L'inizio del Vangelo. Gesù Cristo. Vita e insegnamento [1] 8892223003, 9788892223004

Questo volume, esamina il materiale riportato nei capitoli iniziali dei quattro Vangeli: vi si prendono in considerazion

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L'inizio del Vangelo. Gesù Cristo. Vita e insegnamento [1]
 8892223003, 9788892223004

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GESÙ CRISTO VITA E INSEGNAMENTO (!) o

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«L'autore ci offre il frutto di una lun­ ga meditazione, di un accurato approfon­ dimento dei testi evangelici e di una fede semplice e profonda che arriva dritta al nostro cuore». S. E. Card. Angelo Comastri

€ 48,00

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9 788892 223004

Il volume, il primo dei sei che il metropolita

Ilarion

ha

dedicato

a

Gesù Cristo. Vita e insegnamento, si sofferma sui capitoli iniziali dei quat­ tro Vangeli riguardanti i racconti del­ la nascita di Gesù e gli eventi ad essa correlati; il battesimo di Gesù e il suo rapporto con Giovanni Battista; le tentazioni del diavolo nel deserto. V iene poi riservata una particolare attenzione al tema della missione pro­ fetica di Gesù, al rapporto tra Gesù e i suoi discepoli e all'inizio del con­ flitto tra Lui e i suoi oppositori. Nel volume si traccia, infine, il ritratto di Gesù così come esso emerge dai Vangeli, esaminando il suo modo di vivere e i tratti fondamentali del suo carattere. L'esame dei testi evangelici è pre­ ceduto da una breve storia e anali­ si dello stato attuale delle discipline neotestamentarie, e dalla descrizione delle fonti utilizzate in questo e ne1 seguenti volumi della serie. sua passione e morte.

Il metropolita Ilarion di Volokolamsk (al secolo Grigorij Alfeev) è nato a Mo­ sca nel 1966.

È presidente del Diparti­

mento per le relazioni esterne del Pa­ triarcato di Mosca, membro permanente del Santo Sinodo. Dottore di teologia dell'Istituto

Ortodosso

Saint-Serge

di

Parigi, è inoltre compositore di musica sacra e sinfonica.

È autore di numerose

pubblicazioni in russo e in varie lingue occidentali, tra le quali una quarantina di volumi di teologia dogmatica, omileti­ ca, spiritualità, patrologia e traduzioni di patristica dal siriaco e dal greco antico. Presso le Edizioni San Paolo è in corso di pubblicazione la sua opera in più volu­ mi Gesù Cristo. Vita e insegnamento.

http://hilarion.ru

I n copertina: Cristo Pantocratore, Sinai, Monastero di Santa Caterina. © Zev Radovan / Bridgeman Images

Ilarion Alfeev Gesù Cristo Vita e insegnamento

PIANO DELL'OPERA

l. L'inizio del Vangelo 2. Il Discorso della montagna 3. I miracoli di Gesù 4. Le parabole di Gesù 5. L'Agnello di Dio

6. Morte e resurrezione

Ilarion Alfeev Gesù Cristo Vita e insegnamento -l-

L'INIZIO DEL VANGELO

Presentazione di S. E. Card. Angelo Comastri

SAN PAOLO

Titolo originale dell'opera:

Iisus Christos Zizn 'i uéenie (v sesti knigach) Kniga pervaja Naéa/o Evange/ija

Traduzione dal russo di: Giovanna Parravicini Caterina Deli' Asta Zakharova

© EDIZIONI S AN PAOLO s.r.l., 2021 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it

Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) ISBN 978-88-922-2300-4

PRE SENTAZIONE

Napoleone Bonaparte ( 1 769- 1 82 1 ) unanimemente è ritenuto un grandissimo genio. Quando giunse in Europa la notizia della sua morte nella sperduta isola di Sant'Elena, Alessandro Manzoni in tre giorni compose una memorabile ode nella quale scrisse:

Così percossa, attonita La terra al nunzio sta, Muta pensando ali 'ultima Ora del/ 'uom fatale; Né sa quando una simile Orma di piè mortale La sua cruenta polvere A calpestar verrà. La notizia della morte di Napoleone suscitò un'emozione mol­ to forte e lasciò tutti con il fiato sospeso. Alessandro Manzoni si pose una inevitabile domanda: Fu vera gloria? Ai posteri L 'ardua sentenza: nui Chiniam la fronte al Massimo Fattor, che volle in lui Del creator suo spirito Più vasta orma stampar.

Ed era vero: anche nel campo religioso. Infatti, durante gli an­ ni del forzato esilio, Napoleone Bonaparte, conversando con i 7

L'INIZIO DEL VAN GELO

suoi generali anch'essi in esilio, più volte affrontò il tema reli­ gioso. E, in particolare, riguardo a Gesù, in polemica con lo scet­ tico Generale Bertrand, disse : Io conosco gli uomini, e le dico che Gesù non era un uomo. Gli spiriti superficiali vedono una somiglianza tra il Cristo e i fondato­ ri degli imperi, i conquistatori e le divinità delle altre religioni . Que­ sta somiglianza non c ' è : tra il cristianesimo e qualsivoglia altra re­ ligione c'è la distanza dell ' infinito. Una qualunque persona di buon senso, purché abbia almeno un po' di esperienza delle cose del mon­ do e conosca un po' gli uomini, risponderà come rispondo io1 •

E, con convinzione e con passione Napoleone aggiunse: Nella storia, invano, ho cercato qualcuno paragonabile a Gesù, o una realtà qualsivoglia comparabile al Vangelo, senza trovare né l'uno né l' altra: né la natura, né la storia, né gli uomini hanno nien­ te che possa essere posto al livello o sia comparabile a Gesù. Nel Vangelo tutto è straordinario, e in esso tutto è al di fuori e al di so­ pra della mente umana. Neanche gli atei hanno mai osato negare la sublimità del Vangelo, che ispira loro una venerazione obbliga­ ta! Quanta felicità procura il Vangelo nei credenti, e quanta ammi­ razione in tutti coloro che lo leggono e lo meditano ! Tutte le pa­ role vi sono suggellate e concordi come le pietre di una costruzio­ ne. Lo spirito che lega le parole in modo armonioso è un cemento divino che di volta in volta ne svela o ne nasconde il senso; ogni frase ha un senso compiuto, che rimanda alla perfezione, alla pro­ fondità e unità del l ' insieme. È un libro unico, in cui l ' anima rin­ traccia una bellezza introvabile altrove; e in esso viene presentato l' infinito in un modo ancora più sublime di quanto suggerisca la creazione2•

La lettura del volume del metropolita Ilarion di Volokolamsk suscita gli stessi sentimenti. 1 NAP OLE ONE BoNAPARTE , Conversazioni sul cristianesimo. Ragionare nella fede, Bologna, ESD 20 1 3 , p. 22. 2 lbid., p. 29.

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PRESENTAZIONE

Nella prefazione, il metropolita Ilarion scrive: La storia evangelica di Gesù Cristo è paragonabile a una colle­ zione di tesori di duemila anni fa, chiusi in una cassaforte con due serrature. Per arrivare a questi tesori è necessario innanzitutto apri­ re la cassaforte, e per aprirla servono due chiavi. Una chiave è la fe­ de nel fatto che Gesù è stato un uomo reale, con tutte le caratteristi­ che di un uomo fatto di carne e di sangue. È però necessaria anche la seconda chiave, cioè la fede nel fatto che Gesù è il Dio incarnato. Senza questa chiave la cassaforte non si apre e i tesori non possono brillare del loro originario splendore : l 'immagine evangelica di Ge­ sù non si presenta al lettore in tutta la sua magnificenza. Nella nostra ricerca utilizzeremo entrambe le chiavi. Insieme al lettore riporteremo alla luce e osserveremo uno per uno tutti i teso­ ri conservati nella cassaforte3•

Leggendo le pagine di questo libro è immediata la percezio­ ne che l 'autore ci offre il frutto di una lunga meditazione, di un accurato approfondimento dei testi evangelici e di una fede sem­ plice e profonda che arriva dritta al nostro cuore, lo commuove, lo coinvolge, lo convince. Mi sembra che le pagine vibranti uscite dal cuore di Ilarion siano in perfetta sintonia con quanto scrisse Benedetto XVI nell ' introduzione del suo libro Gesù di Nazaret. Ecco le parole di Benedetto XVI: Al libro su Gesù, di cui ora presento al pubblico la prima parte, sono giunto dopo un lungo cammino interiore. Al tempo della mia giovinezza - negli anni Trenta e Quaranta - vennero pubblicati una serie di libri entusiasmanti su Gesù. Ricordo solo il nome di alcuni autori: Karl Adam, Romano Guardini, Franz Michel Willam, Gio­ vanni Papini, Jean Daniel-Rops. In tutte queste opere l 'immagine di Gesù Cristo veniva delineata a partire dai Vangeli : come Egli visse sulla terra e come, pur essendo interamente uomo, portò nello stes­ so tempo agli uomini Dio, con il quale, in quanto Figlio, era una co3 ILARION (ALFEEv), Gesù Cristo. Vìta e insegnamento, vol. 1: L 'inizio del Vangelo, p. 1 7.

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L' INIZIO DEL VANGELO

sa sola. Così, attraverso l'uomo Gesù, divenne visibile Dio e a par­ tire da Dio si poté vedere l' immagine dell'autentico uomo4•

Ma la mia sorpresa è arrivata fino alle lacrime (credetemi: è accaduto così ! ) quando ho letto la meravigliosa conclusione del libro. Il metropolita scrive: Nel 1 97 1 il celebre predicatore americano Billy Graham pubbli­ cò un libro intitolato La generazione di Gesù, in cui riportava nu­ merosi esempi che mostravano il rinnovato interesse dei suoi con­ temporanei per la persona e l ' insegnamento di Gesù Cristo. Nello stesso anno, parlando davanti a migliaia di ascoltatori a Chicago, il predicatore rifletteva a voce alta sul fenomeno a cui ave­ va dedicato il proprio libro. Era appena uscito il musical Godspe/1, basato sulle parabole evangeliche: andava in scena nei teatri di tut­ ta l'America, e migliaia di persone parlavano di Gesù Cristo. Un an­ no prima due inglesi, il compositore Andrew Lloyd Webber e il poe­ ta Tim Rice, avevano scritto l' opera rock Jesus Christ Superstar, che divenne rapidamente popolare. Con la passione che gli è carat­ teristica, Billy Graham esclamava: « . . . Non possiamo fare a meno di Gesù ! Non ho mai sentito parlare di un'opera musicale o teatrale su Buddha, Maometto o Gandhi. Ma per Gesù la nostra generazio­ ne è impazzita. I giovani parlano di Gesù. Se ne parla nelle univer­ sità, nelle scuole, dappertutto. I giovani discutono su Gesù Cristo e chiedono: ma chi è?>>5•

Il metropolita risponde a questa ricorrente domanda. E, con accenti vibranti, afferma: In Occidente molti definiscono la nostra epoca come «postcri­ stiana». Si parla della decadenza della civiltà cristiana, della dimi­ nuzione del numero dei credenti, del crollo del numero di vocazio­ ni sacerdotali e religiose, della chiusura di chiese e monasteri. Per convincersi che non viviamo affatto in un 'epoca postcristia-

4 J. RATZINGER, Gesù di Nazaret, p. 7 . 5 ILARION (ALFEEV) , Gesù Cristo. Vita e insegnamento, vol. 1 : L 'inizio del Vangelo, p. 479.

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PRES ENTAZIONE

na basta visitare uno dei paesi ortodossi in cui prosegue la vasta ri­ nascita della vita religiosa iniziata oltre trent'anni fa. Nella sola Chiesa ortodossa russa in quest'arco di tempo sono state costruite o ricostruite dalle macerie oltre 25 .000 chiese : questo significa che sono state aperte un migliaio di chiese ali' anno, ovvero tre chiese al giorno. Sono stati aperti o riportati in vita oltre ottocento monaste­ ri, che si sono riempiti di monaci e monache, prevalentemente gio­ vani. Dopo un intervallo di settant'anni, sono stati istituiti o ripristi­ nati oltre cinquanta tra seminari e scuole religiose; sono apparsi isti­ tuti e università teologiche; nelle università laiche sono state aperte facoltà e cattedre di teologia6 .

Sono dati davvero impressionanti. E continua: La forza del cristianesimo deriva dal fatto che, dopo essere un giorno venuto sulla terra, Cristo non l 'ha mai lasciata: corporalmen­ te è asceso al cielo, al Padre, ma nello spirito è rimasto con i suoi seguaci sulla terra. La Chiesa da Lui fondata continua ad essere il luogo della sua presenza vivente, e milioni di uomini ne hanno fat­ to esperienza7•

Ne deriva una ovvia conclusione, anzi un impegno non nn­ viabile. Oggi è particolarmente urgente aiutare i nostri contem­ poranei a percepire la presenza di Gesù. Dove? Nella vita di cri­ stiani che profumano veramente di Gesù. Se non accadrà questo, si moltiplicheranno gemiti disperati come quello di Pier Paolo Pasolini (morto tragicamente il 2 no­ vembre 1 975), che arrivò a scrivere: Mi manca sempre qualcosa, c'è un vuoto in ogni mio intuire. Ed è volgare, questo non essere completo, è volgare. Mai fui così vol­ gare come in questa ansia, in questo «non avere Crist0>)8•

Testuali e drammatiche parole. 6 Ibid, pp. 48 1 -482. 7 lbid, p. 483. 8 P.P. PASOLINI, L 'alba meridionale, in Le poesie, Milano, Garzanti 1 975, p. 505.

Il

L' INIZIO DEL VANGELO

Il caro metropolita di Volokolamsk, con questa opera colos­ sale su Gesù, aiuterà certamente tante persone a riscoprire Ge­ sù, evitando di arrivare all 'amara conclusione di Pier Paolo Pa­ solini. Mi permetto di abbracciarlo a nome di tutti e di dirgli: Grazie! � Angelo card. Comastri Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano

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PREFAZIONE

Gesù Cristo. Non esiste nella storia un uomo di cui si sia scritto tanto. La bibliografia su di Lui comprende i Vangeli, le lettere degli apo­ stoli, le opere dei padri della Chiesa, i testi liturgici della Chiesa d' Oriente e d'Occidente, innumerevoli trattati cristologici di va­ rie epoche, opere di teologi ortodossi, cattolici e protestanti, le riflessioni sul «Gesù storico» degli autori dell'epoca moderna, opere letterarie e scientifiche. Questa bibliografia è composta da centinaia di migliaia di volumi, milioni di pagine, impossibili da leggere non solo a una persona singola, ma anche a un intero centro di ricerche scientifiche. A duemila anni dalla venuta nel mondo di Gesù Cristo percepiamo la forza profetica delle paro­ le che concludono il corpus dei Vangeli: «Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere» (Gv 2 1 ,25). Non esiste nella storia altro uomo al quale siano dedicate tan­ te opere d'arte. Il volto di Gesù e singoli episodi della sua vita sono fissati per noi in numerosissime immagini, a cominciare dagli affreschi delle catacombe romane del Il-IV secolo, dai mo­ saici di Ravenna del V-VI secolo, dalle innumerevoli icone bi­ zantine e russe, dai dipinti e dalle statue medievali, dalle opere degli artisti dell'epoca del Rinascimento, fino alle opere realiz­ zate in epoca moderna e che si continuano a realizzare ai giorni nostri. 13

L' INIZIO DEL VANGELO

A Gesù Cristo sono dedicate opere musicali, a cominciare dal­ la musica liturgica dei primi secoli, dalle cantate e grandiose «passioni» di Bach, fino alla rock-opera Jesus Christ Superstar e alle composizioni dei musicisti contemporanei che operano nei generi sia classici che popolari. Nel vasto elenco di opere artistiche dedicate a Gesù vanno in­ clusi gli adattamenti cinematografici della sua vita e di singoli suoi episodi realizzati nel XX secolo, come pure un' immensa quantità di documentari sulla storia di Gesù e dei suoi discepo­ li, sui luoghi dove trascorse la sua vita terrena, sui vari aspetti della sua missione e insegnamento, sulla nascita e sviluppo del­ la Chiesa da Lui fondata. Di nessun uomo si è parlato tanto, quanto si è parlato e si par­ la tuttora di Gesù Cristo. Nei primi decenni successivi alla mor­ te e resurrezione di Gesù le informazioni su di Lui si diffusero perlopiù oralmente e solo a un certo punto della sua evoluzione la Chiesa cominciò a fissare per iscritto la tradizione orale. Ma anche dopo che furono scritti i Vangeli, la liturgia cristiana con­ tinuò ad essere immancabilmente accompagnata dalla predica­ zione orale di un vescovo o di un sacerdote. E questo stato di co­ se prosegue da quasi duemila anni. Anche oggi, in centinaia di migliaia di chiese cristiane, praticamente in ogni parte del mon­ do, durante la liturgia echeggia la predicazione su Gesù, e ogni volta sacerdoti ortodossi o cattolici, pastori protestanti o battisti si provano a dire qualcosa su quest'Uomo. Nessun'altra figura nella storia umana è diventata oggetto di tante ricerche scientifiche. Alla riflessione sul fenomeno Gesù Cristo è dedicata un' intera branca della disciplina teologica cri­ stiana: la cristologia. Dalle loro cattedre universitarie migliaia di professori discutono su Gesù, sui tratti della sua personalità e sugli aspetti del suo insegnamento, sugli episodi della sua vita, e centinaia di migliaia di studenti scrivono tesi e dottorati su que­ ste tematiche. In molti paesi la vita e l ' insegnamento di Gesù vengono studiati nell'ambito delle materie scolastiche, e milio­ ni di bambini ascoltano gli insegnanti raccontar loro la storia di Gesù di Nazaret. 14

PREFAZIONE

Finora si è scritto e parlato così tanto di Gesù, che sembrereb­ be non ci sia ormai più niente da aggiungere. Tuttavia, a ogni nuova epoca, si rinnovano i tentativi di approfondire la sua per­ sona, e a questa sua persona, generazione dopo generazione, si volgono sacerdoti, teologi, scrittori, poeti, artisti, compositori - per non parlare dei milioni di uomini semplici, credenti e non credenti -, ciascuno dei quali cerca di trovare il proprio Gesù e la propria risposta alla domanda: chi è Costui? La collana intitolata Gesù Cristo. Vita e insegnamento, qui proposta all'attenzione del lettore, non è una vita di Gesù, una sua biografia nel senso abituale del termine. Molti fatti della sua vita ci sono ignoti e non vi è modo di colmare le notevoli lacu­ ne esistenti. Basti dire che, ad eccezione di un episodio (Le 2,4 1 52), non sappiamo nulla della sua infanzia e giovinezza: non sap­ piamo che cosa abbia fatto fino all'età di trent'anni . Tuttavia, la collana ha un carattere biografico, perché il suo tema principale è la storia umana di Gesù. Tra gli scopi che que­ sta collana si prefigge non vi è quello di esporre la cristologia ortodossa, cioè la dottrina su Gesù in quanto Dio e Uomo, insie­ me alla descrizione delle diverse eresie e della loro confutazio­ ne da parte della Chiesa. Ne abbiamo parlato nel volume La Chie­ sa ortodossa. Dottrina 1 , dove alla cristologia è dedicata un' am­ pia sezione. In questa sede ci siamo proposti un altro scopo, quel­ lo di ripristinare la figura viva di Gesù sulla base delle fonti esi­ stenti, e di presentare il suo insegnamento così come si riflette nei Vangeli. Si presterà particolare attenzione ai tratti del suo carattere e alla sua concezione del mondo, alle peculiarità del suo modo di trattare le persone. D' altro canto, Gesù non era una persona qua­ lunque : era il Dio incarnato. E tutti i particolari della sua storia umana sono direttamente collegati alla Rivelazione donata da Dio agli uomini attraverso di Lui, il Figlio Unigenito. Dai suoi lineamenti umani traspaiono i lineamenti del volto di Dio; la sua parola umana è parola divina rivolta agli uomini. È proprio que1 ILARION (ALFEEV), La Chiesa ortodossa, vol. 2: Dottrina, pp. 265-397.

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L'IN I ZIO DEL VANGELO

sto a conferire alla sua persona e al suo insegnamento un signi­ ficato tutto particolare, eccezionale. La nostra fonte principale sono i quattro Vangeli canonici, il cui materiale viene esaminato con il supporto di un vasto nume­ ro di fonti complementari, tra cui l'Antico Testamento, le opere degli storici antichi, i commenti al Vangelo dei padri della Chie­ sa, la bibliografia scientifica moderna. Lo studio critico-scientifico del Nuovo Testamento esiste da oltre due secoli, e in questo periodo è andata accumulandosi una gigantesca quantità di materiale. Tuttavia la massa realmente il­ limitata di informazioni esistenti richiede un approccio di tipo critico. Fra questo ingente patrimonio di studi sul Nuovo Testa­ mento è necessario selezionare quanto contribuisce a una mi­ gliore comprensione del testo, escludendo al tempo stesso ipo­ tesi e congetture che creino ulteriori, inutili complicazioni nel suo studio. Questa collana di libri su Gesù non è destinata tanto ai cristia­ ni ortodossi, già saldamente radicati nella tradizione della Chie­ sa, quanto a chi non crede, oppure dubita ed esita. Innanzitutto, può fornire alcune risposte a chi ritiene che Gesù non sia mai esistito. In secondo luogo, si rivolge a chi, pur riconoscendo l'esi­ stenza storica di Gesù, non crede sia Dio. In terzo luogo, è de­ stinata a chi, forse, si ritiene cristiano, ma è scettico nei confron­ ti dei racconti dei Vangeli o li recepisce attraverso il prisma del­ la critica alla quale sono stati sottoposti nelle opere degli specia­ listi occidentali del Nuovo Testamento nel XIX e XX secolo. Non abbiamo l'intenzione di analizzare sistematicamente le concezioni di questi studiosi, anche se le prenderemo in esame per accoglierle o controbatterie di volta in volta. Il nostro scopo principale sarà quello di separare il grano dalla zizzania, l'ana­ lisi coscienziosa dei testi da speculazioni e congetture frutto di presupposti ideologici. Il titolo generale della collana rimanda al suo protagonista, Gesù Cristo. Nelle narrazioni evangeliche e nelle altre fonti uti­ lizzate nella nostra ricerca cercheremo prima di tutto ciò che ri­ guarda la sua personalità, il suo carattere, la sua biografia, il suo 16

PREFAZIONE

insegnamento. Prenderemo in considerazione gli altri personag­ gi della storia evangelica solo nella misura necessaria per ripri­ stinare la figura di Gesù. In ultima analisi, vorremmo rispondere alla domanda fonda­ mentale : che cosa ha portato Gesù agli uomini, e perché è neces­ sario ali 'uomo contemporaneo? Sono passati duemila anni da quando Egli è vissuto e ha insegnato: perché la sua figura e la sua predicazione continuano a restare attuali? Che cosa può of­ frire Gesù a noi che viviamo nel XXI secolo, con tutte le diffi­ coltà, le sfide, i problemi e le tragedie del nostro tempo? Dal punto di vista dell' interpretazione, la storia evangelica di Gesù Cristo è paragonabile a una collezione di tesori di due­ mila anni fa, chiusi in una cassaforte con due serrature. Per ar­ rivare a questi tesori è necessario innanzitutto aprire la cassa­ forte, e per aprirla servono due chiavi. Una chiave è la fede nel fatto che Gesù è stato un uomo reale, con tutte le caratteristi­ che di un uomo fatto di carne e di sangue. È però necessaria anche la seconda chiave, cioè la fede nel fatto che Gesù è il Dio incarnato . Senza questa chiave la cassaforte non si apre e i te­ sori non possono brillare del loro originario splendore: l ' im­ magine evangelica di Gesù non si presenta al lettore in tutta la sua magnificenza. Nella nostra ricerca utilizzeremo entrambe le chiavi. Insieme al lettore riporteremo alla luce e osserveremo uno per uno tutti i tesori conservati nella cassaforte. Il lettore ortodosso forse si stupirà vedendo che in questo e negli altri volumi della collana noi chiameremo il nostro prota­ gonista con il nome datogli alla nascita, senza sostituirlo con gli epiteti più abituali nella tradizione della Chiesa: Signore, Salva­ tore, Figlio di Dio. È un'operazione che facciamo consapevol­ mente, per diverse ragioni. Innanzitutto, «Gesù» è il nome con cui lo chiamano tutti e quattro gli evangelisti. In secondo luogo, i nostri volumi non si rivolgono solo a quanti di default consi­ derano Gesù il Signore, il Salvatore e il Figlio di Dio: per noi è importante dimostrare al lettore che Gesù è proprio Colui che la Chiesa ritiene che sia. In terzo luogo, come abbiamo già detto, 17

L' INIZIO DEL VANGELO

ci interessa prima di tutto la storia umana del Figlio di Dio, la sua biografia terrena, che comincia dalla sua nascita e dall'im­ posizione del nome di Gesù (Mt l ,25). In uno degli episodi conclusivi di questa storia, nel racconto del Vangelo di Giovanni, l'apostolo Tommaso, assente durante la prima apparizione di Gesù risorto, si rifiuta di credere alla sua resurrezione. Otto giorni dopo Gesù appare nuovamente al grup­ po di apostoli; questa volta Tommaso è tra loro. Gesù gli mostra le ferite sul suo corpo e dice: «Non essere incredulo, ma creden­ te» (Gv 20,27). Tommaso esclama: «Mio Signore e mio Dio ! » (Gv 20,28). Gesù diventa Signore e Dio per coloro che da increduli diven­ tano credenti. Il nostro ardente desiderio è che chiunque legga il Vangelo possa chiudere il libro pronunciando le stesse parole di Tommaso. A questo scopo è finalizzato il viaggio attraverso le pagine del testo evangelico che cominciamo ora. Questo volume, il primo dei sei che compongono la collana, esamina il materiale riportato nei capitoli iniziali dei quattro Van­ geli: vi si prendono in considerazione i racconti della nascita di Gesù e degli eventi ad essa correlati; il battesimo di Gesù e il suo rapporto con Giovanni Battista; le tentazioni del diavolo nel deserto. Singoli capitoli tematici sono dedicati alla missione pro­ fetica di Gesù, al rapporto tra Gesù e i suoi discepoli, all 'inizio del conflitto tra Lui e i suoi oppositori. Nel volume si tenta an­ che di tracciare il ritratto di Gesù come emerge dai Vangeli, di esaminare il suo modo di vivere e i tratti fondamentali del suo carattere. In questo libro, l 'esame dei testi evangelici è preceduto da una breve storia e analisi dello stato attuale della disciplina neotesta­ mentaria, e anche dalla descrizione delle fonti utilizzate in que­ sto e nei seguenti volumi della collana. Il secondo volume della collana sarà dedicato al Discorso del­ la montagna (Mt 5-7). Il terzo e il quarto saranno dedicati, ri­ spettivamente, ai miracoli e alle parabole di Gesù. Nel quinto si prenderanno in esame i soggetti del Vangelo di Giovanni, che non hanno paralleli nei Vangeli sinottici. Il sesto prenderà in con18

PREFAZIONE

siderazione il racconto degli ultimi giorni della vita terrena di Gesù, la sua passione, morte e resurrezione. Proprio alla luce di queste narrazioni, che costituiscono il punto culminante di tutti e quattro i Vangeli, emerge appieno il significato della persona e dell' operato di Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell'Uomo.

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Capitolo l ALLA RICERCA DEL «GE S Ù STORICO»

Nel corso dei secoli gli uomini hanno tentato di scandagliare l 'enigma di Gesù. Nessun'altra figura storica ha attirato su di sé tanta attenzione, così come nessun'altra ha suscitato tante acce­ se discussioni e opinioni contrastanti, tanto amore e odio allo stesso tempo. Queste discussioni iniziarono già durante la sua vita e trova­ no un chiaro riflesso sulle pagine dei Vangeli. Dopo la sua mor­ te le discussioni non si spensero, e proseguono tutt'oggi. Le per­ sone si dividono radicalmente rispetto a Gesù, al giudizio sul suo operato e sulla sua influenza, alla concezione di chi Egli fosse e che cosa insegnasse. Da quasi venti secoli l'amore ardente per Gesù coesiste con l'odio furioso nei suoi confronti. Migliaia, milioni di uomini han­ no subito terribili sofferenze e la morte solo perché credevano in Gesù, Dio e Salvatore. A tutt' oggi continuano le persecuzioni contro i suoi seguaci. C ' è chi per l ' amore a Gesù è pronto a perdere la propria casa, famiglia, salute, la vita stessa; altri per l ' odio verso Gesù sono pronti a macchiarsi dei peggiori crimini, addirittura a far strage dei cristiani. «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; so­ no venuto a portare non pace, ma spada» (Mt l 0,34). Queste stra­ ne parole dell'Uomo che insegnava la mitezza e l'umiltà, la non resistenza al male e l'amore ai nemici, ci ricordano di continuo il carattere antinomico del cristianesimo, che sembra quasi crea­ to per un altro pianeta, per un altro mondo. Eppure, il cristianesimo storico si è sviluppato proprio qui. E 21

GLI INIZI DEL VANGELO

proprio nella nostra terra, proprio al cuore del nostro consorzio umano è apparso l 'Uomo che doveva diventare «segno di con­ traddizione» (Le 2,34) per tutti i secoli a venire. Anche oggi c'è chi crede in Lui come Dio incarnato; c'è chi lo riconosce solo come profeta, maestro di moralità; c'è chi odia a morte Lui e i suoi seguaci; e c'è anche chi ne confuta la storicità. Al mondo c'è, infine, un certo numero di persone che non sa quasi nulla di Gesù: sono gli abitanti di regioni vaste e densamente popolate, non ancora pienamente raggiunte dall'annuncio cristiano. In questo capitolo ci soffermeremo inizialmente sulla doman­ da se Gesù sia stato realmente una figura storica. Quindi parle­ remo dell'autorità dei testimoni, sulle cui deposizioni si basano le notizie di cui siamo in possesso, riguardo a Lui e al suo inse­ gnamento. Successivamente, addurremo le prove della sua divi­ nità, raccolte e sistematizzate dalla tradizione ecclesiale. Con­ cluderà il capitolo una breve panoramica delle ricerche del «Ge­ sù storicm;, intraprese dagli studiosi negli ultimi due secoli.

l. Gesù è davvero esistito?

La risposta alla domanda se Gesù sia veramente esistito e non si tratti invece di un personaggio letterario può non sembrare co­ sì evidente, soprattutto alle persone più anziane, che ancora ri­ cordano le sfrenate campagne di ateismo succedutesi per set­ tant'anni nel nostro paese. Uno dei punti-chiave di queste cam­ pagne ideologiche era la demolizione del «mitm; di Gesù, il ten­ tativo di dimostrare che quell'Uomo non era mai esistito, ma era semplicemente frutto di un' invenzione. Un' analoga campagna venne dispiegata negli anni '20- ' 3 0 nella Germania nazista. Tra i suoi fautori c ' era Arthur Drews, autore di un libro che fece molto scalpore all'epoca, Il mito di Cristo, dove si sosteneva che Gesù non era mai esistito e che i racconti dei Vangeli erano semplici rimaneggiamenti di antichi miti egizi e greci su Osiride, Adone e altri dei ed eroi morti e poi risorti. Gli ideologi del terzo Reich ricorsero ai servigi di Drews 22

l. ALLA RICERCA DEL «GESÙ STORICO»

con l'obiettivo di creare la nuova «religione ariana», basata sul­ la fede dell'uomo in se stesso. In Unione Sovietica i libri di Drews venivano tradotti e pubblicati negli anni '20, ma le sue idee vissero ben più a lungo: su di esse vennero educate più ge­ nerazioni di combattenti contro la religione. Queste idee si riflettono nel famoso romanzo di Michail Bul­ gakov Il maestro e Margherita. L' azione nel romanzo comincia nella Mosca della fine degli anni '20. Due letterati atei, lvan Bezdomnyj e Michail Berlioz, poeta e redattore, discorrono in un' afosa giornata estiva. Al primo è stato commissionato un grande poema antireligioso su Gesù Cristo: Ed ecco che il redattore stava tenendo al poeta una specie di con­ ferenza su Gesù, allo scopo di mettere in rilievo il principale errore del poeta. È difficile dire che cosa precisamente avesse sviato Ivan Nikolaevic, se la potenza figurativa del suo ingegno o l ' ignoranza totale del problema trattato; fatto sta, insomma, che il suo era un Gesù del tutto vivo, un Gesù che un tempo era esistito, anche se, a dire il vero, era un Gesù fornito di tutta una serie di attributi nega­ tivi. Berlioz invece voleva dimostrare al poeta che l' importante non era che tipo fosse Gesù, buono o cattivo, ma il fatto che Gesù stes­ so, in quanto persona, non era mai esistito e che tutti i racconti su di lui erano pure invenzioni, un banalissimo mito. Occorre notare che il redattore era un uomo di vaste letture e nel suo discorso si rifaceva con grande perizia agli storici antichi, al ce­ lebre Filone d'Alessandria, per esempio, e a Giuseppe Flavio, uo­ mo di brillante cultura, i quali non avevano mai fatto il minimo ac­ cenno ali' esistenza di Gesù. Dando prova di una robusta erudizio­ ne, Michail Aleksandrovic spiegò tra l' altro al poeta come quel pas­ so del libro decimoquinto, nel capitolo 44 dei celebri Annali di Ta­ cito, dove si parla della morte di Gesù, non fosse altro che un' inter­ polazione apocrifa molto posteriore. Il poeta, per il quale tutto ciò che gli veniva raccontato dal redat­ tore era una novità assoluta, ascoltava Michail Aleksandrovic con attenzione, fissandolo con i suoi vivaci occhi verdi . . . «Non esiste una sola religione orientale - diceva Berlioz - i n cui, di regola, una vergine immacolata non metta al mondo un dio. E i cristiani, senza inventare nulla di nuovo, hanno creato così il loro 23

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Gesù, che in realtà non è mai stato tra i vivi. È questo il punto sul quale devi maggiormente insistere »1 • . . .

Si sa che, mentre lavorava al romanzo, Bulgakov teneva dei quaderni sui quali ricopiava dei brani, in particolare, dalla Vi­ ta di Gesù di Emest Renan e dall'omonima opera di David Frie­ drich Strauss, come pure dal Mito di Cristo di Drews2• Le po­ sizioni dei teorici della scuola mitologica trovarono ampia eco nel romanzo di Bulgakov, come testimonia la citazione ripor­ tata. La teoria mitologica sull'origine del cristianesimo, a suo tem­ po usata a fini ideologici, morì insieme alle ideologie che era de­ stinata a sostenere. Ancor oggi, tuttavia, esistono degli autori che negano ostina­ tamente la storicità di Gesù. E come argomento fondamentale si continua a addurre la presunta assenza di prove dell'esistenza di Gesù. Mi limiterò a una citazione, divenuta molto famosa, trat­ ta dal libro dell' americano R. Price, ex pastore battista, oggi te­ ologo ateo : «Potrebbe anche darsi che sia esistito un qualche Ge­ sù storico, ma non lo sapremo mai, a meno che qualcuno non trovi il suo diario o il suo scheletro»3 • Ma chiediamoci: ci sono giunti i diari autografi di Omero, Pla­ tone, Aristotele, Alessandro Magno e di molti altri personaggi storici, dei quali siamo a conoscenza grazie alle opere letterarie, e la cui esistenza non viene messa in dubbio da nessuno? Si so­ no forse conservati i resti di questi personaggi o anche solo qual­ che oggetto loro appartenuto? Perché dunque nei confronti di Gesù dobbiamo avere queste pretese? Chi cerca le prove dell'esi­ stenza reale di Gesù su questo piano, non avrà mai la possibilità di trovarle. È impossibile rinvenire le spoglie mortali di Gesù,

1 M. BULGAKOV, Il maestro e Margherita, pp. 363-364. L. JANOVSKAJA, Tvorceskij put ' Michaila Bulgakova (Il metodo creativo di Michail Bulgakov), pp. 249-250. 3 R.M. PRICE, The Incredible Shrinking Son ofMan, p. 35 1 ( ��There might have been an historical Jesus, but unless someone discovers bis diary or bis skeleton, we'll never know»). 2

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perché Egli è risorto, come pure un diario, perché, a quanto ne sappiamo, non ha lasciato nessuno scritto autografo. E qui, ancora una volta, ci scontriamo con il paradosso del cristianesimo. Non parleremo ora della resurrezione di Gesù, evento che si svolse senza testimoni diretti, e del quale dubita­ rono anche i suoi discepoli più stretti (Mt 28, 1 7). Ma perché Ge­ sù non avrebbe potuto lasciare un documento scritto, a confer­ ma che fosse realmente esistito? Negli anni della sua permanen­ za fra gli uomini non avrebbe potuto trovare qualche giorno, o almeno qualche ora per lasciare uno scritto ai posteri come pro­ va materiale della sua permanenza su questa terra? Possiamo so­ lo immaginare con quanta straordinaria venerazione i suoi se­ guaci avrebbero custodito un frammento di papiro sul quale Egli avesse tracciato di suo pugno anche solo qualche lettera. Invece, non ha lasciato neppure un frammento di testo. Per­ ché non ne ebbe la possibilità o non volle? Evidentemente non volle, dal momento che usò un unico metodo di comunicazione, la predicazione orale. Evidentemente, decise di affidare la co­ municazione della propria predicazione ai discepoli, che aveva scelto all 'inizio della sua missione. Proprio ad essi rivolse i suoi discorsi più importanti, quelli che non voleva che la folla sentis­ se; proprio ad essi parlava in modo diretto, mentre con gli altri parlava in parabole (Mc 4, 1 1 ; Le 8, l 0). I discepoli di Gesù ci hanno trasmesso sia quello che avevano udito da Lui, quando erano soli, sia gli insegnamenti e le parabole che Egli rivolgeva alle folle. La predicazione orale si accompagna a rischi inevitabili: le parole del predicatore possono essere dimenticate in fretta, op­ pure riportate in modo scorretto o erroneamente interpretate4• Gesù riuscì a evitare questi rischi? Con quanta fedeltà i suoi di­ scepoli ci hanno trasmesso quello che gli sentivano dire? E quan­ to corrispondono a verità i racconti del suo agire? Se parliamo delle dimostrazioni della storicità di Gesù, la pri­ ma prova oggettiva sono comunque le fonti scritte, sia pur ap4 W.H. KELBER, The Ora! and the Written Gospel, p. 1 9 .

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partenenti non a Gesù stesso ma ai suoi discepoli più vicini. In­ dubbiamente, non ci è giunto alcun autografo, né suo né dei suoi discepoli, autori dei Vangeli. Ma perfino nei casi in cui appare evidente che l ' autore del Vangelo ha scritto di persona il testo (come, ad esempio, nel caso del Vangelo di Luca, che comincia con un appello al lettore), la probabilità che un documento au­ tografo possa conservarsi per così tanto tempo è praticamente nulla. È molto probabile che, almeno alcuni degli apostoli, non scri­ vessero personalmente su un papiro, ma dettassero il testo ai pro­ pri discepoli. Ad esempio, Pietro conclude la sua prima lettera con le parole: «Vi ho scritto brevemente per mezzo di Silvano, che io ritengo fratello fedele» ( I Pt 5 , 1 2). Evidentemente, Silva­ no stava scrivendo la lettera sotto dettatura di Pietro. «Molti au­ tori del mondo antico non scrivevano di mano propria: la scrit­ tura a quei tempi era un 'arte difficile, e molti la lasciavano ai professionisti», osserva uno studioso, indicando nel contempo che, anche in presenza di un segretario, l 'autore non cessava di essere autore e di considerarsi tale5• La tradizione della Chiesa ha fissato questo modo di compor­ re un testo nell' icona dell 'evangelista Giovanni, dove l'aposto­ lo è raffigurato con il suo discepolo Procoro, al quale detta il te­ sto dell 'Apocalisse. In realtà, Giovanni è uno degli autori neotestamentari che con ogni probabilità scrissero di proprio pugno i testi. Lo testimo­ niano, in particolare, i finali di due sue epistole: «Molte cose avrei da scrivervi, ma non ho voluto farlo con carta e inchiostro; spero tuttavia di venire da voi e di poter parlare a viva voce» (2Gv 1 , 1 2); «Molte cose avrei da scriverti, ma non voglio farlo con inchiostro e penna. Spero però di vederti presto e parleremo a viva voce» (3Gv 1 , 1 3- 1 4). Quanto a san Paolo, alcune sue epistole si concludono con le parole : >, smettetela, è meglio per voi, Dio è una sola divinità, sia gloria a Chi è ben oltre dall'avere un figlio29•

L'islam parte dal presupposto che Dio è uno e non può avere un figlio. La dottrina cristiana della Trinità viene definita falsa, come anche il fatto che Gesù abbia un'origine divina. Come nel­ la teologia cristiana, anche nell' islam tra Creatore e creatura vie­ ne tracciata una netta separazione. Gesù viene considerato il Ver­ bo divino, tuttavia, diversamente dal Vangelo di Giovanni, dove si dice che «il Verbo era Dim> (Gv 1 , 1 ), per l' islam il Verbo di­ vino ha un' origine creaturale. Ciò avvicina la concezione che l' islam ha di Gesù all 'arianesimo. Nel corso dei secoli la Chiesa si batté contro le dottrine che negavano la divinità di Gesù. Quando nel IV secolo Ari o si ri­ fiutò di riconoscere Gesù come Figlio di Dio, consustanziale al Padre, la Chiesa convocò il I Concilio ecumenico, nel quale l ' arianesimo venne condannato. Molti secoli dopo, all ' inizio del XX secolo, la Chiesa ortodossa scomunicò lo scrittore Lev Tolstoj , che aveva tentato di sostituire al Vangelo una propria dottrina su Gesù inteso come autorità morale, privo della digni­ tà divina. In reazione alle sfide poste alla concezione di Gesù come Dio e Salvatore, la Chiesa ha sviluppato e messo a punto una propria teologia, volta a controbatterle. Di conseguenza, è andata preci­ sandosi anche la terminologia impiegata per esporre la dottrina cristiana su Cristo. I cristiani erano tuttavia convinti che l' appa­ rire di nuove formulazioni teologiche non fosse volto a creare una concezione radicalmente nuova del ruolo e del significato di Gesù Cristo, ma solo a spiegare con più esattezza la fede ori­ ginaria sulla sua divinità che la Chiesa custodiva sin dall' inizio : In questo senso possiamo dire che l' insegnamento della Chie­ sa sulla divinità di Gesù Cristo è rimasto coerente lungo tutta la 29 Il Corano, 4, 1 7 1 ; tr. ìt. p. 60.

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GLI INIZI DEL VANGELO

storia del cristianesimo. E anche al giorno d'oggi, in un'epoca in cui nel cristianesimo coesistono diverse confessioni, denomi­ nazioni e comunità, con un lungo elenco di reciproche divergen­ ze, tutti i cristiani - cattolici, ortodossi, protestanti - riconosco­ no Gesù Cristo come Dio e Salvatore, consustanziale al Padre per la divinità e consustanziale a noi per l 'umanità.

4. La ricerca del «Gesù storico» e del suo kèrigma

Dopo la comparsa dell ' islam, per molti secoli nessuna nuova dottrina sfidò la concezione cristiana di Gesù come Dio e Salva­ tore. Nella letteratura e nell' arte dell'Oriente e dell'Occidente cristiani dominava l' immagine canonica di Cristo, rappresenta­ ta in icone, affreschi, vetrate. A questa immagine vennero apportate delle modifiche in epo­ ca rinascimentale, quando i pittori cominciarono a raffigurare Gesù in maniera realistica. Se nell'arte di El Greco si rintraccia ancora la dipendenza dal canone iconografico, negli altri mae­ stri del Rinascimento tale dipendenza scompare e Gesù si pre­ senta a noi come un semplice uomo, senza nimbo, e le sue sof­ ferenze vengono raffigurate con marcato naturalismo. Il passo successivo sulla strada della deviazione dalla tradi­ zione ecclesiale fu l'epoc a della Riforma in Occidente. I prote­ stanti cominciarono col negare l 'autorità della tradizione della Chiesa e col proclamare la Bibbia come unica fonte dell'autori­ tà. Tuttavia, respinta la tradizione della Chiesa, finirono ben pre­ sto per perdere, insieme ad essa, la concezione della Scrittura come fonte unica e unitaria, e cominciarono gradualmente a scomporla. Già Lutero aveva messo in dubbio il valore di una serie di libri del Nuovo Testamento, in particolare la lettera di Giacomo, perché alcune sue tesi, ad esempio l'insegnamento che «la fede senza le opere non ha valore» (Gc 2,20), erano in con­ trasto con la concezione luterana di salvezza. Nell'introduzione alla sua traduzione del Nuovo Testamento Lutero scriveva: 52

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Il Vangelo di san Giovanni e la sua prima lettera, le lettere di Pao­ lo, soprattutto quelle ai Romani, ai Galati e agli Efesini, e la prima lettera di san Pietro sono i libri che vi mostrano Cristo e vi insegna­ no tutto ciò che è necessario sapere per la vostra salvezza, anche se non aveste mai visto nessun altro libro, o non ne aveste mai sentito parlare, o non aveste mai udito altro insegnamento. In confronto ad essi la lettera di san Giacomo è realmente paglia, poiché non con­ tiene nulla che abbia la natura dell'annuncio evangelico30•

In seguito i protestanti cominciarono a mettere in dubbio l' au­ tenticità e il valore di vari altri libri della Sacra Scrittura. Proprio su terreno protestante, nella seconda metà del XVIII secolo, nacque l'idea di ricostruire l'effigie del «Gesù storico», liberando la dalle stratificazioni ecclesiastiche successive. A dif­ ferenza dai rappresentanti della scuola «mitologica», apparsa all' incirca nello stesso periodo, i rappresentanti del movimento di «demitizzazione del Vangelo» non negavano che Gesù fosse una figura reale, ma si rifiutavano di vedere in Lui qualcosa di soprannaturale, e consideravano i racconti evangelici dei suoi miracoli un' invenzione degli autori paleocristiani, che avrebbe­ ro deciso di attribuire ali 'uomo Gesù un sembiante divino. Il fondatore di questa scuola è considerato Hermann Samuel Reimarus ( 1 694- 1 768), il quale riteneva che Gesù fosse un rivo­ luzionario, che per due volte avrebbe cercato di organizzare una rivolta senza riuscirvi; in seguito a ciò sarebbe stato giustiziato, i suoi discepoli avrebbero inventato la storia della sua resurre­ zione. Reimarus considerava Gesù un rabbino ebreo, che non in­ segnava alcun sublime mistero, ma si limitava a impartire sem­ plici insegnamenti sui doveri della vita: a questo ipotetico inse­ gnamento di Gesù gli apostoli avrebbero poi conferito un'auto­ revolezza teologica. L' opera di Reimarus venne pubblicata nel 1 774 da Gotthold Ephraim Lessing, e da allora la ricerca del «Gesù storico» assunse un carattere sistematico. Questa ricerca andò sviluppandosi, in particolare, nelle opere

30 D. Martin Luthers Werke, parte 6, p. l O.

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GLI INIZI DEL VANGELO

dei rappresentanti della scuola esegetica neotestamentaria di Tu­ binga, diretta da F erdinand Christian Baur ( 1 792- 1 860), che pro­ mosse la teoria dell 'esistenza nella Chiesa primitiva di due cor­ renti contrapposte: il petrismo e il paolinismo (ovvero la lotta tra i seguaci degli apostoli Pietro e Paolo). Il Nuovo Testamento, scritto, a parer suo, nel II secolo, avrebbe avuto lo scopo di ri­ conciliare le due correnti. Un altro esponente della scuola di Tubinga, David Friedrich Strauss ( 1 808- 1 874 ), autore del libro La vita di Gesù, sosteneva che la prima generazione dei discepoli di Gesù aveva arricchito la sua vita di svariati miti inverosimili e di racconti di miracoli che in realtà non erano mai avvenuti. Da positivista e acceso ra­ zionalista qual era, Strauss negava l'eventualità stessa dei mira­ coli, pur ammettendo l'esistenza di Dio. Le idee di Strauss vennero divulgate in Francia da Joseph Er­ nest Renan ( 1 823- 1 892), che ne condivideva le posizioni razio­ naliste estreme e partiva dal presupposto che nella vita non esi­ sta né possa esistere niente di soprannaturale. Da basi analoghe partiva un altro razionali sta, Lev Nikolaevic Tolstoj ( 1 828- 1 9 1 0), divulgatore delle idee di Strauss e Renan sul suolo russo. Scrittore ormai affermato, decise di dedicarsi al­ la demitizzazione del Vangelo, ma non affrontò questo compito da studioso, quale non era, bensì in vesti di maestro di moralità, quale si riteneva. Alla base del suo «commento e traduzione» del Vangelo troviamo l' idea di contrapporre il testo evangelico all' in­ segnamento della Chiesa. Negli esiti, la sua «traduzione» ricor­ da più una caricatura del testo evangelico che non una traduzio­ ne o anche semplicemente una parafrasi. Se le opere di Tolstoj volte a screditare la Chiesa oggi vengo­ no recepite più che altro come una triste bizzarria storica, non si può dire lo stesso degli studiosi protestanti che nel periodo tra il XIX e il XX secolo portarono avanti l'opera di demitologizza­ zione del Vangelo. Le loro opere conservano tutt'oggi un consi­ derevole influsso sulle ricerche nell 'ambito del Nuovo Testa­ mento. Un contributo sostanziale al formarsi della scuola di demito54

l. ALLA RICERCA DEL «GESÙ STORICO>>

logizzazione è quello di Adolf von Hamack ( 1 85 1 - 1 930), pro­ fessore dell'università di Berlino. Pur confutando le conclusioni della scuola di Tubinga sul fatto che il Nuovo Testamento sareb­ be stato composto nel II secolo, egli tuttavia, come gli altri teo­ logi razionalisti tedeschi, non scorgeva la dimensione verticale della religione, ma riteneva che la religione fosse una mescolan­ za di etica e di sentimenti interiori. Gesù era da lui tratteggiato come un grande maestro di moralità, che non era Figlio di Dio, ma un uomo comune. Hamack interpreta la resurrezione di Ge­ sù in senso simbolico, vedendovi l 'espress·ione dell' idea paleo­ cristiana del trionfo della vita sulla morte, e non un reale fatto storico. Una figura-chiave nella teologia protestante del XX secolo è Rudolf Bultmann ( 1 884- 1 976). A differenza dei suoi predeces­ sori della scuola di Tubinga, Bultmann rinuncia ai tentativi di ri­ costruire il «Gesù storico». Si concentra, invece, sulla ricerca del kèrigma cristiano originario che, a suo avviso, dev'essere de­ mitizzato, cioè liberato dal suo involucro mitologico come pure dalle modifiche redazionali successive, dagli influssi ellenistici, dal giudaismo e dallo gnosticismo. Se nelle opere degli esponen­ ti della scuola di Tubinga del XIX secolo Gesù è un personaggio storico «purgato» dalle stratificazioni teologiche successive, neli' opera di Bultmann, al contrario, il kèrigma teologico, con­ siderato secondo uno spirito razionalista, lontano dalla tradizio­ ne della Chiesa, si dissocia dal «Gesù storico» e diviene un og­ getto di studio a se stante. Seguendo le orme di vari studiosi nel campo dell'Antico Te­ stamento, Bultmann applica al Nuovo Testamento il metodo di interpretazione dei testi definito «metodo di analisi delle forme» (dieformgeschichtliche Methode), secondo il quale ogni raccon­ to evangelico ha il suo Sitz im Leben, ovvero la sua «contestua­ lizzazione nella vita». Secondo questo metodo, per la compren­ sione di un testo hanno un significato decisivo il luogo e il tem­ po della sua comparsa, e il suo legame con una determinata co­ munità cristiana storica. Bultmann e altri studiosi che usarono questo metodo partiva55

GLI INIZI DEL VANGELO

no dal presupposto che ogni passo evangelico fosse esistito per un lungo periodo di tempo nella tradizione orale e solo succes­ sivamente fosse stato messo per iscritto, e inoltre che la trascri­ zione fosse avvenuta con uno scopo ben preciso e in un ben pre­ ciso contesto, e cioè in relazione alle necessità delle varie comu­ nità. In altre parole, al primo posto non ci sarebbero la persona­ lità di Gesù o il suo insegnamento, ma la comunità ecclesiale all 'interno della quale uno o più autori modellarono l'immagine di Gesù tenendo conto delle esigenze dei fedeli. Per ricostruire il sembiante storico di Gesù, secondo questo metodo, è necessa­ rio riportare alla luce le forme «pure» che costituivano il nucleo originario della tradizione evangelica, prima che venisse rico­ perto da ogni sorta di aggiunte3 1 • A Bultmann appartiene anche l'elaborazione della «legge del­ la crescente distinzione», fatta propria da molti studiosi del Nuo­ vo Testamento del XX secolo. Secondo questa «legge»32, alla base di ogni testo esistente nella tradizione orale ci sarebbe un seme originario che a seconda dello svilupparsi della tradizione si ingrandisce di sempre nuove aggiunte: nel momento in cui il testo trova una forma scritta, tali aggiunte sono ormai diventate in qualche modo parte del testo, sebbene originariamente non esistessero. Questa posizione, tuttavia, è stata messa in discus­ sione da molti studiosi, i quali hanno dimostrato che spesso nel­ la storia della tradizione orale le cose sono andate nella maniera opposta: con il passar del tempo i particolari si cancellavano o si perdevano, e si conservava il nucleo centrale di significato33• Per questo motivo la «legge» di Bultmann, come molte altre sue costruzioni metodologiche, appaiono oggi molto vulnerabili. Oltre al metodo di analisi delle forme, gli studiosi del Nuovo Testamento hanno usato anche altri metodi, in particolare quel­ lo dell 'analisi delle tradizioni (Traditionsgeschichte). Esso pre­ suppone l ' individuazione e lo studio delle forme in cui poteva-

3 1 Cfr. : Dictionary ofJesus and the Gospels, pp. 243-250. 32 Più in particolare, cfr. R. BULTMANN, Existence and Faith, pp. 4 1 -42. 33 G.N. STANTON, Jesus ofNazareth in New Testament Preaching, p. 1 78.

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no circolare le diverse tradizioni esistenti su Gesù prima che ve­ nissero fissate nel testo dei Vangeli canonici. Tale metodo, per stabilire l'autenticità di una data tradizione, faceva uso dei se­ guenti criteri: la pluralità delle testimonianze (la tradizione vie­ ne riportata in più di una fonte); la sua coerenza (la tradizione è compatibile con altre tradizioni riguardanti Gesù); la sua irridu­ cibilità ad altre tradizioni analoghe (per esempio, ai numerosi testi rabbinici della tradizione giudaica o alle tradizioni della Chiesa primitiva); la brevità (la versione più breve di una tradi­ zione veniva considerata più autentica delle versioni più ampie)34• Il metodo di analisi delle redazioni (Redaktionsgeschichte) è un altro modo di ricostituire l ' ipotetica tradizione evangeli­ ca autentica emendandola dal materiale che sarebbe stato ag­ giunto successivamente. I sostenitori di questo metodo vede­ vano negli autori degli scritti neotestamentari innanzitutto dei compilatori, che avevano incorporato diverse tradizioni orali e scritte e le avevano redatte in base alla propria teologia e alle necessità della propria comunità. Ai criteri di autenticità pre­ visti dal metodo dell' analisi delle tradizioni, i fautori di questo metodo aggiungevano anche i seguenti : l' involontaria testimo­ nianza di autenticità (i particolari del racconto rivelano se l'au­ tore era un testimone oculare); l ' uso di costruzioni tipiche dell' aramaico; l 'uso di termini che rivelano l ' origine palesti­ nese della redazione in esame; l ' accenno a usanze tipiche del­ la Palestina al tempo di Gesù35• Tutti e tre i metodi citati nascevano dalla necessità di classi­ ficare il materiale evangelico in riferimento a una determinata forma, per esempio: la singola logia o detto (una breve afferma­ zione di Gesù in forma di precetto o aforisma); il racconto con discorso orale (un materiale narrativo che si conclude con un detto di Gesù); il racconto di un miracolo (un episodio che de­ scrive una guarigione, la cacciata di demoni o un altro miracolo compiuto da Gesù); la parabola (un breve racconto metaforico o 34 Cfr. : Dictionary ofJesus and the Gospels, pp. 83 1 -834. 35 Jbid., pp. 662-669.

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un discorso che impiega paragoni o similitudini); il discorso (det­ ti di Gesù raccolti in un lungo discorso, ad esempio il Discorso della montagna); la narrazione storica (il racconto di un avveni­ mento che dal punto di vista dello studioso ha un carattere «leg­ gendario» a motivo dei fenomeni soprannaturali in esso descrit­ ti); un episodio della storia della Passione (la storia della Passio­ ne rientra solitamente in un gruppo separato di «forme»). Non fa parte del nostro compito analizzare le teorie dei nume­ rosi studiosi del XIX-XX secolo che hanno cercato il «Gesù sto­ rico» o il suo kèrigma al di fuori della tradizione ecclesiale, op­ pure hanno contrapposto Gesù e il suo insegnamento alla tradi­ zione della Chiesa. Le opere di questi autori, al di là di tutte le distinzioni metodologiche, hanno in comune il tentativo di di­ struggere la concezione che la Chiesa ha di Gesù e di «mostrare che le Chiese cristiane non hanno nessun diritto di rifarsi a un Gesù Cristo che non è mai esistito, a dottrine che non ha mai in­ segnato, a poteri che non ha mai conferito, alla figliolanza divi­ na che Egli stesso riteneva impossibile e sulla quale non avan­ zava pretese»36• Ognuno di questi studiosi ha esaminato la vita e l' insegna­ mento di Gesù a partire da un certo sistema filosofico o presup­ posto ideologico: inizialmente si stabiliva un principio di par­ tenza che successivamente veniva applicato al testo per ottenere il risultato cercato. Se un testo del Nuovo Testamento non rien­ trava nella griglia del principio stabilito, poteva essere sempli­ cemente scartato, definito storicamente inaffidabile oppure non meritevole di attenzione. Ad esempio, nel ventennio 1 980-2000, in America si svolse un «Seminario su Gesù» (Jesus Seminar), che raccoglieva circa 1 50 persone, tra cui figuravano sia studiosi dell 'ala liberale estre­ ma nell 'ambito degli studi neotestamentari, sia anche semplici cultori della materia. Essi si erano posti l 'obiettivo di ristabilire la figura del Gesù storico individuando nei Vangeli il materiale che, dal loro punto di vista, fosse storicamente veritiero. Tra il 36 R. AuGSTEIN, Jesus Menschensohn, p. 7.

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1 99 1 e il 1 996 furono esaminati 387 passi riguardanti 1 76 avve­ nimenti evangelici. Le decisioni circa il liveiio di veridicità dei singoli passi venivano prese mediante votazione, e ai passi ve­ nivano assegnati vari colori : rosso (indi cante che i partecipanti al seminario «avevano un liveiio abbastanza alto di certezza che l'avvenimento avesse realmente avuto luogo»); rosa («l 'avveni­ mento ha probabilmente avuto luogo»); grigio («l' avvenimento è poco verosimile»); nero («il racconto deii'avvenimento è una finzione»). Dei 1 76 avvenimenti, solo 1 0 vennero contrassegna­ ti in rosso e 1 9 in rosa37• Il Jesus Seminar resterà un episodio bizzarro neiia storia de­ gli studi sul Nuovo Testamento, più che un evento importante per lo sviluppo della disciplina neotestamentaria. È difficile im­ maginare un seminario di medicina che riunisca persone che no­ toriamente non hanno fiducia nella medicina e in cui, accanto a medici laureati, figurino cultori della materia di vario genere, chiamati a emanare un verdetto tramite votazione su medicinali o metodi di cura. La scienza non può trasformarsi in ciarlatane­ ria. Eppure le idee dei ciarlatani nel campo deila disciplina ne­ otestamentaria continuano a influenzare in modo deleterio un vasto pubblico, minando la fiducia nei confronti dei Vangeli co­ me fonte storica. L'esito del lavoro di numerosi studiosi e pseudostudiosi, ac­ comunati dall 'idea di scindere il nucleo storico originario dai racconti evangelici nell' insieme inattendibili, è stato la «costru­ zione di un Gesù storico che rifletteva (e in tal modo conferma­ va) le loro personali concezioni teologiche e filosofiche. In bre­ ve, essi hanno creato un Gesù a propria immagine e somiglian­ za. Le ricerche del Gesù storico sono finite in un vicolo cieco, e molti hanno cominciato a nutrire s cetticismo sulla possibilità stessa di ricostruire una biografia di Gesù»38• Tutti gli autori che si sono dedicati alla ricerca del «Gesù sto­ rico» nel XIX-XX secolo, partendo dai presupposti che abbiamo 37 38

R.W. FUNK AND THE JEsus SEMINAR, The Acts ofJesus, p. l . D.E. AUNE, The New Testament in lts Literary Environment, p. 20.

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GLI INIZI DEL VANGELO

descritto, erano accomunati dalla sfiducia pregiudiziale nei con­ fronti del Vangelo come fonte storica. In questo senso essi si di­ stanziavano radicalmente dal cristianesimo tradizionale, orto­ dosso, cattolico o protestante che fosse: I cristiani affermano che nei Vangeli incontriamo la raffigurazio­ ne del Gesù reale . . . Tuttavia le cose cambiano completamente quan­ do lo storico comincia a sospettare che i testi evangelici ci nascon­ dano il Gesù reale: nel migliore dei casi perché lo guardano alla lu­ ce della fede dei primi cristiani; nel peggiore, perché si inventano in gran parte un proprio Gesù, in base allè esigenze e agli interes­ si delle diverse comunità della Chiesa primitiva. In questo caso l ' espressione «Gesù storicm> sta ormai a indicare non il Gesù dei Vangeli, ma un preteso Gesù reale che i Vangeli ci impediscono di vedere, il Gesù che lo storico deve scoprire sottoponendo i Vangeli a una spietata analisi oggettiva (o che pretende di essere tale) ... Na­ turalmente, in seguito a tali operazioni si ottengono non uno, ma molteplici Gesù storici39•

Alla fine del XX secolo è divenuto evidente che la ricerca del «Gesù storico», proseguita per oltre duecento anni, aveva fatto fiasco. Tuttavia, si intraprendono continuamente nuovi tentativi di riavviare questo processo. Ogni anno sugli scaffali delle libre­ rie appaiono nuove «rivoluzionarie biografie» di Gesù, i cui au­ tori fanno scoperte incredibili, basate non tanto su nuovi dati scientifici, quanto su interessi, gusti, simpatie o antipatie degli autori stessi. Il tentativo di trovare approcci nuovi e originali al vecchio problema del «Gesù storicm> ha portato, negli ultimi decenni, al­ la comparsa di teorie secondo cui Gesù sarebbe stato un rabbino ebreo errante40, un filosofo cinico e un rivoluzionario41 , un pro39 R. BAUCKHAM, Jesus and the Eyewitnesses, pp. 2-3. 4° Così viene presentato nelle opere dello studioso ebreo di origine ungherese Géza Vermes, che hanno riscosso molto successo e sono state ripetutamente pubblicate in Oc­ cidente (G. VERMES, The Changing Faces ofJesus, pp. 222-262; In., The Authentic Gos­ pel ofJesus, pp. 398-4 1 7). 4 1 Così presenta Gesù l 'influente studioso americano John Dominic Crossan (J.D. CROSSAN, The Historical Jesus, pp. 42 1 -422).

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l. ALLA RICERCA DEL «GESÙ STORICO»

feta apocalittico42• Tutte le teorie di questo tipo si basano su let­ ture tendenziose delle fonti canoniche, oppure su un interesse eccessivo per quelle non canoniche, o su altri presupposti meto­ do logici errati che allontanano sempre più il lettore dal Gesù rea­ le, come si rivela nelle pagine del Vangelo: Nella continua ricerca di qualcosa di nuovo e sensazionale, nel tentativo di sostenere le proprie audaci teorie con qualunque tipo di prova, gli studiosi e gli scrittori contemporanei travisano i Vangeli neotestamentari o li disprezzano, cosa che ha già condotto a fabbri­ care un intero esercito di falsi Gesù. Numerosi fattori hanno con­ dotto a questi risultati, in particolare: l ) una fede sconsiderata e dei sospetti infondati ; 2) dei presupposti sbagliati e dei metodi critici eccessivamente rigidi; 3) dei testi tardivi di dubbio contenuto; 4) ri­ ferimenti ad un contesto estraneo alla situazione reale in cui viveva e operava Gesù; 5) l'analisi dei discorsi avulsi da ogni contesto; 6) il rifiuto di prendere in considerazione i miracoli compiuti da Gesù; 7) l' impiego delle opere di Giuseppe Flavio e di altre fonti tardoan­ tiche con finalità dubbie; 8) anacronismi ed esagerazioni; e, infine, 9) la contraffazione della storia e la produzione di falsi. In breve, quasi tutte le distorsioni che si possano immaginare. Alcuni autori si ingegnano a commettere quasi tutti questi errori in un unico li­ bro43.

In pratica, oggi, tutte le teorie razionalistiche sull'origine del cristianesimo hanno perso di attualità. Tuttavia, i tentativi di fab­ bricare «nuovi Gesù» rispondenti alle simpatie e ai gusti degli studiosi continuano e con tutta probabilità continueranno anche in futuro. In un certo senso Gesù ha avuto la stessa sorte di mol­ ti grandi personaggi storici, i quali suscitano un interesse così grande da indurre intere generazioni e gruppi di studiosi a for­ mulare nuove sensazionalistiche ipotesi sulla loro personalità, biografia, eredità (basti pensare alla recente ipotesi secondo la

42 Gesù viene così presentato da un altro influente biblista, l'agnostico Bart Ehrman (B. EHRMAN, Jesus, pp. 1 25-1 39). 43 C.A. EvANS, Fabricating Jesus, p. 1 6.

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G L I INIZI DEL VANGELO

quale Shakespeare sarebbe stato una donna44). D'altro canto, nes­ sun personaggio storico può paragonarsi a Gesù per il numero di ipotesi avanzate nei suoi confronti. La fantascienza, al cui genere appartiene una parte conside­ revole delle moderne «rivoluzionarie biografie» di Gesù, va di­ stinta dal coscienzioso studio storico-critico del Nuovo Testa­ mento, che si basa sul confronto dei manoscritti, sullo studio del contesto storico del Vangelo, sulla comparazione tra i racconti evangelici, il loro esame alla luce dei sempre nuovi dati storici e archeologici acquisiti dalla scienza. Questo metodo è entrato definitivamente ne Il' ambito della scienza e conserva fino a og­ gi le sue posizioni. Non può essere ignorato quando si studiano le fonti sulla vita di Gesù perché in sé, indipendentemente dai paradigmi ideologici sui quali si era basato inizialmente, ha da­ to un prezioso contributo allo studio del testo del Nuovo Testa­ mento. L'hanno dimostrato, in particolare, le opere di alcuni specia­ listi cattolici e ortodossi di Nuovo Testamento del XX secolo, che hanno saputo unire l'approccio tradizionale della Chiesa all 'attenzione ai dati della biblistica contemporanea. Del resto, anche nelle opere di una serie di teologi protestanti si osserva non solo una presa di distanza dagli eccessi del razionalismo, ma anche un'attenzione alla tradizione della Chiesa come fonte ri­ levante, dal punto di vista scientifico, per l ' interpretazione della vita e dell 'insegnamento di Gesù. Alcuni di essi oggi offrono un contributo considerevole alla demistificazione delle teorie razio­ nalistiche che contrapponevano il «Gesù storico» al «Cristo dei credenti». Come sottolinea Bauckham, «qualsiasi storia, o più esatta­ mente, qualsiasi storiografia, qualunque opera storica rappresen­ ta un complesso intreccio di fatti e di loro interpretazioni, di fe­ nomeni osservabili empiricamente e di loro significati intuibili

44 La teoria appartiene al critico letterario americano R. P. Wi lliams, che nel 2004 ha affermato che il nome di Shakespeare celerebbe in realtà gli scritti di Mary Sidney, con­ tessa di Pembroke.

