobiografiche attraverso il filtro di una formazione culturale valida ed aggiornata. La tendenza si era resa evidente già con le prime esperienze narrative, nelle quali l’ambientazione rurale scelta da Tozzi non sot194 Fermo restando il divario nella prospettiva poetica, per il Tozzi che affrontava la misura narrativa lunga Verga finiva comunque per rappresentare un valido modello nel passaggio dal frammento al romanzo. Nella sua lettura del Podere, Rossi delinea tre direzioni privilegiate in cui si evidenzia il recupero tozziano dell’esperienza dei Malavoglia. Relativamente al testo verghiano: «a) la trama è “bloccata”, accelerata continuamente verso la “fine”, dalla simmetria di presagi e disgrazie, iterati fino allo scioglimento, con la regolare inserzione delle riprese, creando una combinatoria di più e di meno che è stata studiata nel suo perfetto equilibrio; / b) l’adeguazione ad un elementare ritmo di pensiero è perseguita mediante il ricorso a codici culturali: i proverbî, in maggioranza selezionati con esigenze ritmiche (rimalmezzo etc.), le enumerazioni tecniche (campi semantici ruotanti intorno all’at-

tività peschereccia); / c) l’interno del personaggio è accordato con l'esterno del cielo, paesaggio etc. (stelle con la denominazione dialettale, patina crepuscolare nelle descrizioni degli orizzonti marini, della “casa del nespolo”, difusa Sebnsucht romantica)» (A. Rossi, Modelli e

scrittura di un romanzo tozziano. Il podere, Liviana, Padova 1972, pp. 63-4).

ASPETTI

DELLA

FORMAZIONE

LETTERARIA

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tintendeva affatto una volontà di analisi sociologica”. Emblematica la precocissima prosa sulla gita alle miniere di Boccheggiano, interamente pervasa dal senso di colpa del visitatore che si vergogna di essere sceso nelle viscere della terra a «godere delle sofferenze altrui», a curiosare fra quelle «ombre d’alcoolici e d’idioti» alle quali egli non riserva, verghianamente,

un sentimento di umana pietas,

ma piuttosto i propri giovanilistici ardori socialisti!’ La tipica attitudine naturalista all'osservazione cambia di segno e si ribalta nell’antinaturalismo di una metaforica discesa nel profondo!”, dalla quale Tozzi riemerge con il senso pieno della divaricazione tra natura e convenzioni sociali che regge la vita dell’uomo, impedendogli di comprendere la propria realtà. Questa prima, embrionale formulazione della poetica dei “misteriosi atti nostri” — datata 1903 — vedrà lo scenario maremmano delle miniere mutarsi successivamente in

19° Cfr. al riguardo la posizione di G. PULLINI, che nel saggio Espressionismo narrativo di Federigo Tozzi, in «Le ragioni narrative», a. II, n. 7, 1961, p. 98, scrive: «Niente “populismo”, dunque, in Tozzi; ma si sbaglierebbe, d’altro lato, anche se si volesse ricavarne una conclu-

sione sociologica a favore dell’aristocraticità di Tozzi. Piuttosto l’argomento serve a dimostrare l'indifferenza di Tozzi al problema sociale dei contadini e la distanza del suo mondo narrativo da quello di Verga, ad esempio, a cui impropriamente è stato talvolta affiancato». 156 «I minatori avevano l’aria di dirmi: — Perché sei venuto a vederci? / E il mio sorriso rispondeva: — Vi amo. / Ci fu per un istante il ritorno violento de’ miei sentimenti, e mi vergognai d’essere andato

in quel luogo a godere delle sofferenze altrui. Giunsi a pensare: / “Io non ho il diritto di credermi superiore a loro. Queste ombre d’alcoolici e d’idioti hanno in sé una potenza smisurata: nel loro pugno si condensa l’energia dell'umanità”. E per un istante non vidi che il lavoro trionfante nel mondo» (Nelle miniere di Boccheggiano, in Cose e Persone, p. 340). 157 Cfr. M. MARCHI, La cultura psicologica di Tozzi, in AA.VV., Tozzi in America, cit., pp. 33-4.

ANIMA E SCRITTURA

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quello agrario e piccolo borghese dei dintorni di Siena, e anche qui i personaggi saranno chiamati a prendere atto della loro condanna a brancolare nel buio. Qualunque sia il dato caratterizzante le vicende sullo sfondo, la narrativa

di Tozzi riflette dunque la sfera emozionale e culturale dello scrittore, concedendo scarso credito alle tradizionali

convenzioni di race e milieu‘. L’inglobamento del sociale all’interno della vicenda autobiografica misura anzi la distanza che separa Tozzi dal naturalismo in generale, ed in particolare dal regionalismo toscano dei vari Fucini, Procacci, Paolieri,

e dei loro manierizzatori, il Civinini

o il Cinelli. Non è esclusa l’appropriazione di alcune tonalità stilistiche del bozzettismo di fine secolo, quale ad esempio, secondo le indicazioni di Luti, la «descrizione

minuta e talvolta ossessiva del lavoro dei campi e del mondo del contado, fermati nella consuetudine della vita di ogni giorno»; così come, a livello iconografico, l’ambientazione è generalmente resa attraverso tutti quegli og!* Scrive a questo proposito Ulivi: «L'organizzazione romanzesca di Ire croci non risponde più affatto al concetto tradizionale ottocentesco, come non vi risponde I/ podere: ma mentre in quest’ultimo Tozzi inventa un “Fato” che ha sovente il carattere della meccanicità arbitraria, e il tentativo di organizzare il “mondo” in linee logiche ci lascia alla

fine imbarazzati, in Tre croci il discorso segue le linee di un’interpretazione delle cose in chiave risolutamente soggettiva, e personaggi, intreccio, descrizione delle cose e degli ambienti, e tecnica della narra-

zione ci appaiono quasi del tutto volatizzati di fronte alla preponderanza dei criteri personali, e in definitiva allo stretto soggettivismo dell’interpretazione degli elementi del racconto. (...) La situazione è quindi quella di chi opera ir re narrativa e interviene nell’azione o nei caratteri attingendo non a quell’ipotesi di verità obiettiva che può rispecchiarsi per un attimo nella coscienza di un personaggio, ma a quel fondo di verità non meno aleatoria e ipotizzabile che sgorga dalla propria stessa identità di scrittore» (F. ULIVI, Federigo Tozzi, cit., pp. 146-47).

1? G. LutI, Tozzi e la tradizione narrativa toscana, cit., pp. 72-3.

ASPETTI

DELLA

FORMAZIONE

LETTERARIA

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getti di uso comune che pertengono ad aie e fattorie dei racconti fiorentini o senesi.

Tuttavia, se la toscanità è un dato imprescindibile della cultura e della narrativa tozziana, è pur vero che i suoi esiti nella prosa di romanzo e altrettanto nella novellistica valicano i confini regionali per attestarsi su livelli europei. È stato detto e ripetuto: assai più vicina a Dostoevskij che a Pratesi nel valore assoluto della trasposizione letteraria, la pagina di Tozzi conserva la matrice culturale toscana nelle asperità dei caratteri contadineschi, nei cromatismi della campagna, nei tratti rapidi e scorciati del flusso narrativo. Toscanità dunque come «marchio senza scampo»! per decifrare plausibili ascendenze, peraltro nettamente superate sul piano dei risultati artistici. Uno dei paralleli più funzionali istituiti a tale riguardo concerne la narrativa di Mario Pratesi, e se il nome dello

scrittore amiatino è comparso più volte nel discorso critico sul caso Tozzi lo si deve al progetto di rinnovare per vie interne il clima della provincia che caratterizza entrambe le esperienze, stante le diverse modalità di esecuzione!, Il 160 G. LutI, Toscani e lombardi, in «Inventario», a. XXV, n. 19, DISETIOOTE 161 Cfr. G. LutI, Introduzione a M. PRATESI, I racconti, a cura di G.

Luti e J. Soldateschi, Salerno, Roma 1979, pp. xLvIm-xLIx; In., Tozzi e la tradizione narrativa toscana, cit. Sempre a proposito dell’accostamento di Tozzi allo scrittore amiatino, si veda anche quanto Emilio Cecchi scriveva riguardo al Pratesi dell’Eredità: «... è in lui un’energia sostan-

zialmente lirica, che lo sostiene nell’invenzione di robuste figure, e di scene fra le più impressionanti della nostra narrativa moderna (...). Da questo punto di vista, molto al Pratesi deve il Tozzi, ed anche il Pratolini, intendo nella maniera scorciata e scattante di presentare,

senza descrizioni, e tuttavia con la massima plasticità e forza di movimento, una situazione determinata. Tre croci, ch'è uno dei più mossi ed intensi romanzi del Tozzi, senza la lezione del Pratesi, forse non sarebbe mai stato scritto» (E. CeccHI, Mario Pratesi, in Libri nuovi e usati, ESI, Napoli 1958, pp. 245-46).

ANIMA E SCRITTURA

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fortunato incontro tra ambiente e ideologia che si attua nel romanzo pratesiano L'eredità getta una luce nuova sull’atmosfera morale e sociale della Maremma; analogamente Tozzi si impegna ad aggiornare la sua estrazione di confine attraverso una complessa rete di riferimenti culturali. Esiste tuttavia uno scarto tra le due scritture, segnato dalla dimensione ancora ottocentesca di Pratesi, liberale e idea-

lista per formazione romantica, e la modernità pienamente novecentesca di Tozzi, conquistata grazie ad una geniale capacità di letterarizzare a livelli davvero trans-nazionali una meditazione che nasce autobiografica e si sostanzia per via di letture. i L’accostamento di Tozzi a Pratesi tende dunque a mantenere lo scrittore senese all’interno di una linea di tradizione che si svolge prevalentemente sul versante degli spunti regionalistici. Ma come giustamente notava Baldacci, in Pratesi «non c’è mai l’intuizione di ciò che sarà la

più autentica novità di Tozzi, la sua psicologia del profondo», e di conseguenza spesso sono proprio i confronti in merito alle esibizioni di toscanità a definire il divario che esiste tra i due narratori. Quando ad esempio lo sguardo di Pratesi spazia sulla campagna maremmana, prendono corpo immagini note e in qualche modo codificate nell’ambito di un descrittivismo paesaggistico di scuola. Le suggestioni sono quelle tipiche dei panorami toscani,

slontananti

in leggere foschie

dalle tonalità

cineree:

Le prime colline, e quella pure del cimitero, girano e si sprofondano nelle vallette tutte folte d’alberi e case, ma poi le crete bigie s’estendono oltre per largo spazio, interrotte solo da qualche macchia isolata o dal campanile di qualche oscuro paesetto,

'6° Cfr. G. LutI, Tozzi e la tradizione narrativa toscana, cit., pp.

78-9, con la citazione dal commento di Baldacci alla ristampa della nuova edizione del libro di Mario Guidotti su Pratesi.

ASPETTI

DELLA

FORMAZIONE

LETTERARIA

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finché quella smorta regione non si rianima in fondo alle montagne azzurre e serpeggianti nel cielo chiaro!9.

La sequenza ordinata degli elementi naturali e architettonici che riempiono lo spazio presuppone l’esercizio di una facoltà visivo-razionale che dalla distanza ravvicinata allarghi la prospettiva fino all'orizzonte. Ben diversa è la scansione geometrizzante e al tempo stesso allucinata delle vedute tozziane di città e campagne, dove le componenti convergono secondo modalità di accumulo espressionistico: Strade che si dirigono in tutti i sensi, si rasentano tra sé, s’allontanano, si ritrovano due o tre volte, si fermano; come se non sapessero dove andare; con le piazze piccole sbilenche, ripide,

affondate, senza spazio, perché tutti i palazzi antichi stanno addosso a loro. Cerchi e linee contorte di case, quasi mescolandosi come se ogni strada tentasse di andare per conto proprio; pezzi di campagne che appaiono dalla fessura di un vicolo visto in tralice, dalla scalinata d’una chiesa, da qualche loggia dimenticata e deserta!°*.

Considerazioni a parte merita la questione delle ascendenze zoomorfe del personaggio, tipica della narrativa regionalistica e generalmente procedente per similitudini e accostamenti attraverso cui si compie l'omologazione dell’uomo

alla bestia. Pratesi stesso, come

notava Getrevi,

utilizza un «repertorio animalesco di specie mitico-agreste», affidando alla metafora bestiale il compito di coglie163 M, PRATESI, L'eredità, a cura di V. Pratolini, Bompiani, Milano

1942, p. 29.

i

164 Con gli occhi chiusi, in I romanzi, p. 66. Sulla prospettiva geometrizzante dei paesaggi tozziani, cfr. A. Rossi, Tozzi: la forma del narrare, cit., pp. 120 e ss.

94

ANIMA E SCRITTURA

re «la fissità enigmatica di un mondo primordiale»!®. Con Tozzi invece, oltre a risultare maggiormente variato, il bestiario amplifica le sue implicazioni narrative, trasferendole dalla sfera puramente attributiva a quella

esistenziale. L’animalizzazione tozziana non è figura emblematica di un processo di degradazione sociale e regressione naturalistica: la si direbbe piuttosto uno stato parificato dell’individuo rispetto al resto del creato (le bestie, le cose, le persone), e con esso.sofferente della oscura negati-

vità che pervade l’esistenza. Non senza fondamento dunque, la continua sfuggente eccentricità rispetto ad una tradizione che pure sembra ripetutamente chiamata in causa, ha indotto alla definizione di Tozzi in termini di «toscano non integrato»; e del resto il trasferimento a Roma sottolinea sin troppo bene quanto angusti dovessero ormai sembrare allo scrittore i confini del senese volendo disporre la propria vita esclusivamente all’attività letteraria. Lontana da eccessi strapaesani, l’arte di Tozzi tendeva a concentrare gli sforzi sul terreno della ricerca interiore; e proprio sul recupero dello spessore psicologico dei personaggi, di contro ad un !© P. GETREVI, Nel prisma di Tozzi, Liguori, Napoli 1983, p. 104. Getrevi notava ancora come la distanza tra certi momenti crudeli e sanguinosi di [x provincia e dell’Eredità sia scarsa rispetto ad una serie di luoghi tozziani che vanno dalla castrazione del cane in Con gli occhi chiusi, all'uccisione dell’uccellino nella novella Ozio o allo sterminio dei rospi in una prosa di Bestie (ivi, p. 103). !66 Cfr. G. TELLINI, in «Quaderni della Antologia Vieusseux», n.

1, 1985, pp. 19-37 (ora, con il titolo Tozzi fra geografia e storia, in Letteratura e storia. Da Manzoni a Pasolini, Bulzoni, Roma 1988, pp. 239-58). La matrice periferica in fondo rappresenta una «cifra esistenziale prima ancora che etnica, antropologica e linguistica; consapevolezza della propria sconvolta e dimidiata identità; forma originale di dissidenza che comporta un coraggioso scavo interiore entro una condizione, geografica non meno che storica e psicologica, di isolamento e di emarginazione» (p. 240).

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

95

apparente dominio dell’aneddotica e del folklore, si fonda anche l’apprezzamento tozziano dell’arte di Grazia Deledda: Può darsi che molti lettori della Deledda s’interessino di certe non necessarie caratteristiche, più esteriori che interiori,

dei suoi personaggi relative ad usi e costumi di contenuto aneddotico; ma non è colpa della Deledda. A noi non importa molto sapere come questi personaggi vestono e dove agiscono: a noi importa esaminarli in sé stessi; e, anche se sono tipi speciali, è evidente che noi dobbiamo soltanto verificare come questi tipi sono presentati. Non ci fermiamo ad esaminare che cosa contengono in sé stessi, ma piuttosto quanto contengono in sé stessi e come. Ed allora cade di botto l’importanza piuttosto relativa e superficiale con la quale essi si presentano; e troviamo, invece, un'importanza fondamentale e parecchie volte indistruttibile. Ed allora non si può sostenere più, troppo alla leggera, che la Deledda è una scrittrice sarda!”.

AI pari delle origini isolane, tutto ciò che nella narrativa deleddiana può considerarsi diretta conseguenza di © una programmatica attenzione al sociale o di curiosità antropologiche risulta completamente irrilevante ai fini della valutazione artistica. «La ricchezza spirituale — afferma Tozzi - non va cercata nell’esuberanza di certe qualità regionali, ma piuttosto nel concepimento intellettuale della scrittrice»!*, autenticamente moderno soprattutto nei ripetuti tentativi di decodificazione psicologica dei personaggi. Marianna Sirca è ad esempio un preciso studio

167 Pey l’arte di Grazia Deledda, in F. Tozzi, Opere, cit., p. 1285.

Restano inoltre documentati dalle carte d’archivio alcuni contatti epistolari fra Tozzi e la Deledda, in particolare circa l'apprezzamento di Bestie da parte della scrittrice sarda (cfr. Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., scheda n. 116, p. 84). 168 Per l’arte di Grazia Deledda, in F. Tozzi, Opere, cit., p. 1286.

96

ANIMA E SCRITTURA

di donna, condotto senza i «soliti espedienti opachi di

letteratura o con le lisciature di maniera», ma attraverso

una sensibilità di taglio talvolta dostoevskijano, sostenuta da un senso della realtà evidente e mai oppressivo. Ci si potrà allora chiedere, con Tozzi, se questa psicologia di gente sarda ha, per il nostro io, non solo un aspetto letterario, ma qualche relazione che ci smuova lo spirito facendolo agire. Ossia ci dobbiamo chiedere se questi personaggi, invece di recitare una commedia

convenzionale,

non siano anche e soprattutto espressioni simboliche che traducono nostri sentimenti e attività spirituali e sentimentali!°.

E con questo la poetica del naturalismo è ormai interamente alle spalle della stagione novecentesca e dell’elaborazione letteraria di Tozzi.

Gli scrittori europei Dalla ricostruzione fin qui tentata della cultura letteraria di Tozzi è rimasta esclusa quasi per intero una componente largamente attestata dalla critica, vale a dire la frequentazione delle letterature straniere, in particolare di quella francese (in lingua originale) e di quelle tedesca e russa (in traduzione). Già in una delle primissime lettere ad Annalena, l’autore diciannovenne si giustificava di non avere ancora «una coltura completa, benché abbia scorrazzato assai, più

che nell’italiano, nella letteratura francese'”, » E infatti i

primi libri presi in prestito alla Biblioteca Comunale fu-

:6 Ipi, p. 1287. 170 Novale, p. 30.

ASPETTI

DELLA

FORMAZIONE

LETTERARIA

97

rono le raccolte poetiche e il teatro di Maeterlinck!”; mentre fra le consultazioni registrate nello stesso periodo compaiono le opere teatrali di Goethe e di Ibsen (in particolare, di quest’ultimo, Gli spettri, Il costruttore Solness,

Edda Gabler e L’anitra selvatica’). Motivi della drammaturgia ibseniana sembrano del resto presenti in alcune pièces di Tozzi come La famiglia, Verità, Gente da poco, L’incalco, secondo quanto ha convincentemente messo in evidenza uno studio di Manacorda!”. 17! Cfr. L. AnpERSON, Tozzi’s Readings, 1901-1918, cit., pp. 129

e sE, 172 Entrambi gli autori sono ripresi anche in anni successivi. Tozzi legge infatti il Faust di Goethe nel maggio 1907, insieme ad una «pessima traduzione» de Gli amori del Goethe ed all’Estetica di Hegel; mentre su Ibsen tornerà nel giugno del 1906, prendendo in prestito Imperatore e Galileo, Il piccolo Eyolf, Gian Gabriele Borkman, Spedizione nordica, La signora Inger di Ostrot (cfr. ivi, pp. 121 e ss.; P. CESARINI, Tutti gli anni di Tozzi, cit., pp. 36-7; Novale, pp. 99 e 145). 173 «I riscontri ibseniani che potremo trovare nei testi di Tozzi, e che forse riveleranno anche qualche breve somiglianza speculare, nascono in realtà non da calchi più o meno precisi di situazioni o personaggi, ma da una concezione generale, da un comune modo di guardare e giudicare la società in cui l’uno e l’altro scrittore vivono, e le istituzioni in cui essa s’incarna — la famiglia, il matrimonio, le leggi e i riti con gli uomini che impongono di rispettarli. Su queste basi è possibile tracciare uno schema generale di rapporti, all’interno dei quali le differenti soluzioni drammatiche dei due autori possono apparire come differenti fenomenizzazioni di un medesimo principio» (G. MANAcoRDA, Motivi ibseniani nel teatro di Tozzi, cit., p. 165). Esiste pertanto uno schema narrativo costruito sulla presenza di una struttura sociale vincolante nei suoi valori, il cui nucleo propulsore è rappresentato dalla

famiglia, ordinata attraverso il sacro e indissolubile istituto del matrimonio e dotata di un regime patrimoniale inalterabile. Il marito-padre ne è l’indiscussa autorità, e qualsiasi forma di sovversione è severamente punita dall’opinione pubblica. Da qui il generarsi di uno spirito di ribellione, ipocrita per la fondamentale esigenza di salvaguardare l’esteriorità, fino alla dissoluzione tragica della facciata perbenista. I personaggi del teatro tozziano si muovono piuttosto bene lungo una

ANIMA E SCRITTURA

98

Restiamo ancora nel filone teatrale segnalando il fiorire, nel dicembre 1902, di una vera e propria passione per i lavori di Shakespeare, ai quali Tozzi si avvicinò per la

prima volta facendosi prestare le opere da un amico e leggendole «una dietro l’altra, con l’avidità insaziabile di un assetato» !”. Dall’Arzleto il lettore trae spunto per intavolare una delle solite discussioni epistolari con Annalena, sul tema se sia più bello «pensare quel mistero che noi chiamiamo anima, immortale o mortale», e per primo si immerge nella riflessione concludendo con un verso del suo poeta preferito, Alfred De Musset: «Réponds-moi, toi qui m’as fait naître, / Et demain me feras mourire»!”. Nella biblioteca di Castagneto sono ancora conservati i sette volumi del Teatro completo di Shakespeare (voltato in prosa italiana da C. Rusconi, quarta edizione, Unione Ti-

pografica Editrice, Torino 1858) che furono probabilmente uno dei primi acquisti di Tozzi; insieme a loro resta un’edizione del Cyrazo di Rostand, anch’esso citato in lingua originale nel corso di una polemica esposizione del proprio libertarismo giovanile, di contro ai moniti etici della corrispondente’. Il Tozzi di questa prima fase novaliana tiene infatti molto a presentarsi in balìa di una sorta di “anarchismo panico”, non divulgabile con i mezzi della propaganda politica perché spontaneo nell’intimo di individui «sani e intelligenti»: come Octave Mirbeau, che è

griglia di riferimenti di questo tipo, sebbene spesso approdino a soluzioni esistenziali diverse rispetto ai modelli ibseniani. 174 Cfr. Novale, p. 30. !° Ivi, p. 33. Cfr. anche, nella lettera del 29 gennaio 1903, p. 52:

«... un libro delle poesie di Alfredo De Musset, che è il mio poeta preferito».

17° Cfr. Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., schede nn. 37 e

39, pp. 42-3. A proposito del Cyrano, si veda la lettera di Novale dell’8 dicembre 1902, pp. 21-2.

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

99

«un anarchico bellissimo» '”. Naturalmente il giovane non tralascia di far sfoggio dei fondamenti del pensiero socialista alla borghese.interlocutrice, tutto preso nel definire un ritratto progressista di se stesso, avvalorato dalla citazione di Marx, Engels e Ferri!*. Una lettura certa di questo periodo è inoltre Rousseau, del quale Tozzi ricorda l’amara massima: «L’uomo è più proclive a farsi stimare per mezzi di violenza che di sincerità»; e si tratta di una consta-

tazione che in qualche modo introduce ad un altro autore di successiva frequentazione tozziana, il Machiavelli del Principe!”, Parallelamente al definirsi degli estremismi politici, questi furono soprattutto gli anni del primo, serio apprendistato letterario dello scrittore, che passa attraverso Zola e Poe per la lezione di prosa, e dai simbolisti per quella di poesia. Da una lettera all’altra di Novale si può cogliere lo svolgimento della riflessione sul verso libero, novità francese che Tozzi non esiterebbe a trasferire nella letteratura italiana: «Esso è buon mezzo per riconoscere chi è poeta o no, però che non fa figurare se non il vero pensiero. E quante chiacchiere rimate di meno?»!*°. La lettura di Mallarmé fu in questo senso rivelatrice e Tozzi si ricorderà del poeta in un sonetto della Zarzpogna verde e anche, indirettamente, in una prosa rinvenuta tra gli appunti del Podere che ha per soggetto un tale professore di ginnasio il quale, come tutta la cultura accademica,

ne ignora l’esperienza'*!. Sempre in area simbolista, Tozzi lesse naturalmente

Baudelaire, di cui tradusse anche al-

177 Novale, p. 41. 109: dpi, DI Adi

199 Ipi, p. 41.

190 luis P9AO2. 181 Cfr, La zampogna verde - A Stefano Mallarmé, in Le poesie, p. 74 e Il professore che ignora Mallarmé, in Cose e Persone, p. 300.

ANIMA E SCRITTURA

100

cune liriche; e ad un gusto di chiara ascendenza baudelairiana ci riporta ancora una lettera di Novale, dove la prostrazione in cui Mimì ha lasciato Rodolfo si risolve in allucinate visioni: Sul mondo in orgia danzano le peccatrici livide... L’aria è procace, l'orizzonte è un bacio, la luce un brivido, la vita una voluttà!9,

Non dimentichiamo che tra i libri di Tozzi figurano anche le opere di Rimbaud, Verlaine, Laforgue'*, e che

una delle sue letture preferite furono le poesie ed i racconti di Edgar Allan Poe, anch’egli celebrato in un componimento della prima raccolta poetica. Poe è uno degli autori più citati ad Emma, allo scopo di contrastare attraverso l’onirismo delle sue creazioni la pseudo-classicità della tradizione letteraria italiana. E il Tozzi delle giovanili tendenze anarchiche e trasgressive a restare affascinato dalle atmosfere letterarie e dal temperamento diabolico di Poe, fino a prodursi in crude descrizioni della miseria umana dello scrittore alcolista per scandalizzare la bempensante lettrice di Nievo e Manzoni: Quando egli con lo stomaco pieno di vino, di zozza, e la bocca fetente di cicche masticate chinava la testa sul marmo lurido di un tavolino, dentro una bettolaccia, la sua anima diveniva mera-

vigliosa. Dentro a quel cranio ributtante c'era un sole. Un sole da tempesta che apriva le nuvolaglie degli istinti immondi e cacciava a stormi gli uccellacci delle idee nere dentro il Maelstrom. Edgardo teneva a memoria quello che in quel momento

182 Novale, p. 62. 183 Cfr. Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., p. 42 e P. CEsa-

RINI, Tutti gli anni di Tozzi, cit., p. 167.

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

101

vedeva. Erano abissi inarrivabili, tramonti di sangue, lame di coltello, profili soavi di donna!**.

Accanto agli sporadici abbandoni ai toni perversi del maledettismo, nella creatività tozziana agiscono anche le influenze simboliste e intime di Maeterlinck o crepuscolari di Jammes', entrambi oggetto di esercitazioni traduttorie non prive di velleità editoriali. E infatti quasi certo che il testo per il quale Tozzi, nel maggio 1907, intendeva contattare l'editore Morgini per una pubblicazione sia da riconoscere nella Princesse Maleine, particolarmente adatto per la «Collezione teatrale straniera» di quella casa editrice !**. E mentre traduceva poesie di Jammes e René de Gourmont, Tozzi progettava anche la versione in italiano de La Cathédrale di Huysmans che gli avrebbe procurato un’entrata finanziaria per mantenersi a Roma accanto ad Emma infermiera, qualora suo padre fosse passato dalle minacce alle vie di fatto negandogli il sovvenzionamento!”. Nella 184 Novale, pp. 44-5. Su Edgar Allan Poe e Tozzi cfr. anche P. GETREVI, Nel prisma di Tozzi, cit., pp. 173-89. 18° Negli anni di Castagneto la frequentazione di Johannes Joer-

gensen porterà all’intensificarsi dei contatti con l’area del simbolismo europeo. Joergensen era infatti il massimo esponente danese di questa corrente, e nel 1895 aveva tra l’altro fondato la rivista «Taarnet», in

italiano “Torre”. Fu anche autore di una vita di san Francesco d'Assisi che Tozzi lesse nel novembre 1913 (cfr. L. ANDERSON, Tozz?°s Readings, 1901-1918, cit., p. 136). Sul rapporto Tozzi-Joergensen si veda il saggio di L. DEL ZANNA, Federigo Tozzi tra amici e lettori scandinavi: un racconto

a quattro mani, in AA.VV., Per Tozzi, cit., pp. 214-28. 186 Cfr. Novale, p. 98: «Anderò anche dal Mongini [?] per parlargli di una traduzione del teatro di Maeterlinck; questo editore ha una Collezione teatrale straniera...». 187 Sono infatti questi i mesi del primo soggiorno romano dello scrittore, all’epoca in cui la fidanzata era infermiera al Policlinico. In

data 7 aprile 1907 le scrive: «Ho deciso di tradurre La Cathédrale, ed ho già ricopiato il frontespizio e la dedica. Metterò anche un'inserzione nella Tribuna offerente lezioni di italiano» (ivi, p. 93). E ancora, il 7

102

ANIMA E SCRITTURA

biblioteca figura infatti un’edizione francese dell’opera huysmaniana (Stock, Paris 1902) con firme autografe di Emma e di Federigo che fanno pensare ad un regalo della fidanzata. Maeterlinck e Huysmans sono poi di nuovo citati in una lettera del gennaio 1908 carica di presagi e sensazioni: La strada di Pescaia, che scende giù tra gli alberi, quasi tagliando, mi ricordava un’idea mistica dell’Huysmans. E poi ho pensato al Maeterlinck. «Gli alberi parlavano» !**.

AI versante del realismo narrativo si ricollegano invece ulteriori indicazioni di lettura, quali le opere di Zola che è forse uno degli autori più segnalati dalla critica per l’insistenza con cui in Novale Tozzi tiene a dichiarare la propria ammirazione per I/ sogno'*. Cesarini informa altresì che a quest'opera deve essere affiancato il romanzo Gerzzinal, richiesto in biblioteca una prima volta all’incirca verso il 1903 ed una seconda all’inizio del 1905 ‘°°, E intanto, tra una lezione di naturalismo e l’altra, Tozzi scorre La Mar-

tine e L’ebreo errante di Béranger, La leggenda dei secoli di Victor Hugo, le Sensations d’Italie di Bourget, le poesie di Andrea Chenier e di Adam Mickiewiez, L’Histoîire de la

litterature anglaise di Taine e persino un’antologia di lirici persiani". Tra i prestiti registrati troviamo ancora le opere di Ronsard (Oeuvres, Paris 1560), Emaux

et Camées di

Théophile Gautier!”,

maggio (p. 98): «Ho pensato invece di andare dall’editore pontificio Desclè e Lefevre [?] per parlargli della Cattedrale, il cui autore è morto ieri, essendosi fatto prima vestire di un abito da benedettino!». \c@fpigpi 205. 189 Ivi, pp. 44-5.

!°0 Cfr. P. Cesarini, Tutti gli anni di Tozzi, cit., pp. 58 e 83. 191 Ivi, pp. 58-9. 192 Cfr. L. ANDERSON, Tozzi’s Readings, 1901-1918, cit., pp. 121 ess.

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

103

Meno casuale e sporadica è invece l’attenzione dedicata a Balzac, sul quale Tozzi continuerà a tornare negli anni, stando a quanto scriveva alla moglie in data 21 luglio 1917, a proposito di una giornata trascorsa leggendo L’abate di Tours. Alla tradizione del realismo europeo,

del resto, lo scrittore riservò un interesse molto più che occasionale, come dimostrano le letture di Flaubert e Bal-

zac sul versante francese, e le ripetute frequentazioni della narrativa russa, con le esperienze di Tolstoj, Dostoevskij e Gor’kij in primo piano. Per quanto attiene a Tolstoj, una conoscenza precoce da parte di Tozzi è attestata da vari riferimenti contenuti in Novale, oltre che dalla presenza del volume Memorie. Infanzia - Adolescenza - Giovinezza (ed. Treves, 1905), tra i

suoi libri!*. A distanza di circa quattro anni (29 gennaio 1903-12 marzo 1907) è possibile misurare, proprio sulla base della valutazione critica del messaggio di Tolstoj, l'evoluzione culturale tozziana dalle forme socialiste ed

atee della giovanile passione politica alle preoccupazioni artistiche dell’aspirante romanziere '. Una volta smorzati gli ardori rivoluzionari, anche l’etica tolstojana viene assunta nell’ottica del preponderante egocentrismo maturato in Tozzi a seguito del forzato isolamento nella cecità: 19 Cfr. Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., scheda n. 111, PRSZ: 19 Cfr. ivi, scheda n. 97, p. 76.

195 Scriveva infatti ad Annalena: «L’ideale evangelico (a cui forse voleva alludere per tutti gli altri) è fallito appunto perché contrario e nemico alla natura degli uomini. Leone Tolstoi, che in slancio potente del suo genio ha ricondotto le nubi opprimenti

Ella era uno del

misticismo su l’orizzonte della letteratura, non sarà ascoltato. Egli è un

socialista inefficace perché, come dice il Ferri in un suo libro, è rimasto troppo al di fuori al movimento scientifico contemporaneo su ’l quale ogni dottrina morale è d’uopo che si basi» (Novale, p. 53).

104

ANIMA E SCRITTURA

Nel Tolstoj - scrive ad Emma nel 1907 - ho segnate in margine queste parole, perché leggendole, ho esclamato: «Ecco, Emma, credi come io credo». Le parole: «Nessun rètore troverà la parola o la disposizione di parole che trova senza sforzi chi esprime quello che sente». «L’insegnamento delle scuole s’arresta dove comincia il focco, cioè dove comincia l’arte»... «Così si

spiega come non ci siano artisti peggiori che quelli i quali sono passati per le scuole e vi riportano dei successi»... !°°.

Quanto a Dostoevskij, i dubbi sulla effettiva frequen-

tazione di questo autore sono stati alfine sciolti con la conferma di una prima lettura tozziana da collocare verso lo scadere del sessennio di Castagneto, salvo successivi ritorni come quello testimoniato dall’acquisto in Campo dei Fiori, la mattina del 24 gennaio 1916, di Souvenirs de la Maison des Morts!”. L’annotazione del giorno e del luogo di questo ulteriore incontro con Dostoevskij interviene così a smentire la testimonianza in difesa dell’originalità dell’ispirazione tozziana, resa da Orio Vergani in «Solaria» del maggio-giugno 1930: «Ci tengo a metterlo per iscritto: Tozzi nell'inverno 1919-1920 non aveva ancora letto Dostoevskij. Dovevo regalargli io Croctaia e Delitto e Castigo»'*. A ribadire l’inattendibilità di Vergani su questo problema, Cesarini ha segnalato che sulla copia di quello stesso numero di «Solaria» appartenuta ad Anita

Ranieri (la misteriosa destinataria delle Lettere a ***, pubblicate in calce agli interventi celebrativi), in margine alla controversa asserzione si trova annotato:

«Non

è vero.

Aveva: regalato a me da tempo Dal sepolcro dei vivi»'”. 196 Ivi, pp. 82-3. 197 Cfr. Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., scheda n. 96, p. 76. !°8 O. VERGANI, Momenti di una memoria, in AA.VV., Omaggio a

Federigo Tozzi, in «Solaria», n. 5-6, maggio-giugno 1930. 199 Cfr. P. Cesarini, Tutti gli anni di Tozzi, cit., p. 167. Un'altra

ASPETTI DELLA FORMAZIONE LETTERARIA

105

Negli anni dell’Orzaggio solariano, stabilire se Tozzi avesse o meno letto Dostoevskij non era poi una questione tanto oziosa, visto che-una parte della critica traeva spunto dall'accostamento dei due autori per ridimensionare l’originalità dell’arte tozziana; senza considetare i piani diversi su cui si sono svolte le due esperienze: epico per lo scrittore russo, autobiografico per il senese?®, Restiamo ancora nell’ambito della grande tradizione d’oltralpe con la segnalazione di quattro opere di Gor'kij rintracciate nella biblioteca tozziana: Vita errante, La ma-

dre, I barbari e Piccoli borghesi?" .In virtù di un riferimento contenuto nel saggio I due, è inoltre possibile stabilire con certezza anche la lettura di un altro testo gorkiano, Forza Gordeev, tradotto in italiano con il titolo La vita è una

sciocchezza. A proposito della lirica di Gozzano Invernale, Tozzi infatti scrive: Il ghiaccio che... fa «cricch» in fondo alle strofe non dà l’impressione che il Gozzano si crede; ma fa ridere o convincere che il

Gozzano non ha orecchio. Senza contare che tutto ciò non è altro che il copiaticcio d’un episodio di un romanzo di Massimo Gorchi: quello di Tommaso Gordeieff; meno la bella ferocia russa; ma più la truccatura alla francese e l’adattamento a quella prova della conoscenza tozziana di Dostoevskij si ricava dalla citazione dello scrittore russo nel saggio I due dannunzianesimi, riproposto da Pampaloni nel suo intervento Tozzi critico, cit., pp. 107-10. 200 Cfr. F. ULIVI, Federigo Tozzi, cit., p. 110: «Se, come già allude-

vamo, il primo tra i grandi russi a cui Tozzi avrebbe potuto guardare (e che forse occasionalmente ricordò), Dostoevskij, pur evocando nei suoi

romanzi i demoni della morbosità, dell’intima psiche compiaciuta e viziata, dell’annotazione psicologica disperatamente introversa, a tutto conferisce un’augusta nota universale (non importa poi sapere quanto ideologicamente attendibile); il nostro narratore senese fa che il suo discorso si allarghi nella zona che, meglio che all’epica narrativa, avrebbe potuto prestarsi all’effusione autobiografica». 201 Cfr. P. Cesarini, Tutti gli anni di Tozzi, cit., p. 167.