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l. ALLA RICERCA DEL , oppure «sulla base dell'avve­ nimento». 44 J. NoLLAND The Gospel of Matthew, p. 1 4 .

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2. LE FONTI

Tra le ipotesi trasformatesi di fatto in dogmi possiamo citare l'idea della priorità di Marco, da cui Matteo avrebbe desunto i propri soggetti. Inizialmente si assume come dogma la priorità di Marco, poi su questa base si mette in dubbio l 'attribuzione del Vangelo di Matteo: «Come mai Matteo, testimone degli avveni­ menti, segue tanto docilmente il racconto di Marco, che non era un testimone?»45• D ' altro canto, ipotesi non corrispondenti al «dogma», secondo cui Marco avrebbe potuto seguire il testo di Matteo, oppure i due evangelisti avrebbero lavorato avvalendo­ si di fonti indipendenti (orali o scritte che fossero), continuano ad essere considerate irrilevanti. Per molti studiosi continua a restare un dogma la «fonte Q», tuttora citata come «perduta». Ecco un esempio tipico: Un tempo, prima dell' apparizione dei Vangeli nella forma nota ai lettori del Nuovo Testamento, i primi seguaci di Gesù scrissero un altro libro. Anziché il racconto della drammatica storia della vi­ ta di Gesù, questo libro riportava solo i suoi insegnamenti. Essi vi­ vevano di questi insegnamenti, che echeggiavano nelle loro orec­ chie, e pensavano a Gesù come al fondatore del loro movimento. ma non erano concentrati sulla personalità di Gesù, sulla sua vita e destino. Erano completamente presi dal programma sociale conte­ nuto nei suoi insegnamenti. Il loro libro, dunque, non era un Vange­ lo di tipo cristiano, e cioè il racconto della vita di Gesù inteso come il Cristo. Era piuttosto un «Vangelo di detti» . . . Poi questo Vangelo andò perduto. Forse, cambiarono le circostanze, oppure cambiaro­ no gli uomini, o cambiò la loro concezione di Gesù. In ogni caso, il libro andò perduto per la storia all'incirca alla fine del I secolo, quan­ do si cominciarono a comporre storie della vita di Gesù, che diven­ nero le forme più popolari di documenti statutari per le cerchie cri­ stiane delle origini46•

È diverso, prosegue l'autore, che il fondatore di un movimen­ to venga ricordato per i suoi insegnamenti oppure per la sua vi-

4 5 B. METZGER, The New Testament, p. 97. Cfr. anche: D.L. TURNER, Matthew, p. 7. 46 B.L. MACK, The Lost Gospel, p. l .

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L'INIZIO DEL VAN GELO

ta e destino. Per i primi seguaci di Cristo la cosa più importante erano le raccolte di insegnamenti che circolavano con il suo no­ me, e comprendevano svariate idee, posizioni nei confronti del­ la vita e comportamenti. E solo in seguito, quando il movimen­ to cominciò a ingrossarsi, gruppi di suoi adepti in luoghi diversi e in circostanze mutate cominciarono a riflettere sulla vita che Gesù doveva avere vissuto. Fu allora che la sua vita cominciò ad arricchirsi di svariati miti, il più importante dei quali divenne la storia della sua resurrezione dai morti, modellata sul fonda­ mento dei miti antichi. Questa storia trovò eco nelle lettere di Paolo, e poi nei Vangeli, apparsi rispettivamente : quello di Mar­ co negli anni 70, quello di Matteo negli anni 80, quello di Gio­ vanni negli anni 90, e quello di Luca all ' inizio del II secolo. I Vangeli narrativi sostituirono l' iniziale fonte Q, apparsa quando ancora non esistevano i cristiani, ma c'erano gli «uomini di Ge­ sù», che non credevano in Cristo Dio e nella sua resurrezione. Ecco perché ritrovare questa fonte enucleandola dai Vangeli ca­ nonici ha tanta importanza, per quanto possa amareggiare i se­ guaci del cristianesimo tradizionale47• Anche per stile espositivo questa fantasiosa storia, intera­ mente frutto dell ' immaginazione degli studiosi, ricorda un mi­ to o una favola. Il problema non è che la favola sia stata inven­ tata e che qualcuno ci abbia creduto, ma che essa offre un qua­ dro falso del sorgere del cristianesimo e del suo diffondersi nel­ la fase iniziale. Tutti gli scritti della Chiesa delle origini testi­ moniano che proprio la persona di Gesù, la sua vita, morte e resurrezione (e non la sua dottrina sociale o morale) furono al centro dell ' annuncio cristiano fin dall'inizio. Presentare le co­ se come se ai primi cristiani interessasse solo la dottrina di Ge­ sù, e soltanto in seguito, verso la fine del I secolo, essi comin­ ciassero a comporre racconti sulla sua vita, a inventare il mito della sua resurrezione, significa ribaltare la storia della nascita del cristianesimo, presentame un quadro completamente distor­ to e distorcente. 47 lbid , pp. 1 -2.

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2. LE FONTI

A metà del I secolo san Paolo espone l 'essenza del Vangelo in questo laconico memorandum, rivolto ai cristiani di Corinto: Vi proclamo poi, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati . . . A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch'io ho ricevu­ to, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quin­ di a tutti gli apostoli . . . Ora, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto ! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscita­ to il Cristo mentre di fatto non lo ha risuscitato . . . Ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati ( l Cor 1 5 , 1 -7. 1 2- 1 5 . 1 7).

Da queste parole consegue che l' avvenimento centrale, alla base dell' annuncio cristiano, era la resurrezione di Cristo, e la prova principale di questo avvenimento erano le ripetute appa­ rizioni del Risorto a più gruppi di apostoli. Cristo è morto per i peccati degli uomini, è stato sepolto ed è risuscitato il terzo gior­ no: queste le tre verità fondamentali su cui, secondo Paolo, si costruisce il Vangelo. Fu proprio il fatto dell' ingresso di Dio nel­ la storia, del suo apparire agli uomini nella persona di Gesù Cri­ sto, a segnare l ' inizio del cristianesimo, e non certo una qualche dottrina morale o sociale. La persona di Gesù, la sua vita, morte e resurrezione vengono per prime; tutto il resto è secondario. Proprio per questo, esponendo una breve versione del Vangelo predicato dagli apostoli, Paolo non fa alcun cenno ali ' insegna­ mento di Cristo o ai suoi detti. Non dice: se non vi è una raccol­ ta dei detti di Gesù, vuota è la vostra fede. 91

L'INIZIO DEL VANGELO

«Che-cos 'è successo a Q? Perché è scomparsa?» si chiede uno degli ardenti sostenitori di quest'opera, che ha speso molti anni nella sua «ricostruzione» e divulgazione48• Noi dobbiamo rispon­ dere apertamente: non le è successo niente, non è affatto scom­ parsa, perché semplicemente non è mai esistita. Non c ' è stata nessuna «scoperta» di Q, ci sono stati soltanto dei tentativi più o meno maldestri di inventarla sulla base dei frammenti rimasti dopo la scomposizione del testo evangelico49. È molto probabi­ le che gli evangelisti avessero a disposizione delle fonti; non è escluso che raccolte di detti di Gesù esistessero non solo nella tradizione orale, ma anche in quella scritta; ma nella forma in cui la fonte Q è stata «ricostruita», «scoperta» e «dissotterrata» nel çorso di tutto il XX secolo, essa costituisce un tipico mito ' scientifico elevato a dogma. La creazione di questo mito fu dettata da una posizione ideo­ logica ben precisa: il rifiuto della natura divina di Gesù, della sua resurrezione dai morti, del valore del suo sacrificio redenti­ vo. Gli studiosi che non riconoscevano in Gesù il Dio incarnato, dovevano creare a tutti i costi una teoria secondo la quale il cri­ stianesimo non era nato dalla persona del suo Fondatore, ma da una dottrina etica e sociale attribuitagli da un gruppo di seguaci alla fine del I secolo50• In questo senso la cosiddetta «ricostru­ zione Q», operata sfrondando i sedicenti detti appartenenti a Ge­ sù da tutto quello che sarebbe stato apportato dalla successiva tradizione della Chiesa, ricorda molto le fatiche di Sisifo intra­ prese per «demitizzare il Vangelo» tra la seconda metà del XIX e l ' inizio del XX secolo. Si potrebbero addurre numerosi esempi di dogmi e miti che passano da un libro all 'altro. Questi miti sono nati nel corso del­ la ricerca scientifica, ma poiché la ricerca stessa era in buona 48 J.S. KLoPPENBORG, Q, the Earliest Gospel, p. 98. 49 Sui metodi attraverso cui si realizzò la ricostruzione di Q, cfr., ad esempio: S. CAR­ RUTH, A. GARSKY, Documenta Q, pp. V-VIII. 5° Con il passar del tempo a questo mito scientifico finirono per credere (o furono costretti ad adeguarvisi) anche gli studiosi che appartenevano a confessioni cristiane tra­ dizionali e non avevano una posizione ideologica di rifiuto della natura divina di Gesù o della sua resurrezione.

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2. LE FONTI

parte motivata da posizioni ideologiche previe, non poteva con­ durre a risultati stabili e convincenti. Rifiutandosi di credere in Gesù, come lo presentano i Vangeli e come nel corso dei secoli l 'ha annunciato la Chiesa, molti studiosi preferiscono credere nei miti creati da loro stessi e dai loro colleghi, trasformandoli in dogmi. Liberarci da questo genere di miti e dogmi è il compito so­ stanziale che spetta alla biblistica contemporanea. Oggi gli stu­ diosi discutono apertamente sul «mito del Gesù storico»5 1 , la cui creazione ha condotto all 'apparire di un numero incalcolabile di Gesù, creati a immagine e somiglianza degli artefici di questo mito. Sono sempre più numerosi gli studiosi che giungono a com­ prendere che la ricerca del Gesù storico al di fuori del testo evan­ gelico non ha prospettive ed è controproducente. La concezione del «Gesù storico», come molte altre concezioni che sembrava­ no immutabili nella disciplina scientifica neotestamentaria del XX secolo, oggi vengono sottoposte a revisione52• La sua revisione ha influito, in particolare, sul cambiamen­ to di atteggiamento che si riscontra nel consorzio scientifico circa la questione dell' epoca in cui apparvero gli scritti neote­ stamentari.

L 'epoca di composizione dei Vangeli Quando furono scritti i Vangeli? Nella critica scientifica del XIX secolo, tesa a presentare i Vangeli come un prodotto della creatività delle comunità cristiane ormai pienamente formatesi, 5 1 Cfr. : H . CHILDS, The Myth of the Historical Jesus and the Evolution of Con­ sciousness, pp. 223-26 1 . 52 Segnaliamo al lettore, in particolare, una delle ultime monografie su questo te­ ma: C.S. KEENER, The Historical Jesus of the Gospels, pp. 1 -67 (una fondamentale analisi critica delle concezioni sorte nel corso della ricerca del «Gesù storico»), pp. 1 77-348 (ricostruzione della figura del Gesù storico sulla base del testo evangelico). L'autore giunge alla conclusione (p. 349) che il ritratto di Gesù delineato sulla base dei Vangeli canonici sia più convincente di ogni altra concezione alternativa proposta dagli studiosi.

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L' INIZIO DEL VANGELO

l 'epoca della loro composizione era situata nella prima metà del II secolo. In tal modo veniva esclusa come assolutamente im­ possibile la loro attribuzione ai testimoni oculari, agli apostoli. Gli studiosi del XX secolo hanno spostato il periodo della com­ posizione dei Vangeli alla fine del I secolo, ma anche in questo caso si esclude la possibilità che si tratti di testimonianze di pri­ ma mano. Che cosa ci dicono i Vangeli stessi dell'epoca in cui vennero alla luce? Possiamo prendere come punto di partenza l' inizio del Van­ gelo di Luca: «Poiché molti hanno cercato di raccontare con or­ dine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi . . . » (Le l , l ). Da queste parole consegue che Luca non fu certamente il primo evangelista. Luca è anche autore del libro degli Atti degli apostoli, che so­ no la diretta continuazione del suo Vangelo e furono scritti dopo il Vangelo. Alla penna di Luca appartiene, quindi, una dilogia composta da un libro sulla vita e gli insegnamenti di Gesù, e da un libro sui primi anni di vita della Chiesa, comprendente anche le imprese missionarie di san Paolo. Il libro degli Atti si conclu­ de con le parole : «Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso in affitto e accoglieva tutti quelli che venivano da lui, annunciando il regno di Dio e insegnando le cose riguardan­ ti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedi­ mento» (At 28,30-3 1 ). Queste parole sono una chiara testimo­ nianza del fatto che, quando Luca terminò di scrivere entrambi i libri, san Paolo era ancora vivo e in buona salute. Inoltre, negli Atti non viene mai citata, né direttamente né in­ direttamente, la distruzione di Gerusalemme dell'anno 70. L'au­ tore del testo menziona l 'uccisione di Stefano (At 7 ,5 8-60), le persecuzioni di Erode nei confronti di «alcuni membri della Chie­ sa» e l 'uccisione per suo ordine di Giacomo, fratello di Giovan­ ni (At 1 2, 1 -2), ma non dice nulla dell'uccisione di Giacomo, «fratello del Signore», un avvenimento che avrebbe dovuto es­ sere rimarcato nella cronaca della vita della Chiesa, se essa fos­ se stata composta successivamente ad esso. ·

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2. LE FONTI

Poiché Giacomo, fratello del Signore, fu martirizzato nel 6263, e Paolo tra il 64 e il 68, l'epoca più probabile di composizio­ ne del Vangelo di Luca sono da ritenersi gli anni 50 o al massi­ mo l 'inizio degli anni 60. L'allusione di Luca al fatto che molti a quel tempo avessero già cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti può essere interpretata nel senso che il processo di scrittura dei Vangeli non era ancora terminato, ma era indubbia­ mente già iniziato, e inoltre gli evangelisti, almeno alcuni, co­ noscevano l 'opera gli uni degli altri. I Vangeli avrebbero potuto assumere una forma definitiva più tardi, il processo di redazio­ ne e integrazione avrebbe potuto protrarsi fino alla fine del I se­ colo. Ma è indubbio che il nucleo fondamentale dei Vangeli si­ nottici si formò non dopo gli anni 60, vale a dire non oltre 20-30 anni dopo gli avvenimenti in essi descritti. Dell 'epoca della stesura del Vangelo di Giovanni parleremo successivamente, nella sezione di questo capitolo dedicata a que­ sto Vangelo.

2. Il Vangelo di Matteo

Il primo dei quattro Vangeli, sia negli antichi manoscritti che nelle edizioni moderne del Nuovo Testamento, è il Vangelo di Matteo. Non di rado viene chiamato «Vangelo della Chiesa», in­ nanzitutto perché nella Chiesa delle origini era di gran lunga più noto dei Vangeli di Marco e di Luca. All ' inizio del II secolo vi faceva già riferimento Ignazio di Antiochia, e nella prima metà del III secolo Origene scrisse un commento completo al suo te­ sto. Nel IV secolo un altro commento completo venne scritto da Giovanni Crisostomo53• Rispetto al Vangelo di Marco, il Vange­ lo di Matteo è molto più lungo, in primo luogo perché vi com­ pare molto materiale che manca in Marco (in particolare, la ge­ nealogia e il racconto della nascita di Gesù nei capitoli 1 -2, e il Discorso della montagna nei capitoli 5-7). 53 Cfr. : L.T. JoHNSON, The Writings ofthe New Testament, pp. 1 65- 1 66.

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L'INIZIO DEL VANGELO

L'autore del Vangelo è un ebreo che ben conosce l'ambiente giudaico e l' interpretazione dell'Antico Testamento tradiziona­ le in questo ambiente54• Un gran numero di citazioni dell' Anti­ co Testamento è caratteristico anche degli altri evangelisti, ma Matteo spicca fra essi per una maggior sistematicità nell 'espor­ re l' idea che le profezie veterotestamentarie si compiono nella vita di Gesù, il Messia promesso55• Esiste l' ipotesi che il Vangelo di Matteo fosse stato scritto in ebraico. Essa si basa sulle parole che abbiamo già citato di Pa­ pia di Ierapoli («Matteo ordinò i detti del Signore nella lingua ebraica, e ciascuno li ha tradotti come poteva»56), come pure su una serie di altre antiche fonti, tra cui le opere di san Girolamo57• Che cosa fossero propriamente questi «detti» resta un enigma. Esistono alcuni vangeli apocrifi (ad esempio il Vangelo di Tom­ maso) scritti sotto forma di detti di Gesù. Tuttavia, per contenu­ to questi detti si differenziano sostanzialmente da quelli entrati a·far parte dei Vangeli canonici. Si possono identificare questi «detti» con il Discorso della montagna e gli altri insegnamenti di Gesù appartenenti al Van­ gelo di Matteo? La scienza contemporanea non dà una risposta univoca, sebbene il Discorso della montagna rappresenti, indub­ biamente, un materiale unitario che riporta un discorso diretto di Gesù inserito nella trama narrativa del Vangelo. Non si può escludere che in una determinata fase questo testo avesse un'esi­ stenza autonoma, forse in lingua ebraica. Tuttavia, finora non si è riusciti a trovare alcuna traccia di un testo ebraico del Vangelo di Matteo. Il testo greco di questo Vangelo non fa rilevare segni che si tratti di una traduzione da un'altra lingua. Per composizione, il Vangelo di Matteo si differenzia dagli altri due Vangeli sinottici. Vi si riserva molto spazio ai discor­ si di Gesù. Se ne contano cinque : il Discorso della montagna 54 C.S. KEENER, The Gospel of Matthew, p. 40. 55 R. T. FRANCE, The Gospel of Matthew, p. I l . 56 EUSEBIO DI CESAREA, Storia ecclesiastica 3, 39, 1 6; tr. it. vol. l , p. 1 9 1 . 57 Per una panoramica su queste fonti, cfr.: J.R. EDWARDS, The Hebrew Gospel and the Development of the Synoptic Tradition, pp. 1 -96.

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2.

LE

FONTI

(Mt 5,3-7 ,27); l'esortazione ai discepoli (Mt 1 0,5-42); l'insegna­ mento in parabole (Mt 1 3 ,3-52); un' altra esortazione ai disce­ poli (Mt 1 8,3-35); le profezie e le parabole sugli ultimi tempi (Mt 24,3-25,46). Ciascuno di questi discorsi è collegato alla suc­ cessiva narrazione dalla formula: «Quando Gesù ebbe termina­ to questi discorsi» (Mt 7 ,2 8; 1 9, l ) o un' altra simile (M t 1 1 , l ; 1 3 ,53 ; 1 9, 1 ). Al quinto insegnamento seguono le parole dell'e­ vangelista: «Terminati tutti questi discorsi . . . » (Mt 26, l ) . Matteo sottolinea così la missione di insegnamento di Gesù58, inserendo alcuni ampi discorsi nella trama narrativa. Più degli altri evangelisti, Matteo pone l'accento sulla digni­ tà regale di Gesù. N on è un caso che fin dal primo versetto lo chiami figlio di Davide, sottolineando la sua discendenza dalla stirpe regale: Matteo mostra il Messia come un Re - incoronato, cacciato e che sta per venire nuovamente. In questo Vangelo, come in nessun al­ tro, Gesù è dipinto in toni regali. La sua origine è individuata secon­ do la linea regale di Israele, la sua vita è messa in pericolo da un so­ vrano invidioso, i magi dall'Oriente offrono al Bambino Gesù doni regali, e Giovanni Battista lo proclama Sovrano e annuncia che il suo regno è vicino. Perfino le tentazioni nel deserto raggiungono il culmine allorché satana offre a Cristo tutti i regni del mondo. Il Di­ scorso della montagna è il manifesto di un sovrano, i miracoli sot­ tolineano i suoi poteri regali, e molte parabole svelano i misteri del suo regno. In una delle parabole Gesù si paragona al figlio di un re, e poco dopo entra regalmente in Gerusalemme. Prima di morire in croce predice che in futuro regnerà e avrà potere sugli angeli del cie­ lo. Le sue ultime parole affermano che a Lui è dato ogni potere in cielo e sulla terra (Mt 28, 1 8)59•

Il testo del Vangelo di Matteo testimonia che i suoi principali destinatari appartenevano all 'ambiente giudaico. Lo conferma­ no numerosi esempi. In particolare, Matteo chiama Gerusalem58 J.P. MEIER, The Vìsion of Matthew, pp. 45-47. 59 J.F. MACARTHUR, Matthew 1 - 7, p. XII.

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L' INIZIO DEL VANGELO

me «città santa» (Mt 4,5). Marco e Luca probabilmente avreb­ bero chiarito di quale città stavano parlando; invece, per Matteo e i suoi lettori era chiaro che la città santa è Gerusalemme, per­ ché per gli ebrei non esisteva altra «città santa» al mondo, così come non poteva esistere altro tempio all ' infuori del tempio di Gerusalemme. Nel Vangelo di Matteo non sono poche le parole aramaiche lasciate senza traduzione, ad esempio : «Chi poi dice al fratello: "stupido" (rakà ) . . . sarà destinato al fuoco della Geènna» (Mt 5,22); «Non potete servire Dio e la ricchezza (mammona) » (Mt 6,24). Prestiti dall'ebraico o dall'aramaico si incontrano anche in Marco, ma Marco in genere li traduce (ad esempio, Mc 5,41 ), mentre Matteo in vari casi lo ritiene superfluo, poiché evidente­ mente ai suoi lettori, a differenza dei lettori di Marco, il signifi­ cato di queste parole era noto. Molti avvenimenti della vita di Gesù sono presentati da Mat­ teo come il compimento di profezie dell 'Antico Testamento. Ri­ mandi all 'Antico Testamento e citazioni tratte ·da esso si incon­ trano anche negli altri evangelisti, ma il loro peso specifico in Matteo è notevolmente maggiore: nel suo Vangelo troviamo cir­ ca 60 citazioni e rimandi, mentre, ad esempio, in Marco sono tre volte di meno60• Nel Vangelo di Matteo esistono dei parallelismi tipici della letteratura semitica. Ad esempio : «Chi avrà tenuto per sé la pro­ pria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt l 0,39). Il parallelismo è tipico soprattutto della poesia ebraica: così in molti salmi i versetti si suddivido­ no esattamente in due parti, parallele l'una all 'altra (ad esempio, nel salmo 50). Evidentemente, questi parallelismi rispecchiano una delle preziose peculiarità del discorso orale di Gesù, conser­ vate da Matteo. Una caratteristica della poesia ebraica è l'uso di una determi­ nata frase come ritornello. Riproducendo il discorso di Gesù, 60 Sulle citazioni dell'Antico Testamento in Matteo, cfr., in particolare: K. STENDHAL, The School of Matthew and lts Use ofthe O/d Testament, pp. 39- 1 42.

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2. LE FONTI

Matteo ripete più volte formule di questo genere, come, ad esem­ pio, «dai loro frutti li riconoscerete» (Mt 7, 1 6.20), «dove sarà pianto e stridore di denti» (Mt 8, 1 2 ; 1 3 ,42; 22, 1 3), «guai a voi, scribi e farisei ipocriti» (Mt 23, 1 3 - 1 5 .23.25 .27), «stolti e ciechi» (Mt 23, 1 7 . 1 9). Anche questi ritornelli riflettono una delle parti­ colarità del discorrere di Gesù. Un esempio a conferma del fatto che il Vangelo di Matteo si rivolgesse prevalentemente a un uditorio ebraico sono le parole di Gesù: «Pregate che la vostra fuga non accada d' inverno o di sabato» (Mt 24,20). La menzione del sabato aveva rilevanza so­ lo per gli ebrei, per i quali fuggire in quel giorno avrebbe signi­ ficato violare il comandamento del riposo. Il Vangelo di Matteo inizia laddove si conclude l 'Antico Te­ stamento. L'ultimo libro della sezione intitolata «Nevi' fm» (Pro­ feti) - il libro di Malachia61 - si conclude con una profezia che la tradizione cristiana interpreta come riferita a Giovanni Batti­ sta. Matteo inizia il suo racconto dalla nascita di Gesù e dalla predicazione di Giovanni Battista. Forse proprio questo, come pure l 'orientamento generale del Vangelo di Matteo, i cui desti­ natari erano innanzitutto i cristiani convertitisi dal giudaismo, fu il motivo per cui questo Vangelo venne collocato nel canone del Nuovo Testamento al primo posto, quasi a collegare l'Antico Te­ stamento al Nuovo. Il tema della relazione fra i due Testamenti è uno degli aspet­ ti centrali presi in considerazione da Matteo. Proprio nella sua esposizione Gesù costruisce il suo insegnamento principale - il Discorso della montagna - sul raffronto tra i postulati morali da Lui proposti e i comandamenti della legge di Mosè: «Avete in­ teso che fu detto agli antichi . . . Ma io vi dico . . . » (Mt 5,2 1 ; 5,27; 5,3 3 ; 5,38; 5,43). D'altro canto, solo in Matteo Gesù dice: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non so61 Poiché per Antico Testamento nei Vangeli si intendono innanzitutto «la legge e i profeti» (Mt 1 1 , 1 3 ; 22,40), il libro del profeta Malachia può essere in certo modo chia­ mato il libro conclusivo del testo sacro. All'epoca degli avvenimenti evangelici la sezio­ ne detta q>u8u. Questa forma, probabilmente, risale a nn!lnN - 'eJpala/:1.

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2. LE FONTI

la voce di Gesù mentre parla nella sua lingua. Ancora più pro­ babile è che singole parole ed espressioni aramaiche suonassero così vive nei racconti di Pietro, che Marco, mettendoli per iscrit­ to, decise di conservare queste parole come le aveva udite dal suo maestro. In questo senso sono preziose anche alcune inesattezze gram­ maticali e sintattiche che incontriamo in Marco, e nelle quali pu­ re udiamo in qualche modo la viva voce di Gesù. Ad esempio: «Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due . . . E ordi­ nò loro di non prendere per il viaggio nient'altro . . . e di non por­ tare due tuniche» (Mc 6,7-9). Nell'originale greco si dice «e non portate due tuniche», con un errore di sintassi (due proposizioni parallele non coordinate tra loro, rispettivamente con un infini­ to e un imperativo). L'imperativo che compare inaspettatamente fa supporre che l ' autore del racconto (Pietro o Marco), descri­ vendo il dialogo di Cristo con i discepoli, ricordasse tanto viva­ mente la sua voce da inserire nel discorso un elemento di discor­ so diretto, dopo aver riportato le altre sue parole in forma di di­ scorso indiretto. Oltre agli elementi di aramaico, in Marco si incontrano dei latinismi . Su questa base alcuni studiosi ipotizzano che il suo Vangelo fosse scritto per gli abitanti di Roma (nel I secolo la lingua parlata a Roma era il latino, mentre la principale lingua scritta era il greco). Talvolta l ' evangelista spiega termini ara­ maici con termini latini. Esempi di latinismi sono: «quadrante» (Mc 1 2,42)92, «pretorio» (Mc 1 5 , 1 6)93•

4. Il Vangelo di Luca

Il Vangelo che sta al terzo posto nel corpus dei libri del Nuo­ vo Testamento è firmato con il nome di Luca fin dal più antico 92 In italiano tradotto semplicemente come «soldo»; ndt. 93 Per una panoramica delle posizioni degli studiosi rispetto al possibile legame tra il Vangelo di Marco e Roma, cfr.: B.J. INCIGNERI, The Gospel to the Romans, pp. 961 05.

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codice conservatosi di questo Vangelo, il papiro Bodmer XIV, datato tra il II e il III secolo. È l 'unico Vangelo di cui si abbia un destinatario ben preciso, tale «illustre Teofilo», menziona­ to nel prologo (Le l ,3 ), e poi nel prologo degli Atti degli apo­ stoli (At 1 , 1 ). Non sappiamo chi fosse94• A giudicare dal nome, doveva essere greco, non romano o ebreo95• Forse fu il com­ mittente («patrono letterario») di entrambi i libri, scritti da Lu­ ca non solo per lui ma anche per un gruppo di colti greci a cui egli apparteneva96• La tradizione della Chiesa ritiene che Luca fosse un discepo­ lo dei settanta, discepolo di san Paolo. A testimoniare che Luca accompagnasse Paolo in alcuni viaggi, vi sono dei brani degli Atti degli apostoli, dove l'autore del libro indica con il pronome «noi» se stesso e Paolo (At 1 6, 1 0- 1 7 ; 20,5- 1 5 ; 2 1 , 1 - 1 8 ; 27, 1 28. 1 6). Da parte sua, Paolo nomina tre volte Luca. Nella lettera ai Colossesi, scrive: «Vi saluta Luca, il caro medico» (Col 4, 1 4). Nella seconda lettera a Timoteo, Paolo lamenta che i suoi col­ laboratori si siano dispersi in vari paesi, osservando: «Solo Lu­ ca è con me» (2Tm 4, l 0). Nella lettera a Filemone inserisce Luca, insieme a Marco, nell'elenco dei suoi quattro collabora­ tori (Fm 1 ,24). Il Vangelo di Luca è il più lungo. Ed è l'unico dei quattro Van­ geli a cominciare con il classico prologo introduttivo greco : Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avveni­ menti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno tra­ smessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch ' io ho deciso di fare ri­ cerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teofilo, in modo che tu pos­ sa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevu­ to (Le 1 , 1 -4).

94 J.B. GREEN, The Gospel ofLuke, p. 44. 95 R. C. TANNEHILL, Luke, p. 35. 96 P.E. SPENCER, Rhetorica/ Texture and Narrative Trajectories ofthe Lukan Galile­ an Ministry Speeches, pp. 3 1 -33.

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2. LE FONTI

Esistevano numerosi trattati, anche filosofici e medici, che iniziavano in maniera analòga97• In particolare, il trattato di Dio­ scoride Pedanio (I sec.) De materia medica (IIEpì UÀ.TJ (Mc 1 5 ,34). In questo caso Matteo riporta l ' appel­ lo di Gesù a Dio in ebraico ('"iN 'eti, Sal 2 1 ,2), mentre Marco in aramaico (';"'"iN, la pronuncia ricostruita è 'iliihi, cfr. l ' ara­ maico biblico 'eliiht'). In che lingua echeggiò in origine il gri­ do? Probabilmente in aramaico, la lingua parlata da Gesù e i suoi discepoli. Perlomeno, le parole di Gesù che Marco con­ serva nella loro pronuncia originaria hanno un 'origine aramai­ ca: «Talità kum» (Mc 5 ,4 1 ), «Effatà» (Mc 7,34), «Abbà» (Mc 7 L. KoEHLER, W. BAUMGARTNER, Hebriiisches und Aramiiisches Lexikon zum Alten Testament, vol. 5, p. 1 666.

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3. IL FIGLIO D ELL'UOMO

14,36). Nei passi paralleli degli altri evangelisti queste parole mancano. Oltre alle diverse varianti di ebraico e aramaico che Gesù avrebbe potuto usare, nella Palestina dei suoi tempi era ampia­ mente usato il greco, la lingua di comunicazione internazionale nell 'impero romano. Molti abitanti della Galilea padroneggia­ vano il greco in misura maggiore o minore8• Il latino aveva una diffusione molto inferiore. Gesù conosceva queste lingue, e se si, a che livello? Noi possiamo solo ipotizzare che la sua conver­ sazione con Ponzio Pilato non si svolgesse in aramaico o in ebrai­ co, lingue che il prefetto romano difficilmente poteva conosce­ re. È più probabile che essa si svolgesse in greco9• Sappiamo anche, dal Vangelo di Giovanni, del desiderio dei «Greci» di incontrare Gesù (Gv 1 2,20-22). Ebbe luogo il dialo­ go di Gesù con loro, e se sì, in che lingua? L'evangelista non dà una risposta, così come non dà spiegazioni alla sconcertata do­ manda dei giudei riguardo a Gesù: «Andrà forse da quelli che sono dispersi fra i Greci e insegnerà ai Greci?» (Gv 7,35). In ogni caso, che Gesù conoscesse il greco e lo usasse in determi­ nate situazioni è più che verosimile.

2. Gli anni della vita

I Vangeli riportano indicazioni concrete sul periodo in cui si svolsero gli avvenimenti descritti. Ad esempio, Luca comincia il suo racconto sulla nascita di Giovanni Battista con le paro­ le : «Al tempo di Erode, re della Giudea» (Le l ,5). Si tratta di Erode il Grande, che amministrò i territori palestinesi dal 3 7 al 4 a.C. La fonte principale di notizie su Erode, sebbene questi sia menzionato anche in una serie di altre fonti, sono le opere di Giu­ seppe Flavio. Il padre di Erode, Antipatro, ottenne la cittadinan8 M.A. CHANCEY, The Myth ofa Gentile Galilee, p. 1 80. 9 A. PuJG 1 TÀRRECH, Gesù, p. 2 1 2.

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za romana e nel 47-48 a.C. divenne governatore della Giudea. Egli designò il figlio venticinquenne Erode come amministrato­ re della Galilea. Nel 40 a.C. Erode ottenne dai romani il diritto al trono di Giudea, ma poté prendeme possesso solo nel 3 7 a.C. Il governo di Erode fu segnato da numerosi atti di crudeltà, de­ scritti a vivide tinte da Giuseppe Flavio. La morte di Erode vie­ ne datata in genere al 4 a.C., sebbene tale datazione sia messa in discussione da alcuni studiosi. L'evangelista Luca inizia il racconto della nascita di Gesù con le parole: «In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo cen­ simento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria» (Le 2, l ). Quirinio viene menzionato in tutta una serie di fonti storiche, tra cui Tacito, Floro e Giuseppe Flavio. Quest'ultimo parla del censimento organizzato da Quirinio per ordine dell' im­ peratore : Quirinio, senatore romano passato attraverso tutte le magistratu­ re fino al consolato, persona estremamente distinta sotto ogni aspet­ to, giunse in Siria, inviato da Cesare affinché fosse il governatore della nazione e facesse la valutazione delle loro proprietà . . . Fu in­ viato per governare la Giudea con piena autorità. Quirinio visitò la Giudea, allora annessa alla Siria, per compiere una valutazione del­ le proprietà dei Giudei e liquidare le sostanze di Archelao. All ' ini­ zio i Giudei, sentendo parlare del censimento delle proprietà, lo ac­ colsero come un oltraggio, gradualmente però acconsentirono, rad­ dolciti dagli argomenti del sommo sacerdote Joazar, figlio di Boeto, a non proseguire nella loro opposizione; così quanti furono da lui convinti dichiararono, senza difficoltà, i beni di loro proprietà10•

La datazione di tale censimento comporta notevoli difficoltà. Giuseppe Flavio la lega alla destituzione di Archelao, avvenuta nel 6 d.C. Se prestiamo fede a Flavio, proprio allora sarebbe giunto in Giudea Quirinio. Quest'anno, però, dista dalla suppo­ sta data di nascita di Gesù circa dieci anni. Per concordare le due 10 GIUSEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche 1 8, l , l ; tr. it. vol. l , pp. 1 1 04- 1 1 05.

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3. IL FIGLIO DELL'UOMO

cronologie è stata avanzata l'ipotesi che Quirinio fosse procon­ sole in Siria per due mandati. Tale ipotesi è in qualche modo con­ fermata da un ' iscrizione rinvenuta nei dintorni di Roma nella seconda metà del XVIII secolo: vi si parla di una persona che ai tempi di Augusto fu insignita per due volte di onori «trionfali» e fu proconsole in Asia e in Siria Fenice. È molto plausibile che si tratti proprio di Quirinio e che egli fosse proconsole in Siria inizialmente sotto Erode il Grande, e poi di nuovo, circa dieci anni dopo la sua morte 1 1 • In questo caso si capisce anche la spe­ cificazione di Luca, che tale censimento fu il primo durante il governo di Quirinio in Siria. Evidentemente, il censimento men­ zionato da Giuseppe Flavio non era il primo. Il racconto sull 'inizio della predicazione di Giovanni Battista nel Vangelo di Luca è datato al quindicesimo anno del governo di Tiberio (Le 3 , 1 ). Tiberio governò l 'impero romano dal 1 9 ago­ sto del 1 4 al 1 6 marzo del 3 7 : di conseguenza, l 'inizio della pre­ dicazione di Giovanni può sìtuarsi alla seconda metà dell' anno 29 o all' inizio del 30. Non sappiamo quanto tempo trascorresse tra l ' inizio della predicazione di Giovanni e il battesimo di Ge­ sù. Luca ricorda che Gesù «aveva circa trent' anni» (Le 3 ,23), quando iniziò il suo ministero. Il computo degli anni a partire dalla nascita di Cristo fu intro­ dotto in Europa dal monaco latino Dionigi il Piccolo, vissuto nel VI secolo. Egli prese l ' anno 754 dalla fondazione di Roma co­ me anno di nascita di Gesù Cristo, secondo i dati offerti dal ter­ zo capitolo del Vangelo di Luca. Tuttavia, nel primo capitolo dello stesso Vangelo, parlando degli avvenimenti direttamente collegati alla nascita di Gesù, Luca li data al periodo del governo di «Erode, re della Giudea» (Le l ,5). Anche Matteo parla della nascita di Gesù «al tempo del re Erode» (Mt 2, l ), e della strage dei bambini «da due anni in giù» per ordine di Erode (Mt 2, 1 6). Tutti questi avvenimenti, quindi, dovevano essersi svolti prima della morte di Erode, così come la fuga di Giuseppe e Maria con il Bambino in Egitto. So11

A. V. PONOMAREV, «Kvirinij» (Quirinio), p. 300.

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lo «morto Erode» (Mt 2, 1 9), quando in Giudea ormai governa­ va il figlio di Erode Archelao (Mt 2,22), Giuseppe e Maria po­ terono fare ritorno dali 'Egitto. Partendo dal presupposto che Erode il Grande sia morto nel 4 a.C., la nascita di Gesù è databile al 5-6 a.C. A questa data si attiene la maggioranza degli studiosi contemporanei. Un' altra indicazione che aiuta a stabilire la cronologia della vita e del ministero di Gesù ci viene dal Vangelo di Giovanni. Vi sono riportate le parole pronunciate da Gesù all' inizio del suo ministero: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò ri­ sorgere». I giudei, che pensavano al tempio di Gerusalemme nel­ le forme in cui lo aveva ricostruito Erode il Grande, risposero: «Questo tempio è stato costruito ( oÌKOÙOf..l11811) in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?» (Gv 2 , 1 9-20). Secondo Giuseppe Flavio, la ricostruzione del tempio di Ge­ rusalemme iniziò nel diciottesimo anno del regno di Erode il Grande12, vale a dire nel 1 9 a.C. Contando quarantasei anni da allora, si arriva al 28 d.CY. Tuttavia, non possiamo affermare con certezza che la conversazione di Gesù con i giudei avvenis­ se nella pasqua proprio di quell' anno, perché si parla della co­ struzione del tempio come di un evento già conclusosi in passa­ to (viene usata la forma passiva dell' aoristo)14• Jack Finegan, autore di un' opera fondamentale sulla crono­ logia biblica, ha proposto un ' originale (per quanto anche di­ scutibile) interpretazione del passo di Gv 2, 1 9-20. Lo studioso fa osservare che solo in questo passo l 'evangelista Giovanni indica il tempio con la parola va6ç (lett. «santuario»), mentre negli altri casi (tra cui anche il racconto della cacciata dei mer­ canti dal tempio, che precede immediatamente questo testo) usa il termine i.Gp6v (lett. «luogo sacro»). Quest'ultimo indica il

1 2 GIUSEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche 1 5 , I l , l . Altrove (La guerra giudaica l , 2 1 , l ; tr. it. vol. l , p . 1 63) l'autore data l 'inizio della ricostruzione del tempio al quindicesi­ mo anno del governo di Erode, ma la prima data viene ritenuta più verosimile (J. FINE­ GAN, Handbook ofBiblica/ Chronology, pp. 347-348). 13 Cfr. : R.E. BROWN, The Gospel according to John (l-XII), p. 1 1 6. 14 J. FINEGAN, Handbook of Biblica/ Chronology, p. 349.

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IL FIGLIO D E L L'UOMO

tempio nel suo insieme, compresi il cortile dei giudei e quello dei gentili, ed effettjvamente l 'evangelista lo usa ogni volta in cui parla della presenza di Gesù e del popolo nel tempio (Gv 2, 1 4; 5 , 1 4; 7,28; 8,20; 1 8,20). Al contrario, il termine va6ç ave­ va anche il significato specifico di «parte interna del tempio», accessibile solo ai sacerdoti (questo significato, noto in base al­ la letteratura antica in riferimento ai templi pagani, si riscontra anche in Giuseppe Flavio). Il fatto che nel passo di Gv 2, 1 9-20 l 'evangelista impieghi la parola va6ç invece dell 'abituale isp6v, fa pensare che qui non ci si riferisca al tempio nel suo insieme, ma al santuario, la cui ricostruzione viene descritta da Giuseppe Flavio separatamente1 5 • In questo caso, però, quarantasei anni non possono indicare il tempo dei lavori di costruzione, perché i lavori nel santuario durarono in tutto un anno e mezzo 16• Te­ nendo conto che l ' aoristo passivo indica un avvenimento del passato, Finegan propone di interpretare le parole tscrcrsp>, dicendo con orgoglio: «Il padre nostro è Abramo» (Gv 8,39). Il nome di Abramo godeva tra il popolo di Israele di indi­ scussa autorità: con lui Dio aveva stipulato l'alleanza, sulla cui base gli ebrei si ritenevano il popolo eletto. Questa alleanza nel­ la prospettiva cristiana verrà risignificata come Antica, alla luce della Nuova Alleanza stipulata attraverso Gesù Cristo, «figlio» di Abramo. Il tema della correlazione fra Antico e Nuovo Testamento è il motivo conduttore del Vangelo di Matteo. La genealogia di Ge­ sù secondo il Vangelo di Matteo copre circa duemila anni di sto­ ria veterotestamentaria, di cui mille intercorrono fra Davide e Gesù. Iniziando il suo Vangelo dalla genealogia, Matteo sottoli­ nea che il ministero di Gesù costituisce la continuazione di que­ sta storia. Non meno importante era mostrare immediatamente l 'origine messianica di Gesù. I lettori di Matteo sapevano bene che il Mes­ sia doveva provenire dalla tribù di Giuda, secondo la profezia: «Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l 'obbedienza dei popoli» (Gen 49, 1 0). Nella profezia di Balaam il Messia è presentato come discendente di Giacobbe (Israele) : «lo lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (Nm 24, 1 7). Giacobbe era il padre di Giuda, e Abramo il suo bisnonno. Nel libro del profeta Isaia la promessa del Messia si collega alla casa di Giacobbe (ls 2,2-4). Nello stesso libro il Messia viene chiamato «germoglio che spunterà dal tronco di lesse» (ls 1 1 , l ). lesse, che veniva da Betlemme di Giudea, era il pa­ dre del re Davide ( l Sam 1 7 , 1 2), di cui n eli ' Antico Testamento si dice ripetutamente che dalla sua stirpe sarebbe disceso il Messia. In senso messianico venivano interpretate le parole rivolte a Davide da Natan, a nome di Dio: «Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo di� 1 83

L' INIZIO DEL VANGELO

scendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile il trono del suo regno per sempre. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio» (2Sam 7, 1 2- 1 4). Nello stesso senso ve­ nivano recepiti i versetti del salmo: «Ho stretto un 'alleanza con il mio eletto, ho giurato a Davide, mio servo. Stabilirò per sem­ pre la tua discendenza, di generazione in generazione edificherò il tuo trono» (Sal 88,4-5). Infine, non meno importante è la pro­ fezia di Geremia: «Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele vivrà tranquil­ lo, e lo chiameranno con questo nome: Signore-nostra-giustizia» (Ger 23,5-6). Secondo le profezie, dunque, il Messia doveva essere un di­ scendente diretto di Davide24, e per questo ali ' autore della genealogia di Gesù era indispensabile menzionare Davide. L' e­ spressione «figlio di Davide» si incontra più volte nel testo di Matteo e nei racconti paralleli degli altri sinottici. Gesù è chia­ mato figlio di Davide da quanti lo supplicano di essere guariti (Mt 9,27; 1 5,22; 20,30-3 1 ) o da quanti si stanno interrogando su di Lui (Mt 1 2,23); quando Gesù entrò in Gerusalemme fu accol­ to dalle parole: «Osanna al figlio di Davide» (Mt 2 1 ,9). La cer­ tezza dei giudei che il Messia dovesse venire dalla stirpe di Da­ vide è confermata dalle parole dei farisei : «Non dice la Scrittu­ ra: Dalla stirpe di Davide . . . verrà il Cristo?» (Gv 7,42). I sinot­ tici riportano la disputa di Gesù con i giudei se il Messia sia o no figlio di Davide: Mentre i farisei erano riuniti insieme, Gesù chiese loro: «Che co­ sa pensate del Cristo? Di chi è figlio?». Gli risposero: «Di Davide)). Disse loro: «Come mai allora Davide, mosso dallo Spirito, lo chia­ ma Signore, dicendo: Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici sotto i tuoi piedi (Sal 1 09, 1 )?

24 Su questo, cfr. in particolare: S.

MowiNCKEL,

1 84

He That Cometh, pp. 1 65- 1 8 1 .

3. IL F I G L I O DELL'UOMO

Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?» (Mt 22,4 1 -45 ; cfr. : Mc 1 2,35-37 ; Le 20,40-44).

Come si vede dal racconto, Gesù non confuta la certezza dei giudei nel fatto che il Messia debba provenire dalla stirpe di Da­ vide. Ma sottolinea che per Davide il Messia è il Signore: quin­ di, non è solo discendente diretto di Davide, ma anche suo Si­ gnore. Dopo la sua resurrezione, gli apostoli approfondirono questo tema, dandogli un posto centrale nelle loro testimonianze sul ruolo messianico di Gesù. Gli Atti degli apostoli riportano il di­ scorso pronunciato da Pietro nel giorno di Pentecoste, che ha un carattere programmatico: Pietro vi espone l'essenza del Vange­ lo che lui e gli altri apostoli sono intenzionati a predicare. In ta­ le esposizione Davide ha un posto importante: Dice infatti Davide a suo riguardo: Contemplavo sempre il Si­ gnore innanzi a me; egli sta alla mia destra, perché io non vacilli . . . Fratelli, m i sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davi­ de, che egli morì e fu sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi. Ma poiché era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solenne­ mente di far sedere sul suo trono un suo discendente, previde la ri­ surrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu abbandonato negli in­ feri, né la sua carne subì la corruzione. Questo Gesù, Dio lo ha ri­ suscitato e noi tutti ne siamo testimoni (At 2,25 .29-32).

Il tema di Davide occupa un posto sostanziale anche nella pre­ dicazione di san Paolo. Nelle sue lettere egli vi ritorna due volte (Rm l ,3 ; l Tm 2,8), e il libro degli Atti ci riferisce uno dei ser­ moni da lui pronunciati : Suscitò per loro Davide come re, al quale rese questa testimo­ nianza: «Ho trovato Davide, figlio di lesse, uomo secondo il mio cuore; egli adempirà tutti i miei voleri». Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio inviò, come salvatore per Israele, Gesù E noi v i annunciamo che l a promessa fatta ai padri s i è realizzata, perché Dio l'ha compiuta per noi, loro figli, risuscitando Gesù, co. . .

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me anche sta scritto nel salmo secondo: Mio figlio sei tu, io oggi ti ho generato. Sì, Dio lo ha risuscitato dai morti, in modo che non ab­ bia mai più a tornare alla corruzione, come ha dichiarato: Darò a voi le cose sante di Davide, quelle degne di fede. Per questo in un altro testo dice anche : Non permetterai che il tuo Santo subisca la corru­ zione. Ora Davide, dopo aver eseguito il volere di Dio nel suo tem­ po, mori e fu unito ai suoi padri e subì la corruzione. Ma colui che Dio ha risuscitato, non ha subìto la corruzione (At 1 3 ,22-23 .32-37).

Osserviamo che, sebbene nel corpus del Nuovo Testamento il Vangelo di Matteo venga per primo, i discorsi citati degli apo­ stoli Pietro e Paolo, molto probabilmente, dal punto di vista cro­ nologico precedono questo Vangelo, poiché segnano l 'inizio del­ la predicazione degli apostoli. Anche le menzioni della prove­ nienza di Gesù dalla stirpe di Davide presenti nelle lettere di san Paolo, con ogni probabilità, sono precedenti rispetto al Vangelo di Matteo. Le genealogie venivano sempre tracciate per linea maschile, di padre in figlio e così via. Matteo mantiene rigidamente quest'or­ dine. Sia la forma in cui è presentata la genealogia, sia i nomi in essa compresi sono desunti dai libri dell'Antico Testamento. Al­ cuni prestiti sono quasi letterali (ad esempio, Mt 1 ,3-6 corrispon­ de a 2Cr 2, 1 0- 1 2 e Ru 4, 1 8-22). Le quattro donne citate nella genealogia di Matteo erano mo­ gli di personaggi di cui Gesù, secondo Matteo, era diretto discen­ dente. Sul motivo per cui i loro nomi sono inseriti nella genea­ logia esistono pareri diversi. In due casi, le donne menzionate da Matteo non erano legittime spose degli uomini da cui nacque il figlio inserito nella genealogia: si tratta di Tamar, a cui si unì Giuda, scambiando la per una prostituta (Gen 38, 1 3-30), e di Betsabea, moglie di Uria, con cui Davide commise adulterio (2Sam 1 1 ,2-27). Rut viene citata forse perché ai suoi rapporti con Booz è dedicato un intero libro biblico (Ru 2, 1 -4. 1 6). La figura femminile più enigmatica tra quelle menzionate da Matteo è Raab. Molti studiosi la identificano con Raab la pro­ stituta, citata nel libro di Giosuè (Gios 2 , 1 -24; 6, 1 7). Tuttavia, 1 86

3. IL FIGLIO DELL'UOMO

nell'Antico Testamento non si dice che Raab sposasse Salmon. Forse Matteo si basava su altre fonti, diverse da quelle bibliche, oppure non si riferiva alla Raab di cui si parla nella Bibbia. Perché Matteo riporta la genealogia di Giuseppe, dal mo­ mento che Giuseppe, per asserzione dello stesso evangelista, non era il padre biologico di Gesù? La risposta a questa do­ manda viene dalla consuetudine dei giudei di considerare pa­ dre del bambino il marito di sua madre, anche se il bambino \ non era nato da lui. Sposando Maria, «che era incinta» (Le 2,5), Giuseppe si assumeva il dovere di allevare e educare il Bam­ bino che da lei sarebbe nato. Pur non essendo il padre biologi­ co del Bambino, ne era il padre legittimo, e per questo Gesù continuò ad essere chiamato, anche in età adulta, «figlio di Giu­ seppe» (Le 4,22; Gv l ,45). Confrontando la genealogia del Vangelo di Matteo con i libri biblici che narrano la storia dei re di Giuda, colpisce che Matteo ometta tre re fra Ioram e Ozia, vale a dire Acazia, Ioas e Ama­ sia. Tale omissione aveva evidentemente lo scopo di ottenere il numero sacro quattordici nell'elenco delle generazioni fra Da­ vide e la deportazione babilonese. Per Matteo il simbolismo dei numeri aveva più importanza della sequenza storica dei nomi. È anche possibile che il desiderio di ottenere ad ogni costo il risul­ tato di quattordici in ogni segmento cronologico fosse legato al fatto che il valore numerico delle lettere ebraiche che formava­ no il nome «Davide», sommate insieme, faceva quattordici. Non a caso Matteo suddivide la genealogia in segmenti, da Abramo a Davide, da Davide alla cattività babilonese e dalla cat­ tività babilonese a Cristo. In questo schema Abramo, Davide e Cristo divengono una sorta di pilastri portanti, di nomi-simbolo su cui si regge l'intera costruzione. Per gli studiosi l 'enigma principale consiste nel fatto che le due genealogie di Gesù Cristo sono notevolmente diverse una dall 'altra. Le genealogie di Matteo e Luca coincidono solo nel segmento che riporta i nomi da Abramo a Davide. In seguito Matteo segue la linea «regale», elencando i re di Giuda così co­ me sono menzionati n eU' Antico Testamento, mentre Luca ripor1 87

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ta un'altra linea. La discordanza tra le genealogie si conserva da Davide a Salatièl, che Matteo riporta dopo sedici generazioni, mentre Luca dopo venti. Le linee si ricongiungono con Salatièl e Zorobabele, presenti negli elenchi di entrambi gli evangelisti (Mt 1 , 1 2; Le 3 ,27), me poi divergono nuovamente fino a Giu­ seppe, lo sposo di Maria. Perfino il nome del padre di Giuseppe è diverso nei due evangelisti: Matteo lo chiama Giacobbe, Luca invece Eli (Mt 1 , 1 5- 1 6; Le 3,23). Gli studiosi osservano che, per tracciare la genealogia di Ge­ sù Cristo, Matteo segue fondamentalmente il primo libro delle Cronache, mentre Luca non conosce questo libro25• La genealo­ gia nel Vangelo di Luca si basa su altre fonti bibliche e nell'in­ sieme, secondo gli studiosi, corrisponde più esattamente alla real­ tà storica, almeno rispetto al periodo precedente la cattività ba­ bilonese26. La presenza di due genealogie aveva già attirato l'attenzione degli autori cristiani delle origini, che tentavano di spiegare le discordanze tra gli evangelisti rimandando alle leggi ebraiche, in particolare alla legge del levirato: secondo questa normativa, se un fratello moriva senza discendenza, l ' altro fratello doveva prendeme la moglie, e «il primogenito che ella metterà al mon­ do, andrà sotto il nome del fratello morto, perché il nome di que­ sti non si estingua in Israele» (Dt 25,6). Nell'Antico Testamen­ to, anche nella Septuaginta, questo si chiamava «assicurare il nome del proprio fratello» (Dt 25,7); nel Nuovo Testamento, pro­ prio rifacendosi a questa legge, viene usata l'espressione «dare una discendenza al proprio fratello» (Mt 22,24; Mc 1 2, 1 9; Le 20,28). La prescrizione veterotestamentaria in questo caso ha uno scopo chiaro: la legge è finalizzata a far sì che il nome di chi muore senza lasciare discendenti «non si estingua in Israele». Di conseguenza, il nome di quest'uomo doveva entrare nella genea­ logia di colui il cui padre biologico era, in realtà, suo fratello.

25 J. JEREMIAS, Jerusa/em in the Time ofJesus, pp. 280, 295. 26 Ibid., p. 296. Sulle differenze tra le genealogie di Cristo in Matteo e in Luca, cfr. ; M.D. MURETOV, Rodoslovie Christa (La genealogia di Cristo), pp. 360-368.

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3. IL FIGLIO DELL'UOMO

Mediante la legge del levirato spiega le due genealogie Giulio Africano (III sec.), di cui Eusebio di Cesarea riporta le parole: In Israele i nomi delle generazioni erano enumerati in base alla natura o in base alla Legge. La successione per natura era stabilita in base alla nascita; se invece un uomo fecondava la moglie del fra­ tello morto senza figli, il nasci turo veniva considerato figlio del fra­ tello defunto . . . In questa genealogia si fa menzione dunque sia di coloro che si succedettero da padre in figlio per nascita, sia di colo­ ro che furono generati nel nome di altri, dai quali presero il nome dei padri veri, di cui erano figli secondo la Legge. Così nessuno de­ gli evangelisti dice il falso, poiché enumera le generazioni sia in ba­ se al principio naturale sia in base a quello della Legge: infatti le generazioni di Salomone e di Nathan erano intrecciate l'una all'al­ tra a causa della continuazione della stirpe di coloro che non aveva­ no figli, delle seconde nozze e della procreazione a nome di altri; così, giustamente, si ritenevano le stesse persone figli sia di coloro che erano padri solo di nome sia di coloro che lo erano. Entrambe le versioni degli evangelisti, pertanto, assolutamente vere, arrivano fino a Giuseppe in modo complicato, ma esatto27•

Questa via tortuosa, o meglio queste due vie condussero, se­ condo Africano, i due evangelisti ai due diversi padri di Giu­ seppe, uno dei quali sarebbe stato tale per legge, e l ' altro nella carne. Concordando con la posizione di Africano, Eusebio di Cesarea osserva: «Essendo questa la genealogia di Giuseppe, necessariamente anche Maria compare come membro della me­ desima tribù, poiché la Legge di Mosè proibiva il matrimonio tra membri di tribù diverse; essa prescriveva infatti di unirsi in matrimonio con un altro dello stesso popolo e della stessa pa­ tria, affinché l ' eredità della stirpe non passasse da una tribù ali ' altra»28• Anche Giovanni Damasceno (VIII sec.) segue questa inter­ pretazione. Sulle orme dell'Africano, afferma che le due linee

27 EusEBIO m CESAREA, Storia ecclesiastica l, 7, 2-4; tr. it. vol. l , p. 70. 28 Jbid. l, 7, 1 7; tr. it. vol. l, p. 74.

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L'INIZIO DEL VANGELO

parallele dei discendenti di Davide ad un certo punto giunsero fino a Giacobbe ed Eli, i quali . . . erano figli della stessa madre, ma Giacobbe era della tribù di Salomone, Eli della tribù di Natan. Poi Eli, della tribù di Natan, mo­ rì senza figli: allora Giacobbe suo fratello, della tribù di Salomone, sposò la moglie di lui, suscitò il seme per suo fratello e generò Giu­ seppe. E perciò Giuseppe secondo la natura è figlio di Giacobbe del­ la discendenza di Salomone, ma secondo la legge è figlio di Eli, del­ la tribù di Natan . . . Che Giuseppe discende dalla tribù di Giuda, i santissimi evangelisti Matteo e Luca lo hanno mostrato chiaramen­ te: ma Matteo lo riporta da Davide attraverso Salomone, Luca attra­ verso Natan. E ambedue tacquero della generazione della santa Ver­ gine29.

L' ipotesi che Luca riporti la genealogia di Maria, e non quel­ la di Giuseppe fu proposta per la prima volta dall 'umanista An­ nio da Viterbo ( 1 432- 1 505), e successivamente accolta da molti studiosi. Secondo tale ipotesi, Eli, menzionato da Luca subito dopo Giuseppe, non sarebbe stato il padre di Giuseppe, bensì di Maria, e tutti i nomi seguenti costituiscono la genealogia non di lui ma di lei. L'ipotesi di Annio consente di risolvere più elegan­ temente, rispetto alla legge del levirato, l 'apparentemente inso­ lubile enigma delle due genealogie. Si ravvisa una conferma indiretta di quest' ipotesi nella forma in cui Luca presenta la genealogia. L'elenco dei nomi inizia con le parole: «Gesù, quando cominciò il suo ministero, aveva circa trent'anni ed era figlio, come si riteneva, di Giuseppe, figlio di Eli» (Le 3 ,23). È come se, con l'espressione «come si riteneva», l 'evangelista volesse mettersi al riparo da possibili rimproveri di inesattezza. Inoltre, nel testo greco del Vangelo di Luca, al no­ me di Giuseppe nella genealogia non è affiancato l'articolo tou-, mentre tutti gli altri nomi presentano l 'articolo determinativo. Questo può significare che Giuseppe, in quanto padre putativo di Gesù, viene contrapposto in qualche modo agli antenati reali 29 GIOVANNI DAMASCENO, La fede ortodossa 4, 14; tr. Ìt. pp. 273-275 .

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3. IL FIGLIO D E LL'UOMO

di Gesù per linea materna. In questo caso il testo va inteso nel senso che Gesù era, «come si riteneva», figlio di Giuseppe, ma in realtà era figlio (discendente) di Eli e degli altri personaggi menzionati, antenati di Maria. Una differenza sostanziale della genealogia di Luca rispetto a quella di Matteo consiste nel fatto che egli la fa risalire non fi­ no ad Abramo, ma fino a Adamo e a Dio. In tal modo Luca, che indirizza il proprio Vangelo non ai convertiti provenienti dal giu­ daismo, ma dal paganesimo, sottolinea il carattere universale della missione di Gesù: questi non è semplicemente figlio di Abramo e di Davide, ma innanzitutto di Adamo e di Dio (Le 3,38). L'espressione «Figlio di Adamo» è praticamente identica all 'espressione «Figlio dell'Uomo», usata ripetutamente dallo stesso Gesù, poiché Adamo nella tradizione vetero testamentaria era recepito come il primo uomo e il simbolo di tutta l 'umanità. E l'espressione «Figlio dell'Uomo» sottolinea che, pur essendo inscritto in una concreta genealogia umana, pur essendo piena­ mente uomo, Gesù era contemporaneamente anche Dio. Non ci addentreremo in ulteriori dettagli del dibattito sulla differenza tra le due genealogie, come pure nell'esame delle ipo­ tesi circa le loro supposte fontP0• Ci limiteremo a dire che in en­ trambi i Vangeli le genealogie hanno un' importanza non tanto storica, quanto teologica. Gli autori cristiani delle origini rileva­ vano nella genealogia di Gesù un legame diretto con la dottrina della redenzione dell'umanità a opera di Gesù, in quanto Dio e Salvatore. Giovanni Crisostomo nel IV secolo diceva: Pur essendo Figlio, e Figlio autentico, del Dio senza principio, acconsentì di essere ritenuto anche figlio di David per renderti fi­ glio di Dio, acconsentì di avere un padre schiavo, perché tu, che eri schiavo, avessi il Signore come Padre. Hai visto come subito, fin 30

Ad esempio, alcuni studiosi ritengono che Matteo si avvalesse di due fonti : in una

di esse si parlava della nascita di Gesù dalla Vergine senza padre, nell'altra di Lui come

figlio di Giuseppe e discendente di Davide. Matteo avrebbe unito meccanicamente que­ ste due fonti che si escludevano a vicenda, e Luca si sarebbe basato sui dati di Matteo, ampliandoli e precisandoli. Cfr. : W.H. ScHEIDE, The Virgìn Birth, pp. 1 39- 1 4 1 . L'artifi­ ciosità di questa ipotesi è evidente.

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L' IN IZIO DEL VANGELO

dal principio, si presentino i vangeli? Se dubiti di ciò che ti riguar­ da, credilo in base a ciò che attiene a lui. Difatti è molto più diffici­ le, per quanto concerne il ragionamento umano, che Dio si faccia uomo piuttosto che l 'uomo sia chiamato figlio di Diò . Quando dun­ que ascolti che il Figlio di Dio è figlio di David e di Abramo, non dubitare più che tu, figlio di Adamo, sarai figlio di Dio3 1 •

Queste parole sono l a risposta ai lettori del Nuovo Testamen­ to che si interrogano sul perché i due evangelisti inserirono la genealogia di Gesù nelle proprie narrazioni. Ciascun uomo ha una propria genealogia, che lo rimanda a remoti antenati e, at­ traverso di loro, al progenitore comune, Adamo. In questo sen­ so tutti gli uomini sono apparentati, e l ' intera umanità costi­ tuisce un 'unica famiglia. Proprio così il cristianesimo intende l 'umanità. Inscrivendosi nella genealogia umana, il Dio fatto uo­ mo divenne membro a pieno diritto del genere umano, e gli uo­ mini, per usare le parole di Simeone il Nuovo Teologo (XI sec.), «divennero suoi fratelli e familiari nella came»32• Tuttavia, se l'evangelista Matteo sottolinea innanzitutto la pa­ rentela di Gesù con i suoi fratelli nella carne, esponenti del po­ polo ebraico, Luca ha un approccio più universale. Al contem­ po, nonostante la diversità di accenti, entrambi gli evangelisti recepiscono univocamente Gesù come Figlio dell'Uomo e in­ sieme Figlio di Dio, e reputano la sua venuta al mondo come un avvenimento che riguarda sia il popolo eletto di Israele, sia l'umanità nella sua interezza.

4. Gli avvenimenti che precedettero la nascita di Gesù

Esaminiamo ora i testi evangelici riguardanti gli avvenimen­ ti che precedettero la nascita di Gesù. Questi avvenimenti sono descritti nel Vangelo di Luca. Essi rappresentano una sorta di 31 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 2, 2 (PG 57, 25-26); tr. Ìt. vol. l , p. 54. 32 SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici 1 3 , 1 52- 1 5 5 (SC 1 29, 41 0).

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3. IL F I G L I O D ELL'UOMO

prologo alla parte principale del testo e in pratica non hanno pa­ ralleli negli altri Vangeli. Un posto considerevole è occupato dal­ la narrazione della nascita di Giovanni Battista. Alcuni studiosi avanzano l' ipotesi che esistesse una fonte particolare, provenien­ te dalla setta dei seguaci di Giovanni Battista, di cui si sarebbe avvalso Luca33• Luca riferisce che Gesù e Giovanni erano parenti, e che le lo­ ro sorti si unirono per volontà divina ancora prima della loro na­ scita. L' angelo Gabriele portò la notizia della nascita di Giovan­ ni a suo padre Zaccaria, anziano sacerdote senza figli, che svol­ geva il suo turno di servizio al tempio di Gerusalemme: Al tempo di Erode, re della Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccaria, della classe di Abia, che aveva in moglie una discendente di Aronne, di nome Elisabetta. Ambedue erano giu�ti davanti a Dio e osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signo­ re. Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni. Avvenne che, mentre Zaccaria svolgeva le sue funzioni sacerdotali davanti al Signore durante il turno della sua classe, gli toccò in sorte, secondo l'usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel tempio del Signore per fare l'offerta dell'incenso. Fuo­ ri, tutta l' assemblea del popolo stava pregando nell'ora dell' incen­ so. Apparve a lui un angelo del Signore, ritto alla destra dell' altare de li ' incenso. Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da timo­ re. Ma l ' angelo gli disse : «Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chia­ merai Giovanni» (Le l ,5- 1 3 ).

Nell 'antico Israele il sacerdozio era ereditario, e i sacerdoti erano alcune migliaia34• Essi non erano mai presenti contempo­ raneamente nel tempio: di regola, ciascun sacerdote partecipava ai riti del tempio non più di due settimane l ' anno. Questo perio33 Per una panoramica e una critica di questa teoria, cfr. : W. WINK, John the Baptist in the Gospel Tradition, pp. 60-82. 34 Basandosi su dati storici, Jeremias calcola che ali 'epoca di Gesù servivano al tem­ pio 7200 sacerdoti e 9600 !eviti. Cfr. : J. JEREMIAS, Jernsalem in the Time ofJesus, pp. 203-204.

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L' I N I Z I O DEL VANGELO

do costituiva appunto il suo «turno». I sacerdoti potevano inol­ tre recarsi al tempio in occasione delle grandi feste, se lo con­ sentiva la distanza tra il tempio e le loro abitazioni . L' angelo preannunciò a Zaccaria anche la futura sorte del fi­ glio: Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua na­ scita, perché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d ' Israele al Signore loro Dio. Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggez­ za dei giusti, e preparare al Signore un popolo ben disposto (Le 1 , 1 4- 1 7) .

Qui Giovanni viene descritto come un profeta inviato ai «fi­ gli d'Israele»: la sua missione non si estenderà ai pagani. Il ri­ tratto di Giovanni delineato dall'angelo ricorda le figure vetero­ testamentarie dei nazirei, persone che facevano (in genere, per un certo periodo) voto di condurre una vita ascetica, in partico­ lare di non bere vino o altra bevanda prodotta con uva, di non tagliare i capelli e di non toccare corpi morti (Nm 6, 1 -7). Il racconto dell 'apparizione dell'angelo a Zaccaria ricorda le narrazioni bibliche dell' apparizione di Dio al novantanovenne Abramo e dell'annuncio che gli sarebbe nato un erede. Udendo per la prima volta questo annuncio Abramo rise, incredulo, ed esclamò : «A uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all'età di novant'anni potrà partorire?» (Gen 1 7, 1 7). Alla secon­ da analoga predizione «Sara rise dentro di sé e disse: "Avvizzi­ ta come sono, dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio ! "» (Gen 1 8, 1 2). Nel nostro caso il sacerdote Zaccaria non ride, ma dimostra la stessa incredulità: Zaccaria disse all 'angelo: «Come potrò mai conoscere questo? lo sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni}}. L'angelo gli ri­ spose: «lo sono Gabriele, che sto dinanzi a Dio e sono stato manda1 94

3. IL F I G L I O DELL'UOMO

to a parlarti e a portarti questo lieto annuncio. Ed ecco, tu sarai mu­ to e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo». Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria e si meraviglia­ va per il suo indugiare nel tempio. Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Fa­ ceva loro dei cenni e restava muto. Compiuti i giorni del suo servi­ zio, tornò a casa. Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: «Ecco che cosa ha fat­ to per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna fra gli uomini» (Le 1 , 1 8-25 ).

Le parole sulla «vergogna» ci rammentano che la sterilità nell'antico Israele era considerata una maledizione divina: i co­ niugi sterili venivano guardati come peccatori, a cui Dio non concedeva una discendenza a motivo dei loro peccati. Sei mesi dopo l'apparizione a Zaccaria, Gabriele porta alla santissima Vergine l ' annuncio della futura nascita del divino Bambino, benedicendola con il saluto angelico: Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chia­ mava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te)). A queste parole ella fu molto turbata e si doman­ dava che senso avesse un saluto come questo. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell 'Altissimo; il Signore Dio gli da­ rà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine)). Allora Maria disse all'an­ gelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?)). Le rispo­ se l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell 'Al­ tissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dim) (Le l ,26-35).

Se nell 'apparizione a Zaccaria l'angelo non viene chiamato per nome, nell' episodio dell 'Annunciazione agisce un angelo 1 95

L' INIZIO DEL VANGELO

ben preciso, Gabriele35• In questo episodio Maria viene chiama­ ta per due volte «vergine» (1rap8tvoç). Tutto il suo colloquio con l'angelo si svolge intorno al tema del concepimento sopranna­ turale : «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». E l'angelo le dice che da lei nascerà colui che sarà chiamato Figlio di Dio, e che la nascita avverrà per opera dello Spirito Santo. Da quale fonte l 'evangelista Luca avrebbe potuto attingere le notizie sugli avvenimenti descritti nei capitoli iniziali del suo Vangelo, e in particolare sull'Annunciazione? La risposta viene da sé: la stessa Vergine Maria potrebbe aver narrato molti anni più tardi ai discepoli di Gesù il colloquio con l'angelo. Questa ipotesi non sembra inverosimile, se si tiene conto che dopo la resurrezione di Gesù gli apostoli «erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù» (At 1 , 1 4). Sconvolti dalla morte di Gesù ed esultanti per la sua resurrezione, avrebbero potuto interrogare Maria sulle cir­ costanze della sua nascita e sui suoi primi anni di vita. Alcuni di questi racconti, in seguito (o forse, fin dal momento in cui ven­ nero pronunciati), avrebbero potuto essere annotati. Il racconto della nascita di Giovanni è preceduto dall' incon­ tro fra le due future madri, Elisabetta e Maria: In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione mon­ tuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Eli­ sabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore ven­ ga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bam­ bino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha cre­ duto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto>> (Le 1 ,39-45).

Il «sussultare di gioia» del bambino Giovanni nel grembo di Elisabetta fu interpretato dagli esegeti come la prima profezia di 35 Il culto dell'arcangelo Gabriele nella Chiesa cristiana si basa principalmente su questo racconto.

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3.

IL FIGLIO DELL' U O M O

Giovanni Battista, che avrebbe preparato la venuta del Messia. Rispondendo aUa benedizione di Elisabetta, la Vergine Maria in­ neggia a Dio, che colma gli uomini di ineffabili doni di grazia: Allora Maria disse: «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l 'umiltà del­ la sua serva. D' ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno bea­ ta. Grandi cose ha fatto per me l 'Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i super­ bi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abra­ mo e la sua discendenza, per sempre (Le l ,46-55).

Quest' inno di lode, che prende il nome di Magnificai, entrò a far parte della liturgia fin dai primi secoli. Il cantico della Ver­ gine è simile per forma a molti inni de Il ' Antico Testamento, in particolare a quelli che lodano Dio per aver soccorso il popolo eletto (Es 1 5 ; Gdc 5, 1 ; 1 Sam 2; Ab 3). Vi si proclama il compi­ mento delle attese messianiche di Israele e dell 'intera umanità. Nella tradizione patristica il Magnificai è inteso talvolta come una profezia sulla Chiesa36• Per i credenti ha un valore partico­ lare, in quanto costituisce uno dei pochi discorsi della Madre di Dio presenti nei Vangeli. Il racconto di Luca sull ' incontro tra Elisabetta e la Vergine Maria è uno dei brani evangelici più sovente usati nella liturgia orientale: si legge durante il mattutino di tutte le feste mariane. Dopo aver trascorso tre mesi con Elisabetta, Maria «tornò a casa sua» (Le 1 ,56). Elisabetta partorisce, e questa nascita si ac­ compagna a un miracolo : Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla lu­ ce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva mani36 IRENEO

DI LIONE, Contro le eresie 3, l 0, 2 (SC 2 1 1 , 1 1 8).

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L' I N I Z I O DEL VAN GELO

festato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre inter­ venne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora doman­ davano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome)). Tutti furo­ no meravigliati. All' istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lin­ gua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?)). E davvero la ma­ no del Signore era con lui (Le 1 ,57-66).

Nell 'antico Israele esisteva la tradizione dei nomi dinastici : al neonato veniva imposto il nome in onore di suo padre o di uno dei suoi avi. Questa tradizione venne infranta alla nascita di Gio­ vanni, perché il nome del futuro profeta era stato stabilito da Dio stesso e comunicato ai genitori attraverso l'angelo. Quando tutto questo si fu compiuto, a Zaccaria fu restituita la favella. Ricolmo di Spirito Santo, egli pronunciò una profezia sul destino di suo figlio, il cui servizio sarebbe consistito nel pre­ parare la strada al Signore: Zaccaria, suo padre, fu colmato di Spirito Santo e profetò dicen­ do: «Benedetto il Signore, Dio d'Israele, perché ha visitato e reden­ to il suo popolo, e ha suscitato per noi un Salvatore potente nella casa di Davide, suo servo, come aveva detto per bocca dei suoi san­ ti profeti d'un tempo: salvezza dai nostri nemici, e dalle mani di quanti ci odiano. Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza, del giuramento fatto ad Abra­ mo, nostro padre, di concederci, liberati dalle mani dei nemici, di servirlo senza timore, in santità e giustizia al suo cospetto, per tutti i nostri giorni. E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade, per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati. Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visi­ terà un sole che sorge dall'alto, per risplendere su quelli che stanno 1 98

3. IL F I G L I O DELL'UOMO

nelle tenebre e nell'ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace» (Le l ,67 -79).

La prima parte di quest' inno profetico è dedicata al futuro Messia, nella cui figura il sacerdote Zaccaria vede una partico­ lare benedizione divina nei confronti del popolo di Israele e del­ la «casa di Davide». L'espressione «salvezza potente» è desunta dali ' Antico Testa­ mento, dove essa costituiva uno dei nomi di Dio: «Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio; mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo; mio nascondiglio che mi salva» (2Sam 22,2-3 ; cfr. Sal 1 7 ,2-3). Qui tale appellativo indica, probabilmente, il Messia, poiché la «sal­ vezza potente» non si identifica con Dio, ma è descritta come suscitata da Dio37• La seconda parte dell' inno è dedicata a Giovanni Battista: vie­ ne preannunciata la sua missione, che sarà quella di «preparare le strade» al Salvatore promesso. Le parole di Zaccaria sono con­ sonanti con ciò che aveva udito in precedenza dall'angelo (Le l , 1 4- 1 7) . Ma il Precursore resterà sempre nell'ombra di Colui che Zaccaria chiama «Sole che sorge dall'alto»: questa espres­ sione rammenta le profezie messianiche sulla luce che rifulgerà «su coloro che abitavano in terra tenebrosa» (Is 9,2). Le notizie sulla vita seguente di Giovanni sono scarne: «Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regio­ ni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele» (Le 1 ,80).

5 . La nascita dalla Vergine

La storia della nascita di Gesù viene riportata da due evange­ listi, Matteo e Luca. Il Vangelo di Luca ci comunica queste no­ tizie sull'avvenimento : 37

Cfr. : L.J. MALU�� «Zechariah's "Benedictus"», pp. 53-56.

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L' INIZIO DEL VANGELO

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si faces­ se il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Da­ vide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era in­ cinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i gior­ ni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell 'alloggio. C' erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aper­ to, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li av­ volse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l ' angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salva­ tore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bam­ bino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito appar­ ve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l ' un l' altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bam­ bino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stu­ pirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custo­ diva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tor­ narono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro (Le 2, 1 -20).

Nel Vangelo di Matteo abbiamo un'altra versione della stessa storia, che si differenzia notevolmente dalla versione di Luca: Così fu generato Gesù Cristo : sua madre Maria, essendo pro­ messa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si 200

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trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando que­ ste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dal­ lo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Ge­ sù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto que­ sto è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Si­ gnore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e darà al­ la luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che signi­ fica Dio con noi . Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l ' angelo del Signore e prese con sé la sua spo­ sa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù (Mt l , 1 8-25).

Osserviamo che, se entrambe le apparizioni dell'angelo descrit­ te da Luca - a Zaccaria (Le 1 , 1 1 -20) e a Maria (Le 1 ,26-38) - av­ vengono nella veglia, nel testo di Matteo Giuseppe riceve per quat­ tro volte delle rivelazioni in sogno (Mt 1 ,20-23; 2, 1 3; 2, 1 9; 2,22). Ricevono rivelazioni in sogno anche i magi (Mt 2, 1 2) e la moglie di Pilato (Mt 27, 1 9). Complessivamente, Matteo descrive sei casi di rivelazioni in sogno38, cosa che lo differenzia dagli altri tre evan­ gelisti, che non parlano mai di simili rivelazioni. Gli studiosi rav­ visano in questo un influsso della tradizione veterotestamentaria, che conferisce grande importanza ai sogni39• La parola «Natale» in questo caso traduce il termine greco ytw:mç («generazione», «provenienza»), che già conosciamo, e che si incontra nel primo versetto del Vangelo di Matteo. Successivamente Matteo riporta il racconto dell'adorazione del magi, che manca invece nel testo di Luca: Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov'è 38 D.S. DODSON, Reading Dreams, p. 1 34. 39 G.M. SOARES PRABHU, The Formula Quotations in the Jnfancy Narrative of Mat­ thew, pp. 1 85-1 87, 223-225.

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L' INIZIO DEL VANGELO

colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stel­ la e siamo · venuti ad adorarlm). All 'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdo­ ti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui dove­ va nascere il Cristo. Gli risposero : «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l 'ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele)). Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempò in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlem­ me dicendo : «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l 'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo)). Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che aveva­ no visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luo­ go dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro pae­ se (Mt l , l - 1 2).

Entrambi gli evangelisti concordano sul fatto che Gesù nac­ que dalla Vergine senza intervento di uomo, e in entrambi i casi viene menzionato lo Spirito Santo. Come intendere l'azione del­ Io Spirito Santo nella nascita di Gesù, e in che senso la nascita di Gesù dalla Vergine ebbe luogo senza intervento di uomo? Per gli evangelisti che ne scrivono, il senso è evidente: Gesù nacque in maniera soprannaturale perché non era solo Figlio di Davide e Figlio di Abramo, non era solo Figlio dell'Uomo, ma anche Fi­ glio di Dio. Come Figlio dell'Uomo nasce da Maria, appartenen­ te al genere umano. Ma come Figlio di Dio nasce da Dio stesso per opera dello Spirito Santo. Tuttavia, nel Nuovo Testamento Gesù non viene mai chiama­ to Figlio dello Spirito Santo: è Figlio di Dio Padre; lo Spirito Santo prende parte alla sua nascita scendendo su Maria, ma non è il suo genitore. Massimo il Confessore si rifà al parere di . . . Giuseppe si levò dal sacco e, chiamata Maria, le disse: «Tu, oggetto di cura particolare da parte di Dio, co­ me mai hai fatto questo? Ti sei dunque dimenticata del Signore, Dio tuo? Perché ti sei resa vile, tu che crescesti nel Santo dei santi e fo­ sti nutrita dalla mano dell 'angelo?». Ma lei scoppiò in pianto ama­ ro dicendo: «Pura son io e non conosco uomo». E Giuseppe le re­ plicò: «Come si spiega dunque ciò che hai in seno?». Ella rispose: «Vive il Signore, mio Dio: io non so come m'è capitata tale cosa»92•

Questa storia non entrò nel canone neotestamentario, ma è di fatto divenuta parte della tradizione della Chiesa attraverso la li­ turgia. Nella liturgia ortodossa della vigilia di Natale troviamo questo testo, in cui a parlare è lo stesso Giuseppe: Maria, che è questo fatto che io vedo in te? Non so che pensare nel mio stupore, e la mia mente è sbigottita: Vattene dunque subito via da me segretamente. Maria, che è questo fatto che io vedo in te? In luogo di onore, mi hai portato vergogna; in luogo di letizia, tri­ stezza; in luogo di lode, biasimo. Non sopporto più gli affronti de­ gli uomini; ti avevo ricevuta irreprensibile da parte dei sacerdoti, dal tempio del Signore: ed ora che è ciò che vedo?93

Altrove94 abbiamo detto che i testi liturgici della Chiesa orto­ dossa non sono semplicemente un commento al Vangelo: non di rado, essi narrano ciò che il Vangelo passa sotto silenzio. Nel racconto di Matteo sulla nascita di Gesù dalla Vergine molte co­ se restano fuori campo. L'evangelista non parla, in particolare, del dramma personale di Giuseppe: si possono solo intuire le sue sofferenze, i dubbi, ciò che avrebbe potuto dire alla sua sposa, 92 Protoevangelo di Giacomo 1 3 ; tr. it. p. 24. Minei. Ufficio dell 'ora prima della vigilia di Natale, Tropario. 94 Cfr.: ILARION (ALFEEV), La Chiesa ortodossa, vol. 4: Liturgia, pp. 67-68. 93

24 1

L' INIZIO DEL VAN GELO

quando si accorse di ciò che «aveva in seno». Il Protoevangelo di Giacomo e, successivamente, i testi liturgici cercano di ri­ pristinare in forma poetica il dialogo tra Giuseppe e Maria. Si possono considerare i testi di questo genere un'invenzione poeti­ ca, una forma di retorica cristiana, ma si può anche ravvisare in essi qualcosa di più, il tentativo di penetrare nei sentimenti e nell'esperienza delle persone attraverso cui passò la storia sacra. * * *

Tentiamo alcune conclusioni riguardanti i due racconti evan­ gelici della nascita di Gesù. Essi concordano nei seguenti punti cruciali 95: l . Al momento del concepimento del Bambino, Maria e Giu­ seppe erano promessi sposi, ma non avevano ancora iniziato la loro vita coniugale (Mt 1 , 1 8; Le 1 ,34). 2. Giuseppe era della stirpe di Davide (Mt 1 , 1 6.20; Le 1 ,27; 2,4). 3. La nascita del Bambino fu annunciata dagli angeli (Mt l ,2023; Le 1 ,30-35). 4. Maria non concepì da Giuseppe, ma dallo Spirito Santo (Mt 1 , 1 8-20; Le 1 ,34-35). 5. Il nome al Bambino fu imposto dall 'angelo (Mt 1 ,2 1 ; Le l ,3 1 ). 6. L'angelo annunciò che il Bambino sarebbe stato il Salva­ tore (Mt 1 ,2 1 ; Le 2, 1 1 ). 7. Gesù nacque a Betlemme (Mt 2, l ; Le 2,4-6). 8. Gesù nacque al tempo del re Erode il Grande (M t 2, l ; Le 1 ,5). 9. Gesù crebbe a Nazaret (Mt 2,23 ; Le 2,39). Questi punti comuni costituiscono la trama storica riguar­ dante direttamente la biografia di Gesù. Le divergenze ci dico­ no deU ' esistenza di due testimoni, sulle cui informazioni si ba­ sano i due racconti paralleli . L' ipotesi della presenza di due te95 Cfr. : R.E. BROWN, The Birth ofthe Messiah, pp. 34-35 .

242

3 . IL FIGLIO DELL'UOMO

stimoni ci offre la chiave di comprensione del perché questi racconti siano così discordanti fra loro nei particolari . Questa ipotesi aiuta anche a comprendere la differenza tra le due ge­ nealogie di Gesù. Abbiamo già detto che, a parere di alcuni studiosi, il Vangelo di Luca presenta la genealogia di Maria, il Vangelo di Matteo quella di Giuseppe. Senza voler insistere sulla veridicità di que­ sta posizione, dobbiamo tuttavia osservare la maggior affinità del Vangelo di Luca a Maria, che non a Giuseppe. Forse, non a caso la tradizione della Chiesa presenta Luca come l'apostolo che conobbe da vicino la Madre di Dio e ne dipinse addirittura il primo ritratto (icona). In seguito avremo modo di confrontare più volte le deposizio­ ni di due o più testimoni, e osserveremo che le somiglianze tra loro sono molto più numerose delle differenze. Ma si tratterà di testimonianze di altro genere, appartenenti a chi aveva visto di­ rettamente svolgersi gli avvenimenti, cioè agli apostoli . Nella narrazione della nascita di Gesù, invece, abbiamo a che fare con materiali che, sebbene risalgano a testimoni reali, erano passati attraverso vari stadi di redazione. I racconti della nascita di Gesù di Matteo e Luca hanno in pri­ mo luogo un significato teologico. Ognuno di essi è una sorta di prologo alla storia del ministero pubblico di Gesù. In entrambi i racconti Gesù è rappresentato come il Figlio di Dio e il Figlio dell'Uomo contemporaneamente, anche se Matteo sottolinea l'ori­ gine umana di Gesù come Figlio di Abramo e Figlio di Davide, mentre Luca mette l'accento sulla sua figliolanza divina. Proprio questa impostazione teologica iniziale, a nostro parere, costitu­ isce il principale anello di congiunzione tra i due racconti, e pro­ prio esso li rende parte inscindibile della dottrina cristiana ri­ specchiata nelle pagine del Nuovo Testamento.

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Capitolo 4 IL FIGLIO DI DIO

l . «In principio era il Verbo»

Se i Vangeli di Matteo e di Luca si aprono con il racconto della nascita di Gesù, i Vangeli di Marco e di Giovanni inizia­ no con la predicazione di Giovanni Battista: il primo dei mate­ riali tematici comuni ai tre Vangeli sinottici e che ha parziale riscontro nel quarto Vangelo. In Marco questo materiale è pre­ ceduto dalle parole: «Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio» (Mc l , l ). In Giovanni il racconto di Giovanni Battista si inserisce nel contesto globale del prologo, che ha un signifi­ cato teologico a se stante. Nel primo versetto del Vangelo di Marco il termine «Vange­ lo» viene usato non in riferimento al genere letterario concreto che designa la narrazione dell'evangelista, ma in riferimento al­ la stessa buona novella annunziata da Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Qui ci troviamo di fronte al primo e più autentico uso del termine «Vangelo», per indicare la predicazione di Gesù, e in senso più ampio la sua vita e il suo insegnamento. Il termine «Vangelo» si incontra più volte nel Nuovo Testa­ mento : otto volte in Marco, quattro in Matteo, due negli Atti degli apostoli e sessanta nelle lettere di san Paolo. Il termine appartiene allo stesso Gesù (Mt 24, 1 4 ; 26, 1 3 ; Mc 1 , 1 5 ; 1 3 , 1 0; 1 4,9; 1 6, 1 5), ed è una delle parole-chiave per comprendere il significato attribuito dalla Chiesa alla sua missione e predica­ zione. Il termine «Vangelo» è legato, in primo luogo, all ' inse­ gnamento di Gesù sul Regno di Dio, e per questo gli evangeli245

L' I N I Z I O DEL VANGELO

sti usano l ' espressione «Vangelo del Regno di Dio» (Mc l , 1 4 ), o semplicemente «Vangelo del Regno» (Mt 4,23 ; 9,3 5 ; 24, 1 4). In san Paolo la parola «Vangelo» indica tutto l 'insieme della tradizione apostolica sulla vita, morte e resurrezione di Gesù Cristo (l Cor 1 5 , 1 -5). Iniziando la sua narrazione, Marco parla del Vangelo del Fi­ glio di Dio, sottolineando l' origine divina di Gesù. A differenza di Matteo, non gli interessano né la nascita di Gesù, né la sua ge­ nealogia, compresa la discendenza dalla casa di Davide, né la sua vita terrena prima della predicazione pubblica. Il Vangelo di Marco inizia dall' affermazione teologica che Gesù Cristo è il Fi­ glio di Dio, e tutta la successiva narrazione è volta a chiarire que­ sto assioma teologico. Dal medesimo assioma inizia il suo Vangelo anche Giovanni, sebbene qui esso sia offerto in forma molto più sviluppata e teo­ logicamente elaborata. Il prologo del Vangelo di Giovanni ha un significato cruciale per comprendere come veniva recepita la missione di Gesù nella Chiesa delle origini: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l 'hanno vinta. . . Veniva nel mondo la luce vera, quel­ la che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui ; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e ven­ ne ad abitare in mezzo a noi ; e noi abbiamo contemplato la sua glo­ ria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità (Gv 1 , 1 -5.9- 1 4).

Nel prologo di Giovanni vengono posti i temi che saranno fondamentali in questo Vangelo. Innanzi tutto, Giovanni non co­ mincia dalla nascita terrena di Gesù, ma dall'esistenza sempiter246

4.

IL F I G L I O DI D I O

na del Verbo di Dio «presso Dio». Questo Verbo (À.Òyoç) divino, come risulta evidente dalla successiva narrazione, si identifica con il Figlio di Dio Gesù Cristo. Le prime parole del prologo di­ cono che alla venuta nel mondo di Gesù Cristo è legata una nuo­ va rivelazione di Dio. L'Antico Testamento testimoniava l'uni­ cità di Dio e non ammetteva l 'idea che in Dio potessero esistere altri se non Dio stesso, mentre Giovanni parla dell'esistenza del Verbo di Dio «presso Dio» fin dal principio: In Gesù Cristo Dio si è manifestato e comunicato in modo defi­ nitivo, incondizionato e insuperabile, per cui Gesù rientra nella de­ finizione stessa dell 'essenza eterna di Dio . . . Gesù fin dall'eternità è figlio di Dio . . . e Dio fin dall' eternità è il Padre del Signore Gesù Cristo. La storia e il destino di Gesù hanno dunque il loro fonda­ mento nell'essenza di Dio; la natura divina si manifesta come un avvenimento. Gli asserti neotestamentari sulla preesistenza condu­ cono quindi ad una reinterpretazione più ampia del concetto di Dio1•

Il punto centrale del prologo del Vangelo di Giovanni è l 'In­ carnazione, espressa icasticamente nelle parole: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi . . . pieno di grazia e di verità» (Gv 1 , 1 4). Queste parole sono il centro dell'annuncio che gli evangelisti portano al mondo. Nella concezione veterotestamentaria, fra Dio e il creato c'è un abisso antologico invalicabile: Dio è assolutamente trascen­ dente rispetto al mondo, alla materia, alla carne, essendo uno Spirito incorporeo. Il concetto di carne si incontra nella Bibbia fin dal racconto della creazione dell'uomo. Quando Dio condu­ ce da Adamo la donna, Adamo dice: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall 'uomo è stata tolta» (Gen 2,23). Nella narrazione successiva il concetto di «carne» viene impiegato perlopiù in relazione al consesso umano (Gen 6,3 ; Sal 77,39), mentre l'espressione «ogni carne» designa l ' insieme di tutti gli uomini o di tutti gli esseri

1 W.

KAsPER, Gesù il Cristo, p. 242.

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L' I N I Z I O D E L VANGELO

viventi sulla terra, compresi gli animali. Il profeta Isaia contrap­ pone nettamente fra loro carne e spirito (Is 3 1 ,3), così come con­ trappone la carne umana corruttibile alla parola eterna di Dio: «Ogni uomo è come l 'erba e tutta la sua grazia è come un fiore del campo . . . Secca l' erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre» (Is 40,6.8). Nel Nuovo Testamento l'abisso ontologico tra Dio e la carne, tra la divinità e l 'umanità, viene superato grazie al fatto che il Verbo di Dio si fa carne. Se per l' innanzi Dio partecipava alla vita del popolo d'Israele tenendosi in disparte, dall' alto, dal cie­ lo, ora il Figlio di Dio giunge sulla terra e diviene parte della sto­ ria umana, pur continuando a restare Colui che era, il Verbo sem­ piterno di Dio, inseparabile da Dio. Tutti e quattro i Vangeli, cia­ scuno in maniera diversa, sono finalizzati a svelare il mistero dell' ingresso di Dio nella storia umana, e tutti gli evangelisti cre­ dono in Gesù come Figlio di Dio. Ma dei quattro evangelisti so­ lo Giovanni conferisce a questa fede un contenuto autenticamen­ te teologico, cominciando la sua narrazione non dal momento dell'ingresso di Dio nella storia, ma dalla preistoria: dall'esisten­ za sempiterna del Verbo divino che in un momento storico ben preciso si è fatto uomo. Il prologo del Vangelo di Giovanni si conclude con un'asser­ zione sorprendente per semplicità e paradossalità: «Dio, nessu­ no lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1 , 1 8). La prima parte di questa frase potrebbe appartenere a un ateo. Il suo senso divie­ ne comprensibile solo nel contesto dell' intera frase, dell' intero prologo, dell'intero Vangelo di Giovanni e dell'intero Nuovo Te­ stamento. Si parla di una nuova rivelazione di Dio, che Gesù è venuto a portare sulla terra. Nell 'Antico Testamento Dio era assolutamente inaccessibi­ le. Essendo invisibile p er natura, non appare mai agli uomini in forme visibili. Quando Mosè chiede a Dio di mostrargli la sua gloria, Dio gli risponde: «Non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». Dio promet­ te tuttavia a Mosè di mostrarsi di spalle: «Quando passerà la 248

4.

IL F I G L I O DI D I O

mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. Poi toglierò la mano e ve­ drai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere» (Es 3 3,20-23). La rivelazione di Dio a Mosè consiste nel fatto che Dio gli appare nella nube della gloria e proclama il suo santo nome (Es 34,5). L'evangelista Giovanni aveva certamente in mente questo rac­ conto biblico, parlando del fatto che «Dio non l 'ha mai visto nes­ suno». L'uso del termine «gloria» sottolinea ulteriormente il nes­ so con l'apparizione di Dio a Mosè. Giovanni parla qui aperta­ mente del fatto che la venuta nel mondo del Figlio unigenito di Dio è una nuova rivelazione di Dio ali 'umanità. Se per l' innan­ zi nessuno aveva mai visto Dio e perfino Mosè aveva potuto ve­ dere Dio solo «di spalle», ora il Figlio unigenito di Dio ha rive­ lato agli uomini il volto del Dio invisibile. Si parla proprio di una nuova rivelazione, di un nuovo livello di conoscenza di Dio rispetto al monoteismo dell 'Antico Testamento: Credere in Dio significa per il cristiano qualcosa di diverso ri­ spetto al monoteismo ebraico, qualcosa di nuovo: ora non si può più parlare di Dio senza parlare di Cristo. Dio e Cristo sono una cosa sola, tanto che Cristo può e deve essere chiamato come Dio senza con questo trovarsi in concorrenza con la divinità di Dio. Senza dub­ bio questo essere una cosa sola, che trasforma e rinnova radicalmen­ te l' idea di Dio, manifesta il suo significato solo nella concretezza della vita, morte e resurrezione di Gesù2•

In questo senso si può dire che il prologo del Vangelo di Gio­ vanni è la chiave di comprensione non solo del testo di questo Vangelo, ma anche della narrazione degli altri evangelisti, come pure di tutto l ' insegnamento neotestamentario su Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell'Uomo. Il prologo del Vangelo di Giovanni è una grandiosa ouverture dell'azione che si dispiega nelle pagine dei Vangeli.

2 C. ScHONBORN, Dio inviò suo Figlio, p. 69.

249

L'INIZIO DEL VAN GELO

La storia di Gesù, le sue parole e gli avvenimenti della sua vita sono incomprensibili al di fuori del contesto della teologia esposta nel prologo giovanneo. Nella nostra epoca, il consape­ vole rifiuto di fondarsi sui principi teologici che offrono la chia­ ve per comprendere gli avvenimenti evangelici ha condotto al completo collasso le ricerche ormai bicentenari e del «Gesù sto­ ricm>. Si può cercare di estrapolare il racconto storico della vi­ ta di Gesù dal contesto complessivo della teologia neotesta­ mentaria, si può dichiarare che il prologo del Vangelo di Gio­ vanni è un' invenzione teologica posteriore rispetto alla narra­ zione evangelica, ma è impossibile separare il «Gesù storico» dal Verbo divino «che è nel seno del Padre», senza che la figu­ ra unitaria di Gesù come emerge nei Vangeli si frantumi in mil­ le pezzi. Proprio qui è il mistero supremo della persona di Gesù. Non è semplicemente un uomo, un profeta, un maestro di etica: è lo stesso Dio nella sua rivelazione al mondo. Neppure il Vangelo è semplicemente un racconto sulle imprese terrene, i miracoli e i detti di Gesù: è la rivelazione del Dio fatto uomo. Solo alla luce di questo dogma, così intensamente esposto da Giovanni nel suo prologo, acquista significato il racconto evangelico su Gesù. E solo la fede nel Gesù divino rende le testimonianze di coloro che lo incontrarono - sulle quali si basano i racconti evangelici - de­ gne di fede nel senso assoluto del termine.

2. «Vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto»

Il paradosso di tutti i quattro Vangeli consiste nel fatto che il «Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio» non comincia con la predicazione di Gesù Cristo, ma di un altro personaggio. E la formula con cui Gesù iniziò la sua missione : «Convertitevi , perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4, 1 7), non appartiene a Gesù. Il suo autore è Giovanni Battista (Mt 3 ,2), o il Precurso­ re, per usare gli appellativi con cui entrò a far parte della sto­ ria della Chiesa. 250

4. IL F I G L I O DI D I O

Giovanni è uno dei pochi personaggi del Nuovo Testamento su cui abbiamo una testimonianza «da quelli che sono fuori del­ la comunità» ( l Tm 3 ,7), che ne conferma ulteriormente la sto­ ricità. Giuseppe Flavio nelle Antichità giudaiche scrive di lui : Erode aveva ucciso quest'uomo buono che esortava i Giudei a una vita corretta, alla pratica della giustizia reciproca, alla pietà ver­ so Dio, e così facendo si disponessero al battesimo; a suo modo di vedere questo rappresentava un preliminare necessario se il battesi­ mo doveva rendere graditi a Dio. Essi non dovevano servirsene per guadagnare il perdono di qualsiasi peccato commesso, ma come di una consacrazione del corpo insinuando che l'anima fosse già puri­ ficata da una condotta corretta. Quando altri si affollavano intorno a lui perché con i suoi sermoni erano giunti al più alto grado, Erode si allarmò. Una eloquenza che sugli uomini aveva effetti così gran­ di, poteva portare a qualche forma di sedizione, poiché pareva che volessero essere guidati da Giovanni in qualunque cosa facessero. Erode, perciò decise che sarebbe stato molto meglio colpire in an­ ticipo e liberarsi di lui prima che la sua attività portasse a una sol­ levazione, piuttosto che aspettare uno sconvolgimento e trovarsi in una situazione così difficile da pentirsene. A motivo dei sospetti di Erode, Giovanni fu portato in catene nel Macheronte, la fortezza che abbiamo menzionato precedentemente, e quivi fu messo a morte. Ma il verdetto ·dei Giudei fu che la rovina dell'esercito di Erode fu una vendetta di Giovanni, nel senso che Dio giudicò bene infligge­ re un tale rovescio a Erode3.

La storia di Giovanni Battista è esposta con sufficiente do­ vizia di particolari nei Vangeli. Luca narra la sua nascita dal sacerdote Zaccaria e da sua moglie Elisabetta (Le l ,5-25). La sua incarcerazione e uccisione per ordine di Erode sono riferi­ te dai tre Vangeli sinottici (Mt 1 4, 1 - 1 2 ; Mc 6, 1 4-29; Le 3 , 1 920; 9,9). Le loro informazioni corrispondono complessivamen­ te alle parole di Giuseppe Flavio riportate e aggiungono altri particolari.

3

GIUSEPPE fLAVIO, Antichità giudaiche 1 8, 5, 2; tr. it. vol. 2, p. 1 1 26.

25 1

L' INIZIO D E L VANGELO

Non è nostro compito qui ripercorrere la vita di Giovanni Bat­ tista. Tuttavia, non possiamo non prendere in considerazione la sua predicazione, che oltre a precedere l ' inizio di quella di Ge­ sù esercitò su di essa un certo influsso. Influsso certificato dal fatto che Gesù iniziò a predicare con le stesse parole che erano il motivo conduttore della predicazione di Giovanni, sottoline­ ando consapevolmente la continuità del suo insegnamento ri­ spetto a quello del Precursore. Troviamo la descrizione più breve e sintetica della predica­ zione del Precursore nel Vangelo di Marco: Vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un bat­ tesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i lo­ ro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintu­ ra di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvati­ co. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali . Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo» (Mc 1 ,4-8).

Da questo testo apprendiamo che Giovanni era un asceta, vi­ veva nel deserto, predicava al popolo e accompagnava il suo in­ segnamento con un particolare rito di immersione nelle acque del Giordano. La testimonianza di Matteo è pressoché identica (Mt 3 , 1 -6), ma aggiunge alle parole fissate da Marco un'esortazione di Gio­ vanni rivolta ai farisei e ai sadducei : Razza d i vipere! Chi v i ha fatto credere di poter sfuggire all ' ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: «Abbiamo Abramo per padre ! » . Perché io vi dico che d a queste pietre D i o può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi ; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco (Mt 3 ,7- 1 0). 252

4.

IL F I G L I O DI D I O

Da questo racconto vediamo che la predicazione di Giovanni avev� un carattere di dura denuncia quando si trattava dei fari­ sei e dei sadducei. Gesù farà propria questa maniera di rivolger­ si ai farisei da Giovanni, fino a coincidenze verbali come l' in­ vettiva «razza di vipere» (Mt 1 2,34; 23,33), e le parole sul fatto che «ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco» (Mt 7, 1 9). La narrazione di Luca corrisponde quasi completamente ai te­ sti di Matteo e di Marco, ma vi aggiunge ulteriori elementi. In­ nanzitutto, Luca rappresenta Giovanni come un nuovo profeta: «Nell 'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare . . . la pa­ rola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto» (Le 3 , 1 -2). Analogamente, con l'impiego della formula «la pa­ rola del Signore fu rivolta a . . . », iniziano i libri dei profeti: Parole di Geremia, figlio di Chelkia. . . A lui fu rivolta la parola del Signore al tempo di Giosia, figlio di Amon, re di Giuda, l'anno tredicesimo del suo regno (Ger 1 , 1 2) Era l'anno quinto della deportazione del re Ioiachìn, il cinque del mese: la parola del Signore fu rivolta al sacerdote Ezechiele, figlio di Buzì, nel paese dei Caldei, lungo il fiume Chebar (Ez 1 ,2-3). Parola del Signore rivolta a Osea, figlio di Beerì, al tempo di Ozia, di lotam, di Acaz, di Ezechia, re di Giuda . . . (Os 1 , 1 ). Fu rivolta a Giona, figlio di Amittài, questa parola del Signore (Gn 1 , 1 ). Parola del Signore, rivolta a Michea di Morèset, al tempo di Io­ tam, di Acaz e di Ezechia, re di Giuda. Visione che egli ebbe riguar­ do a Samaria e a Gerusalemme (Mi l , l ). -

.

Luca è l'unico degli evangelisti a riferire i dialoghi di Giovan­ ni con diverse c!itegorie di persone che si recavano da lui: «Ven­ nero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: "Mae­ stro, che cosa dobbiamo fare?". Ed egli disse loro: "Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato". Lo interrogavano anche alcuni soldati: "E noi, che cosa dobbiamo fare?". Rispose loro: "Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontenta­ tevi delle vostre paghe"» (Le 3 , 1 2- 1 4). Come vediamo, l'atteg253

L' I N I Z I O DEL VANGELO

giamento di Giovanni nei confronti dei pubblicani e dei soldati era molto più tollerante che con i farisei e i sadducei . I l Vangelo di Giovanni riporta i l racconto d i come i sacerdoti e i leviti di Gerusalemme giunsero da Giovanni per capire chi fosse e perché battezzasse nelle acque del Giordano: Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli invia­ rono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «lo non sono il Cristo». Allo­ ra gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», dis­ se . «Sei tu il profeta?». «Nm>, rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «lo sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia». Quelli che erano stati in­ viati venivano dai farisei . Essi lo interrogarono e gli dissero: «Per­ ché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro : «lo battezzo ne li' acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo» (Gv 1 , 1 9-27).

Nell ' insieme, la testimonianza dei quattro evangelisti ci of­ fre un quadro abbastanza completo di quanto avveniva sulle ri­ ve del Giordano prima che vi apparisse Gesù. L' operato di Gio­ vanni Battista destava grande interesse tra i giudei, e il suo aspetto austero e ascetico gli attirava le folle. La predicazione di Giovanni, a quanto possiamo giudicare, aveva innanzitutto un carattere morale. A ogni classe sociale di persone Giovanni impartiva consigli concreti . Nei confronti di alcune categorie (e cioè dei farisei e dei sadducei), manifestava una marcata se­ verità. L' operato di Giovanni era sgradito ai farisei, che lo ri­ cambiavano con la propria antipatia. E tuttavia, alle loro do­ mande Giovanni rispondeva in maniera diretta e concisa. Egli capiva di non essere né il Messia né il profeta Elia. Vedeva lo scopo principale della propria missione nel preparare la strada a Colui che era più forte di lui, e al quale egli non era degno di sciogliere i lacci delle calzature. Chi fosse quest'uomo Giovan254

4.

IL FIGLIO DI D I O

ni non lo sapeva, fino al momento in cui Egli apparve sulla ri­ va del Giordano (Gv 1 ,2 1 ). In che cosa consisteva il battesimo di Giovanni? Per forma ri­ cordava poco le abluzioni rituali note nella prassi dell 'Antico Testamento (una dettagliata descrizione di tali abluzioni è ripor­ tata nei capitoli 1 3 - 1 7 del libro del Levitico). Il parallelo più prossimo è la prassi della comunità degli esseni, che conoscia­ mo attraverso le opere di Giuseppe Flavio e i manoscritti di Qumran. Giuseppe ricorda l'iniziazione dei nuovi membri della comunità attraverso una abluzione rituale4• Nei manoscritti di Qumran l ' abluzione è legata alla penitenza, alla purificazione dai peccati, ali ' osservanza della purezza morale e alla conclu­ sione di un patto di alleanza con Dio5• Nonostante la possibilità di rintracciare alcuni parallelismi, il battesimo di Giovanni aveva tratti particolari, che lo rendevano un avvenimento unico nella vita del popolo di Israele.

3. Il battesimo di Gesù

Anche Gesù fu tra coloro che ricevettero il battesimo da Gio­ vanni. Il racconto più breve su questo episodio è quello di Marco: Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E subito, uscendo dall' acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l ' ama­ to: in te ho posto il mio compiacimentm> (Mc l ,9- 1 1 ) .

Matteo dice che Gesù arriva al Giordano dalla Galilea, e com­ pleta la scena attraverso il dialogo svoltosi tra Gesù e Giovanni, prima del battesimo: «Giovanni però voleva impedirglielo, di­ cendo: "Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu

4 GIUSEPPE FLAVIO, La guerra giudaica 2, 8, 7 ; tr. it. vol. l , p. 3 1 1 . 5 A.A. TKACENKO, «loann Predteèa>> (Giovanni il Precursore), p. 537.

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L' INIZIO D E L VANGELO

vieni da me?". Ma Gesù gli rispose: "Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia". Allora egli lo lasciò fare». La voce del Padre è riportata in forma un po ' diversa: «Questi è il Figlio mio, l'amato : in lui ho posto il mio compia­ cimento» (Mt 3 , 1 4- 1 5 . 1 7). Luca racconta che Gesù fu battezzato insieme al popolo: «Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e disce­ se sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una co­ lomba, e venne una voce dal cielo: "Tu sei il Figlio mio, l ' ama­ to: in te ho posto il mio compiacimento"» (Le 3 ,2 1 -22). In tal modo, Luca inserisce Gesù nella folla battezzata da Giovanni, senza evidenziare il battesimo di Gesù come un avvenimento svoltosi separatamente dal battesimo comune. Siamo di fronte a tre testimonianze pressoché identiche, che si distinguono solo per alcuni particolari. Da esse appare eviden­ te che il battesimo nel Giordano segnò una svolta nella biogra­ fia di Gesù, dividendola tra un «prima» e un «dopo». Prima del battesimo nessuno sapeva nulla di Lui : oscuro fi­ glio di un falegname, giunse da Giovanni come uno dei tanti , uno della folla. Dopo il battesimo cessa di essere una figura che passa inosservata: lo si riconosce grazie alla testimonian­ za di Giovanni, alla discesa dello Spirito Santo su di Lui e alla voce del Padre, udita dal popolo. Subito dopo il battesimo Ge­ sù si ritira nel deserto, per poi tornare dagli uomini non come l ' oscuro «Gesù venuto da Nazaret di Galilea» (Mc 1 ,9), ma co­ me un «profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo» (Le 24, 1 9), che perfino i parenti cessano di ri­ conoscere. L'avvenimento principale che separa questi due periodi, radi­ calmente diversi l'uno dall'altro, è il battesimo6, un fatto che bru­ cia i ponti fra i trent' anni precedenti e il nuovo periodo della vi­ ta di Gesù7• Il battesimo di Giovanni diventa per Gesù il «prelu6 J .P. MEIER, A Marginai Jew, vol. l , pp. l 08- 1 1 1 . 7 K. McDoNNELL, The Baptism ofJesus in the Jordan, pp. 4-5 .

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4. IL F I G L I O DI DIO

dio di tutta la sua attività successiva»8• Da questo momento co­ mincia la strada che lo condurrà al Calvario. Perché per intraprendere questa strada era necessario il battesi­ mo? Se parliamo di Gesù come Figlio dell'Uomo, forse Egli si re­ cò da Giovanni perché aveva bisogno di un punto di partenza per la propria missione, aveva bisogno - umanamente - della benedi­ zione di colui che aveva già intrapreso una missione analoga. Co­ me uomo, riceve la benedizione da una persona più anziana di lui, ma nel Regno dei cieli che si apre proprio con la sua venuta, Egli, minore, è più grande di Giovanni (Mt 1 1 , 1 1 ; Le 7 ,28). È questo il senso della risposta di Gesù alla domanda di Gio­ vanni: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Rispondendo: «Lascia fare per ora, perché con­ viene che adempiamo ogni giustizia» (Mt 3, 1 4- 1 5). Con la pa­ rola «per ora» (apn) Gesù sottolinea il carattere temporaneo, provvisorio, della situazione in cui si trovano entrambi : Giovan­ ni, che riconosce la superiorità di Gesù e per questo tenta di op­ porsi al suo battesimo, e Gesù che riceve il battesimo da Gio­ vanni perché vi scorge l'adempiersi della volontà del Padre. Questa situazione ci ricorda un altro momento della storia del­ la volontaria spoliazione del Figlio di Dio, anch 'esso legato ali ' acqua: la lavanda dei piedi dei discepoli durante l 'Ultima ce­ na. Qui svolge un ruolo analogo Pietro, che tenta di impedire a Gesù di lavargli i piedi, dicendo : «Signore, tu lavi i piedi a me?». Ma Gesù risponde: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo» (Gv 1 3,6-7). Sul parallelismo tra le due storie riflette Gregorio di Nazianzo (IV sec.), il quale offre il seguente commento teologico dell'avvenimento : Il Battista non accetta e Gesù deve discutere con lui : «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te», dice la lampada al Sole, la voce al Logos, l'amico dello sposo allo sposo, colui che, tra i na­ ti di donna, è al di sopra di tutti al primogenito di tutta la creazio­ ne . . . Sapeva, infatti, che sarebbe stato battezzato con il martirio, o

8

R. SCHNAKENBURG, The Gospel of Matthew, p. 34.

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L' INIZIO DEL VANGELO

che, come Pietro, non si sarebbe purificato solo i piedi . «E tu vieni da me?»: anche queste parole sono profetiche. Infatti, sapeva che, dopo Erode, anche Pilato sarebbe impazzito, e così Cristo sarebbe andato dietro a lui, che lo precedeva. E Gesù che gli risponde? «La­ scia, per ora» . . . Sapeva, infatti, che poco dopo lui stesso avrebbe battezzato il Battista9•

Gli evangelisti dipingono Gesù come un uomo che sa quello che fa, percorrendo la strada tracciatagli dal Padre. Questa con­ sapevolezza non gli sopraggiunge in un determinato momento, ma è presente in Lui fin dall' inizio. Già quando era un fanciullo dodicenne parlava con sicurezza di Dio come del Padre suo, e del tempio come del luogo che appartiene al Padre (Le 2,49). La sua incrollabile tensione ad adempiere la volontà del Padre lo conduce al Giordano. La stessa tensione lo condurrà sulla croce. Non è un caso che fin dalle origini la Chiesa interpretasse il battesimo di Gesù come una prefigurazione della sua morte in croce. Lo stesso Gesù usava il termine «battesimo» in riferimen­ to alla sua passione e morte : «Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto ! » (Le 1 2,50). A i discepoli, che hanno espresso il desiderio di se­ dere alla sua destra e alla sua sinistra, chiede: «Potete bere il ca­ lice che io sto per bere, ed essere battezzati del battesimo di cui io sarò battezzato?» (Mt 20,22). Anche il battesimo celebrato secondo il comando di Gesù dai suoi apostoli viene inteso come una prefigurazione della sua mor­ te. San Paolo scrive: «0 non sapete che quanti siamo stati bat­ tezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nel­ la morte» (Rrn 6,3-4) . Rivolgendosi ai neofiti, Cirillo di Geru­ salemme (IV sec.) dice: Avete fatto la confessione salutare e vi siete immersi per tre vol­ te nell ' acqua e di nuovo siete risaliti simboleggiando la sepoltura

9 GREGORIO DI NAZIANZO,

Orazione 39, 1 5 (SC 358, 1 82); tr. it. p. 9 1 5 .

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4. IL

F I G L I O DI D I O

di tre giorni del Cristo. Come il nostro Salvatore passò tre giorni e tre notti nel cuore della terra, così anche voi con la prima emer­ sione avete imitato il primo giorno del Cristo sotterra e nella im­ mersione la notte . . . Nello stesso tempo siete morti e rigenerati . Quest' acqua salutare fu la vostra tomba e la vostra madre . . . Un solo tempo ha conseguito le due cose: la vostra nascita ha coinci­ so con la morte 10•

Se il battesimo di Giovanni era un battesimo di penitenza per la remissione dei peccati (Mc l ,4), che effetto ebbe su Gesù? Gli evangelisti presentano all 'unanimità Gesù come Colui che, es­ sendo Figlio dell 'Uomo e Figlio di Dio, ha il potere di rimettere i peccati (Mt 9,6; Mc 2, 1 0; Le 5 ,24 sgg.). Gli autori neotesta­ mentari sottolineano più volte, in varie forme, che «in lui non vi è peccato» ( l Gv 3,5) e, al contrario, Egli è la fonte del perdono dei peccati. Come dice l'apostolo Pietro, il Figlio di Dio «non commise peccato. . . Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vives­ simo per la giustizia» ( l Pt 2,22.24). Alla luce di questo insegnamento la discesa del Figlio di Dio nelle acque del Giordano può essere intesa solo in un senso: era necessaria per liberare l 'umanità dal peccato. In san Paolo leg­ giamo : «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,2 1 ) . Pur non avendo peccato, Gesù si identifica pienamente con l 'umanità peccatrice, e per questo ri­ ceve il battesimo, che gli altri ricevevano per la remissione dei propri peccati : Egli non lo riceve per altro motivo se non perché prende su di sé il peccato del mondo (cfr. Gv l ,29). Il battesimo nel Giordano divenne per Gesù un passo impor­ tante sulla strada dell'umiliazione, della spoliazione, della keno­ sis che Egli avrebbe percorso fino in fondo, fino alla «morte in croce» (Fil 2,8). Questa strada inizia dal momento in cui il Fi-

1° CIRILLO E GIOVANNI DI GERUSALEMME, Le catechesi ai misteri, 2, 4 (PG 33, l 0801 08 1 ) ; tr. it. pp. 63-64.

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L' INIZIO D E L VAN GELO

glio di Dio diventa Figlio dell'Uomo. Come Figlio dell 'Uomo, si mescola tra la folla di coloro che chiedono la remissione dei peccati, facendosi uno di loro per prendere su di sé, come Figlio di Dio, il fardello dei loro peccati. Ne parla Giustino il Filosofo nel Dialogo con Trifone, insistendo sul fatto che il battesimo era necessario non per Gesù, ma per gli uomini che egli doveva re­ dimere dalla morte: E quando Gesù si recò sul fiume Giordano, dove Giovanni bat­ tezzava, ed entrò nel l 'acqua, un fuoco divampò nel Giordano, e quando risalì dall' acqua lo Spirito Santo volteggiò sopra di lui in forma di colomba . . . Sappiamo però che non si è recato sul fiume perché avesse bisogno di essere battezzato o che lo Spirito Santo scendesse su di lui in forma di colomba, così come non ha accet­ tato di essere generato e di essere crocifisso perché ne avesse bi­ sogno, bensì ha sopportato tutto questo per il genere umano, che a partire da Adamo era caduto in potere della morte . . . Giunse dun­ que al Giordano Gesù . . . Lo Spirito Santo, dunque, a motivo degli uomini . . . si librò su di lui in forma di colomba. Nel contempo ven­ ne dai cieli una voce che già era riecheggiata per mezzo di Davi­ de, che, come impersonandolo, pronuncia le parole che gli sareb­ bero state rivolte dal Padre : «Tu sei mio figlio, io "oggi" ti ho ge­ nerato» (Sal 2, 7 ) 1 1 •

Giovanni Crisostomo sottolinea che Gesù non aveva bisogno del battesimo, né di quello d i Giovanni né di altri. Viceversa, «era il battesimo stesso ad aver bisogno dell'energia di Cristo»12• Nella tradizione della Chiesa si è affermata l'idea che Gesù, scen­ dendo nelle acque del Giordano, le abbia santificate. Come dice Ignazio di Antiochia, Gesù «nacque e fu battezzato, per purifi­ care l'acqua attraverso la sua passione»13• Gli fa eco Gregorio di Nazianzo, affermando che Gesù si è battezzato «per santificare le acque»14• Cirillo di Alessandria sottolinea che Gesù «non si 11 GIUSTINO, Dialogo con Trifone 88 (PG 6, 685-688); tr. it. pp. 278-28 1 . 1 2 GIOVANNI CRISOSTOMO, Homiliae in Joannem 1 7, 2 (PG 59, I l 0). 1 3 IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Lettera agli Efesini 18 (SC l 0, 86); tr. it. p. 48. 1 4 GREGORIO DI NAZIANZO, Orazione 29, 20 (SC 250, 220); tr. it. p. 7 1 7.

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4.

IL FIGLIO DI DIO

battezzò affatto come un uomo che fa penitenza, ma come colui che risana i peccati e santifica le acque» 15• Un teologo ortodosso contemporaneo così svela il senso del­ la concezione della discesa di Gesù nelle acque del Giordano posseduta dalla Chiesa: In queste acque venivano a bagnarsi le persone che si erano pen­ tite ascoltando la predicazione di Giovanni Battista; com' erano ap­ pesantite queste acque dal peccato degli uomini che vi si bagnava­ no! . . E in queste acque venne a immergersi Cristo all 'inizio del suo ministero di predicazione e di graduale ascesa verso la croce, venne a calarsi in queste acque che portavano tutto il peso del peccato uma­ no, - Lui, senza peccato . . . Ormai maturo nella sua umanità, il Si­ gnore, l'Uomo Gesù Cristo, che ha ormai raggiunto la piena misura della sua umanità e ha aderito con perfetto amore e perfetta obbe­ dienza alla volontà del Padre, va di sua libera volontà ad adempiere liberamente ciò che il Consiglio Sempitemo ha predestinato. Ora l 'Uomo Gesù Cristo offre questa carne in sacrificio e in dono non solo a Dio, ma a tutta l 'umanità, prende sulle proprie spalle tutto l ' orrore del peccato umano, della caduta umana, e si immerge in queste acque, che sono ora acque di morte, figura della perdizione, che racchiudono in sé tutto il male, tutto il veleno e tutta la morte comportati dal peccato 1 6 •

Particolare attenzione meritano le parole degli evangelisti sul­ la voce del Padre che echeggia quando Gesù scende nelle acqui: È un momento significativo per la rivelazione divina che ha pre­ so il nome di Nuovo Testamento, ed è strettamente legato alle ultime parole rivolte da Gesù ai discepoli : «Andate dunque e fa­ te discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28, 1 9). Proprio nel momento in cui Gesù esce dalle acque del Giordano, per la prima volta agli uomini si rendono manifesti il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo nella loro inscindibile unità: il Padre rende testimonianza 15 CiRILLO DI ALESSANDRIA, Commentarii in Mattaeum 29 (TU 6 1 , 298). 16 ANTONU DI SURoz, Vo imja Otca i Syna i Svjatago Ducha (Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo), pp. 37-38.

26 1

L' INIZIO DEL VANGELO

al Figlio con la voce dal cielo; il Figlio, uscendo dalle acque bat­ tesimali, prega il Padre; e lo Spirito scende sul Figlio in forma di colomba. «Abbiamo dunque la Trinità in certo qual modo di­ stinta: il Padre nella voce, il Figlio nell 'uomo e lo Spirito Santo nella colomba», dice sant'Agostino 17• Il manifestarsi di Dio Padre, descritto dagli evangelisti, pro­ segue la linea delle rivelazioni divine narrate nell 'Antico Testa­ mento. In molti casi Dio si rivelava agli uomini proprio con la voce. Adamo ed Eva in paradiso udivano la voce di Dio (Gen 3 ,8 . 1 0). Sul Sinai «Mosè parlava e Dio gli rispondeva con una voce» (Es 1 9, 1 9) . Mosè udiva la voce di Dio da sopra l 'Arca dell'Alleanza (Nm 7 ,89). Del profeta Isaia si dice che «venne a lui una voce» ( I Re 1 9, 1 3) . Alcuni di coloro che udirono la voce di Dio non la riconobbero subito, ad esempio il giovane Samue­ le, che non comprese chi stava parlando con lui, perché «fino ad allora non gli era stata ancora rivelata la parola del Signore» ( I Sam 3 ,4-7). Possiamo qui ricordare nuovamente le parole del prologo del Vangelo di Giovanni : «Dio non l'ha mai visto nessuno» (Gv l , 1 8). Queste parole si riferiscono a Dio Padre, che non è mai apparso a nessuno in sembianti visibili. Di Dio Padre non si può però dire che nessuno l 'ha mai udito, perché la sua voce è risuo­ nata nel momento in cui il Figlio di Dio si è manifestato al po­ polo d ' Israele. Sul monte della Trasfigurazione i tre discepoli udranno di nuovo la stessa voce, che pronuncerà le stesse paro­ le: «Questi è il Figlio mio, l'amato : in lui ho posto il mio com­ piacimento» (Mt 1 7,5; cfr. Mc 9,7; Le 9,3 5). Tuttavia, se sul monte il Padre rende testimonianza al Figlio parlandone in terza persona (indirizzando cioè questa testimo­ nianza ai compagni di Gesù, e non a Lui stesso), nel racconto del battesimo di Gesù in Marco e Luca la voce del Padre si ri­ volge direttamente a Gesù: «Tu sei il Figlio mio, l ' amato». Si può interpretare questo appello come un avvenimento nella sto­ ria delle relazioni tra Padre e Figlio, come il momento in cui il 17

AGoSTINO, Discorso 52. Sulla Trinità l (PL 38, 3 56).

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4. IL F I G L I O DI D I O

Padre, volgendosi al Figlio che ha inviato nel mondo, testimo­ nia pubblicamente il suo amore per Lui, per confermarlo nel fu­ turo ministero? Il tema del rapporto tra il Padre e il Figlio si svela nelle pagi­ ne dei Vangeli in tutta una serie di episodi e di discorsi di Gesù. Gli evangelisti riportano più volte gli appelli di Gesù al Padre. Ma solo due volte udiamo il Padre rivolgersi al Figlio: la prima volta nel momento del battesimo, nella versione di Marco e di Luca. Il secondo caso è menzionato da Giovanni. Quando, pri­ ma di celebrare la sua ultima Pasqua, Gesù esclama: «Padre, glo­ rifica il tuo nome», una voce dal cielo gli risponde: «L'ho glori­ ficato e lo glorificherò ancora! » (Gv 1 2,28). Entrambi gli episo­ di sono collegati ad avvenimenti cruciali nella vita di Gesù: il primo è in relazione all' inizio della sua missione pubblica, il se­ condo al suo approssimarsi a Gerusalemme, dove lo attendeva­ no l' arresto, il processo e la condanna a morte. Nel primo caso Gesù non risponde alla voce del Padre e non ne commenta le parole. Nel secondo caso Gesù offre questo chia­ rimento : «Questa voce non è venuta per me, ma per voi» (Gv 1 2,30). Da ciò possiamo concludere che anche nel momento del battesimo la testimonianza del Padre, per quanto rivolta al Fi­ glio, era necessaria non tanto al Figlio, quanto al popolo presen­ te. Non si può tuttavia escludere che lo stesso Gesù, come uo­ mo, avesse bisogno della conferma della testimonianza del Pa­ dre nel momento in cui stava per iniziare la sua missione al ser­ vizio degli uomini, una missione coronata dalla sua morte. Che cosa significa la discesa dello Spirito Santo su Gesù do­ po che questi è uscito dalle acque del Giordano? Nella vita di Gesù, lo Spirito Santo agisce in maniera particolare. Dallo Spi­ rito Santo, senza intervento umano, la Vergine Maria concepisce il divino Bambino. Giovanni profetizza che Gesù avrebbe bat­ tezzato con Spirito Santo e fuoco. Subito dopo il battesimo lo Spirito conduce Gesù nel deserto (Mt 4, 1 ; Mc l , 1 2 ; Le 4, 1 ). Con lo Spirito di Dio Gesù scaccerà i demoni (Mt 1 2,28). Dello Spi­ rito Santo Gesù dirà che la bestemmia nei suoi confronti «non sarà perdonata, né in questo mondo né in quello futuro» (Mt 263

L'INIZIO D E L VANGELO

1 2,32; Mc 3,29; Le 1 2, l 0). La promessa di inviare lo Spirito San­ to diverrà uno dei temi principali nel discorso di commiato di Gesù agli apostoli (Gv 1 4, 1 6- 1 7 .26; 1 5,26; 1 6,7- 1 5). Dopo la re­ surrezione Gesù soffierà e dirà ai discepoli : «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,22). E nel giorno di Pentecoste lo Spirito Santo scenderà sui discepoli in forma di lingue di fuoco (At 2,4). Abbiamo visto come gli evangelisti presentino il battesimo di Gesù come una svolta nel suo destino umano. Si può supporre che in questo importante momento Egli avesse umanamente bi­ sògno non solo della conferma del Padre prima di iniziare la sua predicazione, ma anche di una particolare manifestazione dello Spirito Santo. Poiché il suo ministero avrebbe avuto un caratte­ re profetico, come uomo aveva bisogno dell'ispirazione che pos­ sedevano i profeti, i quali la ricevevano dallo Spirito Santo. In seguito Egli avrebbe inviato lo Spirito Santo ai discepoli, affin­ ché potessero svolgere il proprio ministero apostolico, ma ora era Lui stesso ad aver bisogno di tale ispirazione. Nel contempo, sarebbe errato pensare che il battesimo fosse per Gesù un avvenimento di carattere intimo, che avrebbe pro­ vocato «una trasformazione psicologica dissociativa» della sua personalità, inducendo lo a riconoscere la propria vocazione mes­ sianica e facendo di Lui un >. Chi viene dall' alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza. Chi ne accetta la testi­ monianza, conferma che Dio è veritiero. Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito. Il Pa­ dre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Fi­ glio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l' ira di Dio rimane su di lui (Gv 3 ,25-36). 286

4. IL F I G L I O DI D I O

Nelle parole dei discepoli del Battista si nota un malcelato scontento. Invece, nella sua risposta, Giovanni prosegue coeren­ temente la linea che aveva adottato quando Gesù era apparso sulle rive del Giordano. Fa riferimento alla testimonianza da lui precedentemente resa su Gesù e la riconferma. Anzi, se si considera il testo a partire dalle parole «chi viene dal cielo è al di sopra di tutti» come una prosecuzione del discor­ so diretto del Precursore42, Giovanni qui non dimostra sempli­ cemente di essere a conoscenza di ciò che fa. e insegna Gesù. Egli ripete quasi alla lettera i temi fondamentali del suo insegna­ mento, così come risuoneranno nei capitoli successivi del Van­ gelo giovanneo. Il Precursore si contrappone a Gesù, definendo se stesso co­ me chi viene dalla terra, e Lui come chi viene dal cielo, dall 'al­ to. Parla della testimonianza resa da Gesù, che nessuno accetta: con tutta probabilità, già in questo periodo iniziale della missio­ ne di Gesù la sua predicazione suscitava la ripulsa dei giudei. Infine - e questa è la cosa più importante - il Precursore espone l'insegnamento dell 'unità tra il Figlio e il Padre. E qui non è or­ mai più un profeta dell 'Antico Testamento, bensì un teologo del Nuovo Testamento, che annuncia agli uomini la venuta nel mon­ do del Figlio di Dio. Dopo l'arresto, dal carcere, Giovanni avrebbe continuato a se­ guire l 'operato di Gesù. L'evangelista Matteo riporta questo epi­ sodio: Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle ope­ re del Cri sto, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu

42 Data l'assenza nel testo originale del Vangelo di virgolette o altri segni di interpun­ zione che distinguano il discorso diretto dei personaggi dai commenti dell'autore, il pas­ so indicato può essere inteso non come un discorso diretto del Precursore, ma come un commento dell'autore al discorso conclusosi con le parole «Lui deve crescere; io, inve­ ce, diminuire». Così intendono questo testo alcuni studiosi contemporanei. Noi, tuttavia, non vediamo alcun motivo di respingere la lettura del testo invalsa nella tradizione cri­ stiana (cfr. ad esempio: GIOVANNI CRISOSTOMO, Homiliae in Joannem 30, l ; PG 59, 1 72), a partire dalle parole «Chi viene dal cielo)), come una prosecuzione del discorso diretto di Giovanni Battista.

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L' INIZIO DEL VANGELO

colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù ri­ spose loro : «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annuncia­ to il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scan­ dalo ! » (M t l i ,2-6).

Che cosa significa questo racconto? Possiamo supporre che, trovandosi in carcere, Giovanni dubitasse della dignità messia­ nica di Gesù? Forse a un certo momento gli sembrò di essersi sbagliato, e che Gesù non fosse Colui al quale doveva preparare la strada? Non si può escludere una simile debolezza umana in una persona incarcerata, in attesa della morte. In questo caso an­ che le parole di Gesù «beato è colui che non trova in me motivo di scandalo ! » suonano come un tremendo monito a Giovanni: Giovanni è in carcere, fra le quattro mura di una fortezza di pie­ tra, e il Signore permette che sia provato dalla prova più terribile. La fede del più grande tra i nati di donna è sottoposta agli assalti del tentatore. La voce del nemico cerca di offuscargli l ' anima con il dubbio: «Vedi che Gesù non è affatto il Messia. Non è in grado nep­ pure di trarti in salvo dal carcere>>. Giovanni il Precursore viveva attendendo il Messia vittorioso, l'Unto del Signore, Colui che avreb­ be liberato Israele da tutti i suoi nemici; il Figlio dell ' Uomo annun­ ciato da Daniele, che sarebbe venuto sulle nubi del cielo per pro­ nunciare il giudizio sugli empi e sterminarli con l'alito delle sue lab­ bra. Questo era il Messia predicato da Giovanni al popolo nel de­ serto: il Giudice che poneva mano alla scure, accingendosi ad ab­ battere gli alberi sterili, il celeste Trebbiatore che poneva mano alla pala per separare il frumento dalla zizzania. E invece le cose non stavano andando così. Possibile che Cristo l'avesse ingannato? Pos­ sibile che Dio l'avesse ingannato? . . . Cristo non risponde direttamen­ te alla domanda posta. Non dice: «lo sono quello che doveva veni­ re». Egli vuole che sia chi pone la domanda a trovare lui stesso la risposta43•

43 A. S ARGUNOV, Evangelie dnja (Il Vangelo del giorno), vol. l , pp. 254-255.

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4. IL F I G L I O DI DIO

Esiste però anche un'altra interpretazione, secondo cui non era Giovanni a dubitare della dignità messianica di Gesù, bensì i suoi discepoli : ed ecco che egli li mandò da Lui, affinché ne ri­ cevessero direttamente una risposta. Secondo l 'espressione di Crisostomo, Giovanni «non mandò i discepoli perché dubitava, né rivolse quella domanda perché ignorava». I suoi discepoli, però, «non sapevano ancora chi era Cristo, ma, immaginando che Gesù fosse un semplice uomo e Giovanni invece più che un uomo, erano angustiati nel vedere che il primo godeva di gran­ de reputazione, mentre l 'altro veniva meno, come aveva detto. Questo impediva loro di avvicinarsi a Cristo, perché l ' invidia sbarrava l'accesso a lui». Per questo Giovanni inviò due disce­ poli da Gesù per averne un chiarimento. Gesù, dal canto suo, «conoscendo l' intenzione di Giovanni», non risponde loro im­ mediatamente in maniera affermativa, ma li invita a trarre loro stessi delle conclusioni sulla base delle sue opere44• Proseguendo il racconto, Matteo riporta le parole rivolte da Gesù al popolo su Giovanni Battista (da questo possiamo con­ cludere che il suo dialogo con i discepoli di Giovanni si svolse in presenza del popolo): Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovan­ ni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una can­ na sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uo­ mo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re ! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, da­ vanti a te egli preparerà la tua via. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Dai giorni di Gio­ vanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. Tutti i Profeti e la Legge infatti han­ no profetato fino a Giovanni (Mt l 1', 7- 1 3). 44 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 36, 1 -2 (PG 57, 4 1 3-41 5); tr. it. vol. 2, pp. 1 66- 1 68.