106

ANIMA E SCRITTURA

melensaggine dinoccolata tra le signorine che fanno una passeggiata e si danno l’aria d’essere Gozzaniane?®2,

L’ipotesi di Rossi è che qui il critico letterario abbia colto un’affinità tra la scena di Invernale dei volteggi sul ghiaccio del poeta con l’amica ed il capitolo decimo del romanzo di Gor'kij?”. E c'è anche chi, come Baldacci, ha

rintracciato forti analogie tra il comportamento di Remigio Selmi e l’attitudine di Tommaso Gordeieff verso i suoi sottoposti“.

Tangenze

fortuite o non

piuttosto preci-

sa memoria iconologica, da mettere a frutto nella propria narrativa? Affrontando i settori più originali della cultura tozziana si chiariscono e si precisano le reciproche implicazioni.

202 I due, in F. Tozzi, Opere, cit.., p. 1263. 2 Cfr. A. Rossi, Modelli e scrittura di un romanzo tozziano. Il podere, cit., p. 53. 20 L. BALDACCI, Introduzione a F. Tozzi, Il podere, Garzanti, Milano 1986, p. XLVI.

PIE LA CULTURA DELL’ANIMA

Necessità teorica del divino

Il 1913 segna una data formalmente importante nella biografia di Federigo Tozzi. Nella prosa La mia conversione, l’ex socialista di contrada racconta la sua svolta al cattolicesimo ricostruendo le fasi del graduale affiorare alla coscienza del credo religioso. Una forza inquietante irrompe nella temporalità soggettiva, nell’individualità di un uomo a lungo chiuso nel dolore dell’incomprensione; a poco a

poco si perfeziona il rapimento in un fine innominabile, incredibilmente superiore al potere della singola anima, che ora tende ad esso con «trasporto entusiastico». L’approdo del processo irreversibile è la conquista di una fede «furiosa» e «piena di violenze»', con un atteggiamento psicologico da “detentore” della verità, in antitesi alla dimensione di superamento della personalità propria dell’éntheos, e sulla scia piuttosto di quello stesso temperamento ribellistico che anni addietro aveva esperito la teoria rivoluzionaria del Ferri «non per via scientifica ma per via sentimentale». 1 La mia conversione, in Cose e Persone, p. 308 (pubblicato per la prima volta in «San Giorgio», a. II, n. 9-12, 15 maggio-15 luglio 1913).

2 Novale, p. 45.

108

ANIMA E SCRITTURA

In ogni caso, le tracce dell’inclinazione religiosa di Tozzi ci riporterebbero comunque al periodo novaliano, non foss’altro che per l’incalzante azione promozionale della fidanzata, fiorita in una vera esaltazione adorante di

Federigo nei confronti della divinità muliebre?. L'iter è classico: prima ancora dell’amore per Dio, l’anelito all’assoluto è ispirato dall’amore sensuale, inteso come mezzo

per ricongiungersi alla totalità. Smarrito in un mondo frazionato, anche Tozzi resta coinvolto nel dramma esisten-

ziale della perdita del principio unitario, e per superare il disagio è disposto a dar credito a qualsiasi forza si dimostri in grado di ricomporre l’originaria scissione. C’è bisogno di una nuova nascita per potersi sollevare dalla nostalgia e dalla solitudine; ed in questo senso chiunque aspiri alla redenzione è una natura convertita, fwice born in termini jamesiani.

Proprio nel nome di William James si riassume lo stretto legame che esiste tra la sfera scientifica e quella religiosa della cultura tozziana, esperienze distinte ma analogamente motivate da una sofferta ansia di conoscenza. Al fondo, l’atteggiamento intellettuale che muove alla spiegazione dei fenomeni naturali s'incontra con la tendenza spirituale a dotare il mondo di significati sul medesimo piano dell’esigenza di certezze. Il fatto che nella narrativa di Tozzi pressoché ogni elemento - dagli scenari alle situazioni emotive — contribuisca a rendere evidente il carattere autobiografico dell’opera, non rappresenta affatto un limite nella ricerca dello scrittore. Così come, del

resto, trattandosi di attività artistica non si rileva alcuna incongruenza nell’inclinare alla piena valutazione del sostegno fornito dalle letture scientifiche, e parallelamente nel riconoscerne la motivazione principale in esigenze di

» Cfr. M. MarcHI, Il padre di Tozzi, cit., pp. 334 e ss.

LA CULTURA DELL'ANIMA

109

tipo autoterapeutico: il dato da privilegiare sarà semmai la scelta di attenuare la sofferenza personale con il ricorso al conforto psicologico e mistico. L'apporto di James all’organizzazione delle emozioni tozziane in un sistema di riferimenti culturali è oggi attestabile a seguito delle scoperte bibliografiche effettuate da Marchi nell’archivio di Castagneto. Oltre ai già noti Ideali della vita, ed ai fino ad allora non sufficientemente valoriz-

zati Principii di psicologia, anche la supposta consultazione de Le varie forme della coscienza ‘religiosa ha trovato una prima conferma nella mediazione di uno studio di H. Hòffding sui filosofi contemporanei, dove nel capitolo jamesiano viene puntualmente esposto il principio unificatore di spiritualità e psicologia, rintracciato nelle influenze subliminali o ultramarginali della coscienza, che altro non sono se non «les moyens par lequels un ordre supérieur

des choses agit dans notre fond intime»*. La semplice congettura dell’esistenza di un ordine superiore delle cose bastava a suscitare nell’animo dello scrittore la necessità di indagini più accurate, nel tentativo di delineare con la minore approssimazione possibile una “legge” avvertita come sfuggente e indefinibile. Apparentemente la via praticata non si discosta poi molto dalle tendenze dell’irrazio4 Cfr. M. MarcHI, Dalla parte dello scrittore: Tozzi scientifico, in «Nuovi Argomenti», n. 23, luglio-settembre 1987, p. 55. Lo studio di

Héffding è Philosophes contemporains, traduit de l’allemand par A. Tremesaygues, deuxième édition revue, Alcan, Paris 1908. Dall’elenco dei prestiti librari ottenuti da Tozzi agli Intronati risulta inoltre che lo scrittore ebbe a disposizione una copia dell’opera jamesiana all'incirca dall’11 al 27 luglio 1904, e che consultò i Principi di psicologia dal 21 dicembre al 3 gennaio 1905 (cfr. L. Anperson, Tozzi's Readings, 1901-1918, cit., p. 122). Sempre in relazione alle segnalazioni jame-

siane, si veda ancora M. MAarcHI, La cultura psicologica di Tozzi, cit., pp. 33-48 e A. Rossi, Modelli e scrittura di un romanzo tozziano. Il podere, cit., pp. 32-46.

110

ANIMA E SCRITTURA

nalismo coevo, nel cui ambito è possibile ad esempio ricondurre la commistione mistico-filosofica della “psicagogia” di Roberto Assagioli, segnalata da Marchi. Stando alla biblioteca dello scrittore, i più bei nomi della ricerca prefreudiana si alternano ad opere filosofiche e spirituali, in intrecci fortemente suggestivi: i Principit di James e Les névroses di Janet accanto ai mistici senesi; gli studi monografici sui sentimenti, sulla volontà, sull’attenzione ed al-

tro di Ribot, unitamente agli Esercizi spirituali di sant'Ignazio di Loyola o alle opere di santa Teresa d’Avila e sant'Agostino; Il carattere e la vita di Emerson in anticipo di nove anni su Morale e religione di Schopenhauer; oltre a ben cinque lavori di Bergson’. Sembrerebbe proprio che la poetica dei “misteriosi atti nostri” avesse eletto i suoi modelli culturali fin dagli anni dell’apprendistato letterario, malgrado l’esplicitazione teorica del saggio Come leggo io dati al 1919°. All’interno della formazione tozziana, il passaggio dalla riflessione sull’incomprensibilità del reale all’esperienza di percorsi gnoseologici, come quelli resi nelle trattazioni mistiche, introduce alla suggestiva ipotesi della perdita della sensorialità fisica a fini conoscitivi. Il y2ystes plotiniano serra gli occhi del corpo per aprire quelli dell’anima, e solo dopo l’esercizio della morte al sensibile il mistero si farà visione. Un silenzio afasico colpisce in un secondo momento colui che ha contemplato l’ineffabile, ovvero ciò che sfugge alle imposizioni del /ògos e non può che essere taciuto: la progressione è pertanto dal non vedere al non dire. ° La maggior parte dei riferimenti bibliografici sono contenuti negli interventi citati alla nota precedente. Cfr. anche l’elencoinventario autografo, in Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., pp. 42-3.

15257

° Cfr. il saggio tozziano Come leggo io, in F. Tozzi, Opere, cit., p.

LA CULTURA DELL'ANIMA

111

Gli occhi chiusi e la parola negata caratterizzano anche i personaggi tozziani, ma sul loro grado di esperienza dell’ignoto si addensano i dubbi più rilevanti circa la possibilità di definire il misticismo dell’autore in senso canonico. La prerogativa della divinità a»cui costantemente si rivolge la meditazione di ‘Paolo (protagonista dell’omonimo poema in prosa) è proprio quella di sfuggire alla contemplazione, di «attendere dietro tutte le cose, ritirandosi sempre». Il Dio di Tozzi non gratifica in alcun modo la devozione del mistico, anzi gli impedisce di elevarsi fino a lui per mantenere inalterata la subordinazione stabilita ab origine tra la creatura ed il suo dante causa. Se queste sono le premesse, niente resterà allora più estraneo alla religiosità tozziana del pensiero cristiano dell’agàpe: Dio è l’amore, e colui che è nell’amore è in Dio, e Dio è in lui - come è detto nella I lettera di san Giovanni. Per Tozzi tuttavia non esiste alcun rapporto di reciprocità tra l’amore dell’uomo verso Dio e quello che se ne riceve in cambio; ed è anzi per un crudele gioco di potere che la divinità gli ha posto nell’anima una «croce ineffabile» che sta lì «per sforzarmi le preghiere o per farmi urlare che Dio mi adora. E questo Dio è geloso». Il carattere veterotestamentario della fede tozziana si chiarisce proprio in rapporto al mistero dell’Incarnazione, che nello specifico contesto arriva a perdere la funzione mediatrice e salvifica che le è propria’. L'immagine di Cristo è colta piuttosto nell’essenza della sua parabola umana e diviene metafora

? Paolo, in Cose e Persone, p. 442.

8 Ivi, p, 447.

? L’intuizione della matrice veterotestamentaria nella religiosità tozziana si deve a Baldacci, il quale dopo aver impostato il problema nel saggio Le illuminazioni di Tozzi, cit., pp. LVI e ss., ha continuato ad approfondire la sua lettura in tal senso nel corso dei successivi ritorni sulla narrativa dello scrittore senese.

2

ANIMA E SCRITTURA

della condizione esistenziale dei «figli crocifissi»!°, per i quali il sacrificio è svincolato da qualsiasi ipotesi di redenzione.

Con ciò si spiega anche il motivo dell’attrazione più

che altro estetica verso la seconda via del misticismo,

quella neotestamentaria dell’adoramus quod scimus, che muove dal disvelamento nel donarsi del Cristo. E il paradosso del mistero che si fa linguaggio nel momento stesso dell’ Annunciazione: la verità che è vita.

La lezione dei mistici e della letteratura agiografica Maestra della mistica adorante dell’Incarnazione è santa Caterina da Siena, che assai precocemente entra a far parte delle letture predilette da Tozzi!. L’epistolografia cateriniana ha infatti avuto modo di sedimentare nell’immaginario dello scrittore molto in anticipo rispetto agli anni romani dell’edizione de Le cose più belle. Ispirata dal mormorio delle antiche fonti cittadine, la lettura delle pagine di santa Caterina, insieme a quelle del beato Colombini e di fra” Filippo Agazzari, avvolge Tozzi in un’atmosfera di estasiata spiritualità, straordinariamente polivalente per !© Cfr. M. MarcHI, I/ padre di Tozzi, cit., p. 348. !! Sebbene la scelta de Le cose più belle di santa Caterina da Siena veda la luce solo nel 1918 presso l’editore Carabba, l’epistolario con Giuliotti conferma una conoscenza delle Lettere già nel 1912 (cfr. Carteggio con Giuliotti, p. 97), e L. Anderson la retrodata ancora al maggio-giugno 1905 (cfr. Tozz?'s Readings, 1901-1918, cit., p. 125). La Prefazione tozziana al volume di Carabba, nonostante quanto lascerebbero presupporre gli scambi intercorsi fra Tozzi e l'allora direttore di collana Giovanni Papini per definire i termini dell’edizione, è attendibilmente datata 1913 nella ristampa tra i saggi di Realtà di ieri e di oggi (cfr. F. Tozzi, Opere, cit., p. 1386 e la lettera del 23 giugno 1917 di Tozzi a Papini in Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., scheda n. 109, pp. 181-82).

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quanto riguarda le suggestioni artistiche. Accanto alla sensazione del rapimento contemplativo, anche la carica di violenza verbale e allegorica che sprigiona dalle opere dei mistici senesi deve sicuramente aver trovato ascolto presso

l'appassionato cultore della tradizione religiosa municipale. Del resto, nel Tozzi violento per istinto e mistico per formazione i due elementi continueranno a coesistere, rita-

gliandosi ciascuno un proprio spazio nell’ambito dell’attività culturale, che per l’appunto verso il 1913 registra le contraddittorie esperienze della scrittura di Con gli occhi chiusi da una parte e dell’adesione alla «Torre» dall’altra. Merito forse dell'esempio cateriniano, nel quale la tendenza all’interiorità della meditazione religiosa non è stata d’ostacolo all’apostolato sociale, per cui il cristianesimo della santa ha finito per assumere quel carattere eroico che nelle intenzioni dei due direttori avrebbe dovuto connotare anche la militanza torriana. Un ottimo “apprendistato” dunque lo studio di santa Caterina, visionaria e pragmatica ad un tempo, capace di mediare con assoluto equilibrio vita attiva e vita contemplativa. Lungi tuttavia dalla pacificazione cateriniana in Dio e da qualsiasi apertura dell'amore mistico al mondo, Tozzi getta piuttosto uno sguardo laico nella profondità della coscienza, a sintesi delle personali esigenze narrative, pur rispondendo contemporaneamente ad un appello d'impegno ideologico, da definirsi con numerosi “distinguo” rispetto alla fede di un Giuliotti. Sul piano letterario, una componente dell’opera della santa incontra sopra le altre il favore di Tozzi: si tratta della singolare qualità stilistica della sua prosa, che per l’alta frequenza di metafore e la notevole irregolarità sintattica si è guadagnata a sufficienza l’attributo di “barocca”. È senz’altro a tutti gli effetti una scrittura ispirata, dove di rado ricorrono gli ornamenti della parola poiché la scelta finisce

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sempre per cadere sul vocabolo più evocativo; e tra sperimentazione formale ed assimilazione culturale, spaziando

dall’eloquenza sacra all’uso del dialetto, l’irruenza verbale cateriniana in campo d’impegno religioso doveva piacere molto al Tozzi condirettore di testata. Sensibile in maniera particolare al sistema d'immagini dell’epistolario, egli indulge spesso all’integrazione di tale materiale di riporto soprattutto all’interno dei componimenti poetici!. In macroscopica evidenza, nel poemetto La città della Vergine una delle sei sezioni è dedicata proprio alla santa senese, celebrata.in quartine fitte di luoghi specifici delle Lettere ed annunciata con l’immagine del sangue che sgorga dalle fonti della città. L’intero canto di lode si articola sulla medesima nota cromatica, invariata

nell’intensità; oggetti e sensazioni sono impregnati del liquido elemento che si fa preghiera, odore, fiume che som-

merge e veste che ricopre: Dall’anima mi scende il sangue in gola, sì che mi sento quasi soffocare; or questo sangue paremi una stola che mi pesa s'io voglio camminare". A confronto una lettera di santa Caterina:

Il sangue ricoperse la nostra nudità, perocché ci rivestì di Grazia; nel caldo del sangue distrusse il ghiaccio, e riscaldò la tepidezza dell’uomo; nel sangue cadde la tenebra, e donocci la luce, nel sangue si consumò l’amor proprio, cioè, che l’anima che ragguarda sé essere amata nel sangue, ha materia di levarsi dal miserabile amore proprio di sé, e amare il suo Redentore che ‘* A proposito della ripresa di metafore cateriniane nell’opera di Tozzi, cfr. il paragrafo che Getrevi ha dedicato alla santa senese nel suo studio Nel prisma di Tozzi, cit., pp. 58 e ss. !? La città della Vergine, in Le poesie, p. 204.

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con tanto fuoco d’amore ha data la vita, e corse, come innamo-

rato, alla obbrobriosa morte della croce. Il sangue c’è fatto beveraggio a chi ’1 vuole, e la carne cibo: però che neuno modo si può saziare l'appetito dell’uomo, né tollersi la fame e la sete se non nel sangue“.

Lo stesso tema, ribaltato negli effetti, denuncia due

concezioni antitetiche del sentimento religioso: la stola di sangue della similitudine tozziana ostacola il procedere spedito nel mondo, là dove santa Caterina ne fa l’unico indumento possibile per l’uomo rimasto nudo dopo il peccato. Poco più oltre, nella lettera 313, la vigna della parabola cateriniana mantiene ben saldi sulla pianta i suoi frutti che non cedono alla grandine: con il filo dell’obbedienza il lavoratore divino l’ha legata ad una terra ricca e fertile!’ Al contrario, il vigneto del podere di Remigio Selmi non trova pace neppure nella morte del suo proprietario, ed un violento temporale ne sparpaglia a terra i pampini e i grappoli acerbi, a ribadire come ormai si sia irrimediabilmente rotto ogni rapporto col Padre, al punto da vanificare le speranze di salvezza. Pare dunque che il messaggio del sangue di Cristo non trovi altra collocazione nell’universo tozziano se non come allegoria del sacrificio inutile, sciolto dall’ardente fiducia con la quale era stato accolto e predicato da santa Caterina. Sebbene sul piano della militanza culturale e dell’utilizzazione metaforica la scrittura cateriniana sembri agire nelle scelte e nelle cadenze di Tozzi, non altrettanto si può dire per ciò che attiene alla forma del suo cristianesimo, estraneo all’ardore di carità che anima la “mistica sociale” della santa!.

Del resto, come

ricorda Ulivi, «quella di

14 F, Tozzi, Le cose più belle di santa Caterina da Siena, Carabba, Lanciano 1918, p. 25.

15 Ivi, p. 101.

he

16 A questo proposito cfr. anche L. BALDACCI, Le illuminazioni di

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ANIMA E SCRITTURA

Tozzi è una gnoseologia tutta umorale, anzi polemica, fondata sull’agnizione dei mali psicologici, e quando accogliesse un senso veramente e universalmente caritativo della vita, cancellerebbe con ciò stesso tutta la sua casistica

psicologica e morale» !”. Eppure, che di misticismo si possa parlare in merito alla fede dello scrittore lo sottolinea il fatto che anche in questa prospettiva, tutt'altro che abbandonata alla gioia, il senso della ineluttabilità delle cose non viene mai meno e la crisi dell’individuo non arriva a compromettere l’evidenza del creato, che resta palese testimonianza di una forza ordinatrice superiore. La negatività tozziana sembra essere, insomma, una negatività di esiti e

non di premesse, concernente la storia soggettiva in rapporto ad un esterno fenomenico di cui si possono anche alterare i connotati in allucinate visioni espressionistiche, ma che non rinuncia comunque ad imporsi alla coscienza in tutta la sua concretezza. Le cose esistono a prescindere dalle loro qualità ed hanno causa in Dio; ma come sua diretta emanazione non sono né penetrabili né rassicuranti, e finiscono semmai col riproporre un disagio che si può eludere solo estraniandosi. Nella concezione religiosa di Tozzi il principio della concretezza dell’esistente risulta dunque pienamente attestato, anche se egli non riesce ad astenersi dall’investigare i misteri di una realtà divenuta inquietante da quando la Grazia divina ha perso di efficacia esplicativa. Di una delle sue numerose figure femminili, l’autore scrive: «Il suo carattere è evidentemente mistico, ma non religioso. La religione è come un substrato inefficace per lei»!*.Un po’ alla stessa maniera, mistica è in Tozzi l’esperienza del creato in termini realistici (e solo a titolo di esempio valTozzi, cit., p. LVII. 1? F. ULIVI, Federigo Tozzi, cit., p. 91. 18 Lo scultore, in Le novelle, vol. I, p. 201.

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gano le indicazioni di Teilhard de Chardin sul realismo dei religiosi), ma non la prassi di vita in cui essa si esplica, così lontana dalla gioia contemplativa e dagli atletismi spirituali di quei santi che tanto lo affascinano, forse proprio per la loro diametrale opposizione rispetto alla sua dolorosa estraneità all’esistenza. Come lettore della tradizione agiografica medievale, Tozzi subisce l’incanto del senso di pacificazione interiore che spira da simili racconti, monodie della mente pura del religioso che ha scelto di dedicarsi alla ricerca di Dio e in questo fine ultimo ha trovato, pur fra mille tentazioni, la

sua coerenza. San Francesco è il miglior riferimento dell’ascetismo così come l'Occidente l’ha concepito e sviluppato negli ordini mendicanti e nella predicazione pauperistica; perciò la narrazione dei Fioretti, con i suoi moduli

fantasiosi e moraleggianti, non può che attrarre irresistibilmente per l'atmosfera di letizia che viene creando attorno all’esistenza dell’assisiate. Toccato sul tasto amaro dell'aspirazione segreta alla gioia, anche Tozzi finisce per rimanere coinvolto nell’aneddotica popolare, tra miracolo e magia, del florilegio francescano, di cui distintamente si percepisce l’eco in qualche sonetto della Zamzpogra verde o in alcune quartine sparse, talora modellate sui toni del Cantico: Oggi il sole, che è nostro frate, si alza dell’anima tuo pieno, San Francesco. E la mattina, poveretta e scalza,

viene a sedersi all’umile tuo desco. E Santa Chiara, che è di lei più bella, va sull’uscio per un segno di croce; poi dice: vieni innanzi, mia sorella! E tutti gli usignoli han la sua voce!?. 19 Per la nascita di San Francesco, in Le poesie, p. 98. I Fioretti di san

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ANIMA F SCRITTURA

Con le Vize de’ santi padri secondo la silloge del Cavalca dall’antico Vitae patrum”, l’esperienza tozziana della letteratura ascetica confluisce momentaneamente

in uno

dei canali della religiosità orientale, quello in cui alla pie-

nezza di vita della divina follia francescana, i Padri del deserto avevano a loro tempo preferito la morte del corpo, la morte della stessa mente, per diventare viventi con Dio nel silenzio. Il percorso verso la santa impassibilità dell’hesychia si compie attraverso una metamorfosi dell’uomo interiore che procede per affinamento progressivo dei cinque sensi, quasi soprannaturalizzati in poteri purificatòri eccezionali, di cui l’acqua e il fuoco sono gli strumenti elementari di espressione. Il fascino suggestivo dei verba et dicta degli anacoreti è sostenuto dallo stile letterario del Cavalca, uno dei migliori esempi di prosa trecentesca nel giudizio di Tozzi. Tuttavia, nella semplificazione domenicana delle Vite, per la tendenza a ridurre la scelta anacoretica ai dettami della carità cristiana, il dramma della ricerca

sofferta di Dio si attenua in un andamento dai toni domestici e quotidiani che in parte tradiscono lo spirito originario della compilazione agiografica, con delusione delle aspettative tozziane.

A condensare i vari riferimenti all’epistolografia mistica, all’ascesi occidentale degli ordini mendicanti e a quella orientale degli anacoreti in un organico culturale ben definito, intervengono nella formazione religiosa di Tozzi da una parte le Lettere del beato Colombini fondatore dei Gesuati, e dall’altra l’aneddotica degli Asserzpri di Francesco e il Cantico del Sole, nell'edizione Hoepli 1908, si conservano

tuttora nella biblioteca dello scrittore. Per ulteriori riscontri con componimenti tozziani si veda anche: La città della Vergine, in Le poesie, p. 171; nella Zampogna verde il sonetto Assisi francescana e spiritale (sez. Anfore religiose, ivi, p. 34). 2° Il titolo compare nel citato elenco-inventario dei libri di Tozzi.

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LT9

Filippo Agazzari e dello Specchio di vera penitenza del Passavanti, testimoni tutti di una spiritualità cupa e patetica a diverse gradazioni, particolarmente in linea con il sentire dello scrittore. Nell’interesse< antiquario per i testi dimenticati della tradizione senese e nel serio impegno del cultore della letteratura medievale in tutte le sue manifestazioni, sono da riconoscere i moventi della presenza di queste opere nella mappa della bibliofilia tozziana. Non a caso, tanto il Colombini che l’Agazzari risultano antologizzati tra gli «antichi scrittori»?*: l’uno con il suo inquietante senso dell’incalzare del tempo e la necessità di seguire Cristo nella parabola di sofferenza; l’altro estremamente ricco e colorito nella rappresentazione del potere divino. All’Agazzari, lo ricordiamo, lo scrittore aveva anche

pensato in vista di una collaborazione alla collana dei classici senesi dell’editore Giuntini Bentivoglio”; edizione

tuttavia mai realizzata, forse per l’intervento censorio della coscienza critica tozziana, che a distanza di anni riconoscerà esplicitamente lo scarso valore artistico degli Asserzpri, gravati da troppe preoccupazioni «mistiche e teologiche» che ne ridimensionano il valore, soprattutto a confronto con la predicazione altamente morale di san Bernardino”. La consistenza dell’apporto didattico ber2! Una lettera del beato Colombini figura nell’Antologia di antichi scrittori senesi, insieme ad una lauda di un altro gesuato illustre, Bianco da Siena, anch’egli ampiamente conosciuto da Tozzi. Dalla sua produzione di laudi lo scrittore sembra infatti aver tratto ispirazione poetica,

in particolare per la Canzone alla Vergine, alla quale non sono estranei motivi della tradizione laudese, quale l’esaltazione della virtù di Maria, àncora di salvezza dal peccato. 22 Cfr. il paragrafo Letteratura e progetti editoriali. 23 Il giudizio è contenuto nel saggio del 1918 su san Bernardino (cfr. F. Tozzi, Opere, cit., p. 1302). La prosa di Bernardino da Siena è

infatti apprezzata soprattutto per il suo stile limpido e vivace, che permette di sondare la vita intima in tutta la sua «sconfinatezza emozio-

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ANIMA E SCRITTURA

nardiniano poggia infatti sul suo personale esempio di oratore, riuscito meglio di qualsiasi altro a liberare nell’espressione e nello stile sensazioni e stati d’animo del tutto sinceri, mantenendo intatta quella «vergine fede» tra cose e parole che nel saggio Rerum fide Tozzi dichiarava ormai irrimediabilmente perduta”. Quanto poi all’uso dialettico di aneddoti e novellette morali, se san Bernardino

vi ricorre per esemplificare gli stati dell'anima — affrancando la narrazione dal colore del tempo nel dotarla di un

potere suasorio universale —, nella raccolta dell’Agazzari il loro valore consiste nel saper introdurre al mondo delle credenze popolari senesi, di quelle superstizioni elevate al rango di verità domestiche, sicuramente ancora tanto radicate all’inizio del secolo da offrire a Tozzi lo spunto per una notissima pagina di Cor gli occhi chiusi: Masa, essendosi capovolto il suo lume ad olio, perché

chiodo era venuto via, attendeva che le accadesse una disgraLacr

Dalla novella Ur fattore si ha anche notizia di un’altra superstizione «diffusa molto in Toscana», quella per cui è

obbligo quasi sacro che le parti contraenti si siedano alla stessa mensa dopo una compravendita di bestiame per non portare disgrazia al nuovo allevatore”. Ben oltre la ricchezza favolistica di questo filone letterario, la spiritualità tozziana intrattiene in particolare legami d’elezione con la forma robusta e serrata delle pagine

nale» (p. 1301). “Stile” diviene pertanto sinonimo di “sincerità” e “moralità”. 24 Cfr. Rerum fide, ivi, p. 1321. © Con gli occhi chiusi, in I romanzi, p. 14. 26 Un fattore, in Le novelle, vol. I, p. 192.

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tel Passavanti sul significato della penitenza”, immerse in quella loro atmosfera soprannaturale, carica di prodigio e

pervasa dall’accesa lotta tra salvezza. e dannazione che deve aver suggestionato Tozzi assai precocemente se in una lettera ad Emma datata gennaio 1908 scriveva: «Ieri sera un angelo nero volò dall’una parte all’altra della strada, sparendo tra gli olivi». È il Passavanti. Sono pensieri che ho avuti dallo studiare quell’epoca”8.

Uomo piuttosto dell'Antico che del Nuovo Testamento, con la sua concezione della penitenza come dolore e contrizione il Passavanti rappresentava uno stato d’animo assai prossimo a quello di tanti personaggi tozziani, còlti nei loro rapporti con la divinità; come se, a questo livello, il peccato e l’espiazione riassumessero l’intera gamma dell’esperibile umano. Manca è vero, nella narrativa di Tozzi, l’insistito ritorno sui tormenti della pena eterna, sulle paure e sulle cupe visioni di cui pare invece compiacersi il Passavanti e che danno luogo ai più durevoli effetti artistici della sua prosa, tesa sovente a delineare i casi umani soprattutto nei loro risvolti psicologici. Nella dimensione tozziana quella che appare irrimediabilmente perduta è comunque la speranza nel perdono divino, e addirittura il

2? L’indicazione di lettura proviene ancora dall’elenco-inventario citato, dove tra l’altro compare anche la voce «Bartolommeo da San Concordio. Ammaestramenti», che insieme all’indicazione del Cavalca

fa pensare ad una voluta ricostruzione della triade domenicana trecentesca nella rassegna bibliografica tozziana. Per quanto concerne il carattere dell’opera del Passavanti, come per tutte le narrazioni di genere simile le fonti orali e scritte si rintracciano nella tradizione popolare, nei testi degli scolastici, nelle compilazioni paremiologiche sul tipo dell’Alphabetum narrationum e nelle Sacre Scritture, che avevano già da tempo legittimato l’uso dell’exerzplum. 28 Novale, p. 205.

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ANIMA E SCRITTURA

senso stesso dell’assoluzione che si può dire scomparsa dal panorama degli eventi probabili: La luna mi pareva come un’ernia di tutto il cielo simile alla polpa d’un frutto marcio come la mia colpa, che nell’asse infinito mi s'impernia.

E qualche uccello nero gracchiando alle pareti e le ombre lo battevan E dopo solo e triste mi

se ne andava delle nebbie; come trebbie. lasciava.

Ma non sì solo che Eva con Adamo non sentissi in un’anima lontana;

e stringendoci insieme, a una fontana senza lacrime poi ci specchiavamo.

E sopra la montagna più deserta cadde il mio cuore; ma non so da dove.

E da quel luogo mai più non si muove, come se fosse abbarbicato all’erta??.

L'uomo riconosce sé e gli altri nella rigida immobilità della colpa, e la sola comunione che riesce a stabilire è con i primi peccatori, i progenitori reietti che vede riflessi nella fonte assieme al proprio volto, in luogo della visione beatifica. Né le lacrime di contrizione possono avvicinarlo ad un Dio che si fa forte del suo asettico isolamento per negare le aspirazioni umane all'unità in lui, agitando la coscienza disgregante del male. In un mai sopito desiderio di reductio ad Unum è da leggere anche qualche analogia con l’ansia agostiniana di ricongiungimento, sebbene gli esiti della meditazione del °° Matolica dipinta, in Le poesie, p. 131.

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vescovo di Ippona approdino ad una pacificazione forse solo in extremis percepita dallo scrittore — stando almeno ai quattro lapidari passati remoti con cui Giuliotti riassumeva la vicenda umana dell’amico: «Morto! Soffrì, peccò,

brancolò, poi vide»? Il viaggio mondano di sant'Agostino,

conosciuto

da Tozzi

attraverso

la lettura

delle

Opere”, è una metafora della conquista angosciosa di quella luce che illuminerà retroattivamente gli snodi di una vita condotta tra cadute e risalite, lamenti ed inni,

affanno e riposo, fino alla piena consapevolezza della propria storia umana. Una coscienza che manca al personaggio tozziano, sofferente per l’estraneità al mondo e a se stesso, almeno prima del momento ideologico dell’Incalco, allorché la fede in Dio si presenta a Virgilio come l’unica via possibile nella ricerca di quella spiegazione che, «senza farmisi vedere, mi costringeva, come un’assoluta inimici-

zia, a cercarla sempre; anche quando io le dicevo che la forza non mi sarebbe bastata. Se io l’avessi trovata, avrei

conosciuto una verità eterna e l'avrei insegnata agli altri uomini»?, La necessità di credere è il punto d’arrivo nel processo

biografico agostiniano, ma anche la convinzione intellettuale di un Tozzi che, anni addietro, aveva comunque

dichiarato la propria fede. Se è vero che la scrittura autobiografica rappresenta il pendant letterario di una catarsi esistenziale”, tanto le Confessioni quanto Con gli occhi 30 L’annotazione di Giuliotti compare in calce alla lettera già citata dal febbraio 1916, pubblicata dopo la morte di Tozzi nella sezione a lui dedicata de L’ora di Barabba, Vallecchi, Firenze 1923, pp. 51-7 (ora in Carteggio con Giuliotti, pp. 349-50). 31 Cfr. Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., p. 43. L. Anderson conferma l’attenzione particolare rivolta alla Città di Dio (cfr. Tozzi's Readings, 1901-1918, cit., p. 125). 32 L’incalco, in Il teatro, p. 221.

3 A proposito del modello autobiografico agostiniano, Jean Staro-

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ANIMA E SCRITTURA

chiusi raccontano storie di uomini destinati ad attraversare l’esperienza della conversione. Eppure, la totale assenza nel romanzo di un Dio ritrovato che accolga nella sua interezza, e la presenza al suo posto di un padre dai terribili attributi divini, rivelano il fondo singolare della religiosità tozziana che nel 1913 è ancora largamente debitrice alle conoscenze psicologiche circa le ipotesi di comprensione dell’esistenza. Insomma, se si esclude l’ammirazione per la “filosofia umana” di Agostino, con il suo ragionare articolato e rigoroso in una forma di limpida acutezza, la fruitio Dei, la delectatio summi boni che

ne caratterizzano la spiritualità restano estranei alla concezione religiosa di Tozzi ed alla sua personale ricerca interiore.

Ciò nonostante, il genere dell’autobiografia religiosa ha avuto un peso non trascurabile nella cultura tozziana, in quanto esemplificazione realistica dell'esperienza conoscitiva in forma di tracciato spirituale. Il vertice di signifi-

canza si tocca nella fase di quello che avrebbe dovuto essere l’impegno ideologico e propagandistico della «Torre». Se nella visione antropocentrica del Tozzi militante «l’uomo che cerca Dio esalta la propria individualità»*, ripercorrere la storia di una fede conquistata con sofferenza equivaleva a studiare il movimento dell’anima più ricco in assoluto di rivelazioni psicologiche, in quanto afferente alla sfera del “sentimento religioso”. Di contro a qualunque prescrizione dogmatica, dalle colonne del-

binski scrive che senza «una modificazione, una trasformazione radi-

cale: conversione, ingresso in una nuova vita, operazione della Grazia», non vi sarebbero motivi sufficienti per una autobiografia (J. StaroBINSKI, Lo stile dell’autobiografia, in L’occhio vivente, Einaudi, Torino

p.210). 1975,

X Quel che manca 1280.

all'intelligenza, in F. Tozzi, Opere, cit., p.

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«Organo della reazione spirituale italiana» Tozzi rilancia il valore dell’intuizione come mezzo per avvicinarsi al «mistero di origine», e rammenta che «le nostre manifestazioni spirituali quanto più sono sincere e ingenue e tanto più appartengono alle caratteristiche della nostra religiosità»?.

Sincerità ed ingenuità sono aspetti centrali anche della mistica descrittiva di santa Teresa d’Avila, che in particolare nella Vita offriva a Tozzi un insuperato saggio di psicologia spirituale. Non è un caso che Erminio Toti, il protagonista pazzo della novella I/ poeta, tutte le notti prima di addormentarsi legga le opere della santa, insieme

alla Bibbia e alla Divina Commedia”. Lo avranno forse ispirato le estasi ed i rapimenti della carmelitana, come a suo tempo avevano nutrito la vena del lirico della Zarzpogna verde, che per l’appunto apriva la sezione di argomento religioso con tre sonetti in lode di santa Teresa, dalle

tipiche cadenze tra sensualismo estetizzante e sacralità. Già in precedenza, del resto, l’imzagerie delle scritture mistiche era confluita nella narrativa dell’esordiente scrittore, al punto che in certi luoghi le analogie emergono con evidenza. Dal ricordo degli slanci infantili di Teresa verso Dio, dalla sua nostalgia di eternità in lui «per sempre, sempre, sempre» deriva la sensazione di dejà vu che il lettore attento al gioco delle sollecitazioni culturali avverte di fronte all’esclamazione di Adele bambina: «O sole, vo-

glio venire a trovarti». Il desiderio fanciullesco si chiarisce nelle sue implicazioni teoriche grazie alle indicazioni di Marchi sul motivo dell’eliocentrismo tozziano come meta-

35 Ivi, p. 1283. Da questo e dagli altri interventi di carattere letterario, si rileva come l’adesione di Tozzi alla «Torre» non possa essere omologata nelle motivazioni al pensiero di Giuliotti. 36 Il poeta, in Le novelle, vol. II, p. 524.

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ANIMA E SCRITTURA

fora della dimensione di Dio”, ipotesi puntualmente confermata dalle parole di santa Teresa: Quando guarda questo sole divino, resta abbagliata dal suo chiarore; quando poi guarda se stessa, il fango le chiude gli occhi: cosicché la povera colombella resta cieca’.

La presenza solare è assidua in Adele, come già in Paolo, per la sua doppia afferenza agli ambiti allegorici dell’eros e della religione. Essi si intersecano nello scenario tradizionalmente mistico del giardino, quasi una citazione dal «giardino dell’anima» di santa Teresa, solcato da rivoli fecondi che introducono ad'un altro tema di largo impiego nel sistema tozziano delle immagini. L’acqua, con tutto ciò che afferisce alla sua sfera semantica, è il fulcro di

molte pagine narrative, se non di interi cicli come de Le fonti. Nel liquido elemento trova ristoro dello spirito, metafora dell’uzio meystica che si nell’uso, magari ossimorico, delle simbologie di

nel caso l’arsura traduce acqua e

fuoco. Anche per Adele il richiamo esercitato dalla lucentezza profonda di una fonte è irresistibile, e la induce a toccare «prima col piede sinistro e poi col piede destro, la sponda, di pietra, bassissima». Quasi le sembra di poter

liberare la sua anima annegandosi lì; e intanto le allucinazioni si confondono con l’ebrezza dei sensi: ... le pareva che alcuni gigli di fuoco vivido, infilati nei suoi capelli come quell’acqua, la bruciassero tutta all'improvviso. E dall'incendio sopravvenivano a lei tante anime quante non ne aveva mai immaginate. E tutte aspettavano lei. Ma questo incendio era così freddo e delizioso come doveva essere l’acqua della fonte. ”” Cfr. M. MarcHI, I/ padre di Tozzi, cit., pp. 342-43. #* SANTA TERESA D’AvVILA, Vita, trad. I. A. Chiusano, Rizzoli, Milano 1963, pp. 12 e 154.

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Ella allora sarebbe sembrata assorta, oppure come lo spirito folle di quell’acqua; che, forse, diceva cose immense; senza farsi comprendere?

E necessaria una fervida disposizione spirituale comprendere il messaggio criptico della fonte. Nella trina di santa Teresa il motivo delle quattro acque irrigano il giardino dell’anima esprime la progressione

per dotche dal-

l’orazione discorsiva all’infusione mistica, mediante il rac-

coglimento e la quiete che sospendono e incatenano l’attività delle potenze interiori in un sonno beatifico. Assente ogni imposizione rigidamente teologica, santa Teresa maestra d’orazione introduce al «castello interiore» ed illustra le fasi del cammino graduale verso la perfezione che avrà per compimento l’unione con Dio‘°. Con tutt’altre modalità rispetto alle forme contemplative di tipo neoplatonico allora consuete, anche gli Esercizi spirituali di sant'Ignazio di Loyola istruivano Tozzi sulle tecniche sperimentali della meditazione caratteristiche del secolo d’oro. Consultati insieme alla Bibbia presso la Biblioteca Comunale

negli anni 1900-1903“,

gli Esercizi,

ancor prima delle opere di santa Teresa, rivelano la cutiosità dello scrittore per le forme del dottrinarismo spirituale, rimaste peraltro inattuate negli insegnamenti pratici e solo vagliate dal punto di vista teorico. La natura dell’interesse tozziano giustifica anche il suo ricorso alla teologia di san Tommaso e di san Bonaventura da Bagnoregio,

) 3? Adele, p. 6. dai emblematizzate teresiana, 4° Le quattro fasi della meditazione corsi d’acqua, sono: l’orazione discorsiva, l’orazione di quiete, l’ora-

zione di unione ed infine il «fidanzamento» o «matrimonio» spirituale. La tecnica della santa raccomanda in maniera particolare la sospensione delle attività intellettuali, o «sonno delle potenze». 41 Cfr. P. CESARINI, Tutti gli anni di Tozzi, cit., p. 59.

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ANIMA E SCRITTURA

due ottime “introduzioni” alla teorizzazione religiosa per chi si ponga il problema di Dio con ansie di tipo speculativo *?.

In conclusione, sembrerebbe dunque che le attenzioni del giovane ateo si siano in primo luogo rivolte alle Sacre

Scritture, in qualità di testi fondanti della fede, e che solo

in seguito gli accertamenti nel settore della cultura spirituale si siano complicati in direzione storico-agiografica e dottrinaria. «Poena damni»

Quasi a compimento di un percorso circolare, la disposi-

zione religiosa di Tozzi finisce per approdare di nuovo alla forma paleo-cristiana da cui aveva preso le mosse, naturalmente complicata da molteplici acquisizioni teoriche e letterarie. È il Dio ordinatore del Pentateuco ad imporsi al sentimento religioso dello scrittore, il Dio che esige sacrifici e che si manifesta solo nella sua terribilità. In nessun caso la teologia negativa sembra inficiare la disposizione tozziana a pensare il suo Dio, neppure nelle forme del Nulla, del Vuoto di un Meister Eckhart, in cui conviene

abbandonarsi rinunciando ad ogni compiacimento o fine psicologico, ad ogni bene temporale o intellettuale, per ritornare ad essere «nuda Divinità» — ed in questo senso il messaggio evangelico della “povertà dello spirito” come totale annullamento dell’io non registra su Tozzi alcun effetto. Il sensus sui è anzi così profondamente radicato nella sua meditazione da non lasciare spazio ad alcuna idea di trascendenza che si configuri nei termini di uno stato di * Dall’elenco-inventario dei libri di Tozzi si ricavano le indicazioni bibliografiche su san Tommaso d'Aquino e la notizia dell’esistenza di «alcuni fogli manoscritti della Teologia» di san Bonaventura (cfr. Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., p. 42).

LA CULTURA DELL'ANIMA

129

grazia in cui siano caduti i confini individuali. È come se Tozzi non volesse — o non sapesse — uscire fuori da se stesso, dall’opprimente «abisso schiacciato» che lo isola in una dimensione esclusivamente egoica; del tutto antitetica rispetto ad esempio alla divinizzazione della spiritualità orientale, verso la quale tuttavia una curiosità istintiva lo aveva in precedenza mosso, ispirandogli la lettura del Buddismo e del Mahabbarata secondo le divulgazioni del Pavolini. Ma a questo riguardo risulterà certo maggiormente plausibile un interesse di tipo storico-culturale, o al limite comparativo-religioso, peraltro confermato dalla presenza nello stesso luogo delle indicazioni precedenti di altri titoli quali Mitologia babilonese-assira del Bassi, Civiltà estinte dell’Oriente dell’Anderson e i due volumi sulla Mitologia greca del Foresti”. L’istintiva tensione veterotestamentaria che anima il cristianesimo di Tozzi riqualifica conseguentemente anche il suo misticismo, che non potrà a questo punto risolversi nella contemplazione estatica di tipo teresiano, né tanto meno nelle forme dell’originaria simzplificatio. Al tragico protagonista dell’individualizzazione sarà semmai apparso più congeniale il precetto del De imzitatione Christi, per quell’alea di ascetismo repressivo e pessimistico che circola nell’invito alla rinuncia di Tommaso da Kempis. Un’indicazione parziale, contenuta nel più volte citato elencoinventario dei libri di Tozzi‘, fissa la data della sua consul-

tazione agli anni di Castagneto, ed una conferma di ciò proviene dal risalto di cui l’opera gode nella novella Ir campagna quale lettura privilegiata dalla protagonista: Io non posso più leggere l’Imitazione di Cristo. La so quasi a

* Cfr. Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., p. 43.

4 Ivi, p. 42, dove si legge: «Kempis. Imitazione».

130

ANIMA E SCRITTURA

memoria, vorrei un altro libro. Desidero conoscere qualche cosa di S. Teresa”.

Se per il personaggio narrativo un simile spostamento

degli interessi letterari e spirituali sull'opera della carmelitana d’Avila corrispondeva all’apertura verso una forma di misticismo meno cupo, la riflessione tozziana da Adele a Tre croci sembra invece segnare il cammino inverso. Nel romanzo della maturità l’approfondimento del messaggio di Tommaso da Kempis si è infatti complicato tanto da costituire un modello per l’elaborazione del carattere di Giulio Gambi - emblematico nel suo adempimento del sacrificio‘ — e, quasi a suggerimento della fonte, è Giulio stesso a citare al Nisard un passo del De imzitatione. Nella repressione dei desideri, nel distacco dal mondo e nella concezione della natura come sofferenza si esplicitano i fondamenti della devotio moderna del monaco agostiniano, priva di eccessive complicazioni psicologiche ed analoga, nella sua dolorosa passività al disegno divino, alla parabola biblica di Giobbe, una sorta di cartone preparatorio del Podere. Si deve a Baldacci l’identificazione di Remigio con un «Giobbe laico, un Giobbe che non conosce o almeno

non riconosce Dio nelle prove alle quali è sottoposto», candidato ad un sacrificio insensato ma non per questo meno necessario nell’ottica dei libri sapienziali. Da sempre la meditazione cristiana cerca di dare risposta al paradosso

% In campagna, in Le novelle, vol. I, p. 136 (corsivo nel testo). ‘° Si veda a questo proposito il capitolo che F. PETRONI dedica alla tematica del sacrificio nel suo studio Ideologia del mistero e logica dell’inconscio nei romanzi di Federigo Tozzi, Manzuoli, Firenze 1984, pp. 57-75. 4° L. BALDACCI, Itinerario del romanzo tozziano, cit., p. 8. Giobbe

Giobbi era stato anche uno degli pseudonimi usati da Tozzi nella corrispondenza con Annalena (cfr. Novale, p. 19 e nota A).

LA CULTURA DELL'ANIMA

131

di un Dio esigente ma giusto che lascia soffrire i buoni e prosperare i malvagi; si continua ad indagare sul rapporto tra il male e la sua retribuzione, e a suo modo anche Tozzi si interroga sugli scarti dell’esistenza umana, senza tuttavia giungere a contemplare nel quadro delle soluzioni la mediazione salvifica di Cristo: Riaprendo gli occhi, ero meravigliato di vedere il Crocifisso sempre allo stesso posto. Qualche volta, sognando, pensavo ch’Egli fosse chi sa dove, in lontananze senza fondo; e qualche volta sentivo che non era ancora tornato. Egli andava, ed io restavo; ma sentivo tanta amarezza e angoscia di essere solo che il vivere mi faceva diventare timido. La mia coscienza era aspra con me; ma io speravo sempre che il giorno dopo avrei potuto andarmene; perché avevo bisogno di darmi la prova della più spaventosa pazienza. E non riescivo né meno a calmare il mio passato, che parecchie volte pigliava il sopravvento. Allora mi pareva che avvenisse da sé quello che non ero capace a dare io; e

anche dinanzi al senso della primavera io mi umiliavo. Ed ecco perché il Crocifisso non allentava né meno i suoi piedi inchiodati‘*.

Paralizzato sulla croce, il figlio di Dio non può risorgere; al massimo gli è concesso di eclissarsi, lasciando così l’uomo ancora più solo e privo del conforto di partecipare ad altri la sua pena. Una condizione di questo genere impone unicamente di subire ed umiliarsi di fronte al minimo segno della potenza divina: «Signore, sono inerme» è il lamento che troverà ascolto in cielo‘. 48 Cose, in Cose e Persone, p. 174.

49 Specchi d’acqua, in Le poesie, p. 147. La lirica si conclude: «Che l’anima sia presa adesso aspetto, / poi che da me non mi potrei più muovere; / né men ricordo quello che ti ho detto, / tanto dolore intorno sento piovere. // Ma non su me, Signore! Ho già sofferto / quanto hai voluto, senza che chiedessi / perché nel cuore, come un

solco aperto, / mai ’1 seme della gioia tu mettessi».

192

ANIMA E SCRITTURA

L’auto-interrogazione di Giobbe sui motivi della sofferenza individuale s’intreccia con quella dell’Ecclesiaste sul significato della vita. Se Dario Gavinai non avesse scoperto all’ultima pagina degli Egoisti di amare davvero Albertina, c'è da credere che avrebbe fatto sua la conclusione di Cohelet: «Vanitas vanitatum...». Affini per tonalità, riecheggiano le domande singolarmente precoci di Paolo: E se sparissi senza che la mia anima avesse saputo di me? E se quel che provo ora non fosse se non uno sforzo vano della mia vita? Io non so né meno quel che penserò tra un minuto. (...) O noi ci abbattiamo senza sapere il perché. Cadiamo, in un tratto,

giù in ginocchio. terra?°.

Come

se qualcuno

ci avesse

gettati in

Ed è sempre l’«essere immenso, quasi accovacciato» sopra di noi, l’essere che fa degli alberi e delle cose un suo mantello, l’unico a dirigere il gioco, a far sì che l’uomo

cammini sul vuoto della morte «razzolando nel mistero» senza venirne a capo. Nell’angoscia s’invoca il conforto di un’agnizione divina: che Dio, dall’alto,

ci tocchi veramente. Dubitiamo credendo. Abbiamo bisogno allora che Egli ci faccia provare il suo aiuto; ma non come una sublimità uscita dalla nostra anima. Egli ci deve giungere. Anche un urto ci farebbe tranquilli”.

Il dubbio è che Dio non si manifesti perché i contatti con le creature fatte a sua immagine e somiglianza si sono irreversibilmente interrotti: lui, l’eterno; gli uomini, dalla

vita troppo breve «per credere definitivamente». L'essere umano non nasce con il segno della fede, semmai con

20 Paolo, in Cose e Persone, p. 446.

31 Ivi, pp. 447 e 441.

LA CULTURA

DELL'ANIMA

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quello del peccato; ma la fede gli si compone lentamente, dietro l’incalzante e dolorosa pressione della colpa atavica che lo forza fino a che non gridi di essere adorato dal Signore. E quando finalmente la presenza celeste decide di rivelarsi, i termini dell’unione sono da Cantico dei Cantici: l’anima si offre come un’amata adorante, benché senza

alcuna garanzia di continuità”. Sulla durata della sensazione di Dio si concentrano necessariamente tutte le riflessioni inerenti al motivo della religiosità tozziana. Il concetto è passibile di uno sviluppo diacronico qualora lo si analizzi in relazione alla presenza divina nello svolgimento della narrativa tozziana. Qui si assiste dopo la prima, ermetica presa di contatto con la problematica religiosa nei soliloqui di Paolo, ad una sua ricomparsa cadenzata, che vede il puntuale ritorno del Dio di Tozzi su su fino all’epilogo creativo degli Egoisti e dell’Incalco. Sovente tuttavia alla tematica spirituale si sostituiscono la meditazione intimistico-psicologica o il con-

? Ancora un riferimento al Cantico dei Cantici si trova nella novella Lo scultore, dove Tozzi accenna: «Poi gli par d’essere lo sposo cantato da Salomone»; e poco più sopra aveva notato: «Egli legge il libro d’Isaia; e si convince, a poco a poco, di essere un uomo di genio» (in Le novelle, vol. I, p. 209). A conferma dell’interessamento per l’aspetto lirico oltre che dottrinario delle Sacre Scritture, dall’elencoinventario apprendiamo dell’esistenza di un «Quaderno contenente poesie di Maeterlinck e appunti su la poesia biblica». Si potrebbe pensare ad una sorta di apprendistato condotto sui libri più altamente poetici della Bibbia, quale coerente presupposto di quella produzione in versi che, prima ancora della pubblicazione della Zamzpogna verde, vedrà la luce nelle pagine dell’«Eroica». Il fasc. 3-4-5, fine 1912, della rivista di Cozzani ci rivela l’abituale concomitanza d’interessi dei tre amici-collaboratori toscani, ma questa volta essa risulta maggiormente significativa ai fini di quanto sopra ipotizzato: Tozzi vi pubblica infatti la sua Canzone alla Vergine, Giuliotti la Preghiera (A tutti i credenti in Cristo e nell'Italia) e Paolieri una sua versione proprio dal Cantico dei Cantici.

134

ANIMA E SCRITTURA

tatto con esperienze letterarie contemporanee e del passato, in un’alternanza di ispirazioni che segnano al loro primo apparire le fasi della crescita culturale dello scrittore, salvo coesistere in un secondo momento ed alimen-

tarsi vicendevolmente. Il fine del costante lavoro di ricerca sarà sempre l’apprendimento di una legge in grado di dirimere il mistero dell’esistenza («Le più grandi leggi sono indefinibili — scrive Tozzi —; si intravedono soltanto

come orizzonti di quiete, come una promessa lontana di felicità»”) ed in questo senso nell’ottica strumentale dello

scrittore tanto le nozioni scientifiche quanto le esperienze confessionali introducono forme di conoscenza molto più vicine del previsto. Se dunque nella vita e nell’opera di Tozzi anche dopo l'impegno assunto con la conversione la durata dell’afflato religioso si presenta alquanto discontinua, parimenti altalenante e casuale appare il manifestarsi di Dio all'uomo per la totale mancanza nel loro rapporto del sentimento della pietà, il solo in grado di motivare un suo interessamento ai casi umani. A cominciare da Paolo l’intermittenza del ricorso divino sembra così essere la vera dimensione spirituale dei personaggi tozziani: quand’esso compare si attivano ad un tempo tutte quelle spie che abbiamo ormai imparato a riconoscere in veste di segnalatori dell’ipereccitazione soggettiva, tesa nel cogliere una realtà altra: «Allora ricorro a Dio; perché l’alta sensazione che ho di Lui mi rende cieco e mi invia in un’altra parte»”. Ancora la cecità, ancora il non vedere: coazione a ripetere lo stesso gioco degli occhi fino a che non sarà definita le legge dell'anima.

? Barche capovolte, in Cose e Persone, p. 111. 24 Paolo, ivi, p. 448.

III FILOSOFIA E SCIENZA NELLA NARRATIVA TOZZIANA Una città carica di tradizione nello scenario della campagna toscana; un clima intellettuale profondamente reazionario per immunità dal contagio avanguardistico; un quotidiano fatto di piccola borghesia padronale. Tra l'Arco dei Rossi e il podere di Castagneto si svolge la gioventù esaltata e meditativa di Tozzi, nutrita di letture che per varietà e consistenza rendono pienamente ragione dell’odierno ricorso critico alla categoria di “cultura”. Pur evitando allora di assumere la formazione dello scrittore nei termini di un impianto teorico in grado di sciogliere, da solo, un dolore del tutto privato, nell’incontro con il mistero dell'ispirazione tozziana risulterà in ogni caso illuminante almeno scorrere la bibliografia delle consultazioni relative al settore filosofico. Si scoprirà così che, oltre agli Studi sul Positivismo dell’Ardigò, all'opera capitale di Darwin sulla specie e a Forza e Materia del Biicher, sempre nel periodo di Novale Tozzi conobbe anche le teorie lombrosiane dell'Uomo delinquente, Il carattere e la vita di Emerson e la monografia sulla paura del fisiologo Angelo Mosso, opere tutte afferenti all'ambito dello scientismo naturalista allo stesso modo dei Paradossi e de Le menzogne convenzionali della nostra civiltà di Max Nordau, ancora ricordati nelle

lettere ad Annalena!. ! Cfr. M. MaRcHI, La cultura psicologica di Tozzi, cit., pp. 33-48; P.

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ANIMA E SCRITTURA

La fisiologia e lo psicologismo che si intrecciano nella divulgazione di Nordau sembrano comunque registrare su Tozzi un impatto di tipo antinaturalistico, da cui quel suo credo perfettamente giovanile nell’“illusione” quale miglior prerogativa dello spirito?. Ben poco, del resto, valgono anche le acquisizioni derivate dalla Psicologia fisiologica del Mantovani, o le spiegazioni dei fenomeni psichici ricavabili da un manuale dell’Ardy?: i due testi ribadiscono semmai la curiosità per il filone psicologico, del quale in una prima fase Tozzi avvicina esperienze direttamente legate al fisiologismo materialista, per produrre poi il salto qualitativo nella direzione del rinnovamento scientifico, all'insegna di William James. Eppure, dal momento che l'etichetta di “positivista” non aderisce perfettamente alla teorizzazione jamesiana (non a caso —- come notava Bal-

dacci — chiamata in causa da Debenedetti nel Romanzo del Novecento quale fonte del joyciano stream of consciousness*), appare quantomeno tendenziosa l’abituale prassi critica per cui, in relazione alla cultura psicologica di Tozzi, James il più delle volte finisce per funzionare come un Mosso o un Lombroso, in modo da ricondurre di nuovo

le aperture intuitive dello scrittore nell'ambito di uno scientismo di diffuso consumo.

CesarINI, Tutti gli anni di Tozzi, cit., pp. 35-8, 57-61, 83-7 e 94; L.

AnpERSON, T0zz7's Readings, 1901-1918, cit., p. 126. Lombroso è invece indicato quale probabile lettura tozziana da Emma Palagi Tozzi in una nota all'edizione 1925 di Novale, da lei curata.

? Si veda il saggio di P. GETREVI, Ideologia e metafora nel primo Tozzi: tra Nordau e Poe, in «Il cristallo», a. XX, n. 3, dicembre 1978, pp.

81-96. ? Entrambe le opere figurano nell’elenco-inventario dei libri di Tozzi, riprodotto nel catalogo della Mostra documentaria di Firenze del 1984 e più volte citato. 4 Cfr. L. Barpacci, Tozzi e la lezione di Giacomo Debenedetti, cit., p. 64.

FILOSOFIA E SCIENZA

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All’interno della cultura tozziana, l’esistenza di agganci sostanziali con la problematica gnoseologica di inizio secolo è poi ulteriormente attestata dalla collocazione di ben cinque opere di Bergson nella biblioteca di Castagneto?, una conferma di come le scoperte letterarie più sorprendenti e ricche di potenziali sviluppi esegetici appartengano ad uno spazio culturale che va ben oltre l’accademismo dell’Istituto di Studi Superiori di Firenze. Oltre all'apporto specifico fornito dalle singole trattazioni, James e Bergson servono anche allo scrittore come introduzione alle moderne tendenze nell’esplorazione della coscienza, a cominciare dalla realtà clinica della psichiatria dinamica che ebbe il suo centro propulsore nell’ospedale parigino della Salpétrière e nella figura carismatica di Charcot. Tra i laboratori medici, la Société de Psychologie Physiologique e l’Institut Psychologique International che gli successe (e naturalmente le varie redazioni giornalistiche specializzate, dalla «Revue Philosophiques» al «Journal de Psychologie»), si mossero gli studiosi che più hanno contribuito all'evoluzione della scienza psicologica, costituendo quel vivace terreno di ricerca a cui anche il giovane e dissidente Freud doveva rivolgersi come alla comunità scientifica più avanzata del momento. Pierre Janet e Théodule Ribot ne furono animatori di tutto rispetto, e pun-

© La segnalazione è contenuta nel saggio di M. MaRcHI, Dalla parte dello scrittore: Tozzi scientifico, cit., p. 57. Le opere di Bergson che appartennero a Tozzi sono: Matière et mémoire, cinquème édition, Alcan, Paris 1908; Essai sur les données immédiates de la conscience, dixième édition, stesso editore, 1912; La filosofia dell’intuizione. Introdu-

zione alla metafisica ed estratti di altre opere, a cura di G. Papini, Carabba, Lanciano 1913; I/ riso. Saggio sul significato del comico, a cura di A. Cervesato e C. Gallo, Laterza, Bari 1916 (autografo nell’occhiello «Siena, 19 agosto 1916»); L’évolution créatrice, vingt et unième édition, Alcan, Paris 1918.

ANIMA E SCRITTURA

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tualmente i loro nomi compaiono sulla copertina di alcuni volumi nella biblioteca di Tozzi. Gli aforismi di «Barche capovolte» tra James e Bergson

Che William James non fosse poi tanto estraneo all’elaborazione letteraria tozziana lo aveva già sostenuto Rossi nella sua analisi del Podere*, limitandosi tuttavia a rivolgere l’attenzione a quel testo jamesiano di cui l'anonimo corrispondente di Annalena esibiva la conoscenza nella lettera di Novale del 13 dicembre 1902. Per la loro impostazione pedagogica e divulgativa, Gli ideali della vita si

proponevano come l’opera più adatta ad una lettura d’approccio ai fondamenti della scienza psicologica; e non c’è dubbio che l’impressione derivatane sia stata immediatamente messa a frutto da Tozzi in quella sua applicazione di toni pseudo-manualistici al dettato epistolare, nonché nella ripresa di concetti quali il «campo marginale della coscienza» 0 le «associazioni intellettive». Senza contare inoltre che il procedere rigoroso e ordinato dei «discorsi ai giovani ed ai maestri» forniva allo scrittore una serie di nozioni sulle caratteristiche dei diversi stati mentali da cui muovere, almeno in teoria, per la razionalizzazione della propria interiorità. A questo primo contatto jamesiano, sempre nel 1902 è

da aggiungere la consultazione di un’altra opera dello psicologo americano, destinata ad avere straordinaria fortuna presso lo scrittore: si tratta dei Principi di psicologia, dapprima richiesti solo in lettura presso la Biblioteca Comunale, e poi presi ripetutamente in prestito dal dicembre

° Cfr. A. Rossi, Modelli e scrittura di un romanzo

podere, cit., pp. 32-46.

tozziano. Il

FILOSOFIA E SCIENZA

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1905 all’agosto 1907”, per un totale di circa tre mesi. Di lì

a poco Tozzi acquisterà a rate una copia dei preziosi Principii (edizione 1905), e la dedicherà ad Emma pregandola di tagliarne personalmente le pagine, per suggellare con un

gesto quasi rituale la sacralità di quella che, a tutti gli effetti, era da considerare un’altra bibbia?*. Il valore del compendio jamesiano è incommensurabile per il sollecito lettore dei capitoli sulla corrente del pensiero, l'abitudine, la percezione, la coscienza dell’io,

rimeditati tra le righe di Barche capovolte ed in certi brani del poema in prosa Paolo che presentano una sorta di interscambiabilità con la scrittura lirico-concettualizzante degli aforismi. Che Tozzi pensasse alle Barche come ad un’opera di carattere psicologico lo testimonia anche la definizione resa nel componimento che sigla la raccolta’; e intanto, già dai primi mesi del 1910 lo scrittore prendeva contatto con l’editore Cappelli proprio per la stampa di un «piccolo libro di psicologia», circa il quale scriveva all’amico Giuliotti di tenere assai più che alle novelle o alle poesie di coeva composizione!°. Il motivo taciuto di tale predilezione ci sembra da rintracciare nella tensione speculativa che informa la scrittura di Barche capovolte, un’opera in cui, a dispetto dell’assetto formale frammentario, l’ispi? Cfr. L. ANDERSON, I segreti di Tozzi, in «N.C.» (Nuovo Corriere), 17 maggio 1989.

8 Cfr. Novale, p. 166. Come già Marchi rilevava nel suo intervento La cultura psicologica di Tozzi, cit., alcune lettere anteriori a questa del 29 settembre 1907 contengono delle allusioni ai Principii jamesiani. ? «Io non so se ho scritto soltanto per me o anche per altrui. / Ma un libro di psicologia non può avere alcuna conclusione, perché deve essere l’analisi minuziosa e ininterrotta di quel che avviene in noi» (Barche capovolte, in Cose e Persone, p. 113). Per una lettura degli

aforismi tozziani cfr. anche: M. MARcHI, Nuovi appunti su Tozzi: «Barche capovolte», in «Idra», a. II, n. 2, 1990, pp. 27-49.

10 Cfr, la lettera a Giuliotti datata inizio 1910, in Carteggio con Giuliotti, pp. 9-10.

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ANIMA E SCRITTURA

razione persegue una sua compiutezza teorica in virtù del-

l’onnipresenza di un argomento preferenziale dominante sulla tematicità delle singole prose. L’arzizza è l'oggetto ora rivelato ora allegorico dell'indagine, da studiare nella consistenza e negli effetti attraverso una partizione aforismatica dell’iter cognitivo alla quale non doveva essere rimasta estranea l’organizzazione proposizionale della Monadologia di Leibniz!!. «Voglio descrivere l’anima quale è quotidianamente», dichiara Tozzi, e questa esigenza è tanto più forte quanto più egli si riconosce ignaro della propria interiorità: «Di quassù non posso scorgere i riflessi che avvengono dentro il profondissimo pozzo dell'anima». La verticalità della prospettiva sostiene e rafforza la scelta terapeutica dell’auto-immersione, nella speranza di trovare dentro di sé «la regola per l’assestamento definitivo di questo spirito, che ha patito così tanti danni». A prescindere quindi dalla chiave metaforica con cui Tozzi scrittore risolve gran parte dei brani della raccolta, il suo impegno nell’immediato appare volto a definire le componenti della personalità, con una certa disinvoltura nel conciliare cultura letteraria e classici della ricerca scientifica, come James; quest’ultimo magari accolto proprio in quella sua retrospettiva sull’ego con cui si apre il capitolo X dei Principi di psicologia, non a caso su un’esposizione della teoria scolastica dell'anima. Una serie di argomentazioni oggettive conforta la credenza in una sostanza semplice e spirituale, alla quale ineriscono le molte facoltà dell’essere umano che su di essa combinano i loro effetti"‘. !! Si pensi soprattutto alla discettazione leibniziana sulla natura dell’anima nella Monadologia. A questo proposito, si ricordi che Leibniz è tra i protagonisti dei «pasticci poetici» confessati da Tozzi nel giugno 1907 (cfr. Novale, p. 111). 12 Barche capovolte, in Cose e Persone, p. 84. 3 Ivi, p. 85. 14 «... il principio di individualità che è dentro di noi deve essere

FILOSOFIA E SCIENZA

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Ma se il problema è stabilire una relazione tra pensiero e cervello, l’anima immateriale non è l’unica ipotesi plausibile per spiegare la fenomenologia della coscienza. James del resto è ricorso a fatti ben individuabili e contingenti nel formulare le sue teorie, supponendo l’esistenza di una corrente di pensieri ciascuno dei quali, sostanzialmente diverso dagli altri, è tuttavia partecipe dell’intero flusso e conosce il contenuto di ogni singolo campo. Il rischio di un’evocatività di tipo confessionale, a seguito dell’utilizzo di un termine come “anima”, risulta abilmente eluso anche negli aforismi tozziani: qui i due concetti anima/Dio funzionano in maniera separata, e la scissione mantiene un suo rilievo a livello stilistico, dove il tema sacro si propone con andamento salmodiante e toni veterotestamentari,

mentre

sul versante

conoscitivo

lo

sforzo procede nella direzione di una rigorosa oggettività. La concezione dell’anima che ne deriva non ha pertanto legami diretti con il dogma cristiano, proponendosi piuttosto come metafora della vita interiore. Ma questa entità rimane comunque l’unica depositaria del segreto che avvolge l’esistenza, in quanto emanazione di una legge sconosciuta: «Bisogna che l’anima cammini sopra il suo infinito con molta avvedutezza. Poi che l’anima è come se fosse attaccata a qualche cosa. Non fate che si rompa questo legame». Perdere la relazione dell’anima con il suo mistero significa dissipare irrimediabilmente qualsiasi sostanziale, poiché i fenomeni psichici sono attività, e non si può concepire alcuna attività senza un agente. Questo agente sostanziale non può essere il cervello, ma bensì deve essere qualche cosa di irzzzateriale; giacché la sua attività, il pensiero, è immateriale, e prende cogni-

zione di cose immateriali e di cose materiali in maniera generale ed intelligibile, non che particolare e sensibile - tutti poteri incompatibili colla natura della materia di cui il cervello è composto» (W. JAMES, Principii di psicologia, Bocca, Torino 1905, p. 245). 15 Barche capovolte, in Cose e Persone, p. 72.

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ANIMA E SCRITTURA

speranza di anamnesi, ammettendo la quale Tozzi cultore della filosofia platonica'* arrivava a riconoscere l’immortalità dell'anima stessa proprio «perché scopro sempre che ha vissuto più di me»'”. Eppure, anche in questa fase gli abbandoni metafisici non giungono ad oscurare l’evidenza dei supporti ideologici: «L'uomo — e il tono si fa qui asseverativo — vive sempre una buona parte di sé stesso,

cioè di quel che si è accumulato nell’anima. / Tutte le sensazioni posteriori hanno da combinarsi con le stratificazioni di quelle che sono anteriori». Non da Dio ma dal tempo l’anima deriverebbe quindi la sua natura; una concezione mutuata dalle letture jamesiane e bergsoniane, che nell’aforisma Le vie si manifesta in tutta la sua concretezza. L’idea della fluidità psichica non tarda poi a tradursi in immagini poetiche: « Tutto quel che avviene è una conseguenza temporanea del suo [dell’anima] lungo scorrere come un fiume». James, dunque; e più ancora di James il tempo-durata di Bergson, così assunto nella poetica tozziana: E noi non sappiamo mai da quando cominci la nostra vera vita interiore, poi che il tempo si esprime soltanto con una serie di fatti che in sé stessi non sono computabili. E esiste soltanto la durata dell’attenzione che diamo a loro. Ma anche questa durata può essere mal giudicata, a cagione della intensità o delle attrazioni che sopravvengono?°,

‘© L'incontro con la filosofia di Platone va ben oltre la mera occasionalità. Ancora dal citato elenco dei libri di Tozzi si ricavano le indicazioni seguenti: «Platone. Dialoghi trad. del Dardi (1 vol.); Platone. Assiaco, ecc. (trad. Acri); Platone. Convito (trad. Acri); Platone. Fedone (trad. Bianchi); Platone. Apologia ecc. (trad. Ficino)». !” Barche capovolte, in Cose e Persone, p. 86. IDE ipadss 1° Ivi, p. 86. 2° Ivi, p. 112. Cfr. Bergson sul concetto di durata: «Qu’est-ce que

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Il concetto originario di “memoria come luogo della durata”, per il sopravvivere in essa del passato nel presente, viene precisato da Bergson in Matière et memoire con il riconoscimento di una zerzoria pura, ovvero l’intersezione dello spirito con la materia, opposta al concetto di percezione pura, o spirito senza memoria, quale parte della materia. La distinzione acquista rilievo nella dialettica intelletto-intuizione: fondamentale per il primo termine sarà il rapporto con lo spazio, poiché l’intelletto, incapace di pensare l’evoluzione, può solo rappresentarsi il divenire come una serie di stati. La seconda è invece strettamente connessa al tempo, nella sua accezione di omogeneo affollarsi di istanti estrinseci l’un l’altro. Percezione e memoria rappresentano pertanto i due modi della conoscenza, sotprendentemente coordinati anche nell’aforisma tozziano Contentezza di sé per definire i movimenti dell’anima rispetto alla realtà: «Le cose che son fuor di lei [dell'anima] vere sono trasformate in noi in percezioni e in ricordi. / Onde l’anima è continuata nelle cose». E significativo che proprio di «associazioni di cose» James sostenga si debba parlare per chiarire gli illogici

la durée au-dedans de nous? Une multiplicité qualitative, sans rassemblance avec le nombre; un développement organique qui n’est pourtant pas une quantité croissante; une hétérogéneîté pure au sein de laquelle il n°y a pas de qualités distinctes. Bref, les moments de la durée interne ne sont pas extérieurs les uns aux autres. / Qu’existe-t-il, de la durée, en dehors de nous? Le présent seulement, ou, si l’on aime mieux, la simultanéité. Sans doute les choses extérieures changent, mais leurs

moments ne se succédent que pour une conscience qui se les remémore. Nous observons en dehors de nous, à un moment donné, un ensemble

de positions simultanées: des simultanéités antérieures il ne reste rien. Mettre la durée dans l’espace, c'est, par une contradiction veritable, placer la succession au sein méme de la simultanéité» (H. BERGSON, Essai sur les données immédiates de la conscience, cit., pp. 174-75). 21 Barche capovolte, in Cose e Persone, pp. 72-3.

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ANIMA E SCRITTURA

collegamenti che si verificano tra campi concreti di coscienza apparentemente estranei; a questo proposito la legge di contiguità e la legge di similarità stabiliscono precise corrispondenze tra le singole onde della corrente del pensiero. Bergson aveva tuttavia polemizzato con il cosiddetto “determinismo associazionistico”, responsabile a suo avviso di tendere alla sostituzione del fenomeno concreto che ha luogo nello spirito con una sua ricostruzione artificiale di matrice filosofica”. Se la contiguità era in grado di spiegare soltanto le acquisizioni impersonali, di termini cioè percepiti come giustapposti in quel mondo esterno che l’io contatta esclusivamente attraverso la superficie, la similarità, agendo per analogia, avrebbe permesso alle «menti sveglie e piene di immaginativa» di interrompere le routines della ripetizione e della suggestione lungo le

°° James descrive la coscienza come una corrente continua di 0ggetti, sentimenti, tendenze impulsive, dalle fasi simili a tante onde caratterizzate da un punto centrale di attenzione più vivace, in corrispondenza dell’oggetto più prominente del pensiero, e tutto intorno un alone di altri oggetti meno nettamente realizzati. La fluidità della mente così descritta non è sinonimo di indeterminatezza, in quanto

esiste una relazione tra le onde che si avvicendano, in grado di mantenerle in un rapporto di stretta coerenza. La legge di contiguità spiega che «gli oggetti a cui si pensa con l’onda che sorge, sono quelli che in qualche precedente esperienza si ritrovavano presso gli oggetti rappresentati dall’onda che sta passando. Gli oggetti che stanno vanendo verso il passato, ne erano prima i vicini nella mente di colui che li pensa». La legge di similarità, completando il quadro, afferma che «quando la contiguità non riesce a descrivere i fatti quali sono, gli oggetti che sorgono proveranno ad appaiarsi agli oggetti che tramontano, anche se gli uni e gli altri non siano mai stati sperimentati insieme per l’addietro. Nei nostri “voli della fantasia” questo avviene assai di frequente» (W. JAMES, Gli ideali della vita, Bocca, Torino 1906?, corsivi nel testo). 2 Cfr. H. Bergson, science, cit., p. 125.