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L' I N I Z I O DEL VANGELO

Nell' immagine della canna sbattuta dal vento alcuni studio­ si vedono un' allusione alla politica di compromesso del re Ero­ de Antipa (facendo inoltre osservare che sulle monete giudai­ che del tempo era raffigurato un giunco). In ogni caso, Erode è sottinteso nella figura dell 'uomo rivestito lussuosamente, che abita nei palazzi dei re. A questo re, che getta il Battista in car­ cere e poi lo farà decapitare, viene contrapposto il profeta, il cui modo di vivere è in stridente contrasto con il modo di vi­ vere del sovrano45 • L'espressione «fino a Giovanni» (€roç ' Iroawou) può essere intesa in due sensi: fino a Giovanni compreso, oppure escluso46• Se compreso, significa che Giovanni appartiene ancora all'An­ tico Testamento . Sembra che nel testo parallelo di Luca (Le 1 6, 1 6), l' espressione analoga (�XPt 'Iroawou) venga intesa pro­ prio così, come testimoniano le parole dello stesso autore in al­ tri passi (At 1 ,5 ; 1 3,24-25; 1 9,4). Matteo però colloca il Precur­ sore già nel contesto della buona novella del Nuovo Testamen­ to, come attestano le parole: «Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza». Giovanni Batti­ sta viene qui presentato come l'anello iniziale dell'annuncio del Regno dei cieli che si svelerà nella sua pienezza nella predica­ zione di Gesù. Comunque si intendano le parole «fino a Giovanni», per noi è evidente che Giovanni Battista per mentalità, modo di agire e contenuto della predicazione appartiene ancora ali ' Antico Testa­ mento. È l 'ultimo dei profeti veterotestamentari. Nel contempo, egli sta sulla soglia dd Nuovo Testamento: il racconto su di lui occupa un posto importante in tutti e quattro i Vangeli; la sua predicazione si intreccia tematicamente con quella di Gesù; egli per primo annuncia l' awicinarsi del Regno dei cieli . Molte del­ le cose che nella predicazione del Precursore erano solo abboz­ zate o profeticamente preannunciate, nella predicazione di Gesù troveranno documentazione e sviluppo. 45 R. 46

BAUCKHAM, Gospel Women, p. 1 49. Cfr. : J. JEREMIAS, The New Testament Theology, pp. 46-47.

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4. IL F I G L I O DI DIO

.Gesù stimava molto Giovanni. Lo testimoniano le parole: «Fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Bat­ tista». Ma che cosa significa il proseguimento di questa frase, secondo cui «il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui»? Può essere inteso in due sensi. Nel primo senso, si parle­ rebbe qui del Regno dei cieli come di una realtà nuova, in cui ogni persona acquisisce un' altra qualità, e perfino l 'uomo più grande della terra risulta inferiore al più piccolo nel Regno -dei cieli. Secondo un'altra interpretazione, le parole «più piccolo» si riferiscono a Gesù: è Lui il più piccolo che ha ricevuto il bat­ tesimo da Giovanni, chinando il capo sotto la sua mano, ma per importanza è più grande, poiché la missione di Giovanni aveva semplicemente un carattere preparatorio, mentre la missione di Gesù è «il regno di Dio nella sua potenza» (Mc 9, 1 ). Riguardo alle forme esteriori della predicazione e del mini­ stero, Gesù assume molte cose da Giovanni. In un primo tempo, la sua predicazione sembra una prosecuzione diretta della mis­ sione del Battista. Come abbiamo già osservato, Giovanni per primo aveva pronunciato le parole che diverranno il filo condut­ tore della predicazione di Gesù nella fase iniziale: «Convertite­ vi, perché il Regno dei cieli è vicino». Giovanni per primo era entrato in polemica con i farisei, e nei loro confronti Gesù assu­ me lo stesso stile. Perfino l' insegnamento sul Padre e il Figlio era risuonato per la prima volta sulle labbra del Precursore (Gv 3,35-36), e solo in seguito sarebbe stato spiegato da Gesù. Ma la cosa fondamentale che Gesù, e di conseguenza la Chie­ sa, assunse da Giovanni è il rito del battesimo, che Gesù colmò di un nuovo contenuto. Solo il quarto Vangelo riferisce come nella fase iniziale della sua predicazione Gesù praticasse il bat­ tesimo, mentre nella parte successiva del testo non ne sentiremo più parlare (i sinottici non fanno parola del fatto che Gesù o i suoi discepoli battezzassero qualcuno). La prassi del battesimo sarebbe stata ripristinata in un contesto completamente diverso, dopo la resurrezione di Gesù, ma per suo diretto comando: «An­ date dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel no­ me del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28, 1 9). E 29 1

L' INIZIO DEL VANGELO

questo non sarebbe più stato il battesimo «di penitenza» di Gio­ vanni, ma il battesimo «in Spirito Santo e fuoco» (Mt 3 , 1 1 ), di cui egli era stato il preannunciatore. Nonostante la sorprendente somiglianza fra alcuni aspetti este­ riori del ministero di Gesù nel periodo iniziale e il ministero del Precursore, esistono anche sostanziali differenze, che riguarda­ no in primo luogo i contenuti delle forme elaborate dal Precur­ sore. Questo non vale solo per il battesimo, ma anche per i temi della predicazione di Gesù: Giovanni proclamava: «Convertitevi, perché il giudizio si avvi­ cina». Gesù proclamava: «Il Regno di Dio si avvicina, venite a me, tutti voi affaticati e oppressi !». Giovanni Battista rimane nell atte sa, mentre Gesù porta il compimento. Giovanni appartiene ancora all'ambito della legge, mentre da Gesù inizia il Vangelo. Ecco per­ ché il più piccolo nel Regno dei cieli è più grande di Giovanni47• '

­

Confrontando il ministero del Precursore con la missione di Gesù, Giustino il Filosofo dice che «Cristo, mentre lui ancora se ne stava sul fiume Giordano, è venuto a por fine alla sua opera di profeta e di battezzatore, e ha predicato la buona novella di­ cendo che il regno dei cieli era vicino . . . »48• Sul piano storico non è del tutto vero, perché, come abbiamo visto, per un certo tem­ po, prima che Giovanni fosse incarcerato, Gesù e Giovanni pre­ dicarono parallelamente. Ma sul piano spirituale la predicazione di Gesù significa realmente la cessazione della missione di Gio­ vanni, sia pure non di netto ma gradualmente. Lo stesso Giovan­ ni ne era consapevole, altrimenti non avrebbe detto: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3 ,30). Il diminuire di Giovanni Battista costituisce un tema particolare nei Vangeli. Matteo descrive nel dettaglio la morte di Giovanni: In quel tempo al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Ge­ sù. Egli disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista. È ri47 Ibid. , p. 49. Corsivo dell 'autore. 4 8 GIUSTINO, Dialogo con Trifone 5 1 (PG 6, 588); tr. it. p. 1 95.

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sorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi !». Erode in­ fatti aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione a causa di Erodiade, moglie di suo fratello Filippo. Gio­ vanni infatti gli diceva: «Non ti è lecito tenerla con te !». Erode, ben­ ché volesse farlo morire, ebbe paura della folla perché lo conside­ rava un profeta. Quando fu il compleanno di Erode, la figlia di Ero­ diade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle quello che avesse chiesto. Ella, istigata da sua madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista)). Il re si rattristò, ma a motivo del giuramento e dei com­ mensali ordinò che le venisse data e mandò a decapitare Giovanni nella prigione. La sua testa venne portata su un vassoio, fu data alla fanciulla e lei la portò a sua madre (Mt 1 4, 1 - 1 1 ) .

Tale fu la fine dell 'uomo a cui fino a poco prima affluivano migliaia di persone, e la cui predicazione risuonava in tutta la Giudea. Il destino di Giovanni è la prefigurazione del destino di Ge­ sù, il Figlio dell'Uomo, il cui ministero terreno pure diventerà un progressivo diminuire, «fino alla morte, e alla morte in cro­ ce» (Fil 2,8). L' esecuzione capitale di Giovanni preannuncia quella di Gesù. Il parallelismo fra le loro vite, iniziato dali ' in­ contro delle loro madri, Maria ed Elisabetta (Le l ,39-56), e pro­ seguito con il loro incontro sulla riva del Giordano e con la mis­ sione parallela per un certo periodo, si concluse con la croce che ognuno dei due avrebbe abbracciato : dapprima il Precursore, e poi Colui che egli aveva preannunciato. La tradizione ecclesiale dice che dopo la sua morte Giovanni Battista discese agli inferi, per preparare anche là la via a Gesù, che vi sarebbe disceso do­ po la sua morte in croce49• Il Vangelo di Matteo sembra voler sottolineare deliberatamen­ te e consapevolmente il parallelismo tra la vita di Giovanni e quella di Gesù, usando le medesime espressioni per entrambi . Del desiderio d i Erode d i uccidere Giovanni s i dice: «Benché 49 A questo proposito, cfr: ILARION (ALFEEV), Christos - pobeditel ' ada (Cristo vin­ citore degli inferi), pp. 203-205.

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L' INIZIO D E L VANGELO

volesse farlo morire, ebbe paura della folla perché lo considera­ va un profeta» (Mt 1 4,5). E di Gesù: «Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta» (M t 2 1 ,46) . Le parole «catturare» e «legare» vengono usate sia per Giovanni che per Gesù (Mt 1 4,3 ; 2 1 ,46; 27,2). Erode ordina di uccidere Giovanni controvoglia (Mt 1 4,9), e Pilato emette la sentenza di morte di Gesù contro la propria volontà (Mt 27 ,24). Per contenuto e lessico usato, la scena della sepoltura di Giovan­ ni (Mt 1 4, 1 2) sembra un' anticipazione della scena della sepol­ tura di Gesù (Mt 27,57-60). La narrazione della morte del Precursore riportata dali' evan­ gelista Matteo si conclude con le parole: «l suoi discepoli si presentarono a prendere il cadavere, lo seppellirono e andaro­ no a informare Gesù. Avendo udito questo, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte» (Mt 1 4, 1 21 3 ). Segue poi il racconto dei cinquemila uomini sfamati con cinque pani, dopo di che Gesù «costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull' altra riva, finché non avesse con­ gedato la folla. E congedata la folla, salì sul monte, in dispar­ te, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo» (Mt 1 4,23-24). Perché l 'evangelista richiama tanto l ' attenzione del lettore sul fatto che Gesù per due volte in un breve spazio di tempo si allontana dai discepoli per restare da solo? E perché questo avviene subito dopo che Egli ha avuto notizia della mor­ te di Giovanni Battista? Nei Vangeli si dice più volte che Gesù si allontanava dai di­ scepoli per restare completamente solo (Mt 1 4,23 ; Mc 6,46; Le 5 , 1 6; 6, 1 2 ; Gv 6, 1 5 ; 8, l ). Questo avviene per la prima volta do­ po che Egli ha saputo della morte di Giovanni Battista, e l'ulti­ ma volta nell'orto del Getsemani, immediatamente prima dell'ar­ resto. Gesù lascia i discepoli e resta da solo nei casi in cui ha bi­ sogno di pregare. Talvolta trascorre in preghiera l ' intera notte (Le 6, 1 2). A che cosa pensò e per che cosa pregò Gesù, dopo aver ap­ preso della morte di Giovanni? Per le sorti del Battista? Per le proprie? Per la morte che lo attendeva? Di questo gli evangelisti 294

4. IL F I G L I O DI D I O

non dicono nulla. Ma non nascondono che il Figlio dell'Uomo soffrì profondamente per la morte di colui che era venuto al mon­ do per preparargli la strada, di colui che gli aveva reso testimo­ nianza indicandolo come Agnello di Dio e Figlio di Dio, di co­ lui, sotto la cui mano Egli aveva chinato il capo e aveva ricevu­ to il battesimo.

6. «La Galilea delle genti»

Che cosa avvenne dopo il battesimo di Gesù? Da che cosa eb­ be inizio il suo ministero pubblico? Nel Vangelo di Giovanni, come abbiamo visto, dopo aver in­ contrato per la seconda volta il Battista, Gesù «volle partire per la Galilea» (Gv 1 ,43). Il terzo giorno era già presente alle nozze a Cana di Galilea, che fu «l ' inizio dei segni compiuti» da Lui (Gv 2, 1 - 1 2). Da Cana, insieme alla Madre, ai fratelli e ai disce­ poli si recò a Cafarnao, dove «rimasero pochi giorni» (Gv 2, 1 2). Quindi Gesù andò per la Pasqua a Gerusalemme e cacciò dal tempio i mercanti ( Gv 2, 1 3- 1 5). Sempre a Gerusalemme, si sup­ pone che discorresse con Nicodemo (Gv 3 , 1 -2 1 ). In seguito «Ge­ sù andò con i suoi discepoli nella regione della Giudea, e là si tratteneva con loro e battezzava» (Gv 3,22). L'evangelista non precisa per quanto tempo questo durasse. In Galilea Gesù fece ritorno dopo aver saputo «che i farisei avevano sentito dire: "Ge­ sù fa più discepoli e battezza più di Giovanni"» (Gv 4, 1 -3). Lun­ go il tragitto verso la Galilea attraversò la Samaria: questa visi­ ta occupò due giorni (Gv 4,4-43). Dalla Samaria Gesù passò a Cana di Galilea, dove compì il secondo miracolo: guarì il figlio di un funzionario del re, che si trovava a Cafarnao (Gv 4,46-54). Tutti questi avvenimenti, svoltisi mentre Giovani Battista era ancora in libertà, mancano nei sinottici. Nel Vangelo di Matteo il ministero di Gesù comincia dal momento in cui lascia la città natale di Nazaret e si stabilisce a Cafarnao (Mt 4, 1 3). Proprio a Cafarnao, secondo Matteo, Gesù «cominciò a predicare e a di­ re: "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino"» (Mt 4, 1 7). 295

L' INIZIO D E L VAN GELO

Sempre qui Egli chiamò Pietro e Andrea, e poi Giacomo e Gio­ vanni figli di Zebedeo (Mt 3, 1 8-22). Anche nel Vangelo di Marco il luogo in cui avviene l' inizio del ministero pubblico di Gesù è Cafarnao. Il primo miracolo descritto da Marco - la cacciata di un demonio da un ossesso si svolge nella sinagoga di Cafarnao (Mc 1 ,2 1 -28). L'esistenza di una sinagoga a Cafarnao è testimoniata dagli scavi archeolo­ gici, che hanno permesso di trovare i resti di una sinagoga del IV-V secolo d.C., costruita evidentemente sul luogo de li 'antica sinagoga dove Gesù si recò più volte50• Anche la guarigione del­ la suocera di Pietro ebbe luogo a Cafarnao, dove si trovava la casa di Pietro. Sempre lì, con tutta probabilità, Gesù risanò un lebbroso (Mc l ,40-44), e in seguito a ciò «non poteva più entra­ re pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi de­ serti; e venivano a lui da ogni parte» (Mc l ,45). «Dopo alcuni giorni» vediamo nuovamente Gesù a Cafarnao, dove guarisce un paralitico (Mc 2, 1 - 1 2). Quindi, secondo Matteo e Marco, il luogo in cui iniziò il mi­ nistero di Gesù è Cafarnao, dove Egli si recò lasciando Nazaret (Mt 3 , 1 2). Perché decise di lasciare Nazaret e di stabilirsi a Ca­ farnao? La risposta la troviamo nel Vangelo di Luca, secondo cui dopo le tentazioni del diavolo «Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regio­ ne. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode» (Le 4, 1 4- 1 5). Qui non si dice nulla su quali fossero le città della Ga­ lilea in cui Gesù predicò. Il primo episodio narrato nei particolari da Luca è legato a Nazaret, dove Gesù «secondo il suo solito, di sabato, entrò nel­ la sinagoga e si alzò a leggere» (Le 4, 1 6; avevamo già riportato in precedenza l' inizio del racconto). Inizialmente la sua predi­ cazione fu accolta con benevolenza, ma ben presto, quando dis­ se che «nessun profeta è bene accetto nella sua patria», la bene­ volenza si mutò in sdegno:

50 J. MURPHY O'CoNNOR, The Holy Land, pp. 1 88- 1 93 .

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«In verità io vi dico: c' erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una gran­ de carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone5 1 • C 'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purifi­ cato, se non Naaman, il Siro52». All' udire queste cose, tutti nella si­ nagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era co­ struita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino (Le 4,25-30).

Osserviamo che l' evangelista non evidenzia un gruppo par­ ticolare di persone indignate a motivo del comportamento di Gesù, ad esempio seri bi e farisei . Delinea un vivido quadro del mutare dello stato d'animo degli ascoltatori man mano che Ge­ sù prosegue il discorso. All ' inizio, quando ebbe terminato la lettura e disse che la profezia si era compiuta, «tutti gli dava­ no testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca» (Le 4,22). Quando invece Egli cominciò a sferzarli e a ricordare loro come Dio avesse invia­ to profeti ai pagani e agli stranieri, il loro atteggiamento si ca­ povolse e tutti si riempirono di collera. In relazione a questo episodio, l 'evangelista Marco aggiunge che Gesù «lì non po­ teva compiere nessun prodigio . . E si meravigliava della loro incredulità . . . » (Mc 6,5-6). Lo stesso episodio viene brevemente esposto da Matteo, ma si svolge molto tempo dopo l ' inizio della predicazione di Gesù (Mt 1 3 ,53-58). In Luca proprio di qui comincia il ministero di Gesù, e solo dopo questo fatto Gesù si reca a Cafamao (Le 4,3 1 ). Possiamo supporre che trasferirsi a Cafamao fu una necessità: nella città natale non solo Gesù non era stato accettato, ma lo si voleva addirittura uccidere. Inoltre, a Nazaret vivevano i paren­ ti di Gesù, e come vedremo i rapporti con loro si guastarono quando Egli si mise a predicare. .

5 1 Cfr. I Re 1 7,8- 1 0. 5 2 Cfr. 2Re 5 , 1 0- 1 4.

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L' INIZIO DEL VANGELO

Narrando che Gesù si stabilì a Cafamao, l'evangelista Matteo si rifà alla profezia di Isaia, secondo cui la Galilea doveva esse­ re illuminata dalla luce della vera fede: Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nel­ la Galilea, lasciò Nazaret e andò ad abitare a Cafamao, sulla riva del mare, nel territorio di Zabulon e di Neftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Terra di Zabulon e terra di Neftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti ! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta (Mt 4, 1 2- 1 6).

La menzione della «Galilea delle genti» (ovvero pagana) ha offerto il destro ad alcuni studiosi per ipotizzare che i pagani co­ stituissero in Galilea pressoché la maggioranza della popolazio­ ne53. In realtà, Matteo non fa che citare le parole del libro del profeta Isaia (Is 9, 1 -2), ai tempi del quale effettivamente in Ga­ lilea vivevano molti pagani. Nel I secolo della nostra era la Ga­ lilea era abitata prevalentemente da ebrei; in proporzione i pa­ gani costituivano solo una piccolissima parte del numero com­ plessivo di abitanti della regione54• Tutti e quattro i Vangeli testimoniano che il luogo principale della predicazione e del ministero di Gesù fu la Galilea. Proprio qui Egli pronunciò i suoi discorsi e le sue parabole più impor­ tanti, e compì il maggior numero di miracoli. A Gerusalemme si recava solo in occasione delle feste, mentre nelle città e nei vil­ laggi della Galilea viveva e predicava. Questo non dipende solo dal fatto che la Galilea era la sua terra natale, dove era stato edu­ cato ed era cresciuto. Nelle altre terre la sua predicazione trova­ va meno rispondenza che in Galilea. Ad esempio, sull'altra riva del Giordano, nel paese dei Gada­ reni, l ' apparire di Gesù e il miracolo da Lui compiuto suscitaro­ no una tale paura che «tutta la città allora uscì incontro a Gesù: 53

54

Cfr. , ad esempio: B.L. MACK, The Lost Gospel, pp. 5 1 -68. M.A. CHANCEY, The Myth of a Gentile Gali/ee, pp. 1 69- 1 70.

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4. IL FIGLIO DI DIO

quando lo videro, lo pregarono di allontanarsi dal loro territorio» (Mt 8,34). In Samaria non lo ricevettero, «perché era chiaramen­ te in cammino verso Gerusalemme» (Le 9,53). Alla Giudea e a Gerusalemme sono legati gli episodi più drammatici della vita terrena di Gesù. In confronto alla Giudea e alla Samaria, la Galilea si dimostrò meno ostile alla sua predicazione. Del resto anche in Galilea, co­ me abbiamo visto, Gesù non era accolto sempre e ovunque: fu cacciato dalla città natale. Egli stesso si teneva probabilmente lontano dai grossi centri come Tiberiade e Sefforis55, preferendo cittadine più piccole e villaggi . Elencando i luoghi dove aveva compiuto più prodigi, Gesù menzionerà Corazin, Betsaida e Ca­ farnao, rimproverando le però amaramente per non essersi con­ vertite alla sua predicazione : Guai a te, Corazin ! Guai a te, Betsaida! Perché, se a Tiro e a Si­ done fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sareb­ bero convertite. Ebbene, io vi dico : nel giorno del giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi . E tu, Cafarnao, sa­ rai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai ! Per­ ché, se a Sodoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! Ebbene, io vi dico : nel giorno del giudizio, la terra di Sodoma sarà trattata meno dura­ mente di te ! (Mt 1 1 ,20-24) .

Corazin non comparirà più nel Vangelo, se non nel passo pa­ rallelo di Luca (Le l O, 1 3-15), e noi non sappiamo nulla dei pro­ digi che vi furono compiuti. Betsaida è menzionata nei Vangeli complessivamente sette volte: a questa città è legata una serie di miracoli . Cafarnao si incontra sulle pagine dei Vangeli più spes­ so di altri luoghi : complessivamente troviamo sedici menzioni di questa città e possiamo ritenere che proprio qui Gesù facesse ritorno il più delle volte dai suoi viaggi missionari .

55 N.T. WRIGHT, Jesus

and the Victory ofGod, p. 1 68.

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L' INIZIO DEL V(\NGELO

Le parole citate sopra indicano quanto profondamente la mis­ sione di Gesù si radicasse nella storia biblica. Egli paragonava ciò che avveniva a Lui e intorno a Lui con quanto narrato nelle pagine dell'Antico Testamento, ritornando continuamente a im­ magini note ai suoi ascoltatori. Tiro e Sidone erano città fenicie note come sentine di vizi; i libri dei profeti contengono numero­ se invettive indirizzate agli abitanti di queste città (Is 23, 1 - 1 4; Gl 3 ,4; Am 1 ,9- 1 0; Zc 9,2-4). Anche l 'abitudine di vestirsi di sacco56 e di cospargersi di cenere in segno di penitenza trova ri­ scontro nei libri dei profeti: ad esempio, in seguito alla predica­ zione del profeta Giona gli abitanti di Ninive indissero un digiu­ no e si vestirono di sacco, e il loro re si alzò dal trono, si vestì di sacco e andò a sedersi sulla cenere; perfino il bestiame fu coper­ to di sacco (Gn 3 ,5-6,8). Infine, la storia di Sodoma, la città che Dio sterminò con zolfo e fuoco per punire i vizi dei suoi abitan­ ti (Gen 1 9, 1 -29), era l 'esempio classico del giudizio e della pu­ nizione divina per i peccati. Tutte queste allusioni bibliche affiorano nel discorso di Gesù in cui si nominano le città dove la sua predicazione non aveva trovato il riscontro atteso. L'immagine usata per Cafarnao ricor­ da le parole del libro del profeta Isaia: Come mai sei caduto dal cielo, astro del mattino, figlio dell'au­ rora? Come mai sei stato gettato a terra, signore di popoli? Eppure tu pensavi nel tuo cuore: «Salirò in cielo, sopra le stelle di Dio in­ nalzerò il mio trono, dimorerò sul monte dell'assemblea, nella vera dimora divina. Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò ugua­ le all'Altissimo» . E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell'abisso! (ls 1 4, 1 2- 1 5).

Queste parole, rivolte da Isaia al re di Babilonia, nella tradi­ zione cristiana sono state rilette come profezia della vittoria de­ finitiva di Dio sul diavolo, che cadrà dal cielo (Le l O, 1 8) e sarà 56 Il termine «SaCCO)) traduce l'ebraico saq, e il greco mila:oç. Esso stava a indicare una veste di pelo di cammello o di un altro tessuto grezzo, che si indossava in atto di pe­ nitenza o per significare un lutto.

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precipitato in uno stagno di fuoco e di zolfo (Ap 20, 1 0). In que­ sto caso la maestosa e peccatrice Babilonia diventa la prefigura­ zione di Cafamao, modesto villaggio di pescatori sulle rive del lago di Galilea, scelto da Gesù per manifestarvi i suoi segni e prodigi. Fin dall'inizio la predicazione di Gesù incontra reazioni en­ tusiaste di alcuni, e resistenza, ripulsa e indifferenza di altri. Gesù è seguito da migliaia di persone avide di ottenere la gua­ rigione, di vedere un miracolo, di udire la sua parola, ma deci­ ne e centinaia di migliaia di uomini restano freddi davanti alla sua predicazione, indifferenti ad essa. Nonostante i miracoli compiuti, non avviene alcuna conversione di massa alla nuova fede, tale era infatti la fede portata sulla terra da Gesù. Questo suscita la sua delusione e il suo scontento, che si rispecchiano nelle parole rivolte alle città della Galilea. In seguito, Egli pro­ nuncerà parole simili anche in riferimento a Gerusalemme (Mt 23,37-3 8 ; Le 1 3 ,34-3 5).

7. Gesù e i suoi parenti

I rapporti tra Gesù e i suoi parenti costituiscono un tema che in maniera diversa riguarda tutti e quattro i Vangeli. Alle nozze di Cana, in Galilea, Gesù era presente insieme a sua Madre e ai disc epoli (Gv 2,2). Da Cana si reca a Cafamao, «insieme a sua madre, ai suoi fratelli e ai suoi discepoli» (Gv 2, 1 2). In tal modo, secondo il quarto Vangelo, nei primi giorni della sua predicazione Gesù era circondato da un gruppo misto, composto dai suoi parenti di sangue e da alcuni discepoli. Tuttavia, le successive menzioni dei parenti di Gesù fatte da­ gli evangelisti testimoniano che ben presto, dopo l 'inizio della sua predicazione, tra Lui e i suoi fratelli nacque un conflitto. Nel Vangelo di Marco, subito dopo il racc()nto della chiama­ ta dei dodici apostoli si dice: «Allora i suoi, sentito questo, usci­ rono per andare a prenderlo; dicevano infatti : "È fuori di sé"» (Mc 3 ,2 1 ). L'espressione oi 1tap'aùroù (lett. : «quelli che erano 30 1

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con Lui»), tradotta come «i suoi», potrebbe indicare amici o se­ guaci, ma in questo caso, con ogni probabilità, indica i parenti : così questo passo viene inteso nella maggior parte delle tradu­ zioni ed esegesi esistenti . L' espressione «uscirono per andare a prenderlo» testimonia che i parenti avevano intenzione di indur­ re Gesù a cessare l 'attività pubblica e a ritornare a casa, in fami­ glia. La parola «dicevano» può riferirsi tanto ai parenti di Gesù quanto alle persone circostanti (nel primo caso: «vennero a pren­ derlo perché ritenevano che fosse fuori di sé»; nel secondo ca­ so: «andarono a prenderlo perché si era diffusa la voce che fos­ se fuori di sé»). Il termine È�toTtl («era fuori di sé») significa che i parenti di Gesù ad un certo momento lo ritennero pazzo. Il fatto che avesse rinunciato al consueto sistema di vita familiare per scegliere la vita del predicatore senza fissa dimora, circon­ dato da indemoniati e infermi, suscitava in loro una totale in­ comprensiOne. In un altro episodio, riportato solo da Giovanni, i fratelli di Gesù che si trovavano insieme a Lui in Galilea, gli dissero: «Par­ ti di qui e va' nella Giudea, perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu compi. Nessuno infatti, se vuole essere ricono­ sciuto pubblicamente, agisce di nascosto. Se fai queste cose, ma­ nifesta te stesso al mondo ! » . Riportando questa osservazione piuttosto rozza, che attesta il malcelato scontento dei fratelli di Gesù per la sua azione, l 'evangelista osserva: «Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui». Gesù risponde sullo stesso to­ no, dimostrando di non aver bisogno di consigli non richiesti, e si oppone bruscamente ad essi: «Il mio tempo non è ancora ve­ nuto; il vostro tempo invece è sempre pronto. Il mondo non può odiare voi, ma odia me, perché di esso io attesto che le sue ope­ re sono cattive». A conclusione del discorso Gesù propone ai fra­ telli di salire per la festa senza di Lui. Quando i suoi fratelli sal­ gono per la festa, vi sale anche lui, «non apertamente, ma quasi di nascosto» (Gv 7,3- 1 0). Di nascosto da chi? Evidentemente, dai fratelli. Un terzo episodio, riportato dai tre sinottici, contiene una sor­ ta di scioglimento del conflitto : «Giunsero sua madre e i suoi 302

4. IL FIGLIO DI DIO

fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo. Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: "Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano". Ma egli rispose loro: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?". Girando lo sguar­ do su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: "Ecco mia ma­ dre e i miei fratelli ! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre"» (Mc 3,3 1 -3 5 ; cfr. Mt 1 2,46-50; Le 8, 1 9-2 1 ). Questo racconto mostra con chiarezza come Gesù prendesse le distanze dai parenti, consapevolmente e addirittura dimostra­ tivamente (la scena si svolge sotto gli occhi di decine o centina­ ia di persone), preferendo loro i propri discepoli e ascoltatori. Giovanni Crisostomo così commenta questo episodio: Nemmeno aver concepito Cristo e aver avuto quel parto meravi­ glioso ha qualche vantaggio se non c'è la virtù. E questo è evidente soprattutto dalle parole riportate . . . Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Lo diceva non perché si vergognasse di sua madre né per disconoscere colei che l ' aveva generato, perché se si fosse vergo­ gnato, non sarebbe passato per quell'utero, ma per indicare che ella non ne avrebbe tratto alcun vantaggio se non avesse fatto tutto quel­ lo che doveva. Difatti la sua iniziativa derivava da zelo eccessivo, perché voleva mostrare al popolo di avere potere e autorità sul fi­ glio, di cui non aveva ancora un' idea elevata; perciò si avvicinò a lui intempestivamente. Considera l ' inopportunità dell'atteggiamen­ to suo e di quegli altri. Mentre avrebbero dovuto presentarsi e ascol­ tare insieme alla folla oppure, se non avessero voluto farlo, aspetta­ re che ponesse fine al suo discorso e poi accostarsi a lui . . . In effet­ ti, poiché lo consideravano un semplice uomo ed erano presi da una gloria effimera, scaccia questa infermità non per offenderli, ma per correggerli . . . Non voleva mettere in difficoltà, ma liberare dalla passione più tirannica e condurre poco a poco ad una opinione con­ veniente su di lui; voleva persuadere sua madre che non era soltan­ to suo figlio, ma anche suo Signore57•

57

GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 44, l (PG 57, 464-465); tr. 2, pp. 269-272.

it. vol.

303

L' INIZIO DEL VANGELO

In riferimento a questo episodio Crisostomo ne menziona un altro, simile, riferito nel Vangelo di Luca. Qui una donna tra la folla, alzando la voce, esclama: «Beato il grembo che ti ha por­ tato e il seno che ti ha allattato ! » . Gesù però risponde : «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano ! » (Le 1 1 ,27-28). Come s i vede da queste parole, in situazioni di­ verse Gesù persegue coerentemente sempre la stessa idea, il pri­ mato dell'adempiere la parola di Dio rispetto ad ogni forma di parentela di sangue . Crisostomo giunge a questa conclusione : «Se a lei non avrebbe giovato affatto essere madre nel caso che non avesse praticato la virtù, tanto meno nessun altro sarebbe stato salvato a motivo della parentela»58• Il commento di Crisostomo è in stridente contrasto con il lin­ guaggio utilizzato nel V secolo per parlare della Madre di Gesù, quando le dispute sull' eresia di Nestorio avrebbero indotto la Chiesa a compiere un particolare sforzo per elaborare una ter­ minologia in grado di spiegare come in Gesù Cristo coesistano due nature, quella divina e quella umana. In quest'occasione sa­ rebbe stata formulata anche la dottrina della Vergine Maria co­ me Madre di Dio, che sulla terra ha dato la vita al Verbo di Dio incarnato. Mentre Nestorio riteneva che la si dovesse chiamare Madre di Cristo, perché ha dato la vita a Gesù Cristo in quanto uomo, e non al sempitemo Verbo divino, Cirillo di Alessandria, la cui dottrina trionfò al III Concilio ecumenico (43 1 ), attestava che il Verbo divino e Gesù Cristo sono la stessa Persona. Di con­ seguenza, il titolo di Madre di Dio conferito alla Vergine Maria - titolo a quel tempo ormai saldamente affermatosi nella tradi­ zione liturgica - era legittimo e corretto. Alla Chiesa accorsero quattro secoli per poter prendere pie­ namente coscienza del ruolo e del significato della Madre di Ge­ sù, della sua partecipazione al sacrificio redentivo. Ai tempi di Crisostomo (fine del IV sec.) questa dottrina era ancora in fieri. Nei Vangeli la Madre di Gesù occupa un posto sostanziale so­ lo nelle narrazioni di Matteo e di Luca, che ci parlano della na58

Jbid. ; tr. it.

vol.

2, p. 272.

304

4. IL FIGLIO DI DIO

scita, infanzia e adolescenza del Signore (Mt 1 -3 ; Le 1 -3). Mar­ co la menziona solo una volta, nell 'episodio che abbiamo appe­ na esaminato (Mc 3,3 1 -35). Giovanni la cita due volte, nel rac­ conto delle nozze a Cana di Galilea (Gv 2, 1 - 1 2), e descrivendo­ la ai piedi della croce di Gesù (Gv 1 9,35-37). In questo volume non svilupperemo oltre il tema delle rela­ zioni tra Gesù e sua Madre. In questa fase del nostro studio, ri­ guardante il periodo iniziale del suo ministero, possiamo trarre solo una conclusione sulla base degli episodi evangelici riporta­ ti: testimoniano tutti un conflitto abbastanza aspro tra Gesù e i suoi parenti, che inizialmente avevano preso parte alla sua atti­ vità pubblica. Causa del conflitto, conclusosi di fatto con la rot­ tura tra essi e Gesù, era l ' incomprensione dei suoi atti, che essi gli espressero a chiare lettere. Questo conflitto trova eco nelle parole di Gesù: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua» (Mt 1 3 ,57; Mc 6,4)59• Dopo che Gesù ebbe chiamato i discepoli, essi sarebbero di­ ventati la sua nuova famiglia, a cui Egli avrebbe legato il breve lasso di tempo che gli restava da vivere. In tutti e quattro i Van­ geli si osserva la stessa dinamica: inizialmente Gesù è circonda­ to dai parenti di sangue, ma ben presto essi vengono completa­ mente messi in secondo piano dalla sua nuova famiglia, legata da una parentela nello spirito60•

8. «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino»

La predicazione di Gesù iniziò con un appello alla conver­ sione. Le prime parole da Lui pronunciate a Cafamao, secon­ do Matteo, furono: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4, 1 7). Marco, senza precisare il nome della città in cui iniziò la predicazione di Gesù, narra che «Gesù andò nel59 Le stesse parole sono riportate da Luca e Giovanni, senza però menzionare i pa­ renti e la casa (cfr. Le 4,24; Gv 4,44). 60 Più in particolare, sulle relazioni tra Gesù e i parenti, cfr. : S.C. BARTON, Disciple­ ship and Family Ties in Mark and Matthew, pp. 67-96.

305

L' INIZIO DEL VANGELO

la Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo"» (Mc l, 1 4- 1 5). Abbiamo già osservato che Gesù inizia la sua predicazione dalle parole che erano risuonate per la prima volta sulle labbra di Giovanni il Precursore. In Marco queste parole sono un po ' ampliate: in particolare, vi si aggiunge il termine «Vangelo». Ma il richiamo alla conversione - comune a Gesù e a Giovanni Bat­ tista - risuona nelle versioni di entrambi gli evangelisti. Che co­ sa significa questo appello? Il significato letterale del verbo greco JlETavodn:, usato dagli evangelisti, è «cambiate la mente», «cambiate il modo di pensa­ re». Giovanni Battista dava a questo termine (o più esattamente, al suo equivalente aramaico) un significato molto concreto : la gente doveva cambiare il proprio modo di pensare di fronte all 'avvicinarsi del Messia, la cui venuta si collegava all 'avven­ to dell 'era del Regno dei cieli . E non si doveva cambiare solo il modo di pensare, ma anche il modo di vivere : i soldati non do­ vevano maltrattare nessuno, i pubblicani non dovevano riscuo­ tere nulla più del dovuto. Il battesimo di penitenza praticato da Giovanni era un battesimo per la remissione dei peccati, e veni­ va amministrato dopo che coloro che si recavano da lui avevano confessato i propri peccati. Sulle labbra di Gesù l 'appello alla conversione doveva avere il medesimo significato: era anch'esso un appello a cambiare il modo di pensare e il modo di vivere. Ma se nella predicazione di Giovanni predominava il tema del giudizio e della mercede, il motivo conduttore della predicazione di Gesù diventa il tema della misericordia divina e della salvezza umana. Per entrambi i predicatori la conversione è legata all ' avvicinarsi del Regno dei cieli. Ma se Giovanni resta in attesa, se per lui l 'avvento del Regno dei cieli è legato al futuro Messia, Gesù è il Messia stes­ so che porta agli uomini il Regno dei cieli. Per questo sulle sue labbra le parole «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4, 1 7) acquistano un tono comple­ tamente diverso: sono l ' annuncio non di qualcosa che bisogna 306

4. IL FIGLIO DI DIO

attendere e a cui prepararsi, ma che è già cominciato. In questo senso, anche l'espressione «è vicino» (i\yytKEV) acquista in Ge­ sù un significato diverso rispetto a quello usato da Giovanni. In un altro passo (Mt 1 2,28 ; Le 11,20), Gesù dice apertamente che il Regno di Dio è già incominciato (€cp8ucrcv tep' ÙJ.Làç). Osserviamo che l 'espressione «Regno dei cieli» si incontra trentadue volte nel Vangelo di Matteo, principalmente nei discor­ si diretti di Gesù. Negli altri evangelisti questa espressione man­ ca: Marco, Luca e Giovanni usano l'espressione «Regno di Dio». I termini sono sinonimi: il primo è un tipico semitismo; si può supporre che Matteo riproduca alla lettera le parole di Gesù, men­ tre gli altri evangelisti ne danno una traduzione a senso. Si può anche supporre che lo stesso Gesù usasse entrambe le espressio­ ni come sinonimi («Regno di Dio» si incontra anche in Matteo). Che significato dà Gesù al concetto di Regno dei cieli? È un Regno presente o futuro? Riguarda l'esistenza terrena dell'uo­ mo o la vita dopo la morte? Nella disciplina neotestamentaria della fine XIX-prima metà XX secolo, il tema del Regno di Dio è stato interpretato in sva­ riati modi61 • Alcuni studiosi hanno inteso il Regno di Dio esclu­ sivamente come una metafora indicante un insieme di qualità morali, di cui la principale è la carità. Altri hanno sottolineato il carattere atemporale, escatologico e apocalittico di questo con­ cetto. Ha avuto ampia diffusione l ' idea secondo cui il Regno di Dio è Gesù stesso : attraverso di Lui «l 'Assoluto, il totalmente Altro è entrato nello spazio e nel tempo», «la storia si è trasfor­ mata in strumento di eternità, l'Assoluto si è rive'stito di carne e di sangue»62• A nostro avviso, ciascuna di queste posizioni ha una sua par­ te di verità. Il Regno dei cieli è un concetto talmente omnicom­ prensivo per Gesù che è impossibile ridurlo al presente o al fu­ turo, alla realtà terrena o all 'eternità. Il Regno di Dio non ha né tratti terreni specifici, né una specifica espressione letteraria. Non 61

62

Cfr.: N. PERRIN, The Kingdom of God in the Teaching ofJesus, pp. 1 3- 1 57. C.H. Dooo, The Parables ofthe Kingdom, pp. 8 1 , 1 47.

307

L' INIZIO DEL VANGELO

può essere localizzato nel tempo e nello spazio. Non si rivolge alla dimensione del «qui e ora», alla realtà esterna, ma alla di­ mensione superna, futura e interiore. Esiste parallelamente al mondo terreno, ma si intreccia con esso nelle sorti degli uomini. Il Regno dei cieli è l 'eternità che si sovrappone al tempo senza però confondersi con esso. Svelando il significato del «Regno dei cieli», Gesù non ne dà mai una definizione esauriente. Si limita a lanciare agli ascolta­ tori idee o immagini che possano avvicinarli alla consapevolez­ za del significato di questo concetto. Paragona il Regno dei cie­ li a un uomo che sparge il seme nel proprio campo; a un granel­ lo di senape; al lievito nella pasta; a una perla, per acquistare la quale un mercante vende tutti i suoi beni; a una rete gettata in mare che raccoglie pesci di ogni sorta (Mt 1 3 ,24. 3 1 .33 .45-47). Alla domanda dei farisei, «quando verrà il regno di Dio?», Ge­ sù risponde : «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'at­ tenzione, e nessuno dirà: "Eccolo qui", oppure: "Eccolo là". Per­ ché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi ! » (Le 1 7,20-2 1 ) . Annunciando l' avvento del Regno di Dio, Gesù svela agli uo­ mini una nuova dimensione di vita, che ha al centro Dio: Con parole più esplicite possiamo dire: parlando del Regno di Dio, Gesù annuncia semplicemente Dio, cioè il Dio vivente, che è in grado di operare concretamente nel mondo e nella storia e pro­ prio adesso sta operando . . . In questo senso il messaggio di Gesù è molto semplice, è del tutto teocentrico. L' aspetto nuovo ed esclusi­ vo del suo messaggio consiste nel fatto che Egli ci dice: Dio agisce adesso- è questa l'ora in cui Dio, in un modo che va oltre ogni pre­ cedente modalità, si rivela nella storia come il suo stesso Signore, come il Dio vivente63•

L'annuncio che del Regno di Dio fa Gesù non è solo teocen­ trico, ma anche cristocentrico. Altrimenti non si differenziereb­ be radicalmente dall' annuncio portato all 'umanità dai profeti

63

BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, p. 79.

308

4. IL FIGLIO DI DIO

dell'Antico Testamento. Anch'essi parlavano della necessità di convertirsi, di cambiare modo di pensare e di vivere, dell ' inter­ vento di Dio nella storia, della sua presenza tra gli uomini. An­ che il Dio dell'Antico Testamento è un Dio vivente, ma dimora lontano dagli uomini, nei cieli, oltre le nubi, e mostra la sua glo­ ria nel tuono e nella folgore. La novità radicale dell'annuncio del Regno dei cieli portato da Gesù consiste nel fatto che Egli stesso fa scendere questo Re­ gno dai cieli sulla terra. E non solo il Regno: Egli porta Dio stes­ so dai cieli sulla terra, svelando agli uomini il volto di Dio, fino a questo momento invisibile e ignoto, misterioso e inaccessibi­ le. Il Regno dei cieli diventa non solo una realtà del futuro, ma anche una nuova dimensione della vita degli uomini qui e ora, sulla terra e nel tempo. È la dimensione che san Paolo chiamerà «la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 6,23). Non è semplicemente una vita in Dio, ma appunto una vita in Cristo Gesù, eterna non perché inizia dopo la morte : comincia già qui, dal momento in cui l 'uomo acquista la fede in Gesù e ne diven­ ta un discepolo, e prosegue neli ' eternità. Predicando il Regno di Dio, Gesù predica se stesso. Come Dio e Figlio di Dio, Egli svela all 'uomo attraverso di sé la via verso Dio Padre. Proprio in questo, in definitiva, è racchiuso il conte­ nuto principale della sua predicazione del Regno dei cieli. Que­ sto Regno è inscindibile dalla persona di Gesù, dal suo operato, dalla sua predicazione e dalla sua testimonianza.

309

Capitolo 5 IL PROFETA DI NAZARET IN GALILEA

L' inizio della predicazione di Gesù suscitò grande impres­ sione tra la gente . La notizia del nuovo Maestro e Taumaturgo si diffuse rapidamente in tutta la Palestina. Così Matteo de­ scrive la prima reazione all' apparire di Gesù nello spazio pub­ blico: Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinago­ ghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si diffuse per tut­ ta la Siria e conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li gua­ rì. Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla De­ capoti, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano (Mt 4,23 -25).

Ben presto di Gesù si parlò come di un «grande profeta». Che significato attribuivano i contemporanei di Gesù alla parola «pro­ feta», applicandola a Gesù? E fino a che punto si può dire che il suo ministero era profetico? Da un lato, noi vediamo una certa continuità tra il ministero dei profeti e ciò che diceva e faceva Gesù: la linea della conti­ nuità passa attraverso Giovanni Battista, che diviene l ' anello di congiunzione fra Gesù e i profeti dell'Antico Testamento. Dal i ' altro, non possono non balzare all ' occhio le sostanziali differenze esistenti tra la missione di Gesù e il ministero dei profeti. 311

L'INIZIO DEL VANGELO

l. I profeti dell'Antico Testamento

Il termine ebraico K'J.'l- niibi ', solitamente tradotto come «pro­ feta», letteralmente significa «chiamato». Con questa parola nell 'Antico Israele si definivano le persone che Dio chiamava a un particolare ministero. I profeti biblici avevano un'esperienza di contatto diretto con Dio: ricevevano delle rivelazioni e le tra­ smettevano agli uomini. L' operato di alcuni profeti, come Elia, Eliseo, Samuele, è descritto nei libri storici della Bibbia. Di al­ tri profeti - Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele e i dodici cosid­ detti «profeti minori» - sono rimasti libri che portano il loro no­ me. Questi libri 1, unitamente a quelli storici2, prendevano il no­ me di «Neviìm» ( tl'K'::J.J - nabi 'im, «Profeti»): oltre alla Torah (Legge), essi venivano letti e commentati nelle sinagoghe. I profeti erano uomini ispirati dallo Spirito Santo. Il passo del libro di Isaia che Gesù lesse nella sinagoga di Nazaret (Le 4, 1 6-20) cominciava con le parole: «Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l 'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schia­ vi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l ' anno di gra­ zia del Signore . . . » (ls 6 1 , 1 -2). Il re e profeta Davide testimo­ nia di sé : «Lo spirito del Signore parla in me, la sua parola è sulla mia lingua (2Sam 23,2). Il profeta Michea scrive: «l veg­ genti saranno ricoperti di vergogna e gli indovini arrossiranno; si copriranno tutti il labbro, perché non hanno risposta da Dio. Mentre io sono pieno di forza, dello spirito del Signore, di giu­ stizia e di coraggio, per annunciare a Giacobbe le sue colpe, a Israele il suo peccato» (Mi 3 ,7-8). Qui il profeta, ispirato dal lo Spirito Divino, contrappone se stesso ai falsi veggenti e indo­ vini, che invocano Dio ma non ottengono risposta, similmente 1 A eccezione del libro di Daniele, che nella tradizione ebraica appartiene alla rac­ colta del «Ketuvim)) ( ::ltl1::l'C- kaluflim, «Scritture)>). 2 Cioè i libri di Giosuè, dei Giudici, i due libri di Samuele e i due libri dei Re. Nella tradizione ebraica i libri di Rut e delle Cronache appartengono alla raccolta del «Ketu­ vim».

3 12

5. IL PROFETA DI NAZARET IN GALILEA

ai sacerdoti di Baal, che invocavano inutilmente la propria di­ vinità ( I Re 1 8,26-29). Nei libri dei profeti vengono ripetutamente usate le forrimle «venne su di me la parola del Signore», «così dice il Signore», «e il Signore mi disse>> e altre ancora, a indicare che attraverso i profeti Dio stesso si rivolgeva al popolo di Israele. I profeti di­ ventano messaggeri della volontà di Dio, trasmettono agli uomi­ ni i suoi comandi e li interpretano. Mosè conversa con Dio, ri­ ceve da Lui comandamenti e leggi, e poi li riferisce al popolo (Es 24,3). A Ezechiele Dio dice: «Figlio dell 'uomo, va' , rècati alla casa d'Israele e riferisci loro le mie parole» (Ez 3 ,4). A Giona Dio or­ dina: «Alzati, va' a Ninive, la grande città, e in essa proclama che la loro malvagità è salita fino a me» (Gn 1 ,2). In tutti questi casi, e in molti altri citati, i profeti agiscono come un anello di congiunzione fra Dio e gli uomini: si tratti dell'intero popolo di Israele, degli abitanti di singole città, di personaggi concreti op­ pure anche di una persona sola, ad esempio un sovrano (2Sam 1 2, 1 ; Is 45, 1 ). Le rivelazioni divine giungevano ai profeti non di rado sotto forma di misteriose visioni. Isaia comincia il suo libro con le pa­ role: «Visione che Isaia, figlio di Amoz, ebbe su Giuda e su Ge­ rusalemme al tempo dei re di Giuda Ozia, Iotam, Acaz ed Eze­ chia» (Is l, l). Queste parole fanno in un certo senso da prologo a tutto il libro, che presenta un'intera serie di visioni e rivelazio­ ni. La prima visione è legata alla chiamata di Isaia al ministero profetico: Nell'anno in cui morì il re Ozia, io vidi i l Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali: con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Pro­ clamavano l'uno all 'altro, dicendo: «Santo, santo, santo il Signore degli eserciti ! Tutta la terra è piena della sua gloria». Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si ri­ empiva di fumo. E dissi: «Ohimè ! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra im313

L' INIZIO DEL VANGELO

pure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti». Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall' altare. Egli mi toccò la bocca e disse : «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, per­ ciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato». Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?>>. E io risposi : «Eccomi, manda meb>. Egli disse: «Va' e riferisci a questo popolo: "Ascoltate pure, ma non comprenderete, osservate pure, ma non conoscerete". Rendi insensibile il cuore di questo po­ polo, rendilo duro d'orecchio e acceca i suoi occhi, e non veda con gli occhi né oda con gli orecchi né comprenda con il cuore né si con­ verta in modo da essere guarito» (Is 6, 1 - 1 0).

La visione descritta ci viene presentata come un avvenimen­ to svoltosi in un periodo storico ben preciso, l' anno della morte del re Ozia (mancando un calendario unico, gli anni solitamente venivano computati in base alle date del regno e della morte dei sovrani). Dinnanzi al profeta si dischiude il misterioso quadro del mondo celeste, egli vede e ode gli angeli. La visione lo ri­ empie di timore, perché egli riconosce di essere un peccatore. Ma Dio gli invia un angelo che con un gesto simbolico gli an­ nuncia la remissione dei peccati. Quindi il profeta sente la voce di Dio che lo chiama, e risponde offrendo la propria disponibi­ lità. Solo a questo punto Dio formula il messaggio che il profe­ ta deve trasmettere al popolo israelita. Geremia inizia il proprio libro descrivendo le circostanze at­ traverso cui Dio l 'ha chiamato al suo servizio. Ancora una vol­ ta la cronologia degli avvenimenti è indicata con precisione : essi si svolgono nel tredicesimo anno del regno di Giosia, fi­ glio di Amon. Dio si rivolge al profeta con le parole: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni» . Ma il profeta non dà subito il proprio assenso alla chiamata, bensì risponde : «Ahimè, Signore Dio ! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». Dio respinge l ' obiezione del suo eletto: «Non dire : "Sono giovane". Tu andrai da tutti colo­ ro a cui ti manderò e dirai tutto quello che io ti ordinerò. Non 3 14

5. IL PROF ETA DI NAZARET IN GALILEA

aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteg­ gerti». Dopo di che il Signore stende la mano e sfiora le labbra del profeta, dicendo : «Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca. Vedi, oggi ti do autorità sopra le nazioni e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edi­ ficare e piantare» (Ger l ,5-7.9- 1 0). Il libro di Ezechiele si apre con una grandiosa visione della gloria del Signore sotto forma di quattro esseri animati in sem­ bianze umane, con quattro ali e quattro volti ciascuno : di uomo, di leone, di toro e di aquila (Ez l ,4-9). Il profeta cade a terra in preda al terrore, e ode la voce divina: «Figlio dell'uomo, alzati, ti voglio parlare» (Ez 2, 1 ). Nel profeta entra uno spirito che lo rimette in piedi, e Dio gli dice : Figlio dell 'uomo, io ti mando ai figli d'Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si so­ no sollevati contro di me fino ad oggi . Quelli ai quali ti mando so­ no figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro : {{Dice il Signo­ re Dio». Ascoltino o non ascoltino - dal momento che sono una genìa di ribelli -, sapranno almeno che un profeta si trova in mez­ zo a loro (Ez 2,3-5).

Poi il profeta vede una mano tesa verso di lui, che tiene un ro­ tolo con la scritta: «Lamenti, pianti e guai» (Ez 2, l 0). Dio ordi­ na al profeta di mangiare il rotolo. Egli lo mangia, e al palato lo sente «dolce come il miele» (Ez 3 ,3). In tutti i casi descritti l ' iniziativa della chiamata del profeta parte da Dio: dali 'uomo si esige solo che adempia esattamente ciò che Dio gli comanda. La chiamata avviene in un periodo di tempo ben preciso, esattamente datato, si accompagna a una vi­ sione che possiede un significato simbolico, e alla voce di Dio che si rivolge direttamente a colui che Egli ha scelto. L'interven­ to di Dio nella vita del profeta, che prima di allora forse non so­ spettava neppure di avere una missione particolare, è inatteso, gli incute timore e suscita reazioni diverse: se Isaia accetta pron­ tamente la missione affidatagli da Dio e sembra quasi offrirsi lui 315

L'INIZIO DEL VANGELO

stesso per adempierla, Geremia, al contrario, esita, e solo la vo­ ce imperiosa di Dio lo induce a sottomettersi alla chiamata. Nel libro di Giona viene descritta un'ulteriore variante di rea­ zione del profeta alla chiamata: un'ostinata opposizione. Dio in­ via Giona a Ninive, ma questi fugge dal cospetto del Signore (Gn 1 , 1 -3), come Adamo che tenta di nascondersi da Dio in Pa­ radiso (Gen 3,8). Una serie di avvenimenti prodigiosi, in parti­ colare il mostro marino che inghiotte Giona, induce il profeta a tornare alla posizione originaria. Il suo opporsi alla volontà di Dio non influisce in nessun modo su Dio stesso. Non appena ri­ torna sulla terraferma, la parola di Dio si rivolge di nuovo a lui: «Alzati, va' a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico» (Gn 3 ,2). Dio resta incrollabile, il suo volere è immutabi­ le, e il profeta deve adempierlo, lo voglia o no. Talvolta Dio chiama il profeta a compiere azioni che non han­ no una spiegazione logica, né sembrerebbero giustificate dal pun­ to di vista della morale umana comune. Inizialmente Dio ordina a Osea: «Va ' , prenditi in moglie una prostituta, genera figli di prostituzione, poiché il paese non fa che prostituirsi allontanan­ dosi dal Signore» (Os 1 ,2). Il profeta prende in moglie una pro­ stituta, ed essa gli genera un figlio e una figlia. Poi Dio dà un nuovo comando al profeta: «Va' ancora, ama la tua donna: è ama­ ta dal marito ed è adultera, come il Signore ama i figli d'Israele ed essi si rivolgono ad altri dèi . . . » (Os 3 , 1 ). Tutte questi coman­ di e ordini solitamente sono interpretati simbolicamente, come una visione, una parabola o un'allegoria che indica l ' infedeltà di Israele a Dio3• Tuttavia, alcuni antichi esegeti ammettono la possibilità che gli avvenimenti descritti nel libro abbiano un carattere storico. Ireneo di Lione, in particolare, scrive: Non soltanto attraverso le visioni che vedevano e attraverso le parole che predicavano, ma anche nelle loro azioni il Verbo si ser-

3 Cfr.: ARSENIJ (SoKoLov), «Strannyj brak, neoby�nye deti)) (Strano matrimonio, fi­ gli insoliti), pp. 82-83; E.J. PENTIUC, Long-Suffering Love, pp. 90-92.

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S. IL PROFETA DI NAZARET IN GALILEA

viva dei profeti per prefigurare e indicare in precedenza, attraverso di loro, le cose future. Così il profeta Osea sposò «una donna di pro­ stituzione» per profetare che «allontanandosi dal Signore si sarebbe prostituita la terra>> (cfr. Os 1 ,2), cioè gli uomini che abitano sulla terra, e che con tali uomini Dio si sarebbe compiaciuto di formare la Chiesa, che sarebbe stata santificata grazie all 'unione con il Fi­ glio suo, come quella prostituta fu santificata, grazie all'unione con il profeta4•

Nel ministero dei profeti la parola si accompagnava all 'azio­ ne. I profeti non si limitavano ad annunciare alla gente le parole

di Dio, ma esortavano alla fede, alla conversione, all 'adempi­ mento dei comandamenti e delle leggi, denunciavano l 'idolatria, la disobbedienza a Dio, l ' incuria della purezza morale. Essi com­ pivano inoltre vari gesti, attraverso cui si manifestava al popolo la gloria di Dio. Alcuni profeti avevano il dono di compiere mi­ racoli. I prodigi dei profeti Elia ed Eliseo sono descritti nei due libri dei Re. Particolari rapporti legavano i profeti ai governanti di Israele. La stessa autorità regale in Israele discendeva dal carisma pro­ fetico: il profeta Samuele unse Saul, che divenne il primo re di Israele ( l Sam l O, l). Tuttavia, quando Dio comunicò a Samuele che Saul si era allontanato da Lui e non aveva adempiuto la sua volontà, il profeta disse al re: «Poiché hai rigettato la parola del Signore, egli ti ha rigettato come re» ( l Sam 1 5,23). I tentativi di Saul di giustificarsi e di mostrare pentimento non ebbero risul­ tato : Dio fu irremovibile. Allora Samuele interruppe ogni rap­ porto con Saul ( l Sam 1 5,35) e per ordine di Dio unse re Davi­ de. Dopo questo fatto lo Spirito del Signore si allontanò da Saul e si posò su Davide ( 1 Sam 1 6, 1 2- 1 4). Messaggero della volontà di Dio per Davide sarà il profeta Natan (2Sam 7,5). Dopo che Davide ebbe mandato a morire un suo ufficiale per prendersi in moglie la sua sposa, Natan si recò dal re e gli narrò la parabola del ricco che toglie al povero l'uni4 IRENEO DI LIONE, Contro /e eresie 4, 20, 12 (SC 1 00, 668-670); tr. it. pp. 352-353. Cfr. anche: TEODORETO DI CIRRO, Enarratio in Oseam prophetam (PG 81, 1553- 1 556).

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L' INIZIO DEL VANGELO

ca pecorella che possedeva (2Sam 1 2, 1 -4). Davide non compre­ se subito che la parabola riguardava lui. Allora il profeta gli ma­ nifestò la volontà di Dio: «"Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato e hai preso in moglie la moglie di Uria l ' Ittita". Così dice il Signore: "Ecco, io sto per suscitare contro di te il male dalla tua stessa casa; pren­ derò le tue mogli sotto i tuoi occhi per darle a un altro, che gia­ cerà con loro alla luce di questo sole. Poiché tu l 'hai fatto in se­ greto, ma io farò questo davanti a tutto Israele e alla luce del so­ le"» (2Sam 1 2 , 1 0- 1 2). I profeti avevano discepoli e addirittura intere scuole : nel se­ condo libro dei Re si menzionano «i figli dei profeti che erano a Bete l, i figli dei profeti che erano a Gerico, cinquanta uomini, tra i figli dei profeti» (2Re 2,3 . 5 . 7). Tuttavia, il carisma profeti­ co non si trasmetteva attraverso il semplice insegnamento. Tra i grandi profeti esisteva una successione assicurata dal fatto che alla morte di un profeta il suo spirito passava a un altro. In ogni caso, un profeta non poteva trasmettere a un altro i propri doni come un'eredità: tutto dipendeva esclusivamente dalla volontà di Dio. Ecco come viene descritta la trasmissione del carisma profetico dà Elia a Eliseo nel secondo libro dei Re: Elia prese il suo mantello, l' arrotolò e percosse le acque, che si divisero di qua e di là; loro due passarono sull 'asciutto. Appena fu­ rono passati, Elia disse a Eliseo: «Domanda che cosa io debba fare per te, prima che sia portato via da te». Eliseo rispose : «Due terzi del tuo spirito siano in me». Egli soggiunse : «Tu pretendi una cosa difficile! Sia per te così, se mi vedrai quando sarò portato via da te; altrimenti non avverrà)). Mentre continuavano a camminare conver­ sando, ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro due. Elia salì nel turbine verso i l cielo. Eliseo guardava e gri­ dava: «Padre mio, padre mio, carro d'Israele e suoi destrieri!>). E non lo vide più. Allora afferrò le proprie vesti e le lacerò in due pez­ zi. Quindi raccolse il mantello, che era caduto a Elia, e tornò indie­ tro, fermandosi sulla riva del Giordano. Prese il mantello, che era caduto a Elia, e percosse le acque, dicendo: «Dov'è il Signore, Dio di Elia?)). Quando anch 'egli ebbe percosso le acque, queste si divi318

5. IL P RO FETA DI NAZARET IN GALILEA

sero di qua e di là, ed Eliseo le attraversò. Se lo videro di fronte, i figli dei profeti di Gerico, e dissero: «Lo spirito di Elia si è posato su Eliseo». Gli andarono incontro e si prostrarono a terra davanti a lui (2Re 2,8- 1 5).

Una delle caratteristiche fondamentali dei profeti era quella di predire il futuro. La parola greca 1tpo >, cioè il Messia, trovano eco nelle pagine del Van­ gelo di Giovanni : Ali 'udire queste parole, alcuni fra la gente dicevano: «Costui è davvero il profetab>. Altri dicevano: «Costui è il Cristo b>. Altri in­ vece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice la Scrit­ tura: Dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo?». E tra la gente nacque un dissenso riguardo a lui (Gv 7,40-43).

Come vediamo, il carisma profetico di Gesù era fuori discus­ sione. Tuttavia, la sua provenienza dalla Galilea era un comodo pretesto per i giudei, per ricusargli lo status di Messia. I farisei, in particolare, ritenevano che un profeta non potesse venire dalla Ga­ lilea (Gv 7,50-53). Il popolo era di un altro parere: a Gerusalem­ me veniva chiamato «il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea» (Mt 2 1 , I l ). In Galilea, di Gesù si diceva: «Un grande profeta è sorto tra noi», e «Dio ha visitato il suo popolo» (Le 7, 1 6) . Inoltre, co­ me osserva l 'evangelista, «questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante» (Le 7, 1 7). Dunque, sia in Giudea che in Galilea, di Gesù non si parlava solo come di un profeta o di uno dei profeti: alcuni lo chiama­ vano «grande profeta», altri dichiaravano apertamente che era «il profeta, colui che viene nel mondo», cioè il Cristo. 327

L'INIZIO DEL VANGELO

Il Messia non era atteso solo in Giudea e in Galilea; anche in Samaria esistevano delle proprie convinzioni sull'Unto di Dio che stava per venire. Lo testimonia il dialogo di Gesù con la sa­ maritana. Dopo che Egli le ebbe detto che non aveva marito, giacché aveva avuto cinque mariti, la donna gli rispose : «Signo­ re, vedo che tu sei un profeta! » (Gv 4, 1 9). E gli pose la doman­ da che segnava lo spartiacque tra giudei e samaritani: dove bi­ sogna adorare Dio, sul monte Garizim o a Gerusalemme? Gesù risponde che bisogna adorare il Padre in spirito e verità. Allora la donna parla di ciò che accomunava giudei e samaritani, il fu­ turo Messia: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo : quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa» (Gv 4,25). Gesù le dice: «Sono io, che parlo con te» (Gv 4,26). La sua risposta con­ vinse la samaritana? Probabilmente non del tutto, poiché andò a cercare conferme da altri. Tornata in città, diceva alla gente: «Ve­ nite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?» (Gv 4,29). Solo dopo che Egli fu rimasto con loro due giorni, essi si convinsero che era «veramente il sal­ vatore del mondo» (Gv 4,42). Lentamente ma con precisione, attraverso tutto il racconto del­ la visita di Gesù in Samaria, l' evangelista Giovanni introduce l 'idea che Gesù non è semplicemente un profeta. Che fosse un profeta, la samaritana l 'aveva capito quasi subito. Ma non era riuscita subito a credere che fosse il Cristo. La stessa graduale consapevolezza che Gesù sia «più che un profeta» si fa strada nei suoi discepoli. A Cesarea di Filippo nessuno dei discepoli, a eccezione di Pietro, professa che Gesù sia il Cristo (Mt 1 6, 1 3 - 1 6; Mc 8,27-30; Le 9, 1 8-20). Noi possiamo, naturalmente, suppor­ re che Pietro rispondesse a nome di tutti gli altri e che i restanti apostoli fossero d'accordo con lui, ma il testo dei Vangeli sinot­ tici non dice nulla di questo. È molto probabile che in quel mo­ mento tra gli apostoli non vi fosse un parere unanime sul fatto che Gesù fosse un semplice profeta o il Cristo. Anzi, i discepoli non avevano una consapevolezza unanime che Gesù fosse il Cristo neppure dopo la sua morte e resurre­ zione. Quando Cristo risorto si avvicina ai due discepoli sulla 328

5. IL PROFETA DI NAZARET IN GALILEA

strada di Emmaus, essi non lo riconoscono, e cominciano a rac­ contargli di Gesù di Nazaret, «che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo» (Le 24,29). Ri­ cordando la sua crocifissione, i discepoli continuano: «Noi spe­ ravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele» (Le 24,2 1 ). È evidente la certezza dei discepoli sul fatto che Gesù fosse un profeta, e il dubbio sul fatto che fosse il Messia. Ma Gesù, continuando a restare per essi uno sconosciuto, fa ricor­ so alle scritture dei profeti per mostrare come queste gli ren­ dano testimonianza. Tutto l 'episodio si incentra sul tema del rapporto fra Gesù e i profeti. Lo stesso tema risuona nel discorso pronunciato da Pie­ tro nel tempio di Gerusalemme poco dopo la resurrezione di Ge­ sù. Rivolgendosi ai giudei, che solo poco tempo prima Gesù ave­ va chiamato figli dei persecutori dei profeti, Pietro li chiama «fi­ gli dei profeti e dell'alleanza» (At 3,25), che hanno ucciso il Giu­ sto «per ignoranza» (At 3, 1 7). Inoltre, Gesù viene presentato nel suo discorso contemporaneamente come il prosecutore della mis­ sione dei profeti e come il Messia promesso, il Figlio di Dio: Mosè infatti disse: Il Signore vostro Dio farà sorgere per voi, dai vostri fratelli, un profeta come me; voi lo ascolterete in tutto quello che egli vi dirà. E avverrà: chiunque non ascolterà quel profeta, sa­ rà estirpato di mezzo al popolo. E tutti i profeti, a cominciare da Sa­ muele e da quanti parlarono in seguito, annunciarono anch'essi que­ sti giorni . . . Dio, dopo aver risuscitato il suo servo, l 'ha mandato pri­ ma di tutto a voi per portarvi la benedizione, perché ciascuno di voi si allontani dalle sue iniquità (At 3 ,22-24.26).