Essai sur les données immediates de la con-

FILOSOFIA E SCIENZA

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quali fluiscono le serie mentali, per produrre accoppiamenti inediti fra campi di oggetti diversi”. Alla luce di quanto James e Bergson andavano elaborando intorno alle modalità di cognizione di sé e del reale, non si può ritenere solo un caso la presenza di riflessioni tanto affini nella poetica tozziana, densissima di rimandi al profondo a cui le acquisizioni psicologiche intervenivano a dare una giustificazione teorica: le zone oscure della coscienza ascendevano dunque a dignità letteraria, in quanto parti integranti dell’individuo. Ed è come se Tozzi, con i suoi personaggi totalmente inadeguati all’azione, inibiti o addirittura paralizzati nella volontà, tentasse di realizzare in proprio il pronostico bergsoniano di un futuro prevalere dei valori profondi dell’intuizione - momentaneamente ridotta ad «orlo», «penombra» dell’intelletto — sui valori attivi dell’intelletto stesso, prioritari per l’uomo moderno. L’operazione artistica dello scrittore mira al recupero dell’insondato, valendosi di supporti scientifici istintivamente individuati tra Orzbre e luci: Oh, le penombre inaspettate che avvengono nella mia anima! Allora, ne sono più evidenti i rilievi che rappresentano la sola attività esistente. Noi andiamo lungo i margini e non mai nel mezzo del prato che abbiamo dinanzi, perché i pensieri tendono sempre a risvegliare le loro più recenti associazioni”.

L’appropriazione estrema si compie allora sul terreno visivo dei temi e delle metafore, oltremodo abbondanti in

un filosofo “immaginifico” come Bergson, che forse anche per questo ha saputo sollecitare così a fondo la creatività dello scrittore?°. 24 W. James, Gli ideali della vita, cit., pp. 186-87.

25 Barche capovolte, in Cose e Persone, p. 107. 26 Si ricordino solo le numerose similitudini bergsoniane sulla vita,

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ANIMA E SCRITTURA

Dal modello clinico al romanzo: «Adele»

Se la teoria.jamesiana della coscienza come flusso di idee deponeva a favore della concezione del pensiero umano in forma unilaterale e personale, parallelamente, sulla base delle sempre più numerose esperienze di trattamento ipnotico dei casi d’isteria, la psicologia medica rilevava l’esistenza di singolari fenomeni di sdoppiamento e di moltiplicazione della personalità individuale come sintomi della patologia nervosa. Anche James, nei Principii, accenna alla casistica in questione, rinviando ai risultati ottenuti dal neuropatologo Pierre Janet nel corso di numerose osservazioni cliniche condotte su pazienti isteriche”. Dato poi che ulteriori indicazioni sui lavori di Janet sono contenute anche nel bergsoniano Mazière et memoire*, è logico ritenere

di cui una anche nell’aforisma La volontà: «La vita è come una cieca, che lancia le sue spole in una trama preparata. Tutti i miei desideri si possono spengere come ceri capovolti» (iv7, p. 69).

2? «Secondo Janet, queste personalità secondarie sono sempre anormali, e risultano dallo scindersi di ciò che dovrebbe essere una sola ed unica personalità, in due parti, di cui una va al fondo e l’altra sta alla

superficie, e appare come la sola personalità che l’uomo o la donna abbiano (...). Ora, sebbene l’amzpiezza di un io secondario così formato dipenda dal numero dei pensieri che vengono staccati via come tante schegge (split-off) dalla coscienza fondamentale, la forrz4 di esso, invece, tende alla personalità, per cui i pensieri posteriori che gli appartengono rammentano i più antichi e li adottano come loro proprietà. Janet sorprese uno di questi momenti effettivi di condensamento (per così dire) di una personalità secondaria in una sonnambula anestisica, Lucia...» (W. JAMES, Principii di psicologia, cit., p. 177). 28 Cfr. H. BERGSON, Matière et memoire, cit., p. 126, dove nel corso di una digressione sui disturbi della memoria, dopo aver citato Ribot e

Winslow, Bergson introduce la seguente osservazione suggeritagli dalla lettura del testo janettiano L’état mental des hystériques, Paris 1894: «Sans vouloir nous prononcer trop catégoriquement sur une question

de ce genre, nous ne pouvons nous empéchet de trouver une analogie

FILOSOFIA E SCIENZA

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James e Bergson gli inconsapevoli intermediari di una nuova segnalazione bibliografica: essa impone all’attenzione di Tozzi il nome di Janet, teorico dell’automatismo psicologico nonché studioso delle ‘nevrosi, al quale in primo luogo si deve la sottrazione della loro eziologia dalla sfera dell’ereditarietà biologica e la loro moderna collocazione nell’ambito delle malattie mentali. Il carattere «ideogeno» delle nevrosi che per lo stesso Charcot, patrono dell’avanguardistica clinica psichiatrica della Salpétrière, finiva pur sempre per restare solo una formula, agì invece come postulato irrinunciabile in tutta la ricerca janettiana. L'indagine venne pertanto progressivamente spostandosi dal terreno neurologico in uno spazio medico del tutto nuovo per l’esplorazione dell’inconscio. Dal materiale clinico accumulato e catalogato fin dagli anni di Le Havre, Janet desunse la distinzione delle nevrosi nelle tipologie fondamentali dell’isteria e della psicoastenia, entrambe caratterizzate da due distinti livelli di

sintomi: gli «accidenti» (sintomi accidentali o contingenti) e le «stigmate» (sintomi permanenti). Mentre gli accidenti isterici trovano precisa ascendenza in idee fisse subconsce,

i nuclei ideogeni della patologia tornano ad essere manifesti negli stati psicoastenici sotto forma di ossessioni e fobie. Le stigmate, al contrario, sono diretta emanazione di di-

sturbi di base, spiegati nei termini di un «restringimento del campo della coscienza» per quanto attiene alle forme d’isteria, e di una «disgregazione della funzione del reale»

entre ces phénomènes et les scissions de la personnalité que M. Pierre Janet a décrites...». Più avanti, p. 192: «Il y aurait d’ailleurs ici une foule de distinctions à faire, non seulement entre les diverses formes de l’aliénation, mais encore entre l’aliénation proprement dite et ces scissions de la personnalité qu’une psychologie récente en a si curieusement rapprochées» (il riferimento concerne gli studi di Janet Les accidents mentaux Paris 1894 e L’automatisme psychologique, Paris 1889).

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ANIMA E SCRITTURA

nella psicoastenia. Pur riconducendo dunque la natura delle nevrosi alla sfera psicogena, evidentemente Janet ricercatore sperimentale individuava ancora l’origine del male in una costituzione fisiologica anomala, dove tuttavia in luogo del deterioramento fisico delle funzioni (intese come sistema di immagini sedimentate nella coscienza e sviluppatesi nel tempo) egli suggeriva doversi piuttosto riconoscere l’arresto della loro evoluzione. Per una sintesi descrittiva dei disturbi, Janet riassume: Les névroses sont des maladies portant sur les diverses fonctions de l’organisme, caractérisées par une alteration des parties supérieures de ces fonctions, arrétées dans leur évolution, dans leur adaptation au moment présent, à l’état présent du monde extérieur et de l’individu et par l’absence de déterioration des parties anciennes de ces mémes fonctions qui pourraient encore très bien s'exercer

d'une manière abstraite, indépendamment des circostances présentes. En résumé, les névroses sont des troubles des diverses fonctions de l’organisme, caractérisés par l’arrèt du développement sans détérioration de la fonction elle-méme”.

Restava solo da registrare lo scarto rispetto alla neurologia ufficiale, e lo psicopatologo volle sottolinearlo abbandonando il termine nevrasteria, d'impostazione ancora fisiologista, per coniare la nuova etichetta di psicoastenia sotto cui comprese le ossessioni, le fobie e altre manifestazioni nevrotiche. L’intero lavoro di Janet prelude dunque in maniera diretta alle intuizioni freudiane; e non c'è alcun

dubbio di trovarsi già nella modernità addentrandosi in quella sua casistica fenomenologica, minuziosamente raccolta nel corso dell'intera carriera, attraverso la registrazione di oltre cinquemila casi che costituirono una salda

?° P. JANET, Les névroses, Flammarion, Paris 1909, p. 392 (corsivo nel testo).

FILOSOFIA

E SCIENZA

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base operativa per l’approfondimento della psicologia delle nevrosi. Notizie certe intorno alla conoscenza tozziana delle teorie di Janet provengono ancora una volta dalla biblioteca dello scrittore, dove si conserva una copia di seconda mano delle Névroses?, Niente di strano, in fondo, che un

autore dalla rabdomantica intuitività di Tozzi possa aver subìto la suggestione della sintomatologia nevrotica fino al punto di fare di un’isterica la protagonista di un romanzo e di uno psicoastenico il suo innamorato. Anche il riscontro cronologico fra la consultazione del testo medico e la genesi di quell’“abbozzo di romanzo” giuntoci in forma lacunosa che è Adele sembrerebbe confermare la presunta correlazione tra le esperienze della lettura e della scrittura, sebbene sia difficile stabilire a quando risalga l’acquisto dell'esemplare delle Névroses, e soprattutto a che punto fosse allora la stesura del romanzo. Resta comunque il fatto che la consultazione dell’opera di Janet è un’altra di quelle realtà che hanno indotto Marchi ad indicare nella conoscenza di aspetti della psicologia prefreudiana un bagaglio culturale accertabile ed imprescindibile ai fini di una lettura tozziana correttamente collocata fuori dal riduttivo schema della naîveté?!. Certo in Adele non man30 Ancora una segnalazione di Marchi, il quale ha scoperto tra la corrispondenza Tozzi-Giuliotti una cartolina postale con timbro 20 novembre 1911, in cui lo scrittore incarica l’amico di informarsi presso

la libreria Gonnelli di Firenze sull’editore del saggio janettiano Le mentalità isteriche (cfr. Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., p. 11 e scheda n. 51, p. 48; ora anche in Carteggio con Giuliotti, pp. 29-30). 31 Nel dibattito critico sulla narrativa tozziana, la ben nota tesi della “artisticità istintiva” dello scrittore si radicalizza con la lettura di E. Esposito, Federigo Tozzi naif, in «Belfagor», n. 4, 31 luglio 1982, pp. 391-406. Se la non consapevolezza dell’atto creativo era stata tradizionalmente valutata in senso positivo, per Esposito la naîveté tozziana diventa cifra ora di «superficiale emotività», ora di «approssimazione

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ANIMA E SCRITTURA

cano incertezze compositive, molte delle quali peraltro già isolate dall'autore nel corso di una revisione selettiva del testo. È un’opera che in qualche modo evidenzia una sorta di acerbità espressiva, soprattutto là dove la tensione gnoseologica determina un’involuzione a livello formale; e tutto questo potrebbe esaurire la questione dal punto di vista dell’analisi letteraria se non si tenesse presente che la creatività del narratore, nonostante le istanze autoanaliti-

che e terapeutiche di cui sembra investita, è in questo caso confortata dalle nozioni acquisite sull’eziologia, sugli «accidenti» e sugli attributi comportamentali delle nevrosi, ricorrendo alle quali è possibile penetrare con maggiore lucidità nelle trame di un romanzo tanto significativo nella produzione tozziana. Se nell’associazione e nella sintesi d’idee e funzioni si riassumono le operazioni mentali normali, al contrario Adele si rivela profondamente dissociata, come tutti coloto che soffrono di una maladie de l’ésprit. In lei si è verificato quel patologico restringimento del campo della coscienza che la porta a dimenticare immediatamente qualsiasi percezione svincolata dal pensiero attuale, e la costringe in uno stato di perenne isolamento dall’esterno”:

espressiva», ora di «sostanziale mancanza di incisività». «Come scrit-

tore — afferma Esposito a conclusione della sua analisi — Federigo Tozzi fu un naîf, e l’interesse che suscita, così come il suo limite, sono infatti

nell’ingenuità e nella primitività delle sue sensazioni e della loro espressione, nel suo sentimento stupito e disperato della vita e nella caparbietà del suo volerlo rappresentare» (p. 406): una posizione che ci sembra oltremodo limitativa dell’arte tozziana, e che gli studi recenti sulla cultura dell'autore hanno decisamente rivisto, evidenziando

al

contrario l’esistenza di una precisa coscienza creativa da parte dello scrittore, troppo a lungo sopraffatta, in sede esegetica, da una romantica concezione di “gratuità” della sua arte. ? «Si nous étudions la deuxième stigmate qui a été décrit [il restringimento del campo della coscienza], cette singulière distractivité

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I canarini mangiavano molto. Ella li guardò e sorrise. Poi entrò in un altro salotto, non ricordandosi più di nulla”. Cosa tra le cose, Adele si muove incosciente delle

proprie emozioni, estranea rispetto ad un mondo che le

lancia messaggi incomprensibili: Si guarda a lungo nello specchio, [non preoccupandosi se alcuni ricordi smuovono il suo pudore] ma trepida, senza sapere il perché, ed entra piangendo sotto le coltri”*.

Un raffronto con quanto Janet aveva ricavato dai casi

delle sue pazienti può fornire spunti utilissimi nel tentativo di decodificare la pagina narrativa. Illustrando le stigmate nevropatiche, egli aveva indicato nella distractivité un dato comportamentale tipico degli isterici. Si tratta di una «disposition è l’indifference, à l’abstraction, à la distrac-

tion tout à fait exagerée et anormale»”, che ricorda lo stato mentale di Adele in quel suo «credere di sentire» i fenomeni esterni anziché percepirli distintamente — e l’uso tozziano del verbo parere a questo proposito è assai illuminante. Ma c’è un altro dato, forse ancora più tipico delle mentalità isteriche, che Janet espone dettagliatamente nei que nous n’avons pas pu désigner autrement, cet état bizarre dans lequel les malades oublient immediatement les perceptions, les souvenirs qui ne sont pas immédiatement en rapport avec leur pensée actuelle, nous nous trouvons en présence d’un phénomène analogue au

précédént. Ce second fait n’est en réalité qu’un autre aspect du premier: nous avons vu que chaque idée existait dans l’esprit d’une manière très isolée, nous voyons maintenant que toutes les autres idées voisines de la première sont en effet supprimées» (P. JANET, Les névroSES "Cit p.t998).

33 Adele, p. 21. bar Ivi pu28. ?> P. JANET, Les névroses, cit., p. 306.

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ANIMA E SCRITTURA

suoi risvolti comportamentali, ed è il fenomeno della suggestivité, il quale consiste d’une manière générale dans une réaction mentale particulière que présentent à certains moments certains sujets quand on

fait pénétrer une idée dans leur esprit d’une manière quelconque et le plus souvent par le langage. L’idée qui a été congue par eux ne reste pas inerte et abstraite, elle ne tarde pas d se transformer en un autre phénomène psychologique plus complexe et plus élevé, elle devient vite un acte, une perception, un sentiment et s'accompagne de modifications de tout l’organisme?*.

Anche in questo caso abbiamo a che fare con una categoria generale che sembra riassumere la situazione psicopatologica di Adele e far luce sui moventi della tragica conclusione della sua storia, proprio quando l’«idea» del nulla assoluto, già penetrata nel suo spirito, si concretizza in un’azione dalle conseguenze irreversibili. Ecco allora che le rose raccolte in giardino, una volta sfogliate sul piccolo tavolo, le suggeriscono l’immagine del sangue; e si può intuire per quale motivo «le cose tristi e penose, quantunque lontane, assumevano un’importanza patolo-

gica in lei, influendo nel suo carattere». È un’idea lenta e tragica, che si insinua sotto forma di domanda: «Perché doveva morire? Perché tutte le cose andavano in una lontananza che non le apparteneva più? E a questo punto ogni sforzo della sua volontà «tenue e fallace» diventa inutile: compreso che da sempre l’indifferenza ha diretto i suoi rapporti con il mondo, vistasi per un momento solo «una grinza nell’infinito» che un gesto rapido avrebbe inevitabilmente appianato, Adele agisce e si uccide, perché ormai tutte le ombre della vita l’hanno chiusa nella loro vanità e la incitano a «compiere quello che la sua volontà alterata

36 Ivi, p. 298.

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aveva parecchie volte considerato come un adempimento finale».

L’impossibilità di cogliere il reale, non solo nei suoi fondamenti nascosti ma anche negli aspetti più consueti, obbliga Adele ad un distacco privo di speranze cognitive che si inoltrino nella morte; il suo è piuttosto il commiato di chi non può opporsi al distruttivo epilogo esistenziale imposto dalla logica delle cose. A niente vale il ricordo di Fabio, il riaffacciarsi della sfera emotiva nel panorama delle considerazioni razionali: anche lui è «lontano come tutte le altre cose belle», e del resto fa parte dello stesso mondo malato di Adele, dal momento

che la sua condi-

zione naturale è pervasa da un’«indolenza dolorosa» che Tozzi specifica (in maniera fin troppo puntuale) doversi collegare al fenomeno della psicoastenia. Apatia, malessere e disagio sono pertanto le cifre all’insegna delle quali si svolge anche la vita di Fabio. Il janettiano processo di disgregazione della funzione del reale è in lui già molto avanzato e la sua tensione psicologica ha raggiunto ormai livelli di guardia, tanto da comprometterne seriamente la capacità di «presentificazione», la possibilità cioè di rappresentarsi il momento presente su cui concentrare atten-

zione e volontà”. Il personaggio tozziano è di nuovo paralizzato in ogni sua funzione, perfettamente in linea con i dettami della casistica di Janet: ?! Adele, pp. 80-1. 38 «Egli passava tra la gente, come assorto in un sogno profondo; e tutti quei rumori e quelle voci gli facevano un brusio insopportabile ai nervi. Gli dolevano gli occhi e le tempie. Egli si annoiava di tutto, si nauseava di tutto. Era come se dovesse assistere per forza ad una realtà estranea al suo spirito, dalla quale era distante; ma in pericolo sempre di essere sopraffatto. Egli si manteneva estraneo a questa realtà quantunque nessun compenso anteriore la surrogasse. Egli, anzi, procurava di esserle ostile, resistendo alla sua percezione confusa, che lo perseguitava per mezzo dell'udito e della vista» (ivi, p. 76).

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ANIMA E SCRITTURA

Quel que soit le symptòme que l’on considère, le trouble essentiel parait plutòt consister dans l’absence de decision, de résolution volontaire, dans l’absence de croyance et d’attention, dans l’incapacité d’éprouver un sentiment exact en rapport avec la situation présente”. E ancora:

On voit qu’ils mènent une existence toute spéciale, parfaitement insignifiants à tous les points de vue, «étrangers aux choses, étrangers à tout». Ils ne peuvent s’interesser à rien de pratique et ils sont quelquefois, dépuis leur enfance, d’une maladresse suprenante?°.

L’unica reale preoccupazione di Fabio è amare Adele, ma si tratta pur sempre di un amore in cui si addensano le angosce dello psicoastenico e gli straniamenti dell’isterica. Mentre Fabio si vergogna del suo passato e si consuma nel pensiero che «non aveva potuto amarla prima di ora», Adele, rivedendo l’uomo che lei «vuole amare», percepi-

sce delle singolari coincidenze in ciò che le avviene, per il fenomeno della paramnesia. Onde credette la vita sdoppiata a modo di un raggio e della sua rifrazione. Come se le sue sensazioni continuassero ad avere un'esistenza propria, fuori dello spirito; eterne appunto perché prodotte da lui*'.

Psicoastenia, paramnesia, appercezione: anche il glossario si arricchisce e si complica in una trama di riferimenti tecnici da manuale.

” P. JANET, Les névroses, cit., p. 354. selvi;'pi357: 41 Adele, pp. 44-5.

FILOSOFIA E SCIENZA

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Prefreudismo senza Freud?

Nel ventennio 1880-1900 la medicina ufficiale riconosceva validità scientifica alle indagini di‘ordine funzionale nel campo delle malattie nervose, e di conseguenza la psichiatria dinamica acquistava una diffusione notevolissima. Divulgatore di molte delle moderne intuizioni sulla vita psichica fu il filosofo e psicologo Théodule Ribot, professore alla Sorbona e titolare di quella cattedra al Collège de France a cui doveva succedergli l’altro “autore” di Tozzi, Pierre Janet. Oltre alla pubblicazione di una serie di monografie sui più importanti meccanismi psicologici e sulla loro patologia (Les maladies de la mémoire, 1881; Les maladies de la volonté, 1883; Les maladies de la personnalité, 1885; Psychologie de l’attention, 1888), Ribot fu anche

direttore della

«Revue Philosophique», un organo di vasta

risonanza nel mondo culturale non soltanto francese, che

contribuì ad animare la discussione intorno ai progressi della scienza psicologica ed ai suoi metodi. Largamente presente anche nella libreria di Tozzi in traduzioni che datano fino al 1919*, Ribot è assunto nella

cultura dello scrittore già dal dicembre del ’13, come testimonia l’allusione polemica alla sua classificazione dei sentimenti, contenuta nel saggio Quel che manca all’intelligenza («La Torre», a. I, n. 3). Il riferimento è relativo allo

4. Cfr. M. MarcHI, Dalla parte dello scrittore: Tozzi scientifico, cit., pp. 55-6. I testi ribottiani presenti nella biblioteca di Tozzi sono: La psicologia dei sentimenti, trad. it. di F. M. C., Sandron, Milano-PalermoNapoli [1910]; Le malattie della memonia, trad. di L. Tucci, stesso editore, s.i.d.; Le malattie della personalità, stesso trad., stesso editore, s.i.d.; La logica dei sentimenti, trad. di S. Behr, stesso editore, s.i.d.; Les maladies de la volonté, trentième édition, Alcan, Paris 1919.

43 L'intervento è stato poi antologizzato in Realtà di ieri e di oggi, e

di recente inserito in F. Tozzi, Opere, cit., pp. 1280-83.

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ANIMA E SCRITTURA

studio sulla Psicologia dei sentimenti, discusso nel suo progetto di omologazione della religiosità alle altre manifestazioni affettive dell’uomo in campo estetico, sociale, morale

e intellettuale. I tempi sono maturi per una piena affermazione del sentimento religioso come reale guida dell’esistenza, e tale convinzione trova conferma nel progresso scientifico, a cui il “Tozzi ideologico” della militanza giornalistica riconosce il merito di saper rinnovare la coscienza attestando ad un tempo l’inalterabilità della fede. L’ampiezza espositiva e documentaria del saggio di Ribot doveva tuttavia continuare ad attrarre la riflessione tozziana con effetti creativi anche a distanza di anni se,

come è logico supporre alla luce di una curiosa prova indiziaria, Tozzi fece ricorso al capitolo sui sentimenti sociali e morali in fase di stesura del dramma L'’incalco. Un cartiglio rimasto per lungo tempo collocato tra le pagine 282-283 della Psicologia dei sentimenti reca infatti la scrittura autografa «... voglio anch'io cominciare a vivere, ed è necessario che non...», che da un riscontro letterale risulta

essere il residuo di una battuta del personaggio di Virgilio (atto I, scena II), il quale affronta le argomentazioni del

padre sulla necessità dell’asservimento alle regole familiari rivendicando il proprio diritto ad una maturità consapevole‘. L’ipotesi di una rivisitazione del testo scientifico in concomitanza con l’elaborazione della pièce teatrale si rafforza considerando che l’appunto tozziano, lì dove posto nel volume di Ribot, segnala un tema di sintomatico interesse come «l’entrata del padre nella società domestica», con tutto ciò che esso può aver sollecitato nell’im-

maginario di uno scrittore come Tozzi, tanto drammaticamente coinvolto nella dinamica dei rapporti parentali. Il 4 La battuta di Virgilio nell’Incalco recita: «È vero; ma voglio anch'io cominciare a vivere ed è necessario che non attenda di più» (in Il teatro, p. 164).

FILOSOFIA E SCIENZA

1997

trauma prodotto dall’intervento paterno in un nucleo preordinato si radicalizza in termini di violenza quando il padre in questione abbia le caratteristiche di Ghigo del Sasso. Un plausibile gioco di rimandi spiegherebbe allora la presenza nel dialogo tra Enzo e Virgilio di espressioni di ascendenza ribottiana come «sentimento morale» o «istinto», utilizzate nello svolgimento dei punti di vista del genitore-artefice e del figlio-ribelle: di nuovo l’insistente proposito tozziano di risolvere sul piano intellet-

tuale una materia autobiografica dolorosamente compromessa. La tensione terapeutica indirizza peraltro Tozzi lettore scientifico verso modalità razionali di rappresentazione delle proprie emozioni. Anche la psicologia di Ribot concorre alla riuscita del progetto, con il suo impianto teorico basato sui presupposti fisiologici delle «tendenze di attrazione e repulsione» come poli contrapposti della vita affettiva. Al loro interno si verificano i cosiddetti rz0virzenti,

che rappresentano l’aspetto più considerevole di un qualsiasi sentimento: Le manifestazioni motrici sono la parte essenziale. In altre parole ciò che si chiama stato gradevole o penoso non è che la superficie della vita affettiva, il cui fondamento sta nelle tendenze, negli appetiti, nei bisogni e nei desideri che si traducono in movimenti‘.

AI di sotto della vita affettiva cosciente, che si sviluppa nelle emozioni elementari e si arricchisce nelle emozioni complesse, si colloca la regione della sensibilità organica, intesa come aspetto embrionale dell’emotività. L’impostazione fisiologica di Ribot è chiaramente evoluzionistica: dalla vita semplice del protoplasma il cammino è in pro4 TH. Risor, La psicologia dei sentimenti, cit., p. 10.

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ANIMA E SCRITTURA

gressione verso il più alto sentire umano, nelle forme dell’arte, della scienza, della religione. Non mancano tuttavia intuizioni che, come Marchi ha colto e valorizzato, antici-

pano in maniera sorprendente quello che con Freud diventerà il nuovo corso della scienza psicologica. In più di un'occasione le spiegazioni fornite da Ribot a proposito di singolari accadimenti della vita psichica sembrano parafrasare concetti freudiani, con l’uso tra l’altro di un lessico

quantomai evocativo. Quando Ribot scrive che «alcune fobie si spiegano con un fatto dell’infanzia, di cui non si è serbato il ricordo», oppure commenta le osservazioni condotte su bambini in età prescolare, dove ha rintracciato

«delle spinte genitali incoscienti che provocano associazioni di idee, le quali nell’avvenire servono da substratum ai nostri sentimenti e alle nostre volizioni»‘”, pare quasi di

leggere una definizione mediata del concetto di rizzozione, o un abbozzo della teoria della sessualità infantile. Se si concede a tali concomitanze teoriche tutto il rilievo che meritano, il valore della psicologia di Ribot non potrà dirsi certo esaurito in quella sua schematica riduzione della vita affettiva ad una somma di tendenze fissate nell’organismo, in base alle quali le emozioni elementari (paura, collera, simpatia, self-feeling e sessualità) dovrebbero seguire un criterio preordinato nel loro manifestarsi, fino a costituire la base per la formazione delle emozioni complesse (sentimenti sociali e morali, sentimento religioso, sentimento estetico, sentimento intellettuale). Al contrario, tra scientismo naturalista e nuova sensibilità, gli

studi di Ribot sono in grado di fornire validi spunti di riflessione per il narratore intento all’esplorazione del profondo:

4° Ivi, p. 222 (corsivo nel testo).

- 4? Ivi, p. 260.

FILOSOFIA E SCIENZA

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... non è certo uno dei meno notevoli risultati pratici dei lavori contemporanei sulla personalità — dichiara ad esempio lo psicologo - l'aver dimostrato che l’unità di essa è solo un ideale e che, senza perciò incorrere nella dissoluzione mentale e nella follia, essa può essere piena di contraddizioni inconciliabili**.

La progressiva normalizzazione del patologico fisico in psicologia rappresenta senza dubbio un’operazione ricca di potenziali risvolti sia medici che letterari. Ad un autore dall’acuta sensibilità quale Tozzi sarebbero comunque bastate poche indicazioni per cogliere la portata innovatrice della teoria ribottiana e valutarne in prospettiva le implicazioni narrative. Se nel 1908 il novelliere esordiente sentiva di dover giustificare la strana esistenza del «musicomané» Roberto Falchi con le conseguenze irreversibili di una «terribile meningite», di simile preoccupazione non resta invece alcuna traccia in un racconto posteriore,

La paralisi, dove anzi il protagonista si trova ben inserito nella famiglia letteraria dei #ravet?®. Non è pertanto al versante della patogenesi che converrà rivolgersi per capire se la «folle» contemplazione in cui da due anni resta bloccata la volontà del protagonista sia veramente una forma di degenerazione mentale, o non si tratti piuttosto di un fenomeno ascrivibile alla categoria delle «passioni», nell’accezione che Ribot aveva fissato per questo termine in uno studio del 1906”. Un’idea o un'immagine che pre4 Ivi, p. 280. 49 Il musicomane, in Le novelle, vol. I, p. 53. Nella lettera di Novale

del 5 aprile 1908 (p. 231). Tozzi scriveva: «Ecco una proposizione da aggiungersi al Musicomane: “Perse l’intelligenza, per una meningite”. L’ho saputo ora, mangiando, da un tale che è suo amico intimo. (...) Tu

mi domandasti: ma perché perse l’intelligenza? Ecco che la mia intuizione era precisa». 50 La paralisi, in Le novelle, vol. II, pp. 453-57. 31 Cfr. TH. RisoT, Qu'est-ce qu’une passion?, in «Revue Philosophi-

que», n. 5, mai 1906, pp. 472-97.

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ANIMA E SCRITTURA

domina nella vita affettiva individuale, con forte stabilità ed intensità, costituisce proprio lo stato intellettuale che paralizza l’esistenza del personaggio in una «primavera di disperazione e di sogno», quella appunto in cui egli

ha concepito il suo amore. In conclusione, sia accettando l’ipotesi dell’origine strettamente fisiologica delle passioni («Les causes internes sont les seules vraies et au fond il n’y en a qu’une: la constitution physiologique de l’individue, son tempérament et son caractère»?), sia quella che le riconduce ad una matrice psicologica inconscia, il fenomeno pertiene pur sempre al ‘corso normale dell’affettività. La stessa dinamica anomalia-normalità, espressa con la misura breve del racconto nel passaggio da Il musicomane a La paralisi, si amplifica sul piano del romanzo con la successione Adele - Con gli occhi chiusi. Lo scrittore non ha più bisogno di connotare i suoi personaggi con le stigmate della malattia, di attribuire loro i caratteri della degenerazione mentale per giustificare i 7isteriosi atti nostri: ora può raccontare la storia di un’educazione sentimentale

tormentata senza rinunciare all’irruzione ingiustificata dell'“oltre”, proprio perché la normalità viene a coincidere con l'anomalia. Tale certezza è progressivamente maturata scorrendo le fonti scientifiche più accreditate, ed in questo senso il saggio di Ribot sulle passioni non è l’unica attestazione di ricorso tozziano alla «Revue Philosophique». Dimenticate tra le pagine dei Principii di psicologia, Marchi ha infatti scoperto, durante l’allestimento della Mostra documentaria del 1984, due carte con intestazione

«Biblioteca Comunale di Siena» contenenti appunti autografi tozziani e sibilline indicazioni bibliografiche”. L’ul-

> Ivi, p. 477. © Cfr. M. MARCHI, La cultura psicologica di Tozzi, cit.., pp. 38-9.

FILOSOFIA E SCIENZA

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tima di queste, corredata dalla nota «par Ribot», sembrava

poter suggerire il titolo della rivista diretta dallo psicologo francese, ed a seguito di precisi riscontri le congetture hanno preso corpo segnalando quattro recensioni ad opere rispettivamente di R. von Krafft-Ebing, P. N. V. Viasemski, J. Roux e J. P. Nayrac; oltre ad un’ampia rassegna dello studio di Stanley Hall sull’adolescenza firmata da Compayré, ed all’ormai noto saggio ribottiano Qw'est-ce qu'une passion?*. Parte degli appunti si riferisce agli scritti in questione, come le versioni dall’intervento di Compayré e da quello di De Fursac sulla Psychologie de l’instinct sexuel del Roux. Traendo poi da ulteriori e per il momento non identificate letture, Tozzi prende nota di alcuni elementi del comportamento adolescenziale e riassume in maniera sommaria le definizioni di «vertigine», di «scrupolo» e di «testardaggine». Particolarmente indagato è proprio il motivo della vertigine che ricorre con frequenza nella narrativa tozziana — basti pensare al finale definitivo di Con gli occhi chiusi, dove è proprio una «vertigine violenta» ad abbattere Pietro ai piedi di Ghìsola. Nella definizione, così come resa dagli appunti, la vertigine di solito si accompa-

© Rispettivamente, i saggi segnalati da Marchi sono: G. Dumas, rec. a R. von KraFrr-EBING, Psychopathia sexualis, in «Revue Philosophique», n. 7, juillet 1896, pp. 106-7; S. JANKELÉVITCH, rec. a P. N. V. VIASEMSKI, Ismzenia organisma v periode sformirovania (Des modifications de l’organisme pendant la formation), n. 8, aout 1904, pp. 199-200; J. De Fursac; in Travaux récents sur les sensations internes, su J. ROUX, Psychologie de l’instinct sexuel, n. 12, décembre 1900, pp. 638-42; P. Rousseau, rec. a J. P. Navrac, Grandeur et misère de la femme. Etude de

psychologie normale et pathologique de la femme dans la societé, n. 9, septembre 1905, pp. 325-26; G. Compavrè, Psychologie de l’adolescence, n. 4, avril 1906, pp. 345-77; TH. RiBoT, Qw'est-ce qu’une passion?, cit. (cfr. ivi, p. 39, nota 17). Dall’elenco di L. Anderson risultano

inoltre consultate le annate 1898 e 1901 della rivista (cfr. Tozzi°s Readings, 1901-1018, cit., p. 132).

162

ANIMA E SCRITTURA

gna'‘a stati d’animo alterati da una sensualità oltremodo eccitata; iche produce appunto le singolari sensazioni di «deplacement del corpo riguardo agli oggetti intorno» e di «perdita d’equilibrio». Così la voluttà di Assunta, dell'omonima novella; prorompe in'un «principio di vertigine»; ed ‘allo stesso modo, la Paola di Le sorelle è colta da una «leggera vertigine; come quando ci avviciniamo all’odore di un tino che ferve di uva»; allorché intuisce la

maturità e pienezza sessuale della vita di Giulia e Francesco”; Ancora, l'anonimo autore della Lettera si dibatte tra

l’aspirazione ad'un «di là» sensitivamente avvertito e raggiungibile con percezioni che l’amore, da solo, non è sufficiente a produrre, e l’irresistibile tendenza verso Eugenia, vissuta come strana forma di passione che anche in questo caso si manifesta nel disequilibrio rispetto alla realtà fisica”. Infine, nel racconto La paura degli altri le radici della «voluttà vertiginosa» del protagonista finiscono addirittura per coincidere con una volontà omicida da potenziale psicopatico alla Krafft-Ebing: Non uccidersi, ma uccidere! Ne sentiva la necessità ed il diritto!

Proprio nel mezzo del cervello sentiva battere un polso violento; le gambe, stando a sedere, gli s’informicolavano. Sul dorso delle mani passava incessantemente un brivido, che gliele faceva come rattrappire e lo snervava. I suoi occhi sembravano tenuti fermi da dentro, e soffriva ad averli così dilatati. Ma bisognava uccidere, uccidere, uccidere a caso, con una voluttà che lo esaltava (...). Uccidendo gli pareva che tutto si cambiasse

in lui: avrebbe, appunto, provato una voluttà vertiginosa, come quando aveva aspirato l’etere. Sentiva, dentro di sé, moltiplicarsi l'energia dell'anima”. °° °° ° °*

Assunta, in Le novelle, vol. I, p. 14. Le sorelle, ivi, p. 61. Lettera, ivi, p.176. La paura degli altri, ivi, p. 267.

FILOSOFIA E SCIENZA

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Data l’enorme risonanza destata fin dal suo apparire, nel 1866, dalla Psychopathia sexualis' di Krafft-Ebing, anche l’uscita in traduzione con'trent’anni di titardo-costituiva un avvenimento‘ in' ambiente medico. La recensione sulla «Revue» porta la firma di Dumas, e si. concentra soprattutto sul capitolo d’apertura; Fragrzents dune psychologie de la vie: sexuelle; dove la tematica sessuale ‘viene affrontata introducendo, fra glivaltri, lo spunto suggestivo delle analogie tra l’amore ed.il sentimento'religioso. Oltre che pet canali secondari, concetti quali sadismo; masochismo; uranismo, necrofilia, satitiasi ed altre deviazioni o

esagerazioni'della sessualità ebbero poi modo di penetrare nell'immaginario. tozziano anche tramite una lettura. di prima mano del Trattato di psicopatologia forense, nell’edizione che Tozzi trattenne'‘in prestito per circa quattro mesi

a’partire dall’aprile 1911”? Nonostante la sensibilità artistica gli abbia impedito qualsiasi assunzione compiaciutamente 'r0zr di: simili motivi, resta comunque ‘evidente l’interesse dello scrittore per l’eros in psicologia, come del resto confermano! gli altri articoli letti sulla «Revue Philosophique», tutti relativi ad opere concernenti la definizione della sessualità. È curioso ad esempio notare come sull'intero fascicolo VIII dell’agosto 11904, l’attenzione di Tozzi si soffermi unicamente sulla. recensione ad uno studio di Viasemski in merito alle modificazioni dell’organismo che intervengono durante lo sviluppo, il solo scritto che contenga dettagli sulla vita sessuale, scelto tra un intervento sui tapporti morale/biologia; uno studio psicologico sul sorriso del già ricordato Dumas, un'analisi della logica del discorso musicale del Landormy, oltre alla ricca appendice bibliografica. L'interesse si sposta poi sulla rassegna>? Cfr. L. ANDERSON, Tozz?'s Readings, 1901-1918, cit., p. 132. Oltre

al testo di Krafft-Ebing, in quei giorni Tozzi prese anche in prestito il volume di A. ForEL, La questione sessuale.

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ANIMA E SCRITTURA

studio relativa alla Psychologie de l’adolescence (nel n. IV, aprile 1906), un volume in cui lo psicologo e pedagogo Stanley Hall aveva concentrato le più varie osservazioni sull’adolescenza, non escluse trattazioni di carattere lette-

rario e ricerche sull’insorgere del senso mistico in una religiosa come santa Teresa d’Avila. Adolescenza ed erotismo emergono dunque fra i motivi privilegiati nelle letture scientifiche di Tozzi, e questo avvalora l’ipotesi prospettata a suo tempo da Marchi di una presunta consultazione tozziana del numero speciale de «La Voce» (febbraio 1910) interamente dedicato alla questione sessuale. Qui, l’intervento di Assagioli Idee di Sigmund Freud sulla sessualità congiungerebbe — e forse non solo idealmente — la rabdomanzia dello scrittore alla teoria psicoanalitica. Sempre meno azzardato ci sembra allora chiamare in causa Freud nella ricostruzione del sistema culturale di un autore come Tozzi, “isolato” ormai

più per definizione biografica che per comprovata realtà intellettuale. Il nome di Freud rimbalza del resto dai Principii di psicologia alle Névroses alla Psicologia dei sentimenti, eleggendo pertanto i testi canonici dello scientismo tozziano a potenziali mediatori delle problematiche e delle teorizzazioni freudiane. Si profila così una risposta convincente all’interrogativo che Michel David poneva negli anni ’60 occupandosi della penetrazione della psicoanalisi nella letteratura italiana («ma chi avrebbe potuto indi-

care Freud a Tozzi?»®), e si rintracciano inoltre i presupposti teorici dell’assidua indagine condotta da Marchi sui

°° Cfr. W. JAMES, Principi di psicologia, cit., p. 266; P. JANET,

Les névroses, cit., pp. 344-45; TH. RIBoT, La psicologia dei sentimenti, CISA °! M. Davip, La psicoanalisi nella cultura italiana, Boringhieri, Torino 1966, p. 345, ma cfr. anche la nuova edizione del 1990?, in particolare il capitolo Venticinque anni dopo.

FILOSOFIA E SCIENZA

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dati ed i materiali della cultura psicologica dello scrittore,

ricerca che non solo ha dato conferma del prefreudismo tozziano, ma di-recente ha anche rivelato l’esistenza di contatti freudiani fout-court. Tra i libri conservati a Casta-

gneto Marchi ha infatti rintracciato il volume di L. Léwenfeld Vita sessuale e malattie nervose (Unione TipograficoEditrice Torinese, Torino 1911), che aggiunge al valore specifico della trattazione un ulteriore motivo d’interesse, in quanto edizione accresciuta dell’opera originale e arricchita nel capitolo freudiano con l’ampio contributo d’autore Mie opinioni sulla parte della sessualità nella etiologia delle neurosi*. Molto più che una felice coincidenza, i continui rimandi alle Tre dissertazioni sulla teoria sessuale (nient’altro che i Tre saggi sulla sessualità del 1905) non lasciano dubbi sulla valenza informativa dell’excursus, e

suggeriscono il ruolo di mediazione culturale che anche un intervento parziale come questo ha sicuramente svolto nell'aggiornamento scientifico di Tozzi. James, Bergson, Janet, Ribot e in qualche modo dun-

que anche Freud: la competenza filosofico-scientifica di Tozzi passa il segno della patina fittizia, per risolvere scrittura ed autobiografia nello spazio dell’ispirazione poetica.

62 Cfr. M. MarcHI, Dalla parte dello scrittore: Tozzi scientifico, cit., p. 26.

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CULTURA COME PRASSI INTELLETTUALE: LA SAGGISTICA La bibliografia delle opere tozziane evidenzia una produzione di carattere critico-letterario che, a prescindere dalle effettive condizioni di messa a punto dei testi, sposta gli interessi dello scrittore dal piano fin qui ripercorso dell’apprendimento culturale e dell’elaborazione poetica a quello delle formulazioni teoriche intorno all’arte. Realtà di ieri e di oggi, la raccolta postuma di saggi anonimamente curata nel 1928 da Emma Palagi Tozzi e Giorgio Pastina, e prefata da Giuseppe Fanciulli, presenta un’organizzazione interna di carattere tematico che, trascurando la scansione

cronologica degli scritti, vede alternati gli interventi più rappresentativi del periodo senese e del periodo romano, in una sorta di rassegna antologica non storicizzata e dunque poco adatta ad illustrare gli sviluppi di un sistema di lettura. Ricordiamo solo quanto ambiguamente «La Torre» abbia coinvolto Tozzi nella sua militanza ideologica e letteraria, rispetto alla professionalità e alla ricchezza di spunti che la redazione del «Messaggero della Domenica» saprà in seguito offrire allo scrittore: tanto basta per intuire come, a parte i dati che restano consegnati al fondo della coscienza umana e artistica, l'ottica del saggista debba aver subìto negli anni modifiche non indiffenti, che vedono principalmente la velleitaria predilezione senese per il pronunciamento polemico e per la

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ANIMA E SCRITTURA

battaglia culturale, passare le consegne ad un'originale

riflessione sulla letteratura, in stretta attinenza con l’attività creativa. .

.

bj

.

L'avventura de «La Torre»

Tra il novembre 1913 e il maggio 1914 si pubblica a Siena (e poi a Firenze) un foglio ambiziosamente sottotitolato «Organo della reazione spirituale italiana», svettante come la bianca cima della torre del Mangia sulla generale bassezza morale, politica e intellettuale del paese = almeno nelle intenzioni dei due direttori. La critica ha già ampiamente provveduto a ‘definire il'ruolo e il valore della «Torre» nel panorama’ culturale prebellico!, attribuendone le competenze di ‘carattere ideologico a Giuliotti è mantenendo l'intervento di Tozzi in ambito letterario, ol:

tre ‘ad essersi quest’ultimo personalmente occupato delle fasi tecniche di produzione e diffusione del ‘periodico. Una conferma proviene anche dal raffronto degli interventi a firma di Tozzi e Giuliotti: quelli del'primo'concepiti come letture’ di autori o riflessioni su tematiche spirituali del tipo Quel che manca all'intelligenza (oltre ad esercizi lirici quali il componimento Lauda e la'traduzione di una ballata di Johannes Joergensen); quelli del’ secondo invece dal’ taglio ‘spiccatamente militante ‘e ‘polemico. Fanno eccezione alla linea generale così definita ‘alcuni piccoli brani che Lorenza Giotgi, curatrice della ristampa anastatica della rivista; ha attribuito a Tozzi sulla base di ! Tra.i principali interventi su «La Torre». segnaliamo: L.. RIGHI, La Torre, Sbolci;. Fiesole 1972; L. GrorGI, Nota critica, Indice degli scritti e Indice analitico, in La Torre 1913-1914, ristampa anastatica, S.P.E.S.,

Firenze 1977, pp. I-xL, oltre alla rassegna stampa curata da G. Tozzi nel Carteggio con Giuliotti, pp. 421-26.

LA SAGGISTICA

171

un'informazione giuliottiana che riconosceva l’amico «allegramente responsabile di certi: trafiletti anti-massonici che. finivano \sempre. col ritornello »“diamo fuoco alle logge”»?. Il refrain compare in un solo pezzo, pubblicato nel secondo numero della «Torre» con il titolo L’ideuzza, e

si tratta di un attacco ridicolizzante, in virtù del gioco di parole, nei confronti ‘di un giornale della capitale; «L’Idea Democratica», attestato su posizioni apertamente massoni:

che. Quale conseguenza

del liberalismo

economico,

la

massoneria era infatti osteggiata dai torriani che, espressione della piccola borghesia agraria, riconoscevano nella nuova organizzazione un potere occulto in diretta concorrenza con le gerarchie ecclesiastiche. La critica di Tozzi è diretta soprattutto contro il sintomatico abbattimento dei valori umani più elitari, di cui il democraticismo massone si rende responsabile: La massoneria significa specialmente antipatia istintiva contto l'intelligenza, contro i sentimenti generosi, contro le più divine e le più superbe ‘aspirazioni. La massonetia è una scodella senza fondo; ed è anche la finestra da dove hanno il permesso di affacciarsi; a.tirare rutti; i più bassi campioni dell’idiozia e del becerume, È questa finestra “democratica” che permette di ttasformare la democrazia in un doloroso riconoscimento legale al dispregio?.

Poco .prima delle. elezioni politiche del 1913, — le prime a suffragio universale = nell’ambito della campagna anti-massonica che imperversava sulle principali testate giornalistiche, «L’Idea Nazionale» aveva promosso un refererrdum che in qualche modo preparava il terreno ad un

2 Cfr Li. Giorgi, Nota critica; cit., nota 97, p. XVI. è [F. Tozzi]; L'Ideuzza, in «La Torre», a..1, n.2, 1913 (rist. anast.

p. 8).

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ANIMA E SCRITTURA

avvicinamento tra cattolici e nazionalisti. Questo il com-

mento, quasi sicuramente dovuto alla penna di Tozzi, che «La Torre» pubblicava con il titolo ad effetto Delenda Carthago: Ricordiamo che la “Massoneria” in un formidabile “referendum” è stata sconfessata da tutte le menti più elette d’Italia, vale a dire dai suoi “più diretti e veri e maggiori” rappresentanti, perché i demagoghi ambiziosi e gli analfabeti anche muniti del voto non possono rappresentare il pensiero della patria‘.

E sempre per tener fede al proposito di «attaccare» la massoneria «in ogni numero», l’ultima uscita della rivista senese per il 1913 riservava di nuovo spazio alla battaglia in corso con un altro probabile intervento tozziano, I/ giuramento, dai temi e toni soliti. Anonimo nello stesso fascicolo compariva anche un appello Agli arzici della «Torre», da collocare nel quadro dell’iniziativa tozziana di una serie di articoli promozionali allo scopo di raccogliere fondi e sottoscrizioni e di guadagnare nuovi abbonati al periodico. Le precarie condizioni finanziarie dell'impresa — una costante durante l’intera sua vita — costringevano infatti la redazione ad accorate richieste di sostegno pubblico:

Si crede, forse, che la Torre non abbia bisogno di denari? Eppure, si sa che simili imprese quanto più sono elevate ed ideali e tanto più hanno bisogno di un fondamento finanziario. Noi credevamo che tutte le persone oneste ed intelligenti, oltre che scrivere pacchi di lettere, avrebbero pensato che * [F. Tozzi], Delenda Carthago, ibid.

? «Io ho fatto un trafiletto generico contro la massoneria, perché si deve attaccare in ogni numero» (lettera di Tozzi a Giuliotti del 23-11-1913, in Carteggio con Giuliotti, p. 275).

LA SAGGISTICA

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il modo di assicurare la vita di un giornale, che esprime fiera-

mente i loro sentimenti, fosse quello di abbonarsi e di diventare azionisti”.

Grazie al dirottamento nelle casse della rivista del ricavato dalla vendita di una partita di vino di Castagneto,

nel numero successivo Tozzi poteva affermare con mal celato orgoglio La «Torre» non frana, e ribadire il progetto cattolico militante della redazione, la quale nel frattempo continuava a subire ripetuti attacchi. A quelli iniziali del «Messaggero» e dell’«Asino»’, si aggiungevano ora la stroncatura de «Il giornale d’Italia» (ribattuta nel trafi-

letto «Intorno a noi è un movimento fervido di giovani»*) e quella della «Forca»?. In particolare l'accostamento a «Lacerba» proposto da più versanti polemici suscitava le ire e l’indignazione della «Torre», che fin dall’inizio aveva combattuto il futurismo tanto nell’ideologia che nelle risultanze artistiche. Il saggio breve Viltà romana è ad esempio il graffiante resoconto, presumibilmente tozziano, di una lettura futurista tenutasi alla Società degli Autori di Roma. L’incompetenza e lo snobismo di un pubblico peraltro plagiabilissimo, le ridicole pretese di artisticità delle performances, con un Marinetti disinvolto declamatore di © [F. Tozzi], Agli amici della «Torre», in «La Torre», a. I, n. 4, 1913 (rist. anast. p. 19). ? Cfr. [F. Tozzi], I/ giornale delle serve, in «La Torre», a. I, n. 2, 1913 (rist. anast. p. 8) e L. GIORGI, Nota critica, cit., nota 68, p. XI. 8 [F. Tozzi], «Intorno a noi è un movimento fervido di giovani», in «La Torre», a. II, n. 2, 1914 (rist. anast. p. 23).

? «Il giornale d’Italia” accomunava

ancora “La Torre” a “La-

cerba” ed a “La Forca”, definendo il tutto “anarcoide congiuretta scri-

vana”. Mentre “La Torre” s'indignava fortemente per essere stata “destinata inquilina al secondo piano tra due case di tolleranza”, “La Forca” si riteneva offesa di essere stata confusa con la rivista senese e ricopriva di improperi “La Torre” ed i suoi collaboratori...» (L. GIORGI, Nota critica, cit., pp. XVIII-XIX).

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ANIMA E SCRITTURA

versi banali e idiozie, delineano l’atmosfera della serata in

tutta la sua artificiosa pretenziosità: ... il Marinetti aveva già attaccato a parlare, e aveva ottenuto un certo silenzio, dopo alcune sguaiatezze da studentelli e i provvidenziali nonché gentili zittii delle signorine. Allora con una rivolta dolorosa nella mia anima (io ascoltavo attentamente anche tutte le parole che accanto si mormoravano agli orecchi), capii che molti di quei giovani prendevano sul serio il futurismo. Molti trovavano in Marinetti il demagogo della letteratura,

l’ambigua figura che serve alle più basse manifestazioni dell’idiozia; tutti quelli che sanno di non essere capaci a scrivere una pagina di prosa o di poesia, ed erano lì, trovavano il mezzo d’influire, di significare qualche cosa; sia pure lì dentro a quella stanzetta.

Intanto ‘Marinetti diceva, con una disinvoltura degna di quel pubblico; le cose. più avventate e banali che si possono immaginare. Ogni sua parola era, letterariamente, una menzogna e una. prova della sua ciarlataneria. Ma al nuovo verbo che distruggeva, con due frasi, intere opere di genio; e permetteva a tutti di diventare scrittori, i più assentivano e si animavano. (...)

Tutta la bassezza e l’artificiosità di quella gente erano ridicole e umilianti. Sarebbe bastato un grido petché tutti quei bruti confessassero la loro brutalità ed avessero paura: anzi, io, in

omaggio ai loro gusti, li avrei schiaffeggiati!°,

Lo sdegno nasce dalla totale mancanza di schiettezza degli happenings futuristi, dal carattere mistificatorio di eventi pseudo-artistici assolutamente impoetici e per questo necessitati a reggersi sulla forza d’urto della provocazione e della trasgressione. Ma se il successo del futurismo

!o.[F. Tozzi], Viltà romana, in «La Torre»; a; I; n::4; 1913 (rist.

anast. pp. 15-6).

LA SAGGISTICA

75

non éra/ più un mistero nei suoi meccanismi di affermazione, assai difficile risultava allo scrittote rendersi conto

dei motivi per cui anche intelligenze avvedute come lo stesso Borgese avessero finito per, restare. coinvolte nel gioco delle suggestioni marinettiane. Quanto al versante fiorentino dell’ avanguardismo, le

distanze verranno nettamente ed inequivocabilmente. segnate dalla redazione senese attraverso i ripetuti attacchi di Giuliotti (tra i non firmati ricordiamo solo.L’Acerbo, a I,, n. 1, e Elogio dell’arbitrio poliziesco, contro Tavolato, a II, n. 2) ed in almeno due occasioni dello stesso Tozzi; che

malgrado l'anonimato dei pezzi è quasi sicuramente l’autore di A. Giuseppe Prezzolini (a. I, n. 2) e Agli amici (a. II,

n. 2). Per correttezza si dovrà comunque precisare che si trattò di stroncature

“incrociate”, tra «Lacerba»

e «La

Voce» da una parte e «La Torre» dall’altra!!, dato che gli stessi Papini e Prezzolini non furono certo avari di commenti salaci nei confronti dell’esperienza torriana. Particolarmente indicativo della maniera saggistica di Tozzi, talvolta apparentemente irrelata rispetto al suo 0ggetto d’indagine, è proprio l’intervento su Prezzolini, condotto in termini di metafora narrativa sulla sorte di un tipico animale da cortile che si muove nel suo spazio vitale in completo disequilibrio fra necessità di natura e aspirazioni velleitarie, alle quali finirà per soccombere. L’aneddoto; significativamenteindirizzato da Tozziall’intellettuale fiorentino, sorta di exerzplum a dimostrazione di come l’alta considerazione di se stessi — quando non adeguatamente sostenuta dal valore — finisca per condurre alla rovina, abbandona ben. presto i toni sarcastici del «c’era una volta» iniziale per attestare un secondo livello di significazione, del tutto fuor di metafora e in linea con le aspre e 11 Cfr, L. Grorci, Nota critica, cit., pp. XIL-XIV e nota 81.

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ANIMA E SCRITTURA

violente descrizioni tozziane del mondo animale. Le bestie delle prose liriche, e più ancora le galline dell’avvocato Belcolori in Adele, sono ravvicinabili alla «pollastrina» dell’apologo tozziano per quel loro abbandono ad una crudeltà ignara di sé e delle proprie finalità, che è legge nell’aia di una casa colonica così come nel mondo degli uomini. Per questo ciò che resta della «lezione» impartita da Tozzi non è tanto il monito morale nei confronti del presunto orgoglio prezzoliniano, quanto lo sgomento e la desolazione altre volte ispirati dalla pagina narrativa, come quella del cane Toppa in Con gli occhi chiusi o quella dell’uccello caduto dal nido nella novella Ozio. Gli interventi tozziani finora passati in rassegna, caratteristici per il taglio iconoclasta o moraleggiante, costituiscono la sezione di minor rilievo all’interno della produzione saggistica per «La Torre», e del resto si tratta di scritti generalmente piuttosto brevi e non firmati. Quando infatti la vis polemica rinuncia ad esercitarsi contro la redazione di qualche rivista concorrente (ad esempio «La Nuova Antologia», a. I, n. 2) o contro il tal accademico colpevole di aver attaccato il futurismo in maniera troppo blanda (La cattedra di Bologna, a. II, n. 3), la

disposizione critica di Tozzi si produce in acute indagini sui fatti e sulle figure letterarie del momento. Della più nota stroncatura tozziana furono vittime Gozzano e la Guglielminetti, presentati successivamente nel primo e nel secondo numero della «Torre» nel saggio I due’. Che l’autore dell’Elogio degli amori ancillari potesse non incontrare i favori di un Tozzi allora dedito alla «maschia» lirica dantesca era quasi scontato; tuttavia le riserve più significative riguardano non tanto le tematiche quanto

!? Del saggio si è approfonditamente occupato A. Rossi, Modelli e scrittura di un romanzo tozziano. Il podere, cit., pp. 46-58.

LA SAGGISTICA

mi

la loro restituzione in versi: poesia che difetta per approssimazione e inconsistenza al confronto con i risultati di un artista molto amato da Tozzi, quel Francis Jammes a cui anche Gozzano sembrava essersi largamente ispirato nelle sue liriche, se non addirittura aver plagiato. «Ma mentre che il Jammes è da vero poeta, e poeta sinceramente campagnolo, — scrive Tozzi — con le sue reminiscenze interiori ch’egli adopera come emozioni, il Gozzano s’è sperso in una comica sensualità che vorrebbe essere vergine e commovente e che vorrebbe significare qualche cosa della nostra sensibilità. Ma noi non troviamo se non atteggiamenti troppo letterarî improntati ora a quell’autore e ora a quell’altro».

L’esame della lirica gozzaniana si configura come un’ampia e circostanziata panoramica delle cadenze più tipiche di un sistema poetico, su cui in questo caso si appuntano gli strali di un lettore per niente convinto della sincerità di fondo del poeta, fino a negare che Gozzano abbia mai realmente scritto un solo verso di autentica poesia: Il Gozzano ha detto: c’è chi è poeta perché sa fare i versi; ed io invece avrò lo stesso nome sfruttando quell’inevitabile aria di ingenuità (di nessun conto) che hanno le cose fatte per ischerzo e non sapute fare. Aveva letto il Jammes; e il resto venne da sé. Dunque la sua mentalità è paradossalmente nulla; e soltanto un incosciente buon gusto, facoltà quasi di tutti, lo ha aiutato !*.

Con cinico accanimento Tozzi smantella le gozzaniane

13 I due, in F. Tozzi, Opere, cit., pp. 1261-79 (pubblicato per la prima volta in «La Torre», a. I, n. 1, 1913). 14° [yt}, pw126%

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ANIMA E SCRITTURA

pretese di originalità attraverso il raffronto diretto con Jammes, e deprime il lirismo ironico e fanciullesco del poeta italiano al ruolo di mera «oziosità mentale». Nel far questo lo scrittore dimostra di aver appreso fin troppo bene la tecnica avanguardistica papiniana della stroncatura, e del resto egli aveva trovato nella «Torre» una palestra più che conciliante per esercizi del genere, in quanto spazio letterario aperto alla polemica di stampo libellista, con sconfinamenti nel vituperium di tradizione medievale. AI gusto della battuta graffiante e della messa in ridicolo degli avversari Tozzi non è immune, e lo dimostra ad esempio commentando un giudizio dello stimatissimo Borgese che «paragonò Guido Gozzano ad “un piccolo Leopardi fattosi un po’ futile e canzonatorio”. Se invece lo avesse paragonato alla gobba del Poeta, sarebbe stato più preciso; ma egli certo non volle dire una cosa che avrebbe

alterato, sia pure per una verità curiosa, l’oliata superficie dell’articolo»!°. Simili preoccupazioni di eleganza e nitore letterario

sono completamente estranee allo stile saggistico del Tozzi torriano. La lezione di Borgese «letterato sontuoso» — peraltro apprezzata fin da ora - doveva comunque rivelarsi preziosissima nel prosieguo della carriera letteraria non solo per le note implicazioni nella poetica dello scrittore, !° C. Fruttero e F. Lucentini hanno scritto circa l'atteggiamento critico di Tozzi: «Il suo sfogo contro Gozzano si può allora leggere come una specie di presentimento del proprio destino letterario, dove l'incantevole poeta subalpino diventa in qualche modo l’Antagonista assoluto, l'incarnazione di tutti quelli che sarebbero poi stati i tratti di un secolo culturalmente dominato, nel bene e nel male, dall’Ironia, che

per Tozzi significava vacuo ricamo, cincischiato balletto, frivolo pastiche, falsità, inautenticità, impotenza» (C. FRUTTERO - F. LUCENTINI, Ab,

già, Tozzi, in «La Stampa», 13 agosto 1987). !° G. A. Borgese, in Realtà di ieri e di oggi, pp. 269-70 (pubblicato per la prima volta in «La Torre», a. II, n. 1, 1914).

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ma anche per l’evoluzione del suo sistema di lettura, con

gli anni sempre meglio rispondente ad esigenze di carattere teoretico e.sempre meno necessitato sul piano della militanza. Il Tozzi che nel 1914 approdava a Roma aveva già al suo attivo l'amicizia con Borgese, incontrato di persona circa un anno prima ma probabilmente intrattenuto per corrispondenza anche in epoca anteriore. Il suo giudi-

zio di allora sulla critica borgesiana resta consegnato alle pagine non completamente benevole del saggio apparso all’inizio del °14 sulla «Torte», dal quale traspare un certo fastidio per la tendenza di Borgese a «parlare di cose che rientrano nella discussione officiale e tradizionale, lusin-

gandosi, con bell’orgoglio, di metterci il suggello della sua anima» !”: in sostanza il rincrescimento per quell’accademismo da cui lui per primo, critico «in maniche di camicia»,

si sentiva di fatto escluso. Borgese dunque è sì il letterato capace di illustrare l’arte con «lucida ed aspra coscienza complessa della vitalità intellettuale», ma solo quando la sua critica non sia troppo «linda e liscia», quando sappia cioè riservare spazio alla sincerità della sua anima che si articola in «linee di prosa sicura e battuta, contenente inaspettate verità ed analisi». Una intelligenza assolutamente non accomodante, che «si ama o si odia» era quanto di più apprezzabile Tozzi potesse riconoscere nel panorama letterario coevo, anche se avrebbe desiderato la prosa borgesiana, dai sapienti effetti stilistici, meno convenzionale nei contenuti e disposta ad accentuare la propria iconoclastia: Io vorrei ch’egli distruggesse di più, s'impazientisse di più, smettesse qualche volta di essere educato: noi abbiamo bisogno non di un ingegno solamente analitico, ma di un rinnovatore. E

1? Ivi, pp. 264 e ss.

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ANIMA E SCRITTURA

il Borgese ha tutte le qualità intellettuali per compiere anche più di quel che io ora immagino. In lui c’è la forza, che un giorno diventerà quella violenza necessaria per farla finita, con le mezze misure. Questo vogliamo. Non basta essere così intelligenti da abbellire anche ciò che è soltanto comune: il che, del resto non è poco. Non basta aver cave di marmo da murarlo su gli squallidi mattoni altrui; ci vogliono terremoti e case nuove5.

Il credito concesso a Borgese si potrebbe anche leggere come una sorta di captatio benevolentiae, interessatamente esibita da un Tozzi abile promotore di se stesso!, perlomeno per quanto attiene al secondo intervento dedicato al critico, la recensione a La guerra delle idee apparsa nelle «Cronache d'Attualità» di Bragaglia il 30 agosto 1916”. E certo comunque che senza una solida base di stima e apprezzamento Borgese non si sarebbe prestato ad appoggiare lo scrittore nei suoi progetti editoriali, e del resto l’ottima intesa sul piano umano era sempre stata una costante nei rapporti tra i due, fin da quando immediatamente dopo l’uscita del saggio torriano Borgese indirizzava a Tozzi il seguente biglietto: Caro Tozzi, la nostra buona amicizia è fondata su una reci-

proca libertà, e perciò, mentre vi son grato della vostra affettuosa stima, non ho nulla da ridire quando voi vi dichiarate apertamente in disaccordo con me. Potete certamente suppotre che certe tendenze del vostro giornale son ben lungi dal coincidere con le mie. Ma di ciò vorrei a lungo parlarvi; ed anche perciò spero di vedervi...?!

!* Ivi, pp. 267-68. !° Cfr. a questo proposito A. Rossi, Modelli e scrittura di un romanzo tozziano. Il podere, cit., p. 147.

20 Cfr. Appendice. 2! Carteggio con Giuliotti, p. 305, nota 6.

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Grazie all’interessamento di Borgese, com’è noto, nel 1917 Tozzi riuscì a pubblicare Bestie presso l’editore Treves; l’amico seguì poi sempre da distanza ravvicinata il percorso artistico tozziano, fino ad essere incaricato dallo scrittore in punto di morte della cura postuma dei suoi inediti??. Questo particolare aspetto dei rapporti Tozzi-Borgese merita una breve parentesi. Sui criteri che presiedettero alle edizioni borgesiane degli anni ’20 si è discusso molto, in particolare riguardo alla definizione del testo dei R:cordi di un impiegato, apparsi per la prima volta su «La Rivista letteraria» nel maggio 1920, in forma ridotta rispetto all’edizione integrale restituita solo nel 1960 da Glauco Tozzi”. In sostanza Borgese avrebbe arbitrariamente adattato il diario di Leopoldo Gradi alla propria concezione dell’arte tozziana, ritenuta in linea con la le-

zione naturalista di Verga e per questo interprete ideale del nuovo “tempo di edificare”. La recente ricognizione filologica eseguita da Marchi sull’autografo dei Ricordi ha però dato in un certo senso ragione dei tagli operati da Borgese, evidenziando la complessa configurazione agglo22 I] podere, licenziato dall’autore prima della morte, reca la dedica a Giuseppe Antonio Borgese. Si veda anche il biglietto da Milano del 12 febbraio 1920, in cui il critico esprime con parole entusiastiche tutta la sua ammirazione per quel «capolavoro» di imminente uscita che era Tre croci: «Caro Tozzi, non posso aspettare 24 ore per dirti la mia gratitudine. Ho finito ora di leggere. Le ultime 30 pagine le ho lette fra il pianto (come non mi avveniva più da tre anni, quando a Parigi finii di rileggere per la 3° volta e di capire la 1° Delitto e Castigo). Ti dirò domani sera quello che non c’è nel tuo libro. Ma quello che c’è è CAPOLAVORO. Ne sono scosso in tutte le fibre, come se m’avessero bastonato sulle reni. Sei un blocco di metallo. Le *** resteranno piantate su questa fungaia letteraria e segneranno il sepolcreto di tutte le chiacchere...» (in Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., scheda n.

163, p.101).

2 Cfr. F. Tozzi, Nuovi racconti, Vallecchi, Firenze 1960.

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ANIMA E SCRITTURA

merativa di un testo il cui nucleo più antico consta di 28 cartelle, in seguito ampliate a 118 e poi a 138, fino alle 164 finali*. La «prima redazione» a cui Borgese dichiara nell’Avvertenza di essersi attenuto ‘corrisponde all’autografo di 118 pagine, dunque alla seconda stesura dei Ricordi (che è poi l’agglomerato più compatto), da collocare in una fase intermedia tra il 1910 dell’abbozzo iniziale e l’ultimo periodo di revisione, con un plausibile spostamento in anni romani confermato da indizi testuali e di carattere grafologico. Ecco allora che si ripresenterebbero i sospetti di un “adeguamento politico” di Tozzi alle teorizzazioni letterarie di Borgese, se non fosse per l’effettiva inconsistenza della formula naturalista nel testo in questione, totalmente azzerata dalla carica visionaria e allucinata della pagina diaristica. Un tentativo di aggancio alla maniera tradizionale si potrebbe invece rintracciare nell'’andamento rappresentativo e nell’impianto ideologico degli ultimi due lavori tozziani, Gli egoisti e L’incalco, non a caso pubblicati in un unico volume nel 1923 e riuniti, nella nota preliminare borgesiana, sotto la medesima cifra della «riconciliazione», che induceva ad una lettura in prospettiva di programmatico “ritorno all’ordine”?. Ma se la malattia non 24 Cfr. M. MarcHI (a cura di), Nota ai testi, in F. Tozzi, Opere, cit., pp. 1347-60. © Cfr. F. Tozzi, Gli egoisti - L’incalco, con una nota preliminare di

G. A. Borgese, Mondadori, Roma-Milano 1923. La dialettica del rapporto Borgese-Tozzi è stata oggetto di una relazione svolta da Reina al Convegno borgesiano di Catania del 1980, da cui citiamo: «Le ragioni della lettura borgesiana vanno pertanto correttamente individuate nell'intento programmatico e anche divulgativo che il critico andava perseguendo nell’elaborazione delle sue teorie le quali gli facevano piuttosto accettare, sul piano critico, una costruzione narrativa di impianto realistico, esposta alle complessità e alle peripezie romanzesche, che non versioni allucinate e misticheggianti di fantasmi poetici i quali, nel-

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fosse intempestivamente giunta a chiudere il cerchio della sua esistenza, Tozzi avrebbe davvero «per suggestione del Borgese, ideologizzato la propria opera»; e plausibilmente nel senso di una ripresa cattolica secondo quanto ipotizza Baldacci??. In mancanza di risposte certe, un dato ribal-

tante risulta tuttavia attestato, vale a dire la sicura appartenenza di Borgese alla cerchia dei romanzieri di ascendenza tozziana, come dimostra l’inequivocabile parallelo stabilito da Rossi tra I vivi e è morti e Il podere, in base ad una serie di corrispondenze tematiche”. Un caso di “influenza inversa”, in cui in fondo è la pratica artistica a vincere sulla teoria letteraria, esempio concreto di come, prima di qualsiasi speculazione metanarrativa, venga la scrittura nella sua sincerità d’ispirazione e originalità di soluzioni. Torniamo per un momento al saggio Dopo il Carducci, tipicamente tozziano nelle sue insofferenze e nei giudizi lapidari: «... le Odi barbare non sono che il prospetto di uno svolgimento mancato», sentenzia l’autore tra un ril’autobiografismo, nello psicologismo e nell’intimismo rischiavano di coinvolgere pericolosi sfoghi coscienziali che potevano ripropotre, ove fallissero, nostalgiche riviviscenze tardo-vociane o aprirsi a estrosi cesel-

lamenti rondeschi. Solo più tardi; liberatosi da simili preoccupazioni, il Borgese mostrerà di voler fondere insieme le due ipotesi diverse di lettura prospettate per Bestie/Con gli occhi chiusi, da una parte, Tre croci/Il podere e le novelle, dall’altra. E allora detterà la presentazione all'edizione postuma in volume unico de Gli egoisti e L’incalco, un romanzo e un dramma, cui assegnò un posto di rilievo nella produzione di Tozzi» (L. REINA, Borgese e Tozzi, in AA.VV., Borgese, Rosso di San

Secondo,

Savarese:

atti dei Convegni

di studio di Catania-Ragusa-

Caltanissetta. 1980-1982, a cura di P. M. Sipala, Bulzoni, Roma 1983, p.

151). 26 I. BALDACCI, Itinerario del romanzo tozziano, cit., p. 4. 27 Cfr. A. Rossi, Modelli e scrittura di un romanzo tozziano. Il

podere, cit., pp. 148-53. 28 Dopo il Carducci, in Realtà di ieri e di oggi, p. 205 (pubblicato per la prima volta in «La Torre», a. II, n. 2, 1914).

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lievo e l’altro, componimenti irrisolti perché rimasti fermi al palo della retorica e validi solo nelle suggestioni musicali che talora emergono potenti fra tanta aridità di contenuti. Il consueto abito professoresco della critica ufficiale trattiene dall’aperto riconoscimento di questa realtà che Tozzi intende invece proclamare a piena voce: Smettano i critici, che sono anche essi artisti, di scrivere

quel che è soltanto una preparazione della loro mentalità; in fondo, tutti costoro, anche se non lo vogliono dire, attendono e

strapperebbero volentieri i loro scritti, che non li accontentano. Quando non è così, non vanno più in là dell’impressionismo più o meno acuto e astuto; e allora sono soltanto giornalisti che scrivono bene; o sono filosofi che si baloccano vigliaccamente??,

Critica pertanto non come vuoto calligrafismo e manifestazione di ossequio culturale, ma piuttosto discorso moralmente fondato sull’arte, libero da obblighi sterili e formali nei confronti della tradizione e per questo in grado di presiedere alla nascita di nuove forme espressive. Accantonate le polemiche, un simile modo d’intendere l’esercizio esegetico si attesta ora saldamente nella riflessione dello scrittore come momento di chiarificazione e di messa a punto poetica attraverso la valutazione di esperienze diverse. In linea con gli interventi di carattere monografico che compariranno nel «Messaggero della Domenica», il brano non autografo (ma quasi sicuramente attribuibile a Tozzi) Il teatro d’Italia illustra già sulla «Torre» la tipica dinamica della saggistica tozziana. Il discorso sul teatro borghese di Giacosa riflette convinzioni artistiche proprie del criticoscrittore, là dove dichiara che «la vita non ha cime altissime

2° Ivi, p. 210.

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nell’azzurro o abissi angosciosi in fondo a cui rumoreggia la tempesta» e l’arte non può che svolgere una tale realtà, parlando del «cuore dell’uomo che ha le leggi nell’amore e le rompe soffrendone», della «piega che ogni anima porta, su cui basta porre il dito perché il dolore si rinnuovi e la storia sua rinverdisca»’°: l’anno precedente, il 1913, resta tradizionalmente consegnato alla composizione di Con gli occhi chiusi, che di questa poetica aveva già elaborato le più alte risultanze artistiche.

La politica culturale di Tozzi negli anni romani

Roma accoglie la famiglia Tozzi nell'autunno del 1914. Qualunque fosse la prospettiva che aveva spinto lo scrittore al trasferimento, sicuramente nel consuntivo del ses-

sennio di Castagneto l’esperienza della «Torre», chiusasi con un brusco distacco dalla redazione, doveva aver pesato in maniera non indifferente. Restare a Siena avrebbe significato consegnarsi volontariamente ad una sorta di confino intellettuale, alla quiete di una provincia scandita dai ritmi della vita agricola. Troppo restava invece da fare e da tentare per guadagnarsi un posto nella società delle lettere, un’aspirazione che non era poi così estranea alle aspettative di Tozzi, schivo e talora persino brutale nel comportamento, ma consapevole degli stimoli e delle opportunità di cui avrebbe potuto approfittare nella capitale. Converrebbe insomma ridimensionare la tendenza ritrattistica consueta che vuole la personalità pubblica dell’autore riassumibile nelle categorie del provincialismo e della rustica inadeguatezza rispetto agli ambienti letterari; caratte-

30 [F, Tozzi], Il teatro d’Italia, in «La Torre», a. II, n. 2, 1914 (rist. anast. p. 24).