Negli Atti e nelle lettere degli apostoli i riferimenti ai profeti sono molto numerosi. Tuttavia, noi vediamo come la concezio­ ne di Gesù come profeta potente in opere e parole, già tra la pri­ ma generazione di cristiani venga sostituita completamente dal­ la dottrina su Gesù come Figlio di Dio annunciato dai profeti. I dubbi, che tormentavano alcuni discepoli nei primi giorni dopo la sua resurrezione (Mt 28, 1 7), ben presto si dissipano, e la fede 329

L' INIZIO DEL VANGELO

in Gesù come Signore e Dio (Gv 20,28) trionfa nella comunità cristiana. Proprio questa fede diverrà la principale forza motrice della predicazione apostolica che costituisce il proseguimento della predicazione di Gesù e, attraverso di Lui, della predicazio­ ne di Giovanni Battista e dei profeti. La lettera agli Ebrei, che corona il corpus delle lettere aposto­ liche e viene attribuita dalla tradizione della Chiesa a san Paolo 7 , ha come tema principale la correlazione tra Antico e Nuovo Te­ stamento. Essa inizia con le parole: «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio . . . » (Eb 1 , 1 -2). Qui la missione del Figlio di Dio è presentata come la continuazione della missione dei profeti dell 'Antico Testamento. Tuttavia, il Figlio di Dio appare imme­ diatamente come Colui attraverso il quale Dio «ha fatto anche il mondo» (Eb l ,2). Egli, essendo «irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, tutto sostiene con la sua parola po­ tente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell 'alto dei cieli, divenuto tanto supe­ riore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato» (Eb l ,3-4 ). Le parole sul fatto che . mediante Gesù Dio «ha fatto anche il mondo», non possono non ricordarci l' inizio del Vangelo di Gio­ vanni: «Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste)) (Gv l ,3). E l' espressione «irradia­ zione della sua gloria)) riecheggia le parole di Giovanni sulla gloria del Figlio di Dio: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo . . . E noi abbiamo contemplato la sua glo­ ria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre)) (Gv l ,9 . 1 4 ). Il prologo del Vangelo di Giovanni e la lettera agli Ebrei sono il manifesto della fede della Chiesa delle origini nel fatto che Gesù non è semplicemente uno dei profeti, come Elia o Gio7 Qui e di seguito in questo volume e nei successivi della collana Gesù Cristo. Vita e insegnamento, ci riferiremo alla lettera agli Ebrei come a una delle lettere di san Pao­ lo, secondo l 'attribuzione datale dalla tradizione della Chiesa. L'esame della polemica sull'autore di questa lettera non rientra fra i temi della nostra ricerca.

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5. IL PROFETA DI NAZARET IN GALI LEA

vanni Battista, e neppure l 'ultimo dei profeti inviato al popolo di Israele per ripristinare la tradizione profetica che si era inter­ rotta. È il Figlio di Dio, che fin dall' inizio era presso il Padre e ha partecipato insieme a Lui alla creazione del mondo e dell 'uo­ mo, e poi, negli ultimi tempi, è diventato uomo Lui stesso ed è venuto agli uomini . Volgendosi alla tradizione veterotestamentaria, san Paolo ne ricorda tutti i personaggi principali : Abramo, l sacco, Giacobbe, Giuseppe, Mosè e altri protagonisti dei libri storici (Eb I l , 1 7-32). Una citazione a se stante viene riservata ai profeti: Per fede, essi conquistarono regni, esercitarono la giustizia, ot­ tennero ciò che era stato promesso, chiusero le fauci dei leoni, spen­ sero la violenza del fuoco, sfuggirono alla lama della spada, trasse­ ro vigore dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri. Alcune donne riebbero, per risurrezione, i lo­ ro morti . Altri, poi, furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore risurrezione. Altri, infine, su­ birono insulti e flagelli, catene e prigionia. Furono lapidati, tortura­ ti, tagliati in due, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati - di loro il mondo non era degno! -, vaganti per i deserti, sui monti, tra le ca­ verne e le spelonche della terra (Eb 1 1 ,33-38).

Tutti loro, continua l'apostolo, pur avendo testimoniato la loro fede, «non ottennero ciò che era stato loro promesso: Dio infatti per noi aveva predisposto qualcosa di meglio» (Eb 1 1 ,39). Que­ sto meglio è Gesù, che dà origine e porta a compimento la fede (Eb 1 2,2). Egli è al di sopra di Mosè, che era soltanto un servito­ re nella sua casa; «Cristo, invece, lo fu come figlio, posto sopra la sua casa. E la sua casa siamo noi . . . » (Eb 3,6). Egli è il «sommo sacerdote, che è passato attraverso i cieli» (Eb 4, 1 4), «e, reso per­ fetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli ob­ bediscono» (Eb 5,9). È il Pastore grande delle pecore (Eb 1 3 ,20), che ha santificato «il popolo con il suo sangue» (Eb 1 3 , 1 2). * * *

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L'INIZIO DEL VANGELO

I parametri esteriori del ministero terreno di Gesù ricordano per molti aspetti la forma di vita e il modo di agire dei profeti, per questo Egli veniva considerato un profeta. Lui stesso si rite­ neva il continuatore dell'opera dei profeti. Ma nonostante que­ sta diffusa opinione Egli non era semplicemente uno dei profeti : era il Profeta con la maiuscola, il Messia promesso. Tutti i profeti, compreso Mosè, erano uomini terreni, per quan­ to rivestiti di un particolare carisma e destinati a una particolare missione. Gesù invece non è semplicemente un uomo, ma il Dio incarnato, consacrato dal Padre per «portare ai poveri il lieto an­ nuncio, proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vi­ sta; rimettere in libertà gli oppressi, proclamare l ' anno di grazia del Signore» (Le 4, 1 8- 1 9). Come Dio, Gesù non si concepiva separato da Dio Padre, al punto di dire: «lo e il Padre siamo una cosa sola» ( Gv l 0,30). Nessun profeta nella storia di Israele ave­ va mai avuto simili pretese, non soltanto di vicinanza a Dio, ma addirittura di piena unità con Lui.

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Capitolo 6 GES Ù E I DIS CEPOLI

l . La chiamata dei primi discepoli

L' inizio della missione di Gesù è caratterizzato dal fatto che Egli raduna intorno a sé un gruppo di discepoli. Giovanni e i sinottici raccontano l 'avvenimento in maniera diversa. Dal Vangelo di Giovanni si evince che, dopo le tentazioni nel deserto, Gesù non cominciò subito a predicare, ma tornò al Gior­ dano da Giovanni Battista e che, all ' interno della cerchia di quest'ultimo, incontrò i suoi primi discepoli : Il giorno dopo Giovann i stava ancora là con due dei suoi di­ scepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l ' agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo segui­ vano, disse loro: «Che cosa cercate?>> . Gli risposero : «Rabbì - che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?>>. Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio (Gv l ,35-39).

Successivamente l'evangelista chiarisce che «uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro» (Gv 1 ,40). Chi era l 'altro di­ scepolo, rimasto senza nome? Abbiamo tutti i motivi di suppor­ re che fosse lo stesso Giovanni, autore del quarto Vangelo. Que­ sta ipotesi ha varie motivazioni. 333

L' INIZIO DEL VANGELO

In primo luogo, il racconto è scritto con particolari che indi­ cano la presenza di un testimone oculare. I due discepoli com­ paiono fin dall' inizio del racconto. Essi odono ciò che il Precur­ sore dice di Gesù. Seguono Gesù e gli fanno una domanda che non sembrerebbe avere alcun contenuto teologico. Di per sé né questa domanda, né la risposta di Gesù, né la menzione del fat­ to che due discepoli andassero a casa sua, meriterebbero di es­ sere inserite nel Vangelo, se l 'intero racconto non fosse per l ' au­ tore della narrazione un prezioso ricordo del suo primo incontro con il Maestro. L'osservazione «erano circa le quattro del pome­ riggio» indica che la persona ricorda l' intero episodio fin nei mi­ nimi dettagli. In secondo luogo, il discepolo senza nome ritornerà più volte nel Vangelo di Giovanni. Come abbiamo detto in precedenza, la tradizione della Chiesa identifica il discepolo senza nome (Gv l ,40; 1 9,35), «l'altro discepolo» (Gv 20,2-4.8), il discepolo «che Gesù amava» (Gv 1 3 ,2 3 ; 1 9,26; 20,2; 2 1 ,7.20), con Giovanni di Zebedeo, fratello di Giacomo. Si delinea, in tal modo, un gruppo di quattro discepoli, costi­ tuito da due coppie di fratelli : Pietro e Andrea, Giovanni e Gia­ como. Se diamo per assodato che i due discepoli di Giovanni Battista che seguirono Gesù fossero Andrea e Giovanni, di cui non si dice il nome, diventa comprensibile il successivo raccon­ to di come Andrea «incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia" - che si traduce Cristo - e lo condusse da Gesù» (Gv 1 ,42) . Colui che sarebbe divenuto il capo della comunità apostolica dopo la morte e resurrezione di Gesù, è debitore al fratello del primo incontro con Lui. Il racconto della chiamata degli apostoli nel testo di Giovan­ ni continua attraverso la seguente narrazione: Il giorno dopo Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filippo e gli disse: «Seguimi ! » . Filippo era di Betsaida, la città di Andrea e di Pietro. Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti : Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazaret>> . Natanaele gli disse : «Da Naza334

6. GESÙ E l D I SCEPOLI

ret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, dis­ se di lui : «Ecco davvero un Israel ita in cui non c ' è falsità». Nata­ naele gli domandò: «Come mi conosc i?». Gli rispose Gesù: «Pri­ ma che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l ' albe­ ro di fichi». Gli rep licò Natanaele: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d' Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l ' albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più gran­ di di queste b>. Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedre­ te il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Fi­ glio de li 'uomo» (Gv l ,43 -5 1 ) .

In che modo e in quali circostanze Gesù «trova» Filippo? L'evangelista non lo dice. È logico supporre che a far conosce­ re a Gesù Filippo fossero Andrea e Pietro, poiché erano della stessa città. L'evangelista non spiega neppure come facesse Fi­ lippo a «trovare» Natanaele: si può soltanto supporre che fosse­ ro amici, o perlomeno si conoscessero bene. Si delinea un'intera sequenza di incontri : inizialmente Andrea e l' «altro discepolo» incontrano Gesù sulle rive del Giordano; nello stesso giorno Andrea trova Simone e lo conduce da Gesù; il giorno dopo Gesù trova Filippo, e questi Natanaele. In due giorni Gesù si acquista cinque discepoli. La reazione di Natanaele alla notizia che è stato trovato il Mes­ sia tradisce il caratteristico disprezzo dei giudei nei confronti dei galilei : «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?». Abbiamo già detto che lo sperduto villaggio di Nazaret non poteva in al­ cun modo essere considerato come un luogo da cui provenisse il Messia, il «figlio di Davide». Filippo non dice niente a Nata­ naele del fatto che Gesù fosse nato a Betlemme di Giudea, si li­ mita a rispondergli: «Vieni e vedi». Il dialogo tra Natanaele e Gesù può essere interpretato in va­ ri sensi. Gesù avrebbe potuto accorgersi di Natanaele in prece­ denza, mentre era seduto sotto un fico (in questo caso le parole «quando eri sotto l 'albero di fichi» si riferirebbero a quelle im­ mediatamente precedenti: «io ti ho visto»). Oppure, Gesù avreb­ be potuto vedere Natanaele ancor prima che Filippo lo trovasse 335

L' INIZIO DEL VANGELO

seduto sotto il fico e gli raccontasse di Lui (in questo caso le pa­ role «quando eri sotto l 'albero di fichi» si riferirebbero alla fra­ se ancora precedente: «prima che Filippo ti chiamasse»). Infine, Gesù avrebbe anche potuto non vedere direttamente Natanaele: le sue parole potrebbero essere interpretate nel senso che Gesù conosceva i pensieri di Natanaele e i suoi dubbi sulla possibilità che il Messia venisse da Nazaret. In questo caso, le parole «ec­ co davvero un Israelita in cui non c'è falsità» trovano una pro­ pria spiegazione: per Israelita si intende un abitante della Giu­ dea, che come gli altri giudei non crede nel fatto che il Messia possa venire dalla Galilea. Commentando questo racconto, Giovanni Crisostomo unisce insieme la seconda e la terza interpretazione citate. Secondo la sua espressione, Gesù «era presente alla conversazione di Nata­ naele con Filippo». Natanaele mette alla prova Gesù come uo­ mo, ma Gesù gli risponde come Dio: «Ti ho visto sotto il fico, quando ancora non c'era nessuno, c 'erano solo Filippo e Nata­ naele e parlavano tra loro di questo». Gesù pronunciò le parole «ecco davvero un Israelita», «prima ancora che Filippo si avvi­ cinasse, affinché questa testimonianza fosse indiscussa: per que­ sto Eglì indicò il tempo, il luogo, e addirittura l 'albero». In tal modo Gesù, secondo Crisostomo, dimostrò la sua indubitabile chiaroveggenza 1 • Secondo il Vangelo di Giovanni, dunque, il primo gruppo dei discepoli, radunato da Gesù in due giorni, comprendeva Pietro, Andrea, Filippo, Natanaele ed evidentemente lo stesso Giovanni. Si può pensare che proprio questo gruppo di cinque persone fos­ se presente il giorno dopo alle nozze a Cana di Galilea, dov' era stato invitato «anche Gesù con i suoi discepoli» (Gv 2,2). Gli stessi discepoli si recarono con Lui a Cafamao (Gv 2, 1 2). Successivamente, incontriamo i discepoli nel racconto dell'ar­ rivo di Gesù nella terra di Giudea, dove Egli «si tratteneva con loro e battezzava» (Gv 3 ,22). Quindi leggiamo di come Gesù viene a sapere «che i farisei avevano sentito dire: "Gesù fa più 1

GIOVANNI CRISOSTOMO, Homi/iae in loannem 20, 2 (PG 59, 1 25- 1 26).

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6. GESÙ E I DISCEPOLI

discepoli e battezza più di Giovanni" - sebbene non fosse Gesù in persona a battezzare, ma i suoi discepoli» (Gv 4, 1 -2). Nel rac­ conto del dialogo con la samaritana vengono nuovamente men­ zionati i discepoli, che inizialmente «erano andati in città a fare provvista di cibi» (Gv 4,8), ma poi tornarono «e si meraviglia­ rono che parlasse con una donna» (Gv 4,27). Non vengono in­ vece menzionati nei racconti della permanenza di Gesù in Gali­ lea (Gv 4,43-54), della guarigione del paralitico a Gerusalemme (Gv 5 , 1 - 1 6) e del successivo dialogo di Gesù con i giudei (Gv 5 , 1 7-47). I discepoli riappaiono nella narrazione insieme a Gesù, quando questi sale sul monte vicino a Tiberiade (Gv 6, 1 -3). Qui compie il miracolo della moltiplicazione dei pani, a cui par­ tecipano i discepoli, anzi due di essi sono chiamati per nome: Filippo e Andrea, fratello di Simon Pietro (Gv 6,7-8)� la sera del­ lo stesso giorno, nella barca, sono testimoni di come Gesù viene verso di loro camminando sulle acque (Gv 6, 1 6-2 1 ). In nessuno degli episodi citati Giovanni parla del numero dei discepoli, ma il contesto della narrazione fa supporre che il loro numero andasse gradualmente aumentando. Se alle nozze a Ca­ na di Galilea con Gesù ce n 'erano probabilmente solo cinque, e altrettanti a Cafarnao, in Giudea ormai Egli «fa più discepoli e battezza più di Giovanni». Si può pensare che ci sia un gruppo abbastanza vasto di seguaci, che aveva creduto in Gesù e si muo­ veva al suo seguito. Questa ipotesi è confermata dal racconto della predicazione di Gesù nella sinagoga di Cafarnao . Qui si parla di «molti dei suoi discepoli», che dopo aver ascoltato le sue parole, dicevano: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». In risposta Gesù, «sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano», li ac­ cusa di incredulità, predicendo che uno di loro lo avrebbe tradi­ to. «Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indie­ tro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: "Vo­ lete andarvene anche voi?"» (Gv 6,60-67). Qui per la prima vol­ ta Giovanni menziona un numero concreto: dodici. Dunque, secondo Giovanni, Gesù aveva inizialmente cinque discepoli, poi essi divennero molti di più, ma in seguito una buo337

L' INIZIO DEL VANGELO

na parte dei discepoli lo lasciò e smise di seguirlo. Da dove ar­ rivavano i dodici, il numero finalmente citato da Giovanni? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo rivolgerei alle narrazio­ ni dei sinottici. Il racconto della chiamata dei primi discepoli nei sinottici si differenzia notevolmente da quello del Vangelo di Giovanni. Matteo e Marco lo riportano in maniera testualmente identica: Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratel­ lo di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pesca­ tori . Gesù disse loro : «Venite dietro a me, vi farò diventare pesca­ tori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fra­ tello, mentre anch'essi nella barca riparavano le reti. E subito li chia­ mò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i gar­ zoni e andarono dietro a lui (Mc 1 , 1 6-20; Mt 4, 1 8-22).

Leggendo questo brano, si ha l' impressione che Gesù chiami degli sconosciuti e che essi, lasciate le reti, lo seguano. In realtà, il tentativo di concordare questa storia con i racconti del Vange­ lo di Giovanni offre un quadro completamente diverso. Dei quat­ tro discepoli citati da Matteo e Marco, due sono chiamati per no­ me da Giovanni, e uno è verosimilmente lo stesso Giovanni. Inoltre, come abbiamo ricordato, Andrea e Giovanni erano di­ scepoli di Giovanni Battista e seguirono Gesù, in seguito Andrea trovò Pietro e lo condusse dal Maestro. Tutto questo accadde su­ bito dopo che Gesù fu tornato dal deserto. Nei si notti ci, tra le tentazioni nel deserto e l ' inizio della pre­ dicazione di Gesù, dopo che Giovanni fu incarcerato, esiste un interval lo temporale privo di accadimenti. Solo in parte questo intervallo è colmato dai racconti di Giovanni sugli incontri fra Gesù e Giovanni Battista, su come due discepoli di Giovanni seguano Gesù e trascorrano con lui una giornata, sull' incontro di Gesù con Pietro, Filippo e Natanaele, sulla partecipazione dei discepoli alle nozze a Cana di Galilea. Possiamo supporre che Pietro e Andrea, dopo aver incontrato Gesù e aver trascor338

6. GESÙ E I DISCEPOLI

so con Lui qualche giorno, ritornassero in Galilea alle proprie occupazioni consuete. La stessa cosa vale per Giovanni. Par­ lando dei due discepoli del Battista che avevano seguito Gesù, Giovanni Crisostomo osserva: « È verosimile che, dopo averlo seguito fin dal principio, lo lasciassero di nuovo e, dopo aver visto che Giovanni era stato gettato in carcere e Gesù si ritira­ va, ritornassero al proprio mestiere. Così Gesù li trova mentre pescavano. Del resto, quando vollero al l ' inizio allontanarsi , non glielo impedì né, dopo che s i furono allontanati, l i abban­ donò definitivamente, ma, dopo essersi mostrato condiscen­ dente, quando se ne andarono via, va di nuovo a recuperarli»2• Gli fa eco sant'Agostino: «Occorrerà intendere il testo nel sen­ so che i discepoli presso il Giordano videro il Signore senza però decidersi a seguirlo definitivamente: si resero solamente conto di chi egli fosse e pieni di ammirazione se ne tornarono alle loro case»3• In questo caso, il racconto dei sinottici appare in una nuova luce. Delle quattro persone chiamate da Gesù, perlomeno tre gli sono già note: sono i fratelli Pietro e Andrea, come pure Giovan­ ni, fratello di Giacomo (in realtà, come vedremo in seguito, Ge­ sù li conosceva già tutti e quattro). Quindi, Egli si rivolge loro non come a degli sconosciuti, ma come a persone che aveva già incontrato in precedenza, e che ora chiama a un nuovo servizio. Anche la loro immediata disponibilità a seguire Gesù in questo caso si spiega non tanto perché il misterioso sconosciuto li aves­ se profondamente scossi, quanto perché Egli non era per loro uno sconosciuto: l 'avevano già incontrato ed erano interiormen­ te pronti a rispondere alla sua chiamata. Proprio questi quattro discepoli, secondo il Vangelo di Mar­ co, si recano con Gesù a Cafarnao, dove questi scaccia uno spi­ rito impuro da un indemoniato (Mc l ,2 1-28), e successivamen­ te giungono - chiamati ciascuno per nome - insieme a Gesù a 2 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie su/ Vangelo di Matteo 1 4, 2 (PG 57, 2 1 9); tr. it. vol. . l , pp. 252-253 . 3 AGOSTINO, Il consenso degli evangelisti 2, 1 7, 37 (PL 34, 1 095).

339

L' INIZIO DEL VANGELO

casa di Pietro, dove Egli ne guarisce la suocera (Mc l ,29-3 1 ). La mattina del giorno seguente, Gesù «si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Si­ mone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: "Tutti ti cercano ! "» (Mc 1 ,3 5-37). Per Simone e quelli che erano con lui sono da intendersi, ancora una volta, i quattro discepoli. Tra la chiamata dei quattro discepoli e la guarigione della suo­ cera di Pietro, Matteo riporta il racconto della visita di Gesù in Galilea (Mt 4,23-25), del Discorso della montagna (Mt 5 -7), i racconti della guarigione del lebbroso (Mt 8, 1 -4) e del servo del centurione a Cafamao (Mt 8,5- 1 3). Alla narrazione della guari­ gione della suocera di Pietro (Mt 8, 1 4- 1 5) seguono ancora altri episodi in cui compaiono i discepoli, tra cui il dialogo con lo scriba (Mt 8, 1 8-20); la tempesta in mare (M t 8,23-27); il risana­ mento di due indemoniati nel paese dei Gadareni (Mt 8,28-34) e la guarigione del paralitico a Nazaret (Mt 9, 1 -8). Si può ipo­ tizzare che a tutti questi episodi fossero presenti quattro disce­ poli : Pietro, Andrea, Giovanni e Giacomo. Nel Vangelo di Luca, Simon Pietro compare per la prima vol­ ta nel racconto della pesca miracolosa: Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche ac­ costate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da ter­ ra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la not­ te e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reth> , Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti qua­ si si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui 340

6. GESÙ E I DISC EPOLI

e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simo­ ne. Gesù disse a Simone : «Non temere; d' ora in poi sarai pescatore di uomini)). E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguiro­ no (Le 5, 1 - l l ).

Vediamo qui un nuovo racconto sulla chiamata dei discepoli. A differenza del testo di Matteo e Marco, non si parla di quattro, ma di tre discepoli : Pietro, Giovanni e Giacomo, gli stessi che saranno messi in luce dai sinottici come i discepoli più prossimi di Gesù. Nelle narrazioni di tutti i sinottici si menzionano le re­ ti: nei testi dei primi due evangelisti Pietro e Andrea stanno get­ tando le reti, mentre Giacomo e Giovanni insieme al padre sono intenti a ripararle; in Luca i pescatori stanno lavando le reti. Tut­ ti i racconti riportano le parole di Gesù, secondo cui Egli farà dei suoi discepoli «pescatori di uomini»: queste parole, nei primi due evangelisti, sono rivolte a Pietro e Andrea; in Luca, soltan­ to a Pietro. È possibile concordare le narrazioni di Matteo e Marco con quella di Luca solo nel caso in cui si ammetta che si tratta di due diversi episodi. Così riteneva sant'Agostino, secondo il quale l'episodio descritto da Luca precedeva quello riportato dagli al­ tri due sinottici : In un primo momento dovettero accadere gli eventi a cui fa cen­ no Luca: con la conseguenza che gli Apostoli non furono chiamati in quella circostanza ma allora fu solamente predetta a Pietro la sua missione di pescatore di uomini. E tale predizione gli fu fatta non nel senso che egli mai più in seguito sarebbe tornato a pescare i pe­ sci, cosa in contrasto con quanto leggiamo riguardo ai discepoli, i quali dopo la risurrezione del Signore tornarono a pescare (Gv 2 1 ,3) . . . Ci è pertanto consentito supporre che gli Apostoli tornaro­ no alla loro vita normale di pescatori e solo più tardi avvennero i fatti narrati da Matteo e Marco: che cioè il Signore li chiamò a due a due e impartì loro l 'ordine di seguirlo, prima a Pietro e Andrea e poi ai due figli di Zebedeo. In quel giorno essi lo seguirono senza nemmeno trascinare a riva le barche, come chi fosse preoccupato di 341

L' INIZIO DEL VANGELO

ritornare, ma ponendosi al seguito di colui che li chiamava impo­ nendo una sequela4•

Si delinea tutta una serie di incontri di Gesù con i suoi futuri discepoli, a partire dal momento in cui due discepoli di Giovan­ ni Battista seguirono Gesù. Uno dei due era Andrea: egli trova suo fratello Pietro e lo conduce da Gesù; poi i due fratelli ritor­ nano al loro mestiere di pescatori. Segue la storia della pesca mi­ racolosa, quando Gesù dice al solo Pietro che lo farà pescatore di uomini. L'episodio successivo è quello in cui Gesù trova An­ drea e Pietro e dice ad entrambi quello che aveva già detto a Pie­ tro. Essi lasciano le reti e lo seguono. Per Giovanni e Giacomo si delinea il quadro seguente . Gio­ vanni, identificabile con «l' altro discepolo» del Battista, insie­ me ad Andrea segue Gesù e trascorre da Lui un ' intera giorna­ ta. Poi diviene probabilmente testimone dei primi miracoli di Gesù, e in seguito, dopo un certo intervallo, compare insieme al fratello Giacomo nel l ' episodio della pesca miracolosa. Infi­ ne, Gesù chiama Pietro e Andrea, e dopo di loro Giacomo e Giovanni, come quattro persone che conosceva già in prece­ denza. Il racconto successivo su questo tema riguarda la chiamata di un altro discepolo. Luca lo chiama Levi (Le 5 ,27), Marco parla di Levi, figlio di Alfeo : «Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: "Seguimi". Ed egli si alzò e lo seguì» (Mc 2 , 1 4). Nella narrazione parallela del Van­ gelo di Matteo (Mt 9,9- 1 3), il pubblicano è chiamato Matteo. Prima di essere chiamato, Levi-Matteo conosceva già Gesù, oppure Gesù chiama uno sconosciuto, che vedeva per la prima volta in vita sua? A questa domanda i Vangeli sinottici non of­ frono una risposta diretta. Tuttavia, l 'identificazione di Matteo il pubblicano con Matteo evangelista ci consente di ipotizzare che Matteo avrebbe potuto essere fra quanti ascoltarono il Di­ scorso della montagna (Mt 5-7). In questo caso (come nel caso 4

lbid. 2, 1 7, 41 (PL 34, l 097).

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6. GESÙ E l D I SCEPOLI

di Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni), Gesù non avrebbe dun­ que chiamato uno sconosciuto, ma una persona che aveva già incontrato. Chi erano i pubblicani di cui si parla più volte nei Vangeli? Erano gli esattori delle tasse, al servizio del procuratore roma­ no. Di fatto, essi facevano gli interessi del regime di occupazio­ ne, per questo erano disprezzati dai giudei. Nella coscienza di questi ultimi essi erano accomunati agli altri peccatori, che vio­ lavano apertamente le tradizioni del popolo ebraico, e addirittu­ ra alle prostitute. Di qui l 'espressione usata nei Vangeli «i pub­ blicani e i peccatori» (Mt 9, 1 1 ; I l , 1 9; Mc 2, 1 6; Le 5,30; 7 ,34), «i pubblicani e le prostitute» (Mt 2 1 ,3 1 ). Incurante dell' atteg­ giamento sprezzante dei giudei nei confronti dei pubblicani, Ge­ sù aveva con essi frequenti contatti, e scelse uno di loro addirit­ tura come suo discepolo. Perché il pubblicano è chiamato con due diversi nomi dagli evangelisti? Gli ebrei al tempo di Gesù potevano avere due no­ mi: uno ebreo, dato dai genitori alla nascita, l 'altro greco o lati­ no. Il secondo nome poteva comprendere quello paterno (ad esempio, Simone figlio di Giona, Mt 1 6, 1 7); oppure indicare il luogo da cui proveniva la persona (Giuseppe di Arimatea, Ma­ ria di Magdala, Filone di Alessandria); oppure, ancora, essere un soprannome (ad esempio, Tommaso, chiamato Didimo, Gv I l , 1 6; «figli del tuono», Mc 3 , 1 7). Sarebbe però stato strano che un uo­ mo portasse due nomi ebreP. Matteo viene chiamato pubblicano nell'elenco dei dodici di­ scepoli riportato dal Vangelo di Matteo; negli altri tre elenchi, che troviamo nei testi di Marco, Luca e degli Atti degli aposto­ li, Matteo non viene chiamato pubblicano (Mc 3 , 1 8; Le 6, 1 5 ; At l , 1 3). Tutto questo, a parere di alcuni studiosi, testimonierebbe che l 'autore del Vangelo di Matteo e il pubblicano Levi di Alfeo sono persone diverse. La tradizione della Chiesa, però, conside­ ra Matteo il pubblicano, Levi di Alfeo e l 'evangelista Matteo co­ me un 'unica persona. 5 J.P. MEIER, The Vìsion of Matthew, pp . 23 -24.

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L' INIZIO DEL VANGELO

Il verbo «seguire» ( ÙKoÀoufh�m) ricorre in tutte le narrazioni che i sinottici fanno della chiamata dei primi discepoli (Mt 4,20, 22; Mc 1 , 1 6, 20; Le 5 , 1 1 ), della chiamata di Levi-Matteo (Mt 9,9; Mc 2, 1 4; Le 5 ,28), e di come Pietro a nome dei discepoli disse a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo se­ guito; che cosa dunque ne avremo?» (Mt 1 9,27; Mc 1 0,28; Le 1 8,28). Questo verbo si incontra complessivamente nei Vangeli 79 volte (25 in Matteo, 1 8 in Marco, 1 7 in Luca e 1 9 in Giovan­ ni), e in 73 casi indica la sequela di Gesù6• La chiamata degli apostoli consiste, innanzi tutto, nel seguire il Maestro, sia in sen­ so letterale (andare dietro di Lui), sia in senso metaforico (adem­ piere i suoi precetti, seguire il suo insegnamento).

2. L'elezione dei dodici

Un' analisi comparativa delle narrazioni dei quattro Vangeli mostra che la comunità dei discepoli intorno a Gesù si formò gradualmente. Il numero complessivo dei discepoli variava: se dobbiamo prestare fede a Giovanni, inizialmente erano cinque, poi divennero molti di più, in seguito parecchi se ne andarono. I sinottici non seguono la stessa dinamica: dai loro racconti si può evincere solo che il numero dei discepoli aumentò progres­ sivamente. Proprio nei Vangeli sinottici troviamo il racconto di come, all ' interno del gruppo più ampio dei discepoli, Gesù ne scelse dodici. Questo racconto è identico in tutti e tre i sinottici per con­ tenuto, pur differenziandosi nei particolari. Matteo non fa alcun cenno alla scelta dei dodici rispetto a un gruppo più numeroso: «Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infer­ mità» (M t l O, l ). Marco precisa che i dodici vengono scelti dal novero complessivo dei discepoli : «Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì dodi6 P.S. PUDUSSERY,

Discip/eship,

p.

1 8.

344

6. GESÙ E I D I SCEPOLI

ci - che chiamò apostoli -, perché stessero con lui e per mandar­ li a predicare con il potere di scacciare i demòni» (Mc 3 , 1 3- 1 5). Luca specifica che dapprima Gesù «se ne andò sul monte a pre­ gare e passò tutta la notte pregando Dio», e poi, quando fu gior­ no, «chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali die­ de anche il nome di apostoli>> (Le 6, 1 2- 1 3). Colpisce l 'espressione di Marco: «chiamò a sé quelli che vo­ leva». Si sottolinea così che l ' iniziativa dell'elezione dei dodici appartiene a Gesù stesso, è Lui a decidere la composizione del gruppo. A questo gruppo era impossibile iscriversi di propria ini­ ziativa, come Gesù avrebbe detto apertamente nel discorso di commiato ai discepoli : «Non voi avete scelto me, ma io ho scel­ to voi» (Gv 1 5 , 1 6). Dei tre sinottici Marco è il più concreto nella descrizione de­ gli scopi per i quali Gesù aveva scelto i dodici: «perché stessero con lui e per mandarli a predicare». Gli apostoli dovevano con­ dividere l ' operato di Gesù, le sue gioie e sofferenze, stare con Lui in tutte le circostanze della sua vita, ascoltare e ritenere le sue parole. Ma l 'elezione non riguarda solo il tempo della sua vita terrena: essi sono i suoi inviati, e dopo la sua morte e resur­ rezione dovranno portare al mondo la sua parola, annunciare il suo insegnamento, essere i continuatori della sua opera. Dopo la resurrezione, Gesù dirà agli apostoli : «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,2 1 ). Che Egli fos­ se l 'inviato del Padre, l'aveva detto molte volte ai discepoli e a una cerchia più ampia di ascoltatori : secondo il Vangelo di Gio­ vanni, era uno dei ritornelli della sua predicazione (Gv 5,36-3 8; 6,57; 7 ,29; 8,42 ; 1 1 ,42 ; 17 ,8. 1 8-25). Scegliendosi dei discepoli, Gesù ne fa non soltanto i propri apostoli, ma anche gli apostoli di Dio Padre. Il legame che lo unisce al Padre suo deve unire an­ che gli apostoli a Lui, e attraverso di Lui al Padre. Prestiamo attenzione alle parole di Luca: «ai quali diede an­ che il nome di apostoli». Questo significa che Gesù non si limi­ tò a scegliere delle persone concrete per un servizio, ma ideò Lui stesso una denominazione nuova, unica per tale servizio. Il ter­ mine «apostolo» ( àn6crmA.oç), usato in questo episodio solo da 345

L' INIZIO DEL VANGELO

Luca, letteralmente significa «inviato» (dal verbo ànocrrtUro inviare). Nella traduzione greca della Bibbia il termine si incon­ tra una sola volta ( l Re 1 4,6), mentre nel Nuovo Testamento si incontra più volte . Solo in rari casi indica un inviato in senso astratto, ad esempio nelle parole di Gesù: «In verità, in verità io vi dico : un servo non è più grande del suo padrone, né un invia­ to (àn6cr-roÀoç) è più grande di chi lo ha mandato» (Gv 1 3 , 1 6). Nella maggior parte dei casi questo termine sta a indicare uno dei dodici discepoli scelti da Gesù con uno scopo ben preciso in una determinata fase del suo ministero. San Girolamo ipotizza che il termine greco àn6cr't0Àoç («apo­ stolo») sia la traduzione dell'ebraico n'?iV siilfab ( «messagge­ ro», «inviato»). Sia il termine greco che il suo supposto equiva­ lente semitico indicano una persona che non agisce a nome pro­ prio, ma a nome di un altro, vale a dire a nome di colui che l ' ha inviato. L' elenco dei dodici apostoli in tutti e tre i sinottici inizia da Simon Pietro e si conclude con Giuda lscariota (Mt l 0,2-4; Mc 3, 1 6- 1 9; Le 6, 1 4- 1 6). A Pietro, nei testi di Matteo e Luca, seguo­ no Andrea fratello di Pietro, poi Giacomo di Zebedeo e Giovan­ ni suo fratello; nel testo di Marco, Andrea segue a Giacomo e Giovanni. In tutti e tre gli elenchi il quinto e il sesto posto sono occupati rispettivamente da Filippo e Bartolomeo, il settimo e ottavo da Matteo e Tommaso (in quest'ordine appaiono in Mar­ co; in Matteo, nell'ordine opposto). Al nono posto in tutti e tre gli elenchi c'è Giacomo di Alfeo, mentre il nome del decimo di­ scepolo si differenzia nei tre elenchi: Matteo nomina «Lebbeo, detto Taddeo»; Marco, Taddeo; Luca, Simone lo Zelota. L'undi­ cesimo posto nei testi di Matteo e Marco è occupato da Simone il Cananeo, in quello di Luca da Giuda figlio di Giacomo. Le differenze tra gli elenchi si spiegano innanzitutto perché, come abbiamo già detto, gli ebrei al tempo di Gesù potevano avere due nomi, oppure un nome e un soprannome. Ad esempio, il Bartolomeo presente in tutti e tre gli elenchi generalmente vie­ ne identificato con Natanaele, ricordato dall'evangelista Giovan­ ni (in questo caso Natanaele è il nome, e Bartolomeo il sopran-

346

6. GESÙ E I D I S C EPOLI

nome, o più esattamente il patronimico, poiché letteralmente si­ gnifica «figlio di Talmai») Simone lo Zelota e Simone il Cana­ neo sono la stessa persona (al decimo posto nel testo di Luca, all ' undicesimo in quelli di Matteo e Marco); il soprannome «Cananeo», in traduzione dall'ebraico significa «zelante», ed è identico al greco «zelota» (Luca traduce semplicemente l'epiteto dall'ebraico in greco). L'unico posto rimasto può essere occupato solo da un aposto­ lo, che risulta in possesso di tre nomi: Giuda di Giacomo, ovve­ ro Taddeo, ovvero «Lebbeo, detto Taddeo» (M t l 0,3 ) È eviden­ te che Taddeo è un soprannome, così come l' epiteto «di Giaco­ mo» indica che questo apostolo era fratello di Giacomo di Alfeo. Lo stesso apostolo viene nominato nel Vangelo di Giovanni con il nome di «Giuda, non l ' Iscariota» (Gv 1 4,22). La tradizione della Chiesa lo ritiene autore della lettera di Giuda, che fa parte del Nuovo Testamento, dove egli stesso si presenta come «fra­ tello di Giacomo» (Gd 1 ). La tradizione della Chiesa lo identi­ fica con Giuda, fratello del Signore (Mt 1 3 ,55). Non entreremo nei particolari del dibattito scientifico se i no­ mi di Giuda di Giacomo, Lebbeo, Taddeo e Giuda, fratello del Signore, stiano a indicare una o due persone, perché tale discus­ sione esula dall' ambito del nostro tema fondamentale (ci con­ vincono appieno gli argomenti di quanti ritengono che si tratti della stessa persona)?. Ci limitiamo a far rilevare che è evidente la presenza tra i dodici apostoli di due persone con il nome di Giuda: un nome, del resto, ampiamente diffuso in ambiente giu­ daico. Questo non poteva non creare degli inconvenienti nei rap­ porti all ' interno di una compagnia abbastanza ristretta. Fin da quando Gesù era in vita avrebbero potuto chiamare l'uno preva­ lentemente con un soprannome, per distinguerlo dall'altro. Quan­ do poi Giuda Iscariota ebbe tradito Gesù e venne estromesso dal numero dei discepoli, il suo nome assunse rapidamente una con.

.

7 Più in particolare, sull'identificazione di Giuda, fratello del Signore, con Giuda di Giacomo e Lebbeo-Taddeo, cfr. : O.S. GRINCENKO, O.V.L., «luda, brat Gospoden ')) (Giu­ da, fratello del Signore), pp. 3 80-383.

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L' INIZIO DEL VANGELO

notazione negativa e gli evangelisti, parlando dell ' altro Giuda, rimasto fra gli apostoli, cominciarono a usare dei soprannomi al posto del suo nome proprio (Taddeo, Lebbeo ), oppure a farvi delle aggiunte (Giuda di Giacomo, Giuda «non l' Iscariota» ), per distinguerlo chiaramente dal traditore. Nei Vangeli sinottici, a eccezione dei racconti sulla chiamata dei primi quattro discepoli e di Matteo, i dodici apostoli sono presenti principalmente come un gruppo unitario designato co­ me i «discepoli» oppure i «dodici». Sono chiamati per nome so­ lo una volta, nell 'elenco generale. Pietro, Giovanni e Giacomo sono invece menzionati individualmente. In relazione alla storia del tradimento viene menzionato separatamente anche Giuda Iscariota. Perché gli apostoli erano proprio dodici? La spiegazione più banale potrebbe essere che dodici è il numero ottimale di perso­ ne con cui un dirigente può lavorare in rapporto diretto. Ma do­ dici è soprattutto un numero sacro per il popolo di Israele, che ricorda i figli di Giacobbe e le dodici tribù di Israele che da essi discendevano. Gesù stesso tracciò questo parallelo, quando dis­ se agli apostoli: «In verità io vi dico : voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua glo­ ria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d'Israele» (Mt 1 9,28). Il gruppo dei dodici apostoli è da considerarsi come il nucleo centrale della Chiesa, e la Chiesa come il Nuovo Israele, che riu­ nisce tutti coloro che hanno creduto in Gesù. E se a capo del po­ polo di Israele c'era Giacobbe con i suoi dodici figli, a capo del nuovo popolo di Dio c'è Gesù con i suoi dodici apostoli. La con­ sapevolezza dell' importanza di conservare il numero sacro di dodici indusse gli apostoli, dopo la morte e resurrezione di Ge­ sù, a nominare come prima cosa un'altra persona al posto di Giu­ da il traditore, venuto meno (At 1 , 1 5-26). Che età avevano gli apostoli? I Vangeli non lo dicono. Noi sappiamo, tuttavia, che al momento della chiamata Giacomo e Giovanni avevano il padre ancora vivo e in piena attività la­ vorativa (Mt 4,2 1 ), e Pietro aveva una suocera, anch' essa attiva 348

6. GESÙ E I D I SCEPOLI

(Mt 8, 1 4- 1 5). In base alle notizie in nostro possesso, gli aposto­ li sopravvissero a Gesù circa trent'anni, e la maggioranza di es­ si mori di morte violenta. Di conseguenza, possiamo ritenere che al momento della chiamata tutti gli apostoli fossero all' incirca coetanei di Gesù, e alcuni più giovani di Lui. Nella tradizione della Chiesa si affermò abbastanza presto l ' idea che Giovanni fosse il più giovane degli apostoli, giunto da Gesù ancora adolescente. Questa tradizione trova una confer­ ma indiretta in lreneo di Lione, secondo il quale Giovanni era ancor vivo ali' epoca delle persecuzioni dell 'imperatore Traiano (98- 1 1 7) 8 • Negli affreschi e nei mosaici paleocristiani Giovanni, di regola, è raffigurato come un giovane imberbe.

3. L'incomprensione

Dunque, fin dai primi giorni del suo ministero pubblico, Ge­ sù cominciò a raccogliere intorno a sé un gruppo di giovani uo­ mini che avrebbero trascorso tutto il loro tempo con Lui. Per un po ' Gesù li osserva, e anch'essi osservano e ascoltano Lui. A qualcuno ciò che avviene piace, a qualcun altro no, e quindi al­ cuni restano nella «squadra», altri abbandonano. Dopo un certo periodo, dal novero complessivo dei suoi seguaci Gesù sceglie dodici persone, e poi, secondo Luca, altri settanta, che dovran­ no essere i prosecutori della sua opera sulla terra (Le l O, l ). Come si sviluppa il rapporto tra Gesù e i discepoli? Questi rap­ porti sono uno dei temi centrali di tutti e quattro i Vangeli. Buona parte degli insegnamenti di Gesù, riportati dai Vangeli, si rivolge ai discepoli. Gesù discorre con essi separatamente; dietro loro ri­ chiesta chiarisce ciò che non capiscono nelle sue esortazioni ri­ volte al popolo. I Vangeli riportano i dialoghi di Gesù con uno o più discepoli, fissano le diverse reazioni dei discepoli alle parole di Gesù e agli avvenimenti: entusiasmo, gioia, stupore, meraviglia, incompren8

IRENEO DI LIONE, Contro /e eresie 2, 22, 5 (SC 294, 1 75).

349

L'INIZIO DEL VANGELO

sione, sconcerto, incredulità, paura, protesta9• Le pagine dei Van­ geli presentano una ricca gamma di sentimenti personali, espe­ rienze ed emozioni dei discepoli. Alcune linee relazionali, poi, co­ stituiscono dei temi particolari: Gesù e Pietro, Gesù e Giovanni, Gesù e i tre discepoli più prossimi (Pietro, Giovanni, Giacomo), Gesù e Giuda Iscariota. Tutto questo ingente materiale meriterebbe un volume a par­ te. In questa sezione ci limiteremo a osservare un aspetto molto caratteristico nelle relazioni tra Gesù e i suoi discepoli : la loro incomprensione delle parole e delle azioni di Gesù. Questo te­ ma è un tema ricorrente sia nei Vangeli sinottici, sia nel Vange­ lo di Giovanni10• I discepoli, in particolare, non capivano il significato delle pa­ rabole. Secondo Marco, quando Gesù ebbe narrato la parabola del seminatore, «quelli che erano intorno a lui insieme ai Dodi­ ci» lo interrogano sul significato della parabola. Gesù risponde: «"A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato". E disse loro: "Non capite questa parabola, e come potrete comprendere tutte le pa­ rabole?"» (Mc 4, 1 0- 1 3). Nel passo parallelo di Matteo, i discepoli non solo non com­ prendono il significato della parabola, ma non comprendono in generale perché Gesù scelga questa forma di comunicazione con il popolo: «Perché a loro parli con parabole?». Egli risponde all'in­ circa con le stesse parole riportate da Marco, aggiungendo un ri­ ferimento alla profezia di Isaia (ls 6,9- 1 0), e poi dice: «Beati in­ vece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascol9 La paura può avere sfumature sia positive che negative. Cfr., ad esempio, M t 4,4 1 (timore davanti alla grandezza dei segni compiuti da Gesù) e Mt 1 4,26 (timore davanti alla sua improvvisa apparizione di notte). Cfr. : J.K. BROWN, The Disciples in Narrative Perspective, pp. 1 42- 1 45. 10 In alcuni casi gli episodi in cui i discepoli non comprendono il senso delle parole e delle azioni di Gesù si dispongono in una «concatenazione semantica». Interessanti esempi di queste concatenazioni semantiche nel Vangelo di Luca sono riportati in: I.C.S. KwoNG, The Word Order ofthe Gospel ofLuke, pp. 1 1 7- 1 27.

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6. GESÙ E I DI SCEPOLI

tano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desi­ derato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono ! » (Mt 1 3 , 1 0- 1 7). La parabola della zizzania nel campo suscita di nuovo la do­ manda (Mt 1 3 ,36). I discepoli non comprendono neppure il senso delle parole di Gesù: «Non ciò che entra nella bocca rende impu­ ro l 'uomo; ciò che esce dalla bocca, questo rende impuro l 'uo­ mo! ». Pietro a nome di tutto il gruppo chiede: «Spiegaci questa parabola». Alla domanda di Pietro Gesù risponde con un'altra do­ manda: «Neanche voi siete ancora capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nella bocca, passa nel ventre e viene gettato in una fogna? Invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende impuro l'uomo» (Mt 1 5, 1 1 - 1 8). I discepoli avevano udito la risposta di Gesù ai farisei sul di­ vorzio, ma queste parole evidentemente non li avevano soddi­ sfatti, e «a casa . . . lo interrogavano di nuovo su questo argomen­ to» (Mc l O, l 0). Matteo descrive diversamente la reazione dei discepoli alle parole di Gesù sul divorzio : «Gli dissero i suoi di­ scepoli : "Se questa è la situazione dell'uomo rispetto alla don­ na, non conviene sposarsi"» (Mt 1 9, 1 0). In tal modo, secondo la versione di Matteo, i discepoli non si limitano a interrogarlo : gli muovono delle obiezioni, sono contrariati da quanto dice, espri­ mono apertamente il proprio sconcerto. Gesù aveva la consuetudine di rivolgersi ai discepoli in pre­ senza della folla (così avvenne, ad esempio, quando pronunciò il Discorso della montagna) . In questi casi i discepoli non sem­ pre capivano quale parte dell 'esortazione fosse rivolta a loro, e quale al popolo. Il Vangelo di Luca racconta: «Intanto si erano radunate migliaia di persone, al punto che si calpestavano a vi­ cenda, e Gesù cominciò a dire anzitutto ai suoi discepoli: "Guar­ datevi bene dal lievito dei farisei, che è l' ipocrisia"» (Le 1 2, l ). L'esortazione si trasforma rapidamente in una serie di parabòle e, poiché lì accanto c'era il popolo, Pietro chiede: «Signore, que­ sta parabola la dici per noi o anche per tutti?» (Le 1 2,4 1 ). Gesù non risponde a Pietro, ma come ignorando la sua domanda, con­ tinua ad ammaestrare. Solo al termine dell 'esortazione si chia35 1

L' INIZIO DEL VANGELO

risce che essa era rivolta ai discepoli, perché alla conclusione l'evangelista scrive: «Diceva ancora alle folle . . . » (Le 12,54). Non di rado Gesù accusa i discepoli di poca fede o di incre­ dulità. Questo accade, in particolare, quando essi lo svegliano mentre dormiva sulla barca, durante una tempesta in mare. In ciascuno dei tre sinottici il rimprovero si differenzia lievemen­ te, sebbene il senso rimanga lo stesso : «Perché avete paura, gen­ te di poca fede?» (Mt 8,26); «Perché avete paura? Non avete an­ cora fede?» (Mc 4,40); «Dov'è la vostra fede?» (Le 8,25). Quan­ do i discepoli chiedono perché non sono riusciti a guarire il fan­ ciullo indemoniato, Gesù risponde : «Per la vostra poca fede» (Mt 1 7,20). Dopo che Gesù ha sfamato cinquemila uomini con cinque pa­ ni e due pesci, i discepoli attraversano in barca il lago, e Gesù rimane solo. Nel cuore della notte, nella bufera, Egli giunge da loro camminando sull 'acqua, ed essi, scambiandolo per un fan­ tasma, gridano di paura. Gesù dice loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Commentando questo avvenimento, Marco os­ serva: «E dentro di sé erano fortemente meravigliati, perché non avevano compreso il fatto dei pani : il loro cuore era indurito» (Mc 6,45-52). Il tema della durezza di cuore, che risuona più volte nei di­ scorsi fatti da Gesù al popolo, che non comprendeva il senso del suo insegnamento, echeggia anche negli appelli che rivolge ai discepoli: «Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuo­ re indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udi­ te? E non vi ricordate?» (Mc 8, 1 7 - 1 8). Queste parole riflettono la reazione emotiva di Gesù ai discorsi dei discepoli, preoccu­ pati di non avere preso con sé del pane, discorsi suscitati dalle sue parole: «Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode ! » (Mc 8, 1 5). L'intero episodio mostra il li­ vello di comprensione delle parole di Gesù che avevano i disce­ poli. Egli usa immagini per loro consuete (in questo caso quella del lievito), per condurli a riflettere sulle realtà spirituali, men­ tre, al contrario, la loro coscienza non va oltre le esigenze natu­ rali fisiche. 352

6. GESÙ E I DISCEPOLI

Un analogo livello di comprensione troviamo nella samarita­ na, a cui Gesù parla della possibilità di soddisfare la sete spiri­ tuale, mentre lei gli chiede come sia in grado di attingere l ' ac­ qua, dato che non ha alcun recipiente con sé (Gv 4, 1 0- 1 1 ). Nell'e­ pisodio della samaritana i discepoli si meravigliano che Egli par­ li con una donna, ma nessuno gli fa domande superflue. Quando questa se ne va, essi gli offrono da mangiare, ma Egli rifiuta, di­ cendo : «lo ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». La loro relazione è di sconcerto: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?» (Gv 4,33). Ancora una volta, essi non lo interroga­ no direttamente, ma in sua presenza discorrono fra loro cercan­ do di comprendere il significato delle sue parole e parlando di Lui in terza persona. Suscitano l'incomprensione dei discepoli anche le numerose allusioni e i riferimenti diretti di Gesù al fatto che la sua vita si sa­ rebbe conclusa con la morte e la resurrezione. In uno degli episo­ di Gesù, trovandosi in Galilea, dice ai discepoli (e non per la pri­ ma volta): «Il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni ri­ sorgerà». Ma i discepoli «non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo» (Mc 9,32). Perché avevano timore? Non troviamo una risposta diretta. Una risposta indiretta ci viene dal passo parallelo di Luca, dove la reazione dei discepoli è descritta più ampiamente: «Essi però non capivano queste parole: restava­ no per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e ave­ vano timore di interrogarlo su questo argomento» (Le 9,45). Ave­ vano timore di interrogarlo, evidentemente, proprio perché non capivano il senso delle sue parole. E, forse, perché presentivano una sciagura di cui non volevano prendere coscienza. I Vangeli non ci nascondono che tra i discepoli sorgevano pe­ riodicamente conflitti, legati in particolare alle dispute sul pri­ mato, che gli evangelisti raccontano più volte. Riportiamo uno di questi episodi nella versione di Marco: Giunsero a Cafarnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che co­ sa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la stra353

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da infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l 'ul­ timo di tutti e il servitore di tutti)). E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandatm). Giovanni gli disse: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci se­ guiva>). Ma Gesù disse : «Non glielo impedite, perché non c'è nes­ suno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi da­ rà da bere un bicchiere d' acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandaliz­ z�rà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una !llacina da mulino e sia get­ tato nel mare (Mc 9,33-42).

Marco rende con vivezza la reazione dei discepoli alla doman­ da di Gesù: si vergognano dei propri tentativi di stabilire chi fos­ se tra loro il più grande, e tacciono. Matteo riporta un'altra ver­ sione, un po ' più breve, dello stesso episodio: nel suo testo i di­ scepoli non disputano fra loro sul primato, ma chiedono a Gesù chi sia il più grande nel Regno dei cieli. Rispondendo alla loro domanda, Gesù pone in mezzo a loro un bambino e dice : «In ve­ rità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 1 8, 1 -3). Queste parole sono da intendersi nel senso che i discepoli sono invitati a t;n.utare completamente il proprio modo di pensare, a rivedere i criteri in base ai quali stabilire la gerarchia delle persone che entrano nel Regno dei cieli. Possiamo ricordare qui ciò che Ge­ sù aveva detto ai discepoli in riferimento a Giovanni Battista: «Il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (Mt 1 1 , 1 1 ) Matteo non riporta affatto la domanda di Giovanni e la risposta di Gesù. Nel suo testo le parole sul bicchiere d'acqua fresca si in­ seriscono in un altro discorso di Gesù, nell 'insegnamento impar­ tito ai dodici dopo la loro elezione (Mt l 0,42). Luca segue com­ plessivamente Marco (Le 9,46-50), ma in questo episodio trala.

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scia le ultime minacciose parole rivolte da Gesù a chi «scandaliz­ zerà uno solo di questi piccoli», e l' immagine della macina da mu­ lino. Cita invece queste parole in un altro passo (Le 1 7, 1 -2). L'episodio riportato, con tutte le varianti che incontriamo nei sinottici, testimonia che le dispute dei discepoli sul primato ri­ guardavano sia la gerarchia all 'interno del gruppo dei dodici apo­ stoli, sia il loro posto nel Regno di cui Gesù parlava loro continua­ mente, e di cui dovevano avere - a quanto vediamo - un' idea molto confusa. Il metodo pedagogico usato da Gesù per disto­ glierli dalle dispute sul primato appare un po' insolito e non pri­ vo di umorismo : pone in mezzo a loro un bambino. Abbraccian­ dolo, Gesù si volge ai discepoli, ma senza parlare del primato : non risponde in maniera diretta alle questioni di cui i discepoli discutevano fra loro lungo il cammino, ma porta l 'intero dialo­ go su un piano diverso. In un altro caso vediamo che i discepoli non vogliono lasciar avvicinare a Gesù dei bambini, ma Egli dice loro: «Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, in­ fatti, appartiene il regno dei cieli» (Mt 1 9, 1 3- 1 4). In tal modo ri­ corda nuovamente ai discepoli che nel Regno dei cieli il valore della persona si misura con criteri completamente diversi da quel­ li mondani. Lo stesso tema viene sviluppato in un altro episodio, riporta­ to nei passi paralleli di Marco e Matteo. Marco narra che i due fratelli Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, rivolgono a Gesù la richiesta: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (Mc 1 0,37). Nel testo di Matteo è la madre dei figli di Zebedeo a rivolgere, al posto loro, la stessa domanda a Gesù: «Di ' che questi miei due figli siedano uno al­ la tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno» (Mt 20,20-2 1 ) Il dialogo che segue tra Gesù e i due fratelli mostra quanto gran­ de sia la differenza nel modo di concepire la gloria futura e il fu­ turo Regno di Gesù tra il Maestro e i discepoli: .

Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere, o essere battezzati nel battesimo in cui 355

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io sono battezzato?». Gli dicono: «Lo possiamo» . Ed egli disse lo­ ro: «Il mio calice, lo berrete, e il battesimo in cui io sono battezzato lo riceverete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha prepa­ rato (Mt 20,22-23).

Per battesimo e calice Gesù in questo caso intende la passio­ ne e morte che lo attendono. Nel Getsemani Egli chiederà al Pa­ dre: «Abbà! Padre ! Tutto è possibile a te: allontana da me que­ sto calice! . .» (Mc 1 4,36). Ai discepoli è completamente oscuro il senso delle parole di Gesù: essi non sanno di quale battesimo e di quale calice stia parlando, per questo esprimono un'imme­ diata disponibilità a riceverli. Continuano a restare sordi alle sue numerose predizioni delle sofferenze che lo attendono. Proseguendo questo racconto, gli evangelisti riferiscono che gli altri dieci discepoli si sdegnano con i due fratelli (Mt 20,24; Mc l 0,4 1 ). Lo sdegno è una reazione naturale al comportamen­ to dei due, che per qualche ragione hanno deciso di riservarsi i due primi posti nella gloria futura del Maestro. Vedendo come i dieci hanno reagito al gesto di Giacomo e Giovanni (o, nella ver­ sione di Matteo, della loro madre), Gesù dice: Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell' uomo, che non è venu­ to per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Mt 20,25-28).

Le dispute sul primato proseguirono tra i discepoli di Gesù fi­ no agli ultimi giorni della sua permanenza sulla terra. Secondo Luca, perfino durante l 'Ultima cena i discepoli continuarono a discutere su chi di loro fosse da considerare più grande. In rispo­ sta, Gesù porta nuovamente ad esempio se stesso: «Chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come co­ lui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi ser­ ve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a 356

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voi come colui che serve» (Le 22,24-27). In entrambi i casi - sia nel racconto riportato da Matteo, sia nella narrazione dell 'Ulti­ ma cena fatta da Luca - Gesù parla della sua missione come di un servizio. Non si aspetta di essere servito; è venuto per servi­ re e dare la vita «in riscatto per molti)). Praticamente non incontriamo nel Vangelo dei casi in cui i di­ scepoli offrano al Maestro un sostegno visibile, oppure sempli­ cemente esprimano approvazione per i suoi gesti, o gioia. Fa ec­ cezione il racconto di Luca (che esamineremo in seguito), sul ri­ torno dei settanta e della gioia da essi condivisa con Gesù (Le 1 0, 1 7-24). Un 'altra eccezione è il racconto della Trasfigurazio­ ne, quando Pietro dice a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui ! >) (Mt 1 7,4; Mc 9,5 ; Le 9,33). Negli altri casi i discepoli si limitano a fare domande, e talvolta esprimono un aperto scon­ certo di fronte a ciò che dice o è intenzionato a fare il Maestro. La reazione del Maestro al comportamento dei discepoli è spes­ so emotiva: talvolta risponde alla domanda con un' altra doman­ da, talvolta denuncia la loro incomprensione o incredulità. Essi lo amano, ma hanno timore a fargli troppe domande, per non at­ tirare la sua ira. Tutta questa situazione porterà a una crisi nei loro rapporti, che culminerà nella storia della Passione, quando uno dei dodi­ ci tradirà Gesù, un altro lo rinnegherà, e gli altri si disperderan­ no spaventati. Solo un discepolo resterà ai piedi della sua croce e sarà testimone della sua morte (Gv 1 9,26.35). Perfino dopo la resurrezione di Gesù tra di essi vi saranno degli increduli e dei dubbiosi (Mt 28, 1 7; Gv 20,25). Gli evangelisti non ci nascondono le difficoltà esistenti nei rapporti tra Gesù e i discepoli . Tuttavia, leggendo i Vangeli noi sentiamo che i discepoli formano una comunità unita e com­ patta. Non capiscono molte delle cose che Egli dice e fa, ma continuano a restare con Lui, a seguirlo, ad ascoltare e tratte­ nere i suoi insegnamenti e parabole. C ' è una forza che li trat­ tiene, nonostante la continua tensione derivante dal fatto che essi vivono a un altro livello intellettuale e spirituale rispetto al loro Maestro. 357

L' INIZIO DEL VANGELO

4. Gesù e Pietro

La forza della tensione spirituale che emana da Gesù si mani­ festa in una serie di episodi in cui è coinvolto Pietro, l 'apostolo più frequentemente menzionato nelle pagine di tutti e quattro i Vangeli . Viene nominato complessivamente nei Vangeli, con di­ versi nomi (Pietro, Simone, Cefa), per I l O volte, di cui 75 nei sin ottici e 3 5 in Giovanni l 1 • La linea del rapporto fra Gesù e Pietro attraversa tutti i rac­ conti evangelici: dalle prime narrazioni della chiamata dei disce­ poli fino alla storia del rinnegamento di Pietro e del perdono ac­ cordatogli da Gesù risorto . Ricordiamo che Pietro fu chiamato tra i primi e apre l 'elenco dei dodici. Il nome Pietro (Cefa) gli fu dato da Gesù al posto del suo nome originario: Simone. Marco ne parla in occasione dell'e­ lezione dei dodici : «Costituì . . . Simone, al quale impose il nome di Pietro» (Mc 3 , 1 6). Secondo Giovanni, Gesù chiamò Simone Pietro fin dal suo primo incontro con lui (Gv l ,42). Solo Gio­ vanni riporta il nome aramaico di Simone, Cefa (���:l képii), che significa sia «pietra», che «roccia». Anche la parola greca mhpoç, usata per tradurre l 'aramaico Cefa, ha entrambi questi significati. Nel Nuovo Testamento, il nome Cefa nella sua ver­ sione aramaica, oltre al passo del Vangelo di Giovanni indicato, viene menzionato solo nelle lettere di Paolo ( l C or l , 1 2; 3,22 ; 9,5; 1 5 ,5; Gal 2,9). Nella tradizione biblica il cambiamento del nome ha sempre un significato particolare. Quando Dio cambia il nome a una per­ sona, è segno che questi diventa servo di Dio ed entra in un nuo­ vo, più stretto, rapporto con Lui. Dio cambia il nome ai suoi elet­ ti : a coloro a cui ha manifestato la sua fiducia, a cui ha affidato una missione, con cui ha stipulato un' alleanza. Ad esempio, do­ po che Dio ha concluso con Abramo l 'alleanza circa la moltitu­ dine dei popoli che da lui saranno generati, Abram diventa Abra­ mo (Gen 1 7, 1 -5), e sua moglie Sarai diventa Sara (Gen 1 7, 1 5); -

11

M. HENGEL. Saint Peter, p . l O .

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6. GESÙ E I DISCEPOLI

Giacobbe riceve il nome di Israele («colui che ha combattuto con Dio», ovvero, secondo un' altra interpretazione, «colui che ha vi­ sto Dio»), dopo aver combattuto con Dio ed essere stato da Lui benedetto (Gen 32,27-28). Imponendo a Pietro un nome nuovo, Gesù lo distingue dagli altri discepoli. Questi ultimi non godono di un simile onore, a eccezione di Giovanni e Giacomo, a cui Gesù dà l 'epiteto di «fi­ gli del tuono» (Mt 3 , 1 7). Perché Gesù dà un nome nuovo ai tre discepoli? «In tal modo Egli mostra di essere lo stesso che nell 'Antico Testamento cambiava i nomi, chiamando Ab ram Abramo, Sarai Sara, e Giacobbe Israele» risponde Giovanni Cri­ sostomo 12. Proprio i tre discepoli che ricevettero da Gesù dei nuovi nomi - e cioè Pietro, Giacomo e Giovanni - furono nel corso della sua vita terrena i più prossimi a Lui. Tuttavia, Pietro si distingue non solo nel gruppo dei dodici, ma anche nel gruppo dei tre. Tutti e tre i Vangeli sinottici narra­ no che Pietro professò Gesù come il Cristo: Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo : «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Bat­ tista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cri­ sto» (Mc 8,27 -29).

Nella versione di Luca, Pietro risponde: «Il Cristo di Dio» (Le 9,20). Matteo riporta la versione più completa della risposta di Pietro : «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 1 6, 1 6). Perché solo Pietro risponde a Gesù? Forse perché reagiva più prontamente degli altri? O perché rispondeva a nome di tutti? Oppure in quel momento fu l 'unico discepolo in grado di rico­ noscere fermamente in Gesù il Cristo? I racconti di Marco e Lu­ ca non danno una risposta. In Matteo invece troviamo la conti­ nuazione della storia. Secondo Matteo, dopo che Pietro ebbe pro12

GIOVANNI CRISOSTOMO, Homiliae in /oannem 1 9, 2 (PG 59, 1 20).

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fessato che Gesù era il Cristo, Gesù lo distinse dagli altri disce­ poli e si rivolse non più a tutti, ma a lui solo: Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tut­ to ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli (Mt 1 6, 1 7 - 1 9).

Il racconto può essere interpretato nel senso che Gesù impo­ ne a Pietro un nome nuovo in risposta alla sua professione di fe­ de. Ma se si tiene conto che, secondo Marco e Giovanni, il cam­ biamento del nome era già avvenuto in precedenza, il racconto di Matteo potrebbe essere interpretato come un rammentare a Pietro questo cambiamento: dapprima Gesù lo chiama con il suo vecchio nome (Simone, figlio di Giovanni), e poi con il nome nuovo (Pietro). Questo passo è l 'unico in tutti i Vangeli in cui si usa il termi­ ne «Chiesa», che in seguito, a partire dagli Atti e dalle lettere apostoliche, diverrà la definizione principale della comunità dei seguaci di Gesù sia a livello universale13, sia a livello locale14 e addirittura a livello di singola famiglia 1 5• Che la promessa di Ge­ sù circa l 'edificazione della Chiesa sia legata alla professione di Pietro, e che Pietro sia la roccia su cui si sarebbe fondata la Chie­ sa, conferisce a questo apostolo un particolare rilievo, incom­ mensurabile rispetto a quello degli altri apostoli. Questo testo del Vangelo di Matteo ebbe un ruolo fondamen­ tale per il formarsi della dottrina cristiana sulla Chiesa, ma ven1 3 Ad esempio: «Come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef 5,24-25); «Egli è anche il capo del corpo, del­ la Chiesa» (Col l , 1 8). 1 4 Ad esempio: «la chiesa di Gerusalemme» (At 8, 1 ), «la chiesa che vive in Babilo­ nia» (l P t 5 , 1 3), le chiese di Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia, Laodicea (Ap 2, 1 .8 . 1 2. 1 8; 3 , 1 .7. 14). 1 5 L'espressione «chiesa domestica» (Rm 1 6,4; ! Cor 1 6, 1 9; Col 4, 1 5 ; Fm 1 ,2) sta a indicare la famiglia cristiana.