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i

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ristiche che, se anche appartennero alla sua indole, non gli impedirono però di sviluppare una propria strategia di penetrazione in quel mondo che poteva consentirgli di proseguire ed affermarsi nella carriera intrapresa”. Le note cesariniane a proposito dei disagi finanziati che i Tozzi stavano allora attraversando — e di conseguenza il dubbio sulla opportunità dello spostamento — rafforzano ulteriormente la convinzione che lo scrittore contasse di poter vivere a Roma del proprio lavoro, sulla base di sempre nuove collaborazioni saggistiche e narrative. Tentò anche di lavorare stabilmente ad un periodico, forse il «Giornale d’Italia», ma senza successo”. L’entrata in guerra nel 1915 determina l’assunzione di Tozzi all’Ufficio Centrale Stampa della Croce Rossa, a decorrere dal 31 agosto di quello stesso anno; incarico che gli consentì di attraversare il periodo bellico continuando ad occuparsi di questioni letterarie, senza trascurare la pubblicazione dei suoi scritti. La realtà del conflitto era comunque già entrata nella riflessione e nella scrittura tozziana dal gennaio precedente, allorché era stato promosso un numero unico del «Giornale d’Italia» a beneficio della Croce Rossa, al quale anche Tozzi aveva partecipato con la lirica Sotto la morte. Un'ulteriore e ben più drammatica occasione di pronunciamento sarà poi rappresentata dalla scomparsa di Renato Serra, ricordato in un necrologio che apparve su «L’Idea Nazionale» del 30 luglio 1915. Si tratta di un

?! Di quest’avviso era anche Baldacci quando, già al Convegno senese del 1983, prospettava l’ipotesi di un’indagine sulla politica letteraria di Tozzi, che avrebbe rivelato uno scrittore «assai meno imbranato

di quanto la tradizione, prima dell’ultima biografia del Cesarini, abbia voluto farci credere» (L. BALDACCI, Itinerario del romanzo tozziano, cit., p. 17). 3 Cfr. Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., p. 64.

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articolo poco frequentato dalla critica, e tuttavia significativo per l’acutezza del ritratto e delle osservazioni sull’attività serriana, del resto piuttosto ben conosciuta da Toz-

zi come emerge da uno studio comparato condotto da Martelli sulla saggistica dello scrittore senese, intervento nel quale è stata debitamente evidenziata non solo l’assiduità d’informazione rispetto al panorama coevo, ma anche le tangenze con quelle che ne furono le voci più rappresentative”,

La critica del Serra — scrive Tozzi - lascia qualcosa da dire: accenna e non conclude, spettegolezza e non definisce magari brutalmente. (...) è quasi sempre descrittiva, con una tendenza al quadretto di genere ingrandito da osservazioni ed elementi di tecnica, abbellito e approfondito da una psicologia chiara e semplice che viene giù come un filo d’acqua. Scrittori e critici, quasi tutti, diventano figure, e talvolta figurine, di cui si può discorrere, dopo il Serra, con due o tre parole e basta: definizioni che sembrano illuminate da una bonomia ironica e triste,

proporzioni che si rimisurano volentieri come egli aveva desiderato, opinioni che sembrano timide e che in vece avviluppano da ogni parte con una arguzia giovanile e sempre ricrescente”*:

un discorso intorno all’arte, quello di Serra, che non può dirsi frutto di formulazioni teoriche sistematiche, ma piuttosto una sorta di «estetica della critica», dove nota-

zioni ed argomenti valgono in ragione di una sincerità originale e spontanea. Serra è interprete eccellente dei N

33 Cfr. S. MARTELLI, Tozzi critico, cit., p. 187 e ss. Martelli propone raffronti diretti tra alcune elaborazioni critiche tozziane ed analoghe

idee di Serra, Borgese, Croce, Thovez, Parodi, Cecchi e Onofri, resti-

tuendo l’immagine di un Tozzi critico avveduto e soprattutto aggior-

nato circa le tendenze dell’epoca. 3 Renato Serra, in Federigo Tozzi - Mostra di documenti, cit., scheda n. 89, pp. 73-4.

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valori morali di un’intera generazione, sublimati dal sacrificio presso l’Isonzo che assolve le approssimazioni di lettura e completa la fisionomia di un’anima foscolianamente «sincera e sdegnosa». Non patriottismo borghese, ma piuttosto «bisogno fisico e spirituale» che anima l’intelligenza, sospingendola nei percorsi dell’arte con la necessità ormai tutta novecentesca di una comprensione profonda. La morte,

come

per i mitici giovani eroi, è intervenuta

a

gettare un velo di malinconia su un progetto intellettuale che intendeva essere prima di tutto umano.

Alla memoria di Serra, e a tutte le altre migliaia di vite impegnate nella crudele realtà bellica, è idealmente dedicato il numeto unico La patria ai suoi figli, promosso nell'autunno del ’15 da Guido Guida dell’Ufficio Centrale Stampa della Croce Rossa, con la collaborazione dei colleghi Ellero e Faccini, nonché di Tozzi. Oltre a sollecitare l’intervento dei più noti letterati italiani (in particolare del gruppo fiorentino di Papini e Prezzolini”), Tozzi partecipa all’iniziativa con la prosa L’anizza e la guerra, una riflessione lirica sulle implicazioni dello sconvolgimento bellico nel corso della storia individuale. Perché la guerra non

> «Gentilissimo Papini / Lo scopo per cui Vi scrivo mi fa dimenticare quella poca o molta ruggire che sia tra me e voi: di quella ne parleremo a voce, e credo che c’intenderemo. L'amico Guido Guida sta compilando un magnifico (davvero) numero unico per la Croce Rossa, a cui hanno collaborato quasi tutti, buoni e cattivi, vecchi e giovani: perciò Vi scrivo anch'io perché Voi, tra i buoni e giovani, non manchiate. E invitando Voi, vorrei rivolgermi anche, se Vi pare, a tutto il Vostro gruppo: al Soffici, al Prezzolini, al Covoni [sic] ecc. ecc. Non esitate, dunque, a mandare a Guido Guida un Vostro scritto; e vi prego

di mandargli gli indirizzi dei Vostri amici. È necessario che Voi non manchiate. E perciò non spendo altre parole a convincervi...» (lettera di Tozzi a Papini da Roma, [autunno 1915], ivi, scheda n. 90, pp. 74-5). Nel fascicolo La patria ai suoi figli, tra gli oltre 75 interventi non resta però traccia di quello papiniano.

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resti un «vano e atroce giocattolo barocco, fatto per trarre in inganno gli uomini», è necessario sfruttare al massimo la «prodigiosa intensità»? con cui il flusso vitale scorre in questi frangenti, per rifondare un'esistenza improvvisamente svuotata dei suoi significati convenzionali e che viene ora guardata come per la prima volta, con l’ansia febbrile di un ancestrale attaccamento alla vita: La guerra anche sarà spenta da un nuovo torrente di sentimenti umani, nati tra le tenaglie delle asprezze e dei sacrifici: quelli che avemmo ed abbiamo, mozziconi di felicità e di assestamenti incompleti, dilegueranno dalla nostra anima dinanzi al vento impetuoso che verrà dai monti delle nuove albe, come musiche innalzate a celebrare il mistero del nostro vivere e le origini della nostra razza”.

Permeato delle tematiche già agitate dalla pubblicistica nella campagna interventista della vigilia (la guerra come lavacro della società e momento di rigenerazione etica), questo scritto resta fondamentalmente legato all’occasione celebrativa da cui prende le mosse, nello spirito di sostegno morale da fornire alle truppe che animava l’iniziativa. Analogamente a molti altri intellettuali, anche Tozzi non tarda tuttavia a rendersi conto della sostanziale inattendibilità e infondatezza di simili ipotesi quando dal piano puramente teorico ci si volga a valutare gli effetti disastrosi dello stato di belligeranza nella realtà quoti-

36 «L'intensità della nostra vita è ora prodigiosa; noi guardiamo le cose, anche se con uno sguardo solo, come le conoscessimo da secoli o come se le ritrovassimo alquanto cambiate perché ci sembrino più belle e più desiderabili. Quel che ci avvenne prima di questo tempo è come caduto in basso, sprofondato in qualche buca dell’anima, e non sentiamo né meno la voglia di riportarlo su» (L’arimza e la guerra, in Cose e Persone, p. 324). ti Ivi, p.d26.

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diana. Nemmeno un anno dopo, nel saggio Psicologia per la guerra del 1916, lo scrittore non fa mistero del suo scetticismo:

M’ingannerò, ma la guerra finirà senza toccare menomamente le nostre forme e istituzioni politiche e senza alterare né meno quelle abitudini che si trascinano da una settimana all’altra e poi da un anno all’altro; ripetizioni morali e sociali che ormai hanno preso piede in Italia”.

Anche la letteratura era stata coinvolta nella dinamica del rinnovamento dei valori, ed a conclusione del conflitto

si profilava la necessità di una: verifica. Riprendendo i termini dell’antico discorso sullo scarto violento, nel saggio Patriottismo e letteratura del 1918 Tozzi scrive: La guerra ha allontanato da noi, con una spinta gigantesca, tutti quegli elementi appiccicosi e torbidi che, per un fenomeno d’inerzia, si ostinavano a sopravvivere; ed erano, più o meno tollerati. Ora, quegli elementi tenterebbero di passare da un’altra parte, mascherati di patriottismo inteso male e a proprio tornaconto??,

Mancano nell’articolo indicazioni di nomi e titoli: c’è solo un generico riferimento a quelle «espressioni mediocri» della letteratura contro cui il dissenso era sempre stato aperto e che nella confusione generata dal conflitto rischiavano di attestarsi saldamente sfruttando con abilità la retorica patriottica. Sappiamo invece quali modelli Tozzi verrà proponendo ai letterati appena usciti dalla guerra:

PID:

°* F. Tozzi, Psicologia per la guerra, in «Aprutium», n. 1-2, 1916,

°° Patriottismo e letteratura, in Realtà di ieri e di oggi, p. 59 (pubblicato per la prima volta in «Il Messaggero della Domenica», a. I, n. 13, TOT6)

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Verga in primo luogo; Pirandello come «coscienza del realismo» e il Leopardi «moralista», accanto alla lezione di san Bernardino, in una miscela di tradizione e innova-

zione che doveva avviare la letteratura italiana «non solo a nuove percezioni intime e spirituali, ma anche a quelle maturazioni stilistiche che ormai non possono tardare, perché coincidono con nuovi stati d'animo». All’interno dello scenario ideologico così sommariamente delineato per il periodo bellico, si inserisce l’attività tozziana di saggista su temi di carattere letterario, quali i tre interventi apparsi su «Cronache d’attualità», di cui uno è la già citata recensione a La guerra delle idee di Borgese, e

gli altri vedono rispettivamente la luce nel giugno e luglio 1916 (Le ciancie colla critica; Spunti su la lirica attuale**). A parte si dovranno invece considerare i rapporti che Tozzi intrattenne con il collega d’ufficio alla Croce Rossa, Marino Moretti, segnati da una difficile convivenza quotidiana alla lunga scaduta su toni polemici, fino alla proposta morettiana di «elizzinare la letteratura in ufficio e fuori; e cioè: non prestarci libri, non far discussioni letterarie,

non scambiarci i nostri libri da leggere e tanto meno i nostri manoscritti, ecc. ecc. Perché la verità è questa, ed è

inutile nasconderla: noi non ci stimiamo molto reciprocamente come artisti». Ad attestare la presunta disistima di Tozzi valeva senz'altro la feroce stroncatura dei crepuscolari praticata sulle pagine della «Torre», principalmente nella figura e nell’opera di Gozzano. Nel 1916 tuttavia,

con l’articolo Il binomio Gozzano-Moretti e «Il giardino dei frutti», lo scrittore senese pagava il debito della propria

5 Ipi, p. 54. 4! Cfr. Appendice. ‘2 Federigo Tozzi - Mostra Pao:

di documenti,

cit., scheda

n. 105,

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ingenerosità verso l’intera area crepuscolare, stabilendo una netta distinzione tra le esperienze artistiche dei due autori: quella morettiana ispirata al senso di lirica intimità che Pascoli aveva diffuso e valorizzato, là dove l’altra si

nutriva di elementi ed effetti riconducibili al dannunzianesimo. La tendenza è particolarmente evidente nella forma poematica del Giardino dei frutti, a proposito del quale Tozzi scriveva: .. questo libro del Moretti mi ha iniziato e poi abituato a sensazioni che prima mi sfuggivano; mi ha obbligato a indugiarmi in certi strati di sentimento che prima mi parevano trascurabili, e lontani dalla mia sensibilità cresciuta e educata in

un’altra maniera e con altri intendimenti. Questa vita, quasi silenziosa, che gorgoglia così piano da

dentro i versi del Moretti, il più delle volte riesce un’imagine intensa e d’indiscutibile capacità lirica. Perché noi vogliamo trovare nella lirica non più le levigature che solo camuffavano la rettorica e l’accademismo con contorcimenti di falsa violenza e con grida che lasciavano completamente indifferenti se non per quanto riguardasse un dotto e sapiente esercizio estetico; la cui

inutilità si è subito rivelata dopo i primi segni di stanchezza e di sazietà‘.

Di contro alla critica «avventata ed esuberante» di Pancrazi, che sulla «Voce» aveva diluito la poesia di Moretti nel più ampio fenomeno gozzaniano‘, Tozzi esprime # F. l'ozzi, Il binomio Gozzano-Moretti e «Il giardino dei frutti», in «Sapientia», a. III, n. 3-4, marzo-aprile 1916, p. 112.

14 Cfr. ivi, p. 119. Pancrazi, come già Serra nelle Lettere, aveva fatto polemicamente riferimento al Civinini quale pietra di paragone per la lirica morettiana. Tozzi rivaluta però i versi del poeta toscano, esprimendosi così sul suo volumetto di poesie L’Urza, pubblicato nel 1900: «E quelle liriche non erano, e forse non sono, troppo spregevoli. Sono lievi, sì, ma sovente anche squisite e graziose: due epiteti che in questo genere di lirica non sono messi a vanvera» (p. 116).

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apprezzamento per la lirica dell’autore romagnolo attraverso la messa in rilievo della carica anti-dannunziana di quei versi e della loro rinuncia a modellarsi sui toni aulici della tradizione consolidata, alla quale oppongono invece una modestia assai più efficace dell’ironia di Gozzano. In seguito, con le recensoni del 1917 a Il sole del sabato e La bandiera alla finestra, Tozzi si concentra sulla narrativa morettiana, aumentando addirittura il favore del suo originario giudizio, fino a definire la prima opera «il più bel romanzo escito sino a qui negli ultimi anni». Nonostante le difficoltà nel wérage quotidiano per le ineliminabili differenze di carattere, all’attivo della partita tra i due autori si dovranno pertanto ascrivere i vari e sempre positivi interventi tozziani su Moretti, caso unico del resto per

frequenza nella saggistica dello scrittore senese. L’occasione di sistematizzare la propria attività criticoletteraria si presenta a Tozzi nella primavera del 1918, allorché Pirandello lo vuole alla redazione dell’inserto culturale del «Messaggero» che inizia le pubblicazioni in maggio. La collaborazione al «Messaggero della Domenica» è l’episodio più significativo per quanto attiene alla produzione tozziana di articoli e recensioni: qui final-

% F., Tozzi, La bandiera alla finestra, in «Giornale di Sicilia», 30

luglio 1917. Il giudizio si riferisce a I/ sole del sabato, la recensione del quale apparve su due diverse testate: il «Giornale di Sicilia», 13 marzo 1917 e «L’Idea Nazionale», 17 maggio 1917. Getrevi ha riconosciuto le ragioni di una così positiva valutazione nell’insistenza di Tozzi sull'aspetto a-naturalistico della narrativa morettiana, nella quale le situazioni psicologiche emergono dai comportamenti quotidiani piuttosto che da una rigida organizzazione dei fatti. Si tratta dello stesso processo di rottura dell’oggettività riconoscibile nella pagina tozziana, con analoghi ritorni di crudeltà e ostilità tra gli esseri umani, ed anche in questo caso il «sogno diventa la metafora dell’adattamento della realtà esterna alla misura dell'instabilità psicologica dei personaggi» (P. GEtrEVI, Nel prisma di Tozzi, cit., pp. 75-6).

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mente lo scrittore poteva fare delle lettere un vero mestiere, alternando alle cure giornalistiche la scrittura di nuovi racconti, pièces teatrali e romanzi. Nella sua veste ufficiosa di supervisore del foglio settimanale, Pirandello aveva affiancato a Tozzi Rosso di San Secondo, ma tra i due

era subito sorta un’aperta antipatia, ben più feroce di quella che aveva caratterizzato i rapporti con Moretti. «Si aggiunga - scriveva Arnaldo Frateili ricordando il periodo che lui stesso trascorse presso quella redazione — che le vedute di Tozzi e di Rosso non collimavano con quelle del direttore del Messaggero, Italo Carlo Falbo, che in fatto di

gusti letterari non andava molto. più in là dei romanzi pubblicati in appendice del suo giornale quotidiano. Così l’esperimento del settimanale, che aveva acceso molte speranze nel cuore degli scrittori giovani, fallì presto». Diffusa testimonianza delle tensioni che si vivevano al giornale ebbe a fornire in più occasioni anche Orio Vergani‘, che su consiglio di Tozzi riuscì a farsi assumere presso «Il Messaggero della Domenica», raggiungendo un tale affiatamento con lo scrittore toscano che sovente è difficile attribuire i trafiletti non firmati all’uno o all’altro dei due redattori. Secondo Vergani, uno dei motivi di maggior attrito tra Rosso e Tozzi era da riconoscere nel desiderio dell’autore siciliano di accaparrarsi in via esclusiva la confidenza di Pirandello, del quale tendeva a diffondere un ritratto autoritario e misantropo per scoraggiare eventuali tentativi di familiarizzazione con il maestro. Ma una simile descrizione non corrispondeva affatto alla personalità pirandelliana, restituita da Tozzi alle sue reali connotazioni di generosa affabilità in un intervento apparso postumo nel 1927 su «Comoedia»: 1° A. FraTEILI, Dall’Aragno al Rosati, Bompiani, Milano 1963, pp. alain

4? Cfr. P. CESARINI, Tutti gli anni di Tozzi, cit., pp. 212 e ss.

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Ci vuol poco a capire che uomo è Pirandello. Voi potete credere subito alle parole che vi risponde; e siete sicuri di possedere la sua amicizia. Io non so come sia stato da giovane. Ma, ora, nella sua esuberante maturità, i suoi occhi di un grigio un

poco rossiccio hanno una tranquillità sicura e forte. Tranquillità

per modo di dire: della quale soltanto una psicologia troppo grossolana, illusa e limitata dalle parole a nostra disposizione, si potrebbe contentare. E non ci deve ingannare né meno la evidentissima pacatezza della faccia che fa più buona perfino la sua barbetta a pizzo, di un colore che non è ancora bianco e non è più molto scuro. (...)

Ma non si creda che Pirandello sia un debole o un sentimentale. Egli è troppo sano e forte perché sia possibile, anche dentro a lui stesso, un equivoco simile. (...) Fuori di casa egli è di una semplicità risoluta, che chiamerei volentieri casta, perché con la compostezza signorile della sua persona si accompagna sempre un riserbo che si dissuggella soltanto quando è sicuro di farvi un piacere senza averne l’aria. (...) Egli vive volentieri lontano da ogni bega letteraria, e niente è più falso di pensare ch’egli abbia mai pensato di mettere su qualche cricca‘.

Il profilo tracciato da Tozzi esalta la forza d’animo di un uomo che, seppure colpito negli affetti, ha ugualmente saputo vivere con una calma dignitosa, dietro la quale è ancora possibile riconoscere la svelta e giovanile mobilità del pensiero:

4. F, Tozzi, Pirandello intimo, in A. Rossi, Cappello a cinque punte in Sicilia e altrove, in «Poliorama», n. 4, novembre 1985, pp. 263-65

(pubblicato per la prima volta in «Comoedia», 20 agosto 1927). Una nota di Rossi informa che mancano indicazioni precise sulla provenienza dell’intervento tozziano, ma «il fatto che appaia in un numero monopolizzato da Vera Vergani, l’attrice sorella dello scrittore Orio, fa forse intendere che questi è stato il tramite della famiglia per giungere in tal sede specializzata».

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Basta notare come Pirandello socchiude gli occhi quando non è ancora sicuro di quel che state per dirgli. Li socchiude in modo che le palpebre paiono taglienti, e, dentro, la pupilla è nervosa e luccicante. La bocca, allora, gli si protende. Ma tutto ciò dura poco, la faccia si ricompone quasi con uno scatto solo; il sorriso gli allarga la bocca; e i suoi occhi sono limpidamente fermi”.

È un ritratto tipicamente tozziano in questo appuntarsi

dello sguardo sugli impercettibili movimenti degli occhi, che tradiscono i repentini passaggi psicologici: dall’attesa curiosa all’acquietamento, nel continuo lavorio di una coscienza mai sopita. La lucidità intellettuale è del resto | presupposto necessario dell’opera pirandelliana, basata su trame astratte ma sempre di spunto realistico, tenute insieme da «fili di logica che hanno più spessore dei personaggi»?°. Con questa osservazione sulla poetica siamo già nell’area d’interesse del più noto intervento tozziano su Pirandello, quello uscito nella «Rassegna Italiana» del gennaio 1919, alla vigilia della recensione dello scrittore siciliano a Con gli occhi chiusi che apparirà di lì a qualche mese sul «Messaggero della Domenica». Non è solo uno scambio di favori tra colleghi che si stimano reciprocamente, ma anche l'occasione per un pronunciamento aperto che coinvolge le personali esperienze nella ricerca di quelle componenti che fanno la modernità di una scrittura. Ciò vale soprattutto per la critica tozziana, in genere propensa a stabilire consonanze che nel caso specifico sono da rintracciare nella coscienza del male e della cattiveria come condizione naturale, messa in scena da Piran-

dello non per forza d'istinto bensì con un rigore intellet-

‘rTviy: più263; °0 Luigi Pirandello, in F. Tozzi, Opere, cit., p. 1314.

2! L. PriranpELLO, Con gli occhi chiusi, in «Il Messaggero della Domenica», a. II, n. 14, 1919.

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tuale che testimonia il «tentativo intimo di escirne fuori».

I personaggi pirandelliani sono

esseri che s'incontrano per intaccarsi a vicenda e per farsi quasi sempre del male. Quelli che amano, debbono restare con le loro

aspirazioni sospese, al di fuori della loro vita quotidiana e immaginata. Debbono convincersi che, a un dato segno della via percorsa, non c’è altro da fare; e si riversano l’uno contro l’altro, perché non bastano a sé stessi; ma né meno agli altri bastano,

per quanto facciano assaggi magari senza scrupoli. Tutti debbono perire nel momento che hanno finito di capire quanto sono inutili e vani i loro sentimenti”.

Nella prospettiva verghiana del tramonto inevitabile di un’umanità che si nutre di ragioni ideali, al confronto con l’opera devastante della storia, Pirandello introduce l'elemento nuovo dell’astrazione verosimile, attraverso la

quale si procede oltre l'individuazione di un mondo senza miti, verso la messa in crisi del mito stesso della realtà,

sempre più compromessa nel meccanismo della rappresentazione: Il Pirandello — scrive Tozzi — non si mette accanto alla realtà, ma pretende, e ci riesce, di sostituirla con una dimostra-

zione di successive verità dipendenti l’una dall’altra. Egli giunge, perciò, a darci l’impressione di un mondo astratto; dove però è necessario non perdere di vista le più semplici realtà nostre”.

Si rischia in questo modo di scambiare per «realtà assoluta quel che è soltanto una convenzione geniale», prodotta con il sistematico ribaltamento di ogni sincero spunto interiore nel suo esatto contrario, in base ad una tecnica che >? Luigi Pirandello, in F. Tozzi, Opere, cit., p. 1319. CEDAM

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Tozzi definisce «lirica negativa». Ne risulta una prosa « che sembra attraventata con forza; una prosa che fascia le sue tenerezze con le proposte più ruvide che si possano immaginare; fatta quasi con dispetti interiori e nobili; con dispetti dolorosi o frenetici; una prosa che ha bisogno continuamente di andare innanzi compiacendosi di tutto ciò che scopre da dire». Il tentativo di esorcizzare la negatività del mondo muove Pirandello all’organizzazione della materia narrativa per aggregazioni di eventi, secondo un procedimento intellettualizzante che non è estraneo al Tozzi di Tre croci — romanzo significativamente dedicato proprio al maestro siciliano - dove l'immediatezza fenomenica della giovanile prosa tozziana appare irregimentata all’interno di una struttura che si evolve in prospettiva naturalistica, senza per questo rinunciare al consueto intervento visionario e onirico dell’autore”. Nelle sue lezioni universitarie Debe-

% Ivi, pp. 1314-15. ° Nel romanzo non mancano spunti di riflessione concomitanti con la dialettica pirandelliana realtà-sogno, individuati ad esempio da Baldacci nelle parole di Giulio al Nisard durante la passeggiata mattutina verso la Fortezza (cfr. Itinerario del romanzo tozziano, cit., pp. 12-3). Anche gli sdoppiamenti alcolici di Teofilo Bettarini, nella novella I/ vino, richiamano in qualche modo situazioni pirandelliane (cfr. Le novelle, vol. II, pp. 623-29). La vicenda è incentrata sul dramma dell’alcolizzato che in un momento di ebbrezza ha dato la propria parola ad una donna che non ama. E a proposito della forza vincolante della parola, si veda quanto scrive M. JeuLAND-MEyNaUD nel saggio La parola: cosa 0 segno nell'opera narrativa di Federigo Tozzi: «Se è lecito aprire un’altra parentesi, si vorrebbe rilevare che la parola, così com’è concepita dai personaggi di Tozzi, quale atto vincolante, fa da riscontro all’attimo pirandelliano che intrappola il fluire della vita, ne fa una forma rigida,

ponendo a volte un marchio definitivo sulla persona umana. Parola

tozziana e attimo pirandelliano sono contrassegnati, e non a caso, dalla stessa irreparabilità, perché, se si guarda bene, i due scrittori descrivono con modalità diverse (...) lo stesso tipo di società» (in AA.VV, Per Tozzi, Cap 0a

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nedetti notava come il cerebralismo delle trovate di Pirandello in fondo rappresenti un modo «dispotico, dittatoriale di disporre del materiale narrativo»”: lo scrittore, secondo quanto Tozzi aveva già intùito, si sentirebbe pienamente in diritto d’imporre la sua logica alle combinazioni irrazionali e incoerenti della vita, di mettersi «ac-

canto alla realtà», quasi «presenza silenziosa» che a forza di «sovrapposizioni psicologiche e morali» finisce per attribuire alle vicende «l’intensità dell’assurdo»”. L’acutezza di Tozzi nella ricostruzione della poetica pirandelliana fa di questo intervento uno dei migliori esempi del suo stile saggistico, rapidissimo nel cogliere e restituire verbalmente le qualità specifiche di una scrittura e del mondo delle idee che le sottiene. Una critica impressionistica, è stato detto”, alla quale presiederebbe lo stesso

26 G. DEBENEDETTI, I/ romanzo del Novecento, cit., p. 256.

” Cfr. Luigi Pirandello, in F. Tozzi, Opere, cit., p. 1314. 78 A questo proposito cfr. il giudizio di Luti: «... nel complesso, non si può negare che le modalità intenzionalmente “impressionistiche” della letteratura trovino sostanziale corrispondenza nella disorganicità della scrittura. I soli scritti che presentano una certa unità di fondo, una continuità di argomentazione e una sufficiente coordinazione delle varie parti, sono proprio quelli caratterizzati in partenza da una preconcetta volontà apologetica o da una esplicita intenzione di ridimensionare con un giudizio in chiave sostanzialmente moralistica la personalità di un autore. / Negli altri casi, i saggi mancano di una tesi critica veramente centrale, difettano tanto di un’idea cardine sviluppata e documentata attraverso una serie di proposizioni dimostrative, quanto di un lavoro di analisi capillare. Le asserzioni mantengono spesso il carattere della genericità e nascono, in gran parte, da un referto immediato e quasi meccanico delle impressioni ricevute dalla lettura. Certo esiste un giudizio di fondo attraverso il quale è possibile definire quelle che sono le idee di Tozzi su un problema specifico o individuare i legami che storicamente si sono determinati fra lo scrittore e l’autore preso in esame; ma per recuperarlo occorre compiere un attento lavoro di selezione in un contesto assai confuso e talvolta

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criterio adottato nella lettura ed esposto nel brano del 1919 Come leggo io, quando ormai già da un anno Tozzi si proponeva come saggista e recensore dalle colonne del «Messaggero della Domenica». Della produzione per il settimanale restano una serie di articoli firmati, a carattere monografico o di verifica del sistema letterario, quasi tutti raccolti in Realtà di ieri e di oggi. Sintomaticamente tozziani risultano inoltre alcuni brevi interventi anonimi sulle novità editoriali o sugli appuntamenti culturali, concentrati in prevalenza nelle rubriche e nei notiziari della terza pagina. Tra i più riconoscibili e significativi segnaliamo la recensione ad una mostra romana di artisti indipendenti (a. I, n. 2), e nello stesso

numero la presentazione di un libro postumo del sempre ammirato Octave Mirbeau, opera che offre lo spunto per una definizione del regionalismo come ritorno alle radici «solo per determinarsi meglio, e riprendere forza per nuove espansioni dello spirito e della cultura». Tiepida accoglienza è riservata al romanzo di Paul Bourget Nerzesis, quantunque «ben costruito e ricco di curiose e fortunate ricerche nel campo della psicologia amorosa in cui Bourget s'è sempre aggirato colla pazienza d’un botanico che cerchi preziose pianticelle nella dovizia verde d’una grande foresta tropicale» (a. I, n. 3). Ancora presumibilmente tozziana è la segnalazione della personale di Giacomo Balla, tra i migliori pittori romani «prima che il futurismo lo prendesse anima e corpo (...). Egli era realmente uno dei più vigorosi impressionisti italiani. Adesso, da parecchi anni ormai egli manda fuori quadri futuristi a centinaia e manifesti teorici a centinaia di migliaia di copie: e sempre la sua opera ultima dovrebbe

contraddittorio» (G. LuTI, Come leggeva Tozzi, in «Nuovi Argomenti»,

n. 23, luglio-settembre 1987, pp. 47-8)

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distruggere quella del giorno avanti» (a. I, n. 16). Riteniamo di poter attribuire alla penna di Tozzi anche un quarto di-colonna comparso con il titolo Accaderzia sul primo numero del «Messaggero» verde, nel quale ritorna la graffiante polemica nei confronti della cultura elitaria delle aule e delle accolite letterarie, condotta con

un espressionismo verbale che ricorda la militanza torriana: Noi si crede d’interpretare un sentimento generale del popolo nostro, affermando che ancora ci son troppi vecchi fanfaroni ad andar scribacchiando con un rancido frasario da disgustare fin gli adolescenti di stomaco agguerrito. Si potrebbe, ove s'avesse voglia di svaghi, raccogliere un dizionario specioso di tutte le parole, i modi, le interiezioni, esclamazioni, incisi d’un

tale stile da smercio corrente per le colonne cotidiane come nella strada il sopravanzo del bacile al cantone, per lo sfogo dei bevitori domenicali. Sono in ispecie giovani scrittori di vent'anni fa che non possono dire «sole» senza aggiungere «italico», o «sangue» senza accoppiarvi «latino»; e non si sa che spreco di «sorelle»,

di «fratelli» di «alma madre» per un albero genealogico di pessima letteratura! E sembra poi che s’impalchi, tra una balorderia chiacchierona, tutta una denominazione da tragedia di stoppa con «duce»,

«maestro»,

«gente»,

«moltitudine»,

«plenitudine»,

ecc. Ma più d’ogni altro fa male la rivendita in ispiccioli di «anima», «cuore», «psiche», «spirito» che a lungo andare si son logorati come le stoviglie di una trattoria di terz’ordine. Non s’accorgono che, magari avendo da esprimere giudizi di un qualche buon senso, finiscono, con il vomitaccio della forma, a farsi irrimediabilmente torto. E siamo ridotti al punto — che se non fosse la sincerità del tono a dar la sensazione della verità — per significare che una tal cosa fa bene o male all'anima — ma seriamente, e non per modo di dire — si dovrebbe scrivere: «all’anima, all’anima, all'anima»,

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perché a nominarla una volta sola, ormai non ci crederebbe nessuno??.

Insieme alla tendenza accademica, l’altra spina nel fianco della letteratura è rappresentata dal proliferare delle «rivistine» disinvoltamente definite d’avanguardia, sorta di «collegi o brefotrofi» intellettuali dove i giovani autori non hanno modo di sviluppare una «solida coscienza individuale, che è indispensabile preparazione a un lavoro profondo e nobile». È quanto sostiene l'anonimo polemista dell’articolo I «giovani scrittori» (a. I, n. 13), forse lo stesso Tozzi, al quale il saggio si potrebbe attribuire sulla base di concomitanze tematiche rispetto alla sua produzione saggistica senese. Contro l’accademismo e coloro che vi si riconoscono;

contro la mediocrità dei tanti cenacoli letterari che inneggiano al “nuovo” solo per non aver saputo sviluppare i valori intimi; contro l’oltranzismo esterofilo: questi i motivi di pronunciamento polemico che tornano anche negli interventi autografi per il «Messaggero della Domenica», da Le nostre ombre a A fine d’anno e Lo specchio della critica”.

Nel giudizio tozziano l’inadeguatezza dei critici italiani rispetto al loro compito di promotori, oltre che censori, dell’attività artistica contribuiva inoltre ad aggravare ulteriormente la situazione. In ciò doveva riconoscersi la logica conseguenza di un’errata politica intellettuale, che paradossalmente aveva visto attribuire potere decisionale proprio a quegli individui che possedevano maggiori titoli ”° [Anonimo], Accademia, in «Il Messaggero della Domenica», a. Joe 19 18. °° Cfr. Realtà di ieri e di oggi, pp. 11-9, 31-9, 63-76 (pubblicati per IL

n.

6,

DO;

a.

6

n

2

e

n.

5,

1918)

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203

di incompetenza. «È inutile fare allusioni personali — precisa Tozzi in Lo specchio della critica — perché il male è così diffuso e croniéo da poterlo prendere senz’altro per un male comune».

Salvo rarissime eccezioni, alla società

delle lettere mancavano personalità capaci di definire i giusti contorni del fenomeno estetico, critici che leggessero la lirica delle origini come un’introduzione feconda a Dante, che rivalutassero la tradizione novellistica, che non

avessero timore nel denunciare i vizi del dannunzianesimo. Una «critica costruttiva», insomma, che parlasse per ne-

cessità ed utilità comune e delle cui opere dotare una “biblioteca di sogno”. Questo era anche il progetto a cui Tozzi saggista aveva inteso attenersi: lettura come «manifestazione sublirica, che si basa sui segni morali dell’opera d’arte» per riconoscere l’ispirazione autentica.

Le arti figurative «La mia anima, per aver dovuto vivere a Siena, sarà triste

per sempre...» così, in Bestie, Tozzi stigmatizza il rapporto con la città d’origine, con la sua atmosfera di chiusa municipalità, il suo misticismo, la sua arte. Gli anni della formazione culturale avevano stabilito i primi contatti con la realtà visiva circostante, in particolare

con i fatti artistici cittadini che contribuivano a volgerela fantasia in direzione del mito medievale. L’interscambio letterario-figurativo si attesta nell'immaginario dello scrittore esordiente che inclina verso l’arricchimento della pro6! Lo specchio della critica, in Realtà di ieri e di oggi, p. 64. 62 Cfr. Critica costruttiva, ivi, pp. 41-52 (pubblicato per la prima volta in «Il Messaggero della Domenica», a. I, n. 8, 1918). 6 Ivi, p. 48. 64 Bestie, in Cose e Persone, p. 144.

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pria creatività tramite le esperienze pittoriche due-trecentesche, non necessariamente vissute come pendant delle letture o della ricerca documentaria. Fuori da ogni conte-

sto storicizzante, l’assoluta ieraticità delle grandi pale d’al-

tare e il movimento simbolico dei cicli di affreschi sono in primo luogo il filtro attraverso cui l’anima tozziana sente di poter recuperare le proprie radici, rinnegate nel quotidiano ma ancora vive nel Medioevo di Simone Martini: Cupa città, con te mi riconcilio

pensando alla Madonna che ti fece Simon Martini per eterna prece. E tu più non mi sembri come esilio”.

Il vasto corredo iconografico dell’arte senese in alcuni casi funziona anche come fonte d’ispirazione letteraria, e

ne dà conferma l’autore stesso allorché nel giugno 1907, ormai nella fase di approfondimento scientifico delle problematiche esistenziali, scrive: Ieri rividi il S. Sebastiano del Sodoma, che mi fece fare uno

dei miei primi lavori. Ma il più delle volte non gusto più quell’arte.

Non lo so. In me ci sono travolgimenti profondi. Ora ho la coscienza di tali fatti visti in un modo, ora li vedo in altri aspetti...»°,

La poliedricità del reale coinvolge anche le rappresen-

tazioni artistiche nel labirinto dei significati; ma se sul versante esistenziale lo scrittore cerca di sottrarsi all’irzpasse interpretativa per via di cultura, nei riguardi dell’arte tende a conservare un atteggiamento impressionistico, garantendosi in tal modo la libertà di trasferire arbitraria9 Fascicoli, in Le poesie, p. 257. 6 Novale, p. 104.