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ne interpretato diversamente in Oriente e in Occidente. In Oc­ cidente si sottolineava il ruolo di Pietro come capo della comu­ nità apostolica, che avrebbe trasmesso il suo primato ai vesco­ vi di Roma. Con il passare dei secoli questa tradizione condus­ se al formarsi del dogma sul papa come successore di san Pie­ tro e vicario di Cristo in terra, dotato di autorità assoluta sulla Chiesa in tutta l 'ecumene. In Oriente si diffuse un' altra inter­ pretazione, secondo cui la Chiesa si fonda non su Pietro, ma sulla fede nella divinità di Gesù Cristo, professata dalle parole di Pietro16• Lo stesso apostolo Pietro insiste sul fatto che pietra angolare della Chiesa è Cristo: Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacri­ fici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo. Si legge infatti nella Scrittura: Ecco, io pongo in Sion una pietra d'angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso. Onore dunque a voi che credete; ma per quelli che non credono la pietra che i costrutto­ ri hanno scartato è diventata pietra d'angolo e sasso d' inciampo, pietra di scandalo ( l Pt 2,4-8).

Queste parole di Pietro costituiscono l 'interpretazione che egli dà delle parole che un giorno Gesù rivolse a luil7• In esse l'apo­ stolo sottolinea che la pietra angolare posta a fondamento della Chiesa non è lui , Pietro, ma Cristo. Nel contempo, Pietro ri­ porta le stesse parole dell 'Antico Testamento (Sal 1 1 7,22-23), che furono citate da Gesù nella conclusione della parabola dei vignaioli (M t 2 1 ,42). 1 6 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie su/ Vangelo di Matteo 54, 2 (PG 58, 534); tr. it. vol. 2, p. 408 : «Su questa pietra edificherò la mia Chiesa, cioè, sulla fede della tua confes­ sione». 17 Non condividiamo la posizione di alcuni studiosi, che ritengono che le due lettere di Pietro entrate a far parte del corpus del Nuovo Testamento siano testi pseudoepigrafi apparsi tra la fine del I e l ' inizio del II secolo (cfr., ad esempio: M. HENGEL, Saint Pe­ ter, pp. 1 2- 1 3).

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Il Vangelo di Giovanni riporta un episodio che ha una certa somiglianza con quello narrato dai sinottici. Anche qui Pietro professa che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio. La scena si svol­ ge però a Cafarnao, e non a Cesarea di Filippo, e ci sono tutti i motivi per ritenere che si tratti di due diversi episodi. Dopo aver riferito che molti discepoli di Gesù se n'erano andati quando Egli aveva parlato loro del pane disceso dal cielo, l 'evangelista pro­ segue: «Disse allora Gesù ai Dodici : "Volete andarvene anche voi?". Gli rispose Simon Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente"» (Gv 6, 67 - 6 9) 18 • Pietro reagisce più rapidamente degli altri discepoli alle pa­ role e alle azioni di Gesù. Abbiamo appena visto come prima de­ gli altri avesse chiamato Gesù il Cristo. Pietro è l 'unico fra i di­ scepoli che, dopo aver visto Gesù camminare sulle acque, gli corre incontro, mentre gli altri lo attendono sulla barca (Mt 1 4,28). Analogamente, dopo la resurrezione di Gesù, veden'dolo in pie­ di sulla riva, Pietro si tuffa in acqua per andare verso di lui, men­ tre gli altri giungono a riva in barca (Gv 2 1 ,7-8). L' ardore di Pie­ tro, la sua prontezza a correre incontro al Maestro contrastano con il comportamento degli altri discepoli. Si ha l ' impressione che egli prenda decisioni importanti e faccia grandi scoperte pri­ ma degli altri. L'evangelista Marco narra che Gesù, in cammino verso Ce­ sarea di Filippo, «cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uo­ mo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente». Ma Pietro, pre­ so lo in disparte, «si mise a rimproverarlo». Gesù, «voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: "Va' die18 Così la risposta di Pietro è resa nella traduzione basata sul textus receptus. Invece nell'edizione critica Nestle-Aland, basata sui codici più antichi, troviamo una variante un po' diversa della risposta di Pietro: « . . . e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio (ò iiytoç tou 6wu)». In questo caso, l'apparire nei codici più tardi delle parole «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» può essere la conseguenza di una cor­ rezione tendente ad armonizzare il testo del Vangelo di Giovanni con quello di Matteo.

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tro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini". Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: "Se qualcuno vuoi venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua"» (Mc 8,3 1 -34 ). Vediamo che Pietro comincia a discutere con Gesù, prendendolo in disparte, ma Gesù gli risponde in modo che possano sentire anche gli al­ tri discepoli. Probabilmente, Pietro esprimeva lo sconcerto ge­ nerale del gruppo, per questo tutti dovevano sentire la brusca ri­ sposta di Gesù. All' Ultima cena Gesù rivolgerà a Pietro le parole: «Simone, Simone, ecco : Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Le 22,3 1 -32). Queste parole sono profetiche. In esse Gesù, da un lato, prean­ nunzia il rinnegamento di Pietro, e dall 'altro parla della sorte che lo attende, e cioè del fatto che dopo la morte di Gesù sarà pro­ prio Pietro a guidare la comunità dei dodici. Sul tema del rapporto fra Gesù e Pietro torneremo nel sesto volume della nostra collana Gesù Cristo. Vita e insegnamento, quando parleremo del rinnegamento di Pietro, e poi di vari epi­ sodi legati alla storia della resurrezione di Gesù, in cui figurerà Pietro. Qui ci resta soltanto da aggiungere che già durante la vi­ ta terrena di Gesù Pietro era considerato il capo degli apostoli, come si evince da tutti e quattro i Vangeli. Talvolta, per indicare il gruppetto dei discepoli, gli evangelisti dicono «Pietro e i suoi compagni» (Le 8,45 ; 9,32), oppure «Simone e quelli che erano con lui» (Mc l ,36).

5. Gli altri discepoli del novero dei dodici

Giacomo e Giovanni Oltre a Pietro, nei Vangeli sinottici sono menzionati in modo particolare i fratelli Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo. Di essi si dice che Gesù li aveva soprannominati «Boanerghes», 363

L' INIZIO DEL VANGELO

cioè «figli del tuono» (Mc 3, 1 7). In questo caso, il nome impo­ sto a entrambi era probabilmente un riferimento all 'impulsività e all 'ardente zelo religioso dei due fratellil9• Nella tradizione della Chiesa troviamo anche altre interpre­ tazioni, allegoriche, del significato di questo epiteto. Basilio il Grande, in particolare, dice che rispetto alla vita della Chiesa si può denominare tuono «quel mutamento che, dopo il Battesimo, si compie, attraverso la grande voce del Vangelo, nelle anime di coloro che ormai si avviano alla santificazione». Il nuovo nome imposto da Gesù ai due discepoli, secondo Basilio, testimonia che «il Vangelo sia un tuono (�povnì -rò EùayyÉÀtov)»20• Come abbiamo già detto, nei Vangeli sinottici Pietro, Giaco­ mo e Giovanni sono presentati come i tre discepoli più prossimi di Gesù. Solo essi sono presenti a uno dei principali miracoli di Gesù, la resurrezione della figlia di Giairo, e gli evangelisti sot­ tolineano che Gesù «non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di GiacomO>) (Mc 5,37), e a nessuno dei discepoli, all ' infuori di questi tre, permise di entrare in casa (Le 8,5 1 ). Gesù prende con sé gli stessi tre di­ scepoli per andare sul monte, dove si trasfigura davanti a loro (Mt 1 7, 1 ; Mc 9,2; Le 9,28). Lo stesso gruppo, a cui si aggiunge Andrea, chiede in disparte a Gesù quali saranno i segni della sua seconda venuta (Mc 1 3 ,3). Infine, gli stessi tre discepoli sono presenti a uno dei momenti più drammatici della storia evange­ lica, la preghiera di Gesù nel giardino del Getsemani (Mt 26,37; Mc 1 4,33). Forse, questa situazione privilegiata fu il motivo per cui i due fratelli Giacomo e Giovanni decisero (oppure la loro madre de­ cise) di rivolgersi a Gesù chiedendo arditamente i posti alla sua destra e alla sua sinistra. Con questa richiesta essi non solo si contrapponevano ai dodici, ma attentavan9 anche al primo po­ sto di Pietro nella comunità apostolica. Gesù fu costretto a cal­ mare i bollori dei due fratelli, e questo non fu l 'unico caso. 19

20

Cfr., in particolare: J. GNILKA, Das Evangelium nach Markus, p. 1 4 1 . BASILIO DI CESAREA, Omelie sui salmi 28, 3 (PG 29, 292); tr. it. p . l 05.

364

6. GESÙ E I DI SCEPOLI

Un altro episodio viene infatti riportato da Luca, che narra di come Giovanni e Giacomo, sdegnati perché in un villaggio sa­ maritano si erano rifiutati di accogliere Gesù, gli chiesero: «Si­ gnore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li con­ sumi, come fece Elia?» (Le 9,54). Il riferimento è all'episodio in cui, per comando di Elia, il fuoco incenerì un buon centinaio di soldati inviati dal re (2Re l , l 0. 1 2). Ma Gesù rispose loro: «Voi non sapete di che spirito siete» (Le 9,5 1 -55). In alcuni codici del Vangelo di Luca questa risposta manca, in altri viene riportata, in altri ancora si aggiunge: «poiché il Figlio dell'Uomo non è venuto a perdere le anime degli uomini, ma a salvarle» (Le 9,5 6)2 1 • Forse questo episodio divenne una delle cause per cui i due fra­ telli ricevettero da Gesù il soprannome di «figli del tuono». Come abbiamo ricordato poc 'anzi, la tradizione della Chiesa identifica Giovanni figlio di Zebedeo, fratello di Giacomo, con il discepolo senza nome che figura nel quarto Vangelo e si atte­ sta come suo autore. Se ci atteniamo a questa tradizione, oltre ad alcuni racconti in cui compare nei sinottici, Giovanni è pre­ sente in tutta una serie di episodi. L' assenza di questi episodi nei Vangeli sinottici, così come l'assenza nel quarto Vangelo dei rac­ conti in cui Giovanni figlio di Zebedeo figura nei sinottici, si spiega, come abbiamo detto, perché Giovanni scrive il suo Van­ gelo dopo gli altri: integra il materiale che manca nei sinottici, inserendovi, tra l 'altro, elementi che lo riguardano direttamente. L' identificazione del discepolo senza nome del quarto Vange­ lo con Giovanni figlio di Zebedeo significa che quest'ultimo, in­ sieme ad Andrea (ma senza il fratello Giacomo), era stato pre­ sente a uno degli incontri di Gesù con Giovanni Battista, aveva seguito Gesù e aveva trascorso la serata in casa sua (Gv 1 ,35-39). Presumibilmente, insieme ad alcuni altri discepoli era stato pre­ sente anche alle nozze a Cana di Galilea, alla successiva visita di Gesù a Cafamao e alla scena della cacciata dei mercanti dal tempio di Gerusalemme (Gv 2, 1 -22). Era, forse, uno dei disce­ poli di Gesù che erano vissuti e avevano battezzato con Lui in 21

Cfr. : Novum Testamentum graece, p. 1 76.

365

L' INIZIO DEL VANGELO

Giudea (Gv 3 ,22; 4, 1 -2). Giovanni fu probabilmente testimone dei colloqui di Gesù con Nicodemo (Gv 3 , 1 -2 1 ), con la samari­ tana (Gv 4,4-42), e anche dei successivi episodi descritti nel quar­ to Vangelo, compresa l 'Ultima cena, durante la quale poggiò il capo sul petto di Gesù (Gv 1 3 ,23). Oltre ad essere il discepolo che Gesù amava, era anche in stret­ ti rapporti d'amicizia con Pietro, e nei racconti dell 'autore del quarto Vangelo viene più volte menzionato insieme a Pietro. All' Ultima cena, proprio a lui Pietro fa cenno perché chieda a Gesù chi l'avrebbe tradito (Gv 1 3 ,24). Insieme a Pietro, Giovan­ ni entra nel cortile del sommo sacerdote (Gv 1 8, 1 5); insieme a Pietro corre al sepolcro vuoto (Gv 20,3-4); insieme a Pietro se­ gue Gesù e ode da Lui le misteriose parole circa il suo destino: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?» (Gv 2 1 ,22). Il ruolo del discepolo senza nome nel Vangelo di Giovanni non è in contrasto con il ruolo riservato dai sinottici a Giovanni, figlio di Zebedeo. Nei sinottici, Giovanni di Zebedeo fa parte dei tre discepoli più prossimi di Gesù, insieme a Pietro e Giaco­ mo. Anche nel quarto Vangelo il discepolo senza nome riveste un ruolo speciale, che in alcuni episodi condivide con Pietro.

Tommaso e Filippo Il Vangelo di Giovanni riporta una serie di episodi in cui fi­ gurano singoli discepoli, chiamati per nome. Tommaso, ricordato dai sinottici solo nell'elenco dei dodici, nel Vangelo di Giovanni appare in tre episodi in cui svolge un ruolo particolare. Nel primo, Gesù manifesta l' intenzione di andare in Giudea e i discepoli protestano, dicendogli: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù conferma le sue intenzioni, e allora Tommaso, volgendosi agli altri discepo­ li, dice: «Andiamo anche noi a morire con lui ! » (Gv 1 1 ,8- 1 6). Il presentimento dell 'avvicinarsi della fine in questo momento era 366

6. GESÙ E I DISCEPOLI

divenuto evidentemente abbastanza palpabile nella comunità dei discepoli, ma solo Tommaso è in grado di esprimerlo con tale chiarezza. Il secondo episodio si svolge durante l' Ultima cena. Qui Tom­ maso reagisce alle parole di Gesù: «E del luogo dove io vado, conoscete la via». Interrompendo il Maestro, Tommaso chiede: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gesù risponde: «lo sono la via, la verità e la vita. Nessu­ no viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 1 4,4-6). Infine, il terzo episodio si riferisce al periodo successivo alla resurrezione di Gesù. Il Vangelo di Giovanni è l 'unico a riporta­ re il racconto dettagliato di come Tommaso dubitasse che Gesù fosse risorto, e di come Gesù apparendo ai discepoli si rivolges­ se a Tommaso. Il racconto si conclude con le parole della con­ fessione di fede - unica nel suo genere - in Gesù come Dio, ri­ suonata sulle labbra dell'apostolo: «Mio Signore e mio Dio ! » (Gv 20,24-28). Certo, i tre episodi non sono sufficienti per conoscere l'indo­ le di Tommaso e le sue ricerche spirituali. Tuttavia, dimostrano alcune caratteristiche dell'apostolo. Vediamo che Tommaso ama sinceramente Gesù, è disponibile a condividere le sorti del Mae­ stro e a morire con Lui. Questo avvicina Tommaso a Pietro, che dice: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò» (Mt 26,35; Mc 1 4,3 1 ), oppure, nella versione di Luca: «Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte» (Le 22,33). Sentendo parlare della via che Gesù si appresta a percor­ rere, Tommaso cerca di capire di quale via si tratti. Infine, dopo la resurrezione di Gesù egli si trova fra i dubbiosi, ma dopo che Gesù gli dà la certezza della verità della resurrezione, è proprio Tommaso I 'unico fra tutti i discepoli a chiamare Gesù non sem­ plicemente Cristo o Figlio di Dio, ma Signore e Dio. Il Vangelo di Giovanni nomina quattro volte Filippo. La prima volta, nel racconto della chiamata degli apostoli e del dialogo di Gesù con Natanaele (che abbiamo già esaminato in precedenza). Una seconda volta Filippo compare nel racconto di come Ge­ sù saziasse cinquemila uomini con cinque pani e due pesci. Que367

L' INIZIO DEL VANGELO

sto episodio è riportato da tutti e quattro gli evangelisti, ma solo Giovanni riferisce il dialogo tra Gesù e Filippo: Gesù, alzati gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro ab­ biano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli in­ fatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Due­ cento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceveme un pezzm> (Gv 6,5-7).

La terza volta Filippo, «che era di Betsaida di Galilea>>, viene menzionato in relazione al desiderio di alcuni «Greci» di vede­ re Gesù. Filippo non si rivolge direttamente al Maestro: inizial­ mente ne parla con Andrea, e poi insieme ad Andrea riferisce la richiesta a Gesù (Gv 1 2,20-22). L'evangelista non spiega come mai Filippo non parlasse subito a Gesù della richiesta giunta, ma ritenesse necessario assicurarsi il consenso di Andrea. Questo particolare è un'ulteriore testimonianza del fatto che nella co­ munità dei discepoli di Gesù, i tre apostoli che provenivano dal­ la stessa città (Gv l ,44) continuavano a mantenere stretti rappor­ ti fra loro. Non dimentichiamo che le cittadine della Galilea men­ zionate nel Vangelo contavano poche centinaia di abitanti, cia­ scuno dei quali conosceva personalmente tutti gli altri (soprat­ tutto se facevano lo stesso mestiere o erano coetanei). Betsaida non faceva eccezione. La quarta volta Filippo appare nel racconto dell 'Ultima cena. Qui, facendo seguito a Tommaso, interrompe il discorso del Mae­ stro con la richiesta: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Ge­ sù risponde: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai co­ nosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire : "Mostraci il Padre"? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?» ( Gv 1 4,8- 1 0). A interrompere il discorso del Maestro all'Ultima cena sarà anche Giuda «non l 'Iscariota» (è l'unica volta in cui questo apo­ stolo viene menzionato singolarmente in tutto il corpus dei Van­ geli, oltre alle citazioni che ne vengono fatte nell 'elenco dei do368

6. GESÙ E I DI SCEPOLI

dici). Egli pone a Gesù la domanda: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?» (Gv 1 4,22). In tre dei quattro episodi riportati dal Vangelo di Giovanni in cui compare Filippo, Gesù dialoga con lui : nel primo e nel terzo caso di sua iniziativa, nel quarto, per iniziativa di Filippo. Sulla base di questi episodi è difficile poter parlare di un particolare rap­ porto che legasse Gesù e Filippo, oppure ritenere che Gesù lo di­ stinguesse in qualche modo all'interno del gruppo dei discepoli. Questi episodi vogliono significare piuttosto che Gesù non solo si rivolgeva ai suoi discepoli come a un gruppo unitario, ma non di rado entrava in dialogo con singoli esponenti di questo gruppo. E se nelle narrazioni dei sinottici l 'nterlocutore in quasi tutti i casi è Pietro, il quarto Vangelo tratteggia un quadro più variegato. Mentre i sin ottici (in particolare Matteo e Marco) sot­ tolineano che i discepoli non comprendono Gesù, hanno timore di interrogarlo, ne ricevono accuse e rimproveri, nel testo di Gio­ vanni i rapporti dei discepoli con il Maestro sono più armonio­ si : non lo temono, non temono di interrogarlo, se necessario ad­ dirittura interrompendolo mentre parla.

6. L'esortazione ai dodici

Tra i nostri compiti non rientra quello di tracciare le biografie dei dodici apostoli. Nel corso del racconto evangelico incontre­ remo più volte alcuni di essi, mentre altri non saranno più men­ zionati dagli evangelisti22• Poiché il nostro scopo è una ricostruzione completa, nella mi­ sura del possibile, della fisionomia di Gesù, la storia dell' elezio­ ne dei dodici apostoli ci pone un interrogativo fondamentale: perché li scelse, che cosa si aspettava da loro, a quale scopo con­ ferì loro il potere di cacciare i diavoli e di sanare le infermità? Per rispondere a queste domande dobbiamo volgerei al dialogo 22 L' intero elenco, a eccezione di Giuda il traditore, sarà nuovamente riportato negli Atti degli apostoli (cfr. At 1 , 1 3).

369

L'INIZIO DEL VANGELO

tra Gesù e i discepoli riportato dal Vangelo di Matteo subito do­ po il racconto della chiamata dei dodici (Mt l 0,5-42). Secondo molti studiosi, l'esortazione ai dodici riferita dal Van­ gelo di Matteo sarebbe in realtà una raccolta di affermazioni pronunciate da Gesù in momenti diversi23• Non si può esclu­ derlo, tanto più che in Marco ne troviamo solo un breve fram­ mento (Mc 6,7- 1 3) . Lo stesso frammento appare nel testo di Luca (Le 9, 1 -6), ma un' altra parte dell 'esortazione che secon­ do Matteo viene indirizzata ai dodici, in Luca è rivolta ai settanta (Le l O, 1 - 1 6), e un'altra parte ancora (Le 2 1 , 1 2- 1 9) è inserita nel dialogo di Gesù con i discepoli nel tempio di Gerusalemme. Questi paralleli, tuttavia, non stanno necessarìamente a indi­ care il carattere compilatori o della conversazione tra Gesù e i di­ scepoli riportata da Matteo. Si può supporre che Gesù impartis­ se insegnamenti analoghi a diversi gruppi di seguaci, e che Lu­ ca, che era un discepolo dei settanta, trascrivesse ciò che aveva udito dal Maestro quando questi conversava con essi, mentre Matteo trascrisse l ' esortazione rivolta ai dodici. Indipendentemente dal fatto che questa esortazione fosse rivol­ ta ai dodici in una sola volta o a più riprese, essa ci interessa nel suo insieme, perché ci fa comprendere i compiti che Gesù voleva affidare agli apostoli. Come il Discorso della montagna, anche que­ sta esortazione possiede un 'unitari età interiore, vi si scorgono i te­ mi trasversali e le ripetizioni tipiche del modo di parlare di Gesù.

«Non andate fra i pagani» L'esortazione ai dodici inizia, come gli altri ammaestramenti di Gesù (ad esempio, il Discorso della montagna), senza premes­ se o preamboli: Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Sarnaritani; ri­ volgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d 'Israele (Mt l 0,5-6). 23 Cfr., ad esempio: J.P. MEIER, A Margina[ Jew, vol. 3, p. 543.

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6. GESÙ E I DISCEPOLI

L'espressione «casa d'Israele», che si incontra ripetutamente nei libri dell'Antico Testamento, sta qui a indicare tutto il popo­ lo ebraico, a eccezione dei samaritani. L'espressione «non anda­ te fra i pagani» può essere intesa nel senso che i discepoli non devono recarsi negli insediamenti pagani, dislocati lungo la co­ sta del mare24• Gesù sottolinea che il compito principale degli apostoli è quello di predicare tra i fedeli ebrei. Gesù non circo­ scrive tuttavia la predicazione degli apostoli esclusivamente ad essi: si limita a dire che gli apostoli vadano «piuttosto» (JlàÀÀov) dalle pecore perdute della casa d'Israele, cioè rivolgano ad esse principalmente la loro attenzione. Dal territorio in cui doveva diffondersi inizialmente la mis­ sione degli apostoli non viene escluso solo il mondo pagano, ma perfino la Samaria. Osserviamo che questo è l 'unico punto del Vangelo di Matteo in cui si menziona la Samaria: basandosi sui Vangeli di Matteo e di Marco si potrebbe giungere alla conclu­ sione che Gesù e i suoi discepoli non fossero mai stati in Sama­ ria. In realtà, nel Vangelo di Luca si dice che poco prima di mo­ rire Gesù passando dalla Galilea alla Giudea aveva intenzione di visitare la Samaria, «e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l 'ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme» (Le 9,52-53). Si dice anche che in cammino verso Gerusalemme Gesù «attraver­ sava la Samaria e la Galilea» (Le 1 7, I l ). E solo dal Vangelo di Giovanni veniamo a sapere che sulla via dalla Giudea alla Gali­ lea Gesù, dovendo attraversare la Samaria, si fermò a conversa­ re con la donna al pozzo (Gv 4,4) e poi trascorse nella sua città due giorni, e in tal modo molti samaritani credettero in Lui (Gv 4,39-4 1 ). Dali ' insieme delle testimonianze evangeliche si evin­ ce che Gesù passò per la Samaria solo lungo il cammino dalla Galilea verso la Giudea o al ritorno, ma a differenza di queste due regioni, la Samaria non fu mai oggetto della sua predicazio­ ne, né della missione dei suoi discepoli. 24 W.F. ALBRIGHT, C. S. MANN, Matthew, p . 1 1 9.

37 1

L' INIZIO DEL VANGELO

Il fatto che Gesù metta l 'accento sulla predicazione tra gli ebrei, è confermato dal racconto dello stesso Vangelo di Matteo sulla donna cananea che supplicava Gesù di guarire sua figlia, mentre Egli inizialmente «non le rivolse neppure una parola». Poiché i suoi discepoli lo pregarono di esaudirla affinché se ne andasse, Egli disse: «Non sono stato mandato se non alle peco­ re perdute della casa d'Israele», aggiungendo: «Non è bene pren­ dere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Solo dopo che la donna gli ebbe detto umilmente: « È vero, Signore, eppure i ca­ gnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro pa­ droni», Egli guarì sua figlia dicendo : «Donna, grande è la tua fe­ de ! Avvenga per te come desideri» (Mt 1 5 ,2 1 -28). Lo stesso epi­ sodio è narrato da Marco, anche se nel suo racconto manca la frase «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d'Israele», e la donna è indicata come «di lingua greca e di origine siro-fenicia» (Mc 7,24-30). Le parole dette da Gesù in presenza della donna cananea coin­ cidono quasi letteralmente con le prime parole della sua esorta­ zione ai dodici. In questa coincidenza non si può non vedere un ' indicazione al fatto che, almeno in una certa fase, sia Gesù sia i suoi discepoli intendevano la missione come rivolta preva­ lentemente alla «casa d'Israele». L' idea dell'universalità di que­ sta missione si sarebbe fatta strada tra i discepoli solo molto più tardi, dopo la resurrezione di Gesù, e dopo aver preso coscien­ za, non senza l 'influsso di Paolo, del completo fallimento della loro predicazione tra gli israeliti, a fronte del successo trionfale dell' annuncio tra i pagani. In che senso Gesù chiama coloro a cui si rivolgeranno gli apostoli «pecore perdute»? Viene da pensare che si rispecchi qui un metodo che sarà tipico di Gesù nel corso di tutto il suo ministero pubblico. Egli riserva la sua attenzione principalmen­ te a reietti ed emarginati : pubblicani e peccatori, lebbrosi e pa­ ralitici, poveri e diseredati. Fra coloro con i quali avrà rapporto e da cui si lascerà accostare incontriamo anche una donna sor­ presa in adulterio (Gv 8, 1 0- 1 1 ), e una peccatrice (Le 7,37-39). Ai farisei e ai dottori della legge, che si sentivano i portatori 372

6. GESÙ E I DI SCEPOLI

della giustizia, dice: «l pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio» (Mt 2 1 ,3 1 ). Non possiamo non ricor­ dare qui le parole di Gesù, secondo cui «il Figlio dell 'Uomo è venuto a salvare ciò che era perduto» (M t 1 8 , I l ), e la parabola immediatamente successiva della pecorella smarrita, per salva­ re la quale il pastore lascia le altre novantanove ed esce a cer­ carla (Mt 1 8, 1 2- 1 3 ).

«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» Proseguendo l ' esortazione ai discepoli, Gesù ripete l ' appello a far penitenza, che aveva ripreso da Giovanni Battista. Ora que­ sto appello dovrà risuonare anche sulle labbra dei suoi discepoli: Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scaccia­ te i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavo­ ra ha diritto al suo nutrimento (M t l O, 7 - 1 0).

Sulle orme di Gesù, i suoi discepoli accompagneranno l ' an­ nuncio del Regno di Dio ai miracoli. Essi ricevono in dono da Lui il potere di compiere miracoli. Nelle parole di Gesù riecheggia la risposta che aveva dato ai discepoli di Giovanni Battista: «l ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i mor­ ti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo» (M t I l ,5). I Vangeli descrivono numerosi casi di guarigione e di liberazione dal demonio, come pure tre casi di resurrezione dai morti, ope­ rati da Gesù. Tuttavia, nei Vangeli non si dice che i suoi disce­ poli risuscitassero dei morti. Si ricorda soltanto che essi caccia­ vano i diavoli nel nome di Gesù (Le l O, l 7), e anche questo non riusciva loro sempre (Mt 1 7, 1 9). Solo dopo la sua resurrezione i discepoli riceveranno da Lui il potere non solo di operare gua373

L' INIZIO DEL VANGELO

rigioni, ma anche di risuscitare i morti, come narrano gli Atti de­ gli apostoli (At 9,36-4 1 ; 20,9- 1 2). L' espressione «gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» va intesa nel senso che l ' operato degli apostoli dev ' es­ sere gratuito : essi non debbono predicare né compiere miraco­ li per denaro. Nel contempo, Gesù afferma che «chi lavora ha diritto al suo nutrimento». Questo significa che, come ricom­ pensa per il loro lavoro, i discepoli possono ricevere cibo e ospitalità. Possono accettare offerte in denaro? Evidentemen­ te, sì. Nella comunità dei discepoli di Gesù c ' era una persona (Giuda Iscariota) che «teneva la cassa e prendeva quello che vi mettevano dentro» (Gv 1 2,6). Era dunque vietato predicare o operare guarigioni per denaro, ma non si vietava di accettare offerte. Proprio su tali principi la Chiesa si organizzò dopo la resur­ rezione di Gesù. Gli apostoli stroncarono duramente ogni ten­ tativo di fare commercio dei carismi divini, come testimonia la storia di Simon mago (At 8, 1 8-20). D ' altro canto essi ricor­ davano che «il Signore ha disposto che quelli che annunciano il Vangelo vivano del Vangelo» ( l Cor 9, 1 4), e raccoglievano attivamente offerte, stabilendo la regola che «quanti possede­ vano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli» (At 4,34-35). Il precetto della povertà viene riportato da Luca nella stessa forma di Matteo (Le 9,3-4), mentre nel testo di Marco, Gesù co­ manda ai discepoli «di non prendere per il viaggio nient' altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche» (Mc 6,8-9). La differenza sembra insignificante, ma il seguire la versione di Matteo significherebbe di fatto che Gesù esigeva dai suoi disce­ poli di camminare scalzi e addirittura vietava loro di usare il ba­ stone. Probabilmente, qui Marco è più vicino alla realtà: nella sua versione Gesù vieta ai discepoli di avere un intero «kit da viaggio», comprendente anche la borsa del denaro, ma non pre­ tende da loro un'eccessiva ascesi. 3 74

6. GESÙ E I DI SCEPOLI

La versione di Marco, inoltre, potrebbe celare un'allusione al precetto veterotestamentario su come si doveva consumare l ' agnello pasquale: «Ecco in qual modo lo mangerete: con i fian­ chi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta» (Es 1 2, 1 1 ) . La mensa pasquale nella tradizione ebraica era una commemorazione deli ' esodo del popolo di Israele dal­ l 'Egitto: la fretta con cui si doveva mangiare l ' agnello, tenendo il bastone in mano, doveva far riflettere i commensali sulla tran­ sitorietà dei beni terreni e simboleggiava la prontezza a seguire il richiamo del Signore in ogni momento. Questa stessa tensio­ ne doveva caratterizzare la missione degli apostoli: seguendo l ' appello di Gesù essi si recano a predicare, pronti a compiere ciò che Egli aveva loro comandato.

«Pace a questa casa» Le esortazioni proseguono, e Gesù impartisce ai discepoli una serie di consigli pratici. Questi semplici consigli indicano, in pri­ mo luogo, che la predicazione del Regno di Dio da parte degli apostoli dev' essere accolta liberamente e che ciascuno, ascol­ tando questa predicazione, deve operare la propria scelta a favo­ re del Regno di Dio oppure a favore di questo mondo: In qualunque città o villaggio entriate, domandate chi là sia de­ gno e rimanetevi finché non sarete partiti . Entrando nella casa, ri­ volgetele il saluto. Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi . Se qual­ cuno poi non vi accoglie e non dà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dei vostri pie­ di. In verità io vi dico: nel giorno del giudizio la terra di Sodoma e Gomorra sarà trattata meno duramente di quella città (Mt l O, 1 1 - 1 5).

Un saluto consueto ai tempi di Gesù era, probabilmente, l ' espressione «pace a questa casa», come il «pace a te» che in­ contriamo ripetutamente nelle pagine dell'Antico Testamento 375

L'INIZIO DEL VANGELO

(Gdc 6,23; 1 Sam 20,2 1 ; 1 Cr 1 2, 1 8; Sal 1 2 1 ,8; Dn 1 0, 1 9). Que­ sto saluto era rivolto a tutta la famiglia, e possiamo supporre che la predicazione degli apostoli si rivolgesse alle famiglie (di re­ gola, la famiglia composta di più persone viveva sotto uno stes­ so tetto). San Girolamo scrive: Si è servito qui della formula che per salutare usano gli ebrei e i siriani. L'espressione greca xaipe, che in latino corrisponde ad ave, in lingua ebraica e siriaca è salom lach (17 m7lli), oppure salom em­ mach (1�� C17lli), cioè «la pace sia con te». Il significato di questo precetto del Signore è pertanto questo: entrando in casa, augurate la pace all' ospite e, per quanto sta in voi, risolvete le liti e le discordie che troverete. Ma se nascerà incomprensione a vostro riguardo, voi avrete il merito di avere offerto la pace; a loro rimarrà la guerra che avranno voluto25•

La parola tl17lll siilom («pace») continua ancor oggi ad es­ sere usata come principale saluto nella lingua ebraica. Nell'An­ tico Testamento era uno dei concetti fondamentali : -

Per comprendere appieno l a realtà espressa dalla parola «pace», bisogna percepire tutto il profondo radicamento identitario celato per i semiti in questa parola . . . e che si avverte in tutta la B ibbia . . . L a parola ebraica Siilom deriva d a una radice che, a seconda dell' ap­ plicazione, può indicare l ' interezza, la pienezza (Gb 9,4) . . oppure la restaurazione delle cose nella loro precedente condizione, nella loro integrità . . . In forza di questo la pace biblica non è semplice­ mente un «pattm> che consente di vivere pacificamente, e non sol­ tanto un «tempo per la pace», contrapposto al «tempo per la guer­ ra» (Qo 3,8); indica un benessere nell'esistenza quotidiana, la con­ dizione di una persona che vive in armonia con la natura, con se stessa e con Dio26• .

La pace, secondo la Bibbia, è una benedizione divina: «Il Signore darà potenza al suo popolo, il Signore benedirà il suo 25 GIROLAMO, Commento al Vangelo di Matteo l, IO (PL 26, 64); tr. it. p. 85. 26 Dictionary o/Biblica/ Theo/ogy, p. 4 1 1 .

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6. GESÙ E I DISCEPOLI

popolo con la pace» (Sal 28, 1 1 ). Dio stesso è la sorgente della pace e si identifica addirittura con la pace (Gdc 6,24) . Le pa­ role che Gesù pone sulle labbra degli apostoli hanno anch 'es­ se in sé un elemento di benedizione : entrando in una casa, essi non si limitano a salutare i suoi abitanti, ma benedicono tutta la famiglia in nome di Dio. Se gli apostoli non vengono accol­ ti in questa casa, la benedizione ritorna a loro; se invece la pre­ dicazione degli apostoli viene ascoltata, la benedizione rimar­ rà su tutta la famiglia. L'espressione «scuotere la polvere», che si incontra una vol­ ta nell'Antico Testamento (ls 52,2), viene usata da Gesù per indicare la consuetudine di manifestare visibilmente il disac­ cordo con il comportamento o la reazione delle persone che vivevano in un determinato luogo. La menzione di Sodoma e Gomorra è un 'allusione alla narrazi one biblica della rovina di queste due città. L'uscire dei discepoli da una città in cui so­ no stati respinti è assimilabile alla partenza di Lot da Sodoma: Lot dovette lasciarla in fretta, senza guardarsi indietro (Gen 1 9, 1 7-28). L' espressione «giorno del giudizio», che si incontra più vol­ te nei Vangeli (M t 1 1 ,22.24; 1 2,36; Mc 6 , 1 1 ), rispecchia la con­ cezione cristiana del Giudizio universale con cui si concluderà la storia del mondo. Di questo giorno parla san Pietro : «Ora, i cieli e la terra attuali sono conservati dalla medesima Parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della rovina dei malvagi» (2Pt 3 ,7). L' insegnamento sul Giudizio universale è dettagliatamente esposto da Gesù in tutta una serie di esortazioni. Qui dobbia­ mo far notare che Egli pone la predicazione dei suoi discepoli in rapporto diretto con la sorte dei loro ascoltatori nell' eterni­ tà. Il fattore decisivo per determinare le sorti nell' aldilà di co­ loro che hanno ricevuto l ' annuncio del Vangelo è la presenza o l ' assenza in essi della fede in Gesù Cristo: «Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome de li 'unigenito Figlio di Dio» (Gv 3 , 1 8). 377

L'INIZIO DEL VANGELO

«Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» Gli ammaestramenti successivi hanno un carattere più gene­ rale e non riguardano tanto il primo viaggio missionario degli apostoli, da cui essi sarebbero tornati a breve, quanto in genera­ le il tipo di testimonianza che Gesù si attende dai suoi seguaci. Egli non promette loro alcun successo, al contrario, preannuncia un conflitto permanente tra essi e il mondo circostante : Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleran­ no nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quan­ do vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa di­ rete, perché vi sarà dato in quell 'ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alze­ ranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà sal­ vato (Mt 1 0, 1 6-22).

Da notare che, se all' inizio dell 'esortazione si parlava esclu­ sivamente della missione degli apostoli nell'ambiente ebraico, qui Gesù amplia notevolmente la prospettiva: si parla ora di una testimonianza davanti a governanti, re e pagani. Questo signifi­ ca che, secondo Matteo, fin dall' inizio del suo ministero Gesù prevedeva che la sua missione e la missione dei suoi discepoli sarebbe andata oltre la «casa d'Israele» e si sarebbe diffusa fra tutti i popoli. Nel contempo, Egli sottolinea il carattere conflittuale che que­ sta missione avrà fin dall'inizio, contrapponendosi alle norme in uso sia nel mondo ebraico che in quello pagano, suscitando irri­ tazione, astio, e causando dissapori familiari. Un rabbino giudeo del suo tempo, probabilmente, avrebbe promesso ai suoi disce­ poli beni di vario genere, avrebbe predetto il successo e insegna­ to come conseguirlo. Gesù invece non dice niente del genere. 378

6. GESÙ E I DISC EPOLI

Non promette ai discepoli né successo, né felicità nella vita per­ sonale, né benessere materiale, né conforto spirituale. Non pro­ mette riconoscimenti né da parte degli ebrei, né da parte dei pa­ gani, e neppure da parte dei parenti più prossimi. Possiamo solo immaginare la reazione suscitata nei discepoli da queste predizioni: È giusto meravigliarsi assai del fatto che essi, uomini timorosi, che non erano mai andati al di là di quel lago, presso il quale pesca­ vano, neli 'udire queste cose non scapparono via subito - scrive Gio­ vanni Crisostomo. - Non pensarono né dissero a se stessi: «Dove fuggiremo poi? Sono contro di noi i tribunali, i re, i governatori, le sinagoghe dei giudei, le popolazioni pagane, i governanti e i gover­ nati». Con quelle parole non indicò loro soltanto la Palestina e pre­ annunciò le sventure che in essa si sarebbero verificate, ma dischiu­ se loro anche le guerre che si sarebbero scatenate in tutta la terra, dicendo : «Sarete condotti davanti ai re e ai governatori», e facendo vedere che li avrebbe inviati successivamente come araldi anche per le genti P . .

Che cosa doveva costituire la principale motivazione per i di­ scepoli di Gesù? L'attesa della seconda venuta del Figlio dell'Uo­ mo? Gesù dice ai discepoli : «Quando sarete perseguitati in una città, fuggite i n un 'altra; in verità io vi dico: non avrete finito di percorrere le città d'Israele, pri­ ma che venga il Figlio dell'uomo» (Mt 1 0,23).

Se intese alla lettera, queste parole dovevano significare che la missione dei discepoli sarebbe stata breve e che la seconda venuta di Gesù li avrebbe trovati ancora in vita. Con ogni pro­ babilità, i discepoli intesero così le sue parole. Non a caso a Ge­ rusalemme, alla vigilia della sua morte, gli avrebbero chiesto : «Di ' a noi quando accadranno queste cose e quale sarà il segno 27 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 33, 3 (PG 57, 39 1 ); tr. it. 2, pp. 1 2 1 - 1 22.

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vol.

L'INIZIO DEL VANGELO

della tua venuta e della fine del mondo» (Mt 24,3). Una doman­ da analoga gli avrebbero fatto subito dopo la sua resurrezione: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?» (At l ,6). Nella Chiesa delle origini esisteva l ' idea che la venuta di Ge­ sù si sarebbe realizzata molto presto, forse mentre gli apostoli erano ancora in vita. Questa convinzione si basava in parte sull ' interpretazione letterale delle parole riportate, e in parte sulle parole da Lui pronunciate poco prima di morire: «Non pas­ serà questa generazione prima che tutto questo avvenga» (Mt 24,34). Nelle lettere apostoliche si dice: «La venuta del Signo­ re è vicina» (Gc 5,8); «La fine di tutte le cose è vicina» ( 1 Pt 4,7). San Paolo riteneva probabilmente che la venuta di Cristo si sarebbe realizzata mentre era ancora in vita : «Noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati» ( l Cor 1 5 ,5 1 ) ; «Ancora un poco, infatti, un poco appena, e colui che deve venire, verrà e non tarderà» (Eb 1 0,37). Nella prima lettera ai Tessalonicesi, Paolo scrive : «Noi, che viviamo e che saremo ancora in vita al­ la venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti . . . E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti in­ sieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in al­ to» ( l Ts 4, 1 5- 1 7). Tuttavia, con il passare del tempo la comunità cristiana giun­ ge a comprendere che la seconda venuta di Gesù sarebbe potuta avvenire in un futuro più lontano. Nella seconda lettera ai Tes­ salonicesi san Paolo prende addirittura in un certo senso le di­ stanze dalla sua prima lettera: «Riguardo alla venuta del Signo­ re nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghia­ mo, fratelli, di non }asciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lette­ ra fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente» (2Ts 2, 1 -2). E san Pietro nella sua seconda lettera risponde direttamente alla domanda: «Dov'è la sua venuta, che egli ha promesso?» (2Pt 3 ,4). Come dice l ' apostolo, «il Signore non ritarda nel compie380

6. GESÙ E I DISCEPOLI

re la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli in­ vece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si per­ da, ma che tutti abbiano modo di pentirsi». Pietro fa inoltre rife­ rimento alle lettere di Paolo, in cui «vi sono alcuni punti diffici­ li da comprendere, che gli ignoranti e gli incerti travisano, al pa­ ri delle altre Scritture, per loro propria rovina» (2Pt 3 ,9 1 4 1 6 ) La menzione che Pietro fa delle lettere di Paolo in relazione al tema della seconda venuta non lascia dubbi sul fatto che si trat­ ti in primo luogo delle due lettere ai Tessalonicesi, ed esattamen­ te dei passi in cui si parla dell'approssimarsi della venuta del Si­ gnore. Molte esortazioni di Gesù nei Vangeli possono essere inter­ pretate come riferite a diversi periodi temporali. Da un lato, Ge­ sù dice che attende i discepoli a breve. Dall' altro, negli avveni­ menti del futuro immediato sono comprese anche le sorti della Chiesa a venire. In questo senso le parole rivolte ai dodici si tra­ sformano nell 'esortazione di Gesù a tutti i suoi discepoli di tut­ ti i tempi a venire, e il rimando alla seconda venuta non fa che confermare il carattere atemporale di questo ammaestramento, la sua perenne attualità. .

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«Un discepolo non è più grande del maestro» Gesù prosegue dicendo che l' imitazione del Maestro non var­ rà ai discepoli alcun bene terreno né alcun riconoscimento: Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; è sufficiente per il discepolo diventare co­ me il suo maestro e per il servo come il suo signore. Se hanno chia­ mato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua fami­ glia! (Mt l 0,24-25).

Questa parte dell 'esortazione è costituita da una serie di afo­ rismi, che a prima vista non sembrano legati fra loro. Troviamo un parallelo letterale nel Vangelo di Giovanni, dove Gesù pro38 1

L' INIZIO DEL VANGELO

nuncia parole analoghe all' Ultima cena dopo aver lavato i piedi ai discepoli. Gli apostoli chiamavano Gesù Maestro, ed Egli lo accetta come una cosa doverosa: «Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono». Ma insiste sul fatto che la discepolanza consiste innanzitutto nella sua imitazione: «Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». E poi dice : «In verità, in verità io vi dico : un ser­ vo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato» (Gv 1 3 , 1 3 . 1 5- 1 6). Poco dopo, durante la stessa esortazione Egli ritorna nuovamente sull' immagine del servo e del padrone: «Ricordatevi della parola che io vi ho det­ to: "Un servo non è più grande del suo padrone". Se hanno per­ seguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra» (Gv 1 5 ,20). È un esempio di reiterazione della medesima affermazione, che ha un carattere di proverbio. Ad ogni ripetizione, tuttavia, essa acquista nuove sfumature di significato. Se nel primo caso Gesù cita il proverbio per sottolineare che i discepoli devono imitarlo, nel secondo si parla della possibile reazione della gen­ te alla loro missione. Il proverbio ha stessa sfumatura di signifi­ cato nel testo di Matteo: il discepolo non è più grande del mae­ stro, e se non hanno ascoltato il maestro non ascolteranno nep­ pure i discepoli; se nel maestro hanno sospettato l'azione di for­ ze demoniache, anche il discepolo susciterà gli stessi sospetti. Per capire che rapporto abbia il tema di BeelzebùF 8 con il te­ ma del maestro e dei discepoli, bisogna rammentare che i fari­ sei, secondo i Vangeli sinottici, accusarono ripetutamente Gesù di «non scacciare i demòni se non per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni». Al che Gesù rispondeva: «Ogni regno diviso in se stesso cade in rovina e nessuna città o famiglia divisa in se stes­ sa potrà restare in piedi . Ora, se Satana scaccia Satana, è diviso 28

Il tenn i ne «Beelzebùl» si incontra sci volte nei Vangeli sinottici, e sta a indicare il

diavolo. L' etimologia di questo tennine viene generalmente fatta risalire alla divinità ca­ nanea Baal ( l Re 1 8 , 1 6-40), sebbene esistano anche altre teorie su l i ' origine del tennine. Il nome di Beelzebùl si incontra in 2 Re l ,2, dove con questo nome è chiamato il «dio di Ekron», cioè un idolo pagano.

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6. GESÙ E I D ISCEPOLI

in se stesso; come dunque il suo regno potrà restare in piedi? E se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giu­ dici» (Mt 1 2,22-27; Mc 3,22-25). Per figli sono qui da intender­ si gli apostoli: a loro Gesù aveva dato il potere di risanare le in­ fermità e di scacciare i diavoli, che Egli stesso possedeva; alla generazione dei loro genitori appartenevano coloro che, metten­ do in dubbio la dignità divina di Gesù, lo accusavano di servirsi di forze demoniache.

«Non abbiate paura» La successiva serie di ammaestramenti, unificata dalla tripli­ ce esortazione «non abbiate paura», comincia con un concetto che Gesù ripete più volte: Non abbiate dunque paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascol­ tate ali ' orecchio voi annunciatelo dalle terrazze (Mt l 0,26-27).

Incontriamo un testo analogo in Luca nell'esortazione rivolta ai settanta (Le 1 2,2). Lo troviamo anche in Marco e Luca, nelle parole che seguono alla metafora, usata nel Discorso della mon­ tagna, della lampada posta sul candelabro (Mc 4,22; Le 8, 1 7). Questa affermazione va intesa nel senso che Gesù svela loro dei misteri che essi dovranno svelare agli uomini. Non a caso nel testo di Marco questa affermazione precede la formula «Se uno ha orecchi per ascoltare, ascolti ! » (Mc 4,23), e in quello di Luca segue una formula analoga (Le 8, 1 5) . Gesù usava questa formula, che si incontra complessivamente dieci volte nei sinottici, quando voleva sottolineare che le sue parole avevano un significato recondito, in particolare quando narrava delle parabole. Egli svelava separatamente il significato di alcu­ ne parabole ai discepoli, e molti dei suoi ammaestramenti erano 383

L' INIZIO DEL VANGELO

rivolti ai soli discepoli. Il loro compito consisteva nel rendere manifesto quanto Egli insegnava loro in segreto. Proseguendo il discorso, Gesù chiama i discepoli ad affidarsi alla volontà di Dio e a non temere né gli uomini, né le prove: E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non han­ no potere di uccidere l'anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l'anima e il corpo. Due pas­ seri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di es­ si cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi vale­ te più di molti passeri ! (Mt l 0,28-3 1 ).

Il termine «Geènna», che si incontra dieci volte nei Vangeli sinottici (otto volte in Matteo e due in Marco), indica la valle di Hinnom, a sud di Gerusalemme, dove ai tempi dei re Acaz e Ma­ nasse si celebravano sacrifici umani . Successivamente questa valle divenne la sede di un crematorio in cui si bruciavano i cor­ pi di uomini e di animali: di qui l'espressione «fuoco della Geèn­ na» (Mt 5 ,22; 1 8 ,9). Ai tempi di Gesù il termine veniva usato per indicare il luogo della punizione dopo la morte, dove «il lo­ ro verme non muore e il fuoco non si estingue» (Mc 9,48). Per «colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l ' anima e i l corpo», si intende Dio: è in suo potere condannare l 'uomo al sup­ plizio eterno. È Lui che devono temere i discepoli, e non gover­ nanti e sovrani terreni che hanno il potere di far perire solo i l corpo dell'uomo, e non la sua anima immortale. Quanto agli uccelli che si vendono per un soldo, abbiamo la seguente discordanza nel Vangelo di Luca: «Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: valete più di molti passeri ! » (Le 1 2,6 7). · Queste parole fanno parte di un ammaestramento che Gesù rivolge ai discepoli, mentre «si erano radunate migliaia di persone, al punto che si calpestavano a vicenda» (Le 1 2, l ). L'idea che senza la volontà di Dio non cade neppure un capello -

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6. GESÙ E I D I SCEPOLI

dalla testa dell 'uomo è presente anche nell'Antico Testamento ( l Sam 1 4,45 ; 2Sam 1 4 , 1 1 ; I Re 1 ,52). Gesù usa le stesse imma­ gini per rincuorare i discepoli: se Dio conosce il numero dei ca­ pelli sul capo di ciascun uomo e si preoccupa dei passeri, tanto più si preoccuperà di chi dona la propria vita per servirlo.

La professione pubblica di fede Successivamente, nelle parole di Gesù risuona un concetto da Lui ripetuto più volte in diversi contesti: Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch' io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rin­ negherà davanti agli uomini, anch 'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli (M t l 0,32-33).

Incontriamo riflessioni analoghe nel Vangelo di Marco: «In­ fatti quale vantaggio c'è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cam­ bio della propria vita? Chi si vergognerà di me e delle mie paro­ le davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell 'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc 8,36-38). In Luca trovia­ mo entrambe le varianti di Matteo (Le 1 2,8-9) e di Marco (Lc 9,25-26). Nella prima delle due, il «Padre celeste» è però sosti­ tuito dagli angeli di Dio. Perché bisogna professare la fede in Gesù pubblicamente, «da­ vanti agli uomini>>? La risposta a questa domanda riguarda l ' es­ senza della fede cristiana e la natura della Chiesa. La Chiesa non fu certo fondata da Gesù come una società segreta oppure per un uso interno. La concezione moderna della religione come que­ stione privata dei singoli individui è in profondo contrasto con la natura stessa del cristianesimo. Tutto il ministero di Gesù si svolse nello spazio pubblico. Egli chiamava i suoi discepoli pub­ blicamente, non in segreto. La vita sua e della comunità da Lui 385

L'IN IZIO DEL VANGELO

costituita si svolgeva sotto gli occhi di una moltitudine di perso­ ne, e il suo insegnamento risuonava non di rado davanti a mi­ gliaia di ascoltatori. Perfino quello che diceva ai suoi discepoli a tu per tu, «all'orecchio», essi avrebbero dovuto «predicarlo sui tetti» (Mt l 0,27). La professione pubblica di fede non si esige da tutti i disce­ poli senza eccezioni né in tutte le circostanze. Come abbiamo detto, fra i discepoli di Gesù ve n'erano alcuni che lo erano in segreto, per timore dei giudei. Il fenomeno del cristianesimo se­ greto è noto fin dai tempi di Gesù, e caratterizza in particolare le epoche di persecuzione della Chiesa. Ma un apostolo non può rimanere nel segreto. L'apostolo agisce sempre nello spazio pub­ blico e dev 'essere pronto a testimoniare la fede, se necessario, anche a prezzo della propria vita.

«Sono venuto a portare non pace, ma spada» La parte successiva dell 'esortazione riguarda il modo in cui la fede in Gesù può ripercuotersi nelle relazioni con il prossimo: Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a sepa­ rare l ' uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell 'uomo saranno quelli della sua casa (M t 1 0,34-36).

Nel Vangelo di Luca troviamo parole simili: «Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisio­ ne. D 'ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, sa­ ranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera» (Le 1 2,5 1 -53). Uno studioso contemporaneo, autore di una delle «biografie rivoluzionarie» di Gesù, ritiene che Gesù qui insorga contro lo 386

6. GESÙ E I DISCEPOLI

«sciovinismo patriarcale» tipico nell 'area del Mediterraneo a quest ' epoca. La famiglia-tipo comprendeva cinque persone: padre e madre, il loro figlio con la moglie e la figlia non spo­ sata; tutti vivevano sotto lo stesso tetto . La linea della divisio­ ne, osserva lo studioso, passa attraverso le generazioni : Gesù si scaglia contro la struttura familiare che presuppone il potere della vecchia generazione sulla giovane, dei genitori sui figli . Il suo ideale è il Regno di Dio, in cui non c ' è posto per abusi di potere29• Se si prende il testo alla lettera, la linea di divisione passa ef­ fettivamente tra le generazioni. Gesù non dice che è venuto a di­ videre il marito dalla moglie, il fratello dalla sorella; non dice che un marito che ami la moglie più di Lui, o una moglie che ami il marito più di Lui, non sono degni di Lui. Ma queste affer­ mazioni significano realmente che lo spartiacque passerà solo ed esclusivamente fra le generazioni? Dobbiamo osservare, innanzi tutto, che queste parole sono una parafrasi delle parole del profeta Michea: «Il figlio insulta suo padre, la figlia si rivolta contro la madre, la nuora contro la suo­ cera e i nemici dell'uomo sono quelli di casa sua» (Mi 7 ,6). Pro­ prio in questo testo il figlio è contrapposto al padre, la figlia al­ la madre, la nuora alla suocera. L'assenza di altri legami di pa­ rentela nella citazione può spiegare perché manchino anche nel discorso di Gesù. Inoltre, possiamo ricordare di nuovo le parole rivolte da Gesù ai discepoli : «Chiunque avrà lasciato case, o fra­ telli, o sorelle, o padre, o madre, o moglie, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 1 9,29). Qui, oltre agli esponenti della vecchia e nuo­ va generazione, compaiono anche esponenti della stessa gene­ razione (fratelli, sorelle, moglie). Il contesto generale dell'esortazione, rivolta ai discepoli che Gesù invia in missione, testimonia inequivocabilmente che il punto centrale del discorso è la fede in Lui, la prontezza a supe­ rare ogni ostacolo per poter annunciare i suoi insegnamenti. Tra 29 J.D. CROSSAN, Jesus, p. 67.

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L' INIZIO DEL VANGELO

questi ostacoli c'è il possibile rifiuto da parte dei parenti più pros­ simi. Come abbiamo visto, i parenti di Gesù, almeno inizialmen­ te, avevano recepito in maniera estremamente negativa la sua predicazione e la forma di vita da Lui scelta. Poiché «il discepo­ lo non è più del maestro», anche gli apostoli devono aspettarsi un'analoga reazione alla loro predicazione da parte dei parenti e delle persone di casa. Le parole sul fatto che Gesù è venuto a portare non la pace ma la spada nel mondo contrastano a prima vista con quanto ave­ va detto precedentemente riguardo alla pace che i discepoli avrebbero dovuto portare nella casa in cui entravano. Tenendo conto dell'immensa importanza che il concetto di «pace» aveva nella tradizione semita, questa affermazione di Gesù poteva es­ sere recepita dai suoi ascoltatori come una provocazione. Si po­ teva avere l 'impressione che Egli attentasse a uno dei valori fon­ damentali dell'esistenza umana, radicati in Dio stesso. Anche la famiglia veniva recepita come un valore assoluto, e un' ingeren­ za nella vita familiare che avesse come risultato un conflitto tra le generazioni non poteva essere valutata positivamente. In realtà, il discorso verte qui su un' altra questione, e la paro­ la «pace» non è usata nel senso della vita domestica. Non si trat­ ta dell 'ordinamento familiare, della vita familiare, delle relazio­ ni parentali. La spada che rescinde anche i legami familiari è la fede in Gesù, la prontezza a seguirlo. Gesù sta parlando dei casi in cui la fede si trasforma in fattore non di unità ma di divisio­ ne, cioè quando alcuni membri della famiglia accolgono il suo insegnamento, mentre altri vi si oppongono aggressivamente. L'immagine della spada verrà usata nella lettera agli Ebrei a proposito della parola di Dio: «Infatti la parola di Dio è viva, ef­ ficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell' anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4, 1 2). Qui la spada della parola di Dio è presentata come un fattore che affonda fin nella natura della singola perso­ na. Nella predicazione di Gesù la spada della fede opera questo affondo tra i membri della medesima famiglia. 388

6. GESÙ E l DISCEPOLI

«Chi ama padre o madre più di me

. . .

»

Le parole successive di Gesù rispecchiano un concetto su cui Egli probabilmente ritornava di frequente: Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me (Mt l 0,3 7).

Nel Vangelo di Luca parole analoghe, in forma ancora più ta­ gliente, saranno rivolte alla folla: «Se uno viene a me e non odia suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e per­ fino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Le 14,26). La differenza tra le due affermazioni consiste, innanzitutto, nel fatto che mentre Matteo parla ancora di due generazioni (padre, madre, figlio, figlia), Luca elenca esponenti di un'unica genera­ zione (moglie, fratelli, sorelle); inoltre, se nel testo di Matteo Gesù non consente di amare i parenti più di Lui, nel testo di Lu­ ca Egli invita ad odiar/i. In che modo. questi insegnamenti si conciliano con il quinto comandamento di Mosè: «Onora tuo padre e tua madre» (Es 20, 1 2 ; Dt 5 , 1 6)? Come si conciliano con il comandamento che Gesù definisce uno dei due più grandi di tutta la legge: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Mt 22,39 ; cfr. Lv 1 9, 1 8)? Gesù qui non attenta a immutabili valori umani, quali l' amore dei fi­ gli per i genitori e dei genitori per i figli? E in che modo l ' appel­ lo all 'odio (nella versione di Luca) può conciliarsi con il tipo di predicazione di Gesù, che pone al centro l' amore? Gesù stabilisce tra le persone dei legami spirituali basati sul­ l 'unità della fede, che superano i legami della parentela natura­ le. Questa concezione è pienamente rispecchiata nelle parole di esortazione ai discepoli che stiamo esaminando, come pure nel passo parallelo del Vangelo di Matteo. Non si possono estrapo­ lare le parole dal loro contesto. Qui si vuoi significare che, do­ vendo scegliere tra la fedeltà a Gesù e la fedeltà ai legami di pa­ rentela, il discepolo di Gesù accorderà la preferenza alla prima. Uno studioso contemporaneo offre questa interpretazione: «Nel389

L' INIZIO DEL VANGELO

la maggior parte dei casi le due cose sono compatibili. Odiare i propri genitori perché sono i genitori sarebbe mostruoso . . . Ma i seguaci di Cristo devono essere pronti, se necessario, a trattare ciò che è loro caro come se fosse oggetto di odio . . . Gesù, come spesso accade, enuncia un principio, e lo fa in forma molto ra­ dicale, lasciando agli ascoltatori il compito di riflettere come po­ terlo smussare»30• Nel suo commento al passo del Vangelo di Matteo esamina­ to, Giovanni Crisostomo cita anche il passo parallelo del Vange­ lo di Luca. Egli rende così il senso generale delle due afferma­ zioni: «Non ordina di odiare in senso assoluto, perché sarebbe assai iniquo, ma: Quando vuole essere amato più di me, odialo in questo»31 • Sant'Agostino descrive un dialogo immaginario, in cui un credente in Cristo rivolge ai genitori queste parole: «lo vi amo in Cristo, ma non vi amo in luogo di Cristo. Siate con me in lui, ma non io con voi senza di lui»32• Entrambi i testi, in mo­ do diverso, rispecchiano la situazione preannunciata da Gesù e verificatasi più volte nell 'esperienza dei suoi seguaci nel corso dei secoli, di persone cioè che si trovano a dover scegliere tra Lui e i propri cari. Si tratta anche di una giusta, dal punto di vista di Gesù, distri­ buzione delle priorità: la disponibilità a seguirlo dev'essere più forte di ogni affetto terreno, compresi i legami di parentela. Di questo si parla nell'episodio in cui uno di coloro che Gesù ave­ va invitato a seguirlo, gli dice: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre» (M t 8,2 1 ). Secondo la versione di Luca, Gesù risponde: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va' e annuncia il regno di Dio» (Le 9,60). Luca riporta anche la risposta di Gesù a un uomo che gli chiede il per­ messo di congedarsi da quelli di casa: «Nessuno che mette ma­ no all' aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio» (Le 9,6 1 -62). È interessante che in entrambe le risposte al cen30 A. PLUMMER, A Critica/ and Exegetical Commentary on the Gospel ofLuke, p. 364. 31 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 35, l ( PG 57, 407); tr. it. vol. 2, p. 1 53 . 3 2 AGOSTINO, Discorsi 65/A, 5 .

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6. GESÙ E I D I S C EPOLI

tro dell 'attenzione sia il Regno di Dio. Proprio esso è la realtà a cui non si può anteporre nessun affetto terreno.

«Chi non prende la propria croce

. . .

»

Nella parte successiva dell 'esortazione ai discepoli viene no­ minata per la prima volta nel Vangelo la «croce»: Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà per­ duto la propria vita per causa mia, la troverà (Mt l 0,3 8-39).

Alcuni studiosi ritengono che la menzione della croce sia un'aggiunta redazionale alle parole di Gesù, fatta dall'evangeli­ sta alla luce della storia della crocifissione e anche sotto l 'influs­ so della «teologia della croce» di san Paolo. Niente impedisce, tuttavia, di intendere le parole di Gesù come una profezia della sua via crucis : «l tempi erano tali, che difficilmente Gesù non avrebbe potuto prevedere la fine violenta della sua missione . . . Già da molto tempo la crocifissione era diventata i l simbolo del­ la morte violenta»33• Che i condannati a morte dovessero porta­ re da sé la croce, anche questo era un fatto notorio. Aggiungiamo che l ' espressione «portare la propria croce» si incontra più volte nel discorso diretto di Gesù (Mt 1 6,24; Mc 8,34; Le 9,23 ; 1 4,27). Evidentemente, Egli usava l 'immagine del condannato a morte che porta la croce sulle spalle per avvertire dei rischi che correva chi voleva seguirlo. Le parole di Gesù sulla vita che l 'uomo può tenere per sé o può perdere rappresentano una delle sue affermazioni caratteri­ stiche: la incontriamo con lievi varianti altre quattro volte nei Vangeli sinottici (Mt 1 6,25 ; Mc 8,3 5 ; Le 9,24; 1 7,33). Il Vange­ lo di Giovanni riporta l 'affermazione di Gesù in questa forma: «Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in 33 W.F. ALBRIGHT, C.S. MANN, Matthew, p. 1 32.

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questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 1 2,25). Ci sembra che la versione di Giovanni offra la chiave di compren­ sione del senso delle parole di Gesù: non bisogna restare attac­ cati alla vita terrena a qualunque prezzo; chi sacrifica la vita tem­ porale per Lui, la conserverà per la vita eterna.

La ricompensa Concludendo la lunga esortazione ai discepoli, Gesù parla del­ la ricompensa che attende coloro che accettano la predicazione degli apostoli: Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d'acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa (Mt l 0,40-42).

La prima frase del testo citato si incontra in forma diversa nei Vangeli di Luca e Giovanni (Le 1 0, 1 6; Gv 1 3 ,20); la parte centrale, solo in Matteo; la frase finale compare anche in Mar­ co (Mc 9,4 1 ). Prestiamo attenzione al fatto che Gesù non promette alcuna ricompensa ai propri discepoli per l ' opera missionaria a cui li invia, al contrario Egli promette loro affanni, sofferenze, perse­ cuzioni e morte. Qui invece la parola «ricompensa» si incontra tre volte, in riferimento a coloro che accolgono i profeti e gli apostoli . Osserviamo che nel Discorso della montagna il termine «ri­ compensa» viene usato da Gesù prevalentemente per indicare il premio che l 'uomo riceve direttamente dal Padre celeste (Mt 5, 1 2 .46; 6, 1 .4-6. 1 6- 1 8). Egli promette questa ricompensa non solo agli apostoli, ma a tutte le generazioni successive di coloro che crederanno in Lui grazie al loro annuncio. 392

6. GESÙ E I DISCEPOLI

7. I discepoli che non fanno parte dei dodici

Oltre ai dodici apostoli, Gesù aveva anche altri discepoli: di essi facevano parte i settanta ricordati da Luca; le donne, di cui parlano tutti e quattro gli evangelisti; una serie di altri personag­ gi indicati per nome o rimasti anonimi.

I settanta Luca è l'unico degli evangelisti a ricordare che, oltre ai dodi­ ci, in seguito Gesù scelse altri settanta discepoli: Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e l i inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro : «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai ! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe ! (Le 1 0, 1 -2).

In un gran numero di codici si parla di settantadue discepoli anziché settanta. Su questa base, nelle edizioni critiche contemporanee del Nuo­ vo Testamento la cifra «settantadue» figura nel testo (e non nel­ le note al testo, come avviene nelle letture meno autorevoli), ma la parola «due» è entro parentesi quadre34• Tale risoluzione è sta­ ta presa dalle Società Bibliche Riunite sotto l 'influsso del mas­ simo specialista di testologia neotestamentaria K. Aland, che ri­ teneva «settantadue» la lettura originale, e «settanta» il prodotto di una correzione armonizzatrice dei copisti, desiderosi di ricon­ durre una cifra che non aveva un valore simbolico o sacro, ad una che invece lo possedesse35• Se il numero dodici corrispondeva alle dodici tribù di Israele, il numero settanta corrisponde ai settanta anziani scelti da Mosè 34 Novum Testamentum graece, p. 1 77. 35 J.A. FITZMYER, The Gospel according to Luke (l-IX), p. 845.

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tra i figli di Israele (Es 24, l ; Nm 1 1 , 1 6.24 ), o ai settanta discen­ denti di Giacobbe (Es 1 ,5 ; Dt 1 0,22)36• La tradizione della Chiesa, tuttavia, ha conservato la dicitura di settanta, e non settantadue apostoli. Tra essi vi sono gli evan­ gelisti Marco e Luca, e anche alcune persone menzionate da san Paolo nelle sue lettere oppure destinatarie di tali missive. L' insegnamento impartito da Gesù ai settanta coincide in buona parte con ciò che, secondo Matteo e Luca (Mt l 0,9- 1 6; Le 9, 1 -6), aveva detto ai dodici: Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non por­ tate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite : «Pace a que­ sta casa!». Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangian­ do e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all 'altra. Quando entrere­ te in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offer­ to, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: « È vicino a voi il regno di Dio». Ma quando entrerete in una città e non vi accoglie­ ranno, uscite sulle sue piazze e dite : «Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi ; sappiate però che il regno di Dio è vicinO}}. Io vi dico che, in quel giorno, Sodoma sarà trattata meno duramente di quella città (Le l 0,3 - 1 2).