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mente un carico simbolico inconscio sul referente figurativo, per poi sussumerne i connotati all’interno della pagina narrativa. In Adele assistiamo così al sovrapporsi della protagonista all’immagine di quella Madonna di Giovanni di Pietro che, con il gesto classico nell’iconografia delle Vergini della Misericordia, sostiene il mantello che accoglie al suo interno santi e supplicanti: ...ella medesima aveva sognato di essere come una Madonna dipinta da Giovanni di Pietro. Ne era stata sedotta per il gesto di ambedue le mani, con le quali apre il mantello rosso. Sotto quel mantello, da ambedue le parti, moltissimi santi supplicano, quasi tutti inginocchiati. Quattro angeli guardano e la proteggono, volando dietro le sue spalle. Ma una stola, in bassorilievo dorato, scende fino ai piedi, e su questa stola sono figurati tre apostoli. La testa di Gesù è sopra il suo petto, piccola tra le due poppe schiacciate. Il suo volto è largo, la bocca e il mento rotondi. [Ma ella sembra ritta su l’infinito, con quel suo lievissimo diadema d’oro. E meravigliosa è fatta la tavola, che ha la profondità di un’aureola abbagliante. Si attendono altri angeli attorno a lei, e che ella si avvicini di più per parlare; e si ha il desiderio di essere corrisposti] ”.

L’attesa di Adele è analoga a quella di Federigo bambino condotto in chiesa dalla madre: In quella di S. Donato ero dispiacente che non suonasse l’organo, e i dipinti che sono dietro il coro erano guardati da me durante tutta la mezz'ora. Mi sembravano vivi. Mi scuotevano. Credo che se n’avvedesse anche la mamma. Come seguivo il moto di un angiolo, che con la spada percuote un dannato che cade in giù! Ora lo taglia! E tutti gli altri angioli mi davano un senso di movimento e di scompiglio. La domenica dopo mi

6 Adele, p. 15.

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meravigliavo che fossero sempre negli stessi luoghi, ed io studiavo il dipinto da un altro verso®.

La vitalità del Giudizio universale si rinnova nella fantasia del fanciullo, che coglie con sguardo attento sempre «nuove battaglie» e «nuove vicende». Le visite alle chiese cittadine continuarono anche dopo la morte della madre, in anni in cui alla fede ingenua dell’infanzia Tozzi aveva sostituito il nuovo credo socialista. L’arte senese era pertanto un terreno su cui si poteva agevolmente far scivolare una conversazione fermo posta

come quella intavolata con la misteriosa Annalena, anche per esibire in maniera spregiudicata il proprio anticonformismo intellettuale. Così ad esempio fin dalla seconda lettera di Novale: Quel dipinto del Casolani è uno dei peggiori, sia pel colorito che pel disegno (...). S. Quirico (parlo della chiesa) è un aborto dell’arte. Che potevan fare di più il Salimbeni, il Casolani e magari anche il Vanni? Per me questi tre artisti e i minori che furono della scuola loro non meriterebbero di essere ricordati. Badiamo: a proposito del Vanni parlo di quello che ha dipinto a S. Quirico e non dell’altro che ha lavorato anche in Duomo nella cappella di S. Ansano, alla sinistra di chi entra, al lato dell’altar maggiore. Il Salimbeni poi è il più incapace di tutti. Basta vedere i lavori che ha fatto nella chiesa di S. Spirito. Che roba! Degna di stare vicina alle carceri. Il Casolani ha fatto qualche cosa di buono. Per esempio, al Carmine c'è il supplizio di S. Bartolommeo, che, toltane la troppa aridezza, è riuscito lodevolmente”°, ® Novale, p. 203. 9 «... io vorrei conoscere le sue impressioni su l’arte senese; in-

tendo dire su quanto di artistico esiste in Siena, specialmente nelle

chiese, dove si trovano veramente tesori di pitture e di sculture quasi obliati dall’indifferenza» (ivi, p. 18). 7° Ivi, pp. 19-20.

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Fuori dalla tradizione municipale, il Tozzi dell’apprendistato artistico si volge in primo luogo al grande rinascimento fiorentino, affascinato in particolare dalle forme della bellezza femminile espresse da'Leonardo e da Botticelli. Lo scrittore ricorda come, durante i mesi della for-

zata cecità pet la malattia agli occhi, un solo invito all’amore e alla vita avesse lacerato la spessa cortina del buio che lo avvolgeva, e quella lusinga proveniva dalla memoria iconografica di un volto leonardesco di donna”. Di qui all’utilizzo vagamente decadente, alla Ruskin o alla Pater, del “sorriso della Gioconda” in una lirica della Zamzpogna verde la distanza era breve”. In seguito, ancora due dipinti famosi detteranno versi al poeta: si tratta della Verere di Botticelli e di una sua Madonna «simile a un germoglio / di gioventude, che la testa inchina»”, entrambe referenti

figurativi in linea con il gusto preraffaellita. Non manca neppure, in questa fase della ricerca artistica tozziana, l’interesse antiquario per i testi teorici della tradizione pittorica, come confermano i trattati di Leonardo e dell’Alberti rintracciati nella biblioteca dello scrittore; ed è anche certo che Tozzi si dedicò alla storiografia e alla critica d’arte almeno tramite la frequentazione di Louis Gielly, lo studioso francese dell’opera L’4rze siennoîse che egli ebbe modo di conoscere presso la libreria Torrini e che fece parte con Joergensen e Le Cardonnel del 7! «Avevo pensato durante la malattia de’ miei occhi che non avrei amato più nessuna persona. Ma avrei amate solamente le sensazioni che mi avrebbero date le pitture dei miei preferiti. Scacciavo la realtà, e adoravo una faccia femminea di Leonardo...» (ivi, p. 94). 7? «Dentro di te, mia piccola ballata, / vorrei che sorridesse

Monna Lisa / come ad alcuno che abbiala baciata / onde il tuo canto gli piacesse a guisa / del suo parlare, o piccola ballata» (La zampogna verde, in Le poesie, p. 85).

? Cfr. Specchi d’acqua, ivi, p. 119 e La zampogna verde - Ad una signorina, ivi, p. 38.

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«cenacolo di Castagneto». In Tre croci ne viene riproposto un ritratto abbastanza fedele nella figura del critico d’arte Nisard, assiduo visitatore della bottega dei fratelli Gambi

per ricerche bibliografiche estremamente specialistiche, come lascia sottintendere la richiesta di un fascicolo del «Burlington Magazine» contenente uno studio del Berenson sul Sassetta”. Accanto a Siena e Firenze, Roma si aggiunge alle città dell’arte di Tozzi. Il suo primo soggiorno nella capitale l’aveva visto dedicarsi alla ricognizione sistematica di musei e monumenti, e tra le varie tappe non poteva mancare la Galleria di Villa Borghese. In queste sale, davanti alle opere allineate lungo le pareti, l’aspirante artista sembrava acquistare progressivamente una sempre maggiore autocoscienza: «Ho quasi certezza di me — scriveva ad Emma

in data 17 marzo 1907 —. I quadri che guardavo divenivano mie idee, e del loro sentimento userò scrivendo. Un

paesaggio

del Francia...

(Non

so dire ciò che ho in

mente). Gli spunti creativi cominciano a prendere corpo nella

fantasia dello scrittore; sono sfuggenti simulacri di idee, simbolicamente racchiusi nella dimensione plastica ed intuiti in un attimo, senza poter essere del tutto afferrati. Gli

basta solo pensare ad un’opera perché il meccanismo s’inneschi. Ecco quanto accade con il Pensiero di Rodin: Non ti posso dir bene che è questo Pensiero, però che è un simbolo. E una testa di donna che ha il collo sorgente da un blocco di marmo. Credi che il volto di lei è un pensiero”.

Diversamente, un quadro di Segantini può anche ri7 Cfr. Tre croci, in I romanzi, p. 224.

? Novale, p. 86. 76 Ivi, p. 88.

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presentarsi alla memoria dello scrittore in virtù di lineari consonanze con paesaggi campestri noti:

Sono stato seduto mezz’ora sull’inforcatura di un ciliegio (...). Vorresti sapere che pensavo su quel ciliegio? Pensavo che tu fossi seduta sopra un bel greppo che è lì, ed io t’avrei buttato le ciliegie. In faccia a me c’era un paesaggio che mi ricordava una tela del Segantini. Un bove bianco ed una contadina con un fascio d’erba; ma velati dal sole, ch’era in cima al poggio su la cui pendice guardavo”.

La sovrapposizione degli elementi figurativi non è perfetta, ma il gioco delle luci e delle ombre rievoca la sapiente dosatura dei riflessi solari nella particolare qualità dello spazio che caratterizza la grande tela Alla stanga, vera e propria epopea della vita contadina, non molto distante dal paesaggio naturale e umano delle rappresentazioni tozziane.

Ancora più aderenti alla descrittività del narratore senese sono certe vedute tipiche della scuola della macchia, tangenze figurative peraltro inevitabili nella Toscana di fine Ottocento. Successivamente sarà anche possibile documentare una forma d’interesse (sia pure indiretto) per i macchiaioli da parte di Tozzi, il quale all’epoca della sua collaborazione al «Messaggero della Domenica» sollecitò la pubblicazione di un articolo di Paolieri che, a giudicare dai brevi riferimenti delle missive di quest’ultimo, intendeva rivendicare il valore autoctono della nuova maniera. «Per i macchiaioli — comunica infatti Paolieri a Tozzi — (una vera e santa battaglia di Italianità che tu hai pensato di farmi combattere) aspetto delle fotografie ineditissizze»;

© Ivi, p. 104.

210

ANIMA E SCRITTURA

e quattro giorni prima aveva commentato: «Sarà una bella battaglia di Italianità se non di Toscanità perché Lega era di... Modigliana in Romagna»”. La critica d’arte, del resto, non doveva rimanere a

lungo un campo d’indagine estraneo all’applicazione tozziana, se si considera che dopo i contatti già ricordati con Gielly e con la ricca bibliografia della bottega dei Torrini (e ancor prima con la rivista del marchese Piero Misciat-

telli «Vita d’arte»), lo scrittore si diede a riconvertire le

idee acquisite in una produzione pubblicistica che andava dall’articolo d'occasione per l’inaugurazione di una mostra o per la celebrazione di una ricorrenza nel mondo artistico, allo studio meglio articolato di una singola personalità, ancorché prevalentemente motivato da legami di amicizia con gli artisti presentati. Nel 1913 Tozzi commemorava sulla «Vedetta senese» il decimo anniversario della tragica scomparsa dello scultore Patrizio Fracassi, manifestando grande rammarico per la dimenticanza in cui l’opera dell’amico rischiava di cadere, tra la generale indifferenza dei concittadini”. Nei gessi del giovane artista lo scrittore riconosceva un’inquietudine a lui stesso ben nota, frutto di un’analoga, sofferta coscienza della realtà dell’uomo: chiuso nelle forme tremule di una debolezza senza ribellioni o stampato di prepotenza sulla materia, il senso della vita nelle opere di Fracassi risultava in ogni caso gravato dal peso di un’ineludibile condanna. E il suo Miratore che ha speso l’esistenza nel buio delle gallerie sotterranee, rischiarate soltanto dal lume di una rudimentale lanterna, potrebbe anche riemergere dalle tozziane miniere di Boccheggiano, forse ispirato all’abilità plastica dello scultore da quell’umanitarismo so-

78 Carteggio con Giuliotti, p. 370, nota 2.

?° Per Patrizio Fracassi, in Realtà di ieri e di oggi, pp. 305-11.

LA SAGGISTICA

241

cialista a cui erano improntate le discussioni nella bottega del barbiere Azzurrini*°. Se nel ricofdo tozziano di Fracassi il coinvolgimento emotivo sposta il discorso sul piano biografico, l’intervento su Ercole Drei (il futuro autore del busto di Tozzi collocato nella biblioteca senese degli Intronati) sintetizza efficacemente le idee dello scrittore d’arte riguardo alla scultura. Qui, «molto più che nella pittura, il pensiero e il sentimento non sono più separabili dalla bellezza: questi due elementi si debbono sviluppare l’uno dentro l’altro; e allora ne risulta l’opera d’arte completa». A tale scopo, scrive ancora Tozzi, «prima è necessario pensare e sentire;

e, poi, mettere nella materia la presenza di questi due elementi; senza i quali la scultura resta mediocre o se ne scosta di poco». Drei si ferma sulla «soglia di questa promessa», troppo intento ad equilibrare architettonicamente la creta o il marmo, in modo da affidare alla sua capacità di modellatore un compito sussidiario alla materia. Il suo nudo I! risveglio rimane così bloccato nei canoni della bella interpretazione fisico-anatomica, ma privo di 8° Sulla frequentazione senese di Tozzi e Fracassi, si veda la seguente testimonianza: «Fra i contemporanei, Patrizio Fracassi non poteva essere, dunque, che uno squilibrato e un figlio angiolieresco, compagno di giovani esaltati e come lui incerti sulla via da seguire: Federigo Tozzi [all’epoca non ancora ventenne] oscillante fra tentazioni di poesia e passione pittorica, Federigo Ioni che non immaginava a quel tempo di possedere l’anima sensibile di un quattrocentista e la spregiudicatezza di un memorialista non del tutto coraggioso, Francesco Sapori che si cullava in estetiche eleganze e tentennamenti di volontà, e Domenico Giuliotti sacramentatore insoddisfatto, a quel tempo, paesano della bassa Greve» (A. Lusini, Tormento di un'arte e di un artista. Patrizio Fracassi, in Il Museo Civico nel Palazzo Pubblico di Siena, Edizioni La Balzana, Siena 1962, p. 154). Alla vicenda di Fracassi

inoltre Tozzi si ispirò nella novella Lo scultore, in Le novelle, vol. I, pp. 232-41, scritta presumibilmente all’epoca dell’intervento critico. 81 Ercole Drei, in Realtà di ieri e di oggi, pp. 315-16.

ANIMA E SCRITTURA

22

un afflato veramente universale. Ma se in quest'occasione lo scultore non ha saputo coordinare tecnica e ispirazione, non c'è dubbio che riuscirà nelle prove successive. Già con Al sole si è prodotto in un’opera di estrema modernità, scomponendo il rigore del nudo come se le membra fossero pronte «a eseguire un movimento improvviso e inatteso»*, per il momento congelato sul punto di tradursi in azione.

In mezzo alle due date estreme degli interventi sulla scultura (1913-1920), si collocano gli articoli tozziani su Paulbot e su Lorenzo Viani, entrambi occasionati dal-

l’apertura delle relative esposizioni nella capitale. Analogamente,

anche il secondo

intervento

a firma di Tozzi

apparso sul «Messaggero della Domenica» è dedicato alla presentazione di una mostra d’arte, in particolare di quella organizzata nella primavera del ’18 alla Casina del Pincio. Si tratta di uno scritto poco conosciuto, non essendo stato raccolto in Realtà di ieri e di oggi, ma che vale la pena di riproporre come testimonianza degli interessi tozziani in campo figurativo*. La veloce rassegna degli artisti presenti alla collettiva non impedisce al critico di andare oltre il dovere di cronaca, per rilevare lo specifico delle opere plastiche e soprattutto dei dipinti analizzati, ora colto nel riltevo oggettuale delle nature morte, ora nella psicologia più o meno manifesta dei ritratti. Particolare attenzione è inoltre riservata ad Armando Spadini, il pittore amico e conterraneo di Tozzi che come lui aveva tentato la carta romana, senza avere fino a quel momento ottenuto i successi sperati. Ancora un intervento sull’arte figurativa per la personale di Viani, promossa nel 1919 dalla Casa d'Arte Braga-

82 Ivi, p. 318.

85 Cfr. Appendice.

LA SAGGISTICA

213

glia di via Condotti. Tra i cartoni a matita e le xilografie, il pittore viareggino esponeva anche alcune prove di utilizzo del colore in cui Tozzi non esita a riconoscere le opere più belle della rassegna*. Una certa sorptesa suscita peraltro la posizione tozziana decisamente critica assunta nei riguardi dei soggetti vianeschi, tratti dal mondo misero e derelitto dei vagabondi di terra e di mare, quei «vageri» tutti uguali nella loro emarginazione, ma ognuno con una propria e ben individuata psicologia che l’artista sa restituire con grande abilità. In fondo, i ritratti da “corte dei miracoli” della sua pittura non sono poi tanto dissimili da alcune scene dei Ricordi di un impiegato o di Con gli occhi chiusi. Il dissenso di Tozzi si appunta tuttavia sulla unilateralità sociale che domina l’ispirazione, alla quale invece gioverebbe molto comprendere che la profondità del pensiero si ottiene soltanto se si riesce a lasciare una visione troppo personale e ristretta a speciali stati d’animo (...). Tutte quelle figure hanno bisogno, infatti, di uno

sviluppo più libero; perché possano ingrandire spontaneamente il loro significato. Ci vuole una spiritualità meno angusta e meno tormentata a proprio danno”.

Una condizione di cui i personaggi tozziani, nonostante l’autobiografismo di fondo, non erano mai stati gravati. Per completezza del discorso intorno alla cultura figurativa di Tozzi, si dovrà a questo punto fare almeno menzione del suo interesse per gli sviluppi delle tecniche incisorie, sempre più largamente utilizzate nell’editoria dell’epoca. In quegli anni «L’Eroica» rappresentava uno dei

#4 «Tale prevalenza di colore, che può essere, se troppo usata, anche monotona, resta nelle cose più belle esposte dal Viani» (Lorenzo Viani, in Realtà di ieri e di oggi, p. 340). 8 Ivi, p. 342.

ANIMA E SCRITTURA

214

binomi meglio riusciti tra letteratura ed arte, e la collabo-

razione prestatale dallo scrittore, ancorché di breve durata,

aveva sortito l’effetto non secondario di educarlo all’incisione moderna, dopo avere fino ad allora conosciuto ben poco oltre a Diirer. Nell'agosto del 1912 Ettore Cozzani organizzava a Levanto la prima «Esposizione Internazio-

nale di Xilografia», con la collaborazione di Franco Oliva, Emilio

Mantelli,

Basilio

Cascella,

Cafiero

Luperini

e

Adolfo De Carolis. Dai ricordi di Cozzani: Avevamo allestita una sala tutta dedicata ad Adolfo de Carolis —- il Maestro — e nelle altré si affrontavano tutti gli anziani e i giovani incisori nostri. E c'era pure una sala per i Belgi, i Francesi, gli Inglesi, e iTedeschi: un appassionato raccoglitore di questa forma d’arte, ci aveva affidato rare xilografie cinesi e giapponesi. A dire il nostro fanatismo, basta ricordare che il catalogo era ornato da incisioni originali, come il biglietto d’invito®.

Uno di questi inviti raggiunse anche Tozzi a Castagneto, e lo scrittore intervenne all’apertura ufficiale dell'esposizione nonostante i già contrastati rapporti con la redazione della rivista di La Spezia. Qui avrà certamente

avuto modo di ricontattare Ferruccio Pasqui e Gino Barbieri, i futuri xilografi della Città della Vergine”. In particolare, al secondo è dedicato un intervento tozziano del 1918

che ne ripercorre la carriera artistica, dall’apprendistato come allievo di De Carolis al periodo trascorso all’«Ero5° Carteggio con Giuliotti, pp. 103-4, nota 1. *’ Gino Barbieri aveva già illustrato nell’«Eroica», fasc. 5-6, no-

vembre 1911-febbraio 1912, la lirica tozziana A Dio. Inoltre, nel fasc. senza numero del marzo 1912, Tozzi pubblicherà la prosa Marzo, arric-

chita da xilografie di Guido Nincheri (cfr. Federigo Tozzi - Mostra di

SOS

cit., scheda n. 56, p. 51 e Notizie, in Cose e Persone, p.

LA SAGGISTICA

215.

ica» (non risparmiando qualche piccolo attacco alla rivista*), fino all’attraversamento fatale del periodo bellico. Nel presentare le xilografie e i disegni di Barbieri, Tozzi instaura paralleli con i maggiori artisti figurativi dell’arte italiana e con le voci letterarie che fanno da sfondo alle varie correnti. Così il Verrocchio e le letture dannunziane, Dante, Boccaccio e i maestri del Quattrocento, il Beccafumi e Giovanni da Carpi, Fattori e De Carolis, il Poli-

ziano e Ambrogio Lorenzetti si fondono nell’originalissima miscela di linee, movenze e colore che anima le opere di Barbieri, giovane talento come molti altri precocemente stroncato dalla guerra. Qualche

brevissima

considerazione

merita infine il

problema dei rapporti di Tozzi con le avanguardie artistiche primonovecentesche, corrispondenze forse solo stabilitesi a distanza, sulla base di un’analoga sensibilità creativa, e peraltro non confermate da certificazioni documentarie — se si esclude la più volte ribadita avversione per il futurismo letterario e pittorico. Non è tuttavia un caso che la critica abbia fatto ricorso a formule come quelle del “primitivismo” e dell’“espressionismo” narrativo (sia pure da intendersi in senso metastorico, come precisa Baldacci*), definendo la modernità stilistica della prosa tozziana tramite categorie in primo luogo figurative. Se il cammino intrapreso dall’arte del nuovo secolo passava attraverso la rivolta a qualsiasi forma di determinismo, in

#8 «D'altra parte, una rassegna ligure, l’Eroica, aveva tentato di

radunare attorno a sé i migliori e più giovani xilografi italiani, e ci sarebbe riuscita se non fossero sopravvenute deplorevoli discordie; a cui fecero seguito ingiustificati attacchi contro Gino Barbieri, che fu uno dei più attivi e significativi tra questi xilografi» (Gino Barbieri, in Realtà di ieri e di oggi, p. 322). 89 Cfr. L. Bapacci, Tozzi e la lezione di Giacomo Debenedetti, cit., pp. 62-3.

216

ANIMA E SCRITTURA

nome di un’assoluta spontaneità e intensità della visione interiore, Tozzi in fondo percorreva una strada parallela. Di fatto, con estrema naturalezza può accadere di trasporre visivamente l’intima rappresentazione della Casuccia del Podere o della casa padronale di Poggio a’ Meli nelle allucinate istantanee paesaggistiche di Heckel, dove le mura delle sue fattorie, rosse come un tempo dovettero esserlo anche quelle di Castagneto, si reggono in bilico sulla curvatura della collina, in una disarmonia di rapporti oniricamente stridente. Emblemi dell’arte novecentesca, la

rottura dell’impianto prospettico e la rinuncia alle proporzioni convenzionali determinano l’espressività in pittura come in letteratura. E la dimensione privilegiata rispetto al tessuto prevedibile e cronachistico dell’esistenza a cui Tozzi consegna i «misteriosi atti» ne resta uno degli esempi più significativi.

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Riproponiamo, per la prima volta dalla loro pubblicazione in rivista, i tre saggi tozziani del 1916 per «Cronache d'Attualità» e la recensione La weostra d’arte alla Casina del

Pincio, apparsa nel «Messaggero della Domenica», a. I, n. 2, 1918, anch’essa mai ristampata. Gli interventi nel periodico di Anton Giulio Bragaglia sono rispettivamente: — — —

Le ciancie colla critica, a. I, n. 4, 30 giugno 1916; Spunti su la lirica attuale, a. I, n. 5, 30 luglio 1916; La guerra delle idee, a. I, n. 6, 30 agosto 1916. Per la riproduzione dei testi ci si è attenuti alla stampa, intervenendo solo a emendamento dei refusi.

«LE CIANCIE COLLA CRITICA»

Noi giovani, piuttosto che lavorare, cerchiamo perfino di criticare la critica, facendone una che risponda al nostro stato d’animo: più al nostro stato d’animo che a certi punti di vista chiari e definitivi. In fondo, costruiamo lunghi monologhi; di cui magari si sente la trasparenza ondeggiante, ma tuttavia capace di soffocare. Trasparenza, petò, insopportabile; e noi scriviamo, appunto, per provare un senso violento di liberazione. Ma non sempre ci riesce; in questi attacchi della scontentezza, qualche volta illogica, la nostra anima non riesce né meno

a trovare quella parola, dopo la quale il vero lavoro comincia. E, così, avviene che, in vece di scrivere una novella o una lirica, la

nostra anima s’indugia a sciorinare tutti i suoi dubbi e le sue ipotesi. Sembra una specie nuova della metafisica, e non è in vece che un mediocre esercizio, che perderà significato tra breve tempo.

Bisogna che noi giovani conteniamo dentro di noi queste forme inferiori della letteratura mescolata all’abilità psicologica: tritume polverizzato di cose create a mezzo; quando la nostra anima le sente magari dentro di sé gigantesche, senza avere il tempo e la pazienza di attendere la loro maturazione. Ma già questa acerbità ci sembra una maturazione che appunto si spappola a pena che vogliamo tenerla tra le dita. Sicché la letteratura giovine subisce non una pausa ma un lungo giro vizioso e tortuoso, dopo il quale bisognerà rifarsi dal punto che non abbiamo mai potuto abbandonare; siamo uccelli con la zampa legata. I tentativi, che per lo più sono partiti da Firenze, e tutta l’Italia li ha subìti anche se di mano in mano per la mancanza di valore intrinseco ed assoluto si sostituivano da una settimana

220

ANIMA E SCRITTURA

all'altra, come in un gioco a carte, sono a comprovare la verità che scrivo. Non c’è cosa in questo periodo di tempo che possa avere la pretesa di resistere: pretesa può avere quella di essere una preformazione molto annacquata, che attende però il coordinatore robusto: bisogna tornare alle «tradizioni». C'è stata l’intenzione di staccare, come un enorme blocco,

tutta la letteratura giovine dalle solite mediocrità impostesi largamente al pubblico; ed era buona. Ma è mancato il respiro sufficiente. Ed anche è stato irrazionale credere ad una mancanza di continuità. La quale ci doveva essere a tutti i costi. Si trattava, appunto, di far sparire le mediocrità vecchie non con altre mediocrità alla moda, ma assorbendole per stroncarle. Allora la giovine letteratura avrebbe costruito: ma, qui, si tratta, il più delle volte, soltanto di precursori e di epigoni che saranno alla loro volta eliminati; e presto. Tutte queste canzoncine e queste prosettine, tra l’ingenuo e il canagliesco, non hanno nessuna virtù di resistenza; sono state scritte con una conscienza

ambigua e transitoria, con una coscienza instabile. E, quindi,

avranno il loro epilogo rapidissimo: sarà una specie di farsa silenziosa, perché spariranno senza né meno che nessuno vi sparga quattro chiacchiere sopra. Ora, i giovani autori, per questo motivo, hanno appunto il bisogno di picchiare pugni su l’epa della critica: perché si scosti o perché stia cheta. Critica rimasta, forse, immobile; come certe

comparse che non si sono accorte del cambiamento di scena e lo attendono. Ma anche i critici hanno la loro ragione di fare così; perché se cambiamento ci dev'essere nella produzione letteraria, anche la critica, per legge, dovrà seguire lo stesso andazzo. Quindi, incertezza nella creazione; e, come un’eco, incertezza

nella critica: ed avviene, certo molto ingiustamente, che i più noti ed apprezzati valori della nostra critica non sono rispettati; oppure si finge di credere che si siano addormentati in piedi, proprio come quelle comparse di cui ho detto più a dietro. Ma ci sono critici che ritroveranno se stessi; forse, con più probabilità degli autori; perché i migliori riprenderanno proprio il sopravvento quando questa troppo facilità superflua di falsi precursori

cadrà sgonfia sotto una qualunque calcagnata. Non volevo far nomi, per non essere forse parziale; ma, in

APPENDICE

221

queste stesse cronache, un giovine autore crede di distruggere tutta l’opera proporzionata di un nostro critico parlandone con una frase né meno spiritosa: dice che il Borgese è stato meccanizzato e irrigidito dal mestiere.* | Felicitiamoci con Titta Rosa; e diamogli, per questa smorfietta presuntuoselluccia, una bella chicca.

Ma non è così che si può distruggere; la verità delle cose e delle persone sfugge a questi sorrisi stereotipati. Caro Titta, non ci vogliono le dita paffutelle; ma, se mai, callose. E certi conte-

nuti della critica non sono mai sorpassabili; perché rappresentano, caso per caso, quello che è stato acume e sagacità aver

detto e pensato. Lasciamo stare il pretesto del Serra: troppo incompleto e troppo affrettato. Lasciamolo stare, per la necessità di essere più sinceri. Il Serra mi piace più considerarlo e ritenerlo un buon descrittore piacevole, un mezzo artista. Come critico, avrebbe avuto bisogno di qualche anno, e meno rinchiuso nei vicoli fiorentini. L’Italia tende ad una libera ampiezza, che deve dare i polmoni agli organismi regionali, senza prendere sul serio certi

brancolamenti, falsamente giovani o addirittura giovanili, che sono sfilaccicature e basta. I giovani non scrivono che frammenti: elementi grezzi che una volta servivano appunto soltanto (*) Si riferisce al saggio di G. Titta Rosa, Ultime correnti della critica, pubblicato in «Cronache

d’Attualità», a. I, n. 3, 15 giugno

1916. Citiamo per esteso il giudizio su Borgese: «Il Borgese è cresciuto all’ombra del sistema crociano. Le sue ultime ribellioni pare che non abbiano un grande valore, perché mancanti di quell’esigenza intima che impone a un critico una costruzione teorica personale. Le polemiche del Conciliatore son riuscite più che a fare altro a scoprire una velleità di indipendenza in Borgese; non sostenuta dunque da una base autonoma di ricerca da cui poter sospendere l’arco teorico, per abbracciar forme d’arte che il sistema strettamente crociano pareva non poter chiudere in sé. Non ripeteremo qui quello che s'è affermato di Borgese; che quest'uomo abbia realmente scritto più di quanto non sappia: certo conclusioni sicure non si sono avute; e ormai non credo che sia più il tempo di pretenderle — vista che il mestiere lo ha meccanizzato e irrigidito».

A

ANIMA E SCRITTURA

a preparare la prima materia indispensabile alla vera opera d’arte. Oggi, sono in voga i bozzetti! Una novella non solo non si sa scrivere secondo la consueta ricetta; ma, tanto meno, non si

sa rinnovare: né con elementi spirituali né con elementi tecnici. E questa è evoluzione? Ecco perché i giovani autori, come attività spostate, si met-

tono a cianciare con la critica.

«SPUNTI SU LA LIRICA ATTUALE» La poesia non ha fatto niente. La nostra gloriosa gesta l’ha colta, molto all'improvviso, mentre dinanzi ai suoi specchi si accingeva ad aggiustarsi, con il desiderio di far presto, una nuova veste.

V’erano i vecchi, che già non piacevano più; e questi sono

stati impotenti ad accingersi alla gloriosa missione. V’erano i giovani, non ancora affermatisi, specie sul consenso del pubblico; e questi hanno preferito tacere fino alla fine della guerra. Occorreva, dunque, uno spirito che avesse voluto innestare

la sua arte a sé stesso; ed invece gli è sembrato inutile e non opportuno. Io conosco il caso tipico di un giovane scrittore, il quale,

sentendo liricamente ripugnanza contro la guerra, ha smesso di scrivere e si è battuto; ed è stato ferito.

Dunque, non solo eroe, ma anche onesto e galantuomo. Dico esempio tipico perché so lo stesso di molti altri giovani, che hanno fatto o hanno dovuto fare altrettanto.

Se poi devo parlare di quei valori che erano già spiritualmente oltrepassati da parecchio tempo, anche dal popolo, nominerò il D'Annunzio e il Benelli. Hanno fatto, ambedue, quasi la medesima cosa: sono stati

cattivi o pessimi cantori, ma in compenso ottimi soldati. Il D'Annunzio s'era buttato alla più scempia sua rettorica; il Benelli aveva scritto una risciacquatura, che del toscano ha soltanto la irritante sciattezza entro la facile imitazione dannunziana. Però, sono ambedue feriti; ed hanno abbastanza scontato la loro incompetenza alla lirica guerresca. Ma l’Italia ha ritrovato, sempre puro e vergine, non ancora

224

ANIMA E SCRITTURA

adoprato abbastanza, e sempre adatto, l’inno di Mameli. E stato

sollevato dalle antologie scolastiche dove piaceva e non piaceva, polveroso e quasi disfatto. Ed è bastato che sentisse il nuovo e più glorioso respiro perché ritornasse ad essere il canto e la musica di tutta la nazione in armi. Ma, in generale, l’Italia ha avuto bisogno di riadagiarsi in forme d’arte che erano sembrate, prima della guerra, perfino ridicole: si ritrova, nella vecchia musica, tra noi ed essa, un’inso-

lita affettuosità idillica. Tutti questi fenomeni di adattabilità molto transitoria (mi metto a fare l’oracolo?) devono essere fecondi: non per niente

una nazione è costretta a riscaldare spiritualmente quel che già era elemento storico. E non per niente la storia torna ad essere la sola forma lirica che sia concepita da un popolo e dai suoi scrittori. Ora, noi ci troviamo proprio a questo punto. Ed è facile a vedersi che queste cose del tempo passato

avranno con sé un’influenza che si farà avvertire nella letteratura e anche nelle così dette belle arti. Sentiamo forse che l’individuo è stato vinto dalla nazione;

cioè che la nazione ha fatto più di qualunque individualità; se bene una individualità possa vivere e concepire spiritualmente molto più di una nazione. E allora chi aveva avuto nell’anima un alto senso di sé medesimo, e magari cercava perfino di crearsi contrasti eroici per i suoi istinti, ora sente che tutta questa specie

di finzione interiore si rende inutile e pericolosa; perché la guerra lo umilia e lo pone dinanzi ad una realtà illimitata. Perciò, per scrivere e per lavorare, si ha bisogno di certi compensi, che appunto si accettano o si subiscono dal passato.

Ora, noi abbiamo il nostro spirito troppo compromesso con la realtà attuale; e siamo molto timidi a dire come temerariamente avevamo cominciato.

in vece

Ma per poco tempo. A guerra finita e vinta, il nostro istinto lirico non lo reggerà più nessuno. E coloro che si saranno serbati castamente uguali a quel che erano, avranno fatto la più grande opera patriottica; perché daranno all’Italia la più abbondante raccolta di pensieri e di opere originali.

APPENDICE

225

Le nazioni, in vece, che hanno sentito la guerra anche nella letteratura, dovranno o allontanarsene subito con una spinta brutale o trasformarla in una elegia; DOSE di canti eroici non ci sarà più bisogno. Non ci stanno vie di mezzo. E dal E alla rettorica magari in buona fede il passo è molto breve.

«LA GUERRA DELLE IDEE» Credo che il valore di questo libro si possa stabilire esaminando lo stile interiore tenuto dal Borgese. Ma la politica del Borgese si manifesta e rimane profondamente intellettuale; e cioè, per lui, una questione dello spirito che dev'essere risolta con elementi d’indole pura. Non è un politico che perda sé medesimo pure di rendere più ampia e più completa una data dottrina; ma resta piuttosto un illustratore che si è proposto come base un’analisi che raggiunge il suo scopo soltanto quando si sarà messa d’accordo anche con il sentimento.

Le pagine di questo libro bello mi sembrano sopra a tutto pervase, dunque, di un nazionalismo originale, niente affatto letterario come altro nazionalismo è, lasciando a parte quello giornalistico: è un nazionalismo sorto dal temperamento dolce e violento del Borgese. E, più che narratore, è descrittore: la narrazione si spezza, s'interrompe, si frastaglia, si cambia; ma i contorni degli avvenimenti e delle persone prese ad esaminare

formicolano con quella spontanea evidenza che è animata dalla volontà di voler dire tutto. Vi sono propositi fermi, che sono stati raggiunti con mezzi logici e senza troppi lenocinii. Era necessario che la sua profonda e sottile competenza si mutasse in una specie di dottrina non mai enunciata con for-

mule anteriori e restrittive: ma dottrina che sapesse contenere gli avvenimenti più sintetici e analitici che la nostra storia gli ha offerto. E il Borgese ha scritto un libro, dove la storia non diventa una assoluta rigidità, che non si controlla né meno più; ma qui tutto è ancora vivo e sempre in atto.