Le differenze di questa esortazione rispetto a quelle rivolte ai dodici consistono nelle indicazioni di non fermarsi a salutare nessuno lungo la strada, di non passare di casa in casa e di man­ giare tutto ciò che viene offerto. La consuetudine di salutare i viaggiatori che si incontrano è ancor oggi ampiamente diffusa nel Medio Oriente. La rinunzia a tale consuetudine va intesa nel contesto generale dell' invito a concentrarsi sul mandato missio­ nario. Non fermarsi a salutare lungo la strada significa non di36 Secondo alcuni manoscritti de l i ' Antico Testamento, i discendenti di Giacobbe sa­ rebbero settantacinque.

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6. GESÙ E I DISC EPOLI

strarsi con obiettivi estranei, non sprecare parole con passanti casuali : tutti i rapporti devono essere subordinati allo scopo per il quale Gesù invia i discepoli nel mondo. Vale la pena di ricor­ dare ciò che il profeta Eliseo disse al suo servo Giezi, quando venne a sapere della morte del figlio della vedova di Sunem: «Cingi i tuoi fianchi, prendi in mano il mio bastone e parti. Se incontrerai qualcuno, non salutarlo; se qualcuno ti saluta, non ri­ spondergli» (2Re 4,29). Luca inserisce nell ' esortazione ai settanta i rimproveri rivol­ ti alle città che non avevano creduto in Gesù: Corazin, Betsai­ da e Cafamao (Le 1 0, 1 3 - 1 5). L'esortazione si conclude con le parole : «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprez­ za me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato» (Le l O, 1 6). Parole simili in differenti varianti compaiono anche nei testi degli altri evangelisti (Mt 1 0,40; Gv 1 3 ,20). Senza menzionare come si fosse svolta la missione dei settan­ ta apostoli, Luca narra di come essi tornassero da Gesù dando­ gli un resoconto del proprio operato : I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Ve­ devo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la po­ tenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, per­ ché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolen­ za. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Fi­ glio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al qua­ le il Figlio vorrà rivelarlo». E, rivolto ai discepoli, in disparte, dis­ se: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascolta­ rono» (Le 1 0 , 1 7-24). 395

L' INIZIO DEL VANGELO

Le parole su Satana che cade dal cielo vanno considerate nel contesto generale della lotta tra Gesù e il diavolo, che trova eco nelle pagine dei quattro Vangeli. Il verbo «vedevo», al passato, può indicare un avvenimento trascorso, ad esempio la vittoria di Gesù sulle tentazioni del diavolo nel deserto. Abbiamo già ripor­ tato questa interpretazione di tali parole. Tuttavia, potrebbe trat­ tarsi anche di una visione profetica37, riguardante la vittoria de­ finitiva sul diavolo, che sarebbe avvenuta attraverso la morte e resurrezione di Gesù. Pensando al contesto missionario dell ' esor­ tazione, si può pensare che Gesù vedesse i suoi discepoli parte­ cipi di questa vittoria, poiché essi avrebbero continuato la sua opera sulla terra. Che lo sguardo di Gesù sia fisso nel futuro, lo testimoniano anche le parole : «Ecco, io vi ho dato il potere di camminare so­ pra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico». Es­ se richiamano la predizione di Gesù dei segni che accompagne­ ranno quanti credono in Lui : «Nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpen­ ti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno» (Mc 1 6, 1 7 - 1 8). Evidentemente, discorrendo con i settanta, Gesù non parla solo della loro missione nell 'immediato futuro, ma anche della missione delle generazioni future dei suoi discepoli nel cor­ so dei secoli. Le espressioni «in quel tempo» oppure «in quell 'ora», usate rispettivamente da Matteo e Luca (Mt I l ,25 ; Le 1 0,2 1 ), posso­ no indicare un mutamento di situazione o di destinatario : attra­ verso queste parole gli evangelisti introducono avvenimenti che hanno a che fare con l 'episodio precedente, ne sono una conti­ nuazione logica ma non necessariamente ne fanno parte. Le pa­ role rivolte da Gesù al Padre vengono riportate dai due evange­ listi in contesti differenti, ma in entrambi i casi sono separate da ciò che viene prima mediante le espressioni «in quel tempo» op­ pure «in quell' ora». 37 J.B. GREEN, The Gospel ofLuke, p. 4 1 9.

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6. GESÙ E I D I SCEPOLI

Secondo Luca, dopo la preghiera al Padre, Gesù interpella nuovamente i discepoli . Le parole che rivolge loro («Beati i vostri occhi perché vedono . . . »), nel testo di Matteo sono parte dell' insegnamento in parabole (Mt 1 3 , 1 6- 1 7). In questo conte­ sto hanno lo scopo di spiegare perché Gesù parla al popolo in parabole, e ai discepoli spiega separatamente il significato del­ le parabole. Quanto ai rimproveri alle città dove Gesù non era stato accolto, nel Vangelo di Matteo essi sono inseriti nell ' in­ segnamento che Gesù impartisce al popolo dopo l ' esortazione ai dodici (Mt I l , l . 7-24 ). Questo insegnamento si conclude con le parole che Luca inserisce nel l ' ammaestramento ai settanta (M t 1 1 ,25-28). Armonizzare il materiale di Matteo e di Luca crea notevoli difficoltà agli studiosi che partono dal fatto che Gesù non si ri­ peteva mai. In questo caso, la presenza della medesima afferma­ zione in due diversi episodi nei due evangelisti viene interpreta­ ta in termini di dipendenza letteraria: Luca deve averla desunta da Matteo (o viceversa). In realtà, le storie dei dodici apo!_;toli e dei settanta discepoli sono un'evidente conferma del fatto che Gesù avrebbe potuto ri­ petere le medesime parole in differenti contesti. Questa ripeti­ zione è più che naturale in una situazione in cui il Maestro dap­ prima impartì il suo insegnamento a un gruppo di discepoli, e poi a un altro. Se i due gruppi avevano la medesima missione, perché non avrebbero potuto ricevere istruzioni simili o identi­ che? Un ulteriore argomento a favore di tale ipotesi è la presen­ za nel Vangelo di Luca di due esortazioni diverse, ma simili per contenuto: l ' una rivolta ai dodici (Le 9,3-6), l 'altra rivolta ai set­ tanta (Le 1 0,4- 1 1 ). Che cosa significano le parole: «Ti rendo lode, o Padre, Si­ gnore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli»? Chi sono questi piccoli? Secondo Giovanni Crisostomo, Gesù chiama sapienti e dotti gli seri bi e i farisei, ma, «chiamandoli sapienti non par­ la della vera e lodevole sapienza, ma di quella che essi crede­ vano di avere per la loro bravura)). Per piccoli sono invece da 397

L'INIZIO DEL VANGELO

intendersi i semplici e ingenui pescatori, che Gesù fece suoi aposto li 3 8• La successiva affermazione, che coincide quasi completamen­ te in Matteo e in Luca, ha molti paralleli in altri passi, anche nel Vangelo di Giovanni : Tutto è stato dato a me dal Padre mio . . .

A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra (Mt 28, 1 8). Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa (Gv 3 ,35).

e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo (Le l 0,22; cfr. Mt 1 1 ,27).

Così come il Padre conosce me e io conosco il Padre (Gv 1 0, 1 5). Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato (Gv 1 , 1 8). Chi ha visto me, ha visto il Padre (Gv 1 4,9).

Si parla qui non della consueta conoscenza e visione umana, ma di una conoscenza e visione di un genere particolare. Il Fi­ glio conosce il Padre come Dio, e il Padre conosce il Figlio co­ me Dio: la fede in Gesù come Dio schiude all 'uomo la possibi­ lità di conoscere e vedere il Padre. Questa è la conoscenza che Dio ha nascosto ai sapienti e ai dotti, ma ha rivelato ai piccoli, ai suoi illetterati discepoli.

I discepoli nascosti Gesù aveva dei discepoli nascosti. Uno di essi appare in tutti e quattro i Vangeli nel racconto della sepoltura di Gesù. Matteo 38 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 38, l (PG 57, 429); tr. it. vol. 2, pp. 1 97- 1 98.

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6. GESÙ E I DISC EPOLI

lo definisce «un uomo ricco, di Arimatea, chiamato Giuseppe; anche lui era diventato discepolo di Gesù» (Mt 27,57). Nel testo di Marco, Giuseppe era un «membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch'egli il regno di Dio» (Mc 1 5,43), in quello di Lu­ ca era un «membro del sinedrio, buono e giusto. Egli non aveva aderito alla decisione e ali ' operato degli altri . . . aspettava il re­ gno di Dio» (Le 23,50-5 1 ). Giovanni lo chiama «discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei» (Gv 1 9,38). All'in­ fuori di questo episodio, Giuseppe non viene più menzionato nei Vangeli. Nel testo di Giovanni, nella scena della sepoltura, accanto a Giuseppe appare anche un altro personaggio, «Nicodemo, quel­ lo che in precedenza era andato da lui di notte» (Gv 1 9,39). La conversazione notturna di Gesù con Nicodemo è raccontata nel terzo capitolo del Vangelo di Giovanni, che inizia con le parole: «Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodemo, uno dei capi dei Giudei» (Gv 3 , 1 ) . Da questa menzione e dalla successiva conversazione non è chiaro se Nicodemo fosse un discepolo di Gesù: qui appare piuttosto come uno dei farisei che si interessa­ vano ali' insegnamento di Gesù. Tuttavia, a differenza degli altri farisei, che disputavano con Gesù durante il giorno e pubblica­ mente, Nicodemo viene da lui di notte, e questo testimonia il suo desiderio di parlare con il Maestro a tu per tu, senza la presenza degli altri. Dopo questo dialogo, Nicodemo appare ancora due volte sul­ le pagine del quarto Vangelo: tenta inutilmente di convincere i farisei a non condannare Gesù senza averlo prima ascoltato (Gv 7,50-5 3), e poi partecipa alla sepoltura di Gesù. Questi due pas­ si testimoniano che, qualora Nicodemo inizialmente non fosse stato un discepolo di Gesù, serbò tuttavia una consonanza con Lui, e forse alla fine divenne anche suo discepolo. D 'altro can­ to, come Giuseppe di Arimatea, preferiva mantenere nascosto il suo rapporto con Gesù. Nella tradizione della Chiesa i due discepoli nascosti - Giu­ seppe e Nicodemo - sono venerati come santi, e vengono appel­ lati «giusti». 399

L'INIZIO DEL VANGELO

Zaccheo Un altro discepolo di Gesù, il cui nome è stato inserito anch'es­ so nel calendario liturgico con l' appellativo di «giusto», è Zac­ cheo. Lo conosciamo solo attraverso il Vangelo di Luca: Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand'ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano : « È entrato in casa di un peccatore ! » . Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Og­ gi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch'egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduta» (Le 1 9, 1 - 1 0).

Questo racconto è un caso particolare nell' intero corpus dei Vangeli. Non avvengono miracoli, di cui sono piene le pagine evangeliche; non ci sono né guarigioni, né vengono cacciati de­ moni, né viene offerto alcun segno che meriti attenzione. Proba­ bilmente, durante la vita terrena di Gesù vi furono molte storie di questo genere, dal momento che la folla lo circondava conti­ nuamente. Ma gli evangelisti, tranne rare eccezioni, non hanno conservato testimonianze degli incontri non accompagnati da miracoli. La storia di Zaccheo rappresenta appunto una di que­ ste eccezioni. Nella vicenda narrata c'è un elemento comico. Un uomo di bassa statura si arrampica su un albero per veder passare Ge­ sù, questo era l 'unico modo per vedere qualcosa oltre alle schie­ ne di chi lo circonda. D ' altra parte, Zaccheo non era un sem­ plice esattore delle tasse, come Levi Matteo. Era il «capo dei pubblicani», e quindi aveva alle sue dipendenze degli uomini 400

6. GESÙ E I DISCEPOLI

dai quali doveva esigere rispetto. Inoltre, in quanto pubblica­ no, era un fiancheggiatore degli occupanti, e quindi era disprez­ zato dal suo popolo. Per una persona adulta, agiata, di tale posizione, arrampicarsi su un albero come un ragazzino sotto gli occhi della folla signi­ ficava attirare la curiosità degli astanti, diventare oggetto di bef­ fe e pettegolezzi . Ma Zaccheo non presta la minima attenzione alle inevitabili conseguenze del suo gesto. È tutto concentrato su Gesù che gli passa accanto. Si arrampica sull 'albero perché per lui è importante vederlo con i propri occhi, e non semplice­ mente udire quanto si diceva di Lui. ' E la sua solerzia trova piena ricompensa: non solo vede Gesù passare lì accanto, ma attira la sua attenzione. Gesù capisce im­ mediatamente perché Zaccheo si è arrampicato sull'albero, qua­ le potenziale di fede si cela in questo insolito gesto. E lo chiama per nome, cosa che né Zaccheo, né quelli che lo circondavano potevano aspettarsi, e gli dice che ha intenzione di recarsi a ca­ sa sua. Il recarsi di Gesù a casa di un pubblicano, un peccatore, su­ scita mormorazioni. Sebbene l ' evangelista le descriva come la reazione di «tutti», il lettore capisce che dietro tali mormorazio­ ni c'erano in primo luogo i farisei, che accusavano ripetutamen­ te Gesù di «mangiare insieme ai pubblicani e ai peccatori» (Mt 9, 1 1 ) . Ma né Gesù né Zaccheo prestano attenzione a tali com­ menti. Felice che Gesù venga a casa sua, Zaccheo promette di cambiar vita: di dare al poveri «metà di ciò che possiede», e di restituire quattro volte tanto a coloro a cui ha fatto torto. Essendo ricco, Zaccheo sapeva bene come contare i soldi. Per­ fino sull' onda dello slancio emotivo, non promette di dare ai po­ veri tutti i suoi beni, come Gesù avrebbe proposto di fare al gio­ vane ricco (Mt 1 9,2 1 ; Mc l 0,2 1 ; Le 1 8,22). Quanto alla promes­ sa di restituire il quadruplo, qui il calcolo si basa sulla prescri­ zione della legge di Mosè, che ordinava di ripagare con quattro pecore ogni pecora rubata (Es 22, l ). Ma anche questo basta per la salvezza, che Gesù annuncia a Zaccheo e alla sua «casa» (fa­ miglia). Lo slancio del capo dei pubblicani trova eco nel cuore 40 1

L' INIZIO DEL VANGELO

di Gesù, che non esige da lui niente di più di quanto sia in gra­ do di dare. Il Vangelo di Luca non dice nulla delle sorti successive di Zac­ cheo, e gli Atti non menzionano il suo nome. Secondo la tradi­ zione della Chiesa, dopo la resurrezione di Gesù, Zaccheo fu eletto vescovo di Cesarea in Palestina. Secondo quanto asserisce un'opera attribuita a Clemente Romano, egli accompagnò san Pietro, predicò la buona novella a Roma e ricevette il martirio sotto l'imperatore Nerone39• Il racconto di Zaccheo viene letto nella Chiesa ortodossa quat­ tro domeniche prima dell' inizio della Quaresima, e apre la serie delle letture evangeliche dedicata al pentimento: nelle successi­ ve tre domeniche si leggono le parabole del Vangelo di Luca del pubblicano e del fariseo (Le 1 8,9- 14) e del figliol prodigo (Le 1 5 , 1 1 -32), e inoltre l 'insegnamento sul Giudizio universale trat­ to dal Vangelo di Matteo (Mt 25,3 1 -46). La storia di Zaccheo di­ viene così il primo anello nella sequenza di quattro letture volte a preparare i credenti alla Quaresima come tempo di profondo pentimento, di revisione dei punti di riferimento della vita, di preghiera e di attiva pratica delle virtù. Secondo l ' insegnamento della Chiesa, il digiuno non consiste solo nell'astenersi dal cibo. In uno degli inni che si cantano all'ini­ zio della Quaresima, si dice: Digiunando corporalmente, o fratelli, digiuniamo anche spiritual­ mente: sciogliamo ogni catena iniqua, spezziamo i vincoli dei con­ tratti duri ; laceriamo ogni obbligazione ingiusta: diamo pane agli affamati e facciamo entrare in casa i poveri senza tetto, per ricevere dal Cristo Dio la grande misericordia40•

Ciò che promette di fare Zaccheo corrisponde appieno al to­ no di questi appelli. 39 CLEMENTE ROMANO, Recognitiones l, 20, 73-74; 3, 66 (PG l, 1 2 1 7, 1 247- 1 248, 1 3 1 1 ) ; RuFINO DI AQUILEIA, Prefatio ad Clementis Recognitionum (PG l, 1 207- 1 208). 40 Triodion quaresimale, Stichirà al «Signore a te ho gridato)), vespero del mercole­ dì della prima settimana di Quaresima.

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6. GESÙ E I DISCEPOLI

Forse, non a caso il digiuno viene citato come una delle vir­ praticate dal fariseo nella parabola del pubblicano e del fari­ seo. Il legame tra la storia di Zaccheo e questa parabola si rile­ va non solo nel calendario liturgico, ma anche nel Vangelo di Luca. Le virtù elencate dal fariseo durante la sua preghiera a Dio comprendono il digiuno (completa astinenza dal cibo dall' alba al tramonto) due volte alla settimana e la decima di tutto ciò che guadagna. Zaccheo non promette di osservare il digiuno, ma di rinunziare in favore dei poveri alla metà di ciò che possiede (e non solo alla metà di ciò che acquisterà in futu­ ro), e di rifondere tutti quelli che ha derubato. Agli occhi di Ge­ sù questi propositi sono più preziosi di tutta la giustizia ostenta­ ta dai farisei, che suscitava in Lui solo un'aspra critica (Mt 5,20; 6,2.5 . 1 6 e passim). tù

Le donne Nei racconti di tutti e quattro gli evangelisti compaiono più volte figure di donne che seguono Gesù. Matteo dice che presso la sua croce «vi erano anche molte donne, che . . . avevano segui­ to Gesù dalla Galilea per servirlo» (Mt 27,55). Nel passo paral­ lelo di Marco se ne parla in modo più particolareggiato : «Vi era­ no anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo ser­ vivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme» (Mc 1 5,40-4 1 ). In entrambi i casi viene usato il verbo «servire» (ùta.KovÉw ), per indicare che le donne prestavano in vari modi aiuto a Gesù e ai suoi discepoli nelle faccende quotidiane. Il Vangelo di Luca cita anche un altro ruolo sostanziale svol­ to dalle donne che circondavano Gesù41 • Anche in questo caso viene usato il verbo «servire»: 4 1 S u l ruolo delle donne nel Vangelo d i Luca, cfr. : Gospels, pp. 1 98-208.

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R.

SCHNAKENBURG, Jesus i n the

L'INIZIO DEL VANGELO

In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e an­ nunciando la buona notizia del regno di Dio. C ' erano con lui i Do­ dici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da in­ fermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Su­ sanna e molte altre, che li servivano con i loro beni (Le 8, 1 -3).

L'espressione «servire con i loro beni» indica che alcune del­ le donne che seguivano Gesù mettevano a disposizione le pro­ prie risorse materiali per la sua causa. Almeno una delle tre don­ ne elencate, moglie dell' amministratore del re, doveva essere abbastanza agiata42• Non a caso, è l 'unica delle donne menzio­ nate nei Vangeli, di cui un evangelista abbia ritenuto opportuno riferire la condizione sociale. Nei due casi in cui, nel Vangelo di Giovanni, si nomina la so­ rella di Lazzaro, Marta, il verbo «servire» riferito ad essa indica il servizio della mensa, compresa la preparazione del cibo (Gv l 0,40; 1 2,2). Lo stesso ruolo Marta svolge ne Il' episodio narrato da Luca: Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta in­ vece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Si­ gnore, non t' importa nuJla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Mar­ ta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Le l 0,3 8-42).

Questo racconto gode di particolare rilievo nella Chiesa orto­ dossa grazie al fatto che viene letto durante la liturgia in tutte le feste mariane. Nella tradizione patristica le due sorelle vengono interpretate soprattutto come figure dei due tipi di forma di vita cristiana, quella attiva e quella contemplativa: 42 R. BAUCKHAM, Gospel Women, p. 1 1 7.

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Intendi nella figura di Marta la virtù attiva, e in quella di Maria la contemplazione. Alle virtù attive non mancano affanni e inquie­ tudini, mentre la contemplazione, signoreggiando sulle passioni (Maria, infatti, significa «signora>>), si esercita nel mirare soltanto alle parole e alle sorti divine . . . Chi si ederà ai piedi di Gesù, cioè chi si confermerà nella virtù attiva e attraverso l ' imitazione del cammino e della vita di Gesù si rinfrancherà in essa, in seguito giungerà a udire le parole divine e alla contemplazione . . . Se puoi, dunque, innalzati fino a Maria, che diviene signora delle passioni, conseguendo per prima la contemplazione. Se invece questo ti è impossibile, sii Marta, che è incline alla vita pratica e attraverso ciò accoglie Cristo43 •

Tuttavia, nelle parole rivolte a Marta da Gesù non si parla di contemplazione. Si tratta piuttosto dell'ascoltare le sue parole, che sono fonte di vita e di salvezza. Gesù dice la stessa cosa an­ che in altri passi: «Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita» (Gv 5,24). Rimproverando Marta per le sue molte preoccupazioni, Gesù non la condanna, ma le ricorda ciò che deve venire al primo posto : la sua presen­ za personale nella vita dell'uomo, il desiderio dell 'uomo di udi­ re Lui. Gesù stesso non sceglie la via della contemplazione, e i suoi insegnamenti morali sono fondamentalmente dedicati alla pra­ tica della carità nei confronti del prossimo. Parlando del Giudi­ zio universale, Egli cita diversi esempi di virtù: «Perché ho avu­ to fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-3 6). Neppure una parola che menzioni la contemplazione. Marta e Maria spiccano tra le altre donne che seguono Ge­ sù. L' evangelista Giovanni osserva: «Gesù amava Marta e sua 43

TEOFILATIO DI BuLGARIA, Enarratio in Evangelia: In Lucam 1 0, 38-42 (PG 1 23,

853).

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L' INIZIO DEL VANGELO

sorella e Lazzaro» (Gv 1 1 ,5). Pochi giorni prima di morire Ge­ sù fu invitato a Betania, dove «fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli» (Gv 1 2,2-3). Delle altre donne sappiamo molto meno. Nella narrazione evangelica (di tutti e quattro i Vangeli), le donne sembrano re­ stare in ombra; emergono in primo piano solo nei capitoli finali dei Vangeli, nei racconti della morte di Gesù in croce e degli av­ venimenti successivi. Prestiamo attenzione alle parole di Luca sul fatto che tra esse ve n'erano alcune che Gesù aveva «guarito da spiriti cattivi e da infermità». La parola «molte», in riferimento alle donne che circondava­ no Gesù, viene usata da tutti e tre gli evangelisti sinottici (Mt 27,5 5 ; Mc 1 5,4 1 ; Le 8,3). Tuttavia, solo poche donne apparte­ nevano alla cerchia più ristretta, e Luca le indica con la parola «alcune». È proprio questa cerchia di donne-discepole di Gesù ad avere un ruolo sostanziale negli avvenimenti legati alla sua morte e resurrezione. L'elenco complessivo delle donne chiamate per nome e ap­ partenenti alla comunità di Gesù comprende: Maria Maddalena (Mt 27,56. 6 1 ; 2 8, 1 ; Mc 1 5 ,40.47; 1 6, 1 .9; Le 8,2; 24, 1 0; Gv 1 9,25; 20, 1 . 1 1 - 1 8); le sorelle Marta e Maria di Betania (Le l 0,3842; Gv 1 1 , 1 -44; 1 2 , 1 -8); Maria, madre di Giacomo e'Giuseppe (Mt 27,56; Mc 1 5,40.47; 1 6, 1 ; Le 24, 1 0), l '«altra Maria» (Mt 27,6 1 ; 28, 1 ); Maria di Cleopa (Gv 1 9,25); Giovanna (Le 8 , 3 ; 24, 1 0); Salome (Mc 1 5,40; 1 6, 1 ); Susanna (Le 8,3). I n totale no­ ve nomi (otto, se si ritiene che Maria, madre di Giacomo e Giu­ seppe, sia la stessa persona dell' «altra Maria»), di cui cinque (o quattro) si chiamano Maria. Come si vede dali ' elenco, Maria Maddalena viene nominata più frequentemente delle altre don­ ne che seguivano Gesù, e solo essa viene nominata in tutti e quat­ tro i Vangeli. Negli Atti, dopo aver elencato i nomi degli undici apostoli, Luca dice: «Tutti questi erano perseveranti e concordi nella pre406

6. GESÙ E I DISCEPOLI

ghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui» (At l , 1 4 ). La morte e la resurrezione di Gesù unirono quanti erano stati legati a Lui mentre era in vita in un 'uni­ ca comunità di circa centoventi persone (At l , 1 6). Di essa face­ vano parte gli apostoli, i parenti di sangue di Gesù, tra cui sua madre, e «alcune donne», le stesse che lo avevano servito in Ga­ lilea. In seguito il racconto degli Atti non menziona più queste donne, e il primo discorso di Pietro, pur essendo pronunciato in presenza di donne, inizia con la parola «fratelli» (A t l , 1 6), ri­ volta esclusivamente agli uomini. Oggi fra gli studiosi è diffusa l ' opinione che fra gli apostoli di Gesù vi fossero delle donne. Ad esempio, Bauckham ritiene che Giovanna fosse un 'apostola. A motivo della consonanza fra i nomi, lo studioso la identifica con la Giunia nominata da san Paolo : «Salutate Andronico e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia: sono insignì tra gli apostoli ed erano in Cristo già prima di me» (Rm 1 6, 7). La ricostruzione della figura di Gio­ vanna-Giunia, operata dallo studioso4\ non è priva di ingegno, ma rimane nell'ambito di unafantasy scientifica, più che situar­ si fra le ricerche basate sulle fonti. Le informazioni forniteci dai Vangeli non ci consentono di concludere che la missione apo­ stolica affidata da Gesù a dodici uomini si estendesse anche a qualcuna delle donne. D 'altro canto, noi sappiamo che nella successiva storia della Chiesa alcune donne ricevettero il titolo di «pari agli apostoli», e proprio così furono inserite nel calendario liturgico. La prima di esse fu Maria Maddalena, da cui Gesù aveva scacciato sette diavoli (cfr. Mc 1 6,9). Fra le altre isapostole vi sono la regina Elena (t329), madre dell ' imperatore Costantino; Nino, l 'evan­ gelizzatrice della Georgia (t335); Ol 'ga ( t 969), la nonna del principe Vladimir, il battezzatore della Rus' . Nessuna donna ere­ ditò il ministero sacramentale che dagli apostoli passò alle suc­ cessive generazioni di vescovi, e da essi ai sacerdoti : questa li­ nea di successione riguardò esclusivamente gli uomini. Tuttavia, 44 R. BAUCKHAM, Gospel Women, pp. 1 09-202.

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al ministero dell'annuncio e dell 'evangelizzazione parteciparo­ no anche delle donne. Il ruolo delle donne che seguivano Gesù, checché ne dicano gli studiosi contemporanei45, nell' insieme corrispondeva al ruo­ lo che le donne avevano nella società israelita del tempo. Le don­ ne erano collocate in secondo piano : «servivano» gli uomini, mentre essi si occupavano di cose importanti. La comunità apo­ stolica era un consorzio fòrmato esclusivamente da uomini. Tuttavia, se si parla della Chiesa, da subito entrarono a fame parte sia uomini che donne (At 5 , 1 4; 8 , 1 2 ; 1 7,4. 1 2.34). E fin dal­ la prima generazione di cristiani echeggiarono le parole rivolte da san Paolo all'intera comunità dei discepoli di Gesù: «Quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; non c 'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù;> (Gal 3 ,27-28).

I discepoli mancati I Vangeli ci danno notizia non solo dei discepoli che si uniro­ no a Gesù, ma anche di coloro che se ne allontanaron9. Ad esem­ pio, Giovanni menziona «molti dei suoi discepoli>; che, dopo il dialogo di Gesù con i giudei sul pane celeste, «tornarono indie­ tro e non andavano più con luh> (Gv 6,66). Matteo e Luca narrano di persone che avevano intenzione di entrare a far parte della comunità dei discepoli di Gesù, ma non sappiamo se questa loro intenzione si realizzasse. Luca descrive tre di questi casi: Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro ta­ ne e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». 45 La lettura femminista del Vangelo è caratterizzata dalla tendenza a sopravvalutare il ruolo delle donne che circondavano Gesù. Cfr., ad esempio: S. YAMAGUCHI, Mary and Martha, pp. 1 20- 1 24, 1 3 5- 1 38.

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A un altro disse: «Seguimi)). E costui rispose: «Signore, permet­ timi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti ; tu invece va' e annuncia il re­ gno di DiO)). Un altro disse : «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia>>. Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all ' aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio>) (Le 9,57-62).

I primi due casi sono menzionati anche da Matteo (Mt 8, 1 822). Il primo interlocutore è indicato dall' evangelista con il ter­ mine «scriba>>, il secondo con le parole «un altro dei suoi di­ scepoli». Questo significa, molto probabilmente, che il secon­ do individuo che lo interpellò aderiva alla comunità dei disce­ poli, e forse anche il primo . D ' altro canto, nei Vangeli non tro­ viamo indicazioni del fatto che fra i discepoli di Gesù vi fos­ sero degli scribi, a meno di non ritenere tale la frase secondo cui «ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è si­ mile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 1 3 ,52)46• Le parole «lascia che i morti seppelliscano i loro morti» sono state e vengono interpretate tuttora come in contraddizione con le norme morali. In ogni caso, vanno contro le norme morali dell'Antico Testamento, secondo le quali un figlio era tenuto a seppellire il padre (Tb 4,3 ; 6, 1 5). Tuttavia, innanzitutto, non è necessario intendere queste parole nel senso che il padre dell'in­ terlocutore fosse già morto e il suo cadavere fosse in attesa del­ la sepoltura: si potrebbero intendere come una richiesta di tor­ nare a casa in attesa della morte del padre, e dopo la sua sepol­ tura, tornare da Gesù per diventare suo discepolo. In secondo luogo, Gesù dà alla propria affermazione una forma proverbiale, nella quale la parola «morti» aveva probabilmente un significa­ to metaforico: lascia che coloro che sono morti spiritualmente 46 Sul termine «scriba» nel Vangelo di Matteo, cfr., in particolare: A.M. GALE, Rede­ .fining Ancient Borders, pp. 98- 1 05; D.E. ORTO N, The Understanding Scribe, pp. 20-38, 1 3 7- 1 76.

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seppelliscano coloro che sono morti fisicamente. Così intendo­ no questo passo molti commentatori47• Nel contempo, l 'affermazione corrisponde pienamente al ra­ dicalismo che si esprime in altri appelli di Gesù, ad esempio, nelle parole: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e per­ fino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Le 1 4,26). Il radicalismo di Gesù intimorisce e allontana da Lui e dalla sua comunità persone che sembravano arrivare da Lui con inten­ zioni pure, serie. Lo testimonia il racconto del giovane ricco, ri­ portato da tutti e tre i sinottici: Ed ecco, un tale si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?». Gli rispose : «Perché mi in­ terroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nel­ la vita, osserva i comandamenti». Gli chiese: «Quali?>>. Gesù rispo­ se : «Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non te­ stimonierai il falso, onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stessm> . Il giovane gli disse: «Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?». Gli disse Gesù : «Se vuoi essere perfetto, va' , vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni ! Seguimi !». Udita questa parola, il giovane se ne andò, triste; possedeva infatti molte ricchezze (Mt 1 9, 1 6-22).

Né Marco né Luca chiamano «giovane» il protagonista di que­ sta storia: Marco lo chiama in modo neutrale «un tale», e Luca «un notabile». In entrambi gli evangelisti mancano le parole «se vuoi essere perfettO>>. Tuttavia Marco aggiunge tre particolari che ci consen­ tono di immaginare più vividamente la scena: «Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: "Una cosa sola ti manca: va' , vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro i n cielo; e vieni ! Seguimi ! ". Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni». Nel rima47 J.A. FITZMYER, The Gospel according to Luke {l-IX), p. 836; J.B. GREEN, The Go­ spel ofLuke, p. 408; M. HENGEL, The Charismatic Leader and His Followers, pp. 7-8.

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6. GESÙ E l DI SCEPOLI

nente, le versioni dei due sinottici (Mc l O, 1 7 -22; Le 1 8, 1 8-23) coincidono quasi interamente con quella di Matteo48• Perché da Zaccheo Gesù non esige la distribuzione di tutti i suoi beni e che lo segua, «prendendo la sua croce», mentre al giovane ricco pone delle condizioni tanto dure da indurlo ad an­ darsene rattristato? Ci sembra che la risposta vada cercata nelle parole «se vuoi essere perfetto», che hanno un significato cru­ ciale per la comprensione dell' intero episodio. In risposta alla domanda su che cosa sia necessario fare di buono per ereditare la vita eterna, Gesù si limita a elencare i principali comandamen­ ti veterotestamentari. Solo quando il giovane dice che li osserva già, Gesù pronuncia le parole che lo rattristano e lo spaventano. Vediamo una netta delimitazione tra ciò che si riferisce all 'uo­ mo comune, che desidera ereditare la vita eterna, e ciò che ri­ guarda colui che vuole conseguire la perfezione, cioè accogliere l ' insegnamento di Gesù nei suoi aspetti più radicali. Gesù pro­ pone la via della perfezione spirituale che presuppone la com­ pleta rinuncia a tutti i beni terreni e addirittura ai legami fami­ liari. D 'altro canto, Egli non impone questa via a tutti, lasciando la possibilità di salvarsi anche a chi non è disposto a staccarsi completamente dal mondo, anche ai ricchi. La conferma che anche per essi resta una «fenditura» che con­ sente di entrare nel Regno dei cieli, ci viene dall ' insegnamento che Gesù impartì ai discepoli subito dopo che il giovane ricco si fu allontanato: Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli : «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio ! )) . I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro : «Figli, quanto è difficile entrare nel

48 Questa differenza tra le versioni dì Matteo e dì Marco solitamente costituisce uno degli argomenti a favore dì una datazione antecedente del Vangelo dì Marco, che Mat­ teo avrebbe redatto, toglìendone l 'elemento umano («fissò lo sguardo su dì lui, lo amò») per accentuare la dimensione ecclesiale della figura dì Gesù. Tuttavia, secondo un' ipo­ tesi alternativa, Marco avrebbe scritto dopo Matteo, redigendo la versione dì quest'ulti­ mo e ampliandola, e avendo inoltre a disposizione la versione di Luca. Cfr. : P.M . HEAD, Christology and the Synoptic Problem, pp. 49-65.

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regno di Dio ! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dim> . Essi, ancora più stu­ piti, dicevano tra loro : «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guar­ dandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perè hé tutto è possibile a Dio» (Mc 1 0,23-27; Mt 1 9 , 1 6-26; Le 1 8,24-27).

Qui Gesù non dice che a un ricco è «impossibile» entrare nel Regno di Dio, ma che è «difficile». La salvezza viene presen­ tata come un dono di Dio, e non come il frutto degli sforzi uma­ ni. In un altro passo Gesù parla delle porte strette e della via angusta che conduce alla vita eterna (Mt 7, 1 3 - 1 4), conferman­ do la difficoltà, ma non l 'impossibilità di conseguire il Regno dei cieli. Il detto sul cammello e la cruna dell 'ago indica che Gesù sta parlando per immagini, per metafore: il più grande degli anima­ li che venivano impiegati viene paragonato al più piccolo dei fo­ ri conosciuti. Tuttavia, la singolarità dell'accostamento aveva indotto già gli antichi esegeti a cercare interpretazioni alternati­ ve. Origene, e dopo di lui Cirillo di Alessandria, ipotizzavano che la parola KUJlflÀOç («cammello») indicasse non un animale, ma una «fune» (crxmviov)49 ; l 'esistenza di questa opinione viene menzionata anche da Teofilatto di Bulgaria, che riprende quasi alla lettera le parole di Cirillo50• Il motivo di tale interpretazione è la somiglianza fonetica delle parole KUJlflÀoç («cammello») e KUJ..LtÀOç («fune», «grossa corda»)51 • Così inteso, il paragone sem­ brerebbe più logico: le due immagini sono prese dal medesimo contesto. In epoca moderna è stata proposta anche un 'altra spiegazio­ ne: pare che venisse chiamata «cruna d'ago» una stretta apertu­ ra nelle mura di Gerusalemme, attraverso cui era possibile far 49 ORI GENE, Homi/iae in Matthaei (fragm.) 390 (GCS 4 1 , 1 66); CI RIL LO DI ALESSAN­ DRIA, Commentarii in Matthaeum 2 1 9 (TU 6 1 , 226) 50 TEOFILATIO DI BuLGARIA, Enarratio in Evangelia: In Matthaeum (PG 1 23, 356 D). 51 Alcuni manoscritti del Vangelo riportano questa grafia. Cfr. : K. ALANO, Synopsis quattuor Evangeliorum, p. 34 1 .

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6. GESÙ E l DISCEPOLI

passare un cammello solo con grande difficoltà52• Tuttavia, non si sa nulla dell 'esistenza di un varco o di una porta con questo nome. La storia del giovane ricco chiude la serie di racconti degli evangelisti sui discepoli mancati di Gesù. Essi possono essere ricondotti a tre categorie: quelli che avevano chiesto loro stessi di seguirlo, ma di fronte alle condizioni poste dal Maestro si ti­ rarono indietro; quelli che Egli invitò a seguirlo, ma che si spa­ ventarono davanti alle sue richieste; quelli che divennero suoi discepoli, ma poi se ne andarono. Tra questi ultimi c ' è Giuda lscariota. * * *

Sintetizzando quanto abbiamo detto in questo capitolo, pos­ siamo constatare che la cerchia dei discepoli e seguaci di Gesù era abbastanza ampia. Ne facevano parte i dodici apostoli, chia­ mati in maniera speciale e investiti di una missione, come pure i settanta discepoli menzionati da Luca. Gesù aveva anche dei discepoli nascosti, e conosciamo due di essi per nome. Oltre ai discepoli-uomini, tra i seguaci di Gesù c'erano anche delle don­ ne, di alcune delle quali conosciamo il nome, mentre altre sono rimaste anonime. Gli apostoli erano necessari a Gesù per condividere il suo ope­ rato, ascoltare e trattenere i suoi insegnamenti, e con il tempo proseguire la sua opera. Proprio essi costituiscono il nucleo cen­ trale della Chiesa, che Gesù fonda per tutti i secoli a venire. La fondazione della Chiesa è il più grandioso progetto mis­ sionario della storia dell'umanità. Difficilmente i dodici disce­ poli potevano capirlo nel momento in cui Gesù li scelse, mentre li ammaestrava prima di inviarli a portare il lieto annuncio, men­ tre conversava con tutti loro insieme oppure con alcuni separa­ tamente. La loro coscienza era legata al fazzoletto di terra in cui si svolse la storia evangelica. Più di una volta sentirono dire dal52 G. AICHER, Kamel und Nade/ohr, pp. 1 6-2 1 .

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L' INIZIO DEL VANGELO

lo stesso Maestro che l 'oggetto principale del loro annuncio era la «casa d'Israele». Il fatto che la sua esortazione ai discepoli, che inizia con que­ sto concetto, racchiuda in sé anche l 'idea della dimensione uni­ versale della missione cristiana, è ritenuto da molti studiosi con­ seguenza dell'opera di successivi redattori, che avrebbero com­ pilato il testo di questo insegnamento assommando svariati fram­ menti esistenti nella tradizione orale e scritta, e tenendo conto inoltre dell 'esperienza della Chiesa cristiana della seconda metà del I secolo. Noi però riteniamo che la presenza in questo am­ maestramento ai discepoli di entrambi i messaggi testimoni la multiformità del compito che Gesù indicava loro. Il loro annun­ cio doveva dapprima dispiegarsi nello spazio limitato della Giu­ dea e della Galilea, per poi, in una prospettiva più lunga, esten­ dersi in tutto il mondo.

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Capitolo 7 GES Ù E I SUOI AVVERSARI : L' INIZIO DEL CONFLITTO

Il conflitto tra Gesù e i suoi avversari è un motivo ricorrente in tutti e quattro i Vangeli. Questo conflitto, sorto subito dopo gli inizi della sua predicazione, con il passar del tempo non fece che aumentare ed ebbe come esito la congiura ordita contro Ge­ sù dai capi dei sacerdoti e dagli anziani, con il suo processo e la condanna a morte. Esamineremo i principali temi riguardanti questo conflitto nei successivi volumi della collana Gesù. Vita e insegnamento. Nel secondo volume parleremo delle accuse mosse da Gesù ai fari­ sei, che entrarono a far parte del Discorso della montagna. Nel terzo tratteremo l' atteggiamento dei farisei nei confronti dei mi­ racoli da Lui compiuti . Nel quarto esamineremo i passi delle pa­ rabole di Gesù dedicate ai farisei, come pure le loro reazioni a tali parabole. Buona parte del quinto sarà dedicata all 'analisi del­ la polemica tra Gesù e i giudei, come ci è presentata nelle pagi­ ne del Vangelo di Giovanni. Infine, il sesto parlerà dell ' atto fi­ nale del conflitto. In questo capitolo ci limiteremo a tracciame i contorni gene­ rali, e sulla scorta di alcuni esempi mostreremo come nacque e in quali direzioni cominciò a svilupparsi.

l. Chi si opponeva a Gesù?

Nei Vangeli si incontrano varie espressioni a indicare gli av­ versari di Gesù: «scribi e farisei», «capi dei sacerdoti e anziani», 415

L' INIZIO DEL VANGELO

«sacerdoti e leviti», «capi dei sacerdoti, anziani e scribi», «capi dei sacerdoti e anziani dei Giudei», «farisei e sadducei», «fari­ sei e dottori della legge», «farisei ed erodiani». Complessiva­ mente, tra gli avversari di Gesù vengono menzionate otto cate­ gorie di persone. Che cosa sappiamo di loro? Capi dei sacerdoti ( àpxu�pEiç): questo termine nei Vangeli e negli Atti degli apostoli si incontra quarantasei volte al plurale, principalmente affiancato ad altre categorie («capi dei sacerdoti e scribi», «capi dei sacerdoti e farisei», «capi dei sacerdoti e an­ ziani»). Sebbene il sommo sacerdote in carica durante il mini­ stero pubblico di Gesù fosse Caifa1, anche il suo predecessore in questo ufficio, Anna, che era suo suocero, prendeva attivamente parte ai processi giudiziari. Il termine «capi dei sacerdoti» al plu­ rale, tuttavia, non indica solo queste due persone. Con ogni pro­ babilità, con questo termine gli evangelisti indicavano tutti i sa­ cerdoti del tempio di grado superiore, che possedevano, come i sommi sacerdoti, determinate prerogative civili e giudiziarie, tra cui il far parte del sinedrio2• Sacerdoti e /eviti (ispstç Kaì Awhaç) vengono menzionati nel Vangelo come due categorie indipendenti (Le l 0,3 1 -3 2 ; Gv l , 1 9). Se il numero di persone designabili con il termine di «ca­ pi dei sacerdoti» non superava qualche decina, il numero dei sa­ cerdoti e dei l eviti, come abbiamo detto prima, era di alcune mi­ gliaia. Ai tempi di Gesù erano chiamati leviti i servitori del tempio di ordine inferiore, come lettori, cantori, musici, inservienti, ad­ detti alle pulizie, custodi. Non solo il sacerdozio, ma anche i gradi sacerdotali in Israe­ le erano ereditari. Tutti i ministri del culto appartenevano alla tribù di Levi. Il sommo sacerdote proveniva dalla discendenza di Aronne, gli altri capi dei sacerdoti (sommi sacerdoti) da quel1 Le testimonianze storiche su di lui all'infuori del Nuovo Testamento sono scarse. Si riducono, fondamentalmente, alle testimonianze di Giuseppe Flavio. Cfr. : A. REIN­ HARTZ, Caiaphas the High Priest, pp. 1 1 -23. 2 J . JEREMIAS, Jerusalem in the Time ofJesus, p. 1 79.

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7. GESÙ E I SUOI AVVERSARI: L' INIZIO DEL CONFLITTO

la di Sadoc, sommo sacerdote al tempo di Davide e Salomone (2Sam 20,25). Gli altri sacerdoti e leviti facevano risalire la propria genea­ logia ad esponenti più modesti della tribù di Levi e quindi non potevano pretendere di accedere a posizioni più elevate nella ge­ rarchia di quelle occupate dai loro «padri» (cioè dagli antenati per linea paterna). Anziani, ovvero capi (apxovtsç): questo termine indicava di regola i rappresentanti dell'élite giudaica, che avevano una cer­ ta influenza sulla società. Tra loro c'era Nicodemo, «uno dei ca­ pi dei Giudei» (apxrov -r&v 'Iouòairov), che si recò da Gesù di notte (Gv 3, l ). I capi potevano essere sacerdoti o laici, far parte del sinedrio e appartenere al partito dei farisei. Gli erodiani ('Hpcpòtavm) vengono menzionati tre volte nei Vangeli sinottici : sempre unitamente ai farisei (Mc 3 ,6. 1 2- 1 3) o ai loro discepoli (Mt 22, 1 6). Questo termine con tutta probabi­ lità indica le persone che svolgevano delle funzioni presso la corte di Erode Antipa3 • Scribi (ypaf.!f.!a-rsìç) e dottori della legge (VOf.ltKoi) svolgeva­ no un ruolo importante nella vita del popolo israelita. Con que­ sti termini, che avevano un significato analogo, non si indicava­ no semplicemente le persone che sapevano leggere, in contrap­ posizione alla maggioranza del popolo, che era analfabeta. Ve­ nivano chiamati scribi i copisti e i custodi dei libri sacri, e in sen­ so lato quanti conoscevano la legge, coloro ai quali ci si rivol­ geva per chiarimenti nei casi dubbi. Il termine «dottore della leg­ ge» non di rado viene usato nei Vangeli come sinonimo del ter­ mine «scriba». In Luca l 'espressione «dottori della legge e fari­ sei» (Le 7 ,30; 1 4,30) è sinonimo del frequente appellativo «seri­ bi e farisei» (che costituisce un ritornello nel capitolo 23 del Van­ gelo di Matteo). Ai tempi di Gesù, in Palestina esistevano alcune sette (parti­ ti), e i Vangeli ne nominano due: farisei e sadducei. 3 J.P. MEIER, A Margina/ Jew, vol.

3, p.

562.

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L'INIZIO DEL VANGELO

Il termine farisei ( apmaìot) si ritiene derivi dali' aramai­ co K,iZJ,1!:l - prfSiiye\ che significa «distinti»5• Dei farisei del tempo di Gesù non sappiamo molto6• La fonte principale di notizie su questo gruppo, oltre agli scritti neotestamentari, so­ no le opere di Giuseppe Flavio, che scrive, in particolare, quan­ to segue: I Farisei rendono semplice il loro modo di vivere non facendo alcuna concessione alla mollezza. Seguono quanto la loro dottri­ na ha scelto e trasmesso come buono, dando la massima importan­ za a quegli ordinamenti che considerano adatti e dettati per loro. Hanno rispetto e deferenza per i loro anziani, e non ardiscono con­ traddire le loro proposte . Ritengono che ogni cosa sia governata dal Destino, ma non vietano alla volontà umana di fare quanto è in suo potere, essendo piaciuto a Dio che si realizzasse una fusio­ ne: che il volere dell 'uomo, con la sua virtù e il suo vizio, fosse ammesso nella camera di consiglio del Destino. Credono alla im­ mortalità delle anime, e che sotto terra vi siano ricompense e pu­ nizioni per coloro che seguirono la virtù o il vizio: eterno castigo è la sorte delle anime cattive, mentre le anime buone ricevono un facile transito a una nuova vita. Per questi insegnamenti hanno un reale ed estremamente autorevole influsso presso il popolo; e tut­ te le preghiere e i sacri riti del culto divino sono eseguiti confor­ memente alle loro disposizionF. 4 È stata ricostruita la pronuncia del termine - parTsaye, all'epoca degli avvenimen­ ti evangelici. 5 J.A. FITZMYER, The Gospel according to Luke (l-IX), p. 5 8 1 . Del termine prlstrya («fariseo») non esistono testimonianze nella letteratura rabbinica (come si può vedere consultando i dizionari : M. JASTROW, A Dictionary of Targumim, the Talmud Babli and Yerushalmi, and the Midrashic Literature; M. SoKOLOFF, A Dictionary ofJewish Pale­ stinian Aramaic; Io., A Dictionary ofJewish Babylonian Aramaic, e i l data base di The Comprehensive Aramaic Lexicon Project, http://cal l .cn.huc.edu/); il termine si incontra solo nei testi cristiani, siriaci (R. PAYNE-SMITH, Thesaurus Syriacus, vol. 2, p. 3302) e palestinesi aramaici (F. ScHULTHESS, Lexicon Syropalestinum, p. 1 64), dov'è, probabil­ mente, una retroversione dell'evangelico 14• L'esistenza degli esseni è confermata dai codici di Qumran, rinvenuti in grotte 8 Sui sadducei, cfr. : R. SclfORER, The History ofthe Jewish People in the Age ofJe­ sus Christ, vol. 2, pp. 404-4 14; J.P. MEIER, A Marginai Jew, vol. 3, pp. 389-487. 9 È stata ricostruita la pronuncia del termine - $aduqim, all'epoca degli avvenimen­ ti evangelici. 10 È stata ricostruita la pronuncia del termine - $adilqaye (ma questa forma non tro­ va testimonianze nel corpus della letteratura rabbinica). 11 Cfr. : M. JASTROW, A Dictionary of Targumim, the Talmud Babli and Yerushalmi, and the Midrashic Literature, p. 1 26 1 , con rimandi a fonti rabbiniche. 1 2 GIUSEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche 1 8, ] , 4; tr. it. vol. l , p. 1 1 07. 13 Ibid. 1 8, l, 2. 1 4 Jbid. 1 8, l , 5 ; tr. it. vol. l, p. 1 1 07.

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sulle rive del Mar Morto tra il 1 947 e il 1 95 6 . Questi codici, che riportano brani dell'Antico Testamento e testi originali, se­ condo molti studiosi appartenevano alla comunità degli esse­ ni. Alcuni ricercatori ipotizzano l 'esistenza di un legame tra gli esseni e Giovanni Battista, sebbene non esistano conferme do­ cumentarie di tale legame. I Vangeli non parlano della dottrina degli esseni. Per quanto riguarda farisei e sadducei, Gesù spesso polemizzava con essi su vari aspetti della loro dottrina. Talvolta si poneva come arbi­ tro nelle dispute tra esponenti delle diverse correnti, o scuole, all ' interno del partito dei farisei . Tali dispute, all 'epoca, erano particolarmente vivaci tra i seguaci di Hillel e di Shammai, i due rabbini di maggior spicco nella cerchia dei farisei, ciascuno dei quali aveva fondato una sua scuola di esegesi della Torah (la leg­ ge di Mosè). Entrambi i rabbini si rifacevano a fonti sia scritte che orali, ri­ tenendo le ultime non meno importanti delle prime, e ricono­ scendo ai dottori della legge il diritto di interpretarla. Tuttavia, essi divergevano sostanzialmente nelle questioni relative all 'ap­ plicazione pratica dei principi della Torah. Hillel (che aveva cir­ ca sessantacinque anni più di Gesù) era piuttosto liberale nell' in­ terpretazione della legge: permetteva molte cose che non per­ mettevano invece gli altri dottori, in particolare Shammai. Quest'ultimo (più giovane di Hillel di una sola generazione) spic­ cava per la sua interpretazione rigorista e letterale della Torah. Entrambi i dottori erano ancora in vita alla nascita di Gesù: Hillel morì quando Gesù era adolescente, e Shammai all 'incirca quando Gesù iniziò la sua predicazione. Alcuni insegnamenti di Gesù su temi morali, in particolare quelli riportati dal Vangelo di Matteo, sono echi diretti delle dispute sull'interpretazione di singole proposizioni della legge di Mosè: dispute che ai tempi di Gesù si svolgevano tra le due scuole, la «Casa di Hillel» e la «Casa di Shammai». Se degli esseni possiamo parlare con sufficiente certezza co­ me di un movimento religioso, i farisei e sadducei avevano al 420

7. GESÙ E l SUOI AVVERSARI: L' IN IZIO DEL CONFLITTO

tempo stesso le caratteristiche di movimento religioso, scuola fi­ losofica e partito politico. La denominazione di setta è applica­ bile a questi gruppi in maniera abbastanza convenzionale (il ter­ mine ai.ptm:: tç, usato in riferimento ad essi e agli esseni da Giu­ seppe Flavio 15, può tradursi come «eresie», «sette», «movimen­ ti», «scuole», «partiti»). Sia Giuseppe Flavio che la storia evan­ gelica ci confermano che farisei e sadducei potevano coalizzar­ si fra loro. Gli esseni, al contrario, si trovavano in opposizione a entrambi i movimenti. Dall'insieme delle fonti a nostra disposizione si delinea il se­ guente quadro dei farisei come partito organizzato: I farisei osservavano la legge di Mosè secondo la propria inter­ pretazione e tentavano di indurre anche gli altri a fare altrettanto. Laddove era possibile esercitare un influsso sui governanti, i farisei cercavano di far valere le proprie concezioni . Erano abbastanza esperti nelle consuetudini di questo mondo per entrare in consigli e in coalizioni con i propri avversari, quando la situazione e lo scopo comune lo richiedevano. Da questo punto di vista essi agivano co­ me un ' «associazione di carattere politico». D' altra parte, nei con­ fronti degli altri movimenti vivevano una feroce rivalità, che, ali­ mentata dallo zelo delle convinzioni religiose, giungeva fino a gra­ vi accuse reciproche16•

Delineare un ritratto veridico del partito dei sadducei è più difficile, perché sulle peculiarità di questo partito i pareri degli studiosi divergono considerevolmente, e le notizie forniteci dal­ le fonti sono troppo poche. Si ritiene che i sadducei fossero molto meno numerosi dei fa­ risei, ma di questo partito facevano parte prevalentemente espo­ nenti delle classi alte. Alcuni sommi sacerdoti erano sadducei. A differenza dei farisei , i sadducei non avevano un grande in­ flusso sul popolo 17• 1 5 Jbid. 1 8, l , 2. 16 Dictionary ofJesus and the Gospels, p. 6 1 1 . 17 J.P. MEIER, A Margina! Jew, vol. 3 , pp. 392-399.

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2. L' inizio della polemica con gli scribi e i farisei

Fra tutti i gruppi elencati sopra, nella fase iniziale del conflit­ to tra Gesù e i suoi avversari a scendere in campo sono preva­ lentemente due: gli scribi e i farisei. Gli altri gruppi (capi dei sa­ cerdoti, anziani, sadducei) compariranno successivamente. Seri­ bi e farisei agiscono in tandem, e possiamo supporre che molti scribi facessero parte del partito dei farisei.

Si può mangiare con i pubblicani e i peccatori? Non sappiamo come ebbe inizio il conflitto tra Gesù e gli seri­ bi e i farisei. Il primo episodio in cui essi figurano come attori viene menzionato in tutti e tre i Vangeli sinottici. Lo riportiamo nella versione di Marco: Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle impo­ ste, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavo­ la con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo segui­ vano. Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccato­ ri e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli : «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?)). Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori)) (Mc 2, 1 4- 1 7).

La versione di Matteo si differenzia, come abbiamo detto in precedenza, perché Levi qui è chiamato Matteo. Inoltre, non si menzionano gli scribi (figurano solo i farisei), non viene indica­ to il nome del padrone di casa (sebbene si possa supporre che fosse la casa di Matteo). Al termine dell'episodio Gesù aggiun­ ge: «Andate a imparare che cosa vuoi dire: Misericordia io vo­ glio e non sacrifici>> (Mt 9,9- 1 3). Luca, che fondamentalmente segue Marco, aggiunge che, in risposta alla chiamata di Gesù, Levi, «lasciando tutto, si alzò e lo seguh>. Egli ricorda anche che «poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C ' era 422

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una folla numerosa di pubblicani e di altra gente, che erano con loro a tavola» (Le 5,28-29). La prima accusa dei farisei a Gesù è, quindi : perché mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori? Per comprendere il senso di tale accusa, bisogna specificare che ne Il' Antico Testamento la santità e la purezza venivano intese innanzitutto come una se­ parazione da ciò che appariva impuro, non santo 1 8 • Le parole «siate santi, perché io sono santo» (Lv 1 1 ,45) venivano interpre­ tate dai sapienti del Talmud in questo modo : «Come io sono san­ to, anche voi siate santi; come io sono separato, anche voi siate separati»19• I farisei si ritenevano «separati» dagli individui co­ muni, diversi da tutti gli altri (Le 1 8, 1 1 ). Essi facevano partico­ lari sforzi per osservare la pulizia rituale, evitavano ogni forma di contaminazione prodotta dal contatto con oggetti impuri, se­ guivano rigidamente le regole igieniche e la dieta prescritta dal­ la legge di Mosè. In questo modo i farisei si erano creati un «co­ dice di santità» su cui basavano tutta la loro pietà religiosa. I farisei temevano più di ogni altra cosa di contaminarsi ve­ nendo a contatto con qualcosa di impuro oppure entrando in rap­ porto con individui che essi ritenevano impuri. Gesù invece con­ futa il concetto di impurità formatosi nel popolo di Israele fin dai tempi di Mosè, e lo fa in maniera consapevole e sistematica. Nell'Antico Testamento fonte di impurità erano ritenute cose esterne all'uomo, e l ' uomo veniva considerato contaminato se toccava qualcosa che era considerato ritualmente impuro. Alcu­ ni tipi di cibo erano considerati impuri : ne troviamo l 'elenco nel libro del Levitico; se l 'uomo mangiava di questo cibo, era con­ siderato contaminato. Gesù, al contrario, insiste sul fatto che le cause dell' impuri­ tà vanno cercate non fuori d eli 'uomo, ma dentro di lui. Ai fa­ risei Gesù dice: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l 'esterno del bicchiere e del piatto, ma all 'interno sono pieni di

1 8 Sull'uso delle parole con la radice t01j? - qds («essere santo))), nell'Antico Testa­ mento, cfr. : Theo/ogical Dictionary ofthe 0/d Testament, vol. 1 2, pp. 52 1 -543. 1 9 Sifra. Shemini 1 2, 3 (J. NEUSNER, Sifra: An Analytica/ Translation, vol. 2, p. 227).

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avidità e d ' intemperanza. . . Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all ' esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciu­ me» (Mt 23,25 .27).

Si può mangiare senza essersi lavati le mani? La polemica di Gesù nei confronti dei farisei verteva molto spesso sul concetto di purezza e santità. Ecco un altro episodio tipico: Si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendeva­ no cibo con mani impure, cioè non lavate - i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre co­ se per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli anti­ chi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Be­ ne ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto : Questo popo­ lo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini»20• E diceva loro: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. Mosè in­ fatti disse: Onora tuo padre e tua madre21, e: Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte22• Voi invece dite : "Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korban, cioè offer­ ta a Dio", non gli consentite di fare più nulla per il padre o la ma­ dre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tra­ mandato voi . E di cose simili ne fate molte» (Mc 7, 1 - 1 3). 20

Is 29, 1 3 . Es 20, 1 2 ; Dt 5 , 1 6. 22 Es 2 1 , 1 7; Lv 20,9. 21

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Il lavarsi le mani di cui si parla non è semplicemente un'esi­ genza igienica: le mani si lavavano, in primo luogo, per purifi­ carsi dalla contaminazione che poteva essersi prodotta toccando qualcosa di ritualmente impuro. La consuetudine di lavarsi do­ po essere stati al mercato era dettata dal timore di aver toccato involontariamente individui o cibi impuri. Le lavature di bicchie­ ri, stoviglie, oggetti di rame e letti erano dettate dalle stesse con­ siderazioni. Le istruzioni riguardo a questo tipo di abluzioni so­ no riportate n eU' Antico Testamento. In particolare, il libro del Levitico prescrive di immergere nell' acqua fino a sera qualsiasi recipiente in cui siano caduti una lucertola, una talpa o un topo morti (Lv 1 1 ,32); di lavare con acqua ogni vaso di legno «toc­ cato da colui che soffre di gonorrea» (Nm 1 5, 1 2). Alle indicazioni della legge di Mosè esistenti nella «tradizio­ ne degli antichi» si aggiungevano molteplici prescrizioni, che trasformavano la religiosità dei farisei in una minuta, scrupolo­ sa osservanza di migliaia di regole non scritte. Parallelamente a ciò essi escogitavano anche scappatoie che consentivano loro di non adempiere i precetti della legislazione mosaica. Gesù ne dà un esempio nel suo discorso: quando un figlio offre a Dio non ciò che gli appartiene, ma ciò che dovrebbe dare ai genitori, si ritiene libero dagli obblighi che ha nei loro confronti.

«Non c 'è nulla fuori dell 'uomo che, entrando in lui, possa render/o impuro» Dalla denuncia dei farisei Gesù passa a un ammonimento ri­ volto a tutto il popolo. Tuttavia neppure i suoi discepoli com­ prendono tale esortazione: Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e com­ prendete bene ! Non c ' è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dali 'uomo a ren­ derlo impura>). Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così nean425

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che voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell'uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti. E diceva: «Ciò che esce dall'uomo è quello che rende impuro l'uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, super­ bia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall'interno e rendono impuro l'uomo» (Mc 7, 1 4-23) .

Matteo narra lo stesso episodio in una redazione abbreviata (Mt 1 5 , 1 - 1 1 ). L' espressione tradotta come «va nella fogna» (àq>Eòp&va ÈKnopruEtat), che si incontra anche nel passo paral­ lelo di Matteo, letteralmente suona più rozza: «va nel cesso». Queste parole descrivono il processo naturale di depurazione dell'organismo, e denotano che Gesù non disprezzava né il cor­ po umano né le sue funzioni naturali. Egli non riferiva il termi­ ne «impurità» alla condizione del corpo, ma alla condizione dell'anima umana, al suo mondo interiore, in cui risiede la sor­ gente di ogni peccato. L'impurità è il peccato, e non la malattia o la contaminazione; non è impura la fogna, ma l'anima dell'uo­ mo, quando si trasforma in fogna. Matteo aggiunge un dialogo, che manca invece in Marco: Allora i discepoli si avvicinarono per dirgli: «Sai che i farisei, a sentire questa parola, si sono scandalizzati?». Ed egli rispose : «Ogni pianta, che non è stata piantata dal Padre mio celeste, ver­ rà sradicata. Lasciateli stare! Sono ciechi e guide di ciechi. E quan­ do un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso b) (Mt 1 5 , 1 2- 1 4) .

Luca riporta un altro episodio, simile per contenuto ma diver­ so nei particolari. Nel suo Vangelo si narra che «un fariseo lo in­ vitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo». Gesù risponde: «Voi farisei pulite l'esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Sto l426

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ti ! Colui che ha fatto l ' esterno non ha forse fatto anche l ' inter­ no? Date piuttosto in elemosina quello che c'è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro» (Le 1 1 ,3 7-4 1 ) Subito dopo scaglia un' ac­ cusa (Le 1 1 ,42-54), simile per contenuto a quella pronunciata a Gerusalemme poco prima di essere arrestato, e riportata dal Van­ gelo di Matteo (M t 23,2-28). Alla dottrina dei farisei, secondo i quali la santità consiste esclusivamente nell 'osservanza di prescrizioni esteriori, di ca­ rattere igienico, dietetico o altro, Gesù contrappone sistematica­ mente una dottrina sulla santità intesa come somma di qualità interiori. Profondamente radicati, da un lato, nella tradizione ve­ terotestamentaria, gli insegnamenti di Gesù indicavano, d'altro lato, una rottura radicale con la concezione di santità che sulla base di una distorta interpretazione dell 'Antico Testamento si era affermata nella «tradizione» dei farisei e degli scribi. Se si considera il suo insegnamento nel contesto della tradizione giu­ daica del tempo, espressa nella dottrina dei farisei e degli scribi, ci si accorge di quanto fosse rivoluzionario. .

Si possono cogliere le spighe di sabato ? In tutti e tre i Vangeli sinottici è presente anche un altro epi­ sodio, relativo alla fase iniziale del conflitto tra Gesù e i farisei. La versione più completa è quella riportata da Matteo: In quel tempo Gesù passò, in giorno di sabato, fra campi di gra­ no e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere delle spighe e a mangiarle. Vedendo ciò, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabatm>. Ma egli rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Egli entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell ' offerta, che né a lui né ai suoi compagni era lecito mangiare, ma ai soli sacerdoti. O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio violano il sabato e tut­ tavia sono senza colpa? Ora io vi dico che qui vi è uno più grande 427

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del tempio. Se aveste compreso che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrifici, non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell' uomo è signore del sabato» (M t 1 2, 1 -8 ; Mc 2,23-28; Le 6, 1 -5).

Questo episodio inaugura il tema della violazione del sabato, che apparirà in seguito in tutti e quattro i Vangeli23 • Il comandamento di osservare il riposo di sabato era uno dei dieci comandamenti della legge di Mosè : «Ricordati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro . . . » (Es 20,8- 1 O; cfr. 3 1 , 1 3- 1 7 ; Dt 5 , 1 2- 1 5). In Israele questo comandamento, ripetuto per tre vol­ te nel Pentateuco, veniva osservato scrupolosamente. Nel corso dei secoli il precetto si ampliò attraverso una serie di prescrizio­ ni di vario genere, riguardanti ciò che si poteva e non si poteva fare di sabato. Esistevano elenchi delle azioni che erano vietate in giorno di sabato, e inoltre i singoli rabbini interpretavano tali elenchi in modo diverso. Esisteva il concetto di «cammino per­ messo in giorno di sabato» (At 1 , 1 2), indicante la distanza che di sabato non si poteva superare. I farisei accusavano continuamente Gesù di violare il sabato. Si indignavano perché, camminando di sabato per strada, i di­ scepoli di Gesù coglievano spighe e le mangiavano. Si indigna­ vano perché, recandosi di sabato alla sinagoga, Gesù vi operava guarigioni (Mt 1 2, 1 0- 1 3 ; Mc 3 , 1 -5 ; Le 6,6- 1 0; 1 4, 1 -6; Gv 5 , 1 1 0). Nel racconto della guarigione della donna curva, i l capo del­ la sinagoga si rivolge al popolo dicendo : «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato». Al che Gesù risponde : «Ipocriti, non è for­ se vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l ' asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, 23 Cfr. : J.P. MEIER, A Marginai Jew, vol. 4, pp. 235-34 1 ; Y.-E. YANG, Jesus and the Sabbath in Matthew s Gospel, pp. 1 39-274; PH. StGAL, The Halakhah ofJesus ofNaza­ reth according to the Gospel of Matthew, pp. 1 45 - 1 86.

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7. GESÙ E l SUOI AVVERSARI: L' INIZIO DEL CONFLITTO

non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di saba­ to?» (Le 1 3 , 1 4- 1 6). Gesù insisteva sul fatto che «è lecito in giorno di sabato fare del bene» (Mt 1 2, 1 2). Affermava che «il sabato è stato fatto per l'uomo e non l 'uomo per il sabato» (Mc 2,27). La reazione di Gesù alla pretesa dei farisei di astenersi dall 'operare guarigioni in giorno di sabato è emotiva, carica di ira e di dolore (Mc 3,5). Anche i farisei reagivano emotivamente alle sue parole e ai suoi gesti: la sua libertà nei confronti delle norme che regolavano il sabato li mandava in bestia (Le 6, 1 1 ) . Non tutti i farisei recepivano in maniera negativa il modo di agire di Gesù, che violava il riposo del sabato: talvolta espri­ mevano pareri discordanti. Dopo che Gesù ebbe guarito di sa­ bato un cieco, «alcuni dei farisei dicevano : "Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato". Altri invece dice­ vano: "Come può un peccatore compiere segni di questo gene­ re?". E c ' era dissenso tra loro» (Gv 9, 1 6). Tuttavia, per essi l 'autorità principale restava Mosè. Per questo, nonostante l'evi­ denza del miracolo compiuto, rimproveravano il cieco risana­ to: « Suo discepolo sei tu ! Noi siamo discepoli di Mosè ! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia» (Gv 9,28-29). Nell' episodio narrato dai sinottici, Gesù, rispondendo ai fari­ sei, rimanda al racconto del primo libro di Samuele, dove Davi­ de chiede pane al sacerdote Achimèlec, che non aveva nulla tran­ ne i pani dell' offerta: dando a Davide questi pani, che avrebbero potuto essere consumati solo dai sacerdoti, Achimèlec infrange la lettera della legge ( l Sam 2 1 , 1 -6). Le parole di Gesù secondo cui «i sacerdoti nel tempio violano il sabato» si riferiscono, pro­ babilmente, al precetto sull 'olocausto del sabato (Nm 28,9- 1 0). Per adempiere questo precetto e offrire in sacrificio due agnelli, i sacerdoti dovevano violare il riposo del sabato24• Di conseguenza, anche nella legge di Mosè, secondo Gesù vi sono prescrizioni più importanti di altre. Egli porta un analogo 24 Cfr. : L. MoRRis, The Gospel according to Matthew, p. 302.

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argomento nel dibattito con i giudei riferito nel Vangelo di Gio­ vanni. Qui Egli si rifà alla consuetudine di compiere le circon­ cisioni di sabato : «Mosè vi ha dato la circoncisione . . . e voi cir­ concidete un uomo anche di sabato. Ora, se un uomo riceve la circoncisione di sabato perché non sia trasgredita la legge di Mo­ sè, voi vi sdegnate contro di me perché di sabato ho guarito in­ teramente un uomo? Non giudicate secondo le apparenze; giu­ dicate con giusto giudizio! » (Gv 7,22-24). La prescrizione della circoncisione, così come la prescrizione dell'olocausto di saba­ to, è superiore al comandamento del riposo in giorno di sabato. La disputa tra Gesù e i farisei sull' interpretazione delle pre­ scrizioni della legge di Mosè trova riscontro in tutti e quattro i Vangeli, ma viene sviluppata maggiormente da Matteo e Gio­ vanni. Buona parte del Discorso della montagna è dedicata all'in­ terpretazione della legge (Mt 5, 1 7-48). L'ultimo grande discor­ so di denuncia di Gesù nei confronti dei farisei, che inizia con le parole «sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i fa­ risei» (Mt 23 ,2-39), è in buona parte dedicato a questo tema. Nei numerosi dialoghi con i giudei riportati nel Vangelo di Giovanni, Gesù ritorna ripetutamente sul tema della legge di Mo­ sè, del suo significato e della sua corretta interpretazione. Gio­ vanni riporta, tra l 'altro, queste parole di Gesù: «Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie pa­ role?» (Gv 5,45-47). Queste parole, e molte altre indirizzate da Gesù ai farisei, rap­ presentavano per essi una vera sfida. A ogni nuovo episodio e dialogo la loro irritazione cresceva. * * *

La tradizione giudaica non recepì l ' appello di Gesù alla puri­ ficazione interiore, e dopo la sua morte e resurrezione continuò a codificare con zelo ancor maggiore le norme di osservanza del430

7. GESÙ E I SUOI AVVERSARI: L' INIZIO DEL CONFLITTO

la purezza rituale. Il Talmud, la Mishnah e altre opere della let­ teratura rabbinica continuano a elaborare il codice della santità proprio nella direzione aspramente criticata da Gesù. Caratteristico a questo proposito è il trattato del filosofo e teo­ logo ebreo della seconda metà del XII secolo Maimonide (Mo­ she ben Maimon), Il libro della santità25, quinto volume di una raccolta in tredici volumi delle leggi e delle prescrizioni che va sotto il titolo generale di Mishneh Torah26• Nell' introduzione al trattato, Maimonide scrive : «In esso inserirò le norme sui rap­ porti sessuali vietati e le norme sui cibi vietati, giacché attraver­ so queste due distinzioni . . . il Creatore ci ha consacrati e distin­ ti dagli altri popoli»27• Il trattato è composto da tre sezioni: le leggi sui legami vieta­ ti, sui cibi vietati e sulla macellazione degli animali. La prima sezione comprende trentasette precetti («non giacere con la ma­ dre», «non giacere con la moglie del padre», «non unirsi alla so­ rella», «non accoppiarsi con il bestiame», «non stipulare matri­ moni con persone non ebree» �cc.). Nella seconda sezione vi so1;10 ventotto precetti («verificare le caratteristiche del bestiame o degli animali e distinguere il puro dall' impuro», «non mangiare bestiame o animali impuri», «non mangiare volatili impuri», «non mangiare pesci impuri», «non mangiare insetti alati», ecc.). La terza sezione comprende cinque precetti («macellare corret­ tamente il bestiame e solo dopo mangiarlo», «non macellare nel medesimo giorno un animale e il suo piccolo», ecc.)2 8 • Ognuno dei settanta precetti viene commentato attraverso quindici-venti istruzioni esplicative, contenenti particolareg­ giate e colorite descrizioni di tutte le loro possibili violazioni, comprese molteplici perversioni sessuali. Inoltre, l 'esposizio­ ne di molti precetti è accompagnata da un elenco dei casi ec­ cezionali in cui essi possono non essere osservati . Eccone alcum esemp1: o

o

25 26

Ebr. ;nv11p - qagusa. Ebr. :111n :1J!ll l.l - misne tora, letto «Ripetizione della Torah»o 27 MosEs MAIMONIDES, The Code of Maimonides, p. XIX. 28 lbid. , pp. 3-4, 1 47- 1 48, 257.

43 1

L'INIZIO DEL VANG ELO

Vi sono anche altre cose vietate dai saggi. E sebbene per questi divieti non vi siano dei fondamenti nella Torah, fu così deliberato per distanziarsi dai non-ebrei . . I datteri fatti cuocere da non-ebrei, sono consentiti come cibo se erano già dolci fin dall' inizio. Se poi erano dolci, ma dopo la cottura sono diventati amari, è vietato ci­ barsene . . . Le lenticchie cucinate da non-ebrei, mescolate ad acqua o aceto, sono vietate. È permesso però mangiare i semi di frumento o di orzo, mescolati con acqua . . . La salsa di pesce, a cui solitamen­ te viene aggiunto vino, è vietata. Ma se il vino è più costoso della salsa di pesce, allora è consentito cibarsene . È vietato ino ltre ali 'uomo indugiare nel fare i suoi bisogni corporali, di entrambi i ti­ pi, e chi indugia nell 'andar di corpo è considerato uno che «imbrat­ ta la sua anima»29• .

.

.

I lettori contemporanei, che non conoscono questo genere di letteratura, poco accessibile al vasto pubblico, non di rado non si rendono conto della portata del problema. Non capiscono per­ ché Gesù, accusando i farisei, accordasse tanta attenzione a usan­ ze assurde e ridicole che oggi quasi nessuno ricorda (ad esem­ pio, lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di let­ ti). In realtà, queste usanze celavano una concez_ione del mondo secondo la quale l ' autentica religiosità consiste nella capacità della persona di confrontare ogni passo con un cumulo di pre­ scrizioni, nota con il nome di «tradizione degli antichi». I rabbi­ ni creavano regole per tutti i casi della vita - fino al modo di espletare le funzioni corporali - ed erano sicuri che l' osservan­ za di tali regole li avvicinasse a Dio. Era proprio questo tipo di religiosità che Gesù criticava con la massima asprezza, accusando i farisei di trasgredire il coman­ damento di Dio in nome della propria tradizione (Mt 1 5 ,3). E se nel trattato di Maimonide che abbiamo citato le «leggi sui cibi vietati» occupavano quasi duecento pagine - per cibi vietati si intendevano i cibi impuri, che contaminano l'uomo - Gesù non riteneva impuro nessun cibo, e in tal modo pose fine una volta per sempre al tema dei cibi impuri per i propri seguaci. 29 lbid., pp. 250-255.

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7. GESÙ E l SUOI AVVERSARI: L' INIZIO DEL CONFLITTO

Nel libro degli Atti viene descritto l'episodio in cui san Pietro ebbe fame e, mentre gli preparavano da mangiare, fu rapito in esta­ si e vide una tovaglia su cui «c'era ogni sorta di quadrupedi, retti­ li della terra e uccelli del cielo. Allora risuonò una voce che gli di­ ceva: "Coraggio, Pietro, uccidi e mangia!". Ma Pietro rispose: "Non sia mai, Signore, perché io non ho mai mangiato nulla di profano o di impuro". E la voce di nuovo a lui : "Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo profano". Questo accadde per tre volte; poi d'un tratto quell 'oggetto fu risollevato nel cielo» (At l O, 1 0- 1 6). Questo racconto corrisponde pienamente alla visione del mon­ do che Gesù era venuto a portare sulla terra. Nel contempo esso testimonia la rottura radicale del cristianesimo delle origini ri­ spetto alla tradizione giudaica. Questa rottura era iniziata con la predicazione di Gesù e proseguì con la Chiesa. Il confronto tra le opere della letteratura rabbinica sul tipo del trattato di Mai­ monide, il Nuovo Testamento e la successiva letteratura cristia­ na mostra quanto rapidamente si creasse una radicale divergen­ za tra le tradizioni cristiana e giudaica sul concetto di santità. Dal­ la comune radice veterotestamentaria nacquero due diversi frutti. I tentativi di conciliare le due concezioni di santità - quella predicata da Gesù e quella espressa dagli scribi e dai farisei non possono essere coronati dal successo, nonostante gli sforzi di alcuni studiosi contemporanei di presentare i conflitti tra Ge­ sù e i suoi avversari alla stregua di «liti in famiglia»30• La predi­ cazione di Gesù nelle sinagoghe incontrava un completo rifiuto da parte dei leader religiosi del popolo ebraico (Le 4, 1 6-30), e questo era pienamente comprensibile. La prima generazione di cristiani fu costretta a rompere definitivamente con la sinagoga, perché l ' insegnamento di Gesù sulla perfezione che essi aspira­ vano a tradurre in atto non poteva essere imbrigliato negli angu­ sti limiti posti dalla tradizione giudaica. Quanto alla tradizione giudaica, essa proseguì nella direzione segnatale dagli avversa­ ri di Gesù - scribi e farisei suoi contemporanei - e dai loro suc­ cessori. 30 J. ASHTON, Understanding the Fourth Gospel, pp. 78-96.

433

Capitolo 8 GES Ù : LA FORMA DI VITA, I TRATTI DEL CARATTERE

I Vangeli non sono una biografia completa di Gesù e prestano poca attenzione ai particolari quotidiani della sua vita, ai tratti del suo carattere. Tuttavia, alcune notizie disseminate nel testo delle narrazioni evangeliche consentono di farci un quadro complessi­ vo del tipo di vita che Gesù conduceva, e anche di raffigurarci i tratti del suo carattere. Questo capitolo non pretende assolutamente di fornire un ritrat­ to esauriente di Gesù. Tale ritratto emerge dall'intero testo evan­ gelico, e inoltre, come abbiamo detto, ogni Vangelo rappresenta a modo suo Gesù, considerando la sua vita e il suo operato sotto un particolare punto di vista. Il maggior numero di informazioni sul temperamento di Gesù ci viene dal racconto della Passione, che merita un esame a parte. In questo racconto Gesù emerge mag­ giormente come un uomo che prova paura, tristezza, sofferenza, che avverte il dolore fisico e patisce gravi pene interiori. In questo capitolo ci limiteremo ad abbozzare approssimativa­ mente la forma di vita di Gesù e alcuni tratti della sua personalità. Il nostro non sarà un ritratto, ma piuttosto una serie di «bozzetti preparatori al ritratto», che hanno lo scopo di facilitare la com­ prensione del «Gesù storico», così come ci viene presentato nelle pagine dei Vangeli.

l. Aspetto esteriore

In tutto il Nuovo Testamento non c ' è neppure una descri­ zione particolareggiata dell' aspetto esteriore di Gesù Cristo, 435

L' INIZIO DEL VANGELO

sebbene nell ' antica letteratura biografica ad esso si conferisse grande valore 1 • Con ogni evidenza, per gli evangelisti ciò ave­ va un' importanza secondaria rispetto alla sua dottrina e ai suoi attF. Tuttavia, a misura del diffondersi del cristianesimo tra i gen­ tili, gli scrittori cristiani cominciarono a porsi la domanda su quali fossero le sembianze di Gesù. Gli autori del II-III secolo ritenevano che fo sse >. Il frammento è probabilmente parte di un' antica opera apocrifa (mostra una somiglianza con il Vangelo di Tommaso). Forse rifletteva le concezioni di una delle sette che si allontanarono dalla Chiesa nel II o III secolo. D'altro canto, il frammento è troppo incompleto perché se ne possa dedur­ re il contenuto del testo (ad esempio, il testo completo avrebbe potuto comprendere le parole «Mia moglie è la Chiesa» o qualcosa di simile). [Gli studi successivi hanno ac­ certato che il frammento è un falso. Cfr. : A. Sabar, «The Unbelievable Tale of Jesus's Wife», in The A tlantic, July-August 20 1 6; ndt]. Il codice da

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L'INIZIO DEL VANGELO

no resi tali per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca» (Mt 1 9, 1 0- 1 2). Il contesto del discorso di Gesù mostra con evidenza che Egli parla qui del celibato come di una scelta consapevole, che Lui stesso ha compiuto e propone a chi «può capire». Più di una volta nei suoi insegnamenti Gesù propone agli ascoltatori non una sola, ma più opzioni morali, a seconda dei diversi livelli di perfezione spirituale, del diverso grado di disponibilità a ri­ spondere alla sua chiamata alla perfezione . La storia del gio­ vane ricco ne è un esempio: esiste un codice morale sufficien­ te per ottenere la vita eterna, ma per conseguire la perfezione ne occorre un altro, più radicale. Da Zaccheo Gesù non preten­ de la completa rinuncia ai beni terreni, sebbene la ritenga un segno di perfezione. Allo stesso modo, Egli non esige il celi­ bato dai discepoli, ma parla del celibato come di una partico­ lare forma di vita, accessibile a chi «può capire». In qualità di ideale morale assoluto Egli propone la forma di vita che «ha potuto capire» Lui stesso. Le parole di Gesù sul celibato volontario, probabilmente, do­ vettero sorprendere molto i suoi contemporanei e conterranei, perché andavano contro la morale veterotestamentaria. Nell'An­ tico Testamento la benedizione divina si esprimeva per l 'uomo soprattutto nel dono di una buona moglie e di una numerosa di­ scendenza. La nascita di figli era concepita come la principale realizzazione dell'uomo e come la fondamentale vocazione del­ la donna. In che cosa consisteva l 'alleanza stipulata da Dio con Abramo? In che cosa si esprimeva la particolare benedizione concessa da Dio al capostipite del popolo ebraico? Nella pro­ messa divina di generare da lui un grande popolo (Gen 1 2,2; 1 7 ,2-7) e di rendere la sua generazione numerosa come la pol­ vere della terra (Gen 1 3 , 1 6). Ed ecco che improvvisamente Ge­ sù invita a rinunciare a quanto, secondo la Sacra Scrittura, costi­ tuiva la principale vocazione e finalità degli uomini, la continua­ zione della stirpe. Tale appello però non si rivolge a tutti, ma so­ lo a quanti vogliono imitare Gesù in ogni cosa, compreso il ce­ libato volontario. 448

8. GESÙ: LA FORMA DI VITA, I TRATTI DEL CARATTERE

Secondo la dottrina della Chiesa, Gesù era vergine. Nei testi ascetici e monastici, Gesù è presentato come ideale assoluto del­ la verginità e della purezza. Nel II secolo Metodio di Olimpo di­ ce di Cristo : «Conservò incorrotta la sua carne, abbellendola con la verginità . . . Il Verbo fattosi uomo è stato il Principe delle vergini»21 • San Girolamo nel IV secolo dice: «Vergine è Cristo; vergine senza interruzione la Madre del nostro vergine Cristo : madre e vergine»22• Nell'VIII secolo Giovanni Damasceno scri­ ve: «Il Cristo stesso è la gloria della verginità, non solo perché è stato generato dal Padre e senza unione, ma anche perché - di­ ventando uomo come noi - si è incarnato dalla Vergine senza unione e mostrò in se stesso la vera e perfetta verginità». D'al­ tro canto, osserva che Cristo «non ce la pose come legge», cioè non la rese obbligatoria per i suoi seguaci, ma «con i fatti ce la insegnò e ci diede la forza per essa»23 • Sebbene evidentemente non fosse legato da vincoli coniuga­ li, Gesù non mostrava alcuna avversione per il matrimonio, i rap­ porti familiari e ciò che vi era connesso. Non ricusò l 'invito al banchetto nuziale (Gv 2, 1 -2), nei suoi insegnamenti tornò più volte sul tema dei rapporti familiari (Mt 5,3 1 -32), benediva i bambini (Mt 1 9, 1 3- 1 5 ; Mc 1 0, 1 3- 1 6), frequentava le case dei suoi discepoli e seguaci (M t 8, 1 4- 1 5 ; Le 2, 1 5; 1 9,6- 1 7). Nel con­ tempo, sottolineava sempre che la fedeltà a Lui e alla sua mis­ sione era più importante di ogni legame familiare e parentale (Mt 1 0,37; 1 9,27-29). In seguito, le parole di Gesù sugli eunuchi per il Regno dei cieli furono interpretate in modi diversi. Secondo Eusebio di Ce­ sarea, Origene le intese alla lettera e in gioventù si fece evirare24• Questa notizia, tuttavia, viene messa in discussione da una serie di studiosi contemporanei e ritenuta falsa25• Lo stesso Origene26 2 1 METODIO o'OLIMPO, La verginità l , 5 (SC 95, 64); tr. it. p. 43 . 22 GIROLAMO, A Pammachio. Apologia (lettera 49, 2 1 ) (PL 22, 5 1 0); tr. it. vol. l , p. 4 1 5 . 2 3 GIOVANNI DAMASCENO, L afede ortodossa 4 , 24; tr. it. pp. 3 1 1 -3 1 2. 24 EUSEBIO DI CESAREA, Storia ecclesiastica 6, 8, 1 -2. 25 Per una panoramica sull 'argomento, cfr. : B. LITFIN, «Origem>, p. 1 1 5. Cfr. anche: H. CROUZEL, Origen, pp. 8-1 O. 26 Cfr. : ORIGENE, Commento al Vangelo di Matteo 1 5, 1 -5 (PG 1 3, 1 253- 1 265).

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L' INIZIO DEL VANGELO

e i successivi esegeti cristiani si pronunciarono decisamente con­ tro un'interpretazione letterale delle parole di Gesù sugli eunu­ chi per il Regno dei cieli. Giovanni Crisostomo, in particolare, definisce la castrazione un misfatto, un' «operazione demoniaca e un' insidia satanica», intendendo le parole di Gesù sugli eunu­ chi per il Regno dei cieli esclusivamente in senso spirituale, co­ me un elogio alla verginità e al celibato. Secondo Crisostomo, Gesù parla così «perché tu sappia che è una grande lotta, non perché sospetti che si tratta di una scelta indotta dalla necessità»27• Nella Chiesa delle origini il celibato e la verginità godevano di grande stima. Fin dall'epoca apostolica l ' ideale della vergini­ tà fu predicato da san Paolo ( l Cor 7, l . 7 .25-26). Gli altri aposto­ li, tuttavia, con ogni probabilità erano sposati. Circa lo stato familiare degli apostoli, i Vangeli si limitano a indicare che Pietro aveva una suocera, e quindi doveva avere an­ che una moglie. D 'altra parte, i Vangeli riportano il dialogo tra Gesù e Pietro, il quale chiede: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?». Gesù ri­ sponde: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o pa­ dre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 1 9,27-29). Se si prendono alla lettera le parole «abbiamo lasciato tutto» e la risposta di Gesù, si dovrebbe dedurre che gli apostoli aves­ sero lasciato le loro famiglie, compresi moglie e forse figli, per seguire Gesù. Tale ipotesi è tuttavia confutata dalle parole di san Paolo, che intorno all ' anno 56 scrive: «Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa?» ( l Cor 9,5). Qui si indi­ ca chiaramente che gli apostoli, compreso Pietro, avevano con­ servato i vincoli familiari a distanza di vent' anni dalla morte e resurrezione di Gesù. Tuttavia, non senza l ' influsso di san Paolo, il celibato acqui­ stò nella Chiesa delle origini un numero sempre maggiore di se-

tr.

27 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 62, 3-4 (PG 57, 599-600); it. vol. 3, pp. 1 4- 1 5 .

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8. GESÙ: LA FORMA DI VITA, l TRATTI DEL CARATTERE

guaci. Nel II secolo Giustino il Filosofo testimonia che nella sua comunità «ci sono parecchi uomini e donne, sessantenni e set­ tantenni, che sin da bambini sono stati educati in Cristo e perse­ verano nella purezza»28• Molti scrittori ecclesiastici, tra cui Metodi o di Olimpo che ab­ biamo già citato in precedenza, hanno lasciato trattati in difesa della verginità. Il celibato non venne però mai elevato a nonna, e la Chiesa polemizzò duramente con le sette e i movimenti che propagandavano il disprezzo per il matrimonio. Intorno al 340 il Concilio di Gangra promulgò una serie di canoni contro colo­ ro che praticavano la verginità perché aborrivano il matrimonio. Il primo canone di questo Concilio dice : «Se alcuno aborrisce il matrimonio e si sdegna con una donna fedele e devota perché si unisce al proprio marito, o la rimprovera, come se non potesse entrare nel Regno, sia anatema». Il nono canone dice: «Se alcu­ no pratica la verginità o la continenza, allontanandosi dal matri­ monio perché lo aborrisce, e non attratto dalla stessa bellezza e santità della verginità, sia anatema». Infine, nel decimo canone leggiamo: «Se alcuno che pratica la verginità per il Signore si innalzerà al di sopra di coloro che vivono uniti nel matrimonio, sia anatema». Queste regole costituivano la reazione della Chie­ sa alla dottrina del vescovo Eustazio di Sebaste, il quale, secon­ do quanto riporta lo storico Socrate Scolastico, «aveva compiu­ to molti atti contravvenendo alle norme della Chiesa: ad esem­ pio, non consentiva di contrarre matrimonio e insegnava ad aste­ nersi da vari tipi di cibo, e inoltre proibiva a molti coniugi di vi­ vere insieme»29• Respingendo la tentazione di un eccessivo ascetismo, pur in­ coraggiando la prassi della verginità per chi «può capire», la Chiesa non fa che attenersi rigorosamente all 'insegnamento di Cristo. Il celibato non divenne mai e non poteva diventare la nor­ ma per i cristiani. Tuttavia, nella comunità dei suoi seguaci, a partire dall'apostolo Paolo, sono sempre esistite persone in gra28 GIUSTINO, Apologia prima 1 5, 6 (PG 6, 349); tr. it. p. 63. 29 SOCRATE SCOLASTICO, Historia ecclesiastica 2, 43.

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L'INIZIO DEL VANGELO

do di «capire» questa forma di vita. Le comunità di cristiani che rinunziavano volontariamente al matrimonio, nel IV secolo co­ stituirono la base del movimento monastico, che da quel momen­ to cominciò a svolgere un ruolo molto importante nella storia della Chiesa. A tutt'oggi nella Chiesa ortodossa tutti i vescovi vengono eletti fra i sacerdoti celibi e i monaci, e nella tradizio­ ne cattolica di rito latino l 'obbligatorietà del celibato si estende anche ai sacerdoti.

5. Gli aspetti del carattere

Un attento esame dei tratti umani di Gesù è importante non solo dal punto di vista storico, ma anche teologico. Partiamo dal presupposto che Gesù è Dio, e che tutti i suoi tratti umani sono organicamente legati alla sua natura divina. È difficile, se non impossibile, delineare un ritratto psicologi­ co di Gesù, farsi un' idea degli aspetti del suo carattere, delle ca­ ratteristiche della sua personalità umana sulla base degli accen­ ni, disseminati nei Vangeli, alle emozioni da Lui vissute o alle sue reazioni al comportamento di chi gli stava intorno. Molti au­ tori, sia antichi che moderni, hanno tentato di delineare questo ritratto, di descrivere la personalità di Gesù. Eccone solo alcuni esempi : Il nostro Pedagogo . . . assomiglia a Dio suo Padre, del quale è Fi­ glio, senza peccato, irreprensibile e non toccato dalle passioni nell'ani­ ma: è Dio immacolato sotto forma di uomo, servitore della volontà patema . . . Egli è per noi l ' icona senza macchia, a lui dobbiamo cer­ care con tutte le forze di rendere simile la nostra anima. Tuttavia, mentre egli è completamente libero dalle passioni umane e per que­ sto è anche l'unico giudice, essendo l'unico senza peccato, noi dob­ biamo invece sforzarci semplicemente di peccare il meno possibile, nella misura in cui vi riusciamo . 30• . .

3° CLEMENTE ALESSANDRINO, // pedagogo 1 , 2 (PG 8, 252-253); tr. it. pp. 36-37.

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8. GESU: LA FORMA DI VITA, l TRATTI DEL CARATTERE

Lo chiamavano indemoniato ed esaltato persone che avevano ri­ cevuto da Lui innumerevoli benefici, e non una o due volte, bensì più volte; tuttavia, Egli non solo non si vendicava, ma non cessava di beneficarle. Ma che dico - beneficarle? Egli diede per essi la pro­ pria vita, e sulla croce continuò a intercedere per loro presso il Pa­ dre. Ci faremo dunque anche noi suoi imitatori. Infatti, essere disce­ poli di Cristo significa appunto essere miti e privi di malevolenza3 1 • I caratteri di tutte le persone che sono passate attraverso una for­ te lotta interiore, come, ad esempio, Paolo, Agostino o Lutero, han­ no sempre conservato delle tracce incancellabili di tale lotta, e ciò li ha resi per qualche verso severi, o bruschi, o accigliati . Niente di simile ritroviamo in Gesù. Fin dall' inizio egli ci si presenta come una natura perfetta, soggetta esclusivamente alla sua stessa legge, natura che aveva coscienza di se stessa e non aveva bisogno di cam­ biare e cominciare una vita nuova32• In Gesù Cristo l' immagine di Dio è venuta in mezzo a noi nella forma della nostra povera vita umana perduta, nella stessa forma del­ la carne del peccato. La sua immagine si manifesta nel suo insegna­ mento e nelle sue azioni, nella sua vita e nella sua morte . . È l'imma­ gine di colui che si mette in mezzo a questo mondo dominato dal pec­ cato e dalla morte, che prende su di sé le pene della carne umana, che si sottomette umilmente all' ira e al giudizio di Dio sui peccatori, che resta obbediente alla volontà di Dio nella morte e nella passione, co­ lui che è nato in povertà, il commensale dei pubblicani, dei peccatori e della gente abbandonata e rifiutata dagli uomini: questo è Dio in for­ ma umana, questo è l'uomo rivestito della nuova immagine di DioP3• .

Ci colpisce, innanzitutto, la straordinaria integrità e armoniosità del­ la personalità e del carattere del Salvatore . . . Bisogna osservare la mi­ rabile, cristallina purezza della sua personalità morale, l 'umiltà ideale e la mansuetudine, l'inesauribile pazienza, l' irriducibile coraggio e la inalterata fermezza della volontà religiosa... Il carattere di Cristo è on­ nicomprensivo e universale, abbraccia l 'umanità intera e rappresenta 31 GIOVANNI CRISOSTOMO, Homi/iae in loannem 60, 4 (PG 59, 332). 32 D.F. STRAuss, La vita di Gesù, vol. l , p. 553. 33 D. BoNHOEFFER, Sequela, p. 279.

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L' INIZIO DEL VANGELO

l 'ideale morale di tutti i tempi e di tutti i popoli. Questo carattere non ha pari per forza di influsso benefico sulla vita storica dell'umanità. Cristo è l'archetipo e il prototipo di ogni perfezione; i raggi della sua perfettissima personalità si riflettono nei più grandi santi, ma tutti co­ storo, questi santi, sono paragonabili a stelle rispetto al sole34• Gli evangelisti ce lo descrivono come una persona profondamente umana. Molti hanno visto le lacrime spuntare sui suoi occhi, lo han­ no visto soffrire, stupirsi, gioire, abbracciare i bambini, ammirare i fiori. Le sue parole erano sempre piene di misericordia per le debo­ lezze umane, ma le sue richieste erano sempre categoriche. Egli sa­ peva parlare con tenerezza e dolcezza, ma sapeva anche essere seve­ ro e tagliente. A volte nelle sue parole traspariva un'ironia amara . . . Per quanto abitualmente fosse dolce e paziente, Gesù era spietato con gli ipocriti : scaccia i mercanti dal tempio, stigmatizza Erode Antipa e i dotti farisei, rimprovera di mancanza di fede i discepoli. Era cal­ mo e contenuto, ma a volte veniva preso da sacro furore. Tuttavia la schizofrenia gli era del tutto estranea: Gesù è sempre stato se stesso . . . Pur restando completamente immerso nella vita di ogni giorno, nello stesso tempo era come se vivesse in un altro mondo, in solitudine col Padre. Coloro che gli erano vicini vedevano in lui un uomo che ave­ va un unico desiderio: «Fare la volontà di Colui che mi ha mandato». A Gesù Cristo era del tutto estranea l'esaltazione patologica e il fanatismo ossessivo, tipici di molti asceti e fondatori di religioni. La lucidità e l 'assennatezza erano i tratti principali del suo carattere. Quando parlava di cose straordinarie, quando incitava qualcuno a compiere azioni difficili e ardite, lo faceva senza finto trasporto emo­ zionale, senza toni patetici. Egli che sapeva discorrere con sempli­ cità con la gente davanti a un pozzo o seduto a una mensa imbandi­ ta, pronunciò le più inaudite parole del mondo: «lo sono il pane di vita». Parlava di lotta e di prove, ma nel contempo donava a tutti la luce, benediceva e trasfigurava la vita35• Egli è dunque un uomo profondamente vitale, che apprezza la vi­ ta in tutte le sue dimensioni . . . Gesù è un rabbino giudeo che pos34 I. ANDREEV, Pravos/avno-christianskaja apologetika (Apologetica cristiana orto­ dossa), p. 8 1 . 3 5 A . M EN ' , Gesù maestro di Nazaret, pp. 86-87.

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8. GESÙ: LA FORMA DI VITA, l TRATTI DEL CARATTERE

siede la finezza di spirito necessaria per avvicinarsi alla realtà e por­ si alla distanza giusta . . . Le sue parole scaturiscono spesso dall'os­ servazione delle persone e delle cose, che egli elabora e contrasta con un discorso pieno di colore, farcito d' immagini iperboliche, di paradossi e di tocchi di umorismo penetrante36•

Abbiamo deliberatamente scelto citazioni tratte da opere di autori appartenenti a diverse epoche e tradizioni culturali e in­ tellettuali: uno scrittore ecclesiastico alessandrino del III secolo; un padre della Chiesa antiochena del IV secolo; un teologo ra­ zionalista tedesco del XIX secolo; un grande teologo e pastore luterano tedesco, che trovò la morte in un lager nazista; due apo­ logeti ortodossi- russi del XX secolo, rispettivamente un laico e un sacerdote; uno specialista catalano contemporaneo del Nuo­ vo Testamento. Ciascuno di essi svela in maniera diversa la fi­ gura di Cristo, e ciascuno dei giudizi riportati possiede una sua parte di verità. Se gli autori ecclesiastici più antichi ponevano l'accento sulla natura divina di Gesù, sulla sua obbedienza al Pa­ dre, sulla sua assenza di peccato e di passioni, sulla sua mansue­ tudine e umiltà, in epoca moderna l'accento cade soprattutto sul­ le sue qualità umane, che testimoniano in Lui una personalità armoniosa, priva di qualunque ambiguità interiore, una persona­ lità affascinante e unica, che vive un' unione piena con Dio. Non vogliamo commentare questi aspetti, né tentare di deli­ neare un nostro ritratto psicologico di Gesù. Ci limiteremo sem­ plicemente a indicare alcuni passi dei Vangeli che consentono al lettore di farsi personalmente da sé questo ritratto.

Emotività Gesù era emotivo? Che cosa ci dicono i Vangeli del suo ca­ rattere umano, delle sue reazioni al comportamento di chi gli sta­ va intorno?

36 A. PUIG 1 TÀRRECH, Gesù, pp. 376-377.

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Nei Vangeli sinottici tutti gli accenni all'umore o alle emozio­ ni di Gesù sono legati ai racconti dei miracoli o alla narrazione della Passione. Anche nel Vangelo di Giovanni, Gesù esprime delle emozioni operando miracoli (ne è un chiaro esempio la sto­ ria della resurrezione di Lazzaro), oppure ali' avvicinarsi della passione e morte. Al contrario, nel racconto che Giovanni fa del­ la Passione vera e propria di Cristo l'elemento emotivo è ridot­ to al minimo37• Tra le espressioni che indicano una reazione emotiva di Ge­ sù di fronte agli avvenimenti, possiamo elencare : «si meravi­ gliò» (Mt 8, l O; 7 ,9), «sentì compassione» (Mt 9 ,36; 1 4, 1 4; Mc 6,34; Le 7 , 1 3) , «ebbe compassione» (Mt 20,34; Mc 1 ,4 1 ); «am­ monì severamente» (Mc 1 ,43); «guardò con indignazione» (Mc 3 ,5), «emise un sospiro» (Mc 7 , 34) , «sospirò profondamente» (Mc 8, 1 2), «esultò di gioia» (Le 1 0,2 1 ), «si commosse profon­ damente, molto turbato» (Gv 1 1 ,33), «scoppiò in pianto» (Gv 1 1 ,3 5), «fu profondamente turbato» (Gv 1 3 ,2 1 ). Anche i verbi «amò» (Mc l 0,2 1 ) e «amava» (Gv 1 1 ,5), quando esprimono i sentimenti di Gesù per persone concrete, hanno una connota­ zione emotiva. I brevi accenni degli evangelisti agli stati emotivi di Gesù te­ stimoniano che era un uomo vivo, che conosceva tutta la gam­ ma dei sentimenti umani : dalla tristezza alla gioia, dall'ira alla pietà. D 'altro canto, come osserva uno studioso, «proprio nel momento in cui le emozioni di Gesù appaiono più umane, esse si rivelano, paradossalmente, divine»38•

Stupore Gesù era in grado di stupirsi. Lo indicano i racconti di Matteo e Luca sulla guarigione del servo del centurione. Le parole di quest'ultimo stupirono Gesù (Mt 8, 1 0; Le 7,9). Lo stupore è la 37 Cfr. : S. VooRWINDE, ), il metodo più sicuro è quello di rimanere il più aderenti possibile al testo evangelico e non tentare di leggervi tra le righe il con­ trario di quanto vi si dice43• In tutti e quattro i Vangeli troviamo il racconto della cacciata dei mercanti dal tempio. Lo riportiamo nella versione di Marco: Giunsero a Gerusalemme. Entrato nel tempio, si mise a scaccia­ re quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rove­ sciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si trasportassero cose attraverso il tempio. E in­ segnava loro dicendo: «Non sta forse scritto: La mia casa sarà chia­ mata casa di preghiera per tutte le nazioni? Voi invece ne avete fat­ to un covo di ladri)) (Mc 1 1 , 1 5- 1 7; cfr. Mt 2 1 , 1 2- 1 3 ; Le 1 9,45-46).

Narrando di un caso analogo, Giovanni osserva: «l suoi di­ scepoli si ricordarono che sta scritto : Lo zelo per la tua casa mi divorerà» (Gv 2, 1 7). Qui a Gesù è riferita una parola presa dal Salterio [Sal 69(68), 1 0] . In questo caso il termine «zelo» ha un significato religioso, ma per densità di emozioni si avvicina al concetto di collera. La scena è descritta in modo tale che è dif­ ficile immaginarsi Gesù che agisce con calma e sangue freddo: si tratta piuttosto di un impeto di collera, motivato da una pro­ fonda emozione interiore. 43 Se proprio vogliamo cercare un 'apologia della collera di Gesù, possiamo trovarla nella dottrina dei padri della Chiesa sulla giusta collera, controllata ed espressa a tempo opportuno, e anche sulla collera contro il diavolo. Cfr.: GREGORIO DI NAZIANZO, Poesia 25, Contro l 'ira (PG 37, 837-838; sulla collera giusta e controllata); GIOVANNI CRISO­ STOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 1 6, 7 (PG 57, 248; sulla collera espressa a tempo opportuno); BASILIO DI CESAREA, Omelia l O (PG 3 1 , 368-369; sulla collera contro il dia­ volo).

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8. GESÙ: LA FORMA DI VITA, I TRATTI DEL CARATTERE

Mitezza e umiltà La capacità di esprimere collera e zelo si unisce in Gesù a mi­ tezza e umiltà. Di sé Egli dice : «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo so­ pra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Mt I l ,28-30). Singoli impeti di collera non minavano la profonda pace in­ teriore che Gesù viveva costantemente, a motivo dell'unione del­ la sua natura con Dio. Questa pace si effondeva anche su quanti lo circondavano. L' umiltà (povertà di spirito) e la mitezza sono le due quali­ tà umane da cui iniziano gli insegnamenti delle Beatitudini (M t 5,3.5). In esse, come del resto in tutto il Discorso della mon­ tagna, Gesù delinea il proprio autoritratto. Non si limita ad af­ fermare l ' importanza di determinate qualità, ma le possiede Lui stesso. La sua mitezza e umiltà si manifestano in massimo grado nel suo comportamento durante gli ultimi giorni e ore della sua vi­ ta: al processo dei capi dei sacerdoti e di Pilato, sul Golgota.

Lacrime, turbamento, tristezza, angoscia Le lacrime di Gesù vengono ricordate nei Vangeli di Luca e di Giovanni. Luca narra di come Gesù pianse, predicendo la distruzione di Gerusalemme: Quando fu vicino, alla vista della città pianse su di essa dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta al­ la pace ! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. Per te verranno gior­ ni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai ricono­ sciuto il tempo in cui sei stata visitata» (Le 1 9,4 1 -44). 465

L' INIZIO DEL VAN GELO

La seconda testimonianza sulle lacrime di Gesù è di Giovan­ ni, l 'evangelista che mostra una particolare attenzione all'emo­ tività di Gesù. Nel racconto della resurrezione di Lazzaro, de­ scritta nel suo Vangelo, vediamo un ' intera gamma di emozioni vissute da Gesù e osservate dagli astanti: Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si get­ tò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fra­ tello non sarebbe morto b>. Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse pro­ fondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Disse­ ro allora i Giudei: «Guarda come lo amava! » . Ma alcuni di loro dis­ sero : «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro . . . (Gv 1 1 ,32-3 8).

È indubbiamente una delle pagine emotivamente più intense di tutti i Vangeli. Per la varietà dei sentimenti che vi si rispec­ chiano è paragonabile solo alla narrazione che i sinottici fanno della preghiera di Gesù nel giardino del Getsemani e della sua crocifissione. Vediamo come Gesù reagisce al pianto delle altre persone: «Si commosse profondamente e fu molto turbato» ( ÈVE�ptJ.rftcra-ro -rq'> 1tV&ÒJ.lan Kaì È-rapal;cv). Vediamo i sentimenti da Lui prova­ ti quando gli propongono di andare a vedere il sepolcro dov' e­ ra stato deposto Lazzaro : «scoppiò in pianto», tanto che perfi­ no gli astanti si meravigliarono dell'intensità del suo amore per il morto. Mentre si recava al sepolcro, «ancora una volta si com­ mosse profondamente», e questo dovette certamente riflettersi nel suo volto, nei suoi occhi . Gli evangelisti solitamente sono molto sobri nel descrivere le emozioni, sia di Gesù che degli al­ tri personaggi. Tuttavia, in questo caso Giovanni, che probabil­ mente assistette alla scena, la descrive nei particolari e con gran­ de vivezza. Il verbo -rapacrcrro, che in forma passiva significa «essere agi­ tato», «essere sconvolto», «trovarsi in grande sconcerto», indica 466

8. GESÙ: LA FORMA DI VITA, I TRATTI DEL CARATTERE

un' emozione molto forte. Questo verbo nel Vangelo di Giovan­ ni viene usato altre due volte per esprimere la condizione inte­ riore di Gesù. Parlando con i giudei a sei giorni dalla sua ultima pasqua e predicendo la propria morte, Gesù interrompe improvvisamente il dialogo con le parole: (Gv 1 1 , 1 1 ). Vedendo le lacrime di Gesù al se­ polcro di Lazzaro, i giudei dicono stupiti: «Guarda come lo ama­ va! » (Gv 1 1 ,36). Qui l ' amore si presenta come un sentimento umano nei confronti di persone ben precise, appartenenti a una certa famiglia, e l ' amicizia appare come il legame che si era in­ staurato tra Gesù e uno dei membri di questa famiglia. Nello stesso Vangelo, come abbiamo detto sopra, viene men­ zionato più volte il discepolo che Gesù «amava» (Gv 1 3 ,23 ; 1 9,26; 20,2; 2 1 ,7.20). La parola «amava» in questo caso indica che Gesù lo prediligeva in modo particolare tra i dodici aposto­ li: ne è un'espressione tangibile il fatto che all 'Ultima cena egli fosse reclinato sul petto di Gesù, tanto che perfino Pietro gli fe­ ce segno perché facesse una domanda a Gesù (Gv 1 3 ,23-24). Gesù aveva scelto Pietro come il più autorevole fra i dodici, ma, a quanto ci dice il quarto Vangelo, doveva nutrire per Giovanni un particolare affetto. Forse dipendeva dalla giovane età di Giovanni. In questo ca­ so, il sentimento nutrito per lui da Gesù poteva essere paragona­ bile a quello di un padre per il figlio minore, come descrive il racconto biblico di Giacobbe e dei suoi dodici figli: tra essi il padre prediligeva il minore, a cui era particolarmente affeziona­ to (Gen 42,4). Gesù nutriva amore umano e affezione per tutti i suoi disce­ poli. Questo si manifesta in modo particolare nella storia della Passione. All 'Ultima cena Gesù, dopo aver lavato i piedi ai di­ scepoli, «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 1 3 , 1 ). Nell'ultimo discorso ai discepoli, riportato nel Vangelo di Giovanni, parla più volte apertamente del suo amore per loro: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 1 3,34); «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Gv 1 5 ,9). Esortan­ do i discepoli all' amore, Gesù li chiama amici: 470

8. GESÙ: LA FORMA DI VITA. I TRATTI DEL CARATTERE

Questo è il mio comandamento : che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo : dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato am ici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l ' ho fatto conoscere a voi (Gv 1 5 , 1 2- 1 5 ).

Immediatamente prima dell' arresto, Gesù prega ardentemen­ te il Padre per i suoi discepoli. Le parole di questa preghiera esprimono le sue ultime volontà: Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. lo non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodi­ scili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola co­ sa, come noi. Quand'ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quel­ lo che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato per­ duto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittu­ ra. . . Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch'essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e que­ sti hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conosce­ re loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l 'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro (Gv 1 7,9- 1 2 .24-26).

Queste parole furono pronunciate dopo che Giuda, uno dei dodici, chiamato qui «il figlio della perdizione», aveva abban­ donato Gesù e si era recato dai capi dei sacerdoti e dagli anzia­ ni, per consegnarlo loro. Gesù tuttavia non lo esclude dal nu­ mero dei suoi discepoli e amici. Quando si incontrano nel Get­ semani, dove Giuda era giunto insieme al drappello di solda­ ti , Gesù lo accoglie con le parole : «Amico, per questo sei qui ! » (Mt 26,50). Per Gesù, il discepolo resta amico anche dopo aver perpetra­ to il tradimento. 47 1

L'INIZIO DEL VANGELO

I profondi sentimenti umani nutriti da Gesù per coloro che amava si uniscono in Lui a un amore assoluto e soprannaturale che non dipende dalle azioni dell 'altro. È l 'amore sacrificate e onnicomprensivo che lo condurrà sulla croce.

6. Peculiarità del linguaggio

Buona parte del materiale dei Vangeli è costituita da discorsi diretti di Gesù: sue esortazioni e parabole, insegnamenti ai di­ scepoli e dispute con i giudei. Di regola, leggendo questi testi, noi prestiamo attenzione soprattutto al loro significato e rara­ mente riflettiamo sulla loro struttura linguistica, sulla loro logi­ ca e poesia, e sulle loro metafore. Le parole di Gesù ci sono pervenute in una duplice traduzio­ ne. Inizialmente pronunciate in aramaico, si sono conservate so­ lo nella versione greca, e noi le leggiamo tradotte nelle nostre lingue. Nessuna traduzione può rispecchiare appieno la ricchez­ za e bellezza dell 'originale. Basti dire che la poesia, in una ver­ sione letterale, aderente al testo, inevitabilmente perde ritmo e sonorità, trasformandosi così in prosa. Il linguaggio di Gesù era per l 'appunto profondamente poeti­ co. I tentativi intrapresi dagli studiosi di ricostruire l ' originale aramaico mostrano che non di rado Egli faceva rimare le due metà di una frase, ad esempio nel testo: «Benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male» (Le 6,28). L' ipotetica ricostruzione dell'originale aramaico suona così : 11::J1J 11::>,0,,, 11'� ':17 11::1,�,, biire/sun la-liiyté!son $Gllon 'al riiç/apé/son45• Anche la formula «molti sono chiamati, ma pochi eletti» (Mt 22, 14 ), nella ricostruzione ha delle rime: 1'1:17ì 1'1'nJ 1,ìl(,ltzl l,J,�T - saggf 'fn zamfnfn za 'erfn ba/:lfrfn46• Esempi di que-

45 C . F. BURNEY, The Poetry ofOur Lord, p. 1 69. 4 6 G. DALMA N, The Words ofJesus, p. 1 1 9. Lo studioso ha proposto un'altra ricostru­ zione, sempre in rima, nel suo volume successivo: G. DALMAN, Jesus-Joshua, p. 228. Entrambe le ricostruzioni riportate seguono la tradizionale norma accademica di lettura dei testi nel dialetto galileo-aramaico. Esse ricreano il lessico e la sintassi del discorso

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8. GESÙ: LA FORMA DI VITA, I TRATTI DEL CARATTERE

sto tipo sono abbastanza numerosi. I discorsi di Gesù avevano spesso un carattere aforistico, e per aforismi e proverbi è tipico l 'uso della rima. Non meno tipico di Gesù è l' impiego di parallelismi lessicali e semantici, in cui la frase è divisa in due metà, corrispondenti l'una all' altra per significato e costruzione verbale. La formula «molti sono chiamati, ma pochi eletti» è solo uno dei numerosi esempi di parallelismo per contrapposizione. Altri esempi: «Chi l non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde» (Mt 1 2,30); «Chi si esalterà sarà umiliato, e chi si umilierà sarà esaltato» (Mt 23 , 1 2; Le 1 4, 1 1 ); «Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva» (Le 1 7,33). Non sono pochi neppure gli esempi di parallelismo co­ struiti sul principio della comparazione: «Un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato» (Gv 1 3 , 1 6). Il discorso di Gesù è caratterizzato da un particolare ritmo, percepibile anche attraverso la doppia traduzione. Ad esempio: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto» (Mt 7,7-8). Qui la prima metà della frase con­ sta di tre brevi formule, ciascuna delle quali ha la medesima co­ struzione, mentre la seconda metà è costituita da altre tre formu­ le, parallele alle prime per significato e identiche nel lessico. Spesso Gesù usava ritornelli composti di una o più parole. Il Discorso della montagna comincia dalla serie delle Beatitu­ dini, in cui la parola «beati» ali ' inizio della frase è usata nove volte (M t 5,3 - 1 1 ). Poi viene usato sei volte il ritornello «Avete inteso che fu detto . . . Ma io vi dico . . . » (Mt 5 ,2 1 -44). Nell ' in­ vettiva ai farisei viene ripetuta per sette volte la formula «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti» (M t 23 , 1 3-3 1 ). Nel Discorso del­ la pianura, alle quattro frasi che iniziano con la parola «beati»

di Gesù, ma non il suo suono. La ricostruzione fonetica delle frasi citate dovrebbe esse­ re ali' incirca la seguente: biirefsiin li-Iii 'e(é/son :;allon 'al riidefté!son; saggf'in zamfnfn za 'érfn ba/:lirfn.

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L' INIZIO DEL VANGELO

ne vengono contrapposte tre, che cominciano con le parole «Guai a voi» (Le 6,20-26). Gesù usava formule iterative per sottolineare una frase o un concetto, per evidenziarla rispetto al contesto generale del di­ scorso. All 'inizio della frase diceva talvolta: «In verità vi dico» (nel Vangelo di Giovanni, «In verità, in verità vi dico»)47• E con­ cludeva talvolta la sua esortazione con la formula: «Chi ha orec­ chie per intendere, intenda! » . Frequentemente usato è l 'espediente di ripetere più volte del­ le parole all ' interno di un brano o di una frase: «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia» (Gv 1 5 , 1 8- 1 9); «Non giudicate, per non esse­ re giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate sare­ te giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà mi­ surato a voi» (M t 7, 1 -2). Gesù aveva un suo stile caratteristico nel rapportarsi alle per­ sone. Raramente diceva loro ciò che si attendevano di sentirsi dire da Lui. Alle domande che gli venivano poste a volte non ri­ spondeva affatto, oppure rispondeva formulando a sua volta una domanda. Non di rado, la risposta a una domanda era il silenzio opposto da Gesù4 8 • Spesso la gente faceva a Gesù una domanda mantenendosi su un certo piano, ma riceveva risposta su un piano completamen­ te diverso. Ne sono esempi molti dialoghi del Vangelo di Gio­ vanni, in particolare i colloqui con Nicodemo (Gv 3 , 1 -2 1 ) e la samaritana (Gv 4,7-26), il discorso con i giudei sul pane dal cie­ lo (Gv 6,24-65). Questi dialoghi mostrano una situazione tipica: gli interlocutori di Gesù pensano secondo categorie terrene, ma­ teriali, mentre Egli ad ogni nuova risposta o affermazione cerca di portarli a un altro livello, più elevato, spirituale, di compren47 Ali 'espressione «in verità», usata nella traduzione italiana, nel testo greco corri­ sponde l 'esclamazione «amen», che risale evidentemente all 'originale aramaico. 48 Per i numerosi esempi tratti da tutti e quattro .i Vangeli, cfr. : E.J. SCHNABEL, «The Silence of Jesus», pp. 204-220.

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sione e recezione. Ma questo non sempre gli riusciva. Il discor­ so sul pane dal cielo, per esempio, si concluse con questa rea­ zione: «da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono in­ dietro e non andavano più con lui» (Gv 6,66). Posta a Gesù una domanda, invece di una risposta diretta gli interlocutori potevano udire tutta una serie di metafore, prese dalla vita quotidiana, da cui essi stessi dovevano trarre la rispo­ sta. Ne è un esempio il discorso di Gesù con i discepoli di Gio­ vanni che abbiamo già riportato in precedenza (Mt 9, 1 4- 1 7; Mc 2, 1 8-22; Le 5,33-39). Il linguaggio di Gesù era caratterizzato da un particolare, spe­ cifico gusto delle metafore. Nei suoi insegnamenti sorgono in continuazione immagini desunte dal mondo della natura. Tra­ scorrendo molto tempo all 'aria aperta, Gesù aveva modo di os­ servare la vita della natura. Al suo sguardo non sfuggivano tra­ monti e albe, monti e distese pianeggianti, animali e uccelli, pe­ sci e rettili. Ecco solo alcuni esempi: Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai ... Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano . . . (Mt 6,26.28). Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi . . . (Mt 8,20). Chi di voi, se possiede una pecora e questa, in giorno di sabato, cade in un fosso, non l' afferra e la tira fuori? (Mt 1 2, 1 1 ). Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante de li' orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami (Mt 1 3 ,3 1 -32). Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi (Mt 1 3 ,47-48). Quando si fa sera, voi dite: «Bel tempo, perché il cielo rosseg­ gia>>; e al mattino : «Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo>> (Mt 1 6,2-3 ). 475

L'INIZIO DEL VANGELO

Se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo mon­ te: «Spostati da qui a là)), ed esso si sposterà (Mt 1 7 ,20). Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scor­ pione? (Le 1 1 , 1 1 - 1 2). Voi non dite forse: «Ancora quattro mesi e poi viene la mietitu­ ra»? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura (Gv 4,3 5).

Nelle esortazioni e nelle parabole di Gesù molte immagini so­ no prese dalla vita di città o di campagna, dalla quotidianità do­ mestica, dal mondo dei traffici e dei commerci: A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: «Vi ab­ biamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un la­ mento e non vi siete battuti il pettob> (Mt 1 1 , 1 6- 1 7). Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e me­ scolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata (Mt 1 3,33). Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uo­ mo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è pie­ na, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pe­ sci buoni nei canestri e buttano via i cattivi (Mt 1 3 ,44-48).

Le peculiarità del linguaggio di Gesù sono divenute oggetto di numerose ricerche scientifiche. Ad esempio, uno studioso ha esaminato il dialogo di Gesù con la samaritana alla luce della teoria contemporanea degli atti linguistici ed è giunto a interes­ santi conclusioni circa lo stile del suo linguaggio, come ci viene trasmesso nel quarto Vangelo49• Gesù usava un ampio ventaglio

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J.E. BOTHA, Jesus and the Samaritan

Woman, pp. 1 8 8-200.

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8. GESÙ: LA FORMA DI VITA, I TRATTI DEL CARATTERE

di strumenti comunicativi verbali, che rendevano il suo discor­ so dinamico, inusuale, vivace, convincente, facile da ricordare. Tali strumenti non erano, tuttavia, impiegati in maniera pre­ meditata o artificiosa, non erano frutto di una particolare forma­ zione, educazione o addestramento, sgorgavano con naturalez­ za. La ricchezza degli strumenti linguistici rifletteva la ricchez­ za di contenuti di ciò che Gesù esprimeva, la ricchezza del suo mondo interiore. Il giudizio più incisivo sul linguaggio di Gesù ci viene forni­ to dai servi mandati dai farisei e dai capi dei sacerdoti per cattu­ rarlo. Essi tornarono dai farisei senza aver adempiuto l 'incarico, dicendo: «Mai un uomo ha parlato così! » (Gv 7,46). Questo giu­ dizio venne pronunciato da persone che non si aspettavano di udire ciò che udirono, e venne pronunciato, come possiamo ve­ dere, non tanto sulla base di ciò che aveva detto Gesù, quanto sulla base di come l 'aveva detto. Un' analoga reazione può nascere anche duemila anni dopo, in chi prende in mano per la prima volta il Vangelo e inaspetta­ tamente per se stesso scopre nelle parole e nei discorsi di Gesù una tale ricchezza di senso e di contenuto, una tale bellezza di espressione linguistica dei contenuti, da essere inspiegabile alla luce di qualsivoglia teoria scientifica, e irriducibile a un insieme di strumenti linguistici o altri fattori esterni. L' impressione che il linguaggio di Gesù. suscitava e continua a suscitare in milioni di persone è legata al fatto che le sue parole erano parole divine e umane contemporaneamente. * * *

Nella persona di Gesù noi vediamo un uomo che sapeva ral­ legrarsi e piangere, andare in collera e soffrire, denunciare e con­ fortare. Sapeva vivere una semplice amicizia umana; era impla­ cabile nei confronti del vizio, ma condiscendente verso i pecca­ tori; detestava l 'ipocrisia e il bigottismo dei farisei, ma non ri­ fiutava di sedersi a mensa con essi. Le sue reazioni erano non di rado impulsive e subitanee. Come tutti, provava fame e stanchez477

L'INIZIO DEL VANGELO

za. Era un uomo reale, con tutte le caratteristiche umane, a ec­ cezione del peccato e di tutto ciò che esso comporta. Nella persona di Gesù vediamo l'unico esempio esistente nel­ la storia di un uomo che possiede una perfezione assoluta. I teologi dicono che la sua natura umana era interamente dei­ ficata, cioè permeata della presenza divina, inscindibilmente le­ gata alla natura divina. Nel contempo, essa possedeva appieno le qualità umane, compreso un vasto spettro di sentimenti ed emOZIOni. L'ideale cristiano di santità come aspirazione a imitare Cristo non presuppone che ai più alti gradi della perfezione ci si liberi completamente delle qualità umane. La concezione del santo co­ me di un uomo che non sa o ha disimparato a piangere e ridere, a soffrire e andare in collera, a stupirsi o ad avere paura; la con­ cezione dell' impassibilità come apatia o insensibilità, non cor­ risponde al supremo ideale che il cristianesimo ha davanti a sé nella persona del suo divino Salvatore. L'ideale della lotta con il peccato non presuppone che ci si li­ beri dall'emotività, dall'umanità. Presuppone che i sentimenti e le emozioni propri dell'uomo possano gradualmente, con l 'aiu­ to della grazia divina, purificarsi dalla componente delle passio­ ni e del peccato, cosicché l'uomo possa avvicinarsi all ' ideale manifestatosi a tutta l 'umanità nella persona di Cristo, Figlio dell'Uomo e Figlio di Dio. In Cristo stesso questi sentimenti ed emozioni sono stati liberati fin dall' inizio da tale componente, in forza dell'unità inscindibile delle sue nature divina e umana.

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CONCLUSIONE

Nel 1 97 1 il celebre predicatore americano Billy Graham pub­ blicò un libro intitolato La generazione di Gesù, in cui riportava numerosi esempi che mostravano il rinnovato interesse dei suoi contemporanei per la persona e l 'insegnamento di Gesù Cristo1 • Nello stesso anno, parlando davanti a migliaia di ascoltatori a Chicago, il predicatore rifletteva a voce alta sul fenomeno a cui aveva dedicato il proprio libro. Era appena uscito il musical Godspell, basato sulle parabole evangeliche: andava in scena nei teatri di tutta l 'America, e migliaia di persone parlavano di Ge­ sù Cristo. Un anno prima due inglesi, il compositore Andrew Lloyd Webber e il poeta Tim Rice, avevano scritto l 'opera rock Jesus Christ Superstar, che divenne rapidamente popolare. Con la passione che gli è caratteristica, Billy Graham esclamava: Mi interessa molto, perché nel 1 97 1 ci sono opere, musical, dram­ mi, libri dedicati a Gesù? La nostra generazione non può fare a meno di Gesù! Quando la Società Biblica Americana ha pubblicato Good News for Modern Man, una nuova traduzione del Nuovo Te­ stamento, ne ha vendute 25 milioni di copie. Non possiamo fare a meno di Gesù ! Non ho mai sentito parlare di un' opera musicale o teatrale su Buddha, Maometto o Gandhi . Ma per Gesù la nostra ge­ nerazione è impazzita. I giovani parlano di Gesù. Se ne parla nelle università, nelle scuole, dappertutto. I giovani discutono su Gesù Cristo e chiedono: ma chi è?2 1 B. GRAHAM, The Jesus Generation, pp. 1 3-22. 2 Cit. dal dvd lmages ofChrist (Billy Graham Classics Collection, 2007).

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Nell 'epoca in cui in tutta l 'Europa Orientale dominavano dei regimi atei, il predicatore si recò più volte in paesi del blocco comunista, ebbe modo di parlare con credenti, di tenere dei di­ scorsi all' interno di chiese ortodosse e cattoliche, e poi, tornan­ do in America, narrava ai suoi concittadini quello che aveva vi­ sto. Fin da allora, dagli anni ' 70, predisse che nei paesi dell 'Eu­ ropa Orientale, tra cui anche la Russia, ci sarebbe stata una po­ derosa rinascita religiosa, e che queste popolazioni avrebbero ritrovato le proprie radici cristiane. Alla fine degli anni ' 80 egli ebbe la possibilità di vedere che milioni di persone in Russia, Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Polonia, Romania, Bulgaria, Serbia, Georgia, Armenia e negli altri paesi dell' ex Unione So­ vietica e del «Blocco di Varsavia» tornavano a credere in Gesù Cristo. Sono passati cinquant'anni dal momento in cui Billy Graham pronunciò il suo celebre discorso a Chicago. Da allora sono cre­ sciute almeno due nuove generazioni. Ma possiamo forse dire che non siano generazioni di Gesù? Possiamo forse dire che l'in­ teresse per la persona e l' insegnamento di Gesù da allora si sia affievolito o spento? L'autore di queste righe appartiene a una generazione che non era una «generazione di Gesù». Negli anni ' 60- '70 in Unione Sovietica erano in pochi a conoscere e a parlare di Gesù Cristo: il suo nome veniva citato solo nei testi di «ateismo scientifico». I credenti delle diverse comunità ecclesiali vivevano chiusi nel­ la propria cerchia ristretta, il tema religioso di fatto era assente nello spazio pubblico, il nome di Gesù non compariva né sui giornali, né alla televisione, né sui libri di storia. Si veniva a sa­ pere dell'esistenza della Bibbia e del Vangelo principalmente at­ traverso i testi di ateismo, e di Cristo si sentiva parlare nel ro­ manzo di Bulgakov Il maestro e Margherita. Ma i tempi cambiarono, e tra la fine degli anni ' 80 e l 'inizio degli anni ' 90 una generazione che non era la generazione di Gesù, divenne tale. Milioni di persone lessero il Vangelo, sco­ prirono Gesù come il Cristo, Dio e Salvatore, approdarono alla Chiesa, ricevettero il battesimo. 480

CONCLUSIONE

Da ormai quasi duemila anni risuona sulla terra l ' appello che echeggiò per la prima volta nel deserto sulle labbra di Giovanni Battista, e poi divenne il motivo conduttore della predicazione di Gesù Cristo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4, 1 7). Centinaia di milioni di persone nelle più svariate parti del mondo hanno accolto questo appello. Oltre due miliardi di abi­ tanti del nostro pianeta si considerano seguaci di Gesù, apparte­ nenti a svariate confessioni cristiane, e ogni giorno la comunità universale dei discepoli di Gesù si arricchisce di decine di mi­ gliaia di nuovi membri. Sono passati sedici secoli dal momento in cui il Vangelo di­ venne il libro più letto del pianeta. Tradotto in oltre duemila lin­ gue, mantiene tale status ancora oggi. Il cristianesimo ebbe inizio da ciò che secondo un criterio umano si potrebbe definire un fallimento totale. La tragica mor­ te di Gesù sembrò allora a molti cancellare ogni speranza che il movimento da Lui iniziato potesse avere un seguito. Eppure, es­ so divenne il progetto missionario di maggior successo in tutta la storia dell'umanità. Da duemila anni assistiamo a un' inces­ sante crescita del numero dei cristiani, anche se oggi il cristia­ nesimo si scontra con la competitività di altri progetti missiona­ ri di grandi proporzioni. In Occidente molti definiscono la nostra epoca come «postcri­ stiana». Si parla della decadenza della civiltà cristiana, della di­ minuzione del numero dei credenti, del crollo delle vocazioni sacerdotali e religiose, della chiusura di chiese e monasteri. Per convincersi che non viviamo affatto in un'epoca postcri­ stiana basta visitare uno dei paesi ortodossi in cui prosegue la vasta rinascita della vita religiosa iniziata oltre trent'anni fa. Nella sola Chiesa ortodossa russa, in quest' arco di tempo sono state costruite o ricostruite dalle macerie oltre venticinquemi­ la chiese: questo significa che sono state aperte un migliaio di chiese all'anno, ovvero tre chiese al giorno. Sono stati aperti o riportati in vita oltre ottocento monasteri, che si sono riempiti di monaci e monache, prevalentemente giovani. Dopo un in48 1

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tervallo di settant ' anni, sono stati istituiti o ripristinati oltre cinquanta tra seminari e scuole religiose; sono apparsi istituti e università teologiche; nelle università laiche sono state aper­ te facoltà e cattedre di teologia. Questa esplosione di vita religiosa nello spazio dell'ex impero dell'ateismo - un'esplosione inattesa per molti e senza preceden­ ti per dimensioni - non si spiega semplicemente attraverso fattori naturali o sociologici. Essa ha svelato la potente carica di energia spirituale che il cristianesimo racchiude in sé e che ha una natura soprannaturale. Questa carica non deriva dalla dottrina morale o sociale del cristianesimo, dalla liturgia o dalle discipline teologi­ che. Ha la sua unica fonte nella persona di Gesù Cristo, il Dio fat­ to uomo che continua ad agire nello spazio e nel tempo della sto­ ria, in cui entrò improvvisamente duemila anni fa. Come una molla in grado di contrarsi e allungarsi, il cristia­ nesimo storico nelle varie epoche e aree geografiche ha vissuto periodi di persecuzioni e periodi di prosperità esteriore, trasfor­ mandosi di volta in volta in «piccolo gregge» (Le 1 2,32), cioè in una sparuta comunità di perseguitati e reietti, oppure in uno sterminato esercito di «buoni soldati di Gesù Cristo» (2Tm 2,3). Ma il successo esteriore non può mai indurre al trionfalismo, co­ sì come l 'apparente insuccesso non può mai diventare motivo di sconforto o di disperazione. Dopo aver preso le mosse da un fallimento totale, nella per­ sona del suo divino Fondatore il cristianesimo ha riportato in de­ finitiva una vittoria così schiacciante sul male e la menzogna di questo mondo, da non avere analogie nella storia. Essa ha co­ stretto milioni di persone a rivedere le proprie concezioni su Dio, il mondo, se stesse. Entrando nella storia, il Dio incarnato ne ha mutato per sempre l 'andamento. Anche se la vittoria da Lui ri­ portata non è riconosciuta e compresa da tutti e ovunque, anche se molti non se ne accorgono - come duemila anni fa molti non si accorsero che Dio era venuto al mondo -, essa ha un valore assoluto e perenne. Lo testimonia l ' inalterato interesse esisten­ te nei confronti del cristianesimo e della persona del suo Fon­ datore. 482

CONCLUSIONE

La forza del cristianesimo deriva dal fatto che, dopo essere un giorno venuto sulla terra, Cristo non l 'ha mai lasciata: corporal­ mente è asceso al cielo, al Padre, ma nello spirito è rimasto con i suoi seguaci sulla terra. La Chiesa da Lui fondata continua ad essere il luogo della sua presenza vivente, e milioni di uomini ne hanno fatto esperienza. L'epoca postcristiana subentrerà solo dopo la Seconda venu­ ta di Gesù Cristo. Finché proseguirà la storia dell'umanità sulla terra, Cristo continuerà a operare in questa storia. Il suo volto divino continuerà ad attrarre gli uomini, e sempre nuove gene­ razioni diventeranno «generazioni di Gesù».

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B I B L IOGRAFIA

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