Niente c’è di depositato in fondo ad una calma che solo gli anni potranno dare: qui siamo entro l’alito fresco degli avveni-

APPENDICE

97

menti, e non sarebbe possibile, per evitare un’inutile etichetta,

mettersi a deporre l’utilità delle fatiche, come se si trattasse di cose che ormai sono per affievolirsi. Ma la polpa stessa della storia, qui, cola! Su l’Italia quasi tutti, nondimeno, cello voluto farci leggere libri o articoli che sono'estratti personali, acidi o sciroppi; e niente di più. Ma gli elementi reali sono in vece fatti passare a traverso un setaccio rettorico o convenzionale, già con un intento che viola la linea diretta dello scritto e dell’esame. Perciò il Borgese ha fatto bene a non volerci imporre d’imparare a mente qualche precetto che fosse venuto a ogni fine di capitolo: è bene che le pagine restino ancora come solchi aperti, e che non sia finito di seminare. Più sopra, ho detto che il Borgese come scrittore di politica è differente dallo scrittore di letteratura; ed è vero. In questo libro c'è una parte della personalità borgesiana, che non potrebbe apparire negli articoli di critica, anche come metodo e volontà. Ma si sente che l’abilità letteraria ha servito alla possibilità di trovare spunti che solo un artista può vedere. E in queste pagine una riduzione continua ad energie di sentimento, in modo che un argomento resti improntato e combaci all’ampiezza della realtà. Come ritrattista - cito per esempio lo studio sul Biillow — non ha voluto lasciarsi trascinare dall’estetica; ma, pur facendo

molto più che un abbozzo; ha lasciato che il cancelliere tedesco fosse completato dalla stessa realtà nella quale tutt'ora si trova. E questo non è difetto, ma precauzione che fa il ritrattista più fedele e più degno di stima. Se il principe di Biilow fosse stato rifatto con elementi meno positivi e meno politici, avremmo avuto una bella pittura e basta; mentre, per il Borgese, questo

personaggio ha una fisonomia che è costituita non solo dalla sua anima e dalla sua ciccia ma anche, e anzi sopra a tutto, dalle cose

che lo circondano e lo innalzano al di sopra della folla. Io lo chiamerei un ritratto fatto soltanto di contorni a filo di acciaio, e

poi messo sopra ciò che è la vita della storia. Il punto di vista dei fatti è continuamente spostato verso quello meno transitorio, che il Borgese ha afferrato; sentendolo

228

ANIMA E SCRITTURA

e subendolo alla sua volta. Non è metafisico né sociale; è questo punto di vista piuttosto di una pedagogia politica e di consenso profondo, legato alla realtà interiore dello scrittore. Ma questa realtà interiore non è anzi con esagerazione messa in evidenza: è una specie di coordinamento che funziona senza lasciar modo di disturbare: la personalità intuitiva del Borgese s'è piuttosto messa, con volontario proposito, a far parte degli elementi storici, per meglio penetrarli e darli genuini. In questa faccenda io credo che il Borgese si sia dato con un impegno ch'egli stesso deve aver giudicato considerevole, un impegno venutogli dall’alto senso di patriottismo purissimo che ha trascinato anche lui entro le dispute politiche. Anche in questo libro non inutile sovrabbondanza di fantasia che in molti è artificiale e momentanea, anzi provocata da bevande malevole; non eccessiva sensibilità, in molti altri tal-

volta finta e pettegola; non asciuttezza, non incompetenza sostituita da esercizi di erudizione ignorante, non sofisticheria melensa e ambigua; non disinvoltura dell’asino che reca orci vuoti; non querula malignità che pare timidezza. Il Borgese è forte anche quando è troppo buono; e queste qualità divengono, nell’attività intellettuale, fonti vive di sincerità e d’intuizione: sono due valori morali che si sostituiscono automaticamente con altre due energie simpatiche e assolute. Non so però se psicologicamente questo libro equivale invece a tutta la sostanza che ci dona: qualche volta, infatti, la sua accora-

tezza cupa e taciturna raduna le pagine l’una dopo l’altra in un chiuso cerchio di sentimento: cerchio che non s’apre perché non vuole. Ma quasi tutti hanno preteso di sostituirsi alle vicende della realtà; credendo di poter compendiare in uno scritto, che risente

dell’abitudine al mestiere, quella molteplicità di fenomeni che si raddoppiano senza interruzione quando sono guardati dalla indispensabile meticolaggine dello studioso; che non può pretendere di dire troppo. Questo pericolo è ben lontano dalle pagine del Borgese; che ha fatto di tutto, riescendovi quasi sempre, per animare soltanto della loro esistenza i fenomeni politici e civili. Qualunque altra aggiunta personale avrebbe nociuto a

APPENDICE

ve

quella chiarezza logica di tutto il libro; che non si scompanna. Magari qualche aspetto di questione poteva essere preso da un altro lato; ma nonper questo la questione perde d’importanza o

della sua indole. Tanto più che il Borgese ha riempito il libro non solo di un interesse interpretativo ma anche ha messo in luccicante e sufficiente rilievo il valore che di per se stessi hanno i diversi argomenti trattati. Ora per scrivere un libro di politica che sia da vero non un esercizio personale, ma una sagoma esatta, bisogna dispensarsi dal volersi mettere innanzi; rinunciando magari a possibilità di aggiunte personali. Nel giornalismo la politica non ha mai nessun valore né storico né intellettuale: è una cronaca fatta per la mescita al pubblico. Ed anche di pessimo gusto. Ma quel che di personale il Borgese pensa è nell’avvertenza anteposta al volume: senza sottintesi, ma sentimento esuberante e pieno che non fa da tesi a chiave dei capitoli; anzi ne resta affatto staccato. Il Borgese ha creduto di scriverla quasi per commentare a se stesso la propria fatica. E fa bene sentire, anche se non possa convincere tutti, come le sue intenzioni sono state sincere. Dice: «Si profila la sconfitta tedesca nel campo delle idee. Scossa nella sicurezza del suo delirio da resistere invitta, la

Germania non ha avuta la forza di asserire gli ideali in nome dei quali aveva iniziato la guerra. In men che due anni ha fatto molta strada verso le idee della nazione, del diritto, dell’etica cristiana».

È vero? Io non metto in dubbio la sconfitta; ma l'embrione evolutivo sì. In ogni modo, non potrei non ammirare queste asserzioni, tutt'altro che avventate, stabilite invece con la fede

sana che viene dallo studio e dall’intelligenza. Rispetto, poi, agli altri due recenti volumi di politica, in questo il Borgese, senza aver bisogno di raggiungere una qualsiasi maturazione o simpatia, mi pare più conclusivo e più te-

nace: anche dischiuso da una curiosità leale ed acuta.

«LA MOSTRA D’ARTE ALLA CASINA DEL PINCIO»

La nostra pittura ha bisogno di essere rifatta e svecchiata oltre che intesa con una sensibilità meno abituale. E, appunto, questa Mostra ci fa conoscere un gruppo di giovani artisti che senza preoccuparsi di quel che il pubblico ne pensi e ne dica, cerca di renderla più adatta alle esigenze moderne e a certe severità d’indole individuale e intima. C’è un desiderio di mettersi a tu per tu con le cose vedute, dipingendole con la massima cautela di schiettezza; come se, da ognuno di questi artisti espositori, dovesse essere improvvisata e bandita una libertà sufficiente a se stessa. Perciò chi entra in queste sale bene aerate, come se si fosse all'aperto, sbaglierebbe cercando quei consueti generi di pittura che è quasi tutta un rimescolamento affrettato d’influenze forestiere e posticcie. Qua si deve entrare con il proposito di conoscere opere di valore più o meno assoluto ma significative sempre quando non sono ripetizioni. Altri dirà singolarmente dei quadri e delle sculture: il mio scopo è soltanto di mettere in evidenza la grande importanza della Mostra, lontana da ogni burocraticità e consuetudine commerciale e artistica. Mostra che consiglierà i critici ad ammettere evidenze, di cui sono molto parchi. Pasquarosa Bertoletti espone alcune cose il cui valore è palese se si chiede alla pittura un’espressione senza complicazioni; ma con una chiarezza descrittiva

e umile; che equivale,

nella sua buona ingenuità accettata, a una lunga purificazione paziente. E perciò ci piace Cinerarie dai bei fiori turchini, dalle foglie larghe e chiare, con i vasi verniciati, lucidi e puliti, con

l’anfora di argilla greggia, quasi umida, raffrescata dalla pianta. Le Tazze, nella loro nudità espressiva e casalinga, sembrano

APPENDICE

231

pronte per essere prese e portate alle labbra da sopra la tovaglia linda e ricamata. E con ciò lo scopo è raggiunto. Cipriano Oppo quest’anno espone soltanto un saggio, direi una primizia, dei suoi ultimi lavori. E la Nevicata è bella per la neve e il fogliame lavato, di un verde quasi eccezionale. Egli è riescito a conciliare insieme gli elementi quasi disparati e quasi ostili tra sé della sua pittura: così n’è venuta fuora un’evidenza fresca e insolita. Con questa tela sono appunto resi benissimo quei toni del verde, come putrefatto e marcio, in quella sua morte invernale. Oppo ha queste originalità inattese; perché se il desiderio di deformare il disegno statico delle figure e delle cose può non convincere, invece nell’espressione del colore assume un'impronta caratteristica. Ma Oppo lo vedremo meglio quando esporrà un numero più notevole di lavori. Carlo Socrate ha due paesaggi mattinali, intesi con un’austerità quasi toscana sebbene siano dei dintorni di Roma. La campagna è da lui interpretata con una soddisfazione tecnica, con una ricerca di tinte naturali ma contenute e notevolissime. Il colore ha quasi sempre una impassibilità calcolata e preferita. Mentre in Natura morta (il legno della tavola, le mele nella scodella, il mazzo di cipolle bianche) il colore si rianima quasi da sé: è più luminoso e più pieno; quasi giocondo e certamente più comunicativo. Anche le figure della Maternità sembrano invece trattate come un pezzo di natura morta. Perciò la Tavola apparecchiata, con quel mezzo bicchiere di vino annacquato, la zuppiera e la caraffa fiorita, e la pipa dentro un piattino, hanno un’evidenza più vivace. Anche al Socrate, come ad altri di questi espositori, piace di dipingere in una luminosità assoluta, quando le ombre hanno una specie di trasparenza indefinibile e molle. Questa insistenza in parecchi di scorgere le cose entro una luce che quasi le supera è importantissima perché fa parte di una ricerca tenace che avrà i suoi risultati nell’avvenire della nostra pittura. Il ragazzo dell’Altalena ha quella morzatura di toni, che sembra un poco ingiustificata; ma ciò gli avviene per una volontà rispettabilissima di ritrovare altri mezzi espressivi, quasi si dovesse ricominciare da capo la pittura. Carlo Socrate, benché abbia conosciuto i migliori decadenti francesi, s'è attenuto con orgoglio alla tradizione italiana e ai suoi primitivi. Egli ha forte

DD?

ANIMA E SCRITTURA

anche l’esperienza del sentimento; ed è molto bella, nella tela Il mio bambino, la dolorosità inconscia del bambino addormen-

tato.

Deiva De Angelis espone un robustissimo Nudo a matita rossa. Mentre Piazza dell'Oca e Case sono dipinti visti in una

violenza di sole, quando tutto sembra immobile, senza ombre, e

con quella calma intensa e assillante dell'estate. Toleta esprime un senso provinciale, di semplicità, con le boccette dei profumi colorati, con la scatola della cipria, con i fiori lasciati in un vaso

di coccio. In Carretti la terra è sbiancata e artefatta dalla forza della luce. Lo scultore Attilio Selva ha il senso decorativo del nudo e del movimento; da cui sembra che voglia rendersi indipendente un senso duro di carnosità. Così la statua dorata Riti ha una mossa facile, sebbene tormentata e quasi triangolare: il nudo è sentito come funzione architettonica e lineare, ma inteso come

spunto musicale; forse più in questa scultura che in qualunque altra di quelle esposte. Il nudo del Selva è sempre tirato a un’espressione volontaria sentita più che vista; con una ten-

denza alquanto estatica ed esteriore. Anche dove c’è un aggomitolamento o una contortsione di melanconia michelangiolesca, resta sempre intatto l'equilibrio dinamico delle membra. Nell’Idolo, sebbene sia riprodotta la rigidità tipica che era indispensabile, c’è tuttavia un segno di vita quasi anatomica. E il ritratto Camilla, dove non è stato possibile applicare il concetto decorativo, ha una naturalezza alquanto monotona

ma nobile e non

cieca. Leonetta Cecchi-Pieraccini ha tre ritratti e un paesaggio, di una sincerità chiara quantunque timida. Ferruccio Ferrazzi, un giovane d’ingegno e d’accortezza più di quel che appare dai suoi diversivi futuristici, tra iquali ancora s'indubbia, espone una Lavandaia che ha la bella legnosità d’un primitivo asciutto e nello stesso tempo capace di psicologia e di vita. Alcuni nudi, sebbene intesi con larghezza di mezzi e di

concezione, restano quasi insoluti nella loro volontà di colore. Alfredo Biagini, lo scultore animalista che non è per ora conosciuto quanto si merita, e non è colpa di lui, espone alcuni

APPENDICE

233

dei suoi gessi. E delicatissimo e duttile, mettendo nei suoi animali una nervosità e una agilità che impressionano come una realtà simpatica e.acuta. Egli sa scegliere tra le attitudini animalesche quelle più caratteristiche e più caino) con un'intuizione istantanea e precisa. Duilio Cambellotti espone alcune cose, che sono in tutto degne del suo nome. | Anche l’architetto Giorgio Marini si fa notare per alcune xilografie. Armando Spadini è il pittore più complesso e anche più completo. Egli espone, finalmente, quasi tutti i suoi lavori; e sono perciò dieci anni della sua pittura, che ci permettono di capire la sua grandezza e la sua indole di misura toscana. A lui si può chiedere una vastità organica, alla quale purtroppo non siamo più avvezzi; perché la sua pittura è una di quelle certezze che hanno la possibilità di soddisfare fino in fondo. Non c’è in tutta questa sua continuità feconda una sola pennellata messa per posa o per capriccio piacevole e bislacco; e né meno per concessione a certi andazzi in voga. E una pittura che ha compattezza di temperamento e di sentimento in ogni eventualità, anche se certi pochi particolari possano essere giudicati meno netti. Non ci sono sbagli dovuti alla moda o a mutazioni psicologiche: è un’arte che cresce quasi con una sua naturalezza geniale e intuitiva, impostata con elementi solidi, verso sempre una più profonda vitalità della grande e inimitabile tradizione toscana; la quale non dev'essere sciupata con le cialtronerie cosmopolite o con le convulsioni e le vistosità regionali. L'enorme equilibrio pittorico di Armando Spadini risulta superbamente in questa Mostra; e non ci sarà nessuno che non riconosca a lui tutti gli elementi più preferibili, ai quali si deve atteggiare la nostra pittura moderna perché resti sopra a tutto italiana. Il suo stile è dei più piani e nello stesso tempo dei più difficili e costruttivi: egli ha vigoria delicata, grazia decisiva e scelta. Le figure non perdono e non cambiano la loro umanità: non ci sono aggiunte e né meno

artificiosità decorative, che certi stranieri hanno tra-

piantato in Italia: non ci sono astrazioni o metafisicherie; e né meno abbigliamenti o trasformazioni idealizzate. Lo Spadini ci costringe a una sensibilità quasi direi affettuosa senza essere

234

ANIMA E SCRITTURA

tenera; a una sensibilità che esclude qualsiasi modulazione

e

anche qualsiasi grettezza. La sua pittura, infatti, non ha bisogno di definizioni accomodative. Guardate la Testa di bambina o una Famiglia che volete tra tutte quelle esposte. Il colore si esplica e s'impone senza scatti e senza le abilità sensuali di molti altri; il colore non è mai né violento né dimesso: è un impasto d’intensità complessa, che non ha bisogno di sforzature. Esso ci dà il senso di una morbidezza sentita, con tutti gli elementi della realtà; ci dà, insomma, un’altra realtà complessa, che risponde a

un dato atteggiamento di pensiero quasi sempre definitivo. Guardate il Pollaio, che conserva tutte le squisite sensazioni

della luce e dei colori naturali. E guardate i tre ritratti femminili, nei quali la somiglianza è un punto di partenza per giungere a una plastica magnifica e non ingombrante. Da una tela intitolata Mosè salvato dalle acque, di fantasia e di bravura secentesca, di una giovanilità già esuberante, lo Spa-

dini non esita a rifarsi di opera in opera; con l’esasperazione di una sincerità più palese che sia possibile; quasi direi con un’onestà, che ha la forza di non preoccuparsi né dei successi né di altre pitture contemporanee; sempre pronta e capace ad esprimere tutte le qualità della pittura italiana intesa nel senso veramente moderno e incontentabile. Lo Spadini non ha mai voluto dipingere niente senza averne prima una convinzione che nessuno oserebbe discutere e che è in lui una seconda natura. E così si spiega com’egli abbia potuto ottenere toni naturali di colore, che fanno dello Spadini un grandissimo artista. Soltanto per mezzo delle sue pitture più recenti, che non sono poche, si riesce a capire perché ci piacciono ancora le migliori pitture del quattrocento fiorentino. Egli è salito all'altezza di quelle non per un deliberato proposito o per una coscienza di scuola e di stile, ma in vece spontaneamente e senza né meno prima rendersene conto; e restandone del tutto indipendente e nuovo. Non è

piccolo merito aver messo la nostra pittura contemporanea nella giustezza di un indirizzo sicuro e di precisi propositi! Perciò lo Spadini resta il punto di riferimento, per farla finita con le parecchie insulse e pericolose tendenze artificiose di certi non pochi pittori; ed è da questo punto di vista un maestro ticonosciuto e incontrastato.

APPENDICE

2535

Molte altre cose si potrebbero pensare e scrivere di lui, ma lo spazio ci costringe a una brevità spiacevole. Diremo soltanto che questa Mostra, anche con le sue ineguaglianze, inizia un ammonimento annuale che non resterà senza tracce; se i pittori dell’Italia da ringiovanire e da lavare’ sapranno accorgersi di certe verità dette e di altre sottintese e omesse.

«A i 017 sett,

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31,

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PI

INDICE DEI NOMI Acri, Francesco, 142 n.

Pe

Agazzari, Filippo degli, 29 e n., 112) 1149retne 120 Agostino di Tagaste, 110,

122-

124 Alberti, Leon Battista, 207 Amiot, A., 55 e n. Anderson, J.S., 129 Anderson, Loredana, 28 n., 56 n., 39,

5

LO

lg t:02t pts 09

L12013.

in: el390),

1 161 n., 163 n. Angiolieri, Cecco, 16 n., 29 n., 30432 elm4:33a21lonì

Annalena, v. Palagi Tozzi Emma

Bandiera, Alessandro, 38 Barbieri, Gino, 214 e n., 215 en. Bargagli, Scipione, 38 Barilli, Bruno, 85 n. Bartolomeo da San Concordio, 12060: Bassi, Domenico, 129

Battaglia(La) di Monteaperti,34en. Baudelaire, Charles, 99, 100 Beccafumi, Domenico, 215 Behr, Sofia, 155 n. Belli, Marco, 12 Bellonci, Goffredo, 85 n. Beltrami, Giovanni, 62 n., 87 n. Benelli, Sem, 65, 223 Benevento, Aurelio, 16 n., 46 n.

Aquarone, Bartolomeo, 24 n. Ardigò, Roberto, 135 Ardy, Lodovico Francesco, 136 Aretino, Pietro, 39 Ariosto, Ludovico, 47 Assagioli, Roberto, 110, 164 Azeglio, Massimo Taparellid’,49n.

Berchet, Giovanni, 49 n. Berenson, Bernard, 208 Bergson, Henri, 110, 137 e n.,,

Balbo, Cesare, 49 n. Baldacci, Luigi, 34 n., 73, 74 n.,

Bernardino da Siena, 40, 119 e n., 120, 191

Benjamin, Walter, 36 Benvenuto da Imola, 24 n.

Béranger, Pierre-Jean de, 102

138-145, 146, 165

80 e n., 81 e n., 82 n.,92 e mt06te noli n allOxn3 130 e n., 136 e n., 183 e n., 186 n., 198 n., 215 e n.

Baldini, Antonio, 85 n. Baldovini, Francesco, 39 Balla, Giacomo, 200 Balzac, Honoré de, 103

Berni, Francesco, 39 Bertoletti, Pasquarosa, 229 Biagini, Alfredo, 231 Bianchi, Antonio, 142 n. Bianco da Siena, 119

Bigongiari, Piero, 68 e n. Bini, Carlo, 54 e n. Bini, Giovan Francesco, 39

238

INDICE

Bione, 13 n. Blanchot, Maurice, 61 Boccaccio, Giovanni, 24, 37 n., 41, 46 e n., 215 Bonaventura da Bagnoregio, 127, 128 n. Bonichi, Bindo, 32, 33

Borgese, Giuseppe Antonio, 23 n., 175, 178-183,

187 n.,

191, 221eesn:;t 225-228

Botticelli, Sandro, 207 Bourget, Paul, 102, 200 Bracciolini, Poggio, 39 Bragaglia, Anton Giulio, 180, 218 Biichner, Luigi, 135 Cambellotti, Duilio, 231 Camerini, Eugenio, 23 n.

Campanella, Tommaso, 47 Cane, Eleonora, 83 n. Cantico dei Cantici, 133 e n. Cantù, Cesare, 49 n.

Cappelli, editore, 139 Carabba, editore, 112 Cardarelli, Vincenzo, 85 n. Carducci, Giosue, 24 n., 28 n., 49, 50, 51 e n.,71 n., 183en. Caretti, Lanfranco, 30 n. Caro, Annibale, 48 Cascella, Basilio, 214 Casini, Tommaso, 31 e n. Casolani, Alessandro, 206

Casti, Giovan Battista, 47 Caterina da Siena, 29 n., 79, 112-115

Catullo, Gaio Valerio, 12, 13 n. Cavalca, Domenico, 118, 121 n. Cavalcanti, Guido, 28 e n. Cavalli Pasini, Annamaria, 80 n. Cavallotti, Felice, 48 Cecchi, Emilio, 85 n., 91 n., 187 Cecchi Pieraccini, Leonetta, 231

DEI NOMI

Cellini, Benvenuto, 47 Cenne dalla Chitarra, 30 Cervesato, Arnaldo, 137 n. Cesari, Antonio, 23 n. Cesarini, Paolo, 12 n., 23 n., 24 n., 26 n., 28 n.,33 n.,34 n., 625 097€n5 40021027 n.104, 40545, 12765, 136 n., 186 e n., 194 n. Charcot, Jean-Martin, 137, 147 Chénier, André, 102 Chiabrera, Gabriello, 47

Chiara d’Assisi, 117 Chiarelli, Luigi, 85 n. Chiesa, Francesco, 25 e n. Chiusano, Italo Alighiero, 126 n. Ciccuto, Marcello, 36 e n. Cicerone, Marco Tullio, 12 Cinelli, Delfino, 90 Cino da Pistoia, 28 e n. Civinini, Guelfo, 90, 192 n. Clasio, Fiacchi, Luigi, detto, 39 Claudel, Paul, 18 Colombini, Giovanni, 112,118en. Compagni, Dino, 34 e n. Compayré, Gabriel, 161 e n. Conti, Angelo, 56, 59, 73, 74 Conti morali di anonimo senese, 29 e n. Contini, Gianfranco, 16 n. Corradini, Enrico, 19 n. Coselschi, Eugenio, 17 n. Cozzani, Ettore, 17, 133, 214 Cremante, Renzo, 30 n., 38 n. Croce, Benedetto, 68, 187 n. Cronica di autore anonimo, 34 n. D'Amico, Silvio, 85 n. D'Annunzio, Gabriele, 13, 18, 23 n., 49, 50, 55-82, 83, 105 n., 1927193y203215, 223

Dante Alighieri,

14-27, 28, 31,

239

INDICE DEI NOMI

335 Ale0

O 3siZiun., 76,

203, 215 Dante da Maiano, 16 Dardi, 142 n. Darwin, Charles, 74, 135 Davanzati, Chiaro, 35 Da Verona, Guido, 65 David, Michel, 164 e n. De Angelis, Deiva, 230 Debenedetti, Giacomo, 34 ni, 66, 82 e n., 136 e n., 199.e n.

De Carolis, Adolfo, 214, 215 Deledda, Grazia, 95 e n. Della Casa, Giovanni, 39 Del Lungo, Isidoro, 24 n. Del Zanna, Lorenzo, 101 n. De Michelis, Eurialo, 70, 71 n., 78 n.

De Sanctis, Francesco, 24 n. Desclé e Lefevre, editori, 102 n. Dolce, Ludovico, 39 Doni, Anton Francesco, 39 Dostoevskij, Fédor Mihajloviè, 91, 96, 103, 104, 105 e n. D’Ovidio, Francesco, 24 n. Drei, Ercole, 211 e n. Dumas, Georges, 161 n., 163 Diirer, Albrecht, 214

Ecclesiaste, 132 Eckart, Johannes, v. Meister Eckhart Ellero, Umberto, 188 Emerson, Ralph Waldo, 110, 135 Engels, Friederich, 99 Eschilo, 13 n. Esposito, Edoardo, 149 n.

Faccini, Arturo, 188 Faitinelli, Pietro de’, 30 Falbo, Italo Carlo, 194 Fanciulli, Giuseppe, 169

Fattori, Giovanni, 215 Ferrari, Paolo, 48 Ferrazzi, Ferruccio, 231

Ferrazzi, Giuseppe Jacopo, 24 n. Ferri, Enrico, 99, 103, 107 Ferrucci, Franco, 23 n. Ficino, Marsilio, 142 n. Fini, Carlo, 22 n. Firenzuola, Angelo, 39, 47 Flaubert, Gustave, 103

Folgore da San Gimignano, 29 n., 30, 32-34 Fontanella, Luigi, 34 n. Forel, Augusto, 163 n. Foresti, Arnaldo, 129

Formiggini,

Angelo

Fortunato,

editore, 30 e n., 31 e n., 37, 38 n., 39 n., 40e n.

Fortini, Pietro, 38, 39, 47 Foscolo, Ugo, 52, 188 Fracassi, Patrizio, 210, 211 Francesco d’Assisi, 101 n., 117, 118 n.

Francia, Francesco Raibolini, detto, 208 Frassica, Pietro, 46 n. Frateili, Arnaldo, 194 e n. Fraticelli, Carlo, 24 n. Frescobaldi, Lambertuccio, 35 Frescobaldi, Matteo, 28 e n. Freud, Sigmund, 137, 148, 155-

165 Frezzi, Federico, 24 n. Fruttero & Lucentini, 178 n. Fucini, Renato, 90 Fursac de, 161 e n.

Galilei, Galileo, 47 Gallo, Carmine, 137 n. Gambino d’Arezzo, 39 Gautier, Théophile, 102 Getrevi, Paolo, 93, 94 n., 101 n.,

240

INDICE

DEI NOMI

114 n., 136:n.; 193 n. Ghigo del Sasso, v. Tozzi Federigo senior Giacosa, Giuseppe, 48, 184 Gielly, Louis, 207, 210 Gigli, Girolamo, 29 n., 34 n. Gioberti, Vincenzo, 49 n. Giolitti, Giovanni, 19 n. Giorgi, Lorenza, 170 e n., 171 n.,

Hall, Stanley, 161 e n., 164 Heckel, Erich, 216

173€n lb! Giovannetti, Eugenio, 85 n.

Ignazio di Loyola, 110, 127

Giovanni, 111

Giovanni da Carpi, 215 Giovanni di Pietro, 205 Giuliotti, Domenico, 9, 15-21, 24, 26 n.,29e n.,30,31n.,, 38 n.,39n.,40en.,49en, 52'e n, 53, 66.e n, 112 n., 113,123 n 6125 n.439 n., 139 e n., 149 n., 170 e n d711729M 75180008 210%n., 21159214

Giuntini Bentivoglio, Deifebo, editore, 29 e n., 31, 119 Goethe, Wolfgang, 97 e n. Goldoni, Carlo, 48 Gonnelli, editore, 149 n. Gor’kij, Maksim, 103, 105 Gorra, Egidio, 24 n. Gourmont, Remy de, 101 Govoni, Corrado, 188 n. Gozzano, Guido, 65, 75 n., 105, 106, 176-178, 191-193

Gravina, Gianvincenzo, 47 Grossi, Tommaso, 49 n. Guarini, Battista, 48

Guglielminetti, Amalia, 65, 176 Guida, Guido, 188 e n. Guidotti, Mario, 92 Guinizzelli, Guido, 28 Guittone del Viva d'Arezzo, 28 e N. 95

Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, 97 n. Héffding, Harold, 109 Hugo, Victor, 102 Huysmans, Joris-Karl, 101, 102

Ibsen, Henrik, 97 e n.

Ilari, Lorenzo, 44 Ilicino, Bernardo, 38 Ioni, Federigo, 211 n. James, Williams, 56, 60, 73, 108,

109% evnyin:10,0436%1537, 138-145, 146, 164 n., 165 Jammes,

Francis,

75 e n., 101,

177-178 Janet, Pierre, 110, 137, 146-154,

155, 164 n., 165 Jankélévitch, S., 161 n. Jeuland-Meynaud, Maryse, 198 n.

Joergensen, Johannes, 170, 207 Joyce, James, 136

101

n.,

Krafft-Ebing, Richard von, 161 e n., 162, 163 e n.

Laforgue, Jules, 100 Lamartine, Alphonse de, 102 Landormy, Paul, 163 Lasca, Anton Francesco Grazzini, detto, 46, 47 Latini, Brunetto, 37 nh. Le Cardonnel, Louis, 207 Lega, Silvestro, 210 Leibniz, Gottfried Wilhelm, 140 e n. Leonardo da Vinci, 79, 207 e n. Leopardi, Giacomo, 49, 51-54,

INDICE

178, 191

Licofrone, 13 n. Lombroso, Cesare, 135, 136 e n. Lorenzetti, Ambrogio, 215 Lorenzo de’ Medici, 47 Léwenfeld, L., 165 Lucrezio Caro, Tito, 12 e n. Luperini, Cafiero, 214 Lusini, Aldo, 211 n. Luti, Giorgio, 15 n., 34 n.,754 e n., 69 n., 77 n., 84 n.,90 e no, 9ltn.,4920), d99.n:

Machiavelli, Niccolò, 47, 99 Maeterlinck, Maurice, 97, 100 n., TOle n.,,1023&138* n.

Mallarmé, Stephane, 99 e n. Mameli, Goffredo, 223 Manacorda, Giuliano, 46 n., 97 n. Mantelli, Emilio, 214

Mantovani, Giuseppe, 136 Manzoni, Alessandro, 48, 49 e n., 94 n., 100

Marchi, Marco, 9, 12 n., 15 n., 22 N.x0./ e.D:, DINE N.;,62 n.,,89 n.,.108, 109 e n., 110, 112, 126 n., 135 n., 137 n., 139 n, dA9Ne n3, ban. 158, 160 e n., 164, 165 e n., 181, 182 n.

Marinetti, Filippo Tommaso, 66, 173-175 Marini, Giorgio, 232

Marradi, Giovanni, 72 n. Martelli, Niccolò, 39 Martelli, Sebastiano, 35, 36 n., 187 e n. Martini, Fausto Maria, 85 n. Martini, Simone, 204 Marx, Karl, 99 Masuccio Salernitano, Tommaso Guardati, detto, 39

DEI NOMI

241

Matteo di Giovanni, 34 n. Mauro, Giovanni, 39 Mazxia, Sandro, 77 e n. Mazzei, Antonio, 29 n. Mazzi, Curzio, 44 Mazzoni, Gino, 12 Meister Eckhart, 128

Meoni, Giuseppe, 85 n. Metastasio, Pietro, 48 Michelangelo Buonarroti, 47, 231

Michetti, Francesco Paolo, 73 e n. Mickiewiez, Adam, 102 Mirbeau, Octave, 98, 200 Misciattelli, Piero, 29 n., 210 Molza, Francesco Maria, 39 Monte Andrea, 35 Moretti, Marino, 65, 191-194

Morgini, editore, 101 e n. Morselli, Ercole Luigi, 85 n. Moscardelli, Nicola, 85 n. Mosco, 13 n. Mosso, Angelo, 135, 136 Murari, Rocco, 28 n. Muratori, Ludovico Antonio, 34 n. Musset, Alfred de, 98 e n.

Nayrac, Jean-Paul, 161 e n. Nelli, Giustiniano, 38 Nietzsche, Friedrich Wilhelm, 56 ein,1/9

Nievo, Ippolito, 100 Nincheri, Guido, 214 n. Nordau, Max, 135, 136 e n. Notari, Guido, 66 Novati, Francesco, 24 n. Novellino, 37 n., 41 Oliva, Franco, 214 Olobardi, Umberto, 72 n. Onofri, Arturo, 187 n. Oppo, Cipriano, 229-230 Orazio, 12 e n.

242

INDICE DEI NOMI

Ovidio Nasone, Publio, 12 e n. Palagi Tozzi, Emma, 22, 24, 26 n., 48,517 610, 869196, 98, 101, 102, 103, 104, 130 n., 135-136, 138-139, 169, 206, 208 Palamidesse, 35 Pampaloni, Geno, 65 n., 105 n. Pancrazi, Pietro, 192 e n. Paolieri, Ferdinando, 21, 66, 67, 90, 133 n., 209 Papini, Giovanni, 30 n., 84 n., (1250

137610797378;

188 e n. Parodi, Ernesto Giacomo, 187 n. Pascal, Blaise, 53 Pascoli, Giovanni, 49, 50 e n., 51 e n., 72 n., 192 Pasolini, Pier Paolo, 94 n. Pasqui, Ferruccio, 29 n., 214 Passano, Giambattista, 38

Passavanti, Jacopo, 119, 121 e n. Passerini, Giuseppe Lando, 21, 25 "n° Pastina, Giorgio, 169 Pater, Walter, 59, 60 e n., 207 Paulbot, 212 Pavolini, Paolo Emilio, 129 Pellico, Silvio, 49 n. Peguy, Charles Pierre, 18 Petrarca, Francesco, 24, 28 e n. Petroni, Franco, 130 n. Pietro di Viviano da Strove, 30 n. Piovano Arlotto, Arlotto Mainardi, detto, 39 Pirandello, Luigi, 191, 193-199 Platone, 142 e n. Plotino, 110 Poe, Edgar Allan, 48, 99, 100, 101

Poliziano, Angelo, 47, 215

Pomponio Porfirione, 12 Pratesi, Mario, 91-93 Pratolini, Vasco, 91 n. Praz, Mario, 60 n. Prezzolini, Giuseppe, 188 e n. Procacci, Giovanni, 90 Properzio, Sesto, 13 n. Pulci, Luigi, 39 Pullini, Giorgio, 89 n.

175-176,

Ramorino, Felice, 12 Ranieri, Anita, 104 Reina, Luigi, 42 n., 182, 183 n.

Ribot,

Théodule, 110, 155-165 Righi, Lorenzo, 170 n. Rimbaud, Arthur, 100 Rodin, Auguste, 208

146

n.,

Rosmini, Antonio, 49 n. Rossetti, Dante Gabriele, 23 e n. Rossi, Aldo, 28 n., 30 n., 33 n., 38 n., 39 n., 44, 45 n.,, 55 en.

88 n., 93 n., 106 e n., 109 n., 138 e n., 176 n.,, 180, 183 e n., 195 n.

Rosso di San Secondo, Pier Maria, 85 n., 183 n., 194 Rostand, Edmond, 98 Rousseau, Jean-Jacques, 99 Roux, Jean, 161 e n. Rozzi, Congrega dei, 31,44, 45 en. Rusconi, Carlo, 98 Ruskin, John, 59 n., 207 Saccenti, Giovanni Santi, 39 Sacchetti, Franco, 37 e n., 40, 41 e n. Saffi, Aurelio, 85 n. Salimbeni, Ventura, 206 Salvatori, Fausto, 65

Sannazaro, Jacopo, 47

INDICE

Sapori, Francesco, 211 Sassetta, Stefano di Giovanni, detto, 34 n., 208

Savarese, Nino, 183 n. Saviozzo, Simone Serdini, detto, 33 Scartazzini, Giovanni Andrea, 2 Schiatta di Albizzo, 35 Schopenauer, Arthur, 110 Segantini, Giovanni, 208-209 Selva, Attilio, 231 Semintendi, 12 n. Sermini, Gentile, 37, 38, 40 e n., 4len.

243

DEI NOMI

Terenzio Afro, Publio, 13 n. Teresa d’Avila, 110, 125-127, 129, 130, 164

Thovez, Enrico, 187 n. Tibullo, Albio, 13 n.

Titta Rossa, Giuseppe, 221 e n. Tolstoj, Lev Nikolaevié, 103 e n., 104

Tommaseo, Niccolò, 24 n., 29 n., 49 n.

Tommaso

da Kempis,

129 e n.,

130

Tommaso

d’Aquino, 26 n., 127,

128 n.

Serra, Renato, 186-188, 192 n., 221 Shakespeare, William, 98 Silvestri, 37 n. Simeoni, Gabriello, 39

Torrini, fratelli, librai, 207, 210 Tozzi, Federigo senior, 157 Tozzi, Glauco, 9, 12 n., 16 n., 31 n., 40 e n., 41 n., 43,46 n.,

Sipala, Paolo Mario, 183

Tremesaygues, A., 109 n. Treves, editore, 62, 181

Socrate, Carlo, 230 Sodoma, Antonio Bazzi, detto, 204 Soffici, Ardengo, 84 n., 188 n. Sofocle, 13 n. Soldateschi, Jole, 91 n. Sozzini, Fausto, 29 n. Sozzini, Girolamo, 38 Spadini, Armando, 85 n., 212, 232-233

Starobinski, Jean, 123 n. Stazio, 12

Taine, Hippolyte, 102 Tasso, Torquato, 23 n., 47, 48 Tassoni, Alessandro, 47 Tavolato, Italo, 175 Tedaldi, Pieraccio, 30 Teilhard de Chardin, Pierre, 117 Tellini, Gino, 42, 43 n., 69 n., 86 1t:3094511: Teocrito, 13 n.

47, 170 n., 181

Tucci, Leonardo, 155 n. Ulivi, Ferruccio, 53 e n., 72 n., 77 n., 84 n., 90 n., 105 n., 115,

116 n. Vanni, Francesco, 206 Vannucci, Atto, 12 n. Varchi, Benedetto, 39 Verga, Giovanni, 49, 63 e n., 68 n., 82-96, 181, 191, 197 Vergani, Orio, 104 e n., 194, 195 n. Vergani, Vera, 195 n. Verlaine, Paul, 100 Verrocchio, Andrea del, 215 Viani, Lorenzo, 212-213 Viasemski, P.N.V., 161 e n., 163 Vico, Giambattista, 47 Villani, Giovanni, 34 e n. Virgilio Marone, Publio, 12-14 Vitelli, Girolamo, 12

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INDICE . PARTE PRIMA

I

Aspetti della formazione letteraria Dantismo di Tozzi Letteratura e progetti editoriali Estetismo e dannunzianesimo da «Paolo» a «Gli egoisti» Altri reagenti di tradizione: Verga e il regionalismo Gli scrittori europei

II

La cultura dell'anima Necessità teorica del divino La lezione dei mistici e della letteratura agiografica «Poena damni»

III Filosofia e scienza nella narrativa tozziana Gli aforismi di «Barche capovolte» tra James e Bergson Dal modello clinico al romanzo: «Adele» Prefreudismo senza Freud?

p.

107 107 112 128

job 138 146 155)

246

INDICE

PARTE SECONDA

I

Cultura come prassi intellettuale: la saggistica L'avventura de «La Torre»

La politica culturale di Tozzi negli anni romani Le arti figurative Appendice Indice dei nomi

(TITTI ||Dì 81

71

FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI MAGGIO 1991 PER CONTO DELLA SESTO F.NO - FIRENZE

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